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  San Giovanni Bosco - Opere Edite.

IL CRISTIANO GUIDATO ALLA VIRTU ED ALLA CIVILTÀ

secondo lo spirito DI SAN VINCENZO DE' PAOLI

 

Opera che può servire a consacrare il mese di luglio

in onore del medesimo Santo

 

TORINO MDCCCXLVIII

TIPOGRAFIA PARAVIA E COMPAGNIA {1 [215]}

 

L'Autore intende di godere dei privilegi accordati dalle Regie Leggi, avendo adempito a quanto esse prescrivono.

 

 

[è premesso alle opere anonime]

 

 

 

 

INDEX

Al lettore  3

Cenni storici intorno alla vita di san Vincenzo de' Paoli. 3

Giorno primo. Carattere di S. Vincenzo de'Paoli 6

Giorno secondo. Sua imitazione di Gesù Cristo. 8

Giorno terzo. Sua carità verso de'mendici. 9

Giorno quarto. Amore del Santo per Dio. 11

Giorno quinto. Sua carità verso il prossimo e specialmente versi de'condannati alle galere. 14

Giorno sesto. Servigi resi dal Santo ad ogni grado di persone. 17

Giorno settimo. Conversioni operate da S. Vincenzo de'Paoli. 19

Giorno ottavo. Della sua dolcezza. 23

Giorno nono. Delle sue divozioni particolari. 26

Giorno decimo. Dell' eguaglianza del suo spirito. 28

Giorno decimoprimo. Dell' umiltà di S. Vincenzo de' Paoli. 29

Giorno decimosecondo. Della sua fede. 32

Giorno decimoterzo. Delle sue massime. 33

Giorno decimoquarto. Sua mortificazione. 36

Giorno decimoquinto. Sue occupazioni. 39

Giorno decimosesto. Sua pazienza. 41

Giorno decimosettimo. Sua povertà. 43

Giorno decimoottavo. Sua prudenza. 45

Giorno decimonono. Sua purità. 47

Giorno vigesimo. Sua Gratitudine  49

Giorno vigesimoprimo. Suo rispetto Terso i superiori ecclesiastici. 50

Giorno vigesimosecondo. Suoi ritiri spirituali. 52

Giorno vigesimoterzo. Sua semplicità. 54

Giorno vigesimoquarto. Della sua. confidenza in pio. 56

Giorno vigesimoquinto. Sua uniformità al Divino volere. 58

Giorno vigesimosesto. Della sua condotta. 59

Giorno vigesimosettimo. Sue Missioni. 61

Giorno vigesimoottavo. Suo zelo per la gloria di Dio e per la salvezze delle anime. 64

Giorno vigesimonono. Del sito disinteresse e del suo disfanno dai beni della terra. 65

Giorno trentesimo. Sua preziosa morte. 67

Giorno trentesmiprimo. Elogio per la festa del Santo. 68

Al glorioso S. Vincenzo de' Paoli 71

A Vincenzo de' Paoli 72

Indice  72

 


 

{2 [216]}

Al lettore

 

            Lo scopo di quest'operetta è di proporre a tutti i fedeli un modello di vita cristiana nelle azioni, nelle virtù e nelle parole di S. Vincenzo de' Paoli.

            Essa porta per titolo il Cristiano guidato alla virtù ed alla civiltà secondo lo spirito di S. Vincenzo de' Paoli, perchè questo Santo avendo quasi percorse tutte le condizioni basse ed elevate non fu virtù che in questi diversi stati non abbia praticato. Si aggiungono quelle parole alla civiltà perchè egli trattò colla più elevata e più ingentilita classe d'uomini, e con tutti seppe praticare quelle massime e quei traiti che a cittadino cristiano, secondo la civiltà e prudenza del Vangelo, si addicono.

            Secondo lo spirito di S. Vincenzo de'Paoli, perché quanto siesporrà nel decorso di queste considerazioni è letteralmente ricavato dalla vita di lui e dall'opera intitolata: {3 [217]} Lo spirito di S. Vincenzo de'Paoli, inserendovi solo alcuni detti della sacra scrittura sopra cui si fondano tali massime.

            Si comincia col dare un cenno sulla vita del Santo, e questo formerà come l'indice di que'concetti che verranno con maggior corredo di circostanze sviluppali.

            Intanto quel Dio che suscitò un, Vincenzo qual fiaccola luminosa a spargere il sale della virtù, e a portare la luce della verità alla fede cattolica; quel Dio che volle togliere dalla plebe un uomo abbi cito per eleggerlo ad azioni magnanime onde far cangiare di aspetto in Francia e l' Europa insieme: quel Dio faccia che la stessa carità, lo stesso zelo si riaccenda negli ecclesiastici affinché indefessi adoperinsi per la salute delle anime; cosicché i popoli illuminali dalle virtù del Santo, eccitati e mossi dal buon esempio de' sacri ministri corrano a gran passi per quella strada, che alla vera felicità l'uomo conduce: al Paradiso. {4 [218]}

 

 

 

Cenni storici intorno alla vita di san Vincenzo de' Paoli.

 

            VINCENZO nacque l'anno 1576 nel villaggio appellato Poy vicino a' Pirenei, Diocesi di Acqus, da genitori poveri, ma pii ed onorati, i quali si guadagnavano il pane con travagliare alla campagna. Egli medesimamente da fanciullo, fu impiegato a guardare gli armenti. Suo padre rilevando la buona indole di questo figliuolo e l'inclinazione allo studio, fece i suoi sforzi per mantenerlo alle scuole nella vicina città d' Acqus. Nello spazio di quattro anni fece tanto profitto nelle scienze, che a diciassette anni entrò in casa di un avvocato in qualità di maestro di due suoi figliuoli.

            Mentre coltivava lo spirito di questi felici suoi allievi, si sentì dal Signore Iddio chiamato nel ministero Ecclesiastico. Onde ricevuti {5 [219]} gli ordini minori, previo consenso e gradimento del suo padre, si trasferì prima in Tolosa, poscia in Saragozza, ed in queste celebri Università v'impiegò sette anni continui a studiare la teologia dogmatico-morale. Quindi promosso al suddiaconato, diaconato, e consacrato Sacerdote venne provveduto di un beneficio con cura d'anime. Ma essendogliene contrastato il. possesso volentieri cedette subito ogni sua ragione al concorrente, non solo perchè sapeva essere cosa disdicevole ad un servo di Dio il litigare, ma molto più perchè riputandosi egli per principio di umiltà inabile a portarne il grave peso, stimò sua gran fortuna l'esserne scaricato.

            Per qualche importante affare dovette Vincenzo recarsi a Marsiglia, d'onde s'imbarcò alla volta di Narbona antica città di Francia. In questo cammino fu preda de'corsari che lo condussero schiavo in Barbaria, dove servì diversi padroni. Finalmente la Provvidenza dispose, fosse venduto ad un rinegato della città di Nizza. Aveva costui una moglie turca, la quale cooperò a' misericordiosi disegni di Dio per convertire e trarre il marito dall'apostasia, e liberare nel medesimo tempo Vincenzo dall'indegna schiavitù. {6 [220]}

            Questa donna, certamente da Dio inspirata, era curiosa di sapere quali fossero i misteri e la morale, che professavano i cristiani, prendeva le sue ore, e di quando in quando veniva dove lavorava il Santo, il cui ordinario impiego era di coltivare la terra. Rapita dalle dolci istruzioni, e dal racconto, che Vincenzo le presentò della grandezza, della bontà e della giustizia del vero, e solo Dio; mossa altresì per alcuni inni e laudi spirituali, che egli cantava, si affezionò talmente alla Religione Cattolica, l'abbracciò ella stessa e risolse il marito ad abbandonare la setta Maomettana e ritornare nel seno della Chiesa.

            Vincenzo raddoppiava le sue preghiere, i digiuni e le austerità, e non lasciò d'insinuarsi colle sue esortazioni nello spirito del suo padrone sinchè venne il momento favorevole, che tutti e tre se ne fuggirono insieme sopra un piccolo vascello. Con prospero vento giunsero sulle coste delle Gallie il 28 giugno 1607. Andarono quindi in Avignone, ove caritatevolmente ebbero ospitalità presso Monsignore Vicelegato, che poscia seco li condusse a Roma. Provveduto al bisogno dei due compagni il Prelato conosciuta la prudenza {7 [221]} e santità di Vincenzo lo trattenne presso di se, trattandolo con affetto e dimostrazione di stima e di generosità.

            Soddisfatto ch'ebbe alla sua divozione nella capitale del mondo cristiano coll'essersi raccomandato al Principe degli Apostoli, e con aver fatta la visita a quei santuari, ringraziò il suo benefattore e ritornò a Parigi. Colà si pose sotto la protezione e direzione del celebre Cardinale Pietro Berulli, fondatore della Congregazione dell'Oratorio, e da questo consigliato, accettò la carica di precettore de'figliuoli dell'Ammiraglio delle galere.

            Se ne stava il servo di Dio in questa illustre famiglia raccolto e ritirato, non ingerendosi mai in altre occupazioni, se non in quelle del suo dovere, nè mai compariva alla presenza del padrone, se non chiamato. Ciascuno l'amava, e l'onorava qual angelo di pace, e qual uomo disceso dal Cielo.

            Rendutasi notoria la sua virtù, il Monarca lo nominò cappellano delle galere, ed egli tanto più volentieri gradì questo impiego, attesochè somministrava al suo zelo un largo campo di guadagnare anime a Dio.

            Ritrovando quei galeotti più miserabili, ed oppressi per la gravezza de' loro peccati, {8 [222]} che dal peso delle loro catene, si diede con sollecita ed industriosa bontà a conversare famigliarmente seco loro, ed instruirli nel dogma e nelle massime del Vangelo, a soccorrerli con sussidi temporali, onde in breve tempo si vide in essi maggior pazienza, rassegnazione, ed un notabile miglioramento del costume.

            Era con essi tanto benigno ed affabile, che quei poveri carcerati andavano a gara di confessarsi da lui. Egli compativali tutti, e li ascoltava con tenerezza, e verso loro praticava tanti uffici di carità, che non sentivano le pene de' loro travagli, ed i cuori più duri restando ammolliti, tutti lo veneravano come loro affezionatissimo padre, e pronti seguivano i suoi consigli e voleri.

            Da san Francesco di Sales venne Vincenzo eletto per superiore, e direttore delle figlie dell'instituto, sotto l'immediata protezione di Maria Vergine SS. della Visitazione, ed in trentott'anni di governo mantenne florido il fervore della perfezione, e colla sua fermezza e soavità lo accrebbe di modo, che perfettamente corrispose al giudizio, che di lui aveva formato il dolcissimo santo Prelato, il quale non potè a meno di esternare la {9 [223]} sua allegrezza dicendo, che non poteva trovare nè uomo più savio nè Sacerdote più degno di Vincenzo. Egli è fuor di dubbio, che in tutto il tempo dei suo pellegrinaggio, dimostrò un parzialissimo interesse per la felicità de' contadini, per la salute delle loro anime. Ad oggetto che non venissero a mancare gli operai per istruirli, e portarli sul sentiero della virtù e dei buon costume, gli riuscì di erigere e stabilire una Congregazione di Preti secolari, con voto dalla Santa Sede approvato, di recarsi di borgata in borgata, di villaggio in villaggio, predicando la divina parola ammaestrando nella dottrina cristiana la gente di campagna senza pretendere, nè ricevere da questa retribuzione o corrispettivo di sorta alcuna. li qual istituto fu solennemente approvato dal Sommo Pontefice Urbano VIII l'anno 1632.

            Cooperò efficacemente Vincenzo a far fiorire ed accrescere la disciplina nel Clero: si posero a sua diligenza, raccomandazione, e sollecitudine in buon ordine i Seminari, in vigore le conferenze teologiche morali per i sacerdoti, gli esercizi spirituali da premettersi alle sacre Ordinazioni, al qual effetto voleva, che servissero e stessero sempre aperte le case della congregazione. {10 [224]}

            Essendo il Re Ludovico XIII passato agli terni riposi assistito da Vincenzo nelle ultime agonie, la Regina Anna d'Austria volle che egli fosse uno de'quattro Consiglieri da lei nominati per gli affari Ecclesiastici. La maggior sua premura, che abbia spiegato in questo onorevolissimo ufficio, fu di persuadere, ed insinuare l'importanza, che a'Vescovadi, alle Abazie, ed alle Parrocchie si promovessero persone degne, e capaci di adempierne con frutto il formidabile peso, ossia i doveri annessi a tale parte del sacro ministero.

            Provarono gli effetti del suo caritatevole cuore i fedeli, che gemevano in ischiavitù presso le barbare nazioni: i bambini esposti abbandonati, le vergini e le monache disperse e pericolanti, le donzelle per miseria alle volte esposte a far male, e le donne di cattiva vita, i carcerati, i pellegrini, gl'infermi, i mentecatti, gli artigiani invalidi: insomma Vincenzo per consolare la travagliata umanità non la perdonò a fatiche, a stenti, a sante industrie. Dispensò copiosissimi sussidi, fondò ospizi, ed altre pie società che ancor in oggi sussistono a fronte della vertigine de'malevoli. {11 [225]}

            Era poi questo venerabile Sacerdote estremamente nemico d'ogni lode, applauso, e stima, anzi se qualcheduno ne dava indizio, sapeva subito contrapporvi parole, ed azioni d'umiliazione e di disprezzo di se medesimo.

            Un personaggio qualificato voleva un giorno accompagnarlo nel prendere da lui congedo sino alla porta: non s'incommodi, gli disse, perchè io sono figliuolo di un povero contadino, ed in mia gioventù ho condotto al pascolo le pecore e gli armenti.

            Un'altra volta una buona femmina lo chiamò col titolo di Monsignore, a cui il Santo, povera donna, rispose, voi mi conoscete assai male, e v'ingannate all'ingrosso: imperciocchè io sono un vacaro, figliuolo di un paesano.

            Un suo nipote venne a visitarlo; il portinaio ne diede l'avviso a Vincenzo, il quale scese subito le scale e abbracciatolo strettamente lo prese per la mano, l'introdusse in casa, poscia chiamati i preti della Congregazione, loro disse: questo mio nipote che voi ben vedete in abito così meschino, e dispregevole, si è il più civile, e gentiluomo della sua famiglia. Nè pago di questo volle seco lui uscire in pubblica piazza.

            Si dimostrò il Santo in ogni occasione {12 [226]} pieno di umiltà, di semplicità, e di rettitudine; abborrì di continuo gli onori, le dignità, le ricchezze, gli agi mondani; riponeva tutte le sue delizie nella mortificazione e nella pratica di quelle virtù, che lo potevano rendere più gradito alla Divina Maestà.

            Dalla penitenza e dalle malattie estenuato finì i suoi giorni in Parigi l'anno 1660 ottantesimo quinto della sua vita.

            Tale si è in compendio la vita di S. Vincenzo de' Paoli, le cui virtù noi andremo considerando in quest' operetta. Ogni fedel cristiano avrà di che specchiarsi; l'ecclesiastico troverà una norma nell' operare, una guida per seguire. Il secolare troverà un padre che lo ama, che lo anima al bene, lo avverte perchè fugga il male, lo conforta nelle pene, lo modera nelle sue prosperità. In somma troverà quel grand' uomo elio si fece lutto a tutti per guadagnare tutti a G. Cristo.

            Intanto quel Dio il quale tanto grande appare nella gloria de' suoi Santi faccia che questo libro ridondi ad onor suo, e di quel Santo che intendiamo proporvi a maestro; tutto poi a vantaggio spirituale di quelle anime che vorranno venire a questa scuola per apprendere quella strada che sicura al Cielo conduce. {13 [227]}

 

 

Giorno primo. Carattere di S. Vincenzo de'Paoli

 

            Il carattere dell'uomo si deve considerare sotto tre aspetti;. in quanto al corpo, al cuore ed allo spirito. Onde noi per farci un'idea esatta di Vincenzo lo considereremo relativamente al corpo, al cuore, ed allo spirito.

            Quanto al corpo. La sua statura era mediocre ma ben proporzionata, aveva il capo grosso, la fronte ampia, gli occhi vivaci, lo sguardo dolcissimo, il portamento grave e un'aria di affabilità sortita dalla natura ma abbellita dalla virtù. Nelle sue maniere e nel suo contegno manifestavasi essere quella ingenua semplicità che annunzia la pace e la rettitudine del cuore. II suo temperamento era bilioso e sanguigno, e la sua complessione molto robusta. Andando da Marsiglia in Narbona fu fatto schiavo, e ferito con un colpo di freccia da' corsari che s' impadronirono dell'equipaggio francese. Il soggiorno fatto in Tunisi aveva sensibilmente alterata la sua complessione poichè dopo il suo ritorno in Francia pativa assai l'impressione dell'aria, e in conseguenza molto soggetto agl'incomodi della sanità. {14 [228]}

            Quanto al cuore. Avealo nobile, generoso, tenero, liberale, compassionevole, costante negl'improvvisi accidenti, intrepido quando si trattava dell'obbligo suo: sempre in guardia contra le seduzioni degli onori, sempre aperto alla voce dell'indigenza, per cui non mai mostrò freddezza o mal animo; anzi pare che egli solamente sia vissuto a sollievo de'bisognosi, a soccorso degl'infelici. Questa bontà di cuore lo strinse in amicizia con tutti quelli che professavano di amare solidamente la virtù. Nulladimeno Egli aveva un impero così assoluto sulle proprio passioni che appena lasciava scorgere ch'Egli n'avesse. Padre tenero, ma regolato nella sua tenerezza, aveva ugualmente a cuore qualunque de'figli della sua congregazione; e nella sua famiglia, benchè numerosa, non vi fu mai chi desse gelosia a'suoi fratelli. Si può con sicurezza accertare, da molto tempo non essere stato uomo impegnato al par di lui in ogni sorta d'affari; obbligato a trattare un numero infinito di persone di ogni specie, d'ogni condizione, esposto incessantemente ad occasioni le più delicate e pericolose, la cui vita non solamente sia stata sempre lontana da ogni sospetto, ma universalmente applaudita. {15 [229]}

            Quanto allo spirito. Avealo molto esteso, circospetto, atto a grandi cose, e difficile ad essere sorpreso. Allorchè Egli si applicava seriamente in un affare ne penetrava tutte le relazioni, e ne discopriva tutte le circostanze piccole o grandi: ne prevedeva gl'inconvenienti e le conseguenze, evitava quanto il poteva di manifestare al momento il suo parere; avanti di esprimerlo pesava le ragioni favorevoli ed opposte, consultava Dio colla preghiera e conferiva con coloro che per esperienza erano in grado di comunicargli de'lumi. Questo carattere assolutamente opposto a tutto ciò che ha nome di precipitazione lo tenne lontano da ogni passo falso; la qual cosa gli aprì la strada a far gran bene. Nè già si affannava o si spaventava dalla moltitudine o sulle difficoltà degli affari; anzi li seguitava con forza di spirito superiore ad ogni ostacolo, vi si applicava con una sagacità illuminata, ne portava il peso, le cure, la lentezza con una tranquillità di cui solo le grandi anime sono capaci. Allorchè gli conveniva trattare di qualche materia importante, Egli ascoltava con molta attenzione quelli che parlavano senza giammai interromperli, e se qualch'uno gli troncava {16 [230]} il discorso, Egli fisso in quell'alto principio di umiltà e di civiltà, di tacere quando altri parla si fermava al momento, e finchè non avesse cessato di parlare osservava il silenzio, e tosto chè cessato erasi di parlare prendeva il filo del proprio discorso con una pazienza di spirito ammirabile. I suoi raziocini erano giusti, pieni di nerbo e precisi, si esprimeva con una certa eloquenza naturale propria a commuovere e a trar seco coloro che l’ ascoltavano, sapeva tutto quando si trattava di condurli al bene. Esponeva le quistioni più difficili con tanto ordine, con tale chiarezza, massimamente circa le materie spirituali ed ecclesiastiche, che faceva maravigliare i più esperti. Consumato nella grand'arte di accomodarsi a tutti i caratteri e di eguagliarsi a tutte le capacità Vincenzo balbettava co' fanciulli, e parlava il linguaggio della più sublime ragione coi perfetti. Nelle discussioni poco importanti l'uomo mediocre si credeva a livello con lui nel maneggio de' più grandi affari; i più belli ingegni del suo secolo non lo trovaron mai inferiore ad essi.

            Il sant'Uomo ora nemico del parlare ambiguo e tortuoso, diceva le cose come le pensava, {17 [231]} mala sua sincerità nulla aveva che ferisse la prudenza.

            Egli sapeva tacere quando credeva inutile il parlare, nè gli sfuggiva parola che indicasse asprezza o poca stima, o poca carità per qualsivoglia persona. In generale il suo carattere era alieno dalle singolarità, dalle imitazioni o dalle novità. Egli aveva per principio che, quando le cose vanno bene, non bisogna cangiarle facilmente sotto pretesto di migliorarle, seguitava le usanze e i sentimenti comuni, principalmente in materia di Religione. « Lo spirito umano, diceva, è pronto a ed irrequieto; gli spiriti vivaci e più illuminati non sono sempre migliori se non sono de'più circospetti: si cammina sicuramente seguitando le pedate impresse dalla moltitudine de' Saggi.»

            Non si fermava all'esterno delle cose, ma ne esaminava la natura, il fine e le dipendenze, e per una squisitezza di buon senso, che dominava in lui, distingueva perfettamente il vero dal falso, il buono dal cattivo ed il migliore dal mediocre, anche quando si presentava a lui sotto le stesse forme ed apparenze. Da ciò nasceva in lui un talento singolare per discernere gli spiriti, e una sì {18 [232]} grande penetrazione per cogliere le buone o le cattive qualità di coloro de'quali era obbligato a rendere ragione, che il signor Tellier cancelliere di Francia, non ne parlava che con ammirazione.

            Vincenzo conducevasi in modo da far dire di lui ch'era esatto osservatore d'ogni maniera di giustizia. Nemico dell' accettazion di persone nella distribuzione de'benetizi,fu veduto rimproverare in pieno consiglio la scelta d'un prelato, ed il successo fece conoscere che egli aveva ben ragione di opporvisi. Zelante per la riputazione del prossimo, se qualche volta era costretto d'udir parlare degli altrui difetti, aveva una santa destrezza per cancellarne l'impressione, dicendo della persona colpevole tutto il bene che era a sua cognizione. Esatto tino allo scrupolo sopra i più piccoli danni che aveva potuto cagionare, s'imputava anche i casi fortuiti. Il suo cocchiere avendo impensatamente rovesciato alcuni pani, Vincenzo, per timore che fossero meno vendibili, feceli pagare al momento. Potrei citare altri fatti di questo genere, ma essi potrebbero sembrare troppo minuti a chiunque non sa che il Figlio d'Iddio li autorizza, allorchè ha lodato il dono di un bicchier d'acqua fresca ed una elemosina di due oboli. {19 [233]}

            Quel servo d'Iddio non era simile a quei favoriti che fanno commercio e mettono a profitto le grazie del Principe, vendendo ben caro ciò che nulla loro costa. il Governatore d'una città ragguardevole lo pregò di fargli qualche buon ufficio alla corte, e gli promise, per impegnarvelo che sosterrebbe i Missionari del luogo, lo stabilimento de' quali era contraddetto da persone assai potenti. «Vi servirò potendolo, rispose Vincenzo, ma perciò che riguarda l'affare de'Signori della Missione, vi prego di lasciarlo in mano di Dio; preferisco ch'essi non siano nella vostra città, piuttosto, che vederveli col favore e coll'autorità degli uomini..»

            Nemico della discordia e de' litigi si sforzava di conciliare gli animi; dal momento ch'ei sapeva che due famiglie erano al punto d'inimicarsi correva di subito e adoperavasi a tutte guise per rappacificarle. Diceva che un litigio era un boccone di dura digestione, e che il migliore non vale un accomodamento. «Noi litighiamo il meno che possiamo, scriveva ad un de'suoi che spontaneamente si era inoltrato in un affare ch'era ito a male; e quando noi siamo costretti a litigare, ciò avviene dopo aver preso consiglio e al di {20 [234]} dentro e al di fuori; amiamo meglio perdere del nostro, che scandalizzare il prossimo.» Dio ciò non ostante ha permesso ch'egli avesse alcune liti, ne guadagnasse, e ne perdesse, ma la Provvidenza voleva formare di lui un modello per tutti gli stati; e quello de'litiganti ha bisogno di grandi esempi. La sua condotta era ammirabile nelle liti. Allegava tutto ciò ch'era favorevole per la parte contraria, senza nulla omettere, e faceva risaltare le lor ragioni tanto bene, e forse assai meglio di quel che avrebbe fatto lo stesso avversario. Riguardava le sollecitazioni quali mezzi poco conformi all'equità; diceva che un giudice che teme Dio non ha alcun riguardo; ch'egli stesso quand'era nel consiglio della Regina non faceva nessun conto delle raccomandazioni, e si contentava d' esaminare sela cosa richiesta era giusta o no. Risparmiava l'interesse di coloro che l'attaccavano più assai del proprio, e pagò pure una volta le spese di una lite che aveva guadagnato; di più nudri i litiganti, li alloggiò,e loro diede il denaro per tornarsene a casa.

            Per ultimare il suo ritratto basterà aggiungere, ch'egli si era proposto Gesù Cristo a modello; attingeva nel Vangelo tutta la sua {21 [235]} morale, tutta la sua civiltà, tutta la sua politica, e,coloro che l'hanno frequentato di più riguardarono come per sua insegna particolare quelle parole che un eccesso d'amore gli fece una volta pronunziare: non trovo cosa che mi piaccia se non in Gesù Cristo. Tale era, a giudizio di coloro che al suo tempo eran più tenuti in pregio e più in grado di ben conoscerlo, l'Institutore della congregazione della Missione; e benchè grande sia l'idea che ne abbiam dato, si vedrà in seguito nel corso di quest'opera, non aver noi fatto altro che tenuemente accennare il complesso di sue virtù.

 

            Frutto. Un divoto atteggiamento della persona, la riserbatezza nel parlare sono le due basi sopra cui noi possiamo formarci un carattere cristiano e religioso, procurando però che le parole e le azioni siano sempre regolate secondo le massime del Vangelo. {22 [236]}

 

 

Giorno secondo. Sua imitazione di Gesù Cristo.

 

            Il nostro divin Salvatore aveva detto a tutti i fedeli cristiani, che colui il quale cammina dietro a' suoi passi non cammina nelle tenebre, ed è sicuro di avere un giorno il lume di vita eterna. Perciò invitava tutti a seguirlo, proporselo per modello d'umiltà e di mansuetudine. Persuaso Vincenzo che il discepolo non è perfetto se non quando rassomiglia al suo maestro si prefisse di averlo continuamente dinanzi agli occhi. Lo esprimeva nelle sue parole, nelle sue azioni, seguitando, per quanto ad un mortale è concesso, le vie penose che ci ha insegnato il Salvatore. Lo esprimeva ne' consigli ch'era obbligato di dare, procurando di non darne alcuno che il Figlio di Dio potesse disapprovare; l'esprimeva colla sua fermezza, calpestando l'amor proprio ed il timore di vedere riprovata la sua condotta da coloro che amano la gloria degli uomini più di quella di Dio; colla sua sottomissione, ricevendo il bene ed il male con perfetta indifferenza; col suo zelo per la salvezza delle {23 [237]} anime, risoluto di correre, e di far correre in traccia della pecorella smarrita per sino alle porte dell' inferno, se poteva sperare di riacquistarla; colle sue mortificazioni sempre coll'attenzione rivolta a quel Dio penitente a cui ne' suoi giorni mortali mancò una pietra ove posare il capo. Finalmente l'esprimeva così bene in tutta la sua condotta che un sacerdote il quale ebbe la sorte di godere della stia dimestichezza per lo spazio di cinquant'anni, confessò di non averlo mai udito a dire parola o fare cosa alcuna che non fosse in ordine a Dio.

            Un celebre Dottore avendo dimandato a qualcuno che aveva conosciuto particolarmente il Santo, quale era stata la sua propria e particolare virtù, rispose, ch' era l' imitazione di Gesù Cristo, che il Divin Salvatore era stato la sua regola eterna, ed il libro da lui consultato in tutte le sue azioni. Avrebbe potuto soggiungere eh' egli l'apriva a' dotti del pari che agi' ignoranti, ai re egualmente che a' sudditi. Luigi XIII ne fece la prova nell' ultima sua malattia. Quel principe fece venire a se Vincenzo. Il Santo per annunziargli la morte, che una malintesa politica nasconde quanto può agli {24 [238]} occhi dei grandi del secolo, gli disse avvicinandose gli: «Sire, colui che teme Dio si trova bene negli ultimi momenti: Timenti Dominum! bene erit in extremis.» Quest'introduzione non sorprese un re assuefatto a nudrirsi colle più belle massime della Sacra Scrittura, terminando la sentenza tranquillamente rispose: Et in die defunctionis suae benedicetur. Sembrava che due cose occupassero quel principe; la conversione de' protestanti e l'elezione alle dignità ecclesiastiche, di cui se ne fa un onore in vita, e che costa tal fata ben caro in punto di morte.

            Scorgendo dalla sua camera il luogo ove dovevano le sue ceneri dopo la sua morte essere riunite a quelle de' suoi predecessori, disse: Io non uscirò di qui che per andare colà. Vincenzo non lo perdette mai di vista duranti gli ultimi giorni di sua vita: lo confortò ad elevare lo spirito ed il cuore a Dio, dove gli stavano preparati troni e ricchezze assai più durevoli che le terrene non sono. Quel principe il quale vedeva con occhio intrepido approssimarsi l'ultimo suo momento, dimandò al nostro Santo quale era il miglior modo di prepararsi alla morte: {25 [239]} «Sire, rispose Vincenzo, si è d' imitare quello con cui Gesù Cristo si preparò alla propria, e di sottomettersi interamente e perfettamente, come egli fece, alla volontà del Padre celeste.» Non mea voluntas sed tua fiat. O Gesù, ripigliò quel monarca cristianissimo, e spirò con questi buoni sentimenti fra le braccia del nostro Santo, il giorno nel qual trenta anni addietro era salito sul trono.

            Così Vincenzo ebbe ognor presente il Figlio d'Iddio per servirsene di modello; ed appunto per ricopiare più esattamente Gesù Cristo annichilato fuggiva fino l’ ombre di ostentazione! pubblicava ovunque la bassezza de'suoi natali, si qualificava per ignorante, e detestava la pompa delle parole ed il fasto della mondana eloquenza.

            «Nostro Signor Gesù Cristo, soleva dire, poteva dare un grande splendore alle sue azioni, ed una sublime virtù alle sue parole; non volle farlo; fece anche di più, poichè per confondere maggiormente il nostro orgoglio colle sue ammirabili umiliazioni, ha voluto che i suoi discepoli facessero assai più di quel che egli non fece; e perché ciò? perchè volle essere {26 [240]} superato nelle azioni pubbliche, per ispiccare nelle più abbiette e nelle più umili di cui gli uomini non conoscono il pregio; vuole i frutti dell'Evangelio, e non vuole le acclamazioni del mondo. Ed oh! perchè non seguitiamo l'esempio di quel Divino Maestro! perchè cediamo sempre il vantaggio agli altri! perchè non scegliamo il peggiore ed il più umiliante per noi! Essendo questo certamente il più gradito agli occhi del nostro Signore, unico scopo a cui dobbiamo tendere. Da quest'oggi risolviamo adunque di seguirlo e di offerirgli i piccoli sacrifizi. Diciamo gli, e diciamolo a noi stessi.... Fra due pensieri che potranno venirmi alla mente, io non produrrò all'esterno che il minore per umiliarmi, e riterrò nascosto il più bello per farne un sacrifizio a Dio nel secreto del mio cuore. Sì, è una verità del vangelo, che nostro Signore non si             compiace maggiormente quanto nell' umiltà del cuore e nella semplicità delle parole e delle azioni. Ivi risiede il suo spirito e invano lo cercheremmo altrove. Se volete dunque trovarlo, fa di mestieri rinunciare all'affettazione ed al desiderio {27 [241]} di comparire, alla pompa dello spirito non che a, quella del corpo, e infine a tutte le vanità e a tutte le soddisfazioni della vita.» Per tal maniera Vincenzo seguitava il' gran modello della vera virtù, il fonte di ogni santità, l’ Uomo Dio Cristo Gesù.

            Siccome l'uomo è nato per amar Dio e far del bene al suo simile, così noi vedremo tutti i pensieri di Vincenzo intenti a questi due oggetti, Dio per amarlo, prossimo per beneficarlo. Transibat benefaciendo.

 

            Frutto. Bisogna risolversi ad imitare G. C. e seguirlo ne'patimenti; altrimenti non verremo giammai a partecipare della sua gloria. Qui vult gaudere cum Christo oportet pali cum Christo. {28 [242]}

 

 

Giorno terzo. Sua carità verso de'mendici.

 

            La virtù che caratterizza essenzialmente il cristiano è la carità. L'uomo privo di questa virtù, dice s. Gioanni, è come un corpo morto incapace di agire. Motivo per cui S. Paolo la chiama la più bella e la maggiore di tutte, la quale solleva l'uomo allo stato di angelo. Questa virtù fu indivisibile a tutte le azioni di Vincenzo. Cominciò sì per tempo l'esercizio della carità, che si può dire la compassione essere nata con lui. Se gli avveniva d'incontrare qualche persona bisognosa, sentivasi tutto commosso, e donava quanto aveva per soccorrerla. Talvolta privavasi de'propri alimenti per darlo a'poveri; ed avendone un tal dì trovato uno, che gli parve estremamente povero, gli diede trenta soldi; somma, a vero dire, modica in so stessa, ma assai considerevole per un fanciullo, che aveva impiegato lungo tempo ad accumularla a poco a poco.

            Tali furono nel piccolo Vincenzo ( non toccava ancora i dodici anni) i primi saggi d'una carità, che doveva in seguito operare {29 [243]} sì grandi prodigi. Accenneremo qui di passaggio come il servo di Dio stabilì ospedali, confraternite di carità ed assemblee di signore, e con questi diversi mezzi riuscì a procurare ad un numero infinito di poveri, sani ed infermi, i soccorsi di cui abbisognavano: ma quello che si può dire con tutta verità si è, che le sue grandi opere, tanto utili a' miserabili, sussistono ancora oggidì. Bastano per dimostrare quale sia stata la carità di Vincenzo de'Paoli parecchi pii stabilimenti che fanno tanto onore alla Francia, all' Italia, anzi il suo spirito maravigliosamente rinasce e si propaga in ogni luogo. La città di Torino si gloria di un ricovero sotto gli auspizi di S, Vincenzo, dove più centinaia di poveri, di storpi, mentecatti, orfanelli, infermi, sordomuti ecc. trovano sollievo alle loro indigenze[1].

            Sta scritto del Santo Giobbe, «che giammai ricusò a' poveri ciò che desideravano; che non fece invano aspettar lungo {30 [244]} tempo la vedova, non mangiò mai da solo il suo pane, il quale divise coll' orfanello; nè trascurò di soccorrere colui, il quale non avendo abiti moriva di freddo, nè il povero era privo di vestimenti.» È questo il ritratto di Vincenzo. Sente che la metà degli abitanti di l'alesò sono ammalati, che muoiono dieci o dodici per giorno, che quel luogo avrebbe bisogno di un sacerdote e d' ogni sorta di viveri; all'istante fa partire a sue spese quattro de'suoi preti con un chirurgo, ed invia quasi tutti i giorni una vettura carica di farina, di vino, di carne e di altre derrate; vi impiega quanto danaro egli ha, e quando non può più dar nulla, sollecita la carità di persone potenti. Appena ebbe provveduto a' bisogni di Palesò, le innondazioni della Senna presentano alla sua carità un campo di non minore estensione. Gli abitanti di una città non potendo uscire dalle loro case si trovano ridotti ad estremi tanto più grandi, quanto che non possono spedire alcuno a chiedere soccorso, ma Vincenzo, mediante la conoscenza che aveva della situazione di quel villaggio, previde quel che era pur troppo accaduto, e, {31 [245]} senza aspettare avvisi più certi, spedì sul momento una carretta carica di pane; fece lo stesso il dì seguente, e finchè durò lo straripamento, continuò ad inviar loro dei soccorsi; intantochè due de'suoi missionari, esponendosi sopra alcuni batelli, andavano in tutte le strade di quel paese distribuendo i viveri agli abitanti, i quali dalle finestre delle loro case ricevendo i soccorsi rendevano al Signore grazie solenni. Non fu attento solamente ai bisogni de' poveri della campagna; quelli della città e de' sobborghi di Parigi non ebbero minor parte alla sua compassione ed alle sue elemosine. Poichè senza parlare di molti orfanelli che in vari tempi ricevette ed alimentò a San Lazzaro, de' viandanti a' quali faceva distribuire pane o danaro; delle persone cui la vergogna impediva di domandare, ma che la sua carità facevate cercare e scoprire, ed alle quali inviava segretamente elemosine in danaro od in viveri, secondo la differenza de' loro bisogni; d' un gran numero di poveri cui faceva dare degli abiti quando se ne avvedeva del bisogno; de' prigionieri a' quali andava a far l'istruzione; della caritatevole pratica che introdusse {32 [246]} (la quale sussiste tuttora) di ricevere tutti i giorni a mangiare alla sua mensa due poveri vecchi; fece fare fin dal principio della sua Congregazione una distribuzione di pane, di minestre, di carni a molto famiglie che mandavano a chiederne; ed in seguito una simile distribuzione a tutti i poveri che si presentavano talvolta fino al numero di ottocento. Del resto per far conoscere tutto il pregio della carità di Vincenzo bisogna riflettere, che nel tempo in cui la casa di San Lazzaro soffrì i maggiori danni dalle truppe, le quali nelle turbolenze di Parigi avevano consumato o rapito tutto quanto poteva servire alla vita, nel tempo stesso che vari de' suoi poderi erano stati saccheggiati e rovinati, faceva distribuire tutti i giorni le sue elemosine pubbliche. Per altro non aveva egli imitato la condotta de' prudenti del secolo, che hanno costume di riserbar qualche somma per gli accidenti imprevisti; avrebbe creduto diffidare della divina Provvidenza, e quando aveva tutto dato, il suo unico spediente era di prendere ad imprestito per proseguire la buon'opera.

            Dopo sì grandi effetti della sua carità niuno sarà più sorpreso nell' udire ciò che {33 [247]} ora racconteremo. Un soldato che noti conosceva affitto avendolo pregato di riceverlo presso di se per alcuni giorni, ed essendovisi ammalato, Vincenzo lo fece mettere in una camera con fuoco, e per dite mesi gli fece prestare da uno de' fratelli della sua Congregazione tutti i servigi di cui abbisognava fino al suo perfetto ristabilimento. Un carrettiere avendogli esposta la perdila fatta de' suoi cavalli, gli fece dare all'istante dieci doppie. Un'altra volti aveva appena ricevuti 40 scudi che li diede sul momento ad un povero uomo che trovavasi in gran bisogno. Allorchè trovava de' poveri sdraiati nelle strade, li metteva nella carrozza, di cui era costretto a servirsi per le molte sue infermità, e li conduceva a qualche albergo. Quando moriva qualche povero nelle vicinanze della casa di san Lazzaro, procurava delle vesti per seppellirlo. Qualora avveniva che si volessero fare delle spese a carico dei debitori o de' coloni che non pagavano i loro debiti, cali adoperavasi perchè venisse loro imprestalo danaro onde trarli d'impaccio. Quindi ben con ragione era chiamato Padre de'poveri, potendosi dire di lui come si disse di {34 [248]} Giobbe: «ch'egli ricolmava di consolazione il cuore della vedova, e che colui il quale era sul punto di perire, lo colmava di benedizioni.» Questo titolo conveniva a Vincenzo non solamente per la prontezza, per l'estensione e per la perseveranza della sua carità, ma anche poi i sentimenti di tenerezza e di umiltà con cui l'accompagnava. «Sono angustiato per la nostra Comunità, diceva un giorno, ma essa non mi commove tanto quanto i poveri. Como faranno essi? Vi confesso che ciò mi è di peso e di dolore. » Tale era la sua compassione verso de' poveri, e si può benissimo non essere sorpresi di trovarla in un uomo, che faceva tanto per loro; ma non si potrà sentire senza sorpresa, che Vincenzo de' Paoli sopraccaricato di all'ari, e non camminando che con pena, sia disceso dalla sua camera per distribuire l'elemosina ad alcune povere donne, alle quali aveva promesso di mandarla, e che si sia inginocchiato dinanzi a loro, pregandole a perdonargli per averle dimenticate per qualche tempo.

 

            Frutto. Noi non possiamo a meno di non ammirare tutti questi tratti luminosi di svisceratacarità {35 [249]}e sentirsi stimolati a fare altrettanto. Procuriamo che questi non siano solo movimenti del cuore ma risoluzioni pratiche t e alla prima occasione mostriamoci sensibili e nel tempo stesso benefici al nostro simile, che ci dimanda aiuto.

 

 

Giorno quarto. Amore del Santo per Dio.

 

            Per bene apprezzare qual sia stato l’ amore di s. Vincenzo verso Dio, sarebbe mestieri conoscere tutta l'influenza dello Spirito Salito sul cuore di lui, e la fedele sua cooperazione a' lumi che ne riceveva. Questa manifestazione cui Dio ha dato principio sulla terra, proponendo le sue virtù al culto de' cattolici, non sarà perfetta tino al giorno finale in cui rivelerà il segreto de' cuori. Nulladimeno trovasi in questo mondo, giusta l'espressione dell'apostolo s. Giovanni, un indizio infallibile il quale ci fa discernere se si ama Dio, e questo {36 [250]} indizio è la costante osservanza della santa sua legge. Vincenzo fu esalto nell' adempiere a tutti i doveri che essa impone. Perfettamente unito al suo Dio, come tutto il suo esteriore indicavalo, ei regolava tutte le sue azioni a seconda de' comandi di quella legge eterna dalla quale emana ogni giustizia. La vita di lui era un continuo sacrifizio che faceva a Dio degli onori, dei piaceri del mondo e delle sue affezioni. Il suo cuore non provava mai una gioia tanto sensibile come allorquando lo rivolgeva verso la gloria ineffabile che Dio possiede in se stesso. Il più vivo de'suoi desideri era, che Dio fosse più conosciuto, servito, adorato in ogni luogo, da ogni creatura. Quanto faceva, diceva, non avere altro scopo, tranne quello d'inspirare in tutti questo Divino amore. Da ciò traevano origine quelle tenere aspirazioni nelle quali prorompeva tratto tratto: «Oh Salvatore! oh mio Signore! oh bontà Divina! oh mio Dio! e quando è che ci farete la grazia di essere tutti vostri, di non amare che Voi solo?» Da ciò la cura che aveva di purificare la sua intenzione, e di rammentarsi appartenere al Creatore le più piccole al pari delle più grandi azioni. {37 [251]}

Per piacere a Dio nelle cose più grandi facevasi uno studio di piacergli nelle minime eziandio. Era egli a questo riguardo di una vigilanza tale che a detto di coloro i quali l'osservarono più da vicino, per mancarvi meno di lui bisognava non esser uomini. Da ciò nasceva l'energia di sue parole, che penetravano sino al fondo del cuore di chi l' ascoltava. Talché una signora avendolo inteso ragionare, maravigliata disse alla regina di Polonia: «Eh bene, signora, noti possiam noi forse » dire al pari de' discepoli di Emmaus, che i nostri cuori provavano le fiamme dell'amor d' Iddio, mentre il signor Vìncenzo ci parlava? ve lo confesso, ho il cuore » imbalsamato da quanto il sani' uomo ci ha testè dello. Non vi è da stupire, rispose la regina, poichè è l' angelo del Signore che apporta sulle sue labbra gli accesi carboni dell'amor divino, il quale arde nel suo cuore.»

            Nella grande moltitudine di sacri ministri, che settimanalmente concorrevano alla sua conferenza, diversi hanno attestato che vi andavano principalmente per avere la sorte d'ascoltarlo, e che ne partivano afflitti {38 [252]} quando per modestia non aveva parlato. Eravi nelle parole di lui non so quale unzione di Spirito Santo, che commoveva il cuore di tutti gli ascoltanti. Alcuni fra di essi dicevano a' missionari: «Oh quanto siete voi felici di vedere e di sentire tutti i giorni un uomo sì ripieno d'amor d'Iddio.»

            E in fatti quel sani uomo faceva trascorrere le fiamme della sua carità persino nell'anima di coloro i quali conversavano con lui. «Non vi era, dice l' Arcivescovo di Vienna nella sua lettera a Clemente IX (10 gennaio 1676), nè discorso, nè letura di divozione, che producesse tanta impressione, quanta ei ne faceva su coloro che avevano la sorte d'intrattenersi con lui.» I fanciulli stessi che facilmente s'annoiano de' seri ragionamenti, avevano piacere d'ascoltarlo. «Io era assai giovane, diceva Monsignore di Brienne nella sua lettera al Sommo Pontefice (13 novembre 1703), quando cominciai a conoscere quel vecchio venerando, il quale aveva molta benevolenza per la mia famiglia, e ciò nulladimeno aveva fin d'allora al pari degli altri un'idea tanto grande di sua santità, che una lunga serie d'anni non bastò {39 [253]} a farmi dimenticare i suoi discorsi. »

            Un peccatore ostinato nel vizio fu diretto ad un missionario, affinchè gl'inspirasse migliori sentimenti. Non potè venirne a capo, giacchè in quell'uomo l' abitudine del male erasi convertita in natura. Quel sacerdote lo presentò p Vincenzo, in quella guisa a un dipresso che si presentava al Salvatore l'ossesso che i suoi discepoli non avevan potuto guarire. Il servo di Dio parla a quell' inveterato infermo di spirito, lo incalza, lo scuote, lo confonde, ed ha la consolazione di veder cadere dagli occhi una parte di quella benda ond'era accecato. Tantosto cominciansi a scoprire in lui le primizie di un uomo nuovo. il figlio dell'iniquità geme sulle sue catene, dimanda un ritiro ove possa liberarsene, lo fa con fervore, e sostiene costantemente le sue prime promesse Ringrazia il suo liberatore e pubblica essere Vincenzo colui che gli aveva cangiato il cuore.

            Non contentavasi il Santo di avere un semplice amore di affetto verso Dio, e di concepire alti sentimenti della sua bontà e gran desideri della sua gloria, ma rendeva questo amore di effetto, e come lo vuole S. {40 [254]} Gregorio, ne dava colle operazioni delle prove: Probatio dilectionis exhibitio est operis. Ed è perciò che il santo sacerdote esortava i suoi confratelli ad amar Dio coll'impiego delle loro braccia e col sudore della loro fronte..«Poichè sovente, soggiungeva, tanti atti d'amore d'Iddio e n tanti altri, affetti di un cuore tenero, comunque buonissimi e desiderabili, rendonsi tuttavia sospetti se non sono congiunti alla pratica dell'amore di effetto. Si glorifica il mio Padre celeste, dice il Salvatore, allorquando si raccoglie molto frutto, e su di ciò appunto dobbiamo » stare molto in guardia, posciachè vi sono molti i quali avendo l' esteriore ben composto ed il cuore ripieno di buoni sentimenti non vanno più oltre, e troa vandosi nell'occasione di agire rimangonsi inerti. S'ingannano colla riscaldata loro immaginazione, si contentano de' dolci colloqui che hanno con Dio nell'orazione, ne parlano persino come se fossero angeli; ma trattasi forse di lavorare per amor di Dio, di mortificarsi, d' istrurre i poveri, di andar in traccia della pecorella smarrita, di sopportare pazientemente {41 [255]} le malattie o qualch' altra disgrazia? oimè, il coraggio manca e tutti si ritirano! No, no, non c'inganniamo: Totum opus nostrum in operatione consistit. Appresi io questo da, un gran servo di Dio: trovandosi quell' uomo al letto di morte, mi disse scorgere chiaramente in quell'estremo, che spesse fiate ciò che da taluni riguardavasi come contemplazioni, rapimenti di spirito, estasi, movimenti anagogici come si appellano, unioni deifiche, non erano altro che fumo, e che tutto ciò derivava o da una curiosità ingannatrice, o dagl'impulsi naturali di uno spirito, il quale aveva qualche tendenza al bene; quando in vece una buona azione è il verace contrassegno dell' amore di Dio. Totum opus nostrum in operatione consistit. Insegna l'Apostolo essere le sole buone azioni che ci accompagnano nell'altra tra vita. Riflettiamo pertanto su di ciò, tanto più che a'nostri giorni vi sono molti i quali sembrano virtuosi, e lo sono in fatti, nulladimeno sono inclinati ad una vita dolce e molle, anzichè ad una divozione solida e laboriosa. Paragonasi la Chiesa ad una gran messe la quale {42 [256]} abbisogna di operai che lavorino. Non c'è cosa tanto conforme col Vangelo quanto il radunare de' fumi e delle forze mediante l'orazione, la lettura e la solitudine, e quindi far parte agli uomini di questo pascolo spirituale. È un imitare ciò che si fece dal nostro Signore, e dopo lui dagli Apostoli; è un congiungere l'ufficio di Marta a quello di Maria; è un seguire l'esempio della colomba, la quale digerisce la metà dei cibo che ha inghiottito, e indi col proprio becco fa passare il rimanente in quello de'suoi pulcini per nutrirli. Ecco in qual modo colle opere dobbiam testificare a Dio che lo amiamo: Totum opus nostrum in operatione consistit. »

            In conseguenza il sant' Uomo raffigurava sempre nostro Signor Gesù Cristo negli altri, onde eccitare con maggiore efficacia il suo cuore a prestar loro tutti i doveri della carità. Considerava il divin Salvatore qual Capo della Chiesa nel Supremo Pontefice, qual Pontefice ne' Vescovi, qual Principe de' pastori ne' Sacerdoti, qual Sovrano nei Re, qual nobile ne' gentiluomini, qual giudice ne' magistrati ed altri ufficiali. {43 [257]} Essendo nel Vangelo paragonato il regno de'cieli ad un negoziante, egli considerava Dio come tale ne' commercianti, operaio negli artigiani, povero ne' mendichi, infermo negli ammalati, agonizzante ne' moribondi. Vedendo per tal modo Gesù Cristo in ogni stato, e ravvisando in ogni stato una immagine del Redentore, che il suo prossimo gli rappresentava, animavasi così ad amaro e servire le creature nel nostro Signore, ed il nostro Signore in tutti. Esortava tutti coloro, cui parlava, a seguire queste massime, onde rendere più perfetta la loro carità verso Dio e verso gli uomini.

            Finalmente aveva per principio di far tutto per amore d'Iddio e nulla per umani rispetti. Essendo tale amore incompatibile cogli umani rispetti, soffrir non poteva che si agisse a fine di piacere agli uomini. Uno de'suoi missionari il quale non aveva stabile soggiorno in Roma credè a proposito, ad oggetto d' interessare vie più a suo prò i Cardinali, di cominciare ne' loro domini le missioni, di cui il Santo Padre avevagli lasciata libera la scelta. Vincenzo, cui ne scrisse, gli rispose, un tale divisamento essere umano e contrario alla cristiana semplicità. {44 [258]} «Oh Dio! ci preservi il Signore dall'operare alcuna cosa per fini cotanto hassi. La sua divina Bontà richiede che non facciamo giammai del bene in nessun luogo per farci stimare, ma che abbiamo Lui solo direttamente di mira in tutte le nostre azioni, e che nulla da noi si operi per umano riguardo........... Assicuratevi, che le massime dei Figlio d'Iddio e gli esempli della sua vita privata non sono sterili, essi producono a suo tempo il loro frutto, e chi opera in contrario, tutto riesce in male.»

            L'abborrimento che il servo di Dio aveva per le mire mondane lo fece prorompere un giorno in uno di que'moti subitanei, quali lasciano trasparire le abituali disposizioni del cuore. Uno de' suoi erasi accusato in presenza degli altri di aver fatto qualche azione per riguardi umani. Vincenzo afflitto in sentire un missionario aver altre mire fuori che Dio, «sarebbe meglio, disse, essere gettato sovra acceso rogo coi piedi e colle mani legate, che il fare un'azione col fine di piacere agli uomini.» Compiangeva la follia di coloro i quali, avendo solamente intenzioni terrene, perdono {45 [259]} quel tempo e quelle fatiche che riuscirebbero cotanto salutifere se elevati si fossero fino a Dio.

            «L'intenzione, dicevasi da lui, è l'anima delle nostre opere; essa ne aumenta sommamente il pregio ed il valore; poichè siccome geli abiti d' ordinario non si stimano tanto per la stoffa di cui si formano, quanto per li ricami de'quali vanno adorni, così non bisogna già contentarsi di fare delle buone operazioni, ma è necessario illustrarle col merito di una santa intenzione, facendole unicamente per piacere a Dio. »

            Da questi principi purificati nasceva in lui un vivissimo desiderio di procurare la, gloria d'Iddio e di condurre tutti a partecipare di questi stessi sentimenti. voleva che un vero discepolo di Gesù Cristo rendesse conto a se stesso de'motivi i quali lo spingevano ad agire, e interrogandosi prima di cominciare ognuna delle sue azioni, dicesse a se medesimo: Per qual motivo intraprendi tu questa anzi che la tale altra cosa? È forse per soddisfarti, o per piacere ad una debole creatura? Non è forse nell'unica mira di adempiere la volontà di Dio {46 [260]} e di seguire l' impulso del suo spirito? « Quale vita condurremmo noi, diceva a'suoi, se ci fosse dato di contrarre la beata facilità di voler tutto in Dio e tutto per Dio! La nostra vita avrebbe una relazione mag  giore       con quella degli angeli, che con quella degli uomini; sarebbe in certo qual modo tutta Divina, poichè tutte le nostre azioni si farebbero co' movimenti dello Spirito Santo e della sua grazia. »

            Tutta la vita del Santo è una prova ch'egli agì costantemente in questo senso, e questa prova verrà confermata dalle grandi cose che andremo esponendo.

 

            Frutto. Una limosina per amore d'Iddio. {47 [261]}

 

 

Giorno quinto. Sua carità verso il prossimo e specialmente versi de'condannati alle galere.

 

            Benchè i bisogni de'poveri della campagna fossero il grande oggetto dello zelo di san Vincenzo, non limitavasi per altro a questi; tuttociò che portava l'impronto della miseria era di sua pertinenza. Non aveva bisogno di sollecitazioni, nè di preghiere importune, andava in cerca de'più miserabili e si affrettava a sollevare quegli stessi, i quali non avevano giammai pensato d'implorare il suo soccorso. Non così tosto ritornava dalle Missioni, che per sollevarsi dalle fatiche inseparabili da sì penoso ministero, visitava gli ospedali e le prigioni, e prodigava a'prigionieri ed a' malati tutti i servigi che poteva. La sua inclinazione spingendolo sempre laddove trovavasi maggior quantità di piaghe da guarire, volle sapere com'erano trattati i forzati a Parigi prima di esser condotti a Marsiglia. Lo fecero entrare nelle più secrete prigioni; s' immaginava bensì di trovarvi molta miseria, ma assai più ne trovò di quella ch' aveva creduto. Ecco un' idea {48 [262]} in poche parole de' disgraziati rinchiusi in oscure e profonde caverne, divorati da insetti schifosi, estenuati dal languore e dalla povertà, e interamente trascurati quanto al corpo e quanto all'anima.

            Un trattamento sì opposto alle regole del cristianesimo e dell'umanità stessa commosse vivamente il santo Sacerdote; non si dissimulò che il rimedio ad un sì gran male costerebbe molto. Da una parte si trattava di sollevare un gran numero di miserabili, dall'altra bisognava raddolcire il loro stato senza sottrarli alla giustizia; inspirare un salutar timore de' giudizi di Dio ad uomini che non ci avevano mai pensato, insegnare ad una moltitudine di cuori ostinati nella colpa, a santificare coll'amore e colla pazienza quei medesimi patimenti che gl'inasprivano, e che erano per essi un' occasione così prossima e continua di bestemmia e disperazione. Per loro ventura non conosceva Vincenzo che cosa fosso difficoltà quando si trattava di procurare la gloria di Dio, e di soccorrere gli afflitti.

            Ripieno ancora delle emozioni cagionategli da que' tristi oggetti ne parlò col Signor de' Gondi generale delle galere: gli rappresentò {49 [263]} que' colpevoli appartenere a lui, e mentre s'indugiava per condurli al luogo lor destinato, essere proprio della sua carità di non soffrire che restassero senza consolazione propose un. mezzo onde assisterli corporalmente e spiritualmente; il Sig. de' Gondi lo approvò, e diede a Vincenzo un pieno potere onde eseguirlo.

            Il sant' Uomo affittò una casa, ove riunì tutti i forzati dispersi nelle diverse. prigioni della città. Non avendo per questa buona opera altri fondi tranne quelli della Provvidenza, mise in qualche modo a contribuzione quelli fra i suoi amici che erano in situazione di supplire alla sposa. Il Vescovo di Parigi prese parte a'suoi disegni, e con un monitorio del i giugno dell' anno 1618 ingiunse a' Parrochi, a' Vicari ed a' Predicatori della stessa città, di esortare i popoli a concorrere ad una sì santa impresa. Le sollecitudini che si diede Vincenzo non furono inutili, il suo esempio fu seguito da molti, talmente che si vide in grado, dopo aver rimediato ad una parte de' bisogni del corpo, di poter cominciare a mitigar quelli dell'anima. Spesso visitava i forzati, e loro parlava di Dio con una forza piena di dolcezza, {50 [264]} instruivali intorno alle verità della fede e alle loro obbligazioni; faceva loro sentire, che sebbene involontarie fossero le loro pene, potevano essere sopportate in un modo da essere meritorie; aggiungeva questa acquiescenza perfetta diminuirebbe la loro amarezza, e giustamente parlando, non vi erano vere pene, se non quelle che devono gastigare l'impenitenza finale per tutta l'eternità.

            Questi discorsi fecero una grande impressione sopra uomini i quali non vi erano punto assuefatti, e renduti eziandio più attenti dai buoni trattamenti che di continuo ricevevano, si videro molti segni di un dolore sincero. Le confessioni generali col tempo condussero al termine ciò che le esortazioni avevano cominciato. Vincenzo ebbe la consolazione di veder uomini, i quali sovente avevano dimenticato Iddio per un lungo corso d'anni, appressarsi a' Santi Sacramenti con disposizioni capaci di animare altresì le persone già inoltrate nella virtù.

            Questo cangiamento mentre annunziava in un modo tanto sensibile la forza della mano dell'Altissimo fece molto onore al nostro Santo, sia in Parigi, che alla Corte. Non si poteva {51 [265]} concepire come un sul uomo potesse farne sussistere tanti altri, nè con quale destrezza avesse potuto soggiogare cuori naturalmente feroci, nè ove trovasse forze bastanti per sostenere, senza posarsi un momento, tante funzioni sì varie e sì pericolose. Difatti il Santo Sacerdote trattenevasi ogni giorno per un tempo considerabile presso i forzati e rendeva loro servigi d'ogni specie. Le malattie contagiose dalle quali erano qualche volta infetti non lo respingevano; anzi richiudevasi con essi ond' essere più in agio di consolarli e di soccorrerli.

            Quando altri affari, di cui era sopraccaricato, lo chiamavano altrove, ne lasciava la cura a due virtuosi ecclesiastici dal medesimo spirito animati. Essi alloggiavano in questo nuovo spedale di forzati, vi celebravano la messa, e nudrivano ogni dì la semente quale il nostro Santo aveva sì felicemente gettata. Egli non li lasciava soli che il minor tempo possibile. il suo tesoro era in mezzo di questa terra nuovamente dissodata, il suo cuore vi era incessantemente richiamato.

            Il signor de' Gondi, egualmente sorpreso ed edificato dell' ordine da Vincenzo stabilito in fra uomini i quali mai non ne aveano {52 [266]} conosciuto, stabilì d'introdurlo in tutte le galere del regno. Espose al Re la grande capacità e lo zelo del nostro Santo, e gli fece comprendere che, col favore della corte non mancherebbe di procurare in molti luoghi i vantaggi che aveva già procurato a Parigi. Luigi XIII acconsentì volentieri ad una proposizione sì giusta, stabilì Vincenzo Cappellano Regio e generale di tutte le galere.

            Nel 1622 Vincenzo andò a Marsiglia in soccorso de'forzati. Chi è pratico di questi luoghi capisce che il solo nome di forzato rappresenta assai spesso l'idea d'una moltitudine di scellerati, i quali nel proprio delitto detestano la sola pena che ne è la conseguenza; i quali dall'eccesso del gastigo resi insolenti e furiosi credono vendicarsi colte loro bestemmie contra Dio de' cattivi trattamenti ricevuti dagli uomini, simili in qualche modo a quegli angeli delle tenebre, i quali puniti da Dio con tanto rigore, cangiano di luogo e di clima senza cangiar mai di situazione, perchè portano ovunque la loro prigione, le lor catene, e le loro perverse disposizioni. Al primo entrare in que' tetri luoghi trovavasi una parte di ciò che può servire a formarsi un'idea dell'inferno: si vedeva un {53 [267]} ammasso di disgraziati che soffrivano da disperati, e pronunziavano il nome di Dio come lo pronunziano i demoni, cioè per bestemmiarlo; che raddoppiavano i loro supplizi, maledicendo quella mano la quale li percuoteva. Alla vista di questo spettacolo il sant'Uomo si sentì commosso, ma non stette contento ad una sterile compassione.

            Qual tenero padre andò a visitare quegli infelici, ascoltava i loro lamenti con molta pazienza,, piangeva con chi piangeva, baciava le lor catene e te bagnava di lagrime, alle parole univa per quanto il poteva l'elemosina, e con questa si apri la strada ai cuori; parlò ancora agli ufficiali ed impiegati, gl'indusse a trattare con maggior riguardi degli uomini che soffrivano di già assai. Le sue cure non riuscirono inutili, si vide più umanità da una parte, e più docilità dall' altra; lo spirito di pace s'introdusse progressivamente, le doglianze si calmarono, i cappellani ordinari poterono parlare liberamente d'Iddio, delle cose dell'anima, e conobbero che gli stessi forzati sono altresì capaci di virtù.

            Il Santo diede una Missione a Bordò, ove il sig. de'Gondi avendo condotto dieci galere, Vincenzo scelse venti de' migliori operai {54 [268]} evangelici e li distribuì due a due in ogni galera. Egli era presente dovunque; guadagnò a Dio un maomettano, il quale fu sempre sì riconoscente alla grazia che il sant'Uomo gli avea procurata, che l'onorava come padre. Ebbe il Santo la consolazione di vedere un gran numero di forzati convertirsi con tutta la sincerità del loro cuore.

            Si portò pure Vincenzo a Parigi dove procurò lo stesso bene nelle prigioni instituendo un ospizio per i forzati. La Divina provvidenza lo aiutò mirabilmente inspirando una persona virtuosa dilegare sei mila lire di rendita al novello ospizio. Fu stabilito che il procuratore generale avrebbe in perpetuo l'amministrazione temporale di questa specie di spelate, le figlie delta carità sarebbero destinate al servizio de' disgraziati, e sopra tutto degli ammalati; che ogni anno si darebbe ad alcuni preti determinati la somma di trecento lire, colta obbligazione di rendere loro lutti i servizi spirituali che i preti della Missione avevano reso fin allora. Lo zelo di questi virtuosi ecclesiastici non rallentò quello del Santo per la salvezza de' forzati. Si adoperò di maniera che da quando in quando si facessero delle missioni, soprattutto allorchè {55 [269]} essi erano in punto d'essere condotti alle galere, vale a dire precisamente in quel tempo, in cui essi avevano maggior bisogno di rassegnazione, ed in cui era più opportuno il disporli a fare un sant'uso delle loro pene.

            La sua tenerezza per essi non limitossi solamente a' servigi di cui parliamo, ma li sollevò nel luogo stesso ove maggiormente soffrivano. Lo stato tristo di quelli tra i forzati che ammalavano in Marsiglia l'avea commosso assai. Interamente abbandonati, sempre attaccati alle loro catene, oppressi dai dolori, pressochè consunti dal fracidume e dall'infezione, quei cadaveri tutt'ora viventi provavano gli orrori del sepolcro. Vincenzo non potè senza una profonda emozione vedere uomini formati ad immagine di Dio, cristiani redenti dal sangue di Gesù Cristo, ridotti a morire quali bestie.

            Egli ricorsa al Cardinale di Richelieu; gli rappresentò l'orribile stato in cui trovavansi i forzali a Marsiglia nel tempo delle lor malattie, e la necessità di fondare un ospedale per loro. Il Cardinale fece aggradire questo progetto al Re, il quale assegnò in seguilo a sostegno dell' ospedale dodici mila lire di annua rendita sulle gabelle della provincia, {56 [270]} e divenne in poco tempo uno de'più comodi del regno. Vi si trovarono trecento letti, gli ammalati furono serviti da altri forzati i quali venivano sorvegliati da uomini liberi. I preti della Missione vennero incaricati dello spirituale. Questo stabilimento fu una sorgente di benedizioni per i forzati e per gli stessi maomettani; poichè tocchi costoro dalla carità che aveva il Santo per essi rendevano omaggio ad una Religione che in Gesù Cristo e per Gesù Cristo forma un popolo solo di tutti i popoli dell'universo. La Duchessa di Aguillion aveva dato a'preti della Missione quattordici mila lire, a condizione che quattro di loro s'incaricassero dell'istituzione de'forzati, i quali facessero ad essi delle missioni ogni cinque anni, allorchè le galere si trovassero a Marsiglia, o in altra parte del regno. Così un solo prete, un povero prete metteva in movimento quanto lo stato aveva di più grande per procurare a' disgraziati, che considerava come suoi fratelli, tutti i soccorsi della più attiva carità.

            «Il frutto della missione, scrisse il Vescovo di Marsiglia alla suddetta Duchessa, ha superato ogni aspettazione. Si trovaron da prima degli spiriti ignoranti e così ostinati {57 [271]} ne' lor peccati e talmente inospiti contra la loro misera condizione, da non voler a niun patto sentir parlare di Dio: ma poco a poco la grazia del Signore coll'opera de'Missionari ha siffattamente ammollito il loro cuore, che mostrano al presente tanta contrizione quanta ostinatezza dimostravano per l'addietro. Sareste maravigliata, Signora, se conosceste il numero di quelli che passarono lunghissimi anni senza confessarsi. « Ve ne furono di quelli che avevano trascorso venticinque anni in questo stato, e protestavano di non voler fare nulla fino a tanto che restassero nella schiavitù, ma finalmente Nostro Signore si è impadronito di loro, ed ha scacciato Satana da quelle anime sulle quali aveva usurpato un grande impero. Lodo Dio d'avervi inspirato un tanto bene (di fondare una missione); ed è l'arrivo di questi Missionari che m'ha interamente determinato a questa missione, che forse avrei differita ad altro tempo; e ciò non ostante sarebbe forse accaduto che alcuni fra di essi sarebbero morti nel miserabile stato in cui erano. lo non vi posso « esprimere quante benedizioni questi poveri forzati danno a coloro, i quali procurarono {58 [272]} loro un soccorso cotanto salutare. Io cerco i mezzi onde possano continuare nelle buone disposizioni in cui si trovano, vado ora ad accordare l' assoluzione a quattro « eretici, che furono convertiti nelle galere, (per cura di Vincenzo) altri ve ne sono che hanno la medesima disposizione; poiché queste cose straordinarie li commo vono assai.»

            In un'altra missione trenta eretici in circa fecero Ia loro abiura, un turco fu battezzato sulla galera, altri nove lo furono egualmente ma con maggior solennità nella Chiesa Cattedrale, ove furono condotti come in trionfo alla vista di un gran popolo il quale benediceva Dio. Il disegno de' Missionari nel rendere solenne quell'azione, era di scuotere qualche altro turco, che sembrava esitare. La conversione di questi dieci musulmani era scala preceduta da quella di altri sette battezzati dal Vescovo di Marsiglia. Quanto mai queste cose sono preziose agli occhi di colui, il quale lascia le novantanove pecore nel deserto, per correre dietro ad una sola smarrita. Fecero i missionari di quando in quando delle missioni sopra le galere sia a Marsiglia, che a Tolone; tutte hanno impedito {59 [273]} de' grandi mali, ed aumentarono il numero degli eletti.

 

            Frutto. Chi non può prestarsi per li detenuti, si presti per li schiavi del demonio animando e consigliando altri a lasciare il peccato e porsi in grazia di Dio.

 

 

Giorno sesto. Servigi resi dal Santo ad ogni grado di persone.

 

            VINCENZO non ebbe minor amore per i religiosi, di quello che aveva per gli ecclesiastici secolari. Ben lontano dal credere che l' umile loro stato fosse una ragione di stimarli meno, trovava in esso de'motivi di una perfetta venerazione. Non imputava già al corpo,per una malignità tanto ingiusta quanto comune, la caduta di alcuni particolari. Sapeva che coloro, i quali nulla perdonando sarebbero molto da compiangersi se fossero misurati in quel modo eh' eglino misurano gli altri. Occupato come era de' suoi affari Vincenzo non si divertiva a rintracciare i {60 [274]} diffetti di coloro, di cui non era incaricato; non vedeva que'difetti se non quando colpivano gli occhi. Scongiurava i suoi per le viscere della carità di Gesù Cristo di rispettare tutti gli ordini stabiliti nella Chiesa, di sbandire da'loro cuori l'invidia, la gelosia e simili passioni, che punto non si accordano coll'umiltà, nè colla carità, quale devesi al prossimo. Da ciò emergevano quelle belle parole che ripeteva sovente. «Amerei meglio.« perdere cento stabilimenti, che impedirne un solo di qualunque altra comunità. »

            La sua tenera affezione per i Regolari mostrossi soprattutto nello zelo che dimostrò nel ricondurre all'osservanza primitiva del loro stato coloro i quali se n'erano allontanati. Più case religiose sono un monumento glorioso dell'attività e dell'estensione della sua carità. Non la ristrinse soltanto ad alcune comunità; ma la estese fino sopra case insolite ed anche sopra religiosi in particolare. Nulladimeno il suo amore per lo stato monastico non era debole nè cieco. Non approvava, senza avere solide ragioni, si passasse da un ordine ad un altro, voleva che ciascuno si santificasse nella propria vocazione. {61 [275]}

            « Compatisco le vostre pene, scriveva ad un regolare; abbiate pazienza, M. R. P., e chiedetela al nostro Signore, cui piace d'esercitarvi. 'Egli farà in modo che l'ordine in cui vi ha posto, rassomigliante ad un vascello agitato, vi guiderà facilmente al porto. Non posso raccomandare a Dio, secondo il vostro desiderio, il pensiero che avete di passare in un altro ordine, perchè mi sembra non sia conforme alla sua volontà. Ovunque ci sono delle croci, e la vostra età inoltrata vi dove far evitare quelle, che trovereste cangiando di stato.»

            Su questo fondamento si può giudicare quanta gioia provasse vedendo un gran numero di famosi monasteri ridivenire a' suoi tempi come erano stati ne' loro più bei giorni, e quanto dolore risentisse nel vederne alcuni altri sacrificare la loro coscienza all'amore d'una falsa e colpevole libertà. Fra i tanti servigi che il Santo ha prestati ad una infinità di monasteri, non si son mai conosciuti se non quelli che non ha potuto occultare. Oltre quelli elle rese all'ordine di Malta, per i quali ricevè dal Gran Maestro Paolo Lascaris (discendente da'Conti di Ventimiglia {62 [276]} e procedente dagli antichi Imperatori di Costantinopoli) una lettera di ringraziamento, fu abbastanza felice di prestarne ai Rev.di Padri Minimi, ed è in considerazione di questi servigi, che il Generale dei medesimi, indirizzò a Vincenzo delle lettere d'associazione, che lo fanno partecipare alle preghiere, ai sacrifizi, a'digiuni, alle indulgenze e a tutte le buone opere che si facevano e che si farebbero in seguito in tutta l'estensione del suo ordine.

            Quanto Vincenzo fece per introdurre l'ordine presso i Religiosi, lo fece con impegno anche maggiore per ristabilire o conservare una esatta disciplina nei monasteri di vergini. Sapeva con San Cipriano, che più le vergini consacrate a Dio fanno onore alla sua Chiesa mediante la regolarità de' loro costumi, tanto più si rende necessario di fortificarle contro alla loro propria fragilità, e non ignorava il cattivo esempio contagioso ovunque, lo fosse ancor di più presso persone più facili ad essere sedotte. Per questo motivo procurò sempre loro delle Abadesse, e delle Superiore, le quali non dovessero la loro vocazione al sangue nè alla carne, ma unicamente alla volontà di Dio. {63 [277]}

            Persuaso che il fervore o la decadenza delle comunità di vergini proviene ordinariamente da ehi è alla testa dei monasteri, fu sempre ferino a far nominare per Superiore quelle che erano le più capaci, le più provate, le più esatte a tutte le osservanze regolari. Così quando alcune Abadesse, sotto pretesto di età o d'infermità dimandavano per coadiutrici le loro sorelle, le loro nipoti, od altre parenti, per le quali avevano troppo attaccamento, il Sant'Uomo, nemico dichiarato di tenerezze affatto mondane non badava se non alla gloria d'Iddio e al bene della comunità, e qualunque cosa si fosse fatta o detta era irremovibile su questo particolare. Adduceva per ragione, che allorquando le abazie vengono a vacare in caso di morte, si ha la libertà di scegliere delle religiose virtuose, e capaci di mantenere il buon ordine se vi è, e di ristabilirvelo se manca; quando invece col mezzo di queste coadiutrici, una religiosa, che ha poca virtù, succede sovente ad un'allra, che ne aveva poco più.

            Le buone opere, di cui abbiamo finora parlato, non fecero dimenticare a Vincenzo le figlie di San Francesco di Sales. Le visitò {64 [278]} in vari tempi, e vide con soddisfazione tutto ciò che la divozione e l'unione hanno di più dolce e di più consolante. Quelle sante figlie hanno confessato dappoi, la presenza di Vincenzo essere mai sempre stata per loro una sorgente di grazia e di benedizioni; poichè avendo egli sopra tutto il raro talento di calmare le loro pene,e molte fra loro ch'erano in preda a aravi tribolazioni di spirito, se ne trovarono interamente liberate, allorchè avevano la fortuna di conversare con lui. S. Francesta di Chantal confessò pure con riconoscenza, che i lumi ed i consigli di quel grati servo di Dio le avevano giovato di molto per la sua condotta particolare, e per quella dell'ordine suo.

            La carriera percorsa da Vincenzo è così vasta che è quasi prodigiosa; contando anche per poco i molti servigi prestati alle comunità d'uomini e di donne; que' soli resi agli eserciti ed a' paesi che furono il teatro della guerra lo pongono a livello cogli uomini di misericordia, i quali maggiormente onorarono la Chiesa, e beneficarono l'afflitta umanità. in una sanguinosa guerra insorse una pestilenza per cui molti morivano privi de' conforti della religione. Vincenzo {65 [279]} inviò venti, de'suoi missionari, i quali confortava con queste parole. «La peste serpoggia nell'esercito, scriveva Vincenzo ad uno di loro; andate dunque, Signore, andate collo stesso spirito con cui S. Francesco Saverio andò alle Indie, e riporterete al pari di lui la corona da Gesù Cristo meritatavi col suo sangue prezioso, la quale vi accorderà se onoratela sua carità.»

            La fedeltà di que' degni ministri nel compiere il sacro ministero attirò le benedizioni del cielo sui loro lavori; ne sostennero la fatica con molto coraggio. Fra pochi mesi contavansi già quattro mila soldati che s'erano accostati al tribunale di penitenza con grande effusione di lagrime: alcuni fra loro furono altresì attaccati dalla malattia contagiosa, ma Dio li conservò alla sua Chiesa per la salute delle anime.

            In un'altra guerra moltissimi perivano di miseria; ma Vincenzo pieno il cuore di carità e colle lagrime agli occhi si presentò alla Regina e ad altre pie persone per ottenere caritatevoli sussidi. Diede egli stesso l'esempio d'una santa e generosa liberalità. Salvò la vita e spesso l'onore agli abitanti di venticinque città, ed un numero infinito di borghi {66 [280]} e di villaggi che erano agli estremi. I malati riceverono da lui ogni maniera di soccorsi quali potevano aspettarsi dalla paterna sua carità; procurò degli abiti ad un numero prodigioso di persone non solo del basso popolo d'ogni età e d'ogni sesso: ma ancora ad una quantità di giovani distinti, che erano in grave pericolo; a moltissimi Religiosi, li cui monasteri erano stati saccheggiati; ad una quantità di Vergini consacrate a Dio.

            Il Santo adottò nella distribuzione delle elemosine tutte le misure d'una prudenza consumata. Spedì dodici. de'suoi Missionari pieni di zelo e d'intelligenza in diversi luoghi del paese; associò loro alcuni fratelli della sua Congregazione, i quali conoscevano alcuni rimedi contro alla peste ed erano abili in medicina ed in chirurgia; diede loro un lungo e saggio regolamento, in virtù del quale non potevano offendere i Vescovi, nè i parrochi, nè i governi, nè i magistrati; prescriveva loro di consultarli affine di evitare le sorprese, e di proporzionare i soccorsi a' bisogni ed alla condizione di quelli, a' cui dovevano essere distribuiti. il santo ardore, che comunicò alle migliori famiglie di Parigi, le indusse per verità a fare nel corso di quasi {67 [281]} vent'anni degli sforzi che la posterità durerà fatica a credere: ma il male essendo pressochè universale e il bisogno quasi estremo, bisognava, se posso così esprimermi, moltiplicare col buon ordine i soccorsi, i quali sebbene considerabilissimi in se stessi, non lasciavano d'essere di molto inferiori a' bisogni di quel paese.

            Basti solo quanto avvenne a Metz per molti fatti particolari che troppo lungo sarebbe il numerare tutti. Colà il numero de'poveri era somigliante ad un esercito d'infelici. Ogni mattino se ne trovavano dieci o dodici morti, senza noverare coloro che sorpresi in siti appartati divenivano la preda delle bestie carnivore; perchè i lupi furiosi erano pur essi una delle piaghe, con cui Dio percuoteva quel popolo disgraziato. Assuefatti a nudrirsi di cadaveri si vendicavano sui viventi de'morti i quali loro mancavano; assalivano in pieno giorno, mettevano a brani, divoravano le donne ed i fanciulli; le borgate ed i villaggi ne erano infestati orribilmente, entravano perfino durante la notte nelle città dalle aperture delle mura, portavan via tutto quanto potevano afferrare.

            Notte e giorno il Santo Prete si occupava {68 [282]} di quelle calamità e de' mezzi di provvedervi; e vi provvide realmente. Fece passare in tutto il paese immense somme di danaro. stoffe, abiti, coperte e in nessun tempo uomo alcuno meritò meglio di lui il nome di Padre de' poveri. La Lorena deve di generazione in generazione trasmettere fino a' suoi più tardi nipoti la memoria, che la maggior parte di essi devono a lui l' esistenza perchè la salvò ai loro padri: questo appunto riconobbero i magistrati di quasi tutte le città da lui soccorse. Ringraziarono il Santo a nome de' loro fratelli, a un dipresso come San Paolo ringraziava Filemone per avere soccorsi nella loro estrema miseria i servi di Dio: Quia viscera Sanctorum requieverunt in te.

 

            Frutto. Se desideriamo che le nostre viscere si possano anche appellare viscera Sanctorum viscere de'Santi, sia nostro impegno soccorrere il prossimo quando è travagliato dalla necessità. Il demonio per ingannarci dice di pensare attentamente all'avvenire e conservarci alcunchè pel caso d'inaspettato bisogno; ma questa è prudenza mondana; il Signore ci parla chiaramente dicendo che colui il quale vuol essere suo vero discepolo deve dare a'poveri tutto quanto gli sovravanza del necessario sostentamento. Quod superest date pauperibus. {69 [283]}

 

 

Giorno settimo. Conversioni operate da S. Vincenzo de'Paoli.

 

            Quando Vincenzo venne fatto schiavo, dopo molte vicende fu a Tunisi venduto ad un rinegato di Nizza. Questo padrone impiegava Vincenzo a' lavori della terra, ed il Santo doveva naturalmente credersi assai lontano dal riacquistare la sua libertà, ciò nulladimeno era questo più vicino che noi pensasse; vale a dire per mezzo della conversione del suo padrone e della sua padrona. La moglie di questo era maomettana; ma scorgendo nella modestia e nella pazienza dello schiavo qualche cosa di grande, a cui non era assuefatta, andava frequentemente a vederlo alla campagna ove lavorava, e gli faceva mille dimande sulla religione de' cristiani, sui loro usi e sulle loro cerimonie. Un giorno gli comandò di cantare le lodi del Dio che adorava. Un uomo colmo dello spirito de' salmi, si rammentò senza pena di quelle commoventi parole, dal dolore dettate a' figli d'Israele, allorchè erano prigionieri in Babilonia, come era egli schiavo in Barberia. Cantò il {70 [284]} salmo Super flumina Babilonis, e poscia la Salve Regina e simili, di cui la maomettana fu estremamente penetrata. Quindi le parlò dell'eccellenza della religione cristiana.

            Quella donna, sorpresa ed incantata di quanto aveva ascoltato, disse a suo marito, che aveva gran torto di aveo abbandonata la sua religione, la quale, sul racconto che Vincenzo le aveva fatto, le sembrava estremamente buona, e perciò il Dio dei cristiani non meritava di essere abbandonato. Un tale discorso nulla aveva d i lusinghiero per un apostata; poichè se uno è padrone di abbandonare la sua prima vocazione, non è per altro padrone di soffocare i gridi della propria coscienza, ed il peccatore il più ostinato sente nel suo interno una voce importuna la quale parla più forte di quella, che ferisce l' orecchio. Il nizzardo confuso nulla replicò, ma il dì seguente si manifestò a Vincenzo, e l'assicurò essere pronto a salvarsi con lui. Il momento delta partenza non giunse che dieci mesi dopo; il padrone e lo schiavo salirono ambidue sopra un piccolo batello, incapace egualmente o di resistere al furor del mare, o difendersi contro a'corsari. Per {71 [285]} poco fossero stati inseguiti o scoperti non potevano evitar la morte. In que'tempi il processo di due uomini, di cui uno fa abiurare il maomettismo all'altro, è ben presto fatto: sono impalati ambidue senz'altra formalità. Tutti questi pericoli non arrestarono i nostri viaggiatori; posero la loro sorte nelle mani di Dio: invocarono quella a cui la Chiesa dà il nome di Stella del mare; la loro speranza non fu delusa, e il dì 28 di giugno arrivarono in Francia e andarono in Avignone.

            Colà il rinegato diede tutti i contrassegni della più sincera conversione, e fu riconciliato pubblicamente dal vice legato Pietro Montorio. Quel prelato lo fece ricevere nell'ospedale di s. Gioanni d'Iddio ove aveva fatto voto d'entrare, onde far penitenza; ei si dedicò infatti al servizio degli ammalati per sempre. La stia conversione fu opera del santo Sacerdote.

            Una volta Vincenzo fu chiamato a confessare un contadino pericolosamente infermo. Quel disgraziato aveva la coscienza aggravata da più peccati mortali, che un falso rossore gli aveva sempre impedito di manifestare, e animato dalla dolcezza, colla {72 [286]} quale era trattato dal suo Direttore, si fece coraggio e gli scoprì que'falli secreti i quali non aveva giammai avuto la forza di palesare ad alcuno. Il penitente alleggerito da un peso enorme, che l'opprimeva da parecchi anni, trasportato dalla gioia esclamava: «io era dannato se non avessi fatto una confessione generale a causa de' più gravi peccati, de' quali non aveva osato farne la confessione.» Egli dovette questi buoni sentimenti al servo di Dio, e la sua morte edificò molto coloro che ne furono testimoni.

            Fra le conversioni in molte guise operate dal Santo è singolarmente strepitosa quella di un nobile signore savoiardo. Ritiratosi costui in Francia aveva passato tutta la sua vita alla corte, e come per l' ordinario succede a coloro che la frequentano, ne aveva preso i sentimenti e le massime. Essendo allora i duelli la passione dominante delle persone qualificate, ed il mezzo il più proprio per acquistare quella falsa riputazione, di cui queste sono sì gelose, il nostro militare il quale non sapeva perdonare nè dissimulare un' ingiuria, passava per uno de' più grandi duellisti del suo secolo. E {73 [287]} cosa incredibile quanti omicidi avesse commessi. La riputazione di Vincenzo essendosi ben presto dilatata, egli volle conoscere co' propri occhi un uomo, di cui si raccontavano tante cose straordinario. La parola del Santo fu per lui la spada a due tagli, di cui paria la scrittura; essa penetrò nei nascondigli dell'anima sua; questo uomo che ne aveva fatti tremare tanti altri, cominciò a temere egli stesso. La sua coscienza gli fece orrore, e per calmarla si pose sotto la direzione del Santo. Il suo ritorno a Dio fu sincero, e Vincenzo ebbe difficoltà a moderare il suo fervore. Tutta la provincia dove abitava fu maravigliata vedendo un uomo vendicativo, collerico all'eccesso, e che non conosceva altre leggi fuori quelle della convenienza del secolo, abbracciare in meno di quindici giorni i più rigorosi esercizi d'una vita perfettamente cristiana. Vendè sull' istante un vasto suo podere, e la somma ritratta impiegò parte a fondare monasteri, parte a sollevare coloro i quali si trovavano nell' indigenza, ed avrebbe venduto quanto possedeva se Vincenzo per giusti titoli non l'avesse impedito. Condusse tutta la sua vita in modo affatto {74 [288]} esemplare. Finalmente vicino a morire chiese un Padre cappuccino, e ricevette l' umile abito di s. Francesco. Quell'abito di penitenza gli sembrò più glorioso di tutte le dignità, di cui era stato rivestito. Non vi fu alcuno il quale dubitasse, la di lui morte non fosse preziosa agli occhi del Signore.

            Il santo Sacerdote non limitò già il suo zelo a coloro che s. Paolo chiamò i domestici della fede; lo estese altresì a coloro i quali le nuove eresie avevano separato dalla Chiesa. Uno de' primi di cui imprese la conversione fu un certo Reinier, presso del quale egli aveva alloggiato. Era questi un giovine signore, a cui i suoi parenti avevano trasmesso e i loro errori ed un considerabile patrimonio, e perciò una grande facilità d' immergersi in ogni sorta di disordini, egli ne usava senza riguardo. Vincenzo sull'esempio del Salvatore, il quale conversava volentieri co' pubblicani e che aveva cura maggiore de' malati che de'sani, s' insinuò progressivamente nel suo spirito; fece a lui comprendere il pericolo nel quale i suoi cattivi costumi e la sua eresia esponevano l'eterna sua salvezza; lo separò a {75 [289]} poco a poco dalla compagnia de' libertini che l'assediavano, finalmente gli rappresentò co' modi i più vivi, che se il libertinaggio s'accorda bene con una religione, la quale facesse Dio autore del peccato, non s'accorda per altro colla vera religione di Gesù Cristo. Le parole dell'uomo di Dio ló scossero finalmente. Il cangiamento inopinato della sua condotta destò inquietudini ne'ministri di sua setta; un uomo ricco è un oggetto per li settari; le cui 'sostanze aiutano la fazione, e il suo nome ne aumenta il numero. Si mise dunque tutto in opera per trattenere un uomo il quale diveniva sospetto soltanto per essere divenuto più saggio; ma i rimproveri e le sollecitazioni furono inutili. La grazia operava, e il nuovo proselita, dopo aver rinunciato alle sue sregolatezze, abiurò l'eresia, menando il resto di sua vita in opere di cristiana pietà.

            La conversione di Reinier fu seguita da molte altre, ma non ve n'ebbe alcuna che facesse più rumore di quella de' figliuoli di un certo Garone, perchè non ve ne fu alcuna più contrastata. Il loro padre era uno de' più zelanti partigiani della religione pretesa riformata, il cangiamento di Reinier {76 [290]} suo cognato lo aveva irritato, ma quando s' avvide che si disingannarono anche i suoi figli, allora più non ebbe ritegno. Mise in opera tutto quanto l'autorità paterna ha di più atto per fare impressione; li minacciò diseredarli, citò Vincenzo alla camera di Grenoble, mise in movimento e i suoi amici, e i suoi ministri. Tutto fu inutile, poichè non v' è forza nè potenza che possa prevalere contra i disegni di Dio. Tutti i suoi figli si convertirono. il disgraziato padre ne morì di cordoglio, ma la sua stessa morte rianimò la fede nella sua famiglia. il primogenito de' suoi figli entrò nell'ordine di s. Francesco; la figlia si fece religiosa; gli altri restarono nel secolo e vi diedero grandi esempi di carità, di disinteresse, e soprattutto dì zelo per la gloria d'Iddio.

            Alcun tempo dopo il nostro santo Sacerdote entrò in disputa con tre eretici. Propose a costoro i dogmi della Chiesa in tutta la loro semplicità. Ascoltava con pazienza le loro obbiezioni e le scioglieva con quella precisione ch'era propria del suo talento, il che è oggetto tuttora d'ammirazione nelle sue lettere, e nelle sue conferenze. {77 [291]} Alla sesta conferenza due si arresero e dopo essere stati assai felici per conoscere la verità, furono assai generosi per abbracciarla e farne una pubblica professione, non fu però così del terzo.

            Questi sebbene di spirito e di talento era uno di coloro i quali colgono con avidità tutto ciò che sembra favorire le loro prevenzioni, e non si degnano di ascoltare quanto potrebbe loro aprire gli occhi; hanno molta sagacità per moltiplicare le obbiezioni, ma non bastanti lumi per discernere il falso, anche quando questo si fa conoscere; finalmente che s' immaginano la loro condotta essere superiore ad ogni attacco, perchè vedono ciò che v'ha di difettoso nella condotta altrui. Tale era l'uomo col quale Vincenzo ebbe a trattare; si credeva di molto ingegno, pretendeva dogmalizzare, viveva assai male. Nulladimeno si faceva un argomento di partito nella cattiva vita de' cattolici, ed ogni giorno ritornava al conflitto con nuove difficoltà. Eccone una che fa vedere quanto sarà terribile il giudizio che Dio eserciterà sopra i cattivi sacerdoti, e con quanto grande equità, secondo la sentenza di Ezechiello, vendicherà {78 [292]} sull' indolenza de' pastori la perdita delle pecore loro confidate.

            «Voi pretendete, Signore, che la Chiesa di Roma sia guidata dallo Spirito di Dio, diceva l' eretico al nostro Santo, ma questo appunto è ciò eh' io non posso credere; poichè da una parte si vedono i        cattolici della campagna abbandonati a Curati viziosi ed ignoranti, senza essere istruiti de' loro doveri, senza che la magior parte sappiano neppure che cosa sia la cristiana religione, e dall' altra si veggono le città ripiene di preti e di monaci che nulla fanno, e lasciano nulladimeno quella povera gente nell'ignoranza spaventosa, per cui si perdono tutti i giorni; e voi vorreste persuadermi che ciò sia guidato dallo Spirito Santo? Io non lo crederò mai più.»

            Il servo d' Iddio fu afflitto di vedere un eretico giustificare la sua ribellione contro alla Chiesa colla condotta ili coloro stessi, la cui vita dovrebbe essere tanto edificante da farvi entrare il pagano e l' infedele. Concepì di nuovo e l' estensione del bisogno spirituale de' popoli della campagna e la necessità di soccorrerli. Tuttavia per {79 [293]} non lasciar senza risposta una difficoltà, la quale in fondo nulla aveva di solido, e in certo modo potrebbe essere tanto concludente contro a' protestatiti, quanto contro a' cattolici, Vincenzo dissimulando il male quanto potè farlo, replicò, che vi erano ancora in molte parrocchie buoni Curati e buoni Vicari; che fra gli ecclesiastici cd i religiosi che abbondano nelle città, ve n'erano di quelli i quali impiegavano il loro ministero nelle carceri e negli ospedali. Altri andavano a catechizzare e predicare nelle campagne; fra quei che non uscivano da' loro monasteri, alcuni erano occupati a pregar Dio ed a cantare le sue lodi notte e giorno, altri servivano utilmente il pubblico componendo dotte opere, insegnando a' popoli la cristiana dottrina, e amministrando i sacramenti; aggiunse che coloro, i quali restavano dissoluti e non s'impiegavano come dovevano, adempiendo alle loro obbligazioni, erano uomini particolari, soggetti all'errore, veramente membri della Chiesa, perchè essa racchiude nel suo seno la paglia ed il buon grano, ma che questi non formavano già la Chiesa, anzi all' opposto resistevano allo Spirito Santo il quale {80 [294]} la governa. Terminò spiegando ciò che intendono i cattolici quando insegnano la Chiesa essere diretta dallo Spirito Santo, e fece vedere questa direzione riguardare o il corpo stesso della Chiesa che non può ingannarsi nelle sue decisioni, o i particolari i quali non possono smarrirsi, allorchè seguitano i lumi della fede e le regole della giustizia cristiana.

            Una risposta tanto giusta avrebbe dovuto soddisfare colui al quale era fatta; pure egli non si arreso e sostenne sempre l'ignoranza de'popoli e il poco zelo de' preti essere una prova infallibile che la Chièsa romana non era guidata dallo spirito di Dio. Vincenzo per impedire non si facessero più simili obbiezioni fece dare una missione. Sparsasi la voce per tutto quel paese, il nostro eretico prese ad esaminare con tutta l'attenzione d'un uomo prevenuto gli esercizi che vi si facevano; assistè alle prediche ed a' catechismi; vide la cura che si prendevano d'insegnare a chi era nell' ignoranza delle verità necessarie alla salvezza; ammirò la carità colla quale si addattavano alla debolezza ed alla incapacità de' più grossolani per rendere loro intelligibile ciò {81 [295]} ch'essi dovevano credere, e far loro bene intendere quanto dovevano porre in pratica. Finalmente fu testimonio della conversione d'un gran numero di peccatori. Colpito da tutti questi oggetti disse al Santo: «Ora vedo che lo Spirito Santo guida la Chiesa Romana, poichè in essa si prendo cura dell'istruzione e della salvezza de'poveri contadini. lo son pronto ad entrarvi quando a voi piacerà che vi sia ricevuto.»

            Vincenzo avendogli dimandato se non aveva più alcuna difficoltà o dubbio: «No, rispose, io credo tutto ciò che mi avete detto, e sono disposto a rinunciare pubblicamente a tutti i miei errori.»

            Il nostro santo Sacerdote per assicurarsi vie più dell'integrità della fede del suo proselito lo interrogò sovra alcuni articoli che sono controversi fra noi ed i protestanti, e sopra quelli sui quali era sembrato più lontano. Fu il Santo soddisfatto delle risposte di lui, e riconobbe con gioia che egli aveva ritenuto ciò che gli si era insegnato. Fu fissato il giorno per dargli l'assoluzione della sua eresia. La radunanza era numerosa, perchè il popolo era stato avvisato {82 [296]} della cerimonia; ognuno ringraziava Iddio del ritorno della pecorella smarrita, rallegrandosi di vederla correre da se stessa all'ovile; ma questa gioia santa venne turbata da un accidente impensato.

            Vincenzo avendo dimandato pubblicamente a quell' uomo se perseverava nella risoluzione d'abiurare i suoi errori, rispose, a dir vero, che vi perseverava, tua soggiunse che una nuova difficoltà sorgeva nel suo spirito all'occasione d' un' immagine di pietra assai mal formata rappresentante la santa Vergine, nella quale, diceva egli indicandola col dito, non poteva credere esistesse qualche virtù. Il Santo rispose che la Chiesa non insegnava già vi fosse qualche virtù in quelle immagini materiali; che Dio poteva bensì loro comunicarne, e loro ne comunicava di tempo in tempo, come l'aveva fatto altre volte alla verga di Mosè che operava tanti miracoli, ma che per se stesse non avevano forza, nè potere; del resto questo dogma della nostra fede era sì conosciuto nella Chiesa, che i fanciulli stessi potevano spiegarglielo. Il santo Sacerdote chiamò al momento uno de'più istruiti, dimandò a lui ciò che dobbiamo credere {83 [297]} circa le sante immagini; il fanciullo rispose essere cosa buona l'averne, e di renderloro l'onore dovuto, non a causa della materia di cui sono formate, ma perchè ci rappresentano nostro Signore, la sua gloriosa Madre e gli altri Santi i quali regnano nel cielo, e avendo eglino trionfato del mondo ci esortano con queste mute figure a seguire la loro fede ed i loro buoni esempi. Vincenzo fece risaltare questa risposta, e se ne servì per far confessare a quell' eretico che la difficoltà, la quale lo aveva soffermato, nulla aveva di solido. Il protestante si arrese di buona fede, abiurò i suoi errori alla presenza di grande moltitudine, e perseverò fino alla morte nel cattolicismo. L'ordine ed i particolari di questa conversione restarono sempre profondamente impressi nella memoria del nostro Santo, perchè la cura che si prendeva d'istruire gli abitanti della campagna n'era stato il principale motivo.

 

            Frutto. Chiunque ha persone a se affidate procuri siano istrutte nelle verità della fede, e dove scorge negligenza, si armi di santo zelo onde si tolga l'ignoranza delle verità della religione, e si toglieranno altresì i disordini del peccato. {84 [298]}

 

 

Giorno ottavo. Della sua dolcezza.

 

            Questa virtù sì propria a cattivare i cuori forse più d'ogni altra costò a S. Vincenzo. Nato bilioso e con uno spirito vivace era naturalmente inclinato alla collera. Si affaticò da principio a reprimere i movimenti destatisi nell'animo suo, ma la violenza che si faceva internamente traspariva al di fuori da un'aria scortese e malinconica. Fece su di se uno studio ben serio; vide quale cosa gli mancava ed ebbe ricorso al Signore, il quale solo può disporre di noi come a lui piace e solo colla sua grazia riforma la natura. Si animò sull'esempio di san Francesco di Sales, la cui estrema dolcezza lo colpì al bel primo trattenimento avuto con lui; finalmente a forza di vigilanza divenne sì dolce e sì affabile, che sarebbe stato in questo genere il primo uomo del suo secolo, se il suo secolo non avesse avuto il santo Vescovo di Ginevra. «Vedendo il signor Vincenzo, diceva Monsignor di Fénélon, si crederebbe » vedere s. Paolo scongiurare i Corinti colla dolcezza e colla modestia di Gesù Cristo.» {85 [299]}

            Costa ben poco il praticare la dolcezza riguardo a coloro i quali l'esercitano con noi: i pagani lo fanno egualmente; ma praticarla con coloro che ci offendono, ci contraddicono e nulla ascoltano, si è l'effetto di una virtù eroica, virtù degna di un S. Vincenzo de' Paoli. Ebbe a trattare e sovente nello stesso giorno con persone educate e con altre rozze ed ignoranti, con persone di spirito e con uomini grossolani, con gente scrupolosa e con orgogliosi filosofi; in una parola con quanti possono immaginarsi dal trono dei Re fino alla capanna de' pastori, con tutti esercitava quel maraviglioso tratto di civiltà evangelica di farsi tutto a tutti per guadagnare tutti a G. C., richiamando ovunque si trovava l' idea dei Salvatore quando conversava cogli uomini.

            Giammai si vide un'alterazione sul suo volto, un' asprezza nelle sue parole, un segno di noia nel suo esteriore; fu veduto interrompere il suo colloquio con persone di qualità per ripetere fino a cinque fiate la stessa cosa a chi non la comprendeva, e dirgliela l'ultima volta con tanta tranquillità come la prima; senz'ombra d'impazienza fu veduto ascoltare povere persone che mal parlavano {86 [300]} ed a lungo, dare alle loro parole il poco buon senso di cui erano capaci; fu veduto lasciarsi interrompere trenta volte in un giorno da scrupolosi che sempre ripetevano la stessa cosa in termini differenti, ascoltarli fino alla fine con una pazienza inalterabile; scriver loro qualche volta di propria mano quanto aveva loro detto, e spiegarglielo più a lungo qualora non lo intendevano bene; finalmente interrompere il suo uffizio o il suo sonno per non mancare all'occasione di fare un sacrifizio, quale costa talvolta assai ad un uomo occupato in tanta diversità di cose. Particolarmente cogli eretici la dolcezza gli sembrava più necessaria. Diceva che nelle contestazioni vive, colui contro del quale si disputa, e che da principio è persuaso di ciò che dice, si voglia prendere il dissopra e prevalere su di lui; allora si prepara non già a riconoscere la verità, ma a combatterla; questa disputa in vece di entrare nel suo spirito chiude ordinariamente la porta del suo cuore, mentr la dolcezza e l'affabilità l'avrebbero aperta; che l'esempio di s. Francesco di Sales era una prova palpabile di questa verità, poichè quel. prelato, sebbene abilissimo {87 [301]}

nella controversia, aveva ricondotti più eretici colla stia dolcezza che per mezzo della scienza; e a questo proposito il Cardinale di Perron era solito dire, che quanto a lui si sentiva bensì di convincere i novatori, ma soltanto Monsignor eli Ginevra sapeva convertirli. «Finalmente, soggiungeva, non ho mai veduto nè inteso alcun eretico siasi convertito 'colla forza della disputa, o per la sottigliezza degli argomenti, ma sì bene colla dolcezza; tale è la forza di questa virtù per guadagnare gli uomini a Dio.»

            Il servo di Dio era altresì persuaso potersi soltanto colla dolcezza ricavar del frutto dalle missioni di campagna. «Rendetevi affabili all'assemblea de' poveri, questo è il consiglio della Scrittura: Congregatione pauperum affabilem te facito. Tale deve essere la nostra regola, diceva ai» suoi; senza questo la povera gente si allontanerà, e non oseranno avvicinarsi a noi; ci riguarderanno come persone o troppo severe o troppo gran signori per loro; così l'opera di Dio caderà, e noi non potremo soddisfare a' disegni ch'egli ha sopra di noi. Se Dio ha accordato qualche {88 [302]} benedizione alle nostre prime missioni, si è osservato esser questo avvenuto per avere operato amichevolmente verso ogni classe di persone, e se è piaciuto a Dio di servirsi del più miserabile degli uomini per la conversione di qualche eretico, hanno confessato eglino stessi esser questo per la dolcezza e la cordialità avuta verso di loro. I forzati, coi quali ho coabitato, non si guadagnano in ala tra maniera; ed allorchè m'è accaduto di parlare loro aspramente, ho guastato tutto; al contrario, allorchè gli ho lodati della loro rassegnazione, ed ho compatito ai loro patimenti, quando ho eletto che erano felici di fare il loro purgatorio in questo mondo, quando ho baciato le loro catene, si è allora che mi hanno ascoltato, hanno glorificato Dio, e si sono posti in istato di salvezza. Vi prego d'aiutarmi a ringraziare Dio e a dimandargli che si compiaccia di mettere tutti i missionari in quest' uso di trattare dolcemente il prossimo in pubblico ed in privato, ed anche i peccatori ostinati, senza usare in alcun tempo rimproveri ed invettive o parole aspre contro di chicchessia.» {89 [303]}

            Il Santo fondava la sua dolcezza sopra. due principi; l' uno era la parola e l'esempio del Salvatore, e l'altro la conoscenza dell'umana debolezza. In quanto al primo principio, diceva la dolcezza e l' umiltà essere due sorelle, che si uniscono molto bene insieme; Gesù Cristo averci insegnato ad unirle quando ha detto: Imparate da me che sono dolce ed umile di cuore; e queste parole sono state sostenute da'suoi esempi; perciò il Salvatore ha voluto avere de' discepoli grossolani e soggetti a vari difetti per insegnare a coloro che sono in dignità la maniera con cui devono trattare quelli di cui hanno la direzione; nè 'potersi vedere la dolcezza eli' egli ha praticato nel corso della sua passione senza essere portati a quella virtù; come quando ha dato il nome di amico al perverso Giuda traditore, e soffrì senz' alcun lamento le crudeltà di una sbirraglia che lo sputacchiava nel viso, ed insultava a'suoi dolori. «Oh Gesù, mio Dio, esclamava, qual esempio per noi che abbiamo preso ad imitarvi! Che lezione per coloro i quali nulla vogliono soffrire o che s'inquietano e si inaspriscono allorchè soffrono!» {90 [304]}

            Quanto al secondo principio Vincenzo diceva che è proprio all'uomo di fallire, come è proprio dei rovi di aver delle spine pungenti; che il giusto stesso cade sette volte, cioè molte volte; che lo spirito al pari del corpo ha le sue malattie; che essendo sovente un uomo da se stesso un grande esercizio di pazienza, non è cosa strana eh' egli eserciti quella degli altri; e che, come l' ha osservato s. Gregorio il Grande, la vera giustizia conosce la compassione, e non conosce collera, nè trasporti; quindi egli conchiudeva, che fa bisogno di dolcezza nel commercio della vita; le parole che ci feriscono sono sovente piuttosto impeti della natura che indisposizioni del cuore; i più saggi non sono esenti dalle passioni; e queste passioni strappano loro qualche volta certe espressioni delle quali si pentono un momento dopo; in qualunque luogo uno sia, devesi sempre soffrire, ma che potendosi nello stesso tempo meritare, è molto utile il fare provigione di dolcezza, poichè senza questa virtù si soffre senza merito ed anche con pericolo della salvezza.

            «La dolcezza, aggiungeva il Santo, ha {91 [305]} tre principali atti. Il primo di questi alti reprime i movimenti della collera e gli impeti di quel fuoco che turba l'anima, sale al volto e ne cangia il colore. Un uomo dolce non lascia nè di sentire una prima emozione, perchè i movimenti della natura prevengono que' della grazia; ma sta fermo affinché la passione non trionfi, e se comparisce in lui, suo malgrado, qualche alterazione nel suo esteriore, si rimette ben presto e rientra nello stato naturale; allorchè è costretto di riprendere, di gastigare, segue la via del dovere, e non mai quella dell' impeto: in ciò imita il Figlio d' Iddio che chiamò S. Pietro Satanno; che nella stessa occasione trattò dieci o dodici volte i giudei d'ipocriti; che rovesciò le tavole de' negoziatori; che tutto ciò fece con una per fetta tranquillità, mentre un uomo senza dolcezza avrebbe fatto per collera. Un superiore operando così farebbe un gran frutto, le sue correzioni sarebbero ben accolto, perchè fatte per ragione e non per mal umore. Coloro i quali devono regolare non possono bastante mente far attenzione a' riguardi che {92 [306]} il salvatore ha avuto per i suoi. Niuno vuol essere corretto con rigore, ed ognuno dice presso a poco come il Re Profeta gastigatemi, ma ciò non sia nel vostro furore.

            Il secondo atto della dolcezza consiste » in una grande affabilità, in quella serenità di volto che rassicura chiunque si avvicina. Certe persone con aria ridente ed amabile contentano tutti, e dal primo istante sembrano offerirvi il loro cuore e chiedere il vostro; altre all'opposto si presentano sentano con un aspetto riservato, il cui viso arido, accigliato spaventa e sconcerta. I missionari che per vocazione sono obbligati a trattare colla povera gente di campagna, cogli ordinandi ed esercitandi, devono procurare di formarsi queste maniere insinuanti le quali cattivano i cuori. Senza questo non faranno mai frutto, e saranno come una terra secca altro non producendo se non cardi selvatici.

            Finalmente il terzo atto della dolcezza consiste nello sbandire dal proprio spirito le riflessioni che seguono pur troppo le pene che ci vennero cagionate, o i cattivi servigi che ci furono resi. Bisogna {93 [307]} allora assuefarsi a distogliere il proprio pensiero dall'offesa, a scusare quello da cui proviene, a dire a se stesso ch'egli ha operato con precipitazione, e che un primo movimento l' ha trasportato; soprattutto non bisogna aprir bocca per rispondere a coloro stessi che altro non cercano se non d'inasprirci. Devesi egualmente trattare con dolcezza coloro che hanno meno riguardi per noi, e se giungessero ad oltraggiarci sino a darci uno        schiaffo, bisogna offerire a Dio e soffrire per amor suo questo ingiurioso trattamento; devonsi ancora trattenere gl' impeti della collera e preferire ad ogni altro linguaggio quello della dolcezza, perchè una parola di dolcezza può convertire un ostinato, quando all'opposto una parola aspra è capace di desolare un'anima. » lo non mi sono servito in vita mia che tre sole volte di parole ruvide per riprendere gli altri; e quantunque avessi creduto da principio di aver qualque ragione d'usare in tal modo, me ne sono sempre pentito in appresso, perché ciò mi è riuscito molto male, quando all'opposto ho sempre ottenuto colla dolcezza ciò che desiderava.» {94 [308]}

            La dolcezza, la quale alletta ovunque, aveva presso il sant'uomo un non so che di schietto, di spiritoso e di saggio ch'era difficile il resistervi. Un dì essendo con diverse persone qualificate, una di queste disse fra le altre imprecazioni bramare che il diavolo via se lo portasse: a queste parole Vincenzo abbracciandola gentilmente gli disse sorridendo: «ed io, Signore, io vi lascio per Dio, perchè sarebbe un gran danno che il demonio vi possedesse.»

            Queste poche parole edificarono la compagnia, e commossero tanto colui a cui si dirigevano, che promise d'astenersi da simile foggia di parlare.

            La dolcezza del santo Sacerdote non indeboliva punto lo spirito di fermezza e di vigore, di cui un uomo pari a lui non poteva essere sprovvisto. «Niuno, diceva, è più costante nel bene di coloro che fanno professione di dolcezza; queglino al contrario che si lasciano trasportare dalla collera e dalle loro passioni, sono d'ordinario molto incostanti. I primi sono simili a quei fiumi che scorrono senza fracasso, ma abbondano sempre, nè inaridiscon mai; i secondi somigliano ai {95 [309]} torrenti: come questi da principio fanno un fracasso terribile, ma la loro forza passa col loro straripamento; essi non varino che per ghiribizzo, e perciò vanno molto male. Che hassi dunque a fare per riuscire nelle cose di Dio? Seguire da per tutto l'esempio di Dio medesimo; andare, come fece egli stesso, fortemente al suo scopo, ma andarvi per istrade piene, di soavità e di dolcezza. Attingit a fine usque ad finem fortiter, et disponit omnia suaviter

            Vincenzo accoppiava la forza alla dolcezza, egli non avvisò altro appoggio che la virtù, nè altra politica che la sua fede; sosteneva la verità fino in mezzo alla corte; nè prometteva mai ciò che la sua coscienza non gli permetteva di mantenere. Resisteva saldo alle più potenti sollicitazioni; la riconoscenza stessa e la tenerezza lo trovavano sempre inesorabile; nè mai gli avvenne in vita sua di dire un sì quando il suo dovere l'obbligava al no. Potremmo produrre in gran numero di testimonianze, ma valga per tutte quella di Monsignor Fénélon Arcivescovo di Cambrai. Egli dice nella sua lettera a Clemente XI: «che il discernimento {96 [310]} degli spiriti e la fermezza del coraggio furono doni che brillarono nell' uomo di Dio in un grado che si durerebbe pena a crederlo; che nel dar consiglio non ebbe riguardo alcuno all'odio, nè al furore de' grandi, ma unicamente agi' interessi della Chiesa.»

            Alcuni fatti fanno altresì conoscere, Vincenzo de' Paoli non avere sulla terra altro timore fuori quello di Dio. Leggiamo che egli, superiore a tutte le regole della prudenza umana, andò a trovare un padre, non per felicitarlo sulla nomina di suo figlio all' Episcopato, ma per scongiurarlo a non permettere elio quel figlio occupasse una dignità di cui non era degno. Leggiamo che ricusò a signore di prima distinzione ed anche a principesse l' ingresso nel monastero delle figlie di cui era Superiore; che accettava volentieri sopra di se tutto ciò che questi rifiuti hanno d'odioso, perciò esponendosi a tutti i risentimenti. Parecchi tratti consimili provano come Vincenzo dovette, a guisa degli antichi Profeti, essere un muro di bronzo, e averne la fermezza, senza allontanarsi nulladimeno dalle strade della dolcezza. {97 [311]}

 

            Frutto. Imparino i padri e le madri e gli altri superiori a reprimere que' trasporti di collera che li signoreggiano; piuttosto usino affabilità e dolcezza colle persone loro affidate, soprattutto quando trattasi dar consigli in fatto di religione; e si vedrà che le loro correzioni e i loro avvisi saranno assai più efficaci.

 

 

Giorno nono. Delle sue divozioni particolari.

 

            Vincenzo aveva un'altissima idea della Maestà infinita di Dio; l'aspetto d'au uomo annichilato ch'egli assumeva negli esercizi di religione, vocaboli pieni di rispetto di cui si serviva quando si trattava di parlare di Dio; l' ardente zelo col quale si sforzava di comunicare agli altri i sentimenti propri, erano altrettante prove delle disposizioni del suo cuore. Abbenchè andasse a letto molto tardi, s'alzava regolarmente a quattr'ore, e ciò con tanto fervore, che il secondo tocco della campana non lo trovò giammai nella stessa positura, in cui lasciavalo {98 [312]} il primo. Cominciava la giornata con offerire a Dio i suoi pensieri, le sue parole, le azioni sue in unione di quelle di Gesù Cristo: faceva in seguito la meditazione; poi recitava egli stesso adatta voce le litanie del santo nome di Gesù. Di là andava o a confessarsi (il che sovente accadeva, poichè come l' attestò uno de' suoi Direttori, non poteva nemmeno soffrire l'apparenza del peccato), o a fare la sua preparazione per la santa Messa. Si può dire che in questa grande azione serviva di modello a' sacerdoti i più esatti. Pronunciava tutte le parole in una maniera sì distinta e sì affettuosa, elio ben faceva scorgere come il suo cuore s'accordava col suo labbro. La sua modestia, il tuono con cui proferiva le parole che rammentano al sacerdote i propri falli e la propria dignità; la serenità del suo volto allorchè si volgeva al popolo per annunziargli la pace e la benedizione del Signore; in una parola tutto ciò che si vedeva in lui quanto all'esteriore, era proprio a far impressione sopra coloro, cito ne sono meno capaci; sembrava di veder un Angelo all'altare. Ad eccezione dei tre primi giorni de' suoi ritiri annuali, ne' quali {99 [313]} vi è uso nella congregazione d'astenersi dal celebrare, egli diceva la Messa tutti i giorni; e finchè potè stare in piedi giammai la tralasciò neppure in viaggio. Le sue indisposizioni ordinarie non glielo impedivano punto, od ascendeva all'altare colla piccola febbre che abitualmente lo molestava.

            Il suo amore per l'Agnello che fu immolato per la redenzione dell'uomo lo induceva qualche volta ad ascoltare ed anche a servire una seconda Messa dopo aver detta la sua. Fu veduto quel venerabile vecchio all'età di più dì settantacinque anni, ed in un tempo in cui molto faticoso gli era il camminare, farsi un onore di coprire in questa occasione le funzioni di accolito. «È ben vergognosa cosa, diceva egli, per un ecclesiastico costituito pel servizio degli altari, che in sua presenza altre persone senza carattere facciano il di lui uffizio.»

            La sua divozione non appariva meno negli uffizi solenni; al sentirlo cantare e salmeggiare in coro, sarebbesi preso per un Serafino anzichè per un uomo, tanto ora elevato su di se stesso. Voleva si cantasse posatamente, cogli occhi fissi sul proprio {100 [314]} libro, e senza guardare nè a dritta, nè a manca. Sebbene avesse una tenera e singolare divozione per tutti i misteri di nostra santa fede, quei della SS. Trinità e dell'Incarnazione, che sono la sorgente degli altri tutti, furono per lui l'oggetto d'un culto più particolare. Bisognerebbe avere una parte della divozione di quel santo Sacerdote per dare qualche idea di quella eh' egli aveva pel SS. Sacramento dell' amore di un Dio che vuole essere co' suoi, ed esservi fino alla morte. Entrato nel luogo santo che Gesù Cristo onora di sua presenza, egli restava sempre prosteso in ginocchio e in un contegno sì umile che indicava sarebbesi volentieri abbassato fino al centro della terra per attestare maggiormente il suo rispetto. Osservando la sua modestia, ognuno avrebbe potuto dire eh' egli vedeva Gesù Cristo co' propri occhi. Evitava di parlare nelle chiese, e se qualcuno voleva dirgli una parola, fosse anche un vescovo od un principe, procurava di condurlo al di fuori e lo faceva con tanta grazia e garbatezza, che niuno poteva offendersene. Quando andava in città, salutava avanti la sua partenza il padrone della casa ( era {101 [315]} questa le sua espressione), ed allorchè era di ritorno, lo salutava di nuovo; e queste pratiche le ha lasciate a' suoi. Un uomo sì

pieno d'amore per l'adorabile Sacramento de' nostri altari era estremamente sensibile agli oltraggi, che al suo tempo gli vennero fatti dall'eresia e dalla militare licenza. Penitenze, lagrime amare, mortificazioni, doni considerabili fatti a diverse chiese, tutto mise in opera per riparare a quegli attentati sacrileghi; nè abbisognavano sì enormi scandali per affliggere il sant'uomo. Non avrebbe potuto vedere uno de'suoi salutare il SS. Sacramento in modo crucioso e superficiale; rassomigliava coloro che ton facevano che una mezza genuflessione alle marionette, le cui riverenze sono senz'anima e senza spirito. Non è già ch'egli facesse consistere la pietà in questi segni esteriori, ma sibbene per essere persuaso questi segni esteriori trovarsi sempre ove regna la divozione.

            Alla tenera divozione che Vincenzo ebbe poi Figlio, aggiungiamo quella eh' ebbe per la sua santa Madre. Per celebrare degnamente le feste della Regina del cielo digiunava la vigilia con tutti quelli di sua {102 [316]} casa. Il giorno della festa officiava solennemente e proponeva a' suoi figli gli esempli di virtù che presentava il mistero onorato dalla Chiesa. In qualunque parte si trovasse, fosse anche presso d'un principe, all'istante che sentiva suonare l' Angelus, s'inginocchiava, ad eccezione del tempo pasquale e delle domeniche, per recitarlo con più rispetto. All'esempio di s. Bernardo invocava sempre la Stella del mare in mezzo alle tempeste, da cui la sua vita fu sì sovente agitata. «Ognuno de' giorni nostri, diceva, è segnato coli' impronta della protezione di Quella, che si compiace di esser nostra Madre, quando vogliamo essere suoi figli.» Per ben convincersi Vincenzo de' Paoli essere stato zelante servo di Maria, basta sapere che fece tutto ciò che dipendeva da lui per estendere e perfezionare il culto di lei. Sotto quest'aspetto impegnò i suoi tigli ad onorarla tutti i giorni di loro vita, ad imitarne per quanto potessero le virtù, a farla rispettare da tutti coloro a' quali avessero occasione di annunciare le suo grandezze, il suo credito presso Dio, e la sua tenerezza per li peccatori. In tutte le missioni o fatte in persona {103 [317]} o per mezzo di altri desiderò sempre che s'istruissero i fedeli circa la riconoscenza e l'amore che devono avere per quella sublime Creatura, la quale, quantunque infinitamente inferiore a Dio, non cede che a lui solo; finalmente di tante compagnie, assemblee, ed associazioni di cui fu l' Istitutore, non ve ne è alcuna, che egli non abbia posta sotto la protezione speciale della santa Vergine.

            La sua divozione per la Madre del Figlio di Dio e per gli altri Santi, partivano tutte e due dallo stesso principio, cioè dal desiderio di glorificare Dio nella persona di coloro che egli stesso ha voluto glorificare. Onorava particolarmente gli Apostoli quali ebbero la felicità di vedere e di toccare colle loro mani il Verbo fatto carne, e che sigillarono col loro sangue le parole della vita. Aveva' ognor in pensiero la presenza del suo Angelo custode, a cui ogni giorno indirizzava qualche preghiera. Questa pratica lascio pure a'suoi figli; ed il mettersi in ginocchio nell'entrare o nell'uscire dalle loro camere ha per secondo fine di far loro onorare l'Angelo che Dio ha incaricato di vegliare alla loro custodia. {104 [318]}

            La sua affezione per S. Giuseppe era assai simile a quella che ebbe santa Teresa per quel degno Sposo della Madre di Dio. Lo assegnò per Patrono a'suoi seminari interni. Si felicito col Superiore di Genova perchè era ricorso alla mediazione di quel glorioso Patriarca, onde procurarsi degli operai capaci di coltivare la vigna del Signore. E gli augurò che nelle sue spedizioni apostoliche s'insinuasse a'popoli di avere confidenza in quel custode fedele della Madre immacolata di Gesù: son queste sue proprie espressioni. Non dobbiamo omettere qui il servo di Dio essersi fatta una legge di sollevare colle sue preghiere e soprattutto col sacrifizio della Messa le anime del purgatorio. Esortava sovente i suoi a questo dovere di pietà. « Quei cari defunti, diceva, sono i membri vivi di Gesù Cristo; sono animati dalla sua grazia ed assicurati di partecipare un giorno alla sua gloria; a questi titoli siamo obbligati ad amarli, a servirli, ad assisterli a tutta possa.» Vincenzo dimenticava ancor meno i benefattori della sua congregazione; vi si dice in loro suffragio in comune il salmo De profundis tre volte al giorno, cioè ai due esami particolari che {105 [319]} precedono la refezione, ed all'esame generale della sera; ed è cosa assai bella il vedere una numerosa comunità non portarsi mai a prendere il suo nutrimento, se non dopo aver pregato per coloro che li hanno beneficati.

 

            Frutto. Chi vuole acquistare il vero spirito di divozione, mostri gran rispetto e grande riverenza per le cose di religione, guardandosi bene dal parlarne per burlarsene o screditarle.

 

 

Giorno decimo. Dell' eguaglianza del suo spirito.

 

            Quella situazione del corpo e dell'anima, per cui un uomo, qualunque cosa succeda, resta sempre tranquillo, sempre simile a se stesso «è meno, dice Vincenzo, una virtù particolare, che uno stato il quale suppone il complesso di tutto te virtù. E questo un raggio, uno zampillo che sgorga all' esterno dalla pace e dalla bellezza dell' interno.» Un cristiano che a forza di travaglio, {106 [320]} di mortificazione, di uniformità agli ordini di Dio, è giunto a questo segno, padroneggia se stesso, e persevera tranquillo in tutti i casi della vita. Checchè s'egli possa dire o fare, nulla lo scuote. Sia pure oppresso dagli attiri, abbia dalla mano di Dio i colpi meno previsti, sia dimenticato, disprezzato, schiacciato da coloro che ha amato e ricolmato di onori, il suo cuore è sempre nello stesso stato, la sua fronte egualmente serena, le sue parole dirette sempre dalla moderazione, la voce stessa non cangia tuono, e sembra essere anticipatamente ciò che saranno un giorno gli eletti in quello stato felice, ove non esiste più alterazione nè vicissitudine.

            Questo ritratto è quello del nostro Santo; da'suoi più teneri anni fino all'ultima vecchiezza la sua divozione, la sua religione, la sua carità non si smentirono mai. Non si videro in lui quelle interruzioni di virtù, quegli oscuramenti di fervore quali si scorgono tanto frequenti negli altri; camminava sempre d'egual passo nella via della perfezione, attirando con se tutti coloro che si trovavano sul suo cammino.

            A questa prima eguaglianza bisogna aggiungere quella ch'egli ebbe nell'esecuzione {107 [321]} di un sì gran numero di sante imprese, che effettuò pel bene della Chiesa e dello Stato. Senza posa egli fu applicato al servizio dei poveri, all' istruzione de'popoli, a'mezzi di perfezionare lo stato ecclesiastico. Noti abbandonò mai un'opera buona quando,volle incominciarne una migliore, le sostenne e te seguitò tutte fino alla fine. Le contraddizioni, le traversìe, le persecuzioni fortificarono il suo coraggio in vece di smoverlo; volle costantemente ciò che credette Dio volesse da lui, ma lo volle con una pace, che possedono le sole anime grandi.

            La sua eguaglianza lo seguitò fino nell' ineguaglianza degli impieghi ch'esercitò; gli onori non cangiarono i suoi costumi, nè la sua condotta esteriore. L'aria della corte, da cui tanti restano abbagliati, non fece alcuna impressione in lui. I cortigiani, i prelati, gli ecclesiastici ed altre persone gli rendevano per istima grandi onori; egli li riceveva con profonda umiltà e con molta dolcezza. Un vescovo trovandolo così umile, così disposto a rendere servigio a tutti coloro che abbisognavano di lui, come lo era avanti d'essere chiamato alla corte, lo dipinse con queste due parole che racchiudono un gran senso: il signor {108 [322]} Vincenzo è sempre il signor Vincenzo. Aia nulla fece meglio conoscere l'eguaglianza del suo spirito quanto le disgrazie che sopportò. Questi scogli sì funesti alla virtù di tanti altri non servirono che a dare un nuovo lustro alla sua. Fece egli più perdite nello spazio di dieci o dodici anni, di quelle che ordinariamente se ne facciano in un secolo. molte delle sue case non avendo altre rendite che quelle stabilite sopra i sussidi, i carri ed altri fondi simili, si veniva a dirgli ch'era stato ritagliato talvolta uno o due quadrimestri, talvolta un' annata intera: veniva a sapere che un podere era stato saccheggiato; inoltre la morte gli mieteva sette od otto de'suoi operai, e ciò ne'paesi ove era difficile ed anche impossibile il sostituirne degli altri. In tutto queste occasioni che seguendosi ila vicino sogliono far perdere l'equilibrio del nostro animo, non si sentiva dire che queste parole: sia lodato Iddio; bisogna sottometterci alla sua volontà, accettare tutto ciò che a lui piacerà d'inviarci.

            Abbiamo alcuni tratti notabili sull' eguaglianza del suo animo. Ricevette una volta alla distanza di due passi dalla sua casa uno schiaffo da un uomo che aveva urtato in passando. {109 [323]} Il Santo essendosi gittato a' piedi di colui, che l'aveva sì oltraggiosamente trattato, gli presentò l' altra guancia dimandandogli perdono. Gli abitanti del sobborgo che erano stati testimoni dell'insulto e che avevano molto rispetto per Vincenzo loro signore e loro padre, s'affollarono intorno a lui. Al primo segno, ch'egli avesse fatto, il suo ingiusto aggressore sarebbe stato posto nelle prigioni di giustizia del territorio sul quale aveva fatto l'insulto; ma quello stesso uomo, sia che fosse stato spaventato dalla moltitudine che alto gridava, sia che la profonda umiltà del santo Prete gli avesse fatto sentire l'indegnità della sua azione, si gettò a sua volta a' piedi del Santo dimandandogli perdono. Un signore che era andato a chiedergli per suo tiglio un benefizio quale non aveva potuto ottenere, lo trattò molto male sulla soglia della sua casa in presenza di tutti coloro che ivi si trovavano: «Avete ragione, signore, gli disse il sant' Uomo gettandoglisi a' piedi; io sono un disgraziato ed un peccatore.» Quel signore sorpreso di un passo a cui non si attendeva, fece un salto e gettossi nella sua vettura. Il Santo si alzò, corse dietro a lui e lo salutò. Quanto è penosa alla {110 [324]} natura umana una tale condotta!Quale virtù si richiede per formarne il piano! Quanta eguaglianza d'animo per eseguirlo! Ma quante risse, quante discordie, si estinguono con un tale procedere!

 

            Frutto. Chi non si cura di acquistare questa eguaglianza e questa tranquillità di spirito non avrà mai con se lo spirito del Signore. Non in commotione Dominus.

 

 

Giorno decimoprimo. Dell' umiltà di S. Vincenzo de' Paoli.

 

            Sono pochi i Santi che abbiano spinto l'umiltà sì oltre come Vincenzo. «Un virtuoso ecclesiastico disse, che giammai si è trovato sulla terra ambizioso, che abbia avuto tanta frenesia per conseguire la stima e l'innalzamento o la gloria, quanto ardore ebbe il santo Uomo per l'abbiezione, pel disprezzo e per tutto ciò che si può immaginare di più proprio onde umiliare e confondere.» Per giudicare quanto questo ritratto fosse veritiero, basta riflettere che Vincenzo si riguardò sempre come un uomo {111 [325]} per niente adattato a trattare lo cose dei Signore. Riguardava gli onori a lui resi come una di quelle piaghe colle quali Dio colpisce i suoi nemici; perciò ben lungi dal giustificarsi quando era accusato, si metteva subito dalla parte de' suoi censori; aveva l'arte di trovarsi colpevole allorchè era innocentissimo; condannava i suoi più leggieri difetti con maggior rigore di quello che gli altri non condannavano i loro più gravi disordini. Il Figlio di Dio quantunque sia sempre stato lo splendore della gloria del Padre e l'immagine di sua sostanza, pure ha voluto essere riguardato come l'obbrobrio degli uomini. ed il rifiuto della plebe. Erano questi i sentimenti, comunque contrari alla natura, ch'egli formava e nudriva di se stesso; e ciò che sorprende vie più si è che, malgrado il bene fatto e gli applausi ricevuti, giammai li perde di vista. Allorchè. arrivò a Parigi si fece nominare Vincenzo e non de' Paoli, temendo d' essere riguardato come una persona distinta: alla Corte ove la nascita rappresenta alle volte la parte migliore dei merito, pubblicò di essere il figlio d'un povero contadino. Se a questi tratti che lo caratterizzano già abbastanza, si aggiunge {112 [326]} che Vincenzo preferiva un merito comune ad un merito brillante; ch'era sua regola di non farsi conoscere altro che dal lato più debole, e di scegliere sempre fra due pensieri il più comune ed il meno proprio a farlo risaltare, sarà difficile di non riconoscere che, per trovare la vera umiltà sulla terra, bisognava cercarla in Vincenzo de'Paoli.

            Diffatti non si presentò mai occasione alcuna di umiliarsi, che non la cogliesse con trasporto, o piuttosto la cercava quando non gli si offeriva spontanea. Un giorno mentre accompagnava un ecclesiastico alla porta di san Lazzaro, una povera donna credendo apparentemente di fargli la corte, gli disse Monsignore, fatemi elemosina. «Oh donna mia, le rispose Vincenzo, mi conoscete, assai male, perchè io non sono che il figlio di un povero contadino.» Un'altra avendogli detto collo stesso fine, ch'essa era stata fantesca della signora sua madre, il Santo rispose d' innanzi a tutti coloro che erano presenti: «Mia buona donna, voi mi prendete per un altro; mia madre non ebbe mai domestica, avendo ella stessa servito, ed {113 [327]} essendo la moglie, come io sono il figlio, di un povero contadino.»

            Ma non solo dal lato della nascita Vincenzo faceva spregio di se stesso, eziandio da quello dello spirito e del cuore si sfigurava fino a travisarsi. «Sono più di trent'anni, scriveva alla Superiora d'un monastero della Visitazione, che ho l'onore di servire le vostre case di Parigi, ma oimè! non sono per questo divenuto migliore, io che dovrei aver fatto un così grande progresso nella virtù, alla vista di quelle anime incomparabilmente sante... Vi supplico umilmente di aiutarmi a dimandare perdono a Dio del cattivo uso che ho fatto di tutte le sue grazie.»

            «Vi offerirò a Dio, poichè me l'ordinate, disse un giorno ad una persona che erasi assai raccomandata alle sue preghiere, ma più di tutti ho bisogno io stesso del soccorso delle anime buone, attese le grandi miserie che aggravano il mio spirito, e che mi fanno riguardare le buone opinioni che si hanno di me, come un gastigo della mia ipocrisia, la quale fa che sia creduto tutt'altero di quel che sono. Oimè! io sono inutile ad ogni bene, ed atto soltanto ad ogni male.» {114 [328]}

            Uno de'suoi avendogli scritto, che il superiore ch'egli aveva spedito in una delle sue case non era bastantemente civilizzato pel luogo della sua destinazione, Vincenzo, dopo avergli molto lodato quel superiore, la cui solida virtù valeva assai più della urbanità di molti altri, non tralasciò di mettere se stesso alla censura. «Ed io come son fatto? come è che fui sofferto finora nell' incarico che ho, essendo il più ridicolo, il più rustico ed il più sciocco di tutti fra le persone di condizione colle quali io non saprei dire sei parole di seguito senza lasciar travedere che non ho punto di spirito, nè di giudizio. ma il peggio si è, che non ho alcuna virtù che m'avvicini alle persone di cui trattasi?»

            Vincenzo parlava del corpo intero della sua congregazione a un dipresso come parlava di lui: tutte le comunità gli sembravano sante e rispettabili, e, a sentir lui, la sua nemmeno meritava di essere considerata. Un de'suoi preti fece di suo proprio movimento stampare un ristretto dell'instituto, de' progressi e dei lavori della congregazione. Vincenzo se ne lagnò con lui stesso: «Fu {115 [329]} stampato nelle vostre parti il ristretto del nostro instituto. Io n'ebbi un dolore tanto sensibile, che non ve lo posso esprimere, essendo cosa affatto opposta all'umiltà il pubblicare ciò che siamo, e ciò che facciamo.... Se v'è qualche bene in noi e nella nostra maniera di vivere, ciò spetta a Dio, e tocca a lui il manifestarlo se lo giudica conveniente. Ma quanto a noi, che siamo poveri, ignoranti e peccatori, dobbiamo nasconderci come inutili ad ogni bene, e come indegni che si pensi a noi. Si è perciò che Dio mi ha fatto la grazia di star fermo fino al presente, per non acconsentire che si facesse stampare cosa alcuna, la quale tendesse a far conoscere e stimare la compagnia, abbenchè ne sia stato vivamente sollecitato, ed ancor meno avrei permesso la stampa d'una cosa che riguarda l'essenza e lo spirito,la nascita ed i progressi, le funzioni ed il fine del nostro istituto. Volesse Iddio che dovesse ancora formarsi. Ma poichè non v'ha più rimedio non dirò più oltre; vi prego solamente di nulla fare mai più che riguardi la compagnia senza prima avvertimene.»

            Se la carità lo avesse permesso, Vincenzo {116 [330]} avrebbe lodato chiunque avesse denigrato la sua congregazione, più di chi avesse cercato di farle onore. Ed è certamente vero che un magistrato ingannato da falsi rapporti, avendo detto nella gran camera del palazzo che i preti di S. Lazzaro facevano oramai poche missioni, e ciò in un tempo appunto in cui anzi ne facevano assai, il Santo contento di giustificarsi colle opere, non volle permettere schiarimenti, nè apologie. Andò forse più oltre, allorchè una famiglia potente, per vendicarsi che le fosse stato rifiutato un vescovato, inventò contro di lui una calunnia sì ben colorita, che arrivò fino alla Regina. Quella saggia Principessa gli dimandò, ridendo, se sapeva d'essere accusato della tal cosa. A pericolo di passare per un colpevole, il servo di Dio si imitò a rispondere essere un gran peccatore; e siccome Sua Maestà gli soggiunse che doveva giustificarsi. «Sonosi dette ben altre cose contro nostro Signore, rispose, e non si è punto giustificato. Io son felice di essere trattato come lo fu il Figlio di Dio: le umiliazioni sono le grazie più grandi che il Signore possa accordare agli uomini. Gli applausi devono farci gemere, essendo {117 [331]} scritto: guai quando gli uomini vi applaudiranno: Vœ, cum benedixerint vobis homines..»

            Sebbene avesse gran cura d'inspirare a' suoi l' amore di tutte le virtù, l'umiltà è senza dubbio una di quelle, di cui fece vie più spiccare l'importanza. «Nulla v' ha più giusto, diceva, del disprezzo che si ha per se stesso: per poco che un uomo consideri a sangue freddo la corruzione di sua natura, la leggerezza del suo spirito, le tenebre del suo intelletto, lo sregolamento della sua volontà, l'impurità de'suoi affetti; per poco che calcoli le sue produzioni e le sue opere a fronte del Santuario, troverà che tutto è degno di disprezzo, che nelle più sante azioni d'un ministro evangelico v'è motivo di confondersi; che nella maggior parte di esse si conduce male e quanto al modo, e sovente quanto al fine; che se non vuole adularsi, ma esaminare a dovere la sostanza delle cose e tutte le circostanze, si riconoscerà di gran lunga più perverso degli altri uomini..»

            A questi motivi che impiegava in molte occasioni, l'uomo di Dio ne faceva succedere altri che ricavava dall'esempio de' grandi {118 [332]} uomini, tanto de'primitivi tempi, quanto dei moderni. S. Paolo pubblicò in tutta la terra che aveva avuto la disgrazia di bestemmiare contro Dio, e di perseguitare la sua Chiesa: sant'Agostino palesò í peccati segreti della sua gioventù; Vincenzo aggiungeva che coloro, cui Dio preservò da cadute sì vergognose, non furono perciò meno umili; che s. Francesco di Sales parlava del mondo qual uomo che ne disprezza tutte le vanità; che il signor Cardinale di Bérulle costumava dire essere molto bene il tenersi bassi; gli stati più abbietti essere i più sicuri, e trovarsi un non so che di maligno nelle condizioni alte e distinte; perciò appunto i Santi aver sempre sfuggito le dignità, e che nostro Signore disse, parlando di se stesso, ch'era venuto al mondo per servire, non per essere servito. Finalmente diceva, dietro l'insegnamento di Gesù Cristo, che colui che s'innalza sarà abbassato; che la vita del Figlio di Dio non fu che una umiliazione continua, che l'amò sino alla fine, e che dopo la sua morte volle essere rappresentato nella sua Chiesa sotto la figura di un reo attaccalo alla croce: con questo c'insegna anche oggidì, il vizio opposto all'umiltà essere uno {119 [333]} de'più gran mali che si possano concepire, che aggrava gli altri peccati, e rende perverse quelle azioni quali non sarebbero in se stesse corrompendo le migliori e le più sante. Trovava una prova luminosa di quest'ultima verità nella parabola del fariseo e del pubblicano del Vangelo. «Sì, continuava a dire, quand'anche fossimo scellerati, se ricorriamo all'umiltà ci farà essa divenire giusti, quand' in vece se fossimo pari agli Angeli, se siamo sprovveduti d'umiltà, le nostre virtù non avendo fondamento, non potranno sussistere....; ognuno di noi imprima ben bene questa verità » nel suo cuore, che per quanto si supponga virtuoso, se non ha umiltà, non è che un fariseo superbo, o un missionario abbominevole. Oh Salvatore Gesù Cristo! diffondete sui nostri spiriti quei lumi celesti » che vi fecero preferire gl'insulti alle lodi: infiammate i nostri cuori di quei santi affetti che ardevano nel vostro, e che vi fecero cercare la gloria del vostro Padre celeste nella vostra propria confusione; fate colla vostra grazia che rigettiamo tutto ciò che non ha per mira il vostro {120 [334]} onore e il nostro disprezzo; fate che rinunciamo una volta per sempre agli applausi degli uomini ingannati e ingannatori, ed alla sciocca immaginazione del buon successo delle nostre azioni.»

 

 

Giorno decimosecondo. Della sua fede.

 

            La fede è il fondamento delle virtù cristiane, la base della salvezza e l'alimento di cui il giusto si nutre sulla terra: Justus ex fide vivit, dice il Signore. Vincenzo temeva tino l'ombra di ciò che poteva alterare. la sua fede: sapeva che quanto più essa è semmplice, tanto più è grata a Dio; non la fondava sugli umani raziocini, nè sulle sottigliezze filosofiche, ma sull' autorità della Chiesa. «Siccome, diceva, meno si vede il sole quanto più in esso si fissa lo sguardo, {121 [335]} per egual maniera meno si crede colla fede quanto più si vuol ragionare sulle verità della Religione. Per credere basta che la Chiesa parli, non è possibile che manchiamo sottomettendoci ad essa. La Chiesa è il regno d'Iddio, spetta dunque alla Provvidenza l'indicare a'Pastori, che la governano, la strada che devono tenere, e il non permettere seguirne un'altra che conduca all'errore.»

            Queste disposizioni inspiravano al servo di Dio un giusto allontanamento da quegli spiriti inquieti e curiosi, i quali si compiacciono di sofisticare sui nostri Misteri e sembrano volerli comprendere. L' alta idea che aveva della fede lo induceva a comunicarla, per quanto era in lui, a coloro soprattutto che n'erano maggiormente mancanti. Da ciò i suoi catechismi e le istruzioni che fece sì sovente a'poveri, d'ordinario tanto trascurati; da ciò la sua attenzione a bene imprimere questi stessi sentimenti in quelli fra i suoi amici che credeva più acconci ad esercitare questo dovere di carità; da ciò lo stabilimento della congregazione, vale a dire di un corpo d'operai evangelici destinati a far nascere e a coltivare {122 [336]} il germe della fede nelle terre le più sterili; da ciò il santo diletto col quale pubblicava il bene che facevano altre compagnie, che un occhio geloso avrebbe riguardato come rivali. «Il Padre Eudes, diceva egli, quel buon Padre, con alcuni altri sacerdoti che aveva seco condotti dalla Normandia, è venuto a Parigi a dar una missione che ha fatto molto strepito e molto frutto: il concorso era grandissimo.... Noi non abbiamo parte alcuna a questo bene, perchè siam dedicali al povero popolo della campagna: abbiamo soltanto la consolazione di vedere che i nostri piccoli lavori hanno eccitato l'emulazione d' una quantità di buoni operai, che li esercitano con maggior grazia di noi.»

            Che fede! che umiltà! diciamo pure l'una e l'altra, poichè quando la fede è tanto viva, come lo era in Vincenzo, non va mai disgiunta da una profonda umiltà.

            Se il sant'Uomo ebbe la purità della fede, n'ebbe ancor la pienezza: ne viveva come ne vive l'uomo giusto: animava essa le sue azioni, le sue parole, le pie affezioni, i suoi pensieri. Sul livello della fede regolava i suoi giudizi, formava i suoi progetti, e seguiva {123 [337]} le sue imprese. Ciò che la maggior parte degli uomini fanno o per movimento naturale o per umani principi, egli lo faceva a motivo e sulle regole della fede. Un disegno autorizzato da ragioni d'una saggia politica non era di suo gradimento se non autorizzato dalle massime del Vangelo, o non poteva riferirsi ad un fine soprannaturale. Era convinto, che se gli affari di Dio riescono talvolta a male. o a poco, egli è perchè coloro, i quali ne sollecitano l'esecuzione, si appoggiano troppo sopra ragioni umane. «No, no, disse egli un giorno, non sono che le sole eterne verità che sono a capaci di riempiere il nostro cuore e di guidarci con sicurezza. Credetemi pure, non fa d'uopo che di appoggiarci validamente sopra qualcuna delle perfezioni d'Iddio, come sarebbe a dire sulla sua bontà, sulla sua Provvidenza, sulla sua immensità, non bisogna, dico, che stabilirsi ben bene su questi fondamenti divini per di venire perfetti in breve. Non intendo già n dire che non sia eziandio ben fatto di convincerci con forti ragioni che possono sempre servire, ma bisogna valercene sumbordinatamente alle verità della fede. L'esperienza {124 [338]} c'insegna che i predicatori, i quali parlano conforme a' lumi della fede, operano sulle anime più di coloro che riempiono i sermoni di umani ragionamenti e d'argomenti filosofici.; perchè i lumi della fede sono sempre accompagnati da una certa unzione tutta celeste che, si spande segretamente nel cuore degli uditori, e da ciò si può giudicare quanto sia necessario, tanto per la nostra propria perfezione, quanto per procurare la salvezza delle anime, di assuefarci a seguire sempre ed in tutto i lumi della fede.»

            L'uomo di Dio 'seguiva sì universalmente questi santi lumi, che erano per lui quella lucerna accesa, la quale guidava tutti i passi dei Re profeta: Lucerna pedibus meis verbum tuum, et lumen semitis meis. Col favore di questa fiaccola, che risplende nei luoghi i più oscuri, vedeva negli oggetti sensibili ciò che gli occhi dei corpo non potevano scorgere. «Se io considero, diceva, un contadino o una povera donna secondo il suo esteriore e ciò che sembra proporzionato al loro spirito, appena troverei in loro la figura e lo spirito di esseri ragionevoli, {125 [339]} tanto sono essi grossolani e materiali ma se gli osservo coi lumi della fede, vedrò che il Figlio di Dio, il quale volle essere povero, ci viene rappresentato da questi poveri; vedrò che non. aveva quasi più la figura d'uomo nella sua passione; A vedrò che da' gentili riputavasi un insensato e consideravasi qual pietra di scandalo da'giudei; vedrò infine,che malgrado tutto ciò egli si qualifica il predicatore de'poveri: Evangelizare pauperibus misit me. Oh mio Dio! quanto mai sembrano, i poveri degni di disprezzo, allorchè si esaminano secondo i sentimenti della carne e del mondo, ma quanto è bello osservarli considerati in Gesù Cristo, e nella a stima ch'ei ne ha fatta!»

            Tale era la fede del sant'uomo: per meglio giudicarne non si ha che a gettare uno sguardo sulle altre sue virtù, e dall'eccellenza e dalla moltiplicità de' frutti si conoscerà la forza ed il vigore della radice che li produsse. Noi vedemmo con quale zelo Vincenzo lavorò per la conversione degli eretici, dei rinegati e degli infedeli; la sua fede vi brilla di tutta la sua luce.

 

            Frutto. La fede senza opere vale a niente; {126 [340]} facciamo dunque opere di fede. Opera di fede si è credere che vi è un Dio, cui dobbiamo servire con tutte le forze dell' anima e della mente nostra; credere che vi è un inferno, quindi tener da noi lontano il peccato mortale, che solo ci può entro precipitare; credere che v'è un paradiso, perciò praticare la virtù per giugnerne un giorno al possesso.

 

 

Giorno decimoterzo. Delle sue massime.

 

            Il pensiero della morte è il mezzo più efficace per farci fuggire il male ed animarci al bene. Questo pensiero suggeriva Vincenzo per sostegno della virtù; tuttavia non voleva che tale pensiero occupasse la mente sino al pericolo d'alterare la confidenza cristiana. «È cosa molto salutare il pensar all'ultima sua ora, diceva ad una persona che ne aveva grande apprensione, il Figlio di Dio l'ha raccomandato; ma questo pensiero deve avere le sue regole ed i suoi limiti; non è necessario {127 [341]} nè meno espediente, che l'abbiate di continuo presente, basterà che ve ne occupiate due o tre volte al giorno, senza fermarvi lungamente su di esso, neppure dovete soffermarvi su di esso in caso che continui a darvi troppa inquietudine.»

            «Lo spirito umano, diceva parlando degli gli errori, è pronto e irrequieto, i talenti i più vivaci e più illuminati non sono sempre i migliori, se non sono in pari tempo i più guardinghi: cammina sicuramente colui che non travia dalla strada seguita dalla maggior parte de’ saggi.»

            Il Santo dalla maggior delle precipitazioni; e soleva dire che la celerità nelle deliberazioni conduce a' passi i più falsi, ma quando aveva deciso era tanto pronto nell'esecuzione, quanto era stato lento e circospetto nell'esame. Allora sia che l'evento riuscisse o no favorevole, era tranquillo, appoggiato sulla dottrina de' Padri, i quali insegnano che il saggio non deve giudicare delle cose dal successo, aia dall' intenzione e dalla proporzione de' mezzi; e che un affare ben combinato può riuscire male, mentre che un altro azzardato temerariamente finisce talora in bene. {128 [342]}

            La dottrina del Vangelo era l'unica regola della sua vita.. «Dicendosi dottrina di Gesù Cristo, ripeteva egli, è come si dicesse una rupe inconcussa. Le verità eterne sono seguite infallibilmente, e rovinerà il cielo piuttosto, che venga a mancare la dottrina di Gesù Cristo.»

            Sull'articolo della discrezione diceva che i demoni si prendon giuoco delle buone opere palesi e divulgate senza necessità, e che somigliano a mine non turate, le quali fanno rumore e non producono effetto. Consigliando a'suoi penitenti il santo esercizio della presenza divina, il servo di Dio diceva che nulla bisognava fare in privato di ciò che non si oserebbe fare in una pubblica piazza, perchè la presenza d'Iddio doveva produrre sui nostri spiriti impressione maggiore di quella, che produrrebbe la vista di tutte le creature riunite.

            Bisogna, secondo Vincenzo, cogliere il momento opportuno per tare una correzione fraterna. lo non so se i figli del secolo gli perdoneranno la seguente massima; essere preferibile di trovarsi in preda agl'insulti ed alla rabbia dell'inferno, che vivere senza croci e senza umiliazioni. Riguardava come {129 [343]} esposto ad un prossimo pericolo di perdersi un uomo, cui ogni cosa riesce bene e che non ha contraddizione alcuna da sopportare.

            «L'orazione è necessaria a coloro che si consacrano al servizio degli altari, quanto al soldato la spada. Un edilizio, di cui Dio non è l'architetto, non può sussistere lungamente. Una comunità che osserva con esattezza il silenzio è estremamente fedele a tutte le altre sue costituzioni; quando invece in quella ove ognuno parla a talento, d'ordinario non si osservano ne regole, nè ordine.»

            La grande massima del Santo intorno alla vocazione era, che spetta a Dio solo di scegliersi i suoi Ministri, e che le vocazioni prodotte dall'artifizio, e mantenute da una specie di mala fede, disonorano il gregge moltiplicandole. Per evitare il primo di questi due difetti si fece una regola inviolabile di non dire giammai una parola a chicchessia per determinarlo ad entrare nella sua congregazione, e proibì a'suoi di sollecitare alcuno. Ogni passo in questo genere gli sembrava un delitto, e lo riguardava quale attentato contro a' disegni d'Iddio; neppure soffriva che si facessero propendere coloro {130 [344]} stessi che dimostravano averne l'inclinazione; in quelle occasioni faceva loro osservare che un' impegno di tanta importanza esige molte riflessioni, perciò bisogna pensarvi con maturità ed al cospetto d' Iddio; essere per un particolare una ben piccola fortuna il divenire missionario, ma essere un punto capitale per tutto il corpo di non avere di quelli che non sieno legittimamente chiamali. I Certosini e molti altri Ordini, che esigevano da' loro postulanti che passassero alcuni giorni a San Lazzaro onde consultare Dio nel ritiro, avevano ragione di far conto sulla sua probità. Il distogliere qualcheduno da un ordine, al quale era chiamato, parevagli un furto, un sacrilegio. «Cercando di appropriarci quello che Dio non ci vuoi dare, diceva a' suoi, non faremo che contrariare la sua santa volontà, ed attirare su di noi la sua indignazione. Spetta al Padre di famiglia la scelta de'suoi operai. Un missionario presentato dalla paterna sua mano farà da se solo più bene di quello ne farebbero molti altri, la cui vocazione fosse men pura. Dobbiamo dunque da una parte pregare il Signore che mandi nel suo campo uomini capaci di {131 [345]} farne la raccolta, e dall'altra porre ogni studio onde vivere tanto bene, che i nostri esempi siano per loro un incentivo a lavorare con noi, se Dio ve li chiama.» Per evitare il secondo difetto, che partecipa di ciò che le leggi qualificano di dolo e mala fede, il Santo non imitò già coloro i quali non presentano alla gioventù che dei fiori nel noviziato, e non palesano le spine se non quando ha oltrepassato l'ultimo studio della carriera. Nulla v'ha nel piano dei noviziato che possa abbattere la natura, ma vi ha tutto quello ch' è necessario per far sentire il peso delle obbligazioni, che ne sono il termine. Non si esigono in esso cilizi nè catene, nè cinture di ferro, nè discipline, nè altri digiuni fuori di quelli che obbligano tutti i fedeli, ma in contraccambio vi si vuole ciò che ordinariamente costa molto di più, vale a dire una grande separazione dal mondo, una vita ritiratissima, molta umiltà, grande mortificazione, estrema vigilanza su di se stesso, fedeltà inalterabile per tutti i propri doveri, e se possibil tosse, un fondo inesauribile di quella santa unzione, che deve sostenere un giorno e consolare uomini pel proprio stato dedicati {132 [346]} a tutto ciò che il ministero ha di più penoso e di più ripugnante. Voleva che i missionari fossero pronti a dare la loro vita per amore di Gesù Cristo, come egli ha dato la sua per la salvezza di tutti. «Vedonsi ogni giorno, diceva Toro, de'negozianti che per un guadagno mediocre attraversano i mari esponendosi ad una infinità di pericoli. Avremo noi minor coraggio di loro'. Le pietre preziose di cui eglino vanno in traccia valgono forse più delle anime che sono l'oggetto de' nostri sudori; delle nostre fatiche, de' nostri viaggi? »

            A' religiosi che brigano per le dignità ecclesiastiche diede il Santo una bella lezione nella persona di uno che a lui si raccomandava Un celebre religioso che aveva predicato con successo sui primi pergami del Regno gli rappresentò i suoi prolungati lavori, l'austerità della sua regola, la diminuzione delle sue forze, ed il timore che aveva di non poter continuare più a lungo a prestare i servigi che aveva fino allora resi alla Chiesa; soggiunse aver pensato ad uno spediente, per cui avrebbe potuto ancora lavorare con vantaggio; che la dignità episcopale lo dispenserebbe dal digiuno e dalle altre austerità {133 [347]} dei suo ordine, e lo metterebbe in grado di predicare con maggior vigore e frutto; che faceva capitale della sua amicizia per fargli ottenere la nomina dal ile. Il servo d' Iddio fece intendere a quel religioso l' idea, da cui era inebbriato, essere una tentazione del demonio: e dopo avergli testificato l'alta stima che professava al suo ordine e a lui particolarmente, gli disse che col successo con cui onorò le sue funzioni Dio aveva manifestato di volerlo appunto nello sfato da lui abbracciato. e non esservi apparenza che volesse farnelo uscire: che se Dio lo destinava all'episcopato avrebbe saputo trovare i mezzi di farvelo pervenire, senza ch'egli lo prevenisse.

            «Ma, soggiunse Vincenzo, troverei qualche cosa a ridire sul farvi avanti voi stesso: voi non avreste motivo di sperare le benedizioni de! cielo in un cangiamento il quale non può essere desiderato né procurato da un'anima veramente umile come la vostra. D'altronde privando il vostro ordine di un uomo che lo sostiene co'suoi esempi, che gli da credito colla sua erudizione e che n'è una delle principali colonne, gli fareste un torto considerevole. {134 [348]} Aprendo questa porta porgereste occasione ad altri o di sforzarsi d' uscire dal loro ritiro, o almeno di concepire del disgusto per gli esercizi di penitenza; al pari di voi troverebbero de' pretesti per addolcire que' rigori salutari; perchè la natura si stanca delle austerità, e se consulta se stessa, dirà che sono eccessive, che bisogna moderarsi per vivere lungamente e servire vie più a Dio, laddove nostro Signore dice: Chi ama l'anima sua la perderà e chi l'odia la salverà.

            Voi sapete meglio di me, reverendo Padre, tutto ciò che si può dire su di questo proposito, e non oserei di palesarvi il mio modo di pensare se non me lo aveste comandato. Ma forse voi non porgete attenzione alla corona che vi è preparata. Oh Dio! quanto sarà bella! avete già tanto operato per meritarvela, e forse ben poco vi rimane più a fare. È necessaria la perseveranza nel cammino in cui siete entrato, cammino che conduce alla vita. Avete di già superato le più gravi difficoltà; dovete dunque farvi coraggio e sperare che Dio vi concederà la grazia di vincere le minori. Per tal modo Vincenzo {135 [349]} troncava ogni germe d'ambizione e persino di quella che, nascosta sotto i colori del bene, seduce qualche volta uomini pieni di virtù e di lumi.

            Vincenzo combatteva a ferro e fuoco la maldicenza e la gelosia, crudeli passioni le quali non la perdonano al merito domestico, nè al merito straniero. Diceva che i dardi dell'invidia e della detrazione non feriscono il cuore di quelli contra cui sono scagliati, se non dopo di aver trapassato da parte a parte il cuor di Gesù Cristo.

            Coloro ette si approssimano alla santa comunione col fervore di Zaccheo non devono biasimare coloro i quali se ne allontanano coll'umiltà del pubblicano. Nulladimeno la lunga sua esperienza intorno a' maravigliosi effetti dell'Eucaristia lo spingeva a sollecitare ognuno di mettersi in grado di riceverla degnamente e frequentemente. «Avete un poco mal fatto, scriveva ad una pero sana sua penitente, ritirandovi oggi dalla santa comunione per la pena interna che avete provato. Non vedete forse ch'è una tentazione, e con ciò la date vinta al nemico di questo adorabilissimo Sacramento! Pensate forse divenire più capace {136 [350]} e meglio disposta ad unirvi a nostro Signore allontanandovi da lui? Oh! siate sicura che se aveste un tal pensiero, v'ingannereste a partito. Non bisogna maravigliarci se ci allontaniamo dalla tavola del Signore: giacchè la natura vi guadagna, mentre, soltanto a caro prezzo si acquistano e si conservano le disposizioni necessarie. La vigilanza su di se stesso è un fardello di cui si scarica volentieri..... Una donna di merito aveva da molto tempo per pratica, dietro il consiglio del suo direttore, di comunicarsi due volte la settimana. La curiosità, e noti so quale bizzarro desiderio di perfezione, la indussero a cangiare di confessore; la frequente comunione fu il primo peccato di cui egli volle che si correggesse. Così la signora si comunicò da principio una volta la settimana; fu in seguito rimessa alla quindicina e poi finalmente al mese. Tutto il frutto che ricavò da questa privazione fu che a poco a poco lo spirito di vanità, d'impazienza, di collera e di altre passioni s'impadronirono di lei. Le sue imperfezioni si moltiplicarono e si trovò alfine in una situazione molto deplorabile. {137 [351]}

Ne cercò la causa e la trovò ne' consigli del nuovo direttore; consigli perniciosi, poichè produssero effetti cotanto cattivi. Quella signora con miglior consiglio ripigliò l'abbandonata sua pratica, convinta ormai che per comunicarsi spesso bisogna ben vivere, come per ben vivere bisogna comunicarsi sovente. Nella frequenza dei divini Misteri trovò il riposo della sua coscienza ed il rimedio a tutti i suoi difetti.»

 

            Frutto. Del prossimo parlar bene o tacere affatto. {138 [352]}

 

 

Giorno decimoquarto. Sua mortificazione.

 

            Se è glorioso di seguire il Signore, bisogna pur confessarlo, che nulla costa maggiormente alla natura; poichè il primo passo che debbono fare coloro che vogliono seguir Dio, quello si è di rinunciare a se stessi e portare la loro croce. Questo il Santo trovava assai difficile, ma lo fece in tutti i momenti di sua vita; e colla più esatta verità si è detto di lui, che all'ombra d'una vita comune la mortificazione interna ed esterna è forse fra tutte le virtù quella che praticò più costantemente.

            Per mortificazione interna quella intendo la quale ha per oggetto immediato il giudizio, la volontà, le inclinazioni del cuore, e le tendenze le più dolci della natura. Per mortificazione esterna intendo quella che crocifigge tutti i sensi.

            La sua mortificazione interna si ravvisa sensibilmente nella riforma quale fece del suo naturale. Si può ben combattere la propria natura, che quasi sempre ricompare. So vien raffrenata nelle occasioni {139 [353]} prevedute, si svela nelle subitanee; son pochi gli uomini i quali, studiando un altr'uomo, almeno al lungo andare, non iscoprano in lui ciò che noti avevano scorto de prima. Vincenzo aveva naturalmente l'aspetto severo ed alquanto aspro; nulladimeno seppe si ben violentarsi che fu sempre considerato da quanti lo conobbero qual modello di dolcezza e di affabilità. Riguardava egli stesso questo cangiamento come una specie di miracolo e to attribuiva alla compassione di chi Io aveva avvertito di prendere un aspetto metto cupo e meno austero. Combatteva con tanta forza l'amor proprio che giudicando di lui dalle sue apparenze, sarebbesi dubitato se da quel lato fosse figlio di Adamo; nulla occultava di ciò che poteva farlo disprezzare; nascondeva quanto poteva ridondare a sua gloria. Il segretaro del Re era stato schiavo in Algeri e sapeva che Vincenzo eralo stato in Tunisi. Raccontando egli volentieri le sue avventure al Santo, avrebbe gradito assaissimo gli raccontasse le proprie. Lo metteva espressamente in argomento per farlo parlare, ma confessa sulla sua deposizione che non potè mai ottenere una sola parola su questa materia. {140 [354]} Venti liste ebbe occasione di parlarne in onorevoli assemblee, e venti fiate stette in silenzio.

            Quella specie d'indifferenza che sembrò avere per i suoi parenti era in lai l'effetto della più viva e della più perseverante mortificazione. «Pensate forse, diceva a qualcheduno che lo sollecitava di giovar loro, pensate forse che non ami i miei parenti? Io provo per essi tutti i sentimenti di tenerezza e di affetto come qualunque altro può avete per li propri, e questo amor naturale mi sollecita molto di assisterli; ma elevo operare secondo i movimenti della grazia e non secondo quelli della natura, e pensare a'poveri più abbandonati senza arrestarmi a' vincoli dell' amicizia e della parentela. Devo imitare il Salvatore, il quale in una pubblica occasione sembrò non conoscere madre ne fratelli, e riguardare nell'impiego delle mie elemosine conte miei parenti più prossimi non già quelli che lo sono diffatti, ma bensì quelli i quali hanno maggior bisogno di essere sollevati. Ohimè! i miei parenti non sono essi molto felici? e possono forse trovarsi in uno stato migliore {141 [355]} di quello in cui eseguiscono la sentenza di Dio, la quale ordina che l' uomo guadagni il pane col sudore della sua fronte?» Il Santo seguiva questi principi anche quando avrebbe assolutamente potuto allontanarsene. Un suo amico gli diede cento doppie per i suoi parenti: l'uomo di Dio non le rifiutò, ma disse al benefattore che la sua famiglia poteva vivere com'era vissuta fin allora; quel nuovo soccorso non servirebbe a renderla più virtuosa, anzi credeva che una buona missione fatta nella loro parrocchia avrebbe maggior valore al cospetto di Dio e degli uomini. Quell'amico si arrendè a tali ragioni; ma il Santo non trovò l' occasione d'eseguire il progetto: le guerre civili che sopraggiunsero desolarono la Guienna; i parenti di Vincenzo de'Paoli furono dei più malconci, ogni cosa fu loro tolta, e alcuni persino vi perdettero la vita. II sant' uomo riconobbe allora essere stato per una particolare disposizione delta Provvidenza elio non avesse potuto dare quella missione. Benedì Iddio per una protezione sì speciale e visibile. Fece partire con tutta fretta il soccorso che il cielo aveva preparato alla sua famiglia. E questo è il solo bene che fece {142 [356]} a'suoi parenti un uomo cui sarebbe stato facilissimo di procurare loro una vita comoda e per inclinazione spinto a toglierli dalla miseria.

            Prova della mortificazione interna del nostro Santo è la perfetta sua eguaglianza di spirito. Ei l'ebbe in grado eminente. La sua storia ne somministra delle prove tali che si dificolterebbe a trovarle nella vita dei più gran santi. L'abbiamo veduto tranquillo nelle turbolenze della guerra come in seno della pace; nelle malattie come nella più florida sanità; ne' buoni successi come nei più disgustosi avvenimenti. Per giungere fino là bisogna in qualche modo non vivere più, o non vivere, come S. Paolo, che della vita di Gesù Cristo. Bisogna aver sepolto l'uomo vecchio con tutti i suoi desideri, bisogna non conoscere più inclinazione nè tendenza.

            Non fu già così della sua mortificazione esteriore: benchè abbia usata tutta la precauzione per nasconderne una parto, e pei travisarne l'altra, fu bastantemente conosciuto per giudicarlo degno di avere un posto nel numero de' più illustri penitenti. Ecco ciò che si rileva dal processo di sua canonizzazione. {143 [357]}

            Vincenzo non si coricava quasi mai che verso mezzanotte, perchè i grandi e moltiplico affari de'quali era sopraccaricato non gli permettevano di farlo prima. Il suo letto consisteva in un cattivo pagliericcio: sano o  infermo alzavasi regolarmente a quattr'ore del mattino. Al suo svegliarsi si disciplinava: un fratello, la cui stanza era attigua alla sua, assicurò non aver mai tralasciato questo esercizio in dodici anni che fu suo vicino. A questa austerità ne aggiungeva altre per chiedere a Dio delle grazie particolari per calmare la collera in tempo delle pubbliche calamità. Il cilizio, i braccialetti, le cinture con punte erano anch'essi strumenti di cui usava famigliarmente; ma il cilizio particolare di cui servivasi di tempo in tempo e che esiste tuttora, fa tremare coloro perfino che sono più abituati alla mortificazione. Del resto, a caso soltanto si scopri il grado e la misura della sua penitenza, perchè era tanto premuroso di tenerla occulta, quanto ardente in praticarla.

            Ogni giorno, ed anche negli inverni più rigidi, impiegava tutte le mattine più di tre ore nell'orazione, nel prepararsi a celebrar la santa messa e nel ringraziamento. {144 [358]} Stava in ginocchio sul nudo pavimento senza aver mai permesso si coprisse con una stoia it posto in cui aveva costumanza di collocarsi; nemico e quasi carnefice del suo corpo, malgrado l'enfiagione delle sue gambe e una febbre quartana che lo coglieva due tempi dell'anno, lavorava con tanta esattezza come se avesse goduto della miglior sanità. Oltre i digiuni prescritti dalla Chiesa, e da' quali giammai si dispensò, digiunava ordinariamente due volte per settimana, nè le sue infermità, nè la sua vecchiezza poterono fargliene tralasciare l'abitudine: il suo nutrimento fu sempre dei più comuni; non vi era alcuna differenza fra lui e l'ultimo de'suoi nè per la quantità, nè per la qualità de' cibi; sceglieva sempre a preferenza nella sua porzione il meno appetente, e per timore di allettare la sensualità, quale s'insinua dovunque, spargeva di tempo in tempo sugli alimenti una polvere amara che rendevali disgustosi. In qual si voglia luogo si trovasse, beveva e mangiava pochissimo, non già per mancanza d'appetito, ma perchò erasi fatta una legge di non mai soddisfarlo. Allorchè trovavasi alla seconda mensa, si frammischiava a' domestici perchè gli fossero {145 [359]} dati come ad essi gli avanzi della prima; se giungeva dopo ch'erasi sparecchiato, e che si era levato il suo vino, mai ne dimandava e si contentava d'acqua pura, malgrado non vi fosse chi avesse maggior bisogno di lui di acquistare delle forze. Per quanto tardi ritornasse in casa per pranzare, fossero anche due o tre ore pomeridiane, ora sempre digiuno.

            All'età di 60 e più anni digiunava nella quaresima più rigorosamente di un uomo robusto nel fiore della sua età. Il merluzzo, l'aringa e gli altri salumi erano il suo nutrimento, come lo erano per la comunità. Si tentò d'ingannarlo servendolo alla seconda tavola con pesce fresco in luogo del pesce salato ch'erasi dato a'suoi fratelli, ma quell'innocente artifizio fu ben presto scoperto da un uomo, che l' amore della mortificazione rendeva vigilante. S'informava di ciò ch'erasi dato agli altri, e bisognava trattarlo al pari di essi, altrimenti nulla avrebbe mangiato. Alla sera un tozzo di pane, una mela e dell'acqua tinta di vino formavano la sua cena. Qualche volta benchè non giorno di digiuno e di astinenza se giungeva a casa un po' tardi, si ritirava senza mangiare.{146 [360]}

            Non impiegando la sua lingua che per raccomandare la virtù; combattere il vizio, solo dava ascolto a' discorsi che tendevano al bene. La sua regola era di chiudere l'orecchio alle vane curiosità, alle notizie inutili, e molto più a quelle che potevano intaccare la carità. Per ciò che concerne il gusto, avevalo assoggettato fino ad un punto straordinario. Il freddo ed il caldo, il buono ed il cattivo erano per lui cose indifferenti. Ci son poche persone delle quali non si possa dire che preferiscano un tal genere di alimenti ad un altro: Vincenzo, qualunque fosse lo studio che avessero fatto del suo appetito i figli di lui impegnati a conservarlo, noi poterono mai ravvisare: prendeva a lunghi sorsi e a varie riprese le medicine più amare e più disgustose, e non mangiava se non perchè è ingiunto all'uomo di non lasciarsi morir di fame.

            Soleva dire che la vera mortificazione non la perdona nè all'anima, nè al corpo; che sacrifica il giudizio, la volontà, i sensi, le passioni, le inclinazioni le più dolci e le più naturali: il giudizio, conducendo l'uomo a stimare le proprie idee meno delle altrui; la volontà, facendole seguire l'esempio del {147 [361]} Salvatore, il quale nell'intero corso di sua vita non fece mai la propria, ma sempre quella del suo celeste Padre: quæ plavita sunt ei facio semper: i sensi, tenendoli soggetti a Dio, e soprattutto vegliando attentamente sulla curiosità di vedere e di udire, curiosità tanto pericolosa e che ha tanta forza da distogliere lo spirito da Dio; le stesse inclinazioni naturali, e principalmente quella che domina in molti di conservare la sanità erano per lui l'oggetto di mortificazione. «Perchè, andava dicendo, una tale immoderata sollecitudine di stai bene, e l'eccessivo timore di soffrire qual« che incomodo, che scorgesi in alcuni, i quali ripongon ogni loro attenzione alla cura della loro misera vita, impediscono grandemente di servire a Dio, togliendo la libertà di servire a Gesù Cristo. Oh! miei fratelli, noi siamo i discepoli eli quel Divin Salvatore; e nulladimeno egli ci trova simili a' schiavi incatenati; ed a chi? ad un po' di salute.... O mio Salvatore! dateci la grazia di liberarci da noi stessi; fate, se pur vi piace, che abbiamo in odio noi medesimi onde amarvi con maggior perfezione. Voi che {148 [362]} .d'ogni perfezione siete la sorgente, come siete il nemico mortale della sensualità, « dateci lo spirito di mortificazione e la grazia di resistere sempre all'amor proprio, ch'è il germe di tutte le nostre sensualità.»

            Nemico implacabile della sensualità la combatteva fino nelle apparenze. «Non trovasi vizio, diceva a' suoi figli; che più di questo sia opposto allo spirito che deve animarvi, e sia più capace a farvi perdere il gusto delle vostre funzioni. Un missionario deve vivere come se non avesse corpo, e non deve temere nè il caldo, nè il freddo, nè le malattie, nè la fame, nè le altre miserie della vita. Egli deve stimarsi felice di soffrire qualche cosa per Gesù Cristo, e se fugge i travagli, la fatica e gl' incomodi, è indegno del suo nome, e a nulla può servire. Un piccolo numero di preti che avranno rinunciato a'loro corpi ed alle lor soddisfazioni faranno maggior bene di quello che ne farà una folla d'altri, i quali non hanno timore più grande di quello d' indebolire la propria salute. Costoro si credono saggi, e la loro saggezza è carnale; sono spiriti di {149 [363]} carne. Guai a colui, che fugge le croci, perchè ne troverà altre tanto pesanti che lo opprimeranno.»

 

            Frutto. Fate quest'oggi qualche astinenza in onore di Maria santissima.

 

 

Giorno decimoquinto. Sue occupazioni.

 

            Vincenzo che si riguardava qual servo inutile era talmente occupato da mattino a sera, che la sua vita era una continuazione di opere buone. Un altro uomo laborioso, meno sostenuto dalla grazia avrebbe soggiaciuto sotto quella moltitudine di affari. Non si può concepire come un uomo soggetto ad infermità, senza mai tralasciare i suoi esercizi di divozione, abbia potuto soddisfare tante occupazioni sì disparate; ultimare un sì gran numero di affari, che non avevano connessione tra di loro; rispondere ad una folla prodigiosa di lettere {150 [364]} che riceveva da ogni parte, e assistere con attenzione le due compagnie che aveva instituite. Le sue occupazioni erano talvolta sconcertate da' contrattempi, ma il Santo sapeva mirabilmente rimetterle in ordine. Coglieva l'occasione di fare un nuovo bene senza perdere di vista quello, di cui aveva formato il progetto.

            Non ci rimane più che una piccola parte delle lettere che scriveva in Francia, in Italia, in Barberia e ne' paesi ancor più lontani, ed esse sono nulladimeno in sì gran numero, che fa spavento la loro moltitudine, e la varietà delle materie, sulle quali era obbligato a rispondere. Vescovi, Abati de' più distinti, Direttori illuminati lo consultavano sovra affari tanto delicati, quanto importanti. Principesse gli dimandavano delle missioni per le loro signorie, soccorso che non rifiutava giammai. Ora è la congregazione di Propaganda, che scongiura di spedire i suoi figli al Gran Cairo; ora se gliene dimandano per i paesi stranieri; ora una madre afflitta che da' confini del Regno, ove la sua carità l'aveva fatto conoscere' Io prega d' interessarsi per un figlio, che schiavo in, Algeri è in pericolo di {151 [365]} perdere o la vita, o la fede. Un giorno è un rinnegato che da: Algeri s'indirizza a lui, per trovare nella sua carità i mezzi di riparare alla sua apostasia; un altro giorno è una Abadessa che, disanimata dalle difficoltà del governo, non sa qual partito prendere. Oggi è un giovane che, trascorsi alcuni mesi di noviziato, è tentato di ritirarsi dal chiostro. Domani saranno i Nunzii Bagni e Piccolomini che, a voce o in iscritto, bramano avere il suo parere sopra diversi articoli che riguardano o il bene particolare delle Diocesi, o il ben generale della Chiesa intera. Sovente saranno saggi religiosi che ricorrono a lui, come ad un padre sempre pronto ad aiutarli, sia nella riforma de'loro ordini, sia in altri affari spinosi. Nel mattino sarà il capo d'augusta compagnia che combinerà con lui alcuni di quegli affari, che la politica vorrebbe riprovare, ma che la equità e la religione approveranno sempre. Alla sera sarà un missionario che ha bisogno di essere confortato nel suo stato o di essere ricondotto al primiero fervore. Qualche volta saranno virtuosi preti i quali non conoscono sollievo nè riposo, e di cui bisogna moderare lo zelo perchè possa continuare {152 [366]} più a lungo. Dei resto quelle lettere innumerevoli son tutte ricolme dello spirito di colui `che le scriveva.

            L'umiltà, la dolcezza, il disinteresse, la saggezza, la rettitudine, la carità, la sottomissione a tutte le volontà di Dio, sono il marchio uniforme, coi quale vengono contrassegnate.

            Nel tempo stesso in cui Vincenzo trovavasi distratto dalle persone famigliari e straniere, era totalmente occupato da una moltitudine d'opere sante e penose. Lavorava a sbandire la mendicità da Parigi, e a fare riuscire il progetto d'un Ospedal-generale; si sforzava di confortare coloro de'suoi che avevano penetrato in Iscozia e nelle Ebridi; ogni giorno riceveva le più spiacevoli notizie della desolazione della Piccardia, della Sciampagna e della Lorena, e che per impedirne la rovina totale faceva passare in quelle parti immense elemosine.

            Durante sua vita la casa di san Lazzaro tu sempre quella ch'era al tempo degli ultimi giudici d'Israello la casa del Profeta: era come un oracolo a cui tutte le persone. che meditavano intraprendere qualche buona opera, accorrevano da ogni parte per attignere {153 [367]} ne'lumi del'Uomo di Dio i consigli oli cui abbisognavano. Oltre le assemblee ordinarie, alle quali assisteva esattamente tre volte per settimana, era frequentemente chiamato per elezioni di prelati, di dottori, di superiori di comunità e di altre persone d'ogni condizione, sia per fermare il corso di qualche grave disordine, sia all'oggetto di stabilire un buon governo, sia per ricondurre la pace in un monastero o in una famiglia. Perciò, eccettuato il tempo ch'egli consacrava al ritiro annuale, usciva quasi tutti i giorni per affari di carità, che lo toglievano alla sua solitudine. Ritornato a casa, dopo aver recitato il suo uffizio in ginocchio, ascoltava coloro de'suoi o degli esteri, i quali desideravano parlare con lui. Se a queste serie occupazioni si aggiungono quelle procurate da diverse case della sua congregazione, quelle delle figlie della carità, e delle religiose della Visitazione, delle quali ebbe, finchè visse, una cura particolare, si potrà forse non convenire che i suoi anni furono pieni, e che non ebbe alcun di quei mesi vuoti, che la Scrittura condanna?

            Benchè la gloria d'Iddio fosse l'unico motivo {154 [368]} delle imprese del Santo, ciò non pertanto non tutte riuscirono. In quel modo che per le campagne vi sono degli anni sterili, in cui le speranze del coltivatore sono più o meno deluse, così per le opere di Dio ci sono delle stagioni le quali sembrano sonnacchiose riguardo a' suoi più fedeli servitori. Gli Apostoli lo provarono più d'una volta, e Vincenzo lo provò com'essi.

            Desta sorpresa l'udir parlare di grandi occupazioni, quando si tratta di un uomo che si avanza a gran passi verso l'eternità. Ciò nondimeno il nostro Santo, comunque sopraccarico fino al giorno che precedè la vigilia della sua morte, le disimpegnò con una precisione ed una presenza di spirito ammirabile. Radunava sovente gli ufficiali della sua casa ed i suoi assistenti: parlava a tutti riuniti o ad ognuno in particolare, secondo che esigevano le circostanze, si faceva render conto dello stato degli affari, e ne deliberava con essi. Regolava le missioni, destinava ad esse quelli che erano più adattati, e concordava con loro la maniera con cui bisognava agire per farle riuscire. Faceva per le altre compagnie, delle quali era incaricato, quanto faceva per la {155 [369]} sua propria congregazione. Inviava alcuni suoi preti per rappresentarlo ne' luoghi ove non poteva più trasferirsi, e quando si trattava di qualche affare importante, dava loro una lezione sì esatta che non avevano, se volevano essere sicuri del successo, che ad ubbidire. Giudicando di lui dalle sue risposte credevasi nelle provincie la sua salute fosse sempre a un di presso nel medesimo stato, ed è perciò che riceveva una infinità di lettere, alle quali non tralasciava mai di rispondere. Sebbene scrivesse sopra ogni argomento, scriveva più volentieri in favor della miseria e dell' indigenza: si osservò le ultime sue lettere riguardare in tutto a' bisogni ed al sollievo de' poveri.

            Nel trambusto delle occupazioni ed in mezzo alle importunità di una folla di persone di ogni condizione che l'assediavano, si scorgeva sempre l'uomo di pace e di consolazione. Finalmente conciliava sì bene l'offizio di Marta con quello di Maria, che allorquando sembrava maggiormente occupato, si riconosceva ancor meglio che lavorava per Dio e sotto gli occhi di Dio. Se a tante occupazioni si aggiungono gli esercizi di divozione, si vedrà che conosceva {156 [370]} il prezzo del tempo. Sarebbesi fatto uno scrupolo di perderne un solo istante, e cosi raddoppiava i suoi anni innanzi a Dio. Era l'ultimo di tutti nell'andare al riposo notturno, e durante il giorno era quasi sempre occupato a pregare, a ricevere o a dare consigli, a formare deliberazioni o ad esequirle. I suoi preti avevano dopo orni pasto un'ora circa di ricreazione, egli in vece quasi mai ne profittava, perchè aveva ordinariamente qualche cosa premurosa da tare. Finalmente, quantunque accordasse a coloro che gli parlavano, e soprattutto agli stranieri, il comodo per dirgli tutto ciò che era d'uopo, era per altro attentissimo ad eliminare ì discorsi inutili: evitava le digressioni fino nelle assemblee di divozione, alle quali interveniva per li poveri. Tanto preciso nelle sue parole, quanto giusto nelle sue idee riconduceva al punto essenziale coloro che se n' erano allontanati, ma lo faceva con tanta grazia, che niuno trovava a ridire. Possedeva una forza di spirito infaticabile per applicarsi a' più grandi affari, e la più sorprendente facilità di abbandonare tutto in favore dei deboli e dei semplici che venivano ad interromperlo. {157 [371]}

            In ciascun giorno degli ultimi anni di sua vita, per disporsi alla morte, recitava le preghiere degli agonizzanti colla raccomandazione dell'anima, e alla sera si metteva in grado di rispondere al Divin Giudice, nel caso che quella notte stessa gli fosse piaciuto di chiamarlo al suo tribunale supremo.

 

            Frutto. Un atto di contrizione per dimandare a Dio perdono del tempo perduto, promettendo di occupare santamente tutti que' giorni di vita che Dio ci vorrà ancora donare. {158 [372]}

 

 

Giorno decimosesto. Sua pazienza.

 

            La pazienza è uno de'mezzi sicuri per giugnere a salvamento delle anime nostre. In patientia vestra possidebitis animar vestras, dice il Signore. Questa massima era sì altamente radicata nel cuor di Vincenzo che languiva di afflizioni quando non aveva tribulazioni nella propria persona o in quella de'suoi figli. «La nostra congregazione, diceva loro, nulla soffre, tutto le va bene; e Dio, senza farle sentire traversia, nè agitazione, la benedice in ogni modo questa gran calma mi dà qualche inquietudine, perchè è proprio d'Iddio l'esercitare coloro che lo servono e di permettere tribulazioni a coloro che lo amano. Mi rammento di quello dicesi di S. Ambrogio, il quale avendo inteso dal padron « di una casa, in cui egli entrò in uno dei suoi viaggi, che non sapeva che cosa fosse afflizione, ne uscì frettoloso, dicendo a coloro che lo accompagnavano: Usciamo di qui, perchè la collera di Dio è prossima a cadere su questa casa. Cadde infatti, {159 [373]} perchè il fulmine la rovesciò dopo alcuni momenti, schiacciando sotto le sue rovine tutti coloro che vi erano. D'altra parte io vedeva alcune compagnie agitate di tempo in tempo e che soffrirono orribili persecuzioni, e diceva fra me stesso: Ecco come Dio ci tratterebbe se fossimo saldi nella virtù; ma conoscendo la nostra debolezza ci nutre col latte a guisa di piccoli fanciulli, e permette ogni cosa cì vada propizia, quasi senza che noi cc ne ingeriamo. Ho dunque ragione di temere mere non essere noi accetti a Dio, nè degni di soffrire qualche cosa per amor suo.»

            Ciò che il Santo diceva alla sua comunità radunata, lo diceva al Superiore d'una delle sue case, che gli aveva manifestato essergli di pena il governarla. «Ohimè! signore, credereste forse di trovarvi bene senza soffrire? Non sarebbe forse più desiderabile di avere un demonio in capo che essere senza alcuna croce? Sì, perchè in quello stato il demonio non porterebbe all'anima alcun nocumento: ma nulla avendo da soffrire, nè l'anima, nè il corpo sarebbero conformi a Gesù Cristo {160 [374]} paziente: eppure questa conformità è la prova della nostra predestinazione. Perciò ciò non vi stupite delle vostre pene, poichè il figlio di Dio le ha scelte per la nostra salvezza. Non è forse consolato il nostro cuore vedendosi fatto degno innanzi a Dio di soffrire servendolo? Certamente dovete ringraziarlo particolarmente e siete obbligato di domandargli la grazia di farne un buon uso. Bisogna condursi a Dio per infamiam et bonam famam. La sua divina bontà ci usa misericordia quando si compiace di permetterci di cadere nel biasimo e nel pubblico disprezzo: io non dubito che non abbiate ricevuto in pazienza la confusione derivata da ciò ch'è occorso. Se la gloria del mondo non è che un fumo, lo stato contrario è un bene solido, quando è soppórtato come conviensi: spero che riceverete un gran bene da questa umiliazione. Dio voglia mandarcene tante da poterci meritare di piacergli: bisogna desiderare ardentemente di avere delle croci, e dirò con S. Francesco Saverio: Ancor più, Signore, ancor più.» La pazienza del Santo ne' mali, o piuttosto il suo genio {161 [375]} per f patimenti, non risplenderono giammai come nelle sue malattie. Un missionario commosso dallo stato in cui vedeva quel venerabile vecchio esclamò in un primo movimento: Oh! Signore, quanto sono molesti i vostri dolori! «E che? rispose vivamente il Santo ammalato, qualificate voi di molesta l'opera di Dio e ciò ch'egli ordina, facendo soffrire un miserabile peccatore qual io sono? Dio vi perdoni ciò. che avete detto, perchè non parlasi così nel linguaggio di Gesù Cristo. Non è forse giusto che il colpevole soffra; e non apparteniamo forse più a Dio che a noi stessi? La malattia è uno stato quasi insopportabile alla natura, ed è nulladimeno uno de' più possenti mezzi di cui Dio si vale per richiamarci al dovere, per allontanarci dall'afa lezione al peccato e per ricolmarci de'suoi doni e delle sue grazie. Si è in questo modo che le anime si purificano, e quelle prive di virtù trovano un mezzo efficace onde acquistarne: non potrebbesi rinvenire uno stato più proprio per praticarla. a Appunto nelle malattie la fede si esercita mirabilmente; in esse la speranza sfavilla con maggior splendore; la rassegnazione, {162 [376]} l'amor di Dio e tutte le virtù trovano un' ampia materia d'esercizio.»

            Vincenzo era soggetto ad una leggera febbre, che durava anche quattro o cinque giorni, e qualche volta quindici e più, e sebbene in questo frattempo patisse assai, pure continuava ad occuparsi de' suoi esercizi e de' suoi affari.

            A questa febbre si aggiungeva due volte all'anno una febbre quartana, e nulla più la curava di quella; in un caso uguale avrebbe fatto trasportare all'infermeria l'ultimo de' suoi figli, ma egli non vi andava, e fu soltanto all'età di 80 anni trascorsi che la debolezza del corpo cominciò a far vacillare alquanto la vivacità e la forza del suo coraggio; perciò bisogna confessare che il resto della vita del Santo non fu d'allora in poi che una complicazione di mali. Nel 1656 ebbe una febbre continua per alcuni giorni che terminò con una grande flussione in una gamba; allora suo malgrado fu costretto di rimaner a letto per qualche tempo. Si profittò di quella occasione per fare che alloggiasse in una camera col fuoco, perchè lino allora non era stato possibile di determinarnelo. {163 [377]}

            Quel debole sollievo gli divenne ben presto più che mai necessario: l'enfiagione delle sue gambe si dichiarò in un modo sì violento che, per sopportarne i dolori, gli fu necessaria tutta la pazienza dei Santi. Il male fece rapidi progressi; si portò alle ginocchia: finalmente una delle sue gambe si aprì al modo dei piede destro. Due anni dopo vi si formarono nuovi ulceri, ed il dolore dei ginocchio aumentando sempre, non fu più possibile al servo di Dio, dopo il principio dell'anno 1659, uscire di casa. Continuò nulladimeno per qualche tempo a discendere per trovarsi all'orazione colla sua comunità e dire la santa messa in chiesa; ma verso la fine di quell' istesso anno più non potè discendere, e gli fu mestieri di celebrare nell'oratorio dell'infermeria. Qualche tempo appresso le gambe gli mancarono talmente che non potè più scendere all'altare; fu dunque costretto di contentarsi d'ascoltare la messa, e l'ascoltò difatti fino al giorno del suo decesso.

            A queste infermità abituali se ne aggiunse un'altra, la quale lo tormentò sì crudelmente, che era costretto esclamare con S. Bernardo; «Signore, se trattate cosi i vostri {164 [378]} amici nel tempo stesso della misericordia, che farete mai a' vostri nemici nel tempo che destinate alle vostre vendette?» In meno di quattro mesi la morte gli tolse tre persone ch'erano il sostegno della sua vecchiezza. Tanti colpi sembravano dover bastare alla giustizia di quegli il cui occhio penetrante trova del fieno e della paglia nelle sue più belle opere, e che per effetto di sua misericordia fa espiare durante la vita ciò che la sua severità potrebbe far espiare dopo morte.

            Lo stato in cui il Santo era ridotto gli fece bastantemente conoscere che il termine della sua carriera non era molto lontano, tuttavia non si osservava in lui per ciò che concerne lo spirito nè decadimento, nè alterazione. Il male che rattrista sempre coloro che soffrono molto e lungamente, sembrava che facesse un effetto contrario in lui. Coloro, tanto esteri, quanto famigliari, i quali venivano a visitarlo in tutte le ore delta giornata, trovarono sempre in lui un volto sereno e ridente, quel tuono di voce e quelle maniere piene. di dolcezza che guadagnano i cuori. Allorquando gli chiedevano notizie del suo male, ne parlava in maniera da {165 [379]} far credere che fosse cosa da poco; mutava poi discorso, e delle sue pene, che bramava si dimenticassero, passava a quelle di coloro che parlavano con lui per compatirli. Quando l'intensità del dolore si faceva sentire con maggior violenza, non uscivano dalla sua bocca che queste parole pronunciate sempre con molta tenerezza: Ah! mio Salvatore! mio buon Salvatore! Fissava in seguito gli occhi sull' immagine di Gesù Cristo attaccato alla croce che aveva fatto collocare dirimpetto a se, e ivi attingeva nuove forze per sopportare il suo male. Sentimenti sì religiosi erano appoggiati sovra principi cristiani. Cominciava Vincenzo dal considerare nella vita del Salvatore, che quel gran modello soffrì le prove le più forti; che l'odio contro di lui lo condusse finalmente al Calvario; che non promise ai suoi Apostoli che delle croci e de' cattivi trattamenti, e non essendo perfetto il discepolo se non quando rassomiglia al suo maestro, è giusto che soffriamo come Egli ha sofferto.

            Il secondo principio che rendevalo sì tranquillo in mezzo alle più violenti prove era, da un lato, che le pene non ci accadano {166 [380]} se non per volontà di Dio, secondo l' espressione di un Profeta: Si est malum in civitate, quod non fecerit Dominus; dall'altro, che Dio non affligge i suoi servi se non perchè ha su di essi de' disegni di misericordia. Da ciò conchiudeva, coloro che soffrono essere cari al cielo, e più cari assai quando ricevono desolazioni sopra desolazioni, e pene sopra pene. «Un giorno solo di tentazione, diceva, produce più meriti a che molti anni di tranquillità; un' anima a che si trova sempre nel riposo è simile a quelle acque stagnanti che divengono limacciose ed infette: al contrario l'anima esercitata dalla tribulazione rassomiglia a que' fiumi che scorrono fra le rupi e gli scogli, le cui acque son più dolci e più cristalline. Le croci non solamente in segnano la pazienza, ma anche la compassione verso del prossimo, e Gesù Cristo ha sofferto tanto affinchè nella sua persona avessimo un Pontefice, che potesse aver compassione delle nostre infermità.»

            Finalmente l' ultimo suo principio era quello di s. Paolo: cioè Dio non permette mai che siamo afflitti o tentati al di là delle nostre forze; ma ci aiuta colla sua grazia {167 [381]} a cavar frutto dalle pene e dalle contraddizioni, che noi dobbiamo sopportare. Sosteneva queste pene e queste contraddizioni essere come pegno de'più felici successi. Ed invero aveva cento volte provato che le missioni e gli altri esercizi della sua congregazione non avevano mai proceduto meglio come quando costavano maggiormente alla natura, ed è appunto ciò che gli fece dire in occasione d'una grave tribulazione di alcuni suoi preti, che se ne facevano quell'uso che gli Apostoli fecero delle persecuzioni che soffrivano, abbatterebbero il demonio con que' medesimi mezzi che impiegava contro di essi.

 

            Frutto. Facciamoci coraggio a patire per Dio; che se ci riempie di allegrezza il pensare alla grandezza del premio preparato, non ci deve atterrire quanto soffrir dovremo per andarne al possesso. Gesù mio, ricevete a vostra maggior gloria e a vantaggio mio spirituale tutte quelle pene a cui andrò soggetto prima della mia morte. {168 [382]}

 

 

Giorno decimosettimo. Sua povertà.

 

            Quanto più il cuore dell'uomo si distacca dalle cose della terra, altrettanto si avvicina a quelle del cielo e diviene vero seguace di Gesù Cristo. Indi nasce lo spirito di povertà, il quale propriamente consiste nello staccarci dalle cose del mondo e servirsene solo in quanto conducono alla vera felicità. Vincenzo, sebbene prima di conoscere i disegni di Dio su di lui avesse qualche ragione di pensare al suo stabilimento, ha confessato che sentiva nel suo interno non so qual segreto movimento, che facevagli desiderare di nulla avete di proprio e di vivere in comunità. Dio gli accordò l' una e l' altra. Si vide Padre di numerosa famiglia, e se lo stato in cui la Provvidenza lo collocò non fu incompatibile con una vera proprietà, seppe nondimeno renderlo compatibile con una rigorosissima povertà. Era sua regola prendere per se ciò che vi ora di più cattivo; portava i suoi abiti per tanto tempo quanto poteva valersene, ovvero prendeva quelli di già usitati da altri all' incirca {169 [383]} della sua statura onde averne de' nuovi il meno che fosse possibile. Con tutto ciò ebbe il talento di mantenere la proprietà, quale conveniva ad una persona del suo stato. La necessità in cui si trovò di andare frequentemente alla corte, nulla cangiò del solito suo tenore di vita. Si presentò al re in quel modo con cui compariva dinanzi alla sua comunità. Il cardinale Mazzarino prendendolo un giorno per la cintura ch'era alquanto lacera: «Vedete, disse al circolo della regina, come il signor Vincenzo vien vestito alla corte, e la bella cintura che porta.» Forse al punto di sua morte questo ricco ministro avrebbe voluto poter cangiare anima e fortuna con quel povero prete.

            Il nutrimento corrispondeva al vestiario, l'alloggio corrispondeva ad ambidue. Per ciò che concerne il nutrimento nessuna distinzione esisteva fra lui ed i suoi, tranne quella di una austera astinenza. Egli era contento quando mancavagli qualche cosa, e poteva pranzare cogli avanzi e col rifiuto di un altro. Teneva una simile condotta nelle sue malattie; infermo com'era, credevasi proibito ciò che non era permesso {170 [384]} a' suoi fratelli; l'esempio di s. Francesco Saverio che mendicava il pane, gli sembrava ammirabile. L'esercitò qualche volta nelle campagne, ove violentato dalla fame, privo di danaro, perchè d'ordinario non ne portava seco, si presentava a qualche contadino domandando un tozzo di pane per amor di Dio. Comunque sobrio negli alimenti facevasi un rimprovero eziandio di quei pochi, non vedendo in se che quel servo inutile, il quale non ha alcun diritto al suo nutrimento, e perciò ripeteva quella espressione a lui sì famigliare, che gli conveniva sì poco: Ah! sciagurato, tu non hai certamente guadagnato il pane che mangi.

            Il suo alloggio era il più semplice che si possa immaginare: una camera senza camino, un letto senza cortine, un pagliericcio senza materazzo, una tavola senza tappeto, mura senza alcun drappo, due sedie di paglia, una sola immagine di carta, un crocifisso di legno, ecco tutti i mobili della stia stanza. Nella sua deposizione il primo medico del re, quando vide un uomo di tanto merito e di tanta riputazione alloggiato così miserabilmente,attonito asserì che non aveva altri mobili se non quelli di cui assolutamente non poteva fare di meno. {171 [385]}

            Lo spirito di povertà lo seguiva dovunque; se aveva bisogno di scaldarsi nell'inverno, risparmiava quanto poteva le legna a profitto de' poveri; se faceva fare degli ornamenti per la sua chiesa, voleva, ad eccezione di quelli de' giorni più solenni, fossero della stoffa più comune; so ai vecchi mobili, che non potevano più sere re, se ne sostituivano degli altri di maggior prezzo facevali togliere. «Gli averi della casa, diceva, sono de' poveri; noi ne siamo gli economi e non già i padroni, e tutto ciò che non ci è necessario sarà materia di un gran rendiconto. Noi non siamo claustrali perchè si è creduto bene che non lo fossimo, ed anche perchè non siamo degni di esserlo; ma non è per questo men vero, che la povertà sia il nodo delle comunità, e particolarmente della « nostra; è appunto questo nodo che, sciogliendola da tutte le cose della terra, l'unirà perfettamente a Dio. Ohimè! che diverrà questa compagnia se dà accesso alla cupidigia di que' beni, cui l'Apostolo dice essere la radice di tutti i mali?.... Se questa disgrazia accadesse, come si viverà fra di noi? Si dirà: abbiamo tante {172 [386]} mila lire di rendita; or ci conviene di starcene un poco in riposo. Perchè mai lavorar tanto? abbandoniamo la povera gente di campagna, lasciando che i loro parroci n'abbiano cura, se cosi lor piace; viviamo agiatamente senza darci tarale pene, ed è cosi che l' ozio terrà dietro allo spirito di avarizia; non ci occuperemo più ad altro che a conservare ed aumentare i beni temporali, ed a cercar la, propria soddisfazione. Allora si potrà dare l' addio a tutti gli esercizi della missione, e alla missione stessa, perchè non ce ne saranno più. Basta leggere te storie, e si troveranno infiniti esempi da' quali risulta che le ricchezze e l' abbondanza dei beni temporali furono sempre la causa della perdita non solo di molti ecclesiastici, ma eziandio delle intere comunità, e che per non avere conservato fedelmente il loro primo spirito di povertà, sono cadute nel colmo della disgrazia.» Uno de' suoi preti gli rappresentò un giorno i bisogni della sua casa. «Che cosa fate, gli dimandò il Santo, quando mancate ancora del necessario? Ricorro a Dio, rispose l' altro. Ebbene! replicò Vincenzo, {173 [387]} eccovi ciò che produce la povertà; essa ci fa pensare a Dio, quando invece lo dimenticheremmo se avessimo tutto ciò che ci è necessario. Per questo appunto provo una grande allegrezza, che la povertà volontaria e reale si pratichi in tutte le nostre case. C'è sotto questa povertà una grazia nascosta, quale non conosciamo; ma, ripigliò quel missionario, procurato del pane agli altri poveri e trascurate i vostri? Prego Dio, gli disse l' Uomo del Signore, di perdonarvi queste parole. Voglio credere che le abbiate proferite con tanta semplicità, ma sappiate che non saremo giammai così ricchi come quando saremo simili a Gesù Cristo.»

            Questi consigli appoggiati ai grandi esempi di chi li suggeriva fecero un'impressione sì grande sul cuore do' suoi figli che, generalmente parlando, non v'era sulla terra cosa alcuna che gli attirasse. Vincenzo non fu mai grande encomiatore de'suoi, soprattutto quand'erano presenti. Un giorno dopo aver loro detto che un uomo, il quale ha il vero spirito di povertà, nulla teme, tutto può, e va dovunque, non potè fare a meno di render loro giustizia, dicendo: «Che {174 [388]} mediante la misericordia di Dio quello spirito si trovava nella congregazione; bisognava perciò pregare Iddio di mantenervelo, e credersi felici di morir poveri s sull'esempio del Salvatore, che cominciò a da una mangiatoia e terminò sulla croce.»

 

            Frutto. Pensiamo adesso a far buon uso delle ricchezze, altrimenti esse saranno altrettante spine che ci addoloreranno in punto di morte. Non saremo mai cosi ricchi come quando saremo simili a Gesù Cristo, il quale per altro aveva nemmeno un palmo di terra ove riporre il suo capo. {175 [389]}

 

 

Giorno decimoottavo. Sua prudenza.

 

            La prudenza cristiana consiste nel servirci de'mezzi presenti onde procurarci un bene futuro. Vincenzo diceva che questa deve sempre tendere ad un fine, cioè a Dio solo. «Essa sceglie i mezzi, egli diceva, e regola le azioni e le parole, fa tutto con. maturità, peso, numero e misura. Essendo buono il suo scopo, lo sono parimente i suoi motivi. Essa consulta la ragione, ma essendo sovente deboli i lumi della ragione, consulta con maggior sicurezza le massime della fede insegnateci da Gesù Cristo, perchè sa che il cielo e la terra verranno meno, ma le parole di lui saranno eterne.»

            Per operare in conseguenza di questi principi, il Santo, allorchè era consultato sopra un affare, sollevava il suo spirito a Dio per implorare la sua assistenza: invitava pure coloro che ricorrevano per consiglio ad unirsi a lui, perchè Dio facesse conoscere la sua volontà sulle cose intorno a cui dovevasi deliberare. Ascoltava quindi con molta {176 [390]} attenzione ciò che gli si proponeva, lo pesava a suo bell'agio, ed affinchè niuna circostanza gli sfuggisse, davasi premura di farsene informare quando era necessario. Se trattavasi d'affare di grande conseguenza, dimandava del tempo a pensarvi, e consigliava frattanto di raccomandarlo a Dio. Era contentissimo che si prendesse consiglio da altri; lo dimandava egli stesso molto volentieri e pregiava assai l'altrui parere, perchè la giustizia e la carità vogliono sempre essere unite. Finalmente quando era costretto a dire il proprio sentimento, lo faceva in un modo sì giudizioso e sì lontano dallo stile decisivo, che facendo tutto ciò che giudicava più a proposito, lasciava alle persone la libertà di determinarsi da per se stesse. Quando veniva importunato a dire assolutamente il suo parere, lo esprimeva con precisione e senza mai intaccare coloro che non pensavano come lui. Dopo di ciò facevasi legge di due cose: di custodire sotto il sigillo d' una segretezza inviolabile ciò su cui era stato consultato, e di restar fermo nelle risoluzioni che aveva preso.

            Conformandosi a regole così giuste, era ben difficile che un uomo dotato d'altronde {177 [391]} di buon senso facesse de'passi falsi; perciò fu sempre riguardato fino alla sua morte come l' uomo il più prudente del suo secolo. Durante la sua vita, la casa di s. Lazzaro, fu una specie di centro in cui si riunivano le persone, che pensavano di rendere qualche servizio considerevole alla Chiesa, o al prossimo. Vescovi, Magistrati, Parroci, Dottori, Religiosi, Abati, Superiori di comunità, tutti accorrevano a lui come all'oracolo del suo tempo.

            L'alta stima che si aveva di sua prudenza indusse il santo Vescovo di Ginevra e la venerabile Madre di Chantal a pregarlo di accettare la direzione del primo loro monastero di Parigi. Fu la riputazione di questa medesima prudenza che indusse Luigi XIII a chiamarlo presso di se, in tempo in cui era molto essenziale l'essere ben consigliato. Fu la saviezza de' pareri dati a quel Re moribondo, e di cui tutta la Corte fu estremamente edificata, che impegnò la Regina madre a chiamarlo, a presiedere a'suoi consigli. Per dare una giusta cognizione della estensione della prudenza di quel grand'Uomo, bisognerebbe seguirlo soprattutto dal primo momento in cui entrò nella casa di {178 [392]} Gondi fino al giorno del suo decesso. Il lettore vi supplirà facilmente rammentando la saviezza de' regolamenti fatti in diverse occasioni; de' mezzi scelti per far riuscire quel gran numero di stabilimenti, di cui fu l'autore; delle costituzioni date alla sua congregazione; della condotta tenuta nelle turbolenze politiche del regno, e dei pareri che il suo impiego e la carità l'obbligavano di dare. Noi ne riporteremo un solo esempio.

            Un gran predicatore, di elevato linguaggio, faceva al Santo frequenti visite, e ne aveva le sue ragioni. Vincenzo fu avvisato da buon canale che colui pensava male circa la fede, e che aveva poca religione, od almeno che comportavasi qual persona che non ne ha molta. Vincenzo per farlo rientrare in se stesso gli disse: «Signore, essendo voi dotto e gran predicatore, vorrei dimandarvi un consiglio. Ci accade qualche volta nelle nostre missioni di trovare delle persone che non credono le verità della nostra religione, e ci troviamo imbarazzati sul modo di operare onde persuaderle. Vi prego a dirmi ciò che pensate potersi fare da noi in simili occasioni per indurle a credere le cose della fede.» {179 [393]}

            Questa dimanda non piacque all'Abate, che rispose con qualche emozione: «Perchè mi chiedete voi questo? - Si è, replicò Vincenzo, perchè i poveri si rivolgono a' ricchi per essere assistiti nelle loro bisogna; ed essendo voi molto istruito e noi ignoranti, non possiamo far cosa migliore che indirizzarci a voi all'oggetto d'imparare ciò che non sappiamo.» Queste parole calmarono l'ecclesiastico e, non mancandogli spirito, disse al Santo, che quanto a sè vorrebbe provare le verità della fede 1. colla Scrittura, 2. coi Ss. Padri, 3. con qualche raziocinio, 4. col consenso universale de' popoli cattolici de' secoli andati, 5. col suffragio di tanti Martiri che sparsero it toro sangue per la confessione di quelle medesime verità, 6. finalmente con tutti i miracoli operati da Dio per confermarle.

            Quand'ebbe terminato, Vincenzo, dopo averlo assicurato che quel metodo gli sembrava buono, lo pregò di mettere in iscritto con semplicità e senza eleganza ciò che aveva detto, e d'inviarglielo. L'Abate non mancò, e alcuni giorni dopo egli stesso consegnò il suo scritto all'uomo di Dio. «Sono molto consolato, gli disse Vincenzo, di conoscere {180 [394]} in voi così buoni sentimenti; per giustificarvi mi varrò delle prove che avete x posto nelle mie mani. Stenterete forse a credere che alcune persone vi accusano di pensare male sopra i misteri della fede; ma poichè sapete sostenere così bene la religione, dovete vivere non solamente in un modo che vi metta al coperto da ogni sospetto, ma che possa eziandio edificare il pubblico. Un uomo qualificato come voi è più d' ogni altro obbligato a dare buon esempio. La virtù congiunta alla nascita può paragonarsi ad una pietra preziosa, che incassata nell'oro ha maggior splendore di quello se lo fosse nel piombo.» Sembrò che un discorso tanto saggio facesse il suo effetto, almeno fu approvato dall'Abate, che promise di conformarvi la sua condotta, e se egli seppe buon. grado al Santo per te precauzioni prese onde ricondurlo a Dio, il Santo fu contentissimo delle buone risoluzioni che quegli manifestò. Soprattutto sapeva sì bene cogliere il momento opportuno per dare un ricordo, e lo dava in termini sì misurati, che attirava. la confidenza in vece di respingerla. La Superiora d' un monastero della Visitazione diceva, Vincenzo {181 [395]} aver tanta prudenza ed un raziocinio sì esteso, che nulla sfuggiva a' suoi lumi, e che negli affari i più oscuri, i più inviluppati, sceglieva sempre il partito migliore.

            Aggiungeremo a questa testimonianza quella di quattro insigni personaggi, i quali deposero nel processo verbale della Canonizzazione che Vincenzo era un uomo che aveva uno spirito assai esteso, e che era molte abile nel maneggio degli affari; che appunto per questo un gran numero di persone qualificate inducevansi a ricorrere a lui per avere i suoi consigli; che la sua bontà e la sua umiltà lo rendevano eguale con tutti coloro coi quali trattava; che i più dotti nol trovavano inferiore a loro quando discutevano con lui gli affari i più importanti....... Che Vincenzo si conduceva in tutto con tanta prudenza, che coloro stessi, cui la giustizia e la ragione l'obbligavano ad essere pienamente contrario, non potevano lagnarsi di lui. Tale fu il giudizio che diedero del servo di Dio i primi uomini del suo secolo; e ciò viene in appoggio delle deposizioni che fecero in suo favore migliaia di testimoni di una classe inferiore, ma che non meritano perciò minore credenza. {182 [396]}

 

            Frutto. Sarà prudente quel cristiano, il quale tiene aggiustati gli affari dell'anima. Sarà parimenti prudente colui che opera e dà consiglio secondo le massime della religione; ma guai a chi è solamente prudente per le cose del mondo e negligenta quelle dell'anima, oppure per norma del suo operare mette il proprio arbitrio od il capriccio degli uomini. Costoro si troveranno altamente delusi in punto di morte.

 

 

Giorno decimonono. Sua purità.

 

            È facile il comprendere che un uomo, il quale non agognava che la mortificazione di Gesù Cristo, mortificava la sua carne colla più austera penitenza, è facile il comprendere, ripeterò, che un uomo di tal fatta aveva un grande impero sopra se stesso. Malgrado ciò, era sì vigilante, sì timido, come se avesse veduto a'suoi fianchi {183 [397]} l'angelo di Satana, che schiaffeggiava san Paolo. Per rendere nulli gli assalti di quel crudele nemico delle anime, si fece di buon' ora una legge delle cinque regolo seguenti, dalle quali mai si allontanò.

            La prima era di non far visita ad alcuna donna, fosse anche delle signore della sua assemblea, se non quando lo esigeva la gloria di Dio.

            Oltre l'essere assai conciso ne' trattenimenti ch'era obbligato di avere colle persone del sesso femminile, era estremamente modesto. I suoi sguardi non erano mai fissi su di esse, nè dinotavano leggerezza; teneva gli occhi bassi senza sforzo e senza affettazione, così che rassomigliava ad un angelo piuttosto che ad un uomo. Essendo decrepito e più che ottuagenario, mai si trovò da solo a solo con una donna, nè in sua casa, nè presso di quella. Ovunque aveva un compagno, il quale aveva ordine di non mai perderlo di vista. Se si parlava con lui di affari di coscienza, quello stesso compagno se ne stava alquanto in disparte, ma sempre in modo di vedere ciò che facevasi. Una nobile signora avendogli fatto visita a s. Lazzaro, quegli che era incaricato {184 [398]} di venire con lui al parlatorio si ritirò per rispetto e chiuse la porta; il Santo lo richiamò, al momento stesso, gli fece conoscere il suo fallo e gli proibì di allontanarsi: lo stesso fece in molte occasioni consimili.

            Quantunque dovesse bene spesso trattare con persone che avevano bisogno di consolazione, non servivasi per addolcire l'amarezza del loro cuore che di parole e di massime della Sacra Scrittura: ignorava quelle espressioni affettuose che non potrebbero guarire un male se non producendone un altro. «Voglio credere, diceva, parlando d' una lettera troppo tenera, sulla quale era stato consultato, voglio credere che la persona, la quale vi scrisse così teneramente, non pensa esservi male; ma bisogna confessare che la sua lettera è capace di colpire un cuore, che vi fosse disposto e meno forte del vostro. Degnisi il Signore di preservarci dalla

frequenza di una persona che può somministrare qualche piccola alterazione al nostro spirito.»

            Finalmente sapendo che la purità somiglia a quegli specchi di ca. un soffio leggero {185 [399]} appanna lo splendore, era sì circospetto nelle sue conversazioni, che non poteva esserlo di più. Lo stesso vocabolo Castità non gli sembrava bastantemente espressivo; vi sostituiva quello di Purità, che presenta un senso più esteso. Trattavasi forse di frenare il disordine di quelle vittime del libertinaggio che si perdono cagionando insieme alla loro la perdita di. tanti altri? Non le indicava che coll'espressione di povere creature, e la loro incontinenza con quella di disgrazia o di debolezza. Una frase libera lo faceva arrossire, e se poteva farlo, rimproverava sull' istante coloro che l' avevano proferita alla sua presenza.

            Mediante queste precauzioni rigorose, sebbene calunniato su diversi punti al pari del Divin suo Maestro, la sua riputazione non mai fu intaccata sull'articolo della purità, come non lo fu quella del Salvatore. All'opposto fu riguardato, e ben meritò di esserlo, come uno de' più grandi zelatori della castità. Si sa che nelle missioni ha sottratto ad un pericolo imminente una quantità di giovinette e di donne ch'erano in procinto di cedere alle vive e premurose importunità; nelle provincie desolate dalla guerra ne ha {186 [400]} vestito e nudrito un numero prodigioso, che la miseria e la fame avrebbero forse strascinato fino a gravi disordini; la Lorena, ove il suo nome non perirà giammai, gli è debitrice dell' onore delle sue vergini, che fece venire a Parigi a drappelli, le quali per interposizione delle signore della stia assemblea, trovarono un asilo presso a pie persone. Finalmente fu sotto gl'auspizi di lui, che due sante ed illustri vedove aprirono le loro case a migliaia di colombe che erano agli estremi, e a cui un giorno solo di dilazione avrebbe costato la perdita dell'innocenza. Queste stesse colombe, sebbene ritirate, avevano, secondo lui, bisogno di essere diligentemente invigilate, e perciò voleva che non si perdessero mai d i vista nè di giorno, nè di notte.

            Il Santo aveva concepito ed avrebbe anche eseguito un gran disegno se la morte non l'avesse rapito sì presto. Il grand'Uomo formò sul declinare de' suoi giorni il piano d'uno spedale per le giovani e per le donne abbandonate, e soprattutto per quelle che fanno l'infame traffico dell' onore delle altre. Su questo proposito aveva già tenuto lunghe conferenze con persone divote, e {187 [401]}

quantunque conoscesse un progetto di tal natura avere incontrato difficoltà nell'esecuzione, non si dubita che la sua pazienza e la sua sagacità non gliele avessero fatte superare. Però la pia volontà del Santo venne eseguita dopo la morte di lui da coloro che eransi associati in questa buona opera, la quale venne felicemente condotta a termino.

            Se Vincenzo fu sì attento a conservare la purità nelle persone estranee, qual non doveva essere il suo zelo per quello de'suoi figli? Confesso candidamente, che se non si conoscesse la corruzione del cuore umano, si crederebbe che avesse spinto all'eccesso le precauzioni. Un parroco gli dimandò se quando visitava le ammalate doveva avere con se un compagno. «Oh Gesù! gli rispose, guardatevi ben bene dal non farlo. Quando il Figlio di Dio ordinò che gli Apostoli andassero a due a due, vedeva senza dubbio grandi mali se gli avesse inviati soli. Or chi vorrà derogare ad usanza ch'egli ha introdotta fra i suoi o che la compagnia ha sempre osservato? L' esperienza ha fatto conoscere ad un gran numero di comunità di religiose essere necessario {188 [402]} che la porta dell' infermeria sia aperta e le cortine del letto aperte nei « monasteri, quando i confessori amministrano i Sacramenti e stanno presso le ammalale a causa degli abusi che ebbero luogo in quei tempi ed in quei luoghi.» Consultato da un sacerdote di cuore retto e semplice se, per conoscere la gravezza del male di una donna ammalata onde amministrarle all'opportunità i Sacramenti, poteva toccarle i polsi, il servo di Dio rispose: «Bisogna assolutamente astenersi da questa pratica; lo spirito maligno può valersi dell'occasione per tentare il vivo e la stessa moribonda; il demonio in quell' ultimo passo si serve di ogni arma per procacciarsi un' anima: la vigorìa della passioni può rimanere, sebbene quella del corpo sia infiacchita. Dovete rammentarvi dell'esempio di quel Santo, che essendosi separato dalla moglie col consenso di lei, non volle per metterle che lo toccasse nella sua ultima malattia, ed esclamò con quanta voce gli restava, che il fuoco covava tuttora sotto la cenere. Del resto se volete conoscere i sintomi di una morte vicina, pregate il {189 [403]} medico ed il chirurgo o qualche altra persona ivi presente di rendervi questo servigio: ma, checchè ne succeda, non v' azzardate mai di toccare nè giovinetta, nè donna sotto qualunque siasi pretesto.»

            Il Santo esigeva l'astinenza non solamente dalle azioni permesse, ma da quelle eziandio le quali sono buone e sante, allorchè, a giudizio di coloro che vi dirigono, possono somministrare del sospetto; poichè far tutti i sospetti giusti od ingiusti non ve n'è alcuno che rechi un colpo più funesto ad un sacerdote, a'suoi talenti, a'suoi impieghi, di quello che sparge delle nubi sulla purità de' suoi costumi; o ciò che prescriveva in questo genere a'suoi ecclesiastici, lo consigliava a' secolari. «Se non vi è male, diceva, nell'intrattenersi da solo a solo con persone di sesso diverso, si dà sempre motivo di pensare che ve ne sia; d'altronde il mezzo migliore di conservare la purità, si è di evitare le occasion che potrebbero macchiarla.» Giudizioso per altro canto non soffriva che si avesse a spaventare male a proposito per un diluvio di folli immaginazioni che passano per la mente, e da cui non vanno {190 [404]} esenti nè anche le anime più pure. «Non bisogna, scriveva ad uno de' suoi, che rechiuvi stupore le tentazioni che avete; è questo un esercizio che Dio v'invia per umiliarvi e farvi temere; ma riponete in lui una piena confidenza. La sua grazia vi basta, purchè fuggiate le occasioni, e che riconosciate d'aver bisogno del soccorso. Assuefatevi a nascondere il vostro cuore nelle sacre piaghe di Gesù Cristo ogni qual volta sarà assalito da queste impurità: quell'asilo è inaccessibile al demonio.»

 

            Frutto. Chi vuole conservare la preziosa virtù della purità fugga rigorosissimamente il trattare famigliarmente con persone di sesso diverso. Fugga altresì qualunque siasi discorso che possa avere sinistra interpretazione sulla materia di cui parliamo. {191 [405]}

 

 

Giorno vigesimo. Sua Gratitudine

 

            La mancanza di gratitudine, abbenchè vizio comune, oltraggia e la Divinità, ch'è il principio d' ogni bene, e gli nomini di cui essa si serve per ispargere su di noi le sue liberalità. Vincenzo ebbe per questo sciagurato vizio tutto l'orrore che ne deve avere un cuore ben fatto. Avrebbe voluto, se fosse stato possibile, proporzionare la sua gratitudine verso Dio non solo ai beni che riceveva da lui, ma a quelli eziandio che hanno ricevuto e ne ricevono giornalmente tutte le creature. Lo ringraziava de' favori a loro compartiti dal principio dei mondo, di quelli che continua a far loro, e soprattutto delle buone opere di cui la sua grazia è stata la sorgente. La protezione che Dio accorda alla sua Chiesa, a' suoi pastori ed a coloro che lavorano per moltiplicarne i figli: i frutti che producono nel suo seno le comunità ben regolate, il felice successo de' ritiri, delle conferenze, dei seminari e delle missioni: la prosperità de' Re e dei Principi cristiani; la estinzione de' nemici {192 [406]} della Religione, in una parola ogni avvenimento atto a procurare la gloria di Dio e l’ utilità della cattolica Religione era l'argomento ordinario della sua gratitudine. Fu inteso a dire che bisogna impiegare tanto tempo a ringraziare Dio di un benofizio ricevuto quanto se ne impiegò per dimandarglielo. «La gratitudine, diceva, è un tributo che Dio esige dalla creatura; ed è per facilitarle i mezzi di soddisfare a questo sto dovere che istituì nell'antica legge de' sacrifizi di ringraziamento, e nella nuova legge quello dell' Eucaristia, che deve rammentarci le maraviglie da lui operate per amor nostro. L’ ingratitudine è un peccato che inaridisce la sorgente delle grazie: Gesù Cristo se ne lagnò quando di dieci lebbrosi guariti non ne vide ritornar addietro che un solo per testificargli la sua riconoscenza.»

            Se dalla gratitudine che il Santo ebbe versa Dio passiamo a quella ch'ebbe verso gli uomini, vedremo in essa pure l' eccellenza del suo cuore. Il servo di Dio che meritava tanti riguardi s' immaginava di non meritarne alcuno; ed a ciò si deve in parte attribuire che fosse sì commosso per i più {193 [407]} piccoli servigi che gli si rendevano. Un fanciullo che gl'indicasse la strada, un fratello che gli accendesse la lucerna o facesse ancor meno per lui, era sicuro di esserne ringraziato. Qualunque fosse il profitto che si ritraeva nell'intrattenersi con liti, era grato a coloro che andavano a ritrovarlo. «Vi ringrazio, diceva ad alcuni, che non disprezziate la vecchiezza; ad altri, che abbiate avuto la pazienza di sopportarmi ed ascoltarmi...»

            Lo spirito di gratitudine che. lo dominava era la sola cosa capace di fargli dimenticare l'austerita delle regole prescrittesi. Camminando un giorno cadde in un fiume, e sarebbesi affogato se un prete che l' accompagnava non si fosse slanciato nel fiume per trarnelo. Questo giovane missionario, che aveva molto fervore, lo perdè insensibilmente: abbandonò la sua vocazione malgrado tutto ciò che Vincenzo potè fare per trattenerlo. Appena giunto a casa sua trovò delle contraddizioni, alle quali non era preparato, e delle croci non prevedute. Si vide oppresso da affanni e da amarezze conobbe allora di avere commesso un fallo abbandonando uno stato a cui Dio l' aveva {194 [408]} chiamato. Sull' esempio del figlio prodigo risolvè di ritornare al padre suo, gli chiese perdono e gli scrisse molte lettere affinchè lo ricevesse in alcuna delle sue case. Vincenzo non gli rispose. Quel prete giusta mente afflitto raddoppia le sue istanze e gli fa sapere chiaramente essere perduto per sempre se non gli stende una mano soccorrevole. Il Santo che diffidava della conversione d'un uomo volubile, gli rappresentò la pazienza che si era usata verso di lui, il poco conto che ne aveva fatto, ed i giusti motivi di temere che si pentisse di bel nuovo del suo pentimento stesso, e conchiuse che non si doveva ricevere. Una risposta sì austera fu un colpo di fulmine per quell' ecclesiastico; fece un ultimo sforzo attaccando Vincenzo nella parte più sensibile. vale a dire dal lato della gratitudine.. «Signore, gli disse, io vi ho una volta salvato la vita del corpo, salvate a me quella dell' anima.» Alla lettura di quelle parole il cuore del sant' Uomo fu commosso l'occasione d' esercitare una preziosa virtù congiunta alla perseveranza di colui, in cui favore doveva esercitarsi, lo determinò al'istante. Rispose perciò: «Venite, signore, {195 [409]} che sarete ricevuto a braccia aperte.» Al momento stesso che quell' ecclesiastico si disponeva a partire, si ammalò, ne fu più possibile il salvarlo. Felice di aver fatto dal canto suo quanto da lui dipendeva onde riparare il suo fallo e d'aver sentiti i rimorsi, che d'ordinario si trascurano invita, e sono per lo più causa di disperazione al punto di morte!

            Qualche volta oltrepassò i limiti delle sue forze, un giorno fece un dono di due mila franchi ad un uomo che trovavasi nel bisogno, e che aveva beneficato qualcuna delle suo case. Prese cura particolare di una povera donna, la quale aveva servito due appestati della casa di s. Lazzaro nei tempo in cui i missionari vi furono stabiliti: provvide al suo nutrimento e ne pagò l'alloggio per trenta anni. Finalmente, onde spingere la gratitudine tant' oltre quanto poteva, riguardava e voleva che ognuno de' suoi tenesse come fatto a se stesso ciò che veniva fatto a qualcheduno di loro. Egli è per questo che, avvisato avere alcuni religiosi data sepoltura onorevole ad uno de'suoi preti morto fra di loro, diede alla sua comunità, per argomento di conferenza spirituale, la necesita {196 [410]} della gratitudine, affine d' indurre i suoi tigli a pregar Dio per quei religiosi e dimandargli la grazia e le occasioni di rimunerare quel benefizio. È in tal modo che il sant'Uomo possedeva la gratitudine in un grado eminente.

 

            Frutto. Tre atti di carità per dimostrare la nostra gratitudine verso Dio, e quando riceviamo qualche favore dal nostro prossimo, siamo riconoscenti soprattutto qualora il favore ricevuto sia spirituale.

 

 

Giorno vigesimoprimo. Suo rispetto Terso i superiori ecclesiastici.

 

            VINCENZO amava ed onorava lo stato ecclesiastico in ogni sua parto. Rispettava Gesù Cristo nella persona del primo de' Pastori, che lo rappresenta sulla terra. Quando la Sede apostolica era vacante non cessava di chiedere e di far chiedere a Dio che si degnasse {197 [411]} di destinare a capo del suo gregge un uomo secondo il suo cuore. Avendo percorso una lunga carriera, vide durante la sua vita dodici Papi che si succedettero cori molta rapidità sulla cattedra di Pietro. Seguiva, per quanto poteva, la romana disciplina, e fu soltanto per l'obbedienza professata all'autorità ecclesiastica, che accettò l' incarico di superiore generale della sua congregazione impostogli da Urbano VIII colla stessa Bolla con cui approvava quel novello Instituto. Per questo motivo eziandio, all'istante in cui gli si dimandarono a nome della Santa Sede degli operai per li paesi infedeli, ne spedì alla prima chiamata.

            Relativamente a Vescovi non vi era per lui cosa impossibile se trattavasi di ubbidir loro; era sì assuefatto ad onorare nelle loro persone il potere e la maestà di Colui di cui tengono luogo, che non vedeva in essi se non ciò che poteva renderli rispettabili a' suoi occhi. Il suo zelo per gl'interessi loro si manifestò più sensibilmente quando fu chiamato a formar parte del consiglio di coscienza; non aveva bisogno di sollecitazioni o di preghiere per indursi a servirli, ed aveva maggiore attività per gli affari di {198 [412]} loro, di quello ne avesse per li suoi; logorava, per così dire, il suo credito a forza d' impiegarlo per loro, nè si. stancava di raccomandarli alla Regina, al, Cardinal ministro, al Cancelliere ed a quei Magistrati che avevano maggiore autorità. Perciò i Vescovi del suo tempo lo,riguardavano quasi tutti come un padre. Induceva il clero ed i popoli a rispettare il loro sacro carattere come si conviene; li riceveva presso di e come tanti angeli e come tanti ambasciatori del Dio vivente. I calori dell'estate, il freddo dell'inverno non gl'impedivano mai di partire senza indugio al loro primo invito. Finalmente era verso di loro qual servo che va e viene, secondo gli è ordinato di andare o di venire. Le sue lettere sono un monumento eterno del rispetto che ebbe per l' ordine episcopale. Qualunque fosse la condotta che tenue riguardo a' Vescovi, la legge del più inviolabile rispetto fu un punto quale non perdè mai di vista. I medesimi sentimenti di rispetto ebbe riguardo al clero secondario. La sub massima era di fare del bene a tutti, e di non far male ad alcuno; ma quando si trattò de'ministri di Dio, la estese per quanto gli fu possibile. {199 [413]} Chiunque era rivestito del sacro carattere e per fino chiunque portava i segni esteriori del chericato, era sicuro di trovare appo di lui un'accoglienza favorevole, un sollievo alle sue pene, una mano sempre pronta a rasciugare le sue lagrime. Collocava secondo i loro talenti quelli ch'erano degni di qualche impiego: non permetteva che i suol parlassero male di quelli de'quali non potevano parlar bene. Secondo lui la cattedra di verità era fatta per inveire contro ai disordini non già del pastore, che ciò facendo s'inasprisce senza convertirsi, ma contra il popolo, che si nasconde nella folla, e che sente meno l'amarezza del calice, perchè la divide con molti. Un missionario più zelante che prudente mancò un giorno a questa regola: il Santo fece un viaggio di sei leghe per andare a chiedere perdono ad alcuni ecclesiastici, verso de' quali il predicatore aveva usato poco riguardo. Che grande unione e concordia vi sarebbe a'nostri tempi nel clero se queste massime fossero tuttora praticate'

            Non si dee già credere che, divenuto un novello Eli, Vincenzo dissimulasse qualora dovesse parlare. Ma aveva imparato da S. Francesco di Sales che la delicatezza ecclesiastica {200 [414]} esigge dei grandi riguardi, e, generalmente parlando, le vie della dolcezza sono le prime che bisogna tentare, infatti gli riuscirono molte volte, e la carità congiunta all' unzione delle sue, parole gli procurarono numerosi acquisti.

            Per essere esauditi da lui non occorrevano estranee protezioni, o visite moltiplicate. Quel grande amatore del Sacerdozio di Gesù Cristo trovava nel solo carattere Sacerdotale una ragione sufficiente per intenerirsi. Un Sacerdote sconosciuto ed ammalato gli dimandò qualche soccorso. Vincenzo lo ricevè con bontà, lo alloggiò, lo nudri, gli fece somministrare convenienti medicine, e lo ritenne fintantochè ebbe ricuperata la salute. Un altro, che faceva il suo ritiro a San Lazzaro, si ammalò; il Santo n' ebbe tutta la cura immaginabile: il male durò lungamente, ma la carità durò più del male. Quando l'ammalato fu ristabilito, Vincenzo gli fece dare una sottana, un breviario, alcuni effetti e dieci scudi per aiutarlo a sussistere. Un terzo, obbligato ad un viaggio, e non avendo mezzi onde fare le spese, si diresse al servo di Dio. Quell' uomo di misericordia gli somministrò tutto ciò di cui,aveva bisogno, fino i calzari oltre a venti scudi. {201 [415]}

            La sua carità sacerdotale non venne mai meno, e quantunque abbia speso oltre un millione in ornamenti, biancherie, vasi sacri, abiti, libri e riparazioni di chiese, pure non credè di aver fatto abbastanza. Trovavansi perciò pochi ecclesiastici nel regno, i quali non gli rendessero quella giustizia che egli ricusava a se stesso. Se Giuseppe fu riguardato qual salvatore dell' Egitto, Vincenzo fu riguardato qual salvatore de'pastori e de' preti; la cosa era talmente conosciuta che quando, per la infelicità dei tempi, ce n'era una prodigiosa quantità. quasi tutti andarono difilati a san Lazzaro. Coloro che non potevano andarvi, confidando nella sola sua riputazione, si dirizzavano a lui dal fondo delle loro provincie. La sua memoria vi era benedetta e ovunque risuonavano le sue lodi. Un missionario, percorrendo la Sciampagna, incontrò in un borgo il parroco del luogo che gli dimandò chi era. «Sono missionario, rispose il viaggiatore.» A questa parola il parroco si slancia al suo collo, l'abbraccia teneramente. lo conduce in sua casa, gli narra i grandi servigi spirituali e corporali che il Santo ha reso a tutto il paese, ed aggiunge, mostrando {202 [416]} la sottana che aveva indosso, et hac me veste contexit: parole che furono dette a san Martino sul proposito dei povero che aveva ricoperto, e di cui più di due mila ecclesiastici avrebbero potuto fare l'uso che ne fece quello di cui parliamo.

 

            Frutto. Guardiamoci bene dall' essere di quelli che, avendo spesa la loro vita in tutto altro studio che in materia ecclesiastica, si fanno lecito di censurare detti e fatti delle autorita della Chiesa, bestemmiando cosi quelle cose che la loro ignoranza non capisce. Guardatevi, dice il Signore, guardatevi dall' intaccar i miei ministri con fatti o con parole: nolite tangere Christos meos: perchè quantò si fa o si dice contro di loro, lo è parimenti contro di me stesso. Qui vos spernit, me spernit.{203 [417]}

 

 

Giorno vigesimosecondo. Suoi ritiri spirituali.

 

            Niuno aveva fino allora intrapreso in questo genere ciò che Vincenzo eseguì. I più gran Santi degli ultimi secoli avevano dovuto gemere sulla corruzione che regnava nel cristianesimo. Esortavano i fedeli a pesare tutte le loro azioni sulla bilancia della verità ed a riflettere profondamente sull' eternità che si avanza celeremente, ma era riserbato a Vincenzo di procurar loro in questo particolare delle felicità che non avevano ancora avuto, e togliere a' non facoltosi, cioè al maggior numero, i pretesti o reali o immaginari di cui sogliono servirsi onde velare la loro negligenza e la loro insensibilità. Per giungere a questo bisognava non solo somministrar loro dei direttori capaci di commoverli co' loro discorsi e di ben guidarli nel tribunale di penitenza, ma eziandio risparmiar loro la spesa. Essa si conta per nulla comunque rilevantissima ella sia, allorchè trattasi de' propri piaceri, ma si riguarda come eccessiva, tuttochè assai modica, se dee impiegarsi per la salvezza {204 [418]} eterna. Questa riflessione indusse Vincenzo a dividere la sua casa, i suoi mobili e tutto ciò che poteva avere con chi avesse voluto profittarne per riconciliarsi con Dio. Simile a quel padre di famiglia, di cui si paria nel Vangelo, costringeva in certo qual modo i buoni ed i cattivi ad assiderai alla sua tavola. Per unica ricompensa chiedeva che i giusti si santificassero vie più, e che coloro i quali non lo erano facessero ogni sforzo per divenirlo. La fama di una condotta sì disinteressata si divulgò in Parigi e nelle provincie, ed in pochi mesi la casa di s. Lazzaro fu quanto mai frequentata. Era uno spettacolo il vedere nello stesso refettorio signori della prima sfera, ed uomini del più infimo stato; laici e persone vincolate nel chericato; magistrati e semplici artigiani; padroni e domestici; finalmente vecchi che accorrevano a piangere stai passato, e giovani che venivano a cercare di preservarsi contra i pericoli dell'avvenire. Per sostenere un' impresa di questa natura e ritrarne tutto il frutto che poteva produrre, erano necessari un gran cuore e molti lumi.

            Tale fu il piano generale che Vincenzo si formò; per eseguirlo in un modo utile a {205 [419]} coloro che facevano il ritiro, e trasmetterlo d'età in età fino a' suoi più tardi successori, si sforzò per dimostrare agli uni ed

agli altri il prezzo della grazia che Dio metteva nelle loro mani. Rappresentò agli esercitandi (è questo il nome che si dà a coloro che fanno gli esercizi spirituali) che l'unico tino del ritiro è di distrurre il regno del peccato, di riformare l'uomo interamente e di rinnovare l' uomo interiore, fargli aprire gli occhi sui doveri propri del suo stato e sulle sue obbligazioni personali; finalmente di fissarlo solidamente in una vera carità che unisca a Dio il suo cuore e tutte le potenze dell'anima sua, in modo che possa, senza offendere la verità, esclamare coll Apostolo: Non son più io che vico, ma è Gesù Cristo che vive in me.

            Per non omettere cosa alcuna di quanto poteva contribuire al buon successo de' ritiri, il servo di Dio esigeva che coloro, ai quali assegnava la guida di questi ritiri prendessero per materia de' loro sermoni non già de' soggetti capaci di rallegrare la spirito e di ricreare l'immaginazione, ma bensì le verità principali dell' eterna salvezza; in una parola quelle che no buon {206 [420]} cristiano non dimentica mai. e non può rammentare senza divenir migliore. Perciò il fine pel quale Iddio ci ha creati, le grazie che abbiamo da lui ricevuto, le grandi lezioni che ci ha dato in Gesù Cristo suo Figlio, i soccorsi che ci ha preparati ne' Sacramenti, le disposizioni che sono necessarie per accostarvisi; l'orrore del peccato, le conseguenze funeste che trae seco, la vanità del mondo e de' suoi giudizi, le illusioni del nostro proprio cuore; le tentazioni della carne, la malizia e gli artifizi dell'antico serpente, la brevità della vita, t' incertezza del momento della morte, i formidabili giudizi di Dio, l' eternità felice o disgraziata: queste verità ed altre consimili erano in allora, e sono anche oggidì il soggetto ordinario e de' sermoni di colui che dirigeva il ritiro, e della meditazione di coloro ì quali fanno gli esercizi. In questo modo vengon disposti ad esaminare attentamente le loro coscienze, a fare o delle buone confessioni generali, oppure se ne hanno di già fatte di tali, su cui uno possa esser tranquillo, supplire con una rivista esatta su tutto ciò che vi potrebbe essere stato di difettoso nelle ultime; a formarsi {207 [421]} un regolamento di vita dal quale non si dovrà allontanare se non quando non si potrà fare altrimenti; e soprattutto a stabilire delle risoluzioni ferme di evitare il male e di praticare il bene. Il Santo, temendo che dopo la sua morte i preti della sua congregazione oppressi dal lavoro, e stanchi dalla spesa di tanti ritiri gratuiti, non si rallentassero insensibilmente, si sforzò di premunirli contro a questo genere di tentazione. Rappresentò loro che la casa nella quale erano radunali serviva altre volte al ritiro dei lebbrosi, e neppur quo di que' che vi erano ammessi guariva; e che attualmente vi si ricevevano delle persone attaccate da una lebbra assai più pericolosa di quella del corpo, o per dir meglio, persone già morte, e per misericordia Divina, un eran numero ricuperava la sanità e la vita; che nostro Signore vi operava ancora ogni giorno per rapporto a'peccatori ciò che aveva fatto con Lazzaro risuscitandolo; ch'essi avevano l'onore d' essere gli strumenti, di cui esso valevasi, per questa grande operazione. «Ah! esclamò, qual motivo di vergogna se questo luogo, il quale ora è come una piscina salutare, in cui tanta gente viene a {208 [422]} lavarsi, divenisse un giorno una cisterna corrotta a causa del rilassamento e dell'ozio di coloro che l' abiteranno! Preghiamo Dio, signori, che questa disgrazia non accada. Preghiamo la SS. Vergine, la quale desidera la conversione del peccatore, che colla sua intercessione l'allontani da noi. Preghiamo il grande amico del Figlio di Dio, San Lazzaro, che si compiaccia d'essere sempre il protettore di questa casa, e che le ottenga la grazia di perseverare nel bene che ha cominciato.»

            Vincenzo rammentava pure di tempo in tempo a' missionari i buoni effetti del ritiro che avevano veduto coi loro propri occhi. Con questi motivi gli animava a non badare a pena, nè a spesa, e diede loro su questo degli esempi più possenti ancora delle parole. Aumentò il numero di coloro che dovevano fare gli esercizi spirituali; più avanzava in età, vie più, cosa rara ne' vecchi, diveniva santamente prodigo. La sua carità non aveva più limiti, e finalmente andò tant' oltre, che ammise quanti esercitandi si potevano ricevere. A conto fatto, risulta che negli ultimi venticinque anni di sua vita vi {209 [423]} furono più di venti mila persone che fecero il ritiro nella sua casa: vale a dire, che se ne ammettevano oltre ad ottocento tutti gli anni. È vero che qualcheduno pagava la sua spesa in tutto od in parto, ma il maggior numero nulla dava.

            Accadendo talvolta che le persone virtuose non pensano sempre tutte egualmente, vi furono alcuni fra i missionari i quali credettero trovare dell'eccesso nella carità del Santo. «Andando in questo modo, dissegli un giorno il fratello incaricato della spesa, la casa soccomberà perchè ammettete un numero troppo grande di esercitandi.» Il sant' Uomo ali rispose: «Mio fratello, questo faccio, perchè essi voglion salvarsi.» Un altro gli rappresentò che in quella moltitudine di esercitandi ve n'erano alcuni che non lo facevano per profittarne; e che altri vi venivano in cerca del nutrimento del corpo piuttosto che di quello dell' anima; ma quel degno imitatore della carità di Gesù Cristo gli rispose, essere già molto agli occhi della fede e della religione che una parto degli esercitandi ritraesse dal ritiro il frutto che se ne deve ricavare; e che il nudrire un uomo, il quale si trova nel bisogno, e {210 [424]} sempre una elemosina gratissima a Dio; che, se all'oggetto di non essere sorpresi da coloro le cui mire non sono pure, si facessero troppe difficoltà nell'ammettere coloro che si presentano, si respingerebbe qualcuno sul quale lo Spirito Santo ha dei disegni di misericordia, e che finalmente, a forza di voler penetrare i motivi che li facevano agire, si soffocherebbe in molti le primizie della grazia Divina che li chiama a fui; si spiegò su di questo in una maniera sì precisa, che fu facile lo scorgere non solamente che era deciso, ma che v' era, si può dire, strascinato da un impulso superiore. «Se avessimo, diceva, ancora trenta anni di vita, e che ricevendo quelli che si presentano per fare gli esercizi spirituali non dovessimo sussisterne che quindici, non dovremo perciò tralasciare di ammetterli.»

            Se costava assaissimo al nostro Santo il sostenere un' impresa sì onerosa, bisogna convenire che ne fu, anche durante la vita, al centuplo ricompensato. Allorché la sua congregazione cominciò a dilatarsi, quelle delle sue case che ne avevano i mezzi, fecero, per suo ordine, nei luoghi ove erano {211 [425]} situate, i medesimi esercizi che faceva a Parigi quella di San Lazzaro. Vide egli stesso che i ritiri spirituali producevano ovunque dei beni inesprimibili. Ricevè su di ciò un numero prodigioso di lettere che lo felicitavano per le benedizioni che Dio acordava al suo zelo. Sacerdoti, t'arroghi. Vescovi, Cardinali, tutti lo ringraziavano per aver loro facilitato una pratica, quale giornalmente santificava pastori e popoli. L'inclinazione ai ritiri passò da s. Lazzaro in un buon numero di diocesi. Alcuni prelati i duali, quando erano ancora semplici ecclesiastici. si erano posti sotto la direzione di Vincenzo, santificati eglino stessi per mezzo degli esercizi spirituali, impresero di santificare i loro ecclesiastici co' medesimi esercizi. Uno fra di loro scriveva al servo d'Iddio, che aveva attualmente nella sua casa episcopale trenta sacerdoti che facevano il ritiro con molto frutto.

            Noti fu solo in Francia che Dio benedisse i ritiri: la mano di lui accompagnò i misionari anche nell'Italia. Il cardinale Durazzo che col suo zelo onorava la porpora Romana. non ebbe tosto stabiliti in Genova, ev' era arcivescovo, i preti della missione, {212 [426]} che volle esperimentare se avessero fatto tanto bene riguardo agli ecclesiastici, quanto n' avevano fatto nelle campagne riguardo a' popoli della sua diocesi. Gli effetti furono oltremai maravigliosi. Lo spirito d' umiltà e di compunzione vi dominava talmente, che si durava fatica a moderarne lo slancio. «Siamo qui come nella valle di Giosafat, disse in quella occasione uno di que' signori; ognuno vi fa la confessione delle sue miserie. Felici coloro che con quella confusione anticipata potransi mettere in grado di evitare quella del gran giorno del Signore.» Il cardinal Durazzo, che credeva appena citi che vedeva co' propri occhi; non poti' frenare le lagrime; ringraziò mille volte il primo autore di tutti quei beni, e coloro che gli servivano di strumento. L'aspetto di tanti beni era quello, e rendeva il Santo sì fermo a non permettere innovazioni nella sua casa circa i ritiri. Le disgrazie de' tempi non hanno alterato punto la pratica di quella buona opera.

            In Francia, in Piemonte e in tutta l'Italia vi sono case di missionari aperte per gli esercitandi, ì quali più volte all' anno sono ricevuti anche gratuitamente. Basti il detto {213 [427]} finora a far palese quanto il nostro Santo amasse gli esercizi spirituali e desiderasse che tutti i fedeli cristiani ne profittassero.

 

            Frutto. Proponiamo in quest'anno di ritirarci a fare gli esercizi spirituali; e qualora le nostre occupazioni nol permettessero spendiamo almeno un giorno onde aggiustare gli affari di nostra coscienza nel modo che desideriamo trovarci in punto di morte.

 

 

Giorno vigesimoterzo. Sua semplicità.

 

            La semplicità, che molti tengono cotte un difetto o tutto al più come il retaggio degli spiriti deboli, è nondimeno la virtu delle anime grandi, e ad esse sole appai, tiene di calpestare gli umani rispetti, dire le cose come si pensano; disprezzare gli artifizi del secolo, i suoi raggiri, le sue astuzie, le sue finzioni, e di parlare ai Re ed ai Principi come fecero un Mosè, un Daniele, un s. Pietro. Sarà dunque un solidissimo elogio per san Vincenzo de' Paoli {214 [428]} il dire, col gran Bossuet, che fu un uomo di ammirabile semplicità.

            Infatti ebbe sempre in orrore que'detti equivoci, quelle dissimulazioni, quelle vie tortuose, per mezzo delle quali coloro stessi che le condannano in ispeculativa, sanno trarsi d'impaccio quando si trovano nell'imbarazzo: se gli si proponeva una cosa che gli sembrasse poco giusta, diceva così alla Buona, che non poteva incaricarsene. Se, come succedeva qualche volta, dopo d' essersene incaricato, altre cure più pressanti gliela facevano perdere di vista; semplice ed umile ad un tempo diceva che la sua miseria era tale, che non vi aveva più pensato. Se veniva ringraziato per un favore a cui aveva contribuito, lo confessava con tutto candore. In una parola, se non diceva ogni verità, perché non tutte le verità devono dirsi, neppure diceva cosa che fosse anche poco in opposizione al vero. Raccomandando a'suoi la semplicità ha fatto senza volerlo il ritratto della propria.

            Diceva che la semplicità è un dono il quale ci guida direttamente a Dio ed alla verità senza fasto, senza finzioni, senza umano rispetto, senza mira del proprio interesse. {215 [429]} Un uomo semplice ha soltanto Dio per suo scopo, e non vuoi piacere che a lui: non parla contro il proprio sentimento, non opera fuori delle regole della schiettezza e della rettitudine cristiana: se non manifesta tutti i suoi pensieri, perchè la semplicità è una virtù discreta che non puo essere contraria alla prudenza, ha cura di evitare nelle sue parole tutto ciò che potrebbe far credere al prossimo aver egli nello spirito o nel cuore, ciò che non vi ha realmente: le sue azioni sono tanto semplici quanto il suo linguaggio: negli affari, negli impieghi, negli esercizi di divozione non vi ha in lui artifizio, non vane pretensioni nè ipocrisia. Non sarà già nel numero di coloro che fanno un piccol dono nella mira d'ottenerne un altro di maggior prezzo: che all' esteriore fanno delle opere buone per essere stimati virtuosi; che hanno una quantità di libri superflui per comparire dotti, o che si studiano di predicare bene per ottenere degli applausi.

            La semplicità nelle istruzioni che si fanno al popolo era un articolo sul quale insisteva sovente. Non si possono leggere le lettere sue, nè le sue conferenze, senza scorgere {216 [430]} quanto temeva che i suoi figli avessero la disgrazia di allontanarsene per farsi, come molli predicatori, un nome con discorsi pomposi. Egli raccomandava a'suoi di sbandire da' loro sermoni quanto potrebbe partecipare dello spirito mondano di affettazione, di vanità. Fra le molte ragioni adduceva che, siccome le bellezze naturali hanno maggiori attrattive delle artificiali o adornate di falsi colori, così i sermoni semplici e comuni sono ricevuti assai meglio di quelli, che affettati sono e ripuliti con artifizio. «Studiatevi di predicare, diceva, come fece Gesù Cristo. Quel Divin Salvatore. e rendo il verbo e la Sapienza del Padre eterno, poteva, se pur lo avesse voluto, parlare de' nostri più sublimi misteri con termini che fossero a loro proporzionati. Sappiamo nondimeno che ha parlate semplicemente ed umilmente per adattarsi al popolo e darci il modello e la forma di spargere la stia santa parola. Quel gran Maestro, trovandosi al momento di spedire i suoi Apostoli a predicare il Vangelo, raccomandò loro la semplicità della colomba, qual una delle virtù di cui avevano maggior bisogno, sia per {217 [431]} attirare sovra di sè le grazie del cielo, sia per disporre gli uomini ad ascoltarli ed a credere loro. Quelle parole non riguardano solamente gli Apostoli, ma son diretto a tutti coloro che sono destinati dalla Provvidenza alla conversione delle anime. Perciò, signori, dovete farne l'applicazione a voi stessi. Dio ripone il suo piacere nell'intrattenersi coi semplici. Cum simplicibus eius: cammina con essi e li fa andare avanti con sicurezza. Infatti ai semplici soltanto è concesso lo istruirsi alla scuola di nostro Signore. la sua dottrina è un enigma per i sapienti e i prudenti del secolo, come lo dichiarò egli stesso: Confiteor tibi, Pater,....... quia abscondisti hæc; a sapientibus et prudentibus, et revelasti ea parvulis. Finalmente lo spirito di religione si trova più ordinariamente fra i semplici che presso le persone del gran mondo.»

            Vincenzo inviando uno de'suoi preti in una certa provincia: «Voi andate, gli disse, in un paese, in cui dicesi che gli abitanti sono per la maggior parte fini ed astuti: se ciò è vero, il miglior mezzo di essere loro utile si è quello d' agire {218 [432]} con essi con una grande semplicità: perchè le massimo del Vangelo sono interamente opposte a'modi di agire del mondo: e andando voi pei servizio di nostro Signore, dovete altresì condurvi seconda il suo spirito, ch'è uno spirito di semplicita e di rettitudine.» Quel missionario re isolò la stia condotta sulla scorta di un parere così saggio, e la popolazione incantata del candore di lui offeri al nostro Santo un bellissimo stabilimento: fu questo accettato perchè v'era luogo a fare del bene. Vincenzo vi spedì per primo Superiore un uomo che a molti talenti riuniva una perfetta semplicità: ma non v'è forse cosa che sia tanto propria a far conoscere fin dove giungeva la delicatezza del Santo su questa materia, quanto la lettera seguente. È questa una risposta ch'egli diede ad uno de' suoi, che avevagli scritto essere il suo cuore tutto per lui. «Io si ringrazio della vostra lettera, gli disse, e del vostro gradito dono. Il vostro cuore è troppo buono per essere posto in cattive mani come le mie, e so bene che voi non me lo date, so non perchè io lo rimetta a nostro Signore al quale appartiene, e all' amore del quale {219 [433]} volete che tenda incessantemente. Queste amabile cuore appartenga dunque d' oggi innanzi unicamente a Gesù Cristo, e ali spetti pienamente per sempre nel tempo e nell' eternità. Pregatelo, ve ne scongiuro, che mi faccia partecipare del candore e della semplicità del vostro cuore. Sono queste virtù tali, che io ne ho grandissimo bisogno, e di una eccellenza affatto incomprensibile.»

 

            Frutto. Procuriamo di evitare ogni sorta di bugie; esse. oltre l' offesa d' Iddio, seno contrario alla civiltà.; e ci disonorano davanti agli uomini. {220 [434]}

 

 

Giorno vigesimoquarto. Della sua. confidenza in pio.

 

            Il signore ci dice che ehi confida in lui non rimarrà confuso; e che può tutto chi e dal Signore confortato. Dal che Vincenzo animato intraprese delle cose, che i Principi,tessi non avrebbero osato, e sostenere degli stabilimenti che sembravano disperati. La provvidenza di Dio era il suo conforto, e questo Dio fedele nette sue promesse giammai gli mancava. Quando gli si proponeva un affare, fatta sicuro venisse da Dio, metteva in uso tutti i mezzi che. potevano farlo riuscire; ma era ben diverso da quelli che i mettono in moto, e vi mettono tutti coloro che incontrano La filosofia dell' uomo di Dio era più placida, perchè veniva da una sorgente più elevata; lasciava operare Dio per quanto il poteva, ed aspettava da fui il Brade ed il momento del successo. Se qualcuno per ragioni di prudenza umana gli rappresentava non esservi apparenza alcuna d'ultimare ciò ch'erasi cominciato. «Lasciamo fare nostro Signore, diceva, è opera sua: ed essendo a lui piaciuto di darcene {221 [435]} il pensiero, teniamo per certo che lo perfezionerà nel modo a lui più gradevole; sarà nostra guida e nostro aiuto in un lavoro al quale ci ha egli stesso invitati.»

            Cominciato un affare colla persuasione esser cosa di Dio, e Dio volerlo da lui, non temeva spese nè travagli, nè difficoltà; gli ostacoli non servivano che a rincorarlo, nulla lo spaventava. Venti volle gli fu rappresentato le spese necessarie pel nutrimento degli ordinandi e di quel gran numero di persone che ogni settimana fanno il ritiro a S. Lazzaro mettere la casa in pericolo di soccombere; sempre rispose: chi i tesori della Provvidenza erano inesauribili, che la diffidenza disonorava Dio, e che la sua congregazione si sarebbe piuttosto distrutta per le ricchezze, non mai per la povertà.

            Un giorno, alla vigilia di un' ordinazione, il procuratore tutto inquieto venne a dirgli che non aveva un soldo onde fare la spesa. Oh! qual buona notizia, sciamò Vincenzo, Dio sia benedetto: è questo il momento che bisogna far conoscere se abbiamo confidenza in Dio. Disse una cosa consimile ad un avvocato del parlamento, il quale in un ritiro {222 [436]} che fece a S. Lazzaro, sorpreso di vedere tanta gente nel refettorio, gli dimandò ove prendeva di che provvedere ad un si gran numero di bocche domestiche e straniere. Non è già che Ilio facesse de'miracoli continui in favore di Vincenzo, e che all'opportunità accorresse in soccorso della sua indigenza: si vide ridotto a nudrire sè ed i suoi con pane d' orzo e d'avena; ma riguardava quegli accidenti passeggieri quai prove che entrano nell'ordine della Provvidenza.

            La confidenza che animava il servo di Dio nel tempo della carestia, lo fortificava ancora nelle afflizioni che gli sopraggiungevano, sia nella sua propria persona, sia in quella de' suoi figli. Era si persuaso che questa confidenza in Dio deve essere una delle principali virtù di un missionario, che ne fece il soggetto di molte conferenze spirituali; propose in esse l'esempio d'Abramo, a cui Dio aveva promesso di popolare tutta la terra per mezzo d'un figlio che gli aveva dato, e che gli ordinava nulladimeno d'offerire in sacrifizio. «Ammirate la sua confidenza, diceva: Abramo non s' inquieta di ciò che succederà: egli spera che tutto {223 [437]} andrà bene, poichè Iddio v'è di mezzo. E perchè non avremo noi la stessa speranza, se lasciamo a Dio la cura di ciò che ci riguarda, e se preferiamo ciò che ci comanda ad ogni altra considerazione? Non sarà dunque ben fondata la nostra speranza, diceva altrove Vincenzo, che Dio somministrerà quanto c'è necessario? Non vedete forse che gli augelli non seminano e noti mietono? ciò non ostante. Dio prepara loro la tavola ovunque, accorda loro le vestimenta e da nudrirsi; egli estende anco la sua provvidenza sulle erbe de' campi, e perfino i gigli hanno degli ornamenti sì magnifici che Salomone in tutta la sua gloria non n' ebbe mai di consimili. Ora se Iddio provvede in tal modo gli augelli e le piante, perchè non vi abbandonerete a lui? la vostra industria è dessa un espediente più sicuro della sua bontà?»

            Vincenzo raccomandava ancora questa confidenza in Dio alle figlie della carità, le quali, a motivo de' pericoli d' ogni specie a cui sono esposte, debbono maggiormente diffidare di se stesse e confidare molto in Dio, Annunciava loro il soccorso Divino in una {224 [438]} maniera sì decisiva, che si sarebbe creduto avesse delle segrete ragioni di fidarsi sopra una speciale provvidenza. Dio aveva di già fatto conoscere eh' egli vegliava alla guardia di quelle figlie virtuose. «Ah! mie figlie, diceva il Santo in occasione che una di esse era rimasta salva in mezzo alle rovine di un edifizio, qual motivo non avete voi onde confidare in Dio? Leggiamo nell' istoria che un uomo fu ucciso in mezzo ad una campagna per la caduta d'una testuggine che un' aquila lasciò cadere sul suo capo; e vediamo in oggi una figlia della carità uscire senza lesione alcuna di sotto ai rottami di una casa rovesciata fino da' suoi fondamenti. Non è questa una prova sensibile colla quale Dio fa conoscere che voi siete a lui care? Oh! mie figlie, siate sicuro che quando conserviate ne' vostri cuori la santa confidenza Dio vi conservera in qualunque siasi luogo possiate trovarvi.» Vincenzo fece un giorno una piccola riprensione ad una persona la quale, nell'idea in cui era che la compagnia delle sue figlie non potesse sussistere senza di lui, si era mostrata alquanto inquieta per una malattia da cui era stata {225 [439]} colta. «Oh! donna di poca fede! Perchè non avete maggiore confidenza nella condotta e nell'esempio di Gesù Cristo? Il Salvatore del mondo si riposava in Dio suo Padre per lo stato di tutta la Chiesa, e voi per un pugno di figlie, che la sua provvidenza ha visibilmente suscitate e riunite, pensate che vi mancherà?»

            Questo tesoro dì confidenza in Dio gli serviva per pacificare coloro che erano tentati di disperare. Un personaggio di condizione elevata trovandosi in quella pericolosa situazione gli dimandò qualche rimedio al male che lo straziava. Il Santo gli rispose: «Che Dio non permetto sempre a' suoi di discernere la purezza del loro interno fra i movimenti della corrotta natura, affinchè si umiliino senza posa, e che il loro tesoro essendo così nascosto, sia in maggior sicurezza. S Paolo aveva veduto delle maraviglie in cielo, ma perciò non si riguardava guardava come giustificato, perchè vedeva in se stesso troppe tenebre e troppi combattimenti interni. Aveva nulladimeno una tale confidenza in Dio, che credeva nulla esservi al mondo capace a separarlo dalla carità di Gesù Cristo. Quest' esempio {226 [440]} deve bastarvi, signore, per restare in pace in mezzo alle vostre oscurità, e per avere un' intera confidenza nell' infinita bontà di nostro Signore, il quale volendo perfezionare l'opera della vostra santificazione, v' invita ad abbandonarvi fra le braccia della sua provvidenza. Lasciatevi adunque condurre dal suo amore paterno, perchè egli vi ama, ed è tanto possibile che rigetti un uomo dabbene come voi, come lo sarebbe che abbandonasse un malvagio, il quale spera nella sua misericordia.»

 

            Frutto. La confidenza in Dio non esclude la nostra cooperazione, perciò facciamo quanto dal nostro canto possiamo, e il Signore farà colla sua grazia quello che noi non possiamo. Una visita al SS. Sacramento. {227 [441]}

 

 

Giorno vigesimoquinto. Sua uniformità al Divino volere.

 

            La confidenza nel Signore portava Vincenzo a riconoscere in ogni cosa i divini voleri, e a questi in ogni cosa uniformavasi. Dal mattino alla sera sembrava dire con S. Paolo: Signore, che volete voi ch'io faccia? e in qual maniera devo io farlo? La malattia e la sanità, la vita o la morte; a libertà e la schiavitù, il guadagno e la perdita, il disprezzo,:Ili obbrobri, tutto gli era uguale, purchè Dio fosse contento. «Non c' è alcuno di quelli che son qui F presenti, diceva un giorno a'suoi, che non abbia procurato oggi di fare alcune azioni in se stesso buone e sante; ciò nondimeno può essere avvenuto che Dio abbia rigettato quelle azioni, perchè saranno state fatte per movimento della vostra propria volontà E non è questo quello che il profeta dichiarò, quando disse a nome di Dio: io non voglio i vostri digiuni; voi pensate onorarmi in tal modo e fate al contrario: perchè quando digiunate, seguite la vostra propria volontà, {228 [442]} con ciò guastate e corrompete il vostri, digiuna Ora ciò che Isaia diceva del digiuno può applicarsi ad ogni altra opera di divozione. La mescolanza della nostra propria volontà guasta le nostre divozioni, i nostri lavori, le nostre penitenze; sono vent' anni che io non leggo nella santa Messa quella sentenza del Profeta senza esserne turbato. Che cosa bisogna dunque fare per non perdere il nostro tempo e le nostre fatiche? È necessario di non operare mai per movimento della nostra propria inclinazione, per nostro interesse, per nostro capriccio, per nostra fantasia, ma assuefarci a fare la volontà di Dio in tutto; io dico in tutto e non già in parte, perchè si è questo il proprio effetto della u grazia, che rende la persona e l' azione gradita a Dio.»

            Questa conformità alla volontà di Dio era necessaria al Santo per sopportare le croci che Dio gli preparava, sia nella propria persona, sia in quella de'suoi figli. Più di una volta fu visto, come i giusti di cui parla s. Paolo, nell' indigenza, nell' oppressione, nella miseria e fra le catene; malgrado questo la sua tranquillità era sempre {229 [443]} la stessa. La sola parola Dio lo vuole calmava le sue inquietudini. La peste tolse al Santo sei o sette de' suoi, i quali lavoravano a Genova; la stessa casa ebbe la disgrazia di perdere una lite molto importante. «Viva la giustizia, rispose Vincenzo al Superiore che gli aveva annunziata questa doppia perdita, bisogna credere ch'essa si trovi nella perdita della vostra lite. Quello stesso Dio che vi aveva dato a degli averi ve li ha tolti sia benedetto il suo santo nome. B un male quel che sembra bene, quando esso si trova ove Dio non lo vuole. Quanta più relazione avremo con nostro Signore spogliato, più ancora avremo parte al suo spirito; quanto più cerchiamo al pari di lai il regno de'cieli per istabilirlo in noi, tanto più s le cose necessarie alla vita ci saranno accordate. Vivete in questa confidenza e non anticipate l' affanno per gli anni sterili de' quali parlate: se giungono, non dipenderà al certo da colpa vostra ma da un ordine della Provvidenza, la cui condotta è sempre adorabile. Lasciamoci dunque que guidare dal nostro Padre celeste, e procuriamo sulla terra di non avere che un voler solo con lui.» {230 [444]}

            Dietro al proverbio che sempre è batte l'aiutarsi un poco, qualcheduno gli scrisse che se voleva la sua congregazione riuscisse ed avesse de' buoni soggetti. bisognava stabilirla nelle grandi città. Il Santo rigettò ben lungi una siffatta proposizione, dicendo: «Non possiamo fare alcune anticipazioni per istabilirci in qualsiasi luogo, se vogliamo tenerci nelle vie di Dio e nelle usanze della compagnia; perché sino al presente la sua provvidenza ci ha chiamati ne' luoghi ove appunto noi siamo, senza averlo cercato direttamente nè indirettamente. Ora non può essere che questa rassegnazione a Dio non gli sia molto gradevole, tanto più eh' essa di             strugge i sentimenti umani, che sotto pretesto di zelo e di gloria di Dio fanno sovente intraprendere disegni ch'egli non inspira e non benedice. Egli sa quanto ci conviene, e ce lo accorderà quando sarà il tempo, se ci abbandoniamo quai veri figli ad un sì buon Padre. Certamente se fossimo ben persuasi della nostra inutilità, noi ci guarderemmo dall'ingerirci nella messe altrui prima di essere chiamati, nè di precorrere per preferirei ad {231 [445]} altri operai, che forse Dio vi ha destinati.

            Fu proposta al santo Sacerdote una cosa vantaggiosissima alla sua congregazione; e sollecitandolo uno de'suoi ad acconsentirvi, diede questa bella risposta. «Faremo bene di non curarci di quest' affare per ora tanto per infievolire le inclinazioni della natura, la quale vorrebbe che le cose vantaggioso fossero prontamente eseguite, quanto per metterci nella pratica della santa indifferenza, e dar luogo a nostro Signore di manifestarci la sua volontà, mentre gli umilieremo delle preghiere per raccomandargli la cosa. Siate certo che se a lui piace che la cosa si faccia, il ritardo non la guasterà in alcun modo, e che F quanto meno ci sarà del nostro, tanto più ci sarà del suo.»

            Dopo aver fatto conoscere che questo spirito d'indifferenza è stato seguito da tutti i Santi: «Spirito che, egli diceva, cotanto stacca dalle creature e sì perfettamente unisce alla volontà del Creatore, il quale consiste nell'essere quasi senza alcun desiderio d'una cosa piuttosto che d'un altra;» il servo di Dio conchiuse che, ad esempio {232 [446]} loro, tutto dovrebbe essere indifferente a'suoi missionari: «Voi sapete, diceva, che fra gli operai, di cui parla il Vangelo, alcuni furono chiamati sul tardi, e che costoro nulladimeno furono ricompensati alla sera al pari di coloro che avevano lavorato fin dal mattino: così ci sarà per voi tanto merito aspettando in pazienza la volontà del padrone, quanto ve ne sarà nell' adempierla allorchè vi sarà significata; purchè voi siate pronti a partire, pronti a restare. Dio sia benedetto di questa santa indifferenza, che vi rende istrumenti motto propri per le opere di Dio.

 

            Frutto. Fermatevi alquanto a considerare ciò che più v'inquieta; e fatene un' offerta ai Signore, dicendo: sia fatta in ogni cosa la santissima volontà del nostro Iddio. {233 [447]}

 

 

Giorno vigesimosesto. Della sua condotta.

 

            Due oggetti occuparono tutta la vita di Vincenzo, la sua propria santificazione, e quella del prossimo Cominciò da se stesso o continuò pei prossimo, poichè sapeva che un ministro di Gesù Cristo è stabilito per produrre del frutto; ma la condotta ch' egli tenne, operando alla salvezza de'suoi fratelli. merita bene che se ne espongano i principali caratteri. Essa fu sempre accompagnata da una grande sapienza. Un uomo, fra le cui mani erano passati tanti affari importanti, avrebbe avuto almeno nella sua vecchiaia il diritto di riposare sulla propria esperienza; ma egli solo ignorava la giustezza del suo spirito, l'estensione de' suoi talenti, la saviezza delle misure che aveva prese. Vincenzo al declinare de'suoi giorni era tanto timido e riserbata come all'età di quaranta anni. Nulla intraprendeva senza ricorrere a Dio per mezzo di fervide preghiere; volentieri ascoltava e secondava il sentimento degli altri; consultava i suoi inferiori, quando ciò che doveva fare era di tal natura da poter {234 [448]} essere comunicato. Questa legge che il Santo s'era imposta di deliberare. di consultare, di ponderare lungo tempo il pro ed il contro, lo rendeva alquanto lento a determinarsi; ma quando una risoluzione era presa, non vi era modo a variarla: riguardava qual tentazione ogni pensiero di abbandonare un progetto saggiamente concertato. Credeva che Dio non si lagnerebbe di un uomo, che potrebbe rispondergli: Signore, io vi ho raccomandato quest'affare, mi con consigliato, e questo è tutto quanto poteva fare per conoscere la rostro volontà.

            La circospezione fu un'altra qualità delta sua condotta. Egli era nemico dichiarato di tutto ciò che sentiva di presunzione, meno amava di rispondere prima di aver preso tempo onde riflettere su ciò che venivagli proposto. Quando la forza delle circostanze l'obbligava a deridere senza dilazione, implorava il Divino soccorso, e non dava ordinariamente alcuno scioglimento che non avesse per appoggio la Sacra Scrittura, o qualche azione del Salvatore; ne trovava sempre qualcheduna che aveva relazione col soggetto su cui era consultato. Il timore di gravarsi do' falli altrui, odi errare ne'disegni di {235 [449]} Dio, lo rendeva molto cauto qualora trattavasi di determinare una persona d' un offizio anzichè ad un altro. Quantunque avesse sopra i suoi figli un'autorità ben grande, pure non voleva mai formare da se solo la destinazione di quelli che inviava ne'paesi lontani. Non sceglieva per le missioni straordinarie che coloro, al cuore de'quali Iddio aveva parlato, e cui aveva fatto conoscere che richiedeva da loro questo grande sacrifizio. La grazia di dare un addio eterno alla propria famiglia, a'più teneri amici, non era accordata che a quelli che la sollecitavano per molto tempo e con ardore, ed e perciò che il Santo giudicava prudentemente che un uomo chiamato da Dio fa maggior frutto di molti altri, la Vocazione de'quali è meno libera e meno pura. Questi saggi riguardi non degeneravano in debolezza, nè n una molle condiscendenza, e diceva che, siccome i cattivi successi della guerra s'attribuiscono a'Generali degli eserciti, per egual modo il decadimento delle comunità deve attribuirsi a' Superiori; che i più cattivi sono coloro che, per piacere a'loro confratelli e farsi amare, tutto dissimulano e lasciano correre le cose come vanno; eh' egli aveva veduto una comunità {236 [450]} delle più regolari che vi fossero nella Chiesa decadere in meno di quattro anni per la indolenza e la viltà d'un Superiore. Se dunque, conchiudeva, tutto il bene di una comunità dipende da' Superiori, ti deve ben pregar Dio per essi come incaricati da Dio, ed in obbligo a render conto di tutti quelli che sono sotto la condotta loro. Questa fermezza de! Santo si estendeva su tutti i punti della sua regola, e non è già nelle solo case della congregazione che voleva fosse inviolabilmente osservata, ma raccomandava eziandio che non si trascurasse, per quanto fosse possibile, nelle missioni e ne'viaggi: proscriveva perciò certe pratiche che compensavano in qualche modo quelle, che riesce difficile di fare fuori della comunità Allorquando vari preti viaggiavano insieme, ne destinava uno fra di essi ad avere la direzione degli altri, e far osservare la regola.

            La fermezza del sant'Uomo non lo rendeva molesto, nè imperioso. Severo per se stesso era tutto bontà verso gli altri, e procurava di contentarli in tutto ciò che potevano ragionevolmente aspettarsi da lui. Se ricusava qualche cosa, era sempre con pena, e ciò non già perchè egli fosse il padrone, ma unicamente {237 [451]}

perché non poteva accordarla. Esponeva le ragioni del suo rifiuto, e da che questo più non sussistevano, si rammentava la dimanda fattagli «Si serviva sempre, dice y uno de'suoi, di parole molto obbliganti, non impiegando mai la voce eli comando, nè altri simili detti, che facessero scorgere il suo potere e la sua autorità, ma osando bensì delle preghiere: io vi prego, signore, di fare questo, o quello, ecc. Quando io partiva per qualche viaggio, o ne ritornava, mi trovava come tutto imbalsamato da'suoi amplessi e dalla cordiale accoglienza che mi faceva. Le sue parole, tutte piene di una certa unzione spirituale, erano sì dolci, e nello stesso tempo sì efficaci, che induceva a fare tutto quella che voleva senza alcun, resistenza.»

            La maniera colla quale s' insinuava nelle pene di coloro elle soffrivano era propria ad inspirar loro coraggio. «Io vi compatisco nella vostra situazione, scriveva ad un Superiore stanco del suo uffizio; ma non dovete spaventarvi delle difficoltà, ed ancor meno lasciarvi abbattere, poichè se ne trovano ovunque, e basta che vivano insieme perchè due uomini sieno in contraddizione. Se foste solo, di verreste a carico {238 [452]} di voi stesso e trovereste in voi di che esercitare la vostra pazienza; tanto è. vero che la miserabile nostra vita è piena di croci. Io lodo Dio del buon uso, che sotto persuaso voi fate delle vostre. Ho troppo conosciuto quanta saviezza e quanta dolcezza risiedo nel vostro spirito per dubitare che vi manchino io queste disgustose occasioni. Se non riuscite a soddisfare tutti, non bisogna perciò che voi ve ne diate fastidio, perchè neppure lo stesso nostro Signore lo ha fatto. Quanti vi furono, e quanti vi sotto tuttavia che hanno trovato a ridire sulle parole sue e stille sue azioni?» I bisogni della sua compagnia avendolo obbligato a separare due preti che vivevano in una santa unione. «Io non dubito punto, scriveva ad uno di questi, che la separazione da questo caro e fedele amico non vi sia dolorosa; ma rammentatevi, signore, che il Signor nostro si separò dalla propria sua Madre, e che i suoi discepoli, dallo Spirito Santo così perfettamente uniti, si separarono gli uni dagli altri pel servizio dei Divin Maestro.» In breve tutti coloro che erano sotto la sua direzione non venivano afflitti da qualche male ch'egli non ne soffrisse come quelli e più di quelli. {239 [453]}

            Persuaso che un Superiore non esige ragionevolmente se non ciò che pratica pel primo; si trovava esattamente a quegli esercizi della sua comunità che costano Ai più, é soprattutto all'orazione della mattina. La sua perfetta esattezza davagli diritto di esigere presso a poco una consimile da'suoi inferiori. La voleva soprattutto da quelli che incaricava della condotta degli altri. Præsint ut prosint. Diceva, che quelli i quali non hanno regola, nè sono esemplari, mancano di una qualità essenziale al governo; e elle un uomo, benchè provveduto di talenti per dirigere gli altri, non è adattato ad essere Superiore di una casa, nè Direttore d'un seminario, se non è esatto agli esercizi della regola. A fine di rendere la sua condotta utile a tutti coloro de'quali aveva la direzione, affaticavasi da principio a distrurre in essi il peccato, e ciò che poteva condurvegli; a questo oggetto stabili il suo seminario interno, e ne fece una scuola di virtù, ove le persone di ogni età. che v'erano ammesse, trovavano negli esercizi della vita spirituale de'mezzi sicuri per distruggere l'uomo vecchio, e divenire nuove creature in Gesù Cristo. La disubbidienza era il difetto che meno perdonava ad un seminarista, {240 [454]} e se non si emendava, per quante altre buone qualità ei possedesse, lo congedava. Secondo, il suo parere un uomo troppo attaccato alla propria volontà è un nemico della fanciullezza evangelica, la quale sola ha diritto al Regno de' cieli, ed è incapace di quella santa abnegazione che deve essere la prima virtù de'discepoli del Salvatore.

            Uscendo dal seminario destinava allo studio della teologia ed anche della filosofia coloro, le cui idee su queste materie abbisognavano di essere rinnovate. Dava loro de' maestri adattati a nudrire il fervore formandogli alla scienza. Non eravi cosa che tanto temesse, quanto il vedere un giovine studente scemare in fervore a misura che cresceva in cognizioni, o perdere il tempo in vane ed inutili curiosità. Diceva a questo proposito che il passaggio dal seminario agli studi è troppo pericoloso, che, come un vetro che dal calore del forno passa in un luogo freddo, corre rischio di rompersi, cosi un giovine che da un luogo di raccoglimento, di vigilanza e di preghiera passa al tumulto di una scuola, corre rischio di sviarsi. Desiderava che tutti i missionari avessero tanta scienza, quanta n'ebbe S. Tommaso, perchè {241 [455]} avessero ancora l' umiltà di quel santo Dottore; diceva che l'orgoglio perde i grandi ingegni come ha perduto gli Angeli, che la scienza senza l'umiltà era sempre stata perniciosa alla Chiesa. La conclusione de' suoi consigli era che si mettesse la gioventù in grado di essere utile al prossimo. perchè vi eran pochi operai, ed i popoli della campagna si dannavano per mancanza d' istruzione.

 

            Frutto. Se abbiamo la scienza senza l’ umiltà, non saremo giammai figliuoli d' Iddio, ma bensi figli del padre della superbia, del demonio. Un Pater ed Ave a S. Vincenzo perchè ci aiuti ad uniformarci alla sua condotta.

 

 

Giorno vigesimosettimo. Sue Missioni.

 

            Le missioni sono esercizi pubblici in cui con istruzioni semplici ma robuste e patetiche si procura d' indurre i popoli a piangere i loro peccati e ripararli con una sincera penitenza, ed a vivere santamente {242 [456]} nell' avvenire. Questi esercizi per produr frutto richiedono dell'ordine e delle precauzioni per rapporto a' pastori, di cui in certo qual modo si tien luogo per un dato tempo; per rapporto a'popoli che si devono istruire senza aggravarli; e per rapporto agli operai stessi, che per santificare gli altri hanno bisogno di zelo, di carità, o, per meglio dire, di tutte le virtù. Vincenzo formò il suo piano in un modo adattato a soddisfare a queste diverse obbligazioni.

            Riguardo a' pastori, oltre il permesso del vescovo, di cui non si può far a meno, nulla intraprendeva mai senza il gradimento de' parroci. Quando un parroco permette la missione nella sua parrocchia, uno dei missionari ne fa l'apertura ed annunzia con un discorso la visita misericordiosa che Dio si dispone a fare al suo popolo, la moltitudine di grazie che è pronto ad accordare a coloro che se ne renderanno degni col convertirsi a lui; là disgrazia di coloro che ricusassero di ascoltare la sua voce, e la necessità di cominciare all' istante rompere i lacci che li tengono avvinti al peccato. Alcuni giorni dopo i missionari si presentano al luogo indicato, ed immediatamente 243{ [457]} danno mano all' opera; ogni giorno ha tre sorta d'istruzioni pubbliche; una predica che si fa di buon mattino affinchè le persone povere non perdano punto il tempo consacrato al lavoro; un piccolo catechismo che si fa ad un'ora dopo mezzodì, e la sera dopo il tramontare un gran catechismo.

            La predicazione deve essere solida ma naturale. Non si trattano in essa quelle idee metafisiche, la cui discussione serve soltanto a fare onore al talento di colui che parla. L'importanza della salvezza eterna, i fini ultimi, la contrizione, il perdono delle ingiurie, la restituzione, l’ enormità del peccato, la durezza del cuore, l’ impenitenza finale, la falsa vergogna, la ricaduta, la maldicenza, l' invidia, l’ intemperanza. e altri simili disordini che s'insinuano più facilmente nelle campagne; il buon uso della povertà e delle afflizioni, la santificazione delle domeniche e feste, la necessità ed il modo di pregare, di frequentare i Sacramenti, d' assistere al sacrifizio della messa, l'imitazione di nostro Signore, la divozione verso la SS. Vergine, la felicità della perseveranza: in una parola tutto ciò che deve {244 [458]} fare un cristiano per incamminarsi a Dio; tutto ciò che deve evitare per essere felice dopo la sua morte, più di quello lo fu durante la sua vita: ecco l'argomento più ordinario delle prediche.

            Il catechismo ha per oggetto la spiegazione de' principali articoli della fede e delle verità della religione maggiormente praticate; perciò in esso si tratta del mistero della SS. Trinità, dell' Incarnazione del Figlio di Dio, dei prezzo col quale si e compiaciuto di riscattarci; si parla dei comandamenti di Dio e della Chiesa, de' Sacramenti, del simbolo, dell' orazione domenicale e della salutazione Angelica. L'esposizione di queste differenti materie vien regolata sulla durata della missione ed a proporzione della intelligenza degli uditori. Ognuno di quelli che hanno lavorato alla loro salvezza si mette in grado di dir loro, lasciandogli, ciò che disse s. Paolo a' fedeli di Mileto: Io vi cito per testimoni, che sono innocente della vostra perdita: ho atto tutto ciò che dipendeva da me per impedirla.

            Il gran catechismo che si fa dal pergamo è destinato all' istruzione delle persone di una certa età; perciò se ne fa un altro per {245 [459]} i fanciulli. S'invitano fin dal primo giorno con una esortazione famigliare a recarvisi esattamente; si dan loro gli avvisi di cui hanno bisogno per profittarne; si parla ad essi in un modo proporzionato alla loro poca intelligenza, si ricavano da' principi della fede delle conseguenze proprie a formare o a rettificare i loro costumi; vengono animati con ricompense che devono essere il premio della saviezza e della loro assiduità. Questo importante esercizio è terminato con santi cantici; la divozione vi guadagna doppiamente, poichè la dottrina cristiana s' insinua in un modo piacevole, e le pericolose canzoni sono dimenticate.

            Tosto che il popolo sembra commosso dalle verità annunziate, si prende posto al confessionale: ivi sv impiegano parecchie ore ogni giorno tanto al mattino quanto al dopo pranzo. visitare e consolare gli ammalati, fare una correzione fraterna a' peccatori impenitenti, sopire le dissenzioni domestiche, riconciliare i nemici, insegnare a' maestri ed alle maestre di scuola a ben soddisfare a' loro obblighi, stabilire l’ associazione della carità a sollievo de' poveri; in una parola impedire al male e fare tutto {246 [460]} il bene che si può: ecco ciò che il Fondatore della Missione si propose, e che esegui nel' corso delle sue missioni.

            Quando uno ha soddisfatto a'bisogni principali della gente adulta, si dispongono alla prima comunione coloro che sono giudicati capaci di esservi ammessi. Ai soccorsi che a questo scopo si son loro prestati nel corso della missione si aggiunge, la vigilia di quel gran giorno, una esortazione viva e tenera, propria a preparare quei giovani cuori a ricevere l'Agnello immacolato, e seguita all'indomani da un' altra che precede immediatamente la comunione. In quel giorno, in cui la meno animata divozione si risveglia alla vista di un buon numero di giovanetti pieni di fede e di amore, si chiude d'ordinario la missione. Vien questa terminata con una processione solenne io rendimento di grazie. I piccoli fanciulli, che senza essere capaci di comunicarsi lo sono pur troppo di offendere Iddio, hanno parte a' frutti della missione: s'inspira loro un santo orrore al peccato, si ammaestrano ad essere modesti in chiesa, si fa loro concepire del dolore per i loro falli, e non potendosi far meglio, s'insegna loro almeno a confessarsi {247 [461]} in progresso colla necessaria sincerità e radenza.

            Riguardo a' missionari Vincenzo esigeva da essi fede viva e perfetta confidenza in Dio per non cedere alle pene ed alle con traddizioni, dalle quali il loro ministero è sovente combattuto; mortificazione a tutta prova per sostenere la lunghezza del lavoro, gl' incomodi dell' abitazione ed il rigore delle stagioni; pazienza invincibile per sopportare la rustichezza grossolana di coloro che sono il principale oggetto delle loro cure; semplicità piena di prudenza per istruirli e guidarli a Dio; indifferenza grandissima riguardo agi' impieghi, a' luoghi, ai tempi ed alle persone, per non aver altra volontà che quella di Dio; finalmente umiltà profonda e dolcezza inalterabile soprattutto quando trattasi di eretici.

            Porremo termine a questo capitolo coll'analisi di un discorso che Vincenzo fece ai suoi intorno alla necessità delle missioni. Dopo di aver stabilito con S. Paolo che ognuno deve camminare sulle pedate della sua vocazione, disse che le missioni sono l'impiego principale della sua congregazione, che non si è incaricata de' seminari {248 [462]} e della cura degli ordinandi se non pel bisogno di. preparare degli uomini propri a conservare i frutti delle missioni, e che in ciò ha imitato i guerrieri i quali, per non perdere una fortezza conquistata a viva forza, pongono in essa buone guarnigioni; che per animarsi a fare delle buone missioni devono pensare che un' interna voce intima ad ognun di essi: «Uscite, Missionari, andate colà dove io v' indirizzo: eccovi delle povere animo che vi aspettano: la loro salvezza dipende in parte dalle vostre predicazioni e da' vostri catechismi........ Che risponderemo a Dio, proseguiva il Santo, se per colpa nostra accadesse che qualcheduna di quelle povere anime morisse e si dannasse? Non avrebbe forse ragione di rimproverarci esser noi in qualche modo la causa di sua perdizione per non averla assistita quando era in nostro potere di farlo?E non avremmo forse motivo di temere che Dio ce ne chiedesse conto all'ora di nostra morte? All'opposto se corrispondiamo fedelmente alle obbligazioni a della nostra vocazione, non avrem forse ragion di sperare che Dio aumenterà di giorno in giorno sopra di noi te sue grazie, {249 [463]} benedirà i nostri lavori, e finalmente tutte quelle anime, le quali col mezzo del nostro ministero avran conseguita l'eterna salvezza, renderanno testimonianza a Dio della fedeltà nell' adempimento delle nostre funzioni?»

            Dopo di aver dedotto dal testo evangelico: Evangelizare pauperibus misit me, che la santificazione de' poveri fu una delle principali funzioni del salvatore, dimostra a'suoi preti quanto sarebbe per essi pericoloso il trascurare questi membri sì abbietti agli occhi degli uomini, ma sì preziosi a quelli di Dio: applica ad essi quelle parole di S. Ambrogio: Si non pavisti, occidisti. Parole, dice egli, vere quando trattasi dei nutrimento dell' anima anche più di quando riguardano soltanto quello del corpo; e ne conchiude, che un missionario deve tremare so a causa dell` età, o sotto pretesto d'infermità, si rallenta e dimentica che Dio riposa su di lui per la salvezza de'poveri, perchè la salvezza dei poveri è un affare di cui si è incaricato presso Dio.

            Il Santo si obbietta in seguito in nome di coloro che si prendono troppa cura della conservazione della loro sanità, che il lavoro {250 [464]} delle missioni può abbreviare i loro giorni. «Ma, replica, qual uomo, al pari di s. Paolo, non bramoso che della morte per essere più presto unito a Gesù Cristo: E che? sarà forse una disgrazia per colui che viaggia in un paese straniero lo accelerare il suo cammino, e lo approssimarsi alla patria? sarà forse una disgrazia per un' anima fedele andare a vedere e possedere il suo Dio?? e finalmente sarà forse una disgrazia per i missionari andare dare più presto a godere la gloria che il Divin Maestro ha loro comprato ce' suoi patimenti e colla stia morte? E che? temeremo forse di veder succedere una cosa che non sapremmo desiderare abbastanza, e che accade sempre troppo tardi? Or quel che dico a' miei preti, lo dico eziandio a quelli che noi sono. Si, miei fratelli, siete al pari di noi obbligati a lavorare per la salvezza de' poveri; potete farlo a modo vostro e siete a ciò obbligati, essendo con noi membri di un medesimo corpo, in quel modo che tutti li membri del sacro corpo di Gesù Cristo hanno cooperato ognuno per la sua parte all' opera della Redenzione, {251 [465]} poichè se il suo capo fa trafitto dalle spine, i piedi furono forati da' chiodi, e se dopo la Risurrezione quel sacro capo fu coronato di gloria, i piedi vi hanno partecipato.» Cosi parlava il sant' Uomo. e dalla prima sua missione fino alla morte non cangiò mai. Diceva che si sarebbe creduto assai felice, se avesse potuto terminare la sua vita accanto ad un cespuglio lavorando in qualche villaggio. Molti ecclesiastici commendevoli per iscienza, per divozione, per qualità, tratti dal suo esempio si associarono a'suoi lavori. «Chi potra, esclama lo scrittore di sua vita, concepire la moltiplicità de' beni che ne provennero per la gloria di Dio e poi l'utilità della sua Chiesa? Chi potrà dire quante persone, che vivevano in una colpevole ignoranza delle cose della salvezza, sono state istruite nelle verita che erano obbligati di sapere' Quanti altri, la cui vita marciva nel peccato, ne vennero strappati col mezzo di buono confessioni generali? Quanti odi sradicati, quante usure abandite, quanti matrimoni nulli convalidati, quante restituzioni fatte, quanti scandali tolti? Ma eziandio quanti {252 [466]} esercizi di religione, e quante pratiche di carità stabilite in luoghi, uve il nome dì carità e di religione sembrava sconosciuto! Quante elemosine fatte da persone che lino allora erano sembrate inaccessibili alla misericordia! Quante anime per conseguenza santificate, e che in vece della gloria di cui godono oggidì nel seno di Dio sarebbero in mezzo dei demoni nell' inferno!»

 

            Frutto. Non lasciamo mai di andare alla predica ne' giorni festivi. Che se il nostro stato non comporta di occuparci nel sacro ministero, recitiamo cinque Pater alle piaghe di Gesù Cristo, affine di ottenere che niuno di quelli che muoiono in questo giorno vada all' inferno. {253 [467]}

 

 

Giorno vigesimoottavo. Suo zelo per la gloria di Dio e per la salvezze delle anime.

 

            Passa un legame necessario fra lo zelo della gloria di Dio e quello della salvezza delle anime. «Chi mai dovrassi riguardare come un uomo divorato dallo zelo della casa di Dio? domanda s. Agostino. Si è colui, risponde lo stesso Dottore, che desidera ardentemente d' impedire che Dio sia offeso; fa riparare quelle offese le quali non ha potuto prevenire; e quando non può giungere allo scopo di farle piangere da coloro che le hanno commesse, piange e geme di veder Dio disonorato.» Su questo fondamento bisogna convenire che Vincenzo ebbe in altissimo grado il doppio zelo di cui parliamo. Quanto finora dicemmo prova il suo unico scopo essere stato di distruggere il peccato, e che in tutte le sue opere sempre attese a procurare la gloria di Dio e la santificazione del prossimo. Il suo zelo fu saggio, illuminato, invincibile e scevro da ogni motivo d'interesse; dimostreremo questi quattro punti con prove di fatto. {254 [468]}

            In primo luogo il suo zelo fu saggio, non mai violento; correggeva coloro che si trovavano sotto la sua guida perchè era obbligato di farlo; ma nelle sue riprensioni non si ravvisava quell' amarezza che svela il capriccio e la parzialità. Aveva il mirabil talento di dare dei pareri qual uomo che combatte un male attuale e vuole prevenire un male che si potrebbe fare in progresso. Nelle missioni egli tuonava centro al delitto, ma dopo avere spaventato il peccatore gli inspirava della confidenza. Senza lusingare l'empio, aveva per lui i riguardi che una madre ha per suo figlio. Distribuiva a quelli che erano già forti un nutrimento solido. ed il latte a quelli che si erano poc' anzi convertiti. Parlando a'grandi del secolo non alterava punto la verità; ma questa verità si sovente odiosa la faceva passare alle ombre del rispetto, della tenerezza, e dell'alta idea che si ebbe sempre della sua probità.

            Lo zelo di Vincenzo era pur anche illuminato. Le massime del Vangelo, l'autorità de' Padri, le decisioni de'più celebri dottori furono le sue guide. Ve ne sono forse delle più sicure? Per tal modo si allontanò sempre in fatto di morale e dal rigorismo, e dalla {255 [469]} rilassatezza. Un gran fondo di buon senso, le sue relazioni amichevoli con tutti i migliori della facoltà di teologia di Parigi, la sua attenzione a ricorrere a Dio ne'suoi dubbi, in una parola tutte le sue buone disposizioni di grazia e di natura lo condussero per quel cammino sicuro che sta in una giusta distanza dagli estremi.

            Il suo zelo fu ancora invincibile; quale forza e costanza non ha dovuto avere un uomo che sollevò e fece sollevare per un si lungo corso d'anni vaste provincie, li cui bisogni rinascevano giornalmente? Un uomo che, per provvedere a' poveri di parecchi ospedali, ebbe a superare difficoltà d'ogni genere; un uomo che oppresso dalle infermità e nell'età di 80 anni faceva delle missioni, predicava, confessava, catechizzava i fanciulli; un uomo che, quando trattavasi della gloria d'Iddio e della salvezza delle anime, non temeva difficoltà, non perdonava a fatica, non risparmiava a spesa. «Oh! signori, scriveva per incoraggiare i suoi figli a lavorare con zelo, se la congregazione che si trova ancora sul suo nascere, ha avuto il coraggio di fare tante missioni, tante conferenze, tanti ritiri, tante {256 [470]} riunioni, tanti viaggi per li poveri, di stabilire tanti seminari, tante associazioni di carità, e d' abbracciare tutto queste differenti occasioni per servir Dio, farà certamente qualche cosa di più, allorchè il tempo le avrà dato dello forze, purché sia fedele alla grazia della sua vocazione. Se la salvezza di un'anima sola merita che per procurarla espongasi la vita temporale sarebbe cosa indegna l'abbandonarne un si gran numero per evitare qualche spesa.»

            Finalmente il suo zelo fu disinteressato. Ben lontano dal passare i mari o dal percorrere le campagne all'oggetto di mietervi il temporale de'popoli, rendeva loro a proprie spose tutti i servigi che dipendevano da lui. Neppur voleva che nelle missioni si accettasse l'elemosina delle messe, che dicevasi per loro: voleva che si distribuisse agli ammalai da que'medesimi che la presentavano. Se un parroco ricco offeriva la sua mensa, era proibito di accettarla. «Un missionario che lavora coll'altrui borsa non è meno colpevole di un cappuccino che tocchi il danaro. Io vi prego una volta per sempre di non far mai missioni se non che a spese della vostra casa.» {257 [471]}

            A questo primo genere dì disinteresse Vincenzo ne congiungeva un altro più difficile e molto meno comune. Sciolto dallo spirito di gelosia, contro di cui molli, che percorrono la stessa carriera, non stanno sempre in guardia, il suo zelo era simile a quello di Mosè. Al pari di liti desiderava che lutti avessero lo spirito del Signore, vedeva i loro successi colla santa gioia de'figli di Dio, li pubblicava ovunque, e rendeva loro de' servigi, quali la maggior parte di essi non mai conobbero. Per far risaltare i loro lavori s'induceva pertino a diminuire i propri. Nella sua congregazione non ravvisava se non spigolatori poco abili, che seguono da lungi i grandi mietitori, e che per trovar grazia innanzi a Dio dovevano credere che i loro piccoli manipoli di spighe non venissero accettati che col favore dell' abbondante raccolta.. degli altri. Sta se quel grand'uomo ha detto col Saggio di aver procurato di rammucchiare quei pochi grappoli che sfuggono a'vendemmiatori, la Chiesa nel suo uffizio gli fa dire in oggi che malgrado ciò ha riempiuto lo strettolo: Et quasi qui vindemiat, replevi torcular. Il lettore l' ha potuto conoscere fin qui: le massime e lor' irito del servo di Dio si seno sostenute fin {258 [472]} al presente in tutta la loro integrità fra i missionari. Questo basti per far conoscere che lo zelo di Vincenzo fu saggio, illuminato, invincibile e disinteressato.

 

            Frutto. Una limosina per l'opera della propagazione della fede; e non potendo farla si vada ad ascoltare una messa per ottenere dal Signore la conversione di tante anime che giacciono miseramente nell' ignoranza delle verità del Vangelo.

 

 

Giorno vigesimonono. Del sito disinteresse e del suo disfanno dai beni della terra.

 

            Un uomo particolare che aveva dato un fondo di quattromila lire per le missioni. cadde nel bisogno; come Vincenzo ne fu informato, gli scrisse di prenderne la rendita, aggiungendo che se quello non bastava, gli avrebbe novellamente ceduto il capitale; e per indurlo a dichiarare il suo pensiero con maggiore libertà, gli fece sapere non essere {259 [473]} questa la prima volta che operava in tal modo. Alcuni anni dopo avendo temuto che uno dei benefattori della sua congregazione, che si diceva molto a male ne'suoi affari, si rimproverasse la sua propria liberalità. «Vi supplico, gli disse Vincenzo, di far uso degli averi della nostra campagna come se fossero vostri. Siamo pronti a vendere per voi tutto ciò che abbiamo, e fino i nostri calici: non faremo con ciò se non quello che ordinano i santi canoni, cioè di rendere al nostro fondatore nel suo bisogno quello ch'egli ci ha dato nella sua abbondanza, e ciò che vi dico, signore, lo dico innanzi a Dio, e conce lo sento nel fondo del cuore.»

            Un gran numero di signore di primo ordine avendo offerto al santo Sacerdote la somma di seicentomila lire per fabbricare una nuova chiesa, non volle accettarla, ed allegò per ragione che i poveri ne soffrirebbero, e che i primi tempi, che dimanda Gesù Cristo, sono quelli della carità e della misericordia.

            Gli fu mossa una lite, e tutti dicevano essere ingiusta; nulladimeno Vincenzo la perdette. Alla prima notizia ch'egli n'ebbe, scrisse ad {260 [474]} un suo amico: «I buoni amici si partecipano il bene ed il male che loro accade; e siccome voi siete uno de' migliori che noi abbiamo, non posso a meno di comunicarvi la perdita fatta della lite e del podere, non già come un male che ci sia avvenuto, ma come una grazia fattaci da Dio affinchè voi vi compiacciate aiutarci a ringraziarvelo. Io appello grazia di Dio le afflizioni ch'egli c'invia, soprattutto quelle che sono bene ricevute; ora la sua bontà infinita avendoci disposti a questa privazione innanzi ch'ella fosse ordinata, ci ha fatto consentire a quest' accidente con una intera rassegnazione, ed oso dire con tanta gioia come se ci fosse stata favorevole. Sembrerebbe questo un paradosso a chi non fosse tanto avanti, come voi lo siete, nelle cose del cielo, ed a chi non sapesse che la conformità al piacere di Dio nelle avversità è un bene maggiore di tutti i vantaggi temporali.» Lettera al signor Desbardas membro della camera de' conti.

            Sparsa la novella della sentenza, un gran numero de'più insigni avvocati impegnarono il sant'Uomo ad interporre l'appello; uno fra gli altri l'assicurò ch'esso era infallibile, e si {261 [475]} offerse non solamente a patrocinare senza retribuzione, ma ancora ad indennizzare la casa di s. Lazzaro se avesse per la seconda volta la disgrazia di soccombere. Malgrado queste sicurezze Vincenzo non volle appellarsi: «Quantunque siamo assicurati, scriveva al succitato amico, di essere ben fondati a col provvederci in appello, noi non posa siamo risolverci ad interporlo; perchò otto a avvocati che abbiamo consultati congiuntamente e separatamente prima della sentenza che ci ha spossessati, ci avevano sempre assicurati che il nostro diritto era infallibile; ciò non ostante la corte ha giudicato diversamente: tanto è vero che le opinioni sono vario, e che non bisogna mai a appoggiarsi sui giudizi degli uomini. 2. Una delle nostre pratiche nelle missioni essendo di comporre le differenze del popolo, vi a sarebbe a temere che se la compagnia si ostinasse in una nuova contestazione coti a questo appello, che è il rifugio de'più gran litiganti, Dio non ci togliesse la grazia di lavorare per gli accomodamenti. 3. Noi daremmo un grande scandalo, dopo un giudizio sì solenne, litigando per distruggerlo; saremmo biasimati per troppo attacco ai {262 [476]} beni, rimprovero solito a farsi agli ecclesiastici, e facendoci nominare ne' magistrati. noi faremmo torto alle comunità, e saremmo causa a'nostri amici di scandalizzarsi di noi. 4. Noi abbiam motivo di sperare, che se il mondo ci toglie qualche cosa da una parte, Dio ce ne accorderà dall’ altra. Lo abbiamo provato dacchè la corte ci ha tolto il possesso di quella terra, perchè Dio ha permesso che un consigliere della medesima camera ove siamo stati giudicati, ci lasciasse, morendo, quasi altrettanto. Finalmente per dirvi ogni cosa, ho gran pena d'andare contro il consiglio di nostro Signore, il quale non vuole che, chi prende a seguirlo, si metta a litigare, e se l'abbiamo fatto è solo perchè  non poteva in coscienza abbandonare un bene di comunità, di cui non aveva che l'amministrazione, senza fare il possibile per conservarlo: ma ora che Dio mi ha scaricato di questa obbligazione con una sentenza sovrana che ha reso inutili le mie cure, penso dobbiamo qui fermarci.»

            Sebbene gli occhi de'più illuminati del suo secolo l'abbiano trovato grande in ogni cosa, non l'hanno forse giammai trovato più {263 [477]} grande di quando lo hanno osservato nel suo distacco assoluto da' beni della terra. «In qualità di segretario di stato, dice un celebre personaggio, fui in grado di avere una stretta relazione col signor Vincenzo. Egli ha fatto più opere buono in Francia a riguardo della religione e della Chiesa, a che qualunque altro a mia cognizione; ma ho particolarmente osservato che al consiglio di coscienza, ov'era egli l'agente principale, non mai si parlò de'suoi interessi, nè di quelli della sua congregazione, e nemmeno di quelli delle cose ecclesiastiche che aveva stabilite. Impiegava il suo credito in favore di tutti coloro che ne credeva degni; e quanto a lui si era tolto dal catalogo di chi poteva sperar qualche grazia. I suoi parenti più prossimi nulla ebbero da lui. Sovente fu sollecitato a favorire i suoi nipoti; rispose sempre ch'egli amava meglio vederli vangar la terra, che vederti a beneficiari.» Il che ha fatto dire che secondo le idee del mondo, nell' essere ci' che era stato alla corte, aveva perduto più di quello avesse guadagnato. Se avesse dimandato per se la casa di s. Giuliano, certamente {264 [478]} l'avrebbe ottenuta, ma non pensò che a farla avere a coloro a' quali oggi appartiene. Un anno di preghiere e d'istanze non potè determinare Vincenzo a prendere la casa di s. Lazzaro, ed allorchè gli fu contrastata voleva abbandonarla; e l'avrebbe di fatto lasciata se non gli fosse stato provato che non poteva ciò fare in coscienza, ed ora sì indifferente per il favorevole o contrarie successo di quel grande affare che i suoi giudici maravigliati non poterono trattenersi dal dire che bisognava che il signor Vincenzo fosse un uomo dell' altro mondo.

            Un ecclesiastico gli recò cinquecento scudi; ma Vincenzo benchè ridotto ad un estremo bisogno, li rifiutò', dicendogli che duemila poveri ch'erano ammalati ne avevano anche maggior bisogno di lui. ti procuratore regio in, una delle più grandi città del regno gli diede, avanti d' entrare nella sua congregazione, una possessione di cui era padrone; ma Vincenzo la restituì a'suoi parenti perchè questa donazione non era stata da loro gradita.

            Il distacco del santo Sacerdote si estendeva fino alla sua congregazione, e voglio {265 [479]} dire che non avrebbe voluto tare, nè soffrire che i suoi facessero un sol passo per procurargli i migliori soggetti od i più bei stabilimenti; la massima di lasciar fare tutto a Dio, d'abbandonarsi a lui senza riserva alcuna, di seguire e non già di prevenire la sua provvidenza, si ripeto si spesso nelle sue lettere, che si vede non averla mai perduta di vista.

            Seguitò egli lo stesso metodo per le figlie della carità. Non solamente non avrebbe voluto ch'esigessero degli stabilimenti, ma voleva di più che fossero disposte a sacrificare quegli stessi che avevano. Le ritirò da un luogo dove erano state chiamate, perché non vi avrebbero potuto restare senza cagionare delle contestazioni.

 

            Frutto. Pensiamo a diminuire qualche spesa domestica per darla a'poveri, specialmente in questi tempi in cui si rende tanto grave il bisogno di soccorrere persone bisognose di ogni età e di ogni condizione. {266 [480]}

 

 

Giorno trentesimo. Sua preziosa morte.

 

            Due sono le cose che sogliono turbare in punto di morte; i peccati della vita passata, e il dover comparire davanti al Divin giudice. voi spesso vediamo uomini ridersi della morte e burlare chi con opere buone ci si prepara. Ma costoro medesimi trovandosi in quello estremo di vita, in quel momento che cessa la finzione e si parla delle cose come si conoscono in se stesse; allora il rimorso dei bene trascurato e del male operato si farà più che mai sentire e l' infelice mortale si vedrà dare nelle agitazioni, nelle smanie, e talvolta nella disperazione. Per costoro la morte è il peggiore di tutti i mali; è per separarli per sempre dal mondo e trasportarti all'eternità infelice pel loro mal vivere meritata. Delle anime buone non è così: più si avvicina il finir della vita, più cresce nei giusti il desiderio di andarsi unire a quel Dio che hanno amato e servito. Se qualche volta Iddio permette che anche le anime buone all'idea di doversi presentar al rigoroso suo tribunale ne rimangano di timore e di spavento {267 [481]} ripiene, Egli stesso corre in loro soccorso, le conforta, le riempie di coraggio, di confidenza, di rassegnazione; la morte di costoro è preziosa negli occhi del Signore: pretiosa in conspectu Domini mors sanctorum eius.

            Vincenzo niente aveva a temere; tutto aveva a sperare. Egli trovavasi alla fine de' suoi giorni con una vita condotta nell' innocenza e nella pratica delle più elevate virtù Era sfinito di forze, ma forze tutte consumate in opere di carità, forze consumate nelle prigioni, negli ospedali, nelle carceri, nel predicare; confessare, catechizzare; poteva egli dire ciò che diceva s. Metro al suo divin maestro: ho fatto quanto mi comandaste, perciò qual premio ora volete darmi? Nell'accorgersi che si andava vicinando l'ora sua, ne parlava con umiltà e con desiderio di andar presto a vedere il suo Dio. Allo volte diceva a' suoi: fra pochi giorni il cadavero di questo vecchio peccatore sarà posto sotterri, ridotto in polvere, e voi lo calpesterete. Altre volte riflettendo al numero de' suoi anni esclamava: oh Signore, io vivo troppo lungamente già non mi emendo, e i miei peccati si vanno coll'età moltiplicando. {268 [482]}

            Tutta la vita di lui fu una continua preparazione alla morte, nulladimeno negli ultimi anni si dispose a questo gran passaggio con maggior fervore. Fece gli esercizi spirituali, pregava, faceva pregare altri per lui. Ogni sua parola, ogni pensiero, ogni azione ad altro non tendeva che all'anima, a Dio, all'eternità. Era maturo pel cielo. Cadde in una malattia. per cui più non pigliava sonno nè di notte, né ili giorno. Il che giudicando foriere di sua morte, per modo di scherzo diceva: il fratello sta aspettando la sorella. Non potendo più celebrare la santa messa continuò a sentirla e fare la comunione tutti i giorni fino alla vigilia ili sua morte, 26 settembre. In tale giorno, dopo di avere soddisfatto a' soliti esercizi di pietà, si trovò talmente, sfinito di forze, che fu costretto a farsi portare dall' Oratorio in sua camera, dove fu assalito da un letargo che pronosticava il fine prossimo de' suoi giorni. Si fece venir il medico, e questi, esaminato lo stato del male, disse non esservi più luogo a rimedio, nè speranza di vita. Si licenziò pertanto da Vincenzo, il quale con bocca ridente gl' indirizzò alcune parole di ringraziamento, senza però poter finire di pronunziarle. {269 [483]}

            Uno de' sacerdoti più anziani della casa gli chiese la benedizione per se e per tutti quelli della congregazione, tanto presenti, quanto assenti. Fece egli tino sforzo per alzare alquanto la testa e proferire le solite parole della benedizione; ma dopo averne proferite distintamente alcune, mancandogli le forze, prosegui il restante sotto voce. La sera gli fu amministrata l'estrema unzione; e passò tutta la notte in una dolce, tranquilla e continua applicazione a Dio. Gli astanti accorgendosi che aveva una particolare divozione a quelle parole del Salmista: Deus, in adiutorium meum intende; Domine, ed adiuvandnm me festina: mio Dio, porgetemi pronto aiuto; Signore, venite presto in mio soccorso: spesso gli replicavano la parte dei primo versetto, ed egli tosto rispondeva: Domine, ad adiuvandum me festina. Un ecclesiastico lo pregò di dare a liti e a tutti gli ecclesiastici della conferenza la sua benedizione, affinchè niuno declinasse dalla via diretta per la quale avevali indirizzati. Vincenzo con sentimento di umiltà rispose: quel Dio che cominciò l'opera buona saprà conservarla. Quinci a poco tutto assorto in celesti pensieri, senza {270 [484]} fare alcuno strepito, conservando la solita serenità di volto e tranquillità di spirito a guisa di chi dolcemente piglia sonno, riposò nel Signore. Mori in Parigi nell'anno 85 di sua età il 27 settembre 1660.

            Sparsa la notizia della morte di Vincenzo, udissi risuonare da ogni parte: è morto il Santo. Piansero gli orfani, piansero le vedove, e tutti i poveri esclamarono con lagrime: è morto il nostro padre, il nostro rifugio, il nostro sostegno. Sacerdoti, prelati, cavalieri, senatori e principi, e assai più quelli della stia congregazione, furono inconsolabili. Ma i singhiozzi di dolore cangiaronsi nella più tenera consolazione al pensare che perdendo uri sostegno in terra avevano acquistato un protettore in cielo.

            Ecco la morte dei giusti; amati da Dio e dagli uomini, desiderati in terra e glorificati in cielo; muore il giusto; e vuol dire che cessa di fatigare in terra per regnare eternamente con Dio e co' Santi in cielo. Ma bisogna persuaderci che in punto di morte si raccoglie il frutto dei bene operato nel corso della vita: chi avrà ben operato si aspetti una santa morte, principio di una beata eternità; ma guai a chi non vi si {271 [485]} prepara: Que seminaverit homo hæc et metet.

 

            Frutto. Siamo in tempo a prepararci per morir bene. Disponiamoci a fare domani una buona confessione ed una santa comunione come se fosse l'ultima di nostra vita: Gesù mio, misericordia. Pio IX concede l'indulgenza di cento giorni a chi dice la suddetto Giaculatoria.

 

 

Giorno trentesmiprimo. Elogio per la festa del Santo.

 

            Dilectus Deo et hominibus. Pare difficil cosa il piacere a Dio ed agli uomini; perciocchè mentre uno studiasi di piacere a Dio per lo più incontra l’indignazione dei mondani, i quali punto non capiscono le cose che al Signore riguardano. Tuttavia Vincenzo ebbe il doppio vantaggio di essere {272 [486]} amato da Dio e dagli uomini. Il Dator d'ogni lume ricolmo avevalo de'suoi più preziosi favori: Una vita immacolata, una divozione sublime, una fede inconcussa, una prudenza consumata, una pazienza superiore alle malattie le più acerbe, un coraggio infaticabile tra i santi rigori della penitenza, un' umiltà nemica d'ogni ambizione, una mirabile facilità a perdonare le ingiurie, e uno zelo per la salvezza delle anime, cui ninna difficoltà poteva nè rimuovere, nè disanimare; ecco alcuni tratti caratteristici di Vincenzo. A, queste doti agiunger conviene l'amabile sua franchezza, l'ingenua semplicità ognor guidata in lui dallo spirito di saviezza, la modestia accompagnata da una santa giocondità, la tenera compassione verso de' poveri, l'attenta ed incessante applicazione per restituire il primiero suo fervore alla religione ed al clero l'antico splendore. Tal fu Vincenzo: Dilectus Deo.

            Nato per riparare a grandi inali, ci visse in un tempo in cui l’ eresia e le guerre intestine coperto avevano d'orrore o di desolazione la Francia intera. Da una parte scosso erasi il giogo della religione, dall'altra {273 [487]} più non rispettavisi l'autorità regia. I principi stessi che dovevano frenare la moltitudine davanle il funesto esempio della rivolta. Le provincie divise in vario fazioni stavansi armate le une contro alle altre. Laddove il calvinismo era riuscito a rendersi preponderante, vedevansi rovinato le chiese, rovesciati gli altari, fugati i sacerdoti, oppure barbaramente scannati, vilipesi e indegnamente calpestati i nostri più santi misteri, abolito il santo sacrifizio degli altari. Qual non fu mai il rammarico di Vincenzo non trovando più la verità sulle labbra ingannatrici de'figli degli uomini, e veggendo poltrire ma maggior parte dei pastori in una colpevole inerzia, ed i popoli in una profonda ignoranza? Ma non si stette già egli ozioso spettatore di mali cotanto gravi, chè anzi ardentemente applicossi a scuotere lo zelo de' pastori, ad illuminare i popoli, a ristabilire la caduta disciplina. Dilectus Deo. Il primo mezzo da lui impiegato fu quello delle missioni. Animato dallo spirito degli Apostoli egli sparse il Vangelo ovunque guidavamo la Provvidenza, autorizzate dai principali pastori. Il successo corrispose ai suoi lavori; riaccese lo zelo del devo, e dove {274 [488]} non ali riuscì di risvegliarlo, vi suppliva per se stesso, e per mezzo di degni operai da lui chiamati a compagni. Per rendere più fecondo il suo ministero associo a quello gli uffizi tutti della carità: credevasi risponsabile di tutto il bene che si trascurasse di fare,e di tutto il male che si commettesse. Osservò che spesso le popolazioni della campagna non erano coltivate nè istruite; che gli stessi loro pastori lasciavanle languire nell'ignoranza e nel disordine. Infiammossi lo zelo di lui a pro di quelle; si credè appositamente spedito por annunziar moro il Vangelo, ed annunziammo con gioia tanto maggiore, quanto che trovò presso di loro più semplice la fede, im cuore più docile. Percorse con incredibile fatica me borgate, i villaggi, i più rimoti casali, i più inaccessibili luoghi. Colà penetrò in cerca delle anime, vili bensi agli occhi degli nomini ma preziose a quelli di Gesù Cristo. Insegnò loro i misteri di nostra santa religione, le regole della cristiana morale, e ricondusse alla casa paterna quei figli prodighi. Dilectus Deo et hominibus.

            Stabilitosi in Parigi, occupato io importanti incumbenze, non gli sfuggirono giammai {275 [489]} di mira i suoi amici, vale e dire i poveri. La tenerezza per loro parve nata con lui, rendevasi ad ogni ora più attiva e più ingegnosa per iscoprire e sollevare i loro bisogni. Noti havvi maniera di opere di carità, per la quale non rinvenisse inesauribili mezzi. I vecchi curvi sotto il peso degli anni, gli orfani, i trovatelli, i condannati alla galera, le intere provincie dalle querre intestine ed estere ridotte alla più orribile miseria, tutti trovarono in Vincenzo un padre, un liberatore. Agli uni procurò la salute, la libertà agli altri, a questi una cristiana educazione, a quelli. un onesto ritiro. Per cura di lui sorsero in Parigi magnifici ospedali per servire di ricovero ai poveri che ingombravano la vie di quella città. Non e' era bisogno che sfuggisse alla immensa carità dei sant' Uomo, ed affinchè non mancasse cosa alcuna all' eroismo di opere così grandi, alla cura delle anime quella ancora riuniva de' corpi. Dilectus Deo et hominibus.

            Fu per tal modo Vincenzo uno di quegli uomini di misericordia, la cui divozione vivrà mai sempre nei fasti della Chiesa. È Esso cui i re, i principi, i ministri, i {276 [490]} vescovi i magistrati, la nobiltà, il popolo, riguardarono come il Santo del secolo: Egli fu il modello de' pastori, il padre de' miseri, l’ appoggio de' vescovi, il consigliere dei re, il riformatore del clero, il difensore della Chiesa, l’ anima di tutto ciò che durante la sua vita si fece di grande per la gloria di Dio. Malgrado la povertà di cui faceva professione ha distribuito in vent'anni elemosine straordinarie. Il suo zelo non conobbe confini tranne quelli imposti all'universo. Senza uscire di Parigi in movimento metteva la Francia, la Gran Brettagna, l' Italia e la Polonia. Dopo aver saziato soli' ogni aspetto gli abitatori delle fredde Ebridi apportò nuove fiamme nei caldi climi, e si sforzò di santificare ad un tratto e lo schiavo d'Algeri, e l'indigeno del Madagascar. Egli è, le coi virtù eressero i propri trofei dell' uno e dell' altro popolo; che in tempi ne'quali la moltitudine de' peccatori sembrava minacciare la religione di totale rovina seppe sostenerla ad onta de' loro sforzi. Aprì alla medesima le case della sua congregazione come altrettanti asili, ed in quelle essa non solamente acquistò nuove forze, ma fece innumerabili conquiste. {277 [491]} I cristiani, e cui l'imbarazzo degli affari ed ancor più le proprio passioni, avevano chiuso gli occhi sulla gloria della celeste loro origine, rinvennero in Vincenzo e ne' suoi figli altrettante guide illuminale, altrettanti medici caritatevoli, che insegnarono loro a porre In non cote i beni caduchi della terra, ad apprezzare quelli del cielo. Coloro stessi che, apportando un cuore innocente in quei santi ritiri, vi andavano a formare il piano di un' alta perfezione, trovavano in Vincenzo mirabili esempi d'ogni virtù. `Tali furono i frutti degli esercizi spirituali di dieci giorni che Vincenzo stabili nello sue case. Mercè della solitudine, del silenzio, degli spirituali colloqui, della preghiera, delle sante letture, la divozione vi rianimò e continuamente prosegue a vie più rinvigorirsi. Dilectus Deo et hominibus.

            Ma principale cura del santo Sacerdote fu l'affaticarsi per la riforma del clero, persuase essere questo la sorgente, da cui la religione e la divozione si diffondono sui,popoli onde contribuire a questa grande opera. Vincenzo s' incaricò di preparare, e seconda delle disposizioni dei vescovi, gli {278 [492]} ordinandi al santo ministero. A tal fine non risparmiò spese nè fatiche per metterli alla prova. Istruzioni, preghiere, tutto fu impiegato per animare gli aspiranti a' sacri ordini e prepararli ad ascender all' altare coli' innocenza de' costumi e col profonde rispetto dovuto alle sante funzioni. Degnossi Iddio di porre il nostro Santo in grado di fare qualche cosa di più, preparando cioè dei degni vescovi per le chiese. Chiamato dalla regina madre Anna d'Austria reggente del regno al consiglio di coscienza contribuì moltissimo a far innalzare degli uomini apostolici alle primarie dignità della Chiesa: e si può asserire che il clero di trancia fu a lui debitore del lustro, di' cui risplendette. Che diremo poi delle conferenze sulla sacra Scrittura, sulla disciplina ecclesiastica, sui costumi de' pastori, delle quali Vincenzo fu il promotore' Che diremo della moltitudine do' seminari di cui forni lo stabilimento, cui diede dei regolamenti ed arricchì di saggi direttori? Dilectus Deo et hominibus.

            Le caritatevoli, premure di lui tutto abbracciavano; la salute del corpo egualmente che la salvezza dell anima formavano del {279 [493]} pari l'oggetto di sue vigili cure. Si vedeva abbassarsi alle più umili funzioni verso i poveri, ed esortare i moribondi con quella eloquenza dolce, insinuante, persuasiva, che animata dalla carità per lo più trova la ricompensa nel buon successo. Alle riunite loro fatiche sono appunto dovuti quegli stabilimenti che servono d' asilo alla miseria. Si videro essi posteriormente crescere in gran numero, e mediante la beneficenza de' popoli, lo zelo de' ministri e la tenera pietà de' pastori, si moltiplicano eziandio ai giorni nostri sotto la denominazione di ospizi di carità. Nell'Italia, nella Francia, in tutta l’ Europa sonori di tali pii stabilimenti, dove innumerevole quantità di poveri abbandonati trovano scampo alla loro miseria spirituale e temporale. Per tacer di tante altre città, la sola Torino conta due ospedali per fanciulli infermi; una casa pesi trovatelli; un ricovero di mendici; parecchi ospizi di carità per le persone adulte, sane od inferme; infine a' nostri giorni rediamo gloriosamente trionfare l’ opera colossale della Piccola casa della Divina Provvidenza sotto gli auspizi di S. Vincenzo de'Paoli, dove ogni sorta di miseria umana {280 [494]} trova rifugio e sollievo. Tali sono i frutti della semenza sparsa da s. Vincenzo de'Paoli, di quel grand' Uomo raro a Dio ed agli uomini. Dilectus Deo et hominibus.

            Mentre noi ammiriamo le sante sue opere, adopriamoci anche per imitar te sue virtù, e saremo sicuri di venir anche noi cari agli uomini; ma quello che più importa diverremo cari a Dio, il quale saprà largamente ricompensare ogni nostra azione col ricolmarci di benedizioni in terra per renderci un di partecipi della gloria che i beati, in compagnia di Vincenzo, godono in Cielo per tutti i secoli de' secoli.

 

            Frutto. Facciamo del bene mentre siamo in tempo; siccome poi l'ozio è sorgente funesta di tutti i mali: omnem malitiam docet otiositas; così la fuga dell'ozio, l'occuparsi in cose che tornar possano gradevoli al Signore, conduce alla virtù, al paradiso. Così sia. {281 [495]}

 

 

Al glorioso S. Vincenzo de' Paoli

 

            Che nato in Francia l'anno 1676, sedendo sopra la Cattedra di s. Pietro Gregorio XIII, destinato alla custodia della paterna greggia, applicato agli studi, laureato in teologia, ordinato sacerdote, fatto schiavo da' Barbari, venduto a tre padroni, l’ ultimo apostata riconduce alla fede, riceve in Roma secreti importantissimi per Enrico IV. Parroco zelantissimo e vigilantissimo rifabbrica in Clichy senza spese de' parrocchiani la chiesa che provede di mobili ed ornamenti, passa a Chatillon in Bresse, riforma i disordini dei clero, converte eretici, soccorre i poveri, e il popolo traviato per l’ errore riconduce sul sentiero della verità, ventottesimo abate di a. Leonardo di Chaume nella casa di Filippo Emanuele de Gondi conte de Joigny generate delle Galere di Francia, direttore di Francesca Margherita contessa di Silla, dama di gran virtù, aio illuminato dei tre loro figliuoli di cui il primo Duca e Pari di Francia, il secondo Cardinal di s. Chiesa, muore il terzo in età di undici anni; regio elemosiniere delle Galere di Luigi XIII, cui assiste in morte, limosiniere della Regina vedova Anna D'Austria, {282 [496]} suo consigliere per gli affari ecclesiastici, fondatore e primo superiore generale della congregazione de' preti secolari della missione e delle figlie della carità serve dei poveri, di varie compagnie di dame, di donne, di fanciulle in servizio degl'infermi, primo promulgatore del Vangelo nell' Isola di Madagascar per mezzo de' suoi Sacerdoti, instancabile operarlo nella vigna del Signore, manda i suoi a predicare per la Francia, Italia, Polonia, Scozia, Irlanda, Inghilterra, Barbaria e le Indie, ristoratore zelantissimo dell'onor del Sacerdozio di Gesù Cristo ristabilisce il decoro dei Clero di Francia, ripara l'ecclesiastica disciplina, fonda, promuove, dirige Seminari per li Chierici, apre scuola di Riti Sacri in s. Lazzaro di Parigi, instituisce gli esercizi spirituali per gli ordinandi e conferenze per gli Ecclesiastici, gli promuove per ogni sorta dì persone cui vuole aperte le case di sua congregazione, acerrimo oppugnator del vizio e dell'errore, difende con zelo i principi della fede e della morale dei vangelo, ha in orrore le nuove nascenti eresie, sempre sommesso all'autorità della Chiesa e dei suo Capo successor di s. Pietro, ne difende i diritti, rispetta i Vescovi, ubbidisce ai loro decreti, padre comune de'poveri, vero amico de miserabili per cui soccorso spende oltre le molte limosine segrete piú {283 [497]} di ventotto millioni e ottocento mila lire di Francia, fonda grandiosi Spedali dentro e fuori del Cristianesimo, cinque in Parigi per gli, esposti, per li forzati, per gli artisti per li mendici, per li discoli e pazzarelli, uno per li pellegrini nella terra di s. Regina diocesi d'Autun, uno in Marsiglia per li forzati, uno nella città d'Algeri per gli schiavi cristiani, promuove e coopera alla fondazione di vari Ospizi pel ricovero di fanciulle, provede di vitto cotidiano quindici mila poveri in Parigi e per trent'anni di medicine e di alimenti a moltitudine grande d'infermi in Francia, in Savoia, in Italia e in altre Provincie più rimote, rifugio di Ecclesiastici, di Religiose, di Dame, di Cavalieri costretti per amor della fede di abbandonare la Scozia, l'Irlanda, l'Inghilterra, a tutti provede ricovero vitto e vestito. Di tutti Vincenzo è padre, amico, consolatore, dispensa seicento mila lire ai popoli della Champagna e della Lorena desolati dalla peste, dalla fame, dalla guerra, un millione e seicento mila lire a quei della Lorena e dell'Ardesia, dodici mila scudi ai Maroniti del Libano, riscatta più di mille e duecento schiavi col prezzo d'un millione e duecento mila lire, sostenta nello Spirituale nel Temporale i Cristiani fra i Turchi io Tunisi, in Algeri, in Biserta, in Cales, in Petriera, ristora, fornisce di arredi sacri molte {284 [498]} chiese saccheggiate e rovinate per le guerre in procellosi tempi da intestine guerre civili, al popolo francese agitato oppresso pacifico mediator tra lui e il trono, buon ordine ridona, giustizia, sicurezza e pace, lodato da s. Francesco di Sales qual sacerdote di cui non conosceva nè il più degno nè il più prudente, avuto in sommo pregio da s. Gioanna Francesca Fremito de Chantal, scelto da entrambi in primo superiore e confessore delle religiose della Visitazione di Parigi cito assiste coli canta, instruisce con zelo, regola con prudenza per più di quarant'anni, amato da'sommi Pontefici, stimato da'più saggi Cardinali, rispettato da più ragguardevoli personaggi, consultato cune oracolo del secolo da'Principi, vescovi, Magistrati, Parroci, Dottori, Religiosi, Abati e Superiori di Comunità, benemerito di tutti gli Ordini regolari in Francia ne riforma varie Abazie e Monasteri di uomini e di donne.

 

A Vincenzo de' Paoli

 

            Che sempre applicato per la gloria di Dio, salute delle anime, decoro del Sacerdozio, soccorso de'poveri, affabile con tutti,semplice, umile, retto, benemerito della Religione, della Chiesa, dello stato, del 'umanità, pieno di meriti di virtù, di santità, di anni muore in s. {285 [499]} Lazzaro di Parigi sotto il Pontificato di Alessandro VII, reggendo lo scettro in Francia Ludovico XIV, onorato nelle esequie dalla presenza del Principe di Conti, della Duchessa di Aiguillon, di Monsignor Piccolomini Arcivescovo di Cesarea Nunzio del Papa, di molti prelati, Parrochi,ecclesiastici, Abati, religiosi, Cavalieri, dame. annoverato trai Beati da Benedetto XIII nel l729, solennemente. canonizzato in Roma da Clemente XII nel 1736, ammirato dappertutto come eroe della Cristiana carità ed umiltà venerato con culto singolare dagli Ecclesiastici.

 

 

 

L'AUTORE

A NOME DE'SUOI DIVOTI

QUESTO LIBRO

DEDICA B CONSACRA.

{286 [500]}

 

 

Indice

 

Cenni storici intorno alla vita di. San Vincenzo De'Paoli

 pag. 5

Giorno I. Carattere di San Vincenzo de'Paoli

 14

Giorno II. Sua imitazione di Gesù Cristo

 23

Giorno III. Sua carità verso de'mendici.

 29

Giorno IV. Amore del Santo per Dio.

 36

Giorno V. Sua carità verso il prossimo e specialmente verso de' condannati alle galere

48

Giorno VI. Servigi resi dal Santo ad ogni grado di persone

 60

Giorno VII. Conversioni operate da San Vincenso de'Paoli.

 70

Giorno VIII. Della sua dolcezza..

 85

Giorno IX. Delle sue divozioni particolari

 98

Giorno X. Dell' eguaglianza del suo spirito.

 106

Giorno XI. Dell' umiltà di S. Vincenzo de'Paoli

 111

Giorno XII. Della sua fede.

 121

Giorno XIII. Delle sue massime.

 127

Giorno XIV. Sua mortificazione....

 139 {287 [501]}

Giorno XV. Sue occupazioni.

 pag.  150

Giorno XVI. Sua pazienza

 159

Giorno XVII. Sua povertà

 169

Giorno XVIII. Sua prudenza.

 176

Giorno XIX. Sua purità

 183

Giorno XX. Sua Gratitudine.

 192

Giorno XXI. Suo rispetto verso i Superiori ecclesiastici

 197

Giorno XXII. Suoi ritiri spirituali.

 204

Giorno XXIII. Sua semplicità.

 214

Giorno XXIV. Della sua confidenza in Dio

 221

Giorno XXV. Sua uniformità al divino volere 

 228

Giorno XXVI. Della sua condotta.

 234

Giorno XXVII. Sue Missioni.

 242

Giorno XXVIII. Suo zelo per la gloria di Dio e per la salvezza delle anime.

 251

Giorno XXIX. Del ateo disinteresse e del suo distacco dai beni della terra.

 259

Giorno XXX. Sua preziosa morte.

 267

Giorno XXXI. Elogio per la. festa del Santo

 272

Omaggio a San Vincenzo.

 282

 

 

 

 

 

FINE

{288 [502]}

 



[1] Si allude all'opera Cottolengo detta piccola Casa della Divina Provvidenza sotto gli auspizi di S. Vincenzo de' Paoli, in cui sono ricoverati oltre mille poveri tra infermi ed abbandonati.




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