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  San Giovanni Bosco - Opere Edite.

IL PONTIFICATO DI SAN SISTO II E LE GLORIE DI SAN LORENZO MARTIRE

 

per cura del Sacerdote

BOSCO GIOVANNI

 

K

 

La lettera dell'alfabeto segna il numero progressivo de' fascicoli riguardanti la Vita dei Papi

 

 

TORINO

TIP. G. B. PARAVIA E COMP.

1860 {1 [269]} {2 [270]}

 

 

 

 

INDEX

Capo I. Singolare prerogativa del papato - Patria, stadio di s Sisto - Incontra s. Lorenzo - Viene eletto Pontefice. 3

Capo II. Eresia de' Sabelliani - Ossequio di s. Dionigi alessandrino alla S. Sede. 4

Capo III. S. Lorenzo - Sua patria - Suoi genitori - Va a Roma - Suo zelo in questa città. 4

Capo IV. Rinnovamento della persecuzione di Valeriano - Parole di s. Sisto al suo clero - È condotto alla presenza dell'imperatore. 6

Capo V. S. Sisto disprezza il culto degli Dei. - Suo colloquio con s. Lorenzo. 7

Capo VI. S. Lorenzo distribuisce i tesori della Chiesa ai poveri - Opera un miracolo in casa di s. Ciriaca, ed un altro in casa di s. Narcisso - Esorta alla fermezza nella fede. 8

Capo VII. Confessione di s. Sisto. Compie il suo martirio. 9

Capo VIII. S. Lorenzo dà miracolosamente la vista a molti ciechi - Converte Ippolito carceriere - Invece di tesori raduna una schiera di poveri dinanzi all'imperatore - Principio dei suoi patimenti. 10

Capo IX. S. Lorenzo viene esposto a nuovi flagelli. Conversione e martirio di s. Romano soldato. 11

Capo X. S. Lorenzo è di nuovo interrogato - È condannato al fuoco - Sua eroica fortezza - Compie il martirio. 12

Capo XI. Chiese in Roma edificate in onore di S. Lorenzo. 13

Capo XII. Molti operai sono prodigiosamente alimentati. Miracolo avvenuto nella ristorazione di un tempio dedicato a s. Lorenzo. 15

Capo XIII. Maraviglie intorno al sangue di s. Lorenzo. - Reintegrazione di un calice avvenuta in Milano. - Storia di una singolare guarigione della cecità. 16

Capo XIV. Rispetto alle reliquie del Santo. - Prodigiosa vittoria riportata da s. Enrico. - Profanazione del giorno festivo punita. 17

Capo XV. Miracolosa liberazione di prigionieri - Altare preservato dalle fiamme - Santificazione del dì festivo ricompensata. 18

Capo XVI. Un contadino è liberato dalla pioggia - Altri sono puniti per la violazione della festa del santo. 19

Capo XVII. Pioggia prodigiosa - Prodigio succeduto alla tomba di s. Lorenzo. 20

Capo XVIII. Chiesa di s. Lorenzo in Torino. Voto del duca Emanuele Filiberto. 21

Varieta' . Regola di vita cristiana. 22

Non malignare contro ai ministri di Dio. 23

Col Signore non si burla. 23

Indice  23

 


Capo I. Singolare prerogativa del papato - Patria, stadio di s Sisto - Incontra s. Lorenzo - Viene eletto Pontefice.

 

            Fra le cose che recano maraviglia a chi considera la dignità del sommo Pontefice avvi certamente quella che qualunque cristiano può divenir Papa. La nostra santa cattolica religione si estende a tutti i paesi del mondo, e come arca di salute riceve nel suo seno tutti quelli che vogliono rifugiarsi in essa. Ma questa Chiesa è una madre pietosa che riceve ogni cristiano come suo figlio, e li considera tutti come teneri oggetti di materno affetto, comandando di riguardarci tutti come fratelli nel cospetto della religione. Così ogni cristiano può quindi intraprendere la carriera degli studi, abbracciare lo stato ecclesiastico, divenire {3 [271]} pretti, vescovo, cardinale ed anche papa, ed a tata dignità possono tutti pervenire, qualunque ne sia la condizione ed il paese della terra ove eglino ebbero i loro natali.

            Non è adunque la gerarchia della Chiesa una delle più belle e popolari istituzioni, anche considerata sotto all'aspetto politico? Non dovrà essere da noi grandemente amata e venerata una dignità che è la più sublime sopra la terra, la più grande presso Dio, a cui noi tutti possiamo pervenire, qualora siano tali i disegni di Dio? Nè queste sono semplici congetture, ma coso di fatto. Abbiamo già veduto e lo vedremo ognor più nella vita de' sommi Pontefici, che poveri pescatori, contadini, guardiani di armenti, e semplici operai, nati in paesi assai lontani da Roma, pure chiamati da Dio acquistarono scienza e virtù necessaria e pervennero alla dignità di supremo gerarca della Chiesa. La vita di s. Sisto II, di cui imprenderemo a raccontare le azioni, somministra chiara prova di quanto diciamo.

            Egli era nato in Atene, celebre città della Grecia. I suoi parenti erano gentili, ed egli pure fu educato nel culto degli Dei. Giunto all'età capace, fecesi filosofo, {4 [272]} cioè si pose a studiare con grande ardore tutte quelle scienze, che sembravano più atte a fargli conoscere la vera religione. Se non che quanto più meditava le scienze profane, tanto più le trovava mancanti delle basi necessarie per giungere alla verità. Dio dispose che egli conversasse con cristiani, e si ponesse a studiare la loro religione. Questo studio congiunto colla grazia del Signore appagò interamente il suo cuore, e rinunziando alla superstizione degli Dei, ricevette il battesimo, e divenne fervoroso cristiano. A fine di erudirsi vie maggiormente nella cristiana religione, andò a Roma, e per mettersi al ripiro dai grandi pericoli che s'incontrano nelle grandi città, entrò ne' canonici regolari; cioè entrò in una specie di seminario, dove i genitori solevano mettere i loro figliuoli per farli progredire nella scienza e nella pietà, lungi dai pericoli del mondo.

            I suoi grandi progressi nella dottrina e nella virtù lo resero celebre fra tutto il clero di Roma, e dopo aver percorso i vari gradi della milizia sacerdotale, fu da santo Stefano innalzato alla dignità di arcidiacono, che corrisponde alla dignità di cardinale arcidiacono, che si può considerare come la prima dignità dopo il Papa. {5 [273]}

            Alcuni scrittori raccontano che s. Sisto fu inviato ad assistere un concilio a nome del Papa in Toledo, città di Spagna. Mentre ritornava da quel concilio, passò per una città detta allora Cesaraugusta, ed oggidì Saragozza, ove si trattenne qualche tempo con s. Valerio vescovo di quella diocesi. Egli udì molto a parlare delle virtù e dello zelo esercitati da un giovane ecclesiastico. S. Sisto ne fu rapito, e volle vederlo, e considerando il gran bene che il giovane ministro avrebbe potuto fare nella capitale della cristianità, lo risolse a venir secolui a Roma. Questo ecclesiastico è s. Lorenzo martire, di cui noi avremo in breve molte cose a raccontare. (Boll. 10 ag.)

            La prudenza, l'erudizione, lo zelo, il coraggio, la carità di s. Sisto erano universalmente conosciute, e quando s. Stefano fu coronato del martirio, si radunarono i sacri ministri, che noi chiamiamo i cardinali della Chiesa Romana, e con unanimi applausi elessero s. Sisto a successore del martirizzato Pontefice.

            Questo fatto compievasi l'anno 200 il 24 agosto in giorno di sabato, dopo che la Santa Sede era stata vacante 22 giorni. (Giacomo in Sisto II.) {6 [274]}

            S. Sisto è il 25° nella serie de' Pontefici da s. Pietro a lui. È detto Sisto II per distinguerlo da Sisto I, che fu Papa prima di lui. Dicesi pure iunior, ovvero più giovane non per ragione di età, ma perchè fu eletto in tempi posteriori al pontificato di Sisto I.

 

 

Capo II. Eresia de' Sabelliani - Ossequio di s. Dionigi alessandrino alla S. Sede.

 

            La prima cosa che occupò lo zelo del novello Pontefice fu l'eresia de' Sabelliani, cosi detta da Sabellio che ne fu l'autore. Era costui di Tolemaide, e cominciò a predicare i suoi errori l'anno 250. Fra le altre cose diceva che non eravi distinzione alcuna tra le persone della SS. Trinità, epperciò che il Padre era morto sulla croce come il Figliuolo e lo Spirito Santo. A questo aggiungeva molte altre empietà, permettendo ogni sorta di laidezze a' suoi seguaci.

            S. Dionigi, celebre vescovo di Alessandria, fu il primo a scoprire l'errore ed alzare coraggiosamente la voce contro alla setta novella; ma vedendo il male farsi ogni giorno più grave, pose in iscritto la dottrina {7 [275]} de' Sabelliani, soggiungendovi una dotta confutazione, e la mandò in forma di lettera al sommo Pontefice, affinchè egli colla sua suprema autorità potesse vie meglio giudicare e condannare quel nemico della fede, che tutto adoperavasi per allontanare i fedeli dalla dottrina del Vangelo.

            S. Sisto si adoperò con grande sollecitudine a combattere quest'eresia, ma la brevità del suo pontificato e il rinnovarsi della persecuzione di Valeriano lo impedirono di poterla totalmente estinguere; e la Chiesa ne fu ancora turbata per molti anni.

            S. Dionigi scrisse più lettere a s. Sisto per dargli ragguaglio di cose riguardanti alla religione, o per consultarlo in alcune diffìcili questioni, specialmente in fatti particolari che riguardavano il battesimo amministrato dagli eretici. È vero che s. Stefano avea già deciso che non si introducesse innovazione alcuna su tale materia, cioè che il battesimo amministrato dagli eretici era valido, purchè fosse conferito colle parole e colla materia stabilita da Gesù Cristo. Ma eranvi molti i quali, perchè battezzati dagli eretici, dubitavano se a loro {8 [276]} riguardo fosse stata osservata la debita materia e forma.

            S. Dionigi in uno di questi dubbi, per timore di sbagliarla, ricorse al Papa con una lettera piena di ossequio. Fu a me deferito, egli dice, un caso intorno a cui non oso pronunziare definitivo giudizio, perchè temo di sbagliarmi: Consilium quaero, tuamque vehementer exposco sententiam. Chiedo il tuo consiglio, e con viva istanza dimando che su tale materia tu proferisca la tua sentenza.

            Il Pontefice esaminò il caso, e trovò che le ragioni esposte lasciavano un vero dubbio sulla validità del Sacramento, perciò rispose che si dovesse rinnovare questo Sacramento sotto condizione, non perchè fosse amministrato da un eretico, ma perchè sembrava essersi ommesse alcune cose essenziali.

            Questa è la regola che segue tuttora la Chiesa cattolica nell'accogliere nel suo seno coloro che sono stati battezzati nell'eresia. (Bar., anno 260.) {9 [277]}

 

 

Capo III. S. Lorenzo - Sua patria - Suoi genitori - Va a Roma - Suo zelo in questa città.

 

            Fra i santi, di cui si celebra la solennità con pompa speciale nel corso dell'anno, avvi quella di s. Lorenzo martire, che i santi Padri ed i più insigni scrittori delle cose ecclesiastiche lodano unanimi con una specie di entusiasmo. Tutta la Chiesa, dice s. Massimo vescovo di Torino, si unisce per applaudire ai trionfi riportati da questo glorioso atleta di Gesù Cristo, e per attestargli il tributo di venerazione che si meritò col luminoso suo martirio[1].

            Egli era nato nella città di Cesaraugusta ovvero Saragozza, nella Spagna. Sua madre chiamavasi Pazienza, suo padre Orenzio, ambidue venerati sugli altari. Questi buoni genitori possedevano molte ricchezze, e ne facevano il miglior uso che possa farne un cristiano. Ma non avendo eredi delle loro {10 [278]} sostanze, ricorsero a Dio colla preghiera, e Dio li consolò, concedendo loro due figliuoli, uno dei quali fu chiamato col nome del padre Orenzio, l'altro Lorenzo, di cui parliamo.

            I due fratelli mostrarono fin da giovanetti che Dio li chiamava a farsi gran santi. Nello studio, nella pietà, nell'ubbidienza, erano proposti a modello di tutti i loro coetanei. I genitori dal canto loro non risparmiavano nè spese, nè sollecitudini pel buon esito della educazione de' loro figliuoli. Giunti essi all'età capace di conoscere la propria vocazione, si risolsero ambidue di servire il Signore nello stato ecclesiastico.

            S. Valerio, vescovo di quella città, era loro guida spirituale, e dopo di averli istruiti nelle scienze ecclesiastiche, li promosse ai sacri ordini.

            Mentre s. Lorenzo era tutto zelo per guadagnare anime al Signore, e colle sue virtù traeva in ammirazione la città di Saragozza, passò colà s. Sisto che, come abbiamo detto, ritornava dal concilio di Toledo. Giudicando Sisto che un ingegno cosi raro avrebbe in Roma trovato maggior comodità per istruirsi, e più vasto campo per promuovere la gloria di Dio, seco lo condusse in quella grande capitale. {11 [279]}

            S. Lorenzo giungeva con s. Sisto a Roma quando la Chiesa era orribilmente travagliata dalla persecuzione, dall'eresia e dagli idolatri. D'accordo con s. Sisto, egli continuò a lavorare nella vigna del Signore durante il pontificato di s. Stefano, e si crede che da questo Papa fosse elevato alla dignità di cardinale; infine dallo stesso s. Sisto venne creato arcidiacono, ossia primo diacono del clero romano. (Ciaconio in Sisto II.)

            L'ufficio di arcidiacono è quello di assistere il Pontefice quando celebra il santo sacrifizio della Messa, e distribuire ai fedeli la santa comunione. Anticamente però l'arcidiacono aveva cura eziandio de' vasi sacri, invigilava sulla disciplina di tutti gli impiegati della Chiesa Romana, e teneva conto delle limosine de' fedeli e di tutto il tesoro del sommo Pontefice, col quale provvedeva agli orfani, alle vedove ed ai varii bisogni della Chiesa. Noi possiamo dire che l'arcidiacono della Chiesa Romana, se è permesso usare parole profane ad esprimere cose sacre, era come il ministro di finanze di un sovrano.

            S. Sisto amava molto questo suo caro discepolo, perchè l'aveva egli medesimo {12 [280]} condotto a Roma, e perchè l'aiutava grandemente ne' varii uffizi del sacro ministero. Predicava egli con zelo la parola di Dio; era attento nel portare soccorsi spirituali ed anche temporali agli infermi, ai carcerati. Penetrava perfino nelle tombe, ove nascondevansi quelli che fuggivano le persecuzioni; e talvolta si mischiava nella folla del popolo, si portava dinanzi ai tribunali in faccia ai giudici, e fu veduto accanto ai medesimi carnefici per far coraggio ai cristiani, quando erano condotti al martirio. Ma la virtù, che rendeva s. Lorenzo caro al santo Pontefice, era la castità che luminosamente risplendeva nelle sue parole e in tutte le più piccole sue azioni.

            S. Lorenzo dal canto suo ravvisava nel Pontefice un vero padre dell'anima sua. E come s. Giovanni evangelista provava le più grandi delizie nell'ascoltare le parole del Salvatore, specchiandosi nel suo volto divino e riposandosi sul medesimo suo seno; così s. Lorenzo non vedeva in s. Sisto che il Vicario di Gesù Cristo. Le sue parole erano per lui un balsamo, ogni sguardo un conforto, ogni conversazione era una sublime istruzione. Questa tenera affezione di s. Lorenzo verso il Pontefice faceva sì che {13 [281]} sebbene sul fiore di sua età, non altro desiderava che vivere o morire col suo maestro, aiutarlo in vita o andare con lui a godere la felicità del cielo.

 

 

Capo IV. Rinnovamento della persecuzione di Valeriano - Parole di s. Sisto al suo clero - È condotto alla presenza dell'imperatore.

 

            Valeriano sul principio del suo regno era favorevole ai cristiani, ma dipoi, come si è detto, ingannato da un mago egiziano e dai sacerdoti degli idoli, cominciò ad averli in avversione, a perseguitarli, e in fine a condannarli a morte.

            L'imperatore da prima proibì le pratiche religiose, e i fedeli non potendosi più radunare liberamente facevano le loro adunanze ne' cimiteri o nelle catacombe. Le quali cose, sebbene avessero luogo di nascosto, tuttavia non tardarono di giungere a notizia di Valeriano. Esso da prima decretò la pena di morte a tutti quelli che fossero in tali luoghi rinvenuti. Siccome poi per combattere la religione bisogna anzitutto combatterne i ministri, cosi Valeriano diede ordine che fosse fatta rigorosa indagine di {14 [282]} vescovi, preti, diaconi. La nobiltà, i senatori, gli impiegati del governo fossero prima dismessi dalle loro cariche, di poi spogliati de' loro beni, quindi, se perseveravano a dichiararsi cristiani, venissero decapitati (Baronio, anno 260-1.)

            S. Sisto, che alla qualità di vescovo univa quella di capo de' cristiani, fu fatto cercare con ordine di presentarsi col suo clero all'Imperatore. Il prudente pontefice, avanti di recarsi da Valeriano, saputo che si andava in cerca di lui, radunò que' preti, diaconi ed altri ministri che potè, e tenne seco loro questo discorso; «Miei fratelli e compagni, il tempo della persecuzione è ritornato; noi dobbiamo essere messi alla prova. Ma non temete, non lasciatevi atterrire dai mali che ci sono minacciati. Richiamiamo alla memoria gli esempi dei santi martiri che ci hanno preceduto. Coloro sostennero con fortezza ogni genere di tormenti per giungere sicuri alla palma del martirio ed alla vita eterna. Il Signor nostro Gesù Cristo primo di tutti ce ne diede luminoso esempio; egli soffrì la più dolorosa passione per fare a noi coraggio a patire.»

            Giunto a questo punto il pontefice apparve {15 [283]} come infiammato di eroica carità e con forte voce disse: Venite; nulla temete, seguitemi. Dio è con noi.

            Erano presenti due diaconi, uno di nome Agapito, l'altro Felicissimo, i quali risposero: Voi dite bene, o Padre santo; noi ci armeremo di grande coraggio e riporremo tutta la nostra fiducia in Gesù Cristo; ma senza di voi dove andremo, chi sarà nostra guida in mezzo a tanti gravi pericoli?

            Mentre Sisto voleva rispondere, sopraggiunsero alcune guardie che legarono il santo Pontefice co' diaconi Agapito e Felicissimo, e li condussero tutti dall'Imperatore.

            Il principe cominciò ad interrogare il Pontefice nel modo seguente: Sai tu perchè fosti preso e condotto alla mia presenza?

            S. Sisto rispose: Credo di saperlo perfettamente. Tu mi hai fatto venir qui per interrogarmi intorno alla cristiana religione.

            Imperatore: Se lo sai, parla chiaramente a tutti, e con una parola li potrai tutti disingannare. Così tu potrai condurre i tuoi giorni in pace, ed accrescere il numero de' tuoi ministri. {16 [284]}

            S. Sisto: È questo appunto che ho fatto in passato e fo al presente: cioè mi sono adoperato e mi adoprerò tuttora per avere molti e buoni sacerdoti.

            Imperatore: Dunque se vuoi accrescere il numero de' tuoi preti, fa un sacrifìcio, e ti faremo capo di tutti i sacerdoti dei nostri Dei.

            S. Sisto: Ti assicuro, che ho sempre sacrificato e sacrifico ogni dì non agli Dei, ma a Dio Padre onnipotente, e a Gesù Cristo Signor nostro sue figliuolo, ed allo Spirito Santo. Il mio sacrificio non è fatto con carne di miseri animali, ma con un'ostia pura ed immacolata.

            Imperatore: Non renderti ostinato. Abbi riguardo alla tua età avanzata, io sono disposto a favorirti. Con un sacrificio farai bene a te ed al tuo clero.

            S. Sisto: Finora ho sempre fatto quanto ho potuto per far del bene a me ed al mio clero, e credo di aver fatto bene sforzandomi di liberare essi e me dall'abisso della eterna perdizione.

            Imperatore: Le ciancio a monte; fa un sacrificio sull'istante, altrimenti sarai sottoposto a pene tali, che serviranno a te di avviso, agli altri di esempio. {17 [285]}

            S. Sisto: L'ho già detto una volta, e te lo dico di nuovo e lo dirò sempre che io fo il mio sacrificio a Dio e al Signor Gesù Cristo Figliuolo di lui.

            L'Imperatore interruppe ogni colloquio, e rivolgendosi a' suoi soldati: prendetemi costui, disse, e conducetelo al tempio di Marte, affinchè faccia un sacrificio; se mai si rifiutasse, lo condurrete nella carcere Mamertina, di poi eseguirete gli ordini che sarò per darvi.

 

 

Capo V. S. Sisto disprezza il culto degli Dei. - Suo colloquio con s. Lorenzo.

 

            I soldati fedeli esecutori degli ordini imperiali prendono il santo Pontefice e legatolo con catene lo conducono al tempio che era fuori della porta Capena lungo la via Appia. Giunti al luogo stabilito fecero ogni sforzo per risolvere il nostro Santo a compiere l'empia offerta, e poichè egli rifiutavasi con fermezza gli facevano violenza per costringerlo a dire una parola o a fare eziandio la minima azione che potesse interpretarsi fatta a favore di quella divinità.

            Il nostro Santo mosso a compassione {18 [286]} della cecità di que' soldati infelici, loro diceva: in vece di piangere la sventura di chi adora idoli vani, sordi e muti, volete venire voi stessi ad adorarli! Non sapete che questi Dei non recano alcun aiuto, nè a voi, nè a loro stessi? Deh! miei cari figliuoli, ascoltate le mie parole, io vi insegnerò quale sia il vero Dio che dovete adorare; quel solo Dio che può liberare le vostre anime dall'eterna perdizione. Non vogliate paventare i tormenti temporali, che sono pene di un momento, temete piuttosto i supplizi eterni, che non hanno più fine. È vero che voi avete adorato gli Dei, ma ciò faceste ignorando che quegli idoli fossero altrettante statue stupide ed insensate. Avendo fatto tal cosa per ignoranza Dio vi perdonerà. Fate penitenza, convertitevi a lui, credete in lui.

            Voleva continuare il suo discorso per illuminare que' soldati, ma non lo vollero più ascoltare. Lo presero e lo condussero nella carcere Mamertina insieme con Felicissimo ed Agapito.

            S. Lorenzo da qualche distanza aveva attentamente osservato l'amato suo maestro e quando vide che era menato in prigione, spinto dal desiderio di andarlo ad assistere {19 [287]} nel carcere e di essergli compagno nella gloria del martirio, si fe' strada in mezzo alla gente che intorniava il santo Pontefice, e appena gli fu vicino ad alta voce prese a parlargli così: Dove andate, o padre santo, senza di me vostro figliuolo? Dove volete andare, o santo sacerdote, senza di me vostro diacono? Voi non foste mai solito a far sacrificio senza ministro. Che cosa ho mai fatto che siavi dispiaciuto, o padre santo? Mi avete forse trovato indegno di accompagnarvi? Temete forse del mio coraggio? Fatene la prova e vedrete se vi siete scelto un buon ministro o no per distribuire ai fedeli il corpo e il sangue del Signore. Volete forse impedire che sparga con voi il proprio sangue colui che voi sceglieste a dispensare il sangue del Signore? L'avvilimento del discepolo è a danno del maestro. So che mi amate, ma ricordatevi che Abramo non esitò un istante a mostrarsi pronto di sacrificare il suo proprio figliuolo. L'apostolo Pietro, vostro antecessore, mandò prima di sè al cielo il diacono s. Stefano, così voi, o padre santo, fate conoscere il vostro coraggio nella persona del vostro figlio, ed offerite al Signore colui che voi avete ammaestrato. {20 [288]} Così accompagnato, voi giungerete più lieto e più glorioso alla palma del martirio.

            Il santo Pontefice, che teneramente amava il suo caro allievo, fu commosso a quelle filiali espressioni, e lo appagò con questa risposta. Figliuol mio, io non ti abbandonerò giammai, ma ora non puoi venir meco, perchè dovrai sostenere maggiori battaglie per la fede. Noi che siamo vecchi terminiamo la nostra vita con minori pugne, ma a te, più giovane e più forte, è riserbato un più glorioso trionfo. Presto mi seguirai; cessa di piangere; dopo tre giorni il ministro terrà dietro al sacerdote.

            Con queste parole il santo Pontefice prediceva a s. Lorenzo che a lui era riserbato un martirio più doloroso, e che questo avrebbe avuto luogo tre giorni dopo.

            E bene, Sisto continuò a dire al santo diacono, è bene che vi sia questo spazio di tempo; perchè tu non devi portare vittoria sotto al comando del maestro, quasi egli ti fosse di aiuto e di conforto. Tu sarai solo a patire affinchè tutta tua e di Gesù Cristo ne sia la gloria. A che può servirti la mia presenza? Gli allievi deboli e paurosi vadano prima del maestro; ma quelli che sono forti e coraggiosi vengano {21 [289]} dopo, affinchè vinca senza maestro chi non ha bisogno di aiuto. Così fece Elia; egli lasciò Eliseo, ma la virtù del maestro restò nel discepolo. Intanto, o figliuol mio, va, distribuisci a chi è nel bisogno que' denari e quelle sostanze che rimangono ancora a nostra disposizione.

            Mentre il Pontefice così parlava, le guardie lo interruppero, e co' suoi diaconi Agapito e Felicissimo il condussero in prigione.

 

 

Capo VI. S. Lorenzo distribuisce i tesori della Chiesa ai poveri - Opera un miracolo in casa di s. Ciriaca, ed un altro in casa di s. Narcisso - Esorta alla fermezza nella fede.

 

            S. Lorenzo partì dal santo Pontefice, e secondo gli ordini ricevuti si pose a fare la distribuzione dei tesori ai poveri. Egli impiegò un'intera notte andando in cerca di bisognosi. Ovunque avesse trovato chierici od altri fedeli nascosti per fuggire la persecuzione, dava loro soccorso secondo il bisogno. Nelle varie corse egli andò sul monte Celio, che noi chiamiamo s. Giovanni in Laterano, ove incontrò una moltitudine di cristiani radunati in casa di una {22 [290]} virtuosa cristiana di nome Ciriaca. Era costei una ricca signora rimasta vedova in giovanile età. Per impiegare santamente le sue fatiche e le sue sostanze radunava in casa molti fedeli somministrando loro quanto occorreva, e questo faceva per tenerli nascosti ai persecutori. S. Lorenzo dopo aver distribuito alcuni denari ed altri sussidii secondo i varii bisogni, ad esempio del Divin Salvatore cominciò a lavare i piedi a ciascuno di que' fedeli. Era questo un grande atto di carità e di umiltà che i cristiani primitivi solevansi prestare vicendevolmente nel farsi visite. Così pure il nostro Divin Salvatore aveva fatto e raccomandato ai cristiani di seguirne l'esempio[2]. Ciriaca compresa da {23 [291]} venerazione verso s. Lorenzo corse a gittarglisi a' piedi e gli disse: Per amor di Gesù Cristo io ti scongiuro di alzare la tua mano sopra di me, perchè da molto tempo sono soggetta a crudo mal di testa.

            S. Lorenzo spinto dalla carità e dalla fede di quella fervorosa cristiana disse: In nome del nostro Signor Gesù Cristo figlio di Dio onnipotente metterò la mano sopra il tuo capo. Facendo quindi sopra di lei il segno della santa croce, collocò pure sopra di Ciriaca quel pannolino che aveva servito ad asciugare i pie di quei santi cristiani. In. quel momento Ciriaca rimase del tutto guarita.

            S. Lorenzo continuò la ricerca de' cristiani andando di casa in casa e nelle stesse catacombe. Giunto ad un vicolo, che dicesi Calario, trovò un'altra moltitudine di cristiani radunati in casa di un sant'uomo di nome Narcisso. Colà fu condotto a san Lorenzo un cieco chiamato Crescenzio. Esso {24 [292]} aveva già più volte udito a parlare de' miracoli che s. Lorenzo operava a favore degli infelici, e pieno di confidenza e di desiderio di essere guarito, colle lagrime agli occhi, cominciò a pregarlo così: Deh! io ti prego per amor di Dio, metti la tua mano sopra gli occhi miei affinchè io abbia la consolazione di vedere il tuo sembiante.

            S. Lorenzo asciugandogli le lagrime disse: Il Signor nostro Gesù Cristo, che aprì gli occhi del cieco nato, ti guarisca dal tuo male e ti doni la vista. Di poi fece sopra di lui il segno della santa croce, e in quell'istante si aprirono gli occhi e Crescenzio ricuperò perfettamente la vista.

            Dalla casa di Narcisso s. Lorenzo andò nella cripta Nepoziana dove pure erano sessantatrè fedeli nascosti a motivo della persecuzione. Egli offerì varii soccorsi, di poi li confortò e li incoraggiò ad essere fermi nella fede ed a mostrarsi pronti a patire la povertà, la fame ed anche la morte per amore di Gesù Cristo. Fra gli altri eravi colà un sacerdote, di nome Giustino, ordinato prete da s. Sisto. Quel sacerdote e s. Lorenzo andavano a gara per esercitare l'un verso l'altro la carità. Ma s. Lorenzo avendo detto a s. Giustino {25 [293]} che per amore di Gesù Cristo doveva anch'egli lasciarsi lavare i piedi, il santo sacerdote acconsenti. Allora il santo diacono compì quell'umile uffizio di carità a tutti coloro che erano in quella cripta.

 

 

Capo VII. Confessione di s. Sisto. Compie il suo martirio.

 

            Mentre s. Lorenzo compieva con zelo apostolico le sue opere di carità accompagnate da molti miracoli, s. Sisto gemeva nella carcere stretto con dure catene. Fattosi giorno il santo Pontefice fu condotto alla presenza di Valeriano co' suoi due diaconi Felicissimo ed Agapito.

            Fingendo compassione l'imperatore disse al santo Pontefice: Prima di prendere severe determinazioni a tuo riguardo, ho voluto farti ancora venire una volta alla mia presenza, e questo feci pel rispetto che ho all'avanzata tua età. Ascoltami adunque, ed eseguisci gli ordini miei: fa un sacrifizio.

            S. Sisto die' un compassionevole sguardo al principe, di poi con aria risoluta rispose: Gran cosa vuoi far tu, o principe, {26 [294]} volendo provvedere a me stesso. Ma t'inganni, dovresti piuttosto badare a salvar te medesimo, e far penitenza de' delitti commessi nello spargere tanto sangue cristiano.

            Valeriano ebbe a male tali avvisi, e riputandosi offeso, rispose: Chi è costui che osa insultare la nostra maestà? Egli sia punito colla pena di morte, e gli venga troncata la testa.

            Felicissimo ed Agapito si volsero al principe ed a tutti gli astanti dicendo: Miseri che siete, quale grande errore non è mai il vostro! Non vogliate disprezzare colui che vi parla a nome di Dio creatore del cielo e della terra. Se voi ascolterete gli avvisi del padre nostro, voi eviterete quei terribili tormenti che a voi sono preparati, e che vi dovranno tormentare in eterno.

            Valeriano ne fu ancor più sdegnato; E che, disse, dovremo ancora lasciar vivere costoro che ci minacciano tormenti? Siano sull'istante condotti per l'ultima volta al tempio di Marte; e se si rifiuteranno di fare sacrifizio a questo nostro gran Dio, sia loro in quel medesimo luogo troncata la testa. {27 [295]}

            Allora furono tutti condotti fuori della città per la porta Appia, che conduceva al luogo stabilito. Lungo il cammino il coraggioso Pontefice faceva animo a' suoi due discepoli, esortandoli a rimanere costanti nella fede, e dare volentieri la vita per amore di colui che primo l'avea data per loro. «Non vogliate giammai piegarvi a prestare culto di sorta agli idoli, diceva ad alta voce, questi Dei sono statue vane, sorde, mute, di pietra, cui soltanto gl'infelici prestano venerazione. Quelli, che li adorano, perdono la vita eterna, e si condannano a pene, che non finiranno mai più.»

            Giunto finalmente vicino al tempio di Marte, rimirandolo con aria di compassione, disse con disprezzo: Gesù Cristo, figliuolo di Dio vivo, ti distrugga. La moltitudine de' cristiani sparsi fra la turba risposero tutti con una voce: Amen, così sia.

            Subito una parte di quel tempio cadde, e andò in polvere. In quel momento giunse s. Lorenzo, e vedendo il padre dell'anima sua vicino ad essere coronato del'martirio, quasi invidiando la sorte di lui: Padre santo, gli disse ad alta voce, non mi abbandonare. I tesori della Chiesa li ho già distribuiti {28 [296]} a' poveri, secondo gli ordini che mi avete dato. Il Pontefice disse: Coraggio, o figliuol mio, fra breve mi seguirai.

            Non potè dire di più. perciocchè i soldati, avendo udito s. Lorenzo a parlare di tesòri, lo arrestarono subito, e lo affidarono ad un cavaliere romano di nome Ippolito, che aveva la custodia delle carceri.

            Intanto s. Sisto fu preso e condotto in una catacomba vicina, e per incutere terrore a tutti quelli che andavano a nascondersi in que' luoghi, fu colà stesso decapitato.

            Agapito e Felicissimo subirono il medesimo supplizio vicino al tempio di Marte. Eseguita la sentenza, le guardie e gli altri pagani se ne andarono alle case loro. Ma fattasi notte, una schiera di sacerdoti, di diaconi, di altri chierici con molti cristiani andarono a raccogliere i cadaveri di quei martiri, e portarono il corpo di s. Sisto in una cripta del cimitero di s. Callisto. I corpi di s. Agapito e di s. Felicissimo furono trasportati in un'altra diramazione del medesimo cimitero, detta cimitero di Pretestato. Questo fatto compievasi il giorno 6 agosto l'anno 26l, dopochè s. Sisto aveva governata la Chiesa pel solo spazio di undici mesi e 18 giorni. {29 [297]}

 

 

Capo VIII. S. Lorenzo dà miracolosamente la vista a molti ciechi - Converte Ippolito carceriere - Invece di tesori raduna una schiera di poveri dinanzi all'imperatore - Principio dei suoi patimenti.

 

            Le maraviglie accompagnavano ovunque s. Lorenzo, e, mentre era tenuto in prigione, Iddio compiacquesi di operare molti miracoli sia per far conoscere la sua potenza agl'infedeli, sia per glorificare il suo santo nome nella persona de' suoi martiri. Nella casa del carceriere Ippolito, cui era stato consegnato s. Lorenzo, eravi un uomo di nome Lucillo, cieco di ambi gli occhi. S. Lorenzo gli disse: Credi nel Figliuolo di Dio Signor nostro Gesù Cristo. ricevi il battesimo, ed egli ti illuminerà.

            Lucillo prontamente rispose: Da lungo tempo desidero di conoscere bene la religione cristiana, e di essere battezzato nel nome del Signore Gesù Cristo.

            Contento di tali disposizioni, il nostro santo lo instruì nella fede, di poi gli conferì il battesimo. Ma nel tempo che la grazia di Dio mondava l'anima, l'acqua, così volendo Iddio, lavando il corpo diede la {30 [298]} vista al misero Lucillo. Sparsasi la voce di quel miracolo, molti altri ciechi erano condotti a s. Lorenzo per essere guariti. Il santo imponeva le mani sopra i loro orchi, e facendo il segno della santa croce donava a tutti la vista.

            Ippolito non potè più resistere a quei ripetuti miracoli, e dimandò di essere egli pure instruito nella fede. Fu appagato, e poco dopo ricevette il battesimo.

            Accreditati scrittori raccontano che, mancando l'acqua per amministrare questo Sacramento, s. Lorenzo abbia toccata la terra del carcere colla mano, e ne sia uscita una fonte d'acqua che servì per la sacra funzione. Questa fonte prodigiosa sussiste ancora oggidì in una chiesa dedicata al nostro santo martire in Roma, sotto al titolo di s. Lorenzo in Fonte (V. Nibi, Roma m.).

            Intanto fattosi giorno, s. Lorenzo fu condotto alla presenza di Valeriano, che cominciò a parlargli così: È tempo di deporre ogni ostinazione; senza dilazione dammi i tesori, che so tenersi nascosti presso dì te. Sì, rispose s. Lorenzo, ma per poterli raccogliere e recarteli tutti insieme, bisogna che tu mi conceda alcuni giorni di tempo. {31 [299]}

            Valeriano accondiscese volentieri, pensandosi che egli volesse realmente raccogliere i tesori qua e là nascosti, e li avesse di poi portati a lui. Ma s. Lorenzo andò in cerca d'una moltitudine di poverelli, cui aveva dato limosina, e li condusse tutti vicino alle porte del palazzo imperiale. Di poi vi entrò dentro e si presentò all' imperatore. Questi tosto gli disse: Dove sono i tesori che mi hai promesso? San Lorenzo introdusse nel palazzo quella moltitudine di poveri, e ad alta voce disse: Ecco i veri tesori, indicando que' poveri, costoro sono tesori eterni che non diminuiscono e non si perdono. Questi tesori si possono distribuire da tutti e ritrovare da tutti.

            Valeriano fu da prima confuso al vedere quella turba dì mendici, e non comprendendo il pregio della carità cristiana, parlò con disprezzo al nostro santo, e disse: A che mi fai perdere tempo in altre cose? Sacrifica ai nostri Dei, e metti una volta da parte le arti magiche, in cui tu vanamente confidi.

            Il nostro santo giudicò allora essere venuto il tempo di confessare il nome di Gesù Cristo a costo di qualunque male anche {32 [300]} della vita. Disse pertanto: A che vi lasciate in questo modo ingannare dal demonio a segno da dire ai cristiani che facciano sacrifizi ai demonii?

            L'imperatore, non sapendo qual cosa rispondere, comandò che egli fossa spogliato e battuto cogli scorpioni, vale a dire battuto con una specie di sferza, alla cui estremità erano parecchi uncini di ferro. Mentre il nostro santo era in quella maniera flagellato, egli portava il pensiero alla flagellazione del Salvatore, e andava con gioia esclamando: Io godo un gran contento nell'anima mia, e rendo grazie al mio Dio che si è degnato di associarmi co' suoi servi. Ma tu infelice, disse all'imperatore, tu pagherai il fio della tua pazzia e del tuo furore.

            L'imperatore, riputandosi da quelle parole insultato, disse a' carnefici: Sospendete per un momento di flagellare questo scellerato, e portate qui immediatamente ogni genere di strumenti atti a tormentare. {33 [301]}

 

 

Capo IX. S. Lorenzo viene esposto a nuovi flagelli. Conversione e martirio di s. Romano soldato.

 

            L'imperatore lasciò che s. Lorenzo mirasse alquanto que' varii generi di supplizi ed anche riflettesse un poco sovra i tormenti sofferti; di poi fattolo di nuovo venire alla sua presenza, gli disse: Ascoltami, sacrifica a' nostri Dei, e non confidare nei tesori che tieni nascosti. S. Lorenzo con tutta libertà rispose: Non fia mai che io perda la confidenza ne' tesori che ho distribuiti a' poveri; anzi in essi ripongo la mia speranza, e sono sicuro di averne mercede innanzi a Dio nella vita eterna. Valeriano, senza dir altro, die' ordine che fosse spogliato e battuto con verghe. Il santo martire, mentre era così flagellato, si rivolse intrepido all'imperatore e disse: Ecco, o miserabile, almeno adesso tu conoscessi che io riporto compiuto trionfo pe' tesori che ho distribuiti in onore di Gesù Cristo; tu mi dici che invano confido in essi ed io ti assicuro che fin d'ora ne ricevo la nercede, perciocchè io sono insensibile a' tuoi tormenti. {34 [302]}

            L'imperatore per accrescergli i tormenti ordinò che con maggior violenza fosse battuto, e intanto, fatte arroventare alcune lamine di ferro, comandò che fossero cosi ardenti applicate ai fianchi del santo martire.

            Il coraggioso confessore sopportava tutto con gioia, e sollevando a Dio i suoi pensieri andava dicendo: Signor mio Gesù figliuolo di Dio, abbi compassione di me tuo servo, tu mi assista in questo momento colla tua grazia. Sono stato accusato come cristiano, e non ti ho negato. Sono stato interrogato, ed ho confessato che sei il Signor nostro Gesù Cristo.

            Prolungandosi e ripetendosi i tormenti, il santo disse: Signor mio Gesù Cristo, che per la nostra salute ti sei degnato di prendere l'umile forma di servo, affinchè liberassi noi dalla schiavitù del demonio, deh! ti piego, ricevi in pace l'anima mia.

            In quel momento fu udita una voce che veniva dal cielo e diceva: Tu dovrai ancora sostenere molti combattimenti.

            Il suo corpo era tutto livido dalle battiture o scorticato da' flagelli o abbrustolito dalle lamine ardenti, tuttavia fu disteso sopra una catasta di legno e di nuovo battuto {35 [303]} cogli scorpioni. Allora egli, sempre confortato dalla grazia del Signore, e divenato come insensibile a que' ripetuti tormenti, si pose a ridere. Di poi ringraziando il Signore de' favori ricevuti, diceva ad alta voce: Sii tu benedetto, o Signore Iddio, Padre del Signor nostro Gesù Cristo, che ci usasti misericordia oltre ogni nostro merito. Deh! agli altri favori aggiugni ancora questo, e nella tua bontà concedi che costoro che mi ascoltano, possano conoscere che tu in modo maraviglioso porti aiuto a' tuoi servi fedeli.

            Mentre s. Lorenzo così pregava in mezzo a' tormenti, un soldato, di nome Romano, maravigliandosi che un uomo potesse sopportare con gioia tanti tormenti, conobbe che nella religione di Lorenzo eravi un Dio superiore a tutti gli Dei de' gentili. Illuminato quindi dalla grazia dei Signore, si fe' largo in mezzo alla moltitudine, e andò vicino a s. Lorenzo. Io vedo, disse, un uomo di bellissimo aspetto che ha in mano un candido lenzuolo con cui asciuga e raccoglie il sangue che cola giù dalle tue piaghe. Per la qual cosa io ti prego, ti scongiuro, che per amor di quel Gesù Cristo, che mandò a te il suo angelo, {36 [304]} non mi abbandoni. In quel momento l'imperatore, non sapendo più che dire, esclamò; Noi siamo vinti dall'arte magica; e comandò che s. Lorenzo fosse sciolto e tolto dalla catasta. S. Romano approfittò di quel momento di libertà, corse a prendere un piccolo fiasco d'acqua, e lo portò a s. Lorenzo affinchè lo battezzasse. Il s. martire prese quell'acqua, la benedisse, e scorgendo in quel soldato la necessaria istruzione, gli amministrò il sacramento del battesimo.

            L'imperatore saltò vie più sulle furie al sapere che un suo soldato erasi fatto cristiano, e come tale professavasi in mezzo alla moltitudine. Lo fece condurre alla sua presenza per interrogarlo e tentare d'indurlo a ri-nunziar alla religione che aveva poco prima abbracciato. Ma Romano, inspirato da Dio, gridò ad alta voce: Io sono cristiano, io sono cristiano.

            L'imperatore non potè più contenere la rabbia, e lo condannò sull' istante alla morte. La sentenza fu eseguita fuori della città presso ad una porta detta Salaria, perchè anticamente i Romani solevano per quella condurre il sale dal mare entro la città di Roma. San Romano riportava il martirio con aver tronca la testa il giorno {37 [305]} 9 di agosto, la vigilia della morte di san Lorenzo.

 

 

Capo X. S. Lorenzo è di nuovo interrogato - È condannato al fuoco - Sua eroica fortezza - Compie il martirio.

 

            L'imperatore, per far ancora una prova della fermezza del nostro santo martire, ordinò che fosse condotto alla sua presenza notte tempo con un terribile apparato di strumenti e di oggetti atti a spaventare. Fuoco ardente, mazzette di funicelle con palline di piombo all'estremità, verghe, lamine dì ferro, tanaglie, uncini, nervi e sferze erano schierati al cospetto di san Lorenzo.

            Valeriane con voce forte e sdegnata parlò così: È ormai tempo che tu deponga l'inganno dell'arte magica, e mi dica la tua condizione.

            Il santo martire rispose: lo non ho mai esercitata l'arte magica, anzi la cristiana religione la condanna e la detesta. In quanto alla mia patria, ti dirò che io sono spagnuolo, e fui educato nella cristiana religione fin da fanciullo. Io fui instruito in {38 [306]} mia patria, e di poi ho continuato a ricevere in Roma gli ammaestramenti intorno alla divina legge del Signore.

            Imperatore: Cessa di parlare, fa un sacrificio agli Dei, altrimenti questa notte sarà impiegata a tormentarti La mia notte, rispose s. Lorenzo, non va soggetta all'oscurità; perciocchè mi attende una felicità ove risplende una luce eterna, senza tenebre di sorta alcuna.

            In quel momento alcuni manigoldi si diedero a battergli la faccia con pietre. Mentre era così battuto, come se quei tormenti fossero per lui una delizia, egli andava dicendo: io ti ringrazio, o Signor mio Gesù Cristo, perchè tu sei il solo Dio padrone di tutte le cose.

            Non vi fu tormento che non siasi adoperato contro al forte atleta della fede. In fine fu colà portata una specie di lettiera il cui fondo era fatto a mo' di graticola. I carnefici spogliarono s. Lorenzo e lo misero sopra quella. Vi accesero sotto un gran fuoco; quindi con forche e tridenti di ferro agitavano il fuoco, onde vie più avvampasse, e rivolgevano il corpo del Santo affinchè in ogni parte patisse particolari tormenti. San Lorenzo mirava intrepido {39 [307]} le astuzie che usavansi per farlo prevaricare e con fermezza maravigliosa diceva: io ho fatto un sacrificio di me stesso al Signore in odore di soavità; e le tribolazioni dello spinto e della carne sono un sacrificio gratissimo al mio Dio.

            Intantochè egli diceva tali cose i carnefici si affaticavano per fomentare il fuoco e con forche e tridenti spingevano bragie, carboni e fiamme sotto alla graticola ed opprimevano il Santo affinchè in niun modo si potesse muovere.

            Il glorioso martire con coraggio inudito volse uno sguardo all'Imperatore e ad alta voce: misero te, gli disse, da quanto io soffro impara a conoscere quanto sia grande la potenza del mio Dio. Imperciocchè i tuoi carboni, le tue fiamme sono a me come rinfreschi; ma per te, infelice, saranno cagione di supplizio eterno. Il mio Dio sa che in tutti gli interrogatorii non l'ho mai negato, anzi ad ogni interrogazione l'ho sempre confessato pubblicamente. Ora che mi fate abbruciare sul fuoco, rendo al mio Dio i più vivi ringraziamenti.

            Di poi prendendo un atteggiamento di gioia apparve in volto bello come un angelo; e come uno che provi un gran piacere {40 [308]} disse: Grazie a te si rendono, o mio Signor Gesù Cristo, che ti sei degnato di venirmi in aiuto. Di poi voltando gli occhi verso l'Imperatore disse con voce di rimprovero: ecco, o miserabile, hai fatto cuocere una parte del mio corpo, il boccone è cotto, sei a tempo a mangiarlo. Intanto voltami dall'altra parte.

            Ma Iddio, che era già stato in tanti modi glorificato nel suo servo, voleva porre un termine a tanti patimenti. In quel momento il nostro Santo parve già trasportato al Cielo che gli stava aperto. Raccolse tuttavia le forze che ancora gli rimanevano e sollevando il pensiero a Dio e lo sguardo al cielo, proferì queste ultime parole: Ti ringrazio, o Signor mio Gesù Cristo, che col mezzo di questi patimenti mi hai fatto degno dì entrare nelle porte della beata eternità. Cosi dicendo mandò l'ultimo respiro, e l'anima sua adorna della corona di vergine e martire volò gloriosa al cielo.

            Il luminoso martirio di questo eroe cristiano compievasi la notte del 10 agosto l'anno 261 sopra un colle di Roma detto Viminale, dai vimini ovvero giunchi onde era coperto quando si cominciò sopra di esso la costruzione delle case. Compiuta {41 [309]} l'orrìbile carnificina i gentili e gli stessi carnefici, soddisfatta la loro crudeltà, e in certo modo confusi delle barbarie usate verso di un innocente andarono alle case loro per riposare lasciandone il cadavere insepolto. Ma sul far del giorno vennero s. Ippolito e s. Giustino, che spargendo molte lagrime presero il corpo del Santo, lo unsero di aromi ed avvoltolo in un lenzuolo il portarono in un podere di s. Ciriaca, vale a dire di quella Matrona Romana che era stata da s. Lorenzo guarita da un acuto mal di capo. Ella mandò loro anche il pannolino, con cui il Santo martire aveva asciugato i piedi ai cristiani radunati nella casa di lei. Questo pannolino fu unito al suo corpo che fra preghiere e cantici funebri venne sepolto in un luogo detto Campo Verano. Quei fedeli passarono colà tre giorni in digiuni e preghiere. Quindi s. Giustino celebrò la santa Messa in fine della quale fecero tutti la Santa comunione. (V. Acta Martini s. Laur.). {42 [310]}

 

 

Capo XI. Chiese in Roma edificate in onore di S. Lorenzo.

 

            Sono poche le città, i paesi in cui non vi sia Chiesa, altare, od almeno una statua od immagine destinata al culto di s. Lorenzo. Fin dai più remoti tempi il nome di questo glorioso martire fu annoverato fra' più celebri eroi della fede e, la Chiesa lo ha posto nelle litanie de' Santi; di lui si fa pure ogni giorno memoria nel santo sacrificio della Messa. Noi qui ricorderemo alcuni monumenti innalzati in onore di lui in Roma, di poi accenneremo alcuni di quelli innalzati in altri paesi della cristianità.

            S. Lorenzo fuori delle mura. Questa Chiesa fu edificata un miglio da Roma fuori della porta Tiburtina, detta oggidì porta s. Lorenzo in onore di questo Santo ed anche perchè da questa porta si va al Campo Verano ove essa è edificata. In questo campo esisteva il cimitero di s. Ciriaca, dove quella santa matrona faceva seppellire i corpi dei martiri, e fra gli altri quello di s. Lorenzo. L'Imperatore Costantino nell'anno 330 a richiesta di s. Silvestro Papa ha fatto innalzare questa Basilica. {43 [311]}

            Nello scavare le fondamenta si arrivò al luogo ove giacevano le reliquie del glorioso martire. Allora quel pio monarca ordinò di sospendere le scavazioni e volle che sopra al venerando sepolcro venisse innalzata una tribuna ornata di argento e di porfido, che è marmo de' più preziosi. (Anast. in Silv.)

            Il Pontefice s. Leone il grande, di Toscana, procurò che Placidia, figliuola dell'Imperatore Teodosio, ristorasse l'intera chiesa riducendola a forma migliore e appianando una collina che sovrastavate con pericolo di danneggiarla.

            Nel portico di questa Basilica sono varii preziosi dipinti che rappresentano le azioni del nostro Santo e fra le altre il battesimo da s. Lorenzo conferito a s. Romano martire il quale si vede rappresentato ginocchioni presso al Santo levita nell'atto che lo benedice e gli versa sul capo un orciuolo d'acqua. Questo orciuolo era di bronzo e conservasi ancora oggidì fra le reliquie di questa chiesa. (Nibi, Roma moderna.)

            Innanzi all'altare maggiore della Chiesa sono gli amboni, due specie di pulpito, uno a destra l'altro a sinistra, sopra cui anticamente leggevasi l'epistola ed il Vangelo. Sotto all'altare avvi una magnifica {44 [312]} tomba, dove il Pontefice s. Pelagio II collocò il corpo del santo unitamente a quello di s. Stefano protomartire portato da Costantinopoli nel 557.

            `Riguardo al trasporto e collocamento di queste reliquie succedettero molte cose straordinarie, tra cui si racconta che l'urna, in cui erano le ceneri di s. Lorenzo, essendo molto ristretta, alla presenza di una moltitudine di gente furono vedute le ossa del nostro Santo ritirarsi da parte e fare posto al primo Diacono e primo martire di Gesù Cristo, s. Stefano. Le sante reliquie si mescolarono insieme per modo che non si poterono più riconoscere quali fossero dell'uno, e quali dell'altro santo.

            La Basilica di s. Lorenzo fuori delle mura è parrochia; si annovera la quinta fra le cinque patriarcali, ed è una delle sette chiese più celebri della città di Roma.

            S. Lorenzo in fonte. Questa chiesa è nella città di Roma in un vico detto una volta patrizio ed oggidì via urbana. Nel luogo da essa occupato è tradizione che vi fosse la casa di s. Ippolito cavaliere romano, al quale, siccome abbiamo testè raccontato, fu dato in custodia s. Lorenzo; da cui fu convcrtito alla fede e {45 [313]} battezzato coll'acqua di un fonte fatto scaturire nel carcere al solo toccare la terra col dito. Quel fonte, che dà il nome alla chiesa, esiste ancora; ed i viaggiatori vanno con piacere a vederlo e a bere dell'acqua maravigliosa. Sopra l'altare maggiore avvi un magnifico dipinto che rappresenta san Lorenzo nell'atto che amministra il Battesimo a s. Ippolito.

            S. Lorenzo in Damaso. Questa Basilica collegiata è così detta, perchè edificata per cura di s. Damaso papa nel 370 in onore di s. Lorenzo, e perchè il medesimo Pontefice fu ivi sepolto. Essa venne più volte ristorata ed ora conservasi in tutto il suo splendore. Sotto all'altar maggiore avvi un'urna ove sono rinchiuse alcune reliquie di s. Lorenzo col corpo di s. Ippolito. Entrando in coro s' incontra un altare sopra cui si venera il famoso crocifisso, che credesi essere quel medesimo che parlò a s. Brigida. Sotto a questo medesimo altare riposano le ceneri di s. Giustino, che è quel sacerdote che diede sepoltura a san Lorenzo.

            S. Lorenzo in Lucina. Chiesa e convento antichissimi. Trae il suo nome da s. Lucina matrona romana nel cui podere fu {46 [314]} edificata. S. Sisto III nel 435 la consacrò a s. Lorenzo, ed il Pontefice s. Gregorio Magno destinò questa chiesa per le pubbliche preghiere specialmente in caso di grave calamità.

            S. Lorenzo in Miranda. Questa chiesa fu edificata presso al foro romano sul tempio dell'imperatore Antonino. Essa vanta un'antichità remotissima e credesi edificata in onore di s. Lorenzo quasi subito dopo il suo martirio. È detta in Miranda a cagione degli antichi e maravigliosi vestigi dell antica Roma che la circondavano.

            S. Lorenzuolo. Piccola ma elegante chiesa dedicata al nostro Santo. Essa è cosi chiamata perchè è la più piccola tra le chiese di Roma dedicate a s. Lorenzo.

            S. Lorenzo in Panisperna. Questa chiesa credesi così chiamata da Panisperna o Perpenna padrona del sito ove quella fu edificata. È molto antica, e se ne fa menzione negli atti dei martirio di s. Lorenzo. In questa chiesa conservansi molte preziose reliquie, e fra le altre un braccio del nostro Santo e parte dei corpi de' ss. Crispino e Crispiniano.

            S. Lorenzo in piscibus. Fu detta s. Lorenzo in piscibus a cagione del mercato di {47 [315]} pesci che in tempi antichi tenevasi nella piazza vicina. La sua fondazione è molto antica. Nell' interno della chiesa vi sono belle pitture che rappresentano i varii fatti della vita del Santo cui fu dedicata (V. Nibi, Roma moderna).

            Noi abbiamo soltanto dato un cenno sopra le dette chiese, ma dobbiamo notare che in esse vi sono molti dipinti, reliquie, ornati in mosaico, in oro, in argento che in mille modi appagano la pia curiosità di chi recasi a visitarle.

            S. Agostino considerando la grande venerazione che in Roma già avevasi a' suoi tempi verso il glorioso martire s. Lorenzo, esprime così la sua maraviglia:

            Quanto sia efficace la protezione del glorioso martire s. Lorenzo chi mai lo ignora? Chi mai pregò colà (in Roma) e non fu esaudito? Quanti favori egli ottenne a' suoi divoti, favori anche temporali che egli sprezzò? Egli ottenne la sanità a molti infermi, non perchè tali doni si restringessero a beneficare il corpo, ma affinchè quelli che ricevevano benefizi temporali sollevassero i loro cuori a dimandare cosa migliori, cose celesti (Sermone 302). {48 [316]}

 

 

Capo XII. Molti operai sono prodigiosamente alimentati. Miracolo avvenuto nella ristorazione di un tempio dedicato a s. Lorenzo.

 

            S. Gregorio Magno racconta che nella ristorazione di un tempio, che doveva eseguirsi in una città dell'Umbria, avvenne un prodigio molto simile a quello operato dal Salvatore nella moltiplicazione del pane. Dice pertanto il santo Pontefice: Al tempo dell'invasione de' Longobardi era stato incendiato un tempio dedicato a s. Lorenzo. Uno zelante sacerdote, di nome Santulo, animato da vivo desiderio di ristorarlo, radunò molti operai perchè il lavoro progredisse con alacrità. Egli doveva somministrare materiali per la costruzione, e paga pegli operai. Ma quella provincia essendo in quel tempo assai travagliata dalla fame, in breve mancò il necessario alimento pei lavoranti. Radunavansi costoro intorno al buon sacerdote e con istanza gli dimandavano da mangiare, poichè le forze loro mancavano. L'uomo di Dio li consolava promettendo qualche tratto di provvidenza divina. Ma il suo cuore era {49 [317]} grandemente angustiato perchè non sapeva dove prendere il cibo che loro prometteva. Mentre andava qua e là cercando qualche cosa, capitò ad un forno in cui il giorno avanti era stato cotto pane. Egli si curvò guardandovi entro se a caso i prestinai vi avessero lasciato qualche tozzo di pane. Con sua grande sorpresa in un angolo del forno egli vide un pane di grossezza maravigliosa e d'insolita bianchezza. Per timore che fosse stato da altri dimenticato lo prese e lo portò ai vicini chiedendo se a taluno di loro quel pane appartenesse. Lo fece vedere a molti, ma niuno di quelli che avevano fatto cuocere pane il giorno prima, lo aveva dimenticato. Allora il buon sacerdote andò da' suoi lavoranti portando quel pane tra le mani, e dopo d'averli invitati tutti a ringraziare il Signore, si pose a spezzarlo e darne un tozzo a caduno. Qui crebbe la maraviglia. Più moltiplicava i tozzi e più grossi erano i frammenti che ne risultavano. In fine gli avanzi raccolti superavano di gran lunga quanto era state portato in principio. Di più il giorno seguente portarono gli stessi frammenti agli operai, che per dieci giorni se ne cibarono a sazietà senza che gli alimenti {50 [318]} diminuissero; così poterono compiersi i lavori necessari per rendere quella chiesa degna del culto di Dio e del glorioso martire s. Lorenzo (Dial., lib. 1 c. 3).

            S. Gregorio vescovo di Tours riferisce anch'egli parecchie maraviglie relative a s. Lorenzo. Era un tempio, egli dice, in cui vennero portate alcune reliquie di san Lorenzo. Coll'andare del tempo il tetto di quell'edificio essendo rovinato, un sacerdote, che ne aveva la cura, divisò di ristorarlo. Un gran numero di operai col permesso del padrone vanno in una selva vicina, tagliano travi ed altri legnami opportuni; li mettono sopra un carro e li traducono al luogo indicato. Scaricandoli a terra e dispostili in ordine, fu trovata una trave troppo corta e che non poteva servire al bisogno. Il buon sacerdote ne fu addolorato perchè non sapeva ove prenderne un'altra, quindi piangendo, ma pieno di fede, si pose ad esclamare: o beatissimo s. Lorenzo, che glorificasti Iddio in mezzo al fuoco, e che non mai abbandonasti i poveri, volgi pietoso uno sguardo sulla nostra povertà e vieni in nostro aiuto.

            In presenza di una moltitudine di gente {51 [319]} fu operato un grande miracolo; la trave divenne più lunga delle altre per modo che dovettesi tagliare ad un'estremità per poterla mettere in opera. Ma la bontà di Dio non ebbe fine qui. Il tronco tagliato fu giudicato glorioso avanzo della trave prodigiosa, e fu fatto a pezzi andando ognuno a gara per averne anche una piccola scheggia. Il medesimo s. Gregorio dice che molti furono guariti al semplice contatto di un pezzo di questa trave, ed egli stesso assicura d'aver veduto un uomo che pativa un terribile mal di denti, e che avvicinato un po' di quella segatura alla mascella ne fu sull'istante guarito. (De gloria mart. L. 1 c. 42.)

 

 

Capo XIII. Maraviglie intorno al sangue di s. Lorenzo. - Reintegrazione di un calice avvenuta in Milano. - Storia di una singolare guarigione della cecità.

 

            Un accreditato scrittore di nome Oringo riferisce un prodigio singolare che si opera ogni anno in Colonna piccola città della Campania nel regno di Napoli. Egli racconta la maraviglia cosi: In questa città {52 [320]} avvi una chiesa dove conservasi un'ampolla piena del sangue di s. Lorenzo martire. Questa offre ogni anno un nuovo prodigio a tutti quelli che vogliono esserne testirnonii. Il sangue rimane in quell'ampolla in tutto il corso dell'anno come secco e quasi pietrificato. Ma giungendo il 10 di agosto, giorno in cui il nostro Santo riportò il luminoso suo martirio, quasi voglia di nuovo sfidare la crudeltà de' carnefici, comincia a sciogliersi, di poi a bollire, ed infine a scorrere per le varie direzioni del vetro come se fosse posto sopra ad ardente fuoco.

            In quel momento il sangue separasi da una specie di grasso nel modo stesso che l'acqua si separa dall'olio e rimane cosi separato fino all'ottavo giorno dopo la festa. Passati quei giorni, il sangue si condensa di nuovo e prende la forma che aveva prima. Questo miracolo si rinnova ogni anno con gran vantaggio di quei fedeli cristiani che ivi si recano ad invocare la protezione del Santo che non manca mai di venire in loro soccorso. (Roma, sott. t. 1 l. 1.)

            Curioso è pure il miracolo operatosi nella città di Milano; esso è raccontato {53 [321]} dal citato s. Gregorio di Tours nel modo seguente: In una insigne basilica, egli dice, dedicata a s. Lorenzo nella città di Milano, conservavasi un calice di cristallo tenuto in grande venerazione, perchè era stato usato da s. Eusebio vescovo di Vercelli. Compiutasi una grande solennità, mentre un diacono lo portava sull'altare, gli sfuggi di mano, cadde a terra e andò in pezzi. Il sacro ministro pallido e mezzo morto si fece a raccogliere i frammenti del sacro vaso, li portò sopra l'altare nella speranze che il santo ottenesse da Dio qualche tratto della sua infinita potenza. Si pose quindi a pregare, e senza prendere cibo di sorta prolungò la sua orazione a notte assai avanzata. Dopo si alzò e andò a visitare i frammenti del calice che con grande consolazione del suo cuore trovò sopra l' altare ridotto alla primiera integrità. Sparsasi la notizia di tale miracolo, tutto il popolo si radunò e con trasporto di gioia dimandò che fosse celebrata un'altra solennità in memoria di quel prodigio. Allora il vescovo della città appese il calice prodigioso sopra l'altare e stabili che ogni anno si celebrasse con grande divozione una festa per ringraziare {54 [322]} Iddio del benefizio ricevuto. (De gloria mart. l. 1 c. 46). Questa festa celebrasi ancora oggidì con ufficiatura propria della messa e del breviario, che ricordano tal prodigioso avvenimento.

            S. Pietro Damiano, cardinale e dottor di santa chiesa, raccontò una maravigliosa guarigione seguita nella persona di un Imperatore di Costantinopoli. Quel principe, egli dice, era stato colpito dalla cecità, e niuna cura dell'arte, niuna medicina poterono recargli sollievo di sorta. Privo di speranza nell'aiuto degli uomini, egli fece ricorso a quello di Dio. Aveva udito che se avesse potuto fare una visita ai una chiesa dedicata a s. Lorenzo avrebbe certamente riacquistato la primiera sanita, e perciò risolse di andare a Roma. Fa preparare quanto occorre pel naviglio, fissa il tempo della partenza, ogni cosa è preparata. Ma l'Imperatrice di lui moglie, temendo qualche disastro per la famiglia e per l'impero durante l'assenza del marito, studiò una pia frode per liberarlo dai pericoli che temeva. Ella diede ordine ai marinai che non dirigessero il cammino alla volta di Roma; ma andassero per diversi porti, e si fermassero in varii lidi simulando di viaggiare verso Roma. {55 [323]}

            Mentre i marinai, secondo le istruzioni avute, vanno di luogo in luogo per deludere i desiderii di quel sovrano, l'Imperatrice raduna una moltitudine di operai e nel più breve spazio di tempo fa innalzare una bellissima chiesa in onore di san Lorenzo secondo la misura della basilica dedicata al medesimo in Roma. L'Imperatrice diceva: se è stabilito che per intercessione di s. Lorenzo mio marito debba acquistare la vista, ciò Iddio può farlo qui egualmente che a Roma. Quell'edifizio fu compiuto in un anno.

            Intanto l'Imperatore fu ricondotto alle mura di Costantinopoli, facendogli credere di essere giunto a Roma. Per nascondere l'inganno era stato disposto che niuno si avvicinasse all'Imperatore se non sapesse con purezza e speditamente parlare latino. Cosi egli è persuaso di entrare nella basilica di s. Lorenzo in Roma, ed invece entra nella chiesa fatta costruire da sua moglie a Costantinopoli. Il Signore però volle premiare la sollecitudine della moglie e la fede dell'Imperatore. Fatta umile e fervorosa preghiera egli riacquista istantaneamente la vista. Ma quale non fu la sua sorpresa quando vide intorno a sè la moglie, {56 [324]} i suoi famigli, i suoi cortigiani amici? Colmo di allegrezza si prostrò a terra e ringraziò Iddio del favore che aveva ottenuto ad intercessione del glorioso martire s. Lorenzo (S. Pietro Dam. l. 8 c. 5).

 

 

Capo XIV. Rispetto alle reliquie del Santo. - Prodigiosa vittoria riportata da s. Enrico. - Profanazione del giorno festivo punita.

 

            S. Gregorio Magno in una lettera scritta all'Imperatrice Costanza dice così: il nostro antecessore, di felice memoria, desiderava di ornare il sepolcro di s. Lorenzo per renderlo più degno di quel gran martire. Non sapevasi il sito preciso ove giacesse il venerabile corpo di lui. Perciò si cercava scavando or qua or là. Quand'ecco il sepolcro si aprì da se stesso. Tutti quei religiosi ed altri che lavoravano volsero curiosi lo sguardo sopra il corpo del santo Martire senzachè alcuno osasse toccarlo. Tuttavia tale curiosità dispiacque al Signore e quelli che videro quelle sante reliquie fra dieci giorni morirono tutti. Si conosca adunque, dice il santo Pontefice, quale sia la consuetudine tra di noi e si conosca {57 [325]} quale venerazione ognuno debba alle reliquie dei santi. Niuno ardisca toccarle, ma si mettano soltanto in teche da esporsi alla venerazione dei fedeli. (Ep. 30.)

            Altra maraviglia leggesi nella vita di san Enrico Imperatore[3]. Questo principe nutriva grande venerazione verso il nostro santo martire. Fra le altre cose aveva fatto fare un gran calice d'oro con ornati assai preziosi. Quel calice era sempre usato alla Messa che celebravasi nella regia cappella. Terminata la Messa, il principe faceva infondere acqua o vino nel calice medesimo, e con grandi segni di pietà consumava quell'abluzione. Un giorno per alcuni gravi affari del regno, non potendosi trovare per la solita abluzione, disse al custode della chiesa che conservasse quella preziosa bevanda colla massima diligenza finchè egli avesse spedito gli affari di urgenza che aveva tra mano. Il di seguente dopo fervorose preghiere andò per consumare l'ablazione fatta conservare, e trovò che la bevanda erasi trasformata in vero sangue. Questo fatto cagionò a tutti grande maraviglia, tutti lo videro e nel trasporto di {58 [326]} gratitudine verso Dio resero gloria al santo martire, che aveva ottenuto tal favore per ravvivare la fede tra gli uomini.

            Il medesimo imperatore per la protezione di san Lorenzo riportò una strepitosa vittoria contro agli Slavi. L'autore della sua vita si esprime così: L'imperatore erasi accampato vicino ad una chiesa che dai nemici era stata rovinata. A quella vista il pio sovrano trasse dal cuore un profondo sospiro, e disse: Glorioso s. Lorenzo, se per tua intercessione io potrò vincere queste barbare nazioni, e condurle alla conoscenza della cristiana religione, io ti prometto coll'aiuto del cielo di far ristorare questo luogo già al tuo culto consacrato ed ora rovinato; ti prometto, dico, di restituirlo allo stato di prima e degno del tuo nome. Invocato quindi l'aiuto del Signore e la protezione di s. Lorenzo, cominciava a marciare contro ai nemici, quando vide s. Lorenzo con altri martiri ed angeli armati di celeste spada percuotere, disperdere e mettere in fuga i nemici. La vittoria fu compiuta e l'imperatore mantenne la promessa, nè cessò dalle spese o dalle fatiche, finchè non ebbe portata alla gloria di prima la chiesa dedicata a s. Lorenzo. {59 [327]}

            L'autore della vita di s. Ottone, vescovo di Vamberga, racconta pure un fatto maraviglioso che riguarda a s. Lorenzo. Nella festa di questo santo martire un sacerdote, avendo veduto alcuni contadini a mietere frumento, raccomandò loro di astenersi in tal giorno dal lavoro, e gli sgridò dicendo: Miseri, che fate voi? Oggi è festa di s. Lorenzo, e tutta la Chiesa la celebra con gran pompa; di più tra di noi è festa di precetto, e voi, insensati, avete il coraggio di profanarla?

            Queglino risposero: È vero quanto voi ci dite, ma noi dobbiamo badare ai nostri bisogni.

            Il ministro di Dio, pieno di zelo pel giorno del Signore, disse: V'ingannate, badate che niuno può profanare il giorno festivo impunemente, e Dio voglia che una fiamma celeste non venga ad incenerire quanto avete voluto mietere. Terminava appena di parlare, quando un fuoco improvviso cadde dal cielo sopra quelle biade, le incendiò, e tutte le ridusse in cenere. Dopo tal fatto gli abitanti di quel paese cominciarono ad avere grande venerazione verso di s. Lorenzo, celebrandone la festa con timore e fervore. (Boll. 2 luglio.) {60 [328]}

 

 

Capo XV. Miracolosa liberazione di prigionieri - Altare preservato dalle fiamme - Santificazione del dì festivo ricompensata.

 

            Fra i luoghi ove le reliquie del nostro santo ebbero gran venerazione fu la città di Leodio. Ivi pure si operarono molti miracoli, tra cui avvi il seguente. Un giovinetto, camminando per istrada, cadde nelle mani dei ladri. Desiderosi costoro di ottenere grossa somma pel riscatto di lui, lo condussero in un'alta torre, ove il legarono strettamente, lo posero ne' ceppi, facendogli patire la fame, la sete e ogni sorta di miseria. L' infelice giovanetto passava nella desolazione i giorni, senza poter riposare la notte. Una sera, vigilia di s. Lorenzo, animato da viva fiducia, e pieno di confidenza nel santo martire, si raccomandò che lo volesse liberare dall'infelice suo stato. Come già un angelo avea rotte le catene da cui s. Pietro era legato in prigione, cosi egli sentissi spezzare le catene ed i ceppi. Fatto così libero, corse in fretta alla finestra della torre, guardando se avesse potuto senza pericolo saltare fino a terra, {61 [329]} ma egli era a grande altezza. Tuttavia, pieno di fiducia in s. Lorenzo, invoca il suo nome, e giù si abbandona dalla finestra. Avrebbe dovuto rimanere rotto e guasto, ma non riportò alcun danno. Che più? Essendo ignaro della strada egli, come guidato da un angelo, potè pervenire a casa sua senza verun sinistro. Quel giovanetto riconobbe tale favore da s. Lorenzo, e venne all'altare del santo martire con promessa di portar ogni anno un'oblazione in ringraziamento del favore ricevuto.

            In una chiesa eranvi tre altari, di cui uno dedicato a s. Lorenzo. Sgraziatamente l'edifizio di quella venne tre volte consumato dalle fiamme. Tutto l'edifizio e gli altari furono ridotti in fiamme. Soltanto l'altare dedicato al nostro santo fu preservato dal fuoco; e nemmeno la tovaglia dell'altare ebbe a patire guasto di sorta.

            In altra città eravi un proprietario che mandò i falciatori a tagliare l'erba in un suo prato. Continuando il loro lavoro, giunse la sera della vigilia di s. Lorenzo, e le campane cominciarono a suonare a festa, invitando i popoli ai vespri. Uno di loro disse ai compagni: Cessiamo dal lavoro in onore di s. Lorenzo; ecco i vespri già suonano. {62 [330]}

            Gli altri dissero: Va pur tu ai vespri di s. Lorenzo, noi vogliamo terminare il nostro lavoro.

            Allora quegli abbandonò il prato e andò ai vespri dicendo: Dio è potente, e se vuole, può ricompensarmi specialmente ad intercessione di s. Lorenzo.

            Il giorno seguente, tornando al lavoro che aveva interrotto, dovette solo fare la parte sua; ed essendo rimasto indietro dagli altri, erane in molte maniere deriso. Il laborioso contadino sopportò con pazienza gli scherni e le risa di tutti, e si pose tranquillo a lavorare. Ma appena pose la falce in mezzo all'erba, vide una moneta d'oro di maravigliosa e d'insolita grossezza. La prende, e ne rende tosto grazie a Dio e a s. Lorenzo, benedicendo ad alta voce il suo celeste benefattore. A quelle voci di ammirazione corrono i compagni e concorre pure il padrone del prato: tutti mirano con istupore quella moneta, e ne rendono grazie a Dio. La moglie del padrone del prato comprò quella moneta, dando una grossa somma al povero contadino. Molti furono i testimoni del fatto, e la moneta si conservò lungo tempo. Intorno a quella erano scritte alcune parole, che in lingua italiana {63 [331]} esprimono questo sentimento: la mano di Dio mi fece, ed egli stesso mi ha dato in dono ad un povero che santificò il giorno dedicato a s. Lorenzo. (Passionale di s. Lorenzo presso Boll., 10 agosto.)

 

 

Capo XVI. Un contadino è liberato dalla pioggia - Altri sono puniti per la violazione della festa del santo.

 

            Un contadino andava col carro a far carico di biada nel campo. Era la vigilia della festa del santo, ed aveva già raccolto la maggior parte della sua messe. Sul far della notte uno de' suoi servi, contro alla volontà del padrone, ritornò al campo per continuare il trasporto de' covoni, desiderando di ritirarli prima che fossero guastati dalla pioggia imminente.

            Appena il padrone ebbe la notizia, corse dal servo e lo sgridò dicendo: Riconduci sull'istante i cavalli nella stalla; son pentito di aver oggi troppo tardi lavorato.

            Il buon servo rispose: Il tempo è piovoso; è meglio che le biade siano condotte in luogo sicuro.

            No, ripigliò il padrone, fa quello che {64 [332]} dico; non voglio che alcuno de' miei servi vada a quest' ora a lavorare. Io lascio il carro e le biade nelle mani di Dio e sotto la protezione del martire s. Lorenzo.

            A queste parole il servo quasi indispettito lasciò carro e biade nel campo, e menò a casa soltanto i cavalli. Il giorno dopo la festa il medesimo servo andò per ricondurre il carro a casa, persuaso di vederlo tutto inzuppato dalla pioggia che era caduta dirottamente ed aveva bagnato tutti i covoni vicini. Ma con grande sua sorpresa vide il carro asciutto senza aver provato il minimo danno per gli avvenuti acquazzoni, come se fosse stato riparato da un tetto. Il padrone ringraziò Iddio di tale favore, e lo andava a tutti raccontando a gloria di Dio e del s. martire.

            All'opposto un altro contadino, postosi a lavorare e a condurre, covoni nella festa del nostro santo, nulla pensava alla santificazione del giorno del Signore. Molti lo consigliarono a desistere dal lavoro, specialmente quando udirono a dare il segno della santa Messa. Egli non diede ascolto ad alcuno. Caricato il suo carro, voleva condurlo a casa, quando gli effetti della potenza di Dio si fecero sentire sopra di {65 [333]} lui; poichè il carro rimase immobile, e non fu più possibile di trarlo avanti. Il misero contadino, temendo maggior male, pieno di spavento, lasciò il carro nel campo e andò in chiesa, promettendo di santificare quel giorno ad onore e gloria di s. Lorenzo. Il dì seguente aggiogò di nuovo i buoi per condurre a casa le sue biade; ma non gli fu possibile, non potendo smoverlo da quel luogo. Allora egli pensò di andare a far celebrare una Messa a s. Lorenzo in compensazione di quella che il giorno innanzi aveva perduto. Udita quella Messa tornò co' buoi al suo campo, e senza difficoltà potè condurre il suo carro al luogo desiderato.

            Assai più terribile fu il castigo di un contadino, che nel giorno festivo a s. Lorenzo era andato nel campo a caricar biade. Mentre tutti andavano con gioia alle funzioni di chiesa, egli co' buoi aggiogati conduceva a casa il carro. Ne fu avvisato dagli amici, ma non volle ascoltarli. Giunto innanzi alia chiesa dedicata a s. Lorenzo, mentre i fedeli cantavano lodi al Signore, alla vista di tutti cadde dal cielo il fulmine, che andò a percuotere il carro e le biade, e tutto ridusse in fiamme. Il misero contadino {66 [334]} spaventato si prostrò a terra, invocando la misericordia di Dio e la protezione di s. Lorenzo, e giudicò per lui grande ventura il poter salvare la vita propria e condur vivi i buoi a casa.

 

 

Capo XVII. Pioggia prodigiosa - Prodigio succeduto alla tomba di s. Lorenzo.

 

            Nella città di Trento avvi un insigne santuario innalzato al nostro santo. Ogni giorno, e si può dire tutte le ore del giorno, sonvi divoti che da paesi vicini e lontani vanno colà ad implorare favori celesti.

            In molti e maravigliosi modi furono esauditi; fra le molte grazie notiamo quella che segue. Una terribile siccità travagliava la città di Trento e le terre, vicine. Nella desolazione universale si ordinarono pubbliche preghiere. Il medesimo vescovo, seguito dal clero e da una moltitudine di fedeli recavasi al santuario del glorioso martire per implorare da Dio la sospirata pioggia.

            La calamità pesava sopra di tutti; e la terra pareva arsa dal fuoco, il cielo di bronzo. Quel giorno la processione era più {67 [335]} numerosa, e quando fu per entrare nel santuario, non si scorgeva traccia di nubi nel firmamento. Le preghiere, le lagrime, i sospiri si facevano ovunque sentire. Ma nell'atto che il coro comincia il canto della Messa si oscura il cielo, si leva un temporale che in un istante si risolve in pioggia, la quale continua dirotta in tutto il tempo del divin sacrifizio. Una maraviglia è seguita da un'altra. Terminata la santa Messa, s'arresta la pioggia pel tempo necessario a ciascuno per recarsi a casa, di poi ricomincia a cadere, e continua tutto il giorno. In simile guisa ebbe fine l'orrida siccità che aveva recato grave danno ai frutti della terra, ai giumenti ed ai medesimi abitanti. Cinque giorni dopo, giorno solenne al nostro santo, fu fatta un'altra processione ancor più numerosa, e tutti andarono a deporre i loro voli di ringraziamento al santo martire, che in modo così prodigioso li aveva beneficati. (Passionale citato.)

            Altro fatto maraviglioso è quello che avvenne ai tempi di Filippo Secondo, re di Spagna. Quel monarca, d'accordo col Duca di Savoia, erasi raccomandato a s. Lorenzo nel momento che doveva darsi la battaglia {68 [336]} di s. Quintino. Avendo riportata una splendida vittoria, in segno di gratitudine quel re fece innalzare al santo una magnifica basilica, che si può chiamare una delle maraviglie del mondo cristiano. Il pio sovrano, per eccitare sè ed i suoi popoli alla divozione verso s. Lorenzo, mandò dal sommo Pontefice Gregorio decimoterzo (anno 1585) a chiedere qualche insigne reliquia del nostro santo martire. Accondiscese il Pontefice, e affinchè ogni cosa procedesse con ordine e con sicurezza, tagliò un pezzetto di carta che diede a due cardinali incaricati di andare ad aprire un'urna dove erano alcune reliquie del santo, ed estrarre da quella un pezzo di osso, che corrispondesse alla ampiezza di quella carta. Come fu aperta, videro un osso, la cui parte corrispondeva alla grossezza voluta. Lo presero tosto con grande riverenza, e con una lima cominciarono a rodere quanto eccedeva la misura stabilita. Ma quale fu la loro sorpresa allorchè si accorsero che i denti del ferro non producevano alcun effetto sopra quella reliquia? Fecero un altro esperimento, portando la lima più in su, affinchè la reliquia riuscisse maggiore, ed appena il ferro fu avvicinato all'osso venerando, sull'istante {69 [337]} esso apparve tagliato, non dal ferro, ma da forza invisibile. Il miracolo era pubblico, ed i notai della Chiesa Romana ne fecero atto pubblico. Quando poi i cardinali fecero al Pontefice relazione del fatto, pieno egli pure di ammirazione, il santo martire, disse, vuole ritornare nella Spagna.

            Il Papa fece fare una relazione autentica del miracolo, di poi mandò l'osso sacro e la lima a quel monarca, che ricevette tali oggetti con grande venerazione, e come pegni di protezione per lui e pe' suoi popoli. (V. Aynsa, de rebus oscensibus.)

 

 

Capo XVIII. Chiesa di s. Lorenzo in Torino. Voto del duca Emanuele Filiberto.

 

            La città di Torino ha pure monumenti che ricordano le glorie del grande s. Lorenzo. La chiesa a lui dedicata in questa città ne è testimonio parlante. Eccone il fatto che diede motivo alla edificazione della medesima.

            Alla metà del secolo decimosesto arse una grande guerra tra gli spagnuoli ed i francesi. Il duca di Savoia, di nome Emanuele Filiberto, per assicurare i suoi Stati, {70 [338]} si uni col re di Spagna, di nome Filippo II. Questo sovrano, conosciuto il valore, la prudenza, il coraggio del duca di Savoia, gli affidò il comando di tutte le sue truppe. Così Emanuele Filiberto divenne capo di un formidabile esercito. I francesi dal canto loro misero in piedi forze straordinarie per combattere i loro nemici. La Fiandra divenne il teatro di quella sanguinosa guerra. Dopo molti parziali attacchi, si venne ad una battaglia campale presso una città dei Paesi Bassi detta s. Quintino. Oltre alle forze umane il Duca di Savoia fece eziandio ricarso all'aiuto del Cielo, senza cui tornano vani tutti gli sforzi degli uomini. Invitò i suoi soldati alla preghiera, e a porsi tutti sotto alla protezione di s. Lorenzo. Se io riporterò vittoria, diceva quell'eroe cristiano, prometto che appena giunto ne' miei Stati, farò innalzare una chiesa in vostro onore, o glorioso martire s. Lorenzo. Appoggiati all' aiuto del Cielo, gli spagnuoli e i piemontesi attaccarono i francesi, che maggiori in numero opposero una gagliarda resistenza. Ma in fine dovettero cedere, e la vittoria fu degli alleati. Lo stesso voto aveva fatto il re di Spagna, lungi però dal campo di battaglia. {71 [339]} Filippo edificò a s. Lorenzo il famoso monastero presso Madrid, siccome abbiam detto.

            Emanuele Filiberto, giunto a Torino, procurò di ornare e quasi edificare una piccola chiesa vicino al suo palazzo. L'altare maggiore fu dedicato a s. Lorenzo. Egli desiderava di compiere il suo voto, facendo dalle fondamenta innalzare un tempio degno della magnificenza di un sovrano. Ma potè soltanto iniziarlo, e la gloria di compierlo era riserbata ad un suo successore ed ai medesimi torinesi, che con generose oblazioni vi presero parte. La chiesa fu condotta a compimento nell'anno 1687.

            Entrando in questa chiesa, sembra di vederne la cupola sospesa in aria. Essa è sostenuta da archi che si vanno di mano in mano stringendo, e si reggono intrecciandosi bizzarramente l'uno nell'altro.

            Sull'urna dell'altar maggiore è scolpita in basso rilievo la battaglia di s. Quintino con un angelo che benedice le genti capitanate da Emanuele Filiberto. (Cibr., Stor. di Tor., L. 3, 10.)

            Sopra l'arco di questo medesimo altare avvi la seguente iscrizione: Emmanuel Philibertus vovit - Joanna Maria a Sabaudia {72 [340]} perfecit. Vale a dire: il duca Emanuele Filiberto fece voto di una chiesa a s. Lorenzo, Maria Gioanna duchessa di Savoia lo adempì, conducendola a compimento.

            Pertanto, o lettore, se ti accadrà di visitare la chiesa di s. Lorenzo eretta in questa città, fa di considerarla come glorioso monumento che attesta le benedizioni del Cielo versate sopra gli uomini ad intercessione di s. Lorenzo. Che se tu andrai nella piazza di s. Carlo, in mezzo di essa vedrai sorgere una statua equestre sopra cui siede un guerriero che ripone la spada nel fodero in segno che, dopo aver in varie battaglie riconquistato i suoi Stati, rientra nella capitale, e cessando dalla guerra, li riordina colle arti della pace. Quel guerriero è il duca di Savoia Emanuele Filiberto, l'eroe di S. Quintino. Egli è quivi rappresentato come in trionfo, dopo quella giornata che gli procurò tanta gloria; gloria della quale va debitore all'intercessione di s. Lorenzo martire; e col fatto invita ogni cristiano a ricorrere con fede a quel celeste benefattore, che in tante prodigiose maniere venne in aiuto ai miseri mortali.

            Questo glorioso martire di Gesù Cristo si degni di pregare Dio per noi; lo preghi {73 [341]} affinchè il suo sdegno si plachi, e tornino fra noi giorni di pace, e così possiamo fedelmente servire Dio Creatore, e glorificarlo ne' suoi santi tutti i giorni di nostra vita.

 

FINE. {74 [342]}

 

 

Varieta' . Regola di vita cristiana.

 

            I. Ogni giorno. La mattina alzato di letto (che sia sempre di buon' ora dopo sette ore circa di riposo) inginocchiarsi innanzi al Crocifisso, o altra sacra immagine, e fare gli atti come nella pagina seguente. Udir la S. Messa, che è il tesoro del Cristiano, e fare in essa, o in altro tempo mezz'ora o almeno un quarto di Meditazione (per la quale è concessa ogni mese Indulgenza Plenaria, confessati e comunicati dentro di quello). Non lasciare la meditazione per qualunque aridità, distrazione od occupazione; si può fare anche nelle faccende: chi non lascia quella, certamente si salverà. Dopo pranzo leggere qualche libro spirituale, o vita di Santo, fare la visita a Gesù Sagramentato e a Maria SS.; e portandosi il Viatico agli infermi accompagnarlo sempre se si può. La sera dire il Rosario in famiglia colle Litanie della B. V., e fare l'esame di coscienza prima del riposo. {75 [343]}

            II. Ogni settimana. Confessarsi e comunicarsi almeno una volta, o alla più lunga 15 giorni da un Confessore stabile, dotto e pio, facendovi la confessione generale, aprendogli tutto l'interno e lasciandosi regolare cosi nello spirito, come negli affari di conseguenza; e non lasciarlo senza grave causa. Santificare le feste con assistere alla Dottrina, alle Sacre funzioni, alle Prediche, e a qualche Congregazione, attendendo ivi non ad altro, che al negozio della salute eterna. Nel sabato fare il digiuno o altra mortificazione, secondo il consiglio del direttore spirituale, con qualche pio ossequio in onore di Maria SS., di cui dev'essere devotissimo chi vuole assicurarsi il Paradiso. Nel venerdì o nella festa fare la Via-Crucis, per la quale si acquistano tutte le indulgenze de' Luoghi Santi di Gerusalemme. Nel venerdì si dica a ore 21 tre Pater ed Ave in memoria dell'agonia di Gesù e de' dolori di Maria. (Indulgenza plenaria in ogni mese, come per la Meditazione).

            III. Ogni mese fare un giorno di ritiro in silenzio con la Comunione, le Meditazioni, Lezioni spirituali, Esami e Preghiere, in preparazione alla morte.

            IV. Ogni anno fare nello stesso modo gli {76 [344]} Esercizi spirituali in Casa Religiosa, o luogo solitario, o (ciò non potendo fare) in casa propria per 8 o 10 giorni. (Indulgenza plenaria a chi fa questi esercizi). Far le novene della Madonna, del S. Natale, di Pentecoste, del Santo di cui si porta il nome e dell'Angelo Custode con varii fioretti di mortificazioni e col digiuno nelle vigilie loro.

            V. In ogni tempo fuggir l'ozio, le male compagnie, i discorsi immodesti o contrari alla carità. Raffrenare i sensi, massime gli occhi, la gola e la lingua. Nelle tentazioni specialmente d'impurità fare subito il segno della S. Croce, e invocare con fede Gesù e Maria sinchè dura la tentazione. Cadendo in qualche peccato, pentirsi subito e proporne l'emenda; e se fu grave, andarlo a confessare al più presto. Nelle cose dispiacenti, come infermità, perdite, persecuzioni, uniformarsi in tutto alla divina volontà con dir sempre: così vuole (o così ha voluto) Dio; sia Egli benedetto. Sempre poi offerire a Dio ciò che si fa, o si patisce, e vegliare e pregare ricordando che chi prega si salva, chi non prega si danna.

            Ogni domenica rileggere questa Regola.

(Da S. Alfonso de Liguori). {77 [345]}

 

Non malignare contro ai ministri di Dio.

 

            In Prato città di Toscana un focoso rivoluzionario entrato in un caffè, cavò fuori due pistole, dicendo: «con una voglio uccidere Pio IX, coll'altra il Parocò della Cattedrale.» Per confermare col gesto tale diabolica risoluzione, batte sul tavolino colla culatta d'una delle pistole, la quale essendo carica si sparò, e la palla andò a piantarsi nella testa di quello sciagurato. Si corre per un prete, ed il primo che s'incontra è il Parocò stesso della Cattedrale che quell'infelice voleva uccidere. Il Paroco corse in fretta, ma non trovò più che un cadavere.

(Gazzetta di Lione).

 

Col Signore non si burla.

 

            Alcuni giorni sono il popolo bolognese fu vivamente commosso per la morte di un empio. Entrato costui in un caffè, aveva dimandato un bicchiere d'acqua-vite, dicendo: «datemi per due soldi di scomunica.» Appena ebbe tracannato il liquore, l'infelice cadde a terra colpito dalla morte, lasciando cosi un terribile ammaestramento che delle cose che riguardano al Signore o parlarne con rispetto o tacerne affatto. (Le Monde. 24 maggio 1860).

 

Con approvazione della Revisione Ecclesiastica. {78 [346]}

 

 

Indice

 

Capo I. Singolare prerogativa del papato - Patria, studio di s. Sisto – Incontra s. Lorenzo - Viene eletto pontefice

Pag. 3

Capo II. Eresia de' Sabelliani - Ossequio di s. Dionigi alessandrino alla S. Sede

 7

Capo III. S. Lorenzo - Sua patria - Suoi genitori - Va a Roma - Suo zelo in questa città

 10

Capo IV. Rinnovamento della persecuzione di Valeriano - Parole di s. Sisto al suo clero - È condotto alla presenza dell'Imperatore

 14

Capo V. S. Sisto disprezza il culto degli Dei - Suo colloquio con s. Lorenzo

 18

Capo VI. S. Lorenzo distribuisce i tesori della Chiesa ai poveri - Opera un miracolo in casa di s. Ciriaca, ed un altro in casa di Narcisso - Esorta alla fermezza nella fede

 22

Capo VII. Confessione di s. Sisto - Compie il suo martirio

 26

Capo VIII. S. Lorenzo dà miracolosamente la vista a molti ciechi - Converte Ippolito carceriere - Invece di tesori raduna una schiera di poveri dinanzi all'Imperatore - Principio de' suoi patimenti

 30

Capo IX. S. Lorenzo viene esposto a nuovi flagelli - Conversione e martirio di s. Romano soldato

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Capo X. S. Lorenzo è dì nuovo interrogatato. È condannato al fuoco - Sua eroica fortezza - Compie il martirio

Pag. 38

Capo XI. Chiese in Roma edificate in onore di s. Lorenzo

 43

Capo XII. Molti operai sono prodigiosamente alimentati - Miracolo avvenuto nella ristorazione di un tempio dedicato a s. Lorenzo

 49

Capo XIII. Maraviglie intorno al sangue di s. Lorenzo - Reintegrazione di un calice avvenuta in Milano - Storia di una singolare guarigione della cecità

 52

Capo XIV. Rispetto alle reliquie del santo - Prodigiosa vittoria riportata da s. Enrico - Profanazione del giorno festivo punita

 57

Capo XV. Miracolosa liberazione di prigionieri - Altare preservato dalle fiamme - Santificazione del dì festivo ricompensata

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Capo XVI. Un contadino è liberato dalla pioggia - Altri sono puniti per la violazione della festa del santo

 64

Capo XVII. Pioggia prodigiosa - Prodigio succeduto alla tomba di s. Lorenzo

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Capo XVIII. Chiesa di s. Lorenzo in Torino - Voto del duca Emanuele Filiberto

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Varietà. Regola di vita cristiana

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             Non malignare contro ai ministri di Dio

 78

             Col Signore non si burla

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[1] Tutte le notizie che qui riferiamo di san Lorenzo e di s. Sisto sono fedelmente ricavate dai Bollandisti e dal Surio nel giorno 6 e 10 di agosto, oppure da quegli autori che si andranno citando.

[2] Gli antichi orientali non portavano scarpe, come noi, che coprissero interamente il piede, ma solo difendevano le piante de' piedi per mezzo di sandali, ossia di suola rattenuta aderente con semplici strisce che si legavano, tanto che la parte superiore de' piedi rimaneva scoperta. Entrando in casa loro o d'altri i servi slegavano loro i sandali; che se tornassero imbrattati di polverìo o di fango, gli stessi servi lavavano loro anche i piedi. Ma ai personaggi distinti e degni di maggior onore lo stesso padrone di casa prestava tali bassi ufflzii. Questi erano dai cristiani prestati per umiltà. S. Giovanni, il Precursore, si protestava indegno di sciogliere le legacce dei sandali del Messia. Il nostro Redentore per insegnarci umiltà lavò i piedi ai discepoli. La Maddalena lavò i piedi a G. C.

[3] V. Boll, e Surio, 14 luglio.




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