per cura del Sac.
BOSCO GIOVANNI
H
La lettera
dell'alfabeto segna il numero progressivo de' fascicoli riguardanti la Vita dei Papi
TORINO
TIP. DI G. B.
PARAVIA E COMP.
1859. {1 [295]} {2
[296]}
INDEX
Capo Primo. Introduzione - Notai romani - Giovinezza di S. Urbano -
Confessa la fede cristiana - Sua elezione - Sue prime cure apostoliche. 3
Capo II. I vasi sacri d'oro o d'argento. Ministri della Cresima - Beni
ecclesiastici. Sedia gestatoria. 4
Capo III. Si rinnova la persecuzione contro ai cristiani - S. Urbano
istruisce S. Cecilia nella fede - Si ritira nelle catacombe - Ivi istruisce S.
Valeriano e gli amministra il battesimo. 5
Capo IV. Urbano riceve Tiburzio; gli amministra il battesimo, e dopo
d'averlo ritenuto otto giorni con sè lo rimanda a Cecilia. 8
Capo V. S. Valeriano e S. Tiburzio davanti al tribunale di Almacchio -
Loro martirio. 9
Capo VI. S. Urbano va in casa di s. Cecilia e riceve molti alla fede. 12
Capo VII. Martirio di S. Cecilia - S. Urbano va ad assisterla negli
ultimi momenti di vita, e le dà onorovole sepoltura. 13
Capo VIII. S. Urbano ritorna nelle catacombe. - Almacchio lo fa venire
alla sua presenza, e lo condanna alla prigione. 14
Capo IX. Urbano di nuovo condotto ad Almacchio. È rimproverato per aver
dato ai poveri i tesori di Santa Cecilia. - Due sacerdoti sono flagellati coi
piombi. 16
Capo X. Urbano risponde ad Almaccbio. - È di nuovo condotto in
prigione. Ivi riceve di notte tre Tribuni e due sacerdoti. Battezza il
carceriere Anolino, che soffre il martirio. 17
Capo XI. Urbano è per la quarta volta condotto ad Almacchio. - Da
Carpasio è strascinato al tempio di Giove. - Sua fermezza nella fede. ―
Ultima prova di Almacchio. 19
Capo XII. Almacchio fugge- Nuovi supplizi- Martirio di s. Urbano e de'
suoi compagni. 20
Capo XIII. Terribile morte di Carpasio. - Conversione di santa Marmenia
e di sua figlia. - Traslocamento del corpo di Urbano. 22
Capo XIV. S. Marmenia e sua figlia con altri fedeli condotti al
tribunale di Almacchio confessano intrepidamente la fede di Gesù Cristo e sono
tutti coronati del martirio. 23
Capo XV. Culto e reliquie di s. Urbano. - Miracoli avvenuti alla sua
tomba. 25
Capo XVI. Chiesa a s. Urbano in Roma. - Altra sul fiume Marne in
Francia e miracoli ivi operati. 26
Capo XVII. Ad invocazione del nome di s. Urbano due giovanetti sono
liberati dagli assassini. - Un altro è liberato da una morsicatura d'una
vipera. - Altri miracoli. 27
Capo XVIII. Alcune parole per conclusione. 28
Estratto di circolare di monsig. Vicario generale della città e diocesi
di Torino ai rev. Sigg. Paroci e curati in favore delle Letture Cattoliche. 29
Indice 30
S. Urbano fu uno dei più grandi pontefici che abbiano governata la Chiesa di Gesù Cristo. La santità di vita praticata fin dalla sua giovinezza; lo zelo con cui adempì i doveri di semplice sacerdote; l'aiuto che prestò a tre pontefici che lo precedettero nella sede pontificia, il faticoso pontificato di sette anni appena, ma in tempi difficilissimi; la sua grande carità verso i poveri; la sollecitudine nel convertire i gentili al vangelo e nel soccorrere ed incoraggire i cristiani che pativano per la fede; il coraggio con cui più volte dovette affrontare la rabbia dei persecutori {3 [297]} ed i tormenti dei carnefici, e finalmente il luminoso e doloroso suo martirio sono le doti preziose che adornano e formano la gloria di questo pontefice. Nella Chiesa si ebbe di lui grande venerazione in tutta l'antichità, e le cose che di esso siamo per raccontare sono quasi letteralmente ricavate dagli atti autentici del suo martirio. Questi atti sono stati scritti da autori contemporanei; e si dicono autentici perchè dalle persone erudite sono giudicati scritti da coloro a cui si attribuiscono. Si attribuiscono a' Notai romani, vale a dire a que' fervorosi e dotti cristiani che assistevano i confessori della fede nei pericoli, e ponendosi in mezzo alla folla del popolo li accompagnavano fino agli ultimi sospiri. Mentre poi facevano loro animo ad essere fermi nella fede a costo di qualunque patimento, anche della morte, notavano le azioni dei martiri, registravano i detti e le risposte che davano innanzi ai tribunali dei giudici che cercavano di far loro rinnegare la fede.
Gli atti pertanto, ovvero gli scritti antichi, i quali riferiscono le azioni di S. Urbano e di altri martiri, presentano i caratteri della verità e perciò meritano la {4 [298]} nostra fiducia, e noi possiamo crederli con sicurezza. Premesse queste osservazioni noi passiamo al racconto della vita di S. Urbano. {5 [299]}
S. Callisto, come si è detto, riportava la corona del martirio il giorno quattordici di ottobre 226. Portatosi il santo cadavere di lui nel cimitero di S. Calipodio, il clero di Roma, che ora diciamo collegio de' cardinali, si radunò per eleggere un {6 [300]} successore. La scelta cadde sopra s. Urbano, primo pontefice di tal nome. Egli era nato in Roma; ed apparteneva ad una delle più ricche e nobili famiglie: suo padre appellavasi Ponziano. Ebbe egli la bella ventura di essere per tempo instruito nella fede cristiana, e corrispondendo alle cure dei suoi genitori divenne il modello della gioventù romana. Fin da giovanetto aveva dato non dubbi segni del coraggio e della fermezza, con cui il vero cristiano deve essere pronto a professare la propria religione in mezzo a qualsiasi pericolo, a costo de' più gravi patimenti. Ordinato sacerdote si adoperò con gran zelo a sostenere, difendere e propagare il vangelo nel pontificato di tre suoi antecessori, s. Vittore, s. Zefirino, e s. Callisto.
Più volte fu denunziato come Cristiano e condotto davanti ai giudici; ma agli sempre confessò intrepidamente la fede cristiana in faccia ai carnefici, ed alla vista de' più atroci tormenti. Onde quando la elezione del successore di s. Callisto cadde sopra di s. Urbano, ognuno godeva perchè tale scelta fosse avvenuta nella persona di un uomo che aveva pressochè consumata la vita nelle fatiche, ne' patimenti, nelle opere {7 [301]} di carità, e cui nulla più mancava che la corona del martirio, siccome ardentemente desiderava. Dio però l'aveva fino allora conservato affinchè impiegasse gli ultimi sei anni di vita nel governo della Chiesa Universale. La sua elezione avveniva in giorno di lunedi il 21 ottobre l'anno 226, sei giorni dopo la morte di s. Callisto.
Divenuto capo della Chiesa rivolse le sue cure a riordinare alcune cose riguardanti alla disciplina Ecclesiastica, intorno a cui i suoi antecessori, per motivo delle persecuzioni, non avevano avuto tempo di occuparsi.
Fra le altre cose s. Urbano ordinò che i vasi destinati al divìn culto fossero d'oro o d'argento. Anticamente usavansi di legno duro; ma fu osservato che la porosità, vale a dire que' piccoli buchi, che naturalmente esistono in ogni qualità di legno, esponevano le sacre specie al pericolo di {8 [302]} profanazione. S. Zefirino ordinò che fossero di vetro, che è materia assai più dura; ma essendo molto fragile, nascevano altri inconvenienti. S. Urbano decretò che i vasi sacri e specialmente i calici e le patene fossero d'oro o d'argento. Questi metalli essendo assai duri sono meno porosi e meno soggetti a spezzarsi; di più colla loro preziosità vengono anche a significare l'infinito prezzo di ciò che devono contenere, che è Corpo, Sangue, Anima e Divinità di Nostro Signor Gesù Cristo. Si hanno però alcuni esempi che furono ancora usati calici di vetro e di legno in caso di necessità, la qual cosa fu tollerata dalla Chiesa.
Affinchè ciascheduna Chiesa fosse sollecita ad eseguire gli ordini del Papa, ne diede egli medesimo l'esempio. Fatte lavorare venticinque patene di argento le ripartì e le mandò in dono a ciascuno dei venticinque titoli ovvero parocchie, in cui era in quel tempo divisa la città di Roma. Queste patene erano di una grande dimensione, perchè dovevano servire a ricevere il pane che i fedeli ogni giorno offerivano quando andavano a fare la santa comunione. {9 [303]}
Voi forse, o lettori, dimanderete dove il Papa prendesse i mezzi per tali grandiose opere di beneficenza in tempo di persecuzione, in cui i Papi non avevano ancora alcun dominio temporale.
Questa vostra dimanda sarà appagata qualora osserviate che fra i cristiani si annoveravano parecchi illustri e ricchi cittadini di Roma. La fede cristiana aveva de' fedeli nella corte dell'imperatore, nel senato e in tutte le cariche più elevate dell'impero. Ciascuno di questi fedeli reputava per sè una vera fortuna di poter impiegare le sue ricchezze a provvedere quanto occorreva pei sacri misteri. Onde si può dire che il Papa di que' tempi aveva niente, ma possedeva tutto; perche i fedeli s'imponevano con piacere un tributo volontario sopra le loro sostanze; anzi reputavano a loro gloria di far parte delle loro ricchezze al vicario di Gesù Cristo per assicurarsi così che fossero impiegate ad onore di quel Dio che di ogni ricchezza è padrone e datore.
Il medesimo s. Urbano stabilì che il Sacramento della Cresima fosse amministrato ai fanciulli appena ricevuto il Battesimo, assicurando essere tal cosa instituita {10 [304]} da Gesù Cristo, e per tradizione tramandata dai tempi degli apostoli fino al suo pontificato. Vuolsi qui notare che anticamente il Sacramento del Battesimo si amministrava ai gentili che venivano alla fede già adulti; e prima di ricevere questo Sacramento erano instruiti eziandio intorno al Sacramento della Cresima. Onde chi era instruito per ricevere il Battesimo, lo era pure per la Cresima.
Lo stesso Pontefice stabili che soltanto i Vescovi fossero i ministri di questo Sacramento; imperocchè il Crisma si consacra dai Vescovi, che sono i successori degli Apostoli, i quali imponevano le mani sopra i Battezzati e comunicavano loro lo Spirito Santo, siccome leggiamo nella Bibbia. Act. 8 ct 19.
Fin dai tempi di questo Sommo Pontefice cominciava a palesarsi la smania di alcuni che volevano mischiarsi nell'amministrazione e distribuzione dei Beni Ecclesiastici. Urbano decretò che tali fondi tossero proprietà della Chiesa, e l'amministrazione appartenesse esclusivamente agli Ecclesiastici. Le oblazioni poi fatte dai fedeli alla Chiesa fossero in parte destinate ai Sacri Ministri, perchè, come dice {11 [305]} s. Paolo, chi serve all'altare deve vivere dell'altare. L'altra parte, vale a dire il sopravanzo, fosse erogato in opere pie, a favore delle vedove, degli orfani e simile gente povera ed abbandonata. Le parole del Santo Pontefice sono queste: Le oblazioni che i fedeli fanno al Signore, non devono avere altro uso se non in favore della Chiesa e dei fratelli cristiani bisognosi; perchè sono oblazioni dei fedeli fatte come in espiazione dei loro peccati, e perciò patrimonio dei poveri. V. Brev. 25 maii.
Il medesimo Pontefice dà ragione per cui i Vescovi e specialmente i Sommi Pontefici hanno una sedia, ossia una specie di trono alquanto elevato nelle chiese, cioè per dimostrare la facoltà che da Gesù Cristo hanno ricevuto di giudicare, di sciogliere e legare. Di qui appare essere già in certa maniera in uso la sedia gestatoria che dai tempi di s. Pietro solevano usare i Romani Pontefici nelle grandi funzioni sacre, ma solamente nel modo che era loro permesso dai tempi calamitosi delle persecuzioni. Dobbiamo però qui far notare che il Papa è portato sopra la sedia gestatoria come sopra di un trono, non per essere adorato, come dicono i nemici {12 [306]} della nostra religione; noi adoriamo solamente Iddio; il Papa è da noi soltanto venerato come vicario di Gesù Cristo sopra la tetra. Onde egli è portato sopra la sedia gestatoria, affinchè sia riconosciuta la suprema sua autorità, ed affinchè egli possa vedere e benedire tutti i fedeli cristiani che si trovano presenti, e così essi pure possano con facilità come teneri figli vedere la persona del comun padre dei cristiani di tutto il mondo. Difatto il Papa è soltanto portato sopra questa sedia nelle grandi solennità, quando a Roma interviene gran numero di persone da tutte le parti della terra.
S. Urbano, stabilite le cose di disciplina che erano di maggiore urgenza, dovette volgere tutte le sue cure a sostenere la fede durante la persecuzione che tornò ad infierire contro ai cristiani. Alessandro Severo che piacevasi di comparire assai {13 [307]} buono, avrebbe almeno dovuto lasciar vivere in pace i cristiani. Non fu così: sia pel grande affetto che portava ai suoi dei, sia per favorire i sacerdoti degli idoli, fatto sta che non rivocò gli editti pubblicati da' suoi antecessori contro ai cristiani, e durante il suo regno, per lo più per la malizia de' suoi magistrati, continuò lo spargimento del sangue cristiano. Finchè la persecuzione fu in generale contro ai cristiani, s. Urbano si adoperava col massimo zelo per convertire i gentili, e conservare i fedeli nella fede, ma quando si accorse, che la persecuzìone era diretta specialmente contro al s. Pontefice, esso stimò bene di andarsi a nascondere in alcune catacombe lungi tre miglia da Roma nella strada detta Appia, ora di s. Sebastiano. Colà vivea tra le tombe dei martiri, nascosto ai persecutori, ma noto ai cristiani, i quali potevano recarsi da lui per consultarlo ed avere quelle istruzioni che occorrevano. Colà riceveva i legati delle varie chiese. d'Oriente e d'Occidente. Colà amministrava i Sacramenti del Battesimo e della Cresima: si ascoltavano le confessioni dei fedeli, si distribuiva la santa Eucaristia, si spiegava la parola di Dio; insomma nell' oscurità {14 [308]} delle tombe si facevano quelle sacre funzioni che il nemico delle anime non poteva tollerare che si facessero alla luce del giorno.
Fra i molti che si recarono a visitarlo fu un gentile per nome Valeriano, sposo di s. Cecilia, di cui abbiamo molte cose importanti a riferire. Le azioni e il martirio di questa santa hanno molta relazione colle azioni e col martirio di s. Urbano, perciò sembra molto a proposito il tenerne speciale discorso. S. Cecilia apparteneva a una delle prime famiglie di Roma. I suoi genitori erano pagani. Ma da giovanetta ella ebbe la bella sorte di essere instruita nella fede da s. Urbano. Cresceva nell'età e nel timor di Dio. I suoi genitori la facevano ammaestrare nelle scienze profane, ed ella servivasi delle cognizioni che andava acquistando per palesare l'assurdità dell'idolatria e comunicare ad altri le verità della fede. S. Urbano vedendola ben istruita e ferma nella religione, le aveva amministrato il battesimo; ma tal cosa erasi fatta all'insaputa dei parenti, i quali certamente, essendo idolatri, non avrebbero permesso che la loro figlia si facesse cristiana. Desiderosa di rinunciare a tutti {15 [309]} i piaceri della terra, consacrò con voto a Dio la sua verginità, che fedelmente conservò in mezzo ai più gravi pericoli.
Fra gli studii in cui ella occupavasi con piacere era la musica. E negli alti del suo martirio leggiamo che suonava l'organo e nel tempo stesso univa la sua voce al suono per cantare lodi al Signore. Di qui avvenne che questa santa fu eletta protettrice di quelli che si danno allo studio della musica. Studio, pietà, ritiratezza erano le doti che adornavano la ricca, virtuosa ed avvenente Cecilia. La nobile sua condizione voleva che ella portasse abiti broccati di oro, ma sotto di essi portava un pungente cilicio. Teneva giorno e notte il Vangelo sopra il suo cuore per farne continua meditazione: e digiunava due o tre volte ogni settimana. Per avere un protettore della sua verginità ella raccomandavasi con gran frequenza all'angelo custode, che talvolta le apparve visibilmente. In una di queste apparizioni l'assicurò che l'avrebbe aiutata a conservare la santa virtù della castità.
Giunta all'età di circa vent'anni i genitori, ignari che ella erasi tutta consacrata a Dio, vollero darla in isposa al nobile Valeriano, ricco signore di Roma. Ella non {16 [310]} seppe fare altro che raccomandarsi al Signore che le volesse inspirare quanto doveva fare, ed il Signore esaudì nel modo più maraviglioso le preghiere di lei. La sera antecedente alle nozze, Cecilia chiamò a parte Valeriano e tenne seco lui questo discorso: Valeriano, io ho un segreto di grave importanza a rivelarti e sono pronta a rivelartelo, purchè tu nol dica a persona del mondo. Valeriano l'assicurò di non palesarlo, e Cecilia continuò: Io ho un angelo che ha cura del mio corpo, e guai a te se a me ti avvicinassi.
Valeriano compreso da stima verso la santa sua sposa, e mosso dal desiderio di vedere un angelo rispose: per farmi credere a quanto mi dici, io vorrei vedere quest'angelo di cui mi parli.
Cecilia. Per vedere l'angelo, di cui ti parlo, bisogna che tu sia purificato in un fonte perenne e nel tempo stesso tu creda esservi un solo Dio vivo e vero.
Val. Che cosa dovrei fare per essere cosi purificato?
Cec. Avvi un uomo che sa purificare gli uomini in guisa che dopo sono in grado di vedere gli angeli.
Val. Chi è quest' uomo, e dove abita? {17 [311]}
Cec. Va tre miglia lungi dalla città nella via Appia: colà troverai un assembramento di poveri. Dimanda loro e ti sapranno indicare ove dimori un venerando vecchio di nome Urbano. Appena lo vedrai ripetigli tosto quanto ti ho detto, egli ti ammaestrerà intorno alla vera scienza, di poi ti purificherà con un' acqua misteriosa, quindi ti coprirà con una veste candida, con essa appena ritornato in questa camera vedrai l' angelo santo, come ti ho detto. S. Cecilia aveva fatto tal promessa a Valeriano mossa da viva fede, e persuasa che Dio avrebbe operato un miracolo per illuminare un uomo che doveva aver molti seguaci nella fede e nel martirio.
Valeriano partì, ed andato con premura al luogo designato trovò s. Urbano nascosto nei sepolcri dei martiri. Valeriano, espose una ad una le parole di santa Cecilia, della quale cosa il santo Pontefice provò grande consolazione. Ringraziò egli il Signore per la conversione di Valeriano, e postosi ginocchioni alzò le mani al cielo pregando cosi: O Signore Gesù Cristo, seminatore di casti consigli, ricevi e benedici il frutto della semente che Cecilia ha sparso nel cuore di Valeriano, Signor Gesù Cristo, {18 [312]} vero Pastore e Redentore delle anime nostre, benedici Cecilia tua serva, che quale ape industriosa si adopera indefessa per servirti; imperciocchè lo sposo che aveva ricevuto, era come leone feroce, ed ora l'ha condotto a te, ed è divenuto mansuetissimo agnello: certamente se non credesse a te, o Dio di bontà, egli non sarebbe qua venuto. Ora degnati, o Signore, di compiere l'opera tua ed apri la porta del cuore di lui affinchè lasci libera l'entrata alla grazia, e conosca te suo Creatore, e così rinunci al demonio, alle pompe, ed agli idoli.
Mentre il Papa pregava, Dio volle consolare lui e Valeriano con un visibile prodigio. Comparve un venerando vecchio, vestito di abiti bianchi come neve, tenendo tra le mani un libro scritto a caratteri di oro. Quel vecchio era s. Paolo Apostolo delle genti. Valeriano non era mai stato testimonio di apparizioni soprannaturali e fu preso da spavento a segno che, cadendo a terra, non osava più alzare la faccia. Ma s. Paolo gli fece coraggio e gli disse: Leggi le parole di questo libro e se hai fede meriterai di essere purificato nelle acque della santificazione e vedrai l'angelo di cui Cecilia {19 [313]} ti ha parlato. Valeriano riprese animo, e sebbene tutto tremante si fece a leggere col cuore queste parole, senza proferirle colla voce. «Avvi un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, un solo Dio padre di tutte le cose, che è padrone di tutto e governa tutti.» Terminato di leggere, s. Paolo disse a Valeriano: credi tu quel che hai letto? Sì, io credo, rispose vie più commosso Valeriano, questa è somma verità; credo, credo fermamente. Dette tali parole il vecchio, cioè s. Paolo, disparve. Essendo quella la prima volta che Valeriano era testimonio di tali comparse rimase come fuori di sè. Si levò di ginocchioni e si abbandonò nelle mani di s. Urbano. Il quale fecegli coraggio promettendogli che se si fosse conservato fedele alle grazie del Signore, e si fosse mantenuto costante nella fede cristiana, sarebbe stato testimonio di cose assai maggiori. Dopo di averlo instruito intorno ai misteri di nostra santa religione, gli amministrò il Sacramento, del battesimo. Secondo l'uso di quei tempi egli fu rivestito di una veste candida, colla quale la Chiesa significa la novella innocenza che si acquista col Battesimo. Indi si pose a pregare, {20 [314]} e passò tutta la notte nelle catacombe pregando e cantando inni al Signore. Sul fare del giorno, vestito di bianco coma era, andò alla casa di s. Cecilia. Aperta pian piano la porta vide la santa vergine in ginocchio a pregare, e presso di lei l'angelo del Signore. Quell'angelo aveva forma umana; risplendeva di luce viva simile al fuoco, di modo che la camera appariva tutta illuminata come di mezzogiorno. Le sue ali erano dipinte a vaghi colori, che con maravigliosa varietà si elevavano raggianti come iride, ovvero arco baleno. Egli teneva in mano due corone intrecciale di rose e di gigli. Mosso da venerazione e da timore Valeriano si prostra anch' egli, e si mette a pregare accanto all'angelo medesimo. Intanto vede l'angelo che prese le due corone, ne posa una sul capo di Cecilia, l'altra su quello di Valeriano dicendo: Procurate, o giovani, di conservare tali corone colla purezza del vostro cuore, colla santità della vostra persona e delle vostre buone opere: io ve le ho recate dal giardino dei Paradiso; nè questi fiori appassiscono giammai, che anzi è sempre soave la loro fragranza. Ma niuno può vederli, se non rendesi degno coll'integrità dei costumi, {21 [315]} per la quale l'anima diviene la compiacenza e la delizia di Dio. Ora, o Valeriano, poichè tu hai secondato i consigli di Cecilia, Gesù Cristo Figliuolo di Dio mi ha mandato a te, affinchè io accolga le tue preghiere e ti conceda quanto sarai per dimandare. Angelo di Dio, esclamò Valeriano, io non altro so chiedere per ora, che la conversione di mio fratello Tiburzio. La tua preghiera, soggiunse l'angelo, sarà esaudita, e siccome Cecilia guadagnò te a Gesù Cristo, così tu guadagnerai il cuore di tuo fratello, ed entrambi giungerete alla gloriosa palma del martirio. Così detto, l'angelo volò al cielo.
È proprio delle anime buone darsi premura di comunicare a' suoi simili quei favori che la Divina Provvidenza loro concede. Così Valeriano, pieno di celeste gioia per le grazie che aveva da Dio ricevute, desiderava ardentemente di farne parte a suo fratello Tiburzio. Dio appagò questi {22 [316]} suoi santi desiderii. Mentre tuttora prostrato stava pregando, giunse Tiburzio. Cecilia con una sapienza, che certamente la veniva dal cielo, prese a parlare così: Io mi maraviglio, o Tiburzio, che un giovane studioso e dotto, quale tu sei, creda ancora agli dei, i quali altro non sono che statue di terra, di legno, di pietra, di bronzo o di altro metallo. Sopra questi idoli vani i ragni stendono le loro sucide tele, gli uccelli fabbricano i loro nidi, e lasciano le loro immondezze. Queste statue, che i malfattori condannati alle miniere estraggono dalle viscere della terra, cerne possono mai essere dei veraci e meritare la confidenza degli uomini? Dimmi, o Tiburzio, trovi tu differenza tra un corpo morto ed uno di tali idoli? Il corpo morto conserva altresì tutti i suoi membri, ma questi membri non danno segno di vita. Similmente un idolo ha pure la forma di uomo, ma non può fare opera alcuna, in lui tutto è morto, anzi un idolo è meno di un cadavere, perchè il cadavere ha già avuto vita, ha avuto gli occhi, le orecchie, la bocca, le mani, i piedi che adempivano il loro ufficio: cose tutte che negli idoli non mai esistettero. {23 [317]}
Tiburzio. Dici bene, o Cecilia, la nostre idolatrie sono piuttosto da bruti, che da uomini ragionevoli.
Cecilia. Ora adunque credi e ricevi anche tu la spirituale rigenerazione, e sarai anche l'amico degli angeli di Dio, ed otterrai il perdono delle tue colpe.
Tiburzio. Le lue parole, o Cecilia, sono di verità; ma chi mi può dare questa spirituale rigenerazione di cui parli?
Cecilia. Avvi un venerando vecchio che ha già conceduto un tal favore a tuo fratello. Farà lo stesso per te. Il nome di lui è Urbano.
Valeriano voleva già condurre. Tiburzio nelle catacombe; ma quando esso ebbe udito nominare Urbano, fe' atto di maraviglia, e ricusava di seguitare il fratello. Egli era simile a quei cristiani, che, soliti a tenere in non cale i sacri ministri per le dicerie dei malevoli, vorrebbero sempre rimanere lontani da essi.
E che, diceva Tiburzio, volete voi che io mi presenti a quell'infelice Urbano? Tu non sai, replicava con calde parole Valeriano, tu non sai chi egli sia. Egli è un santo vecchio, tutto bianco il capo, con volto di angelo; egli fa discorsi che sono {24 [318]} superiori ad ogni sapienza umana. Ma, soggiunse Tiburzio, non è colui che i cristiani chiamano Papa? Ho udito a dire che egli è stato due volte davanti ai tribunali del Prefetto, e che ora si tien nascosto nei sotterranei, non so dove. Se egli vien preso sarà condannato alle fiamme, e se noi saremo, ritrovati con lui incontreremo la medesima sorte. Così per aver voluto cercare una Divinità che dimora in cielo, noi troveremo la morte sopra la terra. Ah certamente io non vo da Papa Urbano.
Santa Cecilia e Valeriano avevano lasciato che Tiburzio sfogasse i suoi pusillanimi timori, e come ebbe finito, Cecilia disse con calma: avresti ragione, o Tiburzio, di sgomentarti se dopo la presente vita non ve ne fosse un'altra; ma poichè v'ha un'altra vita che non finirà giammai, perchè dobbiamo aver paura delle sofferenze presenti, se con queste possiamo assicurarci l'eterna felicità del cielo?
Era la prima volta che Tiburzio ascoltava dottrine di tal fatta; onde dimandò puerilmente, chi mai fosse andato a vedere le cose dell'altra vita, di poi fosse tornato a raccontarle agli uomini viventi.
A tali dimande Cecilia rispose semplicernente {25 [319]} che sono vanità tutte le cose della terra, e che è molto sublime il destino che si conviene alla creatura ragionevole; quindi levatasi in piedi spiegò colla massima chiarezza i misteri principali della fede. Quando ebbe parlato dell' Unità e Trinità di Dio, Tiburzio esclamò; o Cecilia, la lingua umana non saprebbe trovare da sè queste arcane e cotanto luminose parole. L'angelo di Dio ti assiste mentre parli. Anche Valeriano aggiungeva quanto sapeva. Quando poi Cecilia ebbe in breve narrato come il Figliuolo di Dio era egli medesimo venuto dal cielo in terra per farsi Uomo e diventar cosi infallibile maestro degli uomini, ed aveva insegnato la strada che conduce alla vita eterna, e per conferma della sua dottrina aveva operato i più stupendi miracoli; quando fece osservare come egli per la salvezza nostra aveva patito, era morto e risuscitato, ed aveva propagato la sua dottrina per mezzo degli Apostoli, i quali per la fede avevano pur sacrificata la vita; Tiburzio pieno di compunzione si pose a piangere e sospirare. Gettandosi poi ai pie del fratello e di s. Cecilia, diceva fra le lagrime: Ah se il mio cuore ed il mio pensiero ora rimanessero {26 [320]} affezionati alla vita presente, dovrei contentarmi di perdere la felicità della vita avvenire! Questo non sia mai. Solamente gli insensati possono appagarsi delle cose terrene, e pur troppo finora io sono vissuto da insensato, ma non voglio continuare così: Conducetemi dal sauto Pontefice Urbano.
Si lasciarono da parte tutti gl'indugi, e accompagnato dal fratello s'incamminò alle catacombe. Accolto con molta amorevolezza dal Vicario di Gesù Cristo, Valeriano si fece a raccontare tutte le cose che erano avvenute relativamente a Tiburzio. Per la qual cosa Urbano rese umili grazie al Signore, e vedendolo istrutto nei Misteri della Fede lo battezzò, indi gli amministrò il Sacramento della Cresima. Imperciocchè, siccome sì è detto, in que' tempi solevasi amministrare il Sacramento della Cresima subito dopo il Battesimo. Divenuto cosi coraggioso soldato di Gesù Cristo si trattenne ancora col Santo Padre otto giorni. Il silenzio delle tombe, le preghiere, l'essere vestito di bianco, il vedere le palme e le corone scolpite sulle urne de' Martiri eccitarono in Tiburzio i più vivi desiderii del martirio. Parevagli di trovarsi già nell'anticamera {27 [321]} del paradiso. Terminati gli otto giorni, che i battezzati passavano in una specie di spirituali esercizi, Tiburzio ritornò col fratello da s. Cecilia, e divenne fervoroso cristiano.
Il tempo che s. Valeriano e s. Tiburzio passarono nelle catacombe con s. Urbano bastò per inspirare ne' loro cuori i più vivi desiderii di fare opere di carità e patire per amore di Gesù Cristo. Il s. Pontefice aveva fatto loro osservare che la cristiana religione non promette felicità in questo mondo, ma che le tribolazioni sono la vita dei veri seguaci di G. C.; la loro ricompensa è riservata in Cielo.
I due santi fratelli, animati da queste parole, cominciarono a farla da apostoli. E poichè Gesù Cristo non vuole parole ma fatti, così eglino impiegavano le fatiche e le sostanze a favore delle famiglie povere de' martiri.
Intorno a quel tempo la persecuzione {28 [322]} prese ad infierire assai, perchè la primavera dell'anno 230 l'imperatore dovette allontanarsi da Roma a cagione di una guerra suscitata ai confini dell' impero. Prima di partire affidò il governo delle cose pubbliche ad un prefetto di nome Almacchio, dandogli autorità di giudicare le cose che succedevano in città e di farne le veci in sua assenza, sicchè dopo l'imperatore il prefetto era a temersi più d'ogni altra persona. Almacchio era molto dedito alla crapula per cui spendeva grandi somme di danaro. Ora essendovi una legge che dava al prefetto i beni di coloro che erano condannati a morte, Almacchio trovava il suo pro' nello studiar pretesti per far morire i cristiani, impadronirsi delle loro ricchezze e così aver danaro per secondare i suoi vizi.
Come intese la conversione e lo zelo de' Ss. Tiburzio e Valeriano egli mandolli sull'istante a chiamare. Appena furono davanti al suo tribunale, prese a parlare così: e come, disse rivolgendosi a Tiburzio, voi che appartenete ad una famiglia così illustre, come avete potuto associarvi ai cristiani cotanto disprezzati e vili, e dissipare le vostre sostanze a loro favore? Anzi mi fu detto che vi abbassate {29 [323]} fino a seppellire i loro cadaveri? Se questo è vero, bisogna argomentare che voi siate colpevoli de' medesimi delitti.
Tiburzio; Ah faccia il cielo! che noi meritiamo di essere tenuti in conto di servi di coloro che voi chiamate colpevoli! Essi hanno avuta la bella sorte di saper disprezzare le cose apparenti della terra, per morire e conseguire le vere ricchezze che sono in cielo. Ci conceda Iddio di poter imitare la santità della loro vita e seguirne gli esempi.
Qui seguito una lunga disputa in cui Tiburzio tenne bellissimi discorsi sul futuro premio riserbato ai buoni, e sul supplizio eterno preparato ai malvagi. Parlò dell'infelicità di coloro che giudicano bene il male, e male il bene.
Almacchio ascoltò alquanto, indi soggiunse: io nulla capisco di tale dottrina.
Tiburzio: Non mi maraviglio, disse, perchè gli uomini sensuali non possono sollevarsi a capire le cose di Dio.
A tali parole Almacchio si pose a ridere, come fanno gli stolti quando odono una verità e non la vogliono comprendere. Quindi si rivolse a Valeriano, e cominciò a parlargli così: Valeriano, la testa di tuo {30 [324]} fratello non è sana, spero che tu saprai darmi più assennate risposte.
Valeriano: Non dubitate, o Almacchio, mio fratello ha la testa sana, perciocchè vi è un gran medico che ha cura di lui, e di me; questo gran medico è G. C., figlio di Dio.
Almacchio; Orsù parla da giovane assennato.
Valeriano: Signor giudice, il vostro orecchio è un po' duro e come volete intendere il nostro linguaggio?
Almacchio: Voi siete i più stolti tra gli uomini: voi abbandonate le cose utili e i piaceri della vita presente e vi dilettate solo delle fatiche e de' patimenti. Non è questa una follia?
Valeriano allora volendo far conoscere la verità al prefetto e a quelli che si trovavano presenti, in contegno maestoso cominciò con calma a ragionare così: ho veduto, o Almacchio, ho veduto alcuni uomini che nella stagione d'autunno andavano a fare passeggiate per la campagna e se la passavano in festini tra le risa e l'ozio.
Nel medesimo tempo osservava certi industriosi contadini che in mezzo a loro campi volgevano e rivolgevano la terra, {31 [325]} piantavano viti, seminavano grano, piantavano alberi, ed erano tutti intenti ai loro lavori. Gli nomini di buon tempo vedendo i poveri contadini così attenti nelle loro fatiche, li schernivano dicendo: miserabili che siete! perchè consumare cosi la vostra vita? Perchè perdere così il tempo? Perchè annoiarvi in tali lavori? Se siete saggi, venite con noi e state allegri. A queste parole univano prolungato battere di mano come se avessero parlato con grande sapienza e aggiungevano insulti. I contadini diedero loro un compassionevole sguardo, e senza dare alcuna risposta continuarono i loro lavori. Ma alla stagione del freddo e delle piogge succedette la primavera, di poi l'estate, quindi il tempo delle raccolte.
Allora la campagna coltivata con tanto studio si mostrò rivestita di spighe, di grappoli d'uva, e di frutta d' ogni genere; di che i buoni contadini erano lietissimi.
Invece coloro che avevano passato il tempo in ozio, ed avevano schernito le fatiche di quelli, si trovarono ridotti a tremenda miseria. Si pentirono, ma troppo tardi, del loro ozio e del tempo perduto e andavano dicendo l'uno all' altro: ecco {32 [326]} quelli che abbiamo deriso reputandoli stolti: il loro modo di dire ci metteva orrore e la loro compagnia ci pareva dispregevole; ma ora proviamo col fatto che essi erano saggi e che noi siamo stati insensati; ora essi sono felici, e gli infelici siamo noi. Noi ci troviamo nello stato il più deplorabile, ed essi giulivi godono il frutto delle loro fatiche e sono cinti delle corone di gloria che godranno in eterno.
Almacchio disse; questa è bella eloquenza, ma che ha da fare un tal discorso con me e con te?
Valeriano riprese: permettete che io prosegua il mio discorso.
Voi ci avete considerati siccome stolti perchè impieghiamo le nostre ricchezze a sollievo de' poveri, ed usiamo ospitalità ai viandanti, assistiamo gli orfani e le vedove, e diamo onorevole sepoltura ai corpi dei martiri. Per opposto ci riputereste saggi se in quella vece ci dessimo in preda all'ozio ed alle delizie della terra; in una parola, noi saremmo grandi se fossimo viziosi, e di turpi costumi.
Ma un tempo verrà in cui raccoglieremo il fruito delle nostre fatiche: ed in quella eterna stagione noi saremo nello gioie e {33 [327]} ne' piaceri, mentre quelli, che si facevano beffe di noi, saranno tra il lutto e le lagrime inconsolabili. Il tempo presente è dato agli uomini per seminare: coloro che quaggiù se la passano nell'ozio e ne' piaceri raccoglieranno di poi gemiti e pianti nell'altra vita; ma coloro, che seminano fra i travagli e fra le lacrime, nella vita avvenire raccoglieranno un gaudio che non ha più fine.
Almacchio interruppe dicendo: secondo te adunque noi e i nostri immortali principi saremo condannati all' eterno dolore, e voi possederete per sempre la vera felicità? Questa è audacia insoffribile.
Valeriano tosta coraggiosamente soggiunse: sappi, o Almacchio, che i giudici e i principi terreni non sono altro che uomini i quali debbono essi pure morire all'ora segnata. Anch'essi dovranno un giorno comparire davanti al tribunale di Dio per rendere conto del modo con cui esercitarono il potere che fu loro affidato.
Valeriano voleva continuare il suo sublime ragionamento, ma Almacchio agitato dai rimorsi e dalla collera lo interruppe, e diede ordine che Valeriano fosse battuto con verghe. {34 [328]}
Nel tempo di questo Supplizio il valoroso giovane diceva alla moltitudine che era accorsa o popolo di Roma, la vista delle nostre sofferenze ti faccia palese la verità. Noi diamo volentieri il sangue e la vita per la nostra fede. Voi poi, o cristiani, il cui numero va ogni giorno crescendo, voi tenetevi costanti nel confessare che solo il vero Dio è giusto e santo. Colla vostra virtù e colla vostra fermezza nella fede voi distruggerete gli idoli e li ridurrete in polvere, e coloro, che saranno ostinati in volerli adorare, in breve saranno puniti colle pene eterne.
Il Prefetto vedendo la fermezza di quei santi giovani non sapeva nè che rispondere nè che cosa fare. Un suo assessore il tolse di fastidio dicendogli: fategli morire tutti e due, di poi vi prenderete tutti i loro beni. Guidato da sordido interesse il Prefetto comandò che fossero ambidue condotti ad un tempio di Giove, distante quattro miglia da Roma, con ordine che fossero decapitati se avessero rifiutato di offerire incenso a quella divinità. - Un segretario di Almacchio, di nome Massimo, era stato incaricato di accompagnarli al luogo del supplizio con buona scorta di soldati. {35 [329]}
Costui preso da maraviglia al vedere quei due nobili giovani che sul fiore dell' età andavano con gioia alla morte come se andassero ad una gran festa, non potè tenersi dal dir loro questo parole: Quale è mai il motivo di questa vostra allegrezza, giacchè i nostri pagani, quando vanno alla morte pei loro delitti, sono pieni di sdegno e di disperazione, mentre voi vi andate con gioia? - Eglino risposero: I cristiani muoiono volentieri per Gesù Cristo, imperciocchè sacrificando la vita presente ad onor di Dio, acquistano una vita beata e gloriosa che non ha più fine. Al contrario i pagani muoiono disperati perchè essi muoiono condannati pei loro delitti e non hanno la speranza della felicità loro preparata nella vita avvenire. Massimo ravvisò qualche cosa di misterioso e di sovranaturale nella fede cristiana, e bramava di essere instruito; ma non sapeva come fare per la brevità del tempo. - Fa così, dissero i santi giovani: proponi a questi tuoi soldati, che in vece di condurci sull'istante alla morte, ci conducano a casa tua e quivi ci guardino a vista sino a dimani. Il ritardo di un giorno non recherà alcun danno ed intanto in questa notte noi ti {36 [330]} ammaestreremo nella nostra religione e faremo venire in casa un sacerdote che ti purificherà l'anima. Così facendo tu vedrai le grandezze del nostro Dio.
Questa proposizione fu con piacere accettata da Massimo e dai soldati. Giunti pertanto alla casa di Massimo i due confessori della fede si diedero ad istruire lui, la sua famiglia ed alcuni de' soldati che desideravano di ascoltarli. Per grazia di Dio tutti credettero alle loro parole.
In quella medesima notte fu mandata a chiamare S. Cecilia, che venne prestamente con S. Urbano con alcuni altri sacerdoti, i quali vedendo tutta quella adunanza abbastanza istruita nella fede e ben disposta a ricevere il vangelo amministrarono a tutti il Sacramento del Battesimo. Quella notte fu tutta passata nella spiegazione della parola di Dio, nella preghiera e nel cantar lodi al Signore. - Mentre tali cose compievansi passò la notte e già spuntava l'aurora quando giunse il carnefice per eseguire la sentenza di morte. Allora santa Cecilia indirizzò queste parole al suo sposo ed al fratello di lui: Orsù, o soldati di Gesù Cristo, rigettate le opere delle tenebre e rivestitevi delle armi della luce: {37 [331]} voi avete combattuto degnamente, il vostro corso è terminato: avete conservato fede a Gesù Cristo, ed ora andate alla corona di vita eterna, che egli giusto giudice darà a voi e a tutti quelli che con opere buone stanno aspettando la sua venuta. Tutti erano commossi: Valeriàno e Tiburzio non altro desideravano che di compiere presto il sacrifìcio della loro vita. Pochi istanti dopo erano ambidue decapitati lasciando il corpo in terra mentre le anime loro volarono gloriose al cielo.
Massimo divenne egli pure ministro delle divine misericordie e fu confermato nella fede con una celeste visione. Nel momento che i forti giovani furono colpiti dalla scure, Dio si degnò di mostrare a Massimo le anime loro rivestite di splendore quali spose di Gesù Cristo, mentre un coro di angeli cantando inni di gioia le ricevevano tra le loro braccia e sulle loro ali le portavano in trionfo al cielo. Egli raccontò questa visione a molti pagani, affermando con giuramento di narrare la verità, e versando molte lacrime. Per il che ottenne credenza e guadagnò molti gentili alla fede.
Il prefetto, appena ebbe udito tali conversioni, {38 [332]} diede ordino che in quel medesimo giorno Massimo fosse preso e messo a morte. La quale sentenza fu eseguita incontanente. Santa Cecilia andò sollecitamente con altre pie persone a seppellire i corpi di Valeriano, di Tiburzio e di Massimo nel cimitero detto di Pretestato, che era una delle diramazioni delle vastissime catacombe di s. Callisto, dove da qualche tempo dimorava il medesimo s. Urbano.
Almacchio aveva accelerata la morte di s. Valeriàno e di s. Tiburzio, per andare ad impadronirsi delle loro ricchezze. Ma quale non fu la sua confusione, quando trovò la casa loro vuota di ogni cosa? Egli ne fu vivamente sdegnato contro a s. Urbano e a santa Cecilia, che secondando i santi desiderii dei due gloriosi martiri avevano per tempo distribuito ogni sostanza ai poveri. Onde lo sdegno di Almacchio si volse tutto contro a s. Urbano e a santa Cecilia. Li mandò immediatamente a cercare {39 [333]} e non potendo ritrovare s. Urbano, perchè viveva nascosto nelle catacombe, inviò le sue genti alla casa di Cecilia affinchè intimassero ad essa di sacrificare agl'idoli sotto pena di morte. Ma la santa vergine piena di confidenza in Dio si adoperò e riuscì a fare gran bene alle anime di quelli stessi che erano stati spediti per ucciderla.
Come ella adunque vide quei soldati, ascoltatemi, loro disse, o cittadini e fratelli; è cosa gloriosa e desiderabile il sopportare tutti i tormenti per confessare la fede di Gesù Cristo. Il dare la vita per Gesù Cristo è come cangiar terra in oro; è la mutazione di un tugurio miserabile con un magnifico palazzo; è l'offerta di cose misere di un momento per comperare cose eterne preziosissime ed immortali. Insomma Gesù Cristo compenserà quanto patiremo per lui con un centuplo nella vita presente e con una felicità eterna nell'altra.
Dopo si pose ad istruirli nella fede, e quando li vide tutti penetrati delle verità spiegate si voltò verso di loro ed aggiunse con forza: cittadini, credete voi le cose che vi ho dette? Quelli risposero: sì, le crediamo, e crediamo che Gesù Cristo è Figlio di Dio e Dio vero. {40 [334]}
Cecilia disse: se voi credete tali cose, io farò venire qua in mia casa un uòmo che vi farà tutti partecipi della vita eterna. Cecilia mandò con premura ad avvertire s. Urbano delle benedizioni che il Signore aveva mandato sopra quegli idolatri. Il santo Pontefice benedicendo Iddio che in tante guise degnavasi di chiamare le anime a sè, deciso di promuovere la gloria di Dio in mezzo a qualunque pericolo, usci coraggiosamente dalle tombe dei martiri, ed andò alla casa di santa Cecilia. Quivi avvenne cosa affatto maravigliosa. Concorse tale numero di gente a vedere ed ascoltare s. Urbano, che più di quattrocento persone vennero alla fede, ricevettero dal sommo Pontefice il Battesimo ed il Sacramento della Cresima. Fra quei novelli cristiani eravi un chiarissimo personaggio di nome Gordiano. Cecilia cedette a costui la sua casa, che in pubblico cominciò a chiamarsi casa di Gordiano, e così per qualche tempo cessarono le indagini che colà si facevano continuamente contro ai cristiani. Allora Urbano trasferì la sua dimora nella casa di s. Cecilia. Ivi, sebbene occultamente, ogni giorno guadagnava anime a Gesù Cristo, accrescera il numero dei fedeli, con grave detrimento del nemico del genere umano. {41 [335]}
Almacchio, informato della conversione degli emissarii spediti ad uccidere s. Cecilia, ardeva vie più di rabbia, e giurò di farne solenne vendetta. Mandatala adunque a cercare, la fece sull'istante condurre davanti al suo tribunale. Ma al rimirare il nobile e franco aspetto di quella cristiana eroina, egli rimase attonito, e cominciò tremando il suo interrogatorio. Invitata a non voler essere ostinata nella sua religione, la santa rispose: Io mi reco a gloria di confessare Gesù Cristo in ogni luogo e in faccia a tutti i pericoli; non temo alcuna umana potestà che sia contraria alla santa legge del mio Dio.
Almacchio pensò di metterle qualche paura, dicendo: Non sai tu che i nostri padroni, gl'invincibili imperatori, hanno dato ordine, che coloro i quali non negheranno di essere cristiani siano puniti, e che quelli i quali negheranno questa religione siano lasciati in pace? {42 [336]}
Cecilia rispose: I vostri imperatori e voi stesso commettete un folle errore; e la legge, a cui vi appellate, prova soltanto che voi siete crudeli e noi innocenti; imperciocchè se il nome di cristiano fosse un delitto, noi stessi ci industrieremmo di negarlo.
Il giudice andava studiando qualche risposta, ma rimanendo ognor più imbrogliato, esclamò: Orsù, infelice donzella, non sai che il potere di vita e di morte è dato dagli invincibili nostri principi nelle mie mani? Come osi parlarmi con tanto orgoglio?
Cecilia rispose: Ben diverso è l'orgoglio dalla fermezza; io ti ho parlalo con fermezza, ma non con orgoglio, poichè noi cristiani abbiamo in orrore un tale vizio. E se vuoi ascoltarmi ti farò palese un altro sbaglio che hai preso.
Almacchio maravigliato proruppe: Come! Io ho preso sbaglio? vediamolo.
Cecilia replicò: Tu hai detto che i tuoi principi ti hanno dato il potere di vita e di morte. Questo è falso. Tu non hai che il potere di morte; tu puoi togliere la vita ai vivi, questo è vero, ma non puoi dare la vita ai morti. Dirai adunque che i tuoi imperatori ti hanno fatto ministro di morte e nulla più. {43 [337]}
Almacchio riprese: Or via, o donzella, deponi la tua audacia e sacrifica agli Dei, e salva la tua vita: ecco qui nel pretorio le statue a cui puoi offerire incenso.
Cecilia rispose: come, o prefetto, ti manca persino la vista? Io non vedo qui se non pietre, bronzo, e qualche altro metallo: questi oggetti certamente non sono divinità. Tocca quelle statue se non le vedi, e sentirai che sono corpi e non sono spiriti; meritano di essere gettate sul fuoco. In quanto a me, io credo che solo Gesù Cristo può liberare l'anima mia dal fuoco eterno.
Almacchio confuso andava guardando Cecilia e gli astanti; ma per far valere la sua ragione, comandò che Cecilia fosse menata a casa, e quivi venisse segretamente posta a morte, affine di evitare ogni tumulto per parte del popolo, che grandemente l'amava per le sue grandi opere di carità. I carnefici la cacciarono dentro ad una stufa che riscaldarono oltre ogni misura, affinchè la santa fosse così soffocata. Ma Cecilia non provava alcun malore per quell'orrido caldo. Perocchè Dio la confortava con una prodigiosa frescura simile a quella che provavano i tre giovanetti nella fornace di Babilonia. {44 [338]}
Riferita la cosa ad Almacchio esso montò vie più sulle furie e diede ordine che fosse troncato il capo a colei, che dal caldo non poteva essere uccisa. Il carnefice non seppe colpirla con braccio fermo, perchè o fosse un rispettoso tremito che lo prese nel ferire una vittima innocente, o fosse virtù celeste che lo rattenne, al terzo colpo non gli riuscì di spiccare totalmente il capo di Cecilia dal busto. Ora avendovi legge presso i Romani di non più ferire oltre il terzo colpo, il carnefice lasciò la santa colà prostesa sul suolo nuotante nel proprio sangue. Cosi ella per tre giorni rimase agonizzante. Ma i poveri che avevano goduto la carità di lei insieme con molti altri cristiani, nulla badando ai pericoli a cui si esponevano per motivo delle persecuzioni, andavano coraggiosamente a visitar quella eroina della carità e della fede. Ed ella impiegava gli ultimi avanzi di vita per esortarli ad essere coraggiosi e costanti nella fede.
S. Urbano, avuta notizia della lunga agonia della santa sua discepola, corse tostamente per assisterla e confortarla in quei prolungati patimenti. La santa martire, come vide il Vicario di Gesù Cristo, provò {45 [339]} grande consolazione, e piena di gratitudine verso Dio, che aveva esaudite le sue preghiere, indirizzò a s. Urbano queste ultime parole: Beatissimo Padre, io ringrazio Iddio, che nella sua grande misericordia si degnò di esaudire la mia preghiera. Io lo aveva pregato che mi desse ancora tre giorni di vita, perchè potessi essere consolata dalla vostra presenza, e raccomandarvi alcune cose. Vi prego adunque di avere cura de' miei poverelli; date loro quanto troverete in mia casa: la casa poi sia cangiata in chiesa che possa per sempre servire ai fedeli, che si vogliono ivi radunare per cantare le lodi del Signore. Proferite tali parole, l' anima di lei volò beata al cielo.
Il sommo Pontefice eseguì puntualmente quanto la santa aveva raccomandato. Distribuite ai poveri quelle poche sostanze, che erano ancora nella casa di Cecilia, si diede religiosa cura di collocare entro un'urna il cadavere di lei in quella stessa positura e con quelle vestimenta, che aveva nell'ora della morte. Ai pie di lei pose pure le pezzuole ed i veli in cui i cristiani avevano raccolto il sangue che usciva dalle ferite. In simile guisa il santo Pontefice {46 [340]} accompagnato da alcuni sacri ministri, e da altri fedeli, di notte tempo la trasportarono presso la tomba di Valeriano, di Tiburzio e di Massimo. Cosi la divina provvidenza volle che le reliquie di questi coraggiosi confessori della fede fossero collocate nel medesimo luogo, mentre le loro anime volarono gloriose al possesso della medesima felicità del cielo, che godono e godranno per tutti i secoli.
In tutta l'antichità i cristiani ebbero molta divozione a questa santa, e di lei si fa ogni giorno memoria nella santa Messa.
La sua medesima casa, secondo il desiderio di lei, fu mutata in un magnifico tempio, che fu sempre in grande venerazione presso ai fedeli. Presentemente accanto a questa chiesa avvi un monastero in cui molte sacre vergini servono Gesù Cristo colla santità della vita e coll'esercizio della carità cristiana. Il martirio di santa Cecilia avvenne il 22 di novembre l'anno 232, alcuni mesi prima della morte di s. Urbano. {47 [341]}
S. Urbano dimorò qualche tempo nella casa di s. Cecilia, che dal pubblico era chiamata casa di Gordiano. Ma dopo il martirio di questa vergine, del suo sposo Valeriano, del suo cognato Tiburzio e di molti altri santi, egli si accorse che quello non era più luogo adattato per essere visitato dai cristiani. La persecuzione andava ogni giorno vie più infierendo, perchè l'imperatore per le sue guerre continuando ad essere lontano da Roma, tutto il potere era nelle mani di Almacchio, il quale esercitava in Roma una vera tirannia.
Il Papa adunque per facilitare ai fedeli di potere con qualche sicurezza ricorrere a lui, si trasferì nuovamente nella via Appia nelle tombe dei martiri, dove aveva dimorato prima che si recasse nella casa di s. Cecilia.
Di là usciva talvolta per fare qualche comparsa in Roma in casi di grave bisogno; ma tosto ritornava alla ordinaria sua dimora. {48 [342]}
Là in quegli antri oscuri ed appena abitabili, egli riceveva ad udienza tutti quelli che recavansi da lui. Di là mandava i suoi ordini nei più remoti paesi della terra, a segno che ambasciatori delle più lontane, parti d'Oriente e di Occidente venivano a Roma, andavano nella via Appia. Colà incontravano alcuni poveri che erano come la guardia della persona del Papa; essi dimandavano limosina. Ad un segno convenuto, conoscendo chi era cristiano e chi no, quando era mestieri li introducevano nelle catacombe e li conducevano dal Papa. Così Iddio servivasi della gente più bassa e debole del mondo per confondere fa superbia dei potenti della terra.
Almacchio aveva già fatto soffrire ai cristiani i più spieiati tormenti; il suo odio contro ai cristiani era cresciuto assai per la confusione provata nella disputa con santa Cecilia, e perchè nella casa di lei non aveva trovato i tesori che erasi immaginato. Ma accorgendosi che più cristiani condannava a morte, più grande diveniva il loro numero, deliberò di far cercare da tutte parti Urbano, persuaso che ucciso il Pastore fosse più facilmente disperso il gregge. Egli chiamò pertanto certo Carpasio e {49 [343]} mettendolo alla testa delle sue guardie gli fece questo comando: «Carpasio, io ti ho sempre conosciuto fedele a' miei comandi. Ora ho un affare di grave importanza da affidarti. Trattasi di cercare Urbano capo dei cristiani, egli vive nascosto, non so dove; io vorrei che ti dessi la massima sollecitudine per trovarlo e condurlo alla mia presenza.» Partì Carpasio alla testa di sue guardie, e come altrettanti cani da caccia correndo in tutti i lati ed in tutti i buchi, giunsero a scoprire s. Urbano che era nascosto nelle catacombe con tre Diaconi e due Sacerdoti. Carpasio contento, come se avesse trovato la più preziosa preda del mondo, mettendo certamente uomini a fare la guardia egli corse precipitosamente a darne notizia al Prefetto. Costui comandò che tosto fossero tutti condotti alla sua presenza.
Carpasio esegui gli ordini dati: andò alle catacombe, fece trar fuori Urbano co' suoi sacri ministri e li condusse al palazzo di Vespasiano, in cui Almacchio dimorava. Come se li vide avanti, il Prefetto gettò sopra di loro uno sguardo fulminante, e fremendo di rabbia, come fa il leone, prese a parlare cosi: È questi quell'Urbano ingannatore {50 [344]} degli uomini, che fu già condannato più e più volte, colui che i cristiani chiamano Papa?
Urbano con calma rispose: Io non inganno gli uomini, ma insegno loro ad abbandonare la via dell'iniquità per seguire la via della verità.
Disse il Prefetto: bella verità insegni tu; verità che non venera gli dei, nè insegna l'ubbidienza ai principi!
Soggiunse Urbano: Da quanto io vedo, con te è inutile ogni ragionamento, e per ciò esprimo chiaramente i miei pensieri. Sappi adunque che io non adoro i tuoi dei, non temo i tuoi principi, nè mai sarò per ubbidire ai loro comandi, perchè contrarii alla religione; la mia deliberazione è presa; fa pure quello che vuoi, nulla pavento.
Carpasio sottentrò ai discorso di Almacchio, e rivolto a lui ed al numeroso popolo, che in gran folla era corso per vedere il capo dei cristiani, disse ad alta voce: che sembra a voi, o cittadini, che si debba fare di codesti sacrileghi?
Almacchio non aspettò che altri parlasse ma tosto soggiunse: Siano condotti al tempio di Giove, e colà, siano posti in prigione. Quel tempio era posto quattro miglia {51 [345]} fuori della città. In esso entravasi per una porta, e chiunque vi entrava era obbligato ad offerire incenso a Giove, altrimenti era severamente punito, e talvolta decapitato. Il luogo dove doveva condursi il santo Pontefice disevasi Pagus Iovis, cioè villaggio di Giove, perchè in mezzo a questo paesetto eravi un tempio dedicato a questa divinità. Accanto al tempio eravi la carcere in cui erano chiusi quelli che rifiutavansi di venerare quella divinità. Carpasio esegui gli ordini del Prefetto e condusse Urbano co' suoi compagni nella carcere assegnata.
Sparsasi tale notizia tra i cristiani, parecchi vennero di notte per fargli visita, ed offerendo doni e danaro al carceriere, di nome Anolino, ottennero di andare ove erano i santi prigionieri. Appena entrati, alla vista dei maltrattamenti cui era stato esposto il Vicario di Gesù Cristo, ne furono commossi e prostratisi a terra tra le lacrime ed i sospiri, gli dimandavano l' Apostolica benedizione. Esso di tutto cuore appagò la loro pietà, di poi esortandoli a staccare il cuore dalle cose della terra ed a riporre tutta la loro confidenza in Dio, si misero insieme a pregare. {52 [346]} Perciocchè la preghiera è un conforto che al cristiano non viene mai meno, anche nelle più gravi tribolazioni. In simile guisa cangiarono quell' orrida prigione in una specie di chiesa, dove passarono tutta la notte cantando lodi al Signore. Quando poi si accorsero dell' aurora, si diedero a vicenda il bacio di pace e raccomandandosi umilmente alle preghiere del Papa, di là si partirono prima che fosse pieno giorno: perciocchè se fossero stati ravvisati dalle guardie, sarebbero essi pure stati messi in prigione.
Almacchio pensò di fare una seconda prova intorno ad Urbano e diede ordine a Carpasio, fedele esecutore delle sue crudeltà, che lo conducesse di nuovo alla sua presenza insieme coi ministri che con lui erano stati messi in prigione.
Vedendoli Almacchio li rimirò fissamente o disse: Olà, cessate da questa vostra ostinazione {53 [347]} e fate un sacrifizio a quegli dei, che come tali sono adorati dagli stessi Imperatori; rinunciate alla pazzia, di cui foste imbevuti e vi risolva a far senno l'esempio di cinque mila uomini, che dà tale vostra dottrina ingannati miseramente perirono, e della cui trista morte voi siete colpevoli.
Urbano non badando alle ingiurie, prese solamente a rispondere a ciò che riguardava alla religione. Non perirono, disse, come ti pensi, anzi quei confessori della fede lasciarono questa misera terra e se ne andarono felicemente al possesso del regno de' cieli.
Almacchio disse: Sì, sì: appunto ingannati da questa vana speranza del regno de' cieli, Cecilia col suo marito, col suo cognato perdettero tutta la loro gloria; egli è per questa vana speranza che si ridussero a perdere la vita sul fiore della loro età, e morendo diedero a te un immenso tesoro che tu mi devi sull'istante restituire.
Urbano si accorse che il discorso del Prefetto generava non piccolo scandalo in quelli che erano presenti: perciò nel trasporto di santo zelo, stolto, gli disse, conosci il tuo Creatore pel cui amore eglino {54 [348]} distribuirono ai poveri tutte le loro sostanze e diedero con gioia la vita.
Almacchio disse: Io sono stanco di disputare con costoro; via questa vostra audacia, se volete vivere, altrimenti un cumulo di sciagure vi attende, e una trista morte ne sarà il fine.
Urbano rispose: non avvi sciagura nè morte alcuna se non per colui che o nella fede o nelle opere offende il Creatore.
Almacchio vedendo che nulla guadagnava con Urbano si volse ai Sacerdoti che erano con lui, che chiamavansi Giovanni e Mamilliano, e loro disse: Forse anche voi siete del medesimo sentimento?
Queglino risposero coraggiosamente: I sentimenti del nostro Padre sono pure i nostri medesimi, perciocchè essi tendono tutti a salvarci l'anima. È vero che tu non comprendi tali cose, ma sappi che sta scritto: la vera sapienza non può entrare nell' anima malevola, nemmeno abiterà in un corpo, soggetto al peccato.
Almacchio simile a certi mondani che non vogliono sentir a parlare nè di Dio ne dell'anima, interruppe il discorso e disse: Da quanto vedo voi siete peggiori del vostro vecchio e pazzo maestro; voi siete veramente {55 [349]} infelici, poichè dopo di aver veduto tanti vostri compagni condotti a trista fine e dopo tante minaccie fatte a voi, volete tutt'ora persistere nella vostra imprudenza!
Ciò detto comandò che i due preti fossero flagellati coi piombi. I piombi di cui qui si parla erano funicelle alle cui estremità venivano attaccate palline di piombo e con queste si percuotevano i Martiri. Questo tormento era assai sensibile, perciocchè le battiture facevano venire la carne livida e tutta ammaccata, ma non rompevano la pelle, nè laceravano la carne; la qual cosa era cagione che le piaghe dei Martìri fossero veramente dolorose e spesso si cangiassero in cancrene.
Mentre i coraggiosi confessori della fede erano così flagellati, divenuti quasi insensibili ai tormenti, alzarono con gioia lo sguardo al cielo e ad una voce esclamarono: Grazie ti rendiamo, o Signore, che ci hai fatti degni di patire qualche cosa pel tuo santo nome. Le quali parole furono anche dagli apostoli proferite quando erano aspramente flagellati nel sinedrio ovvero concilio degli ebrei.
Almacchio che credevasi non esservi consolazione al mondo, se non ne' piaceri {56 [350]} della terra, non sapeva darsi ragione della gioia che que' santi confessori palesavano in volto; perciò pieno di dispetto si dimenava sopra la sedia e sotto voce andava dicendo: Costoro sono per tal modo imbevuti dell'arte magica che in nessuna maniera si possono indurre ai nostri comandi. Urbano non potè soffrire che si attribuisse alla magia la fortezza dei Martiri, che era tutto dono della grazia di Dio. No, disse coraggiosamente ad Almacchio, essi non sono miseri, neppure sono imbevuti di arte magica; piuttosto tu sei misero, fatto simile a' tuoi dei che hai le orecchie e non odi, gli occhi e non vedi. Come, disse Almacchio, osi aprire la tua nefanda bocca ed ingiuriare i nostri dei? Lo giuro per tutte le nostre divinità che tu me la pagherai colla testa.
Almacchio era simile a coloro che si mostrano offesi quando sentonsi parole di verità che vanno a ferire i loro vizi. In costoro si avvera il proverbio, che la verità genera odio. {57 [351]}
Urbano si fece a rispondere ad Almacchio deridendo le divinità per cui giurava, quindi continuò così: Facilmente, o Almaccbio, conoscerai quanto degni siano i tuoi dei di venerazione, se per un momento ti arresti a leggere la storia delle loro azioni. Quanto poi al nostro Dio sappi che egli è il Creatore di tutti i vostri dei, e il Creatore di tutti noi medesimi. Egli ci rese forti ne' tormenti. Egli ci incoraggi dicendo: Non vogliate temere coloro che uccidono il corpo e non possono uccidere l'anima.
Almacchio quasi senza sapere quel che dicesse rispose: Non è vero quel che tu dici, ma essendo tu vecchio desideri la morte come un riposo; tu invidii la sorte dei giovani, e fai che gli altri perdano quello che la vecchiaia ti costringe ad abbandonare. {58 [352]}
Alle quali cose il sacerdote Giovanni rispose: E questa una evidente menzogna, perciocchè questo nostro caro Padre visse sempre nell' amor di Cristo fin dalla sua gioventù e reputò sempre per sè un guadagno il dare la vita pel santo nome di lui. Molte volte fu tentato e provato per la fede, ma egli, ad imitazione di Gesù Cristo, qual buon Pastore si offrì sempre pronto a dar la sua vita per salvare l'anima delle sue pecorelle.
Almacchio allora chiamò e sè Carpasio e gli disse: presto Carpasio. noi perdiamo tempo: Prendi questi sacrileghi, e chiudili in prigione finche si risolvano ad eseguire i nostri ordini.
È bene qui di notare che i cristiani per lo più erano accusati di sacrilegio e di magia. I quali due misfatti erano dalle leggi romane puniti colla morte. Ma i pagani chiamavano sacrilegio il rifiuto di adorare gli dei, e chiamavano i miracoli opera di magìa. E siccome in que' tempi si operavano ogni giorno miracoli fra' cristiani, ed era continuo il rifiuto di piegare i ginocchi per adorare le ridicole loro divinità; cosi erano quotidiani i pretesti per far condannare a morte i cristiani. {59 [353]}
Carpasio adunque li fece prendere e condurre nel carcere dove erano prima. Appena entrati i santi Confessori si posero a cantare salmi ed inni a Dio dicendo: O Signore, tu sei divenuto il nostro rifugio e il nostro conforto. Come lo fosti per lo passato, tale sei per noi e lo sarai per tutti quelli che sperano in te.
Alcuni cristiani mossi da venerazione verso la persona del Papa vennero di notte a trovarlo. Fra loro eranvi tre tribuni Faviano, Callisto ed Ammonio, i quali sebbene fossero già cristiani, desideravano tuttavia d'instruirsi e fortificarsi nella Fede. Essi erano guidati da due Sacerdoti di nome, uno Fortunato, l'altro Giustino. Giunti alla porta della prigione bussarono e stettero aspettando.
L'anticamera delle carceri, ove trovavasi il Papa. era custodita da un Diacono di nome Marziale che conosceva i mentovati sacerdoti; e come li udì a bussare andò tosto a darne notizia al Pontefice. A tale notizia egli provò grande consolazione; ma come poter loro parlare? Pregò il carceriere Anolino dicendo: Ti prego di un tratto di bontà; stanno alla porta alcuni miei amici, lasciali entrare: essi passeranno {60 [354]} con me la notte, dimani per tempo torneranno alle case loro senza che tu sii in alcuna maniera compromesso. Anolino aveva già in altra congiuntura ammirato la bontà de' cristiani e gli rincresceva che non per delitti, ma solo per motivo di religione fossero così maltrattati; onde tosto acconsentì che entrassero nel carcere dove era Urbano. Appena entrati prostraronsi ai piedi del Santo Padre, e perchè vedevano il Papa col suo clero chiuso in orrida prigione, commossi fino alle lacrime dissero: pregate per noi, o Santissimo Padre, perchè ci sovrasta una grande persecuzione. A cui egli rispose: non piangete per questo, o miei figli, ma piuttosto rallegratevi nel Signore, perciocchè per mezzo delle tribolazioni noi dovremo giungere al regno di Dio. Dopo di aver a lungo parlato della grande felicità che Dio prepara a quelli che soffrono per suo amore nella vita presente si posero a lodare il Signore. La pietà di que' fervorosi cristiani produsse l'effetto che sempre produce il buon esempio. Ed Anolino che andava ognor più rimirando con istupore la costanza e la pazienza de' cristiani, osservando quei segni di commozione, le preghiere e le lodi celesti, {61 [355]} che si innalzavano a Dio, rimase egli pure tutto intenerito, e la grazia di Gesù Cristo facendosi strada nel suo cuore, corse a gettarsi ai piedi di Urbano, chiedendo con lagrime di essere egli pure battezzato. Il Santo Padre gli comandò con bontà di alzarsi, e gli disse: Vedi, o mio figlio, se tu credi di tutto cuore, tu puoi ricevere il perdono de' tuoi peccati. Anolino piangendo rispose: Si, io credo, o Signore. Allora Urbano lo istruì nella Fede, di poi lo battezzò e gli conferì il Sacramento della Confermazione. Ma quella notte passò come un momento; tanto era grande il piacere che ciascuno provava nel lodare Iddio e sentire a ragionare di lui. Accorgendosi poi che si faceva giorno celebrarono la santa Messa in cui fecero tutti la santa Comunione con gran fervore, quindi si ritirarono e andarono alle case loro.
Udendo tali cose Almacchio comandò nuovamente che Urbano co' suoi compagni fosse per la terza volta condotto dinanzi al suo tribunale. Come fu alla sua presenza lo rimproverò parlandogli in questa guisa: Così persisti nella tua pazzia e non solamente non vuoi tu abbandonare l'errore, ma ancora ti studii d'insinuarlo nel cuore altrui? Imperciocchè {62 [356]} abbiamo udito che Andino nostro carceriere per tua cura fu infetto della stessa tua peste.
Con queste esecrabili parole quell'infelice chiamava la nostra santa Religione bestemmiando, come dice s. Paolo, quelle cose che ignorava. Il Papa voleva parlare, ma Andino il prevenne e dando prova di esser già vero cristiano pose da parte ogni rispetto umano e confessò coraggiosamente la fede con queste parole: io sono un infelice, che nella passata mia vita non ho conosciuto il mio Creatore; ora però gli rendo umili grazie, perchè almeno sul finire de' miei giorni mi usò un tratto della sua grande misericordia, e mi condusse alla conoscenza di lui medesimo.
Almacchio era stupito che Anolino, poco prima timido carceriere, appena ricevuto il battesimo fosse divenuto così coraggioso. Lo interruppe dicendo: Tu pure parli in questa guisa? Se la loquacità di costui non sarà frenata, molti per cagion sua andranno alla perdizione. Orsù adunque, o conosca egli la santità degli dei, o sia condannato a morte. Proferita la sentenza fu sull'istante condotto al tempio di Diana affinchè facesse sacrifìcio a quella stupida {63 [357]} divinità. La qual cosa ricusando di fare ebbe tronca la testa vicino a quel tempio medesimo nel giorno 16 di maggio nell'anno 233. In simile guisa un uomo ignorante e di bassa condizione corrispondendo alla grazia di Gesù Cristo, in breve divenne martire della fede; mentre tanti dotti e sapienti dei mondo, che pur udivano e comprendevano le stesse verità, camminavano per la via della perdizione. Con quanta facilità l'uomo si può salvare se corrisponde alla divina grazia!
Almacchio sebbene indispettito per la fermezza del s. Pontefice e de' suoi compagni, tuttavia reputava un gran guadagno se l'avesse potuto far prevaricare, onde comandò che per la quarta volta fosse condotto al suo tribunale facendo uso di uno stratagemma. Di notte tempo fece apparecchiare un alto tribunale in mezzo {64 [358]} ad una gran sala alquanto oscura; le pareti e la cattedra su cui doveva sedere erano coperte di neri tappeti; era egli persuaso che tale apparato di morte avrebbe influito sull' animo dei carcerati. Fattili poscia venire davanti al suo tribunale li assalì con questo discorso: Ditemi, o infelici, qual e mai questa vostra pazzia che vi fa desiderare più la morte che la vita? Urbano prontamente rispose: Tu non sai, come sia considerata la morte dai cristiani. Sappi adunque che coloro, i quali patiscono per Gesù Cristo, non muoiono, ma acquistano una vita eterna. Il Prefetto sorridendo disse: Per me vi dico schiettamente che non capisco come tali cose possano avvenire.
Urbano soggiunse: tu non comprendi tali cose perchè il tuo cuore è troppo attaccato alle cose mondane, e Dio ci ha rivelato come l'uomo carnale non comprenda le cose celesti.
Almacchio, punto al vivo da tale parlare, che condannava i suoi vizi, montò in collera e disse: Questa vostra superba risposta sarà in breve punita come si merita. Io non posso tollerare che voi oltraggiate i nostri dei. Quindi in tuono altero disse {65 [359]} ad alta voce, Carpasio, conducete costoro al tempio di Giove e colà giunti o facciano sacrifizio a questo gran padre degli dei o siano severamente flagellati e sottoposti a ripetuti supplizi.
Vicino al tempio di Giove era un luogo detto dei trucidati, perchè ivi erano stati martirizzati s. Valeriano e s. Tiburzio con molti altri confessori della fede. Giunti a questo luogo, le guardie volevano costringerli ad offrire incenso agli dei. Ma eglino ridendo e sputando contro a quel simulacro dicevano: Non mai e poi mai faremo sacrifizi a questa insensata divinità. Diventino al par di essa stupidi quelli che la stimano, ed in essa pongono confidenza. Della qual cosa sdegnato Carpasio disse: Infelici, lasciate questo perverso sistema di religione, adorate gli dei e siate gli amici dei nostri principi.
Urbano a nome di tutti rispose così: Se tu ben consideri, o Carpasio, parli veramente da insensato, anzi la tua voce è simile a quella di un cane che abbaia senza conoscerne la ragione: la tua bocca è simile ad un sepolcro aperto che tramanda fuori orrido fetore. Sappi adunque, che nè tu, nè altri non ci potranno mai in alcuna {66 [360]} maniera persuadere ad allontanarci un solo istante dall'amore di Gesù Cristo.
Carpasio si volse alle sue guardie e disse: Che vi pare, o compagni, di questa razza di gente? Non è vero che questi sacrileghi sono più coraggiosi per difendere i loro malefici..., di quello che siamo noi soldati per difendere la repubblica?
I santi confessori diedero una risposta degna di ogni cristiano. Se voi, dissero, per onorare i vostri dei che sono di legno o di pietre, lavorate dalle mani degli uomini, siete cosi coraggiosi da non risparmiare la vostra vita e quella dei vostri più stretti parenti, che cosa non dovremo far noi per amore di Dio vivo e vero da cui siamo stati creati, da cui siamo tuttora conservati ed in mille guise beneficati?
Carpasio sciolse ogni difficoltà dicendo: Il comando del Prefetto è questo, e noi dobbiamo eseguirlo: se non farete sacrifizi ai nostri dei, sarete sottoposti a spasimanti supplizi, ed una trista morte ne sarà il fine.
I santi confessori, che tutti in cuor loro ardevano di desiderio pel martirio, risposero con voce unanime: Questo è appunto quello che desideriamo. {67 [361]}
Carpasio disse ai compagni del Papa: Il vostro capo per la sua vecchiaia è divenuto pazzo, e perciò egli desidera di morire; ma voi, come più prudenti, dovreste avere qualche riguardo alla vostra giovinezza. I santi sacerdoti unanimi replicarono: Ti assicuriamo, o Carpasio, che noi non saremo giammai per allontanarci dai precetti e dagli esempi del nostro caro padre. Noi conformiamo quanto egli disse, contenti di vivere e morire con lui per la fede di Gesù Cristo.
Carpasio trovavasi in difficoltà: far morire uomini, di cui non conosceva delitto, gli sembrava barbarie; trasgredire gli ordini del Prefetto era un compromettere il suo impiego e la sua autorità. Allora egli prese il partito di mezzo e prima di eseguire la sentenza andò a riferire ogni cosa ad Almacchio. Espose a lui le minaccia le battiture, cui aveva esposto quegli intrepidi seguaci di Gesù Cristo, e notò specialmente che egli non potè nè punto nè poco smuovere la loro costanza, nè con preghiere, nè con promesse, nè con minaccie, nè con severi supplizi.
Allora il Prefetto, crollando il capo, ho capito, disse, vedo propriamente che eglino {68 [362]} amano meglio di morire, che abbandonare le loro superstizioni. Ora adunque siano per l'ultima volta ricondotti al tempio, e se non faranno immantinente un sacrifizio a Giove, si lascierà da parte ogni discussione di parole, e la disputa sarà sciolta a colpi di spada. A tutti sarà troncata la testa.
A questa decisiva sentenza del Prefetto un certo Tarquinio, cognominato Torino, disse ad Almacchio: se tu, o Principe, andassi con loro al tempio, forse colla tua presenza, colla tua eloquenza potresti ridurli a migliori sentimenti. Il Prefetto prestò fede a tali adulatrici parole e facendo precedere le guardie che dovevano accompagnare i santi prigionieri, esso tenne loro dietro con una moltitudine di soldati, come se avesse dovuto dare l'attacco ad un numeroso ed agguerrito esercito. Mentre camminavano i santi confessori pieni di desiderio del martirio, si avanzavano come cervo che desidera di giungere presto alla fonte di acqua viva. E per esprimere la gioia del loro cuore, si posero a cantare così: O Signore, noi siamo stati ripieni della più grande consolazione confessando pubblicamente la vostra santa legge; il nostro {69 [363]} cuore è pieno di tale giubilo che invano si cercherebbe tra tutte le ricchezze della terra.
Giunti al luogo destinato, erano tuttora eccitati dai soldati a far sacrifizi ai demoni. Ma senza più dare altre risposte eglino si misero a pregare ed invocare l'aiuto del Signore con fervorosi affetti. Eravi colà una statua di Giove, e quegli idolatri volevano che a qualunque costo si facessero ad essa sacrifizi. S. Urbano rimirando con occhio d'indegnazione quella statua, si senti profondamente addolorato, perchè i miseri idolatri eran giunti a tal segno di degradamento, da credere che quella statua fosse un dio vivente.
Richiamando poscia a memoria le parole del Salvatore, con cui dava assoluto potere sopra i demonii con facoltà di cacciarli da quei luoghi, dove fossero di ostacolo alla sua gloria, fissando gli occhi in quella medesima statua disse ad alta voce: La potenza del nostro Dio ti distrugga. Tali parole furono un fulmine per quella statua, che cadendo sull'istante fu ridotta in polvere. Nel tempo stesso i sacerdoti che somministravano il fuoco pel sacrifizio, in numero di ventidue, caddero morti. La qual cosa dimostra quanto sia efficace la preghiera fatta con fervore e con fede. {70 [364]}
Alla vista di quella statua ridotta in cenere e di quei sacerdoti idolatri colpiti di morte repentina venne meno ogni coraggio ad Almacchio, e temendo simile sciagura per sè, diedesi a precipitosa fuga coi suoi soldati, e andò a nascondersi in una segreta camera di sua casa. Riavutosi da quel terribile spavento fu anch'egli pieno di maraviglia, nè sapeva darsi ragione come Urbano, invocando il nome di Dio, potesse operare cose in cotal guisa sorprendenti. Neppure poteva darsi pace che colla sua scienza, potenza, minacce e supplizi non lo potesse indurre ad offrire incenso agli dei.
Laonde quando vide cessato il pericolo, volle ancora fare una prova, perciocchè egli desiderava piuttosto di far prevaricare i cristiani che farli morire. Ordinò adunque che fossero per l'ultima volta condotti al suo tribunale. Frenando la collera come se nulla fosse avvenuto con voce tranquilla si pose a far loro nuovo esame. Mise {71 [365]} egli in opera ogni artifizio per obbligarli ad offerire incenso agli dei; ma vedendoli tutti irremovibili, montò sulle furie e parlò cosi: E fino a quando abuserete della mia pazienza seguendo quest'arte magica? Vi pensate forse di potervi liberare dalle mie mani?
Risposero i pazienti: Sappiamo che il nostro Dio è potente: se vuole, egli può liberarci da te, come liberò i fanciulli ebrei dalle mani di Nabucodonosor e dalla fornace ardente. Che se Egli ci trova degni di sè e non vuole liberarci, ti assicuriamo che per noi sarà una gloria il dare la vita pel nostro Creatore, ma non ci sottometteremo mai a' tuoi ingiusti comandi.
Perduta cosi ogni speranza di poterli guadagnare, Almacchio comandò che fossero tutti stesi a terra, e con verghe venissero per lunghissimo tempo battuti senza pietà. Quella flagellazione, o diremo meglio, quella carnificina fu cosi lunga che uno dei Diaconi, alzati gli occhi al Cielo, spirò fra i tormenti. S. Urbano faceva coraggio a tutti e li animava a non paventare le pene di un momento perchè erano un mezzo per guadagnarsi una felicità eterna. {72 [366]}
Almacchio vedendo che le battiture non facevano sensazione sopra l'intrepido Pontefice; quel vecchione, disse, si burla delle bastonate, or bene battetelo coi piombi e cogli scorpioni. Gli scorpioni erano un ammasso di nodosi ed acuti flagelli alla cui estremità erano legati acuti uncini di ferro. Con questo supplizio studiavano di atterrire i Martiri strappando loro di dosso la carne a brani a brani a forza di battiture.
Mentre i santi martiri erano esposti a questa orrida carnificina, quei manigoldi con atto veramente diabolico, gettarono giù dal tribunale un diacono di nome Luciano in mezzo di loro. Diede egli un tale urlo nel pavimento che restò sull' istante senza vita. Queste atrocità in vece di spaventare i Confessori della felle facevanli divenire più intrepidi, e animati dall'esempio di quelli che morivano nei tormenti, e confortati dalla grazia di nostro Signor Gesù Cristo, sentivansi vie più ardere di desiderio pel martirio che di fatto era loro imminente.
Dopo tre giorni Almacchio comandò alle sue guardie che conducessero Urbano col suo clero al tempio di Diana. L'ordine era espresso cosi: Se ricuseranno di sacrificare, {73 [367]} sìa loro sull'istante tagliata la testa. Conobbe allora s. Urbano che i loro patimenti volgevano al fine, perciò lungo il cammino, sebbene per la fame, pei tormenti e per lo spargimento di sangue a stento si reggesse in piedi, tuttavia confortato dalla speranza del paradiso che vedevasi aperto sopra il capo, come se andasse ad una festa, faceva animo a' suoi compagni dicendo: Coraggio, o figli, il Signore ci chiama a Lui. Egli c'invita con queste consolanti parole: Venite a me, voi tutti, che siete affaticati ed oppressi, ed io vi ristorerò. Fin ora lo abbiamo veduto quasi per mezzo di uno specchio, ma ora siamo al momento che andremo a vederlo a faccia a faccia.
Mentre cosi il Vicario di Cristo incoraggiva quella porzione di gregge ad essere costante nella fede e nei tormenti giunsero al tempio di Diana. Quasi impazienti di essere coronati del martirio, per volare più presto al cielo, dissero unanimi ai carnefici: Fate quello che volete fare senza attendere di più. Ciò non ostante i carnefici menavano a lungo l'esecuzione della sentenza studiando nuove arti per costringerli a far sacrifizii agli dei; ma ricusando {74 [368]} colla solita fermezza furono condotti fuori del tempio. Quando si videro al luogo del supplizio, il santo Pontefice diede a tutti l'apostolica benedizione, e pieni del desiderio di andar presto a godere la felicità del cielo, si diedero a vicenda il bacio di pace. Fatto quindi il segno della santa Croce, per indicare che morivano per la fede e che univano i loro patimenti alla passione e morte del Salvatore che è re de' martiri, offerirono a Dio la loro vita pregando cosi: O Signore, degnatevi di riceverci secondo le vostre promesse, affinchè possiamo vivere per Voi e da Voi aiutati possiamo giungere al possesso di quella gloria che nel vostro regno si gode per tutti i secoli. Dette queste parole piegarono a terra le ginocchia e fu loro troncata la testa. Questo fatto compievasi il giorno 25 di maggio l'anno 233.
I corpi di que' santi Martiri rimasero cinque giorni insepolti davanti al tempio di Diana, perciocchè era proibito sotto pena di morte il dar loro sepoltura. Tuttavia i Tribuni Fabiano, Callisto ed Ammonio, quelli stessi che erano andati a visitar il santo Pontefice nella prigione, scelsero il tempo opportuno, andarono a prendere {75 [369]} quei corpi, fecero gran pianto specialmente sopra il cadavere del loro Pastore che per amor delle sue pecore aveva dato la propria vita, e li portarono tutti a seppellire nel Cimitero detto di Pretestato che è una diramazione di quello di S. Callisto lungo la via Appia. Ma il corpo di s. Urbano fu collocato in un luogo più alto e decoroso, e cantarono inni e cantici intorno alla tomba di lui ringraziando Iddio pel trionfo riportato dal capo de' cristiani.
Cosi compieva la sua gloriosa carriera il diciottesimo Vicario di Gesù Cristo dopo aver governato la Chiesa sei anni sette mesi quattro giorni. Egli aveva tenuto cinque volte la sacra ordinazione nel mese di dicembre, in cui aveva consacrato nove Preti, cinque Diaconi, otto Vescovi, che aveva spedito in varii paesi a stabilire nuove diocesi o a succedere ad altri Vescovi che per lo più in que' tempi terminavano la vita col martirio. {76 [370]}
Gli atti del martirio di s. Urbano dopo quanto abbiamo esposto continuano cosi: Compite tali cose, cioè il martirio di s. Urbano e de' suoi compagni, Carpasio, come per ringraziar i suoi dei del buon esito che l'empia sua impresa aveva avuto, andò a far loro un sacrifizio; ma Iddio permise che fosse assalito da uno di quegli stessi demonii cui offeriva incenso, e che ne fosse tormentato nel modo più orribile, siccome avveniva a quegli indemoniati, di cui più volte si parla nel Vangelo. Portata ad Almacchio la notizia dello stato infelice di Carpasio, egli sentissi sorpreso da spavento e tremore. Tuttavia spinto da curiosita di vedere un uomo invaso dal demonio comandò che Carpasio fosse al più presto possibile condotto da lui. Appena egli comparve alla presenza di Almacchio subito lo spirito maligno cominciò ad agitarlo così {77 [371]} orribilmente che smaniando e mordendo, come cane arrabbiato, strozzava coi denti chiunque avesse potuto raggiungete. Carpasio era divenuto simile a quegl' infelici del Vangelo che dal demonio erano portati ora sulle montagne, ora nelle valli, ora erano gettati nell'acqua, ora nel fuoco e niuno li potea trattenere. Ciò non ostante Dio faceva che Carpasio in mezzo a' suoi diabolici furori dicesse molte verità. Fra le altre andava dicendo, che le pene, fatte ingiustamente patire ai cristiani, erano cagione dello stato suo infelice. Rimproverava ad Almacchio inuditi misfatti che segretamente aveva commesso. Diceva che Almacchio aveva operato da scellerato, e scopriva i delitti dei pagani. Dopo molte cose proferite in disprezzo degli dei e di quelli che li adoravano, continuò cosi: Non sapete ciò che dice il Maestro, il Dottore dei Cristiani, il vaso di elezione Paolo Apostolo? Egli dice: sappiamo che un idolo è un nulla e che vi è un solo Dio in cielo e in terra. Mentre diceva queste ed altre simili verità cadde a terra, e spirò soffocato dallo spirito maligno che l'avevainvaso. {78 [372]} Questo fatto serva di avviso a quelli che disprezzano la religione od i suoi ministri. Se non possiamo ad essi fare del bene, almeno non facciamo loro alcun male; perchè Dio ha detto: nolite tangere christos meos, neque in prophetis meis malignari; guardatevi dal disprezzare gli unti, ovvero i miei ministri, o fare contro di loro qualche malignità. E Cristo disse nel Vangelo: qui vos spernit, me spernit: chi disprezza voi, disprezza me; e il disprezzo di Dio non sarà mai impunito.
Almacchio alla vista di quella morte tragica si allontanò prestamente da quel luogo e andò pe' fatti suoi. Ma uno de' giudici assessori commosso e spaventato mandò a raccontare ogni cosa a Marmenia moglie di Carpasio. Ella ne fu atterrita, ma fu tosto persuasa di ciò che era in realtà, cioè che l'oppressione da Carpasio usata ai cristiani fosse stata la cagiono della trista fine di lui. Chiamò pertanto l'unica sua figlia e con essa si recò dai sacerdoti Fortunato e Giustino, e prostrandosi ai loro piedi dimandarono umilmente di essere fatte cristiane. I due ministri le instruirono ambedue nella fede e amministrarono loro il santo Battesimo. Inoltre il martirio di s. Urbano {79 [373]} e la trista morte di Carpasio trassero molti gentili ad ascoltare i due sacerdoti. Gran numero di quelli, illuminati dalla grazia di nostro Signore G. C., vennero alla fede e tra questi tutta la famiglia di Carpasio.
Intanto santa Marmenia e sua figlia pregarono s. Fortunato di voler dir loro ove fossero stati portati i corpi del Pontefice e de' suoi compagni martiri. Fortunato indicò il luogo della loro sepoltura, e Marmenia disse: Io vi dimando per favore che mi vogliate colà condurre affinchè quelle reliquie siano sepolte come si conviene. Accompagnarono quella fedele serva del Signore alla tomba dei martiri. Là giunti si poserò ginocchioni e cominciarono a cantar lodi al Signore dicendo: Tu, o Signore, hai comandato di custodire i tuoi precetti con gran fedeltà. Ma santa Marmenia, alla vista di quei corpi fatti a brani per la fede, ne fu altamente commossa e si pose a piangere e ad invocare la protezione di s. Urbano con queste parole: «O Santo e maraviglioso Papa Urbano, io ti supplico umilmente per la tua santità, che ti degni di pregare per me Gesù Cristo, affinchè non permetta che io sia dannata {80 [374]} per le mie iniquità. Orsù adunque, o benignissimo guerriero di Cristo io ti prego di ascoltare le mie suppliche; degnati di intercedere per me presso a Dio, onde le crudeltà di Carpasio non siano rivolte in vendetta contro di me.» Dicendo queste e molte altre cose piangeva i suoi peccati spargendo lagrime di dolore per le atrocità commesse dà suo marito. Quindi con grande rispetto presero le reliquie dei santi Martiri, e le portarono nella casa di Marmenia. Tale casa era situata a sinistra della via Appia vicino ad un borgo fatto edificare da Vespasiano in distanza di circa tre miglia da Roma. Da questa casa scavando si giungeva nelle catacombe di s. Callisto e proprio in quella parte detta cimitero di Pretestato dove erano stati sepolti i corpi de' santi Valeriano, Tiburzio e Massimo. Per ordine di quella santa Matrona fu scavata una cripta, ovvero una camera sotterranea, il cui pavimento andava ad unirsi col piano superiore delle catacombe. In quella cripta, che in breve diventò una chiesa anzi un vero santuario, fu fatto fare un sepolcro tutto rivestito e coperto di marmo prezioso. Ivi Marmenia con profumi ed aromi depose il corpo di s. Urbano e {81 [375]} de' suoi compagni martiri. Affinchè tale luogo fosse sconosciuto ai gentili furono sparsi frantumi di pietre sopra quella, cripta, e vi fabbricarono un edifizio. Fin d'allora, conchiudono gli atti autentici, cominciò a farsi gran concorso di fedeli a quella tomba e si operarono molti luminosi miracoli ad onore e gloria del Salvator nostro Gesù Cristo, che col Padre e collo Spirito Santo vive e regna per tutti i secoli: amen.
Le preghiere di s. Marmenia fatte alla tomba di s. Urbano, e i pietosi uffizi usati verso il suo cadavere furono da Dio largamente ricompensati colla grazia del dono della fede cui tengono dietro molti celesti favori. Divenuta fervorosa cristiana andava con zelo praticando quella religione che poco prima aveva ricevuto, quando le sue opere di carità furono portate a notizia di Almacchio. Egli erasi già calmato dallo spavento provato per la morte di Carpasio e {82 [376]} continuava nel pazzo divisamento di voler a qualunque costo distruggere il cristianesimo; onde mandò i suoi satelliti alla casa di s. Marmenia, affinchè gliela conducessero tosto al suo tribunale. Fingendo il prefetto un animo pacato cominciò a parlare con questo insidioso discorso. Ho udito, o Marmenia, che alcune pazzie ti passano pel capo, però non ci ho voluto credere. Ora spiegati chiaramente e non permettere che a tuo conto si dicano cose che ti fanno disonore. Finora sono soltanto dicerie, e tu ben sai che un falso rumore presto passa in dimenticanza, e se ci ripari acquisterai la riputazione di prima.
A tali cose Marmenia rispose: io non comprendo a che tendono queste tue parole; parla più chiaramente e ti darò analoga risposta.
Il giudice parlò così: Credo di non parlare invano: corse voce nel nostro palazzo, che tu fosti imbevuta dalle superstizioni dei cristiani e che ora disprezzi le sacre nostre divinità; è vero questo o no? che cosa rispondi?
La coraggiosa donna che già si aspettava tale interrogazione prontamente rispose: io conosco e confesso la santità della {83 [377]} religione dei cristiani; ma tu avresti dovuto dire che gli dei sono idoli falsi e vani.
Il giudice: Parla meglio, impertinente che sei, io non posso soffrire tali espressioni da una donna.
Marmenia soggiunse: Chi dice vero quello che è falso non si merita altra risposta.
Almacchìo tosto ripigliò: Bisogna che questa sfacciata sia repressa colle minacce e se non basta, sia fatta tacere con una pronta morte.
Marmenia rispose: Anche tu, o giudice infelice, avrai da essere punito colla morte e sarai tanto più orribilmente punito, in quanto che tieni discorsi così nefandi. Chi ignora che i tuoi dei non sono altro che misere statue fatte di bronzo o di macigno, per lo più rappresentanti personaggi che mai non esistettero oppure furono colmi di vizi?
Almacchìo saltò sulle furie e la interruppe dicendo: Che rabbia! che femmina impertinente! giuro per i nostri dei che ti faccio radere il capo sull'istante e se non basta ti farò tagliare la testa. Il far radere il capo tagliando la capellatura era uno de' più gravi insulti che si potessero fare alle matrone Romane, perciocchè esse {84 [378]} facevano consistere gran parte del loro sfarzo nell'abbigliamento de' capelli e nell'adornare il capo con grande eleganza.
La santa donna rispose: Affinchè sappi tu e sappiano tutti che io sono veramente cristiana, comanda pure che mi si facciano sull'istante provare tutti i supplizi. Cosi sarò conosciuta degna serva di Gesù Cristo. Siccome l'oro si prova col fuoco, cosi io per mezzo dei tormenti sarò provata se sono degna del premio che Gesù Cristo ha preparato a chi lo segue ne' patimenti. Almacchìo non diede più altra risposta se non dicendo che fosse condotta in carcere con queste parole: colei che in cotal guisa disprezza i comandi degli invincibili nostri principi merita di essere così trattata.
Mentre s. Marmenia era condotta in prigione esultava di allegrezza, ed appena vi fu entrata cominciò a cantare le lodi del Signore dicendo: Sta gloria a te, o G. C., sia gloria al tuo Padre Eterno con cui e collo Spirito Santo vivi e regni per tutti i secoli de' secoli. Io era indegna di patire per te e tu nella tua infinita misericordia me ne hai fatta degna. Ora ti prego di accrescere in me la fortezza coll'abbondanza {85 [379]} della tua grazia, affinchè io possa perseverare nel patire per tuo amóre in guisa, che, conculcato il maligno nemico dell'anima mia, possa io giungere vittoriosa a possedere quel regno dove si vive beato per tutti i secoli. Lucina, così chiamavasi la figlia di Marmenia, avendo udito che la sua genitrice era stata messa in prigione, e che presto sarebbe stata condotta al martirio, distribuì prestamente ai poveri le sostanze che aveva in casa. Vendette eziandio gli stabili e tutto diede a sollievo degli orfani, delle vedove e de' cristiani poveri.
Alcune guardie riferirono tal cosa ad Almacchio che diede ordine che s. Lucina con tutti quelli di sua casa fossero innanzi a lui condotti. Come li vide fece loro questa dimanda: Di che condizione siete voi e quale è la vostra professione?
I santi risposero: Se cerchi la nostra condizione mortale, ti diremo che noi siamo servi di Marmenia; che se cerchi quale sia la nostra vera professione, diciamo, che per misericordia di Dio siamo cristiani.
Almacchio; Da quanto vedo voi siete tutti cristiani.
I santi risposero: Lo siamo tutti e ti assicuriamo che è meglio riconoscere e {86 [380]} confessare G. C., che è quella strada che conduce alla vita eterna, piuttosto che piegare il capo alle stupide divinità od eseguire gli empi vostri comandi che conducono alla perdizione.
Almacchio non potendo più contenere lo sdegno comandò che fossero tutti sull'istante condotti a morte. Allora tutti in numero di 24 andarono con gioia incontro ai tormenti e riportarono la palma del martirio.
Fu loro tagliata la testa alcuni mesi dopo la morte di s. Urbano. Il sacerdote s. Fortunato con altri fedeli vennero di notte a raccogliere i brani dei loro corpi, li posero dentro ad alcune urne e cantando inni e lodi a Dio li portarono a seppellire vicino alla tomba di s. Urbano.
Così la santità, la dottrina, il martirio di s. Urbano, che in vita avevano guadagnato tante anime a Gesù Cristo, continuavano dopo morte ad accrescere a lui la gloria celeste ed accrescere eziandio il numero degli eletti che seguendo il suo esempio andavano ad unirsi con lui e col Re de' martiri, che è Gesù Cristo, il quale col Padre e collo Spirito Santo vive e regna per tutti i secoli. Cosi sia. {87 [381]}
La dottrina e la santità di s. Urbano erano talmente in venerazione durante la sua vita mortale, che appena morto cominciò a farsi gran concorso di fedeli alla tomba di lui. Il quale concorso si andò ognor crescendo per le grazie che si ottenevano e pei miracoli che ogni giorno si operavano a sua intercessione. Cosi nell'oscurità delle tombe, dove in vita aveva tollerato fame, sete ed innumerabili patimenti per amore di Gesù Cristo, dopo morte egli era glorificato con luminosi tratti della potenza divina in quello stesso luogo ove era stato umiliato ed oppresso.
Le maraviglie che si operavano alla tomba di s. Urbano fecero si che le sue reliquie fossero con ansietà richieste da vari paesi del mondo.
La maggior parte del suo corpo fu tratta fuori dalle catacombe e portata nella chiesa di s. Cecilia a Roma; molte reliquie però furono mandate, in altre parti della cristianità per appagare re, principi, e molti {88 [382]} altri celebri personaggi che ne facevano dimanda alla S. Sede. Se si volessero scrivere tutti i miracoli operatisi nel trasporto di queste reliquie, formerebbero grossi volumi. Noi ne scegliamo soltanto alcuni de' più luminosi che si operarono quando parte di tali reliquie furono portate da Roma in Francia in una città anticamente detta Catalauno ed oggidì Chalon. Questa traslazione avvenne l'anno 862, mentre governava la S. Sede il Pontefice Nicolao I, ed eravi in Francia un imperatore di nome Carlo soprannominato il Calvo. Questo principe aveva mandato a Roma alcuni religiosi per ottenere reliquie di s. Urbano e di s. Tiburzio martiri.
Il Sommo Pontefice appagò l' aspettazione del pio monarca, e fatte estrarre dal sepolcro di que' martiri alcune insigni reliquie le pose in una cassa apponendovi i sigilli alti ad assicurare che nessuno aprisse la cassa e nel tempo stesso fare ampia testimonianza che quelle membra {89 [383]} appartenevano realmente ai Santi di cui erasi fatta dimanda.
Usciti da Roma i portatori si fermarono presso ad una chiesa dedicata a s. Alessandro. L'ora essendo alquanto tarda giudicarono bene di passar ivi la notte, e per decoro di quelle reliquie accesero una grossa e lunga candela. Or qui cominciano le maraviglie.
Tale candela accesa soltanto da una parte fu veduta accendersi anche dall'altra per cosi dimostrare che quelle ossa appartenevano a due Santi che entrambi già risplendevano di gloria in cielo. Questo miracolo fu seguito da un altro operatosi a favore di un certo Lottano che era uno degli uomini stati destinati ad accompagnare l'urna. Sorpreso da gagliarda febbre, egli non poteva più continuare il cammino. Raccomandatosi al Santo, nel dì seguente si trovò totalmente guarito e potè proseguire il cammino ed accompagnare le sante reliquie. Dopo una lunga serie di miracoli e di celesti benedizioni i portatori giunsero ad una città della Svizzera, detta Orba, posta a metà strada tra il monte s. Bernardo e il lago di Ginevra. Ivi incontrarono una fanciulla muta dalla nascita. Avendo potuto {90 [384]} essere informata delle maraviglie che si operavano da s. Urbano, piena di fede, andò anch'ella a prostrarsi presso alle sue reliquie.
La sua fede fu ricompensata coll'acquisto della loquela che nel corso di sua vita non aveva mai potuto usare. Per ringraziare Iddio dell'ottenuto favore si preparò, fece la sua confessione, quindi andò a ricevere la s. Comunione. Affinchè poi tutti fossero testimonii di quel miracolo il Sacerdote volle che nel ricevere l'Ostia santa ella medesima dicesse amen.
Giunti poi ad una città detta allora Botgallia ed oggidì Buaville, a poca distanza di Orba, fu condotto all'urna del Santo un misero che pativa epilessia ovvero male caduco. Quell'infelice andava soggetto a tal malore fin dalla nascita, e gli accessi divennero così frequenti che ne era sorpreso tutti i giorni ed anche più volte al giorno. Pieno di quella fede che move Iddio a compiere luminosi tratti dell' infinita sua misericordia, accompagnò per tre giorni il sacro deposito senza patire il minimo incomodo. D'allora in poi non andò più soggetto alla malattia che l'aveva travagliato in tutto il corso della vita. {91 [385]}
Era appena operato questo prodigio quando fu veduto un padre a portare tra le braccia un suo figliuolo attratto in tutte le membra in modo che non poteva movere un passo. Come gli si potè far toccare il sacro feretro, rimase sano sull'istante: egli stesso potè alzarsi e correre pien di gioia a baciare l'urna prodigiosa.
Giunti i portatori col sacro pegno in Chalon, i miracoli moltiplicarono senza numero.
Molti furono visibili perchè corporali, molti invisibili perchè spirituali, ma assai più numerosi e più utili pel bene delle anime.
Noi ne trascriveremo un solo per conclusione di questo capo.
Fra la moltitudine de' fedeli che recaronsi a venerare quelle reliquie fuvvi un paralitico. Desiderava esso di andare ad intercedere la sua guarigione presso l'urna del Santo; ma la sua paralisìa era tale che l'aveva reso immobile in tutte le membra. La notte precedente al giorno fissato per farsi colà portare, gli apparve un vecchio di forma veneranda e vestito da pontefice. Gli significò che egli era Urbano la cui protezione egli andava ad invocare. Ora, gli disse, tu sei perfettamente guarito, tuttavia {92 [386]} per ringraziare Iddio della grazia ricevuta va ad adempire le tue promesse.
Si recò egli difatto presso le reliquie del Santo e andava con gioia raccontando le maraviglie che in lui eransi da Dio operate per intercessione di s. Urbano.
Molte chiese furono innalzate al Sommo Pontefice s. Urbano ne' varii paesi della cristianità. In Roma ve ne sono due assai celebri. Una è appellata s. Urbano alla Caffarella, cosi detta perche fu edificata in un podere appartenente ai duchi Caffarelli.
Essa fu costruita sopra gli avanzi di un tempio dedicato a Bacco. Sotto a questo tempio eravi anticamente un sotterraneo da s. Urbano ridotto ad Oratorio. Ivi egli soleva ritirarsi per pregare, amministrare il sacramento del Battesimo, e celebrare altre funzioni religiose che il tempo di persecuzione non permetteva di fare pubblicamente. {93 [387]}
L'altra chiesa dedicata al medesimo santo Pontefice è più nell'interno di Roma: essa è fabbricata sul principio della via detta Alessandrina vicino al Foro ovvero piazza Traiana.
Annesso a questa chiesa avvi ora un monistero di cappuccine che si occupano nell'educare povere ragazze. In ambedue queste chiese avvi concorso di fedeli e si raccontano miracoli operati a favore di quelli che con fede sono ivi intervenuti ad invocare la protezione dì s. Urbano. Ma la più rinomata per miracoli operati e grazie ricevute è quella che in tempi assai antichi fu edificata nelle vicinanze del fiume Marna in Francia. La relazione di que' prodigi comincia così: L'anno 1141 mentre regnava in Francia Ludovico il Giovane dovevasi in onore di s. Urbano benedire una chiesa parochiale dal Vescovo. Per rendere più solenne quella sacra funzione alcuni falegnami andarono a prendere un analogio ovvero pulpito in una elegante cappelletta sulle rive del fiume Marna, dove solevansi deporre le reliquie di s. Urbano, quando in tempo di calamità {94 [388]} erano portate in processione. I falegnami con facilità poterono disfare l'analogio e ridurlo in più parti e portarlo al luogo designato; ma provando a ricongiungerlo non fu più loro possibile. Scorgendo inutile ogni fatica il portarono nel luogo di prima. Quelle parti mescolate ed ammucchiate l'una coll'altra alla presenza di tutti si mossero e presero la posizione che prima avevano.
Sparsa la fama di questo miracolo cominciò a corrervi gente da tutte parti e le opere della Divina misericordia si moltiplicarono. Tra la lunga serie che ho sott'occhio io trascelgo il seguente.
Un fanciullo mentre passava la Marna, che scorre vicino a quella cappella, cadde sventuratamente nel fiume. Saputa tal cosa i genitori di lui corsero a gran passi. Subito accorse colà gran folla di gente a segno che tutti gli abitanti di quella città sembravano tutti radunati sulla riva del fiume. Ma ogni indagine tornò inutile; il fanciullo non potevasi rinvenire nè vivo nè morto. Quei cittadini, soliti a ricorrere a s. Urbano ne' casi di grave sventura, a lui pure questa volta si raccomandarono: s. Urbano, andavano insieme esclamando: s. Urbano, {95 [389]} abbiate pietà di noi; fateci trovare l'infelice fanciullo che annegò nel fiume. Mentre così pregavano, alla presenza di quella moltitudine, vedesi il giovanetto galleggiante sull'acqua e dall'onda trasportato alla riva. Ma che? Egli era fatto cadavere: però le opere di Dio non si fanno solamente per metà. Portato a casa l'estinto corpo, furono rinnovate le preghiere a s. Urbano, e l'anima del defunto si riunì al proprio corpo. Tutti provarono la più grande gioia, i genitori poi in segno di gratitudine nel sabato seguente andarono col loro figliuolo alla cappella del Santo per ringraziarlo del favore ricevuto. Quel giovanetto non trovava modi sufficienti ad esprimere la sua gratitudine verso colui dal quale conosceva il suo ritorno dalla morte alla vita. Dopo molte e prolungate preghiere si sentì vivo desiderio di consacrarsi a Dio nel convento annesso a quella chiesa. Sebbene egli fosse figliuolo unico, tuttavia i suoi genitori acconsentirono. Cosi quel giovanetto consacrò il rimanente di sua vita in onore di colui che colla sua intercessione presso Dio gliel' aveva donata. Questo è un bel modo di essere grati verso a Dio e verso a' suoi Santi. {96 [390]}
Per accrescere vie più la venerazione dei fedeli verso s. Urbano riferiremo ancora alcuni fatti prodigiosi avvenuti nel santuario dedicato al medesimo vicino al fiume Marna.
Alcuni malandrini passando vicino a questo santuario incontrarono un giovanetto, che senza dir più presero, legarono e con atti violenti lo andavano strascinando in una folta ed oscura foresta. Il misero faceva ogni sforzo per svincolarsi dalle loro mani, ma inutilmente. Que' maligni volevano condur seco quel giovanetto per rovinargli i costumi, quindi avviarlo a far secoloro l'assassino. Simili a certi pessimi cristiani, che quai lupi rapaci vanno in cerca di anime innocenti per insegnare loro la malizia e godere di poi la diabolica consolazione di aver compagni delle proprie scelleratezze. Mentre si dimenava per liberarsi volse lo sguardo al Santuario, e colle lacrime e co' sospiri invocò s. Urbano così: {97 [391]} Glorioso s. Urbano, vi prego per pietà. venite in mio soccorso. Nello stesso momento un monaco, che era custode del Santuario, essendo a caso uscito dalla cappella, vide il giovanetto che a forza era tratto nei lunghi andirivieni della foresta. Il buon religioso andò egli pure a pregare il Santo, onde volesse intercedere presso Dio pel medesimo oggetto. Giunti i malandrini ad una certa parte della selva ove le piante ed i cespugli erano assai più rarefatti, e perciò più difficile l'esimersi dalla loro vista, egli appunto si liberò nell' atto che era tenuto sotto a vigilante custodia. Egli fa prova di fuggire, i banditi corrono per saltargli addosso, ma nol possono più toccare: sentono il rumore ove passa, vogliono inseguirlo e più nol veggono. Egli era già andato alla cappella del santo per ringraziarlo del favore ottenuto. Alla presenza di una moltitudine di gente, commosso fino alle lacrime, raccontava con somma gratitudine il favore che da Dio aveva ricevuto per intercessione di s. Urbano.
Ma una benedizione conduce ad un'altra, e Iddio, che vuole la salvezza di tutti e che sa trovare il bene in mezzo alle stesse {98 [392]} malvagità degli uomini, dispose che quello stesso, che più di ogni altro erasi adoperato per istrascinare il mentovato giovane entro la selva, fosse sorpreso da grave morbo. Mosso dalle maraviglie che si udivano tuttodì a raccontare di s. Urbano, e tocco nel cuore dalla grazia di Dio, andò egli pure a chiedere aiuto al santo Martire. Sinceramente pentito dei disordini della vita trascorsa pregava con fede promettendo ravvedimento. Le sue preghiere furono da s. Urbano portate al trono di Dio. Ottenne la sospirata sanità e per gratitudine, finche visse, portò ogni anno un'offerta al Santuario.
Fatto a questo somigliante avvenne ad un uomo di Villavecchia, città non molto distante da quel Santuario. Ebbe anch'egli la sventura di cadere nelle mani degli assassini, i quali, legatolo con catene alle mani ed ai piedi, il trascinavano in una folta selva. Aftinchè non fuggisse dalle loro mani, gli facevano la guardia a due a due. Lo stato infelice, in cui trovavasi, gli richiamò alla memoria le grazie straordinarie che si ottenevano invocando la protezione di s. Urbano e lo pregò a voler pure venire in suo aiuto. Pregava ancora, quando {99 [393]} si sciolsero le catene da cui era legato, e come le guardie fossero addormentate o cieche egli passa in mezzo di loro senza essere veduto. Nè prima le guardie si svegliarono, se non quando era già in salvo.
Questo prodigio avveniva ai 25 di maggio giorno della festa di s. Urbano. Egli, dice lo scrittore di questo fatto, venne qua e raccontava tali cose alla nostra presenza mentre pure l'udiva numerosissima folla di popolo. Questo fatto è simile a quello di s. Pietro quando fu da un angelo liberato dalla prigione di Erode.
Altro fatto che dimostra l'efficacia della protezione di s. Urbano è quello che accadde ad un giovanetto morso da una vipera a poca distanza di quel Santuario. Un giorno oppresso dal caldo estivo egli si pose a riposare all'ombra di un olmo. Essendo molto stanco in breve s'addormentò. Mentre dormiva una vipera gli si avvicina e lo va a mordere nella gola. Egli tosto si sveglia, corre gridando a casa. I genitori sono in costernazione; ma la morsicatura diventa ad ogni momento più pericolosa e la gola gonfiandosi comincia a togliergli il respiro. Non si trova più scampo se non nella protezione di s. Urbano. I desolati genitori {100 [394]} vedendo il caro figliuolo nel massimo pericolo della vita, lo prendono e colla più grande prestezza lo portano al Santuario, e lo fanno benedire colle reliquie del Santo. Fatta poscia fervorosa preghiera il lasciano riposare. Egli piglia dolce sonno. Indi a non molto si sveglia guarito. Il mortifero veleno aveva perduta la sua forza e in brevissimo tempo la gonfiagione scomparve intieramente. Questo fatto, dice il solito autore, raccontò a noi e a molti altri, e venne più volte in questa cappella per ringraziare il Santo del grande beneficio da lui ricevuto.
Abbiamo veduto, ivi si continua, tre donne oppresse da grave incomodo: la prima aveva un braccio attratto, di cui nulla potevasi servire, le altre due soffrivano pure dolori in un braccio per modo, che non potevano campare la vita perchè inabili al lavoro. Venute queste tre donne alla cappella del Santo, fatta una piccola limosina unitamente ad una fervorosa preghiera, furono tutte e tre guarite della loro infermità; comprese da gratitudine partirono dal Santuario lodando e benedicendo Iddio che aveva dato agli uomini un protettore cosi potente e invitando tutti {101 [395]} a ricorrere a s. Urbano, sicuri di ottenere a sua intercessione quelle grazie spirituali e temporali che ogni giorno ci occorrono ne' varii bisogni della vita.
Il concorso de' fedeli alle reliquie di s. Urbano, e le grazie che si ottennero dà chi andava ad invocare la protezione di lui dimostrano come fin da' primi tempi della Chiesa sia stato conosciuto il dogma della invocazione de' santi. Dio stesso ha sempre voluto dimostrare con luminosi favori quanto sia a lui di gradimento che i cristiani ricorrano al patrocinio de' beati del cielo.
Questa verità è stata in ogni tempo conosciuta e praticata nella Chiesa ed è appoggiata sopra la medesima infallibile autorità della Bibbia. Di fatto leggiamo che il patriarca Giacobbe trovandosi vicino a morte benedisse i suoi nipoti dicendo: il nome di Abramo e di Isacco miei gloriosi antenati sia invocato sopra i miei nipoti, {102 [396]} e mercè la invocazione di questi nome siano dal Signore benedetti e crescano in gran moltitudine sopra la terra. Nomen patrum meorum Abraham et Isaac invocetur super eos et crescant in multitudinem super terram. Gen. cap. 48.
Alcuni giovanetti andarono dal profeta Eliseo, e come furono alla sua presenza pieni di rispetto si prostrarono a terra e lo venerarono. Filii prophetarum venerunt ad Elisaeum et adoraverunt eum proni in terram. Lib. 4 Reg. 2. Se è permesso di venerare e di invocare coloro che sono ancora mortali sopra la terra, con assai più di ragione ciò si può fare di quelli che sono già gloriosi in cielo.
Vi sono alcuni nemici di nostra santa religione che ci fanno un rimprovero quasi noi adorassimo i santi come si adora Iddio. No, non è così. La Chiesa cattolica ha sempre insegnato e tuttora insegna che noi dobbiamo adorare Iddio come supremo padrone di tutte le cose. I santi poi sono da noi venerati come insigni benefattori e modelli degli uomini quando vivevano sopra la terra, li veneriamo come amici di Dio e come potenti intercessori presso di lui ora che sono beati in cielo. {103 [397]}
Questa maniera d'invocare i santi era già praticata prima della venuta del Salvatore. Tre giovanetti ebrei per ordine del re Nabuccodonosor furono fatti gettare in una fornace. Essi invocarono la misericordia di Dio con queste parole: O Signore onnipotente, non vogliate allontanare da noi la vostra misericordia: venite in nostro aiuto. Noi vi preghiamo pei meriti di Abramo che voi avete amato assai. Dimandiamo pei meriti di Isacco vostro servo fedele, e del santo patriarca Giacobbe. Ne auferas misericordiam tuam a nobis propter Abraham dilectum tuum, et Isaac servum tuum, et Israel sanctum tuum. Dan. c. 3.
Ricorriamo adunque anche noi con fiducia alla protezione de' santi. Ricorriamo alla gran madre di Dio, regina di tutti i santi; ricorriamo al glorioso martire s. Urbano papa e martire, ricorriamo agli altri santi e sante del paradiso e siamo sicuri che se avremo fede si opereranno tra di noi le maraviglie de' tempi antichi con nostro grande vantaggio spirituale ed anche temporale nel modo che tornerà a maggior gloria di Dio e più vantaggioso alla salute delle anime nostre. {104 [398]}
Mentre io accenno ai disordini dei tempi, ed ai bisogni ed ai mezzi di andarvi al riparo, mi cade il bel destro, e ben volentieri me ne valgo, per additare un altro mezzo efficace che sta pure a cuore del Vicario di Cristo. Voi sapete abbastanza e deplorate che specialmente per mezzo della stampa oggidì s'insinua l'errore, si diffondono le cattive massime, e si corrompe il costume, e che gli empii si adoperano a preparare e porgere in giornali e libri irreligiosi l'esca ed il veleno ad ogni classe e {105 [399]} condizione di persone, e come tal sorta di fogli si vendano a buon mercato e si distribuiscano pure gratuitamente. Per parte loro i buoni si argomentano pure colla stampa e colla diffusione di buoni libri e di smascherare l'errore, di ammaestrare i popoli e mostrare loro il bello della virtu per farla amare.
Tale è l'intendimento delle LETTURE CATTOLICHE. Esse vi furono già raccomandate altra volta, ed hanno ornai per loro il favore di molto bene che vanno operando, e portano eziandio il vanto di avere pure l'approvazione del Sommo Pontefice ed il suo desiderio che vengano attivate. Io tengo sott'occhio la circolare con cui S. E. il Cardinale Vicario di Roma, secondando la mente di Sua Santità, invitava gli Arcivescovi e vescovi degli Stati Pontificii a promuovere la diffusione delle LETTURE CATTOLICHE nelle loro Diocesi; e mi sento un forte impulso a raccomandarle di nuovo, {106 [400]} specialmente ne' luoghi dove non sono ancora guari conosciute, e sono persuaso che voi pure meco lo sentirete, e quindi le proporrete con sollecitudine alle vostre popolazioni. La materia ridotta alla più bassa intelligenza, lo stile popolare, la tenue spesa, mi promettono che l'opera vi tornerà facile.
Benedica il Signore dall'alto le vostre preghiere, le vostre fatiche ed il vostro zelo, e la grazia di Gesù Cristo sia con tutti voi.
Gratia
Domini nostri Iesu Christi vobiscum. (Rom. XVI, 20.)
CELESTINO
FISSORE VIC. GEN. {107 [401]}
Capo I. Introduzione
- Notai romani - Giovinezza di s. Urbano - Confessa la fede cristiana - Sua
elezione - Sue prime cure apostoliche
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Pag. 3
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Capo II. I
vasi sacri d'oro o d'argento - Ministri della Cresima - Beni ecclesiastici -
Sedia gestatoria
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8
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Capo III. Si
rinnova la persecuzione contro ai cristiani - S. Urbano istruisce s. Cecilia
nella fede - Si ritira nelle catacombe - Ivi istruisce s. Valeriano e gli
amministra il battesimo
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13 {108 [402]}
|
Capo IV. Urbano
riceve Tiburzio; gli amministra il battesimo, e dopo d'averlo ritenuto otto
giorni con sè lo rimanda a Cecilia.
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Pag. 22
|
Capo V. S.
Valeriana e s. Tiburzio davanti al tribunale di Almacchio - Loro martirio
|
28
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Capo VI. S.
Urbano va in casa di santa Cecilia e riceve molti alla fede
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39
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Capo VII. Martirio
di S. Cecilia - S. Urbano va ad assisterla negli ultimi momenti di vita, e le
dà onorevole sepoltura
|
42
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Capo VIII. S.
Urbano ritorna nelle catacombe - Almacchio lo fa venire alla sua presenza, e
lo condanna alla prigione
|
48
|
Capo IX. Urbano
di nuovo condotto ad Almacchio - E rimproverato per aver dato ai poveri i
tesori di s. Cecilia - Due sacerdoti sono flagellati coi piombi
|
53 {109 [403]}
|
Capo X. Urbano
risponde ad Almacchio - E di nuovo condotto in prigione - Ivi riceve di notte
tre Tribuni e due Sacerdoti - Battezza il carceriere Anolino, che soffre il
martirio
|
Pag. 58
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Capo XI.
Urbano è per la quarta volta condotto ad Almacchio - Da Carpasio è
strascinato al tempio di Giove - Sua fermezza nella fede - Ultima prova
d'Almacchio
|
64
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Capo XII. Almacchio
fugge - Nuovi supplizi - Martirio di s. Urbano e de' suoi compagni
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71
|
Capo XIII.
Terribile morte di Carpasio - Conversione di s. Marmenia e di sua figlia -
Traslocamento del corpo di Urbano
|
77
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Capo XIV. S.
Marmenia e sua figlia con altri fedeli condotti al tribunale di Almacchio,
confessano intrepidamente la fede di Gesù {110 [404]} Cristo e sono
tutti coronati del martirio
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Pag. 82
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Capo XV. Culto
e reliquie di s. Urbano - Miracoli avvenuti alla sua tomba
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88
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Capo XVI.
Chiesa a s. Urbano in Roma - Altra sul fiume Marne in Francia e miracoli ivi
operati
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93
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Capo XVII. Ad
invocazione del nome di s. Urbano due giovanetti sono liberati, dagli
assassini - Un altro è liberato da una morsicatura d'una vipera - Altri
miracoli
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97
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Capo XVIII. Alcune
parole per conclusione
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102
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Estratto di
Circolare di Mons. Vicario Gen. della Città e Diocesi di Torino
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105 {111 [405]}
{112[406}
{113[407}
{114[408}
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