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  San Giovanni Bosco - Opere Edite.

LA CASA DELLA FORTUNA RAPPRESENTAZIONE DRAMMATICA

pel sacerdote BOSCO GIOVANNI

 

TORINO

TIP. DELL'ORAT. DI S. FRANC. DI SALES.

1865. {1 [1]}

 

PROPRIETÀ DELL'EDITORE {2 [2]}

 

 

 

 

INDEX

Cenno storico  2

Atto primo  2

Scena prima. Giovanni allegro, Ottavio, Ernesto. 2

Scena seconda. Ottavio, Ernesto, Franco e Teodoro. 4

Scena terza. Eustachio e Allegro. 5

Scena quarta. Eustachio, Allegro, Ott. Edern. 6

Scena quinta. Eustachio. Franco e Teodoro. 7

Scena sesta. Eustachio, Ernesto ed Ottavio. 8

Scena settima. Eustachio ed Allegro. 9

Scena ottava. 10

Atto secondo. 10

Scena prima. Cabrettiere, di poi Allegro. 10

Scena seconda. Carrettiere, Allegro, di poi Franco e, Teodoro. 11

Scena terza. Eustachio, Ottavio ed Ernesto. 12

Scena quarta. Carrettiere, Allegro e Detti. 13

Scena quinta. Entrano Franco e Teodoro saltellando, e scherzando con un paltone in mano, Eresiano attoniti al vederci suddetti. 15

 


Cenno storico

 

            A' pie' delle alpi, a poca distanza dal Moncenisio, viveva una onesta ed agiata famiglia, Zaffiri ne era il padre. Contento del suo stato esso riponeva la sua felicità nel coltivare le terre, assistere ad alcuni affari privati, praticare i doveri del buon cristiano, fare del bene a quanti poteva. Lucrezia appellavasi la figliuola maggiorenne.

            Presentatasi occasione di accasarla il genitore voleva che sposasse un ricco {3 [3]} e pio contadino. Ma contro al volere del padre ella preferì un giovanetto di onesto casato ma povero di beni di fortuna di nome Giustino.

            Mia figlia, le diceva il padre, tu non segui i consigli del tuo genitore e la sbagli. Ricordati che il cielo non benedice chi opera contro al volere de' genitori.

            Ciò non ostante ella secondò il suo genio, e celebrò il divisato matrimonio. Dopo di che rincrescendole dimorare in patria parti alla volta di Torino in compagnia del marito col solo danaro ricavato dalla dote paterna. Giunsero in tempo molto propizio per un genere di commercio da loro esercitato, laonde coll'economia e colle assidue fatiche riuscirono a procacciarsi una piucchè mediocre fortuna. Ma un fallimento, uno stagnamento di affari, una lunga malattia, {4 [4]} ed un furto sofferto ridussero questa famiglia nell'indigenza. Giustino colla moglie e con tre figliuoletti andò a dimorare in Pinerolo dove in capo a due anni cessò di vivere. La madre allora colla figliuolanza recavasi a Moncalieri a fine di provvedere alle necessità della famiglia col lavoro delle sue mani. Giustina era la figliuola primogenita: Ottavio ed Ernesto chiamavansi i due fratelli. Ma un novello infortunio colpi questa famiglia. La figliuola moriva di colera l'anno 1854; pochi giorni dopo la stessa madre era eziandio involata dal morbo micidiale. Allora i due orfanelli Ottavio di 14 ed Ernesto di 9 anni vennero consegnati ad un carrettiere perchè fossero condotti presso uno zio paterno. Se non che il carrettiere mosso dalla sete del poco danaro, che agli orfanelli aveva la madre lasciato, dopo un {5 [5]} fratto di strada non gli volle più con se e gli abbandonò. Ottavio ed Ernesto prendendo il loro piccolo baule andarono a dimandare ospitalità nella prima casa campestre che loro si parò davanti, e qui furono ricevuti in un'aja come segue:

 

            PERSONAGGI

 

            EUSTACHIO, padrone di casa.

            FRANCO, TEODORO, suoi nipoti.

            GIOVANNI, detto Allegro, servitore.

            OTTAVIO, ERNESTO, orfanelli.

            UN CARRETTIERE. {6 [6]}

 

 

Atto primo

 

Scena prima. Giovanni allegro, Ottavio, Ernesto.

 

            Giovanni (con un badile sulle spalle): - Io credo di essere l’unico uomo felice che vi sia in questo mondo. E' vero che mi tocca lavorare da mattino a sera, ma questo non importa, perchè quanto più sudo e più lavoro, mi procaccio tanto miglior appetito; nè finora mancommi cosa alcuna per soddisfare ai miei bisogni. In quale grande inganno vivono mai {7 [7]} coloro che pensano essere necessario molto danaro per vivere felice. No, no, il danaro e le ricchezze non possono appagare il cuore dell'uomo, bensì il buon uso delle medesime. Ciascuno pertanto si contenti del suo stato senza pretendere più di quanto gli abbisogna. Un tozzo di pane, una fettina di polenta, un piattello di minestra mi bastano. Io sono sempre allegro e per questo motivo mia madre mi chiamava Giovanni l'Allegro. Si, non ho mai avuto fastidio per ispendere danaro perchè non ne ho mai; e poi il danaro essendo roba pesante, io voglio lasciarlo a chi vuol darsi briga di portarlo. E' vero che anche questo badile è pesante, ma esso almeno è un buon compagno, esso lavora con me da mattino a sera; né mai cerca di riposarsi, se non quando le mie braccia restano stanche e lo depongono. Evviva il mio badile, tu sei proprio la mia felicità.(Mentre Allegro fa sventolare il badile, Ottavio ed Ernesto giungono portando un piccolo baule). {8 [8]}

            Ern. - Dovesiamo noi, o caro Ottavio?

            Ott. - Non lo so, nemmeno so comesi chiami né di chi sia questa casa; comunque sia, dimandiamo qualche cosa per carità.

            Ern.•- Conosci tu qualcheduno?

            Ott. - Non conosco nessuno, ma delle persone caritatevoli se ne incontrano per tutto il mondo; prima per altro di parlare con alcuno debbo ricordarti l'avviso datoci dalla nostra madre, cioè di non dire mai il nostro vero nome se non quando avremo incontrato il nostro avolo, perciò...

            Ern. - Perciò per quanto sarà possibile lascierò sempre te a parlare con chicchessia. Ma(sotto voce) guarda, Ottavio, là c'è un uomo che tiene un fucile in mano. Vorrà forse ucciderci? Fuggiamo.

            Ott. - Non fuggire, non aver paura; non ha un fucile; egli tiene in mano la vanga ovvero badile di cui servesi per lavorare; all'apparenza mi sembra onesta persona. Avviciniamoci, e parliamogli. - O brav'uomo...o {9 [9]} brav'uomo, si può parlare col signor padrone di questa villeggiatura?

            All.(stupito). - Chi siete voi? razza di monelli, donde venite, che cosa volete? Qui non c'è il signor padrone, né la villeggiatura. I soli villeggianti di questa casa sono io e la famiglia del mio padrone. Nemmeno qui avvi alcun signor padrone, il mio padrone è soltanto un buon contadino, ma non vuole esser detto né signore, né monsù... Ma voi chi siete? Che cosa volete?

            Ott. - Noi siamo due poveri giovani, abbiamo bisogno d'alloggio per questa notte.

            All. - Eh! mi pare...mi pare che voi siate vestiti da signorini: e mia madre soleva dirmi che coloro i quali sono vestiti da signori, e dimandano limosina, per lo più sono ladroncelli, che si vestono di roba altrui e dimandano limosina quando non possono farla franca. Anzi servonsi del pretesto di domandar limosina e intanto studiano, meditano il  {10 [10]} modo di fare Sancte Raphael. Mi sbaglio?

            Ott. - Caro amico, non temete di noi, noi siamo poveri, ma onesti giovani, la sola sventura ci ridusse nello stato in cui ci troviamo. Ma diteci almeno: Come si chiama questa casa?

            All. - Questa casa si chiama La Casa della fortuna ed ebbe un tal nome perchè tutti coloro che qui vengono, o ci abitano, sono sempre stati fortunati. Ed io pure sono di questo numero.

            Ern. - Non si potrebbe parlare al padrone?

            All. - Non si potrebbe sapere che cosa volete dal padrone?

            Ern. - Dimandargli del pane; abbiamo fame.

            All. - Pane.... fame.... andate da chi ne vende, che qui non c'è né albergo, né panatteria.

            Ern. - Non si potrebbe avere alloggio almeno per questa notte?

            All. - C'è ancor tempo, andatevi a cercare alloggio altrove. Io ho bisogno di andare a dar da mangiare ai buoi, {11 [11]} ed aggiustare loro il giaciglio. Buona sera; e se mai foste ladroncelli, emendatevi mentre siete ancora in tempo, altrimenti siete in gran pericolo di finir male.

            Ern. - Deh! abbiate compassione di noi, poveri orfanelli; voi diceste che tutti coloro che capitarono in questa casa furono tutti fortunati; deh! non fate che noi siamo i primi ad essere infelici; se non altro fate che possiamo parlare col vostro padrone. Ci dite che è tanto buono, forse avrà anche compassione di noi.

            All. - Giacché insistete cotanto, vi condurrò dal mio padrone; ma prima voglio che mi diciate chi siete, che cosa avete fatto finora, e perchè vi trovate nella miseria.

            Ott. - Caro amico, noi siamo due poveri orfanelli, che la sventura gettò in mezzo di una strada. Finora siamo sempre andati a scuola.

            All. - Ah! ah! andati a scuola! sono andato anch'io a scuola! e dopo quattro anni di profondo studio ho imparato a fare degli 0 più grossi e {12 [12]} più tondi che il fondo di un tino... Ho logorato quattro catechismi, e finalmente sono riuscito ad imparare tutto il primo capo. Mia madre per altro trovò il modo di farmi imparare il resto. Senza stancarsi in parole mi diceva : Gioanni, se a mezzogiorno non avrai imparato la tua lezione, non andrai a pranzo, e per sola pietanza avrai due vergate. Ho voluto qualche volta giuocare di testa ma le spalle e l'appetito mi avvisarono che era meglio mettere testa a partito, e d'allora in poi ho imparato tutte le altre cose del catechismo. Ma voi che avete sempre studiato che scuola avete fatto?

            Ott. - Io ho fatto le scuole tecniche.

            All. - Scuole te-te-tiche, o che studi! ma che libri portavi a scuola?

            Qtt. - Libro di Cosmografia, Geografia, Mineralogia, Zoologia, Matematica, Fisica, Astronomia...

            All. - Oh! per carità, lascia, lascia che io non capisco nulla di tutte queste cosacce. I miei studi furono più semplici. Potare, smoccolare, segare, {13 [13]} mietere, vangare, zappare, sarchiare, arare, appianare, vettureggiare, vendemmiare, vaneggiare, ecco i miei studi...

            Ern.(con forza). - Sig. amico; abbiate pietà di noi, io ho fame; andate a dire al vostro padrone che mi dia almeno un tozzo di pane.

            All. - Povero ragazzo, mi fai compassione. Sebbene io tema molto la società dei vagabondi, tuttavia sembrami aver nulla a temere sul conto vostro; perciò vado volentieri ad annunciarvi al mio padrone; di poi vi porterò risposta.

 

 

Scena seconda. Ottavio, Ernesto, Franco e Teodoro.

 

            Ott. - Caro Ernesto, mentre attendiamo che quel brav'uomo ci porti qualche risposta, mettiamo in pratica l'avviso della nostra cara madre, la quale diceva...

            Ern. - Ma io ho fame; dammi del pane. {14 [14]}

            Ott. - Non ne ho, caro Ernesto. Abbi pazienza, il cielo ci assisterà; mettiamo, dico, in pratica quanto nostra madre soleva raccomandarci, dicendo : Se vi troverete nel bisogno o nei pericoli, alzate gli occhi al cielo e pregate. Dio vi aiuterà. Sappi, o caro Ernesto, essere cosa certa che Dio benedice chi ascolta padre e madre; perciò noi inginocchiamoci qui, e recitiamo la preghiera che la buona anima di nostra madre ci ha insegnato fin da fanciulli,(si mettono in ginocchioni dicendo) O Signore, che siete ne' cieli; Voi che provvedete gli alimenti agli uccelli dell'aria, ai pesci dell'acqua, Voi che vestite di fiori i campi, coprite di frutta le piante soccorreteci; non permettete che noi vostre creature abbiamo a morire di miseria; ajutateci a trovare un tozzo di pane per levarci la fame, ed un sito per riposare almeno in questa notte senza divenir pasto di belve feroci - (sul termine della preghiera entrano Franeo e Teodoro saltellando). {15 [15]}

            Fran. - Mi piacque tanto la lezione di quest'oggi. In quanti modi maravigliosi Dio provvede ai bisogni dell'uomo; fino a mandare un corvo a portare del pane al profeta Elia siccome abbiamo studiato.

            Teod. - Oggi appunto mentre pranzava ho detto al nostro nonno: potessi anch' io essere un corvo mandato dal Signore a portar pane al sante profeta! Il nonno rispose: Fa una piccola astinenza e risparmiando qualche tozzo di pane puoi darlo a qualche poverello. Lo feci, ed il nonno me ne diede ancora altrettanto, che tutto tengo in serbo.

            Fran. - Io pure ho risparmiato una decina di noci. Se vuoi le unirò col tuo pane e domani le daremo al primo poverello che capiterà a nostra casa.

            Teod. - Bene, benone. Facciamo cosi. Ora andiamo a fare un pò di ricreazione nel prato.

            Ern. - Datemi quel pane, di cui parlate(affannato e mesto).

            Fran. - Chi siete?(maravigliato). L'ora è tarda; cercate qualcheduno? {16 [16]}

            Ott. - Noi siamo due poveri giovani; abbiamo smarrito la strada; il vostro servo ci disse che sarebbe andato a pregare il padrone affinchè ci alloggiasse almeno per questa notte.

            Ern.(singhiozzando) - Ma io ho fame.

            Fran. - Povero giovane io...ma non ti conosco, ed il nostro nonno ci proibisce di trattenerci con compagni non conosciuti. Tanto più che alcuni giorni addietro passarono anche qua due ragazzi chiedendo limosina; ma • poco dopo furono colti da' carabinieri, ed abbiamo poi saputo ch'erano, due famosi tiraborse.

            Ott. - Oh! non temete di noi: siamo giovani cristiani, sappiamo che chi fa bene, trova bene, e sappiamo eziandio che chi fa male trova male. L'unica nostra colpa è l' esser poveri.

            Fran. - L'esser povero non è una colpa. Il nostro Salvatore era anche povero, ed era il più santo di tutti.

            Teod. - Se volete che andiamo tutti nel prato; là vi darò il mio pane e faremo insieme un poco di ricreazione. {17 [17]}

            Fran. - Io vi darò le nóci. Intanto aspetteremo che Allegro porti la risposta del nonno. Nostro nonno è molto buono; chi sa che non vi dia da mangiare, da dormire, e che vi tenga qui con noi; per me sarei contento.

            Teod. - Io contentone, e cosi avremo due compagni di più per fare ricreazione.

            Ern. - Io ho fame.

            Teod. - Andiamo nel giardino e ti daremo da mangiare.

 

 

Scena terza. Eustachio e Allegro.

 

            Eust.(solo). - Allegro venne a parlarmi di due ragazzi che giunsero qui a notte, e non vedo nissuno. Che sia di loro avvenuto come ai due monelli di alcuni giorni sono? È vero che Allegro mi disse che gli sembravano molto buoni, e che dal loro contegno, dai loro abiti parevano appartenere {18 [18]}  ad onorata famiglia. Ma io posso contar poco sul giudizio di Allegro. Egli giudica sempre bene di tutti. Pochi giorni sono diceva eziandio di due giovanetti che gli sembravano molto buoni, e fu poi saputo che erano due ladroncelli. Ad ogni modo il dar da mangiare ai poveri affamati è un opera di misericordia, e finché vivrò non voglio mai che alcuno parta da casa mia colla fame. Ma intanto niuno viene, anzi non vedo nemmeno i miei nipoti. Non vorrei che si fossero associati con quei due sconosciuti, perciocché potrebbero in un momento imparare cattive massime. O Allegro, o Allegro, dove sei? che fai?

            All.(correndo) - Ho veduto tutto.

            Eust. - Ma que' ragazzi dove sono?

            All. - Nel giardino.

            Eust. - Soli?

            All. - Con Teodoro e Franco.

            Eust. - Va subito a chiamare Teodoro e Franco, dicendo loro che vengano qui immediatamente. Io non voglio che per nessun motivo del {19 [19]} mondo-trattino con giovani sconosciuti.

            All. - Vado subito; ma ascoltate, quei due forestieri sembrano molto buoni.

            Eust. - Ti sembravano anche buoni quei due monelli di alcuni giórni sono, dopo abbiamo saputo che erano due celebri tiraborse. - Ora non parlarmi più d'altro, va tosto dove ti mando.

            All. - Ascoltate solamente queste poche parole: appena fattavi la commissione, io voleva tosto venir qui, ma giunto nella stalla ho veduto dalla finestra que' due giovanetti che ricordavano piangendola memoria di loro madre, di poi s'inginocchiarono in un angolo dell' aja, e fecero una preghiera al Signore supplicandolo di venire in loro ajuto. Mentre pregavano giunsero saltellando Teodoro e Franco, ma veduto il più giovane di que' ragazzi che piangeva per fame, li condussero ambidue nel giardino per dar loro uno il pane serbato pei poveri, l' altro le sue noci. Queste cose danno a conoscere {20 [20]} che quei giovanetti hanno una buona educazione....

            Eust. - E si trovano veramente travagliati dalla fame.

            All. - E che hanno religione; perché taluno trovandosi in tale miseria sarebbesi mésso a bestemmiare, e non a pregare. Ad ogni modo sebbene io sia solito a sospettare di tutti, tuttavia questa volta mi sento portalo a dire che que' ragazzi siano buoni.

            Eust. - Adesso adunque dove sono?

            All. - Sono nel giardino e credo che facciano merenda.

            Eust. - Va a chiamarli e conducili qui, desidero di vederli(Allegro parte).

 

 

Scena quarta. Eustachio, Allegro, Ott. Edern.

 

            Eust.(solo) - Quell' Allegro è veramente un buon servo, è ubbidiente, fedele, lavora, ma è un po' capriccioso. Quando si ficca qualche cosa {21 [21]} in capo, vuole fare a modo suo. In fondo per altro è buono, è qualche cosa bisogna tollerare in tutti. Ora sono ansioso di vedere que' ragazzi e mi sento portato a far loro del bene anche prima di conoscerli. Oh! se i miei nipoti fossero in mezzo ad una strada, non sarei contento che qualcheduno li ajutasse? Dunque facciamo agli altri quello che vogliamo che gli altri faccia a noi. Ma prima di far loro qualche favore voglio sapere chi sono, e se hanno carte commendatizie.

            All.(introducendo Ott. ed. Ern.). - Ecco que' due ragazzi che vi dimandano pane ed alloggio per questa notte.

            Eust. - Miei cari giovani, io sono pronto a darvi ospitalità, ma prima desidero di sapere chi siete. Ditemi pertanto: donde venite?

            Ott. - Noi presentemente veniamo da Moncalieri.

            Eust. - Vostra patria?

            Ott. - Torino.

            Eust. - Che cosa avete fatto finora? {22 [22]}

            Ott. - Finora siamo sempre andati a scuola.

            Eust. - I vostri genitori dove sono?

            Ott. - O signore, i nostri genitori non vivono più, sono morti ambidue.

            Eust. - Dove mori vostro padre?

            Ott. - Nostro padre mori in Pinerolo.

            Eust. - Vostra madre?

            Ott. - A Moncalieri.

            Eust.(tra se). - Nati in Torino, il padre mori a Pinerolo, la madre mori a Moncalieri.(Rivolto dipoi ad Ottavio e ad Ernesto dice): Quale avventura vi portò qui in casa mia?

            Ott. - Dopo la morte di nostra madre fummo affidati ad un carrettiere che doveva condurci da un nostro zio che dimora a poca distanza dal Moncenisio, ma a metà strada col pretesto di volere alleggerire il carrettone, egli mise, noi e il nostro piccolo corredo in mezzo alla strada e ci abbandonò! Noi allora non sapendo che fare siamo venuti qui a chiedervi carità.

            Eust. - Oual è il vostro nome? {23 [23]}

            Ott. - Io mi chiamo Ottavio, mio fratello Ernesto.

            Eust -- Il vostro cognóme?

            Ern. - Il nostro cognome....

            Ott. - Taci, tu non sai a spiegarti. Il nostro cognome è Farinelli.

            Eust. - Sapreste dirmi che cosa facessero i vostri genitori?

            Ott. - Mio padre e mia madre erano mercanti; ma dopo alcuni anni di prosperità fecero male i loro affari e dovettero ritirarsi a condur vita privata. Il mio povero padre mori di dolore in Pinerolo,.e mia madre non avendo più mezzi con cui provvedere pane per sé e per noi andò ad abitare in Moncalieri. Colà faticando da mattino a sera, con grande stento e colla più rigorosa economia ella potè mandarci a scuola, né mai ci lasciò mancare cosa alcuna. Ma il colera micidiale fra le sue vittime mietè mia sorella Giustina; mia madre la volle assistere fino all'ultimo respiro. Ma che? Lo stesso malore poco dopo colpi eziandio la nostra cara madre, {24 [24]} e colla sua morte noi cademmo in abbandono e restammo preda della più squallida miseria. O madre cara, o sempre amata madre, perchè cosi presto ci abbandonaste? Deh! almeno tu ci protegga dal cielo(Qui Ott. ed Ern. si pongono a piangere).

            Eust.(molto commosso) : - La figliale affezione, che portate a vostra madre, è segnò che avete buon cuore. Date tregua ai vostri affanni; chi sa che la casa della fortuna non sia anche una fortuna per voi? Intanto tu, Allégro, conduci questi giovanetti nel giardino, e mandami qui Franco e Teodoro. Di' loro che ho bisogno di trattenermi un momento con essi, dipoi ritorneranno a far ricreazione.

            All.•- Sono contento; ne ho indovinata una; andiamo. {25 [25]}

 

 

Scena quinta. Eustachio. Franco e Teodoro.

 

            Eust.(solo).- Poveri giovanetti, fanno veramente compassione. Che disgrazia è mai trovarsi privi di padre e di madre in cosi tenera e pericolante età! Abbandonati cosi a se stessi chi sa quale ne sarà la fine.... Ma in questo istante nasce in cuor mio un tacito presentimento.... Ma no.... temo di essere illuso.... Mia figlia Lucrezia si maritò con un certo Buonafine; dal Moncenisio eglino andarono a Torino; so che i loro affari andarono bene per qualche tempo, ma dacché il loro commercio andò fallito non ho più potuto sapere notizie di loro. Saranno essi vivi o morti? Parmi di ravvisare in questi ragazzi certi modi di parlare, certe piegature di labbra, che ricordano la mia Lucrezia quando era fanciulla. Allora che il più piccolo si mise a piangere mi parve proprio di vedere {26 [26]} lei medesima. Inoltre Ottavio non voleva che il piccolo Ernesto parlasse, ed anche qui travedo un mistero. Spero di poter sapere qualche cosa di più da Franco e Teodoro; perciocché trastullandosi o scherzando forse avranno lasciato sfuggire qualche cosa che a me tennero celata.

            Fran. - Buon giorno, caro nonno, siete bene in salute?

            Eust. - Buon ragazzo, è vicinala notte, e tu mi auguri il buongiorno, dimmi piuttosto: buona notte. Ma lasciamo queste celie a parte, ditemi: dove siete stati?

            Fran. - Nel giardino a fare ricreazione con due poverelli che ci sembrano tanto buoni.

            Eust. - Avete fatto male ad associarvi con fanciulli che ancora non conoscete. Saranno buoni, come dite, ma chi ve lo assicura? Altronde ce ne sono di quelli che sanno fingere così bene, che ingannerebbero il più accorto del mondo.

            Teod. - Ma di costoro credo che non {27 [27]} abbiamo nulla a temere; sono rispettosi, pregano volentieri, parlano tanto bene di loro madre, ripetono sempre i consigli che loro dava.

            Eust. - Hanno anche detto il nome della madre?

            Teod. - Ottavio non lo ha mai detto; solamente Ernesto, parlando di una lettera scritta a suo nonno, diceva che dovevano essere condotti da un certo Buonafine. Dette appena queste parole Ottavio lo rimproverò e chiamandolo ignorantaccio lo fece tacere, e disse che il cognome di sua madre era Farinelli.

            Eust. - Avete veduto qualche loro scritto?

            Teod. - Non abbiamo veduto niente, ma Ernesto disse che hanno una lettera sigillata da portare al loro nonno che essi non sanno dove dimori. Dovevano essere menati presso un loro zio che gli avrebbe presentati al nonno, ma da quel perverso carrettiere gettati in mezzo alla strada, non ricordano più ne il nome, né il luogo della dimora {28 [28]} dello zio. Ottavio fa un segreto di tutto, né mai vuole che Ernesto ne parli, anzi vuole sempre trovarsi con lui per tema che sveli qualche cosa. Tuttavia in un momento che Ottavio parlava con Allégro nel giardino, noi abbiamo potuto sapere queste cose da Ernesto.

            Eust.(tra se).- Io ravviso un mistero. O che questi due ragazzi sono furfanti inseguiti dalla giustizia, o che sono giovani appartenenti ad illustre casato, che non vogliono palesare,(di poi volto ai nipoti): Andatemi a chiamare Ernesto ma che venga egli solo; dipoi voi andrete a continuare la vostra ricreazione nel giardino fino all'ora di cena.

 

 

Scena sesta. Eustachio, Ernesto ed Ottavio.

 

            Eust.(tra se). - Si fa ognor più sentita la persuasione che in quei due giovanetti vi si nascondano fanciulli {29 [29]} d'illustre casato. I loro modi cortesi e gentili, la loro istruzione, l' aria modesta, tutto concorre a farmi dubitare. Qualche cosa di più ho già capito da Franco e Teodoro; ora voglio parlare con Ernesto solo, perchè essendo più giovane forse svelerà più facilmente ciò che essi tengono segreto. Ma che? Ho fatto soltanto chiamare Ernesto e li vedo venir tutti due. Come? Tu, Ottavio, va pure a far ricreazione coi miei nipoti. Rimanga qui il solo Ernesto.

            Ott. - Ma Ernesto non sa spiegarsi; dice, disdice, s'imbroglia, quindi non è capace di soddisfarvi; anzi temo che finisca per perdervi il dovuto rispetto.

            Eust. - Non darti pena di ciò, conosco che cosa, sono i ragazzi e so anche compatirli quando dicono parole sconvenevoli. Tu va nel giardino.

            Ott. - Ma non sarebbe meglio che ci fossi anch'io, tanto più che se ci sono io, Ernesto parla con maggior coraggio. {30 [30]}

            Eust. - Non fare altra difficoltà: ho bisogno di trattenermi un momento con Ernesto; tu va nel giardino.( tra se) Non so darmi ragione perchè non voglia lasciar solo Ernesto.

            Ott.(partendo) - Povero me; siamo negli imbrogli,(ad alta voce): Ernesto, attento a quello che dici.

            Eust. - Mettiti un momento a sedere, caro Ernesto, io voglio parlare con te in confidenza; e vorrei che tu non mi facessi alcun mistero. Sono disposto a fare del bene a te e a tuo fratello, ma ho bisogno di sapere le cose pel proprio nome. Rispondimi adunque: Qual è il tuo vero nome?

            Ern. - Il nome mio è Ernesto.

            Eust. - Il nome di tua madre?

            Ern. - Ma mio fratello non vuole ch'io parli di queste cose.

            Eust. - Perchè?

            Ern. - Perchè mia madre morendo ci raccomandò un segreto, e ci diede una lettera lunga, che non vuole sia ad altri consegnata se non {31 [31]} a suo padre, se pur arresilo la netta ventura di poterlo trovare.

            Eust. - Sài tu quale sia questo segreto?

            Ern. - Sì che lo so, ma se Io dico voi lo sapete.

            Eust. - Dimmi solamente qualchecosa, e sta sicuro che non me ne servirò giammai ad altro se non per farvi del bene.

            Ern. - Il grande segreto.di mia madre consiste nel non mai dire ad altri le cose che ella ci ha dette in confidenza.

            Eust. - Quali sono queste cose?

            Ott.(di dietro la quinta) - Attento Ernesto, silenzio.

            Ern. - Se ve lo dico, voi lo sapete, e mio fratello mi sgriderà. O Ottavio, Ottavio, vieni anche tu qui.

            Ott. - Ecco, sig. Eustachio, ve l'ho detto che mio fratello non sa spiegarsi. Vi dirò le cose più chiaramente.

            Eust. - Miei cari giovanetti, perché volete farmi un mistero di cose che io desidero di sapere per vostro bene? Parlate; ditemi il vostro vero {32 [32]} nome e vi assicuro che sarete contenti.

            Ern. - Io non so che rispondere; di' tu, Ottavio.

            Ott. - Povero me! Vorrei appagare il sig. Eustachio che ci dimostra tanta bontà, e d'altra parte nostra madre ci ha ordinato il segreto.

            Eust. - Ascoltate, o cari giovanetti, io rispetto troppo i segreti di vostra madre; ditemi solamente quale sia la materia del vostro segreto, di poi non ve ne parlerò più.

            Ern. - Questo, caro Ottavio, possiamo dirlo, tanto più che il sig. Eustachio ci dimostra tanto affetto.

            Ott. - Lo dirò; nostra madre morendo ci lasciò nella miseria, e prevedendo che saremmo stati costretti a vivere chiedendo limosina ci disse di non mai dire il nostro vero nome, per non far disonore ai nostri parenti. Voi, ella ci disse, vi chiamerete Farinelli, perchè vostra madre ha un piccolo negozio di farina, e di altri commestibili, ma il vostro vero nome non lo direte che a mio {33 [33]} padre purché abbiate la buona ventura di poterlo ancora ritrovare in vita.

            Eust. - Vi ha detto eziandio il nome di suo padre? Ditemelo, chi sa che io non sappia additarvelo?

            Ott. - Si, ce lo disse, mio padre, ella diceva, è un ricco contadino che una volta dimorava a pie delle Alpi, ma so che ha comprato altrove alcuni stabili e quindi avendo cangiato dimora ignoro dove sia. Quando mi sono maritata l'ho disgustato, e dacché i nostri affari cominciarono andar male, non ho più osato dimandare di lui.

            Eust.(commosso e volto altrove) - II pianto mi soffoca le parole. Il cuor mi dice che costoro sono figliuoli della mia povera Lucrezia. Che ella sia morta? Che sia stata ridotta all'indigenza...? Se questo mio pensiero è realtà, questi giovanetti non saranno più poveri.

            Ern. - Ma, caro sig. Eustachio, vi fa dispiacere quello che Ottavio vi ha detto? Egli non aveva intenzione di offendervi, perdonateci. {34 [34]}

            Eust. - Cari fanciulli, la vostra presenza mi ricorda i figli di una mia figliuola, che non so più dove dimorino, nemmeno so se siano in vita o già alla tomba. Ma ditemi ancora: il cognome di vostra famiglia era forse Buonafine?

            Ott. ed Ern.(agitati). - Il nostro cognome... Ma.. e... ecco... bisogna che sappiate...Noi eravamo...Perdonateci, vi diremo poi tutto questa sera.

            Eust. - Io non voglio per ora sapere di più, sono contento che mi diciate poi il resto dopo cena. Intanto partecipate a nessuno quanto abbiamo detto tra noi, andate nel giardino e dite ad Allegro che venga qui perchè ho bisogno di parlargli.

            Ott.(partendo). - Quanti ringraziamenti dobbiamo farvi per la bontà che ci usate.

            Ern. - Sia sempre benedetto Iddio, che ci ha fatto ritrovare un si grande benefattore. {35 [35]}

 

 

Scena settima. Eustachio ed Allegro.

 

            Eust.(da se). - Che questi giovinetti siano i miei nipoti? Che la mia povera Lucrezia sia stata ridotta alla miseria? Chi sa? Che ella non viva più? Che sia morto suo marito? La speranza ed il timore agitano i miei pensieri, e mi commovono profondamente. L'ora per altro(guarda l'orologio) è già tarda, perciò voglio che questi ragazzi vadano a cena, dopo spero che si piegheranno con maggior facilità a svelarmi totalmente il loro segreto.

            All.(giunge correndo col capello in mano dicendo): - Mi sembra d'avere scoperto qualche cosa intorno la condotta di questi giovanetti, non è per mormorare, ma per dirvi tutto. Temo che essi siano due piccoli impostori. Hanno parlato molto con Franco e con Teodoro, ma dando sempre a vedere d'aver cosa a dire che non vogliono svelare ad alcuno. Forse io ho interpretato questo segreto. Temo {36 [36]} che sia un furto o qualche altra bricconata, quindi vi sia qualche ordine d'arresto.

            Eust.- Nol credo: il loro contegno, la loro schiettezza, la loro età mi garantiscono che non sono giovani di questa fatta, e poi io ho un presentimento...basta, saprai tutto a suo tempo.

            All. - Sarà come voi dite; tuttavia quelli che vengono dalle città sono molto furbi, ed io sarei di parere di dar loro un tozzo di pane con un poco di minestra. Ma per dormire io vorrei chiuderli bene nella stalla, e dimani di buon'ora si facciano il fagotto, e levino tosto il trotto.

            Eust. - - Deponi ogni timore, o Allegro, facciamo sempre del bene al nostro prossimo, quando possiamo. Perciò questa sera voglio che ristoriamo bene questi due ragazzi che da tanto tempo patiscono fame e sete. Una bottiglia del miglior vino, un buon piatto di maccheroni, un pollo che poco fa venne colto nell'aja, con qualche altra pietanza ecc. {37 [37]}

All. - Io farei diversamente. Ma c'è un proverbio che dice : conduci sempre il padrone dove vnol l'asino, e non la sbaglerai; perciò se a voi piace cosi, così sia fatto,(tra se) Se stanno allega tutti gli altri, vi sarà anche qualche cosa per me.

            Eust. - Va a dare l'ordine che la cena sia sollecitata, e quando tutto sarà apparecchiato, verrai a chiamarci.

 

 

Scena ottava.

 

(Mentre Allegro vuole andare in cucina suona un campanello; tutti si radunano per la cena).

 

            All. - Tutto è preparato, andiamo. Questa sera facciamo un vero carnevale. Pel passato in casa del mio padrone non fu mai pranzo uguale a questa cena. Non ne capisco la ragione; ma viviamo alla buona ventura, purché si stia allegro,(tra se) Sono Allegro di nome, se sto ancora allegro a tavola sarò due volte allegro.

            Eust. - Prima che andiamo e cena, voglio {38 [38]} darvi ragione dell'allegria che provo in questo momento. Voi, Teodoro e Franco, e tu, Allegro, dovete sapere che io ho una figliuola, madre di tre fanciulli; non so dove essi ora si trovino; io godrei grandemente che altri usasse loro bontà, figli è per dare uno sfogo al mio cuore che voglio fare del bene a questi ragazzi. Oh pianto mai desidererei sapere che cosa sia avvenuto della povera mia Lucrezia e de' suoi tre figliuoli, sarebbe per me la più grande consolazione; dopo me ne andrei volentieri alla tomba.

            All.(da se) - A me piace più sapere queste cose e poi andare a cena, e non alla tomba.

            Eust. - A mensa poi affinchè possiamo meglio discorrere, tu, Ottavio, sarai alla mia destra, tu, Ernesto, alla sinistra.

            Teod. - Ma e chi sono...(suona più forte il campanello della cena).

            Eust. - Andiamo, saprete poi tutto.

(Un cuoco si avanza suonando un cam panello poi dice): La cena è preparata, {39 [39]} siete tutti prégati di venire ciascuno a prendere il proprio posto.

            All. - Andiamo, quando avremo ben mangiato e meglio bevuto ritorneremo a fare insieme ricreazione e ne racconteremo una più bella dell'altra.

 

 

Atto secondo.

 

Scena prima. Cabrettiere, di poi Allegro.

 

            Carr.(di lontano avvicinandosi). - Ohimè! ajuto, pietà, misericordia. Ai ladri, agli assassini,(giunge sulm palco). Niuno viene in mio ajuto, dovrò dunque morire abbandonato? O voi, che abitate in questa casa, soccorretemi. Ma chi sa che questa non sia l’abitazione de' miei assassini. Dovrò fuggire? Ma dove andrò? Che farò?

            All.(con un tridente in mano). - Che c'è, che c'è, chi chiama, chi grida? {40 [40]}

glio Carr. - O abbiate pietà di un infelice.

            All. - Chi siete voi? perchè venite a disturbare tutto il mondo mentre siamo a cena?

            Carr. - Abbiate pazienza, io sono un povero infelice.

            All. - Che cosa avete, chi siete, che cosa volete?

            Carr. - Io sono un povero carrettiere assalito ed inseguilo dai ladri. Qui dove mi trovo?

            All. - Voi vi trovate alla casa della Fortuna.

            Carr. - Fosse vero che io fossi alla casa della Fortuna, giacché sono veramente sfortunato. Ne siete voi il padrone?

            All. - Io sono soltanto il padron servitore di questa casa; ma non temete; qui siete in luogo sicuro, e con onesta gente, niuno vi disturberà. Mio padrone è un galantuomo , non è signore, ma è uno di que' contadini che fanno del bene a tutti quelli cui possono, e non mai del male. Ma voi siete {41 [41]} tante affannato, e mi sembrate assai stanco, e tatto grondante di sudore.

            Carr. - Sono grondante di sudore e di sangue.

            All. - I ladri vi hanno fatto qualche colpo?

            Carr. - Altro che un colpo , é proprio un miracolo se non fui trucidato,(sente qualche rumore , e si mette di nuovo a gridare) I miei assassini sono li, per carità aiutatemi.

            All. - Datevi pace; gli assassini non vengono qui, perchè se mai venissero per assassinare, resterebbero assassinati. Non sapete che con questo tridente io ne infilzo mezza dozzina per colpo? State adunque in pace. Anzi rallegratevi che siete alla casa della Fortuna dove ogni infelice trova sollievo. Voglio darvene un esempio. Questa sera verso notte giunsero qui due ragazzi che sembravano due vagabondi. Lo credereste? Mio padrone parlò un momento con loro, ne ebbe compassione, li volle con sé a mensa, e {42 [42]} adesso ha stabilito di tenerseli sempre' seco. Ma voi avete bisogno di qualche ristoro, io vado a prendervi un bicchierino di rattafià d'Olanda che vi farà molto bene. È un liquore che fo io stesso. È rimedio efficacissimo per tutti i mali, ma specialmente per le turbazioni, le agitazioni, convulsioni e spaventi. Aspettate un momento e sarò di nuovo da voi.

 

 

Scena seconda. Carrettiere, Allegro, di poi Franco e, Teodoro.

 

            Carr.(da se). - Che stato infelice è mai il mio! I ladri mi assalirono, mi massacrarono e mi presero le poche sostanze che aveva. Ora che sarà di me? Questo servo mi dice che il suo padrone è persona dabbene, ma soggiunse che è a cena con due ragazzi giunti qui sul far della notte. Che siano forse quei -due ragazzi che io non ho più voluto condur meco? Non sarà forse {43 [43]} il cielo che permise queste scia-gare in castigo della crudeltà da me usata a que' due poveri orfanelli?

            All. - Prendete, bevete un bicchierino di questo rattafià, e vi darà vita e coraggio. Si chiama rattafià d'Olanda, perchè lo fo coll'uva di una vigna che ha questo nome. Qualunque male io mi senta, ne bevo un bicchierino, e sono sull'istante guarito. Se sono malinconico, invece di un bicchierino ne bevo due e sono subito due volte Allegro; se poi ne bevo tre, io divento l'uomo più ricco del mondo. Prendete, bevete, animo, allegria.

            Carr.(bevendo). - É una bibita eccellente;, mi dà il respiro.

            All. - È vero; ed io sono persuaso che se i morti bevessero di questo mio rattafià acquisterebbero il respiro; e il mio padrone mi ha detto più volte che il mio rattafià farebbe bere un morto.

            Carr. - Io vi ringrazio della bontà che mi usate. Ma potrei-parlare col vostro padrone? {44 [44]}

            All. - Appena egli sia cenato verrà a prendere un po' di fresco nell'aja. Ci sono già i suoi nipoti, a momenti giungerà anch'esso. Questi ragazzi mi piacciono tanto. Sono due perle. Io li accarezzo, li sgrido, qualche volta do anche loro qualche scopolotto, tuttavia mi vogliono sempre bene. Io procuro divertirli raccontando varie storielle, ed essi le ascoltano sempre volentieri, ed ogni momento libero desiderano passarlo in compagnia di Allegro.

            Teod. - Buona sera, Allegro, quando vai a terminare la tua cena? Ma chi è costui?(guardando il carrettiere).

            All. - Non ispaventatevi, costui è un povero uomo che facendo strada fu assalito e spogliato dai ladri. Ora è qui per domandare alloggio per questa notte, e vorrebbe parlare con Eustachio vostro avolo e mio amato padrone.

            Teod. - Povero uomo, guanto mi sembrate spaventato! vi hanno fatto del male? vi hanno percosso? Oh! {45 [45]} state pure tranquillo, nostro avolo è molto buono, non vi rifiuterà certamente pane ed alloggio per questa sera.

Carr. - Poiché questo vostro nonno è tanto buono, desidererei di potergli parlare.

Teod. - Questa sera la cena andò un po' più a lungo, egli non finisce più di chiacchierare con due poveri ragazzi, che egli dice essere nostri amici. Sarà tutto vero, ma adesso egli sembra voler più bene a loro che a noi.

Carr.- Come si chiamano quei ragazzi? Donde vengono?

Teod. - Si chiamano Ottavio l'uno, l'altro Ernesto. Essi facevano strada ed un crudele carrettiere gli abbandonò in mezzo alla via; perciò vennero qui chiedendo pietà; ed il nostro avolo ha dato loro da cena e li alloggia almeno per questa notte. Perchè vi turbate? avete àncora paura dei ladri? Qui certamente non verranno, ma se mai venissero, Allegro sarebbe capace di farli fuggir {46 [46]} tutti. Oh! Allegro é forte come un gigante, coraggioso come un lione.

            All. - Ci fossero anche tutti i briganti del Missisipi, io non ho paura, e li farei tutti fuggire. A dirla schietta avrei anche piacere di potermi una volta misurare con questi ladri, con questi assassini, perchè si vedrebbe quello che Allegro è buono a fare, ra venite presto nella stalla, vi riposerete un momento, vi pulirete un poco gli abiti, di poi parlerete al mio padrone. Andiamo tosto.

            Fran. - Zitti e presto. La v'è l'avolo che viene. Questa sera è molto di buon umore, egli viene discorrendo con quei fanciulli, e ne conduce uno per caduna mano. Sembra che non ci sia più niente di bello al mondo che loro due; tutte le carezze, tutti i riguardi per loro, e noi siamo guardati come forestieri.

 

 

Scena terza. Eustachio, Ottavio ed Ernesto.

 

            Eust. - Ora che facciamo qui la nostra ricreazione voglio che adempiate {47 [47]} la vostra promessa svelandomi il mistero che mi avete finora serbato.

            Ott. - Alla bontà che ci avete usato, ai tanti favori conceduti noi non possiamo più nulla nascondervi. Ci mettiamo nelle vostre mani, vi a-priamo il nostro cuore e vi diciamo tutto. Di poi fate quello che volete di noi.

            Eust. - Parlate pure sinceramente, e troverete in me l'amore di un padre che ardentemente desidera il vostro bene. Ditemi adunque: Qual era il cognome di vostro padre?

            Ott. - Il cognome di nostro padre... il suo vero cognome è Buonalane.

            Eust.(commosso, tra se). - Buonafine.. O cielo! che sia mio genero...? Il nome di vostra madre?

            Ott. - Lucrezia.

            Eust.(vie più commosso tra se). - Dio buono, costoro sono i miei nipoti. Ma diceste che avete una lettera la quale volete dare solamente a chi l'ha indirizzata vostra madre: qual ne è l'indirizzo? {48 [48]}

            Ott. - Questo indirizzo è come segue: Al sig. Zaffiri...

            Eust. - Come! Zaffiri! dunque voi siete i figliuoli di mia figlia Lucrezia, dunque voi, o cari, siete i miei nipoti, che da tanto tempo desidero di ritrovare?

            Ott. - Siete voi dunque Zaffiri genitore di nostra madre, che noi andiamo cercando?

            Eust. - Si, miei cari, io sono Zaffiri, voi siete i miei nipoti, voi non siete più poveri. Venite a questo seno. In questo momento io dimentico tutte le lacrime sparse per la povera mia figlia e per la sua famiglia, io sono un padre felice. Giunga pur quando che sia per me l'ultima ora di vita, io vado volentieri, alla tomba, perchè ho trovato chi da tanto tempo formava l'oggetto de' miei pensieri, chi poteva readere paghi i miei voti.

            Ott. ed Ern.(accarezzando il loro nonno) - Ma perchè non sapere il vostro cognome? Chiamandovi solamente col nome di Eustachio non ci saremmo {49 [49]} giammai immaginati che voi foste il nostro nonno. Quanto è grande la divina bontà! Sia benedetto Iddio, che ci ha fatto ritrovare il nostro nonno, il nostro secondo padre che ci vuole tanto bene.

            Eust. - Io adunque vi avrò per miei cari nipoti. Procurate soltanto di tenere buona condotta. Coli' ubbidienza, coll'esattezza nei vostri doveri, e specialmente ne' doveri religiosi, potete fare del bene a voi?-ed essere a me di grande consolazione. Dovete anche sapervi regolare con Teodoro e Franco, esisi sono miei nipoti al pari di voi. Teodoro è più studioso, più amante de\ suoi doveri; ma Franco è assai pigro. Perciò imitate il primo, e date dei buoni consigli al secondo senza seguirne l'esempio. La madre di questi due nipoti mancò quando essi erano in tenera età. Il loro padre, mio amato figliuolo, moriva militare in Lombardia sei 1849 colpito da palla nemica in campo di bat-taglia. {50 [50]} Mi rimaneva ancora un figlio vivente che una lunga e dolorosa malattia portava alla tomba. Padre infelice! Io rimasi con questi miei due nipoti che furono e sono l’ oggetto delle mie consolazioni. Dio per altro mi volle consolare col condur voi tra le mie braccia.

            Ott. - Chi l'avrebbe mai detto, ehe le crudeltà usate dal carrettiere dovessero essere per noi sorgente di tanto bene?

 

 

Scena quarta. Carrettiere, Allegro e Detti.

 

            Carr.(spaventato e riconoscendo i due orfanelli). - Povero me, che farò? Dove andrò? Chi mi salverà?

            Eust. - Chi c'è, chi è costui che è cotanto costernato?

            All. - Costui è un povero carrettiere assalito dai ladri; è fuggito qui per salvarsi ed ora dimanda alloggio. Io l'ho condotto nella stalla, l'ho {51 [51]} ristorato tra poco col mio rattafià Gli ho puliti gli abiti, lavata la faccia; egli era tutto insanguinato.

            Ott.(sotto voce ad Eustachio) - Costui mi sembra il carrettiere che ci gettò in mezzo alla strada.

            Ern. - Ohimè! Costui è il carrettiere, fuggiamo, egli...egli...

            Eust. - Non temete. Qui niuno tenterà di farvi del male, state quieti. Lasciate che io sappia tutto, poi aggiusterò ogni cosa. Ditemi, brav'uomo, come avvenne questa vostra disgrazia?

            Carr. - Questa mia disgrazia, che vale il dissimularlo? è un castigo del cielo. Io fui crudele verso gli altri, ed altri lo furono verso di me. Io fui il tiranno e l'assassino di questi due fanciulli, (gettandosi ai loro piedi) Mi perdonate?

Ott. Non temete, noi vi abbiamo già perdonato, anzi noi siamo molto desolati per lo stato in cui vi trovate. Ma diteci: quale disgrazia vi avvenne?

            Carr. - Io vorrei parlare, ma non {52 [52]} oso, conducetemi in disparte, e poi vi dirò quanto volete.

            Eust. - Non abbiate alcun timore, qui siete con amici. Non vogliamo farvi alcun male, desideriamo soltanto di sapere qualcosa vi abbia spinto a gettare questi due fanciulli in mézzo di una strada.

            Carr. - L'ingordigia del danaro fu quella che mi spinse à questo eccesso. La madre loro trovandosi vicina a morte mi chiamò al suo letto e disse: « Io muoio e lascio orfani due poveri fanciulli. Appena io sia spirata, voi venderete le poche mie sostanze, pagherete le spese di mia sepoltura, la pigione di casa, e le spese che occorrono pel trasporto de' miei figli fino a mio fratello. Giunti colà voi consegnerete al medesimo quel danaro che ancora vi rimarrà». Io tutto promisi, ma a metà strada cedetti all'ingorda brama dell'oro, e sotto allo specioso pretesto che quei ragazzi non mi potevano pagare la spesa del viaggio, gettai a terra il piccolo baule, {53 [53]} e respinsi eglino stessi in mezzo alla via. Gridavano essi, e chiedendo pietà si avvincolavano al scellerato mio braccio, ma io mi mostrai insensibile. Per distaccarmeli diedi loro un urlone con due sferzate, di poi eccitati i cavalli continuai il cammino. Ora voi, Ernesto ed Ottavio, mi perdonate questa crudeltà? Ve ne domando perdono per amor del cielo, per quel cielo che sono indegno di rimirare.

            Ott. ed Ern. - Si, sì, vi abbiamo già perdonato. Noi vi abbiamo anche dato dei dispiaceri, e nel trasporto della collera vi abbiamo eziandio imprecato, e voi ci perdonerete anche, non è vero?

            Carr. - Miei cari, voi non avete bisogno di perdono, perchè non avete offeso alcuno. Io si, io ho bisogno della vostra pietà.

            Ott. - Ma come mai cadeste nelle mani degli assassini?

            Carr. - La mia scelleratezza non poteva rimanere impunita. Aveva già percorso un tratto di strada sempre {54 [54]} travagliato da crudele rimorso, e mi sembrava che terra, mare e cielo gridassero vendetta contro di me. Quando in uno svolto di strada, in luogo solitario, fiancheggiato da alberi fronzuti e da selva oscura, odo gridare: fermati, fermati o sei morto. A quelle grida spaventato, do una forte sferzata per far levare il galoppo ai cavalli ; ma uno sconosciuto corre, s'impadronisce delle briglie dei giumenti, e ne impedisce il corso. In quell'istante dimenticando me stesso, mi lanciai contro costui e con due colpi di bastone lo gettai stramazzone a terra. Quando ecco un'ardente fiamma mi abbaglia gli occhi, ed è lo sparo di una pistola che passandomi rasente i capelli, mi portò via di capo il berrettino. Faccio allora uno sforzo per fuggire, ma uno di dietro mi stringe al collo, un altro alle mani, mentre un terzo mi immerge tre volte il coltello nel cuore dicendo: Ne hai abbastanza. In quel momento cado come morto ai loro piedi; {55 [55]} eglino mi strascinano nel fosso della strada, mi prendono il denaro con un vecchio orologio, di poi persuasi che io fossi morto, montano tutti sul carrettone, sferzano con violenza i cavalli, ed a passo sforzato proseguono il cammino. Per mia somma ventura io non era morto, giacché que' colpi di coltello colla punta andarono tutti a passare sopra questa medaglia della S. Vergine che per mia grande fortuna portava in dosso. Sebbene pesto sulla persona mi sentii ancora in forza da levarmi di terra, e mentre pensava a qual partito appigliarmi odo spaventosamento gridare: O birbante, è ancor vivo ; ed in ciò dire mi si fa un altro colpo di pistola, che soltanto mi feri leggermente questo braccio. Allora mi posi a correre senza sapere dove andassi, e portato dal pericolo e dallo spavento corsi fin qui, e mi trovai...

            Ott. - Vi siete trovato dove erano già Ottavio ed Ernesto. {56 [56]}

            All. - Vi siete trovato alla casa di buona gente, alla casa della Fortuna.

            Eust. - Questo fatto è spaventoso, e se voi siete ancora in vita, lo dovete proprio ad una speciale be-nedizion del cielo.

            Ern. - Alla medaglia della B. Vergine ch'egli portava in dosso.

            Eust. - Io osservo che questa per voi e per tutti è una terribile lezione. Non dimentichiamo mai esservi una Provvidenza la quale veglia sul destino degli uomini; e spesso permette che cadano sopra l'uomo quei mali stessi che egli fa, o vorrebbe fare ad altri. Dovete eziandio notare che il furto; la roba altrui non rendono mai felici coloro che la possedono. Tuttavia non di rado avviene che la malvagità degli uomini si cangi in loro bene. Voi usaste crudeltà a questi due ragazzi, ed il cielo vi ha punito, ma nel tempo stesso faceste la loro fortuna, perciocchè cosi poterono trovare il loro avolo che essi cercavano, quell'avolo {57 [57]} che cotanto desiderava di vederli.

            Carr. - Come ! Lucrezia è vostra figlia? Ottavio ed Ernesto vostri nipoti? O Cielo! Deh! non vendicate l'oltraggio loro fatto, perdonate la mia crudeltà, e voi, Eustachio, tirate un velo sulla mia iniquità.

            Eust. - Datevi pace. La vendetta è dei vili, il perdono è proprio dei Cristiani. Datevi pace. Tutto è perdonato. I miei nipoti ora sono felici perchè sono con me e loro non manca più nulla. Voi per altro (rivolto ai carrettiere) dovete riconciliarvi con Dio, che colle vostre male azioni avete oltraggiato. La cosa che ancora ardentemente desidero si è di sapere notizia degli ultimi momenti della mia povera Lucrezia.

            Ott. - Prendete, o caro avolo, ecco la lettera che mia madre mi raccomandò di dare a niun altro che a voi, appena avessimo la bella ventura di potervi trovare. Credo che qui saranno scritte le cose che voi desiderate. {58 [58]}

 

 

Scena quinta. Entrano Franco e Teodoro saltellando, e scherzando con un paltone in mano, Eresiano attoniti al vederci suddetti.

 

            All. - Voi siete sempre ragazzi, e questo vi fa degni di compatimento, altrimenti questo disturbo vi meriterebbe quattro scopolotti.

            Teod. - Perdonateci, non sapevamo che ci fossero forestieri.

            All. - Ora che lo sapete state quieti, e tacete.

            Eust. - State attenti, Teodoro e Franco, sono cose che riguardano anche voi. Poiché ho finalmente avuto notizie della vostra zia Lucrezia; questi due fanciulli, cui diceste portar tanta affezione, sono suoi figliuoli, vostri cugini e miei cari nipoti.

            Teod. - Come! voi nostri cugini, figliuoli della nostra zia Lucrezia! quanto mai io sono contento. Cosi rimarremo sempre insieme, e ci ajuterete a studiare ed a farci buoni.

            Fran. - Io sono contentane. Avremo {59 [59]} due compagni di più per fare ricreazione, e vivere allegramente.

            Eust. - Andate adunque a fare una mezz'ora di ricreazione ; divertitevi pure ma guardatevi dal farvi del male. Tu poi, o Franco, fa in modo di non rinnovare la commedia di jeri. Volevi fare il gradasso, ed in vece hai fatto un bel giuoco.

            Fran. - Voleva fare il valoroso stando ritto in piedi sul carretto mentre Teodoro lo tirava, e sono caduto giù urtando col capo sopra Teodoro in guisa che siamo caduti am-bidue a gambe levate l’ un sopra l'altro a terra. Per questo fui burlato tutta la sera. Spero che non mi accadrà più; per altro se siete contento, noi staremo qui con voi ed ascolteremo con piacere le cose che riguardano la nostra cara zia Lucrezia, che Ottavio ed Ernesto ci dicono essere stata tanto buona.

            Eust. - Vi permetto di rimaner qui purché serbiate il dovuto contegno e facciate attenzione a quello che si dice sènza distubare. Intanto prima che {60 [60]} giunga l'ora del riposo, bramerei che voi, o Ottavio ed Ernesto, mi deste la lettera della mia cara Lucrezia - Datemela, e la leggeremo a comune soddisfazione.

            Ott. - Prendete, caro nonno.

            Eust.(prendendola lettera) - Sono proprio ansioso di leggere questa lettera. Al sig. Eustacchio Zaffiri; è il mio indirizzo. La scrittura è parimenti di mia figlia. Vediamone il resto.

            «Padre amatissimo,

«Chi scrive è la vostra Lucrezia, che colpita dal colera non ha più speranza di vedervi in questa vita mortale. Non ho più che pochi giorni e forse poche ore di vita. Mio scopo si è di chiedervi perdono prima di morire e spero di ottenerlo».

            Eust. - Si, povera Lucrezia, ti perdono di cuore, tu sei sempre stata una giovane virtuosa, solamente fosti dominata un istante da un capriccio. Ma continuiamo la lettera...

            «...Ho voluto fare un matrimonio contro il vostro parere, voi volevate darmi sposa ad un giovane ricco e {61 [61]} virtuoso, ed io ho voluto preferire un altro di mio genio, ma privo di sostanze. Col capitale che formava la mia dote partimmo ambidue alla volta di Torino, e ci siamo dati ad un genere di commercio che per qualche tempo fu molto fruttuoso. In fine per motivi di guerra, per alcuni fallimenti, per una garanzia data a favore di un commerciante che non potè pagare e più ancora per la mancanza della benedizione paterna abbiamo dovuta rinunciare al commercio, e ritirarci con tre ragazzi in una città di provincia. Mio marito era stato animato di recarsi colà da alcuni che si dicevano protestanti, promettendogli lucrosi impieghi e vistosi sussidi in danaro. Vane ciancie. Gli impieghi non si trovarono; diedero qualche poco di danaro, ma soltanto finché lo ebbero ridotto ad associarsi con loro, e frequentare le loro pratiche religiose.»

            Eust. - Povera Lucrezia! povero genero! e perchè non farmelo sapere, io vi avrei tosto portato soccorso. Forse {62 [62]} dubitavate del mio perdono? Ma torniamo alla lettera.

...«Allora l'infelice mio marito si abbandonò ad una tetra malinconia, che consumandogli le forze morali e vitali, in breve lo condusse alla tomba.»

            Ott. - Nel timore che mio padre morisse senza i conforti della religione, la madre mia gli propose più volte di andargli a chiedere un sacerdote per confessarsi. Egli propendeva a dir di sì, ma un cotale che gli stava sempre a fianco nol permise mai. Una sera soltanto, sera di sempre dolorosa ricordanza, in cui appariva moribondo, ed eravamo noi soli della famiglia intorno al suo letto, Lucrezia, egli prese a dire con fioca voce a mia madre, Lucrezia, io non posso più vivere. Essendo nato nella cattolica religione voglio in essa morire, vammi a chiamare un prete; voglio confessarmi prima di morire. A quelle parole pieno di gioia il cuore, io corsi tosto in traccia di un sacerdote, e in pochi momenti ritornai accompagnato dal {63 [63]} curato della parochia. Ma appunto in quel momento mio padre mandava l'ultimo respiro.

            Ern.(piangendo). - Povero mio padre, prima di morire mi strinse teneramente la mano e poi mi disse: Caro Ernesto, sii costante nel praticare quanto la nostra cattolica Religione comanda. Quindi ripetendo una giaculatoria suggeritagli da mia madre, mandò l'ultimo respiro.

            Eust. - Queste cose fanno sperare che vostro padre siasi pentito, e che perciò abbia trovato pietà nel cospetto di Dio. Terminiamo ora la lettera.

            ...« Dopo il doloroso avvenimento della morte di mio marito, io mi allontanai da quella città e mi recai a Mòncalieri. Qui non avendo altri mezzi per vivere mi posi da prima a servire e di poi sono riuscita a metter su un piccolo negozio, con cui ho potuto provvedere ai bisogni di mia famiglia. Ma che? Appunto in quell'anno infierì il colera morbus; parecchi ne rimasero vittima; mia figlia Giustina fu delle prime: ed io stessa ne fui {64 [64]} colpita. Padre mio, le forze mi mancano; vi dirò tutto in poche parole; io muoio dimandandovi perdono de' falli miei; lascio dopo di me due fanciulli, (Ottavio ed Ernesto si asciugano le lagrime) io li affido ad un carrettiere amico di casa (da uno sguardo al carrettiere). Egli é incaricato di vendere i pochi oggetti di mio negozio, e ne porterà il prodotto al mio cognato, affinchè loro indichi dove abitate voi, e a voi sia ogni cosa consegnata. Io temo che questi miei figliuoli debbano vivere accattando limosina, e affinchè non rechino a voi disonore essi saranno chiamati con altro nome finché siano alla vostra presenza. Se essi saranno » tanto fortunati da poter pervenire «fino a voi riceveteli, non per mio merito, ma per l'amore che una volta mi portavate, e per quella carità che siete solito usare verso gli infelici. Io muoio, ma muoio pentita di non aver seguito i vostri consigli e muoio coi conforti della religione. Mi mancano le parole, io {65 [65]} spero di vedervi in una vita migliore che non è questa valle di lagrime.

            Carr. - Dopo che cessò di scrivere Lucrezia visse ancora una mezza giornata. Sul fare della notte ella non era più.

            Ern. - Prima di morire ci indirizzò queste ultime parole. Miei cari figli; io non posso più assistervi in questa vita mortale; siate buoni, ed il vostro Padre celeste avrà cura di voi. Fuggite sempre la compagnia de' tristi, se andrete coi buoni, sarete buoni; se andrete coi perversi pur troppo diverrete perversi anche voi e trista sarà la vostra fine. Addio per sempre, o cari figli; il cielo vi ajuti.

            Ott. - Che doloroso momento fu quello per noi, o caro avolo! alcuni preparavano le cose necessarie per dare sepoltura al cadavere della povera nostra madre, altri cercavano di comperare o vendere oggetti di casa. Taluni mossi a compassione ci conducevano seco loro, ma solo per ristorarci, poi ci lasciavano di nuovo in libertà! Finalmente fummo consegnati al carrettiere, che senza saperlo, e {66 [66]} senza volerlo ci ha condotti ove presentemente ci troviamo.

            Eust. - Io mi sento profondamente commosso: in ogni cosa è giuocoforza riconoscere la provvida mano del Creatore. Ora bisogna adoperarci per trovare qualche rimedio, qualche sollievo ai mali passati con un lieto avvenire.

            Ott. - Si, o caro avolo, ma teneteci sempre con voi, e noi vi promettiamo di essere sempre vostri fedeli servitori.

            All. - Adagio, signorini, volete prendermi il mestiere? sono io il servitore; siate voi padroni fiachè volete, ma non prendetemi il posto.

            Eust. - Voi sarete miei amici, i miei cari nipoti, i padroni di una parte delle mie sostanze. Non è gran tempo che io costituiva Teodoro e Franco miei eredi. D'allora in poi ho acquistato una pingue eredità, e questa formerà le vostre sostanze. Voi coltivandole potrete essere felici e pel tempo, e per l'eternità.

            Fran. - E di questo povero carrettiere che sarà? che cosa farne? {67 [67]}

            Eust. - Il carrettiere che sembrami pentito de' falli suoi egli eziandio non rimarrà senza pane. Può darsi che le autorità giudiziarie riescano a trovare i cavalli e le cose che gli appartengono; qualora poi ciò non avvenisse, io lo tengo bracciante di campagna finché non abbia trovato miglior fortuna.

            Carr. - Io vi ringrazio di tutto cuore; vi prometto fedeltà, lavoro, ed obbedienza.

            Ern. - Noi invocheremo ogni giorno sopra di voi le benedizioni del cielo.

            Teod. - Noi siamo contentissimi di avere con noi due compagni, due parenti che ci aiuteranno a condurre una vita felice.

            Fran. - Io sono più contento di tutti, perchè avrò due compagni di più per 'giuocare alla palla, alle piastrelle e ad altri divertimenti.

            Eust. - Ed ai divertimenti che ti saranno concessi, ma in tempo debito e dopo di avere adempiuti i tuoi doveri.

            All. - Io poi sono più di tutti soddisfatto. Ho ristorato il povero carrettiere, {68 [68]}  fu viepiù conosciuta la maravigliosa efficacia del mio rattafià ; ho goduto una stupenda cena, ho partecipato all'allegria di tutta la famiglia, e quello che più m'importa continuerò ad essere il buon servitore del mio caro padrone.

            Eust. - Tutti adunque abbiamo motivi di essere soddisfatti. Intanto la sera essendosi già alquanto inoltrata è tempo di terminare la nostra ricreazione per andarcene a riposo. Sia perciò ringraziato il cielo che in tante guise ci ha beneficati. La gioia di questo giorno sia duratura; e durerà certamente se noi con esattezza adempiremo i doveri del nostro stato, se faremo del bene a chi possiamo senza mai far del male ad alcuno. Ma non dimentichiamo mai che la roba altrui non rende felice chi la possiede, e che se noi faremo male troveremo sempre male, e se faremo bene troveremo sempre bene. A tutti buona notte, lunga vita e giorni felici[1].{69 [69]}

 

Ott. - Se permettete, o caro avolo, prima di andare a riposo noi canteremo ancora un inno di ringraziamento che abbiamo imparato quando andavamo a scuola, e che il nostro maestro ci fece più volte cantare in occasione di solennità.

Eust. - Volentieri lo ascolterò, anzi ci prenderemo anche noi parte, associandoci al vostro canto. Imperciocché se in ogni momento Dio merita di essere da noi lodato e ringraziato, certamente dobbiamo ciò fare dopo tanti benefìzi ricevuti nel corso della vita e specialmente in questo giorno.

            O Signor, che nell'alto de' cieli

            Regni eterno, supremo, potente,

            Sempre a te d'ogni età, d'ogni gente,

            A te solo il tributo d'onor.

            A te grazie rendiàm noi tuoi servi

            Dal tuo sangue prezioso redenti:

            Il sospiro dell'almi gementi

            Quando mai a Te invano sali?

            Tu benigno ci porgi la mano,

            Tu ci scampa da tanti perigli.

            Benedici, difendi i tuoi figli,

            Ci solleva ai beati splendor. {70 [70]}

            Tutti un inno cantiamo, ne' cieli

            Ripetuto pei secoli eterni,

            A te un inno divoto si alterni

            Di tripudio, di gloria, d'onor.

            Ma, o Signor, dalla colpa lontani

            Ci conservino gli angeli tuoi,

            Deh ! ti muova a pietade di noi,

            Che fidiamo in tua grande bontà.

            Solo in te nostra speme riposa,

            Solo in te questo core confida,

            Né colui che al Signore s'affida,

            Mai deluso in eterno sarà.

 

NB. Questa commedia fu rappresentata dai giovarti dell'Oratorio di S. Francesco di Sales nel giorno in cui fu da loro celebrata la festa di S. Cecilia. Tanto gli attori quanto gli spettatori si mostrarono assai soddisfatti e lo scopo della commedia sembra essersi conseguito. Visto il buon esito di questa prima prova si giudicò bene di darla alla stampa, affinchè possa servire di lettura ed anche possa rappresentarsi done fosse riputata cosa conveniente.

Si noti qui, sebbene fuori di luogo, che questa commedia è un fatto storico ridotto a dialogo; e che furono solamente taciuti o variati alcuni nomi, di cui giudicossi meglio serbare silenzio. {70 [70]}

 

 

Con permissione Ecclesiastica. {71 [71]} {72 [72]} {73 [73]} {74 [74]}



[1] Qualora questa commedia fosse rappresentata in luogo dorè non ri fosse comodità del canto si potrebbe terminare con queste parole di Eustachio.




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