Il Patronato di S. Pietro aperto nella città di Nizza in favore
dei fanciulli pericolanti fu dai Nicesi accolto con grande benevolenza. Tutti
però desideravano che la Pia Istituzione venisse con una festa di famiglia
inaugurata, affinche ognuno fosse in certo modo pubblicamente assicurato che
i loro voti erano appagati.
L’Autorità ecclesiastica e le Autorità civili ne accolsero con
piacere e cordiale approvazione l’invito. II Sig. Cav. Raynaud Sindaco della
Città trattenuto da affari imprevisti fu rappresentato dal Cav. Toselli
assessore. Monsig. Pietro Sola col Clero della cappella vescovile venne a
pontificare solennemente.
I giornali avendo pubblicato tale inaugurazione ognuno presumeva
l’intervento di molti cittadini; ad evitare quindi la confusione nella
ristrettezza del sito si indirizzò una circolare a coloro che potevano più
specialmente essere interessati. { [382]}
La circolare era del tenore seguente: “Lunedi 12 corrente, alle
due e mezzo pomeridiane Monsig. Vescovo inaugurerà il Patronato di S.
Pietro, Piazza d’armi, N° 1, antica villa Gautier. Questo edifizio e
giardino venne testè acquistato e destinato a raccogliere fanciulli
abbandonati per far loro apprendere un mestiere. Colla persuasione che quest’opera
eminentemente popolare e moralizzatrice incontrerà certamente la simpatia di
tutte le persone che prendono parte a quanto contribuisce al bene della
classe operaia, il Comitate vi prega di voler onorare di vostra presenza
questa funzione.
Monsig. Pietro Sola Vescovo.
Sac. Gio. Bosco Superiore.
Sac. Gius. Ronchail Direttore.
Il Comitato: Conte di Béthune.
Conte MiCHAUD de Beauretour.
Conte de la Ferté-Meun.
Avv. Ernesto Michel.
Barone Heraud.
C. Gignoux.
AUGUSTE FARAUT.
Nizza, 9 Marzo 1877.
{6 [384]}
In Chiesa. — Musica religiosa esseguita dagli
allievi dell’Istituto — Scopo dell’opera esposto dal Sac. Bosco — Benedizione
col SS. Sacramento in forma solenne impartita da Monsig. Vescovo. {8 [386]}
Nel giardino. — Dialogo composto da Monsig. Sola — Musica
e trattenimenti diversi — Visita delle sale, delle scuole e dei laboratorii.”
Nel giorno stabilito, assai prima del cominciamento delle
funzioni, la piccola cappella e le camere attigue erano stivate di gente
accorsa. Il cortile nelle allée che lo dividono e lo fiancheggiano era ornato
di molte bandieruole a diversi colori. I giovanetti dello Stabilimento
eseguirono vari pezzi musicali a soprano, a contralto e a cori. Ognuno era
maravigliato come in così breve tempo gli allievi avessero potuto tanto
progredire in quest’arte civilizzatrice del cuore umano. Finito il canto dei
Vespri il Sac. Bosco esponeva lo scopo dell’Istituto colle seguenti parole:
Eccellenza Reverendissima,
e Rispettabilissimi Signori Benefattori,
La vostra presenza, Eccell. Rev.ma, Onorevole Sig.
Sindaco, Rispettabili Signori, mi torna della più grande consolazione, perchè
mi da opportunità {10 [388]} di potervi pubblicamente ringraziare della carità
usatami nella persona dei poveri fanciulli del Patronato di S. Pietro. Nel
tempo stesso mi è pur dato di liberamente esprimere lo scopo di un’opera, che
da voi fondata, da voi sostenuta, tante volte oggetto della vostra carità,
che ora umilmente, ma caldamente intendo porre e inalterabilmente conservare
sotto la benevola vostra protezione. Ma affinchè io possa darvi una idea
chiara dell’Istituto da voi protetto, vi prego di ascoltare una breve
istoria, che non deve tornarvi discara e gioverà a farci conoscere quanto
desideriamo. Ascoltate.
Alcuni anni or sono il Vescovo di questa Diocesi si recava a
Torino, e dopo aver parlato di altre cose lamentava una moltitudine di
ragazzi esposti ai pericoli dell’anima e del corpo, ed esprimeva ardente
desiderio di prowedere al loro bisogno. Poco dopo due signori di questa
medesima città a nome dei Confratelli di S. Vincenzo de’Paoli esprimevano lo
stesso rincrescimento soprattutto pei molti fanciulli, che nei giorni festivi
correvano per le vie, vagavano per le piazze rissando {12 [390]} bestemmiando,
rubacchiando. Ma crebbe assai il dolore di quei due benefattori degli
infelici, quando si accorsero che quei poveri ragazzi dopo la vita di
vagabondo, dopo aver cagionati disturbi alle pubbliche autorità per lo più
andavano a popolare le prigioni. Gran Dio, esclamavano, non si potrà impedire
la rovina di tanti giovanetti, che si possono chiamare infelici, non perchè
perversi, ma solamente perchè abbandonati? Abbiamo, è vero, i Patronati
Domenicali che danno qualche utilità, ma non provvedono abbastanza alla
necessità di taluni che vivono senza tetto, senza vitto e senza vestito. A
ciò si aggiunge la penuria di Sacerdoti, cui rimanga tempo libero di potersi
occupare di questo importante ministero.
Fu allora che coll’approvazione dell’amatissimo Vescovo di questa
Diocesi i prelodati Signori scrissero lettere e poi vennero in persona a Torino
per osservare cola un ospizio destinato a somigliante classe di fanciulli.
Vennero, fummo tosto intesi sulla necessità di una casa dove fossero attivati
i laboratorii, raccolti i più abbandonati, istruiti, avviati a qualche
mestiere. Ma dove {14 [392]} trovare questa casa, e quando si trovasse come
comperarla, e con quali mezzi sostenerla? Questa casa doveva aprirsi qui in
Nizza a favore dei ragazzi di questa città: in Nizza che è città della carità,
della beneficenza, città eminentemente cattolica. Quindi riguardo ai mezzi
materiali abbiamo unanimi data questa risposta: «I Confratelli della
Conferenza di S. Vincenzo de’Paoli faranno quello che possono: Nizza poi non
ci negherà il suo caritatevole appoggio. Si tratta del bene della società, si
tratta di salvar anime, Dio e con noi, Egli ci aiuterà.”
Ed ecco due preti partire da Torino colle mani in mano senz’altro
corredo che la fiducia nella provvidenza del Signore e nella carità dei
Nicesi. Quei due preti furono accolti da tutti con grande benevolenza, perchè
da tutti si giudicava necessario un Istituto per dare ricetto ai fanciulli
pericolanti. Fu allora, o Signori, che voi avete veduto il vostro Vescovo, qual
buon pastore, nella sua grave età d’anni 85 correre di piazza in piazza, di
via in via, cercando un sito, un asilo per gli orfanelli, per la pericolante gioventù.
Quest’asilo fu trovato in via Vittorio, N° 21; e i Confratelli di S. Vincenzo
de’Paoli se ne addossarono temporariamente la pigione.
Monsig. Vescovo inaugurava il novello Patronato, benediceva la
cappella, celebrava la santa Messa nel giorno 28 novembre 1875 esprimendo con
apposito sermone la sua grande consolazione {16 [394]} pel granello di senapa
seminato, da cui egli sperava incremento e vantaggio. Il nascente Istituto
venne detto di S. Pietro in ossequio al Vescovo che lo inaugurava, in onore
di S. Pietro Principe degli Apostoli e in omaggio al Sommo Pontefice Pio IX
che degnavasi mandare una speciale benedizione all’Istituto, ai Benefattori,
ed a tutti i promotori di esso, aggiungendo la generosa offerta di due mila
franchi. Non si pose indugio, si cominciò tosto a raccogliere ragazzi nei
giorni festivi, se ne ricoverarono alcuni de’più abbandonati. Tutto però
questo locale consisteva in alcune camere a pian terreno e sotterra. Ma a che
giovavano poche camere in confronto di tanti fanciulli, che ad ogni momento
chiedevano riparo alla loro sventura? Il locale era ristretto, i ricoverati
dovevano essere pochi, peraltro aveva bastato ad assicurarci, che i fanciulli
discoli, cui talora si giudica infruttuosa la stessa cristiana educazione, se
possono allontanarsi dal pericolo dei compagni, delle cattive stampe, chiusi
in luogo appartato, con facilita si riducono sul buon sentiero, divengono
utili cittàdini, decoro della patria, gloria della nostra santa religione.
Quel piccolo gregge, quel piccolo numero di ricoverati rese vie più manifesta
la necessita di provvedere al crescente numero dei poveri fanciulli in più
larga sfera, quindi si cerò altro edificio, che servisse di ricovero ed un
giardino capace a trattenere gli esterni in piacevole ed onesta {18 [396]} ricreazione
nei giorni festivi. Questo luogo si trovò ed è la villa Gautier, dove noi,
Rispettabili Signori, presentemente siamo radunati. Questo sito venne
riputato assai opportuno, perche fuori dei tumulti della città, ma abbastanza
vicino per gli esterni che vi possono intervenire. Dopo molte incumbenze
questo stabilimento fu convenuto nella somma di (100,000) centomila franchi
tra acquisto e spese accessorie. Mediante l’offerta del S. Padre e di altre caritatevoli
persone si è già pagata la metà: speriamo che l’altra metà sarà poco alla
volta pagata.
Ora, o Signori, se volgiamo lo sguardo intorno a noi al mezzodi
ci si presenta un sito chiuso con uno steccato: esso e rimesso alla Società
di S. Vincenzo de’Paoli per le loro opere di carità. Altra frazione di
giardino, in parte opposta e dietro alla casa, serve a trattenere gli
artigianelli esterni raccolti da varie parti della città, che vengono qui a
passare il giorno festivo. A poca distanza da questi, ma intieramente
separati, fanno ricreazione gli interni, cioè quelli che sono ricoverati e
vivono nella casa che inauguriamo. Rimane ancor libero un tratto di giardino,
e questo sarà destinato all’opera del Giovedì, che ha per fine di raccogliere
i giovanetti studenti, trattenerli con trastulli, con ginnastica, con
declamazione, con musica, col teatrino, affinchè possano passare la giornata
lungi dai pericoli e con qualche vantaggio della scienza e della moralità {20
[398]} Ma tutte queste categorie di allievi prima di prendere parte ai loro
divertimento compiono sempre i loro religiosi doveri.
Se poi voi, o Signori, avrete la degnazione di visitare questo
edifizio, troverete alcune camere ridotte a cappella, ed è appunto la
chiesuola che noi presentemente occupiamo. Altri appositi locali servono di
cucina, di refettorio, di dormitorio pei fanciulli dell’Ospizio; seguono poi
locali per le scuole di canto, di suono, di catechismo, di lettura che si fa
di giorno e più ancora per gli esterni che in numero assai notevole
frequentano le scuole serali. In altra località lavorano i calzolai, i sarti,
i falegnami, i legatori da libri che sono i laboratorii degli allievi dell’umile
nostro Istituto.
È questa la piccola storia ch’io desiderava, anzi doveva esporvi
affinchè sempre più siamo riconoscenti alla bontà del Signore che dal niente
sa ricavare ciò che Egli giudica convenire all’adempimento de’suoi adorabili
voleri. {22 [400]}
All’udire parlare di scuole, di mestieri, d’interni, d’esterni,
di operai adulti e di artigiànelli voi mi direte: Di qual condizione sono
questi giovani? che è quanto dire: Qual è lo scopo di quest’Istituto?
È questa una domanda giusta ed opportuna cui rispondo tostamente.
Vi sono due categorie di allievi: una degli esterni, che
intervengono a passare il giorno del Signore, e lungo la settimaria
frequentano le scuole serali. L’altra categoria è degli interni, la cui
condizione politica, morale, educativa potete di leggieri conoscere dal fatto
che vi prego di ascoltare. Un giovanetto si presentò questa mattina chiedendo
ricovero. — Chi sei tu? gli fu chiesto. — Io sono un fanciullo, un povero orfanello.
— Non vive più tuo padre? — Egli è morto prima che io potessi conoscerlo. — È
tua madre? — Mia madre è nella massima miseria e non potendomi dar pane, mi
mandò a cercarmi di che vivere. — Come ti guadagni il pane? — Io vo
guadagnando il pane suonando il violino. — Dove? — Nelle osterie e nei caffè,
ma se potrò imparar bene la musica spero più tardi andare a suonare nei
teatri e così guadagnarmi del danaro. — Quanti anni hai? — Ne ho 15 in 16. {24 [402]} — Sai leggere e scrivere? — Molto poco. — Sei già promosso alla santa comunione?
— Non ancora. — Datogli poi un breve esame sulla sua istruzione religiosa si
conobbe che egli ne ignorava le parti più elementari e che per soprappiù
versava nel massimo pericolo di perdere l’onore, l’anima ed essere condotto
cogli infelici abitatori delle prigioni.
Il giorno dopo (13 marzo) si presentò un altro giovanetto di 16
anni che non si era mai nè confessato nè comunicato. Era orfano, forestiero,
sprovvisto di ogni cosa e già assai innoltrato nella via del male. Fu
tostamente accolto. Il giorno 14 dello stesso mese fu incontrato un altro
ragazzo che disperatamente i parenti collocarono in un ospizio di
protestanti. Il ragazzo abborrendo le cose che colà
udiva contro ai cattolici, {26 [404]} riusci a fuggire, ma ne fa ricercato e
per forza ricondotto; potè fuggire la seconda volta e fu allora che per buona
ventura incontrò il Direttore del Patronato di S. Pietro, che, inteso il
tristo caso, lo accettò immediatamente. Da questi e da
altri fatti simiglianti potrete comprendere quale sia la condizione dei
nostri giovani. Raccogliere poveri e pericolanti ragazzi, istruirli nella
religione, collocare gli esterni a lavorare presso ad onesto padrone, e gli
interni occuparli nei laboratori stabiliti qui nella casa, far loro
apprendere un mestiere con cui potersi a suo tempo guadagnare il pane della
vita. Voi mi domanderete ancora a questo proposito: I giovani di questa fatta
sono molti? Gli esterni sono in numero assai notabile, ma gli interni per ora
sono solamente 65: sono però oltre a duecento quelli che dimandano con
urgenza di essere ricevuti, e ciò avrà luogo di mano in mano che avremo
locale preparato, si andrà ordinando la disciplina e la divina Provvidenza ci
manderà mezzi per mantenerli.
A questo punto della nostra esposizione voi mi farete un’altra
ragionevole domanda. La strettezza del luogo, la moltitudine di richieste d’accettazioni,
le riparazioni, le ampliazioni délocali, anzi di questa chiesa stessa, dove
siamo, reclamano un edifizio più vasto, più alto che possa meglio servire alla
celebrazione della messa, per ascoltare le confessioni, per fare il
catechismo {28 [406]} pei piccoli, per la predicazione
degli adulti e per coloro stessi che abitano qui vicino. Queste cose sono indispensabili affinchè questo Istituto possa
conseguire il suo fine, che è il bene dell’umanità e la salvezza delle anime.
Ora come provvedere a tanti bisogni cbe occorrono? Come trovare il danaro
indispensabile per dar pane agli interni, vestirli, provvederli di maestri,
assistenti, capi d’arte? Come continuare i lavori intrapresi e quelli che
dovrebbonsi incominciare.
È tutto vero, anzi io soggiungo ancora, che per sostenere le
opere già incominciate si dovettero contrarre parecchi debiti, e questa
medesima casa è soltanto pagata per metà; ciòè vi sono ancora oltre a
cinquantamila franchi da pagare. Malgrado tutto questo non dobbiamo
sgomentarci. Quella Provvidenza Divina che qual madre pietosa veglia su tutte
le cose, che provvede agli uccelli dell’aria, ai pesci del mare, agli animali
della terra, ai gigli del campo, non provvederà a noi che davanti al Creatore
siamo di gran lunga più preziosi di quegli esseri materiali? Di più; quel Dio
che in voi, nei benefici vostri cuori, ha inspirato il generoso pensiero di
promuovere, di fondare, di sostenere finora quest’opera, non continuerà ad
infondere grazia, coraggio e somministrarvi i mezzi per continuarla? Più
ancora: Quel Dio che con niente fece sì che si fondassero degli Istituti, in
cui sono raccolti oltre a quattordicimila fanciulli, senza che {30 [408]} per
loro vi sia nemmeno un soldo preventivo, quel Dio vorrà forse lasciarci ora
mancare il suo aiuto in queste opere, che tutte tendono a sollevare la classe
più abbandonata e più bisognosa della civile società, a sollevare le anime più
pericolanti, quelle anime per cui fu create il cielo e la terra e tutte le
cose che nel cielo e sulla terra si contengono: quelle anime per cui l’adorabile
nostro Salvatore ha donato fin l’ultima goccia del suo sangue?
No, adunque, niun dubbio, niun timore che possa mancarci l’aiuto
del Cielo. Non facciamo q’uesto torto alla Divina Bontà, non facciamo questo
torto alla vostra Religione ed alla vostra grande e tante volte esperimentata
generosità. Io son certo che quella carità che vi mosse a fare tanti sacrifizi
in passato, non permetterà giammai che rimanga imperfetta un’opera così
felicemente incominciata.
Questa speranza, oltre alla bontà dei vostri cuori, ha pure un
altro saldo fondamento che si appoggia nella grande mercede che voi tutti
cercate, e che Dio assicura alle opere di carità. {32 [410]}
Dio è infinitamente ricco e di generosità infinita. Come ricco può
darci largo guiderdone per ogni cosa fatta per amor suo; come padre di generosità
infinita paga con buona ed abbondante misura ogni più piccola cosa facciamo
per suo amore. Voi, dice il Vangelo, non darete un bicchiere d’acqua fresca
in mio nome ad uno dei miei minimi, ossia ad un bisognoso, senza che abbia la
sua mercede.
L’elemosina, ci dice Dio nel libro di Tobia, libera dalla morte,
purga l’anima dai peccati, fa trovare misericordia nel cospetto di Dio, e ci
conduce alla vita eterna. Eleemosina est quae a morte liberat: purgat
peccata, facit invenire misericordiam et vitam aeternam.
Fra le grandi ricompense avvi pure questa che il Divin Salvatore
reputa fatta a sè stesso ogni carità fatta agli infelici. Se noi vedessimo il
Divin Salvatore camminare mendico per le nostre piazze, bussare alla porta
delle nostre case, vi sarebbe un cristiano che non gli offra generosamente
fin l’ultimo soldo di sua borsa? Pure nella persona dei poveri, dei più
abbandonati è rappresentato il Salvatore. Tutto quello, Egli dice, che farete
ai più abbietti lo fate a me stesso. Dunque non sono più poveri fanciulli che
{34 [412]} dimandano la carità, ma è Gesù nella persona désuoi poverelli.
Che diremo poi della mercede eccezionale che Dio tiene riservata
nel più importante e difficile momento in cui sarà decisa la nostra sorte con
una vita o sempre beata o sempre infelice? Quando noi, o Signori, ci presenteremo
al tribunale del Giudice Supremo per dar conto delle azioni della vita, la
prima cosa che amorevolmente ci ricorderà non sono le case fabbricate, i
risparmii fatti, la gloria acquistata o le ricchezze procacciate; di ciò non
farà parola, ma unicamente dirà: Venite, o benedetti dal Padre mio Celeste,
venite al possesso del regno che vi sta preparato. Io aveva fame, e voi nella
persona dei poveri mi avete dato pane; aveva sete e voi mi deste da bere; io
era nudo, voi mi avete vestito; era in mezzo d’una strada, e voi mi avete
dato ricovero. Tunc dicet Rex his qui a dextris eius erunt: Venite,
benedicti patris mei, possidete paratum vobis regnum a constitutione mundi. Esurivi enim et dedistis mihi manducare; sitivi et dedistis mihi
bibere; hospes eram et collegistis me; nudus et cooperuistis me (Matth. cap. 25, vers. 54-56).
Queste e più altre parole dirà il Divin Giudice siccome stanno
registrate nel Vangelo: dopo di che darà loro la benedizione e li condurrà al
possesso della vita eterna.
Ma Dio padre di bontà, conoscendo che il nostro {36 [414]} spirito
è pronto e la carne assai inferma, vuole che la nostra carità abbia il
centuplo eziandio nella vita presente. In quanti modi, o Signori, su questa
terra Dio ci da il centuplo delle opere buone? Centuplo sono le speciali
grazie di ben vivere e di ben morire; sono la fertilità delle campagne, la
pace e concordia delle famiglie, il buon esito degli affari temporali, la sanità
dei parenti e degli amici; la conservazione, la buona educazione della figliuolanza.
Ricompensa della carità cristiana è il piacere che ognuno prova nel cuor suo
nel fare un’opera buona. Non è grande consolazione quando si riflette che con
una piccola limosina si contribuisce a togliere degli esseri dannosi alla
civile società per farli divenire uomini vantaggiosi a se stessi, al suo
simile, alla Religione? Esseri che sono in procinto di diventare il flagello
delle autorità, gli infrattori delle pubbliche leggi e andare a consumare i
sudori altrui nelle prigioni, e invece metterli in grado di onorare la umanità,
di lavorare e col lavoro guadagnarsi onesto sostentamento, e ciò con decoro
dei paesi in cui abitano, con onore delle famiglie a cui appartengono?
Oltre a tutte queste ricompense che Dio concede nella vita
presente e nella futura, avvene ancor una che devono i beneficati porgere ai
loro benefattori. Si, o Signori, noi non vogliamo defraudarvi di quella
mercede che è tutta in nostro potere. — Ascoltate: {38 [416]} Tutti i preti,
i chierici, tutti i giovani raccolti ed educati nelle case della
Congregazione Salesiana e più specialmente quelli del Patronato di S. Pietro,
innalzeranno al cielo mattino e sera particolari preghiere pei loro
benefattori. Mattina e sera i vostri beneficati con apposite preghiere
invocheranno le divine benedizioni sopra di voi, sopra le vostre famiglie,
sopra i vostri parenti, sopra i vostri amici. Supplicheranno Dio che conservi
la pace e la concordia nelle vostre famiglie, vi conceda sanità stabile e
vita felice, da voi tenga lontano le disgrazie tanto nelle cose spirituali,
quanto nelle cose temporali, e a tutto ciò aggiunga la perseveranza nel bene,
e, al più tardi che a Dio piacerà, i vostri giorni siano coronati da una
santa morte. Se poi nel corso della vita mortale, o Signori, avremo la buona
ventura di incontrarvi per le vie della citta od in qualsiasi altro luogo, oh
si allora ricorderemo con gioia i benefizi ricevuti e rispettosi ci
scopriremo il capo in segno d’incancellabile gratitudine sulla terra, mentre
Iddio pietoso vi terrà assicurata la mercede dei giusti in Cielo. Centuplum accipietis et vitam aeternam possidebitis. {40 [418]} Terminato il sermoncino di opportunità
alcuni uditori spontaneamente giudicarono di fare una questua che fu copiosa
oltre l’aspettazione. Le persone erano in numero assai limitato per la
strettezza del luogo, quasi tutti dei soliti benefattori, sicchè si era
giudicato opportuno di nemmeno raccomandare la limosina. Tuttavia risultò di
circa mille cinquecento franchi.
Dopo la sacra funzione si visitò eziandio una sala dove sopra
alcune tavole stavano esposti oggetti per una piccola lotteria in favore dei
giovanetti del Patronato. Essendosi sparsa la voce che quella lotteria doveva
impiegarsi a comperar pane ai giovanetti del Patronato, vi si fece un
notabile spaccio di biglietti.
Così abbiamo avuto un motivo di più per ringraziare i nostri
benemeriti uditori e di essere ognor più riconoscenti alla divina bontà, che
in tanti modi e ad ogni momento ci porge novelli argomenti di lodarla e
benedirla ora e per tutti i secoli. {42 [420]}
Più volte fui richiesto di esprimere verbalmente o per iscritto
alcuni pensieri intorno al così detto sistema preventivo che si suole usare
nelle nostre case. Per mancanza di tempo non ho potuto finora appagare questo
desiderio, e presentemente ne do qui un cenno, che spero sia come l’indice di
quanto ho in animo di pubblicare in una operetta appositamente preparata, se
Dio mi darà tanto di vita da poterlo effettuare, e ciò unicamente per giovare
alla difficile arte della giovanile educazione. Dirò adunque: in che cosa
consista il Sistema Preventivo, e perchè debbasi preferire: sua pratica
applicaziono; e suoi vantaggi.
Due sono i sistemi in ogni tempo usati nella educazione della gioventù:
Preventivo e Repressivo. Il sistema Repressivo consiste nel far conoscere {44
[422]} la legge ai sudditi, poscia sorvegliare per conoscerne i trasgressori
ed infliggere, ove è d’uopo, il meritato castigo. In questo sistema le parole
e l’aspetto del Superiore debbono sempre essere severe, e piuttosto
minaccevoli, ed egli stesso deve evitare ogni famigliarità coi dipendenti.
Il Direttore per accrescere valore alla sua autorità dovrà
trovarsi di rado tra i suoi soggetti e per lo più quando si tratta di punire
o di minacciare. Questo sistema è facile, meno faticoso e giova specialmente
nella milizia e in generale tra le persone adulte ed assennate, che devono da
se stesse essere in grado di sapere e ricordare ciò che è conforme alle leggi
e alle prescrizioni.
Diverso, e direi, opposto è il sistema Preventive. Esso consiste
nel far conoscere le prescrizioni e i regolamenti di un Istituto e poi sorvegliare
in guisa, che gli allievi abbiano sempre sopra di loro l’occhio vigile del
Direttore o degli assistenti, che come padri amorosi parlino, servano di
guida ad ogni evenienza, diano consigli ed amorevolmente correggano, che è
quanto dire: mettere gli allievi nella impossibilità di commettere mancanze.
Questo sistema si appoggià tutto sopra la ragione, la religione,
e sopra l’amorevolezza, perciò esclude ogni castigo violento e cerca di
tenere lontano gli stessi leggeri castighi. Sembra che
questo sia preferibile per le seguenti ragioni: {46 [424]}
I. L’allievo preventivamente avvisato non resta avvilito per le
mancanze commesse, come avviene quando esse vengono deferite al Superiore. Nè
mai si adira per la correzione fatta o pel castigo minacciato oppure infiitto,
perche in esso vi è sempre un avviso amichevole e preventive che lo ragiona,
e per lo più riesce a guadagnare il cuore, cosìche l’allievo conosce la
necessità del castigo e quasi lo desidera.
II. La ragione più essenziale è la mobilità giovanile, che in un
momento dimentica le regole disciplinari, i castighi che quelle minacciano:
perciò spesso un fanciullo si rende colpevole e meritevole di una pena, cui
egli non ha mai badato, che niente affatto ricordava nell’atto del fallo
commesso e che avrebbe per certo evitato se una voce arnica l’avesse
ammonito.
III. Il sistema Repressivo può impedire un disordine, ma difficilmente
fara migliori i delinquenti; e si è osservato che i giovanetti non
dimenticano i castighi subiti, e per lo più conservano amarezza con desiderio
di scuotere il giogo ed anche di farne vendetta. Sembra talora che non ci
badino, ma chi tiene dietro ai loro andamenti conosce che sono terribili le
reminiscenze della gioventù; e che dimenticano facilmente le punizioni dei
genitori, ma assai difficilmente quelle degli educatori. Vi sono fatti di alcuni che in vecchiaia vendicarono bruttamente
certi castighi toccati giustamente in tempo di loro {48 [426]} educazione. Al contrario il sistema Preventivo rende amico l’allievo,
che nell’assistente ravvisa un benefattore che lo avvisa, vuol farlo buono, liberarlo
dai dispiaceri, dai castighi, dal disonore.
IV. Il sistema Preventivo rende affezionato l’allievo in modo che
l’educatore potrà tuttora parlare col linguaggio del cuore sia in tempo dell’educazione,
sia dopo di essa. L’educatore, guadagnato il cuore del suo protetto, potrà
esercitare sopra di lui un grande impero, avvisarlo, consigliarlo ed anche correggerlo
allora che si troverà negli impieghi, negli uffizi civili e nel commercio.
Per queste e molte altre ragioni pare che il sistema Preventivo debba preferirsi
al Repressivo. {50 [428]}
II. Applicazione del sistema Preventivo.
La pratica di questo sistema è tutta appoggiata sopra le parole
di S. Paolo che dice: Charitas benigna est, patiens est; omnia suffert,
omnia sperat, omnia sustinet. La carità è benigna e paziente; soffre
tutto, ma spera tutto e sostiene qualunque disturbo. Perciò soltanto il
cristiano può con successo applicare il sistema Preventivo. Ragione e
Religione sono gli strumenti di cui deve costantemente far uso l’educatore,
insegnarli, egli stesso praticarli se vuol essere ubbidito ed ottenere il suo
fine.
I. Il Direttore pertanto deve essere tutto consacrato a’suoi
educandi, nè mai assumersi impegni che lo allontanino dal suo uffizio, anzi
trovarsi sempre co’suoi dipendenti tutte le volte che non sono
obbligatoriamente legati da qualche occupazione, eccetto che siano da altri
debitamente assistiti.
II. I maestri, i capi d’arte, gli assistenti devono essere di
moralità conosciuta. Il traviamento di un solo può
compromettere un Istituto educativo. {52 [430]} Si
faccia in modo che gli allievi non siano mai soli. Per quanto è possibile gli
assistenti li precedano nel sito dove devonsi raccogliere; si trattengano con
loro fino a che siano da altri assistiti; non li lascino mai disoccupati.
III. Si dia ampia facoltà di saltare, correre, schiamazzare a
piacimento. La ginnastica, la musica, la declamazione, il teatrino, le passeggiate
sono mezzi efficacissimi per ottenere la disciplina, giovare alla moralità ed
alla sanità. Si badi soltanto che la materia del trattenimento, le persone
che intervengono, i discorsi che hanno luogo non siano biasimevoli. Fate
tutto quello che volete, diceva il grande amico della gioventù S. Filippo Néri,
a me basta che non facciate peccati.
IV. La frequente confessione, la frequente comunione, la messa
quotidiana sono le colonne che devono reggere un edifizio educativo, da cui
si vuole tener lontano la minaccia e la sferza. Non mai annoiare nè obbligare
i giovanetti alla frequenza de’santi Sacramenti, ma porgere loro la comodità
di approfittarne. Nei casi poi di esercizi spirituali, tridui, novene,
predicazioni, catechismi si faccia rilevare la bellezza, la grandezza, la
santità di quella Religione che propone dei mezzi così facili, così utili alla
civile società, alla tranquillità del cuore, alla salvezza dell’anima come
appunto sono i santi Sacramenti. In questa guisa i fanciulli restano
spontaneamente {54 [432]} invogliati a queste pratiche di pietà, vi si accosteranno
volentieri.
V. Si usi la massima sorveglianza per impedire che nell’Istituto
siano introdotti compagni, libri o persone che facciano cattivi discorsi. La
scelta d’un buon portinaio è un tesoro per una casa di educazione.
VI. Ogni sera dopo le ordinarie preghiere, e prima che gli
allievi vadano a riposo, il Direttore, o chi per esso, indirizzi alcune
affettuose parole in pubblico dando qualche avviso, o consiglio. {56 [434]} intorno a cose da farsi o da
evitarsi; e studii di ricavare le massime da fatti avvenuti in giornata nell’Istituto
o fuori; ma il suo parlare non oltrepassi mai i due o tre minuti. Questa è la
chiave della moralità, del buon andamento e del buon successo dell’educazione.
VII. Si tenga lontano come la peste l’opinione di taluno che vorrebbe
differire la prima comunione ad un’eta troppo inoltrata, quando per lo pù il
demonio ha preso possesso del cuore di un giovanetto a danno incalcolabile
della sua innocenza. Secondo la disciplina della Chiesa primitiva si solevano
dare ai bambini le ostie consacrate che sopravanzavano nella comunione
pasquale. Questo serve a farci conoscere quanto la Chiesa ami che i fanciulli siano ammessi per tempo alla santa Comunione. Quando un giovanetto
sa distinguere tra pane e pane, e palesa sufficiente istruzione, non si badi più
all’eta e venga il Sovrano Celeste a regnare in quell’anima benedetta.
VIII. I catechismi raccomandano la frequente comunione, S.
Filippo Neri la consigliava ogni otto giorni ed anche più spesso. Il Concilio
Tridentino dice chiaro che desidera sommamente che ogni fedele cristiano
quando va ad ascoltare la santa Messa faccia eziandio la comunione. Ma questa
comunione sia non solo spirituale, ma bensi sacramentale, affinchè si ricavi
maggior frutto da questo augusto e divino sacrifizio. (Concilio
Trid., sess. XXII, cap. VI). {58 [436]}
Taluno dirà che questo sistema è difficile in pratica. Osservo
che da parte degli allievi riesce assai più facile, più soddisfacente, più
vantaggioso. Da parte poi degli educatori racchiude alcune difficolta, che
perd restano diminuite, se I’educatore si mette con zelo all’opera sua. L’educatore
e un individuo consacrato al bene de’suoi allievi, deve essere pronto ad
affrontare ogni disturbo, ogni fatica per conseguire il suo fine, che è la civile,
morale, scientifica educazione de’suoi allievi.
Oltre ai vantaggi sopra esposti si aggiunge ancora qui che:
I. L’allievo sarà sempre amico dell’educatore e ricorderà ognor
con piacere la direzione avuta, considerando tuttora quali padri e fratelli i
suoi maestri e gli altri superiori. Dove vanno questi allievi per lo più sono
la consolazione della famiglia, utili cittadini e buoni cristiani. {60 [438]}
II. Qualunque sia il carattere, l’indole, lo stato morale di un
allievo all’epoca della sua accettazione, i parenti possono vivere sicuri,
che il loro figlio non potrà peggiorare, e si può dare per certo che otterrà
sempre qualche miglioramento. Anzi certi fanciulli che per molto tempo furono
il flagello de’parenti e perfino rifiutati dalle case correzionali, coltivati
secondo questi principii, cangiarono indole, carattere, si diedero ad una
vita costumata, e presentemente occupano onorati uffizi nella società,
divenuti così il sostegno della famiglia, decoro del paese in cui dimorano.
III. Gli allievi che per avventura entrassero in un Istituto con
triste abitudini non possono danneggiàre i loro compagni. Nè i giovanetti
buoni potranno ricevere nocumento da costoro, perchè non avvi nè tempo, nè
luogo, nè opportunità, perciocchè l’assistente, che supponiamo presente, ci
porrebbe tosto rimedio.
Che regola tenere nell’infliggere castighi? Dove è possibile, non
si faccia mai uso dei castighi; dove poi la necessità chiedesse repressione,
si ritenga quanto segue: {62 [440]}
I. L’educatore tra gli allievi cerchi di farsi amare, se vuole
farsi temere. In questo caso la sottrazione di benevolenza è un castigo, ma
un castigo che eccita l’emulazione, dà coraggio e non avvilisce mai.
II. Presso ai giovanetti è castigo quello che si fa servire per
castigo. Si è osservato che uno sguardo non amorevole sopra taluni produce
maggior effetto che uno schiaffo. La lode quando una cosa è ben fatta, il
biasimo, quando vi è trascuratezza, è già un premio od un castigo.
III. Eccettuati rarissimi casi, le correzioni, i castighi non si
diano mai in pubblico, ma privatamente, lungi dai compagni, e si usi massima
prudenza e pazienza per fare che, l’allievo comprenda il suo torto colla
ragione e colla religione.
IV. Il Direttore faccia ben conoscere le regole, i premi ed i
castighi stabiliti dalle leggi di disciplina, affinchè l’allievo non si possa
scusare dicendo: Non sapeva che ciò fosse proibito.
Gli Istituti che metteranno in pratica questo sistema, io credo
che potranno ottenere grandi vantaggi senza venire nè alla sferza, nè ad
altri violenti castighi. Da circa quarant’anni tratto colla gioventù, e non
mi ricordo d’aver usato castighi di sorta, e coll’aiuto di Dio ho sempre
ottenuto non solo quanto era di dovere, ma eziandio quello che semplicemente
desiderava, e ciò da quegli stessi fanciulli, cui sembrava perduta la
speranza di buona riuscita. {64 [442]}
|
Le
Patronage de Saint Pierre, ouvert à Nice pour les enfants abandonnés, fut
salué avec beaucoup de bienveillance par les habitants de la ville. Tous cependant désiraient que cette pieuse Institution fût inaugurée
par une fete de famille, afin que chacun pût en quelque maniere s’assurer,
que ses vœux étaient satisfaits.
L’Autorité écclésiastique, et les Autorités civiles reçurent
l’invitation avec une cordiale bienveillance. M. le Chevalier Raynaud,
Maire de la ville, retenu par des affaires imprévues fût représenté par M. le
Chev. Toselli adjoint. Monseigneur l’Évêque, avec le Clergé de
la chapelle Épiscopale, vint pontifier solennellement.
Les journaux ayant annoncé cette inauguration, on présuma
que la foule des assistant serait trop grande, et afin d’éviter la confusion
dans un local étroit, une circulaire fût adréssée aux personnes plus
particulierement intéressées. { [383]} Elle était conçue en ces termes:
“Lundi 12 courant, à deux heures et demie de l’après midi Monseigneur
l’Évêque inaugurera le Patronage de Saint-Pierre place d’armes N. 1. ancienne
villa Gauthier. Cet édifice, avec le jardin, a été
nouvellement acheté et destiné à offrir un asile aux enfants abandonnés, et à
leur apprendre un metier. Persuadé que cette œuvre
éminemment populaire et moralisatrice, ne peut que rencontrer la sympathie de
tous ceux qui s’intéressent au bien être de la classe ouvrière, le comité
vous prie vouloir bien honorer de votre présence cette cérémonie.
Monseigneur Jean-Pierre Sola Évêque.
M. l’Abbé Jean Bosco Fondateur.
Abbé Joseph Ronchail, Directeur.
Le Comité: Comte de Béthune.
Comte Michaud de Beauretour.
Comie de la Ferté-Meun.
Av. Ernest Michel.
Baron Héraud.
C. Gignoux.
Auguste Faraut.
Nice, le 9 Mars 1877. {7 [385]}
À l’Église. —
Musique religieuse par les enfants de la maison. — Exposé du but de l’œuvre
par l’abbé Bosco, suivi du salut donné solennellement par Monseigneur. {9
[387]}
Dans le jardin. — Dialogue composé par
Monseigneur. — Musique et entretiens divers. — visite des salles, des écoles,
et des ateliers.
Le jour de la fête avant la cérémonie la petite chapelle et les
salles qui sont a côté étaient remplies d’invites. La cour et ses allées
étaient ornées d’une quantité de petits drapeaux de différents couleurs. Les
enfants du Patronage, chantèrent plusieurs morceaux de musique. Tout le monde
etait étonné du progrès qu’ils avaient pu faire en cet art civilisatrice du
cœur humain, dans un temps si court. Après les Vêpres, M. l’abbé Bosco
exposait le but de l’œuvre de la manière suivante.
Monseigneur,
Honorables
Messieurs et Bienfaiteurs,
L’honneur de me trouver en Votre présence, très-Révérend Monseigneur,
très-honorable Maire, et très-dignes Messieurs, produit en moi une
très-grande {11 [389]} joie, pour l’occasion si favorable, et tant désirée de
vous remercier de tout mon cœur de votre inépuisable charité envers nos
pauvres entente du Patronage de Saint-Pierre. Cette circonstance me
met à même de pouvoir vous expliquer franchement le but d’une œuvre, qui fondée
par vous, soutenue par vos efforts, objet continuel de vos soins charitables,
doit être placée, et constamment conserveé sous votre vigilante protection,
comme j’ose humblement le faire en cet instant, vous priant de vous y
interesser de toutes vos forces. Ainsi done, afin de vous en donner une idée
bien precise, je vous prie de vouloir écouter avec une bienveillante attention
le petit exposé que je vais vous faire de tout ce qui s’est passé, a regard
de cette fondation; ce qui certainement ne sera pas sans intéret, et qui
pourra vous faire connaître, son but, ses moyens, et ses espeérances.
II n’y a que quelques années que notre digne pasteur Monseigneur
l’Évêque ici présent, s’étant rendu a Turin, en me parlant de bien
d’affaires, et gémissant sur la quantité d’enfants qui se trouvent exposés à
maints dangers soit pour l’âme, soit pour le corps il m’exprima l’ardent
désir de les aider dans de si grands besoms.
Quelque temps apres deux honorables Messieurs de cette même Ville
venaient aussi me communiquer la même douleur, au nom des membres de la Société de S. Vincent de Paul a l’égard d’une foule de misérables enfants, qui les jours du
Seigneur ne font que courir dans les rues, encombrer les places, crier,
blasphémer et commetre {13 [391]} des vols. Cette douleur croissait encore
dans l’âme de ces deux Messieurs, à la triste pensée, que ces pauvres
enfants, apres tant d’inquiétudes données a leur parents et Supérieurs,
auraient fini par terminer leur vie vagabonde dans le cachots des prisons.
Grand Dieu! s’ecriaient-ils, n’y aurait-il pas quelques moyens, pour sauver
ces âmes, plutôt dégradées par l’abandon auquel elles sont livrées, que par
leur propre depravation? Les Patronages que nous avons, sont bien dèjà
quelque chose, mais ils sont bien loin de faire face aux besoins impérieux de
beaucoup de ces enfants, qui privés de toute ressource, sont réduits à vivre
sans toit, sans nourriture, et sans habits. La nourriture de
l’âme, leur fait aussi défaut, car les ministres de l’Évangile étant en
très-petit nombre ne peuvent pas toujours courir à la recherche de ses brébis
errantes. Préoccupés de ces pensées, ces Messieurs avaient eu recours à leur
digne Évêque, qui les avait autorisés à se mettre à la tête de cette
charitable entreprise. Pour cela ils écrivirent à Turin, et ensuite ils se
rendirent en cette ville pour y étudier de près un Hospice destiné à une
pareille catégorie d’enfants misérables. Ce fût aussi alors qu’en causant
avec moi de la nature de cet œuvre, on tomba d’accord sur le point qui lui
est indispensable, c’est à dire, sur la nécéssité d’un local pour y placer
des ateliers, y reunir les enfants plus abandonnés, les instruire, et les
former a quelque profession utile. {15 [393]}
Un premier obstacle se présentait dans la recherche d’an local
approprié, et quand on l’aurait trouvé, dans la difficulté des moyens de
l’acheter et de le soutenir. L’hospice devait se fonder
dans cette ville de Nice, pour les pauvres enfants de la cité; dans cette
ville qui est par excellence la ville de la charité et de la bienfaisance, la
ville éminemment catholique. Pour ce qui à rapport aux
moyens matériels la conclusion fût unanime: “Les membres de S. Vincent de
Paul auraient fait ce qu’ils pourraient; quant a la charité publique de la
ville, on ne pouvait en douter elle ne nous aurait pas fait défaut; le but
étant le bien de la Société et le salut des âmes, Dieu est avec nous; bien
sur, il nous aidera.”
Voilà que deux Ecclésiastiques de Turin se
rendent à Nice, sans autre attirail qu’une ferme confiance dans la Providence Divine, et par elle aussi dans la charité des Niçois. Ils furent accueillis
avec une extreme bienveillance, tous etant convaincus de la n^cessité extreme
d’un Institut capable d’accueillir les enfants en danger. C’est bien alors,
Messieurs, que vous avez vu votre excellent Prélat dans son âge de 85 ans,
courir comme un bon Pasteur de place en place, de rue en rue à la recherche
d’un local apte à servir de refuge aux pauvres orphelins abandonnés. Enfin le local se trouva dans la rue Victor N. 21, et les confrères
de S. Vincent de Paul se chargèrent pour le moment des frais du loyer.
Monseigneur l’Évêque procédait à l’inauguration du Nouveau Patronage,
y bénissait la chapelle, et célébrait le Saint Sacrifice le 28 Novembre 1875,
et dans un discours approprié à cette fête il témoignait la plus vive joie
pour les fruits qu’il attendait en abondance du petit grain de sénevé {17
[395]} qui avait été planté. Le nouvel institut fût nommé de S. Pierre, soit
en l’honneur de ce grand apôtre, dont Monseigneur l’Évêque porte si bien le
nom; soit en hommage au Souverain Pontife Pie IX, qui en faisant a l’œuvre,
un don généreux de deux mille francs, avait envoys une benediction speciale a
l’lnstitut, aux Bienfaiteurs, et à tous les Promoteurs. Sans aucun
délai on se mit a l’œuvre et bientôt un certain nombre d’enfants dans les
jours de fête vint s’y réunir, et quelques uns des plus misérables furent
installés dans l’asile. Le local ne consistant qu’en quelques piéces au rez
de chaussée et dans les entre-sol, se trouvait étroit pour la foule d’enfants
qui à chaque instant demandaient à être reçus. Les acceptations
ne furent pas nombreuses; cependant ce début avait suffi pour nous convaincre
que les enfants revêches et querelleurs, dont naguère l’éducation chrétienne
était jugée infructueuse, auraient pu être éloignés des camarades dangereux,
et des écrits corrupteurs, en les reunissant dans un local écarté, ou, l’on
aurait pu les ramener plus facilement sur la bonne voie, pour en faire
d’utiles citoyens, l’honneur de la patrie, et la gloire de notre tres-sainte
Religion. Ce petit troupeau, ce faible nombre d’assistés, fit sentir avec
plus d’évidence, la nécessité de pourvoir sur une échelle plus vaste au
nombre croissant des pauvres enfants du peuple. Par cela même, l’on se mit à
la recherche d’un autre local capable d’en contenir un plus grand {19 [397]}
nombre, avec un jardin assez vaste qui permit d’entretenir les externes les
jours de fête par des divertissants et honnetes amusement. Enfin on le
trouva, et c’est la villa de M. Paul Gauthier; dans ce lieu précisément ou
nous nous trouvons maintenant réunis. Eloigné des bruits de la ville, assez
rapproché pour que les enfants externes puissent y arriver, il fût jugé assez
favorable. Après maints pourparlers la défense fût évaluée à la somme de
(100000) cent-mille francs environ, y compris le prix d’achat et les frais
accessoires. À l’offrande du S. Père, vinrent bientôt
s’adjoindre celles de plusieurs autres âmes charitables, en sorte que la
moitié de la somme est dèjà payée; et nous avons espoir que l’autre moitié le
sera aussi peu à peu.
Maintenant, Messieurs, si nous portons les regards autour de nous,
nous voyons au midi un lieu entouré et clos d’une palissade. Ce lieu servira à la societé de S. Vincent de Paul pour ses œuvres de
Charité. L’autre portion du jardin, du coté opposé, qui se trouve derrière la
maison, est déstinée a réunir les artisans externes. qui viennent de
différentes localités de la ville, pour y passer les jours des fêtes. Non
loin d’eux, mais tout a fait séparés, se réunissent à la recréation les
internes; c’est à dire ces pauvres enfants qui accueillis, logés, et nourris
dans cet Établissement sont le principal objet de l’institution charitable,
que nous inaugurons. Une dernière portion du {21 [399]} jardin encore
libre sera destinée a l’œuvre du Jeudi, qui a pour but de réunir en ce jour
de congé les jeunes étudiants, les y attirer par différents divertissements
de gimnastique, de musique de déclamation et des petits spectacles, pour les
éloigner des mille dangers qu’ils peuvent rencontrer dans les rues de la Ville. Toutes ces categories d’élèves avant de prendre part aux différents divertissements
sont invitees a remplir leurs religieux devoirs, en commençant par la prière.
Aussi, si vous aurez la bonté d’étudier la disposition de la
maison vous y verrez que quelques chambres ont été converties en chapelle;
qui est précisément la petite Église que nous occupons en ce moment. Quelques
autres pièces ont été destinées à la cuisine, au réfectoire, et aux dortoirs
pour les enfants de l’Hospice; d’autres encore sont pour les écoles, du
chant, de musique instrumentale, du Catéchisme, et de lecture, qui ont lieu
pendant le jour pour les jeunes externes assez nombreux, qui frequentent le
cours des adultes. Il y a aussi des pièces destinées aux cordonniers,
tailleurs, menuisiers et relieurs de livres, ce qui compose les différentes
institutions de travail adoptées dans notre humble institut.
Voilà,
Messieurs, le petit exposé que je voulais et que je devais vous présenter,
pour nous exciter à la reconnaissance envers la Divine Bonté, qui la, ou rien n’était, a fait trouver le nécessaire pour l’accomplissement de
ses adorables desseins. {23 [401]}
À m’entendre parler d’écoles et de métiers, d’internes et d’externes,
d’ouvriers, d’adultes et d’artisans, vous me demanderez: quelle est done la
condition des jeunes-gens, et quel est le but de l’œuvre? Je m’empresse de
répondre à cette demande aussi juste que raisonnable.
Deux sont les catégories des élèves. Une des externes c’est-à-dire
de ceux qui viennent y passer le saint jour des Dimanches, et qui durant la
semaine fréquentent les écoles du soir. L’autre est celle des internes,
dont vous pourrez connaître la condition civile, morale, et instructive par
les traits suivants. Un enfant se présentait ce matin à l’asile pour y être
reçu. Qui est-tu? lui demandais-je. — Je suis un pauvre orphelin. — Ton père
vit-il encore? — Il est mort avant que j’eusse pu le connaître. — Et ta mère?
— Elle est aussi pauvre que moi, et ne pouvant plus me donner du pain m’a
renvoyé à la recherche de quoi vivre. — Comment gagnes tu ton pain? — En
jouant du violon. — Et ou donc? — Dans les tavernes et les cafés, mais si je
reussis à bien apprendre la musique, j’éspére de pouvoir plus tard aller dans
les théâtres, et gagner ainsi bien plus d’argent. — Quel âge as-tu? — De quinze
à seize ans. — Sais tu lire, et érire? — Très-peu. — As tu fait ta première
communion? — Pas encore. — Par quelques demandes rélatives à son instruction
religieuse {25 [403]} on put se convaincre qu’il en ignorait les parties plus
élémentaires, et au grand risque de son honneur et de son âme il se trouvait
sur la voie de ces malheureux qui peuplent les prisons. Le jour suivant 13
Mars, vint aussi se presenter un autre garçon de seize ans qui n’avait jamais
pratiqué ni confessions, ni communions. Il était orphelin, étranger, et que
trop déjà engagé dans la voie du mal: il fût aussitôt reçu. Le 14 du même
mois fût rencontré un autre garçon qui avait été placé dans un hospice
protestant par les parents eux mêmes, réduits au désespoir par la misère. Ce
pauvre enfant dégouté des discours qui se faisaient dans cette maison contre
les Catoliques, s’en était évadé, mais aussitôt retrouvé il y avait été
reconduit par force; il réussit à s’enfuir {27 [405]}, une seconde fois, et
ce fût alors, qu’ayant rencontré le Directeur du Patronat de s. Pierre, il
fût immediatement accepté. Par ces faits, et autres semblables, vous pourrez,
Messieurs, vous faire une idée de la condition de nos patronés. Accueillir
les enfants délaissés et en péril, les instruire dans la Religion, placer les externes chez de bons maîtres pour leur apprendre une profession,
occuper les internes dans les ateliers établis dans notre maison, leur donner
aussi une profession, pour qu’ils soient avec le temps ù même de gagner leur
pain; telle est notre tâche. Je vous dirais encore, que le nombre des externes
est assez considérable, mais que les internes sont encore en petit
nombre, n’étant que 65 seulement. À dire vrai; les demandes d’admission, ne
nous font pas défaut et même celles d’urgence dépassent les deux cents, mais
l’on ne peut les satisfaire que peu à peu, dans l’attente que la Bonté Divine nous fasse arriver les moyens indispensables pour donner le necessaire à ces
chers enfants.
À ce point de mon exposition je dois satisfaire à une autre
question, que vous ne manquerez pas de vous faire à vous mêmes. La petitesse
du local, la quantité des demandes pour admission, les frais des réparations,
et l’agrandissement du local, et de cette chapelle même ou nous nous
trouvons, réclament un édifice plus vaste, et plus élevé, soit pour la
célébration des Saints Mistères, et de l’administration des Sacrements, que
pour {29 [407]} les leçons du Catéchisme, et les sermons des adultes,
au profit des jeunes-gens patronnés, aussi bien que des fidèles du voisinage.
Tout ceci est absolument indispensable au but que nous nous
sommes proposé; Comment donc y suffire, et trouver les fonds nécessaires pour
donner le pain de tous les jours auxjeunes patronnés, leur fournir les habits,
pourvoir au personnel des maîtres et des assistants? Comment encore porter à
son terme les travaux entrepris, et mettre à exécution les indispensables à
commencer? Tout cela n’est que trop vrai; même, je dois ajouter, que pour la
continuation des ouvrages commencés l’on a dû contracter quelques dettes, et
que cette maison même n’est encore payée qu’à moitié, ce qui fait que nous
devons encore cinquante-mille francs à peu près. Malgré cela, Messieurs, j’ajoute
encore, qu’il n’y a pas lieu de s’effrayer. Notre appui, et notre espoir est
dans cette Providence Divine, qui veillant comme une tendre mère, sur toutes
choses, qui pourvoit continuellement aux oiseaux de l’air, aux poissons de la
mer, aux animaux de la terre et au lys des champs, ne manquera pas de venir
en aide à nous qui confions en Elle, a nous qui sommes è ses yeux bien plus
précieux que tous ces êtres matériels et irraisonnables. Plus encore; ce Dieu
même qui a inspiré a vos cœurs bienfaisants le généreux dessein de fonder,
favoriser et soutenir jusqu’a ce jour cette œuvre bénie ne voudrat-il pas
répandre sur vous avec ses grâces, {31 [409]} le courage, la force et les
moyens de la continuer? Bien plus; Ce Dieu qui fit en sorte que sans aucune
ressource on ait pû fonder ailleurs de semblables Instituts, où se trouvent réunis,
logés et nourris quatorze-mille de pes enfants sans le sou d’assuré, ce Dieu
dis-je voudrat-il vous abandonner, vous, qui vous vous êtes proposé d’assister
la classe la plus pauvre et la plus délaissée, pour sauver des âmes en
danger, des âmes pour qui ont été creés le ciel et la terre, et toutes choses
que le ciel et la terre renferment; des âmes pour lesquelles notre adorable
Sauveur a versé tout son Sang précieux?
Non, certaiment non, nul doute, nulle crainte, que l’aide du Ciel
nous fasse défaut. C’est un grand tort que nous ferions a la Divine Bonté, a notre Sainte Religion, et a votre inépuisable charità. Je ne doute done pas
que cette même générosité qui vous a déjà portés à tant de sacrifices pour le
passé, puisse permettre qu’une œuvre aussi heureusement commencée ne soit
couronnée par un succès également heureux.
Cet espoir fondé sur la bonté de vos cœurs, a même un appui bien
plus solide, dans votre religion, qui vous assure une récompense immense,
celle que le bon Dieu tient reservée à ceux qui s’exercent avec amour dans
les œuvres de charité.{33 [411]}
Dieu est riche, d’une richesse et d’une générosité
infinie. Étant riche il nous récompensera largement, pour tout ce que nous
ferons pour lui; Etant Père d’une infinie générosité; il nous payera la
moindre des choses avec abondante mesure. Il a dit dans l’Évangile: Vous ne
donnerez pas un verre d’eau fraiche en mon nom a l’un des plus petits, à un
indigent, sans qu’il n’obtienne la récompense.
L’aumône, nous dit-il encore dans le livre
de Tobie, purifie l’âme des pechés, fait trouver miséricorde en la présence
de Dieu, et conduit à la vie éternelle. Eleemosyna
est quae a morte liberat: purgat peccata, facit invenire misericordiam et
vitam aeternam.”
Parmi les grandes récompenses, il y a aussi
cette promesse solennelle du Divin Sauveur, qu’il regardera comme faite a
Lui-même, toute aumône faite aux malheureux. Si nous voiyons notre bon Jésus
s’en aller mendiant par nos places, et par nos rues, venir frapper a nos
portes, se trouverait-il encore un chrétien qui ne lui offrit généreusement
jusqu’au dernier sou de sa bourse? Cependant le Sauveur est representé dans
la personne des pauvres les plus délaisses. Tout ce que vous ferez aux plus
méprisables, vous le ferez a moi-même, dit-il. Done ce ne sont plus les pauvres
enfants qui nous demandent la charité de l’aumône, éest Jesus lui-même, en leurs
personnes. {35 [413]} Que dirons nous de la récompense exceptionelle que le
bon Dieu nous réserve dans le moment le plus important, et le plus difficile
à l’heure qui sera pour décider de notre vie ou toujours heureuse ou toujours
malheureuse? Lorsque, nous nous presenterons, Messieurs, au tribunal Suprème
du Souverain Juge pour rendre compte des actions de notre vie, ce qu’il nous
rappellera, ne seront pas les maisons que nous aurons baties, les économies
faites, la gloire acquise ou les richesses amassées; il nous dira uniquement;
venez les bénis de mon Père céleste, venez prendre possession du royaume qui
vous a été preparé; car, j’avais faim, et en la personne des pauvres vous m’avez
donné à manger, j’avais soif, et vous m’avez donné à boire, j’etais nu et
vous m’avez habillé; j’etais sans toit et vous m’avez logé. Tunc dicet Rex
his qui a dextris ejus erunt: Venite, benedicti Patris mei, possidete paratum
vobis regnum a constitutione mundi. Esurivi enim et dedistis mihi manducare;
sitivi et dedistis mihi bibere; hospes eram et collegistis me; nudus et
cooperuistis me. (Math. c. 25, vers. 54-56).
Ces mots consolants et autres semblables, tels qu’ils sont écrits
dans l’Èvangile seront prononcés en ce dernier jour par le Juge Souverain.
Ensuite il bénira les âmes charitables, et les introduira dans la
bienheureuse posséssion de la vie éternelle.
Pourtant, Dieu qui est un si bon Père, et
qui {37 [415]} connait que si l’esprit est prompt, notre chaire est bien
faible, veut encore promettre à notre charité le centuple, même en cette vie.
Observez Messieurs comment le bon Dieu, nous le donne en maintes occasions, même
sur cette terre. Il nous le donne dans les faveurs spéciales pour bien vivre,
et bien mourir; il nous l’accorde dans la fertilité des champs, dans la paix
et la concorde des familles, dans le succès des affaires temporelles; la
santé des parents et amis, la conservation et la bonne éducation des enfants.
Le plaisir que l’on éprouve dans l’exercice d’une bonne action, est aussi une
récompense de la charité chrétienne. N’est-il pas d’une grande consolation la
pensée, qu’avec une faible aumône on contribue à dominer des êtres pervers et
dangereux à la société, pour les changer en hommes, utiles à eux mêmes, à
leur prochain, et à la Religion? Êtres qui seraient sur le point de devenir
les rebelles aux autorités, les infracteurs des lois, marchant sur la pente
fa tale qui les conduit aux crimes, et à la prison; pour les reduire à être
l’honneur de l’humanité en travaillant, et avec le travail être a même de
gagner honnêtement leur vie, faisant ainsi l’orgueil des lieux qu’ils
habitent, et des familles à qui ils appartiennent?
À toutes ces récompenses que Dieu accorde dans la vie présente,
et dans celle à venir, il faut y ajouter encore, celle, que les beneficiés
doivent a leurs bienfaiteurs. Oui Messieurs nous ne voulons {39 [417]} pas
vous priver de cette récompense qui est en notre plein pouvoir. Chaque
Ecclésiastique soit Prêtre ou clerc tous les jeune-gens recueillis et élevés
dans les maisons de la Congrégation Salésienne, et spécialement ceux du Patronage de S. Pierre, adresseront matin et soir au Ciel des prières particulières pour leurs
Bienfaiteurs. Matin et soir, vos patronnés, par des prières spéciales
appelleront les bénédictions divines, sur vous, sur vos parents, sur vos
amis. Ils prieront le Seigneur de conserver la paix, et la concorde dans vos
familles; de vous accorder une santé durable et un vie heureuse, qu’il éloigne
de vous tous les malheurs, qui peuvent menacer vos âmes et vos corps; qu’il
veuille enfin couronner ses récompenses par le don précieux de la persévérance
dans la voie du bien, pour obtenir la dernière des grâces, et quand il plaira
au bon Dieu de vous l’envoyer, la grâce de la mort des justes.
Quant à nous si dans le cours de cette vie mortelle, nous aurons
à vous rencontrer dans les rues de cette ville, ou dans n’importe quel autre
lieu, oh oui, alors, Messieurs, nous nous rappellerons avec bonheur des
bienfaits reçus et nous découvrirons respécteusement nos têtes, pour vous témoigner
notre reconnaissance sur la terre, tandis que le bon Dieu vous donnera pour
toujours la récompense des justes dans le Ciel pour l’éternité. Centuplum
accipietis et vitam aeternam possidebitis. {41 [419]} Le discours terminé,
quelques-uns des Invités jugèrent à propos d’ouvrir au moment même une quête
en faveur de l’œuvre. Les invités n’étaient pas nombreux, à cause des étroits
limites du lieu, et parmi eux presque tous étant du nombre des bienfaiteurs
on avait pensé de ne pas l’annoncer; cependant la quête sans préalable
invitation, produisit une somme de quinze cents francs environs.
Après les fonctions de l’Église, on passa à la visite de plusieurs
objets exposés dans une autre salle pour en faire une loterie au profit des
enfants du Patronage. Lorsque l’on a appris que cette loterie etait destinée
a fournir du pain aux enfants de l’œuvre, l’empressement à y prendre les
billets fut général.
Ainsi, nous eûmes le bonheur d’avoir à
remercier une fois de plus les personnes charitables qui avaient pris part à
la fête, et un motif encore, à nous montrer de plus en plus reconnaissants à la Divine Bonté, qui en maintes manières à chaque instant nous fournit de nouvelles occasions de
le louer, et de le benir à present, et pour tous les siècles. {43 [421]}
Plusieurs fois j’ai été invité a exprimer verbalement, ou par eécrit
quelques penseées touchant le Système qu’on appelle Préventif, adopté dans
nos établissements. Le temps jusqu’ici m’a toujours manqué. Voulant
satisfaire à cette demande je me borne pour le moment à toucher quelques
points qui ne sont qu’un sommaire de ce que je désire publier dans un petit
ouvrage à part, si le bon Dieu me le permet, pour venir en aide à ceux qui
ont entrepris la tâche si difficile de l’éducation de la jeunesse. Je dirais
en quoi consiste le Système Préventif, et pourquoi on doit le préférer; son
application pratique et ses avantages.
Deux sont les systèmes dont on s’est
toujours servi pour l’éducation de la jeunesse, le Système Préventif et le
Système Répressif. Le Système {45 [423]} Répressif a
pour base le principe, de faire préalablement bien connaître aux dépendants
les réglements qui les concernent, ensuite les surveiller avec rigueur, être
à même de connaitre les transgresseurs, et aux cas échéants, leur faire subir
les consequences de la violation de la loi par les châtiments qu’ils ont mérité.
Dans ce Système, les discours et les déhors du Superieur doivent être sévères,
même menaçants; et lui-même doit éviter toute familiarité avec ceux qui lui
sont sujets.
Le Directeur pour donner plus de poids à son autorité, doit bien rarement
se trouver en contact avec eux; et pour l’ordinaire, alors seulement qu’il s’agit
de menacer ou de punir. Ce Système et facile, et moins pénible, et il est spécialement
utile dans les casermes militaires, et en général pour les adultes qui sont capables
de bien connaître ce qui est conforme à la loi, et a ses prescriptions.
Le Système Préventif est de toute autre nature, il est même le revers
du Système Répressif. Son but, est aussi de faire bien connaître les prescriptions
et les réglements de la maison d’éducation, mais sa surveillance est dirigée
à empécher préalablement les transgressions, plutôt qu’à les punir. Le
Directeur tâchera que les enfants commis a sa garde, ne soient jamais séparés
des assistants. Ceux-ci vivant toujours au milieu d’eux sont commes des véritables
pères qui ne les quittent {47 [425]} jamais, s’entretiennent familièrement
avec eux, ils se font leurs guides en toute circonstance en les conseillant,
et même les corrigeant, ce qui est à proprement dire le véritable moyen d’éloigner
des enfants la facilité de commettre des fautes.
Ce Système entièrement appuyé sur le raisonnement, la Religion, et la Charité, s’abstient des châtiments, même légers. Je le crois de beaucoup préférable
au Système répressif pour les motifs suiyants.
I. L’Élève préalablement averti, ne se trouve point humilié par les
fautes qu’il peut commettre, connaissant par expérience la bonté du Supérieur,
auquel ces fautes ne sont pas rapportées comme à un Juge. Le coupable averti
à l’instant ne se cabre point contre la correction, ni contre la punition qui
peut lui être infligée, parce que et l’une et l’autre sont accompagnées par
un avis bienveillant, qui ordinairement finit par gagner le cœur de l’enfant
au point de le persuader de la justice du châtiment, a le lui faire presque désirer.
II. Un second motif essentiel se rencontre dans le caractère
mobile de la jeunesse, qui d’un moment à l’autre oubliant facilement les réglements
disciplinaires et les sanctions pénales, fait que l’enfant bien souvent se
fait transgresseur d’une loi qui n’est plus présente a son esprit, s’expose à
une punition, echappée à sa memoire, deux choses, qui ne lui seraient point
arrivées, si la voix d’un ami, lui en eut fait mention. {49 [427]} III. Le
Système répressif pourra bien empécher quelques désordres mais difficilement
il corrigera les coupables; et l’on a remarqué certains enfants n’oubliant
jamais les châtiments reçus, conservant le plus souvent de l’amertume avec désir
de secouer le joug, quelque fois même de se venger. Il semble parfois qu’ils
n’y fassent pas grand cas, mais en les suivant de près, l’on vient à reconnaître
que bien des fois les souvenirs de la jeunesse sont terribles. Ils oublient
aisément les punitions des parents, mais très difficilement celles qui leurs
viennent des Instituteurs. À l’appui de ce que j’avance, j’aurais bien des
faits à vous raconter de certains enfants qui châtiés même justement, ont différé
jusqu’à un âge avancé l’accomplissement d’une brutale vengeance.
Dans le Système Préventif il n’y a pas cet écueil. Le Supérieur
est l’ami de ses élèves, qui reconnaissent en lui l’homme qui les dirige à la
vertu, dont le seul but est celui de les rendre meilleurs, en les éloignant
des chagrins, des punitions, et du déshonneur.
IV. Le Système Préventif fait que les Élèves s’affectionnent de
plus en plus à leur Instituteur; ce qui le rend maître de leur cœur, si bien
qu’il pourra toujours leur parler ce langage de sincère ami soit dans le
cours de l’éducation, comme quand il aura à les conseiller sur la voie à
suivre dans le monde. Cet empire bienveillant ne manquera son effet, et les
bons conseils de l’Instituteur {51 [429]} pourront les suivre avec grand
avantage dans le choix d’une carrière et dans les différents emplois de la vie
civile ou commerciale. Voilà messieurs pourquoi je pense que le Système Préventif
soit préférable au Système Répressif.
La cléf de ce Système est tout entière dans les mots de S. Paul Charitas
benigna est, patiens est, omnia suffert, omnia sperat omnia sustinet. La
charité est affable, est patiente; elle souffre tout, elle espère tout, et
elle supporte tout. Par cela même le seul véritable Chrétien peut avec succès
faire l’application de ce Système. La Religion, et le Raisonnement sont les deux instruments dont l’Istituteur doit constamment se servir; les apprendre
aux Élèves, les pratiquer lui-même, c’est l’unique moyen d’être obéi par eux,
le seul pour atteindre son but.
I. Le Directeur doit se sacrifier en tout pour ses Élèves; il ne doit
jamais accepter des emplois qui l’éloignent de son devoir; de plus il doit se
trouver au milieu d’eux, toutes les fois qu’ils ne sont pas occupés par les
devoirs d’obligation; à moins qu’ils ne soient surveillés par les assistants.
II. Les maîtres, les chefs d’atelier, les assistants doivent être
des personnes irréprochables en ce qui regarde les mœurs. L’égarement d’un
seul {53 [431]} pourrait compromettre toute une institution. IL faut en
conséquence, veiller à ce que les enfants ne soient jamais seuls. Autant que
possible les assistants les précéderont à l’endroit où ils doivent se réunir,
s’entretiendront avec eux jusqu’à ce qu’ils soient remplaces par d’autres
assistants, et ils ne les laisseront jamais dans l’oisiveté.
III. Pleins pouvoirs soient donnés de jouer, sautiller, courir,
et criarder. La gymnastique, la musique, la déclamation, le petit théatre et
les promenades sont des moyens très-puissants pour conserver la discipline,
la moralité, et la santé. Il faut seulement faire bien attention, qu’il n’y
ait rien à dire sur les divertissements, sur les personnes qui y prennent
part, et sur les discours que l’on y tient. Saint Philippe de Néri, le grand
ami de la jeunesse disait à ce propos; faites ce que vous voulez; il me
suffit que vous ne commettiez aucun péché.
IV. La fréquentation de la confession, et de
la Communion, la Messe tous les jours sont les colonnes qui doivent soutenir
l’édifice de toute éducation, si l’on veut y bannir les menaces, et les
punitions. Il ne faut pas cependant jamais employer la contrainte, mais il
faut leur en donner la facilité. À l’occasion des retraites triduums,
neuvaines, prédications, et catéchismes, on doit s’efforcer de leur faire
comprendre la beauté, la grandeur, et la Sainteté de cette religion, qui nous offre des moyens de salut si pratiques, et {55 [433]} si utiles à la Société, à la paix du cœur, au salut de l’âme, tels que les Saints Sacrements. Par cela les
enfants accepteront spontanément et fréquenteront de grand cœur les exercices
de piété (1).
V. Il est essentiel de bien veiller à ce que jamais ne s’introduisent
dans la maison des livres mauvais, ou des personnes qui y fassent des mauvais
discours. Le choix d’un ben portier, est un trésor pour une Maison d’éducation.
VI. Chaque soir après la prière, et avant que {57 [435]} les élèves
aillent se coucher, le Directeur, ou celui qui le remplace, adressera aux
enfants quelques paroles affectueuses, leur donnant des conseils touchant le
bien qui est à faire, ou le mal qui est à fuir; et il aura soin de faire de
la moralité pratique sur les événements qui se sont passes dans la journée,
ou dans l’intérieur de l’établissement ou au dehors; il doit cependant être
court, et ne jamais dépasser les deux ou trois minutes. Voici messieurs la
clef de la moralité, du progrès, et du bon succès de l’éducation.
VII. Il faut fuir comme pestilentielle l’opinion
de quelques uns qui voudraient renvoyer la première communion a un âge trop
avancé, lorsque le plus souvent le Démon a déjà flétri le cœur d’un enfant,
au préjudice incalculable de son innocence. Dans la primitive Église on avait
coutume, de donner aux enfants les Hosties consacrées qui restaient de la Communion Pascale; d’où nous pouvons conclure à quel point l’Église désire que les enfants
soient admis de bonne heure à la Sainte Communion. Lorsqu’un enfant est capable de distinguer entre Pain, et Pain, et qu’il possède une instruction suffisante,
il ne faut pas avoir égard à l’âge, mais faire en sorte que le Roi des cieux,
vienne régner dans cette âme innocente.
VIII. Les catéchismes recommandent la Communion fréquente. Saint Philippe de Néri, conseillait qu’on la fit chaque semaine, et même
plus souvent. {59 [437]}
Le Concile de Trente, dit clairement qu’il
est à désirer que chaque fidele en assistant a la Messe fasse aussi la Communion. Cette Communion, ne doit pas être seulement Spirituelle, mais
Sacramentelle, afin de pouvoir retirer en abondance les fruits de cet auguste,
et divin Sacrement. (Conc. Trid. Sess. XXII, Cap. VI).
On pourra objecter que ce Système est difficile en pratique.
Quant aux élèves, il est plus facile, plus satisfaisant et plus avantageux.
Les maîtres y rencontreront des difficultés, que cependant ils peuvent
diminuer, s’ils se mettent à l’œuvre avec zèle. Le maître doit être
absolument dévoué au bien de ses élèves; il doit être prêt à affronter tous
les dérangements, et tous les travaux pour arriver à son but, l’éducation
complète de ses élèves.
Aux avantages ci dessus exposés, il faut ajouter encore que:
I. L’élève sera toujours l’ami du maître et se rappellera toute sa
vie avec bonheur la direction qu’il a reçue; il verra des pères et des frères
dans les maîtres et dans les autres supérieurs. Ces élèves sont pour la
plupart, en quelque endroit qu’ils aillent, la consolation de la famille, des
citoyens utiles et des bons chrétiens. {61 [439]}
II. Quel que soit le caractère, le naturel, l’état moral d’un
élève à l’époque de son entrée dans la maison, les parents peuvent être bien
sûrs que leur enfant ne tombera point en pire état, et on peut leur affirmer
qu’il y aura toujours quelque changement en bien. De plus, certains enfants
qui longtemps ont été le fléau de leurs parents, qui même ont été repoussés des
maisons de correction, cultivés suivant ces principes, ont changé d’inclinations
et de caractère, ce sont rangés à une vie réglée, et maintenant occupent des
places honorables dans la société, ou ils sont devenus les soutiens de leur
famille, et même l’honneur du pays qu’ils habitent.
III. Les enfants ne peuvent pas se nuire les uns les autres; et si
par malheur il s’en trouvait quelqu’un avec des mauvaises habitudes, il ne
pourrait pas faire du mal a ses camarades. Ceux-ci ne pourront pas être gâtés;
car l’assistant étant toujours présent, il n’y aura ni le temps, ni l’endroit,
ni l’occasion favorable au génie du mal.
Quelle régle doit-on suivre pour donner les punitions? Tant qu’il est
possible il faut s’abstenir de châtier; lorsque la nécessité obligerait à réprimer
quelque désordre, il est nécessaire de rappeler ce qui suit: {63 [441]} I. Le
maître doit tâcher de se faire aimer par les élèves, s’il veut qu’on le
respecte. En ce cas une reserve d’apparence moins amicale est un châtiment,
mais un châtiment qui excite l’émulation, fait courage et n’humilie jamais.
II. Pour les enfants tout peut servir de punition. On a observé qu’un
regard sévère produit sur quelques uns plus d’effet qu’un soufflet. Les
louanges, lorsqu’une chose est bien faite, le blâme, lorsqu’il-y-a de la négligeance,
sont déjà des récompenses et des punitions.
III. Quelque cas extraordinaire excepté, les corrections, les châtiments
ne doivent jamais se donner en public, mais en particulier, loin des compagnons,
et surtout avec beaucoup de prudence et de patience pour que l’enfant puisse
comprendre son tort par le moyen de la raison et de la religion.
IV. Le Directeur doit faire bien connaître les règles, les récompenses
et les punitions établies par les lois de la discipline, afin que l’enfant ne
puisse pas s’excuser en disant: Je ne savais pas que cela fût défendu.
Je crois que les Instituts, qui mettront en pratique ce Système pourront
obtenir de grands avantages, sans recourir aux châtiments violents. Il y a
environ quarante ans que je suis au milieu de la jeunesse et je ne me
rappelle pas d’avoir donné des punitions, et avec l’aide de Dieu j’ai
toujours obtenu, non seulement ce qui était d’obligation, mais cela même que
je désirais simplement, et je l’ai obtenu de ces enfants dont on avait perdu
toute esperance sur leur avenir. {65 [443]}
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