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  San Giovanni Bosco - Opere Edite.

IL GALANTUOMO. ALMANACCO NAZIONALE PEL 1855

coll’aggiunta di varie utili curiosità. Anno II.

 

Torino, 1854

Tipografia dir. da P. De-Agostini

Via della Zecca, N. 25. {1 [1]} {2 [2]}

 

[è premesso alle opere ristampate solo parzialmente; è premesso agli scritti attribuiti o attribuibili a Don Bosco]

 

 

 

 

 

INDEX

Il galantuomo a' suoi amici 2

Ricette  2

Per bevanda suppletiva al. vino bianco  2

Altra. 3

Ricetta per levar macchie dagli abiti. 4

Per macchie d’olio o grassume. 4

Per grasso della testa agli abiti. 4

Se la macchia è del grasso delle ruote delle vetture e dei carri. 4

Per dar il lucente al panno e drizzarne il pelo. 4

Altra per togliere il grasso agli abiti. 4

Dialogo intorno alla sacramental confessione  4

Indice  9

 


Il galantuomo a' suoi amici

 

            Sono ancor vivo; sono ancor vivo. Che trista annata ho dovuto passare! Ascoltate, amici, le mie sciagure, ma godete meco, che nelle sciagure non fui senza conforto, e come dopo gl'infortuni siami succeduta sorte migliore. Alla metà dell’anno rimasi privo di lavoro, privo di danaro, carico di debiti. Non potendo più fare alcuna risorsa in città, mi son dato a lavorare in campagna; mia moglie seguì il mio esempio, e così ho potuto sostentare i miei poveri ragazzi. Ma, lo credereste? La miseria fu il minore de' miei mali. Appena scoppiò quel male terribile, che chiamano cholera-morbus, parecchie famiglie che dimoravano vicino a me, ne furono orribilmente colpite. Dieci miei amici, {3 [3]} di mia età (io ho 40 anni), sani e robusti ne furono vittima: oh! che morte spaventosa fecero mai! Vomiti, dissenteria, granfi alle braccia e alle gambe, mal di capo, oppressione di stomaco, mancanza di respiro ... avevano gli occhi affondati, livida la faccia, gemevano, e si dibattevano; insomma in quegl’infelici ho veduto tutto il male che un uomo può patire senza morire. Se si fossero lasciati portare al lazzaretto, forse non sarebbero morti: ma non ci vollero mai acconsentire, perchè erano imbevuti della falsa idea, che colà loro venisse data una caraffina bianca per farli morire; e intanto morirono senza caraffina. Poveri amici, requiescant in pace. Mi consola però che sono morti da buoni cristiani, e spero che saranno in cielo con Dio.

            Mentre io credeva di avere ormai passata la burrasca, e quasi voleva cantare alleluia, il temporole cadde terribilmente sopra di me e sopra la mia famiglia. Mia moglie fu colpita da quel malore, e in un giorno dovette soccombere al fulminante flagello. Due giorni dopo {4 [4]} fu colta mia figlia, che poco dopo morì; era in età di 14 anni. Mio figlio maggiore sopravvisse un solo giorno. Spaventalo da tali sventure, mi sono determinato di recarmi altrove, e colà stabilire la mia dimora. Ma che? la notte precedente alla mia partenza io ed un mio ragazzo fummo colpiti dal colera; e poiché in casa mia non eravi che miseria, fummo ambidue portati al lazzaretto. Colà non mi fu risparmiata cura e diligenza; io sono guarito, mio figlio andò all'altro mondo.

            In quei momenti fatali la Divina Provvidenza venne in mio soccorso. Il sindaco della città fece ricoverare due miei superstiti ragazzi, che spero presto poter ritirare in casa mia; alcuni pii signori della società di S. Vincenzo di Paola mi hanno con assiduità assistito. Più volte essi mi portarono danaro, lenzuola e coperte; al presente ancora mi portano un biglietto per carne, due per pane in ciascuna settimana. Insomma la carità delle persone publiche e private, dopo Dio, mi hanno salvata la vita. Il {5 [5]} cielo sia loro propizio, e tutti li difenda dal cholera-morbus.

            Io intanto ho pensato di mettere testa a partito, e pensare un po' più seriamente all’anima mia; perciò non istupitevi, miei cari amici, se in questo anno lascierò a parte alcune minchionerie e parlerò più assennato.

            Ho fatto una raccolta di notizie e di varii aneddoti, i quali leggendo, spero che potrete ritrarre molto vantaggio per voi e per le vostre famiglie. Il Cielo ci sia propizio, ci scampi dai pericoli, e ci doni tempi migliori; l'anno venturo, se avrò ancor vita, ritornerò a farvi una visita. {6 [6]} {7 [7]}

 

 

Ricette

Per bevanda suppletiva al. vino bianco

 

Acqua

brente 1 00

Zibibbo sano

chil. 5 00

Zuccaro grasso

» 1 75

Cremor di tartaro

» 0 16

 

            Si pesti fino il zibibbo in mortaio pulito, quindi si getta il tutto nell'acqua: si rimescola per 8 giorni circa a botte chiusa, 2 volte al dì: e dopo altri 10 dì s'imbottiglia e si adopera. Esso rassomiglierà al vino debole, ma avrà sapore brillante.

            Riguardo al zuccaro, se l'userai candido, il vino così fatto non avrà colore, ma se invece userai zuccaro rosso, il liquore resterà color d'oro. Potresti ancora mettere a metà di zuccaro candido, e di rosso, così il colore resterà più simile a quel del vino.

 

            Tre altre ricelle parimente sane e più economiche.

 

Fior di tiglio per

soldi 1.

Fiori di viole per

» {52 [8]}

Fiori di sambuco per

soldi 1.

Coriandri ben pesti per

» 2

Chilogr. 1 di zuccaro rosso

 

Mezzo litro d'acelo buono

 

20 litri d'acqua

 

 

            Si agita tutto insieme per 6 dì, quindi si cola sopra una tela, e si continua così a colarlo per altri 6 giorni.

            - In un vaso di terra cotta o in un bariletto con coperchio e spillo (robinetto), in fondo mettete 10 litri d'acqua, una libbra e mezza di zuccaro rosso e un bicchiere e mezzo di buon aceto bianco ed un abbondante pizzico di fiori secchi di sambuco. Rimescolate una volta per giorno, fìnattantochè non sia cominciata la fermentazione, la quale si conoscerà da una superficie o cordone di schiuma sul liquido. - Lasciate chiarire il liquido e ponetelo in bottiglie di vetro o di terra (cruche), e lasciatele diritte e non coricate pel maggiore consumo.

            Onesta bevanda si fa in 4 o 5 giorni d'estate, ed in 8 o 15 d'inverno, secondochè il locale è più o meno temperato. {53 [9]}

 

Altra.

 

            Abbiate un barile contenente cento, o centoventi bottiglie (circa due brente) e sia pulito e senza cattivo odore.

            Fate germogliare al caldo di una stufa tre libbre di segala in grana, bagnandola di tempo in tempo con acqua tiepida.

            Mettete poi questa segala germogliata nel vostro barile, e mettetevi pure quindici altre libbre di segala macinata alquanto fina colla sua crusca. Potete adoperare un cornetto di carta per introdurre la segala nel barile. Chiudetelo ed agitatelo e ponetelo in tenetelo in luogo piuttosto caldo ed asciutto. Di sei in sei ore versate la stessa quantità d'acqua calda nel barile ed agitatelo. Empito questo, lasciatelo fermo per 21 ore. Dopo questo rimescolate di 10 in 10 ore o di 12 in 12, cioè due o tre volte al dì, il liquido con un bastone pulito e forte. Continuate a far ciò per otto giorni. Quindi lasciatelo tranquillo per cinque giorni, onde si chiarisca. Il liquido avrà ancora qualche colore lattiginoso, {54 [10]} ma si spilli dal primo barile in un altro in guisa che la mescolanza del fondo non si agiti, ed è bene di fare perciò il buco dello spillo presso il terzo del barile. Lasciate quindi il liquido nel secondo barile, finché sia fermentato del tutto e chiaro. Poi riponetelo in bottiglie di vetro o di terra.

            Questa bevanda si migliora di più se nel tempo della fermentazione le si aggiunge un po' di zuccaro e dell'erba cedrina (limonaria), o qualche altro aroma. - La mescolanza che rimane in fondo al primo barile, può, se si vuole, servire con qualche nuova aggiunta di segala in grana ed in farina (come prima si è detto), per comporre di nuovo la stessa bevanda. Poi è cibo gradito agli animali.

            La detta bevanda e il famoso quass, che ha giovato ad innumerevoli persone in altri paesi, e fra queste ai prigionieri francesi in Russia, come attesta il Perey[1], e costa assai poco. {55 [11]}

 

Ricetta per levar macchie dagli abiti.

 

            Per macchie ordinarie, cioè che non siano, p. e., d'olio, di grassume, o del grasso delle ruote, basta prendere spirito di vino, e con esso inzuppare un pezzettin di panno, e fregarne ben bene la macchia che sparirà. - Così pure si farà per levare le gocce di cera cadute sopra gli abiti.

 

Per macchie d’olio o grassume.

 

            Prendi ammoniaca liquida, e versane alcune gocce sopra un quartino d'acqua, e vedrai l'acqua imbiancarsi un poco: allora bagna il dito nell'acqua e gusta, se pizzica alquanto la lingua, la preparazione è fatta. - Lava bene in essa e la macchia partirà.

 

Per grasso della testa agli abiti.

 

            Prendi acqua ragia ed inzuppa quel grasso; quindi cuopri tutta l'acqua ragia con terra di pippa ben polverizzata, lasciala per 24 ore; poi scuoti e spazza. {56 [12]}

 

Se la macchia è del grasso delle ruote delle vetture e dei carri.

 

            Cuopri tal macchia con burro fresco, frega come se il burro fosse sapone o fosse fango. - Dopo ficca nella cruscata bollente e lava lì dentro, che partirà.

 

Per dar il lucente al panno e drizzarne il pelo.

 

            Prendi la mollica di una pagnotta fresca di forno, e frega a seconda del pelo. - Se aveva perduto la lucentezza, la riacquisterà.

 

Altra per togliere il grasso agli abiti.

 

            Prendi il tuorlo (il rosso) d'un uovo, si faccia ben passare colla mano e colla setola su tutto il grassume, e poi si pulisca nell'acqua.

 

An. II, Il Galant {57 [13]}

 

 

Dialogo intorno alla sacramental confessione

 

            Battista. Buon dì, caro Toniuzzo.

            Toniuzzo. Lasciami stare, ho il malanno addosso.

            Batt. Che è?

            Ton. Nulla sarebbe ... ma il colera ... io non ci credeva, dicendo che il colera io l'aveva già nella scarsella, perchè sempre vuota di danari ... ora però che ho veduto morire due de' miei compagni, i più robusti che io conoscessi, comincio a pensarci, e mi arrabbio di paura ... ah colera mal ...

            Batt. Peggio abbandonarsi all'affanno ... ci vuole temperanza, polizìa, e sovratutto tranquillità d'animo; questo è il più eccellente preservativo.

            Ton. Fa bel dire tranquillità d'animo, ma quando non si può avere?

            Batt. E la cercasti tu mai?

            Ton. Se sapessi dove ... io me la procurerei a qualunque costo, poiché alla fin fine tu mi fai invidia con quel tuo {101 [15]} aspetto così calmo ... ed io ... mi divago ... fo di tutto, ma è inutile ... ho il malanno qui dentro che pare un demonio ...

            Batt. Ho tutto inteso, mio caro, tu non ti trovi bene in fatto di coscienza, io invece, essendomi andato a confessare, mi sono tolto ogni peso, e posso starmi tranquillo.

            Ton. Che ha da fare il colera colla confessione? Quelli che si confessano, non muoiono forse più del colera?

            Batt. Sì, possono morire come gli altri, ma almeno potranno gettarsi in braccio della misericordia divina e morir rassegnati, e questo è già un gran bene; ma bisogna dire che chi si confessa bene, non provando più un crudele rimorso che lo lacera, rimane più tranquillo, ed eccolo più sicuro di non incontrare il colera. Vatti a confessare anche tu, e vedrai ...

            Ton. Io confessarmi? Oibò ... ci andava una volta, e veramente non provava tante furie dentro di me ... Ma mi hanno poi detto che la confessione era {102 [16]} stata inventata dai preti ... e moltissime altre storie ... ed io non ne ho più voluto sapere.

            Batt. Tutt'altro, la confessione è di istituzione divina, ed è strettamente necessaria per ottenere il perdono dei peccati. Non vi ha sacramento che mostri maggiormente la misericordia di Dio.

            Quindi fa proprio compassione veder cristiani così ignoranti o maligni che deridono o calunniano ciò che non conoscono, e di cui hanno estremo bisogno.

            Ton. Io però non sono di quelli che vogliono calunniare la confessione; soltanto vorrei accertarmi bene che Gesù Cristo l’abbia istituita, e che d'allora in poi sempre sia stata in uso. Tu che vai alle istruzioni della parrocchia, mi sapresti dir qualche cosa da buon amico?

            Batt. Te ne potrei dire moltissime e del tutto convincenti, che ho udite dal mio buon curato. Quella è la scuola per imparare le verità, premunirsi dagli errori e conoscere i proprii doveri! Alla fin fine chi ascolta i suoi {103 [17]} legittimi pastori, ascolta Iddio medesimo. Non così chi impara la religione da scritti empi e bugiardi. Ma veniamo al nostro proposito. Tu vorresti in primo luogo qualche prova intorno all'istituzione del sacramento della penitenza?

            Ton. Senza dubbio, anzi la vorrei dalla Scrittura.

            Batt. Eccola: basta aprire il Vangelo di S. Giovanni al capo 20 per trovarvi queste chiarissime parole: Gesù Cristo, dopo la sua risurrezione comparso agli Apostoli, disse loro: Pace a voi. Come mandò me il Padre, anch'io mando voi, e detto questo soffiò sopra di essi, e disse: ricevete lo Spirito Santo: saran rimessi i peccati a chi li rimetterete; e saran ritenuti a chi li riterrete. Queste parole vanno d'accordo con quelle che aveva già dette altra volta a S. Pietro concedendogli il primato della sua Chiesa. A te darò le chiavi del regno de' cieli: e qualunque cosa avrai legata sopra la terra, sarà legata anche ne' cieli: e qualunque cosa avrai sciolta sopra la terra, sarà sciolta anche ne' cieli. Qui {104 [18]} si vede affidata al sacerdozio, che cominciando dagli Apostoli durerà fino alla fine del mondo, il potere di assolvere dai peccati colla facoltà delle chiavi, epperò chiunque abbia peccato, abbisogna del loro ministero.

            Ton. Ebbene, basterà presentarsi al ministro di Dio, ed egli ci dovrà assolvere senz'altro.

            Batt. Ma, caro mio, affinchè il sacerdote possa giudicare se deve assolverci o no, secondo il potere ricevuto e le intenzioni di Cristo, ha bisogno di conoscere lo stato della nostra coscienza; e chi glielo potrà manifestare se non il penitente medesimo con una sincera manifestazione delle colpe?

            Ton. Hai ragione: siccome niun giudice può dar sentenza senza cognizione di causa, così nel tribunale della penitenza. Ma vi è poi sempre stato l'uso di confessarsi?

            Batt. Sì certamente. Gli Apostoli erano oltremodo fedeli e zelanti a far praticare tutte le cose ordinate da Gesù Cristo, e quindi anche la confessione secondo {105 [19]} il bisogno, e il popolo cristiano non trascurava all'uopo questo efficacissimo mezzo. Dai primi secoli del cristianesimo si vede la confessione dei peccati, sia segreta, sia pubblica, fatta al sacerdote e susseguita dalla sacramentale assoluzione come la condizione necessaria del perdono. Sempre e dovunque la si vede praticata come istituzione divina. In ogni secolo i Padri ne hanno parlato con termini precisi. Furonci conservati dalle storie finanche i nomi di alcuni confessori di Monarchi. Si trova che vi avevano sacerdoti destinati ad udir le confessioni dei militari, e che alcuni Vescovi per troppa calca di penitenti li rimettevano ai religiosi insigniti del sacerdozio. Questi e mille altri documenti mostrano a sufficienza che sempre nella Chiesa fu praticata la sacramental confessione; per modo che gli eretici e scismatici dell'Oriente, che si separarono dalla vera Chiesa già da tanto tempo, conservarono anch'essi la Confessione come sacramento istituito da Gesù Cristo e conosciuto e praticato fino allora. Oh! {106 [20]} metti un po' , che la confessione fosse invenzione de' preti; possibile, che niuno dei fedeli d'allora, o, quel ch'è più, dei nemici della religione avesse richiamato?

            Ton. Ho capito la forza di queste ragioni; ma dove adunque sono andati i confessionali antichi di quei primi tempi?

            Batt. Nelle catacombe di Roma se ne ritrovarono alcuni, ma quand'anche niun confessionale di quel tempo ci sia rimasto, che importa? Quando erano vecchi e tarlati, si distruggevano rimpiazzandoli con altri nuovi, come si fa anche al presente. Ma tale difficoltà è una vera facezia.

            Ton. L'aveva proposta appunto per facezia, onde cacciare il mio malumore, ora però non mi puoi negare che la confessione è una cosa troppo umiliante.

            Batt. Fino ad un certo punto è umiliante, lo vedo anch'io, ma ella è rimedio dei peccati, e i peccati hanno la loro origine dalla superbia. Anche per guarire i mali del corpo si usano dei rimedi amari e delle incisioni dolorose. Chi ha peccato non deve {107 [21]} guardarla tanto nel sottile, purché ad ogni costo giunga a riconciliarsi con Dio. Egli è l'offeso, e il penitente deve da lui prendere la legge senza occuparsi della maggiore o minore gravezza di questa istituzione. Bisogna però dire che tale umiliazione diviene così dolce, così consolante, così vantaggiosa, che fa vincere facilmente ogni ripugnanza: dirò di più, diviene un atto glorioso, perchè atto di giustizia degno della compiacenza di Dio e di tutto il paradiso. Quella tanta umiliazione poi che si va esagerando, in che consiste?

            Ton. Te lo dirò subito ... Quel dover dipendere da un altr'uomo in quanto al perdono dei peccati, quel ricorrere a lui, inginocchiarsegli davanti, manifestargli i nostri affari più segreti ... tutto questo lo conti forse per nulla ... .io mi ci sento ribrezzo.

            Batt. Hai torto, mio caro, a sentire tal ribrezzo. Tieni a mente prima di tutto che, non essendovi altro mezzo a cui appigliarci per riacquistare l'amicizia di Dio e l'eterna salvezza che {108 [22]} questo della confessione, rimane inutile scandagliar tanto le difficoltà suggerite solo dall'amor proprio. Del resto non è poi gran cosa dipendere da un altro uomo in ciò che gli spetta, non dipendi forse dall'avvocato quando si tratta di liti; dal medico quando sei ammalato? dal sarto quando hai bisogno di un vestito? dal calzolaio quando vuoi delle scarpe? Gli uomini dipendono gli uni dagli altri a vicenda, perchè appunto hanno bisogno gli uni degli altri a vicenda. Ti pesa poi tanto dipendere dai sacerdoti nelle cose del loro ministero? Anzi l'istituzione della Confessione in questo modo è un tratto della misericordia divina. Chi oserebbe mai presentarsi p. e. ad un angelo creatura così santa? Al contrario l'uomo confessore essendo anch'egli circondato d'infermità sa pure compatire l'infermità altrui, persuaso d'esser lui capace di peggio, se il Signore l'abbandonasse. E non sai che i confessori essendo essi i rappresentanti di Dio e i dispensatori delle sue grazie, tu alla fin dei {109 [23]} conti dipendi da Dio, e domandi loro un benefizio che non essi, ma Gesù Cristo ti procurò coi meriti del suo sangue, e di cui i sacerdoti medesimi alla loro volta hanno bisogno come gli altri?

            Ton. Questo mi piace; quelli che confessano gli altri, si confessano essi pure, la legge è giusta per tutti. Ma qui mi si presenta una difficolta. Se è indispensabile il ministero dei sacerdoti, dunque chi morisse senza aver potuto far venire un confessore dovrebbe andar dannato ...

            Batt. Niuno ha mai detto questo. Nel caso che uno non si potesse confessare per mancanza di sacerdoti, allora supplirebbe al bisogno la contrizione perfetta col sincero desiderio di confessarsi. Iddio, che non vuole la perdizione delle anime, tien conto di quella buona volontà ...

            Ton. Dunque in qualche caso si può far senza confessione. È questo appunto che io voleva. Dunque anch'io, senza andarmi a confessare, posso esser pentito, {110 [24]} aver desiderio di confessarmi, ed ecco tutto fatto.

            Batt. Il caso è diverso, mio caro: altro è non volersi confessare, altro è non poterlo fare. Chi non si vuole sottomettere al ministero dei sacerdoti, vuole esentarsi da una legge indispensabile; chi vorrebbe confessarsi ma non può, costui solo merita qualche riguardo dalla divina misericordia. Quella volontà che, potendosi ridurre all'atto, non si riduce, non è volontà sincera, ma è una burla, e con Dio non si burla certamente.

            Ton. Hai ragione. Ma ora vorrei sapere a che serva la confessione?

            Bott. A che serve la confessione? Te lo dirò io coi sentimenti di un autore che scrisse un buonissimo libretto[2], e che ho già letto molte volte.

            Primieramente, bisogna che serva a qualche cosa la confessione, perchè fu istituita da Dio, e Dio non opera senza {111 [25]} motivo. Confessati anche tu, e vedrai a che serve. Serve a divenir buono da malvagio, a correggersi dei vizi, e ad avanzare a gran passi nelle virtù le più eroiche. Quanti giovanetti erano immersi in vergognose abitudini, il cui vitupero si imprimeva già sulla loro faccia ... andarono a confessarsi, continuano a confessarsi, ed eccoli cambiati nel fisico come nel morale. A che serve la confessione? Te lo saprebbe dire quell'operaio poc'anzi sì libertino, sì passionato per le osterie, attualmente così casto, così sobrio, così ordinato, così laborioso; in poco tempo diventato il modello dei suoi compagni! La sua moglie ed i suoi figliuoli trovano che la confessione serve a qualche cosa. A che serve la confessione? Domandalo a quella povera donna nel colmo della miseria, carica di prole, maltrattata dal suo marito ... Ella già si sarebbe gettata giù da una finestra per disperazione se non fossero i consigli del suo confessore, il quale le inspira la rassegnazione, e coll'esempio della sua pazienza {112 [26]} riesce a guadagnarsi il cuore del suo medesimo marito. La confessione pertanto impedisce un suicidio, conserva una madre a sei o sette figliuoli, e ricompone nella pace una famiglia che era lo scandalo del paese e il vitupero del parentado. Ma io non te li posso tutti enumerare i vantaggi della confessione. Frequenti sono i casi di restituzioni d'onore e di roba, che altrimenti non mai sarebbero avvenute. La confessione previene un'infinità di delitti, rende la pace al cuore, fa migliorare i costumi, induce l'avaro a soccorrere con limosine i poveri, apre l'adito ad ogni più bella virtù. Tutto questo si deve alla confessione, e troppo fortunata e felice sarebbe una popolazione qualunque se niuno mancasse a questo santo e salutare dovere.

            Ton. In teoria, la cosa è bella e buona, ma in pratica, oh! in pratica succede diversamente. Quelli che vanno a confessarsi, sono peggiori degli altri, e guai a chi ha da fare con un bigotto! ... {113 [27]}

            Batt. Hai torto a parlare così, mio caro, una cosa che sia bella in teoria, deve esserlo anche in pratica. E veramente i buoni effetti della confessione, non si possono negare, se non da chi vuol chiudere gli occhi alla verità, e negare l'evidenza dei fatti. Quelli poi che si vanno a confessare, e sono peggiori degli altri, non sono in gran numero, e ciò avviene, non perchè si confessano, ma perchè si confessano male, non volendo emendarsi. Non vorrei però, che le mancanze di coloro che frequentano il Sacramento della Penitenza, si esagerassero. Tutti gli uomini hanno le loro passioni, e non si può pretendere, che tutti quelli che si confessano, abbiano subito ad essere perfetti. Certamente che uno, anche confessandosi bene, non diventa impeccabile: il Sacramento non cangia la nostra natura, ma dà forza bastante per mantenersi in grazia. Nei maligni però regna pur troppo un certo astio contro coloro che fanno una vita cristiana. Nulla si lascia passar loro; per piccolo che sia un {114 [28]} difetto, in cui cadono, se ne fa un gran caso, e non si finisce più dì gettar loro in faccia la confessione. Ma le censure medesime, che si fanno sul loro conto, dimostrano, che il confessarsi e il rimanere frattanto sempre cattivi, è una cosa strana, e quindi non tanto comune. Per ordinario, chi sta più lontano dai tribunali di penitenza, sono i disonesti, gli ubbriaconi, gli usurai, i libertini, e tutti quelli che vogliono vivere a loro capriccio, cioè secondo le loro passioni. Niuno tralascia di confessarsi per divenir migliore, bensì molti si determinano di confessarsi per tralasciare le cattive loro costumanze, e divenir buoni. Chi vuol cangiar vita davvero, comincia sempre dal purgarsi la propria coscienza colla confessione. Questa è una cosa di esperienza.

            Ton. Io non aveva mai fatto queste riflessioni, e le trovo giustissime; ma per quanto riguarda il mio particolare, non conchiudono niente affatto. Che bisogno avrei io di confessarmi, e che cosa andrei a dire al confessore? Non {115 [29]} faccio torto a nessuno o rubando o parlandone male ... qualche umana fragilità, già s'intende, ma di queste non si può far senza. Perchè mai disturbare i confessori per tali bagattelle?

            Batt. 0 mio caro, e lo star più di un anno senza confessarti, il trasgredire per giunta il precetto pasquale, non è già forse un grave peccato? Quelle colpe poi, che tu chiami umane fragilità, non sarebbero forse mortali? Tu dunque hai già anche troppa materia per confessarti. Che se ti mettessi di proposito a fare un diligente esame intorno ai Comandamenti divini ed a quelli della Chiesa, e intorno ai tuoi principali doveri, quante altre mancanze balzerebbero fuori. Credimi, se ti trovi nell'agitazione all'appressarsi di un qualche grave pericolo, non è per nulla, ma è effetto di un segreto rimorso. Vorresti forse illuderti da te stesso? Se ti trovassi proprio in punto di morte, diresti anche allora, che hai nulla a rimproverarti? Metti un po' la mano sulla tua coscienza ... {116 [30]}

            Ton. È vero, è vero, ma facendo come tu mi dici, temo di mettermi in un imbroglio, da cui non mi possa più trarre così facilmente. Esami, piagnistei, andirivieni, malinconie, penitenze gravosissime ed umilianti ... Parliamo d'altro per ora ... sono abbastanza tristo senza cacciarmi in maggiori impicci.

            Batt. Ma non vedi, che ti vai fabbricando montagne di nebbia? I Sacramenti sono fatti per gli uomini, e quindi le disposizioni necessarie per riceverli non oltrepassano l'umana possibilità. Ti dico dì più, che l'esperienza ti farà conoscere assai facile ciò che ora ti pare insuperabile. L'esame? Basta che sia diligente, come sei solito a fare, quando vuoi aggiustare i conti coi tuoi creditori, ovvero intraprendi qualche altro affare d'importanza. Il dolore? Basta un po' di considerazione del torto che si fa a Dio col trasgredire i suoi comandi; dei castighi che egli ci ha minacciati, ed altri siffatti motivi che ci sono suggeriti o dal catechismo, o da qualche libro divoto. Il proponimonto? {117 [31]} Eh! già s'intende, bisogna che sia efficace e sincero; ma chi conosce d'aver fatto un passo pericoloso, troverà poi forse tanta difficoltà a concepire il proposito di non più mettersi a siffatto cimento? Del resto, chi ti ha detto, che dobbiamo far tutto da noi soli? Non c’entra forse per nulla Iddio? Anzi egli stesso ci previene, e noi pregandolo di cuore saremo da lui mirabilmente aiutati colla sua grazia. In quanto poi ai piagnistei, ti dirò che non sono necessarii, e quand'anche tu non versassi una lagrima, non importerebbe, purché piangesse il cuore. Gli andirivieni, o non li avrai a fare, o ne farai ben pochi, qualora il confessore possa persuadersi, che vuoi far bene i tuoi affari. Le penitenze in ultimo, che ti darà il confessore, saranno sempre più leggiere della penitenza che fai già inutilmente pel continuo rimorso, che ti rode le viscere. Se temi qualche po' di penitenza, che il confessore ti vorrà imporre, ché sarebbe poi il bruciar nell'inferno per sempre? {118 [32]}

            Ton. E dàlli, sempre con quell'inferno ...

            Batt. Se ti confessi bene, l'inferno non sarà più aperto per te, ma invece potrai alzare gli occhi al cielo e dire nel tuo cuore: il paradiso è nuovamente mio. Qual consolazione!

            Ton. Fosse pur così, andrebbe bene, ma se tornassi poi a ricadere? Sarei sempre da capo.

            Batt. Comincia un po' ad assicurarti per ora la grazia di Dio, e poi farai di tutto per non ricadere, e non ricadrai così facilmente. Chi è pentito davvero dei suoi peccati si tien ferme, coll'aiuto di Dio, di non più ritornare ai passati disordini. Se uno fosse caduto in un pozzo, lascierebbe forse di gridare, e di farsi trarre di là, per timore di cadervi poi qualche altra volta?

            Ton. Ne ho abbastanza di quanto mi hai detto. Tutte le altre dicerie che si fanno contro questo Sacramento e contro quelli che lo amministrano, le credo io pure assurde e insussistenti; lasciamolo stare. Ora voglio provare anch'io {119 [33]} a fare una buona confessione, come hai fatto tu, e riacquistare la tranquillità del mio spirito e la vera pace del mio cuore. Un giorno passa presto, ed io in un giorno, anzi in qualche ora posso ritornare in uno stato ben migliore di quello in cui mi trovo al presente. Un'ora o due, ed eccomi alleggerito di un peso insopportabile; un'ora o due ed eccomi in grazia di Dio; un'ora o due ed eccomi che se avessi poi a morire, mi troverei contento. Voglio sul momento andarmene in chiesa a fare le mie divozioni. Va bene così?

            Batt. Ed io ti accerto, che rivedendoti domani, mi avrai altro aspetto un po' più da galantuomo, non sarai più adirato con te stesso e cogli altri, e benedirai con me la misericordia divina nell'istituzione del sacramento della Penitenza. {120 [34]} {121 [35]}

 

 

Indice

 

Il Galantuomo a' suoi amici

pag 3

Famiglia Reale

 7

Le quattro Stagioni

 9

Eclissi

 10

Breve Regola per gli orologi a tempio medio

 10

Feste mobili, quattro tempora, numeri dell'anno

 11

Calendario

 12

Fiere dello Stato e principali dell'estero

 32

Mercati

 47

Nuova tariffa delle monete

 50

Valore delle monete estere al pari

 51

Ricette per bevande suppletive al vino

 52

Ricette per levar macchie dagli abiti

 56

Feste dell'anno

 58

Aneddoti

 81

La Gioventù

 121

Meist Michel Il sarajè

 124

 

 

 

 

(Con approv. della Rev. Eccles.) {122 [36]} {123 [37]} {124 [38]}

 

 

 

 



[1]L'Autore n'ha fatta la prova, e ne fu soddisfatto. Non agguaglia il vino, ma fortifica ed è salubre.

[2]Brevi e famigliari risposte alle obbiezioni che si fanno più frequentemente contro la religione, dell'abate de Segur. - Torino, per Giacinto Marietti.




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