raccolte dal sacerdote salesiano Giovanni Battista Lemoyne
(Giovanni Battista LEMOYNE voll. I-IX, Angelo AMADEI vol. X, Eugenio CERIA voll. XI-XIX, Indice anonimo dei voll. I-VIII e Indice dei voll. I-XIX a cura di Ernesto FOGLIO)
Capo d'anno, visite, conferenze. Infermità dei Santo. 5
Per la Liguria in Francia e dalla Francia nuovamente nella Liguria. 14
Un mese a Roma. Chiesa del Sacro Cuore e udienza pontificia. Sogno sul passato e sul presente dell'Oratorio. Ritorno per Firenze e Bologna. 28
La comunicazione dei privilegi. 51
Don Bosco nell'Oratorio da Maria Ausiliatrice a San Giovanni. Per la grande lotteria di Roma. 59
Sull'andamento dell'Oratorio. 75
Soggiorno di Don Bosco a Pinerolo. 87
Durante il colera del 1884. 97
Don Bosco e l'Esposizione nazionale di Torino. 103
Testamento paterno e provvedimento papale. 108
Il primo Vescovo salesiano. 122
Proposte di fondazioni in Italia e alcune particolarità di case italiane durante il 1884. 137
Inviti e fondazioni fuori d'Italia nel 1884. 149
Alcune norme pratiche e due sogni. 156
Varia corrispondenza nel 1884. 165
Annuale viaggio del 1885 in Francia. 179
Nell'Oratorio, dall'Oratorio, per l'Oratorio. Soggiorno a Mathi. 195
Per la chiesa e per l'ospizio dei Sacro Cuore. Ancora della lotteria. 224
Di alcune case e di alcune proposte in Italia. 231
Nella Spagna e nella Francia. 250
Nell'Uruguay, nel Brasile, nell'Argentina. 260
Aneddoti, direttive, lettere. 275
DOCUMENTI E FATTI ANTERIORI. 382
Anche questo biennio è ricco di avvenimenti per la vita di S. Giovanni Bosco. Due viaggi in Francia, un'andata a Roma, il conseguimento dei privilegi, la partecipazione all'Esposizione nazionale di Torino, il riordinamento dell'Oratorio la nomina del Vicario, la consacrazione del primo Vescovo salesiano, lo stabilirsi dei Salesiani a Parigi e a Barcellona, il loro ingresso nel Brasile e poi molte e svariate cose che chiameremo di ordinaria amministrazione, ma che, venendo da Don Bosco o avvenendo per suo impulso o secondo le sue direttive, rivestono sempre un carattere di peculiare importanza. Contemporaneamente si accentua purtroppo il declinare della sua salute, la quale, sebbene non sia stata mai scevra d'incomodi, ora tuttavia va deperendo a segno che anche esteriormente la persona gli si curva sotto il peso delle infermità.
Di qui innanzi il suo pensiero dominante è di dare alle proprie opere una salda stabilità. Per questo assicura il governo di tutta la Congregazione, creandosi d'accordo con la Santa Sede in Don Rua un Vicario generale che gli abbia poi a succedere dopo la sua morte; per questo organizza definitivamente le Missioni dell'America meridionale, ottenendo da Roma che siano affidate a un Vicario e a un Prefetto apostolico nelle persone di Don Cagliero e di Don Fagnano; per questo si preoccupa di riassettare la Casa Madre, affinchè si mantenga costantemente modello di tutte le altre; per questo infine rende normale [6] il noviziato quanto all'andamento interno e quanto alla procedura da seguire nelle ammissioni. Anche alla Pia Unione dei Cooperatori apporta non solo aumento di numero, ma anche maggior forza di coesione. Egli si adopera insomma a far sì che i Salesiani prendano in seno alla Chiesa e in mezzo alla civile società la consistenza d'un corpo omogeneo, vigoroso e capace di ulteriori sviluppi, anche quando egli non sarà più.
Intanto la sua fama di santità va riempiendo il mondo. Grazie impetrate mediante le sue preghiere, l'avverarsi di sue predizioni, guarigioni prodigiose avvenute in sua presenza o con invocare da lungi la sua benedizione confermano ognor più la generale opinione che egli sia un grande taumaturgo e un inviato del Cielo e si accorre quindi e si scrive a lui dai più remoti Paesi dell'Europa e dell'America per implorare il soccorso de' suoi lumi o il benefizio delle sue orazioni. Nè sono genti del popolo soltanto quelle che si sentono attratte così verso la sua persona; ma si veggono dignitari altissimi del clero e del laicato, italiani e stranieri, visitarlo nell'Oratorio o durante il corso delle sue peregrinazioni per conoscerlo, per chiedergli consiglio, per esserne benedetti. E tutto questo nonostante che giornali settari gli spargano contro velenose insinuazioni o nere calunnie. L’eroismo delle sue virtù e la realtà delle sue grandi opere, non potendo restare sotto il moggio, s’impongono talmente che qualsiasi mena avversaria finisce con cadere a vuoto come telum imbelle sine ictu.
Il sapientissimo Leone XIII, a mano a mano che veniva conoscendo l’uomo di Dio, dava sempre maggiori prove della sua stima verso di lui. Un giorno, circondato da una corona di prelati, mise il discorso su Don Bosco e li interrogò che cosa ne pensassero. I pareri erano divisi. Finalmente il Papa fece una domanda: - Può un uomo con le sole sue forze naturali fare quello che fa Don Bosco? -Ed enumerate le sue opere, proseguì: - No, non può. Dunque ci vuole qualche cosa di soprannaturale che lo animi, nè questo potrebbe essere altro che Dio o lo spirito delle tenebre. Ma quale sia il suo vero movente, è facile argomentarlo [7] dalla natura degli effetti. Ex fructibus eorum cognoscetis eos[1].
Continuano nel 1885 i sogni missionari. Il panorama delle future Missioni salesiane si delinea e si dilata a dismisura dinanzi allo sguardo antiveggente di Don Bosco. Nel 1883 nel fulmineo viaggio da Cartagena a Puntarenas ha scorto le località dell’America meridionale, dove saranno chiamati i suoi figli. Indi fra il gennaio e il febbraio del 1885, intravedendo confusamente i nuovi mezzi delle comunicazioni aeree, contempla i trionfi che si riporteranno specialmente a partire dal Brasile fino alla Terra del Fuoco, e in luglio percorre a volo il campo di azione che la provvidenza riserba ai Salesiani nell’Asia, nell’Africa e nell’Australia. Sono espansioni di cui allora, umanamente parlando, neppure sulle ali della più fervida fantasia egli avrebbe mai potuto raggiungere il sospetto. Altre manifestazioni dello stesso genere avrà ancora Don Bosco in seguito, cosicchè al termine della vita egli avrà divinato e prospettato a’ suoi figli un programma missionario, alla cui attuazione si porrà mano progressivamente da parecchie generazioni.
La menzione di questi sogni particolari invita a dire una parola sopra i sogni di Don Bosco in generale. Quelli che egli chiamava sogni accompagnarono il Santo dai primi albori della ragione fino al tramonto della vita. Bisogna però distinguere bene sogni da sogni, perchè la comune denominazione ha fatto un mescolamento di fenomeni assai disparati. Volendoli debitamente classificare, diremo che sotto il nome generico di sogni di Don Bosco vanno confusi sogni che non furon sogni, sogni nient’altro che sogni e sogni rivelatori. Certi sogni si debbono assolutamente chiamare visioni, perchè accaddero fuori dello stato di sonno; tali furono, per esempio, la rivelazione profetica presso il capezzale del giovinetto Cagliero morente e l'altra del 1870 sull'avvenire dell'Italia e della Francia, di Roma e di [8] Parigi. Sono dello stesso genere le apparizioni di Luigi Colle, che egli soleva denominare distrazioni. Talora al contrario Don Bosco narrò nell'intimità sogni veri e proprii, alcuni dei quali s'incontreranno pure in questo volume e nel seguente. A rigor di termini, non sarebbe il caso di tenerne conto nella sua biografia; nondimeno, poichè egli li raccontò e fra noi piace sapere tutto ciò che è possibile conoscere intorno alla sua persona, li abbiamo accolti in queste Memorie, senza però attribuirvi maggior importanza che non vi desse egli medesimo; almeno possono sempre avere qualche interesse dal lato psicologico. Ma la categoria più numerosa e caratteristica dei sogni di Don Bosco è costituita da quelli che contenevano elementi rivelatori, inafferrabili con le sole forze della sua mente. In essi egli rivedeva il passato, vedeva il presente, antivedeva il futuro. Per lo più le rivelazioni gli si presentavano sotto specie di simboli; ma non di rado gli si affacciava anche la nuda realtà, come quando gli si scoprivano i segreti delle coscienze o gli si spiegavano dinanzi le particolarità di luoghi a lui sconosciuti o comunque fuori di mano.
E qui nasce la questione sull’origine di siffatti sogni.
E teologicamente certo che gli Angeli buoni e gli angeli cattivi, permettendolo Iddio, esercitano un potere sulla materia. Niente, dunque impedisce loro di agire sul nostro cervello, per “eccitare una data cellula, la cui attività si collega al formarsi di un dato sentimento, di una data immagine o di un dato pensiero ”, producendo così in noi l’impressione che ci si voglia tentare o illuminare. Inoltre può sempre Iddio “creare senz’altro una realtà che ci venga incontro durante il sonno sotto forma di sogno o durante la veglia sotto forma di visione”[2]. Tale appunto sembra essere stata la maniera prescelta dalla provvidenza per guidare Don Bosco nella sua via.
É del pari biblicamente vero che Dio talora per mezzo di sogni parlò a’ suoi servi o procurò ad essi la rappresentazione di [9] vari oggetti. Ad Aronne e a Maria, sua sorella, Dio disse che sarebbe comparso agli altri profeti in visione e avrebbe parlato loro nei sogni[3]. Ad Abimelech, re di Gerara, Dio rivelò in sogno la sorte che lo aspettava per aver rapito Sara; in sogno Labano fu avvertito di non proferir parola torta contro Giacobbe[4]. Nel libro di Gioele, alludendosi alla copia di grazia che sarà diffusa sopra i Cristiani, si annunzia che vi saranno profezie, sogni e visioni[5]. In sogno parlò Dio a Salomone, colmandolo di celeste sapienza[6]. Più volte poi l'Angelo fece conoscere a S. Giuseppe in sogno i voleri di Dio, come in sogno furono messi sull'avviso i Magi, perchè non ripassassero da Erode. Tre motivi adduce il Cardinal Bona per mostrare come la quiete del riposo notturno si presti meglio a ricevere certe impressioni del cielo con quella forma di visioni che si dicono immaginarie. Nel sonno l’anima è meno distratta da molteplicità di pensieri; inoltre, essendo più passiva, è disposta più ad accettare e meno a discutere; infine in quel silenzio dei sensi le immagini si stampano meglio nella fantasia[7].
È poi storicamente provato che certe anime elette furono favorite così di visioni immaginarie durante il sonno. Dalla celebre Passio di Santa Perpetua del 203 alla storia di non pochi fondatori e fondatrici d’Ordini religiosi e alle vite d’illustri convertiti quante volle non vediamo entrare il sogno come elemento soprannaturale per premunire, confortare, ispirare, scuotere! Un Santo che molto s’assomigliò al Nostro fin da giovane nel ricevere dormendo superne illustrazioni sul carattere della missione a lui destinata dal Cielo, fu Anscario, il grande Apostolo del Nord nel secolo nono.
Bisogna ritenere per altro che le rivelazioni fatte veramente da Dio nei sogni sogliono essere piuttosto rare e che d’ordinario i sogni di tal natura riescono di non, facile interpretazione, [10] involti come si presentano in simboli e figure poco intelligibili.
Ecco perchè vi occorrono interpreti, che posseggano il dono della discrezione degli spiriti, se si voglia penetrarne con sicurezza il recondito significato. Nessuno interpretò i due sogni di Giuseppe ebreo, e la loro intelligenza si acquistò solo quando i fatti ne diedero molti anni dopo la spiegazione. Non così fu dei sogni delle sette e sette vacche, delle sette e sette spighe fatti dal Faraone d'Egitto, perchè Giuseppe ne chiarì il senso; e lo stesso accadde mercè l'interpretazione di Daniele per i sogni della statua gigantesca e del grandissimo albero, mandati a Nabucodonosor. Simbolici solevano essere i sogni di Don Bosco; ma la difficoltà dell’intenderli gli veniva appianata durante i sogni medesimi o per bocca di personaggi che gli facevano da guide o per mezzo di didascalie tanto scritte che orali.
La discrezione degli spiriti non è meno necessaria per ben discernere quando si tratti di sogni divini o di illusioni diaboliche o di scherzi della fantasia. Albergava senza dubbio questo carisma nell’anima del Beato Cafasso. Ora egli, consultato ripetute volte da Don Bosco in confessione, gli rispondeva sempre di stare tranquillo e di raccontare quei sogni, perchè facevano del bene. E del bene realmente ne producevano, giacchè nei giovani uditori ne veniva alimento alla pietà e orrore al peccato. Osservando inoltre come le notizie comunicategli per tal via rispondessero al vero e come si avverassero le previsioni di morti e di altri fatti contingenti e umanamente imprevedibili, noi abbiamo le più tangibili prove che non si navigava nel solito gran mare dei sogni. Anche la maniera tenuta da Don Bosco nell’esporli deponeva in favore della loro natura soprannaturale; poichè il Santo condiva di sincera umiltà le sue narrazioni, cercando con destrezza di allontanare dalle menti altrui ogni idea che egli possedesse meriti o godesse di privilegi eccezionali. Onde a buon diritto il Servo di Dio Don Rua nei processi li qualificava senz’altro per visioni; anzi dichiarava di sentirsi portato a credere che Don Bosco riguardasse come un dovere da parte sua il render note per vantaggio spirituale delle, anime tali cose [11] mostrategli in sogno e che a questo lo movesse un impulso soprannaturale.
A meglio comprendere la natura specifica di questi sogni giova considerare come nell’andamento di essi ci si presenti uno sviluppo logicamente ordinato ad uno scopo; il che non si verifica nei sogni consueti. Qui infatti è un inseguirsi più o men confuso di ricordi come di note musicali incalzantisi all’impazzata sulla tastiera della nostra intelligenza addormentata. Quanta assurdità in quella ridda d’immagini! Per questo fu detto che affannarsi a scoprire in tale accozzo un nesso e un senso è come voler scoprire un motivo musicale in una scorribanda notturna di topi lungo un pianoforte. Invece nei sogni di Don Bosco si ravvisa costantemente un fondo serio che costituisce la base di tutta l’azione onirica; siffatta azione poi, ora semplice ora molteplice, procede a gradi senza dar luogo alle incongruenze o alle banalità che in generale non si scompagnano mai dalle fantasmagorie risvegliantisi e rigirantisi nell'immaginazione di chi dorme. Che se a volle compaiono fenomeni che abbiano dello strano, Don Bosco li avverte come tali, ne chiede il perchè e ne riceve spiegazioni sotto ogni riguardo soddisfacenti. Eccoci dunque fuori del mondo dei sogni propriamente detti.
Vi sono certi sogni che, quand’egli li raccontò, parvero davvero sogni e nulla più; invece chi ha potuto aspettare, si è dovuto convincere che nascondevano l’annunzio di eventi futuri. Valga per tutti il seguente. Una volta, non sappiamo in che anno, Don Bosco sogna di trovarsi in S. Pietro, dentro la grande nicchia che si apre sotto il cornicione a destra della nave centrale, perpendicolarmente alla bronzea statua del principe degli Apostoli e al medaglione in mosaico di Pio IX. Egli non sa come sia capitato lassù e non si dà pace. Guarda attorno se vi sia modo di scendere; ma non vede nulla. Chiama, grida; ma nessuno risponde. Finalmente, vinto dall'angoscia, si sveglia. Orbene se taluno, udendo questo sogno, avesse creduto di scorgervi alcun che di profetico, si sarebbe detto che colui sognava a occhi [12] aperti. Al contrario; quando queste pagine cadranno sotto gli occhi dei lettori, sorriderà proprio dall’alto di quella nicchia il magnifico Don Bosco del Canonica.
Piacerà infine conoscere quale fosse il pensiero di Don Bosco intorno a’ suoi sogni. Per coglierlo giusto non bisogna badare a quello che diceva in pubblico, ma alla sua maniera di agire e di esprimersi in privato. Suo pubblico erano per questo unicamente i giovani e i Confratelli dell’Oratorio e talvolta i soli Superiori del Capitolo. In pubblico non usava altro termine che di sogni, nè si lasciava sfuggire espressione, dalla quale si potesse argomentare che li volesse far prendere per rivelazioni soprannaturali; anzi nel raccontarli usava frasi e motti arguti, che nella sua intenzione, dovevano servire a rimuovere dalla mente degli ascoltatori qualsiasi idea di tal genere. Personalmente invece egli faceva gran conto delle cose vedute. Così, per esempio, con i conti Colle, parlando o scrivendo delle apparizioni del defunto loro figlio, non adoperava mai la parola sogno, ma esponeva tutto senza qualificare[8]. Molto degna di nota è poi un’osservazione di Don Lemoyne. Discorrendo con Don Bosco il 5 gennaio 1886 del sogno sulla guarigione del chierico Olive, del qual sogno ci occuperemo nel volume diciottesimo, il segretario del Capitolo chiamò visioni i sogni di lui e il Santo gli diede ragione. Quindi nel suo notiziario Don Lemoyne avvertiva: “Fino all'anno 1880 circa, Don Bosco, raccontando i sogni, non aveva mai detta questa parola [visioni], ma con Don Lemoyne negli ultimi anni, benchè non la pronunciasse mai pel primo, pure assentiva alla frase usata da colui che conosceva molto bene il caro Padre, e solo in questi colloqui di confidenza ”.
Oggi ancora, dopo non breve lasso di tempo, dacchè la viva voce e la presenza del Santo cresceva efficacia alle sue esposizioni, i sogni di Don Bosco si rileggono da noi con vera utilità e ripetuti ai giovani destano in loro vivo interesse e producono buoni frutti. Fra estranei può darsi che tosto o tardi non vi si annetta [13] più una grande importanza, prevalendo il naturale pregiudizio che induce a mettere tutti i sogni in un sol fascio e a considerarli al più al più come bei vaneggiamenti d’una bella immaginazione; ma negli ambienti nostri, dove si fa l'orecchio a udirli spesso menzionare e quindi gli animi si abituano a ritenerli come arcane rivelazioni, continueranno ad aver corso, formando un rivolo perenne di quella tradizione salesiana che risale alle origini.
Ed ecco appunto una delle più forti ragioni che consigliano di radunare e ordinare in queste Memorie biografiche ogni atto, ogni detto, ogni scritto del nostro grande Fondatore. Che fuori della nostra famiglia certe cose appaiano minuzie non meritevoli dell'onore di figurare accanto a fatti degnissimi di poema e di storia, non ci deve sorprendere: il gran pubblico non tiene calcolo de minimis; ma per noi sono tanti elementi preziosi che contribuiscono a fissare saldamente la tradizione. E per conseguire tale intento è indispensabile che le generazioni lontane ritrovino poi nei nostri volumi la figura vivente del padre con i suoi lineamenti distintivi, con le sue abitudini domestiche e con le sue personali maniere di pensare, di parlare, di operare, sicchè attraverso a queste pagine egli continui ad esercitare quanto sarà possibile, sopra i suoi la primiera efficacia formativa, nè abbiano mai a fare capolino deviatrici incomprensioni. Quest’ultimo pericolo sarà più facilmente scansato, se esisterà un punto sicuro di riferimento, rimandando al quale sia lecito ripetere: Inspice et fac secundum exemplar[9].
PER le feste natalizie e per il capo d'anno i figli di Don Bosco or in persona or con lettere presentavano all'amato padre i loro lieti auguri, accompagnandoli con care espressioni di affetto. Egli dava molta importanza a queste filiali dimostrazioni, che contribuivano tanto a stringere i vincoli della stia famiglia spirituale, nè ometteva tosto o tardi, a voce o per iscritto, secondo l'occasione o la convenienza, di far vedere ai singoli, che serbava memoria delle cose da loro dettegli. Nel 1884 per significare il suo gradimento ricorse a una forma più solenne del consueto, indirizzando a tutti una bella circolare, in cui, ricordate le generali testimonianze di affettuosa devozione o lui rese, li eccitava a fare del loro meglio per raggiungere lo scopo prefissosi nell'abbracciare la vita salesiana e indicava nell'osservanza delle Regole l'unico mezzo per conseguire sicuramente l'intento.
Grande consolazione io provo ognivolta che mi è dato di ascoltare parole di ossequio e di affezione da voi, o miei cari figliuoli. Ma le affettuose espressioni, che con lettere o personalmente mi avete mani [16] festate nell'augurio di buone feste e di buon capo d'anno, richiedono ragionevolmente da me uno speciale ringraziamento che sia risposta ai figliali affetti che mi avete esternati.
Vi dico adunque che io sono assai contento di voi, della sollecitudine con cui affrontate qualsiasi genere di lavoro, assumendovi anche gravi fatiche a fine di promuovere la maggior gloria di Dio nelle nostre Case e tra quei giovanetti che la Divina Provvidenza ci va ogni giorno affidando, perchè noi li conduciamo pel cammino della virtù, dell'onore, per la via del Cielo. Ma in tanti modi e con varie espressioni mi avete ringraziato di quanto ho fatto per voi; vi siete offerti di lavorar meco coraggiosamente e meco dividere le fatiche, l'onore e la gloria in terra, per conseguire il gran premio che Dio a tutti noi tiene preparato in Cielo; mi avete detto eziandio che non altro desiderate fuorchè conoscere ciò che io giudico bene per voi e che voi l'avreste inalterabilmente ascoltato e praticato. Io gradisco adunque queste preziose parole, cui come padre rispondo semplicemente che vi ringrazio con tutto il cuore e che voi mi farete la cosa più cara del mondo se mi aiuterete a salvare l'anima vostra.
Voi ben sapete, amati figliuoli, che vi ho accettati nella Congregazione, ed ho costantemente usate tutte le possibili sollecitudini a vostro bene per assicurarvi l'eterna salvezza; perciò, se voi mi aiutate in questa grande impresa, voi fate quanto il mio paterno cuore possa attendere da voi. Le cose poi che voi dovete praticare a fine di riuscire in questo gran progetto, voi potete di leggieri indovinarle. Osservare le nostre regole, quelle regole che Santa Madre Chiesa si degnò approvare per nostra guida e per il bene dell'anima nostra e per vantaggio spirituale e temporale dei nostri amati allievi. Queste regole noi abbiamo lette, studiate ed ora formano l'oggetto delle nostre promesse, e dei voti con cui ci siamo consacrati al Signore. Pertanto io vi raccomando con tutto l'animo mio, che niuno lasci sfuggire parole di rincrescimento, peggio ancora, di pentimento di essersi in simile guisa consacrato al Signore. Sarebbe questo un atto di nera ingratitudine. Tutto quello che abbiamo o nell'ordine spirituale o nell'ordine temporale appartiene a Dio; perciò quando nella professione religiosa noi ci consacriamo a Lui non facciamo altro che offerire a Dio quello che Egli stesso ci ha, per così dire, imprestato, ma che è di sua assoluta proprietà.
Noi pertanto, recedendo dall'osservanza dei nostri voti, facciamo un furto al Signore, mentre davanti agli occhi suoi riprendiamo, calpestiamo, profaniamo quello che gli abbiamo offerto e che abbiamo riposto nelle sue sante mani.
Qualcuno di voi potrebbe dire: ma l'osservanza delle nostre regole costa fatiche. L'osservanza delle regole costa fatica in chi le osserva mal volentieri, in chi ne è trascurato. Ma nei diligenti, in chi ama il bene dell'anima, questa osservanza diviene, come dice il Divin Salvatore, [17] un giogo soave, un peso leggiero: Jugum meum, suave est et onus meum leve.
E poi, miei cari, vogliamo forse andare in Paradiso in carrozza? Noi appunto ci siam fatti religiosi non per godere, ma per patire e procurarci meriti per l'altra vita; ci siamo consecrati a Dio non per comandare, ma per obbedire; non per attaccarci alle creature, ma per praticare la carità verso il prossimo mossi dal solo amor di Dio; non per far una vita agiata, ma per essere poveri con Gesù Cristo, patire con Gesù Cristo sovra la terra per farei degni della sua gloria in Cielo.
Animo adunque, o cari ed amati figli; abbiamo posto la mano all'aratro, stiamo fermi; niuno di noi si volti indietro a mirare il mondo fallace e traditore. Andiamo avanti. Ci costerà fatica, ci costerà stenti, fame, sete e forse anche la morte; noi risponderemo sempre: se diletta la grandezza dei premi, non ci devono per niente sgomentare le fatiche che dobbiamo sostenere per meritarceli: Si delectat magnitudo praemiorum, non deterreat certamen laborum.
Una cosa credo ancora bene di manifestare. Da ogni parte i nostri confratelli mi scrivono, ed io sarei ben lieto di dare a ciascuno la relativa risposta. Ma ciò non essendomi possibile, io procurerò di inviare delle lettere con maggior frequenza; lettere che mentre mi danno agio di aprirvi il mio cuore, potranno eziandio servire di risposta, anzi di guida a coloro che per santi motivi vivono in paesi lontani e perciò non possono di presenza ascoltare la voce di quel padre che tanto li ama in Gesù Cristo.
La grazia del Signore e la protezione della Santa Vergine Maria siano sempre con noi, e ci aiutino a perseverare nel divino servizio fino agli ultimi momenti della vita. Così sia.
Mutatis mutandis, la medesima circolare fu da lui inviata anche alle Figlie di Maria Ausiliatrice.
Ai giovani dell'Oratorio egli non parlava più dopo le orazioni della sera, ma di lui parlavan loro incessantemente i Superiori; continuava però a prodigarsi nel tribunale di penitenza, che non abbandonò più dopo il suo ritorno da Parigi. In gennaio all'alunno Vivaldi da Roccaforte, prima di lasciargli principiare l'accusa, disse categoricamente: - Procura di fare una buona confessione, perchè questa è l'ultima volta che ti confessi da me. - Il ragazzo almanaccò a lungo su quelle [18] parole, temendo o di dover presto morire o di dover essere allontanato dalla casa. Ma nè l'una nè l'altra ipotesi rispondeva al vero. Da quel giorno o per assenze di Don Bosco dal confessionale o per trovarsi il giovane in altre case, il fatto è che questi non potè mai più nemmeno una volta confessarsi dal Santo.
Un amico dì assai vecchia data era monsignor De Gaudenzi, vescovo di Vigevano. Da canonico prevosto della Cattedrale di Vercelli, beneficandolo nelle molte sue necessità lo trattava abitualmente con la massima domestichezza, e fatto Vescovo, continuò a volergli un gran bene, aiutandolo volentieri col peso della sua autorità e tenendolo sempre in alta stima. Chi praticava con Don Bosco, quanto più da vicino lo conosceva, tanto più si sentiva crescere il buon concetto verso la sua persona. Ora nel rispondere a' suoi auguri per il capo d'anno Monsignore cordialmente gli scriveva[10]: “La ringrazio della buona memoria che conserva di questo tapino. Il Signore la conservi al bene di tante anime, allo splendore della Chiesa, a dimostrare quanto valga un sacerdote che abbia lo spirito del Signore. Io non oso più rinnovarle la preghiera che venga a trovarmi. Dico solo che il Sig. D. Bosco mi è sempre presente ”. Gli mandava intanto un'offerta per le Missioni.
Benefattori e benefattrici non lasciavano passare il capo d'anno senza ricordarsi di lui e mandargli la loro strenna. Alcune lettere di ringraziamento ci sono rimaste. Una è per la signora Magliano, già più volte incontrata[11].
Non so se la sua venuta a Torino sia presto o non tanto presto. Perciò voglio affrettarmi ad assicurarla che col cominciamento dell'anno abbiamo cominciato delle preghiere per Lei e le continueremo sino a gennaio di un altro anno, lo poi farò ogni mattino un memento speciale nella Santa Messa.
Dimandiamo costantemente per Lei sanità e santità; e ciò tutto [19] per darle un piccolo segno di gratitudine per la carità che ci ha fatto, ci fa tuttora in vari nostri bisogni.
Dio la benedica, Maria S.ma la protegga. Voglia anche pregare per tutta questa nostra famiglia e specialmente per questo poverello che le sarà sempre in nostro Sig. G. Cristo
Un'altra lettera è Indirizzata alla contessa Sclopis[12].
Alla Signora Contessa Sclopis.
Do incarico alla Santa Vergine Ausiliatrice che la ricompensi da parte mia. Io la ringrazio della sua carità, e co' miei orfanelli pregheremo tanto per Lei per la carità che si degna di farei.
Spero aver l'onore di poterla riverire e ringraziare personalmente tra non molto tempo.
Voglia pregare anche per questo poverello che con gratitudine le sarà sempre in G. C.
Una terza va alla cooperatrice lionese, signora Quisard, la quale, mentre sollecitava l'apertura di una casa salesiana nella sua città, si adoperava con zelo per aiutare il Santo[13].
Visite illustri onorarono l'Oratorio nei due primi mesi. L'arcivescovo di Lione, cardinale Caverot, che erasi mostrato piuttosto freddo con Don Bosco l'anno precedente, ora, recandosi a Roma, si fermò a Torino appositamente per vederlo. Arrivò nelle ore pomeridiane del I° gennaio, mentre i giovani, radunati nel santuario, dopo il canto dei vespri, ascoltavano la predica. Don Bosco, fattegli le più rispettose e cordiali accoglienze, lo invitò poi a entrare nella chiesa per assistere alla funzione dei capodanno. La cerimonia fu lunghetta a motivo [20] della musica; tuttavia l'Eminentissimo stette fin dopo la benedizione, ammirando il contegno dei giovani, sicchè ne complimentò il Servo di Dio. - Si dice, osservò, che Don Bosco fa miracoli; ma io potrò riferire al Santo Padre d'aver veduto con i miei occhi un gran miracolo: un sì gran numero di ragazzi assistere raccolti e silenziosi a una funzione ben lunga per la loro età. - Avrebbe desiderato vedere i laboratori; ma, essendo giorno di riposo nell'Oratorio, promise che sarebbe tornato qualche altra volta a completare la visita. Dopo si trattenne un po' di tempo in mezzo ai giovani e ai superiori, che subito l'avevano attorniato. Quando fe' cenno di voler partire, tutti s'inginocchiarono ed egli li benedisse[14].
Nel febbraio seguente tre Vescovi francesi vennero a trovare il Servo di Dio. La sera del 10 si presentarono insieme quelli di Grenoble e di Viviers, monsignor Fava e monsignor Bonnet. Era domenica e tutta la comunità stava in chiesa. Don Bosco ricevette con la sua amabilità i due Prelati, che s'intrattennero a lungo con lui e dopo manifestarono il desiderio di vedere i giovani. Mancando pochi minuti alla benedizione, la diede pontificalmente monsignor Fava, mentre il suo collega vi assisteva nel presbiterio. All'uscita furono accolti a suono di banda fra grandi applausi. Monsignor Fava parlò. Ringraziati e felicitati i sonatori, proseguì: - Alcuni anni fa aveva anch'io l'alta direzione di una banda musicale di giovanotti; ma il loro colore differiva dal vostro. Erano poveri abitanti del Zanzibar. Il mio cuor e di missionario gioisce qui al pensiero che tanti di voi, seguendo le orme di coloro che vi han preceduti, andranno un giorno fra selvaggi o fra cristiani degeneri per recar loro la dolce e benefica luce del Vangelo. Ma purtroppo anche i nostri paesi cattolici non sono forse diventati, per dir così, terre di missione? L'ignoranza religiosa e l'indifferentismo, financo l'odio contro la religione alimentato dall'ignoranza e fomentato da empi eccitamenti, fanno [21] progressi ogni dì maggiori. Sia mille volte ringraziato il Signore per quello che si degnò di suscitare qui, sotto il manto verginale della Madre sua, uno stuolo cioè di operai istruiti e zelanti, che, laici o sacerdoti, verranno a suo tempo in aiuto della Chiesa, mantenendo nelle anime il rispetto, la conoscenza, l'amore e la pratica della nostra santa religione. - Un caloroso battimani rispose alle sue parole; poi tutti accompagnarono fino all'uscita i due venerandi Pastori.
Al mattino del 24 fu la volta di monsignor Soubiranne, vescovo di Belley. Celebrata la Messa all'altare di Maria Ausiliatrice, salì da Don Bosco, per il quale era venuto e che si trovava alquanto incomodato di salute, sicchè da alcuni giorni celebrava più tardi del solito nella cappellina accanto alla sua camera. Monsignore ebbe con lui un lungo colloquio, dopo il quale avrebbe voluto visitare i laboratori; ma era domenica e questi presentavano l'aspetto di corpi senz'anima. Non rinunziò per altro a vedere la tipografia, in cui ammirò l'ampiezza dei locali, le misure di precauzione per evitare disgrazie[15], i provvedimenti igienici e tutto il macchinario. Nell'accomiatarsi egli pure si disse desideroso di tornare un'altra volta, quando potesse osservare i giovani al lavoro[16].
Abbiamo narrato nel, volume precedente la prima visita del novello Arcivescovo all'Oratorio il 15 gennaio di questo anno. Nello stesso mese con esimia bontà egli ne fece una seconda, passando un'intera giornata con Don Bosco e con i Salesiani. Alcuni giorni prima, il 24, era già stato a Valsalice, dove si anticipava la festa di S. Francesco di Sales. Nel mese di gennaio si soleva in quel collegio di nobili salutare principe e onorare con un'accademia l'alunno che, finito il liceo, si fosse sempre e più di tutti segnalato per studio e condotta; [22] di lui si faceva anche il ritratto da tenere esposto nell'aula principale dell'istituto. Allora si era meritato quell'onore il giovane Bonifacio Di Donato, figlio d'una ragguardevole famiglia fossanese. Fra i personaggi intervenuti vi fu con il cardinale Alimonda anche monsignor Manacorda, vescovo del premiando. Don Bosco dalla salute fu impedito di prendervi parte. Il giovane venne esaltato in verso, in prosa e in canti, non che dai discorsi dei due Presuli. Egli entrò poi nella Compagnia di Gesù.
L'anticipazione della festa a Valsalice era stata deliberata per non intralciare quella dell'Oratorio, dove pure si voleva il Cardinale, che si mostrò tanto compiacente da rimanere là fino a tarda sera. Scrive il Bollettino di febbraio: “Don Bosco e parecchi de' suoi primi allievi parvero ringiovanire. Loro sembrava essere ritornati a quei beati giorni, quando avevano la bella sorte di vedersi onorati dalla presenza dell'arcivescovo Luigi Fransoni, altrettanto amorevole verso i fanciulli dell'Oratorio e verso la gioventù in generale quanto coraggioso ed intrepido nei suoi doveri contro i nemici di Dio e della religione. Quell'illustre Prelato, quell'eroe della Chiesa, quella vittima gloriosa del suo ufficio pastorale, che tanto ci amava e che fin nel suo lungo esilio non lasciò mai di beneficarci e proteggerci, avrà in quel giorno certamente sorriso a noi dal cielo ed esultato nel vedere un suo degno Successore, e pur suo concittadino genovese, a ricercare le sue antiche pedate e a prendere viscere di padre verso un Istituto, che ebbe il suo cominciamento ed il suo primo sviluppo sotto le ali di sua benevolenza, al chiarore dei suoi consigli, all'ardore dei suoi affetti ”.
Era la prima volta che si festeggiava S. Francesco di Sales con l'intervento dell'Arcivescovo e per giunta Cardinale, nè si mancò di mettere la cosa in rilievo nella circolare d'invito scritta da Don Bonetti e sottoscritta da Don Bosco; onde, benchè fosse giorno feriale, il concorso fu molto grande. L'Eminentissimo pontificò mattino e sera. Nella chiesa faceva [23] la sua prima comparsa il quadro del Santo Patrono, dipinto dal Rollini ed esposto all'altare di S. Pietro.
Don Bosco, stimando quel giorno uno dei più belli per l'Oratorio, invitò a pranzo una quarantina di benefattori, che fecero degna corona all'Arcivescovo. Priore della festa era il signor Carlo Rocca, colonnello della riserva. Al levar delle mense un entusiastico inno composto da Don Lemoyne e musicato dal Dogliani, esprimeva a Sua Eminenza la gioia vivissima di Don Bosco e de' suoi figli[17]. Brindarono parecchi; ultimo sorse Don Bosco. Lodò all'Arcivescovo i sacerdoti e laici presenti, dicendoli tutti benemeriti delle istituzioni salesiane, tutti affezionati a Sua Eminenza, tutti attaccatissimi al Santo Padre Leone XIII e pronti per la religione cattolica a sacrificare anche la vita. Ringraziò l'Eminentissimo della sua bontà verso i Salesiani e verso i giovanetti loro affidati, e propose un evviva di tutti i commensali a lui e al Papa. Poi in tono faceto invitò tutti a pranzo seco per il mese di giugno del 1891, quando avrebbe celebrato la stia Messa d'oro. A tale invito così anticipato Sua Eminenza rispose a nome di tutti che si accettava senz'altro, e che si sarebbe fatto il possibile per esserci, ma esortò insieme Don Bosco a trovarcisi, dovendo egli fare la parte principale. La nota comica del Gastini pose termine all'allegro convito. Narrato come fanciullo di dieci anni, orfano e abbandonato, fosse stato raccolto da Don Bosco e messo all'onore del mondo, fece, secondo il suo stile e fra l'ilarità dei commensali, un Pot-pourri di versi latini, italiani e piemontesi in lode del Cardinale.
Alla benedizione, come già alla messa solenne, avrebbe dovuto fungere da arcidiacono il provicario monsignor Gazzelli di Rossana; ma poco prima di pararsi andò a pregare Don Bosco di volerlo sostituire, perchè Sua Eminenza desiderava vederselo a fianco. Don Bosco, benchè stentasse a fare [24] i gradini, accondiscese prontamente, Così tutti videro l'unione perfetta fra Don Bosco e il Capo della diocesi.
Sul tardi l’Arcivescovo assistette ancora al teatrino. Si dava una commediola in tre atti, intitolata Antonio e composta dal salesiano Don Bongiovanni; è il ravvedimento di un figlio scioperato: tema e svolgimento quali Don Bosco voleva che fossero simili rappresentazioni per i giovani de' suoi collegi, senza preoccuparsi della qualità degli spettatori estranei.
All'uscita il cortile era un mare di luce. Lungo il ballatoio del primo piano correva un'iscrizione a lumicini che diceva: Viva S. Francesco di Sales. Da quello del piano superiore brillava su tre linee quest'altra: Viva Sua Eminenza - il Cardinale Gaetano Alimonda - nostro amatissimo Arcivescovo. Il Cardinale, partendo, disse: - Ogni momento di questo giorno è stato per me una gioia ed un trionfo. - Per Don Bosco, aggiungeremo noi, fu un indicibile conforto[18].
La conferenza ai Cooperatori fu rimandata al 19 febbraio. La tenne Don Cagliero nella chiesa di S. Giovanni Evangelista, Don Bosco non vi andò per il suo stato di salute. Vi presiedette il Cardinale, che volle anche prendere la parola, pronunziando un discorso molto importante, nel quale giustificò pubblicamente il suo affetto per l'Opera Salesiana con dimostrare essere in quella lo spirito del Vangelo, ossia lo spirito di Gesù Cristo[19].
Queste adunanze di Cooperatori si fecero in più luoghi d'Italia; ma noi menzioneremo solamente quella di Padova, dovutasi in gran parte alle premure della contessa Bonmartini[20]. La si tenne il 20 gennaio nella chiesa di S. Francesco; i giovani cantori del collegio di Este vi eseguirono bella musica. Parlò Don Pietro Pozzan, mandatovi appositamente da Don Bosco. Il Vescovo monsignor Callegari, che onorò della sua presenza la pia riunione, volle dire alcune cose assai [25] giuste e opportune, chiamando Don Bosco l'uomo di Dio, l'uomo della Provvidenza. Si diffuse soprattutto a trattare dei Cooperatori. - Non sono soltanto, disse, per le opere di Don Bosco, ma per il bene della Chiesa universale e più specialmente per le rispettive diocesi, non essendo essi che altrettante braccia in aiuto dei Vescovi e dei parroci. -Affrontò poi un'obbiezione che faceva capolino qua e là. - Ci si raccomandano tanto le opere di Don Bosco, dicevano taluni; ma non abbiamo anche noi opere da fondare e da sostenere? non dobbiamo noi attendere prima alle nostre? - Il Vescovo rispose che aiutare le opere di Don Bosco era far del bene a tutta la Chiesa; poichè Don Bosco non restringeva la sua azione alla sola Torino, ma mirava a tutta la gioventù e alla restaurazione cristiana della società. Quindi Monsignore invitava clero e popolo ad iscriversi fra i Cooperatori Salesiani, la cui diffusione nella sua diocesi egli riteneva come una benedizione del cielo.
Don Bosco, udita la relazione di questo discorso, ne rimase tanto contento, che il 16 febbraio discorrendo dei Cooperatori con Don Lemoyne gli manifestò tale sua soddisfazione. - Ho studiato molto, disse, sul modo dì fondare i cooperatori Salesiani. Il loro vero scopo diretto non è quello di coadiuvare i Salesiani, ma di prestare aiuto alla Chiesa, ai Vescovi, ai parroci sotto l'alta direzione dei Salesiani nelle opere di beneficenza, come catechismi, educazione di fanciulli poveri e simili. Soccorrere i Salesiani non è altro che aiutare una delle tante opere che sì trovano nella Chiesa Cattolica. È vero che ad essi si farà appello nelle urgenze nostre, ma essi sono strumento nelle mani del Vescovo. L'unico che finora intese la cosa nel giusto senso è il Vescovo di Padova, il quale disse chiaramente che non si deve aver gelosia dei Cooperatori Salesiani, poichè sono cosa della diocesi, e che tutti i parroci dovrebbero con i loro parrocchiani essere Cooperatori. Le Cooperatrici sono aggiunte, poichè così volle Pio IX.
Nel pomeriggio del 31 gennaio Don Bosco andò a S. Benigno [26] per festeggiare con gli ascritti S. Francesco di Sales. Le confessioni e -le udienze lo stancarono; la stanchezza poi, aggiunta ai disturbi che lo molestavano più del solito nelle ultime settimane, fece sì che, partendo, appariva spossato all'estremo. Don Barberis, dolorosamente impressionato, ne parlò nella " buona notte " e disse parergli venuto il momento di promettere alcunchè di grande e anche di stragrande al Signore per ottenere che fosse prolungata una vita sì preziosa. Si ripetè allora quello che era accaduto nel 1872 durante la malattia di Varazze: parecchi chierici subito dopo si dichiararono pronti a offrire per Don Bosco la propria vita. Ma fra tutti attrasse l'attenzione generale Luigi Gamerro, chierico di ventiquattro anni, alto di statura, gagliardo di complessione e così pieno di salute, che in due anni non aveva mai sofferto il menomo incomodo. Con un'energia, che colpì quanti lo udirono, disse che pregava Dio di poter morire lui invece di Don Bosco.
Sembrò a tutti che il suo generoso sacrificio fosse stato accetto al Signore, tanto immediati se ne videro gli effetti. Nella notte sognò che sarebbe morto. La mattina, senza parlar di sogni, diceva giulivo ai compagni: - Tocca a me! Assegnandosi di lì a poco i nuovi posti nel refettorio, disse in tono di certezza al superiore incaricato di quella funzione: - A me è inutile che dia il posto; tanto, non lo occuperò.
Infatti il giorno appresso si sentì male. Il male crebbe a vista d'occhio, a segno che il terzo giorno per tempo si confessò e ricevette il Viatico. Seguitone un po' di sollievo, Don Barberis cercava di lusingarlo con la speranza della guarigione per andar missionario, com'era sua brama. Gamerro però, ascoltatolo in silenzio, lasciò che si allontanasse e poi disse all'infermiere: - No, no! lo morrò stasera. - Un compagno, al quale aveva narrato il sogno, cominciava a crederci. Don Bianchi, andato a visitarlo, gli disse: - Giacchè affermi di dover morire, raccomandati alla Madonna, pregandola che ti aiuti a uscire presto dal purgatorio. - Rispose: - Stasera [27] sarò con Lei. Me l'ha detto Essa. - Si mostrò costantemente sereno e lieto fino all'ultimo istante, che fu verso le due pomeridiane. Nel sogno aveva anche appreso che sua madre sarebbe venuta a vederlo, ma che, giungendo tardi, l'avrebbe trovato già cadavere. La cosa si avverò a puntino. Impedita di partire subitochè aveva ricevuto la notizia dell'aggravamento, arrivò due ore dopo il decesso.
Del fatto corse la voce anche per Torino. Ivi un giornale stupidamente umoristico mise fuori una caricatura, nella quale si vedeva il chierico impiccato ad un albero e Don Bosco in ginocchio dinanzi a lui. Povera gente senza fede e senza amore!
E la salute di Don Bosco? La salute di Don Bosco andava di male in peggio. Da prima una straordinaria prostrazione di forze era stata causa che il vociferare gli straziasse lo stomaco; sopravvenne quindi un principio di bronchite con tosse e sputo sanguigno. Nella notte sul 10 febbraio riempì di vivo sangue la pezzuola. Il gonfiore delle gambe, che lo affliggeva da anni, saliva alle cosce. Il giorno 12 fu dal dottore Albertotti obbligato a tenere il letto. Quella sera in un consulto i dottori Albertotti e Fissore riscontrarono sintomi di estrema debolezza: il palpito del cuore era appena percettibile. Il cardinale Alimonda, ansioso, mandava due volte ogni giorno a prendere notizie.
In questo stato durante la notte sul 13 fece un sogno, che, quando prese a riaversi, raccontò. Gli parve di essere in una casa, dove incontrò S. Pietro e S. Paolo. Indossavano una sopravveste che scendeva loro fin sotto le ginocchia e portavano in testa un copricapo all'orientale. Sorridevano a Don Bosco. Interrogati se avessero qualche missione per lui ovvero alcun che da comunicargli, non risposero alla domanda, ma presero a parlare dell'Oratorio e dei giovani. In quella ecco arrivare un amico di Don Bosco, conosciutissimo tra i Salesiani, ma che Don Bosco dopo non rammentava più chi fosse. - Guardi un po' queste due persone, disse al nuovo [28] venuto. - L'amico guardò e: - Chi vedo mai? esclamò. Possibile? S. Pietro e S. Paolo qui?
Don Bosco rinnovò allora la domanda fatta poc'anzi ai due Apostoli, che, pur mostrandosi affabilissimi, continuarono evasivamente a parlar d'altro. Poi all'improvviso S. Pietro lo interroga: -E la vita di. S. Pietro? - Parimente S. Paolo: - E la vita di S. Paolo? - È vero - confessò Don Bosco in atto di umile scusa. Infatti egli aveva divisato di ristampare quelle due vite, ma poi la cosa gli era caduta interamente dalla memoria. - Se non fai presto, non avrai più tempo, l'avvertì S. Paolo.
Frattanto, essendosi S. Pietro scoperto il capo, la sua testa apparve calva con due ciocche di capelli sopra le tempia: aveva tutta l'aria d'un rubizzo e bel vecchietto. Tiratosi in disparte, si pose in atto di preghiera. Don Bosco voleva seguirlo; ma: - Lascialo che preghi gl'ingiunse S. Paolo. Don Bosco rispose: - Vorrei vedere dinanzi a quale oggetto s'è inginocchiato. - Gli andò dunque accanto e vide che stava dinanzi a una specie di altare, che altare non era, e interrogò S. Paolo: - Ma non ci sono candelieri?
- Non c'è bisogno di candelieri, dov'è l'eterno sole, gli rispose l'Apostolo.
- La vittima non si sacrifica, ma vive in eterno.
- Ma insomma l'altare non c'è?
- L'altare è per tutti il monte Calvario.
Allora S. Pietro con voce alta e armoniosa, ma senza canto, pregò così: - Gloria a Dio Padre Creatore, a Dio Figlio Redentore, gloria a Dio Spirito Santo Santificatore. A Dio solo sia onore e gloria per tutti i secoli dei secoli. A te sia lode, o Malia. Il cielo e la terra ti proclamano loro Regina. Maria... Maria... Maria. - Pronunciava questo nome con una pausa tra una esclamazione e l'altra e con tale espressione di affetto e con un crescendo siffatto di commozione da non potersi descrivere, sicchè là si piangeva di tenerezza. [29]
Alzatosi S. Pietro, andò a inginocchiarsi nello stesso luogo S. Paolo, che con voce distinta si diede egli pure a pregare così: - Oh profondità degli arcani divini! Gran Dio, i tuoi segreti sono inaccessibili ai mortali. Soltanto in cielo essi ne potranno penetrare la profondità e la maestà, accessibile unicamente ai celesti comprensori. O Dio uno e trino, a te sia l'onore, la salute e rendimento di grazie da ogni punto dell'universo, Il tuo nome, o Maria, sia da tutti lodato e benedetto. Cantano in cielo la tua gloria, e sulla terra tu sii sempre l'aiuto, il conforto, la salvezza. Regina Sanctorum omnium, alleluia, alleluia.
Don Bosco, raccontando il sogno, conchiuse: - Questa preghiera per il modo di preferire le parole produsse in me tale commozione, che ruppi in pianto e mi svegliai. Dopo mi rimase nell'anima un'indicibile consolazione.
La febbre, chi sa?, e la consuetudine di celebrare all'altare di S. Pietro contribuirono forse allo svolgersi in lui di questa fantastica rappresentazione. È per altro un sogno di tal natura che rivela quali fossero abitualmente i pensieri e i sentimenti che gli riempivano l'anima.
Avvezzo a una vita d'incessante attività, le coltri gli pesavano in modo insopportabile; eppure la testa non gli reggeva a serie riflessioni o a letture d'ogni specie. Nel suo parlare si notavano sconnessioni d'idee e, alzandosi parecchie ore al giorno, scriveva lettere con frequenti omissioni di vocaboli. La sera del 13 all'annunzio della morte di Gamerro e delle circostanze che l'avevano preceduta, si commosse, stette un po' in silenzio e quindi sorridendo disse: - Ecco lì! Questa è un'ingiustizia! Dopo tanti anni di fatiche e di stenti toccherebbe a me l'andarmi a riposare; ci vanno invece coloro che a lavorare non han nemmeno cominciato. Toccava a me, non a lui!
Dalla sua corrispondenza traspare quanta fosse la sua tranquillità di spirito. Scrisse il 14 alla Louvet: “Ho il petto un po' stanco”. Aveva scritto al conte Colle: “Da alcuni giorni [30] la mia salute non va troppo bene ”. Riscrisse al medesimo il 20: “Ho la salute un po' scossa e sto ancora in prigione nella mia camera ”. Tuttavia il desiderio di riposarsi nel Signore gli tornava ogni tanto alle labbra. Talora, facendoglisi relazioni d'affari, esclamava: - Se si continua così, non arriverò certamente alla festa della mia Messa d'oro... Questi affari li sbrigherà chi succederà.
Pure la fase acuta del male sembrava sorpassata. Nel dopo mezzodì del 14 uscì a passeggio con Don Lemoyne. Andarono verso la ferrovia di Milano. Passando accanto alla chiesa di Maria Ausiliatrice, Don Bosco si fermò, alzò gli occhi e guardandola un istante, disse: - Una volta qui c'era un campo di fagioli e di patate; adesso c'è la chiesa e l'Oratorio. Proprio qui dov'è il santuario, vidi comparire in sogno la Madonna, che, arrestatasi e girando lo sguardo intorno, disse: Hic domus mea, hinc gloria mea.
Il 15 ebbe un forte attacco di febbre, che gli durò dalle undici antimeridiane fino alle sette di sera; per altro non si coricò. Passava insonni le notti intiere. Dal 1872 i profluvi di sudore notturno lo obbligavano al mattino dopo la levata a rimanere un'oretta in camera per non arrestare bruscamente la traspirazione e per cambiarsi flanella e camicia. Allora era peggio che mai.
Il 17 confidò a Don Lemoyne che l'enfiagione delle gambe gli era salita fin oltre alla bocca dello stomaco e che in luogo di questo incavo aveva una gonfiezza globulare grossa come un uovo. Il dottore Albertotti avvisò che si stesse attenti, perchè Don Bosco sarebbe potuto mancare, all'improvviso; lo sorvegliassero dunque anche di notte; poter accadere facilmente che un brutto mattino lo trovassero morto.
Il pensiero della prossima fine gli occupava la mente, tanto che il 18 preparò una circolare che il suo successore avrebbe dovuto spedire ai Cooperatori Salesiani, qualora egli cessasse di vivere. Poi disse a Don Lemoyne: - Io vedo dinanzi a me il progresso che farà la nostra Congregazione. [31]
Dall'America del Sud passerà a quella del Nord, poi all'Austria, all'Ungheria, alla Russia...[21]. Quindi alle Indie, al Ceylan, alla Cina... Da qui a cent'anni quale sviluppo meraviglioso non vedremmo dei Salesiani, se fossimo ancora a questo mondo! Gli Ordini antichi, Domenicani, Francescani e altri furono destinati dalla Provvidenza ad essere colonne della Chiesa; il nostro invece è istituito per i bisogni presenti e si propagherà con una rapidità incredibile in tutto il mondo. Basterebbero tuttavia due o tre Salesiani degeneri a trar fuori di strada tutti gli altri. Eppure, sol che siamo fedeli alle virtù comuni del cristiano, quale splendido avvenire ci prepara Iddio!
Nella seconda metà di febbraio succedette nella Roma ecclesiastica un mutamento, del quale non poteva Don Bosco disinteressarsi. Il cardinale Monaco La Valletta era stato nominato Penitenziere maggiore di Santa Chiesa e al suo posto nel Vicariato Leone XIII prescelse il cardinale Parocchi, già talmente inviso ai liberali, quand'era Vescovo di Pavia, che fatto Arcivescovo di Bologna, non aveva potuto per cinque anni ottenere dal Governo il regio exequatur[22]. Uomo di eletto ingegno, di larga cultura e di gran merito non doveva restare sotto il moggio per il malanimo dei settari: l'alto ufficio affidatogli dal Papa lo metteva in grado di prestare segnalati servigi alla Chiesa. Don Bosco gli scrisse subito alcune parole di rallegramento, a cui Sua Eminenza rispose con un semplice biglietto di visita e poche espressioni di formalità; ma il 14 marzo, quando ebbe preso possesso della sua carica, gl'inviò una lettera, nella quale gli diceva: “Dalla stima e dall'affezione che Le professo, argomenti V. S. il gradimento delle sue benevole congratulazioni. Ne la ringrazio, e mi raccomando alle sue fervorose preghiere e a quelle di [32] tutta la Congregazione Salesiana. Alla quale il bene che potrò secondo le attribuzioni e le forze mi recherò a vera consolazione di procurarlo ”.
Il 21, 22, 23 febbraio Don Bosco, sebbene a stento, fece un po' di passeggio con Don Lemoyne. La sua mente però non gli dava riposo, ma ruminava la ripresa di una pratica, già tentata e ritentata in circostanze meno propizie e presentantesi allora con maggiori probabilità di riuscita: la concessione dei privilegi. Inoltre veniva maturando l'idea d'intraprendere un nuovo viaggio in Francia per trovare i mezzi con cui far fronte a molteplici bisogni. Ma dell'una e dell'altra cosa diremo a parte in seguito.
Dobbiamo per altro dire subito che quest'ultima decisione allarmò i Superiori. Egli stesso non era senza qualche apprensione. Tuttavia da Roma Don Dalmazzo scriveva che i lavori della chiesa del Sacro Cuore stavano sospesi per mancanza di danaro; oltre a questo l'Oratorio e altre case versavano in gravi strettezze. A farla breve, sul Capitolo Superiore gravava allora l'enorme debito di 1.126.000 lire.
Insistenze per la sua visita annuale gli venivano da Marsiglia, perchè la casa aveva gran bisogno di danaro. In una lettera al parroco Guiol egli diceva bensì che i suoi occhi e la sua salute difficilmente gli avrebbero permesso di affrontare il viaggio e intanto con la sua solita giovialità dava a lui l'incarico di pagare i debiti; ma il parroco gli rispose che questa cosa sarebbe assai più facile se ci fosse Don Bosco, e gli prometteva di ripararlo dalla calca opprimente delle altre volte, tenendolo nascosto nel noviziato recentemente aperto fuori di città, dove pochi soltanto sarebbero andati a trovarlo[23]. Anche queste pressioni contribuirono a fargli prendere la risoluzione di partire.
Quando manifestò definitivamente il suo arrischiato proposito, Don Cagliero con rispettosa risolutezza si oppose, [33] dicendogli essere la sua vita a tutti più cara d'ogni bene del mondo e preferibile a ogni tesoro. Il cardinale Alimonda, che non la pensava diversamente, volle tentare d'impedirne la partenza. Avvisato che prima di mettersi in viaggio egli desiderava fargli visita, rispose: - Sarebbe un peccato mortale far venire Don Bosco fin qui. É troppo stanco ed ha troppi affari tra mano. Si dica al caro Don Giovanni che fra un'ora sarò io all'Oratorio. - Qui Don Bosco gli spiegò i motivi che lo obbligavano a quel passo; onde Sua Eminenza si contentò di farsi promettere che qualora, giunto ad Alassio, si sentisse peggio, sarebbe ritornato indietro.
Durante questa visita il Cardinale palesò a Don Bosco d'aver chiesto al Papa che gli desse un Vescovo ausiliare, secondo la promessa fattagli dal Santo Padre nel mandarlo a Torino.
- Su quale soggetto si sarebbe fermata la sua attenzione? gli chiese Don Bosco.
- Su diversi, e per primo sul canonico Pulciano.
- Ho anche pensato al canonico Richelmy.
- Bene! Sono eccellenti sacerdoti.
- Ma lei, Don Bosco, chi penserebbe poter riuscire un buon Vescovo ausiliare, capace di aiutarmi? Favorisca manifestarmi la sua opinione.
- Certo, a questo mondo non si può sempre avete L'ottimo e bisogna contentarsi del buono. Ma se si volesse l'ottimo, si potrebbe scegliere il canonico Bertagna, vicario generale di Asti.
Il Cardinale non aggiunse parola e mutò discorso; ma appena ritornato al suo palazzo, telegrafò a Roma, domandando al Pontefice per Vescovo ausiliare il canonico Bertagna. Fu una scelta felicissima, come tutti sanno, oltrechè una tarda, ma giusta riparazione[24]. [34]
Verso sera, tenendo capitolo, il Santo aperse la seduta con ringraziare la Provvidenza divina per la bontà e l'amore, con cui il Cardinale Arcivescovo trattava Don Bosco e la Congregazione. -L'Eminentissimo apre per noi, disse, un'êra novella in questa diocesi. -Trattati quindi varii affari, prima di sciogliere l'adunanza, annunziò ufficialmente che il I° marzo sarebbe partito per la Francia. - Durante la mia assenza, proseguì, il Capitolo si raduni almeno una volta al mese: dò a Don Rua i pieni poteri per presiedervi. I membri continuino a volersi bene fra loro; per far meglio le cose che si debbono fare, ci vuole carità. Si promuovano fervorose preghiere fra i giovani per me, finchè sarò lontano, e questo per due motivi: I° Perchè la mia salute possa resistere ai disagi del viaggio. 2° Perchè ho bisogno di molti quattrini. Si dica ciò ai grandi, si dica ai piccoli. Il povero Don Bosco affronta Un simile viaggio, non per sè, ma per provvedere all'Oratorio e pagare i debiti. Se ne parli ai Salesiani in conferenza, esortandoli a risparmiare spese quanto più sia possibile. E di nuovo sia benedetto il Signore per la benevolenza che ci dimostra il Cardinale. Don Rua vada qualche volta a visitarlo.
Tutto questo accadeva il 28 febbraio. Il 29 sul mattino fu visitato dal dottore Albertotti, che, non trovandolo bene, fece quanto seppe per rimuoverlo dalla presa risoluzione.
- Se arriverà fino a Nizza senza morire, gli disse, sarà un miracolo.
- Se io non tornerò più, pazienza! rispose Don Bosco. Vuol dire che prima di andare aggiusteremo le cose; ma andare bisogna.
- Stiano molto attenti, raccomandò il medico al segretario, appena fu fuori dalla camera. Non mi stupirei, se a Don Bosco venisse meno la vita, senza che nessuno di loro se n'accorga. Non c'è da illudersi. [35]
Il Santo, come aveva accennato al Dottore, così fece. Nel pomeriggio mandò a chiamare notaio e testimoni e dettò il proprio testamento, come se fosse sul punto dì partire per l'eternità. Poi, fatti venire Don Rua e Don Cagliero, e indicando sul tavolo l'atto notarile, disse loro: - Qui c'è il mio testamento. Ho lasciato voi due miei credi universali. Se non ritornerò più, come teme il medico, voi saprete già come stiano le cose.
Poichè Don Bosco non aveva altro da aggiungere, Don Rua uscì dalla camera, probabilmente col cuore ben gonfio, sebbene all'esterno si padroneggiasse, com'era suo costume. A Don Cagliero il Santo fe' segno di fermarsi. Il figlio affezionato, dopo qualche minuto di silenzio, gli domandò: - Ma dunque lei vuole proprio partire in questo stato?
- Come vuoi che faccia diversamente? gli rispose. Non vedi che ci mancano i mezzi per andare avanti? Se non partissi, non saprei dove dare del capo per procurare il pane ai nostri giovani. Solamente dalla Francia posso sperare soccorsi.
- Eh! replicò Don Cagliero, piangendo come un fanciullo. Siamo andati avanti finora a forza di miracoli. Vedremo... anche questo! Dunque lei vada e noi pregheremo!
- Dunque io parto per la Francia. Il testamento è fatto, e siamo a posto. Lo consegno a te in questa scatola. Conservala e ti sia il mio ultimo ricordo.
Don Cagliero, persuaso di sapere abbastanza quale ne fosse il contenuto, la prese e senza aprirla se la pose in tasca. Soltanto sei mesi dopo l'aperse, quando il Santo contro le previsioni del medico e contro l'aspettazione comune aveva fatto ritorno. Vide allora che c'era dentro l'anello d'oro, appartenuto già al padre del Santo. Un sì bel ricordo egli conservò ben caro per tutta la vita.
QUESTA volta la partenza di Don Bosco per la Francia lasciò nei cuori un senso di profonda mestizia, non attenuata punto dalla sua abituale giovialità. Era veramente una scena che moveva a compassione il vederlo così acciaccoso uscire dall'Oratorio e andare per il mondo in cerca di carità. Pregare e far pregare diventò dunque da quel momento la parola d'ordine in tutta la casa. Nell'ultimo decennio della sua vita una corona di giovanetti durante la ricreazione della merenda si radunava nell'anticamera della sua stanza, dove dinanzi ad un altarino con una statuina della Madonna facevano insieme alcune preghiere per il loro benefattore e padre. Partito che egli fu, questa pia pratica venne continuata con maggior fervore.
Lo accompagnarono fino ad Alassio Don Giulio Barberis e Don Angelo Savio. I superiori di quel collegio, che lo attendevano alla stazione, lo trovarono tutto lieto, sebbene l'avesse travagliato fin là mal di capo e di stomaco. Nell'atrio dell'istituto gli alunni lo salutarono con un inno espressamente musicato da Don Baratta. Per dare agio a tutti di baciargli la mano, impiegò un buon quarto d'ora ad attraversare la folla giovanile. Andò presto a riposo, facendosi mettere un campanello [37] accanto al letto e avvertendo Don Barberis che, se ne udisse lo squillo, fosse sollecito ad accorrere.
Dormì abbastanza tranquillamente; fece anzi uno dei soliti sogni, che narrò a Don Cerruti. Gli pareva di essere sul piazzale a capo del viale di S. Massimo, scendendo verso la fabbrica Defilippi. Vi stava radunata molta gente, come se aspettasse qualcuno. Appena Don Bosco fu vicino, quella gente lo circondò, dicendo: - Don Bosco, aspettavamo lei.
- Andiamo; è cosa facile per contentarvi.
Lo condussero nello spazio allora occupato dalla fonderia, al pian terreno sotto le sue camere, già parte del prato dove avevano avuto cominciamento le gesta dell'Oratorio. Don Bosco entrò con essi per una porta; ma invece che nella fonderia si trovò in una bellissima chiesa.
- Lei adesso, signor Don Bosco, ci deve fare una predica, gli dissero.
- Non importa. Ci dica quello che le verrà in mente.
Salì dunque sul pulpito, ove prese a ragionare contro il mal costume. Descrisse il diluvio universale e la distruzione di Sodoma, continuando così con tale ordine e divisione di punti, che svegliato se ne ricordava pienamente. Fatta la predica, la gente gli disse: - Adesso deve celebrare la santa Messa.
- Io non ho nessuna difficoltà, celebriamola pure.
Andò dunque in sacrestia. Se non che mancava tutto. Dovette penare a ritrovar il messale, poi non rinveniva il calice, poi dovette cercare la pianeta; in ultimo non vi erano nè ostie nè ampolle. Fruga di qua, fruga dì là, trova tutto, si veste e va all'altare. Giunta la Messa alla comunione, alcune persone si presentano per comunicarsi. Rimuove il canone, ma non c'è la chiave del tabernacolo. Angustiato osserva sull'altare e non la trova. Nessuno sì muove per andarla a prendere. [38]
Allora scende egli stesso dalla predella, depone la pianeta e così in camice va cercando chi lo aiuti a trovare quella benedetta chiave. Dalla chiesa passa nel locale, dove allora abitavano le Suore; ma non c'è anima viva. Finalmente sente ridere. Era la voce di Don Notario. Entra in quella stanza e trova Don Notario che parla e ride con un giovanetto. - Sa, esclama fra sè e sè Don Bosco, prima di entrare, sa che in chiesa c'è bisogno di lui e che manca la chiave del tabernacolo, e lui sta qui a ridere! - Entrato, domandò la chiave e avutala fede ritorno all'altare.
Don Bosco nel girare per la casa delle Suore non ne aveva incontrata neppur una. Come fu nuovamente all'altare, proseguì e terminò la Messa. Il sogno durò tutta la notte.
Il dì appresso, che era domenica, celebrò senza difficoltà; ma più tardi, data udienza a due o tre persone, dovette sospendere ogni affare, perchè si sentiva svenire. Bisognò ricondurlo in camera. Essendo stata indetta una conferenza ai Cooperatori nella chiesa del collegio, fu sconsigliato dal prendere la parola; parlò invece il direttore Don Cerruti, assistendovi egli dal presbiterio. V'intervennero pure Don Cibrario da Vallecrosia e Don Ronchail da Nizza Mare. Il Bollettino di aprile, dandone notizia, profittava dell'occasione per raccomandare alle preghiere di tutti Don Bosco, che da qualche tempo si sentiva affievolite le forze. “Non vi è nulla di allarmante pel momento, scriveva Don Bonetti; ma un valente dottore di Torino, visitandolo prima che egli si mettesse in viaggio, ebbe a dire che non dobbiamo lusingarci gran fatto sulla vita di lui; imperocchè, soggiunse, avuto riguardo alle fatiche sostenute, Don Bosco può oggimai reputarsi vecchio di cent'anni, sebbene non ne conti ancora che settanta ”.
Don Cerruti, anche per distrarlo alquanto, lo condusse a benedire un giovanotto più che ventenne, per nome Airoldi, che era divenuto pazzo. Nella sua pazzia costui trattò sgarbatamente il Servo di Dio. Il Direttore dopo, sebbene lo vedesse tranquillo, gli manifestò il proprio rincrescimento per le parole [39] e i modi sconvenienti usatigli da quell'infelice. - Oh! caro te, gli rispose il Santo, questo non è nulla. Vuoi sapere quello che mi avvenne a Torino alcuni anni or sono?
E Don Bosco raccontò. Un giorno era stata da lui una signora per pregarlo caldamente che andasse a trovare un cotale prossimo ormai alla sua fine. Copriva, un grado altissimo nella Massoneria e aveva respinto con risolutezza dal suo letto qualsiasi prete, solo a stento permettendo che s'invitasse Don Bosco. Il Santo vi andò subito, ma, appena entrato in camera e chiuso l'uscio, si sentì dire con tino sforzo disperato: - Viene come amico o come prete? Guai a lei se mi nomina la confessione! - Detto questo, impugnò due revolver, che teneva dalle due parti del letto, glieli puntò al petto, continuando: - Si ricordi bene, che al primo cenno di confessione, un colpo sarà per lei e l'altro contro di me. Tanto io non ho più che pochi giorni di vita.
- Ma lei non si è spaventato? gli chiese a questo punto del racconto Don Cerruti.
- Io gli risposi semplicemente che stesse tranquillo, perchè non gli avrei parlato di confessione senza il suo permesso. Lo interrogai quindi sulla malattia e sulle diagnosi dei medici. Poi condussi il discorso sii cose di storia, finchè bel bello presi a descrivergli la morte di Voltaire. Finalmente conchiusi che, sebbene alcuni ritenessero dannato Voltaire, io non lo diceva o almeno non mi sentivo dì dirlo, sapendo essere infinita la misericordia di Dio.
- Come?! interruppe il malato, che aveva seguito con interesse il discorso. C'è ancora speranza per Voltaire? Allora abbia la bontà di confessarmi.
- Mi posi attorno, lo preparai e lo confessai. Nel momento dell'assoluzione, ruppe in pianto esclamando, che non aveva mai goduto tanta pace in vita sua come in quell'istante. Fece tutte le ritrattazioni richieste. Al domani ricevette il Viatico, ma prima chiamò nella camera tutti quei di casa e domandò [40] pubblicamente perdono dello scandalo dato loro. Dopo il Viatico, si riebbe, visse ancora due o tre mesi, tutti impiegati nella preghiera, nel ridomandar perdono e nel ricevere più volte con grande edificazione Gesù Sacramentato. Hai da sapere, ripetè Don Bosco, che quel signore era proprio molto avanti nella Massoneria. Ringraziamo di tutto Iddio[25].
Alle nove del 3 con Don Barberis e Don Ronchail partì per Mentone. Un'ottima e ricca famiglia polacca ivi dimorante gli aveva promessa una vistosa elemosina, se avesse gradito la sua ospitalità. Fatti per lettera sicuri di averlo in casa, quei signori avvisarono quanti più poterono dei loro connazionali per i dintorni, sicchè ne accorsero una ventina da Nizza, altri da Monaco e da Cannes, in tutto circa quaranta persone. Informati però della sua malferma salute, furono tanto discreti che si misero d'accordo per non affaticarlo; quindi ciascuno preparava prima quello che gli voleva dire, in modo da non permettergli poi altra risposta fuorchè un sì o un no. Poterono così parlargli tutti senza aggravare la sua stanchezza.
Quando le udienze ebbero termine, si venne a pregarlo di voler visitare un prete vecchio e gravemente infermo, anzi disperato dai medici. Si mosse all'istante, ma lo trovò pressochè privo della conoscenza. Domandatogli come stesse, non diede alcun segno d'aver inteso. Allora il Santo gli gridò forte all'orecchio: - Non mi capisce? - Il malato balbettò alcune sillabe senza costrutto. E il Servo di Dio: -Conosce Don Bosco lei?
- Don Bosco! Sì, lo conosco. Ebbene?
- Don Bosco sono io. Non ha nulla da dirmi?
- Come, lei?... - E di scatto si pone a sedere sul letto e dice di volersi levare. La sorella pensa che abbia perduta la testa. Ma l'altro: -Ti dico che mi voglio levare. Fa avvertire il parroco che non si scomodi; io non sono più malato da Olio Santo [41]
Si levò infatti, parlava benissimo e il giorno seguente fu alla Messa di Don Bosco. Dobbiamo per altro aggiungere che ricadde alcuni mesi dopo; ma allora non tornò Don Bosco a farlo alzare. È tuttavia innegabile che la prima volta le dichiarazioni dei medici avevano tolto ogni speranza di rivederlo in piedi.
Don Bosco pernottò a Mentone con Don Ronchail, avendo Don Barberis proseguito il viaggio per Nizza con la lieta notizia che egli sarebbe colà il mattino appresso. L'essersi anche fuori saputa l'ora del suo arrivo, fu causa che lo si mettesse in un impiccio. Lo spagnuolo marchese d'Avila si fece trovare alla stazione con la sua carrozza per condurlo a casa; ma anche la contessa di S. Marzano aveva mandato la sua, e il barone Héraud la guidava. Entrambi volevano per sè l'onore di prendere su Don Bosco, nè da ambe le parti s'inclinava a cedere. Don Bosco troncò la questione entrando nella più vicina, che era quella della Contessa, e mandando nella seconda Don Barberis, venuto a incontrarlo, e Don Ronchail. - Sono due galantuomini, sa, - disse al Marchese nell'atto di consegnarglieli.
Oltre alla maggior vicinanza esisteva pure una ragione speciale per la preferenza usata da Don Bosco. La Contessa, avendolo visitato nell'Oratorio pochi giorni prima che partisse, aveva voluto da lui l'assicurazione che, recandosi a Nizza, si sarebbe servito della sua carrozza nell'andare dallo scalo ferroviario al Patronage di S. Pietro. Non fu del resto la prima volta che a Nizza succedessero di queste imbarazzanti gare, le quali mettevano alla prova la sua prontezza di spirito. Una volta non due, ma una fila di carrozze padronali incontrò e di mano in mano che si avanzava i valletti di ciascuna, indicandogli la propria, gli dicevano: - Ecco la carrozza del Conte tale; egli vorrebbe aver l'onore che Ella se ne servisse... Ecco la carrozza del Duca tal altro, il quale la prega che si compiaccia di salirvi... Ecco la carrozza della Marchesa X, alla quale Ella promise di gradirla per andare al Patronage... [42]
E così via per sette od otto volte di seguito. Don Bosco che aveva già a tutta prima indovinato di che si trattava, non volendo con l'accettare l'offerta di uno offendere in qualche modo gli altri, prese a dire: -Sentite: facciamo così. La carrozza della signora Marchesa, già da me accettata a Torino, mi trasporterà fino al Patronage. Il cocchio del signor Conte vada e stia pronto alla porta del collegio; io, appena giunto, vi salirò sopra e, mi farò riportare alla stazione. Il legno del signor Duca si fermi qui, che io non tarderò a ritornare e mi farò con quello ricondurre a casa. Continueremo così, finchè tutti non siano accontentati. - Quei signori, che non sapevano l'uno dell'altro, quando conobbero la cosa, compresero il suo impaccio e risero dell'arguzia, nè ebbero a male che egli fosse salito sulla vettura della Marchesa.
Nel collegio trovò con i giovani anche moltissimi signori convenuti per partecipare al ricevimento. Gran pena provarono i confratelli, quando, partiti i forestieri, lo videro espellere dalla bocca saliva mista a sangue; tutti perciò si accordarono per impedire che venisse disturbato. Don Ronchail specialmente, duro come un macigno delle sue Alpi, era inesorabile, rimandando senza voler sentire ragioni quanti chiedevano di essere ricevuti. Gli procurò quindi un'accurata visita dal dottore D'Espiney, l'autore della nota biografia. Questi, pregatolo di rimanere in letto ad attenderlo fino alle sette, esaminò diligentemente il suo stato e formulò la sua diagnosi ben diversamente da' suoi colleghi torinesi. La straordinaria gonfiezza del ventre proveniva da ingrossamento del fegato, che le medicine prescrittegli a Torino facevano aumentare. Con parecchie altre cosette gli fu ordinato di prendete ogni giorno due cucchiaini di chinino sciolto per combattere la febbre, che quotidianamente gli dava leggeri assalti.
Della nuova cura sperimentò subito il benefizio. Senza fatica potè celebrare la mattina del 6 dinanzi a cinquecento e più forestieri. Per il pranzo delle dodici accettò l'invito dei signori di Montigny, che dopo lo tennero a conversazione [43] almeno un paio d'ore. Uscito di là, andò a trovare un signore infermo. Era un americano di Bahia nel Brasile. Egli offriva a Don Bosco laggiù una casa ammobiliata, purchè vi mandasse i Salesiani. La padrona del palazzo dove stava l'ammalato, rimase così incantata dalla conversazione del Santo, che si recò più volte a visitarlo, dicendosi pronta a cedergli senz'altro tutto quell'edifizio, purchè lo destinasse a ritiro di preti vecchi, inabili al lavoro. Il Servo di Dio rientrò in collegio stanco, stanchissimo; eppure tenne ancora capitolo per trattare dell'ammissione di un confratello ai voti e di altri alle sacre ordinazioni.
Conosciutosi in città il suo miglioramento, si succedevano senza interruzione carrozze con visitatori. Don Bosco, al solito, graziosissimo dava udienze anche prolungate. Chi veniva per portare limosine, chi per chiedere consigli spirituali, chi per riferire di grazie ottenute da Maria Ausiliatrice. Non pochi, i quali l'anno innanzi avevano ricevuto da lui la benedizione e erano stati consigliati di fare certe preghiere per le loro necessità, allora dicevano di essere stati esauditi. Altri che avevano scritto a Torino, allora ringraziavano; altri infine si raccomandavano al Santo, partendo da lui con la fiducia in cuore. Una ragazza di quattordici anni portò l'incasso di una lotteria da lei organizzata. Nel 1883 i medici la davano per ispacciata. In quegli estremi Don Bosco l'aveva benedetta e la salute era tornata. Riconoscente non faceva che parlare di Don Bosco, questuando per le Opere salesiane.
Giunse a Nizza il coadiutore Rossi dell'Oratorio, proveniente da Parigi e da Marsiglia, dov'era stato per affari della Congregazione; giunsero pure Don Perrot dalla Navarra e Don Cibrario da Vallecrosia. Da Praga arrivò una lettera di fra Pietro Belgrano agostiniano, il quale in nome dell'imperatrice Maria Anna d'Austria ringraziava per una copia elegantemente legata dei Bollettini fattale spedire da Don Bosco e mandava un'offerta di cinquecento lire, raccomandandosi alle sue preghiere per ottenere una grazia speciale. [44]
Il 7 marzo Don Bosco ricevette pure i seminaristi. Erano una cinquantina. Si radunarono nella biblioteca, che serviva di anticamera. Egli, dette loro brevi parole, li benedisse; poi essi a uno a uno sfilarono a baciargli la, mano. Anche i diversi predicatori della quaresima lo visitarono, ma individualmente. Di Don Bosco si parlava per ogni dove.
Il 10 nella camera di Don Bosco accadde una scenetta curiosa. Gli fu condotto dalla madre un ragazzo sui dieci anni con gli occhi bendati. -Da parecchio tempo, diceva la donna, questo mio figlio soffre talmente degli occhi che si lamenta sempre e grida le notti intiere. - Don Bosco lo benedisse, gli diede a baciare la medaglia di Maria Ausiliatrice e poi gli domandò: - Che male ti senti?
- Nessuno, rispose il giovane.
- Come nessuno? gli garrì la madre. Ha tanto male agli occhi, Padre!
- Ti fanno ancor male gli occhi? tornò a domandargli il Santo.
- Ma sì che gli fanno male, ripigliò la madre. Non può resistere a vedere la luce e grida sempre.
- Puoi vedere? lo interrogò Don Bosco dopo avergli liberato gli occhi dagli impiastri.
- Sì, vedo benissimo, rispose.
- Sì, la posso fissare, disse il fanciullo guardando fuori della finestra.
La madre non si sapeva dare pace, quasi temesse di apparire menzognera. Alle risposte del figlio perdette essa talmente il lume degli occhi, che a un certo punto voleva schiaffeggiarlo. Don Bosco dovette dirle: - Ma insomma, volete che il vostro figlio sia ammalato? Ebbene, se lo volete... - Il figlio invece saltellava, rideva, guardava qua e là, non sapendo perchè dovesse credere più alla madre che a se stesso. In realtà era perfettamente guarito. [45]
Quella sera Don Bosco volle fare una conferenza a Cooperatori ed amici nella cappella interna del Patronage. Un centinaio di carrozze vennero a fermarsi nella strada che passa davanti alla casa. Essendo la stagione dei forestieri, molti non erano di Nizza. Il Santo parlò per tre quarti d'ora, descrivendo le Opere salesiane e mostrando quanto fosse necessario che i buoni cristiani lo aiutassero a fare del bene. Disceso dal pulpito, andò egli stesso a fare la colletta. Raccolse mille ottocento franchi, la metà dell'ultima volta; ma bisogna tener presente che quell'anno si attraversava un periodo di crisi finanziaria, per la quale gli affari erano arenati e notevolmente scemato era il numero dei forestieri. Il tentativo di un'esposizione nazionale, anzichè apportare guadagno, aveva prodotto dissesti, causando perdite agli speculatori, agli espositori e alla: commissione ordinatrice.
La salute di Don Bosco andava benissimo; ond'egli ripeteva più volte al giorno: Dieu soit béni en toutes les choses. Potè così il 12 recarsi a Cannes in compagnia di Don Ronchail. Forse appartengono a questa andata alcuni episodi, dei quali ci scrive una cooperatrice sulla fede di testimoni oculari. A Cannes il Santo celebrava volentieri presso le religiose di S. Tommaso da Villanova, che dirigevano un orfanotrofio femminile fondato dai Marchesi di Vallombrosa. Appena si spargeva la voce che Don Bosco andava là, comme si on avait touché un fil électrique, vi si accorreva da ogni parte della città fino a riempire cappella e cortile. Una mattina gli fu portata perchè la benedicesse una fanciulla affetta da un male agli intestini, che le causava enfiagione al ventre. La madre dopo la benedizione gli domandò se la bambina sarebbe guarita. - Sì, rispose Don Bosco; ma il Signor e vorrà da voi un grande sacrificio. - Infatti l'ammalata guarì; ma di lì a poco la donna perdette il padre.
Un'altra volta le orfane stavano radunate intorno al Santo che le aveva benedette, quand'egli, volgendosi alla superiora, le disse: -Ella, Madre, ha una di queste fanciulle [46] molto ammalata. - Era verissimo; il male però non si vedeva, essendo un'ulcera di natura maligna alla base della spina dorsale. Ogni giorno bisognava rinnovare la medicatura. Don Bosco si avvicinò alla giovane, che aveva circa diciotto anni e benedicendola le disse: -Guarirete, sì, guarirete, povera figliuola. - E guarì per davvero.
Un giorno, intrattenendosi familiarmente con le buone religiose, chiese loro: - Che cosa volete che io domandi al Signore per voi?
- Che le nostre ragazze siano molto pie, gli si rispose.
- Potrebbe dirci, lo interrogò una delle anziane, se noi torneremo nell'ospedale?
Prima della legge di soppressione, esse avevano da gran tempo la direzione dell'ospedale di Cannes, caduto poi in potere del Governo e laicizzato. A tale interrogazione il Santo, alzando gli occhi al cielo: - Sì, rispose, ma ci vorrà del tempo. Io sarò già morto, voi sarete già morta, voi sarete già morta... - E così continuò ripetendo la stessa frase individualmente a tutte, fuorchè a una sola, che saltò, per nome suor Valeria, morta nel 1932, due anni cioè dopo il ritorno delle consorelle nel loro vecchio ospedale.
Questa suora non era stata presente, allorchè Don Bosco aveva accennato alla giovane dalla piaga segreta. Entrata all'improvviso dopo il fatto, gli disse: - Oh! Padre, abbiamo una giovane molto ammalata... -Ma Don Bosco la interruppe dicendo: - Lo so, suora; è già tutto provveduto.
Dopo la partenza per Cannes erasi presentata a Nizza una Contessa per pregarlo di andar a benedire un suo nipotino, che pativa dolorosissime convulsioni, sembrando ogni volta che dovesse rimanere soffocato; ma, non avendolo trovato, gli telegrafò a Cannes. Tornato momentaneamente due giorni dopo Don Ronchail a Nizza, e sostituito da Don Barberis presso Don Bosco, ecco di nuovo la Contessa a domandargli: - Lei che era con Don Bosco, saprebbe dirmi con precisione l'ora, in cui egli ricevette il mio telegramma? [47]
Lo ricevette alle quattro e mezzo pomeridiane e subito inviò la benedizione di Maria Ausiliatrice, pregando per l'infermo.
- Oh meraviglia! esclamò la signora. Alle quattro e mezzo precise cessarono le convulsioni, ed ora il piccino non solo sta meglio, ma è quasi guarito del tutto.
Come la prima volta aveva fatto un'offerta, così la seconda ne fece un'altra ancor più generosa.
Con Don Ronchail e con Don Barberis il Santo proseguì per Fréjus, dove pranzò da quel Vescovo, sempre assai benevolo verso i Salesiani. Nulla si era detto ad alcuno, che Don Bosco fosse per recarsi a Fréjus; al Vescovo stesso erasi scritto soltanto la sera avanti sul tardi. Nondimeno subito dopo pranzo una moltitudine di persone lo aspettavano sotto il palazzo per parlargli, ed egli, sempre condiscendente, diede udienze fino all'ora di partire. Venne fra gli altri il visconte di Villeneuve, che abitava vicino alla casa della Navarre, per pregarlo di dare colà a suo figlio la prima comunione. Il fanciullo aveva appena undici anni non ancora compiti, mentre fino ai quattordici terminati non si ammettevano allora in Francia i giovanetti alla sacra mensa. Il parroco quindi si opponeva risolutamente a quella pericolosa eccezione; anche il Vescovo avrebbe negato il permesso, se non si fosse interposto il Santo della comunione sollecita e frequente.
Lo accompagnarono alla stazione i due Vicari Generali, il quaresimalista della cattedrale e cinque o sei altri. Separatosi da Don Ronchail che tornò a Nizza, andò con Don Barberis a Tolone, aspettatissimo dai conti Colle. Passò la notte presso di loro. In febbraio Don Bosco aveva chiesto al Conte centomila franchi per la compera della casa Bellezia[26]; ma la sua lettera, non intesa bene, aveva gettato un po' di turbamento nell'animo dei due signori. Udite allora le spiegazioni, entrambi, scambiatesi alcune parole: - Ebbene, conchiuse il Conte [48] sorridendo, le daremo cinquantamila franchi, quando potremo.
- E perchè non centomila? fece la Contessa.
- Eh sì, siano centomila, soggiunse il Conte. Benchè... pensando meglio... ho certi titoli da realizzare... Se sei contenta (volto alla moglie), potremmo dare a Don Bosco centocinquantamila franchi.
- Sì, sì, approvò la santa donna.
- Ecco dunque:, cinquantamila franchi per l'acquisto del terreno Bellezia all'Oratorio; cinquantamila per la chiesa del Sacro Cuore a Roma; cinquantamila per le Missioni della Patagonia.
La generosità superò l'aspettazione; anzi più tardi per la compera suddetta raddoppiò la cifra. Il Conte e la Contessa, quando avevano la fortuna di parlare con Don Bosco, non si sarebbero mai stancati d'interrogarlo e di starlo ad ascoltare. Quella sera la conversazione si protraeva già di molto dopo la cena senza che dessero indizio di volervi porre termine. Verso le dieci Don Bosco cascava dal sonno e fece intendere che sentiva bisogno di riposo. Si alzarono, ma il dialogo continuò in piedi. Il Conte finalmente prese il lume e con la Contessa lo accompagnò fino alla porta della camera preparata per lui; ma sulla soglia vennero fuori nuove interrogazioni, che richiedevano nuove risposte. Entrato una buona volta, il Conte gli tenne dietro per vedere se tutto era in ordine. Quando il Servo di Dio si coricò, mancava poco alla mezzanotte.
Partì alle otto e mezzo del 15 e in due ore giunse a Marsiglia. Al solito, la ressa dei visitatori gli si strinse ai panni, non dandogli più tregua. Tuttavia le cose procedevano con maggior tranquillità che nell'anno antecedente. Si verificarono però con più frequenza i casi di signore, che, volendosi confessare da lui, nè sapendo come riuscirvi in altra maniera, s'inginocchiavano nel bel mezzo della camera e cominciavano a dire le loro miserie. Don Bosco poteva ben ripetere che quello non era luogo per confessare donne e che le leggi [49] della Chiesa non lo permettevano: non c'era verso di farle tacere.
- Ala io non posso confessarvi qui! replicava Don Bosco.
- Dunque io continuo qui la mia confessione.
Bisognava aver pazienza. Come finivano, egli diceva loro: - E adesso che cosa facciamo? Darvi l'assoluzione qui non mi è lecito. -Ma quelle non si scomponevano, contente di aver aperto a lui il proprio cuore e di riceverne qualche buon consiglio.
A Marsiglia ricevette da Parigi una lettera ben commovente. Nel 1883 aveva benedetto colà una ragazzina sui dieci anni, lasciando in lei tale impressione di bontà, che ne rimase come santamente suggestionata udito delle sue necessità, la fanciulla d'allora in poi mise da parte tutto il danaro che riceveva in regalo, senza mai spendere un soldo, com'è uso dei ragazzi, in leccornie o in trastulli; quando poi ebbe raggranellato cento franchi, glieli spedì con una sua letterina, accompagnata da un foglio della mamma[27].
Poco lungi da Marsiglia sorgeva la casa della Provvidenza, aperta nell'autunno del 1883 per gli ascritti francesi. Noi abbiamo già parlato del sogno, in cui Don Bosco tre anni prima aveva visto distintamente il luogo del futuro noviziato[28]; ci rimane ora a completare la narrazione e a dire della visita fattavi dal Santo.
Nel 1883 la signora Pastré parigina, dopo aver ascoltato Don Bosco alla Maddalena, volle a ogni costo aprirsi il varco fra l'immensa calca per arrivare fino a lui e parlargli nella sagrestia, porgendogli la sua offerta, come vedeva fare tante altre signore; poi, piena di gioia, se n'andò. Non molto dopo le cadde ammalata la figlia, aggravandosi al punto da essere ridotta in fine di vita. In quei giorni di trepidazione occorreva [50] l'onomastico della madre ed ecco nella vigilia arrivarle una lettera di Don Bosco con gli auguri e con la promessa che la figlia sarebbe guarita; cominciasse pertanto una novena a Maria Ausiliatrice, mentr'egli da Torino avrebbe unito le sue alle preghiere di lei.
Come mai Don Bosco aveva saputo della sua ammalata? e come conosceva egli con tanta precisione la via e il numero del suo palazzo? Colpita da questo doppio enigma, comincia con fervore la novena. Al terzo giorno la figlia chiede da mangiare, mentre da più giorni non prendeva alimento. Ne ridomanda una seconda e una terza volta; poi si alza e cammina e, finita la novena, va in chiesa a ringraziare la Madonna.
Tutta la famiglia, fuori di sè dalla contentezza, studiava in che modo dar prova della comune riconoscenza, quando si seppe che a Don Bosco abbisognava una casa presso Marsiglia, ove collocare i suoi novizi, e la signora che, oltre a parecchie ville nei dintorni di Parigi, ne possedeva due anche nelle vicinanze di Marsiglia, ne offerse immediatamente una a Don Bologna è a Don Albera. Essi, andati a vedere, la trovarono ampia, ben situata e bene ammobiliata; poichè la signora intendeva noti toccare i mobili ivi esistenti. A tamburo battente si stipulò un legale contratto di affitto per quindici anni, a franchi milleduecento all'anno; ma con scrittura privata la proprietaria si obbligava a cederne l'uso completo e gratuito per tutto quel periodo, rimandando ad altro tempo altre decisioni: allora motivi domestici non le lasciavano mano libera per agire diversamente[29].
Don Bosco adunque il 17 marzo andò a vedere quel nuovo vivaio della Congregazione, Accolto con le consuete acclamazioni, appena ebbe messo piede in casa, domandò: - Vi sono dei pini?
- Oh! moltissimi. Tutta la montagnetta è coperta di pini.
- Vi è pure un canale d'acqua che passa dietro la casa? - Vi è un magnifico canale.
- Ma attraversa per intero tutta la proprietà?
- L'attraversa tutta per intero.
- Ebbene, è proprio quella. Non ho nemmeno più bisogno di vederla. Anzi capisco ora perchè nel sogno non mi si disse: Ecco una casa che ti è regalata o comperata; ma mi si disse: Questa casa: è a tua disposizione.
L'ultimo Capitolo Generale aveva riconosciuto la necessità di un noviziato a parte per la Francia, e questo prima che l'offerta venisse fatta; ecco pertanto che quella provvidenza veniva non solo a confermare la verità del sogno, ma anche a sanzionare la decisione presa.
Nel pomeriggio il buon Padre avrebbe voluto passare un po' di tempo con quei suoi cari figliuoli; ma dovette contentarsi di dar loro soltanto alcuni minuti, perchè veniva gente e le signore del Comitato marsigliese, avendo deliberato di tenere una riunione nella nuova casa sotto la presidenza di Don Bosco, si aggiravano già per i viali. Don Bosco le accolse con la più grande bontà, interessandosi non solo delle presenti, ma anche di alcune poche impedite d'intervenire. Dette quindi le preci d'uso e ascoltata la lettura del verbale dell'ultima seduta, ringraziò delle buone parole ivi inserite intorno alla sua persona e poichè vi si lamentava che certi sottoscrittori ricusavano di continuare la loro carità, disse: - In questi casi non c'è altro da fare che star tranquilli e cercare chi sottentri a chi si ritira. É vero che i tempi sono critici; ma per le anime, per la società e per noi stessi importa grandemente,preservare la gioventù in mezzo a tanta perversità. La scuola [52] del male non opera solo nella società; ma spesso purtroppo i giovani trovano maestri di perversione anche nelle loro case e fra i loro parenti. È consolante vedere i buoni risultati che si ottengono a S. Leone; consolantissimo poi osservare come gli allievi vadano bene in condotta e stiano bene di salute. Hanno tutti un ottimo appetito ed è un piacere vederli mangiare, sebbene dopo vi siano le note del panattiere da pagare.
Lodò in seguito lo zelo del Comitato, dicendo non poter egli dimenticare le sue benemerenze verso l'oratorio dì San Leone e assicurando che ogni mattina faceva per esso un memento specialissimo all'altare. Qui suppose di sentirsi domandare se facesse il medesimo per tutti i Comitati e rispose: - Vi dirò che di Comitati si è parlato e riparlato in altri luoghi; ma le buone intenzioni non dànno pane per il mantenimento dei nostri giovani, e così solo a Marsiglia c'è davvero un Comitato.
Alcune socie rilevarono che solo a Marsiglia c'era un Comitato, perchè solo a Marsiglia c'era un curato come il canonico Guiol. Don Bosco si dichiarò lietissimo di riconoscere questo e di poter manifestare tutto il suo contento. Poscia continuò: - Non potendo ringraziare una per una le signore del Comitato, le ringrazio tutte assieme nella persona del parroco, organizzatore del Comitato stesso e tanto benemerito dell'opera. Finchè Iddio non chiamerà Don Bosco all'eternità, egli si ricorderà di tutti in modo particolare davanti al Signore, affinchè li colmi delle sue benedizioni in questo mondo e a suo tempo, ma il più tardi possibile, dia loro il paradiso.
Parlò infine di S. Leone. - L'oratorio va bene, disse. In questo momento non vi sono costruzioni in corso e perciò le uscite quasi non superano le entrate. -Ma ci vorrebbe danaro per l'orfanotrofio di Saint-Cyr, dove si allevano all'agricoltura povere fanciulle. Ci sono riparazioni da fare e il tetto non è ancora pagato. Don Albera non vuol darmi niente e lo raccomando Saint-Cyr al Comitato. - Per secondare questa raccomandazione fu stabilito in altra seduta del 24 aprile che, [53] riserbando la zona di Marsiglia interamente a S. Leone, si sarebbe raccolto per Saint-Cyr l'obolo della carità nel territorio di Aubagne, nella cui periferia si trovava la casa di Saint-Cyr.
Sciolta l'adunanza, invitò le signore nella cappella per la benedizione e dopo le ricevette separatamente una a una, com'esse desideravano, standovi occupato fino a notte. Si sarebbe voluto che dormisse nella quiete di quel soggiorno; ma la promessa di celebrare l'indomani a Marsiglia lo forzò a partire[30].
Da relazioni scritte e orali di Don Barberis si apprende che a Marsiglia l'entusiasmo per il Servo di Dio superò ogni immaginazione. Impiegati d'ogni genere si tenevano onorati di servirlo; notai e avvocati gli offrivano gratuitamente i loro servigi, fortunati di esserne richiesti; medici visitavano lui e i giovani, contenti d'avergli fatto un piacere; versi e prose si componevano in sua lode; bravi pittori ne ritraevano le sembianze. Corrispondenze dalla Francia richiamavano sopra di lui l'attenzione dei buoni anche in altri paesi. Dalla vicina Spagna gli giungevano lettere infocate, perchè varcasse i Pirenei; nella lontana Ungheria il Magyar Atlant di Buda-Pest pubblicava in appendice la traduzione della biografia di Don Bosco scritta dal D'Espiney.
Dovunque poi arrivasse, riceveva sempre novelle prove della bontà di Maria Santissima invocata sotto il titolo di Aiuto dei Cristiani. In famiglie visitate o in lettere ricevute era un inno continuo di ringraziamento alla Madonna per favori da lei concessi nel corso dell'ultimo anno. Si veniva a narrargli di guarigioni straordinarie, di conversioni sospirate, di affari domestici aggiustati contro ogni umana speranza, di benefizi spirituali e temporali ottenuti dopo qualche novena o dopo semplici preghiere. Tutto questo commoveva talmente il Santo, che, parlandone, lacrimava; consolava [54] inoltre il vedere come si dileguasse l'erronea opinione che si dovesse ricorrere a lui per aver grazie, bastando invece soccorrere le Opere salesiane per esserne ricambiati dalla Salita Vergine, che le considerava come sue.
Il 22 marzo andò a pranzo dal signor Broquier. Era un avvocato conosciutissimo a Marsiglia; anche Pio IX l'aveva incaricato di cause che interessavano la Santa Sede. Un tempo, dominato dalla smania di comparire, non si dava in città festa importante, senza che egli vi facesse pompa di sè. Ma poi, meditando sulla vanitas vanitatum della gloria mondana, aveva cambiato del tutto sentimento e viveva appaltato anche dal foro. Avendo la cappella in casa, vi passava buona parte del giorno in preghiera. Ogni mattina poi, vestitosi da cappuccino, serviva la Messa. Sua moglie cantava magnificamente; ma se per l'addietro nelle pubbliche accademie e nelle serate delle grandi famiglie non mancava mai la signora Broquier a far udire la sua voce, anch'essa allora non usciva quasi più, lavorando assiduamente di ago o di ferri per l'oratorio di S. Leone. Essendo ricchissimi, i due coniugi spendevano molto in beneficenza e molto largheggiavano con Don Bosco.
Dopo quel pranzo il Santo era atteso in più luoghi, nè potè esimersi dall'andarvi; ma specialmente lo aspettavano le monache della Visitazione. Una di esse faceva proprio disperare le superiore, il cappellano e perfino il Vescovo. Don Bosco nè la conosceva nè sapeva alcun che delle sue bizzarrie. Orbene, appena entrato, essendosi le religiose inginocchiate in attesa della benedizione e raccomandandosi tutte alle sue preghiere, egli, presa quella per mano, le disse: - Pregherò specialmente per voi, affinchè il Signore vi conceda questo e questo, vi liberi da questo e questo, e voi possiate fare così e così. - Le consorelle, da prima sorprese e poi commosse, si guardavano fra loro piangendo e dicendo: - Questo è un miracolo! - Suggeritele quindi i mezzi per correggersi de' suoi difetti, assicurò le superiore che d'allora innanzi essa non [55] sarebbe stata più quella di prima. Nella festa dell'Annunciazione il cappellano venne a dirgli che la monaca stava ore e ore in chiesa a pregare, che aveva domandato perdono alle superiore e che da tre giorni dava in tutto e per tutto buon esempio alla comunità.
Il 24 l'affluenza dei visitatori crebbe a dismisura, tanto che Don Barberis si piantò sull'ingresso della camera, facendoli passare a sei o a otto per volta con la raccomandazione di salutare, ricevere la benedizione e ritirarsi. Le prime due cose si eseguivano, ma per la terza era un affar serio. I gruppi si gettavano subito in ginocchio; ma dopo la benedizione gli si serravano intorno, mettendogli nelle mani corone e scapolari e lì ognuno aveva una parola da dirgli, un'offerta da consegnargli, una benedizione da chiedergli per il figlio o la figlia, per il padre o la madre, per il parente infermo, per necessità familiari. In un dato momento cinque preti gli stavano inginocchiati davanti. Per quel lunedì aveva invitato a S. Leone gli ascritti, poichè alla Provvidenza non aveva potuto parlar loro, come avrebbe desiderato; ma non fu ad essi possibile dirgli verbo.
Benchè tanto assediato, trovò ancora il modo di compiere due cerimonie. Al mattino battezzò e comunicò un giovane negro, affidato all'oratorio; la cappella naturalmente era strapiena, Nel pomeriggio poi fece la conferenza ai Cooperatori, presente il Vescovo, che cresimò il negro. Fu breve e semplice: pregò i benefattori che lo aiutassero a pagare le note dei fornai e dei muratori, perchè i giovani non potevano vivere senza pane e senza tetto. Monsignore rincalzò eloquentemente le sue raccomandazioni e fuori disse di lui: - Parla come parlano i Santi, tanta è l'efficacia e l'unzione delle sue parole[31].
Tutti gli anni i giovani della casa facevano una scampagnata alla villa del signor Olive, il generoso Cooperatore che noi già conosciamo. In tale occasione il padre e la madre servivano [56] a tavola i superiori, e i figliuoli gli alunni. Tenevano inoltre preparata una lotteria, per la quale ognuno dei superiori e dei ragazzi aveva il suo numero, sicchè tutti guadagnavano qualche oggetto; in questo modo appunto fecero dono anche della loro vettura all'oratorio di S. Leone. Nel 1884, essendosi fatta la gita durante il soggiorno di Don Bosco a Marsiglia, accadde un lepido episodio. Mentre gli alunni si divertivano per i giardini, una fantesca corse tutta affannata dalla signora Olive, dicendo: - Signora, la pentola dove cuoce la minestra per i giovani, perde largamente e non riesco in nessun modo a rimediarvi. Dovranno stare senza minestra. - La padrona, che aveva gran fede in Don Bosco, ebbe un'idea. Mandò a chiamare tutti i giovani e: - Sentite, disse loro, se volete mangiare la minestra, inginocchiatevi qui e recitate un Pater Ave e Gloria a Don Bosco, perchè faccia ristagnare la pentola. - Queglino obbedirono. La pentola cessò all'istante di perdere. Il fatto è storico; ma Don Bosco, sentendolo contare, rise di gusto, dicendo: - D'ora in avanti chiameranno Don Bosco protettore degli stagnín [stagnai].
Le fatiche fin qui descritte non inducano a credere che Don Bosco si fosse come per incanto ristabilito in salute; si era così poco ristabilito, che l'ispettore' Don Albera, assai preoccupato delle sue condizioni, aderì al suggerimento di chi gli consigliava di chiamargli il dottore Combal, professore all'Università di Montpellier e vera celebrità medica. Si ricorreva a lui da ogni parte d'Europa, financo dalla Prussia. Ricevere l'invito e mettersi in viaggio fu un attimo solo. Dormì la notte in treno, giungendo a Marsiglia il 25 sul fare dell'alba.
Da fervente cattolico andò prima a fare le sue divozioni alla Madonna della Guardia, indi si presentò a S. Leone. Introdotto da Don Bosco, si mise in ginocchio a' suoi piedi e gli baciò umilmente la mano. Don Bosco, al vestito dimesso e all'atteggiamento modesto, lo credette un servo del medico e senz'altro gli domandò notizie del padrone. [57]
- Sono io Combal, disse il dottore. Mi stimo ben fortunato dì potere in qualche modo rendermi utile a lei e servirla.
- Lei il celebre dottore Combal! Ma perchè, perchè presentarsi a questo modo? Così non voglio, si alzi! Quale fortuna per me poter fare la sua conoscenza!
Il Dottore si alzò, esaminò con attenzione Don Bosco per più di un'ora, lo interrogò, stette alquanto a pensare e non diceva nulla.
- Ebbene? interrogò Don Bosco.
- Lei, rispose il medico, ha consumato la vita con troppo lavoro. É un abito logoro, perchè sempre indossato i giorni festivi e i giorni feriali. Per conservare tuttavia quest'abito ancora un po' di tempo, l'unico mezzo sarebbe di riporlo in guardaroba. Voglio dire che per lei la medicina principale sarebbe l'assoluto riposo.
- Ed è l'unico rimedio, al quale non posso assoggettarmi, rispose sorridendo il Servo di Dio. Com'è possibile riposare, quando si hanno per le mani tanti affari incominciati?
- Capisco, replicò il medico; eppure come si fa? Almeno almeno dia a' suoi dipendenti tutto il lavoro che può, e lei si riposi quanto le è possibile. Io non saprei quale altro consiglio darle. Guasti organici non ne trovo; vediamo dunque di rimediare alla sua estrema debolezza generale.
Pregato di stendere una diagnosi particolareggiata e di prescrivere i rimedi più efficaci, vi si prestò ben volentieri. Ecco la sua relazione.
Le informazioni che mi furono somministrate dal Rev.mo Padre Don Bosco sugli antecedenti ed il risultato delle investigazioni che feci io medesimo ci autorizzano a riconoscere in lui l'esistenza di uno stato morboso al fegato, generale e locale.
A. Elementi generali: 1° Una debolezza generale con anemia.
2° Una direzione flussionaria verso la mucosa dell'apparato respiratorio.
4° Forse anche un residuo d'infezione palustre. [58]
B. Elementi locali: 5° Un poco d'irritazione alla mucosa bronchiale, risultante dalla ripetizione dei movimenti flussionarii.
6° Infine un leggero aumento del volume del fegato.
Questi elementi diversi sono la base delle indicazioni terapeutiche principali. Questi dovranno essere rimediati con l'aiuto dei mezzi seguenti:
I. Prendere - mattino e sera immediatamente avanti ciascun pasto una cucchiaiata di vino di Vial (fosfato di calce, polpa di tamarindo e china).
2. Bere mezzo bicchiere di Vals, sorgente Dominique, mescolata con il vino durante il pasto.
3. Tenere il ventre libero prendendo, per intervalli (una volta per settimana) alla sera all'ora di andare a dormire un cucchiaio da caffè di polvere di Vichy del Dottore Soulegoce in un quarto di bicchiere d'acqua.
4. Regime alimentario misto. Carne con verdura cotta, uova al guscio, latticinii.
5. Alternare ciascun mese, durante dieci giorni, l'acqua di Vals con quella della Bourbade da bersi durante i pasti.
6. Sottrarsi per qualche tempo ai lavori abituali e soprattutto alle tensioni dì spirito prolungate.
Il Santo, avuto il foglio, disse al Dottore: - lo non so come esprimerle tutta la mia riconoscenza. So che lei è generoso, ma almeno io voglio che non debba sottostare alle spese del viaggio.
- Ecchè? rispose con vivacità il Dottore. Ho aspettato tanto il bel momento di vedere Don Bosco, ed ora questo momento è giunto. La mia ricompensa sta nel poter dire che ho visto Don Bosco. Non lei a me, ma io a lei debbo essere riconoscente. Io le debbo la mia figlia. Non ricorda che l'anno scorso le scrissi raccomandandola alle sue preghiere? Da molto tempo era ammalata di male incurabile. S'immagini quanto soffriva il mio povero cuore! Ma dopo che la Signoria Vostra ha pregato, essa cominciò subito a sentirsi meglio e in breve si ristabilì perfettamente. Dunque io debbo a lei la guarigione di mia figlia e sono venuto qui, non solamente come medico, ma anche come debitore che vuol pagare il suo [59] debito alla Madre Santissima Ausiliatrice. La prego perciò di gradire questo piccolo obolo.
Così dicendo, gli porse con tanta insistenza una busta, che Don Bosco dovette accettare. Erano quattrocento franchi. Anche nel congedarsi gli rinnovò con le più cordiali espressioni la preghiera, che lo tenesse sempre in conto di suo umile servitore, pronto a ogni cenno in qualunque tempo e in qualunque luogo.
Da Marsiglia Don Bosco tornò il 26 a Tolone, con immensa gioia dei conti Colle, che sbarrarono le porte di casa, affinchè nessuno andasse a troncare le loro conversazioni, e neanche gli permisero di tenere conferenza per la questua. Qui facciamo noi, dicevano, ma vogliamo anche godercelo noi. - Tuttavia la notizia del suo arrivo, saputasi da tino o due, si diffuse a poco a poco, sicchè da ultimo fu forza cedere e lasciar entrare; così il Servo di Dio, che sperava di riposarsi, si stancò non poco.
Il 27 partì per la Navarra in compagnia dei Conti. Trovò quella proprietà in via di trasformazione. Il luogo per sè è incantevole. Un ampio semicerchio di bellissime colline, vestite di pini e di sugheri verdeggianti tanto d'estate che d'inverno, cinge una pianura, da prima inclinata e messa a vigneti, poi uguale e tutta prati e campi. Nel bel mezzo biancheggia la casa; dietro la casa si stendono giardini per la floricultura, industria del paese, e la terra tenuta a orto; di là dalla prateria fruttificano a migliaia gli ulivi. Non vi è soggezione di sorta all'intorno nè si veggono caseggiati per buon tratto oltre ai confini. Tanta amenità di luogo, quando vi si andò, era uno squallore a vedersi; allora la bonificazione si .allargava: nella precedente annata eransi già ricavati dodicimila franchi solo di vino[32].
La casa dunque sorgeva isolata in mezzo a una vaga solitudine; ma all'arrivo di Don Bosco vi formicolava gente [60] dentro e fuori, venuta là fin dalle prime ore del mattino. Quattro omnibus da Tolone, tre da Hyères, uno dalla Crau e altri da altri paesi vi avevano riversato un buon centinaio di persone; da Marsiglia si era organizzato un vero pellegrinaggio; carrozze padronali giungevano con nobili signori delle vicinanze; vennero anche diversi parroci con il Vicario Generale di Fréjus; comparvero da Nizza il barone Héraud e l'architetto Levrot.
Alle dieci e mezzo le sentinelle avanzate diedero il grido che Don Bosco arrivava. La folla gli mosse incontro e lo accerchiò. Egli, sempre tranquillo e disposto a contentare tutti, non mostrava di avere alcuna fretta. Tanti forestieri erano accorsi per assistere alla benedizione della nuova chiesa, dedicata a Maria Ausiliatrice e costruita col danaro del conte Colle. Il Servo di Dio, riposatosi brevemente e preso un po' di ristoro, procedette alla cerimonia, assistito da numeroso clero, fra cui il detto Vicario, che ben volentieri cedette a Don Bosco l'onore di compiere il sacro rito, l'abate Guiol, l'ispettore Don Albera e una corona di parroci viciniori. A cose fatte, Don Bosco non volle che mancasse un po' di conferenza[33].
La mattina del 28 vi fu un'altra funzione, ma tutta intima: la prima comunione al figlio e alla figlia dei visconti di Villeneuve. Si festeggiava S. Giuseppe, Patrono della casa. Don Bosco disse la Messa della comunità e alla Messa solenne il Vicario Generale della diocesi fece il panegirico. Fu una giornata di canti e di suoni e di entusiastica allegria.
Il Santo non doveva più rivedere quella scuola di agricoltura, la prima da lui istituita; ma la sua benedizione non rimase infruttuosa. L'opera progredì materialmente e moralmente, sì da superare l'aspettazione dei superiori stessi e dei benefattori. Ed oggi, sopravvissuta post tot discrimina rerum, [61] porta visibilmente impresse le tracce di quell'ultima benedizione paterna.
Lasciata dopo i vespri domenicali del 30 la Navarra, uno spiacevole contrattempo diede occasione a Don Bosco di esercitare la sua pazienza. Doveva venirlo a prendere la carrozza di una signora, che aveva promesso con esultanza di rendergli quel servizio; ma per un malinteso non venne. Bisognò dunque attaccare il cavallo della casa a un break molto primitivo e incomodo. Inoltre la strada era sassosa, sicchè la vettura andava balzelloni, sconvolgendo a Don Bosco lo stomaco. Obbligato perciò a discendere, fece a piedi con sommo stento mezz'ora di cammino fra ciottoli e polvere, combattendo pure con un vento forte e freddo. Giunsero così a un castello denominato Castiglia, ai signori del quale aveva il dì innanzi promesso una visita. Essi, che lo aspettavano, vedendolo in tale stato, gli prepararono subito una provvidenziale tazza di tè. Venuta l'ora della partenza, gli offrirono la loro carrozza a due cavalli, sulla quale fece il rimanente della strada.
Durante la, fermata il figlio dei signori, che l'anno prima, gravemente infermo, era andato a domandargli la sua benedizione, allora venne a ringraziarlo, perchè da quel momento aveva preso a migliorare e ormai stava ottimamente. Nei loro discorsi tutti lamentavano l'ostinata siccità che bruciava le campagne. - Dica lei una parola al Signore, gli dicevano, e il Signore ci manderà la pioggia.
- Sì, sì, rispose egli, prego per la pioggia e domani celebrerò la Messa secondo questa intenzione.
- Sì, lo credo. Il Signore ha promesso che dove due o tre si riuniranno insieme per domandare qualche cosa all'Eterno Padre in nome suo, egli si troverebbe, in mezzo a loro. Noi siamo qui parecchi uniti a domandare una cosa al Signore; Gesù è dunque in mezzo a noi.
- Ma noi siamo troppo cattivi e per questo il Signore non ci esaudisce. [62]
- Noi siamo molto cattivi e non meritiamo che il Signore ci esaudisca; ma in mezzo a noi vi è Gesù che fa le nostre parti.
- Dunque lei ci dice proprio che pioverà? É poco meno di un anno che non piove più.
- Sì, sì, pioverà. Da alcuni giorni il Vescovo ha ordinato di dire in tutte le Messe l'oremus della pioggia. A tante preghiere il Signore non è sordo. Guardiamo solamente di non impedire a Gesù di stare in mezzo a noi.
Fra questi e altri discorsi, dopo una preghiera per la pioggia e la benedizione a tutti, si partì per un altro castello detto la Bastide, distante mezz'ora di carrozza. Là i viaggiatori dovevano passare la notte presso la famiglia Obert. Alla cena il discorso cadde nuovamente sulla pioggia tanto necessaria e di nuovo Don Bosco promise che sarebbe piovuto. La signora rispose: - Darei qualunque cosa, se piovesse.
Con questo s'andò a dormire. Erano nel primo sonno, quando un forte rumore svegliò Don Barberis e altri: la pioggia scrosciava, piovve tutta la notte e ancora tutta la mattinata. La signora consegnò a Don Bosco cinquecento franchi, promettendo altre offerte simili, se la campagna andasse bene. Un prete di Lione, che trovavasi colà di passaggio, esclamò: - Ecco che cosa vuol dire ospitare i Santi.
Distava poco Antibo, piccola città della riviera fra Cannes e Nizza. Una ricca famiglia di là metteva a disposizione di Don Bosco una sua proprietà, affinchè vi aprisse una casa. Visitò quei signori il 1° aprile nel suo ritorno a Nizza. Durante le poche ore di fermata tre distinte persone gli si presentarono per riverirlo e ringraziarlo dell'effetto salutare di una sua benedizione. Al qual proposito il suo compagno di viaggio attesta: “In questo mese io posso asserire con tutta certezza che almeno cento persone o per lettera o personalmente resero grazie a Don Bosco nello stesso modo, cioè per il frutto di benedizioni date da lui l'anno avanti ”.
Preso il treno per Nizza, a una stazione intermedia salì [63] nello stesso scompartimento un'intera famiglia, che, alla vista di due preti italiani, cominciò a lamentare che l'anno prima a Parigi non avesse fatto in tempo per visitare Don Bosco. Dovendo poi discendere, mentre si avviavano, una delle figlie disse al padre: - Quel sacerdote mi sembra che debba essere Don Bosco. - Il padre scattò come una molla e lo interrogò: - Scusi, lei sarebbe Don Bosco? - Alla risposta affermativa padre, madre, figli si gettano in ginocchio e vogliono la benedizione. Il Santo li benedisse. Quel signori non sapevano darsi pace per non averlo conosciuto se non al momento in cui dovevano separarsi.
A Nizza fece una conferenza il 2, e alle otto pomeridiane del 3 arrivò ad Alassio, incontrato da Don Cagliero e da Don Lemoyne, che avevano predicato gli esercizi spirituali ai giovani. Con loro il 4 proseguì per Sampierdarena, dove giungevano contemporaneamente gli altri membri del Capitolo Superiore, eccetto Don Durando. Li aveva convocati per tenere in quella sera stessa un'adunanza su diversi affari della Congregazione. Prima però ebbe tempo di recarsi a Pegli per visitare la contessa Solms, che vi dimorava da dieci anni. Era cugina dell'imperatore Guglielmo e cattolica; cattolica allevava la figlia, mentre i figli crescevano protestanti. Aveva gran desiderio e gran bisogno di vedere Don Bosco.
Spigoleremo alcune cosette dai verbali della seduta capitolare. Discutendosi dell'ammissione di un chierico francese agli ordini sacri, Don Bosco espresse questo parere:, - Se uno non è preparato a fare i voti al tempo degli altri, si licenzi definitivamente. Se uno non è ammesso alle ordinazioni, si conchiuda: Voi non appartenete più alla Congregazione. E si congedi formalmente. - Qui Don Cagliero ricordò un'idea del padre Franco, essere uno dei più grandi errori tenere in casa chi non è capace di ordinazioni o di voti.
Il Santo annunziò che il suo viaggio in Francia aveva recato buoni frutti. - Le case di Francia, disse, sono state dì nuovo liberate dai debiti. La Provvidenza ci venne in aiuto. [64]
In Francia ci furono promesse molte somme e molte ci vennero date. Il conte Colle ci offre 150.000 lire, che pagherà in questo mese. L'ingegnere Levrot a Nizza spese del suo nella nostra casa 80.000 lire. A Saint-Cyr le spese di costruzione passarono le 80.000 lire, ma c'è qualche benefattore. Tuttavia si sono fatti lavori che non raggiungono lo scopo e senza che ne sia stato prima prevenuto il Capitolo. A Nizza, a Marsiglia, alla Navarra vanno ottimamente e senza debiti. - Solo lamentò in un Direttore la smania di fabbricare. Per rallentarla in tutti, disse che bisognava imporre sempre due condizioni: I° la licenza del Capitolo; 2° che fossero preparati i mezzi. Altrimenti, no. Gli rincresceva pure che in Francia s'introducessero usanze non conformi alla povertà: per esempio i tappeti nelle sale di ricevimento, con la scusa che li esigevano i benefattori.
La generosità dell'ingegnere Levrot richiede qualche illustrazione. Per una grazia singolarissima ottenuta dopo la benedizione di Don Bosco era diventato tutto cosa sua. Un giorno il Santo gli aveva parlato della necessità di ampliare la casa di Nizza.
- È presto fatto, gli rispose l'ingegnere. Basta cominciare a lavorare.
- Si fa presto a dire; ma e i denari? lo non so dove trovarli.
- Per questo non c'è da prendersi fastidio. Cominciamo a fare.
- Poi qualche cosa sarà. Mi dà licenza di cominciare?
- Cominci pure; ma pensi che Don Bosco non ha denari.
Il giorno dopo il signor Levrot venne col suo capomastro, prese i disegni, mandò antenne e tavole per i ponti, e via via materiali e operai. Datosi principio ai lavori, in pochi mesi l'edifizio fu alzato di un piano per le camerate e venne eretta una grande cappella, Come tutto fu terminato, il Levrot [65] disse al Direttore: - Vede che le ampliazioni si sono fatte senza spesa? -Spesa c'era stata; ma il generoso signore aveva messo tutto di suo.
A Sampierdarena fece una sosta relativamente lunga con grande consolazione dei superiori e degli alunni. I giovani avevano fatto tre giorni interi di adorazione perpetua dinanzi al Santissimo Sacramento per la stia guarigione; quindi, poichè un miglioramento c'era, vi fu gran festa il 6 aprile, Domenica delle Palme. Al pranzo parteciparono alcune signore francesi. Avevano cercato Don Bosco a Marsiglia, a Cannes, a Nizza. Qui, mentr'esse scendevano da un treno, Don Bosco sopra un altro partiva per l'Italia. Senza perdersi d'animo, lo seguirono ad Alassio, ma non lo raggiunsero. Finalmente a Sampierdarena poterono comodamente vederlo e parlargli. Di là lo precedettero a Roma, dove dimorarono un mese, visitandolo quasi ogni giorno.
Discorrendo con i suoi figli di Sampierdarena e caduto il ragionamento sugli esercizi spirituali dei giovani, Don Bosco disse: -Nelle nostre case e chiese, per gli esercizi dei nostri figliuoli è sempre meglio chiamar a predicare nostri Salesiani anche solo mediocri nel ministero della parola, piuttostochè ottimi predicatori non appartenenti alla nostra Congregazione. Anzi gli ottimi, se sono estranei, guadagnano a sè la stima e, quando sono religiosi, la guadagnano ai loro Ordini, facendo perdere ai giovani la stima che hanno di noi. Costoro inoltre non hanno il nostro spirito, per quanto siano santi e dotti. S'invitino quindi il meno che si può. Per questo stesso fine i Gesuiti non permettono che alcun altro predichi nelle loro chiese fuori dei loro confratelli.
L'itinerario di Don Bosco portava un nuovo viaggio a Roma. Due volte dalla Francia aveva fatto scrivere a Don Rua, affinchè gli dicesse chi giudicava conveniente che ve lo accompagnasse, se il segretario Don Berto o qualche altro. Quale sia stato il parere di Don Rua, non lo sappiamo; ma il Santo trattenne a Sampierdarena Don Lemoyne per questo [66] scopo. Nella sua paterna delicatezza però rivolse un pensiero ai primo, scrivendogli:
Mi dicono che la tua sanità non è ancora quella che si desidera. Mi rincresce. In questo tempo di mia assenza abbiti tutta la cura necessaria. Io pregherò per te. D. Lemoyne mi accompagna a Roma. Non so ancora se mi occorreranno carte. Te ne scriverò al bisogno. Dal 12 al 15 di maggio spero di essere a Torino.
La mia sanità è un po' migliore, ma ho molto bisogno ai preghiere.
Dio ti benedica, o sempre caro D. Berto, e raccomandami a Dio nella santa messa e credimi in G. C.
La sera del 7 visitò a Sestri ponente la vedova Cataldi, zelante cooperatrice salesiana, e la sera dell'8 andò a trovare la baronessa Podestà, moglie del sindaco di Genova. Queste ed altre signore di Genova e dintorni facevano capo alla marchesa Ghiglini che tutte le animava ad aiutare Don Bosco e le sue opere.
Nei momenti liberi il Servo di Dio cercava sollievo allo spirito riandando antiche vicende. L'8 Don Lemoyne scriveva a Don Bonetti: “Il nostro amantissimo Padre non sa tenere discorso senza che rammenti i tempi eroici dell'Oratorio. Quindi mi incarica di farti sapete come Don Belmonte[34] abbia preso parte a molte famose passeggiate e come rammenti moltissimi aneddoti graziosi e ridicoli accaduti in quel tempo. Sarebbe perciò cosa opportuna che tu procurassi di avere un abboccamento con Don Belmonte, prima di dare l'ultima mano a questa parte della storia dell'Oratorio[35], [67] o tu venendo a Sampierdarena, o Don Belmonte a Torino. Il primo partito sarebbe più conveniente: sono parole di Don Bosco ”.
Finalmente il 9, dato l'addio a Sampierdarena, Don Bosco partì per Genova con Don Lemoyne, che prendeva il posto di Don Barberis. Pranzò dalla marchesa Ghiglino, presso la quale trovò radunato un numeroso stuolo di signore, che lo attendevano. Dopo si diresse a Rapallo per far visita al conte Riant, membro dell'Istituto di Francia, ricco signore parigino e scrittore di bella fama. Era colui che l'anno prima aveva sperimentato i benefici effetti di una sua benedizione[36]. Il Conte e la Contessa, felicissimi di averlo con loro, lo invitarono a pernottare nella splendida villa da essi abitata, ed egli accettò. Dopo i primi convenevoli si uscì a ' passeggio nel parco, che dalla cima di una collinetta si stendeva fino al mare. La passeggiata durò un'ora e mezza. Don Bosco andava con i Conti e Don Lemoyne con i figli. All'indomani, giovedì santo, questi si confessarono da Don Bosco e gli servirono la Messa nella cappellina domestica; tutti fecero la Pasqua. Scrive Don Lemoyne[37]: “In sul partire il Conte strinse la mano a Don Bosco in un certo modo che significava un complimento efficace, solido, affettivo ed effettivo ”. Saliti sul treno, giunsero alla Spezia verso le due pomeridiane. Quel riposo aveva visibilmente rinfrancato Don Bosco.
A La Spezia sarebbe dovuto giungere il 9 per una conferenza ai Cooperatori, se la fermata a Rapallo, più lunga del preveduto, non glie l'avesse impedito. Parlò in sua vece il canonico Davide Marinozzi, predicatore della quaresima. La sua dimora fece passare più allegra che mai la Pasqua ai Salesiani e ai loro giovani. Gli rincrebbe però lasciare l'istituto senza dir una parola in pubblico; il che fece nel pomeriggio della grande solennità: anzi poichè si sentiva meglio del solito, parlò con vivacità e a lungo. Don Lemoyne inviò a Torino [68] un largo riassunto del suo discorso, che crediamo bene di riprodurre dal Bollettino di maggio.
Mi presento a voi, o cari uditori, col cuore veramente commosso dalla riconoscenza pel bene che voi avete fatto e fate tuttora a questo Oratorio Salesiano. Quanti giovanetti lo dovranno a voi, se hanno conservata la fede, se vissero da buoni cristiani, se giunsero all'eterna felicità. Per questo fine io vengo per fare nuovo appello alla vostra carità, vengo per raccomandarvi una questua per sostenere opere che non sono mie, ma appartengono al Sommo Pontefice, e gli stanno sommamente a cuore. Esso l'immortale Pontefice Leone XIII vi dà pel primo uno splendido esempio. Se esiste alla Spezia questo Oratorio, dove tanti giovanetti trovano il pane della vita, dobbiamo a Lui esserne riconoscenti. Sì, il Santo Padre è povero, vive di elemosina, perchè fu privato di tutto, eppure per la Spezia il povero Pontefice trova modo di mandare mensilmente soccorsi, coi quali si rende più povero ancora a vantaggio dei giovanetti delle vostre famiglie, della vostra città. Imitate adunque questo splendido esempio di generosità.
Voi mi direte: E fino a quando dovremo continuare a prestarci in queste opere di beneficenza? - Fino a quando? Cari miei! Finchè vi saranno anime da salvare, finchè i poveri giovanetti non siano più circondati da insidie e da inganni, sino a che siano giunti alle porte dell'eternità, ed entrati in paradiso, ove solamente potranno trovarsi al sicuro dagli agguati, che loro tende il nemico.
Io potrei oggi ragionarvi delle missioni dei nostri Salesiani sparsi nelle varie parti del mondo e specialmente in America, parlarvi delle loro fatiche, dei loro bisogni, del bene che operano; ma mi limito invece a parlarvi della Chiesa e dell'Ospizio del Sacro Cuore di Gesù in Roma. 1 protestanti hanno aperto in Roma scuole e templi per sedurre i Cristiani e specialmente la povera gioventù. Il Papa Leone XIII addolorato per tanto disastro fece dire a Don Bosco essere necessario salvar l'onore della Religione Cattolica, e porre un argine alla propagazione dell'eresia, e al pervertimento della gioventù. E in qual modo? Coll'erigere la Chiesa già designata al Sacro Cuore di Gesù, ed un grande Ospizio per raccogliere i giovanetti pericolanti. - Santo Padre, io ho risposto, di buon grado io mi accingo a quest'opera, ma non ho danari. - E questo io pure non ho, disse il Sommo Pontefice. Rivolgetevi dunque ai fedeli e dite che il Santo Padre raccomanda a tutti la Chiesa del Sacro Cuore, e che il Signore benedirà temporalmente e spiritualmente chiunque presterà mano ad opera così bella. - Ecco, o cari Cristiani, ecco perchè io ho cercato e cerco sussidii altrove e qui, ecco perchè ora si farà una questua in questa Chiesa. Si tratta di onorare l'amoroso Cuore del nostro dolcissimo Salvatore. Il Sacro Cuore di Gesù è la sorgente di tutte le benedizioni, di tutte le grazie. Tutti abbiamo bisogno di queste grazie. Facendo quindi un'obblazione in [69] onore del Sacro Cuore chiediamo nello stesso tempo quella grazia, di .cui abbiamo speciale bisogno o per l'anima o pel corpo, o per i genitori, o per la figliuolanza, o per i nostri interessi materiali, o per il conseguimento di qualche bene intellettuale o morale, e state certi che otterrete quanto sarete per chiedere, perchè Dio non si lascia vincere in generosità, quando la vostra domanda non sia d'impedimento al vostro bene spirituale.
Altra ragione per contribuire si è Colui, che chiede la vostra elemosina in nome del Sacro Cuore. Chi chiede la vostra limosina è lo stesso Sommo Pontefice, il nostro Padre, il Vicario di Gesù Cristo. Il Santo Padre domanda che procuriate di favorire due cose in modo particolare: questa opera dell'Oratorio nella Spezia, e l'opera del Sacro Cuore di Gesù in Roma. Il Santo Padre dal canto suo che cosa fa, che cosa promette? Sta colle mani levate al cielo, prega per voi, vi benedice, ed ogni giorno si ricorda di voi nella Santa Messa. La sua intercessione è potentissima per l'autorità della quale è rivestito, per l'amore col quale è prediletto dal Sacro Cuore di Gesù. Esso parla in nome del Sangue del Salvatore, e noi non ascolteremo? Esso ci invita in nome della salvezza di tante anime immortali, e noi saremo restii? Esso chiede soccorso ai figli per i fratelli e noi rifiuteremo? Ah no! Voi non farete certamente questo torto al Vicario di Gesù Cristo, e al vostro carattere di Cristiani cattolici.
Qualcuno forse dirà: - E dove dovrò io prendere danari? Le mie entrate non sono grandi, i tempi sono difficili, i negozi non prosperano. - Lasciate che io vi parli con libertà. Se vogliamo soddisfare un capriccio, prenderci un divertimento, fare in certe circostanze una bella figura in società, oh allora sappiamo trovar danaro; e poi non troveremo noi un obolo da donare a Gesù Cristo, mentre tutto quello che possediamo l'abbiamo da Lui, che può renderci centuplicato anche in questo mondo il nostro dono?
Altri diranno: - Sono tanti che domandano l'elemosina per opere buone così svariate e molteplici! Ce ne sono troppe! - Questa risposta, o cari miei, non è da Cristiano. Voi dite: Non posso sostenerle tutte queste opere buone; ed io vi domando in confidenza: ne sostenete almeno qualcuna? lo credo che quelli, i quali gridano che ce ne sono troppe, non ne sostengano nessuna. Ah! ricordatevi che il far carità è un obbligo. Se non si hanno danari si può dare oggetti di vestiario, si può dar commestibili, si può cercare e incoraggiare altri che lo facciano. Se assolutamente non possediamo nulla, vi è l'opera delle opere: la preghiera. Pregare perchè il Santo Padre sia consolato e confortato nel grande uffizio di reggere la Chiesa; pregare per gli operai evangelici, acciocchè il Signore dia loro sanità, forze, virtù, mezzi, corrispondenza, trionfo nelle loro missioni; pregare per le anime dei traviati, affinchè si convertano, dei giusti, affinchè perseverino; ecco una limosina, che non tutti fanno. [70]
Qualcun altro per esimersi dal far limosina dice: - Io potrei fare limosina, ma desidero riservarmi qualche cosa per i miei bisogni futuri; potrebbero succedere anni, nei quali le campagne renderanno poco, ristagno d'affari, fallimento, e simili disgrazie. Quindi bisogna che io pensi all'avvenire e mi metta in serbo una qualche fortuna. Pur troppo ciò, che vien chiamato previdenza, è cagionato da mancanza di fiducia nella divina Provvidenza; pur troppo si risparmia ogni, si risparmia domani, agli avanzi degli anni addietro si aggiungono gli avanzi dell'anno seguente, cresce nell'animo l'amor al danaro, e lo spirito dell'avarizia; pur troppo che coll'accrescersi della fortuna il cuore si fa sempre più duro verso i poverelli, e a poco a poco dal suo stesso danaro un Cristiano è tirato all'inferno. I Cristiani furbi non accumulano danaro per un tempo che passa come un lampo, danaro che in buona sostanza si può chiamare danaro di morte; i Cristiani furbi con opere buone portano all'eternità il danaro della vita. San Lorenzo era il depositario dei tesori della Chiesa Romana. Il Preside pagano avido di queste ricchezze, chiamato a sè il santo diacono, gl'intima di consegnargli quanto oro, argento, pietre preziose aveva in deposito. S. Lorenzo promise che avrebbe ciò fatto, chiedendo il tempo di pochi giorni per radunarle. Il Preside acconsentì, sicuro di aver tra poco la preda agognata; ma Lorenzo distribuita ai poveri la somma di danaro ritratto dal tesoro venduto, di costoro radunò una folla grandissima nell'atrio del Preside. Entrato quindi al suo cospetto, lo pregò a voler discendere nell'atrio, poichè avrebbe visto il mantenimento della sua promessa. Il Preside al primo vedere tanta folla di miserabili, meravigliato chiese a Lorenzo, perchè avesse condotta colà tutta quella gente. - Sono, disse il Santo, i tesori della Chiesa questi poveri, ed io te li ho presentati, come ti aveva promesso. - Il Preside credendosi schernito salì, sulle furie: - L'oro e l'argento io ti ho chiesto; ove l'hai tu nascosto? - Ed il Santo gli rispose: Facultates Ecclesiae, quas requiris, in caelestes thesauros manus pauperum deportaverunt. Le ricchezze della Chiesa che tu agogni furono portate nei tesori celesti dalle mani dei poveri. Sì, cari miei. Le mani dei poveri portano le nostre elemosine in paradiso. Dare ai poveri il nostro obolo è come darlo nelle mani di Gesù Cristo. Il Divin Salvatore protestò che nell'ultimo giudizio pronuncierà la sua sentenza principalmente secondo che avremo o non avremo avuto viscere di misericordia per i meschini, e dirà apertamente innanzi a tutto il mondo: - Ciò che avete fatto al più piccolo di costoro lo avete fatto a me. -Volete portare con voi il vostro danaro non nella tomba, non nella perdizione, non nell'eternità dell'inferno, ma nell'eternità del paradiso? Fate elemosina ai poveri, specialmente quando si tratta di coadiuvare la salute delle loro anime. Il Salvatore ha faticato, ha sudato, è vissuto povero, ha patito, è morto per le anime. E voi guardate quanti poveri giovanetti,vi sono mai nel mando, che traditi, che ingannati, che senza educazione [71] religiosa cadono nel vizio e si perdono! E potete voi resistere impassibili a così straziante spettacolo? Badate che ai cuori duri dice Gesù Cristo: - Tu non ti adoperi a salvare le anime coi mezzi che io stesso ti ho dato, perciò il tuo danaro sia teco in perdizione. - Procuriamo adunque di promuovere i nostri veri interessi. Diamo a Gesù Cristo, e quanto daremo ci sarà restituito con usura nel tempo e nell'eternità, perchè la banca del Signore non fa fallimento.
Ho parlato come a fratelli, quindi perdonatemi la libertà e la confidenza del mio dire. Vado a Roma e porterò l'offerta che voi farete, perchè sia impiegata nell'edificare la Chiesa e l'Ospizio del Sacro Cuore. Parlerò di voi al Sommo Pontefice che tanto tiene a cuore la popolazione della Spezia, come lo dimostra questo Oratorio medesimo, soccorso da lui più di quello che le sue forze gli permettano. Io gli chiederò la benedizione per voi, per le vostre famiglie, e pei vostri interessi.
Io poi dal canto mio non mancherò di fare ogni mattina una preghiera speciale per voi, e voi abbiate la bontà di pregare per me. Così coll'esercizio della carità operosa e colla preghiera avremo fondata speranza di trovarci tutti insieme in Paradiso.
L'uditorio si componeva per la massima parte di operai, essendo quella per i signori l'ora dei pranzo; eppure la colletta fu abbastanza cospicua. Vi si trovò financo un anello d'oro.
Fra i visitatori vi fu a La Spezia l'ispettore scolastico, nel quale Don Bosco riconobbe un antico catechista dell’Oratorio di Torino per nome Carlo Alvano Bonino. Non l'aveva più veduto da trent'anni. Quegli si congratulò con Don Bosco del bene fatto a La Spezia e narrò un grazioso aneddoto, del quale era stato testimonio nel 1850. Un padre di famiglia savoiardo, fattosi Protestante in Torino per amor del danaro, con cui si pagavano le apostasie, pretendeva che la moglie e il figlio facessero come lui; ma non ci riusciva, perchè la donna era ferma e teneva fermo il suo piccolo, Una notte il fanciullo ebbe un sogno. Gli sembrava di essere strascinato al tempio dei protestanti e che mentre si dibatteva per resistere a quella violenza comparisse un prete a liberarlo e a condurlo seco. L'indomani raccontò il sogno alla mamma, che cercava tutte le vie per collocarlo al sicuro in qualche istituto. Una persona [72] le consigliò di ricoverarlo da Don Bosco nell'Oratorio di Valdocco. Essa vi andò col ragazzo una domenica mattina e saputo essere tempo di funzione entrò in chiesa. Or ecco uscire Don Bosco per celebrare. L'ispettore, allora maestro di catechismo, stava inginocchiato accanto al fanciullo, il quale, appena vide il celebrante, gridò: C'est lui-même, c'est lui-même! E poichè il piccolo continuava a gridare e la madre piangeva, il catechista li condusse in sacrestia, dove apprese il sogno e tutto il resto. Appena Don Bosco, finita la Messa, ritornò in sacrestia e depose gli abiti sacri, il fanciullo corse a lui dicendogli a mani giunte: -Padre mio, salvatemi! - Don Bosco accettò senz'altro il piccolo savoiardo e lo tenne più anni nell'Oratorio.
Cosa singolare! Dopo cinquant'anni si ripete ancora oggi il medesimo fatto: dovunque si vada, si trovano assai di spesso persone che hanno qualche interessante novità da narrare sii Don Bosco.
I rallegramenti dell'ispettore scolastico per il bene operato dai Salesiani a La Spezia erano giustificati e meritati. La casa aveva realmente conseguito lo scopo inteso da Don Bosco nel fondarla, di arrestare cioè la corsa trionfale dei protestanti nella città. A farli cadere nella pubblica disistima aveva contribuito un poco la condotta del loro ministro, un suddiacono sfratato e maritato con una monaca. A detta dell'ispettore, negli anni precedenti circa ottocento giovanetti frequentavano le scuole degli eretici, mentre nell'84 ve n'erano appena diciassette; le scuole salesiane le avevano bellamente spopolate.
Il lunedì dopo Pasqua per tempissimo Don Bosco mosse alla volta di Roma.
LA prudenza umana avrebbe consigliato che dopo gli strapazzi del viaggio in Francia e per non precipitare il logoramento delle forze Don Bosco si concedesse un periodo di riposo; ma la divina carità, che non quaerit quae sua sunt, non sa imporre limiti al sacrifizio. Il bisogno di procacciarsi nuove risorse pecuniarie che gli consentissero di far proseguire i lavori della chiesa e dell'ospizio a Roma e l'urgenza di ottenere la concessione dei privilegi, che prima del suo dipartirsi da questo mondo venissero a completare l'organamento della pia Società, poterono su di lui, come abbiamo veduto, più di qualsiasi altro riguardo personale; ond'egli si rimise in via alla volta della città eterna. Nulla diremo nel presente capo del suo secondo scopo, essendo più opportuno trattarne a parte, ma ci occuperemo soltanto del primo, oltrechè delle varie circostanze che accompagnarono l'andata, la dimora e il ritorno.
Dal 1851 in poi una lunga esperienza gli aveva dimostrato che per stimolare la piccola e pubblica beneficenza le lotterie erano il mezzo “più compatibile ai tempi e più acconcio al bisogno ”[38]; [74] perciò egli fu un grande organizzatore di lotterie. Una fin dal 1882 aveva stabilito di allestirne a vantaggio della chiesa del Sacro Cuore; ma da Roma non si vedeva secondato quanto avrebbe voluto. Il 26 febbraio 1884 se ne lagnò vivamente nel Capitolo Superiore. - Per l'inerzia degli incaricati a Roma, disse, questa lotteria è il mio flagello e il mio continuo tormento. - Con la sua presenza, se colà si dessero d'attorno, si riprometteva di avviare le cose in modo da poter ricavare sicuramente il prezzo di centomila biglietti.
Ritornò sull'argomento nell'adunanza capitolare del 28 dicendo: - È mio pensiero scrivere al nostro Procuratore generale in questi termini: Càvati pure dalla testa ogni altro tuo progetto per aver danari, chè noi non ne potremo più provvedere. Se ne vuoi, promuovi la lotteria. Supera le difficoltà; serviti dell'appoggio del deputato Sanguineti; aggiustati, ma incomincia. La Provvidenza ci, ha tracciata la via, ci ha posto in mano il mezzo di una lotteria; e perchè noi cercheremo altre strade che non sono quelle della Provvidenza? - Nè vi era tempo da perdere; giacchè, dovendosi di là a qualche mese aprire una lotteria colossale per il valore di più milioni a benefizio dell'Esposizione torinese, il Governo ben difficilmente avrebbe approvata quella salesiana.
Perciò Don Bosco ordinò a Don Bonetti: - Scrivi una lettera a Don Dalmazzo secondo le idee che ora ho esposte; digli che non posso più stare in piedi per le mie infermità, eppure bisogna che io vada in Francia per ottenere soccorsi per le nostre opere. - E purchè vi fosse persona sicura e adatta per ordinare e numerare i doni, far stampare il catalogo col nome dei donatori, presentarlo alle autorità nel più breve termine possibile e formare i mazzi dei biglietti, egli prendeva sopra di sè lo spaccio di questi, fossero anche trecentomila, che sperava di esitare in pochi giorni. [75]
Il pensiero della lotteria l'aveva seguito anche in Francia; infatti da Marsiglia scriveva il 19 marzo a Don Dalmazzo:
Se non puoi tu, procura di farmi scrivere, ma in modo positivo. Nel prossimo aprile o nella prima quindicina di maggio posso condurre meco il Conte Colle per porre la pietra angolare al nostro Ospizio? Egli avrebbe seco un'offerta di 50 m. f.
Per la lotteria vi sono difficoltà, oppure cercare altra via di beneficenza? Sono due cose della massima importanza per noi in questo momento.
D. Sala mi scrisse una lettera che mi disse nè sì nè no. Questo non basta a far quattrini.
Dio ci benedica tutti e credimi in G. C.
È vero che in Francia aveva raccolto duecentocinquanta mila franchi; ma è anche vero che le spese a cui doveva far fronte erano enormi: la chiesa del Sacro Cuore, assorbendo gran parte della beneficenza, obbligava a lasciar insoluti altri debiti e altri contraine. Quella somma dunque non solo non si fermò, ma nemmeno si formò per intero nelle sue mani, giacchè ogni volta che aveva alcune migliaia, le spediva dove l'urgenza maggiormente stringeva. Ecco perchè il permesso della lotteria sarebbe stato una bella provvidenza.
Sull'affare della lotteria si era tenuta a Roma una conferenza di nobili dame in casa della contessa Della Somaglia, a fine di studiare soprattutto quali fossero le vie per ottenere l'approvazione prefettizia. Verso la fine di febbraio salivano già a circa un migliaio e mezzo gli oggetti, molti dei quali avevano gran pregio. Buoni signori, capi d'ufficio ai Ministeri, prestavano l'opera loro nei preparativi.
Intanto i lavori della chiesa progredivano e naturalmente con i lavori andavano avanti anche i debiti. Presbiterio e coro o abside erano già in condizione da potersi aprire al culto; furono difatti benedetti dal nuovo Cardinale Vicario Parocchi [76] il 23 marzo, quarta domenica di quaresima. Una corrispondenza da Roma all'Unità Cattolica del 26, dopo aver detto che i fedeli erano accorsi numerosi alla sacra funzione, soggiungeva: “Da ogni parte si porge un tributo di meritati encomii a quell'Apostolo di carità, che è il venerando Don Bosco, il quale, confidato nella Provvidenza, si è accinto coraggiosamente all'ardita impresa; essa riuscirà di gran lustro per Roma e di molta spirituale utilità a quella nuova popolazione finora lontana da ogni chiesa e senza alcuna comodità per le pratiche dei Cristiani, ed insidiata per sopraggiunta dai Protestanti, che colla protezione del Governo italianissimo, hanno piantato anche lassù le loro tende ”. Sua Eminenza nel suo discorso, manifestata la propria allegrezza perchè di pari passo con le costruzioni di case ove prima erano campi, fosse proceduta pure l'edificazione di una bella chiesa capace di raccogliere nella preghiera i nuovi abitanti, disse parole di elogio per Don Bosco, che proclamò uomo di Dio, e per i Salesiani, suoi imitatori e seguaci, esortando tutti a concorrere come meglio potevano al compimento del sacro edifizio[39].
A questo punto stavano le cose, quando il 14 aprile Don Bosco giunse a Roma. I giovani oratoriani gli fecero in casa un festoso ricevimento. Egli, ringraziando, promise loro una merenda nel giorno e nel modo che i superiori avrebbero indicato, li esortò a fare per lui una comunione in una domenica da designarsi e li assicurò che pregherebbe per essi e per le loro famiglie.
La vista di quei giovani gli risvegliò il pensiero dei giovani di Valdocco; onde fece scrivere che augurava loro la continuazione di una Pasqua felice che dovesse durare tutta la vita; l'alleluia fosse con i fatti e con le parole il cantico di questa vita mortale; dover tutti far sì da meritarsi di cantarlo eternamente in paradiso. Guai a chi mancasse! Continuassero [77] intanto a pregare per lui, ricordando sovente la gran fortuna di essere in maniera così speciale figli della Madonna[40]. Don Rua comunicò questi auguri e queste raccomandazioni in una "buona notte ".
Una settimana dopo pensò particolarmente agli alunni della quarta e quinta ginnasiale, scrivendo a Don Febbraro, consigliere scolastico dell'Oratorio[41]. Il Santo desiderava che ciascuno gli scrivesse un biglietto per dirgli in confidenza, a quale stato sembravagli di essere chiamato, se cioè allo stato ecclesiastico o al secolare; e chi aspirava allo stato ecclesiastico, gli dicesse se intendeva prepararsi per entrare in seminario oppure romperla definitivamente col mondo e consacrarsi a Dio nella vita ritirata, com'era appunto quella dei Salesiani; ma ognuno partisse dal principio di voler scegliere quello stato che a lui pareva meglio confacente alla salvezza dell'anima propria[42].
I giovani o individualmente o a gruppi scrivevano al loro caro padre. Il 26 aprile i membri dei piccolo clero gli annunziavano una loro corona di comunioni[43], e Don Bosco incaricò Don Lemoyne della risposta, raccomandando a tutti e singoli di essere gigli al Cuore di Gesù e spiegando che il giglio è bianco, e quindi purità; che il giglio olezza, e quindi buon esempio; che il giglio deve custodirsi bene, altrimenti avvizzisce subito, e quindi mortificazione.
Erano questi i suoi dolci svaghi fra le brighe per i privilegi e per la lotteria. A far bene i preparativi della lotteria chiamò a Roma il coadiutore Giuseppe Buzzetti. In quei giorni Don Rua era andato a Tolone per ricevere dal conte Colle i centocinquanta [78] mila franchi promessi, dei quali il Buzzetti recò a Don Bosco una parte, cioè sessantasette mila: somma che in un batter d'occhio sfumò. Le migliori speranze riposavano allora sulla lotteria. I ricchi e numerosi premi stavano esposti nella casa parrocchiale. Il Buzzetti, compilatone il catalogo, lo presentò alla regia Prefettura.
Una legge del 1883 sulle lotterie ne permetteva l'autorizzazione soltanto agli enti legalmente costituiti o approvati o a qualche opera non approvata, a cui un ente legale prestasse il suo nome. Nel caso nostro due soli corpi morali potevano utilmente accordare la loro firma, il Municipio e la Congregazione di carità, poichè l'erigendo ospizio era opera di beneficenza. Fu richiesta de' suoi buoni uffici la Giunta municipale. Il Re Umberto, pregatone da persona amica dei Salesiani e a loro insaputa, mandò alla Giunta una calda raccomandazione, perchè volesse fare buona accoglienza alla domanda. È vero che nel Municipio erano tutti più o meno cattolici; ma gli uni per timore di essere detti clericali, gli altri per sistematica opposizione al Re, i membri della Giunta diedero risposta negativa. Della cosa però fu trattato solo oralmente, nè si ebbe il coraggio di tenerne conto negli atti della seduta. Il pubblico naturalmente non ne seppe nulla, perchè nel Consiglio non se ne fece menzione[44]. Bisogna peraltro notare che nella petizione compariva il nome di Don Dalmazzo, non quello di Don Bosco.
L'altro corpo morale era presieduto dal principe Pallavicini, al quale Don Bosco indirizzò allora una sua istanza; ma n'ebbe un rifiuto. “E son tutti cattolici! ” esclamava Don Lemoyne, scrivendo a Don Rua. Indi proseguiva: “Da ciò si può conoscere che sarà opera di Dio questa casa di Roma [ .... ]. Forse questa volta come le altre i figli delle tenebre ci daranno l'aiuto negato dai figli della luce ”[45]. Nei vecchi [79] Romani di Roma prevaleva sempre l'avversione contro i buzurri invasori.
Nonostante queste disdette e benchè tutto facesse prevedere che le pratiche sarebbero andate in lungo, Don Bosco non si arrese, ma volle che il lavoro per la lotteria continuasse. Tuttavia le diverse opposizioni, contro le quali gli bisognava lottare, se non ne abbatterono il morale, influirono sul fisico, cagionandogli disturbi di salute. Don Lemoyne commentava[46]: “Sembra proprio che il demonio voglia attraversargli tutte le strade. Egli però è perfettamente rassegnato e non tiene il letto ”.
Fra l'aprile e il maggio tre Salesiani dì Valdocco, ritornando da confessare alla Generala, incontrarono nel viale di Stupinigi il cardinale Alimonda, che, appena li vide, domandò: - E il caro Don Giovanni dove si trova? - Saputo che era a Roma, chiese come stesse. Gli risposero che secondo le ultime notizie stava alquanto meglio. - Oh sì, alquanto meglio! riprese Sua Eminenza. Non mi piace quel alquanto meglio; vorrei che stesse benissimo. È vecchio, e perchè lasciarlo lavorare tanto? I figli, quando vedono il padre avanzato in età e debole, gli dicono: Padre, riposate, lasciate che lavoriamo noi.
- Ben volentieri lo faremmo, risposero quelli, ma Don Bosco non vuole ubbidire.
- Ebbene, allora glielo comandino a mio nome: mi ubbidirà?
- Crediamo che lo farà malvolentieri. La ubbidirebbe in tutto; ma forse in questo si arrischierebbe a disubbidire.
- Già, Don Giovanni non vuol riposare in terra, ma in cielo. Allora preghiamo il Signore che ce lo conservi per molti anni; preghiamo che lo aiuti e che fra tutti possiamo fare molto bene[47].
Per la lotteria un raggio di speranza brillò il I° del mese. [80]
La contessa Della Somaglia, dama dì corte della Regina Margherita, promise di pregare ella stessa il sindaco Torlonia che permettesse di fare in suo nome la lotteria e che ne domandasse al Prefetto di Roma l'autorizzazione. La gentildonna presiedeva il Comitato di dame costituito per la costruzione dell'ospizio.
Le altre volte Don Bosco a Roma visitava moltissime persone; ma nel 1884 sia per la difficoltà del camminare sia per i sopravvenienti incomodi dovette limitare assaissimo le sue visite, Il 17 aprile visitò il cardinale Consolini, che, molto benevolo verso la Congregazione Salesiano, si mostrò contentissimo di rivederlo e disposto ad aiutarlo; ebbe anzi la bontà di rendergli qualche giorno dopo la visita. Il 18 andò dal cardinale Lodovico Jacobini, Segretario di Stato, che gli promise di fare tutto il possibile per lui. Il 25 fu con Don Dalmazzo dal cardinale Parocchi, Vicario di Sua Santità.
Se pochissime visite faceva, ne riceveva però molte individuali o collettive. Vennero a trovarlo il padre Carrie, della Congregazione dello Spirito Santo, superiore della Missione del Congo col titolo di viceprefetto apostolico; monsignor Gandolfi, già vescovo di Civitavecchia; un rappresentante del Vescovo di Santiago nel Cile, che chiedeva Salesiani per quella repubblica; il vescovo Kirby, rettore del Collegio irlandese, e con lui l'arcivescovo Domenico Jacobini, segretario di Propaganda, che stettero con lui a mensa[48]; monsignor Rota, già [81] vescovo di Guastalla e poi di Mantova e allora arcivescovo titolare di Cartagine[49]. Tornò il cardinale Consolini e venne pure il cardinale Nina. Il cardinale Buonaparte, passando in carrozza davanti alla porta della casa e non potendo per un'infermità salire, mandò a Don Bosco il suo biglietto di visita.
Ogni tanto si presentavano anche intere camerate di giovani chierici; ma continua era l'affluenza di persone pie. Egli aveva sperato di poter godere a Roma un po' di tranquillità, sentendone gran bisogno; invece gli si lasciavano a volte ben pochi istanti di pace dalle otto del mattino alle sette di sera. Perchè potesse rimanere solo un'oretta dopo il pranzo, era necessario dare ordini draconiani al portiere, mettere qualcuno di guardia nell'anticamera e chiuderlo a chiave nella sua stanza. Eppure in certi casi tutte le precauzioni dovevano cedere, quando arrivavano personaggi eminenti e benefattori insigni che portavano elemosine. “I sacrifizi che fa Don Bosco per la Congregazione, scriveva Don Lemoyne, non si possono misurare ”.
Un giorno ricevette la visita del giovane sacerdote catanese Don Nicotra, compagno di studi al futuro Benedetto XV nel collegio Capranica. Egli veniva a nome del suo Arcivescovo per sollecitare l'invio di Salesiani in quella città. Don Bosco giustificava l'indugio allegando la mancanza di personale; ma poichè l'altro insisteva, alla fine con bella grazia lo invitò ad agevolargli la cosa, facendosi egli stesso salesiano. [82]
Il figlio della Sicilia che andava per una via ben diversa, finemente sorrise. - Ho capito, gli disse Don Bosco; lei ha più alte aspirazioni. Ebbene sappia che riceverà grandi onori, avrà molto da soffrire, ma non arriverà dove spera di giungere. - Quando poi il suo augusto condiscepolo si ricordò di lui e lo nominò Nunzio Apostolico nel Portogallo, coloro che erano a conoscenza del fatto, tra gli altri monsignor Cicognani, allora Nunzio nel Perù, si affrettarono a dire che quella volta Don Bosco non ci aveva azzeccato, perchè monsignor Nicotra andava ormai per la strada che conduceva alla Porpora[50]. Invece quella Nunziatura fu al povero Prelato cagione di gravi dispiaceri, finchè da ultimo richiamato chiuse i suoi giorni nell'oscurità.
Vi furono infermi che andavano a farsi da lui benedire o mandavano fazzoletti e corone, perchè egli li toccasse. Non pochi Romani chiedevano di essere ricevuti; ma erano sempre in maggioranza i Francesi, numerosi per solito a Roma durante il periodo pasquale. Cominciarono ad accorrere fino dai primi giorni. Tutte le mattine riempivano la parte della chiesa adibita al culto, per assistere alla sua Messa, riversandosi poi nella sacrestia, dove ognuno gli voleva parlare, e trattenendovelo le ore sane. Avviandosi poi alla sua stanza, trovava l'anticamera stipata. Generalmente gli facevano piccole limosine, perchè stavano in viaggio, ma promettevano di mandargli assai più, quando fossero rimpatriati.
La pietà dei Francesi si manifestava anche in maniere singolari. La mattina del 22 aprile alcuni di essi portarono tre amitti, affinchè Don Bosco li usasse celebrando e poi li restituisse, per inviarli a sacerdoti che dalla Francia chiedevano quel favore. Cinque signore un giorno protestarono che non avrebbero fatto Pasqua, se egli non le avesse ascoltate in confessione, sicchè le dovette contentare. [83]
Una signora Berk Meda, la vigilia della stia partenza per la Francia, andò a riverirlo, gli rimise un'offerta e gli chiese la benedizione. Don Bosco nell'accomiatarla le domandò:
- Verrà ancora domani per la Messa?
- Oh no. Non potrò venire, perchè, dovendo lasciar Roma la sera, mi bisognerà impiegare la mattina nei preparativi del viaggio.
La mattina dopo, rivedendo i suoi conti, trovò che le rimaneva ancora una somma superiore al bisogno e le increbbe di non avergli dato di più. Dominata da questo pensiero, benchè l'ora della Messa fosse già trascorsa., noleggiò macchinalmente una vettura e volò da Don Bosco, che per buona sorte rinvenne solo nella sua stanza. Egli, appena la vide entrare:
- Ah, disse, la signora Meda. Sapevo bene che qualcuno sarebbe comparso.
- Veramente io non sarei dovuta tornare, rispose la signora . Ma ho voluto portarle un altro po' di danaro prima di partire.
- Tenga bene a mente questa sua venuta, soggiunse il Santo, perchè qui si tocca da vicino il soprannaturale. Io dovrei essere in questo momento all'estremo opposto di Roma e non avrei riveduto la Signoria Vostra, nè ella mi avrebbe ritrovato, avendo io un appuntamento presso un Cardinale dopo la Messa. Nell'uscire un creditore mi fermò sulla soglia, esigendo che gli pagassi un debito abbastanza rilevante. Gli ho dato quanto aveva ed ecco là il mio portafoglio aperto e vuoto; non mi sono conservato nemmeno una lira per prendere la vettura. Allora ho pregato Maria Ausiliatrice che mi mandasse qualcuno in aiuto e frattanto mi son messo a lavorare. Vede dunque che io la aspettava e sapeva che sarebbe venuta[51].
Quasi non bastassero le udienze e gli affari, aveva sempre molte lettere che richiedevano risposta[52]. Alla fine delle [84] giornate la stia povera testa era così stanca, che spesso non gli reggeva più a formare e a connettere le idee; quindi ogni sera usciva a respirare una boccata d'aria, camminando per tre quarti d'ora appoggiato al braccio di Don Lemoyne. Allora da quella parte di Roma si poteva passeggiare con tranquillità, sorgendovi rari edifici e scarseggiando il traffico.
A mettere in moto tanta gente verso di lui concorsero più d'ogni altra cosa i giornali italiani e francesi. La Croix, per esempio, nel numero del 22 aprile, annunziando l'arrivo a Roma, di due illustri Vescovi, aggiungeva: Et de Don Bosco, le grand bienfaiteur des orphelins. Non si contentò di una così laconica notizia il Journal de Rome, ma nel numero del 25 aprile pubblicò addirittura un'intervista d'un suo collaboratore con Don Bosco. É un colloquio che merita di essere letto almeno in compendio.
- Da tempo, disse l'interlocutore, io desiderava di ossequiare il sacerdote insigne, che alla causa cattolica rende sì luminosi servigi; ma questa mia visita ha pure uno scopo di curiosità, che la prego di voler soddisfare. Io mi domando sempre per qual miracolo sia avvenuto che ella potè fondare tante case in paesi del mondo così diversi.
- Sì, rispose il Santo, ho potuto fare più di quello che speravo; ma il come non lo so neppur io. Ecco però in che modo io mi spiego la cosa. La Chiesa e soprattutto le presenti generazioni sono state consacrate, dal Papa in maniera particolare alla Santa Vergine. Ora la Santa Vergine, che conosce i bisogni dei nostri tempi, fa sentire a’ suoi divoti il dovere di concorrere con limosine e largizioni a creale e a sostenere l'opera oggidì più necessaria, l'educazione della gioventù. Veda: una volta per la nostra chiesa che si costruisce qui a Roma, i miei [85] confratelli mi scrissero a Torino chiedendomi ventimila lire, delle quali avevano estrema necessità entro otto giorni. In quel momento io era senza danari. Mi venne un'idea. Posi la lettera presso l'acquasantino, innalzai una calda preghiera alla Madonna e mi coricai, rimettendo l'affare nelle sue mani. La mattina dopo ricevo una lettera da uno sconosciuto, che mi diceva in, sostanza: Avevo fatto voto alla Madonna che, se mi concedeva una certa grazia, avrei dato ventimila lire per un'opera di carità; avendo ora ricevuto la grazia, metto a sua disposizione questa somma per qualche sua opera Un'altra volta, trovandomi in Francia ospite di un amico, ricevo verso sera la notizia che una mia casa corre un brutto rischio per non poter disporre subito di settantamila franchi. Preoccupato e non vedendo lì per lì come rimediare, ricorro nuovamente alla preghiera. Verso le dieci io stava per andare a letto, quando sento picchiare alla porta della mia camera. Vo ad aprire. Entra il mio amico con un grosso incartamento nelle mani e mi dice: - Caro Don Bosco, nel mio testamento avevo disposto di una somma per le sue opere; ma oggi mi è venuto in mente che per fare il bene è meglio non aspettare la morte. Le porto senz'altro quella somma. Eccola: sono settantamila franchi.
- Questi sono veli miracoli, interruppe il giornalista. Ma, se non è indiscrezione la mia, mi permetta di domandarle se miracoli ella ne ha fatti altri.
- Come vuole che io possa rispondere a simile domanda? Io non ho mai pensato ad altro che a fare il mio dovere, pregando e confidando nella Madonna.
- Vorrebbe ora dirmi qual è il suo sistema educativo?
- Semplicissimo: lasciare ai giovani piena libertà di fare le cose che loro maggiormente aggradano. Il punto sta di scoprire in essi i germi delle loro buone disposizioni e procurare di svilupparli. E poichè ognuno fa con piacere soltanto quello che sa di poter fare, io mi regolo con questo principio, e i miei allievi lavorano tutti non solo con attività, ma con amore. [86]
In quarantasei anni non ho mai inflitto neppure un castigo e oso affermare che i miei alunni mi vogliono molto bene.
- Il suo sistema educativo è veramente ottimo. Un'altra cosa ancora: come ha fatto a diramare le sue opere fin nella Patagonia e nella Terra del Fuoco?
- Un po' alla volta, e andando o meglio essendo chiamato da un luogo all'altro. I miei figli hanno scoperto, si può dire, la Patagonia e la Terra del Fuoco. Sono già stati battezzati quindicimila selvaggi. Dappertutto incontriamo simpatie e il Governo Argentino validamente ci protegge. Fra breve in quelle terre, vaste come l'Europa, avremo un Vicariato Apostolico.
- Sembra, osservò il visitatore, che Dio in paesi barbari faccia ricuperare alla Chiesa il terreno perduto nell'Europa. É un fatto consolante! Ma che cosa pensa lei intorno alle condizioni della Chiesa nell'Europa e nell'Italia e circa il suo avvenire?
- Io non sono profeta... Lo siete invece un po' tutti voi altri giornalisti; quindi piuttosto a voi bisognerebbe domandare che cosa accadrà. Nessuno, fuorchè Dio, conosce l'avvenire; tuttavia, umanamente parlando, è da credere che l'avvenire sarà grave. Un poeta latino dice che sono vani gli sforzi per risalire, quando si è per la china di un precipizio e che necessariamente si va piombando giù fino al fondo. Le mie previsioni sono molto tristi, ma non temo nulla. Dio salverà sempre la sua Chiesa, e la Madonna che visibilmente protegge il mondo contemporaneo, saprà bene far sorgere dei redentori.
- Uno di questi è appunto lei, Don Bosco! esclamò conchiudendo quel signore.
Un casetto analogo a quelli narrati qui sopra da lui accadde anche allora a Don Bosco in Roma. Un creditore, al quale scadeva una cambiale, tempestava Don Dalmazzo, perchè gli pagasse un debito di cinquecento lire. Don Dalmazzo aveva un bel ripetere che in cassa non c'era un centesimo: l'altro insisteva e alzava la voce, dicendogli che cercasse un prestito [87] e che non sarebbe uscito senza avere quella somma. Don Dalmazzo lo pregava di non gridare tanto, ma invano. Poi, benchè sapesse che Don Bosco non aveva denari, avendoglieli presi tutti lui al mattino, entrò nella sua camera per chiedergli consiglio. In quel momento si trovava con il Santo la famiglia Migone delle parti di Bordighera. Don Dalmazzo entrò mentre la signora porgeva a Don Bosco in elemosina un biglietto da cinquecento lire. Il Servo di Dio, udito il caso, non fece altro che passargli nelle mani sorridendo quella somma. La buona signora rimase tutta commossa al vedersi in tal modo strumento della Provvidenza.
Curioso è pure quest'altro incidente. Madame di Fontenay, una sua cugina e la figlia di costei erano fra le più assidue da Don Bosco: per tre settimane andavano a vederlo ogni giorno. Una volta la cugina perdette il portamonete, nel quale aveva un buon gruzzolo di marenghi. Parlandone dinanzi a Don Bosco, le venne in niente di dirgli che egli avrebbe potuto farglielo ritrovare e che in tal caso quel danaro sarebbe stato per i suoi giovanetti. Il Santo sorrise e non rispose. Uscite di là, volevano prendere nuovamente la vettura di prima e recarsi a S. Pietro; ma il vetturino rifiutava di condurle così lontano, perchè il cavallo era stanco. Mentre questionavano, ecco avvicinarsi di trotto un altro vetturino col suo legno, gridando: - Lascino stare quel brontolone; le condurrò io dove vogliono. - Chi l'avrebbe mai sognato? Appena vi si furono messe a sedere, la cugina della signora avvertì s otto il piede un corpo duro. Sollevato il tappeto, vide che era il suo portamonete, rimasto là ventiquattr'ore, senza che nessuno se ne fosse accorto. Fu un bel caso davvero; ma scriveva la nonagenaria signora nell'aprile del 1926: Nous savons ce qu'étaient les hasards de votre père.
Il 26 aprile alcuni preti francesi, venuti con la carrozza a prendere Don Bosco, lo condussero a celebrare nella cappella delle Suore della Retraite o del Cenacolo, come già egli aveva promesso di fare. Vi trovò radunate molte signore francesi [88] e romane. Al vangelo parlò e disse che quella volta non raccomandava alla loro carità i suoi giovanetti di Torino, ma un'opera di Roma, la chiesa del Sacro Cuore e l'ospizio annesso. - In Roma, continuò, vi sono molti giovani bisognosi e pericolanti, che vagano per le strade e per le piazze; è necessario ritirarli, se non si vuole che perdano l'anima e vadano ad accrescere la dolorosa schiera di coloro che popolano le carceri. Molti di fuori non trovano ricovero negli ospizi cittadini, perchè questi dànno ricetto soltanto a romani; vengono quindi inviati nelle case nostre di Toscana e di Piemonte. Ma ognuno può pensare quante spese ci vogliono per simili viaggi e poi per ritornarli in patria. E non c'è posto per tutti, Ora un ospizio qui in Roma soddisfa a un bisogno generalmente sentito. Qui i giovani saranno educati nel loro luogo di origine senza essere obbligati a cambiar clima, cambiamento talora dannoso alla salute in quella età. Non dovran nemmeno mutare costumanze e vitto, e l'educazione sarà loro impartita secondo le esigenze dell'eterna città, loro patria, e non a norma di usanze forestiere. - Esortò infine a voler largheggiare verso i prediletti di Gesù Cristo e per un'opera eminentemente romana. La colletta fruttò 725 lire. Appresso passò a benedire la comunità; infine partì, dice la cronaca del vecchio convento, ora risorto in piazza Santa Priscilla, laissant la, vraie impression que fait le passage d'un saint.
Gli stessi sacerdoti lo accompagnarono in vettura all'abitazione di monsignor Jacobini, con il quale trattò di un sussidio da accordare alle sue Missioni, consegnandogli copia di una recente lettera scritta da Don Milanesio nelle stie escursioni apostoliche per la valle del Rio Negro. In ultimo fu dai medesimi cortesi sacerdoti ricondotto a casa.
Verso sera un signore polacco, ricchissimo e fervente cattolico, che spendeva fior di quattrini per far studiare nella sua patria giovani aspiranti allo stato ecclesiastico, andò a pregarlo di visitare una sua sorella gravemente inferma. Don Bosco, sebbene stanco, non seppe dirgli di no. Tutta la famiglia [89] lo accolse in ginocchio con una venerazione quale si usa solamente con i Santi.
Tante fatiche, aggravate da acerbi dispiaceri, acuivano sempre più i suoi incomodi fisici. Soffriva al fegato e aveva un occhio infiammato. Il 27 aprile lo assalse una febbre, duratagli tre giorni. Una notte era tanto il malessere, che gli fu forza abbandonare il letto; in certe ore del giorno lo spossamento lo prostrava. Don Lemoyne nella prima settimana di maggio scriveva a Don Rua queste accorate parole: “Stamane mi ha detto che la sua testa è molto stanca; tuttavia continua ad occuparsi delle cose della nostra Congregazione. Si vede ad ogni istante quanto bene ci voglia e quanti sacrifizi ed umiliazioni sopporti per i suoi figliuoli. Quando certe volte mi narra le vicende del suo passato, sorride; ma chi lo ascolta, si sente stringere il cuore. In quarantotto anni quanto ha patito! Questo dovrebbe essere l'argomento da predicarsi a tutti, grandi e piccoli, poichè purtroppo non ci si pensa. Talora ci lamentiamo di ciò che a noi pare ci manchi, senza riflettere ciò che costò a Don Bosco quello che abbiamo ”.
Nonostante tutto, egli si accingeva a tenere una conferenza ai Cooperatori romani. Li convocò dunque nella chiesa delle nobili Oblate di Tor de' Specchi per l'8 maggio. L'imperversare della pioggia non impedì che vi si radunasse un scelto uditorio. Presiedeva il Cardinale Vicario. Cantato un mottetto e letto un capo della vita di S. Francesco di Sales, Don Bosco dal palco disse queste brevi parole, raccolte da Don Lemoyne.
Incomincio col porgere vivi e cordiali ringraziamenti all'E.mo Cardinale Vicario, il quale si è degnato di accettare la presidenza di questa pia riunione, e non ostante il brutto tempo ebbe la bontà di recarsi in mezzo a noi. Quindi a voi, signori Cooperatori e signore Cooperatrici, volgo un saluto, mentre vi professo profonda gratitudine per aver accolto con tanta carità il mio invito. Se mi permettete vi darò di volo una breve relazione delle opere compiute dai Salesiani, giacchè sono ben due anni, che non ebbi più l'onore di parlare a voi.
Due anni sono si trattava di cercare il modo eli aumentare le case [90] di giovani per dar loro cristiana educazione, crescendo sempre più i pericoli per le loro anime. Grazie al Cielo ed alla carità dei Cooperatori Salesiani, posso con grande mia consolazione annunziarvi che i nostri voti allora manifestati ottennero il loro risultato, poichè le case si sono quasi duplicate. Oltre a cento mila giovani vi attendono oggidì ad imparare una professione e vi hanno il pane della vita temporale ed eterna. Dopo Dio io debbo ringraziare i Cooperatori e le Cooperatrici, che mi aiutarono ad ottenere frutti così copiosi.
Due anni fa io vi parlava pure delle Missioni del Brasile dell'Uruguay e della Patagonia, non che delle belle speranze di salute per quelle contrade. Ed ora le Missioni sono fondate stabilmente e i battesimi degli infedeli nei deserti del Sud di America ascendono a circa 15.000. Il sapientissimo Pontefice Leone XIII ha divisa la Patagonia in Vicariato ed in Prefettura Apostolica, affidando queste Missioni ai Salesiani. Aumentando gli operai evangelici, cresceranno eziandio di numero le conversioni degli infedeli.
Quello pare che due anni fa si notava era il bisogno sentito qui in Roma di una chiesa e di un ospizio dedicato al Sacro Cuore di Gesù, come un monumento di omaggio a Pio IX; chiesa ed ospizio, che servendo di parrocchia al nuovo quartiere della città al Castro Pretorio fosse ad un tempo asilo per l'educazione religiosa e civile di tanti poveri fanciulli abbandonati, che vagano per le vie e per le piazze in pericolo dell'anima e del corpo. Ed ora sono lieto di dirvi che la chiesa non solo fu cominciata e la costruzione è giunta al punto da metter su le volte, ma una parte, cioè il coro ed il presbitero sono finiti e servono già perle funzioni parrocchiali. E deve consolare tutti, specialmente il Cardinale Vicario, il sapere come numeroso sia il concorso del popolo alle sacre funzioni e grande la frequenza ai Sacramenti degli adulti e dei fanciulli. Annesso alla parrocchia si tiene eziandio l'Oratorio festivo, e alla domenica sono circa 200 i fanciulli, che vi accorrono per assistere alla Messa, ed al catechismo che loro si fa appositamente nella cappella a ciò destinata. Essi poi si fermano nel cortile per la ricreazione, ed invece di andare girovagando per la città, esposti ai più gravi pericoli d'irreligione e d'immoralità, si stanno colà trastullandosi lietamente sotto gli occhi e l'assistenza dei Salesiani.
Le fanciulle che pure vengono a ricevere regolarmente l'istruzione religiosa superano le 300. Dobbiamo pur essere contenti della frequenza dei giovanetti alle nostre scuole. Sia ancora benedetto il Signore per il modo, col quale si è incominciato il pio esercizio del mese di maggio in onore di Maria SS. Circa un migliaio di fedeli vi accorrono tutte le sere alla predica e alle apposite pratiche di pietà, mentre un'altra folla interviene nel mattino ad un'altra consimile funzione, che si fa regolarmente per coloro, che non potrebbero prendere parte a quella della sera.
Non debbo peraltro tacere che il tempio consecrato al Sacro Cuore [91] di Gesù è ancora ben lungi dall'essere finito, ed è appena incominciato l'ospizio annesso che dovrà contenere cinquecento fanciulli almeno. Per una gran parte bisogna ancora procedere agli scavi per le fondamenta. I lavori ora continuano con una certa alacrità, ma si dovettero sospendere per un po' di tempo, perchè i mezzi non corrispondono al buon volere. Per sopperire a questa necessità ho pensato di aprire una lotteria qui in Roma. Già un gran numero di premi è stato raccolto; i biglietti sono stampati; manca solo l'approvazione dell'autorità, e questa si aspetta a giorni. Stante l'influenza delle persone che si sono interessate, spero che questa autorizzazione non mancherà.
Vengo perciò io nuovamente a fare appello alla carità dei Cooperatori e delle Cooperatrici di Roma, perchè vogliano compiere un'opera tanto bene incominciata e tanto necessaria in quella parte della città, quale è il Castro Pretorio. L'opera è romana, dei Romani e pei Romani. Io l'ho incominciata, altri la prosegua e la conduca a termine.
Io finisco col raccomandarmi alle vostre preghiere, mentre vi assicuro che pregherò e farò pregare sempre i miei giovanetti per voi.
Sceso il Santo, montò il Cardinale. L'eminentissimo Parocchi possedeva quella cultura e quella facondia che fanno il vero conferenziere e come tale fu apprezzato anche dai profani. Il suo discorso, pur nella forma succinta in cui ci è pervenuto, sembra di tanta importanza per la nostra storia, che sta bene riferirlo qui nel corso del racconto, anzichè relegarlo in fondo al volume.
Vorrei qui avere una piena libertà di parola, circa la Missione dei Salesiani e del loro fondatore, libertà di esprimere il mio pensiero, il mio sentimento riguardo a lui, alle sue opere ed alla sua Congregazione tanto benemerita, Ma questa libertà mi è tolta dalla presenza dell'uomo di Dio, dell'uomo della Provvidenza, della perla del Sacerdozio italiano cattolico, e da alcuni de' suoi alunni. Quindi mi conviene tacere, poichè un elogio offenderebbe la loro modestia. Ma se io taccio, parlano abbastanza le opere loro. Parlano di Don Bosco e de' suoi figli i tanti collegi sparsi in Italia, in Francia, in Spagna e fino nelle lontane Americhe; parlano di Don Bosco e de' suoi figli, celebrano le loro lodi le tante chiese erette nelle varie parti del mondo nello spazio di pochi anni; parlano i tanti libri stampati per l'istruzione religiosa del popolo; parlano le tante opere dì polso date alla luce, e i classici corretti per sottrarre alla gioventù ciò che vi ha di pericoloso nella italiana letteratura; parlano gli oratorii festivi, le scuole diurne, serali, festive, [92] ove i giovanetti imparano ad amare Dio e a servirlo, e nello stesso tempo ricevono un'istruzione conveniente al loro stato; parlano le Missioni, che in breve giro di tempo si stabilirono numerose nell'America e prosperano a gloria della Chiesa cattolica e della civiltà. Se io taccio, il nome di questo uomo della Provvidenza, di Don Giovanni Bosco, risuona sulle labbra di ben 100.000 giovanetti che lo riconoscono per padre. Se io taccio, predica il suo nome la sua Congregazione coi numerosi suoi alunni; parla di lui l'opera veramente Romana incominciata e proseguita da lui con un coraggio Romano, parla la chiesa del Sacro Cuore di Gesù e l'ospizio annesso, che vediamo innalzarsi fra di noi.
Certamente non vi può essere elogio pari alla grandezza, al benefizio, all'eroismo, del quale sono improntate le opere dell'impareggiabile Don Bosco. Dalla Congregazione da lui istituita, e largamente propagata, già si colgono in questo suolo frutti sì belli e provvidenziali che riempie di meraviglia il solo pensarvi.
Ma, signori Cooperatori e signore Cooperatrici, in queste opere benchè mirabili, nulla vi è che sappia di nuovo, nulla che nei secoli passati non abbia il suo riscontro. Si parlò sempre di Missioni ai popoli selvaggi e barbari; si parlò di predicazioni, di chiese, di ospizi, di diffusione di buoni libri, di educazione della gioventù. Tutte queste opere erano prima dei Salesiani, sono adesso, saranno poi, perchè sono nella stessa natura della Chiesa cattolica.
Dunque non è su questo punto che io voglio fermare la vostra attenzione, ma piuttosto mi indirizzo a voi, che vi onorate del nome di Salesiani, nome bello per il Santo che ricorda tutto dolcezza e tutto carità, nome bello ancora pel significato che dà alle vostre opere di sale e luce, e intendo di parlarvi di ciò che distingue dalle altre la vostra Congregazione, ciò che forma il vostro carattere, la vostra fisionomia. Come in ogni uomo, che Dio mette al mondo, impronta una nota che lo contraddistingue da tutti gli altri uomini, così pure, come ce lo attesta la storia e lo vediamo coi nostri occhi, ogni Congregazione Religiosa Dio impronta con una nota, con un carattere, con un suggello, che la distingue dalle altre Congregazioni. L'Ordine di S. Francesco d'Assisi ha il carattere proveniente dalla sua missione, ed è la povertà, colla quale doveano contrapporsi i Francescani ad un secolo tutto dato alla boria ed ai piaceri. L'Ordine di S. Domenico ebbe ed ha pure il suo carattere, la fede, poichè dovea combattere un secolo, nel quale ferocemente insorgevano le eresie: Haec est victoria quae vincit mundum fides nostra. Ignazio e la sua Compagnia di Gesù ebbero per carattere la scienza, e con questo doveano combattere l'ignoranza di coloro, che di ignorante accusavano la Chiesa, fermare i progressi del Protestantismo, contendendogli il terreno palmo a palmo, penetrare nelle regioni che esso avea già occupate, conquistare le anime non solo colla santità, ma col sapere. E così dicasi di tutti gli [93] altri religiosi Istituti, che troppo lungo sarebbe il passare qui a rassegna per considerarne la nota singolare.
Voi dunque, o Salesiani, avete una -missione speciale che forma il vostro carattere. Io Cardinale di S. Madre Chiesa, predicando in questo luogo di verità, non vengo per adulare o per dissimulare; quindi parlo con tutta schiettezza. Facendo un parallelo coi fondatori dei grandi Ordini religiosi, Domenicani, Francescani, Ignaziani, Don Bosco seppe a tutti e tre ispirarsi e da ciascuno togliere qualche parte, che servisse alla edificazione dell'opera sua, la quale tuttavia è distinta da questi.
La vostra Congregazione pare che risponda a quella di S. Francesco dal lato della povertà, ma la vostra povertà non è quella dei Francescani. Pare che risponda a quella di S. Domenico, ma voi non dovete sostenere la fede contro le preponderanti eresie, perchè queste eresie sono non solamente invecchiate ma ormai decrepite e cadenti ed anche perchè precipuo vostro scopo è l'educazione della gioventù. Pare che risponda a quella di S. Ignazio nella scienza per il numero grande di opere che date alla luce pel popolo, e Don Giovanni Bosco è uomo di grande ingegno, di profondo sapere, e dotto in svariate discipline; ma però non abbiatelo a male, se io dico che non siete voi che avete inventato la pietra filosofale.
Che cosa dunque di speciale vi sarà nella Congregazione Salesiana? Quale sarà il suo carattere, la sua fisionomia? Se ne ho ben compreso, se ne ho bene afferrato il concetto, se non mi fa velo all'intelligenza, il suo scopo, il suo carattere speciale, la sua fisionomia, la sua nota essenziale, è la Carità esercitata secondo le esigenze del nostro secolo: Nos credidimus caritati; Deus caritas est, e si rivela per mezzo della Carità. Il secolo presente soltanto colle opere di Carità può essere adescato, e tratto al bene.
Il mondo ora null'altro vuole conoscere e conosce, fuorchè le cose materiali; nulla sa, nulla vuol sapere delle cose spirituali. Ignora le bellezze della fede, disconosce le grandezze della religione, ripudia le speranze della vita avvertire, rinnega lo stesso Iddio. Potrà un cieco giudicar dei colori, un sordo intendere le sublimi armonie di un Bethoven o di un Rossini, un cretino giudicar delle bellezze di un'arte? Così è il secolo presente: cieco, sordo, senza intelligenza per le cose di Dio e per la Carità. Questo secolo comprende della Carità soltanto il mezzo e non il fine ed il principio. Sa fare l'analisi di questa virtù, ma non sa comporne la sintesi. Animalis homo non percipit quae sunt spiritus Dei; così S. Paolo. Dite agli uomini di questo secolo: Bisogna salvare le anime che si perdono, è necessario istruire coloro che ignorano i principii della religione, è uopo far d'limosina per amor di quel Dio, che un giorno premierà largamente i generosi; e gli uomini di questo secolo non capiscono.
Bisogna dunque adattarsi al secolo, il quale vola terra terra. Ai pagani Dio si fa conoscere per mezzo della legge naturale; si fa conoscere [94] agli Ebrei col mezzo della Bibbia; ai Greci scismatici per mezzo delle grandi tradizioni dei Padri; ai Protestanti per mezzo del Vangelo: al secolo presente si fa conoscere colla Carità: Nos credidimus caritati.
Dite a questo secolo: Vi tolgo i giovani dalle vie perchè non siano colti sotto i tramvai, perchè non cadano in un pozzo; li ritiro in un ospizio perchè non logorino la loro fresca età nei vizii e nei bagordi; li raduno nelle scuole per educarli perchè non diventino il flagello della società, non cadano in una prigione; li chiamo a me e li vigilo perchè non si cavino gli occhi gli uni gli altri, e allora gli uomini di questo secolo capiscono ed incominciano a credere: Et nos cognovimus et credidimus caritati, quam habet Deus in nobis.
Ed ora Don Bosco è venuto in Roma, ha piantato le sue tende nella nuova Roma, nella Roma non battezzata, è venuto per fondare la sua chiesa ed il suo ospizio; è venuto nella Roma delle trattorie, dei caffè, delle strade larghe, delle vie bene allineate, è venuto a dare spettacolo della Carità cristiana, e conforme alle esigenze di questo secolo. È venuto nella nuova Roma non battezzata, ove non si ode che il fischio delle locomotive e le campanelle dei Protestanti, che lasciando stare ogni altra considerazione anche dal lato fonico sono una stonatura. Quivi non vi era una chiesa, ed ecco sorgere la cupola di quella del Sacro Cuore, che dà la mano a quella di S. Lorenzo, sormontando la cupola della tettoia della stazione. Nella nuova Roma non battezzata l'unica croce che si vede torreggiante è quella del Sacro Cuore. In questa regione non ci sono Istituti religiosi, o sono nascosti, quasi che non osino farsi vedere in mezzo a quell'ambiente profano.
Don Bosco ha detto che esso ha incominciato la chiesa al Castro Pretorio, e che tocca a noi continuarla e finirla. No, mio caro Don Bosco lei l'ha incominciata; dunque mi permetta di dirle che lei deve finirla. Dico finirla e non ultimarla, cioè ornarla di tutto punto, indorarla, dipingerla. Noi pregheremo Iddio che ci conservi Don Bosco almeno almeno sino a vedere compiuta la chiesa, compiuto l'edificio dell'Istituto coi 500 giovani ricoverati, provvisti non solo della storica famosa pagnotta, che la Provvidenza saprà loro dare, ma di qualche altra cosa di più, poichè non in solo pane vivit homo.
É Don Bosco che deve finir quest'opera, esso, cui nulla si niega, che tanto ascendente esercita sopra quanti lo ascoltano, che gode una venerazione mondiale. É del suo nome che abbiamo bisogno. Il suo nome col suo prestigio giungerà a raccogliere tutto ciò, che non potremmo far noi tutti uniti insieme. Il suo nome ormai ha riempito il mondo, e solo può far concorrere a quest'opera il mondo intero. Ciò è conveniente, è necessario. Roma ha diritto che tutto il mondo concorra all'opera sua, essendo che il beneficio ridonda sempre in vantaggio di tutto l'Orbe cattolico.
Il popolo Romano è il popolo principe, il primo popolo della terra, [95] e in lui ridonda in certo modo la dignità del Sovrano Pontefice, che in mezzo a lui risiede e che è suo proprio Vescovo. La Chiesa Romana, primogenita e madre di tutte le Chiese, ha diritto che le sì paghi tributo di riverenza. Da lei parte ogni bene per tutto il mondo, e a lei si deve riconoscenza da tutto il mondo col coadiuvarla nelle sue imprese.
Il popolo Romano era fin qui avvezzo al governo di un padre, e assuefatto non a dare ma a ricevere. Oggi le cose sono cambiate; e tutti i giorni siamo alleggeriti di quel poco che possediamo dalle contribuzioni, che esige il nuovo governo. Ciò non ostante le opere di carità si sostengono in Roma come prima, e chi le sostiene? Il popolo Romano. Voi vedete con quale magnificenza si adornano le nostre chiese, e chi profonde quei tesori? Il popolo Romano. Gli altari della Madonna splendono di tante faci, rallegrano i devoti con tanti fiori, e chi porge il suo obolo per onorare la Madre di Dio? Il popolo Romano. E vi sono dei patrizi che elargiscono per limosina ben anco 100 mila lire in una sol volta.
Sembrerebbe adunque che a voi dovrebbero bastare le opere buone che già fate, o signori Cooperatori e signore Cooperatrici di Roma. Imporvi nuovi pesi potrà parer cosa inopportuna. Io però conosco la vostra generosità. I Romani certamente non abbandoneranno Don Bosco solo in questa sua impresa, ma vi concorreranno con quella fede e carità, di cui godono nel mondo sì bella fama. Sì, date mano anche a questa opera secondo i vostri mezzi e anche un po' di più stessi vedete la necessità estrema che vi è di una chiesa nel nuovo borgo così popoloso; la necessità di un ospizio per tanti poveri giovanetti. Concorrete anche voi nell'aiutare i Salesiani in questa impresa loro affidata dalla Provvidenza per mano del Sommo Pontefice. Non temete nè per voi nè per i vostri cari, poichè occorrendo Iddio darà mano anche ai portenti per premiare la carità vostra. Mediante il vostro concorso si potrà viemmeglio ripetere che il secolo tratto dal bagliore delle opere della carità ha confessata la verità della nostra santissima religione e ne fu preso d'amore: Et nos cognovimus et credidimus carigati.
Un bel mottetto eseguito dalle nobili Oblate e la Benedizione eucaristica impartita da monsignor Kirby posero termine alla cerimonia, Don Bosco, rientrato in casa, pensò immediatamente ai preparativi per l'udienza pontificia.
Questa udienza gli fu fatta sospirare alquanto, Ne aveva presentata domanda scritta a monsignor Macchi fin dal 23 aprile. Il latore della lettera ebbe l'incarico di chiedere al Maestro di Camera, quando potesse ritornare per la risposta; [96] ma Monsignore gli disse che non occorreva incomodarsi, perchè egli stesso fra un giorno o due avrebbe mandato il biglietto a Don Bosco, al quale intanto inviava i suoi saluti. 1 due giorni passarono, ma la risposta non venne. Eppure il quaresimalista siciliano Di Pietro, che aveva predicato a Torino e nel passaggio alloggiò al Sacro Cuore, ottenne subito l'udienza il 25 per mezzo del Macchi. Don Bosco tuttavia si confortò al sentire dal suo ospite che il Papa, intrattenendolo per circa un'ora e mezza, gli aveva chiesto notizie di lui, della sua salute e in particolare de' suoi occhi, parlandone con molta amorevolezza[53].
Nulla vedendo arrivare dal Vaticano, il 29 spedì un messo a monsignor Macchi per sapere se giorno e ora dell'udienza fossero almeno già fissati; ma la risposta fu negativa e Monsignore ripetè che a suo tempo egli avrebbe scritto al Sacro Cuore. Il 2 maggio Don Bosco, visitato dal commendatore Sterbini, scalco segreto di Sua Santità, si lamentò con lui del lungo indugio. Quegli sdegnato gli suggerì di presentarsi senz'altro in Vaticano la sera del dì seguente, perchè, prestando allora servizio in anticamera monsignor Marini, amico del Santo, certamente sarebbe stato introdotto; ma Don Bosco non reputò conveniente fare a quel modo.
Eguale lagnanza il Servo di Dio mosse con monsignor Negrotto, canonico di S. Pietro, osservando come ad alcune signore [97] francesi arrivate dopo di lui fosse stata prontamente concessa l'udienza. - Eppure, soggiunse, io debbo parlare al Papa per affari da lui medesimo affidatimi. - Il canonico, non poco stupito, promise d'interessarsene. Ma Don Lemoyne angustiato scriveva ancora il 5 maggio a Don Rua: “In quanto al Vaticano, Monsignor Macchi dopo una settimana e mezzo non ha ancora risposto. È amara, ma pazienza ”. Nel capo quarto i lettori potranno indovinare da sè, quali cause dovettero determinare attorno al Pontefice questa specie di ostruzione.
Giunse finalmente sul mezzodì del 6 maggio la partecipazione, che l'udienza era fissata per il venerdì 9 alle ore undici. Ve lo accompagnarono Don Lemoyne e Don Daghero[54]. All'una e tre quarti Don Bosco entrò dal Papa. La posta rimase qualche istante aperta. I Camerieri d'onore, il Cameriere segreto partecipante e l'Esente delle Guardie Nobili vi s'accostarono per osservare come il Santo Padre lo accogliesse. La voce del Pontefice risonò distintamente, sicchè Don Lemoyne la potè udire.
- Oh Don Bosco, disse subito il Papa, come state? come va la vostra salute? e gli occhi? Sento che non state troppo bene.
Don Bosco, che si era messo in ginocchio, gli baciò il piede, poi chiese licenza di restare in piedi, perchè in quella posizione non avrebbe potuto resistere. - Non in piedi, rispose' il Papa, ma seduto, - E gli accennò una sedia, che fece portate avanti da monsignor Macchi. Don Bosco, ringraziando Sua Santità, si sedette. Alla presenza di Leone XIII soltanto [98] l'allora defunto cardinale Caterini aveva avuto il privilegio di sedere, perchè toccava la novantina. Monsignor Macchi non si era ancor mosso di là. Il Papa, rivolto a lui: - Potete ritirarvi, - gli disse. Al suo uscire coloro che stavano in ascolto, si trassero indietro. Ora su appunti di Don Lemoyne e su alcuni dati raccolti nei verbali manoscritti del Capitolo Superiore verremo esponendo per minuto lo svolgimento dell'udienza.
Preludio del colloquio fu l'argomento della sanità. Leone XIII, chiestegli notizie al riguardo, disse: - Bisogna assolutamente che vi curiate e che non risparmiate i mezzi necessari per sostenervi e per ricuperare le vostre forze. Tenete conto di voi stesso senza troppo scrupoleggiare. Lasciate di più oltre logorarvi. Fate lavorare gli altri. Bisogna che viviate ancora, perchè la vostra vita non appartiene a voi, ma alla Chiesa e alla Congregazione da voi fondata, che ha necessità di voi per ottenere i frutti voluti dalla divina Provvidenza. Voi, o Don Bosco, siete necessario. L'opera vostra è cresciuta e dilatata. L'Italia, la Francia, la Spagna, l'America, gli stessi selvaggi reclamano la vostra esistenza. Voi avete dei figli che seguiranno il vostro spirito; ma essi saranno sempre in seconda linea dopo di voi. Che non possiate occuparvi molto a lavorare, in questo momento non è più gran cosa. La vostra vita, la vostra esistenza, il vostro consiglio son tutte cose necessarie e che io e tutti i vostri Amici desiderano vivamente, affinchè possiate compiere le opere incominciate. Se io fossi ammalato, voi fareste, ne son certo, tutto il possibile per la conservazione della mia vita. Orbene, io voglio che voi facciate per voi stesso quello che fareste per me. Quindi prendetevi tutte le cure, cercate tutti i mezzi necessari alla vostra conservazione. Io lo voglio, capite; ve lo comando. È il Santo Padre che lo vuole, è il Papa che ve lo comanda. Della vostra vita ha bisogno la Chiesa.
- Santo Padre, rispose Don Bosco, troppo grande bontà è la vostra nel mettermi a paragone con voi. É una degnazione [99] che mi confonde. Tuttavia procurerò di fare ogni mia parte per obbedire alla vostra volontà.
- Bene, bene! Ed ora che cosa avete da chiedermi? Domandate pure, perchè il Santo Padre è pronto a concedervi quanto domanderete.
Don Bosco presentò allora la somma dei privilegi che bramava ottenere per la Congregazione, e gli disse: - Santo Padre, supplico perchè si degni di rendere completa la Pia Società Salesiano, che ora è solamente a mezzo. Ciò sarebbe la concessione dei privilegi. Vi sono Congregazioni, i cui membri si contano sulle cinque dita di una mano, ed hanno ottenuto questi favori subito ed amplissimi; e per noi che siamo così numerosi e che ne sentiamo la necessità, sono tanti anni che domando e nulla posso ottenere.
Il Pontefice diede un'occhiata a quelle carte, che Don Bosco gli porgeva, e gli ripetè: - Concederemo tutto quello che volete. Per far le cose più speditamente monsignor Masotti, segretario della Congregazione dei Vescovi e Regolari, potrebbe senz'altro presentare i debiti documenti ed io li firmerei senza presentarli all'intera Congregazione. Dite a Monsignore che tale è la mia intenzione. Tanto più ora, continuò il Papa sorridendo, che non c'è più il povero arcivescovo Gastaldi. Allora era difficile poter fare le concessioni di buon accordo. Quello era un vero vostro avversario. Quanto ha fatto, quanto ha detto per impedire la concessione dei privilegi! Dunque non temete; io voglio che questa volta siate contentato. No, la Santa Sede non è contraria a darvi tutto ciò che vi è necessario. Voi credevate che si osteggiasse la vostra Congregazione. Oh no! Erano le circostanze non volute che così portavano. Anche il Papa, vedete, tante volte non può fare tutto quello che vuole. Io vi amo, vi amo, vi amo. Sono tutto per i Salesiani. Sono il primo fra i Cooperatori. Chi è vostro nemico, è nemico di Dio. Io avrei paura a fare contro di voi. Voi infatti con mezzi così esigui fate opere colossali. Voi, neppure voi conoscete l'estensione della vostra [100] missione e il bene che essa deve portare in tutta la Chiesa. Voi avete la missione di far vedere al mondo che si può essere, buon cattolico e, nello stesso tempo buono e onesto cittadino; che si può fare gran bene alla povera e abbandonata gioventù in tutti i tempi senza urtare con l'andazzo della politica, ma conservandosi ognora buoni cattolici. Il Papa, la Chiesa, il mondo intero pensa a voi, alla vostra Congregazione e vi ammira; e il mondo o vi ama o vi teme. Non siete voi, ma Dio che opera nella vostra Congregazione. I suoi mirabili incrementi, il bene che si fa, non ha ragione sufficiente nelle cause umane; Dio stesso guida, sostiene, porta la vostra Congregazione. Ditelo, scrivetelo, predicatelo. È questo il segreto che vi ha fatto vincere ogni ostacolo ed ogni nemico.
- Santo Padre, disse Don Bosco, io non trovo parole valevoli per ringraziarlo delle benevoli espressioni, con le quali si degna prendere in considerazione Don Bosco e i suoi figli. Lo assicuro che noi abbiamo fatto sempre quanto era in nostro potere per promuovere in mezzo ai nostri giovanetti e in mezzo ai popoli l'affezione, il rispetto, l'ubbidienza alla Santa Sede e al Vicario di Gesù Cristo. Quel poco di bene che abbiamo fatto, noi lo attribuiamo alla benedizione e alla protezione del Papa.
- E il Papa continuerà a proteggervi ed a benedirvi. E ora ditemi: del vostro Arcivescovo siete contento? Eh, soggiunse sorridendo, ho pensato anche a voi. Lo vedete, il cardinale Alimonda vi vuole bene, molto bene, e ciò mi consola; io già lo sapeva. Egli mi ha scritto facendomi un bel elogio della vostra Congregazione e pregandomi di concedervi i privilegi. Il Papa ha fatto un gran regalo a Torino. E io sono contento che il Cardinale Arcivescovo vi sostenga, vi appoggi, vi protegga, sia tutto per voi.
- Sì, Beatissimo Padre, Torino deve essere ed è riconoscente verso di Voi per averle donato un tanto pastore. E anche i Salesiani non potevano avere un pastore più benevolo. [101]
Intanto il Papa, che, dotato di temperamento assai nervoso, sentiva il bisogno di cambiar posizione e sedia, si alzò e chiamò monsignor Macchi. Don Bosco si voleva pure alzare per mutare anche lui sedia. -No, gli disse, voi non movetevi. State comodo! Monsignor Macchi farà. - E come, ritiratosi Monsignore, il Papa si fu di bel nuovo adagiato: - Santo Padre, ripigliò Don Bosco, le concessioni già fatte dal Pontefice Pio IX sono spirate ed io in questo momento mi trovo imbrogliato. Chiederei che mi concedesse nuovamente la facoltà di dare lettere dimissionali ai chierici ordinandi, finchè non siano regolarmente date le concessioni per Breve. - Il Papa annuì in via provvisoria.
Dopo entrò a parlare della chiesa del Sacro Cuore e domandò: -Quali lavori state ora compiendo? - Don Bosco spiegò a che punto fosse l'innalzato edifizio e quali fossero i lavori in corso; disse delle difficoltà incontrate, del bene che si faceva nel presbiterio già finito e che pel momento serviva di parrocchia, del mese di maggio cui interveniva un migliaio di persone ogni sera, dell'oratorio festivo, delle scuole frequentate da duecento giovani, del catechismo domenicale, al quale accorrevano circa trecento ragazze, dell'ospizio che si stava per costruire e dei locali già fatti o comprati che avrebbero potuto già contenere una cinquantina di giovanetti. Il Papa ascoltava con vivo interesse questa esposizione, quando Don Bosco uscì a dire: - Io vorrei chiedere a Vostra Santità che mi permettesse di esprimere una mia idea.
- Dite, dite, rispose il Santo Padre.
- Questa chiesa, proseguì Don Bosco, è cattolica, cioè tutto il mondo prende patte alla sua costruzione, e questo ospizio è per i giovanetti di ogni nazione della terra. Io vorrei che Vostra Santità comparisse in quest'opera.
- No, non devo rifiutarmi, disse il Papa. E che cosa proporreste?
- Che Vostra Santità si assumesse la spesa della facciata della chiesa del Sacro Cuore. Che bella cosa sarebbe se sopra [102] il frontone si leggesse scolpita questa epigrafe: Catholicorum pietas construxit, frontem autem huius ecclesiae Leo XIII Pont. Max. proprio aere aedificavit!
- Avete dunque già preparata l'iscrizione?
- Questa o un'altra migliore, ma purchè esprima questo sentimento.
Il Papa si mise a ridere. - E perchè no? Accetto la facciata: la farò io.
- Ma, Santo Padre, spiegò Don Bosco, non voglio tuttavia che resti solo nell'impresa di edificare questa facciata: voglio aiutarlo in quello che posso. L'altro giorno la contessa Fontenay non le portò diecimila lire?
- Ebbene, è Don Bosco che l'ha consigliata a fare questa offerta. Fra poco Vostra Santità riceverà altre diecimila lire; ed io so che un'altra persona di Marsiglia, affinchè si proseguano i lavori della chiesa, si dispone a fare una generosa offerta a Vostra Santità.
- Sì, sì; resta dunque concluso l'affare a questo modo.
- Santo Padre, lo ringrazio di tanta bontà; ma mi permetta di dire ancora una cosa. Vorrei che il mondo conoscesse questa sua generosità e, se mi fosse permesso, io la pubblicherei nel Bollettino Salesiano.
- Date pure a questo fatto la pubblicità che volete e secondo la vostra prudenza.
Nella sua proposta Don Bosco vedeva anche un mezzo per avvantaggiare il denaro di S. Pietro, allora scemato di molto.
Ricorderanno i lettori che il Papa largiva un assegno mensile alla casa della Spezia; era quindi naturale che Don Bosco rendesse conto di quella casa, e con ciò si apriva il passo a dar notizie degli altri collegi, dell'Oratorio, di due compagnie principali, cioè del piccolo clero e del Santissimo Sacramento.
Il Papa allora disse: - A quei giovanetti della compagnia [103] del Santissimo Sacramento dite da parte mia che io li amo, che essi sono il giglio del mio cuore; fate loro per me una carezza paterna; date loro da parte mia una benedizione manu ad manum. Questi cari giovanetti sono destinati a far conoscere al mondo, come la carità cristiana riesca a migliorare la società mediante la buona educazione impartita ai fanciulli poveri e abbandonati... E novizi quanti ne avere?
- Duecent'otto, Santo Padre, distribuiti nei vali noviziati di S. Benigno, di Francia, di America, e altri sparsi qua e là nelle case per non dare troppo nell'occhio.
- Duecent'otto! È una meraviglia! Duecent'otto novizi!
A domanda di Don Bosco, il Papa autorizzò allora la Congregazione Salesiana a tenere novizi anche nelle case professe tanto a Torino che a Marsiglia; indi continuò: - Aiutateli a sfidare tutte le insidie del demonio e manteneteli a posto. Dite loro da parte mia che faranno un gran belle, se saranno tante fiaccole ardenti in mezzo al mondo e se conserveranno inalterabilmente la moralità fra quelli cui sarà dato loro di parlare o di palesarsi.
Poscia il discorso si aggirò intorno, ai Cooperatori Salesiani, che il Papa, a preghiera di Don Bosco, benedisse largamente. - lo stesso, continuò, intendo di essere chiamato non solo cooperatore, ma operatore, perchè i Papi non debbono astenersi da queste opere di beneficenza, Se vogliamo una società buona, non vi è altro mezzo che quello di educare bene questa povera gioventù che presentemente scorrazza per le vie, essa formerà fra breve il genere umano: se verrà educata bene, avremo la società costumata, e se male, la società sarà in cattivo stato e i nostri figli dovranno nella virilità lamentare la cattiva educazione loro impartita dagli antenati, se pure non dovranno maledire eternamente la loro memoria. Ma la pietà nei cristiani non verrà mai meno.
A questo punto Don Bosco presentò la lista di alcuni, per i quali desiderava ottenere onorificenze dalla Salita Sede. La supplica era così concepita. [104]
Mi presento umilmente a V. Santità per segnalare all'Augusta Clemenza Vostra alcune persone molto benemerite della Chiesa e della civile società e assai notorie nel favorire il danaro di S. Pietro.
I. Fra i personaggi insigni benefattori della religione e della civile società devesi senza dubbio annoverare il Conte Fiorito Colle di Tolone. Esso per le sue beneficenze fu già da Vostra Santità fatto Conte di Santa Romana Chiesa. Testè ha fatto costrurre una chiesa ed una casa per orfanelli nella nostra colonia agricola della Navarra (Fréjus). In più rate egli ha dato oltre a 100.000 lire per estinguere varii debiti che ci avrebbero costretto a sospendere i lavori della Chiesa del Sacro Cuore di Gesù in Roma. Sostiene pure energicamente le scuole libere e la stampa cattolica in sua patria. Per lui si chiede rispettosamente una decorazione di Commendatore.
2. Il Barone Amato Héraud, fervoroso cattolico, Cameriere di cappa e spada, promotore del denaro di S. Pietro in Nizza al mare e nelle città vicine supplica di essere fatto Commendatore.
3. Il Signor Alfredo di Montigny, ricco e generoso cattolico di Lille in Francia, potente promotore delle opere cattoliche, aprì pei Salesiani un ospizio pei poveri fanciulli. Gli starebbe sommamente a cuore il titolo di Conte Romano, per così legare sempre più l'unico suo figlio alla S. Sede. Il Vescovo di Cambrai ha inviato una speciale commendatizia direttamente a V. S.
4. Il Signor Dottore Carlo D'Espiney di Nizza Marittima, fervoroso cattolico e valente medico, si presta gratuitamente per tutti i poveri che lo richiedono e specialmente per gli orfanelli del nostro ospizio di S. Pietro in quella città. Supplica per una decorazione di cavaliere di S. Gregorio il Grande. A questo scopo è qui unita una commendatizia del Vescovo di Nizza.
5. Il Vescovo della Diocesi di Fréjus in Francia supplica umilmente la Santità Vostra a voler onorare e rimeritare lo zelo del Rev.mo Sacerdote Mons. Mario Guigou, Cameriere Soprannumero, promovendolo alla prelatura di grado Superiore. Le unisce l'onorevole commendatizia del suo Ordinario.
Il Papa vi diede un'occhiata e poi disse a Don Bosco che facesse scrivere in distinti fogli le singole suppliche per presentarle all'ufficio e dar loro corso più comodamente. Intanto, chiamato monsignor Macchi, fece consegnare la nota a lui, perchè se ne occupasse. Ciò detto, ripigliò: - Ed ora avete qualche altra cosa da domandare? Chiedete pure, chè io sono disposto a concedervi tutto. [105]
Santo Padre, ancora una speciale benedizione per tutti i Cooperatori, per le loro famiglie ed amici.
Il Papa benignamente l'accordò. - Ora se permette, riprese Don Bosco, chiamo il mio segretario e Don Daghero, Direttore del seminario di Magliano Sabino, perchè abbiano l'alto onore di baciare il piede a Vostra Santità. - E in così dire si alzava per andare alla porta. - No, non incomodatevi, gli fece il Papa, li farò entrare io. - A un colpo di campanello, entrò monsignor Macchi, a cui ordinò d'introdurli.
- Chi di voi è il Direttore di Magliano? domandò.
- Sono io, Santità, rispose Don Daghero.
- Sento che c'è qualche differenza tra il collegio e certe persone.
- Ma speriamo che tutto si appianerà, disse Don Daghero.
- E questi, disse Don Bosco, è Don Lemoyne mio segretario. È stato Direttore di vari collegi e ultimamente Direttore delle monache di Maria Santissima Ausiliatrice in Nizza Monferrato.
- Bene, bene! Voi dunque siete il suo segretario? A voi affido la persona del vostro Superiore. Voi dovete aver cura della sua sanità e che non si affatichi troppo. Non permettete che scriva lui: ha gli occhi troppo stanchi e ammalati. Voi dovete essere il suo sostegno e voi siete responsabile della vita del vostro Superiore, capite! Ed io lo voglio, lo vuole il Santo Padre, è il Papa che lo vuole. Circondatelo di tutte le cure, siate la sua consolazione. Quale onore è il vostro! É un grande onore per voi Salesiani la missione che Dio vi dà; è un grande obbligo, al quale dovete corrispondere. Ditelo i a tutti gli altri vostri confratelli e che siano la consolazione di questo povero vecchio.
- Santo Padre, rispose Don Lemoyne commosso, io lo dirò ai miei confratelli, i quali ne saranno sempre più confermati nella loro vocazione. [106]
- E le vostre Missioni? chiese il Papa, rivolgendosi a Don Bosco.
- Vanno bene, Padre Santo. Si sono già battezzati quindicimila selvaggi.
- Quindicimila selvaggi è un bel numero e io sono riconoscente per tante anime salvate. È una cosa magnifica il salvare le anime, e il Papa non può che goderne. Ma a proposito di anime, perchè non mi contentate il povero Vescovo di Mantova? È venuto da me, mi ha pregato di fare i miei buoni uffici, perchè voi gli mandaste quattro o cinque preti salesiani. Egli è pronto a cedere un alloggio nel suo palazzo a questi Salesiani. Fareste un gran piacere a me, se lo contentaste. Questo buon Vescovo ne ha tanto bisogno[55].
- Santo Padre, poichè le fa piacere, vedremo di contentarlo. È vero che il numero dei nostri Salesiani è assai ristretto per la gran quantità delle case che dobbiamo provvedere, ma cercheremo di contentare Vostra Santità.
- Aspettate però che scriva io al Vescovo prima che li mandiate colà. Intanto, Benedictio Dei omnipotentis, etc.
Don Bosco s'inginocchiò, mentre il Papa cercava d'impedirglielo. Infine disse a Don Lemoyne: - Segretario, aiutatelo ad alzarsi, sostenetelo.
Uscirono dalla presenza del Sommo Pontefice che erano le tre e mezzo. Don Bosco, pur nella sua solita tranquillità, appariva molto contento. Tuttavia in carrozza Don Lemoyne gli domandò: - É contento, Don Bosco?
- Sì! Come è buono il Santo Padre! Ci voleva proprio questo; altrimenti io non ne potevo più.
Quando giunse a casa, la sua contentezza fu accresciuta dalla notizia che il Sindaco di Roma aveva finalmente chiesta in nome del Comune al Prefetto la permissione di fare la lotteria. La concessione non poteva più essere dubbia. Infatti il [107] 27 maggio la Prefettura emise il decreto, con cui si autorizzava lo spaccio di duecentomila biglietti per una lira caduno.
Nello stesso giorno Don Lemoyne indirizzò da parte di Don Bosco un biglietto a Don Rua con ordine di comunicarlo a tutte le case, affinchè si sapesse dell'udienza, delle cose ottenute a Roma e del prossimo ritorno[56].
Quasi sulle mosse per lasciare l'eterna città Don Bosco fece scrivere all'Oratorio sotto forma di lettera la narrazione di un sogno della massima importanza. L'aveva avuto in una di quelle notti, nelle quali si sentiva più male. Lo raccontò in più volte a Don Lemoyne ingiungendogli di stenderlo; il che eseguito, se lo fece leggere, dettando correzioni. Il 6 maggio aveva fatto scrivere a Don Rua: “Don Bosco sta preparando una lettera che intende di mandare ai giovani, nella quale vuol dire tante belle cose ai suoi amatissimi figliuoli”. La lettera fu spedita il 10 maggio; ma Don Rua, non credendo conveniente leggerla in pubblico tutta intera, pregò d'inviargliene una copia che potesse andare per gli alunni. Don Lemoyne ne estrasse per loro le parti che non riguardavano i superiori. La lettura fattane da Don Rua alla sera dopo le orazioni venne ascoltata dai giovani con tremore, massime perchè il Santo diceva d'aver conosciuto lo stato di molte coscienze. Dopo il ritorno era una processione di ragazzi alla stia camera per sapere com'egli li avesse veduti. Due principali effetti ne derivarono: un principio di riforma nella vita dell'Oratorio e l'allontanamento di certuni, che sembravano buonissimi. Ecco del sogno il testo completo.
Miei carissimi figliuoli in G. C.,
Vicino o lontano io penso sempre a voi. Un solo è il mio desiderio, quello di vedervi felici nel tempo e nell'eternità. Questo pensiero, questo desiderio mi risolsero a scrivervi questa lettera. Sento, o cari miei, il peso della mia lontananza da voi e il non vedervi e il non sentirvi mi cagiona pena, quale voi non potete immaginare. Perciò io avrei desiderato scrivere queste righe una settimana fa, ma le continue [108] occupazioni me lo impedirono. Tuttavia benchè pochi giorni manchino al mio ritorno, voglio anticipare la mia venuta fra voi almeno per lettera, non potendolo di persona. Sono le parole di chi vi ama teneramente in Gesù Cristo ed ha dovere di parlarvi colla libertà di un padre. E voi me lo permetterete, non è vero? E mi presterete attenzione e metterete in pratica quello che sono per dirvi.
Ho affermato che voi siete l'unico ed il continuo pensiero della mia mente. Or dunque in una delle sere scorse io mi era ritirato in camera, e mentre mi disponeva per andare a riposo, aveva incominciato a recitare le preghiere, che mi insegnò la mia buona mamma.
In quel momento non so bene se preso dal sonno o tratto fuor di me da una distrazione, mi parve che mi si presentassero innanzi due degli antichi giovani dell'Oratorio.
Uno di questi due mi si avvicinò e salutatomi affettuosamente, mi disse:
- E si ricorda ancora di me? soggiunse quell'uomo.
- Di te e di tutti gli altri. Tu sei Valfrè ed eri nell'Oratorio prima del 1870.
- Dica! continuò quell'uomo, vuol vedere i giovani, che erano nell'Oratorio ai miei tempi?
- Si, fammeli vedere, io risposi, ciò mi cagionerà molto piacere.
Allora Valfrè mi mostrò i giovani tutti colle stesse sembianze e colla statura e nell'età di quel tempo. Mi pareva di essere nell'antico Oratorio nell'ora della ricreazione. Era una scena tutta vita, tutta moto, tutta allegria. Chi correva, chi saltava, chi faceva saltare. Qui si giuocava alla rana, là a bararotta ed al pallone. In un luogo era radunato un crocchio di giovani, che pendeva dal labbro di un prete, il quale narrava una storiella. In un altro luogo un chierico che in mezzo ad altri giovanetti giuocava all'asino vola ed ai mestieri. Si cantava, si rideva da tutte parti e dovunque chierici e preti, e intorno ad essi i giovani che schiamazzavano allegramente. Si vedeva che fra i giovani e i superiori regnava la più grande cordialità e confidenza. Io era incantato a questo spettacolo, e Valfrè mi disse: - Veda, la famigliarità porta affetto e l'affetto porta confidenza. Ciò è che apre i cuori e i giovani palesano tutto senza timore ai maestri, agli assistenti ed ai Superiori. Diventano schietti in confessione e fuori di confessione e si prestano docili a tutto ciò, che vuol comandare colui, dal quale sono certi di essere amati.
In quell'istante si avvicinò a me l'altro mio antico allievo, che aveva la barba tutta bianca e mi disse: - Don Bosco, vuole adesso conoscere e vedere i giovani, che attualmente sono nell'Oratorio?
- Sì, risposi io; perchè è già un mese che più non li vedo! [109]
E me lì additò: vidi l'Oratorio e tutti voi che facevate ricreazione, Ma non udiva più grida di gioia e cantici, non più vedeva quel moto, quella vita, come nella prima scena.
Negli atti e nel viso di molti giovani si leggeva una noia, una spossatezza, una musoneria, una diffidenza, che faceva pena al mio cuore. Vidi, è vero, molti che correvano, giuocavano, si agitavano con beata spensieratezza, ma altri non pochi io ne vedeva, star soli, appoggiati ai pilastri in preda a pensieri sconfortanti; altri su per le scale e nei corridoi o sopra i poggiuoli dalla parte del giardino per sottrarsi alla ricreazione comune; altri passeggiare lentamente in gruppi parlando sottovoce fra di loro, dando attorno occhiate sospettose e maligne: talora sorridere ma con un sorriso accompagnato da occhiate da far non solamente sospettare, ma credere che S. Luigi avrebbe arrossito se si fosse trovato in compagnia di costoro; eziandio fra coloro che giuocavano ve ne erano alcuni così svogliati, che facevano veder chiaramente, come non trovassero gusto nei divertimenti.
- Ha visto i suoi giovani? mi disse quell'antico allievo.
- Li vedo, risposi sospirando.
- Quanto sono differenti da quelli che eravamo noi una volta! esclamò quell'antico allievo.
- Pur troppo! Quanta svogliatezza in questa ricreazione!
- E di qui proviene la freddezza in tanti nell'accostarsi ai santi Sacramenti, la trascuranza delle pratiche di pietà in chiesa e altrove, lo star mal volentieri in un luogo ove la Divina Provvidenza li ricolma di ogni bene pel corpo, per l'anima, per l'intelletto. Di qui il non corrispondere che molti fanno alla loro vocazione; di qui le ingratitudini verso i Superiori; di qui i segretumi e le mormorazioni, con tutte le altre deplorevoli conseguenze.
- Capisco, intendo, risposi io. Ma come si possono rianimare questi miei cari giovani acciocchè riprendano l'antica vivacità, allegrezza, espansione?
- Colla carità? Ma i miei giovani non sono amati abbastanza? Tu lo sai se io li amo. Tu sai quanto per essi ho sofferto e tollerato Pel corso di ben quaranta anni, e quanto tollero e soffro ancora adesso. Quanti stenti quante umiliazioni, quante opposizioni, quante persecuzioni, per dare ad essi pane, casa, maestri e specialmente per procurare la salute delle loto anime. Ho fatto quanto ho saputo e potuto per coloro che formano l'affetto di tutta la mia vita.
- Di chi dunque? Di coloro che fanno le mie veci? Dei direttori, prefetti, maestri, assistenti? Non vedi come sono martiri dello studio e del lavoro? Come consumano i loro anni giovanili per coloro, che ad essi affidò la Divina Provvidenza?
- Vedo, conosco; ma ciò non basta: ci manca il meglio. [110]
- Che i giovani non solo siano amati, ma che essi stessi conoscano di essere amati.
- Ma non hanno gli occhi in fronte? Non hanno il lume dell'intelligenza? Non vedono che quanto si fa per essi è tutto per loro amore?
- No; lo ripeto, ciò non basta.
- Che essendo amati in quelle cose che loro piacciono, col partecipare alle loro inclinazioni infantili, imparino a veder l'amore in quelle cose che naturalmente loro piacciono poco; quali sono, la disciplina, lo studio, la mortificazione di se stessi; e queste cose imparino a far con slancio ed amore.
- Osservi i giovani in ricreazione.
Osservai e quindi replicai: - E che cosa c'è di speciale da vedere?
- Sono tanti anni che va educando giovani, e non capisce? Guardi meglio! Dove sono i nostri Salesiani?
Osservai e vidi che ben pochi preti e chierici si mescolavano fra i giovani e ancor più pochi prendevano parte ai loro divertimenti. I Superiori non erano più l'anima della ricreazione. La maggior parte di essi passeggiavano fra di loro parlando, senza badare che cosa facessero gli allievi: altri guardavano la ricreazione non dandosi nessun pensiero dei giovani: altri sorvegliavano così alla lontana senza avvertire chi commettesse qualche mancanza; qualcuno poi avvertiva ma in atto minaccioso e ciò raramente. Vi era qualche Salesiano che avrebbe desiderato intromettersi in qualche gruppo dì giovani, ma vidi che questi giovani cercavano studiosamente di allontanarsi dai maestri e dai Superiori.
Allora quel mio amico ripigliò: - Negli antichi tempi dell'Oratorio lei non stava sempre in mezzo ai giovani e specialmente in tempo di ricreazione? Si ricorda quei belli anni? Era un tripudio di Paradiso, un'epoca che ricordiam sempre con amore, perchè l'affetto era quello che ci serviva di regola; e noi per lei non avevamo segreti.
- Certamente! E allora tutto era gioia per me e nei giovani uno slancio per_ avvicinarsi a me, per volermi parlare, ed una viva ansia di udire i miei consigli e metterli in pratica. Ora però vedi come le udienze continue e gli affari moltiplicati e la mia sanità me lo impediscono.
- Va bene: ma se lei non può perchè i suoi Salesiani non si fanno suoi imitatori? Perchè non insiste, non esige che trattino i giovani come li trattava lei?
- Io parlo, mi spolmono, ma pur troppo molti non si sentono più di far le fatiche di una volta.
- E quindi trascurando il meno, perdono il più e questo PIU' [111] sono le loro fatiche. Amino ciò che piace ai giovani e i giovani ameranno ciò che piace ai Superiori. E a questo modo sarà facile la loro fatica. La causa del presente cambiamento nell'Oratorio è che un numero di giovani non ha confidenza nei Superiori. Anticamente i cuori erano tutti aperti ai Superiori, che i giovani amavano ed obbedivano prontamente, Ma ora i Superiori sono considerati come Superiori e non più come padri, fratelli ed amici; quindi sono temuti e poco amati. Perciò se si vuol fare un cuor solo ed un'anima sola, per amore di Gesù bisogna che si rompa quella fatale barriera della diffidenza e sottentri a questa la confidenza cordiale. Quindi l'obbedienza guidi l'allievo come la madre guida il suo fanciullino; allora regnerà nell'Oratorio la pace e l'allegrezza antica.
- Come dunque fare per rompere questa barriera?
- Famigliarità coi giovani specialmente in ricreazione. Senza famigliarità non si dimostra l'affetto e senza questa dimostrazione non vi può essere confidenza. Chi vuole essere amato bisogna che faccia vedere che ama. Gesù Cristo si fece piccolo coi piccoli e portò le nostre infermità. Ecco il maestro della famigliarità! Il maestro visto solo in cattedra è maestro e non più, ma se va in ricreazione coi giovani diventa come fratello.
Se uno è visto solo predicare dal pulpito si dirà che fa ne più ne meno del proprio dovere, ma se dice una parola in ricreazione è la parola di uno che ama. Quante conversioni non cagionarono alcune sue parole fatte risuonare all'improvviso all'orecchio di un giovane nel mentre che si divertiva! Chi sa di essere amato, ama, e chi è amato ottiene tutto, specialmente dai giovani. Questa confidenza mette una corrente elettrica fra i giovani ed i Superiori. I cuori si aprono e fanno conoscere i loro bisogni e palesano i loro difetti. Questo amore fa sopportare ai Superiori le fatiche, le noie; le ingratitudini, i disturbi, le mancanze, le negligenze dei giovanetti. Gesù Cristo non spezzo la canna già fessa, nè spense il lucignolo che fumigava. Ecco il vostro modello. Allora non si vedrà più chi lavorerà per fine di vanagloria; chi punirà solamente per vendicare l'amor proprio offeso; chi si ritirerà dal campo della sorveglianza per gelosia di una temuta preponderanza altrui; chi mormorerà degli altri volendo essere amato e stimato dai giovani, esclusi tutti gli altri superiori, guadagnando null'altro che disprezzo ed ipocrite moine; chi si lasci rubare il cuore da una creatura e per fare la corte a questa trascurare tutti gli altri giovanetti; chi per amore dei proprii comodi tenga in non cale il dovere strettissimo della sorveglianza; chi per un vano rispetto umano si astenga dall'ammonire chi deve essere ammonito. Se ci sarà questo vero amore non si cercherà altro che la gloria di Dio e la salute delle anime. Quando illanguidisce questo amore, allora è che le cose non vanno più bene. Perchè si vuoi sostituire alla carità la freddezza di un regolamento? Perchè i Superiori si allontanano dall'osservanza di [112] quelle regole di educazione che Don Bosco ha loro dettate? Perchè al sistema di prevenire colla vigilanza e amorosamente i disordini, si va sostituendo a poco a poco il sistema meno pesante e più spiccio per chi comanda, di bandir leggi che se si sostengono coi castighi accendono odii e fruttano dispiaceri; se si trascura di farle osservare, fruttano disprezzo per i Superiori e sono causa di disordini gravissimi?
E ciò accade necessariamente se manca la famigliarità. Se adunque si vuole che l'Oratorio ritorni all'antica felicità, si rimetta in vigore l'antico sistema: il Superiore sia tutto a tutti, pronto ad ascoltar sempre ogni dubbio o lamentanza dei giovani, tutto occhio per sorvegliare paternamente la loro condotta, tutto cuore per cercare il bene spirituale e temporale di coloro che la Provvidenza gli ha affidati.
Allora i cuori non saranno più chiusi e non regneranno più certi segretumi che uccidono. Solo in caso di immoralità i Superiori siano inesorabili. É meglio correre pericolo di scacciare dalla casa un innocente, che ritenere uno scandaloso. Gli assistenti si facci ano uno strettissimo dovere di coscienza di riferire ai Superiori tutte quelle cose le quali conoscano in qualunque modo esser offesa di Dio.
Allora io interrogai: - E quale è il mezzo precipuo perchè trionfi simile famigliarità e simile amore e confidenza?
- L'osservanza esatta delle regole della casa.
- Il piatto migliore in un pranzo è quello della buona cera.
Mentre così il mio antico allievo finiva di parlare ed io continuava ad osservare con vivo dispiacere quella ricreazione, a poco a poco mi sentii oppresso da grande stanchezza che andava ognora crescendo. Questa oppressione giunse al punto che non potendo più resistere mi scossi e rinvenni.
Mi trovai in piedi vicino al letto. Le mie gambe erano così gonfie e mi faceano così male che non poteva più star ritto. L'ora era tardissima, quindi me ne andai a letto risoluto di scrivere a' miei cari figliuoli queste righe.
Io desidero di non far questi sogni perchè mi stancano troppo. Nel giorno seguente mi sentiva rotto nella persona e non vedeva l'ora di potermi riposare la sera seguente. Ma ecco appena fui in letto ricominciare il sogno. Avevo dinanzi il cortile, i giovani che ora sono nell'Oratorio, e lo stesso antico allievo dell'Oratorio. Io presi ad interrogarlo: - Ciò che mi dicesti io lo farò sapere a' miei Salesiani; ma ai giovani dell'Oratorio che cosa debbo dire?
Mi rispose: - Che essi riconoscano quanto i Superiori, i maestri, gli assistenti fatichino e studino per loro amore, poichè se non fosse pel loro bene non si assoggetterebbero a tanti sacrifizi; che si ricordino essere l'umiltà la fonte di ogni tranquillità; che sappiano sopportare i difetti degli altri, poichè al mondo non si trova la perfezione, ma [113] questa è solo in Paradiso; che cessino dalle mormorazioni, poichè queste raffreddano i cuori; e sovratutto che procurino di vivere nella santa grazia di Dio. Chi non ha pace con Dio, non ha pace con sè, non ha pace cogli altri.
- E tu mi dici adunque che vi sono fra i miei giovani di quelli che non hanno la pace con Dio?
- Questa è la prima causa del mal umore fra le altre che lei sa, alle quali deve porre rimedio, e che non fa d'uopo che ora le dica. Infatti non diffida se non chi ha segreti da custodire, se non chi teme che questi segreti vengano a conoscersi, perchè sa che glie ne tornerebbe vergogna e disgrazia. Nello stesso tempo se il cuore non ha la pace con Dio, rimane angosciato, irrequieto, insofferente d'obbedienza, si irrita per nulla, gli sembra che ogni cosa vada a male, e perchè esso non ha amore, giudica che i Superiori non lo amino.
- Eppure, o caro mio, non vedi quanta frequenza di Confessioni e di Comunioni vi è nell'Oratorio?
- É vero che grande è la frequenza delle Confessioni, ma ciò che manca radicalmente in tanti giovanetti che si confessano è la stabilità nei proponimenti. Si confessano, ma sempre le stesse mancanze, le stesse occasioni prossime, le stesse abitudini cattive, le stesse disobbedienze, le stesse trascuranze nei doveri. Così si va avanti per mesi e mesi, e anche per anni e taluni perfino così continuano alla 5a Ginnasiale.
Sono confessioni che valgono poco o nulla; quindi non recano pace e se un giovanetto fosse chiamato in quello stato al tribunale di Dio sarebbe un affare ben serio.
- E di costoro ve n'ha molti all'Oratorio?
- Pochi in confronto del gran numero di giovani che sono nella casa. Osservi; - e me li additava.
Io guardai e ad uno ad uno vidi quei giovani. Ma in questi pochi io vidi cose che hanno profondamente amareggiato il mio cuore. Non voglio metterle sulla carta, ma quando sarò di ritorno voglio esporle a ciascuno cui si riferiscono. Qui vi dirò soltanto che è tempo di pregare e di prendere ferme risoluzioni; proporre non colle parole, ma coi fatti, e far vedere che i Comollo, i Savio Domenico, i Besucco e i Saccardi vivono ancora tra noi.
In ultimo domandai a quel mio amico: - Hai nulla altro da dirmi?
- Predichi a tutti, grandi e piccoli che si ricordino sempre che sono figli di Maria SS. Ausiliatrice. Che essa li ha qui radunati per condurli via dai pericoli del mondo, perchè si amassero come fratelli e perchè dessero gloria a Dio e a lei colla loro buona condotta; che è la Madonna quella che loro provvede pane e mezzi dì studiare con infinite grazie e portenti. Si ricordino che sono alla vigilia della festa della loro SS. Madre e che coll'aiuto suo deve cadere quella barriera [114] di diffidenza che il demonio ha saputo innalzare tra giovani e Superiori e della quale sa giovarsi per la rovina di certe anime.
- E ci riusciremo a togliere questa barriera?
- Sì certamente, purchè grandi e piccoli siano pronti a soffrire qualche piccola mortificazione per amore di Maria e mettano in pratica ciò che io ho detto.
Intanto io continuava a guardare i miei giovinetti e allo spettacolo di coloro che vedeva avviati verso l'eterna perdizione sentii tale stretta al cuore che mi svegliai. Molte cose importantissime che io vidi desidererei ancora narrarvi, ma il tempo e le convenienze non me lo permettono.
Concludo: Sapete che cosa desidera da voi questo povero vecchio che per i suoi cari giovani ha consumata tutta la vita? Niente altro fuorchè, fatte le debite proporzioni, ritornino i giorni felici dell'antico Oratorio. I giorni dell'affetto e della confidenza cristiana tra i giovani ed i Superiori; i giorni dello spinto di accondiscendenza e sopportazione per amore di Gesù Cristo, degli uni verso degli altri; i giorni dei cuori aperti con tutta semplicità e candore, i giorni della carità e della vera allegrezza per tutti. Ho bisogno che mi consoliate dandomi la speranza e la promessa che voi farete tutto ciò che desidero per il bene delle anime vostre. Voi non conoscete abbastanza quale fortuna sia la vostra di essere stati ricoverati nell'Oratorio. Innanzi a Dio vi protesto: Basta che un giovane entri in una casa Salesiana, perchè la Vergine SS. lo prenda subito sotto la sua protezione speciale. Mettiamoci adunque tutti d'accordo. La carità di quelli che comandano, la carità di quelli che devono obbedire faccia regnare fra di noi lo spirito di S. Francesco di Sales. O miei cari figliuoli, si avvicina il tempo nel quale dovrò distaccarmi da voi e partire per la mia eternità. [Nota del Segretario. A questo punto Don Bosco sospese di dettare; gli occhi suoi si empirono di lagrime, non per rincrescimento, ma per ineffabile tenerezza che trapelava dal suo sguardo e dal suono della sua voce: dopo qualche istante continuò. Quindi io bramo di lasciar voi, o preti, o chierici, o giovani carissimi, per quella via del Signore nella quale esso stesso vi desidera.
A questo fine il Santo Padre, che io ho visto venerdì 9 di maggio, vi manda di tutto cuore la sua benedizione. Il giorno della festa di Maria Ausiliatrice mi troverò con voi innanzi all'effigie della nostra amorosissima Madre. Voglio che questa gran festa si celebri con ogni solennità e Don Lazzero e Don Marchisio pensino a far sì che stiano allegri anche in refettorio. La festa di Maria Ausiliatrice deve essere il preludio della festa eterna che dobbiam celebrare tutti insieme uniti un giorno in Paradiso.
Questo scritto è un tesoro, che con il trattatello sul Sistema Preventivo e con il Regolamento delle case forma la trilogia pedagogica lasciata da Don Bosco in eredità a' suoi figli. Pedagogia umile ed alta, che, dove sia bene intesa e bene attuata, può fare degl'istituti di educazione soggiorni di letizia, asili d'innocenza, focolai di virtù, palestre di studio, vivai insomma di ottimi cristiani, di bravi cittadini e di degni ecclesiastici. Ma è d'uopo di buona volontà e di sacrifizio.
Prima di procedere oltre, porremo qui alcune scarse lettere, cinque in tutto, delle tante scritte da Roma; sono le sole a noi pervenute. La prima è indirizzata a Don Lazzero, che continuava a dirigere l'Oratorio col titolo di vicedirettore. Si parla in essa di una “corazza ” che Don Rua dovrebbe levarsi dal petto, perchè lo potrebbe stancare soverchiamente. Nessuna meraviglia che si tratti di cilicio. Allora Don Rua era sofferente; ad altri incomodi si aggiungeva un attacco di lombaggine, che lo costrinse parecchi giorni al letto. Di qui le preoccupazioni del Santo per la sua salute, manifestate a colui che era suo confessore durante l'assenza di Don Bosco.
É forse la prima lettera che scrivo dopo la mia partenza da Torino e voglio scriverla a te, o mio sempre caro D. Lazzero.
Dirai ai nostri amati confratelli e cari figli della casa che la mia salute, in ispecie da due giorni, ha notevolmente migliorato, e perciò al mio arrivo desidero che facciamo una bella festa in chiesa per ringraziare la Madonna degli innumerabili benefizii che ci ha fatti ed anche in refettorio per cacciare la malinconia e stare allegri nel Signore.
Credo che D. Lemoyne vi dia notizie speciali: ce ne sono molte e da fare dei volumi.
Dirai a D. Rua che si tolga la corazza dal petto, perchè potrebbe stancarlo troppo.
E Suttil e D. Pozzan, stanno bene? Sono buoni?
Non so in quale stato si trovi la mia vigna, i miei fagiuoli, le mie zucche ecc.[57]. [116]
Bisogna poi ringraziare in modo particolare Mad. Nicolini dell'uva preziosa che mi regalò a Torino e che inviò a Roma; ma che non conviene più che ne mandi perchè si guasta per la strada.
Dà pure l'unita lettera a D. Febbraro.
Le grazie del Signore discendano copiose sopra di te, sopra tutto il Capitolo Superiore, sopra tutti i nostri cari confratelli e allievi e Maria ci tenga fermi per la via del cielo. Amen.
A Dio piacendo spero essere a Torino dal 12 al 15 maggio.
Priora della festa sarà la marescialla de St Arnaud che si troverà presente per l'intiera novena di Maria Ausiliatrice.
Scrive la seconda lettera alla contessa Callori, pigliando occasione del prossimo sposalizio della figlia. La scrisse Don Lemoyne sotto dettatura del Santo, che si limitò ad apporvi la sua firma.
E' inteso che pel giorno 28 io celebrerò la S. Messa per Lei e per la signora Maria. Prego Dio che il novello stato sia per lei felice sulla terra e una preparazione per la beatitudine del cielo. Ho piena fiducia che continuerà ad essere un'insigne benefattrice per le opere nostre.
Sono qui alla chiesa del Sacro Cuore. Tutto va bene, ma restiamo alquanto arenati a motivo dei danari che diminuiscono sensibilmente.
Dio benedica Lei, tutta la sua famiglia, la signora Maria e voglia pregare anche per me che con gratitudine grande la raccomando ogni giorno nella santa Messa; e mi professo in G. C.
La terza lettera è per una religiosa, la già contessa Filomena Medolago-Albani, nata De Maistre ed entrata dopo la vedovanza tra le Figlie del Sacro Cuore[58]. [117]
La sua lettera vai ha consolato assai perchè questo mi fa conoscere come Ella si ricordi ancora di questo povero D. Bosco. Di tutto cuore io pregherò per la figlia della Signora Contessa Passi[59] ed ho piena fiducia che Dio ascolterà le nostre preghiere se la domanda non è contraria al bene dell'anima sua. Maria SS. porterà in vece mia una speciale benedizione.
Dal canto mio raccomando caldamente a questa Signora la costruzione della Chiesa e dell'Ospizio del Sacro Cuore in Roma. Questi lavori progredirono finora maravigliosamente, ma presentemente restano assai arenati a motivo dei denaro che ci va diminuendo. Ella sa che il Sacro Cuore di Gesù è potente sorgente di grazie e di benedizioni.
Il Signore benedica Lei, tutta la famiglia Passi, e la sua Comunità Religiosa, cui Dio la chiamò per fare un'altra S. Teresa.
Io la ricorderò ogni giorno nella S. Messa ed Ella voglia pregare anche per me che le sarò sempre in G. C.
La quarta va alla signora Magliano, che i lettori conoscono. Invece della circolare manoscritta che soleva far spedire ai più ragguardevoli Cooperatori per comunicare loro la benedizione del Papa, alla Magliano volle inviare una sua letterina autografa, ben sapendo quanto le sarebbe tornato di gradimento questo suo tratto.
Desidero che la S. V. B.[60] sia la prima a ricevere comunicazione come il S. Padre in data quest'oggi alle 12 meridiane le manda per mezzo mio una speciale benedizione. Egli mi assicurò di pregare eziandio per la sua sanità e santità come nella mia pochezza fo io pure quotidianamente.
Dio ci benedica tutti e mi creda in G. C.
Una delle lettere anzidette è scritta in francese e indirizzata al conte di Villeneuve. Vi fa menzione del suo petit prieur nella festa dì Maria Ausiliatrice del 1881[61]. Impensierito delle difficoltà economiche, in cui si dibatteva la casa di Saint-Cyr, lo prega d'intendersi con i curati di La Cioat e di Aubagne, ai quali pure scrive, affinchè studino tutti insieme la maniera di porgere qualche aiuto[62].
Poichè le pratiche per i privilegi non sembravano tanto vicine a giungere in porto, Don Bosco il 14 maggio partì da Roma. Usò per il primo del biglietto a mezza tariffa, accordato recentemente ai Salesiani dalla Società delle ferrovie romane, la cui direzione risiedeva a Firenze. Per Firenze egli prese il treno in compagnia di Don Lemoyne e di Don Dalmazzo. Al Borghetto, stazione di Magliano Sabino, lo attendevano i chierici e i giovani di quella casa. Essendovi una fermata lunghetta, discese nella sala, dove il capostazione aveva permesso agli alunni di radunarsi; del che Don Bosco si affrettò a ringraziarlo, visitandolo. Dopo diede udienza ai giovani, i quali andavano da lui uno a uno. Alle undici si pranzò ivi stesso, e fu una gioia per tutti il vedere com'egli mangiasse con ottimo appetito.
Ma qui accadde uno spiacevole contrattempo. Alle dodici e qualche minuto doveva arrivare il diretto, che l'avrebbe portato a Firenze quella sera; così aveva avvertito il Direttore di là Don Confortòla. Ora, mentre aspettavano sulla banchina, ecco sopraggiungere un treno merci lunghissimo, che si arresta sul binario più prossimo alla stazione. Passano pochi istanti; ed ecco il diretto sul secondo' binario. Doveva sostare appena un minuto. Gli altri viaggiatori, che erano informati, attraversarono dinanzi alla macchina del treno merci e fecero in tempo. Don Bosco, circondato dai giovani che ingombravano il marciapiede, non si avvide di quella manovra e immaginandosi che il treno prima arrivato fosse [119] anche il primo a partire, non si mosse. Ma il fischio acuto di quell'altro lo avvertì del suo errore. Ormai non c'era più rimedio: bisognava aspettare fino alle otto. Il Santo si mostrò assai contrariato; tosto per altro rassegnatosi e rientrato nella sala, continuò ad ascoltare seminaristi e collegiali fino alle due, quando si rimisero in via per Magliano. Era la vigilia della festa padronale, a cui assisteva per la prima volta il nuovo cardinale vescovo Martinelli, succeduto al testè defunto Bilio, ed essi dovevano trovarsi ai primi vespri.
Come impiegare le altre sei ore? Rimasti soli, i nostri viaggiatori si ritirarono in un'osteria poco lontana, ritrovo di cavallari e di carrettieri. Faceva un caldo da soffocare. Don Bosco, non reggendo più dalla stanchezza e dolendogli assai le gambe, entrò in una stanzuccia per distenderle e riposare. Le aveva talmente gonfie, che ci volle della pena per aiutarlo a togliersi le calze metalliche. Levatasi quindi la veste, si sedette sul letto, ma dormire non potè. Com'ebbe dolorato un'ora e mezzo, s'alzò, a fatica si rivesti e a grande stento si rimise le calze. Era in uno stato di agitazione e spossatezza che impressionava. Don Dalmazzo afferrò un'idea: andò a cercare presso quei buoni borghigiani una tazza di caffè, che riuscì a trovare assai squisito. La calda e aromatica bevanda fu un provvidenziale ristoro. Riavutosi a poco a poco, il buon Padre s'intrattenne piacevolmente fino alle sette parlando dell'Oratorio e degli antichi suoi tempi.
Ripartito per Roma Don Dalmazzo e salutato da Don Daghero, che aveva fatto ritorno da Magliano, salì con Don Lemoyne sul diretto di Orte. Ma le peripezie di quella giornata non erano ancora finite. A Orte si doveva aspettare il diretto di Firenze dalle otto e mezzo fino ai tre quarti dopo la mezzanotte. Ad alleviargli però il disagio provvide il Signore. Mentr'egli, adagiato sur un sofà nella sala della stazione, cercava indarno il benefizio d'un poco di sonno, ecco sparire gli oggetti materiali che lo circondavano, e farglisi da presso l'angelico giovane Luigi Colle e tenere con lui un colloquio protrattosi [120] fino all'ora della partenza. Si parlò specialmente delle cose che Luigi gli aveva fatte vedere nel sogno sulle Missioni. Don Bosco alla fine manifestò il timore che la cattiva salute gl'impedisse di condurre avanti le opere intraprese; ma Luigi gli disse: - La sua cattiva salute? Domani vedrà! - Furono queste le sue ultime parole. Don Bosco, sparita la visione, stava meglio, tanto meglio che Don Lemoyne vedeva con meraviglia com'egli, montando in treno, apparisse quasi arzillo. Era il primo giorno della novena di Maria Ausiliatrice[63].
Giunsero a Firenze verso le sei, aspettati alla stazione dal Direttore di là e da quello di Lucca, Don Bensi. I giovani gli diedero il benvenuto al suo ingresso nella casa. Entrò subito in cappella a celebrare; poi occupò il resto del mattino a scrivere lettere. Nel pomeriggio i ragazzi cantarono un inno e lessero composizioni in suo onore; quindi fino a notte diede udienza a benefattori e benefattrici.
Il suo soggiorno a Firenze fu di breve durata; poichè la mattina del 16 si rimetteva già in viaggio per Bologna, dove arrivò verso le undici. Ricevette onorata e festosa ospitalità dall'arcivescovo monsignor Battaglini, quello che nel 1882 aveva già conosciuto Vescovo di Rimini[64]. Presso del medesimo trovò Don Rinaldi, che l'Arcivescovo stesso aveva chiamato appositamente da Faenza. Fra le due pomeridiane del 16 e le undici del 17 si succedettero numerosi i visitatori; poichè i più cospicui cittadini gli vollero parlare, e alla sua Messa nella cappella arcivescovile assistettero molte nobili signore.
Vennero proferite da Don Bosco in quell'occasione certe parole, che Don Rinaldi amava ricordare[65]. In una conversazione intima si discorreva dei Bismark. Il Gran Cancelliere tedesco, dalla forza delle circostanze costretto già a mitigare [121] il Kultur kampf e poi ad aprire negoziati con la Santa Sede, calcava la mano, pretendendo sempre da Roma più ch'ei non fosse abitualmente disposto a concedere. Tuttavia il giornalismo cattolico non lasciava di mettere in valore quella che allora si diceva andata a Canossa; alla lor volta per interessi politici gli organi officiali dell'impero, ad ogni atto di condiscendenza verso i cattolici, inneggiavano al Governo. Orbene Don Bosco pronunciò questa sentenza: - Certa gente, quando pare che protegga la Chiesa, fa come chi, offrendovi da sedere, vi porge una sedia rotta, sicchè invece di farvi sedere vi fanno cadere.
Sette ore di viaggio riportarono finalmente Don Bosco a Torino la sera del 17. Appena varcata la soglia dell'Oratorio, andò difilato nella chiesa, dove impartì la Benedizione eucaristica; poscia, attraversando il cortile pavesato di bandiere fra gli applausi frenetici dei giovani e le note della banda musicale, si recò nelle sue stanze. La gioia era tanto maggiore, perchè il visibile miglioramento della sua salute fece dileguare in un subito i timori da prima concepiti. Il dì appresso vi fu festa in chiesa, in cortile e nel refettorio. Fra i componimenti letti gli piacque soprattutto la corona delle comunioni, che si erano fatte per lui dai giovani durante la sua assenza.
Don Lemoyne dovette presto adempiere ancora due incarichi riferentisi al viaggio, fare cioè le scuse al Vescovo di Ventimiglia, il quale si lamentava che Don Bosco fosse passato due volte per la sua diocesi senza lasciarsi vedere da lui[66], e al Direttore delle ferrovie romane, che, passando per Firenze, non aveva potuto visitare e ringraziare del recente favore[67].
Non potremmo chiudere meglio questo capo, che riportando alcune riflessioni di Don Lemoyne, suggeritegli da ricordi del viaggio, su la memoria, l'ingegno e la cultura del Santo. Ecco quanto lasciò scritto l'ottimo segretario. [122]
É mirabile cosa il vedere come D. Bosco nonostante la sua avanzata età di 69 anni entri in ogni questione e sappia dire la sua parola opportuna. La sua memoria ora è molto indebolita, eppure si può arguire quale fosse il suo sapere nell'età fiorente. Se un giovane antico si presenta a lui, fra le tante migliaia che furono all'Oratorio (pochi anni fa li riconosceva tutti) o ne ricorda ancora il nome o, fattoselo dire, la maggior parte delle volte ne sa ancora il paese, e quindi rammenta quanto accadde a quel giovane nell'Oratorio e mille piccoli aneddoti. In quest'anno ne incontrò uno che aveva vissuto con lui nel 1846 e gli chiese notizie di un suo fratello che era allor pure nel convitto, chiamandolo per nome, e di sua madre, che era vedova.
Se D. Bosco incontra medici, di qualunque malattia parlino, esso ne conosce le cause, il corso, le crisi e le principali medicine.
Se entra a ragionare di lingua greca, non gli mancano testi di autori da sciorinare agli uditori.
Se si parla d'autori italiani o latini, D. Bosco non manca di ripeterne dei brani a memoria. Specialmente di Dante sono interi i canti che recita correntemente.
A Roma a pranzo con l'avv. Menghini, professore dottissimo di ebraico, si viene a parlare di questa lingua e cade il discorso su quel tratto dell'Ecclesiastico: “Vi sono tre cose che io non so, ed una quarta che penitus ignoro: viam viri in adolescentia sua ”. - Nell'ebraico corrisponde, diceva Menghini, a frase che indica il miracolo della generazione. Quindi in ebraico invece di adolescentia si legge adolescentula, alma coll'a piccola e non coll'A maiuscola, che vorrebbe dire vergine, veramente titolo che si dà alla Madonna solamente: Alma circumdabit virum. E D. Bosco all'improvviso uscir fuori col testo integro ebraico, che vien ripetuto da Menghini colla stessa pronuncia.
Si trova D. Bosco a Sampierdarena ed ecco viene alle frutta Parodi, capitano di corvetta, ed entra il discorso sul modo di far sollevare una nave calata a fondo nel mare. E D. Bosco entra a specificare quando è possibile e quando non è possibile ovvero non utile questa operazione. E quando è possibile, i tre sistemi colle loro difficoltà e i modi, e quale di questi tre sia da preferirsi. Simile erudizione navale fece stupire tutti, poichè era inaspettata.
Così parlando di armi antiche e moderne, di astronomia, ecc.
Se poi si trattava di storia, allora era nel suo forte. In qualunque punto di questa si prendesse, specialmente se ecclesiastica, esso non solo entrava nei particolari, ma citava gli autori che ne avevano scritto, e non un sol nome, ma molti.
Insomma avea un po' più che una nozione di un grandissimo numero di scienze.
Questi fatti avvennero nel viaggio di andare o tornare da Roma. [123]
D. Bosco narrava poi con mirabile erudizione la storia dei telegrafi, della magia, dell'architettura, della stampa, delle lettere, dei numeri arabici e romani ed è cosa piacevolissima udirlo parlare.
Il tripudio suscitato dal suo felice ritorno raddoppiò nell'Oratorio l'ardore per i preparativi della festa di Maria Ausiliatrice, mentre le voci correnti circa il suo cattivo stato di salute valsero ad attirare più numerosi del consueto alla grande solennità gli amici e ammiratori del Santo.
NELL'UDIENZA cotanto memorabile del 9 maggio Don Bosco, poco prima di ricevere con Don Lemoyne e Don Daghero la benedizione, aveva detto con sentimento di umiltà e confidenza al Papa: - Padre Santo, non abbiamo ancora avuto la consolazione di avere la firma di Vostra Santità. Ci voglia consolare! - Una firma più d'ogni altra invocava il Salito con quelle insinuanti espressioni: la firma da apporre al decreto per la concessione dei privilegi, pensandosi di ottenerlo per Breve. Quanto più sentiva avvicinarsi la fine della sua mortale carriera, tanto più gli premeva di dare così l'ultima mano alla sua Congregazione, mettendola a paro con le altre approvate dalla Chiesa e somministrandole uguali mezzi per fare il bene nel mondo. Allorchè decise di recarsi a Roma, era questo l'intendimento che stava in cima a' suoi pensieri.
Non aveva però rimandata fino a quell'ora la ripresa della pratica: nonostante il travaglio delle infermità da circa tre mesi aveva ricominciato a occuparsi seriamente della cosa. Dopo tanti anni di studi e di trattative possedeva ormai più che sufficiente conoscenza della materia; eppure in quest'ultima fase dovette ripigliare da capo tutto il lavoro e persistere nell'opera anche di fronte a brutte sorprese, che avrebbero abbattuto il coraggio e la costanza di chi non fosse stato della [125] sua tempia. Ben a ragione Pio XI al Rettor Maggiore Don Ricaldone che gli offriva in questo mese di aprile 1934 il prezioso reliquiario contenente una vertebra del Santo, disse: - Eh, sì, Don Bosco aveva spina dorsale a differenza di tanti altri che non ne hanno.
Si accinse all'impresa fino dal gennaio. Stesi in carta i motivi per cui chiedeva quei favori e delineatane bene la portata, ne mandò copia al Cardinale Protettore e al Cardinale Arcivescovo, pregandoli di esaminare il tutto e di dare il loro parere. I due Porporati si pronunziarono favorevolmente. Allora inviò la sua supplica al Santo Padre, unendovi il promemoria mandato ai due Cardinali e premettendovi un breve chiarimento in lingua latina[68]. Nella supplica diceva:
Umilmente prostrato ai venerati piedi di V. S. imploro una segnalata grazia per la Pia Società di San Francesco di Sales. Il Sommo Pontefice Pio IX vostro glorioso antecessore prese a beneficare questa Congregazione fin dai suoi principii. Ne tracciò le Costituzioni nel 1858; la commendava nel 1864, la approvava nel 1869 e la graziava della specifica e definitiva approvazione delle Costituzioni il 3 aprile 1874.
Di poi la arricchì di vari favori spirituali, dei quali alcuni essendo ad tempus, altri vivae vocis oraculo, ne seguirono in pratica non leggere difficoltà. Tali difficoltà furono appianate dalle altre Congregazioni Ecclesiastiche mercè la comunicazione dei Privilegi.
Il sopra lodato Pontefice Pio IX stava per concedere questo segnalato favore, quando a Dio piacque di chiamarlo a sè.
Ora permettetemi, o Beatissimo Padre, di dare un cenno sulla comunicazione dei Privilegi e sulle cagioni speciali, che mi muovono a supplicare per ottenerli.
Nel “cenno sulla comunicazione dei privilegi ” dimostrava come da tre secoli i Sommi Pontefici solessero concedere privilegi per communicationem tanto agli Ordini religiosi di voti solenni che alle Congregazioni Ecclesiastiche di voti semplici. Infatti Leone X accordò la vicendevole comunicazione dei privilegi a tutti gli Ordini mendicanti; Clemente VII ai Teatini [126] comunicò tutti i privilegi e favori spirituali concessi o concedendi ai Canonici Regolari; e più tardi ai Religiosi della Regolare osservanza i privilegi e le grazie spirituali di qualunque Ordine religioso. Nello stesso secolo XVI le Congregazioni di voti semplici, sebbene avessero ottenuto per concessione diretta parecchi privilegi, pure, affinchè vigesse per tutte una medesima regola, si cominciò a concedere loro anche i privilegi degli Ordini religiosi, come fecero Paolo IV e S. Pio V con i Teatini. Nel secolo seguente Urbano VIII usò eguale benignità con i Preti della Missione; e così dicasi di altri Pontefici verso i Gesuiti, i Chierici Regolari della Madre di Dio, i Pii Operai, i Ministri degli Infermi, l'Oratorio, i Fratelli della Dottrina Cristiana, i Passionisti, i Redentoristi e da ultimo agli Oblati di Maria nel 1826 e all'Istituto della Carità nel 1838. Con questo mezzo i Papi mirarono a onorare e favorire istituzioni che, strettamente unite alla Santa Sede, esercitavano nella Chiesa un largo e fecondo apostolato[69].
“Sulle cagioni speciali che lo movevano a supplicare per ottenere ” i privilegi Don Bosco si esprimeva a questo modo:
I motivi speciali per cui si fa questa umile preghiera per la Congregazione Salesiana sono:
I° Essa è affatto destituita di mezzi materiali, perciò abbisogna di molta indulgenza e di molti aiuti spirituali, affinchè possa conseguire il suo fine.
2° Questa Congregazione ebbe principio e si andò consolidando in tempi burrascosi, in cui tuttora ci troviamo; non ostante potè crescere, aprire Ospizii, Collegi, piccoli seminarii in varie diocesi d'Italia, di Francia, di Spagna, nel Brasile, nell'Uruguay, nella Repubblica Argentina e fra gli stessi selvaggi delle ultime regioni dell'America Meridionale. In questa calamità di tempi, diversità di Paesi, in questa distanza grande degli uni dagli altri specialmente in mezzo ai selvaggi, se i soci Salesiani dovessero ricorrere alla S. Sede nei dubbi e nelle facoltà che loro tornano indispensabili, sarebbe cosa sempre difficile e non di rado impossibile.
3° La tristezza dei tempi fa che certe autorità civili vedano di mal occhio il frequente ricorso alla Santa Sede, anzi avvenne più volte che [127] vollero che fossero consegnati Decreti e Brevi di concessione, che non si poterono più riavere.
4° L'umile esponente poi desidera di impiegare quel po' di vita, che a Dio piacerà ancora concedergli, nel regolare le varie case, e uniformare tutti quelli che ne hanno la direzione a servirsi de' Privilegi con prudenza e parsimonia e solamente nei casi in cui chiara appaia la maggior gloria di Dio, e il vantaggio delle anime.
5° Il numero delle case già aperte e molte altre che ogni dì si aprono, rendono ognora più difficile l'uso dei Privilegi senza una regolare concessione dei medesimi.
Infine rispondeva con la massima semplicità a quattro “osservazioni ” che da taluni si sollevavano contro nuove concessioni di privilegi.
Intorno alla comunicazione dei Privilegi alcuni vollero osservare che tali concessioni:
1° Possono dare causa a questioni.
2° Turbare l'armonia e la pace cogli Ordinarii.
3° Accordare Comunione di Privilegi ad Istituti che ai medesimi non convengono.
4° La Congregazione Salesiana è da poco tempo approvata.
I° Al primo: Se queste concessioni fossero nuove, potrebbero essere cagione di questioni; ma i Privilegi che si vanno comunicando dagli uni agli altri da oltre a trecento anni; che furono costantemente studiati, interpretati, e praticati in modo uniforme e secondo lo spirito della S. Sede, sembrano doversi dire piuttosto un vincolo di unione, di uniformità, e quindi escludere ogni motivo di questioni.
2° Al secondo: Nemmeno pare turbare la pace cogli Ordinarii, perciocchè in pratica i Vescovi ed i Parrochi conoscono già i Privilegi degli Istituti approvati dalla Chiesa e nei nostri paesi cagionerebbe meraviglia il vedere che un Istituto goda maggiori o minori favori degli altri. Anzi i Privilegi essendo atti che altamente onorano la suprema autorità del Pontefice, e fanno palese il pieno suo gradimento verso di una istituzione, farebbe supporre una Congregazione non definitivamente approvata, se dalla S. Sede non è graziata dei medesimi Privilegi che godono le altre.
Un rispettabile Ordinario non si potè mai indurre a credere che la nostra Congregazione fosse definitivamente approvata perchè non gli constava che godesse dei Privilegi dei Ministri degli Infermi, dei Preti della Missione, degli Oblati di Maria. Per queste ragioni la Congregazione Salesiana ha dovuto sostenere molti disturbi ed avere non leggeri danni materiali e morali che incagliarono gravemente il progresso [128] della medesima che forse avrebbe già potuto duplicare il numero delle case, dei religiosi e degli allievi.
3° Al terzo: Nemmeno sembra potersi dire che con tale Comunicazione ai Novelli Istituti si concedano favori non opportuni. Imperciocchè in tali concessioni si intendono sempre le clausole: Dummodo Institutis eorum conveniant, ac Regulari Observantiae non sint contraria. Si aggiunga ancora che tali favori potendosi esclusivamente concedere dalla S. Sede, la medesima può modificarli ed anche rivocarli ogni volta scorgesse tornare di maggior bene a coloro cui furono concessi.
4° Al quarto. È vero che la definitiva approvazione delle Costituzioni della Pia Società di S. Francesco di Sales è soltanto del 3 aprile 1874, ma la sua esistenza e la pratica delle sue Costituzioni rimontano al 1841. D'altro canto è già cresciuta in buon numero come quella che conta già circa a mille quattrocento religiosi, cento sessantasei case in cui hanno cristiana educazione oltre a 150 mila tra giovanetti e adulti. Nei tempi passati all'approvazione per lo più seguiva quasi subito la Comunicazione dei Privilegi. Gli Oblati di Maria ottennero tale Comunicazione pochi giorni dopo la loro approvazione.
Dato così un cenno sulla Concessione dei Privilegi, rinnovo umile preghiera, supplicando V. S. a compiere questo atto di somma clemenza e concedere alla Congregazione Salesiana la Comunicazione dei Privilegi colla Congregazione degli Oblati di Maria di Torino, le cui Costituzioni e scopo sono quasi identici alle Salesiane.
Il Rescritto col quale S. S. Leone XII di felice memoria, accordava quel favore è del tenore seguente:
“Ex audentia SS.mus Congregationis introscriptae Superiorem Generalem, et Oblatos specialibus favoribus, et gratiis prosequens, omnia et singula indulta, privilegia, indulgentias, exemptiones et facultates Congregationi SS.mi Redemptoris concessa iisdem Oblatis eorumque Ecclesiis, Capellis et domibus benigne communicat, extendit, atque in perpetuurn elargitur cum omnibus, clausulis et decretis necessariis et opportunis.
Sacrae Congregationis Episcoporum
Tutti i Salesiani rappresentati dal loro Rettore si prostrano supplicanti ed invocano il più volte sopra nominato favore mentre a nome di tutti invoco l'Apostolica Benedizione.
Umil.mo ed Obbl.mo Supplicante
Sac. GIO. BOSCO Rettore. [129]
Il cardinale Alimonda “con vera soddisfazione dell'animo ” suo confermava per iscritto la verità dei motivi esposti dal Santo e lodava nella sua Congregazione l'esemplarità della disciplina e il gran bene operato, aggiungendo di proprio un nuovo argomento circa l'opportunità della domandata concessione: essendo cioè nella città e diocesi torinese dispersi i religiosi degli altri Ordini, importare grandemente che si desse prosperità e fermezza a una Congregazione la quale, mentre riparava a tante perdite, aveva il vantaggio di sfuggire ai colpi delle leggi civili[70]. Una raccomandazione a parte egli fece nel contempo al Cardinale Protettore, dal quale ricevette la seguente risposta.
Em.mo e Rev.mo Signor mio Oss.mo,
Ho ricevuto il ven.mo foglio dell'Eminenza Vostra del 4 corrente col quale si compiace Ella di raccomandarmi pel buon esito la domanda del Rev.mo D. Bosco relativa ai privilegi per la sua Cong.ne, e per la quale il prelodato Sacerdote mi avea già diretta una apposita testimoniale. Io ringrazio senza fine l'Eminenza Vostra per tanta bontà di avermi somministrato un valido appoggio a riuscire nell'intento; e giovedì prossimo se le mie condizioni sanitarie mel permetteranno, mi propongo tenerne seriamente proposito con Sua Santità, ed indurlo a superare le difficoltà estrinseche che fin qui disgraziatamente si sono opposte da chi meno si dovrebbe. Nè vorrò tacere a Sua Santità che ove si credesse di persistere nel rifiuto, io mi vedrei obbligato ad accettare la mia dimissioni da Protettore della benemerita Congregazione per non sembrare di essere in qualche modo connivente, od indifferente ad un ripudio che non ha altro movente che nell'arbitrio
Intanto La prego a non dimenticarsi di me nelle sue orazioni assicurandola della mia fedele corrispondenza e della mia inalterabile venerazione e stima, in quella che baciandole umilissimamente le mani passo a raffermarmi
Umilissimo Devotissimo Servitor vero
Spediti a Roma i documenti suddetti, Don Bosco rivolse i suoi pensieri al suo viaggio in Francia, confidando che, [130] quando fosse di ritorno, la pratica avrebbe già fatto del buon cammino; ma le cose andarono in senso inverso della sua aspettazione, sebbene due notizie liete venissero a rallegrarlo, la prima sul punto di lasciare la Francia e l'altra nell'avviarsi alla volta dì Roma.
Gli fu portata la prima notizia dalla contessa di S. Marzano, allorchè egli si trovava nuovamente a Nizza per rientrare in Italia. L'ottima cooperatrice salesiana, che nel frattempo era stata a Roma, aveva detto al Papa nell'udienza concessale: - Santo Padre, le chiedo una benedizione speciale anche per Don Bosco.
- Come? conosce Don Bosco di Torino? Dove si trova presentemente? dov'è?
- L'ho lasciato a Nizza Marittima.
- Come sta de' suoi occhi? come sta delle sue gambe? Gli dica che si abbia cura e che risparmi le sue forze... Don Bosco ci ha fatto chiedere molte cose: cose serie e difficili a ottenersi. Ma gli concederemo tutto!
La Contessa, riferendo questo dialogo, non sapeva a che alludessero le parole del Papa, perchè il Pontefice non si era spiegato maggiormente ed ella non aveva avuto l'ardire di fare interrogazioni. Ma Don Bosco capì benissimo, che il Papa intendeva parlare dei privilegi e che, così dicendo a quella signora, non ignorava che essa avrebbe veduto il Santo e gli avrebbe riferito tutto; non è quindi inverosimile che volesse fargli giungere per quella via l'assicurazione della sua volontà disposta a favorirlo.
E così appunto l'intese Don Bosco, il quale: - Buon segno, disse quando fu solo con i suoi figli, buon segno! Speriamo che questa volta otterremo quello che da tanti anni forma l'oggetto di tutti i miei pensieri. Per riuscire e ottenere questi privilegi ho perseverato, tentato, ritentato ogni strada, ho subìto umiliazioni e ripulse; ma nulla al mondo ci deve sgomentare. Si poteva desistere, ma non volli Era per essi [cioè in servizio di coloro che a Roma hanno in mano le redini], [131] per la Chiesa e non per me; era per il bene delle anime; era per lasciare alla mia morte consolidata la nostra Congregazione, la quale in buona sostanza appartiene alla Chiesa. Allorchè sembrava perduta ogni speranza di riuscita, avrei potuto dire: Lasciamo un po' stare, ci pensino essi. Ma no. Bisogna che fino all'ultimo facciamo tutte le nostre parti, niente lasciando d'intentato. Per cogliere le rose, si sa, s'incontrano le spine; ma con le spine vi è sempre la rosa. Quando presentai la mia supplica a Pio IX e si trattò dei privilegi, il Sommo Pontefice era molto contento. Monsignor Vitelleschi sembrava favorevole. Prometteva, assicurava tutto il suo appoggio, cosicchè io confidava pienamente in lui ritenendo certo il risultato dell'affare. Ma quando poi si radunò la Sacra Congregazione, Vitelleschi si, mostrò così risolutamente contrario, che tutti i Cardinali, prima a noi favorevoli, votarono negative[71].
La seconda notizia, recatagli da Don Dalmazzo a Sampierdarena, sembrò dovergli togliere ogni timore dal lato più malagevole. È noto come il più energico oppositore alla concessione dei privilegi fosse il cardinale Ferrieri, al quale, perchè Prefetto della Congregazione dei Vescovi e Regolari, spettava d'ufficio la trattazione di tutto il negozio[72]. Ora avvenne che questo Eminentissimo il 25 marzo ebbe un assalto di paralisi che lo prostrò e mentre versava in pericolo della vita, si mostrava propenso a cedere su quei benedetti privilegi, qualora fosse guarito. Nei primi giorni la singolare coincidenza di quel 25 marzo dovette tenerlo alquanto sopra pensiero. Il fatto è che mandò più volte ad avvisare il Procuratore che presentasse presto un elenco specificato dei privilegi che si desideravano. Don Bosco, più positivo di Don Dalmazzo: - Può darsi, osservava, che Ferrieri sia spinto a cedere più dalle lettere del cardinale Alimonda che dal suo male... [132]
Certo, specificare singolarmente i privilegi, è una fatica delle più improbe. - Dopo due sole ore di fermata Don Dalmazzo ripartì per Roma, dove di lì a non molto smorzò il suo ottimismo; poichè l'illustre infermo, per il quale Don Bosco aveva ordinato preghiere, appena scomparso il pericolo, tornò ad allegare i soliti motivi per il solito rifiuto. Egli portava radicato nell'animo il convincimento che la Congregazione di Don Bosco non sarebbe potuta sopravvivere al suo Fondatore.
Il cardinale Nina, come aveva promesso, perorò con zelo la causa di Don Bosco dinanzi al Santo Padre, secondochè egli medesimo riferì a Don Dalmazzo. - Padre Santo, gli aveva detto, perchè non concedere questi privilegi anche a Don Bosco? È forse il suo istituto differente dagli altri? Ora se tali privilegi agli altri sono concessi, perchè non concederli a questo? A che dunque costituirmi Protettore di questa Congregazione, se la mia protezione è così negletta? Se la Congregazione Salesiana non si merita questi privilegi come tutte le altre, mi si dica quali demeriti siano in essa, chè io interverrò a correggere; ma se è diversamente, e pur non si vogliono concedere, io sono stanco di chiedere sempre e non ottenere mai nulla. I Salesiani avrebbero ragione di accusarmi di noncuranza per i loro affari, ovvero di credere che io nulla possa presso Vostra Santità. Quindi io rinunzio al titolo di Protettore, poichè a nulla giova! E lo non intendo più occuparmi di tali cose.
- Ma no, rispose il Papa, non dite questo. Io desidero fare il bene dei Salesiani; io desidero favorirli. Abbiate, pazienza. Vedete quanto sono oppresso dagli affari.
- Dunque mi raccomando a Vostra Santità: si compiaccia di dar corso alle carte che le consegno.
Se non che, tornato un altro giorno per parlarne al Santo Padre e chieste quelle carte, non si trovarono più in alcun luogo. Il segretario o cameriere che fosse le aveva tolte via e gettate nel cestino della cartaccia, e all'arrivo del Santo erano [133] sparite. Bisognò quindi rifare il lavoro con perdita notevole di tempo. Tuttavia parve sulle prime esserci un nuovo filo di speranza; poichè il Cardinale Prefetto per il motivo della salute era allora dispensato dalle sue occupazioni e gli affari dipendevano solamente dal segretario monsignor Masotti, che andava all'udienza invece del suo superiore e si dichiarava benevolo; nulla per altro faceva senza interrogare Ferrieri, Trasmesse dunque le nuove carte, nelle quali si chiedevano i privilegi per communicationem, alla Sacra Congregazione con ordine del Papa che si esaminassero, Don Bosco per tutta risposta si vide capitare una partecipazione, in cui gli si diceva che un Breve di Pio IX aveva abolita questa maniera di dare i privilegi; essere perciò indispensabile una domanda particolareggiata dei singoli privilegi, dei quali si credeva aver bisogno.
Sofferente nel corpo per le sue indisposizioni e oppresso nella mente da tante brighe, Don Bosco fece di necessità virtù, sobbarcandosi da capo a questo sforzo di ricerca per umiliare poi l'elenco al Santo Padre e supplicarlo che si degnasse di darvi corso. Come Dio volle, si giunse alla fine; almeno così pensava il Santo. Ma la sera del I° maggio ecco una lettera ufficiale secca secca di Sua Eminenza Ferrieri, il quale chiedeva che ai singoli privilegi domandati si unissero le date dei Brevi, i nomi dei Pontefici che li avevano concessi e le indicazioni degli Ordini religiosi che ne fruivano. Un'altra faticaccia da non si dire! Venne, come soleva fare con frequenza, l'avvocato Eleonori a visitare Don Bosco per assicurarlo che, nonostante quel contrattempo, i privilegi gli sarebbero accordati.
- La mia testa non regge più, esclamò Don Bosco, e sarò costretto a rinunziare ai privilegi. Ne domanderò solo uno o due dei più essenziali e quindi me ne ritornerò a Torino. Se me li vogliono concedere, bene; se no, pazienza. Continueremo come abbiamo fatto finora.
- Stia tranquillo, gli ripeteva l'avvocato, vedrà che otterremo [134] tutto, glielo prometto io. E se lei non regge a questa fatica, cercheremo noi i Brevi e le citazioni.
Si deliberò pertanto di scrivere a Don Berto, che spedisse subito gli elenchi dei privilegi goduti dagli Oblati di Maria, dai Redentoristi e dai Signori della Missione. Giunti questi elenchi, Don Bosco e Don Lemoyne si misero a sfogliare nei volumi per trovare i privilegi chiesti, le relative date e tutto il rimanente. Don Bosco vi attese più giorni, anche Don Dalmazzo vi lavorò una notte intera; finalmente si tracopiarono privilegi e citazioni, e fu presentato il tutto a monsignor Masotti[73].
In mezzo a tante angustie Don Bosco scrisse al cardinale Alimonda una lettera, dalla quale traspaiono il suo accoramento e la sua rassegnazione[74].
I nostri timori divennero realtà. L'affare dei privilegi andarono tutti nelle mani del Card. Ferrieri, che ieri fece la risposta, scritta dicendo che non si possono quelli concedere senza che ciascuno sia corredato dei documenti autentici con cui sono stati accordati e a chi sono stati accordati. Dopo questo sì farà una scelta dei richiesti privilegi, e si esaminerà quali concedere e quali non. Ciò vuol dire che io debbo mettere per ora il cuore in pace e non parlare più di tale domanda. Intanto è scaduto il tempo della facoltà delle dimissorie ed io dimanderò al S. Padre che almeno questa mi sia confermata. A Pasqua non ho potuto presentare alcuno per le ordinazioni, forse nemmeno a Pentecoste.
Malgrado ogni mia insistenza non ho potuto avere l'udienza dal S. Padre da 20 giorni che sono a Roma.
Il Card. Nina è a giorno di ogni cosa. É cruciato. Le scriverà egli stesso.
Noi eravamo intesi, che era inutile fare nuove istanze a questo proposito fino a tanto che le cose cadevano nelle mani del C. Ferrieri ed ora ci siamo. [135]
La mia sanità va stentarellando; spero di poterla riverire personalmente quanto prima e potermi alquanto confortare.
Con somma venerazione dimando la santa benedizione Sua mentre con gratitudine grande mi professo
Il buon Cardinale gli rispose sollecito e cordiale:
Ho ricevuto la sua lettera in data 3 corrente mese, e non ritardo a manifestarle i sensi del mio vivo dispiacere. Immagino quanto per tal fatto debba soffrire il cuore di Lei... Coraggio, caro D. Giovanni. Dio ci sottopone a durissime prove per maggiormente consolarci: dopo il tempo del combattimento verrà il giorno della vittoria.
Quantunque io sappia che Ella fa molto bene in Roma, tuttavia Le raccomando di venir presto a Torino dove sarò lieto di vederla e di abbracciarla come faccio ora in ispirito professandomi di vero cuore
Affezionatissimo come fratello
Con i suoi amici Don Bosco il 2 maggio aveva espresso nuovi timori. - Io vedo, disse, qual è il disegno di Ferrieri. Egli ha protestato che Don Bosco non avrebbe mai ottenuto i privilegi; quindi ora negarli non vuole, perchè il Papa dice di volerli concedere, ma temporeggerà. -Gl'intoppi all'udienza pontificia sembravano giustificare queste previsioni; ma dopo l'udienza le cose cambiarono. Subito la sera del 9 il cardinale Nina, desideroso di conoscerne l'esito, visitò Don Bosco e gli narrò come il giorno innanzi Sua Santità si fosse fatte leggere da lui le commendatizie dell'Alimonda e poi la supplica di Don Bosco unita alla nota dei privilegi. - Mi piace il latino di Don Bosco, aveva detto il Papa. Non è ciceroniano, ma forbito e semplice. - Tutto questo manifestava già nel [136]
Papa le buone disposizioni, che luminosamente si appalesarono poi nell'udienza, fino a concedere che in attesa del decreto formale continuasse Don Bosco a rilasciare le dimissorie.
E il famoso Breve di Pio IX contrario alla concessione dei privilegi per communicationem? Questo Breve diede luogo a una scenetta abbastanza gustosa, di cui non vogliamo defraudare i lettori. In giugno Don Dalmazzo dovette presentarsi all'Uffizio della Congregazione dei Vescovi e Regolari. C'erano parecchi Monsignori, fra i quali Trombetta sottosegretario, Boccafogli coadiutore dell'uditore -De Luca e il segretario Masotti. Venutosi a parlare del Breve, con cui Pio IX si diceva che avesse proibito i privilegi per communicationem, quegli officiali non nutrivano il menomo dubbio su la realtà e il tenore del documento. Ma Don Dalmazzo: - Mi perdonino, disse; Loro sono in errore quel decreto non esiste.
- Come non esiste? Vuol negare un fatto conosciuto da tutti?
- Ebbene con lor buona venia io affermo che non esiste.
- No, lo dice Don Bosco, e Don Bosco in queste cose fa testo, perchè ha studiato bene la materia.
- Oh questo poi!... Che Don Bosco faccia testo, non ci sembra.
- Sì, o signori, e quando Don Bosco parla su questi argomenti, non erra, perchè conosce a fondo decreti e tutto.
- Sarà; ma in questo caso la sbaglia grossamente Don Bosco... È certissimo ... Non c'è questione... Mi sembra l'anno 1848... No, è il 1852 ... Veramente non mi ricordo più... Ma però il decreto c'è Oh, c'è sicuramente... Non ci può essere dubbio.
Queste affermazioni correvano dall'uno all'altro, ma Don Dalmazzo non disarmava.
- Mi scusino, ripigliò; trattandosi di cose sì importanti, bisogna essere positivi e indicare dove stia questo decreto e citarlo con la sua data precisa. Dove l'hanno letto? [137]
Gl'interlocutori si guardarono in faccia. Nessuno l'aveva mai letto; tutti ne avevano udito parlare, ma senza prendersi la briga di ricorrere alla fonte. Don Dalmazzo cominciava a cantare vittoria in nome di Don Bosco; ma uno saltò su e disse: - È presto fatto a verificare. Andiamo a prendere la Collectanea, dove il Breve indubbiamente c'è.
Collectanea in usum Secretariae S. C. Episcoporum et Regularium è il titolo d'una raccolta di decreti emanati da questa Congregazione; la compilò il già Segretario e poi Cardinale Prefetto della medesima Andrea Bizzarri, immediato predecessore del Ferrieri.
Si andò dunque a prendere il volume, e cerca e gira e sfoglia, ma del Breve non sì rinveniva traccia. Presero indici, esaminarono, e nulla di nulla. Si dovette concludere che Don Bosco aveva ragione. Egli sapeva pure donde fosse nata la leggenda. Verso il 185o la Sacra Congregazione, venuta a conoscere che i Redentoristi facevano uso di certi privilegi, avuti forse per communicationem, tentò con un decreto di toglierli; ma i Redentoristi si appellarono e il decreto fu annullato. Questa sentenza produsse gran rumore in Roma; onde la Congregazione per tagliar corto stabilì che d'allora in poi non avrebbe più permesso la concessione dei privilegi in quella forma. Da tale risoluzione privata non sanzionata mai da atto pubblico, ma rimasta sempre negli uffici, ebbe origine l'erronea opinione del Breve di Pio IX, Don Bosco, e si comprende il perchè, sebbene non ignorasse il vero, tuttavia non aveva giudicato prudente nel corso delle trattative contestarne l'esistenza.
Quanto abbiamo narrato, accadde dopo che Don Bosco aveva dovuto lasciare Roma senza poter venire alla conclusione.
Ritorniamo a Leone XIII. La promessa da lui fatta a Don Bosco fu senza indugio tradotta in atto. Venuto all'udienza monsignor Masotti, il Papa gli disse: - Desidero che siano concessi a Don Bosco i privilegi. [138]
- Sa bene Vostra Santità che chi si oppone è il Cardinale Prefetto.
- Guardate voi in che modo possiamo contentare Don Bosco.
- Farò di riuscirvi secondo il desiderio di Vostra Santità.
Succedette una minaccia di dimissioni da parte del Prefetto; ma il Papa gli raccomandò di riflettere. Il giorno io monsignor Masotti informò che il Santo Padre aveva deciso di concedere i privilegi ai Salesiani per communicationem con gli Oblati di Maria; si cercasse quindi copia del decreto di concessione, e il Procuratore degli Oblati prestasse giuramento che quei privilegi non erano nè scaduti nè annullati. Ciò udito, Don Bosco disse: - Se concedono questo, concedono molto più di quello che si domanda. Ma lì sotto potrebbe celarsi qualche sotterfugio per complicare la pratica. Monsignor Masotti, che ora ha il disbrigo degli affari e va regolarmente all'udienza, perchè non fa nulla senza chiedere consiglio al Ferrieri? Potrebbe presentare al Papa un Breve di poche righe, che sarebbe subito firmato. Il Papa stesso ha suggerito questo mezzo. E poi gli Oblati vorranno rendere ostensibili i loro privilegi? Tutti gli Ordini sono gelosi di non farli conoscere ad altri. E se inoltre qualche privilegio fosse realmente scaduto? - Nondimeno prese ad agire personalmente e con sollecitudine. I giorni II, I2 e I3 di maggio Don Bosco li passò in consultazioni con l'avvocato Eleonori e con vari Monsignori suoi amici, battendo sempre sul punto della volontà dichiarata del Papa. Fatte indagini negli archivi della Congregazione dei Vescovi e Regolari, si trovò solamente un Breve, che comunicava i privilegi dei Passionisti agli Oblati; ma egli riuscì ad avere nelle mani l'elenco dei privilegi di questi ultimi. Ormai non restavano più che le pratiche d'ufficio, ed egli credette di poter lasciare Roma; tanto più che in queste faccende a Roma non si suole aver fretta.
Da Torino però studiava il modo di sollecitare l'effetto delle promesse papali, tenendosi in corrispondenza con monsignor [139]
Masotti e spronando il Procuratore. Un mese dopo la partenza da Roma rinnovò la supplica ai Papa. In essa, ripetute le parti essenziali della precedente, aggiungeva la domanda esplicita che fossero comunicati ai Salesiani i privilegi concessi da Leone XII agli Oblati di Maria Vergine, i quali alla loro volta avevano avuti per comunicazione quelli dei Redentoristi[75].
Nell'adunanza capitolare del 27 giugno Don Bosco potè annunziare essere stato steso il decreto dei privilegi per comunicazione non più con gli Oblati, ma con i Redentoristi; il decreto, visto e letto da Don Dalmazzo, contenere magnifici elogi della Congregazione Salesiana; esservi compresa l'esenzione dalla giurisdizione vescovile; altro non mancare al decreto se non la firma del cardinale Ferrieri, il quale però aveva detto che, se il Papa così voleva, egli se ne lavava le mani.
Ma perchè non più la comunicazione con gli Oblati? Vi era stato un retroscena dilatorio, riuscito però a vantaggio di Don Bosco. In un primo tempo il segretario Masotti, non certo di suo capo, aveva negata, presente Don Bosco, l'esistenza stessa degli Oblati; ma gli archivi diedero la risposta. Allora viste le insistenze del Papa perchè la si finisse una buona volta con gl'indugi, monsignor Masotti osservò al Santo Padre che gli Oblati non avevano privilegi particolari, ed era vero, come abbiamo accennato or ora.
- E con questo? ribattè il Santo Padre. Fate un decreto simile a quello che essi hanno.
- Ma gli Oblati non hanno che la comunicazione con i Redentoristi.
- Ebbene, voi fate un decreto che comunichi ai Salesiani i privilegi dei Redentoristi.
La resistenza non poteva essere spinta più oltre. Si domandarono tutti i libri dei loro privilegi ai Redentoristi; ma ci volle tempo, perchè il Generale era assente. Ritornato che fu, essendo affezionatissimo a Don Bosco, ne diede subito copia. [140]
Monsignor Segretario si mise prontamente all'opera e perchè il Prefetto non potesse muovere obbiezioni, stese il decreto, che concedeva genericamente ai Salesiani tutti i privilegi dei Redentoristi, senza indicarne veruno in particolare. Il decreto così redatto conteneva quegli elogi della Congregazione, dei quali Don Bosco aveva parlato ai capitolari; ma il Ferrieri, quando lo lesse, diè di piglio alla penna e li cancellò di netto, facendo aggiungere il periodo, col quale si toglievano alla Congregazione tutte le concessioni e privilegi dati ad tempus o per iscritto o vivae vocis oraculo. Clausola superflua, perchè tali favori erano già scaduti. Così asciutto asciutto il decreto venne spedito a Torino[76].
Erano le sei pomeridiane del 9 luglio, quando in piena serenità di cielo scoppiarono a brevissimo intervallo sull'Oratorio quattro fulmini, accompagnati da tali rombi di tuono che l'Oratorio intero traballò come se dovesse crollare. Tutti in casa rimasero esterrefatti. Chi scappava di qua, chi di là; alcuni corsero a rifugiarsi presso l'altare di Maria Ausiliatrice. Un giovane che portava dei libri, per la scossa e il fragore precipitò giù da una scala che mette nelle stanze sopra la chiesa. L'ultimo schianto fu qualche cosa di terrifico. Don Bonetti, infermo a letto, chiamò più volte Don Lemoyne, che stava nella camera vicina. Questi accorse, ma dopo qualche minuto, perchè quel finimondo gli aveva impedito di udirne subito la voce.
- Senti, senti che fracasso! disse Don Bonetti a Don Lemoyne, appena lo vide. Non mi par cosa naturale. Il diavolo deve avere qualche grossa rabbia da sfogare. Scommetterei che in questo istante il cardinale Ferrieri sottoscrive il decreto della comunicazione dei privilegi con i Redentoristi.
- Fosse vero! rispose Don Lemoyne. È una quindicina [141] d'anni che Don Bosco fatica e soffre per ottenerli. Sembrava proprio che tutto congiurasse contro.
- Vedrai che non sbaglio, replicò Don Bonetti.
- Sarebbe bella che tu fossi profeta. Che consolazione per Don Bosco!
Risero e non aggiunsero altro. Poi Don Lemoyne volle andare da Don Berto, segretario di Don Bosco, per manifestargli l'idea di Don Bonetti. Fece tuttavia le viste di non andarvi solo per questo; onde prese una lettera con l'intenzione di chiedergli schiarimenti sulla risposta da farsi. Bussò due volte alla porta, ed eccolo venir fuori spazientito, come chi è tolto da un'occupazione molto interessante, e dirgli concitato: - Che cosa si vuole da me? Ho da fare. Questo tempo indiavolato non mi lascia nemmeno leggere il decreto. - Teneva infatti nella mano un foglio, volgendolo e rivolgendolo da una parte all'altra senza guardare in faccia l'importuno.
- Che decreto? chiese Don Lemoyne, tutto sorpreso.
- Il decreto della comunicazione dei privilegi.
- Si, sì, il decreto firmato Ferrieri.
- Ma io trasècolo. Quand'è arrivato?
- Pochi minuti fa. Darlo in mano a Don Bosco e scoppiare il primo fulmine fu un attimo solo. Don Bosco tentò di leggerlo, ma non potè. Le finestre erano aperte e i primi tre fulmini strisciarono quasi nel vano di esse. Io presi Don Bosco per un braccio e traendolo nell'altra stanza, gli dissi: Venga via; non vede che qui è in pericolo? Sembra che questi fulmini cerchino lei. E mentre Don Bosco si avviava, ecco scoppiare il quarto: la striscia di fuoco parve protendersi fino al tavolino, sul quale era stato posto il decreto. Don Bosco, troppo commosso, non potè rimettersi subito a leggerlo; io adesso cercava dì decifrare la scrittura e non ci riusciva.
- Vieni, vieni, gli disse Don Lemoyne fuori di sè; andiamo da Don Bonetti. [142]
Nell'andare gli narrò il dialogo tenuto pocanzi. Entrati nella sua camera, gli contarono l'accaduto con quelle esclamazioni di meraviglia che è facile immaginare. Don Bonetti allora, in preda a vivo entusiasmo, disse a Don Lemoyne: - Ricordi il sogno dei quattro tuoni e della pioggia di spine, di bottoni, di fiori e di rose? Quel sogno Don Bosco lo fece quattro anni or sono! Prendi il portafoglio che io tengo nella mia veste e dammelo.
Avutolo, si assise sul letto, cavò fuori un cartoncino, ed: - Ecco qui, esclamò leggendo. Don Bosco fece il sogno nel 1880, nella notte dall'8 al 9 luglio, che vuol dire la notte scorsa, e il giorno 9, quattro anni a oggi, alle sei pomeridiane lo narrò in Capitolo[77].
L'allegrezza e la commozione di quei tre erano al colmo, e si dicevano l'un l'altro: - Come negare la protezione di Maria Santissima? -Don Lemoyne la sera stessa, imbattutosi in Don Notario, gli narrò il fatto, e Don Notario: - Adesso capisco, esclamò, perchè al quarto colpo di fulmine tutta la sala della biblioteca, dov'io mi trovava, si riempi d'un odore di zolfo e d'un caldo così soffocante, che fui costretto a uscire! -La biblioteca dell'Oratorio comunicava per una porticina interna con la camera di Don Bosco.
Don Lemoyne scrive[78]: “Parrà strana questa coincidenza di fulmini con un decreto a noi favorevole, ma pure è in perfetta armonia. Quel decreto poteva dirsi una carta strappata quasi per forza. Senza l'intervento di Leone XIII, Don Bosco non avrebbe mai veduto pago il suo voto. - Lo voglio! aveva detto il Pontefice. Lo voglio! Voglio che Don Bosco sia appagato. - Ma quante umiliazioni e quante ripulse il Venerabile aveva dovuto tollerare per dieci anni! Noi lo vedemmo piangere, quando pareva che avessero a svanire ancor una volta le concepite speranze, e fu allora che l'udimmo esclamare: - Se avessi saputo prima che costava tanti dolori, fatiche, [143] opposizioni e contraddizioni il fondare una Società religiosa, forse non avrei avuto il coraggio di accingermi all'opera! ”.
Alla meschinità della forma Don Bosco non badò gran fatto, pago del contenuto. “Ho ricevuto il decreto sui nostri privilegi, scrisse subito il giorno dopo al Procuratore. Mancano le frange, ma la sostanza c'è tutta, e se vedi Monsignor Masotti fagli umili ringraziamenti da parte mia e di tutta la nostra Congregazione ”. Egli ormai poteva veramente intonare il suo Nunc dimittis. Infatti, a cose finite, le sue parole furono[79]: - Ora non ho più altro da desiderare, e prego il Signore che mi pigli con sè. - Purtroppo la sua vita volgeva al tramonto. Campò ancora tre anni e mezzo, che furono anni di sofferenze fisiche; ma brillò in esse più luminosa la sua santità.
COLORO che avvicinarono Don Bosco negli ultimi anni della sua vita, lo vedevano costantemente assistito o accompagnato da un giovane chierico, alto della persona, distinto nei modi, dall'aria aperta e gioviale. Era il chierico Carlo Maria Viglietti, torinese, che sembrava nato a fare con il suo buon tratto il servizio di anticamera, resosi estremamente delicato per la qualità e quantità dei visitatori e le condizioni fisiche del visitato, e a sorreggere con il vigore del braccio il cadente vegliardo. Il Santo lo chiamò a sè da S. Benigno il 20 maggio 1884; ma se l'era venuto preparando da lunga data al pietoso ufficio. Nel 1878, vedutolo nel collegio di Lanzo, gli aveva detto che lo voleva seco ripetendogli poi la stessa cosa due anni dopo. Un giovane intelligente e sensibile che tali parole udiva dalle labbra di Don Bosco, non se ne scordava più, ma guardava ansioso nell'avvenire, fantasticando sul loro avveramento.
Più chiaro gli spiegò il suo pensiero nel 1882, quando, compiuto il corso ginnasiale e conseguita la licenza, lo invitò agli esercizi spirituali che si facevano in preparazione all'ingresso nel noviziato. Durante quelle vacanze, mentre gli altri ascritti furono mandati a passai e un paio di mesi nel collegio di Borgo S. Martino, egli venne da Don Bosco ritenuto presso di sè [145] a Torino e incaricato di alcuni lavori, fra i quali una carta geografica della Patagonia. Il giovane trascorreva ogni giorno un po' di tempo con il caro Padre, che gli raccontava tante cose, compresi i suoi sogni. Erano confidenze che lo incantavano. Poi durante il noviziato di quando in quando gli faceva scrivere, inviandogli pure qualche regaluccio. Ammessolo nel 1883 alla professione perpetua, non volle che andasse con i compagni a Lanzo nell'estate, ma lo fermò nuovamente nell'Oratorio, trattandolo con grande affetto e confidenza. Il chierico lo aspettava di buon mattino davanti alla porta della camera, lo accompagnava in chiesa, gli serviva la Messa all'altare di S. Pietro e durante il giorno rimaneva in anticamera regolando le udienze. In tutto questo noi dobbiamo vedere una graduale e necessaria preparazione alle parti, che il Viglietti avrebbe dovuto compiere in seguito presso la persona di Don Bosco, quando si sarebbe resa indispensabile un'amorevole, assidua e gravosa assistenza.
Avvicinandosi questo momento, Don Bosco diede al Viglietti uno speciale incarico per la venuta del cardinale Alimonda. Gli affidò lo studio e la cura di allestire una carta topografica dell'archidiocesi, per offrirla al nuovo Pastore come omaggio della Congregazione. Egli vi lavorò con ardore a S. Benigno, tracciando minutamente vie, sentieri, torrenti e segnando il sito di case, cappelle, parrocchie, vicarie. In novembre potè venire a Torino e presentare il dono, del quale tanto il Cardinale che Don Bosco furono soddisfattissimi; questi in particolare si compiaceva assai di vedervi figurare il suo paese e notata la sua casetta nativa. Rinviandolo allo studentato, gli disse: - Vuoi venire a Torino per farmi da sacrestano? - Viglietti, fuori di sè dalla gioia, pur non stimandosi degno di tanta fortuna, gli rispose che sarebbe stato ben felice di servirlo. - Io andrò a Roma, soggiunse Don Bosco, e al mio ritorno trovati qui; sarai il baculus senectutis meae. - Ritornato da Roma il 17 maggio, lo chiamò tre giorni dopo in aiuto di Don Berto e di Don Lemoyne, con l'incombenza [146] individuale di accompagnare lui dovunque si recasse fuori della sua camera.
Ma il fido custode si assunse per proprio conto un'opera supererogatoria e grandemente meritoria: prese a scrivere una cronaca che va dal 20 maggio 1884 al 31 gennaio 1888. Per lo più sono appunti molto sommari e saltuari che tuttavia costituiscono un insieme di notizie quali egli solo poteva raccogliere e registrare. Di qui innanzi noi sapremo farne tesoro. Per conoscere i criteri che lo guidavano e le circostanze in cui scrisse, giova riportare la sua dichiarazione finale. “Questa cronaca, dic'egli, io l'ho scritta colla maggior verità ch'io ho saputo; mi son fatto uno studio di evitare descrizioni inutili, riflessioni, etc. Ho semplicemente esposti i fatti man mano che succedevano o come li aveva uditi dallo stesso Don Bosco o da altri all'uopo nominati. Se avessi errato in qualche cosa, non me se ne farà gran colpa, quando massimamente si consideri che, allorchè si era in viaggio, il molto lavoro impediva per lo più di scrivere di giorno e solo alla notte io poteva prendere qualche appunto Quanto è qui narrato fu scritto da chi non abbandonò mai Don Bosco nè di giorno nè di notte, mentre fu a parte di tutti i segreti di lui; perciò meglio di molti altri potè dire di ciò che succedeva intorno a questo santo uomo ”. Così finisce colla morte di Don Bosco la cronaca.
Il miglioramento della salute di Don Bosco si considerava nell'Oratorio come una grazia della Madonna. Nessuno sapeva dell'arcana apparizione di Luigi Colle; ma si sapeva da tutti quante preghiere si fossero fatte per lui a Maria Ausiliatrice e come avesse cominciato a star meglio proprio nel primo giorno della novena. Si vedeva con piacere che camminava abbastanza speditamente, e i più intimi non ignoravano che il volume del fegato gli era assai diminuito. Sempre tuttavia infaticabile, stimava che quel ritorno di `forze non fosse invito a riposo, ma richiamo a più intenso lavoro. Rivolse dunque subito il pensiero alla prossima conferenza.
Un dovere frattanto gli premette di compiere senza la [147] menoma dilazione, far visita all'Arcivescovo; ma non n'ebbe il tempo. Sua Eminenza, uditone appena l'arrivo, lo prevenne, comparendo all'improvviso nell'Oratorio, dove rimase circa due ore col Santo.
Com'era previdente sempre Don Bosco nelle cose sue! Fin dalla metà di aprile a Roma le modalità della conferenza gli avevano occupata la mente, già da tante cure assediata e oppressa. Il 19 di quel mese faceva scrivere a Don Rua: “Un ultimo avviso a nome del signor Don Bosco. Lascia a te che decida quando debba farsi la conferenza ai Cooperatori ed alle Cooperatrici Salesiane. Se debbano farsene due, una ai Cooperatori e l'altra alle Cooperatrici. Ed allora la prima farsi il giorno 20 di maggio, e la seconda il giorno 23. La chiesa di Maria Ausiliatrice sarà prescelta per questa adunanza. L'ora sarebbe le 4 pomeridiane. Decidi e fa stampare nel Bollettino ”.
La conferenza fu unica e nella chiesa di Maria Ausiliatrice. L'invito, mandato da Don Bosco alcuni giorni avanti, attirò al santuario non meno di duemila persone, fra cui signori e signore francesi. Il suo discorso, così semplice nella sostanza, scendeva sull'attento uditorio come pioggia calma e benefica sulle aiuole assetate di un giardino[80].
Io vi parlo con molto piacere in questo giorno, sia per le cose che debbo dirvi, sia perchè quest'anno vi parlo nella chiesa di Maria Ausiliatrice. Ed è cosa veramente dolce parlare ai Cooperatori e alle Cooperatrici in questo luogo, che possiamo chiamare casa di Maria e casa che Ella medesima si è edificata: aedificavit sibi domum Maria. Io voglio appunto intrattenere la vostra pietà, e così aiutarci a vicenda a celebrare divotamente la festa di Maria Ausiliatrice, col mostrarvi le grazie fatte da lei in principio a, quelli che contribuirono a innalzare e ornare questa sua chiesa.
Quando si cominciò l'edificazione, mancavano i mezzi materiali. Si dovevano pagare gli operai, e Don Bosco non aveva danari. Ed ecco che una s ignora per consiglio di lui, si raccomanda a Maria, e Maria la risana prodigiosamente. La signora per riconoscenza offre ad onore [148] della Madonna il denaro necessario a pagare la prima quindicina agli operai. Altri vengono a cognizione di questo fatto, invocano anch'essi Maria con promessa d'offerta per la sua nuova chiesa, e ottengono grazie straordinarie. Allora comincia una serie non più interrotta di guarigioni da gravi malattie e giungono da ogni parte offerte per grazie ricevute o da riceversi, e si vide così questa chiesa elevarsi di giorno in giorno come per incanto.
Innalzata che fu, si trattava di ornarla, e Maria Ausiliatrice provvide anche a questo. Voi, per esempio, vedete qui l'altare di S. Pietro; e come mai se ne pagarono le spese? Vi rispondo. Una pia matrona romana malata si raccomanda a Maria, guarisce miracolosamente, e tosto scrive che a suo conto si eriga nella chiesa di Lei un altare, e l'altare fu eretto, ed è quello di S. Pietro. Un poco più in là ve n'è un altro dedicato ai santi Martiri torinesi Solutore, Avventore e Ottavio della legione Tebea, e a S. Arma, e chi lo fece innalzare? Un'altra signora di Roma favorita anch'essa di una grazia segnalata per intercessione dì Maria. Si trovava pure gravemente inferma, promette di fare costruire il detto altare e tosto ricupera la sanità. Dall'altra parte in fondo vi è l'altare del Sacro Cuore ed esso pure ci ricorda una grazia ottenuta da una persona di Milano, che in segno di riconoscenza ne sostenne la spesa. All'altare di S. Giuseppe troviamo la costruzione, la balaustrata, il quadro, frutti anch'essi di copiose grazie e benedizioni ottenute allo stesso modo. Il pavimento della chiesa, il pulpito medesimo dal quale io vi parlo sono effetto di una grazia ricevuta. Dono di benemeriti oblatori in ossequio a Maria Ausiliatrice è la statua di rame che sta sulla cupola; dono e lavoro d'un maestro falegname è l'orchestra. E se volessimo far passare tutte le parti e gli ornamenti di questa chiesa, come segni di favori ricevuti, non la finiremmo più; giacchè le colonne, le volte, il tetto, ogni pietra, ogni mattone ed ogni ornato si può dire che è una grazia di Maria.
Nella sacrestia poi vi è una quantità di quadretti, che sono prove di altrettante grazie. Voi vedete là una madre che ha il figlio scampato dalla morte; uno liberato da forte male dì denti; una pericolosa caduta impedita, e simili. E io stesso sono obbligato di dirvi i particolari che riguardano la mia persona. Avrete saputo che da qualche tempo era molto, cagionevole di salute e come impotente a lavorare. Ebbene il 15 del corrente, primo giorno della novena, incominciai a star meglio; il miglioramento crebbe di giorno in giorno, e adesso, in grazia di Maria, mi trovo bene come molti anni fa.
Se poi convenisse alzare un velo e manifestare le grazie spirituali ottenute ai suoi divoti, quale magnifico inno potremmo cantare in onore della potentissima Vergine Ausiliatrice! Vi sono mogli che hanno avuto i proprii mariti ricondotti a sani consigli; padri e madri che videro la loro figliuolanza da indocile ritornare ubbidiente, peccatori e [149] peccatrici che piansero i loro peccati, fecero una buona confessione e cominciarono a condurre una vita esemplare.
Ma voi, benemeriti signori, mi direte: perchè mai questa esposizione di fatti e di grazie nella vigilia della festa di Maria Ausiliatrice? Rispondo: per eccitarvi tutti a confidare nella sua bontà e potenza, e affinchè sappiate il mezzo da usare per ottenere grazie più facilmente. Questa Madre celeste tiene già le grazie preparate per noi, e vuole solamente che gliele domandiamo e che promettiamo di aiutare e promuovere quelle opere che tornano a gloria di Dio, a onore di Lei e a vantaggio delle anime, specialmente della povera gioventù, come fanno i Cooperatori e le Cooperatrici. Io sono certo che tutti quelli di voi, che domanderanno grazie a Maria, le otterranno, purchè, ben inteso, non si oppongano al bene dell'anima.
Domani qui si pregherà molto per voi, che siete i nostri benefattori e benefattrici, e non solo domani, ma in questa chiesa si prega per voi incessantemente. Ogni giorno sin dalle prime ore del mattino più centinaia di giovani si raccolgono qui, recitano la terza parte del Rosario, ascoltano la santa Messa, e molti giovani e adulti si confessano e si accostano alla santa comunione. Alle ore sette e mezzo più altre centinaia di giovani fanno lo stesso; poi ad ogni ora chi viene a fare la visita al Santissimo Sacramento e a Maria Ausiliatrice, chi a fare la meditazione e la lettura spirituale, chi a raccomandare le persone che ordinarono preghiere per grazie di ogni genere; quindi dal mattino per tempo fino alla sera tardi le pratiche di pietà vi continuano senza interruzione. Ora tutte queste preghiere sono dirette particolarmente a implorare le benedizioni del Cielo sui nostri benefattori e sulle nostre benefattrici d'Italia, di Francia, di Spagna e d'America e di qualunque altra parte del mondo. E io credo che in riguardo di tante preghiere che qui Le si innalzano, Maria prosegua a spandere le sue benedizioni, che di anno in anno si fan sempre più copiose.
Io debbo dirvi ancora che Maria Santissima concede grazie non solo qui e a coloro che la vengono a pregare in questo luogo, ma ne concede anche altrove. Già prossimo alla fine dei miei giorni, io godo immensamente nel vedere che invece di scemare i favori di Maria aumentano ogni giorno e per ogni parte. Aumentano in Italia, in Francia, nella Spagna, nel Portogallo, nel Belgio, in Russia, in Polonia, in Austria, nella Repubblica Argentina, nell'Uruguay e nella Patagonia. Tutti i giorni ora da questa ora da quella contrada anche lontanissima si ricevono lunghe esposizioni di grazie straordinarie, ottenute ad intercessione di Maria Ausiliatrice. Ed i Cooperatori Salesiani e le Cooperatrici sono gli strumenti, di cui si serve Iddio per propagare sempre più la sua gloria e la gloria della sua Madre. Voi tutti ne dovete essere contenti e intanto riporre la più grande fiducia nel patrocinio di Maria.
Ho voluto esporre in breve queste cose per non dilungarmi troppo e per non abusare della vostra cortesia. Tuttavia vi aggiungo ancora [150] che sono stato a Roma e ai piedi del Santo Padre Leone XIII, il quale parlò dei Cooperatori Salesiani e disse che li benediceva di cuore e che ogni giorno prega per loro. Ripetè che intende essere non solo Cooperatore, ma primo Operatore, perchè, disse, i Papi devono sempre essere a capo di tutte le opere di beneficenza, allora specialmente quando queste hanno di mira il bene della povera gioventù. Avendo saputo i considerevoli lavori che si erano fatti e quelli che rimangono a farsi per la costruzione della chiesa del Sacro Cuore di Gesù a Roma, ha voluto assumersi l'incarico di fare costruire a suo conto la facciata della chiesa medesima, che importa una spesa notevolissima. Egli desidera pure che accanto alla chiesa si fondi un ospizio, e già vi abbiamo posto mano. Ma perchè, mi domanderete, un nuovo ospizio in Roma, dove ce ne sono già tanti? Vi risponderò che per lo più gli istituti già esistenti in Roma per il loro scopo e per l'atto di loro fondazione esigono che i giovani abbiano certe condizioni, per le quali molti non possono esservi ricevuti; gli uni esigono, per esempio, che i giovani siano romani, gli altri che appartengano a determinate città e nazioni, e poi la maggior parte per la condizione dei tempi e delle cose si sono fatti insufficienti al bisogno. Ora il Papa vuole un istituto veramente cattolico, tale cioè che raccolga i poveri giovani pericolanti non solo romani e italiani, ma francesi, tedeschi, spagnuoli e di qualunque nazione e condizione essi siano, purchè si trovino in pericolo o dell'anima o del corpo. Il Santo Padre desidera e desidera molto quest'opera, e perciò la raccomanda caldamente e benedice i Cooperatori e le Cooperatrici che vi concorrono colle loro limosine.
Egli udì pure con molta soddisfazione a parlare della chiesa di S. Giovanni Evangelista in Torino. Accanto a questa chiesa dedicata all'Apostolo della carità occorreva anche un ospizio, perchè si potesse dire: Ecco la carità in pratica, ecco come si onora l'Apostolo della carità. L'ospizio fu da noi incominciato, vi si lavora e si sta compiendo, e spero che di quest'anno sarà terminato, e lo avremo presto ripieno di giovani. All'udire ciò il Sommo Pontefice conchiudendo disse: - Se vogliamo una società buona, dobbiamo far convergere tutti i nostri sforzi nell'educare cristianamente la gioventù, che fra breve formerà la umana generazione. Se essa sarà bene educata, avremo la società domestica e civile costumata; se male, la società andrà ogni dì peggiorando ed i figli dovranno nella virilità lamentare la cattiva educazione loro impartita dai parenti, se pure non avranno a maledirne la memoria. - Questi sono i sentimenti espressi dal Vicario di Gesù Cristo, che fini con l'impartire a tutti la sua apostolica benedizione.
Intanto per meritare una speciale protezione da Maria Ausiliatrice e corrispondere al vivo desiderio del Santo Padre, ognuno di voi veda di fare quello che è in suo potere a vantaggio dell'ospizio dei Sacro Cuore in Roma e di quello di S. Giovanni in questa città. La vostra carità giova alla civile società, alle famiglie cristiane e, diciamolo [151] pure, anche alle non cristiane; perchè se non altro mediante la carità vostra si avranno uomini bene educati e istruiti, si avrà la pace in famiglia, e il padre e la madre e i parenti si vedranno meglio corrisposti dai figliuoli, che invece di essere il loro flagello diverranno la consolazione e il sostegno della loro vecchiaia.
Dirò di più la vostra carità gioverà a tutti voi e ai vostri cari, perchè Dio, mantenendo la sua promessa, ve ne darà il centuplo in questa vita e un premio eterno nell'altra.
Domani io intendo di celebrare la santa Messa per invocare sopra di voi, sopra dei vostri parenti, sopra i vostri interessi spirituali e temporali le benedizioni più elette, e per ottenere la grazia più bella e importante di trovarci un giorno tutti insieme in Paradiso a lodare e a godere Iddio con la nostra dolcissima Madre Maria Ausiliatrice.
Don Bosco aveva parlato con vigoria non più solita; anzi, disceso dal pulpito, disse che si sarebbe sentito di predicare ancora a lungo. Mercè tale benessere potè sostenere le fatiche arrecategli dalla solennità.
Nel giorno della festa si videro addensarsi nel tempio e nelle sue adiacenze turbe di fedeli, venuti anche da luoghi remoti non solo d'Italia, ma dell'estero. Il Cardinale Arcivescovo e il suo ausiliare monsignor Bertagna compierono le sacre funzioni con gran giubilo del Santo, che poteva finalmente dare alle cerimonie il massimo splendore liturgico. L'Unità Cattolica del 27, poichè molto in quei giorni si parlava dell'Esposizione apertasi di recente a Torino, definì la festa un'esposizione cattolica per l'affluenza del popolo accorso, per la singolare pietà manifestata, per la magnificenza del culto e degli apparati, per la sceltissima musica eseguita. L'articolo terminava così: “Noi vorremmo chiudere questa qualunque relazione con una lode a colui, che è il principale promotore di feste sì splendide in Torino, e sì atte a tenere accesa tra noi la fede e a ravvivare la pietà cristiana; ma quale encomio sarebbe pari all'opera sua? Invece delle lodi di poveri giornalisti, Don Bosco si abbia la stima, la venerazione, l'affetto dei Torinesi; si abbia la protezione della Vergine Ausiliatrice; si abbia la lode, la benedizione, il premio da Dio, alla cui gloria ha consacrata la vita ”. [152]
Dio solo infatti poteva misurare la copia dei frutti spirituali che lo zelo del Santo produceva nelle anime per mezzo di celebrazioni così solenni. N'è prova una scena svoltasi la mattina del 24 sotto gli occhi di parecchi testimoni. Verso le otto, mentr'egli secondo il solito confessava i giovani dell'Oratorio nella sacrestia, entrò un signore sulla trentina, si piantò vicino alla parete di fronte e stava là ritto a guardare come i piccoli penitenti passassero uno dopo l'altro a confidare i propri segreti al padre delle loro anime. L'atteggiamento dell'uomo richiamò l'attenzione ed anche la vigilanza di sacerdoti addetti al servizio del pubblico. Lo sconosciuto dava segni d'inquietudine e di agitazione; poichè talora faceva qualche passo in su e in giù e quindi ripigliava il suo posto di osservazione. Venuto a restar libero da una parte l'inginocchiatoio accanto a Don Bosco, egli vi si appressò, ma tenendosi in piedi. Il Santo, visto che non si allontanava, gli domandò che cosa volesse.
- Se non ha da confessarsi, si ritiri e lasci che vengano altri.
Ma sembrava che colui non si potesse ritirare, quasi una forza interna lo tenesse là inchiodato. Don Bosco per non perdere tempo si voltò dall'altro lato, e confessò l'ultimo giovane. E l'altro non si moveva. Ce n'era abbastanza per capire che doveva essere un'anima perseguitata dalla grazia di Dio. Il Santo con gesto dolce e risoluto gli fe' cenno d'inginocchiarsi. Quegli come automaticamente obbedì. Che sia succeduto fra Don Bosco e quel signore, a Dio solo è noto. Gli astanti lo videro alzarsi molto commosso e con occhi lacrimosi, e qualcuno lo udì esclamare: - É la Madonna che mi ha condotto qui! -Entrato poi nella chiesa, vi stette un bel pezzo in preghiera, alzando spesso lo sguardo alla benedetta immagine della Vergine Santissima. [153]
Quanti venivano a implorare per sè o per altri favori temporali! Durante la novena a Montemagno il giovinetto tredicenne Giovanni Vaira ricuperò quel benessere fisico che tuttora lo accompagna, sacerdote salesiano, nella Patagonia, e di cui venne qui a impetrare la grazia da Maria Ausiliatrice per la mediazione di Don Bosco. La minaccia partiva dal piede sinistro che lo torturava acerbissimamente. I medici per quattro mesi lo sottoposero a varie cure, ma senza alcun pro. La magrezza generale l'aveva ridotto uno scheletro. Portato dalla madre a Torino, si sentì dire che urgeva amputare la gamba. Madre e figlio si ribellarono. Una buona signora, impietosita, disse alla donna: - Perchè non portate il vostro figlio da Don Bosco a farlo benedire? Tutti i giorni ci vanno tanti ammalati e guariscono. - Il consiglio fu ascoltato. Don Bosco domandò al giovanetto se voleva bene a Maria Ausiliatrice. - Sì, rispose egli. Allora il Santo gli diede la benedizione e gli prescrisse di fare la novena, promettendogli di pregare per lui. La novena non era ancora finita, che del male non esisteva più se non il ricordo. Nel benedirlo Don Bosco gli aveva detto che un giorno sarebbe stato de' suoi figli; la qual cosa si avverò qualche anno dopo.
Mentre a Torino tanto fervore di popolo cercava Don Bosco e la sua Madonna, in una città meridionale accadeva uno di quei fatti che ben possiamo ricordare come segno dei tempi. A Capua un'ispettrice scolastica, visitando un'educandato diretto da suore, scoperse che vi si era adottata la Storia d'Italia di Don Bosco. Indignata come per grave scandalo, denunziò il fatto, nè si dette pace finchè non ricevette l'assicurazione che il libro sarebbe presto bandito dalla scuola. “Don Bosco, scrisse allora un giornale del luogo[81], è un sacerdote di Torino che da tempo ha con larghe oblazioni di dame benefattrici in quella città fondato un orfanotrofio. E per questa parte lode a lui. Ma per la Storia d'Italia da lui [154] messa alle stampe non vi sarebbe pena che gli potrebbe convenire ”. La giustificazione di si draconiana severità si fondava sopra un triplice reato commesso con quel libro: apologia dei Borboni, difesa del potere temporale dei Papi e avversione a ogni sentimento di libertà. Spiaceva immensamente al giornalista vedere dal Tommaseo raccomandata alle scuole “l'infamia ” di un libro siffatto e per iscagionarne il fiero dalmata ricorreva alla doppia ipotesi che o egli avesse avuto le traveggole o la sua “commendatizia” fosse “un mero e fraudolento ritrovato del Don Bosco ”. Educare la gioventù con i principii ivi contenuti essere un preparare all'Italia “una generazione di vipere ”. Le vipere già c'erano purtroppo! Buon per l'Italia che Don Bosco spendeva la sua esistenza in apprestare contravveleni.
Passate le feste, egli si diede attivamente alla cura della lotteria romana, approvata, come si accennò, il 27 maggio. Diramò per prima cosa la seguente circolare.
La bontà grande, con cui avete più volte concorso per edificare una chiesa al S. Cuore di Gesù in Roma al Castro Pretorio, mi fa sperare che vi tornerà gradito un cenno intorno ai lavori fatti ed altri tuttora da farsi.
A voi è già noto che tanto la chiesa quanto l'ospizio in costruzione accanto alla medesima debbono ricordare le glorie di Pio IX e presentare ai cattolici un monumento di fede. Vi è noto parimenti che il compimento di quest'opera fu dal Papa Leone XIII affidato ai Cooperatori Salesiani. Essi accettarono il glorioso incarico; fu comperato un sito sufficientemente spazioso per costrurre la chiesa ed un orfanotrofio; con dispendio non ordinario si effettuarono gli scavi, e, affrettando i lavori, in pochi anni si portò ad un bel punto la fabbrica, e si compierono i lavori del coro e del presbitero.
L'Eminentissimo Cardinale Vicario, considerata la grande difficoltà, in cui si trova quella numerosa popolazione per compiere i religiosi doveri e far istruire la sua figliuolanza, si recò nel giorno 23 dello scorso marzo a benedire il già preparato edifizio, ed ora più migliaia di fedeli sono in grado di assistere ai divini uffizi e compiervi le loro pratiche di pietà.
Il giorno 9 del corrente maggio io aveva la bella sorte di prostrarmi ai piedi del Vicario di Gesù Cristo, e il Santo Padre si compiaceva di ascoltare i particolari della pia impresa, ne dimostrò grande soddisfazione, [155] lodò la carità degli oblatori; ma restò non poco sopra pensiero, quando intese che eransi dovuti rallentare i lavori per la mancanza di mezzi materiali. -Andate avanti, Egli mi disse, la pietà dei fedeli non vi mancherà; studiate il modo di far conoscere la necessità di questo sacro edifizio; notate il bisogno che vi ha in Roma di un ospizio pei giovani poveri, provenienti da qualunque parte del mondo, cui avvenga trovarsi abbandonati in questa città, ed avrete degli aiuti.
In quel momento io ho potuto segnalare il generoso concorso che ci pervenne da varie nazioni; ho promesso che a nome di Sua Santità avrei fatto nuovo appello alla pubblica beneficenza, e a tale effetto dimandava pei nostri benemeriti oblatori una speciale benedizione.
Sua Santità sensibilmente intenerita soggiunse. - Di tutto buon grado impartisco l'apostolica benedizione a tutti i Cooperatori, a tutti i benemeriti oblatori. Io non mancherò di pregare per loro ogni giorno nella santa Messa; pregherò per la pace tra le loro famiglie, per la prosperità nei loro interessi temporali, e per la buona riuscita nella cristiana educazione della loro figliuolanza.
Proseguendo il suo discorso, il Sommo Pontefice aggiunse: Siccome poi il Santo Padre deve non solamente cooperare, ma operare, così a questa impresa intendo di concorrere io pure materialmente. Perciò, a malgrado delle strettezze finanziarie in cui mi trovo, io mi assumerò tutte le spese che occorrono per la facciata di quel sacro edifizio. Le mura, gli ornamenti, le finestre, le tre porte saranno a carico mio. In questo modo conoscerà il mondo come il Capo della Chiesa propaga e sostiene la religione, e non mai si rifiuta di prendere parte alle opere, che tornano a vantaggio della civile società, specialmente della porzione più eletta del genere umano, della gioventù, verso cui i Sommi Pontefici hanno sempre prodigato e tuttora prodigano le più sollecite cure. Ho pertanto fiducia che altri e poi altri cattolici, seguendo il mio esempio, verranno generosi in nostro aiuto per compiere questa ed altre opere di beneficenza a maggior gloria di Dio ed a salute delle anime.
A queste amorevoli parole del S. Padre ho procurato di rispondere con sinceri ringraziamenti, assicurandolo che noi tutti innalzeremmo preghiere a Dio pel bene di Santa Chiesa, ed avremmo raddoppiato di ardore a fine di cooperare a compiere ed a sostenere le opere che l'inesauribile carità del Papa raccomanda e promuove.
Dal canto mio, o benemeriti Cooperatori, mentre vi professo la mia più profonda gratitudine, non cesserò di pregare per voi, e di far eziandio pregare i giovinetti da voi beneficati, a fine di ottenervi vita felice nel tempo e felicissima nella eternità.
Questa circolare, che fu riprodotta dai giornali cattolici[82], preludeva all'invito ch'egli avrebbe rivolto ai Cooperatori e alle Cooperatrici, perchè lo aiutassero nello spaccio dei biglietti; al quale scopo ne spedì a ciascuno un pacco da ritenere per sè o da distribuire, con preghiera di ritirare e inviare a lui il prezzo. Inoltre non dava tregua al Procuratore.
Prendi visione delle due unite lettere e poi o portale o mandale tosto a destinazione. Le cose sono di massima premura. Tutto è pronto per la spedizione dei biglietti, ma mandateceli.
Noi preghiamo tanto per tutte le nostre promotrici, e domandiamo incessantemente il centuplo della loro carità.
Omnibus confratribus nostris in Domino salutem dicito.
Le “cose di massima premura ” erano domande di onorificenze, delle quali gli scriverà[83]: “Per noi sono importanti cambiali pel Sacro Cuore ”. Ossia, come si esprimerà ancor più tardi[84]: “Capisco che abbiamo debiti e dobbiamo adoperarci con tutti i mezzi pel continuare i lavori; ma presentemente l'unica sorgente di danaro sono le decorazioni sopra notate ”.
Chiamò pure in soccorso i Direttori salesiani, e in che maniera li stimolasse a cooperare, si vede da questo biglietto al Direttore del collegio di Este.
Come Collettore devi farti aiutare dalle famiglie di conoscenza, specialmente dalle Signore che promuovano sottoscrizioni anche di piccole somme; gli istituti, gli allievi ed allieve; e fare in modo che ogni individuo dì collegio comparisca scritto con qualsiasi offerta.
Non bastando il foglio timbrato se ne prendano altri anche senza timbro. -Vale.
Un aiuto principale e costante alle opere di Don Bosco proveniva sempre dalla carità di persone non solo poco agiate, ma povere. Se tutto fosse possibile documentare, si toccherebbe con mano, quanto risponda alla realtà quel detto: Guai ai poveri, se non vi fossero poveri! Un'umile cameriera, nativa di Reggio Emilia e a servizio in Novara, avendo forse dai padroni sentito parlare della lotteria, scrisse a Don Bosco il 30 luglio: “Voglio anch'io concorrere con un mese del mio salario a sollevare altri miei pari, accusando di aver ricevuto N. 20 biglietti della serie A, facendo tenere alla S. V. Rev.ma l'importo di lire 20 qui inchiuse in lettera raccomandata”. Questa fantesca si chiamava Angela Duri e serviva in casa Duelli. Nella lettera ricordava di essere stata allevata in patria dalle Suore di Carità con le caritatevoli elargizioni dì benefattori; ecco in qua) senso mirava al sollievo di altri suoi pari.
I doni esposti raggiunsero la cifra di 5700, come risulta dall'elenco stampato. Papa e Re vi stavano l'uno presso l'altro. Leone XIII aveva donato un ricco medaglione in oro con undici perle orientali e cammeo rappresentante le sue sembianze; Umberto I un grandioso ed elegante vaso in ceramica. La Regina Margherita mandò un vaso eguale; il Cardinale Vicario due eleganti forzieri cinesi in mogano con ornamenti di metallo e due serrature di genere cinese; il cardinale Nina un ricco anello d'oro con cammeo rappresentante Nerone, contornato di diamanti ed un elegantissimo libro di preghiere con preziose miniature; il cardinale Consolini un gran vaso di porcellana con fiori e fregi dorati e statuetta in biscuit[85] rappresentante la primavera; il cardinale Bonaparte un elegante breviario, il Kedivé d'Egitto un ricchissimo braccialetto d'oro con grossa lettera I in brillanti e turchesi e una graziosa collana d'oro con ciondolo di smeraldi e brillanti con pietre preziose; la principessa Bianca d'Orléans una tavola a olio in [158] stile bizantino con bella cornice rappresentante S. Chiara, dipinta da lei stessa. Abbondavano anelli, orecchini, braccialetti, collane d'oro di esimio lavoro e con pietre preziose incastonate. Un comitato di dame promotrici, presieduto dalla contessa Della Somaglia, come' aveva cooperato nella preparazione, così si adoperava al buon esito della lotteria[86]. Queste sono le “promotrici ” accennate da Don Bosco nella lettera a Don Dalmazzo.
Seguendo passo passo il nostro Santo nel declinare degli anni, non potremo più narrare a lungo di lui senza soffermarci ogni tanto a dire della sua salute. Il cambiamento in meglio perdurava, ma fino a quando si sarebbe mantenuto? A prevenire una facile ricaduta, cedeva alle insistenze dei medici e de' suoi figli, rallentando un pochino, la sua operosità e concedendosi verso sera un'oretta di passeggio. Gli andavano ai fianchi Don Lemoyne e il chierico Viglietti. Lento lento era il suo camminare. Si prendeva per il viale di Rivoli, per quello Regina Margherita, per il corso Valdocco o per via Cottolengo, arrivandosi talora fino alla barriera di Lanzo. Don Bosco si dilettava a contemplare i fiori campestri e a classificare, toccandole col suo bastoncino, le varie specie di erbe. Allora non sorgevano tante case nei dintorni, ma s'attraversavano ancora campi e prati. Egli voleva andare sempre a piedi. Invitato a servirsi di carrozza almeno per uscire dalla città e poi, passeggiare [159] all'aperta campagna, rispondeva che i poveri non vanno in carrozza. Più tardi glie ne furono regalate tre, una dal commendatore Faja e due dal conte Sacchi di Nemours da Casale; ma egli ne vendette due per dar pane ai giovani e si piegò solamente a valersi della terza l'ultimo anno di sua vita, avendogli il medico ordinato il moto e stentandosi da lui a reggersi in piedi. Molti lungo il cammino, riconoscendolo, lo salutavano e lo fermavano, sicchè talvolta veniva circondato da buon numero di persone, specialmente da fanciulli. Spesso la gente s'inginocchiava nella via, costringendolo a benedirla.
Donna Serafina Archini Cauvin fu testimone di queste scene una sera sul viale Regina Margherita[87]. A gruppi gli si avvicinavano i ragazzi, che, da lui benedetti, lo acclamavano con gioia. La persona che le dava il braccio, la consigliava di appressarsi anche lei per vedere se mai la sua benedizione la liberasse dall'artritide che da parecchi anni la tormentava; ma lungo la strada non era facile giungergli a fianco per quei ragazzi che quasi continuamente lo attorniavano. Andò dunque ad aspettalo vicino all'entrata della porteria. Per trascinarsi fin là essa dovette sedersi più di venti volte, tanto stentava a camminare. Il Santo, raggiunta la soglia e pregato dalla signora in ginocchio a benedirla, si fermò, si volse a lei e la benedisse, pronunziando le parole con tanto affetto che le venne da piangere. Ringraziatolo cordialmente, si alzò e si mosse e andava così bene che tornò a casa in un tratto senza sentire alcun dolore.
L'8 giugno, festa della Santissima Trinità, portò una novità nell'Oratorio. Cadeva in quella domenica l'anniversario della prima Messa di Don Bosco, della qual fausta ricorrenza si fece per la prima volta speciale ricordo. Vi fu musica in chiesa, particolare trattamento a mensa, concerto della banda musicale in cortile. Nel refettorio si lessero dai giovani alcuni Complimenti in prosa e in versi. Anche Don Lemoyne rallegrò [160] la festicciuola di famiglia, facendo udire un suo arguto sonetto.
Frammezzo alla corrispondenza di quei giorni, arrivata in scarsa misura fino a noi, troviamo una lettera interessante del rosminiano Padre Flechia e la relativa risposta. Il Santo l'aveva conosciuto chierico nelle vacanze del 1840, allorchè egli suddiacono visitò in compagnia del chierico Giacomelli la Sagra di S. Michele[88]; erano poi rimasti sempre buoni amici. Il suo confratello padre Paoli, che scriveva la vita del Rosmini, cercava attestazioni delle sue virtù da quanti avevano personalmente conosciuto il grande Roveretano; quindi per mezzo del Flechia pregava dello stesso favore anche Don Bosco[89]. Questi diede incarico della risposta a Don Bonetti, tracciandogliene così il tenore in margine alla lettera del padre Flechia: “Don Bosco ha sempre avuto buone relazioni coll'abate Rosmini e co’ suoi figli, come ognuno può vedere dalla Storia d'Italia. Si veda biografia del Rosmini, ecc. ”. Nè si contentò di tali indicazioni; ma volle vedere la minuta di Don Bonetti, la corresse con ogni cura e la ridusse alla forma definitiva. Per questo motivo riferiamo per intero il documento. Senza dubbio egli sarebbe stato più esplicito, se non avesse preveduto che nel vivo delle polemiche il suo scritto sai ebbe stato oggetto di commenti più o meno appassionati da ambe le parti.
Il venerato mio Superiore D. Giovanni Bosco ha ricevuto la lettera della P. V. in data del 12 corrente, nella quale lo prega di una sua attestazione intorno alle virtù dell'illustre loro fondatore e padre, l'Abate Rosmini da lui conosciuto personalmente. Non essendo in grado per la malferma sua salute di risponderle di propria mano, egli lascia a me l'onorevole incarico di esprimerle a nome suo i seguenti pensieri:
D. Bosco ebbe sempre buone relazioni coll'abate Rosmini, ne ammirò le virtù e lo studio come si rileva dalla biografia che D. Bosco stesso scrisse ed inserì nella sua Storia d'Italia raccontata alla gioventù. [161]
La stima poi che egli nutrì pel Padre la professò e professa verso i suoi figli Rosminiani, specialmente verso la P. V., a cui mi dice di fare le più profonde condoglianze per l'incomodo che la incolse; e noi tutti preghiamo Dio che per l'intercessione della SS. Vergine Ausiliatrice la restituisca presto in perfetta salute.
Gradisca, ottimo Padre, i cordiali rispetti del sig. D. Bosco e di D. Rua e mi creda quale ho l'alto onore di professarmi con pienezza di stima.
Di sollievo riusciva a Don Bosco il fermarsi qualche po' di tempo a conversale familiarmente con alcuni de' suoi figli, ai quali raccontava cose occorsegli di recente, ma più spesso amava narrare episodi dei tempi lontani. Così il 16 giugno riferì un fatto importante accadutogli il giorno avanti nella sua camera. Era venuto a fargli visita un nobile signore francese, caldo ammiratore del Servo di Dio, che l'aveva visto ultimamente a Marsiglia sua patria. Bravo avvocato, ma per la tristizia dei tempi ritiratosi dal maneggio degli affari, non tralasciava di patrocinare privatamente la buona causa, massime trattandosi di sostenere le scuole libere; onde il Santo Padre l'aveva fregiato del titolo di Commendatore. Egli dunque parlava con ardore delle sue opere buone e Don Bosco ascoltava con interesse le sue parole, quando questi, fissando amorevolmente lo sguardo su di lui: - Signore, gli disse, questa religione che tanto onoratamente sostiene, la pratica poi? -L'inaspettata interrogazione sconcertò il nobile interlocutore, che si coperse di rossore e di confusione, ma tosto si riprese e a sua volta domandò: - Perchè mi parla così?
- Perchè, rispose Don Bosco, lei mi tratta con tanta familiarità e cortesia, che io crederei di venir meno a un mio dovere, se non la contraccambiassi con questi segni di amicizia e di confidenza.
Quegli allora cercò di deviare il discorso, ma Don Bosco [162] fermo incalzava tenendone intanto stretta la destra fra le sue mani.
- Perchè mi tiene così stretto? domandò.
- E perchè lei vuole svincolarsi? Risponda alla mia domanda: questa religione che tanto difende, la pratica anche?
- Ma lei, signor Don Bosco, ha già letto nel mio cuore, non è vero?
A questo punto Don Bosco sentiva calde calde sulle sue mani le lacrime dell'avvocato, che tra i singhiozzi gli disse:
Glielo confesso, signor Don Bosco, io non l'ho mai praticata; anzi non credevo neppure nella confessione.
- Ebbene, mi dica che d'ora in avanti la praticherà e mi prometta che la prima volta ch'io abbia a incontrarla o a Marsiglia o altrove, mi potrà ristringere la mano e dirmi: Ho mantenuto la promessa.
- Sì, rispose, glielo prometto, anzi aggiungo che, appena arrivato a casa, mi confesserò e subito parteciperò a lei la notizia, e questo sarà fra pochi giorni. Gliene dò la mia parola d'onore... Signor Don Bosco, se tutti i preti fossero corre lei, oh! tutti si arrenderebbero alla religione.
- Se tutti, corresse Don Bosco, si avvicinassero ai preti come fa ora lei, non vi sarebbe mai nessuno malcontento di noi.
- Quegli, conchiuse Don Bosco la sua narrazione, è l'avvocato Blanchard, nobile uomo e di bellissimo cuore. Son certo che manterrà la parola.
Continuando a conversare, il Santo ripetè una cosa detta e ridetta infinite volte. - Vengono persone da lontani paesi a vedermi, piene di stima e di entusiasmo per me, come se in Don Bosco ci fosse alcun che di straordinario, mentre io mi trovo forse inferiore a loro in virtù. Con una parola potrei disingannarle ed anche lo vorrei, ma ciò tornerebbe a disonore mio e del clero e a danno de' miei cari figliuoli e della Congregazione Salesiana. Mi rammento sempre di quello che sta scritto nella chiesa di Crea presso Casale, appartenente ai [163] religiosi di S. Tommaso: Fama fumus, homo humus, finis cinis[90].
Il dì avanti però era uscito un po' fuori da questo riserbo. Fra i tanti che quotidianamente si affollavano in sacrestia per parlargli, vi furono alcuni che, appena lo videro, si misero a ridere, nè si potevano più trattenere. S'immaginavano forse di dover trovare un uomo alto e imponente, e invece vedevano là un prete piuttosto mingherlino e basso. Don Bosco pure si mise a ridere, e queglino a continuare. -Signori miei, disse egli, stupiscono di vedermi come sono? Bisognerebbe che mi potessero contemplare nel colmo della mia gloria, massimamente in due circostanze: la prima, a pranzo, e come mangio bene! la seconda, in mezzo ai miei giovani, quando faccio con loro le ragazzate. - Non sappiamo quale effetto producessero tali parole; ma Don Bosco aveva questo dono, che, parlando, conquistava.
La conversazione che dicevamo poc'anzi si aggirò poscia intorno ai primi tempi dell'Oratorio. Che scene accadevano in quegli anni! Essendo allora cosa lecita e di nessuno scandalo, egli bazzicava per le osterie e i caffè in cerca di scapati da mettere sulla buona strada. Erano i così detti barabba, giovinastri scioperati e rotti al mal fare. In certi casi quelli che non conoscevano Don Bosco, gli facevano insulti; ma altri, sapendo chi era e pigliandone a modo loro le difese, si cavavano di tasca i coltelli e li brandivano gridando (parole testuali ripetute da lui e atte più d'ogni altro argomento a mostrarci oggi che razza di gioventù egli andasse a cercare): Salòp del boia, it sastu nen ch’a l’è Dun Bosc cul lì? Se ti ‘i ‘t die ancura quaich cosa, i ‘t scanu [Brutto boiaccio, non sai che è Don Bosco quello lì? Se gli dici ancora qualche cosa, ti scanno]. E Don Bosco, facendosi in mezzo a loro, riusciva a trovare le parole atte ad ammansare quegli energumeni, sicchè adagio adagio insinuava nelle loro anime pervertite sensi di umanità, [164] rendendoseli benevoli e disposti non solo ad ascoltarlo, ma anche a desiderare di rivederlo.
Il rivedere Don Bosco più volte al giorno e il potergli parlare in confessione, per il cortile, al refettorio o nella sua camera dava l'illusione ch'egli avesse ricuperata la primiera salute. Sotto questa impressione si facevano più allegramente i preparativi per l'onomastico. Quest'annuale dimostrazione di affetto filiale non perdette mai nulla del suo incanto. Fra gl'illustri intervenuti primeggiavano nel 1884 i conti Colle e il principe Augusto Czartoryski.
Nell'accademia della vigilia piacque assai un dialogo in versi composto da Don Lemoyne e intitolato: Auguri e speranze per l'anno 1891. Quello sarebbe stato l'anno del giubileo sacerdotale di Don Bosco; allora la domenica della Trinità, giorno della sua prima Messa, doveva cadere proprio al 24 di maggio; sarebbe stato anche il cinquantenario dell'Oratorio, che ebbe principio nel 1841, il di dell'Immacolata Concezione[91]. Don Bosco pose fine al trattenimento, ringraziando i giovani e le persone che gli facevano corona e augurando buona festa a tutti. Riferendosi quindi alle lodi tributategli, disse che del bene compiuto bisognava render lode a Dio, a Maria Ausiliatrice e a coloro che avevano aiutato Don Bosco con la loro carità; che in quanto a sè, non avendo le virtù dall'amore dei figli attribuitegli, avrebbe procurato di acquistarle per l'avvenire, affinchè un'altra volta non si avessero più a dire bugie poetiche; l'unica cosa che ammetteva per vera, essere il grande amore da lui portato sempre ai giovani, al bene dei quali voler spendere quel poco di vita che ancora gli resterebbe. Intanto, sapendo che molti altri bramavano manifestargli per lettura i propri sentimenti, il Servo di Dio con amorevole sorriso e in tono faceto promise che la sera seguente sarebbe ritornato al medesimo luogo per ascoltare le loro lodi.
Il domani fu una giornata veramente allegra. Monsignor [165] Bertagna, che aveva celebrato la Messa della comunità e amministrato numerose cresime si trovava ancora con Don Bosco, quando secondo l'usato giunsero verso le dieci i rappresentanti degli ex-allievi con i loro doni: un ricco paramentale di chiesa, Monsignore si compiacque di assistere al ricevimento. Quella volta la cerimonia rivestiva un carattere di maggior solennità, perchè si compieva il quindicesimo anniversario, dacchè i primi educati da Don Bosco avevano concertato di festeggiare così con donativi e onoranze il comune Padre. Fu letto dal professore Nicola Fabre un breve indirizzo, nel quale fra l'altro egli diceva: “L'intera vita di Don Bosco è una vita d'amore Sul suo volto nè il tempo nè i disagi, nè i dispiaceri sofferti han potuto lasciare l'impronta della tristezza. Sempre serena è quella sua faccia, solcata, è vero, da alcune rughe, coronata da capelli pressochè incanutiti: ma sempre quelle sue labbra s'atteggiano al sorriso benevolo e sincero del padre, che è beato nell'affezione de' suoi figli ”[92].
Monsignor Bertagna, pregato di parlare, disse che da parte del Cardinale invitava gli antichi allievi a lasciare per un poco di cercar i Santi in cielo, ma che si limitassero a contemplarli vivi in questa terra: contemplassero Don Bosco, nel quale si trovavano adunate tutte le virtù del grande Giovanni Battista. Rispondendogli Don Bosco disse che, se fosse stato lecito ad un inferiore oltraggiare il suo superiore, egli l'avrebbe fatto con l'asserire che monsignor Bertagna mentiva contentarsi tuttavia di pregarlo che volesse impartire ai presenti la sua paterna benedizione. Al che il buon Vescovo rispose: - Sua Eminenza mi ha detto di ricevere la benedizione, non [166] già di darla. -In così dire s'inginocchiò e con lui tutti gli altri, che Don Bosco dovette benedire.
A pranzo la festa fu tutta di famiglia. Don Bosco entrò nel refettorio grande che era addobbato, avendo alla destra la contessa Colle e a sinistra il conte. Verso la metà del banchetto una scena graziosa allietò i commensali. Don Dalmazzo, giunto poche ore prima da Roma, sì alzò e lesse ad alta voce il Breve, con cui Leone XIII insigniva il Conte del titolo di Commendatore dell'Ordine di S. Gregorio Magno. La cosa improvvisa commosse fino alle lacrime i due nobili coniugi. Don Dalmazzo baciò il Conte e porse le insegne a Don Bosco, che le consegnò alla Contessa. Questa le appese al collo del marito, fra le entusiastiche acclamazioni degli astanti.
La vita di Don Bosco s'infiorò di tanti graziosi episodi che è grandemente a deplorare non siasi provveduto in tempo a farne larga raccolta; vi sarebbe ora materia per una pubblicazione delle più originali nella letteratura agiografica. Durante l'allegria del pranzo un giovane studente dell'Oratorio si avanzò verso Don Bosco, recando in un piatto due bei pomodori, che gli pose con garbo dinanzi sulla mensa. Quella comparsa sollevò la curiosità degl'invitati. Don Bosco disse:. - È l'unico frutto del mio orticello. - E senz'altro prese ad affettarli, condirli e mangiarli. Donde provenivano i due rubicondi solanacei? In una delle cassette che, allineate lungo la parete esterna della sua loggetta, mandavano in alto piante di fagioli a ombreggiargli con il loro fogliame le finestre, era spuntato quasi timidamente come intruso un gambo di pomodoro. Nessuno l'aveva seminato; ma, asportandosi quella terra dall'orto, era naturale che racchiudesse in grembo germi di varia specie. Quando lo stelo metteva i fiorellini gialli, il Santo se n'avvide e domandò al giovane che aveva la cura principale del “giardinetto ”:
- No, signor Don Bosco, rispose egli, ma è venuto su da sè. Però, se crede, lo strappo subito. [167]
- No, lascialo. Se farà frutti, li mangerò.
Il ragazzo si stimò felice di aiutare il virgulto a crescere e a rafforzarsi e per S. Giovanni due bei frutti penzolavano maturi. Don Bosco diede ordine che gli fossero portati in tavola, mentre i numerosi commensali festeggerebbero con lui il suo onomastico. Tutto serviva a Don Bosco per affezionarsi santamente i suoi figliuoli[93].
Sembra che sia di quest'anno un altro grazioso episodietto che si riferisce alla loggetta di Don Bosco e che cogliamo il destro di narrare qui. Ricordino i lettori che alcune rigogliose viti dal cortile montavano su per il muro a ombreggiare le ampie finestre di detta loggia. Un sabato sera, quando il Santo confessava colà gli alunni delle classi superiori, un giovanetto della quarta ginnasiale per nome Paolo Falla, aspettando il suo turno Inginocchiato dinanzi a quei pampini frondosi, adocchiò tra le foglie un grappolo che cominciava ad annerire, lo spiccò dal tralcio e si pose tranquillamente a piluccarne i saracini. Distratto da tale occupazione, non pensava più ad altro, nè si accorse che il penitente, il quale lo separava dal confessore, si era già ritirato. Don Bosco, assolto quello che stava dal lato opposto, si volse a lui per confessarlo. Il ragazzo col grappolo in mano arrossì, balbettò una scusa; ma Don Bosco soavemente gli disse: - Sta' tranquillo, finisci pure la tua uva e poi ti confesserai. Così dicendo, si rivolse dall'altra parte continuando a confessare[94].
Dopo pranzo il maltempo minacciava di guastare la [168] serata, anzi, cominciati i vespri, cadde un acquazzone, che durava ancora dopo. Non si sperava più di poter fare la festa in cortile. Chi andava in chiesa a pregare la Madonna che volesse mandare il sereno, chi pretendeva addirittura da Don Bosco un miracolo.
Verso le sei e mezzo una carrozza entrò nel cortile, tirata da due briosi cavalli: era il cardinale Alimonda. L'entusiastica gioia dei Salesiani non ebbe più limiti. Sin dal mattino Sua Eminenza aveva mandato un sacerdote della sua famiglia ad augurare buona festa a Don Bosco; ma allora veniva a ripetergli l'augurio in persona. Si trattenne per un'ora a privato colloquio con lui, assistette alla sua cena e udendo che stava per cominciare la presentazione dei doni e la dimostrazione a Don Bosco come nella sera innanzi, volle fermarsi e partecipare alla festa. Pochi minuti dopo il suo ingresso nell'Oratorio eransi diradate le nubi. Allora tutti insieme avevano fatto prodigi per adornare il luogo destinato all'accademia, che cominciò alle otto.
Il Cardinale si assise nel posto di onore con Don Bosco alla sua destra. Il trattenimento si aperse con un indirizzo a Sua Eminenza, scritto in fretta poco prima e letto con bellissima voce e con sentimento da un giovane. A tale preludio seguì lo svolgersi del programma, protraendosi fin verso le dieci. Infine Don Bosco, alzatosi e ringraziato brevemente il Cardinale della stragrande sua bontà, annunziò che l'Eminentissimo avrebbe dette alcune parole, le quali tutti avrebbero ascoltate con amore e riconoscenza. - Per congiungere insieme, disse l'Alimonda, la festa di S. Giovanni Battista e quella di Don Bosco, osservo che il Battista predicava nel deserto e sulle rive del Giordano la penitenza, l'odio al peccato, la pratica della virtù; il Battista preparava la mente e il cuore delle turbe a conoscere ed amare Gesù Cristo; il Battista insegnava chi fosse Gesù e lo mostrava dicendo: Ecco l'Agnello di Dio, ecco Colui che toglie i peccati del mondo. E a lui conduceva le anime. Orbene, se a quel deserto può paragonarsi [169] la società presente, ecco che in questo deserto e sulle rive del Po e della Dora, Don Giovanni Bosco imita l'esempio di S. Giovanni Battista e si fa precursore. Sì, anche Don Bosco fa conoscere ed amare Gesù Cristo; lo fa conoscere ed amare negli oratorii e negli ospizi; lo fa conoscere con la parola e con gli scritti; lo fa conoscere ed amare nelle città e nelle campagne, e per mezzo de' suoi Salesiani lo fa conoscere ed amare anche nelle più lontane parti del mondo. A S. Giovanni Battista accorrevano le turbe per udirlo; e qui altre turbe accorrono pure intorno a Don Bosco. Queste turbe bene avventurate siete specialmente voi, miei carissimi figliuoli. Deh! ascoltatelo sempre questo precursore, fate quello che vi dice, ed egli vi condurrà a quel Gesù, che solo può rendervi felici nel tempo e nell'eternità. - Ciò detto, impartì la sua benedizione e lasciò acclamatissimo l'Oratorio. “Fu bella, fu cara, fu commovente quell'accademia ”, scrive Don Viglietti nella sua cronaca.
Il Cardinale volle poi a pranzo con sè Don Bosco il 6 luglio; indi verso le sei pomeridiane lo accompagnò sul suo cocchio a casa. Al qual proposito Don Viglietti fa notare due cose. La prima è che, ogniqualvolta Don Bosco metteva piede nel palazzo arcivescovile, cominciava il portiere a tenergli dietro e di mano in mano che ascendeva, quanti incontrava, servitori, cocchieri, segretari, domestici, tutti lo seguivano, sicchè, giunto al Cardinale, aveva seco tutta la casa. D'altra parte appena i giovani dell'Oratorio vedevano per il portone spalancato avanzarsi i due cavalli neri che ben conoscevano, era un correre, un affollarsi, un gridare evviva con sì grande animazione, che appariva evidente quanto amore si portasse ivi all'Arcivescovo.
Fra gli auguri pervenuti a Don Bosco sono degni di menzione quelli della principessa Solms, da lui visitata a Pegli nell'andare a Roma[95]. “La prego, gli scriveva essa, di voler [170] accettare per il caro suo onomastico i nostri più sinceri auguri di felicità. Non dimenticheremo mai la sua buona visita, della quale serbiamo la più cara memoria e speriamo che si rinnoverà in un tempo non lontano. Noi tutti ci raccomandiamo caldamente alle sue sante orazioni. Le domandiamo soprattutto di voler pregare per la salute di tutti noi, che il mio caro fratello Alberto abbia ben tosto guarita la sua gamba ora tanto debole, come anche che Iddio voglia concedere il figlio tanto desiderato al mio buon fratello Giorgio. Prego la S. V. di voler accettare queste mie domande con tutta la bontà sua. Baciandole la mano mi professo con la più alta stima Devotissima ELISABETTA principessa SOLMS”. Il maggiore de' suoi due figli venne in seguito all'Oratorio per vedere Don Bosco; ma, non essendo egli a Torino, portò il suo biglietto di visita a Don Durando. Invitato ad attenderne un poco il ritorno, il giovane non potè, perchè doveva ripartire subito per la Prussia. Entrò prima e dopo nella chiesa di Maria Ausiliatrice a pregare e in tutto parlò e agì per modo, che Don Durando lo credette cattolico.
Feste succedevano a feste. Il vicino onomastico di Don Bosco non aveva recato pregiudizio alla festa di S. Luigi, celebratasi antecedentemente la domenica 22 giugno. Non vi mancarono la tradizionale luminaria, nè i non meno tradizionali fuochi d'artifizio, nè la solita processione. Pontificò monsignor Chiesa, vescovo H Pinerolo e grande amico di Don Bosco. Dopo l'onomastico, il giovedì 26, Don Bosco festeggiava il medesimo Santo con i suoi figli del collegio di Lanzo.
I due convegni degli ex-allievi si tennero in luglio. I laici si radunarono il giorno 13 e gli ecclesiastici il 17. Come portava la consuetudine, le manifestazioni più significative si ebbero a mensa. Portavoce dei secolari fu nuovamente il professore Fabre, che con le sue rievocazioni intenerì e con i suoi pronostici incuorò. “Ricordo, disse, gli anni antichi, quando Don Bosco era sul fiore della sua gioventù; quando noi fanciulli ci stringevamo intorno a lui, a lui che era partecipe di tutte [171] le nostre gioie, di tutte le nostre pene, a lui che era il nostro conforto, il nostro amore, il nostro padre. Rammento quando ci narrava di S. Francesco d'Assisi e dei principii dell'Ordine Francescano, che in poco tempo crebbe così numeroso da estendersi sii tutta la faccia della terra. Noi allora non capivamo, ma ora intendiamo bene come il suo fisso pensiero fosse la fondazione e la propagazione della Società Salesiana. Ricordo, io dico, i tempi antichi, e penso al tempo presente; guardo Don Bosco, e il cuore mi si stringe per ineffabile tenerezza. Quanto è mutato da quello che noi abbiamo conosciuto da fanciulli! La sua persona s'incurva, i suoi capelli s'imbiancano e il suo passo è stentato e vacillante. Il Signore tenga ancor lontano quel giorno nel quale egli dovrà ricevere il premio di tante sue fatiche sopportate per noi. Possa egli rimanere in mezzo ai suoi figli finchè abbia celebrato la stia Messa d'oro. Ma gli anni passano inesorabilmente. Noi però speriamo che forse prima di te, caro Padre, saremo chiamati all'eternità, e allora noi ti verremo incontro per quella strada che ci hai additata. Ma se noi dovremo sopravviverti, ci confortiamo pensando che qui sarà rimasta la miglior parte dì te, il tuo spirito! Elia lascerà il suo mantello a Eliseo. Qui sarà sempre la madre nostra, la Congregazione Salesiana. Spesse volte nel mondo noi udiamo ripetere da persone di picciol cuore: Morto Don Bosco, che cosa sarà dell'Oratorio? Altri: Col mancar di Don Bosco ogni sua opera si spegnerà con lui! Ma non sanno costoro come le opere tue sono marcate dalla Provvidenza con un suggello indistruttibile. Non sanno che sono destinate per la durata dei secoli. Non vedono come fin d'ora a lui si possa dare il nome di Eroe dei due mondi[96]? Adunque noi ti ringraziamo, o Don Bosco, non solo d'averci educati e mantenuti, ma anche di aver fondata la Congregazione Salesiana. Quando tu sarai in Cielo a godere il trionfo per le innumerevoli tue opere buone, noi e i nostri figli, venendo [172] qui nell'Oratorio di S. Francesco di Sales, ti ritroveremo sempre, perchè sempre qui ci sarà il tuo spirito, e potremo sempre ripetere, entrando in queste soglie: Siamo in casa nostra, perchè è sempre la case del nostro padre ”.
I ricordi diedero materia molta anche a Gastini, legatore di libri e fin da fanciullo menestrello in quelle feste di famiglia. Perpetrò egli un carme composto di prefazione e di sei parti, che lesse svolgendo un gran rotolo di carta lungo mezzo chilometro. Cantò i tempi passati, presenti e futuri; cantò i vivi e i morti, gli ammalati e i sani, i presenti e gli assenti, l'Europa e l'America, Don Bosco e la Congregazione Salesiana, e finì rendendo grazie al Cardinale Arcivescovo per l'amore che portava a Don Bosco e a' suoi figli. Si rise, si pianse, si applaudì[97].
Fatta quindi la colletta per la Messa solenne da requiem in suffragio degli ex-allievi defunti, parlò Don Bosco e disse così:
Più cose vorrei dirvi, ma il tempo stringe, e molti di voi hanno il desiderio di recarsi ai loro uffizi o alle loro famiglie. Quindi io v'indirizzerò poche parole. E in primo luogo vi dirò che io sono molto contento di vedervi radunati qui in questo luogo, tanto più che in questo anno io fui a un certo punto di malessere e di spossatezza, che mi credetti di non potermi più trovare con voi. Dio sia benedetto, perchè ha permesso che mi trovassi ancora in compagnia dei miei cari figliuoli.
Si parlò da alcuno di voi della Messa d'oro che dovrei celebrare nel 1891, ed io certo non mi rifiuto di trovarmi in quell'epoca alla grande solennità ma bisogna trattar quest'affare, bisogna far questo conto con uno che è il padrone dei padroni, il Signore della vita e della morte. Tuttavia fin d'adesso invito tutti voi a quella festa, tanto più [173] che in quell'anno cadrà il primo cinquantenario della fondazione dell'Oratorio. Se Dio ci lascerà in vita, vogliam cantare un Tedeum ben solenne.
Una cosa però della quale fin d'ora dobbiamo ringraziare grandemente il Signore, e che forma la mia più grande consolazione si è che dovunque io vado, ascolto sempre buone notizie di voi: da tutte le parti si parla bene dei miei antichi figliuoli: tutti lodano questa nostra adunanza, perchè è il vero mezzo per ricordare gli avvisi ed i consigli che io vi dava quando eravate fanciulli. Sì, lo ripeto, questo mi dà la più grande consolazione, è l'onore e la gloria dei miei ultimi anni.
Vedo che molti di voi hanno già la testa calva, i capelli incanutiti e la fronte solcata da rughe. Non siete più quei ragazzi che io amava tanto; ma sento che ora vi amo ancor più di una volta, perchè colla vostra presenza mi assicurate che stan saldi nel vostro cuore quei principii di nostra santa religione che io vi ho insegnati e che questi sono la guida della vostra vita. E poi vi amo ancora di più, perchè mi fate vedere che il vostro cuore è sempre per Don Bosco. Voi dite a me: - Ecco o Don Bosco, noi siamo qui per protestarle che noi siamo sempre tutti suoi nella via della salute, e i suoi pensieri sono tuttora i nostri. -E io dico a voi che sono tutto vostro nel fare e nel pensare in ogni mia azione.
Avete mandato un plauso all'amato nostro Arcivescovo cardinale Gaetano Alimonda, e il vostro plauso mi ha cagionato un'altra grandissima consolazione. É una fortuna grande per noi il cardinale Alimonda. É un vero nostro protettore, un amico, un padre! Ogni atto di riconoscenza che a noi sia concesso di manifestargli, sarà sempre inferiore ai benefizi ed all'amore con cui ci ha consolati.
Il vostro grido di evviva al sapientissimo Leone XIII risuonò pure nel mio cuore pieno di riconoscenza per quello che egli ha fatto in nostro vantaggio. Non posso esprimervi a parole la bontà sua verso di noi. Ciò che noi possiamo fare si è di pregar Dio benedetto, che voglia coi tesori delle sue grazie e delle sue consolazioni fare quello che a noi non è dato di fare.
Voi avete parlato anche delle Missioni. È impossibile che Don Bosco vada nella Patagonia. Eppure avrei gran desiderio di andare a conoscere quei tanti che debbo chiamare col nome di figli, che mi scrivono affettuose lettere e che io non ho mai visti; avrei gran desiderio di rivedere coloro che con tanta abnegazione sono partiti da questo Oratorio per andar a portare la civiltà cristiana in mezzo alle tribù selvagge. Ma se non posso andar io, andrà monsignor Cagliero. Egli porterà in quelle praterie la fama della vostra bontà e vi porterà come modelli ai suoi nuovi amici. Dirà a quei popoli: - Venite a Torino e vedrete come i miei vecchi compagni, essendo buoni cristiani, sono felici nelle loro famiglie, nella società, ne' loro affari. - Quando questi selvaggi saranno convertiti e migliaia di fanciulli saranno raccolti [174] nei nostri collegi, e in mi secolo così poco curante di religione, essi pure faranno vedere al mondo come si possa amar Dio ed essere nello stesso tempo onestamente allegri, essere cristiani e nello stesso tempo onesti e laboriosi cittadini.
Io finisco. Continuate nella buona via che da tanti anni battete, cosicchè possiate dirvi contenti di essere venuti qui; Don Bosco sarà pure contento e potrà gloriarsi che quei giovani da lui un giorno tanto amati ora fatti uomini hanno saputo conservare e praticare quell'insegnamento che hanno ricevuto dal suo labbro. Voi eravate un piccolo gregge: questo è cresciuto, cresciuto molto, ma si moltiplicherà ancora. Voi sarete luce che risplende in mezzo al mondo, e col vostro esempio insegnerete agli altri come si debba fare il bene e detestare e fuggire il male. Sono certo che voi continuerete a essere la consolazione di Don Bosco. Cari figli miei, che il Signore ci aiuti colla sua grazia cosicchè possiamo un giorno trovarci tutti insieme in Paradiso.
Un particolare degno di nota è questo, che prendevano parte alla riunione tre di quei primi giovani, i quali nel 1841, sonnecchiando dinanzi all'altare della chiesa di S. Francesco d'Assisi, erano stati da Don Bosco veduti e invitati al catechismo. Essi rappresentavano davvero autenticamente i veterani delle prime schiere.
Com'è bello, piacevole, edificante raccogliere oggi l'eco lontana di quelle periodiche dimostrazioni filiali! Anche nel convito degli ecclesiastici risonò eloquente la voce del cuore. Don Reviglio, il parroco di S. Agostino, proferì poche, ma toccanti espressioni. - lo sono ben fortunato, disse, e vado orgoglioso di trovarmi a fianco di Don Bosco. Sono certo di essere per voi tutti oggetto d'invidia per il posto che occupo. Ognuno di voi vorrebbe certo essere al luogo mio. É ben giusto però che a me sia data questa preferenza, perchè appartengo ai primi giovani dell'Oratorio, e fui il primo a essere ordinato sacerdote. Mi ricordo sempre di quando eravamo piccolini intorno a lui e correva fra le sue braccia. Orbene in questo giorno io sono ancor più felice, non solo per essere al suo fianco, ma per la parola che mi fu dato ora di udire dalle sue labbra. Io l'ho interrogato: Dica, Don Bosco, come potremo noi ricompensarla di quanto ha fatto e patito in nostro vantaggio? [175]
Ed egli mi ha risposto: Chiamatemi sempre padre, e io sarò felice! - Sì, sempre nostro padre lo chiameremo! fu il grido unanime degli uditori.
I versi piemontesi di Don Francesia esilararono i convitati. Poi parlò un altro dei più anziani, il canonico Ballesio vicario foraneo di Moncalieri. “Ah! celebrino gli altri, esclamò, i grandi scrittori, che le belle imprese ai posteri tramandano; io celebro colui che la legge santa del Signore scrisse e scrive nel cuore di tanti suoi figli ed amici. Celebrino altri gli artisti, che diedero vita alle tele, ai marmi immortali; io celebro colui che fece e fa tuttora più bella e degna l'immagine vivente di Dio in tanti suoi figli e beneficati. Celebrino altri i valorosi guerrieri, i politici astuti; io celebro colui che nelle sue pacifiche, ma sterminate imprese la patria onora di utili, onesti e degni cittadini. Sì, io te celebro, o Don Bosco, - angelo della nostra vita, te cui io e molti miei amici dobbiamo l'essere della nobile ecclesiastica carriera. Te noi cantiamo, la cui memoria sempre benedetta ci sta impressa nella mente, scolpita dolcemente e fortemente nel cuore. Te noi festeggiamo, il cui nome soavissimo è come il nome di Dio, che illumina nelle dubbiezze, rinfranca nei pericoli, frena negli sdegni, fortifica nelle passioni, sprona al bene. Oh quante volte nei torbidi e profani istanti la tua immagine ci appare come iride conciliatrice di pietosi, casti e nobili pensieri! Quante volte la memoria di un tanto Padre trattenne il figlio sull'abisso della colpa e del disonore! Quante volte l'animo esacerbato, addolorato, profondamente addolorato, al ricordarsi di te, sentì nuova forza, e la mente ed il cuore si aprirono a più sereni pensieri, ai santi gaudi della cristiana speranza! Eri tu, sei tu, nuovo Filippo, che così sostenevi e sostieni i figli tuoi. Deh sii, sii benedetto, sii a noi lungamente serbato, sii da tutti i tuoi figli sempre obbedito, imitato! Che noi ti vediamo, ma cresciuti a migliaia, che ti vediamo nel sospiratissimo cinquantenario. E qui i figli tuoi dell'Antico e del Nuovo Mondo possano anche allora bearsi del tuo amabile [176] sembiante baciarti la sacra, benefica mano, e dirti che ti amano e per te amano il buon Dio, del quale ritrai sì bella immagine ”.
Al dire enfatico, ma sincero ed efficace dell'oratore, tenne dietro la parola calma e paterna di Don Bosco, che ascoltata in religioso silenzio interessò fino all'ultimo il vivace uditorio.
Io sono molto contento che siate venuti a passare questa giornata con me, e vi ringrazio di tutti i segni di affezione che mi avete dati. A coloro che non poterono venire a questo nostro convegno, dite che io li ringrazio egualmente che li invito di nuovo e che verranno un'altra volta. A tutti quelli che appartengono al clero, come ai secolari, ripeto che io li conservo nel cuore, e li considero come cari figliuoli e li ringrazio di tutto quello che hanno fatto e faranno per me.
A voi in particolare dirò che l'Oratorio, come ognuno può vedere, è benedetto dal Signore. Siamo cercati da tutte le parti e bisognerebbe poter centuplicare il personale per soddisfare a tutte le domande. Gli stessi giovani usciti dalla nostra casa sono i preferiti quando concorrono con altri per avere un impiego o un uffizio. Persino certi artigiani che qui fra noi non sembravano tanto buoni, nei paesi ove ora si trovano, si diportano egregiamente. Ce ne furono di indole restìa, indolente, focosa; eppure col pensiero di essere figli dell'Oratorio mutarono interamente condotta. Io so di uno che fu allontanato dall'Oratorio, il quale per ritornare in Italia ha fatto un viaggio lunghissimo a piedi.
- E perchè non provvedi a te stesso per avere vita più comoda? gli dicevano certuni.
- Cerca di fartene, non mancano i mezzi...
Ed egli poi narrava: - Molte volte ebbi occasione di poter impunemente ritenere la roba altrui, ma dissi sempre fra me: Non sia mai che disonori l'Oratorio. - E così percorse duecento chilometri a piedi. Questo è un fatto solo; ma molti altri di simil genere arrecarono a noi grande consolazione. L'amor proprio ci avrà avuta la parte sua, ma per questo il risultato non è meno felice.
Ed ora parlo per voi parroci, viceparroci, preti, chierici, impiegati, capi d'arte[98]. Sia benedetto il Signore per aver permesso che ci trovassimo insieme a questa piccola festa e perchè ci ha lasciati vivere, affinchè potessimo sempre lavorare per prepararci la salvezza eterna dell'anima nostra. Questo deve essere il fine di ogni Salesiano e il suo continuo sospiro. Col nome di Salesiano io intendo significare [177] tutti coloro che furono educati colle massime di questo gran santo. Quindi pur voi siete tutti Salesiani.
Un altr'anno vi attendo ad una simile riunione e spero che voi ci sarete tutti e che ci sarò anch'io. Tale è il mio desiderio e la mia intenzione. Bisogna però vedere se il Padrone della vita la penserà come la pensiamo noi. Dico questo perchè l'anno venturo ho parecchie cose da dirvi, che si compiranno in questo anno corrente: e sono sicuro che ne sarete contenti.
In primo luogo c'è la chiesa del Sacro Cuore di Gesù in Roma. Questa colossale impresa mi stancò molto per i gravi e continui pensieri e mi fece andar curvo sotto il peso delle enormi spese. Bisognava trovare venticinque mila lire ogni mese. Ora però le costruzioni della chiesa sono molto avanzate, si lavora con grande alacrità attorno al nuovo ospizio, e per l'anno venturo spero di poter condurre tutto a termine. E giacchè parlo della chiesa del Sacro Cuore, voi sapete come io abbia aperta una lotteria per far fronte alle ognora crescenti spese. Ho fatto assegnamento anche sulla vostra carità; quindi manderò a voi un piccolo numero di questi biglietti. Spargeteli tra il popolo: riteneteli per voi, se la vostra borsa ve lo permette: se non potete ritenerli, ritornatemeli che io vi sarò grato egualmente. Quel che io vi raccomando si è che mi aiutiate, in quei modi che potete e sapete, a compiere un'impresa che mi fu affidata dal Sommo Pontefice Leone XIII.
In secondo luogo vi dirò. Il colera fa strage in paesi da noi non lontani, e forse abbiamo da temere che invada anche le nostre province. Quindi io vi suggerisco un facile antidoto contro questo male. Esso consiste in una medaglia che da una parte ha scolpito il Sacro Cuore di Gesù e dall'altra l'effigie di Maria Santissima Ausiliatrice. Questa medaglia portatela al collo, in saccoccia ovvero nel taccuino: basta che l'abbiate in dosso. Nello stesso tempo ripetete ogni giorno la giaculatoria: Maria Auxilium Christianorum, ora pro nobis. Così facendo, state tranquilli e certi che la Madonna farà vedere visibilmente il suo potente patrocinio. Avrei piacere che voi osservaste attentamente, se anche un solo che abbia in dosso questa medaglia, cadesse colpito dal morbo. Voi andate pure con coraggio ad, assistere gli ammalati nelle case, negli ospedali e nei lazzaretti, e non temete.
É pur necessario che si faccia sovente la santa Comunione. Ma parlando a preti che dicono tutti i giorni la santa Messa, questa esortazione è superflua. Piuttosto esorterò voi a dirlo agli altri, perchè qui sta la radice della divozione. Pulita l'anima, ognuno può dirsi sicuro di non essere incolto da nessun malanno.
Questa pratica di portare la medaglia, pronunciare la giaculatoria, frequentare i Sacramenti non osservatela voi soli, ma propagatela in ogni luogo fra i vostri parenti, amici e conoscenti, affinchè serva a tutti di antidoto contro il colera. Il Signore vuole con questo svegliarino scuotere le coscienze. Quindi predicate questa divozione anche dal [178] pulpito. A qualcuno potrà sembrare strano, ardito e forse anche ridicolo; ricordatevi che al cospetto della morte cessano le risa. Vi dirò come pochi giorni fa un ricco signore, che si vanta scevro da pregiudizi, è venuto in mia camera. Aveva udito come io parlassi dell'efficacia della medaglia di Maria Santissima Ausiliatrice. Quindi m'interrogò:
- È vero che ella propaga superstizioni?
- Di quali superstizioni intende?
- Che quelli che portano indosso la medaglia di Maria Ausiliatrice saranno salvi dal colera.
- E a lei che cosa importa di ciò che io dico?
- M'importa, perchè la mia famiglia e specialmente mio figlio primogenito vogliono ad ogni costo avere la medaglia.
- Ed ella ci crede all'efficacia di questa medaglia?
- Ed è padrone di non crederci. Nessuno la obbliga. Se non ci crede, stia pur senza medaglia, nessuno vuol dargliela per forza. Ma se ci credesse, sarebbe facile procurarsela.
- E la superstizione? Come posso io credere che un pezzo di metallo abbia tanta efficacia?
- Ma lasci un po' andare! Intenda bene che una pratica approvata dalla Chiesa non è mai superstiziosa.
Dopo, per non piccola ora, si parlò delle notizie della Francia. Quel signore divenne pensieroso. Nel congedarsi disse con una certa esitanza: -Signor Don Bosco, se volesse farmi un favore! ...
- Dieci, se fa d'uopo: parli pure.
- Avrebbe ancora qualcuna di quelle medaglie?
- Quando si tratta di salvar la pelle... capisce bene ... insomma... ho detto per dire... mi dia la medaglia. Io ci credo e voglio che me ne dia anche una per mia moglie e per ciascuno dei miei figli.
Avete inteso! Il Signore che ci vuole tutti felici, con questi flagelli intende di farci conoscere la preziosità della vita anche temporale. E voi, miei cari figliuoli, abbiate di mira nelle vostre prediche di parlare sovente della morte. Oggigiorno non si fa alcuna stima della vita. Chi si suicida per non sopportare i dolori e le disgrazie; chi arrischia la vita in duello; chi la sciupa nei vizi; chi la giuoca in arrischiate e capricciose imprese; chi ne fa getto affrontando pericoli per eseguire vendette e sfogare passioni. Predicate adunque e ricordate a tutti, che noi non siamo i padroni della nostra vita. Dio solo ne è il padrone. Chi attenta ai propri giorni, fa un insulto al Signore, è la creatura che fa un atto di ribellione contro il suo Creatore.
Voi che avete ingegno, troverete idee e ragioni in abbondanza e modo di esporle per indurre i vostri uditori ad amare la vita e rispettarla, nel gran pensiero che la vita temporale bene impiegata è foriera della vita eterna. [179]
Le reminiscenze qui sopra riandate dei tempi antichi dell'Oratorio e la narrazione di alcune vicende accadutevi in in questi anni potrebbero far pensare che le cose fossero radicalmente cambiate nè vi si riscontrasse più nulla della primitiva pietà e innocenza fra i giovani. Niente di più errato. Mentre scriviamo, vive in Inghilterra una Miss Gerardina Penrose Fitz Gerald, dimorante a Ensbury Park, Bournemouth, la quale conta 84 anni di età e serba indelebile nella memoria il ricordo di un suo incontro con Don Bosco proprio cinquant'anni or sono. Nel 1884 si recava a Roma con un pellegrinaggio, viaggiando in compagnia di Lord Denbigh e la sua signora. Insieme con Mr. Giorgio Lane Fox questi nobili signori visitarono Don Bosco, il quale fece veder loro tutta la casa. Nell'attraversare i cortili prendevano diletto a rimirare i giovani che, avvicinandosi a Don Bosco, gli baciavano la mano, ed egli posava l'altra sua mano sulla loro testa, dandovi un colpettino. Mr. Lane Fox, avendo udito parlale di un ragazzo dell'Oratorio che aveva del santo, domandò se i visitatori lo potevano vedere. Don Bosco lo mandò subito a chiamare: - E, dice Miss Fitz Gerald, io non vidi mai volto più bello e più celestiale. - Andatosene il fanciullo, Don Bosco disse: - Oh, Iddio è buono! Egli mi conforta dandomi a quando a quando anime belle come quella. - Mr. Lane Fox allora gli chiese: - Ne ha parecchie dello stesso genere? - Il Santo fece un piccolo gesto scherzevole con un largo sorriso dicendo: - Oh sì, forse più che ella non immagini. - Gli stranieri nell'accomiatarsi s'inginocchiarono per ricevere la benedizione e Miss Fitz Gerald rammenta che parve con quella benedizione diffondersi in loro un insolito e caro sentimento di pace[99].
A coronare la festa onomastica giunsero opportuni a Don Bosco gli auguri del più lontano de' suoi figli. Don Fagnano con la data del 26 maggio gli scriveva da Patagónes: “Desidero [180] ardentemente di vederla ancora una volta, baciarle la mano dopo nove anni di esilio volontario sì, ma penoso per essere lontano da Lei. Accetti gli auguri di cinquecento selvaggi battezzati quest'anno, di centocinquanta ragazzi e ragazze che frequentano le nostre scuole, di otto confratelli salesiani e di sette suore di Maria Ausiliatrice che formano la casa di Patagónes.”.
Si è visto già più volte e si vedrà ancora in appresso come, parlando del suo giubileo sacerdotale, Don Bosco non dicesse mai che vi sarebbe arrivato. Tuttavia amava talora scherzare, fissando chi doveva servirgli la Messa, chi provvedere il vino, la carne, le candele, chi far questo o quello; perfino sarebbero venuti quattrocento cantori dalla Patagonia. Onde avvenne che in tanti si formasse una certa persuasione che la grande festa si sarebbe celebrata; ma era l'affetto che dava ali alla fantasia. Lo stesso Don Lemoyne attesta che il Santo in nessun modo fece mai conoscere nè a lui nè ad altri che gradisse per lo meno l'augurio, di cui opra abbiamo parlato.
IL sogno fatto da Don Bosco a Roma, pressochè dettato a Don Lemoyne e letto da Don Rua una sera dopo le orazioni, portò le sue conseguenze benefiche. Dei giovani chi ascoltò quella lettura con ansiosa curiosità, chi con timore e tremore. Il Santo dopo il suo ritorno, come si fu sbrigato degli affari più pressanti, cominciò quotidianamente a spendere sul tardi qualche ora in dar loro udienza. Avendo egli lasciato chiaramente intendere che aveva visto lo stato delle coscienze, i buoni erano vaghi di sapere che cosa vi fosse sul proprio conto; quindi furono i primi ad accorrere. Uno di questi, Don Paolo Ubaldi, testifica che in modo sorprendente Don Bosco gli disse come andassero le cose sue. Altri invece esitavano a presentarsi, ed erano quelli che avevano maggior bisogno di sentire una parola di richiamo e di eccitamento.
Taluni di questi ultimi da un anno o da due non avevano parlato con lui; ma alquanti di essi da cinque anni si trovavano all'Oratorio senza che neppure una volta gli si fossero avvicinati, sicchè le loro fisionomie gli riuscivano nuove. Magagne segrete per lo più trattenevano costoro. Interrogati allora nella sua camera, perchè non si fossero mai lasciati vedere, rispondevano che Don Bosco non era accessibile, che Don Bosco stava fuori, che essi avevano da studiate... Eppure Don Bosco, quand'era in casa, confessava quasi ogni mattina [182] nella sacrestia, dove, chiunque volesse, poteva con tutta facilità andare da lui. Ordinariamente a chi mendicava simili scuse, egli rispondeva: - Tu hai cercato di sfuggirmi; ma vuoi che ti dica io il perchè? - L'interrogato lo guardava sbalordito. Ed ei ripigliava: - Il perchè è uno solo: avevi paura di Don Bosco. Tu non osavi confidarmi certe cose, che hai fatte fin da quando stavi ancora a casa... e che hai continuato a fare. - Se il giovane balbettava scuse, allora Don Bosco, calmo e paterno, gli narrava per filo e per segno con tutte le circostanze quello che il poveretto teneva da anni gelosamente celato nel cuore. Di solito, chi si vedeva così scoperto, si lasciava cadere in ginocchio e con voce soffocata dai singhiozzi: - Ah, Don Bosco, basta, esclamava, basta! - E Don Bosco: - Se questo discorso ti rincresce, cambiamolo. Ma vedi se avevo ragione di dirti, che lo star lontano da me era la tua rovina... - Raccontarono alcuni giovani che Don Bosco aveva parlato loro di un mostro in forma d'elefante da lui visto nel cortile a fare strage, schiacciando o lanciando in aria e sfracellando chiunque gli si parasse dinanzi.
Durante quel periodo di tempo il Santo disse un giorno a Don Lemoyne: - Come è buono con noi il Signore! In tanti modi straordinari ci avverte per il nostro bene e per il bene dei nostri giovani. Pochi al mondo ebbero i mezzi che abbiamo noi.
L'effetto di queste scosse salutari non tardò a manifestarsi. Più frequenti divennero le comunioni e le visite quotidiane a Gesù Sacramentato; crebbe la docilità; la vita dell'Oratorio si rianimava. Il cielo delle feste compiè poi l'opera: Ma ci volevano provvedimenti duraturi; al che si pensò dal Capitolo Superiore, nelle cui adunanze a più riprese le condizioni dell'Oratorio furono oggetto di accurato esame. È istruttivo conoscere almeno in par te quello che vi si discusse sotto la presidenza di Don Bosco.
Importante per siffatto argomento ci sembra una seduta del 5 giugno. Con i Capitolari vi assistettero anche Don Scapini, [183] Direttore a Lanzo, e Don Bertello, Direttore a Borgo S. Martino. Studiatasi una proposta di Don Barberis, prese ex abrupto la parola Don Bosco. Piacerà leggere nella sua integrità questo punto del verbale.
DON BOSCO. - Si tratta di vedere e di studiare ciò che debba farsi e ciò che debba evitarsi per assicurare la moralità fra i giovani, e per coltivare le vocazioni. Già si stabilirono le varie norme nel Capitolo Generale che sono stampate. É cosa dolorosa il vedere come tanti giovani, dei quali le cose van bene sul principio, giunti alla quinta ginnasiale, son tutti mutati. Si è già osservato che molti della quarta e quinta classe invece di consecrarsi allo stato ecclesiastico si decidono per le università e per gli impieghi. Una parte abbracciò lo stato ecclesiastico, ma in Seminario per secondare i parenti, per le arti dei parroci, per i consigli dei Vescovi. Fra cento giovani di quarta e di quinta ginnasiale, forse due soli pagano pensione regolare. Gli altri sono o mantenuti gratuitamente, o almeno provvisti dalla casa di libri e di vestiario.
Noi dunque diamo la carità altrui a chi vuole riuscire avvocato, professore, medico, giornalista. Che questa sia la riuscita dei giovani educati negli altri nostri collegi non ho nulla a dire; ma ciò non è sopportabile nella nostra casa di Torino dove i giovani vivono della carità pubblica. Propongo adunque che si esamini quale sia l'obbligo nostro di coscienza, e che cosa si debba fare. Negli anni scorsi vi era un gran numero di giovani che volevano parlarmi di vocazione. Ma in questo anno nel quale si raccolsero gli aspiranti per far loro speciali conferenze (ciò che non si era mai fatto) la cosa corre diversamente. Pochi e a stento mi vennero a parlare e mi dissero francamente di voler andare chi al secolo, chi in seminario. Interrogati perchè andassero alle conferenze degli aspiranti, alcuni risposero: - Per udire quanto si dice nelle conferenze. -Gli altri più francamente: - Per essere meglio visti dai Superiori. - Saran buoni giovani, ma hanno il loro piano fatto. Non è cattiva cosa in sè aiutare costoro, ma insomma diamo il nostro pane a tanti che poi ci voltano le spalle e lo diamo per raccomandazione di chi talvolta, dopo averci tolti i giovani, ci critica ancora, dicendo che teniamo le vocazioni per noi. Ciò mi accadde di verificare oggi stesso.
Ma di questo basti. A mio parere noi dovremmo prendere una misura sull'organizzazione dei nostri studi. Dovremmo ridurli a ciò che sono le scuole apostoliche in Francia. Sarà cosa difficile, ma pure bisognerà riuscire. Fatto ciò vedremo come si possano ammaestrare e come si debbano custodire i giovani. É vero che non ne avremo più un numero così straordinario. Ne avessimo anche soli cento, cinquanta, quaranta, pazienza, ma non ci sarà cancrena morale. Credo che per [184] giungere al nostro fine non bastino le deliberazioni prese nei Capitoli generali.
DON LAZZERO propone che si ricominci coll'abolire la quinta ginnasiale.
DON BOSCO. - É mio progetto di deputare una commissione per lo studio della sovraesposta idea delle scuole apostoliche. Io non posso riflettere, perchè la mia testa ne soffre. Ho bisogno che si comprenda la necessità della cosa e si studino seriamente i mezzi per effettuarla. Credo anche opportuno togliere ai giovani la libertà di andarsi a confessare da chi vogliono, Si deputeranno confessori determinati in numero sufficiente, ma saranno fissati. Questa libertà in quanto agli artigiani si lasci pure e pazienza, ma gli studenti hanno bisogno d'una direzione particolare. Se non osano confessarsi da quel cinque o sei sacerdoti destinati per essi, aspettino l'occasione degli esercizi.
DON RUA nota come esso abbia sempre osservato che la riuscita della quinta ginnasiale buona o cattiva dipende sempre dal professore. Dopo che a Lanzo Don Borio fa scuola in rettorica, la Congregazione ebbe sempre ascritti provenienti da quel Collegio.
DON BOSCO. - Da qualche tempo è scemato il numero degli ascritti che provengono dall'Oratorio, sia perchè i parroci ci mandano dei roclò[100] accompagnati dalle più belle attestazioni di buona condotta, sia perchè quando costoro sono accettati non si ha abbastanza energia nel rimandarli alle case loro. Dunque studiare le accettazioni ed il modo di purgare la casa. Intanto vedere: io Sarà bene organizzare le nostre scuole a modo delle apostoliche? 20 Quali sono queste scuole apostoliche? Dalla risposta che risulterà da questi due quesiti, si vedrà se si deve o se non si deve mantenere la quinta ginnasiale.
DON SCAPINI propone di togliere dalle nostre scuole il greco e la matematica, o almeno, dare solo i primi principii di queste scienze, come si fa nei Seminari. Allora giunti alla terza ginnasiale quei giovani che non vogliono saperne dello stato ecclesiastico, penseranno a provvedere altrimenti a se stessi. Gli altri poi nostri, che dovranno prendere la licenza ginnasiale potranno studiare a S. Benigno il greco e la matematica.
DON BONETTI approva quanto si è detto, ma sostiene che ciò deve essere conseguenza e non principio di una riforma. É un curare le foglie di un albero, mentre si dovrebbero curare le radici.
DON BOSCO: - Ora la questione posta è sulle accettazioni e sul mettere le ossa rotte alla porta. Intanto un punto da meditarsi bene sono le scuole apostoliche come si usano nei seminari.
DON BURTELLO interpellato da Don Bosco, risponde non credere conveniente cosa stabilire scuole apostoliche nell'Oratorio. Avremmo contro di noi parroci, Vescovi, parenti, governo. Quindi non approva [185] l'abolizione della quinta ginnasiale. Esso è fermamente persuaso che per guarire i nostri mali ci voglia: I° Disciplina. 2° Severità nell'espellere i cattivi. 3° Vigilare scale, poggiuoli, cortili che non sono destinati alle ricreazioni.
DON CAGLIERO in quanto alle accettazioni nota, che queste dovrebbero dipendere da un solo; altrimenti accadrà che uno accetterà le pecorelle e l'altro accetterà i lupi che sono le persone adulte, accettate per carità e destinate ai vari uffici.
DON BOSCO spiega la sua idea di un catechismo da farsi la domenica, col quale si istruiscano i giovani secondo i nostri principii.
DON BONETTI ritorna sulla necessità di curare le radici e interpella Don Lazzero che come Direttore dell'Oratorio deve sapere le cose meglio che tutti gli altri membri del Capitolo. Esso dunque parli.
DON LAZZERO: - Bisognerebbe prima di tutto mettere in pratica il regolamento delle case come negli altri collegi. Quindi unità di comando, altrimenti l'ufficio di Direttore si riduce a quello di un umile servitore. Infatti i giovani espulsi, prima di partite, ottengono attestati di buona condotta da qualche membro del Capitolo stesso spinto da troppo buon cuore; questa cosa sapendosi dai giovani ne scapita l'ordine o l'autorità del Direttore. Il Direttore resta legato ecc.
DON BOSCO decide che si stabilisca una Commissione la quale studi i provvedimenti da seguirsi per promuovere la moralità nell'Oratorio. Sono eletti membri di questa Commissione Don Rua, Don Bonetti, Don Lazzero, Don Durando, Don Cagliero. Si raduneranno lunedì alle due e mezzo pomeridiane per comunicarsi le proprie maturate riflessioni. Don Bonetti è incaricato di chiedere privatamente i pareri dei singoli membri del Capitolo della casa e dei singoli maestri e farne relazione alla Commissione lunedì.
DON BERTELLO propone: - I° Distinzione e divisione assoluta fra i ricoverati nella casa col formare tre grandi categorie; studenti, artigiani, persone non appartenenti alla Congregazione. 2° Sorveglianza di scale, corridoi ecc.
DON LAZZERO fa notare che nelle passeggiate le squadre erano una volta composte di Soli 25 giovani. Ora invece sono composte dell'intera classe. Le passeggiate sono un gran pericolo, se non si vigila. Lamenta anche le vacanze ecc.
DON BOSCO conclude insistendo sull'urgenza di tutelare la moralità. Per riuscirvi non si risparmi nè personale, nè lavoro, nè fatica, nè spesa.
DON LAZZERO si lamenta ancora che manca l'unità di direzione e che non è sostenuto.
DON BOSCO finisce col replicare su quali punti devesi portare il risultato pratico della Conferenza: I° Regolando l'accettazione dei giovani. 2° Purgando la casa. 3° Dividendo, distribuendo, regolarizzando uffici, giovani, cortili ecc. [186]
Non era la prima volta, nè, come vedremo anche nell'anno seguente, sarà l'ultima, che Don Bosco parlava così di ridurre l'Oratorio a un vivaio di vocazioni ecclesiastiche e preferibilmente salesiane.
Già il 27 gennaio aveva esposto a Don Lemoyne un suo disegno, che mirava al medesimo scopo. - Vorrei trasportare, aveva detto, le classi di quarta e quinta ginnasiale a S. Benigno e per coloro soli che volessero fermarsi in Congregazione, facendo prima firmare dai parenti una dichiarazione di lasciare piena libertà ai loro figli. All'Oratorio rimarrebbero solo la prima, seconda e terza ginnasiale. Se un giovane, compiuta la terza, non si vuol fermare con noi, ci pensino i parenti o il suo parroco. In questo modo si toglierebbero tante bocche, che distruggono pane inutilmente, nè si manterrebbero giovani, i quali, quando ci potrebbero essere utili, vengono ritirati con blandizie o altro dai signori parroci. - Precisò ancor meglio il suo pensiero dinanzi ai Capitolari in una seduta del 18 luglio.
Si legga e si metta in pratica ciò che il Capitolo ha deliberato. Noi intorno alla condotta dei giovani siamo sempre ingannati, perchè sono sempre buoni i voti delle decurie mensili. Conosciuto un giovane per malvagio, non lasciamoci illudere da speranze di ravvedimento. In queste vacanze cercherò` di provvedere l'Oratorio del personale necessario e specialmente di un catechista.
Io prevedo che volere o non volere le nostre scuole dovranno mettersi sul piede di quelle dette apostoliche. Per quanto è possibile si accettino solo quei giovani che vogliono essere Salesiani o applicarsi alle Missioni. I giovani che si accettassero con questa condizione e non volessero più farsi Salesiani, paghino pensione intera, se desiderano rimanere. Ritornati i giovani dalle vacanze si potrebbero dettar loro subito gli esercizi spirituali. Dopo le vacanze non si accettino mai i giovani che ritornano dalle loro case senza l'attestato di buona condotta fatto dal parroco. Alcuni ritornano senza mai essersi presentati al proprio parroco, in due o tre mesi che stettero al paese. E ancorachè alcuni avessero questo attestato, se ne chiedano confidenzialmente: notizie al parroco promettendo il segreto.
Si vedrà pure se è il caso di riformare i Capitoli delle singole case e vedere specialmente se i catechisti sono all'altezza del loro ufficio. Il Consigliere scolastico sappia quel che si fa nelle singole classi e le [187]visiti con frequenza. Ognuno eseguisca i doveri del suo ufficio alla presenza di Dio.
Una cosa da studiarsi è questa, Quando vi è qualche giovane che dà speranza di riuscire buon Salesiano, possa o non possa pagare la pensione, non si guardi a spese. Provveda la casa. Io sono certo che il Signore ci verrà in aiuto con mezzi straordinari ed inattesi, quando si faccia ogni sforzo per avere vocazioni. Non guardiamo perciò a spese. Ciò serva eziandio di regola per gli altri nostri collegi. Se in un giovane c'è speranza di riuscita ed i parenti non possono pagare, se fanno difficoltà, se si lamentano coi Superiori di essere nelle strettezze e di non poter pagare le provviste necessarie, allora in vista della buona condotta del giovane, si accordi pure il condono dì un mese, di un trimestre; ma vi sia sempre la speranza di qualche probabile vocazione. Oggigiorno le vocazioni vanno sempre diminuendo.
Impedire collo stesso zelo, che percorrano la carriera ecclesiastica coloro che non sono chiamati e gli indegni. Ciò si faccia colla massima prudenza. Non si accettino mai in prova coloro, che prima non hanno fatto buona riuscita.
Per chiudere la porta a possibili e pericolosi sotterfugi, furono impartiti ordini di non mandare più i giovani fuori della casa. Alcuni da tempo andavano a fare il catechismo nella parrocchia di S. Donato e nell'oratorio dì S. Giovanni; altri a servire in funzioni religiose presso le suore di S. Pietro e del Buon Pastore. Profittando dell'occasione, chi scappava in famiglia a visitare i parenti, dicendo di avere il permesso, chi entrava nei caffè; per tutti inoltre vi era perdita di studio, di pratiche religiose e di prediche adatte a loro. Disse Don Bosco: - Si prevengano tali istituti che da qui a un mese non si potranno più mandare i giovani per, il servizio dell'altare e che in questo tempo si procurino altri inservienti. Se il seminario non si presta, per qual motivo dobbiamo prestarci noi? Si avvisi anche la chiesa di S. Donato, che si aggiusti per il catechismo con gli operai cattolici, avvertendo che non manderemo più i nostri piccoli catechisti, perchè si divagano troppo. - Giovani infermi dell'Oratorio si affidavano talvolta a ospedali cittadini; ma su proposta di Don Rua fu deciso di smettere tale consuetudine, dati gl'inconvenienti morali che avvenivano per causa di medici, di malati e d'infermieri. Che [188] cosa infine siasi in particolare conchiuso dalla commissione nominata da Don Bosco per avvisare ai mezzi, con cui rinvigorire la buona disciplina nell'Oratorio, non sappiamo letteralmente nulla.
In tema di disciplina vi fu un'interpellanza al termine di una seduta del 30 giugno. Vi diede occasione il Direttore Don Lazzaro, annunziando che la domenica seguente si sarebbe fatto un po' di festa al Sacro Cuore secondo l'intenzione di Don Bosco per ottenere alla casa quelle specialissime grazie, delle quali aveva bisogno. Don Bonetti allora entrò a parlare sull'assistenza dei giovani e sulle camerate aperte durante il giorno. A un dato punto Don Bosco troncò la questione con una serie di domande. - Chi è nel fatto ora responsabile della disciplina? A chi si debbono rivolgere maestri ed assistenti per avere appoggio? E il contenzioso secondo le regole? E quando un maestro non c'è, chi deve provvedere perchè un altro sia al suo posto?... Ho detto che non si guardi a spese, purchè vi sia tutto il necessario per garantire l'ordine... Il Direttore non deve fare, ma vegliare che altri faccia. - Propose quindi per il 4 luglio una seduta, nella quale ritornare sul medesimo argomento.
Ma preoccupato degl'inconvenienti che succedevano con frequenza e che cagionavano grande malcontento nei giovani, senz'aspettare quella data scrisse di suo pugno sette cose che credeva necessarie, affinchè l'anno scolastico finisse in pace. Le, intitolò: “Disposizioni temporarie ”. Erano le seguenti: “I° Una novena a Maria Santissima secondo l'intenzione di Don Bosco. - 2° Prendere i giovani alle buone, far vedere che si fa tutto per loro bene e che si prende cura dei loro studi. - 3° Di quando in quando qualche parlata alla sera di uno dei membri del Capitolo Superiore. - 4° Assistenza: i membri del Capitolo si sforzino a comparire in mezzo ai giovani in ricreazione. - 5° Il Direttore o altri per lui tenga una conferenza a quanti hanno cura dei giovani per esortarli a regolarsi in modo da far cessare le mormorazioni. - 6° Procurare di [189] promuovere la frequenza ai Sacramenti e dire francamente in pubblico che alcuni non si sono confessati nè agli esercizi nè a Maria Ausiliatrice. -7° Don Bosco parli qualche volta ai giovani ”. Venuto poscia il 4 luglio Don Bosco stesso intavolò nuovamente la questione sulla riforma dell'Oratorio, pigliando le mosse dal Regolamento.
DON BOSCO. - Ho esaminato il regolamento che si praticava negli antichi tempi e mi sono persuaso doversi questo praticare eziandio ai giorni nostri, perchè provvede ed antivede tutti i bisogni. Ma è necessario che il Direttore comandi: che sappia bene il suo regolamento e sappia bene il regolamento degli altri e tutto quello che debbono fare, che tutto parta da un solo principio. Adesso è cominciato un rilassamento in questa unità. Uno dice: La responsabilità non è mia. L'altro la rifiuta. Tutti comandano e quindi ne vengono sconcerti. Uno dà un ordine, l'altro non lo eseguisce. Gli assistenti pure vogliono avere la loro autorità, e guai se la si tocca. Si stabilisca adunque questo principio d'autorità come era prima: sia un solo il responsabile. Costui non prenda sopra di sè il minimo lavoro: stia pure colle mani alla cintola, ma vada e interroghi sempre: Hai fatto? non hai fatto? Lasci che uno incaricato legga le lettere, le postilli e le distribuisca ai vari uffizi. Non gli resteranno che tre o quattro lettere di cui vedere le postille e da dare al segretario che risponda.
DON LAZZERO, interrogato da Don Bosco, risponde che questo non è ancora tutto, benchè sia un inconveniente abbastanza grave.
DON BONETTI domanda a Don Lazzero, che, trovandosi esso all'atto pratico come direttore, specifichi francamente le difficoltà che incontra.
DON LAZZERO risponde che manca questa unità, perchè i soggetti per essere diretti vanno da vari del Capitolo Superiore, e si reggono secondo i loro consigli, che talora sono contrari a quelli del Direttore.
DON BOSCO. - Se il Direttore si gettasse in mezzo, vedrebbe il da farsi e in poco tempo diverrebbe padrone di tutto e di tutti. Ci sia un solo, il Direttore della casa che faccia contratti; da un solo dipenda l'accettazione di coloro che devono appartenere alla casa; da un solo le espulsioni; un solo che determini i lavori da farsi nell'Oratorio; e questi sia il Direttore. Esso solo faccia inviti a pranzo, o almeno sia avvertito prima degli inviti fatti, affinchè non si trovi a pranzo persone sconosciute o inaspettate. Il Capitolo Superiore non ha altra ingerenza nell'Oratorio che quella che deve avere verso ogni altra casa particolare. Il Direttore dell'Oratorio è colui che deve avere qui tutta quella libertà di azione che hanno gli altri Direttori nelle loro case. Tocca a lui deliberare sui lavori da farsi ed è solamente compito del Capitolo Superiore approvare o respingere il progetto, ma [190] tenendo sempre conto del parere del Direttore. Il Capitolo nell'Oratorio non è padrone; chi comanda è il Direttore locale. Ripeto che in questi giorni ho letto attentamente il regolamento delle Case e non trovo nulla da modificare. Vi sia dunque unità di comando. Il personale destinato per questa casa è in servizio del Direttore e non per altri. Quando arrivano forestieri non conosciuti, si facciano stare in porteria e si avvisi il Direttore; ma non s'introducano subito in refettorio, come fa ora il portinaio, senza conoscere questi ospiti. Da costoro viene gran disturbo nella casa.
Quindi Don Bosco passa a chiedere quali disposizioni si possano prendere per l'anno prossimo verso la quarta e la quinta ginnasiale per assicurare la moralità. -Io ho deciso, soggiungeva, di fare avvertire i giovani, come l'anno venturo non saranno ricevuti nelle classi superiori se non quelli che vogliono abbracciare lo stato ecclesiastico e che l'Oratorio non assicura agli allievi gli esami di licenza ginnasiale.
DON DURANDO asserisce che questa misura allontanerà da noi i giovani d'ingegno e che invece rimarranno i mediocri. Che solo lo studio e gli aiuti alla buona riuscita di questo allettano i giovani ad essere buoni.
DON BOSCO: - Non voglio essere contrariato, ma coadiuvato in questo mio disegno, che ritengo essere il migliore per raggiungere il mio fine.
DON DURANDO ritira le sue osservazioni.
DON BOSCO propone un'altra radunanza per lunedì e conclude: - Tutti aiutino chi ha il comando. Don Rua tenga una conferenza a tutti gli impiegati della casa in questo senso, ma attenda che prima siamo intesi fra di noi. Qui ci vuole una testa. Il sermoncino alla sera è la chiave maestra della casa. Moltissimo, se non tutto, dipende da questo.
Don Bosco non piantava le cose a mezzo: finchè le sue idee non fossero ben comprese e messe in opera, non si stancava di ribadirle in capo a chi lo doveva aiutare ad attuarle. Perciò nella seduta del 7 luglio il riassetto interno dell'Oratorio si prese la maggior parte del tempo. Egli riassunse prima le sue istruzioni e poi ascoltò gli altri.
DON BOSCO. - I° Unità di comando: il Direttore conosca bene le attribuzioni di ciascuno dei suoi soggetti.
2° Faccia fare da altri lo spoglio delle lettere; ne legga le postille; le confidenziali le faccia scrivere da persona di confidenza, ma ciò non si faccia mai in presenza di altri. [191]
3° Egli accetti o licenzi il personale della casa e gli stessi allievi con quelle condizioni che giudicherà del caso. Nascendo però difficoltà relative ai confratelli, ne riferisca a quel membro del Capitolo Superiore che è incaricato di trattare simili affari e qualora ne sia mestieri, domandi anche il parere del Rettor Maggiore.
4° Per quanto è possibile il Direttore si limiti ad osservare se le cose si fanno dagli altri subalterni: ma egli non si tenga sopra affari determinati: procuri predicatori, confessori, professori, assistenti in numero sufficiente e poi esamini se ciascheduno conosce le rispettive regole; se le pratica e le fa praticare dai suoi dipendenti.
In quanto all'accettazione: I° Si accettino fra gli studenti solamente coloro che hanno volontà di abbracciare lo stato ecclesiastico e preferibilmente coloro che danno qualche indizio di farsi Salesiano.
2° Siano severamente allontanati quelli che dicessero, insinuassero o facessero cose biasimevoli contro la moralità. Non si tema di usare in ciò troppo rigore.
3° Chi non frequenta la santa Comunione ed è trascurato nelle pratiche di pietà si metta ad un mestiere; non mai allo studio.
4° Il Direttore si trattenga volentieri cogli studenti fuori di confessione e li chiami sovente in particolare interrogandoli dei loro bisogni, della sanità, degli studi, delle loro difficoltà, della vocazione, ecc. ecc.
DON CAGLIERO e DON LAZZERO osservano che troppe in questa casa sono le attribuzioni del Direttore e degli altri del Capitolo particolare dell'Oratorio.
DON BOSCO. - Ciascuno faccia solamente ciò che deve fare. Il Catechista faccia il catechismo, insegni a servire la Messa, osservi se le regole sono eseguite. Il Catechista è la chiave dell'Oratorio e di tutto il buon andamento di esso. Il Direttore faccia predicare altri, se occorre dia ad altri l'incarico di confessare. Per lui nell'Oratorio ogni cosa è per accidens. Suo unico e vero ufficio è di sorvegliare sempre e di sorvegliare tutto e tutti.
DON LAZZERO osserva che in questo caso il Direttore non può più trattare direttamente coi giovani.
DON Bosco gli risponde che se il Direttore non può chiamare i giovani li faccia chiamare dal Catechista.
DON BARBERIS osserva che pel Direttore cosa principale è il dirigere il personale; e il personale dell'Oratorio è di circa settanta confratelli.
DON BOSCO. - Ripeto. Ciascuno faccia la parte sua. Anche i membri del Capitolo Superiore facciano solo ciò che è proprio dei loro uffizi, emancipandosi dalle altre occupazioni. Per esempio, il consigliere scolastico non abbia direzione di suore. Don Rua è massacrato dal lavoro, dalle cure materiali, dai pagamenti, dalle liti. Il Catechista lasci ogni altra occupazione estranea e procuri di conoscere tutti gli [192] individui della Congregazione: quindi per togliersi molto di lavoro e per ottemperare alla regola li avvezzi a rivolgersi agli Ispettori della propria Ispettoria. E, quelli del Capitolo particolare dell'Oratorio vadano tutti d'accordo, se vogliono che le cose procedano bene.
DON LAZZERO dice che i membri del Capitolo della Casa sono di buono spirito, ma che bisogna formarli.
DON BOSCO. - Il Direttore li ascolti benignamente, li provochi a parlare, tolga i malintesi ed i cattivi umori, sopporti anche qualche vivacità o miseria umana, sia tollerante, non aspro, sia l'anello di unione colla carità. Io poi al punto che mi trovo di stanchezza fisica e mentale non posso più andare avanti. Ho bisogno che Don Rua mi stia al fianco, per rimpiazzarmi in tante cose, che mi aiuti in ciò che io da solo stento a sbrigare. Quindi Don Rua non abbia più occupazione diretta nella casa; e in quanto alla Società Salesiana si diano ad altri le tante occupazioni che esso sbriga e che sarebbero proprie di un economo. Si studi il modo di mettere un procuratore che attenda alle eredità, crediti, debiti, liti, contratti, testamenti. Si incarichi un prete, o un laico, o un avvocato, o un procuratore di mestiere che sbrighi questi affari. Che esso sia testa nel contenzioso e nell'amministrazione. Se Don Savio volesse prendere questa parte sarebbe abilissimo nel disimpegnarla.
Ancora due cose voglio notificarvi riguardo all'Oratorio. Il Direttore spirituale o catechista della Congregazione, se accetta un individuo che vuol fare parte di questa, e costui debba fermarsi nell'Oratorio, ne renda avvertito il Direttore della Casa. Nei giovani che si accettano vi sia propensione per lo stato ecclesiastico.
Si vegli attentamente perchè non s'introduca nei giovani il veleno dell'immoralità. Se per sventura entra questo veleno, s'infiltra inosservato, non si lascia scorgere e finisce con portare un danno generale irrimediabile. Se non si vuole avvertire i giovani, che per l'anno venturo saranno nell'Oratorio accettati, che debbono essere soli quelli che aspirano allo stato ecclesiastico, si cerchi un altro ripiego, un altro pretesto, ma si ottenga questo fine che io mi propongo.
DON CAGLIERO riguardo a quelli di quarta e quinta ginnasiale fa la proposta: -Appena i giovani saranno andati alle loro case in vacanza, si scriva a tutti coloro che non si vogliono più con noi, come non siano più accettati per l'anno venturo, se non rinnovano la domanda di accettazione, alla quale sarà risposto se sì, o se no.
DON BOSCO ordina che si formoli e si esamini una simile lettera che dovrà essere concepita a un dipresso in questi termini: Se non riceverete un biglietto di accettazione entro il tale tempo, procuratevi altro luogo per compiere i vostri studi. Bisogna escludere quelli che fossero di rovina agli altri e di flagello a se stessi. Certi esseri non si tengano più nella casa. Quando danno veri indizi di non essere chiamati al [193] santuario e hanno condotta equivoca, si tolgano dagli studi e si congedino. Si guardi bene dal mettere questi studenti fra gli artigiani. Se uno studente che non ha vocazione, si mette fra gli artigiani, ne fa strage a dritta ed a sinistra, perchè costoro sono individui della peggiore specie.
Dominato da tutti questi pensieri, il Santo nel mese di luglio fece un sogno. Gli parve di trovarsi dinanzi a uno sconfinato e dolce declivio splendidamente illuminato da una luce più pura e più viva di quella del sole, tutto vestito di erbe verdeggianti, smaltato di fiori svariatissimi e ombreggiato da gran numero di alberi, i cui rami avviticchiandosi fra loro sì stendevano a guisa di festoni. L'avrebbe detto un vero paradiso terrestre. Ma più di quel giardino incantato attirarono la sua attenzione due vaghe fanciulle sui dodici anni, sedute sul margine della riva presso la stradicciuola dov'egli stava. Una celestiale modestia spirava dai loro volti e da tutto il loro contegno. Dai loro occhi sempre fissi in alto traspariva un'ingenua semplicità di colombe e una gioia di sovrumana felicità. La grazia delle movenze dava ad entrambe un'aria di nobiltà, che faceva contrasto con la loro giovinezza. Una veste candidissima scendeva loro fino al piede. I fianchi avevano cinti da una fascia purpurea con bordi d'oro, sulla quale spiccava un fregio a mo' di nastro intessuto di gigli, di violette e di rose. Un ornamento simile a guisa di monile portavano al collo. Due fascette di margaritine bianche ne cerchiavano i polsi come braccialetti. Candide le calzature e bordate di nastro filettato d'oro. Lunga la capigliatura e stretta da un a corona che cingeva la fronte, lasciando ricadere ondeggianti sulle spalle e inanellate a ricci le chiome. Esse tenevano insieme un dialogo, parlando, interrogando, esclamando, ora sedute ambedue, ora seduta l'una e l'altra in piedi, ora movendosi in su e in giù a lenti passi. Don Bosco, spettatore silenzioso, ne ascoltava i discorsi, continuati a lungo, senza che mostrassero di addarsi della sua presenza. Alla fine si volsero e salivano la ripa camminando sui fiori senza curvarli [194] e cantando un inno angelico, a cui risposero schiere di spiriti celesti, scesi loro incontro. Ai primi se ne aggiungevano del continuo altri e poi altri, levando uniti un cantico immenso e armoniosissimo, finito il quale tutti insieme a poco a poco si sollevarono in alto e disparvero con l'intera visione. Don Bosco in quel punto si svegliò.
Nei giorni seguenti egli espose per sommi capi a Don Lemoyne quello che aveva veduto, ma riferendogli solamente il senso molto generico di quello che aveva udito, cioè lodi della purezza, mezzi per custodirla e premi riserbatile in questo mondo e nell'altro; quindi gli disse che se ne valesse come di traccia per un suo svolgimento libero. Il segretario eseguì l'ordine, ma gli mancò sempre la possibilità di leggergli la lunga composizione; per questi motivi noi ci contenteremo di riportarla in fondo al volume[101].
Fino a settembre il Capitolo Superiore non si occupò più delle cose riguardanti la disciplina dell'Oratorio; ne riparleremo nel capo diciassettesimo. Prima di riannodare il filo della nostra esposizione dietro la scorta degli atti capitolari, faremo luogo qui ad alcune particolarità, che concorrono a dare dell'Oratorio e delle sue condizioni d'allora un quadro meno incompleto.
Nel corso dell'anno vi morirono parecchi giovani, la cui fine ci dà indizio, che i lamentati rilassamenti non erano giunti a estinguere la pietà antica. Il 30 gennaio si spense Virgilio Paganini da Vezzano Ligure, alunno della seconda ginnasiale, ma già grandicello. Don Bosco andò ancora a visitarlo l'ultima sera. L'infermo vedendolo, si ravvivò tutto e gli disse: - Don Bosco, la ringrazio di avermi accettato nell'Oratorio. Se non mi avesse accettato con lei, chi sa come mi troverei in questo punto? La ringrazio di tutto il bene che ha fatto alla mia anima.
- Io, gli rispose Don Bosco, sono contento che tu sii tranquillo. Pregherai per me? [195]
- Sì, pregherò per lei e per la nostra Congregazione, che il Signore la faccia crescere per salvare tante anime.
Furono queste le sue ultime parole. Don Bosco, allontanatosi dal suo letto, non era ancora arrivato in fondo all'infermeria, che Paganini spirò.
Il 17 febbraio morì l'artigiano quattordicenne Onorato Chiappelli da Pistoia. Vaneggiando ripeteva: - 0 Maria, madre nostra, aiutateci tutti... ma specialmente me... me... me. - L'aveva preceduto di due giorni all'eternità il suo assistente Don Vincenzo Reggiori da Sangiano. Gli artigiani dicevano che, se fosse morto Don Bosco, forse non avrebbero sofferto maggior dolore. Tale confronto veniva loro spontaneo, essendo quelli i giorni della grave malattia di Don Bosco.
Il 18 giugno cessò di vivere Carlo Godi da Gozzano, egli pure alunno della seconda ginnasiale e piuttosto grande. Pochi giorni prima di morire disse ad alcuni amici: - Maria Ausiliatrice mi ha fatto la maggiore delle grazie. Sono contento. Ho potuto in questi esercizi confessarmi e comunicarmi come se fosse stata l'ultima volta. Sono contento, contento.
Grande impressione produssero negli artigiani due fatti che avrebbero dovuto avere conseguenze tragiche e invece si risolsero in nulla. Un compositore a tarda sera, assentatisi qualche minuto l'assistente e il capo, si mise a giocare con un compagno e per nasconderglisi corse verso il vano del montacarichi che dai sotterranei saliva fino al suo laboratorio. Credendo che il piano della macchina fosse a livello del pavimento, si slanciò sopra; ma trovandosi quella invece al piano della sottostante stamperia, piombò capovolto nel vuoto dall'altezza di circa sette metri e andò a battere la testa sul ferro della copertura. Gli accorsi al rumore lo rinvennero immobile come morto; ma, portato nell'infermeria e ricuperati i sensi, altro non gli rimase fuorchè il segno del colpo e un po' di capogiro, che tosto scomparve. Non meno pericoloso fu il caso occorso a un sarto. Mentre con tre compagni girava sul passo del gigante, l'albero che sosteneva le corde si schiantò [196] alla base e si piegò sopra di lui, stendendolo a terra con l'impeto del suo peso. Una trave simile, fatta più pesante dalle grosse staffe di ferro che la incoronavano, poteva bene ammazzarlo; invece gli offese appena leggermente una gamba. Gli artigiani considerarono queste come due grazie segnalate, che attribuirono a Maria Ausiliatrice.
Don Bosco, fermo nel proposito di dare all'Oratorio un riordinamento soddisfacente, in settembre, quando il Capitolo Superiore teneva le sue sedute per formare il personale delle case, ritornava sempre su quel punto. Così il 12 fece due osservazioni sul modo di conservare la moralità e l'ordine tanto nella Casa madre che nelle altre. - Si cerchi, disse, di allontanare dai nostri allievi ogni libro proibito, quand'anche fosse prescritto per la scuola. Molto meno tali libri si pongano in vendita. Quando Don Bosco scriveva la Storia d'Italia aveva fatto un po' di biografia dell'Alfieri e citato qualche tratto di autori proibiti. Ma il celebre professore Amedeo Peyron, che aveva esaminato il manoscritto, mi rimproverò dicendomi: Non nomini mai autori proibiti, perchè se li nomina mette ai giovani la voglia di leggerli; li lasci nell'oblio. Così noi dobbiamo fare: non introdurre, non citare, non nominare autori proibiti. Si farà un'eccezione, ma solamente per coloro che debbono presentarsi ai pubblici esami; ma anche in questi casi si faccia uso di edizioni purgate. Ma gli autori proibiti anche purgati non si mettano in mano ai giovani che sono in altre classi inferiori. È un destare in loro la fatale curiosità di verificare e confrontare le correzioni con l'originale. Così pure si vada adagio a parlarne; per esempio, volendo esporre qualche tratto di storia letteraria, si eviti di farlo senza che ve ne sia necessità. I direttori e i professori che dovessero per caso averne qualcuno, lo tengano sotto chiave. Io non pensava che ci potesse essere tanta smania di leggere libri proibiti come c'è adesso; come pure la smania di perdere il tempo e rovinarsi l'anima con i romanzi. Si leggano e si diano a leggere preferibilmente le vite dei nostri [197] allievi, come pure tutti i libri delle Letture Cattoliche e quelli della Biblioteca della gioventù. Ce ne sono dei magnifici. Noi stimiamo poco le cose nostre. Abbiamo fin paura di metterli nel Catalogo dei libri di premio da darsi nei nostri stessi collegi. Ad alcuni sembra un'umiliazione dare libri religiosi in mano ai giovani di quarta e quinta ginnasiale. Un'altra cosa raccomando. Ogni studio e ogni sforzo sia rivolto a introdurre e praticare nelle nostre case il sistema preventivo. I Direttori facciano conferenze su questo importantissimo punto. I vantaggi che ne verranno sono incalcolabili per la salute delle anime e la gloria di Dio.
Sull'affare delle letture Don Bosco ruminava già da un pezzo l'idea di far pervenire a tutti una sua autorevole parola. Infatti nel 1883 aveva detto a Don Lemoyne: - A suo tempo ti darò un lavoro. - Quindi, passato un anno e incontrandolo gli domandò: - Ti ricordi quel che ti dissi di un lavoro da fare? Ebbene, ora è il tempo. - E gli tracciò il tema di una circolare sopra le letture per ispedirla poi alle case nel cominciamento dell'anno scolastico. Don Lemoyne scrisse, Don Bosco rivide e questa lunga lettera fu diramata ai collegi sul principio di novembre.
Miei dilettissimi figliuoli in G. C.,
Una gravissima cagione mi determina a scrivervi questa lettera sul principiare dell'anno scolastico. Voti sapete quanta affezione io nutra per quelle anime che Gesù benedetto Signor nostro nella sua infinita bontà volle affidarmi, e d'altra parte non dovete misconoscere quale responsabilità pesi sugli educatori della gioventù e quale strettissimo conto costoro dovranno rendere della loro missione alla Divina Giustizia. Ma questa responsabilità io debbo sostenerla con voi indivisa, o miei carissimi figliuoli, e bramo che sia per voi e per me origine, fonte, causa di gloria e di vita eterna. Perciò ho pensato di richiamare la vostra attenzione sopra un punto importantissimo, dal quale può dipendere la salute dei nostri allievi. Parlo dei libri che si debbono togliere dalle mani dei nostri giovanetti e di quelli che si debbono usare per le letture individuali, o per quelle fatte in comune.
Le prime impressioni che ricevono le menti vergini e i teneri cuori dei giovanetti durano tutto il tempo della loro vita; e i libri oggigiorno sono una delle cause principali di queste. La lettura ha per essi una [198] vivissima attrattiva solleticando la loro smaniosa curiosità e da questa dipende moltissime volte la scelta definitiva che fanno del bene o del male. I nemici delle anime conoscono la potenza dì quest'arma e la esperienza vi insegna quanto sappiano scelleratamente adoperarla a danno dell'innocenza. Stranezza di titoli, bellezza di carta, nitidezza di caratteri, finezza di incisioni, modicità di prezzi, popolarità di stile, varietà d'intrecci, fuoco di descrizioni, tutto è adoperato con arte e prudenza diabolica. Quindi tocca a noi opporre armi ad armi; strappare dalle mani dei nostri giovani il veleno, che l'empietà e l'immoralità loro presenta: ai libri cattivi opporre libri buoni. Guai a noi se dormissimo, mentre l'uomo nemico veglia continuamente per seminare la zizzania.
Perciò fin dal principio dell'anno scolastico si metta in pratica ciò che le regole prescrivono, si osservi cioè attentamente quali libri rechino con sè i giovani nell'entrare in Collegio, destinando, se fa d'uopo, una persona ad ispezionare bauli ed involti. Oltre a ciò il Direttore di ogni casa imponga ai giovani di fare l'elenco coscienzioso di ogni loro libro e di presentarlo al Superiore stesso. Questa misura non sarà superflua, sia perchè si potrà esaminare meglio se qualche libro rimase inosservato, sia perchè conservandosi questi elenchi potranno in data circostanza servite per regola di azione contro chi maliziosamente avesse celato qualche libro cattivo.
Simile vigilanza continui tutto l'anno, sia comandando agli allievi di consegnare ogni libro nuovo che acquistassero lungo il corso scolastico o che fosse introdotto dai parenti, amici e condiscepoli esterni; sia osservando che, per ignoranza o per malizia, non siano fatti avere ai giovani pacchi involti in giornali pessimi; sia coi fare prudenti perquisizioni in istudio, in camerata, in iscuola.
Le diligenze usate a questo fine non sono mai troppe. Il Professore, il Capo Studio, l'Assistente osservino eziandio che cosa sì legga in chiesa o in ricreazione, in iscuola, nello studio. I vocabolarii non purgati sono pure da, eliminarsi. Per tanti giovani sono il principio della malizia, delle insidie dei compagni cattivi. Un libro cattivo è una peste che ammorba molti giovani. Il Direttore stimi di aver ottenuta una buona ventura quando riesce a togliere di mano a qualche allievo uno dì questi libri.
Purtroppo che i giovani possessori di questi si prestano ben difficilmente all'obbedienza e ricorrono ad ogni astuzia per nasconderli. Il Direttore deve lottare contro l'avarizia, la curiosità, la paura del castigo, il rispetto umano, le passioni sbrigliate. Perciò io credo necessario conquistare il cuore dei giovani persuadendoli colla dolcezza. Più volte all'anno dal pulpito, alla sera, nelle scuole trattar l'argomento dei libri cattivi, far vedere i danni che da questi derivano; persuadere i giovani che non sì vuole altro fuorchè la salute delle anime loro, che noi dopo Dio amiamo sovra ogni altra cosa. Non si usi rigore [199] se non nel caso che un giovane fosse di rovina agli altri. Se uno consegnasse un libro cattivo ad anno avanzato si dissimuli anche la passata disobbedienza e si accetti quel libro come un carissimo regalo. Tanto più che talora può essere il Confessore che gli ha prescritta simile consegna, e sarebbe imprudenza cercare più in là. La conosciuta benignità dei Superiori indurrebbe anche i compagni alla denunzia di chi nascondesse simili libri.
Scoperto però un libro proibito dalla Chiesa o immorale si consegni subito alle fiamme. Si sono visti libri tolti ai giovani e conservati riuscir di rovina a preti ed a chierici.
Così operando io spero che i libri cattivi non entreranno nei nostri collegi, ovvero entrati saranno presto distrutti.
Ma oltre i libri cattivi è necessario tener d'occhio certi altri libri, i quali, benchè buoni o indifferenti in sè, pure possono riuscir di pericolo, perchè non convenienti all'età, al luogo, agli studi, alle inclinazioni, alle passioni nascenti, alla vocazione. Questi pure si debbono eliminare. In quanto ai libri onesti ed ameni, se si potessero escludere, ne verrebbe un gran vantaggio per il profitto nello studio; i Professori regolando i còmpiti scolastici potranno misurare agli allievi il tempo. Essendo però oggigiorno quasi irrefrenabile la smania di leggere e anche molti libri buoni scaldando troppo le passioni e le immaginazioni, ho pensato, se il Signore lui dà vita, di ordinare e stampare una collana di libri ameni per la gioventù.
Ciò dico riguardo ai libri che si leggono in privato. Per ciò che spetta alle letture fatte in comune nei refettorii, nelle camerate e nella sala di studio, dirò in primo luogo che non si leggano mai libri se prima non sono approvati dal Direttore e siano esclusi i romanzi di qualunque genere essi siano, non usciti dalla nostra Tipografia.
In refettorio si legga il Bollettino, le Letture Cattoliche, di mano in mano che escono, e negli intervalli i libri storici stampati nell'Oratorio, la Storia d'Italia, la Storia Ecclesiastica e dei Papi, i Racconti sull'America e su altri soggetti; ma pubblicati nella collezione delle Letture Cattoliche, e i libri storici o di racconti della Biblioteca della gioventù. Questi ultimi si potrebbero leggere nello studio, ove vi fosse ancora l'usanza di una lettura nell'ultimo quarto d'ora prima della scuola di canto.
Riguardo poi alla lettura nelle camerate intendo di bandire assolutamente ogni lettura divagante o amena; ma desidero siano adottati libri, che colle loro impressioni coll'animo del giovanetto che sta per addormentarsi siano atti a renderlo più buono. Quindi sarà cosa utilissima che si usino in questa circostanza libri allettevoli, ma d'argomento piuttosto sacro od ascetico. Incomincierei dalle biografie dei nostri giovanetti Comollo, Savio, Besucco, ecc.; continuerei con quei libretti delle Letture Cattoliche che trattano di religione; finirei colle vite di santi, ma scegliendo le più attraenti ed opportune. Queste letture [200] che seguono il brevissimo discorso della sera, partito da un cuore che desidera la salute delle anime, son certo che talora faranno più bene di quello possa farlo un corso di esercizi spirituali.
Per ottenere pienamente questi desiderati effetti e fare che i nostri libri servano di antidoto contro i libri cattivi, vi prego e vi scongiuro di amare voi stessi le pubblicazioni dei nostri Confratelli, tenendovi liberi da ogni sentimento d'invidia o disistima. Dove trovaste qualche deficienza, col consiglio ed anche coll'opera, se avete tempo, prestatevi, perchè si possano fare le correzioni necessarie col notificare le vostre osservazioni all'autore stesso od a quelli fra' Superiori, cui spetta la revisione delle nostre pubblicazioni. Se i giovanetti udiranno il maestro e l'assistente lodare un libro, essi pure lo stimeranno, loderanno, leggeranno. Ricordatevi una gran parola che il Santo Padre Pio IX indirizzava un giorno ai Salesiani: “Imitate l'esempio dei Padri della Compagnia di Gesù. Perchè i loro scrittori sono così stimati? Perchè i confratelli si adoperano a rivedere e correggere, come se fossero proprie, le opere di un confratello; quindi in pubblico con tutti i giornali dei quali possono disporre celebrandone i meriti, gli procurano una fama esimia, e nel privato delle conversazioni sul loro labbro non risuonano che parole di lode. Non udrete mai uno di quei Padri, che pure si contano a migliaia uscire in una critica che diminuisca la fama di un Confratello ”.
Così fate Voi in mezzo ai nostri cari giovanetti e state certi che i nostri libri produrranno un bene immenso.
Miei cari figliuoli. Ascoltate, ritenete, praticate questi miei avvisi.
Sento che gli anni miei volgono al loro tramonto. Anche i vostri anni vanno velocemente passando. Lavoriamo adunque con zelo, perchè abbondante riesca la messe di anime salvate da poter presentare al buon Padre di famiglia, che è Dio. Il Signore à benedica, e con voi benedica i nostri giovani allievi, che saluterete da parte mia, raccomandando alle loro preghiere questo povero vecchio che li ama tanto in Gesù Cristo.
Nel giorno della festa di tutti i Santi.
Affezionatissimo in Gesù Cristo
Ma per l'Oratorio in particolare erano sul tappeto due rilevanti proposte, che poi si restrinsero a una sola. Si trattò o di cambiare il Direttore o di crearne due. Il Capitolo Generale del 1883 aveva deliberato che si nominasse un Consigliere professionale per tutta la Congregazione. Nessuno più di Don Lazzero sembrava adatto a quell'ufficio; prevalendo dunque il primo disegno, s'innalzasse Don Lazzero a tale carica e la [201] direzione dell'Oratorio fosse affidata a Don Francesia. Se non che, dubitandosi da taluno, che Don Francesia non possedesse tutti i numeri per mantenere l'ordine nell'Oratorio, Don Bosco, nell'adunanza del 4 settembre, lasciato libero ognuno di dire la sua, troncò il dibattito a questo modo: - É difficile trovare una persona che vada a genio di tutti e che piaccia a tutti. Uno la troverà troppo dolce, un altro poco accondiscendente, un terzo troppo trascurata, un quarto troppo rigorosa. Siamo uomini e bisogna fare le cose umanamente, Mettiamo le nostre risoluzioni su d'un piano che possa andare. A me pare che la sola cosa che si possa apporre a Don Francesia sia la troppa bontà. Ma ha scienza e pietà, quali non è tanto facile trovarle in altri. Laverò per tanto tempo nell'Oratorio, e lo conosce a fondo. Ciò che si deve fare, egli lo fa ed ha pure grande conoscenza del Regolamento. - Udite infine varie osservazioni, concluse che Don Francesia sarebbe venuto all'Oratorio e che Don Cesare Cagliero avrebbe presa la direzione del collegio di Valsalice.
Accanto però alla proposta di dare all'Oratorio un nuovo Direttore, si agitava l'altra di dargliene due, uno per gli studenti e l'altro per gli artigiani, ma indipendenti fra loro. La ragione era l'immensità dell'Oratorio, dove un solo non poteva sostenere la responsabilità di tutto; ogni laboratorio, ad esempio, costituiva per la direzione il peso di un intero collegio. Ma, una volta stabilito questo doppio regime entro il medesimo ambiente, sarebbe regnato un accordo tale da evitare attriti? Anche qui Don Bosco lasciò che si discutesse liberamente il pro e il contro, finchè nella seduta del 12 prese a dire così:
DON BOSCO. - Ho pensato al progetto dei due Direttori nell'Oratorio. Ho dunque bisogno che venga con noi Don Francesia e che con Don Lazzero mi dirigano questa casa. Un solo Direttore è impossibile che regoli tanto popolo nella casa di Valdocco. Don Lazzero più volte mi ha domandato di essere esonerato da tanto peso. Bisogna adunque dividere le attribuzioni tra Don Francesia e Don Lazzero. A Don Francesia affidare gli studenti e tutto ciò che li riguarda; a Don Lazzero tutta la parte degli artigiani e più ancora l'uffizio di Catechista per [202] tutto ciò che spetta agli artigiani della Congregazione in tutte le altre case. Ad esso apparterrà tutto ciò che riguarda la moralità e la disciplina degli artigiani sia dell'Oratorio come di tutta la Congregazione In quanto alle altre case il suo titolo sarà di Consigliere professionale, in quanto all'Oratorio sarà chiamato Direttore degli artigiani. Il nuovo ufficio di Direttore degli artigiani sarà stabile in avvenire. Fra Don Francesia e Don Lazzero bisognerà stabilire un modus vivendi che possa continuare ora che ci siamo noi, e poi anche senza di noi e dopo di noi. Se si vuole concentrare tutta l'autorità dell'intero Oratorio in una sola persona, ci vorrebbe da qui innanzi un regime nuovo, ed io non intendo di mutar sistema. Gli artigiani, per quanto si può, formino una sezione autonoma in quanto alla direzione. Gli studenti siano pure una sezione autonoma, indipendente da quella degli artigiani. Se non si procede con una organizzazione possibile di personale, si andrà a finire in una mostruosa mescolanza e confusione. Don Lazzero mi ha scritto più volte in questo senso.
DON LAZZERO osserva l'imbroglio di tante persone di servizio o meglio di certi ricoverati ovvero ospitati o di quelli detti comunemente barba, che vanno e vengono secondo il loro interesse o capriccio e domanda come classificarli.
DON BOSCO. - Coll'esperienza, colla buona volontà, coll'accordo dei due Direttori, modificando, cambiando, si verrà a capo di sciogliere ogni problema. Non si tratta di fissare subito principii invariabili, ma sì bene di studiare il modo di ridurre la mia idea in pratica, sicchè si possa continuare. Certe massime tradizionali che finora servirono di norma, bisogna stabilirle. Tuttavia sono cose che conviene trattarle con grande tranquillità.
DON RUA osserva come sia necessario determinare bene le attribuzioni dei due Direttori, perchè non nascano ombre, attriti, ecc.
DON DURANDO chiede: Da chi dipenderà la chiesa, da chi la cucina? ecc.
DON BOSCO: - Lasciamo a parte il nome delle persone. É indispensabile che vi sia un Direttore degli artigiani e responsabile della disciplina e moralità di questi nella casa di Valdocco. Questi sia, anche per le altre case ove sono artigiani e per la loro sol partita, ciò che è il Consigliere Scolastico per i Collegi della Congregazione ed anche per provvedere il personale e per tutelare la moralità. Non potrà andare a visitare le case? Si intenda coll'Ispettore dell'Ispettoria, ma noi qui nell'Oratorio abbiamo bisogno di un capo per gli artigiani. Vorrei che si studiassero le varie idee che ho esposte. Don Rua, Don Francesia, Don Cagliero facciano una conferenza preparatoria; poscia interverrò ancor io di presenza per studiare il da farsi. Si dimentichino le persone, acciocchè le cose procedano a maggior gloria di Dio. È questione di cose, non di persone.
DON CAGLIERO afferma che chi ha cura dell'Oratorio non è possibile [203] che possa trattare gli affari delle altre case. Il governo locale dà troppo da studiare.
DON BOSCO: - Sarà ciò che vedrete voi e delibererete.
DON CAGLIERO insiste esserci bisogno che in tutte le questioni si allarghi l'orizzonte delle idee: bisognerà avere due cucine, due dispense distinte?
DON BOSCO: - Appena si possa, si studierà che ciascuna sezione, cioè artigiani e studenti, abbiano ogni cosa così divisa, da concedere ai due Direttori perfetta indipendenza in tutto, anche di locali.
DON RUA chiede: E per ora come si fa?
DON CAGLIERO risponde che gli attriti fanno andare avanti il vapore.
DON RUA osserva come sia necessario esaminare bene gli affari del Consigliere Scolastico e dell'Economo del Capitolo Superiore in relazione coi nuovo ufficio nella persona dei due Direttori degli studenti e degli artigiani nell'Oratorio.
DON CAGLIERO insiste perchè si fermi l'attenzione sopra il punto principale. Agli attriti si penserà poi di mano in mano che sorgeranno.
DON BOSCO. - Don Cagliero ha ragione. Limitatevi con tutta tranquillità alla questione principale. La decisione deve essere indipendente da ogni considerazione secondaria. Si stabilisca il principio dei due Direttori.
DON BARBERIS interroga se il Capo dell'Oratorio non potrebbe essere l'Ispettore e se non sarebbe meglio che i due Capi degli artigiani e degli studenti fossero due vice direttori.
DON BOSCO: - Incominciamo a salvare la moralità e la disciplina collo stabilire due Direttori. Verranno poi poste le quistioni: Il Direttore degli artigiani dovrà avere ingerenze cogli Ispettori delle altre case? Dovrà immischiarsi dei capi, d'arte da chiedere o da inviare alle altre case? Queste sono cose secondarie da studiarsi. La seconda cosa che desidero si è depurare le case da quegli elementi eterogenei che non sono della Congregazione: che costoro non vengano a tavola con noi, nè ai trattenimenti, conferenze, ecc. ecc. Simil gente si ficcano dappertutto, odono, vedono, fanno sapere fuori le cose nostre e le sanno meglio essi che noi.
DON BARBERIS domanda chi sarà l'Ispettore della provincia pel Piemonte.
DON BOSCO: - Ora la questione non è questa.
Questa seduta capitolare fu tenuta a Valsalice, dove si facevano gli esercizi spirituali. Ivi Don Bosco alla presenza di parecchi sacerdoti, fra i quali Don Notario, raccontò un sogno da lui fatto in quei giorni. Gli era parso di trovarsi sulla [204] porta dell'Oratorio nell'atto di rientrare, circondato improvvisamente e a breve distanza da alcuni de' suoi, che lì per lì non riconobbe, perchè avvolti da nebbia. Avvicinatosi loro per osservarli meglio, vide che tentavano di schivarlo; ma egli, chiamatili, riuscì a farseli appressare. Avevano il petto scoperto e dal lato del cuore portavano una macchia in forma di bubbone pestilenziale, su cui si potevano scorgere tre colori: nero, rossastro infiammato e giallo. Svegliatosi il Santo faceva di tutto per iscacciare quelle fantasie; ma indarno, chè le brutte figure gli ricomparivano davanti anche mentre stava seduto sul letto. Notò che la nebbia era più fitta intorno al capo, sicchè a stento si decifravano sulle loro fronti certe parole, che si leggevano a rovescio. Allora egli si alzò e scrisse i nomi di tutti quelli che vide. Dal suo modo di esprimersi raccontando si arguì che vi dovevano essere state circostanze, le quali non aveva creduto opportuno di manifestare.
Il soggiorno di Valsalice non fu per lui di lunga durata. Una sera, ritornando con il chierico Viglietti da visitare una famiglia che villeggiava nelle vicinanze, accusò un malore alla gamba sinistra. Questa nella notte gli si gonfiò molto: era risipola. Il 14 si fece venire a Valsalice il dottor Fissore, che, visitatolo, gli suggerì quale unico rimedio di porsi a letto, affinchè la gamba stesse in riposo. Egli allora, sceso all'Ora torio, fece come il medico aveva detto. Il male si aggravava ogni dì più. Gli si manifestò una continua febbre con respiro affannoso e un'enfiagione straordinaria al cuore: per causa ignota gli si era sollevata una costa. Inoltre residui miliarici gli cagionavano forte prurito in tutta la persona. Ciò nonostante, dovendosi il 27 chiudere gli esercizi a S. Benigno diede speranza d'intervenirvi, se là si pregasse.
Non teneva continuamente il letto, ma d'ordinario nelle prime ore pomeridiane si alzava e se ne stava seduto fin verso sera o in camera o nella galleria. Qui una volta venne a visitarlo il cardinale Alimonda. Poi riprese la celebrazione della Messa, palesando a volte un fervore molto acceso. Una mattina [205] glie la servì Don Cerruti e fu testimonio che tre o quattro volte ruppe in lacrime e singhiozzi irrefrenabili.
Sono pure di questo tempo due saggi di forza assai noti e narrati dai biografi. Il figlio del dottore Albertotti, medico anch'esso, volendone provare il vigore, lo pregò di stringergli la mano. Don Bosco gliela strinse. - Più forte... più forte, ancora, gli disse il medico.
- Badi che le farò uscir sangue! rispose l'infermo.
- Ahi, per dinci, com'è forte! gridò quegli allora.
Verso sera il medesimo tornò con l'anello metallico graduato, che serve a misurare la forza. Lo strinse egli per primo con tutta l'energia della sua mano destra, segnando quarantacinque gradi. Lo prese poi Don Berto e giunse a quaranta con la destra, a quarantacinque con la sinistra. Don Bosco segnò sessanta. Era il massimo. Eppure disse di aver usato moderazione per tema di spezzare lo strumento.
A S. Benigno volle andare, come aveva divisato. La mattina del 3 ottobre i Superiori vi stavano tenendo capitolo sotto la presidenza dì Don Rua, quando alle undici e mezzo giunse da Torino un telegramma annunziante che Don Bosco, alquanto migliorato, si avviava alla ferrovia per recarsi a San Benigno. Sospesero subito la seduta per andargli incontro. Don Lemoyne scrive nei Verbali: “Arrivò alle dodici con sua gioia, con nostra festa, con suo e nostro affetto indescrivibile ”. Camminava col bastoncello. Vi fece udire quella sua voce, che scoteva le anime e le consolava. Don Francesia espresse la comune letizia in dodici sestine dì endecasillabi, le quali cominciavano e terminavano così:
Oh buon Padre Don Bosco che piacere
Ci diede col lasciarsi qui vedere:
Vederlo qui col bastoncello in mano,
Mentre lo temevam lontan lontano...
Lontano ed ammalato, e fermo in letto...
Quale ci diede col venir diletto! [206]
Dopo la sua partenza da Valsalice il Capitolo Superiore presieduto da Don Rua, vi si era ancora adunato cinque volte dal 18 al 20 settembre, riattaccando a tre riprese il discorso stilla questione dei due Direttori, sia per rendersi conto di eventuali difficoltà e pericoli, sia per escogitare un modus vivendi che potesse dare qualche affidamento. Tutti i Superiori, ad eccezione di Don Cagliero, ideatore e sostenitore dell'innovazione, vi si acconciavano poco di buon grado. Anche Don Rua, che fin dalle prime mosse aveva accampate le sue obbiezioni, si piegava non per intimo convincimento che quella fosse la via migliore, ma unicamente per la sua innata docilità ai voleri di Don Bosco. Nella seduta del 18 parlò del provvedimento in questi termini: - lo sono pronto ad obbedire a Don Bosco, ma preveggo difficoltà e disordini. Credo che Don Bosco sia spinto da altri a prendere simili decisioni, poichè egli prima fu sempre per l'unità di coniando. - Si fece dunque com'era stato stabilito: Don Francesia Direttore degli studenti, Don Lazzero degli artigiani e, conte per l'innanzi, Don Bosco Rettore. Ma il nuovo sistema durò appena due anni scolastici; dopo si tornò all'antico.
L'adunanza del 19 affrontò un argomento doloroso e delicato, ma imposto dalle circostanze. La malattia di Don Bosco dava seriamente a pensare; bisognava pure prospettarsi il caso di una triste eventualità e prevederne gli effetti immediati. Che cosa si sarebbe dovuto fare per i funerali e conte provvedere alla sepoltura? Don Rua opinava che, verificandosi la temuta catastrofe, si chiedesse al Governo la licenza di procedere al seppellimento nella chiesa dell'Oratorio e allegò alcuni fatti comprovanti la possibilità di ottenere la concessione. Erasi ben voluto in anni antecedenti comprare un posto al cimitero e l'impresario Carlo Buzzetti aveva trattato col Municipio per il contratto; ma non si trovavano più aree vendibili. Don Lemoyne propose di collocare provvisoriamente la salma in un loculo del camposanto per estrarmela poi, quando fosse preparato un posto di nostra proprietà. Una grande mestizia [207] incombeva su tutti. Don Cerruti intervenne dicendo essere la questione discussa di poca e ultima importanza, e si passò ad altro.
Noi comprendiamo a pieno come Don Rua, che aveva agio di conferire confidenzialmente con il dottore Albertotti, medico di Don Bosco, e quindi conosceva meglio di chicchessia le condizioni reali del caro infermo, sentisse il dovere di far violenza a se stesso e guardare in faccia all'avvenire. L'Albertotti fu pur colui che lasciò scritto che “dopo l'anno 1880 circa, l'organismo di Don Bosco era quasi ridotto ad un gabinetto patologico ambulante”[102]. E dal 1884 si andarono accentuando in lui la diminuzione del visus, la nefrite e l'indebolimento spinale. Il figlio del medico, che per incarico del celebre specialista Reymond gli esaminò ripetute volte il fondo dell'occhio con l'oftalmoscopio di Liebreich, vi riscontrò emorragie retiniche. La forza visiva diminuì talmente che chiese e il 14 ottobre ottenne dalla Sacra Penitenzieria l'indulto di poter celebrare nei giorni festivi e di rito doppio la Messa votiva della Beata Vergine e negli altri giorni la Messa dei defunti. Da parte del medesimo Reymond gli si praticarono diagnosi anche sui disturbi renali che, già inquietanti, crebbero poi a segno da causargli negli ultimi mesi del 1887 enorme albuminuria. E l'indebolimento spinale, iniziatosi, pare, nel 1871, progrediva sensibilmente nel 1884, tanto da farlo andare curvo e portando le braccia al dorso per equilibrarsi. Nonostante però tutte queste affezioni organiche che gli logoravano la vita, noi lo vedremo ancora per quattro anni con alacrità di mente e con sforzi erculei occuparsi di tutto e di tutti, per promuovere senza posa la gloria di Dio e il bene delle anime.
DON Bosco, tutto cuore per gli altri, quando cadevano infermi, si sarebbe detto che non avesse viscere per se stesso, tanto la vinceva sui personali riguardi il suo amore alla fatica, ma nell'estate del 1884 i suoi più validi collaboratoti e i suoi medici, inquieti al vederlo oltremodo sofferente, accordatisi fra loro, per distrarlo dalle ininterrotte occupazioni, lo costrinsero a cercar riposo sulle alture di Pinerolo. A determinare la scelta del luogo era intervenuto il Vescovo della diocesi monsignor Filippo Chiesa, che, pieno di affettuosa venerazione per l'Uomo di Dio, gli offerse graziosa ospitalità nella villa episcopale. Vi si lasciò egli condurre il 19 luglio in compagnia di Don Lemoyne e di Don Giacomo Ruffino, sostituito pochi giorni dopo dal chierico Viglietti.
Di Pinerolo Don Bosco serbava caro il ricordo fin dalla giovinezza. Studente di ginnasio e poi chierico vi era stato due volte ospite nella famiglia di quel suo amico che fu Annibale Strambio, come narrò allora ai suoi compagni di viaggio[103]. Narrò pure come vi ripassasse appena ordinato, sacerdote, dovendosi recare a Fenestrelle per una predicazione. [209]
Partito da Torino alle 10 antimeridiane, trovò alla stazione di Pinerolo il Vescovo stesso, che lo aspettava e lo fece salire in una carrozza a due cavalli. Il giovane e ottimo Prelato lo circondò, dal principio alla fine, di ogni migliore attenzione, lietissimo di vederlo riprendere forza di giorno in giorno. Il fresco di quelle montagne gli procacciò subito grande sollievo, liberandolo dall'oppressione causatagli a Torino dal caldo, che in certe ore gli soffocava addirittura il respiro. Anche la tranquillità del luogo gli conferiva alla buona digestione, di mano in mano che riacquistava l'appetito. Il Vescovo poi faceva di tutto per isvagarlo. Onde il 7 agosto Viglietti scriveva a Don Rua: “Don Bosco, tolto quell'incomodo sul cuore, che mi mette in seria apprensione, starebbe bene. Fa delle passeggiate con me, canta, mi racconta tante belle cose e con me dice il rosario, Tutto da noi due, perchè Don Lemoyne sono tre giorni che è andato a predicare a Fenestrelle ”.
Viglietti lo assisteva ogni mattina nella celebrazione della Messa; poi o solo o con Don Lemoyne lo accompagnava a fare una prima passeggiata per i vicini colli: un'altra gitarella si faceva verso sera. Stavano fuori anche qualche ora. In agosto gli riusciva già di camminare senz'alcun sostegno; naturalmente procedeva a passo lento e talora amava andarsi a sedere in mezzo ai prati. Un magnifico pino secolare, che spiegava largamente i suoi rami presso la villa, offriva gradevole ombra nelle ore meridiane.
I suoi due accoliti, di temperamento gioviale, lo tenevano allegro; ma egli stesso talvolta insegnava loro belle canzoni e soprattutto li dilettava con piacevoli racconti. In uno di quegli intimi colloqui, il I° agosto, propose a Don Lemoyne di dare alle fiamme i documenti relativi alle controversie con l'Arcivescovo monsignor Gastaldi. Il segretario gli fece osservare: - Che cosa dovranno dire i posteri, vedendo nei documenti dei nostri archivi una sì grossa lacuna? E la storia della Congregazione? [210]
Dovendosi dire, rispose, che cosa fece Don Bosco in quei dieci anni, nei quali patì le vessazioni, basterà una formula come questa: Continuò a occuparsi nel disbrigo de' suoi affari.
Don Lemoyne, che non poteva non vedere la necessità di conservare quelle carte, fece bellamente mutare discorso e per tema che Don Bosco gli comandasse una cosa ch'ei non si sentiva in animo di eseguire andò un po' a zonzo attorno alle siepi in cerca di fiori.
Del suo rimettersi in salute è prova la corrispondenza che ci rimane datata da Pinerolo. Omettendo le lettere spedite in Francia e in massima parte già note ai lettori, daremo conto di quelle italiane.
Il pensiero della lotteria per la chiesa del Sacro Cuore lo seguiva anche lassù. Il coadiutore Rossi a sua richiesta gli mandava mazzi di biglietti, che egli distribuiva a cooperatori vicini e lontani. Da questa lettera si scorge che se n'era occupato subito nei primi giorni della villeggiatura.
Ho ricevuto i biglietti e va bene.
Ora mandamene un centinaio di colore rosso che mi sono richiesti.
Mandami la nota dei cooperatori di Pinerolo e dintorni.
Saluta D. Bonetti: ho tanto bisogno della sua sanità e del suo lavoro.
Dio ci benedica tutti ed abbimi in G. C.
Villeggiava a Pinerolo la signora Losana, cooperatrice torinese. Ecco in quali termini la interessa alla distribuzione dei biglietti.
Qui a Pinerolo non può lavorare molto pei nostri ragazzi, perciò la prego di occuparsi un poco pel nostro Santo Padre. Ella pertanto in [211] onore del Sacro Cuore di Gesù procuri di distribuire gli uniti biglietti di Lotteria e Dio penserà a rimunerarla degnamente.
Dio benedica Lei e tutta la sua famiglia e mi creda con gratitudine.
P.S. Ben inteso che può ritornare quelli che non distribuisce.
Aggregò alla pia Unione dei Cooperatori l'intera comunità delle Visitandine pinerolesi, dandosi tosto premura d'invocarne l'aiuto per la lotteria.
Ogni giorno voleva compiere la visita promessa, ma ogni volta qualche imbarazzo me la impediva. Affinchè poi le sue figlie possano almeno cominciare a lucrare. Le S. Indulgenze le mando il diploma di aggregazione ed ho scritto a Torino che le venga eziandio tostamente spedito il Bollettino mensile.
Le trasmetto qui alcuni biglietti da spacciarsi in aiuto del nostro S. Padre. Ella può rimandare quelli che non potesse spacciare o non giudicasse di ritenere.
Dio benedica Lei tutta la sua religiosa famiglia ed educande e voglia anche pregare per me e per tutta la mia famiglia di orfanelli mentre me le professo in G. C.
Quanto una somma inviatagli da Padova giungesse provvidenziale, lo scrisse a Don Tullio De Agostini, che a nome di due oblatrici glie l'aveva spedita[104].
Con tutta regolarità ho ricevuto la somma di danaro inviatami, cioè:
F. 500 della Sig. Antico per cui il Signore assicura il centuplo anche nella vita presente. [212]
F. 6oo dalla S. Mainardi in onore del Sacro Cuore di Gesù.
Credo che la ricompensa sarà più copiosa per l'opportunità in cui la si fece. Ascolti. Don Rua venne qui a Pinerolo per chiedermi danaro da inviare a D. Dalmazzo che chiedeva con premura da Roma per continuare le costruzioni. Io non ne aveva, perchè fuori di casa. A tempo ho ricevuto la somma inviata che tosto mi son fatto premura di spedire a Roma. Così gettai un po' di acqua su l'arsiccio terreno.
Ogni giorno nella S. Messa prego per la Sig. Antico, per la C.ssa Mainardi, per Franceschino e per Lei, mio sempre caro D. Tullio.
Dio ci benedica e ci conservi tutti nella sua santa grazia. Amen.
Non perdeva di vista i bisogni spirituali di chi era per questo abitualmente in corrispondenza con lui. Una lettera diretta alla tanto benemerita signora Magliano si vede essergli stata ispirata appunto da un pensiero di carità per l'anima sua.
Eravamo ansiosi di sapere notizie della sua sanità; ma Ella nel ritornare da Susa partì tosto per Busca.
Se ora nella sua cortesia volesse dirmi come trovasi presentemente in salute e specialmente come ha praticato lo specifico di non darsi alcun pensiero sopra tutto il suo passato, mi farebbe un regalo.
A motivo della mia sanità mi sono recato in Villa col Vescovo di Pinerolo, dove mi trovo molto meglio. Dio la benedica, o Benemerita Sig. Magliano, e con Lei benedica le opere sue e la famiglia sua; Ella poi voglia pregare per questo poverello e per tutta la moltitudine de' nostri giovanetti. Maria ci aiuti a guidarli tutti a godere un giorno seco Lei la gloria del Paradiso.
Sono in ogni cosa suo in G. C.
Il 25 luglio era S. Giacomo, onomastico di Don Ruffino. Don Bosco si ricordò di lui e gli mandò un'immagine di Maria Ausiliatrice, a tergo della quale scrisse in latino alcune righe molto affettuose. Siccome lo scritto porta la data della festa. [213] è probabile che glie l'abbia fatto avere per mezzo di qualcuno recatosi in quel giorno a visitarlo; poichè dall'Oratorio si andava con certa frequenza a vederlo[105].
Don Cagliero passò tutta la prima metà di agosto a Nizza Monferrato per dirigere gli, esercizi spirituali prima delle Signore e poi delle Suore. Delle Signore egli scriveva a Don Rua: “I santi esercizi delle Signore furono benedetti da Dio e trovammo molte vocazioni ”. Le Suore tennero il loro Capitolo Generale, di cui Don Cagliero informava così il medesimo Don Rua: “Il Capitolo Generale delle Suore cammina a gonfie vele, perchè tracciato su quello dei Salesiani. Abbiamo riveduto la S. Regola ed ora stiamo adattando le nostre deliberazioni alla loro Congregazione. Il tutto si sottoporrà a Don Bosco e al suo Capitolo. Gli atti delle discussioni sono migliori di quelli di Montecitorio[106]. Assistono talvolta alle sedute Don Bonetti, Don Bertello e il Direttore ”. Nella stessa lettera aveva detto: “Don Bosco ci ha scritto per ben due volte; ciò vuol dire che deve star meglio. Deo gratias ”[107]. Ma delle due lettere noi possediamo soltanto quella inviata durante la prima muta.
Mi fa veramente piacere che le Signore esercitande siano in numero ragguardevole, siccome mi scrivi, malgrado le voci scoraggianti che si fanno correre sul cholera, che va minacciando i nostri paesi. La cosa che ancor più mi ha consolato si è il modo esemplare con cui queste anime elette fanno tali Spirituali Esercizi. [214]
Tu però sai come fare a togliere ogni paura di malanno. Il solito antidoto. Medaglia di M. A. colla giaculatoria: 0 Maria au. chri. ora pro nobis: Frequente Comunione: ecco tutto.
Siccome poi la fonte di ogni grazia è il Sacro Cuore di Gesù, così col consenso della Madre Superiora, io credo che tu faresti cosa buona promovendo una questua per la chiesa e per l'ospizio del Sacro Cuore di Gesù di Roma.
Sebbene la mia sanità sia di molto migliorata, tuttavia non posso recarmi in Nizza come era mio vivo desiderio. Procuro però di fare quel che posso di qui. Dal I° di agosto ho fatto ogni mattino una speciale preghiera nella Santa Messa per le nostre esercitande, inviando loro infine la Santa Benedizione di M. A. Ciò continuerò a fare fino al giorno dell'Assunzione di Maria al Cielo.
Abbiamo in questi giorni la grande fortuna di essere nella preziosa novena dell'Assunta, ed io vorrei parlare con ciascuna e darle un consiglio che le assicurasse la via del Paradiso. Mi pare proprio che in questi momenti sia propizia Maria e che parli: - Figlie mie, non tardate a romperla definitivamente col mondo. Esso è un nemico che non paga o paga male e tradisce. Consacrate con generosità al mio figlio Gesù tutte voi stesse; le vostre sostanze, la vostra sanità, il vostro cuore, siano ora e sempre di Gesù a costo di qualunque grave sacrifizio. O figlie dilettissime di Maria, vogliate anche pregare per me e fare una santa Comunione a mia intenzione, ed io continuerò a pregare per voi. A rivederci un giorno in Cielo con Gesù e con Maria. Così sia.
D. Lemoyne fu inviato a Fenestrelle dal Vescovo a fare le sue veci in un discorso ai preti; ma ritornerà o stasera o dimani mattina.
Monsig. Espinosa mandò una graziosa esposizione della escursione fatta coi Salesiani in Patagonia. Viglietti la traduce e prima che si stampi la vedrai.
Questo Vescovo, Mons. Chiesa, mi usa tutte le attenzioni. Oggi suo compleanno episcopale abbiamo parlato molto di te sotto al pino e fatto un brindisi a tua salute.
D. Savio come sta, che fa? Salutalo caramente da parte mia.
Perchè non mi dai notizie di Gaia e di Vigna?[108].
Dio ci benedica tutti, e Maria ci aiuti a camminare nella via del Cielo.
PS. Saluta nel Signore le nostre suore. [215]
Al chiudersi di quel corso d'esercizi per le Suore, fra le nuove vestiende si trovava Eulalia Bosco, nipote del Santo, che le fece dono di questo prezioso scritto.
Ho benedetto il Signore quando hai preso la risoluzione di farti religiosa, ora lo ringrazio di tutto cuore che ti conservò la buona volontà di romperla definitivamente col mondo e consacrarti totalmente al buon Gesù. Fa volentieri questa offerta, e rifletti alla ricompensa che è il centuplo nella vita presente ed il vero premio, il gran premio nella vita futura.
Ma, mia buona Eulalia, ciò non sia per burla, ma sul serio. E ricordati delle parole del padre della Chantal, quando trovavasi in simile caso. Ciò che si dà al Signore non si tolga più.
Ritieni che la vita religiosa è vita di continuo sacrifizio, e che ciascun sacrifizio è largamente da Dio ricompensato. La sola ubbidienza, la sola osservanza delle regole, la sola speranza del celeste premio sono il nostro conforto nel corso della vita mortale.
Ho sempre ricevute le tue lettere e con piacere. Non ho risposto perchè mi mancò il tempo.
Dio ti benedica, o Eulalia, Maria sia la tua guida, il tuo conforto, fino al cielo. Spero che ci vedremo ancora nella vita presente, altrimenti addio, ci vedremo a parlare di Dio nella vita beata. Così sia.
Auguro ogni benedizione alla Madre Generale e a tutte le Suore, novizie, postulanti di M. A. Sono debitore dì una risposta alla Madre e lo farò. Prega per me e per tutta la nostra famiglia ed abbimi sempre in G. C.
Uno spiacevole incidente accaduto a S. Benigno richiese l'intervento autorevole di Don Bosco presso l'autorità civile. Il sindaco, senza farne motto con il Direttore Don Barberis, come sarebbe stato suo elementare dovere, aveva destinato il cortile dell'antico chiostro, dove convenivano gli esterni, a provvisorio alloggio di soldati. Un giorno ecco arrivare uno squadrone dì cavalleria. Le porte erano chiuse e pioveva dirotto. Si prese a bussare con somma violenza, quando all'improvviso scoppiò un diverbio. Fu detto che un ragazzo avesse scagliato un sasso contro un militare. Aperte però le porte e [216] allogati cavalli e uomini tutto si accomodò in buona pace; anzi gli ufficiali si aggiravano volentieri nell'interno, intrattenendosi familiarmente con i nostri.
Ma, come si seppe di poi, c'era stato sotto un brutto tranello con lo scopo di tentare l'allontanamento dei Salesiani dal paese. I giornali, impossessatisi del fatto, lo dipinsero a neri colori, come atto di ribellione e di offesa all'esercito e frutto di educazione reazionaria. Si minacciava il finimondo. Il Santo, edotto della cosa, stese un'esposizione pura e semplice, che mandò al Prefetto di Torino, accompagnandola con una lettera, scritta a Pinerolo, ma datata come s'egli si trovasse all'Oratorio.
Ill.mo e Benemerito Signor Prefetto,
Una vertenza che pareva di lieve entità nel nostro Ospizio di Sali Benigno, dà abbastanza gravi disturbi a quei poveri giovani che sono colà ricoverati.
Dall'esposizione fatta nel foglio unito può avere regolare conoscenza della cosa.
Io noto solamente che in questo tempo in cui siamo minacciati dal colera, gettare là una stalla sotto i portici di un istituto dove l'esalazione ammorba la chiesa, ammorba i laboratorii, il refettorio e i medesimi dormitorii, paiono cose da prendersi nella più seria considerazione nel solo aspetto della igiene pubblica.
La S. V. conosce abbastanza come io mi sia adoperato con tutti i mezzi a me possibili per togliere al governo gli imbarazzi cagionati da quelli che si trovano poveri ed abbandonati. Di più ho già dovuto allontanare da quella casa diversi allievi e quelli i quali colà tuttora si trovano, non saprei ove ricapitarli.
Si noti ancora che le giostre e porticati esistenti in quell'edifizio sarebbe appunto quella parte che ha fatto giudicare quell'edifizio monumentale, come tale ceduto ad utilità pubblica cui realmente è destinato, e che sarebbe certamente deturpato qualora si prolungasse la riduzione del locale a scuderia. Offrendomi di continuare il mio servizio in favore del governo mi raccomando caldamente che vengami in aiuto nel caso presente e mi professo con gratitudine somma.
Chiarite bene le cose, l'affare non ebbe seguito. Dei subdoli tentativi per mandar via i Salesiani da S. Benigno, diremo a suo luogo.
Due giorni dopo inviò condoglianze e benedizioni al giovane studente Pietro Olivieri e alla sua famiglia, dimorante a Calizzano presso Finalmarina nella Liguria.
Ricevo con piacere la tua lettera ma mi duole la notizia della morte di tuo zio Francesco che io ignorava. Io pregherò tanto per l'anima sua. Ci parleremo poi anche di lui. Quanto prima cominceremo i nostri esercizii spirituali; prega che possiamo farli bene, che ognuno pratichi quel prezioso detto: Nostrae divitiae, nosterque thesaurus bona sint animarum, et in arca nostri pectoris recondantur talenta virtutis (S. Pier. Dam.). Buone vacanze. Dio benedica te, la pia tua genitrice e tutti i tuoi parenti e specialmente la nonna tua, che il Signore lungo tempo conservi. Amen.
Nei verbali del Capitolo (Radunanza 13a del 20 agosto), vi è cenno di una lettera, in cui Don Bosco raccomandava alle Suore tre cose: che nelle loro conferenze si badasse piuttosto alla pratica che alla riforma della Regola; che si ritenesse come via più sicura e più breve per arrivare alla perfezione la via dell'umiltà e dell'obbedienza; che nelle decisioni si avesse in mira di lasciare il corpo in terra e fissare lo spirito in cielo.
All'avvicinarsi di grandi onomastici preparò auguri, quali si convenivano ai personaggi che voleva onorale. Non abbiamo la lettera indirizzata al cardinale Alimonda per San Gaetano, che cadeva il 7 agosto; ma la risposta di Sua Eminenza non deve rimanere nell'oblio.
Ella ha voluto prendersi l'incomodo di mandarini una preziosa lettera di augurii e di affettuosa ricordanza per il mio S. Gaetano!... Non me ne dispiace, perchè tengo molto ad essere aiutato dalle sue [218] fervide orazioni e conservarmi la sua benevolenza e la sua amicizia. Perciò non tardo ad attestarle per tanta cortesia la più viva e sincera gratitudine.
Sono proprio contento di sapere che in codesto buon clima la S. V. Rev.ma e carissima si è avvantaggiata in salute. Nella mia meschinità io non cesso dal pregare il Signore che conservi lungamente alla Chiesa, alla Congregazione Salesiana il nostro caro D. Bosco. E sarò esaudito perchè oramai nei due emisferi si prega da innumerevoli anime sante allo stesso intento.
Vorrei averla vicino: con tutto ciò per il suo belle desidero che passi in villa ancora questo mese. Io penso che l'ottimo Mons. Chiesa le terrà spesso compagnia; perciò vorrà presentargli i miei rispettosi saluti.
Ed Ella accetti quelli della mia famiglia che ricorda riconoscente la di Lei bontà.
La abbraccio nel Signore con fraterno affetto; La benedico colla sua grande famiglia, con le sue grandi imprese e godo raffermarmi
Affezionatissimo come fratello
A S. Lorenzo era la volta del cardinale Nina, Protettore della Congregazione. Quest'anno Don Bosco aveva un argomento nuovo per professargli riconoscenza. Gli scrisse dunque:
In ogni tempo, ma specialmente nel giorno Onomastico dell'Eminenza vostra, debbono i Salesiani unirsi in un cuor solo ed in un'anima sola per presentare alla sua augusta persona i sentimenti della comune gratitudine loro, per tanti benefizi che in questo anno si degnò largirci.
Il maggior favore fu certamente la comunicazione dei privilegi dei Redentoristi. Questa concessione ha collocata l'umile nostra Congregazione in uno stato normale, e pose il mio cuore nella tranquillità da poter cantare il Nunc dimittis. La gratitudine, le preghiere, le azioni di grazie siano pertanto alla S. V., al S. Padre che pose il compimento alle lunghe incombenze della definitiva nostra Congregazione approvata e nella sua possibilità di sostenersi nelle varie diocesi e più specialmente ancora nelle missioni estere.
La prego di gradire un Album in cui sono descritte le case della Congregazione tanto in Europa quanto in America. Copia identica sarà presentata al S. Padre pel giorno suo Onomastico, [219]
In questo giorno felice tutti i Salesiani, i loro allievi pregano Iddio buono affinchè la ritorni in buona salute, la conservi ad multos annos pel bene di S. Chiesa, a conforto dei suoi poveri figli, che tanto pregano per l'E. V. che l'amano qual tenero Padre.
Io mi trovo qui a Pinerolo per curare la mia sanità. Dimoro col Vescovo che mi usa ogni possibile attenzione. Esso per mezzo mio la prega di voler gradire i suoi rispettosi ossequii.
Infine Ella si degni di compartire la sua santa benedizione sopra tutti noi, mentre colla più profonda gratitudine reputo al più grande onore di potermi a nome di tutti i Salesiani dichiarare
Finalmente veniva S. Gioachino, onomastico del Papa. L'Album qui sopra accennato doveva mettere sott'occhio al Vicario di Gesù Cristo, quale fosse lo stato di quella Congregazione, alla quale egli aveva il mese innanzi concessi i privilegi: una Congregazione che ben meritava tanta grazia, poichè, già si grande nel presente, prometteva di grandeggiare ognor più nell'avvenire. Per la preparazione dell'Album Don Bosco aveva dato incarico ad un buon calligrafo salesiano prima di partire da Valdocco. Lo spedì a Don Dalmazzo, affinchè lo umiliasse al Santo Padre con questa sua lettera datata da Torino.
In questo giorno faustissimo, Beatissimo Padre, consacrato alla gloria di quel santo che ricorda il venerabile vostro nome, i Salesiani affezionatissimi ed obbligatissimi vostri figliuoli sentono il grave dovere di esternare in quest'anno la profonda loro gratitudine e la inalterabile loro riconoscenza verso di V. S. loro insigne benefattore.
Voi ben lo saprete, o B. P., come l'umile nostra Congregazione, mancasse di un segnalato favore, mancasse cioè di un forte vincolo che inalterabilmente la stringesse colla santa Sede, e questo atto per noi tanto glorioso, Vi degnaste di compiere nel 9 maggio ultimo scorso accordando la comunicazione dei Privilegi coi Redentoristi.
Questa concessione fu per noi il coronamento dell'opera, l'appagamento delle nostre sollecitudini e dei nostri voti.
Ora non ci resta altro che noi Vostri Salesiani tutti ci uniamo in [220] un cuor solo, in un'anima sola a lavorare pel bene di Santa Chiesa. È vero che nei difficili tempi che traversiamo e nella grande messe che a noi si presenta, appena possiamo chiamarci pusillus grex, tuttavia di tutto buon grado noi metteremo le nostre sostanze, le nostre forze la nostra vita nelle mani di V. S. affinchè, come di cosa tutta sua, si degni servirsene in tutto quello che giudicherà tornare a maggior gloria di Dio nell'Europa, nell'America e sopra tutto nella Patagonia.
Credo non sia discaro a V. S. che io unisca qui un elenco dei religiosi, degli ospizi, delle case e residenze in cui procuriamo di lavorare in favore della pericolante gioventù ed anche per gli adulti, specialmente nelle estere Missioni tra i selvaggi del Brasile e dell'Uruguay, della Repubblica Argentina e in tutte le terre meridionali dove è interamente ignorato il santo nome di Gesù Cristo.
Ai deboli nostri lavori aggiungeremo quotidiane e particolari preghiere affinchè Dio conservi ancora molti anni l'augusta persona di V. S. a sostegno di S. Chiesa, a gloria di nostra santa religione, a maggior consolidamento della nascente pia Società di S. Francesco di Sales.
Tutti umilmente prostrati dimandiamo la salita ed apostolica benedizione, mentre a nome di tutti ho l'incomparabile onore di potermi professare
Il dì dell'Assunta, nel qual giorno era invalso l'uso di festeggiare il compleanno di Don Bosco, si portarono tutti in città, dove il Santo volle assistere alle funzioni nella cattedrale e udire il discorso del Vescovo. Prima di scendere da' suoi appartamenti nella chiesa Monsignore gli presentò una diecina di chierici, che ve lo dovevano accompagnare. Don Bosco, fissatili sorridendo, disse loro: - Si preparino a ricevere gli Ordini con l'acquisto` delle virtù proprie d'un sacerdote. Un prete in paradiso o all'inferno non ci va mai solo. - E spiegò in poche parole il significato di questa sentenza. Il Vescovo, tra serio e faceto, com'era suo fare caratteristico, soggiunse: - Si provino a non essere buoni! Io faccio presto a mandarli via dal seminario. Essi lo san bene che l'anno scorso due dei loro compagni dovettero deporre la veste.
Monsignore per far onore a Don Bosco imbandì nel suo palazzo un pranzo, al quale invitò i canonici. Alla fine, quando [221] tutti si levarono da mensa, Don Bosco si andò a sedere con Viglietti su d'un muricciuolo nel giardino. Mentre stavano tranquillamente discorrendo, gli si avvicinò un servo per consegnargli due lettere al suo indirizzo. Don Bosco ne dissuggellò una e la lesse: la lettura gli fece corrugare un po' la fronte. Aperta l'altra e fermatovi sopra lo sguardo un istante, si mise a piangere. Viglietti spaventato gli domandò quale fosse la cagione di quel pianto. - La Madonna, rispose Don Bosco, ci vuol bene. - E per tutta spiegazione gli porse a leggere i due fogli.
La Provvidenza gli pagava largamente la festa, Nella prima lettera si esigeva da lui la pronta restituzione di trentamila lire dategli in prestito dallo scrivente, il quale scrivente era il Gazzolo. Dove trovare una somma così rilevante, con cui soddisfare al suo debito? Lì per lì quel pensiero gli riuscì molesto. Nell'altra lettera una nobile signora gli chiedeva dal Belgio, in qual modo avrebbe potuto impiegare a gloria di Dio la somma di franchi trentamila. - Sia benedetto il Signore! - esclamò il Santo, mentre Viglietti gli restituiva le lettere, vinto anche lui dalla commozione.
Del resto, erano meraviglie, a cui la Madonna lo aveva avvezzato da un pezzo. L'anno innanzi, i lavori per riattare in Mathi Torinese il fabbricato, che serviva di abitazione ai Figli di Maria, avevano assorbito trentamila lire. Don Bosco, sedendo a mensa dal conte Colle a Tolone, ruminava seco stesso come soddisfare il capomastro. Terminato il pranzo, il Conte che non ne sapeva nulla, gli presentò un piego contenente trentamila franchi per le sue opere. Don Bosco si volse a lui sorridendo e gli disse che durante la refezione la sua mente era andata in cerca di espedienti per pagare trentamila lire e che perciò il signor Conte era stato scelto da Dio a strumento della stia provvidenza. A tali parole il Conte pianse di consolazione. Sempre nel 1883 Don Bosco assisteva in S. Benigno agli esercizi spirituali de' suoi figli. Gli stavano da presso Don Rua e Don Lazzero, con i quali studiava la maniera di pagare [222] urgentemente una somma di ventimila lire. Le strettezze finanziarie in quel momento critico angustiavano i Superiori. Mentre si facevano progetti e calcoli, Don Bosco cavò dalla busta una lettera giuntagli poc'anzi e lesse. Un signore gli scriveva di avere pronte lire ventimila per un'opera di beneficenza e chiedeva a lui quale impiego farne. - Sono cose d'ogni momento, conchiudeva il Santo dopo aver narrato i due episodi. Eppure i posteri non le vorranno credere e le porranno tra le favole.
Quella sera ci fu anche un'accademia in miniatura. I giovani dell'Oratorio avevano mandato due indirizzi, uno per Don Bosco e l'altro per Monsignore. Don Lemoyne li lesse loro durante la cena nel palazzo vescovile. Il primo recava questa intestazione: “Gli affezionatissimi figli artigiani e studenti dell'Oratorio al loro amatissimo Padre ”. Conteneva filiali espressioni di affetto, auguri di perfetta guarigione, promessa di preghiere e di buona condotta. Nell'altro i medesimi, che conoscevano il Vescovo per averlo veduto nell'Oratorio, gli manifestavano tutta la propria riconoscenza per le cure amorose da lui prodigate al loro buon Padre. Giungeva intanto l'Osservatore Cattolico di Milano con un articolo intitolato “Il compleanno di Don Bosco ” e che cominciava così: “Domani, giorno di Maria Assunta, Don Bosco entra nel settantesimo anno della sua vita; di una vita tutta dedicata alla gloria di Dio, al trionfo della Chiesa, a sollievo della umanità. Gli inizi della sua lunga carriera, umilissimi; le difficoltà che incontrò e dovette superare, immense: la tristezza dei tempi, in mezzo ai quali si trovò, valsero a far brillare più vivida la scintilla dei suo genio, la potenza del suo carattere, e soprattutto la mano di Dio che benedicendo le opere sue, le fecondò e le moltiplicò meravigliosamente in Piemonte, nel Genovesato, in Francia, in tutta Italia, in America ”. Quello poi che oggi da tutti udiamo proclamare sulla missione di Don Bosco, là era detto a chiare note. “Egli fu rispettato anche dai grandi e nei momenti in cui la rivoluzione furibonda passeggiava fra [223] le contrade del Piemonte atterrando tutto ciò che aveva l'impronta di sacro, le opere di Don Bosco furono risparmiate. Questo uomo fu dunque suscitato da Dio a difesa della Religione e della Chiesa ”. Ricordato quindi com'egli avesse goduto la fiducia di Pio IX e godesse quella di Leone XIII, lo scrittore ne traeva questa logica conseguenza: “Il suo istituto vivrà, perchè Don Bosco lo ha fondato sopra gli angoli della Pietra, che non si spezza mai ”. Si finiva annunziando un libro su Don Bosco e la sua Opera, uscito quell'anno in Francia e recentemente tradotto in italiano.
Di questo libro aveva già parlato l'Eclair di Lione nel suo numero del 17 maggio, pigliandone occasione per esaltare l'efficacia sociale dell'Opera di Don Bosco[109]. N'era autore Alberto Du Boys, già presidente alla Corte d'Appello del Puy nel dipartimento dell'Alta Loira. Egli aveva conosciuto dal Bollettino Don Bosco e le sue istituzioni ed erane rimasto ammirato. Desideroso di scriverne per i suoi connazionali, venne appositamente in Italia, visitò le principali case salesiane, interrogò amici, condiscepoli e allievi del Santo e, raccolto un buon materiale, mise mano alla penna. Il libro si divide in tre parti. Nella prima la biografia del Fondatore s'intreccia con la storia delle sue fondazioni in Europa; la seconda è dedicata alle Missioni d'America; la terza dà uno sguardo retrospettivo. Un'Appendice presenta la statistica delle fondazioni salesiane nei due mondi, comprendendo pure quelle delle Figlie di Maria Ausiliatrice; ha inoltre il testo francese delle nostre Regole, il Regolamento degli Oratorio festivi, una notizia su Buenos Aires, e fuori testo un'ampia carta geografica dell'America Meridionale, dov'è segnata l'estensione delle Missioni[110]. É un lavoro diligente e nella forma accurato; ha un capitolo originale, in cui Don Bosco viene presentato [224] come un sommo poeta e la sua Opera come un grandioso poema[111].
La prima copia fu dall'autore mandata a Don Bosco, il che diede luogo a un notevole episodio. Un giorno, mentre Don Berto gli radeva la barba, ricevette nella sua camera il figlio del dottore Albertotti e lo invitò a sedere, finchè non fosse finita l'operazione. Allora disse in piemontese all'operatore: - Senti, Berto, da' un po' qui al Dottorino quel libro. - Doti Berto porse un bel volume a Don Bosco, che lo presentò al giovane Dottore, domandandogli se lo gradisse. Quegli, data un’occhiata al frontispizio e visto di che si trattava, lo ringraziò, soggiungendo che più gradito gli sarebbe tornato il dono con un suo motto sulla copertina, dal quale risultasse provenirgli esso da lui medesimo. Tale richiesta, fattagli così a bruciapelo, parve sconcertare Don Bosco, che cambiò due volte colore in viso, si schermì con gesti e rispose confusamente, sempre in piemontese: - É il primo che ho, è il primo che do. - Ma la risposta buona venne dopo: - Dice troppo bene di me. - Don Berto dissuase il Dottorino dall'insistere; ond'egli desistette dal richiedere. Il libro è da lui tuttora religiosamente conservato; sulla guardia vi aveva scritto la data della visita con questa nota: “Per me il dono e la risposta sono di gran valore pel carattere di Don Bosco ”[112].
Crediamo che l'Albertotti figlio vedesse nel dono la nessuna paura di Don Bosco per la pubblicità che si dava alle sue opere e ai fatti della sua vita, e nella risposta la sua modestia personale. Queste due cose a osservatori superficiali sarebbero potute sembrare inconciliabili; ma tempi nuovi, propaganda nuova, e Don Bosco, pur essendo santo della più autentica santità antica, era insieme uomo del proprio secolo. Opportuno ci torna a questo proposito quello che disse in una conversazione con i suoi intimi il 16 ottobre 1884. Non potremmo desiderare un linguaggio più fianco e ragionevole. [225]
- Quanto di nostra fama disse, noi lasciamo su questa terra, altrettanto di gloria ci sarà scemato in cielo... se pure saremo trovati meritevoli dì andarci. Del resto io ho fatto tutto il possibile per occultarmi. Si parlava da ogni parte di questo povero prete: chi ne diceva una e chi ne diceva un'altra, e Don Bosco taceva sempre, Ma quando la Congregazione ebbe forma stabile, allora fui costretto, non dico a pubblicare le cose mie, ma a non oppormi così energicamente come nel passato aveva fatto a coloro che volevano ricorrere alla stampa per far conoscere le opere nostre. La persona di Don Bosco restava identificata con la nostra Pia Società, e questa bisognava che fosse conosciuta[113].
Nel medesimo autunno egli parlò allo stesso modo con il signor S. Sestini di Roma che nel periodico La Rassegna Italiana si occupava della Carità privata in Italia e voleva pubblicare un suo studio anche su. Don Bosco. Venuto a Torino per l'Esposizione fra il settembre e l'ottobre e recatosi a visitare A Santo, gli espose il disegno che aveva in niente, domandandogliene incoraggiamento - Se è per incensarmi, gli rispose Don Bosco, le dico di no. Ma se è per far conoscere ed aiutare sempre più l'istituto, benedico la stia idea. - La qual frase gli ripetè nel congedarlo[114].
Ancora una parola per il suo natalizio. Auguri ne dovette ricevere da più par ti e a voce e per iscritto; ma di risposte ce n'è giunta una sola, lepidetta, alla contessa Balbo. [226]
La mia mamma è buona e si ricordò di questo suo figlio sebbene cattivo. Per l'avvenire voglio essere buono e pregare tanto per Lei. Se il Sig. Cesare giudicasse dirmi una parola sul nostro argomento, mi farebbe piacere e mi servirebbe di norma in altre cose.
Maria dal cielo dica a tutta la sua famiglia: Voi siete miei figli e tutti vi proteggerò.
Preghino anche per questo poverello che loro sarà sempre in G. C.
Stando per cominciare a Valsalice gli esercizi dei Confratelli, Don Bosco, che voleva trovarcisi per assistervi e confessare, lasciò l'ospitale dimora il 22 agosto e da Valsalice il 25 incaricò Don Lemoyne di scrivere al Vescovo e porgergli i dovuti ringraziamenti.
Monsignore il 3 settembre nella sua risposta diceva: “Sono lietissimo di aver potuto ospitare nella mia villa il Ven.mo Don Bosco, poichè sono certo che vi avrà chiamato sopra molte celesti benedizioni, parte delle quali saranno pur state comunicate al miserabile Vescovo. E se Don Bosco si contentò di quel poco che si poteva fare, voglio sperare che lo dimostrerà ritornando altra volta a rallegrarci di sua presenza ed a respirare le aure purissime di S. Maurizio sotto il classico Pino. É vero che io non sono capace di fare cerimonie o complimenti, ma la bontà sua saprà passar sopra alle mie miserie e godersi un po' di riposo ed un po' d'aria buonissima. Restiamo adunque ben intesi, la villa sarà in qualunque stagione sempre aperta per Don Bosco ed il buon Vittore sempre ai suoi ordini, quand'anche il Vescovo non potesse lungamente restare in S. Maurizio ”.
Il “buon Vittore ” era il domestico del Vescovo. Egli serviva Don Bosco con la persuasione di servire un santo; Don Bosco a sua volta lo trattava con l'amore che S. Francesco di Sales aveva per i suoi dipendenti. Un giorno Monsignore [227]
era andato a Bricherasio per la festa dell'allora Beato Fedele da Sigmaringa. La fantesca, certa Luigia: Barberis, era fuori per il bucato, e il pranzo l'aveva preparato Vittore. Orbene Don Bosco volle ad ogni costo che Vittore e il giardiniere Francesco Badino si mettessero a tavola con lui. Vittore faceva umili scuse per declinare tanto onore; ma Don Bosco finì con dirgli: - Non volete venire con me? Non dovremo stare sempre insieme in Paradiso? - A quella uscita inaspettata Vittore non seppe che replicare.
Come sapeva Don Bosco scegliere il tempo opportuno per tutte le cose! Tanto per fare un rimprovero che per dare una dimostrazione d'affetto egli coglieva sempre il momento propizio e usava la forma conveniente. Il Vescovo di quando in quando sì assentava. Allora invitare a mensa Vittore, quando la cuoca stava al suo posto, non conveniva; invitare anche la donna, neppure. Perciò in simili casi non diceva nulla. Quando poi partì, diede a Vittore un'immagine di Maria Ausiliatrice con queste parole scrittevi da lui sotto: “Mio caro Vittore, Dio vi benedica, la SS. Vergine vi protegga per la via sicura che conduce al cielo. Così sia. Sac. BOSCO GIOVANNI ”. La fantesca volle che anche per lei scrivesse un motto dietro a un'immagine. Il Santo la contentò, ma chiamandola “Signora Luigia ”. Essa rimase maluccio, perchè a Vittore aveva dato l'epiteto di “caro ”; ma non osò lamentarsi. Quanta delicatezza in Don Bosco! Dobbiamo ancora aggiungere che il “buon Vittore” era tanto buono che, non pago di rifiutare qualsiasi mancia, lo costrinse ad accettare alcuni marenghi d'oro, frutto de' suoi risparmi, per le Opere salesiane.
Tanto più meritoria fu la generosità di monsignor Chiesa verso Don Bosco, in quanto che le sue condizioni economiche erano piuttosto ristrette. L'anno dopo il Santo preferì recarsi a Mathi, donde gli fece pervenire un segno tangibile della sua riconoscenza. Monsignore raccoglieva allora offerte per lavori che si eseguivano nella sua cattedrale. Don Bosco volle contribuire [228] anche lui, inviandogli per mezzo di Don Lemoyne cento lire; il qual atto riempì di commozione il degno Pastore e gli porse il destro di rinnovare l'espressione dei sentimenti di venerazione profonda che nutriva per il Servo di Dio[115].
ALLORCHÉ Don Bosco fece ritorno all'Oratorio, la città di Torino aveva il colera alle porte[116]. Manifestatosi il 4 giugno a Tolone, il fatal morbo si apprese verso la metà di luglio a Marsiglia, le quali due città ne divennero il doppio focolare. I Salesiani compresero allora il misterioso significato di certe parole scritte dal Santo nelle feste natalizie a Don Ronchail, Direttore della casa di Nizza: “Dirai ai tuoi figli che questo anno prossimo per loro è molto importante e saranno testimoni di gravi avvenimenti; che perciò siano buoni sul serio ”[117]. Si era almanaccato molto per indovinare a che mirasse il funesto annunzio; ma, quando l'epidemia prese a serpeggiare par la Provenza, non ci fu più dubbio. A Torino Viglietti il 2 luglio nel refettorio, presenti Don Lemoyne e Don De Barruel, aveva domandato a Don Bosco, se il morbo pestilenziale sarebbe venuto anche in Italia. - Sì, rispose, e più terribile di quello che si possa pensare.
Così accadde. Lo spavento portò l'emigrazione dalle città colpite, sicchè le frontiere e i porti italiani furono ben tosto inondati di fuggitivi. Scoppiò qualche caso a Ventimiglia e a [230] Saluzzo. Il Governo italiano applicò rigidamente le leggi sanitarie dirette a impedire il contagio; ma fra il luglio e l'agosto si avverarono nuovi casi a Livorno, a Rio Maggiore presso la Spezia e a Pancalieri presso Pinerolo. I colpiti erano operai che, eludendo la vigilanza, avevano fatto ritorno in Italia. Queste località vennero completamente isolate e si rafforzarono i cordoni sanitari per arrestare l'invasione se non che l'invasione si estese dal Piemonte alla Sicilia nelle province in cui era maggiore il numero dei rimpatriati. Tuttavia, sulle prime, casi e decessi non raggiunsero cifre molto alte. Invece a settembre le province invase sommavano a ventiquattro, e in due grandi città, alla Spezia e a Napoli, le vittime cadevano sempre più numerose. In tutti gli ordini dei cittadini sorse un'ammirevole gara per arrecar soccorsi, anche quando il flagello infuriava; e infuriò talmente che nello spazio di due mesi dalla metropoli partenopea furono portate a seppellire più di seimila e cinquecento vittime.
E' incredibile quanto Don Bosco abbia influito a diffondere negli animi la calma, ottimo coefficiente a scongiurare il pericolo. In privato e in pubblico, per lettere e per via del Bollettino egli dava come preservativo infallibile l'uso dei seguenti mezzi: I° Frequentare la santa comunione con le disposizioni dovute; 2° Ripetere sovente la giaculatoria Maria, Auxilium Christianorum, ora pro nobis; 3° Portare al collo la medaglia benedetta di Maria Ausiliatrice e concorrere a qualche opera di carità e di religione in onore di lei. Alla marchesa Carmela Gargallo di Napoli in occasione del suo onomastico, il 14 luglio, scrisse categoricamente. “Con questo antidoto vada pure a servire nei lazzaretti, che non incontrerà alcun male ”.
Naturalmente le richieste di medaglie si fecero incessanti. Il coadiutore Giuseppe Rossi scriveva a Don Bosco il 5 settembre: o Credo farle cosa grata a darle un cenno delle medaglie che dal magazzeno si sono distribuite in meno di cinque giorni. Sono sessantatrè mila ”.
Da Pinerolo Don Bosco si teneva informato su gli andamenti [231] del morbo[118] mandando incoraggiamenti a benefattori italiani e francesi. Scrisse alla signora Magliano, che villeggiava a Busca:
Qualcuno, anzi gli stessi giornali hanno pubblicato che in Busca avvennero alcuni casi di cholera. Ma Lei, Signora Magliano, non abbia alcun timore. Il nostro antidoto è sicuro. Tuttavia se il morbo si sviluppasse di fatto in questa città, Ella potrebbe venire a Torino dove grazie a Dio finora siamo perfettamente tranquilli e tranquilla pure sarebbe la S. V.
Ella dunque non abbia alcun timore nè per le cose dell'anima nè per le cose dei corpo.
Il povero D. Bosco, tutti i suoi figli, giovani, chierici, preti, allievi pregano per Lei: Maria ci ascolterà. Sono qui col Vescovo di Pinerolo fino al 22 del corrente mese, poi a Torino.
Maria la protegga e la conservi in sanità e santità tutti i giorni della nostra vita e mi creda in G. C.
Villa del Vescovo, Pinerolo, 16 ag. 1884.
Busca fu proprio uno dei luoghi maggiormente provati. Il comune, poco distante da Cuneo, è sparso in tante frazioni sopra un territorio di circa ventotto chilometri. D'inverno una buona metà della popolazione emigra in Francia, sicchè nel mese di giugno gli operai rimasti a Tolone e a Marsiglia, sfuggiti alle compagnie armate e alle quarantene, ritornavano ai patrii lari, recando seco i germi del male. Quando fu scritta la lettera surriferita, l'epidemia imperversava. Il Re Umberto, che cacciava nei pressi di Valdieri, volò sul luogo della sventura, prodigando conforti e soccorsi. Soltanto l'arrivo di cinquecento medaglie segnò un arresto e poi la fine del malore.
Quanti poveri fanciulli la falce della morte orbava dei genitori! Sollecito della loro sorte infelice, il Santo fece spedire a tutte le case salesiane la seguente circolare. [232]
Già in varie città e paesi non solo della Francia ma anche dell'Italia si verificano casi di cholera, come viene a tutti annunziato per mezzo dei giornali. In tale pericolo giudico opportuno mandare alcuni avvisi a tutte le nostre case, raccomandando ai saggi Direttori che li facciano conoscere ai loro dipendenti. Primieramente raccomando che fino a tanto che dura il pericolo si dia in ogni nostra chiesa quotidianamente la benedizione col SS. Sacramento, dando anche la comodità agli esterni di prendervi parte, dove la chiesa è aperta al pubblico.
In secondo luogo raccomando che tanto pei Salesiani quanto per gli altri del nostro personale si usino i riguardi consigliati dalla cristiana prudenza, onde evitare il morbo fatale.
Desidero per altro in terzo luogo che, occorrendo il bisogno, ci prestiamo a servizio del nostro prossimo per quanto la nostra condizione lo permette, sia nell'assistere gl'infermi, sia nel soccorrere spiritualmente ed anche accogliere nei nostri ospizii quei giovanetti poveri che rimanessero orfani ed abbandonati per causa della malattia dominante. In questo caso però converrà anzitutto attendere il giudizio della commissione sanitaria Ideale che non vi sia pericolo di comunicare agli altri l'epidemia.
Mentre ti dò comunicazione di quanto sopra, imploro sovra di te e della tua casa ogni celeste benedizione, e ti invio i più cordiali saluti per te e per tutti codesti miei cari figli.
PS. L'esibizione di accogliere nei nostri ospizii i giovanetti poveri che rimanessero orfani per causa del cholera, si potrà fare alle autorità locali: al Sindaco, ed al Prefetto e Sotto-Prefetto.
I Salesiani assecondarono i desideri del loro Padre. Così a Marsiglia il Prefetto del Dipartimento accolse con riconoscenza la proposta fattagli dal Direttore dell'oratorio di San Leone, inviando e facendo inviare parecchi giovanetti, rimasti orfani. Alla Spezia avvenne il medesimo. Anche le Figlie di Maria Ausiliatrice fecero la parte loro; poichè a Nizza Monferrato, con il pieno consenso di Don Bosco, cedettero a quel municipio la propria villeggiatura, affinchè servisse come luogo di quarantena per coloro che provenissero dalla Francia, e le Suore si offersero per l'assistenza. Il municipio accolse con [233] gratitudine la generosità, ricoverando ivi persone giunte da paesi infetti, provvedute di biancheria e di vitto dalle Suore stesse. Ci spiace di non poter moltiplicare gli esempi, Noi sappiamo che anche negli altri istituti si spiegò opera benefica; ma per difetto di cronache, o trascurate o smarrite, ce ne manca la documentazione.
Dei Salesiani della Spezia si leggevano magnifici elogi in una corrispondenza dell'Unità Cattolica del 30 settembre., Descritta la desolazione della città, che, cinta per terra e per mare da milizie armate, aveva l'aspetto di un'immensa prigione aperta solo alla morte, e lodata l'abnegazione del clero cittadino, il corrispondente continuava: “Mi è caro di segnalare alla pubblica ammirazione i sacerdoti della Casa Salesiana, i quali gareggiarono e gareggiano tuttora coi più caritatevoli e generosi della città. Essi non solo offersero alle civili autorità la propria casa per ricoverarvi i giovanetti, che rimanessero orfani ed abbandonati, come fecero i loro confratelli a Marsiglia ed altrove, ma esposero a pericolo la propria vita, gli uni nell'assistere giorno e notte i malati, gli altri a consigliare ed animare i sani impauriti e tremebondi; anzi, sebbene viventi ancor eglino di limosina e carità, seppero trovar modo di provvedere a varie famiglie bisognose soccorsi materiali, oggetti di vestiario, biancheria e danaro. La loro chiesa poi, nella quale si venera una miracolosa immagine della Madonna della Neve, fu ed è frequentatissima, ed assiepati di penitenti vi sono ad ogni ora i confessionali ”.
Nella stessa corrispondenza si lamentava pure l'ostinatezza provocatrice di alcuni miscredenti; anzi l'articolo giungeva opportuno per rintuzzare l'improntitudine di un organo settario intitolato Il muratore, Quel comune aveva consegnato al collegio salesiano un gruppo di orfani, pagando una sovvenzione. Parve al giornale massonico una sì grande enormità il far passare quei fanciulli “alla cura di Don Bosco ”, che, fingendo di non voler prestar fede alla voce còrsane in città, bollava d'infamia quel cadere nelle “unghie delle cattoliche [234] arpie, che decoro e carità di patria vorrebbe sbandite per sempre dall'umana mensa e dai civili costumi ”; la scuola dover essere “palestra di istruzione, non di favole scandalose, non di oltraggi alla scienza, non di aberrazioni ”; l'Italia chiedere, volere, imporre che le si preparino giovani magnanimi, “cittadini onesti, laboriosi, pronti ed atti ad impugnare un fucile per abbattere i privilegi e per guadagnar libertà, non conigli, non talpe, non creature inebetite nella superstizione cattolica, non buone se non a recitare le sciocchezze puerili della Dottrinella, il calepino del cretinismo ”; gl'istituti cattolici essere “letamai ove il sole della libertà e della verità non splende ” e donde “non possono uscire che coscienze frolle, piene d'ascetismo e d'ignoranza ”. Qui concetto e forma si accordano a rivelarci uno stato d'animo durato purtroppo a lungo in Italia; ma la finale è quella che scopre il movente della guerra accanita che l'anticlericalismo massonico moveva specialmente sul terreno scolastico contro le iniziative dei buoni e quindi contro l'opera di Don Bosco. In quel momento tragico il Governo, la Regina Margherita, il Re Umberto rendevano pubblicamente onore all'eroismo del clero, e di lì sotto si temeva di veder spuntare lo spauracchio di quella che oggi si saluta col nome di Conciliazione. Questo dava sempre il rimescolo alla fazione imperante, il cui portavoce spezzino con fare da epilettico sbraitava: “La brutale violenza onde in questi giorni sorgono per tutto a imporsi i nemici della patria, trova solo una sufficiente scusa nei civetteschi amorazzi onde s'imbrattano (auspice Depretis ed una bionda chioma graziosa)[119] Vaticano e Quirinale; e se il popolo non vigila, vedremo presto ristabilito il Santo Uffizio ”. Ecco un nuovo documento che aiuta a comprendere in che mare procelloso e pieno di scogli dovette Don Bosco timoneggiare la sua nave, e quale esperto nocchiero egli abbia saputo essere per guidarla sana e salva in porto.
Sembrava che una mano invisibile tenesse il morbo lontano [235] da Torino; tuttavia poteva irrompere da un giorno all'altro. Perciò Don Bosco offerse per la luttuosa evenienza i suoi servigi al conte di Sambuy, Sindaco della città.
Secondo varie notizie, sembra che il cholera morbus, penetrato già in alcuni paesi della Provincia, vada ogni giorno avvicinandosi e stringendo la città di Torino: quindi non ostante le lodevoli ed utili precauzioni prese dalle Autorità, vi ha da temere che venga ad affliggere altresì i nostri concittadini.
Nutriamo fiducia, che ciò non succeda, ma qualora le comuni speranze andassero fallite, io giudico di fare cosa gradita alla S. V. Ill.ma offerendomi disposto a ricoverare nell'Oratorio di S. Francesco di Sales, tutti quei poveri giovanetti dai 12 ai 16 anni, i quali per cagione dell'epidemia rimanessero orfani dei genitori ed abbandonati, e fossero nelle fisiche condizioni volute dal Regolamento dell'Istituto.
Nell'invasione del cholera del 1854 e 55 una simile offerta veniva pur fatta al Sindaco di allora, e questa medesima io ripeto pur volentieri alla S. V. lieto di poter concorrere in qualche modo al sollievo delle umane miserie.
L'unica condizione che appongo si è che i giovani ricoverandi siano prima visitati dal medico, che attesti non presentare essi alcun sintomo del morbo, a fine di non mettere a rischio la salute dei compagni.
Confidiamo che Iddio nella sua misericordia terrà lontano da Torino ogni sventura. In ogni caso prego il Cielo che conservi a lungo la S. V. a Sindaco di questa grande ed illustre città, preservi la di lei persona e tutti i membri del Municipio dal temuto flagello, e ci conceda forza e coraggio a fare del bene a tutti.
Pieno di fiducia che la S. V. vorrà conservare la preziosa sua benevolenza ai giovanetti di questa casa, godo dell'onore di professarmi con alta stima
Il Sindaco, a giro di posta, nobilmente gli rispose:
Sono molti anni che la S. V. Rev.ma inspirandosi a sentimenti di evangelica pietà, raccoglie presso di sè i figli del popolo sprovvisti di mezzi di sussistenza e privi di consiglio e di conforti, e con costanti [236] ed amorevoli cure li mantiene nella via del dovere, ed educandoli nella scuola del lavoro che nobilita ed è fonte di moralità e di benessere materiale, ne fa dei buoni cittadini utili a se stessi ed al Paese.
Ai molti titoli di alta benemerenza acquistati e che sono cotanto apprezzati da quanti si interessano alla sorte della classe lavoratrice, altro degno di ammirazione vivissima, e di plauso la S. V. Rev.ma volle aggiungere, offrendo con tanta spontaneità di ammettere gratuitamente nell'Oratorio di S. Francesco di Sales, di cui Ella ne è Fondatore e Direttore solerte ed intelligente, i giovani da 12 a 16 anni che in caso di un'invasione in questa nostra diletta Città dell'asiatico morbo, fossero per rimanere orfani di genitori ed abbandonati.
L'Amministrazione Municipale conscia de' suoi doveri, nulla ha ommesso e ommette, affine di guarentire in ogni miglior modo possibile l'immunità della Cittadinanza dal fatale morbo, che da assai tempo semina il lutto in tanti Comuni Italiani, ma quando fosse destino inesorabile che il cholera debba anche qui mietere vittime, niun dubbio che l'Autorità Comunale si varrà della generosa offerta fatta dalla S. V. Rev.ma.
Io porgo pertanto, anche a nome della Giunta, alla quale rassegnai il foglio a margine ricordato, parole di meritata lode, e di verace riconoscenza a Lei, Reverendissimo Signore, per il nuovo suo atto di filantropia, e La prego di permettere che io mi valga dell'occasione per esternarle i sentimenti della perfettissima mia stima e pari obbligazione.
Torino, addì 25 settembre 1884.
Il medesimo Sindaco, dovette rivolgersi a Don Bosco per un altro affare. Da Napoli la contessa Sanseverino Vimercati e la principessa Strongoli avevano pregato il Sindaco di Torino che volesse far ricoverare in qualche collegio della stia città un certo numero di orfanelli napolitani, i cui genitori erano morti di colera, e ricevutane risposta affermativa, s'erano affrettate a inviare i primi due, che vennero affidati all'Oratorio. Ma, quando si rientrò laggiù nella normalità, certi parenti dei due fanciulli ne reclamarono il ritorno in patria; onde le predette gentildonne deliberarono di non mandare più nessuno a Torino. Comunicata la cosa al Sindaco, questi, rammaricandosi che non si fossero scrutate prima le intenzioni [237] dei par enti, si scagionò molto cortesemente con Don Bosco[120].
La carità di Don Bosco avrebbe voluto abbracciare tutto il mondo. Nell'autunno avanzato giunsero notizie dall'India che il colei a menava strage in quei paesi e che in ogni parte si abbandonavano a se stessi i miseri orfanelli. Ciò udendo, il primo moto del suo animo fu di dire a Don Lemoyne: - Sei ivi subito a quei Vescovi, che Don Bosco è pronto a ricevere e a mantenere quei giovanetti che da loro gli saranno mandati. - La carità non consce diversità di razze nè distanza di luoghi.
Alla riapertura delle scuole vi fu nell'Oratorio una sola novità. Regolarmente gli alunni che facevano domanda per venir a cominciare le classi ginnasiali, entravano in agosto e intraprendevano un corso preparatorio; ma in quell'estate la prudenza voleva che non si ricevessero così presto. Ne fu dunque rimandato l'ingresso alla metà di ottobre, e dopo una prova di quindici giorni, diedero un esame corrispondente alla quarta elementare, non esclusi coloro che presentavano gli attestati di promozione da quella classe, ultima allora delle scuole inferiori. Gl'insufficienti vennero consegnati a chi li aveva affidati, affinchè continuassero altrove il corso elementare.
Il gran problema da risolvere era sempre quello di trovare i mezzi finanziari; allora poi la difficoltà della soluzione cresceva a più doppi. Noi comprendiamo appieno che cosa Don Bosco volesse dire quando scriveva al conte Colle[121]: “Il colera ha perturbato molti luoghi della Francia ed ora travaglia spaventosamente l'Italia. Le nostre case e i nostri giovani fino al presente sono stati preservati; ma la beneficenza ci vien meno seriamente e noi versiamo in serie difficoltà per sostenere le spese di costruzione e di manutenzione delle nostre opere ”. Eppure si era soltanto sul principio di settembre. Per [238] non lasciar nulla d'intentato, Don Bosco si rivolse a quanti più sacerdoti potè, pregandoli di aiutarlo con la gratuita celebrazione di Messe. Diede quindi la massima diffusione alla seguente circolare.
Molto Rev. e caritatevole Sacerdote,
Le dolorose vicende che in quest'anno colpirono i nostri paesi hanno cagionato molte miserie specialmente nelle nostre case di beneficenza. Molti giovanetti gettati nell'abbandono dal pubblico flagello andavano chiedendo ricovero. Ed ora a fine di provvedere a questi orfanelli e venire in loro soccorso io mi sono risoluto di ricorrere alla carità del clero che tante volte e in tanti modi mi venne in aiuto.
Per giovare alla beneficenza alcune pie persone mi hanno affidata la celebrazione di un discreto numero di messe, supplicando caritatevoli sacerdoti a venirmi in aiuto coi celebrarne o col procurare che altri ne celebri quel numero che suggerirà la possibilità del loro cuore.
Quei sacerdoti pertanto che possono concorrere a quest'opera caritatevole sono pregati di farlo noto al Sac. D. Luigi Deppert prefetto della sagrestia di Maria Ausiliatrice in Torino.
Prego pertanto la S. V. di voler indicare al medesimo sacerdote il numero delle messe che nello spazio di un anno intende di celebrare e cederne l'elemosina per l'opera proposta.
Questi giovanetti beneficati ascolteranno ogni mattina la santa messa, faranno ogni giorno speciali preghiere con frequenti comunioni pei loro benefattori.
Io mi unirò ai giovani beneficati per invocare le benedizioni del cielo sopra questi benemeriti oblatori e sopra le loro famiglie.
Con profonda gratitudine vi sono in G. C.
I lettori aspetteranno qualche notizia su gli effetti dell'antidoto di Don Bosco. Non sembra esagerazione il dire che operò veri prodigi. A Pinerolo il “A buon Vittore ”, assalito dal male mentre stava ascoltando la Messa, e costretto a uscire, si ricondusse poi con gran fatica alla villa per chiedere a Viglietti una medaglia benedetta. Il brav'uomo, appena se la mise al collo, si sentì perfettamente guarito. Le Suore di S. Giuseppe, [239] dovendo partire da Pinerolo per andare ad assistere i colerosi, vollero prima ricevere da Don Bosco la medaglia e la benedizione. Egli promise loro che sarebbero tornate tutte incolumi, e così fu. Il Vescovo attribuiva alla venuta di Don Bosco nella sua diocesi la preservazione di questa dal contagio.
Relazioni giunte a Don Bosco o all'Oratorio da mille luoghi attestavano di fatti individuali e collettivi, che dimostravano la portentosa efficacia della medaglia. A Torino Don Trione aveva amministrato l'Olio Santo a un coleroso, la cui famiglia per le solite paure non voleva sentire di medici. Il poveretto era agli estremi. Eppure, fattagli mettere al collo la medaglia, cessarono subito i vomiti scomparendo in breve ogni sintomo allarmante.
Una larga distribuzione di medaglie si fece dai Salesiani il 23 agosto ai giovanetti interni ed esterni della Spezia; orbene di tutti quelli che, docili ai suggerimenti, indossarono la benedetta immagine, neppur uno fu tocco. Morirono, è vero, alcuni alunni esterni; ma si scoperse che non avevano fatto nessun conto della medaglia. E che l'immunità non fosse dovuta ad altro che alla bontà di Maria, lo confermò un tragico fatto. Una povera donna, udite le meraviglie della medaglia, corse a procurarsela e la pose al collo della figlia di sei anni, che si dibatteva nelle spire del male. La piccina migliorava a vista d'occhio, quando, sopraggiunto il padre e scorto quell'oggetto sacro, glielo strappò e lo buttò via, vomitando bestemmie. E morbo allora, ripigliata la sua violenza, più non s'arrestò. Il forsennato genitore, allorchè la bimba, vicina a morire, giunse le manine in atto di preghiera, la costrinse a distenderle, non volendo vederla far ricorso a Dio. Più giudizioso si mostrò il presidente del circolo anticlericale, che sull'asta della bandiera ostentava la figura di Satana. Preso dai crampi e trasportato al lazzaretto, benchè non si volesse confessare e non si confessasse, mandò in cerca della medaglia, se la mise al collo e guarì. In città era così evidente l'incolumità di [240] quanti portavano la medaglia, che i radicali, per frastornare l'attenzione del pubblico, si diedero a spacciare tra il volgo essere i cattolici gli spargitori del colera.
E' interessante quello che accadde a Genova. La massoneria aveva organizzato in ogni quartiere squadre d'infermieri, che cercassero di allontanare il sacerdote dal letto dei colerosi. Un coraggioso cittadino, Franco De Amicis, con la benedizione dell'Arcivescovo organizzò squadre di cattolici e, presentatosi al sindaco per dargliene notizia, questi gli chiese quale segno adottassero i suoi per essere riconosciuti. - La medaglia di Maria Ausiliatrice, - fu la risposta. Scoppiò fra i presenti una risata; ma il fatto è che in una lettera del 22 Ottobre a Don Bosco il signor De Amicis scriveva: “La Madonna sua amabilissima ha preservato dal male tutti i membri delle mie squadre e la mia povera persona ”. Or si noti che per circa cinquanta giorni si alternarono nel servizio fra uomini e suore parecchie centinaia di persone[122].
Anche in Francia le medaglie di Maria Ausiliatrice benedette da Don Bosco furono apportatrici di salvezza. L'Ispettore Don Albera riferiva a Don Bosco da Marsiglia[123]: “La città è quasi spopolata. Oltre centomila abitanti fuggirono: molte strade sono affatto deserte. Malgrado questa diminuzione, i morti sono sempre in media da novanta a cento al giorno. Si dice bene che, di questi, due terzi solamente sono morti di colera, ma è sempre un gran flagello, una grande mortalità in Marsiglia ove la media dei morti, quando vi sono tutti gli abitanti, è appena di trentatrè o di trentacinque. I colerosi muoiono alcuni in poche ore, altri durano un po' più. Si riuscì a salvarne vari. Nella nostra casa pelò, in grazia della protezione di Maria Ausiliatrice, che V. S. ci ha promesso, in grazia delle precauzioni che si presero, non abbiamo ancora avuto neppure un caso. Dirò meglio: quattro volte [241] vedemmo in qualche povero giovane tutti i sintomi del colera; ma poi abbiamo avuto la consolazione dì vederli in poche ore interamente spariti. È un miracolo della Madonna! In casa abbiamo ancora oltre a centocinquanta giovani, che da quanto pare non saranno ritirati, nemmeno se il colera infierisse maggiormente, sia perchè sono della città stessa di Marsiglia, sia perchè i parenti non possono ritirarli. Anche di quelli che partirono per le case loro, lo stato di sanità è ottimo e nessuno fu ancora colpito dal terribile morbo. Ciascun giovane ha la medaglia di Maria Ausiliatrice al collo, e fa quanto può per metter in pratica il rimedio che Lei ha suggerito. Un'altra consolante notizia: nessuno dei nostri benefattori ed amici finora cadde ammalato ”.
Don Albera accenna alla promessa fatta da Don Bosco.
È davvero sorprendente il tono di sicurezza, con cui dal Santo si prometteva anche ai Francesi la preservazione. A Don Ronchail, Direttore della casa di Nizza aveva scritto il 1° luglio: “Pare che Dio voglia farci una visita, Fa' che i nostri giovani ed i nostri amici abbiamo seco l'antidoto sicuro del colera. Una medaglia di Maria Ausiliatrice, recitando: Maria, Auxilium Christianorum, ora pro nobis ”. Orbene il 18 agosto poteva scrivere alla signorina Louvet: “Ho una gran bella notizia da darle. Tutte le case di Francia, tutti i benefattori dei nostri giovanetti, grazie a Maria Ausiliatrice, sono stati preservati dal flagello che affligge la Francia”.
Invece, parole di color oscuro indirizzò per l'anno vegnente a Don Albera nel mese di novembre.
Ho scritto le lettere alle persone e nel senso indicato. Spero sortiranno buon effetto.
Mi farai piacere di salutare caramente i nostri confratelli ed in modo particolare i nostri giovanetti. Dirai a tutti che quest'anno l'abbiamo passata bene e dobbiamo ben di cuore ringraziare il Signore. Io temo che l'anno venturo siamo di nuovo visitati dallo stesso flagello; ma io non mi sento dì promettere che il colera non venga a molestarci ad eccezione che voi mi veniate in aiuto. Ma come? Mi veniate [242] in aiuto colla buona condotta, colla frequente comunione e particolarmente col fuggire rigorosamente le cose che sono contro alla modestia.
Dio ci benedica tutti e prega per la mia sempre cagionevole salute.
Difatti il contagio ricomparve a Marsiglia nell'estate del 1885. Però fino dal 31 gennaio Don Bosco, parlandosi di colera, aveva detto: -L'anno scorso poteva assicurare con certezza che le medaglie di Maria Ausiliatrice portate indosso con le condizioni prescritte avrebbero preservate le persone dal morbo asiatico. Ma quest'anno non so ancora se la Vergine vorrà dimostrarsi egualmente pietosa in tale circostanza.
Sono parole che dànno il diritto di pensare che la, passata sicurezza del Santo avesse il suo fondamento in una indubbia ispirazione o rivelazione celeste; tanto più che nella circolare del gennaio 1885 ai Cooperatori e alle Cooperatrici potè con tutta semplicità e asseveranza formulare la seguente affermazione: “Vi è noto che per alcuni mesi molte città e borgate d'Italia e di Francia furono infestate dal terribile morbo asiatico, il colera, e migliaia e migliaia di vite furono mietute dalla morte. Ma Iddio benedetto per sua bontà volle preservare dal temuto flagello tutte le case salesiane e le persone che le abitavano; anzi mi è dolce il credere che abbia usata la stessa misericordia a voi ed ai vostri cari ”. Non sarebbe davvero mancata, specialmente i; certi pubblicisti, la mala volontà d'infliggere una smentita alla sua asserzione; ma nessuno da nessuna parte si levò a contraddire.
IL 26 aprile 1884 Torino era in festa. I Sovrani d'Italia con intervento di tutta la famiglia reale, del corpo diplomatico e dei dignitari dello Stato v'inauguravano solennemente una Esposizione nazionale dell'industria, della scienza e dell'arte. Al Comitato d'onore presiedeva il principe Amedeo, fratello del Re, e al Comitato esecutivo il deputato Tommaso Villa. Gli edifizi delle mostre sorgevano sulla riva sinistra del Po nell'amenissimo parco che circonda il castello del Valentino.
Don Bosco aveva divisato di farvi comparire soltanto la tipografia salesiana, esponendone la già ricca produzione. Avanzatane domanda nel maggio 1883, il 16 luglio successivo ottenne lettera d'ammissione, che gli assegnava un posto conveniente nella galleria (così dicevasi allora più comunemente invece di padiglione) per la didattica e la libraria, dove figuravano i prodotti delle arti grafiche. Ivi dunque fece trasportare mille volumi d'ogni sesto e qualità: scientifici, letterari, storici, didattici, religiosi; edizioni illustrate; il Bollettino Salesiano in tre lingue: italiana, francese, spagnuola;[124] inoltre saggi di disegno e di quanto si riferisse a scuole, elementari, tecniche, ginnasiali. Il tutto venne disposto in scansie di elegante struttura, dove spiccavano assai bene svariate e preziose legature, [244]
Questo era già in ordine, quando si celebrò l'inaugurazione[125].
Ma in appresso il disegno primitivo aveva assunto più vaste proporzioni. L'onorevole Villa trovandosi in Svizzera l'autunno precedente per visitare l'Esposizione di Zurigo, erasi recato a vedere uno dei più riputati opifici della città e gli aveva fatto impressione una superba macchina che si stava costruendo per la fabbricazione della carta. Chiesto per chi la sì costruisse e udito che per il signor Bosco d'Italia: - Dite pure per Don Bosco, soggiunse egli, perchè questo uomo è noto a tutti. - E realmente Don Bosco aveva ordinato quella nuova macchina per la sua cartiera di Mathi torinese. Il Villa, tornato a Torino, fece istanza, affinchè la stupenda macchina adornasse le gallerie dell'Esposizione. Don Bosco senza esitare un nomento acconsentì, solo ponendo la condizione che gli si assegnasse una galleria intera, nella quale avrebbe collocato e messo in azione anche le macchine necessarie alla produzione del libro. Se parve sulle prime soverchia la sua esigenza, non fu più così, quand'ebbe spiegato bene tutto il suo grandioso disegno; anzi il Comitato deliberò di costruire una galleria apposita in un cortile fiancheggiato dall'immensa galleria dei lavoro. Detta nuova galleria misurava 55 metri di lunghezza per 20 di larghezza. Sulla porta d'ingresso si leggeva:
FABBRICA DI CARTA, TIPOGRAFIA, FONDERIA, LEGATORIA
Aveva detto bene il Villa, che Don Bosco era conosciuto; tuttavia per quei tempi un prete espositore in una Esposizione [245] nazionale e nella sezione del lavoro sembrava un vero anacronismo. Onde non pochi, passando di là e leggendo quella scritta, sorridevano, immaginandosi di dovervi trovare oggetti di sacrestia, che non li interessassero punto. Se invece, superate le prevenzioni, si decidevano a entrare, rimanevano subito colpiti da due novità: dal lavoro e dai lavoratori. Questi, tutti giovani di varia età, si attiravano le simpatie dei riguardanti a motivo dell'applicazione, compostezza e serenità con cui attendevano ognuno a far bene la parte sua. Il lavoro poi incatenava dal principio alla fine la generale attenzione. Cosicchè quel reparto costituì per il pubblico tino dei richiami più interessanti nella grande mostra.
Intendimento di Don Bosco era stato di dare una dimostrazione pratica del molteplice lavoro richiesto dalla produzione materiale del libro. Ora qui la curiosità del pubblico assisteva al graduale processo, per cui da un mucchio di sudici cenci si arriva a veder uscire, per esempio, un elegante volume di versi. Non vi mancavano, come abbiamo accennato, i preliminari più realistici: divisione e scelta dei cenci; loro spolveramento, liscivia e riduzione in pasta[126]. Seguiva quindi tutta una complessa azione meccanica: cilindri raffinatori della pasta, tino con gli accessori per l'introduzione di questa nell'ingranaggio, apparecchio da carta continua, tagliacarta per ridurre i fogli nel formato voluto; calandra, pressa e tutto l'occorrente per disporre la carta in pacchi e in risme. Vedere quella pasta lattea purificarsi a grado a grado da ogni sedimento, epurarsi delle ultime parti fibrose, liberarsi dall'acqua, comporsi a forma di tessuto, rassodarsi, e asciugata, lisciata, rasata, arrotolarsi e rigarsi, offriva uno spettacolo, che quasi nessuno aveva mai avuto occasione di contemplare. Un giornale chiamò questa la regina delle macchine che si trovavano [246] nell'Esposizione[127]. La chiamò così un mese prima che vi fosse esposta; ma altri giornali si appropriarono la denominazione, quando la si vide in opera, il che fu al 21 di giugno. Don Bosco assistette personalmente all'inaugurazione, accompagnato dal teologo Margotti e da, Don Durando e ricevette i rallegramenti più entusiastici da molti ragguardevoli signori, che gli furono là presentati.
Accanto alla calandra della cartiera stava esposta una pressa a quattro colonne con indicatore dinamico, doppia invenzione di Don Ghivarello. Venivano immediatamente dopo due macchinette per la fusione dei caratteri: belle e pulite se ne vedevano scaturire le lettere da consegnarsi alle vicine casse dei compositori. Seguivano quindi una grande macchina tipografica in attività (stampava la Fabiola e il piccolo catechismo), poi tutti gli utensili per legare e infine lo spaccio del libro[128].
Due sinistri incidenti minacciarono di funestare l'esposizione di Don Bosco subito nei primi giorni; bisognò render grazie a Maria Ausiliatrice, se due lutti furono risparmiati.
Il 30 giugno un giovane sedicenne per nome Harziano Bertotti da Tortona, mandato a far pulizia nel lungo e largo fosso sotto la macchina della carta, stanco di lavorare, si riposò un istante, guardando verso il centro della galleria. Distratto com'era, appoggiò la destra sur un grosso cilindro in moto Lo fece senz'avvedersi, nè, quando s'accorse del pericolo, ebbe tempo di ritrarre la mano, poichè il cilindro girando gliela portò sotto a un secondo cilindro. Tra l'uno e l'altro poteva passare appena un foglio di carta. La povera mano, stretta fra quei due solidi arnesi, fu in un attimo spellata e schiacciata, [247] e il braccio ne seguiva la sorte, mentre la manica della camicia del braccio sinistro, col quale il giovane aveva tentato di soccorrere il destro, veniva presa dalle stesse morse e tirata. Egli ebbe tanta presenza di spirito da non gridare per non ispaventar la gente, ma per l'eccesso del dolore diede in un profondo sospiro. Questo bastò per richiamare l'attenzione del macchinista uomo pratico, che provvidenzialmente si trovava allora presso il luogo del pericolo. Costui con molta destrezza tolse la correggia che metteva in movimento i due cilindri, facendoli subito fermare. Portato nel posto del pronto soccorso e giudicato in gravi condizioni, il giovane fu condotto con una vettura all'ospedale di S. Giovanni, dove ricevette prontamente le cure del caso. Grazie al cielo in pochi giorni scomparvero i sintomi allarmanti, sicchè, tornato all'Oratorio, dopo un mese era perfettamente guarito.
La seconda disgrazia toccò il 3 luglio ad Egidio Franzioni da Milano, giovane sui quindici anni. Badava alla macchina tagliatrice della carta. Quel giorno il feltro non andava bene e non gettava al loro posto i fogli tagliati. Il ragazzo volle, stendendo il braccio, prendere i fogli che non scendevano a dovere; ma non colse il momento giusto e il coltello gli portò via l'indice della destra. Il ricordo dell'infortunio occorso tre giorni prima al suo compagno, fece sì che neppure lui gridasse a sfogo del dolore, ma, dati alcuni colpi dei piedi in terra, volò all'assistenza medica, donde fasciato venne condotto all'Oratorio. Egli pure dopo alcune settimane non aveva più alcun male, tranne la perdita del dito. Era figlio di una commediante. Già prima che si aprisse l'Esposizione aveva ricevuto una bella grazia. Ridotto agli estremi da una febbre tifoidea, si era confessato e con molta divozione preparato a ricevere l'Olio santo, perchè, come disse poi, temeva seriamente di morire. Invece, dopo l'ultimo sacramento, aveva cominciato a migliorare, tanto che la dimane il medico, pieno di meraviglia, lo dichiarava prossimo alla convalescenza, e pochi giorni dopo lo trovò in perfetta salute. [248]
Concorrendo in una forma così grandiosa all'Esposizione, Don Bosco si riprometteva due vantaggi di ordine religioso e morale, far vedere cioè che il clero amava le arti e il loro progresso e dare un buon esempio con la santificazione dei giorni festivi. Per questa obbedienza al precetto della Chiesa i giornali di parte avversa masticarono amaro, sebbene, per una più o meno tacita intesa a fine di non danneggiare l'Esposizione, evitassero di menare scalpore. Il Fischietto, per esempio, che in altri tempi non avrebbe avuto peli sulla lingua, con certa malizietta immaginava una domanda e risposta fra un visitatore e uno del Comitato. Il primo diceva: - Come va questa faccenda? Le macchine di Don Bosco stanno ferme, mentre tutte le altre sono in moto. La sua esposizione non fa parte della Galleria del lavoro?
- Certamente, rispondeva l'altro. Ma, veda, oggi è domenica; nella Galleria del lavoro Don Bosco rappresenta il riposo festivo.
- Felice chi ha le rendite per poterlo fare! conchiudeva con un vecchio epifonema il visitatore.
Non si creda però che a Don Bosco sia stato agevole far accettare tale condizione. Se non che da un lato egli tenne fermo a ripetere che non voleva profanare i giorni del Signore, e dall'altro il Comitato esecutivo ci teneva a non lasciarsi sfuggire la splendida macchina, e così questo cedette ed egli ne usci con la sua.
Anche nell'Esposizione Don Bosco si trovò fra' piedi i protestanti. Costoro alla porta d'entrata distribuivano in regalo foglietti, che fornivano gl'indirizzi dei loro correligionari di Torino, Caserta, Civitavecchia, Firenze, Genova, Livorno, Napoli, Roma, Tivoli e insieme spacciavano opuscoli e volumi di propaganda. Un opuscolo e un volume particolarmente c'interessano.
L'opuscolo s'intitolava: Lettera rispettosa di C. P. Meille, pastore della chiesa evangelica valdese a Sua Eminenza Reverendissima il Cardinale Alimonda, Arcivescovo di Torino. L'evangelico [249] pastore sfruttava un caso avvenuto di fresco nella città.
Un finto dottore Augusto dei Baroni di Meyer, oriundo di Ginevra, aveva con la moglie abiurato i propri errori davanti a Sua Eminenza, presenti cento e più sacerdoti, nella chiesa dell'Episcopio. Ora il Meille svelava non essere colui altri che un tal Cesare Augusto Bufacchi romano, il quale aveva già apostatato tre volte e tre volte aveva fatto abiura per uccellare alla generosità dei cattolici turlupinandoli. La truffa indegna serviva al valdese per dimostrare come i cattolici fossero corrivi a pigliar per vero il falso anche nelle loro apologie contro i protestatiti. C'era di più: il poco scrupoloso ministro mirava a screditare dinanzi al pubblico l'Arcivescovo, che nella venuta dei Reali a Torino per l'Esposizione era stato fatto segno a onori insoliti da parte delle loro Maestà e del Duca di Genova. Per più versi spiacque a Don Bosco la brutta manovra; onde commise a Don Bonetti di elaborare e lanciare una risposta. Don Bonetti che in questo genere di letteratura si sentiva nel suo elemento, rispose per le rime con un opuscolo intitolato: Verità e truffe. Leggendolo però, vi si avverte una tal quale temperatezza di idee e di espressioni, che non dovette essere spontanea, ma ispirata e voluta da Don Bosco.
Senza risposta al contrario fu lasciato un volume di 34-J pagine fitte fitte, scritto da un altro valdese, questa volta anonimo e venduto fuori dell'Esposizione per una liretta. È dal principio alla fine una diatriba contro il Giovane provveduto di Don Bosco[129]. La stranezza del titolo viene spiegata così dall'autore nell'Avvertenza che fa da prefazione: “Presi dal nostro dialetto la parola boccia e suoi derivati, perchè nel vocabolario italiano trovavasene difficilmente un'altra che racchiudesse -una più popolare e viva sintesi del libro di Don Bosco: difatti siccome qui in Piemonte boccia non altro significa che una delle nove grosse palle di legno componenti il giuoco delle bocce; così i continui cambiamenti dogmatici [250] della Chiesa Romana rappresentata oggidì dall'edificatore Don Bosco rassomigliano a boccie sempre rotolanti sul suolo che si urtano e respingono a vicenda, nei popolari, chiassosi divertimenti: epperciò formano un doloroso ed audacissimo contrapposto alle immutabili, serie, consolanti, e non mai contraddittorie dottrine evangeliche. Giammai si edificò una casa con boccie od altri materiali rotondi ”. Cominciando dal ritratto dì S. Luigi, con cui il caro manuale di pietà si apre, il discepolo di Valdo rivede pagina per pagina il libro di Don Bosco, segnalando errori, contraddizioni, pazze teorie, cavilli, menzogne, dottrine ereticali. La tesi e insieme lo scopo di questo vero “polpettone ” (usiamo il termine con cui è squalificato il Giovane Provveduto) si può arguire dalla seguente apostrofe di pagina 66: “0 giovinotti, lasciate le silique di questo dottore tenebroso e contraddicente, e ricevete ciò che la viva fonte, la fonte saliente, il vero Maestro vi dice ”. Ossia abbandonate l'insegnamento cattolico e abbracciate il Vangelo secondo Pietro Valdo. Un frutto del Vangelo valdese com'è questo libro, basta da solo a far conoscere la natura della pianta che l'ha prodotto; lo stesso linguaggio impertinente contro Don Bosco sarà molto valdese, ma non è niente evangelico.
Un buon opuscoletto su Don Bosco e le sue opere fu pubblicato e divulgato da un sacerdote del Trentino, che imparò a conoscere il Santo nell'Esposizione torinese. Gliene venne l'idea da quello che lesse in una Guida dell'Esposizione, dove, descrivendosi la Galleria del lavoro, si diceva: “Il famoso Don Bosco, un clericale la cui attività auguriamo a tutti i liberali, ha occupato all'Esposizione un cortile intero a destra ”[130]. L'autore presentava così il Servo di Dio: “Chi è mai questo prete che è giunto ad imporsi ai liberali stessi? Se aveste a vederlo, nulla scorgereste che vi riveli un genio sublime; è un prete alla buona, il quale, sebbene abbia solo da poco oltrepassato il [251] sessantesimo nono anno di età, all'aspetto vi appare più che settuagenario. Fissate un istante sii di lui i vostri sguardi e voi leggerete a chiare note sulla sua fronte il soffio dello spirito divino che lo anima e che lo ha prescelto ministro di opere sì stupende; miratelo un istante e vi sarà impossibile non sentirvi compresi di venerazione e d'amore per questo canuto vegliardo. Franca è la stia accoglienza, acuto il suo sguardo, incantevole il suo sorriso, lepida la sua conversazione, dalla stia fisionomia e da tutta la stia persona traspira un non so che di bontà tale che vi ammalia e v'innamora ”. Dalla visita fattagli a Valdocco l'autore riportò dì lui queste parole: “Nella mia casa c'è pane, gli disse, e questo ce lo manda giorno per giorno la Provvidenza, c'è lavoro, ognuno deve faticare per tre; e c'è Paradiso, perchè chi mangia e lavora per Iddio, ha diritto ad un cantuccio di Paradiso ”. Stampate a vistosi caratteri, quelle tredici facciate sì divorano d'un fiato e dovettero servire in molti casi per chiudere la bocca a mal informati detrattori.
Le esposizioni, si sa, danno occasione a trattenimenti e a festini di vario genere. Nella Galleria del lavoro, esponeva i suoi prodotti un Giuseppe Torretta, fabbricante di torroni e conterraneo di Don Bosco, ch'ei si vantava di conoscere fin dall'Infanzia. Dandosi dalla Commissione espositrice di quella sezione un gran pranzo ai suoi espositori, previo il versamento della quota di venticinque lire, il Torretta ricevette l'incarico d'invitare Don Bosco a sottoscriversi; gli scrisse dunque una lettera piena di preghiere e di esortazioni. Ma Don Bosco, consideratis, considerandis, conchiuse che Don Rua rimettesse le venticinque lire e che a causa della lontananza scusasse la sua assenza. Egli soggiornava allora a Pinerolo[131].
L'incontrate Don Bosco fra gli espositori era per chi poco o punto lo conoscesse, una sorpresa e una rivelazione mentre per chi già ne aveva notizia, era un motivo di più all'ammirazione. [252]
Così un reduce da Torino manifestò il suo stupore in un periodico popolare di Reggio Emilia e da lui sappiamo che la Galleria di Don Bosco era una delle poche, dove si affollavano i visitatori, e che in quel continuo andirivieni si notavano si i volti i segni evidenti della soddisfazione e della meraviglia[132].
Approssimandosi il termine del l'Esposizione, bisognava assegnare agli espositori le ricompense. Le varie sezioni avevano nominato le loro giurie, che nella seconda metà dì settembre procedettero ai relativi esami, finiti i quali, fu costituita la giuria di revisione che doveva esaminare i reclami contro i verdetti formulati, ma non ancora definitivi. Don Bosco, presa conoscenza del verdetto che lo riguardava, trovò esserglisi aggiudicato un premio troppo inferiore al merito. Della cartiera non si teneva conto particolare, perchè la macchina non era di fabbrica italiana, e per i prodotti dell'arte tipografica in genere gli si concedeva la semplice medaglia d'argento. Veramente il lavorio per deprezzare l'attività editoriale di Don Bosco era cominciato in antecedenza; infatti il Giornale ufficiale dell'Esposizione aveva pubblicato che nella Galleria di Don Bosco non si stampavano che “opere comuni, anzi comunissime ”. Si fece ben osservare subito la falsità di quel giudizio, contraddetto anche dal fatto che si stava là stesso precisamente stampando un'opera elegante, illustrata con cento incisioni, la Fabiola; ma non si volle smentire l'errore. Il giurì dunque premiò semplicemente la Tipografia Salesiana con medaglia d'argento “per la sua grande diffusione di stampe in tutto il globo, per la mitezza dei prezzi, nonchè pel grandioso impianto della special Galleria con cui dallo straccio alla carta, da questa alla stampa e alla legatura ottiensi il libro ”.
Don Bosco a tutela de' suoi diritti inoltrò prima al Comitato esecutivo le sue rimostranze; appresso ripresentò le sue [253] proteste per la Giuria di revisione, aggiungendo che, ove il verdetto non fosse ne' suoi riguardi riformato, egli avrebbe rinunziato a qualsiasi riconoscimento ufficiale, pago del plauso, di cui eragli stato largo il pubblico. Ecco la sua lettera.
Onorevol.mo Comitato Esecutivo,
(Ufficio Giuria di revisione).
Addì 23 del corrente mese, a nome mio veniva scritta a cotesto Onorevole Comitato lettera, nella quale gli si facevano alcune osservazioni intorno al Verdetto della Giuria ed al premio della Medaglia d'argento che sarebbe stata aggiudicata alle molteplici opere delle mie Tipografie ed esposte nella Galleria della Didattica alla Mostra Italiana.
Ritornando sull'argomento mi fo' lecito di aggiungere, per norma della Giuria medesima, alcune osservazioni, quali sono: la mensuale pubblicazione dei Classici Italiani purgati ad uso della gioventù e scientificamente annotati, che nel corso di 16 anni si va facendo dalla mia Tipografia di Torino, i cui esemplari sorpassano già la cifra di 3oo.ooo; la mensuale pubblicazione delle nostre Letture popolari in edizione economica, che dalla sua origine raggiunse l'anno 330 ed i cui esemplari sorpassano già la cifra dì due milioni; la 100° ristampa del Giovane Provveduto, i cui esemplari raggiunsero i sei milioni, e con altre operette di minor mole della stessa natura, la cui diffusione è incalcolabile; i Classici Latini e Greci annotati ad uso delle scuole secondarie, la cui pubblicazione diffusissima corre pure da 20 anni a questa parte; i Dizionarii Latini, Italiani e Greci colle relative Grammatiche, composti da Professori dei miei Istituti, apprezzati e lodati da uomini competenti ed universalmente accolti, come ne sono prova le copiose e frequenti edizioni fatte. Più altre opere di Storia, Pedagogia, Geografia, Aritmetica, apprezzate e diffusissime, i prezzi delle quali modicissimi, che sono alla portata di tutte le condizioni e si prestano alla grande diffusione; un discreto numero d'edizioni dì varii formati e mole, illustrate da incisioni o senza, ma sempre eleganti nella carta e nella stampa; molte altre produzioni che per brevità tralascio di accennate, mi paiono motivi sufficienti per interessare la Giuria incaricata dell'esame, e indurla ad aggiudicare un premio non inferiore a quelli conferiti ad Espositori, le cui produzioni, e per qualità e per quantità sono inferiori alle mie.
Fo' anche notare alla Giuria che i lavori sovr'accennati sono fatti in tutte le mie Tipografie da poveri giovani raccolti ne' miei Istituti, ed avviati per tal modo a guadagnarsi in seguito ed onoratamente il pane della vita; e ciò nondimeno l'esecuzione dei lavori non è inferiore (a giudizio degli intelligenti nell'arte) ad altre opere esposte da varii [254]
Editori, i quali ottennero un premio, non che eguale, ma, secondo che mi venne riferito, superiore al mio.
Non debbo ommettere eziandio, come le Opere mie non furono dalla Giuria appositamente visitate e confrontate, epperciò mi pare che il suo giudizio non abbia potuto emettersi con piena conoscenza di causa circa il loro merito, come alcuni esperti editori si espressero nella disamina dei nostri cogli altrui libri, non che degli stampati eleganti eseguiti nella Galleria della mia Cartiera e sotto l'occhio del pubblico.
In quanto alla mia Cartiera, se fu, ben colta la espressione, mi verrebbe semplicemente offerto un Attestato di benemerenza, escludendomi così dal novero dei concorrenti e dei premiati. Posto anche che non abbiasi a tener conto della macchina da carta perchè estera mi pare nondimeno che si debba aver riguardo al lavoro perfezionato della medesima ed alla industria dell'acquisitore sottoscritto, che per tal modo, con ingente suo scapito di lavoro, nell'odierna Mostra Italiana, promuove in Italia l'arte ed il lavoro con più vasta produzione.
Mi fa poi anche sorpresa che non si abbia avuto alcun pensiero dalla Giuria intorno alla mia Fonderia tipografica, alla composizione e stampa dei libri ed alla relativa legatura, le cui arti sono appieno rappresentate in azione di lavoro costante nella Galleria stessa, e mediante le quali si pose sott'occhio del pubblico la ingegnosa operazione con cui dallo straccio, alla carta, al carattere, alla stampa ed alla legatura ottiensi il libro.
Per tutte queste ragioni fu unanime il giudizio favorevole del pubblico, il quale dovrebbe pur pesare sulla bilancia, usata dalla Giuria nello assegnare i premi.
Prego pertanto l'Onorevole Comitato che per mezzo della Giuria di Revisione voglia venire ad un Verdetto il quale sia più conforme al merito delle Opere sopra accennate e non lasci alcun motivo al pubblico di emettere giudizii sfavorevoli a questo proposito.
Spero che si prenderanno in considerazione questi miei appunti. Che se ciò non fosse io fin d'ora rinunzio a qualsiasi premio od attestato, ingiungendo che da cotesto Comitato si impartiscano gli ordini opportuni, affinchè non venga fatto alcun cenno per le stampe, nè del verdetto, nè del premio ed attestato medesimo.
In questo caso a me basta di aver potuto concorrere coll'Opera mia alla Grandiosa Mostra dell'ingegno e industria italiana, e dì aver dimostrato col fatto la premura che nel corso di oltre 40 anni mi sono sempre dato, a fine di promuovere in un col benessere morale e materiale della gioventù povera ed abbandonata, il vero progresso eziandio delle scienze e delle arti.
Mi sono premio sufficiente gli apprezzamenti del pubblico, che ebbe occasione di accertarsi coi proprii occhi dell'indole dell'Opera mia e de' miei collaboratori. [255]
Colgo questa propizia occasione per augurare all'Onorevole Comitato ed alla spettabile Giuria ogni bene da Dio e professarmi con pienezza di stima.
Ma la Giuria di revisione non degnò dì un'occhiata le ragioni qui addotte; soltanto alla medaglia d'argento per la produzione tipografica aggiunse per la cartiera un irrisorio attestato di benemerenza, equivalente a un puro e magro segno dì ringraziamento, quale si rilasciava a tutti gli espositori della Galleria del lavoro. Contro la mostruosa ingiustizia si levò la stampa cattolica[133]; ma con tanti massoni che facevano parte dei Comitati, delle Commissioni e delle Giurie, necessariamente l'insulso spirito anticlericale dell'ottocento doveva imprimere carattere partigiano a un'opera intrapresa nella capitale del Piemonte sotto i migliori auspici di comune gioia e concordia. “Uomini dì senno e di intelligenza, scrisse il Corriere di Torino, affermavano Don Bosco degno del Diploma d'onore ”; ma “ecco la grande colpa del venerando sacerdote, spiegava l'Eco d'Italia: egli contrasta e impedisce potentemente la propaganda radicale e repubblicana nella gioventù, e lavora indefessamente e con splendidi successi alla soluzione cristiana (cioè la sola possibile) della tremenda questione sociale ”[134].
L'AFFIEVOLIRSI delle forze e l'aggravarsi degli incomodi facevano sì che Don Bosco riguardasse come non più tanto lontana la sua fine. Il 17 ottobre in una lettera a Don Berto metteva questo poscritto: “Non dimentichiamo mai che non è molto distante il tempo in cui io e tu dovremo rendere conto al Signore delle nostre azioni ”. Correva allora col pensiero a quello che sarebbe potuto accadere dopo la sua morte e di tratto in tratto affidava alla carta le cose che gli parevano doversi tenere presenti da' suoi, quand'egli fosse partito per l'eternità. Non aveva in questo un piano prestabilito o comunque un ordine d'idee da esporre sistematicamente; ma durante il mese di settembre venne scrivendo in un umilissimo taccuino quegli appunti che volta per volta la mente gli dettava. E che andasse avanti così alla ventura, si vede anche dal fatto che qua e là intercalò una o più lettere che il suo successore avrebbe poi dovuto raccogliere, trascrivere e spedire a determinate persone, delle quali gli si affacciava casualmente il ricordo. Omesse per ora tali lettere, noi pubblicheremo nella loro più scrupolosa integrità i paterni ammonimenti che a guisa di testamento spirituale il buon Padre indirizzava agli amati figli nell'eventualità di doverli presto lasciare orfani. [257]
Al mio decesso il Successore per qualche tempo farà in modo che:
I° Siano sospesi i lavori di costruzione.
2° Non si aprano nuove case, non si decantino debiti; ma si usino comuni sollecitudini per pagare la successione, estinguere le passività, completare il personale delle case esistenti.
3° Con lettera particolare diasi notizia della mia morte, si ringrazino i principali benefattori nostri, e si preghino a continuare. Siano assicurati che se per la misericordia del Signore potrò andare al cielo invocherò sopra dì tutti e ad ogni istante le divine benedizioni...sopra di tutti.
4° Un invito a tutti i socii a mostrarsi [calmi] in quella occasione. Non lagrime, ma coraggio e sacrifizio di qualunque genere a fine di perseverare nella società e sostenere le opere che la Divina Provvidenza ci ha affidate.
5° I giovani poi siano invitati a pregare, affinchè Dio mi abbrevi le pene del Purgatorio, se come spero Dio mi concederà dì morire nella sua santa grazia.
6° A tutti i socii Salesiani che spero di vederli tutti nella beata eternità[135].
CAPITOLO SUPERIORE[136].
All'epoca del mio decesso si raduni il Capitolo, e stia regolarmente pronto ad ogni evenienza, e niuno si allontani se non per motivi assolutamente necessarii.
Il mio Vicario d'accordo col[137] Prefetto prepari e legga in Capitolo una lettera da dirigersi a tutti i confratelli in cui si dia notizia della mia morte, loro raccomandi preghiere per tue, e per la buona scelta del mio successore.
Stabilisca il giorno per la elezione del novello Rett. Maggiore e dia tempo che quei di America e di altri paesi distanti possano intervenire qualora non siano da gravi motivi impediti assolutamente[138].
Io noto qui due cose della massima importanza.
I° Si tengano segrete le deliberazioni capitolati, e se avvi qualche cosa da comunicare ad altri, sia uno appositamente incaricato. Ma esso sia ben attento a non nominare qualche membro del Capitolo che abbia dato il voto affermativo o negativo, oppure abbia proferita tale frase o tale parola.
2° Si ritenga come principio da non mai variarsi di non conservare alcuna proprietà di cose stabili ad eccezione delle case e delle [258] adiacenze che sono necessarie per la sanità dei Confratelli o della salubrità degli allievi. La conservazione di stabili fruttiferi è una ingiuria che si fa alla Divina Provvidenza che in modo maraviglioso e dirò prodigioso ci venne costantemente in aiuto.
Nel permettere costruzioni o riparazioni di case si usi gran rigore nello impedire il lusso, la magnificenza, la eleganza. Dal momento che comincierà apparire agiatezza nella persona, nelle camere o nelle case, comincia nel tempo stesso la decadenza della nostra Congregazione.
A TUTTI I MIEI CARI FIGLIUOLI IN G. C.
Fatta la mia sepoltura il mio Vicario inteso col Prefetto dirami a tutti i confratelli questi miei ultimi pensieri della mia vita mortale.
Miei cari ed amati figliuoli in G. C.
Prima di partire per la mia eternità io debbo compiere verso di voi alcuni doveri e così appagare un vivo desiderio del mio cuore. Anzitutto io vi ringrazio col più vivo affetto dell'animo per la ubbidienza che mi avete prestata e di quanto avete lavorato per sostenere e propagare la nostra Congregazione.
Io vi lascio qui in terra, ma solo per un po' di tempo. Spero che la infinita misericordia di Dio farà che ci possiamo tutti trovare un dì nella beata eternità. Colà io vi attendo.
Vi raccomando di non piangere la mia morte. Questo è un debito che tutti dobbiamo pagare, ma dopo ci sarà largamente ricompensata ogni fatica sostenuta per amor del nostro Maestro il nostro buon Gesù.
Invece di piangere fate delle ferme ed efficaci risoluzioni di rimanere saldi nella vocazione fino alla morte. Vegliate e fate che nè l'amor del mondo, nè l'affetto ai parenti, nè il desiderio di una vita più agiata vi movano al grande sproposito di profanare i sacri voti e così tradire la professione religiosa con cui ci siamo consacrati al Signore. Niuno riprenda quello che abbiamo dato a Dio.
Se mi avete amato in passato, continuate ad amarmi in avvenire colla esatta osservanza delle nostre costituzioni.
Il vostro primo Rettore è morto. Ma il nostro vero Superiore Cristo Gesù, non morrà. Egli sarà sempre nostro Maestro, nostra guida, nostro modello; ma ritenete che a suo tempo egli stesso sarà nostro Giudice e rimuneratore della nostra fedeltà nel suo servizio.
Il vostro Rettore è morto, ma ne sarà eletto un altro che avrà cura di voi e della vostra eterna salvezza. Ascoltatelo, amatelo, ubbiditelo, pregate per lui, come avete fatto per me.
Addio, o cari figliuoli, addio. Io vi attendo al cielo. Là parleremo di Dio, di Maria Madre e sostegno della nostra Congregazione; là benediremo in eterno questa nostra Congregazione, la cui osservanza delle [259] regole contribuì potentemente ed efficacemente a salvarci. Sit nomen Domini benedictum ex hoc nunc et usque in saeculum. In te Domine, speravi non confundar in aeternum.
Fatta la mia sepoltura, radunati e convenuti gli elettori al luogo stabilito sì compieranno le cose prescritte sia pei suffragi del Rettore defunto sia per effettuare la imminente elezione e riconoscimento del nuovo Superiore della Congregazione.
É bene che ogni cosa sia tostamente comunicata al S. Padre e si domandi speciale benedizione sopra quest'atto importantissimo.
Ciascuno poi senza badare ad affezione umana, a speranze di sorta dia il suo voto a colui, che egli giudica maggiormente idoneo a procacciare la maggior gloria di Dio e il vantaggio della nostra pia Società. Perciò:
I° Che sia conosciuto per la sua puntualità nella osservanza delle nostre regole.
2° Non siasi mai mischiato in affari che lo abbiano compromesso in faccia alle autorità civili od ecclesiastiche oppure lo abbiano reso odioso o spregevole in faccia ai soci della nostra medesima società.
3° Conosciuto pel suo attaccamento alla Santa Sede e per tutte le cose che in qualche maniera a quella si riferiscono.
Compiuta la elezione e conosciuto, anzi proclamato il nuovo Rettore Maggiore tutti gli elettori gli baceranno la mano, di poi si metteranno ginocchioni e canteranno il Te Deum. Di poi daranno un segno sensibile di sottomissione rinnovando i voti come sì fa all'epoca degli esercizi spirituali.
1° Indirizzerà alcune parole agli elettori, li ringrazierà della fiducia riposta in lui e li assicurerà che egli vuole essere di tutti il padre, l'amico, il fratello, dimanda la loro cooperazione, e, ove sia d'uopo, il loro consiglio.
2° Darà tosto al S. Padre la notizia di sua elezione ed offre sè e la Salesiana Società agli ordini, ai consigli del Supremo Gerarca della Chiesa.
3° Diramerà poscia una lettera circolare a tutti i confratelli ed un'altra alle Figlie di Maria Ausiliatrice.
4° Altra lettera scriverà ai nostri benefattori ed ai nostri cooperatori ringraziandoli da parte mia di quanto hanno fatto per noi mentre io viveva in terra; pregandoli a continuare il loro aiuto in sostegno delle opere Salesiane. Sempre nella ferma speranza di essere accolto nella misericordia del Signore, di là pregherò incessantemente per loro. Ma si noti, si dica, e si predichi sempre che Maria Ausiliatrice [260] ha ottenuto ed otterrà sempre grazie particolari, anche straordinarie e miracolose per coloro che concorrono a dare cristiana educazione alla pericolante gioventù colle opere, col consiglio, e col buon esempio o semplicemente colla preghiera.
Compiuti questi primi ed importanti doveri il novello Rettore si volga e con tutta sollecitudine a conoscere bene lo stato finanziario della Congregazione. Esamini se vi sono debiti e quando si debbano pagare.
É bene che almeno per un po' di tempo non [si] aprano nuove case, nè si comincino nuove costruzioni, nemmeno nuovi lavori che non siano strettamente necessari.
Nel mio particolare poi mi raccomando che non si decantino i debiti lasciati dal Rettore defunto. Ciò farebbe conoscere una cattiva amministrazione negli amministratori e nello stesso Superiore: e cagionerebbe qualche difidenza nella pubblica opinione.
RICORDO IMPORTANTE PEL CAPITOLO SUPERIORE.
Se nella elezione del nuovo Rettore venisse a mancare qualche membro del Capitolo, il Rettore usi del suo diritto e completi il numero con dei consiglieri supplenti pel tempo che deve correre prima del sessennio fissato per la elezione generale dei singoli consiglieri o membri dei Capitolo.
Ma il ricordo importante e che io giudico fondamentale si è di fare in modo che nissun membro abbia delle occupazioni estranee e non dirette all'amministrazione della nostra pia Società. Anzi io credo non dir troppo che la nostra Congregazione avrà sempre un vuoto fino a che i singoli membri del Capitolo non siano esclusivamente occupati nelle cose fissate dal regolamento approvato nelle deliberazioni capitolari.
Si dovranno a tale uopo superare non poche difficoltà, ma si facciano sacrifizi e si conceda questo grande benefizio alla intera Congregazione.
Il Rettore M. legga e metta in pratica gli avvisi soliti a darsi da me a tutti i Direttori di nuove case, specialmente al tempo dovuto al riposo ed al nutrimento.
AL DIRETTORE DI CIASCUNA CASA,
Il Direttore di ciascuna casa abbia pazienza e studi bene le persone o meglio esamini bene quanto valgano i confratelli che lavorano sotto di Lui. Esiga quello di cui sono capaci e non di più. È indispensabile che egli conosca il regolamento che ogni confratello deve praticare [261] nell'uffizio affidatogli; perciò ciascuno abbia a sua disposizione almeno quella parte di regole che lo riguardano.
La sua sollecitudine sia in modo speciale rivolta alle relazioni morali dei maestri, assistenti tra di loro e cogli allievi loro affidati.
1° Io raccomando caldamente a tutti i miei figli di vegliare sia nel parlare sia nello scrivere di non mai nè raccontare nè asserire che D. Bosco abbia ottenuto grazie da Dio od abbia in qualsiasi maniera operato miracoli. Egli commetterebbe un dannoso errore. Sebbene la bontà di Dio sia stata in misura generosa verso di me, tuttavia io noti ho mai preteso di conoscere od operare cose soprannaturali. Io non ho fatto altro che pregare e far dimandare delle grazie al Signore da anime buone. Ho poi sempre esperimentato efficaci le preghiere e le comunioni dei nostri giovani. Dio pietoso e la stia Madre SS. ci vennero in aiuto nei nostri bisogni. Ciò si verificò specialmente ogni volta che eravamo in bisogno di provvedere ai nostri giovanetti poveri ed abbandonati, e più ancora quando essi trovavansi in pericolo delle anime loro.
2° La Santa Vergine Maria continuerà certamente a proteggere la nostra Congregazione e le opere Salesiane, se noi continueremo la nostra fiducia in Lei e continueremo a promuovere il suo culto. Le sue feste, e più ancora le sue solennità, le sue novelle, i suoi tridui, il mese a Lei consacrato, siano sempre caldamente inculcati in pubblico ed in privato; coi foglietti, coi libri, colle medaglie, colle immagini, col pubblicare o semplicemente raccontare le grazie e le benedizioni che questa nostra celeste benefattrice ad ogni momento concede alla soffrente umanità.
3° Due fonti di grazie per noi sono: Raccomandare preventivamente in tutte le occasioni di cui possiamo servirci per inculcare ai nostri giovani allievi che in onore di Maria si accostino ai santi Sacramenti od esercitino almeno qualche opera di pietà.
L'ascoltare con divozione la Santa Messa, la visita a Gesù Sac.to, la frequente comunione sacramentale o almeno spirituale, sono di sommo gradimento a Maria, e un mezzo potente per ottenere grazie speciali.
Dio chiamò la povera Congregazione Salesiana a promuovere le vocazioni ecclesiastiche fra la gioventù povera o di bassa condizione.
Le famiglie agiate in generale sono mischiate troppo nello spirito del mondo, da cui disgraziatamente restano assai spesso imbevuti i loro figliuoli, cui fanno perdere così il principio di vocazione che Dio [262] ha posto nel loro cuore. Se questo spirito si coltiva, e sarà sviluppato viene a maturazione e fa copiosi frutti. Al contrario non solo il germe di vocazione, ma spesso la medesima vocazione già nata e cominciata sotto buoni auspizi, si soffoca o si indebolisce e si perde.
I giornali, i libri cattivi, i compagni ed i discorsi non riservati in famiglia sono spesso cagione funesta della perdita delle vocazioni e non di rado sono sventuratamente il guasto ed il traviamento di coloro stessi che hanno già fatto la scelta dello stato.
Ricordiamoci che noi regaliamo un gran tesoro alla Chiesa quando noi procuriamo una buona vocazione; che questa vocazione o questo prete vada in Diocesi, nelle Missioni o in una casa religiosa non importa sempre un gran tesoro che si regala alla Chiesa di G. C.
Ma non si dia consiglio ad un giovanetto qualunque, se non è sicuro di conservare l'angelica virtù nel grado che è stabilito dalla sana Teologia. Si transiga sopra la mediocrità dell'ingegno, ma non mai sulla mancanza della virtù di cui parliamo.
Coltivate l'opera di M. SS. A. secondo il programma che già conoscete. Per mancanza di mezzi non cessate mai di ricevere un giovane che dia buona speranza di vocazione. Spendete tutto quello che avete, se fa mestieri andate anche a questuare, e se dopo ciò voi vi trovate nel bisogno non affannatevi, chè la S. Vergine in qualche modo, anche prodigiosamente, verrà in aiuto.
VOCAZIONE ALLA CONG. SALESIANA.
Il lavoro, la buona e severa condotta dei nostri confratelli guadagnano e per così dire trascinano i loro allievi a seguirne gli esempi. Si facciano sacrifizi pecuniari e personali, ma si pratichi il sistema preventivo ed avremo delle vocazioni in abbondanza.
Se non si possono annientare almeno si procuri diminuire i giorni delle vacanze quanto sarà possibile.
La pazienza e la dolcezza, le cristiane relazioni dei Maestri cogli allievi, guadagneranno molte vocazioni tra loro. Però anche qui si usi grande attenzione di non mai accettare tra Soci, tanto meno per lo stato ecclesiastico, sè non vi è la morale certezza che sia conservata l'angelica virtù.
Quando poi il Direttore di qualche nostra casa ravvisa un allievo di costumi semplici, di carattere buono, procuri di renderselo amico. Gli indirizzi sovente qualche parola, l'ascolti volentieri in confessione, si raccomandi alle preghiere di lui; l'assicuri che prega per lui nella santa Messa; lo inviti, per esempio, a fare la S. Comunione in onore della B. V. o in suffragio delle anime del Purgatorio, pei suoi parenti, pe' suoi studi e simili. [263]
In fine del ginnasio lo persuada di scegliere quella vocazione, quel luogo che egli giudica più vantaggioso per l'anima sua e che lo consolerà di più in punto di morte.
Confronti le cose di coscienza ed osservi se andavano meglio a casa, in tempo di vacanza, oppure in collegio, etc.
Ma studi di impedire la vocazione ecel.ca in coloro che volessero abbracciarla per aiutare la propria famiglia per motivo che fosse povera. In questi casi diasi consiglio di abbracciare altro stato, altra professione, un'arte, un mestiere, ma non mai lo stato eccl.co.
Per aspiranti noi qui intendiamo quei giovanetti che desiderano formarsi un tenore di vita cristiana che li renda degni a suo tempo di abbracciare la Congr. Salesiana o come cherici o come confratelli coadiutori.
A costoro sia usata diligenza particolare. Ma siano soltanto tenuti in questo numero quelli che hanno intenzione di farsi Salesiani o almeno non ne siano contrarii, quando tale sia la volontà di Dio.
Sia loro fatta una conferenza particolare almeno due volte al mese.
In tali conferenze si tratti di quanto un giovanetto debba praticare o fuggire per divenire buon cristiano. Il Giovane Provveduto somministra i principali argomenti su tale materia. Non si parli però loro delle nostre regole in particolare nè dei voti, nè dell'abbandonare casa o parenti; sono cose che entreranno in cuore senza che se ne faccia tema di ragionamento. Si tenga fermo il gran principio: Bisogna darsi a Dio o più presto o più tardi; e Dio chiama beato colui che comincia consacrarsi al Signore in gioventù. Beatus homo cum portaverit jugum ab adolescentia sua. Il mondo poi, con tutte le sue lusinghe, parenti, amici, casa, o più presto o più tardi o per amore o per forza bisogna abbandonar tutto e lasciarlo per sempre.
ACCETTAZIONE FRA GLI ASCRITTI.
Gli aspiranti provati e conosciuti come sopra, si possono con facilità ricevere fra gli ascritti. Non così di coloro che vivendo o facendo gli studi fuori delle nostre case. Per costoro siano fedelmente seguite le norme stabilite dalle nostre costituzioni per gli aspiranti.
Il tempo di vera prova o ascrizione o noviziato per noi è come un crivello per conoscere il buon frumento e ritenerlo se conviene. Al contrario si sarchii l'erba non buona e quindi colla volva e colla gramigna si getti fuori del nostro giardino. [264]
Si noti bene che la nostra Congregazione non è stata fondata per coloro che avessero condotta una vita mondana e che poi per convertirsi volessero venire fra noi. La nostra Congregazione non è fatta per essi. Noi abbiamo bisogno di soci sicuri e provati nella virtù secolare. Vengano essi non a perfezionare loro medesimi ma ad esercitare la cristiana perfezione e liberare dagli immensi e gravi pericoli in cui si trovano in generale i fanciulli poveri ed abbandonati; per quei fanciulli che furono già vittima infelice delle miserie umane o che hanno già fatto naufragio in fatto di religione e negli stessi costumi, costoro o non si facciano preti o siano inviati ad ordini claustrali o penitenti. Nell'anno di prova si osservi bene in pratica la sanità, la moralità, la scienza, e se ne dia conto esatto al Capitolo Superiore, Ma il Direttore dei Noviziato badi a non mai presentare per l'accettazione quei novizi di cui conscienziosamente[139] egli non fosse sicuro della moralità.
Per l'accettazione si seguano le norme prescritte dalla santa Chiesa, dalle nostre Costituzioni, dalle delib. Capitolari, sia per l'accettazione in noviziato sia per la definitiva accettazione alla professione religiosa. Si dica pro e contro di ciascun candidato, ma la votazione sia sempre segreta[140] così che un membro del Capitolo non conosca il voto dell'altro.
Nelle dimissioni noi dobbiamo imitare il giardiniere che sarchia e getta fuori del suo giardino le erbe e le piante nocive o semplicemente inutili. Ma si badi bene che spesso la coscienza meticolosa fa temere della vocazione anche quando non v'è alcun motivo di temere. Perciò si esamini bene il motivo o i motivi per cui si dimanda la dimessione. Nè si conceda se non quando questa fosse reclamata da motivo grave[141]; cioè quando la dimora del socio in Congregazione tornasse di grave danno spirituale od anche temporale a lui stesso od alla Congreg. medesima.
In tali casi si osservi se basta una dimissione ad tempus o debba essere assoluta. Ma in ogni caso si usino tutti i riguardi al dimettendo e si facciano anche sacrifizi affinchè il socio parta con buona armonia e amico della Congreg. Ma in via ordinaria non si tengano più con lui se non le relazioni che riguardano al buon cristiano. Nè a lui si offra ospitalità se non in casi di vero e conosciuto bisogno e momentaneamente. [265]
Uscendo da noi un socio si aiuti a trovare un impiego o almeno qualche posto dove egli possa guadagnare onesto sostentamento.
Si faccia ogni sforzo a fine di conservare la vita comune. 1 Superiori comandino ed esigano quanto ciascuno può fare e non di più. Quando però un ascritto manca della sanità per adempiere i doveri che le nostre regole prescrivono non si può accettare alla professione religiosa, e se il suo male pare cronico, si restituisca alla famiglia paterna. Quando poi si tratta di un professo si ritenga tra noi e gli siano usati i dovuti riguardi. Ma non si dimentichi mai che siamo poveri e niuno pretenda riguardi superiori alla condizione di una persona che sia consacrata a Dio col voto di povertà. Siano per altro usati specialissimi riguardi a quelli che colle loro fatiche o in altro modo abbiano recato notevole vantaggio alla Congregazione. Anzi qualora possa loro giovare il cangiamento di clima, di vitto, o recarsi all'aria nativa, ciò si faccia, sempre però col consiglio del medico.
Ma questi riguardi siano limitati al tempo di malattia e di convalescenza, e si guardi bene che tali riguardi non diventino una seconda tavola. Ciò sarebbe la peste della vita comune. Quindi qualora un convalescente possa essere rimesso alla tavola dei confratelli, questo si faccia, ma ognora si usi riguardo speciale nelle occupazioni, nè a lui si affidino lavori superiori alle sue forze.
In questo importante affare si pratichi somma carità, prudenza ed energia, ma in ogni cosa sempre la dovuta discrezione, carità e dolcezza.
Nelle mie prediche, nei discorsi e libri stampati ho sempre fatto quanto poteva per sostenere, difendere e propagare principii cattolici. Tuttavia se in essi fosse trovata qualche frase, qualche parola, che contenesse anche solo un dubbio o non fosse abbastanza spiegata la verità io intendo di rivocare, rettificare ogni pensiero, o sentimento non esatto. In generale poi io sottometto ogni detto, scritto, o stampa a qualsiasi decisione, correzione, o semplice consiglio della Santa Madre Chiesa Cattolica.
In quanto alle stampe e ristampe io mi raccomando di più cose.
Alcune mie operette furono pubblicate senza la mia assistenza ed altre contro la mia volontà, perciò:
I° Raccomando al mio successore che faccia o faccia fare un catalogo di tutte le mie operette, ma dell'ultima edizione di ciascuna.
2° E qualora sia mestieri di farne una ristampa, ove si scorgesse errore di ortografia, di cronologia, di lingua, o di senso si corregga pel bene della scienza e della religione. [266]
3° Se mai accadesse di stampare qualche mia lettera italiana si usi grande attenzione nel senso e nella dottrina, perchè la maggior parte furono scritte precipitosamente e quindi con pericolo di molte inesattezze. Le lettere francesi poi ove si possa, vengano bruciate; ma se mai taluno volesse stamparne, mi raccomando che siano lette e corrette da qualche conoscitore di quella lingua, francese, affinchè le parole non esprimano un senso non voluto e facciano cadere la burla od il disprezzo sulla religione in favore di cui furono scritte.
Chi poi possedesse notizie o fatti ritenuti a memoria o raccolti colla stenografia, siano attentamente esaminati e corretti in modo che nulla sia pubblicato che non sia esattamente conforme ai principi di nostra santa religione cattolica.
IL DIRETTORE DI UNA CASA CO' SUOI CONFRATELLI.
Il Direttore deve essere modello di pazienza, di carità co' suoi confratelli che da lui dipendono e perciò:
I° Assisterli, aiutarli, instruirli sul modo di adempire i proprii doveri, ma non mai con parole aspre od offensive[142].
2° Faccia vedere che ha con loro grande confidenza; tratti con benevolenza degli affari che li riguardano. Non faccia mai rimproveri, nè dia mai severi avvisi in presenza altrui. Ma procuri di ciò far sempre in camera caritatis, ossia dolcemente, strettamente in privato.
3° Qualora poi i motivi di tali avvisi o rimproveri fossero pubblici, sarà pure necessario di avvisare pubblicamente, ma tanto in Chiesa, quanto nelle conferenze speciali non si facciano mai allusioni personali. Gli avvisi, i rimproveri, le allusioni fatte palesemente offendono e non ottengono l'emendazione.
4° Non dimentichi mai il rendiconto mensile per quanto è possibile; ed in quella occasione ogni Direttore diventi l'amico, il fratello, il padre de' suoi dipendenti. Dia a tutti tempo e libertà di fare i loro riflessi, esprimere i loro bisogni e le loro intenzioni. Egli poi dal canto suo apra a tutti il suo cuore senza mai far conoscere rancore alcuno; neppure ricordare le mancanze passate se non per darne paterni avvisi, o richiamare caritatevolmente al dovere chi ne fosse negligente.
5° Faccia in modo di non mai trattare di cose relative alla confessione a meno che il confratello ne faccia dimanda. In tali casi non prenda mai risoluzioni da tradursi in foro esterno senza essere ben inteso col socio di cui si tratta.
6° Per lo più il Direttore è il confessore ordinario dei confratelli. Ma con prudenza procuri di dare ampia libertà a chi avesse bisogno di confessarsi da un altro. Resta però inteso che tali confessori particolari [267] devono sempre essere conosciuti ed approvati dal Superiore secondo le nostre regole.
7° Siccome poi chi va in cerca di confessori eccezionali dimostra poca confidenza col Direttore, così esso, il Direttore deve aprire gli occhi e portare l'attenzione particolare sopra l'osservanza delle altre regole e non affidare a quel confratello certe incombenze che sembrassero superiori alle forze morali o fisiche di lui.
N. B. Quanto dico qui è affatto estraneo ai confessori straordinari che il Superiore, Direttore, Ispettore avranno cura di fissare a tempo opportuno.
8° In generale poi il Direttore di una casa tratti sovente e con molta famigliarità coi confratelli, insistendo sulla necessità della uniforme osservanza delle Costituzioni, e per quanto è possibile ricordi anche le parole testuali delle medesime.
9° Nei casi di malattia osservi quanto le regole prescrivono e quanto stabiliscono le deliberazioni capitolari.
10° Sia facile a dimenticare i dispiaceri e le offese personali e colla benevolenza e coi riguardi studii di vincere o meglio di correggere i negligenti, i difidenti, ed i sospettosi. Vincere in bono malum.
AI CONFRATELLI DIMORANTI IN UNA MEDESIMA CASA.
I° Tutti i Confratelli Salesiani che dimorano in una medesima casa devono formare un cuor solo ed un'anima sola col Direttore loro.
2° Ritengano però ben a memoria che la peste peggiore da fuggirsi è la mormorazione. Si facciano tutti i sacrifizi possibili, ma non siano mai tollerate le critiche intorno ai Superiori.
3° Non biasimare gli ordini dati in famiglia, nè disapprovare le cose udite nelle prediche, nelle conferenze o scritte o stampate ne' libri di qualche confratello.
4° Ogniuno sofra per la maggior gloria di Dio ed in penitenza de' suoi peccati, ma pel bene dell'anima sua fugga le critiche nelle cose di amministrazione, nel vestito, nel vitto ed abitazione, etc.
5° Ricordatevi, o figliuoli miei, che l'unione tra Direttore e sudditi, e l'accordo tra i medesimi, forma nelle nostre case un vero paradiso terrestre.
6° Non vi raccomando penitenze o mortificazioni particolari, voi vi farete gran merito e formerete la gloria della Congregazione, se saprete sopportare vicendevolmente le pene ed i dispiaceri della vita con cristiana rassegnazione.
7° Date buoni consigli tutte le volte che vi si presenta qualche occasione, specialmente quando si tratta d i consolare un afflitto o venirgli in aiuto a superare qualche difficoltà, o fare qualche servizio sia in tempo che no gode salute o che uno sì trovi in casi dì malattia. [268]
8° Venendo a notizia che nella casa sia imputata cosa o f atto biasimevole, specialmente fossero cose che potessero anche solo interpretarsi contro la santa legge di Dio, se ne dia rispettosamente comunicazione al Superiore. Esso saprà usare la dovuta prudenza a fine di promuovere il bene e di impedire il male.
9° Riguardo agli allievi ciascuno si tenga ai regolamenti della casa ed alle deliberazioni prese per conservare la disciplina e la moralità tra gli studenti e gli artigiani.
10° Ciascuno poi in luogo di fare osservazioni su quello che fanno gli altri, si adoperi con ogni possibile sollecitudine per adempire gli uffizi che a lui furono affidati.
RICORDO FONDAMENTALE OSSIA OBBLIGAZIONE
PER TUTTI QUELLI CHE LAVORANO IN CONGREGAZIONE.
A tutti è strettamente comandato e raccomandato in faccia [a] Dio ed in faccia agli uomini di aver cura della moralità tra Salesiani e tra coloro che in qualunque modo e sotto a qualunque titolo ci fossero dalla Divina Provvidenza affidati.
NOTO QUI CIO' CHE AVREI DOVUTO DIRE ALTROVE.
In tempo di esercizi spirituali il Direttore della casa e tutti gli altri ordinari Superiori sono consigliati a cessare dallo ascoltare le confessioni dei loro dipendenti, e per quanto possono si servano di confessori o predicatori straordinari. Se essi non bastano si chiamino in aiuto altri confessori conosciuti. Se poi in certi casi fosse in ciò necessaria qualche eccezione il Superiore saprà giudicarlo.
Quando un confratello va in urto colle autorità ecclesiastiche di una città, luogo o Diocesi il Superiore usi la dovuta prudenza e gli destini un altro impiego.
Similmente qualora qualche confratello incontrasse rivalità od opposizione coi confratelli suoi, è bene che sia cangiato di famiglia o di occupazione.
Ma sia sempre amichevolmente avvisato dei difetti suoi e si diano le norme con cui regolarsi meglio in avvenire per evitare gli screzi.
Cogli esterni bisogna tollerare molto, e sopportare anche del danno piuttosto che venire a quistioni.
Colle autorità civili od ecclesiastiche si sofra quanto si può onestamente, ma non si venga a questioni davanti ai tribunali laici.
Siccome poi malgrado i sacrifizi ed ogni buon volere talvolta devonsi sostenere quistioni e liti così io consiglio e raccomando che si [269] rimetta la vertenza ad uno o due arbitri con pieni poteri, rimettendo la vertenza a qualunque loro parere.
In questo modo è salva la coscienza e si mette termine ad affari, che ordinariamente sono assai lunghi e dispendiosi e nei quali difficilmente si mantiene la pace del cuore e la carità cristiana.
Pel bene di ogni socio e della intera nostra Congregazione niuno si mischi per danaro, per impieghi o per raccomandazioni[143] che abbiano relazione coi parenti o cogli amici.
Presentandosi gravi motivi per cui taluno debbasi in simili affari occupare, ne parli col suo Superiore e si tenga strettamente al parere di lui.
Si osservi inalterabilmente la massima di non mai firmare cambiali, nè mai rendersi mallevadore pei pagamenti altrui. L'esperienza fece conoscere che ne abbiamo sempre danno e dispiaceri.
Se si può si faccia qualche servizio, si dia anche qualche sussidio, ma nei limiti consigliati e permessi dal Superiore rispettivo.
Per le figlie o Suore di Maria Ausiliatrice i Salesiani devono fedelmente osservare quello che è stato stabilito nelle deliberazioni capitolari.
Non ci si deve badare nè a lavori, nè a spese, nè a disturbi di sorta a fine di regolare le nostre relazioni come la Chiesa e le medesime nostre costituzioni hanno stabilito.
Nel trattare affari materiali i religiosi e le religiose non siano mai soli, ma procurino di essere sempre assistiti, o che almeno siano da altri veduti, Nunquam solus cum sola loquatur.
Nel ricevere nell'Istituto di Maria si stia attenti a non ricevere chi non ha buona sanità e fondata speranza di vera ubbidienza.
Si ritenga che le virtù non acquistate nel tempo del noviziato per lo più non si acquistano più.
Niuna Suora dopo la professione religiosa conservi fondi stabili o per sè o per la comunità religiosa, cui appartiene. Si farà eccezione nei possedimenti necessari per fondate case dì educazione o giardini per conservare la sanità.
Nè per burla nè per ischerzo, nè per altre ragioni o pretesti si dicano parole che servano a movere il riso o procacciare stima o benevolenza nelle persone di altro sesso. Si leggano e si facciano ben capire queste parole e se ne facciano spiegazioni ripetutamente.
La Superiora Generale, le Direttrici delle Case non permettano alcuna famigliarità con persone secolari di qualunque genere. Essendovene [270] vera necessità, intervenga un'assistente e si osservino le prescrizioni delle rispettive regole.
La stessa Superiora noti ritenga presso di sè alcuna somma di danaro se non per affari determinati e solamente pel tempo necessario per le cose a trattarsi.
Quanto dicesi della Superiora Generale si deve dire di tutte le Direttrici delle altre case.
In questa ed in simili cose ciascuna si rimetta senza opposizioni ai consigli ed agli ordini del Superiore Maggiore.
Non mai si facciano costruzioni o riparazioni senza essere ben intese col medesimo.
I° Nel trattare affari di qualche rilievo nel Capitolo Superiore o nel Capitolo Generale, tanto i Salesiani quanto le Suore, si procuri di proporre preventivamente o con uno scritto o verbalmente le cose che si vogliono trattare.
2° Si conceda a tutti ampia libertà di parlare sugli argomenti pro o contro come a ciascuno pare meglio davanti a Dio, ma nelle deliberazioni si faccia uso dei voti segreti.
3° Si mettano segretamente in un taschetto o recipiente qualunque, noci o nocioli o fave etc. di colore diverso e ciascuno cavi un frutto. Il nero è negativo, il bianco è affermativo.
4° Ma stabilita la maggioranza in qualche deliberazione, non si cangi più se non con altra deliberazione, in cui prenda parte tutto il Capitolo.
5° Si abbia gran cura di dare puntualmente esecuzione alle cose deliberate; e si vegli da tutti attentamente che le deliberazioni non siano mai in contraddittorio, le une alle altre.
E' un errore grande e fatica sprecata quando non si dà esecuzione alle cose proposte in Capitolo ed approvate, e poi messe in oblio.
Si procuri da tutti di evitare la novità delle proposte nelle conferenze o nei capitoli; e si faccia in modo che [si] ammettano regolarmente le cose già anteriormente approvate o dalla tradizione, dalle regole, o capitoli generali o particolari.
Qualora in un paese od in qualche città vi si presenti una difficoltà da parte di qualche autorità spirituale o temporale, procurate di fare in modo [da] potervi presentare per dare ragione di quanto avete operato.
La spiegazione personale delle vostre intenzioni buone diminuisce assai e spesso fa scomparire le sinistre idee che nella mente di taluni possono formarsi.
Se sono cose colpevoli anche in faccia alle leggi, se ne dimandi scusa, o almeno se ne dia rispettosa spiegazione, ma se è possibile sempre in udienza personale. [271]
Questo modo di fare è assai conciliante e ben sovente rende benevoli gli stessi avversarii.
Ciò non è altro che quanto raccomanda Iddio; responsio mollis frangit iram. Oppur la massima di S. Paolo: Charitas Dei benigna est, patiens est. etc.
La medesima regola seguano i Direttori di Case coi loro inferiori. Parlatevi, spiegatevi, e facilmente vi intenderete senza venire a rompere la carità cristiana contro gli interessi della stessa nostra Congregazione.
Se poi volete ottenere molto dai vostri allievi, non mostratevi mai offesi contro ad alcuno. Tollerate i loro difetti, correggeteli, ma dimenticateli.
Mostratevi sempre loro affezionati, e fate loro conoscere che tutti i vostri sforzi sono diretti a fare del bene alle anime loro.
RACCOMANDAZIONE FONDAMENTALE A TUTTI I SALESIANI.
Amate la povertà se volete conservare in buono stato le finanze della Congregazione.
Procurate che niuno abbia a dire: Questo suppellettile non dà segno di povertà, questa mensa, questo abito, questa camera non è da povero. Chi porge motivi ragionevoli di fare tali discorsi, egli cagiona un disastro alla nostra Congregazione, che deve sempre gloriarsi del voto di povertà.
Guai a noi se coloro da cui attendiamo carità potranno dire che teniamo vita più agiata della vita loro.
Ciò s'intende sempre da praticarsi rigorosamente quando ci troviamo nello stato normale di sanità, perciocchè nei casi di malattia devono usarsi tutti i riguardi che le nostre regole permettono.
Ricordatevi che sarà per voi sempre una bella giornata quando vi riesce vincere coi benefizi un nemico o farvi un amico.
Non mai tramonti il sole sopra la vostra iracondia, nè mai richiamate alla memoria le offese perdonate, non mai ricordare il danno, il torto dimenticato. Diciamo sempre di cuore: Dimitte nobis debita nostra sicut et nos dimittimus debitoribus nostris. Ma con una dimenticanza assoluta e definitiva di tutto ciò che in passato ci abbia cagionato qualche oltraggio. Amiamo tutti con amore fraterno.
Queste cose siano esemplarmente osservate da quelli che esercitano sopra gli altri qualche autorità.
RACCOMANDAZIONE PER ME STESSO.
O giovani cari, voi che siete sempre stati la delizia del mio cuore; io vi raccomando la frequente comunione in suffragio dell'anima mia.
Colla frequente comunione voi vi renderete cari a Dio ed agli [272] uomini, e Maria vi concederà la grazia di ricevere i Santi Sacramenti in fine di vita.
Voi preti, cherici Salesiani, voi parenti ed amici dell'anima mia, pregate, ricevete Gesù Sacramentato in suffragio dell'anima mia, affinchè mi abbrevi il tempo del purgatorio.
Espressi così i pensieri di un Padre verso a' suoi amati figli ora mi volgo a me stesso per invocare la misericordia del Signore sopra di me nelle ultime ore della mia vita.
Io intendo di vivere e di morire nella santa cattolica religione che ha per capo il Romano Pontefice, Vicario di Gesù Cristo sopra la terra.
Credo e professo tutte le verità della fede che Dio ha rivelato alla Santa Chiesa.
Dimando a Dio umilmente perdono di tutti i miei peccati specialmente di ogni scandalo dato al mio prossimo in tutte le mie azioni, in tutte le parole proferite a tempo non opportuno; dimando poi in modo particolare scusa degli eccessivi riguardi usati intorno a me stesso collo specioso pretesto di conservare la sanità.
Debbo però scusarmi se taluno osservò che più volte feci troppo breve preparamento o troppo breve ringraziamento alla S.ta Messa. Io era in certo modo a ciò costretto per la folla di persone che intorniavanmi in sacristia e mi toglievano la possibilità di pregare sia prima sia dopo la Santa Messa.
So che voi, o amati figli, mi amate, e questo amore, questa affezione non si limiti a piangere dopo la mia morte; ma pregate pel riposo eterno dell'anima mia.
Raccomando di fare preghiere, opere di carità, delle mortificazioni, delle sante comunioni e queste per riparare alle negligenze commesse nel fare il bene o nell'impedire il male.
Le vostre preghiere siano con fine speciale al Cielo rivolte affinchè io trovi misericordia e perdono al primo momento che io mi presenterò alla tremenda Maestà del mio Creatore.
La nostra Congregazione ha davanti un lieto avvenire preparato dalla Divina Provvidenza, e la sua gloria sarà duratura fino a tanto che si osserveranno fedelmente le nostre regole.
Quando cominceranno tra noi le comodità o le agiatezze, la nostra pia Società ha compiuto il suo corso.
Il mondo ci riceverà sempre con piacere fino a tanto che le nostre sollecitudini saranno dirette ai selvaggi, ai fanciulli più poveri, più pericolanti della società. Questa è per noi la vera agiatezza che niuno verrà a rapirci.
Non si vadano a fondare case se non avvi il necessario personale per la direzione delle medesime. [273]
Non molte case vicine. Se una è distante dall'altra i pericoli sono assai minori.
Cominciata una missione all'estero si continui con energia e sacrifizio. Lo sforzo sia sempre a fare e stabilire delle scuole e tirare su qualche vocazione per lo stato ecclesiastico, o qualche Suora tra le fanciulle.
A suo tempo si porteranno le nostre missioni nella China e precisamente a Pechino. Ma non si dimentichi che noi andiamo pei fanciulli poveri ed abbandonati. Là fra popoli sconosciuti ed ignoranti del vero Dio si vedranno le meraviglie finora non credute, ma che Iddio potente farà palesi al mondo.
Non si conservino proprietà stabili fuori delle abitazioni di cui abbiamo bisogno.
Quando in qualche impresa religiosa vengano a mancarci i mezzi pecuniari, si sospendano, ma siano continuate le opere cominciate appena le nostre economie, i sacrifizi lo permetteranno.
Quando avverrà che un Salesiano soccomba e cessi di vivere lavorando per le anime, allora direte che la nostra Congregazione ha riportato un gran trionfo e sopra di essa discenderanno copiose le benedizioni del Cielo.
Sul principio dì questo lungo scritto in una nota posteriore autografa Don Bosco dice: “Si ritenga che queste pagine furono scritte nel settembre 1884 prima che il S. Padre nominasse un Vicario con successione; perciò venga modificato quanto farà d'uopo”[144]. Leone XIII preoccupato delle sorti che sarebbero toccate alla Congregazione Salesiana, se fosse venuto a mancare il fondatore, fece una proposta che veniva a modificare con il regime di essa anche le normali formalità della successione.
Intanto è curioso vedere come proprio quando il Papa s'interessava positivamente di lui, Don Bosco nella notte dal 9 al 10 ottobre facesse un sogno durato dalla sera alla mattina e consistente in una sua visita al Santo Padre. Appena addormentato, gli parve di partire dall'Oratorio, traversare il cortile, percorrere le vie di Torino incontrando molti conoscenti [274] e giungere infine alla stazione centrale della ferrovia. Salito sul treno, viaggiò fino a Roma, dove si diresse subito al Vaticano. Pensava fra sè che sarebbe stato difficilissimo avvicinare il Santo Padre, perchè monsignor Macchi avrebbe sollevato un mondo di ostacoli per impedirgli l'udienza. Tuttavia si presentò. Monsignor Macchi fu con lui la gentilezza in persona; alla sua domanda di essere ammesso all'udienza rispose che, trattandosi d'affari di tanta importanza, si poteva, anzi si doveva passar sopra alle formalità consuete. E senz'altro lo fece entrare dal Papa. L'udienza si protrasse per due ore. Il Pontefice intrattenne Don Bosco in lunghi e svariati discorsi; fra le altre cose gli disse: State attento che coloro i quali domandano di far parte della vostra Congregazione siano specialmente: I° di carattere pieghevole; 2° di spirito di sacrifizio, non attaccati alla patria, ai parenti, agli amici e che rinuncino perfino a più ritornare in patria; 3° siano sicuri sulla moralità. -Questo fu l'argomento principale, che occupò la maggior parte del colloquio. Finita l'udienza, Don Bosco ritornò alla stazione, prese il biglietto per Torino e quand'era sul pulito di arrivare, si svegliò.
Orbene proprio sul treno di quella notte viaggiava da Roma a Torino una lettera scritta per volontà del Papa e scritta per Don Bosco. Era indirizzata al cardinale Alimonda. In essa monsignor Jacobini, segretario di Propaganda, fra le altre cose diceva: “Sua Santità in questa occasione mi ha ordinato di scriverle sopra un altro oggetto interessantissimo. Egli vede che la salute di Don Bosco deperisce ogni giorno e tenie per l'avvenire del suo Istituto. Vorrebbe dunque che V. Eminenza con quei modi che sa sì bene adoperare parlasse a Don Bosco e lo facesse entrare nell'idea di designare la persona che egli crederebbe idonea a succedergli, ovvero a prendere il titolo di suo vicario con successione. Il S. Padre si riserverebbe a provvedere nell'uno o nell'altro modo secondo crederebbe più prudente. Brama però che V. E. faccia subito questo, che riguarda così da vicino il bene dell'Istituto ”. Nel [275] poscritto Monsignore pregava il Cardinale di una sollecita risposta.
Ricevuta questa lettera, l'Alimonda la sera stessa del 10 ottobre venne in persona a parlarne con Don Bosco, fermandosi a discorrere con lui per circa un'ora. Il Santo accolse con vivo gradimento l'invito fattogli a nome del Papa, e promise che al più presto possibile ne avrebbe informato i Capitolari e formulata la risposta da inviale a Roma. Quindi la prima volta che vi fu seduta del Capitolo Superiore, il 24 ottobre, sul finire dell'adunanza diede comunicazione della cosa e richiese il parere dei presenti sulla scelta della persona, dicendo:
- Ho ancora da esporre una cosa di gravissima importanza. Il Santo Padre mi ha scritto essere suo desiderio che Don Bosco si eleggo, un Vicario con diritto di amministrazione e di successione. Egli con ciò dimostra il grande amore e l'interesse che professa alla nostra Congregazione ed anche un segno di benevolenza allo stesso Don Bosco, volendo che dipenda da lui la scelta dei successore. Io avrei desiderato che dopo la mia morte i Confratelli secondo le regole esercitassero il loro diritto nel crearsi un Superiore; ma dopo la lettera del Papa non saprei come decidere altrimenti. Fin da quando sono andato a Roma in quest'anno, il Papa mi ha fatto intendere questa sua idea. Mi disse: "Voi siete di sanità male andata; avete bisogno dì aiuto, di essere assistito; bisogna che vi mettiate al fianco persona che raccolga le vostre tradizioni, che possa far rivivere tante cose che non si scrivono, o, se si scrivono, non s'intenderanno come debbono essere intese ". Ho meditato molto su questo punto; perciò chiedo al Capitolo che cosa io debba rispondere al Santo Padre. Il Capitolo rispose che Don Bosco scegliesse pure chi gli piaceva e tutto sarebbe fatto.
Egli chiese ancora se prima di presentare al Papa il nome di chi sarebbe il prescelto, convenisse consultare il voto dei Confratelli. La risposta fu non essere ciò necessario, Don Bosco scegliesse il suo Vicario amministratore con diritto di successione [276] e mandasse il nome dell'eletto al Papa, il quale certamente lo avrebbe approvato. Don Lemoyne che fu testimonio, scrive: “Ci fu un momento di silenzio solenne, perchè tutti capivano l'importanza di questa decisione del Papa. Un senso di tenerezza profonda invadeva tutti i cuori, perchè sembrava che ogni giorno più tutto ci annunziasse che Don Bosco si apparecchiava ad abbandonarci ”.
Don Bosco, preso tempo a deliberare, spiegò meglio il suo pensiero nella seduta capitolare del 28, parlando così: - Ora si tratta di stabilire un Vicario a Don Bosco e che questo lo rappresenti in ogni cosa: in faccia alla Chiesa per l'istituzione canonica, in faccia alle leggi civili per procura. Il Papa forse sarebbe contento che Don Bosco si ritirasse pienamente e riposasse; ma se io sto ancora al mio posto in faccia al mondo, se non m'inganno potrò fare ancora al quanto di bene alla Congregazione. Se resto Rettore Maggiore anche solo di nome, ciò basta al cospetto della Francia, della Spagna, della Polonia, ecc. Solamente la mia povera esistenza serve ad attirare la beneficenza. Ma ho bisogno che vi sia tino al quale possa affidare la Congregazione e porla tutta sopra le sue spalle, lasciandone a lui tutta la responsabilità. In questo senso ho fatto scrivere al Sommo Pontefice, rimettendomi però pienamente alle sue decisioni. Avrei scritto io stesso, ma non riuscii a finire se non dopo varie peripezie e, in ultimo mi avvidi che aveva terminato di scrivere sopra un'altra carta che sporgeva sotto il foglio. La mia povera testa non reggeva più. Ora la lettera fu spedita. Giunto che sia il rescritto pontificio, bisogna che cerchiamo di mettere alla testa della Congregazione uno il quale assuma la reggenza sotto la sua piena responsabilità.
Don Cagliero osservò che, se l'eletto fosse Don Rua, sarebbe necessario che lasciasse l'ufficio di Prefetto e che si cercasse un altro per quell'ufficio.
Don Bosco riprese a dire: - Ora da tutti si fa quel che si può, e io non ho nulla da lamentarmi per nessuno, tutti sono di buona volontà, ma responsabilità individuale finora non [277] c'era. L'unico studio era di mettere tutte le forze insieme, perchè uno non paralizzasse l'altro. Appena avrò la risposta del Santo Padre, ve la comunicherò.
A questo punto fece leggere da Don Rua la lettera che il Santo Padre gli aveva fatto scrivere in proposito da monsignor Jacobini. In essa, conte abbiamo veduto, gli si proponeva tino di questi due partiti: designare colui che Don Bosco giudicava idoneo a succedergli ovvero indicare chi potesse prendere subito il titolo di Vicario con diritto di successione. Don Bosco dunque proseguì: - lo ho proposto al Santo Padre un Vicario generale con diritto di successione, rimettendo però ogni cosa in mano di Sua Santità. A questo Vicario io darò tutti i poteri, ma intendo che sia responsabile; poichè ripeto che questa responsabilità finora non esisteva. Questo Vicario si faccia un altro Prefetto. Io allora mi ritirerò. Vedrò, parlerò col mio Vicario ed egli parlerà e comanderà agli altri Confratelli ex officio.
Non sappiamo da chi abbia fatto scrivere la lettera per il Santo Padre; non certamente da Don Betto, che ne avrebbe conservato la minuta originale. Forse distrusse questa minuta e, non volendo ancora che la notizia della cosa uscisse dal Capitolo Superiore, incaricò Don Cagliero, del quale pure si occupava la lettera di monsignor Jacobini. La lettera di Don Bosco fu consegnata al cardinale Alimonda, che per mano del Cardinale Nina la umiliò al Papa il 27 novembre. In essa egli faceva il nome di don Rua; ma nell'adunanza capitolare non ne aveva detto nulla, senza dubbio perchè voleva prima aspettare il beneplacito del Santo Padre. “Giovedì scorso, scriveva all'Alimonda il cardinale Nina in data 30 novembre, giorno di mia ordinaria udienza, mi recai a dovere di presentare al Santo Padre la lettera di Don Bosco insieme a quella dell'Eminenza Vostra. Sua Santità rimase oltremodo soddisfatta e tranquilla nell'apprendere come all'avvenire dell'Istituto Salesiano rimarrebbe abbastanza bene provveduto coll'affidarne il regime a Don Rua, qualora venisse a mancare l'egregio Don [278] Bosco, che Dio però conservi molti anni, al quale intento il S. Padre m'incaricò d'inviargli una particolare apostolica benedizione ”. Di tutto l'Arcivescovo rese informato Don Bosco; quindi al Cardinale Nina riscrisse il 19 dicembre, dicendogli intorno all'affare del Vicario: “E dapprima debbo ringraziarla dell'ultima venerata sua lettera, nella quale aveva la bontà di riferirmi come il Salito Padre avesse gradito la nomina, dell'ottimo Don Rua a Vicario generale del Rev.mo Don Bosco, con diritto a succedergli nel governo della Congregazione Salesiana. Della bella notizia e molto più della benedizione apostolica dall'Em. V. comunicata, Don Bosco e i suoi religiosi si rallegrarono grandemente e ne professano riconoscenza al loro amato Protettore”.
Don Bosco non si affrettò a rendere di pubblica ragione la cosa. Il Santo Padre non aveva imposto nè consigliato alcun limite di tempo; d'altra parte entrava nelle abitudini del Santo far precedere a importanti decisioni un periodo di prova. Qui poi, allargando a Don Rua la sfera dell'attività, senza dichiararne il vero motivo, egli preparava gli animi dei Confratelli a gradire il provvedimento. Intanto Don Bosco veniva insinuando l'idea della necessità che Don Rua dovesse prendere in tante cose il suo posto, e lo ripeteva con crescente frequenza, dandone per motivo la propria salute e il bisogno di ordinare tutto a poco a poco.
Trascorso così un anno, Don Bosco procedette alla proclamazione ufficiale prima nel Capitolo Superiore, poi oralmente dinanzi ai confratelli dell'Oratorio e da ultimo con sua lettera circolare a tutte le case.
Al suo Capitolo parlò così il 24 settembre 1885: - Ciò che debbo dirvi si riduce a due cose. La prima riguardo a Don Bosco, che ormai è mezzo andato e ha bisogno di uno che faccia le sue veci. L'altra riguarda il Vicario generale che subentri nelle cose che faceva Don Bosco e s'incarichi di tutto ciò che è necessario per il buon andamento della Congregazione: benchè nel trattare gli affari son sicuro che egli prenderà [279] sempre volentieri gli avvisi di Don Bosco e dei Confratelli e nell'addossarsi questa carica altro non intenderà che di venire in aiuto della Pia Società Salesiana, cosicchè quando io venga a morire, la mia morte non alteri punto l'ordine della Congregazione. Quindi il Vicario deve provvedere che le tradizioni che ora noi teniamo si mantengano intatte. Così fu raccomandato caldamente dal Santo Padre. Le tradizioni sì distinguono dalle regole in quanto che insegnano il modo di spiegare e praticare le regole stesse. Bisogna procurare che queste tradizioni, dopo di me, si mantengano, si conservino da quelli che ci seguiranno. Mio Vicario generale nella Congregazione sarà Don Michele Rua. Questo è il pensiero del Santo Padre che mi ha scritto per mezzo di monsignor Jacobini. Desiderando di dare a Don Bosco ogni possibile aiuto, mi domandò chi sembravami che potesse fare le mie veci. Io ho risposto che preferiva Don Rua, perchè è uno dei primi anche in ordine di tempo nella Congregazione, perchè già da molti anni esercita questo ufficio, perchè questa nomina avrebbe incontrato il gradimento di tutti i Confratelli. Sua Santità rispose, non ha molto per mezzo dell'eminentissimo cardinale Alimonda: Va bene: approvando così la mia scelta. Da qui innanzi pertanto Don Rua farà le mie veci in tutto; e ciò che posso far io può farlo lui, ha i pieni poteri del Rettor Maggiore: accettazioni, vestizioni, scelta di segretario, delegazioni ecc. ecc. Ma nominando Don Rua a Vicario, bisogna che egli rimanga totalmente in mio aiuto ed è necessario che rinunzi alla carica di Prefetto della Congregazione. Quindi valendomi delle facoltà che le regole mi concedono, nomino a Prefetto della Congregazione Don Durando Celestino, finora Consigliere scolastico.
Ciò udito, Don Rua, Don Durando e altri membri del Capitolo, dopo essersi letto ivi il § 2°, cap. III della Dist. I delle Deliberazioni del secondo Capitolo generale, osservarono che era necessaria una modificazione temporanea al primo periodo del detto paragrafo secondo, così concepito: [280] “Il Prefetto della Società, secondo le nostre Costituzioni, è colui che fa le veci del Rettor Maggiore. Egli lo supplisce sia nel governo ordinario della Società in caso di assenza, sia in tutte le cose di cui avrà ricevuto particolare incarico ”. Al citato periodo si propose la seguente modificazione: “Il Prefetto della Società è colui che fa le veci del Rettor Maggiore e del suo Vicario nel governo ordinario ecc.”. Il Capitolo approvò tale aggiunta.
Don Bosco ripigliò la parola: - Consigliere scolastico al posto di Don Durando resta nominato Don Cerruti Francesco, Direttore della casa di Alassio e Ispettore dell'Ispettoria Ligure. Don Rocca avrà la direzione intiera di quel collegio. A Don Cerruti resterà l'ufficio di ispettore della Liguria, avendo molto da fare colle autorità scolastiche e civili di Alassio e della provincia, e avendo molti affari nelle sue mani da condurre a termine. Appena egli possa fisserà il suo domicilio nell'Oratorio. É da notarsi che queste variazioni dureranno solamente fino all'epoca del Capitolo generale, il quale secondo le regole nominerà i membri del Capitolo Superiore. - Infine incaricò il segretario Don Lemoyne di stendere la circolare per la comunicazione ufficiale della nomina del nuovo Vicario Generale.
Ai confratelli dell'Oratorio la comunicazione fu fatta nella festa dell'Immacolata. Quella sera Don Bosco tenne loro la conferenza nel coro della chiesa di Maria Ausiliatrice; ma prima Don Francesia lesse la lettera circolare preparata per tutte le case, e poi il Servo di Dio parlò d'altro nè sappiamo che aggiungesse nulla a commento della circolare.
In questa circolare compariva per la prima volta lo stemma ufficiale della Congregazione[145]. La lettera era stata stampata con la data di “Tutti i Santi 1885 ”; ma dopo venne trattenuta, perchè Don Bosco la volle rileggere e ritoccare minutamente, e quindi, appostavi la data definitiva [281] “Festa dell'Immacolata Concezione di Maria Santissima 1885 ”, la fece ristampare così:
Figliuoli in Gesù Cristo carissimi,
Travagliato da varii incomodi, sentendo ogni giorno diminuirmi le forze, già da qualche tempo provava il bisogno di aver un sollievo ed un sostegno nell'adempimento di quella missione, che la Divina Provvidenza mi ha affidato. Io vedeva la necessità di uno che mi aiutasse efficacemente nel compiere le varie mie occupazioni e fosse eziandio incaricato di tutto ciò che è indispensabile al buon andamento della Pia Società di S. Francesco di Sales. A questo fine pertanto pensai di eleggermi un Vicario, che mi rappresenti e sia come un altro me stesso, un Vicario che abbia questo per uffizio speciale, che le tradizioni finora da noi osservate si mantengano intatte e tali siano conservate dopo di me da quelli che ci seguiranno. Parlo di quelle tradizioni che sono le norme pratiche per intendere, spiegare e praticare fedelmente le regole, quali furono definitivamente approvate da S. Chiesa e che formano lo spirito e la vita della nostra Pia Società. Poichè è mio desiderio vivissimo che, venuta l'ora del mio paesaggio alla vita eterna, per nulla vengano a turbarsi o a mutarsi le cose nostre.
Qualche tempo fa, mentre andava meditando questo disegno, il sommo Pontefice di suo moto proprio lui scriveva per mezzo di S. E. Monsignor Jacobini Domenico Arcivescovo chiedendomi chi sembravami tra i nostri Confratelli atto a far le mie veci nella direzione suprema della Pia Società Salesiana. Io ringraziando il Santo Padre della sua benevolenza risposi proponendo a mio Vicario D. Michele Rua, perchè anche in ordine di tempo è uno dei primi della Società, perchè da molti anni esercita in gran parte questo uffizio e perchè in fine questa nomina avrebbe incontrato il pieno gradimento di tutti i Confratelli. E il S. Padre, or sono poche settimane, per mezzo dell'amatissimo nostro Arcivescovo, si degnava significarmi che questa proposta era di tutto suo gradimento. Perciò, o carissimi Figliuoli, dopo aver pregato per molto tempo il Dator d'ogni bene, dopo d'aver invocato i lumi dello Spirito Santo e la speciale protezione di Maria Vergine Ausiliatrice e del Nostro Patrono S. Francesco di Sales, valendomi della facoltà concessa dal Supremo Pastore della Chiesa, nomino mio Vicario Generale D. Michele Rua, attualmente Prefetto della nostra Pia Società. Da qui innanzi pertanto egli farà le mie veci nel pieno ed intero governo della nostra Pia Società, e tutto ciò, che posso far io, potrà farlo anch'egli con pieni poteri in tutti gli affari pubblici e privati, che ad essa Società si riferiscono e su tutto il personale, di cui la medesima si compone. Il novello Vicario, ne son certo, nel trattar affari di rilievo accetterà sempre con gratitudine que' benevoli avvisi e consigli che gli fossero largiti. [282]
A voi poi, miei carissimi Figliuoli, raccomando che gli prestiate quell'intera obbedienza, che avete sempre professata a colui che chiamate Padre e vi ama di amore paterno, quell'obbedienza che ha formato finora e formerà sempre, lo spero, la mia consolazione.
In conseguenza poi di questa elezione vi rendo noto eziandio che, valendomi della facoltà che mi attribuiscono le nostre Regole nomino a Prefetto della Pia Società Salesiana D. Celestino Durando, esonerandolo dall'ufficio di Consigliere Scolastico, che occupava finora, mentre in suo luogo e nell'ufficio di Consigliere Scolastico della nostra Pia Società eleggo e nomino Don Francesco Cerruti, attualmente Ispettore dell'Ispettoria Ligure e Direttore del Collegio d'Alassio. Esso per altro riterrà ancora l'uffizio d'Ispettore sino a nuove nostre disposizioni.
Riguardo alle nostre Missioni dell'America del Sud stabilisco Mons. Giov. Cagliero mio Provicario con piena autorità su tutto il personale e su tutte le Case ed Ispettorie di quelle contrade.
In questa medesima occasione credo farvi cosa gradita col parteciparvi che la mia sanità è alquanto migliorata, e ciò attribuisco alle caritatevoli preghiere che so aver voi innalzato a Dio per me. Ve ne ringrazio di vero cuore, e vi assicuro che quel poco di forze e di giorni, che Dio pietoso si degnerà ancora concedermi, intendo che sia totalmente a vantaggio dell'umile nostra Congregazione e a profitto delle anime nostre.
Il Signore benedica il novello Vicario, gli altri Superiori e tutti i nostri Confratelli, e faccia sì che tutti siamo sempre un cuor solo e un'anima sola nel promuovere la gloria del nostro celeste Padre e la santificazione delle anime nostre.
Festa dell'Immacolata Concezione di Maria SS.
Affezionatissimo in Gesù Cristo
Sac. GIO. BOSCO[146].
Don Rua però non aveva indugiato tanto ad assumere l'ufficio di Vicario. Verso la metà di ottobre aveva preso stanza vicino a Don Bosco, là dove prima lavorava Don Berto. [283] Don Bosco si mostrava visibilmente assai contento e sollevato[147].
Don Rua aveva quarant'otto anni compititi, dei quali ben quaranta passati con Don Bosco. Ammesso da trent'anni alla sua intimità, pieno di devozione verso la sua persona, capace quant'altri mai di comprenderlo, risoluto di spendere tutta la vita ad aiutarlo nella sua missione, egli parve a tutti il più adatto che si potesse trovare nella Congregazione per sostenere il delicato ufficio. Fu visto quindi spogliarsi dell'esteriore severità richiesta fino allora in lui dai doveri della stia carica di Prefetto e rivestirsi dell'amabilità di chi aveva l'obbligo di rappresentare degnamente la persona del Padre. A questo lo veniva disponendo con i suoi consigli Don Bosco stesso. Un giorno il Santo, discorrendo con parecchi dei primari Superiori, disse: -Stanotte ho sognato che mi trovava in sacrestia e desiderava di fare la mia confessione. -Vidi Don Rua inginocchiato, ma non osava quasi di avvicinarmi a lui, perchè lo temevo troppo rigoroso. - Tutti si volsero sorridendo a Don Rua e: - Bravo, bravo! dicevano. Far paura perfino a Don Bosco! - Egli pure rideva, ma nelle parole di Don Bosco, egli, più che un sogno o tino scherzo, ravvisò un invito a liberarsi da ogni resto di severità[148].
Lettere di plauso giunsero tosto da parte di tutti i confratelli più rappresentativi della Congregazione. Espresse molto bene il generale sentimento Don Bellamy, scrivendo da Parigi a Don Rua il 15 dicembre: “Fu sempre felice per la nostra Pia Società il giorno dell'Immacolata Concezione, e quest'anno la nostra buona Madre ci ha regalata una notizia che fu da tutti i Salesiani accettata come il più prezioso, il più caro, il più desiderato dei regali, voglio dire la nomina ufficiale di Lei alla faticosa, ma dolce carica d'essere Padre della nostra Pia Società [...]. Questa fu per noi una prova nuova che il Signore ci ama; questa fu una nuova spinta a lavorare ognor [284] più, perchè non si può più adesso temere per l'avvenire, sentendoci nelle mani paterne, forti, sante di colui che tutti riguardavano come un altro Don Bosco, come la regola salesiana in persona, come la forma d'ogni buono e vero Salesiano ”.
Il favore dei primi mesi durò pieno e caldo anche dopo la morte del Santo, come si vide quando l'unanime suffragio degli elettori chiamò Don Rua a raccoglierne intera l'eredità. Veramente di questa elezione non vi era alcun bisogno; ma come e perchè siasi fatta, diremo nell'ultimo volume.
Nel volume precedente abbiamo narrato dell'erezione di un Vicariato Apostolico nella Patagonia settentrionale e di una Prefettura Apostolica nella Patagonia meridionale e Terra del Fuoco, e della nomina dei rispettivi titolari; continueremo ora con la narrazione delle vicende che seguirono quel fatto così glorioso per la nostra Congregazione sul chiudersi di appena un decennio dall'approvazione canonica.
Il primo atto importante compiuto dal nuovo Provicario Apostolico Don Cagliero e dal nuovo Prefetto Apostolico Don Fagnano fu una dignitosa protesta contro una disposizione attuata in Italia a danno delle Missioni cattoliche. Nel gennaio del 1884 una sentenza definitiva pronunziata dalla Corte di Cassazione a Roma aveva dichiarato soggetta alla legge di conversione dei beni immobili la Sacra Congregazione di Propaganda. Era questo un attentato alla dignità e alla libertà della Santa Sede; poichè, essendo la Propaganda un nobile Strumento per la diffusione del Vangelo nel mondo, la sentenza colpiva direttamente il Papato nella sua azione apostolica e nell'uso dei mezzi che vi si riferivano. I documenti della fondazione considerano appunto la Propaganda come una emanazione del supremo ministero apostolico e perciò nella sua sfera di attività va riguardata come istituzione eminentemente cosmopolita e il suo patrimonio è proprietà della grande [286] famiglia cattolica. Non era dunque tollerabile la pretesa di assoggettarla alle leggi particolari di un Governo isolato e al giudizio di un tribunale locale, dichiarandola incapace di possedere giuridicamente e spogliandola de' suoi beni. E poichè gli aspetti della questione erano due, uno diplomatico e l'altro religioso, per il primo la Segreteria di Stato indirizzò una Nota ai Nunzi presso i Governi europei, mentre per il secondo mandò la Propaganda stessa una relazione ai Vescovi della Cattolicità; infine il 2 marzo, anniversario della nascita e della coronazione di Leone XIII, il Papa fece udire la sua voce di condanna dinanzi al Sacro Collegio dei Cardinali venuti a porgergli l'omaggio dei loro auguri.
I Vescovi inviarono da ogni parte alla Santa Sede proteste di adesione, ma soprattutto protestarono i Superiori ecclesiastici delle Missioni; con i quali avevano il diritto e il dovere di mostrarsi solidali i due novelli Prelati missionari salesiani. Don Cagliero, preparato il documento e procuratasi la firma anche di Don Fagnano, lo spedì il 1° giugno al cardinale Simeoni, prefetto di Propaganda, deplorando nell'attentato non solo il danno della religione e della civiltà, ma anche l'umiliazione della patria italiana, che così veniva gravemente a scapitare nel suo prestigio e nel suo influsso all'estero[149].
Don Cagliero doveva andare nella stia Missione con il titolo di Provicario, ma non Vescovo; solo più tardi sarebbe stato elevato alla dignità vescovile. Don Bosco invece vagheggiava di rimandarlo in America già insignito del carattere episcopale; e i fatti immediati, come vedremo, e altri fatti posteriori dimostrarono che quello fu savio consiglio. Tale disegno formò argomento di conversazione con il Cardinale Arcivescovo, che già a Roma era stato membro della Commissione cardinalizia incaricata di esaminare il progetto del Vicariato e della Prefettura; onde, convinto egli pure della convenienza che Don Cagliero fosse consacrato subito Vescovo, [287] aveva naturalmente la strada aperta a occuparsi dell'affare, richiedendone la grazia al Santo Padre; il che fece con stia lettera del 26 settembre. Per tre motivi supplicava il Papa di quel favore: per consolazione di Don Bosco, per onore della Congregazione e per maggior facilità ed efficacia nell'esercizio del sacro ministero da parte dell'eletto[150]. Come poi volevano le buone consuetudini, l'Alimonda rimise la pratica nelle mani del Cardinale Protettore, facendolo arbitro dell'opportunità d'inoltrare o meno la sua domanda[151].
Il cardinale Nina giudicò la cosa opportuna e di sicuro effetto; onde passò prontamente la supplica al Prefetto di Propaganda per la debita presentazione. Un momentaneo scoglio s'incontrò per via; il cardinale Ferrieri, prefetto dei Vescovi e Regolari, vi si oppose a tutt'uomo, persuaso com'era sempre che la Pia Società Salesiana avesse un'esistenza precaria e che alla morte di Don Bosco sì sarebbe disciolta. Ma l'Eminentissimo Nina ricantava volentibus et nolentibus che due ragioni dovevano far conchiudere il contrario, cioè l'estendersi meraviglioso dei Salesiani e il bene incontestabilmente da loro operato; un pochino più, tardi potè aggiungere ancora un terzo argomento, vale a dire il caso unico nella storia degli Ordini religiosi che, vivente il fondatore, vi fosse un accordo così pieno nella scelta di chi gli sarebbe succeduto.
Vinti di leggieri gli ostacoli, la risposta di Roma non poteva essere nè più pronta nè più soddisfacente, come si diedero premura di comunicare all'Alimonda tanto il cardinale Nina [152] che monsignor Jacobini, segretario di Propaganda. Quest'ultimo gli scrisse il 9 ottobre: “Il S. Padre nell'udienza di domenica scorsa esaudì la preghiera di Don Bosco e consentì di dare il carattere Vescovile a Don Cagliero, nuovo Provicario Apostolico, in Patagonia. Credo che dopo ciò bisognerà togliere al medesimo il Pro, ma per questo aspetto di parlarne [288] al Card. Prefetto. Intanto La prego di avvisare il caro Don Bosco che ne sarà contentissimo. La prego, se non è ardire, di fare a Don Bosco i rallegramenti da mia parte pel nuovo onore che ottiene l'Oratorio ”.
Dopo questa comunicazione ufficiosa venne quella ufficiale da parte del cardinale Simeoni all'Alimonda e a Don Cagliero. Al primo diceva essersi degnato il Santo Padre acconsentire in considerazione della dimanda fatta da Sua Eminenza e in vista dei meriti di Don Bosco; al secondo significava essere scopo dell'elevazione, che la maggior potestà e dignità rendesse l'opera sua più efficace e vantaggiosa alla Missione. Don Cagliero adempiè all'obbligo suo di render grazie a monsignor Jacobini, ai due cardinali Simeoni e Nina e al Santo Padre[153].
Il Papa con Breve del 30 ottobre comunicato dal Cardinale Prefetto di Propaganda nominò Don Cagliero Vescovo titolare di Mágida[154], pubblicandone poi la nomina nel Concistoro del 13 novembre, nel qual giorno Don Bosco annunziò ufficialmente al Capitolo Superiore l'avvenuta elezione e i mutamenti che quella portava seco. La partenza di monsignor Cagliero per l'America lasciava scoperto il posto di Catechista della Congregazione; Don Bosco però non volle esonerarlo dall'ufficio fino al prossimo Capitolo Generale del 1886. Per il disbrigo degli affari fu sulle prime suo desiderio di chiamare Don Francesia; ma poi stimò meglio farlo supplire da Don Barberis, maestro dei novizi. C'erano motivi di temere, come diremo, che Monsignore per cause politiche dopo non lunga dimora nell'Argentina dovesse far ritorno in Italia.
La sede vescovile di Mágida come si disse e scrisse comunemente, o di Mágido, com'è nei documenti ufficiali, fu in antico suffraganea di Perge nella Pamfilia, provincia dell'Asia Minore. Eretta nel secolo V, ebbe Vescovi insigni fin [289] verso il secolo IX; indi travolta nello scisma d'Oriente, rimase puro titolo vescovile, come tante altre. L'ultimo titolare era stato monsignor Bernardino Caldaioli, che vi aveva rinunziato nel 1883 per assumere il governo della chiesa di Grosseto.
Un primo Vescovo Salesiano, figlio dell'Oratorio in tutta l'estensione del termine, costituiva quasi la solenne consacrazione dell'efficacia educativa di Don Bosco. Soltanto un educatore come Don Bosco poteva trarre da una natura così esuberante e insofferente di giogo e in un ambiente così povero di comodi materiali un così zelante pastore della Chiesa. Nato a Castelnuovo d'Asti nel gennaio del 1838 e perduto il padre fin dall'infanzia, venne dalla madre affidato a Don Bosco nel 1851. Quell'anno il nostro Santo, recatosi a Castelnuovo per il discorso dei Morti, incontrò la prima volta il giovanetto che, vestito da chierichino, l'aveva accompagnato sul pulpito. Dopo la predica il suo occhio sagace notò in sacrestia che il ragazzo lo guardava silenzioso, come se avesse voglia di parlargli e non ne avesse l'ardire. Egli stesso gl'indirizzò la parola e: - Sembra, gli disse, che abbi qualche cosa da dirmi, non è vero?
- Sissignore, rispose prontamente il ragazzo. Voglio dirle che desidero venire con lei a Torino per continuare gli studi e farmi prete.
- Bene, verrai con me. Il signor Prevosto mi ha già parlato di te. Dirai a tua madre che stasera ti accompagni nella casa parrocchiale e là c'intenderemo.
La madre ve lo menò. Don Bosco che la conosceva: - Mia buona Teresa, le disse scherzando, è vero che volete vendermi il vostro figlio?
- Oh no! esclamò la buona donna. A Castelnuovo si vendono i vitellini, ma i figli si regalano.
- Meglio ancora, se me lo regalate, ripigliò Don Bosco. Preparategli un po' di abiti e di biancheria, e
domani verrà con, me. [290] Condottolo a Valdocco, gli fece fare il ginnasio, gli diede la veste chiericale e lo mandò alle scuole del seminario arcivescovile per gli studi filosofici e teologici. Pieno di attività, il giovane chierico dirigeva la sacrestia, la musica, la ginnastica e i catechismi. Ancor chierico fu dai soci della nascente Congregazione eletto a far parte del Capitolo Superiore. Ordinato prete nel 1862, non cedette a lusinghe d'impieghi lucrosi, ma stabilì di star sempre con Don Bosco. Compiè il corso di morale casistica sotto la disciplina del suo conterraneo Don Bertagna, si addottorò in teologia presso la Regia Università di Torino e insegnò morale ed ermeneutica, nell'Oratorio, mentre attendeva con ardore al ministero della parola di Dio e delle confessioni e si occupava indefessamente di musica, quale esecutore e compositore. Nel 1875 l'abbiamo veduto capitanare la prima spedizione di Salesiani nell'Argentina, dove in due anni di permanenza fondò cinque case e preparò il terreno alla Missione patagonica. Richiamato a Torino, diresse l'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice e come visitatore della Congregazione percorse tutta l'Italia, trattando a nome di Don Bosco la fondazione di case; per i quali scopi andò anche due volte in Francia, tre nella Spagna e una in Portogallo. Era pertanto quello che oggi si dice, nel miglior senso della parola, un uomo navigato.
Eletto Vescovo, una curiosità lo pungeva. Circa trent'anni prima, nel 1855, sei chierici attorniavano Don Bosco seduto a tavola e scherzando discorrevano con lui del loro avvenire. Don Bosco disse: - Uno di voi sarà Vescovo. - I chierici erano Anfossi, Cagliero, Francesia, Reviglio, Rua e Turchi, che tutti presero la cosa in ridere, tanto la loro umile condizione sociale e l'ancora modesta posizione di Don Bosco e dell'Oratorio sembravano escludere ogni verosimiglianza che fosse per toccare ad essi un sì alto onore. E poi a quel tempo nessuno pensava a Missioni estere. Tuttavia una parola di Don Bosco non si dimenticava facilmente; perciò Don Cagliero si struggeva della voglia di sapere che cosa si nascondesse sotto [291] quel lontano vaticinio, avveratosi nella stia persona. Ne interrogò dunque il Santo, il quale gli rispose che glie l'avrebbe detto alla vigilia della sua consacrazione; e quella sera nella sua camera gli svelò il mistero.
Il fatto risaliva al 1854, allorchè il giovane Cagliero, assistendo i colerosi, aveva contratto un'infezione tifoidea. Il suo stato non dava più un filo di speranza. Don Bosco, entrando da lui per disporlo a ben morire, si arrestò sulla soglia; un'apparizione improvvisa avvinse i suoi sguardi. Una colomba sfolgorante con un ramo d'olivo nel becco volteggiava per la stanza, finchè, direttasi al lettino dell'infermo e raccolto il volo sul suo capo, gli sfiorò con le sempreverdi foglioline le labbra, gli lasciò cadere sulla testa la piccola fronda e mandando un guizzo di luce abbagliante disparve. Seguì tosto una seconda visione. Dileguatesi le pareti, una turba di facce strane e selvatiche si assiepavano intorno alle coltri e puntavano gli occhi sul moribondo, quasi trepidanti sulla stia sorte. Due figure specialmente dominavano sii tutte, una dall'aspetto orrido e nerastro, l'altra dal colore di rame, dalle membra atletiche e dal portamento marziale: anch'esse stavano curve in ansietà sul fanciullo. Furono cose di una rapidità fulminea, nè alcuno dei, presenti ebbe sentore di nulla. Il Santo comprese non esser sonata per Giovannino l'ora estrema. Nella colomba gli parve di poter ravvisare la pienezza della grazia sacerdotale, nel ramo d'olivo la predicazione dell'evangelo di pace, in quelle barbare sembianze tribù selvagge da convertire. Ed ecco il tutto riuscito allora conforme a' suoi presagi.
Monsignor Cagliero ascoltò intenerito il racconto; quindi pregò Don Bosco che lo volesse durante la cena ripetere ai Superiori del Capitolo. Don Bosco, che, dove scorgesse qualche po' di bene, non sapeva dire di no, accondiscese[155]. [292]
La consacrazione episcopale venne fissata al 7 dicembre, sicchè il novello Vescovo avrebbe potuto fare il suo primo pontificale il giorno appresso, festa dell'Immacolata. Per provvedere abiti, oggetti e ornamenti Don Rua con una circolare stampata invocò il caritatevole concorso di signore, che conoscevano il nuovo Prelato[156]; anche la Madre Generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice, fatta sua la circolare medesima, contribuì a procurarle maggiore diffusione. Ai principali benefattori Don Bosco mandò il seguente invito a stampa.
Mi è nota la benevolenza che la S. V. mostrò sempre verso l'Oratorio di S. Francesco di Sales, e il vivo interesse che ognora si prese per tutto ciò che gli appartiene.
Per la qual cosa ho la grande consolazione di farle sapere che Domenica, 7 corrente, verso le ore 7 ½ del mattino, avrà luogo nella Chiesa di Maria SS. Ausiliatrice la Consacrazione Episcopale di Mons. Giovanni Cagliero, allievo dell'Oratorio medesimo, preconizzato da Sua Santità Leone XIII nel concistoro del 13 passato novembre, Vescovo titolare di Magida in Pamfilia, e Provicario Apostolico della Patagonia Settentrionale.
La consacrazione sarà fatta da Sua Eminenza Reverendissima il Sig. Cardinale Gaetano Alimonda, nostro Arcivescovo veneratissimo, coll'assistenza di loro Eccellenze Reverendissime Mons. Giovanni Battista Bertagna, Vescovo titolare di Cafarnao e Mons. Emiliano Manacorda, Vescovo di Fossano.
Qualora la S. V. potesse assistere alla detta funzione mi farebbe cosa molto gradita; ma se mai le sue occupazioni ciò non le permettessero, io la prego di volere almeno gradire e tenere il cordiale invito che le fo di venire ad onorare il nostro pranzo circa la mezz'ora dopo mezzogiorno.
Alla sera verso le ore 6 si terrà pure una breve accademia in onore del nuovo Vescovo.
Nella speranza che la S. V. vorrà soddisfare al vivo desiderio che [293] nutro di averla tra noi in quel giorno memorando, ne la ringrazio anticipatamente, ed augurandole da Dio e dalla Vergine Immacolata ogni bene mi professo con grande riconoscenza ed alta stima
N. B. Se mai la S. V. potesse portarsi tra noi per l'ora del pranzo sarei a pregarla della bontà di rendermene avvertito.
Un quarto Vescovo era presente alla cerimonia: monsignor De Macedo Costa, di Belem del Parà nel Brasile, che, viaggiando da Parigi a Roma, aveva fatto una sosta a Torino per visitare Don Bosco e domandargli aiuto di Salesiani. Curva sotto il peso de' suoi ottantott'anni si vedeva assistere lacrimante al sacro rito la madre dell'eletto, e nella penombra del presbiterio il suo gran padre spirituale attirava su di sè gli sguardi commossi dei numerosi amici e ammiratori Egli avrebbe desiderato anche l'assistenza di un padrino e di una madrina, il qual onore aveva offerto ai conti Colle[157]; ma la salute non permise loro d'intraprendere il lungo viaggio.
Al termine dell'Imponente funzione, mentre il Cardinale e i quattro Vescovi, preceduti dal clero e tra due fitte ale di popolo si avviavano per la chiesa alla prima sacrestia, il Consacrato, staccatosi dal corteo, si volse verso quella parte dove sapeva esserci la madre. La cara vecchina, sorretta da un figlio e da un nipote, gli moveva incontro, facendo atto d'inginocchiarsi; ma il figlio la prevenne, strinse al petto il venerando capo e fra la commozione degli astanti la ricondusse delicatamente a sedere. Poco doveva la fortunata donna sopravvivere a tanta gioia; poichè nel dì del santo Natale il suo stanco cuore cessò di battere.
Proseguito a stento tra la folla verso la seconda sacrestia, ecco Don Bosco, che a capo scoperto s'avvicinava e s'inginocchiava per baciargli l'anello. Monsignore, che nascondeva [294] la mano sotto le pieghe dell'abito, si precipitò fra le sue braccia. Scena dolcissima, abbellita dalle lacrime! Il Santo potè quindi imprimere il suo bacio su quell'anello, che a nessuno il Vescovo aveva permesso prima di baciare. D'allora in poi Don Bosco usò sempre a monsignor Cagliero gli stessi riguardi che agli altri. Vescovi, baciandogli l'anello e dandogli le preferenze dovute al carattere episcopale.
Molti invitati parteciparono al banchetto dato quel giorno in suo onore. Fra i brindisi ci sembra degno di essere ricordato quello del barnabita padre Denza, insigne fisico e astronomo, che cavò dalla sua scienza un'immagine geniale. - Mi pareva, disse, di trovarmi durante il pranzo all'osservazione del cielo sulla mia terrazza e di contemplare una delle più belle costellazioni, quella del Toro[158], e vicino a questa le Pleiadi e al disotto Argo. Ebbene la stella principale del Toro la vedeva dinanzi nella persona dell'Eminentissimo Arcivescovo di Torino; le quattro stelle che le fanno corona nei quattro Eccellentissimi Vescovi presenti, la stella che ad occhio nudo per la distanza appena si vede, ma che pure è grandissima, raffigura Don Bosco. Le Pleiadi mi rappresentano i collegi di Don Bosco, il numero infinito degli alunni e cooperatori salesiani; e poichè spiccano qua e là tra le nebulose alcune fulgide stelle, ravviso in esse gli egregi Direttori dei collegi convenuti alla festa. Infine la costellazione di Argo, così chiamata dalla mitica spedizione degli argonauti, è rappresentata da monsignor Cagliero che, conquistatore a un tempo come Giasone e musico come Orfeo, muove intrepido con i suoi a una conquista, della quale un vello d'oro non poteva essere che un pallido simbolo.
Nella sua risposta ai brindanti il festeggiato rievocò un episodio che va da noi raccolto per la nostra storia. - Venti anni fa, disse, Don Bosco, accompagnato da una novantina di giovani, dopo faticosa marcia attraverso la Liguria giungeva al paese di Gavi. Qui egli e i suoi trovarono pronto un sontuoso [295] banchetto offerto loro da un pio canonico di Genova, che soleva passare a Gavi alcun tempo dell'anno. Sull'imbrunire Don Bosco, congedatosi, s'allontanò con la sua comitiva dal paese. Il pio canonico desiderava di vederlo ancora una volta e accompagnarsi tiri tratto di via con lui; ma Don Bosco si era già di tanto inoltrato nelle vallate che menano all'Orba, che inutilmente quegli, accompagnato da Don Giovanni Cagliero, tentò di rintracciarlo Allora il pio canonico esclamò che ben lo avrebbe visto ancora il provvidenziale Don Bosco, perchè solo le montagne in questo mondo noti s'incontrano. Ebbene quel pio canonico è ora il cardinale Alimonda, che dopo vent'anni si trova nuovamente a fianco il sacerdote Don Bosco[159].
Dal 1841 Don Bosco soleva nel dì dell'Immacolata tenere una conferenza a' suoi figli, radunando in un primo tempo i giovani, poi i catechisti, poi i chierici, infine i Salesiani, di mano in mano che lo svolgersi della sua istituzione dava agli tini la preponderanza su gli altri. Nel 1884 le feste del Vescovo avevano assorbito i pensieri dell'Oratorio prima, durante e dopo l'8 dicembre; ma egli, non volendo rinunziare alla buona consuetudine, indisse la riunione per il giorno 13. Quella sera verso le sei, raccolti tutti i confratelli nel parlatorio presso la porteria, il Servo di Dio, salutato il grande avvenimento del]'ultima settimana, si lasciò trasportare dall'onda dei ricordi verso le remote origini dell'Oratorio, riconducendosi poi giù giù ai tempi recenti. Sul principio egli con sua mamma Margherita era tutto: cuoco, maestro, capo, assistente. Una stessa sala serviva di scuola, laboratorio, refettorio, dormitorio. Poi vennero i primi aiutanti: Don Rua, Don Cagliero, Don Francesia, Don Durando, Don Lazzero. Sacrifizi e lavoro continuo in ogni parte della casa e in oratorii festivi, e [296] studiare teologia per sè e frequentare il corso di lettere all'Università per insegnare agli altri. Infine lo stato presente delle cose, le comodità introdotte, la maggiore agevolezza a mantenere l'ordine mercè la saggia divisione dei superiori, gli uni per dirigere gli artigiani, gli altri per dirigere gli studenti. Vincolo indissolubile a promuovere e mantenere quest'ordine proclamò essere la santa obbedienza.
- Molti, diceva Don Bosco, vengono da me e: " Padre, mi dicono, io ora tolto dalla tale e tale altra occupazione, gettato in quel collegio lontano dalla sua paterna cura, ho bisogno di un ricordo ". Ed io do loro quello che credo più opportuno; ma credetemi, figliuoli miei, osservate le nostre sante Regole! Ecco il più grande e caro ricordo che questo vostro povero e vecchio padre vi può lasciare. Le Regole sono approvate dalla Santa Madre Chiesa, la quale non erra mai; quindi, obbedendo ad essa, noi obbediamo immediatamente a Dio. Quanti sono nel mondo che abbiano tale fortuna di poter dire: "Sono certo che, operando in questa maniera, procurerò la salvezza dell'anima mia? -. Non istò a svolgervi questi punti così belli, e così importanti, che richiederebbe o per se stessi interi voltimi. Le mie deboli forze non comporterebbero un lungo ragionamento; d'altra parte queste verità vi furono già spiegate. Concluderò quindi con un pensiero che mi sta sommamente a cuore. L'Apostolo S. Giovanni, vecchio di ben cent'anni, non potendo parlare a lungo delle, cose di Dio, si faceva portare in chiesa e ripeteva queste poche parole ai discepoli radunati: Diligite alterutrum, e null'altro. Talora i discepoli gli chiedevano: "E fatto questo, che cosa dovremo fare d'altro? -. Diligite alterutrum! rispondeva. Ma stanchi i cristiani di udire sempre da lui lo stesso consiglio, lo pregarono umilmente a dar loro spiegazione di tanta insistenza. "Perchè, rispose il Santo Apostolo, chi adempie al precetto della carità, ha fatto tutto! ". Così io dico a voi, o miei cari figli. Amatevi gli uni gli altri, aiutatevi gli uni gli altri caritatevolmente, e non succeda mai che alcuno tenga astio contro il suo fratello, o lo [297] screditi con parole sconvenienti. Guai a chi opera in tal modo! Dobbiamo perdonare al nostro fratello, come desideriamo che Dio perdoni a noi i nostri peccati. E come potremo ripetere, dimitte nobis debita nostra, sicut et nos dimittimus debitoribus nostris, se poi nutriamo in cuore sentimenti di odio? Ah! non dimentichiamo le parole di Gesù Cristo ai suoi Apostoli: Vi riconosceranno per miei discepoli, se vi amerete a vicenda.
Monsignore durante la novena del santo Natale partì per Roma. Erasi già inteso con monsignor Jacobini per avere l'udienza del Santo Padre fra il 20 e il 22 dicembre. Fu ricevuto dal Papa il 22, ritornandone molto confortato. Leone XIII, oltre alla gran benevolenza dimostrata a lui, gli ripetè una raccomandazione per Don Bosco: - Dite a Don Bosco che si abbia cura, perchè la sua salute è preziosa non solo per la vostra Congregazione, ma per tutta la Chiesa[160].
Fatto ritorno a Torino, monsignor Cagliero non perdeva il suo tempo, ma andava a compiere funzioni e a tenere conferenze. Così il 31 dicembre consacrò la chiesa di Maria Ausiliatrice a Nizza Monferrato[161]; parlò ai Cooperatori nella chiesa di S. Giovanni Evangelista, sostituendovi Don Bosco: parlò pure a Lu, a Casale e altrove.
Quando il giorno della partenza si approssimava e fervevano i preparativi, fu testimonio della calma inalterabile di Don Bosco nei casi avversi e improvvisi. Il 24 gennaio 1885 egli stava con lui a pranzo, quando si udì dal cortile un grido: - Il fuoco! il fuoco! - Tutti balzarono da tavola e corsero sul ballatoio, meno Don Bosco, il quale non si mosse. Il fuoco si era appiccato nel laboratorio della legatoria dei libri. Nella casa pareva il finimondo: un correre, un vociare, un fuggi fuggi, un cercar acqua: la confusione dominava sovrana. Si avvisarono i pompieri. Intanto l'incendio si sviluppava, minacciando d'invadere i dormitori. Don Bosco, tutto i accolto in preghiera, senz'ombra di sgomento, domandava di quando in [298] quando se vi era pericolo per i giovani, se vi erano danni alle persone, e rispostogli sempre che no: - Quando è così, disse alla fine, sia fatta la volontà di Dio. - In tal modo rimase costantemente padrone di sè nè per nulla si mostrò turbato.
I più dei Superiori, compreso il Vescovo, erano discesi, avvicinandosi al centro dell'incendio. Arrivarono i pompieri che in poco d'ora ebbero ragione delle fiamme. Sopraggiunse anche il conte di Sambuy, Sindaco di Torino. Monsignore lo accompagnò nella stanza vicina al refettorio, dove trovarono Don Bosco sempre nella sua calma di prima. Rivolto al Sindaco gli disse: - La ringrazio di questa stia attenzione, signor Conte. Ella ha sempre voluto bene al nostro Oratorio ed ora ce ne dà una prova di più. Mi dicono che hanno già circoscritto il fuoco e che non vi è più pericolo per il resto della casa. Ne sia ringraziato il Signore. - Nello spavento che aveva invaso gli animi di tutti solo Don Bosco sì mantenne così impassibile e rassegnatissimo alla santa volontà di Dio. Il 26 scriveva al principe Czartoryski: “Apprenderà dai giornali che sabato il fuoco ha incendiato una parte notevole della nostra casa. Il danno è assai grave; ma le persone sono state salve. Dio sia benedetto tanto nelle cose prospere che nelle avverse ”. Un tratto amoroso della Provvidenza venne tosto a premiare la sua fiducia in Dio e a confortare i pusillanimi. Occorrevano subito diecimila lire per riattare al più presto la legatoria, ed ecco una lettera dalla Francia con un vaglia cambiario per quell'ammontare preciso.
Gli alunni del collegio Manfredini, commossi al racconto della disgrazia fatto loro da Don Tamietti, improvvisarono una colletta, che fruttò la somma di 195 lire. Mandatele per mezzo del Direttore a Don Lemoyne, affinchè le presentasse a Don Bosco, il Santo tic fu vivamente tocco e incaricò il medesimo Don Lemoyne di ringraziarli, dandogli la traccia della lettera[162]. Anche il Papa, informato di quella sciagura, [299] inviò a Don Bosco per confortarlo una sua speciale benedizione[163].
S'arrivò frattanto alla vigilia della partenza. Per tutta la giornata il pensiero che Monsignore e gli altri sarebbero andati così lontano, e l'impotenza assoluta di accompagnarli, come le volte precedenti, fino all'imbarco, anzi l'impossibilità forse di dar loro almeno l'addio nella chiesa di Maria Ausiliatrice, gli causarono sussulti di commozione, che in certi momenti lo opprimevano e lo lasciavano abbattuto. Or ecco che nella notte dal 31 gennaio al I° febbraio fece un sogno simile a quello del 1883 sulle Missioni. Lo raccontò quindi a Don Lemoyne che subito lo scrisse. É il seguente.
Mi parve di accompagnare i Missionari nel loro viaggio. Ci siamo parlati per un breve momento prima di partire dall'Oratorio. Essi mi stavano attorno e mi chiedevano consigli; e mi pareva di dire loro: - Non colla scienza, non colla sanità, non colle ricchezze, ma collo zelo e colla pietà, farete del gran bene, promovendo la gloria di Dio e la salute delle anime.
Eravamo poco prima all'Oratorio, e poi senza sapere per quale via fossimo andati e con quale mezzo, ci siamo trovati quasi subito in America. Giunto al termine del viaggio mi trovai solo in mezzo ad una vastissima pianura, posta tra il Chili e la Repubblica Argentina. I miei cari Missionari si erano tutti dispersi qua e là per quello spazio senza limiti. Io guardandoli mi meravigliava, poichè mi sembravano pochi. Dopo tanti Salesiani che in varie volte aveva mandati in America, mi pensava di dover vedere un numero maggiore di Missionari. Ma poscia riflettendo conobbi che se piccolo sembrava il loro numero, ciò avveniva perchè si erano sparsi in molti luoghi, come seminagione che doveva trasportarsi altrove ad essere coltivata e moltiplicata.
In quella pianura apparivano molte e lunghissime vie per le quali si vedevano sparse numerose case. Queste vie non erano come le vie di questa terra, e le case non erano come le case di questo mondo. Erano oggetti misteriosi e direi quasi, spirituali. Quelle strade erano percorse da veicoli, o da mezzi di trasporto che correndo prendevano successivamente mille aspetti fantastici e mille forme tutte diverse, benchè magnifiche e stupende, sicchè io non posso definirne o descriverne una sola, Osservai con stupore che i veicoli giunti vicini ai gruppi di case, ai villaggi, alle città, passavano in alto, cosicchè chi [300] viaggiava vedeva sotto di sè i tetti delle case, le quali benchè fossero molto elevate, pure di molto sottostavano a quelle vie le quali mentre nel deserto aderivano al suolo, giunte vicine ai luoghi abitati diventavano aeree quasi formando un magico ponte. Di lassù si vedevano gli abitanti nelle case, nei cortili, nelle vie, e nelle campagne occupati a lavorare i loro poderi.
Ciascheduna di quelle strade faceva capo ad una delle nostre missioni. In fondo ad una lunghissima via che si protendeva dalla parte del Chili io vedeva una casa [164] con molti confratelli Salesiani, i quali si esercitavano nella scienza, nella pietà, in varie arti e mestieri e nell'agricoltura. A mezzodì era la Patagonia. Dalla parte opposta in un colpo d'occhio scorgeva tutte le case nostre nella Repubblica Argentina. Quindi nell'Uruguay, Paysandú, Las Piedras, Villa Colón; nel Brasile il Collegio di Nicteroy e molti altri ospizi sparsi nelle provincie di quell'impero. Ultima ad occidente si apriva un'altra lunghissima strada che traversando fiumi, mari e laghi faceva capo in paesi sconosciuti. In questa regione vidi pochi Salesiani. Osservai con attenzione e potei solamente vederne due.
In quell'istante apparve vicino a me un personaggio di nobile e vago aspetto, pallidetto di carnagione, grasso, con barba rasa in modo da parere imberbe e per età uomo fatto. Era vestito in bianco, con una specie di cappa color di rosa intrecciata con fili d'oro. Risplendeva tutto. Io conobbi in quello il mio interprete.
- Dove siamo qui? chiesi io additandogli quest'ultimo paese.
- Siamo in Mesopotamia, mi rispose l'interprete.
- In Mesopotamia? io replicai: ma questa è la Patagonia.
- Ti dico, rispose l'altro, che questa è la Mesopotamia.
- Ma pure... ma pure... non posso persuadermene.
- La cosa è così! Questa è la Me.. so.. po.. ta.. mia, concluse l'interprete sillabando la parola, perchè mi restasse bene impressa.
- Ma perchè i Salesiani che vedo qui sono così pochi?
- Ciò che noti è, sarà, concluse il mio interprete.
Io intanto sempre fermo in quella pianura percorreva collo sguardo tutte quelle interminabili vie e contemplava, in modo chiarissimo ma inesplicabile, i luoghi che sono e saranno occupati dai Salesiani. Quante cose magnifiche io vidi! Vidi tutti i singoli collegi. Vidi come in un punto solo il Passato, il presente e l'avvenire delle nostre missioni. Siccome vidi tutto complessivamente in uno sguardo solo, è ben difficile, anzi impossibile rappresentare anche languidamente qualche ristretta idea di questo spettacolo. Solamente ciò che io vidi in quella [301] pianura del Chilì, del Paraguay, del Brasile, della Repubblica Argentina domanderebbe un grosso volume, volendo indicare qualche sommaria notizia. Vidi pure in quella vasta pianura, la gran quantità di selvaggi che sono sparsi nel Pacifico fino al golfo di Ancud, nello stretto di Magellano, al Capo Horn, nelle isole Diego, nelle isole Malvine. Tutta messe destinata per i Salesiani. Vidi che ora i Salesiani seminano soltanto, ma i nostri posteri raccoglieranno. Uomini e donne ci rinforzeranno e diverranno predicatori. I loro figli stessi che sembra quasi impossibile guadagnare alla fede, eglino stessi diverranno gli evangelizzatori dei loro parenti e dei loro amici. I Salesiani riusciranno a tutto colla umiltà, col lavoro, colla temperanza. Tutte quelle cose che io vedeva in quel momento e che vidi in appresso, riguardavano tutte i Salesiani, il loro regolare stabilimento in quei paesi, il loro aumento meraviglioso, la conversione di tanti indigeni e di tanti Europei colà stabiliti. L'Europa si verserà nell'America del Sud. Dal momento che in Europa si incominciò a spogliare le chiese, incominciò a diminuire la floridezza del commercio, il quale andò e andrà sempre più deperendo. Quindi gli operai e le loro famiglie spinti dalla miseria correranno a cercare ricovero in quelle nuove terre ospitali.
Visto il campo che ci assegna il Signore ed il glorioso avvenire della Congregazione Salesiana, mi parve di mettermi in viaggio pel ritorno in Italia. Io era trasportato con rapidissimo corso per una via strana, altissima e così giunsi in un attimo sopra l'Oratorio. Tutta Torino era sotto i miei piedi e le case, i palagi, le torri mi sembravano basse casupole, tanto io mi trovava in alto. Piazze, strade, giardini, viali, le ferrovie le mura di cinta, le campagne, e le colline circostanti, le città, i villaggi della provincia, la gigantesca catena delle Alpi coperta di neve stavano sotto i miei occhi presentandomi un stupendo panorama. Vedeva i giovani là in fondo nell'Oratorio che sembravano tanti topolini. Ma il loro numero era straordinariamente grande; preti, chierici, studenti, capi d'arte ingombravano tutto. Molti putivano in processione ed altri sottentravano alle file di coloro che partivano. Era una continuata processione.
Tutti si andavano a raccogliere in quella vastissima pianura tra il Chilì e la Repubblica Argentina, nella quale io tosto era ritornato in un batter d'occhio. Io li stava, osservando. Un giovane prete il quale sembrava il nostro D. Pavia, ma che non era, con aria affabile, parola cortese, di un aspetto candido, e di carnagione fanciullesca venne verso di me e mi disse: - Ecco le anime ed i paesi destinati ai figliuoli di S. Francesco di Sales.
Io era meravigliato come tanta moltitudine che sì era raccolta colà in un momento disparisse e appena appena in lontananza si scorgesse la direzione che aveva presa.
Qui io noto che nel narrare il mio sogno vado per sommi capi e non mi è possibile precisare la successione esatta dei magnifici spettacoli [302] che mi si presentavano e i vari accidenti accessori. Lo spirito non regge, la memoria dimentica, la parola non basta. Oltre il mistero che involgeva quelle scene, queste si avvicendavano, talora s'intrecciavano, soventi volte si ripetevano secondo il vario unirsi o dividersi o partire dei missionari, e lo stringersi, o allontanarsi da essi di quei popoli che erano chiamati alla fede o alla conversione. Lo ripeto: vedeva in un punto solo il presente, il passato, l'avvenire di queste missioni, con tutte le fasi, i pericoli, le riuscite, le disdette o disinganni momentanei che accompagneranno questo Apostolato. Allora intendeva chiaramente tutto, ma ora è impossibile sciogliere questo intrigo di fatti, di idee, di personaggi. Sarebbe come chi volesse comprendere in una sola storia e ridurre ad un solo fatto e ad unità tutto lo spettacolo del firmamento, narrando il moto, lo splendore, le proprietà di tutti gli astri colle loro relazioni e leggi particolari e reciproche; mentre un solo astro darebbe materia all'attenzione e allo studio della mente più robusta. E noto ancora che qui si tratta di cose le quali non hanno relazione con gli oggetti materiali.
Ripigliando adunque il racconto, dico che restai meravigliato nel vedere scomparire tanta moltitudine. Monsignor Cagliero era in quell'istante al mio fianco. Alcuni missionari erano ad una certa distanza. Molti altri erano intorno a me con un bel numero di cooperatori Salesiani, fra i quali distinsi Mons. Espinosa, il Dottor Torrero, il Dottor Caranza e il Vicario generale del Chilì[165]. Allora il solito interprete venne verso di me che parlava con Mons. Cagliero e molti altri, mentre andavamo studiando se quel fatto racchiudesse qualche significazione. Nel modo più cortese l'interprete mi disse: - Ascoltate e vedrete.
Ed ecco in quel momento la vasta pianura divenire una gran sala. Io non posso descrivere esattamente quale apparisse nella sua magnificenza e nella sua ricchezza. Dico solo che se uno si mettesse a descriverla, nessun uomo potrebbe sostenerne lo splendore neppure coll'immaginazione. L'ampiezza era tale che si perdeva a vista d'occhio e non si riusciva a vederne le mura laterali. La sua altezza non si poteva raggiungere. La volta terminava tutta con archi altissimi, larghissimi e risplendentissimi e non si vedeva sopra qual sostegno si appoggiassero. Non vi erano nè pilastri, nè colonne. In generale sembrava che la cupola di quella gran sala fosse di un candidissimo lino a guisa di tappezziera. Lo stesso dicasi del pavimento. Non vi erano lumi, nè sole, nè luna, nè stelle, ma sibbene uno splendore generale, diffuso egualmente in ogni parte. La stessa bianchezza dei lini luccicava e rendeva visibile ed amena ogni parte, ogni ornamento, ogni finestra, ogni entrata, ogni uscita. Tutto intorno era diffusa una soavissima fragranza, la quale era mescolanza di tutti gli odori più grati. [303]
Un fenomeno si scorse in quel momento. Una gran quantità di tavole in forma di mensa si trovavano là di una lunghezza straordinaria. Ve ne erano per tutte le direzioni, ma concorrevano ad un centro solo. Erano coperte da eleganti tovaglie e sopra stavano disposti in ordine bellissimi vasi cristallini in cui erano fiori molti e vari.
La prima cosa che notò Mons. Cagliero fu: - Le tavole ci sono, ma i commestibili dove sono? - Infatti non era apparecchiato nessun cibo e nessuna bevanda, anzi neppure vi erano piatti, coppe o altri recipienti nei quali porre le vivande.
L'amico interprete rispose allora: - Quelli che vengono qui, neque sitient, neque esurient amplius. - Detto questo incominciò ad entrare gente, tutta vestita in bianco con una semplice striscia come collana, di color di rosa ricamata a fili d'oro che cingeva il collo e le spalle. I primi che entrarono erano in numero limitato. Solo alcuni in piccola schiera. Appena entrati in quella gran sala andavano a sedersi intorno ad una mensa loro preparata, cantando: Evviva! Ma dopo queste, altre schiere più numerose si avanzavano, cantando: Trionfo! Ed allora incominciò a comparire una varietà di persone, grandi e piccoli, uomini e donne, di ogni generazione, diversi di colore, di forme, di atteggiamenti e da tutte parti risuonavano cantici. Si cantava: Evviva! da quelli che erano già al loro posto. Si cantava trionfo! da quelli che entravano. Ogni turba che entrava erano altrettante nazioni o parti di nazioni che saranno tutte convertite dai missionari.
Ho dato un colpo d'occhio a quelle mense interminabili e conobbi che là sedute e cantando vi erano molte nostre suore e gran numero dei nostri confratelli. Costoro però non avevano nessun distintivo di essere preti, chierici, o suore, ma egualmente come gli altri avevano la veste bianca e il pallio color di rosa.
Ma la mia meraviglia crebbe quando ho veduto uomini dall'aspetto ruvido, col medesimo vestito degli altri e cantare: Evviva trionfo! In quel momento il nostro interprete disse: - Gli stranieri, i selvaggi che bevettero il latte della parola divina dai loro educatori, divennero banditori della parola di Dio.
Osservai pure in mezzo alla folla schiere di fanciulli con aspetto rozzo e strano e domandai: - E questi fanciulli che hanno una pelle così ruvida, che sembra quella di un rospo, ma pure così bella e di un colore così risplendente? Chi sono costoro?
L'interprete rispose: - Questi sono i figliuoli di Cani che non hanno rinunziato alla eredità di Levi. Essi rinforzeranno le armate per tutelare il regno di Dio che finalmente è giunto anche fra noi. Era piccolo il loro numero, ma i figli dei figli loro lo accrebbero. Ora ascoltate e vedete, ma non potete intendere i misteri che vedrete.
Quei giovanetti appartenevano alla Patagonia ed all'Africa Meridionale. [304]
In quel mentre si ingrossarono tanto le file di coloro che entrarono in quella sala straordinaria, che ogni sedia pareva occupata. Le sedie e i sedili non avevano forma determinata, ma prendevano quella forma che ciascheduno desiderava. Ognuno era contento del seggio che occupava e del seggio che occupavano gli altri.
Ed ecco mentre si gridava da tutte Evviva! trionfo! ecco sovraggiungere in ultimo una gran turba che festevolmente veniva incontro agli altri già entrati e cantando: Alleluia, gloria, trionfo!
Quando la sala apparve interamente piena, e le migliaia dei radunati non si potevano numerare, si fece un profondo silenzio e quindi quella moltitudine incominciò a cantare divisa in diversi cori.
Il primo coro: Appropinquavit in nos regnum Dei; laetentur Coeli et exultet terra; Dominus regnavit super nos; alleluia.
Altro coro: Vicerunt; et ipse Dominus dabit edere de ligno vitae et non esurient in aeternum: alleluia.
Un terzo coro: Laudate Dominum omnes gentes, laudate eum omnes populi.
Mentre queste ed altre cose cantavano e si alternavano, a un tratto si fece per la seconda volta un profondo silenzio. Quindi incominciarono a risuonare voci che venivano dall'alto e lontane. Il senso del cantico era questo con una armonia che non si può in nessun modo esprimere: Soli Deo honor et gloria in saecula saeculorum. Altri cori sempre in alto e lontani rispondevano a queste voci: Semper gratiarum actio illi qui erat, est, et venturus est. Illi eucharistia, illi soli honor sempiternus.
Ma in quel momento quei cori si abbassarono e si avvicinarono. Fra quei musici celesti vi era anche Luigi Colle. Gli altri che stavano nella sala si misero allora tutti a cantare e si unirono, collegandosi le voci insieme in somiglianza di straordinari istrumenti musicali, con suoni la cui estensione non aveva limiti. Quella musica sembrava avesse contemporaneamente mille note e mille gradi di elevazione che si associavano a fare un solo accordo di voci. Le voci in alto salivano così acute che non si può immaginare. Le voci di coloro che erano nella sala scendevano sonore, rotonde così basso che non si può esprimere. Tutti formavano un coro solo, una sola armonia, ma così i bassi come gli alti con tale gusto e bellezza e con tale penetrazione in tutti i sensi dell'uomo e assorbimento di questi, che l'uomo dimenticava la propria esistenza, ed io caddi in ginocchio ai piedi di Mons. Cagliero esclamando: - Oh Cagliero! Noi siamo in paradiso!
Mons. Cagliero mi prese per mano e mi rispose: - Non è il paradiso, è una semplice, una debolissima figura di ciò che in realtà sarà in paradiso.
Intanto unanimi le voci dei due grandiosi cori proseguivano, e cantavano con inesprimibile armonia: Soli Deo honor et gloria, et triumphus alleluia, in aeternum in aeternum! Qui ho dimenticato me [305] stesso e non so più che cosa sia stato di me. Al mattino stentava a levarmi di letto; appena appena potei richiamarmi a me stesso, quando sono andato a celebrare la santa Messa.
Il pensiero principale che mi restò impresso dopo questo sogno, fu di dare a Mons. Cagliero ed ai miei cari missionari un avviso di somma importanza riguardante le sorti future delle nostre missioni: - Tutte le sollecitudini dei Salesiani e delle suore di Maria Ausiliatrice siano rivolte a promuovere le vocazioni ecclesiastiche e religiose.
Ogni volta che raccontando ripeteva quelle parole evviva! trionfo! la voce di Don Bosco, come ci assicura Don Lemoyne prendeva un accento così vibrato, che faceva trasalire. Quando poi sull'ultimo nominò il suo diletto monsignor Cagliero, sospese per un istante la narrazione, un singulto gli troncò la parola e i suoi occhi si empirono di lacrime.
A Don Lemoyne che gli aveva mandato copia di questo e dell'altro sogno, Don Costamagna ringraziando scriveva[166]: “Dica pure a Don Bosco che non ubbidiremo a quelle sue parole scritte nell'ultima lettera a Monsignore: "Non credere a tutto ciò che dicono i miei sogni”. Chè noi contenti di far la professione di fede di Urbano VIII, ce ne stiamo alle visioni del nostro Padre, il quale, non dimenticherò giammai, ebbe a dirmi un giorno: - Fra tutte le Congregazioni ed Ordini religiosi, forse la nostra fu quella che ebbe più parola di Dio - ”.
La mattina del I° febbraio Monsignore ordinò nella chiesa di Maria Ausiliatrice otto preti, due diaconi, quattro suddiaconi e a dieci chierici conferì gli ordini minori, dei quali ordinati parecchi sarebbero partiti con lui. Nella cerimonia serale dell'addio egli fece il discorso; poi venne il Cardinale a benedire i par tenti. Don Bosco dovette obbedire all'ingiunzione dei medici, non scendendo affatto dalla sua camera. Si comprese soltanto il giorno dopo qual fosse la causa del malessere che lo incomodava.
Monsignore, spediti i suoi compagni di viaggio la sera medesima [306] del I° febbraio, si trattenne ancora nell'Oratorio, perchè si sentiva troppo stanco e si proponeva di raggiungere gli altri a Sampierdarena il dì appresso. Questo breve indugio gli procurò la consolazione di un ultimo affettuoso colloquio con Don Bosco.
Quella sera dunque, verso le sette, andò da lui e silenzioso gli si sedette a fianco. Don Bosco pure taceva. Quanti e quali ricordi dovettero passare per la mente a entrambi in quei solenni momenti! Finalmente Don Bosco domandò: - Sono partiti i tuoi compagni?
- Mi sembravano molto preoccupati per la mia sanità. Appena li vedrai, di loro che non si affannino. Io non sto male. É solo la commozione che mi faceva comparire così. Poveretti! Si vedeva che faceva loro pena il mio stato.
- Si rassicuri, dirò quello che sarà necessario per liberali da ogni sinistro presentimento.
- Domani bisogna che mi trovi a Sampierdarena.
- Non parliamo adesso dell'ora. Ci penseremo.
- Se potessi partire un po' tardi e riposarti con tranquillità...
- Don Bosco, non pensi a questo. Mi sento bene: lasci fare a me. Stasera ci vedremo ancora una volta e combineremo tutto.
Quindi si misero a parlare delle Missioni, finchè sonò la cena. Monsignore si ritirò, ma Don Bosco, non reggendosi più, si dovette coricare. Alle nove e mezzo Monsignore tornò da lui e facendosi violenza per atteggiarsi alla sua solita disinvoltura, si avvicinò al letto.
- Ebbene, mio caro Monsignore? disse Don Bosco un po' esitante.
- Vengo, rispose Monsignore, a prendere la sua benedizione. [307]
- Come?! stasera? Vieni domani mattina; potremo parlarci ancora e con più comodità.
- Domani mattina forse non ci sarà più tempo.
- A che or a dunque hai deciso di partire?
- Fermati ancora fino alle due pomeridiane--- Sei stanco... Dopo conveniente riposo il viaggio ti sarà meno affaticante.
- Se Don Bosco non ha nulla in contrario, lo pregherei di lasciare a me la scelta dell'ora.
- Fa' dunque come credi meglio.
- Allora benedica me e benedica ancora una volta i miei compagni.
Monsignore s'inginocchiò, Don Bosco lo prese per mano e: - Fa' buon viaggio, gli disse. Se non ci vedremo più su questa terra, ci rivedremo in Paradiso.
- Non parliamo di questo. Prima di rivederci in Paradiso, ci vedremo ancor a su questa terra. Si ricordi che ho promesso di ritornare per la sua Messa d'oro...
- Sarà come vuole il Signore. Egli è il padrone. Nell'Argentina e nella Patagonia avrete molto da fare, lavorerete molto e la Madonna vi aiuterà a ricavare grande frutto dalla tua missione. Poi ti chiameranno e ti daranno una diocesi[167].
Ciò detto, cominciò la formola della benedizione. La voce gli veniva lenta e interrotta. Monsignore gli suggeriva le parole, aggiungendo frasi per la circostanza, che Don Bosco ripeteva come un fanciullo, a cui la mamma insegna le preghiere.
Ricevuta la benedizione, il Vescovo si alzò e: - Dunque buona notte, mio caro Don Bosco, gli disse.
- Mi saluterai i tuoi compagni di viaggio, i confratelli d'America, i cooperatori che incontrerai dappertutto... [308]
- Sì, sì, ed ora riposi, signor Don Bosco.
- Ho ancora tante cose da dirti! Ma a Marsiglia troverai... Là, fa' buon viaggio; Dio benedica te e i tuoi compagni.
Queste ultime parole furono dette mentre Monsignore usciva col cuore rigonfio. Egli lasciò l'Oratorio alle sei del mattino. Don Bosco non potè più per otto giorni levarsi da letto: un attacco di bronchite, i cui primi sintomi sembrarono minacciare di peggio, ve lo tenne inchiodato.
La spedizione sarebbe dovuta partire dall'Europa più di un mese prima, se il colera non avesse fatto chiudere alle provenienze del Mediterraneo i porti del Brasile, di Montevideo e di Buenos Aires. É vero che sullo scorcio del 1884 vi si ammettevano vapori postali italiani e francesi; ma venivano sottoposti a quarantena, il che importava disagi, spese ed anche qualche pericolo. Onde Monsignore preferì aspettare il ritorno alla libera pratica[168].
Fatto un giro per le case della riviera ligure e francese, egli giunse l'II febbraio a Marsiglia, dove trovò radunati i Salesiani e le Suore che con lui si dovevano imbarcare[169]. In questa città Don Bosco volle rendersi presente mandando a raggiungerli Don Bonetti per recar loro il suo ultimo saluto e consegnare al Vescovo un suo foglio autografo. É una lettera della massima importanza.
Confido nel Signore che la tua sanità andrà bene, ed io ti raccomando di usarti ogni riguardo che tu stesso giudichi possibile alla tua condizione attuale.
Ricevo una lettera dall'Arcivescovo di Buenos Ayres. Contiene cose di cui noi abbiamo già trattato. Ne ritengo copia, e ti servirà di [309] regola nel presentarti all'Arcivescovo, e trattare con pieni poteri come ti sembrerà meglio, nel Signore. Ritieni che il Chili guarda i Salesiani, ed i Salesiani guardano amichevolmente quella nazione. Ma non aprire molte case le une vicine alle altre.
D. Bonetti ti porta i cuori ed i saluti di tutti i Salesiani d'Europa, che tu estenderai ai confratelli nostri di America. Conta molto sulla prudenza di D. Lasagna, dei nostri confratelli anziani e dei Vescovi che ci amano in Gesù. Ma va molto cauto nel prendere deliberazioni relative alle autorità civili.
Tutti i Cooperatori d'Europa fanno e continueranno preghiere pel vostro buon viaggio e per la continuazione dei vostri affari a maggior gloria di Dio e salvezza delle anime. Dio è con noi. Non temete.
Raccomanda a tutti i nostri di dirigere i loro sforzi a due punti cardinali: Farsi amare e non farsi temere: Fare ogni sacrifizio personale e pecuniario a fine di promuovere le vocazioni ecclesiastiche e monacali[170].
Mi raccomando ancora che non si dia gran retta ai sogni etc. Se questi aiutano all'intelligenza di cose morali, oppure delle nostre regole, va bene; si ritengano. Altrimenti non sè ne faccia alcun pregio[171].
Dio ti benedica, o caro Monsig. Cagliero, e con te benedica tutta la carovana Salesiana, e Maria guida vi sia a guadagnar molte anime al cielo.
La grazia di N. S. G. C. sia sempre con noi. Amen.
Pregate ogni giorno per colui che sarà sempre in G. vostro
Un altro prezioso scritto il Santo inviava allora a monsignor Cagliero. Era così concepito: “Parole da porsi in musica da Mons. Cagliero, quando sarà sulle sponde del Rio Negro nella Patagonia, e che a Dio piacendo noi canteremo a suo tempo nella chiesa di Maria Ausiliatrice in Torino. O Maria, Virgo potens, tu magnum et praeclarum in Ecclesia praesidium; tu singulare Auxilium Christianorum, tu terribilis ut castrorum acies ordinata; tu cunctas haereses sola interemisti in universo mundo; tu in angustiis, tu in bello, tu in necessitatibus nos ab [310] hoste protege, atque in aeterna gaudia in mortis hora suscipe ”[172]. Con paterno pensiero il Santo mirava così a dissipare nell'animo dei partenti i timori sulla sua salute. Poco prima di salire a bordo del Bourgogne essi gli chiesero ancora telegraficamente una benedizione. Il piroscafo salpò nel pomeriggio del sabato 14 febbraio.
Fino allora tutto era proceduto senza inconvenienti e nella navigazione si sperava bene; ma che sarebbe stato all'arrivo in terra americana? I compagni di Monsignore ignoravano cose che egli conosceva e che gli causavano preoccupazioni.
Dal 3 settembre 1884 incidenti gravi avevano turbato la Missione della Patagonia. Governatore del territorio era il generale di brigata Winter, che comandava anche le truppe della frontiera lungo le sponde dei Rio Negro, del Neuquén e del Limay. Finchè egli fu amico dei Salesiani, tutto andava benissimo; ma avendo il Governo nazionale per mene settarie ingaggiata la guerra religiosa e rotte le relazioni con la Santa Sede, espellendo il Delegato Apostolico monsignor Matera sotto pretesto che non era persona gradita, il Governatore, imbevuto di falsi principii e fors'anche indotto dal Presidente, colse a volo un'imprudenza commessa per puro zelo da Don Milanesio e prese a perseguitare senza tregua i poveri Missionari. Durante la lotta denunziò al Ministro del Culto i Salesiani come persone ineducate e scandalose e come trafficanti, consigliando al Governo centrale di non accettarne più nessuno in parrocchie del territorio argentino. Li calunniò pure a mezzo de' suoi dipendenti presso l'Arcivescovo di Buenos Aires, tentando ogni via per iscacciarli interamente da Viedma e da Patagones, come già aveva cominciato a fare financo manu militari. [311]
Due cose salvarono i Salesiani dalla rovina: l'energia di Don Fagnano e una sua buona previdenza. Facendo quanto poteva per calmare il Governatore, mandò alle autorità ecclesiastiche e civili una sua vigorosa difesa personale, poichè contro di lui principalmente puntava le armi la stampa massonica. Disgrazia volle che i giornali cattolici, scesi in lizza a difesa dei Salesiani, usassero modi violenti, assalendo il Governo e irritando vie più gli animi. Le famiglie dì Patagones e di Viedma e tutta la popolazione delle sponde del Rio Negro sapevano quanto fosse infame il procedere degli avversari, ma non osavano alzare la fronte in faccia al nemico, temendo per i loro interessi, che stavano in balla delle autorità nazionali. Don Fagnano non si perdette di coraggio, anzi aveva disposto le cose in modo da poter opporre anche una strenua difesa materiale, se la violenza venisse spinta agli estremi. E questo egli poteva fare in punti dove dimorava sul suo, poichè con danaro proprio aveva acquistato del terreno e costrùttovi sopra, affinchè di là nessuno legalmente avesse mai diritto di farlo sloggiare. Questo contegno risoluto salvò i Salesiani da un colpo di mano, già divisato presso i loro nemici nel bollore della passione, e diede tempo a Buenos Aires di vagliare accuse e difese. Il Ministro anche per l'intromissione della Curia non fece caso della nota governatoriale, cosicchè il Governatore giudicò prudente venire a più miti consigli[173].
Tornò bonaccia, ma non sicurezza. La questione religiosa s’inaspriva nella capitale; inoltre il generale Roca, Presidente della repubblica, scadeva dalla carica nell'ottobre del 1886 e già si avvertivano i prodromi di grosse battaglie politiche per la successione. Or ecco il brutto momento, in cui capitava a Buenos Aires il nuovo Vicario Apostolico. Già nel dicembre del 1884 egli aveva scritto al Segretario di Propaganda: “L'attitudine del presente Governo Argentino, ostile e tirannico [312] contro la Chiesa ed il suo Rappresentante, non sarà un altro intoppo per noi? Speriamo di no: d'altronde la divina Provvidenza, come in passato, così in avvenire veglierà sopra le nostre Missioni ”. Più tardi, il 31 gennaio, anche per l'Uruguay Don Lasagna manifestava da Villa Colón a Don Bosco i suoi timori, “Il Governo, scriveva egli, da qualche settimana è corrucciato colla Curia e minaccia leggi vessatorie per i religiosi. Uscì già un decreto che proibisce l'impianto di nuove case religiose senza un previo permesso governativo”. Il conflitto dunque si allargava oltre le frontiere argentine.
L'eventualità di un impedimento per monsignor Cagliero a stabilirsi nell'Argentina pendeva sull'orizzonte, tanto che erasene trattato a Torino in occasione del passaggio del Vicario Generale di Concepción nel Cile. Questo Prelato, il cui Vescovo era in esilio per prepotenze governative, fermatosi in gennaio a Torino, concertò con i Superiori di tener preparata Della sua città una casa per il Vicario Apostolico, se gli fosse impedito l'accesso o la dimora dove la volontà del Santo Padre l'aveva destinato.
Poichè ad aggravare la prima questione ce n'era per aria un'altra. Ne aveva fatto cenno l'Arcivescovo di Buenos Aires il 2 gennaio, rispondendo a relative comunicazioni fattegli da Don Bosco; era la lettera acclusa dal Santo nella sua del 10 febbraio a monsignor Cagliero[174]. “Avrò, diceva, sommo piacere di vedere un Vescovo Salesiano, e spero che potrà fare molto bene, essendo già così numerosa la sua famiglia in queste parti. Ma mi è forza aggiungere che in ogni tempo, ma adesso più che mai, il nostro Governo non approverà mai che senza il suo beneplacito siasi eretto un Vicariato entro i suoi dominii. Si tengono più padroni degli stessi re di Spagna. É questa una difficoltà che non posso sciogliere io, appartenendo al Sommo Pontefice; ma oggi è molto difficile. Non perdoneranno giammai che in questo affare si sia voluto prescindere da loro. Io desidero che V. R. procuri che l'Ill.mo Cagliero si presenti [313] senza questo titolo di Vicario della Patagonia. Per parte mia do ogni facoltà perchè possa esercitare ogni potestà episcopale tanto qui quanto in Patagonia, e procurerò che sia onorato e rispettato come Vescovo; ma siamo arrivati a tempi, in cui cacciano il Nunzio del Papa, in cui si perseguitano e si espellono in parte i Salesiani da Patagones, e quindi non posso persuadermi che si vegga di buon occhio o sia tollerato un Vescovo con un titolo che urti l'arrogante liberaleria nazionale. La S. V. che ha superate tante difficoltà, aggiusti anche questo affare, procurando che in nulla si dia pretesto a muover guerra contro la famiglia Salesiana. Ella ci onora troppo mandando tra noi un Vescovo, e io non vorrei che questo tosse causa di disgusti ”.
Don Bosco ricevette questa lettera tra il gennaio e il febbraio, e rispose appena potè lasciare il letto; non toccò per altro il tasto delicato, ma ebbe in mira soltanto a rafforzare nell'Arcivescovo le sue benevole disposizioni.
Non posso scrivere a lungo come vorrei, la mia sanità non me lo permette. Ora debbo limitarmi a farle umili e cordialissimi ringraziamenti per la protezione prestata in varie occasioni ai Salesiani.
Il nostro veneratissimo Arcivescovo, che mi parla spesso di Lei, mi dà nominale incarico di farle i suoi rispetti dicendo che egli, il Cardinale Alimonda, nutre in cuore che tra non molto tempo qualche lieta ventura porterà la E. V. qui tra noi a consolare colla sua presenza i nostri giovani, che in gran numero si ricordano della E. V. Mons. Cagliero e compagni le daranno minuto ragguaglio delle cose nostre; ma intendono di mettersi tutti nelle paterne di Lei mani e di seguirne i consigli ed i comandi.
Io sono venuto molto vecchio, ma ho piena fiducia di poterla ancora vedere su questa terra prima che la misericordia divina mi chiami alla vita eterna.
Tutti i Salesiani, io in capo, chiediamo la sua santa benedizione mentre colla massima gratitudine ho la grande consolazione di potermi professare della E. V.
Contemporaneamente la campagna giornalistica, non limitandosi più ai Missionari della Patagonia, attaccava in pieno tutti i Salesiani e cercava di renderli tutti odiosi agli Argentini. Eran chiamati razza di vagabondi, gente raccogliticcia, uomini inetti al progresso della civiltà, ingannatori, turbolenti, cupidi, fanatici; individui senza vincoli di famiglia o di nazionalità, buoni solo a scroccare danaro e a denigrare l'Argentina all'estero; il loro Bollettino essere un mezzo per fomentare lo spirito di setta fra i lettori e propalare notizie strampalate sulla repubblica; doversi sbandire i Salesiani che già vi erano e chiudere la porta agli altri che stavano per arrivare.
Preoccupato della piega che prendevano le cose, l'Arcivescovo, quando monsignor Cagliero aveva già preso terra a Montevideo, richiamò l'attenzione del Cardinale Prefetto di Propaganda sul pericolo a cui si andava incontro di peggiori rappresaglie governative. Onde Sua Eminenza il 6 maggio 1885 scrisse a Don Bosco: “In quanto al Vicario Apostolico Mons. Cagliero, mi scrive il Vescovo di Buenos Aires che teme molto ch'egli non venga ricevuto dal Governo, essendo stato inviato colà senza il previo suo consenso. Non posso negare alla S. V. che siffatta partecipazione mi pone in qualche apprensione, mentre altri fatti del Governo stesso me la rendono assai probabile. Vegga dunque Ella di disporre le cose in modo da allontanare questo pericolo, e raccomandi ai suoi Missionari la più grande prudenza ”.
Allorchè Don Bosco ricevette questa lettera, monsignor Cagliero si trovava già a Buenos Aires. Giunto a Montevideo il 12 marzo e visitate le case dell'Uruguay, si spinse avanti in nomine Domini. Don Costamagna il 31 informava Doli Bosco: “Finora il viaggio, l'arrivo ed i ricevimenti di Monsignore furono un vero trionfo. I diarii cattolici non parlano perchè così vuol prudenza; alcune gazzettacce sputano veleno, ma è cosa da non farne caso. Il Delegato Apostolico non solo ricevette con amabilità il nostro Vescovo, ma gli fece dei [315] regali assai preziosi praeter expectationem[175]. Mons. Aneyros poi si mostrò e continua a mostrarsi sempre eguale a se stesso, cioè un vero tenerissimo padre di Mons. Cagliero e dei Salesiani ”. In attesa degli avvenimenti, Monsignore si stabilì a S. Carlo di Almagro e andava facendo del bene nelle case dei Salesiani e delle Suore. Spesso veniva richiesto nella città per funzioni e per presiedere adunanze di associazioni, quando mancava l'Arcivescovo. Ma conoscendo la stia eccezionale posizione e il suo stato provvisorio a Buenos Aires e assalito per giunta dai giornali, furiosi contro le Missioni Salesiane e contro la sua venuta nella Repubblica, procedeva con la massima prudenza e circospezione. Taceva e lavorava. Nel 1875 alcuni giornali soltanto si scagliavano contro la Chiesa; allora invece gli stessi Governi si erano messi in aperta campagna contro dì essa. Scriveva a Don Lazzero il 5 maggio: “Il loro odio satanico conti o la Chiesa è indescrivibile, perchè calpestano tutto ciò che si chiama ragione, diritto, giustizia, buon senso e la stessa onestà, purchè la spuntino nel loro orgoglio matto e furioso contro la Religione [ .... ]. Avvi un giornale che già va incitando il popolo ad assaltare le case religiose e ad incendiare tutto e a massacrare tutti ”.
Il suo sospiro era però sempre la Patagonia; pur di potervi piantare le sue tende, si protestava disposto ad andarvi vestito non da Vescovo, ma da sagrestano. Gli pareva di fare un gran passa se gli riuscisse di abboccarsi con il Presidente Roca. A ottenergli tale incontro sì adoperava in maggio Don Fagnano, rappattumatosi, almeno apparentemente, con il suo [316] Governatore e venuto a Buenos Aires per affari della Missione[176]. Le difficoltà a riceverlo diminuivano ogni giorno più dalla parte del primo Magistrato della, repubblica, perchè la stampa si quietava. La disarmò il vederlo andare attorno senza forme speciali, ma “come il resto di tutti i mortali ”[177]. Finalmente Monsignore fu avvertito che poteva presentarsi. Si presentò con Don Costamagna e vennero introdotti assieme. Il generale Roca, seduto, interrogò fieramente Monsignore: -Lei è Vescovo?
- Sì, rispose, sono Vescovo titolare di Màgida.
- Non sa che il Papa non può mandare Vescovi nella repubblica senza intendersi con il Governo?
- Signor Presidente, io sono Vescovo in partibus infidelium e non ho nè diocesi nè giurisdizione. Io fui già alcuni anni qui in questa repubblica come Missionario Salesiano di Don Bosco e adesso ritorno per dedicarmi alla Missione della Patagonia.
Don Costamagna colse l'occasione per ricordare al Presidente la spedizione al deserto nel 1879, quand'egli tante volte si era trovato a fianco del Generale. Questi non potè nascondere una certa compiacenza a quel richiamo. Allora Monsignore, preso animo, continuò: - La repubblica Argentina sta aperta a tutti coloro che desiderano, di lavorare; quindi noi veniamo insieme con tanti altri immigrati non solo per lavorare, ma anche per insegnar a lavorare: Ho condotto con me una trentina di Missionari, fra i quali parecchi salesiani laici, che esercitano ogni specie di arti e mestieri; andremo così gli uni a insegnare l'agricoltura e l'allevamento del bestiame e gli altri a prenderci cura delle anime in quelle terre conquistate da Vostra Eccellenza alla civiltà.
- Però voi altri formate una Congregazione religiosa...
- Sì, ma a guisa di Società o Associazione privata, i cui [317] membri conservano tutti i loro diritti civili, senza pretendere nessun privilegio o riconoscimento dallo Stato. Siamo cittadini come gli altri, uniti in Società per educare la gioventù povera in asili, ospizi e scuole professionali. Don Bosco, nostro fondatore, è stato consigliato dai ministri Rattazzi e Cavour a istituire la stia Società in modo da adattarla ai tempi moderni.
Il Presidente osservò ridendo: - Don Bosco davvero è stato abile! -E alzatosi da sedere, strinse la mano a monsignor Cagliero, dicendogli: -Saremo amici. - Monsignore incoraggiato gli chiese un biglietto di presentazione o di raccomandazione per il generale Winter. Il Presidente glielo fece e con termini di lode e di benevolenza. Don Vespignani, che sapeva bene com'erano andate le cose, raccontando il fatto, soleva conchiudere: - Ecco una bella campagna vinta con il metodo di Don Bosco: prudenza, semplicità, lealtà.
L'amicizia fra i due personaggi durò sincera fino all'ultimo. Il gran credito del generale Roca giovò non poco a monsignor Cagliero durante gli anni del suo apostolato nella Patagonia; ma intanto gli arrecò subito due grandi vantaggi.
Tra le difficoltà che si opponevano al viaggio di Monsignore in Patagonia eravi pur quella non piccola dei passaggi. Tutte le case salesiane, onerate di debiti, non potevano fornirgliene il danaro sufficiente; ora Don Fagnano, che trovavasi a Buenos Aires per trattare col Vicario Apostolico, ottenne dal Governo ben dieci passaggi gratuiti. Poi, che gli sarebbe giovato andare in Patagonia ed esservi ridotto all'impotenza dall'autorità locale? Ma i suoi buoni rapporti con il Generale gli valsero di salvacondotto al quartiere del Governatore militare col quale doveva pur fare i conti, se voleva esplicare in pace la sua missione. Fatto il suo ingresso a Patagones il 9 di luglio, si diè premura di andarlo a visitare, e vi si recò in abito prelatizio. Quegli, già informato de' suoi buoni rapporti con il generale Roca, lo accolse onorevolmente e, invitatolo a sedere, gli disse con franchezza da soldato: - Ella avrà una [318] ben trista opinione di me, signor Dottore. Io sono molto cattivo.
- Tutt'altro, ribattè con prontezza il Vescovo. Abbiamo letto sui Bollettini Geografici molte cose belle di Vostra Eccellenza, quando fu in esplorazione. In Italia questi Bollettini si leggono con piacere e interesse. Ci vedemmo un uomo intelligente e di cuore. Sappiamo poi anche del bene che V. E. ha fatto ai Missionari Salesiani.
Quest'esordio ammansò il violento uomo. Quindi Monsignore gli presentò lettere del presidente Roca e del Ministro della guerra e marina, che gli raccomandavano benevolmente il Vescovo per tutto quanto concernesse gli uffizi del suo sacro ministero. Il Governatore promise aiuti per qualsiasi cosa dipendesse da lui. Effetto immediato della visita fu che egli si persuase badare i Salesiani unicamente al bene delle anime e alla predicazione del Vangelo senza punto mischiarsi di politica; il che non era poco in un paese, dove la politica occupava un posto preponderante nella vita dei cittadini[178].
A rallegrare il cuore di Don Bosco si succedevano in quei primi mesi a brevi intervalli lettere or dell'uno or dell'altro, con notizie prevalentemente buone; ma una notizia più di tutte dovette inondarlo di consolazione. Monsignore che dalla metà di marzo al principio di luglio aveva visitato tutte le case dei Salesiani e delle Suore, meno, quella di Nicteroy nel Brasile gli potè scrivere[179]: “Don Bosco può gloriarsi d'avere in America un gran numero di figli che lo rappresentano fin adesso, eccellentissimamente, che lo amano e lo fanno amare ”.
OSTEGGIATA per ogni verso in Italia la cristiana educazione della gioventù, Don Bosco appariva ai buoni come l'uomo provvidenziale mandato da Dio per opporre un argine al dilagare del laicismo nelle scuole; a lui quindi volgevano lo sguardo ecclesiastici e secolari desiderosi di cooperare in cosa sì importante e sì urgente, qual era la preservazione giovanile. Le continue richieste, indice dei disagio morale che affliggeva l'intera penisola, facevano sì che i Salesiani misurassero sempre meglio tutto la grandiosità della loro missione di fronte alla Chiesa e alla civile società; ma in pari tempo ne addoloravano l'animo, dinanzi all'impossibilità di rispondere adeguatamente all'universale fiducia, per l'insufficienza del personale e di personale titolato, quale lo esigevano le leggi dello Stato. Non rechi pertanto meraviglia se nonostante molteplici sollecitazioni, nessuna nuova fondazione si potè fare o principiare in Italia durante il 1884; si mantennero però in fiore le già esistenti, anzi a talune sì diedero notevoli sviluppi. Come nei volumi che precedono, così anche in questo diremo di alcune proposte che rimasero arenate nel loro corso, e ne diremo per la parte che Don Bosco vi ebbe; narreremo appresso [320] alcuni particolari intorno a case che noi già bene conosciamo.
Cominceremo dalle Figlie di Maria Ausiliatrice, perchè delle loro opere continuava a occuparsi direttamente col suo Capitolo il santo Fondatore.
Un giorno Don Durando manifestò l'idea di aprire convitti per ragazzetti di quattro o cinque anni fino ai sette, sotto la direzione delle Suore; si sarebbero così potute aiutare quelle famiglie, nelle quali, morendo o padre o madre o ambidue i genitori, restavano fanciulletti troppo numerosi per essere assistiti dal genitore superstite o dai tutori. Ma Don Bosco rispose: - Questo non fa per il nostro scopo[180].
Di tre sole proposte per le Suore faremo qui menzione provenienti due dall'alta Italia e una dalla Sicilia.
Scrisse a Don Bosco dalla Sicilia il vicepretore di Francavilla, pregandolo di mandare in quel comune due Suore per la scuola e la cura delle fanciulle; ma tutto si limitò a una cortese risposta. Discrete proposizioni vennero da Castel S.Giovanni nel circondario di Piacenza; ma Don Bosco temette di dover andare incontro a forti spese, mentre il Capitolo allora ne aveva già troppe. In ogni modo una visita di Don Cagliero avrebbe a suo tempo forniti schiarimenti per una risposta definitiva[181].
Il parroco di Moncrivello nel vercellese propose a nome di una vedova Persico all'istituzione femminile da affidare alle Figlie di Maria Ausiliatrice. La vecchia signora intendeva di lasciare per testamento a Don Bosco una sua bella casa, più una rendita annua di settecento lire e quella di una vigna valutata a lire dodici mila. La casa si sarebbe presa com'era restando a carico della Congregazione i restauri e le tasse, il che avrebbe portato via gran parte della rendita. Ora l'esperienza di Lu, Chieti e Vallecrosia aveva tatto vedere che in simili condizioni le case delle Suore erano sempre passive; [321] donde la conclusione essere miglior partito per le Suore aver da fare con amministrazioni che corrispondessero un tanto pattuito, come negli asili infantili. Un'altra cosa l'esperienza aveva insegnato: capitare talvolta casi imprevisti, in cui senza stipendio fisso non si poteva più andare avanti. Così quell'anno stesso a Lu, data la scarsezza dei raccolti, una metà delle famiglie avevano ritirato i bambini e le bambine, quindi, mancate le relative rette mensili, la povera comunità campava a stento. La salvò poi una sottoscrizione promossa dal parroco e dal sindaco. - Se la cosa è così, notò Don Bosco, mi sembra che la proposta di Moncrivello non convenga. Bisogna chiedere un corrispettivo sufficiente. - Don Cagliero ebbe incarico di recarsi sul posto in novembre e di concertare per un reddito annuo di tremila lire[182].
Per i Salesiani due sole proposte di qualche rilievo furono fatte in Piemonte. Il signor Marengo, fratello dei defunto canonico, avrebbe voluto che si accettasse un convitto e una chiesa allora chiusa a Carmagnola, storica cittadina nel circondario di Torino. Dopo lunga discussione in proposito Don Bosco disse: - Si aprano le trattative a patto che si aspetti a convenire sul tempo e che noi siamo liberi di mettere le condizioni giudicate più opportune. - Si trattò ma non si conchiuse Un'offerta materialmente lusinghiera partì dal municipio di Carignano, altro importante centro in quel di Torino. Resosi vacante il locale convento dei Francescani, perchè i religiosi superstiti se n'erano ritirati, il Provinciale manifestò legalmente la soddisfazione del Generale, che vi sottentrassero i Salesiani. Il Consiglio comunale all'unanimità invitò Don Bosco ad aprirvi subito le scuole elementari e poi gradatamente quelle ginnasiali avrebbe ceduto l'edifizio e dato lire seimila annue. Per i lavori dì adattamento una persona prometteva diecimila lire. Inoltre due case vicine, possedute da buoni preti amicissimi di Don Bosco sarebbero poi passate a [322] lui per testamento, Don Bosco avrebbe accordato il suo consenso, se gli si fosse concesso di cominciare dal poco; ma colà non si ebbe pazienza di aspettare[183].
Nella capitale delle Marche il vescovo monsignor Achille Manara offerse prima una casa, che fu rifiutata per mancanza di personale, e poi una parrocchia dì seimila anime in Borgo Pio. La popolazione, scriveva il Prelato, era “in gran parte gente materiale, forestieri, impiegati della ferrovia, che davano poco da fare al parroco, ma che avevano molto bisogno di essere spiritualmente coltivati ”. Don Bosco scrisse in capo al foglio: “Don Durando legga in Capitolo ”. E Don Durando lesse ivi il 24 ottobre; purtroppo però si dovette declinare l'invito per non esserci allora persona adatta. Tuttavia ad Ancona non si lasciò cadere l'idea; onde, come avveniva allorchè dopo un primo rifiuto non si perdeva subito ogni speranza, ma si ritornava di tempo in tempo alla carica con altri progetti, il cardinale Manara, già vecchio decrepito, potè veder sorgere nel 1901 l'attuale istituto con la nuova chiesa eretta da lui a parrocchia e fu testimone della trasformazione radicale di un disgraziato quartiere, operatasi per mezzo dell'oratorio festivo.
Nella seduta capitolare del 28 febbraio Don Bosco fece dar lettura di quattro domande, di cui tre per l'estero e una per la Campania a Teano. Delle prime diremo nel capo seguente; all'ultima, scritta dal cardinale D'Avanzo, vescovo della diocesi, egli ordinò di rispondere pulitamente che non si poteva. Durante la discussione, Don Bosco ebbe l'opportunità di richiamare una norma di prudenza datagli dal Papa. - Ricordatevi, disse ai Superiori, un avviso datoci dal Pontefice Pio IX. Mai troppe case nello stesso luogo. Ciò cagiona invidia negli altri ceti e gelosia nelle autorità civili.
Non così per le corte s'andò per Penne nell'estremo Abruzzo. Il sacerdote De Nardis fin dal 1882 insisteva per la creazione [323] di un'opera scolastica nella sua patria. Le lettere da lui scritte a Don Bosco e a Don Durando rivelano l'ardore sincero del suo zelo a pro della gioventù. Un filo di speranza datogli da prima, benchè senza determinazione di tempo, lo riempì d'allegrezza, tanto che in ottobre venne a Torino, dove trovò “superiore alla fama la realtà delle cose ” e vide che Don Bosco aveva “trasfuso in tutti il suo cuore paterno ”. Questo egli attestava in un memoriale presentato al municipio, a cui seguendo le istruzioni di Don Bosco stesso, chiedeva la cessione legale di un ex-convento del Carmine, l'esecuzione dei lavori necessari per trasformarlo secondo le esigenze del nuovo uso e l'assicurazione del sostentamento per sei Salesiani. Il municipio, accogliendo con plauso la domanda, sostituì al detto edifizio l'ex-convento dei Minori Riformati, come più adatto allo scopo. Ottenuta a tal fine l'autorizzazione dalla Santa Sede, che però ingiunse di mettersi d'accordo con il Provinciale residente in Aquila, se ne sollevò una ferrea opposizione[184]; ma finalmente la resistenza fu vinta, grazie all'intervento del cardinale Bilio, protettore dell'Ordine.
Allora il municipio formulò le sue condizioni, che Don De Nardis trasmise a Torino. Impaziente di avere risposta, egli ne sollecitò Don Bosco, quand'era a Roma. Don Lemoyne scrisse per lui a Don Rua: “Unisco la lettera del De Nardis di Penne. O per lettera o di persona occupatevi della pratica. Don Bosco non può assolutamente attendervi, perchè la testa non gli regge. Voi avete i pieni poteri e la prudenza non vi manca. Fa' il piacere di osservare se Don Durando se ne interessa ”. Di qui si vede che Don Bosco inclinava ad accettare; anzi aveva promesso di fare da Roma una visita a Penne, se le circostanze non gliene avessero tolto il tempo. La pratica si trascinò ancora per alcuni anni, intralciata da una minoranza massonica del Consiglio, che da prima non erasi smascherata. [324]
Lo zelo industrioso e disinteressato del buon sacerdote pennese non potè raggiungere l'intento.
Nessuna proposta si era avuta da Napoli fino al 1884, quando ne giunse una di singolare importanza. Don Lorenzo Apicella, sacerdote assai stimato fra i suoi concittadini, aveva fondato quattro case per sordomuti, ragazzi e ragazze, governandole per mezzo di sei preti e di venticinque laici in abito talare. Sarebbe stata sua intenzione di aggregare questa sua opera all'opera Salesiana[185]. Se ne discusse in Capitolo nella seduta pomeridiana del 27 dicembre. É interessante leggere nei verbali l'andamento della discussione.
DON BOSCO dice: - Si ponga la questione in massima. Qui non sembra che ci sia bisogno di mandare tanto personale. Si potrebbe scrivere a D. Apicella che venga esso stesso a trattare in Torino e di qui manderemo poi qualcheduno con lui a Napoli perchè veda e s'impratichisca. Potremo a poco a poco combinare l'affare.
DON DURANDO osserva che per quattro case ci vuol molto personale.
DON BOSCO: - Io non propongo di accettare, sibbene di esaminare se ci convenga assumerci l'istruzione dei sordomuti. L'Apicella venga a trattare di presenza; ma ora essendo troppo fredda la stagione, differisca la sua venuta dopo Pasqua.
DON DURANDO: - Prima che venga l'Apicella a Torino è meglio cerziorarci se i suoi compagni sono d'accordo di fare questa fusione.
DON CAGLIERO: - Prima della discussione si osservi se le regole ci permettono di dedicarci all'educazione dei sordomuti.
DON DURANDO: - Le regole dicono essere nostro scopo i giovani poveri ed abbandonati. Chi più povero dei sordomuti?
DON RUA: - Il Calasanzio, il quale nel fondare i suoi orfanotrofii aveva lo stesso scopo che noi, accettò pure i sordomuti.
DON BARBERIS: - Faccio osservare che i Salesiani destinati ai sordomuti dovrebbero unicamente occuparsi di questi e non potrebbero più destinarsi ad altro ufficio, perchè troppo è necessario ben istruirsi al fine di impartire una simile educazione.
DON DURANDO: - Faccio notare che bisognerebbe istituire un'ispettoria unicamente per i sordomuti.
DON BOSCO racconta: - Tempo fa mi si fecero molte insistenze perchè accettassi istituti di ciechi, ma io non volli mai accettare. La giudicai proposta molto utile pel suo scopo, ma non mi sento abbastanza [325] portato per occuparmene. Per i sordomuti invece la faccenda va bene altrimenti. Avrei desiderio di fare tutto quello che so e posso in loro vantaggio. Quindi mi rivolgo al Capitolo perchè veda se vi è possibilità di prendere cura di questa nuova classe di fanciulli e fanciulle.
DON BONETTI. - Non vedo la possibilità di riuscita in questa impresa. Vi è piuttosto bisogno urgente che ci dedichiamo sempre più a quei fanciulli destinati a vivere nella società per riformare la società stessa.
DON SALA: - Una gran parte del personale sarebbe già in quelle case e quei coadiutori vestiti da chierici potremmo unirli a noi come terziarii.
DON DURANDO: - Io son certo che una parte di questi coadiutori non vorranno aggregarsi a noi e prima o dopo se ne andranno. E se, mandati a Napoli alcuni dei nostri, quei vecchi coadiutori li lasciassero in asso, come faremo noi a mandate avanti quattro case? Ritirarci con disonore? Di quattro ridurle ad una? Sarebbe un tirarci sopra una odiosità vergognosa.
DON BOSCO: - Si rimandino le trattative dopo Pasqua. Intanto si cerchi se i coadiutori dell'Apicella acconsentano alla fusione ed a fare parte con noi, e quali e quanti siano di sentimento contrario.
DON CAGLIERO: - Si ponderi bene la cosa. Le case sono quattro: alcuni di quei coadiutori andranno certamente via non volendo assoggettarsi ed altri saranno certamente mandati via da noi perchè così insegna l'esperienza.
DON BONETTI: - Se si vuole abbracciare la nuova classe dei sordomuti si fondi prima una piccola casa di due o tre fanciulli, e così potremo coll'andare degli anni formare un personale insegnante, capace, esperto, esercitato. Ma non si abbracci subito su due piedi un'impresa così vasta. Si domandi eziandio perchè l'Apicella insiste tanto per questa fusione. Che forse abbia dei debiti, che non possa andare avanti, e cerchi che i Salesiani gli medichino le sue piaghe.
DON DURANDO gli risponde: - L'Apicella non ha debiti, ma contando ormai 65 anni di vita teme che morto lui cada la sua istituzione.
DON BONETTI soggiunge: - In questo caso non bisogna dargli lusinga d'appoggio, perchè altrimenti esso illuso non cercherà altri mezzi per sostenere l'opera sua e questa cadrà per colpa nostra. Se vogliamo dedicarci eziandio ai sordomuti, fissiamo la nuova istituzione su radice nostra.
DON BOSCO propone: - Si risponda all'Apicella in questi termini: Presentemente non si potrebbe accettare l'offerta per mancanza di personale: in quest'anno intanto si rifletterebbe sul da farsi: l'Apicella nel frattempo pensi pure in quale altro modo possa assicurare l'esistenza del suo istituto: se credesse di affidare i suoi ospizii alla Congregazione [326] Salesiana, essa non avrebbe difficoltà di accettare ciò che dopo la sua morte le lascierebbe.
DON RUA fa osservare: - Mi pare che convenga andare adagio nel fare queste insinuazioni. A Belluno il sacerdote che ha fondato quell'Oratorio ha già fatto il testamento in nostro favore. Potrebbe mancare ai vivi da un momento all'altro ed allora quale figura faremmo noi se non potessimo accettare l'eredità?
DON SALA aggiunge: - D. Rossi a Schio ha già fatto il suo testamento lasciando il suo magnifico Oratorio a D. Bosco. In quanto all'Apicella io credo che voglia unirsi a noi per avere il nostro appoggio morale, cosicchè i suoi benefattori vedendo assicurata l'esistenza dell'Opera si animino a maggiori largizioni.
DON Bosco: - Dunque, che cosa pensate voi che si debba rispondere all'Apicella?
DON RUA: - Si risponda semplicemente: che in genere il progetto ci piace, ma che non possiamo accettare.
DON BOSCO: - Si aggiunga almeno alla risposta la parola: per ora non possiamo accettare.
IL CAPITOLO approva questa risposta.
DON DURANDO: propone di aggiungere alla lettera eziandio questa promessa: Qualcuno passerà per Napoli andando a Randazzo e si fermerà a visitare quell'istituto.
Delle quattro case una era a Napoli, una a Casoria poco distante e due a Molfetta. Con l'andare del tempo la benefica opera subì modificazioni e traslochi, finchè il cardinale Sanfelice la fece costituire in ente morale sotto la presidenza dell'Arcivescovo pro tempore, concentrando i fanciulli in un grande edifizio situato nel quartiere di Tarsia, e le fanciulle a Casoria. Dopo varie vicende il suo secondo successore cardinale Prisco ottenne da Don Rua i Salesiani, che hanno portato a grande floridezza la sezione maschile, interessandosi pure di quella femminile diretta da religiose.
In Sicilia a Catania si stava sempre sull'attesa. L'arcivescovo Dusmet nel mese di gennaio chiedeva che entro la prossima primavera si aprisse nella sua città un collegio di artigianelli; ma Don Bosco fece rispondere che così presto non si poteva, raccomandando di usare termini che addolcissero la sospensiva. Più tardi lo zelante Pastore domandò che s'inviasse [327] subito almeno un Salesiano a dirigere un oratorio festivo e scuole elementari. Fu deliberato di cercare il soggetto idoneo. - A Catania è necessario avere una casa, diceva Don Cagliero. Chi arriva dei nostri in quella città, bisogna che vada all'albergo. Ora che in Sicilia ci siamo, dobbiamo pensare a fortificarvici. Se non si mette la casa a Catania, io sono deciso a richiamare le Suore, perchè così sono senz'appoggio. L'Arcivescovo ha piacere che noi andiamo anche solo per cominciare. Temporeggiare non è più possibile, perchè egli ha l'obbligo di dare ad altri, se non si accetta da noi. - Don Bosco, udito tutto e tutti, pronunziò l'ultima parola: esservi assolutamente bisogno di quella casa; se non c'era personale, si assottigliasse quello di altre case; troppe volte essersi fatte promesse all'Arcivescovo e poi non mantenute. Così restò stabilito[186].
I settari catanesi intanto non dormivano; subodorata la venuta dei Salesiani, tentarono di screditarli dinanzi all'opinione pubblica. Sul loro organo comparve improvvisa questa tendenziosa notizia[187]: “I giornali di Genova riferiscono che il Collegio di Don Bosco a Bosco Marengo presso Novi in provincia di Alessandria venne chiuso per ordine dell'autorità, essendosi scoperte colà certe brutte cose a cui i preti e frati educatori pare si siano consacrati a scapito del buon costume e della morale, penetrando nel... Codice penale ”. Don, Bonetti scrisse al gerente una smentita, redatta per volere di Don Bosco in termini calmi e cortesi. Il punto principale era questo: “Don Bosco mi dà l'incarico di far sapere alla S. V. che Ella fu tratta in errore sul conto di lui. Il Collegio sito nel paese di Bosco Marengo è un Riformatorio per giovani discoli; e nè Don Bosco nè alcuno de' suoi maestri non ebbe mai nè che fare nè che dire con quell'Istituto ”.
La smentita si sarebbe dovuta per legge pubblicare nel giornale catanese, che invece si limitò a un cinico e ipocrita [328] accenno in un trafiletto così concepito[188]: “DRAMMI E COMMEDIE. Tempo fa abbiamo riprodotto da' giornali del continente la notizia della chiusura del Collegio di Don Bosco a Bosco Marengo, d'ordine dell'autorità per certi fatti che il tacere è bello. Ora certo Don Giovanni Bonetti, segretario di Don Bosco, ci scrive che quel Collegio è un riformatorio di giovani discoli e che nè Don Bosco nè alcuno de' suoi maestri ebbe da fare con quell'istituto. Trattandosi di cosettine che specialmente i preti sogliono fare e che le avran fatte, i giornali di Genova, di Roma ecc. ci avran ficcato Don Bosco e i suoi che non c'entrano ”. Don Guidazio scriveva[189]: “Ci vorrebbe qualche lezione. Se io non fossi prete, m'incaricherei di dargliela io per mio conto ”. Ma Don Bosco era di contrario avviso. Gl'intrighi della loggia si fecero più palesi l'anno dopo, come vedremo.
Rifacendo ora il cammino a ritroso, visiteremo dal sud al nord alcune case, delle quali Don Bosco in qualche modo ebbe a occuparsi nel corso del 1884.
Cominceremo da Roma. Sebbene la chiesa del Sacro Cuore fosse ancora ben lungi dall'essere terminata, il Santo non volle che s'indugiasse più oltre a intraprendere i lavori per il tante volte mentovato ospizio. Sii disegno dell'ingegnere Vigna torinese l'impresario Cucco biellese (Don Bosco per la sua nuova fabbrica evitò di aver a fare con Romani) pose mano agli scavi per costruire anzitutto il lato prospettante la via Porta S. Lorenzo, oggi Marsala. Quel corpo di fabbrica, a due soli piani (il terzo fu sovrapposto in tempi recentissimi) e senza sotterranei doveva congiungere la vecchia casa sull'angolo di via Marghera con l'ambulacro a fianco della chiesa. A porvi la pietra angolare. Don Bosco desiderava che venisse con lui il conte Colle, e fu incaricato Don Bonetti di prendere accordi, quando portò a Marsiglia l'ultimo saluto del Santo per monsignor [329] Cagliero e i Missionari; ma poi la cerimonia si compiè nella primavera del 1885 senza Don Bosco e senza il Conte[190].
Poco lungi da Roma è Magliano. Il tempo e l'esperienza dovevano insegnare quanto sia difficile durarla nei seminari specialmente dopo la scomparsa del Vescovo che chiamò. Il seminario di Magliano fu il primo a fornirne la prova. Le noie principiarono a spuntare in sull'aprirsi dell'anno scolastico 1883-84, e partirono dal collegio annesso al seminario. Il canonico Pagani, membro della Commissione tridentina, tirava dalla sua i convittori, staccandoli da Don Daghero; lo stesso faceva con i chierici, asserendo che agiva conforme a istruzioni del cardinale Bilio. - Il cardinale Bilio, disse Don Bosco quand'ebbe inteso ciò, non è capace di dare tali ordini, se non è messo su da qualcuno.
Disgraziatamente il 30 gennaio questo Porporato morì e gli successe il cardinale Martinelli, così favorevole ai Salesiani che mandò un solenne rimprovero al perturbatore della quiete e ai chierici suoi seguaci. Tuttavia il Bilio aveva permesso di aprire un semiconvitto, che toglieva convittori ai Salesiani e che il suo successore lasciava sussistere. Era una specie di ospizio, i cui alunni frequentavano gratuitamente come esterni le scuole salesiane. Con questo s'infirmavano i patti Conchiusi allorchè si era aperto e affidato ai nostri il convitto. Un incidente inasprì il dissidio. Don Daghero aveva espulso un chierico insubordinato e fuggitivo, e se nè pretendeva la riammissione. Insomma con Don Pagani non sembrava più possibile vivere in pace. Don Bosco, tutto ben ponderato, cominciò a dare in maggio la diffida per il collegio. Ma il nuovo Vescovo si oppose e il Papa era con lui; anzi al piccolo convitto aperto in danno del nostro tolse la sua protezione e la sua beneficenza.
Allora il canonica Rebaudi che lo dirigeva, raccomandò con una lettera abilissima alla carità di Don Bosco i giovani da lui [330] raccolti, tentando per questa via di salvare la propria istituzione e influenza nella città. Don Bosco gli fece rispondere chiaro e netto: I° che i Salesiani erano disposti a cedere non solo il convitto, ma anche il seminario, tenuto fino allora unicamente per volontà ed espresso comando del Santo Padre e dei Cardinale; 2° che i sacrifizi fatti dai Salesiani in quel collegio dimostravano il loro buon volere verso la cittadinanza; 3° che in quanto all'istruzione per i poveri giovanetti della città i Salesiani avevano le scuole per gli allievi esterni; 4° che riguardo ai convittori poveri, parte sarebbero soccorsi dal Santo Padre, parte dal cardinale Martinelli e parte da Don Bosco stesso, se fossero di buona condotta.
Questa risposta lasciò il tempo che trovò, con l'aggravante che le promesse del Vescovo rimasero lettera morta. Infatti egli permise egualmente e favorì l'ospizio Rebaudi, obbligò a uscire dal convitto vescovile e ad entrare in quell'ospizio i giovani, per i quali egli pagava la pensione, e si diceva inoltre che al Rebaudi avesse consegnato cinquemila lire dal Papa destinate al seminario; finalmente insisteva per la riammissione incondizionata dei chierico espulso. Dinanzi a questi fatti Don Bosco disse: - Sarebbe ottima cosa scrivere al Cardinale che, essendo a noi impossibile andare avanti a questo modo, noi ci ritiriamo dal seminario subito al principiare dell'anno scolastico, lasciando che altri provveda all'insegnamento. É una determinazione però che dev'essere ponderata maturamente. Col Cardinale bisogna insistere su questo punto: noi abbiamo tanti debiti che non ci permettono più d'andare avanti. Sono ventimila lire che la casa di Magliano deve pagare, senza contare gli onorari del personale, che pure dovrebbero essere portati in lista. Sembra impossibile che tutti cerchino di rosicare queste povere Congregazioni religiose! - Prima però di agire, parve opportuno procacciarsi ulteriori informazioni.
E le informazioni vennero da Don Dalmazzo e da Don Daghero. Il Cardinale si professava amico di Don Bosco e disposto [331] a pagare i debiti, non che desideroso di stare al contratto stipulato. Ala nel punto più importante, cioè nella promessa di pagare i debiti si nascondeva un equivoco, intendendo egli i debiti che il collegio avesse con la Commissione tridentina, non quelli di Don Bosco per mobili, carta, libri, panni e simili Se non che con la Commissione non esistevano debiti, ma crediti; il Cardinale parlava così fondandosi sii erronee asserzioni del canonico Rebaudi. E presso quest'ultimo stava il famoso chierico a prepararsi per il presbiterato, che prossimamente avrebbe ricevuto prima ancora de' suoi compagni di corso.
Che il Cardinale volesse bene a Don Bosco, ne aveva dato una bella prova nell'appoggiare la sua domanda dei privilegi ma allora come capo della diocesi subiva l'influsso delle camarille locali che ne giocavano la buona fede. Non gli avevano dato a intendere perfino che il municipio fosse contrario ai Salesiani e favorevole all'ospizio? Invece al municipio stava tanto a cuore il collegio che avrebbe fatto di tutto per evitai ne la chiusura. Non già che il sindaco nutrisse simpatie per gl'insegnanti preti! Se ne sarebbe anzi sbarazzato volentieri; ma, non sapendo come procurarsene di laici e a così buon prezzo, si contentava dei Salesiani.
Intanto però il collegio per effetto di tutti questi maneggi da novanta allievi era sceso a cinquantatre, e la mente del Cardinale pareva essere di far a meno dei Salesiani, appena si potesse. Anzi voleva scendere a misure ancor più radicali, non solo sciogliendo il collegio, fila riducendo il seminario a una ventina di chierici, ch'ei riteneva sufficienti per i bisogni della sua diocesi.
Di tutta la vertenza fu informato il Cardinale Protettore, che dopo l'esame dei documenti giudicò essere la ragione dalla parte dei Salesiani. Don Bosco senza perdersi nel labirinto della controversia non recedeva dal suo punto di vista, il più concreto e il meno imbarazzante. Egli disse: - Lasciata da parte ogni altra asserzione, teniamoci forte su questo punto: [332] se non ci pagano i debiti, noi non possiamo andare avanti. E ciò basta; se si vuole che continuiamo, ci fissino un sussidio. - Tuttavia si convenne di procedere in buona amicizia fino al termine dell'anno scolastico, scrivendo al Cardinale che si accettavano le sue generose proposte di pagare i debiti e che si desiderava sapere in qual periodo dell'anno si sarebbe fatto il pagamento; in ogni caso non oltre il mese di maggio.
Avuta questa comunicazione, il Cardinale rispose negando l'asserito disavanzo, contestando che l'ospizio Rebaudi danneggiasse il convitto salesiano e concludendo essere necessario rivedere i conti del collegio. Questa conclusione dispiacque a Don Bosco, il quale disse: -Non permetterò mai che altri vengano a rivedere i nostri conti. Studierò io che cosa convenga rispondere.
Don Dagliero tentò di concertare per il futuro un modus vivendi con Don Pagani, “diplomatico di una furberia non ordinaria ”, come lo definì Don Rua; in ogni modo a gran fatica vi riuscì. Ma Don Bosco non ne fu pago. - Non possiamo trattare, disse, delle cose future, se prima non trattiamo delle cose presenti. - E poichè il Capitolo cercava di salvare capra e cavoli, Don Bosco soggiunse: - Io già prevedo che non si verrà alla determinazione di andarcene da questo collegio, poichè tocca a noi subire sempre le conseguenze del desiderio che abbiamo in ogni occasione di contentare tutti. Qui in buona sostanza il personale del collegio lavorò sempre gratuitamente. Si potrebbe intanto scrivere a Don Daghero: tu hai ventimila lire di debiti da pagare; paga, perchè noi non possiamo indebitarci per te e fare maggiori sacrifici. - Insistendosi per la continuazione delle trattative con lo scopo di arrivare a un accomodamento, Don Bosco ribadì il suo concetto: - L'unico modo di accomodare le cose è che ci paghino i debiti e che ci lascino andare nel termine più breve possibile. In quanto a trattare nè accettiamo nè rifiutiamo, ma trattare con Don Pagani non mi sembra per nulla conveniente. [333]
Si vedeva troppo chiaramente che Sua Eminenza e quelli della sua corte avevano perduta la fiducia nei Salesiani. Anche per questo motivo Don Bosco opinava che alla fine dell'anno scolastico si distribuisse qua e là in altri collegi il personale di Magliano. Don Rua temeva una condanna da parte della Sacra Congregazione, se non si stava al convenuto, che la diffida si desse cinque anni prima. -Nessuno, replicò Don Bosco, può obbligarci a stare in Magliano con perdita ed a prestare servizio gratis. Si scriva a Don Daghero, che persuada quei signori a lasciarci in libertà di andare via il più presto possibile. L'unico mezzo per tenerci ancora un po' di tempo è quello di pagarci i debiti. Noi nel contratto non ci siamo assunti l'obbligo d'insegnare nell'altro istituto eretto contro di noi; infatti quei giovanetti frequentano le nostre scuole. - Era veramente strano che “quei signori” dopo aver cagionato la decadenza del collegio salesiano avessero ancora pretensioni sull'insegnamento.
Le cose sì trascinarono allo stesso modo per tutto l'anno scolastico 1884-85. Nel 1885 Don Rua a Roma visitò il cardinale Martinelli per indagarne le intenzioni, riportando il convincimento che convenisse acconciarsi allo statu quo. Ma Don Bosco la pensava altrimenti. In giugno disse: - Non si può più andare avanti. Ragione per rompere il contratto è la forza maggiore. La questione innanzi alle Sacre Congregazioni non si può vincere, perchè il cardinale Martinelli è influentissimo in tutte. Scriviamogli adunque che siamo pronti a dare qualunque indennità: cinque, dieci, ventimila lire. Daremo tutto quello che vogliono, purchè ci lascino liberi.
Don Rua mosse alcune rispettose osservazioni per giustificare il suo contrario modo di vedere, e Don Bosco rassegnatamente: - Fate come volete! - esclamò. Indi proseguì: - Del resto noi ci assoggetteremo a qualunque patto, staremo ancora uno o due anni per non mettere il Cardinale in imbrogli, ma conviene andarcene. Presto o tardi potrebbe succedere qualche catastrofe. La ragione di andarcene è la convenzione [334] mancata, la sanità guasta dei Salesiani, il piccolo collegio Rebaudi, le perdite nelle quali ci troviamo.
Ciò detto, ascoltò una serie di nuove considerazioni fatte da Don Rua sopra un progetto di Don Pagani per una ulteriore intesa. In sostanza uno scrupolo di giustizia ratteneva Don Rua, secondo la cui opinione i Salesiani non dovevano ritirarsi da Magliano, finchè non fossero compiuti i cinque anni previsti nel capitolato; il ritirarsi prima ridondare a loro disonore; l'affare dei Concettini, di Albano e di Ariccia averli già pregiudicati nell'opinione di molti. Don Bosco respinse tutte queste osservazioni e altre di altri, insistendo sulla partenza dei Salesiani da Magliano. - Io, concluse, lascio al Capitolo tutta la responsabilità delle conseguenze. - Fu deliberato di accettare un progetto del Cardinale di accogliere in seminario preti della città capaci di fare scuola, esercitarli nell'insegnamento e metterli al posto dei Salesiani, sicchè questi a poco a poco si potessero ritirare senza che il seminario avesse a soffrire danno o disturbo.
Nessuno allora avrebbe potuto immaginare quanta ragione i fatti avrebbero dato a Don Bosco un anno dopo la stia morte, quando i Salesiani furono in malissimo modo costretti ad andarsene da Magliano. Don Bonetti però, colpito dall'insistenza di Don Bosco nel sostenere la necessità di venir via, aveva ricordato con apprensione il caso dì Cremona; anche allora infatti, un anno prima degli avvenimenti che noi conosciamo, Don Bosco senza motivo apparente aveva detto e ridetto esservi urgente necessità di ritirarsi. Due combinazioni più somiglianti non si sarebbero potute dare[191].
Non rispondevano agl'intendimenti di Don Bosco le condizioni della casa di Lucca. Situata nel mezzo della città, non permetteva nè libertà nè sfogo agli allievi, che nel cortile erano sotto gli occhi di quanti sì affacciavano alle finestre dagli edifizi circostanti. Vi era l'oratorio; ma, data l'opposizione dei [335] parroci, pochi più lo frequentavano, una quarantina al massimo. Vi era anche la chiesa; ma questa non apparteneva ai Salesiani e abbisognava di riparazioni. Don Bosco invece avrebbe desiderato che a Lucca si venisse creando un quid simile dell'Oratorio di Torino. Per tutte queste ragioni, essendo in vendita la villa del Collegio Reale fuori dell'abitato, deliberò di alienare lo stabile allora occupato e far acquisto di quella. Egli si mostrò così risoluto, che in breve si fece il compromesso per la compera; ma non ne fu stretto il contratto, perchè il Ministero intervenne, imponendo di mettere la villa all'asta, il che importava che si dovesse spendere troppo più delle diciottomila lire già concertate. In quelle condizioni il collegio non potè avere vita lunga[192].
Una casa che sosteneva una vera lotta per l'esistenza era quella faentina. Gli avversari, quando videro andare a vuoto un dopo l'altro tutti i loro assalti, cambiarono tattica, mettendo su un ricreatorio festivo laico, nel quale divertire i fanciulli, perchè abbandonassero l'oratorio salesiano. All'uso romagnolo, almeno si parlò chiaro: il 4 marzo, facendosene la proposta nel consiglio comunale, si disse pubblicamente, quale ne fosse lo scopo preciso. Essendo il municipio in mano dei repubblicani e loro affini, la proposta passò a pieni voti. Vi fu destinato un locale appartenuto già a suore, si stanziarono cinquecento lire e sì aperse una sottoscrizione[193]. La gioventù si divise naturalmente in due partiti. I giornali soffiavano nel fuoco, ma l'indifferenza dei più fece cadere a poco a poco nel nulla il ridicolo tentativo.
Invece Don Rinaldi lavorava con speranza di ben migliore successo per dare a Faenza un collegio convitto. Accaparratasi la casa col terreno annesso, commise l'imprudenza di chiedere l'autorizzazione al Regio Provveditore di Ravenna, che, com'era da aspettarsi, respinse la domanda. Nell'incontro a Bologna Don Bosco avvertì dello sproposito il Direttore e gl'insegnò [336] la maniera di rimediarvi. Sua regola di condotta era allora quella da lui espressa nei seguenti termini: - Da qui innanzi noi in Italia apriremo case d'artigiani, essendo gli artigiani scudo agli studenti. Quindi per pura cortesia si potrà darne avviso all'autorità civile; ma ciò neppure conviene. Se sarà d'uopo, ci rivolgeremo al Ministero dell'Interno, da cui dipendono le opere di beneficenza. Sono opere che il Ministero stesso raccomanda. - A Don Rinaldi dunque suggerì di spiegare in questo senso al Provveditore la lettera speditagli per chiedere una licenza non necessaria. Cominciandosi poi quivi le scuole elementari, sarebbe bastato che gl'insegnanti fossero patentati. Sul principio dunque non si parlò che di scuole professionali.
L'apertura del collegio portava il passaggio dei Salesiani dal Borgo nella città. I settari ne spiavano le mosse. Un settimanale spuntato di fresco e dal fiume che bagna Faenza intitolato il Lamone, pubblicò nel numero del 5 ottobre, festa del Rosario, un violento articolo di fondo contro di essi. Persone degne di fede assicurarono che nella notte un delinquente prezzolato doveva dare la scalata al cortile dell'oratorio, gettare bombe nella sotterranea cantina e far saltare in aria la casa. Ma la Provvidenza rattenne il facinoroso. Da alcuni giorni il fiume ingrossato metteva paura ed era sotto guardia. Proprio sulla mezzanotte straripò, allagando sempre più largamente intorno. Le campane della città sonarono a stormo; ai loro rintocchi rispondevano dalla campagna i corni: tutta la popolazione fu sossopra, sicchè lo scompiglio generale impedì l'esecuzione del misfatto. Don Rinaldi per consiglio di persone amiche chiese e ottenne che soldati stazionassero alcune notti in casa.
Egli credette pure necessario dare una risposta alle insolenti minacce del giornale. Mandò dunque al gerente uno scritto, perchè fosse pubblicato nel numero della domenica successiva; ma invece di accogliere la risposta, il foglio rincarò la dose degli insulti. Allora Don Rinaldi inondò la città di un [337] suo opuscoletto, nel quale si rintuzzavano con dignitosa fermezza le accuse e le calunnie lanciate contro i figli di Don Bosco. La pubblicazione piacque agli onesti; servì anzi molto bene a far conoscere i Salesiani, che tanti anche dei buoni non sapevano bene chi fossero e che cosa facessero.
Allestita ormai la nuova casa, se ne prese possesso il 19 novembre[194]. Vi bisognarono però alcune precauzioni. Le mobiglie furono trasportate su carri di notte. Il personale vi si recò prima dell'alba, mentre guardie e carabinieri stavano appostati a difesa, se fosse accaduto qualche atto ostile. Anche dopo i rappresentanti dell'ordine andavano quasi ogni giorno a vedere se ci fossero novità.
Sul principio del mese Don Taroni era stato a Valdocco e aveva narrato a Don Bosco ed ai Superiori le battaglie e le vittorie dei Salesiani di Faenza. Il Santo, udito che ebbe, si volse agli astanti e disse: -Osservate come ha fatto il Signore! Per entrare nella Romagna sembrava che secondo i calcoli e la prudenza mondana dovessimo cominciare da lontano e accostarci a poco a poco, piantando prima le tende sui confini; ma ecco che il Signore ci ha lanciati in Faenza, proprio nel centro della regione, a combattere e a vincere. Sia benedetto il Signore e Maria Ausiliatrice.
Parecchie cose domandò il direttore Don Rinaldi ai Superiori. Anzitutto a quali condizioni si dovessero accettare gli alunni interni. Don Bosco rispose: - Si mandi il programma dell'Oratorio. L'età dei giovani sia dagli undici ai dodici anni; la pensione di ventiquattro lire mensili. È data però al Direttore la facoltà di condonare a chi crederà conveniente, e si aggiusti come può, secondo che si fa nel nostro Oratorio. Poi, che cosa si dovesse avviare subito. Fu stabilito che subito si aprissero i due laboratorii dei sarti e dei calzolai. In terzo luogo, quali lavori bisognasse eseguire per adattare allo scopo quel gruppo irregolare di edifizi che si erano acquistati. Don [338] Bosco mandò sul posto Don Savio, perchè abbozzasse un disegno generale, ma con questa direttiva: - Mutamenti sì, aggiunte no. - In ultimo il Direttore desiderava sapere se la Casa madre sarebbe andata in aiuto della casa di Faenza, qualora questa si trovasse in strettezze per i detti lavori. Don Bosco rispose: - Noi viviamo di Provvidenza, quindi ci troviamo sempre nelle sue braccia, senza risorse certe; ma non ci rifiutiamo di far parte alla casa di Faenza di ciò che la Provvidenza ci donerà, e di venire in suo soccorso. - Nonostante il trasloco, l'oratorio festivo non fu sospeso neppure una domenica.
Frattanto il Lamone continuava a inveire contro i Salesiani, giungendo financo a scrivere non essere vero che Don Bosco avesse raccolto ne' suoi ospizi giovani resi orfani dal colera. Don Rinaldi si procurò e presentò nomi e cognomi dei ricoverati; ma, volendosi ribattere pubblicamente con prove questa e altre falsità, Don Bosco fu di parere contrario, osservando: - Per rispondere a questi giornali non dobbiamo produrre prove; basta una semplice smentita. Se si portano prove, si dà ansa ai loro articoli e materia per nuovi insulti. Si protesti invece e si dica che, se vogliono sapere le cose come stanno, cerchino essi le prove. Se dovranno scrivere lettere ai loro corrispondenti e impiegar tempo, francobolli, spese di viaggio, non si mettono certamente all'impresa o si stancano presto[195]. - Questa saggia condotta giovò più di qualsiasi polemica.
Prima di far capo a Torino, toccheremo di tre case della Liguria, e anzitutto dell'ospizio di Sampierdarena. Sebbene da principio Don Bosco non sembrasse quasi favorevole all'istituzione della parrocchia di S. Gaetano[196], pure in seguito modificò il suo atteggiamento, tanto che si addivenne al decreto di erezione. Questo decreto gli cagionò subito un disappunto. Il Capitolo Superiore aveva fissati e la Curia di Genova [339] accettati i confini della nuova parrocchia; ma il cancelliere arcivescovile li restrinse poscia di suo arbitrio, come appariva dal testo del documento. Il decreto fu dunque restituito con l'esposizione dei motivi. Al qual proposito Don Bosco fece le seguenti osservazioni: - La Curia di Genova avrebbe dovuto mandar prima a me il progetto, perchè potessi esaminare, riflettere, approvare, firmare. Ciò fatto, bisognava scrivere a Roma, perchè anche la Sacra Congregazione facesse i suoi rilievi e approvasse. É essenziale che la parrocchia sia istituita canonicamente. Se il solo Vescovo approva la parrocchia, questa ci può essere tolta dal suo beneplacito; se invece Roma approva, il diritto parrocchiale è perpetuo. Inoltre, qualunque siano le questioni da trattarsi con le Congregazioni Romane, è necessario aver studiato bene la materia ed essere sicuri del fatto proprio, perchè altrimenti non ci si riesce. I Curiali non si curano di tenersi al corrente de' Brevi, dei decreti, delle decisioni, ecc. - Affidò pertanto a Don Cagliero l'incarico di scrivere a monsignor Magnasco per prevenire ogni malinteso.
Il Vicario Generale, visto in che modo si fosse introdotto il mutamento, non prese in mala parte che si fosse respinto il decreto. Procedutosi poi alla nomina del parroco, l'Arcivescovo gradì che questa fosse caduta su Don Braga, catechista a Roma. La Congregazione per altro non era ancora investita della parrocchia; quindi Don Bosco insistette: - Si faccia tosto la pratica. In primo luogo si accordino il Vescovo e il Rettor Maggiore; poi si mandi a Roma la minuta della convenzione, perchè sia approvata. Con questo procedimento saremo in pieno possesso dei diritti che ci spettano. A ogni modo per procedere sicuri nello svolgimento delle pratiche, Don Cagliero è incaricato di studiare nel Bouil, De collatione parochiarum ad regulares il da farsi e ne riferirà al Capitolo. In quanto al placet del Governo vi sarà l'imbroglio che talora qualche parroco regolare possa rifiutarsi di cedere ad altri la parrocchia o di cambiar casa, se il Superiore lo comandasse. [340]
Per evitare questo inconveniente è meglio porre le parrocchie in testa ai Direttori, perchè saranno sempre le persone più sode. Se essi non possono adempierne i doveri, si eleggano un vicario[197].
Una lunga discussione sulle cose di Sampierdarena si fece il 9 dicembre sotto la presidenza di Don Bosco, che interloquì con certa frequenza. Non sarà discaro leggerne il riassunto del segretario nei Verbali. Alla seduta partecipò anche Don Belmonte, direttore della casa.
II. DON BELMONTE ha la parola. Dice che l'Oratorio festivo per gli esterni quasi più non esiste a Sampierdarena, essendo incompatibile che i giovani interni ed esterni siano confusi insieme. Prima era fiorente ed ora conta appena dodici giovinetti. Il cortile è troppo piccolo anche per i soli interni che sono 300, studenti ed artigiani, che fanno ricreazione insieme, e sovente accadono disgrazie, perchè giuocano con vera frenesia. Se si vuol mettere in fiore l'Oratorio festivo, non esservi altro mezzo che o destinare una parte dell'Orto a ricreazione, o comprare la casa vicina verso il mare con uno spazioso terreno annesso, che una volta era proprietà del marchese Ignazio Pallavicini. Siccome il terreno sarebbe per noi troppo vasto, vi è chi è pronto a comprarne una parte se vorremo rivenderla. La Signora Garibaldi ha comprato quasi tutto il terreno che forma il fianco della collina alle spalle dell'Ospizio ove già fabbricò un venti piccole ville per appigionarle. Questa Signora comprerebbe da noi quel terreno che giudichiamo superfluo. Vi ha un progetto non ancora approvato, ma appoggiato dai municipii di Genova e di Sampierdarena per far passare una bellissima strada dietro al Collegio, sulle falde della collina. Più un anno che l'altro questa sarà aperta. I terreni circonvicini aumenteranno tre volte di prezzo. Sarebbe quindi di tutta nostra convenienza poter stringere al più presto questo contratto.
DON BOSCO risponde: - L'attuale proprietario è il Marchese Marcello Durazzo, erede di Pallavicini che nel passato non volle mai vendere a D. Bosco per timore di non essere pagato e che a tutti i modi non venderà senza ricavare un grosso lucro da questo contratto. A tutti i modi do licenza a D. Belmonte di trattare questo negozio.
DON BELMONTE continua: - Corre voce ci siano già altri che vogliono comprare la proprietà di Durazzo per mettervi una fabbrica di nastri. Intanto dobbiamo lamentare come la framassoneria abbia messo in Sampierdarena un magnifico ricreatorio festivo, fornito di ogni sollazzo, ginnastica, tiro a segno, teatro, musica ecc. ecc. e a questo [341] modo abbia in mano tutta la gioventù della città. Per distintivo portano tutti al collo un fazzoletto rosso, fanno passeggiate colla banda musicale alla testa ecc. ecc.
DON BOSCO: - Ebbene, tu D. Belmonte tratta dell'acquisto di quel terreno col marchese Durazzo e non si guardi a prezzo. Rivolgiti a persona amica che faccia da intermediario e che spieghi bene al marchese di che cosa si tratti. Presso di lui a Pegli sta D. Olmi. Interessalo in nostro favore.
DON BELMONTE narra come D. Braga abbia fatta proposta di redigere una supplica da farsi firmare da tutti i parroci dei dintorni, da D. Bosco ed anche dall'Arcivescovo. Questa supplica si manderebbe a D. Bosco perchè l'esamini e quindi si farà presentare al Marchese Durazzo.
DON BOSCO: - Mi si mandi la supplica che D. Braga ha già stesa, si studii bene, D. Belmonte ne parli col Sig. Dufour e si compia il progetto.
DON RUA aggiunge che frattanto D. Belmonte s'intenda colla signora Garibaldi.
III. DON BELMONTE entra a parlare del campanile che si deve erigere a Sampierdarena. Il suono delle campane non si ode a 200 metri di distanza. Una persona sconosciuta mandò già lire 1000 per l'erezione di questa torre. Il parroco di Teglia venne già a presentare il voto della popolazione della nostra parrocchia per questa erezione Esso propone di formare tre comitati presieduti dai cappellani dei due oratorii e dal prete della Cappella Rolla, col fine di cogliere elemosine e dare principio ai lavori. Il Cav. Borgo è venuto a visitare e trovò che si può inalzare il campanile ove è posto l'attuale perchè le mura reggeranno il nuovo peso. Ha già dato l'incarico a suo genero di fare il disegno.
DON BOSCO dice a D. Belmonte: - Va pure avanti. Ora abbiamo per le mani la lotteria di Roma, ma è cosa di pochi mesi e sarà presto finita. Coi premi avanzati faremo un'altra lotteria a Sampierdarena, mandando i biglietti ai cooperatori e alle cooperatrici. Abbiamo orinai già smerciato 200.000 biglietti ad una lira l'uno. Nessuno lo sa o ci bada. Finora questi non furono mandati che ai soli cooperatori. Ogni cosa si fece colla minima possibile pubblicità. La stessa Prefettura di Roma ci avvertì che procedessimo speditamente all'esposizione dei premi, essendo vicino il tempo dell'estrazione. Essa temeva che nullo restasse il guadagno per simile ritardo, e ci esortava a darci fretta. La risposta si fu che D. Bosco ringraziava e che avrebbe affrettato lo spaccio dei biglietti. Questi Signori non sanno che tutto è già fatto.
DON RUA opina che per il campanile sarà meglio ordinare i comitati. La lotteria potrà servire per altri fini.
DON BOSCO ed il Capitolo approvano questa osservazione e D. Bosco soggiunge: - Consiglio ad andare adagio nella costruzione [342] del campanile; si facciano le fondamenta, poi si aspetti qualche tempo a ripigliare i lavori, e quindi si prosegua a poco a poco.
IV. DON BELMONTE domanda che si nomini colui che deve fare l'ufficio di parroco, perchè la popolazione non sa a chi rivolgersi e si lamenta.
DON RUA osserva che D. Cerruti Ispettore della Liguria fece visita a quell'Arcivescovo per intendersi su questo punto.
DON BOSCO viene a dire per incidente: - Fin tanto che non è fatto lo stato delle anime, la parrocchia non è fondata. Bisogna andare a far visita in tutte là case anche Ebree e Protestanti. Costoro trattarli gentilmente, dire la propria qualità, aggiungere che non si viene per immischiarsi in cose di religione, ma solo per fare conoscenza ecc. ecc. Le famiglie cattoliche si interrogano: Avete ragazzi? Vengono in chiesa alla festa? Sono promossi alla comunione? Con ciò ecco dato il vero avviamento alla parrocchia.
DON RUA domanda se il parroco sarà amovibile o inamovibile.
DON BELMONTE - Il parroco sarà amovibile. Il Superiore darà al Vescovo il nome di coloro che successivamente destinerà a questo ufficio e se qualcuno di costoro non sembrerà adattato, il Vescovo lo farà sapere al Superiore perchè lo tolga.
DON BOSCO aggiunge: - Non importa qual titolo possa avere colui che sarà destinato alla cura di anime; ma sarà posto in ufficio non come parroco, ma come Economo spirituale. Stabilito il modo col quale costituire in ufficio questo sacerdote, si presenta al Vescovo, che lo riconosce e lo destina a suo rappresentante nella parrocchia; e quindi come rappresentante del Vescovo si fa riconoscere dall'autorità civile. A Roma, mi assicura D. Dalinazzo che i parroci sono ad annum e solo col titolo di curati; quindi i religiosi curati si posson togliere ogni volta che il Superiore stima bene. Il Vescovo perciò nominerà uno che faccia le veci di parroco e si studierà il titolo da dargli che non comprometta nessuno e 16 indichi come Vicario parrocchiale.
DON RUA espone che per questo ufficio pare che i voti di tutti cadano su D. Braga.
DON SALA chiede se ci sono redditi fissi.
DON BELMONTE risponde esservi una cedola data dalla Curia di 9oo lire di rendita e i diritti di stola. Ma da parte del governo c'è nulla, quindi con lui nulla abbiamo da fare.
DON RUA propone che si faccia firmare dalla Curia una carta che dichiari la nostra libertà nel togliere o mettere un sacerdote o un altro che avrà cura delle anime.
DON BELMONTE afferma che ciò appunto desidera fare la Curia di Genova, ma essa vorrebbe che colui che sarà destinato alla cura delle anime avesse un titolo come di Curato, o Vicario, perchè vorrebbe che il Governo lo approvasse e in certi atti fosse riconosciuta la sua firma. [343]
DON BOSCO conclude: - L'eletto sarà vero parroco, ma provvisorio in faccia alla Curia e Vicario in faccia al governo.
V. DON BELMONTE espone come il tetto della Chiesa sia da rifarsi e quindi doversi fare una spesa enorme.
DON BOSCO: - Si tenti di presentare una supplica al Municipio, al Governo, all'Opera Pia, al Regio Economato.
Come s'è visto, la posizione del parroco di fronte alla Congregazione formò oggetto di ripetuto esame. Il catalogo del 1885 reca il nome di Don Braga fra i capitolari della casa dopo il consigliere scolastico, col titolo di “consigliere e parroco ”.
A Varazze da qualche tempo elementi anticlericali istigavano le autorità di Genova contro il collegio. L'edifizio apparteneva al municipio, che ne propose a Don Bosco la compera, ma domandava ottantamila lire, mentre una perizia lo valutava a ventotto mila Le condizioni imposte erano quattro: I° Don Bosco sborsasse quarantamila lire; 2° cedesse gratuitamente al municipio il primo e il secondo piano per le scuole comunali; 3° il locale servisse sempre per il convitto; 4° se Don Bosco ne volesse cambiare la destinazione, versasse altre quarantamila lire. Intanto il municipio non voleva più fare alcuna spesa di manutenzione, sebbene tetto, muri, scale fossero in pessimo stato.
Come si potevano prendere in considerazione pretese così esorbitanti, che sembravano escogitate per obbligare i Salesiani ad andarsene? Ecco la parola di Don Bosco: - Anzitutto si esamini se convenga a noi questo contratto dal lato materiale e dal lato morale, cioè dell'autorità governativa. Intanto si scriva all'agente in Voltri della Duchessa di Galliera per sapere a che punto sono le pratiche per aprire un collegio in quel paese. La risposta che egli ci farà, servirà di norma per regolarci col municipio di Varazze. Viste le riparazioni da farsi all'edifizio del collegio, viste le minacce dell'autorità scolastica di chiudere le nostre scuole elementari e provvedere d'ufficio maestri patentati, vista la mancanza di personale, sarebbe certo cosa conveniente ritirarci. A vero che bisognerebbe aver [344] dato il diffidamento due anni fa; ma considerando i gravi bisogni di riparazione visibili nella fabbrica, considerando che il municipio non provvede e che noi non siamo obbligati a fare queste spese nè a rimanere schiacciati sotto i tetti, pare che nessuno potrebbe contestare il nostro diffidamento. Tuttavia Don Durando e Don Cerruti vadano a Varazze, esaminino lo stato delle cose e propongano al municipio che, non volendosi da esso fare le riparazioni necessarie al collegio, o sì venda il collegio al prezzo dì perizia o noi saremo costretti a ritirarci. I delegati abbiano solo l'incarico ad referendum; il Capitolo deciderà. Così rimase stabilito.
Il municipio, che alle replicate istanze per le riparazioni non si era mai degnato di rispondere, quando vide giungere quell'intimazione: in forma legale, si scosse. Il sindaco veramente era ottima persona, ma debole e raggirato; però di fronte alla popolazione che amava molto i Salesiani, non volle tirarsi addosso l'odiosità della loro partenza. Udita la sua relazione, il consiglio ordinò i restauri dalle fondamenta al tetto; così furono evitate misure estreme[198].
Sulla casa di Vallecrosia dopo le recenti costruzioni gravavano molte passività. Don Bosco risolse di ricorrere al suo mezzo consueto, a una lotteria di beneficenza. Radunato un migliaio di premi, chiese al sottoprefetto di Ventimiglia l'autorizzazione; ma la risposta fu negativa. Spedì allora una supplica al prefetto di Portomaurizio[199]; nel medesimo tempo pregò l'onorevole Biancheri, deputato del collegio, che si compiacesse di raccomandare la sua domanda. Il deputato fece la parte sua, ma senza pro, ostando il decreto del 1881, che, come dicemmo per Roma, non permetteva lotterie se non promosse e dirette da enti legalmente istituiti. Non essendosi potuto trovare alcun utile ripiego, altro non restò che mettere in vendita gli oggetti raccolti.
Chiuderemo a Torino questa nostra peregrinazione giù e [345] su per l'Italia. Qui il fatto più saliente fu il trasferimento dei Figli di Maria da Mathi all'ospizio eretto presso la chiesa di S. Giovanni Evangelista. Troppe domande bisognava respingere a Mathi per la ristrettezza del locale; donde la necessità o di fabbricare o di trasmigrare, Parve migliore il secondo partito. A novembre tutto era pronto nel nuovo edifizio per accogliere i suoi abitatori. Lungo il viale del Re non sorgevano ancora all'ombra dei platani i palazzi venuti da poi a formare il corso Vittorio Emanuele II; per il che acquistavano maggior risalto la chiesa e la casa di S. Giovanni, formanti un insieme edilizio di elegante aspetto. Un giorno il Re Umberto I, passandovi dinanzi nell'andare all'Esposizione, ammirò quella novità e voltosi al sindaco: - Di chi è questa casa? gli domandò.
- É uno degli ospizi di Don Bosco, rispose il conte dì Sambuy.
- Don Bosco! esclamò il Sovrano. Tutti ne parlano e io non ho mai potuto vederlo.
L'ambiente sembrava fin troppo sontuoso per la qualità degli ospiti, ai quali parve di passare da una rustica dimora a una reggia. Della loro presenza si avvantaggiarono la bella chiesa per il servizio del culto e l'oratorio festivo per l'assistenza dei ragazzi e il catechismo. Don Bosco poi godeva di aver vicina un'opera, che tanto gli era costata e da cui tanto si riprometteva; onde nel primo anno scolastico vi sì recava con certa frequenza, osservando come s'incamminassero le cose e scendendo talora anche a visitare la cucina: quando poi per un tempo notevole non poteva andarvi, mandava a chiamare il direttore Don Filippo Rinaldi sia per essere informato di tutto sia per dargli norme.
Una di queste norme fu che ogni mercoledì o giovedì il Direttore tenesse ai Figli dì Maria una conferenza familiare, insegnando loro, per esempio, a fare la dottrina e in generale supplendo a quanto non poteva dire nelle prediche; parlasse insomma di tutto quello che crederebbe meglio, “Cosa da non [346] dimenticarsi, perchè sperimentata utilissima ”, nota Don Rinaldi in un suo piccolo promemoria.
Un'altra norma ivi segnata riguardava le accettazioni. Bisogna porre per principio, gli disse il Santo, che la pensione non costa nulla, quando si hanno buone informazioni. Si prenda quello che si può. - Nell'ottobre del 1885, essendo andato in famiglia il giovane Zanella, il prefetto gli scrisse di non tornare, se non pagava il suo debito. Egli scrisse a Don Bosco, il quale gli fece rispondere che a S. Giovanni Evangelista non si mandava mai via nessuno per la sola ragione che non si poteva pagare, Zanella ritornò, divenne chierico salesiano e, ottenuto di partire per l'America, vi lasciò ottimo ricordo del suo zelo.
Per Valdocco Don Bosco fece un acquisto da gran tempo desiderato. Spesse volte si era avvertita la convenienza di comprare il terreno che circondava la casa della signora Bellezza, attigua all'oratorio festivo[200]. Finchè visse la padrona, non fu possibile venire a trattative; morta lei, i figli pretendevano un prezzo esagerato. Don Bosco offriva settantamila lire; ma essi ne domandavano cento di più. Poi cominciarono a diminuire, finchè si fermarono a centoventicinquemila. A forza di premere, si accordarono sulle centomila rotonde, e Don Bosco ne fu contentissimo. C'era la casa, che poteva servire a diversi usi; ma soprattutto c'era l'area per un nuove cortile, resosi necessario alla ricreazione dell'oratorio festivo e rimaneva ancora un tratto per regolare lo spazio destinato agli artigiani. Quanto al danaro per il pagamento, abbiamo già veduto come lo cavasse d'imbarazzo la generosità del conte Colle[201]. Dopo siffatto accrescimento l'area dell'Oratorio che nel 1848 misurava appena 2219 metri quadrati, nel 1884 venne a essere di 52.035. Non si cesserà mai di benedire la previdenza di Don Bosco nell'arricchire come fece di terreno fabbricabile il suo Oratorio.
DA due estremità opposte dell'Europa pervennero inviti a Don Bosco nel 1884: dalla solitaria isola di Malta e dalla Russia sterminata. A Malta si voleva un collegio, in cui fossero accettati gratuitamente giovanetti per impartir loro l'insegnamento professionale. A questo scopo un ricco signore domandava un programma e manifestava il desiderio d'intavolare trattative. Don Bosco gli spedì la Breve notizia sulla fondazione dell'Oratorio di Torino[202], facendogli conoscere il suo buon volere. Le cose certamente si sarebbero conchiuse assai più presto, se non si fossero dovuti fare i conti col Governo inglese, geloso d'influenze italiane in quel suo possedimento; ma dopo lunghi e laboriosi scambi di vedute s'arrivò finalmente a un'intesa nel 1903 con l'istituto di S. Patrizio, fiorente di scuole primarie e di ben attrezzati laboratori.
Della possibilità di penetrare in Russia non era nemmeno da parlare. L'Opera Salesiana era nota nelle sfere governative e guardata di mal occhio. Disposizioni poliziesche vietavano l'ingresso del Bollettino nell'impero con l'ordine di sequestro alle frontiere. Don Pozzan ardì chiederne la ragione al Direttore generale delle Poste imperiali; si potè così sapere che tale ostracismo dipendeva dalle opinioni religiose del periodico. [348]
Anche la vendita e la distribuzione delle immagini di Maria Ausiliatrice erano severamente proibite in tutto il territorio russo. Eppure Bollettino e immagini passavano di contrabbando dalla Polonia Austriaca alla Polonia Russa con sì buon effetto, che i rubli mandati dai buoni Polacchi sostennero validamente in quell'anno critico le opere salesiane. Un giorno giunse una lettera non firmata, che racchiudeva alcuni rubli con questo solo scritto: “La Polonia ai piedi di Maria Ausiliatrice in Torino. Quando si spezzeranno le nostre catene? ”. Ma più mirabile parve il fatto di altre due lettere, una delle quali chiedeva per Pietroburgo, oggi Leningrado, un prete salesiano e Suore di Maria Ausiliatrice, e la seconda proponeva l'apertura di un ospizio salesiano in Odessa[203]. La Russia non doveva vedere i primi Salesiani, se non dopo la grande guerra, allorchè tre di essi fecero parte della missione pontificia incaricata di dar da mangiare colà agli affamati con i mezzi che la carità del Papa somministrava.
Nel Belgio il primo istituto salesiano, intitolato a S. Giovanni Berkmans, fu aperto a Liegi da Don Rua nel 1891; ma il suo promotore per arrivare alla meta svolse un'azione non mai interrotta, che ebbe principio otto anni avanti. In quella città dell'industria il Vescovo monsignor Vittore Giuseppe Doutreloux, bel nome nella storia della Chiesa belgica, anelava di dar vita a un'opera che fosse come l'Oratorio di Torino con il suo duplice obiettivo, di assicurare una cristiana educazione alla gioventù bisognosa mediante scuole professionali e di coltivare in scuole secondarie le vocazioni ecclesiastiche. Alla sua prima richiesta del 1883 fu risposto con buone intenzioni e a tempo indefinito; Don Bosco per altro, conscio del bene che la sua opera avrebbe potuto compiere in un ambiente di quella fatta, volle alimentare nel Vescovo la speranza, proponendogli un incontro a Nizza Mare, dov'egli pensava di recarsi verso la fine di settembre. Ma Monsignore, [349] per quanta brama ne avesse, non potè promettere di trovarsi all'appuntamento; si abboccarono invece l'anno dopo nell'Oratorio durante la novella di Maria Ausiliatrice. Monsignore, che era diretto a Roma, fece una fermata a Torino appositamente per conferire con il nostro Santo.
Ricevuto da Don Bosco con la sua rispettosa e affascinante cordialità, uscì dalla sua camera col cuore inondato di consolazione e ricolmo di affetto verso la sua persona, come appare dal seguito della corrispondenza epistolare. Prima di lasciare l'Oratorio, andò ancora una volta a piegare fervorosamente Maria Ausiliatrice, che prendesse nelle sue mani l'impresa. A Roma poi parlò di Don Bosco a Leone XIII, che si compiacque ricordare d'averlo veduto pochi giorni innanzi e disse al Vescovo di scrivergli che il Santo Padre, conoscendo assai bene la città di Liegi, l'aveva molto cara e desiderava vivamente di saperla dotata d'un orfanotrofio diretto dai Salesiani. Queste parole, proferite con energia, colpirono monsignor Doutreloux e lo persuasero di due cose, che rivolgendo a Don Bosco la sua supplica aveva secondato i disegni divini e che quindi i mezzi non sarebbero mancati. “Possa io, soggiungeva il Prelato, non rendermi indegno di tanto favore! ”.
Benchè provasse una santa impazienza di veder appagati i suoi voti, tuttavia, convinto che Don Bosco pure condivideva il suo sentimento, ma che non aveva ancora il personale voluto, non lo importunò con insistenze premature. Non perdette però mai di vista il suo ideale. Trascorsi due anni, nella novena di Maria Ausiliatrice del 1886 inviò al Santo l'avvocato Doreye, strenuo organizzatore delle opere cattoliche a Liegi. Quegli, che pure s'interessava della sospirata fondazione e desiderava di formarsi un concetto preciso dell'Opera di Don Bosco, visitò minutamente l'Oratorio.
Intanto il Vescovo non era rimasto inoperoso, ma teneva già pronto un ampio locale adibito a Patronage e circondato da un terreno libero, che avrebbe agevolato qualsiasi ingrandimento. Era inoltre sua persuasione che la diocesi avrebbe dato [350] in breve tempo a Don Bosco soggetti più numerosi di quelli che sarebbero da lui inviati a Liegi. Con tutto ciò, uomo di fede, riponeva la sua maggior fiducia nell'efficacia della preghiera. “Ah! scriveva a Don Bosco, si degni Ella di domandare a Maria. Ausiliatrice che Le dia lume sulle mie istanze, le quali io non dubito essere conformi ai voleri di Dio”[204].
Per il 1884 Don Bosco aveva promesso di aprire nel Portogallo a Oporto una casa di arti e mestieri sotto il titolo di S. Giuseppe[205], ed ora il conte Samodaes faceva presente la cosa, unendo alla sua lettera una commendatizia del Nunzio Apostolico monsignor Vincenzo, Vannutelli[206]; ma purtroppo bisognò ancora prendere tempo, perchè non si sapeva dove trovare i soggetti da mandare.
Anche da Lisbona a nome del cardinale Neto Patriarca il barone Gomez annunziava essere a disposizione di Don Bosco in quella capitale una discreta somma di danaro e un edifizio costruito già per uso di seminario. Non soddisfatto della risposta, il Cardinale stesso replicò il 29 settembre: “Voglia fare ancora uno sforzo per dare favorevole riscontro alla mia domanda. Forse il Signore nella sua misericordia per il Portogallo le somministrerà i mezzi che le mancavano e che forse le mancano tuttavia. Li cerchi, ne la prego; la sua carità, così benedetta dalla Provvidenza, faccia di scoprirli per destinarli al mio paese, i cui bisogni religiosi sono tanto grandi. La prego di mettere il Patriarcato di Lisbona nell'elenco dei paesi protetti da Maria Ausiliatrice. Oh! quanta necessità abbiamo di tale soccorso e delle sue preghiere per ottenerlo. Deh! Consacri Lei stesso a Maria Ausiliatrice questa diocesi, domandando a Dio la conversione e la riforma del suo clero ”, Un sì caldo appello dovette commuovere tanto più il cuore di Don Bosco, perchè non vedeva modo di rispondervi tanto presto nel senso da lui pure bramato. [351]
Nella vicina Spagna erano maturati gli eventi per una fondazione destinata a un grande avvenire; Don Bosco aveva predetto nel 1880 che una ricca signora un giorno, rimanendo vedova, inviterebbe i Salesiani a Barcellona per fondarvi una grande casa e così dar principio a tante altre fondazioni[207]. Orbene le due prime cose, la vedovanza cioè e l'invito, si verificarono nel 1882; la terza, ossia la fondazione, vi tenne dietro in tempo relativamente breve.
Viveva a Barcellona una signora fornita in copia di beni materiali, ma non meno ricca di cristiana carità: donna Dorotea Chopitea de Serra. Era figlia di un dovizioso spagnuolo domiciliato a Santiago nel Cile. Suo padre dopo la guerra dell'indipendenza, obbligato dai propri interessi a trasferirsi con tutta la famiglia nella Spagna, si stabilì a Barcellona. Qui nel 1832 la giovane Doretea andò sposa a Don Mariano Serra, reduce egli pure dal Cile. Dopo lunga convivenza, proprio nell'anno delle loro nozze d'oro, il marito morì. La vedova, sensibile com'era a stata sempre ai bisogni del prossimo e persuasa che allora urgesse soprattutto prendersi cura della gioventù povera, mossa anche dalla pia intenzione di suffragare l'anima del defunto consorte, deliberò d'impiegare largamente le sue sostanze in suscitare un'opera che rispondesse a quel suo intendimento. Per questo aveva in animo di acquistare una casa, mettervi a capo un degno sacerdote e cercare buoni operai, che insegnassero ivi un'arte a fanciulli popolani più necessitosi di assistenza.
Non volle però agire di propria testa, ma sì consigliò in proposito con un membro della sua stessa famiglia. Questi le pose sott'occhio le difficoltà di ben organizzare in quella forma la nobile impresa e specialmente di renderla duratura; le soggiunse poi d'aver letto, non ricordava più in quale periodico, che un sacerdote italiano aveva fondato con l'identico scopo una Congregazione religiosa. A donna Dorotea parve di toccare [352] il cielo col dito. Pregò caldamente il suo congiunto di cercarle subito quel periodico. Il periodico fu trovato, ed era il Bollettino Salesiano. Apprese così chi fosse Don Bosco e a che egli mirasse con la sua Opera, e come uno de' suoi figli, Don Branda, stesse già da circa due anni nella Spagna, a Utrera, chiamatovi dal marchese di Ulloa. Scrisse immediatamente a Siviglia per avere informazioni. Quindi, saputo che a Marsiglia esistevano laboratorii salesiani, senz'aspettare risposta scrisse anche là, perchè le dessero notizie intorno all'istituzione di Don Bosco. Ottenuto quanto desiderava, si rivolse a Don Branda, pregandolo di volerle indicare quali condizioni si richiedessero, affinchè si potesse fondare una casa salesiana a Barcellona. Sembrava che una forza misteriosa la incalzasse a far presto.
Don Branda si rammentò allora della predizione fatta a lui da Don Bosco e, rispondendo alla signora, gliela narrò; ma quanto alla fondazione le suggerì di trattare direttamente con Don Bosco. Fuori di sè dalla gioia nell'intendere che i suoi piani coincidevano per tal modo con i disegni della Provvidenza, donna Dorotea scrisse il 20 settembre 1882 al nostro Santo, manifestandogli la propria intenzione di contribuire a fondare nelle vicinanze di Barcellona una scuola professionale e di affidarla ai Salesiani. Don Bosco non le potè rispondere subito; ond'ella, quasi impaziente d'ogni indugio, tornò a scrivergli il 12 ottobre, proponendogli di mandare con sollecitudine a Barcellona un suo rappresentante, il quale venisse a trattare non solo con lei, ma anche con altre persone e particolarmente coi Vescovo; all'inviato ella avrebbe data l'ospitalità e rimborsate le spese di viaggio[208]. Don Bosco le fece rispondere che per la scarsezza del personale e il gran numero di nuove fondazioni non si poteva accogliere subito la domanda, ma che si sperava di farlo in un avvenire non lontano.
A tale risposta la gioia di donna Dorotea si convertì in [353] profonda tristezza; tuttavia non si diè per vinta, ma ricorse financo al Santo Padre. Don Bosco, arrendendosi, mandò nella capitale della Catalogna Don Cagliero e Don Albera con la missione di trattare e di conchiudere; il che fu cosa di breve ora. La munifica gentildonna comperò immediatamente per ventimila duros o scudi una tenuta presso Sarriá, non lungi da Barcellona; poi nella villa dei proprietari fece porre mano senz'altro ai lavori più indispensabili per trasformare l'edifizio in collegio. A dirigere questi lavori venne da Utrera Don Branda, che per un mese fu ospite della benefattrice. Tutto procedette ottimamente, sicchè ai 15 di febbraio del 1884 la casa era aperta, essendone Direttore lo stesso Don Branda. Come già l'Oratorio di Torino, così i Talleres salesiani di Sarriá apparvero negli inizi quale una miniatura appena di ciò che diventarono col tempo. Donna Dorotea fino al 1891, anno della sua santa morte, fu sempre la mamma affettuosa è generosa de' suoi cari Salesiani.
Allorchè Don Rua partecipò ufficialmente al Capitolo Superiore che la casa di Barcellona era aperta, s'interrogò Don Bosco se non fosse meglio eleggere per la Spagna un Ispettore a sè. Il Santo rispose: -Per ora si lascino le cose come sono. Di qui ad alcuni mesi vedremo il da farsi e chi eleggere. Le circostanze faranno prendere il partito conveniente. Intanto la Spagna continui a dipendere direttamente dal Capitolo Superiore. - Ma i pochi mesi diventarono parecchi anni, sebbene non molti; solo nel 1889 le case di Spagna ebbero il loro primo Ispettore nella persona di Don Filippo Rinaldi.
Due fondazioni ebbe la Francia nell'anno di cui parliamo, una a Lilla e l'altra a Parigi; vi è però anche memoria di varie proposte che diedero luogo a trattative senza esito positivo. Ad Antibo, città marittima nel circondario di Grasse, si offriva un terreno di diecimila metri quadrati con nessun onere. Don Bosco avrebbe voluto accettare, perchè la località si prestava ad accogliere giovani della Navarra e di Nizza nel [354] tempo delle vacanze, confratelli per gli esercizi spirituali e chierici studenti di filosofia; ma quattromila metri quadrati appartenevano ad una Società fondiaria di Cannes, che li cedeva in uso non oneroso, però con qualche condizione inceppate la libertà: onde non se ne fece nulla. A Gevigney, presso Besancon, si erano accettati in massima dal vecchio signor Villemont tutti i suoi fondi per organizzarvi una colonia agricola; ma non si riuscì mai a intendersi in modo da finirla con le pratiche e venire all'atto. Ne riparleremo verso la fine del volume. Un prete della diocesi di Angouléme, fondatore di un orfanotrofio che dava ricetto a un centinaio di giovani, essendo privo di personale sicuro, era disposto a consegnare tutto incondizionatamente ed a farsi egli stesso salesiano; ma richiedendosi subito un personale numeroso, Don Bosco consigliò al fondatore di continuare e di disporre poi delle cose sue per testamento. La signora Cambulat, residente a Lourdes, voleva donare a Don Bosco un suo castello poco lungi da Tolosa, affinchè egli ne disponesse a suo piacimento. Malata di cuore, aveva premura di conchiudere. Il Santo delegò Don Albera a visitare l'edifizio, autorizzandolo ad accettare senza impegno di sorta. Annunziandole la venuta del suo rappresentante, egli le diceva che si sarebbe accettato il castello per impiegarlo in ciò che potesse tornare a maggior gloria di Dio. Se non che consiglieri d'altro avviso le fecero mettere la condizione che quello dovesse diventare un istituto; quindi non se ne parlò più.
Sotto migliore stella si svolsero le trattative per Lilla. Ottimi cooperatori vi avevano preparato il terreno. L'andata di Don Bosco a Lilla nel 1883 servì mirabilmente ad accelerare le pratiche. I Salesiani erano attesi nell'orfanotrofio di S. Gabriele, che gli aveva dato ospitalità. Ideato nel 1871 e aperto nel 1874, il pio istituto porgeva asilo a orfani della guerra francoprussiana; lo dirigevano le Suore della Carità. I ricoverati, accolti piccini, avevano ormai passati i quindici anni, nè si potevano più lasciare sotto quelle religiose. Ecco perchè vi si [355] chiamavano i figli di Don Bosco per farne una casa di arti e mestieri.
L'accettazione formale fu fatta dal Capitolo Superiore il 16 gennaio 1884; ma l'apertura si dovette procrastinare alquanto per finir di regolare la proprietà mediante una società civile composta di francesi e d'italiani, parte confratelli e parte estranei alla Congregazione[209]. Chi più di tutti contribuì alla nuova fondazione fu il signore di Montigny, zelantissimo cooperatore salesiano[210].
La scelta del Direttore cadde su Don Giuseppe Bologna. Don Bosco lo raccomandò al signor Filippo Vaud, ricchissimo industriale ed esemplare cristiano, che egli chiama suo grande amico[211]; scrisse pure a monsignor du Quesnay, arcivescovo di Cambrai e ordinario allora di Lilla, per chiedergli le debite autorizzazioni. Il Direttore prese possesso dell'Orfanotrofio il 29 gennaio. Le Suore non potevano mostrarsi più premurose nel dargli tutte le informazioni richieste e nel prestarsi a tutte le esigenze per la trasmissione dei loro poteri. L'Arcivescovo poi usò al figlio di Don Bosco ogni più affettuosa cortesia[212]. La pena maggiore per Don Bologna era vedere i giovani andare in officine della città ad apprendere il mestiere, mancando laboratorii interni; onde si prefisse di non perdonarla a sacrifizi fino a tanto che la casa di Lilla non potesse in tutto e per tutto star a paro con quelle di Nizza e di Marsiglia.
Non si creda che sia stato facile imporre a quei giovani il nuovo ordine di cose. Ci vollero sei mesi di pazienza per cominciare a cattivarseli e per avvezzarli un poco al nostro regolamento; non già che fossero scapestrati, ma dimostravano un carattere diffidente e freddo. Giovò alquanto a indocilirli il ricordar loro Don Bosco, la cui presenza li aveva talmente impressionati che desideravano di rivederlo. Giovò pure la [356] musica strumentale, a cui si dedicarono con buona volontà e profitto. Giovarono infine le prime festicciuole domestiche. Per la solennità dell'Assunta, dovendo otto giovanetti fare la prima comunione, il Direttore colse quell'opportunità per far fare a tutti tre giorni di esercizi spirituali. In mancanza di predicatoti Salesiani furono invitati due Gesuiti. Era una novità che diede buoni frutti. Queste e altre industrie servirono a stabilir bene la casa nel santo timore di Dio.
Due difficoltà però mantenevano negli imbrogli Don Bologna: l'esiguità del personale e la ristrettezza del locale. In una casa non inferiore a quella di Marsiglia per molteplicità di uffizi, non c'erano che un prete, tre chierici e un coadiutore; dentro poi non si sapeva da che parte voltarsi, standovisi stipati come acciughe Nonostante tutto, più nessuno in agosto lavorava fuori: Don Bologna aveva messo su alla meglio laboratorii di sarti, calzolai, falegnami, legatori, stampatori, litografi, fabbri ferrai. Fu un vero tour de force Salesiano in sì ristretto limite di spazio e di tempo[213].
La necessità di ampliare s'imponeva: non mancava l'area, mancavano i mezzi. “I Lilliesi non sono i Marsigliesi, scriveva il Direttore; non si muovono. Ci dicono esservi nulla da fare, che le genti di questo paese hanno bisogno di vedere prima di decidere se debbono aiutarci ”. Videro pertanto che si faceva e aiutarono. Per stimolare ancor più la pubblica beneficenza egli trapiantò a Lilla il comitato delle signore, già ammirato da lui a Marsiglia, dettando loro un regolamento molto semplice e pratico, riveduto e approvato da Don Bosco[214], il quale spedì alle singole il diploma di cooperatrice e il Bollettino. La casa crebbe, dilatò la sua sfera d'influenza e divenne una delle migliori istituzioni cittadine.
Il buon andamento della casa di S. Gabriele ispirò nel primo anno un nobile discorso dinanzi a un pubblico assai ragguardevole. Nel novembre del 1884 si teneva a Lilla un Congresso [357] dei Cattolici francesi del Nord e del Pas-de-Calais sotto la presidenza di monsignor Langénieux, arcivescovo di Reims, assistito dai Vescovi della provincia ecclesiastica di Cambrai. Là il signor Houzé dell'Aulnoit propose che si facesse largamente conoscere la superiorità del metodo usato da Don Bosco ne' suoi istituti educativi. Fatta quindi la storia dell'opera salesiana di Lilla, descrisse gli sviluppi dell'istituzione del nostro Santo e ne rilevò il peculiare carattere, invitando, finalmente i Congressisti a confortare del loro incoraggiamento il rinnovellato orfanotrofio di S. Gabriele. “La città di Lilla, conchiuse l'oratore, faceva assegnamento sul concorso del Governo per fondare una scuola di arti e mestieri. Questo concorso le mancò; ma la Santa Vergine non abbandona le opere poste sotto il suo patrocinio. I Cattolici del paese non perdano mai di vista che l'istruzione cattolica della gioventù è la salvezza della società; facciano dunque godere a tanti orfanelli oggi abbandonati, i benefici di un'educazione cristiana e preparino alle nostre industrie capi abili e credenti in Dio, la cui sola presenza nei nostri opifici segni l'aurora di una prossima rinnovazione sociale. Perciò noi -abbiamo l'onore di sottoporre ai suffragi del Congresso dei Cattolici del Nord e del Pas-de-Calais riuniti a Lilla il voto che l'orfanotrofio di San Gabriele a Lilla, diretto dai sacerdoti salesiani di Don Bosco, sia protetto e incoraggiato con tutti i mezzi possibili ”. Questo voto fu approvato ad unanimità.
Ed ora avviciniamoci a Parigi. Il viaggio trionfale del 1883 aveva suscitate speranze sicure in un prossimo invio di Salesiani nella capitale francese. Dal pulpito di S. Agostino Don Bosco aveva detto: - Non ci sarà modo di fondare a Parigi un istituto come quelli di Marsiglia, di Nizza e di Torino? Io credo che una casa di questo genere sarebbe qui necessarissima e che bisogni aprirla. - Le sue parole non risonarono al deserto. S'incaricò spontaneamente il signor di Franqueville della ricerca d'un locale per un ospizio salesiano. Mentre però il cooperatore parigino cercava in città, giunsero a Torino [358] due proposte per i dintorni. Riguardavano l'apertura di una casa fra Saint-Ouen e Saint-Denis e di un'altra a Chátillon; per quest'ultima l'offerta veniva dalla pia contessa Stacpoole, domiciliata a Roma nella villa Lante. Trattandosi di donazioni, Don Bosco dichiarò di accettarle entrambe, Nel primo luogo egli credeva di poter collocare i figli di Maria; ma poi si vide che il sito era malsano. Per il secondo nacquero contestazioni da parte di una locataria, che vi teneva un convitto femminile e minacciava il finimondo; perciò la pratica fu sospesa e infine abbandonata. La Provvidenza conduceva Don Bosco entro le mura della grande metropoli e in una parte dove l'opera salesiana si sarebbe trovata nel suo elemento.
Il nido era già bell'e preparato. Nel quartiere operaio di Ménilmontant, pochi anni prima focolare di passioni antireligiose al tempo della Comune, esisteva un Patronage fondato nel 1878 dall'abate Pisani, dedicato a S. Pietro e posseduto da una società civile, di cui egli era il capo. L'oratorio fiorì fino al 1884, quando la nomina del fondatore a segretario di monsignor d'Hulst, Rettore dell'Istituto Cattolico parigino, minacciò di metterne a repentaglio l'esistenza. Non avendo chi lo sostituisse e piangendogli il cuore di vedere annientato il frutto di tanti sacrifizi, fu ben lieto d'intendersi col signor di Franqueville per vendere a Don Bosco edifizio e terreno. S'andò a tamburo battente. La casa con tutta la mobilia si valutò a 175.000 franchi; nel momento del contratto bisognava fare un primo versamento di 55.000. Trentamila franchi stavano già nelle mani del rappresentante di Don Bosco, raccolti appunto per comperare in Parigi una casa da darsi ai Salesiani. Gli altri versamenti si sarebbero fatti a rate con lungo respiro e con l'interesse del tre per cento. Le cartelle eran nominative e si trovavano presso l'abate Pisani, che le avrebbe intitolate al portatore e consegnate a chi rappresenterebbe i Salesiani, di mano in mano che si versassero le somme, sicchè, effettuato il versamento intero, tutte le azioni sarebbero in potere di detto rappresentante. [359]
Si richiedeva preliminarmente che Don Bosco rimettesse all'abate Pisani un suo scritto in forma privata, obbligandosi a fare acquisto di tutte le azioni; contemporaneamente l'abate rimetterebbe a Don Bosco uno scritto suo, obbligandosi a consegnargli tutte le azioni, cedergli il locale e metternelo in possesso avanti che il pagamento tosse fatto per intero.
Conveniva però che un delegato del Capitolo Superiore si recasse a Parigi per abboccarsi con il signor di Franqueville e con l'abate Pisani e per osservare quali vicinati avesse la casa e altre particolarità. Trattandosi di ciò, Don Bosco parlò così[215]: - Don Albera vada a Parigi e discorra con il signor di Franqueville e con l'abate Pisani, esamini il luogo, verifichi se ci siano ipoteche, se i dintorni sono sani, se corre voce di qualche fallimento, quale sia la fama dello stabilimento e simili. Per queste informazioni si rivolga anche al vicario d'Hulst, che ha moltissime relazioni e mezzi. Quando io fui a Parigi, egli mi offerse cinquecentomila franchi per fondare un istituto di fanciulle, che però non credetti bene di accettare. Don Albera faccia visita all'Arcivescovo e al coadiutore Richard, che ci è tanto benevolo e ci desidera. Il Vicario generale è entusiasta di Don Bosco. Il cardinale Guibert però esita a chiamarci a Parigi, perchè teme che noi saremo tribolati, mettendoci in pubblico; perciò Don Albera gliene parli solamente a cosa fatta. Bisogna comperare questa casa in vista della benevolenza che la città di Parigi dimostrò per Don Bosco.
Don Albera, occupato negli esercizi spirituali dei Confratelli, non potè andare a Parigi; vi andarono invece Don Durando e Don De Barruel, che adempierono bene la loro missione. Trovarono fra l'altro che il parroco del luogo era contrarissimo. Il Cardinale da loro visitato, raccomandava grande prudenza, consigliava di andar adagio nelle spese e insistette [360] sulla necessità di aprire bene gli occhi nell'accettazione di francesi per la Pia Società, perchè si correva pericolo d'incontrare truffatori, gente senza buon nome, facilmente ipocriti, conoscibili troppo tardi, quando sarebbe impossibile rimediar al male da loro fatto. Parecchi buoni secolari che accorrevano prima per assistere i giovani e per fare il catechismo, allora si offrivano a continuare. La casa non aveva alcuna soggezione, ma ne aveva il giardino da certe casette, che si sarebbero potute facilmente comprare. Il podere si trovava in collina e sanissimo era il luogo. Non c'erano oneri di nessuna specie. Tutti gli amici esortavano a comprare, dicendo essere un ottimo contratto, ma che bisognava far presto, affinchè divulgandosi la notizia, non sorgessero concorrenti. Il Capitolo, udita la relazione[216], deliberò di venire subito all'atto con le modalità che abbiamo dette di sopra.
All'abate Pisani premeva che si mandasse il personale non più tardi dell'Immacolata. Don Bosco la sera del 5 dicembre disse in Capitolo: - Io mi trovo fra due morse che mi stringono. Da una parte la scarsezza di personale e dall'altra il partito favorevole da non lasciarsi sfuggire. Bisogna anche notare che tante elemosine fatteci a Parigi nel 1883 furono date principalmente in vista della casa da erigersi in quella capitale. Oggi l'entusiasmo per Don Bosco vi è alquanto assopito, ma sarà cosa facile il ridestarlo. L'anno veli turo il personale salesiano in Francia sarà raddoppiato con i novizi della Provvidenza e speriamo di rifornire le case francesi con nuovi campioni.
Per l'Immacolata non fu possibile contentare l'abate Pisani; solo verso la fine di dicembre Don Bosco mandò a Parigi Don Albera per firmare il contratto e presentare il Direttore Don Bellamy[217]. Le accoglienze furono da ogni parte assai liete[218]. Dovette essere indirizzata a monsignor d'Hulst, vicario [361] generale e grande amico dell'abate Pisani, questa lettera di ringraziamento, la cui minuta è senza il nome.
Illustrissimo e Rev.mo Monsignore,
La bontà con cui V. S. trattò coi Salesiani specialmente nella fondazione di un Patronage a Parigi merita certamente tutta la nostra riconoscenza. Io vorrei sapere come darle un segno della nostra comune gratitudine, ma non so come fare.
L'unica cosa che posso e che fo ben di cuore si è offerire a V. S. Rev.ma la nostra servitù, e pregarla di voler considerare le case salesiane come totalmente sue. Quando poi viene a Torino si compiaccia di onorarci di sua presenza e dimorare con noi il maggior tempo possibile.
Pertanto la prego di continuare la sua efficace protezione alla casa testè aperta in Parigi, e di giovarla con quei consigli e con quei mezzi che nella sua illuminata saviezza giudicherà opportuni alla maggior gloria di Dio e salvezza delle anime.
Il Signore la conservi in buona salute, affinchè possa continuare le sue opere di carità, e raccomandandoci tutti alle valide e sante di Lei preghiere, ho la consolazione di potermi professare con profonda gratitudine.
In casa prestarono subito un prezioso aiuto alcuni studenti superiori, che andavano sempre a passarvi la sera fra i ragazzi, cooperando nelle scuole e nei catechismi[219]. Un abate Hugot, che già vi dimorava, continuò a rimanervi e a lavorare per qualche mese, finchè, incaricato di una parrocchia, lasciò la casa. Per i mezzi di sussistenza il signor di Franqueville si fece collettore di danaro, che veniva in misura sufficiente. Don Bosco aveva detto: - La carità a Parigi non mancherà. In un mese da sole dieci persone si potrà ricevere moltissimo. Tanti signori hanno promesso di soccorrere, quando siasi aperta la casa e daranno certamente con generosità. [362]
La sua previsione non andò interamente fallita, almeno sul principio; al che contribuì la seguente circolare da lui inviata ai benefattori e cooperatori più in vista.
Benemeriti signori Cooperatori e signore Cooperatrici di Parigi,
Corre il secondo armo dacchè ho avuto la grande consolazione di trovarmi tra mezzo a voi, o caritatevoli Cooperatori e Cooperatrici.
In quella memoranda occasione mi sono profondamente convinto che tra voi fiorisce lo spirito di religione, di carità e di generosità ed ebbi a ringraziarne il Signore. In quei giorni ognuno di voi palesava vivo desiderio che D. Bosco fondasse una casa in Parigi, la quale avesse per iscopo di raccogliere i fanciulli dalle vie e dalle piazze, a fine d'istruirli, educarli e farne così dei buoni cristiani ed onesti cittadini.
Il vostro desiderio fu esaudito, ed oggi la cosa è un fatto compiuto. La casa sotto il nome di Patronato di S. Pietro venne testè aperta a Ménilmontant in via Boyer N. 28.
Per ora ci siamo limitati ad un Patronato Domenicale ed al ricovero di alcuni giovanetti de' più poveri ed abbandonati. Ma coll'aiuto del buon Dio e coll'appoggio della vostra carità spero che potremo aumentare il numero degli allievi, e giovare in più vasta proporzione alla cara gioventù di codesta grandiosa capitale.
Una discreta abitazione con devota Cappella, un locale per le scuole, un cortile per la ricreazione sono già comperati; ma in parte notabile sono ancora da pagare. Oltre a ciò vi è l'opera da sostenere e rassodare. Ed ecco un campo aperto alla vostra carità. Voi lo sapete, le mie ricchezze e la mia fortuna, o per meglio dire, il principio e la continuazione delle opere mie a vantaggio della povera gioventù sono appoggiate sulla vostra bontà, sull'aiuto che voi mi porgete. Del mio altro non ho che la buona volontà di fare del bene ai poveri giovanetti, che furono e saranno sempre delizia del mio cuore, altro non ho che l'opera personale di quei sacerdoti, che allo stesso scopo consacrano la loro vita. Il resto sta nelle vostre mani.
Qui lo non propongo annualità; e ciascuno di voi è libero di fare quell'offerta, che la bontà del cuore gli ispira, e come e quando può.
Il Sacerdote Luigi Bellamy, Direttore del Patronato, è incaricato di ricevere le offerte, che voi avrete la bontà di fare a vantaggio dell'opera accennata.
Conoscendo per prova l'ardore, col quale i figli della Francia corrono in aiuto dell'opere buone, io non aggiungo di più per animare il vostro zelo. Dico solo che dopo Dio io affido a voi la mia prima casa di Parigi, e vivo tranquillo che la mia speranza non andrà delusa.
Dal canto mio vi assicuro che ogni giorno pregherò e farò pregare [363] i nostri giovanetti all'altare di Maria Ausiliatrice, affinchè Ella sotto il suo manto materno raccolga voi tutti e le vostre famiglie, vi protegga e benedica nel corpo e nell'anima in questa vita, e vi ottenga infine dal Divino suo Figlio Gesù la grazia di andate a ricevere a suo tempo in cielo il premio della vostra carità.
Colla più profonda gratitudine ho l'alto onore di professarmi di voi Sig.ri Cooperatori e S.re Cooperatrici.
Obbl.mo Servitore[220].
Un tratto notevole della Provvidenza erasi manifestato nell'imminenza di dover firmare il contratto. Il signor di Franqueville era depositario di trentamila franchi; ma ne occorrevano altri quarantamila e senza dilazione. Don Rua nè aveva nè sperava di presto avere che mandare; onde scrisse al di Franqueville narrandogli l'imbarazzo e pregandolo d'indurre l'abate Pisani a pazientare ancora un poco. Finita appena la lettera, ecco giungere da Roma una raccomandata. La apre e legge: la signora Stacpoole diceva di avere pronte lire quarantamila per la casa di Parigi e domandava presso chi le dovesse depositare il suo agente di là. Don Rua commosso le rispose di farle consegnare subito al di Franqueville.
Quel pied-à-terre a Parigi fu provvidenziale per lo sviluppo della Congregazione in Francia e nei dominii francesi; poichè l'opera, cominciata dal poco, s'ingigantì tanto che non solo ispirò fiducia nei benefattori, ma diede della Congregazione tutta e della sua efficacia sociale un'alta idea. Il Patronage di Ménilmontant, travolto nella generale rovina per effetto delle [364] leggi persecutrici, risorse e rivive in altra sede, grazie specialmente al buon volere degli ex-allievi.
Il 12 novembre Don Bosco, discorrendo con Don Lemoyne e Don Bonetti, parlò del glorioso avvenire che attendeva la Congregazione, e fece un'osservazione importante sugli oratorii festivi. Le sue parole stanno bene qui a conclusione di questi due ultimi capi: - Veggo sempre più, disse, quale glorioso avvenire è preparato alla nostra Congregazione, quanto essa sia destinata a propagarsi e il gran bene che farà. Nonostante i presenti dispiaceri, i tradimenti, le defezioni essa è destinata a grandi cose. Quando le cose pubbliche avranno un po' di quiete, allora Uruguay, Argentina, Patagonia saranno un campo magnifico per noi. Ma si tenga per base che il nostro scopo principale sono gli oratorii festivi. Fintanto che ci atterremo ai giovani poveri e abbandonati, nessuno avrà invidia di noi. Da questi oratorii si formeranno preti che saran modelli degli altri e saranno ben visti anche dai nemici dei preti e troveranno buona accoglienza dappertutto. Saranno disinvolti e conoscitori del mondo. Intendo che si procuri di mettere negli oratorii festivi Direttori, che non abbiano ingerenze nei collegi. Quale frutto di anime si ricaverà![221].
LA Congregazione non si era dato ancora uno stemma ufficiale, come fu costume di tutte le famiglie religiose; per uso di sigillo s'imprimeva la figura di S. Francesco di Sales circondata da scritta latina che designava la Pia Società Salesiana. Soltanto il 12 settembre 1884 Don Sala presentò al Capitolo Superiore l'abbozzo dell'impresa salesiana, indottovi dall'opportunità di fissarla sulla chiesa del Sacro Cuore fra quelle di Pio IX e di Leone XIII. L'aveva disegnata il professor Boidi. Era uno scudo con una grande ancora nel mezzo; a destra di questa il busto di S. Francesco di Sales, a sinistra un cuore infiammato, sull'alto una stella raggiante a sei punte; sotto, un bosco, dietro cui alte montagne; da basso due rami, uno di palma e l'altro d'alloro, intrecciati nei gambi, abbracciavano lo scudo fino metà. Nella parte inferiore usciva una fascia svolazzante e recante il motto: Sinite parvulos venire ad me.
Si osservò che tale motto era stato già preso da altri. Don Barberis propose di mutarlo in Temperanza e Lavoro, suggeritogli dal sogno di Don Bosco, nel quale questo binomio è dato appunto come stemma ossia distintivo della Congregazione. Don Durando avrebbe preferito Maria Auxilium Christianorum, ora pro nobis. Don Bosco risolse la quistione dicendo: - Un motto fu già adottato fino dai primordi dell'Oratorio, [366] ai tempi del Convitto, quando io andava alle prigioni: Da mihi animas, cetera tolle. - Il Capitolo acclamò Don Bosco e accettò lo storico motto.
Al Santo non piacque la stella che sormontava lo scudo, perchè gli sembrava che sapesse alquanto di emblema massonico e vi fece sostituire la croce raggiante. La stella venne poi introdotta a sinistra, al disopra del cuore. In tal modo restarono ravvicinati i tre simboli delle virtù teologali.
Il motto prescelto, come i più antichi alunni dell'Oratorio, fra cui il canonico Ballesio e il cardinale Cagliero, deposero nei processi, si vedeva ab antico, quand'essi erano ancora piccoli, scritto a grossi caratteri sulla porta della stanzetta di Don Bosco. Non si poteva meglio esprimere quello che fu l'obiettivo supremo del Santo nell'agire e nel soffrire, nello scrivere e nel parlare, obiettivo che doveva formare il programma essenziale della Società da lui fondata. Che il bene delle anime sia stato sempre la sua massima preoccupazione, si scorge abbastanza leggendone la vita; il medesimo si potrà pur ravvisare in questo capo, dove ci prefiggiamo d'incastonare preziose parole da lui pronunziate in adunanze capitolari o in familiari conversazioni o nel narrare alcuni de' suoi sogni.
Udiamo prima certe sue direttive in fatto di vocazioni da coltivare, da esaminare o da sostenere.
Nell'Oratorio o nei collegi s'incontravano giovanetti di buone speranze, ma poco forniti di mezzi, sicchè stentavano a pagare la loro modesta pensione, o avevano difficoltà per le provviste. Don Bosco disse il A luglio in Capitolo: -Quando vi è qualche giovane che dia speranza di riuscire buon Salesiano, possa o non possa pagare la pensione, non si guardi a spese. Provveda la casa. Io sono certo che il Signore ci verrà in aiuto con mezzi straordinari ed inattesi, quando si faccia ogni sforzo per avere vocazioni. Non guardiamo perciò a spese. Questo serva anche di regola per gli altri nostri collegi. Se in un giovane c'è speranza di riuscita e i parenti non possono [367] pagare, se fanno difficoltà, se si lamentano coi Superiori di essere in strettezze e di non poter pagare le provviste necessarie, allora in vista della buona condotta del giovane si accordi pure il condono di un mese, di un trimestre; ma vi sia sempre la speranza di qualche probabile vocazione. Ogni giorno le vocazioni vanno diminuendo. Con il medesimo zelo s'impedisca che percorrano la carriera ecclesiastica coloro che non sono chiamati e gli indegni. Questo si faccia con la massima prudenza. Non si accettino mai in prova quelli che prima non han fatto buona riuscita.
Più volte prese la parola trattandosi di accettare aspiranti per il noviziato. Un chierico di vent'anni compiuti proveniente dal seminario d'Ivrea, dopo alcune settimane di permanenza a S. Benigno, chiedeva di essere ammesso fra gli ascritti. Don Bosco disse: - Essendo egli con noi soltanto da un mese e non avendolo noi ancora potuto conoscere, si accetti come aspirante. Se persiste e se corrisponde come si deve, all'Immacolata potrà essere ascritto.
Un altro chierico del medesimo seminario, di famiglia religiosa e ricca, non portava come il precedente la licenza e l'attestato del Vescovo, ma una semplice sua dichiarazione, in cui si diceva che egli non poteva più rientrare in seminario per causa degli studi. Il documento sollevò qualche dubbio, tanto più che il postulante a S. Benigno non aveva fatto guari bene gli esercizi spirituali, chiacchierando in chiesa col vicino. Don Bosco ragionò così: - Di regola ordinaria non si deve mai transigere con la moralità. Qualora la moralità sia dubbia, è meglio non accettare che introdurre in casa un individuo dubbiamente immorale. In quanto alla dissipazione, alla poca educazione, al poco studio si può transigere. Punto cardinale la moralità. L'esperienza ci mostra che un segno dell'immoralità è il fuggire i Superiori.
Un terzo chierico, venuto dal seminario di Milano, era stato sempre desideroso di entrare in una Congregazione religiosa e affermava di aver trovato nella Pia Società il suo nido. [368]
Il Santo consigliò di trattarlo con un po' di riguardo, prenderlo secondo lo spirito di S. Francesco di Sales, parlargli della bellezza di una Congregazione in genere e del favore che fa il Signore ad un individuo con la vocazione.
Un giovane dell'Oratorio aveva conseguito la licenza ginnasiale, ma non dava indizi sicuri di vocazione. Don Bosco osservò: - Ho parlato al giovane stesso ed è pienamente d'accordo di non indossare quest'anno l'abito ecclesiastico. Mi protestò di essere pronto a prendere la scopa, piuttosto che uscire dalle nostre case. Si potrebbe mettere con gli artigiani e di questo pure ho parlato con lui. Per ora si occupi esemplarmente in tipografia, nel Bollettino o in qualche altro ufficio della casa. Se continuerà a condurre una vita esemplare, sarà accettato; se desse causa a lagnanze, sia messo subito in libertà. Se, mantenendosi buono, si deciderà per lo stato ecclesiastico, allora gli sarà fatta la proposta di entrare nella Congregazione.
Furono accettati due giovani che avevano fatto la quinta ginnasiale a Varazze, e tre che avevano fatto la quarta a Borgo S. Martino. Don Bosco, sapendo che alcuni di essi avrebbero incontrato forte opposizione da parte delle loro famiglie, diede questi suggerimenti: -Questi giovani siano istruiti sulle risposte da dare. Dicano con molta pacatezza: " Ho studiato molto la mia vocazione e mi sono persuaso che per essere felice ho bisogno di abbracciare una Congregazione. La Salesiana è quella che mi piace. Sento che la coscienza mi chiama qui e devo ubbidire alla mia coscienza, se non voglio essere vittima di rimorsi e fare una cattiva riuscita". Potranno anche parlare dei vantaggi spirituali o materiali, secondo le disposizioni d'animo dei parenti.
Da Borgo S. Martino chiedeva di essere accettato un giovane sui diciassette anni, che aveva fatto solamente la terza ginnasiale. Don Bosco al suo Direttore Don Bordone la presente domandò: - Costui come sta d'ingegno e di studio?
- Vi è speranza che possa andar a paro coi compagni che avrà nel corso di filosofia?
- Benchè a stento, pure studiando potrà riuscire.
- Si dica dunque al giovane che, se studia, potrà tirai si su; con questa frase gli s'infonderà coraggio.
Il giovane fratello di un prete salesiano pregava pure di essere accettato a S. Benigno come ascritto. Don Bosco però fece rilevare che sua madre era povera e che chiedeva continuamente sussidi. - Il figlio sacerdote, soggiunse, tiene le parti della madre. A noi tocca fare spese enormi per l'istruzione di quelli che si trovano nelle stesse condizioni e poi, quando sono preti, sembra ai parenti di aver essi il diritto di essere trattati da signori e di diventare realmente tali. Se si accettano giovani di questa fatta, bisogna che la casa li provveda di tutto e che s'impegni perfino di formare la loro vocazione. La famiglia pretende danaro e che le si paghino i fitti, vuole biglietti dell'Opera di S, Paolo, la dote per le sorelle e se vi sono altri figli, che siano ricevuti gratuitamente nei nostri collegi. In quanto a questo giovane, ho cercato di avvicinarlo, avrei desiderato prendermi cura speciale di lui, glielo dissi negli anni passati; ma non lo vidi quasi mai, perchè a me non si avvicinava. Quest'anno l'ho incontrato una volta sola e per azzardo sulle scale. Si metta dunque a un mestiere; quando avrà imparata l'arte, potrà sostenere sua madre. D'altra parte non diede indizi di vocazione allo stato ecclesiastico[222].
Una volta Don Barberis tornò a proporre l'accettazione di un aspirante, che era stato respinto in un'adunanza precedente. Don Bosco che lo conosceva e aveva esaminato seriamente il caso, disse: -Egli mi ha dato buone speranze e per questo fu mandato a Lanzo. Io aveva di lui un buon concetto, perchè frequentava regolarmente i santi sacramenti. Ora mi dicono che è un po' strano, Mi sembra però molto buono. Che cosa ne pensa il suo maestro? [370]
- È molto indietro nella classe e non troppo studioso, anzi per il suo modo di regolarsi sembra finto. Questo tuttavia non risulta dai fatti. Incanto ha compiuta la quarta ginnasiale.
- Si veda allora se non dà qualche speranza.
- In quanto ad abilità, non sarebbe da meno di vari altri accettali.
- Ebbene, gli si proponga di studiare in queste vacanze e di sostenere poi un esame sul principio dell'anno venturo da un professore che gli sarà assegnato. Si animi a sperare. Se supererà l'esame, sarà accettato[223].
Per l'ammissione degli ascritti alla professione occorsero tre casi, in cui Don Bosco manifestò il suo modo di vedere. Un ascritto proveniente da Alassio era stato respinto due volte dal capitolo della casa di S. Benigno con la motivazione che non aveva indole da riuscire un buon ecclesiastico. Don Bosco non si contentò di un giudizio così sommario, ma nella seduta del 6 settembre fece un'inchiesta minuta e istruttiva. - Andiamo adagio, disse, e con ponderazione nel prendere le determinazioni. Chiedo quindi: come si è regolato costui?
- É disobbedientissimo, rispose Don Barberis. Non prende mai in buona parte gli avvisi ed è pigro all'eccesso.
- Ebbe sempre amicizie particolari con quelli che erano più indietro di studio, benchè nulla consti di male.
- Poca. Ma ha una bella calligrafia e in grammatica se la cava sufficientemente.
- Quale opinione ha di lui il capitolo di S. Benigno?
- Gli ha dati pieni voti neri.
- Eppure a prima vista mi sembra accondiscendente e facile a udire gli avvisi. [371]
Ammetto che ha belle maniere; anzi protesta continuamente di essere sempre pronto a obbedire e prega che gli si diano avvisi; ma avvisato fa poi le sue difese con i compagni, è mormoratore, non ammette mai il suo tolto, è la disperazione degli assistenti.
Qui Don Durando informò che ad Alassio non lo volevano più assolutamente e che avevano rifiutate di accettarlo anche per pochi giorni in vacanza. Don Rua si disse persuaso che, se fosse accettato, sarebbe di peso alla Congregazione. Ma Don Bosco senza darsi per vinto: - Non si potrebbe, domandò, usufruire di lui come coadiutore?
- In quanto a maneggio di mondo, rispose Don Barberis, è disinvolto, e nelle cose materiali riesce.
- Si potrebbe metterlo in libreria?
- Non la credo cosa conveniente. In mezzo ai giovanetti potrebbe essere pericoloso. È molto debole in virtù e il suo passato non è rassicurante.
- E in quanto a fedeltà si può essere sicuri?
- Suo padre, notò Don Rua, lasciò ad Alassio un debito di oltre a seicento lire.
Don Barberis insistette che si venisse a una deliberazione, perchè già per la seconda volta il candidato era stato respinto dalla professione. Il Santo conchiuse: - Ebbene, gli si dica che Don Bosco ha pigliato le sue difese, ma che il Capitolo Superiore gli fu contrario, e che Don Bosco non può far prevalere il suo voto contro quello del Capitolo.
La sentenza del Capitolo fu che il giovane deponesse l'abito chiericale e che come coadiutore fosse per allora messo in tipografia[224].
Don Lemoyne intorno al verbale della discussione lasciò scritto a parte questo commento: “Si noti la minuta inquisizione [372] che Don Bosco fa stilla condotta di questo giovane. E fece sempre così per ciascuno di coloro che erano respinti dalla Congregazione. Voleva che ogni voto avesse fondamento sulle verità discusse e provate, e non su voci vaghe e sulla semplice opinione, fosse anche di una maggioranza. Con i suoi interrogatorii controllava i voti che pure parevano giustissimi. Con questo insegnava ai suoi figli il metodo prudente e spassionato da seguirsi in tali giudizi. Egli però assai volte si faceva l'avvocato difensore dei giovani e talora prima della votazione fu visto raccomandarsi ai membri del Capitolo, che vedeva tutti contrari al suo protetto, di non dargli voto sfavorevole ”.
Un'altra volta [225] si trattò della domanda dei voti presentata da un coadiutore di ventinove anni, che prima aveva contratto debiti non ancora pagati. Don Rua lo diceva buonissimo; Don Cagliero si appellava al Diritto Canonico, che interdice l'ingresso nelle Congregazioni religiose agli onerati da debiti. Don Bosco si espresse in questa forma: - Costui potrebbe essere ammesso ai voti in tre casi. I° Se i creditori condonassero il suo debito. 2° Se egli al suo debito soddisfacesse. 3° Se la Congregazione stessa pagasse. Ma egli non può, i creditori non vogliono, la casa non è obbligata. Però considerando che è buono e che non può pagare, potrebbe il giovane chiedere ai creditori il condono di una parte, la casa pagherebbe l'altra parte, e i creditori farebbero la ricevuta del totale. Ciò fatto, si potrebbe ammetterlo ai voti. - Il Capitolo deliberò in questo senso.
Qui Don Bosco fece la seguente dichiarazione: - Questa è l'ultima accettazione fatta bonariamente secondo la licenza temporaria accordata da Pio IX. Incominciando dal prossimo gennaio si procederà alle accettazioni secondo le norme santissime date da Pio IX ne' suoi decreti del 1848, formando le commissioni indicate dal decreto stesso. Il segretario Don [373] Lemoyne è incaricato di ricordare al Capitolo la volontà di Don Bosco.
Un altro coadiutore[226] di settantadue anni aveva fatto la stessa domanda, approvata già dal capitolo particolare di S. Benigno. Don Cagliero vivacemente interrogò: - Con che titolo si possono accettare i vecchi di settantadue anni?
- È un'eccezione, rispose Don Bosco.
- Eccezioni se ne fanno tutti i giorni, replicò Don Cagliero, e questo è mettere il principio che i giovani mantengano i vecchi. In queste cose ci vuole un po' più di raziocinio.
- Almeno se fossero preti, ripigliò Don Bosco, mi pare che l'età non dovrebbe essere di ostacolo all'accettazione.
- Anche come preti, esclamò Don Cagliero, questi vecchi non ci convengono.
Don Rua aiutò a sciogliere il nodo esaminando il catalogo, dove trovò che il postulante non era stato ancora regolarmente ascritto. - Gli si dica, conchiuse Don Bosco, che può godere di tutti i privilegi dei Salesiani, essendo cooperatore.
Riguardo ai coadiutori, Don Rua il 6 settembre espose una sua idea, che aveva già espressa precedentemente, ma in assenza di Don Bosco. Egli avrebbe voluto che di coadiutori vi fossero due classi; che un avvocato, un medico, un farmacista, un professore si trovasse a fianco di “un minchione qualunque”, gli sembrava cosa disonorevole. Don Bosco rispose: - Non posso ammettere due classi di coadiutori. Si stia attenti a non ricevere in Congregazione certi individui, che saranno buoni, ma sono rozzi e dirò anche di cervello ottuso, capaci, data l'occasione, di andare tranquillamente all'osteria senza badare più in là. Tutta questa gente, se è ricoverata in casa, non abbia il nome di coadiutore, ma quello di servitore. Costoro non si ammettano mai nella Congregazione e molto meno a pronunziare i voti. - Don Rua spiegò il suo concetto, domandando se non si potesse istituire per costoro una classe [374] simile a quella dei terziari, come hanno i Francescani nei loro conventi. -Per ora non occorre, - rispose Don Bosco.
La carità paterna di Don Bosco spicca in un caso di ammissione agli ordini. Bisogna sapere che quell'anno per la prima volta egli dal settembre in poi, non bastandogli più le forze, aveva lasciato di confessare gli esercitandi e rimesso a Don Rua tale ufficio; onde il 12 del mese disse: - In questa muta di esercizi mi trovo molto più in libertà giudicando delle vocazioni, perchè non ho confessato. Così interrogando posso servirmi delle risposte per dare quelle disposizioni che credo vantaggiose per coloro che vengono a chiedermi consiglio, Allora Don Cagliero annunziò che tre chierici non erano stati ammessi alle ordinazioni dai loro capitoli. Uditi i nomi, Don Bosco disse di uno dei tre: - Egli asserisce che desidera lo stato ecclesiastico e non ha nessuna intenzione dì allontanarsi dalla Congregazione. Dice che si sente avvilito nel vedersi considerato come niente nella casa e che perciò, trascurati i rendiconti, ha perduta la confidenza nel Direttore, avvicinandosi a lui solo nei casi di necessità. Essersi però sempre confessato regolarmente ogni dieci giorni, frequentando la comunione, nulla di riprovevole potersi trovare nella sua condotta morale. Ha le patenti di terza e quarta elementare.
- Il Direttore, rispose Don Cagliero, si lamenta della sua disobbedienza e indisciplinatezza. É migliore degli altri due, ma è già un rifiuto del seminario. Tuttavia non desidera di essere ordinato adesso, tua si rimette, sul quando, al giudizio dei Superiori, cioè quando vedranno che sia preparato.
- Non si potrebbe provarlo in altra casa? domandò Don Bosco.
- Già tre volte gli si è fatto cambiar casa.
- Se in costui vi fosse anche solo ombra d'immoralità, allora senz'altro lo rimanderei dalla Congregazione. Ma su questo punto pare che non ci sia niente. Ha le patenti. Qualunque Congregazione lo accetterebbe!
- E noi disposti a regalarlo! fece Don Cagliero. [375]
Avendo poi Don Rua osservato che era alquanto malaticcio: -Ebbene, disse Don Bosco, non prendiamoci obblighi; vediamo se può disimpegnare i suoi doveri di scuola. Ove la sua sanità non gli permettesse di continuare la classe, allora gli si potrà dire che si provveda altrimenti. Si lasci passare un po' di tempo e poi vedremo.
Per tutti i soci in generale, giova sapere com'ei la pensasse circa i rendiconti. Ne parlò, quando si trattava di regolare l'andamento dell'Oratorio sotto il regime di due Direttori[227]. Diede norme per i confratelli della casa madre; ma ci soli cose buone per tutte le case. - Il Capitolo Superiore, disse, col segretario faranno il rendiconto a Don Bosco. Tutte le sere dopo le sei sono pronto ad ascoltarli e a confessarli; ma per la confessioni fisserei specialmente il giovedì sera. Sarei molto contento di poter andare, come prima, alla buona in sacrestia, ma verrebbero troppi altri e presto mi stancherei. Don Francesia potrebbe ricevere i rendiconti di tutti i preti che non hanno occupazione fissa fra gli studenti o fra gli artigiani e di tutto il personale che si occupa degli studenti. Don Lazzero riceverà quelli di tutti coloro che si occupano degli artigiani. Don Rua prenda quei confratelli più anziani, ai quali altri avrebbe difficoltà di far fare il rendiconto. Saranno quattro o cinque.
Don Lazzero fece notare che non meno di ottanta avrebbero dovuto fare a lui il rendiconto, e non sapeva come ascoltarli tutti in un mese. Don Bosco gli rispose: - Non stare materialmente alla parola mensile, ma procedi con quella libertà di chi cerca il bene e procura di ottenerlo. Sul principio i rendiconti potranno essere lunghi, ma molti finiscono col diventare brevissimi. Per non pochi confratelli bisognerà essere precisi, una volta al mese; per molti altri basterà farlo ogni due mesi, ma non si lasci passare però un tempo maggiore; alcuni pochi converrà chiamarli prima ancora che sia [376] passato un mese. Io esorto a non far fare questo rendiconto passeggiando nel cortile, ma l'incaricato chiami in camera sua il confratello, perchè possa parlare con tutta libertà e senza disturbi. Il rendiconto è di tanta importanza da potersi dire la chiave maestra nell'edifizio della Congregazione. Chi è incaricato dei rendiconti, si adoperi con tutta la carità possibile e con diligenza e con puntualità. Quanti, interrogati da me, rispondono: Sono sei mesi, è un anno, sono due anni che non ho più fatto il rendiconto! Questa negligenza fa scadere lo spirito della Congregazione. Il Superiore non dia in impazienze, trattandosi di confratelli noiosi. Non si dica di certuni: È inutile che io loro parli! Ma chiamarli, non stancarsi, ripetere gli avvisi. Si proceda pazientemente con un cuore guidato dalla pietà.
Di particolare importanza sono sette avvisi che scrisse di proprio pugno e distribuì ai Direttori, terminate le mute degli esercizi. “Cose per i Direttori delle nostre case. I° Promuovere l'associazione e la diffusione delle Letture Cattoliche e in generale i nostri libri. 2° Economia nella carta usata, inviando la stracciata alla cartiera e la i servibile ai nostri ospizi oppure alle tipografie. 3° Fare in modo che niuna persona di altro sesso per nessun motivo abbia occupazioni ed abitazione nelle nostre case. Si vegli severamente su questo argomento. 4° Tenerci a quanto vi è nelle deliberazioni riguardo alle nostre suore. 5° Allontanare dai nostri allievi ogni libro proibito, quando anche fosse prescritto per le scuole; nè sì pongano in vendita. Qualora ve ne ha necessità, si farà un'eccezione, ma soltanto per coloro che dovessero presentarsi ai pubblici esami. Ma in questi casi facciasi uso di autori purgati. 6° Si leggano e si diano a leggere preferibilmente le vite dei nostri allievi. 7° Studio e sforzi per introdurre e praticare il sistema preventivo ”.
Con quanta insistenza tornava Don Bosco sulle letture salesiane nei collegi! Anche l'II settembre aveva detto in Capitolo: Si promuova l'associazione e la diffusione delle [377] Letture Cattoliche, della Biblioteca della Gioventù, del Bollettino e in generale di tutti i libri nostri o di quelli usciti dalle nostre tipografie. In molti collegi si trascura di raccomandarli ai nostri giovani. Non obbligarli, ma esortarli a procurarseli. Mettere loro sott'occhio il bene che farebbero mandandoli a casa, imprestandoli o regalandoli agli amici; o ricompensare il servigio prestato da qualcuno con uno dei libretti delle Letture Cattoliche, invece di dare due soldi. L'associazione delle Letture Cattoliche sì raccomandi al principio dell'anno; i giovinetti nuovi sì entusiasmano, tanto più che si tratta dell'esigua somma di trenta soldi. E tutti i giovani hanno il loro peculio, quando entrano nell'Oratorio. Quando i giovani mandano alle loro case questi libretti, tale spedizione non prende mai l'aspetto di lezione ai parenti e agli amici ma di regalo. Potrebbero anche scrivere ai parenti che, quando li abbiano letti, vadano a pregare il parroco di volerli donare ai giovinetti del catechismo o a qualche famiglia povera e via via.
Anche la raccomandazione di liberare le case dalle persone d'altro sesso veniva dopo parecchie altre consimili. L'ultima era stata dell'II settembre, quando aveva detto recisamente in Capitolo: - Desidero che a qualunque costo si faccia in modo che nessuna persona di altro sesso, per nessun motivo abbia occupazioni od abitazione nell'interno delle nostre case, Si vegli severamente su questo punto. Una donna, sia pur madre o sorella di un Salesiano, è sempre donna. Non verranno inconvenienti da quelle che ora vi sono, tutte persone veramente stimabili, ma dal principio di tenerle in casa che a poco a poco si stabilirà, se ora non si mette una regola fissa d'esclusione. Bisogna pensare ai nostri posteri, perchè abbiano una norma assoluta alla quale attenersi. Si osservi anche con diligenza quello che sta scritto nelle deliberazioni riguardo alle nostre suore e si obbedisca strettamente a quanto si è stabilito. - In conformità al volere di Don Bosco il Capitolo Superiore nella seduta del 30 settembre deliberò di non più permettere, [378] come per l'addietro, ai Direttori di ritirare le loro madri nei rispettivi collegi.
Era sistema di Don Bosco fare in modo che nessuno avesse a lamentarsi per non essere stato udito, quando stimasse di presentare qualche osservazione. Di due fatti notevoli intorno a questo si trova memoria nei Verbali del Capitolo Superiore. Il coadiutore Graziano, ritornato di recente dall'America, aveva detto a Don Bosco che negli uffici della libreria e del Bollettino vi era personale soverchio. Non tutti la pensavano a quel modo, specialmente Don Bonetti per il Bollettino. Qui c'è un lavoro immenso, osservava. Scrivere, rispondere, registrare, Cooperatori nuovi, rifare indirizzi, aggiungerne, spedire. Nessuno dei presenti può farsi un'idea di quanto c'è da lavorare là entro.
- Eppure Graziano, continuò Don Bosco, afferma che egli si sentirebbe di poter mandare avanti quell'ufficio con due sole persone; esservi gran lavoro solamente in due o tre giorni al mese e negli altri giorni non esservi un gran da fare.
- Temo, disse Don Rua, che Graziano non abbia ancora abbastanza pratica per dare simili giudizi.
- Don Ghione e il coadiutore Branda, soggiunse Don Lazzero, sono dello stesso parere che Graziano.
- Si esaminino, ordinò Don Bosco, i pensieri di Don Ghione, Graziano e Branda.
L'altro fatto è menzionato sotto il 13 novembre. Don Cagliero aveva consegnato il verbale del Capitolo generale tenuto dalle Suore durante gli esercizi e le osservazioni fatte alle loro Regole in base alle deliberazioni dei Capitoli generali salesiani del 1879 e del 1883. Egli proponeva che il Capitolo Superiore stabilisse una commissione, la quale esaminasse quei verbali e quelle osservazioni, affinchè sul suo parere il Rettor Maggiore approvasse, modificasse, mutasse a suo piacimento gli articoli, secondochè avrebbe giudicato meglio nel Signore. Procedendosi poi alla nomina della commissione, Don Bosco voleva che ne fosse membro anche un certo Direttore delle [379] Suore, il quale l'anno antecedente aveva mosso una serie di critiche sul generale ordinamento delle loro comunità. Don Cagliero fece notare che un Direttore di Suore ha soltanto l'alta direzione a consiliis e non deve entrare nella direzione interna se non in quanto è Direttore spirituale. Pareva quindi più opportuno che a quel Direttore non ufficialmente, ma ufficiosamente si dessero le regole delle Suore, affinchè facesse le sue osservazioni in iscritto e le trasmettesse al Capitolo Superiore. 0 in un modo o in un altro, Don Bosco era indifferente, purchè anche quel tale fosse udito[228].
Abbiamo accennato alle confessioni. Non solamente negli esercizi spirituali dei Confratelli, ma anche alla quotidiana messa della comunità Don Bosco non era più in grado di sostenere la solita fatica. Perciò Don Rua nell'adunanza del 28 ottobre lo pregò di dire come intendesse di regolare la cosa. Ecco la risposta del Santo: - Le confessioni dei Confratelli le affido a Don Rua, il quale confesserà nel mio confessionale in sacrestia. Sarà ben difficile che io possa ripigliarlo; ma, se questo accadesse, Doli Rua passerebbe a confessare in chiesa sotto il pulpito. Io confesserei in camera, alla sera del giovedì, venerdì, sabato il Capitolo, quei preti che volessero venire e i giovani di quarta e di quinta ginnasiale. Confesserei pure questi giovani alle vigilie delle feste e dell'esercizio di buona morte. I confessori delle comunità religiose debbono essere approvati non solo dal Vescovo, ma anche dal Superiore. Quindi i confessori dei giovani siano di mia fiducia. Quello che non raccomanderò mai abbastanza insistentemente è che si vada tutti d'accordo su certi punti e non si usi deplorevole benignità con gli scandalosi. Bisogna cercare in modo prudente che le vittime facciano rapporto o al Direttore o al prefetto o a qualche assistente di loro fiducia. Io desidererei che non si mandassero assolti, finchè non avessero denunziato. Così vuole la sana teologia. [380]
Don Cagliero trovava la cosa molto delicata, specialmente se chi fu vittima, fosse risoluto davvero di schivare i perversi. - Si può insistere, disse, facendo vedere che per il bene del compagno si desidera questo rapporto. E quando si confessa quel tale che ha dato lo scandalo? Allora è necessario che tutti tengano lo stesso modo di agire. Se l'agente è recidivo, gli si neghi l'assoluzione, finchè non siasi emendato. Per quanto giri di confessionale in confessionale, tutti siano concordi nel modo di pensare e di agire.
Don Bosco non trovò nulla da ridire e concluse: - Con quei di quarta e di quinta ginnasiale s'insista sovente che vadano a confessarsi da Don Rua. Per tutti gli altri, oltre i due Direttori, sono destinati Don Durando e Don Lemoyne. In quanto agli artigiani per la loro condotta morale Don Lazzero parli molto col catechista. Si dice che questi esageri troppo; ma non è un motivo per non tener conto delle sue parole. Non si agisca subito, ma si creda pure al troppo, perchè così si troverà il poco. Si facciano anche discorrere molto gli assistenti. Si osservi se vi siano artigiani, che rarissime volte vadano a confessarsi.
Dalla fonte, a cui abbiamo finora largamente attinto, prenderemo un'ultima notizia. Il 2 ottobre, quando il Capitolo Superiore stava radunato a S. Benigno sotto la presidenza di Don Rua, si discusse sull'eventualità di allestire nell'Oratorio una sala da pranzo per Don Bosco e i Capitolari. La discussione in sè avrebbe per noi scarsa importanza, se non fosse di alcune particolarità emerse nel corso della medesima Riferiamo testualmente dai Verbali.
DON BONETTI propone che si destini una sala a parte per refettorio di D. Bosco e del Capitolo, togliendolo così dal refettorio comune. A questo modo il Capitolo potrebbe avere tutta la libertà di parlare con D. Bosco degli affari della Congregazione.
DON RUA fa presente che per avere questo vantaggio del refettorio progettato, bisognerebbe che D. Bosco stesse all'orario nello scendere a pranzo, poichè i suoi affari lo portano a ritardare sempre di 10 ovvero 20 Minuti. Questo ritardo recherebbe: I° Molto disturbo [381] a chi ha sempre cose urgenti da sbrigare, perchè si perderebbe molto tempo. 2° Non si potrebbe fare ricreazione con danno della digestione. 3° Si sarebbe fra pochi ad intrattenere D. Bosco dopo pranzo, poichè non di rado alcuni del Capitolo sono chiamati altrove subito dopo pranzo. 4° Talora potrebbe accadere che D. Bosco restasse solo al pranzo stesso, poichè i membri del Capitolo sono obbligati sovente ad assentarsi dalla casa. 5° Non si raggiungerebbe lo scopo Poichè sovente vi saranno o preti o parroci, o amici secolari che la convenienza farà che siano invitati a pranzo e non ci potremo esimere dal condurli a mensa con D. Bosco; e quindi non si potrà in questi casi molto frequenti tener discorso delle cose nostre. 6° Potrebbe succedere come è naturalissimo, anzi inevitabile, che il trattamento del Capitolo divenisse più delicato e ciò influirebbe sulle altre mense che o ad imitazione di quella del Capitolo diverrebbero più laute o darebbe occasione a mormorazioni. 7° D. Bosco finirebbe con essere del tutto sequestrato dai suoi figli, i quali in buona sostanza lo veggono poche volte all'anno, andando egli ora a Roma, ora in Francia, ora alla visita delle case, ora agli esercizi: e quando lo veggono è solo in refettorio e di più senza potergli parlare. Tuttavia stante la malandata sanità di D. Bosco pare che si sarà costretti di venire alla necessaria, benchè dolorosa proposta di D. Bonetti.
DON DURANDO propone che, dividendo il refettorio attuale con un assito mobile da togliersi nei giorni di grande solennità, si destini una parte di esso pel solo Capitolo. Si stabilisca però il principio che a mezzogiorno in punto, ci sia o non ci sia D. Bosco, il Capitolo si metta a tavola. Il tempo è prezioso per chi è oppresso da tanto lavoro.
DON RUA nota che 25 anni fa tardando D. Bosco al solito nello scendere a pranzo ed essendosi dette le Preghiere e incominciato a mangiare senza di lui, ne ebbe dispiacere. Eppure era tutta la comunità che attendeva.
DON LEMOYNE propone e D. Rua presenta il progetto che si destini per sala da pranzo del Capitolo la stanza ultima del primo piano vicina alla Chiesa di S. Francesco che ha le finestre sul terrazzo.
Il Capitolo approva la proposta, ma esita a porla in esecuzione, perchè segnerebbe un nuovo passo di allontanamento, che sarebbe totale, del padre dai suoi figliuoli. La vita del Rettor Maggiore dei Salesiani deve essere consumata in mezzo ai suoi figliuoli, ed è necessario che tutti, per quanto è possibile, abbiano la comodità di avvicinarlo e parlargli.
A tutte le accampate difficoltà fu forza passar sopra, allorchè Don Bosco non poteva più senza grande stento fare le scale per prendere parte alla mensa della comunità, il che avvenne di lì a poco. Allora si convertì in refettorio del Capitolo [382] Superiore l'ambiente che precede la biblioteca, ossia dove oggi risiede l'ufficio ispettoriale.
In villa conversazione familiare del 15 dicembre Don Bosco narrò due episodi di carattere opposto, ma per trarne un'unica e identica morale. Quel giorno fra' le altre persone gli aveva fatto visita una donnetta, che a vederla sembrava andare in cerca di elemosina; tant'è che presentatasi parecchie volte, non le era mai riuscito di giungere fino a Don Bosco. Anche quella mattina stava per succederle la stessa cosa, quando il Santo, udendo parlare un po' vivacemente nell'anticamera, si era affacciato sulla porta e aveva visto il segretario che voleva respingere la visitatrice. Introdotta, fu come se entrasse in paradiso, tanto rimase incantata. Avendole Don Bosco accennato cortesemente di sedere, ella da prima si ritrasse, stimandosi indegna di sedere nella camera di Don Bosco. Indi prese a dire: - Per tre volte ho tentato di giungere fino a lei, ma sempre invano. Finalmente eccomi qui e quasi per inganno, perchè io a bella posta alzai la voce. Sono venuta per disturbare Don Bosco. Desidero solamente che Lei mi prometta di pregale per questa e quest'altra mia intenzione. Prenda questa elemosina; ma io non intendo di legarla con nessun obbligo. - In così dire gli porse un biglietto da mille.
Don Bosco restò sorpreso e le parlò del bene che essa faceva con la sua carità, disse dei bisogni dell'Oratorio, le fece vedere il merito acquistato davanti a Dio, col seguire la sua ispirazione d'impiegare da viva in opere buone il frutto dei propri risparmi. La donna tutta consolata esclamò: - Oh, se avessi qui centomila lire! Gliele darei volentieri. Ma lasci fare a me! Ci penserò io, Non ho famiglia, non ho eredi e tengo ancora qualche risparmio. Se mi permette, tornerò un'altra volta a disturbarla.
Narrato questo fatto, ne raccontò un secondo che era tutto il rovescio. Un tale, riccamente vestito e da lui ricevuto come un gran signore, si rivelò tosto povero e affamato e fu ben contento di avere dalle sue mani due pagnotte, che mangiò [383] ivi stesso avidamente. Dopo, baciatagli la mano, sì ricompose e uscì. -Sono sicuro, disse Don Bosco, che la gente in anticamera avrà pensato vedendolo passare: Chi sa che grossa elemosina avrà lasciata a Don Bosco? Invece era uno che, perdute le sue sostanze, conservava quelle apparenze signorili per avere accesso nei palazzi e ottenere un impiego.
La morale era ovvia. Il Santo la espresse così: - Guardate come le apparenze ingannano. Per questo io ho detto a chi sta in anticamera di non fare eccezioni di persone, ma che, chiunque viene, sia introdotto. Quanti vi furono, che sembravano straccioni ed erano generosi benefattori!
Ricchi di ammaestramenti sono due sogni fatti in settembre e in dicembre, Il primo, avuto nella notte dal 29 al 30 settembre, è una lezione per i preti. Gli parve di andare verso Castelnuovo attraverso una pianura; gli camminava a fianco un venerando sacerdote, del quale disse di non ricordare più il nome. Cadde il discorso sui preti. - Lavoro, lavoro, lavoro! dicevano. Ecco quale dovrebb'essere l'obiettivo e la gloria dei preti. Non stancarsi mai di lavorare, Così, quante anime si salverebbero! Quante cose vi sarebbero da fare per la gloria di Dio! Oh se il missionario facesse davvero il missionario, se il parroco facesse davvero il parroco, quanti prodigi di santità splenderebbero da ogni parte! Ma purtroppo molti hanno paura di lavorare e preferiscono le proprie comodità...
Ragionando a questo modo fra loro, giunsero ad un luogo detto Filippelli. Allora Don Bosco prese a lamentare l'odierna scarsità di preti. - É vero, rincalzò l'altro, i preti scarseggiano; ma se tutti i preti facessero il prete, ve ne sarebbero abbastanza, Quanti preti invece vi sono che non fan nulla per il ministero! Gli unì non fanno altro che il prete di famiglia, altri per timidità se ne stanno oziosi, mentre se si mettessero nel ministero, se prendessero l'esame di confessione, riempirebbero un gran vuoto nelle file della Chiesa... Iddio le vocazioni le proporziona alla necessità. Quando venne la leva dei chierici, tutti erano spaventati, come se nessuno più si dovesse [384] far prete; ma, quando le fantasie si calmarono, si vede che le vocazioni invece di scemare andavano crescendo.
- E adesso, interrogò Don Bosco, che cosa bisogna fare per promuovere le vocazioni in mezzo ai giovanetti?
- Nient'altro, rispose il compagno di viaggio, che coltivare gelosamente fra essi la moralità. La moralità è il semenzaio delle vocazioni.
- E che cosa debbono fare specialmente i preti per ottenere che la loro vocazione rechi frutto?
- Presbyter discat domum suam regere et sanctificare. Ognuno sia esempio di santità nella propria famiglia e nella propria parrocchia. Non disordini di gola, non ingolfarsi nelle cure temporali... Sia anzitutto modello in casa e poi sarà il primo fuori.
A un certo punto del cammino quel sacerdote chiese a Don Bosco ove andasse; Don Bosco indicò Castelnuovo. Egli allora, lasciatolo proseguire, rimase con un gruppo di persone che lo precedevano. Fatti pochi passi, Don Bosco si svegliò. In questo sogno possiamo vedere una rimembranza delle antiche passeggiate attraverso quei luoghi.
Il secondo sogno si riferisce alla Congregazione e mette in guardia contro pericoli che potrebbero minacciarne l'esistenza. Veramente, più che un sogno, è un argomento che si svolge in una successione di sogni.
Nella notte del io dicembre il chierico Viglietti fu svegliato di soprassalto da strazianti grida, che partivano dalla camera di Don Bosco. Balzò subito di letto e stette ad ascoltare. Don Bosco, con voce soffocata dal singhiozzo gridava: - Ohimè! ohimè! aiuto! aiuto! -Viglietti senza più entrò e: - Oh Don Bosco, disse, si sente male?
- Oh Viglietti! rispose svegliandosi. No, non sto male; ma non poteva proprio più respirare, sai. Ma basta: ritorna tranquillo a letto e dormi.
Al mattino, quando Viglietti secondo il solito gli portò dopo la Messa il caffè: Oh Viglietti! prese a dire, non ne [385] posso proprio più, ho lo stomaco tutto rotto dalle grida di questa notte. Sono quattro notti consecutive che faccio sogni, i quali mi costringono a gridare e mi stancano all'eccesso. Quattro notti fa io vedeva una lunga schiera di Salesiani che andavano tutti uno dietro all'altro, portando ciascuno un'asta, in cima alla quale stava un cartello e sul cartello un numero stampato. Si leggeva in uno 73, in un altro 30, in un terzo 62 e così via. Dopo che furono passati molti, in cielo apparve la luna, nella quale di mano in mano che compariva un Salesiano, si vedeva una cifra non mai maggiore di 12, e dietro venivano tanti punti neri. Tutti i Salesiani da me visti andarono a sedersi ciascuno sopra una tomba preparata.
Ed ecco la spiegazione datagli di quello spettacolo. Il numero che stava sui cartelli era il numero degli anni di vita destinato a ciascuno; l'apparire della luna in varie forme e fasi, indicava il mese ultimo di vita; i punti neri erano i giorni del mese, in cui sarebbero morti. Più e più ne vedeva talvolta riuniti in gruppi: erano quelli che dovevano morire insieme, in un medesimo giorno. Se avesse voluto narrare minutamente tutte le cose e le circostanze accessorie, assicurò che avrebbe impiegato almeno una diecina di giorni interi.
Tre notti fa, continuò, sognai di nuovo. Ti racconterò in breve. Mi parve di essere in una gran sala, dove diavoli in gran numero tenevano congresso e trattavano del modo di sterminare la Congregazione Salesiana. Sembravano leoni, tigri, serpenti e altre bestie; ma la loro figura era come indeterminata e si avvicinava piuttosto alla figura umana. Parevano ombre, che ora si abbassavano e ora si alzavano, si accorciavano, si stendevano, come farebbero molti corpi che dietro avessero un lume trasportato or da una parte or dall'altra, ora abbassato al suolo e ora sollevato. Ma quella fantasmagoria metteva spavento.
Or ecco uno dei demonii avanzarsi e aprire la seduta. Per distruggere la Pia Società propose un mezzo: la gola. Fece vedere le conseguenze di questo vizio: inerzia per il bene, corruzione [386] dei costumi, scandalo, nessuno spirito di sacrificio, nessuna cura dei giovani... Ma un altro diavolo gli rispose: - Il tuo mezzo non è generale ed efficace, nè si possono assalire con esso tutti i membri insieme, perchè la mensa dei religiosi sarà sempre parca e il vino misurato: la regola fissa il loro vitto ordinario: i Superiori invigilano per impedire che succedano disordini. Chi eccedesse talvolta nel mangiare e nel bere, invece di scandalizzare, farebbe piuttosto ribrezzo. No, non è questa l'arma per combattere i Salesiani; procurerò io un altro mezzo, che sarà più efficace e ci farà ottenere meglio il nostro intento: l'amore alle ricchezze. In una Congregazione religiosa, quando c'entra l'amore alle ricchezze, c'entra insieme l'amore alle comodità, si cerca ogni via per avere un peculio, si rompe il vincolo della carità, pensando ognuno a se stesso, si trascurano i poveri per occuparsi solo di quelli che hanno fortuna, si ruba alla Congregazione...
Colui voleva continuare, ma sorse un terzo demonio. Ma che gola! esclamò. Ma che ricchezze! Fra i Salesiani l'amore delle ricchezze può vincere pochi. Sono tutti poveri i Salesiani; hanno poche occasioni di procurarsi un peculio. In generale poi essi sono così costituiti e sono così immensi i loro bisogni per i tanti giovani e per le tante case, che qualunque somma anche grossa verrebbe consumata. Non è possibile che tesoreggino. Ma ho un mezzo io, infallibile, per guadagnare a noi la Società Salesiana, e questo è la libertà. Indurre quindi i Salesiani a sprezzare le Regole, a rifiutare certi uffizi come pesanti e poco onorifici, spingerli a fare scismi dai loro Superiori con opinioni diverse, ad andare a casa col pretesto d'inviti e simili.
Mentre i demonii parlamentavano, Don Bosco pensava: - Io sto bene attento, sapete, a quello che andate dicendo. Parlate, parlate pure, che così potrò sventare le vostre trame.
Intanto saltava su un quarto demonio e: - Ma che! gridò. Armi spezzate le vostre! I Superiori sapranno frenare questa libertà, scacceran via dalle case chi osasse dimostrarsi ribelle [387] alle Regole. Qualcheduno forse sarà trascinato dall'amore di libertà, ma la gran maggioranza si manterrà nel dovere. Io, ho un mezzo adattato per guastar tutto fin dalle fondamenta; un mezzo tale che a stento i Salesiani se ne potranno guardare: sarà proprio un guasto in radice. Ascoltatemi con attenzione. Persuaderli che l'essere dotto è quello che deve formare la loro gloria principale. Quindi indurli a studiare molto per sè, per acquistare fama, e non per praticare quello che imparano, non per usufruire della scienza a vantaggio del prossimo. Perciò boria nelle maniere verso gl'ignoranti e i poveri, poltroneria nel sacro ministero. Non più oratorii festivi, non più catechismi ai fanciulli, non più scolette basse per istruii e i poveri ragazzi abbandonati, non più le lunghe ore di confessionale. Terranno solo la predicazione, ma rara e misurata e questa sterile, perchè fatta a sfogo di superbia col fine di avere le lodi degli uomini e non di salvare anime.
La proposta di costui fu accolta con applausi generali. Allora Don Bosco intravide il giorno in cui i Salesiani potrebbero darsi a credere che il bene della Congregazione e il suo onore dovesse unicamente consistere nel sapere, e paventò che non solo così praticassero, ma anche predicassero a gran voce doversi così praticare.
Anche stavolta Don Bosco se ne stava in un angolo della sala ad ascoltare e a vedere tutto, quando uno dei demonii lo scoperse e gridando lo indicò agli altri. A quel grido, tutti si avventarono contro di lui urlando: - La faremo finita! Era una ridda infernale di spettri, che lo urtavano, lo afferravano per le braccia e per la persona, ed egli a gridare: Lasciatemi! Aiuto! - Finalmente si svegliò con lo stomaco tutto sconquassato dal molto gridare.
La notte seguente s'avvide che il demonio aveva assalito i Salesiani nel punto più essenziale, spingendoli alla trasgressione delle Regole. Fra essi gli si parava innanzi, distintamente chi le osservava e chi non le osservava.
Nella notte ultima poi il sogno era stato spaventevole. [388] Don Bosco vedeva un grosso gregge di agnelli e di pecore che raffiguravano altrettanti Salesiani. Egli si avvicinò cercando di accarezzare gli agnelli; ma s'accorse che la loro lana invece di essere lana d'agnelli, faceva solo da copertura, nascondendo leoni, tigri, cani arrabbiati, porci, pantere, orsi, e ognuno aveva ai fianchi un mostro brutto e feroce. In mezzo al gregge stavano alcuni radunati a consiglio. Don Bosco inosservato si avvicinò ad essi per udire che cosa dicessero: concertavano il modo di distruggere la Congregazione Salesiana. Uno diceva: - Bisogna scannarli i Salesiani. - E un altro sghignazzando soggiungeva: - Bisogna strangolarli. - Ma sul più bello tino di loro vide Don Bosco là vicino che ascoltava. Diede l'allarme e tutti a una voce gridarono che bisognava cominciare da Don Bosco. Ciò detto, gli si avventarono contro come per strozzarlo. In quel punto egli mandò il grido che svegliò Viglietti. Un'altra cosa oltre le violenze diaboliche opprimeva allora il suo spirito: aveva veduto su quel gregge spiegarsi una grande insegna, che portava scritto: BESTIIS COMPARATI SUNT. Raccontato questo, chinò il capo e piangeva.
Viglietti gli prese la mano e stringendosela al cuore: - Ah! Don Bosco, gli disse, noi però con l'aiuto di Dio le saremo sempre fedeli e buoni figliuoli, non è vero?
- Caro Viglietti, rispose, sta' buono e prepàrati a vedere gli avvenimenti. Questi sogni io te li ho appena accennati; chè se ti dovessi narrare particolareggiatamente ogni cosa, ne avrei per molto tempo ancora. Quante cose vidi! Ci sono alcuni nelle nostre case che non arriveranno più a far la novena del Santo Natale[229]. Oh se potessi parlare ai giovani, se mi reggessero le forze per intrattenermi con essi, se potessi girare per le case, fare quello che facevo una volta, rivelare a ciascuno lo stato della sua coscienza, come l'ho visto nel sogno e dire a certi tali: Rompi il ghiaccio, fa' una volta una buona confessione! Essi mi risponderebbero: Ma io mi sono confessato [389] bene! Invece io potrei replicare, dicendo loro quello che hanno taciuto le in modo che non oserebbero più aprir bocca. Anche certi Salesiani, se potessi far giungere loro una mia parola, vedrebbero il bisogno che hanno di aggiustare le proprie partite rifacendo le confessioni. Vidi chi osservava le Regole e chi no. Vidi molti giovani che andranno a S. Benigno, si faran Salesiani e poi defezioneranno. Defezioneranno anche certuni che ora sono già Salesiani. Vi saran di quelli che vorranno soprattutto la scienza che gonfia, che procaccia foro le lodi degli uomini e che li rende sprezzanti dei consigli di chi essi credono da meno di loro per sapere...
A questi affliggenti pensieri s'intrecciavano provvidenziali consolazioni, che gli rallegravano il cuore. La sera del 3 dicembre giungeva all'Oratorio il Vescovo di Pará, cioè del paese centrale nel sogno sulle Missioni. E giorno dopo diceva a Viglietti: - Come è grande la Provvidenza! Senti, e poi di' se non siamo protetti da Dio. Don Albera mi scriveva di non poter più andare avanti e abbisognargli subito mille franchi; nel giorno stesso una signora di Marsiglia, che sospirava di rivedere tiri suo fratello religioso a Parigi, contenta d'aver ottenuta la grazia dalla Madonna, portò mille franchi a Don Albera. Don Ronchail versa in gravi strettezze ed ha assolutamente bisogno di quattromila franchi; una signora scrive oggi stesso a Don Bosco che mette a sua disposizione quattromila franchi. Don Dalmazzo non sa più ove dare del capo per aver danaro; oggi una signora dona per la chiesa del Sacro Cuore una somma considerevolissima. - E poi il 7 dicembre vi fu la gioia per la consacrazione di monsignor Cagliero. Tutti questi fatti erano tanto più incoraggianti, perchè segni visibili della mano di Dio nell'Opera del suo Servo.
NELL'ORDINARE alcune poche lettere, che rimanevano a completare la documentazione di questo 1884, ci sono venuti a galla diversi particolari biografici non privi d'importanza. La necessità d'illustrare il contenuto di quelle ci ha condotti a mettere in luce anche questi.
Il torinese ingegnere Ceriana, avendo un bambino gravemente infermo, lo raccomandò alle preghiere di Don Bosco, il quale nel giorno stesso di Maria Ausiliatrice così gli rispose:
Ill.mo Sig. Ingegnere Ceriana,
Oggi abbiamo offerto a Dio ed alla S. Vergine tutte le preghiere e le comunioni dei nostri orfanelli per ottenere da Dio la grazia della guarigione del suo bambino. Dimani continueremo. Voglia Iddio esaudire le comuni nostre preghiere.
Di Lei, Sig. Ingegnere, e di tutta la famiglia sua io le sarò sempre con pienezza di stima
Ma questa volta la grazia domandata non venne: il piccino morì pochi giorni dopo. Allora il Santo con quest'altra lettera confortò il padre. [391]
La sua lettera mi ha profondamente addolorato. Abbiamo pregato ed i nostri orfanelli hanno fatto preghiere e comunioni, perchè Dio conservasse in vita il suo figlietto. Ma egli, Dio, non ha giudicato così; ha voluto trapiantare questo fiorellino nell'orto ameno del Paradiso. Dì là proteggerà certamente i suoi genitori e tutta la sua famiglia, e la proteggerà sino a tanto che, superate le miserie della vita, lo andranno a raggiungere negli eterni godimenti del cielo.
Io non mancherò di continuare le deboli preghiere per la prosperità del rimanente della famiglia e di tutti i suoi affari; la ringrazio della sua carità, mentre con gratitudine le sarò sempre con pienezza di stima di Lei e della Signora sua moglie
La marchesa Fassati, appena fatto ritorno dalla villeggiatura, mandò a Don Bosco un'offerta per monsignor Cagliero, che di lì a poco doveva ricevere la consacrazione episcopale. Il Santo si diè premura di ringraziarla.
Benedico il Signore che abbia concesso a Lei e a tutta la sua famiglia di fare buona campagna e buon ritorno alla nostra Torino. Ma debbo ringraziare la S. V. che si volle tosto ricordare delle cose nostre con una caritatevole oblazione.
Ringrazio pertanto Lei e la signora Azelia e prego il Signore che largamente tutti li ricompensi.
Non ho potuto farle visita in villa, ma spero fra breve di riverirli tutti a casa di Lei, oppure farle una visita speciale con D. Cagliero che desidera ringraziarli personalmente.
Le benedizioni del cielo discendano copiose sopra di lei, sopra la Baronessa Azelia, sopra il sig. Barone Carlo e vogliano anche pregare per questo poverello che loro sarà sempre in G. C.
La marchesa largheggiava più del solito con il Santo, dopochè aveva ricevuta quell'anno una grazia segnalata. Era giunta in fine di vita e i medici avevano vietato a qualsiasi [392] estraneo di accostarsi al suo letto per non farla parlare. Ma essa voleva a ogni costo vedere Don Bosco. Ai primi inviti egli, sapendo la proibizione, aveva creduto bene dì non annuire; poi, viste le sue insistenze, andò e le diede la benedizione di Maria Ausiliatrice. L'inferma allora gli disse: lo sono disposta a fare tutto quello che Maria Ausiliatrice vorrà che io faccia per sua maggior gloria, - Con questo intendeva dire che avrebbe aiutato l'Oratorio. Da quel punto fuor d'ogni aspettazione entrò in convalescenza e ricuperata in breve la primiera salute, adempì scrupolosamente fino all'ultimo la sua promessa.
Avvicinandosi la festa dell'Immacolata, dalla quale s'intitolava la casa di Firenze, scrisse alla contessa Uguccioni, grato della sua materna carità verso quei, Salesiani.
Siamo alla grande Solennità della Imm. Concezione ed io desidero la nostra Mamma non sia dimenticata. Tutti i preti, i giovani procurano di fare ogni giorno preghiere particolari secondo la santa di Lei intenzione. Ciò per darle un piccolo compenso della carità che ci ha costantemente usata, specialmente alla nostra povera Casa di Firenze.
Dio benedica lei, tutta la sua grande e piccola famiglia, e mi voglia sempre credere suo povero ma aff.mo come figlio
Sul principio della novena di Natale inviò auguri a benefattori francesi per mezzo del Direttore della casa di Navarra.
Ti costituisco portatore o speditore di lettere. Una pel Sig. C.te Colle, l'altra pel Sig. Léon.
Assicura il Sig. Reymond che ho sempre pregato e continuo pregare per lui, per i suoi affari e per tutta la sua famiglia.
Lo stesso facciamo per la famiglia del Sig. Botiny. Sono tre giorni che nella Chiesa dì M. A. si chiede a Dio la pioggia per la Navarra e terre circostanti e speriamo essere esauditi. Fa un breve articolo pel [393] Maréchal de Breiteville e mandalo a me; dammi l'indirizzo esatto dì Mad.me la Maréchale.
Dio benedica te, i tuoi e miei figli, augura e saluta tutti i nostri benefattori, di' che preghiamo per loro e che ci raccomandiamo alle preghiere di tutti.
D. Rua non ha più danaro; pensaci tu a mandargliene. Pregate per me che vi sarò sempre in G. C.
P.S. La lettera a M. Colle fu spedita per la posta.
Due gruppetti di lettere scritte in francese furono nel 1884 indirizzati a tre cooperatrici di Francia. Una ci è già nota, la signora Quisard di Lione. Delle sue lettere una era per il figlio che Don Bosco incoraggiava e consigliava nella vigilia di certi esami. Alla madre, fra l'altro, mandava “l'antidoto sicuro contro il colera e prometteva speciali preghiere per il matrimonio della figliuola[230].
Altre cinque lettere scritte nella medesima lingua andavano a due signore Lallemand, madre e figlia, di Montauban. Ne inviò copia a Don Rua la figlia nel 1891, dopo la morte della madre, scrivendogli che, se la mano non le fosse, ribelle, avrebbe voluto trascriverle un po' più calligraficamente, in modo cioè più atto a esprimere tutto il suo rispetto pour une si sainte mémoire. Qualche lacuna, segnata con puntini, è della copiatrice stessa, che lasciò in bianco le somme delle elemosine inviate all'Oratorio e notizie di affari a Don Rua ben noti. Già avanti anch'essa negli anni e male in salute, prorompeva in questa apostrofe: “Oh caro Don Bosco, voi lo sapete: io non ho più nè gambe nè braccia nè niente. Mi rimangono soltanto aspirazioni di zelo nell'anima riconoscente, ma impossibilitata a far altro che pregare”. [394] Degni di nota sono questi consigli che Don Bosco dava a entrambe nella prima lettera: “Quanto alle penitenze corporali, esse non fanno per loro. Alle persone attempate basta tollerare i disagi della vecchiaia per amor di Dio; alle persone malaticce basta sopportare tranquillamente per amor di Dio i propri incomodi e conformarsi al parere del medico o dei parenti in ispirito di obbedienza: è più gradito a Dio prendere una vivanda delicata per obbedienza che digiunare contro l'obbedienza ”. E particolarmente alla madre: “lo non vedo niente da riformare nella sua coscienza. Vada con la maggior frequenza possibile ai santi Sacramenti e, quando non può, non s'inquieti: faccia allora più spesso comunioni spirituali e sì conformi pienamente alla santa volontà di Dio, amabilissima in tutte le cose ”.
Nella seconda lettera, confortandole a sperare contro ogni contrario timore il riposo eterno di un'anima a loro cara, di cui vedremo più avanti, faceva questo ragionamento: “Ben ponderate le cose davanti a Dio che è tutto bontà e misericordia, noi abbiamo ragione di consolarci. Il non esserci state espressioni di pentimento verso la signora non esclude i suoi buoni desideri interni; bisogna credere che li avesse indubbiamente e che la stia condizione non gli consentisse di manifestarli ad altri fuorchè al confessore, non essendo in, grado di fare alcuna riparazione. Ha ricevuto i santi Sacramenti; il sacerdote che glieli ha amministrati, è rimasto commosso delle sue buone disposizioni. Sono cose consolanti. Io e i miei numerosi figli abbiamo pregato per lui e continuiamo a farlo ogni giorno. Inoltre io nutro piena fiducia che tutta la carità da loro fatta e che intendono di fare ai nostri orfanelli, abbia già contribuito molto ad abbreviare il Purgatorio di quell'anima cara. Essa forse sarà debitrice della sua felicità eterna alla loro carità, che attirò sopra i suoi estremi momenti la misericordia divina ”[231]. [395]
La nobile signora Laura Bottagisio di Verona ruminava nella sua vedovanza, se dovesse lasciare o no il mondo e ritirarsi in un chiostro. Buona cooperatrice, chiese consiglio a Don Bosco, Il Santo le rispose: “la mezzo al mondo non è in pericolo l'anima sua, mentre può guadagnare molte anime al Cielo. Non intendo però di far cambiare alcun consiglio datole da mente migliore ”. Oltre a questo biglietto, abbiamo trovato copia di una lettera indirizzatale da Don Bosco nel mese di giugno.
Ricevo la sua lettera nella quale mi raccomandava varie persone inferme. La ringrazio della fiducia che degnasi riporre nelle deboli nostre preghiere. Con piena fede nella bontà del Signore pregheremo e faremo pregare i nostri orfanelli presso al glorioso trono di Maria. Speciali preghiere noi faremo pel Sig. M.se Fumanelli e siamo certi di essere esauditi se la nostra dimanda non contraria al bene eterno delle anime.
Mi raccomando a lei di voler far osservare che Dio disse più volte: Date e vi sarà dato, e che la nostra fede senza le opere di carità è cosa morta in se stessa. Io poi l'attendo a Torino con gran piacere; e prego la SS. Vergine che le dia il buon viaggio e le prepari grazie speciali da portare con sè a Verona.
Dio benedica lei, il Sig. Salomoni, suo fratello e mi creda in G. C.
La signora venne a Torino in giugno, come si rileva anche da una lettera del cavaliere Giuseppe Salomoni, menzionato nella lettera precedente. Quest'altro cooperatore veronese aveva mandato a Don Bosco duemila lire senza ricevere risposta. Pur attribuendo la cosa a mancanza di tempo, tuttavia nel timore di qualche disguido tornò a scrivere, e così ebbe dal Servo di Dio il seguente riscontro. [396]
La bontà di V. S. cari.ma ha fatto la carità di f. 2000 in favore delle nostre missioni dell'America del Sud, ed ora si degni di fare una seconda carità perdonando il mio ritardo a comunicarle come il danaro mi sia pervenuto prontamente. La mia sanità un po’ cagionevole e il vivo desiderio di rispondere io stesso alla cara sua lettera furono cagione di questa mia negligenza. Io fo volentieri a Lei sentiti ringraziamenti dell'offerta fatta, ma la ringrazio ancora pel modo veramente cristiano con cui la fa. Dio la benedica e ricompensi largamente la sua carità.
Ella coopera a salvar anime e assicura certamente la sua. Il primo selvaggio della Terra del fuoco che sarà battezzato porterà il suo nome e fino a tanto che egli viva sulla terra non mancherà ogni giorno di pregare in modo speciale per Lei che ha dato i mezzi materiali con cui potè procacciare la sua eterna salvezza.
Ho veduto la Sig. Bottagisio, ma un po' in fretta per la poca sanità di quel giorno. Se la vedrò ancora spero di poterla anche incaricar di qualche cosa per Lei. D. Rua e D. Cagliero e tutti i Salesiani furono edificati della breve sua dimora fra noi e speriamo di poterla ben altre volte possedere in questa casa che io intendo che sia tutta casa sua.
Voglia anche raccomandare al Signore l'anima mia e di credere che io le sarò sempre in G. C.
In dicembre Don Bosco spedì al Cavaliere cinquecento biglietti della lotteria di Roma, affinchè li spacciasse; ma quegli se li tenne per sè, sborsando senza indugio la somma corrispondente e ricevendone con egual prontezza i ringraziamenti.
Io mi era fatto ardito di raccomandare a Lei lo spaccio di 500 big. di lotteria, ma Ella tolse di mezzo le difficoltà; li prese tutti per sè e mi mandò subitamente la somma corrispondente.
Io l'ho ricevuta con gratitudine speciale perchè in questi giorni noi ci troviamo veramente nelle strettezze specialmente per vestire ragazzi e preti, che, a dir vero, sono ancora in gran numero abbigliati da estate. [397]
Dio pertanto la rimeriti degnamente, le conceda feste felici; buon fine e buon capo d'anno. La sanità e la santità l'accompagni fino all'ultimo giorno di vita. Se le accade d'incontrare, di vedere la Sig. Laura Bottagisio la prego di farle tanti auguri da parte mia ed assicurarle che tengo la mia parola facendo un particolare memento ogni giorno per Lei nella santa Messa.
Caro Sig. Salomoni, io la ringrazio tanto della carità che ci fa; voglia anche aggiungere una preghiera per questo poverello che le sarà sempre in G. C.
Per mezzo della signora Bottagisio il Cavaliere aveva raccomandato alle orazioni di Don Bosco la contessa Emanuela Cartolari, bisognosa di una grazia speciale. Stava essa per divenir madre, ma la sua famiglia era per questo nella massima apprensione, paventando una grave sciagura; anche la Contessa trepidava. Il Santo incaricò la Bottagisio di fare al Salomoni questa comunicazione: - Dica alla signora Cartolari che non abbia timori; si raccomandi ed abbia fede in Maria Ausiliatrice, che tutto andrà bene sino alla fine. Mandò insieme per la Contessa un'immagine di Maria Ausiliatrice con a tergo alcune sue parole allusive.
Frattanto sopraggiunse un caso che poteva avere conseguenze fatali: morì improvvisamente a Cagliari il padre di lei, conte Saint-Just di Teulada. Contro ogni previsione la dolorosa notizia trovò l'anima della Contessa così disposta e rassegnata, che ella medesima raccomandava a' suoi di non aver paura, perchè Don Bosco le aveva fatto dire che tutto sai ebbe andato bene. Difatti l'esito non poteva essere più felice. Vide la luce un bambino, al quale furono imposti i nomi di Giovanni Mario, il primo per ricordo di Don Bosco e il secondo in onore della Madonna. Padre e madre vennero poi personalmente a sciogliere il voto nella festa di Maria Ausiliatrice del 1885[232]. [398]
Questa volta Don Bosco dovette durare non poca fatica per ottenere le cinque decorazioni da lui chieste al Pontefice nell'udienza del 9 maggio. Dopo le benevole espressioni del Santo Padre e l'ordine dato a monsignor Macchi, sembrava che tutto fosse bell'e concluso; invece, trascorso già un mese, tutto restava da fare. Per venir a capo di qualche cosa, cominciò a interessare il cardinale Nina.
Mentre sto attendendo l'effettuazione delle decorazioni che il Santo Padre si degnò di accordare ad alcuni benemeriti Cattolici in data del 9 Maggio trascorso, mi raccomando caldamente ai benevoli suoi uffizi, affinchè ciò abbia luogo possibilmente presto. La E. V. ben sa che noi ci troviamo mancanti di mezzi per continuare i lavori della Chiesa e dell'Ospizio dei Sacro Cuore di Roma, e che le persone proposte alla clemenza del Santo Padre sono quelle appunto che ci hanno aiutato in passato e sono pronte ad aiutarci al presente; di più costoro hanno fatto e tuttora fanno molto pel danaro di S. Pietro; quindi mi sta grandemente a cuore che possano avere questo segno di alta benevolenza da parte del Capo Supremo di tutti i fedeli.
Prego pertanto la E. V. a venirmi in aiuto o presso l'E.mo Card. Segretario di Stato, o presso qualche altro Capo di Congregazione cui appartenga la nostra pratica.
Io mi raccomando all'E. V. quale nostro benevolo e benemerito Protettore, e noi non mancheremo di pregare per la preziosa conservazione della sua sanità e per la prosperità dei grandi e complicati affari che la Divina Provvidenza affida al Supremo Gerarca della Chiesa.
Con questa medesima data ho scritto a Monsig. Masotti per l'ultimazione della pratica pei nostri Privilegi di cui abbiamo assoluto bisogno onde preparare la prossima spedizione nella Patagonia, senza cui non si potrebbe attuare.
Ho il piacere grande di poter partecipare alla E. V. che la mia salute da una ventina di giorni ha di molto migliorato grazie alla efficace benedizione che il S. Padre si degnò compartirmi.
Permetta che colla più profonda gratitudine possa professarmi
Notizie poco liete gli pervennero intanto dal Procuratore, che gli scriveva da Roma il 13 giugno: “Mi sono recato quattro volte dall'Em.mo Card. Jacobini, Segretario di Stato, senza avergli potuto parlare; poi due volte da Mons. Mocenni, il quale ne parlò col S. Padre e col Card. Jacobini e finì con dirmi che nè l'uno nè l'altro nulla sanno di quanto V. P. desidera, e questo, facilmente, per essersi smarrite le carte presentate per tale affare. Ora perciò è d'uopo che V. P. mandi quanto prima, perchè così vogliono, l'esposizione minuta dei meriti di ciascuno, nome, paternità e patria e così si spera che si potrà averne qualche buon risultato ”.
Uno dei decorandi, il conte Colle, sarebbe venuto prossimamente a Torino per l'onomastico di Don Bosco; nella medesima occasione era aspettato anche Don Dalinazzo. Se questi si fosse presentato a mani vuote, sarebbe stato un vero smacco, sapendosi già da tutti gl'interessati che la pratica faceva il suo corso e con esito sicuro. Perciò Doti Bosco immediatamente insistette.
Tu mi scrivi una bella lettera, ma non rispondi alla mia diretta a Mons. Masotti sui nostri privilegi e a quella scritta al Card. Nina sulle decorazioni.
Tu devi notare che i decorandi sono persone che hanno fatto molto pel Sacro Cuore e sono ben disposti a fare; ma presentarsi loro senza le decorazioni che io ho annunziate a nome dello stesso S. Padre non ha bel garbo. - Dunque rivedi la lettera a. Mons. Masotti ed al Card. Nina e poi se trovi difficoltà, procurati un colloquio tutto confidenziale con Monsig. Macchi, fa di richiamare a memoria come a metà dell'udienza datami il 9 maggio dal S. Padre, esso lo chiamò e gli disse di ricevere la nota con promemoria sui cinque decorandi favoriti da S. S.; e che queste memorie fossero, anzi furono, consegnate nelle mani del caritatevole Pontefice. Da allora in poi niuno potè più dirmi quel che siasi fatto.
Credo che forse il S. Padre voglia evitare certe pratiche d'ufficio, ma è bene che si facciano sacrifizii di qualunque genere, ma si prenda il filo di Mons. Macchi e si continui.
Nel venire tra noi procura di portare qualche cosa concretata sui nostri privilegi, come sono stati concessi agli Oblati ed ai Redentoristi; [400] e sulle decorazioni concesse dal S. Padre, che per noi sono importanti cambiali pel Sacro Cuore.
Non posso scrivere di più. Dio ci benedica. Amen.
Don Dalmazzo portò soltanto la Commenda di S. Gregorio Magno per il conte Colle, come abbiamo già veduto. Partito il Procuratore, Don Bosco non tardò a fargli nuove premure, perchè si desse d'attorno.
Ho ricevuto il diploma del dottore Giraud di Nizza e Don Ronchail penserà ad offrirglielo con una conveniente festa.
Ho pure ricevuto il decreto sui nostri privilegi. Mancano le frange, ma la sostanza c'è tutta, e se vedi Monsig. Masotti, fagli umili ringraziamenti per parte mia e di tutta la nostra Congregazione.
Per le note decorazioni è bene di ritenere che sono tutte persone che hanno dato e sono pronte a dare pel Sacro Cuore. Per esempio il Sig. di Montigny tiene ancora preparate dieci mila lire da versarsi nell'atto che gli si darà il diploma di Conte.
É pur bene di ritenere che il fervoroso cattolico il Dott. Carlo D'Espiney è proposto cavaliere dal Vescovo di Nizza; e Mons. Guigou fece per mezzo mio pervenire una stupenda commendatizia fatta dal Vescovo di Fréjus, al S. Padre.
Tutte queste cose furono significate al S. Padre che mi autorizzò, come feci di fatto, a dame comunicazione ai relativi decorandi. Queste particolarità aumentano l'importanza della pratica nel senso che questi personaggi sono fervorosi cattolici e promotori del denaro di S. Pietro.
Di queste cose puoi darne comunicazione al benemerito Monsig. Mocenni; servitene con massima prudenza, come e nella misura che egli dirà.
Capisco che abbiamo debiti e dobbiamo adoperarci con tutti i mezzi per continuare i lavori, ma presentemente l'unica sorgente di danaro sono le decorazioni sopra notate.
Gratitudine, riconoscenza e preghiere per Mons. Mocenni. Dio ci benedica tutti e credimi
Non vedendo mai arrivare nulla e premendogli specialmente per il signore di Montigny, il 14 agosto raccomandò l'affare a monsignor Mocenni, Sostituto alla Segreteria di Stato. Sebbene la Segreteria di Stato proponga decorazioni soltanto per i diplomatici e non sia lecito a un dicastero frammettersi negli affari appartenenti ad altro, nondimeno Monsignore per un riguardo personale verso Don Bosco, si fece ardito a riferirne al Santo Padre; ma ne riportò un diniego, perchè il raccomandato non era ancora nemmeno cavaliere. Il Papa ignorava però che egli era nobile, la qual condizione suppliva a tutto il resto[233]. Don Bosco si sarebbe dunque dovuto rivolgere alle Segreteria dei Brevi; tuttavia credette bene di consultare prima monsignor Boccali, tanto più che Monsignor Mocenni gli aveva manifestato l'ipotesi che i documenti relativi si potessero trovare presso di lui.
Un affare per me di noti lieve importanza mi obbliga di ricorrere alla esperimentata Sua bontà per averne qualche risoluzione. Ecco di che si tratta.
Al 9 maggio di questo anno nell'udienza avuta dal Santo Padre mi feci ardito dì chiedergli umilmente alcune decorazioni in favore dei più insigni benefattori delle nostre case e specialmente della chiesa del Sacro Cuore di Roma. Sua Santità si degnò di accettare le umili proposte e le commendatizie di ciascuno, e rispose favorevolmente a tutte. Siccome poi la pratica si giudicava compiuta, mi autorizzò a darne comunicazione a ciascuno.
In quel momento Sua Santità fece chiamare Monsig. Macchi perchè a lui fossero rimesse le singole memorie preparate. Ma sfortunatamente la malattia e l'assenza della E. V. incagliarono queste pratiche, e solamente da qualche settimana giunsi a sapere che gl'incartamenti erano stati depositati nell'Uffizio della E. V. pel Suo ritorno[234]. [402]
In questo tempo D. Dalmazzo si raccomandò a Monsignor Mocenni, che con grande bontà giudicò parlarne con Sua Santità anche senza commendatizie. Venne concessa la Commenda di S. Gregorio Magno al Conte Colle Fiorito di Tolone. Per le altre Io stesso S. Padre rispose di far capo alla Congregazione.
Ora io mi raccomando alla efficace protezione della E. V. per aiutarmi in questi incombenti. In generale questi benefattori hanno fatto e sono pronti a fare vistose largizioni, ed io aveva assicurato S. S. che queste beneficenze io le avrei messe per l'Obolo di S. Pietro ma a conto della costruzione della facciata della chiesa del Sacro Cuore che la medesima S. S. si assunse di erigere a Sue spese.
Il Santo Padre non tenendo presenti i necessari documenti notò al prelodato Mons. Mocenni che il Sig. di Montigny non sembra appartenere a nobile famiglia; da esatte memorie consta che le grandi opere di carità di questo generoso signore sono veramente degne di un nobile. In Francia è decantato il suo zelo nelle opere pubbliche di carità e di religione e nominatamente nell'Ospizio di S. Gabriele nella città di Lilla da lui amministrato come direttore e presidente fino al tempo in cui l'opera venne affidata ai Salesiani. Ora tiene preparata una somma di dodici mila lire per offerire in favore della chiesa del Sacro Cuore.
Qui unisco copia della sua genealogia che da lui va a collegarsi cogli antichi Re di Francia.
Ciò esposto prego la E. V. di volermi consigliare se le paia caso di fare ancora la pratica presso al S. Padre, o ricorrere direttamente alla Segreteria dei Brevi come suggerì lo stesso S. Padre. Ad ogni modo io mi terrò puntualmente ai consigli che Ella si degnerà di suggerire a D. Dalmazzo.
Voglia in fine compatire il grave disturbo che le cagiono, ed io la assicuro che per ricompensarla in qualche modo di tanta sua bontà faremo ogni giorno speciali preghiere a Dio per la conservazione della preziosa sua sanità mentre colla più profonda gratitudine ho l'alto onore di potermi professare
In novembre il barone Héraud ricevette la Commenda di S. Gregorio Magno e il dottore D'Espiney il Cavalierato del medesimo Ordine. Per la Contea al Di Montigny si volle ancora interpellare il Nunzio di Parigi; dopo di che la concessione fu fatta. Ultima giunse la promozione di Monsignor Guigou[235].
Nel mese di ottobre i soci del Circolo Operaio Cattolico di Prato, tenendosi una delle loro prime adunanze, acclamarono con entusiasmo al nome di Don Bosco, nel quale ravvisavano un grande e provvidenziale benefattore degli operai, da essi venerato come un padre. Notificandogli la cosa, lo pregavano d'inviar loro la sua benedizione. Don Bosco rispose così al signor Cesare Natali presidente.
Ho ricevuto la graziosa lettera che la S. V. in nome suo e a nome del Circolo Cattolico operaio di recente costituitosi in cotesta città m'inviava in data del 22 corrente.
Non posso esternarle a mezzo la consolazione che provai nello scorrere il mentovato foglio, non già per le espressioni benevole usate verso di me, ma per la notizia che mi dà sull'impianto del Circolo Cattolico per gli operai, il cui benessere morale e materiale fu sempre in cima ai pensieri ed agli affetti miei.
Ringrazio pertanto la S. V. e tutti i componenti il Circolo medesimo per avere voluto consacrare uno dei loro primi pensieri alla povera mia persona, e li assicuro che pregherò di gran cuore Iddio che li benedica e li conforti. Sotto la protezione del Cielo, alla luce dei consigli dell'ottimo loro Pastore, colla sicurezza della benevolenza del Supremo Gerarca della Chiesa, il Sapiente Leone XIII, io confido che cotesto Circolo Cattolico andrà ognora più allargandosi e raccogliendo al suo centro molti altri operai di buon volere, salvandoli così dalle insidie dei nemici della religione e della civile società, che col pretesto di migliorare la loro sorte, la peggiorano invece di gran lunga, togliendo loro la pace della coscienza e la speranza di beni imperituri al di là della tomba. [404]
Nella pregiata sua lettera la S. V. mi dà vari titoli molto onorevoli, tra cui quello di padre: a tutti io rinunzio eccettuato quest'ultimo, e come loro padre sarò ben lieto se potrò essere loro utile in qualche cosa, come a' miei figliuoli.
Gradisca infine i miei cordiali saluti, mentrechè augurando a Lei ed a tutti i membri del Circolo ogni bene di Dio e della SS. Vergine Ausiliatrice godo di potermi professare della S. V. Ill.ma
Il settimanale cattolico pratese L'Amico del popolo diede pubblicità a questa lettera nel suo numero dell'8 novembre.
Col fine di ovviare a diversi inconvenienti Don Bosco aveva dato a Don Bussi, Direttore della Casa Madre delle Figlie di Maria Ausiliatrice, l'autorizzazione a trattare con quel Municipio per ottenere la cessione di un tratto della stradicciuola che correva dalla par te del torrente Belbo; essendovi poi bisogno di formare un giardino di ricreazione per le fanciulle della città che frequentavano l'oratorio festivo, aveva pure deliberata la compera di un campo situato dinanzi alla primitiva caso del Direttore. Anche quel terreno apparteneva al comune. Per aprire la via alle trattative Don Bosco stesso scrisse al sindaco le sue intenzioni e le relative ragioni.
Onorevoli Consiglieri della Città di Nizza M.ta,
Il sottoscritto Sac. Giovanni Bosco, nell'intento di eseguire l'ampliamento dell'educandato femminile della Madonna delle Grazie in codesta città, e precisamente verso il torrente Belbo per una lunghezza media di m. 30 circa, rispettosamente fa ricorso alle loro Signori e Ill.me, affinchè vogliano cedergli un tratto dello stradino per una lunghezza di m. 32 circa e la strada vicina al Convento, colle rispettive piante in N. di 28 tutte comprese.
Il supplicante per parte sua si assumerebbe l'obbligo di far costrurre [405] a sue spese la strada segnata in rosso nell'annesso Tipo-Bocca, della lunghezza di m. 4, che potrebbe servire per uso strada e viale.
L'ampliamento suddetto pare al supplicante necessario per le seguenti ragioni:
I° Onde allontanare il pericolo della rottura dei vetri dell'Educandato.
2° Il disturbo pressochè continuo alle scuole ed alle funzioni religiose.
3° L'inconveniente dei carri che per la troppa vicinanza della strada al muro, urtano in questo e nelle gelosie delle finestre, producendo danni anche considerevoli.
4° Il pericolo di ogni immoralità, per i discorsi non sempre puliti che in essa strada e precisamente sotto le finestre dell'Istituto si tengono troppo frequentemente.
5° Onde provvedere all'igiene coll'ampliare da parte del mezzodì, ove l'aria è più salubre, i cortili, formare nuove passeggiate e più ampio giardino ad uso delle giovanette dell'Educandato.
6° Infine per avere disimpegnato un Laboratorio e cortile di ricreazione ad esclusivo beneficio delle fanciulle più bisognevoli della città: essendo intenzione del supplicante di aprire una scuola professionale di cucito, gratuita, quotidiana per esse dall'età dei 12 ai 1-5 anni, come pure per averle a modo di Oratorio radunate nei giorni festivi per l'istruzione morale, civile e religiosa.
Conoscendo con quanta cura e sollecitudine le LL. Sig. Ill. attendano al vantaggio morale e civile della popolazione da loro amministrata, specialmente a beneficio della gioventù, il supplicante nutre ferma fiducia che verragli concesso quanto ha umilmente espresso.
Nel fervore apostolico del proprio zelo per far progredire la sua missione africana, il cardinale Lavigerie pensava che fosse quanto mai giovevole il trapiantare sul suolo dell'antica Cartagine, irrorato già dal sangue dei Martiri, una comunità, la quale attendesse alla preghiera e alla penitenza. “Io so per esperienza, scriveva egli, quanto sia impotente l'uomo, se non è sostenuto dalla grazia di Dio e so pure che bisogna fare violenza sul Cuore di Nostro Signore per mezzo della [406] penitenza e della preghiera, se si vogliono ottenere da Lui le grazie dell'apostolato ”. Così si esprimeva il grande Cardinale in una lettera alla Madre Maria degli Angeli, Superiora del Carmelo di Avenue de Messine a Parigi, allorchè nel 1884 le faceva calda istanza di mandare un gruppo delle sue religiose a fondare colà un monastero perchè sul monte s'innalzassero le mani al Cielo, mentr'egli ingaggiava, le battaglie del Signore nel piano.
Orbene la Madre Maria degli Angeli era la Priora del monastero, in cui Don Bosco aveva celebrato la prima volta dopo il suo arrivo a Parigi e fu colei che aggregò spiritualmente e in forma ufficiale i Salesiani all'Ordine[236]. In cosa dunque di tanta importanza, benchè avesse piena fiducia nel Cardinale, tuttavia la buona Madre provava qualche esitazione; perciò decise di consultare Don Bosco, inviandogli copia della lettera di Sua Eminenza. Il Salito nella risposta che fece stendere e sottoscrisse, dettò a parte queste parole: “La ringrazio molto d'avermi comunicato l'ammirabile lettera di Sua Eminenza il Cardinale Lavigerie. Abbia fede: con la fede niente Le può mancare. Il Signore Le comanda questa fondazione. Egli farà ogni cosa senza dubbio. Ma preghiamo assai e operiamo con tutta fiducia nell'aiuto di Dio ”[237].
Il consiglio di Don Bosco, dato in termini così recisi, incoraggiò la Madre, che da quel momento non ebbe più la menoma incertezza. “Le parole del suo beato Padre, ci scrive dal Carmelo di Cartagine la presente Superiora[238], venivano proprio da Dio. Il Signore voleva certamente quella fondazione. Egli fece tutto e nulla ci mancò. Ha vegliato sempre su di noi in modo speciale e lo fa particolarmente in questi tempi così difficili ”. Della fondazione, avvenuta nel 1885, si è celebrato quest'anno il cinquantenario, dandosi grande pubblicità alle parole indirizzate dal nostro Santo. [407]
Un salesiano lucchese fin da quando faceva il ginnasio nell'Oratorio non era mai stato uno stinco di santo; pur tuttavia i Superiori l'avevano sempre tollerato, ammettendolo alla professione perpetua e alle sacre ordinazioni, perchè la sua condotta esterna non appariva scandalosa. Di carattere piuttosto chiuso, evitava espansioni d'ogni fatta. Or avvenne che, mandato già prete nella casa di Magliano Sabino, un bel giorno insalutato hospite se ne fuggisse. Si seppe da poi che erasi recato a Firenze, dove l'Arcivescovo non lo voleva assolutamente accogliere nel suo clero.
Ridotto a mal partito, scrisse una lettera minacciosa a Don Bosco, annunciando che avrebbe svelato a Roma cose disonorevoli sul conto della Congregazione. Don Bosco gli rispose che, se desiderava da lui qualche riga di riscontro, scrivesse una lettera conveniente. Il disgraziato spedì invece alla sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari una sequela di accuse infamanti a carico dei Salesiani; ma nel medesimo tempo non esitava asserire con disonore di se stesso che egli aveva finto il consenso nel noviziato, nella professione religiosa e nelle sacre ordinazioni.
Roma non gli rispondeva; si rivolse quindi nuovamente a Don Bosco chiedendo l'escorporazione, e lo fece per il tramite del canonico Martini, che apparteneva alla collegiata di San Lorenzo in Firenze. Il Santo rispose che, essendo stata la cosa messa in mano alla sacra Congregazione, a lui non era più possibile far nulla. Nel frattempo intese che detta Congregazione domandava spiegazioni a Don Dalmazzo ed ei ricevette anche una copia della denunzia. A mezzo gennaio gli pervenne dal medesimo canonico una nuova richiesta, perchè volesse trasmettere al fuggiasco il proscioglimento dai voti e una commendatizia. All'intercessore Don Bosco rispose con questa mirabile letterina. [408]
Ho ricevuto la sua lettera e mi rincresce che il sacerdote Bianciardi sia poco bene in salute. Ho pure ricevuta la esposizione delle cose sue fatta a Roma. Egli ha cercato tutte le invenzioni che ha saputo per denigrare la Congregazione che gli ha fatto il bene che potè e che gli ha dato tutto quello che ha.
Io non mi immaginavo che egli dopo di aver a parole dimostrato illimitata confidenza e benevolenza co' suoi superiori avesse potuto fingere la stessa emissione dei voti, la professione religiosa nella stessa sacerdotale ordinazione.
Egli potrebbe in qualche maniera riparare la grande calunnia scrivendo o a Roma o a D. Bosco una lettera di scusa e di riparazione.
Abbia anche Lei pazienza se di nuovo la disturbo e se non posso alla dispensa quivi unita aggiungere una commendatizia, come avrebbe desiderato.
Per il fedifrago non ci poteva essere difficoltà riguardo alla dispensa dai voti; ma qual commendatizia gli si sarebbe mai potuta rilasciare? Fece dunque una dichiarazione, in cui lo diceva sciolto da ogni vincolo con la sua famiglia salesiana, premettendovi però due gravissime considerazioni di fatto.
Il sottoscritto avendo considerato la sua relazione in cui asserisce che il Sac. Augusto Bianciardi ha fatto tutto per finzione anche nella professione religiosa e nelle pratiche di pietà, e ritenendo essere una vera calunnia quanto scrisse alla Congregazione dei Vescovi e Regolari a Roma, accondiscende alla sua domanda e lo dichiara intieramente sciolto da ogni legame colla Congregazione Salesiana. Questo si dichiara per esporre lo stato delle cose, ma il sottoscritto si rimette a qualunque decisione sia per emanare dalla prefata Congregazione dei Vescovi e Regolari.
IL PRINCIPE AUGUSTO CZARTORYSKI.
Abbiamo narrato nel volume precedente il suo primo incontro con Doli Bosco a Parigi; nei due anni che seguirono, la sua vocazione si maturò fra lotte interne ed esterne, di cui ora diremo, premessa una rapida notizia sul suo lignaggio. Sette lettere di Don Bosco ci permetteranno la dovuta precisione storica.
L'origine della famiglia Czartoryski si perde nel buio dei tempi. Capostipite riconosciuto fu il principe Wasyl, che visse negri esordi del secolo XV. A poco a poco la sua stirpe giunse a primeggiare in parentadi e ricchezze fra la più alta aristocrazia polacca. Accadde che tanto splendore momentaneamente declinasse nel secolo XIX, allorchè l'avolo di Augusto, principe Adamo, espose fortune e vita per là patria durante la disperata riscossa del 1830. Caduta Varsavia, i Russi lo condannarono a morte e ne confiscarono i beni. Il generoso eroe potè mettersi in salvo, varcando le frontiere. Quindi, esule a Parigi, si rifece bel bello il patrimonio e divenne valido sostegno de' suoi compatrioti, che in Francia si erano costituita una seconda patria. Il suo secondogenito Ladislao, rimasto capo del casato, sposò la principessa Maria Amparo, figlia di Maria Cristina, regina di Spagna Dalla loto unione nacque il nostro Augusto il 2 agosto 1858 in quel magnifico palazzo Lambert, in cui doveva nel 1883 incontrarsi la prima volta col futuro padre dell'anima sua.
Dopo l'abboccamento avuto con lui a Parigi avrebbe desiderato di fargli una visita a Valdocco nel corso dell'estate anche per formarsi un'idea della sua opera; ma questo non gli fu possibile. L'occasione si presentò in settembre, quando si recava a Roma, membro di una delegazione che portava a Leone XIII gli omaggi della Polonia nel secondo centenario della vittoria di Giovanni Sobieski contro i Turchi. Nell'andata fece una breve sosta a Torino, ma non vi trovò Don Bosco; [410] visitò tuttavia da capo a fondo l'Oratorio, accompagnato da Don Rua, che lo consigliò a tornare in maggio per la festa di Maria Ausiliatrice. E così egli fece. Trascorse allora nell'Oratorio tutto il 24, assistendo alle funzioni e partecipando anche alla mensa di Don Bosco. Ogni cosa qui dentro lo commoveva, sicchè decise di rimandare la partenza per aver agio di parlare col Santo. Alloggiò al Grande Hotel d'Europa, donde veniva tutte le mattine a compiere le sue divozioni nel santuario di Maria Ausiliatrice; poi si fermava a prendere il caffè con Don Bosco, che spesso accompagnava pure a passeggio nelle ore pomeridiane. Prolungò così la stia dimora fino a Sali Giovanni. In seguito considerò sempre quel mese come tino dei periodi più belli della sua vita e una delle maggiori grazie concessegli dal Signore. Il pensiero della vocazione gli assediava continuamente lo spirito. Un grave ostacolo gli si ergeva contro nella famiglia. Era intendimento del padre stabilire il maggiorasco che spettava ad Augusto, come a primogenito perciò voleva che il figlio si addestrasse nel maneggio degli affari e prendesse a frequentare più assiduamente l'alta società, Ma questi pensava a tutt'altro, nè ancora si arrischiava a farne parola. Ammalatasi intanto nel l'autunno la stia seconda madre, invocò preghiere da Don Bosco per la sua guarigione, e Don Bosco gli rispose:
Benemerito carissimo Sig. Principe,
Appena ricevuta la preziosa sua lettera, ho immediatamente stabilito particolari preghiere da farsi mattino e sera all'altare di M. A. Io farò ogni mattina un memento speciale nella Santa Messa. Speriamo nella divina bontà che la Santa Vergine Maria protegga Lei, caro Sig. Principe, porti la sanità e la santità all'augusta inferma di lei Genitrice e ottenga al pio di Lei Genitore tutte quelle grazie che sono necessarie per la loro eterna salvezza.
Mi raccomando alla carità delle loro preghiere e ho l'alto onore di potermi professare colla più profonda gratitudine in Gesù Cristo
Riavutasi la Principessa, egli per compiacere al padre, che mirava a distrarlo dai gravi pensieri in cui lo vedeva immerso, intraprese un viaggio a Londra; ma, quando tornò a Parigi, il suo stato d'animo non dava indizio di essere mutato. Sentiva il bisogno di conferire con Don Bosco; onde gliene scrisse, chiedendogli pure consiglio su varie cose. Don Bosco dettò la seguente risposta.
A motivo della vista alquanto cagionevole devo servirmi di un segretario per comunicare una risposta che è già alquanto in ritardo. Ha fatto bene differire ancora la scelta dello stato. Io pregherò con Lei e per Lei e Dio certamente ci guiderà a conoscere i suoi divini voleri.
Riguardo al Segretario che le sarebbe indirizzato io credo che Ella possa servirsene al bisogno, ma non prenda tosto impegni definitivi. Vorrei che almeno per qualche tempo conoscesse il carattere e la religiosità della persona.
Ho ricevuto li 100 f. e i 100 biglietti mandatile in favore della Chiesa e dell'Ospizio del Sacro Cuore a Roma. Io la ringrazio ed il S. Cuore di Gesù la ricompenserà largamente.
Io godo assai che Mamà sia fuori di pericolo. Ho pregato Maria Ausiliatrice che la tornasse alla primiera sanità; ora continuo a pregare e con me pregano tutti i nostri giovani, affinchè possa godere la sanità a consolazione della famiglia lunghi anni. Se mai nel corso di questo inverno mi sarà possibile di recarmi a Nizza, avrò a grande onore di portarle personalmente i miei umili ossequi e l'assicurazione delle nostre preghiere. E Lei, Signor Principe, non andrà eziandio a passare qualche giorno co' suoi genitori?
Tutti quelli della casa nostra che ebbero la fortuna di conoscerla e riverirla in Torino si uniscono meco a farle lieti augurii di buone feste e di felice capo d'anno e si raccomandano tutti alla carità delle sante sue preghiere.
Dio ci benedica tutti e ci aiuti a camminare costantemente per la via del cielo.
Sono di Lei, caro signor Principe
P.S. Relativamente al Maggiorasco procuri di secondare papà quanto le sarà possibile; ma di ciò spero ne parleremo altra volta, [412]
L'ansietà del Principe cresceva: la necessità di essere meglio illuminato lo indusse a chiedere ulteriori consigli, massime sull'affare che poteva dirsi centrale in quel momento, l'accettazione cioè del maggiorasco. Don Bosco gli espose nettamente il suo modo di vedere[239].
La sua lettera richiede sicuramente una pronta risposta, ma non è facile darla con una lettera. Tuttavia ecco il mio parere.
Se nel suo cuore Ella si sente una forte propensione al sacerdozio, rinunzierà a tutti i maggioraschi; ma caso mai questa volontà non fosse ancora ben ferma, farà belle a secondare suo padre e accettare il maggiorasco con tutte le sue conseguenze; per le altre determinazioni è necessario che ci scriviamo altre lettere o almeno abbiamo una conversazione personale, che potremo tenere nella prossima primavera.
Intanto noi preghiamo, Ella pregherà e il Signore ci farà conoscere chiaramente la sua santa volontà.
Apprenderà dai giornali che sabato un incendio ha bruciato una parte notevole della nostra casa. Il danno è assai grave, ma le persone sono state tutte salve. Dio sia benedetto tanto nelle cose liete che nelle disgrazie.
La Santa Vergine ci protegga e ci guidi nella strada del Paradiso. Così sia.
Augusto, ringraziandolo, gli comunicò che, secondo il consiglio del confessore, si sarebbe recato a Torino per fare sotto la sua direzione gli esercizi spirituali. Don Bosco lodò tale divisamento, scrivendogli:
Sarò ben lieto di vederla qui e approvo intieramente l'idea che ha di fare, un ritiro spirituale. Mi rincresce solo di non poterlo dirigere io; ma spero che altri possano farlo in mia vece, perchè la mia sanità ancora molto cagionevole non me lo permette. Venga dunque, venga; io l'aspetto ansiosamente.
La ringrazio delle notizie che mi dà de' suoi cari parenti; è una [413] vera contentezza per me il sapere che tutti stanno bene. Faccia i miei rallegramenti al Principe Adamo per la sua prima comunione.
Oh! il Signore lo benedica, lo mantenga sempre nella sua santa grazia e ne faccia un valoroso protettore e difensore della religione, un santo.
La prego di presentare i miei umili ossequi alle LL. AA. il Principe e la Principessa e a tutta la famiglia, sena dimenticare il caro principino Vitoldo, per il quale io prego con tutto il cuore. A rivederla dunque presto.
Il Signore la benedica e l'accompagni. Gradisca i miei ossequi e voglia credermi,
Augusto venne a Torino nella prima metà di giugno. Arrivando prese alloggio all'albergo; ma dopo qualche giorno pregò Don Bosco che gli desse ospitalità nell'Oratorio.
- Potrà Ella, gli domandò ridendo il Santo, adattarsi alla nostra parca mensa?
- Non tema, rispose; quello che basta per Don Bosco, basterà anche per me.
- Se lo desidera, venga pure. A chi lo desideri, Don Bosco non ricuserà mai un posto alla propria tavola.
Così, stando a fianco di Don Bosco, potè con tutta comodità manifestargli i suoi sentimenti e osservare da vicino la santità di lui e la vita de' suoi figli. La maggior parte del tempo la passavi nella meditazione, nella preghiera e in pie letture. Ma un sì dolce soggiorno gli fu troncato dal padre, che, preoccupato del suo avvenire, lo obbligò a rimpatriare. Ricompensati dunque generosamente i disturbi che credeva d'aver arrecati all'Oratorio, ripartì per la Polonia. Giunto a Sieniawa dov'erano i beni della famiglia, fece secondochè gli aveva detto Don Bosco, per obbedire cioè ai voleri del padre si applicò all'amministrazione de' suoi averi, dei quali era entrato in possesso conforme ai diritti del maggiorasco. Ma il suo cuore era altrove. Appena si fu rimesso dal viaggio, diè conto [414] di sè e delle cose sue a Don Bosco, che gli rispose piuttosto vagamente; ma per lettera non si poteva fare in altro modo.
La sua buona e preziosa lettera ha portato la consolazione a tutti i Salesiani. Sembra che la Divina Provvidenza la guidi in qualche modo nella Chiesa di Dio. Noi preghiamo di tutto cuore che la grazia del Signore e la protezione della Santa Vergine l'accompagnino sempre. Le idee, le intenzioni del suo signor Padre sono veramente di persona molto savia ed Ella può eseguirle tranquillamente, curando specialmente la sua fortuna. La sua partenza da noi un po' precipitata ci ha impedito di conchiudere alcuni affari; ma io spero che qualche buona occasione o una lettera ci permetteranno di spiegarci più chiaramente. La mia sanità è sempre debole e la raccomando alle sue preghiere.
Le facciamo tanti ringraziamenti della carità che generosamente ci ha fatta. I nostri giovani faranno continue preghiere e comunioni secondo la sua intenzione.
Dio la benedica, o mio carissimo e ottimo amico, mi permetterà questa parola, e la Santa Vergine la protegga sempre nella strada del Paradiso.
Il padre gioiva di vederlo così intento alla cura del patrimonio, sperandone bene per i suoi disegni; ma, se avesse potuto leggergli dentro, avrebbe scotto quale sforzo di volontà gli costasse il piegarsi a quel genere di vita così opposto alle sue aspirazioni. La lettera di Don Bosco ne aveva aumentate, anzichè diminuite le ansie. Onde in agosto invocò di bel nuovo l'aiuto de' suoi consigli e n'ebbe una risposta ancor più vaga della precedente, scritta per giunta con grati fretta, come ne fa fede il testo originale. Don Bosco stava allora tutto occupato negli esercizi a S., Benigno e si sentiva poco bene.
Mio carissimo e rispettabilissimo Sig. Principe Augusto,
Gratissima è stata per me la sua lettera, che per tutti i Salesiani è stata un preziosissimo regalo, e non mancheremo di pregare per Lei e per tutta la sua famiglia. [415]
In questo momento noi facciamo gli esercizi.
La mia sanità non è buona, ma tutti i preti fanno ogni mattina un memento secondo la sua intenzione. Avrò la consolazione di poterle scrivere al più presto. I pareri del signor Principe suo Padre sono molto savi; non si può dire meglio. Nel caso che non possa io, Le darà Don Rua i particolari desiderati dalla sua lettera.
La Salita Vergine sia la sua guida in tutte le sue risoluzioni. Mi raccomando alle sue caritatevoli preghiere e Dio ci guidi nella strada del Paradiso. Così sia.
S. Benigno Canavese, 26 agosto 1885.
Per non tenerlo più a ]ungo in sospeso, Don Bosco due giorni dopo incaricò Don Rua di comunicargli il suo pensiero, e Don Rua scrisse al Principe il 28 del mese: “Il nostro caro Don Bosco sta male e perciò lo sostituisco nello scrivere. Circa i consigli del suo onorevole Padre riguardanti il carissimo Principe, Don Bosco liti dice di ricordarle che il Signore benedice sempre i figli che obbediscono alla volontà dei genitori e prega perchè la benedizione di Dio scenda anche sopra di lei. Intanto Doti Bosco, conte anche i nostri fanciulli pregano e offrono la santa Comunione affinchè la SS. Vergine Ausiliatrice le ottenga la luce e tutte le grazie necessarie in queste cose importantissime. Il nostro caro padre Don Bosco le assicura che volentieri prega per lei e per tutta la sua famiglia ”.
La prudenza non permetteva che si dicesse di più. E padre non ignorava orinai quali fossero le mire di Augusto, finchè dunque gli parve che durasse in liti la stia indecisione, moltiplicò gli assalti, massime col rimettergli dinanzi l'affare del matrimonio. Angustiato più che mai, il Principe fece da capo Ticorso a Don Bosco in dicembre e il Santo a rispondergli:
Caro Sig. Principe Augusto Czartoryski,
Noi tutti eravamo desiderosissimi di sue notizie ed ora siamo tutti assai contenti delle buone nuove che Ella ci dà di sè e della sua famiglia. Mi sembra che l'affare d'un matrimonio si riduca a trovare una persona come si deve e per questo io credo che farà molto bene [416] a rimettersi ai consigli di papà e della zia, di cui mi parla. Tuttavia non mancherò di pregare e far [fare] preghiere e comunioni dai nostri giovani nella chiesa e all'altare di Maria Ausiliatrice.
Vi sono molte cose che potremmo dirci di presenza, ma che non si possono spiegare bene per lettera; ma la Santa Vergine che ci ha guidati fin qui; non ci lascerà venir meno la sua materna protezione. Io ho piena fiducia che nel corso dell'anno venturo la rivedremo con la più grande consolazione di tutti i Salesiani, che la amano come padre e benefattore.
Dio la benedica, o mio carissimo Augusto, e il desiderio della sua felicità eterna le sia guida nelle parole e nelle opere.
Io sono diventato mezzo cieco e perciò eserciti un po' la pazienza a leggere la mia cattiva scrittura.
Nella sua grande carità voglia anche pregare per me e per tutta la famiglia salesiana, con la quale le sarò sempre con gratitudine in G. C.
Non ci deve recar meraviglia, che Don Bosco non usasse col Principe un linguaggio più reciso; per parlargli a questo modo egli aspettava che si formasse nell'animo di Augusto una visione chiara è una risoluzione ferma su quello che intendeva di fare. Fino allora il suo spirito fluttuava fra due sentimenti: da una parte la pietà filiale che lo ratteneva dal mettersi in conflitto col padre, e dall'altra un'inclinazione sempre più forte, sebbene ancora un po' esitante, ad abbracciare la vita religiosa nella Congregazione Salesiana, nel che vedeva benissimo difficoltà di varia natura. Ma la fiducia del Santo che la soluzione definitiva sarebbe venuta nel 1886, doveva avere il suo pieno avveramento.
UN giornale di Milano che nel mondo finanziario e politico andava per la maggiore, lanciò in febbraio questa sensazionale notizia[240]: “Lo scorso autunno Don Bosco lasciava Torino diretto in America, dove si recava a visitare i convitti da lui fondati colà. Da qualche tempo circola, con insistenza, la voce che Don Bosco sia morto in America. Si vuole che la morte sia tenuta celata per non guastare alcuni interessi del partito di cui Don Bosco era l'anima ”. La strana e forse anche malevola corrispondenza commosse la stampa, ma più assai gli amici del Santo. É vero che il Corriere di Torino fu sollecito a pubblicare una smentita[241]; ma la falsità, per non chiamarla menzogna, fece tuttavia del cammino. Pazienza per i giornali esteri, a cui la rettifica pervenne tardi[242]; ma certi fogli italiani, anzi torinesi, senza degnarsi di assumere informazioni, continuarono a copiare l'uno dall'altro, tanto che un [418] settimanale di qui dopo ben quindici giorni non aveva per anco avuto sospetto della panzana[243].
Così potè avvenire che Don Bosco la sera del 13 marzo, mentre usciva con il chierico Viglietti a passeggio, incontrasse nella porteria varie persone desiderose di appurare la realtà, avendo udito per le vie gli strilloni che gridavano la morte di Don Bosco per cinque centesimi. Egli, rispondendo scherzevolmente alle congratulazioni, disse: - Alcuni giorni fa mi hanno fatto morire a Buenos Aires; poi a Marsiglia; ieri a Pavia; ed oggi, anzi stamane, secondo loro sono morto a Torino; e stasera vado a passeggiare! Oh, finchè con le proprie orecchie si ode raccontare la propria morte, non si è ancora in pericolo. - Anche i popolani, vedendolo passare, si fermavano a guardarlo stupiti e manifestando poi la loro gioia nell'accertarsi che era proprio lui.
Dell'effetto prodotto dal ferale annunzio nei figli lontani ci rende testimonianza il seguente brano di lettera del Direttore parigino[244].
Alcuni giorni fa un giornale francese annunziava la morte del nostro caro Padre D. Bosco! Più grande disgrazia non poteva intervenire alla nostra cara Congregazione. Quindi giudichi dei nostro dolore, della nostra inquietudine, aspettando la risposta al telegramma che subito avevamo spedito a Marsiglia per sapere la verità.
Ma Iddio sia benedetto, benedetta pure la Santissima Vergine Ausiliatrice; la notizia era senza fondamento e questo prova una volta di più la leggerezza dei giornalisti, i quali per l'unico piacere d'annunziare in fretta novità sorprendenti, non temono, senza pigliare sicure informazioni, di mettere nelle angoscie il cuore di figli devotissimi, annunziando false notizie del loro padre tanto teneramente amato. [419]
Quindi può Ella immaginarsi la nostra gioia, quando ieri ricevendo il suo foglio abbiamo letto in esso, che il caro Padre sta un po' meglio di salute e proponevasi di venire a visitare i suoi figli, le sue case della Francia ed anche quella di Ménilmontant, In verità questa speranza ci appare come una stella in mezzo alla burrasca e la salutiamo coll'allegrezza più viva. Posso anche dire che i nostri giovani sentono nel cuore una gioia non meno grande della nostra, perchè incominciano a riconoscere nel nostro D. Bosco il loro affettuoso padre.
La preghiamo pertanto di narrare a D. Bosco questa gioia dei suoi figli di Parigi e gli dica che anche una sua visita parmi ognor necessaria pel bene della nuova casa. Preghiamo Maria Ausiliatrice affinchè questa benedizione, questa fortuna sia concessa alla casa di Ménilmontant.
Il giornale francese, il quale aveva sparso il falso rumore della morte di D. Bosco, confessa questa mattina il suo errore, anzi annunzia la venuta di D. Bosco stesso in Francia pel fine del corrente mese.
In Francia sì, ma a Parigi non più. Passando sopra alle proteste dei medici e non arrendendosi alle amorevoli rimostranze dei figli, mosso dal bisogno di sollecitare la carità altrui per sostenere le sue opere di carità[245], partì la mattina del 24 marzo in compagnia del suo segretario Viglietti e di Don Bonetti. Nell'andare dall'Oratorio alla stazione, domandò improvvisamente al primo: - Oh, Viglietti, dove vai?
Esitando Viglietti a rispondere, il Santo ripigliò: - Dove vada Don Bosco, non lo so neppur io. È in braccio della Provvidenza.
In treno da Torino a Sampierdarena si mostrò festevole nel conversare e, là giunto, gustava durante il pranzo le amenità di monsignor Scotton, predicatore della quaresima. La sera stessa si proseguì per Alassio. Quello è il tempo, in cui la riviera ligure comincia a essere tutta un incanto di fiori. Don Bosco, affacciandosi allo sportello, si rallegrava come un fanciullo al vedere dappertutto margherite e peschi fioriti. [420]
Pernottato ad Alassio, ripartì per Nizza. Don Cerruti prese il posto di Don Bonetti, rimasto a Sampierdarena. A Ventimiglia trovò l'affezionatissimo barone Héraud, venuto a incontrarlo con Don Fasani, prefetto del Patronage. I confratelli di Vallecrosia poterono appena baciargli la mano e scambiare qualche parola. Alla stazione di Nizza lo aspettavano molti signori e signore con le loro carrozze. Toccò alla carrozza di una ricca marchesa l'invidiata sorte di condurlo alla casa salesiana.
Quivi, terminate le festose e affettuose accoglienze e salito in camera, si arrestò di botto sulla soglia, quasi spaventato alla vista dell'arredamento che aveva del signorile; quindi diè ordine di portar via subito subito il tappeto che copriva parte dei pavimento. Al Direttore non era parso quello un lusso, ma un doveroso riguardo sia per Don Bosco, sia anche per le persone di qualità che sarebbero venute a visitarlo. Don Bosco invece non la pensava allo stesso modo. Postosi a sedere, raccontò con la sua pacata bonarietà un episodio del marchese Fassati. Questo suo nobile amico e benefattore un giorno, avendo osservato certi abbellimenti sull'edifizio della porteria, gli aveva detto che non osava più offrirgli danaro, perchè gli pareva che ne avesse d'avanzo, E sì che quel lavoro non presentava proprio nulla di straordinario, era anzi giustificato dalle esigenze edilizie del Municipio e dalla convenienza di compiere per bene l'ornamento della piazzetta di Maria Ausiliatrice. - Chi volete, continuò poi il Santo, che si senta mosso a farci elemosina, se si vede che siamo diventati signori? Crederebbero di farci un torto e di offendere la nostra suscettibilità. E come avremmo noi il coraggio di fare appello alla pubblica carità, se ci si potesse rispondere che le nostre camere, le nostre case dicono che non ne abbiamo bisogno e che noi siamo alloggiati da ricchi? - Quindi, passando ad altro, raccomandò caldamente che sotto i portici si stampassero sentenze scritturali come nell'Oratorio di Torino.
Fatto così un tantino di conversazione trascorse le rimanenti [421] ore della giornata in perfetto riposo. Sembrava che stesse abbastanza bene, tanto era allegro; solo gli dava fastidio un dolore alla gengiva sinistra. Sul tardi chiamò Viglietti e gli fece scrivere così a Don Rua: “Don Bosco le si raccomanda perchè voglia incaricare qualcuno dell'Oratorio di trascrivere e spedire a Nizza le iscrizioni che stanno sotto i portici. Mi incarica di presentare i suoi saluti a Lei, a Don Lazzero del quale gli preme aver notizie, a Don Lemoyne al quale dice che presto farà avere un bel cestello d'insalata[246] e a tutti i Superiori di costì unitamente ai giovanetti dell'Oratorio, ai quali raccomanda che sperino solo in Dio pel buon esito dei loro esami ”. Intendeva gli esami semestrali, soliti a farsi prima di Pasqua.
La mattina del 26 fu tutta occupata da visite illustri. A mezzogiorno con Don Ronchail e con Viglietti Don Bosco partecipò a un déjeuné intimo presso il conte di Montigny, che prolungò la sua consueta dimora invernale sulla Costa Azzurra per attendervi il Santo. Verso le quattro s'andò alla chiesa di Notre-Dame per assistere alla predica, che il quaresimalista gesuita avrebbe fatta sullo scopo della venuta di Don Bosco a Nizza. Nel suo diario Viglietti scrive: “Oh sia lode a Dio! Io non avrei creduto se non avessi visto. Aveva udito raccontare dei viaggi di Don Bosco in Francia, ma era ben lungi dal figurarmi la realtà. La gente per le vie sì ferma estatica a contemplare Don Bosco, si accalca sul suo passaggio, lo vuol toccare; altri piange di consolazione di aver udito una sua parola, d'aver ottenuto un suo sguardo; altri si contenta di vederlo da lungi, stimandosi indegno d'avvicinarlo. La chiesa di Notre-Dame era zeppa di gente. Taccio del discorso che tenne l'oratore e degli elogi che fece di Don Bosco, e di tutto ciò che avvenne dopo, perchè Don Ronchail ne farà più ampia esposizione in una sua lettera da riprodursi sul Bollettino Salesiano ”. [422]
Il predicatore, benchè sapesse le simpatie del suo uditorio per Don Bosco, non avrebbe tuttavia immaginato un entusiasmo come quello di cui era testimonio; tale spettacolo ne infiammò l'eloquenza. Dimostrata la necessità di procurare un'educazione cristiana ai figli del popolo, fece vedere qual grande lacuna venissero a colmare le opere di Don Bosco, che rappresentò come un agente di cambio della Provvidenza; egli infatti permutava beni passeggeri in beni eterni. La sua parola riuscì tanto efficace, che la colletta fruttò la bella somma di oltre quattromila franchi.
Terminata la cerimonia, Don Bosco tornò dal conte di Montigny che imbandì in su o onore un sontuoso banchetto con una trentina d'invitati, tutti benefattori insigni delle case di Lilla e di Nizza. Alle frutta, espressa la sua grande contentezza di avere alla propria mensa Don Bosco fra una così eletta corona di amici, e narrato in che modo l'orfanotrofio di S. Gabriele a Lilla fosse passato nelle mani del Santo, proseguì: - Da quattordici mesi quella casa è affidata ai Salesiani ed io qui, sul punto di ritornarmene alla mia città, sono lieto di dire a Don Bosco dinanzi a questi ragguardevoli signori, che noi gli siamo riconoscentissimi del bene da lui fatto alla gioventù della Francia e particolarmente di Lilla.
Nella stia risposta il Santo, descritto il suo primo incontro col di Montigny a Nizza, detto del bellissimo ricevimento avuto l'anno innanzi nella “Roma del nord ”, Lodata la carità dei Francesi per le sue opere e messo in rilievo l'interessamento generale dei Lillesi per la casa di S. Gabriele, si fermò un istante e poi continuò così: - Tanta carità mi toccava il cuore, nè io sapeva in che modo avrei potuto attestare tutta la mia riconoscenza. Esposi con tutta semplicità al Santo Padre nel mio ultimo viaggio a Roma ciò che avevo visto e fatto in quella città così cristiana, e il Papa, che ben conosce la carità dei cattolici di Lilla e il loro attaccamento alla Santa Sede, volle dare a quei ferventi cattolici e in particolare ai [423] benefattori delle nostre opere un attestato della sua paterna benevolenza, accordando a colui che fu il primo a chiamarci colà e che si mostra ognora il nostro più valido collaboratore, al signor Alfredo di Montigny, il titolo di Conte Romano, onore trasmissibile a' suoi discendenti e prova imperitura dell'amore nutrito dal Santo Padre per le opere cattoliche di carità. -Ciò detto, gli presentò con le proprie mani il Breve pontificio. I commensali felicitarono cordialmente il novello Conte, acclamarono la sovrana bontà del Sommo Pontefice e fecero caldi voti per il ristabilimento di Don Bosco in salute e per la prosperità delle sue caritatevoli imprese. Allorchè il Santo rientrò in casa, era notte avanzata. Egli cadeva dalla stanchezza.
I lettori conoscono già abbastanza le vicende, che precedettero la concessione di questa e di altre onorificenze pontificie. Qui aggiungeremo soltanto che il Breve per il di Montigny era già a Torino un mese prima e che Don Bosco l'aveva spedito a Don Ronchail, affinchè ne facesse con solennità la consegna, accompagnando la spedizione con questa sua lettera.
Finalmente la sospirata pratica pel Conte di Montigny è terminata. Eccoti il Breve che ha girato per Roma e pagò tasse certe ed incerte; ma ogni cosa è finita.
Se questo Signore è ancora a Nizza, se gli prepari e se gli faccia una bella festa. Se è già a Lilla, prendi intelligenza con sua sorella.
Nota che tutto fu in riguardo alla Chiesa del Sacro Cuore di Gesù a Roma.
La mia sanità va meglio, ma non ho ancora potuto uscire di casa, perciò incerta la mia andata a Nizza.
Raccomandami a tutti i nostri cooperatori, di’ loro che io prego tanto per essi e che lavoro pel Santo Padre, cioè per l'Ospizio, e per la Chiesa di cui sopra.
Scrivimi molte cose. Amami nel Signore e Dio ci benedica tutti.
Quel Direttore per altro amò meglio soprassedete per attendere la venuta di Don Bosco, sicchè l'atto della consegna riuscisse più onorevole e gradito.
Alla Messa del 27 assistettero molti signori, partiti i quali, cominciò tosto il viavai delle carrozze che portavano nobili visitatori e visitatrici, nizzardi o forestieri ospiti di Nizza. L'anticamera non si sgombrava mai. Si veniva a ringraziare o a domandar grazie, porgendo offerte. Quei che uscivano dalla stanza di Don Bosco, avevano la contentezza dipinta sui visi. “Ho visto una signora, scrive il Viglietti, uscire dall'udienza di Don Bosco tutta raggiante di gioia e, ciò che non si addiceva certamente alla sua età, saltellava percorrendo il cortile ”. Lo visitarono fra gli altri la matrigna del principe Czartoryski e il signor Harmel.
Nel pomeriggio arrivò un'intera famiglia da Cannes, composta di sette od otto persone. Portavano una povera fanciulla gibbosa e sciancata, supplicando per lei una benedizione. Mentre Don Bosco terminava di proferire la formula, tutti ruppero in pianto e si dicevano nei singhiozzi che la ragazza era guarita. Infatti se ne venne via con i parenti senza bisogno di chi la sostenesse e camminando poi dritta come un fuso. Di simili guarigioni improvvise Don Bosco si lagnava, dicendo di essere contento, quando la grazia era concessa con qualche dilazione dopo un triduo o una novena.
Le limosine quest'anno, sebbene si vedesse, come sempre, il buon cuore, non abbondavano più come in passato; non mancava la generosità, ma questa era relativa, perchè difettavano i mezzi a motivo di crisi economiche. Così un signore, servita la Messa a Don Bosco il 26, si era scusato, che quella volta, stante la scarsezza dei raccolti, dovesse ridurre a soli trecento franchi il suo annuale contributo. In addietro gliene portava non meno di mille, che rappresentavano la decima delle sue entrate, promessagli alcuni anni prima per una grazia ricevuta. Trovandosi Don Bosco alla Navarre, quel signore aveva portato là di peso sua moglie spedita dai medici, [425] e la benedizione del Santo glie l'aveva restituita sana. Fedele al voto fatto, avrebbe voluto anche essere sempre in condizione di aiutare largamente l'Uomo di Dio.
Detta signora venne l'indomani col marito a raccomandare sua madre, che tutto faceva credere essere sull'orlo della tomba. Don Bosco impartì loro la benedizione con il pensiero anche all'ammalata; or prima di sera ecco un telegramma che ne annunziava ai medesimi la guarigione, avvenuta, come si verificò appresso, nell'istante appunto, in cui Don Bosco benediceva.
La sua preghiera tornò benefica pure ad un altro assente. Un signore di Nizza da parecchi mesi soffriva d'insonnia ed era proprio ridotto alla disperazione. Pregatone dai parenti, Don Bosco celebrò per lui la Messa del 30. Orbene quel giorno stesso l'infermo dormì quattro ore di seguito.
Dobbiamo registrare anche grazie spirituali. Venne raccomandato al Santo un giovane che si rideva di lui e dei Salesiani e peggio ancora si faceva beffe della religione. La cosa durava già da alcuni anni con grave pena dei familiari. Non erano passati ancora quattro giorni dopo la raccomandazione che si tornò a dirgli come dopo la sua benedizione quel traviato avesse fatto senno e si fosse spontaneamente recato a confessarsi.
La domenica 28 Don Bosco celebrò nella cappellina delle Figlie di Maria Ausiliatrice; gliela servì un giovanetto undicenne, figlio dell'ingegnere Levrot, così devoto al nostro Santo. Vi aveva assistito un gruppo di amici più intimi, fra cui il padre del piccolo servente. Tutti aspettarono dopo il celebrante, col quale tennero circolo in una saletta attigua. Don Bosco, assiso sur un seggiolone a bracciuoli, interrogava, ascoltava, rispondeva. A un tratto volse in qua e in là il capo, come se cercasse qualcuno. Il Levrot gli chiese che desiderasse. Egli tacque. La cosa si ripetè a intervalli altre due volte. Alla terza, nuovamente interrogato dal medesimo, gli domandò: - E Leone dov'è? - Leone era il nome di suo figlio, che trovavasi nel cortile con i fratelli e con altri ragazzi. Fu tosto fatto [426] venire. Timidetto si presentò al Santo, che senza dir nulla se lo fece sedere a destra sopra uno sgabellino, posandogli a lungo la mano sulla testa e sulla spalla. Da ultimo nell'accomiatare gli astanti distribuì ai singoli un ricordo; a Leonino diede una crocetta formata con foglia di palma, dicendo: - Ecco per il mio chierico. - Ma usò la frase enfant de choeur, intesa dal fanciullo per enfant de coeur. Alla supposta affettuosa espressione questi s'ingalluzzì un istante, ma poi non ci pensò più, anzi se ne scordò affatto. Ci ripensò per altro nell'inverno del 1892, quando un violento attacco d'influenza e un'ostinata emorragia lo estenuarono a segno, che gli venne proibito ogni sforzo e persino qualsiasi lettura. Allora fu che gli si riaffacciarono d'improvviso alla memoria le parole di Don Bosco, interpretate nel loro giusto senso e accompagnate da una risonanza interiore, che dava loro la forza di una chiamata e il valore di una previsione; onde gli parve di scorgervi sicuramente indicata la sua via. Questa fu la vocazione del salesiano Don Leone Levrot e questa l'efficacia d'una paroletta di Don Bosco.
Benchè per la stagione già tanto inoltrata, molti forestieri si fossero restituiti alle loro città, pure durava l'affluenza di visitatori cospicui, poichè ne giungevano anche da lontano e attendevano non ore sole, ma intere giornate per potergli parlare. Si vide fra gli altri la Duchessa di Parma e quotidianamente compariva il principe Czartoryski. Questi avrebbe voluto sentirsi dire in termini espliciti che si facesse Salesiano, perchè tasto sarebbe volato all'Oratorio; ma Don Bosco evitava studiosamente di pronunziarsi.
Nulla diciamo delle lettere, che lo seguivano dovunque e nove volte sii dieci contenevano implorazioni di preghiere. Persino dalla Russia una maomettana con una lettera scritta in buon francese lo supplicava d'impetrare la guarigione a un maomettano[247]; egli le fece rispondere nella stessa lingua [427] il 28 marzo, ringraziando per la modesta offerta di tre rubli e promettendo di pregare.
Appressandosi le feste pasquali il buon Padre, che non sapeva staccare il pensiero da Valdocco, volle avere di là per il gran giorno un presente che in modo sensibile figurasse la comunione spirituale con la famiglia lontana. Scriveva il Viglietti a Don Lemoyne[248]: “Don Bosco mi dà esplicita commissione, perchè per Domenica di Pasqua gli si facciano giungere a Marsiglia tre o quattro pagnotte dell'Oratorio ”.
Prima che a Marsiglia, si recò a Tolone, aspettato a braccia aperte dal conte Colle. Partì da Nizza il I° aprile. Mancava poco alla partenza, quando gli si presentarono tre signore, una delle quali pativa di vertigini, sicchè da tempo non metteva più piede fuori di casa; rattrappita inoltre della persona, aveva le braccia e le mani ripiegate e contorte come in un gomitolo. Soltanto le gambe erano libere. Vollero la benedizione di Don Bosco, che, accontentatele, si rivolse all'inferma e: -Fate come faccio io, le disse. Stendete le braccia innanzi, aprite le mani e battete palma a palma gridando: Viva Maria!
- Ma io sono malata, gli rispose la donna; non posso fare così.
- Su, su, obbedite, replicò Don Bosco.
- Non è possibile, ho tutte le membra che mi dolgono.
- Ma voi non avete fede. Fate quello che vi dico.
Allora colei allungò le braccia, schiuse le dita e batteva le mani liberamente, gridando: Viva Maria! Le due compagne, fuori di sè dallo stupore, non facevano che piangere.
Il Conte per invogliare Don Bosco al viaggio di Tolone gli aveva promesso una rilevante somma per la chiesa del Sacro Cuore e per le Missioni. “La sua lettera, avevagli risposto il Santo[249], mi obbliga a fare una gita fino a Lei nonostante la mia debole salute ”. Vi sì avviò dunque con il solo segretario. Signori e signore lo attendevano alla stazione [428] di Nizza per augurargli il buon viaggio. Il conte di Montigny che per il piacere di accompagnarvelo aveva ritardato il suo ritorno a Lilla, gli offerse alcune bottiglie di ottimi suoi vini, affinchè ne avesse ristoro nelle sue peregrinazioni. Salito con lui in treno, gli stette a fianco fino a Tolone, dove si separarono con calde dimostrazioni d'affetto, dovendo quegli proseguire per il nord.
Don Bosco e il segretario, scesi che furono, credevano d'incontrare subito il conte Colle; ma non c'era anima viva. Don Perrot dalla Navarre non ne l'aveva avvisato in tempo. Il povero Viglietti se la vide brutta. Con una gran palma pasquale per il Conte sotto il braccio, con una valigiona per ogni mano, con due pastrani sopra una spalla, durava non poca fatica ad andare innanzi. Anche Don Bosco si trascinava a stento; tuttavia era di buon umore e rideva. Mentre si dirigevano così verso l'abitazione del Conte, li raggiunse la contessa Elena de Sampoulé, che veniva in vettura e li prese su entrambi, conducendoli al palazzo Colle. Conte e Contessa rimasero di stucco al vederli; ma tosto si profusero in cortesie d'una tenerezza indescrivibile. Lo vollero poi seduto in mezzo a loro, felicissimi di vederlo e di udirlo parlare. Fin da quella sera gli consegnarono il danaro promesso.
Cadeva al 2 aprile il giovedì santo. Con il Conte e con Viglietti Don Bosco si recò quella mattina alla cattedrale per fare la Pasqua. Lungo il cammino la gente si fermava a mirarlo. La breve strada, l'ascendere nel presbiterio e il fare le genuflessioni ne prostrarono le forze. Dopo Messa, quando si avviava all'uscita, i più vicini gli si strinsero attorno. Corsa la voce, in pochi minuti una moltitudine lo circondò ai piedi della gradinata, inginocchiandosi, gridando, piangendo, con grave disturbo dei sacerdoti che continuavano le loro funzioni. Se volle liberarsi e uscire, dovette dare la sua benedizione. Viglietti scrive: “Per le strade la gente s'affolla, nessuno passa senza fermarsi a osservare curiosamente Don Bosco. S'interrogano l'un l'altro se sia proprio lui, Tutti restano come presi [429] dalla sua presenza. Commuove il vederlo già un po' curvo aiutarsi col suo bastoncino, e poi quell'occhio così penetrante rivela che in lui v'è dello straordinario ”.
Dalla quiete silenziosa della casa Colle la sua mente, portandosi all'Oratorio, rivedeva questo e quello, ognuno con le sue peculiarità caratteristiche. Così a Don Lemoyne, gran consumatore di ortaggi, fece scrivere: “Don Bosco per mezzo di Don Lazzero ha saputo che Lei oggi gusta, anzi divora (parole di Don Lazzero) l'insalata giunta da Sampierdarena; e ciò gli fa gran piacere, anzi disse che stamane appena uscito, quando s'imbattè in un bel cesto di pomi d'oro, il pensiero coi se subito a Doli Lemoyne ”. E al medesimo per Don Lazzero, gran tenore dell'Oratorio e uomo della più candida semplicità: “Don Bosco mi incarica di rispondere alla graziosa lettera di Don Lazzero, leggendo la quale ne troncò più volte la lettura con esclamazioni d'ammirazione. Dice per esempio che Don Lazzero è divenuto ampolloso nello scrivere ed elegante, anzi enfatico. E in un punto: “Se scomparisse dalla scena di questo mondo Don Lazzero?" Don Bosco s'interruppe e disse: - E cantare? ”.
A Roma in quel giorno la Provvidenza intervenne per lui in modo che ebbe del prodigioso. Don Dalmazzo aveva scritto a Torino che gli mandassero danaro, perchè al sabato santo doveva sborsare dodicimila lire. La Banca Tiberina, avendogliene già date ottantamila senza ipoteca, ricusava di dargli altro. Ora nel mezzogiorno del giovedì santo venne chiamato in porteria da una signora a lui ben nota, alla quale era sempre ricorso invano, la contessa Stacpoole. La fece pregare che gli desse tempo di finire il pranzo; ma essa gli rispose di venire subito. Come fu da lei, essa gli disse che aveva una somma da consegnargli d'urgenza, perchè ci teneva assai a farlo nel dì dell'istituzione della Santissima Eucaristia. Don Dalmazzo si aspettava al più un biglietto da cento; invece con sua grande meraviglia ricevette un involto che racchiudeva cinquanta biglietti da mille della Banca Nazionale. Dimenticò [430] il pranzo, corse alla Banca Tiberina e là si provò a insistere per aver danaro entro la settimana. Ma il tesoriere si scusò, dicendogli che erasi anche telegrafato d'ufficio al Direttore Caranti in Torino e che la risposta era stata negativa; essere quindi impossibile fare diversamente.
- E se facessi un deposito, ripigliò Don Dalmazzo, potrei venire a ritirarne una parte?
- Anche tutto, rispose l'impiegato.
E gli consegnò le cinquantamila lire. “Non posso esprimere, depone egli nei processi, la sorpresa provata dal tesoriere signor Angelois in quell'istante. Ricordo solo che esclamò: - A Don Bosco piovono proprio i danari dal cielo ”.
A Torino nel venerdì santo il nome di Don Bosco si trovò stranamente associato con quello di un glorioso estinto. Era morto a Napoli la mattina del lunedì il padre Ludovico da. Casoria, apostolo di carità e istitutore dei Frati Bigi. Anche la stampa anticlericale ne esaltò le benemerenze. Ora nella Gazzetta di Torino del 3 aprile un corrispondente, inneggiato al defunto, tanto per non venir meno allo spirito del giornale, prorompeva in questa spavalda affermazione: “La Chiesa che santifica i pigri e sudici Labre, certo non saprà mai nulla di questo santo ”. Il Direttore, che avrebbe potuto benissimo sopprimere la stupida digressione, la lasciò correre, ma nondimeno gli parve doveroso mandarvi di conserva un qualche correttivo, credendo di trovarlo in un elogio, a Don Bosco; il qual elogio, se in realtà non correggeva nulla, riveste tuttavia per noi un valore speciale, provenendo ex inimicis nostris. Egli dunque apponeva al miserabile periodo la seguente nota: “Bisogna dire che in Torino abbiamo in una sfera più elevata e più estesa un Don Bosco che ha fatto e fa miracoli in favore dell'umanità sofferente e dell'infanzia indigente; anche lui è un semplice sacerdote e non ha mai brigato nè accettati onori e grandezze ”.
Don Bosco al sabato santo disse la Messa nella sala del [431]
Conte, che con l'aiuto della consorte l'aveva preparata a cappella, erigendovi l'altare. L'ascoltarono numerosi signori e signore e fecero da serventi Don Cerruti, giunto la sera innanzi, e Viglietti. Quasi tutti ricevettero dalle sue mani la santa comunione. Durante il pranzo Don Bosco diede ordine a Don Cerruti di comporre una bella epigrafe da scolpirsi sii d'una lapide marmorea, che si sarebbe collocata nella chiesa del Sacro Cuore per ricordare in perpetuo le generose largizioni del Conte[250].
Nel pomeriggio, preso commiato dai conti Colle, partì per Marsiglia, dove giunse alle sei, ricevuto fra entusiastiche ovazioni da quei giovani, che fecero in suo onore una graziosa accademiola[251]. Giammai Pasqua più allegra erasi festeggiata nell'oratorio di S. Leone.
Due lettere raggiunsero successivamente il Santo a Marsiglia nella grande solennità. Una era della prelodata contessa Stacpoole, la quale lo informava che teneva pronte quelle cinquantamila lire. Don Bosco le rispose:
Io sono persuaso che la S. V. Benemerita fece una 1 preziosa opera forse senza conoscerne il valore e la grandezza: per opera di Lei esiste la casa di Parigi, per opera di Lei sarà innalzata una chiesa fra i selvaggi e le anime che qui si salveranno sarà frutto della sua carità.
Per sua comodità Ella potrà far versare la somma di 50.000 f. a mani di D. Dalmazzo nostro Procuratore Generale il quale farà quanto occorre pel bisogno e compimento di questa pratica.
Il Signore sia sempre con Lei e la Santa Vergine la conduca a, farei una visita nella casa di Torino dove si prega ogni giorno per Lei all'altare di Maria Ausiliatrice.
Voglia eziandio pregare per me che le sarò sempre in G. C.
Spedita appena questa risposta, ecco un'altra lettera di Don Dalmazzo, che gli dava la notizia delle cinquantamila lite già consegnate. Tosto il Santo ripigliò la penna e scrisse di bel nuovo alla Contessa:
Alla signora Contessa di Stapool - Roma.
La S. V. Ill.ma non può certamente immaginarsi quanta consolazione abbia recato al mio cuore la generosa offerta di cinquanta mila lire che Ella elargisce in favore dei nostri missionarii della Patagonia. La ringrazio ben di cuore e le prometto che la Chiesa che si sta principiando fra quei selvaggi sarà dedicata al Santissimo Sacramento come Ella appunto desidera.
Di più: io intendo che tutte le messe, le comunioni e tutte le pratiche religiose che avranno luogo in questo sacro edifizio, siano in ispecial modo offerte a Dio secondo la pia di Lei intenzione; nè mai i Salesiani dimenticheranno la sua persona nelle comuni e nelle private preghiere.
In questo senso ho scritto a Mons. Cagliero Giovanni Vescovo della vastissima e difficilissima diocesi Patagone.
Dio la benedica e Maria Ausiliatrice la protegga e la guidi in tutti i pericoli della vita.
Mi creda col dovuto rispetto e colla più profonda gratitudine
La somma nell'intenzione dell'oblatrice era destinata, come si vede, a scopi diversi dall'erezione della chiesa del Sacro Cuore; ma la sua volontà non importava un'esecuzione immediata: l'impiego di quel danaro a Roma avrebbe permesso più tardi d'impiegare altra somma equivalente secondo l'intenzione della Contessa. Ne fu data però subito notizia a monsignor Cagliero, il quale scrisse tosto alla Contessa ringraziandola[252].
Don Bosco aveva portato con sè biglietti di visita stampati nell'Oratorio con dicitura francese per porgere omaggi, offrire preghiere e invocare benedizioni. Nel giorno di Pasqua [433] ne mandò tino alla signora Prat, comunicandole che nella seconda festa di Pasqua avrebbe celebrato la Messa secondo la sua intenzione[253]. Quella grande benefattrice che, non conoscendo ancora Don Bosco di persona, ne aveva conosciuta la santità mentr'egli celebrava[254], non poteva desiderare dono più prezioso.
Le distrazioni pasquali, rarefacendo le visite, procacciavano a Don Bosco un po' di respiro. Ne aveva gran bisogno. “La sanità di Don Bosco è mediocrissima, scriveva il segretario; ha un po' di tosse e mal di capo ”. E poi di nuovo: “La carità di Don Bosco che non ha, per così dire, confini, fa sì che egli si trova in modo straordinario affranto. Da qualche giorno par più curvo della persona ”[255].
Fra le prime visite menzioneremo solo quella di una signora Baroni. Costei l'anno avanti aveva condotta a lui una sua figlia spedita dai medici, perchè affetta di etisia incurabile ed anche di mal caduco; ma dopo la benedizione di Don Bosco era cominciato un progressivo miglioramento non più interrotto fino alla perfetta guarigione. La madre veniva dunque a render grazie.
Nella notte sul 6 egli ebbe un sogno. Gli pareva di star a conversare con un gruppo di Salesiani, quand'ecco accostarsi e introdursi nel crocchio una vaghissima donzella, biancovestita e tutta modestia. A tal vista Don Bosco si turbò; poi a lei rivolto le fece comprendere non essere quello il suo posto e doversene allontanare. Ella ridendo e scherzando si allontanò, ma per ricomparire di lì a poco. Allora Don Bosco, avvicinatosi [434] a lei, imperiosamente le ingiunse di andar via. In così dire si svegliò.
La notte seguente, appena addormentato, si trovò dinanzi a un campo incolto. Volendosi per quello incamminare, rivide la donzella che gli porgeva una sega, dicendogli che per aprirsi il sentiero bisognava recidere le erbe ingombranti il terreno. Egli, dato di piglio alla sega, l'adoperava ridendo, ma la strada rimaneva pur sempre aspra e faticosa.
La terza notte si ripresentò la donzella e gli disse: - I Superiori debbono accordarsi fra loro nè mai differire la correzione, quando la credono necessaria.
Il Santo narrò subito a Don Viglietti il triplice sogno, del quale si riserbò di dargli più tardi la spiegazione, come fece alcuni giorni dopo. Le erbe che ingombravano il sentiero erano i libri cattivi, i cattivi discorsi e tutto quello che può mettere ostacolo al servizio di Dio e alla salute delle anime. - Qui, disse, sta la scienza del Direttore e degli altri Superiori, nel saper togliere di mezzo ai giovani tali erbe velenose. E non è cosa tanto facile antivenire, scoprire, tagliare. É un lavoro da sega e non da falce, perchè s'incontrano dei grossi bussoni[256] e dei tronchi disseccati. L'unione poi fra i Superiori e le correzioni fatte a tempo, se non riusciranno a impedire tutto il male, tuttavia faran sì che la strada non s'ingombri di sterpi.
Accettò parecchie volte, sebbene con suo immenso disagio, inviti a pranzo. Il 7 fu con Viglietti dalla signora Broquier. Passeggiando con lei nel giardino, si fermò dinanzi a un'aiuola di fiori, ne colse una sempreviva e presentandola alla signora le disse: - Ecco, le do un fiore: è un pensiero.
- Il pensiero dell'eternità. É un pensiero che non dobbiamo mai perdere di vista. Tutto quello che faremo e diremo sia sempre indirizzato a questo fine. Tutto passa a questo [435] mondo; solo l'eternità dura e non terminerà mai. Cerchiamo che la nostra eternità sia felice e piena d'ogni contento.
Il di appresso andarono dai signori Olive. Che buona famiglia era quella! Avevano nove figli. Nonostante prole sì numerosa, il padre largheggiava in limosine. Tutti là entro veneravano Dori Bosco come un santo. Mentre in una magnifica sala si attendeva l'ora del pranzo e il signor Olive intratteneva Don Bosco, di dietro la signora badava a raccogliere sulle sue spalle i capelli caduti; nè paga di così poco, andò a prendere le forbici e riccio per riccio destramente, persuasa che egli non s'accorgesse dell'indiscrezione, gli rasò quasi la nuca. Egli invece si era fatto tutto rosso in viso, ma per non causarle vergogna faceva le viste d'interessarsi unicamente della conversazione.
Dopo il pranzo a tino a uno i cinque figli e le quattro figlie esaminarono con Don Bosco la propria vocazione. Disse poi il Santo che si sarebbe potuto formare là una casa salesiana; i figli voler essere tutti Salesiani e le figlie Suore di Maria Ausiliatrice.
Sul punto di partire non si trovava più il suo cappello. Cercatolo in ogni angolo si finì con gettare la colpa dello smarrimento su Don Albera, che era uscito prima. Comparve quindi un bel cappello nuovo
- Ma questo non è il mio, disse Don Bosco.
- Sì, sì, è questo, se le metta in capo, rispose la signora, autrice della gherminella. Si copra, chè altrimenti prende aria e starà male.
- Ma questo è troppo, mormorò a Don Cerruti, acceso in volto e quasi lacrimando.
- Abbia pazienza, gli susurrò Don Cerruti. Finchè è Don Bosco, bisogna che lei si rassegni anche a questo.
- Hai ragione, conchiuse il Santo, pazienza! Sia tutto per amor di Dio.
Così lasciarono quella casa fortunata, non senza che il signor Olive avesse data a Don Bosco una generosa elemosina. [436] Don Bosco chiamava la famiglia Olive quella della pentola o dei Pater Ave Gloria a Don Bosco, alludendo al fatto già da noi narrato[257].
Il giorno 9 venne la volta del conte di Villeneuve. Vi erano molti invitati, fra cui regnò la più schietta allegria, alimentata dalle piacevolezze di Don Bosco. Parlandosi del lotto, disse che talora certuni andavano da lui per chiedergli numeri da giocare e che egli rideva e rispondeva loro: - Cali miei, se sapessi di questi numeri, me ne servirei ben io per il primo! - Raccontò poi che una volta per liberarsi da certi importuni aveva scritto su d'un biglietto Fede Speranza Carità, piegandolo quindi e raccomandando loro di non aprirlo prima di un dato tempo. Aver quei tali obbedito, essere andati a cercare nella cabala i numeri corrispondenti alle tre virtù teologali e giocatili e favoriti dalla sorte essere tornati da lui per fargli una discreta limosina.
Rientrato a S. Leone, vi trovò una signora che gli presentava un bel fanciullo. Nessuno avrebbe mai immaginato essere questi quel desso che l'anno precedente la madre gli aveva portato dinanzi tutto storpio della persona. La benedizione di Maria Ausiliatrice era stata il suo toccasana.
Trascorse gran parte del io a S, Margherita nel noviziato. Quei giovani, che non indossavano ancora l'abito chiericale, gli fecero mille feste. Gradì un trattenimentino preparatogli da essi, li ringraziò paternamente e promise loro una gita a Torino per vedere la chiesa di Maria Ausiliatrice e il noviziato di S. Benigno, fatta che avessero la vestizione. Ebbe più volte la parola interrotta dalla commozione e gli cadevano dagli occhi grosse lacrime. Dopo il pranzo i forestieri riempirono la casa. Giunse anche in vettura un'idropica paralizzata, che due persone trasportarono dentro. Don Bosco, benedettala, le disse: -Provatevi un po' a camminare. - E quella, immobile da più anni, si mosse e andava su e giù per la camera; [437] uscì con i suoi piedi, ma appoggiandosi ancora ad un bastone offertole. I portatori piangendo ringraziavano Dio. Don Bosco disse a Viglietti: -Le avrei ben detto: Là, gettate via quel bastone e andate a lavorare. Ma un fatto simile avrebbe causato troppo rumore.
Di un detto e di un fatto troviamo memoria sotto il giorno II. Nel refettorio di S. Leone, davanti al celebre avvocato Roland, ripetè una cosa uscitagli già altra volta di bocca[258]. - L'anno scorso, disse, sperando che il colera facesse un po' di bene alle anime, diedi per antidoto la medaglia di Maria Ausiliatrice; ma l'effetto fu troppo diverso dallo sperato. Nelle città niente di meglio, anzi assai di peggio. Quindi non so se quest'anno potrò fare lo stesso. - Le quali parole contenevano pure un sinistro pronostico, che doveva avverarsi, il ridestarsi cioè del contagio.
Partiti i commensali, si fece avanti una signora con la propria figlia. Nel 1884 Don Bosco erasi recato a benedire quest'ultima, che soffriva terribilmente di nervi e aveva le gambe così arcuate da non poter fare da sola un passo. Ricevuta la benedizione, i dolori erano scomparsi e appresso camminava ritta e disinvolta con somma meraviglia di quanti la conoscevano.
Dal dì del suo arrivo a Marsiglia il Santo non aveva ancora potuto rendere personalmente omaggio al Vescovo. Andò dunque a fargli visita la mattina del 12. Nella sua grande bontà e cortesia Monsignore si lagnò con lui che, sì carico di acciacchi, l'avesse così prevenuto, mentr'egli intendeva di recarsi da lui a S. Leone. Gli si profferse intanto per qualunque cosa, promettendo di trovarsi e di parlare nell'adunanza dei Cooperatori. Si degnò pure di chiedere minute notizie della Congregazione e volle sapere anche di taluni Soci in particolare, come di Don Durando.
A mezzogiorno occorse a Don Bosco un bel caso. Nella [438] settimana l'aveva visitato una giovane che, quantunque dal vestire sembrasse benestante, pure non sapeva in che modo guadagnarsi il pane, non volendola nessuno a motivo di certa sua infermità. Don Bosco la benedisse e la mandò con Dio. Orbene, invitato a pranzo dalla famiglia Martin, ecco sulla soglia della porta la giovane suddetta, che in un impeto di riconoscenza gli si gettò ai piedi. Che era mai accaduto? Dopo la benedizione erasi sentita libera dal suo male non solo, ma a pochi passi da S. Leone un signore l'aveva fermata per domandarle se volesse adattarsi per fantesca in casa sua. Quel signore era appunto monsieur Martin.
Presso la medesima famiglia rivide nell'istitutrice domestica una signorina che l'anno innanzi, da lui benedetta, era guarita da un'infermità grave.
Porta la data del 12 una cara letterina a Don Francesia. Questi, secondo il recente ordinamento, era Direttore degli studenti nell'Oratorio. Doveva avere i suoi fastidi; doveva anche essersi sfogato con Don Bosco, che prese la penna per rasserenargli lo spirito.
Non posso scrivere ad altri, ma a D. Francesia pupilla dell'occhio mio almeno qualche parola.
Anzitutto procura di non crearti pene o fastidi dove non ci sono: e quando se ne incontrano sappili prendere dalla santa mano del Signore.
Dirai ai nostri cari giovani e confratelli che lavoro per loro e fino l'ultimo respiro sarà per loro ed essi preghino per me, siano buoni, fuggano il peccato, affinchè tutti possiamo salvarci in eterno. Tutti! Que Dieu nous bénisse et que la Sainte Vierge nous protège.
Nel giorno 13 Don Bosco diede un pranzo... diplomatico. Vennero i conti Colle, il commendatore Rostand, presidente della Società Beanjour, il signor Bergasse e vari altri. Nel [439] brindisi finale Don Bosco ebbe in mira specialmente il Bergasse, manifestandogli tutta la sua contentezza per la sua preziosissima' visita, ringraziandolo della sua inesauribile carità verso i Salesiani e facendogli la presentazione de' suoi due massimi benefattori, i conti Colle; raccomandò quindi alla sua alta protezione l'opera salesiana e invocò sopra di lui le benedizioni e i premi celesti. “È notevole, osservava Viglietti, come Don Bosco, quando improvvisa così e parla male e con errori, faccia quasi più impressione che non quando è preparato ”.
Il conte Colle per eludere le lodi a lui tributate disse che il poter servire e aiutare Don Bosco era una delle maggiori fortune che si potessero avere. Parlò quindi il signor Bergasse. Possedeva egli una sua naturale eloquenza semplice e irresistibile. Dichiarò quanto facesse volentieri ogni sforzo per cooperare al bene operato dai Salesiani, ma soggiungeva essere in questo coadiuvato dalle Società che stavano sotto la sua presidenza, e ne offriva una prova presentando a Don Bosco seicento franchi a nome della Raffineria degli zuccheri. Trasse dal petto accenti di vero dolore sullo sfacelo, in cui si vedeva precipitare la società contemporanea e magnificò lo zelo di Don Bosco, inviato dalla Provvidenza per soccorrere potentemente a tanti mali. Qui l'amore di Don Bosco lo trasportò talmente che strappò applausi e lacrime.
Ma non aveva finito. Passò a lodare l'educazione impartita dai Salesiani a quella gioventù che essi avevano tolta dalle piazze e dalle strade, e nominò giornali che encomiavano gli alunni dei Salesiani, perchè quei ragazzi facevano amare la chiesa e le sue funzioni con canti di paradiso e con cerimonie eseguite a perfezione. - Questi giovani, continuò, questi cari giovani sono amati e ammirati da tutti. Il parroco di S. Giuseppe sè ne loda pubblicamente dal pulpito, se ne lodano Marsiglia e la Francia. E ben si meritano di essere amati. I giovani di questa casa hanno in gran pregio il canto fermo, che preferiscono financo alla musica. Basta sentirli cantare come cantano, [440] basta vederli in chiesa rispettosi, modesti, disciplinati, per dire: Ecco i figli di Don Bosco! Oh, non è dunque vero che vada proprio tutto male. Abbiamo un Don Bosco! Ce lo conservi ancora a lungo Iddio, ce lo benedica, ce lo prosperi. La Francia, il mondo intero hanno bisogno di lui.
Fu per Don Bosco di grande conforto il sentire che i suoi giovani godevano sì bella riputazione e che sapevano far apprezzare il canto sacro e le sacre cerimonie. Quanto al signor Bergasse, già altrove da noi più volte mentovato, aggiungeremo che era una perla di cattolico. Quasi tutte le Società cattoliche l'avevano a presidente. Sempre occupatissimo dava rare udienze, raramente scriveva; ma per Don Bosco avrebbe fatto qualunque sacrifizio, a lui inviava lunghe e frequenti lettere e si stimava felice di potergli stare vicino.
Intanto a S. Leone la folla dei visitatori cresceva a dismisura. Il segretario, quando vedeva le camere e i corridoi pieni di gente, avvisava Don Bosco, faceva inginocchiare tutti e diceva che avrebbero ricevuto la sua benedizione. Allora Don Bosco usciva, indirizzava qualche parola in comune, benediceva e dava a tutti una medaglia. Questo assedio continuo lo opprimeva. “Ammiro in Don Bosco, notava il Viglietti nel diario, una virtù straordinaria nel nascondere i propri mali. Soffre talora gravi dolori e se forzatamente la sofferenza li fa palesi, ride e dice: - Là, Don Bosco è senza soldi. - Ha poi da questi soldi un distacco maraviglioso. Appena con tanto studio e con tanti sudori li acquista, li distribuisce contento alle case ”. Anche l'abate Guiol aveva già rilevato l'anno precedente che Don Bosco alla sera delle sue più laboriose giornate si limitava semplicemente a dire: - Sono stanco[259]. -Egli sembrava dimentico di sè e sollecito solo degli altri. “Mi dice, scriveva a Don Lemoyne il medesimo segretario, di salutare tanto Don Bonetti, ringrazia Lei delle pagnotte e le raccomanda di aversi cura ”[260]. Le pagnotte dell'Oratorio per Pasqua. [441]
Gl'inviti a pranzo continuavano. Il 14 era aspettato in casa Gavotti. Ponendo piede nella sala, al vederne il gran lusso, esclamò ai suoi che l'accompagnavano: - Sulla porta bisognerebbe scrivere: Qui non entra povertà.
Il conte Colle, non ancora partito, gli promise elle, se fosse ripassato per Tolone, gli avrebbe fatto regalo di altri ventimila franchi. Non basta: acconsentì pure di destinare una buona somma alla Navarre per condurvi a termine i lavori. Non è da tacere che la Contessa, non meno ricca che nobile, stimolava sempre il marito a essere largo con Don Bosco, da lei amato di amore materno. Infatti egli medesimo nelle sue lettere si qualificava talora per figlio.
La sera prima di partire il Conte cenò con la comunità. Ora il caso volle che dopo quattro uova servitegli a tavola il quinto solamente fosse passabile. Tutti rimasero mortificatissimi. La mattina dopo egli fece chiamare Don Albera, ancora pieno di confusione per la stia cattiva cucina, e gli disse: - Ecco, questi cento franchi sono per il primo uovo, questi altri cento per il secondo... - E così via, fino al quinto.
Scherzò un poco anche Don Bosco quella mattina. Una donna tutta rammaricata lo supplicava di benedirla, perchè suo marito la bastonava. - Ma se io benedico voi, le rispose egli, benedico anche le bastonate che vi piovono sopra le spalle, e le bastonate si moltiplicheranno. - Ci si rise dai presenti, poi il Santo la congedò, esortandola a pregare, ad aver pazienza e a non rispondere quando il marito andava in collera.
La sera del 15 aprile cenò con Don Bosco l'ottimo avvocato Michel, reduce dal suo terzo viaggio intorno al globo[261]. Il discorso cadde sul naturalismo paganeggiante di nazioni un tempo assai cristiane; ma si aggirò specialmente intorno a certi cattolici intellettuali che parlavano bene di religione [442] ed anche ne osservavano le pratiche esteriori, senza curarsi però di praticarne il più essenziale, cattolici, come si diceva allora, teorici e non praticanti. Don Bosco chiese all'avvocato: - Quale crede lei che sia la causa di tanta aberrazione? quale l'origine di sì gran male? - Il Michel rispose con spiegazioni, piuttosto secondarie; onde il Santo: - No, no, mio buon avvocato, ripigliò. La causa del male è una sola: l'educazione pagana che sì dà generalmente nelle scuole. Formata tutta su classici pagani, imbevuta di massime e sentenze pagane, impartita con metodo pagano, oggi che la scuola è tutto, questa educazione non formerà mai veri cristiani. Ho combattuto tutta la mia vita contro questa perversa educazione che guasta la mente e il cuore della gioventù; fu sempre il mio ideale riformarla su basi schiettamente cristiane. Per questo ho intrapreso la stampa castigata dei classici latini profani più usati nelle scuole; per questo ho cominciato la pubblicazione di scrittori latini cristiani. Ho mirato a questo con molti avvertimenti dati ai Direttori, maestri e assistenti salesiani. Ed ora vecchio e cadente me ne muoio col dolore di non essere stato abbastanza compreso. - Così parlando, aveva un accento, scrive Don Cerruti che gli sedeva a fianco, “improntato di soavità e di fierezza ”[262].
Il giorno 16 intervenne all'adunanza del Comitato delle Signore in casa del parroco Guiol. Fu un semplice convegno, non una seduta regolare, come le altre volte tant'è vero che non se ne stese il verbale: invece dei solito resoconto se ne fece un semplice richiamo sotto il 15 maggio, allorchè Don Bosco trovavasi già a Torino. É però un accenno significativo, che dice così: “Le speranze dell'ultima nostra riunione di vedere Don Bosco in mezzo a noi, si sono avverate e il Comitato ha avuto la grande consolazione di vederlo presiedere a una seduta, raccogliendone poche parole, delle quali la sua inferma salute potè diminuire il numero, ma non scemare la preziosa [443] efficacia; anzi quella brevità è un motivo di più alla nostra pia gratitudine e profonda venerazione. Don Bosco giunse fra noi esausto di forze per effetto del suo apostolico zelo più che non logoro dall'età e da malattia. Dalle sue espressioni sembrava che egli non si ripromettesse di tornare a Marsiglia, e il suo stato lo farebbe temere; ma le previsioni umane sono per fortuna soggette a essere modificate dalla Provvidenza di Dio. Egli non si credeva nemmeno di venirci questa volta. La sua presenza e i suoi consigli sono così necessari che dalla Provvidenza divina dobbiamo sperare la continuazione di tale assistenza, benchè al momento paia improbabile. Il signor Curato raccomanda di pregare molto per la salute di Don Bosco, affinchè questa, ristabilendosi, ne prolunghi la vita. P cosa per molti titoli doverosa, ed è un dovere assai dolce, ma da compiersi con fervore. Se l'idea di pregare per un santo sembra fuori di proposito e da essere rigettata, bisogna pensare che ci va di mezzo il bene di un'opera grande e che trattasi di ritenere sulla terra un padre, il quale ha già la corona preparata in cielo ”.
Il diario del chierico Viglietti ha serbato le linee generali del suo succinto discorso. Toccò della pubblica miseria cotanto lamentata in quei giorni; disse del bene che le signore potevano compiere raccogliendo limosine per il mantenimento di tanti giovani, i quali con il pane materiale ricevevano pure l'alimento dello spirito; parlò delle vocazioni ecclesiastiche già cotanto soffocate, ma allora rifiorenti nelle case da lui aperte in Francia; infine consolò tutti con la promessa di pregare e di far pregare.
A pranzo andò in una famiglia, di cui il segretario lasciò in bianco il nome. Era ivi una nevropatica, che passava le intere giornate distesa sur un seggiolone portatile. Dopo il pranzo Don Bosco disse che la conducessero a lui. Tosto ordinò di farla alzare; ma disgrazia volle che, mentr'essa s'incamminava, coloro che l'aiutavano, la facessero inciampare, sicchè la meschina svenne e stette così un'ora. Nel frattempo Don [444] Bosco visitò un'altra inferma, quindi ritornò alla svenuta, che aveva già ricuperato i sensi. In casi somiglianti egli soleva dire: - Ci vuole fede. Solo così la grazia si ottiene, semprechè non si opponga al bene dell'anima.
Non poteva lasciare Marsiglia senza radunare i Cooperatori; appunto per aspettare lui erasi rinviata la conferenza di S. Francesco di Sales. Furono essi convocati per le quattro pomeridiane del 17 nella cappella dell'oratorio[263]. Doveva par lare per primo Don Bosco; ma un forte mal dì capo lo travagliava. Don Viglietti, al quale lo disse, gli propose di dal lo a lui. - Ebbene, sia! - rispose egli, All'istante una sì tremenda emicrania lo assalse, che, non potendone più si andò a buttare sul letto, Dopo l'adunanza il Santo lo visitò, lo benedisse, e tutto fu finito[264].
Presentatosi dunque a parlare, intenerì gli uditori con la stia voce senilmente affaticata, ma calda di affetto e talora vibrante di commozione. - Non salgo il pulpito, disse, per farvi un discorso, perchè la salute non me lo permette; il discorso sarà pronunziato da lingua assai più eloquente della mia. Vengo solamente per ringraziare anzitutto Iddio e poi la carità dei Cooperatori verso i miei orfanelli, carità continuata anche in quest'anno, benchè non ci sia chi non lamenti miserie. Sarà eterna da parte mia la riconoscenza, come pure da par te dei giovani beneficati. Chi sa che questa non sia l'ultima volta che posso trovarmi fra voi; ma se sarò chiamato da Dio all'eternità e se Dio mi vorrà ricevere con sè nel cielo, il mio primo pensiero sarà di pregare Gesù e Maria e tutti i Santi, affinchè benedicano e proteggano coloro che cooperarono al bene di tante anime. - Esposti sommariamente questi concetti, scese. Allora pigliò la parola il Vescovo, esordendo con tino splendido elogio di lui, che chiamò santo.
La questua raccolse settecento franchi; ma al solito vi [445] furono molte oblazioni particolari. Don Bosco medesimo andava in giro con il piatto, dicendo prima: - Per i miei poveri orfanelli, - e poi rispondendo a tutti: - Dio ve lo renda. Era una scena commovente.
Dopo la conferenza, in un circolo di signori formatosi intorno a Don Bosco, il conte di Villeneuve narrò di un recente prodigio avvenuto in casa sua. Un suo servo, vecchio di oltre ottant'anni, stava, si può dire, per mandare l'ultimo respiro, quando, messagli al collo una medaglia di Maria Ausiliatrice benedetta dal Santo, era a quel tocco perfettamente e istantaneamente guarito.
Signori e signore si succedettero a lungo intorno a lui, presentandogli parecchi di loro chi un figlio, chi una figlia, chi il marito, chi il nipote e dicendo: - Ecco, Don Bosco, lo conosce? E’il tale o la tale; l'anno scorso lei l'ha guarito o l'ha guarita. Ed egli: - Ma no, correggeva, l'ha guarito, l'ha guarita Maria Ausiliatrice... Don Bosco non è che un povero prete.
Sotto il giorno 18 il diario di Viglietti menziona quattro fatti degni di nota. Un ufficiale, appena fu alla presenza del Santo, gli si gettò ai piedi e, mostrandogli un'immagine di Maria Ausiliatrice, gli disse: - Ecco, Don Bosco, chi mi ha preservato dalla morte e da gravi ferite nella guerra tunisina! - Don Bosco dietro all'immagine, prima che quegli partisse per l'Africa, aveva scritto: “Maria sia la vostra salvezza in ogni pericolo”.
La madre del conte di Villeneuve, presentatasi poco dopo, si credeva a lui debitrice della vita. Infatti la si poteva dire un miracolo vivente; poichè, spedita dai medici e giunta ormai al lumicino, era tornata da morte a vita subito che le avevano appesa al collo una medaglia di Maria Ausiliatrice donata dal Santo.
Egli ricevette pure alcune ragguardevoli persone, che affannosamente raccomandavano alle sue preghiere un figlio del generale Colombe. Il giovane ufficiale, pericolosamente ferito [446] nella guerra del Tonchino, stava per subire una difficile operazione; ma il padre, che trovavasi a Marsiglia, non conosceva ancora intera la verità. Noi ignoriamo quello che seguì.
Il giorno prima una signora l'aveva scongiurato con le lacrime agli occhi di pregare per suo marito, il quale rifiutava di far Pasqua nè voleva più udir parlare di chiesa o di preti. Don Bosco le aveva dato due medaglie, una per lei e l'altra per il marito; ma essa, conoscendone i sentimenti, non si azzardava nemmeno a fargliela vedere. - Gliela dia, gliela dia, - insistette Don Bosco. La donna obbedì, ed ecco che tornava per dire che quell'uomo, presala in mano e contemplatala alquanto, l'aveva accostata alle labbra, sì era commosso e quella mattina era stato a confessarsi e a fare la comunione.
Diffusasi la notizia essere la partenza fissata per il lunedì 2o, che invasioni durante la vigilia! Corridoi, chiesa, cortile in certe ore rigurgitavano di gente. Una circostanza straordinaria accrebbe l'entusiasmo. Mentre Don Bosco si vestiva per andar all'altare, gli annunziarono l'arrivo di una De Barbarin, che si sapeva inchiodata da cinque anni in un letto. Don Bosco la sera del sabato le aveva mandato a dire che venisse l'indomani ad ascoltare la sua Messa. La madre, parendole che non si dovesse attribuire importanza a quell'invito, non voleva che si movesse; ma la figlia non le diede ascolto. Appressandosi l'ora, chiamò le cameriere, si vesti e, montata in carrozza, giunse fra lo stupore universale a S. Leone. Quando entrò in chiesa, i suoi conoscenti non credevano ai propri occhi. Assistette, quasi sempre in ginocchio, al santo Sacrifizio prese il caffè con Don Bosco e quindi la si vide, allegra come una pasqua, girellare senz'appoggio di sorta per il cortile.
Qui, per non ripetere noi cose dette e ridette in analoghe occasioni, cederemo la parola a Viglietti. “Ormai, scrive egli sotto il 19, mi è affatto impossibile registrare tutte le grazie straordinarie che accadono... Tutti che vengono ne hanno [447] qualcuna da raccontare, per benedizioni avute i giorni avanti. Si conducono a Don Bosco degli storpi ora raddrizzati; dei sordi che ora odono, degli infermi, dei moribondi che adesso godono di perfetta salute, dei peccatori che pentiti vogliono ed implorano la benedizione di Don Bosco. Si lasciarono finora 13 mila lire in sole limosine minute alla casa. In due o tre giorni hanno i visitatori portato via tutte le penne che ad ogni momento del giorno ero costretto a rinnovare sul tavolino di Don Bosco. Me ne andarono ben sette dozzine. La berretta gli fu già presa tre o quattro volte. Lenzuola, coperte da letto, origlieri furono tagliuzzati in mille guise ”. E nel medesimo giorno il bravo segretario scriveva a Don Lemoyne: “Omai mi riesce impossibile dar corso ad ogni cosa. Talvolta ho venti, trenta lettere a cui bisogna che io risponda, ho quindici, venti fatti da registrare; ho da preparare la tale e tal altra cosa per Don Bosco; ha da quietare la gente che inonda tutta la casa e vuol vedere Don Bosco; ho da spedire a spasso altri che furono già introdotti o non è conveniente che lo siano. E come farò a scrivere al caro Don Lemoyne? Mi è impossibile registrare tutte le grazie accadute per mezzo di Don Bosco e di Maria Ausiliatrice. Tutta la gente che viene nell'oratorio non fa altro che narrare a Don Bosco i salutari effetti delle sue benedizioni, ricevute nei giorni passati ”[265]. [448]
Non c'è collegio cristiano, per quanto ben disciplinato, dove l'inimicus homo non getti la sito funesta zizzania. A Marsiglia un sogno rivelatore mise Don Bosco sull'avviso. Non ne troviamo indicato il giorno; ma non ne scema per questo la certezza, essendovi nei processi la testimonianza giurata di colui che ne ebbe diretta e sicura notizia.
Era circa la mezzanotte. Don Cerruti stava per andare a letto, quando lo colpì un grido. Sulle prime credette che provenisse da un prete forestiero malaticcio, ospite nella casa. Lo riudì più forte, a modo di urlo; poco dopo più forte ancora. Indubbiamente partiva dalla camera di Don Bosco, cui divideva dalla sua una sottile parete con uscio di comunicazione. Don Cerruti si rimette la sottana, va all'uscio, apre e trova Don Bosco seduto sul letto e desto. Gli domandò inquieto: - Don Bosco, sta male?
- No, no, rispose tranquillamente. Sta' quieto; va' a dormire.
Al mattino, appena alzato, si recò da lui. Sedeva sul sofà in tino stato di grandissima prostrazione.
- Don Bosco, è ben lei che ha gridato questa notte? lo interrogò Don Cerruti.
- Sì, sono io, gli rispose ancora Lutto contraffatto nel volto.
Visto che esitava alquanto a parlare, lo pregò che per piacere volesse dirglielo, - Ho veduto, disse tutto serio, il demonio entrare in questa casa. Era in una camerata e passava dall'uno all'altro letto dicendo di quando in quando: Questo è mio! Io protestava, Ad un tratto si precipita addosso ad uno di quei giovani per portarlo via. Io mi posi a gridare, ed egli si avventò contro di me, come per istrangolarmi. -Ciò detto, Don Bosco commosso e piangente continuò: - Caro Don Cerruti, aiutami. Sono venuto in Francia a cercar denari per i nostri giovani e per la chiesa del Sacro Cuore, ma qui vi è ora un bisogno assai più grave. Bisogna salvare questi poveri [449] giovani. Lascerò tutto e penserò a loro. Facciamo un buon esercizio della Buona Morte.
Quella sera il Direttore della casa annunziò l'esercizio della Buona Morte, aggiungendo che anche Don Bosco avrebbe confessato. Confessò difatti nella sua camera, seduto sul sofà, perchè l'estenuazione delle forze non gli permetteva di reggersi sulla sedia. Tutto andò così bene, che Don Bosco disse dopo scherzando: - Vedi, il demonio mi ha fatto perdere una notte, ma si è ricevuto una buona bastonata. - Anche Don Albera, informato del sogno da Don Cerruti, confermò dicendo: - Don Bosco ha purtroppo ragione. Vi sono parecchi giovani che mi fanno, piangere per la loro cattiva condotta.
Più tardi Don Cerruti volle sapere dal Santo, se avesse veduto in altre case salesiane entrare il demonio: egli rispose di sì e ne accennò qualcuna.
- Ma i giovani che il demonio voleva portar via con sè, sono di quelli che non vanno a confessarsi?
- No, rispose. Sono particolarmente quelli che si confessano male, che fanno sacrilegi nella confessione. Ricordati bene: quando predichi soprattutto alla gioventù insisti molto sulla necessità di fare buone confessioni e in specie sulla necessità della contrizione.
La causa precipua dei lamentati inconvenienti nell'oratorio di S. Leone sembra potersi rilevare abbastanza da un'osservazione che Don Bosco fece il 16 settembre successivo dinanzi al Capitolo Superiore. Trattandosi dell'ammissione di alcuni francesi ai voti, disse così: - É necessario in Francia facilitare l'ingresso in Congregazione ai nostri giovani, dando loro la veste chiericale anche nella terza ginnasiale, quando sono buoni. Abbiamo bisogno di sostituire e metter fuori di casa tutta quella spazzatura o scoria che abbiamo per necessità dovuta impiegare nelle scuole. Questi giovanetti sono quelli che faranno molto bene.
La dimora di circa quindici giorni faceva sì che Don Bosco [450] venisse riguardato ormai come della casa e che non se ne dovesse allontanare mai più; ma la realtà s'impose, allorchè la sera del 19 si videro i preparativi della partenza. Una sottile malinconia incombeva su confratelli e giovani. Nelle prime ore del 20 accaddero scene commoventi. Chi piangeva, chi si aggirava intorno alla sua stanza, chi gli si accostava, chiedendo una parola, un ricordo, una benedizione. Presto cominciò l'affluire della gente. Il brusio riempiva l'oratorio. Verso le undici egli benedisse i Salesiani radunati in una sala; poi diede loro questo ricordo: - Ricordatevi che siete fratelli. - Benedisse i giovani inginocchiati nel cortile. Don Albera piangeva come un bambino.
Detto addio alla casa di Marsiglia, all'una era a Tolone.
Verso notte Viglietti, che finiva di sbrigare la cinquantesima lettera, ne scriveva una per conto suo a Don Lemoyne comunicandogli anche essere desiderio di Don Bosco che egli Don Lemoyne facesse una lettera in nome di lui, da leggersi ai giovani, perchè diceva nessuno meglio di Don Lemoyne saper interpretare i suoi sentimenti verso di essi. “La scriva, continuava il segretario, ma subito, corta, sugosa, in cui esprima come il pensiero di Don Bosco è sempre all'Oratorio e come alla sera si diverte col segretario a passare i giovani, i superiori e tutti a rassegna e che prega per tutti ”. Don Lemoyne eseguì da pari suo l'incarico, sicchè non uno sospettò che Don Bosco parlasse per via d'interprete[266], ma tutti credettero che avesse scritto Viglietti sotto dettato[267].
La fermata a Tolone non oltrepassò le 24 ore. Celebrò in casa e ricevette dal Conte i ventimila franchi promessi. Ritornando a Nizza, ecco alla stazione di Cuers superiori, giovani e suore della Navarre, che, accorsi per dargli il buon viaggio, osservavano ansiosamente l'avanzarsi del treno e sventolavano i fazzoletti; Don Bosco dallo sportello rispondeva loro [451] allo stesso modo. Potè appena benedirli, che già il treno si rimetteva in moto.
Dal 21 al 28 aprile si trattenne a Nizza. La sera del terzo giorno i Cooperatori si adunarono nella cappella per udire la sua parola; ma Don Bosco era troppo spossato. Dovettero quindi fare di necessità virtù, contentandosi della conferenza di monsignor Guigou, venuto appositamente da Cannes. Egli era salesiano di cuore.
Fra gl’intervenuti spiccava la marziale figura del general Périgo, illustratosi nelle campagne d'Africa; allora godeva a Nizza il suo onorato riposo. Dopo la conferenza chiese di vedere Don Bosco insieme con la propria famiglia. Fu introdotto, ma trovarono la camera affollata. Don Bosco seduto scambiava con pena qualche parola or con l'uno or con l'altro, finchè i presenti per non affaticarlo da vantaggio gli domandarono la sua benedizione. Tutti piegarono le ginocchia al suolo, tranne il generale, che rimase là impalato. Don Bosco lento e dignitoso si alzò e prese a recitare la formula. Al suono di quella voce così piena di dolcezza e di unzione, alla vista del Santo ritto in mezzo a quella gente prostrata, il fiero soldato si commosse, cadde di peso in ginocchio e fece in tutto e per tutto come gli altri; poi diceva uscendo: -Chi resisterebbe a tale spettacolo? Ho indurito il cuore sui campi di battaglia, ma non ho fatto il callo a scene simili. - Aveva gradito anche lui un'immagine di Maria Ausiliatrice e ottenuto da Don Bosco che a ricordo di quel giorno vi scrivesse a tergo qualche parola di suo pugno.
La sfilata delle personalità più in vista non gli dava tregua. Venne da Cannes per vederlo e parlargli il Duca di Vallombrosa, ricchissimo signore. “Io non ho mai veduto, scriveva il nostro diarista, uomo più straordinario nelle forme; bello e alto due metri almeno, e proporzionatissimo nelle membra; un vero gigante dei tempi di Omero ”.
Nella sede del Circolo Cattolico si volle dare in onore di Don Bosco un solenne banchetto. Egli vi andò il 27 con Don [452] Ronchail, Don Perrot e Viglietti. C'erano più di trenta invitati, fior di gentiluomini e presidenti di altre associazioni consimili a Lione, a Marsiglia, a Menton, a Cannes. Non permettendogli nè la salute nè il tempo di accettare inviti Particolari, lo indussero a contentarli così tutti insieme. Vi furono parecchi brindisi molto espansivi[268]. Egli quindi si ritirò in una villa vicina per prendere riposo; ma indarno, poichè, conosciutosi il suo rifugio, ve lo assalirono subito senza misericordia. Il segretario, pazientato alquanto, fece intendere che Don Bosco aveva assoluto bisogno dì quiete. Dinanzi alla stia risolutezza tutti sgombrarono la sala; poi i signori della villa condussero Viglietti in un altro appartamento. Ma quando questi fu lontano, ricominciarono le processioni, finchè, venuta l'ora di un trattenimento preparatogli dai Soci del Circolo, vi sì lasciò condurre. Si ritrovò così in mezzo a gran numero di signori e signore della più alta società. Oratori e poeti lo salutarono angelo del secolo e S. Vincenzo de' Paoli redivivo. Infine, serviti i rinfreschi e fattasi una colletta, Don Bosco, benedetta l'adunanza, si avviò lentamente a piedi verso casa. Era stracco da non poterne più.
Quella fu in certo modo festa di commiato dalla Francia, giacchè nel pomeriggio del 28 egli partiva per Alassio. Quivi giunto, nel recarsi a piedi dalla stazione al collegio, vedeva l'edifizio illuminato e Udiva gli evviva dei giovani, Là assistette alla premiazione degli alunni segnalatisi negli esami semestrali, radunò i Cooperatori e scrisse una lettera al cardinale Alimonda. Tutto ivi gli richiamava alla mente il già Vescovo di Albenga, che, commosso del gentile pensiero, gli rispose subito, dicendosi ansioso di rivederlo e di riabbracciarlo fraternamente e salutandolo intanto “con venerazione e stima ”[269].
Cominciava il mese mariano e alcune grazie straordinarie [453] fatte conoscere ai giovani ne infervorarono la pietà verso Maria Ausiliatrice. Nel primo giorno fu introdotto da Don Bosco un bambino di cinque anni, per nome Ernesto Maria Demaistre di Diano Marina, colpito di congestione cerebrale e paralizzato nella metà del corpo; alla benedizione del Santo il piccolo infermo guarì in un attimo. Poco dopo un suo fratello di nove anni, che non poteva articolare parola, ricevuta medesimamente la benedizione, ebbe sciolto lo scilinguagnolo. Una certa Airoldi d'Alassio, giovane quindicenne, era fin da piccina impossibilitata a camminare; i suoi genitori vennero a chiedere per lei una benedizione speciale e in giornata si seppe che camminava e stava molto bene[270].
La mattina del 2 maggio si rimise in cammino per Varazze. Fortunatamente Don Cerruti l'aveva precorso alla stazione, dove il capo, sempre benevolo verso Don Bosco, vedendo che indugiava ad arrivare, fece ritardar il treno. Per la strada era bello vederlo accelerare il passo con una snellezza insolita. Celiando diceva: - Va', Viglietti. Che cosa fai qui? Su, corri! Vammi a prendere una cittadina lì in piazza della Consolata. Lì ce ne sono sempre. - Alla stazione ringraziò, prese posto e si partì.
A Varazze non si fermò più del tempo necessario a pranzare con qualche comodità, indi proseguì per Sampierdarena. Descrivere come subito l'indomani fosse assediato da visitatori, sarebbe ripetere cose che i lettori possono facilmente immaginare. Non mancò la buona signora Ghiglini. Molte lettere aspettavano colà Don Bosco, fra le altre quella già accennata del cardinale Alimonda, una di monsignor Cagliero con attese notizie dei Missionari e una terza della principessa [454] Doria Solms, che instantemente, ma questa volta inutilmente lo invitava a Pegli[271]. Potè invece andare con Viglietti a Sestri Ponente dalla signora Luigia Parodi. Quasi cieca, questa caritatevole signora menava vita solitaria nella sua villa, non ricevendo mai nessuno; ma per Don Bosco, al quale professava somma venerazione, soleva dire non esserci portiera.
La notizia del suo arrivo a Sampierdarena era stata diffusa dai due giornali cattolici genovesi, il Cittadino e l'Eco d'Italia; perciò l'affluenza all'ospizio non finiva più. Ci venne anche il capitano Bove, grande ammiratore del Santo. Oggi questo ardito esploratore è noto solo agli studiosi; ma allora si parlava moltissimo di lui. Nativo di Marenzana nella provincia di Alessandria, erasi ritirato dalla regia marina e dirigeva in Genova una Società di navigazione. Le sue prime prove come esploratore datavano dal 1878, quando sulla Vega aveva fatto il giro dei mari artici in compagnia del Nosdenskiold. Tentò in seguito l'esplorazione delle regioni polari antartiche, ma per difetto di mezzi l'impresa fallì. Visitò invece diligentemente la Patagonia e la Terra del Fuoco; quindi risalì il gran fiume Paranà fino all'interno del territorio di Misiones. Dinanzi a quelle plaghe sconfinate e vuote di abitanti, concepì egli pure, come già Don Bosco, il disegno di stabilirvi una colonia italiana; ma non potè trovare in Italia i capitali occorrenti. Erasi intanto formato lo Stato libero del Congo ed il Ministero vi mandò il capitano Bove per vedere se fosse possibile colà una colonizzazione; se non che gli parve troppo sterile la regione del basso Congo e giudicò prematuro nell'alto Congo qualsiasi tentativo. Si fissò allora nell'idea primitiva di colonizzare nell'Argentina. Fieri contrasti gli si levarono contro. L'impossibilità di vincerli sembra che gli desse volta al cervello, spingendolo nel 1887 al suicidio. Solamente così ci spieghiamo [455] questa catastrofe finale; poichè egli, oltrechè di fegato, era anche uomo di fede nè per piccola parte la fede entrava nella sua devozione a Don Bosco.
Due fatti straordinari accaddero durante il soggiorno a S. Gaetano. Il primo è ricordato da Viglietti nel suo diario. Due donne portarono a Don Bosco un'inferma, che, avuta da lui la benedizione, esclamò: -Sono guarita; voglio andare a casa da me.
- Oh, ti riporteremo noi a casa, risposero quelle che non potevano sospettare un sì gran mutamento.
- No, no, ci voglio andare da me. Maria Ausiliatrice mi ha guarita.
Varie persone, fra cui un amico di casa, il signor Bellagamba, riferirono poi di averla incontrata che camminava senza difficoltà, richiamando su di sè la commossa attenzione di quanti la, conoscevano.
Anche la signora Anna Chiesa si sentì ispirata a portare là una sua figlia per nome Sabina, di quindici anni, che dopo una polmonite era rimasta sempre malaticcia, nè si trovava cura atta a rimetterla in salute, tutto anzi faceva temere che desse in etisia. Don Bosco l'accolse amorevolmente e disse senz'altro che le avrebbe ordinato una medicina efficace. La madre s'immaginava chi sa quale farmaco; invece egli prescrisse alla fanciulla di recitare ogni giorno per tutto il mese di maggio sette Ave Maria alla Vergine Ausiliatrice. L'effetto che ne seguì, fu veramente mirabile; poichè presto l'inferma si ricostituì così pienamente che tredici anni dopo la madre attestava di lei, che, divenuta madre essa pure, continuava a godere perfetta salute.
Il diario nomina ancora due signore, Carlotta Odero e Mary Bellagamba, per dire che, afflitte da infermità in passato e raccomandatesi alle preghiere di Don Bosco, ora tornavano liete a ringraziarlo, stimandosi a lui debitrici della sanità ricuperata.
Egli che aveva da Dio in sì larga misura gratias curationum, [456] doni di guarire gli altri, portava con rassegnazione ai divini voleri la croce pesante de' suoi crescenti incomodi; la Provvidenza tuttavia dispose che al termine del viaggio si sentisse merlo accasciato, sicchè a Sampierdarena partendo e a Valdocco arrivando potesse con il suo aspetto produrre nell'animo dei figli un'impressione che non fosse di sconforto.
In compagnia dunque del vecchio segretario Don Berto, venutogli incontro, e del segretario novello Viglietti, mosse la sera del 6 maggio alla volta di Torino. Giunto all'Oratorio quando la comunità era in chiesa per la benedizione, andò egli stesso a impartirla. Poi, scrive il diarista, “fu accolto da tutti i giovani che festanti gridavano gli evviva al padre ritornato fra loro, mentre egli attraversava il cortile tutto bellamente illuminato e adorno di opportune iscrizioni ”. L'affetto faceva dar un valore anche a circostanze fortuite. Così un'altra memoria c'informa che un'ora prima dell'arrivo di Don Bosco, mentre si appendevano festoni qua e là per il cortile, un usignuolo sopra un albero riempiva l'aria de' suoi festevoli gorgheggi, e che quanti l'udirono, lo salutarono come annunziatore e interprete della prossima comune letizia[272].
In una stia lettera non arrivata ancora a destinazione, ma già scritta il 5 maggio e spedita da Buenos Aires, monsignor Cagliero diceva a Don Lazzero: “Il nostro caro Don Bosco sarà certo di ritorno dalla Francia carico di spoglie opime e sante, ma ferito nella sanità, spossato dalle fatiche come i [457] grandi commilitoni di Gesù Cristo. Ah! che il Signore e Maria Ausiliatrice nostra buona Madre ce lo conservino ad multos, sì ad multos annos. E nell'amarlo certo non ci lasciamo vincere da voi altri; ed il cuore lavora molto più che non la penna! E vi sfidiamo nel volergli bene più di noi ”. Questa gara di filiale affetto, alla quale nei figli il progredire degli anni e il sopravvenire degli affanni nulla toglievano della stia ingenua vivacità, sopravvisse alla morte del Padre in coloro che egli cibò del suo pane e nutrì della sua fede.
FACEVA gran pena nell'Oratorio, massime ai più anziani, il vedere Don Bosco andar curvo a segno che senza un appoggio sarebbe caduto. La sera del 31 dicembre, mentre dava la strenna per il 1885 ai giovani dell'Oratorio radunati nella chiesa di Maria Ausiliatrice, un'estrema stanchezza di mente gl'impediva talora di continuare il periodo; alla fine, invitati i presenti a recitare insieme un Pater, Ave e Gloria per colui che fra quei della casa doveva morire il primo, disse poi una sola Ave Maria. Tanta era la prostrazione delle forze, che per ogni movimento aveva bisogno dell'aiuto di buone braccia. Molto a lui rincresceva d'incomodare così i suoi figli, il cui zelo d'altra parte non era sempre scevro d'inconvenienti. Taluni, volendolo aiutare ed essendo inesperti, gli porgevano più imbarazzo e disturbo che non sostegno. Chi, per esempio, lo aiutava a camminare, doveva tenere alto il proprio braccio, sicchè egli, afferrandosi con le sue mani alla mano di lui, potesse star ritto sulla persona e trovare tale resistenza da appoggiarsi con piena fiducia sul suo sostenitore. Quindi accadeva che i meno pratici, invece di secondarne il moto, lo strascinassero, facendogli male. Ad uno appunto, che, accortosi d'averlo fatto soffrire, gli domandava premurosamente [459] scusa, egli rispose: - Oh, sta' tranquillo che il pezzo più grosso rimane sempre attaccato! - Un'altra volta, essendogli spuntato un fastidioso foruncolo sotto l'ascella destra, avvenne che, cominciatane già la guarigione, un confratello, per volerlo aiutare a discendere le scale, mise malamente la mano sulla piaga, la quale si riaperse, cagionandogli acuto dolore; passato poi breve spazio di tempo, ecco ripetersi il medesimo caso nelle identiche circostanze e con gli stessi effetti. Entrambe le volte disse sorridendo: - Sono io che non doveva permettere che mi venisse il foruncolo in pena de' miei peccati.
In quello stato, che lo rendeva continuamente bisognoso dell'altrui soccorso, agiva come vero figlio d'ubbidienza. A mensa gli si domandava: - Signor Don Bosco, vuole questo? vuole quello?
- Datemi quello che volete, rispondeva. Se ho denti abbastanza forti, mangio di tutto.
- Signor Don Bosco, andiamo nel tal posto o nel tal altro? gli chiedeva chi lo accompagnava a passeggio.
- Vengo dove mi conducete, era la sua invariabile risposta.
Ma qui non è bello, gli si osservava in qualche luogo; non sarebbe meglio andare di là?
- Andiamo di là, diceva subito, rifacendo la strada già fatta.
Soffriva pensando al gran lavoro che negli anni addietro poteva fare, mentre allora non gli bastavano più nè le forze nè la vista per la ventesima parte. - Certi giorni, ricordava egli talvolta melanconicamente, scrivevo anche più di cento lettere. - Difatti la sua corrispondenza epistolare aveva del fenomenale. Una ragione era che con essa si procacciava i mezzi per le sue opere; quindi è che delle persone benemerite non dimenticava il giorno onomastico o altre ricorrenze a loro care. Allora tuttavia la Provvidenza suppliva alle sue solite industrie; basti dire che in appena venti giorni, dal 7 al 27 maggio, al solo suo indirizzo giunsero per lettera [460] nè previste nè prevedibili ben settanta mila lire di elemosina[273].
Non scemava per altro la sua attività mentale, benchè anche questa per ragione dell'età lo affaticasse non poco. “Il buon Don Bosco è proprio invecchiato, si leggeva in un settimanale toscano[274]; ma di niente è sempre sereno, e parla con quella giovialità così cara e preziosa da farti ricordare il suo esemplare S. Filippo Neri ”. La sua giovialità però non s'assomigliava in tutto a quella dell'Apostolo di Roma. Un giorno in una conversazione familiare venne a dire che egli fino da fanciullo era stato sempre per indole e carattere piuttosto serio e che anche nelle cose ridicole da lui fatte o proferite non rideva mai sgangheratamente[275].
Obbligato a starsene solo e inoperoso, meditava i suoi disegni, volgendoli e rivolgendoli da tutti i lati. Nè limitavasi a cose di prossima attuazione, ma si spingeva pure col pensiero a possibilità ancor remote. Così escogitava le maniere di festeggiare il terzo settenario della consacrazione di Maria Ausiliatrice, del che più volte ragionò con Don Lemoyne, sebbene Del 1885 vi mancassero ancora quattro anni. Lo voleva celebrato con la massima solennità e con istraordinario concorso di fedeli; anzi ideava già di chiedere per allora speciali biglietti di riduzione ferroviaria, affinchè i divoti fossero allettati al pellegrinaggio. Aveva già fatto la prova di ottenere un ribasso eccezionale per i soli giovani de' suoi collegi in occasione del primo settenario[276]. Non era stato esaudito; ma quel rifiuto lo sgomentava tanto poco, che vagheggiava quest'altra richiesta di portata assai maggiore.
E' poi ovvio supporre che più sovente il suo lavoro mentale [461] si aggirasse intorno all'andamento e agli affari della Congregazione. Un giorno, per esempio, discorrendo con Don Lemoyne e con Viglietti[277], uscì a dire, nella guisa di chi espone ordinatamente i risultati di anteriori sue riflessioni, quali regole fossero da seguire nel rispondere a giovani dell'Oratorio che domandassero consiglio sulla propria vocazione. “Quando i giovani, disse, chiedono consiglio sulla loro vocazione bisogna osservare nelle risposte le seguenti regole. - I° Se si viene a scoprire che siano mancanti della bella virtù, non si consiglino mai a farsi Salesiani. - 2° Se mancarono nella moralità con altri, volendo essi andare in Seminario, si faccia loro il solo attestato della scuola. Se, giunti a casa, mandano a chiedere l'attestato di moralità, non si risponda. - 3° Prudenza nel consigliare i giovani a farsi Salesiani, per le opposizioni continue mosse da Vescovi, da parroci, da parenti. Essi diranno subito al giovane: É Don Bosco che ti ha messo questa cosa in testa. Quando il giovane interroga si faccia dare la risposta da lui stesso. E la via più spiccia, perchè un esame di vocazione porta obbiezioni, risposte, interrogazioni, e il giovane è prevenuto e disposto a fare la parte contraria, specialmente se i parenti lo vogliono per sè. Quindi s'interroghi semplicemente: Dimmi, eri più buono a casa o sei più buono qui? Se il giovane risponde che era più buono a casa, si domandi perchè. Risponderà: Perchè qui incontrai compagni, ebbi libri, ecc. Allora gli sì dica che se vuole andare in Seminario, vada pure a casa e si consigli con persona prudente. Se poi risponde, come generalmente rispondono, che è più buono qui: Ebbene si replichi, credi tu che potrai fuori mantenerti buono come sei qui? Decidi tu qual è il tuo meglio; io non ti dico altro. Dove hai trovata la salute della tua anima? Così il giovane darà la risposta egli stesso e a casa potrà dire ai parenti: Non è Don Bosco che mi ha suggerito di farmi Salesiano, ma sono io che ho voluto ”. [462]
Qualcuno, vedendolo occupato in mille pensieri, gli disse: - Lei, signor Don Bosco, ha tanti affari pel capo! Com'è possibile che arrivi a tutto? Di certe coselline deve per forza dimenticarsi presto. - Umilmente rispose: - Non dimentico solo le coselline. Temo di scordare la cosa più importante di tutte, la sola necessaria, la salvezza della mia anima! -Doppia lezione a chi l'aveva interrogato.
Dopo il suo ritorno dalla Francia non era più potuto scendere nella chiesa di Maria Ausiliatrice per la celebrazione della Messa; ma la mattina del 24 maggio non la volle dire sopra l'altare che teneva chiuso in un armadio presso la sua camera. Quell'anno il 24 maggio coincideva con la solennità della Pentecoste; onde la festa della Madonna era stata rimandata al 2 giugno. Il Santo dunque ricomparve al solito altare di S. Pietro, intorno al quale si strinse ben presto una folla di divoti.
Innumerevoli erano le persone che dall'Italia e dall'estero accorrevano a Don Bosco per avere conforto nelle loro pene, consiglio nei loro dubbi, aiuto di preghiere nelle loro infermità. Quest'anno da Caen il superiore di una comunità religiosa gl'inviò una povera signorina soggetta da più anni a dure prove spirituali. “Sono prete da circa quarant'anni, scriveva egli, nè mai ho trovato persona così dolorosamente provata, eppure sempre così sottomessa alla volontà di Dio per la sua gloria e per la salvezza dell'anima. In tutta la sua vita è stato, siffattamente fedele a Dio, che non ha mai perduto, io credo l'innocenza battesimale”[278], Sembrava che lo spirito maligno la travagliasse, specialmente con l'impedirle di assistere a funzioni religiose o praticare esercizi divoti; nel corso di questi anzi la faceva prorompere in bestemmie contro il Signore. Assistette la mattina del 4 giugno alla Messa di Don Bosco, sentendosi fin dall'introito perfettamente libera e sana. Ricevuta la comunione, si trattenne lungamente in preghiera davanti [463] all'altarino della Madonna nella stanza vicina alla cappella, mentre altre signore venute con lei dalla Francia aspettavano di poter parlare con il Santo. Pregava con molta divozione e, diremmo quasi, con l'avidità di chi gusta cosa da gran tempo bramata invano, nè punto si scompose in mezzo ai disturbi. D'allora in poi stette sempre benissimo[279].
Era fuori di ogni aspettazione che Don Bosco potesse far riudire la stia voce nella conferenza ai Cooperatori e alle Cooperatrici; tanto più gradita fu quindi la generale sorpresa, allorchè si affacciò dal pulpito al numeroso uditorio. La sua circolare d'invito diceva: “Due motivi speciali abbiamo questo anno di tenere questa riunione e celebrare all'indomani con grande trasporto di divozione la festa di Maria Ausiliatrice, e sono: riconoscenza e gratitudine verso l'Augusta Regina del Cielo per averci l'anno passato preservati dal colera, e il bisogno che Ella ce ne preservi tuttavia nell'anno corrente, qualora per divina disposizione il terribile morbo ricomparisse sulle nostre terre ”. L'adunanza, che anche quest'anno fu una sola, si tenne alla vigilia della festa nella chiesa di Maria Ausiliatrice. Il discorso del Santo ci è stato tramandato nella forma seguente.
Ali presento a voi, rispettabili signori Cooperatori e signore Cooperatrici, non per farvi un lungo ragionamento, al che non varrebbero le mie deboli forze, ma per esporre brevemente alcune cose che mi sembrano necessarie a sapersi da voi. E prima di tutto che cosa vuol dire essere Cooperatore salesiano? Essere Cooperatore salesiano vuol dire concorrere insieme con altri in sostegno di un'opera fondata sotto gli auspizi di San Francesco di Sales, la quale ha per iscopo d'aiutare la santa Chiesa ne' suoi più urgenti bisogni. Si concorre così a promuovere un'opera tanto raccomandata dal Santo Padre, perchè educa i giovanetti alla virtù, alla via del Santuario. Essa ha per fine principale d'istruire la gioventù che oggidì è divenuta il bersaglio dei cattivi, e promuove in mezzo al mondo, nei collegi, negli ospizi, negli oratorii festivi, nelle famiglie, l'amore alla religione, il buon costume, le preghiere, la frequenza ai Sacramenti, e via dicendo. [464] Molte cose si domanderanno da voi. Si domanderà, per esempio, se le opere a cui prendete parte colla vostra beneficenza siano in aumento o in diminuzione. Oh! consoliamoci nel Signore, o benemeriti Cooperatori, perchè le opere nostre prendono ogni giorno proporzioni maggiori. Le case, le chiese, i giovani ricoverati vanno ogni di moltiplicandosi. Da tutte parti poi ci chiamano a nuove fondazioni, a fine di ricoverare giovani che vagano per le vie e per le piazze in pericolo di perdere la religione e la moralità, e incamminati sulla via del disonore e della prigione. Di questo consolante aumento e progresso di buone opere siane anzitutto lode a Dio, poscia a voi, o caritatevoli signori e signore. Sì, da voi pure dipende la salute del corpo e dell'anima di tanti giovani e di tante fanciulle. Nelle vostre mani sta la loro sorte temporale ed eterna.
La istituzione nostra prende poi proporzioni gigantesche nella Patagonia, dove testè si diresse monsignor Giovanni Cagliero. Dappertutto c'è lavoro, ci sono scuole, chiese e ricoveri, e dopochè si è fatto, si è lavorato, si è provveduto, eccoci nuovamente da capo, perchè le domande, e il da fare aumentano ogni giorno. Vi basti sapere che se avessimo 2000 missionari a nostra disposizione, tutti potremmo occuparli; se avessimo 2000 chiese, potremmo empirle tutte di popoli fedeli, e aumentare così il numero degli eletti. Mons. Cagliero attorniato da tanta messe, di colà scrive ed esclama: Oh Europei voi che siete nel fiore del cattolicismo, venite qui e vedrete. Vedrete un'immensa moltitudine di persone che vi segue, che vi chiede la carità, non la carità in denaro od in pane, ma la carità spirituale cioè istruzione, religione, incivilimento, la salute dell'anima.
Ma quali sono le opere alle quali siete particolarmente invitati di prender parte per riuscire buoni Cooperatori e buone Cooperatrici? Vi dirò che molte son le case che si dovrebbero aprire e che nostro malgrado non possiamo per mancanza di mezzi. Presentemente assorbono gran parte delle nostre cure la chiesa del Sacro Cuore di Gesù a Roma, e l'ospizio che le sorgerà accanto; capace di ricevere più centinaia di giovani poveri della città. Quest'opera abbisogna appunto nella vostra carità, o benemeriti Cooperatori e Cooperatrici, e il Santo Padre Leone XIII per mezzo mio ve la raccomanda caldamente. Oltre di questa, vi sono le tante case che abbiamo nella Liguria, nel Veneto, nelle Romagne, nella Sicilia e in questi nostri paesi; vi sono i lavori d'ingrandimento di cui ogni casa ha bisogno. E che dirò delle case della Francia, della Spagna e dell'America? Di là ricevo notizie consolanti, e tra queste che nel Brasile si sta per aprire una nuova casa nella città di S. Paolo, per ricevervi tanta povera gioventù abbandonata. Tutte queste opere e vicine e lontane per sostenersi reclamano il soccorso della vostra carità.
Altra opera attira ancor presentemente la nostra attenzione, ed è la casa di Parigi. In quella vasta capitale della Francia, che conta [465] quasi tre milioni di abitanti, stragrande è la moltitudine dei giovani che scorrono vagabondi per le vie e per le piazze in pericolo di perdersi; immenso è quindi il campo in cui può esercitarsi la carità. Coll'aiuto di Dio quella casa salverà migliaia di giovani dalla perdizione, ed asciugherà le lacrime a tanti genitori che non sanno più a qual mezzo appigliarsi per allontanare la loro figliuolanza dalla via del vizio e rimetterla per quella della virtù.
In tutte le nostre case poi, vi fu in quest'anno uno straordinario aumento di domande d'accettazione. In una sola, fattosi il calcolo delle domande, sapete a quante ammontarono? A ben 5000, a ciascuna delle quali con grande nostro rammarico si dovette rispondere: Non vi è più posto. Oh! quanto maggior bene noi potremmo fare, se potessimo fondare nuove case, se potessimo avere i mezzi onde provvedere vitto e vestito a tanti giovani derelitti! Quanti buoni figliuoli, quanti padri cristiani ed onesti, quanti migliori cittadini di più non potremmo dare alle famiglie, alla Chiesa, alla società!
Sento che non posso più parlarvi a lungo, e quindi conchiudo dicendo: Persuadetevi, la messe è molta, e l'opera vostra, la vostra carità, il vostro obolo non solo è utile, ma necessario. Adunque aiutateci secondo il vostro potere. Oltre la ricompensa del Cielo, voi avrete anche su questa terra la consolazione di cooperare al vantaggio della religione, delle famiglie, della società. Tanti giovani e tante fanciulle in grazia vostra loderanno ora e benediranno Iddio, mentre invece lo maledirebbero nel tempo, per odiarlo nell'eternità insieme coi demoni. In questi tempi i malvagi cercano di spargere l'empietà e il mal costume, e vogliono rovinare specialmente l'incauta gioventù con società, con pubbliche stampe, con riunioni, che hanno per iscopo più o meno aperto di allontanarla dalla religione, dalla Chiesa, dalla sana morale. Or bene, i Cooperatori salesiani e le Cooperatrici si studino di opporsi a questi attentati. E come? Propaghino massime buone, libri, stampe, società cattoliche, catechismi e simili.
Un'altra cosa ancora vi raccomando. Pregate gli uni per gli altri. Per parte mia ogni giorno vi ricordo nella santa Messa, e per voi pregano altresì i nostri giovanetti. Voi date loro un po' di pane materiale per sostenerne la vita, ed essi danno a voi il pane spirituale delle loro orazioni. Forse voi non potete pregare molto. Ebbene, questi giovani, i Salesiani e le Suore di Maria Ausiliatrice, pregheranno per voi, e vi otterranno dal cielo le grazie di cui abbisognate. Molti poi dei Cooperatori e Cooperatrici sono ogni anno chiamati all'eternità, e noi uniamo le nostre alle vostre preghiere in suffragio delle loro anime. Quello che ora facciamo per gli altri, forse un altro anno avremo bisogno che sia fatto per noi.
Finalmente, miei buoni Cooperatori e Cooperatrici, adoperiamoci a fare tutto il bene possibile a noi ed agli altri, affinchè Maria Ausiliatrice possa compiacersi nel vedere per mezzo nostro volare molte anime [466] al cielo. Oh! quando sarete in paradiso, con quanto entusiasmo esclamerete ciascuno: - Benedetto quel giorno m cui entrai fra i Cooperatori e le Cooperatrici di S. Francesco di Sales, poichè ogni atto di carità, che io ho praticato in favore di quest'opera, fu quale anello di una catena di grazie, per mezzo della quale ho potuto salire in questo luogo di consolazione e di gaudio.
Allorchè, dopo la conferenza, Don Bosco tornò in sacrestia, molta gente lo aspettava per chiedergli la benedizione; ma fra la moltitudine egli scorse una donna con un ragazzo che teneva gli occhi bendati e fattala avanzare le domandò che malattia avesse quel fanciullo. Erano madre e figlio, e venivano da Poirino.
Il piccolo, per nome Giovanni Penasio, dell'età di otto anni, soffriva da venti mesi tale oftalmia ch'era obbligato a rimanersi costantemente al buio. Due specialisti assai reputati, i dottori Sperino e Peschel, consultati già altre volte, l'avevano visitato anche quel giorno stesso, pronunziando sentenza non esservi altro a fare che estrarre il bulbo dell'occhio sinistro per salvare il destro. La buona donna costernata lo conduceva là, perchè Don Bosco lo benedicesse. Il Santo lo benedisse e accettò l'offerta di una Messa, promettendo che avrebbe pregato per lui. 1
Fatto ritorno a casa, ecco che la sera medesima il figlio cominciò a sentirsi meglio, Al mattino seguente, aperti gli occhi e vista la luce del sole, chiamò, pieno di giubilo, la madre, gridando che era perfettamente guarito. Corsero i parenti, corsero i vicini: tutti constatarono l'avvenuta guarigione. Subito dopo tutto il paese, dove si conosceva benissimo il suo stato, potè verificare con generale ammirazione la realtà del prodigio. D'allora in poi il giovane godette sempre buona vista, tanto che fu assunto nella tipografia dei fratelli Canonico in Torino.
La gioconda solennità, sebbene trasportata e celebrata in giorno feriale, superò per concorso di fedeli gli anni antecedenti. Don Bosco aveva raccomandato che si facesse quanto [467] si sapeva, perchè la festa riuscisse splendida[280]. L'Unità Cattolica del 4 giugno in un suo lungo articolo diceva fra l'altro: “Il venerando Don Bosco, benchè malfermo di salute, volle scendere dalle sue stanze e celebrare la santa Messa all'altare della Madonna. I buoni Salesiani volevano risparmiare al loro Padre il grave disagio, ma Don Giovanni, che ama tanto Maria Ausiliatrice e spera tutto dal suo patrocinio, volle anch'egli festeggiarla. E la sua presenza fu un accrescimento di festa. I Torinesi si affollarono in sacrestia e ne' corridoi per baciar la mano a Don Bosco. Era un tenero spettacolo ”.
Al pranzo, imbandito nella sala grande della biblioteca, fecero compagnia a Don Bosco il cardinale Alimonda, i vescovi Pampirio di Alba e Valfré di Cuneo, alcuni nobili signori e signore di Francia e numerosi sacerdoti del clero torinese. Sua Eminenza rivolse in fine di tavola brevi e belle parole al Servo di Dio. Scriveva il citato giornale: “Ci furono brindisi, vennero lette poesie, insomma fu giorno di festa e di gioia per tutti, ma più specialmente pel venerandissimo Don Bosco, il quale ha bisogno di simili consolazioni ”.
Non lieve sua occupazione era il presiedere alle adunanze capitolari, a cui prendeva parte attiva, come abbiamo già visto e più ancora vedremo. Nella seduta del 5 giugno con sorpresa di tutti tirò fuori una memoria scritta da lui intorno a sei provvedimenti da prendersi in avvenire per la festa di Maria Ausiliatrice e ne fece dar lettura. Eccone il contenuto. “I° Nessuna tappezzeria se non quella che appartiene alla chiesa medesima. - 2° Studiare il modo che il numero dei musici esterni si riduca a quelli che sono strettamente necessari; perciò canto semplice con organo[281]. - 3° Riguardo al vitto limitarsi coscienziosamente alle deliberazioni capitolari. - 4° Gli oggetti di cancelleria siano spacciati nelle relative officine, ma non nei così detti banchini, dove sogliono lamentarsi [468] veri inconvenienti e talvolta disordini[282]. - 5° Qualora debbasi piazzare qualche banchino, sia affidato a qualcheduno di onestà e fedeltà conosciuta; per lo più non si conoscono i furti che nei giorni dì tali feste si succedono. - 6° Massima vigilanza affinchè i giovani interni non possano mai liberamente famigliarizzare cogli esterni ”. Il Capitolo giudicò di difficile esecuzione il primo punto della tappezzeria; ma Don Bosco disse reciso: - In ciò si vedrà quello che è meglio, ma tale è la mia opinione.
I giovani, che lo vedevano solo rare volte e di sfuggita, non cessavano di formare oggetto delle sue paterne sollecitudini. Un giorno fece annunziare che conosceva le loro coscienze e che quanti ne volessero profittare, andassero a parlargli in confessione o fuori di confessione; disse specialmente che avrebbe parlato loro dell'avvenire. Primi ad assediarlo impazienti furono quelli delle classi superiori. Non pochi meravigliati, si comunicavano poi nelle reciproche confidenze ciò che avevano udito o per lo meno si ripetevano l'uno all'alto com'egli avesse con precisione posto loro dinanzi lo stato in cui si trovavano. Don Ubaldi ce ne parlava ancora commosso negli ultimi giorni della sua vita. Sul finire del colloquio il Santo gli aveva detto: - Guardati dal serpente, che cerca di coglierti nelle sue spire. - Ingenuo qual era, egli narrò casualmente questo particolare a un cotale, che allibì ed: - Ah! esclamò, il serpente sono io. Tu non te ne sei accorto, ma è così. - Da qualche sua velata espressione sembra che Don Bosco gli dicesse allora e gli ripetesse poi che, facendosi Salesiano, avrebbe fatto grande onore alla Congregazione[283].
Due alunni della quinta, Maffei e Manelli, entrambi lombardi [469] e cordiali amici, si presentarono insieme a Don Bosco per avere consigli sulla loro vocazione. Maffei avrebbe voluto frequentare liceo e Università per avviarsi a una civile professione; Manelli invece desiderava farsi salesiano o almeno prete secolare. Don Bosco, stato un po' soprapensiero, rispose al primo: - Tu, Maffei, dovrai divenire un buon parroco. E all'altro: - Tu, Manelli, non ti farai nè salesiano nè prete, ma andrai alle pubbliche scuole e speriamo che ti conserverai buono e ti farai onore. - Uscirono mal soddisfatti tutt'e due e deliberati di fare a lor talento. Maffei fu ammesso al liceo di Alassio; ma verso il termine dell'anno, rimandato a casa forse per salute, entrò poi in seminario e divenne prete. Il rovescio accadde a Manelli, che, andato in Seminario e stancatosi presto, passò al regio liceo della sua città natale e morì studente universitario dopo una vita alquanto scioperata.
Ecco un altro caso dello stesso genere, che destò non minore sorpresa. Il giovane Stefano Ghigliotto di Varazze, cugino del salesiano Don Francesco e alunno esterno di quel nostro collegio, aveva deciso di farsi egli pure salesiano. Nella vocazione veniva accuratamente coltivato dal catechista della casa Don Descalzi. Ottenuto già il consenso dei genitori e preparato financo il suo corredo, fu dal cugino presentato nel collegio stesso al Santo con queste parole: - Ecco, signor Don Bosco, un mio cugino che vuole farsi salesiano. - Don Bosco, senza fare al giovane nessuna delle solite interrogazioni, rispose a Don Francesco: - Bene, dagli un Giovane provveduto. - Nè aggiunse altro e li congedò. Una risposta così asciutta fece trasecolare il presentatore, che fra sè e sè ne tirò subito questa conseguenza: -Mio cugino non diverrà salesiano, ma rimarrà secolare. Tale dev'essere il significato dell'offerta di quel libro. - Difatti Stefano, fermo nel suo proponimento fin quasi alla vigilia della partenza per Torino, all'improvviso si penti del passo che stava per fare nè volle più andarvi, sebbene Don Descalzi cercasse d'incoraggiarvelo. Entrò invece nel seminario [470] diocesano, ma dopo appena due mesi se ne uscì e a suo tempo prese moglie.
Andò da Don Bosco per consiglio sulla vocazione anche l'alunno Giovanni Masera, uno dei primi della classe e solito a distinguersi nei pubblici saggi. Il Santo gli rispose tra il serio e il faceto. - Te non ti voglio! - Il giovane laureatosi in lettere, insegna nelle regie scuole vivendo del ricordo affettuoso e riconoscente di Colui che ne guidò i primi passi nella via del sapere e dell'onore[284].
Indubbiamente Don Bosco riceveva spesso lumi superiori per il discernimento delle vocazioni. La sera del 31 ottobre 1885 egli disse a Don Lemoyne che talora, mentre stava in chiesa vedeva una specie di candela staccarsi dall'altare e girando e rigirando posarsi sul capo di qualche giovane, essere quello per lui un segno evidente di vocazione nel designato.
Più o meno era sempre viva nell'Oratorio la curiosità dì sapere che cosa Don Bosco vedesse nelle coscienze; anche il chierico Viglietti ne provava la parte sua. Allora pertanto che godeva la familiarità del Servo di Dio, conduceva a volte li sopra la conversazione. Così un giorno lo interrogò sul sogno delle forche, nel quale egli aveva visto l'interno di molti[285], e il Santo gli raccontò un episodio accaduto in quel torto. Andato da lui un giovane, gli fece una specie dì rendiconto, ma tacendogli le cose più importanti che si vergognava di palesare. Ma non vedi, gli disse Don Bosco, che mi taci questa e quest'altra cosa?
- Ab! esclamò sdegnato quel tale, lei ha conferito col mio confessore; non può essere altrimenti.
- Ma no! Non sai che io leggo nella tua coscienza come in un libro?
- No, no. Lei ha saputo queste cose dal mio confessore. [471]
- Poveretto! si vede che non conosci Don Bosco.
Ma non ci fu verso di disingannarlo. Se ne andò via confuso e di pessimo umore; ma il giorno dopo, che era domenica, ritornò tutto pentito e dolente a chiedergli perdono, riconoscendo da Dio e da Don Bosco la grazia della sua conversione[286].
Di un fatto straordinario, accaduto proprio il 2 giugno, festa di Maria Ausiliatrice, si serba tuttora il ricordo a Carignano. Il chierico ascritto carignanese Luigi Nicola, ammalatosi gravemente a S. Benigno, era tornato per volontà dei parenti in famiglia. Le sue condizioni peggiorarono senza tregua. Don Chiatellino, il grande amico carignanese di Don Bosco, recatosi a Torino per la festa di Maria Ausiliatrice e incontrato il Santo, raccomandò l'infermo alle sue preghiere. Don Bosco gli rispose sorridendo: - Rassicura la sua famiglia; il chierico Nicola non ha più bisogno delle nostre preghiere, anzi prega già per noi. A ormai in paradiso. È passato a salutarmi durante l'Elevazione. - Don Chiatellino, tratto di tasca l'orologio, guardò l'ora, fece il calcolo e la sera a Carignano trovò che il chierico era spirato nel tempo che Don Bosco celebrava la Messa.
Non crediamo di dover trascurare la testimonianza di un altro fatto prodigioso, avvenuto nei medesimi giorni e riferito da, persona che vide e udì e che Don Bosco stimava assai per la sua pietà e carità. Nelle vicinanze di La Réole, capoluogo di circondario nel dipartimento della Gironda, viveva una religiosa, che ogni venerdì soffriva i dolori della Passione di Nostro Signore. La signorina Lallemand e sua madre, nonostante la loro diffidenza, si lasciarono condurre a vederla. Sì trovarono là con ecclesiastici e laici, parecchi dei quali ponevano sul letto dell'estatica bigliettini con domande di grazie. Esse fecero come gli altri, supplicando nel proprio scritto per i bisogni spirituali e temporali di Don Bosco. [472]
L'estatica, che dopo i dolori della Passione era confortata dalla visita di Maria Santissima, s'inginocchiò, frugò in mezzo al gran numero di carte, e quando toccò quella che parlava di Don Bosco, si mise a lodare Iddio per il suo zelo apostolico e per la moltitudine di anime da lui strappate a Satana con l'ardore della sua carità. Disse: “Oh quanto sarebbero necessari ministri di Gesù Cristo che gli rassomigliassero! Egli non cessa di supplicarvi, o Maria, di potervi servire fino al suo ultimo respiro attraverso a tutte le sue prove e infermità ”. Quindi, prostrandosi sul biglietto, continuò: “In quanto a me, questo ardente servo di Maria non uscirà mai dal mio spirito nè dal mio cuore fino all'ultimo mio sospiro ”. Finita l'estasi, la Cooperatrice si avvicinò, e colei le disse cosa di sua grande consolazione. Era morto da poco suo padre senza poter ricevere i sacramenti; ond'ella, al par della madre, stava in angoscia per la sua eterna salvezza. Ora la veggente le disse che l'anima di suo padre non aspettava più se non qualche Messa e qualche preghiera per andare in paradiso; essersi egli salvato perchè essa, la figlia, aveva pregato molto per lui e aveva fatto molte opere buone nel momento della sua morte. Su per giù aveva parlato come già Don Bosco[287].
Dalla Francia la sera del 9 giugno venne una visita del tutto inaspettata. Si presentava alla porteria dell'Oratorio un barbuto e imponente Porporato, seguito da un semplice domestico e chiedeva con ansietà al portiere se Don Bosco fosse in casa. Rispostogli di sì, esclamò: - Oh, sono contento. Temevo proprio di non trovarlo. - Era il cardinale Lavigerie, arcivescovo di Cartagine[288]. Stette circa un'ora con Don Bosco, rinnovandogli la preghiera fattagli già a Parigi di mandare alcuni de' suoi a prendersi cura degli Italiani residenti in Africa. Visitate poscia le scuole e i laboratori, si recò nella chiesa di S. Francesco, dove parlò agli artigiani, eccitandoli [473] a mostrarsi sempre cristiani franchi e generosi in qualunque circostanza della loro vita. Avendo visto il ritratto di monsignor Cagliero, domandò chi fosse quel Vescovo. Gli si disse tutto e gli si ricordò il 1871, quando era passato all'Oratorio e si era cantato in sua presenza un inno a onore di Pio IX. - Ah! fece egli. A l'autore di quell'inno? Io lo ricordo benissimo. - Infatti ne recitò i primi versi, anzi ne cantò il motivo: A Roma, fedeli...[289]. Lasciato l'Oratorio, proseguì per Roma, ov'era diretto.
Tre giorni dopo un alti o ragguardevole Prelato visitò Don Bosco, monsignor Giovanni Marangò, arcivescovo di Atene e Delegato apostolico nella, Grecia per i cattolici orientali. Egli pure ebbe con lui un lungo colloquio.
Terminate con tutti i relativi strascichi le feste in onore della Madre celeste i cuori affrettavano col desiderio quelle del caro Padre terreno. Era invalso l'uso che Don Rua ne desse avviso ai Cooperatori torinesi insieme con l'annunzio della festa di S. Luigi. La forma dal più al meno soleva essere questa: “Nel trasmetterle l'invito sacro per la festa di San Luigi Gonzaga il sottoscritto si permette di notificarle che al 24 del corrente, festa di S. Giovanni Battista, occorre l'onomastico dell'amatissimo nostro Rettore e Padre Don Bosco, che sarà solennizzato da' suoi figli con canto, suono e letterari componimenti. A fine di rendere vie più bella la festa, fa rispettoso invito alla S. V. di voler nella sua bontà onorare colla sua presenza il nostro trattenimento, che avrà luogo in due giorni, il 23 verso le 8 pomeridiane e il dì della festa verso le 7,30 pomeridiane ”. É notevole il tenore modesto della notificazione, subordinata per giunta a un “invito sacro ”.
Anche a coloro che da anni vi prendevano parte, il rinnovarsi di tale festa arrecava sempre nuova letizia. É una festa, scrisse un settimanale già citato[290], che ha un non so che di grandioso e di poetico. Nemmanco a dirsi che c'è musica e di [474] quella scelta; ma quella che supera e regna da padrona è la cordialità. Sin dalla vigilia i giovanetti dell'Oratorio preparano i regali da presentare al loro buon Padre ”. Dei doni presentati uno piacque massimamente e fu il ritratto su tela di mamma Margherita, lavoro del Rollini, che si ammira oggi nelle camerette del Santo. Questi, dopo aver esaminato bene il dipinto, esclamò: - É proprio essa, le manca solo la parola![291]. - Della cordialità abbiamo altra volta raccolte simpatiche espressioni da lettere di giovani dell'Oratorio[292]; questa volta faremo un florilegio attraverso un gruppo di lettere scritte per la medesima occasione nel 1885 dai figli d'America. Sono tanti documenti che attesteranno ai posteri quanto fosse vero che Don Bosco era un “rapitore dei cuori ”[293].
Il Vicario Apostolico non cessava, per essere Vescovo, di considerarsi buon figlia di Don Bosco. . “I suoi figli, scriveva egli[294], in questo giorno del suo onomastico guerreggiano e [475] gareggiano tentando di superarsi l'un l'altro in santi trasporti di filiale affetto, di lodi, di benedizioni, di promesse e di viva cento e cent'anni per chi è loro Superiore, Benefattore e Padre! Invidiabile gara, nobile tenzone e giusto tripudio dei figli, dei fratelli e di tutta la Salesiana famiglia! Pel suo primogenito e per i suoi figli d'America (oh come lontana!) non resta, in questo giorno di santa e comune esultanza, che il dolce ricordo del passato e che vorremmo convertire in dolcissimo presente, per dimostrarle ancor noi che in petto abbiamo valore e nel cuore abbiamo sentimenti al pari di ogni altro! Quantunque lontani però, abbiamo con noi, in noi e dentro di noi stampate le parole: DON BOSCO - ORATORIO - VALDOCCO e MARIA AUSILIATRICE capaci di stuzzicare più che prosa, poesia e musica ed a saziare ogni desiderio del nostro cuore! Ed i nostri fratelli d'Europa ed i Beniamini di Torino si godano pure le belle feste, esultino e tripudino, ma non ci vinceranno mai in amore, riconoscenza e sacrifizio per Colui che ci fu dato da Dio per guida, maestro, pastore e padre. Benedica i suoi figli di America e il suo primogenito ”.
In nome di tutti i Confratelli addetti alle Missioni della Patagonia e alle due case di Buenos Aires il segretario di Monsignore si univa a tutti gli altri figli di Don Bosco nell'esprimere “con giubilo e soddisfazione del suo cuore ” ardentissimi voti, perchè Iddio misericordioso conservasse ancora a lungo la preziosa sua vita in pace e felicità e: “Volesse il Cielo, esclamava, Carissimo Padre Don Bosco, che per motti anni e tutti felici continuasse a dirigere, governare e sostenere i numerosi suoi figli! ”.
Durante la sua forzata permanenza a Buenos Aires l'infaticabile missionario Don Milanesio, accennato alle proprie pene, nelle quali dopo Dio lo confortava più di tutto il ricordo delle peripezie di Don Bosco nel fondare l'Oratorio e la Congregazione Salesiana, e presentatigli i suoi auguri, continuava: “Vorrei in questa occasione offrirle qualche cosa; ma non so a che appigliarmi. Se vuole, le ricorderò i tremila Indi che i [476] suoi figli battezzarono nel corso di più anni nella Patagonia, fra i quali alcune centinaia dì bambini già sono passati alla gloria del cielo. Ciò sarà pel suo buon cuore oggetto di qualche consolazione nella sua già avanzata età, il sapere che il buon Dio già cominciò a coronare i suoi sacrifizi mediante le Missioni della Patagonia ”.
Dal collegio di S. Nicolas Don Evasio Rabagliati al suo “veneratissimo e amatissimo Padre ” diceva: “Qui non si cessa di pregare per Lei, perchè il Signore lo doni ai suoi figli per molti anni ancora a vantaggio della Madre Congregazione, delle anime e della Chiesa tutta; ma in questo mese di giugno, nell'occorrenza del suo onomastico procureremo di aumentarle queste preghiere ed in numero ed in fervore. È così grato, così dolce pregare per il Padre, e per un Padre che tanto ci ama, ed a cui tanto dobbiamo! Preghi anche per noi, amatissimo Don Bosco, noi siamo i bisognosi; lungi dall'Oratorio, privi dei suoi consigli, privi della sua benedizione è facile qui perdere il fervore salesiano”.
Dall'Argentina si leva giubilante la voce dell'ispettore Don Costamagna con calorosi auguri e una bella notizia: “Impossibile ci è, Carissimo e Veneratissimo Padre, manifestare il giubilo nostro in questo momento che tutti raccolti con Monsignore possiamo gridar da lontano, sì, ma di gran cuore: Viva il nostro amatissimo Padre! Ah voglia il Signore conservarcelo fin dopo il cinquantenario! Abbiamo impressa testè la vita di Magone, in Castigliano, ed è tanta l'avidità con cui tutti, specie i giovani, la leggono, che non ci sono ormai copie sufficienti per tutti. Oh quanto bene fa questa biografia! Benedetta la mano che la scrisse! Padre! Voglia raccomandarci al Signore, perchè tutti possiamo imitar Magone nel suo ravvedimento e nella sua invitta costanza fino alla morte. San Giovanni Le ottenga una corona di milioni e milioni di figli ancora, o il più diletto di tutti i Padri! ”. Alla firma dell'Ispettore seguono altre firme di Salesiani.
Nell'Uruguay la follia della persecuzione religiosa aveva [477] invaso gli uomini del Governo; onde l'ispettore Don Lasagna lottava energicamente per tutelare gli stabili e le persone. Perciò scriveva: “Non v'è dubbio che non siamo presi di mira in modo speciale a cagione del nostro rapido sviluppo. Colòn, Paysandù e Las Piedras sono un gran pruno negli occhi di certa gente [ ... ]. Pertanto i nostri auguri per le sue feste quest'anno glieli mandiamo in momenti di gran trepidazione, però sempre più sinceri e fervorosi. Oh quanto avremmo bisogno d'una parola di Don Bosco in questi giorni! Deh! preghi per noi ”.
Tre lettere di confratelli sacerdoti provengono pure dall'Uruguay. Don Calcagno a Villa Colòn aveva sperato di poter festeggiare quest'onomastico di Don Bosco nell'Oratorio, ma aveva fatto i conti senza l'oste. “Sono contento lo stesso, gli dichiarava; mi spiacerebbe tuttavia molto se non potessimo più parlarci in questa terra ”. Rivide Don Bosco nel 1887. Le altre due lettere furono scritte da Paysandù. Una è del Direttore Don Allavena, il quale esordisce così: “Dopo cinque anni che i suoi figli lavorano in questa città possono alfine non presentarsi soli a renderle omaggio nel suo onomastico, inviandole un filiale saluto dalle sponde dell'Uruguay; un coro di voci infantili, espressione del più sincero affetto, si unisce alle nostre per felicitarla in questo giorno e benedire il Signore, pregandolo affinchè ce la conservi ancora per lunghi anni. Son nuovi figliuolini raccolti sotto il manto di Maria SS. Ausiliatrice, che riconoscono in Lei l'inviato della Celestiale Signora per insegnar loro ad amarla ed essere buoni ”. E Don Rossetti, rammentate le frequenti raccomandazioni di Don Bosco ai suoi figli perchè lo aiutassero a salvare le loro anime, deponeva ai piedi della Vergine per la faustissima occorrenza il duplice voto, di assecondarne sempre i santi desideri e le paterne cure e di vederne conservata da Dio lungamente l'esistenza preziosa.
Sei chierici da varie parti gli esprimevano a cuore aperto il loro tenero affetto. Cavaglià: “Sempre porto nel cuore e [478] nella mente la memoria di Lei […..]. La memoria di Lei mi liberò più volte dal cadere in peccato. Il pensare, a Lei in certi momenti di tentazione, di travaglio di tristezza, mi animava a combattere, a lavorare, mi ridonava la perduta allegrezza […..]. Desidererei di avere un suo manoscritto, poche parole, un solo pensiero, come ricordo suo ”. Giovannini: “Io, Carissimo Padre, vorrei essere letterato, poeta, per poterle dire moltissime cose; ma sono un povero chierico, privo di tutto ciò che vorrei. Però in questo giorno così bello voglio almeno farle un regalo, una santa e fervorosa Comunione, pregando il Signore che mi permetta di scriverle ancora moltissime volte in questo giorno così bello per Lei e per i suoi figli. Benedica, Carissimo Padre, questo figlio, affinchè venga sempre più buono e fervoroso e imitatore delle sue virtù ”. Grando: “Devo anzitutto render grazie al buon Signore ed a Lei di avermi qui destinato. Per due anni continui domandai al Signore di poter venire in queste parti. É vero che per la poca salute e pel poco ingegno non posso servire a nulla, però alla Congregazione non mancano occupazioni adatte alla mia condizione. Faccio volentieri il possibile per disimpegnare bene il mio ufficio di assistente generale. Nè mi dimenticherò de' suoi salutari consigli nei momenti, in cui la pratica della virtù richiegga un po' di sforzo. Io Le protesto, o Padre, che la buona volontà non mi manca coll'aiuto del Signore ”. Milanese, allora chierico più tardi coadiutore e meteorologo: “Per me Don Bosco è tutta la mia ricchezza, ed io non vorrei altri che Lui; a Lui sempre penso, di Lui parlo continuamente con tutti, ed ogni esagerazione mi par piccola. - I miei lavori, le mie fatiche e tribolazioni le ho tutte consacrate a Dio; ciò nondimeno vuol vincermi la natura debole ad ogni circostanza. Ma se io son pronto a rivolgermi a mirare il modello che mi son preso nel mio papà Don Bosco, la fatica mi par leggera e ogni tribolazione mi pare in questi luoghi un premio al mio sacrifizio [ ... ], Forse, caro Padre, le parranno un poco esagerate le mie parole; ma non è vero. Io mi sentivo bisogno di uno sfogo, e mi [479] permetto di farlo proprio in un tempo in cui tutti ricordano i suoi benefizi e l'amore che dimostra ai suoi figliuoli. In questo giorno se io sapessi che di tutti i suoi figliuoli ci fosse qualcuno, che l'amasse più di me, io avrei dispiacere, perchè io l'amo sommamente, avendo presso Dio un debito sacro d'amarla e di esserle riconoscente ”. O'Grady irlandese: “Mi unisco di tutto, cuore ai miei fratelli di queste terre lontane per esprimerle il mio affetto e la mia devozione, ed augurarle con tutto l'ardore dell'anima mia una buona e felice festa, seguita da molte altre ancora. Sì, caro ed amatissimo Padre, i voti più ardenti che un figlio possa fare per un Padre diletto, io li faccio per Lei [ ... ]. Ella sarà lieto, caro Padre, di sapere che mi trovo benissimo qui, felice della mia vocazione e nella speranza di perseverarvi colla grazia del Signore. Non dimentico, no, a chi devo dopo Dio, un tale favore, una tale felicità. Vorrei, mio carissimo Padre, poterle esprimere tutta la gratitudine da cui mi sento animato verso di Lei; ma veramente non trovo parole per farlo. Spero però di provarlo in altra maniera, cioè coi fatti, procurando di essere un vero Salesiano e suo degno, figlio ”. Soldano: “Oh felici quei giorni passati all'Oratorio! Tanto mi sono rimasti impressi, che non posso non pensarvi, tanto è il bene che allora mi fu prodigato, che non lo dimenticherò mai; che anzi, conoscendolo sempre meglio, vie più andrà aumentandosi il mio affetto, la mia gratitudine verso di Lei, Padre amato, e di chi al mio bene fu tanto intento!,[ ... ]. Carissimo Padre, non posso manifestarle colla penna il contento che provo della mia vocazione, e quanto sia felice nelle mie fatiche ”. Stefenelli: “Per il 24 giugno io spero di trovarmi già nella cara Patagonia. Ebbene, caro Padre, in quel giorno pregherò Dio che la consoli in questa terra col veder quelle misere regioni convertite, se non interamente, almeno in gran parte alla vera religione per opera de' suoi figli. Per parte mia poi Le prometto di voler sacrificare tutta la mia vita per la gloria di Dio; ma i pericoli sono grandissimi e la mia debolezza è più grande ancora. Mi ottenga, o Caro Padre, da Maria Ausiliatrice [480] la conservazione della bella virtù ed una vera umiltà, ed io corrisponderò ai suoi desideri ”.
Tre coadiutori dicono essi pure a Don Bosco il loro affetto. Fasciolo cuciniere: “Pensando che anch'io benchè indegno sono suo figlio, Le scrissi la presente salutandola di vivo cuore e da vero figlio La prego con tutta sua comodità di scrivermi qualche parolina per mezzo di Ella o del suo reverendo Segretario, purchè Ella si degni di firmarla con sua propria riverita mano e nel medesimo tempo mi benedica che ne ho molto di bisogno. Padre reverendissimo, mi aiuti, mi aiuti! Degnisi di salutare il suo grande aiutante di campo Don Rua e Don Durando. Dica loro che preghino per il loro antico cuciniere Fasciolo Nicola che ora si trova in San Nicolas de los Arroyos. La saluto di vivo cuore mandandole un bacio di tutto cuore su quella benedetta destra che mi benedice ”. Jardini: “Sempre mi ricordo di Lei e giammai lo dimentico. Accetti la mia gratitudine per tutto il bene che ho ricevuto da Lei dopo che mi trovo sotto la sua direzione. Le raccomando l'anima mia, e se mi salverò, lo dovrò alle sue orazioni ”. Zanchetta: “Oh! me fortunato che potei stargli vicino alcun tempo e ancor di più portargli io da mangiare! Spero che più tardi conoscerò sempre più quanto è stato fortunato quel tempo; fino ad ora non ancora mi accorsi d'essere via d'Italia, d'Europa e questo perchè ancora non mi allontanai da quegli che porta il ritratto di Don Bosco in sè[295]; ma mi accorgerò, dico, quando in mezzo ai selvaggi ci vorrà forza per mettersi nello spirito di Don Bosco; ma gli fui vicino e questo basterà per presto mettermi il ritratto del di Lei spirito innanzi agli occhi della mente ed investirmi di quello coll'aiuto del Signore. Il Signore gli doni salute tanta da poter venire a trovare qui in America, in Patagonia, nella sua Patagonia i suoi diletti figli. Io vorrei pretendere se fosse lecito, ma non so se sarà lecito, ed è che vorrei dirle, se scriverà a Monsignore, non dimenticare che [481] in un cantuccio ci sta anche il domestico barbuto: una parolina, una righetta almeno deh non mi neghi, o caro padre, se sta bene e che possa scrivere qualche cosa nel mio Punto di mira. Maria Ausiliatrice glielo dica, e Lei me lo ripeta ”.
I figli a lui più vicini assistevano alla festa con il viso atteggiato ad allegrezza, ma con una gran pena in cuore. Essi vedevano che senza un miracolo di Dio il deperimento fisico del loro Padre, anzichè diminuire o almeno arrestarsi, avrebbe fatto continui progressi. Nell'accademia della vigilia egli aveva potuto parlare al pubblico radunato in cortile con certa forza e vigoria; alla sera dopo invece pronunziò appena qualche parola, limitandosi a dare una benedizione in nome del Santo Padre Leone XIII[296].
Fra gl'intervenuti a festeggiare l'onomastico di Don Bosco vi fu il giovane sacerdote bavarese Giovanni Mehler, che doveva illustrarsi con numerose pubblicazioni di sociologia cristiana e di cristiana educazione popolare. Egli tutto osservò, di tutto fece tesoro e, tornato in patria, diffuse negli ambienti di attività cattolica sensi di calda simpatia verso Don Bosco e la sua opera. Nella XXXII assemblea annuale dei Cattolici tedeschi, tenutasi a Munster dal 30 agosto al 3 settembre, riferì sulle istituzioni e sui metodi del Santo dinanzi a quell'imponente rappresentanza del cattolicismo germanico. Quello che più di tutto colpì i congressisti fu l'organizzazione degli oratorii festivi per il suo carattere sociale. L'ardente propagandista portò al Congresso la benedizione di Don Bosco e scrisse: “I Tedeschi amano e ameranno Don Bosco come si ama un padre ”[297]. Intanto si dava con ardore a far Cooperatori salesiani specialmente in Baviera[298] e avrebbe voluto essere autorizzato da Don Bosco a firmarne lui in suo nome i [482] diplomi; ma Don Bosco non credette conveniente concedere tale autorizzazione. Trattandosene in Capitolo il 17 settembre, disse: - I diplomi si stamperanno in tedesco e si firmeranno in Torino. Nel mandare i diplomi al nuovi Cooperatori si potrà unirvi una lettera, nella quale si faccia preghiera a questi signori, che sono tutti personaggi distinti, a voler trovar essi altri Cooperatori che noi possiamo aggregare. Non bisogna che ci lasciamo sfuggire questa circostanza. Io desiderava stringere relazioni con l'Allemagna, ma non sapeva in qual modo stringerle. Questo fatto è provvidenziale. Cercar d'introdurci in altro modo sarebbe stata cosa ridicola. Ora due biografie di Don Bosco scritte in tedesco hanno vieppiù aperta la via. Vedrete che si farà gran bene e si avranno soccorsi.
Don Bosco, dicevamo, aveva ricevuto da Dio in sommo grado il dono di farsi amare. Lo rilevò calorosamente il teologo Berrone in un suo cordialissimo discorso. Parlando nella grande accademia a nome degli ex-allievi, disse[299]: “Tu pure, o Don Bosco, puoi a ragione vantarti di padroneggiale i cuori. Permetti che te lo dica e lo ripeta: Tu sei un ladro e un ladro incorreggibile, perchè hai sempre rubato e continui a rubare i cuori di tutti quelli che ti conoscono. Questo furto però, intendiamoci bene, non si compie invito domino, cioè contro la volontà del padrone,, tutt'altro; quelli che ti amano vanno anzi superbi di amarti e di essere da te riamati”.
Dalla Francia Don Bologna aveva condotto seco alla festa un alunno del suo collegio di Lilla per nome Maurizio Berthe, che passò otto giorni nell'Oratorio. Alla vigilia del la partenza egli sentiva non solo il desiderio, ma un vero bisogno di parlare con Don Bosco per consultarlo sulla sua vocazione. Una voce segreta lo chiamava a servire il Signore da vicino, voce vaga però e senza veruna indicazione che gli permettesse di [483] orientarsi. Mentre pertanto passeggiava lentamente e pensieroso sul ballatoio che portava alla camera del Santo, aspettando qualche anima buona che ve lo introducesse, ecco uscirne lo stesso Don Bologna, che, indovinatane l'intenzione, lo fece entrare. Timido e preoccupato di quello che maggiormente gli stava a cuore, non badò alle prime parole di Don Bosco nell'accoglierlo, finchè a un dato momento, preso animo, gli disse: - lo bramerei consacrarmi al Signore, ma non so dove indirizzarmi. - Rispose Don Bosco: - Fra breve dovrai fare il soldato. Vacci, e dopo farai quello che ti diranno i tuoi superiori. - Deluso nella speranza di udire una parola chiara e netta che lo liberasse da ogni incertezza, fosse pure il suggerimento di abbracciare la vita salesiana, venne via scontento; ma più tardi comprese che Don Bosco era stato profeta. Dovendo egli ancora estrarre il numero, avrebbe potuto la sorte favorirlo e procurargli l'esenzione dal servizio militare; poi, essendovi già un suo fratello in servizio attivo, a lui spettava il diritto di restar libero; in ogni caso aveva due altre ragioni di riforma da far valere, debolezza cioè di vista e certa deformità in ambedue le gambe. Tutte cose che Don Bosco doveva ignorare, tanto più che di leva non erasi fatto alcun cenno. Questo dunque diede motivo all'interessato di non aggiustar fede lì per lì alla risposta avuta. Invece entrambe le circostanze si avverarono a puntino. Il Berthe tirò un numero basso, per recenti innovazioni non gli giovò l'avere un fratello nell'esercito, e il consiglio di leva non tenne, conto dell'anormalità accennata, sicchè dovette partire per la milizia; poi, finito che ebbe il suo tempo, una persona autorevole gli disse di andare nei Cistercensi, com'egli fece e dov'egli vive[300].
Anche Don Perrot condusse all'Oratorio poco dopo la festa di S. Giovanni un giovane di Tolone, che desiderava farsi salesiano[301]. Avendone chiesta licenza da Don Bosco, ne aveva ricevuta la seguente risposta: [484]
Io sono contento che tu venga a vedermi coi figlio dei Sig. Marquand, ma per rimanere definitivamente con noi se tale è il suo volere. Pertanto se si vuole si può differire il viaggio; ma che sia cosa decisa e che il loro figlio stia con noi per fare una vera prova. Va tutto bene quello che dici e quello che fai. Dio benedica te ed i nostri cari figli e credimi in G. C.
P.S. Cordialissimi saluti al Conte e Contessa Colle, ai Sig. Marquand.
Gli ex-allievi, per un altro uso passato quasi in legge, vennero da Gastini invitati, d'accordo con Don Bosco, a speciale convegno, i secolari il 26 ed i sacerdoti il 30 luglio. Nel dì onomastico avevano regalato a Don Bosco due alti candelabri dorati, perchè servissero a decorare l'altar maggiore di Maria Ausiliatrice.
Ma prima che quelle due date arrivassero, Don Bosco lasciava Torino. I calori della città avrebbero finito con esaurirlo; perciò i Superiori del Capitolo, anche per suggerimento del medico, lo pregarono di concedersi un periodo di riposo in un clima più temperato. Egli li volle contentare, recandosi il 15 luglio a Mathi. L'Alimonda, più che Cardinale Arcivescovo, suo affettuoso amico, ebbe la bontà di portargli personalmente il suo saluto augurale. Nel corso della conversazione Sua Eminenza gli domandò: - Le cose di casa come stanno? Stentano le finanze?
- Eh! rispose Don Bosco. Ecco: ho qui una lettera dì cambio che preme. Si tratta di restituire entro la giornata trentamila lire, e io non le ho.
- Come faremo? Spero nella Provvidenza. C'è qui una lettera assicurata giuntami or ora. Qualche cosa entro ci sarà.
- Vediamo, vediamo! fece il Cardinale.
Aperto il plico sgusciò fuori un vaglia bancario di lire [485] trentamila. Come rimanesse l'Arcivescovo, non è a dire; uomo di cuore, gli vennero le lacrime.
Don Bosco, allorchè narrò nell'intimità questo fatto[302], ne aggiunse un secondo occorso due giorni prima sotto gli occhi di Don Lazzero. Questi nell'Oratorio doveva estinguere un grosso debito; ma, radunato tutto il danaro, gli mancavano ancora mille lire. L'unica speranza riposava in Don Bosco. Volò a Mathi. - Guarda, gli disse il Santo, tutto il mio avere sta qui, in, questa lettera assicurata. - La si dissuggellò: conteneva giusto un biglietto da mille. Don Bosco a tali racconti intercalava ringraziamenti alla divina Provvidenza, eccitando tutti a ringraziarla ed a riporre in lei ogni fiducia.
Per associazione d'idee ci sembra opportuno riferire qui un colloquio avuto da Don Bosco con il conte Paolo Capello di S. Franco, che ne lasciò autentica relazione[303]. Il Conte nel 1885 non conosceva ancora il Santo; perciò, durante una sua breve fermata a Torino, dovendo rimettergli un'offerta, pensò di valersi della circostanza per avvicinarlo. Introdotto da monsignor Cagliero, trovò Don Bosco seduto sopra un seggiolone con le gambe stese su due seggiole. S'inginocchiò, gli baciò più volte le mani e gli consegnò cento lire in oro. Il Servo di Dio, ricevutele, gli fece osservare un monte di lettere e pieghi giuntigli da poco e gli disse queste testuali parole: - È venuto questa mattina da me Don Rua rappresentandomi l'urgenza che lo spingeva di trovare una considerevole somma di danaro, perchè scadeva in quel giorno una grossa cambiale e non possedeva in quel momento un centesimo. Gli risposi essere anch'io affatto sprovvisto di moneta, ma che confidava nella divina Provvidenza che avrebbe provvisto. Don Rua si partì da me visibilmente preoccupato. Intanto mi pervenne dalla posta tale un mucchio di lettere da stordire. Apro la prima che mi viene in mano e trovo una [486] somma piuttosto importante che m'inviava un Cooperatore e superava quella chiesta da Don Rua. Ne prendo una seconda fra le centinaia, ed era di un anonimo che mi faceva un'altra offerta abbastanza graziosa. Allora feci chiamare Don Rua che si meravigliò dell'accaduto e dovette toccare con mano l'intervento della divina Provvidenza.
L'evidente origine provvidenziale de' suoi mezzi pecuniari ci spiega il concetto che Don Bosco aveva del danaro. Un giorno, interrogato dal prevosto Della Valle sul rapido svolgimento della Congregazione mercè il continuo aiuto somministratogli dalla Provvidenza, egli rispose: - La Congregazione fiorirà finchè i Salesiani sapranno apprezzare il danaro. - Parole che vanno intese in senso spirituale: apprezzare il danaro voleva dire per lui tenerlo ben da conto, perchè Dio è che lo manda, affinchè sia impiegato secondo lo spirito e scopo della Congregazione.
Là, sulla sinistra della Stura, a mezza altezza fra Torino e Lanzo e poco lungi da questo comune, in un'abitazione tranquilla presso la cartiera, gli tornò l'appetito e gli si ristoravano le forze. Il rumore delle macchine non arrivava a disturbarlo. Godeva di passeggiare nel giardino e si ricreava raccontando bei tratti della sua vita. Sperimentava anche il benefizio del sonno.
Questo benessere gli permetteva di occuparsi maggiormente degli affari; perciò desiderava avere sempre vicino qualche membro del Capitolo Superiore, e i Capitolari si succedevano a Mathi, passando con lui anche parecchi giorni. “Sono stato anch'io quattro giorni interi, scriveva Don Lazzero a monsignor Cagliero il 1° agosto; puoi ben comprendere che bei giorni furono quelli per me ”.
Ma nella notte del 17 luglio non potè riposare affatto; dal momento che chiuse gli occhi, una fantasia lo tenne occupato fino all'alba.
- Non so, disse l'indomani, parlandone con parecchi Salesiani, se io fossi sveglio o se dormissi, perchè mi pareva di toccare [487] la realtà. - Gli era sembrato di uscire dall'Oratorio con sua madre e col fratello Giuseppe e d'incamminarsi verso via Dora Grossa (oggi Garibaldi), dirigendosi poi a S. Filippo, dove entrarono a pregare. All'uscita molta gente li attendeva e ognuno invitava lui a passare in casa sua; ma egli diceva di noti potere, dovendo fare qualche visita. Un buon operaio, che spiccava fra tutti, gli disse: - Ma si fermi qui un momento da me a fare la prima visita. - Acconsentì. Dopo ripigliarono il cammino con quell'operaio verso via Po. Giunti presso la grande piazza Vittorio Emanuele, vide in una piazzetta adiacente uno stuolo di fanciulle che si divertivano, e l'operaio, additandogli il luogo: - Ecco, disse, qui in queste parti lei deve fondare un oratorio.
- Oh, per carità! esclamò Don Bosco. Non mi dite questo. Oratori ne abbiamo già troppi e non vi possiamo quasi provvedere.
- Ma di un oratorio per le ragazze qui si ha bisogno. Per esse vi sono soltanto oratori privati, ma un vero oratorio pubblico finora non s'è visto.
Strada facendo verso il Po, rasente i portici della piazza a mano destra, ecco che tutte quelle fanciulle, sospesi i giuochi, si affollarono intorno a lui gridando: - Oh, Don Bosco, ci raccolga in un oratorio. Noi siamo nelle mani del demonio che fa di noi quello che vuole. Deh, ci soccorra, apra anche per noi un'arca di salvezza, apra un oratorio.
- Ma figlie mie, vedete, io non posso ora; sono ad un'età nella quale non mi è più possibile occuparmi in tali cose... Ma pregate il Signore, pregate, ed egli provvederà.
- Sì, pregheremo, pregheremo, ma lei ci aiuti, ci ricoveri sotto i manto di Maria Ausiliatrice.
- Si, pregate, Ma ditemi, come volete che io faccia ad aprire qui un oratorio?
- Ecco, signor Don Bosco, disse una che sembrava la più ciarliera, vede qui il corso lungo Po? Ebbene, vada lì vicino: c'è il numero 4. Vi stanno dei militari. A capo di costoro vi è [488] un certo signor Burlezza. Costui ha in pronto quel locale là da presso e glielo cederà volentieri.
- Ebbene, vedrò, vedrò; ma voi pregate.
- Si, sì, pregheremo, risposero in coro le fanciulle, ma lei si ricordi di noi e dei nostri bisogni.
Don Bosco allora si allontanò, volle osservar il locale, trovò i militari, ma quel signor Burlezza non si fece vedere. Poi tornò all'Oratorio e qui giunto si svegliò.
Narrato il sogno, ordinò a Viglietti di prender nota e di verificare se veramente vi fosse quel locale, da lui non ancora mai veduto, al numero 4 lungo Po e se vi fosse quel signore. Viglietti pregò subito Don Bonora di recarsi sul posto e indagare. Don Bonora riscontrò le cose come Don Bosco aveva sognato, ma sembra, osserva Don Lemoyne in una sua noterella di molto posteriore, che non fosse in vendita il locale.
Il giorno 23 tutti i giovani del collegio di Lanzo furono condotti a vedere Don Bosco, che circondarono con filiale affetto e da cui udirono alcune paterne raccomandazioni. La sua arguta ilarità li entusiasmò. E veramente il rifiorire della salute gli ridonava anche un po' dell'antico fascino sulle masse giovanili. Poteva anche lavorare. Un giorno conferì per quattro ore di seguito con il dottore Turina, direttore dell'ospedale di S. Maurizio Canavese, venuto a contrattare su d'un lascito di comune interesse. Un altro giorno scrisse cinque lettere senza la difficoltà dì prima; indi narrò tante belle cose e, ricordando i suoi giuochi d'una volta, ne diede un saggio col bastone, che, appoggiato semplicemente sopra il dito pollice della destra, fece saltare e roteare in tutti i versi.
Questo vigor nuovo lo spinse a interrompere il queto e fresco soggiorno di Mathi per scendere a Valdocco il 26 luglio e partecipare all'agape fraterna degli ex-allievi laici. Qui, la musa di Don Francesia, togliendo lo spunto dal citato discorso di Don Berrone, istituì in eleganti versi piemontesi un ingegnoso [489] parallelo fra Napoleone e Don Bosco, dando a questo in più punti la palma su quello[304]: Don Bosco pronunziò alla fine poche parole.
Cari miei amici. Vi ringrazio di questa dimostrazione che mi date di affetto, coll'essere venuti qui a passare breve ora in mia compagnia. Dio sia benedetto, in voi, da voi, in mezzo a voi. Dio vi conservi sempre in sanità e nella sua santa grazia. La mia vita volge al suo termine; non so se il Signore mi lascierà ancora su questa terra sicchè possiamo ancora altra volta trovarci in questa cara riunione. Ma se io vi precederò nell'eternità, mentre vi prego di ricordarvi di me nelle vostre orazioni, vi assicuro che non mi dimenticherò di voi nelle mie. Se il mio vivere sulla terra dovesse ancora prolungarsi per qualche anno state sicuri che io continuerò ad amarvi e ad aiutarvi in tutto quel poco che potrò. Intanto voi ovunque andiate e siate rammentatevi sempre che siete i figli di Don Bosco, i figli dell'Oratorio di S. Francesco di Sales. Siate veri cattolici coi sani principii e colle opere buone. Praticate fedelmente quella religione, che è l'unica vera e servirà a raccoglierci tutti un giorno nella beata eternità. Felici voi se non dimenticherete mai quelle verità che io ho cercato di scolpire nei vostri cuori quando eravate giovanetti. Pregate per me, che io prego per voi. Concludo coll'unirmi a voi nel mandare un Evviva al Sapientissimo Pontefice Leone XIII e un altro Evviva al Em.mo Cardinale Arcivescovo nostro, Gaetano Alimonda che ci usa tanta benevolenza.
La sera medesima ripartì per Mathi, spossato dal caldo e dal disagio. A Mathi lo raggiungeva ben presto la dolorosa notizia che proprio in quel giorno era morto a Roma il cardinale Nina, protettore della Congregazione. Contava 73 anni. Insigne per scienza e prudenza, rese alla Santa Sede rilevanti servigi nelle prelature minori, ma specialmente da Cardinale. Fu Segretario di Stato sotto Leone XIII e poi Prefetto del Concilio. Fermo nei principii, possedeva tutta quella moderazione e longanimità che i tempi richiedevano per il buon governo [490] degli affari ecclesiastici e che rispondevano tanto allo spirito di Don Bosco. L'ultimo scambio di devoti sensi da un lato e di benevole disposizioni dall'altro erasi avuto in occasione del giubileo sacerdotale di Sua Eminenza. Tutti i collegi salesiani anche d'America, avvisatine in tempo da Don Bosco, si fecero presenti con indirizzi di congratulazione. Il Cardinale telegrafò subito a Don Bosco il 22 dicembre, ringraziando tutti di gran cuore; ma a miglior agio scrisse al Santo una lettera assai bella, ultima significazione di benevolenza dato dall'amorevolissimo Porporato al nostro caro Padre[305]. Come doveroso tributo, il Santo fe' celebrare nella chiesa di Maria Ausiliatrice un funerale solennissimo a cui assistette pontificalmente l'Arcivescovo, e dispose che suffragi molteplici gli fossero resi nelle case della Congregazione.
Non si potè impedire che tornasse all'Oratorio la mattina del 30 luglio per trovarsi con gli ex-allievi sacerdoti. Appena fu in cortile, gli venne incontro monsignor Berchialla, arcivescovo dì Cagliari e appartenente alla Congregazione degli Oblati di Maria Vergine, con il quale salì in camera e s'intrattenne per circa un'ora. A mensa la cosa per noi più importante fu la sua parlata finale, non più così breve come la precedente. Eccone il buon riassunto che ce n'è rimasto.
Io non intendo dì indirizzarvi molte parole, ma solamente desidero farvi notare una cosa importante, la quale vi raccomando di ritenere sempre fissa nella memoria. Bisogna provvedere alla deficienza di sacerdoti. Non vi dovrebbe essere sacerdote il quale non cercasse di procurare, di secondare, a costo eziandio di sacrifizi, lo spirito di vocazione in altri, per lasciarli suoi credi e successori nel ministero di salvare le anime in molti luoghi è troppo sensibile e con danno grande dei fedeli, la mancanza di preti. Noi colle nostre povere forze abbiamo fatto quello che abbiamo potuto per il passato, per rimediare a questo inconveniente. Abbiamo istituito l'Opera dei giovani adulti per avviarli alla carriera ecclesiastica. Voi ricorderete che Pio IX nell'ultimo anno del suo Pontificato benedisse la nuova Istituzione dei figli di Maria Ausiliatrice, destinata a procurare sacerdoti zelanti alla Chiesa. [491]
Questa opera è stata approvata dai Vescovi, fu applaudita da tutti coloro che intesero l'importanza del suo fine. Alcuni di coloro che sono qui presenti debbono a questa istituzione l'essere stati insigniti della dignità sacerdotale, Voi tutti sapete quale sia l'opera dei figli di Maria Ausiliatrice. É l'opera a vantaggio dei giovani già adulti i quali per mancanza di mezzi di fortuna, o dì tempo, o impediti nei loro studi dalla leva militare non poterono avviarsi allo stato ecclesiastico come avrebbero desiderato ed al quale erano chiamati. Molti e molti di costoro aspettano una mano amica che li aiuti a camminare per la strada della loro vocazione. Questa mano che li deve guidare già sorse, già fu loro tesa, e fondò la sua opera secondo la mente del grande Pontefice Pio IX. Pertanto se vi imbatterete in qualche giovane di buona volontà, non trascuratelo, ma cercate i mezzi opportuni, perchè esso possa compiere la sua carriera. È necessario provvedere la Chiesa di Missionari, di parroci, di viceparroci: è necessario provvedere a mille bisogni grandi, urgenti che ogni giorno aumentano. Troverete più d'una volta nei vostri paesi, nelle vostre parrocchie giovani di 15, 16, 20 anni i quali non hanno ancora incominciato gli studi, eppure avrebbero vivo desiderio di studiare. Costoro o non sarebbero ricevuti nei collegi soliti di educazione per la loro età, o essi stessi avrebbero ripugnanza ad assidersi in mezzo a tanti compagni più piccoli, o eziandio per il poco esercizio delle loro facoltà mentali troverebbero difficoltà enorme a intraprendere un corso regolare di studi. Costoro si rivolgeranno a voi chiedendo che li aiutate a farsi preti. È un fatto che si rinnova ogni giorno. Voi accoglieteli amorevolmente, incoraggiateli. Indirizzateli ove volete. Se avete luoghi adattati ove mandarli, se possono pagare la loro pensione, bene. Se non sapete ove collocarli, se non hanno mezzi sufficienti, indirizzateli a D. Bosco, il quale cercherà il modo di favorirli. Procurate solamente di osservare che abbiano vocazione, e che la loro condotta faccia presagire una buona riuscita. Per costoro le porte delle nostre case saranno sempre aperte.
Ecco quanto io volevo dirvi. Sia benedetto il Signore che ancora una volta ha voluto riunirci tutti insieme. Procurate col consiglio che io vi do dì accrescere i meriti del vostro sacerdotale ministero. La gloria della Chiesa è la gloria nostra, la salute delle anime è il nostro interesse. Tutto il bene che gli altri faranno per causa nostra, accrescerà lo splendore della nostra gloria in Paradiso. La Vergine benedetta vi protegga, Dio sia sempre con voi.
Prima di separarsi, quei buoni figliuoli chiesero e ottennero che il loro amato Padre sedesse in mezzo ad essi per fare intorno a lui un bel gruppo fotografico. Sull'Imbrunire egli era già di nuovo nella sua refrigerante dimora. [492]
A Mathi consentì pure a posare alquanto per un pittore di Brescia, che ne lo pregava a fine di ritoccare un ritratto ricavato da una piccola fotografia. Quando figli e amici lo richiedevano di lasciar loro riprodurre le sue sembianze, imitatore anche in questo dell'incomparabile condiscendenza del Salesio, non si mostrava punto restio. È una realtà indiscutibile che quell'effigie faceva del gran bene. Quanto poi al suddetto pittore, gli dovette sembrare atto di carità il contentarlo; giacchè, avendo un figlio artigiano a S. Benigno ed essendo scarso di mezzi, intendeva col pieno gradimento di Don Barberis supplire per tal modo al saldo de' suoi conti per l'esigua retta mensile. Ammessolo dunque alla sua presenza, gli disse: - Guardi di farmi bello; se no più nessuno vorrà essere mio amico. - Continuò poi così a celiare durante tutto il lavoro. Quegli se n'andò lietissimo; ma ebbe a dire che ritrarre Don Bosco qual era, riusciva difficile e che la difficoltà consisteva nel rendere fedelmente quell'angelica espressione spirante dal volto e da tutta la persona. - Non è una fisonomia classica la sua, soggiunse, ma ha un non so che di soprannaturale che si stenta a rappresentare.
A Mathi venne il 5 agosto una signora di Caramagna, certa Domenica Garelli, piena di fiducia che Don Bosco le avrebbe ottenuta da Maria Ausiliatrice una grazia, per la quale prometteva tremila lire. Tanta sicurezza nasceva da un precedente accaduto nella sua famiglia. Un suo zio, recatosi nel passato inverno a Torino per sottoporsi a una grave operazione chirurgica, non aveva potuto indurre i medici all'atto operatorio, perchè non giudicavano il paziente in grado di sopportarlo. Egli allora andò da Don Bosco, ne ricevette la benedizione e fu da lui assicurato che sarebbe guarito dopo una novena assegnatagli. E realmente, fatta la novena, guarì. Ora dunque la donna intercedeva per una sua nipote spacciata dai medici. Don Bosco le rispose: - Gesù ha detto: Date et dabitur vobis. Cominci dunque lei a date una metà dell'offerta; il Signore farà poi. - Essa partì tutta contenta, promettendo [493] di mettere in pratica il consiglio. Rieccola infatti la settimana dopo e non più a mani vuote.
Partita colei, Don Bosco raccontò a Don Viglietti e ad altri che gli tenevano compagnia un recentissimo episodio. Pochi giorni avanti un'altra signora gli aveva scritto, mandandogli un'offerta di 2500 lire per grazia ricevuta. Egli, a somma sì considerevole, ringraziò con lettera speciale e con promessa li ulteriori preghiere sue e dei giovani. L'oblatrice, commossa a tanta degnazione, lo ricambiò con una seconda offerta di lire tremila. Don Bosco riscrisse con nuovi ringraziamenti e con espressioni di conforto sul paradiso. Orbene, in quel giorno stesso, 12 agosto, gli perveniva dalla medesima una terza offerta di lire diecimila. - Adesso, esclamò, io sono ben imbrogliato! Temo che, se torno a scrivere, ella mi mandi una quarta offerta, e non scrivere più nulla sarebbe inurbanità. Non so proprio come cavarmela.
La Garelli ricomparve a Valsalice il 16 settembre e narrò a Don Bosco che l'ultima volta., compiuta parte della promessa, la nipote era guarita quasi istantaneamente; infatti, giunta a casa, l'aveva trovata fuori di letto a mangiare con gli altri. - Ma ieri, soggiunse, riassalita repentinamente dal male, si lagnò meco, attribuendo la ricaduta all'indugio nell'adempire il resto della promessa. Ora sono qui a fate tutto il mio dovere. - Se non che Don Bosco le rispose che l'assicurazione datale la prima volta egli non osava più ripeterla, tuttavia pregassero; avrebbe pregato anche lui. Null'altro noi ne sappiamo.
A poco a poco le sue condizioni di salute ridiventavano inquietanti. Era travagliato da continui dolori di capo, da penosa dissenteria e da male agli occhi. “Eppure, si legge nel diario, egli è sempre allegro e non si lagna di niente ”. Non solo questo; ma le sue sofferenze non toglievano che pensasse a bisogni fisici altrui; infatti in un biglietto del 5 agosto a Don Berto gli diceva: “Credo ti farebbe bene qualche settimana di passeggiata e di aria alpestre ”. [494]
Il cardinale Alimonda moltiplicava i segni della sua benevolenza verso Don Bosco. Il 7 agosto, ossequiato dall'arcivescovo di Milano monsignor Calabiana, stimò di non poter fare all'illustre ospite regalo migliore che conducendolo a vedere le meraviglie del Santo, da quello non più viste dopo il 1867. I due Prelati dedicarono all'Oratorio un'ora intera, salutati poi nella partenza dalla banda musicale. Anche Don Bosco aveva inviato i suoi auguri a Sua Eminenza, che gli rispose con questa bellissima lettera.
I Salesiani mi hanno colmato di cortesie nel mio onomastico: mi hanno persino regalato di buone bottiglie per passare allegramente la festa; ma nulla di più prezioso del caro autografo dì V. S. Rev.ma e Car.ma. Non ostante gli incomodi e il bisogno di riposo, Ella si è degnata di mandarini compitissimi augurii con quell'affetto che è proprio del suo bel cuore. Peccato che il suo scritto si allontani molto dalla verità e torni a mia confusione nell'atto stesso che mi assicura la stia amicizia! L'amore mette le traveggole agli occhi. Dio la perdoni.
Accetti di tanta bontà e di tanta cortesia i miei vivissimi ringraziamenti che dal Superiore s'intendono estesi a tutti i Salesiani Sacerdoti, cooperatori, alunni e benefattori.
Io prego di cuore il Signore che prolunghi i preziosi giorni di V. S. Rev.ma e car.ma, che benedica e prosperi la Congregazione e le sue sante imprese.
Gli stampati per la facciata del S. Cuore sono ormai distribuiti a tutte le diocesi e da alcuni Vescovi già mi venne espresso l'impegno di concorrere di buona volontà.
Mons. Cagliero mi ha consolato di una bellissima ed affettuosissima lettera scritta da Buenos Aires. Mi faccio un dovere di comunicarla a V. S. Car.ma con preghiera di ritornarmela perchè al primo momento libero possa rispondere alla di lui cortesia[306]. Se volesse tenerne copia, o pubblicarla in tutto od in parte nel Bollettino si serva pure.
La prego ad aversi riguardo, a non occuparsi menomamente. Mi pare che le converrebbe un clima più fresco. [495]
La abbraccio nel Signore: mi raccomando alle sue preghiere: le presento gli ossequi di tutta la mia famiglia, e con la pastorale benedizione mi raffermo
Ben a ragione il Cardinale riteneva che Don Bosco abbisognasse ancora di aria buona e di riposo; egli invece, appena si sentiva un po' meglio, si dava con l'abituale energia alle sue occupazioni, donde poi i ritorni al peggio. Era già inteso che nel giorno dell'Assunta sarebbe venuto a Torino per assistere alla distribuzione dei premi e insieme ricevere un po' di festa per il suo compleanno. Invece l'antivigilia dovette subire il taglio di tiri ascesso spuntatogli sotto un'ascella; la quale operazione, anche per le delicate sue condizioni di salute, gli produsse febbre, sicchè non si mosse. Gl'inviti già stampati che parlavano anche del suo compleanno non furono più spediti. Anzi Viglietti pregava Don Rua di provvedere, affinchè egli deponesse pure l'idea di recarsi Il 17 agosto a S. Benigno per gli esercizi spirituali degli aspiranti; lo informava pure essere suo proposito di recarsi a tutte le mute, mentre le forze non gli bastavano e i medici chiamavano quello un grande sproposito. La raccomandazione conseguì il suo effetto. Don Bosco non si mosse, sicchè anche nel 1885 stette lontano da Torino nella festa del suo compleanno e della distribuzione dei premi. Per rispetto a Don Bosco che stava poco bene, non si volle fare tanto chiasso, ma la cosa passò come in famiglia. Però nell'Oratorio allietarono la giornata con improvvisa comparsa il Vescovo di Novara e il teologo Margotti.[307]. A portargli lassù gli auguri partì dall'Oratorio una deputazione di giovani studenti e di artigiani.
Sappiamo già quanto gli premesse di non mancare da Nizza [496] per gli esercizi delle signore; ma ci aveva già rinunziato da sè, facendovisi rappresentare da Don Bonetti.
Nuovi incomodi sopraggiuntimi mi privano assolutamente della consolazione di potermi trovare agli esercizi spirituali di Nizza. Tu ne farai le mie scuse e dirai alle Signore esercitande che è la sola possibilità che mi manchi.
Ho però pregato per loro in tutto il corso dei medesimi, e nel giorno della chiusura di quelli celebrerò la S. Messa a totale loro intenzione.
Dio le protegga tutte e Maria sia la loro guida in ogni pericolo della vita fino al cielo, ed un giorno Ella si degni di riceverle tutte intorno a sè in paradiso.
Vogliano pregare per questo povero e semicieco sacerdote che si obbliga di fare ogni giorno un particolare memento nella S. Messa per loro.
Fa poi un particolare saluto alle nostre direttissime suore, a cui dirai che se la mia salute migliora anche poco, farò loro una visita nel corso dei loro esercizii, perchè ho loro da comunicare cose di qualche importanza.
Maria ci protegga tutti e credimi in G. C.
I buoni uffici di Don Rua risparmiarono a Don Bosco commozioni, giudicate dai medici pericolose, nel suo genetliaco e nella partenza dei giovani per le vacanze; ma quanto a prolungare la villeggiatura ottennero solo il guadagno dì una settimana. Egli andò, come vedremo, il 22, agosto a Nizza Monferrato e il 25 a S. Benigno, senza per altro affaticarvisi come di consueto.
Tra la festa dell'Assunta e la partenza giunse a Mathi tutta quanta la famiglia Olive di Marsiglia, ben dodici persone. Ascoltarono la Messa di Don Bosco, ricevettero da lui la comunione e furono dal medesimo trattenuti a colazione e a pranzo. Nel frattempo gli fecero un per uno il loro rendiconto spirituale, come a Marsiglia. Un'altra visita degna di nota fu quella dell'Ispettore scolastico di Nizza Mare. Ammirato della cartiera, disse a Viglietti che veramente Don Bosco era l'uomo dei secolo [497] e che egli aveva risolta la questione sociale. Questo appunto era l'aspetto, sotto cui si considerava prevalentemente in Francia l'Opera salesiana. Ultimo lo visitò e trascorse con lui una giornata il suo vecchio compagno e intimo amico, canonico Nasi.
Dal 22 agosto al 12 ottobre lo ebbero fra le loro mura le tre case di Nizza Monferrato, di S. Benigno e di Valsalice; ma di questi soggiorni diremo partitamente altrove. In brevi intervalli rivedeva l'Oratorio, come il 4 settembre nell'andare da S. Benigno a Valsalice. Ve lo richiamava un impellente motivo.
Il piccolo Enrico Olive di nove anni, partito da Marsiglia già malaticcio, peggiorò a Torino, sicchè dovette mettersi a letto nell'albergo. Il padre manifestò a Don Bosco il timore che l'albergatore un bel momento gli dicesse di sgombrare, potendo la presenza dell'infermo allontanare gli avventori. Don Bosco “col solito suo carattere pia e caritatevole ”, come scrive Don Lazzero[308], offrì alloggio nell'Oratorio per il ragazzo e per chi occorreva alla sua assistenza. I genitori piansero di consolazione: pieni di fede, ritennero per certo che il figlio all'ombra di Maria Ausiliatrice sarebbe guarito. Ai primi di settembre però sembrava vicino a spegnersi. Passò due giorni e due notti sempre in delirio. I dottori Fissore e Albertotti, interrogati, facevano certe smorfie che volevano dire non esserci più speranza. La malattia era il tifo; già tre altri figli l'avevano avuto e n'erano morti.
I genitori telegrafarono a Don Bosco, che si trovava a San Benigno. Egli rispose loro assicurando preghiere ed esortandoli a stare tranquilli. Ecco infatti a poco a poco cessare il delirio e cominciare un sensibile miglioramento. Don Bosco, come dicevamo, lo visitò nell'andare a Valsalice. L'infermo si moveva già sul letto, ma ancora a stento. Datagli la benedizione, il Santo soggiunse: - Lascia fare, Enrico, voglio che [498] facciamo insieme una bella festa. Quando sarai guarito, faremo un pranzo, e tu starai al posto d'onore.
Quel giorno venne, e fu il 28 ottobre, vigilia della partenza. Si diede davvero un pranzo, nel quale il ragazzo, perfettamente ristabilito, snello e allegro quant'altri mai, sedeva nel centro della tavola. Si può immaginare la consolazione generale. Si lesse, si sonò, si cantò, e rimase in tutti il convincimento che le preghiere di Don Bosco avessero ottenuto da Maria Ausiliatrice un miracolo.
Per l'Oratorio Don Bosco ruminava da un pezzo una innovazione. A ben intenderne il perchè, fa d'uopo non perdere di vista due cose: che nel concetto e nella pratica del Fondatore l'Oratorio era essenzialmente un luogo di beneficenza per la gioventù e che secondo il suo ideale la sezione degli studenti doveva essere soprattutto un vivaio di vocazioni ecclesiastiche e religiose. Dato questo duplice carattere della stia opera primitiva, egli riguardava come un errore e un pericolo il mantenere ivi la quinta ginnasiale. A poco a poco dunque eraglisi maturata in mente la risoluzione di sopprimerla. Intuì senza dubbio le difficoltà che si sarebbero sollevate; onde non tagliò d'un colpo il nodo, ma venne preparando anticipatamente gli animi. Se ne aperse la prima volta in Capitolo a S. Benigno la sera del 24 agosto, conchiudendo a questo modo: - Su questo punto potrò forse avere degli oppositori, ma io non cambierò d'opinione. Chi vuole fare la quinta, vada negli altri collegi e paghi pensione regolare. Non è giusto che certuni mangino il pane dei nostri sudori per farsi largo ad una carriera che non è quella alla quale noi intendiamo indirizzare i nostri giovanetti. - La discussione fu poi intavolata a Valsalice nella seduta capitolare antimeridiana del 16 settembre. Stralciamo dai verbali l'interessante dibattito.
DON RUA presenta il progetto proposto da D. Bosco per l'abolizione della quinta ginnasiale nell'Oratorio.
DON Bosco spiega: - Questa abolizione intendo che riguardi tutte le nostre case di beneficenza e solamente queste. [499]
DON BONETTI chiede che si espongano le ragioni pro e contro, perchè bisogna che il Capitolo sia a giorno di una questione di così alta importanza.
DON RUA dà relazione compendiata delle sue osservazioni. Egli ha esaminato l'esito degli esami dei giovani di quinta ginnasiale, sia riguardo alla vocazione religiosa, sia riguardo a coloro che preso l'esame di licenza rimasero secolari. Ha verificato i registri delle scuole di otto anni consecutivi e trovò che tutti gli anni nei quali nella quinta vi fu ad insegnare un buon professore riuscì bene l'esame di licenza e si ebbe un gran numero di vocazioni. In altri anni invece quando vi fu un professore non adatto nè abile le vocazioni mancarono e l'esito dell'esame fu meschinissimo Il fiorire delle vocazioni dipende adunque dal professore. Quanto più si fa studiare per la gloria mondana, tanto meno vi rimane di contingente per la Congregazione. Se veniamo poi a parlare di ciò che si sente a dire contro la quinta ginnasiale, si ripete che i giovani non pensano ad altro che agli studi ed all'esame di licenza poco curando la pietà e la vocazione: che i professori per esortare gli alunni a studiare sono sempre sull'argomento del prendere con onore l'esame di licenza ginnasiale e del fare bella comparsa in mezzo al mondo con una distinta professione. Dice di aver parlato con D. Belmonte, il quale senza essere interpellato addirittura propose l'abolizione della quinta. D. Carmagnola pure non interpellato affermò che quattro o cinque suoi alunni di Sampierdarena non vollero venire all'Oratorio allettati dall'esame di licenza.
DON Bosco: - Sono ormai parecchi anni che penso e studio sul rompimento di capo che mi danno queste smanie per l'esame di licenza. Noi bisogna che consideriamo la questione da un punto di vista importantissimo. Questi giovani sono tenuti nell'Oratorio gratuitamente e semigratuitamente. Questa carità dove va infine a terminare? Non per promuovere vocazioni o per vantaggio della religione, come vorrebbero i benefattori. Non dobbiamo arrischiarci a meritare ed incorrere il loro rimprovero! Spendere tanto danaro per mantenere certuni che poi si servono dei loro studi per diventar scrittori di giornalacci e peggio, è cosa insopportabile. Coloro che conoscono la condotta di questi disgraziati diranno: Chi li ha educati costoro? Si risponderà: Ebbero educazione da D. Bosco. È un disonore per noi! Ma per abolire la quinta ginnasiale abbiamo tante altre ragioni che riguardano la moralità. Lo spirito dei giovani rimane pervertito nel passaggio dalla quarta alla quinta per le speranze di un avvenire più agiato, per la libertà vagheggiata, per le ambizioni che si destano. Dunque si tronchi loro questa via per andare alla quinta. Chi vuol fare la quinta vada nei collegi particolari come Alassio, Lanzo. Non può pagare la pensione? Non siamo noi che dobbiamo pensare a questo. Ci pensino essi. Se però qualcuno per circostanze di merito particolare fosse degno di riguardo, si potrà fare un'eccezione straordinaria. [500]
Ricordo come il Provveditore Rho ci accusasse di spostare i giovani facendo loro colla licenza ginnasiale nutrire la speranza di poter continuare gli studi che poi non riuscivano a percorrere per mancanza di mezzi. Egli non era giudice di questa materia, ma da ciò si vede come altri ragioni sul conto nostro. Dunque, giunti i giovani alla quarta, sia finis. In quest'anno un solo di quinta si è fermato in Congregazione.
DON RUA fa notare che togliendo noi dalla terza e dalla quarta i migliori giovani per la carriera religiosa ed ecclesiastica è naturale che in quinta ci rimangano i meno buoni.
DON FRANCESIA osserva che, abbracciando il Capitolo questa deliberazione, il Collegio Vescovile di Bra, di Giaveno e quello del Cottolengo ci farebbero una concorrenza fatale togliendoci i giovani, perchè essi hanno la quinta. Lo stesso Cottolengo manda i suoi giovani a prendere l'esame di licenza ginnasiale. Se noi stabiliamo di togliere la quinta, i giovani verran per un anno, per due anni e poi si volgeranno altrove. I parroci stessi diranno che non abbiamo i corsi completi. Anche i parenti ignoranti ripeteranno che noi non abbiamo tutte le scuole, e avremo mancanza di giovani e quindi mancanza di vocazioni.
DON RUA gli risponde che questa voce non si potrebbe spargere, perchè i giovani avrebbero comodità di andare negli altri nostri collegi dove completerebbero il corso.
DON FRANCESIA replica che se noi mandassimo in altri collegi quelli che hanno fatta la quarta all'Oratorio, sarebbe per essi una sorpresa sgradita e pericolosa e per ora non prevista. Il cambiamento di direzione è cosa che merita riflessione. Giovani mandati all'Oratorio da altri collegi con attestati onorifici qui fecero cattiva prova. Propone quindi di fare un nuovo programma solamente per l'Oratorio. Si conservi la quinta ginnasiale, ma si tolgano gli accessori di storia, scienze naturali ecc. accettuata la matematica: si dia tutto il tempo alla tre letterature greca, italiana, latina., Nei seminari per ascrivere all'esame della veste clericale esigono l'attestato della quinta compiuta. Quest'anno a tutti di quarta che uscirono dall'Oratorio e che volevano presentarsi in Seminario, i parroci fecero una dichiarazione avere essi stessi fatta loro la quinta ginnasiale. Si insista perchè i professori insegnino bene le tre letterature e ci sarà un gran progresso nei nostri studi che ora sono indietro. Si sorveglino bene le scuole.
DON BOSCO: - Io mantengo sempre la mia opinione. Se non si prende questa misura saremo obbligati ad istituire le scuole apostoliche.
DON BONETTI appoggia la proposta di D. Francesia.
DON DURANDO sostiene che, abolendosi la quinta, finiranno con restare presso di noi solamente i giovani più cattivi.
DON BOSCO: - Quelli che verranno dalle loro case con cattivi libri o massime cattive, via, via subito dall'Oratorio!
DON BONETTI osserva che si potrebbe fare un anno di prova, [501] seguendo il programma di D. Francesia. Infatti si raggiunge lo scopo di D. Bosco, perchè tale quinta non può servire per coloro che non vogliono farsi preti.
DON RUA fa notare elle, tolti in gran parte i corsi accessori, si toglierà ai professori l'occasione di parlare in iscuola dell'esame di licenza ginnasiale e quindi di eccitare i giovani ad idee di onore in mezzo al mondo.
DON DURANDO fa notare che noi abbiamo bisogno di mandare chierici a prendere l'esame di licenza ginnasiale come preparazione alle lauree e ai diplomi.
DON BARBERIS gli risponde che i corsi si potranno completare a S. Benigno.
DON Bosco: - Ebbene, accetto ciò che propone D. Francesia per un anno, come prova e come passaggio a realizzare la mia intenzione di abolire la quinta. Intanto domando come siano trattati nelle scuole gli scrittori latini cristiani. 1 sentimenti pagani dei classici non fanno bene ai giovani.
DON FRANCESIA risponde che una volta alla settimana si spiegano nelle scuole gli scrittori cristiani.
DON RUA passa a parlare del catechismo nelle scuole. Avendo fatta visita in tutte le case dice essere cosa vergognosa il vedere come questo è trascurato nelle classi ginnasiali. Nelle classi elementari i giovani lo sanno belle, ma specialmente in quelle ove sono maestri secolari. Cita esempi. Gli Ispettori veglino. Don Barberis inculchi questo dovere ai chierici.
DON BOSCO ritorna a parlare degli autori classici pagani e fra le altre cose dice: - Vi saran professori che li spiegano con riguardo, ma ve ne sono altri che spiegano biffe e baffe e incontrando cose sconvenienti vanno avanti e le spiegano o per ignoranza o per sorpresa. Il latino degli scrittori cristiani, come alcuni pretendono, non sarà classico, ma chi legge S. Agostino, S. Bernardo, resta sorpreso dalla bellezza della lingua benchè non sia ciceroniana.
IL CAPITOLO conclude: Conservata la quinta ginnasiale, si tolgano i corsi accessori, mantenendo però la matematica.
DON DURANDO inculca di procurare che i giovani prendano fiducia verso i Superiori e che si mettano buoni professori specialmente nella quarta e nella quinta.
DON BOSCO: - Desidererei che si scrivesse una breve circolare ai professori, da spedirsi in questo anno a tutte le nostre case, sul contegno che gli insegnanti debbono tenere nelle scuole. In questa circolare si scriverà quello che io soleva dire ai professori in particolare, a spizzichi, nelle conferenze e ciò che si trova scritto nelle regole. Che pure il Professore incominci la scuola coll'Ave Maria, recitata con serio contegno di divozione, cosa che per i giovani è di grande buon esempio. Così pure che gli insegnanti stiano attenti sulle spiegazioni degli autori [502] profani e quando vi incontrano qualche cosa di religione che va bene, non si passi oltre senza far notare, come benchè pagani riconoscessero la divinità ecc. ecc. Ciò si chiama saper trarre il bene anche da ciò che non è totalmente bene. Così pure insinuare qualche consiglio buono quando si fosse alla vigilia di qualche festa, ma con brevissime parole, per es.: Oggi è la festa di S. Croce e noi siamo cristiani; ricordiamoci che la croce ci ricorda la nostra redenzione. E basta: non fare una predica. D. Cerruti è incaricato di preparare questa circolare.
L'esperimento proposto da Don Francesia e accettato da Don Bosco fu fatto nell'anno scolastico successivo 1885-86; ma dall'anno seguente in poi la quinta ginnasiale scomparve per sempre dall'Oratorio.
Non è da credere che Don Bosco, parlando così dei classici pagani, intendesse di volerli sbanditi dalle scuole per sostituirvi scrittori cristiani. I suoi timori nascevano da preoccupazioni morali per le “cose sconvenienti ”, che in quelli i giovani potevano incontrare; ma a eliminare ogni pericolo di tal fatta provvedevano i testi castigati. Egli d'altra parte conosceva benissimo anche in questo la tradizione della Chiesa, confermata solo nel maggio precedente da Leone XIII in una lettera al cardinale Parocchi sullo studio dei classici[309].
Nella tipografia dell'Oratorio si continuava dal 1869 la stampa della Biblioteca dei classici italiani purgati per la gioventù. La collezione, diretta da Don Durando, era giunta al duecentoquattresimo volume. Parve ormai che fosse da porvi termine, non rispondendo più essa a vera utilità pratica, perchè la serie degli autori più necessari per le scuole si poteva dire esaurita. Ne fu dunque decisa la cessazione. Don Bosco allora disse: - Converrebbe adesso metter mano a una pubblicazione di libri ameni. Però è un'impresa sulla quale rifletteremo ancora in quanto al modo. Si vedrà. - Egli aveva ragione di voler contrapporre letture dilettevoli e sane al dilagare di novelle e romanzi, che poco o punto rispettavano [503] religione e morale e corrompevano specialmente la gioventù studiosa. La nuova collezione, annunziata dalla libreria dell'Oratorio nel 1886, principiò l'anno dopo.
Ripete invece le sue origini dal 1885 la Piccola Collana di Letture Drammatiche per istituti d'educazione e famiglie, diretta, come si leggeva nel programma pubblicato sulla copertina del primo volume, “da sacerdoti esperti, sotto la guida e per incarico del Sac. Giovanni Bosco”. Usciva un fascicolo di circa cento pagine ogni due mesi. Comparve per primo il noto dramma di Don Lemoyne, Le pistrine e l'ultima ora del paganesimo. Il Santo mirò a formare una bibliotechina teatrale di operette scelte e rappresentabili da “giovani soli, o sole donzelle nei collegi ed educatorii cristiani ”. Anche in questo Don Bosco fu un pioniere; poichè sul suo esempio collezioni dello stesso genere sorsero a Milano, a Torino e altrove.
Un altro esperimento, oltre a quello della nuova quinta, era già in corso nell'Oratorio; vogliamo dire la doppia direzione. Don Bosco, che ne aveva tenuto d'occhio l'andamento, diede al riaprirsi delle scuole alcune norme pratiche sui rapporti fra i due Direttori. Nell'adunanza capitolare del 2 ottobre a S. Benigno parlò così: - In quanto all'ordinamento dell'Oratorio, Don Francesia Direttore della sezione studenti avrà pure la intera direzione della cucina, cantina e chiesa, mentre non avrà nessuna ingerenza nei laboratori degli artigiani, che dipendono interamente da Don Lazzero. 1 due Direttori però saranno solidali. Se Don Lazzero, entrando in cucina, vedrà un disordine, vi ponga subito rimedio. Così se Don Francesia, entrando in un laboratorio, vedrà una violazione della regola, richiami all'ordine i contravventori. Siano una cosa sola. Don Francesia, lasciando che presieda al refettorio dei Salesiani Don Notario, nuovo consigliere scolastico per gli studenti, verrà tutti i giorni a pranzo coi membri del Capitolo Superiore. - “Don Bosco, chiosa qui il segretario Don Lemoyne, esprime in tutto ciò la sua ferma volontà e con termini risoluti”. [504]
Non va passata sotto silenzio un'innovazione introdotta nell'Oratorio a insaputa di Don Bosco. Fino al 1885 non costumavansi file di allievi nell'andare dal cortile della ricreazione allo studio, alla chiesa, alla scuola, al refettorio, al dormitorio, nè da detti luoghi al cortile. L'ordinamento disciplinare dell'andar in fila dovette allora la sua origine a Don Stefano Trione, catechista degli studenti. Don Bosco, quando lo seppe, se ne mostrò spiacentissimo e ne mosse rimprovero al Direttore degli studenti, deplorando che scomparisse a poco a poco dall'Oratorio il sistema di famiglia; tuttavia Don Francesia, ne ignoriamo il perchè, non tornò all'antico.
Invece un'innovazione Don Bosco si augurava di poter attuare. Ne parlò in Capitolo il 2o marzo. Egli vedeva la convenienza che col tempo studenti e artigiani potessero aver cappella distinta e separata per le loro funzioni, lasciando ai soli fedeli la chiesa di Maria Ausiliatrice; dal che sperava due vantaggi, uno per l'istruzione religiosa dei giovani e l'altro per la comodità dei divoti. Soltanto ora i lavori di ampliamento che sono in corso alla basilica renderanno possibile l'attuazione di questo voto.
Da pochi giorni il Santo era rientrato definitivamente nell'Oratorio, quando un sogno gli svelò l'opposta sorte di due della casa. Giaceva nell'infermeria e in gravi condizioni il chierico irlandese Francesco O'Dónnellan. La sera del 19 ottobre il Santo l'andò a visitare e lo trovò agli estremi, ma tranquillissimo. Benchè oppresso dal male, l'infermo si sentì grandemente sollevato dalla presenza di Don Bosco, che gli domandò: - Ebbene, non hai nessuna commissione da lasciarmi per questa terra?... Ne vorresti ricevere qualcuna per il paradiso?
- Sono tranquillo, rispose. Per questo mondo non ho commissioni. In quanto all'altro, mi dica lei.
Noi pregheremo per te, affinchè tu possa essere presto in paradiso, e lassù dirai alla Madonna che noi la amiamo tanto tanto. [505]
Morì la sera del dì appresso e fu portato a seppellire la mattina del 22, nel qual giorno si fece anche l'esercizio della buona morte. Orbene Don Bosco la notte seguente ebbe un sogno, così da lui narrato.
Andai a riposo colla mente piena del pensiero di O'Donnellan, della sua tranquillità, della speranza che fosse in paradiso, del desiderio di saper qualche cosa di lui, e procedendo di fantasia in fantasia, la mia mente si arrestava sovra un secondo individuo, incerto, confuso, non conosciuto, che con insistenza si andava sempre più chiaramente delineando. Essendomi pienamente addormentato sognai: mi pareva di camminare e al mio fianco stava O'Donnellan, così bello che sembrava un angelo, sorridente con un sorriso di paradiso, e tutto splendente di luce. Io non poteva saziarmi di guardarlo. Alla mia sinistra camminava un giovane il quale teneva la testa bassa, sicchè non poteva distinguerne la fisonomia: pareva stravolto. Gli rivolsi la parola: - Tu chi sei? - Non rispose. Insistetti nella mia domanda, ma egli non parlava, come uno che siasi ostinato a tacere.
Dopo un lungo viaggio arrivai dinanzi ad uno stupendo palazzo, le cui porte erano spalancate e al di là delle soglie si scorgeva come un immenso portico. Sembrava che questo portico fosse sormontato da un'eccelsa cupola, dalla quale scendevano torrenti di luce di tale vivezza, da non potersi paragonare nè a quella dei sole, nè a quella dell'elettricità, nè ad altra qualsiasi luce mortale. Così pure splendevano i portici, ma in modo che la luce di questi risaltava per la luce che scendeva dall'alto.
Una gran moltitudine di persone tutte splendenti stava radunata là entro e in mezzo a queste una Signora vestita con molta semplicità; ma ogni punto del suo vestito risplendeva per tanti raggi che spiccavano vivissimi in mezzo a tutti gli altri splendori.
Tutta quell'assemblea pareva che fosse in attesa di qualcheduno. Intanto notai che quel giovane cercava sempre di nascondersi dietro di me. Io allora gli rinnovai le mie interrogazioni: - Ma dimmi, chi sei? qual è il tuo nome? - E il giovane mi rispose: - Fra poco lo saprà.
- Ma dimmi: che cosa hai che sei così melanconico?
- Ma insomma, dimmi il tuo nome.
La sua voce suonava rabbiosa in quel mentre avvicinandosi 0'Donnellan alla porta di quel gran palazzo, quella bella Signora gli mosse incontro e con essa si mossero tutte quelle turbe che erano intorno a lei, che, rivolta a 0 'Donnellan, esclamò con voce armoniosa: Hic est filius meus electus, qui fulgebit tanquam sol in perpetuas aeternitates! [506]
E allora come se avesse data l'intonazione a tutta la moltitudine, si elevò un cantico che ripeteva queste stesse parole. Non era voce umana, non erano strumenti musicali; ma un'armonia così soave, distinta, inenarrabile, che non solo l'orecchio, ma tutta la persona ne era compresa.
Allora da un fosso di quella pianura uscirono due mostri spaventosi. Erano grossi, erano lunghi e si avviarono verso quel giovane che stava dietro a me. Tutta la luce era scomparsa, solo si vedevano ancora splendere intorno a me i raggi della Signora.
- Che cosa è questo? dissi io. Chi sono questi mostri?
E dietro di me quella voce cupa e rabbiosa: - Fra poco lo saprà, fra poco lo saprà.
Quella Signora esclamò: Filium enutrivi et educavi, ipse autem factus est tanquam iumentum insipiens.
E dietro di me la voce continuava: - Fra poco lo saprà, fra poco lo saprà. -Tosto quei due mostri si slanciarono su quel giovane, uno lo addentò sopra una spalla, e l'altro tra la nuca ed il collo. Le ossa scricchiolarono come se fossero pestate in un mortaio. Io mi guardava attorno, cercava gente che mi dessero aiuto e non vedendo nessuno mi slanciai contro quei mostri, dicendo: - Giacchè non c'è nessuno, bisogna che vada io in soccorso.
Ma i due mostri si rivolsero verso di me, e spalancarono le loro fauci. Ancor vedo il biancheggiare dei loro denti, il rosso fuoco delle loro gengive. Il mio spavento fu tale che mi svegliai.
Il segretario che dormiva nella camera attigua, svegliato dalle grida di aiuto, era accorso e aveva trovato Don Bosco come chi in preda a spavento si voglia scuotere dal sonno per liberarsi da un incubo. Dimenava le braccia, si alzava a sedere, tastava il letto e brancicava le coperte, quasi per rendersi conto se fosse desto ovvero addormentato.
Il sogno intero fu da lui raccontato ai Capitolari durante la cena del 25; ma ai principali Superiori della casa ne fece comunicare in giornata la seconda parte, che li costernò profondamente. Il direttore Don Francesia diede una "buona notte" che atterrì i giovani, sicchè i pochi non confessatisi durante le recenti Quarantore o nell'esercizio della buona morte, la mattina del 24 si confessarono tutti e molti altri, benchè si fossero confessati, tornarono a confessarsi.
Intanto il Direttore aveva posto gli occhi sopra uno che di [507] sacramenti non voleva sapere. Dubitando che fosse quello designato da Don Bosco, lo chiamò a sè prima che andasse a dormire, lo ammonì e si fece da lui promettere che l'indomani sarebbe andato a confessarsi. Andò difatti; ma poichè troppi l'avevano preceduto nè alla fine ci sarebbe più stato tempo di fare la comunione, il Direttore stesso gli disse di aspettate e di tornare la mattina dopo.
Guai se avesse aspettato tanto! Ma le sue sorti erano in buone mani Don Trione, catechista degli studenti, che ogni sera, dopo aver compiuta l'ispezione dei dormitori, soleva recarsi nel refettorio del Capitolo per prendere Don Bosco e accompagnarlo in camera, aveva potuto quella sera, com'egli ci narra va, sapere da 1ui il nome del disgraziato visto nel sogno sull'orlo dell'inferno. Si chiamava Archimede Accornero, alunno della seconda ginnasiale, quello precisamente di Don Francesia. Già l'anno innanzi la sua condotta era stata così poco lodevole, che i Superiori avevano trattato di lasciarlo a casa stia dopo le vacanze. Pure lo riammisero; ma purtroppo non dava segno di resipiscenza. L'impareggiabile catechista dunque lo tenne d'occhio dopo la levata e accortosi che non si era confessato, tiratolo in disparte, lo strinse talmente con le sue belle parole e insinuanti maniere, che lo indusse a non uscire di chiesa senza riconciliarsi con Dio.
Fu provvidenziale! Nel pomeriggio il povero giovane faceva i suoi giuochi aggrappandosi a lettiere di ferro, che stavano accatastate sotto i portici, quando il mucchio improvvisamente si rovesciò e lo prese sotto. Liberato in fretta e portato nell'infermeria, rimase dall'una e mezzo fino alle tre in sensi, lagnandosi però di sempre nuovi dolori. Alle quattro non capiva più nulla e verso la mezzanotte spirò. Stia madre, chiamata con urgenza, appena pose piede nell'Oratorio, domandò se il figlio si fosse suicidato. Tant'era anch'essa convinta che il giovane batteva la via del male!
La sua tragica fine segnò il completo avveramento di una predizione fatta dal nostro Santo. Don Calogero Guasmano, [508] segretario del Capitolo Superiore e allora studente nell'Oratorio, ricordava che Don Bosco nel dare la strenna per il 1885 aveva annunziato per il prossimo anno la morte di sei là presenti; rammentava, pure benissimo che tra i suoi compagni si andava dicendo in ottobre: -Cinque sono già morti, chi sarà il sesto? - Il sesto fu Accornero[310].
Un grande Missionario fu ospite dell'Oratorio dal 14 al 15 novembre: monsignor Sogaro, Vicario Apostolico dell'Africa centrale. Ammiratore di Don Bosco, ascoltava con umiltà certe descrizioni dell'Africa fattegli dal Santo, secondochè egli aveva visto in sogno. Il zelante apostolo avrebbe voluto farsi salesiano e unirsi così ai figli di Don Bosco per redimere quelle terre. Al cardinale Simeoni, prefetto di Propaganda, il quale gli obiettava che le sue Missioni sarebbero per tal modo passate in altre mani ed egli avrebbe cessato di esserne il vero capo, energicamente rispose: - A me che importa? Purchè si salvino anime!... - Il suo lamento era che i Missionari, non essendo legati da voto di obbedienza, andavano laggiù per qualche mese e poi, cambiato pensiero, ritornavano in Europa. - Ci vuole il legame dell'obbedienza, diceva Don Bosco. Ciò che forma lo spavento del Missionario si è, il pensare: "Andiamo, e poi se cadiamo ammalati o veniamo vecchi o non riusciamo, bisogna o star là o ritornare ai nostri paesi. Là, infelici, e qui chi ci dà il pane? ". I Salesiani invece trovano fratelli là, fratelli qua e a nulla pensano per l'avvenire che è assicurato. - Ma per la Congregazione non era ancora venuto il momento di lanciarsi in quell'impresa apostolica[311]. [509]
I giornali francesi annunziavano una visita del Vescovo di Orleans a Don Bosco, prima ancora che egli arrivasse a Torino. Venne infatti monsignor Coullié il 21 novembre. Introdotto nella camera del Santo, gli si prostrò ai piedi e voleva la stia benedizione; ma Don Bosco fece il medesimo, chinandosi profondamente da seduto e stando a mani giunte. La gara finì, quando si furono appagati a vicenda. Il futuro Cardinale, dopo un lungo colloquio, partì per Roma.
Nella seconda metà di novembre il giornalismo mondiale si occupava diffusamente della mediazione di Leone XIII fra la Germania e la Spagna per il possesso delle isole Caroline, appartenenti alla Spagna, ma occupate dalla Germania. Il lodo del Papa, accettato da ambe le parti, pose termine a un litigio, che senza dubbio sarebbe degenerato in una guerra. La questione romana, che era sull'Italia una spada di Damocle, si fece sentire anche in tale circostanza quanto fosse viva sempre e minacciosa. Ne' suoi riguardi i governanti italiani solevano ostentare sicurezza considerandone come non possibile tè desiderabile la soluzione; ma ogni stormire di foglia vaticana li metteva in allarme. Che un Bismark pertanto invocasse la mediazione pontificia e vi si piegasse in una forma che accreditava in faccia al mondo la posizione internazionale della Santa Sede, parve un precedente gravido di conseguenze per l'unità italiana con Roma capitale. Quindi gli organi dei partiti fremevano e sdoganavano tutte le vecchie tiritere contro il Papato. Don Bosco gioì di quel trionfo della Chiesa. Pigliando poi occasione dalle ripercussioni dei fatto sull'Italia massonica d'allora, manifestò un suo pronostico circa lo scioglimento della questione romana. Il pronostico si riferiva tanto all'ineluttabilità della soluzione stessa quanto alla maniera, in cui la si sarebbe attuata. Due ipotesi egli formulò, la seconda delle quali nemmeno i cattolici, ragionando dai tetti in giù, avrebbero ritenuta probabile, mentre fu proprio quella prescelta dalla Provvidenza. Il 21 novembre dunque, avendo udito ciò che si diceva sull'argomento dei giorno, parlò così [510] dinanzi ad alcuni intimi: - Certamente sì la Germania che la Spagna non lascieranno senza ricompensa un così segnalato servigio reso loro dal Papato. L'Italia trema, ha paura. Se il Papa scegliesse ora a mediatrice tra Lui e l'Italia la Germania, domandandone in qualche modo la protezione, che cosa avverrebbe? L'Italia teme e per il suo meglio tace; ma forse tra breve, temendo le grandi potenze d'Europa, chiamerà qualcuna di esse a mediatrice fra sè e il Papa: oppure si appellerà allo stesso Santo Padre che ora è costretta a rispettare, perchè proponga il modo di accomodare meno disonoratamente l'astrusa questione. - Quando per altro in tiri nuovo clima politico fu intrapresa la seconda via più onorevole, non agì come causa determinante il timore, ma la saviamente riconosciuta importanza del problema e di una stia buona soluzione.
Bella giornata fu per l'Oratorio l'8 dicembre. Don Bosco rallegrò tutti, comparendo a pranzo fra i Confratelli. Rarissime volte egli dava la benedizione in chiesa col Santissimo Sacramento, ma quella sera la diede. La gente montava anche sui banchi per vedere il venerando vegliardo, mentre, curvo della persona e a passo stentato, moveva verso l'altare. Sul tardi fece ai Salesiani la tradizionale conferenza nel coro di Maria Ausiliatrice. Quest'anno però c'era qualche cosa più della tradizione: bisognava comunicare ufficialmente la designazione di Don Rua a Vicario generale[312]. Letta che fu da Don Francesia la circolare relativa a questo provvedimento, parlò il Santo. Disse che di tutto noi siamo debitori a Maria e che tutte le nostre cose più gremirebbero principio e compimento nel giorno dell'Immacolata. Descrisse quello che era l'Oratorio quarantaquattro anni prima e ne fece il confronto con il suo stato d'allora. Notò come tutte le benedizioni piovuteci dal cielo per mezzo della Madonna fossero frutto di quella prima Ave Maria detta con fervore e con retta intenzione insieme con il giovanetto Bartolomeo Garelli là nella [511] chiesa di S. Francesco d'Assisi. Conchiuse affermando essere la nostra Congregazione destinata a cose grandissime ed a spargersi per tutto il mondo, se i Salesiani saranno sempre fedeli alle Regole date loro da Maria Santissima. Viglietti nel diario scrive che Don Bosco quella sera parlò con vivezza straordinaria e che disse di sentirsi da qualche tempo molto meglio. Siffatto benessere sembra che gli durasse alquanto; poichè il 13 radunò nella biblioteca i giovani della quarta e quinta ginnasiale, ragionò loro di vocazione e li rimandò contenti, regalandoli di molte nocciuole. Alla sera del santo Natale ridiscese ad impartire la benedizione col Santissimo. Mentre la gente sfollava la chiesa e la piazza era gremita di popolo, ecco arrivare in vettura il Cardinale. Veniva in persona a ringraziare Don Bosco degli auguri ricevuti per iscritto.
Un altro indizio che la salute di Don Bosco andava meglio, si ebbe la sera del 31, allorchè dopo le orazioni egli diede a tutti la strenna per il nuovo anno dal pulpito di Maria Ausiliatrice.
Due solite parole, cari figliuoli, si vanno in questa sera augurando dai parenti, compagni e amici: Buon fine e buon principio. Tuttavia stamattina mentre io celebrava la S.ta Messa, non poteva liberarmi la mente dal pensare a ciò che aveva da augurare stasera ai miei cari figli, e mentre pensavo, sentivo come una ispirazione che mi diceva: Questo va bene, buon fine e buon principio; questo sarà bastante pel mondo, ma non pei miei figli. - E pareva che il Signore mi dicesse al cuore: - Quest'augurio non è tuo. E perchè non aùguri loro qualche cosa tua, e che dipenda da essi? Chè questo non dipende da loro certamente.
Ma che cosa potrò io augurarvi? La preghiera! Pregate..Io pregherò il Signore che vi conservi ancora per molto tempo; che possiate terminare bene l'anno vecchio e bene incominciare il nuovo e passarlo bene e santamente. Questo va già bene: la preghiera! Ma bisogna dire qualche cosa dì più specificato. Ecco, io vi dirò che quest'anno sta per terminare e per non ritornare mai più, e mettersi in perpetuae aeternitatis annos, tra gli anni eterni. Verrà l'anno nuovo; se lo incominceremo bene, sarà tutto a maggior gloria di Dio, a vantaggio grande dei vostri parenti, amici, benefattori, e superiori. Se lo passeremo poco bene, andrà male, tempo perduto...
E se avessi tempo e le mie forze lo permettessero, vi parlerei delle cose che succederanno in questo anno. Direi che siccome l'altr'anno parecchi che erano qui ad ascoltarmi ora non sono più tra i vivi, così tra quelli che sono qui presenti stasera non meno di sei non saranno più qui un altr'anno a questi giorni. Essi compariranno dinnanzi al Signore a rendere conto delle loro azioni, che speriamo saranno state buone.
Vorrei parlarvi delle grandi sciagure che cadranno su qualcuno di questa casa medesima e delle molte consolazioni per molti che sono qui. Dei disastri pubblici che affliggeranno i nostri paesi... Ma lasciamo queste cose nascoste nel segreto consiglio di Dio, e che egli permetterà a gloria grande dei buoni, a timore e correzione dei cattivi. Egli è nostro buon padre e ci benedice sempre, e non ci manda questi castighi se non per farei ricorrere alla sua misericordia.
Piuttosto voglio dirvi due parole su ciò che voi praticherete nel corso di quest'anno. Prima: frequenza alla santa Comunione; ma fatta bene, degnamente, con la coscienza pura: ciascuno vada alla comunione dopo essersi ben confessato e con ferma volontà di praticare le promesse che ha fatte nella santa Confessione. Dunque: Frequenza alla santa Comunione.
Seconda: vi è una virtù che i Santi e i Direttori di spirito dicono che genera tutte le altre e tutte le conserva: l'ubbidienza.
Io vorrei spiegarvi che cosa si vuol intendere con la parola ubbidienza: ma ve la spiegheranno altri. Voi fate tutto il possibile per praticarla, come vi sarà spiegata e ne avrete grande vantaggio per l'anima e anche per il corpo. Ma l'ubbidienza vera non si chiama, fare il proprio piacere, no. In che cosa consista questa virtù vi sarà spiegato da chi vi predicherà.
Ciò posto, io pregherò ogni giorno per voi, e a voi raccomando di pregare per me. Perchè se io vi dico che voi non siete sicuri di essere ancora in vita un altr'anno, con maggior ragione si deve dire del povero Don Bosco. Per lui di mese in mese, anzi di giorno in giorno si fa cosa sempre più chiara che è tempo che pensi alla sua eternità.
In tutte le vostre preghiere e comunioni adunque ricordatevi di me. Ora conchiudo. Passando bene il tempo della vita mortale, avremo speranza ferma di raccoglierci tutti nell'altra vita immortale, avremo la felicità e la consolazione di lasciare il tempo per radunarci tutti insieme negli splendori del Signore, in sempiternos aeternitatis annos.
Alle tante cose che siamo venuti esponendo in questo capo, faremo ora seguire un epilogo che più a taglio non potrebbe venire. Ce lo offre un foglio liberale dell'Emilia in una corrispondenza [513] di novembre da Torino[313]. Il corrispondente premette a mo' di scongiuro o, come volgarmente si dice, di toccaferro una dichiarazione di principio, fa cioè le sue riserve sulla diversità di fede religiosa e politica e sul proprio dissenso circa la convenienza politica e sociale dell'indirizzo impresso da Don Bosco ai propri istituti; ma il riconoscimento dell'opera in sè e del suo creatore da parte di chi militava in campo avverso, anzi, giusta l'indole dei tempi, in campo bellicosamente ostile, riveste agli occhi nostri doppio valore.
Dopo siffatto esordio, ecco una rappresentazione topografica dell'Oratorio veduto da un profano: “Immaginate uno dei nostri borghi Emiliani raccolti attorno ad una chiesa maestosa; ingrandite, incalzate, abbellite questi edifizi, che nei nostri borghi fanno così magra figura: aggiungete la pulizia, l'ordine e l'attività febbrile dell'officina e della scuola, e avrete l'Istituto di Valdocco. É un incanto! Lì vivono oltre mille persone e crescono al lavoro, alla famiglia, a se stessi. I più son poveri disgraziati che lì si preparano un men triste avvenire sotto una disciplina rigida ma oculata e caritatevole, perchè educa e nutre i diseredati. Meraviglioso anche questo, che voi nell'Istituto di Valdocco trovate uniti insieme tanti stabilimenti, ciascuno dei quali basterebbe a fare onore ad un provetto industriale. Quaggiù un'officina di fabbri ferrai; laggiù un'altra di falegnami. Più qua una compiutissima e stupenda tipografia; più là una fonderia di caratteri. A dritta una libreria ricchissima e bene scelta; a mancina un laboratorio per calzolai, uno pei sarti, uno pei legatori di libri. Da per tutto è un silenzio, direi così, lieto e fidente; da per tutto è un ordine mirabile e, direi così, spontaneo, poichè lì c'è più il sentimento che da forza del dovere e della disciplina. E, quel che è tutto in così fatti istituti, da per tutto ed in tutti una serena aria di pace, di benessere, di salute che consola ed allegra ”.
Qui sorgeva da sè nei lettori ignari la voglia di conoscere [514] come avesse avuto origine quell'ottava meraviglia, come cioè avesse potuto un uomo creare, governare, alimentare questo piccolo mondo. -“Converrete con me, lettori cari, proseguiva il corrispondente, che senza una sacra scintilla tutto questo non si cava dal nulla; senza una mente superiore questi miracoli non si fanno. Ma a ciò non basta neppure l'arditezza e la sublimità del concetto, la sicurezza dell'esecuzione. Il capitano non vince la battaglia se non è secondato dai suoi generali. L'Istituto di Valdocco non fiorirebbe se oltre alla mente che l'ha creato e lo regge ed anima, non vi fossero le braccia sapienti che ministrano l'ordine, la vita. E veramente Don Bosco deve avere anche un grande occhio per conoscere i suoi uomini, dacchè ha saputo scegliere coloro che gli furono valorosi ministri e seppero condurre e conservare l'opera sua”.
Nell'adunata degli ex-allievi Don Francesia aveva con i suoi versi dialettali istituito il brioso confronto fra Don Bosco e Napoleone. Ora il nostro pubblicista che aveva avuto, non sapremmo dir come, qualche notizia dell'ardita comparazione, vi fece sopra questi suoi riflessi: “Fu paragonato Don Bosco a Napoleone I. Chi ha fatto l'encomiastico paragone era un generale di Don Bosco, onde non ha potuto recare in mezzo il maggior pregio, per cui il paragone è possibile, quello cioè di saper ben scegliere i generali. I quali io non ho l'onore di conoscer tutti. Ma se tutti hanno la sapienza e l'esperienza, la dolcezza e la forza d'animo del sacerdote prof. Francesia che in quell'Istituto è direttore degli studi, io non mi meraviglio più de' così splendidi risultati. Egli latinista provetto, quali in Italia pochi rimangono ancora; egli commentatore profondo di Dante e più altri autori si latini che italiani; egli poeta ispirato ed elegantissimo, scrittore di prose forbite e dottissime; egli squisitamente gentile di modi, tutto autorità per illibatezza di vita e santità di costumi, è lì dentro un mentore, un padre, un modello ”.
L'articolo terminava con la raccomandazione a' suoi lettori che, venendo a Torino, non dimenticassero di fare una [515] visita all'“Istituto di Valdocco ”. Urtava forse i nervi liberaleschi il dire più semplicemente Oratorio di S. Francesco di Sales ovvero Oratorio di Don Bosco, anzichè Istituto di Valdocco; ma alla distanza di cinquant'anni possiamo asserire che la prosa della penna liberale meritava, come fu, di essere conservata nei nostri archivi.
Se la vista dell'Oratorio impressionava tanto persone estranee, il suo ricordo rimaneva tenacemente radicato nell'animo di chi vi era vissuto. “Non ostante gli alti monti e gli immensi mari che ci dividono, scriveva un Missionario della Cina, studente ivi per tre anni, dal 1865, non cesso di portarmi spesse volte colla mente nell'amato Oratorio e mi pare di vedere ad uno ad uno i miei compagni diletti ”[314].
ALLORCHÉ Don Bosco, di ritorno dal suo ultimo viaggio in Francia, smontò di vettura nel cortile dell'Oratorio, gli si fece incontro il cappellano del Duca di Norfolk, che confabulò alcuni minuti con lui, parlando in italiano. Il Santo gli chiese notizie della Duchessa, che era giunta di fresco a Torino, ma non istava guari bene e si sentiva stanca del treno, come pure il figlio. Poi domandò del Duca, venuto pure a Torino, e pregò il suo cortese interlocutore di ossequiarlo tanto da sua parte. Il sacerdote doveva prendere gli accordi per un'udienza de' suoi Signori; ma Don Bosco si spicciò in fretta dicendo che era tutto per essi in qualunque momento. A questo punto si congedarono a vicenda.
Mentre faceva per andarsene, Don Bosco vide due stranieri che si avviavano dietro al prete e li salutò, credendo che appartenessero al seguito del Duca; ma il cappellano, scorto quell'atto e indicando uno dei due, gli disse: - Badi, Padre, che questi è il Duca di Norfolk. Egli parla benissimo il francese. - Don Bosco rimase stupito nell'osservare un tanto personaggio vestito molto alla buona e con un largo cappellone in testa. In verità il Duca non aveva nulla dell'aristocratica severità propria dei nobili inglesi, ma indossava un abito da modesto borghese. Parevano meglio vestiti i suoi domestici. [517]
Si strinsero tosto cordialmente la mano, scambiandosi parole di saluto. Il Santo chiese scusa dell'equivoco. Conversarono quindi alcuni minuti insieme con grande consolazione del gentiluomo, venuto là in incognito per formarsi subito un concetto di Don Bosco.
Prima di procedere oltre, premettiamo qualche notizia che serva di compimento alle altre già date nel volume quindicesimo[315]. Sua Altezza il Duca Enrico Fitzalan-Howard, quindicesimo Duca di Norfolk, conte di Arundel, Surrey e Norfolk, conte maresciallo d'Inghilterra, cavaliere della Giarrettiera, primo duca e conte del regno e però membro della Camera dei Pari, era tino dei capi più influenti della comunità cattolica nella Gran Brettagna. Con mirabile coscienziosità aveva conservato il deposito della fede cattolica ereditato dagli avi fin da tempo di Enrico VIII. Contava allora trentotto anni. Nel 1877 aveva sposato lady Flora Abney-Hasting dei baroni di Donnington. Entrambi si mostravano ferventi servitori della Chiesa Romana. Possessori d'immensa fortuna, impiegavano gran parte delle loro entrate in opere buone, a sostener monasteri e a favorire la propaganda cattolica.
La loro unione però non fu felice riguardo alla prole; poichè ebbero solamente un figlio cieco dalla nascita e tocco da un’infermità giudicata dai medici incurabile. É indicibile la desolazione dei due piissimi coniugi dinanzi a quella misera creatura, che toccava allora il quinto anno di età. Ma il suo stato fisico non era tutto. Se la morte l'avesse rapito, le ricchezze del Duca sarebbero passate, secondo la legge inglese, ad un ramo protestante, Attratti dalla fama dì santità che circondava il nome di Don Bosco, avevano deciso di visitarlo, conducendo seco il fanciullo, nella fiduciosa speranza che la sua benedizione fosse per donargli la vista e la salute. Di questa loro intenzione gli aveva già scritto in aprile la madre[316]. [518]
Abbiamo finalmente deciso di venirla a vedere a Torino e rimandare così la nostra gita a Lourdes fino al prossimo autunno.
Come tempo più propizio, perchè il caldo non sarà ancora incominciato, abbiamo scelto il mese di Maggio, epperciò saremo a Torino il giorno 5 di detto mese. Favorisca adunque, sig. D. Bosco, dirci se avremo la fortuna di trovarla in quell'epoca, chè se Ella fosse assente, inutile sarebbe il nostro viaggio. Dobbiamo poi ringraziarla tanto tanto della cortesissima lettera ch'Ella si degnò scriverci, e della promessa di tener per noi un piccolo posticino nel suo cuore. Oh quante disgrazie, quanti dolori saranno già stati depositati in questo cuore così caritatevole, a petto dei quali i nostri sono un nulla! Ed ora, Padre, le vo' dire una cosa in tutta confidenza ed è questa: lo sono di famiglia protestante (ma ora convertita) e molti dei miei antenati hanno fatto male, e male molto. Ora quando divenni madre, e madre di un fanciullo, ho supplicato il Buon Dio facendogli una quasi promessa, a mandargli qualunque male anche la morte, piuttosto che permettergli di fare un peccato. Questo voto io l'ho fatto quando stava male, e ancora senza renderne consapevole il mio marito, ed è in causa di questo ch'io alcuna volta mi trovo angustiata e tormentata da dubbi. Ad ogni modo, come Ella vede, io non debbo lamentarmi se il Buon Dio ha voluto mandare una tanta disgrazia al mio povero figlio, ma questo non toglie ch'io non ne senta tutto il peso, e che di quando in quando non trovi difficoltà a rassegnarmi al suo divin volere.
Mi rincresce di doverle scrivere in inglese, dalla sua lettera pare ch'Ella mi scambi con la madre del mio marito, la quale conosce molto bene l'italiano mentre io non -ne so parola.
Nella speranza di poterla riverire presto ed a Torino, mi creda, caro sig. D. Bosco,
Don Bosco ricevette questa lettera il 24 aprile, quand'era a Nizza Mare, dove gli in rinviata da Don Rua; quindi anticipò di alcuni giorni la sua partenza per Torino[317]. Nel leggere espressioni di tanta umiltà e così lusinghiere per lui era rimasto sommamente confuso[318].
Ma la Duchessa, non sapendo a che attribuire il ritardo [519] della risposta, che si aspettava più pronta, ricorse alla mediazione del signor Alberto Du Boys, il secondo biografo francese di Don Bosco. Fece pertanto scrivere in tal senso al signor Du Boys dalla badessa delle Clarisse di Londra, convento che stava sotto la protezione del Duca. Il suggerimento di rivolgersi al Du Boys le venne dalla maestra delle novizie che lo conosceva, perchè, convertita al cattolicismo da monsignor Dupanloup, aveva fatto l'abiura nella cappella dello scrittore. Questi dunque il 28 aprile scriveva a Don Bosco: “Non si tratta di soddisfare i voti e la tenerezza di un inglese, buon cristiano e di stirpe illustre. È una causa, mio Reverendissimo Padre, che Ella deve patrocinare totis viribus davanti a Maria Ausiliatrice e che la Reverenza vostra guadagnerà, come io voglio credere. Vi sarebbe, è vero, come dicono, una conclusion subsidiaire da sussumersi con la Divina Madre, cioè che, non avvenendo la guarigione del figlio primogenito, la Madonna si degnasse di accordare alla Duchessa di Norfolk la nascita di un secondo figliuolo. Riguardo agl'interessi cattolici questo secondo figlio salverebbe tutto; ma la tenerezza materna sarebbe con ciò molto mal soddisfatta”.
Abbiamo veduto come da una parte e dall'altra si fosse puntuali all'appuntamento. La visita fu fissata per la mattina del 7 maggio alle ore undici. Mancavan pochi minuti, quando quattro carrozze entravano nell'Oratorio portanti il Duca e la Duchessa con il loro figlio, il cappellano e camerieri e servi: in tutto, diciotto persone. Il piccolo cieco fu recato subito in chiesa ai piedi dell'altare maggiore; indi si salì da Don Bosco. All'affacciarsi dei Duchi sul ballatoio, la banda intonò l'inno inglese: Dio salvi la Regina. Si fermarono un tantino, facendo atto di compiacenza. Il Duca aveva detto a Don Bosco il dì innanzi: - Io starò qui, finchè Ella non mi abbia guarito il figlio. - A cui Don Bosco con tutta semplicità: - Bene, bene! Vuol dire che io lo farò Priore della festa di Maria Ausiliatrice. - E il fanciullo, udito che era con Don Bosco, gli cercò e baciò le mani, stringendogliele e ridendo con vivacità, [520] mentre la madre commossa esclamava: - In vita sua non l'ho mai visto fare così. Neppure quando va in braccio a suo padre, fa tante feste.
La mattina dell'8 assistettero tutti alla Messa di Don Bosco nella sua cappellina; quindi i Signori presero con lui il caffè. Essi guardavano ammirati tanta moltitudine di giovani; ma più d'ogni altra cosa li attraeva Don Bosco col suo fare e con la sua parola. Mattina e sera venivano al santuario, edificando con la loro pietà gli astanti. Partirono il 10 per Firenze e per Roma[319]. - Venire in Italia e non andare a Roma, diceva il Duca, è come per un italiano andare a Roma e non vedere il Papa.
Partirono per ritornare. Don Bosco li avrebbe voluti a Valdocco per il 2 giugno, festa di Maria Ausiliatrice; ma essi, non potendo restare fino a quel giorno in Italia, vennero di nuovo a fare le loro divozioni il 24 maggio. Dicemmo già come quella mattina Don Bosco celebrasse all'altare di San Pietro; orbene i Duchi ne ascoltarono la Messa prendendo posto entro la balaustra e si comunicarono con gran fervore. Assolti in preghiera durante il ringraziamento, non s'avvidero di un prodigio operatosi dinanzi a loro. Vive tuttora il chierichetto che serviva alla Messa e che ne fu testimonio oculare e oculato; poichè frequentava già la quarta ginnasiale. Egli è il sacerdote Giuseppe Grossani, parroco a Moncucco di Vernate nell'archidiocesi milanese. Tal ricordo lo riempie ogni volta di santo entusiasmo.
Come si suol fare quando alcune persone si debbono comunicare infra Missam a un altare, dove il tabernacolo non alberga l'Ospite divino, fu posta là sulla mensa una piccola pisside con appena tante particole che bastassero a comunicare i Duchi e il seguito; non erano più di una ventina. Il Santo le consacrò. Venuto il momento della comunione, i divoti che numerosi riempivano lo spazio fuori della balaustra e i banchi [521] vicini, appena videro che il celebrante, quel celebrante, comunicati i Signori, dava la comunione anche alla loro gente che via via saliva e s'inginocchiava sulla predella, fecero ressa per riceverla essi pure. Il chierico e il prefetto di sacrestia cercarono bene di persuadere gli accorrenti che le particole scarseggiavano e che bisognava lasciare per gl'Inglesi quelle che c'erano; ma fu un parlare al vento, perchè nessuno voleva dar retta. Sembrava troppo gran ventura poter essere comunicati da Don Bosco. E Don Bosco, notando quell'affannarsi per rimuovere gli estranei, disse all'inserviente: - Lascia fare.
- Ma le particole sono contate! Vuole che ne faccia portare dall'altar maggiore? domandò il giovane.
- Lascia, lascia! ripetè egli.
Il chierico non osò più insistere, ma intanto contemplava con crescente stupore un vero miracolo di moltiplicazione; poichè Don Bosco senza spezzare nemmeno un'ostia comunicava a decine i fedeli. Oggi Don Grossani afferma con asseveranza che i comunicati superarono i duecento. Gl'Inglesi non se n'avvidero, non se n'avvidero gl'Italiani, e il nostro parroco non sa spiegarsi come al suo tante volte ripetuto racconto nessuno finora abbia mostrato di dar peso. É questa infatti la prima narrazione stampata dell'avvenimento.
I pellegrini britannici lasciarono Torino il 25. Don Bosco il 26 scriveva al suo conte Colle: “Sono stati tutti assai lieti del loro soggiorno fra noi e del miglioramento riscontrato nel fanciullo infermo ”. Invero, oltre al già detto intorno alla prima visita, Don Bosco la sera del 23 aveva ottenuto che il bambino facesse alcuni passi, la qual cosa per l'addietro non era stata mai possibile. Anche Don Viglietti riferisce nel diario del 28: “Don Bosco mi dice che il Duca di Norfolk gli scrive contento, perchè trovano il fanciullo migliorato. Ma egli dichiara che lascia le cose nelle mani di Dio. Si tratta non di guarire in lui, ma di creare la mente e la vista che non ha ”. Il medesimo Don Bosco disse poi ai Superiori avergli il Duca lasciato di che far stare allegri i giovani a nome suo. Il segretario [522] scrive di diecimila lire date da lui in elemosina prima di partire.
Alcuni giornali, specialmente la Nazione di Firenze, parlarono della sua gita in quella città e poi dell'andata a Roma; nessuno però disse il vero della sua venuta e fermata a Torino. Ciò fece l'Unità Cattolica dei 27 maggio. Spiccheremo dal suo articolo alcuni particolari: “Con nostra ammirazione ed altrui, leggiamo ivi, il Duca e la Duchessa con tutto il seguito di diciotto persone s'accostarono più volte ai santi Sacramenti nel santuario di Maria Ausiliatrice, prendendo parte a tutte le varie altre funzioni pel mese di Maria, che colà avevano luogo sia al mattino sia alla sera. Il primo dì poi della novena (24) si può dire che il Duca lo passò tutto in quella chiesa e nella casa annessa dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, ove abita il venerando Don Bosco. Dire della sua venerazione verso l'uomo di Dio è impossibile: pareva non potesse allontanarsene; come anche dell'affetto che egli ed i suoi sentirono per le svariate opere di beneficenza, a cui pose mano il nostro carissimo Don Bosco. Generoso e uomo pratico sopra tutto, il Duca, quando visitò l'Oratorio, non dimenticò nulla: volle recarsi nel refettorio, cucina, laboratori, panatteria, ecc. Gradì tutto ciò che Don Bosco ed i suoi figli cercarono di fare per rendere lieta la sua visita. Commosse il suo cuore di suddito fedele dell'Inghilterra quando sentì da quei giovanetti suonare con la banda l'inno nazionale. Visibilmente commosso, plaudì e ringraziò Don Bosco pel gentile pensiero, e disse che mai aveva in sua vita sentito quell'inno con maggior soddisfazione ”.
Anche il settimanale cattolico di Prato nel numero del 30 maggio scriveva tra l'altro: “Era poi ammirabile la Duchessa che veramente di lacrime atteggiata e di dolore pareva far violenza alla Regina dei mesti perchè avesse compassione del suo misero stato. Seppi che non era solo apparenza ma realtà, la loro religione. Più volte in quel tempio si accostarono con tutta la famiglia ai santi sacramenti; e tranne la rapida corsa [523] fatta a Roma, nei quindici giorni che furono a Torino, i loro passi erano sempre diretti alla chiesa di Maria Ausiliatrice. Oh se la Vergine ascoltasse la loro supplica, che scossa all'eresia in Inghilterra! ”.
Dopo, fino al 1887, nulla più è a nostra conoscenza di relazioni corse fra Don Bosco e il Duca di Norfolk. Il 23 maggio di quell'anno il Duca, recandosi a Roma, fece a Torino una fermata per vedere Don Bosco. Lo visitò nell'Oratorio, ebbe con lui un lungo colloquio e rimase a pranzo con i Superiori.
É del medesimo anno la notizia d'un fatto che ha del portento riguardante la famiglia del Duca. L'ha comunicata il gesuita Cirillo Martindale nell'anno della canonizzazione a Don Enea Tozzi, ispettore salesiano d'Inghilterra. Si sapeva che il venerando Padre era molto affezionato a Don Bosco; infatti Don Tozzi pensò a lui per avere un inno da eseguirsi nelle feste in onore del nuovo Santo, ed egli lo compose; indi gli chiese che volesse dire come mai la stia famiglia nutrisse per Don Bosco tanta simpatia. La cosa destava tanto maggior meraviglia a motivo della circostanza, che Lord Martindale è ancora protestante e il padre Cirillo, suo figlio, è un convertito. Ed ecco il racconto che questi fece.
La Duchessa di Newcastle, lontana parente del suo genitore e amica dei Norfolk, erasi recata a Lourdes per implorare la tanto sospirata guarigione del loro bambino. Donna punto facile alle emozioni nè dotata di fervida fantasia, le accadde là un fenomeno, per cui temette di essere allucinata. Mentre pregava alla grotta, le parve di sentire una voce che a lei dicesse: - Prega per la madre, non pregare per il figlio. - Si volse in giro a fine di accertarsi se mai vi fossero persone là da presso che conversassero insieme; ma non c'era anima viva. Di lì a pochi istanti le si ripeterono dentro quelle stesse parole; onde rimase un po' impressionata, e l'impressione la accompagnò fino a Torino, ove andò con il medesimo intendimento per visitare Don Bosco. Qui giunta, ottenne udienza dal Santo. Al suo entrare in camera egli scriveva e continuò a [524] scrivere senza badare alla visitatrice, che non si sapeva dar ragione d'una simile attitudine in un sacerdote da lei tanto stimato. Alla fine Don Bosco, deposta con tutta calma la penna e rivolto alla Duchessa, le disse ex abrupto e in tono pacato: - Preghi per la madre, non preghi per il figlio. Proprio come a Lourdes! Impensierita, la Signora pregò nella chiesa di Maria Ausiliatrice come le era stato raccomandato, e ritornata che fu a Londra, la sua amica Duchessa di Norfolk entro quattro giorni moriva. Di qui ebbe origine presso gli anglicani Martindale l'affezione per Don Bosco e l'attaccamento alla sua memoria.
Nell'anno stesso di questa morte Don Bosco aperse la casa di Battersea a Londra, corre si vedrà a suo luogo, e in novembre mandò ivi due salesiani inglesi, ai quali diede una lettera di presentazione e di raccomandazione per il Duca di Norfolk.
Allorchè Vostra Altezza onorava l'umile nostro ospizio colla sua presenza, la pia e compianta Signora Contessa di Lei moglie vedeva con piacere i giovani di questa casa a praticare la cristiana religione, ed espresse il piacere che avrebbe provato se un ospizio al nostro di Torino somigliante avesse potuto vedere nella città di Londra, dove sono tanti giovanetti poveri, abbandonati e pericolanti, specialmente nella loro educazione religiosa. A quell'epoca non avevamo qui il personale sufficiente; presentemente ci sarebbe, anzi sarei disposto a tentare questa fondazione, ed è già incominciata con una chiesa in Battersea.
Per ora comincerebbero a recarsi colà non meno di cinque Salesiani ed altri seguiranno da poi se sarà mestieri. Certamente un'opera di questo genere dimanda coraggio, specialmente nella grande città di Londra. Ma Dio che ci aiutò in altre fondazioni ci verrà anche in aiuto in questa che spera l'appoggio di Vostra Altezza. Questa chiesa è già stata provveduta di alcune suppellettili da alcuni caritatevoli cittadini; ma pei sacerdoti maestri, di loro abitazione c'è ancora niente. Ed è per questi primi bisogni che io domando a vostra Altezza aiuto e consiglio. Il nostro Sacerdote Macey e D, Edoardo Patrizio Mac-Kiernan si prendono la libertà di portare personalmente i miei omaggi e intendere personalmente i suoi saggi suggerimenti. Noi qui ricordiamo con piacere la sua venuta tra noi ed ogni giorno facciamo speciali preghiere affinchè Iddio spanda copiose le sue benedizioni sopra di [525] lei, e tutta la sua famiglia e specialmente sopra quel prezioso rampollo che forma tuttora l'oggetto delle nostre preghiere e delle comuni sollecitudini.
Col massimo rispetto e colla massima venerazione ho l'alto onore di potermi con gratitudine professare D. V. Altezza
Di un'altra lettera esiste copia nei nostri archivi, scritta in francese, due settimane prima che il Santo passasse all'eternità. Erano i giorni, in cui i cuori concepivano belle speranze, perchè la sua malattia non solo aveva una sosta, ma dava luogo a uno straordinario miglioramento. Il 7 gennaio Don Viglietti notava che egli era “quasi capace di alzarsi, scrivere, lavorare ”. Non è guari verosimile che Don Bosco l'abbia scritta di suo pugno, sebbene la frase tra parentesi ricorra esclusivamente nelle lettere sue. Diceva dunque al Duca il 13 gennaio 1888: “Eccomi a darle mie notizie. Sono sempre a letto, le mie condizioni di salute sono sempre incostanti e non so quando mi potrò alzare. Sia fatta la volontà di Dio! Una cosa mi turba molto in questo momento: le passività della chiesa del Sacro Cuore a Roma. Da dieci anni indirizziamo lì i nostri sforzi, eppure rimangono ancora da pagare 250 mila franchi e io sono in questi giorni medesimi sollecitato al pagamento. Ecco uno de' miei più grandi fastidi. Se Vostra Altezza mi può venire in aiuto nella misura che la sua carità e le circostanze le possono suggerire, sarebbe per me un gran sollievo ed Ella farebbe un'opera vantaggiosissima alla nostra povera Società Salesiana e a tutta la Chiesa universale e quindi graditissima a Dio e al suo Vicario in terra il Santissimo Padre, che ci ha affidato direttamente questa opera del Sacro Cuore a Roma. I nostri poveri orfanelli (più di 250 mila) pregheranno sempre con me per la di Lei felicità spirituale, temporale ed eterna. Dio La benedica e la consoli Signor Duca, e La ricompensi degnamente di tutto il bene [526] che vorrà fare per le Opere Salesiane ”[320]. Fino agli estremi giorni della vita lo travagliò il tormentoso pensiero della chiesa del Sacro Cuore!
La lettera porta l'indirizzo di Roma. Là infatti si trovava il Duca. L'anno 1888 si aperse con mondiali dimostrazioni a Leone XIII, che celebrava il suo giubileo d'oro episcopale. Solenni ambascerie da Sovrani e Capi di Stato erano inviate al Vaticano per rendere omaggio e presentare ricchi e svariati donativi al Papa. Anche la Regina Vittoria d'Inghilterra vi deputò una brillante missione composta di nobili personaggi e con alla testa il Duca di Norfolk. Sua Altezza, passando per Torino, sostò all'Oratorio, visitò il Santo sul letto del suo dolore e stette per circa una mezz'ora inginocchiato sul pavimento accanto al suo capezzale. La lettera surriferita richiamava al Duca tale visita. Il grande infermo gli affidò alcune commissioni per il Santo Padre e gli chiese notizie della nuova casa di Londra. Un desiderio gli espresse calorosamente il Duca, che quella casa si modellasse sull'Oratorio. Si parlò pure della sua patria e delle Missioni cinesi. Don Bosco aggiunse qualche cosa sull'Irlanda. Finalmente l'umile Signore volle la sua benedizione, pensando senza dubbio che era l'ultima benedizione di un Santo morente.
Il figliuolino, oggetto di tante sollecitudini, non guarì. Nel 1904 il padre contrasse un secondo matrimonio con la baronessa di Herries, che nel 1908 gli diè l'attuale erede Bernardo di Norfolk. Egli si spegneva serenamente a settant'anni nel 1917. In una sua lettera al salesiano Don Eugenio Rabagliati, che trascorse la massima parte della vita in Inghilterra, il cristianissimo Signore diceva che, se Don Bosco non gli aveva guarito il figlio, avevagli però detto cose di tale conforto da valere più ancora di quella guarigione[321].
NON senza commozione si legge nella citata lettera al Duca di Norfolk con quali accenti Don Bosco ne implorasse l'aiuto per la chiesa del Sacro Cuore. Se pensiamo che egli si esprimeva così nell'ultima sua malattia, diciotto giorni appena prima di lasciare la terra, si può ben dire che dal 1881 quell'impresa romana fu il suo incubo fino all'ultimo respiro. Per essa in lacrimevoli condizioni di salute affrontò viaggi laboriosissimi, che contribuirono non poco a ridurlo in quello stato di prostrazione estrema. “Io, depone Don Cerruti nei processi[322], che accompagnai varie volte Don Bosco nei viaggi per l'Italia e per la Francia del Sud in cerca di danaro per la costruzione di quella chiesa, ho potuto assistere agli enormi strapazzi e alle immense sofferenze fisiche e morali a cui si sottopose per eseguire il desiderio del Papa. Sono anzi intimamente persuaso che quegli strapazzi e quelle sofferenze abbreviarono la vita di lui ”.
Dobbiamo ripetere qui la solita antifona: intorno alla chiesa i lavori procedevano, procedevano anche i preparativi per l'ospizio; ma con questo spese si aggiungevano a spese, nè l'obolo raccolto era sufficiente a sopperirvi. Ora nel proporre alla munificenza del Santo Padre che si degnasse assumere [528] l'erezione della facciata, Don Bosco aveva avuto in mira di crearsi un nuovo spediente con cui stimolare vieppiù la generosità dei fedeli. Cominciò con darne la pura e semplice notizia ai Cooperatori torinesi nella conferenza del 23 maggio 1884, quindi ai Cooperatori tutti con la circolare del 31 successivo. Già l'augusto esempio venuto così dall'alto costituiva di per sè un incitamento a soccorrere l'opera. Ma Don Bosco non si fermò lì. L'Unità Cattolica del 20 giugno, da lui ispirata, esortava con due articoli i cattolici italiani a inviare offerte per alleviare al Papa l'onere assunto. Diceva nel primo articolo: “Al pari del Sovrano Pontefice anche Don Bosco è un mendico e vive di accatto. Invoca la carità cattolica, ma non per sè. Sapete che cosa spende Don Bosco all'anno? Tre milioni, e, se li spende, dee in qualche modo trovarli, e li trova, ossia il Signore glieli manda. Ed ora in Roma, per la chiesa del Sacro Cuore, e l'annesso Oratorio, deve spendere due milioni; ed il primo a venirgli in aiuto è un povero augusto, è il Romano Pontefice, il beneficentissimo Leone XIII. Il quale, nell'ultima udienza accordata a Don Bosco, si addossò tutte le spese per la facciata della chiesa. E forse oltrepasseranno le centomila lire, perchè nella Roma papale le chiese si fabbricano con grande magnificenza, e degna di Roma sarà anche quella del Sacro Cuore. Questa chiesa resterà come una riparazione a somiglianza della cappella espiatoria di Parigi e come un ricordo del danaro di San Pietro e della carità dei cattolici verso lo spogliato Pontefice ”.
In queste ultime parole era adombrato un concetto più ampio, già maturato nella mente di Don Bosco, ma non ancora abbastanza maturo per la divulgazione. Portavoce di Don Bosco presso la Santa Sede anzitutto se ne fece il cardinale Alimonda il 15 ottobre 1884, proponendo di presentare agli Italiani l'erezione della facciata come un voto nazionale al Sacro Cuore di Gesù e d'invitarli a contribuirvi con le loro offerte. La proposta ebbe favorevole incontro, come lo dimostra questa lettera del Segretario di Stato all'Arcivescovo di Torino. [529]
Em.mo e Rev.mo Signor mio Oss.mo,
Mi sono dato ben volentieri la cura di riferire al Santo Padre il progetto, di cui Vostra Eminenza mi tien parola nel suo foglio del 15 del corrente, e godo di significarle che esso ha incontrato la piena approvazione della Santità Sua, la quale ne benedice di cuore non solo gli autori e favoreggiatori, ma tutti altresì i pii fedeli italiani che contribuiranno con le loro offerte al designato Voto nazionale al Sacro Cuore di Gesù. Se, come non è a dubitarsi, il progetto avrà esito favorevole, resterà di questo perenne memoria nella facciata che con tali offerte si compirà nella chiesa del Sacro Cuore in questa capitale. E, prevenendola che tanto dell'approvazione del progetto, quanto della benedizione del Santo Padre agli ascritti al Voto nazionale, si può fare menzione nell'appello da pubblicarsi in proposito, mi onoro confermarle i sensi del profondo ossequio onde le bacio umilissimamente le mani. Di Vostra Eminenza.
Ma prima che la cosa venisse comunicata al pubblico, Leone XIII il I° febbraio 1885 fece una restrizione al progetto dell'Alimonda. Volle che per raccogliere le offerte destinate alla costruzione della facciata si stabilisse un centro unico, il Cardinale stesso, e che tutto il danaro degli oblatori italiani venisse rimesso in Vaticano. Don Bosco intuì subito gl'inconvenienti che sarebbero potuti derivare da siffatta disposizione, tanto più che le sue preoccupazioni ricevettero tosto una eloquente conferma. Il Superiore Generale dei Fratelli delle Scuole Cristiane, quando fu a Torino il 15 febbraio con le ventimila lire de' suoi religiosi[323], non le potè consegnare a Don Bosco, ma le dovette portare a Roma, avendo esse carattere di contribuzione alle spese della facciata e conoscendosi dal Santo quale fosse il volere del Papa. Ma quanti giri e rigiri dovette poi fare Don Dalmazzo per arrivar a disporre di quella somma![324].
Intanto i debiti aumentavano. Per giunta la contabilità [530] andava molto male, perchè Don Dalmazzo nè s'intendeva di quei lavori nè aveva tempo di badare seriamente ai conti, sicchè le uscite restavano senza verifica. Don Rua, che in maggio era andato a visitare i Salesiani e le Suore in Sicilia, avrebbe voluto nel ritorno esaminare lo stato delle spese fatte, ma vi si richiedevano più giorni che egli non ne potesse disporre. Quindi il 12 giugno propose in Capitolo la sospensione dei lavori finchè le partite non fossero aggiustate. Don Bosco disse: - Si scriva a Don Dalmazzo in questo senso: si sospendano i lavori, si verifichi nel frattempo quanto costano le costruzioni e le provviste già fatte, e poi Don Sala, se farà bisogno, andrà a Roma per concludere di presenza il contratto con l'impresario Cucco. Bisogna pensare seriamente ai mezzi. Il Santo Padre ha date le ventimila lire offerte dai Fratelli delle Scuole Cristiane di Francia. In quanto al progetto del cardinale Alimonda per l'appello ai Cattolici Italiani col mezzo dei Vescovi, il Papa lo aveva approvato; ma ora pare che il Cardinale Segretario di Stato l'abbia limitato alla diocesi di Torino. Questo era un aggravar troppo i diocesani torinesi. Il cardinale Alimonda fa conto di scrivere una seconda volta. Intanto scriverò io al Cardinale Segretario di Stato, perchè ci venga in aiuto, essendo non poche le elemosine che vanno al Papa per la chiesa del Sacro Cuore. -Ciò detto, lesse le seguenti osservazioni da lui poste in iscritto nel 1884, quand'era a Roma: “I° Controllare ciò che entra e ciò che esce. -2° Vegliare sui prezzi che si sono fissati. - 3° Vegliare sui materiali che si potrebbero asportare altrove, avendo il capo fabbrica altre costruzioni incominciate altrove: come carretti, mattoni, calcina ecc. - 4° Vegliare che non si sciupi o si rubi materiale, specialmente le tavole”[325].
Ma il progetto intero di Don Bosco per la facciata del Sacro Cuore aspettava ancora il momento opportuno, perchè vi si [531] desse pubblicità. Egli l'aveva studiato fin dall'inverno con il cardinale Alimonda, con i monsignori Bertagna e Cagliero e con il teologo Margotti; poi gl'intralci sopravvenuti ne fecero ritardare l'annunzio, finchè s'arrivò al 25 maggio, nel qual giorno furono inaugurati festeggiamenti mondiali per l'ottavo centenario dalla morte di S. Gregorio VII, e sotto questo titolo i giornali cattolici d'Italia apersero sottoscrizioni di offerte al Santo Padre Leone XIII. Bisognava dunque lasciare che il tramestio per tale ricorrenza passasse. Trascorsero così altri due mesi e mezzo prima che venisse il tempo di agire.
Or ecco che finalmente il 9 agosto l'Unità Cattolica, a imprimere il carattere di solennità e di papalità nella manifestazione, uscì non più listata a lutto come soleva dal 20 settembre del 1870 in poi, ma ornata a festa e dedicava all'argomento tutta quanta la prima facciata e oltre metà della seconda. L'articolo di fondo recava questo titolo: UNA DIMOSTRAZIONE DELL'ITALIA CATTOLICA PER LA CHIESA E PEL PAPA LEONE XIII. Cominciava così: “È giunto ormai il tempo opportuno per rinnovare in Italia una di quelle splendide proteste già fatte parecchie volte sotto il pontificato di Pio IX e del regnante Leone XIII. Ma la nuova protesta non deve soltanto comparire nei giornali che passano, bensì rimanere in un monumento che resti, e si mostri tosto al viaggiatore, appena uscito in Roma dalla stazione della strada ferrata. Chi ne concepì la bella idea è un illustre patrizio piemontese, il conte Cesare Balbo, in cui vive la fede nobile e coraggiosa dell'avo e del padre. Chi ne fa la proposta è il nostro Arcivescovo, l'eminentissimo cardinale Alimonda, il quale ne ha avuto l'approvazione e benedizione del Sovrano Pontefice ”. Come si vede, Don Bosco si eclissava, comparendo invece il conte Balbo quale ideatore e l'Arcivescovo quale presentatore della proposta. Era la solita sua tattica: far lavorare gli altri per i suoi fini ed egli starsene dietro le quinte. - Questo, disse a Don Viglietti, è l'unico modo per andare [532] innanzi nelle ingenti spese che la chiesa del Sacro Cuore richiede.
Il prefato articolo, accennato all'esempio della Francia con la sua basilica di Montmartre e ricordate le origini di quella del Castro Pretorio, proseguiva: “Affidata la costruzione della chiesa allo zelo intelligente e infaticabile del nostro Don Bosco, non tardò a progredire ed ormai può dirsi compiuta. Il Santo Padre Leone XIII, nel giugno del 1884, sobbarcavasi alle spese ingenti che richiedeva la magnifica facciata. Ma in quello stesso anno sopraggiungeva il colera che minacciava Roma, e l'amoroso e generoso Pontefice, nonostante la sua povertà, profondeva una gran somma di danaro per aprire nel Vaticano stesso un ospedale, a cui egli potesse facilmente accedere. Fu in quel tempo che al conte Cesare Balbo si affacciò la bella idea di proporre all'Italia cattolica un'offerta straordinaria di danaro di San Pietro, da servire al compimento della facciata, e fosse come un voto nazionale degli Italiani che credono, pregano e sperano, ed in pari tempo un atto di gratitudine e di amore al regnante Pontefice, e come un monumento che attestasse non esservi nessun bisogno d'una conciliazione della vera Italia col Papa, giacchè non regna tra loro la discordia ma vivono nella più bella, paterna e filiale armonia[326]. Comunicato il bel pensiero al Santo Padre, egli si degnò di approvarlo e commendarlo, ed ora il nostro Arcivescovo vi aggiunge l'autorità del suo nome e del suo grado, e ne propone l'esecuzione all'Episcopato cattolico della nostra Italia ”.
All'articolo seguiva una serie di documenti, fra cui un appello al popolo cattolico d'Italia e una lettera del Cardinale agli Arcivescovi di tutto il regno. La lettera, che aveva per iscopo la presentazione dell'appello, era già stata spedita da [533] più di tre settimane con esemplari dei moduli per le sottoscrizioni Ecco la lettera all'Episcopato.
Nell'inviare all'Eccellenza Vostra Reverendissima l'unito appello per sollevare il Santo Padre dalla grave spesa della facciata alla nuova chiesa del Sacro Cuore di Gesù, che si sta erigendo in Roma dalla Congregazione Salesiana e che già è aperta in parte come parrocchia, ardisco cosa che oltrepassa i limiti del mio potere, non avendo verso l'Ecc. V, che le relazioni di alta ammirazione, di fraterna carità, di umile servitù. Contuttociò spero di essere perdonato se si riflette che trovomi così vicino e in tanta confidenza coll'esimio D. Giovanni Bosco in questa prima e principale sua Casa, e che divido con lui la penosa ansietà per la conservazione di tante caritatevoli opere colossali e per la fondazione di altre molte, tra cui la chiesa dei Sacro Cuore in Roma e gli annessi edifizi a salvezza dei poveri fanciulletti e del popolo romano.
Dall'altro lato, perchè non avrà da riuscire gradito all'amabilissimo Cuore di Gesù il concorso unanime di tutte le diocesi d'Italia, nel suo nome consacrate, all'abbellimento della sua chiesa come voto nazionale e quale conferma della consecrazione già fatta, ora che nuovi bisogni e nuovi pericoli ci stringono? Ma il più che in ciò m'incuora è il presentarmi che io faccio a Vostra Eccellenza Rev.ma supplichevole e fiducioso in nome del Santo Padre medesimo, il quale in riguardo al bisogno speciale della regione di Castro Pretorio tanto cresciuta di abitazioni e di popolo, e già invasa dai ministri dell'errore, è impaziente di veder condotto a termine e il più che sia possibile adornato il tempio monumentale, cominciato con un primo appello del suo Cardinale Vicario alle diocesi d'Italia e del mondo. Per questo la proposta, per cui invoco il concorso di Vostra Eccellenza Reverendissima, ebbe il favore degli incoraggiamenti e della benedizione apostolica.
Non è poco il fastidio che Le viene a procurare la preghiera di inviare al RR.mi suoi suffraganei copia della presente lettera, dell'appello e dei moduli qui uniti. Ma io confido che la santità dell'opera muoverà lo zelo de' più ragguardevoli suoi ecclesiastici, dei buoni signori secolari, che si sono, tra tante prove, conservati fedeli alla Chiesa ed al Pontefice; confido che non andrà molto che io potrò deporre ai venerati suoi piedi una somma che lo metta in grado di costrurre, non inferiore a quelle delle più celebrate basiliche, la facciata del tempio del Sacro Cuore, la quale, secondo gli studi dell'esimio e compianto architetto comm. Vespignani, toccherà la somma di lire duecento mila. L'appello al popolo cattolico d'Italia, che, come di dovere, s'invia unito alla presente all'Ecc. V. Rev.ma, sarà pur fatto di pubblica [534] ragione sui giornali cattolici, il concorso dei quali giova sperare che tornerà utile alla buona riuscita della nostra impresa. Ed ora non mi resta se non che ringraziare di gran cuore la Ecc. V. Rev.ma dello zelo caritatevole che vorrà impiegare nel promuovere un'opera santa e come tale raccomandata dal Sommo Pontefice. E baciandole rispettosamente le mani, ho l'onore di rassegnarmi
Torino, 16 luglio 1885, festa della B. Vergine del Carmine.
L'appello, steso dall'Arcivescovo stesso, sviluppava eloquentemente il concetto qui sopra appena enunciato, inserendo questo magnifico elogio di Don Bosco: “Vi è un uomo in Italia, un degno ecclesiastico, a cui paiono commessi molti preziosi disegni della divina Provvidenza. Su questo sacerdote pose gli occhi il santissimo Pontefice Leone XIII, e gli disse: - Vi affidiamo l'erezione del gran tempio da consacrarsi in Roma al culto del divin Cuore. Noi vi concorreremo col nostro censo, riserbandoci la costruzione della facciata. - E Don Giovanni Bosco si accinse risoluto all'opera ”. Venendo poi a dire dello stato dei lavori, Sua Eminenza proseguiva: “Già la nuova chiesa poggia alto con larga fabbrica a lato per alloggio di sacerdoti, per asilo di fanciulli poveri che avranno scuole diurne e serali: poggia là nella legione di Castro Pretorio, di faccia alle cappelle ed alle scuole dei protestanti, quasi Arca Santa di rincontro a Dagon; là dove si apre la nuova Roma profana, la Roma borghese, operaia, trafficante e manifatturiera, dove ancora tempio cattolico non è e si patisce al sommo il difetto della religione; poggia là, da quell'altura, donde pare ch'essa debba guardare al mondo e dove intanto, per la prossimità della stazione centrale della via ferrata, è l'incessante arrivo dei forestieri. Il sorgente tempio a vederlo promette bene, vuol esser degno confratello dei monumenti romani; ma esso attende il suo compimento, attende gli ornati e i fregi che lo decorino; il mirabile Don Bosco, [535] allenandosi ad una co' suoi figli della Congregazione Salesiana, vi ha già profuso tesori; altri tesori si richiedono a raffinirlo del necessario. Pure, dove anche l'operosità dei Salesiani arrivi a questo, non ogni cosa sarà compiuta. Il tempio aspetta la sua classica facciata dal Papa ”. E qui esponeva il già fatto e il da fare per l'esecuzione della proposta[327].
Il Viglietti a Mathi lesse durante il pranzo a Don Bosco e ai commensali le due facciate del giornale, che contenevano il lungo indirizzo. Facendosi questa lettura, tutti notavano l'indifferenza e la tranquillità del Santo nell'ascoltare la litania delle sue lodi; anzi nel punto più bello, avendo il bicchiere in mano, bevette come se nulla fosse. Dopo fece scrivere a Don Lemoyne che si ristampasse tutto in un opuscolo a parte da inviarsi ai Cooperatori[328].
Le risposte dei Vescovi non si fecero aspettare[329]. Don Bosco se ne consolava con il conte Balbo, attribuendo sempre ogni cosa a lui, ma insieme svelando senza volerlo chi fosse il vero animatore, in una frase nella quale c'è tutto lui.
Come certamente ha potuto conoscere, il suo pensiero, il suo progetto fu accettato dal S. Padre e speriamo avrà buoni risultati, come le prime prove ci assicurano. Senza fare rumori noi lavoreremo indefessi pel Sacro Cuore di Gesù. Larga ricompensa è assicurata. Non è vero?
Sabato faremo particolari preghiere a Maria SS. affinchè benedica tutta la sua famiglia, la protegga, la conservi in sanità e santità, e così la possa vedere tutta raccolta un giorno intorno a sè in Paradiso.
Umili ossequi a Lei, a mamma, alla c.ssa Maria e a tutta la schiera de' suoi angioletti, e si degni pregare anche per me che ho l'onore di potermi professare
Anche la voce del Papa si fece udire. Nella festa di S. Gioachino, suo onomastico, intrattenendosi con i Cardinali, dopo aver lamentata la distruzione di alcune chiese a Roma per ragioni edilizie, raccomandò expressis verbis le questue per poter edificare la facciata della chiesa del Sacro Cuore[330].
Come il Santo Padre aveva fatto intendere esser suo volere che le offerte confluissero nelle mani dell'Arcivescovo e da lui fossero spedite in Vaticano, così nulla era più stato detto che accennasse a mutazione di sentimento. Perciò Don Bosco, in pieno accordo col Cardinale, si accinse a regolare questa partita e fece le cose a modo. Fu istituita a Torino, sotto la presidenza dell'Arcivescovo, una solenne Commissione incaricata di ricevere le offerte delle diocesi italiane e trasmetterle a Roma. Detta Commissione, avente sede nel palazzo arcivescovile, doveva rendere conto delle oblazioni di mano in mano che vi fossero somme notevoli da inviare; l'Unità Cattolica pubblicherebbe elenchi di offerte con i nomi degli offerenti. Quanto ai moduli, le Curie ne facessero domanda al secretario della Commissione, e ogni parroco si provvedesse presso la Curia della rispettiva diocesi[331].
Sembrava che tutto andasse a seconda, quando l'inferno macchinò un colpo, che poteva avere disastrose conseguenze. Il 29 settembre, alle sette della sera, una mano incendiaria tentava opera di distruzione, appiccando il fuoco all'armatura della chiesa. Le varie colonne dell'armatura esterna si componevano [537] di quattro travi ciascuna, tenuti uniti da pezzi di travicelli inchiodati. Fra due travi un qualche malvivente aveva gettato liquido infiammabile e quindi apposto un zolfanello. In pochi istanti le fiamme avevano investito tutto il, cannicciato posto per sicurezza dei passanti e raggiungente l'altezza del tetto. Se il fuoco fosse penetrato nell'interno, avrebbe trovato alimento nell'intera armatura, calcolata del valore di sessantamila lire, senza dire di altri danni. Ma la Provvidenza non permise tanta rovina: cinque pompe arrivate in tempo, lavorando con intensissima attività, arrestarono l'incendio. Non constò mai che la polizia si occupasse del grave attentato per iscoprirne l'autore. Quella facciata doveva essere un monumento papale; ma in quei tristi tempi ogni dimostrazione papale a Roma attizzava feroci ire settarie.
L'Appello fruttò la somma di 172 mila lire; ma ben più si sarebbe raccolto, se, temendosi di paralizzare le offerte dell'obolo per il giubileo sacerdotale d'oro del Santo Padre, celebratosi nel 1886, non si fosse creduto prudente arrestare nel luglio di quell'anno la questua.
Don Bosco escogitò ancora un'altra forma di contribuzione. Per ogni casa salesiana doveva essere un onore il potersi far rappresentare nell'opera monumentale. Quindi, approssimandosi la riapertura delle scuole, scrisse ai Direttori; proponendo loro due mezzi per venirgli in aiuto: destinare a questo scopo le offerte solite a farsi dagli alunni interni ed esterni nell'onomastico del Direttore e invitare a concorrere le persone amiche dei singoli istituti.
É mio vivo desiderio che ciascuna casa della nostra pia Società sia in qualche modo rappresentata nella Chiesa monumentale del S. Cuore di Gesù, che si va ultimando a Roma.
A tal effetto ti prego caldamente di promuovere una sottoscrizione fra gli alunni interni ed esterni che frequenteranno cotesta casa nel p. v. anno scolastico unendovi eziandio per questo santo scopo in denaro l'offerta che i giovani sogliono fare nell'Onomastico del loro Direttore. [538]
Allo stesso fine studia anche invitare quei Cooperatori Salesiani che sono in particolare relazione colla famiglia affidata alle tue sollecitudini particolari. Queste offerte mentre saranno per me una consolante cooperazione nelle fatiche e nei disagi, che sostengo per questa grandiosa costruzione, gioveranno poi in modo particolare per attirare sopra cotesta tua casa e sopra tutti i benemeriti oblatori quei larghi favori promessi dal S. Cuore di Gesù. Imperciocchè egli assicurò di spargere copiose benedizioni per tutte le intraprese de' suoi divoti e di essere il loro rifugio sicuro in vita e specialmente al punto di morte.
Il danaro così raccolto invierai qui a me determinando eziandio se lo desideri, quell'oggetto che vorresti con esso provvedere da rimanere in quella Chiesa come dono di cotesta Casa.
Le divine benedizioni discendano copiose sopra di te, sopra i tuoi allievi, e sopra tutti i nostri benemeriti Cooperatori, e la pietosa Vergine Maria ci guidi sicuri per la via del Cielo. Così sia.
Poco abbiamo da dire dell'ospizio, quanto ai lavori. Le fondamenta murarie in dicembre erano ultimate, sicchè nel dì dell'Immacolata monsignor Manacorda, vescovo di Fossano, benedisse con solennità la pietra angolare. Padrino e madrina della cerimonia sarebbero dovuti essere il conte e la contessa Colle; ma, impediti essi di venire, ne fe' le veci un amico della famiglia domiciliato a Tolone, il generale conte d'Oncieu della Bâtie con la consorte e la suocera contessa di Soardo della Serraz. Nella pergamena di rito Don Bosco volle affermato anzitutto lo scopo dell'erigendo edificio, che era dì “accogliere, per sottraila alla corruzione e alla rovina, la gioventù d'ogni paese, che, attratta nella metropoli del mondo cattolico dalla speranza di trovarvi fortuna o almeno lavoro, vi rimaneva esposta, per la maggior parte del tempo, ai più gravi pericoli ”. Ma per tre quarti il documento conteneva l'elogio dei conti Colle. Detto partitamente delle loro persone, si continuava così: “La carità da cui erano animati non poteva permetter loro d'ignorare l'ospizio costruito da Don Bosco, per il quale nutrivano una stima e un'affezione non mai smentite e tanto maggiori in quanto che apprezzavano [539] altamente la sorte di essere stati da lui associati a tutte le sue opere di carità e di religione. Sebbene sia vero che Iddio di misericordia ha scritto sul libro della vita tutti i loro atti virtuosi e che Egli saprà rendere ad essi una ricompensa proporzionata al merito, tuttavia noi abbiamo voluto serbarne qui breve memoria a esempio di chi aprirà un giorno questo documento e lasciare un ricordo della gratitudine nostra e di tutti per gli inesauribili benefizi del signor conte e della signora contessa Colle. E mentre la preghiera della riconoscenza s'innalzerà quotidianamente, quale odoroso incenso, dalle labbra dei fanciulli al trono di Dio per i loro benefattori, noi abbiamo la ferma speranza che Dio nella sua bontà susciterà in mezzo al suo popolo altri uomini che imiteranno sì bell'esempio e mostreranno i medesimi caritatevoli sentimenti verso la gioventù povera e abbandonata. Tale esempio speriamo che contribuirà a eccitare lo zelo dei nostri Cooperatoti e che mediante la loro generosità ci sarà presto dato di terminare l'opera intrapresa col fine di condurre a Dio tanti poveri giovanetti esposti al pericolo di starne sempre lontani ”[332].
La Lotteria intanto continuava il suo corso. Completeremo qui la narrazione cominciata e proseguita in due capi antecedenti[333]. I Cooperatori e le Cooperatrici ebbero largo campo di esercitare la loro carità con la vendita dei biglietti. Don Bosco ne aveva già encomiato lo zelo e il disinteresse nella circolare del gennaio 1885. “Moltissimi, diceva egli, non paghi di ritenere e smerciare i primi biglietti ricevuti, ne domandarono ancora; non pochi mi fecero tenere il prezzo ed insieme i biglietti medesimi, affinchè li distribuissi ad altre persone, riscuotendone nuovamente l'importo. Questo disinteresse e questo slancio di tante persone nel porgermi la mano ad operare il bene mi è di grande conforto, e mi fa scorgere l'intervento di Dio; poichè stante la critica annata questo sentimento e questa sincerissima prova di carità non può spiegarsi [540] senza ricorrere coi pensiero a quel Dio che è padrone dei cuori, rendendo loro facili le opere stesse che naturalmente tornerebbero ardue e difficilissime ”.
Durante il 1885 fu messa in ordine l'esposizione dei doni per i premi. Tale esposizione era così interessante che attirava visitatori, i quali poi generalmente non partivano senza fare acquisto di biglietti. A confessione di tutti una mostra simile non erasi mai veduta a Roma. Diamone in succinto la descrizione.
Occupava essa i nuovi locali attigui alla chiesa, fra cui l'ambulacro e le due sacrestie inaugurate il 20 gennaio, i quali ambienti formavano i tre primi e maggiori saloni. Il primo, delle vetrerie, conteneva tutti gli oggetti di cristallo grandi e piccoli con lo scintillìo di mille colori, sicchè si provava l'illusione d'attraversare una sala di Murano. Nella seconda, del legname, si vedevano opere d'intarsio in mogano e in noce d'India, svariati e squisiti intagli dell'arte del traforo, finissimi lavori in tartaruga e in avorio. Il terzo, del libro, aveva l'aspetto di una ricca biblioteca; vi figuravano autori di teologia, di filosofia, di scienza, di letteratura, di ascetica; nè mancavano alcuni incunabuli del quattrocento e del cinquecento, che inuzzolivano gli antiquari.
Venivano appresso cinque altre sale minori. In una pendeva dalle pareti e copriva larghi tavoli una collezione magnifica di ceramiche e porcellane: vi si ammiravano colossali e splendidi vasi giapponesi, servizi da tè e da caffè, mille scherzi d'animali dall'elefante al topolino e dall'aquila alla farfalla, non che di rettili e pesci; statue, statuette, statuine su piedistalli di marmo o di legno intarsiato. Un'altra sala racchiudeva i valori e vi brillavano in bacheche e vetrine oggetti d'argento e d'oro, parecchi dei quali tempestati di gemme; inoltre, astucci, cassette, cassettini, i così detti necessaires, adorni d'argento e di pietre preziose; infine orologi e gioiellerie. I Cooperatori d'Italia e di Francia avevano gareggiato in mandare collane, pendenti, spilloni, braccialetti e anelli di [541] pregio. Vi abbondavano poi cose minori in bronzo ed altri metalli. Le ultime tre sale erano riserbate ai lavori donneschi, inviati a profusione: ricami in seta, in filo, in lana e varietà stragrande di merletti.
Non c'era una sala apposita per la pittura; ma in ogni sala comparivano frequentissimi i quadri appesi alle pareti, e parecchi d'autore; fra questi spiccavano due fiamminghi valutati a venticinque mila lire ciascuno.
Il catalogo a stampa elencava cinquemila e settecento premi; ma se ne aggiunsero in seguito altri duemila e seicento. L'estrazione fissata per la fine di aprile fu prorogata, con licenza della competente autorità, fino al 31 dicembre. Tre motivi avevano costretto Don Bosco a far chiedere tale autorizzazione: il numero rilevante di biglietti che rimanevano da collocare, il giungere di sempre nuovi oggetti e il bisogno di danaro per le costruzioni e per l'estinzione dei debiti.
Negli ultimi mesi dell'anno Don Bosco si adoperava a più non posso sia per ritirare i biglietti spediti e rimasti invenduti, sia a smaltirne da ogni parte, scrivendo anche a personalità italiane ed estere[334]. In Italia diramò per il duplice scopo una circolare.
Domando alla S. V. un benigno compatimento, se io un ricorso speciale alla sua sperimentata carità e benevolenza. Col 31 dicembre avrà luogo l'estrazione della Lotteria, iniziata tempo fa a vantaggio dell'Ospizio e della Chiesa del Sacro Cuore di Gesù in Roma. Tutti i Cooperatori Salesiani e le Cooperatrici con lodevole gara hanno voluto prestar la mano a quest'opera di carità e di religione, ricevendo biglietti, smerciandoli tra i loro conoscenti ed amici, ed inviandone a propria destinazione il prezzo, di mano in mano che ne erano in grado. Fra queste benevole persone io sono lieto di annoverare eziandio la S. V. Benemerita, e ne la ringrazio di tutto cuore.
Ma avvicinandosi il giorno fissato per la detta estrazione, ed avendo ancora presso di me alcune migliaia di biglietti da distribuire, mi veggo costretto a pregare la S. V. di un nuovo favore. Se mai Ella avesse ancora la possibilità di ritenerne o la speranza di smerciarne [542] in coteste parti, mi usi la carità di farmene dimanda aiutandomi in quest'opera come ha fatto finora. Se poi ne possedesse ancora dei primi ricevuti e non intendesse di ritenerli per sè Ella mi farebbe parimenti un grande servizio se volesse distribuirli al più presto possibile, riscuoterne il prezzo e, mandarmelo a Torino. Se al contrario non le riuscisse più di farli fuori in alcun modo, abbia la bontà di ritornarmeli tosto, affinchè io tenti la prova di smaltirli altrove in tempo utile.
Conosco che io mi sono già troppo abusato della bontà e benevolenza della S. V., ma Ella non ignora che io invocai la carità sua a vantaggio di tanti poveri giovanetti erranti nell'abbandono e nei più gravi pericoli dell'anima e del corpo; la invocai a complemento di un'opera di pietà e di religione, la quale sta molto a cuore al Sommo Pontefice Leone XIII, e deve tornare a gloria del Sacro Cuore di Gesù, ad onore della Chiesa Cattolica, a profitto della civile società. Per queste ragioni, che in un animo gentile valgono più che ogni altra, io confido che la S. V. non mi vorrà negare l'implorato favore, che anzi sarà lieta di poter cooperare in tale modo a sollievo delle umane miserie, colla dolce speranza in cuore di riceverne in premio il centuplo da Dio promesso in questo mondo e la vita eterna Dell'altro.
Pieno di profonda gratitudine prego Dio e la Vergine Ausiliatrice che spandano sopra di lei e dei suoi cari il manto di loro divina e celeste protezione, mentre ho l'onore di professarmi con alta stima e grande rispetto.
Sac. GIOVANNI BOSCO[335].
Il Bollettino in quasi ogni numero aveva, un trafiletto che serviva a tener desta l'attenzione. Finalmente annunziò l'estrazione dei premi; ma l'esito non potè venir pubblicato molto presto, grande essendo stato il lavoro che ci volle per ordinare, scrivere e dare alle stampe con la dovuta precisione [543] i numeri estratti. La pubblicazione si fece mediante un supplemento al Bollettino di febbraio.
La vendita di numerosi premi non ritirati fruttò ancora un utile discreto. Quale poi sia stato il profitto netto della Lotteria, non abbiamo avuto modo di appurarlo; certo è che Don Bosco ne rimase soddisfatto, poichè nella sua circolare del gennaio 1886 ai Cooperatori disse: “In tutto l'anno i biglietti smerciati furono la più grande risorsa per la continuazione dei lavori ”.
DI poche case e di poche proposte faremo menzione in questo capo, di quelle sole che oltre al già esposto e narrato nelle pagine precedenti ci offrano l'occasione di riferire ancora qualche pensiero o qualche atto notevole nel nostro Santo, come pure cose scritte da altri pro o contro di lui e della sua Opera.
Di case ve n'erano parecchie, le quali, sparse in distanti territori, formavano un'Ispettoria sui generis, direttamente soggetta al Capitolo Superiore; cioè oltre quelle di Spagna, le case di Este, Mogliano Veneto, Faenza, Roma, Magliano Sabino, Randazzo. Ne teneva il governo Don Rua; ma il cumulo di affari che gravavano sulla sua persona e ne assorbivano le laboriose giornate, lo indusse nel 1885 a proporre la nomina di un uomo prudente, a cui fosse commessa quella cura. Don Bosco però la pensava diversamente nè credette ancora venuto il tempo di prendere tale provvedimento: soltanto l'autorità di Don Rua gli dava affidamento che in quelle case, poste fuori dell'orbita di Superiori immediati, si mantenesse lo spirito della Congregazione. Don Rua, conosciuto il volere di Don Bosco, piegò docilmente il capo.
Toccheremo ora di alcune case d'Italia che Don Bosco visitò fra il cadere dell'estate e il sorgere dell'autunno e di alcune altre delle quali egli ebbe a occuparsi nel corso del 1885. Durante i mesi accennati in tre sole case si recò personalmente, [545] cioè a Valsalice, a Nizza Monferrato e a S. Benigno. Nella più vicina di tutte, a S. Giovanni Evangelista, non ci risulta da, documenti scritti o da precise memorie ch'ei siasi recato; ma di essa trattò con il suo Capitolo per una questione che si poteva dire di vita o di morte e poi la scelse per dimora ospitale di un esimio Prelato dimissionario.
La sanità dei Figli di Maria, che nell'autunno del 1884 avevano preso stanza a S. Giovanni Evangelista, non era più così buona come a Mathi e a Sampierdarena; Don Bosco se ne mostrava impensierito. Nella seduta del io luglio vi richiamò sopra l'attenzione dei Capitolari dicendo: - Già numerosi Figli di Maria sono per infermità ritornati ai loro paesi. Ne sarà causa l'aria? o l'umidità del locale nuovo? o il troppo studio? o le altre occupazioni? Don Rua inviti il nostro medico dottore Albertotti, il medico di quella casa e il dottor Fissore a fare una visita sanitaria e poi riferire. È anche da notare che quella casa presenta difficoltà dal lato della modestia per le sue finestre.
Senz'aspettare il parere dei sanitari si giudicò potersi annoverare fra le cause del malessere il non venire ben regolate le occupazioni, il scendere sudati nei sotterranei dov'erano il refettorio e la cappella, il mettersi al lavoro troppo presto dopo il pranzo, la smania di studiare, il cambiamento totale del genere di vita: per giovani avvezzi prima in gran parte a lavori campestri doveva tornar duro il vivere chiusi fra quattro mura. 1 tre medici dunque, studiate sul luogo le condizioni igieniche dell'ambiente, suggerirono rimedii di facile applicazione, escludendo il trasferimento della sede; poichè erasi financo ventilata l'idea di acquistare a Ciriè per questo eventuale tramutamento un capace edifizio, che il dottor Turina avrebbe voluto vendere a prezzo discreto. Tutto infatti [546] si ridusse a modificare il regime, e tanto bastò perchè non si dovessero più ripetere i lamentati inconvenienti.
Sì paterna sollecitudine getta nuova luce sul gran conto che Don Bosco continuava a fare de' suoi Figli di Maria; anzi in quella medesima seduta capitolare riaffermò il suo modo di vedere, osservando: - I Figli di Maria in gran parte rimangono nostri e ne abbiamo parecchi vantaggi a coltivarli. Anzitutto non urtiamo i Vescovi, che generalmente non li curano temendo della loro condotta e preferiscono i giovanetti; poi i parenti ne contrastano meno la vocazione, ed essi medesimi hanno pochi progetti in testa, mentre nei giovanetti la fantasia crea mille speranze; infine le autorità scolastiche se ne impacciano meno e non sono tanto gelose di scuole simili.
Riparlò di questa sua cara Opera nell'adunanza dei 17 settembre, spiegando un altro aspetto del suo pensiero. - Figli di Maria, disse, sono per l'azione, mentre i piccolini che vengono su nelle nostre case saranno per la scienza. A Don Durando parve che con l'andare del tempo i Figli di Maria si sarebbero potuti scoraggiare, avvedendosi di essere nel sapere inferiori ai nuovi venuti, più giovani di essi; ma i fatti diedero ragione a Don Barberis, il quale riteneva che ciò non fosse per avverarsi. Formati come aveva preso a plasmarli Don Rinaldi, non ambivano di figurare per dottrina, ma anelavano soprattutto alle opere dello zelo sacerdotale. Non mancarono però anche tra i Figli di Maria ingegni robusti, che fecero buona prova negli studi.
La casa di S. Giovanni Evangelista ebbe per volontà di Don Bosco l'onore di offrire nel 1885 degna dimora a un venerando ospite, costretto dalla cattiveria degli uomini a chiudere in silenzioso ritiro la sua vita di apostolato. Brilla nel fatto la carità riconoscente di un Santo e l'umiltà edificante di un virtuoso Presule. Monsignor Basilio Leto, vescovo di Biella, aveva da lunghi anni amato, ammirato e favorito Don Bosco. Il suo Episcopato urtò fin da principio in due gravi [547] difficoltà: una successione difficile e l'avversione del Capitolo. Succedere a monsignor Losana importava un compito assai arduo, perchè in circa trent'anni di governo si erano introdotti nella diocesi vari abusi, sicchè il nuovo eletto comprese subito di dover sacrificare se stesso per agevolare la via a chi sarebbe venuto dopo di lui. Monsignor Leto era dolcissimo di maniere, affabile con tutti e pieno di umiltà; il che dispiaceva a quanti erano avvezzi ai portamenti aristocratici di monsignor Losana. Si diceva che il nuovo Vescovo non rispettava la propria dignità, perchè talora intonava alla sera il rosario nella Cattedrale, ed era stato veduto financo accendere le candele all'altare e accomodar la lampada dinanzi al Santissimo Sacramento. Un giorno Don Costamagna, andato a visitare le Figlie di Maria Ausiliatrice presso il seminario, dove alloggiò, e sceso in sacrestia alle cinque per dire la Messa, vi trovò preparato tutto il necessario: Monsignore, solito a levarsi per tempissimo, aveva disposto ogni cosa. Dovendo poi Don Costamagna partire subito dopo, trovò pronto anche il caffè, che la mano paterna del Vescovo gli aveva apparecchiato.
Orbene contro quest'uomo così buono furono portate a Roma accuse gravissime e calunniose. La sua fantesca, una vecchia gobba e sciancata e d'un naturale belluino, era stata posta da lui nella cucina delle suore, affinchè insegnasse l'oro a preparare le vivande per il seminario; ma le poverine tremavano dinanzi a quella megera, che brandiva perfino rabbiosamente il coltello inseguendole. Finalmente Monsignore, quando l'exequatur gli permise di lasciare il seminario per prendere possesso dell'Episcopio, cedette alle preghiere di Don Costamagna e la tolse di là; ma invece di licenziarla, mosso dalla sua grande carità, la tenne in palazzo per sua cuoca.
Purtroppo però la carità non ammansa le vipere. Una sera Monsignore ode verso la mezzanotte uno schiamazzo in cucina; discende e trova la donna a sbevazzare con alcuni servitori. Sdegnato intìma a costoro di ritirarsi nelle proprie stanze, e quindi esce nel cortile per calmare, passeggiando, il suo spirito [548] alquanto agitato dopo sì spiacevole sorpresa. Ma il peggior guaio venne appresso. Quando fece per rientrare, la porta aveva tanto di catenaccio, e invano egli bussava per farsi aprire. Fortuna volle che, avendo in saccoccia la chiave del seminario, potesse andare ivi nella sua camera di prima per dormire. E proprio su questo fatto i suoi avversari fabbricarono uno strano castello; il che riuscì tanto più agevole, perchè la mitezza del Vescovo anche dopo una simile infamia non procedette a discacciare la donna malefica.
A Roma, esaminate le questioni, vista la pertinacia degli oppositori e l'impossibilità di un accordo, temendosi inconvenienti e scandali, si giudicò prudente invitar Monsignore a rassegnare le dimissioni; ma in pari tempo gli si ordinò di continuar ad occupare la Sede e amministrare la diocesi, finchè non fosse nominato il successore. Questo atto, se ne ristabiliva l'onore, perchè dimostrava come si ritenessero insussistenti le accuse, gli gravò le spalle di una croce ben pesante, dovendo egli muoversi fra avversari che cantavano vittoria. Lo prese inappetenza, un fitto dolor di capo gli trafiggeva dì e notte le tempia, e in certi momenti il sant'uomo sembrava inebetito.
Ma la Provvidenza vegliava su di lui. Appena sottoscritte le dimissioni, aveva esclamato fra sè: - Oh se Don Bosco mi permettesse di ritirarmi presso la chiesa di S. Giovanni Evangelista, mi pare che riavrei la mia tranquillità e chiuderei i miei giorni in pace! - Non palesò per altro a nessuno il suo pensiero. Or ecco che, giunta a Torino la notizia delle sue dimissioni, Don Bosco, che la ricevette mentr'era a tavola, disse: - Povero Vescovo! Era tanto nostro amico e benefattore! Non sarebbe cosa conveniente, anzi doverosa scrivergli che venga a stare con noi?
- Dove gli si potrebbe dare alloggio? chiese Don Durando. Qui all'Oratorio non sarebbe possibile.
- A San Giovanni, rispose Don Bosco. La' si potrebbe preparargli un appartamento non disdicevole ad un Prelato. [549]
Tu, Don Durando, scrivigli subito e a mio nome invitalo ad accettare la nostra esibizione.
Ma qui taluno affacciò due savie considerazioni. Due Canonici del Duomo di Biella erano venuti all'Oratorio per pregare Don Bosco di appoggiare la loro causa contro il Vescovo presso la Sacra Congregazione. Naturalmente Don Bosco vi si era rifiutato. Ora l'offrire subito a monsignor Leto la casa di San Giovanni non sarebbe come dare uno schiaffo a quel Capitolo e aver l'aria d'intromettersi in sì ardente questione, sollevando temibili avversari contro i Salesiani? Oltre a questo, un invito per quanto grazioso creava delle obbligazioni, una volta che fosse accettato: una persona invitata nella propria casa acquista il diritto di essere trattata in modo conforme alla sua dignità, nè per quanto si faccia, si fa mai troppo. Non sarebbe dunque meglio aspettare, se mai monsignor Leto domandasse di venire presso Don Bosco? Allora non si avrebbero da temere rimostranze, quasi si fosse voluto condannare la condotta de' suoi avversari, e i riguardi usatigli tornerebbero sempre a lui stesso più graditi. Don Bosco, udite queste osservazioni, riflettè alquanto e poi disse: - Ebbene, si sospenda di scrivere; prenderemo norma dagli avvenimenti che succederanno.
Intanto la Santa Sede nominò Vescovo di Biella monsignor Cumino, sicchè monsignor Leto doveva lasciare la diocesi. Egli in ultimo aveva deciso di ritirarsi presso l'abate Faà di Bruno; ma il Papa incaricò il cardinale Alimonda di trovargli una residenza in qualche casa religiosa. Il Cardinale ne avvisò Don Bosco, proponendogli anche lui di accoglierlo presso la chiesa di S. Giovanili Evangelista. Don Bosco immediatamente aderì, sicchè monsignor Leto vide compiuto in maniera provvidenziale il suo primo desiderio.
Giunto a Torino, il buon Vescovo fu a pranzo nell'Oratorio. Appariva profondamente abbattuto, come chi si senta colpito da grave castigo. Poco parlò, mangiò pochissimo. Dopo il pranzo andò nella camera di Don Bosco, dove, inginocchiatosi [550] a' suoi piedi, gli chiese la benedizione. Don Bosco non voleva; ma, pressato da lui, lo benedisse. Poi gli pose la mano sul capo. In quell'attimo scomparve il dolore che da più mesi lo torturava, nè mai più gli ritornò.
Andato a S. Giovanni, appena s'incontrò con il Direttore Don Marenco, gli disse: - Vengo per essere annoverato fra i suoi figli e lei mi farà da padre.
- Monsignore, gli rispose Don Marenco, io e tutti i miei saremo i suoi figli. Ella qui è il padre e il padrone.
Tutti i superiori e i giovani l'avevano ricevuto in ginocchio. Monsignore era commosso. Don Marenco lo accompagnò nel miglior appartamento della casa, che Don Sala per ordine di Don Bosco aveva ammobigliato con gusto. Componevasi di una vasta sala per le udienze[336], e di alcune camere per abitazione. Indi gli presentò un prete e un giovinotto pulitamente vestito, che avrebbergli fatto quello da segretario e questo da domestico[337]. - Del resto, soggiunse Don Marenco, tutti i giovani della casa sono al suo servizio. - Alla Messa e in tutte le funzioni veniva trattato da Vescovo. E poichè egli dopo la prima mattina si dichiarò disposto a celebrare in privato senza assistenza: - Che cosa dice mai, Eccellenza? rispose il Direttore. Ella qui faccia conto di essere nel suo Episcopio. Tale è l'intenzione di Don Bosco e noi siamo ben fortunati di dividere con Vostra Eccellenza la nostra abitazione.
Monsignore non aveva parole per esprimere la sua gratitudine. Gli rivenne l'appetito, riebbe la sua giovialità e si sentiva felice. Don Lazzero nel luglio del 1886 scrisse di lui a monsignor Cagliero: “Poverino! Egli credeva che, ritirato così, dovesse essere da tutti dimenticato e si preparava ad una vita triste e malinconica; per contro, vedendosi ad ogni momento invitato per qualche funzione, si sente sollevato, è contento, e questo contento lo esprime con effusione di cuore [551] e va tratto tratto esclamando: - Ringrazio proprio Don Bosco. Io non poteva incontrare sorte migliore. - ”
Leggendone con qualche frequenza il nome nel Bollettino e nei giornali, Vescovi e parroci non provavano quella certa esitazione, che facilmente ci tiene lontani da chi si suppone caduto in disgrazia; onde venivano spesso a visitarlo, e vedendo come Don Bosco lo trattava, colmavano di elogi la bontà del Santo. La sua altezza morale poi spiccò specialmente quando seppe che trovavasi a Torino per una cui a degli occhi il suo principale avversario, un canonico che gli aveva mossa accanita guerra. Monsignor Leto l'andò subito a visitare. Questo tratto di umile carità conquise quell'ecclesiastico, il quale, alla presenza di un suo confidente che ci narrò il fatto, non sì tenne dall'esclamare: -Abbiamo perduto un Vescovo santo!
Don Bosco stette a Valsalice ventitrè giorni continui, dal al 28 settembre. Fin da principio ne risentì giovamento nella salute, che gli andava gradatamente migliorando, sicchè durante un corso d'esercizi potè ascoltare i Confratelli e alla fine fare egli stesso la chiusa con una breve esortazione. In questa raccontò commosso la visita dell'Imperatore Ottone a S. Nilo e dopo un opportuno commento terminò dicendo con le lacrime agli occhi: - Altro io pure non chiedo a tutti voi, se non che vi salviate l'anima.
Presiedette ivi ben quindici adunanze capitolari. In giorni stabiliti i Superiori sì recavano lassù di mattino e tenevano una seduta antimeridiana e una pomeridiana, fuorchè il 24 settembre, in cui si riunirono una volta sola. Erano chiamati da Don Bosco ad assistervi anche Confratelli estranei al Capitolo; così una o più volte leggiamo nei verbali i nomi di Don Barberis, di Don Dalmazzo, di Don Albera, dì Don Francesia, di Don Cerruti, di Don Branda, di Don Pozzan; il qual ultimo [552] doveva riferire su d'una fondazione proposta dai Cooperatoti vicentini, come vedremo, Il Santo prendeva parte alle discussioni, lasciando, come sempre, ai singoli ogni libertà dì esprimere e sostenere il proprio sentimento, anche discordante dal suo.
Sali due volte a Valsalice in quelle settimane il cardinale Alimonda accompagnato dal teologo Margotti e da altri cospicui ecclesiastici torinesi per conferire con Don Bosco intorno agli affari della chiesa del Sacro Cuore[338]. La seconda volta Sua Eminenza e il suo seguito si fermarono a pranzo. Stupivano tutti e gioivano insieme al vedere con quanta familiarità l'Arcivescovo trattasse il Servo di Dio, il quale dopo, passeggiandogli a fianco sotto i portici, andava con lui quasi amichevolmente a braccetto. Il magnanimo Cardinale ne sorreggeva allora la cadente persona con la stessa carità, con cui in ogni tempo ne aveva sostenuta l'Opera.
Dal canto suo il valoroso Direttore dell'Unità Cattolica testimoniava negli atti e nelle parole la devota affezione che da tanti anni lo legava al Santo. Una di quelle volte nel primo incontro gli baciò la mano alla presenza di Don Cerruti, che, intenerito a una dimostrazione tale di rispetto, gli si avvicinò, mentre Don Bosco si andava a sedere un po' lungi dalla finestra, perchè la luce gli faceva male agli occhi, e gli disse: - Io, signor teologo, non posso trattenermi dal ringraziarla a nome mio e dei Salesiani per l'affetto che dimostra verso Don Bosco. - E l'altro: - Come si fa, rispose, a conoscere quell'uomo e non amarlo?
Giunse in quel pomeriggio a Valsalice il pittore Rollini. Da una piccola fotografia, ricevuta dall'America e rappresentante monsignor Cagliero in mezzo ai primi suoi due figli di battesimo, bei giovanotti patagoni autentici, aveva ricavato un dipinto assai interessante e lo portava a Don Bosco. Il buon Padre si deliziava a mirare e a mostrare le care primizie raccolte dal suo grande figlio nella terra de' suoi sogni. [553]
Don Bosco e il suo Capitolo continuavano a curare direttamente gl'interessi anche materiali delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Nella seduta del 20 marzo fu comunicata una memoria del medico di Nizza, che faceva rilevare le condizioni antigieniche dei dormitori nella casa madre; onde vennero subito autorizzate le Suore a far eseguire lavori per arieggiarli sufficientemente. Il 5 giugno, con il beneplacito di Don Bosco, fu presa in considerazione la proposta di Don Bonetti, loro Direttore generale dopo la partenza di Monsignor Cagliero, che per far luogo al crescente numero di postulanti e di novizie si ponesse mano alla costruzione di nuovi locali; e poichè dal medico si protestava contro il soverchio agglomeramento, il 22 dello stesso mese l'economo Don Sala presentò il disegno per innalzare di un piano la casa, al che i Capitolari, annuente Don Basco, diedero voto favorevole.
Il 1885 è rimasto indimenticabile negli annali dell'istituto, perchè il santo Fondatore vi fece la sua ultima apparizione. Benchè vivamente sollecitato da Don Bonetti[339], egli non vi si era potuto recare, come soleva, per gli esercizi delle signore. Il Direttore generale rinnovò le insistenze il 2o agosto, quando volgevano al termine quelli della vestizione e professione, inviandogli a Mathi per mano del Direttore locale Don Bussi una lettera che esordiva così: “Permetta che un figlio preghi con grandissima istanza, e, se mi fosse lecito, comandi rispettosamente al padre. Io che mi trovo sul luogo veggo non solo utile, ma necessario che la S. V. venga a Nizza. Vi sono qui 300 Suore raccolte da tutte le parti per gli esercizi, e in maggior numero appunto per la fondata speranza e per la promessa fatta dalla S. V. Giorni sono Ella scriveva che aveva loro cose importanti da dire. Venga e farà gran bene a ciascuna di esse [554] e a tutto l'Istituto La gloria di Dio e la salute delle anime ed anche la mia tranquillità lo esige. Io mi sono sobbarcato alla croce e la trovo molto pesante. Ho grande bisogno di un efficace aiuto per non soccombere e non iscoraggiarmi. Dopo Dio questo conforto lo attendo da Lei. Non me lo neghi ”.
Anche la Madre Generale scrisse a madre Petronilla, che si trovava a Lanzo, di presentarsi a Don Bosco e dirgli che tante postulanti e novizie, non conoscendolo ancora, bramavano vederlo. Egli, accolta paternamente l'ambasciatrice e udita l'ambasciata, rispose in tono faceto: - Eh, sì! Adesso non comando più io su Don Bosco! Ora Don Bosco ubbidisce a Don Rua e al medico; e se questi me lo permettono, volentieri andrò a Nizza, e là mi metterò ben in alto, perchè tutte mi vedano.
Era ancora di buon mattino, quando madre Petronilla giungeva a Mathi. La accompagnavano due o tre suore della casa di Lanzo. Udita l'ambasciata e data la risposta, Don Bosco pensò che potessero essere ancora digiune. - Avete fatto colazione? domandò loro.
- Sissignore, per istrada, rispose la Madre a nome di tutte.
- E che cosa avete mangiato? riprese Don Bosco.
- Abbiamo mangiato pane con salame.
- Come? riprese Don Bosco, fattosi severo in volto. Così voi osservate le vigilie? Ma brave!
- Oh poverette noi! esclamarono ad una voce sbigottite le suore. Ma noi non lo sapevamo, non abbiamo guardato nell'almanacco.
- Ma dovevate sapere che oggi... è vigilia di domani.
Don Bosco sorrise e le suore riavutesi risero saporitamente, liete d'averlo trovato così di buon umore.
Partì dunque da Mathi la mattina del 22 con Don Bussi e con i chierici Viglietti e Festa e arrivò a Nizza sul mezzogiorno. Il dì appresso celebrò la Messa della comunità, ma diede la comunione soltanto alle Madri e a poche altre. Più tardi assistette alle cerimonie della vestizione e della professione. [555]
Ma come appariva sfinito! Per montare sul piccolo palco, da cui parlavano i predicatori, dovette essere portato quasi di peso dai sacerdoti che lo accompagnavano. A quella vista molte piangevano. Egli pure si mostrava commosso, tanto che tardò un poco a riaversi e a prendere la parola. Disse così:
Vi vedo in buona età, e desidero che possiate venir vecchie, ma senza gl'incomodi della vecchiaia. Ho sempre creduto che si potesse venir vecchi, senza avere tanti incomodi; ma si capisce troppo che questa età è inseparabile da essi; gli anni passano e gli acciacchi della vecchiaia vengono; prendiamoli come la nostra croce.
Questa mattina ho avuto il piacere di distribuire delle croci, e avrei desiderato distribuirne molte ancora; però, alcune l'hanno già, altre la riceveranno poi. Vi raccomando che tutte la vogliate portare volentieri, e a non voler portare la croce che vogliamo noi, ma quella che vuole la Santa Volontà di Dio; e portarla allegramente, pensando che come gli anni passano, passa anche la croce; quindi diciamo: Oh! croce benedetta, adesso tu pesi un poco, ma questo tempo sarà breve, e questa croce sarà quella che ci farà guadagnare una corona di rose per l'eternità. Questo tenetelo bene nella mente e nel cuore e dite spesso con S. Agostino: “Oh! croce santa, fa pure ch'io sudi a portarti qui in terra, purchè dopo la portata della croce venga la gloria ”. Sì, o figlie, portiamo con amore la croce e non facciamola pesare sugli altri, anzi aiutiamo gli altri a portare la propria. Dite a voi stesse: Certo; io sarò di croce agli altri come gli altri sono spesso di croce per me; ma io voglio portare la mia croce e non voglio essere di croce agli altri. E notate bene che dicendo croce, non intendo dire solamente quella croce leggera che ho distribuita stamane; ma intendo proprio dire quella croce che manda il Signore e che, generalmente, contraria la nostra volontà e non manca mai in questa vita, specialmente a voi, o Maestre e Direttrici, che siete particolarmente occupate anche della salvezza altrui. Questa tribolazione, questo lavoro, questa malattia, sebbene leggera, ma che pur è croce, voglio portarla allegramente e volentieri, perchè è proprio quella croce che il Signore mi manda.
Talvolta si lavora molto e si contenta poco gli altri; ma lavorate sempre per la gloria di Dio e portate sempre bene la vostra croce, perchè così piace al Signore. É vero, saranno spine, ma spine che si cangeranno poi in fiori, e questi dureranno per tutta l'eternità.
Ma voi direte: - Don Bosco, ci lasci un ricordo! - Che ricordo posso io lasciarvi? Ecco: ve ne lascierò uno che potrebbe anche essere l'ultimo che ricevete da me; può darsi che ci rivediamo ancora; ma come voi vedete, io sono vecchio, sono mortale come tutti gli altri e, [556] quindi, non potrò durar tanto. Vi lascierò dunque un ricordo, che non vi pentirete mai d'aver praticato: Fate del bene, fate delle opere buone; faticate, lavorate molto pel Signore e tutte con buona volontà. Oh! non perdete tempo, fate del bene, fatene tanto, e non sarete mai pentite d'averlo fatto.
Ne volete un altro? La pratica della santa Regola! Mettetela in pratica la vostra Regola, ed io vi ripeto ancora che non ve ne pentirete mai. Le nostre Regole, vedete, o care figlie, sono infallibili, e ci dànno molti vantaggi, ma il più importante fra tutti è la sicura salvezza dell'anima nostra. Non vi sorprenda la parola infallibile, perchè essendo le nostre Regole approvate dal Romano Pontefice, che è infallibile, ogni articolo delle Regole da Lui approvato, è infallibile. Leggetele, meditatele, procurate di intenderle bene e di praticarle; e fate questo specialmente se siete Direttrici o Maestre od avete qualche occupazione fra gli esterni.
Io pregherò sempre per voi! Nella S. Messa faccio sempre una preghiera speciale per voi, perchè sento che mi siete care figlie nel Signore; ma voi procurate per quanto potete di praticare le vostre Regole. L'osservanza di esse vi farà tranquille nel tempo e felici nell'eternità; consolerà le vostre Superiore e sarà un piacere grande per il vostro povero Don Bosco. Quando si sa che queste Regole sono praticate in tutte le Case, allora si può vivere tranquilli e pienamente soddisfatti. Don Bosco, come voi sapete, non può essere sempre qui con voi; ma ricordatelo bene che, con la preghiera, egli v'accompagna sempre e ovunque; e quando praticatele vostre Regole, voi contentate e seguite la volontà di Dio e quella di Don Bosco.
State allegre, mie care figlie, sane e sante, e andate sempre d'accordo fra voi. E, qui avrei bisogno di ricominciare a parlarvi, ma sono già stanco e bisogna che vi accontentiate di questo poco.
Quando poi scriverete ai vostri parenti, salutateli tutti da parte di Don Bosco, e dite loro che Don Bosco prega sempre e in special modo per essi, perchè il Signore li benedica, prosperi i loro interessi e si salvino, acciò possano vedere in cielo le figlie che hanno donato alla mia Congregazione, cara quanto quella dei Salesiani, a Gesù e a Maria.
Tutto questo ridondi a gloria di Dio e torni pure a nostra eterna salvezza. Pregate pel vostro Don Bosco, per il Papa e per la Chiesa! Ora ricevete la mia benedizione e quella di Maria Ausiliatrice; ve la dò perchè possiate mantenere le promesse che avete fatte in questi giorni dei Santi Spirituali Esercizi.
Dopo la funzione, mentre, passando per il corridoietto della chiesa, si recava all'appartamento de Salesiani, un gruppo di Suore lo circondò. Egli, guardandole con grande bontà e posando l'occhio specialmente sopra una di esse, agitata da certe [557] sue lotte interiori, disse con accento ispirato: Facciamoci santi, se vogliamo che il mondo parli di noi! Il senso era chiaro; bando alle velleità di gloria vana; l'unica gloria vera è quella che viene dalla santità.
Prima di proseguire e ritirarsi accondiscese alle istanze di chi lo supplicava di rivolgere una parola speciale alle Capitolari; quindi, con Don Bonetti al suo fianco, entrò nel parlatorio, dove le Madri aspettavano ansiose tanta grazia, e disse loro: - Oh dunque voi volete che io vi dica qualche cosa. Se potessi parlare, quante cose Vi vorrei dire! Ma sono vecchio, vecchio cadente, come vedete; stento perfino a parlare. Voglio dirvi solo che la Madonna vi vuole molto, molto bene. E, sapete, essa si trova qui in mezzo a voi!
Allora Don Bonetti, vedendolo commosso, lo interruppe, e prese a dire, unicamente per distrarlo: - Sì, così, così! Don Bosco vuol dire che la Madonna è vostra madre e che essa vi guarda e protegge.
- No, no, ripigliò il Santo, voglio dire che la Madonna è proprio qui, in questa casa e che è contenta di voi e che, se continuate con lo spirito di ora, che è quello desiderato dalla Madonna...
Il buon Padre s'inteneriva più di prima e Don Bonetti a prendere un'altra volta la parola:- Sì, così, così! Don Bosco vuol dirvi che, se sarete sempre buone, la Madonna sarà contenta di voi.
- Ma no, ma no, si sforzava di spiegare Don Bosco, cercando di dominare la propria commozione. Voglio dire che la Madonna è veramente qui, qui in mezzo di voi! La Madonna passeggia in questa casa e la copre con il suo manto.
In così dire stendeva le braccia, levava le pupille lacrimose in alto e pareva voler persuadere le Suore che la Madonna egli la vedeva andare ivi di qua e di là come in casa sua e che tutta la casa era sotto la sua protezione. La scena meriterebbe di venire riprodotta da un buon pennello, affinchè, come rimase indelebilmente impressa nell'animo delle presenti, così [558] perpetuasse nel futuro l'atteggiamento del santo Fondatore, allorchè con sì solenne affermazione prendeva l'estremo commiato dalle sue figlie maggiori.
Lasciò per sempre quella casa benedetta la mattina del 24.
Due volte Don Bosco soggiornò a S. Benigno nel tempo di cui stiamo parlando: dal 24 agosto al 4 settembre e dal 28 settembre al 12 ottobre, in periodi d'esercizi spirituali. La prima volta al suo giungere stava per terminare la muta dei giovani aspiranti, ai quali cominciò subito a dare udienza. Nel dì della chiusura celebrò la Messa della comunità, interrotto di tratto in tratto da forti commovimenti interiori. Al Domine non sum dignus il pianto gl'impediva di proseguire; all'Agnus Dei prima di dare la comunione le lacrime gli rigavano il viso. Già da qualche tempo si notava in lui una sensibilità estrema durante la celebrazione del santo sacrifizio con profluvi di lacrime; piangeva poi sempre alla benedizione. A volte anche nel conversare, se voleva prevenire il pianto, bisognava che evitasse argomenti atti a muovere gli affetti.
Il mantenimento della casa di S. Benigno importava spese assai rilevanti, per far fronte alle quali il Direttore Don Barberis non aveva quasi altra risorsa che la paterna carità di Don Bosco. Ma anche Don Bosco, trovandosi talora senza danaro, doveva a sua volta mettere alla prova la generosità de' suoi benefattori. Uno di questi, e di antica data, era il nonagenario Don Benone, prevosto del luogo. Ecco dunque con quale confidenza il Santo ne invocava l'aiuto per sovvenire alle urgenti necessità di Don Barberis.
Da qualche giorno D. Barberis mi sta ai panni per denari con cui pagare alcuni debiti e fare delle provviste di premura. Non sappiamo dove prendere danaro di sorta, di urgenza sono franchi 5000. Se Ella, [559] caro Sig. Prevosto, può venirci anche solo momentaneamente in aiuto, farebbe una grande carità a quell'opera per cui già abbiamo lavorato, e da cui speriamo buoni operai per S.ta Madre Chiesa.
Se fa mestieri, lo stesso D. Barberis ripeterà meco: Date et dabitur vobis specialmente a chi ci dà del pane.
Dopo quegli esercizi si fermò ancora otto giorni a S. Benigno, mentre se ne svolgeva un altro turno per i Confratelli. Era prostratissimo di forze. “Poche volte, scrive A Viglietti[340], l'ho veduto soffrire tanto ”. Il medesimo Viglietti, dovendosi recare a Torino con Don Lemoyne e Don Ronchail, andò in loro compagnia a salutarlo, ed il Santo esclamò singhiozzando: - Mi lasciate tutti qui solo! - Però verso sera lo rividero allegro e contento; fors'anche, come sospettava il segretario, si sforzava di parer tale, come soleva abitualmente la sua tranquillità si rivelò in una faceta risposta a un'osservazione fanciullesca. Un giovane gli aveva detto: - Nella spiegazione del Vangelo il predicatore ha detto che i passeri non lavorano, non fanno mai niente, eppure Iddio provvede loro da mangiare e da vestirsi[341]. Che bella cosa! - E Don Bosco prontamente: - Ma il Signore, mio caro, li lascia anche ingrassare e poi andar a friggere in padella per servire di cibo a chi lavora.
Il 31 agosto disse che pochi giorni avanti nella Messa dopo l'elevazione era stato sopraffatto da una luce sfolgorantissima, la quale gl'impediva di continuare; difatti il Viglietti ricordava appunto che quella mattina, assistendolo all'altare, l'aveva visto confondersi e poi quasi fuori di sè sospendere la celebrazione. - A quella luce, proseguì Don Bosco, tennero dietro foltissime tenebre e, dissipatesi queste, ripigliai e terminai [560] la Messa. Io pensavo dopo al fatto occorsomi e dicevo: Queste tenebre che così repentine vidi succedersi a tanta luce, non saranno un avviso che io debbo morire presto e anche subito? Con questo pensiero chiamai alla sera Don Barberis nella mia camera e gli feci scrivere alcune memorie importanti, prima che mi trovassero all'indomani cadavere nel mio letto.
Nella seconda dimora ricevette il 4 ottobre, solennità del Rosario, le professioni religiose di quarantacinque novizi e l'II vestì sessanta nuovi chierici. Ai primi tenne questo sermoncino.
Non occorre, o miei figli, che vi dica il piacere ed il gusto che io provo nel vedervi, poichè nella vostra persona, in voi che avete fatti i voti io vedo un puntello della Congregazione. Quelli che furono qui prima di voi una parte è qua e là dispersa per le varie case e altri partiranno per le missioni. Quindi abbiamo bisogno che altri sottentrino ad essere la colonna della Congregazione a cui tutti abbiamo giurato fedeltà.
Io son felice che abbiate giurato fedeltà, ma desidero che questo giuramento non sia cosa vaga in aria, non appoggiato a qualche frivolo pretesto, ma appoggiato sull'infallibilità delle nostre regole, perchè la Chiesa che è infallibile le ha approvate.
Noi forse abbiamo fatti i voti per assecondar Don Bosco o altri Superiori? No. Noi abbiamo fatto i voti perchè la nostra vocazione fu tale.
Un tempo solevano alcuni farmi questa domanda: A meglio fare i voti ed osservarli o non farli e osservarli lo stesso?
A questa interrogazione si vuole dare una risposta che soddisfi. Una cosa fatta con voto ha maggior pregio che quella fatta senza voto; la differenza che passa tra una cosa fatta con voto e un'altra senza voto è quella medesima che passa fra chi dona un frutto del suo campo e quegli che dona e il frutto e il campo assieme. Quindi uno che faccia un voto alla Beata Vergine, come voi, dà a Lei tutto intero il capitale del suo danaro.
Non so se mi comprendiate abbastanza bene. Io vi ho portato questa similitudine (adoperata già da Santi e Dottori) per dire che chi si offre con voto, offre tutto quanto esso ha.
Ma siccome si ha doppio merito osservando la legge di Dio con voto, trascurandola dopo averne fatto voto si pecca doppiamente. E quindi non creda alcuno che il legarsi a Dio con voto sia una cuccagna dove si guadagna sempre e mai si perde: no! Se osserviamo le promesse fatte, abbiamo doppio merito; ma se non le osserviamo, abbiamo doppio demerito. [561]
Una gran cosa io poi sono solito di far notare ad uno che emette i voti perpetui. Quando uno fa i voti perpetui, secondo i migliori teologi con S. Tommaso d'Aquino, riacquista l'innocenza battesimale. Colui che pronuncia i voti perpetui fa lo stesso come se voi foste tanti bambini portati al fonte battesimale.
Altra cosa ancora io stimo di dirvi: che colui il quale fa i voti, incontra l'obbligo di osservarli e quindi non è più figlio del secolo, ma figlio prediletto di Gesù, di Maria e di S. Francesco di Sales.
Ciascuno deve dire fra sè stesso: Io non son più figlio del mondo! E qui, se le tentazioni ci assalgono, si risponda: No; io sono figlio di Maria! E perciò non uno sguardo, non un pensiero, non una parola che sia contraria ai voti fatti.
Qualcheduno mi domanderà: questi voti si è obbligati ad osservarli con rigore? Se alcuno facesse i voti con intenzione di non osservarli, mentirebbe; sarebbe una burla fatta al Signore e tradirebbe la propria coscienza. Perciò si fa voto, ma con ferma volontà di mantenere questa promessa fino alla morte, per aver poi lassù nel Paradiso la giusta ricompensa di quello che abbiamo fatto in questa vita.
Mi dirà alcuno: Nell'osservare i voti sta il difficile! E che? Forse quel Signore e quella Madre celeste che vennero nel mondo a raccoglierci, e mentre il mondo vive nell'iniquità ci vennero ad ispirare e ci sostennero a fare questi voti, non ci aiuteranno eziandio ad osservarli, purchè noi facciamo quello che possiamo?
Certo è che se si facesse il voto e poi si profanasse questo voto, il mancator di parola insulterebbe il suo Creatore, arrecherebbe gravissimo dispiacere a Maria SS. Ausiliatrice, causerebbe danno incalcolabile all'anima sua e, in una parola, commetterebbe un gran sacrilegio.
Io spero che voi manterrete la promessa e non vorrete contaminare l'anima vostra col mancare alla fedeltà giurata.
Se poi volete la chiave per conservare i vostri voti, io ve la dò. Tutte le virtù sono comprese nell'ubbidienza. Le altre virtù periscono se non si è esatti nella virtù dell'ubbidienza, specialmente nelle piccole cose, come quelle che guidano alle cose grandi: Si vis magnus esse, a minimo incipe.
Lascio a questo punto che altri compia, sviluppi, spieghi ciò che io ho solamente accennato.
Vi assicuro poi che io pregherò per tutti, ma specialmente per voi che avete fatto i voti in quest'oggi, affinchè non vi accada alcuna disgrazia. Chiudo col dirvi che voi siete figli di Gesù e di Maria e che figli di Gesù e di Maria io voglio sempre che rimaniate. State voi adunque fermi a non profanare i voti che avete oggi proferiti e siate pronti a soffrire mille volte la morte piuttosto che macchiare questi legami d'oro che vi uniscono a Dio. Voi pure pregherete per me e per i vostri compagni, il che caldamente vi raccomando. Addio, cari figli. [562]
Il 12 ottobre, in procinto di partire per Torino, volle fare a tutti i chierici un'esortazioncella, dicendo loro, come riferisce la cronaca:
Siamo al principiar dell'anno e si dice che chi ben comincia è alla metà dell'opera; ma subito si soggiunge: Non si incomincia bene, se non dal cielo. Voi certamente avete cominciato dal cielo; dunque continuate. Io spero che se incominciando siete stati benedetti dal Signore, lo sarete continuamente e così potrete dare grande consolazione ai vostri superiori e al vostro amico Don Bosco, che ogni giorno nella santa Messa fa un memento speciale per voi, affinchè il Signore vi conservi nella sanità e nella santità.
Perchè, credete pure, che se anche foste sani e robusti, ma non fosse ben radicato nel vostro cuore il santo timor di Dio, non potreste far nulla. E ritenete invece che coll'aiuto del Signore potrete far tutto.
Intanto qui si farà tutto quello che si può e anche di più, affinchè non vi manchi niente di ciò che occorre pel servizio del Signore e per la bucolica.
Certamente sarà per me di grande consolazione quando, domandando qui a Don Barberis o a qualche altro superiore, come voi stiate di sanità, di pietà, e di studio, mi saranno date buone nuove.
Ma mentre vi assicuro di pregare molto per voi, mi raccomando alle vostre preghiere specialmente nella santa Comunione in cui io spero molto; e spero che Maria Santissima si darà massima cura di quanto abbisogniamo.
Una cosa che io desidero che teniate prima per voi e che poi raccomandiate anche ai vostri parenti, si è che tutti coloro che verranno in nostro aiuto o spiritualmente o corporalmente, saranno dalla Madonna in modo visibile protetti ed a non potrà fare a meno di esaudire le loro preghiere.
Ciò detto, li benedisse e fece ritorno all'Oratorio. Anche a S. Benigno i Superiori erano convenuti più volte presso di lui per tenere capitolo. Sette furono le sedute, tutte, meno una, sotto la sua presidenza.
Non possiamo ancora seguire Don Bosco fuori di S. Benigno; intorno a quella casa si dibattè nel 1885 un rumoroso contrasto fra l'anticlericalismo patriottardo del tempo e la carità cristiana di Don Bosco; il rumore però non fu dalla parte di Don Bosco, ma da quella de' suoi avversari e de' suoi difensori. È una pagina di storia, nella quale rivive il duello [563] di un Golia bene in armi e di un David inerme, con somigliante esito finale della pugna.
Diremo subito che il novello Golia non era un lottatore singolo, ma un Ente allora temibile, sceso nella lizza come un uomo solo per sostenere contro Don Bosco le pretensioni accampate dal nuovo sindaco del comune canavesano. Ben diverso dal suo antecessore, il signor Parisi, divenuto capo dell'amministrazione comunale, si vantava di essere un mangiapreti e non faceva misteri che avrebbe cercato d'ingoiare anche Don Bosco, perchè i Salesiani non l'avevano favorito nelle recenti elezioni. Lo voleva sfrattato a ogni costo dall'abazia di Fruttuaria, il che non poteva ottenersi senza rescindere prima il contratto legalmente stipulato cinque anni innanzi. Per arrivare a questa rescissione egli tentò prima le vie piccole. Si studiò dunque di trarre dalla sua il Consiglio municipale, chiedendogli un voto contro Don Bosco; se non che, tastato il terreno, s'accorse che quasi tutti i consiglieri gli si sarebbero schierati contro. Che fece allora il prodigioso sindaco? Fece vedere il nero per, bianco. Tolta la seduta in cui aveva con magri consensi preannunziata la sua proposta, seppe procurarsi la compiacente relazione di un verbale in senso diametralmente opposto al -sentimento dei più, lo sottoscrisse e lo spedì al Prefetto di Torino, insistendo sullo sfratto di Don Bosco. Ma i Consiglieri comunali, subodorata la gherminella, si affrettarono a contrapporre il resoconto genuino della seduta, sicchè il Prefetto negò il visto al verbale mistificato.
Ciò nonostante quella gioia di sindaco non si diè per vinto. Alleatosi con alcuni suoi amici, che a Torino e a Roma godevano di qualche autorità, e rimettendo a nuovo l'accusa di sfregio fatto dai giovani dell'istituto ai soldati dell'esercito italiano[342], colta una propizia occasione, affidò l'affare ai Veterani delle patrie battaglie. Credette così d'aver trovato [564] la via maestra per giungere a conseguire il proprio intento.
I Veterani o Reduci dalle patrie battaglie, si erano costituiti in Società sotto la presidenza del generale Crodara Visconti e allora volevano creare un istituto che fosse destinato ad accogliere gli orfani dei militari. Il signor Parisi dunque propose senz'altro al Presidente di far espellere i Salesiani dall'abazia di Fruttuaria per poi adibirla a tale scopo. La proposta venne accolta con entusiasmo, ma non fu subito propalata.
Don Bosco che non sapeva nulla di questi maneggi, ne ebbe avviso dal signor Asti, tenente dei pompieri a Torino e già allievo e chierico dell'Oratorio, segretario allora di detta Società, Il Santo per iscongiurare la minaccia concertò immediatamente un piano di azione con il venerando parroco di San Benigno. Questi ne, scrisse tosto a Costantino Nigra, ambasciatore del Re alla corte imperiale di Vienna. Il celebre diplomatico, canavesano e amico suo, gli promise appoggio. Don Bosco a stia volta interessò il signor Bartolomeo Casalis, prefetto di Torino, dal quale gli fu soltanto risposto che per tale questione si sarebbe lavate le mani. Venne richiesto pure l'aiuto di alcuni Deputati.
Intanto la bomba esplose fragorosamente. Il 25 ottobre s'inaugurò a Venezia il terzo Congresso dei Veterani, presieduto da Benedetto Cairoli, e il 26 ecco venire in discussione la settaria proposta. Il signor Asti, sacrificando la coscienza alla posizione, e il signor Peretti, membro del Comitato eletto dal secondo Congresso di Torino, sostennero la necessità che la storica abazia, monumento nazionale, fosse strappata dalle mani di Don Bosco e aperta agli orfani dei soldati italiani. Interloquirono sull'argomento anche il relatore Mussa, impiegato al Municipio di Torino, e il famoso scrittore Paulo Fambri. Volarono parole grosse su gli atteggiamenti antipatriottici di Don Bosco. Un congressista propose alla presidenza che chiedesse all'assemblea un voto di plauso per il [565] Municipio di S. Benigno, che aveva dimostrato di essere uno dei più liberali Municipi d'Italia. Un telegramma alla gazzetta dell'anticlericalismo massonico torinese[343] stampava che “l'assemblea applaudì freneticamente ”. E il giornale dei cattolici italiani a commentare[344]: “Ci vuole proprio una frenesia per tribolare Don Bosco, che ormai ha perduto la sanità, sacrificando se stesso pei poveri giovani. Coloro che l'accusano d'antipatriottismo non hanno fatto e non faranno mai per la patria ciò che per cinquant'anni ha fatto il nostro Don Bosco ”.
Nel frattempo il Direttore Don Barberis era corso a Roma per indurre il deputato Ercole a pigliare le difese di Don Bosco. Quell'Onorevole che, quantunque prete spretato, favoriva volentieri i Salesiani, vi s'impegnò con calore e tanto fece presso il Ministero, che ne strappò l'assicurazione che la petizione dei Veterani non sarebbe arrivata alla Camera. Lo stesso Asti, che in pubblico quale segretario dell'Associazione aveva creduto suo dovere far la parte contraria, in privato persuase il Cairoli essere atto ingiustificabile il togliere a Don Bosco l'uso dell'abazia.
Non tutti per altro furono pecore in quel Congresso. Tale non si mostrò l'abate Bernardi, noto patriota veneziano e liberale moderato che, esule in Piemonte durante il dominio austriaco, era stato Vicario Generale a Pinerolo e più volte erasi fermato a mensa con Don Bosco nell'Oratorio. In favore di Don Bosco egli spiegò allora tutta la sua influenza.
Infine una perizia condotta per ordine della Prefettura di Torino accertò che per i lavori di miglioramento eseguiti da Don Bosco nel vecchio edifizio il Governo, impossessandosi del locale, avrebbe dovuto sborsare sessantamila lire. Questo fu il colpo di grazia al vessatorio progetto. Ai figli dei militari provvide meglio il Re Umberto, offrendo ai Veterani il magnifico fabbricato di Soperga per l'istituto da essi vagheggiato. [566]
Il nome di Don Bosco fu bersaglio della malevolenza settaria a motivo di due altre case, quella dei Salesiani a Faenza e quella delle Suore a Catania.
A Faenza non si aveva una lotta nuova, ma la prosecuzione della campagna che conducevasi già da quattro anni contro Don Bosco e i Salesiani. La ripresa delle ostilità coincise con l'avvento del novello Vescovo monsignor Gioachino Cantagalli, che nella sua prima lettera pastorale, scritta in classico latino, aveva dedicato alcuni periodi ai figli di Don Bosco, usandovi termini di alto elogio con significazione d'illimitata fiducia[345]. L'ira per breve tempo compressa traboccò in forma apertamente delittuosa. Il n aprile un articolo del Lamone aggrediva e incitava, nè l'effetto si fece a lungo aspettare. La sera del 15, una sera nuvolosa e malinconica, mentre i Salesiani assistevano i ragazzi nel cortile, echeggiò nell'aria una fucilata, partita dal lato delle mura. Non vi badarono più che tanto, ma di lì a poco essi videro una testa spuntare sul muricciuolo di cinta, e udirono, un'altra schioppettata; tirata questa volta in direzione di loro. La palla, fischiando sui loro capi, era andata a sfiorare una colonna là presso, conficcandosi nel suolo. La notizia dell'attentato, sparsasi rapidamente in città, VI destò raccapriccio. Intervennero le autorità, sequestrarono il grosso proiettile, avrebbero saputo facilmente su di chi mettere le mani, ma la presunta impossibilità di raccogliere le prove trattenne dall'agire, sicchè tranne uno smilzo verbale della questura il fatto non ebbe seguito giudiziario.
Un seguito però l'ebbe nelle polemiche che s'accesero fra giornali cattolici e giornali liberali della penisola, i primi levando la voce contro il criminoso attentato, gli altri qualificando l'atto per una ragazzata e denunziando i Salesiani quali calunniatori, provocatori, perturbatori dell'ordine pubblico. [567]
Questo dell'ordine pubblico turbato per colpa dei Salesiani diventò il ritornello della stampa avversaria nell'intento dichiarato di muovere i pubblici poteri alla chiusura dell'oratorio. Il Lamone del 3 maggio non ebbe ritegno di scrivere: “Prima dell'arrivo dei Salesiani le sfide ai sassi fra i ragazzi, come avvenivano un tempo, auspice il triste governo papale, non sono accadute mai, ed ora avvengono tra frequentatori del collegio salesiano da una parte, e ragazzi che non vanno a quello dall'altra. La causa adunque è ben evidente: è l'oratorio salesiano, ove i ragazzi succhiano l'odio verso i loro simili, e ne hanno corrotti tutti i generosi sentimenti: sia richiuso adunque l'oratorio salesiano, ed avremo tolti i deplorevoli e sanguinosi effetti ”. Nel numero poi del 10 i periodi men volgari e per noi citabili erano i seguenti: “Mentre si perseguita e si tenta intralciare ogni modo di propaganda a coloro che sono tenuti in concetto di radicali, si lascia ampia libertà ai gesuiti, camuffati in un ordine qualunque di frati, d'insultare un'intera regione, di spingere a lotte fratricide fanciulli d'uno stesso paese, e, consci dei mali che ne scaturiranno un giorno, istillare in ogni giovine arboscello che incaute mani loro affidano, sentimenti antipatriottici, antiumanitari, dei quali la nostra Faenza ricorda tuttora le triste conseguenze con orrore ”. Al giornale faentino teneva bordone nel capoluogo della provincia il Ravennate, suo degno compare.
Perdurava la lotta, quando il 18 maggio arrivò a Faenza Don Rua, reduce dal suo viaggio in Sicilia. Percorrendo le vie della città, egli leggeva sui muri scarabocchiato a mano ovvero anche stampato: Abbasso i Salesiani. Fuori i Salesiani. Il discepolo di Don Bosco, che visitava per la prima volta la gente romagnola, invece di turbarsi, sembrava che se ne rallegrasse e non faceva che ripetere: - Oh, guardate quanto bene si farà in questa città!... Quanto bene!...
Alle notizie di questi furori nemmeno Don Bosco si sgomentava. Infatti nella seduta capitolare del 29 maggio, essendoglisi presentato da Don Sala un disegno di lavori da eseguirsi [568] per adattare a collegio la casa di Faenza e temendosi da taluno dei presenti che a cose compiute le sette ne scacciassero i Salesiani, egli parlò così: - I giovani ricoverati saranno la nostra salvaguardia. 1 tempi poi sono nelle mani di Dio, come pure lo sono le mutazioni politiche e la gente del paese, Le minacce non partono dalle Autorità, le quali anzi ci sostengono. La plebaglia non dobbiamo temerla, può essere prudenza accarezzarla. Si faccia intanto vedere al popolo che si dà mano a qualche lavoro e si dia principio allo stabilimento di qualche laboratorio; ma a poco a poco. - Facendosi le cose lentamente, si dava tempo alla beneficenza di porgere aiuto. Quindi per allora si stabilì di fare solo ciò che era necessario alla conservazione dei locali, senza agglomerare spese su spese.
Sollevata poi la questione se si dovesse chiedere o no al Governo la licenza per aprire l'ospizio e ricordato il diniego dell'autorizzazione all'apertura di scuole per esterni, il Santo manifestò così il suo pensiero: - É mia opinione che sia meglio chiedere questa licenza, ma senza pronunciare la parola convitto. Il Direttore si rivolga al sottoprefetto e gli dica che alcuni giovani miserabili abbandonati chiedono dì essere ricoverati; che altrove non si usa domandare simile licenza, ma che noi lo facciamo per deferenza a quelle Autorità; che questi giovani si finirebbe per doverli consegnare ai carabinieri, sicchè in ultimo sarebbero mantenuti a spese dello Stato in qualche reclusorio... Si concluda dicendo che noi però ci rimettiamo al saggio parere del sottoprefetto...
In altra circostanza Don Bosco espresse il suo sentimento a proposito della casa di Faenza. Ciò fu quando il direttore Don Rinaldi si recò a Torino per l'onomastico del Santo. Allora egli incoraggiandolo gli disse[346]: - Maria Ausiliatrice vi aiuterà. Andate avanti come se niente fosse. La maggior guerra oggi l'abbiamo in America e in Romagna. Ma coraggio! [569]
Anch'io ebbi le schioppettate. Io era solo. Il Municipio, il Governo, i privati mi erano contro. I buoni mi volevano condurre al manicomio. Eppure... Anche pochi mesi or sono vi furono minacce; mi mandarono a dire che mi vogliono ammazzare e che quindi me ne vada fuori di Stato. Ma io risposi: Voglio stare a casa mia, Maria Ausiliatrice mi aiuterà.
Si mise mano senz'altro a edificare chiesa e teatrino. Recatosi Don Sala a visitare i lavori, trovò che per la cedevolezza del terreno eransi gettate fondamenta larghe un metro e sessanta centimetri. Don Bosco in capitolo il 2 novembre, disapprovando fondazioni così colossali: - Si poteva, osservò, palificare, costrurre pilastri e legarli fra loro con archi di grosse pietre a fior di terra. Si ritenga questo per principio nell'edificare.
Sulle cose di Faenza è notevole la discussione capitolare del 14 dicembre. Il direttole Don Rinaldi proponeva una forma di convenzione con capi d'arte esterni per evitare che tutti gli artieri della città, temendo la concorrenza, insorgessero contro i Salesiani. I giovani sarebbero stati nel laboratorio garzoni del capo, che avrebbe corrisposto loro un piccolo salario proporzionato al rendimento, tenendo per sè il guadagno e pigliando su di sè la cura di cercar lavoro.
Don Bosco, udita la lettura degli articoli, prese a dire: - Con questo progetto si toglie autorità al Direttore. Io su queste basi qui esposte ho fatto ogni prova possibile sul principio di questo nostro Oratorio, ma ho constatato che era la causa di gravissimi inconvenienti anche materiali. Prima obbligai i capi a provvedere i ferri del mestiere anche per i giovani; poi quest'obbligo fu ristretto personalmente al capo, mentre la casa era obbligata a provvedere i ferri ai giovani; talora si pattuiva che io avrei messo solo certi ferri determinati a disposizione dei capi, mentre gli altri se li sarebbero portati da casa; tal altra che il capo avrebbe dovuto provvedere ai giovani una parte degli strumenti del mestiere e l'altra [570] sarebbe provvista dall'Oratorio. Ma ne seguivano sempre spese a capriccio dei capi, ed ora i giovani non erano provvisti, ora i capi usavano i ferri dei giovani e risparmiavano i loro... Ora c'erano le questioni dei ferri rotti, ora di quelli scomparsi, ora perchè erano stati usati fuori del laboratorio e fuori del tempo di lavoro... Così pure sorgevano dissensi sulle modalità dei lavori, negligenze nell'insegnare ai giovani, diverbi sui guadagni quand'erano interessati in un'impresa. Ho provato a mandare i giovani nei laboratori in città, quindi a ritirarli con lo stabilire laboratori in casa. Ho anche posto tutti i giovani sotto capi che nei nostri laboratori esercitassero l'autorità di padroni di bottega; ma allora i giovani divenivano veri servitori ed erano sottratti all'autorità del Superiore. Non si poteva più esercitare una sorveglianza diretta, i giovani non ascoltavano che il capo, talora lo stesso orario correva pericolo di venire violato per l'urgenza di un lavoro. Furono insomma fastidi sopra fastidi.
Pareva a Don Rua che in circostanze speciali versassero i Salesiani di Faenza e che convenisse tenerne conto. Don Bosco replicò: - Qual bisogno vi è ora di laboratori a Faenza? Per ora Don Rinaldi si tenga all'Oratorio esterno e alle scuole serali. Segua le regole che abbiamo tenute qui all'Oratorio sul suo principio, e allora non vi saranno urti colle autorità e col paese. I primi -interni dell'Oratorio furono gli studenti e quindi vennero gli artigiani in soccorso degli studenti. Perciò prima avemmo i calzolai. Primo legatore fu Bedino, soprannominato Governo. Si dovettero incominciare le fabbriche, ed ecco i falegnami e i fabbri ferrai. Fu necessario istituire associazioni di letture cattoliche, di libri scolastici, ed ecco i compositori e gli stampatori. Il lavoro agli artigiani lo danno gli studenti: questo è il principio che dobbiamo seguire e specialmente nelle piccole città. Gli urti avuti in Torino nel Congresso dei Tipografi, che volevano abolita la tipografia dell'Oratorio, ci indica un pericolo, se si vuole essere o parere concorrente agli altri nei lavori anche nelle grandi città. [571]
Per tutte queste ragioni il Capitolo respinse il programma di Don Rinaldi, che, non discostandosi dalle norme tracciategli da Don Bosco, avviò molto bene la sua casa.
Il Mattino liberalissimo giornale torinese, nel numero del 17 aprile aveva un trafiletto intitolato Don Bosco e le Salesiane, in cui diceva: “Si sa che il famoso Don Bosco non contento di impiantare un po' dappertutto i così detti suoi istituti di educazione che altro non sono se non centri d'ignoranza e di superstizione, ha fondato conventi di monache dette Salesiane. Di questi conventi ne ha in parecchie città ed è utile sapere come sono torturate le ragazze perchè si facciano monache. Non siamo noi che narriamo; è la Gazzetta di Catania ”. E riportava un articolo di quest'altro giornale eiusdem furfuris, anzi più empio assai. Dal 7 marzo aveva sferrato contro Don Bosco e contro le sue Opere una serie dì attacchi che si andarono succedendo fino al 29 maggio. Il fatto insignificante che vi diede occasione, fu un mero pretesto degli anticlericali catanesi per indisporre l'opinione pubblica dei cittadini a danno dei Salesiani, la cui venuta a Catania si sapeva o si riteneva prossima. Una povera giovane del popolo, accolta dalle Figlie di Maria Ausiliatrice come postulante a Bronte e poi a Nizza Monferrato e rivelatasi squilibrata dì mente, era stata restituita a sua madre dopo un breve soggiorno nel manicomio dì Torino. Le chiacchiere d'una simile pazzerella trovarono facile udienza e credito presso la redazione del giornale, che su quella trama ordì la tela di una tragedia monacale con scene addirittura rocambolesche. Trovavasi allora in Sicilia Don Rua, che si affrettò a raccogliere gli elementi necessari per una relazione resa pubblica dalla stampa[347]. Un briciolo di buona [572] ede sarebbe bastato a far aprire gli occhi; ma la Gazzetta, smentita fino all'evidenza anche da una lunga lettera aperta di Don Bonetti[348], non si scompose, nè scrisse parola di ritrattazione. Anzi, in una polemica di partito con il Consiglio comunale di Bronte satireggiando sulle “figlie di Don Bosco ”, si scagliava contro chi aveva affidato a “quelle iene camuffate a pecorelle ” la direzione del collegio femminile brontese.
Se non che alla Gazzetta poco importava delle Suore e della loro presunta vittima; essa mirava a colpire Don Bosco. Onde, lasciate in pace le Figlie di Maria Ausiliatrice, raccolse e diffuse un'odiosa notizia su Don Bosco stesso, lanciata dalla Capitale, blasfemo giornale romano. Era morto a Roma, nella parrocchia del Sacro Cuore, il pesarese Terenzio Mamiani della Rovere, poeta e filosofo, ministro di Pio IX nel 1848, ministro della pubblica istruzione del regno d'Italia nel 1860 e infine senatore. Orbene il detto foglio aveva accusato Don Bosco di condotta irregolare, anzi impertinente a riguardo della contessa Mamiani in morte dello sposo, accompagnando l'accusa con malvage insinuazioni d'altro genere, e l'avventata Gazzetta di Catania nel numero del 29 maggio diede in pasto a' suoi lettori anticlericali l'appetitoso, per quanto stupido articolo, guardandosi poi bene, secondo la sua cavalleresca abitudine, d'inserire un sol cenno di rettifica, allorchè il fatto fu dato a conoscere ne' suoi minuti particolari. E nel fatto non entrava punto Don Bosco, ma uno de' suoi figli, il parroco Don Dalmazzo, il quale a sua volta non aveva commesso alcun che d'irregolare o d'impertinente. L'impertinenza era consistita in una lettera, dettata da zelo pastorale e improntata di rispettosa urbanità. Saputo che le cose precipitavano, il desolato pastore, che aveva già fatto qualche inutile tentativo di arrivare al letto del moribondo, amaramente si lamentava di non essere ancora stato chiamato come la signora aveva promesso e come il suo consorte desiderava[349]. [573]
A quei tempi e per molti anni dopo la vigilanza massonica presso il capezzale degli agonizzanti era più forte di tutto e di tutti.
Allora come sempre, a Catania come altrove, per infamiam et bonam famant Don Bosco badò esclusivamente a fare il bene, quel bene che sapeva volere da lui la Provvidenza[350]; onde nella lettera del gennaio 1885 ai Cooperatori potè poi annunziare serenamente: “Ad istanza di persone ragguardevolissime si assunse in Catania la direzione di scuole serali per giovani adulti, l'amministrazione di una pubblica chiesa, e nel tempo stesso, sotto il titolo di S. Filippo Neri, vi si aperse un oratorio festivo per istruire cristianamente e raccogliere fanciulli, togliendoli in tal modo dallo scorrazzare per le piazze e per le vie della città ”. Alludeva alla chiesa di S. Filippo e all'oratorio così detto dei Filippini in via del Teatro Greco, oratorio tuttora fiorentissimo.
Sembrava che corresse per la penisola una settaria parola d'ordine di avversare dappertutto Don Bosco. Due giornali della Spezia, il Muratore e il Lavoro, si scatenarono contro di lui, pigliando il motivo dà una deliberazione municipale. Don Bosco aveva ricevuto dal Municipio spezino e collocato nella casa della città otto giovanetti rimasti orfani per il colera; niente di più naturale dunque che passare a quella casa un piccolo sussidio. Fu pertanto ideato di fissare un contributo annuo di mille lire; ma quando se ne trattò in Consiglio, parecchi membri amici dei Salesiani proposero di portare quella somma a quattromila. La cosa irritò liberali e [574] democratici, che per mezzo dei rispettivi organi levarono proteste nello stile del tempo. Il liberale Muratore del 31 maggio, data la notizia del fatto, esclamava: “Possibile che la nostra' Rappresentanza Comunale sia caduta tanto in basso, sino al punto di sussidiare chi inneggia al Potere Temporale, contrariamente alle più belle tradizioni della Spezia! Atti di simile natura, anzichè biasimo, meritano sul serio di essere qualificati temerariamente inconsulti e tali da provocare un giustificato energico risentimento per parte di tutta quanta la cittadinanza ”. Nello stesso giorno il democratico Lavoro pubblicava un articolaccio, in cui Don Bosco era dileggiato con grossolana coprologia e con obbrobriose alterazioni del suo nome.
Ma anche qui Don Bosco tirava diritto senza mostrare d'intendere chi gli abbaiava alle calcagna. Nel mese di settembre fu presentato al Capitolo Superiore il progetto di permutare col Municipio un terreno su proposta del Municipio medesimo. L'area ceduta ai Salesiani era maggiore dell'altra da ricevere in contraccambio. Con ciò si rinquadrava la nostra proprietà e il Municipio aboliva una via già disegnata che avrebbe attraversato il fondo del collegio. Tale abolizione pelò era subordinata all'erezione di una chiesa, che Don Bosco aveva assunto con il cavaliere Bruschi l'obbligo di costruire in quel sito[351]: una chiesa grande come quella di S. Giovanni Evangelista e da cominciarsi in un tempo non ancora determinato. Ora, discutendosi di detta permuta con accenni anche all'erigenda chiesa, Don Cerruti, rilevando che il sacro edifizio doveva poi servire da parrocchia, avrebbe voluto che si inducesse il Municipio a concorrere nelle spese. Don Bosco rispose: -Chiederemo un sussidio al Municipio della Spezia quando si darà principio ai lavori. Prevedo che otterremo poco o niente. Bisogna operare a favore dei Municipi, mentre essi non ci danno che contrarietà; ma oggigiorno bisogna fare così, se si vuole lavorare a vantaggio delle anime. Veniamo al [575] progetto. Sì accetta la permuta proposta dal Municipio della Spezia, ma senza condizioni e senza compensi. Non si permetta che nel contratto notarile si pongano condizioni riguardanti la chiesa e neppure che il terreno formante differenza ci si dà in vista della chiesa da costruirsi. Questa frase non si accetti. Teniamo fermo di non incominciare questi lavori, finchè non siano ultimate le chiese di Roma e di Bordighera. Ma questa promessa al signor Bruschi sia fatta a voce e non in scritto.
La chiesa è oggi il bel santuario dedicato alla Regina della Spezia, la Madonna della Neve. Cominciata dieci anni dopo la morte di Don Bosco, il 17 gennaio 1898, fu consacrata il 27 aprile 1901.
Desideroso di sviluppare l'opera della Spezia secondo l'ampiezza de' suoi disegni e memore di una mezza promessa fattagli da Benedetto Brin, Ministro della Marina, scrisse a Sua Eccellenza nella speranza di ottenere da lui qualche aiuto.
Allora che io avevo l'alto onore di parlare colla E. V, della necessità grande di attivare scuole per gli operai addetti all'Arsenale della Spezia, Ella con grande bontà mi incoraggiava e mi assicurava che all'uopo sarebbe venuto in soccorso.
Ora come V. R. può rilevare dalla unita esposizione che fa il Direttore dell'Ospizio e delle scuole medesime, i comuni desiderii sono appagati, sebbene con non ordinari sacrifizii e sollecitudini grandi di personale e di spese pecuniarie.
A tale scopo fo ricorso alla E. V. supplicandola di venirci in aiuto con quei mezzi che ravviserà opportuni per un'opera altamente reclamata, e che promette ottimi risultati.
Con grande stima godo di potermi professare
Se e come il Ministro abbia risposto, non ci è noto; conosciamo invece in che modo avesse termine la provvida sovvenzione della Santa Sede. Da prima Leone XIII aveva continuato [576] la mensile largizione di 500 lire, accordata dal suo Predecessore; ma nel 1885, quando la persona che s'incaricava di ritirare gli assegni, sì presentò per riscuotere quello di settembre, si sentì rispondere che l'Amministrazione vaticana non aveva facoltà di pagare oltre a tutto il decorso agosto. Volendone ottenere la continuazione, Don Bosco per il tramite del cardinale Jacobini, Segretario di Stato, umiliò al Santo Padre il seguente ricorso.
La città di Spezia, che da un numero assai limitato di abitanti in breve tempo crebbe fino a trenta mila, si trovò, or sono circa due lustri, nella massima penuria di istruzione religiosa. Sua Santità Pio Papa IX dì santa memoria commosso specialmente dai pericoli in cui si trovava la gioventù, propose all'esponente di provvedere in qualche modo, e consigliò la fondazione di scuole e di un orfanotrofio. A tal fine fissò la somma di L. 500 al mese da largirsi in sussidio. Dietro tale invito ed incoraggiamento il sottoscritto aprì colà le Scuole dette di S. Paolo il 10 Dicembre 1877 e col sussidio suddetto potè cominciare a far fronte alle spese occorrenti per allora.
Resosi defunto Pio IX, la Santità Vostra nella Sua inesauribile carità degnavasi con tratto particolare di benevolenza fin dai primordi del Suo Pontificato continuarci la medesima mensuale largizione e così non solo si potè continuare le scuole esterne e l'Oratorio festivo nelle primitive proporzioni, ma si diede loro sì grande sviluppo che non essendo più sufficiente la cappella ed il locale occupato dopo pochi anni pel numero ogni dì più crescente dei fanciulli della scuola e pei bisogni spirituali di quella numerosa popolazione fu necessario cercarne un altro più ampio e adatto eziandio ad uso d'orfanotrofio.
Fu allora che la Santità Vostra concorreva in aiuto alla costruzione del novello Istituto con la somma di L. 6000 in data 10 Settembre 1880 da estinguersi mediante il rilascio di lire cento mensili sul nominato sussidio di lire cinquecento, che così ridotto ci venne caritatevolmente pagato fino a tutto Luglio dell'anno corrente. Vi aggiungeva ancora la Santità Vostra l'elemosina di lire duemila per altrettante messe che furono sollecitamente celebrate. Così si potè fabbricare una cappella più spaziosa con annesso ospizio in cui già trovansi ricoverati circa 150 giovanetti parte poveri orfanelli bisognosi di mantenimento e di educazione religiosa e d'imparare una professione per campare onoratamente la vita, e parte giovani di distinta bontà ed abilità aspiranti alla carriera ecclesiastica che noti potrebbero per mancanza di mezzi fare altrove i loro studi. Così procedevano le cose con frutti [577] veramente consolanti a pro delle anime, quando sui primi dell'Agosto del corrente anno ci venne partecipato dal Cassiere Economo che questo sussidio, unica risorsa di questa poverissima Casa, rimaneva sospeso fino a nuove disposizioni della Santità Vostra[352].
Stretto dalle angustie ed impotente a proseguire da solo l'opera intrapresa io ricorro a Voi, Beatissimo Padre, affinchè Vi degniate continuarci la carità e benevolenza finora usata coll'invio dell'accennato sussidio mensile. Troppo mi dorrebbe veder perire un Istituto, cominciato con sì lieti auspici, avviato finora così felicemente mediante l'aiuto dì Dio e la generosità della Santità Vostra e reso ogni dì più necessario dalla scarsezza del Clero Spezino, dal numero stragrande di fanciulli poveri ed abbandonati e dalle insidie dei vicini Protestanti, forniti purtroppo e largamente dalla setta di Ospizio, Scuole e Tempii. Da parte nostra noi Vi saremo, Beatissimo Padre, eternamente grati della carità, che imploriamo dal Vostro paterno cuore, e Salesiani ed alunni, sopratutto della Casa di Spezia, indirizzeranno ogni giorno a Dio ed a Maria Ausiliatrice le più fervide preghiere per l'incolumità della Santità Vostra, nostro generoso benefattore.
Degnatevi, Beatissimo Padre, accogliere i sentimenti della più sincera riconoscenza e devozione, con cui implorando sopra di, me e sopra tutta la Congregazione Salesiana la Vostra apostolica benedizione, godo professarmi della Santità Vostra
Umilissimo ed obbedientissimo figlio
Il Cardinale ne riferì al Papa; quindi scriveva a Don Bosco il 24 febbraio 1886: “Sua Santità è ben dolente di non poterla esaudire che in parte, ma i gravissimi pesi che la nequizia dei [578] tempi gl'impone di sostenere qui in Roma mettono un limite alla sua carità e raffrenano gli slanci del suo cuore paterno. Però per dimostrare quanto a Lui sia cara l'istituzione che Ella così degnamente dirige mi ordinava dì rimetterle per una sol volta la somma di lire cinquemila che in obbedienza ai Sovrani comandi mi onoro di compiegarle in un vaglia sulla Banca Nazionale ”.
Ed ora veniamo a proposte rimaste sulla carta. Menzioneremo solo quelle, in cui durante le trattative possiamo raccogliere l'eco di parole dette da Don Bosco o la notizia di qualche suo fatto. Diremo dunque di Rimini, di Vicenza, di Trento e di Cuneo.
Monsignor Alessandro Chiaruzzi, vescovo di Rimini, avrebbe voluto che Don Bosco accettasse una parrocchia rurale nella sua diocesi. Offerte di tal genere venivano da più parti; ma questa poteva anche presentare l'opportunità di offrire ai Salesiani di Faenza una casa di campagna per ristorare le forze nel tempo delle vacanze. Tuttavia il Santo disse in una seduta capitolare del 20 marzo: - Sul principio della Congregazione noi accettavamo case senza sofisticar troppo sulle condizioni che ci facevano. Ma ora abbiamo bisogno di ordinarci, di organizzarci, di sostare per due anni dall'aprir case. L'America ci assorbe troppo personale. Le defezioni, le morti ci hanno anche tolti vari individui. - Il Capitolo votò contro la proposta.
Già nel 1879 il senatore Fedele Lampertico, quale presidente della Congregazione di Carità, aveva fatto suo il pensiero di alcune degne persone, che a dirigere il decadente orfanotrofio maschile di Vicenza fosse necessario chiamare i figli [579] di Don Bosco. Il Santo nel mese di dicembre incaricò Don Durando di visitare l'istituto; ma nulla si concluse. In seguito, dal 1880 cominciò uno scambio di lettere fra il signor Giovanni Sala, presidente della Società di S. Vincenzo de' Paoli, e il medesimo Don Durando per l'apertura di un ospizio. Don Sala in una sua visita giudicò opportuno il locale acquistato a tale scopo dai Soci dì quel sodalizio; ma non vide donde si potessero trarre i mezzi per condurre avanti l'opera. Il 29 gennaio 1883 bon Bosco ricevette una petizione firmata da 212 “Cooperatori ” vicentini; la apriva monsignor Farina, vescovo diocesano, e la chiudeva il signor Orazio Lampertico, figlio del Senatore, qualificantisi “segretario dei Cooperatori vicentini ”. Il Santo indugiò a rispondere; poi intraprese il viaggio in Francia. A Vicenza si era impazienti. Egli alla fine, sollecitato da nuove lettere, appena potè dopo il ritorno, diè la sua risposta in questi termini.
Ho ricevuto per mano del Sac. Pietro Pozzan, fervido peroratore delle buone cause, la lettera della S. V. in data del 4 corr. insieme colla supplica sottoscritta da buon numero di persone ragguardevoli di tutti gli ordini della cittadinanza vicentina, in capo a cui S. E. R.ma Mons. Vescovo.
Tutti domandano come una grazia una Colonia di Salesiani in cotesta illustre città per prendersi cura dei giovanetti pericolanti. Già mi era nota la benevolenza che, nutrivano i Cooperatori Salesiani ed i membri della benemerita Società di S. Vincenzo de' Paoli verso l'umile Società dì S. Francesco di Sales; ma se avessi avuto ancora alcun dubbio quest'ultimo atto di fiducia me lo avrebbero sgombrato dall'animo intieramente.
Nel vivo desiderio di corrispondere a tale fiducia si è fatta materia di attenta discussione la loro graziosa domanda, e tutti d'accordo abbiamo esaminato se fossimo in grado di soddisfarla; ma con mio rincrescimento debbo annunziarle che abbiamo dovuto conchiudere pel no, non già per mancanza di buon volere, neppure per le proposte condizioni, ma per difetto di personale. La leva militare che ci toglie ogni anno dai 15 ai 2o maestri e capi d'arte, gli obblighi già assuntici di aprir case in varii luoghi, il bisogno di mandar aiuti ai missionarii della Patagonia e del Brasile ci assottigliano il personale siffattamente che ci è impossibile di impegnarci per nuovi impianti. [580]
Mi rincresce ognora che non abbiamo potuto intenderci anni sono, quando avevamo disponibile il personale per la direzione dell'orfanotrofio; ma giova sperate che la divina Provvidenza la quale pareva in allora voler aprir la via alla venuta dei Salesiani costì, la vorrà riaprir loro in altra occasione e darci il mezzo di soddisfare il comun desiderio.
Tuttavia siccome noi non possiamo sapere quando potremo essere in grado di dare in proposito una parola affermativa, così io sarei d'avviso che la S. V, Ill.ma esortasse i membri della Società di S. Vincenzo ad ottenere più presto il loro lodevole scopo, cioè il benessere religioso - morale di tanta gioventù, con un altro mezzo che la industriosa loro carità saprà suggerire.
Intanto nel ringraziare V. S. e per mezzo suo i membri della Società di S. Vincenzo, non che i molti sottoscritti della cortesissima supplica, prego Dio che benedica i loro caritatevoli sforzi a vantaggio della povera gioventù, faccia loro cogliere centuplicato il frutto delle loro fatiche e a ciascuno prepari in Cielo una splendida e gloriosa corona.
Raccomandando in pari tempo me e tutti i miei giovanetti alla carità di sue preghiere La riverisco rispettosamente e godo dell'onore di potermi professare con pienezza di stima di V. S. Ill.ma
Ma i buoni Vicentini non si poterono dar pace. Una terza domanda venne presentata nel 1885, durante il qual anno ben sei volte il Capitolo Superiore, presieduto da Don Bosco, si occupò dell'affare. Si ripetè anche per Vicenza uno dei soliti cambiamenti di scena. Da principio tutto roseo: somme vistose già pronte, vari terreni da regalare o da acquistare per poco, locale magnifico da potersi avere a buon prezzo, aspettazione generale dei cittadini; poi all'atto pratico abbandoni e delusioni. Don Tamietti, mandato da Don Bosco a vedere come stessero realmente le cose, ebbe splendide accoglienze; egli trovò bensì che c'era da spendere più che non si credesse, ma, visto che parecchi signori si mostravano disposti a largheggiare, conchiuse per l'accettabilità, a patto che si cominciasse con l'oratorio festivo e si rimettesse a un secondo tempo la fondazione del collegio. Don Bosco, udita la relazione del [581] suo inviato, disse il 22 giugno in Capitolo: - Stando le cose come sono, si può accettare, perchè con molta facilità e con un prete solo si potrà andare avanti per un po' di tempo.
Ma una prima contrarietà spuntò il 13 luglio. La figlia di uno degli oblatori, avvocato Ruffo, il quale voleva donare un suo podere, scrisse a Don Bosco una lettera di protesta, perchè, essendo in disagiate condizioni e non sapendo come provvedere all'istruzione dei figli, non poteva tollerare che fosse diminuito così l'asse paterno. Veramente suo padre era in collera con lei e non si curava de' suoi bisogni, perchè contro il suo volere aveva contratto matrimonio con un non abbiente, tuttavia Don Bosco le fece scrivere che stesse tranquilla, giacchè nulla ancora si era combinato, nè mai si sarebbe fatto alcun che in suo danno.
Fra il luglio e l'ottobre, altre combinazioni per il locale, altre promesse di oblazioni pecuniarie, altra discussione in Capitolo la sera del 22 settembre. Don Bosco, interpellato da Don Rua come la pensasse, rispose: - Abbiamo già troppa carne al fuoco. Tuttavia sono pronto ad approvare quello che il Capitolo deciderà. - Don Durando di rincalzo ricordò come S. Ignazio, avendo cominciato ad aprire in fretta e furia le sue case, ne abolisse poi quindici in un colpo per consolidare la sua Compagnia. Don Rua chiese di proporre l'andata per il 1889; ma Don Bosco replicò: - E a che serve fissare anche il 1890? Adesso non possiamo, mancando di personale. Dunque facciano essi intanto qualunque donazione, qualunque lascito; noi c'impegnamo a fare tutto il bene che potremo alla gioventù, e il più presto possibile.
Nuove difficoltà sorte appresso persuasero gli stessi amici vicentini esser meglio aspettare. E il Santo, confermando il già detto, ripetè il 26 ottobre: - Considerate bene le cose, è meglio per ora che il tempo ci dia tempo. Non si rifiuta, ma si soprassiede.
Il 5 novembre Don Sala, riferendo sopra un suo viaggio, nel corso del quale aveva visitato anche Vicenza, descrisse le [582] cose vedute e udite. Tra l'altro, quattro sorelle Caldonazzi, nubili e assai ricche, avrebbero dato subito lire ventimila e ancor più in seguito, inoltre un legato di ventimila lire, fatto dalla contessa Drusilla Dal Verme vedova Loschi, doveva essere pagato all'apertura della casa. Ma di fronte alle difficoltà insormontabili che ritardavano di molto l'attuazione del comune desiderio, Don Bosco espose un suo pensiero. -Non si potrebbe, disse, scrivere alle sorelle Caldonazzi che in vista della lunghezza di queste pratiche sarebbero pregate di voler dare le ventimila lire per il Sacro Cuore di Roma o per le Missioni? Loro scriverei io stesso, promettendo che all'aprirsi della casa di Vicenza quella somma si terrebbe come data.
- I Vicentini, rispose Don Sala, non vogliono vedere altro fuori del loro paese.
- In ogni modo, ripigliò il Santo, farò la prova, e scriverò anche all'erede del Duca di Parma che deve pagare il legato Loschi; tanto più che la Duchessa di Parma venne a visitarmi quand'io era a Nizza Marittima. In quanto a Vicenza si risponda di lasciar riposare il progetto fino alla primavera a beneficenza a questi tempi è molto più incerta che quando si apersero le case di Sampierdarena, di Alassio e di Marsiglia. Dalla primavera lo lasceremo riposare fino all'autunno, e via discorrendo.
Come aveva detto, così fece. Scrisse il 16 novembre alle sorelle Caldonazzi, invitandole a devolvere la somma in favore di monsignor Cagliero, che con molte Suore e Missionari trovavasi in mezzo ai deserti della Patagonia, privo di mezzi pecuniari per dar mano a tante opere di beneficenza ivi necessarie[353]; ma esse rimasero ferme nel loro divisamento di destinare quel contributo a un'istituzione salesiana nella loro patria; gli mandarono tuttavia un'offerta di lire mille per le Missioni[354]. [583] La tenacia dei Vicentini si rivelò ancora una volta, vivente Don Bosco. Chi coordinava l'azione dei promotori e comunicava d'ufficio con Torino, era fin da principio il canonico Cavedan, vicario generale della diocesi. “Tutti i buoni ed i cattivi, scriveva Don Veronesi a Don Bosco nel 1886[355], sono molto ansiosi di vedere fondata una casa salesiana a Vicenza. Le autorità sì civili si ecclesiastiche sono pronte ad aiutarci; anzi il sig. Prefetto della provincia desidererebbe affidare ai Salesiani alcuni giovanetti orfani mediante una retta mensile di venti lire ”. Il Canonico nel giugno del 1887, venuto all'Oratorio con Don Gennari parroco di S. Stefano, fu col medesimo invitato a esporre lo stato delle cose dinanzi al Capitolo Superiore, presieduto da Don Rua. Tutto sembrava concertato; viceversa tutto andò a vuoto. “Se l'opera non riuscì, scrisse il suddetto parroco[356], non fu per mancanza di buon volere, ma, come lealmente disse il veneratissimo Don Bosco, perchè non è secondo il loro spirito ”. Non era conforme allo spirito della Congregazione l'occuparsi anche di piccini inferiori agli otto anni, come si sarebbe voluto dai proponenti. Altri tentativi posteriori incontrarono la medesima sorte, sicchè fino a oggi non si potè fondare in Vicenza un'opera salesiana.
Il Podestà di Trenta con una lettera molto bella faceva noto a Don Bosco che di pieno accordo con le autorità ecclesiastiche e civili la cittadinanza chiedeva i Salesiani per la direzione di un riformatorio della gioventù; essere già pronta la casa; dipendere questa dalla Congregazione di Carità e dal Municipio; tacesse conoscere i suoi criteri di educazione e quali disposizioni si dovessero dare ai locali per non partire da punti di vista differenti; doversi cominciare nel prossimo [584] novembre con un piccolo nucleo di giovanetti già ivi ricoverati. Piacque a Don Bosco che per tal modo inaspettato si schiudessero alla Congregazione le porte dell'impero austroungarico; piacque pure che ciò fosse nella storica città del Concilio tridentino, anche perchè luogo fecondo di vocazioni. Egli disse in Capitolo il 13 luglio che si redigesse una risposta, nella quale si domandasse anche la retribuzione destinata ai Salesiani, se individuale o collettiva. Intanto affidò ad alcuni membri del Capitolo l'incarico di studiare il progetto, e nell'autunno volle che Don Sala andasse a vedere.
Don Sala vi fu accolto benissimo; ma il Podestà e i signori della Congregazione di Carità si tennero studiosamente abbottonati, sicchè nulla gli fu possibile capire circa l'andamento di quell'orfanotrofio nè gli riuscì di sapere neanche qual vitto vi si somministrasse ai ricoverati. Il locale era bellissimo, ampio e nuovo. Il Vescovo monsignor Della Bona desiderava la venuta dei Salesiani anche per un motivo suo speciale. Fra il Municipio e la Congregazione di Carità correva un certo antagonismo nocivo al bene comune; ora egli sperava che i Salesiani avrebbero formato fra i due enti l'anello di congiunzione. La casa conteneva venticinque orfanelli e altrettante orfanelle. Vi erano laboratori, i cui capi la facevano da padroni, essendo essi gl'interessati nei guadagni; i giovani perciò stavano interamente alla loro dipendenza. Alcuni di questi giovani frequentavano le scuole civiche, senza che ciò desse luogo a inconvenienti; alunni e alunne intervenivano contemporaneamente alle pratiche religiose nella stessa cappella. Il Direttore non sembrava uomo capace. Tutto poi lasciava intendere che a Trento i Salesiani sarebbero visti generalmente di buon occhio.
Il Podestà avrebbe desiderato che si mettesse subito in carta un abbozzo di convenzione; ma Don Sala prudentemente non acconsentì; soltanto espose a voce l'oggetto di alcuni articoli che poi avrebbe presentati all'esame del Capitolo Superiore: cessione ai Salesiani per uso gratuito del palazzo Crosina [585] e Sartori, come s'intitolava l'edifizio; rimozione delle orfane, cercando loro un altro locale; riparazioni esterne e modificazioni a spese del Municipio e della Congregazione di Carità; inventario di tutti gli oggetti esistenti nell'istituto con l'obbligo di restituirli nello stato in cui si troverebbero qualora i Salesiani dovessero ritirarsi; obbligo ai Salesiani di accettare solamente venticinque giovani, pagando il Municipio e la Congregazione di Carità ottanta centesimi al giorno per ogni altro di più che fosse da loro raccomandato; i giovani da accettarsi non poter avere meno di dieci nè più di dodici anni e dover essere sani e robusti; facoltà ai Salesiani di accettare quel numero di giovani e con quelle condizioni che loro piacessero; libertà al Direttore di applicare o allo studio o alle arti quelli stessi affidati dal Municipio o dalla Congregazione di Carità; stabilire esclusivamente scuole e laboratori interni; preavviso di cinque anni, se il Municipio volesse licenziare i Salesiani; di pertinenza del solo Direttore la direzione e amministrazione interna; libertà al medesimo di tenere separati dai nuovi venuti gli orfani già ricoverati o di incorporarli con essi.
Ritornato a Torino, Don Sala fece la sua relazione e diede lettura degli articoli qui sommariamente esposti. Nella discussione, parlandosi di riparazioni dell'edifizio, Don Bosco disse: - Per obbligare un Municipio a fare queste riparazioni bisogna studiare bene la questione, perchè ci siamo trovati negli imbrogli in molti luoghi. I Municipi promettono e non attendono. Si potrebbe formulare un articolo in questi termini: " Il Direttore avviserà il Municipio delle riparazioni da farsi. Il Municipio manderà a verificare e se non le farà eseguire, il Direttore stesso avrà il diritto di far compiere quelle riparazioni, rimettendo la nota delle spese al Municipio". Si studi bene la frase per obbligare chi di ragione.
Sulle cautele da usarsi nel trattare con Municipi Don Bosco in altra circostanza aveva fatto la seguente osservazione[357]: [586]
-Nei contratti coi Municipi bisogna star bene attenti, perchè vi sono sempre certe condizioni che non paiono gravose, alle quali non si bada tanto, e invece contengono la peggio per noi.
Don Bosco nominò una commissione composta di Don Sala, Don Durando e Don Lazzero, perchè stendessero uno schema di convenzione da sottoporsi ad esame in una prossima seduta. Questa si tenne il 1° dicembre. Dopo lunga discussione si fissarono sedici articoli, che poi nel 1887 servirono di base per la convenzione definitiva[358].
Il sacerdote Don Peana aveva in animo di cedere a Don Bosco un grandioso ospizio da lui eretto a Cuneo e provvisto di tutto il necessario per un centinaio di ricoverati. Anche lì si era fra due. Da un lato le solite ragioni sconsigliavano dall'accettare la nuova offerta; dall'altro l'importanza del luogo e il bisogno di sfollare la casa di S. Benigno, diminuendo il numero degli artigiani per allargare lo spazio destinato ai chierici che ormai non vi capivano più, erano due impellenti motivi per non lasciar cadere la proposta. Essendo pertanto divisi i pareri, Don Bosco risolse la questione dicendo: - Non possiamo andare avanti per mancanza di personale. Si scriva a Don Peana che ci lasci il suo istituto per testamento e alla sua morte noi gli succederemo nel continuare la sua opera. Bisogna lamentare che certi Salesiani non hanno niente di spirito salesiano. Tutti gli anni ci sono defezioni e dopo tanto lavoro per educare tali individui ci troviamo delusi. Appena preti bisogna disperderli nelle case e non hanno tempo a formarsi. Certi sacerdoti furono ordinata, perchè la necessità stringeva. Bisognerà andare adagio nelle ordinazioni e prima di queste obbligare i chierici a un anno di studentato. L'amore [587] alla famiglia e le famiglie stesse congiurano sempre a strapparci i confratelli. Bisogna consolidarci.
Le trattative per Cuneo non ebbero più alcun seguito. Ora termineremo il capo con due osservazioni sulle parole proferite da Don Bosco nella suddetta circostanza.
Le diserzioni sono un fatto di tutte le Congregazioni religiose. Don Bosco ne fece la dura esperienza fin dagli inizi, allorchè di otto giovani preparati da lui in due volte con mille cure e sacrifizi al chiericato, uno solo rimase da ultimo al suo fianco: Don Michele Rua, Di mano in mano poi che la Società Salesiana pigliava forma e stabilità, il numero di questi abbandoni diveniva relativamente meno considerevole; pure vi furono defezioni assai dolorose. È ricordato ancora con pena dai più anziani il caso di tre fratelli Cuffia, che, dotati dì eccellente ingegno e per lunghi anni oggetto delle paterne sollecitudini di Don Bosco, quando due raggiunsero il sacerdozio e il terzo vi era prossimo, gli voltarono tutti freddamente le spalle. Dinanzi però a fatti simili si legavano più strettamente a lui i suoi fidi, formando quel glorioso stato maggiore e quel magnifico stuolo di veterani, che furono vere pietre basilari dell'edifizio; d'altro canto per tali eliminazioni spontanee si tolsero dì mezzo elementi perturbatori, che avrebbero potuto nel periodo di assestamento incrinarne la compagine. Anche per questo motivo si verificò quello che Don Rua pose in bel rilievo dinanzi ai giudici del tribunale apostolico[359], attestando che “giammai avvennero durante la vita di Don Bosco scissure fra le varie sue case, e neppure alla sua morte nessun movimento nè collettivo nè individuale si manifestò contro le sue disposizioni, e l'andamento continuò come quando egli le governava ”.
Nelle parole surriferite il Santo accenna pure all'immaturità di soggetti inviati alle case. Se Don Bosco avesse aspettato a fare quando avesse tutti uomini perfetti, sarebbe morto [588] lasciando una ben misera eredità; ma su questo è limpido e decisivo il giudizio di monsignor Tasso, vescovo di Aosta, già alunno dell'Oratorio e prete della Missione. Deponendo anche lui sulla prudenza del Servo di Dio, si espresse a questo modo[360]: “Ad alcuni parve che preterisse i confini della prudenza nell'intraprendere opere grandiose senza mezzi adeguati e nel mandare a dirigere i primi collegi ed istituti uomini che parevano non abbastanza preparati; ma in questo io ammiro piuttosto la sua grande confidenza in Dio, e visto l'ottimo esito di quegli istituti, posso e devo dedurre che avesse lumi speciali dal cielo ”.
DURANTE la prima fase delle trattative per una fondazione a Dinan, attuatasi poi molto tardi, tutto andava così a seconda, che Don Bosco scrisse all'abate Martin, gran promotore dell'opera: “Dinanzi al bene immenso che io veggo da fare in Bretagna, una cosa sola mi sorprende, ed è l'assenza di prove ”[361]. Ma il nemico del bene non dormiva; infatti le prove non si fecero aspettare. Se per altro le prove non sorgevano subito a intralciare i preparativi delle imprese, le contrarietà non mancavano generalmente nei periodi iniziali ed erano tali e tante da mettere a duro cimento l'animo dei Confratelli mandati a cominciare. A quello che abbiamo visto finora e che continueremo a vedere. Scarsezza di personale, difficoltà finanziarie, ostilità di vario genere obbligavano a sacrifizi, che però d'ordinario si risolvevano in elemento fecondatore non solo di vita, ma di vitalità per le istituzioni.
La casa di Utrera incontrò la sorte comune. Centocinquanta fanciulli dei più poveri frequentavano quelle scuole come esterni; ma il Direttore lamentava di avere con sè il solo sacerdote Don Pane a prestargli valido e non sufficiente aiuto. Inoltre il marchese Ulloa non passava più, come soleva, duecento lire mensili, perchè le sue finanze non gli permettevano [590] di continuare quella elargizione. Cadendo nel 1885 il quadriennio della convenzione, si studiò dai Superiori se si dovesse o no rimanere ancora colà. Don Durando, per avere mezzi di sussistenza, proponeva di mandarvi alcuni maestri di valore e così formare parecchie classi a parte per alunni di famiglie agiate; egli era persuaso che si sarebbe avuta la scuola più fiorente della città. Don Bosco ascoltava e taceva. Ma dopo tutti prese la parola monsignor Cagliero, che aveva fatto tanto per quella fondazione, e combattè energicamente la proposta del Consigliere scolastico, perchè si sarebbero in tal modo attirati ai Salesiani gli allievi delle altre scuole cittadine, dando origine a invidie e a guerre contro i nostri. - Teniamoci, conchiuse egli, solamente i poveri. Il municipio così ci favorirà sempre e ci darà sussidi. Ma non gareggiamo con le scuole municipali. La chiesa può dare abbastanza da vivere. Il Marchese disse che in caso di necessità non lascerà di soccorrerci. Il clero ci vede di buon occhio e ci dà elemosine. Dunque non vi è nessun motivo di abbandonare Utrera. Don Oberti abbia un po' di pazienza, e provvederemo. - Don Bosco approvò questa conclusione; tutti i presenti s'inchinarono senza più al suo parere[362].
Il Direttore, conosciuta la volontà di Don Bosco, riprese talmente animo che per il 29 gennaio, nonostante l'estrema povertà di personale, potè mediante l'aiuto dei Cooperatori e delle Cooperatrici preparare con una novena di predicazione e celebrare con grande solennità la festa di S. Francesco di Sales. Accrebbe splendore alle cerimonie la presenza di un Cooperatore insigne venuto da Siviglia, monsignor Marcello Spinola, consacrato allora allora Vescovo di Coria. Giunto alla vigilia, predicò, confessò, pontificò, diede cresime e fece la conferenza ai Cooperatori. Dal resoconto pubblicato nel Diario de Sevilla del 4 febbraio si vede con gradita sorpresa quale esatta nozione egli avesse della cooperazione salesiana [591] e quanto affetto portasse a Don Bosco e alle sue istituzioni, In lui, come scriveva il Direttore[363], i Salesiani di Utrera perdevano “il padre, l'amico, il consigliere e l'aiuto in qualunque frangente ”.
Una prova ben ardua, tanto più ardua perchè ripetuta, attendeva anche quei Confratelli nell'estate: la ricomparsa del colera. I primi casi furono denunziati a Madrid l'8 giugno. L'annunzio del morbo produsse un a straordinaria commozione generale. Il contagio cominciò tosto a menare strage nelle province di Castellón, di Valencia e di Murcia. L'ottanta per cento degli attaccati morivano. La nazione fu invasa dal terrore. Con i calori di luglio il male rincrudì a segno che le tre province infette presentavano un tragico spettacolo di desolazione e di lutto. Poi l'infezione si propagò in modo che pochissime province ne andarono immuni. Sei lunghi mesi durò il flagello.
In sì gravi circostanze il Direttore del collegio non poteva certo lasciare la sua casa per venire a Torino durante il periodo degli esercizi spirituali. In previsione appunto di questa impossibilità Don Bosco gl'indirizzò una paterna sua lettera.
Mi credeva in queste vacanze di poterti vedere con alcuni dei nostri confratelli, ma le pubbliche calamità forse ci priveranno di questa consolazione.
Mentre noi ci sottomettiamo a questi divini voleri, non ci perdiamo di animo. Dio è sempre con noi; e tutti i Salesiani sono pronti a fare qualunque sacrificio per venirti in aiuto.
Se mai ti trovi in bisogno per aiutare i fanciulli fatti orfani dal cholera, dimmelo e studieremo il modo di venire in loro soccorso.
Lo stesso intendiamo di fare per la Francia e per l'Italia, dove finora grazia al cielo siamo illesi dal terribile flagello; almeno noi finora.
Attendo notizie minute dei nostri cari figli e se puoi preparare in Ispagna qualche vocazione allo stato Ecclesiastico; e col nome e cognome dei nostri benefattori specialmente della famiglia Ulloa.
Ricordati che un potente antidoto contro il cholera è il seguente che tu studierai di praticare e raccomandare: [592]
Una medaglia di Maria Ausiliatrice sulla persona.
Recitare ogni giorno la giaculatoria: 0 Maria Auxilium Christianorum, ora pro nobis.
Fa un caro saluto a' tuoi giovani e a tutti i nostri benefattori e assicurali che io prego ogni giorno per la loro felicità spirituale e temporale.
Dio ci benedica tutti e ci conservi nella sua santa grazia, e vogliate pregare anche per me che vi sarò sempre in G. C.
La casa di Sarrià si dibatteva in non minori difficoltà sia interne che esterne; ma la serenità del suo Direttore faceva sì che s'andasse avanti senza scoraggiamenti. A lui pure il nostro Santo aveva scritto:
I giornali vanno pubblicando come il cholera vi va ogni giorno più minacciando. È una prova che Dio ci fa. Abbiamo con noi l'antidoto: sappiamocene servire. Ma sèrvitene e raccomandalo: Ogni giorno: Maria Auxilium Christianorum, ora pro nobis: tre volte. Frequente comunione. Una medaglia di Lei sulla persona. Nel tuo particolare offriti di ricevere i fatti orfani dal cholera, fino a tanto che la tua casa ne può contenere. Dirai alla famiglia dei Signori Chopitea che D. Bosco prega e fa pregare tutti i suoi fanciulli orfani, 160 mila, ogni giorno nella Santa Messa secondo tutte le loro intenzioni, e che io li ringrazio tanto della carità che ci fanno.
Se le cose pubbliche lo permetteranno ci vedremo e tratteremo dei nostri affari, che non sono pochi. Intanto comincia mandare a D. Rua una nota di quanto ti sarà necessario per l'anno venturo e ci adopreremo per provvedere le cose occorrenti per lavorare alla maggior gloria di Dio.
Saluta i tuoi e miei cari giovani, cui tutti mando una speciale e santa benedizione.
La mia sanità va migliorando e posso assumermi alcuni affari più speciali. Maria ci assista tutti, ci protegga, ci difenda da ogni pericolo dell'anima e del corpo, ma pregate anche per me che vi sarò sempre in G. C.
I primitivi Direttoti salesiani, formati nell'Oratorio e partiti di qui con il cuore riboccante di affetto e di venerazione per Don Bosco, sapevano valersi di questi loro sentimenti per farsene una forza in mezzo ai giovani. A tal fine non solo instillavano in essi eguali disposizioni d'animo verso il Santo, ma anche li beneficavano e li dirigevano in suo nome, anzi li mettevano financo in relazione epistolare con lui, come avremmo già potuto rilevare più e più volte nei volumi precedenti. Non dunque per mero complimento Don Branda scriveva in dicembre al Servo di Dio: “Qui sì pensa e sì parla dì continuo del nostro Padre Don Bosco e del vivo desiderio di vederlo in un giorno non lontano. Oh se fosse possibile tale viaggio! Don Bosco è desiderato con eguale affetto nell'altra estremità della Spagna, cioè nell'Andalusia ”.
I Cooperatori barcellonesi guardavano stupefatti alla nuova forma di carità esercitata sotto i loro occhi dai figli di Don Bosco e lo stupore cresceva alla vista degli effetti. Due fratellini, rimasti orfani per causa del colera e portati nel collegio, non potevano darsi pace, respingendo da sè quelli che la Provvidenza mandava loro in sostituzione dei genitori. Ma il tenore della vita salesiana operò in entrambi un tale cambiamento, che chi li aveva veduti prima, non E riconosceva più, tanto apparivano docili, applicati e pii. Un altro orfanello del colera vivacchiava lungo la spiaggia, buscando in elemosina dai marinai qualche po' della loro galletta o, se poteva farla franca, rubacchiando carbone e altre cose presso i bastimenti o nelle barche, e vendendo poi la refurtiva per isfamarsi. Un giorno, trovato semivivo sull'arena dai doganieri, fu portato all'ospedale, dove riacquistò le forze venutegli meno per fame. Un Cooperatore salesiano, avutone pietà, lo raccomandò a Don Branda, pregandolo di togliere il piccolo infelice dal sentiero dei malfattori. Don Branda lo accolse e dì lui potè sapere soltanto che non aveva più nessuno al mondo. A poco a poco il selvaggetto imparò a pregare, a leggere e scrivere e a fare il sarto. Un altro fanciullo, tutto cuore, sentendo [594] sempre parlare di Don Bosco, gli aveva voluto scriver e in quei giorni per ringraziarlo dei benefizi che riceveva nel collegio di Sarrià. Il poverino era stato tolto di sotto a due grosse tavole, dove con le mani legate sul dorso e con un fazzoletto alla bocca doveva morire soffocato. Un sereno o vigile notturno, passando per miracolo di là ne aveva sentito il gemito e l'aveva liberato. La malvagità di una persona lo voleva morto per non dovergli restituire certa mobile dei perduti suoi genitori. Raccomandato di nascosto ai Salesiani, vi dava prove non comuni di bontà e d'ingegno. Dinanzi a fatti così eloquenti un plauso universale salutava l'avvento dei nuovi religiosi, che la benefica signora Chopitea aveva ottenuti da Don Bosco, perchè si pigliassero cura dei poveri figli del popolo.
La notizia del bene che i Salesiani operavano a Utrera e a Barcellona, propagandosi per la Spagna, faceva nascere, com'era naturale, anche in altre città il desiderio dì averli. Da Vigo il sacerdote Casimiro Vasquez sollecitava la fondazione di una scuola professionale per la gioventù povera e abbandonata nella sua patria; ma non gli si potè rispondere se non invitandolo a pregale Iddio che si degnasse benedire la Congregazione col mandarle personale spagnuolo; solo così poter tornare men difficile mettere radice anche a Vigo[364].
Nel mese di agosto parecchi Salesiani facevano gli esercizi spirituali presso i Gesuiti a Jerez de la Frontera nell'Andalusia. Il giorno 6 Don Pane scriveva dal luogo del suo ritiro a Don Bosco: “Se sapesse, carissimo Padre, quanto la amano questi buoni Cooperatori, come desiderano di vederla in mezzo a loro! Io credo che in poche città del mondo Don Bosco sia più amato e desiderato. Che prove d'affetto non ci diedero, solamente perchè sanno che siamo i figli di Don Bosco! E poichè non possono veder lei, almeno desiderano [595] di vedere una casa di suoi figli, per dimostrare almeno ai figli l'amore che portano al padre. E dicendo io loro che era assolutamente impossibile aprire una casa a Jerez, essi mi dissero: - Dica al Padre Don Bosco che ci mandi almeno un sacerdote ed un chierico, o almeno un secolare; che possiamo avere in mezzo di noi un figlio di S. Francesco di Sales, di Don Bosco, per incominciare a fare un po' di bene a migliaia di giovinetti che si vanno a perdere. Jerez abbisogna grandemente di operai cattolici ”. A questa lettera andava di conserva un caloroso invito scritto in latino dal padre Emanuele Cuelenos, superiore dei Gesuiti, per il quale Don Bosco fece stendere a Don Lemoyne una bella risposta, da lui firmata, ma di cui non abbiamo rinvenuta copia.
Come si scorge anche dal surriferito documento, nell'animo dei buoni Spagnuoli si faceva ognor più strada la persuasione che, se si volevano risparmiare tristi giorni alla cattolica Spagna, bisognava prendersi a cuore con larghezza di vedute la trascuratissima educazione dei figli del popolo. Soprattutto al diffondersi della così detta mano nera, setta anarchica che funestava con atroci delitti il paese, molti signori ben pensanti, risalendo dagli effetti alla causa, ravvisavano l'origine di tanti mali nell'ignoranza, nell'abbandono, Della seduzione della gioventù; quindi persone nobili e facoltose si radunarono a Madrid in commissione, presieduti dal senatore Silvela già Ministro degli Esteri e poi ambasciatore a Parigi, e considerando come il Governo fosse nell'impossibilità di provvedere, decisero di dare essi un esempio alla nazione, pigliando su di sè l'impresa di costruire con mezzi propri nella capitale un Riformatorio giovanile. Nè lo Stato si disinteressò interamente della cosa; poichè una legge del 4 gennaio 1883 autorizzava la fondazione di un grande istituto privato con la denominazione di Escuela de reforma para jóvenes y asilo de, correción paternal e sotto il patrocinio di S. Rita.
Prima di metter mano all'opera, si volle studiare quale fosse il sistema di educazione da adottarsi. Per questo il [596] deputato, poi senatore Lastres e un altro signore madrileno fecero un giro per tutta l'Europa, rivolgendosi ai consoli della propria nazione, che li presentarono ai Governi, presso i quali erano accreditati. Dovunque andarono, non furon loro mostrate se non case di correzione, sicchè ne videro d'ogni specie e tornarono in patria con l'idea predominante di stabilimenti, in cui c'era più del carcere che della casa di educazione. Di Don Bosco non avevano mai udito parlare. Pertanto, raccolti che avessero i giovani, pensavano di dividerli in quattro categorie: I° Gli abbandonati. 2° I pericolanti. 3° I pericolati, ma non ancora colpiti dalla legge per non essere ancora responsabili dei propri atti. 4° Giovanetti discoli di case signorili da tenersi in locali a parte, affinchè non fossero macchiate d'infamia le loro famiglie.
A questo punto stavano le cose, quando un senatore donò per tale scopo alla Commissione un buon tratto del suo giardino presso Madrid, nella quale area si prese a fabbricare un magnifico edifizio. Allorchè se n'erano già costrutte due ali, ecco giungere al signor Lastres notizia della casa salesiana di Barcellona. Fatti sospendere immantinente i lavori, scrive ad un banchiere di quella città, il quale manda prima un suo segretario a Sarriá, indi vi si reca egli in persona. Costoro non parlavano che di Riformatorio sullo stampo delle solite case di correzione; ma Don Branda rispondeva non essere tale lo scopo dei Salesiani, e diede loro il libro del D'Espiney, affinchè vedessero quale fosse il sistema di Don Bosco. Egli avrebbe preferito dare il Du Boys, ma non ne aveva copia.
Riferendo poi a Don Bosco quest'ultima particolarità dei libri, il Santo gli disse: - In questi casi è meglio dare il Du Boys. Il D'Espiney è buono per le persone pie, e serve a far aprire le borse, mentre il Du Boys fa conoscere il nostro sistema ed ha indovinato lo spirito della nostra Società. Don Bosco sul principio sentiva ripugnanza a lasciar stampare cose che lo riguardavano; ma ora, che il dado è gettato, bisogna andare avanti. Il Du Boys si deve diffondere quanto [597] più si può, venderlo, regalarlo, se è necessario, perchè ci fa conoscere sotto il nostro vero aspetto.
Torniamo al nostro racconto. Due mesi dopo quelle visite Don Branda sì vide arrivare a Sarrià il deputato Lastres con un altro signore, che gli chiedevano di visitare e studiare la casa. Anch'essi non pensavano che a Riformatori. Don Branda invece non finiva di ripetere che, se si trattava di case correzionali, cercassero altrove, tale non essendo lo scopo della Congregazione di Don Bosco; andassero invece a visitare la vicina casa governativa di correzione diretta dai frati di San Pietro in Vincoli. Queglino andarono così pro forma; poi, ritornati, stettero un giorno intero nell'ospizio a esaminarne l'andamento, le regole, le costumanze e conclusero che bisognava scrivere a Don Bosco.
Partiti per Madrid, scrissero un mese dopo a Don Branda, invitandolo ad andare da loro nella capitale. Don Branda sì schermì, dicendo che stimava inutile quella gita e che aveva infermi in casa. Passati otto giorni, una lettera di monsignor Rampolla, Nunzio Apostolico, gli rinnovò l'invito. Non si potè più tergiversare. Alla stazione lo aspettavano il Lastres e il Silvela. Presentatosi alla Nunziatura, monsignor Nunzio lo esortò a cominciare le pratiche, asserendo essere questo il desiderio del Re, che prometteva il suo appoggio.
Il giorno seguente si radunò l'intera Commissione, composta di senatori, deputati e banchieri. A Don Branda fu dato il primo Posto. Le idee di quei signori mal si accordavano con i principi che regolano il nostro sistema educativo, da loro non bene conosciuto; tuttavia, pur di raggiungere l'intento, dichiaravano di voler lasciare libertà di azione. Avere le Cortes fatta la legge, ma poterla essi far rifondere o modificare; loro intenzione essere che venisse salvata la gioventù; non essere governativa l'opera, ma privata. Si scrivesse a Don Bosco, assicurandolo che la casa in costruzione sarebbe proprietà stia. Farebbero scrittura; Don Bosco sarebbe libero di fare come gli piacesse; nessun impaccio avrebbe nella direzione. [598]
Se li volesse compagni, sarebbero con lui; se non li volesse, ma desiderasse fare da solo, se ne starebbero fuori. Così parlava a nome degli altri il ministro Silvela.
Allorchè la proposta fu discussa in Capitolo (e fu il 22 settembre 1885) Don Bosco, udita la relazione, esclamò: - Parigi! Madrid! Trento! Qual nuovo immenso orizzonte per la Congregazione salesiana! - Don Durando osservò che, se sì facesse un po' di sosta nella furia di estendersi, si sarebbe comodamente potuto aprire una casa ogni anno senza indebolire la Congregazione.
Ma Don Bosco, non raccogliendo l'osservazione, ripigliò: - Notate come la Provvidenza guidi la Congregazione Salesiana. Notate come nell'aprir case noi non sapessimo neppure quello che avremmo fatto. Più ancora: non il bene che si fa nelle nostre case o ai giovanetti noi dobbiamo considerare, ma quello che di contraccolpo si opera da altri per nostro eccitamento, senza che noi ci mettiamo fatica... Spezia! Ci siamo andati senza aiuti, e fu un colpo mortale per il Protestantesimo... Faenza! Fummo ricevuti al grido di Morte ai Salesiani, grido che continuò e continua. Osservate: quel seminario era malandato, diminuito quasi allo zero. I figli dell'avvenire, ecco il baratro nel quale cadeva la povera gioventù[365]. Noi li attaccammo, perchè nessuno allora badava a noi. Nella diocesi di Faenza non vi erano quasi più preti, e di quei pochi parecchi erano democratici. Le speranze del clero riposavano in alcuni chierichetti vagolanti per la città. Ma dacchè siamo entrati noi e per l'opera dell'ammirabile Don Taroni il seminario non basta più ad accogliere tutti i chierici. E notate che il Rettore aveva prima proposto al Vescovo di chiudere il seminario e che Don Taroni invece aveva detto: Fate venire Don Bosco, e vedrete. Prima il seminario non aveva in tutto che venti o trenta chierici, ed ora ne ha centoventi interni e cinquanta o sessanta esterni. E noi pure abbiamo già nella [599]
Congregazione alcuni chierici faentini e spero che presto con le nostre scuole avremo larga messe di vocazioni anche per noi. L'oratorio ivi continuerà a prendere forza e fra interni ed esterni si farà un gran bene anche per la diocesi.
A una breve pausa di Don Bosco interloquì Don Rua rilevando quello che egli stesso aveva poc'anzi veduto con i suoi occhi, avere cioè la presenza dei Salesiani ridato coraggio al clero, già totalmente abbattuto; in vari paesi i parroci, animati dall'esempio dell'oratorio salesiano, aver aperto oratorii festivi che allora fiorivano.
Don Bosco riprese a dire: - E tutto questo si deve alla povera Congregazione Salesiana! Quando io andai a Faenza, il Vescovo era inquieto, perchè temeva che il suo seminario restasse interamente deserto per colpa dei Salesiani. Io gli risposi che quando Don Bosco andava in un luogo, vi andava sempre con la benedizione del Vescovo. Essere quindi pronto a tornar subito via, se Sua Eccellenza non voleva Don Bosco in diocesi. Trovarsi egli però in Faenza di pieno accordo col Santo Padre, e se il Santo Padre gli domandasse notizie della cosa, essere obbligato a rispondere secondo verità e secondo quello che aveva visto. Il Vescovo si rabbonì a questa conclusione; si disse contento che Don Bosco fosse venuto a Faenza, ma temere per il suo seminario. Allora Don Taroni pieno di fede esclamò che dal punto che Don Bosco era entrato in Faenza, egli prometteva che fra pochi giorni il numero dei chierici diocesani sarebbe cresciuto di una ventina. E la cosa andò precisamente così, senza che si potesse spiegare la causa di questo consolante fenomeno. Ed ora, tornando alla proposta di Madrid, io credo che si possa delegare qualcheduno a studiare il punto dal quale si debba partire per decidere su questo negozio, esaminando la possibilità dell'esecuzione per poi manifestare a quei signori tutto il nostro buon volere. Converrà quindi mandare qualcheduno a Madrid per fermarvisi, vedere, conoscere, concludere.
Don Branda, che assisteva alla seduta, fece sapere che i [600] signori di Madrid erano risoltiti di ricorrere al Santo Padre, se il Capitolo Salesiano si fosse opposto all'attuazione del loro disegno.
E Don Bosco: - Si stabilisca dunque la Commissione per esaminare il progetto di Madrid e il modo di mutarlo secondo il nostro sistema. Di questo restino incaricati Don Durando, Don Cerruti, Don Branda, e riferiscano al Capitolo le loro conclusioni. Noi pure accondiscenderemo in tutto quello che non riguarda la sostanza del nostro sistema, e i mezzi non saranno di ostacolo; si tenga però fermo sulla nostra usanza di aver sempre in ogni ospizio le dite categorie degli studenti e degli artigiani.
Il Capitolo, quand'ebbe udite le conclusioni dei tre, deliberò di rispondere alla Commissione e al Nunzio, dichiarandosi favorevole quanto a intavolare trattative e ponendo la sola condizione che tutto si potesse fare secondo le norme direttive della Congregazione salesiana. Fu spedita insieme una copia del Regolamento delle case. Il Nunzio, avuto sull'argomento un colloquio col senatore Silvela, presidente della Commissione, informò Don Bosco che i desideri della Commissione erano in perfetta armonia con le esigenze dei Salesiani quanto a sè, essere sempre disposto a prestarsi, per quanto potesse, al buon risultato dell'erezione proposta[366].
Nel novembre successivo, tenendosi a Roma un Congresso penitenziario internazionale, i signori Silvela e Lastres, entrambi giuristi e penalisti di grido, vi parteciparono quali rappresentanti del Governo spagnuolo. Orbene nell'andare a Roma passarono per Torino e visitarono Don Bosco; ma di questa visita ignoriamo affatto i particolari.
Tre mesi di lavoro bastarono a terminare il grande edifizio; onde il 5 marzo 1886 furono rinnovate dal Silvela le istanze, accompagnate con l'invio di un memoriale in francese contenente la storia dell'opera, il testo della legge 4 gennaio [601] 1883 e l'elenco dei patroni fondatori[367]. Don Bosco rispose sollecitamente da Alassio con questa lettera, che dettò a Don Cerruti.
Ho esaminato attentamente il piano della Scuola di S. Rita, che la S. V. ebbe la bontà d'inviarmi unitamente alla legge 4 gennaio 1883 che l'autorizza, e non posso a meno di esprimere alla S. V. e agli altri on.mi membri di cotesta Commissione le mie più vive grazie per la benevolenza loro a favore dei Salesiani e la più sincera ammirazione per la squisita carità cristiana, da cui sono animati. Dio sa se non vorrei accogliere l'invito, che Ella mi rinnova con sua cortesissima del 5 corr., di assumerne la direzione. Ma, a parte la strettezza del personale per gl'impegni già esistenti, la qualità di cotesto Istituto e la forma sua disciplinare non mi permette di secondare questo desiderio reciproco. Malgrado tutta la volontà di far il bene, noi non potremmo discostarci nella pratica da quanto stabilisce il nostro Regolamento, di cui ho mandato copia nel settembre u. s. Sarebbe possibile costì per noi un Istituto sul modello dei Talleres Salesianos di Barcellona Sarrià; ma non lo potrebbe essere ugualmente una scuola di riforma sulle basi di cotesta di S. Rita.
Spero coll'aiuto dì Dio recarmi nell'Aprile p. v. a Barcellona, e mi sarà caro se potrò rivedere in quell'occasione la S. V. e l'ottimo Sig. Francisco Lastres, dei quali conservo sempre la più grata memoria, come prego di cuore il Signore che lì conservi nella sua santa grazia.
Mi creda, Ecc.mo Signore, con la più sentita stima e riconoscenza dell'E. V.
Alassio (Genova), 17 Marzo 1886.
Il Santo era allora in viaggio verso la Francia, con l'intenzione di proseguire quindi, come fece, per la Spagna. Appena si seppe del suo arrivo a Barcellona, il signor Lastres vi accorse, latore anche di una lettera del Nunzio. Il Prelato, per far piacere al signor Silvela, che lo pregava di facilitargli ancora una volta l'appagamento del suo desiderio, ripeteva essere suo voto che Don Bosco si trovasse in grado di mettere i Salesiani a capo di un Istituto cotanto benefico ed importante; [602] tanto più che la Commissione era disposta a fare tutto il necessario per disporre le cose in modo da rispettare i Regolamenti della Congregazione[368]. Don Bosco, mandando a Torino la lettera del Nunzio, vi scrisse in capo alla prima pagina: “Il Capitolo veda e faccia tutto quello che può ”.
Don Rua, che accompagnava Don Bosco nella Spagna, conferì a lungo col signor Lastres il 18 aprile, del qual colloquio conosciamo i punti essenziali da alcune note che egli mise in carta subito dopo. Fatto intendere come Don Bosco e il suo Capitolo avessero tutta la buona volontà di andare a Madrid, ma che scarseggiava purtroppo il personale, ci tenne a fermare cinque condizioni da considerarsi basilari. I° Libertà alla futura direzione di destinare i giovani a quel mestiere che secondo la loro inclinazione paresse più adatto, avuto riguardo anche alle necessità e circostanze dello stabilimento; libertà inoltre di applicare agli studi quelli che per condotta e abilità se ne mostrassero meritevoli. 2° Necessità di qualche provvedimento per poter separare dalla massa degli altri quegli allievi che sembrassero d'inciampo. 3° Convenienza di fissare uno stipendio a ciascun Salesiano o meglio ancora una somma annuale determinata per tutti i Salesiani che fossero occupati nell'Istituto. 4° Opportunità di stabilire una pensione per ciascun giovane. 5° Indispensabilità di pensare seriamente al modo di procurare lavoro ai laboratori.
Stabiliti questi capisaldi, Don Rua promise che a Torino si sarebbe presentata la cosa al Capitolo Superiore e che, se la proposta venisse accettata, si sarebbe compilato e spedito al signor Silvela o al signor Lastres un progetto di convenzione, perchè lo esaminassero e vi facessero le loro osservazioni. Ma in pari tempo ebbe cura di far sentire che non sarebbe possibile mandare tanto presto a Madrid i Salesiani.
Sopraggiunta la settimana santa, negli ultimi giorni della quale erano proibite in Ispagna le visite, Don Bosco fu lasciato [603] un po' libero, sicchè potè il giovedì santo rispondere alla lettera del Nunzio.
Eccellenza Illustris.ma e Reverendis.ma,
Ho ricevuto con molto piacere la venerata sua relativa all'istituto che in cotesta Capitale si pensa di affidare alla direzione dei Salesiani. Con molto buona volontà noi ci disponiamo a quest'impresa, tanto più in vista delle reiterate raccomandazioni dell'Eccel. V. Rev.ma. Parlando col Chiarissimo Sig. Lastres abbiam trovato modo di superare alcune difficoltà che in seguito avrebbero potuto sorgere. Di modo che ora non resta più che a fare una convenzione tra la nostra pia Società e la Commissione che promuove quest'opera, e ritornando a Torino sarà questa una delle prime occupazioni, formolare un progetto di convenzione e spedirlo all'Egregio Sig. D. Manuel Silvela perchè lo sottoponga all'esame della Commissione suddetta.
Per ora la difficoltà veramente grave che abbiamo è quella della scarsezza del personale, ma speriamo che coll'aiuto della Provvidenza anche questa si potrà superare. L'Eccel. V. R.ma pertanto potrà assicurare il sullodato Sig. D. Manuel Silvela che dal canto nostro si farà quanto si potrà per secondare i desiderii di Lui e degli altri membri della Commissione.
Gradisca, Eccellenza, i miei umili ossequii e voglia benedire me e la mia numerosa famiglia. Dal canto nostro noi non cesseremo di pregare fervorosamente il Signore a conservare per molti e molti anni ancora l'Ecc. V. Illustr.ma e Rev.ma al bene della Chiesa.
Mi creda quale ho l'onore di professarmi con tutta venerazione
Dell'Ecc. V. Illustr.ma e Rev.ma.
Barcelona-Sarrià, 22 aprile 1886.
Umil.mo ed obblig.mo Servitore
Il Capitolo Superiore non si potè occupare della faccenda prima del 25 giugno. Presiedeva Don Bosco. Udita la relazione di Don Rua, i Capitolari votarono per l'accettazione in massima della casa, purchè fosse salvo il principio dell'indipendenza dei Salesiani nella direzione e nell'amministrazione dell'ente. Si passò quindi all'esame del progetto abbozzato nelle sue linee generali. Una discussione s'impegnò su quel carattere di vero Riformatorio che sembrava volersi dare all'opera dalla Commissione madrilena. Alla fine si stabilì di [604] presentare le seguenti preliminari condizioni: I° Togliere alla casa nome e aspetto di casa correzionale, affinchè i giovani non se ne sentissero avviliti. 2° Limitare per allora le cure ai giovani abbandonati o pericolanti. 3° Per allora non accettarne dalla Questura. 4° Gli accettandi avessero non più di quattordici anni e non meno di nove. 5° Si applicassero agli studi quei giovani che i Salesiani credessero. 6° Si mandasse a Madrid, previe alcune modificazioni, il programma già formulato per Trento.
Don Rua, quando le molte sue occupazioni glielo permisero, spedì il progetto di convenzione abbozzato da Don Durando su quello di Trento[369], unendovi una lettera illustrativa per il senatore Silvela. Non ci sembra far cosa superflua o ingombrante riportando qui nella sua integrità questa lettera, tanto più che Don Bosco la fece sua apponendovi la propria firma.
Abbia la bontà di scusarci se cotanto tardammo a spedire il progetto di convenzione tra codesta Eccellentissima Commissione ed il sottoscritto: ritornato dal lungo mio viaggio mi sono trovato assediato da tante occupazioni che non mi fu possibile fino ad oggi di eseguire il mio desiderio. Ora spediamo l'unito progetto che l'E. V. colla sullodata Commissione vorranno esaminare facendoci quelle osservazioni che loro parranno opportune. È incompleto, mancandovi per esempio il tempo in cui dovrebbe aprirsi l'Istituto; questo si è fatto a bello studio, perchè, quando saremo d'accordo sui punti principali, si potrà facilmente completare coll'aggiungere quelle cose che ora mancano.
Troveranno in, esso qualche cosa che forse incontrerebbe difficoltà presso la Commissione, per esempio quello che si stabilisca nell'articolo 2° di non accettare alcuno che sia stato colpito da condanna. In questo proposito Le darò alcune spiegazioni: nostro desiderio sarebbe che i giovani che usciranno da cotesto novello Istituto, che è destinato alla loro civile e cristiana educazione, non abbiano a portare con sè alcun marchio d'infamia. Se si dicesse che escono da una casa di correzione, da un riformatorio, sarebbe una macchia forse per tutta la loro vita. Noi desideriamo che sia tolta ogni traccia che potesse nel pubblico lasciar credere che sia una casa di correzione. A tal fine siamo [605] dì parere che porti il nome di Ospizio o Istituto, e non quello di Riformatorio o Patronato ecc.; desideriamo pure che almeno per cinque anni non siavi ammesso nessuno colpito da condanna, appunto per avvezzare il popolo a non considerarlo come casa di correzione. Questo sì desidera pure per avere maggior comodità a procurare un buon fondo di giovani ben avviati, che serviranno ad istradare più facilmente al lavoro ed alla virtù gli altri che entreranno in seguito. Dopo il primo quinquennio speriamo poter anche ammettere poco alla volta giovani già colpiti da condanna; ma converrà che anche allora si faccia il possibile affinchè la cosa non trapeli nel pubblico. Così avviene in vari istituti di vari paesi, dove alla spicciolata e senza che nulla se ne dica nel pubblico la Regia Questura raccomanda di quando in quando giovani disgraziati, senza che gl'istituti od i giovani nulla abbiano a perdere della propria riputazione. Spero che anche la E. V. e la Commissione sapranno apprezzare queste ragioni.
Quanto alla quota giornaliera da passarsi ai giovani ed alla somma annuale pel personale dirigente, ecc. abbiam lasciato in bianco, attendendo la proposta che sarà per farei la Commissione. Sarà forse a tenersi in considerazione la lunghezza del viaggio.
Una piccola cosa avremmo ancora a notare, e si è che, trattandosi di un istituto di giovanetti, ci parrebbe più opportuno dargli il nome di un Santo, anzichè di una Santa. Si potrebbe, per esempio, mettere sotto la protezione ed il titolo di S. Isidoro.
Una cosa restami a dire con grande mio rincrescimento ed è che stante la ristrettezza del mio personale per qualche anno non mi sarà possibile aderire al Vostro e mio desiderio. Bisognerà attendere forse fino al 1888 od all'89 prima che io possa avere personale disponibile a codesta impresa.
In attesa delle riflessioni che l'E. V. e la Commissione saranno per fare a questo progetto, io unitamente a' miei figli prego il Signore a ricolmare de' suoi doni l'E. V. e tutti gli Onor.li Membri della Commissione, e con tutta stima godo professarmi.
Dopo questa comunicazione i mesi passavano e nessuna risposta si vedeva. Don Bosco in dicembre, umiliando i suoi auguri natalizi al Nunzio Apostolico, dovette accennare a questo inesplicabile silenzio, perchè Monsignore gli scriveva il 5 gennaio 1887[370]: “Io non saprei dirle per qual motivo non [606] siasi data risposta alla comunicazione con cui Ella rimise al Senatore Silvela il progetto richiestole; credo che in questi giorni avrò occasione di abboccarmi con alcun membro della famiglia dell'indicato signore, ed Ella può essere ben sicuro che io non mi lascerò sfuggire l'occasione di confermare la mia particolare benevolenza verso la Congregazione Salesiana ”. Non saranno mancati chiarimenti orali o scritti; ma il fatto è che qui si arrestano i nostri documenti. Visto che a reggere le sorti dell'Istituto furono chiamati i Terziari regolari francescani, i quali mantennero intera la figura di Riformatorio, non è azzardata l'ipotesi che la Commissione non abbia voluto accedere alla proposizione fondamentale di Don Bosco su questo punto. I Salesiani andarono poi nella loro veste genuina a Madrid undici anni dopo la morte del Santo.
Dalla Spagna il colera si propagò nelle parti meridionali della Francia, dove si diffuse rapidamente, sebbene con violenza di gran lunga minore che nell'anno innanzi. Una vittima gloriosa fu monsignor Forcade, arcivescovo di Aix, colpito nell'esercizio del suo ministero per l'assistenza dei colerosi. Tale perdita addolorò i Salesiani, perchè egli era non solo zelante cooperatore, ma anche grande benefattore. Nel 1881[371] erasi recato appositamente a Marsiglia per fare ai Cooperatori Salesiani quella conferenza, in cui paragonò Don Bosco a Napoleone I, proclamandolo più grande dell'Imperatore francese per aver egli spinte le sue schiere nella Patagonia. Don Bosco ne fece la commemorazione in Capitolo il 16 settembre e ordinò che se ne facesse menzione nel Bollettino italiano e francese.
Alle prime notizie dell'epidemia aveva scritto a Don Albera:
Pare non manchino le tribolazioni nemmeno per queste nostre case di Marsiglia. Dio però quando passa fa certamente giustizia; ma dopo di sè lascia sempre la sua misericordia e la sua benedizione. La [607] prima fu il vaiolo[372]; ora comincia il colera. Confidiamo in Lui, Dio, che è nostro padre, preghiamolo, ma teniamo la via retta: Buona condotta e frequente comunione e la SS. Vergine compirà l'uffizio di madre e non ne abbiamo timore.
Non so se agli esercizi spirituali potremo parlarci; ma intanto comincia mandare a D. Rua una nota di quanto ti occorre e poi tra tutti provvederemo a tutto. Credo che avrai avuto relazione di un affare della Navarra. In quello che ha relazione qui si è prontamente provveduto. Ora tu dà corso a quello di S. Margherita.
Dimmi un poco se il nostro caro ma povero D. Barruel continua nelle sue fissazioni, oppure manifesta qualche remota idea di miglioramento; perchè ai parenti suoi pare nello stato attuale egli non sia più in grado ascoltare le confessioni dei fedeli[373].
Offrite di ricevere gli orfani del colera come l'anno scorso: Dio ci aiuterà.
La mia sanità da qualche tempo andava ogni giorno peggiorando, ma ora mentre ti scrivo mi pare di essere perfettamente in salute. Credo che questo sia effetto del gran piacere con cui ti scrivo.
Dirai ai nostri amici e benefattori che ogni giorno facciamo per loro preghiere nella messa e negli esercizi di pietà che facciamo mattino e sera all'altare di Maria A. Mi farai gran piacere di darmene particolari notizie e raccomandandomi alle particolari loro preghiere.
Dio benedica te, la tua famiglia, i novizi, suore e vi conservi tutti nella sua santa grazia.
Tutti ti salutano in G. C. e ti sono
N.B. Molti a Marsiglia diedero parola di venire con te agli esercizi spirituali. Credo che attualmente sia cosa impossibile. In questi casi fa come puoi. Io ti do tutte le autorità necessarie.
Questa lettera fu di conforto a Don Albera, che di conforto aveva estremo bisogno. Le malattie, i debiti, le sollecitudini varie per le tre case vicine di S. Leone, di S. Margherita e delle Suore, se non ne stancavano la pazienza, abbattevano [608] però il coraggio del povero Ispettore, che il 4 luglio aveva scritto a Don Bonetti: “Ti assicuro che io non ne posso più. Non iscrivo a Don Bosco perchè lo contristerei troppo. Io non mi sento più di continuare fino a settembre di questo passo. Prega il Signore che mi mandi piuttosto una malattia, ma che mi tolga da questo stato, e se fosse possibile... Ma sia fatta la volontà di Dio ”.
Tuttavia, temprato alla scuola di Don Bosco, non abbandonò mai la fiducia nella divina Provvidenza. Alla sua invitta costanza si dovette la graduale sistemazione dei laboratori, che di anno in anno vennero facendo progressi notevoli. In casa i giovani gli volevano molto bene, anzi lo veneravano come un santo; fuori egli si guadagnava le simpatie di quanti avevano da trattare con lui: lo chiamavano le petit Don Bosco. Lo consolava anche il noviziato di S. Margherita, che nell'85 albergava sedici novizi francesi, tutti chierici, meno uno.
Erasi deciso che a settembre Don Rua si recasse in Francia per gli esercizi spirituali di quei Confratelli; ma le condizioni della salute pubblica consigliarono la sospensione del viaggio. - Il colera si diffonde, disse Don Bosco in Capitolo il 18 settembre. Si scriva perciò a Don Albera non essere cosa prudente questa andata in Francia: le notizie dei giornali consigliano a non commettere imprudenze. Se per colpa nostra avvenisse un minimo inconveniente, sorgerebbe in quelle parti un rumore pericoloso. Don Albera adunque aggiusti ogni cosa per gli esercizi secondo le intelligenze, Don Bonetti che è a Saint-Cyr può andare a confessare almeno in una di quelle case. Cessato il pericolo, Don Rua andrà immancabilmente in Francia e regolerà ogni cosa anche riguardo al personale. Si notifichi questa deliberazione alle quattro case di Francia e a Don Bonetti. - Ma all'andata di Don Rua fu forza rinunziare.
A Parigi le cose s'incamminavano adagio adagio, avviandosi fra molti stenti verso il loro assetto definitivo. In giugno Don Bosco aveva fatto conoscere il suo volere che la casa di Ménilmontant s'intitolasse Oratorio Salesiano di S. Pietro e [609] S. Paolo; onde poco dopo vi fu celebrata molto solennemente la festa dei due Apostoli, con la benedizione delle loro statue, donate dai Conti di Cessac. La compera di un terreno attiguo importò una spesa di quarantamila franchi, ma un tale acquisto assicurava all'Oratorio un'area fabbricabile di mille e cento metri quadrati. Il Direttore dovette sudare la parte sua per procurarsi la somma necessaria.
Di lui si ricordò affettuosamente il Servo di Dio in novembre, mandandogli per S.- Carlo auguri onomastici. Questo paterno pensiero provocò da Don Bellamy una lunga lettera ricca di notizie. De' suoi giovani scriveva anche lui al Santo: “I nostri cari giovani si mostrano ognor più amanti dei Salesiani, e dei loro padre il Signor Don Bosco; e di questo amore danno prove evidenti in ogni occasione e soprattutto nella loro assiduità all'Oratorio e nella maggior frequenza dei Sacramenti. Celebrarono il mio onomastico. Sarebbe difficile narrare la spontaneità della festa, il loro slancio e fervore, i bei regali e altre prove di affetto. Ma ciò che più di tutto tornò gradito al mio cuore, fu che presero occasione in questa festa di manifestare il loro desiderio di vedere Don Bosco e di baciare la sua mano, di ricevere la sua benedizione, di udire i suoi santi consigli. Quanto godeva io a sentire come Don Bosco sia amato da questi buoni giovani, benchè ancora non l'abbiano conosciuto! ”.
Opere nuove si erano intraprese dì fresco a favore degli studenti. Essi prima si raccoglievano nell'oratorio al giovedì, ma alla domenica non vi potevano trovare posto, perchè in quel giorno vi accorrevano numerosi i figli degli operai. Si rimediò a questo bisogno preparando per gli studenti un cortile a parte con il personale necessario e con trastulli, feste, premi speciali. Nel mese di novembre frequentavano l'oratorio alla domenica centoventi alunni delle scuole pubbliche con messa, catechismi, predica e funzioni separatamente dagli altri. Don Bellamy, che, sebbene venuto nella Congregazione già prete, aveva studiato bene i metodi salesiani, [610] istituì fra gli esterni di Ménilmontant le piccole compagnie, come aveva visto fare a Torino.
Ma l'occuparsi degli esterni non poteva e non doveva esaurire tutta l'attività dei Salesiani nemmeno a Parigi. Da ogni parte si domandava l'opera salesiana anche per alunni interni. Arrivavano già a quattro centinaia le richieste di asilo, di pane, di mestiere, di educazione cristiana e civile. Perciò, confidando in Maria Ausiliatrice, Don Bellamy incominciò lavori per ricoverarne quanti più potesse. La Provvidenza però lo sottoponeva a ben dura tribolazione: tranne pochissimi generosi, tutti gli altri Cooperatori parigini erano sordi a' suoi appelli. “Ma preghi per noi, carissimo Padre, diceva nella lettera citata; scriva ai nostri Cooperatori; noi andremo volentieri a stendere la mano in nome della gioventù povera, abbandonata e senza perdere nè confidenza nè coraggio continueremo a fare il bene che la Provvidenza ci propone da fare ”.
Naturalmente cercò d'interessare i due grandi amici, primi benefattori e quasi fondatori dell'opera, l'abate Pisani e monsignor d'Hulst; ma il 24 novembre ricevette una risposta che ci spiega la freddezza incontrata fino allora. Quanto a sè, nè l'un nè l'altro disponeva di mezzi sufficienti per prestare un valido aiuto. Quanto poi al fare essi propaganda, osservavano: “Il solo mezzo per cavare d'imbroglio l'opera dì Ménilmontant è di riparare l'errore commesso sul principio. Un'opera di Don Bosco annunciata come tale avrebbe d'un tratto raccolto mezzi rilevanti a Parigi. Invece il vostro venerabile Padre si persuase che Parigi avrebbe fatto da sè ed ha riservato ad altre opere il prestigio del suo nome e del suo intervento personale. Donde risultò che l'opera incominciò senza essere conosciuta e oggi ancora è quasi universalmente ignorata. Per trarla fuori dall'oscurità che la uccide ci vuole altro che un appello fatto da due uomini, il cui credito si è ormai esaurito a profitto di altre opere. Ci vuole un appello di Don Bosco in persona ”. [611]
Così pensavano quei due uomini insigni; la storia per altro delle opere di Don Bosco c'insegna che queste non si stabilivano per il favore e la potenza degli uomini, ma con il provvido aiuto di Maria Ausiliatrice; l'opera di Parigi ne doveva fornire una novella prova. Don Bosco, inteso da Don Bellamy a Torino in quali strettezze versasse la sua casa, gli aveva detto con la sua solita semplicità e piacevolezza: -Ottenga miracoli e vedrà che non le mancheranno i mezzi. - Don Bellamy prese alla lettera le sue parole. Prima che l'anno terminasse fece fare ai giovani di Ménilmontant una novena a Maria Ausiliatrice per la guarigione del figlio di una ricca famiglia, il quale aveva ricevuto una gravissima ferita, e la guarigione venne in modo veramente prodigioso[374]. Questo fatto provvidenziale fu il principio di tante benedizioni.
Abbiamo nominato poc'anzi i Conti di Cessac-Montesquou. Della Contessa Don Bosco, scrivendo al Direttore Don Bellamy, gli aveva detto: “La riguardi come madre; ella veramente sarà tale per i poveri figli di Don Bosco a Ménilmontant ”. La Signora l'intese esattamente a quel modo, tanta era la stima che nutriva per il Servo di Dio. Due o tre volte per settimana compariva là a informarsi minutamente di tutto. Non vi fu angolo della casa che non rammentasse qualche sua liberalità. Aveva perduto un figlio di venticinque anni; dopo di che, dimentica del posto che le competeva in società a motivo della sua nascita e delle sue qualità personali, diede l'addio al mondo, vivendo ritirata e dedita a opere di bene. Per gratitudine verso di lei quell'oratorio, detto primieramente di S. Pietro, prese a chiamarsi dei Santi Pietro e Paolo, perchè Paolo era il nome del figlio defunto[375].
DI tutti i Santi canonizzati Don Bosco è il primo che si sia interessato di meteorologia. Pur avendo in cima a' suoi pensieri la salvezza delle anime, egli nell'inviare i suoi Missionari non disdegnò di favorire i progressi di una scienza che era ancora ai suoi primi passi; infatti, come narrammo, concertò nel 1881 con il padre Denza, gran meteorologo, il modo pratico di estendere lo studio dei fenomeni atmosferici in regioni, per questo genere di ricerche, interamente inesplorate[376]. Il professore Cosimo Bertacchi, che prima di presentare allora al terzo Congresso Geografico Internazionale di Venezia la proposta di richiedere la sua cooperazione, aveva voluto scandagliarne le disposizioni al riguardo, si era immaginato di doversi sentire rispondere che i suoi Missionari avevano ben altro da fare, invece Don Bosco, accoltolo con un sorriso misterioso e paternamente ascoltatolo, gli disse che ci avrebbe pensato[377]. In realtà, ed ecco la ragione di quel sorridere, egli ci aveva già pensato; poichè nel mese di luglio aveva mandato Don Lasagna dal padre Denza a Moncalieri per manifestargli il divisamento di impiantare una buona stazione di meteorologia nel collegio Pio di Villa Colón. Gli accordi furono così facili e così rapidi, [613] che il 16 dicembre seguente gli strumenti e coloro che li dovevano maneggiare partivano già per Montevideo[378].
L'Osservatorio di Villa Colón acquistò in breve una straordinaria rinomanza nell'America meridionale. Il suo Bollettino mensile, che si cominciò quasi subito a pubblicare, oltre i dati delle osservazioni, conteneva pure articoli che ne facevano una vera rivista di meteorologia. Nè quell'Osservatorio rimase isolato e solo; ma Don Bosco ne volle ben presto altri a disposizione della Società Meteorologica Italiana, anzitutto quelli di Buenos Aires e di Carmen de Patagones. Quest'ultimo prese a funzionare il I° gennaio 1884 sotto la direzione di Don Fagnano, che il 25 scriveva al padre Denza: “Faccio tre osservazioni al giorno, una alle nove antimeridiane, la seconda alle tre e la terza alle nove pomeridiane. Le osservazioni si fanno con esattezza scrupolosa e con costanza ”.
All'Osservatorio di Carmen si segnalò poi Don Alessandro Stefenelli, partito con la spedizione di monsignor Cagliero nel gennaio del 1885. Ve l'aveva designato Doli Bosco stesso; onde aveva disposto che egli sotto la disciplina del padre Denza si addestrasse seriamente nelle osservazioni. Don Stefenelli perciò dal settembre del 1884 al 15 gennaio dell'anno appresso fu assiduo alla scuola dell'insigne maestro. Giunto poi nell'America, impiantò l'Osservatorio di Almagro, al quale attese fino a giugno, quando da Don Fagnano venne condotto a Carmen. Là costrusse un edifizio, non certo grandioso in simile località, ma sufficiente alle più essenziali esigenze scientifiche. Così, coadiuvato dagli ufficiali di marina, e tenendosi costantemente in relazione col padre Denza che in tanti modi lo aiutava, potè organizzare uno studio completo della pressione atmosferica, termo-pluviometrica e igrometrica della regione[379]. Più tardi sorsero altri Osservatori [614] salesiani alla Boca, a S. Nicolàs de los Arroyos, a Paysandù, a Puntarenas, l'odierna Magallanes.
L'esempio di Don Bosco anche in questo campo fu fecondo; lo seguirono infatti altri Istituti Ecclesiastici nostrani ed esteri, e primo d'ogni altro il padre Ludovico da Casoria alla fine del 1882[380].
Gli Osservatori salesiani formavano una rete, il cui centro era a Villa Colón. Di qui le osservazioni si spedivano direttamente al padre Denza, per cura del quale venivano pubblicate nel Bollettino Internazionale Polare di Pietroburgo e in quello della Società Geografica Italiana. Esse tennero un posto cospicuo nell'Esposizione Nazionale Torinese del 1884. Le redigeva il chierico Albanello, al quale il padre Denza scrisse il 6 dicembre 1883: “Ho ricevuto col massimo entusiasmo le regolari osservazioni che si sono fatte in cotesto Osservatorio; poi le ha redatte con grande esmero [accuratezza] e somma diligenza e le confesso che sono veramente preziose. Sono sicuro che daranno ottimi risultati per la scienza e decoro e onore a V. S. e al suo religioso Istituto ”.
Al collegio Pio non solo decoro e onore, ma apportò salvezza il suo Osservatorio nel 1885. Per una legge di soppressione degli Ordini religiosi votata dal Parlamento anche i Salesiani furono a un pelo di essere cacciati dalla Repubblica Uruguaiana. Già le suore del Buon Pastore ne avevano sperimentati gli effetti; poichè esse e le loro ragazze erano state strappate dal loro asilo. Per altro, tutto l'odio del Governo settario mirava ai Salesiani. Don Bosco, appena subodorato il pericolo, aveva fatto scrivere a Don Lasagna e a Don Costamagna (poichè anche a Buenos Aires si stava sotto la medesima minaccia) come bisognava regolarsi per parare il colpo, inviando loro anche utili documenti[381]. Al primo spedì, oltre al rimanente, il testo del diploma, con 'cui la giuria dell'Esposizione [615] di Torino assegnava la medaglia d'argento a Don Albanello, e copia di una lettera che il padre Denza aveva sollecitata dal ministro Mancini in elogio dell'Osservatorio. Tali documenti, portati a conoscenza del pubblico per mezzo della stampa, fecero credere che l'Osservatorio fosse opera promossa e protetta dal Governo italiano; quindi i governanti del paese, temendo una rottura con l'Italia, batterono in ritirata e lasciarono in pace i nostri. Cosicchè l'Osservatorio di Villa Colón rese allora un segnalato servizio anche alla Congregazione[382].
Dirigendo gli esercizi spirituali dei Confratelli, Don Bosco valicava col pensiero l'Oceano, rappresentandosi i bisogni de' suoi figli più lontani; il che lo portava a scrivere loro individualmente lettere riboccanti di affetto paterno e ricche di sante esortazioni. All'Uruguay ne indirizzò due da Valsalice. Una fu per Don Allavena, parroco di Paysandù e direttore dell'ospizio e collegio annesso alla parrocchia.
Con grande piacere e con esattezza ho sempre ricevuto le tue lettere che mi hai scritto. Ora non potendo avere la consolazione di averti meco qui agli esercizi spirituali di Valsalice, giudico opportuno di scriverti almeno una lettera che ti ricordi I' affetto che questo tuo padre ti ha sempre portato ed ognora ti porta.
Quando ci siamo abbandonati, prima della tua partenza per l'America ti ho calorosamente raccomandato l'osservanza delle nostre [616] regole; quelle regole con cui ti sei in perpetuo consacrato al servizio del Signore. Ed io nutro fiducia che tu le avrai fedelmente praticate ad utilità tua e ad edificazione de' tuoi compagni. Oltre al testo delle regole riporterai vantaggio dalla frequente lettura delle deliberazioni prese nei nostri Capitoli Superiori[383], che giova sperare ti siano stati comunicati.
Ma come Curato usa tutta la carità ai tuoi preti, affinchè ti aiutino con zelo nel sacro ministero; ed avere una cura speciale dei fanciulli, degli ammalati, dei vecchi. Che se nelle Missioni od in qualunque altro modo tu giungi a ravvisare qualche giovanetto che dà qualche speranza pel sacerdozio, sappi che Dio ti manda tra mani un tesoro.
Ogni sollecitudine, ogni fatica, ogni spesa per riuscire in una vocazione non è mai troppa: si calcola spesa sempre opportuna.
Praebe teipsum exemplum bonorum operum; ma procura che questo buon esempio risplenda nella regina delle virtù, nella castità. Ogni diligenza nelle parole, negli sguardi, nelle opere dirette alla coltura di questa virtù, non sono mai troppe.
Ti accenno appena queste cose, ma tu sei in grado di farne la spiegazione ove ne sia mestieri.
Ti benedica Iddio, o sempre caro mio D. Allavena. Io ti raccomando ogni giorno nella santa Messa e tu prega anche per me, che sono divenuto assai vecchio e semicieco; e facciamo, che, se non ci vedremo più in terra, possiamo con certezza vederci nella beata eternità.
Fa tanti saluti a tutti i nostri confratelli, raccomandami caldamente alle preghiere di tutti, che tutti sono gaudium meum et corona mea.
Torino, dal collegio di Valsalice, 24 sett. 1885.
Di sì cara lettera Don Allavena il 24 novembre, augurando a Don Bosco il buon Natale, lo ringraziava così: “Ci causò grande gioia ed al pari sorpresa la preziosa e venerata sua del. 24 settembre, scritta tutta di propria mano, e a dire il vero ci parve cosa del tutto straordinaria, attese le sue innumerevoli occupazioni ed il peso delle lunghe fatiche che gravitano stilla delicata sua salute. Letta nella conferenza ai cari nostri confratelli, tutti abbiamo stimato il suo autografo, coi tre rilevanti ricordi che contiene, della fedeltà esatta alle regole e deliberazioni dei Capitoli Superiori, della coltura squisita [617] della castità e della cura specialissima rispetto alle vocazioni religiose, come un vero testamento: ed in questo senso l'ho commentato ed inculcato a' miei buoni compagni, tanto più che ricevevamo al medesimo tempo identiche raccomandazioni per parte dei nostri amatissimi superiori di qui, Don Lasagna e Mons. Cagliero. Devo perciò presentarne a Lei i miei più sinceri ringraziamenti, e procurare di ridurre alla pratica in me e ne' miei confratelli posti sotto le mie cure, così santi ammaestramenti ”.
La seconda lettera fu per l'ispettore Don Lasagna. Si rammenti come in quei giorni Don Bosco si sentisse accasciato più del solito; questo aiuterà a comprendere il tono di testamento che egli dà al suo scritto.
Sono varii mesi in cui desiderava scriverti, ma la mia vecchia e pigra mano mi ha fatto differire questo piacere. Ma ora parmi che il sole volga all'occaso; quindi giudico di lasciarti alcuni pensieri scritti come testamento di colui che ti ha sempre amato e ti ama.
Tu hai secondata la voce del Signore e ti sei consacrato alle Missioni cattoliche. L'hai indovinata. Maria sarà tua guida fedele. Non ti mancheranno difficoltà ed anche malignità da parte del mondo, ma non darti pena, Maria ci proteggerà. Noi vogliamo anime e non altro. Ciò procuro di far risuonare all'orecchio dei nostri confratelli. 0 Signore, dateci pur croci e spine e persecuzioni di ogni genere, purchè possiamo salvare anime e fra le altre salvare la nostra.
Si avvicina l'epoca dei nostri esercizi d'America. Insisti sulla carità e dolcezza di S. Francesco di Sales, che noi dobbiamo imitare: sulla osservanza esatta delle nostre Regole, sulla lettura costante delle deliberazioni capitolari, meditando attentamente i regolamenti particolari delle Case. Credimi, o caro D. Lasagna, io ho dovuto trattare con certi nostri confratelli che ignoravano affatto queste nostre deliberazioni, ed altri che non hanno mai letto queste parti di regole o, disciplina che riguardano ai doveri ai medesimi affidati.
Altra piaga ci va minacciando ed è la dimenticanza o meglio la trascuranza delle Rubriche del Breviario e del Messale. Io sono persuaso che una muta d'esercizi spirituali porterebbe ottimi effetti se portasse il Salesiano alla recita esatta della Messa e del Breviario.
La cosa poi che ho caldamente raccomandata a coloro, cui in questi giorni ho potuto scrivere, è la coltura delle vocazioni, tanto dei Salesiani quanto delle Figlie di M. A. [618] Studia, fa progetti, non badare a spese, purchè ottenga qualche prete alla Chiesa, specialmente per le Missioni.
Quando avrai l'occasione di parlare o colle nostre Suore o coi nostri Confratelli, loro dirai da parte mia che con piacere ho ricevuto le loro lettere, i loro saluti, e provai un piacere, anzi un efficace conforto al mio cuore all'udire che tutti hanno pregato e che continuano a pregare per me.
Facciamo tutti animo. Maria benedice e protegge la nostra Congregazione; l'aiuto del Cielo non mancherà: gli operai aumentano, il fervore pare che cresca, i mezzi materiali non abbondano, ma sono sufficienti.
Dio ti benedica, o caro D. Lasagna, e con te benedica tutti i nostri figli e figlie, religiosi e allievi, e Maria assista e protegga la famiglia Buxareo e Jackson ed altri nostri benefattori; ci guidi tutti con sicurezza per la via del Cielo.
Sono qui a Valsalice per gli esercizi spirituali; tutti godono sanità e ti salutano,
La mia sanità stenta un poco, ma la tiro avanti.
Dio ci conservi tutti nella sua santa grazia.
Torino, 30 settembre 1885[384].
Don Lasagna rispose il 30 dicembre nel rimandare per qualche mese in Italia Don Calcagno e Don Rota. La sua lettera è così affettuosa, che non sappiamo trattenerci dal riportarne un brano benchè lunghetto. Così Don Lasagna presentava a Don Bosco i suoi due giovani sacerdoti: “Ecco due de' suoi cari figli che vengono a Lei da questa lontana terra per ricevere la sua paterna benedizione ed offrirle gli omaggi più teneri ed affettuosi di tutti noi. Ella li aveva congedati giovanetti ancora e ritornano a' suoi piedi fatti già sacerdoti, e dopo aver esercitato con frutti grandi il loro ministero apostolico. Nelle conferenze Ella se ne potrà servire con tutta fiducia, poichè entrambi hanno facile e chiara la parola, spirito veramente salesiano e fervoroso; specialmente Don Rota che improvvisa anche con esito sorprendente. Noi tutti li [619] invidiamo, tutti li accompagniamo col cuore e coll'anima nostra e mentre Lei benedice questi due suoi fortunati figli, può ben benedire tutti nella loro persona, poichè tutti siamo prostrati avanti a Lei. Prostrati, sì, o amatissimo Padre, per ringraziarlo di tutti i benefizi che ci ha fatto, specialmente d'averci accettati e mantenuti nella sua cara Congregazione, beneficio talmente grande che non glie lo ripagheremo neppure se dessimo la vita per Lei ”.
Seguiva poi l'atto di sudditanza a Don Rua e a monsignor Cagliero, nominati da Don Bosco suoi vicari, il primo per tutta la Congregazione e il secondo per l'America meridionale: “Dobbiamo pure ringraziarla per le premure che ebbe di darci nelle persone dell'amatissimo Sig. Don Rua un secondo Padre in Italia ed un altro in America nella persona del Venerat.mo Mons. Cagliero. Noi tutti i suoi figli dell'Ispettoria Uruguaiana e Brasiliana li accettiamo e riveriamo come il più bel dono che Ella abbia potuto farci, li obbediremo in tutto e sempre e li ameremo tanto che ci proponiamo di non affliggerli mai e poi mai anche menomamente ”.
Veniva da ultimo la parte personale con allusione alla recente lettera. “E a Lei, mio caro e venerando Padre, che dirò? A misura che Iddio mi fa meglio conoscere l'immenso tesoro che mi aveva concesso nel suo affetto e nella sua guida, dovrò rassegnarmi a perderlo? Eppure Lei me lo ripete nelle sue lettere e, nelle sue circolari! Almeno avessi meglio approfittato de' suoi consigli! Almeno sapessi portarmi in tal modo che potessi corrispondere alle sue care aspettazioni! […] Deh! m'aiuti colle sue preghiere! Non m'abbandoni sotto il peso delle grandi responsabilità che m'afferrano! ”.
Don Lasagna parla di monsignor Cagliero come di Vicario per l'America. Don Bosco, presa la decisione di stabilire Don Rua suo Vicario Generale, aveva detto: - Don Rua mio Vicario in Europa, monsignor Cagliero mio Vicario in America. - Monsignore, saputa questa sua intenzione a proprio riguardo, fece dire a Don Bosco non essere il caso di costituire [620] lui superiore agli ispettori, avendo egli già innata la superiorità; ma la lettera del Vescovo s'incontrò per via con circolari spedite da Torino agli Ispettori e annunzianti che monsignor Cagliero da Don Bosco era costituito loro superiore immediato[385]. Onde nel Catalogo del 1886 sotto AMERICA si legge: “Pro-Vicario Generale per tutte le case dell'America Meridionale S. E. Rev.ma Mons. Cagliero Giovanni, Vescovo di Magida ”.
La giurisdizione ispettoriale di Don Lasagna si estendeva, come già dicemmo, anche al Brasile; toccò quindi a lui condurre le pratiche per l'apertura di una casa a S. Paolo. Invitato dallo zelantissimo vescovo monsignor Lino, era tornato là il 19 giugno 1884 per assistere alla solenne benedizione della nuova chiesa dedicata al Sacro Cuore di Gesù e destinata ai Salesiani. A fianco della chiesa i Cooperatori costruivano un grande edifizio capace almeno di cento giovanetti interni, senza contare gli esterni. Il buon Prelato avrebbe voluto redigere subito l'atto di donazione della chiesa e del collegio; ma Don Lasagna non vi acconsentì, mancandogliene ancora l'esplicita approvazione di Don Bosco. Persuaso però intimamente della necessità di affrettare quella fondazione, scrisse una tenerissima lettera all'amato Padre, scongiurandolo a non frapporre indugi. Il Vescovo nelle due visite fattegli da Don Lasagna concepì di lui tale stima, che Soleva dire essere egli per Don Bosco quello che il Zaverio era stato per S. Ignazio di Loiola.
L'arrivo di monsignor Cagliero a Montevideo era stato salutato dai Salesiani con doppio giubilo e per la dignità episcopale di cui era investito e per il rinforzo di personale che recava all'Ispettoria; ma egli portava inoltre all'Ispettoria la lieta novella che Don Bosco rimetteva alla prudenza di esso Monsignore il decidere circa l'apertura della casa di S. Paolo. Dopo mature riflessioni, invocati i lumi celesti, fu stabilito di [621] por subito mano all'opera. La nuova casa doveva intitolarsi Liceo del Sacro Cuore: a direttore venne proposto Don Lorenzo Giordano, vicedirettore a Villa Colón. Don Lasagna, che nel collegio di Lanzo l'aveva conosciuto giovanetto pio e intelligente, lo stimava assai, nè restò deluso nella sua aspettazione.
Don Giordano salpò da Montevideo con due compagni il 15 maggio. Dopo cinque giorni di navigazione giunse a Nicteroy, indi il I° giugno fu alla capitale dello Stato di S. Paolo. Là, come altrove, gl'inizi si presentarono umili e laboriosi. Passati i primi entusiasmi che li avevano preceduti e accolti, mancò il danaro per proseguire la costruzione. I Salesiani stessi non vi trovarono allestite nemmeno le stanze per loro dimora, sicchè Don Giordano prese alloggio all'ospedale, popolato d'Italiani, e gli altri due ebbero caritatevole ospitalità dalle Suore dette dì Nostra Signora da Luz. Intanto però non se ne rimanevano inoperosi: oltrechè della chiesa e dell'ospedale, si occupavano a visitare colonie d'emigrati italiani, dove trovavano vasto campo al loro zelo[386].
Maria Ausiliatrice parve assisterli in modo sensibile. Nella colonia di S. Gaetano, formata da una cinquantina di famiglie, vi era una povera ammalata che da quattro giorni più non mangiava nè beveva nè parlava, cadendo in preda a contrazioni nervose così violente, che quattro uomini stentavano a tenerla. Il medico non ci si raccapezzava. Don Giordano, fatto ripetutamente pregare che si recasse a visitarla, non poteva allora assentarsi da casa; consigliò invece a cominciare una novena in onore di Maria Ausiliatrice. Finalmente il 20 luglio andò alla colonia ed entrato dall'inferma, la trovò circondata da una trentina di persone. Interrogata, non rispondeva in altro modo che con digrignare i denti e dibattersi. Don Giordano, fatti inginocchiare i presenti, recitò con loro tre Avemarie con l'invocazione Maria Auxilium Christianorum, [622] ora pro nobis; poi la benedisse e invitò tutti a uscire per vedere se fosse possibile disporla all'assoluzione, tanto più che prima di ridursi in quello stato aveva espresso il desiderio di confessarsi. Or ecco che, mentr'egli nuovamente la raccomandava a Maria Ausiliatrice, la udì esclamare: - Oh, mi sento meglio! - La confessò, rientrarono parenti e amici ed ella si mostrava tranquilla e in vena di conversare. Fu una commozione generale, di cui Don Giordano profittò per dire due parole sull'intercessione di Maria Santissima. La fede vacillante si ridestò nei cuori, sicchè la grazia materiale divenne sorgente di copiose grazie spirituali.
Intanto Don Giordano e i suoi vivevano nell'impazienza di dedicarsi all'opera, che costituiva l'oggetto precipuo della loro venuta; onde supplicavano l'Ispettore perchè tornasse a S. Paolo e con la sua infocata parola risvegliasse il buon volere dei facoltosi. Don Lasagna li volle accontentare. Rivedute dunque le antiche conoscenze, tanto fece e tanto disse che di lì a non molto il cantiere fu riaperto e riattivato.
Don Bosco durante gli esercizi dei Confratelli a S. Benigno, pensò anche al neo-direttore Don Giordano, al quale scrisse questa bella lettera.
Con piacere grande io e i tuoi compagni abbiamo ricevute le tue lettere e ne abbiamo fatta lettura in questi spirituali esercizii. Questi scritti ci saranno sempre graditi quando ne invierai.
Avrai certamente non poche difficoltà specialmente nel principio di una missione così estesa come è quella di S. Paolo, non è vero?
Tu devi pertanto adoperarti a cercare dei compagni e a farti delle vocazioni. Mi assicurano che queste sono molto rare; perciò se riesci a scoprirne qualcuna dovrai fare qualunque fatica e qualsiasi spesa pecuniaria che a noi sia possibile per riuscire.
Qui noi ne abbiamo molte, tuttavia se potessi mandarmene anche qualche centinaio ci faresti piacere, e noi procureremmo d'istruirli e rimandarteli, ma in grado di poterti coadiuvare nelle missioni fino al Matto Grosso.
Nei prossimi esercizii od in altre occasioni in cui potrai parlare ai nostri confratelli, dirai che io sono informato che la messe è molta e [623] scarso il numero degli operai, ma noi pregheremo e l'aiuto di Dio non ci mancherà a provvederne quanti saranno necessarii.
Sono qui a S. Benigno con 160 novizii che fanno gli esercizii per emettere i loro voti. Predicatori sono D. Francesia e D. Lemoyne che più volte hanno parlato di te e de' tuoi compagni.
Numero pari fu una muta antecedente, ma quelli sono ascritti che nella prossima settimana cominceranno il loro regolare anno di noviziato.
Addio, o sempre caro D. Giordano, abbiti cura della sanità. Il Signore benedica te, benedica quei nostri confratelli che lavorano teco e guadagnano molte anime al cielo. Salutami tutti da parte mia e dirai loro che ogni dì nella Santa Messa prego Gesù e Maria che ci aiutino a guadagnare molte anime ed essere tutti un giorno felici nel tempo e nella beata eternità. Amen.
Tutti i nostri confratelli ti salutano e pregano per te. Voi poi pregate incessantemente pel Vostro
Don Giordano, fuori di sè dalla contentezza, rispose il 22 dicembre: “Una lettera di Don Bosco! ... scritta di suo proprio pugno!!! Oh mi parve di sognare ...; mi parve leggendola di esserle davanti, di udire quelle parole proprio dalla sua bocca! Oh grazie infinite di questo regalo che io conserverò come preziosissima reliquia. La lessi in conferenza, ed Ella che sa quanto i suoi figli d'America La amano e La venerano, può facilmente immaginarsi quali effetti abbia prodotti in me e in tutti. Sì, procureremo di praticare i suoi santi consigli, di cercare vocazioni e di coltivarle, di sforzarci d'amare e far amare sempre più Gesù e (aggiungiamo) di amare e far amare chi ne è il suo rappresentante e la sua cara immagine, Don, Bosco ”.
Il Direttore dice di aver letto la lettera di Don Bosco in conferenza; aveva seco infatti tre confratelli, essendosi ai due primi aggiunto Don Cavatorta. Gli altri erano il chierico Cogliolo e il coadiutore Bologna.
Pietro Cogliolo, che morì nel 1932 incaricato d'affari all'Internunziatura Apostolica di Costarica, giovane allora di [624] belle speranze, scrisse il 4 dicembre a Don Bosco una lettera, nella quale egli dava le seguenti notizie: “Come V. P. già saprà, fu chiuso il contratto con che i Salesiani rimangono assoluti proprietari di questa casa e chiesa; per una grazia particolare del Signore sparirono le difficoltà e gli animi si addimostrarono accondiscendenti alle condizioni da noi proposte. Ora siam padroni del campo, ma sprovvisti di tutto; questo ci dà animo, poichè sappiamo come cominciò cotesto Oratorio, e l'opera tutta di Don Bosco come prosegue. Il Catechismo alla domenica continua assai bene; i ragazzi vengono molto volentieri, tanto più che si misero e il passo volante e l'altalena e altri giuochi. La chiesa è molto frequentata, gli Italiani della città e delle vicine colonie vengono bene spesso a fare qui le loro divozioni. A S. Paolo, come in tutto il Brasile, v'è gran male, tutto prodotto da una somma ignoranza di religione, ma il carattere del Brasiliero è molto arrendevole e in generale si osserva molta fede in questa povera gente [ ... ]. Bisognerebbe che i Salesiani prendessero d'assalto il Brasile; oh certo che V. P. lo farebbe tosto, se i Salesiani fossero in numero maggiore assai di quel che sono ”.
L'operosità dei Salesiani scosse e mise in orgasmo i protestanti, che li accerchiavano da ogni parte. Allarmati specialmente dall'oratorio festivo, si diedero a manovrare sott'acqua, spargendo la sciocca diceria che sì attirassero ivi i ragazzi per arrolarli nella marina. Ma i Salesiani lasciarono cantare; presero anzi motivo da simili ostilità per imprimere un moto più vigoroso alla loro attività in favore della gioventù[387].
Mentre i figli di Don Bosco si venivano affermando nel Brasile, monsignor Cagliero nell'estremità opposta del continente sudamericano spiegava tutto il suo ardore per adempiere il mandato affidatogli dalla Santa Sede. Lungo le sponde del Rio Colorado e del Rio Negro erano in via di formazione colonie miste di Europei e di Argentini, che dalla vecchia [625] Europa importavano solamente l'indifferenza religiosa, l'orgoglio e l'immoralità. Gli Indi che scendevano per le acque dei due grandi fiumi, finivano spesse volte con cadere in poco buone mani. Appena giunto in Patagonia, monsignor Cagliero sentì raccontare e vide con i propri occhi cose da barbari contro quelle povere creature, considerate come appartenenti ad un'altra umanità. Per far loro concedere tanto di libertà che bastasse per istruirli e battezzarli, egli dovette da prima sostenere lotte accanite.
Quelle incipienti popolazioni, composte di Indi convertiti e di cristiani pervertiti, udita la notizia del suo arrivo, erano curiose di vedere l'inviato del Papa e di conoscere un Vescovo; ma non si andava oltre a tale curiosità. Monsignore si avvide presto che le sue speranze dovevano fondarsi tutte sopra la nuova generazione; perciò indirizzava i suoi sforzi ad accaparrarsi l'affetto dei giovanetti e delle giovanette. I Salesiani e le Suore avevano già ottenuto qualche cosa con i loro quattro collegi, due maschili e due femminili, a Patagones e a Viedma, nei quali egli trovava le sue delizie a visitare le scuole, incontrandovi una confidenza e semplicità che lo incantava. Numerosi erano i ragazzi e le ragazze che come interni o come esterni le frequentavano. Alla domenica poi l'oratorio festivo compiva l'opera.
Ma bisognava che il Vicario Apostolico pensasse nel contempo alle missioni propriamente dette. Onde mandò il valoroso Don Milanesio con un coadiutore a fare un'escursione per preparare il terreno a una sua visita; Don Fagnano a sua volta aveva suscitato grande aspettazione fra gli Indi Linares. Prima di accingersi all'impresa, stese per Propaganda una relazione ufficiale sullo stato della sua scabrosa missione, come anche per la Propagazione della Fede.
Queste ed altre notizie monsignor Cagliero dava a Don Rua in una lettera del 30 luglio, dicendo dei Salesiani di là: “Don Bosco può gloriarsi d'avere in America un gran numero di figli che lo rappresentano, fino adesso, eccellentissimamente, [626] che lo amano e lo fanno amare ”. Questa lettera gliene meritò una bellissima da Don Bosco.
La tua lettera mi ha fatto un gran piacere, e sebbene la mia vista sia divenuta assai debole, ho voluto leggerla io stesso da capo a fondo, malgrado quella tale calligrafia che dici aver appreso da me, ma che ha degenerato dalla forma primitiva. Alle cose d'amministrazione risponderanno altri per me. Dalla parte mia ti dirò quanto segue:
Nello scrivere alla Propagazione della Fede, all'Opera della S. Infanzia tieni calcolo di tutto quello che in diversi tempi hanno fatto i Salesiani. Credo abbi teco i moduli di cui devi servirti nello esporre le cose nostre a questi Presidenti, che ricevono volentieri anche gli scritti italiani, qualora si avessero difficoltà nella lingua francese. Se non basta una, scrivi anche più lettere intorno alle escursioni di D. Fagnano, D. Milanesio, D. Bovoir ecc. Si noti particolarmente [il numero de] i battezzati, cresimati, instruiti, ricoverati in passato o al presente. Si ritenga che nella Esposizione per la Propaganda si dica tutto ma in generale. Per la Propagazione della Fede, viaggi, commercio e scoperte; per la S. Infanzia si dica minutamente ciò che è relativo ai fanciulli, alle fanciulle, alle Suore od ai Salesiani.
Se per caso vi mancassero modelli per tracciare queste relazioni, dimmelo e te ne manderemo. C'è molta propensione di venirci in aiuto. È bene però che di qui io sappia quello che scrivete almeno in complesso, quello, dico, che scrivete di lì, perchè posso esserne interrogato ad ogni momento.
Riguardo ai Vescovi Coad. ho bisogno di avere qualche richiesta positiva[388] e in questo momento spero riuscire a qualche cosa. La pratica per una Porpora all'Arcivescovo era assai ben avviata dal Card. Nina; ma ora per nostra disgrazia è passato all'eternità. Ho già toccato altro cantino, e te ne darò cenno a suo tempo.
Preparo una lettera per D. Costamagna, e per tua norma io toccherò in particolare lo spirito Salesiano che vogliamo introdurre nelle nostre case d'America.
Carità, pazienza, dolcezza, non mai rimproveri umilianti, non mai castighi, fare del bene a chi si può, del male a nessuno. Ciò valga pei Salesiani tra loro, fra gli allievi, ed altri esterni od interni. Per le relazioni colle nostre Suore usa pazienza molta, ma rigore nella osservanza delle loro regole.
In generale poi nelle nostre strettezze faremo ogni sacrifizio per venirvi in aiuto; ma raccomanda a tutti di evitare la costruzione o [627] l'acquisto di stabili che non siano strettamente necessarii a nostro uso. Non mai cose da rivendersi; non campi o terreni, o abitazioni da farne guadagno pecunario.
Procurate di aiutarci in questo senso. Fate quanto potete per avere vocazioni sia per le Suore e sia pei Salesiani, ma non impegnatevi in troppi lavori. Chi troppo vuole nulla stringe e guasta tutto.
Avendo occasione di parlare coll'Arcivescovo, con Monsig. Espinosa o ad altri simili personaggi, dirai che sono interamente per loro servizio specialmente riguardo a cose di Roma.
Dirai a mia nipote Rosina[389], che abbia molto riguardo alla sanità, che si guardi bene dall'andare sola in Paradiso. Ci vada, sì; ma accompagnata da tante anime da Lei salvate. Dio benedica tutti i nostri Figli Salesiani, le nostre sorelle Figlie di Maria Ausiliatrice.
Dia a tutti sanità, santità e la perseveranza nel cammino del Cielo. Mattino e sera pregheremo per voi tutti all'Altare di Maria; e tu prega anche per questo povero semicieco che ti sarà sempre in G. C.
Torino,[390] 6 Agosto 1885.
P.S. Una moltitudine innumerabile dimandano essere a te nominati e fanno loro ossequii.
La lettera per Don Costamagna accennata qui sopra è un documento di valore capitale. Qualunque fosse il motivo, nelle case dell'Ispettoria Argentina, soprattutto nel collegio San Carlo di Almagro, prevalevano tendenze a un rigore disciplinare non conforme alle buone tradizioni salesiane e perciò disapprovato da Don Vespignani e da altri. Già Don Rua aveva scritto il 30 giugno a monsignor Cagliero: “Abbiamo inteso da tempo che costì i collegi e case salesiane non sono tutte dirette colla dolcezza e col sistema preventivo, ma in alcuni siti si fa piuttosto uso del sistema repressivo ”. Don Bosco, quando fu ben certo che le cose stavano realmente a questo modo, si decise a intervenire presso l'Ispettore. [628]
Caro e sempre amato D. Costamagna,
L'epoca dei nostri esercizi spirituali si va avvicinando, ed io che mi vedo in cadente età vorrei potere aver meco tutti i miei figli e le nostre consorelle di America. Ciò non essendo possibile ho divisato di scrivere a te una lettera che possa a te, ad altri nostri Confratelli servire di norma a diventare veri Salesiani nei vostri esercizi che pur non sono gran fatto dai nostri lontani.
Prima di ogni cosa dobbiamo benedire e ringraziare il Signore che colla pazienza e potenza sua ci ha aiutati a superare molte e gravi difficoltà che da noi soli ne eravamo veramente incapaci. Te Deum, Ave Maria, ecc.
Di poi vorrei a tutti fare io stesso una predica o meglio una Conferenza sulla spirito Salesiano che deve animare e guidare le nostre azioni ed ogni nostro discorso. Il sistema preventivo sia proprio di noi. Non mai castighi penali, non mai parole umilianti, non rimproveri severi in presenza altrui. Ma nelle classi suoni la parola: dolcezza, carità e pazienza. Non mai parole mordaci, non mai uno schiaffo grave o leggero. Si faccia uso dei castighi negativi, e sempre in modo che coloro che siano avvisati, diventino amici nostri più di prima, e non partano mai avviliti da noi. Non si facciano mai mormorazioni contro alle disposizioni dei Superiori, ma siano tollerate le cose, che non siano di nostro gusto, o siano penibili o spiacenti. Ogni Salesiano si faccia amico di tutti, non cerchi mai far vendetta; sia facile a perdonare, ma non richiamar le cose già una volta perdonate.
Non siano mai biasimati gli ordini dei Superiori, ed ognuno studi di dare e promuovere il buon esempio. Si inculchi a tutti e si raccomandi costantemente di promuovere le vocazioni religiose tanto delle Suore quanto dei Confratelli.
La dolcezza nel parlare, nell'operare, nell'avvisare guadagna tutto e tutti. Questa sarebbe la traccia tua e degli altri che avranno parte nella prossima predicazione degli Esercizi.
Dare a tutti molta libertà e molta confidenza. Chi volesse scrivere al suo Superiore, o da lui ricevesse qualche lettera, non sia assolutamente letta da alcuno, ad eccezione che colui che la riceve, tale cosa desiderasse. Nei punti più difficili io consiglio caldamente gli Ispettori ed i Direttori di fare apposite Conferenze. Anzi io mi raccomando che D. Vespignani sia ben al chiaro in queste cose e le spieghi ai suoi Novizi o Candidati colla dovuta prudenza.
Per quanto mi è possibile desidero di lasciare la Congregazione senza imbarazzi. Perciò ho in animo di stabilire un mio Vicario Generale che sia un alter ego per l'Europa, ed un altro per l'America. Ma a questo riguardo riceverai a suo tempo istruzioni opportune.
E' assai opportuno che tu qualche volta lungo l'anno raduni i Direttori della tua Ispettoria per suggerire le norme pratiche qui sopra [629] indicate. Leggere ed inculcare la lettura e la conoscenza delle nostre regole, specialmente il capo che parla delle pratiche di pietà, l'introduzione che ho fatto alle nostre regole stesse e le deliberazioni prese nei nostri Capitoli Generali o particolari.
Tu vedi che le mie parole dimanderebbero molta spiegazione, ma tu sei certamente in grado di capire ed ove occorra comunicare ai nostri confratelli. Appena tu possa presentati a M. Arcivescovo, M.r Espinosa, a' suoi Vicarii Generali, D. Carranza, Dott. Ferrero ed altri amici e farai a tutti e ciascuno umili ed affettuosi ossequii come se io parlassi ad un solo. Dio ti benedica, o caro D. Costamagna, e con te benedica e conservi in buona salute tutti i nostri Confratelli e consorelle, e Maria Ausiliatrice vi guidi tutti per la via del Cielo. Amen.
Bisogna aver conosciuto un po' da vicino l'affetto e la docilità di quei nostri antichi verso Dori Bosco per comprendere a pieno in qual conto siano stati tenuti da. Doli Costamagna questi paterni ammonimenti. Ecco in che termini egli ne ringraziò l'amato Padre l'II novembre: “Le son molto grato della preziosissima lettera di quattro pagine che la P. V. si degnò scrivermi di sua propria mano, nonostante la sua indebolita salute! Oh quali consolazioni ho trovato in essa! Le prometto anche a nome dei miei confratelli che essa sarà l'argomento di molte conferenze e che la considereremo sempre qual caparra d'amore che nella sua vecchiaia volle mandarci il nostro amato Padre ”.
Nè furon solo parole. Don Vespignani diceva che la lettera fu copiata da molti; che parecchi vollero ringraziare personalmente Don Bosco di così salutari richiami, promettendogli la pratica scrupolosa del sistema preventivo; che taluni, sentendosi più in difetto o provando maggior difficoltà a essere caritatevoli e pazienti, vi si obbligarono con un voto, considerato da loro come un quarto voto salesiano e rinnovato ogni mese nel fare l'esercizio della buona morte. Il medesimo Don Vespignani soleva ripetere che a questa lettera di Don Bosco [630] veniva attribuita la prosperità spirituale e temporale dell'Ispettoria Argentina. Fu dunque ben ispirato Don Costamagna nel dare al testo della lettera e alle singole parti del suo contenuto la massima pubblicità, moltiplicandone le copie e facendone argomento di esortazioni in circolari, in conferenze, in prediche ai Confratelli.
Alle due precedenti sta bene unire qui una terza lettera indirizzata negli stessi giorni al Direttore del collegio S. Nicolàs de los Arroyos; poichè, oltre al portare pressochè la medesima data, rivela pure le medesime preoccupazioni.
Il ricevere tanto di rado di tue lettere mi fa giudicare che hai molto da fare; io lo credo; ma il dare di tue notizie al tuo caro D. Bosco merita certamente di essere fra gli affari da non trascurarsi. Che cosa scrivere? tu mi dirai. Scrivere della tua sanità e della sanità dei nostri Confratelli; se le regole della Congregazione sono fedelmente osservate: se si fa e come si fa l'esercizio della buona morte. Numero degli allievi e speranze che ti danno di buona riuscita. Fai qualche cosa per coltivare le vocazioni, ne hai qualche speranza? Mons. Ceccarelli è sempre un vero amico dei Salesiani? Queste risposte le attendo con gran piacere.
Siccome la mia vita corre a grandi passi al suo termine così le cose che voglio scriverti in questa lettera sono quelle che ti raccomanderei negli ultimi giorni di esilio. Mio testamento per te. Caro D. Tomatis: tien fisso nella mente che ti sei fatto salesiano per salvarti; predica e raccomanda a tutti i nostri Confratelli la medesima verità.
Ricordati che non basta sapere le cose, ma bisogna praticarle. Dio ci aiuti che non siano per noi le parole del Salvatore: Dicunt enim, et non faciunt. Procura di vedere gli affari tuoi con gli occhi tuoi. Quando taluno fa mancamenti, o trascuratezze, avvisalo prontamente senza attendere che siano moltiplicati i mali.
Colla tua esemplare maniera di vivere, colla carità nel parlare, nel comandare, nel sopportare i difetti altrui, si guadagneranno molti alla Congregazione. Raccomanda costantemente frequenza dei Sacramenti della Confessione e Comunione.
Le virtù che ti renderanno felice nel tempo e nell'eternità sono: l'umiltà e la carità.
Sii sempre l'amico, il padre dei nostri Confratelli; aiutali in tutto quello che puoi nelle cose spirituali e temporali, ma sappi servirti di loro in tutto quello che può giovare alla maggior gloria di Dio. [631]
Ogni pensiero che esprimo in questo foglio ha bisogno di essere alquanto spiegato: tu puoi ciò fare per te e per gli altri.
Dio ti benedica, o sempre caro mio D. Tomatis, fa un cordialissimo saluto a tutti i nostri confratelli, amici e benefattori. Di' che ogni mattino nella santa Messa prego per loro, e che mi raccomando umilmente alle preghiere di tutti.
Dio faccia che possiamo poi un giorno lodare il Santo Nome di Gesù e di Maria nella Beata Eternità. Amen.
Fra breve tempo ti scriverò o che farò scrivere altre cose di qualche importanza.
Maria ci tenga tutti fermi e ci guidi per la via del cielo. Amen.
Non è sfuggito certamente ai lettori con quanta insistenza Don Bosco raccomandi la cura delle vocazioni. Su questo punto Don Tomatis il 5 novembre gli faceva osservare: “Le vocazioni purtroppo si coltivano con pochissimo esito. É raro che un padre permetta a suo figlio di farsi sacerdote; ragione per cui, malgrado i fiorentissimi collegi dei Gesuiti, Francescani, Baionesi, Lazzaristi e altri, i sacerdoti che lavorano in queste terre sono quasi tutti stranieri; alcuni che vi sono buoni, furono mandati a studiare a Roma, di dove ritornarono preti. Qui ogni anno entrano in Seminario venti giovani ed escono diciotto o diciannove; se alcuno arriva ad ordinarsi è spagnuolo od Italiano. Per questo lato stiamo peggio che in terre d'infedeli. Si debbono però eccettuare alcune province come Cordova, dove le vocazioni sono un po' più frequenti. Da San Nicolàs sono usciti finora quattro o cinque Salesiani, e sono in Buenos Aires, novizi o professi triennali. Al presente però abbiamo 'molte speranze ”.
Queste speranze si avvereranno. Anche la Patagonia darà in questo campo ottimi frutti, contro le previsioni pessimistiche di altri religiosi che lavoravano da molti anni nella Repubblica. Essendo sempre andate a vuoto le loro esperienze a Buenos Aires, tentennavano il capo all'udire che i nostri' allevavano aspiranti, ma qui pure lo spirito di Don Bosco [632] trionfò di tutte le difficoltà. Fin d'allora il venerando Don Mario Migone era una buona primizia. Nel 1885, venuto in Italia con alcuno de' suoi ricchi parenti, assistette alla festa di Don Bosco, dopo la quale fece ritorno a Buenos Aires; e Don Lazzero scriveva di lui[391]: “Era pure rappresentata l'America nel Ch.co Migone, il quale nei pochi giorni che si fermò tra noi fu di vera edificazione in tutti coloro che ebbero la ventura di contemplarlo ed avvicinarlo. Se nell'America vi sono vocazioni tali, non è più il caso di farne partire dall'Europa ”.
Il buon chierico, oggi zelante sacerdote nella casa di Bahia Blanca, Giovanni Beraldi, aveva scritto a Don Bosco da Almagro, lagnandosi in certo modo con lui, perchè lo lasciasse senza sue lettere. Angustie di spirito, unite alle difficoltà inseparabili da tutti i principi, gli facevano sentire forte il bisogno di ricevere una parola di consiglio e di conforto dal vecchio padre dell'anima sua. Il Santo gli rispose con una di quelle lettere che sono balsamo al cuore per tutta la vita.
Giunsemi graditissima la tua letterina di Agosto. Non t'inquietare se non ti scrivo: sono ormai impossibilitato di farlo pei miei incomodi corporali. Sono quasi cieco, e quasi impotente a camminare, scrivere, parlare. Che vuoi? Sono vecchio, e sia fatta la S.ta volontà di Dio. Però ogni giorno prego per te, e per tutti i miei figli, e voglio che tutti servano volentieri il Signore con s. allegria, anche in mezzo alle difficoltà ed ai disturbi diabolici; questi saran fugati col segno della S. Croce, col Gesù, Maria misericordia, col viva Gesù e sopratutto col disprezzarli, e col vigilate et orate e colla fuga dell'ozio e d'ogni occasione prossima. Quanto poi agli scupoli, la sola obbedienza al tuo Direttore, a' tuoi Superiori, può farli sparire; non dimenticare perciò che vir obediens loquetur victoriam.
Approvo che tu promuova la divozione al SS. Sacramento. Fa pure di essere e rendere i tuoi allievi veri figli divoti di M. SS. ed amanti di Gesù Sacramentato, e col tempo e colla pazienza, Deo iuvante, farete mirabilia.
Fa dunque coraggio. Tutto fa e sopporta per piacere a Dio, per far la sua santa volontà, ed un tesoro di meriti ti preparerai per [633] la beata eternità. L'appoggio delle mie orazioni non ti mancherà, Dio ti benedica, benedica tutta la tua scolaresca e M. SS. Ausiliatrice tutti vi protegga e guidi nella via del Cielo.
Prega tu pure pel tuo vecchio amico e padre
Torniamo ora a monsignor Cagliero. Da un mese appena egli era sbarcato sulle sponde del Rio Negro, che ebbe la consolazione di amministrare solennemente il battesimo a due giovanotti Indi sui sedici o diciotto anni. Uno apparteneva alla tribù di Namuncurà e l'altro a quella di Payue. Strappati con la forza delle armi dai soldati argentini alle loro famiglie e tribù crudelmente disperse, erano stati, come tanti altri poveri giovani d'ambo i sessi, allogati in case private, dove attendevano al servizio domestico. Monsignore, messosi fin dai primi giorni del suo arrivo a contatto con le popolazioni, li conobbe, s'informò della loro condizione morale e seppe che al par di loro molti altri Indi vivevano allo stesso modo privi di battesimo. Ottenne dai rispettivi padroni di poter far istruire quei due nelle verità della fede. Ignoravano lo spagnuolo; ma lì preparò Don Milanesio, che nelle missioni date lungo il corso del Rio Negro ne aveva appreso il barbaro idioma. Il suo compito gli fu assai facilitato dalla loro ottima volontà. Con tutta la pompa del Rituale ricevettero il sacramento della rigenerazione nel giorno di S. Gaetano. Erano i due primi fiori colti dal Vicario Apostolico nel campo sconfinato della sua missione, ed egli pensò di farne un presente a due grandi amici di Don Bosco, imponendo ai neofiti il nome del cardinale Gaetano Alimonda e di Luigi Colle. La domenica seguente diede loro la cresima e la prima comunione; quindi vennero fotografati con Monsignore in mezzo e copie della fotografia furono mandate a Don Bosco, a Sua Eminenza e al Conte[392]. [634]
Per questa e altre cortesie il Cardinale dettò e spedì a Monsignore una lettera improntata di quella cordiale eloquenza che era tutta sua[393].
L'impressione prodotta da quelle cerimonie invogliò tanti e tanti a chiedere la stessa grazia; fra gli altri si presentò il figlio ventenne di un cacico, garzone alto e nerboruto, a cui si aggiunsero sei Indie già grandicelle. Nel giorno stabilito, che fu il 16 agosto, onomastico del Papa, ricevettero tutti insieme il battesimo. Al figlio del cacico il Vicario Apostolico impose il nome di Gioachino in omaggio al Pontefice e alle figlie del deserto quelli di Margherita Bosco, Teresa Cagliero, Manuella e Maria Fassati, Gabriella Corsi e Carolina Callori. La funzione si compiè a Viedma con tutta la solennità possibile; nella giornata poi si ripeterono sacri riti, canti e suoni a onore di Leone XIII. Fu la prima festa del Papa che si celebrasse in quelle remotissime plaghe. Di tutto il Vicario fece relazione al Santo Padre[394].
I battesimi impartiti a simili gruppi di Indi con l'imposizione di nomi e cognomi portati da persone benemerite di Don Bosco e dei Salesiani si succedettero in seguito a brevi intervalli; poichè dopo avere così predisposti gli animi Monsignore incaricò persone di girare per il campo e per i centri abitati, pregando in suo nome i padroni di mandargli Indi da loro dipendenti affine di istruirli e farli cristiani.
Dori Bosco aveva raccomandato ai Missionari della Patagonia di rivolgere le loro cure soprattutto alla gioventù; le condizioni locali confermarono l'opportunità di tale raccomandazione. Appunto per questo l'attivissimo Don Fagnano, secondato dai Confratelli e potentemente aiutato dalle Figlie di Maria Ausiliatrice, aveva attirato parte a Carmen parte a Viedma quattrocento e più fra giovanetti e giovanette di diversa provenienza e di vario colore, che vi frequentavano le scuole e gli oratori festivi. Monsignore al suo giungere vi trovò [635] le cose sì bene avviate, che, visitate quelle adunanze giovanili sulla destra e sulla sinistra del fiume, esclamò: - Ecco in piccolo il nostro Oratorio di Torino!
Dai figli Monsignore, dietro l'esempio di Don Bosco, si riprometteva la salvezza dei genitori. Purtroppo gli uomini, non esclusi gli Italiani, avevano perduto fin l'idea delle pratiche religiose. Erano, come vi si soleva dire[395], “pieni di complimenti, ma vuoti di sacramenti ”. La sete di guadagno e l'abbandono in cui erano lasciati da tanto tempo in fatto di cose spirituali, avevano prodotte le loro disastrose conseguenze.
Una volta Don Bosco aveva detto: - Se avessi duemila preti da mandare nella Pampa e nella Patagonia, saprei come impiegarli. - Allora vi era stato chi aveva sorriso all'udirlo, quasi avesse esagerato; ma i Salesiani, quanto più esploravano di quelle terre, tanto più si persuadevano che le parole di Don Bosco contenevano un gran fondo di verità. Misurando a cavallo così immense estensioni, incontravano colonie distantissime fra loro e lontane da consorzi propriamente civili, non visitate mai dal sacerdote e quanto a religione pressochè inselvatichite; oltre a questo il paese era in via di popolarsi ognor più. Restavano per giunta fitte tribù di Indi, accalcantisi ai piedi della Cordigliera e non cercati se non da chi dava loro la caccia per asservirli. Alla vista di tante miserie spirituali Don Piccono, mandato in agosto a Viedma per sostituirvi il parroco Don Remotti infermo, scriveva il 25 di quel mese a Don Lazzero: “Mandino preti, mandino chierici, mandino laici, mandino anche famiglie intiere, purchè siano buone, perchè qui c'è un infinito bi sogno non solamente di catechismo e di prediche, ma di buoni esempi; questa terra racchiude pane e companatico per tutti, purchè la si voglia esplorare e lavorare ”.
Poveri Indi, dei quali in faccia al mondo civile si sarebbe [636] voluto negare perfino l'esistenza! Ma i fatti gridavano più alto delle reticenze burocratiche. La Nation di Buenos Aires nel numero del I° novembre pubblicava la relazione di un'interpellanza al Parlamento Argentino, dalla quale ben si vede se Indi ve ne fossero e in che modo venissero trattati. Un barbaro e scandaloso spettacolo erasi svolto alla Boca. Tanti di quegli infelici, sbarcati da una nave, stavano militarmente schierati in due linee; da una parte le donne con i loro figlioletti, dall'altra gli uomini. Le donne erano disonestamente vestite; ma non questo causò il maggior ribrezzo. Giunto il momento dì distribuire i disgraziati a chi ne facesse richiesta, .si strapparono i piccolini alle loro madri fra pianti disperati degli uni e delle altre. A scena sì obbrobriosa assisteva una moltitudine di gente. Ora alla Camera due deputati ebbero il coraggio di alzare la voce in nome dell'umanità contro un trattamento così disumano, sicchè il Ministro della Guerra si sentì costretto a rispondere, promettendo la punizione dei responsabili.
Ma durante la discussione dell'interpellanza venne fuori anche altro. Un deputato denunziò un comandante che aveva fucilati duecento cinquanta Indi comprese le donne, crivellate di palle mentre si stringevano al petto i loro bambini per ripararli. Atti ripugnanti di simil genere si perpetravano per l'immensità del deserto patagonico, senza che nella Capitale se ne avesse sentore. Quante volte manu militari si raccozzavano carovane d'Indi, che si costringevano a lavori da schiavi per conto di comuni o di privati, senz'altra ricompensa che un misero nutrimento! La Nation del 10 novembre narrava questo episodio. Centocinquanta Indi viaggiavano in treno verso una località, dove si abbisognava delle loro braccia. A una stazione del Ferro-Carril oltre Tucumàn il sergente che comandava i soldati di scorta scese per dissetarsi. Nella bettola gli si avvicinò un signore, il quale, offrendogli una bottiglia di birra, chiedeva in cambio un indietto. Il militare, presa la bottiglia in una mano, aperse con l'altra la porta [637] del furgone, dove stavano ammucchiati gli Indi, afferrò il primo ragazzo capitatogli sotto e senza badare agli strilli del piccolo e alla disperazione della madre, lo diede a chi glie l'aveva chiesto. Il treno partì e il povero fanciullo rimase in potere di colui che l'aveva comprato per una bottiglia di birra.
Sono cose che non dovevamo tacere del tutto, affinchè si comprendesse meglio oggi quali fossero le vere condizioni, in cui i primi Salesiani esercitarono il proprio ministero nella missione patagonica. Ne scriveva con il cuore straziato Don Riccardi, segretario di monsignor Cagliero, in una lettera dei 12 novembre a Don Lemoyne direttore del Bollettino Salesiano: “Avrei a raccontarle fatti atroci riguardo al modo con cui sono dalle autorità militari trattati i poveri Indi che cadono nelle loro mani; ma le mando il giornale ove li potrà veder narrati dagli stessi Deputati alle Camere. Solo aggiungerò che, ciò che si dice come accaduto una volta sola e sopra alcuni individui solamente, si può con tutta verità affermare essere cose di tutti i giorni e presso a poco con tutti i poveri Indi. Non sono considerati neppure come le bestie. Queste almeno ricevono ogni giorno il sostentamento necessario alla vita, nè si costringono a lavorare oltre le proprie forze. Oh! se potessimo tutti svelare i misfatti atrocissimi, le turpitudini, le nefandità commesse da qualche anno a questa parte! Ma se a Dio piacerà, parlerà un giorno la storia e darà a conoscere al mondo chi sono i veri selvaggi della Patagonia ”.
Il 4 novembre Monsignore con Don Milanesio, un catechista e due coadiutori partì per una prima missione al campo. Il Governatore, benchè tutt'altro che tenero per i Missionari, volle essere gentile mandandogli un soldato che gli facesse da guida e diede ordine ai comandanti dei diversi posti che favorissero il Vescovo. Monsignore stette fuori fino al 30, percorrendo duecento chilometri lungo il Rio Negro. Aveva visitato con esito soddisfacente dieci stazioni, predicando, catechizzando e battezzando anche buon numero di Indi. Sperimentò [638] subito che a voler fare del bene in quelle colonie e tribù occorrevano molti mezzi materiali. Il Missionario poteva mettervi di suo disturbi, fatiche, fame, sete e altro ancora; ma senza buoni cavalli, senza guide esperte, senz’arredi sacri, senza oggetti da distribuire alle famiglie, si otteneva ben poco. Anche per siffatte necessità i Missionari nella loro corrispondenza facevano continui appelli alla generosità dei Cooperatori[396].
Un'ardita avanzata fu quella di Don Angelo Savio che con un coadiutore il 22 novembre salpò da Buenos Aires e navigando verso il sud sbarcò felicemente il 29 a Santa Cruz, capitale in embrione della governazione omonima e situata alla foce dell'omonimo fiume, che segnava il limite meridionale del Vicariato. Il Governatore aveva chiesto a monsignor Cagliero un cappellano. Monsignore, non volendo mandare a sì gran distanza un prete solo, designò d'inviare Don Beauvoir come cappellano e con lui Don Savio; ma, prevedendo difficoltà da parte del Governo centrale a concedere l'autorizzazione per quest'ultimo, gli ottenne il permesso sotto il titolo colorato di agronomo. E di agronomia realmente egli s'intendeva e mise poi a profitto le sue cognizioni. Dal canto suo il Governo, come scriveva Monsignore, pensava alla persecuzione e non alla religione.
Partì dunque per primo il prete agronomo. Trovò un tugurio di legno per abitazione. Celebrava la Messa nella sua stanza, preparando tutti i giorni l'altare sopra un tavolino e rimovendo il letto. La popolazione di Santa Cruz si riduceva a dieci famiglie, più gl'impiegati della Governazione, quelli della sottoprefettura o comando del porto e quei del commissariato della colonia: in tutto un centinaio di persone.
Gli Indi vivevano appartati nell'interno per paura; ma di tanto in tanto se ne avvicinavano per portare pelli di guanaco e piume d'uccelli, cappe e coperte da loro lavorate e cambiarle con acquavite, mate, tabacco, riso, zucchero e altro. [639]
Arrivavano a piccole squadre e disarmati, perchè non si volevano esporre le tribù al pericolo d'incontri con i soldati e alla temuta esportazione a Buenos Aires. Anche là c'erano i maltrattamenti da parte dei civili, che li riguardavano come bestie e stimavano lecito servirsene a proprio vantaggio. Eppure il Missionario riteneva che, trattati con carità, sarebbero presto divenuti amici e cristiani.
In una delle sue prime escursioni Don Savio, trovatone uno che parlava lo spagnuolo, l'adoprò come interprete nell'avvicinare i compagni per parlar loro di religione. Nulla di simile avevano mai udito e davano segno di ascoltare con piacere. Quanto al loro numero e trattamento, scriveva a Don Bosco il 6 gennaio 1886: “Qui Indi ve ne sono molti, sebbene nelle relazioni cerchino di farli scomparire [...]. Si vuol far sparire gli indigeni; chi impiega un modo chi un altro. Caro Don Bosco! Poco vi è da sperare che i governi prestino valido aiuto per civilizzare questi disgraziati; è molto se lasciano la necessaria libertà di azione. Nel modo come io son legato devo usare molti riguardi. Forse più tardi la Provvidenza presenterà mezzi, aprirà vie che io non conosco”. In generale poi aveva già scritto al Vicario Apostolico[397]: “Caro Monsignore, vi è molto male quaggiù ”.
Monsignore a stia volta avrebbe potuto rispondergli: - Vi è molto male anche quassù. - A cinquant'anni da quel tempo, noi ci domandiamo con isgomento che cosa sarebbe avvenuto di tutta la Patagonia sotto l'aspetto religioso, se fosse giunta, allo sviluppo odierno senza che sul principio del suo progredire la Provvidenza non le avesse mandato strenui operai, evangelici capaci di qualunque sacrifizio per unirla strettamente a Cristo e alla Chiesa.
Certo la vita missionaria è essenzialmente vita di sacrifizio; ma i pionieri delle missioni patagoniche toccarono nei loro sacrifizi l'eroismo, tanti e tanto duri e tanto a lungo ne [640] dovettero sopportare. Tali sacrifizi furono scritti senza dubbio da Dio nel libro della vita; sarebbe però desiderabile che a comune edificazione si potessero anche da noi registrare nel libro della storia. Qualche cosa si è fatto, sebben tardi, e si fa tuttora per serbarne la memoria; il più nondimeno è noto a Dio solo.
In quegli anni di stenti e di sofferenze una fonte perenne di santa energia era l'affetto dei Missionari per Don Bosco e per la Congregazione. È incredibile la potenza che esercitava su gli animi affranti il pensare a Doli Bosco e all'efficacia delle sue preghiere, non che il desiderio di far onore alla sorgente Congregazione, a cui si sentivano tanto più avvinti quanto più difficile e lontano era il posto assegnato al loro zelo. A tener viva questa fiamma giovava, assai la scambievole corrispondenza epistolare, che non sarebbe potuta essere più intima nè più frequente[398].
Monsignor Fagnano (così d'ora innanzi chiameremo il Prefetto Apostolico) non vedeva il momento d'imbarcarsi per le isole Malwine e la Terra del Fuoco; ma fu costretto di rimandare fa partenza all'anno seguente. Don Bosco pensava pure a lui e alla sua Missione; infatti in agosto gli mandò un vero programma di vita sia per il suo profitto individuale che per l'esercizio dell'apostolato. È anche questa una lettera preziosissima.
Prima che tu parta per la tua grande impresa della Prefettura Patagonica, dove Dio ti tiene preparata copiosissima messe, desidero anch'io indirizzarti alcune parole, che può darsi siano le ultime dell'amico dell'anima tua.
In questo tuo nuovo sacro ministero tu sarai più libero di te stesso perchè più lontano dai Confratelli stabiliti a vegliare ed aiutarti nei pericoli specialmente spirituali; perciò devi incessantemente meditare e tenere nella mente e nel cuore il gran pensiero: Dio mi vede. Dio ti vede, egli ha da giudicar me, te e tutti i nostri Confratelli e tutte quelle anime per cui fatichiamo. [641]
Nelle tue escursioni o più brevi o più lunghe non badare mai ad alcun vantaggio temporale; ma unicamente alla gloria di Dio. Ricordati bene che li tuoi sforzi siano sempre indirizzati a provvedere ai bisogni crescenti di tua Madre. Sed Mater tua est Ecclesia Dei, dice S. Girolamo.
Dovunque andrai, cerca di fondare scuole, fondare anche dei Piccoli Seminarii a fine di coltivare o almeno cercare qualche vocazione per le Suore e pei Salesiani. In queste difficili imprese peraltro procura di essere ben inteso con Monsig. Cagliero.
Le tue letture quotidiane siano: le nostre regole, specialmente il capo della pietà, la prefazione fatta da me stesso, le deliberazioni prese nei Capitoli in vari tempi tenuti.
Ama molto e studia di sostenere quelli che lavorano per la fede.
Per facilitare il disbrigo degli affari ho in animo di stabilire un Vicario Salesiano in America, come desidero di fare pei Salesiani d'Europa. Ma di questo riceverai lettere ed istruzioni, se Dio misericordioso concederà ancora un po' di tempo alla mia cadente età.
Do a te formale incarico di salutare da parte mia tanto le Suore nostre sorelle ed i miei figli Salesiani e loro allievi, e dare loro comunicazione delle cose scritte, e che possono riguardare al loro vantaggio spirituale o temporale.
Ancora una cosa. Conserva gelosamente il segreto di quanto ti sarà confidato dai Confratelli e Consorelle, e dà loro piena libertà e segretezza alle loro lettere come prescrivono le nostre regole.
Dio ti benedica, o sempre caro D. Fagnano, e con te benedica tutti anche i Superiori civili ed altri con cui hai occasione di trattare, benedica le tue opere, e pregate tutti per me, che spero di tutti vedervi sulla terra, se piace a Dio, ma con maggior sicurezza di vedervi con Gesù e Maria nella Beata Eternità. Così sia.
Durante l'attesa egli occupava il suo tempo in escursioni apostoliche e a fabbricare. Fabbricava la chiesa di Viedma, fabbricava cappelle di legno nei centri di popolazione, fabbricava case in stile un po' meno patagonico delle altre, e naturalmente fabbricava anche debiti, confidando nell'aiuto della Provvidenza per pagarli.
Lo stile patagonico è facile immaginarlo, quando si pensi che materiali di costruzione erano fango e pali. L'episcopio ad esempio, che aveva la stessa architettura, consisteva in due camere di cinque metri per sei e alte quattro, a pian terreno, [642] una per il Vescovo e l'altra per il segretario. Le finestre, una per camera, chiudevano così bene, che, quando tirava vento, ed era cosa d'ogni giorno e d'ogni notte, un centimetro almeno di sabbia copriva mobili e pavimento.
Accennavamo ai debiti. Molto indebitato era anche a Buenos Aires l'Ispettore Don Costamagna; questo tuttavia lo spaventava così poco, che aperse quasi nel centro della città una nuova casa, divenuta l'attuale collegio S. Caterina. Vi si facevano scuole diurne e oratorio festivo, frequentati già nel primo mese da centotrenta ragazzi, ignorantissimi di religione. Vi era annessa una chiesa, che offriva molta comodità per riunire i fanciulli al catechismo Don Bosco aveva dato il permesso di accettare quell'opera nel luglio del 1884; ma difficoltà impreviste apportarono un anno e più di ritardo.
Due mesi appena dopo la sua apertura quella casa soggiacque a una dolorosa prova. L'II novembre cessava di vivere il suo direttore Don Giovanni Paseri. Era in età di soli ventisei anni. Due anni prima Don Bosco gli aveva scritto: “Ti amo tanto in terra e ti amerò ancor più in cielo ”. I giovani gli volevano già così bene, che alcuni di essi offrirono a Dio la propria vita perchè fosse risparmiata la sua. Lavorava nell'America da sette anni. Scrisse di lui il suo Ispettore[399]: “Moriva colla coscienza di non essere stato causa di nessun disgusto ai superiori, e sì di averli sempre aiutati a sopportare amari travagli, egli nemico dichiarato d'ogni rimunerazione, modesto quale un angelo, zelante quale un apostolo ”. Una polmonite fulminante ne aveva troncata l'esistenza. Poco prima di spirare aveva esclamato: - Oh come sono contento di morire salesiano! - Queste parole erano l'eco di lotte sostenute con i parenti per non venir meno alla sua vocazione[400]. Don Lazzero scrisse[401]: “Fu come una grave ferita al cuore di tutti, [643] ma specialmente di Don Bosco, la perdita del buon Don Paseri ”.
Da varie parti dell'America meridionale Don Bosco riceveva lettere, che gli chiedevano Salesiani. Da Quito il Governo della Repubblica dell'Equatore glie ne fece domanda ufficialmente per mezzo del suo rappresentante a Parigi, volendo affidare ai Salesiani la direzione di scuole nella Capitale. Dalla medesima Repubblica il Vescovo di Coj a supplicava per Cariamanga e per Loja, ove case, chiese e mezzi non sarebbero mancati. Il Capitolo Superiore rispose a tutti in nome di Don Bosco, che per allora non si poteva accettare, mancando il personale, ma che, appena fosse possibile, si sarebbe andati. Trattandosene in una seduta del 16 settembre, Don Bosco disse: - Queste domande ci devono fare molto coraggio e renderci persuasi che la nostra Congregazione è benedetta da Dio e dagli uomini. Siamo invitati e ci somministrano i mezzi coloro che ci chiamano; altrimenti come faremmo ad andare in quei lontanissimi paesi? Vedere che ci offrono tutto, tutto a noi, che adesso ormai manchiamo di ogni mezzo! Abbiamo la beneficenza, è vero, che viene a battere alla nostra porta: in questo la Provvidenza non manca; ma possiamo contare solamente su di essa; risorse umane su cui fare assegnamento non ne abbiamo.
La medesima Provvidenza non cessava di squarciare ogni tanto dinanzi agli occhi di Don Bosco il velo del futuro sui progressi della Società Salesiana nel campo sconfinato delle Missioni. Anche nel 1885 un sogno rivelatore venne a manifestargli quali fossero i disegni di Dio nel remoto avvenire. Don Bosco lo narrò e commentò a tutto il Capitolo la sera del 2 luglio; Don Lemoyne si affrettò a scriverlo.
Mi parve di essere innanzi ad una montagna elevatissima, sulla cui vetta stava un Angelo splendentissimo per luce, sicchè illuminava le contrade più remote. Intorno al monte vi era un vasto regno di genti sconosciute.
L'Angelo colla destra teneva sollevata in alto una spada che [644] splendeva come fiamma vivissima e colla sinistra mi indicava le regioni all'intorno. Mi diceva: Angelus Arfaxad vocat vos ad proelianda bella Domini et ad congregandos populos in horrea Domini. [L'Angelo di Arfaxad vi chiama a combattere le battaglie del Signore ed a radunare i popoli nei granai del Signore]. La sua parola però non era come le altre volte in forma di comando, ma a modo di proposta.
Una turba meravigliosa di Angeli, di cui non ho saputo o potuto ritenere il nome, lo circondava. Fra questi vi era Luigi Colle, al quale faceva corona una moltitudine di giovanetti, a cui egli insegnava a cantare lodi a Dio, cantando lui stesso.
Intorno alla montagna, ai piedi di essa, e sopra i suoi dorsi abitava molta gente. Tutti parlavano fra di loro, ma era un linguaggio sconosciuto ed io non intendeva. Solo capiva ciò che diceva l'Angelo. Non posso descrivere quello che ho visto. Sono cose che si vedono, s'intendono, ma non si possono spiegare. Contemporaneamente vedeva oggetti separati, simultanei, i quali trasfiguravano lo spettacolo che mi stava dinanzi. Quindi ora mi pareva la pianura della Mesopotamia, ora un altissimo monte; e quella stessa montagna su cui era l'Angelo di Arfaxad ad ogni istante prendeva mille aspetti, fino a sembrare ombre vagolanti quelle genti che l'abitavano.
Innanzi a questo monte e in tutto questo viaggio mi sembrava di essere sollevato ad una altezza sterminata, come sopra le nuvole, circondato da uno spazio immenso. Chi può esprimere a parole quell'altezza, quella larghezza, quella luce, quel chiarore, quello spettacolo? Si può godere, ma non si può descrivere.
In questa e nelle altre vedute vi erano molti che mi accompagnavano e m'incoraggiavano, e facevano animo anche ai Salesiani, perchè non si fermassero nella loro strada. Fra costoro che calorosamente mi tiravano, a così dire, per mano affinchè andassi avanti, vi era il caro Luigi Colle e schiere di Angeli, i quali facevano eco ai cantici di quei giovanetti che stavano a lui d'intorno.
Quindi mi parve di essere nel centro dell'Africa in un vastissimo deserto ed era scritto in terra a grossi caratteri trasparenti: Negri. Nel mezzo vi era l'Angelo di Cam, il quale diceva: - Cessabit maledictum e la benedizione del Creatore discenderà sopra i riprovati suoi figli e il miele e il balsamo guariranno i morsi fatti dai serpenti; dopo saranno coperte le turpitudini dei figliuoli di Cam.
Finalmente mi parve d'essere in Australia.
Qui pure vi era un Angelo, ma non aveva nessun nome. Egli guidava e camminava e faceva camminare la gente verso il mezzodì. L'Australia non era un continente, ma un aggregato di tante isole, i cui abitanti erano di carattere e di figura diversa. Una moltitudine di fanciulli che colà abitavano, tentavano di venire verso di noi, ma erano impediti dalla distanza e dalle acque che li separavano. [645]
Tendevano però le mani stese verso Don Bosco ed i Salesiani, dicendo: -Venite in nostro aiuto! Perchè non compite l'opera che i vostri padri hanno incominciata? - Molti si fermarono; altri con mille sforzi passarono in mezzo ad animali feroci e vennero a mischiarsi coi Salesiani, i quali io non conosceva, e si misero a cantare: Benedictus qui venit in nomine Domini. A qualche distanza si vedevano aggregati di isole innumerabili; ma io non ne potei discernere le particolarità. Mi pare che tutto questo insieme indicasse che la divina Provvidenza offriva una porzione del campo evangelico ai Salesiani, ma in tempo futuro. Le loro fatiche otterranno frutto, perchè la mano del Signore sarà costantemente con loro, se non demeriteranno de' suoi favori.
Se potessi imbalsamare e conservare vivi un cinquanta Salesiani di quelli che ora sono fra di noi, da qui a cinquecento anni vedrebbero quali stupendi destini ci riserba la Provvidenza, se saremo fedeli.
Di qui a centocinquanta o duecento anni i Salesiani sarebbero padroni di tutto il mondo.
Noi saremo ben visti sempre, anche dai cattivi, perchè il nostro campo speciale è di tal fatta da tirare le simpatie di tutti, buoni ed empi. Potrà essere qualche testa matta che ci voglia distrutti, ma saranno progetti isolati e senza appoggio degli altri.
Tutto sta che i Salesiani non si lascino prendere dall'amore delle comodità e quindi rifuggano dal lavoro. Mantenendo anche solo le nostre opere già esistenti, e non dandosi al vizio della gola, avranno caparra di lunga durata.
La Società Salesiana prospererà materialmente, se procureremo di sostenere e di estendere il Bollettino, l'opera dei Figli di Maria Ausiliatrice, e l'estenderemo. Sono così buoni tanti di questi figliuoli! La loro istituzione è quella che ci darà valenti Confratelli risoluti nella loro vocazione.
Queste sono le tre cose che Don Bosco vide più distintamente, che meglio ricordò e che narrò la prima volta; ma, come espose successivamente a Don Lemoyne, egli aveva visto assai più. Aveva visto tutti i paesi, nei quali i Salesiani sarebbero stati chiamati con l'andare del tempo, ma in una visione fugace, facendo un rapidissimo viaggio, in cui, partito da un punto, là era ritornato. Diceva essere stato come un lampo; tuttavia nel percorrere quello spazio immenso aver distinto in un attimo regioni, città, abitanti, mari, fiumi, isole, costumi e mille fatti che s'intrecciavano e cambiamenti simultanei di spettacoli impossibili a descriversi. Di tutto perciò il fantasmagorico itinerario serbava appena un ricordo [646] indistinto nè sapeva più farne una particolareggiata descrizione. Gli era sembrato di aver seco molti, che incoraggiavano lui e i Salesiani a non mai arrestarsi per via. Fra i più animati a spronare perchè si andasse sempre avanti, appariva Luigi Colle, del quale scriveva al padre il 10 agosto: “Il nostro amico Luigi mi ha condotto a fare una gita nel centro dell'Africa, terra di Cam, diceva egli, e nelle terre di Arfaxad ossia in Cina. Se il Signore vorrà che ci troviamo insieme, ne avremo delle cose da dire ”.
Percorse una zona circolare intorno alla parte meridionale della sfera terrestre. Ecco la descrizione del viaggio, secondochè Don Lemoyne asserisce averla udita dalla sua bocca. Partì da Santiago del Cile e vide Buenos Aires, S. Paolo nel Brasile, Rio de Janeiro, Capo di Buona Speranza, Madagascar, Golfo Persico, sponde del Mar Caspio, Sermaar, monte Ararat, Senegal, Ceylan, Hong-Hong, Macao sull'entrata di un mare sterminato e davanti all'alta montagna da cui si scopriva la Cina; poi l'Impero Cinese, l'Australia, le isole Diego Ramirez; si chiuse infine la peregrinazione con il ritorno a Santiago del Cile. Nel fulmineo giro Don Bosco distingueva isole, terre e nazioni sparse sui vari gradi e molte regioni poco abitate e sconosciute. Dei nomi di tante località vedute nel sogno più non ricordava con esattezza i nomi; Macao, per esempio, la chiamava Meaco. Delle parti più meridionali dell'America fece parola con il capitano Bove; ma questi, non avendo passato il capo di Magellano per mancanza di mezzi e perchè costretto poi da diversi affari a tornar indietro, non gli potè fornire alcuno schiarimento.
Dobbiamo dire qualche cosa di quell'enigmatico Arfaxad. Prima del sogno Don Bosco non sapeva chi fosse; dopo invece ne parlava con certa frequenza. Incaricò il chierico Festa di cercare in dizionari biblici, in storie e geografie, in periodici, per iscoprire con quali popoli della terra quel supposto personaggio avesse avuto rapporti. Finalmente si credette d'aver trovato la chiave del mistero nel primo volume del [647] Rohrbacher, il quale asserisce che da Arfaxad discendono i Cinesi.
Il suo nome compare nel capo decimo del Genesi, dove si fa la genealogia dei figli di Noè, che si divisero il mondo dopo il diluvio. Al versetto 22 si legge: Filii Sem Aelam et Assur et Arphaxad et Lud et Gether et Mes. Qui, come in altre parti del grande quadro etnografico, i nomi propri designano individui che furono padri di popoli, con riferimento pure alle contrade dai medesimi popolate. Così Aelam che significa paese alto, accenna all'Elimaide che con la Susiana divenne poi provincia della Persia; Assur è il padre degli Assiri. Sul terzo nome gli esegeti non vanno d'accordo nel determina e il popolo a cui si riferisce. Alcuni, come il Vigouroux (tanto per citarne uno dei più alla mano), assegnano ad Arfaxad la Mesopotamia. In ogni modo, essendo elencato fra progenitori di schiatte asiatiche e precisamente dopo due di essi che popolarono il lembo più orientale della terra descritta nel documento mosaico, si può arguire che anche Arphaxad stia a indicare una popolazione da collocarsi al seguito delle precedenti, propagatasi poi sempre più verso l'Oriente. Non parrebbe dunque improbabile che nell'Angelo di Arfaxad sia da vedere quello dell'India e della Cina.
Don Bosco si fissò particolarmente sulla Cina e diceva sembrargli che colà fra non molto sarebbero stati chiamati i Salesiani, una volta anzi aggiunse: - Se io avessi venti Missionari da spedire in Cina, è certo che vi riceverebbero un'accoglienza trionfale nonostante la persecuzione. - Perciò d'allora in poi s'interessava assai per tutto quello che poteva riguardare il celeste impero.
A questo sogno mostrava di pensare sovente, ne discorreva volentieri e ravvisava in esso una conferma dei sogni precedenti sulle Missioni.
CHIUSA la narrazione del 1885, rimangono alquante coserelle disgregate, che cercheremo di riunire e ordinare alla meglio in questo ultimo capo. E diasi il primo posto a un gruppetto di aneddoti che direttamente o indirettamente appartengono a Don Bosco.
Le malattie della senilità aggravate dai lunghi strapazzi non devono indurre a credere che Don Bosco fosse addirittura sfatto e quasi ridotto all'impotenza. La dignità del portamento, la veneranda compostezza del volto e soprattutto la penetrante vivezza dello sguardo non lo abbandonarono mai fino al termine della vita: in quel corpo logoro e sfinito si vedeva che albergava sempre un'anima presente a sè e più gagliarda di ogni infermità. Un giorno s'incontrò con lui un pastore o ministro protestante abbastanza conosciuto a Torino specialmente per le relazioni che aveva con la Gazzetta dei Popolo e per una casa di salute da lui aperta a vantaggio dei bambini. Orbene, quando si passarono a fianco, il Santo gli vibrò un'occhiata così fulminante, che colui si sentì sconvolgere come per un ribollimento improvviso di tutto l'essere suo. Si dice che, morto il Servo di Dio, egli si sia convertito[402].
Non meno efficace del solito era pur sempre la sua parola, del che noi stessi fummo testimoni. La parola di Don Bosco [649] agiva, per dir così, anche a distanza. Un ex-allievo, abbandonata la retta via, dava gravissimi scandali. Un giorno viaggiava col Santo l'ispettore Don Cerruti. Dovendo questi in una stazione cambiar treno, mentr'egli se n'andava, D. Bosco lo prese per mano e stringendogliela in modo che lo commosse., gli disse: - Tu vedrai il tale. Digli che finalmente consoli Don Bosco. - Don Cerruti promise e imbattutosi in quel signore, gli riferì la parola di Don Bosco. Quegli restò come fulminato e, portatesi ambe le mani alla faccia, nervosamente esclamò:
Che cosa ho fatto! Quanti dispiaceri ho dato a Don Bosco!
Nè fu commozione d'un momento; poichè, come raccontava Don Cerruti, quella sera stessa egli andò a confessarsi, indi mutò vita, riparò gli scandali e si condusse da quell'ora cristianamente.
Che dire poi di certi suoi tratti, la cui finezza incomparabile non gli venne mai meno per qualsiasi estenuazione fisica? Un giovane chierico addetto alla sua persona specialmente per la corrispondenza epistolare, manifestandogli i propri difetti, gli palesò che talvolta, vinto da curiosità indiscreta e abusando della fiducia, aveva letto certe lettere che credeva poterlo interessare; gli chiedeva quindi perdono, promettendo che non avrebbe fatto mai più una cosa simile. Don Bosco per tutta risposta si strinse al cuore sorridendo la testa del chierico, raccolse quante lettere stavano sopra lo scrittoio e tutte gliele pose in mano.
Don Trione, essendo allora nell'Oratorio catechista degli studenti, aveva spesso la fortuna di poter confabulare con Don Bosco, che ne amava la candida e giuliva piacevolezza. Orbene di quest'anno egli ricorda alcuni fatterelli degni di nota.
Il primo riguarda uno degl'incomodi che maggiormente travagliavano il Santo. Si era nel cuore dell'estate e Don Trione passeggiava con lui nella biblioteca. Il Servo di Dio camminava a rilento e tutto raccolto in se stesso, ascoltando più che parlando. A un tratto si fermò e stringendosi con moto [650] convulso nelle spalle, si lasciò sfuggire, come se gemesse fra sè e sè, queste parole: - Se non lo mandano in qualche luogo, Don Bosco brucia, brucia! - Fu cosa di un attimo e tosto si ricompose; ma Don Trione capì che era in preda a un'acuta sofferenza. E doveva essere così; poichè l'eczema che gl'infiammava da gran tempo la pelle nella regione delle spalle, gli s'inaspriva per effetto del caldo e gli produceva un insopportabile pizzicore. Andò poi, come abbiamo narrato, nelle refrigeranti aure di Mathi.
Una sera, alla presenza di Don Trione e di Viglietti, estrasse dalla tasca tre oggetti che portava sempre con sè: la corona del rosario, le Rubricae missalis e una scatoletta metallica con il coperchio a vite. In questa teneva acqua benedetta. Delle Rubriche disse: - Sono ancora quelle della prima Messa. Ne ho fatto rinnovare più volte la legatura. Ogni settimana ne rileggo qualche parte e raramente avviene che non avverta alcunchè da correggere o da perfezionare nella celebrazione della santa Messa. - Era un'edizione Pomba del 1830, in piccolo formato, di 202 pagine.
Un altro giorno Don Trione si trovava nella camera di Don Bosco, quando gli fu portata la posta. Di mezzo al monticello di lettere posategli sullo scrittoio faceva capolino una busta grande, la quale da sicuri indizi si poteva credere che contenesse valori. La mano del Santo quasi con moto istintivo andò subito a quella, avvicinando il pollice e l'indice per estrarla; ma non l'ebbe appena toccata, che ne ritrasse le dita e senza interrompere la conversazione cominciò a prendere dall'alto e via via dissuggellare e aprire. Avvezzo a procedere con ordine in tutte le cose, parve a Don Trione che con quella specie di richiamo volesse correggere un movimento, il quale avesse alcun po' d'imperfetto.
In uno di quei tanti colloqui Don Bosco familiarmente gli narrò un caso occorso a lui in tempi andati. Gli disse: - É venuto Festa a domandarmi la benedizione, perchè aveva un gran male di denti. Io gli ho dato la benedizione, ma non ho [651] chiesto che il male passasse in me. Lo feci una volta, e ne ebbi dolori così atroci, che dovetti andare di notte dal dentista a farmi strappare il dente che doleva. - Il chierico Festa a Don Trione che gli riferiva la cosa, compiè la narrazione, dicendo che, messasi in testa una berretta del Santo, si era sentito meglio.
Questo particolare della berretta ci richiama alla memoria un altro fatto consimile. Nel 1885 Don Bosco fu sul punto di perdere il suo confessore. Colpito da gravissima infermità, effetto di un afflusso del sangue al capo per un affronto fattogli da certi malviventi, Don Giacomelli giaceva in fin di vita. Benchè egli avesse già ricevuto l'Olio santo, la sorella, tutta sbigottita all'idea di doverlo perdere, andava e riandava da Don Bosco per raccomandarlo alle sue preghiere, e una volta gli presentò un calottino del fratello perchè lo benedicesse. Don Bosco caritatevolmente la esaudì. Tornata quindi a casa, lo pose in capo al malato senza dirgli nulla. Orbene da quel punto Don Giacomelli cominciò a riaversi e infine guarì del tutto. Dobbiamo aggiungere che il Servo di Dio aveva già rassicurata l'afflitta donna dicendole: - Non muore ancora; devo partire io prima. - Anzi, alcuni giorni avanti che Don Giacomelli si mettesse a letto, Don Bosco, avendolo invitato a pranzo e vedendolo oppresso da profonda malinconia, aveva detto anche a lui per sollevarlo un po', presenti tutti i membri del Capitolo Superiore: - Sta' tranquillo, non temere, bonomo che sei. Toccherà a te assistere Don Bosco in punto di morte. - Come predisse, così avvenne.
Un'altra predizione fatta al salesiano Don Amossi si avverò letteralmente. Nell'autunno del 1885 egli da Lanzo era stato sbalzato a Randazzo. Avendo la mamma vecchia e inferma, temeva fondatamente di non poterla più rivedere; troppo ci sarebbe voluto per accorrere dalla Sicilia in Piemonte, dato il caso di una imminente disgrazia. A Don Bosco aveva manifestato la sua pena; ma egli, ascoltatolo con bontà, avevagli risposto: - Va pure tranquillamente a Randazzo. Ti assicuro [652] che fino a tanto che i Superiori ti lascieranno là, non capiterà nulla. -Poi, fermatosi un tantino a riflettere, ripigliò. Tu va' a Randazzo, ma non ci rimarrai molto: ritornerai a Lanzo. - Il giovane prete stette a Randazzo tre anni, in tutto il qual tempo sua madre non peggiorò punto; invece, appena venne richiamato e nuovamente stabilito a Lanzo, essa andò di male in peggio, sicchè il 4 aprile 1889 cessava di vivere[403].
Di un'altra guarigione viene attribuito il merito a Don Bosco. Il teologo Leonardo Murialdo, nell'ultimo giorno del 1884, in seguito a febbre reumatica e catarro bronchiale, fu colto da polmonite di natura maligna, che i medici disperavano di vincere. I Giuseppini costernati, ricordando gli antichi rapporti del loro Padre con Don Bosco, pensarono di ricorrere a lui, fiduciosi di ottenere un miracolo. L'8 gennaio dunque, non essendovi più umane speranze per l'infermo, si scrisse a Don Lazzero che domandasse a Don Bosco una benedizione speciale; giunse immediata risposta che quella sera Don Bosco in persona avrebbe portata la chiesta benedizione.
Andò infatti con Don Lemoyne, entrò solo nella camera del malato, stette con lui "circa mezz'ora e lo benedisse. Appena uscì tutti lo attorniarono ansiosi di sapere se il loro fondatore sarebbe morto. Don Reffo ne lo interrogò. Don Bosco rispose: - Per questa volta se la caverà ancora; almeno così ritengo. Egli deve ancora tirar su questa pianta. - Voleva dire la sua famiglia religiosa. I presenti s'inginocchiarono per essere da lui benedetti, alzandosi poi con la certezza che il teologo Murialdo sarebbe guarito.
Infatti da quella sera migliorò sempre. Tre giorni dopo il cardinale Alimonda, visitandolo, ne constatò le felici condizioni, che progredirono ogni di più fino alla perfetta [653] salute. Discorrendo quindi coi Padri, disse: - Don Bosco e il teologo Murialdo sono due gemme della mia Diocesi[404].
Sul finire di maggio Don Bosco ricevette da Tolone una lettera del canonico Rouvière, parroco di S, Luigi, che gli proponeva d'iniziare le pratiche per introdurre a Roma la causa del giovanetto Luigi Colle. Uno dei motivi che spingevano quell'ecclesiastico a fare tale proposta era ciò che gli veniva riferito dal monastero cittadino del Buon Pastore, La Superiora, suor Maria dì Santa Leocadia, nel giorno anniversario della morte di Luigi, persuasa che i genitori di lui fossero a Tolone, si accingeva a scrivere loro per vedere di addolcirne il dolore, quando una voce interna chiarissimamente le disse: - É inutile che tu scriva ad essi, perchè sono a Torino, dove Don Bosco porge loro in abbondanza i conforti di cui hanno bisogno. - Queste parole produssero nella religiosa una certezza così assoluta, che ad una sua suora entratale poco dopo in cella affermò con asseveranza: - Ai signori Colle non scrivo, perchè non sono qui, ma a Torino, presso Don Bosco.
- Chi l'ha detto a lei, Madre? domandò la suora.
- Il loro angelo, Luigi stesso; ne sono arcisicura.
E, così era in verità. Più tardi, patendosi nel convento difetto d'acqua, la Superiora fiduciosamente ricorse a Luigi, dal quale parvele udire la promessa che sarebbe appagata, perchè l'acqua verrebbe. Venne infatti ventiquattro ore dopo. In altre difficoltà, raccomandatasi con crescente confidenza a Luigi, aveva ottenuto quanto chiedeva.
Oltre a questo motivo estraneo, l'abate Rouvière ne aveva uno tutto personale per caldeggiare la sua proposta. Il figlio del conte Colle non aveva avuto mai a direttore di coscienza altri che lui, il quale con cognizione di causa lo chiamava figlio di benedizione e ne magnificava la vita angelica e la morte santa. A Roma non si fece nulla; ma il qui detto avvalora come non sì potrebbe meglio l'opinione che Don Bosco [654] aveva del giovane e serve non poco a rendere più attendibili le manifestazioni da noi descritte nel capo terzo del quindicesimo volume.
Il seguente aneddoto è anteriore; ma lo raccontò Lady Herbert nel 1884 in un autorevole periodico londinese[405], e noi ne abbiamo avuto conoscenza solamente ora. La scrittrice, imparentata con il Marchese S. di Torino, udì da lui medesimo la narrazione del fatto.
Un giovanotto di buona famiglia era addirittura sul lastrico a motivo di fortissime perdite al giuoco. Inorridito all'idea di dover dichiarare fallimento, ricorse al Marchese per aiuto. Il generoso signore gli diede in prestito una grossa somma. Quegli allora scomparve senza lasciare traccia di sè, nè speranza di restituzione.
Passarono così alcuni anni, quando un giorno il Marchese, recandosi alla stazione di Porta Susa, s'imbattè improvvisamente nel suo galantuomo. Galantuomo per davvero! La dura lezione dell'esperienza aveva prodotto il suo effetto. Datosi a una vita seria e laboriosa, e ricostituitosi un buon patrimonio, veniva espressamente a Torino per compiere il suo dovere; il che fece rimettendogli il danaro ricevuto.
Il Marchese continuò la sua strada; ma il treno era partito. Volendo aspettare la corsa seguente, pensò d'impiegare il tempo in una visita a Don Bosco. Si noti che con nessuno al mondo egli aveva mai parlato di quell'affare. Entrato dunque nella camera di Don Bosco e prima che aprisse la bocca per chiedergli come stesse, si sentì accogliere da lui con queste parole: - Aspettavo proprio lei! Voglio che mi dia il danaro che tiene in quella tasca. - E così dicendo indicava la tasca e la somma. Il Marchese fuori di sè dallo stupore esclamò: - Come mai ha potuto sapere questo? È, danaro che ho ricevuto pochi minuti fa nella maniera più inaspettata... Conosce il giovane conte B.? [655]
No, rispose Don Bosco; ma so che lei ha la somma precisa che mi occorre per pagare un debito. L'avrà di ritorno la settimana ventura.
- Quand'è così, disse il Marchese, eccole senz'altro il danaro.
Don Bosco gli rilasciò una ricevuta e la settimana appresso fu puntuale a restituire[406].
Nonostante che i carismi soprannaturali, massime negli ultimi otto anni, accompagnassero dappertutto Don Bosco, pure egli non lasciava di paventare i giudizi di Dio; onde anche allora continuava più che mai a raccomandarsi alle preghiere altrui, perchè potesse salvarsi l'anima. Una volta a S. Benigno un signore, alle preghiere del quale Don Bosco si raccomandava, credette di dovergli rispondere: - Oh! Don Bosco non ne ha bisogno. - Allora egli si fece d'un tratto serio serio, su gli occhi suoi spuntarono lacrime e disse con accento di persuasione: - Ne ho molto bisogno[407].
Dagli aneddoti passiamo ora ad esporre o meglio a riferire alcuni pensieri di Don Bosco, che, mentre ci rivelano taluni principi da lui seguiti nell'operare, costituiscono pure tante norme direttive per chiunque si trovi nelle medesime circostanze. Ricaviamo questi suoi detti dai Verbali del Capitolo Superiore, procurando solo di disporli con un cert'ordine, che ne faccia più gradevole la lettura. [656]
- L'ordinamento interno della Società Salesiana, disse in Capitolo il 24 febbraio, bisogna che si sviluppi a poco a poco, come esige la natura stessa delle cose. - Questa regola di alta prudenza, che egli s'impose fin da principio nel venir formando e organizzando la Congregazione, gli era stata di guida nel preparare il tipo di noviziato che rispondesse al suo ideale. Per una serie di esperimenti, dei quali noi abbiamo parlato altrove[408], si era giunti a creare una casa apposita per i novizi, la casa di S . Benigno; ma altro ancora restava a fare per raggiungere la piena regolarità, nel che parimente egli avanzò per gradi. Parve dunque venuto il tempo di disciplinare le accettazioni, stabilendo per l'Italia e le isole adiacenti le relative Commissioni contemplate nei Decreti Pontifici del 1848. Don Bosco aveva indugiato tanto, avvalendosi di facoltà accordategli dal Papa, come più volte si è detto.
Le Commissioni per l'ammissione al noviziato erano di due specie, una generale con voto deliberativo e più altre particolari o provinciali con voto semplicemente consultivo. La prima si convenne che fosse composta dai membri stessi del Capitolo Superiore; le seconde sarebbero dovute essere tante quante le Ispettorie. Ma poichè in Italia solamente l'Ispettoria piemontese aveva casa di noviziato, aperta però ai novizi di tutte le Ispettorie, si giudicò che una sola Commissione particolare fosse per il momento da istituire. Discutendosi di questo argomento nella seduta capitolare del 23 febbraio, Don Bosco, fatti leggere i due decreti di Pio IX, osservò: - Trattandosi di casa di noviziato, si deve lasciar da parte il rigore nel modo di costituirla. Così mi dichiararono i Sommi Pontefici Pio IX e Leone XIII. Anzi Pio IX se ne interessò personalmente in una Commissione di Prelati appositamente convocata. Per formare una casa di noviziato bastano due o tre novizi ivi radunati, anche se altri cinquanta novizi fossero stati sparsi qua e là nelle altre case a cagione di necessità, perchè essi [657] allora non sono materialmente nella casa di noviziato se non per causa di lavoro urgente e non furono messi definitivamente nei luoghi dove si trovano. A questo modo resta facile mettere case di noviziato anche nelle altre Ispettorie d'Italia. - Si deliberò dunque potersi in ogni Ispettoria d'Italia avere una Commissione ispettoriale; tuttavia per allora si provvide unicamente alla Commissione per l'Ispettoria piemontese, sede dell'unico noviziato di S. Benigno.
Questo noviziato per altro, secondo le Regole, dipendeva direttamente dal Capitolo Superiore; donde nascevano i quesiti, a chi spettasse fare le pratiche per avere carte e informazioni, a chi il convocare la Commissione di primo scrutinio, e a chi l'occuparsi dell'accettazione di soggetti provenienti da altre Ispettorie. Don Bosco e il Capitolo dichiararono e deliberarono il 24 febbraio: I° L'Ispettore dell'Ispettoria di Torino, essere uguale in autorità agli altri Ispettori e la sua ispezione non estendersi fuori dell'Ispettoria piemontese. 2° L'Ispettore dell'Ispettoria piemontese non comprendere nella sua giurisdizione la casa dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, la quale, finchè fosse sede del Capitolo Superiore, dipenderebbe da questo. 3° L'Ispettore piemontese non avere giurisdizione sulla casa di noviziato, ma questa dipendere direttamente dal Capitolo Superiore per mezzo del Catechista della Congregazione. 4° Si eleggesse intanto una sola Commissione provinciale, che esaminasse i novizi per tutta la Congregazione. Ciò posto, furono eletti a far parte di detta Commissione otto membri, fra i quali due Ispettori[409]. [658]
Veramente quest'elezione, a tenore dei decreti, si sarebbe dovuta fare per segreti suffragi, il che non fu osservato; ma Don Bosco disse che per allora si trattava solo di porre le basi; con la quale osservazione egli intendeva dir e che al solito voleva far precedere un periodo di prova e dopo addivenire alla sistemazione regolare e definitiva.
Restavano insolute due questioni, chi cioè dovesse raccogliere i documenti necessari per le accettazioni dei novizi, se il Direttore del noviziato o l'Ispettore piemontese, e chi avesse da presiedere la Commissione provinciale. Riguardo alla prima, Don Bosco disse, e il Capitolo approvò: - I documenti saranno raccolti dal Direttore del noviziato, il quale si servirà di vari membri della Commissione per procurarseli e al medesimo saranno trasmesse tutte le carte che in proposito pervenissero al Capitolo Superiore. Egli a tempo debito raccoglierà la Commissione che basterà sia composta di quattro membri; quindi potrà andare in Liguria e ivi radunare quattro fra i membri della costituenda Commissione provinciale appartenenti a quell'Ispettoria, per non costringerli a venire in Piemonte con loro incomodo ed ivi esaminare le carte e dare il primo voto. - Quanto alla presidenza, Don Bosco risolse la cosa in questo modo: - Deve presiedere il Direttore della casa di noviziato. Tuttavia per ora, finchè la cosa non sia incamminata bene, la presidenza sarà tenuta da un membro del Capitolo Superiore da designarsi; questi però non farà parte della Commissione generale, secondo i decreti.
Accadeva talvolta che giovani artigiani aspiranti non si sentissero disposti a farsi ascrivere per la ripugnanza che avevano dì andare a S. Benigno. La ragione era che, desiderosi d'imparare la loro arte, ritenevano mancarne a S. Benigno i mezzi e la comodità. Don Bosco, udita la cosa, disse il 24 agosto: - Trattandosi di studenti, non farei mai eccezioni; ma trattandosi di artigiani non avrei difficoltà in dati casi di ascriverli, dispensandoli dall'andare a S. Benigno.
Non bastava accettare i coadiutori che domandassero di [659] venire, ma bisognava anche cercarne. - È necessario che troviamo buoni coadiutori, osservò Don Bosco il 18 settembre. A questo fine teniamoci in relazione coi parroci e chiediamo loro se avessero nelle loro campagne qualche buon giovinotto fidato, di moralità sicura, amante della pietà, desideroso di ritirarsi dal mondo, e preghiamo che vogliano indirizzarceli. - Don Lazzero rispose che piuttosto venivano i parroci a raccomandarsi ai Salesiani per avere simil gente al loro servizio. - Questo non importa, replicò Doli Bosco; si faccia egualmente una tale domanda ai parroci di nostra conoscenza. Don Veronesi ha fatto così ed è riuscito ad avere tiri certo numero di coadiutori veramente buoni e fidati.
Abbiamo già visto come Don Bosco a più riprese suggerisse norme pratiche per usare tutta la cautela possibile nelle accettazioni al noviziato. Nella seduta pomeridiana del 24 agosto prese la parola così: -Trattandosi di giovani che vogliono entrare come ascritti nella Congregazione Salesiana, e specialmente se come chierici, si venga a parlare in tutta confidenza della moralità. Si dica loro: Sei contento che ti faccia una domanda? Risponderà di sì. Dimmi: come hai trattato la moralità in quest'anno? in opere o in pensieri? è molto tempo che ti sei corretto? Ovvero: É molto tempo che hai questa abitudine? Che se uno fosse stato sempre imbrattato fino agli ultimi giorni, è certo che bisogna dissuaderlo dall'andare avanti, a meno che non ci siano indizi forti di vocazione e in lui si manifesti volontà risoluta di appigliarsi ai mezzi necessari per riuscire. Stare attenti però e andare adagio nell'interrogare i timidi: aiutarli con carità, ma guardare bene con chi si aprano, perchè non si commettano imprudenze. Si può incominciare così: Se vuoi che ti dia consiglio intorno alla tua vocazione, permettimi che io ti domandi: come va la moralità? ecc. Questa domanda bisogna farla sempre in simile esame.
Nella seduta del giorno seguente toccò dell'imparzialità nelle accettazioni, dicendo: - Nelle accettazioni stiamo bene attenti [660] a non lasciarci ingannare da benevolenza o da malevolenza, non dia norma per accettare o rifiutare qualcheduno l'inclinazione personale del votante. Dico questo perchè mi sembra di aver notato che alcuni siano stati accettati per riguardi personali o di amicizia. Il bene generale sia sempre preferito al bene particolare. Non dobbiamo tener conto del nostro amor proprio e non considerare se le persone sieno ben viste o mal viste da noi. Non seguire idee preconcette, non antigenii. Il nostro bene particolare non deve entrare nel bene generale.
Sopra una categoria di postulanti, i figli illegittimi, aveva una parola di Leone XIII, che riferì il 13 luglio. - Trattandosi, disse, di figli illegittimi, naturali o spurii, se sono segreti, non fa bisogno di chiedere la dispensa per entrare in un Ordine religioso: questi difetti restano sciolti con la professione religiosa. Dovendosi domandare questa licenza, si faccia scrivere allo stesso individuo che vuole entrare in Congregazione, ma nella domanda non si dica in quale Congregazione il postulante voglia entrare. Tuttavia si studi la questione dal punto morale e canonico per sapersi regolare. Non si dimentichino mai le parole che Leone XIII disse a Don Bosco a proposito degli spurii: " Non lasciate mai impeciare le vostre case con questa roba, perchè da costoro non avrete altro che scandali e dispiaceri. Guardatevi anche bene dall'accettare figli naturali. Se però la Chiesa concede ora licenza per le Ordinazioni ai figli naturali, la dà con massima difficoltà e rarissimamente agli spurii". - Di questo aveva fatto speciale raccomandazione a Don Durando il cardinale Guibert, arcivescovo di Parigi, Recatosi egli nella capitale francese l'anno innanzi, quel Porporato gli aveva detto che bisognava star bene attenti, specialmente in Francia, a coloro che domandavano di entrare in Congregazione; anzi prima di accettarli si prendessero serie informazioni sulla condotta del padre e della madre e più ancora si studiasse l'origine della loro famiglia. Su questo punto Sua Eminenza aveva parlato a lungo e con calore. [661]
Il 26 ottobre Don Rua, a nome di Don Albera, proponeva l'accettazione di un prete e di un chierico, ambidue francesi; sembrava che ci fossero buone testimonianze sulla loro condotta. Don Bosco volle che si domandasse anzitutto se, essendo essi ecclesiastici, si fossero fatte le pratiche prescritte presso le rispettive autorità diocesane. Indi proseguì: - Si scriva loro che si accettano con sommo piacere per le buone notizie ricevute; ma che, essendo noi Congregazione regolare, bisogna che si facciano prima gli incombenti voluti dalle regole. Noi però teniamo a mente che in Francia non hanno vigore i decreti di Pio IX Super statu regularium.
Anche Don Bologna proponeva alcuni della sua casa di Lilla come ascritti e altri come aspiranti. Il Capitolo li accettò; ma poi rinacque una difficoltà. Erano un personale, di cui la casa di Lilla aveva bisogno. Faceva d'uopo necessariamente mandarli a S. Margherita o il noviziato sarebbe stato valido anche se fatto in una casa non avente tale scopo? In altri termini, le case ove per bisogno vi fossero novizi, potevano reputarsi aggregate alle case di noviziato? Don Bosco espose: -Nell'approvare a Roma le Regole si voleva che gli ascritti passassero un anno intiero occupati a studiare le Regole ed esercitandosi unicamente nelle pratiche di pietà. La Sacra Congregazione non voleva demordere su questo punto. Don Bosco rimise la questione al Santo Padre.
- Ebbene, mi disse Pio IX un giorno appena mi vide, la vostra battaglia è finita o appena incominciata?
- Santo Padre, io gli risposi, sta a Voi dare l'ultima cannonata, o cánone.
- Andate avanti. Il demonio ha più paura di una casa di lavoro, che di una casa di sola preghiera. Tante volte in queste case regna l'ozio. Vi sono altri Ordini che accettano alla prima prova e mandano questi soggetti in case ove sono deputati al lavoro. E perchè si faranno tante difficoltà solo per il povero Don Bosco?
Narrato questo, il Santo continuò: - Del rimanente, si sia [662] molto facili nell'accettare un aspirante, tolto il caso che sia costui un briccone conosciuto. Ma per accettare un novizio si osservino tutte le formalità prescritte dalla Chiesa. Tuttavia per noi debbono bastare i soli decreti. Si osservi pure se per la parte materiale e morale costoro riusciranno di utilità a tutta l'intera Congregazione. Se per una parte o per l'altra non ci si vide chiaro, si aspetti, si prolunghi la prova, non si rifugga dall'andare molto adagio.
Quattro norme speciali diede il 29 novembre per l'ammissione ai voti. Furono le seguenti: - I° La leva militare, imminente, per esempio, dopo un anno, non deve essere ostacolo alla professione religiosa. Per molti è un ritegno in mezzo alle armi. Chi perde la vocazione, può essere sciolto e certuni si sciolgono da per sè, non ritornando più in Congregazione. 2° In quanto ai voti triennali, che Don Bonetti propone di imporre a tutti prima dei voti perpetui, rispondo che colui il quale non fosse pronto a far i voti perpetui dopo l'anno di noviziato, remittatur. Costoro faranno uno sforzo che vale un momento, ma poi siamo da capo. Si può fare eccezione quando si prevede che un individuo riuscirà molto utile alla Pia Società e quando nello stesso tempo la sua moralità è inappuntabile. 3° In quanto alla moralità si usi più rigore per chi va agli ordini sacri che per chi vorrebbe fare i voti. In ambi i casi però sempre rigore. Se sono pensieri, letture, si potrà vedere, aspettare, sospendere il giudizio. Se sono atti contro se stesso, abitudini, anche allora maggior severità, se però fossero sorprese, casi rari, si dia tempo e si vedrà. Se si tratta di mancanze fatte con altri, allora è difficilissimo che uno cambi. Le ricadute si verificano anche quando tale individuo si è consacrato a Dio. 4° Si ricordi sempre che oggi non si fanno difficoltà per coloro che sono solamente illegittimi; ma che la Chiesa, il Papa, i Vescovi raccomandano assolutamente che gli spurii siano esclusi dagli ordini e dai voti.
Passiamo ora a direttive più specifiche per gli ordinandi. Due raccomandazioni fece Don Bosco il 9 settembre, entrambe [663] riguardanti il momento della domanda. Nella seduta del mattino insistette sulla necessità che un superiore prima di licenziare un chierico per gli Ordini minori, lo chiamasse a colloquio confidenziale per potergli dare un consiglio opportuno e non procedere alla cieca. - Potrà fargli, disse, le seguenti interrogazioni: Ti pare di essere ben preparato dinanzi a Dio? come ti sei regolato in fatto di moralità? ci furono opere volontarie? Se sì, vedasi se vi fu abitudine o cosa portata da circostanze straordinarie. Altra domanda: Come ti sei diportato col tuo confessore? E se è il caso di differire, dirgli: Vedi, questa obbligazione lega me, lega te; prepàrati meglio ecc. - Dovendosi dai chierici fare per iscritto la domanda degli Ordini, Don Bosco nella seduta della sera diede questo avvertimento: - Non bisogna pretendere che i chierici, giunto il tempo, chieggano essi stessi le Ordinazioni sacre. É ufficio del Catechista della Congregazione provvedere per questo e avvisarne gli ordinandi.
Il 10 settembre toccò un tasto delicato. Può sempre accadere (si è tutti uomini) che, appressandosi il tempo di ricevere le Ordinazioni, un chierico venga in urto con il suo superiore diretto. Ecco il pensiero di Don Bosco per questi casi: - Quando fossero accaduti screzi fra l'ordinando e il suo superiore immediato, prima di procedere alle Ordinazioni, se si tratta di cose non essenziali, si dia all'ordinando una posizione diversa, mandandolo in altra casa. Non è conveniente che sotto gli occhi del superiore, a torto o a ragione offeso, gli si dia questo segno di stima con l'ammetterlo agli Ordini sacri; è cosa che sembrerebbe una condanna inflitta alla condotta del superiore stesso.
Avvenuto il differimento delle Ordinazioni, il Capitolo nel mandare il soggetto a qualche casa che regola doveva tenere? La fissò Don Bosco durante la medesima seduta, così parlando: - Allorchè un chierico, avendo vocazione, oppure avendola dubbia, ha difetti non gravi ma notabili e perciò convenga differirgli le Ordinazioni, se ne dia avviso al Direttore della [664] casa alla quale si manda, perchè lo tenga d'occhio sopra una cosa o sopra di un'altra. Prima però di mandare l'individuo nel posto che gli fu assegnato, gli si dica francamente: Va', ma sappi che i tuoi piccoli difetti esterni furono notificati al tuo Direttore; se egli ti avvisa, non inquietarti, perchè siamo noi che l'abbiamo preavvisato. Teniamo questa regola, quando si tratta di uno, la cui vocazione è indecisa, ma che però ha ingegno sufficiente e nulla vi è da dire sulla sua moralità. Bisogna sorvegliarlo, avvisarlo, formarlo e poi mandarlo avanti. È necessario pure che sappia che il Capitolo nell'avvisare sul suo conto il Direttore operò e per proprio dovere e per il suo bene.
Naturalmente non era opinione di Don Bosco che gli esami suddetti si facessero alla vigilia del presbiterato. Raccomando sovratutto, disse il 18 settembre, che, quando un chierico deve prendere le sacre Ordinazioni, si osservi bene e si esamini prima che riceva il suddiaconato, e si decida coscienziosamente. Si interroghi: Avete studiato? come andò la condotta? avete perso inutilmente nessun anno? Esigere moralità e teologia insieme; che i voti dei trattati dei quali sì diede l'esame, siano sufficienti; che non vi sia letargo negli studi, ecc.
Alcune direttive hanno per oggetto le occupazioni in generale o in particolare. Poteva riguardare tutti i Confratelli in genere questo sapiente rilievo fatto il 25 agosto: - Si ritenga che talora uno che sembra inetto per un ufficio, aiutato dalla grazia di Dio, riesce poi bene, se i superiori di una casa lo coadiuvano. - Men generico, ma di larga comprensione fu quest'altro richiamo del 18 settembre: - Prima di ogni altra cosa, anche nell'andamento degli uffici e degl'interessi, si guardi alla salute dell'anima dei chierici.
Abbiamo poi istruzioni particolareggiate per alcuni uffici. Il 13 luglio parlò con insistenza della necessità di mutare ogni sei anni i Direttori delle case. Non gli sfuggiva a quali inconvenienti desse luogo siffatta deliberazione; ma voleva che [665] questo rimanesse un principio per la pratica, nonostante le eccezioni che talora si sarebbero dovute fare. Per i Direttori il 10 settembre richiamò fortemente il dovere dei rendiconti mensili. - Bisogna insistere, disse, presso i Direttori, perchè non dimentichino di far fare i rendiconti e affinchè siano giovevoli, studiar prima quello che essi debbono dire. É un dovere che taluni trascurano. Certi Direttori, quando sono rimproverati di questa trascuranza, rispondono: Non so che cosa dire. Interrogare se si fa la meditazione, se si studia, se si assistono i giovani, quali difficoltà abbia ciascuno nell'adempimento del proprio ufficio, non sono cose che porgano occasione e argomento abbastanza fecondo di parlare? I Direttori che hanno giudizio, ringraziano le mille volte il momento, nel quale fu istituito il rendiconto. Eppure questo rendiconto si ottiene a stento che venga fatto da qualche superiore e talora non viene fatto. Esso è la chiave del buon andamento della casa e di quello della Congregazione.
Il 2 ottobre raccomandò agli Ispettori e al Catechista di fare frequenti visite alle case; fossero però visite non di cerimonia, ma eseguendo quanto le Regole loro imponevano.
Il 24 settembre cercò di regolare alcune attribuzioni dell'Economo generale, precisando così: - L'Economo dovrà studiare quello che la Regola gli affida e tenersi a questa. Egli non deve fare l'assistente ai lavori, ma vegliare su di chi deve assistere i lavori stessi. S'intenda con le case sui lavori da farsi, ma non faccia eseguire egli stesso tali lavori, Non permetta che si faccia nessuna costruzione o modificazione, se non sono approvate prima dal Capitolo, e seguendo tiri disegno prestabilito, chiaro, sul quale il Capitolo stesso abbia posta la sua approvazione; e veda che i lavori si eseguiscano fedelmente secondo il disegno presentato.
Il 16 novembre si portò la discussione sopra un'attribuzione del Consigliere scolastico, carica dal 7 novembre conferita a Don Cerruti, che succedeva a Don Durando, creato Prefetto. Allora i diversi uffici dei Confratelli in tutte le case [666] particolari erano assegnati per mezzo di lettere firmate da tale membro del Capitolo; pareva invece di somma importanza che le ubbidienze partissero dalla suprema Autorità, quanto ai traslochi, mentre la distribuzione degli uffici sarebbe dovuta spettare ai Direttori delle case. Don Bosco disse: - Finora si andò avanti con un sistema paterno; ma da qui innanzi bisognerà procedere col sistema legale, se si vuole mantenere l'ordine nella Congregazione. - Tuttavia fu sospesa ogni proposta d'innovazione fino al prossimo Capitolo generale.
Delle nuove attribuzioni di Don Rua nella sua qualità di Vicario, non occorre aggiungere nulla al già detto. Prima ancora che la nomina divenisse effettiva, Don Bosco il 22 giugno aveva dichiarato in Capitolo: - Bisogna che Don Rua si emancipi da ogni occupazione e serva unicamente per Don Bosco, stia sempre attaccato a lui, perchè Don Bosco, come si trova, non può più andare avanti. Se Don Bosco potrà appoggiarsi tutto su Don Rua, libero da ogni fastidio, potrà giovare con la sua esperienza e andare ancora un po' avanti. C'è bisogno che qualcuno cerchi la beneficenza con lettere, visite, non solo a Torino, ma a Genova, Milano, Roma. Finora ha fatto ciò Don Bosco, ma ora non può più, e ci vuole un altro che faccia in nome suo. - Queste parole erano come la prolusione all'atto, diremo così, d'insediamento, avvenuto cinque mesi e mezzo dopo.
Quelli che vogliono case salesiane nei loro paesi, non di rado per incoraggiare all'accettazione fanno balenare speranze di eredità da parte di ricche persone senza eredi -necessari. Don Bosco il 10 settembre mise sull'avviso i Superiori osservando: - Noi non dobbiamo fondarci su certe vaghe speranze di eredità. Le volontà si mutano facilmente. Se poi si dovesse abbandonare un posto, queste eredità quanti imbarazzi arrecherebbero! Sarebbero malvoleri e liti e perdite di vario genere. Chi vuol testare per noi, si tenga pure la sua roba, ma morendo lasci ordinate le cose sue. Se poi ci sono di mezzo i Municipi, le leggi li favoriscono. [667]
Nella seduta pomeridiana dello stesso giorno Don Sala presentò il progetto di costrurre la tomba dei Salesiani nel Camposanto di Torino; della qual pratica il Capitolo diede a lui i pieni poteri. Dal monumento cimiteriale Don Bosco assurse ad un altro ricordo dei Confratelli passati all'eternità. - Vi è, disse, una cosa da prendersi in considerazione: fare una raccolta di biografie dei Salesiani defunti, esaminando quelle che possono ancora completarsi e poi dandole a qualcuno che cerchi dì aggiungere tutto ciò che in esse manca. Quindi si facciano stampare e si leggano nel tempo degli esercizi. Si veda chi possa compiere questo lavoro, più o meno in modo letterario, ma seriamente; poi distribuirne copie qui in Italia e in America. Anche in Francia per ora mandarle in lingua italiana; ma col tempo si traducano in lingue straniere, in ispagnuolo, in francese, in inglese, ecc. Bisogna affidare questo lavoro ad uno che abbia tempo e se ne occupi. Ho preso in mano e sfogliato alcuno dei libretti contenenti le brevi biografie dei nostri giovani Confratelli, ho letto alcune di quelle che trattano di virtù comuni ed ho visto cose delle più edificanti. Io non dico di volere che questi scritti siano perfetti, ma mi contento di un lavoro comunque ordinario, almeno per ora. Per eseguirlo si potranno incaricare persone che non siano gran dottori, ma che raccolgano quelle notizie che si possono avere e scrivano come sanno. Andando avanti, sì migliorerà l'opera. Per ora si stabiliscano questi raccoglitori, e bene o male si cominci a fare.
Don Rua il 16 settembre lesse una circolare d'un tal Casimiro Mazzo, che pubblicava un Annuario d'Italia, in cui voleva notare tutti gl'istituti di beneficenza italiani città per città, e avrebbe desiderato scrivere brevi relazioni su ciascuna delle case salesiane, domandando lire venti per ogni collegio. - É una speculazione per far danari, - osservò taluno. - Gli Ordini religiosi non fanno tali pubblicità, - aggiunse altri. Don Rua opinava per l'utilità di simili stampe. Don Bosco lasciò dire, e poi parlò così: - Propongo che si risponda essere [668] noi sempre pronti a prender parte in quelle cose che riguardano il bene pubblico, ma che non possiamo fare ciò che vorremmo, vivendo di beneficenza. Certamente sarà indispensabile che ciascheduna delle nostre case si provveda d'una copia di quest'opera. Si dica dunque che per ora faremo due cose: I° Ne prenderemo alcune copie; 2° ci adopreremo con la nostra libreria a diffonderla, se l'opera non conterrà nulla contro la Chiesa Cattolica. Teniamo per base che a questi cataloghi che parlano delle nostre case, conviene prendere parte tutte le volte che non sono contrari alle nostre istituzioni, ma stare attenti, chè talora in questi libri vi è qualche pagina contraria allo spirito cattolico. Sanno così bene insinuare il veleno! Noi stiamo attenti a non cooperare.
A interessante per noi conoscere una manifestazione del pensiero di Don Bosco intorno al Bollettino Salesiano. La fece ai Capitolari nel pomeriggio del 17 settembre. Ascoltiamo per l'ultima volta la sua parola. - Il Bollettino non dev'essere un foglio particolare per ciascuna regione, come Francia, Spagna, Italia ecc., ma dev'essere l'organo generale di tutte queste regioni, cioè dell'Opera salesiana non in particolare, ma in generale. Le notizie siano raccolte in modo che tutte le regioni diverse vi abbiano interesse e che tutte le edizioni in varie lingue siano identiche. Per questo fine in tutte le varie lingue siano stampati nella casa madre, perchè così sì darà l'indirizzo uguale a tutti. È un'arma potentissima che non deve sfuggir dalle mani del Rettor Maggiore.
Queste parole di Don Bosco, per la libertà, che egli non limitava mai, di dire il proprio parere, sollevò dell'opposizione, di cui si fece interprete Don Rua, obiettando che il Bollettino aveva lo scopo di chiedere elemosine e che per eccitare a queste coloro che stavano fuori d'Italia, bisognava trattare d'interessi locali; aver egli scritto in Francia e in America su tale proposito ed essergli stato risposto che si sarebbero quei Salesiani attenuti all'idea di Don Bosco, facendo tutto il possibile per ottenere questo fine; ma che certe relazioni opportune [669] per il Bollettino italiano sarebbero state compromettenti in quello spagnuolo; che inoltre per stampare certe loro conferenze o feste, sarebbe bisognato mandarne le relazioni in Europa e stamparle a Torino e di qui rimandarle in America; onde i Cooperatori americani avrebbero letto le cose loro quattro mesi dopo i fatti. Certi avvisi poi diretti ai Cooperatori di quelle regioni non essere possibile che giungessero in tempo e a certe cose impreviste doverci aver pensato quattro mesi avanti.
Qualcuno proponeva di ridurre il Bollettino a qualche facciata di meno con l'aggiunta di supplementi secondo i bisogni locali; se non sempre, almeno talvolta. Don Rua invece propose che il Bollettino avesse sempre due parti, una d'interesse generale per l'Opera salesiana, l'altra d'interesse locale secondo i paesi, imitando i giornali, che hanno la rubrica delle Notizie varie.
Don Bosco respinse tutte le proposte e tornò a dire: - Sostengo la necessità di un unico Bollettino. Le mie ragioni di aver nelle mani in tutta la sua estensione questo potentissimo mezzo per i miei scopi e la certezza che il Bollettino può essere esposto talora a deviare dallo scopo che io me ne sono prefisso, mi tengono fermo nella mia opinione. Che cosa è che piace nel Bollettino ai Cooperatori? La storia dell'Oratorio e le lettere dei Missionari. Con questa materia si faccia il Bollettino. Delle altre notizie di conferenze o feste negli altri paesi e anche in Italia si dia un piccolo notiziario compendiato. Se c'è qualche cosa di straordinario, pubblicandola si farà piacere a tutti, anche agli stranieri. Se poi vi sarà da fare qualche invito di premura, i Salesiani si tengano in relazione coi giornalisti cattolici e sui loro fogli pubblichino gl'inviti o le altre cose d'urgenza. Se questo non comoda loro, si servano di lettera circolare. Tale è il mio pensiero. Si noti che il Bollettino è il sostegno principale dell'Opera salesiana e di tutto quello che riguarda noi, le vocazioni e i collegi.
Il Santo considerò sempre il Bollettino come il miglior mezzo [670] di propaganda salesiana; egli aveva intuito che un buon periodico sarebbe col tempo divenuto il più efficace dei pulpiti. Non sappiamo bene se nel 1884 o nel 1885, quel sant'uomo dell'avvocato Bartolo Longo, il creatore dell'Opera di Pompei, venne a trovare Don Bosco e con il fare proprio dei Napoletani gli domandò:
- Don Bosco, presto, dimmi il tuo segreto; come hai fatto a conquistare il mondo?
- Caro avvocato, gli rispose, eccolo il mio segreto: mando il Bollettino Salesiano a chi lo vuole e a chi non lo vuole.
Don Bartolo colse a volo l'idea. Egli pubblicava il periodico bimestrale intitolato: Il Rosario e, la Madonna di Pompei; ma non aveva ancora il concetto della potenza raggiunta ormai dalla stampa. Tornato a Valle di Pompei, migliorò la tipografia, accrebbe le macchine e moltiplicò le copie del periodico: di quattro mila che erano nel 1884, le portò in due lustri a settantaduemila. Per questo Don Bosco viene considerato laggiù come colui che “segnò il passo alla seconda tappa del periodico e della tipografia di Pompei ”[410].
Una quindicina di lettere, tenute in serbo finora perchè non aventi alcun addentellato con le narrazioni che precedono, o comunque ingombranti se introdotte altrove, s'intrecceranno qui sull'ultimo con un serto di notizie biografiche evocate a illustrazione di quelle.
Nei capi undecimo e ventiduesimo abbiamo veduto come i Governi delle Repubbliche Argentina e Uruguaiana, legiferando contro la Chiesa, prendessero di mira massimamente le Corporazioni religiose. Don Bosco, appena sentì da lungi il rumoreggiare della procella, corse ai ripari, istruendo i due Ispettori sulla condotta da tenere; fra l'altro, avvicinandosi [671] il momento del pericolo, essi dovevano far ricorso ai rappresentanti diplomatici dell'Italia nelle due capitali. Ma allora, dati i rapporti che correvano fra lo Stato e la Chiesa in Italia, non era tanto facile a ecclesiastici trovare appoggio presso uomini spesso settari e generalmente liberali più o meno accesi. Perciò il Santo studiò la maniera di provocare dal Governo italiano qualche utile dichiarazione. Sotto l'apparenza dunque d'invocare qualche sussidio, stese un memoriale sulle scuole da lui fondate in America e lo spedì al Ministro degli Esteri. Sappiamo già quanto fosse disposto sempre e pronto a favorire il Servo di Dio l'israelita piemontese Giacomo Malvano, segretario generale a quel Ministero; a lui pertanto Don Bosco indirizzò il proprio scritto, pregandolo di trasmetterlo al suo Ministro, che era l'onorevole Mancini.
So che la S. V. chiarissima, ama e protegge le nostre scuole dell'America del sud e conoscerà pure il notevole sviluppo che vanno prendendo.
Io mi limito a raccomandare tutto alla sua carità e di pregare ben di cuore il Signore del cielo e della terra a conservarla in buona salute pel bene della civile società e particolarmente di tanti nazionali che dimorano in lontane ed estere regioni.
Coi sentimenti della più profonda gratitudine ho l'alto onore di potermi professare
Il Malvano gli rispose in data io febbraio, accusando ricevuta e assicurando che non avrebbe mancato di perorare la sua causa presso Sua Eccellenza. Infatti con vera sollecitudine il Ministro scrisse a Don Bosco la lettera seguente.
Sarei lieto di poter accogliere come vorrei la domanda che la S. V. Rev.ma ha inoltrato a questo Ministero per ottenere un sussidio in favore delle scuole che Ella ha istituito all'estero; invero l'opera [672] altamente civile della istruzione delle nostre colonie non potrebbe essere mai abbastanza incoraggiata. Senonchè le spese, che per lo stesso titolo sostiene questo Ministero sono tali, che assorbono quasi intieramente i fondi che ogni anno vota il Parlamento, ed il tenue residuo di cui si dispone, dopo pagati tutti i sussidii fissi, è assorbito dalle spese straordinarie che sempre occorrono per adattamento di edifizi, rifornimento di materiale didattico ecc. ecc.
Ad ogni modo, premendomi di dare alla S. V. Rev.ma un piccolo attestato dell'interesse che questo Ministero prende al prospero andamento delle diverse scuole che Ella ha istituite, su ciascuna delle quali gradirei qualche sommaria notizia, non esito a mettere a sua disposizione la somma di lire 5oo che la S. V. Rev.ma potrà ritirare da questa cassa contro regolare ricevuta, e mediante l'esibizione della presente.
Gradisca gli atti della mia perfetta considerazione.
Pet Don Bosco la lettera ministeriale era tutto, e l'ammontare della somma contava poco; questa per altro avvalorava quella nel dimostrare quanto dal patrio Governo si apprezzasse realmente il bene fatto dai Salesiani in America. Il divulgare poi tale notizia dove incombessero minacce, non poteva non recare giovamento ai minacciati, come difatti avvenne[411].
Come i lettori sanno[412], Don Bosco non ci teneva a sollecitare da Roma l'approvazione delle Regole per l'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Quell'approvazione avrebbe avuto per effetto di sottrarle alla giurisdizione del Santo, mentr'egli credeva necessario di spendervi ancora attorno le sue cure per il consolidamento dell'Opera. Diremo di più: Don Bosco avrebbe preferito di mantenere sempre o almeno il più lungamente possibile le Suore sotto la dipendenza del Rettor Maggiore dei Salesiani. Ora di siffatta dipendenza esisteva un cospicuo esempio nella Chiesa, ed era quella in vigore presso [673] le Figlie della Carità, mantenutesi costantemente sotto la giurisdizione ordinaria del Superiore dei Lazzaristi. Di questo argomento trattava in un suo opuscolo il signor Stella vincenzino, assistente d'Italia presso il Generale della Congregazione a Parigi. Sperando pertanto di potere da tale pubblicazione ricavare qualche lume al suo proposito, ne fece richiesta all'autore.
Aveva speranza di essere onorato di una visita in questo nostro ospizio da parte di V. S. R.ma; ora mi sembra ciò difficile; laonde le scrivo l'umile mia dimanda.
Nella nostra Congregazione abbiamo la categoria delle Suore dette Figlie di Maria Ausiliatrice e vorrei che avesse presso a poco dal Superiore de' Salesiani la medesima dipendenza che hanno le Figlie della Carità dal Superiore de' Lazzaristi. La S. V. potrebbe rendermi un importante servizio coll'imprestarmi una copia dell'Opuscolo, che mi dicono ella ha fatto stampare[413].
Compatisca la scrittura di questo semicieco; Dio faccia ognor fiorire la Congregazione che così degnamente ella governa, e nella sua grande carità si degni anche di pregare per questo poverello che le sarà sempre in G. C.
Proprio in quel mese di giugno usciva la ristampa delle Regole dettate da Don Bosco nel 1876 per le Figlie di Maria Ausiliatrice, questo spiega il suo interessamento per la questione della dipendenza. La nuova edizione conteneva modificazioni notevoli, sempre però sulla base della precedente. L'aveva preparata Don Bonetti con l'aiuto di monsignor Cagliero e col consiglio del Capitolo Superiore. Prima che andasse in tipografia, il manoscritto fu esaminato dal cardinale Alimonda che lo tenne a lungo presso di sè, ma lo restituì senza aggiungere nè togliere una sillaba. Poi Don Bosco, dicendo che nel formularle non aveva potuto farvi sopra [674] uno studio attento (il che doveva valere soprattutto a non mostrare sfiducia nell'opera di Don Bonetti), se le volle far leggere da capo a fondo e vi introdusse parecchie aggiunte. Infine, affinchè nulla mancasse alla serietà del lavoro, ordinò che si leggessero all'intero Capitolo per udire le osservazioni di tutti. Così per più vie vi furono inserite varie disposizioni atte a meglio conseguire lo scopo dell'Istituto, che è la santificazione delle Suore e la salvezza delle anime. Terminata la stampa, vennero ancora pregati monsignor Cagliero e Don Costamagna di esaminarle attentamente, notando e notificando quello che giudicassero opportuno per la terza edizione. Durante gli esercizi spirituali fu ritirato il vecchio testo e distribuito il nuovo[414].
Del 1885 abbiamo tre lettere indirizzategli da Don Bosco. Il Conte aveva nella sua famiglia dei malati, fra cui la madre, Carlotta du Plan de Sieyès. La veneranda signora doveva lasciare la terra pochi mesi dopo. Nella prima lettera il Santo lo conforta e lo ringrazia di una generosa offerta.
Caris.mo Sig. Conte E. de Maistre,
Il Sig. Vergan agente suo a Borgo mi ha portato delle notizie di sua famiglia siccome da molto tempo desiderava, ma non le ebbi buone quali desiderava.
Abbiamo raddoppiate le preghiere che si fanno quotidiane all'Altare di Maria Ausiliatrice. Queste preghiere poi saranno speciali ancora per coloro cui Dio mandò delle croci in sua famiglia.
Il medesimo suo agente mi portò la generosa offerta nella caritatevole somma di f. due mila. Tali largizioni sono per noi una vera eccezione, perciò preghiere eccezionali innalzeremo al Signore, da cui speriamo pure grazie speciali, giacchè egli dice: Date et dabitur vobis.
Sì, o Caro Conte Eugenio, la Santa Vergine Maria che in tanti modi e tante volte benedisse e protesse tutta la sua famiglia vorrà [675] continuare a mostrarsi potente e pietosa aiuto dei Cristiani verso di Lei e tutta la sua famiglia.
Aggiunga la grande carità di pregare eziandio per me e per tutta la nostra famiglia, mentre con gratitudine grande ho l'onore ed il piacere di potermi professare di Lei, car.mo Sig. Eugenio
P.S. Giunge in questo momento la Sig. Marchesa Fassati con la Baronessa Ricci che godono ottima salute, e mi danno ulteriori notizie della famiglia di V. S. e si incaricano di fare indirizzo preciso a questa lettera.
La mia sanità, come forse saprà, in quest'anno non fu tanto buona; ora va meglio ed ho già potuto uscire a fare due brevi passeggiate. Le mando alcune medagline di M. A. che ho benedette e lasciate sull'al tare di questa pietosa Madre, mentre celebrava la S. Messa appositamente pei suoi ammalati.
L'incontro qui accennato era avvenuto mentre Don Bosco rientrava all'Oratorio nel pomeriggio dalla solita passeggiata. Trovò fuori della porta una ricca vettura, dalla quale scesero la marchesa Fassati e la baronessa Ricci. Le due nobili dame parlarono a lungo con lui, lasciandogli poi una cospicua elemosina, perchè fosse destinata alla casa di noviziato.
Nel 1884 la Fassati era giunta in fin di vita. I medici, aspettandosi che presto dovesse morire, avevano proibito d'introdurre da lei persone estranee alla famiglia L'inferma tuttavia mandò con grande insistenza a chiamare Don Bosco. Dopo replicati inviti, ai quali da principio egli, sapendo il divieto dei sanitari, aveva pensato bene di non aderire, finalmente vi andò e le diede la benedizione di Maria Ausiliatrice. La Marchesa allora gli disse: - Io sono disposta a fare tutto quello che Maria Santissima Ausiliatrice vorrà da me per sua maggior gloria. - Con questo intendeva dire che avrebbe aiutato l'Oratorio. Orbene da quel momento fuor d'ogni aspettazione entrò in convalescenza, in breve fu risanata e dopo scrupolosamente adempiva le sue promesse. A lei è indirizzato un grazioso biglietto, con il quale Don [676] Bosco le faceva un presente di frutta colta, pare, nell'orto dell'Oratorio.
Frutti cresciuti sotto l'ombra e protezione di Maria Ausiliatrice. Così cresca la sua sanità e quella della sua famiglia. Così sia.
Maria sia nostra guida al cielo.
Preghi per questo poverello che sarà sempre in G. C.
Il Conte nel ritorno dalla Francia, dove trascorreva alcun tempo della stagione estiva, prima di recarsi a Borgo Cornalese, aveva fatto una visita all'Oratorio nella speranza di rivedere Don Bosco; ma il Santo si trovava da circa un mese a Mathi. Saputa la cosa, scrisse con la massima cortesia al Conte.
Ricevo con gran piacere la notizia che Ella è giunta a Torino e che ci favorì una sua desideratissima visita. Spero che in qualche modo potrò recarmi al suo Castello di Borgo per ossequiarla; ma intanto assai di cuore voglio che in questi giorni facciamo particolari preghiere per Lei e per tutta la sua famiglia.
Che la Santa Vergine li prenda tutti sotto la particolare sua protezione e li aiuti a seguire in terra i virtuosi esempi di Maria e andare poi tutti un giorno a farle gloriosa corona in Paradiso.
Stento un po' a scrivere, ma Ella mi legga con pazienza. Voglia pregare per me e per tutta la crescente Salesiana famiglia colla quale ho il prezioso onore di potermi professare in N. S. G. C.
I conti De Maistre per il bene delle famiglie raggruppate a formare Borgo Cornalese, piccola frazione di Villastellone, vi mantenevano a proprie spese un maestro sacerdote, che faceva pure da cappellano al castello durante il soggiorno dei Signori. Prima c'era stato Don Chiatellino, inviatovi già [677] da Don Bosco[415]; ritiratosi lui, occorreva cercarne un altro. Il Conte ne pregò nuovamente il Servo di Dio, che gli rispose così:
Assai volentieri mi occupo dell'affare per un Maestro a Borgo. Non molto facile di trovarlo, ma farò quello che posso d'accordo cogli altri preti nostri e poi le scriverò il risultato.
Le scrivo pel caso che noi dovessimo ritardare a riuscire a qualche cosa.
Car.mo Sig. Eugenio, io prego ogni giorno per Lei e per la sua famiglia.
Dio vi benedica tutti e a tutti conceda sanità e santità, ma sempre per la via del Paradiso. Amen.
I coniugi Ceriana torinesi, benefattori dell'Oratorio e già più volte menzionati in altri volumi, piangevano la perdita di un altro loro bambino[416]; Don Bosco fece ad essi pervenire una sua parola di cristiano conforto.
Stimabilissimi Sig. Giuseppe e Teresa Ceriana-Racca,
Prendo viva parte alla dolorosa perdita del loro bimbo Marcellino che Dio chiamò a sè sui primi albori di sua età. Adoriamo i divini decreti.
Io prego Iddio Buono che loro dia altre consolazioni, altri eredi delle loro virtù nella vita futura.
Maria Ausiliatrice li conservi ambedue in buona salute, li protegga e loro ottenga dal divin suo Figlio giorni felici.
Con grande stima ho l'onore di potermi professare
Il professor Michele Messina di Napoli, buon cooperatore salesiano, aveva le sue croci. Nel 1883 se n'era confidato con Don Bosco, dal quale ricevette un'immagine di Maria Ausiliatrice con questa letterina a tergo.
Dio vi benedica, e Maria vi consoli nelle pene della vita. Vi aiuti a superare i pericoli di questo misero esiglio, e conduca voi e vostra sorella a godere un giorno i veri beni, che il mondo non ci potrà nè rifiutare, nè mai più rapire. Così sia.
Le croci continuavano ad affliggerlo due anni dopo, quando mandò a Don Bosco un ricordo della Terra Santa. Era una di quelle immagini, in cui le figurazioni risultano da fiori colti nei luoghi della Passione, fatti disseccare e appiccicati a cartoncini in modo che rappresentino oggetti diversi. Il Servo di Dio ne prese argomento di conforto per il donatore.
Ricevo con gratitudine la preziosa corona del Getzemani, che ha la degnazione di mandarmi e che serberò a grata di Lei memoria. Sia questa presagio di quella corona, che la misericordia del Signore ci darà, speriamo, un giorno in Paradiso!
Dalla sua lettera conosco, ch'Ella non manca di croci. Faccia così. Venga qui con me. Vivremo come fratelli: pane e lavoro non mancherà; l'onorario ce lo preparerà il Signore. Le piace? Dio ci benedica e ci aiuti a patire seco per la via del Cielo, e le sarò assai di cuore in G. C.
Come si accorreva a Don Bosco personalmente per chiedergli la sua benedizione, così anche da ogni parte, anche da paesi lontanissimi, gli si scrivevano ogni settimana centinaia [679] di lettere per implorare la carità delle preghiere sue e di quelle de' suoi giovanetti. Egli secondo i casi e le circostanze o rispondeva da sè o faceva rispondete. Le tre risposte che qui riferiamo sono un ben povero saggio di siffatta corrispondenza, che sarebbe ricchissima, se fosse possibile ritrovarne le tracce; tuttavia anche queste, unite alle altre già pubblicate, hanno il valore di preziose reliquie salvate dalla dispersione.
Nel mese di febbraio la signora Rosina Ferrerati torinese aveva chiesto un triduo di preghiere per la guarigione d'un suo figlio, che versava in condizioni così gravi da lasciare ormai pochissima speranza; gli sì erano già amministrati gli ultimi sacramenti. Quando pertanto si aspettava con trepidazione l'ora fatale, se non imminente, sicura, giunse all'indirizzo dell'infermo un'immagine dì Maria Ausiliatrice con queste righe autografe e firmate da Don Bosco: “Dio vi benedica e la S.ta Vergine vi porti ella stessa una speciale benedizione. Vi raccomanderò di cuore nella Santa Messa ”. Qual ne fosse l'effetto, ce lo descrive il giovane medesimo[417]: “Trovandomi io sempre nel doloroso stato, si radunarono a consulta altri dottori, presenti i quali e mentre mia madre li interrogava circa la mia malattia, mi giunge l'immagine della Vergine Ausiliatrice che gentilmente Don Bosco mi volle mandare, e quando ho aperto la busta e lette le belle parole che Don Bosco mi scrisse, sentii come una scossa interna, ed una, subita gioia mi fece dimenticare i miei dolori. I medici intanto rispondevano alla madre mia come essi non potevano pronunziarsi, essendo impossibile farmi una coscienziosa visita senza (cosa per allora inammissibile, visto il mio stato) che io mi alzassi a sedere sul letto. -Come alzarmi? dissi io allora. Così?… E di botto mi assisi sul letto senza bisogno di aiuto alcuno. I medici sì guardarono in faccia e rimasero entrambi stupiti, esclamando ad una voce che quello era proprio miracoloso e [680] che in quanto a loro non riuscivano a spiegarsi come io avessi potuto ciò fare, e ben mi ricordo che io stesso non sapeva capire come avessi ciò fatto ”.
La guarigione per altro non fu immediata; ma il miglioramento continuò fino al ritorno della perfetta salute. La mamma volò subito da Don Bosco a raccontargli la grazia, aggiungendo che anche suoi vicini di casa ne avevano ottenute di strepitose da Maria Ausiliatrice. Pochi minuti dopo, come attestava Don Festa a Don Lemoyne, il Santo, parlando di queste cose con chi gli faceva compagnia, era tutto commosso e disse: - Si vede proprio che la Madonna è sempre la nostra buona Mamma. Son cose queste che noi vediamo con i nostri occhi, e cose di tutti i giorni e di più volte al giorno.
Un'altra signora, Carolina Gori, cooperatrice salesiana di Massa Carrara, l'aveva pregato di celebrare una Messa a fine di conseguire una grazia temporale per una famiglia di Roma, dove la supplicante stava allora domiciliata. Il Santo le rispose:
Di tutto buon grado prego pel buon esito della pia impresa, Dio faccia che riesca bene e con vantaggio della famiglia che Ella raccomanda. Io celebrerò volentieri la Santa Messa ed i nostri orfanelli faranno meco preghiere e comunioni pel medesimo fine.
Dio ci benedica e ci conceda quello che è bene per l'anima nostra.
Mi raccomando alla carità delle sue preghiere e mi professo
La grazia non fu ottenuta; ma, come scriveva la signora al Bollettino Salesiano il 2 aprile 1891, da quel tempo nacque in detta famiglia una fiducia straordinaria nelle preghiere di Don Bosco, tanto che dopo la di lui morte, trovandosi in angustie eccezionali, ricorse a Maria Ausiliatrice per i meriti del Servo di Dio e potè dirsi quasi miracolosamente liberata [681] dalle afflizioni che la travagliavano. Tanto è confermato pure da una relazione di Don Cagnòli, parroco del Sacro Cuore.
La signora Maggi Fannio di Padova pretendeva addirittura da Don Bosco che comandasse a Maria Ausiliatrice di accordarle tostamente una grazia desideratissima, e n'ebbe la seguente risposta:
Io vorrei comandare alla Madonna SS.ma e dirle che le conceda tostamente la grazia che desidera. Ma io non posso fare altro che debolmente pregarla.
In questo senso unitamente a’ miei orfanelli supplicherò che questa Madre Celeste le conceda, ed Ella sarà certamente esaudita in tutte quelle dimande che non sono contrarie al bene eterno dell'anima sua.
Sono semicieco e scrivo a stento, perciò compatisca la mia cattiva scrittura.
Dio la benedica, o benemerita Signora, vengami in aiuto colla sua carità, e Dio ricompenserà largamente la sua carità.
Voglia anche pregare per questo poverello che le sarà sempre in G. C.
La medesima signora poco dopo gl’inviò a Torino una discreta offerta, insistendo perchè egli le ottenesse il sospirato favore. Si accusò ricevuta in nome di Don Bosco assente; ma quand'egli ne venne informato, volle scriverle di suo pugno.
Sono fuori di Torino, ma credo che le sia stato notificato come ho ricevuto la sua generosa caritatevole offerta di f. 500.
Io le rinnovo i miei più vivi ringraziamenti assicurandola che le nostre deboli preghiere saranno continuate in pubblico ed in privato, e dal canto mio ogni mattino nella Santa Messa non mancherò di fare un Memento secondo la sua pia intenzione.
Ho piena fiducia che otterrà la grazia che dimandiamo al Signore ma sempre colla condizione che la nostra dimanda non sia contraria al bene delle nostre anime. Va bene così?
Assai volentieri celebrerò la Santa Messa secondo le intenzioni con cui mi scrive. [682]
Dio la benedica, o Benemerita Signora, e con Lei benedica tutti i suoi parenti ed amici e Maria sia a tutti di guida al cielo.
Ella poi gradisca la nostra sincera gratitudine e le nostre preghiere quotidiane per Lei, ma Ella voglia anche pregare per questo povero e cadente Sacerdote che le sarà sempre in N. S. G. C.
Oratorio di S. Benigno Canavese, 2 ot. 1885.
Era venuto purtroppo il tempo, in cui le forze non gli bastavano per rispondere ogni volta di suo pugno alle richieste di preghiere, onde nel 1885 si appigliò allo spediente di formulare alcune risposte per casi diversi e, fattele litografare in buon numero di copie, le spediva poi ai richiedenti. I destinatari, indovinando che quei caratteri erano i suoi, si accorgessero o no della riproduzione litografica, serbavano i fogli come se fossero freschi autografi. Una di tali circolari era di questo tenore:
In risposta alla riverita sua lettera godo assicurarla che io prego ben di cuore coi miei cari orfanelli per la S. V., e che secondo tutte le sue intenzioni comincieremo una novena di preghiere e di Comunioni il... Voglia V. S. unirsi alle nostre pie pratiche: I° recitando ogni dì 3 Pater, Ave, Gloria e Salve Regina, colle giaculatorie: Cor Jesu sacratissimum, miserere nobis. Maria Auxilium Christianorum, ora pro nobis; 2° frequentando la SS. Comunione sorgente di tutte le grazie; 3° facendo qualche opera di carità.
Io raccomando i nostri poveri giovanetti alla generosa carità della S. V. e prego N. S. che disse: Date e vi sarà dato, a ricompensare largamente tutto quanto V. S. potrà fare per essi, che sono molto bisognosi.
Abbiamo intanto piena fiducia che le nostre preghiere saranno esaudite nel modo più conveniente al vero bene dell'anima.
Dio la benedica e la SS. Vergine tutti ci consoli colla Sua materna protezione. Con particolare stima e rispetto sono
Le lettere di ringraziamento giunte fino a noi formano una serie ben numerosa nell'epistolario di Don Bosco. Eccone ancora alcune.
A una cooperatrice di Villastellone, Clara Giuganino, che gli aveva mandato un'offerta, rese grazie con questa compitissima letterina.
Dio vi benedica e ricompensi tutta la vostra carità! Venendo in nostro aiuto, aiutate a salvare tanti poveri ed abbandonati fanciulli. Fate coraggio e continuate nel servizio del Signore. Io raccomanderò ogni giorno a Dio i vostri affari, i vostri parenti, l'anima vostra.
Pregate anche per me che vi sono in G. C.
Avvicinandosi il 26 luglio, scriveva alla buona cooperatrice Anna Fava per gli auguri dell'onomastico e per ringraziamenti della sua costante carità.
Dio la benedica oggi e sempre, e la Santa Vergine la ricompensi largamente della carità che ci ha fatto e ci fa pei nostri orfanelli. S. Anna poi le ottenga da Gesù la pace del cuore, la tranquillità di coscienza, la perseveranza nella via del paradiso colla sua damigella Maria.
Spero di poterla fra breve riverire personalmente.
Voglia pregare per me che domenica dico la messa per Lei e mi professo in G. C.
Cartiera S. Francesco, Mathi, 22 luglio 1885.
Da S. Pietro di Lavagno nel Veronese il signor Giulio Felisi mandava ogni tanto piccole offerte, raccomandando sue particolari intenzioni. La sua famiglia conserva due biglietti di ringraziamento scrittigli dal Santo nel 1885. Nel primo Don Bosco diceva: “Ho ricevuto l'offerta che V. S. fa pei nostri missionarii: Dio ricompensi largamente la sua carità: noi pregheremo tutti secondo la pia di lei intenzione ”. E nel secondo: “Con gratitudine grande ho ricevuto il danaro che nella sua carità ci ha mandato come risultato dei biglietti della lotteria iniziata in favore delle opere pie in onore del Sacro Cuore di Gesù in Roma. Dio la rimeriti degnamente, mentre io non mancherò di pregare ogni giorno per la prosperità della sua salute e di tutte le persone e gli affari che la riguardano ”.
Due lettere riboccanti di riconoscenza sono dirette al tanto benemerito ingegnere Levrot di Nizza Mare. Il 19 luglio dietro un'immagine di Maria Ausiliatrice aveva scritto per lui queste righe: “0 Maria, portate voi medesima una speciale benedizione al vostro figlio Vincenzo Levrot e a tutta la sua famiglia, e siate a tutti guida sicura al Cielo ”. Nella prima lettera ringrazia lui e un altro signore infermo per la carità fattagli recentemente da entrambi.
Credo che D. Rua a quest'ora avrà già fatto da parte mia i miei dovuti ringraziamenti a Lei, caro Sig. Levrot, ed al caritatevole Sig. Montbrun.
La vista e le altre mie forze vitali sono assai diminuite e a stento me ne posso servire; tuttavia la carità di questo benemerito Signore merita speciali espressioni di gratitudine e speciali preghiere a Dio per la sua sanità[418].
A questo fine ho stabilito che fino al Santo Natale sia ogni giorno celebrata una Messa all'altare di Maria Ausiliatrice colle preghiere e colla santa comunione da parte dei nostri giovani.
Tante suppliche non torneranno certo infruttuose al trono di Maria, e ne spero copiosi vantaggi spirituali e temporali al caro nostro infermo.
A Lei, poi Sig. Cavaliere, fo pure umili ringraziamenti per la speciale [685] protezione che prende alle vicende dei nostri orfanelli; e pregando Dio che conservi Lei e la sua famiglia in buona salute e nella sua santa grazia ho il piacere grande di potermi professare in G. C.
L'altra lettera anticipa gli auguri per il Natale e il capo d'anno. Il suo affetto per l'ingegnere traspare anche dallo sforzo che deve fare per scrivere a motivo della salute.
Ill.mo e Caris.mo Sig. Cavaliere.
Non sono contento se non scrivo almeno alcune parole a V. S. Car.ma. Preghiamo ogni giorno per Lei e per la sua famiglia, ma in questa novena, in questo finire e incominciare l'anno intendo che facciamo delle particolari preghiere, delle comunioni, affinchè il Signore li conservi tutti in buona salute e nella via del Paradiso, perchè là sia largamente ricompensata la grande carità che ha fatto e fa ai poveri Salesiani.
Vogliano anch'essi pregare per me e credermi in G. C.
Di alcune lettere francesi possediamo solamente le copie, quasi tutte senza dubbio con ritocchi; ma dicitura e stile sono sicuramente di Don Bosco[419]. Tre vanno alla già nota cooperatrice lionese signora Quisard. La prima le porta gli auguri del capo d'anno con l'invito di recarsi a Torino per la festa di S. Francesco di Sales; la seconda contiene pii sentimenti per la concessione di conservare le sacre specie nell'oratorio domestico, ottenutale da Don Bosco; nella terza domanda notizie del suo salesiano, cioè del figlio Antonio, che la madre sarebbe stata contentissima di donargli. Vediamo queste tre [686] lettere farsi sempre più brevi, seguendo il progressivo affievolirsi delle sue forze. Anche delle signore Lallemand, madre e figlia, sì è fatto più volte il nome in questi ultimi volumi, come di due anime assai devote a Don Bosco; sul principio del 1885 egli inviava loro l'espressione della sua profonda gratitudine. Circa due settimane prima ai suo grande amico il conte Boulanger di Villeneuve aveva lepidamente affidato un incarico, stimolandolo ad accettarlo con un argomento ben originale. Don Varaja, direttore della casa di Saint-Cyr, aveva bisogno di danaro per pagare i muratori. Don Bosco incaricava il Conte, e glie ne dava tutte le facoltà necessarie, di pagare tutti i debiti che i Salesiani avevano a Saint-Cyr. “Accetta, signor Conte, gli domandava, l'onorevole incarico? Aspetto di conoscere il suo valore e il suo coraggio, non militare, ma pecuniario ”. Una sesta lettera, di cui non sappiamo chi fosse il destinatario, ringrazia di un'offerta e invita l'oblatore a Torino.
Un cenno si deve pur fare di una lettera non scritta da Don Bosco, ma da lui forse direttamente ispirata e recante la sua firma. L'abate Fociéré-Mace, rettore di Léhon nella provincia di Côtes-du-Nord, gli aveva fatto omaggio di un suo manuale della Via Crucis, raccomandandosi alle sue preghiere per poter condurre a termine la costruzione di una chiesa. Nel ringraziarlo del dono gli si annunzia che nell'Oratorio si comincerà il 14 gennaio una novena a Maria Ausiliatrice secondo la di lui intenzione.
Tutta la corrispondenza di Don Bosco spira fiducia nel valore della preghiera: indizio anche questo della stima e dell'uso che abitualmente egli ne faceva.
Il 30 agosto 1885, standosi a mensa, cadde il discorso sulla Storia d'Italia scritta dal Santo e sulla fortuna da questa incontrata nonostante le opinioni che correvano al tempo della [687] sua pubblicazione, quando uomini, sette e partiti, discordi in altro, si davano la mano in una cosa sola, a battagliare contro la Chiesa e le sue istituzioni. A un certo punto Don Bosco usci in una dichiarazione, che metteva in luce quale fosse stato il suo gran segreto per operare il bene da lui operato, passando illeso fra tante forze avverse. Proferì queste memorande parole: - Io non mi sono mai lasciato commuovere dalle correnti del giorno. Mi sono fatto un piano di azione che fu approvato in generale sin dal principio del mio apostolato: lo seguii nei tempi vertiginosi e lo continuai anche quando tutto minacciava travolgimento. Non mutai mai sistema e questo ha dato e dà tuttora i buoni frutti che con la protezione della Vergine noi vediamo. - Questa condotta non impedì ch'egli avesse molestie e persecuzioni; ma lo salvò dall'essere travolto. Strenuo campione di Gesù Cristo, militò a Dio in tutto il corso della sua vita senza impacciarsi di faccende mondane e per avere così legittimamente combattuto meritò di conseguire la corona dei vincitori non solo nell'altra vita, ma anche in questa[420].[Ppgg. 688, 689, 690– sono vuote]
L'Abbé De Barruel est absent et il a dans ses mains nos affaires; pour cela je puis pas vous envoyer les objets que vous demandez. Je suis seulement à même de vous assurer toute ma reconnaissance pour toutes les bontés que vous, Monsieur Quisard, nous prodiguez très souvent.
Que Dieu vous bénisse, et avec vous Dieu bénisse toute votre famille; et que la sainte Vierge soit à jamais le guide et la protectrice de mon petit ami, mon cher Antoine.
Les plus respecteux hommages à toutes les personnes qui vous parlent de moi et priez pour le pauvre prêtre qui vous sera eu J, C. Turin, 8-1884
Je comprends très bien, madame, vos sentiments, qui sont aussi les miens. Une maison Salésienne pour les pauvres orphelins de la ville de Lyon. Mais il faut encore prier un peu. De mon côté je ferai
tout mon possible. Mais avec toute la prudence il faut préparer l'autorite ecclésiastique. Ma santé est un peu mieux, mais je suis toujours prisonnier dans ma chambre:
Je ne manquerai pas, Madame, de prier chaque matin dans la Sainte Messe à vos intentions. [692]
Dieu bénisse vous, Mr votre charitable mari, votre famille et toutes vos affaires et que Marie A. guide Elle même tous vos intérêts à votre bonheur.
Que Dieu nous conserve dans sa grâce. Ainsi soit-il.
Votre très bonne lettre et votre généreuse offrande nous oblige d'augmenter nos prières et nos oeuvres de piété à votre intention. Je vous remercie avec tout mon coeur et nous continuerons à prier sans cesse la sainte Vierge afin qu'Elle-même bénisse, protège, et guide vous, votre famille et tout spécialement vostre mari en bonne santé, mais toujours dans le chemin du paradis.
Ma santé dans ce moment est un peu mieux et les médecins m'ont dit que samedi je pourrai partir, pour Nice, comme je compte de faire. Mais les lettres vous lès pouvez toujours adresser ici à Turin.
Avec la plus grande reconnaisance et avec l'assurance de la continuation de nos faibles prières je vous serai à jamais en J. C. Turin, 28 fer. 1884.
Il successore di S. Potino e di s. Ireneo nella chiesa metropolitana e primaziale di Lione, cardinale Lodovico Maria Giuseppe Eusebio Caverot nacque in Joinville, piccola città della diocesi di Langres, il 28 maggio 1806. Fece i suoi studi nei collegi di Troyes e Dole e li compi a Saint-Acheux, nella diocesi di Amiens. Andato a Parigi, si laureò in legge e per qualche tempo fu impiegato presso il Ministero della guerra. Nel 1831 fu ordinato prete e segui a Besancon il cardinale Luigi di Rohan Chabot; nel 1832 fu vicario della metropolitana, e tre anni dopo curato arciprete della medesima. Dacchè entrò al servizio della Chiesa, la sua vita fu tutta consacrata alla gloria di Dio e lla salute delle anime. Il ministero ecclesiastico, lo studio, la preghiera, il pergamo, le opere di carità furono le sue occupazioni come sacerdote, e continuarono ad esserlo come Vescovo e Cardinale. L'eminentissimo cardinale Mathieu, una delle glorie della Chiesa di Francia non tardò [693] a riconoscere nell'abate Caverot quanta virtù si nascondesse sotto le più umili apparenze, lo promosse canonico nel 1841 e nel 1846 lo fece suo vicario generale. La sua condotta nell'esercizio di quella carica gli aprì la via all'episcopato.
Il 20 aprile 1849 la Santità di Pio IX nel Concistoro tenuto in Gaeta, dopo aver pronunziato l'allocuzione Quibus quantisque malorum procellis contro la Repubblica romana, preconizzava alcuni Vescovi e fra essi il canonico Caverot, affidandogli la chiesa di St-Didié. Il nuovo Pastore si recò a prendere possesso della sua diocesi, e vi rimase ventisette anni. Quella diligenza in ogni cosa, quell'interesse per quanto si riferiva alla Chiesa, quella devozione alla Santa Sede, che già avevano segnalato fra gli ecclesiastici della Francia il Caverot, spiccarono di più bella luce; la dolcezza e la bontà colle quali governava paternamente la diocesi gli guadagnarono tutti i cuori. A S. Didié si credevano di averlo per sempre, ma Dio ne disponeva altrimenti; e quando fu trasferito a Lione la separazione di sì buon Padre fu oltremodo dolorosa.
Monsignor Caverot in S. Didié prese singolare cura degli istituti di educazione ecclesiastica Autrey e Châtel furono oggetto delle sue premure. Promosse le conferenze ecclesiastiche e stabilì la liturgia romana obbligatoria, fondò una cassa di soccorsi pei preti vecchi, favorì il pellegrinaggio al santuario del B. Fourier, apostolo della Lorena, e convocò il Sinodo diocesano.
Si recò a Roma in occasione della festa per la canonizzazione dei martiri giapponesi, e vi sottoscrisse il celebre indirizzo che i Vescovi colà congregati presentarono al Santo Padre, nel quale era in così splendida guisa reso omaggio all'infallibile suo magistero, e vi ritornò in occasione del Concilio Vaticano, facendosi ammirare per la sua devozione all'autorità del Papa.
Rimasta vedova la Chiesa di Lione per la morte di monsignor Guenouilbaè, il Governo francese, al quale toccava proporre la nomina dei successore, presentò alla Santa Sede il Vescovo di St-Didié. Pio IX accettò la scelta fatta, e nel Concistoro del 26 giugno 1876 monsignor Caverot veniva promosso Arcivescovo di Lione e Vienna. Era una nomina -meritata e fu accolta con plauso universale. Non indugiò a recarsi nella sua archidiocesi e cooperò con efficacia all'inaugurazione della nuova Università cattolica di Lione i cui principii erano stati così bene assicurati da monsignor Thibaudier, oggidì Vescovo di Soissons, e stato per qualche tempo come Vescovo ausiliare e Vicario capitolare incaricato del governo diocesano durante la malattia e dopo la morte di monsignor Guenouilhac.
La Santità di Pio IX il 12 marzo 1877 creò mons. Caverot Cardinal prete della Santa Romana Chiesa del titolo di S. Silvestro in Capite, e lo chiamò a far parte della Congregazione del Concilio, di Propaganda, dell'Indice, delle Indulgenze e sacre Reliquie. Fu destinato a portargli [694] il berretto cardinalizio monsignor Giuseppe: Francica-Nava, cameriere segreto di Sua Santità, ed il Maresciallo Mac-Mahon, valendosi della facoltà accordata dalla Santa Sede ad alcuni Capi di Stato, glielo impose, rendendo con belle parole il dovuto omaggio alle virtù dei nuovo Porporato.
Il più bel fiore del Collegio apostolico, pag. 230 sgg.
A SUA EM. IL CARDINALE GAETANO ALIMONDA, LORO VENERATISSIMO ARCIVESCOVO, APPLAUDONO CONCORDI D. BOSCO ED I SUOI FIGLI, LIETI DI ACCOGLIERE NELL'ORATORIO, NEL DÌ DELLA FESTA DEL LORO PATRONO, CHI È VIVO ESEMPIO DELLA SAPIENZA, DELLA MANSUETUDINE E DELLA CARITÀ OPEROSA DI S. FRANCESCO DI SALES.
Quella gioia che leggi stampata
Sulla fronte di tanti fanciulli
Che con ansia per lunga stagione
Che d'amore è la nostra canzone
Che ora inneggia all'illustre Pastor.
Chi vederti potrebbe ed il seno
Non sentirsi avvampare d'affetto?
Nunzio certo di lieto avvenir.
Se tu parli è l'amore che vibra
I suoi dardi dal santo tuo labbro,
D'amor freme nell'anima ogni fibra
E a Dio s'erge con voti e sospir.
Tu se' amor! E dal cielo il tuo cuore
D'ogni affetto ricambia Maria;
Nel tuo sguardo lampeggia l'ardore
Di chi vide gli arcani del ciel:
Quelli arcani d'immensa bellezza
Che sul volto e nell'alma ha Maria:
Tu sei teste di quanta dolcezza
Essa innebria ogni figlio fedel. [695]
Tu se' amor! e il soave sembiante
Del Salesio ritraggi nel volto.
Il Signor quanto è buono ed amante
Tu se' aurora di requie foriera
All'errante e a chi vive nel duolo,
Che ci guida all'ovil di Gesù.
Tu se' amori ed al Veglio di Roma
Canti idillio che tutta diavolo
Quella gioia che cinge sua chioma,
Quella possa che il cielo gli diè!
Gloria e imperio che in cielo ed in terra
Tutta muove col braccio di Dio:
Ei prigione disperde ogni guerra,
Tragge vinti i potenti a' suoi piè.
Tu se' amor! e ti svelse Leone
E qual pegno d'amor ti ha donato
Qui di Cristo il Sudario; memoria
Qui dell'Ostia raggiante di luce;
Qui Colei che consola, e vittoria
Contro gli empi ai suoi figli donò.
Grazie al nuovo Santissimo Aronne
Che in te parte del cuore ci dona!
Grazie a te che dall'alma Sionne
Vien, ti assidi tra i figli! Infinito
Scoppia il plauso di un popolo grato,
Strano un mugghio sol manda Cocito
Vien, ti assidi tra i figli che han nome
Umil pianta in principio; ma or come
Non fatica è di braccio mortale
Che del ciel la grand'opra compì. [696]
Tu se' amor! e sui figli di Pio
Stendi l'ali tue sante, o Pastore!
Ci precedi: sei l'angiol di Dio,
Fiamma, nube, vessillo, guerrier.
E noi fiso in te il guardo e securi
Giungeremo alla splendida meta,
Del patire pei tramiti oscuri,
Dell'amore per l'arduo sentier[421].
Discorso del card. Alimonda ai Cooperatori di Torino.
Amatissimi Cooperatori Salesiani e Cooperatrici, anche a Roma io mi occupava delle cose dei Salesiani, e quando il nostro caro D. Giovanni Bosco teneva le sue annuali Conferenze, nella chiesa delle Nobili Oblate di santa Francesca Romana in Tor de' Specchi, io pure vi prendeva parte, diceva qualche parola, faceva qualche esortazione alle persone, che v'intervenivano. Colà io mi tratteneva a discorrere con vivo interesse dell'Opera Salesiana e del suo fondatore; ed allora chi l'avrebbe detto che la divina Provvidenza mi avrebbe inviato Arcivescovo in Torino, dove quest'Opera medesima è nata, cresciuta, e donde già si diffuse in più altre parti a vantaggio della società e della religione? Chi l'avrebbe detto che alle Conferenze Salesiane, a cui in Roma interveniva e parlava a titolo di amicizia e di religione, io avrei avuto la fortuna di assistere in Torino e ragionarvi non solo più come confratello ed amico, ma come pastore e padre? Oh! sì volentieri accettai la presidenza di questa eletta Radunanza, perchè io amo l'Opera dei Salesiani, tanto più ora che posso anche chiamarla Opera mia, e Don Bosco mi permetterà di usare questa parola.
E donde viene inspirato in me questo affetto per l'Opera dei Salesiani? - Da questo che io debbo amare e caldeggiare tutte le opere, le quali sono informate allo spirito del Vangelo, allo spirito di Nostro Signore Gesù Cristo. Per la qual cosa, se io vi dimostrerò che nell'Opera di Don Bosco, nell'Opera dei Salesiani vi è lo spirito del Vangelo, lo spirito di Gesù Cristo, sarà pur dimostrato che io debbo amarla e caldeggiarla secondo le mie forze.
I° Opera prediletta di Nostro Signor Gesù Cristo fu l'evangelizzare, fu l'istruire i poveri, poveri non solo di sostanze, ma di virtù, a fine di arricchirli di sua grazia e farli partecipi delle ricchezze celesti. Perciò il divin Maestro diceva che era stato inviato appunto [697] per ammaestrare e guarire questa classe di persone: Evangelizare pauperibus misit me, sanare contritos corde - Or bene ecco la grande impresa, che hanno pure assunto i Salesiani. D. Bosco fondando l'Opera sua mirò particolarmente a soccorrere i poveri di beni di fortuna, i poveri di mente e di cuore, i poveri d'istruzione religiosa e i feriti nell'anima. Fin da principio egli sentì in cuor suo un grande trasporto verso questi derelitti, si mise in cerca di loro per le vie e per le piazze, ed esercitò appunto il suo ministero a sollievo corporale e spirituale di quei poveretti, i quali o perchè abbandonati a se stessi, o perchè occupati in bassi mestieri, o perchè oppressi dalla miseria non si curavano nè di Dio nè dell'anima, e correvano alla perdizione. A questo nobile scopo tende la istituzione dei Salesiani, e la carità dei loro Cooperatori e delle loro Cooperatrici. Questa, come vedete. è veramente Opera secondo il Vangelo; dunque come Pastore, come Arcivescovo io debbo amarla e proteggerla; e l'amo e la proteggo.
2° Teniamoci nello spirito del Signore. Egli portava anche un amore sviscerato ai fanciulli, e questi volevano bene a Lui. Quando Gesù scorreva la Palestina predicando, essi gli correvano attorno e gli facevano festa. Gli apostoli temendo che fossero di noia al divin Maestro ne li allontanavano; ma Gesù ciò non voleva e comandava che li lasciassero avvicinare alla sua persona dicendo: Sinite parvulos venire ad me: lasciate che i fanciulli vengano a me e che io li accarezzi D. Bosco a sua volta sentì inspirarsi in cuore l'amore ai fanciulli, e qui in Torino pose il campo della sua apostolica missione a loro vantaggio. Vennero a lui i giovanetti, lo seguirono, e ne fecero l'imagine di Gesù Cristo. Don Bosco ed i Salesiani aprono pei fanciulli collegi, scuole, ospizii ed oratorii festivi, e si fanno loro amici, fratelli e padri. É questa un'Opera affatto evangelica; e io la debbo amare, perchè m'interessa pur molto da vicino. Ora i fanciulli vengono liberamente intorno al pastore, al rappresentante di Gesù Cristo nella diocesi: non ci sono gli apostoli, che da noi li allontanino; ma pure un ostacolo vi può essere, che c'impedisca di accarezzarli e benedirli. Quest'ostacolo sarebbe la loro cattiva condotta, sarebbero le malvagie passioni, l'invidia, la superbia, la pigrizia, il mal costume. Il mio carattere episcopale mi vieta di abbracciare fanciulli macchiati di peccato, e giovanetti coperti di vizi. Ebbene che fanno Don Bosco, i Salesiani e i loro Cooperatori? Oh! i benedetti! Essi si adoperano di conservare nella innocenza questi cari figliuolini, essi li aiutano a combattere e a vincere le peccaminose loro tendenze, a snidare i vizi dalle loro menti e dai loro cuori, se già vi sono entrati; essi me li rendono virtuosi, umili, amorevoli, obbedienti e puri, affinchè io possa come il Signore stringerli al mio seno. Oh! vengano, vengano a me questi fanciulli così santificati; vengano, che sulla loro fronte io voglio stampare, un bacio di padre. Ma intanto è più che giusto che io ami e protegga l'Opera Salesiana, la quale mi procaccia questa felicissima sorte. [698]
3° Nel Vangelo Gesù Cristo raccomanda la preghiera, e ci assicura che ove sono radunate in suo nome alcune persone, egli stesso trovasi in mezzo di loro: Ubi sunt duo vel tres congregati in nomine meo, ibi sum in medio eorum. Le chiese in modo particolare, gli oratorii, le case di educazione, dove si radunano anime pie, dove s'innalzano fervide orazioni, dove risuonano i sacri cantici, dove si pensa, dove si parla, dove si lavora per la gloria di Dio, sono le case del Signore, sono i luoghi, sui quali Egli tiene rivolti i suoi amorevoli sguardi, sono anzi i luoghi, in cui Egli abita e s'intrattiene come padre in mezzo a' suoi figliuoli e alle sue figliuole: Ubi sunt duo vel tres congregati in nomine meo, ibi sum in medio eorum. - Ora che cosa ha fatto D. Bosco co' suoi Salesiani, coi suoi Cooperatori e colle sue Cooperatrici? Ha innalzato case, oratorii, cappelle, chiese belle come questa, dove migliaia di persone vengono a pregare e a cantare le lodi del Signore; ha moltiplicato i luoghi, dove abita Gesù Cristo in persona nei sacri tabernacoli; luoghi, dove egli risiede col suo spirito di bontà e di misericordia, dove concede perdono al peccatore, perseveranza al giusto, sollievo all'infermo, coraggio al debole, conforto all'afflitto. In questa guisa l'Opera di D. Bosco, l'Opera dei Salesiani ha promosso e promuove efficacemente la pratica della preghiera. Essa è dunque un'Opera conforme allo spirito del Vangelo e perciò io debbo amarla e caldeggia; amarla e caldeggiarla tanto più in quanto che molti di questi luoghi di orazione sono eretti in questa mia archidiocesi, e a vantaggio delle anime affidate alla mia pastorale vigilanza.
4° Il santo Vangelo vuole che tutti gli uomini non facciano che una famiglia, che una greggia sola sotto un solo padre ed un sol pastore; per conseguenza comanda l'unità di fede> condanna le discordie in religione, detesta le eresie. Il divin Maestro pregava che i suoi discepoli fossero per grazia così uniti di mente e di cuore da fare una cosa sola tra loro, come Egli e il divin Padre fanno una cosa sola per natura: Ut sint unum sicut et nos. A fine di ottenere questa unità Egli stabilì capi visibili di sua religione S. Pietro ed i suoi successori, i Pontefici Romani, e comandò ad ogni fedele di obbedire alla sua Chiesa, sotto pena di essere considerato come un pagano ed uno scomunicato: Si ecclesiam non audierit, sit tibi sicut ethnicus et publicanus. A dunque l'unità di fede e di religione secondo lo spirito del Vangelo, è anzi voluta e comandata da Gesù Cristo; onde fa cosa eminentemente evangelica e giusta il voler di Dio chiunque si adopera a conservare questa unità medesima. - E questo appunto fa il nostro caro D. Bosco. Egli colla sua istituzione si adopera di ottenere questa unità di fede in varie guise, ma specialmente coll'opporsi da vicino all'eresia del protestantesimo. Quindi a Roma, a Firenze, e Spezia, a Ventimiglia, accanto alle scuole e alle chiese dei protestanti, sorgono per opera sua le scuole e le chiese cattoliche, col fine d'impedire che questi eretici seminino i loro errori, e pervertano la mente ed il cuore dei cattolici. [699]
Anche qui in Torino vediamo la stessa cosa; anche qui D. Bosco ed i Salesiani promuovono l'unità della fede e combattono l'eresia. Percorrendo questo bel viale noi troviamo ad un certo punto più che una cappella un tempio protestante, ed il nostro cuore rimane addolorato; ma fatti pochi passi eccoci rallegrati da questa bella chiesa di S. Giovanni Evangelista, la quale per opera di D. Bosco e pel concorso dei suoi Cooperatori e delle sue Cooperatrici sta qui come sentinella, per impedire che l'errore passi innanzi a portare la divisione e lo scompiglio nelle anime dei torinesi. Dunque l'Opera dei Salesiani promuove l'unità della fede e io debbo amarla. E qual Vescovo potrà non amare, anzi non prediligere un'Opera siffatta?
5° E lascierò io di parlare della grand'opera delle missioni? Nostro Signor Gesù Cristo mandò i suoi apostoli a predicare il vangelo per tutto il mondo: Euntes, disse loro, in mundum universum praedicate evangelium omni creaturae. - E D. Bosco manda pure i suoi Salesiani in varie parti d'Italia, nella Francia, nella Spagna, nell'America, ed abbiamo poc'anzi udito dal relatore quanto i Salesiani stanno facendo nella lontana Patagonia. Anche D. Bosco dice ai suoi figli: Euntes docete omnes gentes; e per opera loro la voce del Vangelo e della fede cristiana già risuona in quelle ultime regioni, e le tribù ed i popoli si raccolgono in grembo alla Chiesa: In omnem terram exivit sonus eorum, et in fines orbis terrae verba eorum. - Nè si dica che D. Bosco inviando Sacerdoti alle missioni straniere ne priva i nostri paesi; imperocchè l'esempio ed il sacrifizio di cotali apostoli per una parte esercita benefica ed efficace influenza su quelli che restano, ne riscalda viemmeglio lo zelo, ne moltiplica l'azione, e per altra parte risveglia maggior numero di sacre vocazioni e ci procaccia più altri Sacerdoti, che vengono ad occupare il posto lasciato vuoto dagli eroi. Procuriamo di eccitare lo spirito di fede e di pietà nelle cattoliche popolazioni, ed allora queste, come già una volta, somministreranno degli operai evangelici e per noi e per inviare ai popoli più lontani, seduti ancora nell'ombra dì morte. Questo è pur ciò che cerca di ottenere l'Opera dei Salesiani ne’ suoi istituti; e D. Bosco manda i suoi missionarii nelle varie partì del mondo anche perchè cogli altri beni portino e facciano nascere e sviluppare il seme delle vocazioni ecclesiastiche tra altre genti, procurando così alla Chiesa cattolica un maggior numero di banditori del santo Vangelo. Lasciamo dunque che partano da noi i novelli apostoli, chè Dio ce ne ricompenserà con usura.
Mi pare di avervi dimostrato a sufficienza che l'Opera dei Salesiani è opera secondo lo spirito del Vangelo, secondo lo spirito di Gesù Cristo, e così resta pur dimostrato come io debbo amarla e caldeggiarla. Anzi tutti devono amarla e cooperare al suo benessere, facendo in modo che si sviluppi maggiormente e si dilati. Non vi sia chi dica: - L'Opera cammina da sè, è già estesa, e più non abbisogna della mia cooperazione. - No; perchè questa sarebbe una brutta parola; [700] parola, che suole spuntare sulle labbra di coloro, i quali non vogliono mai scomodarsi per la gloria di Dio. Appunto perchè l'Opera cammina, appunto perchè è già estesa, appunto perchè vediamo che Dio la benedice e la protegge, noi dobbiamo fare del nostro meglio per cooperare a suo vantaggio, sapendo di fare cosa gradita a Dio ed utile al prossimo. Certo bisogna fare qualche sacrifizio colla limosina. Ma che perciò? Di consimili sacrifizi se ne fanno tanti nel lusso, in vani divertimenti, e fors'anche in peccati, e si vorrà ricusare un sacrifizio a pro di un'Opera sì bella? In tutti i tempi, ed oggi più che mai, per opporsi al male, per promuovere il bene, fa d'uopo scomodarsi, sopportare pene e disagi. Senza di ciò non v'ha merito, non vi ha gloria; senza di ciò la colluvie dei mali rovescierà ogni diga e ci affogherà.
Fa qui a proposito, miei cari figliuoli, quello che la Sacra Scrittura ci racconta del profeta Elia. Questo grand'uomo avea già lavorato molto per la gloria di Dio e a salute del popolo d'Israele in tempi difficilissimi, ma con poca sua soddisfazione; onde sfiduciato risolse di vivere tranquillo e andò a rinserrarsi in una spelonca. Stava egli là in fondo nascosto, quando udì la voce del Signore che gli diceva: - Quid hic agis, Elia? Che fai qui, Elia? Tu stai qui inerte, mentre i miei nemici trionfano, i miei figli sono abbandonati, ed è calpestata la mia legge: tu potresti combattere ed impedire che il nemico menasse il mio popolo alla totale rovina; potresti sollevare i caduti, confortare i pusillanimi, e prepararli ad una splendida vittoria, ed in quella vece ti rinserri. Egredere: esci di qua. - Elia a queste parole vergognò di se stesso, uscì dalla sua caverna, ritornò tra il popolo, riprese col solito ardore a difendere la causa della religione, sottoponendosi ai più aspri cimenti.
Anche ai giorni nostri vi sono delle persone, le quali scorgendo nel mondo tanti disordini religiosi e sociali si spaventano, si scoraggiano, e si rinchiudono nelle loro stanze, che non sono poi la caverna di Zia, e là si contentano di lamentare i malanni della società, senza scomodarsi della persona, senza mettere mano all'opera, senza fare alcun sacrifizio per iscongiurarli o per scemarli almeno. Ora a costoro io dico come il Signore ad Elia: - Uscite, uscite dalla vostra inerzia, e, se non sapete o non potete scendere in lotta e combattere di fronte i nemici di Dio, aiutate almeno colle vostre limosine, colla vostra carità coloro, i quali sì trovano in campo, e sostengono il peso della battaglia. Favorite le buone istituzioni, e tra queste favorite l'Opera dei Salesiani, Opera secondo il Vangelo, secondo lo spirito di Gesù Cristo. A ciò fare vi conforti il pensiero che, crescendo per la vostra generosità il numero delle anime salvate, crescerà in pari tempo a voi il diritto alla loro riconoscenza, il diritto a maggiori grazie per la vostra santificazione, il diritto ad una più splendida corona, il diritto alla lode di Dio e a quella ancora degli uomini. E questa lode voi l'avete finora meritata; imperocchè molto efficacemente avete aiutato i Salesiani e molto bene avete con essi operato. Proseguite così, ed io vi benedico. [701]
Lettera di D. Bosco a un signore francese.
J'ai la consolation de recevoir votre chrétienne lettre, cher Monsieur, et ne manquerai pas de prier et faire prier nos enfants à votre intention. Chaque matin dans la Sainte Messe je ferai bien volontiers un souvenir pour vous, vos parents sains et malades et en général pour .toute votre famille.
Je recommande aussi à votre charité touts mes orphelins (150 mille) et vouloir bien nous aider avec vos prières.
Vous direz tous les jours trois pater ave gloria au très saint Sacrement jusqu'à St Pierre; et je vous prie de fréquenter la sainte communion en toute votre famille.
Vous demandez mon adresse et la voyez ici: Abbé jean Bosco à Marseille jusqu'au 29 de ce mois, en suite à Turin.
Que Dieu vous bénisse, cher Monsieur, et récompense largement votre charité et que la Sainte Vierge vous porte la santé et la sainteté en toute votre famille et veuillez aussi prier pour moi qui serai à jamais en J. Ch.
Lettera a Don Rua dopo la morte di Don Bosco.
La triste nouvelle arrivait ici, hélas! par les journaux la veille de la Purification et je l'apprenais le jeudi z février. Votre lettre douloureuse m'arrive ce soir 3 et confirme la mille fois triste réalité.
J'écrivais le 18 janvier au R. P. Directeur de l'Oratoire St Léon à Marseille, tourmentée par la lecture des lignes alarmantes publiées sur l'état da santé du vénéré et si regretté D. Bosco.
Le silence s'était fait et j'espérais que les nouvelles pourraient être ou fausses ou au moins exagérées.
Malheureusement après quelques jours d'espoir, que le dernier bulletin annonçait, les trois medecins si devoués au vénéré malade constataient depuis le 3 janvier une amélioration notable et progressive, vers le rétablissement. (Cette expression m'avait remplie d'espérance). [702]
Les prières si ferventes n'ont, hélas, retardé que de plusieurs jours cette mort si belle et si édifiante après une vie entièrement consacrée ail bien et à l'exercice des plus hautes vertus de la charité.
Ces fatigues incessantes, cet esprit toujours occupé des grandes . oeuvres accomplies et à accomplir, ont abrégé les jours si précieux du saint et vénéré serviteur de Dieu et de la sainte Mère!
Je le répète après vous, mon Père, Dieu est essentiellement juste et bon dans ses impénétrables desseins et il n'y a qu'à courber la tête sous sa main qui nous frappe en éprouvant notre soumission et notre foi. Malgré le vide immense, la peine profonde que causent à tous ses fils, à ses si nombreux enfants, aux patronages et Oratoires, à tous ceux qui l'ont connu par lui-même ou par ses admirables oeuvres, ne peuvent que jouir de cette pensée que la gloire, le bonheur parfait sont en sa possession, que la couronne des élus est posée sur sa tête au sortir immédiat de cette terre. Car qui pourrait mettre en doute l'entrée au Ciel dès maintenant de cette grande âme d'élite, de ce serviteur du bon Dieu et l'instrument constant de ses inspirations divines?
Néanmoins, Mon Père, et d'après vos reflexions émanant du cher défunt, ce sera pour tous une douce occupation, une sainte pensée dé porter souvent ce cher souvenir devant le bon Dieu.
Du haut du ciel il sera, et est déjà, ce vénéré Père, le guide, la force et l'inspirateur vigilant de toutes les Œuvres qu'il confie ici bas à tous ses zélés collaborateurs. Non elles infaibleront jamais, les OEuvres! Elles sont fondées (comme vient de le dire leur saint protecteur) sur la bonté de Dieu, la puissant intercession de N. D. Auxiliatrice et le concours de tous les coopérateurs qui ne leur feront jamais défaut.
Ce n'est vraiment que depuis quatre ans, à l'hiver 1883-1884 passé dans le Midi que nous avons connu avec joie ce saint dont le nom remplissait une partie notable du monde par ses bienfaits.
C'est à la maison de la Navarre près d'Hyères que le bon Père nous a reçues pendant un assez longs temps; sa bonté, ses prières, et sa bénédiction deux fois pendant cette visite à jamais mémorable, nous ont remplies de courage et de force dans nos tourments. Il nous a parlé de ses oeuvres immenses, de cette lotterie qui commençait à s'organiser et a fait de nous 4 coopératrices; et a bien voulu depuis de temps recevoir de moi bien des demandes de prières et a toujours daigné répondre à mes indescrètes suppliques!
Ce vénéré l'ère a bien voulu nous envoyer les paroles de consolations dont il avait si bien le secret lorsque le bon Dieu a redemandé notre enfant bien-aimé il y a trois ans! 'fous ces souvenirs me sont bien chers! et toutes les nombreuses lignes, que le regretté et vénéré D. Bosco a bien voulu m'écrire, sont réunies, classées comme une véritable relique pieusement conservée.
La Semaine Religieuse du diocèse m'apporte la triste nouvelle, apprise par le journal (Le Monde); il parle d'une attaque de paralysie [703] survenue dimanche matin et lui ayant enlevé sur les dernières heures dé cette précieuse existence, la connaissance et le sentiment de sa fin.
Lorsque quelques jours auront passé encore, Mon Père, quelques détails de cette belle fin me seront bien précieux.
Cette arrivée de Mons. Cagliero près du vénéré D. Bosco a été providentielle: j'ai lu avec larmes le récit du Bulletin sur cette entrevue émouvante de son Evêque bien-aimé agenouillé aux pieds de son père vénéré! et Lui la tête inclinée sur les épaules baisant sans relâche son anneau pastoral.
Au milieu de cette douleur profonde comme Monseigneur doit être heureux d'avoir été au milieu de tous et fermé les yeux à ce Père bien-aimé.
Courage, mon père, votre mission est belle: vous êtes désigné pour continuer celui que depuis si long-temps vous secondiez dans toutes ses oeuvres. Du haut du ciel le saint et vénéré fondateur contemple ses fils, tous ceux à qui il a confié cette belle tâche à remplir ici-bas: son souvenir né périra pas; il animera sans cesse les courages en excitant à suivre ses exemples, ses conseils si puissants, et pour les coopérateurs il servira de modèle admirable pour protéger la charité selon leurs moyens...
Auxerre (Yonne). Rue Neuve, 15.
Lettera di Don Febbraro a Don Bosco.
La sua lettera mi ha fatto conoscere di più il suo buon cuore di padre, e l'obbligo che io ho di esserle buon figliuolo. A vedere la sollecitudine amorevole e tranquilla con cui pensa a noi ed ai giovani che ci ha affidati, io mi vergogno di essere così dissimile da lei, e di lasciarmi conturbare così spesso dalle mie piccole difficoltà; mentre ella sa conservarsi così sereno e tranquillo in mezzo alle gravi cure ed alle fatiche da cui è oppresso.
Voglio pregare Gesù e Maria che mi conservino sempre l'esempio di così buon padre e diano a me la grazia di poterlo imitare. E se non posso imitarlo io, almeno procurerò di far conoscere agli altri il cuore del nostro padre, e cercherò di infondere nei confratelli e nei giovani l'amore a D. Bosco, acciocchè imparino da lei ad amare Iddio.
Ho fatta la sua commissione ai giovani di 4ª e 5ª ginnasiale 1 quali furono commossi a questo segno di affetto che ella ha dato loro, e sembrano [704] disposti a fare le cose della loro vocazione con serietà e sinceramente. Appena avrò tutte le loro lettere le consegnerò al Sig. D. Lazzero acciocchè le dia a lei al suo ritorno.
Ho fatto i suoi saluti agli studenti e tutti mi incaricarono di ringraziarla, in modo speciale delle preghiere che Ella fa per loro e della benedizione che domanderà al S. Padre. Le auguriamo tutti buona salute e che la benedizione di Gesù e di Maria discenda sopra di lei e sopra le sue opere, affinchè nel padre siano benedetti anche i figli.
Non oso scrivere di più per riguardo alla sua salute ed alle sue occupazioni. Scriverò a D. Lemoyne notizie più particolareggiate intorno alla condotta dei giovani. Sentiamo tutti il bisogno di aver qui con noi D. Bosco: ed ogni giorno preghiamo Iddio che ce lo ridoni presto.
Tra noi ella avrà dei dispiaceri ma può essere certo che le vogliamo bene; come noi siamo certi di trovare sempre in lei un padre affettuoso, che perdona tutto e vuol bene a tutti. Preghi per noi che ci facciamo buoni e specialmente che mi faccia buono io.
Sac. STEFANO FEBBRARO[422].
Corona di comunioni per Don Bosco
nel piccolo clero dell'Oratorio.
Ella crederà che ci siamo dimenticati di Lei perchè non demmo segno di vita nei giorni che stette da noi lontano; ma la colpa del silenzio furono gli esami; se tacemmo cogli scritti non tacemmo colle preghiere a Gesù e a Maria. Nel tempo della sua dolorosa malattia, allorchè si trovava all'Oratorio, facemmo una corona di comunioni e di visite affinchè la Vergine le donasse la tanto desiderata sanità. E queste preghiere nostre non vennero meno nel tempo del suo viaggio, e specialmente nel mese della nostra cara Madre noi pensammo di raddoppiarle, e per la sua sempre cagionevole salute, e perchè il Signore si degnasse di assisterla nel viaggio e nei suoi santi desiderii per la propagazione del bene.
Noi continueremo a far dolce violenza ai Santissimi Cuori di Gesù e di Maria, che ce lo ridonino presto e sano per lunghi anni. Ella poi [705] continui ad amarci, a ricordarci nelle sue orazioni e specialmente a farei benedire dal Santo Padre affinchè possiamo consolare Lei, i nostri ottimi superiori, ed il Signore.
Dica al Santo Padre che preghiamo di tutto cuore per lui, affinchè possa essere consolato nelle afflizioni che le arrecano gli ingrati, e possa vivere ancora molti anni felici al bene della Chiesa e della nostra Società.
Accetti, ottimo Padre, questi semplici voti colla solita sua bontà, ci benedica, ci ami, e ci creda sempre suoi.
Amerio Antonio |
4 |
Chicco Bernardo |
4 |
Moretti Bartolomeo |
4 |
Berlenda Amilcare |
4 |
Gaido Bartolomeo |
5 |
Graffione Giovanni |
7 |
Sfondrini Giovanni |
4 |
Solita Gaetano |
6 |
Tomatis Giorgio |
6 |
Verghetti Enrico |
6 |
Brassea Pietro |
10 |
Buratti Pietro |
10 |
Cravero Bartolomeo |
10 |
Dones Antonio |
9 |
Giacoma Domenico |
5 |
Marelli Enrico |
9 |
Martina Michele |
8 |
Mazzuchelli Attilio |
9 |
Santi Luigi |
I |
Sola Giovanni |
9 |
Barassi Camillo |
9 |
Baroni Edoardo |
9 |
Daira Domenico. |
7 |
Grossoni Giuseppe |
7 |
Nicolai Ernesto |
5 |
Quaranta Michele |
6 |
Appiano Pietro |
8 |
Batuello Domenico |
10 |
Bianco Ermenegildo |
10 |
Cerruti Michele |
9 |
Chiaravalle Eugenio |
9 [706] |
Dedionigi Alfeo |
9 |
Dellacroce Francesco 2°. |
9 |
Fumagalli Salvatore |
5 |
Galbiati Saulle |
8 |
Livio Carlo |
8 |
Olivero Domenico |
10 |
Perni Alessandro |
10 |
Piatti Giovanni |
10 |
Pignocco Giuseppe |
.10 |
Roncati Felice |
9 |
Scaltriti Enrico |
10 |
Fantardini Giovanni |
10 |
Valz-Blin Ernesto |
9 |
Bertolotto Marcellino |
9 |
Grogno Giovanni |
8 |
Ranzani Carlo |
9 |
S. Giovanni Bosco e i neosacerdoti inglesi.
Monsignor Kolbe, ex-allievo del Collegio Venerabile Beda in Roma così scriveva al Salesiano Don Valsh:
I send you the paragraph you asked for, and am glad to be able to contribute even so small an item to the Life of your Saint.
In the days of St. Philip Neri, it is recorded, the students of the English College (the Venerabile), who used to be greeted by the Saint with Salvete flores Martyrum, had the custom of going to ask his blessing before going on the mission. Only one student did not go, and would not go. That student gave up the faith on the scaffold. I was at the English College and left it in 1882. The next year (on perhaps the year after) one of my fellow students (the Rev. I. S. Chapman) wrote to me, "We have discovered a Saint, and have decided to resume the old custom of going for a blessing". The Saint was Don Bosco, and I have always regretted that we did not discover him a year or two sooner.
If the Bishop of Leeds (D. Cowgill) has recovered from his present illness, perhaps he will confirm this statement. He was one year after me.
The Monastery, Sea Point, 11-2-35
Lettera del padre Mortara e Don Bosco.
Non voglio partire da Utrera senza consegnare al suo carissimo figlio P. Ernesto [Oberti] Superiore dei RR. PP. Salesiani di N. S. del Carmen, una letterina per la S. V. Rev.ma.
Il Signore nella sua infinita bontà ha permesso che, dopo aver evangelizzato altre città della Cattolica Spagna, venissi anche ad Utrera per conoscere e stringere fraterne relazioni coi dilettissimi figli della S. V. Rev.ma, che io ho visitati spesso, rimanendo profondamente edificato della loro caritatevole bontà e gentilezza e del loro spirito eminentemente religioso, zelante, generoso e magnanimo. In tali figli si riconosce il buono ed incomparabile Padre che è degno di essi, come questi lo sono di lui. Laus Deo perennis et indeficiens qui dedit potestatem talem hominibus.
Sono dunque in Ispagna (in Chiclama Prov. e Dioc. di Cadiz) fin dal 1882, e dopo aver appreso con somma fatica la lingua, ora vado dove il Signore mi chiama, lavorando e soffrendo, giacchè un resto della mia ultima, gravissima infermità mi fa passare dei giorni di vero martirio. N. S. Gesù Cristo non avrebbe salvato il mondo se non avesse sofferto e non est discipulos supra Magistrum.
Quando Ella mi onorò della sua visita in Marsiglia in casa delle signore Maccorelles, nella menzionata mia malattia, Ella mi disse, che il Signore poteva sospendere il Decreto di morte già emanato per me[423].
Il decreto fu sospeso: Ella me lo fece ritirare, ed ora guaì a me se la vita che mi resta, non la impiego tutta ad edificare, difendere e dilatare il mistico regno dì Dio, come mi scrisse il Santo ed Immortale Pontefice Pio IX di felice memoria. Mi raccomando a tal fine quanto so e posso alle sue sì efficaci orazioni. Io voglio essere un gran santo e per il cammino di una profonda umiltà e di grandi sofferenze. Questo è l'unico mezzo per me di far del bene colla grazia di Dio, e di convertire la mia povera famiglia. A tale intenzione imploro dalla P. V. Rev.ma una speciale benedizione.
L'eccellente P. Ernesto mi ha scritto nella Lista dei Cooperatori della sua cara Congregazione. Da questo momento procurerò con tutti i mezzi, specialmente colla predicazione, di sostenerla e di farla conoscere ed amare. In Chiclama siamo sei sacerdoti, abbiamo novizi, Spagnuoli, e scuole esterne, ma nessuno ci sostiene, eccetto la Provvidenza. [708] I suoi figli sono più fortunati qui in Utrera. - Senz'altro, di vero cuore e col più profondo rispetto mi dico
Utrera, Santiago-Mayol 9 aprile 1884.
Lettera di Don Lemoyne a Don Rua.
O dies felix memoranda fastis |
Gestiens Clerus, puerique puri |
Corde Reginae celebrare coeli |
Munera certent. |
Oggi alle ore un quarto pom. D. Bosco entrava all'udienza del Santo Padre - Accoglienze affettuose, indescrivibili. - Tutto concesso. Deo gratias - Narrazione particolare ad altro tempo. - Oggi arriva pure la comunicazione ufficiale che il Sindaco di Roma a nome del Municipio ha fatto formale domanda al Prefetto per la licenza della Lotteria. - D. Bosco sta molto meglio, e da quando è partito da Sampierdarena a questo istante ha guadagnato molto, specialmente in questi tre ultimi giorni.
Il giorno 8 ci fu la Conferenza a Torre de' Specchi ma con un tempo indiavolato che tenne a casa la maggior parte dei Cooperatori.
Mercoledì, 14, ci metteremo in viaggio per Torino. Vi significheremo il giorno e l'ora dell'arrivo se D. Bosco me lo permetterà.
D. Bosco vi saluta e vi benedice, annunciandovi che il Sommo Pontefice manda una speciale benedizione a tutti i Salesiani.
Prega per me che sono impazientissimo di tornare nella mia cella.
Lettera di Don Bosco al conte di Villeneuve.
Mon cher M.r le C.te de Villeneuve,
Je suis à Rome, mais je n'oublie pas vous, Mr le Comte, et toute votre famille. Vous le savez que je fais tous les matins un souvenir pour vous dans la Ste Messe et je continuerai. [709]
Demain j'aurai l'audience chez le St Père [424] et je ne manquerai pas de demander une bénédiction toute spéciale à vos intentions.
J'espère que Mad.me la Coratesse, mon petit prieur et la famille soit bien; et que la Ste Vierge vous protège à jamais.
Je reçois des notices de St-Cyr qui me disent comment les dettes embarassent sérieusement la construction de cet orphelinat. Pour ce la je ai écrit à Mr le Curé de Laciotat et d'Aubagne de nous aider en leur disant que vous aurez traité avec eux sur le moyen à suivre dans ces besoins.
Faites-vous courage, Mr le Comte. La grâce de Dieu nous manquera pas. Nous nous verrons à Turin à la fête di N. D. A. N'est-ce pas?
Que Dieu nous bénisse, et que la S.te Vierge nous protège et nous aide à cheminer sûrement dans le chemin du Paradis. Ainsi soit-il.
Lettera del Vescovo di Ventimiglia
Cattivo di D. Bosco il quale passò ben due volte per Ventimiglia e non si lasciò vedere dal Vescovo! In penitenza di ciò mando alla S. V. M. R. il mio arcidiacono, il quale non viene unicamente in Torino per solennizzarvi Maria Ausiliatrice, ma altresì per chiederne l'ausilio qui e fare alla S. V. una proposta che io pure raccomando caldamente. Non si richiede di molto personale, nè soggetti di molta vaglia. Abbisognano di chi ci curi un poco i ragazzi abbandonati e sbrigliati. Spero nella carità di lei: e unendomi nelle lodi di Maria Ausiliatrice professomi
D. Bosco scrisse in margine. D. Lemoyne dica che sono veramente cattivo; prometto di farmi buono e in qualche modo rimediare al passato ecc. - Si trattava di un Oratorio festivo a Ventimiglia e D. Bosco vi mandò tutte le domeniche un sacerdote della casa di Alassio. [710]
al Direttore delle ferrovie romane.
D. Bosco è passato per Firenze il giorno 16 del corrente mese. Avrebbe desiderato vivamente far visita alla S. V. Ill.ma per ringraziarla della squisita carità usatagli nel concedergli la riduzione della tariffa sui biglietti delle ferrovie Romane. Ma ne fu impedito dalla sua malandata sanità e da un'ostinata infiammazione agli occhi. Perciò mi incarica di fare le parti sue con questa lettera presso la S. V. Ill.ma assicurandola che non verrà mai meno la sua gratitudine per tanto favore e che esso e i suoi giovanetti ricoverati si rammenteranno sempre del loro benefattore nelle comuni preghiere. Nello stesso tempo mi incarica pure di notificarle come esso D. Bosco si offre a ritirare nelle sue case quei figli degli impiegati che la direzione delle ferrovie in certi casi giudicasse doversi ricoverare.
Rinnovati per parte di D. Bosco i sensi del più profondo ossequio, mi dichiaro
Supplica di Don Bosco a Leone-XIII per i privilegi.
Joannes Bosco Sacerdos ad Sanctitatis Tuae Pedes provolutus lmmillime pro Salesiana Congregatione exponit:
Sub díe 3 Aprilis 1874 Haec Pia Societas a Sanctae Sedis clementia absolutam Constitutionum approbationem consecuta est; nonnullis privilegiis deinceps donata. Quae tamen privilegia cum alla ad tempus, alia conditionata, aliaque vivac vocis oracolo fuerint concessa, crebrae et non leves difficultates in eorum praxi exortae sunt. Exempli gratia: Facultas litteras dimissoriales relaxandi ad decennium concessa anno 1874, die 3 Aprilis, hoc eodem anno et die elabitur. Absque huiusmodi [711] potestate quid agere poterit Superior in Congregatione quae domorum communionem habeat?
Quas difficultates caeterae Congregationes explanare generatim non potuerunt nisi per Privilegiorum Communicationem. Haec enim vim tutam cognitam, a piis, doctis viris signatam, a saeculis ad praxim traductam, a locorum Ordinariis admissam suppeditat.
Ut autem Salesiana. Societas inter difficillimas temporum, personarum circumstantias finem suum consequi possit, huiusmodi Congregationis Superior Privilegiorum Communicationem postulat quemadmodum a Summo Pontefice beone XII concessum fuit Taurinensi Congregationi Oblatorum Beatae M. V.
Quae Congregatio absolutam et specificam approbationem obtinuit die 22 Augusti 1826 a beata Recordatione Leonis XII. Sub die vero i Septembris litteris apostolicis, postea die 12 eiusdem mensis et anno petitam Communicationem concedere dignabatur his verbis: Ex Audientia SS.mus Congregationis interscriptae Superiorem Generalem, et Oblatos specialibus favoribus, et gratiis prosequens omnia et singula indulta, privilegia, indulgentiàs, exemptiones, et facultates Congregationi SS.mi Redemptoris concessa iisdem Oblatis eorumque Ecclesiis, Capellis et domibus benigne communicat, extendit atque in perpetuum elargitur cum omnibus clausulis et decretis necessariis et opportunis ».
Nonnullae particulares declarationes separatim adnectuntur. Taurini, 20 Januarii 1884.
Comunicazione dei privilegi dal secolo XVI.
Da molto tempo la Comunicazione dei Privilegi si suole concederè dai Sommi Pontefici alle Congregazioni Ecclesiastiche di voti semplici.
Leone X concedette la vicendevole Comunicazione dei Privilegi a tutti gli Ordini mendicanti.
Clemente VII nel Breve di erezione dei Teatini che comincia: Exponi Nobis (2q giugno 1524) loro accorda tutti i privilegi e favori spirituali concessi o concedendi ai Canonici Regolari. Lo stesso Pontefice (1525) colla Bolla che comincia: Dum fructus uberes concedette ai Religiosi della Regolare osservanza la Comunicazione dei Privilegi e Grazie Spirituali con qualunque Ordine quibusvis Congregationibus et aliis Ordinibus quibuscumque etiam non mendicantibus quo. modolibet concessis aut concedendis etc.
Nello stesso secolo le Congregazioni di voti semplici, nebbene abbiano [712] ottenuto per concessione diretta parecchi Privilegi, tuttavia affinchè tutte avessero una regola fissa, studiata, praticata, ed uniforme,: una via già conosciuta e tracciata, si cominciò concedere alle medesime anche i Privilegi degli, ordini religiosi.
Così fece Paolo IV (7 ottobre 1555) coi Teatini con queste parole: Ut omnibus, et singulis privilegiis, indulgentiis, praerogativis, exemptionibus, immunitatibus, gratiis et indultis Societati Iesu Almae Urbis tam in Spiritualibus, quam temporalibus in specie, vel in genere per quoscumque Romanos Pontifices predecessores suos, et dictam sedem quomodolibet concessis, et concedendis, et quibus societas huiusmodi tam in vita quam in mortis articulo etiam circa peccatorum vemissiones, et junciarum poenitentiarum relaxationes et alias quomodolibet utebatur, potiebatur et gaudebat ac uti, potiri, et gaudere poterat, similiter nostra Congregatio, et Clerici Nostrae Congregationis, uti, potiri, et gaudere libere et licite posseni et valerent, ac illorum omnium participes esse deberent.
S. Pio V poi col Breve che comincia: Ad immarcescibilem (7 febbraio 1587) concedette ai medesimi Teatini la Comunicazione dei Privilegi con tutti gli Ordini e Congregazioni Religiose.
Urbano VIII nella Bolla di erezione della Congregazione dei Preti della Missione, che comincia: Salvatoris Nostri (12 Januarii 1632), átabilì che quella potesse partecipare di tutti i Privilegi, Esenzioni Indulti, che godono aliae quaecumque similes vel dissimiles Congregationes. Eguale concessione fecero altri Pontefici a favore della Compagnia di Gesù, della Congregazione della Madre di Dio, dei Pii Operai, dei Ministri degli Infermi, dell'Oratorio, della Dottrina Cristiana, dei Passionisti, dei Redentoristi. Le ultime cui io sappia essere stati concessi i favori per Comunicazione sono quelle degli Oblati di Maria, cui beone XII (12 Settembre 1826) la concedette coi Redentoristi e l'Istituto della Carità approvato da Gregorio XVI nel 1838.
La ragione di queste comunicazioni dei Privilegi fu data da Clemente VIII nella Bolla (20 Decembris 1595) che comincia: Ratio Pastoralis efflagitat ut quorum religionem ac virtutem sedi Apostolicae, totique Ecclesiae non modo illustrem, et praeclaram, sed utilem etiam ac necessariam esse animadvertimus, eosdem nostris et eius sedis Apostolicae honoribus ac bene ficiis libenter prosequamur. Un accreditato canonista, come parafrasi delle parole di Clemente VIII, ha quanto segue: Regulares, qui licet diversorum ordinum, unum in Deo et professione existant, equum etiam est, ut in iisdem indultis, et privilegiis uniantur, et sic uniti arctiori vinculo Sedi Apostolicae, et inter se ad nomen Dei in terris propagandum animarumque salutem procurandam copulentur; ut quos coniungunt par labor et paria merita paria etiam coniungunt Privilegia. Ita ab Aragonia, Elucidatio Privilegiorum. Tract. 5, cap. 8. [713]
Commendatizia del Card. Alimonda
per la concessione dei privilegi.
cardinale dell'ordine dei preti
del titolo di santa maria in traspontina
per grazia di dio e della santa sede apostolica
dottore E gran cancelliere deL collegio
Vista la supplica del Rev. D. Gio. Bosco Fondatore e Superiore Generale della Congregazione Salesiana, colla quale implora dal S. Padre per la Congregazione medesima la Comunicazione dei Privilegi di cui godono gli Oblati di Maria Vergine di questa città.
Coli vera soddisfazione dell'animo nostro confermiamo la verità dei motivi rispettosamente esposti a Sua Santità per conseguire la grazia.
Rendiamo le dovute lodi alla Congregazione Salesiana per l'esemplarità della disciplina che mantengono i membri della medesima, per il bene grande che operano tanto in questa città dove ebbe culla e continua ad avere la casa madre, quanto nelle numerose residenze in breve tempo in altri luoghi fondate. Reputiamo tanto più opportuna la domandata concessione dei Privilegi in quanto che nella nostra città e diocesi si verifica una desolante dispersione dei religiosi degli altri ordini, cosicchè importa grandemente che la benevolenza della S. Sede aggiunga prosperità e fermezza ad una Congregazione che provvidamente ripara a tante perdite ed ha il vantaggio di sfuggire ai colpi delle leggi civili.
In conseguenza uniamo le nostre suppliche a quelle del lodato Superiore Generale per impetrare dalla benignità del S. Padre l'implorata Comunicazione dei Privilegi degli Oblati di M. V.
Torino, dal Palazzo Arcivescovile, 29 febb. 1884.
Can. RAFFAELE FORCHERI Segr. Arcivesc. [714]
Nuova supplica ed elenco dei privilegi.
Jam undecimus annus agitur ex quo, Beatissime Pater, humilis societas a S. Francisco Salesio dicta absolutam et specificam constitutionum adprobationem consecuta est. Aliqua privilegia omnimode necessaria a Supremo Ecclesiae Antistite tune elargita fuerunt. Hoc - temporis decursu socii Salesiani toti in eo fuerunt ut eorum constitutiones ad praxim traducerent, novitiatum, studia perficerent, pietatis exercitia inter socios eorumquè alumnos promoverent et ita societatis finem consequerentur, qui gloria Del lucrumque animarum semper fuit. Post absolutam adprobationem, adiuvante Deo,. factum est ut haec humilis societas; vere pusillus grex, mirum in modum citissime augeretur et in diversas Italiae partes, in Galliam, in Hispaniam, in Americani Meridionalem usque ad Indos et ad Patagones se se extenderit.
Cum haec Congregatio suam adprobationem est consecuta, sexdecim domos dumtaxat habebat in quibus septem millia circiter adolescentuli Christianam educationem habebant; socii tercentum adnumerabantur.
Nunc vero Domus sive familiae alumnorum sunt centum quinquaginta: alumni ultra centum millia: religiosi quatuor centum supra mille. Inter tot alumnos et socios, inter tot domus unam ab aliis tam dissitam magna difficultas exorta est ob deficientiam privilegiorum, quibus coetera Ecclesiastica instituta gaudere solent. Sed cum non am-plius privilegiorum communicatio concedi assoleat, aliqua praecipua et pernecessaria privilegia aliis Congregationibus concessa in pagella hic adnexa descripta, et pro humili Societate nostra nunc fidenter postulb. Per. huiusmodi concessionem, Beatissime Pater; pia Salesiana Societas tutam et cognitam viam habet quam sequatur; facillime Ordinariis locorum innotescent privilegia quibus fruatur praecipua in Missionibus suscipiendis et domibus in externis regionibus adaperiendis.
Ob tantum beneficium Salesiani omnes grato animo Deo et tibi quotidie laudem dicent; unusquisque pro virili parte ad vineam Domini excolendam operam dabit.
Ego vero videns solidatum opus, quod Sancta Dei Ecclesia mihi coneredidit, cum gaudio cantabo: Nunc dimittis servum tuum Domine. Taurini, die 1 aprilis 1884.
Nonnulla Privilegia et gratiae spirituales Passionistis, Redemptoristis, et presbyteris Missionis a Sancta Sede concessa, quae pro Salesiana Congregatione humillime postulantur.
1° Superior Generalis gaudet omnibus- Privilegiis facultatibus et praerogativis, quibus gaudent caeteri Superiores genérales cuiuscumque Ecclesiasticae Congregationis. |
Urbanus III; Bulla erectionis Cong. missionis; - Pius VI, Bulla Inter multiplices, 14 decembris 1792, pro Piis Operariis, in Bull. Rom. contin, t. IX p. 261. n. 3. |
2° Superior Generales et alii Superiores potestate quasi Episcopali gaudent in subditos etiam novitios. Saltem quoad disciplinam et directionem. |
Concessum Congregationi Missionis in Bulla erectionis, - et Brevi Alexandri VII Ex commessa nobis 22 septembris 1655, pro Eadem Cong. in Bulla. Cong. Vilnae p. 15. |
3° Ecclesiae ac Religiosi nostrae Congregationis exempti sunt a iurisdictione, visitatione et correctione Ordinariorum, et gaudent iisdem privilegiis et exemptionibus quibus gaudent Caeteri Regulares. Clemens XIV R. 21 septembris 1771. |
Urbanus VIII Bulla Salvatovis Nostri, pro erect. Cong. missionis. Alexander VII Brevi Ex commessa nobis, 22 septembris 1655, et altero Brevi Pasivralis oficii, 7 octobris 1662, pro eadem Congregatione. Item pro Passionistis Clemens XIV, Rescripto S. C. EE.. die 21 septembris 1771 et Oblatis B. M. V. Brevi Pli VI Sacrosanctum apostolatus. |
4° Nostrae domus, Ecclesiae, Oratoria legitime erecta, auctoritate Apostolica erecta censentur. |
Concensum Cong. Missionis ex Communicatione privilegiorum Çlericorum Regularium Minorum, citato in Comp. Privil. Piorum Operariorum, 185o p. 116. - In-super Brevi Licet debituni, 18 octobris 1549 Pauli III pro Soc. Iesu, in Bull. Rom. 'taurini. t. VI, p. 398, n. 23 |
5° Literas dimissioriales ad recipiendos Ordenes subditis suis Superiores concedere possunt. Hace facultas iam Salesianis concessa fuerat, sed tantum ad decennium, quod elapsum est die 3 aprilis anni currentis 1884. |
Concessum Cong. Missionis a Benedicto XIII in forma Brevis almo 172,5 sub die XXVII saptembris ad instantiam D. loan. Bonnet Sup. Gen. |
6° Clerici Salesiani dummodo necessaries praediti sint requisitis, Suorum Superiorum Litteris dimissorialibus Sacros Ordines extra tempora a sacres Canonibus instituta a quocumque Catholico Episcopo gratiam et communionem habente cum Apostolica Sede suscipere ac licite, servatis servandis, possint et valeant. |
Huiusmodi privilegium Clemens VIII die 23 novembris 1596 iam concesserat pro Congregations S. Ioannis Evangeliatas to Portugallio. Postea multi alii religioni hoc idem stmt consecuti. Quo demum privilegio Pius IX adnotatis verbis ditare dignabatur Congregationem Missionis, Brevi Religiosas familias 13 maii 1859. |
7° Clerici Congregationis dimissi titulo Congregationis, sacros ordines extra tempora suscipere possunt. |
Concessum Congregationi Missionis a Pio IX Brevi Retigiosas familias 13 maii 1859. |
8° Deputati a Rectore alicuius domus ad confessione! nostrorum audiendas non indigent adprobatione Ordinarii ut valide absolvant eos qui de familia sunt et alumnos. |
Concessum Cong. Piorum Operariorum Brevi 24 maii 1751 a Benedicto XIV, item Clemens XIV Brevi Supremi Apostotatus 16 novembris 1769 pro Passionistis. Idem etiam ampliori gratia statuitur pro Congregatione Doctrinae Christianae, in Brevi Illius cuius 28 septembris 1725, cui expresse et directe communicat Congregatio Missionis vi speciali! decreti 23 - novembris 1729 re lati in libro Privil. eiusdem 1815. p. 8. n. 17. |
9° Qui in alia Dioecesi iam sunt adprobati ad audiendas fidelium confessiones, alumnos et socios itineris valide absolvere possunt. |
Clemens X, Brevi Apostolici muneris, io iulii 1671, pro Cong. Missionis in Bull. Cong. Missionis Vilnae p. 38, n. 4 |
10° Petitur facultas ut in Oratoriis privatis etiam alumni Paschali praecepto satisfacere possint. |
S. Pius V, Bulla Ad immarcescibilem, 7 februarii 1571 pro Theatinis, in Bull. Cherub: V. 11, p. 232,11.17; - Clemens XIV, Brevi Supremi apostolatus; iam citato pro Passionistis, in Bull. Rom. contin. V. IV, p. 68, n. 4, et per Communicationem concessum Cong. Missionis. Vide Summarium Privileg. Missionis pag. 39. n. 67. |
11° In omnibus Congregationis Ecclesiis iuribus Parochialibus gaudere possumus, quapropter oleum infirmorum conservare atque Sacramentum Extremae Unctionis omnibus de Congregatione et familia nec non alumnis administrare. |
Concessum ut supra Cong. Missionis. Vide Summarium Privileg. Missioni! p. 39, n. 67. Et Oblatis B. M. Virginis a P. Leone XII 12 septembris 1826. |
12° In itinere et in missionibus possumus missam celebrare in Oratorii! privatis, sine praeiudicio privilegoi indultarii et absque eiusdem ac alterius personae praesentia. |
Pius VI; 8 octobris 1784 pro Cong. Missionis; idem Pontifex, 27 maii 1789, pro Passionistis, ex Rescripto relato in Elencho facultatūm Conga SS. Redempt., p. 155; id. 20 iunii 1820 pro Cong. SS. Redempt. Vid, Elen-chum praedictum. p.. 128, n. 4. |
13° Facultas benedicendi primarium lapidem ipsamque Ecclesiam Superiori Generali concessa est; Ecclesiae vero reconciliatio omnibus superioribus perin ttitur. |
Coelestinus V, Bulla Etsi cūnctos 17 septembris 1294 pro Cong. monach. Coelestinorum Ordinis S. Benedirti, in Bull. Rom. Taurini. V. IV, p. izo, n. 17, et per communicationem eo-rumdem Cong. Missioni!. Vide Sommarium Privilegiorum p. 26, n. 35, sub titulo Benedictio primi lapidis ecclesiae Superiori Generali concessa. |
14° Similiter Benedictio vestium et vasorum, ubi non requiritur unctio, Superioribus permittitur. |
Benedictus XIII, Brevi Illius cuius 28 septembris 1725 pro Cong. Doctr. Christianae, ex eius Bullario p. 93 et concessum per Communic. Cong. Missionis Capite V, n. 38 de facultatibus circa benedictiones sacras, eorumdem privilegiorum. |
15° Superior Generali! mittere potest unum ex suis qui penes insigniores benefactores missam celebret, communicet in altari ad hoc parato, certiorato Ordinario de habita facultate, eiusdemque licentia requisita quoad honestatem lori et altaris. |
Pius VI 8 octobris 1784, pro Cong. Missionis; - idem Pontifex 27 maii 1789 pro Passionisti!, ex Rescripto relato in Elencho facultatum Gong. SS. Redemptor. P. 155; id. 20 iunii 1820, pro Cong. SS. Redempt. Vid. E-lenchum praedicum p. 128, n. 4. |
16° Superiores cum delegatione Superioris Generali! licentiam legendi libros prohibitos subditis possunt concedere, servatis servandis s. |
Societati Iesu Leo XII, Brevi Plura inter et per communieatio nem Passionistis. Vide Summa-rium titulo 28 Libri prohibiti n.. 241. |
17° Superior Generali! potest horas canonicas in alias preces vel pium opus suis subditis commutare quum propter infirmitatem aut nimia, defatigationem, absque gravi incommodo, socia eas persolvere nequeunt. |
Pro Passionistis Clemens XIV, Brevi Supremi Apostolatus; Leo XII, Brevi Plura inter, 11 iulii 1826: pro SM. Iesu, in Buli. Rom. contin. V, XVI, p. 490 s. Clemens VII, Bulla Dudum pro parte, 7 martii 1535 pro Theatinis, in Bull. Rom. Taurini V. VI, p. 161, n. 2 et pro Communic. Cong. Missionis. |
18° Facultates in.folio Sacrae Penitentiariae adnotatas, quibus Superior Generalis iam gaudet ad vitam, easdem suis communicare potest quotiescumque bonum in Domino iudicaverit. |
Concessum Cong. Missionis ab Emmanuele S. R. E. Cardinale Gregorio Maiori Poenitentiario Anno 1856 et renovato post decennium. |
19° Superior Generalis potest dispensare cum ifs omnibus qui sub obedientia in Congregatione degunt, etiam cum Novitiis, perseverantibus tamen in Congregatione et quousque perseveraverint, in omni inhabilitate et irregularitate tum ad effectum suscipiendi ordines, tum ad gerenda quaecurnque munia Ecclesiastica, sive ante sive post ingressum in religionem ex quacumque causa irregularitas contracta fuerit. |
Concessum Cong. Cassinen-sium 13 Iunii 1571 a S. Pio V Bulla Dum ad Congregationem cum Clausula, non obstantibus quibusvis apostolicis, ac provincialibus, et Synodalibus conciliis, V. 2 Bull. Rom. Cherub. Gre-gor. XIV pro PP. Ministrantibus infirmis, in super. cit. Bulla Illius cuius et alfis et per communicationem Oblatis B. M. V. in cap. Dispensationis n. i. |
20° Superiores locales in foro conscientiae possunt dispensare cum suis subditis in fas in quibus possunt Episcopi iure communi circa Clericos et laicos sibi subiectos. |
Concessum Minimis a Iulio II Bulla Virtute conspicuos et fr. Praedicatoribus Pius V, Bulla Romani Ponti Pontifices et per commu-nicationem Passionistis N. 161. Privilegiorum. |
21° Superiores nostrarum domorum possunt stationes Viae Crucis erigere in pagis et civitatibus, in quibus non commorantur nec facile Patres Franciscana haberi possunt. |
Passionistis concessum a Pio VI 17 maii et Cong. nostrae, sed tantum occasione exercitiorum spiritualium. |
22° Petitur ut Missionibus addictis concedantur omnia privilegia gratiae et indulgentiae quibus Missionarii Apostolici gáudent. |
|
23° Ut omnibus superioribus locorum et sacerdotibus facultas detur benedicendi coronas, numismata, cruces et scapulares B. M. Virginis. |
Pius VI Brevi Sacrosanctum Apostolatus 21 aug. 1789 pro Cong. SS. Redempt. in Bull. Rom. conssn. V. VIII p. 345, n. 3 et 5, et per communicationem. Cong. Missionis. Vide Summ. Priv. n. 133, P. 79 |
24° Petitur ut quicumque utriusque sexus confessus et sacra synaxi refectus diebus' festis, aliquam nostrae Congregationis ecclesiam vel oratorium visitaverit, indulgentiam plenariam consegui possit. |
A Benedicto XIV Rescrip.. 18 novemb. 1753. |
|
|
Ullima supplica di Don Bosco per i privilegi.
Iam decimus annus agitur, ex quo, Beatissime Pater, humilis. societas a S. Francisco Sàlesio dicta, absolutam et specificam Constitutionum adprobationem consecuta est. Aliqua privilegia omnimode necessaria a Supremo Ecclesiae Antistite tum elargita fuerunt. Hoe temporis decursu socia Salesiani toti in eo fuerunt ut eorum constitutiones ad praxim traducerent, novitiatum, studia perficerent; pietatis exercitia inter socios eorumque alumnos promoverent et ata Societatis finem consequerentur, qui gloria Dei, lucrumque animarum semper fuit. Post absolutam adprobationem, adiuvante Deo, factum est ut haec humilis societas, vere pusillus grex, mirum in modum citissime in diversas Italiae partes, in Galliam, in Hispaniam, in Americam Meridionalem usque ad Indos et ad Patagones se se extenderit. Cum haec Congregatio suam adprobationem est consecuta, sexdecim domos dumtaxat habebat in quibus septem millia circiter adolescentuli Christianam educationeni liabebant: socia tercentum adnumerabantur. Nunc vero domus sive familiae alumnorum sunt centum sexaginta sex, alumni externi et convictores sunt circiter centum quinquaginta millia; religiosi quadringenti supra mille.
Inter tot alumnos et socios; inter tot domus unam ab aliis tam dissitam magna difficultas exorta est ob deficientiam privilegiorum quibus coetera ecclesiastica instituta gaudere solent.
Nam nostra privilegia cum alia ad tempus, alia conditionata, aliaque vivo vocis oraculo fuerunt concessa, crebrae et non leves difficultates in eorum praxi exortae sunt. Exempli gratia: Facultas litteras dimissioriales relaxandi ad decemium concessa anno 1874. [720] die 3 Aprilis, hoc eadem anno et die elabitur. Absque huiusmodi facultate quid agere poterit superior in Congregatione quae domorum Communionem habeat?
Quas dificultates caeterae Congregationes explanare generatim non potuerunt nisi per privilegiorlnn Communicationem. Quapropter, re mature perpensa, habito consilio a viro prudenti et auctoritate praedito, privilegiorum Communicatio pernecessaria vindicata fuit. Necessitas et rationes huiusmodi postulationis separatim exponuntur.
Privilegiorum vero Communicatio petitur non in genere sed speciatim cum Oblatis Beatae Mariae Virginis, quorum Congregatio definitivam adprobationem et Communicationem privilegiorum cum Redemptoristis obtinuit a felici recordatione Leonis XII sub die 12 Septembris 1826 lis verbis:
«Superiorem Generalem, et Oblatos specialibus favoribus et gratiis prosequens, omnia et singula indulta, privilegia, indulgentias, exemptiones, et facultates Congregationi SS. Redemptoris concessa, iisdem Oblatis, eorumque Ecclesiis, Capellis et domibus benigne communicat, extendit, atque in perpetuam elargitur, cum omnibus clausulis, et decretis necessariis, et opportunis».
Nunc vero quum nostra humilis societas sive quoad Constitutiones et finem, sive quoad messem in Evangelico agro colendam, praelaudatis Congregationibus assimilari possit, eadem privilegia suppliciter postulantur.
Hisce breviter adnotatis, Salesiani omnes ad pedes tuos provoluti, Beatissime Pater, supplices postulamos ut nostrae Congregationi per Communicationem concedas privilegia, facultates, gratias spirituales, quibus generatim aliae Congregationes, et nominatim Congregatio Oblatorum B. M. Virginis fruuntur.
Per huiusmodi communicationem, Beatissime Pater, Salesiana Societas tutam et cognitam viam habet quam sequatur; facillime Ordinariis locorurn innotescent privilegia, quibus fruatur praecipue in Missionibus suscipiendis, et domibus in exteris regionibus adaperiendis.
Ob tale et tantum beneficium Salesiani omnes grato animo Deo et tibi quotidie laudem dicent; unusquisque pro virili parte ad vineam Domini excolendam operam dabit.
Ego vero videns solidatum opus, quod Sancta Dei Ecclesia milli concredidit cum gaudio cantabo: Nunc dimittis servum tuum, Domine.
Decreto per la comunicazione dei privilegi con i Redentoristi.
SS. D. N. Leo PP'. XIII in audientia habita ab infrascripto D. Secretorio S. Congregationis Episcoporum et Regularium die 13 Junií 1884 Sacerdotem Joannem Bosco fundatorem et Superiorem Generalem Piae Societatis Presbyterorum a S. Francisco Salesio nuncupatae illiusque Socios specialibus favoribus et gratiis prosequens, omnia et singula Indulta, Privilegia,. Exemptiones et Facultates Congregationi SS. Redemptoris concessa, iisdem Socios eorumque Ecclesiis, Capellis et Domibus benigne communicare, extendere atque in perpetuum elargiri dignatus est, cum omnibus Clausulis et Decretis necessariis et opportunis. Ceterum eadem Sanctitas Sua mandavit declarari, prout praesentis Decreti tenore declaratur, Privilegia, Facultates, Gratia Spirituales sive ad tempus sive oretenus concessa, omnino revocata, abolita et suppressa esse. Contrariis quibuscumque non obstantibus. - Datuus Romae ex Secretoria S. Congregationis Episco-porum et Regularium hoc die 28 Junii 1884.
Lettera del P. Flechia rosminiano a Don Bosco.
Venerat.mo e Amat.mo D. Bosco,
Sapendola aggravato da tante lettere e da disturbi ed affari senza fine, io benchè pensi spesso alla carissima e venerata S. V. e desideri vederla, tuttavia mi astengo e non oso inaggionnente accrescerle disturbi e da lungo tempo neppure le scrissi. Ora pere) desiderando da lei un favore mi alzo da letto a cui sono astretto per male ad una gamba e le scrivo.
Io non so se la S. V. sia favorevole o contraria alle dottrine del P. Rosmini, ma comunque sia, questo da parte, ognuno è libero pensarla come crede bene; so però che la S. V. conobbe personalmente Rosmini: or siccome dopo scritta dal D. Paoli in succinto la vita, or è appresso a scriverne le virtù, desidera e chiede a quelle persone che lo conobbero, (benchè un po' tardi e la maggior parte siano defunte) un'attestazione di esse virtù, ciascuno come crede innanzi a Dio aver posseduto ed essersi colla grazia di Dio distinto a gloria di Dio medesimo. Lauda post mortem, e ne ebbe già più di 300 in iscritto: perciò per mezzo mio [722] umilmente si chiede da lui e da me di avere anche la sua e di quelli del suo S. Istituto che lo conobbero. Dicano ed attestino tutto quel bene che sanno e che possono in coscienza attestare della virtù e santità del P. Rosmini Antonio colla loro sottoscrizione. - Ecco il prezioso favore per cui le scrivo e la disturbo e di cui per conseguenza ne la ringrazio anticipatamente, supplicandola di degnarsi di ancora onorare almeno una volta la Sacra di sua presenza.
Le bacio riverentemente le mani, imploro la sua S. benedizione e raccomando alle S. Orazioni sue, del carissimo D. Rua e di tutti i suoi il povero vecchio decrepito che li ama e si onora di essere
La purezza e mezzi per conservarla.
Gli parve di avere dinanzi un'immensa incantevole ripa verdeggiante, di dolce pendio e tutta spianata. Alle falde questo prato formava come uno scalino piuttosto basso, dal quale saltavasi sulla stradicciuola ove stava D. Bosco. Sembrava un Paradiso terrestre splendidamente illuminato da una luce più pura e più viva di quella del sole. Era tutto coperto di erbe verdeggianti smaltate da mille ragioni di fiori e ombreggiato da un numero grandissimo di alberi che avviticchiandosi coi rami a vicenda, li stendevano a guisa di ampli festoni.
In mezzo al giardino fino alla proda di esso era steso un tappeto di un candore magico, ma così lucido, che abbagliava la vista; era largo più miglia. Presentava la magnificenza di uno stato reale. Come ornamento nella fascia che correva lungo l'orlo aveva varie iscrizioni e caratteri d'oro. Da un lato si leggeva: Beati immaculati in via, qui ambulant in lege Domini. Sull'altro lato: Non privabit bonis eos, qui ambulant in innocentia. Sul terzo lato: Non confundentur in tempore malo: in diebus famis saturabuntur. Sul quarto: Novit Dominus dies immaculatorum et haereditas eorum in aeternum erit.
Ai quattro angoli dello strato intorno ad un magnifico rosone stavano quattro altre iscrizioni: Cum simplicibus sermocinatio eius. - Proteget gradientes simpliciter. - Qui ambulant simpliciter, ambulant confidenter. - Voluntas eius in iis, qui simpliciter ambulant.
In mezzo poi allo strato questa ultima scritta: Qui ambulant simpliciter, salvus erit.
Nel mezzo della ripa sul bordo superiore dei candido tappeto si [723] innalzava un gonfalone bianchissimo sul quale leggevasi pure a caratteri d'oro: Fili mi, tu semper mecum es et omnia mea tua sunt.
Se D. Bosco era meravigliato alla vista di quel giardino, molto più attiravano la sua attenzione due vaghe fanciulle in sui dodici anni, sedute sul margine del tappeto ove la riva faceva scalino. Una celestiale modestia spirava da tutto il loro grazioso contegno. Dai loro occhi costantemente fissi in alto traspariva non solo un'ingenua semplicità di colomba, ma raggiava una vivezza d'amore purissimo, una gioia di felicità celestiale. La loro fronte aperta e serena sembrava la sede del candore e della schiettezza, sulle loro labbra serpeggiava un dolce incantevole sorriso. I loro lineamenti manifestavano un cuore tenero ed ardente. Le graziose movenze della persona loro davano una tale aria di sovrumana grandezza e nobiltà che faceva contrasto colla loro giovinezza.
Una veste candidissima scendea loro fino al piede, sulla quale non scorgeasi nè macchia, nè ruga, e neppure un granello di polvere. I fianchi aveano cinti con una cintura rossa fiammante con bordi d'oro. Su questa spiccava un fregio come nastro composto di gigli, di violette e di rose. Un nastro simile, come fosse un monile, portavano al collo, composto degli stessi fiori, ma di forma diversa. Come braccialetti avevano ai polsi una fascetta di margheritine bianche. Tutte queste cose e questi fiori avevano forma, colori, bellezze che riesce impossibile il descriverli. Tutte le pietre più preziose del mondo incastonate con l'arte più squisita parrebbero fango al confronto.
Le scarpe candidissime erano bordate di nastro pur bianco filettato d'oro, che faceva un bel nodo nel mezzo. Bianco pure con piccoli fili d'oro era il cordoncino col quale erano legate.
La loro lunga capigliatura era stretta da una corona, che cingeva la fronte, e così folta che faceva onda sotto la corona e ricadendo sulle spalle finiva inanellata a ricci.
Esse avevano incominciato un dialogo: ora si alternavano parlando ora si interrogavano ed ora esclamavano. Ora ambedue sedevano; ora una sola stava seduta e l'altra in piedi; ed ora passeggiavano. Non uscivano però mai fuori da quel candido tappeto e non toccarono mai ne erba nè fiori. D. Bosco nel suo sogno stava come spettatore. Nè esso rivolse parole a quelle fanciulle, nè le fanciulle si addiedero della sua presenza, e l'una diceva con soavissimo accento: - Che cosa è l'innocenza? Lo stato fortunato della grazia santificante conservato mercè la costante ed esatta osservanza della divina legge.
E l'altra donzella con voce non meno dolce: - E la conservata purità dell'innocenza è fonte ed origine di ogni scienza e di ogni virtù.
La prima: - Quale lustro, quale gloria, quale splendore di virtù vivere bene tra i cattivi, e tra i malvagi maligni conservare il candore dell'innocenza e la lenità dei costumi.
La seconda si alzò in piedi e fermandosi vicino alla compagna: [724]
- Beato quel giovinetto che non va dietro ai consigli degli empi e non si mette nella via dei peccatori, ma suo diletto è la legge del Signore, che egli medita di giorno e di notte. Ed ei sarà come albero piantato lungo la corrente delle acque della grazia del Signore, il quale darà a suo tempo il frutto copioso di buone opere: per soffiar di vento non cadrà di lui foglia di sante intenzioni e di merito e tutto quello che farà avrà prospero effetto, ed ogni circostanza della vita coopererà per accrescere il suo premio. - Così dicendo accennava gli alberi del giardino carichi di frutti bellissimi che spandevano per l'aria un profumo delizioso, mentre torrentelli limpidissimi che ora scorrevano fra due sponde fiorite, ora cadevano da piccole cascatelle, ed ora formavano laghetti, bagnavano i loro fusti, con un mormorio che pareva il suono misterioso di musica lontana.
La prima donzella replicò: - Esso è come un giglio tra le spine che Iddio coglie nel suo giardino per porlo come ornamento sovra il suo cuore; e può dire al suo Signore: Il mio Diletto appartiene a me ed io a lui: perchè ei si pasce in mezzo ai gigli. - Così dicendo accennava ad un gran numero di gigli vaghissimi che alzavano il candido capo tra le erbe e gli altri fiori, mentre mostrava in lontananza un'altissima siepe verdeggiante che circondava tutto il giardino. Questa era fitta di spine e dietro si scorgevano vagolare come ombre mostri schifosi che tentavano penetrare nel giardino, ma erano impediti dalle spine di quella siepe.
- É vero! Quanta verità è nelle tue parole! soggiunge la seconda. Beato quel giovanetto che sarà trovato senza colpa! Ma chi sarà costui e gli daremo lode? Perchè egli ha fatto cose mirabili in vita sua. Egli fu trovato perfetto ed avrà gloria eterna. Egli potea peccare e non peccò; far del male e nol fece. Per questo i beni di lui sono stabiliti nel Signore e le sue opere buone saranno celebrate da tutte le congregazioni dei Santi.
- E sulla terra quale gloria Dio ad essi riserva! Li chiamerà, loro farà un posto nel suo santuario, li farà ministri dei suoi misteri, e un nome sempiterno darà loro che mai perirà, concluse la prima.
La seconda si alzò in piedi ed esclamò: Chi può descrivere la bellezza di un innocente? Quest'anima è vestita splendidamente come una di noi, ornata della bianca stola del santo Battesimo. Il suo collo, le sue braccia risplendono di gemme divine, ha in dito l'anello dell'alleanza con Dio. Essa cammina leggiera nel suo viaggio per l'eternità. Gli si para innanzi una via tempestata di stelle... È tabernacolo vivente dello Spirito Santo. Col sangue di Gesù che scorre nelle sue vene e imporpora le sue guance e le sue labbra, colla Santissima Trinità nel cuore immacolato manda intorno a sè torrenti di luce che la vestono nel fulgore del sole. Dall'alto piovono nembi di fiori celesti che riempiono l'aria. Tutto intorno si spandono le soavi armonie degli angioli che fanno eco alla sua preghiera. Maria Santissima gli sta a fianco [725] pronta a difenderla. Il cielo è aperto per lei. Essa è fatta spettacolo alle immense legioni dei Santi e degli Spiriti beati, che la invitano agitando la loro palme. Iddio tra gli inaccessibili fulgori del suo trono di gloria colla destra le addita il seggio che le ha preparato, mentre colla sinistra tiene la splendida corona che dovrà incoronarla per sempre. L'innocente è il desiderio, il gaudio, il plauso del paradiso. E sul suo volto è scolpita una gioia ineffabile. É figlio di Dio. Dio è il Padre suo. Il paradiso è la sua eredità. Esso è continuamente con Dio. Lo vede, lo ama, lo serve, lo possiede, lo gode, ha un raggio delle celesti delizie: è in possesso di tutti i tesori, di tutte le grazie, dì tutti i segreti, dì tutti i doni e di tutte le sue perfezioni e di tutto Dio stesso.
- Ed è perciò che l'innocenza nei Santi dell'Antico Testamento nei Santi del Nuovo, e specialmente nei Martiri si presenta così gloriosa. Oh Innocenza quanto sei bella! Tentata cresci in perfezione, umiliata ti levi più sublime, combattuta esci trionfante, uccisa voli alla corona. Tu libera nella schiavitù, tranquilla e sicura nei pericoli, lieta tra le catene. I potenti t'inchinano, i principi ti accolgono, i grandi ti cercano. I buoni ti obbediscono, i malvagi t'invidiano, i rivali ti emulano, gli avversari soccombono. E tu riuscirai sempre vittoriosa, anche allorchè gli uomini ti avessero condannata ingiustamente!
Le due donzelle fecero un istante di pausa, come per prendere respiro dopo uno sfogo così affocato e quindi si presero per mano e si guardarono: - Oli se i giovani conoscessero qual prezioso tesoro è l'innocenza, come fin dal principio della loro vita custodirebbero gelosamente la stola del santo battesimo! Ma purtroppo non riflettono e non pensano che cosa voglia dire macchiarla. L'innocenza è un liquore preziosissimo.
- Ma è chiuso in un vaso di fragile creta e se non vien portato con gran cautela si spezza con tutta facilità.
- L'innocenza è una gemma preziosissima.
- Ma se non se ne conosce il valore, si perde e con facilità si tramuta con oggetto vile.
- L'innocenza è tino specchio d'oro che ritrae le sembianze di Dio.
- Ma basta un po' di aria umida per irrugginirlo e bisogna tenerlo involto in un velo.
- Ma il solo tocco di una ruvida mano lo sciupa.
- L'innocenza è una candida veste. Omni tempore sint vestimenta tua candida.
- Ma una macchia sola basta per deturparla, quindi bisogna camminare con grande precauzione.
- L'innocenza e l'integrità resta violata se viene imbrattata da una sola macchia e perde il tesoro della sua grazia. [726]
- Basta un solo peccato mortale.
- E perduta una volta è perduta per sempre.
- Quale sventura tante innocenze che si perdono ogni giorno! Allorchè un giovanetto cade in peccato, il paradiso si chiude: la Vergine Santissima e l'Angelo custode scompaiono, cessano le musiche, si ecclissa la luce. Dio non è più nel suo cuore, si dilegua la via stellata che esso percorreva, cade e resta in un punto solo come isola in mezzo al mare, un mare di fuoco che si estende fino all'estremo orizzonte dell'eternità, che si inabissa fino alla profondità del caos. Sulla sua testa nel cielo scurissime guizzano, minacciose, le folgori della divina giustizia. Satana si è slanciato vicino a lui, lo ha caricato di catene, gli ha posto un piede sul collo, e col ceffo orribile sollevato in alto ha g ridato: Ho vinto. Il tuo figlio è mio schiavo. Non è più tuo... A finita per lui la gioia. Se la giustizia di Dio in quel momento gli sottrae quell'unico punto sul quale sta, è perduto per sempre.
- Ei può risorgere! La misericordia di Dio è infinita. Una buona confessione gli ridonerà la grazia e il titolo di figlio di Dio.
- Ma non più l'innocenza! E quali conseguenze gli rimarranno del primo peccato! Ei conosce il male che prima non conosceva; sentirà terribili le prave inclinazioni; sentirà il debito enorme che ha contratto colla divina giustizia, si sentirà più debole nei combattimenti spirituali. Proverà ciò che prima non provava: vergogna, mestizia, rimorso.
- E pensare che prima era detto di lui: Lasciate che i fanciulli vengano a me. Essi saranno come gli angeli di Dio in cielo. Figliuolo, donami il tuo cuore.
- Ah un delitto spaventoso commettono quei disgraziati dei quali è colpa se un fanciullo perde l'innocenza. Ha detto Gesù: Chi scandalizzerà alcuno di questi piccolini che credono in me, meglio per lui sarebbe che gli fosse appesa al collo una macina asinaria e che fosse sommerso nel profondo del mare. Guai al mondo per causa degli scandali. Non è possibile impedire gli scandali, ma guai a colui per colpa del quale viene lo scandalo. Guardatevi dal disprezzare alcuni di questi piccoli, poichè io vi fo sapere che i loro angioli ne' cieli vedono perpetuamente il volto del padre mio che è ne' Cieli e chiedono vendetta.
- Disgraziati costoro! Ma non meno infelici quelli che si lasciano rubare l'innocenza.
E qui ambedue si misero a passeggiare; il tema del loro discorso era qual fosse il mezzo per conservar l'innocenza.
Una diceva: - È un grande errore che hanno nella testa i giovanetti, che cioè la penitenza debba solamente praticarsi da chi è peccatore. La penitenza è necessaria eziandio per conservare l'innocenza. Se S. Luigi non avesse fatto penitenza, sarebbe senz'altro caduto in peccato mortale. Ciò si dovrebbe predicare, inculcare, insegnare continuamente [727] ai giovanetti. Quanti di più conserverebbero l'innocenza, mentre ora sono così pochi!
- Lo dice l'Apostolo. Portando noi sempre per ogni dove la mortificazione di Gesù Cristo nel nostro corpo, affinchè la vita ancor di Gesù si manifesti nei corpi nostri.
- E Gesù santo, immacolato, innocente passò la vita sua in privazioni e dolori.
- Così Maria Santissima, così tutti i Santi.
- E fu per dare esempio a tutti i giovani. Dice S. Paolo: Se vivrete secondo la carne, morrete; se poi collo spirito darete morte alle azioni della carne, vivrete.
- Dunque senza penitenza non si può conservar l'innocenza!
- Eppure molti vorrebbero conservar l'innocenza e vivere in libertà.
- Stolti! Non è scritto: Fu rapito, perchè la malizia non alterasse il suo spirito e la seduzione non inducesse l'anima di lui in errore? Perocchè l'affascinamento della vanità oscura il bene e la vertigine della concupiscenza sovverte l'animo innocente. Dunque due nemici hanno gli innocenti. Le storte massime e i discorsi iniqui dei cattivi, e la concupiscenza. Non dice il Signore che la morte in giovanetta età è premio per l'innocente per toglierlo dai combattimenti? “Perchè e' piacque a Dio, fu amato da lui e perchè viveva tra i peccatori, altrove fu trasportato. Consumato egli in breve tempo compiè una lunga carriera. Poichè era cara a Dio l'anima di lui, per questo Egli si affrettò di trarlo di mezzo alle iniquità. Fu rapito perchè la malizia non alterasse il suo spirito, e la seduzione non inducesse l'anima di lui in errore ”.
- Fortunati i fanciulli se abbracceranno la croce della penitenza e con fermo proponimento diranno con Giobbe (27, 5): Donec deficiam, non recedam ab innocentia mea.
- Dunque mortificazione nel superare la noia che essi provano nella preghiera.
- E sta scritto: Psallam et intelligam in via immaculata (Psal. 100, 2). Quando venies ad me? Petite et accipietis. Pater Noster!
- Mortificazione nell'intelletto coll'umiliarsi, obbedire ai Superiori e alle regole.
- E sta pure scritto: Si mei non fuerint dominati, tunc immaculatus ero et emundabor a delicto maximo (Psal. 18, 13). E questo è la superbia. Iddio ai superbi resiste e agli umili dà la grazia. Chi si umilia sarà esaltato, chi si esalta sarà umiliato. Obbedite ai vostri prepositi.
- Mortificazione nel dir sempre la verità, nel palesare i proprii difetti, e i pericoli nei quali può uno trovarsi. Allora avrà sempre consiglio, specialmente dal confessore.
- Pro anima tua ne confundaris dicere verum - per amor dell'anima tua non vergognarti di dire la verità (Eccl., IV, 24). Perchè havvi un [728] rossore che tira seco il peccato, ed havvi un rossore che tira seco la gloria e la grazia.
- Mortificazione nel cuore frenando i suoi moti inconsulti, amando tutti per amor di Dio e staccandosi risolutamente da chi ci accorgiamo insidiare alla nostra innocenza.
- L'ha detto Gesù. Se la tua mano o il tuo piede ti serve di scandalo, troncali e gettali via da te: è meglio per te giungere alla vita con un piede o una mano di meno, che con tutte due le mani e con tutti due i piedi essere gettato nel fuoco eterno. E se l'occhio tuo ti serve dì scandalo, càvatelo e gettalo via da te; è meglio per te l'entrare alla vita con un solo occhio che con due occhi essere gettato nel fuoco dell'inferno.
- Mortificazione nel sopportare coraggiosamente e francamente gli scherni del rispetto umano. Exacuerunt, ut gladium, linguas suas: intenderunt arcum, rem amaram, ut sagittent in occultis immaculatum (Psal. 63, 3),
- E vinceranno questo maligno che schernisce temendo essere scoperto dai Superiori, col pensare alle terribili parole di Gesù: Chi si vergognerà di me e delle mie parole, si vergognerà di lui il Figliuolo dell'uomo quando verrà colla maestà sua e del Padre e dei santi Angeli.
- Mortificazione negli occhi, nel guardare, nel leggere, rifuggendo da ogni lettura cattiva o inopportuna.
- Un punto essenziale. Ho fatto patto cogli occhi miei di non pensare neppure ad una vergine. E nei salmi: Rivolgi gli occhi perchè non veggano la vanità.
- Mortificazione dell'udito e non ascoltare discorsi cattivi, o sdolcinati, o empi.
- Si legge nell'Ecclesiastico (XXVIII): Saepi aures tuas spinis, linguam nequam non audire. Fa siepe di spine alle tue orecchie e non ascoltare la mala lingua.
- Mortificazione nel parlare: non lasciarsi vincere dalla curiosità.
- Sta pur scritto: Metti una porta ed un chiavistello alla tua bocca. Bada di non peccar colla lingua, onde tu non vada per terra a vista dei nemici, che ti insidiano e non sia insanabile e mortale la tua caduta (Eccl., ib.).
- Mortificazione di gola: non mangiare, non bere troppo.
- Il troppo mangiare, il troppo bere trasse il diluvio universale sul mondo e il fuoco sopra Sodoma e Gomorra, e mille castighi sul popolo Ebreo.
- Mortificarsi insomma nel soffrire ciò che ci accade lungo il giorno, freddo, caldo, e non cercare le nostre soddisfazioni. Mortificate le vostre membra terrene (Col., 3, 5.).
- Ricordarsi di ciò che Gesù ha imposto: Si quis vult post me venire, abneget semetipsum et tollat crucem suam quotidie et sequatur me (Luca, IX, 23). [729]
- E Dio stesso colla sua provvida mano cinge di croci e spine i suoi innocenti, come fece con Giobbe, Giuseppe, Tobia ed altri Santi. Quia acceptus eras Dea, necesse fuit, ut tentatio probaret te.
- La via dell'innocente ha le sue prove, i suoi sacrifici, ma ha la forza nella Comunione, perchè chi si comunica sovente ha la vita eterna, sta in Gesù e Gesù in lui. Ei vive della stessa vita di Gesù, sarà da lui risuscitato nell'ultimo giorno. È questo il frumento degli eletti, il vino che fa germogliare i vergini. Parasti in conspectu meo mensam adversus eos, qui tribulant me. Cadent a latere tuo mille et decem millia a dextris tuis, ad te autem non appropinquabunt.
- E la Vergine dolcissima da lui amata è la Madre sua. Ego mater pulchrae dilectionis et timoris et agnitionis et sanctae spei. In me gratia omnis (per conoscere) viae et veritatis; in me omnis spes vitae et virtutis. Ego diligentes me diligo. Qui elucidant me, vitam aeternam habebunt. Terribilis, ut castrorum acies ordinata.
Le due donzelle allora si volsero e salivano lentamente la ripa. E l'una esclamava: - La salute dei giusti vien dal Signore: ed egli è il lor protettore nel tempo della tribolazione. Il Signore li aiuterà e li libererà; ci li trarrà dalla mano dei peccatori e li salverà perchè in lui hanno sperato (Psal. 56).
- E l'altra proseguiva: Dio mi cinse di robustezza e la via che io batto rendette immacolata.
Giunte le due donzelle in mezzo a quel magnifico tappeto, si volsero.
Sì, gridò una, l'innocenza coronata dalla penitenza è la regina di tutte le virtù.
E l'altra esclamò pure: - Quanto è gloriosa e bella la casta generazione! La memoria di lei è immortale ed è nota dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini. La gente la imita quando ella è presente, e la desidera quando ella è partita pel cielo, e coronata trionfa nell'eternità, vinto il premio dei casti combattimenti. E quale trionfo! E quale gaudio! E quale gloria nel presentate a Dio immacolata la stola del santo battesimo dopo tanti combattimenti tra gli applausi, i cantici, il fulgore degli eserciti celesti!
Mentre che così parlavano del premio che sta preparato per l'innocenza conservata per la penitenza, Don Bosco vide comparire schiere di angioli che scendendo si posavano su quel candido tappeto. E si univano a quelle due donzelle tenendo esse il posto di mezzo. Erano una gran moltitudine. E cantavano: Benedictus Deus et Pater Domini Nostri Jesu Christi, qui benedixit nos in omni benedictione spirituali in coelestibus in Christo; qui elegit nos in ipso ante mundi constitutionem, ut essemus sancti et immaculati in conspectu eius in charitate et praedestinavit nos in adoptionem per Jesum Christum (Eph. I, 4). Le due fanciulle si posero allora a cantare un inno stupendo, ma con tali parole e tali note che solo quegli angeli che erano più vicini al centro [730] potevano modulare. Gli altri pure cantavano, ma Don Bosco non potea sentire le loro voci, benchè facessero gesti e muovessero le labbra atteggiando la bocca al canto.
Cantavano le fanciulle: Me propter innocentiam suscepisti et confirmasti me in conspectu tuo in aeternum. Benedictus Dominus Deus a saeculo et usque in saeculum; fiat fiat!
Intanto alle prime schiere di Angioli se ne aggiungevano altre e poi altre continuamente. Il loro vestito era vario di colori, di ornamenti, diverso gli uni dagli altri e specialmente da quello delle due donzelle. Ma la ricchezza e la magnificenza era divina. La bellezza di ciascuno di costoro era quale mente umana non potrà mai in nessun modo concepirne un'ombra per quanto lontana. Tutto lo spettacolo di questa scena non si può descrivere, ma a forza di aggiungere parola a parola si può in qualche modo spiegarne confusamente il concetto.
Finito il cantico delle due fanciulle, si udirono cantare tutti insieme un cantico immenso e così armonioso che l'eguale non sì è udito e mai si udirà sulla terra. Essi cantavano:
Ei, qui potens est vos conservare sine peccato et constituere ante conspectum gloriae suae immaculatos in exultatione, in adventu Domini nostri Jesu Christi: Soli Deo Salvatori nostro, per Jesum Christum Dominum nostrum, gloria et magnificentia, imperium et protestas ante omne saeculum, et nunc et in omnia saecula saeculorum. Amen.
Mentre cantavano, sopraggiungevano sempre nuovi angeli e quando il cantico fu terminato, a poco a poco tutti insieme si sollevarono in alto e disparvero con tutta la visione. - E Don Bosco si svegliò.
Relazione della Madre Daghero a Don Bosco.
Grazie alla Divina Provvidenza che sempre ci assiste in maniera mirabile, stamattina si fece la chiusura del nostro primo Capitolo Generale che fu presieduto, a nome dì Lei nostro R. P. Rettor Maggiore, dal Sig. Don Cagliero, ed al quale presero parte alcune volte il Rev. Sig. Don Bonetti, il nostro Sig. Direttore ed il T. Bertello. Le conferenze di questo Capitolo furono 15; nelle prime si lessero le nostre sante Regole, nelle quali senza nulla riformare si coordinarono alcuni punti; altri si chiarirono secondochè ci venne suggerito dalla pratica e infine vi si introdussero alcuni punti presi dalle regole dei nostri fratelli Salesiani. Nelle ultime conferenze abbiamo cercato di adottare per noi le bellissime ed importantissime deliberazioni dei Capitoli Generali dei Salesiani nostri fratelli e degni suoi figli, dall'osservanza [731] delle quali deliberazioni io spero un ottimo risultato pel buon andamento della cara Congregazione.
Ecco, o nostro Rev.mo Padre, quanto mi stava a cuore di notificarle, a nome pure di questo Capitolo e delle Direttrici; gli atti, poi, che risultarono e le deliberazioni prese saranno quanto prima spedite in un colla santa regola alla P. V. R. onde ne faccia in Domino quello che crede e vi apponga il visto se lo crede utile per le sue figlie in Gesù.
I nostri santi Esercizi volgono alla fine e per sua consolazione appoggiata a quanto mi dicono questi Rev. Superiori, posso dirle che riuscirono fruttuosissimi, cosa che dobbiamo all'aiuto di sue preghiere, o nostro Ven. Padre, ed allo zelo di questi buoni Predicatori. Deo gratias!
Domenica prossima alla Comunione generale che applicheremo per la conservazione di Lei, o nostro caro Padre, terranno dietro una ventina di Vestizioni, circa 30 professioni triennali e 6 perpetue. Il numero delle Suore che presero parte a questi santi esercizi è di circa 250, Più una sessantina di postulanti. Lo stato morale e fisico della Congregazione parmi abbastanza buono per grazia di Dio. Ella però ci assista con la sua preghiera fervente e co' suoi preziosi consigli, che, in allora spero continueremo a darle buone notizie. Gradisca gli ossequiosi rispetti della Com. e specialmente delle future Professe e Novizie; preghi tanto per me e per tutte onde nessuna, per carità, si renda indegna delle Divine misericordie.
Con tutto il rispetto e la venerazione di figlia, me le professo ora e sempre in Gesù
Différents motifs nous ont obligés, ces temps derniers, de descendre dans les bas fonds de la société. Nous avons pris la mauvaise misère sur le vif. Nous avons plongé notre regard épouvanté dans les abîmes si peu connus du vice et de l'ignorance, du vice et de l'ignorance qni existent l'un dans l'autre, l'un par l'autre, et nous en avons en le vertige. On ne se fait pas une idée dans notre monde de l'encroyable pro-fondeur du gouffre du mal et de l'ignorance, au milieu même de notre prétendue civilisation. La misère honteuse ronge notre pauvre société jusqu'au coeur; nous l'avons vu, nous l'avons senti; prenom y garde
Au momenûmême où nous considérions, effrayés, l'horreur de la plaie qui nous dévore; la vie de Dom Bosco de M di Boyn nous ont [732] tombée entre les mains. Nous avons lu avec le plus vif intérêt le récit simple et grand des ceuvres immenses de ce saint prêtre.
La vue du mal nous avait épouvantés, l'espérance du remède apporté par Dom Bosco a ranimé notre courage.
Ce qu'a fait cet homme, ce qu'il fait encore tient du prodige. Les débuts de son oeuvre, comme presque tous les débuts des grandes choses, ont été petits, imperceptibles même. Pendant longtemps Dom Bosco s'est vu réduit à recevoir les enfants qu'il catéchisait, au beau milieu d'un pré, sans abri. Il vint même un jour où ce dernier asile lui fut refusé. Mais il avait confiance en Dieu; le découragement n'eût pas de prise sur son âme. Il continua ses projets. C'est alors que ses ennemis, que des prêtres mêmes le firent passer pour fon. La suite a justifié Dom Bosco.
Aujourd'hui son œuvre s'étend dans les deux mondes. Elle compte cent cinquante maisons, cent cinquante maisons où l'instruction est donnée à tous les degrés, cent cinquante maisons où le châtiment est inconnu, tout marchant par la douceur.
De ces maisons il sort chaque année des centaines et des centaines d'ouvriers chrétiens, d'ouvriers habiles, de prêtres, d'hommes instruits, qui répandent à leur tour la lumière dans le monde, et sont à la tête de toutes les bonnes œuvres. C'est ainsi que Dom Bosco, en ramassant dans la rue des enfants sans père ni mère, arrache au bagne des milliers d'individus, et de ceux qui eussent été des forçats, fait des hommes de sagesse, d'intelligence et de foi. On dit même que de tous les enfants que Dom Bosco a recueilli chez lui, pas un, vous entendez bien, pas un n'a vu le bagne; et Dieu sait s'ils le connaissaient avant lui.
C'est en présence de cette régénération de la société par le catholicisme que nos espérances peuvent renaître encore. Humainement parlant, j'ose le dire, nous sommes perdus! Mais Dieu est là, et, si le mal est immense, épouvantable, Dom Bosco nous prouve que tout' n'est pas perdu.
Grâce à Dieu, nous avons beaucoup d'excellents chrétiens qui le comprennent bien; ils savent que ce n'est pas une épée, que ce n'est pas un homme qui peut nous tirer du gâchis, ils sentent qu'une révolution de gouvernement serait tout an plus bonne à distraire un moment les irréfléchis, ils comprennent qu'une révolution sociale est nécessaire et qu'elle ne peut se faire que par le catholicisme. C'est pour cela qu'ils protègent toutes les bonnes eeuvres. Oui, mais ils ne sont pas assez nombreux encore. Le mal est immense, il faut que la charité qui prodigue l'instruction, le bien-être, la foi soient immenses aussi.
Encore une fois, un changement de gouvernement ne fera rien; ce qu'il faut c'est une révolution Complète dans les idées. Il faut instruire le peuple, il faut veiller sur la jeunesse, il faut détruire les préjugés.
Il faut avoir pénétré dans les taudis que nous avons vus pour se [733] faire une idée de l'ignorance désespérante dans laquelle grouille toute une partie du peuple. Il existe, en pleine France, dans nos plus grandes villes, à Lyon même, des bouges où l'idée morale est morte, où la haine du prêtre est à son comble parce qu'on ne le connaît absolument pas. Eh bien, c'est par des ceuvres analogues à celles de Dom Bosco, c'est par des folies de charité et de douceur qu'on peut régénérer la nation, mais ce n'est que par là.
Qu'on le sache bien, toute réforme qui n'est pas basée sur le catholicisme, est nécessairement éphémère et dérisoire.
One les oeuvres se multiplient donc sur ce vieux sol lyonnais arrosé du sang des martyrs. L'iniquité menace d'engloutir la France, élevons partout les digues. Ces digues ce sont les écoles catholiques, ce sont les patronages, ce sont les sociétés de Saint-Vincent de Paul, etc., etc.
Au nom de la patrie ne nous lasson pas. Marchons sur les pas de Dom Bosco. Travaillons et donnons de l'argent.
De l'argent? Oui, il en faut encore, et beaucoup. Je connais une école de frères, je connais une école de sueurs, je connais un patronage qui manquent tous d'argent et sont obligés de refuser des enfants; or, notèz que je ne connais vraiment que cette école de frères, due cette école de sueurs et que ce patronage. Que faut-il donc penser de la charité lyonnaise s'il en est partout de même?
Ah! que cette antique charité ne se ralentisse pas. Je lisais hier dans un rapport de Maxime du Camp, sur les œuvres de bienfaisance de Paris, que les oeuvres absorbaient dans la seule capitale, au moins soixante à quatre vingt millions par an! Lyonnais, si Paris vous a si bien donné le bon exemple dans les dernières élections municipales, ne souffrez pas qu'il vous dépasse encore pour la charité, vous dont la ville se nomme la ville des bonnes oeuvres.
Lisez donc pour vous encourager l'ouvrage si bien fait de M. du Boys sur Dom Bosco, et non contents de la théorie, mettez-la en pratique immédiatement. Donc, encore une fois, donnez pour nos écoles, donnez pour nos patronages, donnez pour toutes nos œuvres. (Éclair, 17 mai 1884).
Les grands poètes des divers âges de l'umanité, Homère, Virgile, Dante, Milton, etc., ont conçu chacun le vaste plan d'une épopée , et l'ont réalisé dans des chants pleins de vie et de lumière ar extension, on a considéré comme des poèmes les chefs-d'oeuvre des arts plastiques; ainsi on adonné ce nom à la grande composition wit de Raphaël [734] représentant la Dispute du Saint-Sacrement. On a également appelé poèmes, et à plus juste titre encore, ces immenses cathédrales, élevées à Dieu par la foi de nos pères: ce sont de poèmes en pierre, a-t-on dit, où le génie trouve pour exprimer ses conceptions un autre langage que la parole et que les vers, mais où il ne les exprime pas avec moins d'éclat et e grandeur.
Il y a un autre genre de poètes, vraiment épiques: ce sont ceux qui constituent un édifice moral avec des matériaux vivants; tels sont les hommes qui fondent des empires ou qui constituent des peuples. Dans un ordre de choses différent et sur ces sommets mystérieux, qui dominent de si haut la nature humaine, même la plus grande, ont apparu jadis les fondateurs de nos plus fécondes familles religieuses, les saint Benoît, les saint François d'Assise, les saint Dominique, les saint Ignace. Ces grands saints, divinement inspirés, ont fait des ceuvres magnifiques, qui ont été adaptés d'abord-aux besoins de leurs contemporains, et qui ont eu ensuite une action durable sur le monde.
Dom Bosco á été un poète à la manière de ces hommes de Dieu: il a vu que les destructions de nos jours appelaient des fondations nouvelles plutôt que des restaurations, et il a conçu tout d'un coup un vaste plan, disposant dans sa tête des matériaux destinés à l'exécuter pour donner satisfaction à de grands besoins religieux et sociaux.
Ces matériaux, infimes et de nulle valeur par eux-mêmes, il avait la prévision qu'il les transformerait en pierres précieuses dignes d'orner le temple du Seigneur. Architecte mystique et grandiose, au temps même où il ne possédait rien, et où deux ou trois enfant seulement suivaient ses leçons, il se voyait disposant ses ateliers, lés peuplait de milliers d'enfants et d'élèves, préparant et faisant fructifier de nombreuses vocations sacerdotales, élevant les coupoles. De ses églises dans les villes les plus populeuses et dans les plus lointains déserts.,
Son poème s'èlaborait dans sa pensée; il a fini par trouver son expression visible, et par pouvoir être manifesté aux yeux de tous. Dante fit un effort sublime pour placer le monde d'au delà sous les yeux du monde présent: mais parvint-il à autre chose qu'à colorer de son pinceau magique quelques lueurs d'outre-tombe, déjà révélées par nos livres saints? Dom Bosco, qui a été un véritable voyant a rendu son idée poétique vivante; ces intuitions que l'on regarda quelque temps comme les hallucinations d'un esprit malade, étaient toute une création en germe. Ce germe est éclos. Dom Bosco a pu donner à sa pensée un corps et une splendide réalité.
Encore une fois, cette création merveilleuse diffère-t-elle beaucoup, comme conception intellectuelle de celle qui dut se dessiner, en quelque sorte, aux yeux d'Homère, quand il disposa dans sa tête les cent cinquante chants de son immense épopée? [735]
Dom Bosco a construit son poème avec des hommes au lieu de le composer avec des vers ou avec des strophes. Croit-on cette matière poétique plus facile à manier?
On sent bien souvent l'effusion de l'Esprit-Saint sur les lèvres de Dom Bosco. C'est un orateur-poète[425]; mais quand il ne saurait pas parler, ses auvres parleraient pour lui.
Dieu veuille conserver de longs jours à cet Homère d'apostolat catholique. Au surplus, sa crèation, quoi qu'il arrive, sera continuée: che ne mourra pas avec lui; Élie laissera son manteau à Élisée, et Élisée le laissera à son tour à un nouvel élu, suscité de Dieu, parmi les Salésiens.
(DU BOYS, Dom Bosco etc. pgg. 317-20).
Lettera del Vescovo di Pinerolo a Don Lemoyne.
Non posso tutta esprimere a V. Rev. la commozione che prova! nel ricevere la pregiatissima sua dell'II corr. mese, colla quale Ella mi annunziava come il Ven. D. Bosco si fosse degnato di prendere parte grandissima ai restauri di questa mia cattedrale. Io gliene professo vivissima riconoscenza, non solo per la generosa offerta di L. 100 che mi volle far tenere, ma per le preghiere ancora che mi promette per parte dei figli di codesta Congregazione. Un'offerta di lire 100 del Ven. D. Bosco vale più di lire 1000 per parte di altri, poichè ben si sa in quali strettezze versi anche lui per consimile motivo, cioè per la Chiesa di Roma. Io non posso fare altro che augurare al generoso oblatore un centuplicato ricambio della sua offerta per mano di persone facoltose, riserbandomi di fare pur io qualche cosa per cotesto Oratorio, quando mi vedrò libero da queste grandi spese, cui mi sono sobbarcato pel Duomo e pel Convitto Vescovile.
Voglia la S. V. Rev. aggradire l'espressione della mia vivissima gratitudine e presentarla anche al Venerando D. Bosco, implorando da lui una speciale benedizione per l'opera di questi ristauri.
E poichè la S. V. Rev. volle far cenno di quel poco che ho potuto fare pel Ven. D. Bosco nello scorso anno, La prego di ricordare al medesimo che domani si compie appunto l'anno dacchè egli venne ad onorare la mia villa. Favorisca di dirgli che metto nuovamente la villa a tutta sua disposizione, aggiungendovi sincerissimi auguri che [736] possa venirvi ad acquistare quel miglioramento di salute che si ebbe nello scorso anno. Gli dica che verrei io personalmente a fargli l'invito, ma che non potendo assentarmi per causa di gravi occupazioni, la prego ad accettarlo per lettera. Ella poi resta incaricata di obbligarlo a venire, avendo il dovere di conservare per lunghi anni il Padre della Congregazione, tanto più che è già tutto inteso pel cinquantenario della Messa nuova.
Favorisca di avvisarmi del giorno in cui D. Bosco verrà a cominciare la sua villeggiatura a S. Maurizio ed io provvederei all'occorrente e se mi sarà possibile verrò a prenderlo in Torino.
Rinnovandole intanto li miei ringraziamenti mi professo con riconoscenza
Il Sindaco di Torino a Don Bosco.
Città di Torino. Gabinetto del Sindaco numero 9261.
La Contessa Sanseverino Vimercati e la Principessa Strongoli, le quali mi fecero vivissime e replicate istanze per vedere ricoverati in alcuni collegi di questa città un dato numero di orfani di genitori morti di cholera in Napoli, con telegramma or ora pervenutomi e che mi pregio trascrivere in margine alla presente, mi partecipano che non invieranno più qui orfano alcuno[426].
Spiacentissimo che le solludate Signore non abbiano avvisato alla convenienza di scrutare le intenzioni dei parenti degli orfani di cui è questione, prima di fare pratiche pel ricovero dei medesimi e che per conseguenza io abbia dovuto recare non lieve ed inutile disturbo alla S. V. Ill.ma e Rev.ma; io mi faccio debito di porgere a Lei i maggiori ringraziamenti per avere con tanta cortesia aderito alle mie istanze; e nell'assicurarla che ricorderò colla maggiore compiacenza la deferenza usatami, ed i sentimenti altamente umanitarii che Le sono proprii, e di cui diede nuova e splendida prova, La prego di gradire la rinnovazione degli attestati della perfetta mia stima
Un visitatore lionese di Don Bosco, dell'Oratorio e della sua Esposizione.
Jje vous dois quelques mots sur mon voyage. Je vous avais entendu si souvent parler de la grande ceuvre de Dom Bosco que je voulais donner à mes yeux tout loisir de contempler et d'amirer ce que Dieu a fait par lui.
J'arrivais de nuit à Turin, mais j'avais été annoncé. Cicérone à la gare, collation à l'Oratoire, proprette et bonne cellule, soins attentifs, prévenances et politesse aussi chrétienne qu'exquise: rien de tout cela ne manque chez. D. Bosco. N'eût été l'heure tardive, je n'aurais eu nul besoin d'avoir un guide, car, vous le savez, à Turin, tout étranger, demandant a n'importe qui son chemin pour se rendre à l'oeuvre de Dom Bosco s'entend aussitôt donner les indications les plus précises: «Si vous allez chez Dom Bosco, lui dit-on, longez telle et telle rue». je n'en suis pas surpris, car cette oeuvre est l'honneur de la ville de Turin, où Dom Bosco est très-populaire et, même en chemin de fer, j'ai déjà plusieurs fois entendu parler de lui.
L'Oratoire St François,de Sales m'a semblé un village, et certes il en est beaucoup de moins peuplé; près de 800 enfants! sans compter les chefs-ouvriers, les employés, les abbés et prêtres salésiens préposés à la direction de l'Oratoire et de la pieuse société: c'est une petite ville dans une grande. Dans ce vaste établissement règne un ordre parfait; l'horloge et la cloche y sont toujours ponctuellement obéis.
Ma première visite fut à l'église de l'Oratoire, église dédiée à Marie Auxiliatrice. Ce monument spacieux imite St Pierre de Rome, jusque dans sa belle coupole. Il est parfait comme architecture, bien orné et embelli surtout par mi tableau de maître, îe grand et magni- fique tableau de Marie Auxiliatrice. Ce n'est pas trop tic nommer cette église le Fourvières de Turin, tant elle est visitée chaque jour par les bons chrétiens et même aussi par les curieux, )'al au quo la grâce y avait parfois touché quelques uns de ces derniers qui, venue en simples touristes, s'en étaient retournés bien et dûment convertir
je fus assez heureux pour voir Dom Bosco. Ce saint prêtre eat toujours d'une délicieuse affabilité; d'une bonté qui fait rêver à colle du divin Maître. Entr'autres choses, je lui parlais de ses souill ranees, de sa récente maladie et des prières victorieuses faites pour sa conmer- vation: Oui, me dit-il, mes enfants sont encore bien petits ils ont encore besoin de moi, mais si Dieu me demande ma démission Iî se chargera de les faire grandir». Ce bon père est contraint tî d'addepter [738] les soins les plus attentifs, les plus minutieux; ainsi l'a voulu et expressément ordonné Sa Sainteté Léon XIII.
Dans le cours de la journée, je visitai les ateliers. La belle salle de l'imprimerie, avec ses grandes machines serait enviée par nos imprimeurs de France. Tout auprès de cette imprimerie modèle, je me suis volontairement et avec plaisir attardé à voir confectionner les caractères typographiques sortant, nets et parfaits, du laboratoire sous la main des enfants. Ces ateliers, joints à ceux de reliure et dorure, alimentent une riche librairie où s'étalent les plus beaux livres liturgiques, les ouvrages classiques et les publications italiennes et françaises les plus utiles. Les ateliers des tailleurs; des cordonniers, des menuisiers ont tout ce qu'on leur désire, mais je dois un compliment spécial aux, forgerons et serruriers: ils exécutent d'importants travaux et possèdent les notions de la mécanique.
Je ne dis rien dés nombreux étudiants; ils sont, comme les artisans, rompus au travail, et leurs visages souriants reflètent cette douce gâité, ce bonheur tranquille que donnent la sagesse et une solide piété. Il fait bon chaque soir, entendre un millier de voix prier et chanter ensemble au salut du T.-S. Sacrement: ce spectacle et ces accords rafraîchissent l'âme et remplissent le coeur.
Ce vaste établissement s'esi encore trouvé trop étroit pour Dom Bosco; son collège de Val Salice, sur la rive droite du Po, n'était pour son oeuvre qu'une insuffisante succursale. Il a construit au couur de Turin, une grande, magnifique et coquette église dédiée à St. Jean l'Évangéliste. Autour de cette église, un nouvel Oratoire va bientôt recevoir trois à quatre cents enfants. Je comprends maintenant qu'à Turin, le nom de D. Bosco soit sur toutes les lèvres!
Je serais peut-être reparti sans me soucier dé faire une visite à l'Exposition, à cette exposition si contrecarrée par le choléra, si l'on ne m'avait dit (permettez moi cette expression) qu'il y avait du Dom Bosco jusque là. Je ne manquai donc pas de m'y rendre. - Comme, dans toutes les expositions, beaucoup de place est donnée aux inventions et aux perfectionnements futiles et d'utilité secondaire. Toute fois, il y a du très-bon et du très-beau dans les galeries des voitures de chemin de fer et des machines. C'est dans une vaste salle de çette dernière galerie que s'étale et fonctionne sous vos yeux une synthèse industrielle complète, aussi curieuse qu'instructive, exposée par Dom Bosco. Vous avez là réunies sous vos yeux, vous touchez et embrassez d'un regard, toutes les branches d'industrie qui se rapportent au livre, depuis la fabrication du papier jusqu'à la librairie, en passant par la fonderie de caractères, l'imprimerie et la reliure, rien ne manque à cet ensemble et tout s'y succède dans l'ordre logique.
A droite en un vaste réservoir vous voyez la pâte destinée à être convertie en papier par une machine modèle, faite tout récemment [739] d'après les derniers progrès de la science; à votre gauche, se trouve la librairie, à laquelle vous pouvez commander un livre, à faire avec cette même pâte qui attend le moment de circuler dans la machine, pour s'y transformer en papier.
Faites une courte promenade; suivez cette pâte tombant d'abord en une large cuve en briques où elle est tourmentée pour se mêler intimement à l'eau la plus limpide; suivez-la, devenue liquide et blanchâtre, sur les divers tamis qui la séparent de l'eau; puis soutenue par des toiles sans fin, voyez-la passer enfin sous les grands cylindres qui la compriment, la séchent et la changent en un papier souple et résistant, que l'on découpe sous vos yeux pour le livrer bientôt, feuille immaculée, aux jeunes imprimeurs. Ceux-ci ont déjà composé la planche d'impression avec des caractères faits, tout auprès d'eux, par leurscamarades de la fonderie typographique, ils'soumettent la feuille à l'action de la presse et la passent au relieur, qui la plie, l'unit à ses soeurs par une solide couture, bref, en forme un livre couvert en maroquin et le passe au doreur; celui-ci transmet enfin au libraire un magnifique volume doré sur tranches et artistement orné des filets d'or les plus gracieux.
On imprimait alors une édition superbe de Fabiola, avec de nomtireuses et très-fines gravures dont l'exécution ne laissait rien à désirer. J'étais émerveillé: ce charmant ensemble,, cette ravissante synthèse du travail et la confection rapide et économique qu'elle permet d'obtenir, sans rien enlever à la perfection des produits, est sans nul doute ce que j'ai vu de plus intéressant et de plus utile à l'exposition de Turin, ce sera mon meilleur, peut-être même mon unique souvenir.
Dom Bosco a prouvé au monde que l'Église et le Sacerdoce ne sont pas les ennemis, mais au contraire les meilleurs amis de la saine civilisation et du vrai progrès.
Je résume mon voyage et mes impressions dans cette seule pensée que j'exprimais au début de cette lettre. J'ai vu ce que Dieu a fait par Dom Bosco: Dieu a donné ses bénédictions et sa grâce; Dom Bosco, la coopération de son dévouement. charitable et intelligent. Dom Bosco n'avait pour capital que sa pauvre mère, à laquelle il devait les ardeurs généreuses de son noble coeur, une vieille montre, don de la charité d'un ami, quelques centimes et son zèle.
Recevez, cher ami, avec l'assurance de ma vive gratitude pour votre bonne recommandation auprès de Dom Bosco, l'expression de mes sentiments les plus dévoués en J. C. Notre Seigneur.
Votre ami, qui s'honore d'être maintenant
(Bull. Sal., déc. 1884). [740]
e di Don Fagnano per la conversione
Clama ne cosses et quasi tuba exalta vocem tuam (Isaia 581) ha detto il Signore al suo servo: “Alza la tua voce e quasi turbinio di moltitudine, reclama senza posa i diritti del cielo sopra la terra, della giustizia sopra l'iniquità, della ragione sopra la forza. "L'uomo di Dio " il Vicario di Gesù Cristo, il gran Profeta, il Romano Pontefice, vindice dei diritti divini e umani della Chiesa di Gesù Cristo ha ripetutamente alzato il grido di protesta contro gli iniqui spogliatori suoi, contro gli oppressori di sua libertà, i dilapidatori del patrimonio ecclesiastico. Questa sua voce più che mai forte ultimamente risuonò, suscitando a mille a mille in tutto il mondo la protesta contro la sacrilega sentenza, con la quale la corte di cassazione fattasi quasi arbitra dell'universo, in Roma, centro del mondo Cattolico, veniva a colpire la più cosmopolita delle Istituzioni, l'istituzione la più benefica, la più umanitaria e civilizzatrice dei popoli della terra, vogliamo dire la Congregazione di Propaganda.
Alla rivoluzione rimaneva ancora un delitto a compiere, e dessa lo compì nello scorso gennaio, assoggettando alla conversione in rendita nazionale Italiana e per ciò alla eventualità, all'arbitrio e dipendenza del Governo Italiano i fondi cosmopoliti della Propaganda, destinati ad essere patrimonio sacro, universale ed inviolabile della fede cattolica, e mezzo a diffondere il Santo Vangelo e con esso la civiltà alle nazioni barbare ed infedeli. - Eminentissimo Principe, l'eco di tale attentato consumato contro la libertà del Vangelo e della sua propagazione e la protesta del mondo intero risuonarono sulle sponde del Rio Negro, ed hanno prodotto in noi missionarii italiani sentimenti di cordoglio, di sdegno e di umiliazione. Ed i selvaggi stessi della nostra remota Patagonia e gli Isolani più remoti ancora della Terra del Fuoco hanno a stupire per tale atto dispotico e tirannico, compiuto a detrimento di quella fede divina da loro recentemente abbracciata! E come potranno essi mai comprendere tale condotta in un Governo che, essendo Italiano, si fa persecutore di un Papa Italiano, nel mentre stesso che egli manda missionari italiani a civilizzarli nelle loro terre più australi del continente Americano?
Ed ecco intanto la Propaganda protestante, la quale disgraziatamente ci ha preceduti, promossa, aiutata, e protetta dal Governo [741] Inglese, sogghignando applaudire al Governo Italiano persecutore della Propaganda Cattolica. Le ragioni poi addotte dal ministro degli affari esteri a difesa di tale sentenza, anzichè giuridiche, sono, a detta di eminenti giureconsulti, ridicole; sicchè a scalzarle basta una qualsiasi rimostranza da parte di qualche Potenza, perchè la questione detta di puro ordine interno e nazionale, diventi di ordine esterno ed internazionale. Infatti una semplice osservazione del Ministero degli Stati Uniti a riguardo del loro collegio esistente in Roma bastò per abbattere tutta la giurisprudenza italiana a sessione riunita, nonchè il suo verdetto irrevocabile.
Laonde non essendo in mano nostra altri mezzi per sostenere i sacrosanti diritti cosmopoliti di Propaganda, noi protestiamo in faccia a Dio ed agli uomini contro tale atto lesivo della libertà della Chiesa, dannoso alla religione ed alla civiltà ed umiliante per la nostra Patria. E diciamo umiliante per la nostra patria, poichè se l'Italiana favella risuona dolce e soave sulle sponde del Rio Negro, del Chubut, del Magellano e fin oltre nelle terre del fuoco se le sue glorie, le sue arti e scienze ivi sono oggetto di incantevole meraviglia, si è per opera ed impulso e coi mezzi di questa Congregazione di Propaganda, calpesta e manomessa dal Governo Italiano.
Orsù dunque, se non per amore della giustizia e del diritto, almeno per amore della Patria e per onore del nome italiano, cessi l'italiano Governo le sue ostilità contro la Chiesa e le lasci quella libertà e quel diritto per istruire, civilizzare, salvare tutto il mondo, che a lei compete pel mandato del suo Divin Fondatore. Euntes in universum mundum praedicate Evangelium omni creaturae (MARC., 16, 15.). Più non avranno così i missionarii italiani ad arrossire della patria loro e del loro governo in faccia ai selvaggi della Patagonia; che se i nostri clamori uniti a quelli della Chiesa, del Pontefice e dei Pastori di tutto il mondo non otterranno giusto effetto al cospetto delle Potenze della terra, ben l'otterranno sì dalla Potenza del cielo. Gesù Cristo Re dei Re, dominatore dei dominanti ce ne assicurò col direi: Nolite timere; ego vici mundum. Le nostre proteste intanto ed i nostri clamori continueranno finchè la forza del diritto sarà oppressa dal diritto della forza. - Benedite, Eminentissimo Principe, i nostri Neofiti Patagoni, e il nostro vasto campo evangelico ed i missionarii Salesiani che lavorano sulle sponde del Rio Negro.
Sac. GIOVANNI CAGLIERO, provicario apostolico.
Sac. GIUSEPPE FAGNANO, prefetto apostolico. [742]
Supplica del Cardinale Alimonda a Leone XIII
perchè Don Cagliero fosse fatto Vescovo.
Poichè la Santità Vostra due anni or sono degnavasi affidarmi l'onorevole incarico di studiare con altri E.mi miei colleghi il progetto della fondazione di un Provicariato e di una Prefettura Apostolica nella remota Patagonia, da affidarsi alle cure della Congregazione Salesiana che già vi possiede missioni ed un numero cospicuo di Sacerdoti e di Cooperatori, non ho potuto non rallegrarmi grandemente dell'accettazione del progetto per parte della S. Cong.ne di Propaganda Fide e delle nomine che la Santità Vostra si degnò di fare dei degni Sacerdoti Salesiani D. Giovanni Cagliero a Provicario Apostolico per la Patagonia Settentrionale e Centrale, D. Giuseppe Fagnano a Prefetto Apostolico per la Patagonia meridionale e per la Terra del fuoco.
Avvicinandosi ora la partenza del Sacerdote Cagliero e di altri venti tra Sacerdoti e Chierici per quella lontana missione, ardisco umiliare alla Santità Vostra il desiderio che il nuovo Provicario Apostolico partisse dall'Europa fregiato della Consecrazione Episcopale.
Sarebbe questa una grande consolazione al cuore dell'infaticabile e benemerito fondatore della Congregazione Salesiana D. Giovanni Bosco, sarebbe onore che la Congregazione stessa non potrebbe mai apprezzare abbastanza; ed il nuovo eletto corroborato dalla grazia dello Spirito Santo, decorato della nuova dignità avrebbe maggiore ascendente sui missionari e sulle autorità del Paese, e riuscirebbe a superare con maggiore facilità gli ostacoli che prevede doversi frapporre all'esercizio del suo ministero.
Dopo i felici risultati delle missioni Salesiane nelle vastissime regioni sovraindicate, non andrà molto che per la loro amministrazione la presenza di un Vescovo si renderà necessaria. Ora il dovere ricevere la consecrazione episcopale in America, tornerebbe di grave disagio per la distanza non minore di 300 leghe dalla residenza del Provicario Apostolico a Buenos Aires.
Esposta così la mia umile preghiera, rimetto ogni risoluzione all'alta sapienza della Santità Vostra, certissimo che quanto si degnerà disporre sarà del maggior piacimento, della maggior gloria di Dio, e meglio concorrerà alla salvezza delle anime.
Prostrato al bacio del sacro piede imploro colla massima riverenza l'Apostolica benedizione.
Lettera del Cardinale Alimonda al Card. Nina.
E.mo le Rev.mo Sig. mio Oss.mo,
Il povero D. Bosco, affranto dalle fatiche, molto malconcio nella salute, aspira ad una consolazione ancora per il lustro della sua Congregazione, per il bene delle anime, che si vanno acquistando a Dio nelle missioni Salesiane della Patagonia.
Egli prevede benissimo che il suo D. Giovanni Cagliero eletto dal S. Padre Provicario Apostolico della Patagonia Settentrionale e Centrale, sarà un dì piucchè l'altro insignito della Consecrazione Episcopale. Ma essendo non lontana del medesimo D. Cagliero la partenza ed essendo abbastanza remota la futura sua residenza dalle terre civilizzate, amerebbe che il S. Padre lo facesse Vescovo prima che lasciasse l'Europa. A tal fine ha pregato me, che ho avuto un po' la mano nell'affare del Provicariato e della Prefettura Apostolica, a indirizzare umile istanza al S. Padre.
Cotale istanza deve passare per le Ven. mani di V. Emin. Rev.ma e Car.ma perchè protettore e benefattore insigne dei Salesiani, perchè abbiamo bisogno del suo consiglio. Se crede che il S. Padre non debba averne dispiacere, sarei a pregare l'Emin. Vostra di farla passare all'E.mo Prefetto di Propaganda per la presentazione. Quando poi Ella non reputasse opportuna la nostra dimanda, non ne faccia nulla, che ed io e D. Bosco le saremo grati del sapiente avviso, come del servizio.
Lettera dei Cardinale Nina al Cardinale Alimonda.
E.mo e Rev.mo Signor mio Oss.mo,
Il 29 decorso ricevetti la vent.ma dell'Em.za Vostra con la unita istanza avente per oggetto la promozione del Salesiano a Vescovo titolare. Anzitutto non cesso di ringraziarla vivamente dell'interesse che in ogni occasione Ella prende per cotesta benemerita Congregazione. Quindi debbo significarle che essendo l'indicato affare di esclusiva competenza della S. C. di Prop., senza porre tempo in mezzo la mattina del 30 la presentai all'E.mo Prefetto e ne parlai con tutto l'impegno prima con esso, quindi con Monsig. Segretario e sì l'uno che [744] l'altro trovai dispostissimi ad assecondare la domanda presso S. S. Io intanto non vorrò perdere di vista la pratica finchè non sia condotta a buon porto. Confidiamo che il Signore illumini il S. P. e così il buon D. Bosco riceva una consolazione in mezzo a tante tribolazioni.
Sul di cui conto questa mattina ho ricevuto una lettera da D. Bonetti la quale mi partecipa un notabile miglioramento di salute dei medesimo. Speriamo che il Signore gli accordi ancora altri anni di vita perchè possa consolidare sempre più un'opera gigantesca che mi pare destinata a rendere molti servigi alla Chiesa in questi calamitosi tempi.
Non mi dimentichi nelle sue orazioni assicurandola della mia fedele corrispondenza e baciandole umilmente le mani mi abbia sempre con la più alta stima, ecc.
Lettere di ringraziamento scritte da Don Cagliero
per la sua elezione e Vescovo.
A MONSIGNOR DOMENICO JACOBINI.
Nelle ultime disposizioni della Santa Sede a Roma a mio riguardo vedo sempre più il bene che L'Ecc. Vostra porta alla nostra umile Congregazione e l'affetto che la lega al nostro venerato Superiore D. Bosco.
É inutile che le manifesti la mia confusione per tanta dignità e come tutto speri dal divino aiuto per corrispondere meno indegnamente. Sono figlio di obbedienza e debbo obbedire.
É però certo che le nostre missioni ne avranno un non piccolo vantaggio ed i Salesiani da questo tratto di bontà del Santo Padre ne trarranno un motivo di più per essergli maggiormente figli affezionatissimi e per lavorare con maggior lena nel campo Evangelico della Patagonia.
Quanto a me sento sempre più il dovere di mostrarmi riconoscente alle prove di affetto che E.V. dimostra per me e per le nostre missioni ed il bisogno di intieramente rimettermi ora e sempre ai suoi comandi e savi consigli.
Da Buenos Aires arriva un dispaccio che dà poco buone notizie [745] di quel Governo, il quale avrebbe decretato l'espulsione del Delegato Apostolico. La vipera massonica si sente pestata la coda con l'enciclica Humanum genus. Ma est Deus in Israel.
Il nostro caro e venerato D. Bosco assai ristabilito ed i Salesiani tutti sentono il dovere di ringraziare l'Ecc. V. e di attestarle il loro inalterabile affetto pel bene che fa alla nostra Congregazione.
Permetta che le baci il sacro anello e mi protesti
Sento il bisogno ed insieme il dovere di esternare alla Eminenza V. Rev.ma i sentimenti del mio povero cuore che sono di profonda venerazione e di sentita riconoscenza per quanto ha fatto e fa per la nostra Congregazione, e specialmente per la valida sua protezione e cooperazione nella recente disposizione del Santo Padre a mio riguardo.
Come figlio di obbedienza non poteva e non doveva contrariare i desiderii del nostro venerato Padre D. Bosco. Ed il Signore ha così disposto perchè quale premio alle sue molte tribolazioni passate potesse vedere nella sua vecchiaia uno dei suoi figli elevato alla Vescovile dignità.
Sia adunque la confusione per me, purchè la consolazione sia a colui che da ben 34 anni chiamo Padre.
Come già scrissi al Santo Padre ed al Cardinale Prefetto di Propaganda, a parte la mia indegnità, non mi resta che di vedere il bene della nostra Congregazione ed il maggior vantaggio della nostra missione della Patagonia, rassegnandomi agli onori ed agli oneri di tale Pontificia degnazione.
Nella Em. Vostra la Salesiana Congregazione possiede, più che un protettore, un padre che ci ama quali amorosi figli. Oh potessimo corrispondere degnamente alle sante sue sollecitudini. E se Dio ci aiuta come corrisponderemo!
Eminentissimo Principe, nella lontana Patagonia vi sono dei cuori che sentono la gratitudine; e l'amano e pregano ancora essi come i loro confratelli di Europa, perchè Iddio conservi ancora ad multos annos la Eminenza Vostra Rev.ma pel bene e vantaggio della nostra Congregazione. [746] Ci esaudisca Iddio.
Il nostro venerato Padre D. Bosco, già assai ristabilito, m'incarica dei suoi rispetti e ringraziamenti e raccomanda alle sue fervide orazioni tutta la Salesiana famiglia.
Ed io prostrato ai piedi dell'Em. V. bacio la sacra porpora e depongo l'attestato della mia figliale soggezione col protestarmi
Con l'animo pieno di altissima riconoscenza ed insieme di profonda confusione umilio all'Eminenza Vostra Rev.ma i sentimenti ed affetti del mio povero cuore.
La Congregazione Salesiana deve alla sollecitudine e bontà dell'Em. Vostra il nuovo splendore di che va adorna ed il nostro Veneratissimo Superiore D. Bosco questa grande consolazione che lo compensa delle sue passate tribolazioni.
Un sentimento di confusione poi prova il mio cuore per l'alta dignità Vescovile che il S. Padre dietro proposta di V. E., ha voluto conferire a me il più meschino fra i Salesiani. E solo mi conforta il pensiero che Iddio bene spesso fa uso di strumenti ignobili e deboli nelle più ardue imprese, perchè rifulga di maggior splendore la sua gloria e la potenza del suo braccio divino.
Quindi è che confidando nel divino aiuto e nelle preghiere della E. V. prendo conforto e mi rianimo di speranza nel grave ufficio di Provicario Apostolico della Patagonia.
Oso pregare la E. V. perchè venga rimesso al Santo Padre il foglio inchiuso, quale testimonianza della mia profonda riconoscenza ed assoluta dipendenza ai suoi santi voleri.
Benedite infine, Em.mo Principe, la nostra umile Congregazione ed il nostro Veneratissimo Superiore D. Bosco insieme colle nostre missioni e permettete che baciando la sacra porpora mi protesti
La sublime episcopale dignità, alla quale la Santità Vostra si degna chiamarmi, se dall'un canto glorifica l'umile Congregazione Salesiana di cui sono figlio e ne consola il venerato suo fondatore, dall'altro mi umilia nel più profondo dell'animo, sia perchè mi scorgo indegno di tanto onore, come perchè mi credo inetto a tanto onere.
Come però qui in altis habitat humilia respicit mi rimetto dalla mia confusione ed appoggiato al Divino aiuto, avvalorato dalla Vostra Apostolica Benedizione, mi sottometto, Beatissimo Padre, alla vostra disposizione, come a disposizione della Divina Provvidenza; e considerando legge ogni vostro desiderio, comando ogni vostra volontà, mi riconfermo nel dovere di un'intiera ed illimitata obbedienza alla Santità Vostra come a Vicario di Gesù Cristo.
Certo che per tal modo riuscirà facile ai miei confratelli Salesiani,ed a me l'ardua impresa delle missioni della Patagonia settentrionale e centrale, della quale la S. Vostra degnossi nominarmi Provicario Apostolico...
Breve di preconizzazione per Don Cagliero.
Dilecte Fili, Salutem et Apostolicam Benedictionem. Apostolatus officium meritis licet imparibus Nobis ab alto commissum, quo Ecclesiarum omnium regimini divina providentia praesidemus utiliter exequi, adiuvante Domino, satagentes solliciti corde reddimur et solertes ut cum de earumdem Ecclesiarum regiminibus agitur committendis, tales eis in pastores praeficere studeamus, qui populum suae curae creditum sciant non solum doctrina verbi sed etiam exemplo boni operis informare commissasque sibi Ecclesias in statu pacifico et tranquillo velint et valeant Auctore Domino salubriter regere et feliciter gubernare. Dudum siquidem provisionem Ecclesiarum omnium nunc vacantium quacque in posterum vacaturae sint ordinationi [748] et dispositioni Nostrae reservavimus decernentes ex tune irritum et inane si recus super his a quoquam quavis auctoritate scienter vel ignoranter contigerit attentari. Iam vero quum titularis Ecclesia. Magidana sub Archiepiscopo Pergensi, cui Venerabilis Frater Ber nardinus Caldaioli postremus illius Antistes praesidebat per successionem eiusdem Venerabilis Fratris Bernardini praevia absolutions a vinculo, ad Cathedralem Ecelesiam Grossetanam pastoris solatio destituta sit, Nos ad eiusdem Ecclesiae provisionem in qua nemo praeter Nos se potest seu poterit immiscere supradietis reservatione et decreto obsistentibus paterno sollicitoque studio intendentes post deliberationem quam hac de re cum Venerabilibus Fratribus Nostris S. R. E. Cardinalibus Christiane nomini propagando praepositis habuimus diligentem; ad te qui ex legitimis nuptiis progenitus atque in aetate legitima constitutus zelo Domus Dei sempiternaeque animarum salutis sollicitudine commendaris, oculos mentis Nostrae convertimus. Te igitur peculiari benevolentia prosequi volentes et a quibusvis excommunicationibus et interdictas aliisque ecclesiasticis sententiis censuras et poenis quovis modo vel quavis de causa latis si quas forte incurreris, huius tantum rei gratia absolventes et absolutum fore censentes Magidanae Ecclesiae praedictae de persona tua Nobis et Venerabilibus Fratribus Nostris praefatis ob tuorum praestantiam meritorum accepta, de eorumdem Fratrum Nostrorum consilio Apostolica Auctoritate Nostra providemus teque illi in Episcopum praeficimus et 'pastorem, curaro, regimen et administrationem eiusdem Ecclesiae tibi in spiritualibus et temporalibus plenarie committendo, in Illo qui dat gratiam et largitur dona confisi te omnia ad maiorem Dei gloriam et Christiani nominis incrementum esse expleturum. Verum tibi indulgemus ut donec memorata Ecclesia inter mere titulares annumeretur ad illam accedere et apud caro personaliter residere minime tenearis. Ceterum ad ea quae in tuae cedere possunt commoditatis augmentum benigne respicientes, tibi ut a quocumque Catholico Sacrorum Antistite gratiam et communionem Sanctae huius Sedis Apostolicae habente accitis et in hoc el assistentibus duobus aliis Episcopis vel si hi commode vocari nequeant, duobus eorum loco Presbyteris in ecclesiastica dignitate constitutis similemque S. Sedis gratiam et communionem habentibus munus Consecrationis suscipere valeas eidemque Antistiti ut receptis a te prius fidei profes pione iuxta articules pridem ab Ap.ca Sede propositos ac Nostro ac Romanae Ecclesiae nomine fidelitatis debitae solito iuramento menus praedictum tibi Attetoritate Nostra conferre licite possit plenam et liberam concedimus facultatem. Volumes auteur eademque Ap.ca Auctoritate decernimus, ut nisi receptis a te prius per ipsum Antistitem fidei professione et iuramento praedietis ipse Antistes munus huiusmodi tibi conferre, tuque illud suscipere praesumpseritis, idem Antistes ac tu taro a Pontificalis officia exercitio quam a regimine et administratione [749] Ecclesiarum vestrarum suspensi sitis eo ipso. Non obstantibus si opus sit, fel.s rec.s Benedicti XIV Praed N. super Divisione materiarum, aliisque Constitutionibus et Ordinationibus Ap.cis, necnon dictae Ecclesiae etiam iuramento confirmatione Ap.ca vel quavis firmitate alia roboratis statutis et consuetudinibus ceterisque contrariis quibusqumque. Datum Romae apud S. Petrum sub Annulo Piscatoris die XXX Octobris a. S. MDCCCLXXXIV. Pont. Nostri anno septimo.
Presbytero e Congregatione Salesiana
Pro Vicario Apostolico Patagoniae
Septentrionalis in America Meridionali.
per una sottoscrizione a favore di Monsignor Cagliero.
A quest'ora sarà già noto alla S. V. che il S. Padre Leone XIII ebbe la bontà d'innalzare alla dignità vescovile il Teol. D. Giovanni Cagliero, il quale riceverà tra non molto la Consecrazione Episcopale.
Per quella solenne occasione devesi provvedere all'Eletto gli abiti pavonazzi e tutti quegli oggetti ed ornamenti, che sono reclamati dalla nuova dignità e dalle sacre funzioni, che dovrà esercitare. Tali oggetti sarebbero tra gli altri la croce pettorale, le varie mitre, il bastone pastorale, le croci astili ecc.
Or sapendo come la S. V. sia stata e sia tutt'ora in personale relazione col nuovo Prelato, credo di farle cosa gradita portando a sua conoscenza come stiasi promuovendo una sottoscrizione allo scopo di provvedere al medesimo i mentovati oggetti, mediante una qualsiasi oblazione.
Un apposito Album raccoglierà il nome degli offerenti, e alla fine sarà presentato al nuovo Vescovo, il quale, ne sono certo, oltre al ritenere quest'atto come una novella prova di benevolenza datagli da persone da lui molto stimate, si sentirà dolcemente stimolato a ricordarle dinanzi al Signore nel corso del sacro ministero, e specialmente nella prima Messa, che celebrerà insignito dell'Ordine Episcopale.
Ove la S. V. nella sua bontà intendesse di prendere parte a quest'affettuosa dimostrazione potrebbe inviare la propria oblazione, o al [750] Signor D. Bosco, oppure al sottoscritto in Torino, Via Cottolengo, N. 32, e per quanto le sarà possibile prima del 25 corrente.
Nella fiducia di sua cooperazione, ne la ringrazio anticipatamente, ed augurandole da Dio ogni bene godo di professarmi
Lettera di un massone a Don Rua.
Ci cadde sott'occhio la vostra naturalmente strisciante circolare emanata a tutti gli ipocriti vostri consoci onde cooperare all'acquisto di oggetti sacri pel Teologo Cagliero nominato Vescovo da Sua poca Santità Leone XIII.
A noi tutti che siamo per la verità delle cose, ci pare che questo atto sia solo per spillare denari ai poveri gonzi credenti, perché in siffatte funzioni i preti possono vantarne la privativa, facendo mercimonio della legge di Cristo nostro Redentore.
Per buona sorte la nostra Società si farà forza per far conoscere al nostro prossimo qual sia la gramigna che nasconde quella tonaca nera, e siamo certi che i clericali dovranno disperdersi come neve al sole col contento del mondo intiero, quando conosceranno al fondo qual sia la legge che guida la loro religione, che di religione non ha più che il nome, ma che pur troppo non è altro che un mercato immorale.
Voi Pantofoloni del Vaticano non vi vergognate di ammirare la luce che vi dà la vita, quando pensate che sotto pretesto di insinuare la virtù, prodigate il vivere il più abbietto?
Voi che non conoscete l'amore della famiglia, voi che rifuggite la società come un demone, voi insomma che nulla conoscete del mondo se non le vostre Perpetue, mediante la vostra immoralissima confessione, voi volete erigervi maestri della civiltà? Oh anatema!
Povera Italia, che sei in parte fra le unghie velenose dei preti, fa sì che un nuovo Redentore sorga, e sarai certa che i primi a distruggersi saranno quei serpenti che ti danneggiano; quelli saranno i prelati della chiesa.
Sua Santità (così lo chiamano) vive in prigione (così lo dicono) fra le reggie dorate e fra la pompa che s'addice ad un ministro di Dio (creato però non da Dio, ma da un demonio e nominato dai suoi pari) perchè egli visse e morì umile e povero. [751]
Pensate, o poco carissimi nostri, che il tempo propizio per noi noti è lungi e già ci anticipiamo il piacere di vedervi soggiogati non dalla forza, ma dalla verità che vi combatte.
Troppo lungo sarebbe il descrivervi le magagne vostre, del resto già voi stessi le conoscete meglio di noi. State attenti, o corvi bellicosi, che la catastrofe è imminente e il Papa potrà erigersi un nuovo Vaticano presso sua maestà il diavolo, perchè colà (se esiste un inferno) troverà tutti i suoi sudditi, non che i suoi eguali già morti.
Aggradite, poco Reverendo, le sincere asserzioni di un nucleo di anticlericali volenterosi della libertà e non dell'ignoranza quale voi prodigate per potere ognor più comandare.
Per tutti il più anticlericale.
La presente non dovete tenerla personale, ma bensì estesa alla massa nera di cui fate parte.
Cremolino nella passeggiata autunnale dei 1864.
Il Salesiano Don Giuseppe Rossi, scriveva a Don Ricaldone il 27 giugno 1934:
“D. Bosco arrivò stanco, sudato ad un cascinale vicino a questo paese, ove si trovava il marchese Pallavicini[427], suo benefattore, che lo attendeva. Giunto a questa casa, fece sosta e domandò in ristora un bicchiere di acqua per sè e pei giovani. Quel buon uomo di padrone della casa offerse subito il posto ombroso del suo cortile e poi un buon bicchiere di vino per tutta quella grossa comitiva. D. Bosco accettò l'offerta così pronta e generosa, ma insistette che fosse data solo dell'acqua. Quindi seduto sopra di una rozza panca, assistette alla distribuzione di un mestolo d'acqua a tutti i suoi.
Quella famiglia intuì che in quel prete ci fosse qualche cosa di singolare e rapita a’ suoi modi di tanta bontà e dolcezza nel ringraziare e nella breve conversazione tenuta, conservò religiosamente la panca su cui sedette D. Bosco e il mestolo, detto in dialetto cazza, a cui D. Bosco bevette.
Io da giovanetto era stato condotto da mio padre a quella cascina e sentii questo racconto dal capo di quella famiglia, che era ragazzetto a quel tempo e fu testimonio della cara scena ”. [753]
Lettera agli alunni dei collegio di Este
Ho presentato a D. Bosco la tua lettera ed esso fu molto commosso dalla carità delicata de' tuoi giovanetti. Mentre ti ringrazia dell'interesse figliale che prendi pel suo stato, manda per mezzo mio le seguenti parole a tuoi allievi.
Non posso dirvi quanta consolazione mi abbia recato il vostro atto generoso. Ho esclamato e lo ripeto di cuore: Il Signore benedica questi figliuoli! Io aveva bisogno di un grande sollievo e l'ebbi dalla vostra carità. Certo che non potei essere insensibile al danno cagionato dall'incendio, perchè era tanto pane di meno per quei giovanetti che non ebbero la fortuna come voi di avere parenti agiati. La partenza dei missionari aveva eziandio lasciata una profonda impressione nell'anima mia, ed ora da una settimana mi trovo in letto, dal quale il medico non vuole che mi muova per le mie continue infermità. Ma, e lo ripeto, il vostro segno di affezione mi ha recato molto sollievo, pensando che nel Collegio di Este vi sono tanti buoni giovanetti, con un cuore così ben fatto, i quali sanno corrispondere alle tante cure che si prendono di loro il Direttore e tutti gli altri Superiori.
Io non mi dimenticherò mai di voi e pregherò, come prego sempre, il Signore che si degni di farvi crescere nella pietà e nella scienza, di mantenervi buoni e sani di condurvi un giorno in paradiso ove spero ancor io di prendere parte un giorno a quella festa senza termine.
Voi pregate per me acciocchè il Signore mi aiuti a lavorare ancora per la sua gloria, in questi pochi anni che mi restano di vita. Ringraziandovi di tutto cuore vi benedico e vi auguro un anno felice colla grazia di Dio. Siate obbedienti, frequentate la Santa Comunione, abbiate grande divozione alla nostra buona Madre Maria SS. e sarete fortunati nel tempo e nell'eternità.
Ecco, mio caro D. Tamietti, le parole che D. Bosco mi ha detto di scriverti. Esso è ammalato ed ha bisogno di preghiere. É ormai la terza volta che si Mette in letto nel breve giro di un anno. Ma!!!? D. Bosco ti saluta e saluta tutti i Salesiani che sono con te. Spera di alzarsi presto, ma questo freddo non manca di entrare fra le cause del suo malessere. Ti saluto.
LETTERA DI DON FAGNANO A DON BOSCO.
Deo gratias. Il Signore ci ha visitati con tribolazioni e pare adesso che queste si vadano calmando e le cose vogliano rientrare nel cammino regolare. Le conterò in breve la storia.
Il territorio della Patagonia e le sponde del Rio Negro sono sotto la giurisdizione del Governatore della Patagonia, generale di Brigata Lorenzo Winter, il quale inoltre ha il comando dell'esercito della frontiera stabilito sulle sponde del Rio Negro, Neuquén e Limay. Le cose andavano bene essendo il Governatore nostro amico. Ma che vuole? Suscitossi la quistione religiosa in Buenos Aires, capitale della Repubblica, per parte del Governo nazionale, ed il Governatore imbevuto di falsi principii e forse anche costretto dal Presidente della Repubblica, per una imprudenza di D. Milanesio, la ruppe con tutti noi e veramente fece quanto potè per scacciare i Salesiani da Viedma che è la capitale della Patagonia, ed anche da Patagones, che appartiene alla Provincia di Buenos Aires, dove noi abbiamo la casa principale: giunse a farci calunniare davanti all'Arcivescovo per mezzo di persone sue dipendenti.
Io ho fatto quanto ho potuto per calmare il Governatore, mentre ho mandato all'Arcivescovo la mia difesa, perchè contro di me si dirigevano le accuse e le ingiurie nei due giornali del paese.
Raddoppiammo le preghiere per le persone che ci perseguitavano ed usavamo prudenza in tutto, ma invano; perchè i giornali cattolici, saputo il fatto, presero la nostra difesa, assalirono il Generale ed i giornali del paese, irritando con ciò maggiormente gli animi.
Le famiglie di Patagones e di Viedma e tutta la popolazione delle sponde del Rio Negro, conobbero l'infame procedere dei nostri persecutori, ma non osavano alzar la fronte in faccia al nemico, per timore dei loro interessi che sono soggetti alle Autorità nazionali.
Buon per noi che l'anno passato avevamo fatto edificare case su nostro terreno, sicchè in nessun modo ci poterono scacciare, come nel bollore della passione avevano designato. Io confesso che mi era anche disposto alla difesa materiale delle nostre persone, dei ragazzi e delle ragazze che avevamo raccolte. Il contegno energico ci salvò e non si fece punto caso di tutto ciò che il Governatore aveva scritto al Ministro del Culto. In una sua nota ci accusava di essere persone senza educazione e scandalose e consigliava il Governo nazionale a [755] non accettare nessun Salesiano nelle parrocchie del territorio Argentino.
Tuttavia egli adesso accettò la nomina di D. Remotti in Viedma e di D. Daniele in Pringles, i quali nella settimana ventura prenderanno possesso di queste parrocchie. Questi fatti sono accaduti dal 3 di settembre 1884 al I° febbraio 1885.
Non so come passeremo quest'anno. Mi pare che la questione religiosa si faccia seria, e adesso sopravviene la questione politica pel candidato a Presidente della Repubblica, il quale finisce il suo periodo il 12 ottobre 1886. Il Signore preservi questo paese da tante discordie nelle quali minaccia di cadere e lo guidi al vero progresso morale che è la santificazione di tutte le famiglie.
Confratelli stanno tutti bene e le posso assicurare che osservano esattamente le nostre sante regole, come pure le suore che sono a tutti noi di buon esempio nell'obbedienza, nella povertà, nella ritiratezza e nel lavoro.
Quanto alle necessità particolari di questa casa avremmo bisogno: I° Di personale affine di percorrere il territorio delle missioni. 2° Di almeno mille lire al mese per sottostare alle spese. 3° Di 40.000 lire per preparare un locale a Monsig. Cagliero e ai nuovi missionarii.
Quando siamo venuti qui avevamo due case e due terreni da edificare. Nei cinque anni abbiamo venduta una casa pel valore di 20.000 lire ed un terreno per 3.400, il cui importo fu impiegato nel comprare due terreni in Patagones, nell'edificare un collegio per giovani e un altro per ragazze in Viedma, consumandovi tutte le nostre risorse e contraendo un debito di 30.000 franchi colla Banca che si è stabilita qui in Patagones nel maggio dell'anno scorso...
LETTERA DI DON MILANESIO A DON BOSCO.
In America siamo spesse volte accorati a cagione dello stato di sua salute. É vero che le ultime notizie furono buone, ma la stessa lontananza contribuisce a far crescere i nostri timori. Qui si prega per Lei e per la salute degli altri Superiori affinchè il Signore ce li conservi sempre sani e santi.
Credendo farle cosa gradita le mando i dettagli della missione che diedi ultimamente nella Patagonia. Si maraviglierà senza dubbio di tanto ritardo. Ciò fu effetto dell'ambiguità d'animo che mi dominò per alcuni mesi, se cioè dovessi o no scrivernele. [756]
Ma una lettera, che mi scrisse il M.to Rev.do D. Rua mi decise a prendere la penna e scrivere su quattro scarabocchi onde darle notizia della Patagonia.
Nella relazione mi astenni dall'esporre la causa che originò gli scompigli ivi narrati. É a mio credere, la Divina Provvidenza che ci vuol bene e permette un poco di guerra alla nostra Missione, per correggere alcune imperfezioni o imprudenze per parte nostra. Eccone in succinto la causa. Viedma non vede di buon occhio star soggetta a Patagones. E sebbene in realtà non lo sia, qualunque ombra gli pare una realtà.
Or bene era ombra di malaugurio il continuo va e vieni da Viedma a Patagones e viceversa, e sovente per cose insignificanti, come sono le bazzecole di cucina e di biancheria. Si aggiunga a questo, la rinuncia che mi fecero fare della parrocchia, la quale se era lodevole per una parte in quanto io era libero di andare in Missione pel Campo, peccava d'imprudenza in quanto non sì presentò alla Curia Ecclesiastica, per la nomina di un altro. Ond'è che dal mese di Aprile del 1883 in poi in Viedma non vi fu più parroco, ma un Sacerdote della Congregazione che ne faceva le veci. Successe la disgrazia d'appiccarsi il fuoco alla Chiesa nella notte del giovedì Santo dell'anno passato. D. Beauvoir si ritirò in Buenos Aires e D. Fagnano entrò nella direzione completa della parrocchia. Ciò riaccese vieppiù gli animi già preoccupati e fece dare il tracollo. Ogni volta che io ritornava dalla Missione andava per ordine del Superiore, a visitare il Governatore in qualità di Cappellano della governazione. Ne' suoi colloquii sempre mi esternava il dispiacere che sperimentava coll'uscirmene dai confini del territorio senza il suo, permesso. Una volta mi promise che porrebbe a mia disposizione soldati, cavalli ed anche un vaporino onde trasportarmi in vari punti per dar Missione, con la condizione che stessi a suoi ordini. Io riferiva tali cose al superiore ed ci mi rispondeva che non doveva far conto di ciò e fare l'obbedienza sua. Fin d'allora intesi che da quel bivio non doveva uscirne illeso. In effetto il Governatore avendo visto essere inutile ogni tentativo, cominciò ad avermi in uggia e dichiararsi mio nemico.
Colla morte del generale D. Conrado Villega, il Signor Lorenzo Winter veniva dal Governo eletto superiore generale della forza sulle frontiere della Patagonia e territorio nazionale, e con ciò acquistava nuovi mezzi per vendicarsi dei Salesiani e soggettare colla forza quei che non aveva potuto piegare colla parola.
L'anno passato stando Monsignor Espinosa ed io in Norquin, lontano 210 leghe da Patagones, egli ricevette una lettera dal Signor Arcivescovo in cui gli partecipava che il Governatore della Patagonia dimandava consiglio al Ministero dell'Interno Dottor D. Bernardo Irigoyen come dovesse portarsi coi Salesiani. Lo che, diceva l'Arcivescovo, fa supporre che il detto Governo sia corrucciato coi Salesiani [757] e gli raccomandava trattasse di comporlo. Tornati da quella Missione circa alla metà di giugno, al fine di agosto ne traprendeva io solo un'altra che fu il teatro e origine di quanto ivi sta scritto.
Il P. Fagnano purtroppo tiene un difetto che fa ed è sorgente di gravissimi disgusti a sè ed a' suoi. Voglio dire che il vendere e comprare sono i fabbricanti di croci per lui e per gli altri. A provarlo basta che io citi i fatti seguenti. Nel 1880 vendette un'isola detta de Las almas (che una persona caritatevole per testamento aveva lasciato alla chiesa) con l'oggetto d'invertirne il prezzo in una piccola fabbrica per ingrandire il locale della scuola e ciò fece col permesso della Curia; ma il popolo non l'intese e mormorava. Nel 1883 vendette un terreno della Missione e ciò fece parlare quei di Viedma. Vendette tre paramenti per la Messa con un piviale proprietà del collegio delle Suore di Patagones e appartenenti alla Missione di S. Francesco Solano, e che poi passò in nostro potere. Nel 1884 commise l'errore di vendere la chiesa di Patagones senza consultarne la Curia. Egli lo fece con buona intenzione cioè d'invertirne il prezzo nell'edifizio d'una nave della nuova, con tutto ciò si bisbigliò, si scrisse nei giornali cose incredibili esagerando i fatti e poi si venne alla determinazione di fare una raccolta di accuse, presentarle al Ministro di Pubblica Istruzione per sollecitare da lui la sentenza che doveva allontanate dalla Patagonia tutti i Salesiani. I principali capi di accuse erano che essi avevano tenuto una condotta immorale, che negoziavano, che avevano venduto ornamenti di Chiesa e che erano rei di aver venduta la cappella di Patagones e per ultimo adducevano per prova che i Salesiani sono negozianti, il laboratorio dei calzolai in una sala del Collegio ed aperta al pubblico.
La prima e l'ultima di queste accuse non hanno fondamento e sono pure calunnie. Monsignor Espinosa ci ha fatto un gran servizio scrivendo a D. Fagnano che si difendesse consigliandolo a dire che la Chiesa l'aveva venduta con licenza della Curia ecclesiastica. Con questa franchigia il P. si difese presentando un discreto numero di firme in suo favore.
L'Arcivescovo in gennaio inviò un rappresentante suo, D. Luis Duprà accompagnato da un Diacono Roca Carranza, i quali riuscirono a pacificare il Governatore e lo disposero a riconciliarsi con D. Fagnano ed accettare D. Remotti e D. Daniele; il primo a parroco di Viedma, il secondo di Coronel Pringles. Deo gratias. D'or innanzi per star bene colle Autorità, secondo me, nei negoziati coram praesidibus, si ha da tener più nascosto il carattere religioso nei Salesiani della Patagonia.
LETTERA DI DON FAGNANO A DON BOSCO.
Deo gratias. Il Signore ci ha visitati permettendo una persecuzione molto seria contro di noi e della Congregazione e solo in questi giorni pare che ci voglia consolare sedandola. Dico pare, perchè forse potrà diventare più cruda essendo noi fatti segno alle ire del governo. Don Milanesio le ha già scritto, ma non sarà inutile che io le narri succintamente il fatto.
Noi abbiamo due parrocchie da amministrare e quattro collegi da dirigere. Una parrocchia e due collegi in Carmen di Patagones, paese situato sulla riva sinistra del Rio Negro soggetto alla provincia di Buenos Aires dove io fui nominato parroco nel 1880. Ora uno dei locali destinati per collegio è affittato.
L'altra parrocchia e gli altri due collegi sono in Viedma, capitale del territorio della Patagonia e si trova sulla destra del Rio Negro dipendente direttamente dal governo della Repubblica, rappresentata d'al governatore, che adesso è il generale Winter. D. Rizzo prima e dopo D. Milanesio furono nominati parroci di questa parrocchia dall'Arcivescovo Mons. Federico Aneyros, i quali ad un tempo erano Cappellani del governatore. Io aveva ottenuto dal generale Winter la licenza di mandare in missione D. Milanesio, lasciando in paese un sacerdote che ne facesse le veci; tanto più che mi aveva detto il generale che desiderava intendersi con me quanto al servizio.
Stavano così le cose quando il 12 aprile 1884 si incendiò la chiesa di Viedma. Il generale disgustato mi disse che l'incendio era cagionato dalla negligenza dei Padri. Per placare un poco il suo sdegno ho allontanato D. Beauvoir, il quale d'altronde mi aveva chiamato di andare a Buenos Aires. Il generale andò a Buenos Aires in luglio e ritornò in settembre, nel quale tempo si sollevò la questione religiosa. Imbevuto da falsi principii, spinto dai giornali del governo cercava motivi per attaccare questione con noi. Il giorno 7 settembre D. Milanesio resiste alle pretenzioni della signora governatrice e nella stessa sera è licenziato dall'ufficio di cappellano del governo. Il giorno 9 il governatore s'impossessa della Chiesa parrocchiale di Viedma e ne sequestra gli arredi sacri, facendola sgombrare dai missionarii. Nello stesso giorno ebbi un colloquio col governatore, il quale dimentico della sua dignità e dell'amicizia che mi aveva più volte dimostrata, s'infuriò, pronunziò parole violenti e villane contro D. Milanesio, e D. Beauvoir. Io non potendolo calmare mi ritirai e obbligai D. Milanesio a ritirarsi nella casa di Patagones dove il governatore non può esercitare nessuna autorità. Intanto D. Daniele e D. Pestarino seguitavano a celebrare le funzioni [759] parrocchiali nella Cappella delle suore in Viedma, avendo incominciato il 12 aprile.
Dopo una ventina di giorni D. Milanesio partì per una missione e siccome era frontiera militare, doveva chiedere licenza al generale. Ciò fece in parte perchè domandò solo per Pringles distante ottanta chilometri da Patagones, ma poscia proseguì più oltre le sue escursioni apostoliche. Appena il governatore, che è anche capo della frontiera militare, lo seppe, diede ordine assoluto che si facesse tornare indietro e gli si proibisse di esercitare il sacro ministero. Quando D. Milanesio ritornò, lo mandai a Buenos Aires. Che vuole! La ragione l'abbiamo noi, la Curia Ecclesiastica lo vede, ma contro la forza non val ragione. Adesso bisogna subire le conseguenze di uno sdegno ingiusto.
Mentre in Viedma accadeva questo, in Carmen un periodico che esce tutte le Domeniche se la prese contro il sindaco e contro di me e chi soffiava in questo periodico era il generale Winter per mezzo di alcuni ufficiali dell'esercito, dai quali mi faceva insultare e poscia accusare davanti alla Curia Ecclesiastica. Mi difesi sopra il giornale La voz de la Iglesia, e chiesi che si mandasse in Patagones qualche incaricato della Curia, affinchè si chiarissero le accuse. Nello stesso tempo domandai licenza di chiamare in tribunale come calunniatore chi mi aveva ingiuriato, ma D. Costamagna non mi permise quest'ultimo passo, e lasciò che si mandassero persone per appurare la verità dei fatti. Queste vennero, trovarono che tutto per parte nostra andava bene e così fu rivendicato il nostro onore.
La popolazione, che è sempre stata dalla nostra parte, fu soddisfatta di questa sentenza.
Intanto la casa ha perduti alcuni soccorsi che gli agenti del governo avevano la bontà di passarci e noi e i nostri orfani per vivere siamo ridotti molto alle strette.
Abbiamo incominciato a fare la Chiesa nuova in Patagones, o meglio, a proseguire i lavori in quella incominciata nel primo anno della nostra missione, ma le costruzioni vanno molto adagio per mancanza di mezzi. La popolazione è molto povera e il governo finora non ci ha dato nessun soccorso.
Abbiamo bisogno di preparare qualche stanza meno disagiata, quando venga Mons. Cagliero, poichè per noi stessi non abbiamo abitazione sufficiente e ci mancano mezzi per ingrandirla. Se Monsignore ci recasse qualche aiuto dall'Europa!
Ho ricevuto da D. Rua la notizia che mia madre è ricoverata presso l'Oratorio. La ringrazio di cuore di questa carità ed il Signore paghi a Lei ed alla Congregazione quanto hanno fatto per la mia famiglia. Ciò mi consola e mi rende tranquillo.
Con tutto il cuore la saluto e le desidero felicità, mentre qui farà tutto il possibile per corrispondere a quanto da me richiede la Congregazione. [760]
Manderò i ritratti dei confratelli e delle suore coi rispettivi collegi. Io non vi sono, perchè quel mattino che si prese il ritratto era andato ad assistere un infermo lontano duecento chilometri.
Riceva i saluti dei nostri confratelli, delle suore, dei nostri orfanelli e orfanelle.
Il Provinciale abruzzese dei Minori Riformati
La mia Fede ha provato un vero, dolce e potente conforto semprecchè mi è avvenuto di leggere relazioni ed articoli che predicavano, ad edificazione del prossimo, le varie opere della squisita Carità evangelica esercitata con infaticabile zelo dalla Reverenza Sua.
Se non che, a confessione del vero, un tale bello effetto, da me sperimentato, ha notabilmente degradato quando mi è giunto a conoscenza, che Ella, insieme ai Padri Salesiani, si è assunto il carico di impiantare in Penne, città del Teramano, un Educandato pe' figli del popolo, e di volerlo impiantare proprio nel Convento di S.ta Maria Cobromano, posseduto per tre secoli e più dai Minori Riformati della Provincia monastica di S. Bernardino negli Abruzzi, e sul quale io esercito oggi giurisdizione ordinaria!
Molto Reverendo, se ciò che narra la fama, è vero, io avviso che Ella, tratta in inganno, non abbia ponderata bene la cosa circa al luogo da occuparsi per la surriferita bisogna, mentre non ardirei manco pensare che Ella ignori, come un'opera qualunque, per dirsi informata a carità, debba non presentar difetto di sorta da nessun lato.
Difatto, coll'occupare un Convento, posseduto da altri canonicamente e legalmente, a fine di istallarvi un Istituto umanitario, non è a dubitarsi che l'opera in apparenza caritatevole, riuscirebbe in realtà difettosa, e quindi non accetta a Dio; perchè, fondandosi sulla ingiustizia, non sarebbe mai un vero bene, il quale risulta solo ex integra causa.
Dopo ciò, nella piena fiducia che Ella, da ferventissimo cattolico Sacerdote quale è, non farà gridare allo scandalo quando accadesse doverla vedere, pel fatto sopradetto, non punto curante dei solenni e terribili Anatemi scagliati dal Vaticano contro gli audaci usurpatori [761] de' beni della Chiesa, anche per non esser io astretto dal dovere ad emettere pubblica e solenne protesta contro la azione iniqua che si tenterebbe compiere, mi attendo una sua risposta inspirata dal giusto e dall'onesto.
Gradisca intanto le espressioni della mia stima.
Aquila (Abruzzi) dal Convento di S. Giuliano
Ministro Provinciale de' Min. Riformati.
Lettera di Don Apicella a Don Bosco.
Innanzi tutto auguro di cuore a vostra Reverenza, ai RR. Superiori, ai collaboratori ed a tutti i ricoverati delle sue case le più elette grazie di N. S. G. C. ad multos annos e prego la Divina misericordia che non voglia far perire nessuno de' ricoverati, che ha attinto o attingerà le salutari dottrine in tutte le sue case, presenti e future. Io qual indegnissimo peccatore, prego Dio benedetto, che le moltiplichi per tutto il mondo, innestando, se sarà d'onore e gloria di Dio, alla sua ubertosa vigna anco questo piccolo grappolo d'uva delle nostre case de' poveri sordomuti. Messis multa, operarii pauci. Si, mio buon P. in Gesù, la nostra buona Madre M.a SS.ma medesima, qui annessa Le reca la domanda. In Napoli non mancano di buoni giovani e mezzi di provvidenza. Da parte mia sarò felice e contento di occupare l'ultimo posto.
Le pie case sono quattro; una in Napoli, una a Casoria e due in Molfetta con circa 140 sordomuti d'ambo i sessi; 6 sacerdoti e 25 fratelli cooperatori, che vestono abito talare. Le case sono di nostra proprietà con la debita obbedienza agli Ordinari.
Per ulteriori delucidazioni potrà scrivermi, o verrò di persona costà. Ecce me, pronto alla S. ubbidienza. Bacio la mano a V. Reverenza ed a tutti i suoi superiori e genuflesso ai suoi piedi chieggo la benedizione per l'opera e pel
(VERBALI DEL CAPITOLO SUPERIORE, 12 sett. 1884).
Presiede D. Bosco. Sono presenti D. Rua, D. Cagliero, D. Durando, D. Lazzero, D. Sala, D. Francesia, D. Barberis. Colle solite preghiere si apre la seduta alle ore II ant.
I. DON SALA presenta i disegni per la costruzione dell'ospizio del Sacro Cuore in Roma, Sono tre: Vespignani, Cucco, Vigna. Dichiara d'urgenza il procedere ad alcune deliberazioni. In primo luogo espone che i lati dell'area che sono lungo la via Marghera e via Magenta sono ancora cinti con un assito pel quale si paga al Municipio una tassa annuale di 550 lire e che è causa di noioso tormento di contravvenzioni fatteci regalare dal nostro vicino deputato Bonghi che non può soffrire di avere innanzi agli occhi quegli assi. Propone quindi di togliere l'assito e far fare un muriccio di mattoni. La tassa di un anno paga la spesa. - Il Capitolo approva.
2. DON SALA propone la costruzione del braccio dell'ospizio sul lato via S. Lorenzo che unirebbe la casa dell'angolo coll'ambulacro della chiesa. Da questo lato l'ospizio avrebbe due soli piani. Il pian terreno doppio, cioè scuole o laboratorii o portici: il piano superiore consistente in due cameroni. Per regolarizzare il cortile interno e formare un cortile perfettamente quadrato il disegno dell'impresario Cucco porta che il lato della fabbrica via Porta S. Lorenzo sia fatto come la figura di un trapezio prolungato così che i portici siano regolari, ma le stanze dietro abbiano il lato che prospetta la strada divergente e non parallelo al suo opposto. Le stanze quindi andrebbero di mano in mano crescendo di ampiezza, ma, come si capisce, di forma irregolare. Si sacrificherebbe la regolarità delle stanze alla regolarità del cortile.
Il disegno dell'ingegnere Vigna invece non cura il cortile, ma sibbene la regolarità delle stanze che divise da stibii servirebbero ad un uso, e tolti gli stibii, si avrebbe la bella forma regolare di saloni. Nel cortile poi alquanto ristretto si guadagnerebbe un certo numero di metri quadrati per la ricreazione dei giovani. Vi sarebbe l'economia di quasi metà della spesa.
DON RUA sostiene il disegno Cucco, DON SALA il disegno Vigna.
DON BOSCO accetta il disegno Vigna.
IL CAPITOLO approva la costruzione immediata del braccio prospettante via S. Lorenzo e il disegno Vigna. In massima vien pure adottato il disegno Vigna per tutte le costruzioni dell'ospizio, che ha in ogni piano due membri larghi 5 metri, divisi in tutta la loro lunghezza da un corridoio largo metri 2. Si trova che metri 5 è il minimum di larghezza che possono avere le camerate dei collegi. [763]
3. DON SALA presenta due disegni per la facciata del braccio in via S. Lorenzo: uno di Cucco, più semplice; l'altro di Vespignani, più ricco.
Siccome questo braccio fa prospetto colla facciata della chiesa, DON CAGLIERO afferma essere cosa convenientissima arricchire quel lato.
DON RUA lo appoggia, asserendo ciò richiedere il decoro della casa di Dio.
Il CAPITOLO approva e adotta il disegno di Cucco, prendendo il disegno di Vespignani per le due porte d'entrata poste alle due estremità.
4. DON SALA propone che sotto la manica prospettante via S. Lorenzo non si facciano i sotterranei. Vi sarebbe con ciò gran risparmio di spesa. a) Non vi sarebbero trasporti di terra. b) Le muraglie non si fonderebbero, come si dovrebbe altrimenti, a 14 metri sotto il livello del suolo, ma solamente a pilastri. - Doversi eziandio notare che via Porta S. Lorenzo essendo frequentatissima, questi sotterranei permetterebbero che un continuo rumore desse noia all'interno dell'ospizio.
DON RUA aggiunge che in via S. Lorenzo essendovi i canali o condotti delle acque, noi da quella parte dovremmo girare gli scoli delle nostre acque e che il sotterraneo dovrebbe essere attraversato dai tubi di ferro per questi scoli. Ciò porterebbe spesa, incomodo, e forse renderebbe in parte inutili i sotterranei, almeno per certi magazzeni. D'altra parte la chiesa e gli altri due bracci di fabbrica avranno sotterranei grandissimi.
IL CAPITOLO decide di non fare i sotterranei sotto il lato della fabbrica via Porta S. Lorenzo.
5. DON SALA presenta la questione rimasta sospesa nell'ultima seduta, cioè se la fabbrica dell'ospizio si doveva dare a Cucco per impresa o per economia. Nota di bel nuovo la quantità grande di materiale che si trova nel cortile. D. Sala vorrebbe che prima si finisse la chiesa e poi si desse mano all'ospizio; così non s'imbroglierebbero due opere. Se Cucco avesse la chiesa ad economia e l'ospizio ad impresa, ci vorrebbe uno steccato che dividesse il materiale della chiesa da quello dell'ospizio, ci vorrebbero due fossi di calcina ecc. Ci vorrebbero muratori diversi per una parte e per l'altra; altrimenti, come ovviare che i muratori di una parte non fossero chiamati dal capo a lavorare dall'altra, che i carrettieri non versassero in un cortile il materiale destinato per l'altro? ecc. ecc. - La questione è gravissima per l'economia.
IL CAPITOLO delibera che l'impresario Cucco colla chiesa edifichi pure ad economia il braccio che prospetta via S. Lorenzo, Finito questo, si farà l'esatto inventario di tutto il materiale rimasto nel cortile. Quindi per la costruzione di tutto il restante fabbricato si faranno i [764] patti per darlo a impresa (ossia a botta) e a Cucco si cederà il materiale esistente con l'estimo della somma che dovrà prelevarsi dal debito totale che contrarremo con lui pel pagamento dei lavori.
6. DON BOSCO espone che il conte Colle Comm. di Tolone intende ancora concorrere nella spesa della chiesa e ospizio, ma che desidera porre esso stesso la pietra angolare di detto ospizio. Per questa cerimonia bisognerebbe fissare il mese di aprile.
IL CAPITOLO delibera che la pietra angolare dell'ospizio si porrà nel mese di aprile sulle fondamenta del braccio prospettante via S. Lorenzo.
7. DON BOSCO chiede se l'ingegnere Vespignani sa che l'ingegnere Vigna e l'impresario Cucco hanno fatto i disegni dell'ospizio che esso desiderava costrurre.
DON SALA dice che, venuto a vedere l'ospizio di S. Giovanni, lo stesso Vespignani affermò che dei nostri bisogni esso non se ne intende. Quindi era come un lasciarci in libertà.
DON BOSCO nota doversi fare le cose con prudenza, perchè a simile gente non mancano appigli. Già abbastanza restammo legati a lui per la chiesa. Tuttavia noi per l'ospizio non abbiam fatta nessuna convenzione col Vespignani, ed esso non può ingerirsi in nulla. Dobbiamo cercare tutti i mezzi per emanciparci.
DON SALA osserva che l'ingegnere Grazioli, che va sempre a vedere i lavori del Sacro Cuore, vedendo incominciare gli scavi, potrà fare qualche osservazione.
DON BOSCO dice che si getti pure ogni responsabilità sulle sue spalle. Don Bosco è quello che ha ordinato. Finita la chiesa, ogni cosa bisogna che sia ridotta a nostra padronanza. In questo, Vespignani non deve immischiarsi niente.
DON SALA soggiunge che sul principio Vespignani sperava far tutto; ma che con quelle parole che gli ha detto, sembra aver rinunziato ad ogni pretesa. Questa parola ci mette al coperto.
Colle solite preghiere si leva la seduta alle 12 e 20 pom.
Sala del Capitolo Valsalice 12 settembre 1884.
Sac. LEMOYNE G. B. Segretario.
Per un ricreatorio laico a Faenza.
La rappresentanza Municipale ha con provvido consiglio deliberato d'istituire colle norme che vedrà qui unite, un Ricreatorio festivo, dove, tolti ai pericoli dell'ozio e alle funeste conseguenze dell'abbandono, possano [765] i fanciulli del popolo crescere gagliardi d'animo e di corpo al sentimento dell'onore, alla coscienza della propria dignità, ai santi affetti della Famiglia e della patria.
Ma come a raggiungere un tanto scopo non bastano nè il buon volere nè le generose offerte del solo Municipio, così è necessario che ad esso si stringa in benefico Consorzio cogl'Istituti e le Associazioni tutte del Paese, ogni ordine di Cittadini, per il che quanto prima ricorreremo direttamente alla S. V. per un valido aiuto alla più educatrice fra le civili Istituzioni.
Frattanto gradisca che si rassegni
LADERCHI Conte Cav. ACHILLE Presidente.
APPROVATO DAL COMUNALE CONSIGLIO DI FAENZA
I° Il Municipio di Faenza si fa promotore di un benefico Consorzio istruttivo allo scopo di sottrarre nei giorni festivi con piacevoli ed utili esercizi i figli del popolo ai pericoli dell'ozio e dell'abbandono ed istituisce, sull'esempio d'altre città d'Italia, apposito ricreatorio.
2° Saranno ammessi a frequentare il ricreatorio indistintamente tutti i fanciulli maschi della città, del Borgo e dei sobborghi, i quali abbiano raggiunto i sette anni d'età e non oltrepassati i quattordici.
3° Il ricreatorio resterà aperto ogni giorno festivo nelle ore che verranno prescritte da apposito regolamento.
4° I fanciulli troveranno nel ricreatorio, sotto la direzione di incaricati, istruzione e divertimento: l'istruzione sarà data in guisa che torni facile e dilettevole: il divertimento consisterà in quelle esercitazioni che meglio favoriscono la sanità fisica e morale dei giovanetti.
5° L'Istituzione mirerà specialmente a formare il carattere dei giovanetti, ad infondere nel loro animo il sentimento dell'onore e della propria dignità, ad educarli agli affetti della Famiglia e delta Patria.
6° Per facilitare la Istituzione del Ricreatorio il Municipio concederà un locale per ogni rispetto conveniente, ed ogni anno stabilirà nel bilancio una somma, onde concorrere al suo mantenimento. [766]
7° Allo stesso fine verrà aperta una pubblica sottoscrizione per Azioni consorziali di lire 3 ciascuna all'anno, e il firmatario vi rimarrà obbligato per tre anni.
8° Per la sottoscrizione di cui al precedente articolo si farà appello ai cittadini, agl'istituti di beneficienza, ed a quelli di credito che hanno pure uno scopo filantropico.
9° Il Municipio farà pure validi uffici perchè non manchi il concorso del Governo nè quello della Provincia alla benefica Istituzione.
10° L'Amministrazione del Consorzio e la Direzione interna del ricreatorio saranno affidati ad una commissione presieduta dal Sindaco del Comune e composta di quattro cittadini nominati come appresso.
11° Due dei componenti la commissione saranno nominati dal Consiglio Comunale anche fuori del suo seno, gli altri due saranno, scelti fra gli azionisti in un'assemblea generale del Consorzio.
12° I quattro cittadini componenti la Commissione Direttiva ed Amministratrice, resteranno in carica tre anni e potranno essere rieletti.
13° Il Regolamento interno del Ricreatorio verrà compilato dalla Commissione eletta nel modo più sopra indicato.
14° La nomina di tutto il personale stipendiato occorrente al Ricreatorio è devoluta alla Commissione, che lo dirige ed amministra.
Lettera di Don G. B. Rinaldi a Don Rua.
Otto giorni addietro Le spediva di somma premura una lettera in cui le annunciava la stipulazione definitiva del contratto ed il nostro pacifico ingresso in città e presa di possesso della nuova casa, nella quale per mirabili fini segnati dalla Divina Provvidenza ci troviamo finalmente abbastanza benino.
In essa io insisteva sulla estrema necessità che Ella, se poteva, o qualche altro intelligente Superiore venisse tosto a dare a questo caos di edifizii, un disegno generale, una forma conveniente allo scopo.
Vi è da adattare il luogo per la Cappella, che ora facciamo in due camere poste in comunicazione fra di loro per una porta che si apre in mezzo. Vi sarebbe anche da affittare per ora una parte della casa ed un orto grandissimo. Bisognerebbe apprestare una sala pel teatrino che in questi paesi si rende a noi indispensabile come il tamburo pel cerretano.
Bisogna far subito qualche cosa per turare la bocca ai maligni. Tutta la città aspetta. Vi ha di più. Oltre le molteplici domande che [767] mi si fanno di accettare fanciulli in casa, lo stesso Sotto Prefetto ne avrebbe cinque da consegnare e uno o due il Municipio. Ciò darebbe ad essi il motivo da addurre per giustificare la loro protezione che ci accordano e per noi sarebbe la più grande delle approvazioni in faccia al Governo ed al paese, perchè questi fanciulli sono proprio abbandonati e disperatelli...
Supplica di Don Bosco al Prefetto di Portomaurizio
per la Lotteria di Vallecrosia.
Il sottoscritto commosso allo stato miserando intellettuale e morale in cui giaceva gran parte della gioventù dei piani di Vallecrosia presso Ventimiglia, aperse colà e precisamente nella regione Torrione fin dall'anno 1876 scuole gratuite elementari pei giovanetti d'ambo, i sessi, dove potessero coll'istruzione ricevere la necessaria educazione morale e civile. Quest'opera iniziata con non poco sacrifizio incontrò largamente; vi accorse la gioventù specie quella più distante dalle, scuole del Capoluogo, con generale soddisfazione di quegli abitanti che vedevano in tal modo salvati i figli loro dall'ignoranza e dal vizio. Ma i bisogni crescevano ed oltre al pane della scienza molti fanciulli orfani ed abbandonati abbisognavano pure di quello materiale della vita. A fine di provvedere anche a questo il sottoscritto intraprese la costruzione di un ospizio con due separati locali, ove fossero gratuitamente non solo educati ma ancora alloggiati e mantenuti i ragazzi più bisognosi dell'uno e dell'altro sesso. L'Ospizio fu ormai condotto a termine e parecchi già vi hanno ricovero. Ma rimangono non poche passività pel saldo di quello che fu già fatto, come per completare il disegno. A questo intento parecchie benemerite persone offersero svariati oggetti che arrivano al migliaio per attuare una lotteria di beneficenza a favore di quell'Ospizio. Fidato pertanto nella benevola sollecitudine con cui il R. Governo suol accorrere al sollievo morale e materiale della gioventù povera ed abbandonata, mi rivolgo, all'Ecc.za V, perchè voglia concedere a questa lotteria la necessaria autorizzazione.
Vivo persuaso che l'E. V. vorrà con tal concessione far paghi i voti del sottoscritto che son pur quelli della popolazione dei piani di Vallecrosia e offrir con essa il modo di preservare tanta gioventù dal vizio, dalla miseria e dal vagabondaggio in cui cadrebbe ove non [768] fosse convenientemente educata e ricoverata. In questa lieta persua- , sione anticipo all'Ecc. V. le più sentite grazie e gliene assicuro la più profonda riconoscenza a nome proprio e di tanti poveri ragazzi che saranno per tal modo beneficati, protestandomele con riconoocenze stima, ecc.
Tre leffere del Vescovo di Liegi a Don Bosco.
Vous remerciant de la réponse que vous avez bien voulu me faire adresser et de toute la charité avec laquelle vous adoucissez l'a peine que le délai annoncé devait me causer, j ai l'honneur de vous informer
'qu'il ne me sera pas possible d'être le 15 7bre à Nice. Au printemps prochain je ferai un voyage à Rome et j'espère qu'à cette occasion je pourrai avoir le bonheur de vous visiter.
En attendant je prierai le Seigneur pour qu'il vous envoie des ouvriers plus nombreux et qu'il vous inspiré de m'en réserver quelques unes pour mes chers orphelins et pour les vocations ecclésiastiques perdues en si grand nombre dans mon diocèse. Puisse la Vierge Immaculée exaucer ce voeu si ardent de mon coeur!
Veuillez agréer, Révérendissime Père général, l'hommage de mon plus profond respect et de tout mon dévouement en N, S. J. C.
Très Révérend Supérieur général,
Sortant de l'audience du St Père, je me fais un doux devoir de vous' informer que je suis ponctuellement acquitté de la, demande que vous m'aviez confiéé. Le St Père vous accorde ainsi qu'à toute votre Maison de Turin se paternelle bénédiction. Il m'a rappelé qu'il vous avait vu il y á peu de jours et n'a nullement été surpris d'entendre de ma bouche ce que vous, vos religieux et vos enfants vous êtes pour le St Père.
Je lui ai fait part de ma démarche auprès de vous et comme j'implorais son appui il m'a chargé de vous ècrire a qu'il connaît la ville de Liège, qu'il lui porte grand intérêt, qu'il l'aime beaucoup et qu'il désire vivement la voir dotée d'un orphelinat dirigé par vos religieux». [769]
Ces paroles dites avec un ton de fermeté et d'insistance qui m'ont frappé, fortifient de plus en plus en moi la confiance qu'en vous adressant mon ardente supplication, j'ai accompli la volonté de Dieu et que per' conséquent les moyens de réaliser ce que vous m'avez dit être votre ardent désir, un souhait que vous formez de tout votre coeur, ne vous manqueront pas. Poissé-je ne pas me rendre indigne de cette faveur! J'ai remis cette affaire dans les mains de N. D. Auxiliatrice en la visitant avant de quitter votre établissement: cette bonne Mère exaucera la prière que je lui ai faite pour mes pauvres enfants qui sont bien plus encore les siens; depuis ma prière, je ne me considère plus que comme un instrument dans ses mains pour.l a servir dans une entreprise qu'elle a sur mon humble demande adoptée comme sienne.
Recevez, très Rév. Père, mes nouveaux remerciements pour l'accueil si bienveillant que j'ai reçu de votre Paternité et de tous les vôtres; j'en conserverai le plus édifiant et le plus consolant souvenir.
Partout à Rome je prie pour l'accomplissement de la demande que je vous ai adressée; je l'ai fait surtout auprès de St Philippe de Néry, de St Louis de Gonzague et de mon saint compatriote le B. jean lierchmans. Je la recommande sans cesse aux bons Anges et aux Saints Patrons de mon diocèse. J'ose compter sur vos prières aussi. Je ne sais si je vous ai dit que j'ai chargé de la même commission au ciel un de mes saints prêtres qui me demandait la bénédiction avant de mourir il y a deux mois environ. Pardonnez-moi de vous écrire avec un tel abandon: votre bonté à mon égard m'a tellement attaché à votre personne dans l'amour de N. S. J. C. que mon coeur ne craint pas de s'épancher avec la plus simple naïveté auprès de vous.
Veuillez agréer, très Rév. Père, l'hommage de ma profonde et toute dévouée vénération.
Me rappelant avec autant de bonheur que de reconnaisance l'a... cueil que vous voulutes bien me faire avec taut de bienveillance il y deux ans, je prends la liberté de vous demander une audi... quelques instants pour le porteur de cette lettre. C'est Mr l' Doreye, chef organisateur et soutien de quantités d'oeuvres call....
dans ma ville épiscopale et dans mon diocèse. II sera heures cevoir votre bénédiction et de vous redire encore mou vif désir de s'établir une maison de votre ordre dans la ville sl industrielle de l... [770]
Vous avez bien voulu me faire une promesse pour le temps où vous auriez des sujets; le St Père à qui j'en avais parlé m'avait permis de vous diré qu'il connaît beaucoup la ville de Liège et qu'il désirait vivement vous voir accepter ma demande. J'ai un terrain; un vaste local servant déjà de patronage et pouvant être facilement aggrandi, il s'y trouve une chapelle. Rien ne serait plus facile que d'y établir un établissement semblable à celui de Turin. je suis persuadé que le diocèse vous donnerait en peu de temps plus de sujets que vous ne m'en auriez accordé.
C'est dans la neuvaine de N. D. Auxiliatrice que je vous ai présenté ma demande; je l'ai confiée à cette bonne Mère; dès se soir je vais me préparer à sa fête par une Octave de prières et j'espère qu'elle vous dira que la volonté de son Divin Fils est que vous veniez en secours de mes pauvres orphelins tous abandonnés aux établissements du gouvernement; d'autres âmes nombreuses viendront encore chercher le salut auprès de vos bons religieux. Ah! je vous en supplie, daignez demander à N. D. Auxiliatrice qu'elle vous éclaire sur mes instances, je ne puis douter qu'elles sont selon la volonté de Dieu.
Mr Doreye désire se rendre compte de vos oeuvres à Turin; il vous sera reconnaissant si vous voulez bien lui donner un de vos bons religieux pour les lui montrer.
Agréez, je vous prie, très Révérend Supérieur général, mes hommages les plus dévoués et les plus respectueux.
Lettera di Donna Dorotea a Don Bosco.
Ademas de haber escrito a V. pidiendo informes sobre las obras de la Congregación Salesiana escribí al Padre Branda superior de la casa de Utrera, el cual me ha dado muchas noticias sobre este asunto. Recordará V. que en la carta que le diriji en 20 de Setiembre ultimo, le desia que mi propósito era contribuir à fundar en los alrededores de Barcelona un establecimiento en que se enseñen artes y oficios bajó la dirección de la Congregación -Salesiana.
Creo que lo mejor para adelantar este asunto, es qué en caso de que no pueda V. venir à Barcelona, se sirva disponer que venga pronto otro Padre Salesiano, inteligente en materia, de fundaciones, con el cual trataríamos de este asunto con acuerdo de otras personas .de esta ciudad y especialmente del Illustrisimo Sr. Obispo, con cuya paternal benevolencia podemos contar indudablemente: [771]
EI Padre Salesiano que venga à Barcelona podrá habitar en mi propia casa y yo abonaré los gastos de su viaje.
Se recomienda à las oraciones de V. su afectisima S. S.
Barcelona, 12 Octobre de 1882.
Schema della convenzione fra Don Bosco e
Società civile di Lille (19-12-83 e 14-1-84).
I. Cessione di un fabbricato, classi, cappella e terreno di 4575 mq. da una parte e
2. Don Bosco dall'altra prende possesso del suddetto il 1-2-1884. La continuazione di suddetta Società.
3. Durata della cessione a Don Bosco di 15 anni.
4. Durante questo tempo si prometterà un'altra di 15 anni.
5. Don Bosco prende la cura dei fanciulli, della loro accettazione con facoltà di non accettarli oltre i 16 anni, ma non meno di 8 anni.
6. Don Bosco dovrà accettare i fanciulli presentati dai fondatori fino al numero di 14. Don Bosco avrà durante l'occupazione 300 franchi di rendita dal cap. Destombes. La Società ritirerà invece 3600 franchi annui.
7. In compenso si cederà a Don Bosco 1/12 parte, la quale tornerà al primo possessore, se Don Bosco non avrà tenuto l'amministrazione della casa almeno tre anni.
8. Si creeranno 12 parti che apparterranno a Don Bosco o ai suoi preti senza dover versare. Ritirandosi Don Bosco dalla direzione, anche queste 12 parti saranno risolte per tutto ciò che eccederà una cifra eguale al terzo del numero degli anni trascorsi dalla presa di possesso. Le parti risolute andranno a favore di quelle ancora attualmente esistenti.
9. Don Bosco si propone di costruire un fabbricato e far acquisto di mobili per 15.000 franchi, che faranno l'attivo della Società civile, perchè rappresentano le 12 parti.
10. La Società civile ha stabilito a favore del sig. Vandebenque la rendita di 1300 franchi dal cap. di 20.000 al 4 ½ %.
Di questi titoli rimessi a Don Bosco, questi diverrà padrone. Se Don Bosco verrà a cessare, dovrà prima provvedersi e dare una sufficiente garanzia.
11. L'orfanotrofio ha una cassa di risparmio di 1200 franchi. [772]
12. In calo di liquidazione serviranno a Don Bosco per il pagamento le parti addizionali affidategli.
13. Il presente atto non potrà essere mutato se non con la maggioranza di 2/3 dell'assemblea generale.
Lettera di De Monfigny a Don Bosco.
Très Cher et très Vénéré Dom Bosco,
Je vous exprime ma vive reconnaissance de la lettre si bienveillante et si affectueuse que vous avez daigné m'adresser par l'intermédiaire de Dom Bologne, le nouveau directeur de notre orphelinat de St-Gabriel.
Comme vous le dites fort bien, nous devons rendre grâce à Dieu de ce qu'il a permis l'accomplissement d'un projet formé depuis un an environ et à la réalisation duquel j'attachais le plus grand prix.
Tout est donc heureusement fini à ce sujet, et, aujourd'hui même, j'ai installé l'Abbé Bologne dans notre maison.
Ce digne Prêtre a bien voulu passer quelques jours chez moi avant d'entrer en fonctions, et je puis dire que j'ai été édifié de sa piété profonde, de son dévouement aux enfants et de son désir de bien faire. Il réussira, je n'en doute pas, et je vous félicite du choix que vous avez fait de lui pour suivre et développer notre oeuvre.
L'entrée de Dom Bologne s'est donc faite à St-Gabriel, sans bruit et sans éclat, comme il le désirait, et les Soeurs de charité` ont été extrêmement bonnes et serviables dans la transmission de leurs pouvoirs.
Elles ont fourni, au nouveau Directeur, tous les renseignements dont il avait besoin et comme la Supérieure reste à Lille, elle pourra, plus tarde, être encore très utile à notre maison par les indications qu'elle est toute disposée à donner.
Madame de Montigny a été très touchée de votre paternel souvenir. Comme moi, elle est profondément attachée au chef des Salésiens, et tous deus nous vous remercions de coeur de la bénédiction particulière que vous voulez bien accorder à notre bien aimé fils,
Je vous prie d'agréer, mon Révérend Père, le nouvel hommage de mon profond et respectueux dévouement.
PS. J'ai présenté, samedi 26 janvier, Dom Bologne à l'Arche vêque de Cambrai qui a fait, au représentant de Don Bosco, le plus affectueux accueil. [773]
Leffera di Don Bologna a Don Bosco.
Je suis à bille depuis lundi de cette semaine. La famille de Montigny est très bon pour moi. J'ai fait autant de visites qu'il était convenable à des familles de la ville. Ce ne sera que mardi que j'irai demeurer à l'orphelinat. J'espère qu'on enverra quelqu'un pour ce jour là.
Je n'ai pas vu les enfants et je ne pense pas de leur parler avant d'être entièrement installé. Tous les jours je vais passer une heure avec la Supérieure de l'orphelinat pour avoir des renseignements. Les soeurs se conduisent. très convenablement en cette circonstance.
Toutes le personnes avec lesquelles j'ai parlé paraissent accueillir avec bonheur la nouvelle de notre installation à St-Gabriel. Les membres du clergé paraissent aussi très favorables... On m'avait dit que
Monseigneur l'Archevêque de Cambrai était à Paris et qu'il y resterait jusqu'à fin du mois. J'ai pensé de lui adresser toutes les lettres que j'avais pour lui. C'est ce que j'ai fait. je lui ai envoyé avant-hier votre lettre, la lettre de Mgr Robert [428] etc., une lettre que j'avais demandé a Mr Guiol (pour lui faire plaisir). Mr de Montigny à ajouté un mot à la demande que j'adressais à Mgr pour avoir toutes les facultés nécessaires.
Le hasard a fait que Monseigneur a dû venir à Lille hier au soir. Ce matin je suis allé le voir avec Mr de Montigny. Il m'a reçu comme un vieux papd. Il avait reçu un peu avant toutes mes lettres. Il me serra sur sa poitrine et se resouvint qu'il m'avait vu à l'Oratoire St-Léon lors qu'il y a cinq ans il y était venu. De suite 11 m'a dit que j'avais toutes les facultés pour les confessions etc. dans l'orphelinat et dans tout le Diocèse. Demain il doit venir dîner chez Mr da Montigny et je le reverrai. C'est un bon vieux père qui nous souhaita tous lu bonheurs possibles.
J'ai fait visite à Monsieur Vrau, mais je ne l'ai pas racontré; est venu deux fois pour me voir et il ne m'a pas trouvé. Voici la carte qu'il m'a envoyé en suite[429]. [774]
Je ne sais pas ce qu'on pourra faire de ces enfants qui restent encore dans l'orphelinat. On les a un peu gâtés dans la nourriture. Ils ont café au lait tous les matins, de la bière au repas, deux plats à dîner etc.
Ce qui nous sera plus utile au commencement, n'ayant pas le droit d'enseigner, ce serait un abbé qui pût enseigner un peu de chant et de musique. Si D. Rua nous en envoyait un, ce serait le bien venu...
Le petit Alfred de Montigny va à merveille.
Pardonnez - moi la longueur et envoyez-moi tous pardonnes.
Regolamento dell'Opera del Vestiario dell'Orfanotrofio
I° L'Opera del vestiario dell'Orfanotrofio di S. Gabriele ha per oggetto di provvedere al mantenimento dei ragazzi, di fare li oggetti di vestiario indispensabile ad una decente comparsa, e in generale di fornire quanto esige la provvista di lingeria.
2° L'Opera è posta sotto la direzione dì un comitato composto di quattro dame: - La Presidente, la Vice presidente, la tesoriera, e la segretaria.
3° Si provvederà alle spese, per mezzo di doni volontari (in danaro o in effetti di vestiario) e con sottoscrizioni annuali.
4° La cifra delle sottoscrizioni è indeterminata: il sarebbe di dodici franchi.
5° Le dame fanno il lavoro a domicilio.
6° Le dame associate si dividono in Dame attive, e Dame onorarie.
7° Le dame attive si riuniscono una volta per mese all'orfanotrofio per conoscere i bisogni degli orfanelli e distribuirsi il lavoro. In questa radunanza il sacerdote incaricato della direzione spirituale dell'Opera, indirizzerà alle dame associate qualche parola edificante.
8° Le dame onorarie non hanno altra obbligazione che di versare una somma annuale di 12 franchi almeno.
9° Ogni anno una messa sarà celebrata nell'orfanotrofio per invocare le benedizioni del cielo sovra tutte le associate, le loro famiglie e per le dame defunte. Gli orfanelli faranno una questua a profitto dell'opera. [775]
10° Tutti i giorni nella cappella dell'orfanotrofio i fanciulli assisteranno alla S. Messa, reciteranno il rosario e faranno una preghiera particolare per i benefattori.
Le adesioni ponno essere indirizzate a:
Madame Aimé Houzé De L'Aulnoit, Rue Royale 61, Présidente.
Madame Charles Huet, 34 Rue des Arts, Trésorière.
Madame Erneste Loyer, Place de Tourcoing. Secrétaire, ed al Direttore dell'Orfanotrofio.
Lettera di Don Albera a Don Bosco.
La casa di Parigi è fondata. Deo gratias! Sabato, otto giorni oggi, fummo ricevuti dal M. R. d'Hulst Rettore dell'Università, che ci ritenne a pranzo col Conte di Franqueville e l'abbé Pisani. Ci trattò colla più squisita bontà, ci presentò al Cardinale che a sua volta ebbe parole ben lusinghiere per D. Bosco e pei Salesiani.
Nel dopo pranzo di detto giorno ci recammo dal Sig. Olivier Avvocato che rilesse a nostra presenza le diverse minute preparate e già note alla S. V. e a D. Rua. Si fecero alcune osservazioni, alcune piccole variazioni, si diedero schiarimenti e poi fummo d'accordo, che questi atti si sarebbero segnati il martedì.
La Società Anonima, che si costituirà fra pochi giorni, non presenta alcun inconveniente, perchè è formata da D. Bosco e dai suoi amici e non sarà mai obbligata a pagare gli interessi, come fa quella di Marsiglia, già costituita quando D. Bosco ci entrò.
La cessione dell'abbé Pisani non poteva essere meglio studiata per evitare spese. L'Avvocato Olivier e il Conte di Franqueville sono ben capaci e animati dalla miglior volontà in favore di D. Bosco.
L'abbé Pisani aveva messo troppa carne al fuoco, sarà ben difficile di poter continuare" medesimo piede. Tuttavia ho raccomandato a D. Bellamy di non fare alcun cambiamento in sul principio, di servirsi della cooperazione di quei giovani che frequentano il Patronage. L'abbé Hugot, che è là, continuerà a restarci: noi però siamo sempre liberi di congedarlo.
D. Bellamy fu proprio malcontento del contegno del chierico Berk, non lo volle proprio prendere con sè. Io ho dato la sottana a Bessière, il migliore dei nostri novizi e glie lo diedi per compagno. Farà molto bene se non altro col suo esempio.
Pei mezzi di sussistenza per ora si serviranno del danaro che il [776] Conte di Franqueville ha, e intanto facendo delle visite, si potrà ottenere quanto occorre. Se V. S. crede scrivere a qualche persona pernotificare l'impianto della casa e i suoi bisogni, ciò sarà molto vantaggioso.
I.a prego anche di scrivere due righe al Monsig. d'Hulst per ringraziarlo delle accoglienze fatteci e per tenercelo sempre amico. Egli è onnipotente a Parigi presso l'autorità ecclesiastica, e può esserci molto utile presso i buoni laici. Al Cardinale presentai gli omaggi di D. Bosco, mi presentai a suo nome.
La casa di saint Ouen è ancora allo stato di progetto: anzi il Curato della Maddalena propone di abbandonare il progetto di quella casa e comprarne un'altra a Montmorency, un po' più lontana da Parigi. Mme Meissonnier comprerebbe un castello, invece di fabbricare. Il Curato pare propenso a questo nuovo progetto. Bisognerebbe pensarci e scrivergli. Egli si basa su questo principio che adesso un piede a terra a Parigi vi è. La prego di riflettere e manifestare in tempo le sue idee al Curato della Maddalena.
Perdoni la lunghezza della lettera, gradisca i nostri augurii e ci benedica tutti.
Circolare di Don Bosco ai Cooperatori parigini.
A NOS CHERS COOPÈRATEURS ET COOPÈRATRICES DE PARIS
Il y a déjà deux ans que j'ai eu la grande consolation de me trouver au milieu de vous; et j'ai pu alors constater votre esprit de foi, de charité et de générosité, et en rendre grâces à Dieu!
A cette époque plusieurs d'entre vous m'exprimaient le désir de voir fonder à Paris une ceuvre qui offrirait aux enfants abandonnés un asile où l'on pourrait leur donner l'instruction et l'éducation, afin de faire d'eux de bons chrétiens et d'honnêtes citoyens.
Votre désir a été réalisé, et, aujourd'hui, c'est .un fait accompli. La maison de Patronage dite de Saint Pierre, et qui prend désormais le nom d'Oratoire Salésien Saint Pierre, a été ouverte à Ménilmontant, rue Boyer, n" 28.
Quant à présent nous nous bornons au patronage des apprentis et jeunes ouvriers qui fréquentent l'oeuvre le dimanche, et des écoliers auxquels la maison est ouverte le jeudi. Nous recueillerons aussi quelques enfants pauvres et délaissés. Mais avec l'aide de Dieu et le secours de votre charité, j'espère que nous pourrons augmenter le [777] nombre des patronnés et nous rendre utiles dans une plus grande mesure à la jeunesse de votre vaste Capitale.
Nous avons trouvé une maison modeste, une chapelle, une grande cour de récréation, des salles de classes; mais nous avons encore une notable partie du prix à payer. De plus il faut soutenir et développer l'oeuvre, voilà donc un champ ouvert à votre charité.
Vous le savez, ma richesse et ma fortune, c'est votre charité. Si j'ai fondé, si je continue à diriger tant d'oeuvres en faveur des jeunes gens, c'est que je suis soutenu par vos aumônes; quant à moi, je n'ai que le désir de faire le bien aux pauvres enfants, pour lesquels mon cour a et aura toujours un vif attrait. Voilà toutes mes ressources avec le dévouement des prêtres qui se sont voués à la même oeuvre que moi; le reste est entre vos mains. J e ne viens pas vous demander de souscriptions annuelles, chacun de vous est libre de donner selon l'inspiration de son bon coeur et dans la limite de ses moyens.
Dom Bellamy, Directeur de l'oeuvre, est chargé de recevoir les offrandes que vous aurez la bonté de faire à notre maison nouvelle. Sachant avec quelle ardeur les enfants de la France s'empressent de coopérer à toutes les bonnes oeuvres, je crois inutile de rien ajouter. Je vous dis seulement que notre maison de Paris vous est confiée et je me plais à penser que ma confiance ne sera pas déçue.
De mon côté, je vous assure que chaque jour je prierai et ferai prier nos enfants devant l'autel de Notre-Dame Auxiliatrice, afin qu'elle vous reçoive tous, vous et vos familles, sous le manteau de sa maternelle protection; qu'elle vous obtienne du divin jésus les bénédictions temporelles et spirituelles en cette vie, et à son temps la gloire éternelle du ciel en récompense de votre charité.
C'est avec la plus vive gratitude que je me dis du plus profond du coeur
Votre très-obligé et très-reconnaisant serviteur.
In ogni copia della circolare la firma
Les offrandes peuvent dire adressés:
A Monsieur l'Abbé Le Rebours, curé de la Madeleine.
Monsieur l'Abbé Pisani à l'Institut Catholique, 74, Rue da Vaugirard.
Monsieur le Comte de Franqueville, Château de la Muette-Paser. Monsieur A. Josse, libraire 29 et 31, Rue de Sèvres.
Qui veulent bien se charger de recueillir les aumônes at de les transmettre au Directeur. [778]
Un articolo del Figaro sulla casa di Parigi[430].
Nous avons laissé hier les anarchistes se réunir boulevard Magenta, les proscrits de 1851 à la mairie du Louvre, les socialistes à Montparnasse, etc., etc. Nos lecteurs connaissent maintenant les diverses fractions du parti républicain. Il sera bien suffisant de les faire asseoir dans dix jours au banquet du 18 mars, auquel ne manquera que Louise Michel. Aussi bien, nous avons aujourd'hui mieux que le mal à décrire. Nous sommes à même de montrer le remède.
On connaît dom Bosco, ce vénérable prêtre italien qui, pour enrayer le mouvement socialiste, a eu l'idée de créer des ateliers et des cercles où l'on apprendrait aux ouvriers « à être contents de leur
sort et résignés au travail». Il établit à Turin un premier atelier qu'il plaça sous patronage de Saint François de Sales, d'où le nom de maison Salésienne.
Cet atelier eut tant de succès qu'il y en a aujourd'hui en Italie, en Espagne, dans le Midi de la France plus de cent vingt. Celui de Turin comprend deux mille ouvriers.
Il y a quelques années, dom Bosco vint à Paris. Un grand nombre de prêtres et de bienfaiteurs le supplièrent d'y établir une maison Salésienne. Dom Bosco chercha un emplacement dans le quartier lé plus populeux, le plus ardent. Il le trouva sur la colline qui fut le dernier et le plus redoutable appui dé la Commune.
Rue Boyer 28, à Ménihnontant, tout près du Père-Lachaise, l'abbé Pisani, alors simple séminariste, avait déjà commencé à installer une maison religieuse. Nommé secrétaire,de M. d'Hulst, il allait être forcé d'abandonner son oeuvre. Dom Bosco fonda une société anonyme qui acheta l'immeuble où s'était créée cette institution. Elle l'acheta, mais ne le paya point. Pour ce dernier détail, les bienfaiteurs ont l'habitude de compter sur la Providence.
L'emplacement est très vaste. Il comprend plus de quatre mille mètres de superficie.
Nous venons de le visiter. Nous y avons trouvé environ cent cinquante ouvriers dont le plus jeune a douze ans, l'aîné vingt-trois. . Le but de dom Bosco est double. Dans les grandes maisons Salésiennes, on commence par former des ouvriers. On s'efforce ensuite [779] de les retenir, en mettant à côté de l'atelier une espèce de cercle 0ù l'on s'amuse mieux et plus sainement qu'au café. Par malheur, à Paris, l'argent manque. Dom Bosco n'a donc pu jusqu'à cette heure réaliser que la seconde partie de son programme. Il a trouvé à Ménilmontant deux vastes salles et deux cours. Dans une des salles, il a placé un théâtre. Il a divisé l'autre en plusieurs classes. La 'moins grande des cours sert de gymnase. Dans l'autre, on s'ébat au large.
Tous les jours, de huit à dix heures du soir, l'abbé Bellamy, nommé directeur de la maison, deux autres prêtres qui l'aident, puis un architecte, un médecin, deux étudiants en droit donnent des leçons de français, de mathématiques, de chant, de dessin, d'hygiène, de droit usuel, etc.
Le jeudi et le dimanche, la maison est ouverte de midi à minuit. On y fait ce qu'on veut. Pendant que ceux-ci se livrent à la gymnastique ceux-là jouent aux barres ou aux dominos. Enfin tous sont chez eux, dans une grande maison 0ù pas une porte intérieure n'est fermée.
Avec tous les objets qu'on a pu recueillir ou acheter, 0n organise une tombola. dont les billets sont payés en bons points. Les lots sa composent d'habits, d'outils, de bons livres.
Dans une des classes, quelques jeunes gens répètent une comédie; dans une autre, on fait des costumes et des accessoires.
Chaque dimanche, le théâtre est ouvert aux parents. C'est même lui qui a payé jusqu'à ce jour les gros frais de la maison. Les parents, donnent vingt-cinq centimes par place 0u quinze sous par famille. On ne joue que des pièces gaies, de vieilles pièces d'où l'on a pu retirer lès rôles de femmes. Le théâtre a contenu jusqu'à quatre cents personnes. Par une innovation qui fait le plus grand honneur à dom Bosco, les trois prêtres qui occupent la maison sont là plutôt à titre de con- servateurs qu'à celui de directeurs. Tout est fait, administré, contrôlé par les enfants qui apprennent ainsi à devenir das hommes. Ce sont eux qui tour à tour sont concierges, contrôleurs, caissiera, administr- teurs, etc.
A Ménilmontant, il n'y a point d'école congréganiste. Il MM insister sur ce point. Ce sont donc les enfants des écoles laiques qui, composent le personnel de la maison Salésienne. Douze d'entre our appartiennent aux bataillons scolaires. L'abbé Bellamy n'ararce aucune pression. Il reçoit qui se présente. Il préfère même qu'on lui amène de mauvais sujets. Il prétend arriver bientôt, par ce système de liberté et de camaraderie, à les transformer du tout au tout.
Une fois, à Turin, dom Bosco sollicita la permission de farta sortir, du matin au soir, les trois cent cinquante enfants détenus.
- Je veux, dit-il, leur faire faire une promenade jusqu'à la villa royale de Stupinigi.
On le crut fou. Il alla voir M. Ratazzi, alors ministre, qu'il sollicita ardemment. A la fin, celui-ci consentit: [780]
- Je mettrai, dit-il, cinquante carabiniers en tête de la troupe, autant à droite, autant à gauche, Enfin, cinquante autres fermeront la marche.
- Je ne veux pas un seul soldat, répondit dom Bosco. ]'e réponds d'eux.
Il fit tant et tant qu'on lui octroya la permission.
On se doute de la joie des trois cent cinquante détenus, quand ils virent s'ouvrir les portes de la prison. Mais dom Bosco leur avait parlé. Ils le suivirent dans la ville comme un troupeau de moutons suit le berger. Encore les moutons sont-ils rabattus par un chien. Dom Bosco n'avait même point l'aide d'un carabinier. Le soir, pas un enfant ne manquait à l'appel. C'est ainsi que ce vénérable prêtre comprend l'éducation. Il a aujourd'hui soixante-dix ans. Il a donc dépassé l'âge de l'expérience. Il considère les enfants comme des hommes. Le fait qui précède, et qui est célèbre en Italie, suffit à donner l'idée de ce que pourrait faire dom Bosco à Paris.
Par malheur, son Oeuvre est pauvre. Il faudrait de l'argent pour surélever la maison de deux étages. Dans l'un, on mettrait des dortoirs, dans l'autre un réfectoire. Avec le reste' de l'argent; on ouvrirait l'établissement aux orphelins, aux enfants de parents pauvres, aux indisciplinés.
Les offrandes destinées à soutenir cette belle oeuvre sont reçues par le comte de Franqueville, au château de la Muette (Passy-Paris) ou par l'abbé Bellamy, rue Boyer, 28. Nous avons le devoir de signaler ces deux adresses aux nombreuses personnes qui croient qu'il n'est que temps de lutter contre la désorganisation sociale.
Paris est un trop puissant foyer pour le mal. On trouvera l'abbé Bellamy tous les jours, sauf les mercredis et vendredis, à la maison Salésienne. Que ceux qui veulent l'aider à développer ce foyer pour
le bien prennent la peine de se rendre à Ménilmontant. Ils en reviendront avec la joie d'avoir participé à une bonne ceuvre et l'orgueil d'avoir lutté de la meilleure façon; par le socialisme religieux, contre celui des révolutionnaires.
Tre lettere di Dón Bellamy sulla casa di Parigi.
Veneratissimo ed amatissimo Sig. Prelotio [Don Rua],
Veramente Ella pub, anzi deve essere molto malcontenta del mio silenzio pur troppo lungo; ma mi sembra che, a ragione del lavoro che si deve fare qui, non abbia potuto fare meglio, e la prego di perdonarmi. [781]
Dopo queste dovute scuse ecco gli schiarimenti, da Lei dimandati. Ho ricevuto la lista dei Cooperatori di Parigi e ne sono molto riconoscente.
Ho pure ricevuto i biglietti da spedire ai medesimi Cooperatori, ma non posso dire che ne sia riconoscente, perchè qui si dice che la Casa di Parigi fu aperta sopratutto per trarre del denaro; ora questa spedizione fatta da Parigi nel momento stesso dell'apertura della nuova casa, fa cattivo effetto fra i nostri benefattori. Per prova del mio dire ho ricevuto questa mattina una lettera la quale Ella troverà quivi inchiusa, e che forse non sarà l'ultima lettera dello stesso genere. Ma pazienza.
Parimente ho ricevuto la bella lettera che il nostro venerato Padre D. Bosco indirizza ai suddetti Cooperatori. Lei ne riceverà con questa lettera, la versione in francese. - Bramerei molto che questa lettera potesse essere stampata e a me rimandata fra poco, affinchè i nostri Cooperatori non siano troppo tardi avvisati d'una fondazione della quale parlano i giornali.
In effetto il Sig. Conte di Franqueville ha composto e mandato ai principali giornali per esempio: la Semaine Religieuse de Paris, l'Univers, le Monde, la Defense, le Gaulois, le Français... l'avviso di cui mando a Lei una copia.
Questo avviso ha già prodotto grande effetto e d'ogni parte ricevo visite e lettere per presentare giovani pericolanti da ricevere nella nostra casa. E si vede che non si potrà aspettare molto per aprire l'internato, poichè sarà il più potente mezzo per ricevere limosine e sopratutto far del bene.
Fra breve gli affari della Società Civile, constituita per la nostra casa, saranno finiti, e poi il Conte di Franqueville fa proposta di scrivere a Lei in minuto tuttociò che fu deciso per il bene della casa nostra.
Le carte di valore che possiede il Conte di Franqueville danno circa mille lire di rendita all'anno.
Quasi tutti i Signori ai quali fu proposto di fare parte del Comitato di Patronato della nostra casa, hanno dopo qualche esitazione, dato il loro nome e ultimamente il Chesnelong, senatore. Deo gratias!
Si tratterà adesso di riadunare un Comitato di Signore per procurarsi limosine: - pensiamo mettere come Presidente la Sig. Marchesa di Rende.
Parlando d'Essa, è l'occasione di dire che questa buonissima Donna, madre del Nunzio Apostolico, mi ha manifestato il suo vivo desiderio che i Salesiani accettassero l'incarico d'un'opera in favore degli Italiani residenti a Parigi. -L'opera già fu incominciata dai RR. PP. Barnabiti, ma in conseguenza della loro espulsione l'opera è pericolante e si tratterebbe per il momento, d'incaricarsi d'uno dei centri di missione, stabilito a la Villette, luogo vicino a Ménilmontant, dove si dovrebbe andare nei giorni festivi a far la predica, confessare, dire [782] messa... con residenza abituale nella casa di Ménilmontant. - E questo Salesiano dovrebbe agire d'accordo col Padre Barnabita, il quale rimarrebbe incaricato della condotta generale di tutti i centri d'apostolato stabiliti intorno a Parigi.
Quanto al vivere colà non si potrebbe fare niente per il momento.
Del resto, ho trattenuto a lungo e in minuto il nostro Ispettore, D. Albera, su questa proposta tanto cara al Nunzio. Spero che avrà scritto a Lei a questo proposito ed aspetto da Lei una risposta, perchè il Nunzio deve fra poco tempo dimandarmi la decisione di D. Bosco a questo riguardo; cioè se D. Bosco può prendere in mano questa parte d'apostolato in favore degli Italiani dimoranti a Parigi.
Qui vorremmo tenere una prima seduta dei Cooperatori di Parigi verso la fine d'aprile in onore di Maria Ausiliatrice. Sarebbe come la seduta d'inaugurazione dell'Opera Salesiana. Si spera che avremo Mons. Coadiutore Richard per presidente e Mons. d'Hulst (tanto buono per noi) ha accettato di parlarvi. Molti pure desiderano che vi sia qui nella nostra cappella un'immagine di Maria Ausiliatrice, perchè dicono che sarebbe una corrente potente di divozione e anche di benedizioni spirituali e anzi materiali per la nostra casa. Quindi si pensa comperare una statua simile a quella di Marsiglia e benedirla nella seduta d'inaugurazione. Ma un'altra cosa desideratissima da tutti e ardentemente aspettata è la venuta del nostro carissimo Don Bosco in persona -e in particolare il Sig. di Franqueville riguarda la cosa come sicura e deve scriverne a Lei fra alcuni giorni. Il nostro cuore batte... pensando a questa speranza!! La nostra cara casa principiante sia al riguardo materiale, sia al riguardo morale, ci presentò qualche difficoltà che sempre ho sottomessa al nostro buon Ispettore. Le spese in particolare sono molto più grandi di quello che si credeva e le elemosine vengono poco... Al riguardo morale le cose sembrano avviarsi meglio; anzi i nostri giovani nella festa di San Francesco hanno fatto tutto il possibile per dimostrarci la loro gratitudine, il loro buon spirito. Ai grandi ho dato la vita di D. Bosco del d'Espiney, la quale adesso fa le delizie dei nostri Menilmontanesi, incominciando a conoscere e quindi ad amare il nostro buon Padre. Deo gratias. Il signor chierichetto D. Beissière continua ad essere molto buono. Il sign. Vittorio Rapetti anche va bene.
L'ultimo sabbato abbiam fatto l'esercizio della buona morte e benchè fatto modestamente fu molto consolante. Le cose poco per volta s'incamminano, alla meglio.
Preghi per noi, ottimo e carissimo Signor Prefetto. Noi preghiamo per Lei che amiamo e veneriamo tanto.
Il suo ubb.mo ed aff.mo in Gesù e Maria
Carissimo buon Padre Signor Don Bosco,
Una lettera della mano stessa del nostro D. Bosco!... quale grazia, quale delicatezza della Divina Provvidenza per farei dimenticare della lontananza che ci separa dal nostro Padre, e delle angoscie che qui troviamo nell'adempimento del nostro dovere.
E questi doveri ci prendono tanto tempo, che questo fu la cagione perchè non abbiam potuto ringraziarla più presto della sua amabilissima e preziosa lettera. Sì, abbiamo creduto bene sacrificare al dovere della nostra carica il più dolce dei nostri piaceri! Voglio dire lo scrivere al nostro buon Padre.
Riceverà insieme con questa lettera la versione in Francese, della bella lettera che Lei ha la bontà d'indirizzare ai Cooperatori di Parigi. Niente si poteva dire di più opportuno, e le nostre rarissime correzioni non hanno avuto altr'oggetto se non la forma, secondo che ci è sembrato più opportuna per i nostri Parigini. Si consoli, Carissimo Padre, perchè se vi sono, per dirigere la nostra casa, certe difficoltà, tuttavia si raccolgono già molte consolazioni che fanno sperare molto per il buon avvenire di questa fondazione.
E poi per vincere il male trovo potente appoggio nella venerazione singolare che molti qui hanno per Lei, e basta per me presentarmi come figliuolo di Don Bosco per vedere svanire gli ostacoli.
Ho informato minutamente il nostro Ispettore, D. Albera, della brama che ha il Nunzio Apostolico, Mons. di Rende, di vedere Don Bosco prendere parte all'apostolato degli Italiani residenti a Parigi.
In nome di Lei ho affermato che questa opera sorrideva al suo cuore; e ch'Ella farebbe ogni possibile per soddisfare le brame del Rappresentante della Santa Sede Apostolica. Mi dica, veneratissimo Padre, se devo dare una risposta affermativa alle proposte che di nuovo devono essermi fatte fra poco tempo.
E poi si pensa qui di fare la prima adunanza dei Cooperatori di Parigi, verso il mese d'aprile o di maggio, adunanza la quale sarà come quella d'inaugurazione della casa, e in essa si deve benedire una statua di Maria Ausiliatrice; ma si aspetta da tutti una grande e specialissima grazia del Signore cioè: la venuta di Lei fra noi per benedire e dare alla casa principiante come un pegno di futura prosperità.
Ma lascio ad altri la cura d'ottenere da Lei un tale favore.
Dirò per consolazione di Lei, che i nostri giovani ci danno grande piacere col loro buono spirito e la loro confidenza ognor crescente verso dei Salesiani.
La festa di San Francesco benchè fosse modestissima in splendore fu consolantissima in fervore, ed i nostri giovani ci hanno dato prova evidente dei loro buoni sentimenti verso del nostro buon Padre, Don [784] Bosco, che vanno ogni giorno conoscendo meglio e quindi amando sempre più caramente.
Spero molto che Lei potrà mettere la sua propria firma sopra le lettere da mandarsi ai Cooperatori; mi permetta di raccomandare perchè la stampa sia abbastanza bella, poichè i nostri Parigini sono, sopra queste cosette, molto delicati... E poi Ella potrà rimandarmi queste lettere affinchè io possa il più presto possibile indirizzarle ai nostri benefattori. Vi sarebbe bisogno di avere molti esemplari di riserva.
Molti giornali hanno dato avviso dell'apertura della nostra casa, e vennero già molte dimande in favore dei poveri giovani da riceversi nella nostra casa. Si vede bene che non si potrà ritardare molto il tempo d'aprire l'internato.
Ma finisco questa troppo lunga lettera. Riderà sicuramente del mio italiano, ma Ella ha bisogno di ridere qualche volta per dimenticare ciò che talora potrebbe farla piangere, quindi ne sono contento e mi perdoni per il mio buon volere.
Tutti noi tre che siamo qui La preghiamo di benedire e di credere al nostro ardente amore. Benedica pure i nostri benefattori ed i giovani.
Sono l'aff.mo ed umilissimo figliuolo in Maria Ausiliatrice
Sono l'aff.mo ed umilissimo figliuolo in Maria Ausiliatrice
Rev.mo e Car.mo sig. Prefetto [Don Rua],
Sono tanto bramoso, dico di più, tanto bisognoso di vedere la bella lettera del nostro buon padre D. Bosco nelle mani dei nostri cooperatori, che subito ricevuta la rimando in fretta colle piccole correzioni che mi sembrano convenienti. Mi permetta di raccomandare la qualità della carta.
Quanto al nome del signor Josse il quale si trova dopo la lettera tra i nomi dei principali benefattori, non so se sia cosa veramente conveniente. Forse sarebbe meglio riservarlo per un'altra lettera che manderebbe il Comitato di Parigi. Temo che molti si meraviglino nel vedere questo nome; temo eziandio che questo Signore faccia troppo grande uso nel suo commercio di tutto ciò che D. Bosco fa in suo favore. Essi decidano come meglio credono[431]. [785]
Spero molto che il nostro carissimo D. Bosco potrà mettere la sua firma in calce della circolare, perchè così sarà molto meglio ricevuta.
Abbia la bontà di mandarmene molti esemplari affinchè io possa indirizzarli dove giudicherò utile, ancorchè le persone non fossero cooperatori.
Quanto alla lotteria Lei sa già qual cattivo effetto ha prodotto qui. Molti e tra gli altri anche il signor Conte di Franqueville!! il Barone Reille ecc. ecc., mi hanno rimandato i biglietti a loro spediti, di maniera che ne ho di questi una tale quantità di cui non so che farne. Di più ancora: ciò ha cagionato malcontento in molte persone. Ma pazienza e speriamo che la Divina Provvidenza verrà in nostro soccorso. Mi scriva che cosa debbo fare dei biglietti.
Il Sig. Conte di Franqueville mi ha incaricato d'avvisarla che il danaro in suo possesso basta appena a pagare le prime spese di compra della casa, ed è ben lontano dal provvedere alle spese occorrenti. D'altra parte le elemosine si fanno rarissime, e molti aspettano la venuta di D. Bosco a Parigi per darci la loro offerta. Perciò noi crediamo che la visita di D. Bosco non è solo utilissima ma necessaria altrimenti non sappiamo più che cosa fare per ridestare le simpatie che ci darebbero l'occorrente per pagare la casa e sostenerla.
Il momento più favorevole per D. Bosco sarebbe verso il fine di Aprile, o il principio di Maggio, allorchè si terrà l'adunanza dei nostri cooperatori per l'inaugurazione della casa sotto la presidenza di S. E. Mons. Richard, o del Nunzio Apostolico. In questa occasione si benedirebbe una statua di Maria Ausiliatrice.
Pensi a questo progetto e favorisca di darmi una consolante risposta. Si dice che D. Bosco, il quale ha ricevuto molto danaro nel suo primo viaggio, riceverebbe somme ancor maggiori adesso che ha una casa in Parigi...
Quanto all'opera degli Italiani residenti a Parigi, ritornai a far visita alla Contessa di Rende e le ho fatta la risposta ricevuta da Don Albera, precisamente la stessa che Lei mi manda oggi.
Tuttavia siccome sembrava che la Contessa fosse alquanto malcontenta della nostra impossibilità di far subito qualche cosa di positivo, ho creduto bene assicurarla che ci adopreremo con ogni sforzo per incominciar l'opera, almeno sul principio in piccola cerchia, quando tutto il materiale fosse preparato alla Villette[432]. [786]
Il Nunzio Apostolico ha preso il Patronato di quest'opera e la desidera molto. Fra poco devo essere presentato al Nunzio, molto buono per noi e ne parlerò a lui il meglio che potrò, tenendomi sempre alla di Lei risposta...
Il lavoro d'ogni maniera abbonda e aumenta ognor più. É già in casa nostra un povero giovane abbandonato, che sembra avere vocazione ecclesiastica e probabilmente Salesiana e la cui vocazione era in pericolo. Forse non ho fatto bene? Ma non ho potuto vedere tanta miseria, tanto pericolo e non soccorrere il povero abbandonato. Sono molto contento dei nostri giovani e Deo gratias.
Il giorno 15 avremo nella nostra casa la festa di S. Giuseppe, colla prima comunione di dieci giovani adulti abbandonati. Il Curato di Ménilmontant verrà fra noi e gli faremo una bella accoglienza. Pregate per noi. Alla Pasqua debbo predicare tre corsi di esercizi spirituali. Preghi pel povero suo
alla signora Quisard e a suo figlio.
J'ai reçu votre bonne lettre et je vous en remercie. Je ne manquerai pas de prier à votre intention. Vous serez sûr de la victoire en vous occupant sérieusement dans vos devoirs de la classe et dans l'obéissance à Papa et à Maman.
Fréquentez la sainte communion autant que vous pouvez.
Que Dieu vous bénisse et vous conserve à jamais dans le chemin du paradis.
Veuillez bien prier pour moi qui en j. C. vous serai
Vos lettres me sont bien agréables toujours et pour les nouvelles que vous nous donnez de votre famille et pour les charitables offrandes en faveurs de nos orphelins. Je vous dirai donc que j'ai reçu f. Zoo fermés. dans votre lettre du 3 de ce mois, et je ne manquerai pas d'engager nos enfants de prier et faire très souvent la Ste communion à votre intention.
Vous travaillez à préparer des chemises pour les enfants de la future maison à Lyon, et je travaille aussi pour surmonter les difficultés qui nous viennent toujours à nous embarrasser. Dieu nous aidera faire tout ce qui est mieux pour sa gloire et pour le bonheur de nos âmes.
Je regrette beaucoup que votre santé ou mieux la santé de Mr votre mari ne soit pas comme vous la désirez. Patience. Mais ils existent des consolations que le bon Dieu vous réserve et qui vous seront partiripées au plus tôt; et vous-même verrez une bien remarquable amélioration dans vos affaires.
Je ne manquerai de faire des prières toutes spéciales pour votre fille, afin que son mariage la rende heureuse et dans le temps et plus heureuse encore dans l'éternité qui nous attend.
Tenez l'antidote sûr contre le colera:
1. Une médaille de N. D. A. sur la personne.
2. Chaque jour la jaculatoire: O Marie, aide des Chrétiens, priez pour nous.
3. Fréquentez la Ste communion.
Que Dieu nous bénisse et nous conserve dans la grâce et en bonne santé. Ainsi soit-il.
Votre très bonne lettre et votre charitable offrande sont venue ici à Pinerolo où je passe quelques jours à raison de santé chez l'évêque de ce diocèse.
Merci de toutes vos bontés; je regrette beaucoup, mais sera diffi- cite que ma santé me permette d'aller à Lyon pour le temps que vous dites; j'espère de dire ma messe pour invoquer les bénédictions du bon Dieu sur les deux fiancés à l'époque fixée. Mais je ne manque pas tous [788] les matins de faire un souvenir tout particulier dans la sainte Messe pour vous, Madame, pour Mr votre Mari, pour vos affaires et pour votre famille.
Que Dieu vous bénisse et que la sainte Vierge vous protège et vous guide dans le chemin du paradis.
PS. Pardonnez mon écriture vraiment mauvaise.
Leffere di Don Bosco alle Signore Lallemand.
J'ai ouï lire avec attention vos comptes rendus, et je remercie bien N. S. qui vous a délivrée dans plusieurs dangers de la vie et du monde, et je prie sans cesse pour vous la Sainte Vierge, afin de vous obtenir par son intercession une complète victoire de tous les obstacles qui s'opposent à votre tranquillité et à votre bonheur spirituel et temporel.
Quant aux pénitences corporelles, elles ne sont pas à propos pour vous. Aux personnes âgées il suffit endurer les peines de la vieillesse pour l'amour de Dieu: aux personnes maladives, il suffit endurer doucement pour l'amour de Dieu leurs incommodités, et suivre l'avis du médecin ou des parents en esprit d'obéissance; c'est plus agréable à Dieu un manger délicat avec l'obéissance qu'un jeûne contre l'obéissance. - Je ne vois rien à réformer sur votre conscience; fréquentez autant que possible les saints Sacrements, et ne vous inquiétez pas quand cela n'est pas possible: faites alors plus souvent des communions spirituelles, et conformez-vous avec une pleine conformité à la Sainte Volonté de Dieu très aimable sur toutes choses. - Que N. D. Auxiliatrice vous protège dans tous vos ennuis et embarras pour le droit chemin du Paradis. Ainsi soit-il.
Avant que de fermer cette lettre, j'ai reçu votre honorée dernière et y ajoute que Mr l'Abbé de Laminette est vraiment un des nos amis bien estimé qui aura soin de procurer à Mr Wilz tout le bien spirituel qu'il sera possible; nous cependant petits et grands, nous avons déjà prié pour lui et continuons de le faire tous les jours pour le salut de son âme.
On va donner ordre que le Bulletin Salésien vous soit adressé régulièrement; nous regrettons bien que vous ne l'ayez pas encore [789] reçu; veuillez pardonner toute erreur ou omission en cela. - Je pensais aussi à vous suggérer quelqu'un de nos bons coopérateurs à Paris pour vous servir de représentant; mais voyant que cela n'est plus nécessaire c'est fini. J'approuve parfaitement le conseil que Mr l'Avocat vous a donné là-dessus.
Que Dieu vous bénisse et console par sa Sainte Mère, vous et votre excellente maman à laquelle je présente aussi tous les respectueux hommages avec lesquels je suis en Jésus-Christ
J'ai reçu en son temps votre bonne lettre dernière, accompagnée de celle de Mr l'Abbé Laminelle, et tout considéré, devant Dieu qui est toute bonté et toute misericorde, nous avons de quoi nous consoler; le defaut des expressions satisfactoires envers Madame n'éloignent point ses bons désirs intérieurs que l'ont doit croire qu'il avait sans doute, et que son état l'autorisait à ne manifester qu'à son confesseur, n'étant pas à même de satisfaire aucunement. Il a reçu les Saints Sacrements, le Prêtre qui l'a administré a été touché des belles dispositions qu'il avait: cela est bien consolant. Moi et mes nombreux enfants nous avons prié pour lui et continuons de le faire tous les jours; de plus j'ai pleine confiance que toute la charité que vous avez faite et que vous voulez faire à nos pauvres orphelins a déjà fort contribué à abréger le Purgatoire de cette chère âme qui sera peut-être redevable de son bonheur éternel à votre charité qui attira sur ses derniers moments la miséricorde divine. Que Dieu soit béni.
Faites donc courage et vivez tranquilles sans inquiétude sur. son sort, en faisant tous les jours quelque petite prière pour lui, ainsi que toutes vos bonnes oeuvres. Les fonds que vous voudrez envoyer seront toujours reçus à reconnaisance aux conditions convenues auxquelles nous ajouterons des prières spéciales pour la chère âme de Mr Wilz.
Que les bénédictions et les grâces du bon Dieu descendent copieuses sur vous que je recommande toujours dans la Sainte Messe. Veuillez dans votre bonté prier aussi pour moi et agréez mes respectueux hommages.
Je vous accuse réception de votre bonne lettre du 24 et je vous assure la continuation de mes prières et de celles de nos orphelins de Turin et de toutes nos maisons salésiennes que je visite dans ces jours: on prie partout pour vous, pour Madame votre chère maman, pour vos défunts, et à toutes vos bonnes intentions: Je recevrai avec bien de la reconnaissance l'envoi que vous venez...
Le ter sera à St jean Evangéliste: parfaitement d'accord... Je suis absent de Turin pour quelque temps, mais je vous prie de m'adresser vos lettres à Turin, rue Cottolengo 32 (et non pas 33 comme vous notez quelque fois par erreur). Permettez-moi encore dé vous avertir qu'un seul cachet de cire d'Espagne sur les lettres recommandées ne suffit guère pour les assurees: c'est prudent d'en mettre cinq. Avec ces précautions les lettres recommandées sont sûres. Je vous dis cela parce qu'il nous arrive souvent de recevoir des lettres recommandées avec un seul cachet de cire, ce qui n'assure pas assez l'ouverture dont on pourrait tenter la violation.
J'appelle enfin sur vous et sur votre excellente Maman les meilleures bénédictions du Ciel, avec tout bonheur qui n'est pas contraire au bonheur éternel et je vous prie de me croire à jamais en J. Ch:
J'arrive de Rome; aussi je m'empresse de vous annoncer d'avoir vu le Souverain Pontife Léon XIII qui envoie une bénédiction spéciale à tous nos bienfaiteurs et cooperateurs Salésiens et à leurs familles et par conséquent à Mesdames Lallemand mère et fille- et à leurs parents et familles. Je ne saurais pas vous décrire maintenant le bon accueil très affectueux qu'a daigné me faire le T. St Père le 9 de ce mois, et sa bonté indicible envers les pauvres Salésiens. Que N. D. Auxiliatrice en soit louée et remerciée, avec le bon Dieu premier Auteur de tout bien, Deo gracias et Mariae.
Si vous jugez de nous envoyer... dont vous parlez dans votre lettre, nous acceptons avec toute reconnaissance, avec les conditions de vous les renvoyer au besoin sur votre demande dans une huitaine de jours après. Quant aux difficultés que vous craignez pour le renvoi, on pourra les vaincre en vous faisant nos expeditions par une de nos. maisons de France, Nice, Marseille, ou Lille. Mais nous espérons que [791] tels obstacles ne surgiront pas. Je regrette beaucoup de n'avoir pas eu le temps de faire trouver à Rome les médailles.
Si vous désirez lire la vie charmante du Vénérable père Cottolengo je pourrai vous"la faire adresser soirs peu à votre ter avis. Si vous changez de domicile avant la St jean, ayez la bonté de nous donner à son temps la nouvelle adresse précise. pour les envois qu'on aura à vous faire. - Je finis en vous présentant avec les meilleures'bénédictions du Seigneur et de N. D. Auxiliatrice mes devoirs les plus respectueux et reconnaissants.
Veuillez aussi, Madame; prier pour moi qui serai à jamais en J. Ch. N. S.
P.S. Mon secrétaire m'assure en ce moment que les médailles (Mère abandonnée) n'existent pas à Rome: il vous a adressé un paquet de médailles de l'Addolorata qu'il a présentées lui-même au T. S. Père Léon XIII. Elles sont donc bénites du Souverain Pontife avec toutes les indulgences possibles.
Suivant l'avis que je vous en ai donné par ma lettre du 17 j'ai l'honneur de vous remettre ci-inclus...
Il ne me reste qu'à vous confirmer ma lettre antécédente et en vous renouvelant mes meilleurs sohuaits pour l'année nouvelle et mille bénédictions de l'Enfant jésus, je me recommande aussi toujours à vos bonnes prières.
Mille respectueux hommages à vous Madame et à Mlle. Que la Sainte Vierge vous console de sa maternelle protection avec
Lestera di Monsignor Mocenni a. Don Bosco.
SEGRETERIA DI STATO DI SUA SANTITÀ
Ebbi l'onore della sua carissima lettera del 14 corrente. Parlai cou D. Dalmazzo del noto attore delle decorazioni, ma non voglio privarmi del piacere di scrivere a Lei direttamente. [792]
Le dico primieramente che in riguardo di Lei io volli osare di riferire al S. Padre la supplica per la Contea di Montigny, ed il Santo Padre non volle concedere. Ho detto osare perchè è assolutamente proibito che un dicastero si frammetta negli affari appartenenti ad altro. La segreteria di Stato non può proporre che decorazioni pei diplomatici e null'altro. Ora se Mons. Macchi o Boccali conservano le carte in proposito, come Ella mi accenna potrebbe fare interpellare i due suddetti Prelati, perchè diano corso all'affare, altrimenti perchè le riterrebbero?
Il Dicastero poi proprio ed addetto per decorazioni e titoli nobiliari è la Segreteria de' Brevi, dal quale il S. Padre riceve le suppliche ex officio. E nulla osta che la detta Segreteria dei Brevi implori dal S. Padre la esenzione dal pagamento delle tasse.
La ringrazio delle preghiere che si degna fare per me; me le raccomando tanto avendo immenso bisogno delle preghiere dei buoni.
Con tutta ammirazione me le professo
@ MARIO Arcivescovo di ELIOPOLI.
Lettera di Don Dalmazzo a Don Bosco.
La vittoria sul Ferrero è stata compiuta, perchè il Card. Ferrieri che aveva già proposto una transazione, dovette porsi a letto con forte podagra[433].
Mandò tuttavia una supplica del medesimo [Ferrero] che è venuto a Roma appositamente a brigare perchè la causa fosse sospesa, ma i Cardinali non credettero darvi corso e giudicarono. Tutti, nessuno eccettuato, votarono a favore nostro. Non si ebbe però l'amplius per cui potrebbe appellare.. A proposito di Ferrieri: è molto in collera [793] con D. Bosco perchè ha fatto un Vescovo senza il consenso di lui e senza partecipargliene. A suo tempo dirò io tutto.
Il Barone Héraud ebbe già la commenda di S. Gregorio. Si è fatto in modo che il Papa facesse da sè e così di propria mano gli consegnò il Breve senza costo di spesa. Anche al Di Montigny è stata concessa la Contea, ma vollero scrivere al Nunzio e solo quando di là ricevettero le commendatizie si arresero alla concessione. Il Santo Padre disse però, si paghino per questo L. 8000 dico ottomila.
Ho rinnovato domanda pro gratia o almeno per la riduzione e lunedì avrò la risposta.
Anche per Mons. Guigou ho presentate le carte e non vi ha dubbio che si otterrà.
Ho ricevuto l'invito per la gran festa della Consecrazione, ma come farò nella festa dell'Immacolata? Con tanto da confessare, con ammalati molti, che infierisce il vaiuolo nero? Ella sa quanto desidero rivederla, baciarle la mano, avere la sua benedizione, quanto desideri partecipare a tanta gioia, ma... Vedrò, farò tutto il possibile. Il dì dell'Immacolata viene Mons. Sallua a predicare, il Card. Gori a dare la benedizione. Anzi Mons. Sallua viene anche a pranzo e converrà io manchi? Attendo ordini suoi in proposito. Del resto ho tante cose a dirle. Ma speriamo.
Accolga gli ossequi di tutti i miei confratelli carissimi. Tutti ci benedica e ci abbia in C. I.
Don Bosco a una Superiora di Carmelitane parigine.
Oratoire St François de Sales.
Madame la Supérieure S.r Marie des Anges, e Madame S.r Marie Imm.lée de Jèsus,
J'ai l'honneur de répondre à votre bonne lettre pour vous assurer que je prie de grand coeur pour vous. Mes pauvres enfants et moi, nous commencerons une neuvaine à vos intentions le 2 Août fête de Ste Marie des Anges et du Bon Secours.
Venillez vous y unir à nous eri disant chaque jour 3 Pater, Ave et Gloria au S. Coeur de Jésus, et 3 Salve Regina à N. D. Auxiliatrice, avec les invocations: Cor Jesu Sacratissimum, miserere nobis: Maria Auxilium Christianorum, ora pro nobis. Je recommande mes pauvres [794] orphelins à votre généreuse charité. Dieu nous a dit: e Donnez et l'on vous donnera ». Je le prie de vous faire constater par une heureuse expérience la vérité de cette divine parole, en récompensant largement tout ce que vous pouvez faire pour ces enfants.
Ayons pleine confiance dans la bonté du S. Coeur de jésus et dans l'affection maternelle de N. D. Auxiliatrice, et nos prières seront exaucées en la manière la plus convenable à la gloire de Dieu et au vrai bien de nos âmes.
Vous ferez bien, si vous le pouvez, d'approcher aussi de la Ste Table.
C'est là qu'est la source vivante de toutes les grâces.
Que Dieu vous bénisse ainsi que tous ceux qui vous sont chers, et que la Ste Vierge vous couvre tous de sa maternelle protection. En J. Ch.
P.S. Je vous remercie bien pour m'avoir communiqué la lettre admirable de S. Em. le Cardinal Lavigerie.
Ayez foi: avec la foi rien ne peut vous manquer. Le Bon Dieu vous commande cette fondation. Il fera tout certainement. Mais prions beaucoup et agissons avec toute confiance dans l'aide de Dieu.
Lettere di Don Bosco al principe Augusto Czartoryski.
Votre lettre demande sans doute une prompte reponse mais ce n'est pas beaucoup facile la donner avec une lettre. Toutefois voilà mon avis.
Si dans votre coeur vous vous sentez une forte propension à la prêtrise vous renoncerez à tous les majorats; mais dans lé cas que cette volonté soit pas encore fixé, vous ferez bien de seconder papà et d'accepter le Majorat avec les consequences du même: pour les autres determinations est necessaire de nous écrire des autres lettres, ou au moins d'avoir un entretien personnel que nous pouvons tenir au printemps prochain.
En attendant nous prions, vous priez et le bon Dieu nous fera . connaître clairement sa Ste Volonté.
Vous apprendrez par les journaux que un incedie samedi a bruûlé une remarcable quantité de notre maison. Le dommage est bien [795] considérable mais les personnes ont été toutes sauves. Que Dieu soit béni, soit dans, les bonheurs, soit dans les malheurs.
La Sainte Vierge nous protège et nous guide dans le chemin du Paradis. Ainsi soit-il.
Je serai tres heureux da vous voir ici et j'approuve entièrement la pensée que vous avez de faire une retraite. je regrette seulement ne pouvoir pas moi-même la diriger; mais j'espère bien que d'autres pourront le faire à ma place, car ma santé bien précaire encore; ne me le permet pas. Venez donc, venez: je vous attends avec empressement.
Je vous remercie des nouvelles que vous me donnez de vos chers parents; c'est un vrai bonheur pour moi que de les savoir tous bien , portants. Faites mes félicitations au Prince Adam pour sa première Communion.
Oh! Que le Seigneur le bénisse, le garde toujours dans sa sainte grâce et en fasse un vaillant protecteur et défenseur de la religion, un saint.
Presentez mes humbles respects; je vous en prie, à LL. AA. le Prince et la Princesse et à toute la famille 'sans oublier le cher petit prince Witold pour qui je prie de tout mon coeur. Au revoir donc bien tôt.
Que le bon Dieu vous bénisse et vous accompagne. Agréez mes hommages et veuillez me croire
Votre bonne précieuse lettre a porté la consolation à tous les salésiens. Il semble que la divine providence vous guide quelque chose dans l'église de Dieu. Nous prions avec tout notre coeur que la grâce du bon Dieu, et la protection de la Ste Vierge vous guide à jamais. Les avis, les intentions de M.r votre père sont. vraiment d' une personne très sage et vous les pouvez pratiquer tranquillement, [796] surtout en soignant votre fortune. Votre départ un peu précipité de chez nous, nous a empêché de conclure quelques affaires, mais j'èspère que quelque bonne occasion, ou une lettre nous permettront de nous expliquer plus clairement. Ma santé est toujours beaucoup faible, et je la recommande à vos bonnes prières.
Nous vous faisons bien des actions de grâces pour la charité que vous généreusement vous nous avez faite. Nos orphelins feront sans cesse des prières et des communions à votre intention.
Que Dieu vous bénisse, ô mon très cher et bon ami, vous me permettrez cette parole, et que la Ste Vierge vous protège à jamais dans le chemin du Paradis.
Mon très cher et très respectable Mr le Pr. Auguste,
Très agréable a été pour moi votre lettre qui pour tous lés Salésiens a été un très précieux cadeau pour nous, et nous ne manquerons pas de prier pour vous et pour toute votre famille.
Dans ce moment nous faisons la retraite.
Ma santé n'est pas bonne, mais tous les prêtres font tous les matins un souvenir à votre intention. J'aurai la consolation de pouvoir écrire au plutôt. Les avis de Mr le prince votre Père sont très sages; on peut pas dire mieux. Dans le cas que je puisse pas moi-même, Don Rua vous dira tous les details desirés par votre lettre.
Que la sainte Vierge soit votre guide dans toutes vos resolutions. Je me recommande à vos charitables prières et que Dieu nous guide dans le chemin du Paradis. Ainsi soit-il.
De notre maison S. Benigne Canavese, 26 août 1885.
Mon cher M.r le prince Auguste Czartoriski,
Tous nous étions très désireux de vos nouvelles et maintenant nous sommes tous bien contents des bonnes notices, que vous donnez de vous et de votre famille. Me semble que l'affaire d'un mariage soit reduit à travers une personne comme il faut et pour cela je crois que vous ferez très bien de vous remettre aux avis de papà et de la tante dont vous me parlez. Toutefois je ne manquerai pas de prier et faire des [797] prières et des communions par nos orphelins dans l'Eglise et à l'autel de Notre D. A.
Il y a bien des choses que nous pourrions nous dire personnellement, mais que on peut pas expliquer convenablement par une lettre, mais la Ste Vierge qui nous a guidés jusque ici, nous manquera pas sa maternelle protection. J'ai pleine confiance que dans le courant de cette année prochaine nous vous verrons avec la plus grande consolation de tous les Salésiens qui vous aiment comme père et bienfaiteur.
Que Dieu vous bénisse, ô mon très cher Auguste, et le desire de votre bonheur eternel soit le guide de vos paroles et de vos actions. Je suis devenu demi aveugle, et pour cela exercez un peu de patience à lire ma mauvaise écriture.
Dans votre grande charité veuillez aussi prier pour moi et pour toute la famille Salésienne avec laquelle je serai à jamais avec gratitude en J. C.
Supplemenfo al Bolleffino Salesiano di dicembre 1884.
Molto Rev. e Caritatevole Signore,
Le dolorose vicende che in quest'anno colpirono i nostri paesi hanno cagionato molte miserie specialmente nelle nostre case di beneficenza. Molti giovanetti gettati nell'abbandono dal pubblico flagello andavano chiedendo ricetto e noi li abbiamo ficevuti.
Ora a fine di provvedere a questi orfanelli e venire in loro soccorso, io mi sono risoluto di ricorrere alla carità del Clero, che tante volte e in tanti modi mi venne in soccorso.
Per giovare alla beneficenza alcune pie persone mi hanno affidata la celebrazione di un buon numero di messe. Perciò io supplico i caritatevoli sacerdoti a venirmi in aiuto col celebrarne o procurare che altri ne celebrino quel numero che suggerirà la pietà del loro cuore.
Quegli Ecclesiastici pertanto che possono concorrere a quest'opera caritatevole sono pregati di farmelo noto indicandomi il numero delle messe che nello spazio di un anno intendono di celebrare cedendone l'elemosina per l'opera proposta.
Questi giovanetti beneficati ascolteranno ogni mattina la S. Messa; e faranno ogni giorno speciali preghiere con frequenti comunioni per i loro benefattori. [798] Io mi unirò ai medesimi per invocare le benedizioni del cielo sopra questi benemeriti oblatori e sopra i loro parenti.
Con profonda gratitudine le sono in Gesù Cristo
Torino, data dal timbro postale.
N.B. Sarei ancora a pregare la S. V. dell'insigne favore di far conoscere la presente a quei sacerdoti di sua conoscenza che fossero in grado di prestarmi questa carità.
Lettera di una maomettana a Don Bosco
RUSSIE GOUVERNEMENT DE VILNE LUKISZK
quartier des Mahométans Jeszku Bogdanowicz
Je m'adresse avec la plus fermé conviction, que Votre Charité sans bornes voudra bien aussi s'étendre sur moi et sur tous ceux qui me sont chers et nous donner l'appui de vos prières. J'implore votre secours pour un malade qui m'est très cher et j'ai la foi la plus profonde que Dieu, par votre intercession, voudra nous exaucer, quoique le malade et moi-même nous soyons de la religion mahometane. Le malade est un jeune homme âgé de 26 ans nommé Zacharia, malade déjà depuis deux ans. Il a commencé à tousses, à maigrir et à perdre ses forces par suite d'un refroidissement. Mais c'est surtout depuis le mois de Mal de l'an passé que sa maladie est devenue effrayante; au mois de Septembre sa voix s'est enrouée et tombe à présent de plus en plus. Maintenant il a mal à la gorge depuis quatre semaines et vomit après chaque repas. Il se traîne déjà depuis un année, mais le mal empire et les médecins ne donnent aucun espoir. Il est à l'agonie actuellement. Nous n'avons rien su de vous malheureusement jusque aujourd'hui et sommes dans le désespoir le plus affreux. Nous ne vous envoyons que trois roubles car le malade n'a que son propre travail comme moyen de subsistance. Si Dieu lui rend sa santé il n'oubliera jamais ce bienfait.
Ayez pitié de nous, ne nous refusez pas le secours de vos prières qui doivent nous accorder notre plus grand bonheur avec la santé de notre cher malade.
I Salesiani e gli alunni di Marsiglia a Don Bosco.
Révérend, bien aimé et trois fois cher Dom Bosco.
Nous eussions regardé cette année comme bien malheureuse pour nous, si nous n'avions eu le bonheur de vous voir arriver jusqu'ici. Mais, loué soit Dieu qui nous comble aujourd'hui de la plus douce allégresse. Oh! qu'il nous est doux, bien aimé père, de savoir que votre santé s'est améliorée; et de vous voir au milieu de nous. Il nous semble que toutes les bénédictions du ciel descendent sur notre maison au moment où notre bien aimé père nous arrive. Oh! certes, la joie du Gouverneur de l'Égypte ne fut pas plus grande embrassant sur line terre étrangère et après de bien longues années, son père, le saint patriarche Jacob. Béni, oui, mille fois béni soit le Seigneur, et qu'il couronne enfin nos voeux en vous rendant à une santé parfaite, et en vous conservant encore longtemps à notre amour.
Chargé de vous présenter les sentiments de vénération et d'affection filiale de tous mes chers confrères je ne trouve autre chose à vous dire que ces mots: Bien aimé Père, nous vous aimons; vous le savez, mais nous ne saurions le redire trop souvent; oui, nous cherchous à vous aimer, comme on aime lé père le plus tendre, le plus cher. Ici, nous connaissons trois noms: Dieu, Marie Auxiliatrice et Dom Bosco.
Votre nom, bien cher Dom Bosco, votre souvenir; nous ranime dans les moments pénibles; car, ici la moisson est abondante et les ouvriers peu nombreux néanmois; bien cher Père, laissez-moi vous assurer, et c'est avec une grande joie que je le dis: tous vos fils salésiens de Marseille, depuis leur vénéré supérieur j'usqu'au plus humble novice, ont hérité largement du feu qui dévore votre coeur, celui du zèle de la gloire de Dieu: ils travaillent, ils luttent, et ils prient pour le bien qu'ils ne peuvent accomplir. Oh! si Dieu compte les fatigues, les saints gémissements que les Sts Anges de cette maison lui présentent le long du jour, chacun de vos enfants de Marseille pourra dire un jour comme Saint Paul: Reposita, est mihi corona iustitiae.
Encore une fois, bien cher père, soyez heureux, vivez longtemps, vivez toujours pour le bonheur de vos enfants et priez pour nous; bénissez-nous, afin que nous soyons toujours et de plus en plus, de dignes fils de dom Bosco.
Au nom de tous les Salésiens de France, d'Italie, de l'Espagne et de l'Amérique:
Vive, vive à jamais dom Bosco. [800]
Pour vous exprimer tout nostre bonheur de vous voir au milieu de nous, il faudrait que chacune de nos paroles fût formée non pas de sons et au moyen des organes de la voix, mais que chacune d'elles fût un coeur. Figurez vous voir les coeurs vrais de tous vos enfants de Marseille divinement assemblés pour former le nom de dom Bosco et vous n'aurez là qu'une faible image de notre amour.
C'est aujourd'hui pour nous le plus beau des jours, bien aimé dom Bosco; recevez donc tous les voeux que des enfants chéris peuvent former pour le plus tendre des pères.
Laissez-nous nous réjouir et vous répéter mille fois que nous vous aimons; nous vous l'avons dit souvent, mais nous le dirons . toujours parce que c'est vrai; nous vous aimons.
Recevez donc les coeurs de tous vos enfants qui vous demandent de les bénir, de leur continuer votre charité, et de faire d'eux de bons chrétiens. Nous vous promettons tous, que notre plus grand bonheur
sera de dire: Je suis un enfant de dom Bosco; et dans ce titre, nous trouverons tous nos devoir d'hommes et de chrétiens; nous trouverons le souvenir de toutes les vertus que votre nom nous rappellera et sur les traces- desquelles nous voulons marcher jusqu'à notre dernier soupir.
Prenez, bien aimé Père, c'est le voeu de tous, prenez et emportez les coeurs de vos enfants de Marseille.
Que le Seigneur prolongue vos jours, tendre père, qu'il vous console dans toutes vos peines; nous prierons bien Marie Auxiliatrice, surtout pendant que vous serez au milieu de nous; mais, vous aussi, priez pour nous et bénissez nos Supérieurs, bénissez nos parents.
Ne nous refusez pas cette faveur, bon père; les patriarches bénissaient leurs enfants et Dieu les bénissait en même temps. Que cette bénédiction soit pour tous les élèves de cette maison, présents et futurs; qu'elle retombe aussi sur vous-même, bien aimé père, pour tout le temps de votre pélerinage ici-bas, et qu'un jour vous puissiez voir tous vos enfants former comme autant de roses à votre couronne dans l'éternité.
Au nom de tous les élèves de l'Oratoire
Vive à jamais Don Bosco. [801]
Circolare ai Cooperatori di Marsiglia.
Les temps que nous traversons sont bien difficiles pour les oeuvres qui n'ont d'autre appui que la charité publique. Telle est l'oeuvre à laquelle j'ai consacré toute ma vie, oeuvre soutenue par la générosité des Coopérateurs Salésiens. Surtout l'Oratoire Saint Léon et l'Orphelinat de Saint-Cyr, dans le Var, se trouvent en de graves besoins. C'est à cause de cela que, malgré ma santé bien ébranlée, je me suis décidé à me rendre à Marseille pour faire appel à votre charité, qui ne m'a jamais fait défaut.
Vendredi 17 avril, à 4 heures du soir, aura lieu dans notre chapelle une réunion des Coopérateurs. Monseigneur l'Evêque, notre insigne bienfaiteur, a bien voulu nous promettre de présider et de prendre la parole.
Je tiens à rappelers à nos chers Coopérateurs que le Saint Père accorde une indulgence plénière à tous ceux qui prendront part à cette Conférence.
De mon côté je vous assure M..., que chaque jour nos enfants auront pour vous et pour votre famille, un souvenir spécial aux pieds de Notre-Dame Auxiliatrice.
Daignez, M..., agréer l'assurance de mon respect et de ma vive reconnaissance en Notre-Seigneur.
Leffera ai giovani dell'Oratorio scritta da Don Lemoyne per ordine e in nome di Don Bosco.
Sono andato in Francia e voi ne potete indovinare il perchè. Voi distruggete le pagnottelle e se io non andassi in cerca di cum quibus, il panattiere griderebbe che non c'è più farina e che ha nulla da mettere nel forno. Rossi il cuciniere porterebbe le mani ai capelli e griderebbe che non sa che cosa gettare nella pentola. Siccome il cuciniere ed il panattiere hanno ragione e voi avete ancora più ragione di-essi, così io ho dovuto andare in cerca di fortuna perchè nulla mancasse del necessario a' miei cari figliuoli. È vero che mi costa molta fatica [802] andare attorno, dare udienze da mattina a sera, far visite ai benefattori; in certi giorni mi sentiva molto male per la stanchezza e per le mie infermità; ma il pensare a voi rendevami dolce quella fatica. Io penso sempre all'Oratorio e specialmente alla sera, quando posso avere un po' di quiete, passo in rassegna ad uno ad uno i Superiori ed i giovani; di questi ne parlo con chi mi sta vicino e prego per essi continuamente. E voi pensate anche a me, pregate per me? Oh sì certamente, perchè me lo ha scritto il vostro Direttore, le cui lettere, colle notizie che mi dava della Casa, mi hanno fatto molto piacere.
Debbo qui farvi una raccomandazione. Presto incomincia il mese di maggio e vorrei che lo consacraste in modo speciale in onore di Maria SS. Ausiliatrice. Se sapeste quante grazie ha fatte Maria SS. in questi giorni in favore dei suoi buoni figliuoli dell'Oratorio! Se lo merita proprio la Madonna che voi le diate un pegno della vostra riconoscenza. Se avessi tempo quante belle cose vorrei raccontarvi!
Quindi io vi propongo un fioretto da farsi in tutto il mese e desidero che lo mettiate fedelmente in pratica.
Il fioretto è questo: Ciascuno in onore di Maria faccia uno sforzo per tener lontano dall'anima sua il peccato mortale, colla fuga delle occasioni e colla frequenza de' sacramenti.
L'anno scorso abbiamo avuto il cholera in Italia ma in avvenire avremo di peggio. Abbiamo dunque bisogno che la Madonna stenda sopra di noi il suo manto. Stiamo preparati.
Presto io spero di essere fra voi di ritorno e mi raccomando al Direttore perchè in quel giorno ci faccia stare tutti allegri in refettorio. Vi piace l'allegria, non è vero? E piace anche a me e desidero e prego perchè il Signore un giorno conceda a voi tutti, conceda a me quell'allegrezza eterna che ha preparato per coloro che lo amano.
Il Signore vi benedica e credetemi sempre
Il presidente dei Circolo Cattolico di Nizza
C'est grande fête aujourd'hui parmi nous: la joie rayonne sur tous les visages, se lit dans tous les yeux; les enfants recoivent leur bon, leur vénéré Père. [803]
Oui, nous sommes bien heureux, et je suis tout fier de l'honneur qui m'est fait de vous le dire, mon révérend Père. Nous n'oublierons jamais que lorsque Dieu inspira à quelques hommes de coeur dont je ne parlerai pas, parce que plusieurs sont ici, la pensée de fonder notre oeuvre, alors que nous étions et pauvres et petits, vous-avez bien voulu, à ces deux signés, nous reconnaître pour vos enfants; vous nous avez adoptés; vous nous avez aidés de vos conseils; vous nous avez encouragés et bénis.
C'est ce souvenir, c'est la gratitude qu'il nous inspire, qui font notre joie.
Le petit enfant que vous avez pris à sa naissance dans vos bras dilatés par l'amour paternel; a quelque peu grandi; il est dans sa huitième année, mais il est encore bien petit et bien pauvre; c'est vous dire qu'il est toujours de ceux qui revendiquent, presque comme un droit de leur misère, votre douce et bienveillante paternité.
Je vous demande donc, Messieurs, de boire avec moi à la santé de notre vénéré Père, du Père dés pauvres, de l'ami des ouvriers, du missionnaire, du serviteur de Dieu, que nous prierons Dieu de nous garder longtemps encore pour notre bonheur et pour sa gloire.
Leffera del Cardinale Alimonda a Don Bosco.
Quanto mi torna gradita e preziosa una lettera tutta di suo carattere, dopo il faticoso viaggio sostenuto per il bene della Congregazione! Come non ho tralasciato di pregare che V. P. Rev.ma e Car.ma sostenesse senza pregiudizio della salute queste fatiche, così mi rallegro e ringrazio il Signore che l'abbia ricondotta ormai a noi vicina, incolume e, voglio sperare, anche in miglior stato.
Noi ci vedremo, ci.abbracceremo presto da fratelli, e della cara festa di Maria Ausiliatrice parleremo per differirla, dacchè la Pentecoste le prende a buona ragione il luogo.
La mia famiglia la ringrazia, le offre ossequi e felicissimi auguri. Io la abbraccio nel Signore, benedico dal fondo del cuore a Lei, a tutti i Salesiani, alle loro sante opere, e con venerazione e stima mi raffermo
Affezionatissimo come fratello
Lettera della principessa Doria Solms a Don Bosco.
Deux mots seulement pour vous exprimer le vif désir de vous revoir et la prière de nous procurer.cette grande consolation!
Nous nous recommandons à vos saintes prières, car nous sommes tous souffrants.
Nous sommes pénétrés de vive reconnaissance et si touchés de votre pieux souvenir, que vous voudrez bien nous conserver.
Priant pour votre sainte Bénédiction, vous baisant humblement les mains, j'ai l'honneur d'être avec les sentiments les plus devoués
E. PRINCIPESSE SOLMS BRAUNFELS
Supplica alla direzione delle ferrovie.
Il sottoscritto nello scorso Aprile esponeva che nei giorni 20, 21, 22, 23 del corrente maggio nell'occasione della fiera e solennità di Maria Ausiliatrice, fosse fatto un particolare ribasso sulla tariffa pel trasporto dei nostri allievi dalle stazioni di Alassio, Varazze e di Borgo S. Martino.
Il 18 dello stesso mese veniva risposto che i vigenti regolamenti ostavano alla concessione di agevolezze di viaggio, fuori di quelle contemplate negli statuti della Società.
Ora prega il Sig. Direttore Generale a considerare il numero dei giovanetti, che tra andata e ritorno farebbero circa ottocento posti e che tali viaggi darebbero anche notabile movimento ad altri viaggiatori parenti ed amici degli allievi.
Perciò supplica di voler concedere per questo solo caso eccezionale la riduzione ad un quarto di tariffa, come già una volta questa benemerita amministrazione l'accordava indistintamente a tutti gli allievi delle case mentovate[434].
Questo è il favore che si implora, avuto anche riguardo alla qualità degli allievi che in parte notabile appartengono a genitori applicati alle ferrovie dell'Alta Italia.
Attese poi le ristrettezze del tempo, aggiunge rispettosa preghiera di una risposta nei limiti della brevità compatibili.
Con profonda gratitudine ecc. ecc. [805]
Ce billet vous sera remis par une personne douloureusement éprouvée depuis deux ans au moins.
Les épreuves dont j'ai été souvent le confident m'ont révélé une âme bien droite, bien généreuse, bien abbandonnée à la volonté de Dieu. Si elle cherche auprès de vous un soulagement à ses souffrances c'est encore par obéissance, bien resolue, quoiqu'il arrive, a bénir Dieu en toute les choses.
Il y a bientôt quarante ans que je suis prêtre, je n'ai rencontré une âme aussi douloureusement éprouvée et toujours soumise à la volonté de Dieu pour sa gloire et le salut des ames.
Dans toute sa vie elle a été fidèle à Dieu et a conservé, je le crois, la grâce de son baptême.
Daignez, mon Vénéré Père, bénir celui qui vous adresse ces lignes et agréer l'hommage de mon religieux respect.
Prêtre missionnaire supérieur de l'Institution libre St Marie près Caen.
Je vous recommande bien instamment ma paroissienne qui part aujourd'hui pour Turin, dans le but unique d'être entendue, rassurée, consolée, guérie par vous.
- Son état moral est des plus pénibles comme vous le verrez; mais il n'y a pas lieu de suspecter sa droiture et sa bonne foi.
J'ose espérer, mon véneré Père, qui vous voudrez lui faire tout le bien possible.
Agréez, je vous prie, l'hommage du profond sentiment de respect et de reconnaissance avec lequel j'ai l'honneur d'être
Votre très humble et très obéissant serviteur
Lettera dell'ab. Mehler e Don Bosco.
Il sottoscritto è un prete alemanno che ebbe la fortuna di essere ospitato nell'Oratorio di Torino e presenziare la bella festa del 24 giugno 1885.
Nell'occasione del Congresso generale dei Cattolici Tedeschi a Münster in Vestfalia, che tenne le sue sedute dal 30 agosto al 3 settembre 1885, due volte ho presa la parola ragionando sulla vostra opera.
Erano presenti 5000 illustri personaggi venuti da ogni parte dell'Alemagna, dall'Austria, dai Paesi Bassi e dall'Olanda. Presentati all'imponente assemblea i saluti di Don Bosco, narrava quanto avesse fatto quest'uomo del Signore a Torino, in Italia, in Francia, in Spagna e nell'America del sud per la salvezza della gioventù. I Congregati pieni di ammirazione per opere così stupende ruppero in applausi e resero grazie alla divina Provvidenza. Avendo fatto conoscere l'opera sociale degli Oratorii ed i grandi vantaggi che da esso si ponno attendere, l'assemblea decise di fondare associazioni per salvare la gioventù povera ed abbandonata. - Don Bosco ama eziandio la gioventù alemanna e pregherà per noi. Egli ha benedetta la nostra assemblea, e gli Alemanni amano e ameranno Don Bosco come si ama un padre.
Tale fu il voto dell'assemblea. Cominciano pertanto a fondare associazioni di giovanetti a M. Gladbach, a Monaco e ad Aix-la-Chapelle. D. Bosco, voglia benedire questo lavoro sociale. In questa occasione ho fatto ascrivere fra i vostri Cooperatori 110 persone distintissime. Io preparo frattanto la traduzione tedesca del diploma di Cooperatore e bisognerà eziandio pubblicare un bollettino in questa lingua.
Avea recato pure al nobil Congresso la fotografia di D. Bosco, la biografia di Espiney e di Alberto du Bois, la fotografia dell'Immacolata e di S. Antonio, quadri del maestro Rollini allievo dell'Oratorio di Torino, e l'immagine di Maria SS. Ausiliatrice. Tutti questi oggetti furono collocati nell'esposizione delle arti cristiane.
Noi Tedeschi abbiamo due biografie di D. Bosco in lingua alemanna; quella di Espiney tradotta e pubblicata a Münster nel 1883 e quella di Alberto du Bois tradotta a Mayenee presso il libraio Kirhleim. Fra poco tempo riceveremo da Stegl, seminario dei Missionarii alemanni in Olanda, un piccolo fascicolo sopra D. Bosco.
Ora io lavoro colla stampa e coi sermoni per far conoscere la vostra opera. Il Vescovo di Ratisbona e l'Arcivescovo di Monaco in Baviera mi favoriscono. L'Alemagna ha bisogno di uno, anzi di più D. Bosco, [807] e nutre una gran simpatia per l'istituzione Salesiana. Presentemente io sono a M. Gladbach nell'Alemagna del nord, vicino ad Aix-la-Chapelle, presso l'abate dottore Hitze deputato al Reichstag a Berlino e segretario generale degli affari sociali e degli operai per tutta l'Alemagna. Volendo lavorare secondo l'idea di D. Bosco è necessario conoscere i bisogni dell'Alemagna e studiare le condizioni sociali di questo paese. A M. Gladbach io trovai nel segretariato tutte le teorie e le pratiche delle varie associazioni che esistono in questa città, nella massima parte composta d'opificii. Noi qui abbiamo un circolo di 300 giovani operai, un altro di 500 ragazze operaie con ospizio, e un terzo per gli operai adulti. Pel corso di un anno intendo studiare la questione, imparare la scienza necessaria e poi forse a Monaco incominciare un primo oratorio Salesiano.
Ad Aix-la-Chapelle città di cattolici ferventi con molti opificii, alcuni capi fabbrica vorrebbero istituire associazione o circoli di giovani dai 14 ai 18 anni. Un celebre fabbricante di nome Beisl mi ha incaricato di pregarvi, o mio buon Padre, a volergli scrivere alcune parole d'incoraggiamento e di mandargli la vostra benedizione, perchè con questa condizione gli sembrerà facile poter dare incominciamento all'opera. Tutto è possibile quando diciate una sola parola, perchè ad Aix-la-Chapelle voi siete già amato da molti. Perciò vi faccio vive istanze a voler scrivere un solo foglio con questa breve frase. - D. Bosco è felice di incominciare un circolo di giovanetti operai ad Aix-la-Chapelle e manda la sua benedizione.
prete e cooperatore salesiano a Ratisbona.
Lettera del sac. Werner bavarese a Don Bosco.
Mille gratias ago, quod me adscribere dignatus es Cooperatoribus Sancti Francisci Salesii. Eleemosynam pro aggregatione adhuc non transmisi, quia spero me plures etiam confratres esse acquisiturum, ita ut una vel plures decuriae formentur, quarum stipendia una mecum transmittere volo.
Ad faciliorem operis nostri propagationem peto a Reverentia tua etiam aliquot exemplaria Breve notizia et Regolamento in lingua Gallica.
Supposita tua auctorizatione et animatus a Rev. Domino Mehler, [808] confratre carissimo, scuscepi traducere in linguam Germanicam Regolamento et Breve notizia et proximo tempore typis vulgari curabo.
In magnifico catholicorum Germaniae coetu, qui diebus novissimis celebrabatur in Münster (cui interfúisse summo mihi gaudio est) unanimi et magno applausu accepta est resolutio, quae commendat, ut fundentur hospitia pro pueris pauperibus, eaque regantur in spiritu Reverendi Domini D. Bosco. Ista occasione intellexi, multis sacerdotibus ac laicis salutem juventutis periclitantis cordi esse, operamque Salesianam solum in Germaniae regionibus fructiferum inventuram esse.
Quod me attinet indignissimum servitorem, hic Monachii praeses constitutus sum cujusdam associationis quae dicitur Lehrlingsschutz idest Patronage pour les apprendis. Intentio hujus unionis est, fundare hospitia pro juvenibus opificibus eosque congregare et custodire et oblectare intra horas liberas. Leges huius regni dependentiam materialem nostrae unionis a domo materna Taurinense non permittent, timeo. Rogo ergo, utrum gratiae, favoresque spirituales Associationis Salesianae concedi possint membris nostris etiam in hoc casu si maneant in spirituali communications cum pia Societate Salesiana, oblata autem suppeditentur pueris hic susceptis et sustentatis.
Oblata pro aggregatione nec non pro Bollettino utique Taurinum transmittenta sunt.
Nostra Associato Lehrlingsschutz ejusque praeses approbationem Reverendissimi nostri Archiepiscopi acquisierunt; itaque servata esse videtur praescriptio regulas V numero 2 in diplomate aggregationis, quae dicit: L'associazione è umilmente raccomandata alla benevolenza e protezione del Sommo Pontefice. dei Vescovi, dei parroci etc.
Benedictionem tuam humillime erogans commendat se precibus Congregationis Salesianae
Monachii (Bavariae) 19 sept. 1885.
Tuus obedientissimus Cooperator
Coop. Ad S. Spiritum Monachii, Bavaria.
Ultima lettera del Cardinale Nina a Don Bosco.
Sono state assai cordiali e molteplici le congratulazioni che mi giunsero da sua parte e dalle altre case dei Rev.di Salesiani nell'occasione del mio giubileo sacerdotale, insieme colle preghiere per me [809] fatte all'Altissimo, che mentre hanno portato il colmo alla gioia spirituale provata da me in tal giorno, hanno pure dimostrato una volta di più quell'affezione e benevolenza dell'Istituto già in altre circostanze a me da essi professata. Le soverchie occupazioni non mi permettono di far pervenire ai singoli le mie azioni di grazie per via di lettera; tuttavia non potendo nè dovendo preterire un fatto si solenne, senza contraccambiarlo con una sincera significazione del mio animo, ho risoluto di rivolgermi a lei con la presente come a Capo rispettabile della Congregazione Salesiana e pregarla di accettare l'incarico di rendersi presso tutti il fedele interprete dei miei sentimenti, porgendo a tutti i più vivi ringraziamenti, e l'assicurazione che nella mia messa, come l'Istituto ed il suo Capo, così tutti i membri di esso furono da me ricordati e raccomandati al Cuore di Gesù con tutta l'effusione della mia anima.
Dopo ciò unendo gli auguri per il nuovo anno, mi abbia sempre con particolare stima e venerazione
Fra mio desiderio ed anche mio dovere di scrivere prima d'ora alla Eminenza Vostra per ragguagliarla intorno al nostro viaggio, arrivo e permanenza in questa Capitale Argentina.
Nol feci però, fondato nel perdono del suo generoso cuore e per avere migliori notizie a darle intorno alle nostre Missioni.
Come l'Em.za Vostra già sa, il nostro viaggio fu felicissimo e festosissimo il nostro arrivo tra i fratelli Salesiani e tra i nostri numerosi amici Italiani ed Argentini.
Mons. Arc.vo, i suoi Vicarii Generali, il Clero secolare e regolare mi diedero prove di cortesia non solo, ma di vera affezione, sia per la stima e venerazione che hanno per la Em.za Vostra e pel nostro Rev.mo Padre D. Bosco, come perchè, hanno un cuore veramente cattolico, che ama il bene e quelli che desiderano farlo.
Non così il giornalismo empio che domina in queste sventurate repubbliche. Ancora non eravamo giunti che già gridarono all'armi, ben sapendo che stava per arrivare un Capitano della Falange Salesiana [810] ed un Generale dell'esercito di Gesù Cristo, e con parecchi articoli incitarono e governo e popolo contro di noi e delle nostre Missioni.
La prudenza quindi mi consigliò a pigliare il largo, battere la campagna e dargliela ad intendere diversamente da come la pensavano.
Perciò mi diedi dapprima a visitare i nostri Collegi, Seminarii e le molte case che abbiamo in ambe queste Repubbliche, di poi presi a predicare e cresimare con gran soddisfazione di Mons. Aneyros, il quale ha proprio bisogno che Roma gli assegni almeno un Ausiliare nella persona di uno dei suoi buoni Vicarii Generali.
Finalmente presi parte in pubbliche ed anche ufficiali funzioni, ma sempre come Prelato Salesiano semplicemente e Vescovo di Magida.
Di questa guisa si acquetarono e dissiparono le nubi che minacciavano tempesta, intanto che si lasciava luogo alla Divina Provvidenza a bene disporre le cose della Missione.
Ed in effetto i tre mesi passati in questa città furonmi necessarii per poter conoscere i governatori ed altre autorità militari della Patagonia e Terra del fuoco per far seco loro relazione e tirarli a secondare i nostri piani civilizzatori di quei deserti. Come pure furomni necessarii per cercare aiuti pecuniarii presso i buoni Cattolici Argentini.
Maria SS.ma Ausiliatrice nostra buona Madre ci ha protetti e condusse le cose in modo che già due Governatori, quello di Santa Cruz e del Neuquen, accettarono i nostri Missionarii, ed il Padre Fagnano nostro Prefetto Apostolico partirà presto per il Sud, Malvine e Terre del fuoco.
Abbiamo ottenuto da uno dei Ministri i passaggi gratuiti per undici Salesiani, dei quali sono già partiti cinque; io ho potuto avere dal Ministro della Provincia una speciale raccomandazione presso le autorità militari che sono sotto la sua giurisdizione, e, domani, a Dio piacendo, lascio Buenos-Ayres, e parto con piccola scorta per la mia destinazione. Dalle sponde del Rio Negro le dirò poi come spirano i venti Pamperos ed i zefiri del deserto.
Questa lettera le arriverà quando io sarò già in Patagonia, ed in Torino si grideranno i Viva a S. Gaetano ed al fortunato che tanto degnamente ne porta il nome e ne ritrae il sapere, le virtù, la innocenza, la carità sociale ecc. ecc.
In questo giorno adunque di giusto giubilo pei Torinesi miei amici, di santo gaudio per la Em.za Vostra, sarà pure giorno di soave ricordo pei Salesiani di America e di viva gioia per i Patagoni che inneggeranno a S. Gaetano, alla Em.za Vostra gridando: Ad multos annos, ad multos annos ce la conservi il cielo alla nostra venerazione, al nostro amore? ed al bene della nostra Congregazione; e conservi [811] ancora il mio amatissimo Mons. Bertagna. Riceva, Em.a R.ma, il testimonio della mia gratitudine e tutti gli affetti del mio cuore, con i più sentiti e cordiali saluti al Car.mo Can.o Forcheri, D. Antonio, D. Maggia, al mio buon Remigio ed a tutta codesta santa famiglia.
Permetta che raccomandi alle sue orazioni fervide sempre me e le nostre Missioni, e che mi dica
Collegio Pio in S. Carlo in Almagro Buenos Ayres
Ossequentissimo e Riconoscentissimo figlio di Consecrazione
e Pro Vic. Apost.o di Patagonia.
Lettera del Cardinale Alimonda
Ad una carissima lettera di augurii pervenutami con immenso giubilo del mio cuore per S. Gaetano, V. Ecc. R.ma e Car.ma ne ha fatto seguire una seconda ancora più consolante. Alla prima lettera io non sapeva come rispondere mentre mi annunziava come imminente la partenza per la sua diletta Patagonia. Ora che mi è dato saperla stabilita tra i Suoi cari figli e tra i selvaggi da guadagnarsi a Cristo, me Le professo riconoscentissimo delle testimonianze di amore che in ambedue le lettere ha voluto darmi, delle notizie in parte buone, in parte ben promettenti che Le piacque favorirmi.
Io seguito con vivissimo interesse i passi evangelici di V. Ecc.; io alzo ogni giorno al Cielo le mie povere preghiere perchè siano largamente compensati i sudori, le gloriose fatiche che Ella sostiene per allargare il regno di G. C. e della Chiesa. Prego perchè alla Ecc. V. e ai degni Suoi compagni di missione non vengano meno le forze, perchè Loro si accrescano i Cooperatori a render florido di copiosa messe l'immenso campo Loro assegnato dal Vicario di Gesù Cristo. Possa diventare la Patagonia una terra di Santi, il giardino d'ogni virtù!
Fra tutti gli attestati di affetto che Ella ha voluto danni, nessuno al certo è più caro al mio cuore di quello di aver affidato alla mia povera protezione e col mio nome battezzato il primo fiore raccolto in codesto campo. Avrà un posto d'onore nella mia casa il fortunato giovane [812] Gaetano Santiago Neycolas Alimonda, lo avrà il suo compagno Gioachino: ad entrambi Ella impartirà in mio nome una benedizione, farà l'augurio della perseveranza e di ogni bene, darà l'abbraccio - dell'amicizia e della pace.
Vedo qualche volta il ven. Superiore Don Bosco: non è molto che ho passato con Lui pressochè intiera la giornata. Il suo animo sempre lieto e pieno di fiducia dà a sperare che nonostante gli incomodi, potrà presiedere ancora a lungo ad imprese di cui ha meritato di essere il prodigioso iniziatore. Quelle della Patagonia e della Chiesa ed Ospizio di Roma formano il soggetto delle più frequenti conversazioni, del maggiore interesse nostro e di tutti gli amici ed ammiratori di D. Bosco.
Confido che l'Ecc. V. R.ma continuerà ad avermi presente nelle Sue preghiere e a favorirmi a quando a quando di qualche bella notizia. Ora mi permetta di presentarle gli ossequi del mio Segretario, del Teol. Videmari e di tutta questa mia famiglia. Per conto mio la abbraccio con fraterno affetto e con venerazione Le bacio le mani, mentre sono lieto di confermarmi
Affezionatissimo come Fratello
Lettera di Leone XIII al cardinale Parrochi
Al nostro diletto figlio Lucido Maria Parocchi del titolo di S. Sisto Cardinale dell'Ordine dei Preti nella S. Romana Chiesa e nostro Vicario in Roma.
Diletto figlio nostro, salute ed apostolica Benedizione. Per fermo tu ben comprendi quello che di sovente a buon diritto noi siamo venuti dicendo, doversi con ogni sforzo e costanza procurare che il Chiericato accresca di giorno in giorno il patrimonio della sua dottrina. E di siffatta cosa che la necessità sia oggi cresciuta ben lo mostra la natura dei tempi che attraversiamo, imperciocchè in mezzo a tanto splendore d'ingegni e a uno studio cosi ardente di apprendere, non potrebbe certamente il clero adempiere l'ufficio suo con quella dignità ed utilità che si conviene se egli ponesse in non cale quella coltura che sì vivamente dagli altri si richiede. Per questo noi abbiamo rivolto [813] l'animo a ben disciplinare gli studi segnatamente del Chiericato; e prendendo le mosse dalla scienza che tratta di cose più gravi, ci studiammo di richiamare lo studio della filosofia e della teologia sulle orme degli antichi e sul sistema di S. Tommaso d'Aquino: il qual disegno se opportuno sia uscito, lo provò di già il buon effetto che ne è conseguito. Però siccome una vastissima parte di dottrina dilettevole ed assai atta ad ingentilire le umane costumanze si racchiude nelle belle lettere, noi abbiamo deciso di stabilire al loro incremento alcune cose.
Ed anzi tutto fa mestieri che il Clero tenga anche in queste il posto che gli spetta; imperocchè la grazia delle lettere è nobilissima, a segno che quanti se la sono procacciata, credono di possedere alcuna cosa di grande, e quelli che ne son privi difettano presso gli uomini della lode quasi principale. Dal che è dato riconoscere quanto astuto e scellerato fosse il decreto dell'imperatore Giuliano che ai cristiani vietava di darsi ai liberali studii. Imperciocchè prevedeva bene egli come agevolmente sarebbero caduti in disprezzo ignari che fossero stati delle lettere, e come a lungo non potesse durare in fiore il nome cristiano ove creduto fosse dal volgo estraneo alle arti gentili. Poi siccome da natura noi siamo così fatti che dalle cose che apprendiamo per mezzo dei sensi, ci eleviamo a quelle che superano i sensi stessi, non vi ha cosa che meglio giovi all'intelligenza quanto la forza e la gentilezza nello scrivere. Infatti con la eleganza della natia favella mirabilmente si attirano gli uomini ad ascoltare ed a leggere: donde avviene che la verità delle parole e delle sentenze quasi raggiante di nuova luce più facilmente penetri e si fermi negli animi, la qual cosa ha una certa rassomiglianza col culto esterno che si presta alla divinità, dal quale appunto proviene quella grande utilità che la mente ed il pensiero umano vengono dallo splendore delle cose corporee elevati a considerare la maestà del lume supremo. Questi bei frutti di erudizione vengono ad uno ad uno nominati con lode da S. Basilio e da S. Agostino; e con molta sapienza il nostro predecessore Paolo III prescriveva che gli scrittori cattolici avessero la eleganza dello stile per trionfare degli eretici, i quali a se soli attribuivano dottrina e perizia di lettere. Quando poi diciamo doversi dal clero diligentemente curare lo studio delle lettere intendiamo parlare non pure delle nostre, ma eziandio delle greche e delle latine, anzi presso di noi deve aversi in maggior cura lo studio delle lettere degli antichi romani, vuoi perchè la lingua latina è compagna e ministra della religione cattolica per tutto l'Occidente, vuoi eziandio perchè molti la coltivano meno profondamente, cosicchè il merito di scrivere latino, colla voluta dignità ed eleganza sembra quasi a poco a poco diminuito. Negli scrittori greci, eziandio, si deve accuratamente porre lo studio, imperciocchè i luminari greci rifulgono con tanta precellenza in qualsivoglia genere che non è dato di pensare cosa più gentile e perfetta. A ciò va attribuito il costume che [814] vige presso gli Orientali, in forza del quale le lettere greche vivono e s'incarnano nei monumenti della Chiesa e nelle consuetudini giornaliere; nè devesi dimenticare che gli eruditi nelle lettere greche, per questo che di greco si sanno, più agevolmente assimilano a se medesimi la latina virtù. Considerando l'utilità di queste cose, la chiesa Cattolica, come ebbe sempre in uso di curare secondo il suo debito tutte le altre cose che sono belle, gentili e degne di encomio, così operò a riguardo delle belle lettere e sempre pose una parte non piccola di sue cure nel favorirne lo studio e lo incremento. Di fatto i santi Padri furono tutti esperti nelle lettere per quanto il portarono i tempi in cui vissero, e fra di loro vi hanno taluni, i quali l'ingegno e lo studio tant'oltre condussero, da riuscire di non molto inferiori ai precipui tra gli antichi letterati di Roma e di Grecia. E questo sommo beneficio la Chiesa pure ha fatto, di conservare gran parte di libri antichi, latini e greci, libri di poeti, di oratori e di storici. In quei tempi nei quali le buone lettere o per indifferenza o per trascuratezza giacevano inonorate, ovvero fra lo strepito delle anni per tutta Europa stavano silenziose, ognuno sa che fra tanti rivolgimenti e barbarie di costumi, quelle trovarono un solo asilo nelle comunità dei monaci e dei sacerdoti. Nè si deve portare in dimenticanza che molti romani Pontefici, nostri predecessori vanno collocati nel numero di coloro, che per la cognizione di queste ingenue arti, sono detti eruditi. Sotto dei qual nome rimarrà senza dubbio imperitura la memoria di Damaso, dei Magni Leone e Gregorio, di Zaccaria, di Silvestro II, di Gregorio IX, di Eugenio IV, di Nicolò V, di Leone X. E nella lunga serie di Pontefici che vanta la Chiesa a mala pena si troverà un solo al quale le lettere non siano di molto debitrici. In fatti per loro impulso e munificenza si apersero, di tratto in tratto, scuole e collegi alla gioventù avida di letteratura, furono apprestate biblioteche a pascolo degli ingegni, fu comandato ai Vescovi di fondare nelle loro diocesi accademie letterarie; agli uomini eruditi furono accordati favori e colle promesse di altissimi premi vennero eccitati a maggiori cose. Il che è così vero ed evidente, che gli stessi calunniatori della Sede apostolica spesse volte hanno dovuto convenire che i Romani Pontefici largamente benemeritarono dei buoni studi.
Laonde persuasi dell'utilità e guidati dall'esempio dei Nostri predecessori, abbiamo stabilito di volgere le nostre cure e di provvedere con ogni diligenza, acciocchè anche siffatti studi fioriscano nel mezzo del Chiericato e porgano speranze di ritornare all'antica gloria. Confidando assai nel tuo senno e nella tua cooperazione diletto figlio, imprenderemo a tradurre in pratica il disegno che abbiamo manifestato nel sacro nostro Seminario di Roma; e perciò vogliamo che si aprano in esso alcune determinate scuole per i giovani di più forte ingegno e di maggiore diligenza, i quali compiuto che abbiano il consueto corso delle lettere italiane, latine e greche, possano colla [815] scorta di abili maestri, conseguire in quel triplice genere di lingue, quanto più è dato di perfezione e di profondità.
La qual cosa affinchè avvenga secondo che noi desideriamo ti ordiniamo di scegliere uomini da ciò, per raggiungere coll'aiuto del loro consiglio, quello che noi ci siamo proposto.
Intanto in significazione della nostra benevolenza e come auspice dei divini favori, impartiamo a te, affettuosamente, o diletto nostro figlio, la benedizione apostolica.
Dato a Roma presso S. Pietro il di 20 Maggio dell'anno 1885 anno ottavo del nostro Pontificato.
Lettera di Don Bosco al Duca di Norfolk.
Me voici à vous donner de mes nouvelles. Je suis toujours alité, mon état de santé est toujours inconstant, et je ne sais pas quand je, pourrai sortir de mon lita Que la volonté de Dieu soit faite! Mais voilà ce qui m'inquiete beaucoup en ce moment: ce sont les passivités de l'Eglise et maison du S. C. de Rome. Depuis environs 10 années nos efforts sont tournés là, et cependant 250 mille francs restent encore à payer et je suis en ces jours mêmes sollicité au payement. Voilà une de mes plus grandes peines.
Si V. A. peut venir à mon aide dans la mesure que sa grande charité et ses circonstances peuvent lui suggerir, j'en éprouverais un grand soulagement, et vous feriez une couvre extrêmement avantageuse à notre pauvre Societé Sal. et à toute l'Eglise Universelle et par consequence très agréable à Dieu et à son Vicaire sur la terre le T. S. Père, qui nous a confié lui-même cette Œuvre du S. C. à Rome.
Nos pauvres orphelins (plus que 250 mille) prieront toujours avec moi pour votre bonheur spirituel, temporel et eternel.
Que Dieu vous bénisse et console Mr le Due et qu'il recompense dignement tout le bien que vous voudrez faire pour lés oeuvres Salesiennes, tandis que je serai à jamais en N. S.
Lettera di Don Dalmazzo e Don Bosco.
Non voglia ascrivere il silenzio mio a negligenza. Il lavoro di questo tempo pasquale è stato qualche cosa dì straordinario e veramente consolante. Alla chiesa nostra pareva sempre giorno festivo. Eravamo sette confessori e benchè quattro di noi passassimo fino le dieci e le dodici ore al giorno in confessionale, vi fu sempre lavoro. Ne sia benedetto Iddio. A questo si aggiunsero cinque mute di esercizi spirituali per comunicandi e comunicande, e poi una serie di ammalati, tale che la scorsa settimana in sette giorni ne abbiamo viaticati ventiquattro. Se continua un po' così diveniamo trasparenti.
Sì aspettava sempre a nostro conforto la sua presenza. Lo stesso desiderano molte persone che son venute dalla Polonia, dalla Francia, dalla Spagna e dal Portogallo. Ricordo tra questi i Portoghesi de Rasto, i francesi de la Fontaine. Mi tratteneva anche dallo scrivere il pensiero che da un giorno all'altro la P. V. arrivasse tra noi.
Ebbi il giovedì santo dalla Contessa di Stacpoole le 50.000 lire, e mezz'ora dopo erano già depositate alla Banca Tiberina sperando avrei potuto fare il saldo; ma rimasero altre 10.000 lire di debito che aumentarono fino a ieri a 20.000. Ottenni però dopo giri e rigiri le 20.000 lire dal Papa. Provai più volte per mezzo del Cardinal Vicario ma invano. Ricorsi al Cardinal Nina e mi pregò che lo lasciassi in pace. A dir vero sta male e da più giorni. Mons. Boccali tentò la prova dopo una lunga mia lettera e non riuscì. Mi venne allora in pensiero di ricorrere al cardinale Segretario di Stato il quale mi domandò un promemoria. Lo feci e lo corredai di una lettera che mi feci scrivere dall'incaricato della facciata, dal quale aveva avuto una nota di quaranta mila lire già pagata per i due terzi, con minaccia di sospendere i lavori se almeno un dieci mila lire non fossero pagate in settimana. Il promemoria era umilissimamente redatto e non spirava che dolore, che pena di trovarsi in tante angustie e debiti. Ottenni tosto l'esito, perchè la sera stessa il Cardinal Vicario ebbe le 20.000 lire e al domani Domenica me le avrebbe consegnate se io avessi potuto andare a ritirarle.
Oggi le presi e chiusi il conto colla Banca Tiberina alla quale Converrebbe depositare qualche cosa per ogni emergenza.
E le 50.000 lire del Conte Colle? Qui si può mettere la pietra fondamentale quando che sia. Vegga di far venire il Conte Colle. Se non potesse assolutamente, incarichiamo o il principe Paolo Borghese o il padre [435] Marcantonio. [817]
Sia compiacente di pregare D. Ronchail a mandare al più presto i lotti della nostra lotteria, che fu prolungata a dicembre con autorizzazione di maggiore smercio di biglietti.
Presto attendiamo D. Rua dalla Sicilia, ma più aspettiamo Lei, Rev. Padre, cui umiliamo devoti ossequi e baciano tutti la mano i miei fratelli con me implorando la sua paterna benedizione.
Della P.V. obb.mo figlio in G. C.
Appello al popolo cattolico dell'Italia.
E' amorevolezza celeste, suprema disposizione della Provvidenza l'accrescimento di fede e di pietà che riscuote nei nostri tempi il culto del Sacratissimo Cuore di Gesù Cristo. Pare che Dio voglia al certo che, mentre il presente secolo, con le molte sensualità, con i suoi orgogli e con le sue nuove miscredenze, più e più distoglie dal pensiero della vita eterna il cuore dell'uomo, al benedetto e divino Cuore di Gesù, così fervorosamente amato e venerato dalla Chiesa cattolica, sia riservato di salutarmente influire su le miserie di esso secolo e ricondurre l'uomo all'amore delle cose spirituali e celesti. L'Episcopato cattolico andò persuaso di questo, maggiormente negli ultimi anni passati, quando operavasi mano a mano la consacrazione delle Diocesi al Cuore di Gesù; sentì in quell'atto devoto di procurare a se stesso e ai fedeli un sicuro asilo nei pericoli, la forza nei combattimenti e l'opportuno conforto nella desolazione.
Si aggiunse a riconfermarlo nel soave pensiero la proposta, destinata ad adempiersi prontamente, di due monumentali chiese, una da erigersi in Parigi e l'altra in Roma ad onore del Santissimo Cuore di Gesù Cristo. Si ebbe quell'idea come un'ispirazione di cielo, come un provvedimento ammirabile; imperocchè Parigi, la patria del Voltaire, e per molti salutata a metropoli dell'empietà, sembrava che dovesse dare al divin Cuore quella religiosa e nazionale riparazione; dall'altra parte Roma, che è la storica sede di San Pietro e la metropoli del cattolicismo, mostrava convenientissimo di dover levare essa, col novello tempio, la grande chiamata della fede e dell'amore, tramandandola a tutte le genti.
Godiamo che a scusare in qualche modo i danni ed a lavare, se è possibile, le macchie dell'incredulità, vada innalzandosi su la cima di Montmartre, veramente bello e sontuoso, il tempio parigino; noi dell'Episcopato italiano sentiamo il dovere di rivolgerci più sollecitamente, [818] e non col solo tributo dell'ammirazione, ma con l'efficace concorso dell'opera nostra, a considerare il sorgere del nuovo tempio nella Città Eterna. Vi è un uomo in Italia, un degno ecclesiastico, a cui paiono commessi molti preziosi disegni della divina Provvidenza. Su questo sacerdote pose gli occhi il santissimo Pontefice Leone XIII, e gli disse: - Vi affidiamo l'erezione del gran tempio da consacrarsi in Roma al culto del divin Cuore. Noi vi concorreremo col nostro censo, riserbandoci la costruzione della facciata.
E Don Giovanni Bosco si accinse risoluto all'opera. E già la nuova chiesa poggia alto con larga fabbrica a lato per alloggio di sacerdoti, per asilo di fanciulli poveri che avranno scuole diurne e serali: poggia là nella regione di Castro Pretorio, di faccia alle cappelle ed alle scuole dei protestanti, quasi Arca Santa di rincontro a Dagon; là dove si apre la nuova Roma profana, la Roma borghese, operaia, trafficante e manifatturiera, dove ancora tempio cattolico non è e si patisce al sommo il difetto della religione; poggia là, da quell'altura, donde pare ch'essa debba guardare al mondo e dove intanto, per la prossimità della stazione centrale della via ferrata, è l'incessante arrivo dei forestieri. Il sorgente tempio a vederlo promette bene, vuol esser degno confratello dei monumenti romani; ma esso attende il suo compimento, attende gli ornati e i fregi che lo decorino; il mirabile Don Bosco, allenandosi ad una co' suoi figli della Congregazione Salesiana, vi ha già profuso tesori; altri tesori si richiedono a raffinirlo del necessario. Pure, dove anche l'operosità dei Salesiani arrivi a questo, non ogni cosa sarà compiuta. Il tempio aspetta la sua classica facciata dal Papa.
Le acque del Po e della Dora, che videro arrivare su le loro sponde il fanciullo Bosco ed ora lo posseggono da cinquant'anni educatore del popolo, vanno orgogliose di non poche magnanime famiglie patrizie. Or ad un illustre rampollo di cotali famiglie nacque un pensiero non indegno dell'apostolato di Don Bosco e rispondente alle tradizioni della sua religiosa patria[436]. Egli pensò e disse: - La chiesa che Roma vede adergersi a gloria del divin Cuore deve contenere la special significazione della fede e della pietà della nostra Italia; adunque sta bene che gli Italiani validamente concorrano a darvi mano. Ed il nostro Santo Padre, che si levò a duce di tutti nel consigliare il glorioso tempio e promise del suo la facciata, Egli, che di gravissimi bisogni è stretto e vive dell'obolo della cattolicità, non attende forse che alcuna cosa si faccia da noi? Oltrechè gli Italiani, assaliti non è ancora gran tempo dal cholera e con sempre attorno di fiere minacce, non è conveniente che per domandare a Dio la preservazione dal flagello si adoprino ad onor suo, e, quanto è possibile, largheggino? Non è ciò conveniente, tenendo in su gli occhi gli esempi del Pontefice, il quale [819] versò la somma di un milione per il nuovo spedale di Santa Marta contiguo al Vaticano, mentre, osteggiato come è dal mondo, spera tutto e tutto si ripromette dalla divina Provvidenza, intento e fiso nel culto del divin Cuore? Ebbene, mettasi un voto nazionale; e quanti sono figliuoli della credente Italia si risolvano, il povero col suo meschino obolo ed il ricco con l'oblazione generosa, a fornire del necessario denaro il Santo Padre, affinchè con l'intervento di tutti costrugga Egli il frontispizio dell'italiano tempio di Roma. - Cotale idea del patrizio torinese piacque, andò di bocca in bocca, ed incontrò promotori. Sortì pure l'onore di penetrare nelle aule del Vaticano, ed il regnante Pontefice la trovò bella, la commendò: con lettera dell'E.mo Cardinale Segretario di Stato, mandata in Torino il giorno 20 del passato ottobre, ebbe l'alta degnazione di annunziare la benedizione apostolica a chiunque si rendesse esecutore della nobile e santa proposta, chiamandola VOTO NAZIONALE DEGLI ITALIANI AL SACRATISSIMO CUORE DI GESU' CRISTO:
Ed ora che preme di recare ad effetto la proposta divenuta sommamente autorevole, come anche ci torna più cara ed attraente, una cosa ci resta a desiderare, e questa è che l'Episcopato, per efficacemente promuovere il Voto nel popolo italiano, facciasi innanzi il primo. Laonde, nella speranza del bene grandissimo, saremo perdonati se osiamo di fare assegnamento sugli eccellentissimi e venerandi Arcivescovi e Vescovi della Penisola, chiedendo di averli a compagni ed a protettori. L'umile preghiera che muoviamo loro è questa: - Vediamo, infervorandoci tutti del medesimo spirito, di raccomandare ai fedeli l'offerta dell'obolo ed incaricare i molto reverendi parrochi di animarli a tal rispetto e guidarli: vediamo pure, con l'aiuto dei Comitati dei Congressi cattolici, ove questi hanno luogo, e delle altre pie società, tra le quali amiamo di ricordare quelle della Gioventù cattolica e degli Operai, di caldeggiare l'opera ed aprire, in quei modi che si reputeranno migliori, la nazionale sottoscrizione. Noi intendiamo che il prestarsi a questo atto solenne di fede e di amor divino valga il medesimo che rinnovare la consecrazione delle nostre diocesi al divino Cuore di Gesù.
Sul frontone del nuovo tempio di Roma, in bellissima lapide marmorea, verrà scritto il fatto delle italiane diocesi concorrenti; terrà il campo di quella gloriosa lapide l'augusto nome e lo stemma sovrano di Leone XIII. Quella lapide, destinata a riuscire storica ed a tutti memorabile, parlerà di noi e della nostra fede infino agli ultimi nostri nepoti. L'Italia è eminentemente cattolica e tale vuol essere: tal vuol essere e farne nazionale dichiarazione in Roma. Bella idea, concetto evangelico! Il Papa che sulla pietra del divin Cuore abbraccia come fratelli i Vescovi dell'Italia, e i Vescovi dell'Italia che abbracciano alla lor volta nelle proprie diocesi e portano ai piedi del Papa tutti i figliuoli italiani. Il Cuore di Gesù, ove noi, Padre e figli, Pastori [820] e gregge, ci troveremo uniti, sarà il centro della comune vita. La benedizione, che il Vicario di Gesù Cristo anticipatamente ne comparte, è sicuro pegno all'Italia della benedizione di Dio.
festa della Beata Vergine del Carmine.
GAETANO, Cardinale Arcivescovo.
Lettere riguardanti la Lotteria di Roma.
Stimatissimo e Venerato D. Bosco,
È un pezzo che ho tardato di mandare questo danaro che ora troverà inchiuso in contraccambio dei biglietti di lotteria mandatimi. Il fatto è che a questo tempo non è facile di trovare gente che possa contribuire se non in piccola somma ad oggetti cattolici, scuole etc. etc.
Siamo tutti poveri perchè la classe bassa, gli operai, mancano di lavoro, la mezzana classe, i mercanti, i negozianti non trovano chi compra, ed il risultato è che noi possidenti non riceviamo le nostre rendite. Tutto va male.
Però a poco a poco ho riuscito a raccogliere fr. 250 che le mando per l'oggetto richiesto, la nuova casa a Roma che sta per aprirsi e domando per me non che per tutti quanti che hanno contribuito un memento nelle vostre messe quotidiane. La povera nostra patria sta or ora in una posizione assai critica, minacciata da rivoluzione interna in Irlanda e da guerre esterne in Egitto ed in India.
Prego sempre che la Santissima volontà di Dio sia fatta e che tutto possa riuscire per la sua maggior gloria.
Ma moglie e i miei figli si raccomandano con me alle sue buone preghiere e mi protesto sempre
Londra, 2 Cromwell House 12 marzo 1885.
Récevez, M.me la Princesse, les 10 bil. de Loterie démandés par votre charité. Vous gagnerez sans doute le lot du Paradis. Je prie qu'il vous soit assuré. [821]
Bonnes fêtes, bon commencement d'année; et que la Ste Vierge soit à vous, à toute votre famille le guide sûr dans le chemin du Paradis.
S. A. R. il Principe Eugenio di Savoia ha ricevuto la di Lei lettera del 28 scorso gennaio. Ha ritenuti i duecento biglietti della Lotteria dei quali le ho fatto fin da l'altro ieri consegnare l'importo.
Compio ora l'onorevole incarico affidatomi da Sua A. R. di esprimere a V. S. l'animo suo grato per i devoti sentimenti che Ella gli ha manifestati ed il suo plauso per l'operosità veramente meravigliosa di V. S. nell'associare in cento forme la religione e la carità cristiana alla civiltà ed al progresso.
La prego a non sgradire l'omaggio anche della mia ammirazione e de' miei devoti sentimenti.
Lettera di Don Bonelli e Don Bosco.
Carissimo eRev.mo Padre in G. C.
Gli Esercizi sono incominciati e pare che vadano bene e promettono buon frutto. Abbiamo 96 tra signore, maestre ed altre, venute ad experimentum e a studiare la loro vocazione.
Ora sono a pregare la S. V. di un favore, e lo domando oggi festa della Madonna della Neve, sicuro che potendo lo farà in ossequio a Maria e a vantaggio delle sue figlie. Tanto le esercitande quanto le Suore domandano di vedere almeno D. Bosco in questi giorni. Non poche delle secolari sono venute anche nella speranza di godere questa grazia, e ritornando a casa oltre il ricordo di lei lascierebbero in molte altre il desiderio di ritornare o di venire anch'esse un altro anno, facendo del bene a se stesse e all'Istituto. Le dico anche che alcune venute l'anno scorso non avendola veduta, come speravano, e temendo che lo stesso accadesse questa volta ancora, non sono più ritornate. [822]
Infatti l'anno passato erano, m:dicono, 120, e quest'anno solo più un centinaio, e sono ancor molte.
Dunque se mai la sua salute le permettesse di fare questo viaggio, io la prego in nome di tutte a venire. Partendo al mattino alle 8.40 da Torino Ella trovasi qui a mezzogiorno. E se ama partire alla sera alle 7 vi giungerà sul fresco alle ore 10, e noi la aspetteremo colla vettura alla stazione tanto in un'ora quanto in un'altra.
E quando potrebbe venire? Bisognerebbe trovar modo di prendere due colombe ad una fava. Siccome Ella dovrebbe trovarsi in Torino pel 15, così potrebbe qui venire al giorno 12, ultimo degli Esercizi delle Signore, od anche al mattino del 13, in cui si fa la chiusura. La sera di detto giorno e al mattino del 14 si trovano già qui molte Suore delle altre Case invitate pei loro Esercizi, e fatte appunto venire nella speranza che la S. V. vi si trovi, affinchè abbiano almeno la fortuna di vederla e di conoscerla, perchè alcune non la videro mai, e ne sono come mortificate. Alla sera poi alle 6 Ella potrà ritornare a Torino sul fresco, e trovarvisi pel suo giorno natalizio.
Che ne dice, Sig. D. Bosco, di questa proposta? può andare? può accettarla? Queste buone figliuole e Suore hanno tanto pregato per la sua sanità che sperano fondatamente d'essere state esaudite.
Io non dico di più, e solo la prego che voglia incaricare qualcuno dei suoi segretarii a farmi una risposta a nome suo. Se occorre verrebbe costà D. Bussi per accompagnarla; ma attendo un cenno per norma.
Dio la benedica; preghi per me, che finora sto bene. Anche D. Olmi la riverisce; la riveriscono D. Bussi, D. Campi, Bergese. Tanti saluti alla guardia d'onore. Sono con tutto l'affetto e profonda stima
Elogio del Vescovo di Faenza ai Salesiani.
Atqui hic non possum quin speciatim vos appellem, qui, duce Salesio, bono iuventutis toto pectore insudatis, simulque vobis significem quanta laetitia sim perfusus quum primum fama vulgavit, vos stabile domicilium in hac ipsa futurae meae Sedis urbe collocasse. Viri de iuventute optime meriti, pergite, ut facitis: in puerorum cura et institutione, qui maxime vestra indigent ope, totos vos esse gaudeo illius dulcissimi Sancti, cui vos addixistis, exemplo, qui per compita acclivia, declivia, montium anfractus gradiebatur ibique pueros ad se turmatim venientes invicta lenitate sermonis edocebat, a calviniana [823] peste prohibebat, ac Christo mirum in modum mancipabat. Macti ergo animis estote, ac pro certo habeatis me numquam vobis defuturum, et quid sollicitudinis atque auxilii huius Dioeceseos iuventuti, Deo opitulante, praestiteritis, id mihi ipsi factum esse existimaturum.
Relazione di Don Rua sul caso di Catania.
Mentre mi trovo qua in Sicilia vedo sui giornali pubblicazioni riguardanti le Suore Salesiane di Maria Ausiliatrice e la giovane Agata Spanò.
Quale Procuratore Generale della Società Salesiana trovomi in grado di dare la netta esposizione dei fatti che diedero argomento a tali pubblicazioni.
A togliere ogni sinistra impressione che abbiano potuto lasciare mi reco a dovere di renderla di pubblica ragione.
La giovane Agata Spanò di Catania durante il 1881 fece calde istanze per essere accolta fra le Suore Salesiane di Maria Ausiliatrice. Dopo reiterate domande venne accettata.
Le condizioni d'accettazione richiederebbero un corredo sufficiente, una pensione di lire 30 mensili pel tempo di prova ed in seguito una dote non minore di lire 1000.
In vista però delle strettezze della giovane Spanò le si usò specialissimo riguardo accettandola con povero ed affatto insufficiente corredo e colla tenue somma di lire 302, che dovevano servire pel viaggio alla casa Madre in Nizza Monferrato (Piemonte) e per la pensione se qualche piccola somma fosse sopravanzata. Senza fermarsi nel Reclusorio Carcaci di Catania la Spanò il 15 marzo 1882 portavasi alla casa delle Suore di Bronte dove consegnò lire 292,25 avendo dovuto spendere il resto nel viaggio.
In Bronte rimase oltre quattro mesi. La maggior parte di detto tempo lo impiegò continuando a ricamare un fazzoletto di battista che incompiuto avea con sè portato e che asseriva offrire alla Madonna.
Quale postulante non potea più oltre fermarsi in Bronte, ma dovea recarsi alla casa Madre in Nizza Monferrato.
Annunziatale tale partenza qualche giorno prima, la giovane diede in dirotto pianto.
Domandatole il perchè, rispondea non esser vero che si volesse condurre in Nizza, ma bensì in Catania per restituirla poscia alla famiglia sua. [824]
Le si assicurò più volte che veramente si sarebbe condotta in casa Madre, ma nessuno potè persuadermela. Non si rasserenò se non quando, oltrepassata Catania, fu certa che non sarebbe stata esclusa dalla Congregazione.
Giunta alla casa Madre in Nizza le buone Suore le usarono tutta la carità e sollecitudini che soglionsi prodigare alle postulanti, ma pur troppo non tardò molti mesi a manifestarsi a chiari segni l'alienazione mentale.
Condotta a Torino rimase parecchi giorni in casa delle Suore, dove si sperava che il cambiamento d'aria e la valentia de' medici dovesser giovare alla sua salute. Se non che essendo divenuta furiosa, fu necessario provvederla di una donna forte e robusta per impedirla dal fare del male a sè stessa o ad altri, ricorrendo in pari tempo alla Direzione del R. Manicomio per farle mettere la camicia di forza, mentre intanto si fecero con gravi disturbi e sacrifizi le pratiche necessarie presso la Questura per farla accogliere in quell'ospedale dei mentecatti, dove assistita colle più sollecite cure dopo quasi due anni poteva ricuperare il perduto ben dell'intelletto ed essere ricondotta in patria.
I maltrattamenti adunque e le torture di cui vennero le Suore accusate, non sono altro che la violenza che si dovette fare e la camicia suddetta che si dovette usare pel vantaggio suo ed altrui. Del resto, uscita dal Manicomio, rinnovò le più calde preghiere per essere riaccettata nella Congregazione; il che certo non avrebbe fatto, se in essa avesse ricevuto i maltrattamenti e le torture suddette.
Quanto poi alla somma seco portata, già ben si può capire come sia stata impiegata e se abbia diritto a ripeter qualche cosa.
D'altra parte la questione d'interesse già venne attentamente esaminata da competente civile autorità, che dovette riconoscere con quanta carità e discrezione la Agata Spanò sia stata trattata dalle Suore Salesiane di Maria Ausiliatrice.
Non sarà fuori di proposito ricordare come la Spanò, prima di chiedere l'ammissione nell'istituto delle Salesiane di Maria Ausiliatrice, era già stata cacciata da altro istituto di Catania per la sua cattiva condotta e per indizii di pazzia, cosa che le Suore di Maria Ausiliatrice non seppero se non molto tempo dopo la sua accettazione, cioè quando già trovavasi all'Ospedale. Questa circostanza spiega la poca o nessuna maraviglia mostrata dalla sua genitrice, allorchè le si annunziò che la figlia era stata collocata al Manicomio.
Date queste dilucidazioni, noi cessiamo da qualsiasi ulteriore pubblicazione in proposito, pronti a mostrare i documenti alle competenti autorità qualora sia necessario.
Procuratore generale della Società Salesiana. [825]
Lettera di Don Dalmazzo alla confessa Mamiani.
La S. V. Ill.ma avea meco impegnata la parola di gentil donna che aggravandosi la malattia dell'Illustre suo Sig. marito, mi avrebbe immediatamente fatto chiamare perchè avesse i conforti della religione. Con mia dolorosa sorpresa dovetti invece persuadermi, che non solo non sarei stato chiamato nei supremi momenti dell'Illustre infermo, ma che anche venutovi spontaneamente non sarei stato ammesso. Tornato infatti, dopo ripetuti tentativi, mi venne negato il favore che io implorava; e sì che il bollettino sanitario segnava lenta agonia. Quanto questo fatto mi rincresca, e quanta responsabilità la S. V. assuma al cospetto di Dio e degli uomini lascio a Lei il considerare, anche per lo scandalo che ne può provenire, mentre nessuno dei grandi uomini di stato morti da un decennio in qua volle essere privato degli estremi conforti religiosi. E tanto più grave mi appare la cosa, perchè mi consta di certa scienza che il prelodato Sig. Conte negli istanti di maggiore sconforto abbia esclamato: Se i medici non valgono a guarirmi, non mi resta che a chiamarmi il mio Curato. Perdoni il mio franco ardire, ma me lo impongono e il mio Sacerdotal ministero, e la stima che professo pel Chiarissimo professore, e perchè sono intimamente persuaso di farmi interprete dei medesimi sentimenti di lui. Voglia il Signore che la mia parola trovi eco nel cuore della S. V. Ill.ma, e che siamo in tempo ad arrecargli quei conforti che la sola Religione Santissima può dare.
Col massimo ossequio ho l'onore di professarmi
Progetto di convenzione approvato da Don Bosco
per l'orfanotrofio Crosina-Sarfori a Trento.
I. Il Municipio di Trento d'accordo con la Congregazione di Carità cede gratuitamente al Sac. Giovanni Bosco l'uso del palazzo Crosina e Sartori colle adiacenze e tutti i mobili ed arredi entrostanti. [826]
2. Per le orfanelle che ora occupano la parte a mezzogiorno del Palazzo il Municipio provvederà altra casa in cui siano ricoverate prima dell'apertura dell'Ospizio.
3. Tutte le riparazioni che secondo il codice civile spettano al proprietario, le modificazioni e riattazioni del palazzo medesimo saranno a carico del Municipio, restando a carico del Sac. Giov. Bosco le piccole riparazioni e l'imbiancamento delle pareti interne. Saranno pure a carico del Municipio tutte le imposte o tributi, a qualunque genere appartengano.
4. Sarà dovere del Direttore dell'Ospizio ogni qualvolta osserverà il bisogno di alcuna delle riparazioni che sono a carico del Municipio, di avvertire prontamente il Sig. Podestà, il quale sarà tenuto a farle eseguire nel più breve termine possibile.
5. Si farà un esatto inventario di tutti i mobili, utensili ed arredi, ed oggetti di biancheria esistenti presentemente nell'Istituto; i quali dovrà il sacerdote Bosco restituire al Municipio, quando quod Deus avertat, dovesse abbandonare l'Ospizio; ma nello stato e condizione che allora si troveranno, senza obbligo di altri sostituire a quelli che si fossero con l'uso consumati.
6. La Direzione ed Amministrazione interna dell'Istituto, la disciplina, l'orario delle varie occupazioni sarà interamente affidata al Sac. Giov. Bosco ed al Direttore da lui nominato.
7. Continueranno a rimanere nell'Istituto gli orfani che vi si trovano presentemente e sarà in facoltà del Municipio e della Congregazione di Carità di mandarne altri in qualunque tempo dell'anno, previo accordo col Direttore dell'Istituto. Per ciaschedun ricoverato il Municipio o la Congregazione di Carità corrisponderanno una lira al giorno.
8. Affinchè un giovane sia accettato nell'Ospizio dovrà essere sano, robusto e ben disposto nella persona; nell'età non superiore ai 14 anni e non inferiore ai io, e dovrà presentare gli attestati di nascita, di battesimo, di vaccinazione e della condotta tenuta anteriormente, rilasciato dal parroco. Si fa tuttavia eccezione di tutti i ricoverati che trovansi presentemente, i quali verranno incorporati con quelli che d'ora innanzi si accetteranno, o tenuti separatamente, come meglio crederà il Direttore dell'Istituto.
9. Quando alcuno dei ricoverati che sono a carico del Municipio e della Congregazione di Carità, fosse colpito da malattia contagiosa e cronica, tenesse una condotta immorale, o per qualunque altra ragione riuscisse di danno ai compagni, il Direttore avvertirà il Sig. Podestà ed il Sig. Presidente della Congregazione che il loro raccomandato non può più essere tenuto nell'Ospizio, ed essi dovranno nel più breve tempo possibile inviarlo altrove.
10. Sarà in facoltà del Sacerdote Bosco di accogliere nel medesimo Istituto, oltre i ricoverati a carico del Municipio e della Congregazione [827] di Carità, altri giovanetti che dai parenti o dai benefattori gli fossero raccomandati, ed alle condizioni che giudicherà più convenienti.
11. Sarà in piena facoltà del Direttore dell'Istituto l'applicare ad un'arte o mestiere oppure allo studio qualunque dei giovanetti ricoverati.
12. Le officine e le scuole tutte saranno nell'Interno dell'Istituto, e perciò non sarà permesso ad alcun ricoverato di attendere a studi od a lavori fuori delle medesime.
13. I giovani dell'Istituto pei casi di uscita indosseranno la divisa ora m uso se il Municipio o la Congregazione di Carità lo desidereranno.
14. Il trattamento di tavola e l'orario a seguire per le scuole ed i laboratorii sarà presso a poco eguale a quello dei giovani ricoverati nell'Oratorio di S. Francesco di Sales di Torino.
15. Questa convenzione avrà il suo vigore il giorno stesso dell'apertura dell'Istituto e durerà cinque anni. Se passati tre anni, non vi sarà stato diffidamento d'alcuna delle parti, s'intenderà rinnovata per un altro quinquennio.
16. Qualora il Municipio intendesse richiamare a sè l'uso del Collegio, dovrà dame formale avviso al Sig. Giov. Bosco quattro anni prima e risarcirlo delle spese che dovesse fare pel viaggio del personale e trasporto di mobili di sua spettanza.
Risposta dettata da Don Bosco per una domanda
Recibimos su carta fechada el 19 del mes pasado, en que solicita los Salesianos para que pongamos allí un establecimiento de ninos aprendiendo artes y oficios.
Ojalá pudieramos satisfacer sus deseos de V. y llenar las necesidades de tanta pobre juventud desamparada y menesterosa de cristiana educación.
Mas las muchas casas que tenemos en Italia, Francia y America y las recién establecidas en Utrera y Barcelona nos han agotado todo el personal disponible y no nos es posible atender por ahora á la solicìtud de V. aunque deseamos extender el reino de Dios en las almas de muchos niños.
Ruegue pues para que Dios bendiga nuestra Congregación y nos mande personal en las casas de España, y entonces no será dificil el que pongamos raices en Vigo tambien. [828]
Aprovecho la ocasión para agradecerle á V. los obsequios à nuestro Padre Superior D. Juan Bosco y para encomendar en sus fervientes oraciones á su A. S. y Capellan.
ANTONIO RICARDI Pbro Secretario.
Lettera del Nunzio spagnolo Rampolla e Don Bosco.
A favorire l'impianto di un Istituto Salesiano in questa Capitale per l'emendazione della gioventù povera e abbandonata, sono animato dalla sincera stima e particolare benevolenza che professo alla Congregazione che Ella sì degnamente presiede. Mi è quindi grato rinnovarle la manifestazione di questi sentimenti dell'animo mio, in risposta alla sua pregiatissima lettera del 5 corrente. E poichè dalla comunicazione fatta al Signor Silvela rilevo con piacere l'armonico accordo dei desiderii di questa Commissione dì Patronato colle savie norme direttive alle quali si informa la benemerita Congregazione Salesiana, nutro fiducia che questa possa in breve tempo estendere a Madrid il campo delle sue fatiche. Dal canto mio Le ripeto volentieri ciò che ebbi occasione di manifestare al P. Branda, vale a dire che mi troveranno sempre disposto a prestarmi, per quanto possa, al buon risultato dell'erezione proposta.
Frattanto mi raccomando con fiducia alle preghiere della S. V. e supplicando il Signore a benedire a tutta la Congregazione Salesiana col colmare di grazie e favori il suo degnissimo Superiore, ho il piacere di raffermarmi con sensi di distinta stima
Lettera del ministro Silvela e Don Bosco.
Muy Sr mio y respetable Amigo,
Recordará la visita que tuvimos el honor de hacerle el Señor Lastres y yo cuando nos dirijiamos a Roma para representar al Gobierno de España en el Congreso penitenziario, reunido en Noviembre último, [829]
Entonces, reiterando el ruego que habíamos hecho al Padre Branda, Director de los Talleres de Barcelona, suplicamos á Ud. encarecidamente nos prestára el ausilio de la Congregacion Salesiana para nuestra Escuela Santa Rita, consagrada a la educación correccional de la juventud y para que pudiese juzgar por completo nuestro pensamiento les entregamos ejemplares del folleto impreso en frances, dónde constan los antecedentes, la ley que autoriza nuestra Escuela de Santa Rita y nombre de los patronos fundadores.
Como le dijimos, tenemos terminados dos edificios de los que han de componer la Escuela y en los cuales hay capacidad suficiente para albergar por ahora 25 niños enviados por la Administración y 4 sometidos á corrección por acuerdo del padre ó jefe de la familia. La opinión pública y la junta que tengo el honor de presidir apremia para que la Escuela se abra y solo esperamos la contestación de Ud. asegurándole nos seria por todo estremo satisfactorio se resolviese á concedennos su ausilio y alguno de los hermanos Salesianos, y de acuerdo con el Padre Branda convendriamos los detalles para poder inaugurar immediatamente nuestra Escuela.
Por ló dicho comprenderá ló urgente de su contestación, que le suplico á la mayor brevetad para dar cuenta á la junta, en nombre de la cual, del Señor Lastres y en el mio le invío un respetuoso saludo á la vez que tributo de admiración, y sabe que puede -ordenar cuanto guste á su alentó S. S.
Altra lettera di Mons. Rampolla a Don Bosco.
Mi rallegro assai di sapere che Ella e venuta in Ispagna, perchè non dubito che conoscendo più da vicino la pietà e religione delle popolazioni spagnuole si animerà ognora più nel desiderio di procurare ad esse quel grandissimo bene che certamente avrebbero colla estensione e molteplicità di Case Salesiane. L'egregio Sig. D. Emmanuele Silvela non ha perduta la speranza di ottenere che Ella accetti, per la Congregazione che degnamente presiede, la direzione dell'Istituto di beneficenza che si desidera fondare nelle adiacenze di questa Capitale, e di cui Ella è già informato; nondimeno, essendo ieri venuto alla Nunziatura, mi rinnovò la preghiera di facilitargli l'appagamento del [830] suo desiderio, ed io, per aderire a sì rispettabile istanza, non posso far a meno di ripeterle che faccio voti perchè Ella si trovi in grado di mettere la sua benemerita Congregazione a capo di un Istituto cotanto benefico ed importante. Il prelodato Signore mi ha confermato che la Commissione iniziatrice del noto progetto è disposta a fare quanto sia necessario per metterne l'effettuazione in armonia colle leggi e costituzioni dell'Istituto Salesiano. In vista di questa assicurazione mi è grato sperare non lontano il giorno in cui i benemeriti Salesiani possano estendere le loro cure a vantaggio della gioventù povera ed abbandonata di questa Capitale, e con questa speranza Le rinnovo i sensi della distinta stima con cui sono
fra l'Eccellentissima Commissione di Madrid ed il Sacerdote
Giovanni Bosco per la fondazione di un ospizio pei giovani
Al caritatevole scopo di venire in aiuto della gioventù povera ed abbandonata della Città di Madrid l'Eccell.ma Commissione governativa ed il Sac. Giovanni Bosco Fondatore e Rettore della Pia Società di S. FRANCESCO DI SALES si convenne quanto segue:
I° La Commissione cede gratuitamente al Sac. Giov. Bosco l'uso del fabbricato allo scopo destinato con le adiacenze e tutti i mobili ed arredi necessari.
2° Si aprirà l'Istituto col ricoverare giovanetti orfani od abbandonati dai loro genitori, ma che non siano stati colpiti da alcuna condanna per mancanze commesse.
3° Tutte le riparazioni che secondo il Codice civile spettano al proprietario, le modificazioni e riattazioni del fabbricato medesimo saranno a carico della Commissione, restando a carico del Sac. Giov. Bosco le piccole riparazioni. Saranno pure a carico della Commissione tutte le imposte e tributi a qualunque genere appartengano.
4° Sarà cura del Direttore dell'Ospizio ogniqualvolta osserverà il bisogno di mobili, arredi o di alcuna delle riparazioni che sono a carico della Commissione di avvertire prontamente il Sig. Presidente, il quale sarà tenuto a farle nel più breve tempo possibile. [831]
5° Si farà un esatto inventario di tutti i mobili, arredi ed oggetti esistenti nell'Istituto, i quali dovrà il Sac. Bosco restituire, quando dovesse abbandonare l'Ospizio; ma nello stato e condizione in che allora si troveranno senza obbligo di sostituirne altri a quelli che con l'uso si fossero consumati.
6° La Direzione ed Amministrazione interna dell'Istituto, la disciplina, l'orario delle varie occupazioni saranno intieramente affidati al Sac. Giov. Bosco ed al Direttore da lui nominato.
7° Per ciascuno dei suoi raccomandati la Commissione corrisponderà Cent.mi... al giorno, e pel Direttore, pei maestri, assistenti, e persone di servizio ecc. corrisponderà annualmente la somma di L…..
8° Affinchè un giovane sia accettato nell'Ospizio dovrà essere sano, robusto, e ben disposto della persona, nell'età non superiore ai 14 anni e non inferiore ai 9. Dovrà presentare gli attestati di nascita e battesimo, di vaccinazione e della condotta tenuta anteriormente rilasciato dal Parroco.
9° Sarà in facoltà del Sac. Giov. Bosco di accogliere nel medesimo Istituto, oltre i ricoverati della Ecc.ma Commissione, altri giovanetti che dai parenti o dai benefattori gli fossero raccomandati ed alle condizioni che giudicherà più convenienti.
10° Sarà in piena facoltà del Direttore dell'Istituto l'applicare ad un'arte o mestiere oppure allo studio qualunque dei giovanetti ricoverati.
11° Le officine e le scuole tutte saranno nell'interno dell'Istituto; epperciò non sarà permesso ad alcun ricoverato di attendere a studi od a lavori fuori delle medesime.
12° La Commissione aiuterà con tutti i mezzi che le saranno possibili il Direttore, affinchè ai ricoverati non manchi il lavoro in cui occuparsi e così imparare un mestiere per guadagnarsi onestamente il vitto.
13° Il trattamento di tavola, il regolamento e l'orario a seguirsi per le scuole ed i laboratori, saranno presso a poco uguali a quelli dei giovani ricoverati nell'Oratorio di S. FRANCESCO DI SALES DI TORINO, salvi i riguardi richiesti dalla diversità del clima e degli usi.
14° Questa Convenzione avrà il suo vigore il giorno stesso dell'apertura dell'Istituto e durerà cinque anni. Se passati tre anni non vi sarà stato diffidamento di alcuna delle parti, s'intenderà rinnovata per un altro quinquennio.
15° Qualora in seguito la Commissione intendesse rivocare a sè l'uso del fabbricato, dovrà darne formale avviso al Sac. Giov. Bosco quattro anni prima e risarcirlo delle spese che dovesse fare pel viaggio del personale e trasporto dei mobili di sua spettanza. [832]
Terza lettera di Monsignor Rampolla a Don Bosco.
Le rendo vive grazie pei cortesi auguri di felicità che Ella ha voluto indirizzarmi anche quest'anno nella ricorrenza delle sante Feste Natalizie, ed in doveroso ricambio Le desidero da Dio ogni maniera di grazie e consolazioni. Estendo pure il mio augurio a tutta la Congregazione da Lei presieduta, pregando il Signore a moltiplicarne i membri ed a benedirne le fatiche a vantaggio della gioventù, che tanto abbisogna ai dì nostri di buona educazione. L'interesse che porto alla Spagna, e l'esperienza del gran bene che vi producono i Salesiani sia in Barcellona sia in Utrera, mi farebbe desiderare specialmente che la sua Congregazione potesse estendersi in questa capitale; io non saprei dirle per qual motivo non siasi data risposta alla comunicazione con cui Ella rimise al Senatore Silvela il progetto richiestole; credo che in questi giorni avrò occasione di abboccarmi con alcun membro della famiglia dell'indicato signore, ed Ella può essere ben sicuro che io non mi lascierò sfuggire l'occasione di confermare la mia particolare benevolenza verso la Congregazione Salesiana.
Frattanto raccomandandomi alle sue preghiere ed a quelle dei numerosi e degni suoi figli, Le rinnovo l'attestato dell'affettuosa stima con cui ho il bene di ripetermi
Lettera di Don Lazzero a Monsignor Cagliero.
Il nostro amato Padre D. Bosco nello scopo di provvedere a tutelare la posizione dei suoi figli, m'incarica notificarti, che, nel caso di una qualche vessazione da parte delle Autorità governative di costì contro le Congregazioni religiose, fra cui fossimo compresi anche noi, esorta il Superiore locale di costì a presentarsi alle Autorità competenti, al console italiano etc. ad esporre e far valere le ragioni seguenti:
I° Si rileva dalle nostre stesse Costituzioni, come noi non dobbiamo essere considerati quale Società [833] civile; difatti siamo possidenti individualmente etc. e come tali tenuti e riconosciuti in Italia, Francia e Spagna.
2° Noi abitiamo in casa nostra, godiamo quindi di tutti i diritti concessi agli altri liberi cittadini, benchè forestieri.
3° Noi poi siamo venuti in America incaricati in modo speciale per l'istruzione ed educazione degli Italiani, il che venne concertato col Ministero del Regno d'Italia, al cui Ministero facevano parte Crispi, Lanza e Depretis.
Qui si possono aggiungere tutte quelle altre ragioni che potranno aver qualche forza locale.
Ti unisco copia della lettera diretta al Sig. D, Bosco dallo stesso Mancini, il cui originale teniamo nel nostro archivio. Osserva che in essa non v'è limite, parla dell'America del Sud, sicchè le suddette osservazioni valgono per l'Argentina, Uruguay e Brasile etc.
Copia della presente mia, e con unita quella di Mancini fu spedita direttamente a D. Lasagna.
Per ora nient'altro di particolare. Speriamo a giorni ricevere notizie del vostro felice arrivo, sani e salvi.
Tutti quelli che incontro mi domandano notizie di Mons. Cagliero, e m'incaricano di riverirlo, ed io ben volentieri accetto l'incarico onorifico.
Chiedo per Papà, per me, per tutta questa casa la tua pastorale ed episcopale benedizione. In spirito Ti bacio il sacro anello e mi dico
Lettera di Monsignor Cagliero a Leone XIII
Il giorno 16 di agosto sacro al glorioso Patriarca San Gioachino ed onomastico della S. V., per noi Missionarii Salesiani della Patagonia fu giorno di sante rimembranze e di non comune giubilo. Uniti di mente e di cuore con tutti i vostri figli dell'orbe Cattolico abbiamo anche noi festeggiato questo di solenne sulle sponde del Rio Negro. I nostri buoni neofiti hanno con noi pregato il Gran Padre che è nei Cieli, affinchè benedica e conservi ad multos annos il Gran Padre e Pastore che ci ha dato quaggiù in terra.
E l'abbiamo molto supplicato perchè consoli e conforti la S. V. nelle presenti tribolazioni e pressanti cure della Chiesa. [834]
Ai primi di luglio passato, superate non poche difficoltà io giungeva presso i miei Salesiani in questo immenso campo evangelico.
E una delle mie prime cure fu di cercare in questo vastissimo deserto qualche bel fiore per offrirlo, come pegno del nostro inalterabile affetto e profonda riconoscenza, alla Santità Vostra. E questo fiore la Divina Provvidenza me lo presentava precisamente nel giorno del vostro Onomastico, nel quale ebbi la consolazione di rigenerare nelle acque del Santo Battesimo il figlio di Likuful, Principe dei Cacichi di Angol.
Egli conta 20 anni di età, ed alle belle doti sortite dalla natura, Gesù aggiunse le ineffabili bellezze della grazia.
E così vestito di grazia e di innocenza io lo offriva alla S. V. o Beatissimo Padre, col nome glorioso di Gioachino Francesco Likuful.
Ricevete adunque, Beatissimo Padre, questo primo giglio raccolto nel vastissimo Vicariato che la S. V. si è degnata affidarmi, e benedite questo figlio del deserto, ora divenuto figlio della grazia e di V. Santità.
Degnatevi, Beatissimo Padre, di benedire ancora la nostra Missione, i nostri Neofiti e i miei Confratelli Salesiani, sacerdoti, chierici e catechisti e le suore di Maria Ausiliatrice che già hanno offerto a Maria Immacolata una bella e numerosa schiera di giovanette.
Benedite infine la Patagonia e il suo primo Vicario Apostolico che prostrato dinanzi a Voi bacia il sacro piede e si professa
Carmen de Patagones, 27 agosto 1885.
(firmato) @ GIOVANNI Vescovo di Magida.
Lettera di Monsignor Cagliero a Don Bosco.
Rev.mo ed amat.mo Padre in G. C.,
Sono di ritorno dalla mia prima escursione apostolica fatta sulla sponda diritta e sinistra del Rio Negro. Abbiamo visitato dieci stazioni arrivando fino a Conesa e ritornando per Pringles.
Il mio esercito era composto di un aiutante di campo, D. Milanesio, di Zanchetta, un coadiutore della casa, un soldato di scorta e 12 cavalli.
Il mio uniforme era: stivali fino al ginocchio, pantaloni, sottana, croce pettorale, fascia ed il famoso poncho, o copertone nero che mi difendeva dalla polvere, dal vento, e dalle piogge.
Il vitto era quello che trovavamo, quando 16 trovavamo e dove lo potevamo trovare, cioè alla bella provvidenza, E mi vennero molto in [835] taglio le memorie delle escursioni che la Paternità Vostra ci avvezzò a fare, dai Bech alla ventura per le colline del Monferrato.
E la Provvidenza si dimostrò vera madre come allora così adesso. Nulla ci mancò. L'acqua del Rio Negro che scorre abbondantissima, dolce, soave e refrigerante, massime quando si è stanchi, sfiniti e colla gola piena di polvere.
Le difficoltà, le bellezze e le curiosità di questa prima visita pastorale conto di poterle scrivere a D. Barberis, per tema di studio, punto di meditazione e norme dei suoi novizii, i futuri apostoli.
Il viaggio durò un mese e sopra un'estensione di 40 leghe, ossia 200 chilometri pari alla distanza da Torino a Genova. E non contando l'andare e venire da un rancho all'altro, o capanne o colonie. Nel ritorno divoravamo su forti destieri anche 6o chilometri di un fiato. E D. Milanesio ne resistette 100 in un galoppo continuo.
Ho alloggiato in casa di molte famiglie di Indii, e ne abbiamo battezzati 6o e catechizzati moltissimi e cresimati assai più. Ho potuto raggiungere il numero di 200 comunioni! Cosa rara finora ma che sarà cosa più frequente in avvenire. In passato si correva per battezzare e cresimare soltanto. E vidi la necessità di alimentare questi battezzati e cresimati se si vogliono salvare le anime loro. Vi furono molte prime comunioni di fanciulli e fanciulle di 50, 60, 70, anni! Ed erano animette innocenti perchè di fresco battezzate e confermate. Il Sacramento del Matrimonio poi dava le basi di una famiglia cristiana di più e di una choza (capanna) di selvaggi di meno.
E tutte queste consolazioni ci pagano abbondantemente dei nostri sudori, fatiche, spossatezze, incertezze e disagi senza fine. Ho accelerato il ritorno per la benedizione della Chiesa di Viedma riedificata e ristorata per benino. È vero che ci costa quattrini e che abbiamo fatto un puff col Banco, ma era indispensabile pel bene e per l'onore della missione e della Congregazione.
Dopo il Santo Natale andrò a Buenos Aires ed a Montevideo per i santi esercizii. Ho buone notizie di Colon, non tanto dal Brasile e meno da Buenos Aires. Ma Il Signore e Maria Ausiliatrice ci aiuteranno. E la bell'anima di D. Paseri dal cielo perorerà la causa nostra presso la Divina Misericordia. Il personale che ho qui con me è buono ma anche buono a p... o... c... o. Nella prossima escursione che D. Fagnano farà alle terre del fuoco gli darò D. Rabagliati per compagno.
D. Savio partì per Rio Santa Cruz e D. Beauvoir non potè accompagnarlo perchè il governo pensa alla persecuzione e non alla religione. Noti che D. Savio fu accettato come Agronomo. Quindi sto inquieto e alla prima occasione che parta un vapore per quella regione lo richiamo qui.
Qui ci avviciniamo ad un'epoca critica, quella dell'elezione del nuovo Presidente! Molti perdono il danaro, altri la ragione e molti han già perduto la vita! E mi pare che sarà altra volta una lotta [836] cruenta! E sono al potere, l'arbitrio, il despotismo, il ladrocinio, l'empietà e l'assassinio!!!
E ciò nel Chilì, nel Perù, in Buenos Aires ed a Montevideo. I tiranni di Siracusa hanno qui i loro condegni fratelli!
E noi quì in Carmen di Patagones stiamo in mano della Provvidenza e non senza timore. In una visita chè feci al Governatore, mi parlò chiaro dei suoi propositi che sono d'impossessarsi colla forza del territorio della Provincia e fare una Capitale sola di Patagones e di Viedma.
Il giornalismo ci insulta ed egli ci lascia insultare. La politica lo accieca tanto più che egli è dei partito avverso alla Religione. Mi riceve bene e dice di sì a tutte le mie proposte, ma poi a conti aggiustati non so se avrà guadagnato! Dio ce la mandi buona.
Lo spirito delle due popolazioni va svegliandosi a poco a poco, ed avanzando nel bene; ed ecco il motivo della rabbia di Satanasso e seguaci suoi.
Preghi per noi e per le nostre Missioni e perchè Iddio mi doni i lumi necessarii e le necessarie virtù per il mio nuovo stato e posizione. D. Remotti, Piccono, Pestarino ed accolito Dallera del Sud; D. Fagnano Riccardi, Fassio, Daniele ed accolito Stefenelli; D. Milanesio e Panaro e Zanchetta e coadiutori e suore e niño y niñas le domandano con me la, Santa Benedizione.
Se sarò Papa ti farò Cardinale, non fosse altro che per la puntualità, celerità, sincerità e generosità con cui mi tieni al corrente delle cose dell'Oratorio e della Congregazione. E le tue lettere sono tema delle nostre conferenze che teniamo tutti i giovedì.
D. Riccardi scrive per me una lettera al nostro caro Padre ed io gliene scrivo un'altra per conto di Mons. Cagliero; e sono le cose nostre di famiglia. E da queste e da quelle che verranno saprai tutte le cose sapiende o da: sapersi.
Ringrazia Dogliani della sua bella lettera e digli che la Messa di S. Cecilia data a Buzzetti in proprietà, sia eseguita, se si può, come quella dell'Haydn con il concorso di alcuni strumenti a corda e dedicata, [837] se si crede, a Sua Em.za Rev.ma il Cardinale. Non deve portare altro titolo dell'autore che questo: G. Cagliero; e sei tu nominato esecutore testamentario.
Fra poco manderò pure una bella messetta funebre feriale pei giovani dei nostri collegi con basso e tenore ad libitum. Ed è composta sul genere voluto ora dalla S. Congregazione dei Riti.
E questo solo per fare vedere che l'antico valor musicale non è ancor morto ed anche per provvedere questo mio Vicariato del suo repertorio.
Non appena vedrai il nuovo figurino [D. Cerruti] venuto da Alassio ad occupare il seggio capitolare di Torino, lo saluterai tanto caramente da mia parte e digli che mi scusi se per una circostanza di tempo e di luogo non ho potuto trovarmi al suo ricevimento.
Salutami il nuovo Prefetto, di Torino, cioè della Congregazione, D. Durando e digli che a lui mi raccomando per pietà; se avesse ereditata la cassa forte, digli che sono parente con Crispino![437]. Saluta e ringrazia D. Sala di sua bella lettera e bellissimo progetto, maternale.
A D. Bonetti, D. Lemoyne e D. Francesia ed al Vicario I presenterai i miei ossequi e dirai che io sono il Vicario I della Patagonia ed il secondo della Congregazione.
Saluta gli alunni che hanno fatto la Comunione per me e Suttil, Pelazza, Grasso e Buzzetti.
Salutami le Magne[438] e le suore e preghino per me.
Lettera di Don Vespignani a Don Bosco
sulle case di Buenos Aires durante il 1885.
Che piacere poter cominciare l'anno, scrivendo al nostro car.mo Padre! Ben è vero, che gli augurii non giungono in tempo, però giungeranno le nostre notizie a: rendere più splendida pel suo paterno cuore. [838] la festa di S. Francesco di Sales. Siamo giunti la Dio mercè al termine dell'anno scolastico, il quale fu molto soddisfacente sì per la pietà, come per la moralità dei giovani. Il numero loro si aumentò di molto in quest'anno e in questo Collegio, e negli altri Collegi ed Oratori di questa Città. Il numero dei nostri alunni quest'anno è giunto a 190 convittori tra artigiani e studenti, e 70 esterni, la maggior parte dei quali resta con noi dalla mattina alla sera. Quante prime Comunioni si sono fatte soltanto qui! Trovo nell'apposito registro che si prepararono: Per la festa di San Giuseppe (che è la prima fra noi nell'anno scolastico) 13 nuove comunioni; per Pasqua N° 25; per Pentecoste N° 14. Nella festa di Maria Ausiliatrice, nella Chiesa a ]Lei dedicata e di mano di Mons. Cagliero per conclusione degli Esercizi Spirituali, N° 32; nella Festa di Maria Assunta al cielo, e compleanno del nostro Venerando Padre D. Bosco, prime Comunioni N° 35. Per S. Carlo Titolare della Parocchia, ed in occasione del 30 Centenario della vocazione di San Luigi (2 Novembre) N° 24. Nella conclusione del mese di Maria, e festa dell'Immacolata Concezione, nuove Comunioni N° 29. Nella notte di Natale N° 8. Totale delle prime Comunioni dei giovani Studenti, Artigiani, ed esterni N° 180, oltre ad alcune altre che isolatamente si sono fatte per motivi speciali. Il Signore ci ha fatto conoscere quest'anno l'importanza della Prima Comunione fatta nel collegio; e perciò ci siamo data la maggior premura di non lasciarci sfuggire nessun giovane dal collegio senza ricevere questo divin Sacramento. Attribuiamo a questo felice esito della nostra missione catechistica la circostanza eccezionale di quest'anno, di non aver dovuto cacciare dal collegio nessun giovane per gravi mancanze di irreligione e immoralità, mentre altri anni fummo obbligati a punire coll'espulsione 14 individui in un sol mese la cui condotta immorale presentava segni di essere contagiosa ed incorreggibile. Ne sia lodato il Signore, che ci ha dato in quest'anno una così bella ed eloquente lezione pedagogica.
Somiglianti risultati si sono ottenuti nella Boca, dove frequentano l'Oratorio festivo circa 200 giovani; quasi ugual numero si è raggiunto ancora in Santa Catterina, quantunque ancora sui principi; e più ancora nella Cappella Italiana, dove per certo si fa il maggior numero di prime Comunioni non solo nelle feste principali, ma in quasi tutte le Domeniche. Possiamo dunque dire che in quest'anno avemmo costantemente un migliaio di giovanetti sotto la nostra spirituale direzione, i quali si educano secondo i principi della Santa Religione, santificano la festa, e ricevono regolarmente i SS. Sacramenti. Sto per dire tuttavia, che gli sforzi dei Salesiani sono vinti qua dall'attività con cui lavorano la Figlie di Maria Ausiliatrice, che sono pure le degne figlie spirituali del Sig. D. Bosco. Fui mandato dal nostro Superiore nelle varie case delle Suore per assistere agli esami, e restai ammirato come il debole sesso ci vinca in valore, e riporti contro il demonio più [839] considerevoli trionfi che i nostri. Penso che il nostro Rev. Ispettore apposta mi abbia inviato in quelle case perchè riferissi ai nostri confratelli il bene che ho veduto farsi, e ci animassimo così a fare altrettanto coi nostri giovanetti. Ho visto una schiera di fanciullette che sanno perfettamente il loro Catechismo, che si vantano di portare in Pubblico la medaglia di figlie di Maria, 120 in Moron, più di 100 in S. Isidoro, 225 nella Boca, e più di 100 in Almagro, contando solo quelle che frequentano regolarmente le scuole: per avere il numero di quelle che frequentano l'Oratorio festivo bisogna duplicare il numero; ed infatti alla Boca si sono viste in certe Domeniche giungere a 400, ed in Almagro a 300. Abbiamo dunque 2000 anime, di ambi i sessi, (in Buenos Aires, e dintorni) che sono figlie dei figli e delle figlie di D. Bosco. I mezzi per fomentare la pietà sono sempre gli stessi che abbiamo imparato da V. Paternità cioè le Compagnie di San Luigi, SS. Sacramento, S. Giuseppe, Immacolata Concezione, ed Angelo Custode pei piccolini: colle industrie ordinarie di queste associazioni si vede fiorire la frequenza dei SS. Sacramenti, si raggiunge una più accurata istruzione religiosa per mezzo delle Conferenze, e si ottiene di formare molte vigili guardie della moralità in mezzo dei giovani stessi. - Fra le alunne esterne ed interne delle Suore si vede pure un ammirabile fervore promosso per l'Associazione delle Figlie di Maria che offrono un vero spettacolo nella Boca, in Almagro, in S. Isidoro, in Moron, ed in altra Casa di Suore Argentine dirette da noi.
Si rallegri dunque, Sig. D. Bosco, perchè il Signore benedice i Salesiani ancor qua in queste lontane regioni; e le nostre povere fatiche si veggono già coronate da un esito tanto felice che supera la nostra aspettazione! Che, piacere si prova in lavorare per il Signore, lavorare per la povera gioventù che corrisponde tanto bene, e lavorare secondo lo spirito Salesiano, che offre mezzi tanto sicuri e tanto varii per fare bene alle anime! Ho avuto la gran grazia di assistere fino all'ultimo istante al nostro compianto Paseri, e sono testimonio di una gran verità, cioè che una dolcissima morte corona la vita di un buon Salesiano, che fa qualche sacrifizio in pro dei fanciulli poveri ed abbandonati! Speriamo che l'esempio di questo vero missionario sarà imitato da molti di noi, e quindi vedremo sempre più fiorire e fruttificare il campo Salesiano.
Non voglio lasciare di riferirle un successo, che è venuto a coronare il nostro anno scolastico, e che Le farà piacere. Si è questo il Battesimo solenne di tre adulti giovanetti che la provvidenza divina ci mandò in questi ultimi due mesi dell'anno e che vanno accompagnati da circostanze consolanti e straordinarie. Il primo giovanetto era di S. Catterina, e lo chiamiamo ancora “el nino del P. Paseri ” perchè egli ce lo trasse. Quel buon Salesiano si accorse, appena giunto in S. Catterina, che uno dei suoi discepoli chiamato Annibale Porcel, per incuria dei [840] parenti (e piuttosto empietà del padre suo) non era battezzato ancora, essendo già di 12 anni, di straordinaria intelligenza, e buone qualità morali; s'informò della condizione della famiglia, e conobbe non potersi educare cristianemente quel giovanetto, se non si ricoverava come convittore gratis qua in San Carlos. Fu ricevuto dal nostro Superiore, cooperando la madre del giovanetto al buon esito di questa industria. Don Paseri l'aveva già istruito, qua nel collegio si moralizzò assai meglio, e si moderò un poco la sua sbrigliata vivacità perchè capisse ciò che si doveva operare in lui: fino all'ora dell'agonia Può dirsi che il nostro buon Paseri lo venne preparando fissandosi la cerimonia del Battesimo pel giorno di S. Martino al dopo pranzo. Per quell'ora delle 3 s'invitarono il Padrino e la Madrina, che furono i Conjugi Paglieri genitori di un nostro chierico. E chi l'avrebbe detto che nell'ora stessa delle tre e mezzo che questo giovanetto Martino Annibale nasceva alla grazia pel Battesimo, il suo catechista Paseri nasceva, come speriamo, per la gloria, spirando nella stessa ora? Nessuno poteva congetturare tal coincidenza; e quindi riuscì a tutti di ammirabile e dolce sorpresa vedendo compito quell'Animam salvasti, animam tuam praedestinasti. Martino si fece buono, diligente e pietoso [pio]; si confessò e fece la Ia Comunione con grande trasporto di divozione la Noche-Buena ossia la notte del Natale; con soli tre mesi di studio si guadagnò negli esami 2 premi, e speriamo che al cominciare l'anno scolastico il padre lo lascierà venire, perchè ancor egli pare che conosca il salutare effetto dei SS. Sacramenti nel suo figliuolo.
Un'altra bella coincidenza ci faceva vedere Maria SS. nel 50 giorno del suo mese, come per distrarci dall'afflizione che ci cagionava la morte immatura del Paseri; perchè nel momento che egli spirava si presentava un giovane, che si diceva protestante, condotto da suo padre per imparare l'arte di legatore, dicendo che desiderava conoscere la Religione Cattolica. L'ingenuità del giovinotto, e la franca promessa con che ci assicurò che sentiva interni stimoli che lo spingevano verso la nostra S. Religione, ci fecero passar sopra alla età di 18 anni, e ad alcune piccole eccezioni del programma del Collegio. Sul principio si notava in lui molta freddezza per decidersi, quantunque si vedesse che parlava sinceramente, e desiderava istruzione: non mancò mai alle prediche del Mese di Maria; il dopo pranzo passeggiando con un chierico si faceva spiegare la Religione, e perfino mentre lavorava nel suo laboratorio domandava ai più piccoli dei compagni ragione di qualche verità o cerimonia religiosa. Intanto venimmo a scoprire qualche bell'imbroglio o magagna dei Signori sedicenti Protestanti. Sapemmo che il giovane e tutta la sua famiglia di 14 individui erano Giudei pretti; che il padre, che aveva educato il giovane, era allo stesso tempo Rabino in sua casa e fra i Giudei, e protestante (almeno di apparenze) nel tempio pubblico dei Protestanti Svizzeri-Tedeschi, che questi [841] possiedono in Buenos Aires. Questo originale Ministro legge dunque l'Evangelio pubblicamente, sa di latino e di ebraico, e spiega in tedesco la sua ipocrita eloquenza per ingarbugliare i poveri gonzi degli Ebrei e Protestanti. E qui non è tutto, perchè esaminando le credenze del suo primo discepolo, il figlio, abbiamo trovato che gl'insegnava a dubitare di tutto, a negare la vita futura, la Divinità di Nostro S. Gesù Cristo e via discorrendo, di maniera che i pretesi protestanti e giudei erano in realtà veri atei, e materialisti, riconosciuti nondimeno per maestri dalla Sinagoga e dalla Riforma. Ci narrò questo giovane il bel modo di battezzare che si usa tra essi. Si prepara con lusso la cuna del bambino, e si radunano tutti i parenti; poi il più rispettabile di questi alza tre volte fra le sue braccia il fanciullo, chiamandolo pel nome che gli vuole imporre, ripetendolo tutti i circostanti; dopo ciò getta alcune noci ed avellane per la stanza, e la funzione è terminata. Il nostro Adolfo assicurava che così ha visto battezzare (così chiama egli questa insulsa cerimonia) i suoi 13 fratelli, (due dei quali sono morti) e che nello stesso modo gli si disse che era stato battezzato egli stesso.
Avevamo fissato al catecumeno due mesi per decidersi; ma al termine del primo già si sentiva quasi risolto di essere Cattolico: al principio della Novena di Natale si presentò al Superiore, e gli disse, che desiderava il Battesimo nella notte di Natale, e che se era possibile avrebbe desiderato fare in quella stessa Solennità la prima Comunione. Esaminatolo, si trovò sufficientemente istruito anche per questo 2° Sacramento, si chiese all'Eccell.mo Arcivescovo la facoltà di ricevere l'abiura, (dubitandosi ancora che fosse protestante non ben battezzato) e la notte di Natale prima della Santa Messa in mezzo ad una folla innumerevole nacque alla grazia questo secondo fiore piantato da Maria nella nostra casa, durante il suo mese.
Che cambio si operò allora nel cuore di quel Giudeo protestante! Dicevami alcuni giorni dopo il S. Battesimo: - Essi facevano le meraviglie, che io nelle prime settimane fossi assai freddo e indeciso pel Cattolicismo: oh! se avessero visto come stava allora il mio spirito! mi trovava oppresso dalla più cupa tristezza e melanconia; quando poi entrava in chiesa mi pareva di andare alla morte. Io allora mi trovava come di notte, chiuso in una camera oscura; ma tutto si cambiò, come all'accendersi di un lume o al nascere del sole; venne l'allegria e la pace. Ora so che Gesù sta nella Chiesa; so che lo ricevo nella Santa Comunione; sono in grazia di Dio, e spero il Paradiso. Non mi resta altro a desiderare che fare ai miei poveri fratelli, ed a mia madre ciò che dai sacerdoti di questo Collegio si è fatto per me. Credo che se qualche sacerdote andasse qualche volta a mia casa, trattando della Religione, certamente, ascoltando i miei fratelli e le mie sorelle, almeno qualcuno si farebbe Cattolico, [842] perchè tutti hanno gran desiderio di sapere come sia la Religione Cattolica!
Infatti non si fa predica in San Carlos, che non vi assista il padre del nostro neofito, il quale dice di lui: - Si conosce l'inquietudine del suo cuore perchè ha un gran desiderio di sentir parlare qualche prete. Per me ciò che mi fece più colpo si è che se c'è un solo Dio, ci deve essere una sola verità, ed una sola Religione, che ci faccia buoni e felici eternamente.
Non finirei più se volessi riferirle i buoni sentimenti del nostro convertito: già ha condotto qua qualche volta un suo fratello di 12 anni, e spera attrarlo, come pure i 12 individui che compongono la sua famiglia. Noi lo aiuteremo in questa salutevole impresa con tutto il nostro zelo.
Godo poterle dire, Mio Car.mo e Venerando Padre, che questo fiore di Maria ci parve tanto bello che lo volemmo offrire anche al nostro caro Padre D. Bosco, e così il Rev. Ispettore D. Giacomo Costamagna, chiamò il Catecumeno nel S. Battesimo col nome di Giovanni riferendosi a Lei. Sarà questo nome un indizio o segno di predilezione di Maria SS. Ausiliatrice ed un pegno di perseveranza ed eterna salute. Ci gode l'animo nel vedere come il nome del nostro comun Padre si riproduce nei varii paesi del mondo, e che va echeggiando già sulle sponde del Plata, come sulle rive deserte del Rio Negro. Ella pure si ricordi del suo tocayo (come dicono qua), pregandogli una benedizione, che gli faccia portare degnamente il di Lei nome. Intanto penso che con questa riceverà pure i di lui caratteri, e conoscerà i suoi sentimenti[439].
Il terzo fiorellino nasceva pure in quella notte di Natale nella [843] Chiesa di Maria Ausiliatrice, dove si celebravano per le nostre Suore le sacre funzioni. Fra una giovanetta sui 13 o 14 anni non battezzata prima, per malvagità dei parenti, e sottratta alla loro spietata tutela da una Cooperatrice Salesiana, che la consegnò alle Figlie di Maria Ausiliatrice perchè la educassero cristianamente.
Le dirò di passaggio che non è questa la prima Cooperatrice Salesiana che sappia trarre dagli artigli di satana e di genitori snaturati ed empii qualche tenera giovanetta; ne hanno avute già altre le Suore
di Maria Ausiliatrice, ed anche noi qua ne abbiamo ricevuti già varii.
Poco più di 2 anni fa la Signora Isabella Elerdondo, nobilissima matrona, e madrina della Chiesa di Maria Ausiliatrice, ci condusse un giovinetto, che ella stessa aveva tolto alle sofferenze del corpo ed alle miserie dello spirito, causategli dallo spietato suo padre. Ora questo giovanetto battezzato, ed educato già, è sottomaestro della legatoria nostra, e si comporta assai bene; e conosce assai bene che deve la vita dell'anima e del corpo a questa Cooperatrice che fu veramente il suo Angelo Raffaele, ed in ogni vacanza suole dirigersi alla sua benefat-trice che rispetta ed ama come madre, non conoscendone altra sulla terra.
Tornando dunque alla fortunata fanciulla, che simbolizzò la spirituale nascita di Gesù fra le Suore nostre, le faccio noto che le fu imposto il nome di Maria, per riprodurre il nome di Suor Maria Mazzarello che fu Superiora Generale delle Suore stesse; il Rev. Ispettore amministrò dunque due volte in ambe le Chiese il Sacram. del Battesimo, ed ambedue i neofiti fecero la Santa Comunione nella notte stessa: si confessarono pure per assicurare meglio le dovute disposizioni al Battesimo, e per ottenere i consigli necessari per evitare il peccato.
Ecco il mazzetto di tre bel fiorì che Maria SS. fece sbocciare nel suo mese per depositare sulla cuna del neonato Bambino Gesù. Di questa maniera furono coronate le fatiche dell'anno scolastico, e speriamo che frutti di benedizione seguiteranno pure a prodursi nell'anno nuovo recentemente cominciato.
Ecco dunque, Rev. Sig. D. Bosco, la strenna che le offriamo pel nuovo anno. Ella ci mandò una bellissima Circolare nella quale ci nominava due dei suoi luogotenenti, un Vicario in Torino, ed un Pro-Vicario in America, e sopra quella circolare vedevamo per la prima volta lo stemma della nostra Pia Società adornato da quella epigrafe espressiva e caratteristica, che sempre leggevamo sulla porta della di Lei camera: Da mihi animas, caetera tolle. Non possiamo dunque dare a V, P. maggior gusto che narrandole come la Divina Bontà ci offrì i mezzi per salvare anime specialmente della gioventù a Lei tanto cara. Ci benedica dunque e ci ottenga dal Sacro Cuor di Gesù e da Maria Ausiliatrice la perseveranza nella nostra vocazione e lo zelo necessario per cooperare con Lei alla salute delle anime. [844] Le presento gli ossequi dei miei Superiori e Confratelli; insieme coi rispettosi e teneri auguri dei nostri novizi studenti ed artigiani sopra i quali invochiamo una di quelle patriarcali benedizioni, che li facciano aumentare di numero, di pietà e di bontà in tutte maniere. Per ultimo baciandole la mano, ho il piacere di dirmi con tutto il cuore
Aff.mo Obb. Figlio in Gesù e Maria
Sac. GIUSEPPE VESPIGNANI Salesiano.
P.S. Un singolare incidente, che le farà molto piacere, ho notato nella conversione di questo giovane, Adolfo Giovanni Bosco Bach. Gli domandai un giorno di dove aveva tolta la prima idea del Cattolicismo, ed il primo stimolo ad abbracciare la nostra santa Religione; mi rispose che aveva sentito molte questioni in sua casa promosse da suo padre con alcuni cattolici e talvolta Aveva passato fino all'una del mattino in ascoltar parlare un cattolico. Gli chiesi ancora: - Ma non ha mai visto nessun libro di religione? - Allora, quasi ricordando una cosa molto interessante, soggiunse: - L'unico libro di Religione, che si è visto in mia casa (oltre la bibbia ebrea e protestante di papà) è Il giovane provveduto, che un mio amico che era stato in questo Collegio di S. Carlos, vi lasciò per dimenticanza.
- Ma lo lesse lei questo libro?
- Si lo scorsi tutto da capo a fondo (lasciando a parte il latino, che non capiva, e le orazioni). Dove mi fissai di più sulle ragioni con cui si prova che i Giudei, Maomettani, e Protestanti non hanno la vera religione. - E qui mi recitò alcuni squarci che mentre mostrano la felice memoria di cui è dotato questo giovane, testificano anche l'impegno con che leggeva, e l'aiuto della grazia che si serviva di questo libro casualmente dimenticato per preparare la conversione di quell'anima. Aggiunse poi: - Ricordo ancora i consigli che si danno ai giovani perchè evitino le cattive letture, specialmente di gettare alle fiamme i libri e fogli cattivi, perchè è meglio che bruci il libro ora, che le nostre anime vadano all'inferno. - Mi recitò altri punti, che tralascio per brevità.
Sig. D. Bosco, quando il nostro Rev. Ispettore pensò di imporre a Adolfo Bach il nome di Giovanni Bosco egli non sapeva ancora questo episodio; quindi al sapere io tal circostanza ho lodato Iddio che provvidenzialmente dispose che si ponesse al novello convertito il nome di Colui, che per mezzo di un libro, il Giovane Provveduto, viene financo a convertire dei Giudei in America!
Tutti i nostri giovani al sentire questo fatto si sono convinti della preziosità di questo libro di oro, e fanno assai più conto del Giovane [845]
Provveduto che non facevano in addietro. Dio voglia che tutti giovani e vecchi, cattolici ed eretici conoscano il tesoro che in quel piccolo libretto si nasconde.
Prima di finire la mia appendice, desidero farle conoscere chi era l'amico del nostro Adolfo Bach, che dimenticò disgraziatamente (per lui) il Giovane Provveduto. Era un certo Vittorio Braun (figlio di tedeschi egli pure, e di padre ebreo, quantunque vi sia chi pensi che sia giudaizzante, per essersi fatto cristiano per maritarsi con una cattolica, che fu madre di Vittorio, egli pure cattolico). Questo Vittorio dopo di essere stato in Collegio militare (studiando per artiglierie) fu posto al servizio di un naturalista protestante, il quale un giorno avendolo ripreso, subito il giovane sconsigliato e superbo pensò togliersi la vita diluendo in un bicchiere di acqua molte scatole di fosfori: bevette e subito si sentì colto da dolori, vomiti e spasimo tale che sembravagli scoppiare. Fu portato all'ospedale San Luigi, dove sono le Suore dell'Orto che noi confessiamo. Andando io colà per questo ministero, la superiora mi parlò del suddetto giovane; me lo condusse, parlai con lui, si confessò ripetute volte, e fece tal cambio per la religione, che mai aveva conosciuta, che tutti ne restavano ammirati. Il padre stava lontano, la madre morta: fu allora che la Presidente delle Dame di Carità che è nostra Cooperatrice Salesiana, m'incaricò di parlare al n. Superiore perchè fosse ricevuto nel Collegio Pio IX. Venne al Collegio, qui ricevette la Ia Comunione: era di somma capacità, ma di una allegria sbrigliata e vulcanica. Gli demmo permesso e consiglio, quando gli succedeva di alterarsi o con assistenti o con compagni, di correre o in Chiesa o al Superiore: così faceva e successe mai nulla, anzi per i due anni che lo tenemmo ci consolò molto. Intanto giunse il padre Ebreo dalla Provincia di S. Giovanni; il figlio tentò di convertirlo, ma fu impossibile; infine tanto fecero gli amici del padre che ce lo tolsero dal Collegio.
Di amico nostro, si volse ingrato e nemico: e prese a scrivere in un giornale contro questo Collegio che l'aveva salvato. Fu allora che altri alunni nostri e compagni suoi presero in altri giornali le nostre difese e lo fecero tacere. Noi deploravamo quella disgrazia; ma ora vediamo i fili della Provvidenza. Braun senza volerlo aiutò la conversione di Bach; e Bach alla sua volta pare disposto a far tornare sulla buona strada Braun, che pare già pentito di avere ad istigazione di cattivi compagni commesso una ingratitudine tanto mostruosa.
Benedica, Sig. D. Bosco, questa povera gioventù, e benedica anche noi perchè con zelo puro e costante possiamo dedicarci interamente alla sua salvezza. [846]
Leffere di Don Bosco in francese.
Vous me couvrez de confusion; vos augures, votre offrande, lá bienveillance de toute votre famille, sont pour moi de la plus grande consolation, et d'encouragement dans les oeuvres des nos orphelins.
Ma santé est beaucoup mieux, mais pas encore assez pour m'engager à me mettre en voyagé. Dans lé cas que soit pas trop pour vous une promenade jusqu'à Turin, pour la fête de St François serait sans doute pour nous une grande fête, pour nous tous. Je tâcherai de vous faire parvenir la notice du jour fixé pour cette solennité.
Je vous prie, madame, de présenter les plus respectueux hommages à Mr votre mari et à toute votre famille. Je ne manque pas de faire tous les matins un particulier, souvenir pour vous dans la Ste Messe afin que le bon Dieu vous prépare un heureux avenir que je crois pas loin. Courage, patience, prière.
Je vous prie, Madame, de vouloir bien donner à mon ami Antoine le billet ici inclu.
Que Dieu vous bénisse et avec vous bénisse et protege tout les vôtres; et que la Ste Vierge soit votre guide dans la chemin du paradis.
Toute la famille Salesienne vous. fait les augures de bonne année et se recommande à vos Stes prières pendant que je serai à jamais en J. C.
Nos voeux sont accomplis. Si Dieu est avec nous qui serait contre nous? J'espère que avec la réserve, c'est á dire: Ayant le bon Dieu qui habite réellement dans votre maison, vous deverrez sans doute son propriétaire, et avec une confiance sans borne vous lui prendrez . toutes les grâces et les bénédictions qui seront bonnes pour vous et pour toute votre famille. Dans ce jour là, le 10 de mois prochain je dirai la Ste messe à votre intention, nos enfants feront aussi bien des prières et des communions pour tous ceux qui prendront part à cette solennité. [847]
D. Rua fera aussi bien dés prières et il est chargé de faire toutes vos commissions.
Que Dieu bénisse vous, vos parents, vos amis, toutes vos affaires, et ayez la charité de prier aussi pour moi, pour toute ma famille, avec laquelle je serai à jamais en N. S. J. C.
Ma santé peu bonne me permette d'écrire tres peu. J'ai reçu votre bonne et charitable lettre. Les bonnes nouvelles de votre famille me sont bien agréables. Pendant cette neuvaine nous ferons tous les matins bien de prières pour vous et pour Mr votre mari et pour toute votre famille.
Merci de votre offrande pour nos orphelins. Et mon Salésien?
Que Dieu vous bénisse et que la Ste Vierge soit votre guide au paradis; veuillez aussi prier pour moi.
Mon Cher M.r le C.te de Villeneuve,
C'est avec la plus grande consolation que je ai reçu de nouvelles de toute votre famille. Dieu soit béni. Je vous remercie avec tout mon coeur des prières que vous faites pour moi et pour nos orphelins. Ils feront bien des prières et des communions à votre intention et pour tous les vôtres. Maintenant je vous prie de me débarasser d'une affaire qui me donne de la peine et que vous, comme voisin, pouvez l'expédier.
D. Varaja demande de l'argent pour payer les maçons et je vous charge et vous donne toutes les facultés de payer toutes les dettes que nous avons a S. Cyr. Acceptez-vous, Mr le Comte, cette, charge honorable?
J'attends de connaître votre valeur et votre courage non militaire mais pecumaire.
J'ai ecrit un lettre a Madame la Comtesse, et je ne sais pas si Elle pourra comprendre ma mauvaise écriture. Vous aurez la bonté de l'aider.
Que la S. V. Auxiliatrice bénisse vous, toute votre famille, et vous [848] protège dans les dangers spirituelles, et qu'Elle même vous guide à jamais dans le chemin du Paradis.
Veuillez prier pour ce pauvre mais trés affectionné ami avec toute la reconnaissance en J. Ch.
Nous vous remercions pour votre offrande, et ce charitable envoi aura sa récompense ici-bas même, avec des faveurs spirituelles, et aussi temporelles, car le Seigneur l'a promis. Nous prions et faisons prier à toutes vos intentions, et surtout pour que lé Seigneur accorde une longue, très longue vie à Madame votre mere, et le temps venu, une sainte mort.
Nous nous réjouissons bien de savoir que vous êtes entoures de bonnes personnes: c'est une grande bénédiction, et nous en remercions le bon Dieu. Nous venons d'espédier à Poitiers le diplome de Melle Lemane: en son temps Melle recevra aussi le Bulletin Salésien.
Que le Seigneur vous accordé ses meilleures bénédictions et vous rende heureuses sur la terre autant que possible et vous ouvre le ciel pour une éternité de bonheur. Présentez mes hommages à Madame votre mere et agréez l'expression de mon profond respect avec lequel j'ai l'honneur d'être votre tout dévoué Serviteur
J'ai reçu votre offrande pour nos orphelins. Ils feront bien des prières et des Communions pour vous et pour toute votre famille.
Le bon Dieu ne manquera pas de récompenser largement toutes vos bonnes oeuvres en cette vie avec le vrai, le grand prix dans la vie éternelle.
J'espère quelque bonheur vous guidera chez nous, pour honorer de votre visite l'oeuvre que vous avez aussi largement bénifier. Veuillez aussi prier pour moi qui serai à jamais en J. Ch.
ORATORIO DI S. FRANCESCO DI SALES TORINO
Monsieur l'Abbé [Fociéré-Macel],
Laissez-moi tout d'abord vous remercier tres vivement pour m'avoir crû digne de m'envoyer votre livre Le Chemin de Croix des âmes du Purgatoire.
Mes occupations et une indisposition persistante, ne m'ont pas permis d'en prendre entière connaissance; mais après avoir sû ce qu'en disent de si hauts et vénérés Évêques et personnages, je ne puis que
désirer de le voir se diffondre rapidement et partout, pour le plus grand bien des âmes. Je prie donc le Seigneur de vous faciliter toutes choses dans ce but. Je prie aussi N. D. Ausiliatrice à fin qu'Elle vous envoie des puissants bienfaiteurs pour votre Eglise et dans cette pensée, je vais commencer avec tous mes enfants une neuvaine à Marie le 14 du courant, à laquelle je vous prie de vous joindre avec vos meilleurs paroissiens. Pour cela nous recitons, 3 Pater, 3 Ave et 3 Gloria Patri au Sacre Coeur de J esus et 3 Salve Regina à Marie Auxiliatrice avec les invocations: Cor Jesu Sacratissimum, miserere nobis. Maria Auxilium Christianorum ora pro nobis.
Dans la neuvaine nos orphelins feront plusieurs communions à votre si sainte intention.
Priez aussi un peu pour moi et agréez l'expression de mes sentiments tres respectueux et pleins de reconnaissance, avec lesquels j'ai l'honneur d'être.
alla Regia Opera della Mendicità Istruita.
Due cose richiamano la nostra attenzione in queste suppliche, ignorate da tutti i biografi e conservato nell’archivio della Regia Opera: il non vedere in quella del 1850 alcun cenno di scuole serali fra i titoli di benemerenza addotti per ottenere il sussidio, e l’asserzione contenuta nella prima del 1852 che le scuole serali erano cominciate appena da tre anni. Quel silenzio e questa affermazione han fornito un doppio argomento alla tesi dei Fratelli delle Scuole Cristiane, che le loro scuole serali avessero preceduto di parecchi anni quelle di Don Bosco[440].
Si ponga mente anzitutto a quattro cose. I° Nella stessa prima lettera del 1852 vi è una frase che scuote la certezza dell’illazione dei Fratelli; infatti Don Bosco, quasi che nella supplica del 1850 avesse accennato anche ad altro che non fossero i suoi tre Oratori, festivi, si dice “memore e riconoscente del sussidio che li benemeriti signori ” gli avevano assegnato tre anni prima “a favore dei tre Oratorii in questa città eretti per raccogliere ed istruire nelle scienze elementari e nella religione la gioventù abbandonata e pericolante”. 2° Le “Memorie dell’Oratorio” scritte da Don Bosco nel 1874 e conservate nei nostri archivi contengono una nota da lui posteriormente aggiunta che dice così: “Si ritenga che le prime scuole serali attuate in Torino furono quelle che nel novembre del 1845 vennero aperte in casa Moretta. Non si poterono ricevere che 200 allievi in tre camere o classi. Il buon risultato ottenuto ci mosse a riaprirle nell'anno seguente appena si potè avere dimora stabile in Valdocco ”. 3° Nelle stesse “Memorie” Don Bosco parla di scuole domenicali e serali anche a S. Francesco d'Assisi (1841-4) e al Rifugio (1844-5). 4° Sono anteriori di tre anni al 1850 due saggi pubblici dati dai giovani [851] delle scuole domenicali e serali, uno dinanzi all’abate Aporti e l’altro dinanzi a inviati del Municipio[441].
Quanto alla priorità dunque non vi potrebbe essere dubbio in favore di Don Bosco. I Fratelli, come risulta da documenti conservati nell'archivio dell'Opera predetta e ignorati pure da tutti i biografi del nostro Santo, intavolarono il 2 maggio 1845 le trattative per l'istituzione di scuole serali, bandirono la notizia dell'apertura nel dicembre dello stesso anno e le apersero con l'anno nuovo[442].
Come si spiega dunque la frase citata dì Don Bosco? Don Bosco concepì da prima e mantenne appresso per più anni le sue scuole domenicali e serali come un mezzo per agevolare ai giovani l'apprendimento della dottrina cristiana. Scrive infatti nelle “Memorie”:“A S. Francesco d’Assisi io aveva già conosciuta la necessità di qualche scuola. Certi fanciulli sono alquanto inoltrati negli anni e tuttora ignoranti delle verità della fede. Per costoro il puro ammaestramento verbale sarebbe lungo e per lo più loro annoierebbe; perciò facilmente cessano di intervenire. Si provò a fare un po' di scuola, ma non si poteva per difetto di locali e di maestri opportuni che ci volessero aiutare ”.
Il metodo d’insegnamento conferma questo scopo inteso da Don Bosco. Egli soggiunge: “Al Rifugio, di poi in casa Moretta si cominciò una scuola domenicale stabile ed anche la scuola serate regolare quando venimmo a Valdocco. Per ottenere qualche buon risultato si prendeva un solo ramo d’insegnamento per volta. Per esempio si faceva una domenica o due passare o ripassare l’alfabeto e la relativa sillabazione; poi si prendeva subito il Piccolo Catechismo intorno a cui sì faceva leggere e sillabare fino a tanto che fossero in grado di leggere una o due delle prime dimande del Catechismo; e ciò serviva di lezione lungo la settimana. La successiva domenica si faceva ripetere la stessa materia, aggiungendo altre dimande e risposte. In questa guisa in otto giorni festivi ho potuto ottenere che taluni giungessero a leggere e studiare da sè delle intere pagine di catechismo. Ciò fu di grande guadagno nel tempo, giacchè i più grandicelli dovevano frequentare il Catechismo quasi degli anni prima di poterli istruire abbastanza per la sola Confessione ”.
Il medesimo intendimento appare -nella scelta e nell'uso dei libri: Catechismo piccolo e Storia sacra. Continua Don Bosco: “Una difficoltà grande si presentava nei libri, perciocchè terminato il piccolo catechismo non aveva più alcun libro di testo. Ho esaminate tutte le piccole Storie Sacre, che tra noi solevansi usare nelle scuole, ma non ne potei trovare alcuna che soddisfacesse al mio bisogno [ ... ]. A fine dì provvedere a questa parte di educazione che i tempi reclamavano assolutamente, mi sono di proposito applicato a compilare una Storia Sacra che oltre [852] alla facilità della dicitura e popolarità dello stile fosse scevra dei notati difetti ”. La pubblicò nel 1846. In un primo tempo adunque le scuole serali di Don Bosco non furono quello che s'intese poi propriamente significare con tale denominazione. Per fare, di più gli mancavano allora i maestri idonei; perciò s’improvvisava dei “maestrini ” sufficienti al suo scopo. Narra infatti: “Per provvedere a questo bisogno mi sono messo a fare scuola ad un certo numero di giovanetti della città. Somministrava loro l’insegnamento gratuito d’italiano, di latino, di francese, di aritmetica, ma coll’obbligo di venirmi ad aiutare ad insegnare il catechismo e fare la scuola domenicale e serale ”, Ne nomina quindi tre che lo aiutarono così nel Convitto Ecclesiastico, e sette che fecero altrettanto al Rifugio.
Visti i buoni risultati e considerate le esigenze dei tempi, Don Bosco allargò il suo programma. “Animati dai progressi ottenuti, scrive egli, nelle scuole domenicali e serali, alla lettura e scrittura fu eziandio aggiunta la classe di aritmetica e di disegno ”. Per lo studio dell'aritmetica diede alle stampe nel 1849 il suo Sistema metrico decimale.
Allora aveva anche migliori insegnanti. Siamo così giunti al momento in cui le sue scuole serali ricevettero la loro sistemazione e divennero vere scuole a sè. Questo gli fu reso possibile da nuovo locale, perchè nel 1849 prese in affitto la casa Pinardi, che, come appare dall’atto notarile di compera stipulato nel 1851, metteva a sua disposizione otto membri al pian terreno e cinque al piano superiore. Ecco dunque che egli partiva da questo punto, allorchè scriveva nel 1852: “Le scuole domenicali e serali, cui da tre anni si dà opera ”.
Concludendo diremo che, se si parla di scuole serali in senso stretto, i Fratelli precedettero Don Bosco di alcuni anni; essi infatti, disponendo di personale tecnico, nel gennaio del 1846 le cominciarono subito in piena regola. Se invece si tratta dì scuole serali sic et simpliciter, di scuole cioè che fossero scuole e latte di sera a operai che avevano trascorsa la giornata nelle officine, nei cantieri o nei campi, spetta a Don Bosco la priorità almeno di due mesi (novembre 1845).
Nei biografi per altro si sono insinuate due cose che non reggono. Il dire che i Fratelli ebbero dall’esempio di Don Bosco l’idea delle scuole serali è asserzione gratuita. A contatto col popolo nelle loro fiorenti scuole elementari, i Fratelli dovettero sentire da sè il bisogno di andare incontro alle esigenze che erano nell'aria, di una più larga istruzione popolare anche sotto quella forma. Peggio ancora è stato l’affermare che i Fratelli togliessero da Don Bosco il metodo; troppo fermi e uniformi sono i discepoli del La Salle ai metodi propri, maturati in un’esperienza plurisecolare, perchè s’inducano a mendicarne altrove. In ogni modo mancano assolutamente le prove dell’una e dell’altra affermazione.
Per tornare alle suppliche diremo che alla prima l’Opera accordò un sussidio di lire mille e alla seconda uno di lire seicento; ma sempre con la clausola che tali concessioni non costituissero precedenti. Le tre [853] successive suppliche invece furono “seppellite ”, come sta scritto per mano del segretario della Pia Opera sui relativi fogli. Ammiriamo anche qui la grande carità di Don Bosco, che non arrossiva di stendere umilmente la mano dovunque sperasse di ottenere qualche aiuto a sostegno delle sue opere di zelo[443].
Il sacerdote Giovanni Bosco nel desiderio di procurare ai giovani più abbandonati tutti quei vantaggi civili, religiosi e morali che per lui fosse possibile nel corso dell'anno 1841 cominciò a radunarne un dato numero in un luogo aderente alla chiesa di S. Francesco d'Assisi. Le circostanze del sito limitava[no] il numero ai settanta od agli ottanta.
L'anno 1844 l'esponente per motivo d'impiego essendosi trasferito alla pia opera del Rifugio continuò ad accogliere detti giovani a cui si unirono parecchi altri fino a trecento. Sprovveduti di locale opportuno l'adunanza facevasi ora in un sito ora in un altro di questa città sempre coll'annuenza delle autorità civili ed ecclesiastiche.
L'anno 1846 si potè avere ivi in affitto il luogo dove si aprì l'Oratorio di S. Francesco di Sales in Valdocco. Quivi l'accorrenza dei giovani divenne maggiore, talvolta si annoveravano da sei a settecento giovani dai dodici ai venti anni di cui gran parte usciva dalle carceri od era in pericolo di andarvi.
Benedicendo il Signore tale opera, e divenuto troppo ristretto l'Oratorio anzidetto, sul finir del 1847 ne fu aperto un altro a porta nuova sotto il titolo di S. Luigi.
Il bisogno dei tempi persuadendo vie più la necessità di educazione e di assistenza per li giovani abbandonati nell'ottobre del 1849 fu in Vanchiglia riaperto quello dell'Angelo Custode principiato e già da un [854] anno chiuso dal zelantissimo S. D. Cocchi Vicecurato della SS. Annunziata. Il totale dei giovani di tutti e tre gli Oratori giugne sovente al mille.
Col mezzo di piacevole ricreazione allettata da alcuni divertimenti, con catechismi, istruzioni e canto parecchi divennero morigerati, amanti del lavoro e della Religione. Ci sono anche le scuole del canto tutte le sere, e le scuole domenicali per quelli che possono intervenire, e si diedero già alcuni pubblici saggi e dimostraronsi pienamente soddisfatte le persone che intervennero.
Havvi pure un ospizio per ricevere da venti a trenta individui e questo per li casi particolari di estremo bisogno in cui spesso taluno si trova.
Finora ogni cosa progredì coll'aiuto di alcune caritatevoli persone ecclesiastiche e secolari. I sacerdoti che sono a ciò in modo particolare dedicati sono 2 S. T. Borrelli, T. Carpano, T. Vola, D. Ponte, D. Grassino, T. Murialdo, D. Giacomelli, T. prof. Marengo.
Il sottoscritto trovandosi alla direzione, di questi tre oratori, stanti le spese del fitto che tra tutti tre i locali monta a duemila e quattrocento franchi annui: attese altresì le spese di manutenzione delle tre rispettive cappelle in cui si compiono tutte le funzioni per li giorni festivi e le spese eziandio che il grave bisogno di alcuni giovani rende indispensabili, teme di non poter forse più continuare, per la troppa frequenza di dover fare ricorso alle persone che finora tali opere beneficarono.
Ora il sottoscritto scorgendo l'origine, lo scopo ed il fine di detti Oratori essere i medesimi che quelli dell'opera della Mendicità Istruita, umilmente invita gli Ill.mi Signori dell'amministrazione a voler prendere in benigna considerazione il sovraesposto e considerando questi Oratori come un'appendice della Mendicità Istruita concedere quei caritatevoli sussidi che alla saviezza e bontà delle SS. LL. sarà giudicato beneviso perchè possa continuare un'opera che ha già procurato e si spera vieppiù procuri il benessere spirituale ed anche temporale a molti abbandonati individui dell'umana società.
Memore tuttora e riconoscente del sussidio che li benemeriti Signori della Pia Opera della Mendicità istruita or sono tre anni mi assegnavano a favore dei tre Oratorii in questa città eretti per raccogliere, [855] ed istruire nelle scienze elementari e nella religione la gioventù abbandonata e pericolante, mi trovo nella necessità di dover nuovamente alle LL. SS. Ill.me ricorrere in questo bisogno.
L'aumento considerevole de' giovani che intervengono (soltanto nell'Oratorio di S. Francesco di Sales spesso oltrepassano i due mila), le scuole domenicali e serali, cui da tre anni si dà opera, il fitto de' locali, la manutenzione delle rispettive cappelle, la spesa in quest'anno straordinaria per una Chiesa posta in costruzione ed or quasi ultimata nell'Oratorio di S. Francesco di Sales in Valdocco mi hanno ridotto a gravi strettezze.
Egli è per questo che riposta la fiducia nella provata bontà delle SS. LL. Ill.me nuovamente faccio loro ricorso, pregandole a voler prendere in benigna considerazione questo particolare bisogno, e accordarmi quel sussidio che alla loro carità sarà beneviso per promuovere e far sì che io possa continuare in queste opere di beneficenza le quali al bene morale e religioso della gioventù abbandonata e pericolante unicamente riguardano.
Colle espressioni della più sentita gratitudine di cuore le ringrazio di quanto hanno fatto e che spero vogliano fare a mio riguardo, e loro augurando dal Cielo copiose benedizioni mi reputo al massimo onore di potermi dire
Eccellenza[444],
La bontà con cui l'E. V. prende parte a quelle opere che al pubblico bene riguardano, mi fa sperare voglia altresì prendere in benigna considerazione la memoria ivi annessa; al che mi dà molta fiducia il favore usato or tre anni sono quando perorò per un sussidio, il quale di fatti venne caritatevolmente dalla R. Opera della Mendicità Istruita concesso.
Fra le molte opere dalla generosità di Lei favorite e sostenute voglia anche comprendere gli Oratori festivi eretti in questa città, e così Ella potrà essere lieta di aver tolto dai pericoli delle piazze e delle contrade un numero di giovani abbandonati, ai quali io mi unisco, e, non potendo fare altro, pregherò di tutto cuore il Signore Iddio affinchè si degni di concedere a Lei lunghi e prosperi giorni, e far discendere [856] copiose benedizioni dal cielo sopra la rispettabilissima di Lei famiglia.
Colla massima venerazione mi reputo al più alto onore di dirmi di V. E.
Dall'Oratorio Maschile di Valdocco 22 nov. 1852.
Ill.mi Signori[445],
Alcuni anni addietro ricorreva alle S. V. Ill.me per chiedere sussidi a favore dei tre Oratorii eretti in questa città, il cui oggetto è di radunare ed istruire i giovani più poveri ed abbandonati; e attesa la analogia della R. Opera della Mendicità con questi Oratori, la mia dimanda era accolta favorevolmente e ne ricevetti generoso sovvenimento. Ora trovandomi in un caso eccezionale oso nuovamente esporre li miei gravi bisogni, persuaso che saranno con bontà sentiti: e sono: I° Fitto di due di questi oratori, che sono recinti abbastanza spaziosi per capire un considerevole numero di giovani che ivi si radunano per fare ricreazione dopo di aver assistito alle sacre funzioni di Chiesa. Questi locali costano 1250 lire di fitto. 2° Provvedere alla manutenzione di tre chiese esistenti ne' tre recinti degli oratori, provvedere alle spese della scuola serale che ha luogo particolarmente nell'Oratorio di Valdocco ove s'insegna catechismo, lettura, scrittura, elementi di aritmetica e di lingua italiana. 3° Mantenere alcuni dei più poveri ed abbandonati, il cui numero in quest'anno dovette accrescersi fino a novanta a cagione de' molti ragazzi rimasti orfani ed abbandonati nella trista invasione del colera morbus.
Stretto da tutti questi bisogni ricorro rispettosamente e con fiducia alle S. V. Ill.me supplicandole a voler benignamente considerare lo stato di assoluto abbandono in cui questi poveri giovani si trovano, e concedere a favor loro quel sussidio che nel caso eccezionale de' miei presenti bisogni loro sarà beneviso.
Pieno di fiducia nella nota e provata bontà loro, coi sentimenti della più sentita gratitudine reputo a grande onore il potermi dire
Fra le tante opere di carità intorno a cui V. S. Ill.ma si va tuttodì occupando, mi raccomando affinchè voglia anche comprendere i giovani ricoverati nell'Oratorio Maschile di Valdocco.
L'annata si avanza critica, specialmente pel pane. Si degni adunque di raccomandarmi e promuovermi' l'unita memoria all'Amministrazione dell'Opera pia della Mendicità Istruita, cui Ella sì degnamente presiede; io farò pregare li beneficati giovani e mi unirò anch'io con loro a pregare Iddio onde colmi delle sue benedizioni V. S. con tutta la rispettabile famiglia.
Con pienezza di stima e con vera gratitudine mi dichiaro pieno di fiducia
Pieno dei sentimenti della più viva gratitudine verso di V. S. Ill.ma e verso i Signori dell'Amministrazione della pia Opera della Mendicità istruita pei sussidii altre volte prestati a favore dei giovani poveri ricoverati nell'Oratorio maschile di Valdocco e di quelli che frequentano la scuola serale o le istruzioni morali negli Oratorii di S. Francesco di Sales in Valdocco, di S. Luigi a Porta nuova, del Santo Angelo Custode in Vanchiglia, mi trovo in quest'anno nella critica posizione di dover nuovamente ricorrere al medesimo fonte di beneficenza.
La maggior carezza di commestibili e la cessazione di lavoro misero al più grave rischio parecchi giovani abbandonati e pericolanti, i quali forse andrebbero a finir male se non fossero aiutati coi mezzi materiali e morali. Parecchi di costoro, circa cento, in gran parte di quelli fatti orfani nella fatale invasione del colera dell'anno scorso, sono attualmente ricoverati in Valdocco, altri sono altrimenti aiutati nel modo che si può; e costoro oltrepassano il mille e cinquecento tra tutti e tre gli Oratorii.
Egli è per questi poveri ed abbandonati giovanetti che io ricorro alla nota e provata bontà di V. S. Ill.ma supplicandola caldamente
(I) Questa è la memoria accennata nella lettera precedente. La scrittura è d'altra mano, solo la firma appartiene a Don Bosco. (?)
[858] a voler prendere in benigna considerazione la calamitosa posizione dei giovani accennati, e accordarmi a loro favore quel caritatevole sussidio, che la gravezza del caso le farà parer beneviso.
Con vera gratitudine e riconoscenza anche a nome dei beneficati giovanetti auguro a Lei e a tutti i Signori dell'amministrazione copiose le benedizioni del cielo riputando al massimo onore il potermi dire
Due lettere di Don Bosco al Municipio di Torino.
Nella seconda metà del 1851 i lavori per la costruzione della chiesa di S. Francesco di Sales progredivano alacremente; ma in agosto le finanze di Don Bosco si esaurirono talmente, che egli dovette fare un largo appello alla pubblica beneficenza. Tra l'altro doveva ancor pagare al Municipio i diritti di fabbricazione; chiese pertanto di esserne dispensato.
Mentre di tutto cuore ringrazio V. S. Ill.ma e Ch.ma de' molti benefizi fatti ai nostri oratori, la prego a volerci aggiungere un novello favore e di esentarci dal pagare la contribuzione dovuta pel rilascio del permesso di costruzione della chiesa, e ampliazione dei locali annessi.
Compreso dai sentimenti della più viva gratitudine verso di Lei e verso di tutto il Municipio della città mi reputo ad onor grande il potermi dire col massimo rispetto
P.S. - La novella chiesa tocca già l'altezza dei coperchio. Sig. Sindaco, continui ad esserci favorevole, e la condurremo a compimento.
Il Sindaco G. Bellone diede risposta assai cortese, mandandogli la parta di permesso (LEMOYNE, vol. IV, pag. 323). [859]
Il colera del 1854 aveva causato molta miseria, donde una notevole diminuzione della beneficenza e un aumento insolito di domande per ottenere posti nell’Oratorio a poveri figli del popolo. Eloquente documento ne è questa lettera.
Attese le gravi spese cui il Municipio di Torino dovette far fronte nella fatale emergenza del colera morbus era deciso di non inoltrare in quest'anno alcuna dimanda per sussidio; pure li miei presenti bisogni mi costringono. Oltre le molte spese che ho dovuto fare per rendere il locale presente a stato salubre quale i tempi volevano, mi trovo ora circa novantacinque ragazzi da mantenere e vestire e coprire nel letto. Voleva diminuirne il numero; ma gli orfani fatti per ragion del colera mel fecero aumentare: sicchè tra quelli speditimi dal comitato di pubblica beneficenza pei colerosi e quelli che ho io stesso incontrato per le piazze e per le contrade, ho ricoverato una quarantina di questi sfortunati.
Io non dimando sussidio nè per pagare i fitti, nè per le scuole nè pei lavori ivi eseguiti: dimando solo un sussidio onde poter dar pane a questi miei poveri ragazzi finchè sia passata l'invernale stagione; dopo spero nel. Signore di avere qualche provvedimento e poterli almeno in parte altrove collocare.
Per questo oggetto io mi raccomando alla provata bontà di V. S. Ill.ma con preghiera di volermi aiutare in questo bisogno eccezionale, persuaso che a lei non mancheranno nè mezzi nè volontà per soccorrere questi che sono i più poveri, abbandonati e pericolanti figli del popolo.
Con sentimento della più sincera gratitudine mi dico di V. S. Ill.ma
Ignoriamo l’esito di questa supplica. Gli originali delle due lettere si trovano presso la Biblioteca Civica di Torino.
Lettere di Don Bosco al conte Solaro della Margherita.
Il conte Solaro della Margherita, patrizio di Mondovì, fu Ministro degli Esteri di Carlo Alberto dal 1835 al 1847. Cattolico austero, capitanava lo stuolo di quei nobili piemontesi che cercavano di opporsi alla [860] marea del liberalismo anticlericale e ricevevano generalmente la direzione spirituale dal Beato Giuseppe Cafasso.
Rinvenne l’originale di questa lettera fra le carte del destinatario il conte Lovera di Castiglione, che ne diede il facsimile in un numero Unico di Cuneo[446].
La lettera era stata pubblicata da Don Lemoyne[447]; ma questi, avendo sott’occhio una copia e non l'originale, non potè conoscere alcune particolarità che noi vi vediamo; ecco perchè la ripubblichiamo. E una di tali particolarità è che il Solaro aveva scritto sul foglio: da conservarsi. Dovette dunque intuire fin d’allora qualche cosa di non comune nell'umile petente.
Il Lovera premise alla riproduzione un cappello di due pagine, dalle quali riportiamo questi rilievi ben degni di nota: “Il prete di Valdocco scrive a un uomo celebre e notissimo: ma quanta dignità nel chiedere! Non una sola parola di vacua cortigianeria, così solita in quel genere epistolare [ ... ]. Al severo patrizio scrive da povero, ma da sacerdote [ ... ]. Il sacerdote di Castelnuovo poi non è un ingenuo, e la penna gli sta bene tra le mani: nulla è trascurato nella breve esposizione: non le preoccupazioni dello spirito, non quelle sociali (quei pericolanti e pericolosi vale un Perù), non quelle materiali: si sente l’uomo che fida nella Provvidenza, ma che ricorda come la Provvidenza non aiuti gli ignavi. Il propagandista nato non perde tempo, coglie l’occasione per vedere d’essere raccomandato ad altri: non a chiunque: è perdere tempo, ricorrere a chi non può capire; vuol essere raccomandato a persone propense a quest’opera di carità. Degna, sobria la chiusura, senza sdilinquimenti inutili e perditempo. La lettera è finita; si vede che è stata scritta tutta d’un fiato, in fretta. La rilegge. Gli viene in mente una nuova idea: sotto l’intestazione stampata inserisce la calda raccomandazione per le nascenti Letture Cattoliche[448] [ ... ]. Stava per chiudere il plico, ma gli dovette venire un dubbio. Forse potrebbe essere utile una commendatizia, a rimettere nelle memorie del vecchio uomo di Stato qualche nozione sul prete di Valdocco... ed allora, ecco il primo post-scritto: e così, come per caso, vi fiorisce il nome di Don Cafasso. Ma poi ancora un dubbio: ed ecco il secondo post-scritto ... egli è povero: ha nulla da offrire in contraccambio dell’atteso favore ... cioè no, qualche cosa c’è, l’ha e l’offre... un posto al dramma che avrà luogo domani a un'ora e mezzo Stavolta la lettera può partire ricca di tutti i carismi ”. [861]
Sebbene io non sia mai ricorso all'Eccecellenza vostra per sussidio, tuttavia la parte che prende in molte opere di carità ed il bisogno grave in cui mi trovo, mi fanno sperare che leggerà con bontà quanto espongo.
L'incarimento di ogni sorta di cibo, il maggior numero di giovani cenciosi ed abbandonati, la diminuzione di molte oblazioni che private persone mi facevano e che ora non possono più, mi hanno posto in tal bisogno da cui non so come cavarmi; senza calcolare molte altre spese, la sola nota del panettiere di questo trimestre monta ad oltre f. 1600 e non so ancora dove prendere un soldo: pure bisogna mangiare e se io nego un tozzo di pane a questi giovani pericolanti e pericolosi li espongo a grave rischio dell'anima e del corpo.
In questo caso eccezionale ho stimato bene di raccomandarmi all'Eccellenza vostra, onde mi voglia prestare quell'aiuto che nella sua carità stimerà a proposito e di raccomandarmi a quelle benefiche persone che nella sua prudenza stimerà propense a quest'opera di carità. Qui non trattasi di soccorrere un individuo in particolare, ma di porgere un tozzo di pane a giovani cui la fame espone al più gran pericolo di perdere la moralità e la religione.
Persuaso che vorrà prendere in benigna considerazione queste mie calamitose circostanze l'assicuro che ne conserverò la più grata memoria, ed augurando a lei e a tutta la rispettabile famiglia ogni bene dal Signore mi reputo al massimo onore il potermi dire
P.S. I° Qualora la sua carità stimasse di fare qualche oblazione in questo caso, potrebbe, se così ben giudica, farlo tenere al benemerito Sig. D. Cafasso.
2° É pure rispettosamente invitato ad un dramma religioso che ha luogo domani ad un'ora e mezzo nell'Oratorio di [S.] Francesco di Sales.
Il conte Lovera chiude così il suo commento: “Da allora sono trascorsi 81 anno: il mondo è cambiato dalle fondamenta: il grano di senapa gittato nelle zolle di Valdocco è diventato la superba pianta salesiana che getta le sue aure di Pace su tutti i continenti. Il giovane prete a cui facevano comodo 1600 lire, è salito nella gloria dei Santi; tutto è mutato: nessuno vive più di quel tempo. Ma lo spirito di Don Bosco, così vivo nella breve lettera, si confessa nella lucida fiamma del primitivo ardore nella eterna primavera dei Santi”. [862]
Ricordi sull'Oratorio Festivo di Valdocco.
Nato a Magnano nel 1862, a 9 anni, verso quaresima, venni a Torino, come si costumava allora, per lavorare con i muratori. Alla prima festa, come aveva raccomandato il parroco a tutti i giovani partenti, mi recai con gli altri compagni, che vi erano già stati l'anno prima, all'Oratorio di D. Bosco. Mi piacque e ogni anno venendo a Torino dal principio della quaresima fino ai Santi per lavorare, continuai a recarmi all'Oratorio finchè andai soldato.
L'Oratorio festivo in quegli anni aveva l'entrata in via Cottolengo a sinistra della basilica di Maria Aus. e precisamente all'angolo della, attuale tipografia. Era tutto cintato. L'ingresso era un portone rozzo di assi, simile a quelli, che fanno i muratori per gli steccati. A sinistra di chi entrava c'era una baracca pure di legno, dove stava il portinaio affacciato al finestrino e ci faceva il bollo sul nostro libretto appoggiandolo al davanzale. In quel cortile lungo fin dietro la chiesa di S. Francesco si facevano i nostri giochi. C'erano con noi tre o quattro sacerdoti e parecchi chierici. D. Bosco veniva ordinariamente al mattino per la Messa, al pomeriggio per il Catechismo.
Quando tornai a Torino per la seconda volta il superiore avvertì per la prima Comunione. Essendo occupato nel lavoro dalle 5,30 alle 19,30 al catechismo andavo solo alla festa. Giunse il giorno stabilito. Tutti avevano un vestito pulito, chi non lo poteva aver dalla famiglia lo riceveva da D. Bosco, e al braccio portavano il nastro bianco.
Il nostro posto in chiesa era nei primi banchi. D. Bosco in persona nella nostra cappella di S. Francesco di Sales celebrò la S. Messa e noi ci accostammo alla balaustra per ricevere la Comunione. Coi bambini erano presenti anche le mamme loro. Le preghiere si dicevano assieme al catechista, che guidava.
Dopo, uscendo di chiesa, c'era nel cortile la tavola preparata per noi. Era pronta la nostra colazione: pane, formaggio, salame, e poi passavano due giovani col canestro e ne davano a chi non aveva ancor mangiato abbastanza. Dopo D. Bosco passava a dare un misurino di vino, che versava a ciascuno nel bicchiere, mentre un giovane portava il secchiello. Distribuì pure dei biscottini, e una bibita.
A quel tempo si mangiava molto, e roba asciutta: non si era accostumati al caffè e latte.
Ogni festa a quelli che facevano la Comunione Don Bosco dava la colazione. Uscivano dalla porta della sagrestia e lì egli seduto su [863] uno sgabello con una cesta dì pagnotte tagliate ed il salame in mezzo ed anche una fetta di prosciutto. Al pomeriggio specialmente nella stagione calda c'era un incaricato, che dava da bere una bibita, una limonata, che stava in un secchio coperto con un coperchio di legno.
Verso la fine di Ottobre si raccoglievano i libretti, si contavano i bolli e poi sì davano i premi: orologi, vestiti ed altri oggetti, ed ai musici migliori anche lo strumento.
Quando un giovane aveva giacca, calzoni, scarpe rotte, egli dava vestiti o scarpe magari rattoppate, ma buone.
Quelli che andavano all'Oratorio erano attirati dalla giostra, che per le piazze costava un soldo per ogni persona, dai passi volanti, e dai doni che ivi si ricevevano. I passi volanti erano formati da corde che terminavano con un nodo, quindi i ragazzi si aggrappavano e spingevan coi piedi.
Anche la musica della banda era una bella attrattiva, ma non solo per i ragazzi, anche per la gente, che passando lungo la cinta dell'Oratorio, si fermava ad ascoltare.
D. Bosco a quei tempi non aveva più tanti ragazzi all'Oratorio, e questo anche in seguito a certi contrasti avuti col clero, e specialmente col parroco del “Ballôn ” ossia dei SS. Simone e Giuda. Al massimo potevano essere settanta. Ci facevan spesso la raccomandazione di condurre altri compagni. Quasi tutti erano apprendisti muratori, meccanici, lattonieri.
Questi ricordi sono stati fedelmente scritti da D. Leonardo Beinat e corrispondono a quanto io conservo nella mia memoria.
Torino, 2-VIII-1935, Oratorio D. M. Rua.
Io nacqui a Torino il 19 luglio 1866. Nel 1871 cominciai a frequentar l'Oratorio. Don Bosco era sempre pacato e sorridente. Aveva due occhi che foravano e penetravano nella mente. Quando compariva tra di noi, era una gioia per tutti. D. Rua, D. Lazzero gli stavano ai fianchi come se avessero avuto in mezzo a loro il Signore. D. Barberis e tutti i ragazzi gli correvano incontro, lo circondavano, chi camminando ai suoi fianchi, chi all'indietro per aver la faccia rivolta a lui. Era una fortuna, un ambito privilegio il poter stargli vicino, il parlare con lui. Egli passeggiava adagio parlando e guardando tutti con quei due occhi che giravano da ogni parte, elettrizzando di gioia i cuori.
Scendeva alle volte dalla sua camera e si metteva sotto il portico dalla parte sinistra di chi scende le scale. Questo verso il 1875, D. Rua [864] e D. Lazzero gli erano sempre ai fianchi. I ragazzi interni ed esterni si avvicinavano a lui. Un giorno, mentre era in quel posto, mi offrì una presa di tabacco. Avevo circa nove anni. Tutto lieto, metto le mie dita nella sua scatola o tabacchiera nera. Ma mentre prendo il pizzico, egli chiude il coperchio e mi tiene strette in mezzo le dita. Erano scherzi che ci rallegravano.
Un'altra volta comparve soletto dalla porta d'ingresso presso il santuario. Allora uno stuolo di ragazzi piglia la corsa verso di lui. Ma egli afferra l'ombrello, che ha il manico e il fusto grosso come quello dei contadini. Lo alza e servendosene come di una spada si destreggia a respingere l'assalto. Tocca uno con la punta, un altro di fianco, ma intanto si accostano gli altri dall'altra parte, e noi tutti allegri. Sembrava un parroco di paese, ma di quelli alla buona. Camminava adagio quasi dicendo col suo paracqua: - Lasciatemi stare! Lasciatemi andare!
Au vieux sanctuaire franciscain de la Madone des Anges, qui domine de son humble coupole la large vallée de la Stura, près de Coni, en Piémont. A la sacristie, un petit vieux bien propre, tête et tenue d'artiste, se présente pour servir la messe, qu'il sert d'ailleurs avec une piété aussi profonde que simple.
Au retour de l'autel, à brûle-pourpoint il décoche au célébrant qu'il sait être salésien[449]:
- Et moi aussi j'ai été élevé par Don Bosco. Par Don Bosco lui-même?
- Mais oui, entre 187o et 1876, à l'Oratoire, à Turin.
- Alors vous l'avez bien connu, car il était encore, à cette date, en pleine vigueur?
- Et quels souvenirs vous restent de lui?
Le petit vieux se recueille un instant, un long instant, fouillant minutieusement sa mémoire pour en extraire des souvenir tres nets, puis:
- De lui j'ai surtout gardé deux souvenirs: sa belle humeur était constante et il ne nous punissait jamais.
- Oh ça, c'est impossible, car vous deviez en faire quelque grosse de temps en temps.
- Evidemment, on n'était pas des saints, tant s'en faut, mais il avait sa façon à lui de nous corriger. [865]
- Si simple, mais, si efficace! Il nous appelait, et déjà d'être appelé par Don Bosco, quand on avait quelque chose à se reprocher, c'était un châtiment. Puis il nous accueillait avec son bon sourire, et, les yeux dans les yeux, nous disait:
- C'est tres clair que tu n'aimes pas Don Bosco.
- Pouvez-vous dire cela; mon Pere? - Mais oui, c'est comme ça.
- Non, tu ne l'aimes pas, car si tu l'aimais, tu n'aurais pas commis cette faute-là..
- Et ça suffisait: on était corrigé, amendé, contrit, retourné.
Oh! Don Bosco, cher-Don Bosco!
Et les yeux du petit vieillard s'embuent de larmes au souvenir de ces temps ineffables.
Gaieté et Bonté, n'est-ce pas, sinon tout l'art d'éduquer, au moins une belle partie. La gaieté qui épanouit, pousse à l'expansion, maintient l'atmosphère même de la jeunesse; et la bonté qui conquiert pour transformer, par le dedans, dès qu'elle a pris barre sur une âme d'adolescent.
Due lettere di Don Bosco al conte Ugo Grimaldi di Bellino, patrizio di Asti.
La grazia di N. S. G. C. sia sempre con noi.
Ho ricevuto a suo tempo le due lettere che ebbe la bontà d'indirizzarmi, e non le risposi perche incerto del luogo di sua permanenza. Le unisco il biglietto rosso, anzi due affinchè guadagni due premi[450]. I biglietti che le aveva mandati non erano tanto da smerciarsi, ma piuttosto da ritenersi da Lei e così aiutasse il povero D. Bosco a dar pane a' suoi poveri giovanetti.
Ripigliando le cose della sua prima lettera io ammiro molto lo slancio-del suo cuore nel voler seguire cecamente i consigli di un povero prete quale io sono[451]. La cosa e ardua per ambidue; ma proviamo. [866]
Come ho da fare per intraprendere una vita, ella diceva, che stacchi dal mondo e mi leghi questo cuore col Signore in modo che ami costantemente la virtù?
R. La buona volontà coadiuvata dalla grazia di Dio produrrà questo effetto maraviglioso. Ma per riuscire ella deve adoperarsi per conoscere e gustare la bellezza della virtù e la gioia che prova in cuore chi tende a Dio.
Consideri poi la nullità delle cose del mondo. Esse non possono darci la minima consolazione. Metta insieme tutti i suoi viaggi, quanto ha veduto, goduto, letto ed osservato. Confronti tutto colla gioia che prova un uomo dopo che si è accostato ai santi sacramenti, si accorgerà che le prime sono un nulla, che il secondo ha tutto.
Stabilita così una base veniamo alla pratica. Ella: I° Ogni mattino messa e meditazione. 2° Nel dopo mezzogiorno un po' di lettura spirituale. 3° Ogni domenica predica e benedizione. 4° Adagio, ella mi grida, poco per volta. Ha ragione; cominci a mettere in pratica quanto qui le scrivo di passaggio e se Ella sentesi di tenermi passo, io spero, collo aiuto dei Signore di poterlo condurre al terzo cielo[452].
Quando verrà a Torino ci parleremo di progetti un po' più in grande. Intanto non manchi di pregare il Signore per me, che di vivo cuore le auguro ogni bene dal Signore e mi professo
Abbia pazienza se non rispondo, come vorrei, alle sue lettere; mi manca proprio il tempo.
Ella è a Maretto [453] ed è con un sant'uomo; ne segua pure gli esempi ed i consigli e farà la volontà del Signore.
Ho letto e fatto leggere le famose profezie, ma non sembrano tornare a gloria di Dio pubblicandole. Io non entro nel merito delle medesime, ma io non vedo in esse lo spirito del Signore che è tutto carità e pazienza. Io le trasmetterò ove Ella mi dirà.
Vuole che facciamo una prova pel giovane Vaianeo? Metà caduno. La pensione ordinaria di f . 30 io la ridurrei a 15 ed Ella pensi pel resto. Se darà buone speranze lo faremo andare avanti; del resto si farà quello che il Signore farà conoscere di sua maggior gloria. [867]
Noi preghiamo per Lei, Sig. Cavaliere, Ella preghi anche per noi; faccia da parte mia affettuosi saluti al caro D. Ciattino suo principale. La Santa Vergine della Mercede ci benedica tutti in terra e ci renda degni dell'eterna mercede in cielo. Amen.
Lettere di Don Bosco a Mons. Moreno, vescovo d'Ivrea[454].
Terminati nel giugno del 1852 i lavori della chiesa di S. Francesco, Don Bosco desiderava avere qualche prelato per la solenne benedizione. Si rivolse quindi anche a monsignor Luigi Moreno, vescovo d’Ivrea, con il quale aveva già trattato d’un suo disegno per un’associazione di letture popolari. Gli scrisse pertanto questa lettera.
Ill.mo e Reverend.mo Monsignore,
La parte favorevole che V. S. Ill.ma e Reverend.ma in più circostanze ha preso nelle cose che riguardano al nostro Oratorio fece coraggio onde io ricorressi alla già provata di Lei bontà per un novello favore.
La chiesa già più volte alla bontà di Lei raccomandata volge al suo termine; la domenica del 20 giugno corrente possiamo andarci dentro per benedirla e celebrare le sante funzioni. Monsignore! verrebbe a celebrare questa santa funzione? Ecco il mio gran quesito. La sua bontà, la sua propensione per somiglianti opere di carità mi fanno sperar di si, perciò non faccio ad altri inchiesta. Il Sig. Dottore Vallauri priore di quest'anno, tutti i membri della commissione desiderano tal cosa, procuri dunque di appagare tutti.
Ho ricevuto dal Sig. D. Gallenghe[455] il programma della nostra biblioteca colle modificazioni da Lei saviamente fatte; venendo qui a Torino ci parleremo di quanto occorrerà di fare ulteriormente. Sul principio della p. ventura settimana, Le manderò il manoscritto Avvisi ai cattolici[456].
Intanto nella dolce persuasione di essere appagato nella mia aspettazione, la ringrazio di tutto cuore di quanto ha fatto per me [868] e per quest'Oratorio, e nell'augurarle dal Signore ogni celeste benedizione, le bacio la veneranda mano col sottoscrivermi colla più distinta stima e colla più alta considerazione
Torino, sacro giorno del Corpus D.ni 1852.
Monsignore non potè venire a Torino. La sua risposta si legge in LEMOYNE. Memorie Biografiche, vol. IV, pag. 431.
Una questione matrimoniale che andava per le lunghe è l'argomento di questa lettera. Per le notizie sull'andamento delle Letture Cattoliche, si può vedere l.c., vol. passim.
Ill.mo e Reverend.mo Monsignore,
Dopo una moltitudine d'incumbenti non fu ancora possibile di venire alla celebrazione del Matrimonio dell'Avv. Giudici colla Sig.ra Grida. Quindi essendo in mano della curia si fabbricavano sempre difficoltà senza poter ragionare con questo benedetto Vicario onde superarle. Ora ci sarebbe tutto: e nell'istante che mi spedivano le carte, surse la difficoltà, che a tenore della dispensa pontificia dovevansi fare le denunzie. Dissi al Vicario che V. S. avrebbe dispensato: l'altro si mise a sfilare non può, non posso, non può, non posso, e mi dovetti prendere le carte. Consigno (sic) ora nelle sue mani questo affare: se mai Ella stimasse in questo caso eccezionale celebrare in persona questo matrimonio, io credo che i contraenti non avrebbero alcuna difficoltà a recarsi costà. Di questo affare voleva trattare quando fui costà e non ho potuto. Ad ogni modo mi suggerisca qual cosa io debba fare.
Ci siamo incrocicchiati per istrada: ho differito due giorni la mia partenza per avere il piacere di vederla e non ho potuto. Se di qui si potessero trattare le cose riguardanti alle Lett. Catt. farò quel che mi dice. I partiti migliori: Tortone fa il ribasso del 14 per cento, Paravia il 15 sopra i prezzi stabiliti con Deagostini.
Qualche elezione fu fatta: altre si vanno facendo. Prima che termini questa settimana le scriverò di nuovo.
Mi creda colla massima venerazione nel Signore
Monsignor Moreno aveva inviato all’Oratorio un giovane Thomas Louis Jarach. Il 29 dicembre 1860 l’alunno scrisse al Vescovo per ringraziarlo e porgergli i suoi auguri. La lettera è in francese. I ringraziamenti erano così motivati: “Qui plus de moi a été favorisé par V. G., qui avec un amour paternel m'avez procuré mon bonheur spirituel et temporel, qui m'avez mis dans l'état de grâce, parmi les enfants de Marie, et m'avez fait capable de gagner le Paradis? Ce ne sera jamais que je m'oublie des bienfaits, que Votre coeur magnanime se digna de faire pour moi et pour toute notre famille ”. Don Bosco vi aggiunse di suo pugno:
P.S. Questa lettera fu tutta ideata e scritta dal Jarach; esso è il primo di Ia Retorica che è una classe assai numerosa, Nella condotta poi è un vero modello.
Agli auguri del buon Jarach voglia gradire che unisca anche i miei che di tutto cuore e colla più sentita gratitudine le offro nel Signore professandomi
Il medesimo scrisse un’altra volta al Vescovo in italiano il 25 ottobre 1861, perchè lo aiutasse, avendo egli in animo di abbracciare lo stato ecclesiastico. “Don Bosco, scrive egli, mio amato Padre, mi ha finora tenuto gratuitamente in casa e per l'avvenire è pronto a fare quanto può a mio riguardo; ma per abbracciare lo stato Ecclesiastico dovendosi fare più gravi spese, e versando la casa in gravi strettezze, io fo a Lei ricorso”. E riandando il passato, accenna alla carità usatagli dal Vescovo con l’assisterlo nel suo “rinascimento alla grazia di Cristo ”. Di nuovo Don Bosco fece seguire alla lettera alcune righe.
P.S. Questa lettera fu progettata e fatta senza altrui suggerimento. La mando a Lei affinchè conosca i sentimenti di gratitudine che nutre in cuore.
Monsignore risose al giovane: “Mio buon Tommasino. Con piacere intesi la vostra determinazione di abbracciare lo Stato Ecclesiastico e vi accordo la vestizione dell'abito Chiericale: nell'indossarlo vi starà bene il ripetere: Dominus pars haereditatis meae. Di buon grado continuerò [870] a concorrere per le spese, che occorrono per Voi, e diggià sonomi inteso al riguardo col S. D. Bosco; e speriamo che la Divina Provvidenza continuerà ad assistervi. - 30 ottobre 61 ”.
Questa lettera era diretta alla contessa Elisabetta Passi Zineroni, di Bergamo, che aveva implorato preghiere per la nuora contessa Giulia Passi Valier, gravemente inferma. L’autografo è presso il conte Enrico Matteo Passi, presidente, della Società Cattolica di Assicurazioni di Verona.
Ho ricevuto la Sua lettera, e non manco di pregare e fare eziandio pregare i miei poveri giovinetti per la persona che mi raccomanda, anzi ho già procurato che fossero fatte alcune comunioni per la giovane ammalata per cui mi scrive.
Dio è infinitamente buono e onnipotente: fede.
La Santa Vergine Ausiliatrice benedica Lei, la Sua famiglia; preghi ella pure per me che le sono in G. C.
Don Bosco fu a Verzuolo, nel circondario di Saluzzo, il 9 settembre 1866. Perchè vi si recasse, lo dicono le due seguenti lettere. Una è del futuro cardinale Cagliero al cavaliere Giuseppe di Rovasenda e l'altra della contessa Adele di Rovasenda a Don Botta, parroco del paese. Furono pubblicate nel 1929 in un Numero Unico per il Primo centenario dell'erezione della parrocchia del SS. Nome di Maria in Verzuolo. (Tip. Operaia, Saluzzo 1929).
Ho comunicato al sig. Don Bosco il piano della festa del SS.mo Nome dì Maria per Verzuolo, che piacquegli ed accettò. Pertanto, se non casca il mondo, speriamo di fare una bellissima festa. Egli accettò inoltre l'incarico di fare il discorso, ecc. ecc. [871]
Ho pure consegnato a Lui medesimo la graziosa offerta di V. S. e ne fu contento e dissemi che stesse pur tranquillo, poichè la Madonna (colla confidenza in Lei per parte di loro dovuta) lo avrebbe con tutta la famiglia protetto e liberato dal choléra.
Anzi aggiunse che se altri di sua conoscenza faranno qualche oblazione per la Chiesa di Maria Ausiliatrice, assicura loro la liberazione dell'imminente pericolo. - Avviso al lettore.
Credo che costì sarà pure la Contessa di Lei consorte e La prego di presentarle i miei rispetti e quelli di Don Bosco, estensibili alla sua piccola famigliuolina.
Noi due poi scambieremo i saluti con una forte stretta di mano che non farà male a nessuno. Preghi per me.
Ho ricevuto al momento la preg.ma di "Vossignoria, e mi faccio un dovere ed una premura molto volenterosa di rispondervi subito, entrando, senz'altro preambolo, in materia.
Nel 1865 si chiamò a Verzuolo una famosa banda musicale di un paese vicino, molto valente, e la Messa solenne non lasciò a desiderare dì meglio. Ma forse le copiose libazioni durante il pranzo ottenebravano i sensi e la voce ai virtuosi, e la musica della sera, Vespro e Benedizione, fu addirittura spaventosa!
Mia suocera, Contessa Giuseppina di Rovasenda uscendo dalla Bene-dizione, disse alla Baronessa Mongiardi, nonna del futuro Arcivescovo di Genova, Mons. Edoardo Pulciano che veniva da ragazzo anch'egli
tutti gli anni a villeggiare in Verzuolo dalla santa sua nonna: “Non bisogna più che si rinnovino simili scandali in Verzuolo! Pregheremo per l'anno venturo Don Bosco, che venga coi suoi musici a fare la festa del Santo Nome di Maria. Io alloggerò Don Bosco e qualcuno dei suo-natori. Tu ne alloggerai alcuni altri e così, un po' per casa, li allogge-remo tutti, e la festa riuscirà bella certamente e Don Bosco ci farà il panegirico ”. E la Baronessa annuì molto volentieri, e tutti i villeg-gianti sì offrirono a contribuire per alloggi e mantenimento di musican-ti. La notizia fu sulla bocca di tutti in un momento, a grande compiacimento dell'intera popolazione.
L'anno dopo 1866, al solito, eravamo a villeggiare in Verzuolo, più presto del solito però, cioè, parmi, alla fine di giugno. Mi pare che il choléra sia scoppiato nella prima metà di agosto, ed un giorno il sig. Emilio Boarelli, padre della compianta signora Quagliotti, il [872] quale parmi fosse sindaco del paese, uomo buonissimo e per nulla ostile alle feste di Chiesa, venne a trovare mia suocera e le disse che v'era in paese chi brontolava della venuta di Don Bosco, come di cosa imprudentissima, perchè ci sarebbe stata folla in Chiesa con grave pericolo di aumento del contagio. Questo, difatti, poco tempo dopo aumentò sino ad avere un giorno nove casi, già dando così maggior ragione a chi brontolava.
Ma suocera, che aveva conosciuto piccolino il sig. Boarelli, lo ammonì a non lasciarsi intimorire a tali chiacchiere, mentre, piuttosto che cagionare un aumento del malanno, la venuta di Don Bosco era capace a liberarcene.
Venne dunque Don Bosco. Musica meravigliosa e folla enorme in Chiesa. La sera il Venerabile Servo di Dio fece il panegirico. Dopo di aver detto della Madonna guerriera e dell'origine della festa del Santo Nome di Maria, soggiunse: “Ma la Madonna SS. non è stata solamente invocata nelle guerre, ma anche nelle pestilenze. Voi siete afflitti dal choléra: se vi ho da dire la mia idea od ispirazione, chiunque dirà la giaculatoria: “Santa Maria Madre di Dio, prega per noi peccatori ”, non avrà il choléra.
Io ho procurato di dire le parole che mi pare siano quelle del Ven. Don Bosco; ma quanto mi sento di poter giurare è il senso delle parole, la seconda parte dell'Ave Maria, dataci come giaculatoria, senza la fine “adesso e nell'ora della nostra morte ” e l'aver io sentito a dire che non v'era più stato un caso di choléra. Questo è il mio preciso ricordo, che son pronta a giurare sul Vangelo.
Dio mi faccia vivere abbastanza da vederlo sugli altari...
Il vantaggio anche solo materiale dell'andata di San Giovanni Bosco a Verzuolo non è certo da paragonarsi con le spese registrate nel libro di contabilità della sacrestia, ove per le feste di settembre del 1866, trovasi annotato: A Don Bosco, pel discorso del SS. Nome di Maria, L. 10. Consultando infatti il Registro di morte si riscontrano in quei giorni 15 decessi nella sola Parrocchia di S. Maria, restringendosi poi subito alla normalità. Il vantaggio spirituale si verificò in un generale aumento di fiducia nella protezione di Maria SS. sicchè qualche anno dopo, volendosi istituire in Parrocchia, la Compagnia delle Figlie di Maria, le Zelatrici si presentarono a Don Bosco in Torino, ed ebbero da lui indirizzo e schiarimenti, per provvedersi un quadro dei Rollini e stabilire la Pia Associazione, che continua a celebrare la festa di Maria Ausiliatrice, qual sua speciale Patrona, nella seconda domenica di Ottobre. [873]
Nove lettere di Don Bosco alla marchesa
Maria Carmen de Labrugnière nei Gondi (Firenze).
La prima di queste lettere è una di quelle circolarne manoscritte che Don Bosco inviava ai piú insigni benefattori quando tornava da Roma. Nelle tre seguenti egli cerca di consolare la Marchesa che aveva da poco perduto il giovane marito (1842-1869), da lei sposato nel 1865.
Nella sesta si ha forse una prova che la corrispondenza di Don Bosco era sorvegliata. Perchè la lettera non apparisce provenire da lui. Don Bosco vi fece scrivere da altra mano l'indirizzo.
Nella lettera ottava si parla del sontuoso tappeto offerto dalle Cooperatrici fiorentine nel 1875 (cfr. vol. XI, pag. 244). Le donatrici, temendo un indemaniamento dei beni della Chiesa, avevano proposto che il tappeto figurasse di loro proprietà. In casa Gondi si conserva l'atto di consegna.
Queste ed altre notizie che s'incontreranno a pie' di alcune pagine ci furono favorite insieme con le lettere dalla marchesa Maddalena Patrizi Montoro, figlia della destinataria. Dobbiamo alla medesima anche il gruppo di lettere che seguono.
Sua Santità Papa Pio X volendo concedere benefici spirituali alle famiglie che in qualunque modo abbiano beneficato l'istituzione dei poveri fanciulli dello stabilimento detto Oratorio di San Francesco di Sales, concedeva nominalmente alla famiglia Gondi Marchesa Maria e per mezzo suo a tutti i suoi parenti affini e consanguinei, fino al quarto grado:
2. Indulgenza Plenaria tutte le volte che fanno la loro S. Comunione.
3. Indulgenza Plenaria in articolo di morte.
4. Indulgenza applicabile alle Anime del Purgatorio.
Ho ricevuto la onorata Sua lettera e mi ha fatto veramente piacere. Da essa scorgo che il suo cuore è tutto esacerbato per la perdita del compianto marito, ma si è alquanto calmato per dar luogo alla rassegnazione [874] ai divini voleri cui, da volere o non volere, è d'uopo sottomettersi.
Non tema che diminuisca l'affetto del marito per Lei nell'altra vita, anzi sarà di gran lunga più perfetto. Abbia fede; ella lo vedrà in una posizione molto migliore di quanto era tra noi. La cosa più gradita che Ella possa fare per lui, si è di offrire a Dio ogni affanno per riposo dell'anima di lui.
Ora mi dia un po' di libertà di parlare. É di fede che in cielo si gode una vita infinitamente migliore della terrestre. Dunque perchè dolersi se suo marito ne andò al possesso?
É di fede che la morte presso ai cristiani non è separazione ma dilazione di vedersi. Dunque pazienza quando qualcuno ci precede; egli non fa altro che andare a preparare il luogo.
É pure di fede che Ella ad ogni momento colle opere di pietà e di carità può fare del bene all'anima del defunto: dunque non deve godere in cuor suo, se Dio le ha conceduto di soppravvivere? Poi, l'assistenza dei bambini[457], il conforto al suocero, la pratica della religione, diffondere buoni libri, dare buoni consigli a chi ne ha bisogno, non sono tutte cose che ci devono ad ogni momento farei benedire il Signore per gli anni di vita che ci concede?
Vi sono poi ancora altri motivi che, per ora, non giudico ancora di manifestare.
Insomma adoriamo Iddio in ogni cosa; nelle consolazioni e nelle afflizioni e stiamo sicuri che è un buon padre e che non permette afflizioni oltre le nostre forze; ed è onnipotente e perciò può sollevarci quando vuole.
Intanto ho sempre raccomandato Lei e la sua famiglia al Signore nella S. Messa e continuerò a far lo stesso sia in particolare sia nelle comuni preghiere che si fanno all'altare di Maria.
Ho ricevuto notizia che la Sig. Marianna del Turco[458] stia un poco meglio. Dio sia benedetto, continuiamo a supplicarlo colle comuni preghiere.
La prego de' miei ossequi a tutta la sua Famiglia ed anche alla Famiglia Uguccioni[459] se ha occasione di vederla. [875]
Dio benedica Lei e le sue fatiche; preghi per me che con gratitudine mi professo di V. S. Ill.ma
Ho ritardato alquanto a rispondere alla rispettabile di Lei lettera per avere un po' di tranquillità che mi mancò affatto nei giorni trascorsi.
Godo assai che la calma e la rassegnazione comincino a farsi strada nel suo cuore. Da noi soli possiamo niente, coll'aiuto di Dio possiamo tutto. Continui ad occuparsi di ogni carità e si trattenga pure con persone pie ed affezionate: non può a meno che averne giovamento morale.
Son contento che il R. P. Messi[460] le abbia concessa la comunione più volte la settimana. Una sia per il defunto marito, l'altra pe' suoi bambini, la terza a Maria Addolorata per avere la rassegnazione a' divini voleri.
Ella mi fa istanza affinchè le manifesti alcune ragioni provvidenziali a suo riguardo. Ne avrei molte, comincio da quelle che, secondo me, non superano le forze attuali. Eccomi dunque a parlarle colla voce del Signore.
I. - Il tuo marito fu chiamato a me perchè gli era preparato un posto assai migliore che non avesse sopra la terra. Giacchè molti pericoli spirituali e temporali lo attendevano sopra la terra.
2. - Tu stessa ne avevi bisogno: se mai tu avessi dovuto morir prima di Lui, il distacco e la separazione sarebbe stata troppo amara e crudele; al contrario quando verrà l'ultimo giorno avrai un gran conforto nel pensiero che l'oggetto più caro già ti attende in seno al Creatore.
3. - Il pane che da circa un anno mescoli con le lagrime e col dolore, sebbene il difetto di rassegnazione ne diminuisca alquanto il merito, tuttavia fu un gran tesoro per sollevare tuo marito, fare a te conoscere il nulla delle cose della terra e anche darti occasione di fare un po' di penitenza per la vita passata; e assai più per evitare una lunga serie di pericoli spirituali cui saresti andata soggetta.
4. - Per dare esempio nel mondo di una madre che sul fiore degli anni rinuncia ad ogni idea terrena per occuparsi della propria figliuolanza. Contro a quello che fanno tante madri snaturate che passando ad altre nozze abbandonano le loro creature in mano di persone [876] prezzolate che con servili educazioni danno a bere il vizio prima che lo possano conoscere ecc.
Non so se non la disturberanno queste cose che prima d'ora avrei voluto manifestarle. Molt'altre cose Le scriverò di mano in mano [che] il suo cuore ne l'avrà preparata. Noti bene che io parlo con Lei nella più schietta confidenza. Queste cose dimostrano la bontà del Signore a di Lei riguardo.
Mille ossequi alla Sig. Girolama, alla sig. cognata e suocero[461]. Dio li benedica tutti; preghi anche per me che di tutto cuore La benedico.
Sebbene non mi possa trovare con quelli che venerdì pregano sulla tomba del compianto consorte, tuttavia non mancherò di qui fare quanto so starle a cuore. Quel mattino pertanto nella chiesa di S. Maria Ausiliatrice io celebrerò la Santa Messa, i miei ragazzi, oltre a ottocento, reciteranno il Rosario e faranno la loro Comunione tutto in suffragio dell'anima che, a dirla schietta, io credo in Paradiso da oltre tempo.
Intanto consoliamoci, come dice San Paolo, nella speranza che presto vedremo i nostri cari, perchè la morte non è pei cristiani una separazione ma una semplice dilazione di vedersi, ed Ella ne abbia fede, vedrà, anzi vedremo in condizioni migliori tutti quelli che furono istrumenti di sollecitudine verso di noi, e che noi possiamo aumentare la loro felicità nella vita presente.
Adesso passo anche ai miei fastidi. La leva militare che si sta effettuando colpisce parecchi de' miei migliori chierici, i quali a meno di straordinario aiuto della divina Provvidenza devono cangiare il breviario nel fucile. Ho pensato più volte fra me: Chi sa che la Sig. Contessa Gondi non possa darmi mano in questa mia impresa? Espongo soltanto la cosa. Ogni chierico può supplirsi col' i 3200 franchi. Se Ella in suffragio dell'anima di suo marito e degli altri suoi parenti potesse fare questa carità, oltre al merito che ne avrebbe presso Dio, questo Sacerdote si obbligherebbe di fare ogni giorno un memento speciale nella Santa Messa per Lei e per tutta la sua famiglia. La libertà con cui scrivo, darà a Lei maggior libertà di rispondere. Comunque faccia, io non mancherò d'invocare costantemente la benedizione del cielo sopra di Lei, sopra i suoi bambini, sopra il Sig. suo [877] suocero, affinchè Dio li colmi tutti de' suoi beni e li renda felici nel tempo e nella eternità.
Raccomando me e li miei giovanetti, alle sante sue preghiere e mi creda con gratitudine di V. S. B.
La ringrazio del suo buon volere e della speranza che mi dà a venirmi in aiuto a riscattar qualche buon Sacerdote da regalare alla Chiesa cotanto oggi travagliata. Ora io pregherò affinchè Dio benedica e prosperi i suoi affari temporali in modo che i mezzi tornino abbondanti per soddisfare alla carità del suo cuore ed anche ai bisogni da cui purtroppo siamo continuamente assediati.
Per assecondare poi la sua dimanda e sapendo la sua divozione verso alla gran Madre di Dio noi faremo Martedì prossimo, ottavo giorno della novena, un servizio religioso. Raccolti intorno all'altare di Maria Ausiliatrice i nostri giovanetti faranno speciali preghiere, la Santa Comunione, la recita del Rosario; io celebrerò la Santa Messa alle ore sette del mattino. Ciò tutto secondo la pia di Lei intenzione cioè affinchè Dio conceda, se mai non ci fosse ancora, il Paradiso al compianto di Lei marito; sanità, robustezza, timor di Dio alla sua figliuolanza, e a tutti il prezioso dono della perseveranza nel bene.
Dio la benedica, Sig. Contessa, e la faccia vera madre di misericordia dei poveri sopra questa terra, col premio dei giusti in paradiso. Amen.
Preghi per la povera anima mia e mi creda in G. C. di V. S. B.
Provo a scrivere questa, che è la terza scritta di qui. Non so proprio darmi ragione. Io scrivo più lettere e un gran numero non perviene a destinazione. Le sue poi mi vengono regolarmente.
Se questa le perviene le porterà la notizia che il 18 circa di questo mese passerò a Firenze e mi fermerò quasi una giornata e questo tempo sarebbe per Lei, giacchè non potendosi parlare per iscritto ci parleremo di presenza.
Rinnovo qui che ho ricevuto i duecento franchi da lei inviati pei [878] nostri bisogni; e noi abbiamo celebrato una Messa col rosario e comunione dei nostri giovani, secondo la pia di Lei intenzione.
Dio benedica Lei, la sua famiglia, il Sig. suocero e mi creda con gratitudine.
Fu ricevuto il famoso tappeto, e come avrà già ricevuto, o meglio saputo dai giornali, fu la più bella parte della nostra festa. Io professo a Lei e a tutte le altre signore la più viva gratitudine e prego Maria a volerle tutte degnamente ricompensare coll'aiutarle in vita, assisterle in morte e a suo tempo riceverle tutte nella beata eternità, ma tutte intorno a Lei con me in un angolo basso basso.
Abbia la bontà di dirmi se indirizzando qualche scritto alle persone cooperatrici nominate nella sua lettera, basti con quel semplice indirizzo. Io poi penserò a compiere il mio dovere.
Dio la benedica, Sig. Contessa, e con Lei benedica tutta la sua famiglia. Noi pregheremo ogni giorno per Lei ed Ella mi aiuti con la carità delle sante Sue preghiere mentre con profonda gratitudine ho caro di potermi professare.
La signora contessa di Bricherasio mi ha comunicato l'atto delle signore fiorentine relativo al tappeto caritatevolmente offerto alla chiesa di Maria Ausiliatrice. Ho esaminato quello scritto e se la cosa rimanesse solo tra noi, si calcolerebbe come Ella si compiacque di scrivere, una semplice formalità. Ma venendo in mani che verranno dopo di noi pare un pò umiliante pel Rettore della Chiesa e cagione di dispiaceri ai nostri eredi; cosa ben lontana dal comune volere di tutti noi.
Tuttavia desiderando d'accondiscendere ai santi suoi desideri sottoscrivo di buon grado l'obbligazione mentovata pregando soltanto di togliere due parole alla seconda condizione e per conseguenza anche la terza condizione che da questa emana; prego poi in modo particolare la S. V. Ill.ma a compatirmi se io guardo in bocca al cavallo donato, [879] come dice il proverbio. Tra noi è torse la prima volta che si fanno tali scritti, specialmente per una chiesa che appartiene ad una congregazione di privati presso cui il possesso si continua con la più esatta garanzia.
Comunque si faccia, io non mancherò dì fare ogni giorno un Memento speciale nella S. Messa per Lei, benemerita signora Maria, per tutta la sua famiglia, e per tutte quelle caritatevoli signore che prestarono la caritatevole loro mano a quest'uopo.
Mi raccomando alla carità delle sue preghiere e mi creda con la massima gratitudine di V. S.
Godo che V. S. e la sua famiglia godano buona salute e prego Dio che voglia conservare a lunghi anni di vita felice Lei e la sua bambina.
Non mancherò di fare particolari preghiere pel viaggio che sta per intraprendere. Non ne dubiti che sarà felice.
Di autunno io sono ognora o qui o sempre in vicinanza di Torino; perciò se Ella prima del suo ritorno potrà a sua comodità prevenirmi del giorno in cui passerà in questa nostra città, io mi posso comodamente trovare in casa e mi rincrescerebbe troppo che Ella capitasse tra noi in mia assenza.
Dio benedica Lei, la sua bambina, suo suocero e preghino per me che le sono
P.S. Giungendo a Torino dica a qualunque fiaccheraio: conducetemi da D. Bosco. Ciò basta.
Sei lettere di Don Bosco alla marchesa
Per le così dette conferenze annesse, di cui qui si parla, si vegga quello che ne scrive Don Lemoyne nel vol. VI, pag. 473. Don Bosco ne aveva trattato allora in casa del marchese Patrizi (l. c. pag. 871), che presiedeva a Roma la Conferenza di S. Vincenzo. [880]
Prima di partire da Roma avevo vivo desiderio di parlare ancora una volta con Lei e per ringraziarla delle grandi cortesie usatemi e per raccomandarle le conferenze annesse sebbene io sia intimamente persuaso che farà quel più senza ulteriori raccomandazioni. Quivi ho parlato di Lei e dovrò parlarne spesso perchè me ne ha dato materia: e ciò sia a maggior gloria di Dio.
Il teologo Murialdo, mio collega, mi ha partecipato che ha assistito alla Conferenza della B. V. della Quercia e che la trovò bene avviata. Deo gratias: coraggio. Raccomandi sempre la cosa all'Ab. Biondi ed all'Ab. Cattini. Appena si troverà co' giovanetti della conferenza annessa me li saluti carissimamente nel Signore dicendo loro che i miei giovanetti hanno per loro il più grande affetto e mentre pregano per loro, loro raccomandino fermezza e perseveranza.
Io continuo a raccomandarle le Letture Cattoliche, ed avrei bisogno che qualcheduno mi tenesse a giorno di quanto si fa in proposito per sapere se le spedizioni giungono regolarmente, se avvengono incagli; se devesi accrescere o diminuire il numero delle copie degli associati.
Certamente le gravi e quotidiane occupazioni a cui dà sesto le lascian poco tempo libero; ma la sua carità saprà trovare qualche minuzzolo di tempo da impiegare anche per le Letture Cattoliche.
Io la prego di salutare e ringraziare tutti quei buoni Signori che sì assunsero la protezione di questi libretti: Dio ne terrà conto. Ella se venisse da queste parti, non manchi di venire a vedere i nostri ragazzi e le nostre conferenze; questo l'avevami fatto sperare.
Dio la conservi e la Vergine Immacolata benedica Lei e tutta la sua famiglia e mi creda nel Signore
P.S. Avendone occasione mi saluti il Sig. Duca Salviati.
Da questa lettera si vede che il Marchese aveva in animo d'intraprendere a Roma una pubblicazione periodica come quella delle Letture Cattoliche.
L'autunno si avvicina ed io vado già parlando di V. S. come se fosse già tra noi. Ma vorrei che la sua visita non fosse all'improvviso, perciò farebbe bene ed a me gran piacere due linee preventive per assicurare che si trovino a Torino altri amici, che forse, altrimenti [881] sarebbero assenti. Vorrei pure che potesse fermarsi almeno un giorno festivo e così vedere le nostre assemblee generali. Ho pure una grande distrazione su cui debbo fermarmi; ed è pregare V. S. a voler gradire una camera in questa nostra povera casa, e considerare come suo quanto quivi abbiamo. L'invito è un po' ardito: vedrò, mo, se le speranze saranno appagate.
Riceverà i fascicoli delle Letture Cattoliche in numero ristretto agli associati di Roma. Le spese che Ella dovrà fare in proposito le prelevi dalle quote di associazioni. Godo assai che S. S. abbia preso in considerazione le Letture e ne godo assai più dell'incremento che vanno prendendo costà. Sarei però di parere che fino a tanto che non si possa effettuare la stampa a Roma si spedissero di qui i fascicoli a tutti i postulanti e ciò per tenere viva e calda l'idea che pare essere santamente penetrata nella mente di molti, altrimenti si raffredda il ferro a mano che si allontana dal fuoco. Debbo in tutti i casi prevenirla che stampandosi tanti libretti di badar bene che i temi siano adattati al popolo con dicitura, stile e sentimenti semplici, altrimenti le associazioni nascono e periscono nel tempo stesso. I collaboratori che mi accennava non fanno per questi lavori; essi sono abituati a parlare a gente colta e sarebbe una vera rarità se giungessero ad abbassarsi e farsi intendere dal popolo. Potrebbero, almeno per qualche tempo, scegliere quelli che paiono meglio convenire fra i fascicoli finora pubblicati e riprodurli. Tutto questo in nomine Domini.
Ho letto con vero piacere il progresso della conferenza annessa di Roma: i nostri giovani nell'udirne la relazione tripudiarono di gioia e vanno tuttora dicendo: sia ringraziato il Signore che moltiplica le sue benedizioni sulla fortunata gioventù di Roma, A questo proposito faremo discorso quando Ella sarà qui fra noi.
La prego di trasmettere le unite lettere nella buca postale. Coraggio, Sig. Marchese, Ella ha una gran messe tra le mani; ma ricordiamoci che lavoriamo per un padrone che paga con misura colma ogni nostra fatica anche minima. Preghi per me e per la mia famiglia e si degni annoverarmi tra quelli che con pienezza di gratitudine si professano di V. S. Ill.ma
D. Giovanni Car.mo nel Signore,
Il Sac. Taramelli Onorio va a Roma per aggiustare i suoi affari di Ministero Sacerdotale. Se Ella può procurargli un momento di udienza da S. E. il Card. Vicario, farebbe un favore anche a me. Esso [882] ebbe la disgrazia di cadere nell'eresia protestante ed ora la ha abbandonata e vuole vivere e morire da buon sacerdote. Io lo raccomando alla cortesia dei suoi buoni uffizi.
Con esso si reca pure a Roma il Sig. Dottore in Legge Barlani Dini Giuseppe per assestare alcuni suoi affari di contabilità che tiene col Sig. di Lei segretario. Esso è persona di sani principi, fermo cattolico.
Le nostre conferenze annesse continuano allegramente in mezzo alle difficoltà. I frutti sono assai soddisfacenti. La conferenza di Roma continua ancora?
Gli oratori poi fioriscono nel numero e ne' buoni risultati. In questa casa passano il numero di 6oo. Quante volte parliamo di Lei e chiedo che la Divina Provvidenza faccia che un giorno o l'altro possiamo avere la bella consolazione di averla per edificarci colle sue parole e co' suoi tratti di carità!
Il Conte Cays, il Conte Collegno, il Marchese Fassati, il Conte Giriodi presidente della Conf. di Torino le offrono i loro saluti.
Io mi unisco con tutti quelli che ho detto per augurarle dal Cielo sanità, grazia e coraggio, e raccomandarci tutti alla carità delle divote di lei preghiere, mentre con vera gratitudine reputo al più grande piacere di potermi professare.
P.S. La ringrazio di quanto fa per la nostra lotteria e mi raccomando.
Le mando ricevuta della somma inviatami nel modo e colle clausule che nella sua bontà si compiacque di indicarmi. Ho avuto piacere della mia inesattezza, perchè con essa mi sono procurato il piacere di avere direttamente delle sue notizie, che fuori di quelle portate dalla benemerita Duchessa Melzi, sono assai rare quelle che possiamo avere.
Carissimo Sig. D. Giovanni, il Signore ci vuole in gran prove; è la prima volta che in questa nostra città si vede l'emissario protestante a predicare sulle pubbliche piazze! Si immagini che scandalo, e che male, i libri, fogli volanti, catechismi, prediche, promesse d'impieghi, limosine, elargizioni sono i mezzi che soglionsi usare dai protestanti. Il Clero lavora indefesso e con fermezza; ma bisogna dirlo, la gioventù è in gran pericolo. [883]
Malgrado questo gli oratori sono sinora frequentati ne' giorni festivi, il loro numero passa ordinariamente i tremila. I ricoverati in questa casa sono settecento, essi sono i più abbandonati ed i più pericolanti. Ne abbiamo anche due della città di Roma.
La nostra casa, grazie al Signore va bene; molti sacerdoti e chierici, il Cav. Oreglia, Conte Cays, Marchese Fassati si uniscono con me per offrirle i loro cordiali saluti e si raccomandano tutti al fervore delle preghiere di Lei. Mentre raccomando me stesso e questi giovanetti alla carità delle sue preghiere reputo lietissimo il momento che mi permette di professarmi di Lei nel Signore.
P.S. Se la Divina Provvidenza la ponesse m grado di fare qualche elargizione, sarebbe una grande opera di carità diretta al bene delle anime.
P.S. Questa lettera fu ritenuta tra mezzo alla posta, di poi aperta e ritornata allo scrivente. Adesso la mando di nuovo con qualche assicurazione. Vedremo se non sarà più inceppata.
Ricevuta la stia cara lettera colla nota degli oneri ed onorari stabiliti pel cappellano di Montoro, tosto ne diedi comunicazione a due Sacerdoti con cui erasi prima tenuto parola. L'uno dopo l'altro trovarono la proposta degna di considerazione per tutti i rapporti; ma venuti alla conclusione osservarono che la loro condizione sarebbe assai deteriorata, imperocchè anche colla sola scuola elementare percepiscono, uno, 1200 fr.; l'altro f. 1000. Il loro personale e libero di occuparsi in qualsiasi cosa a loro vantaggio.
Le darò la ragione. La penuria di preti, si fa in generale sentire anche fra noi, ma i preti del conio che Ella vuole e che io voglio solamente proporre sono assai ricercati dai Vescovi e ben pagati per l'importanza degli affari che loro si possono affidare. Può darsi che lungo l'anno possa averne qualcuno in libertà che ci convenga ed in questo caso ne darò cenno e Lei per sapere, se siavi tuttora il bisogno. [884]
Mi aiuti a far andare avanti la Chiesa di Maria Ausiliatrice ed io La pregherò che le prepari una bella corona in Cielo.
Dio la benedica; preghi per me che con gratitudine ho il piacere di potermi professare di V. S.
Ho ricevuto con vero piacere la cara di Lei lettera e godo nel Signore che le dia sanità e volontà di continuare nelle sue belle opere.
Riguardo al Sacerdote di cui parlai vi sarebbe speranza di averne uno di buono spirito, ma è impiegato; resta a vedere se la sua posizione non resti deteriorata col progettato mutamento. Sappiami pertanto dire: I) se ricercasi un Sacerdote patentato per qualche classe e quali siano gli oneri precisi del suo uffizio.
2) Quali emolumenti e se la celebrazione delle Messe importi l'applicazione del Santo Sacrificio oppure ne sia libero. Dimando questa seconda cosa perchè il prete di cui si tratta avrebbe un'obbligazione che lo stringe ad alcune Messe, senza però avere obbligo di residenza. Avuti questi schiarimenti io tratterò prontamente l'affare.
Fui a Lonigo ed ho parlato molto di Lei in casa Sorango dove Ella era stato poco prima. Che buona e santa famiglia! Sono eziandio passato a Milano e mi fermai alcune ore per vedere il Sig. Duca Scotti e la Sig. Duchessa Melzi, ma erano già ambedue partiti per Roma. Mi farebbe un vero favore se all'occasione di vederli si compiacesse di riverirli rispettosamente da parte mia. Dio benedica le sue fatiche, caro Sig. Marchese, preghi per me e per questa mia famiglia e mi abbia con la più sincera stima e gratitudine di V. Sig. Carissima
Lettere di Don Bosco a Don Oggero.
Era parroco di Rivarolo Ligure. Non ci risulta che Don Bosco nell’autunno del 1870 si recasse a Genova, come scriveva qui di voler fare.
Dio sia in ogni cosa benedetto. Egli solo può sollevarci dalle terribili angustie che presentemente opprimono lo stato morale della povera umanità. Preghiamo ed io farò anche fare qualche preghiera [885] in onore ed all'altare di Maria Ausiliatrice per lo scopo che mi ac-cenna.
Intanto nel corso dell'autunno dovendo fare una gita a Genova non mancherò di secondare il grazioso di Lei invito e fermarmi alquanto alla Certosa di Rivarolo ove Ella ne è degnamente Parroco.
Dio benedica Lei e l'aiuti a compiere i suoi buoni divisamento; preghi per me e per li miei poveri giovanetti e mi creda in G. C.
Lettera di Don Bosco a Don Guidazio.
Don Pietro Guidazio, il fondatore del collegio di Randazzo in Sicilia, era nel 1870 a Lanzo, chierico e consigliere di quel capitolo. Venuto all’Oratorio in età di 25 anni dopo aver molto girato per il mondo e dotato di vivida immaginazione, sentiva tutto il disagio della nuova vita e si lasciava talora vincere dallo scoraggiamento. Da questa lettera si comprende che egli era tentato di tornare indietro.
Tu sarai sempre inquieto e dirò infelice fino a tanto che tu non metterai in pratica l'ubbidienza promessa, e non ti abbandonerai interamente alla direzione de' tuoi superiori. Finora il demonio ti ha crudelmente travagliato spingendoti a fare il contrario.
Dalla tua lettera e dai discorsi tenuti tra noi non appare alcun motivo di dispensare da voti. Qualora questi esistessero dovrei scrivere alla Santa Sede cui sono riservati. Ma coram Domino io ti consiglierei alla considerazione dell'abneget semetipsum, e accertarti che vir obediens loquetur victorias.
Credi alla mia esperienza; il demonio vorrebbe ingannare me e te; riuscì in parte contro di te; contro di me a tuo riguardo ha fallito completamente. Abbi piena fiducia in me come io l'ho sempre avuta in te; non di parole ma di fatti, di volontà efficace, di ubbidienza umile, pronta, illimitata. Queste sono le cose che faranno la tua felicità spirituale e temporale, e porteranno a me verace consolazione.
Dio ti benedica e ti conceda il prezioso dono della perseveranza nel bene; prega per me che ti sono con affetto di padre
alla contessa Carolina Gambaro.
La contessa Carolina Gambaro, nata Cataldi, era moglie del cattolicissimo conte Francesco, genovese. Fra queste lettere ve n’è una indirizzata al barone Giuliano Cataldi, padre della Carolina, rinomato banchiere di Genova, già sindaco della città. Gli autografi sono conservati dal figlio, conte Giuliano Gambaro.
La grazia di N. S. G. C. sia sempre con noi. Grazie alla bontà del Signore, sono in uno stato di sanità da poter ritornare a Torino e ripigliare almeno le più stringenti mie occupazioni. Ringrazio Lei, Mamà e tutta la famiglia per la parte che prendono alla mia guarigione: vogliano pregare che possa impiegare tutta la mia sanità alla maggior gloria di Dio.
Intanto l'assicuro che giunto a Torino non mancherò di celebrare le messe che Ella mi nomina, all'altare di Maria. Assicuri poi Mamà che a Torino si fanno mattina e sera preghiere particolari per Lei: domenica poi, io celebrerò la Messa: i nostri giovani faranno la santa loro Comunione per questo scopo, cioè di costringere Iddio a concedere la santa rassegnazione a Mamà, con qualche sensibile miglioramento alla Sua vista. Ella poi si unisca colla pia sua intenzione. Non è possibile che tante preghiere non siano per essere esaudite.
Dio benedica la buona Mamà, il santo di Lei papà e tutta la famiglia, e conceda a tutti sanità stabile e il santo dono della perseveranza nel bene.
La mia sanità non mi permette di passare per Genova o meglio fermarmi come desiderano. Spero di farlo fra non molto. Dica a Mamà che la ringrazio delle sante sue disposizioni per Sampierdarena.
Preghi per la povera anima mia, io pregherò per Lei e mi creda coi sentimenti della profonda mia gratitudine di V. S.
D. Cuffia le porge i più rispettosi ossequi e non mancherà di dirmi in riguardo a notizie venendosi a Genova.
Il progetto di una casa in Sampierdarena sembra vicino ad effettuarsi. L'arcivescovo mi scrive essere fissato il 20 di questo mese per fare l'istrumento della chiesa e casa annessa a S. Gaetano. Ora si tratta di raccogliere denaro (circa f. 37 mila).
Se in questo caso eccezionale può aiutarmi, si compierebbe un progetto ideato l'anno scorso nella sua villa di Sestri. Domani vado a Varazze, venerdì a sera spero di essere a Genova ed uno dei primi passi lo farò a casa sua ed Ella mi aiuti col consiglio e coll'opera.
Dio conceda ogni bene a Lei e a tutta la sua famiglia e pregandole sanità stabile mi raccomando alle sue preghiere e mi professo di V. S. Ill.ma
P.S. Prego di rimettere l'unito bigl. alla Sig. Carolina.
Domani vado a Varazze e venerdì a sera sarò in Genova a Dio piacendo, e ci vedremo in casa sua. Dica alla Sig. Mamma che il locale per Sampierdarena è comprato, non ci mancano più che le monete per fare l'istrumento, ma di questo spero di poterne parlare con Lei medesima.
La prego dei miei ossequi alla sig. Mamma e a tutta la famiglia e mi creda con profonda gratitudine.
Ottima Signora Carolina Cataldi
Non mancherò di raccomandarla debolmente nella Santa messa. Ella preghi anche per me e per questa mia famiglia, che si fa ognor [888] più numerosa, mentre da altra parte cresce il numero e le dimande, cresce pure il bisogno.
Dio la benedica e con lei benedica tutta la sua famiglia ancora.
La signora Giuseppina Podestà sua sorella mi portò l'offerta di 250 da parte di Lei e f. 100 da parte di persona pia.
Non ho più potuto vedere, come desiderava, la prelodata sorella e perciò credo compiere il mio dovere coll'assicurarla che il denaro mi è pervenuto, e l'ho già speso: ma mi rimane ora l'obbligo di ringraziarla di cuore, di pregare molto per Lei e per tutta la sua famiglia a finchè Dio li conservi tutti in buona salute e nella sua santa grazia. La prego di presentare i miei umili rispetti al sig. Francesco di Lei marito, assicurandolo che io mi ricordo di pregare nella Santa messa ogni mattina. Avendone poi occasione voglia ossequiare Mamà da parte mia e di pregare anche per me che le sarò sempre in G. C.
Ricevo l'offerta di f. 100 che mi fa in favore dei nostri fanciulli che versano in vere strettezze; e perciò abbiamo maggior motivo di ringraziarla e pregare per Lei, per suo marito e per tutta la sua famiglia.
Dio la benedica, o Benemerita Sig. Carolina, e la Santa Vergine Ausiliatrice le ottenga perfetta salute.
Le stesse benedizioni discendano copiose sopra il sig. Gambaro e sopra la crescente famiglia. Voglia pregare anche per me e pei miei orfanelli (100.000) e mi creda in N. S. G. C.
Lettera indirizzata ai signori Cesare e Paolina Clara, torinesi. L’originale si conserva presso i Salesiani di Cuneo. La Pressante raccomandazione di pregare viene dal bisogno di superare le ultime difficoltà che si oppongono all'approvazione delle Regole.
Immagine |
portate la vostra benedizione ai coniugi |
di |
Clara. |
Maria Immacolata |
|
Dimani comincia la novena di S. Giuseppe ed io desidero che rinnoviamo la nostra fiducia in questo santo. Io pregherò, anzi farò ogni mattino uno speciale memento nella santa Messa pel cav. Cesare che mi si scrive non essere tanto bene in sanità. Ad ambidue dimanderemo sanità e santità; ma Ella ed il Cav. Cesare mi aiutino pregando con quella fede che porta le valli sopra le montagne e le montagne nelle valli.
Credo che sua sorella, Damig. Polliotti, le abbia comunicata la benedizione del S. Padre; ora ne ho voluto dimandare un'altra tutta particolare per Mad. Campana e per suo marito, e per Mad. Jano ad oggetto di ottenere per tutti tre la sanità e la robustezza di Sansone.
Io mi fermo ancora due settimane a Roma; se le occorre qualche cosa me lo dica ed io eseguirò ben volentieri le sue commissioni.
Avrei molte cose a dirle, ma non voglio affidarle alla carta e mi riservo di raccontarle a Torino, ben inteso all'ora di pranzo e dopo un bicchiere di barolo, non è vero?
Uno de' motivi che mi move a scriverle si è un bisogno particolare di preghiere in queste due settimane. Ella faccia questa carità, preghi assai e faccia anche pregare le anime buone di sua conoscenza per questi miei affari, ed io, oltre alla gratitudine, mi studierò di ricompensarla abbondantemente con altre preghiere ad altro tempo.
La prego intanto di ossequiare Mad. Campana da parte mia, e spero di ritrovarla migliorata riverisca Mad. Vacchetta, Mad. Jano, la dam. Polliotti; saluti speciali poi si facciano al cav. Cesare, cui auguro di cuore sanità stabile ed allegria con vita felice.
Dio li benedica tutti e mi creda in G. C.
Lettera di Don Bosco al chierico Enrico Morganti.
Il destinatario, insegnante allora nell'Oratorio, era fratello di monsignor Pasquale, arcivescovo di Ravenna, e di Don Massimino, questi pure salesiano.
Parla con D. Rua che ti dirà il tempo in cui puoi recarti alla patria pel tempo necessario per la leva. Spero che sarai definitivamente esentato, e in questo senso prego il Signore a favorirti. Speriamo in Maria A. che farà quanto non possiamo fare noi.
Pensa alla tua 35 Ginnasiale per l'anno prossima.
Dio ti benedica e prega per me che ti sarò sempre in G. C.
Lettera di Don Bosco a Don Grosso.
É il Don Giovanni Grosso, che abbiamo trovato a Marsiglia maestro di cappella. Allora era chierico a Lanzo, donde nell’autunno passò al Patronage di S. Leone.
Finora deciso niente; prima te ne parlerò. Per la leva faremo quanto si può perchè tu ne sia esentato. Ma questo lo tratteremo a suo tempo e di presenza.
Tu procura solamente di essere Salesiano modello. L'ubbidienza è la base e il sostegno di ogni virtù. Attendo da te un miracolo che mi consoli con una moltitudine di aspiranti Salesiani.
Salutali da parte mia. Dio vi benedica tutti e credimi sempre in G. C.
L’originale di questa e della seguente lettera é posseduta dal parroco di Albissola Superiore (Savona), Don Luigi Savina. Il giovane Simone Caviglia, divenuto sacerdote, morì parroco del medesimo paese.
Dunque, se tu sei d'accordo, io ti annovero fin d'ora tra i miei cari figli di S. Francesco.
Termina il tuo anno scolastico e poi faremo quanto occorrerà.
Intanto avremo occasione di parlarci delle nostre confidenze quando andrò a Varazze; e quando è necessario scrivimi con tutta libertà.
Dio benedica te e tutti i tuoi di casa e credimi sempre in G. C.
All'Arciprete di Stella S. Martino.
É questa una parrocchia sull’Appennino, confinante con Albissola. N’0era arciprete Don Giuseppe Tobia, morto nel 1902.
Il Sig. D. Monateri Direttore del collegio di Varazze mi portò f. 200 da parte di V. S. rev.ma e questi in sollievo dei nostri crescenti bisogni.
Io la ringrazio di tutto cuore e tanto più in questo momento che abbiamo da provvedere pane ai nostri orfanelli ed abiti pei nostri chierici i quali ne sono sprovvisti per la imminente invernale stagione.
Per ringraziarla da buoni cristiani, come so ella desiderare, il 21 di questo mese, presentazione di M. V. al tempio; io celebrerò per Lei la S. Messa ed i nostri giovani faranno preghiere e la santa comunione secondo la pia di Lei intenzione.
Andando a Varazze spero di potermi recare a riverirla personalmente e ringraziarla. [892]
Dio ci benedica tutti e voglia pregare anche per me che le sarà sempre in G. C. con gratitudine e venerazione sincera
Lettera di Don Bosco a Don Fagnano.
È una delle molte lettere mandate da Don Bosco ai Salesiani d’America per mezzo dei loro Confratelli partiti da Torino sul finire di gennaio del 1881. Di questa abbiamo avuto tardi l’originale. Cfr. Mem. biogr., vol. XV, pag. 24.
Avrai un po' di soccorso di personale nell'immenso tuo bisogno. Spero non passerà lungo tempo e che potremo fare altra spedizione. Qui in Europa siamo richiesti con tale istanza e quasi direi con tale violenza, che possiamo nemmeno respirare: cioè non possiamo formarci personale.
Il povero Rizzo è giunto, si ritirò presso sua madre. Non so che cosa sarà di lui. Io fo quanto posso per impedirne la rovina.
Ho ricevuto l'ultima tua. Gli oggetti non mi sono ancora pervenuti. Sono desideroso di averli. Il far lavorare una stola con le parole Viva Leone XIII e simili è ottimo pensiero e ci farà grande onore.
In quanto al resto sta tranquillo. La più grande impresa della nostra Congregazione è quella della Patagonia. Saprai tutto a suo tempo.
Non posso però celarti che una grande responsabilità pesa sopra di te. Ma l'aiuto di Dio non ti mancherà. Noi pregheremo per te, ti aiuteremo con tutti i mezzi che sono in nostro potere.
Ho già ricevuto due tue lettere e spero che riceverò le altre che mi scriverai.
D. Debella ti porterà cose, notizie e un po' d'aiuto a lavorare.
Dio ti benedica, o sempre caro mio D. Fagnano, Dio ti conservi sempre nella sua S. grazia.
Osserva e fa osservare le regole nostre, per quanto ti sarà possibile.
Prega per me che ti sarò sempre in G. C.
P.S. Saluta le nostre suore, los niños y las nifias e dì a tutti ché io li benedico e prego per tutti in modo particolare.
P.S. Il Capitolo Superiore ha definitivamente eletto D. Costamagna Ispettore Americano. Non è però lontano il tempo in cui la provincia di Patagonia sarà eretta in Vicariato Apostolico secondo il volere del S. Padre, oppure Ispettoria Salesiana.
Una cugina di Don Bosco, religiosa Benedettina nella Badia di Pradines (Loire) così scriveva il 20. gennaio 1930 alla cugina Madre Eulalia Bosco, delle Figlie di Maria Ausiliatrice: « Un - prêtre possède une lettre autograhe du Bienheureux, il a eu la bonté de me la laisser pendant deux jours; elle est-si jolie que je vous en envoie la copie w. Di questa parente del Santo si fard menzione nel vol. XVIII.
Épines et fleurs forment la vie humaine. Mais les épines seront un jour changées en fleurs avec lesquelles les anges feront notre couronne pour l'étérnité.
Toutefois, je ne manquerai pas de prier et de faire prier nos enfants pour votre guérison, ou au moins, une sensible amélioration.
Vous me demandez ce qu'il faut faire pour engager la divine Providence à vous venir en aide. Dieu nous le dit lui-même: - Donnez et l'on vous donnera, et la foi sans les bonnes oeuvres est une chose morte en soi-même.
Pour cela, je crois très bon pour vous de faire une offrande pour l'église et pour l'orphelinat du Sacré Coeur de jésus dont je vous envoie une circulaire.
Moi et mes enfants (100.000) prierons aussi pour votre guérison, ou au moins, une notable amélioration.
Frammento di circolare ai Salesiani
sulla unità di spirito e d'amministrazione.
Questo frammento di circolare è senza data; la riproduciamo fedelmente da una minuta di Don Bosco.
Ai miei cari Filiuoli e confratelli della Società di S. Francesco di Sales.
Il mese di maggio che noi siamo soliti consacrare a Maria sta per cominciare ed io stimo di approfittare di questa occasione per parlare a' miei cari figliuoli e confratelli ed esporre loro alcune cose che non ho potuto dire nella conferenza di S. Francesco dì Sales.
Io sono persuaso che voi abbiate tutti ferma volontà di essere perseveranti nella Società e quindi adoperarvi con tutte le vostre forze a guadagnare anime a Dio e per primo salvare l'anima propria. Per riuscire in questa grande impresa dobbiamo per base generale usare la massima sollecitudine per mettere in pratica le regole della Società. Perchè a nulla gioverebbero le nostre istituzioni se fossero come una lettera morta da lasciarsi nello scrittoio e non di più. Se vogliamo che la nostra società vada avanti colla benedizione del Signore è indispensabile che ogni articolo delle costituzioni sia norma nell'operare. Tuttavia vi sono alcune cose pratiche e assai efficaci per conseguire lo scopo proposto e fra queste vi noto l'unità di spirito e l'unità di amministrazione.
Per unità di spirito io intendo una deliberazione ferma costante di volere o non volere quelle cose che il Superiore giudica tornar a maggior gloria di Dio. Questa deliberazione non si rallenta mai comunque gravi siano gli ostacoli che si oppongono al bene spirituale ed eterno secondo la dottrina di S. Paolo: Caritas omnia suffert, omnia sustinent. (Ia ai Corinti, 13, 73). Questa deliberazione induce il confratello ad essere puntuale ne' suoi doveri non solo pel comando che gli è fatto, ma per la gloria di Dio che egli intende promuovere. Da ciò ne deriva la prontezza nel fare all'ora stabilita la meditazione, la preghiera, la visita al santissimo Sacramento, l'esame di coscienza, la lettura spirituale.
E' vero che queste cose sono prescritte dalle regole, ma se non si procura di eccitarsi di osservarle per un motivo soprannaturale le le nostre regole cadono in dimenticanza.
Quello che potentemente contribuisce a conservare questa unità di spirito si è la frequenza de' santi sacramenti. I Sacerdoti facciano [895] quanto possono per celebrare con regolarità e divotamente la santa messa: coloro poi che non sono in tale stato procurino di frequentare la comunione il più spesso possibile. Ma il punto fondamentale sta nella frequente confessione. Ognuno procuri di osservare quanto le regole prescrivono a questo riguardo. Una confidenza speciale è poi assolutamente necessaria coi Superiore di quella casa dove ciascuno dimora. Il gran difetto consiste in ciò che molti cercano di interpretare stortamente certe disposizioni de' superiori, oppure le giudicano di poca importanza, e intanto rallentano l'osservanza delle regole con danno di se stesso, con dispiaceri dei superiori e con ommissione o almeno trascuranza dì quelle cose che avrebbero potentemente contribuito al bene delle anime. Ognuno adunque si spogli della propria volontà e rinunzi al pensiero del proprio bene, si accerti solamente che quello che deve fare tomi a maggior gloria di Dio e poi vada avanti.
Qui per altro nasce la seguente difficoltà: Nella pratica si incontrano casi in cui sembrano meglio fare diversamente da quanto era stato comandato. Non è vero. Il meglio è sempre fare l'ubbidienza, non mai cangiando lo spirito delle regole interpretato dal rispettivo Superiore. Laonde ciascuno studi sempre di interpretar, praticare, raccomandare la osservanza delle regole fra suoi confratelli; e mettere in esecuzione verso al prossimo tutte quelle cose che il Superiore giudicasse tornare a maggior gloria di Dio e a bene delle anime. Questa conclusione io la reputo la base fondamentale di religiosa Società.
All'unità di spirito deve andar congiunta l'unità di amministrazione. Un religioso si propone di mettere in pratica il detto del Salvatore, vale a dire di rinunciare quanto egli ha o possa avere nel mondo per la speranza di miglior ricompensa in cielo. Padre, Madre, fratello, sorella, casa, sostanze di qualunque genere, tutto offre all'amor di Dio. Se non che avendo egli ancora l'anima unita al corpo ha tuttora bisogno di mezzi materiali per nutrirsi, coprirsi ed operare.
Perciò egli mentre rinuncia a tutto quanto aveva cerca di aggregarsi in una società in cui possa provvedere alle necessità della vita senza punto avere il peso dell'amministrazione temporale. Come adunque egli deve regolarsi in Società in quanto alle cose temporali? Le regole della Società provvedono a tutto, dunque praticando le regole rimane soddisfatto ogni bisogno. Una veste, un tozzo di pane, devono bastare ad un religioso. Quando occorresse di più ne dia cenno ai superiori, ne sarà provveduto. Ma qui deve concentrarsi lo sforzo di ciascuno. Chi procura un vantaggio alla Società il faccia, ma non faccia mai centro da sè; si sforzi per fare sì che vi sia una sola borsa, come deve essere una sola volontà. Chi cercasse di vendere, comperare, cambiare o conservare denaro per utilità propria. Chi ciò facesse sarebbe come un contadino che mentre i trebiatori ammontichiano il grano egli lo disperde e lo getta alla volta. A questo riguardo io debbo [896] raccomandare di nemmeno conservar denaro sotto allo specioso pretesto di ricavarne utile per la Società. La cosa più utile per la Società è l'osservanza delle regole.
Gli abiti, la Camera, gli arredi di essa sia lontana dalla ricercatezza. Il religioso deve essere preparato ad ogni momento a partir dalla cella e comparire davanti al Suo Creatore senza alcuna cosa lo affligga nell'abbandonarle e senza torni di motivo al Giudice...
Il Canonico Belloni a Don Bosco.
L'Osservatore Romano del 21 agosto 1935, in un articolo anonimo intitolato Un'era della carità in Palestina - Abuna Antùn Belloni, facendo un resoconto dell'Opera del canonico Belloni, scriveva:
Ma come perpetuare l'opera sua? Creando la piccola Congregazione della S. Famiglia. Volendo però assicurare meglio le sue sante intraprese, eccolo nel 1878 a Torino da don Bosco, al quale offre se stesso e la opera sua. Don Bosco lo accolse con gran bontà, dandogli particolari e pubblici segni di benevolenza, ma non potè aderire ai,suoi santi desideri. - Ora non posso accettare, diceva, per mancanza,di personale; verranno i miei figli in seguito. - E don Bosco fu profeta. Infatti nel 1891 il primo Successore di Don Bosco, il Servo di Dio don Michele Rua aderiva alle ripetute richieste di Abuna Antùn Belloni e inviava a Betlemme alcuni Salesiani e Figlie di Maria Ausiliatrice e così veniva assicurata la continuazione e lo sviluppo di quelle opere.
Nel volume XVI, a pag. 146, scrivevamo che la duchessa d’Aremberg il 23 maggio 1883 sollecitava un’udienza da Don Bosco. Essa aveva già visitato il Santo a Lilla presso le Clarisse il 20 di quel mese. Negli archivi del monastero una relazione della visita di Don Bosco al monastero contiene questo particolare.
Madame la Duchesse d'Aremberg était venue de Bruxelles pour voir et pour parler au Saint religieux. Avant la Messe, che donna une enveloppe aux sceurs en les priant de la remettre à Don Bosco. Après son action de grâces, celui-ci la fit appeler pour la remercíer [897] du don généreux qu'elle venait de lui faire. Son Altesse lui demanda plusieurs conseils concernant l'éducation des jeunes dues ses fils (car che avait perdu son mari qu'elle ne cessait de pleurer). Elle quitta Doni Bosco fortifiée et encouragée et fut très reconnaissante à la Communauté de lui avoir menagé cette entrevue.
La cronaca delle religiose del Sacro Cuore, visitate pure da Don Bosco, nota di un precedente breve incontro della Duchessa col Santo nella loro casa il 9 maggio. Si accenna ivi al Duca; ma o è errore o si tratta del Duchino.
Un consiglio e una profezia di Don Bosco.
Nel volume XVI, a pag. 189-90, abbiamo riportato una notizia dovuta alla testimonianza della contessa Grocheslska, ma senza poter nominare la persona, a cui la notizia si riferiva. Ora, grazie alle premure del nostro Ispettore polacco Don Kopa, siamo in grado di precisare le cose, riportando la seguente dichiarazione di colei che ricevette il consiglio e la profezia.
L'hiver de 1883 à 84 j'ai eu le bonheur de voir à Cannes Don Bosco. Je lui parlais de mori désir d'entrer au Carmel. Il me regarda et me dit:
No, no, no. Tra due anni vi sposerete, anderete in un paese molto lontano, entrerete in una famiglia numerosa e pia, voi pure avrete una numerosa prole, sarete felicissima e vivrete vecchia.
Voilà ce que Saint Don Bosco m'a dit. Tout cela est arrivée. Le même hiver j'ai fait la connaissance du Comte André Zamoyski que j'épousais le 19 Novembre 1885. Le même jour je partais pour la Pologne, j'entrais dans une famille nombreuse et très pieuse qui m'a montré beaucoup d'affection.
J'ai vecu avec mori mari 42 ans très très heureuse, entourée de mes enfants, petits enfants et arrier petit fils que je recommande tous à la protection de Saint Jean Bosco.
A proposito dei "Grandi funerali in corte”.
Nel novembre del 1854, preparandosi la legge sui beni ecclesiastici e di soppressione dei conventi, Don Bosco ebbe due sogni, nei,quali si minacciavano grandi funerali in corte, se quella legge venisse dal Re sanzionata. Don Lemoyne che li racconta nel volume quinto (PP. 176-180), dice pure in che modo la minaccia fosse portata a conoscenza del Sovrano. Ora un documento pubblicato per la prima tolta da Antonio Monti nella Nuova Antologia (I° gennaio 1936, pag. 65), ci permette di fare un riscontro non privo d'interesse. La Regina Madre Maria Teresa, vedova di Carlo Alberto, ispirata dalla sua pietà, aveva preceduto di quattro anni Don Bosco in simile ordine d'idee. Allorchè infatti nel 1850 stava per entrare in porto la legge Siccardi sull'abolizione del foro ecclesiastico, la santa Donna, volendo ritrarre il figlio Vittorio Emanuele dal darvi la reale sanzione prima d'intendersi col Papa, gli scrisse da Moncalieri il 9 aprile una tenerissima lettera, nella quale fra l'altro gli diceva: “Iddio te ne compenserà, ti benedirà, ed invece chi sa quanti castighi, quanti flagelli di Dio ci attirerà per te, la famiglia ed il paese se la sanzioni. Pensa qual sarebbe il tuo dolore se il Signore facesse animalare gravemente od anche se si prendesse la tua cara Adele che tu con santa ragione tanto ami, o la tua Chichina, (Clotilde) o il tuo Betto (Umberto); e se potessi vedere dentro il mio cuore, quanto sono addolorata, angustiata, spaventata dal timore che tu sanzioni subito questa legge per le tante disgrazie, che son certa che ci porterà se sarà fatta senza il consentimento del Santo Padre, forse il tuo cuore che è proprio buono e sensibile, e che ha sempre tanto amato la sua povera Mammina si lascerebbe intenerire ”. Come siansi avverati i funesti presagi si può vedere nel volume citato a pag. 185 (morte di Maria Teresa), a pag. 186 (morte della Regina Maria Adelaide), a pag. 196 (morte del principe Ferdinando, Duca di Genova, fratello del Re) e a pag. 238 (morte dell'ultimo, figlio di Vittorio Emanuele).
Don Bosco nelle Memorie inedite
G. B. Rolla, genovese, Maggior Generale, Commissario di Marina, già ottuagenario, scrisse le proprie Memorie, che si conservano inedite presso i suoi nipoti. Uomo assai colto e perfetto cristiano, conservò [899] fino all’ultimo la più invidiabile freschezza di mente. Nel suo scritto egli dedicò un breve capo a Don Bosco, riferendo con le sue impressioni personali anche alcune particolarità utili alla biografia del Santo.
Fu un'apparizione, nulla più, quando nel 1880 vidi per la prima volta Don Bosco, ma l'apparizione d'un Santo non può passarsi sotto silenzio perchè lascia sempre una buona impressione nell'animo.
Quando nel 1879 mi recai da Roma alla Spezia perchè nominato relatore nel Consiglio d'Amministrazione di quell'ospedale M.re M.mo, trovai che i Salesiani avevano una scuola elementare in Via degli Aranci fondata da Don Bosco per volere del S. Padre e da lui sussidiata. Scuola ed abitazione erano su al primo piano, ma in un fondo abbastanza vasto presso il piccolo portico d'entrata avevano posta la cappella con due altari. Essendo io alloggiato a dozzina in una casa poco distante, ero solito a recarmi alla mattina a sentir messa in quella cappella e spesso anche alla benedizione col SS. alla sera, chè assai ben l'ufficiavano quei religiosi ai quali gli Spezzini avevano appiccato il nomignolo di pretini, sia perchè alcuni di loro erano piuttosto piccoli di statura, o più veramente per la loro giovinezza. Difatti lo stesso direttore D. Angelo Rocca era assai giovane.
Con lui che vedevo frequentemente entrai presto in relazione.
Egli un bel mattino mi annunciò che mi aveva inscritto tra i Cooperatori Salesiani e mi diede il libretto d'iscrizione con la firma autografa di Don Bosco del che gli fui molto grato. Ma un altro giorno dopo la messa, mi si avvicinò e mi disse che se poteva attendere alcun poco avrei veduto Don Bosco che egli aspettava. “Ben volentieri ” risposi e rimasi con lui presso la porta che metteva nel piccolo portico di casa. Difatti non tardò molto ad entrare quel grande uomo di cui tanto avevo sentito parlare e letta la breve vita che già aveva scritta il Dubois, ma non avevo mai avuto il bene di vedere.
Egli fu a Roma una volta negli anni che vi aveva passati, ma non ebbi il bene di essergli presentato, quantunque vi fosse tra i miei amici chi lo conosceva personalmente e andò a visitarlo nel monastero di Torre de' Specchi dove era ospite. Uno di essi che lo aveva aiutato col danaro per la fondazione di Sampierdarena ed era allora di passaggio in Roma, visto Don Bosco, mi riferì che questi gli confidò di aver fatto cenno al S. Padre delle voci sinistre che correvano in Roma circa la condotta (voglio credere di tempi passati) del Cardinale Antonelli e avergli il Papa risposto che pur troppo ne era informato.
In quei giorni ricordo che la Voce della verità per voler essere più papalina del Papa, fece con parole oscure e minacciose allusione alla presenza in Roma d'un prete piemontese che si supponeva fosse incaricato di trattare della conciliazione. Oh gli zelanti! E si volevano imporre, caso mai, a un Santo prete e ad un Santo pontefice!
Ma tronco la chiacchiera che risica di farsi amara. [900]
Entrato Don Bosco nella casa di Via degli Aranci, Don Rocca mi presentò come un cooperatore di recente acquisto ed io mi avvicinai a lui e gli baciai la mano e n'ebbi in risposta un benevolo sorriso. Sorrisero del pari i due che erano in sua compagnia cioè un prete che era certamente Don Rua perchè me ne rimase impressa la fisonomia ed il Cav. Giuseppe Bruschi, Direttore dell'Ufficio Postale che dopo pochi anni entrò fra i Salesiani e più tardi morì sacerdote alla Spezia. Quindi tutti insieme con Don Bosco salirono le scale.
Fu un'apparizione e non più, ma l'aver conosciuto un uomo che era già tanto celebrato ed ora è certamente beato in cielo a me parve una grande fortuna. E dell'avermela procurata, come dell'avermi inscritto fra i cooperatori Salesiani vadano i miei vivi ringraziamenti a Don Angelo Rocca dovunque egli si trovi.
E poichè in queste chiacchiere non intendo essere vincolato, come dichiarai fin da principio, all'ordine dei tempi, dirò che alcuni anni dopo ritornai a vedere ed ossequiare Don Bosco.
Allora i Salesiani, lasciato il quartierino e il fondo in Via degli Aranci, si erano trasferiti in una casa eretta per essi nel viale Garibaldi con annessa una modesta chiesina. Là non avevano scuole soltanto, ma un convitto, qualche laboratorio, e l'oratorio festivo. La popolazione accorreva alle funzioni che si facevano in quella chiesetta specialmente perchè ospitava la prodigiosa immagine della Madonna della neve tanto venerata dagli spezzini, la quale vi era stata trasportata solennemente dalla chiesa abbaziale di Santa Maria con una processione cui prese parte il vescovo stesso della diocesi Mons. Rosati.
Don Bosco venne dunque e non ricordo precisamente in quale anno, ma forse nell'82 o nei primi mesi dell'83 per visitare quell'opera salesiana che aveva fatto grandi progressi dai suoi umili inizi ed altri più ne doveva fare in avvenire.
Ricordo che lo salutai nel giorno del suo arrivo e di nuovo gli baciai la mano la quale cosa probabilmente replicai nel giorno della sua partenza, ma senza aver potuto, per quanto rammento, scambiare qualche parola con lui. Sentii la conferenza che egli tenne dal pulpito di quella chiesa dinanzi ad un uditorio che purtroppo era scarso forse per il giorno feriale e l'ora dell'adunanza. Ma quel Santo uomo mi parve stanco e già un poco indebolito nelle gambe.
Nell'estate del 1884 sperai proprio di avere un colloquio con lui, ma anche questa volta fui deluso. Si era aperta a Torino una grande esposizione artistica e industriale ed io con mio padre andai a visitarla. Non abbiamo omessa una visita a quell'altra grande esposizione di umane miserie che è la piccola Casa della Provvidenza - Il Cottolengo - miracolo perenne di carità, prova palpabile della divinità della nostra religione. Ci recammo al vicino oratorio Salesiano con la ferma intenzione di parlare con Don Bosco e ne facemmo richiesta. [901]
Ci si rispose: ora sta confessando ragazzi, quando avrà finito potranno parlargli.
E ci fu fatto vedere, essendo noi nel cortile, come egli sedeva presso la porta aperta della sacristia della chiesa di Santa Maria Ausiliatrice circondato da una turba di ragazzetti dei quali ascoltava la confessione. Ma il tempo passava e i piccoli penitenti si rinnovavano sempre intorno a lui, sicchè noi rinunciammo alla fortuna sperata e ci ritirammo.
Quella fu purtroppo, l'ultima volta in cui vidi quel santo, ma la visione che di lui mi resta nella mente è quella dell'Apostolo della gioventù nell'esercizio del sacro ministero pel quale tante anime ha salvate e tanti giovani spinse nella via della perfezione e a farsi imitatori suoi, suoi seguaci.
[1] Fatto è narrato dal Vescovo di Milo in Don Bosco y su Obra, pp. 73-4.- L'autore dice che la verità di “esta bella anècdota” non si può mettere in dubbio, perchè “persona merecedora de entera fé nos la ha referido”. Barcelona, Tip. cat., calle del Pino, 1884.
[2] HENRI GHEON, Saint Jean Bosco. Nella collezione “ Les grands Coeurs ”. Parigi, E. Flammarion éd. Pag. 38.
[3] Num., XII, 6.
[4] Gen., XX, 3 e XXXI, 24.
[5] Ioel, II, 28 e Atti degli Ap., II, 17
[6] III Re, III, 5.
[7] BONA, De discretione spirituum, c. XV.
[8] Cfr. vol. XV, capo III, pag. 8o sgg.
[9] Es., XXV, 40.
[10] Vigevano, 9 gennaio 1884.
[11] Cfr. vol. XV, pag. 633.
[12] Cfr. vol. XIII, pag. 833.
[13] Appendice, doc. I A-B-C.
[14] Il cardinale Caverot è uno di quelli, dei quali Don Bosco tracciò uno schema di biografia in Il più bel fiore del Collegio Apostolico (App., Doc. 2).
[15] Allora non esistevano leggi speciali per la protezione dei giovani operai; ma D. Bosco aveva voluto che le cinghie delle pulegge per la trasmissione del moto alle macchine, girassero sotto il pavimento, e intorno alle pulegge superiori, accanto alle singole macchine ed emergenti dal suolo, vi fossero ripari metallici a grata.
[16] Cfr. Bull, Salés., Janvier et Février 1884.
[17] Appendice, Doc. 3.
[18] Cfr. Bollettino del febbraio 1884.
[19] Appendice, Doc. 4.
[20] Cfr. vol. XV, pag. 667
[21] Riguardo alla Russia, nei verbali di una seduta del Capitolo Superiore (28 febbraio) si legge: “ D. Rua accenna come nei giorni passati siano giunte due domande di case: una da Pietroburgo che chiede un prete salesiano e le nostre suore, l'altra da Odessa per casa salesiana ”.
[22] Cfr. vol. XIV, pag. 102 sgg.
[23] Procès verbaux, II Janvier 1884.
[24] Singolari coincidenze! Monsignor Bertagna fu preconizzato nel Concistoro del 24 marzo. Al 25 cadeva il primo anniversario della morte di monsignor Gastaldi; ma, essendo festa dell'Annunziazione, si prescrisse il suono delle campane a lutto per la sera del 23 e il funerale solenne per la mattina del 24. Inoltre il 25 un insulto apoplettico colpiva l'eminentissimo Ferrieri.
[25] Summarium super introductione causae (teste Don Cerruti), pag. 467.
[26] Cfr. vol. XVI, pag. 693.
[27] Bull. Sal., mai 1884.
[28] Cfr. vol. XV, pag. 53.
[29] Cfr. Procès verbaux del Comitato marsigliese, 16 novembre 1883.
[30] É del 17 marzo una lettera di Don Bosco, di cui abbiamo copia, ma senza la designazione del destinatario (App., Doc. 5).
[31] Bull. Sal., mai 1884.
[32] Procès-verbaux, 30 novembre 1883.
[33] Un ricordo di quella giornata si legge in una lettera indirizzata a Don Rua da una Cooperatrice di Auxerre dopo la morte di Don Bosco. Ne abbiamo soltanto la copia, forse un po' scorretta in un punto; tuttavia è utile conoscerla (App., Doc. 6).
[34] Era Direttore dell'ospizio di Sampierdarena.
[35] Don Bonetti pubblicava a puntate sul Bollettino la Storia dell'Oratorio, che poi fu ristampata a parte in volume col titolo: Cinque lustri di storia dell'Oratorio di S. Francesco di Sales.
[36] Cfr. vol. XVI, pag. 223.
[37] Lettera a Don Bonetti, Spezia, 10 aprile 1884.
[38] Circolare del 30 gennaio 1862
[39] Voce della Verità, num. 70 del 1884.
[40] Lettera di Don Lemoyne a Don Rua, Roma, 16 aprile 1884.
[41] Non ne possediamo il testo, ma ne conosciamo abbastanza il tenore dagli appunti di Don Lemoyne. Don Bosco aveva annunziato l'invio di questa lettera, facendo scrivere il 10 aprile dalla Spezia a Don Rua: “D. Bosco dice di essere debitore di una risposta a D. Febbraro, ma che risponderà esso stesso in prima persona ”.
[42] Notevole per più ragioni è la risposta che il povero Don Febbraro fece a questa lettera di Don Bosco (App., Doc. 7).
[43] Appendice, Doc. 8.
[44] N'ebbe poi qualche sentore la stampa; infatti la Capitale del 28 aprile in un articolaccio da suburra metteva in guardia il Municipio dal favorire la lotteria.
[45] Lettera del 28 aprile 1884.
[46] L. c.
[47] Lettera di Don Canepa a Don Lemoyne, Torino 4 maggio 1884.
[48] Da monsignor Kirby andava sempre lui a pranzo le altre volte, Quanto era amato e venerato Don Bosco nel collegio Irlandese! Ma anche il collegio inglese lo conosceva e stimava, tanto che venne ripresa ivi una bella usanza antica. Ai tempi di S. Filippo Neri i sacerdoti inglesi ordinati nella città eterna, prima di tornare in patria, solevano chiedere all'Apostolo di Roma la benedizione sul loro apostolato sacerdotale e missionario in Inghilterra; e il Santo, incontrandone per Roma mentre andavano a scuola, li salutava con le parole: Salvete, flores Martyrum. Orbene da più anni, quando nel collegio si sparse la voce che Don Bosco era un santo, tutti i novelli leviti si facevano premura di andare per lo stesso fine da lui o in Roma o nel loro passaggio a Torino. Questo affetto a Don Bosco fu per parecchi irlandesi e inglesi il germe della loro vocazione alla vita salesiana, vivente il fondatore (App., Doc. 9).
Il reverendo Giacomo Rowan, studente in quel Collegio, era stato licenziato dal Rettore per la stia cattiva salute, Si credeva generalmente che i suoi giorni fossero contati. Egli dunque fece ritorno in Inghilterra, persuaso di dover rinunziare per sempre agli studi e al sacerdozio. Tuttavia prima di lasciare Roma scrisse a Don Bosco, che gli rispose con una lettera molto rassicurante. Infatti, quando giunse in patria, più non tossiva, nè inseguito ebbe mai più alcuna malattia. Potè quindi ripigliare colà i suoi studi, fu ordinato sacerdote e divenne parroco zelante dei Santi Martiri a Manchester, nel centro della qual città costruì una magnifica chiesa con scuole annesse, lavorando indefessamente fino all'anno prima della sua morte, accaduta nel -1935. Così dichiarava pubblicamente il suo Vescovo in un'assemblea diocesana, concludendo: - Questo è uno dei miracoli operati da Don Bosco mentre era in vita. - La stessa dichiarazione egli aveva fatta nella Cattedrale la sera di Pasqua del 1934.
[49] Il 10 novembre 1884 fu ristabilita da Leone XIII la sede arcivescovile di Cartagine; monsignor Rota fu traslato allora alla sede titolare arcivescovile di Tebe.
[50] Monsignor Cicognani fece questo discorso a Lima, in presenza del salesiano Don Pedemonte e di altri; lo ripetè poi, ma con le dovute rettifiche, nell'Oratorio il 5 settembre 1934.
[51] Lettera della signora a Don Rua, 1891.
[52] Abbondavano le suppliche per ottenere onorificenze. Sui primi di maggio Don Lemoyne scriveva a Don Rua: “ Chi vuol essere fatto cavaliere, commendatore, o dal regno d'Italia o dal Papa; chi vuole il titolo di Monsignore, chi essere fatto Vescovo; chi ha un nipote da raccomandare per essere impiegato presso il Governo; chi vorrebbe ottenere la facoltà di un altare in casa, chi di una cappella in villeggiatura; e tutte queste domande sono accompagnate da carte e da raccomandazioni di potenti ”. Una lettera di tutt'altra specie, che gli arrecò grande conforto, ricevette dal suo carissimo padre Mortara (App., Doc. 10).
[53] Il sacerdote Salvatore di Pietro, palermitano, in una lettera del 9 febbraio 1888 a Don Rua, scrisse: “ L'immagine caramente affettuosa del nostro amatissimo D. Bosco mi è rimasta fittamente impressa nel cuore, quando, reduce dal quaresimale di Torino, fermatomi a Roma presso i Padri Salesiani alla Chiesa del Sacro Cuore, ebbi la fortuna di restare per ben cinque giorni accanto a lui (Aprile 1884). Allora era un continuo via vai a quel santo tempio non ancora terminato, da gente di ogni nazione e di ogni lingua, che andava colà per vedere da vicino, per sentir parlare e per ammirare il santo. Nè alcuno tornava, se prima non avesse ottenuto una qualche cosetta che fosse stata toccata dalla mano, o benedetta, o usata da D. Bosco. Oh se sapesse, mio caro Padre, ciò che io vidi allora e come l'animo mio ebbe a rinfervorarsi di fede e di amore pel nostro Amor Crocifisso! Ei mi voleva d'accanto e passammo lunghe ore in santi parlari. Fu allora che io vidi signore della più alta aristocrazia romana, francese, tedesca, usare al tempio del Sacro Cuore a Roma, lasciare fazzoletti a colore e bianchi e tanti altri oggetti, per farli usare anche una sola volta al Padre ed averli restituiti quale preziosa ricordanza ”.
[54] Secondo il solito, Don Bosco si appuntò alcune cose sopra una cartolina:
Udienza maggio 1884. I° Privilegi Dimissorie prov. 2° Chiesa ed Ospizio del Sacro Cuore. 3° Facciata. 4° Casa della Spezia. 5° Missioni Estere. 6° Decorazioni. 7° Benedizione speciale a chi coopera alla Chiesa ed Ospizio del Sacro Cuore. 8° A tutti i Salesiani, loro allievi e cooperatori. 9° Segretario [introdurlo cioè dal Papa].
[55] Questo Vescovo avrebbe voluto alcuni Salesiani che stessero a sua disposizione per essere mandati a predicare e a confessare dove il bisogno lo richiedesse.
[56] Appendice, Doc. 10.
[57] Allude al noto giardinetto nella loggetta del suo appartamento.
[58] Cfr. vol. XV, pag. 465.
[59] Cfr. più avanti, documento anteriore, 7
[60] Benemerita
[61] Cfr. vol. XV, pag. 172.
[62] App., Doc. 12.
[63] Cfr. vol. XV, pag. 90.
[64] Cfr. vol. XV, pag. 544.
[65] Le riferisce anche monsignor Taroni nella sua cronaca manoscritta della casa di Faenza.
[66] Appendice, Doc. 13.
[67] Ivi, Doc. 14
[68] Appendice, Doc. 15.
[69] Appendice, Doc. 16.
[70] Appendice, Doc. 17
[71] Questa e altre notizie del capo secondo provengono da note di viaggio prese da Don Barberis, che accompagnava il Santo in Francia.
[72] Alludeva a lui il cardinale Nina nella lettera riportata pocanzi.
[73] Don Bosco vi premise un'altra lettera latina, già preparata a Torino, insistendo specialmente sulla necessità di avere la facoltà di rilasciare le dimissorie, facoltà concessagli per dieci anni da Pio IX e scaduta il 3 aprile di quell'anno. Con detta lettera pubblichiamo nell'Appendice (Doc. 18) l'elenco e i relativi accessori, affinchè si abbia un'idea di quel rompicapo.
[74] L'originale nel 1899 era presso Don Giuseppe Diverio di Mondovì già segretario del Card. Alimonda a Torino.
[75] Appendice, Doc. 19.
[76] Appendice, Doc. 20. Quali fossero i privilegi per tal modo ottenuti, si può vedere nella raccolta intitolata Elenchus Privilegiorum (S. Benigno Canavese, 1888).
[77] Cfr. vol. XIV, pag. 538.
[78] Vita del Venerabile Giovanni Bosco, vol. II, pag. 601.
[79] Summ. sup. virt., Num. VI, § 159, De heroica spe (teste Don Piscetta).
[80] La copia manoscritta che servì per il Bollettino (luglio 1884) reca tre piccole modificazioni fatte da Don Bosco; le indichiamo con il corsivo. Dov'è la prima, il copista aveva scritto “ ed aiutarvi a celebrare ”; si noti la correzione.
[81] La Compania libera, 27 maggio 1884.
[82] La pubblicò anche Fede e azione di Malta (5 luglio 1884).
[83] Lettera a Don Dalmazzo, Torino, 15 giugno 1884.
[84] Al medesimo, Torino. 10 luglio 1884.
[85] Pasta di porcellana due volte cotta e lasciata nel suo bianco naturale, senza pittura, nè vernice, nè smalto.
[86] Il comitato era così composto:
Contessa Guindalina Della Somaglia nata Principessa Doria, Presidente.
Principessa Francesca Massimo.
Principessa Lucia di Motta Bagnara.
[87] Lett. a Don Rua, Torino, 27 marzo 1890.
[88] Cfr. LEMOYNE, Mem. biogr., vol. I, pag. 496.
[89] Appendice, Doc. 21.
[90] Summarium (proc. dioc.), XVI, 106 (teste Don. Lemoyne).
[91] Il dialogo fu dato alle stampe (S. Benigno, 1884).
[92] li discorsetto fu stampato (Torino, Tip. Sal., 1884). Un'appendice contiene tre affettuose iscrizioni di Don Turchi, la seconda delle quali diceva: sull'orizzonte immenso - del tuo beneficare - non mai tramonta il sole - nei nostri cuori - mai non si estinguerà l'affetto - per te - o don bosco amato. E la terza: fummo tuoi - o forte don bosco - nei giorni della prova -tuoi siamo - nei di' del trionfo fa - siamo teco allora - che in una vista -mirerai i confini - dei beneficati due emisferi.
[93] Quel giovane si chiamava Giuseppe Grossoni, oggi parroco a Moncucco di Vernate (Milano). Finito il ginnasio, chiese consiglio a Don Bosco sul suo avvenire il Santo gli rispose in piemontese. - Tu sarai carabiniere. Vedendolo poi penosamente impressionato, spiegò: - Sta quieto; andrai in seminario, sarai prete e così carabiniere del Signore, di quelli che legano il diavolo.
[94] Il giovane Palla entrò quell'anno stesso nel noviziato di S. Benigno. É prete: ora vive a Cavallermaggiore (Cuneo). Più volte ci si fece la domanda se le viti che oggi adombrano l'appartamento di Don Bosco, siano quelle stesse d'allora. No. Quelle erano di moscatello e morirono poco dopo la morte del Santo. Le presenti di uva americana, furono fatte piantare da Don Rua.
[95] Pegli, 24 giugno. Cfr. sopra, pag. 63.
[96] Questo vanto si dava allora frequentemente a Garibaldi, perchè aveva combattuto anche nell'America in favore dell'Uruguay.
[97] Don Bosco una volta per mostrare a Gastini la sua soddisfazione, gli aveva detto: - Tu, Gastini, sarai il menestrello dei Salesiani fino a settant'anni. - Gastini contento soleva in seguito ripetere nelle sue poesie: - lo sarò menestrello dei Salesiani fino a settant'anni, me lo disse Papà Giovanni. - All'avvicinarsi di quell'età cadde ammalato. Don Rua fu a visitarlo. Non essendoci nulla di grave, gli espresse la speranza di rivederlo presto nell'Oratorio a rallegrare tutti con i suoi versi e canti. Egli rispose: - Ah! no, signor Don Rua, io non ritornerà più all'Oratorio; il tal giorno entrerò nei settant'anni. Don Bosco mi ha detto che io sarei il menestrello fino a settant'anni, è tempo che mi prepari sul serio. - Infatti, entrato da pochi giorni nell'anno settantesimo, fece una santa morte (Summarium sup. virt., XVII, § 7).
[98] Con gli ecclesiastici si trovavano pure alquanti secolari, che non erano potuti intervenire con i loro colleghi.
[99] The Universe di Londra, 18 maggio 1934, in un articolo intitolato: A Memory of 5o years ago in Turin [Un ricordo di cinquant'anni fa a Torino].
[100] Termine piemontese: “ scarti, rifiuti ”.
[101] Appendice, Doc. 22.
[102] Dott. GIOVANNI ALBERTOTTI. Chi era Don Bosco. Biografia fisiopsico-patologica scritta dal suo medico. Genova, Fratelli Pala, 1934 (opera postuma) pag. 83,
[103] Cfr. LEMOYNE. Mem. biogr., vol. I, pag. 349 sgg.
[104] Troppo tardi ci fu consegnata questa lettera, perchè la potessimo pubblicare con le altre indirizzate a Don Tullio e alla famiglia Bonamartini nel volume quindicesimo (pgg. 667-679).
[105] Ecco la letterina:
Maria sit tibi et tuis auxilium in vita, subsidium in periculis, atque magna animarum te comitante caterva, secum vos recipiat in aeternis tabernaculis. Amen.
[106] Palazzo di Roma, già sede della Camera dei Deputati.
[107] Lettera a Don Rua, Nizza 18 agosto 1884. La Madre Generale Caterina Daghero fece relazione del Capitolo e degli esercizi al Santo il 22 agosto (App., Doc. 23).
[108] Due coadiutori, addetti alla cucina e ai lavori domestici nella casa succursale di Nizza Monferrato.
[109] Appendice, Doc. 24.
[110] ALBERT DU BOYS. Dom Bosco et la pieuse Société des Salésiens. Paris, Gervais 1884. - La traduzione italiana, fatta da Giuseppe Novelli, uscì a S. Benigno Canavese nel medesimo anno, senza il testo delle nostre Regole.
[111] Appendice, Doc. 25.
[112] G. ALBERTOTTI. L. c., pag. 25.
[113] A una lettera di Don Bosco, della quale non conosciamo il testo, il Du Boys rispose il 6 ottobre da Tain (arr, di Valence): “Votre excellente lettre m'a bíen vívement touché; et che m'a payé de toutes mes peines et bien au delà. C'est un grand bonheur de penser que vous, mon Révérend Père, et après vous les membres de la pieuse Société des Salésiens prieront pour ma famille, pour mes enfants et mes petits enfants. Ne dites pas, mon Révérend Père, que mes appréciations ont fait rougir votre modestie; je vous ferais rougir encore plus en vous disant qu'elles sont restées au dessous de la verité par suite de cette pudeur que j'éprouvais à dire trop de bien d'un homme vìvant ”.
[114] Cfr. Estratto dal periodico La Rassegna Italiana del 15 gennaio 1885. Roma, Befani, 1885. Pag. 27. É un lavoro ben fatto, di pagine 31 grandi, in caratteri di corpo nove.
[115] App., Doc. 26. Al suo reiterato invito Don Bosco fece rispondere: “Grazie dell'offerta. Affari complicati forse m'impediscono Visiterà Don Bosco alla Cartiera?”.
[116] Lett. al Colle, Torino 23 agosto 1884: “ J'ai trouvé notre ville de Turin entourée du choléra, mais la ville jusque ici parfaitement libre ”.
[117] Lett. di Don Ronchail a Don Rua, Nice, 4 luglio 1884.
[118] Lett. al Colle, Pinerolo, 20 luglio 1884: “ Tous les jours je tiens mes yeux sur le développement du choléra ”.
[119] Allusione alla Regina Margherita.
[120] App., Doc. 27.
[121] Torino, 10 settembre 1884.
[122] Un'ampia relazione del signor De Amicis con la data del 13 novembre si può leggere in LEMOYNE, La Vergine potente, ossia alcune grazie ecc. Torino, Tip. Sal., 1885, pag. 128 sgg.
[123] Boll. Sal., settembre 1884.
[124] Il Bollettino spagnuolo si stampava a Buenos Aires.
[125] Il Capitan Fracassa di Roma, nel numero del 5 maggio, in un articolo intitolato L'Esposizione della letteratura scriveva: “ Due editori si levano sulla comune massa il Sonzogno il quale, se non altro, è uno speculatore in grande, e mercanteggia la letteratura come i negrieri facevano degli schiavi, e D. Bosco editore della Biblioteca Salesiana, il quale serve il Vaticano assai meglio che i trenta editori onde si ammirano le vetrine istoriate e pompose nella sezione didattica ”.
[126] La pasta che si preparava nella Galleria non era sufficiente alla produzione giornaliera; perciò fu acquistato appositamente un carro-botte, con cui portare ogni giorno la quantità necessaria. La macchina produceva circa dieci quintali di carta al giorno.
[127] Unità Cattolica, 22 maggio 1884.
[128] Fu acquistato pure un carro a quattro ruote, come quelli usati per il servizio a domicilio delle merci arrivate in ferrovia e con esso si portavano ogni mattino il materiale occorrente per i vari reparti e il vettovagliamento del personale, che consumava sul posto la refezione del mezzogiorno. Il medesimo carro la sera riportava all'Oratorio i prodotti giornalieri. Fra adulti e ragazzi attendevano ai lavori circa venti persone. Le notizie di queste due note provengono dal cavaliere Giuseppe Mascarelli, vivente [maggio 1934] allora allievo fonditore.
[129] Le boccie di Don Bosco ossia il Giovane provveduto di confusione. Torre Pellice, Tip. Alpina, 1884.
[130] Guida dell'Esposizione italiana di Torino. Tip. ed. Sonzogno, Milano 1884. Pag. 105.
[131] Lett. di Viglietti a Don Bosco, Pinerolo, 17 agosto 1884.
[132] Il Reggianello, 4 ottobre 1884.
[133] Amico del popolo di Prato, (31 ottobre, 8 e 15 novembre); Eco d'Italia di Genova (9 novembre); Diritto Cattolico di Modena (II novembre); Corriere di Torino (13 novembre); Libertà Cattolica di Napoli (13 novembre). L'Unità Cattolica tacque; ma è assai probabile che abbia voluto così Don Bosco, amico del Margotti e nemico di polemiche.
[134] Un Cooperatore lionese, molto probabilmente sacerdote, visitò Don Bosco, l'Oratorio e l'Esposizione, descrivendo poi le sue impressioni in una bella lettera pubblicata sul Bollettino francese di dicembre (App., doc. 28).
[135] Queste sei raccomandazioni non sono nel taccuino, ma in un foglio a parte.
[136] Anche i sottotitoli sono di Don Bosco.
[137] Le parole in corsivo (tranne quelle latine) furono aggiunte dopo da Don Bosco; queste e altre simili quando Don Rua fungeva da Vicario.
[138] Anche questo avverbio è un'aggiunta posteriore.
[139] Sottolineato da Don Bosco.
[140] Sottolineato come sopra.
[141] Corsivo di Don Bosco.
[142] Corsivo di Don Bosco.
[143] Prima diceva: “ si mischi in cose di… d i... di...”; poi corresse incompletamente.
[144] Queste modificazioni si riferivano ai luoghi dove si parlava del Prefetto, che dopo la morte di Don Bosco non sarebbe più stato l'arbitro della situazione. Egli stesso introdusse più tardi le modificazioni, come si è veduto.
[145] Cfr. più avanti, pag. 365.
[146] Alla lettera facevano seguito due note: “ Nota I. I Direttori delle singole Case leggeranno questa lettera nella prima conferenza che terranno ai nostri amati Confratelli. - Nota 2. Ricordo ciò che in altre occasioni ho già raccomandato, che cioè nell'indirizzo delle lettere e in tutti gli altri scritti pubblici o privati, che non trattano di relazioni coll'Autorità Ecclesiastica, non si usino mai titoli di Congregazione, ma solamente i titoli civili, come Direttore, Dottore, Professore, Maestro, Prefetto ecc. Così i missionari scrivendo dall'America in Europa a qualche Confratello non adoperino il titolo di Padre, ma quello di Sacerdote ovvero di Signore.
[147] Lett. di Don Lazzero a mons. Cagliero, Torino, 23 ottobre 1885.
[148] G. B. FRANCESIA. Don Michele Rua, pag. 89.
[149] Appendice, Doc. 29.
[150] App., Doc. 30.
[151] Ivi, Doc. 31
[152] Ivi, Doc. 32.
[153] App., Doc. 33 A-B-C-D.
[154] Ivi, Doc. 34.
[155] Quanto diciamo qui per sommi capi, è narrato minuziosamente da Don Lemoyne in Mem. biogr., vol. V, pag. 104 e seg. Egli conchiude la narrazione dicendo: “ Noi queste pagine le abbiamo scritte quella sera stessa e sotto il dettato di monsignor Cagliero ”. Le due figure caratteristiche portavano i contrassegni dei Fueghini e dei Patagoni.
[156] App., Doc. 35. La circolare, caduta sott'occhio a un massone, lo fece inviperire a tal segno che gl'ispirò una lettera da energumeno. É anche questo un documento del cieco anticlericalismo ottocentesco, che in tante guise contrastò il passo a Don Bosco e alla sua opera (App., Doc. 36).
[157] Lett. 7 novembre 1834.
[158] Allusione alla città di Torino.
[159] Fu questa l'ultima passeggiata autunnale e la più lunga fatta fare da Doli Bosco a' suoi giovani. Appartiene al 1864. Don Lemoyne la descrive in tre capi (LXXIII, LXXIV, LXXV) del vol VII, facendo menzione anche di questo episodio. Di un altro episodietto avvenuto a Cremolino tace; v. App., Doc. 37.
[160] Summ. sup. virt. Num XIX, § 10.
[161] App., Doc. 38.
[162] App., Doc. 39.
[163] Lett. di Don Dalmazzo a Don Bosco, Roma 3 febbraio 1885.
[164] Tutte le particolarità topografiche che precedono e che seguono, sembrano indicare la casa di Fortìn Mercedes, sulla riva sinistra dei Colorado. É casa di formazione dell'Ispettoria di S. Francesco Saverio, con studentato numeroso, scuole professionali, scuola d'agricoltura, museo regionale e santuario, meta di pellegrinaggi.
[165] Forse si voleva dire di Mons. Domenico Cruz, Vicario Capitolare della diocesi di Concepción.
[166] Lettera senza data; ma dal contesto si arguisce che fu scritta sul principio di maggio.
[167] Nel 1915 monsignor Cagliero fu chiamato a Roma, ricevette il Cappello Cardinalizio e dopo cinque anni ebbe la diocesi Tuscolana, rinunziata da ben otto Cardinali, che avevano il diritto alla opzione. Questa predizione, fattagli prima di, partire, è riferita da lui stesso in una lettera a Don Giuseppe Vespignani (Roma, 23 gennaio 1921). Le altre particolarità sono desunte dal Bollettino (marzo, 1885).
[168] Lett. di Monsignor Cagliero a monsignor Jacobini, Torino, dicembre 1884.
[169] Le Suore eran sei; i Salesiani, sei preti (Badariotti Nicolò, Betti Giuseppe, Ferrero Antonio, Rabagliati Evasio, Riccardi Antonio, segretario di Monsignore, Savio Angelo), dieci chierici (Aceto Giovanni, Cavatorta Angelo, Cogliolo Pietro, Dállera Carlo, Fossati Giovanni, Grando Michele, Ramello Francesco, Soldano Fabrizio, Turriccia Ambrogio, Stefenelli Alessio), due coadiutori (Milanese Silvio, Zanchetta Marco).
[170] Allora nell'Oratorio si soleva dire più comunemente monache che suore.
[171] Alludeva a queste parole Don Costamagna, scrivendo a Don Lemoyne le parole da noi riferite qui sopra, a pag. 305.
[172] Il Cagliero Cardinale fece musicare queste parole da Don Pagella per il cinquantenario della basilica di Maria Ausiliatrice nel 1918. Traduzione: “ 0 Maria, Vergine potente, tu sei nostro grande e glorioso presidio; tu straordinario aiuto dei Cristiani; tu terribile come esercito schierato in campo; tu hai annientate da sola tutte le eresie in ogni parte del mondo; tu nelle difficoltà, tu nelle lotte, tu nelle strettezze difendici dal nemico, e nell'ora della morte accoglici nei gaudi eterni ”.
[173] App., Doc. 40 A-B-C, Sono tre documenti che si completano e s'illustrano a vicenda sulla vertenza, cioè due lettere di Don Fagnano e una di Don Milanesio.
[174] Cfr. sopra, pag. 308.
[175] Monsignor Matera, incontrato a Montevideo. Per i precedenti a cui qui sì allude, cfr. vol. XVI, pag. 377. Dell'incontro Monsignore così scriveva a Don Bosco il 23 marzo: “ M'intrattenni con lui per più di un'ora da solo, dissipando colla face della verità tutte le nubi che poteva avere a nostro riguardo sull'orizzonte della sua testa, Mi augurò ogni prospera fortuna nella mia difficilissima missione della Patagonia, perchè a lui constava che il Ministro del Chilí aveva telegrafato a quello di Montevideo, affinchè interpellasse quello dell'Argentina onde sapere la novità del Vicariato apostolico della Patagonia e dei Vescovo Salesiano e con ordine di sfrattarlo appena fosse colà apparso. Io gli risposi che sarei colà andato vestito non da frate ma da sagrestano, quindi non mi avrebbe potuto sfratare e che Maria Ausiliatrice non avrebbe ciò permesso ”.
[176] Lettera di Monsignore a Don Lazzero, 3 maggio 1885.
[177] Lett. del med. al med. Buenos Aires 15 giugno e al cardinale Alimonda, B. A. 25 giugno 1885.
[178] Lett. di Don Riccardi a Don Bosco, Patagones, 25 luglio 1885.
[179] Patagones, 30 luglio 1885.
[180] Verb. del Cap. Sup., 28 febbraio 1884, pom.
[181] Ivi, 22 gennaio 1884.
[182] Verb. del Cap. Sup., 28 ottobre 1884.
[183] Verb. del Cap. Sup., 21 febbraio e 19 maggio 1884.
[184] App., Doc. 41.
[185] App., Doc. 42.
[186] Verb. del Cap. Sup., 22 gennaio, 4 luglio e 30 agosto.
[187] Gazzetta di Catania, 3 febbraio 1884.
[188] Gazz. di Cat. num. 37. La pubblicò la cattolica Campana il 21 febbraio.
[189] Lett a Don Bonetti, 17 febbraio 1884.
[190] Si vegga nell'Appendice (Doc. 43) la discussione, in cui il Capitolo Superiore deliberò l'immediato cominciamento dei lavori.
[191] Verb. dei Cap. Sup., 16 gennaio, 19 maggio, 26 agosto, 28 ottobre, 5, 9, 18 dicembre 1884; 12 giugno 1885.
[192] Verb. del Cap. Sup., 19 maggio 1884.
[193] Fu pubblicata anche una circolare e uno statuto (App., Doc. 44).
[194] App., Doc. 45.
[195] Verb. dei Cap. Sup., I° e 9 dicembre 1884.
[196] Cfr. vol. XVI, pag. 419.
[197] Verb. del Cap. Sup., 4 luglio e 24 ottobre 1884.
[198] Verb. del. Cap. Sup., 21 febbraio, 27 giugno, 26 agosto, II sett, 1884.
[199] App., Doc. 46.
[200] LEMOYNE, M. B., vol. II, pag. 543 e IV pag. 608 sgg.
[201] Cfr. Vol. XV, pag. 98.
[202] Cfr. vol. XV, pag. 703,
[203] Verb. del Cap. Sup., 28 febbraio 1884.
[204] App., Doc. 47 A-B-C.
[205] Cfr. vol. XIV, pag. 668 sgg.
[206] Verb. del Cap. Sup., 28 febbraio 1884.
[207] Cfr. vol. XV, Pag. 328.
[208] App., Doc. 48.
[209] App., Doc. 49.
[210] Ivi, Doc. 50.
[211] Verb. del Cap. Sup., 16 gennaio 1884. Dei fratelli Vaud si tratta d'introdurre la causa.
[212] Sull'accoglienza dell'Arcivescovo e su altre cose, v. App., Doc. 51.
[213] Lett. di Don Bologna a Don Bosco, Lilla 6 agosto 1884.
[214] App., Doc. 52.
[215] Verb. del Cap. Sup., 12 sett. 1884.
[216] Verb. del Cap. Sup., 28 sett. 1884.
[217] Cfr. vol. XVI, pag. 309 sgg.
[218] App., Doc. 53.
[219] Fra essi era il futuro Don Virion, ispettore salesiano nel Belgio e allora brillante ufficiale.
[220] Seguiva questo N.B.: Per comodità degli oblatori le offerte possono depositarsi anche nelle mani del Rev.mo Signor Le Rebours, Curato della Maddalena; del Sig. Marchese di Franqueville, Chateau de la Muette; del Sig. Josse Adolfo libraio, via Sévres, N. 29-31. Questi benemeriti Signori raccolgono le caritatevoli offerte in favore del Patronato, trasmettendole poscia al rettore del medesimo”.
La traduzione francese fu fatta da Don Bellamy e approvata da Don Bosco (App. Doc. 54).
La circolare ispirò un articolo del Figaro, che si può leggere nell'Appendice (Doc. 55).
Tre lettere di Don Bellarmy contengono minuti ragguagli sul primo mese dopo l'arrivo a Parigi (App. Doc. 56 A-B-C).
[221] Il padre Semeria che dal 1875 aveva frequentato l'oratorio festivo di S. Luigi a Torino, scrisse: “Tra quei monelli ero ospite anch'io. Non capivo il bene che con questi Oratorii si faceva! però d'allora data la mia fervida simpatia per i Salesiani. Ordine veramente provvidenziale, venuto quando entravano nel ciclo della Vita civile moderna, e bisognava perciò evangelizzarli, i piccoli borghesi e gli operai più scelti. L'Apostolo di questi due mondi allora affioranti alla vita economica, sociale, politica, fu D. Bosco per mezzo dei suoi figli e delle sue figliuole. Perciò l'Ordine prese il rapido e mirabile sviluppo che tutti conosciamo. L'opera del Cottolengo rimase torinese, quella di D. Bosco divenne mondiale. Attecchì dappertutto; D. Bosco seguì colle sue falangi spirituali l'avanzata del Piemonte in Italia, poi dell'Italia nel mondo. Più fortunato nel mondo nuovo, in America, anzi nel Sud America. I Salesiani sono il solo grande Ordine religioso italiano che abbia avuto nel secolo XIX una espansione mondiale ”. P. GIOVANNI SEMERIA, I miei ricordi oratori. Casa editr. Amatrix, Milano-Roma pgg. 17-18.
[222] Verb. del Cap. Sup., 30 agosto 1884
[223] Verb. del Cap. Sup., 6 settembre 1884.
[224] L. c.
[225] Verb. del Cap. Sup., 3 ottobre 1884.
[226] Verb. del Cap. Sup., 12 settembre 1884.
[227] Verb. del Cap. Sup., 24 ottobre 1884.
[228] La commissione risultò composta di Don Cagliero, Don Bonetti e Don Lemoyne.
[229] Nell'Oratorio il 18 dicembre morì l'artigiano Garino Antonio; il 25 l'artigiano Pisano Stefano.
[230] Append., Doc. 57 A-B-C.
[231] Append., Doc. 58 A-B-C-D-E.
[232] Lett. del cav. Salomoni a Don Bosco, Verona, 20 gennaio 1885.
[233] App., Doc. 59.
[234] A Don Bosco che gli aveva scritto durante l'infermità, Monsignore aveva così risposto:
Le sono tenutissimo delle premure che si prende per la mia persona e la ringrazio delle preghiere che Ella ha fatto e fatto fare anche da altri al Signore per me. Grazie a Lei le condizioni di mia salute sono andate mano mano migliorando. Ella mi fa cosa gratissima se vorrà con tinuarmi il favore delle sue sante orazioni, ed in ricambio io non lascerò d'implorare per Lei dal cielo la copia sempre maggiore di grazie elettissime nel disimpegno del grande officio del sacerdotale ministero.
Colgo volentieri anche questa occasione per ripetermi con sensi di distinto ossequio
[235] App., Doc. 60.
[236] Cfr. vol. XVI, pgg. 164 e 492.
[237] App., Doc. 61.
[238] Lett. 17 agosto 1935.
[239] Questa e le rimanenti lettere sono scritte in francese (App., Doc. 62 A-B-C-D-E).
[240] Corriere della Sera, 28 febbraio 1885.
[241] Nel numero del 2 marzo.
[242] L'Echo du Nord pubblicava a Lilla il 5 marzo: “ On se souvient du passage à Paris de Dom Bosco, le fameux prédicateur qui fut pendant trois mois l'idole des dévotes parisiennes. Après avoir séjourné quelque temps en Italie, Dom Bosco, partit pour l'Amérique, où d'après les journaux italiens il serait mort de suite d'une courte maladie. On prétend que sa mort serait tenue secrète, afin de ne pas compromettere les intérêts du parti dont Dom Bosco était l'âme ”.
[243] La Cronaca dei Tribunali del 14 marzo scriveva impavida in Torino: “ Noi abbiamo fatte opportune e diligenti ricerche e le indagini nostre concordano pienamente con quelle del foglio lombardo. Abbiamo però scritto ad un conoscente nostro, che dalla Patagonia è in grado di darci in proposito una notizia sicura. Attendiamo la risposta, e ci affretteremo di comunicarla ai nostri lettori. Finora noi che, per sentimenti in noi innati, siamo anticlericali, senza restrizioni, innanzi al cadavere di tanto uomo, assopita ogni questione di parte, ci inchiniamo riverenti e, a notizia sicura, ci riserviamo di parlare dell'estinto con quella imparzialità e con quella reverenza colla quale gli uomini onesti giudicano i filantropi dell'umanità”.
[244] Don Bellamy a Don Rua, Parigi 10 marzo 1885.
[245] Sul cadere del 1884, per racimolare soccorsi, aveva fatto scrivere da Don Bonetti e pubblicare come Supplemento al Bollettino Salesiano una lettera ch'egli firmò, e nella quale pregava i sacerdoti ad applicare Messe secondo la sua intenzione, rilasciandone a lui la limosina (App., Doc. 63).
[246] Il buon padre pensava a un debole di Don Lemoyne per questo genere di alimento.
[247] App., Doc. 64.
[248] Nizza, 31 marzo 1885.
[249] Torino, 3 marzo 1885.
[250] All'intenzione di Don Bosco si soddisfece più tardi, nel 1893, con l'iscrizione latina da noi riportata nel volume XV (pag. 124 in nota).
[251] Furono letti a nome dei Salesiani e degli alunni due distinti indirizzi molto affettuosi (App., Doc. 64).
[252] Lettera di mons. Cagliero a Don Lazzero, Buenos Aires, 15 giugno 1885.
[253] o Charitable M.me Prat. L'ABBE' JEAN BOSCO Vous présente ses respectueux hommages, il prie et fait prier ses orphelins pour vous et à toutes vos intentions et appelle sur vous et les vôtres les meilleures bénédictions du ciel. Il est bien heureux demain matin à 8 heures dire la S.te [Messe] pour vous dans la Eglise de notre Orphelinat le 6 avril 1885”.
[254] Cfr. vol. XIII, pag. 530.
[255] Lettere a Don Rua, 5, e a Don Febbraro, 6 aprile. A quest'ultimo trasmetteva un biglietto di Don Bosco, dicendogli: “ Le invio un prezioso documento, pegno di quell'affetto grandissimo che le porta il nostro caro padre. Egli mi incaricò di osservare se vi sono errori; ma credo che, quantunque ve ne fossero, sarebbe sacrilega la mia mano, se volesse toccare quei santi caratteri ”.
[256] Piemontesismo, dal francese buissons, cespugli, sterpi.
[257] Cfr. sopra, pgg. 55-6.
[258] Cfr. sopra, pgg. 241 e 242.
[259] Proc. verb., 20 febbraio 1885.
[260] Lett. 13 aprile 1885.
[261] Di E. MICHEL nelle Letture Cattoliche del 1887 uscirono quattro numeri doppi col titolo: Il giro del mondo in 240 giorni (I. Canadà e Stati Uniti. - II. Giappone. - III. Cina. - IV. Indostan).
[262] Le idee di D. Bosco sull'educazione o sull'insegnamento e la missione attuale della scuola. Lettere due. S. Benigno Canavese, 1886.
[263] App., Doc. 66.
[264] Don Viglietti stesso narrò la cosa a Don Trione, Don Rivière ne fa menzione in una piccolissima cronaca che è nei nostri archivi.
[265] Fra le carte di Don Bosco riguardanti i suoi viaggi in Francia si trova questa memoria che sembra del 1885 ed Pera stata spedita dall'Oratorio di Torino: “Madama Dessernois a Couches-les-Mines manda lire 20 per una messa che vuole detta da D. Bosco il giorno di Pasqua o al più presto.
” Madame la Comtesse de Cessac-Montesquieu di Parigi chiede preghiere urgenti per il marito infermo.
” Madamigella Emilie Isnard domanda se D. Bosco passerà a Lione. Essa abita a sei leghe da Lione e verrebbe ad incontrarlo in questa città per rimettergli la sua offerta di 2000 f. Se perciò D. Bosco andrà a Lione, Viglietti favorisca scriverlo a Madamigella Isnard a Saint-Julien par Brace (Rhone) dicendole dove potrà incontrare il sig. D. Bosco.
” Subito eravamo già soprapensiero per mancanza di danaro, quando il sig. Busca Lorenzo di Alba per mezzo dell'ex-priore cavalier Rocca mandò l'offerta di lire 6ooo raccomandandosi alle preghiere del sig. D. Bosco. Deo gratias et Mariae”.
[266] App., Doc. 67.
[267] Lett. di Viglietti a Don Lemoyne, Alassio, 29 aprile 1885.
[268] Il signor Beaulieu, presidente, ricordò con riconoscenza l'ospitalità concessa da Don Bosco nella stia casa al Circolo incipiente (App., Doc. 68 e Vol. XIII, pag. 123).
[269] App., Doc. 69.
[270] Don Bosco prese nota dei tre fatti, come vediamo nel seguente suo autografo: “ Ernesto Maria Demaistre di Diano Marina: congestione al cervello e paralitico da una parte. Prese la benedizione di M. A. ed ora è perfettamente guarito. 1 Maggio 1885. Di anni 5.
” Demaistre Giuseppe fratello dell'altro non poteva articolar parola. Come sopra [cioè, fu benedetto]. Ora perfettamente guarito è a Savona senza doglie. Anni 9.
” Airoldi figlia, un'Americana, non ha mai potuto camminare fino a 15 anni. Benedetta etc. Ora cammina perfett. Dimora ad Alassio ”.
[271] App., Doc. 70. Cugina dell'Imperatore Guglielmo Il, era cattolica, ma aveva il marito protestante, che le aveva permesso di allevare nel cattolicismo soltanto le figlie, mentre i figli dovevano seguire la religione del padre. (Cfr. sopra, pag. 169).
[272] Il poeta di occasione dedicò al canoro uccello queste due strofe del suo inno “Don Bosco è ritornato”.
Nella sera però con bello incanto
Un usignol ivi tra ramo e ramo,
Quasi annunziando il fin del nostro pianto,
Così frequente a noi figli d'Adamo;
Pareva dirci con suavi accenti:
Il vostro Padre è qui, state contenti!
E ascoltando la sua voce armoniosa,
Il piacer si provò con meraviglia;
Dicemmo: Oh che sarà la nuova cosa?
E il pianto ci trovammo sulle ciglia!
[273] Diario Viglietti, 27 maggio 1885.
[274] L'Amico del popolo, di Prato, 4 luglio 1885.
[275] Diario Viglietti, 25 giugno 1885. Colpisce i riguardanti la serietà che ha sul volto in un suo ritratto da giovane prete, esposto oggi nelle sue camere.
[276] L'originale della supplica, tuttora inedito, è senza data; ma Don Berto lo trascrive fra i consimili documenti dopo il 1875 e prima del 1876. 1 giovani godevano già il ribasso del 50 %; allora egli chiedeva il 75 (App., Doc. 71).
[277] Diario, 27 maggio 1885.
[278] Per la medesima persona fu scritta allora a Don Bosco una lettera anche dal parroco di S. Gilles (App., Doc. 72 A-B).
[279] Ne parla anche il Bollettino francese di luglio nel primo articolo. Sembra che la graziata si chiamasse di St Léger.
[280] Lettera di Don Lazzero a mons. Cagliero, Torino, 26 maggio 1885.
[281] Intende esclusione di ottoni e di violini, che allora si costumava ammettere dappertutto nelle maggiori solennità.
[282] Allora si faceva gran fiera di libri e di oggetti religiosi e scolastici a vantaggio specialmente dei giovani, che compravano per mezzo delle così dette marche.
[283] Glielo disse però in termini vaghi. La seconda volta, quando Don Ubaldi era già chierico, Don Bosco troncò bruscamente quel discorso e in tono severo e fissandolo in volto proferì un'espressione che lo lasciò sconcertato. - Che cosa ti credi di essere? - lo interrogò con aria sostenuta. Forse volle soffocare in lui qualsiasi possibile principio di vanità.
[284] Siccome scriveva rapidamente, veniva da Don Rua incaricato con altri di raccogliere le pubbliche parlate di Don Bosco.
[285] Cfr. vol. XI, pag. 259.
[286] Diario, 13 novembre 1885.
[287] cfr. sopra. pag. 394 il fatto qui sopra narrato è in una relazione della E. Lallemand da Montauban, 7 giugno 1885.
[288] Cfr. vol. XVI, pag. 252.
[289] Lett. di Don Lazzero a mons. Cagliero, Torino, II giugno 1885.
[290] L'Amico del Popolo, 4 luglio.
[291] Lettera di Don Lazzero a mons. Cagliero, Torino, 3 luglio 1885-.
[292] Cfr. vol. XIV, pag. 508 sgg.
[293] Con le lettere formanti l'acclamazione Viva Don Bosco
Giovanni si fecero le iniziali di due anagrammi, uno latino e 'altro italiano.
[294] Buenos Aires, 23 maggio 1885. In capo alla lettera: Viva S. Giovanni.
[295] Allude a monsignor Cagliero
[296] Lettera di Don Lazzero a mons. Cagliero, Torino, 3 luglio 1885.
[297] Il Bollettino di novembre pubblicò tradotta una sua lettera senza neppure una parola di presentazione e senza la data (App., Doc. 73).
[298] Un cooperatore fatto da lui domandò a Don Bosco l'aggregazione spirituale del suo Patronato di Monaco alla Società Salesiana (Appendice Doc. 74).
[299] Teol. ANTONIO BERRONE, Don Giovanni Bosco rapitore dei cuori. Nella faustissima ricorrenza del suo onomastico, gli antichi suoi alunni. Torino, Tip. Sal., 1885.
[300] Lettera a Don Auffray, Romont (Svizzera), novembre 1934.
[301] Cfr. lett. di Don Bosco ai conti Colle, 14 luglio 1885.
[302] Diario Viglietti, 16 agosto 1885.
[303] Lettera a Don Lemoyne, Parma, 9 febbraio 1888.
[304] D. Bosc e Napoleon. Cansônn Piamonteisa dedicà ai fieui antich dl'Oratori da D. FRANCESIA. Turin, Tipografia Salesiana, 1885. Il primo a paragonare Don Bosco con Napoleone I fu nel 1881 monsignor Forcade, arcivescovo di Aix (cfr. vol. XV, pag. so). Questo grande cooperatore e amico del nostro Santo morì nel 1885 vittima del suo zelo nell'assistere i colerosi. Don Bosco ne fece commemorazione a Valsalice nel Capitolo Superiore il 16 settembre.
[305] App., Doc. 75.
[306] Nella sua risposta il. Cardinale parlerà di due lettere scrittegli da monsignor Cagliero; ma noi ne abbiamo rinvenuto una sola. (App., doc. 76 e 77). Quale fosse però il contenuto della lettera al Cardinale si arguisce da questa risposta del medesimo, e da un'altra lettera a Leone XIII, che riferiamo più avanti.
[307] Lett. di Don Lazzero a Monsignor Cagliero. Torino, 13 e 2 1 agosto 1885.
[308] Lett. a mons. Cagliero, Torino, I° ottobre 1885.
[309] Poichè queste Memorie biografiche sono massimamente per i Salesiani, è cosa convenientissima che tutti conoscano l'importante documento pontificio. (App., Doc. 78).
[310] Ecco i loro nomi: I° Don Demartini Ferdinando, sacerdote salesiano, (24 febbraio). - 2° Siparelli Francesco, libraio (24 maggio). - 3° Bai Carlo, studente (31 luglio). - 4° Alemanno Francesco, famiglio, fabbro ferraio (6 settembre). - 5° 0' Donnellan Francesco, chierico salesiano (20 ottobre). - 6° Accornero Archimede (24 ottobre). Nei registri manca la data del decesso di Alemanno; ma l'abbiamo riscontrata nel Necrologio torinese dell'Unità Cattolica (8 settembre). Il 3 novembre morì pure il giovanetto Torretta Giuseppe, della prima ginnasiale inferiore; ma, nel dicembre 1884, quando parlava Don Bosco. egli non era ancora nell'Oratorio.
[311] Atti del Cap. Sup., 26 maggio 1886.
[312] Cfr. sopra, pag. 280.
[313] La Stella d'Italia, 13 novembre 1885.
[314] Lettera del padre Pacifico Fenocchio, Francescano, a Don Bosco, Chan-Toun 22 settembre 1885. Don Bosco gli fece rispondere il 24 novembre.
[315] Vol. XV, pag. 559.
[316] Della lettera, scritta forse in inglese, noi abbiamo trovato la sola versione italiana.
[317] Lettera al conte Colle, Nice, 25 avril 1885.
[318] Diario Viglietti, 24 aprile 1885.
[319] Lettera del Santo al conte Colle, Torino, 10 maggio 1885.
[320] App., Doc. 64.
[321] Il vivente Don Giovanni Boselli, salesiano, vide e lesse con i propri occhi a Londra questa lettera, il cui scopo era di ringraziare Don Rabagliati di una copia dei Cinque lustri inviatagli in omaggio.
[322] Summ. sup. virt. Num. III, § 67.
[323] Cfr. vol. XV, pag. 412.
[324] App., Doc. 80.
[325] Si seppe difatti che carri di materiali, entrati nel cantiere da una parte, ne uscivano da un'altra per ignote destinazioni. Questi e altri furti perpetrati a man salva durarono purtroppo a lungo.
[326] Questa è una puntarella politica contro liberali e liberaleggianti, che sognavano una conciliazione, in cui l'Italia ufficiale non avesse nulla da fare, ma il Papa rinunciasse puramente e semplicemente a' suoi diritti. Nella stampa cattolica si distingueva allora fra un'Italia reale, quella dei buoni cattolici, e un'altra legale, quella dei governanti.
[327] App., Doc. 81.
[328] Diario Viglietti, 9 agosto 1885.
[329] Lettera del Cardinale a Don Bosco, Torino 9 agosto 1885.
[330] Unità Cattolica, 21 agosto 1885.
[331] Ecco l'elenco dei membri componenti la Commissione, con le qualifiche dei singoli secondo lo stile di Don Bosco: “ Reverendissimo monsignor cavaliere don Luigi dei baroni Nasi, dottor collegiato, canonico della Metropolitana. -Reverendissimo Monsignor Stanislao Schiapparelli, prelato domestico di Sua Santità, assistente ecclesiastico del Circolo della Gioventù Cattolica. -Reverendissimo commendatore don Augusto Berta, dottore collegiato, canonico della Congregazione della Santissima Trinità, assistente ecclesiastico delle Unioni operaie cattoliche. - Molto reverendo signor teologo Maurizio Arpino, curato della parrocchia dei Santi Pietro e Paolo in Torino, - illustrissimo signor conte Francesco Viancino di Viancino, presidente del Comitato regionale piemontese dei Congressi cattolici. Illustrissimo signor barone Carlo Ricci Des Ferres. -Illustrissimo signor banchiere Giuseppe Antonio Musso, tesoriere. - Canonico Raffaele Forcheri, segretario ”. Brano tutti vecchi amici di Don Bosco.
[332] Cfr. Bulletin Salésien, janvier 1886.
[333] CC. III C V.
[334] App., Doc. 82. A-B-C.
[335] Un'istruzione annessa diceva: “Chi avesse da rimandare biglietti, favorisca metterli in busta chiusa ad angoli tagliati con francobollo di 2 centesimi scrivendo sopra un bigliettino a parte il solo nome, cognome indirizzo di colui, al quale erano stati prima spediti da Torino.
Chi conservasse la prima busta con entro i biglietti basterebbe che li rimandasse senza francobollo, e con la sola parola “ Rimandati ”. Se poi si volesse aggiungere qualche scritto conviene affrancare la lettera a norma del regolamento postale ed il denaro si deve inviare mediante vaglia o lettera raccomandata. Il numero dei premii supera gli otto mila, e sono del valore vario da L. I a L. 20 mila ciascuno. Si è già stampato il primo catalogo che verrà inviato a chi ne facesse richiesta ”.
[336] Questa sala oggi è scomparsa per dar luogo ad alcune camerette.
[337] Il figlio di Maria Cardano, divenuto poi Ispettore delle case salesiane in Palestina.
[338] Cfr. capo precedente.
[339] App., Doc. 83. Cfr. sopra, pp. 495-6.
[340] Diario cit., 30 agosto.
[341] Vangelo della XIV domenica dopo la Pentecoste, che in quell'anno cadeva ai 30 di agosto.
[342] Cfr. sopra, pag. 215 sgg.
[343] Gazzetta, del Popolo, 27 ottobre 1885.
[344] Unità Cattolica, 28 ottobre 1885.
[345] App., Doc. 84.
[346] Le parole di Don Rua riferite poc'anzi e queste di Don Bosco sono riportate da monsignor Taroni nella sua cronaca.
[347] App., Doc. 85. Fu pubblicata dall'Amico della Verità, giornale cattolico di Catania, nel numero del 27 aprile,
[348] Diretta alla Gazzetta e non pubblicata, comparve nell'Amico della Verità del I° maggio.
[349] App., Doc. 86.
[350] Quasi a riparazione delle diffamazioni dei settari catanesi si fece in Randazzo un caloroso ricevimento a Don Rua e di là il 18 aprile fu spedito a Don Bosco il seguente telegramma: “ A D. Bosco ottimo conoscitore dei tempi che estende benefizi scienza e religione a ogni ceto, Sindaco e Municipio, Arciprete, Rua, Salesiani, Convittori uniti fraterno banchetto mandano affettuoso saluto ”.
[351] Cfr. vol. XIII, pag. 676.
[352] Qui è occorso un errore circa il mese della sospensione, come appare da questa lettera al Signor Sigismondi, datata dal Vaticano io ottobre 1885:
Mi faccio premura di avvertirla che essendo tornato da Mons. Folchi per il solito assegno, mi ha risposto che l'amm.ne aveva facoltà di pagare l'assegno all'Istituto della Spezia sino a tutto Agosto corr. anno, cioè fino a che compivasi la restituzione della prestanza. Che se detto assegno dovesse continuare, è necessario domandare direttamente al S.o Padre la nuova concessione, il che dovrebbe farsi dal R.mo D. Bosco o chi per esso. Nel pregarla di gradire i miei rispetti, estensibili alla sua degna consorte, mi ripeto
Suo dev.mo Servo C. ROSSIGNARI.
Il signor Alessandro nel biglietto con cui rimetteva a D. Bosco lo scritto, lo esortava a pensare subito al quid agendum.
[353] Tanto ricaviamo dalla lettera citata qui sotto.
[354] Lettera del signor Eugenio Panizzoni a Don Bosco, Vicenza 23 novembre 1885. É probabile che identica risposta sia venuta per il legato Loschi.
[355] Mogliano, 22 settembre 1886.
[356] Vicenza, 29 agosto 1887.
[357] Verb. del Cap. Sup., 25 agosto 1885.
[358] App., Doc. 87.
[359] Summ. della Pos. sup. virt., num. IX, § 5.
[360] L. c., § 94.
[361] Lett. a Don Rua, senza data, ma scritta dopo la morte di Don Bosco.
[362] Verb. del Cap. Sup., 9 gennaio 1885.
[363] Lett, a Don Bosco, Utrera, I° aprile 1885.
[364] La risposta fu dettata da Don Bosco in italiano e tradotta in spagnuolo (App., Doc. 88). A Vigo i Salesiani andarono nel 1894.
[365] Allusione al socialismo.
[366] Lettera del Nunzio a Don Bosco, Madrid 11 ottobre 1885 (App., Doc. 89).
[367] App., Doc. 90.
[368] App., Doc. 91.
[369] App., Doc. 92.
[370] App., Doc 93.
[371] Vol. XV, pag. 49.
[372] Il vaiolo visitò la casa nel mese di luglio; in breve vi furono trenta casi. Di là scrissero a Don Bosco per preghiere e una speciale benedizione. Pochi giorni appresso tornarono a scrivere che dopo le preghiere e la benedizione di Don Bosco, non vi era stato nessun caso nuovo e che i malati si avviavano tutti alla guarigione (Lett. di Don Lazzero a Mons. Cagliero. Torino 7 agosto 1885).
[373] Don De Barruel non si riebbe più da una forma di alienazione mentale.
[374] Bull. Sal., Janvier 1886.
[375] Ivi, Novembre 1886.
[376] Cfr. vol. XV, pag. 33 e sgg. e 619.
[377] L'Italia di Milano, 29 marzo 1934 (articolo del Bertacchi).
[378] Bollettino mensuale del padre Denza, Serie II, vol. II, n.I, pag. 3-4.
[379] Cfr. art. del padre Denza La Meteorologia nell'America del Sud, in Corriere di Torino, 8 marzo 1884.
[380] DON BERNARDO PAOLONI, benedettino, La meteorologia e il clero italiano in Vita e Pensiero, novembre 1934.
[381] App., Doc. 94.
[382] Che a Roma si dovesse vedere con simpatia l'attività dell'Osservatorio, sì può arguire anche dal fatto che gli ufficiali della marina militare d'Italia approdando a Montevideo, visitavano il collegio e accettavano rinfreschi, che poi contraccambiavano con l'invitare Don Lasagna a bordo: cosa, la quale, coi vento che allora spirava in Italia, non sarebbe stata nemmeno immaginabile, se non si fosse saputo con certezza che quegli atti di cortesia non tornavano sgraditi al Governo. Una volta un giornalista italiano stampò bensì a Montevideo un articolo contro gli ufficiali che bazzicavano coi preti; male però glie n'incolse. Una sera infatti mentre tornava dal teatro, fu bastonato sonoramente da quattro marinai, che dopo averlo così ben servito, gli dissero: - Faccia poi la ricevuta all'ufficialità della Vittor Pisani. - V'ha di più. Don Albanello, direttore dell'Osservatorio, andò per un mese sopra una corvetta italiana ad accomodarvi gli strumenti meteorologici, che in una tempesta si erano guastati; e poichè egli era renitente alla leva, ottenne per questo servizio a mezzo del comandante il congedo assoluto.
[383] Vuol dire certamente “ Generali ”.
[384] Nella copia di Don Berto (ci manca l'originale) si legge 30 settembre; ma Don Bosco dal 28 si trovava non più a Valsalice, ma a S. Benigno. Dunque è un lapsus calami del Santo o del copista.
[385] Lettere di Don Lazzero a monsignor Cagliero, Torino 7 agosto e 6 ottobre 1885.
[386] Lettere di Don Giordano a Don Bosco e a Don Rua, S. Paolo 14 agosto e 5 settembre 1885.
[387] Lett. di D. Giordano a Don Bosco, S. Paolo 22 dicembre 1885.
[388] Si trattava di far fare Vescovi Coadiutori per i bisogni della vastissima archidiocesi alcuni buoni sacerdoti, amici dei Salesiani.
[389] Era delle Figlie di Maria Ausiliatrice.
[390] Veramente allora Don Bosco non era a Mathi, ma a Torino. Ma la chiave dev'essere in un biglietto del 5 agosto a Don Berto, al quale diceva: “Fa di questa lettera (cioè qui acclusa) come delle altre, e la darai a Don Rua”. Non voleva forse far sapere che stava fuori per non dar a pensare sulla sua salute.
[391] Lett. a monsignor Cagliero, Borgo S. Martino, 3 luglio 1885.
[392] Don Lazzero a Don Riccardi (Torino, 29 settembre 1885): “ L'altra [fotografia] in cui trovai tra loro [i due battezzati] Mons. Cagliero la feci tosto rifare da Rollini, che fece un bellissimo lavoro”. Cfr. sopra, pag. 552.
[393] App., Doc. 77.
[394] Ivi, Doc. 95.
[395] Lett. di Don Riccardi a Don Bosco, Carmen de Patagones, 20 agosto 1885.
[396] App., Doc. 96.
[397] Lett. S. Cruz, 26 dicembre 1885.
[398] Valga per saggio una lettera di Mons. Cagliero, in App., Doc. 97.
[399] Lett. a Don Bosco, Buenos Aires, 12 novembre 1885.
[400] Per notizie su Don Paseri e sull'attività dei Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice a Buenos Aires, rimandiamo a una lettera di Don Vespignani (App., Doc. 98).
[401] Lett. a monsignor Cagliero; Torino, 27 dicembre 1885.
[402] Il dottor Laura narrò questo fatto il 14 aprile 1891 in un brindisi al pranzo per la dedicazione della nuova chiesa di Valsalice.
[403] Lett. di Don Amossi a Don Lemoyne, Lanzo, 8 aprile 1889.
[404] E. REFFO, Il teol. Leonardo Murialdo, Fondatore dei PP. Giuseppini (1828-1900). III Ediz. Torino, tip. “La Salute” 1931. Pp. 306-8.
[405] The Month, gennaio 1884, in un articolo intitolato Don Bosco, pag. 43-59.
[406] A Lady Herbert Don Bosco si era raccomandato perchè gl'inviasse giovani inglesi che avessero vocazione religiosa. “ Cercammo di compiacerlo, scrive essa nel citato articolo. Un giovane mandatogli da noi, quantunque eccellente sotto ogni riguardo, non era da buono e pratico inglese disposto a credere nulla che fosse fuori dell'ordinario. Non era stato all'Oratorio un anno, che così scriveva ad un sacerdote, già suo direttore spirituale: " Lei sa come io era contrario a credere tutte le cose straordinarie dettemi quando venni qui. Ma vedere è credere e i miracoli straordinari che Don Bosco fa quasi ogni giorno sono di tale evidenza, che solo un uomo cieco e stolto non sente di essere in presenza di uno che, se non è santo, è certamente favorito in modo straordinario da Dio. Perchè egli ottiene tutto quello per cui prega, siano mezzi materiali per compiere le sue grandi imprese, siano guarigioni di mali spirituali e temporali””. Il giovane qui non nominato era il futuro primo Direttore della casa di Battersea a Londra, Don Francesco Macey.
[407] Summ. sup. virt., Num. VI, § 161, De heroica spe (teste Don Piscetta).
[408] Cfr. vol. XI, pag. 271 sgg.
[409] Ecco i nomi di tutti i componenti:
I. Don Barberis, - Direttore della casa di noviziato.
2. Don Cerruti, Ispettore dell'Ispettoria ligure e Direttore della casa di Alassio.
3. Don Francesia, Ispettore dell'Ispettoria piemontese e Direttore della casa dell'Oratorio, sezione studenti.
4. Don Bertello, Direttore della casa di Borgo S. Martino.
S. Don Belmonte, Direttore della casa di Sampierdarena.
6. Don Marenco, Direttore della casa di S. Giovanni in Torino.
[410] Il Rosario e la Madonna di Pompei, anno LI, quad. 5 (sett.-ott. 1934), pag. 280.
[411] Cfr. sopra, pag. 614.
[412] Cfr. vol. XV, pag. 352.
[413] Per quante ricerche abbiamo fatte, non ci è riuscito di trovare copia di questo opuscolo.
[414] Lettere di Don Lazzero a monsignor Cagliero, Torino, 10 aprile, 9 e 27 giugno 1885.
[415] Cfr. LEMOYNE, M. B., vol. IV, pag. 582.
[416] Cfr. sopra, pag. 390.
[417] Relazione dell'avvocato Mario Ferrerati, Torino 21 gennaio 1886.
[418] Da una lettera di Don Bosco al Levrot, si rivela che questo ragguardevole benefattore il I° agosto 1886 morì.
[419] App., Doc. 99 A-B-C-D-E-F-G.
[420] Cfr. II Tim., II, 3-5
A pag. 13 nel titolo e a pag. 15 nel testo, invece di Don Alasonatti leggere Don Provera.
A pag. 34, linea 8, 26 invece di 25.
A pag. 276, linea 16, martedì invece di mercoledì.
[421] Il poeta cantò specialmente l'amore, ispirandosi alla prima omelia pronunziata dal Cardinale nella Metropolitana il giorno del suo ingresso e stampata dalla Tip. Sal. col titolo: Le dolcezze dell'amore in Roma e in Torino.
[422] Di questa lettera scriveva Don Lemoyne a Don Rua il 28 aprile seguente: “ Di' a D. Febbraro che D. Bosco ha ricevuto la sua lettera e ne fu contento e commosso. Che cuore ha D. Bosco! ”.
[423] Cfr.vol.XV,pag.41.
[424] Così sperava, ma l'ebbe una settimana dopo.
[425] Il faut entendre parler à dom Bosco sa langue natale, l'italien, pour comprendre les puissants effets qu'il a dû produire en chaire au temps de sa jeunesse et de sa force.
[426] Telegramma: Sindaco Torino. Malgrado vive istanze, impossibile persuadere parenti orfani mandarli costì, adducendo troppa lontananza. Ringraziamo egualmente nobile, generosa sua offerta.
[427] Il marchese Pallavicini fu visitato a Pegli; a Cremolino era il marchese Serra.
[428] Vescovo di Marsiglia.
[429] « PH.. VRAU présente ses respects au Révérend Dom Bolognia (sic) et lui exprime ses regrets de n'avoir pu le rencontrer hier dans lu visites qu'il lui a faites chez Monsieur de Montigny. Il espère qu'une occasion plus favorable ne tardera pas à se présenter et qu'il pourra lut parler da la riaitsation des projets si désirables des Dom Bosco pour le bien de nos po- pulations. - Il se recommande aux prières (le Dum Bolognia of le prie d'agréer ses dévouées salutations ».
[430] Di questo articolo Don Bellamy scriveva (lett. a Don Rua, 10 marzo, 1885): *Un redattore del Figaro, giornale tanto diffuso (80.000 esemplari) è venuto domenica scorsa a visitarci, ci ha fatte molte interrogazioni, s'interessò vivamente delle nostre risposte e poi scrisse un lungo articolo piene di errori, ma anche riboccante di entusiasmo per l'opera di D. Bosco ».
[431] Don Bellamy spiega meglio il suo pensiero in una lettera del io marzo a Don Rua: “ Quanto al sig. Josse il mio parere era che il suo nome
potesse quasi parer offesa, posto vicino ai nomi di altri personaggi distinti come i Rebours, i De Franqueville, e difatti questa è l'impressione provata da alcune persone cui ho fatto leggere il testo della sua lettera. E poi questo uomo che è davvero una brava persona, sembra mischiare molto il sacro al profano, voglio dire lo zelo del danaro e lo zelo per le opere buone, e pare che tragga grande vantaggio col patrocinio del nome di D. Bosco: ed io aveva timore di abusi. Ma ora il di Lei parere mi sembra molto giusto; quindi mi par bene di non togliere il nome del Josse dalla lista dei collettori ”.
[432] Nella citata lettera scriveva: “ Vorrei avere già la collezione completa del Bollettino sia italiano che francese, per darla a leggere ai nostri giovani, i quali, venendo così a conoscere la storia dell'Oratorio, impareranno ad ammirare ed amare l'opera Salesiana. Così pure bramerei tutte le Letture Cattoliche, tanto più che si potrebbe con queste incominciare una biblioteca ad uso dei piccoli italiani che vengono a trovarci nel nostro Oratorio. In questo momento faccio il catechismo e preparo alla Comunione quattro ragazzetti italiani ”.
[433] Questo Ferrero, che poi si scoperse essere massone, stette tre anni all'Oratorio. Licenziato, intentò lite contro Don Bosco presso la Congregazione dei Vescovi e Regolari, pretendendo riparazione di danni per non avere i Salesiani concorso all'incanto della sua casa a Saluzzo, come avevano promesso, e per il servizio da lui prestato. Essendo l'incanto salito oltre le trentamila lire, valore della casa, i Salesiani, presentatisi la prima volta, non si presentarono più la seconda. Quanto alla retribuzione, non gli si doveva nulla, poichè entrando in casa, aveva firmato la solita dichiarazione di servire gratuitamente. Si potè anzi dimostrare aver egli recato danno e non vantaggio, essendosi fatte grandi spese inutili per soddisfarlo in pretese sue ricerche farmaceutiche, riuscite senza risultato. Anteriormente al tribunale ecclesiastico gli aveva già dato torto il tribunale civile.
[434] Fino al giugno del 1867 si godette della riduzione del 75 %.
[435] Padre cioè del principe Paolo.
[436] Il Conte Cesare Balbo, nipote al celebre storico di tal nome.
[437] Cioè è al verde, come il Crispino dei gioioso melodramma Crispino e la Comare dei fratelli Ricci, napoletani.
[438] Come nell'Oratorio si chiamavano barba (zii) i famigli, così presso le suore si dicevano magne (zie) certe donne che convivevano con loro, non proprio come serventi, ma come persone di casa.
[439] Il giovane Bach scriveva una lettera a D. Bosco dal collegio Pio IX in Almagro. La trascriviamo testualmente.
Al reverendissimo Padre D. Juan Bosco.
Aunque no tenga el gusto de conocer á R. V. sin embargo le declaro la maxima satisfacción, que tengo por haber recebido aqui el S.to Bautismo, y encontrarme en el colegio Pio IX, donde sigo recibiendo la educación que me - confirme siempre más en la relìgión. Otro motivo tengo de gloriarme, porque he recibido el bautismo con el nombre de un Padre tan distinguido como es V. R.
Ruegue husted por mi, para que corresponda á las gracias que Dios me ha hecho, y lleve dignamente el nombre que me ha sido impuesto. No olvide tampoco á mis infelises Padres, y á mis once hermanos que aún andan en la sombra del error. Bendiga en fin su nuevo hijo que la ama tiernamente, y permita que besandole la mano me declare
[440] Cfr. Rivista Lasalliana, settembre 1934.
[441] LEMOYNE, Mem. biogr., vol. III, pag. 26 sg.
[442] Cfr. CAVIGLIA, Nota preliminare nell'edizione critica della Storia Ecclesiastica di Don Bosco.
[443] A Roma queste scuole, sotto il nome di Scuole notturne esistevano dal 1819; ne riassume la storia monsignore S. DE ANGELIS in I veri amici del popolo, Biografie di più sacerdoti del clero romano (Roma, Tip. Leonina 1927, pag.127-8). Una memoria del 1841 ci fa vedere “ all'imbrunir della notte più centinaia di artigianelli di diversa età, di diversi mestieri, lasciato il lavoro, nettatesi le mani ed indossate le loro giubbette, volontieri accorrere a queste Scuole per istruirsi ” (Pio Istituto delle Scuole Notturne di Religione pei giovani artigiani in Roma. Roma, Tip. dell'Ospizio Apostolico presso Marco Aurelio 1841). Vi s'insegnavano i rudimenti del leggere, dello scrivere e del far conti e il catechismo. L'istituzione si collegava agli Oratorii della Gioventù, qua e là fiorenti nelle domeniche e feste. Pio IX il 9 marzo 1847, accompagnato dal solo Cameriere partecipante monsignor Piccolomini, visitò la scuola notturna di Via dell'Agnello ai Monti, assistendo anche alla premiazione dei giovanetti fissata per quella sera.
[444] Marchese Cesare Alfieri di Sostegno. Presidente del Senato.
[445] L'originale non è autografo; nemmeno la firma è tale. La forma di questa “ Sac. BOSCO GIOANNI ” indica che è copia dell'originale di Bosco, come lo conferma anche lo stile.
[446] Sacre Cuneesi a Don Bosco, pag. 24. Tip. Gros Monti, 1935. Il conte Lovero errò nella lettura della data. La cifra del giorno nella grafia di Don Bosco è 5, non 3.
[447] M. B., vol. V, pag. 3.
[448] Il foglio reca questa intestazione: DIREZIONE CENTRALE DELLE LETTURE CATTOLICHE. Don Bosco vi scrisse sotto: “ caldamente raccomandate al sig. conte e contessa la Margherita ”.
[449] Colui che narra il fatto, Don Auffray, direttore del Bollettino francese.
[450] Il 30 gennaio 1862 Don Bosco aveva bandito una lotteria a favore degli oratorii.
[451] Solevano incontrarsi agli esercizi spirituali nel santuario di S. Ignazio.
[452] La figlia del conte ci dice che suo padre amava discorrere piacevolmente con Don Bosco dell'arrivare fino al terzo cielo.
[453] Comune del circondario di Asti.
[454] Tutti questi autografi sono conservati nell'archivio vescovile d'Ivrea.
[455] Segretario del Vescovo.
[456] Di questo opuscolo di Don Bosco scrive Don Lemoyne in Mem. biogr., vol. IV, p. 225.
[457] Maddalena, nata nel 1866 e sposata al marchese Filippo Patrizi nel 1885; Carlo, nato nel 1868 e sposato a Luisa Guicciardini nel 1891. La marchesa Maddalena Patrizi ci ha favorite le copie di queste lettere e di quelle del num. X.
[458] Marianna Gondi, sposata nel 1862 a Pierfrancesco Rosselli del Turco, sorella del compianto consorte e madre di Antonio, Pio, Stefano, Giovanni, Maria Teresa, Filippo.
[459] La famiglia Uguccioni era allora composta della signora Girolamo Uguccioni Gherardi (1812-1899) e della figlia Marianna, sposata a Giuseppe Rosselli del Turco (1837-1905) e madre di Giov. Battista, Geltrude, Maria lsabella, Cinzia, Tommaso.
[460] Oratoriano, suo confessore, che fu poi Vescovo di Livorno.
[461] Sig. Giuseppe (1808-1882).
Copyright
© 2010 Salesiani Don Bosco - INE