raccolte dal sacerdote salesiano Giovanni Battista Lemoyne
(Giovanni Battista LEMOYNE voll. I-IX, Angelo AMADEI vol. X, Eugenio CERIA voll. XI-XIX, Indice anonimo dei voll. I-VIII e Indice dei voll. I-XIX a cura di Ernesto FOGLIO)
Il Santo Padre Pio XI, in una privata udienza del 29 aprile scorso, raccomandò allo scrivente che nelle Memorie Biografiche di Don Bosco Facesse largo posto alla documentazione. - Possono avere, disse il Papa, quanto valore si voglia le osservazioni dell'autore; ma l'importanza vera sta nei documenti. Questi più di qualsiasi altra cosa gioveranno ai Posteri e saran da loro ricercati. - Parole che sonavano approvazione incondizionata e autorevolissima al metodo finora seguìto e che animavano a insistervi fino ad opera compiuta. Nulla dunque verrà mai sottratto alle esigenze dei presenti e futuri studiosi, che valga comunque a documentare una vita così complessa e così interessante. Appunto perché nulla vada perduto, giacché occasioni impreviste recano spesso a nostra conoscenza documenti ignorati di tempi anteriori, si é presa fin da principio la risoluzione di accantonare simili documenti in apposite appendici alla fine dei singoli volumi.
Far largo ai documenti é inondare di luce sempre più smagliante la figura di Don Bosco; dallo studio imparziale di questo tormentato biennio ne avranno i lettori novella prova. Altrettanto purtroppo non si può asserire de' suoi oppositori; ma l'ora è scoccata, che segna il termine di longanime ed eroica attesa. Don Bosco infatti nei momenti delle massime contraddizioni soleva ripetere: - Pazienza! A suo tempo conosceranno tutti; a suo tempo Dio farà capire tutto. - Questo tempo di piena comprensione ecco che oggi é venuto. [6]
Sui documenti, poiché se ne porge il destro, vi é qualche cosa da aggiungere. Nella vita di Don Bosco la questione dei documenti si presenta sotto un aspetto che ha bisogno di essere illustrato alquanto, affinché col volgere degli anni non sorgano ostacoli che paiano insormontabili a storici competenti e coscienziosi.
Molti fatti di Don Bosco oggi per noi sono certi; ma quando in avvenire se ne vorrà fare l'accertamento con criteri storici, mancheranno documenti veri e propri per suffragarne la storicità. La certezza loro deriva da una circostanza poco o nulla avvertita finora, perché, non sentendosi la necessità di richiamarla all'attenzione, vi si passava ordinariamente sopra. Noi sappiamo che Don Bosco in private conversazioni e non di rado anche in pubbliche adunanze amava narrare vicende occorsegli durante il non breve periodo anteriore all'assetto definitivo dell'Oratorio. Questi richiami si fecero più rari col tempo; ma non furono mai smessi del tutto. Così in questo stesso volume vedremo com'egli raccontasse durante un solenne trattenimento in Francia il famoso episodio del manicomio e come ripetesse nella casa di S. Benigno a Don Barberis la narrazione di altri accidenti accadutigli tanti anni addietro. Orbene, mentre nel primo caso le sue parole furono affidate all'aria e alla memoria dell'uditorio, nel secondo vennero dal suo interlocutore fissate sulla carta e conservate[1]. Se più sovente si fosse fatto a questo modo, oggi la documentazione di avvenimenti remoti non sarebbe così scarsa, come forse lamenteranno i posteri. Tuttavia simili narrazioni o confidenze più e più volle ripetute crearono una tradizione che corse vivace sotto il controllo immediato di quanti erano in grado di segnalarne eventuali deviamenti, appellandosi magari a Don Bosco in persona. A questa fonte attinse largamente Don Lemoyne senza preoccuparsi troppo di cercar appoggio in quegli amminicoli, che ne guarentissero o ne mettessero in vista l'attendibilità agli [7] occhi dei lontani. Ecco un punto che si deve tenere ben presente nel leggere i suoi ponderosi nove volumi. Fino agli ultimi decenni, viventi ancora testimoni diretti o comunque autorevoli della tradizione, i suoi racconti si sono accettati con serena fiducia nell'informazione e nell'onestà dell'autore; ma non sarà sempre così. Tempo verrà che lettori estranei alla descritta atmosfera vorranno andare a fondo allora pertanto, prima di scartare un fatto da lui narrato od anche qualche particolare notevole di un fatto, sarà da porre ben mente alle peculiari circostanze ambientali in cui il bravo scrittore condusse avanti l'opera sua.
Scendiamo un po' al concreto. Sia, per esempio, il notissimo episodio della Generala. Chi visse ai tempi di Don Bosco o sentì ancora nella trasmissione orale l'influsso dell'autentica narrazione primitiva, vi aggiusta fede senza la menoma esitanza; ma generatio praeterit et generatio advenit[2] e da coloro che questo tempo chiameranno antico[3], non si sospetterà di leggenda? Diranno: - Da solo, condurre fuori dal penitenziario e ricondurvi dentro alcune centinaia di corrigendi, senza guardie di scorta e senza che neppur uno se la svignasse[4], é certo un miracolo di efficacia pedagogica. Di un avvenimento cotanto straordinario avran parlato i giornali d'allora e sarà rimasta memoria negli archivi della casa correzionale. - Ma chi si desse a cercare, non verrebbe a capo di nulla: silenzio nella stampa, nessuna traccia negli archivi. Dirò di più: non troverebbe nemmeno un documento sicuro per precisare l'anno del fatto. Già nel 1882 pratiche per appurare quella data andarono a vuoto. Non si sa con esattezza chi conducesse l'indagine, di cui ci fornisce la prova una lettera scritta da Stupinigi. A un sacerdote di là che risponde così al suo richiedente: “Con mio rincrescimento debbo ripeterle che vane furono le mie ricerche intorno al tempo che i birichini della [8] generala vennero qua accompagnati dalla carità del Sig. Don Bosco. Andai anche a domandare al Sig. Curato di Mirafiori, il più anziano in questi dintorni. Egli ricorda benissimo il fatto ma non sa dire l'anno”. Evidentemente non se ne ricordava più bene neanche Don Bosco; altrimenti non sarebbe stato necessario fare indagini lontano dall'Oratorio[5]. Meno male che qui abbiamo la testimonianza di uno, il quale di scienza propria conferma la verità del fatto, unico documento scritto di qualche autorità finora sul celebre avvenimento.
Questa mancanza di documenti che potrà mettere nelle angustie gli storici di là da venire produce già i suoi effetti in storici dell'età nostra. Da più parti ci si domanda: - Il Soderini che nel primo volume della sua Vita di Leone XIII riferisce tante minute particolarità intorno ai preparativi del Conclave, da cui uscì eletto quel Pontefice, come mai non ha un cenno sui passi di Don Bosco presso Crispi, Ministro dell'Interno, e presso Mancini guardasigilli? - La ragione é semplicissima: il biografo non rinvenne documenti su questo proposito. La missione di Don Bosco si svolse in forma tutta confidenziale e puramente orale, senza la menoma ombra di ufficialità. La ebbe probabilmente dal cardinale Di Pietro, che quale decano del Sacro Collegio si dovette occupare subito e molto della questione circa il luogo del prossimo Conclave. A lui il Mancini erasi affrettato, é vero, a indirizzare una lettera riservatissima, e resa ora di pubblica ragione dal Soderini, per assicurare l'Eminentissimo che il Governo Italiano non avrebbe ostacolato in Roma la libertà del Sacro Collegio; ma questa lettera non rendeva inutile l'azione di Don Bosco. Infatti il Cardinale, che non poteva ignorare come il Crispi nella discussione sulla legge delle guarentige avesse in pieno Parlamento [9] sostenuto la necessità per le autorità italiane d'invigilare il Conclave, non poteva neppure non sentire la convenienza di esplorarne ben bene l'animo e così accertarsi se il pensiero reale del Governo rispondesse effettivamente alle assicurazioni date per iscritto. Ora a conseguire l'intento non c'era persona più adatta di Don Bosco. Il Cardinale, che ne conosceva l'abilità e la prudenza da quando, Vescovo di Albano, aveva trattato con lui per quelle scuole, ma condivideva pure le idee conciliative circa i rapporti possibili fra la Santa Sede e lo Stato Italiano per il bene delle anime.
Così rimane risposto anche a un dubbio espresso dal Mollat nel suo pregevolissimo volume sulla Questione Romana. Esaminando egli un articolo del nostro Don Auffray[6] sulla condotta di Don Bosco durante il periodo del Risorgimento italiano, nel toccare di questo punto conclude che i documenti pubblicati dal nipote di Crispi sembrano infirmare la versione salesiana[7]. Da quei documenti si apprende che, appena morto Pio IX, il Mancini propose al Presidente del Consiglio De Pretis l'invio di una lettera privata per dare assicurazioni che impedissero di portar il Conclave fuori di Roma[8]. Ma una cosa non esclude l'altra per le ragioni detto di sopra. Méfiance, mére de súreté! Presso di noi l'attività di Don Bosco in quel senso fu ritenuta fin d'allora come un fatto certissimo, la cui notizia provenne in parte da Don Berto, compagno a Don Bosco in Roma nel 1878, e in parte da confidenze di Don Bosco medesimo; onde Don Lemoyne ce ne lasciò memoria nella forma sua abituale, di cui si avrà a discorrere fra breve. [10]
Un altro caso. Il Soderini nel suo secondo volume, parlando dei denegati Exequatur ai Vescovi italiani, scrive[9]: “Così il cardinale Parocchi, uomo di grande cultura, nominato Arcivescovo di Bologna, rimase cinque anni ad attendere l'Exequatur e malgrado le ripetute insistenze di due Senatori, uno dei quali il Pépoli, e le istanze delle autorità civili di Bologna, non si poté ottenere nulla, di guisa che, per impedire mali maggiori, il Cardinale dovette dimettersi e venire a dimorare a Roma”. Orbene anche di questo affare, come possono ricordare i lettori[10], Don Bosco ebbe a occuparsi, e per diretto incarico della Santa Sede. Egli fece del suo meglio tanto a Roma che a Bologna per vincere le resistenze; ma del suo lavorío si conserverà forse qualche traccia in relazioni del Cardinale presso la Segreteria di Stato: certo é però che per conto di Don Bosco il tutto procedette ore tenus, e oralmente se ne trasmisero alcuni particolari, di cui al suo solito Don Lemoyne prese nota.
Come per i due accennati, così anche per tanti altri casi Don Lemoyne, nel preparar materiali di lavoro, non si lasciava sfuggire occasione per procacciarsi testimonianze, che gli arrecassero utili contributi alle ideate Memorie Biografiche, appuntando il tutto diligentemente e riponendo. Vivono ancora testimoni, i quali affermano che con tali appunti alla mano interpellava a volte anche Don Bosco su circostanze da chiarire o su dati da completare[11]. Poi circa trent'anni fa, coordinando [11] questi promemoria con documenti d'archivio, diede ogni cosa segretamente a comporre nella tipografia di S. Benigno Canavese, contentandosi di trarre dalla composizione soltanto un piccol numero di copie e a mo' di semplici bozze. Disgraziatamente però non ebbe cura di autenticare né di conservare i suoi propri originali; ma, ricevuti dal proto gli stamponi, si sbarazzava delle carte, dove con le raccolte informazioni aveva indicate le relative provenienze. Qualche suo autografo di questo genere é rimasto, ma per cose comunicate dopo le riproduzioni tipografiche e non peranco da lui utilizzate nella sua storia. Così operando, egli faceva a fidanza con i suoi confratelli, per i quali principalmente scriveva, non prospettandosi punto l'eventualità che estranei o posteri potessero mostrarsi di men facile contentatura. Nell'usare pertanto di quelle stampe non bisogna per i casi anzidetti esigere altra garanzia di credito all'infuori dell'indiscutibile intelligenza e onestà di chi ce le ha ammannite.
Fu buona ventura che i processi apostolici per la causa di beatificazione e canonizzazione del Servo di Dio fossero intrapresi, possiamo ben dire, quasi subito dopo la sua morte; onde vi si succedono numerosi testimoni oculari e auricolari di prim'ordine, le cui deposizioni giurate contengono copiosi elementi di raffronto, quando si vogliano verificare i racconti del Biografo.
Un altro provvidenziale sussidio é venuto in soccorso nella compilazione degli ultimi volumi, un bel gruppo cioè di documenti che gettano molta luce sulle vertenze sorte fra il nostro Beato Padre e un Ordinario torinese. Più volte i lettori hanno trovato a pié di pagina la nota che di qualche documento l'originale era in possesso del teologo Franchetti di Torino. Questo distinto ecclesiastico ebbe una bellissima fortuna. Morto che fu il canonico Chiuso, segretario particolare di monsignor [12] Gastaldi e suo erede, ne acquistò per mille lire la biblioteca, dove in mezzo ai libri scoperse un pacco di lettere e manoscritti riferentisi alle note divergenze. Intuì egli subito qual partito potesse trarre da sì buona preda, quando fosso giunto il tempo opportuno di preparare una monografia intorno all'interessante argomento; pure con generosità superiore ad ogni elogio ci permise non solo di prenderne visione, ma di copiare tutto quello che credessimo utile. Del che riceva da queste pagine pubbliche grazie. Senza l'aiuto di tale documentazione non sarebbe stato possibile lumeggiare, come i lettori vedranno, la fase estrema dell'angosciosa controversia.
Quanto a me che scrivo, non saprei figurarmi di essere altro che paziente filugello, intento anima e corpo a fabbricare la mia parte del gran bozzolo, dal quale altri un giorno filerà la seta, con cui tessere al nostro Fondatore e Padre un manto di gloria.
L’ANNO 1881 si aperse e si chiuse per Don Bosco con l'invio di nuovi operai nella remota porzione di vigna dal padrone evangelico affidata alle sue cure.
Una voce era venuta da Roma. Leone XIII in data 3 dicembre 1880 aveva indirizzata ai Vescovi del mondo cattolico una sua Enciclica su tre opere missionarie: Propagazione della Fede, Santa Infanzia e Scuole d'Oriente. In essa il Santo Padre faceva udire questo caldo appello: “Voi, Venerabili Fratelli, chiamati a parte della Nostra sollecitudine, caldamente esortiamo, affinché, sorretti dalla fiducia in Dio e non isgomenti da veruna difficoltà, con animi concordi vi adoperiate con Noi ad aiutare alacremente le Apostoliche Missioni. Si tratta della salute delle anime, per le quali il Nostro Redentore pose l'anima sua, e costituì Noi, Vescovi e Sacerdoti, pel perfezionamento dei Santi e per la edificazione del suo corpo. Laonde ciascuno nel luogo dove da Dio fu posto a custodia del gregge, sforziamoci con ogni mezzo, affinché alle sacre Missioni siano arrecati quegli aiuti, che abbiamo rammentato essere stati in uso sin dai primordi [14] della Chiesa, vale a dire la predicazione del Vangelo, e le preghiere e le elemosine degli uomini pii.” Dopo questa esortazione il Papa continuava: “Se alcuni dunque troverete zelanti della divina gloria, e pronti e idonei a intraprendere le sacre spedizioni, incuorateli, affinché, esplorata e conosciuta la volontà di Dio, non si facciano impigrire dalla carne e dal sangue, ma si affrettino ad assecondare le voci dello Spirito Santo.”
Infervorato da sì forte incitamento, Don Bosco credette giunta l'ora di riprendere le interrotte spedizioni di Missionari. Da due anni non se ne facevano più. Erano bensì partiti alcuni, fra cui Don Bernardo Vacchina, ma alla spicciolata e in numero assai esiguo[12]. La necessità di personale in Europa e le strettezze finanziarie avevano impedito che si facesse di più. Allora però che la Patagonia era aperta e il già fatto cominciava a venir riguardato come uno dei segni tangibili della perenne vitalità della Chiesa Romana[13], bisognava cogliere il momento propizio per spingere innanzi l'impresa. Perfino certi fogli ultraliberali commentavano, pur non osando confessarlo, il solenne invito pontificio[14]. Il Servo di Dio deliberò dunque una prima spedizione di sei Salesiani e di otto Suore, che si trovarono pronti verso la metà di gennaio; con i primi egli uni poi altri sei che dovevano [15] partire contemporaneamente per la Spagna. Quanto alle spese occorrenti, Don Bosco, come si espresse nella solita lettera di gennaio[15], riponeva piena fiducia nei Cooperatori.
Volle tentare di strappare sussidi anche dal patrio Governo; perciò spedì al Ministro degli Esteri Benedetto Cairoli[16] una succinta relazione di quanto si era fatto e si andava facendo nell'Argentina e nell'Uruguay specialmente a pro degli Italiani, che vi emigravano in sempre maggior numero[17]. Dice in essa che i Salesiani colà “sono divisi in trentaquattro località”. Tale calcolo va inteso in senso largo, computando cioè non le sole residenze fisse, ma anche i luoghi, dove i Salesiani si recavano per esercitare temporaneamente il loro ministero[18]. Notevole é il seguente periodo [16] sulla Patagonia: “Il divisamento si é di continuare le Missioni italiane fino allo Stretto di Magellano e di qui avanzarci fino al Capo Horn; ma di questo argomento ho bisogno di conferire personalmente colla E. V. come spero di fare, se mel concederà, nel prossimo mese di marzo.” Egli aveva in animo d'indurre il Ministro a svolgere un'azione diplomatica avente per iscopo d'indirizzare la corrente migratoria italiana in regioni patagoniche abbandonate dagli Indi e incolte, dove i connazionali con loro grande vantaggio economico e morale si sarebbero potuti concentrare in vari punti, promovendovi l'agricoltura e compiendo opera di civiltà. Per questo egli parla di
“Missioni Italiane” da continuarsi fino allo Stretto magellanico. La risposta fu, come già in passato, evasiva[19]; se altro risultato egli non ottenne, non era per lui cosa disprezzabile l'aver richiamato l'attenzione del Governo sulla sua attività religiosamente patriottica all'estero.
Per ottenere aiuti dalla Santa Sede, specialmente in arredi sacri e limosine di Messe, prese come intermediario il cardinale Nina Protettore, al quale scrisse una lettera da noi non rinvenuta. Ai 12 di gennaio il corriere del Sud America gli recò la prima lettera con il bollo della Patagonia; una cosa tanto piccola, ma per lui tanto significativa gli procurò tale consolazione, che, riscrivendo al Cardinale, gliene accluse la busta, quasi per fargli vedere che laggiù si faceva per davvero. Nella stessa lettera unì due copie dello specchietto sulle Case e Missioni Salesiane nell'America del Sud dall'anno 1875 al 1881[20]. [17]
Come aveva l'onore di esporre all'Em. Vostra Rev.ma nella mia lettera precedente, i nostri Missionari a risparmio di spesa sono pronti di fare il grave sacrifizio di non venire a Roma per baciare il sacro Piede al Santo Padre e ricevere da lui personalmente l'apostolica benedizione.
A tal fine pregano umilmente l'E. V. a volerla implorare dalla bontà del Santo Padre e comunicarla prima della loro partenza.
E' fissato il giorno 20 di questo mese per la benedizione dei medesimi nella Chiesa di Maria SS. Ausiliatrice; partiranno da Genova il giorno 22, a meno che, come si teme, il mare, inquieto a questa stagione, non consigli la dilazione della partenza per qualche giorno.
Ho ricevuto sulle lettere d'oggi il primo timbro della Patagonia. E’ mal riuscito; ma essendo il primo in Europa credo bene di acchiuderlo in questa lettera.
Credo pure fare cosa grata all'E. V. ed al buon cuore del S. Padre, unire qui due copie di specchio autentico delle nostre Missioni d'America. Uno è umiliato all'E. V., l'altro la prego di volerlo far gradite a Sua Santità, come tenue omaggio che i nostri Missionari fanno alla Santa Sede, offerendo cioè i pochi frutti che essi hanno ottenuto in cinque anni dalle loro evangeliche fatiche.
Avrò occasione di comunicarle altre notizie sopra novelle conquiste che i nostri religiosi hanno conseguite tra gli Indi Pampas e Patagoni; e ciò farò dopo la partenza che ci studiamo di effettuare nei giorni sopramentovati.
Colla più profonda venerazione ci raccomandiamo tutti alla carità delle sante sue preghiere, mentre ho l'alto onore di professarmi
Il Cardinale riferì i desideri di Don Bosco al Santo Padre, che se ne ricordò in un'occasione solenne. Il lunedì 17 gennaio Don Dalmazzo partecipò a una particolare e distinta udienza, alla quale il Papa aveva chiamati tutti i Superiori e Procuratori generali di Ordini e Congregazioni religiose residenti in Roma. Lo scopo era d'intendere lo stato delle varie famiglie religiose. Venuta la sua volta, il Papa gli si mostrò amorevolissimo. Per prima cosa gli domandò del Sacro Cuore. - Voi avete l'Esquilino, disse, ecco la parte che é affidata a voi. Lavorate si fabbrica? Ma fate presto, ché grande é [18] il bisogno. Non lasciatevi sgomentare. - Poi soggiunse: - Ho letto la lettera di Don Bosco, mandata al cardinal Nina. Abbiamo già dato gli ordini opportuni, perché sia preparato qualche cosa per lui. Vi saranno pianete, calici ed altre cosette per aiutare i suoi Missionari. - Accordò la benedizione chiestagli per loro, dicendo che la dava di cuore; indi proseguì: - Ma come fa Don Bosco? Non si spaventa egli con tante cose tra mano? Si vede che il Signore é con lui. - Il cardinale Nina, temendo che il Papa si dimenticasse delle limosine di Messe, aveva suggerito a Don Dalmazzo di parlargliene. L'augusto Pontefice ebbe la bontà di rispondere: - Ne abbiamo domandato in Francia e ne daremo anche a voi. Vi bastano duemila? - Alla risposta affermativa, conchiuse: - Ebbene daremo ordine che vi siano consegnate[21].
Il Beato dovette inoltre sollecitare la carità delle persone private, come sempre aveva fatto per l'addietro in casi simili; ma una sola lettera ci é finora pervenuta di questo tenore, e fu per il suo grande amico Don Pietro Vallauri di Torino.
Car.mo Sig. D. Vallauri Pietro,
Ab amicis honesta sunt petenda, ed io lo so. Pure debbo andare un poco più in là della discrezione.
Eccole adunque. Al 22 di questo mese sono impegnato di effettuare una spedizione di Missionari per l'America, dieci Suore e dodici Salesiani devono recarsi in aiuto dei loro Confratelli, che sono affogati dal lavoro; ma mi trovo nella morale impossibilità per mancanza di mezzi. Ella pertanto per suffragare le anime de' suoi parenti, aiutare la Chiesa, sostenere le nostre Missioni, levare me dagli imbarazzi, non potrebbe in qualche modo farmi la carità di fr. diecimila od anche solo mutuarmeli? Io scrivo con questa confidenza, perché so quali sieno i suoi desideri: cioè d'impiegare ogni sua sostanza a maggior gloria di Dio e a salvare delle anime.
Io spero che Dio la conservi in buona salute, e raccomandando me e li nostri poveri ragazzi alla carità delle sue valide preghiere, mi professo in G. C.
Il massimo giornale cattolico d'Italia, dando notizia della prossima spedizione[22], scriveva: “Noi applaudiamo di gran cuore al coraggioso Don Bosco e ai degni suoi figli; e sapendo come egli tira innanzi le importanti sue opere, mediante le limosine e le beneficenze delle persone caritatevoli, di buon grado raccomandiamo questa sua nobile impresa alla generosità dei cattolici. Il soccorrere Don Bosco é oggimai un atto non solamente di fede cattolica, ma di carità patria e di vera umanità [...], perché questo soccorso si rifonde a vantaggio di tante migliaia d'Italiani dimoranti nell'America, serve a riformare e a far rifiorire la società per mezzo di una savia e morale coltura della gioventù, e giova a condurre, alla civiltà cristiana immense tribù, che ne ignorano tuttora i segnalati benefizi temporali ed eterni.”
Avvicinandosi il giorno dell'imbarco, Don Bosco anticipò la solita conferenza di S. Francesco ai Cooperatori, per farla coincidere con la cerimonia dell'addio, che si doveva compiere il 20 gennaio. Con un discorso di semplicità apostolica, ma di quella cara eloquenza che era tutta sua, il Beato tenne per circa mezz'ora sospeso dal suo labbro il numeroso uditorio. Esordì coll'annunziare una speciale benedizione del Santo Padre ai Cooperatori e Cooperatrici e ai Missionari. Passò quindi a parlare dei Salesiani e delle Suore partiti di là negli anni antecedenti, narrando il bene da loro fatto, bene di cui dovevano pur rallegrarsi molti de' suoi uditori ed altre caritatevoli persone, per avervi contribuito con le loro limosine. Espose appresso quello che si stava per intraprendere a salvezza delle tribù infedeli vaganti nell'immensità della Pampa, della: Patagonia e della Terra del Fuoco. Ecco perché occorrevano sempre nuovi rinforzi di operai evangelici. [20] L'ultima parte fu per i partenti, dei quali mise in rilievo il sacrifizio nell'abbandonare tutto per amore di Gesù Cristo e delle anime da Lui redente. Infine, rivolto agli ascoltanti, disse: - Se essi espongono così a cimento la loro vita, deh! non ricusate di fare anche voi qualche sacrifizio. Preghiamo Dio che li aiuti e li consoli; ma chi può, li conforti pure con le sue limosine. Coopererete così alla divina gloria e alla salute delle anime, rendendovi degni del centuplo che Dio promette fin su questa terra a chi dà qualche cosa per amor suo e, quel che é più, porrete in salvo l'anima vostra. L'Unità del 23 scriveva:
“Sappiamo che le parole di Don Bosco non sono cadute sopra sterile terreno; poiché i caritatevoli Torinesi si mostrarono per lui e per la sua Missione degni strumenti della divina pietà.”
Partiti subito per Sampierdarena, non s'imbarcarono se non il 3 febbraio. Là si fece una festa intima in loro onore nella cappella dell'ospizio. Don Bosco dal pulpito diede tre ricordi: 1° Avrebbero trovato laggiù caratteri difficili e indisciplinati, coi quali dovevano usare carità, carità, carità. 2° Facesse ognuno il proprio dovere, affinché non avvenisse che uno lavorasse per tre e l'altro per nessuno. 3° Non guardassero ai difetti altrui; tutti ne abbiamo; scorgendone in Superiori, imitare i due buoni figli di Noè e non Cam. I partenti si divisero in due drappelli. Quei dell'Uruguay e della Spagna navigarono sull'Umberto I della Società Rocco e Piaggio, e quelli di Buenos Aires sopra il Sud America della Società Lavarello. Cediamo ora la penna a Don Cagliero, che scortava i primi[23].
Ci salutammo in porto salpando questi due ore prima di noi e noi due ore dopo della stessa sera, augurandoci reciprocamente una buona navigazione. Il mare era bellissimo e più bella la luna, sicché potemmo approdare l'indomani venerdì al porto di Marsiglia allegri come quando partiti e senza scherzi pel male di mare.
Tre giorni dovemmo rimanere ancorati in questo porto, anzi ci [21] toccò entrare nel bacino e porci al secco, onde cambiare l’elice. Perciò scendemmo tutti a terra il sabato (5) mattino e celebrammo nella cappella della nostra casa di Rue Beaujour.
Alla sera arrivò da Nizza Don Bosco, che ci aveva preceduti d'un giorno pel cammino di terra.
Don Bologna, quantunque piccolo, nei due giorni che alloggiammo da lui, si dimostrò grande in bontà, generosità ed amor fraterno! E che consolazione per noi Salesiani Lasciammo, é vero, dei cari confratelli in Italia, ma ne trovammo altri non meno cari in Francia. Lasciammo questi pure, ma ecco che se ne trovano ancora dei carissimi in America!
La domenica a sera tornammo a bordo ed il nostro caro padre, che diventa coraggioso quando si tratta di dar prova dell'affetto che ha pei figli suoi, vinse il più furioso dei venti mistrali, che scuotono piante, alberi, bastimenti e le stesse persone, per accompagnarci fino al bassin du radoub [alla dársena], lontano tre quarti d'ora dalla città.
Egli fu accolto dal signor Evasio Piaggio, proprietario del vapore Umberto I, dal Comandante e da altri ufficiali con riguardi, dimostrazioni di stima e di venerazione non comuni. Si conversò molto, servendolo di caffè e di spumante moscato con tutti quanti l'accompagnavano. Il signor Piaggio poi, persona compitissima non solo, ma buon cristiano, entusiasmato al racconto delle opere Salesiane d'Europa, Francia ed America, accettò con gratitudine di essere Cooperatore Salesiano, e più che mai affezionato a Don Bosco già, lo volle accompagnare fino al nostro compartimento, insieme al Capitano. Quivi raccolti tutti i Salesiani e le Suore di Maria Ausiliatrice con molti altri passeggieri ascoltammo i suoi ultimi avvisi di addio e ricevemmo la sua santa e paterna benedizione. Benedizione santa, perché commosse gli astanti; paterna, perché scese fino all'intimo del cuore di tutti i suoi figli, molti dei quali si rassegnarono a non più rivederlo che in paradiso!”
Essendo notte tarda ed infuriando sempre più il vento, lo portammo, il signor Piaggio da un lato e noi dall'altro, fino al molo, dove provvidenzialmente era giunta una vettura di nolo, portando... passeggiere. E dico provvidenzialmente, perché sarebbe stato impossibile esporsi a fare tutto quel tragitto a piedi in quell'ora e con la più terribile delle bufere[24]. [22] Il domani (lunedì 7) lo passammo ancora in secco; ma a notte, terminati i lavori dell'elice, si diede corso all'acqua del mare nel bacino per quattro cataratte, che mettevano con tale impetuosa corrente da darci una viva immagine di quelle che il Signore ruppe per inondare il mondo!
Alle quattro del mattino, spuntando l'aurora del martedì (8) uscimmo dal porto di Marsiglia in direzione a Barcellona. Fino ad ora i nostri viaggiatori non videro le furie di Nettuno; ma ci attendeva al golfo di Lione!… Cavalloni e vento, vento e cavalloni; montagne e valli di acqua, fiere onde che s'infrangono con altre onde, e tutte che si spezzano contro i fianchi della nave più fiera di loro... i marosi che assalgono di prora, altri che ci sollevano da poppa... lo scuotimento delle antenne ed il fischiar delle sartie, fu un tutto insieme, che spazzò in breve momento la tolda, e ci fece rintanare nelle nostre cabine ed accovacciare nelle cuccette... e poi... e poi quasi tutti pagando il tributo di nautica, più o meno con nausea e stomacati se non sventrati.
Ho detto quasi tutti, per mettere anche me, stavolta, ed unica, in tanti viaggi che feci in mare, tra le invidiate e veramente fortunate eccezioni.
A Barcellona entrammo ad ancorate in porto la sera dello stesso martedì, perché l'Umberto I corre 14 miglia per ora. Si lavorò tutta la notte e tutto il giorno del mercoledì seguente a fare carico. Noi quindi pensammo di scendere a terra. ed infatti fummo a visitare la veramente ammirabile antichità della cattedrale, lo scurolo di S. Eulalia ed il Crocefisso salvato alla battaglia di Lepanto, io, Don Piccono, D. Branda e Don Pane, e tornammo a bordo.
Nella sera del mercoledì al chiarore della bianca luna si fece vela (ma senza vele) per Gibilterra. Incontrammo di bel nuovo Eolo furioso al golfo di Valenza, che ci dondolò tutta la notte e ci condannò [23] al digiuno tutto un giorno. Nella notte dal giovedì al venerdì del 11 restammo sepolti nella nebbia, che fece rallentare il corso del vapore e fischiare tratto tratto la macchina, onde avvisare i barchi del suo passaggio ed evitare scontri probabili e disastrosi.
In tutto questo tratto di viaggio però, potemmo celebrare ogni mattina e dare la S. Comunione alle Suore e confratelli coadiutori. Nel resto della giornata si prega, si legge poco, si passeggia molto e si mangia sempre quando si può!... E’ la vita del Miclàs: mangé, beive e andé a spas!![25]. Nulla di serio si può fare in bastimento: si diventa ragazzi e sfaccendati e per giunta ridendo ognuno più o meno sul conto dell'altro, dopo d'essere stato colto a fare le smorfie emetiche.
In 48 ore da Barcellona ci trovammo nella baia di Gibilterra; pranzammo ancora tutti insieme la sera del venerdì, fermi ed ancorati in porto, ed a notte inoltrata ci demmo l'addio vicendevole, invocando propizia la Stella del Mare, Maria, ai cari confratelli, che proseguivano per il grande Oceano, ed a noi che avremmo costeggiato in piccolo battello fino a Cadice. Questo fu il quarto ed ultimo distacco sentito da più d'uno di noi.
I rimasti proseguirono per Montevideo, sotto la scorta di Don Angelo Piccono[26]; l'altro piccolo stuolo di due Salesiani e quattro Suore navigava già in pieno Oceano. Una fiera burrasca tenne questi e quelli per circa tre giorni in gran travaglio.
Mentre i poveri naviganti temevano per la propria vita, un periodico già tristamente noto, la Cronaca dei Tribunali, schizzò velenosa bava contro il nostro caro Don Bosco. Le aveva dato nei nervi soprattutto un articolo dell'Unità Cattolica intitolato “Potenza di un prete cattolico ed una commovente funzione in Torino” [27]; quindi sotto il vistoso titolo DON BOSCO E DON MARGOTTI lanciò contro l'uno e l'altro due colonne di prosa brutta e cattiva. Insultato villanamente il Direttore del giornale cattolico, dileggiava il Servo di Dio, mescolando con malignità alle beffe un'accusa e un'insinuazione, atte a renderlo odiosamente sospetto presso [24] le autorità governative. Infatti lo accusava di togliere i figli ai genitori, le fanciulle alle famiglie e le braccia alla patria; insinuava poi che fra i partenti ve ne potessero essere di obbligati al servizio militare, ma costretti contro lor voglia a sottrarvisi, abbandonassero clandestinamente l'Italia. E qui, falsando il vero, rievocava il così detto “caso Foglino”, terminato nel modo che sappiamo. La losca manovra era tanto più grave, perché si dibatteva allora dinanzi al Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione l'affare della chiusura del ginnasio nell'Oratorio. Il bellicoso Don Margotti avrà avuto una voglia matta di rendere pan per focaccia; ma nel suo giornale non fiatò, molto probabilmente perché Don Bosco, sempre nemico del battagliare, credette meglio lasciar morire nel silenzio la polemica[28].
Ai Missionari Don Bosco diede lettere per i confratelli di là. Era sua abitudine scrivere di proprio pugno tutti gli anni una letterina ai singoli Salesiani d'America, sacerdoti, chierici e coadiutori, non dimenticando nessuno. Così continuò a fare finché poté, cioè fino al 1884. Abbiamo un saggio prezioso di tale corrispondenza in nove lettere che abbiamo potuto rintracciare, recanti tutte la data del 31 gennaio 1881. Le riproduciamo con qualche riga di presentazione.
A Don Costamagna, recentemente eletto Ispettore al posto del defunto Don Bodratto, impartisce istruzioni per l'assetto ecclesiastico da dare subito alla Patagonia, prima che, procedendosi innanzi nell'opera missionaria, nascano complicazioni; gli traccia inoltre brevemente la linea di condotta che ha da seguire nel suo nuovo ufficio. [25]
Più volte ho ricevuto tue notizie e tue lettere. Va tutto bene. A sereno con qualche nuvola. E’ questa la natura delle cose della terra. Riceverai cose, compagni e lettere. Fanne la distribuzione.
Noi faremo quel che possiamo per saldare i debiti comuni; voi fate altrettanto. Quest'anno, spero, le cose nostre piegheranno bene.
E' di molta importanza l'affare di una Prefettura o di un Vicariato Apostolico nella Patagonia. Il Santo Padre lo desidera e lo raccomanda; é cosa di nostro vantaggio. Giacché senza di ciò non potremo avere l'appoggio della Propaganda Fide di Roma, né della Propagazione della Fede in Lione, né della S. Infanzia. Pare che né Don Bodratto, né tu non ne conosciate l'importanza.
Le nostre notizie avrai da altri. Io mi limito a dirti: Tu vero vigila, in omnibus labora, sicut bonus miles Christi.
Ma non dimenticare che siamo Salesiani. Sal et lux. Sale della dolcezza, della pazienza, della carità. Luce in tutte le azioni esterne, ut omnes videant opera nostra bona et glorificent Patrem nostrum qui in coelis est.
Mi farai un cordialissimo saluto al sig. deputato Frias, al Dott. Carranza ed al sig. Gazzolo se hai occasione di vederli.
Dio benedica te, tutti i nostri cari confratelli, tutte le nostre opere, affinché ogni cosa sia sempre ed unicamente alla maggior gloria di Dio. Amen.
Prega sempre per me che di tutto cuore ti sono in G. C.
PS. Interpreta i miei pensieri e fa da parte mia un sermoncino alle nostre suore.
Il Capitolo superiore ti ha definitivamente eletto Ispettore Americano e ti sarà spedito quanto prima il decreto: ciò per norma di santificarti e di santificare.
A Don Vespignani, che aveva la cura dei novizi e dirigeva di fatto la casa di San Carlo in Almagro, invia auguri, consigli e notizie di famiglia.
Mio carissimo D. Vespignani Giuseppe,
Più volte ho ricevuto di tue lettere e sempre con grande piacere. Benedico il Signore che ti dia sufficiente sanità per lavorare in questo universale bisogno. Dio faccia che tu possa farmi numerosa schiera di aspiranti, di poi ascritti, di poi professi, di poi fervidissimi Salesiani. [26] Dirai a' tuoi e miei cari allievi che questo loro amico dall'Europa manda un consiglio per essere felici: Fuggite il peccato e frequentate la santa Comunione. Tu ne farai la spiegazione.
Ho notizie de' tuoi parenti che stanno bene. Tuo fratello chierico è animato e vuole divenire un buon Salesiano.
Dio ti benedica, o mio caro Don Giuseppe, e ti conservi in buona salute e prega per me che ti sarò sempre in G. C.
A Don Tomatis, succeduto a Don Fagnano nella direzione della casa di San Nicolás de los Arroyos, dà una paterna tiratina d'orecchi, perché gli fa sospirare troppo sue notizie. Il Beato annetteva grande importanza alla corrispondenza epistolare specialmente dei Superiori, per mezzo dei quali esercitava meglio così il suo salutare influsso sulle loro case. Il fratello qui menzionato era gesuita.
Mio carissimo D. Tomatis Domenico,
Qualche volta ho ricevuto di tue lettere con gran piacere, ma troppo di rado. Tuo zio P. Tomatis fa lo stesso lamento.
Dunque procura che una volta al mese io abbia di tue notizie e di quelle di tua casa.
So che hai molto da fare e questo ti serve di scusa, io l'ammetto; tuttavia l'affezione che ti porto mi fa ardentemente desiderare di essere a giorno delle cose che ti riguardano.
Mi fu detto che le faccende finanziarie di S. Nicolas si vanno sistemando. Benissimo. Ti faremo dare la croce della corona... di gloria, quando Dio ti chiamerà al cielo.
Noi qui ti vogliamo sempre bene e spesso parliamo di te e delle tue prodezze poetiche. Io poi non ti dimentico mai nella S. Messa e credo che tu pure non dimenticherai l'antico amico dell'anima tua.
Nel tuo particolare ti raccomando l'osservanza di quelle regole con cui ci siamo consacrati al Signore, specialmente l'esercizio mensile della Buona Morte.
Ai tuoi giovani dirai che io prego per loro e che ricordino sempre che il tempo é un gran tesoro e si guardino dal perderne anche un bricciolo. [27] Dio ti benedica, o mio caro Don Tomatis. Dio ti conservi in buona salute e nella sua santa grazia e prega per me che ti sarò sempre in G. C.
PS. Il capitolo Superiore ha definitivamente eletto Don Costamagna ad Ispettore Americano. Puoi darne comunicazione a chi di ragione.
Per Don Remotti, unico sacerdote addetto alla chiesa di Mater Misericordiae in Buenos Aires e quindi stracarico di lavoro, trova espressioni, che sotto la sua penna acquistano una forza straordinaria d'incoraggiamento.
Ho ricevuto più volte tue lettere sempre con grande piacere. Scrivimi più sovente, ma lettere lunghe. So però che lavori e questo serva di scusa. Mentre però ti occupi delle anime altrui non dimenticare la tua. L'esercizio della Buona Morte una volta al mese non sia mai dimenticato.
Le cose nostre qui camminano a passo di gigante. Quando abbiamo un Salesiano capace vi sono due case che lo vogliono, e talvolta si é costretti di dare piante tenerissime. Perciò devi pregare molto che Dio ce le faccia fruttare.
Dio ti benedica, mio caro Don Remotti, sempre pupilla dell'occhio mio. Lavora, il premio é preparato, il cielo ci attende. Ibi nostra fixa sint corda, ubi vera sunt gaudia.
Prega per me che ti sarò sempre ma di cuore in G. C.
Al chierico Giuseppe Gioachino Quaranta[29], della casa di San Nicolás, manda quasi il formulario per il suo rendiconto spirituale, preceduto e seguito da espressioni, che dovrebbero procurargli per un momento l'illusione di essere, come un tempo, in filiale colloquio col padre della sua anima. [28]
Ho avuto notizie che sei bene in salute e che fai quello che puoi. Ciò mi fa gran piacere. Studio e pietà ti faranno un vero Salesiano. Ma non dimenticare che tu devi mettere al sicuro l'anima tua e poi occuparti di salvare le anime del prossimo.
L'esercizio della buona morte e la frequente comunione sono la chiave di tutto. Di sanità stai bene adesso? Ti fai veramente buono? La tua vocazione si conserva? Ti pare di essere preparato per le ordinazioni? Ecco il tema di una tua lettera che attendo.
Dio ti benedica, o mio caro 40, fatti animo e prega per me che ti sarò sempre in G. C.
Molto incoraggianti sono pure le due letterine ai chierici Antonio Paseri, della casa di San Carlo a Buenos Aires, e Antonio Peretto della casa di Las Piedras nell'Uruguay.
Tu, o mio caro Paseri, sei sempre stato la delizia del mio cuore, ed ora ti amo ancora più perché ti sei totalmente dedicato alle missioni, che é quanto dire: hai abbandonato tutto per consacrarti tutto al guadagno delle anime.
Coraggio adunque, o mio caro Paseri. Preparati ad essere un buon prete un santo Salesiano. Io pregherò molto per te, ma tu non dimenticare questo tuo amico dell'anima.
La grazia di N. S. G. C. sia sempre con noi e ci renda forti nelle tentazioni e ci assicuri la via del cielo.
Prega per me che ti sarò sempre nei Sacri Cuori di G. e di M.
Non dubito che tu sarai sempre il ch. Peretto, quell'amico di Don Bosco che volevi aiutarmi a guadagnare molte anime al Signore. Ora ti sei gettato nell'impresa. Dunque praebe te ipsum exemplum bonorum operum. In omnibus labora, opus fac evangelistae, et Dominus dabit incrementum plantationibus tuis.
Dio ti benedica, o sempre caro mio Peretto, Dio ti conservi nella sua santa grazia e prega per me che ti sarò sempre in G. C.
Con il coadiutore Sappa, ortolano, scherza sul cognome (sápé e sapa in piemontese vogliono dire “zappare” e “zappa”) traendone un suggerimento buono per lui, che pativa un po' di nevrastenia.
Procura, o mio caro, di derivare il tuo nome da sapere e non da zappare e le cose cammineranno bene. Ho avuto più volte tue notizie. Fa' che siano sempre buone come nel passato. Lavoro ed obbedienza saranno la tua fortuna.
Dio ti aiuti a dar sempre buono esempio; prega Dio per me ed io pregherò anche per te, perché ti voglio essere per sempre in Gesù Cristo
Al coadiutore Carlo Audisio, gran lavoratore e venuto su dall'antico oratorio festivo, ripete antiche raccomandazioni.
L'antico amico dell'anima tua ti manda un saluto, e ti raccomanda di non mai dimenticare la eterna salvezza dell'anima. Lavora, ma lavora pel Cielo.
Esattezza nelle pratiche di pietà, ecco tutto. L'ubbidienza poi é la chiave di tutte le virtù
Dio ti benedica, o caro Audisio, Dio ti conservi sempre nella sua santa grazia, e prega per me che ti sarò sempre in G. C.
Affettuosa e paterna é quest'altra al chierico Bartolomeo Panaro, che si trovava nel collegio di San Nicolàs de los Arroyos. Diventò un grande missionario. Dal 1884, quando ricevette l'ordinazione sacerdotale, fino al 1918, anno della sua morte, visse vita di apostolato, collaboratore strenuo prima di Don Fagnano nell'evangelizzazione dei numerosi selvaggi che popolavano le sponde del Rio Negro, e poi di Don Milanesio nel creare a Chosmalal il primo centro civile delle Ande patagoniche.[30]
O mio caro Panaro, che fai? Vai avanti nello studio e nella pietà? Io lo spero e perciò ti raccomando di continuare a costo di qualunque sacrifizio. Ma non dimenticare il premio grande che Dio tiene già per noi preparato in cielo.
Ubbidienza e l'esercizio della Buona Morte costantemente. Ecco tutto.
Dio ti benedica, o sempre caro mio Panaro, sii il modello dei Salesiani e prega per me che ti sarò in G. C.
Com'é graziosa quest'ultima letterina al chierico Pietro Calcagno! Stava nel collegio di Villa Colón a Montevideo. Guidò poi l'ultima spedizione fatta da Don Bosco il 6 dicembre 1887 e diretta all'Equatore.
Sei sempre buono, o mio caro Calcagno?, Io spero di sì. Ma non volgere indietro lo sguardo. Miriamo il cielo che ci attende. Là abbiamo un gran premio preparato. Lavora, guadagna anime e salvami la tua. Sobrietà ed obbedienza per te sono tutto. Scrivimi sovente. Dio ti benedica e ti conservi sempre nella sua santa grazia e prega per chi ti sarà sempre in G. C.
A proposito di queste lettere Don Vespignani scrive in una sua memoria dattilografata: “Sul principio di questo anno [1881] giunse un prezioso regalo a ciascuno dei Salesiani d'America, e fu una lettera autografa di Don Bosco, il quale a ognuno diceva una parola d'incoraggiamento e di consiglio, che fu per tutti un grande stimolo alla perseveranza, molto più che per gli esercizi e per i passati successi poteva quella chiamarsi l'epoca del risorgimento dello spirito salesiano nella nostra Ispettoria, e quindi il cuore riceveva bene l'impressione della grazia e gli avvisi del cielo”. Quelle lettere giunsero in carnevale. Don Costamagna informa che i destinatari “le leggevano e rileggevano anche nel teatrino, non [31] curandosi delle ridicole scene che si rappresentavano[30]”. Agli uruguaiani le consegnò Don Piccono, il quale fa sapere che anche là i preziosi autografi apportarono grande contentezza e venivano baciati con le lacrime agli occhi[31].
Poco avanti che i nuovi rinforzi arrivassero a Montevideo, monsignor Vera aveva voluto ad ogni costo che i Salesiani accettassero la parrocchia di Paysandú, antica città adagiata sulla sponda sinistra del gran fiume Uruguay, con venticinque mila abitanti e una chiesa sola. La corruzione e l'immoralità vi traboccavano. Per contentare il Vescovo bisognò che coloro, i quali avrebbero dovuto alleggerire le fatiche ai confratelli dell'Uruguay, sostituissero quelli destinati a Paysandú. Non basta: ad aggravare le disagiate condizioni sopravvenne la malattia del direttore Don Lasagna. Travagliato da dolori interni, egli sul finire di marzo dovette arrendersi agli ordini dei medici, che gli prescrissero una dolorosa e difficilissima operazione, consigliandogli di recarsi per questo in Italia. Partì il 10 maggio. Della sua venuta Don Bosco ragguaglia la contessa Callori in una lettera del 21 luglio.
Non ho più saputo notizie di sua sanità, nemmeno se sia a Vignale o altrove. Se avesse la bontà di farmi dare notizie da qualcuno, se Ella non potesse, mi farebbe veramente piacere, tanto più che so avere alquanto sofferto nel suo viaggio da Torino a Vignale.
Io non so darmi ragione. Spesso ad una sola e breve preghiera Dio concede grazie non ordinarie. Per lei si é pregato e si continua a pregare mattino e sera dai nostri 80.000 ragazzi e finora non so che cosa siasi ottenuto. Povero Don Bosco! Ha perduto tutto il suo credito presso al Signore.
E’ giunto Don Lasagna dall'Uruguay per rinforzarsi alquanto la. sanità, e fornirsi di cooperatori per ritornare poi al suo campo evangelico dove la messe é moltissima e gli operai pochissimi. Egli ha tosto fatto domanda di Lei e della sua famiglia e desidera di andarle a fare una visita da Montemagno ove si recherà alla metà di questa settimana. [32]
Spero che tutta la sua famiglia goda buona salute e che Ella pure andrà migliorando ed io prego Dio che la dia perfetta a tutti e tutti li conservi nella sua santa grazia.
La ringrazio della generosa carità fattami per mano di Don Cagliero. Spero che almeno questo centuplo non le mancherà. Lo stesso Don Cagliero mi partecipò come la S. V. non avrebbe dimenticata la Chiesa del Sacro Cuore di Roma. E’ disposta ad accettare la carica di collettrice a nome del Santo Padre? Giudica che io possa offrire tale carica al Sig. Conte Rainero come cameriere di spada e cappa? Se mi dice una parola in proposito mi farà un favore.
Dio la benedica e voglia anche pregare per questo poverello che le sarà sempre in G. C.
Don Lasagna non fu in grado di sottoporsi all'operazione se non verso l'ottobre. Allora entrò nell'Ospedale Mauriziano, dove ebbe la gradita sorpresa di ravvisare fra i dottori operanti un suo affezionato ex - allievo di Lanzo. Questo lo rincorò alquanto, non però fino al punto da rassicurarlo interamente. Don Bosco, saputo de' suoi timori, gli fece dire con sicurezza che doveva tornare presto in America, dove lo attendeva un'altra importantissima missione. Infatti l'atto operatorio ebbe esito felicissimo; Don Bosco ne parla in due lettere dell'ottobre a Don Costamagna.
Poche parole per fare a te ed ai nostri cari figli Salesiani e Salesiane un cordialissimo saluto nel Signore.
Don Lasagna va acquistando di forze ma si trova sempre lontano dall'antica robustezza. Tuttavia il suo desiderio di essere utile alla Congregazione lo spinge a fare ritorno al campo dell'azione. Egli é veramente buono. Parla bene di tutti principalmente di te e questo mi fa piacere. Don Cagliero ti ha scritto, per averne il tuo sentimento, sulle modificazioni che paiono convenienti nella Ispettoria Americana, specialmente ora che apriamo case nel Brasile. In ogni cosa però desidero seguire il tuo parere.
La cosa che preme e che con qualche impazienza attende il Santo Padre, é la pratica della Prefettura, o Vicariato Apostolico nella Patagonia. Io debbo fare al medesimo una risposta formale sul parere [33] del Governo e dell'Arcivescovo. Si é già fatto qualche cosa o che tutto dorme?
Dammi dunque un ragguaglio positivo da presentare al Santo Padre, che desidera occuparsene egli stesso personalmente.
Non so darmi ragione di Don Tomatis. Egli ha obbligo di scrivere e fare scrivere al Superiore intorno al personale del suo collegio. Dimmi lo stato morale, materiale e speranze o timori delle cose nostre. Senza di questo non possiamo camminare se non fra le incertezze. Pure io ne so più niente.
Dio ci benedica tutti e de' Salesiani faccia altrettanti santi, e di te un santone. Pregate per me che vi sarò sempre in G. C.
Nota. Don Bonetti e Don Bertello predicano gli esercizi a cento settanta novizi che si preparano a fare i voti pel giorno 3 del corrente. Quanti missionari!
Ti mando qui una impresa a compiersi. Tu potrai servirti di qualcuno. Me ne manderai il risultato che comunicherò alla persona che fa anche un po' di bene ai nostri figli in America.
Giovedì ultimo fecero una delle più serie operazioni al caro nostro Don Lasagna. Per due giorni fece temere assai. Ora é meglio ed i medici ce lo dànno fuori di pericolo.
Gli altri confratelli d'Europa, grazie a Dio, sono in buona salute.
Fa' un cordialissimo saluto a tutti i nostri figli di America e loro allievi, e pregate molto per me, perché ho gravi e difficili affari tra mano che richiedono lumi speciali dal cielo.
Dio ci benedica tutti e ci conservi nella sua santa grazia. Amen.
Mentre aspettava l'atto chirurgico, l'operoso uomo non era stato con le mani alla cintola, ma si era dato d'attorno per cercare aiutanti e mezzi e in pari tempo aveva studiato il modo di attuare un suo disegno. Vagheggiava da lunga pezza l'idea di stabilire un Osservatorio meteorologico nel collegio Pio di Villa Colón. Dotato di larghe vedute, comprendeva quanto vantaggio sarebbe derivato laggiù alla sua missione dal favorire in quel modo il progresso delle scienze fisiche.[34]
Il collegio Pio occupava un'ottima posizione per erigervi una specola, donde esplorare i fenomeni atmosferici per comunicare poi i risultati alle Società d'America e d'Europa, che promovevano l'incremento della meteorologia.
C'era in Italia, anzi a pochi passi da Torino un uomo di fama mondiale in questo ramo scientifico, il padre Francesco Denza, barnabita, Direttore dell'Osservatorio del collegio Carlo Alberto in Moncalieri. Don Lasagna andò da lui e come suol avvenire negli scambi d'idee fra persone di gran levatura, in quei colloqui il suo disegno prese assai più vaste proporzioni, Si trattò infatti di stabilire una rete meteorologica nell'America del Sud con il centro nell'Osservatorio di Montevideo e di affidarne la cura ai Salesiani. Il padre Denza fece parola del progetto nel terzo Congresso Geografico, tenutosi di lì a poco in Venezia, ottenendo che vi si formulasse un voto nel senso desiderato. Avuto questo primo successo, conferì della cosa con Don Bosco, il quale, com'ei già si aspettava, condiscese di buon grado. Allora compilò una relazione in nome del terzo gruppo, che nel Congresso aveva discusso i problemi inerenti alla meteorologia[32], e la trasmise al Comitato direttivo dell'Associazione meteorologica. Questo Comitato, appresa “la generosa esibizione” fatta da Don Bosco, glie ne attestò “la sua più sentita e riconoscente soddisfazione”, esprimendogli insieme “i più sinceri rallegramenti per la iniziativa di un'opera coraggiosa in apparenza difficile non poco, ma pure cotanto vantaggiosa per la fisica del globo”[33]. Tale fu l'origine dell'Osservatorio meteorologico di Montevideo, del quale ci accadrà ancora di parlare nel seguito della nostra storia.
Nel mese di giugno Don Lasagna aveva avuto il dolore di apprendere la morte fulminea di monsignor Vera, suo grande amico e buon padre dei Salesiani in quella [35] repubblica[34], poi, poco prima di ripartire per l'America, ricevette la lieta novella, che Leone XIII aveva dato al defunto Presule un degno successore nella persona di monsignor Innocenzo Yeregui, amicissimo dei Salesiani, come altrove si é narrato. Perciò con maggior alacrità attese a ultimare i preparativi per la partenza.
Non é possibile precisare se prima o dopo l'operazione, Don Lasagna, accompagnando il Servo di Dio nella Liguria, fu testimonio di un atto, quale solamente i Santi sono capaci di compiere. Monsignor Boraggíni, Vescovo di Savona, aveva avuto un urto col Direttore di Varazze Don Monateri, perché questi non aveva creduto bene di mandare, come Sua Eccellenza desiderava, un prete del collegio a una chiesa di montagna dietro la città, per non sappiamo che abituale servizio religioso, c'era anche di mezzo qualche controversia per diritti parrocchiali. Don Monateri però aveva ragione. Ora Don Bosco, andato con Don Lasagna a visitare il Vescovo, appena gli fu dinanzi, s'inginocchiò per terra con ambe le ginocchia e a mani giunte e in tono supplichevole gli disse: - Monsignore, le domando perdono dei dispiaceri che le ha dati Don. Monateri, Direttore del collegio di Varazze.
- Ma si alzi, Don Bosco, che cosa fa? che cosa fa? fece prontamente il Vescovo.
- Io non mi alzo, se prima non mi dice che lei lo perdona.
- Sì, sì, perdono, perdono! Ma lei si alzi.
Allora Don Bosco si alzò, e tutt'e due si abbracciarono[35].
Il mese di ottobre apportava frattanto a Don Bosco una ineffabile consolazione. Un pellegrinaggio argentino, guidato da monsignor Antonio Espinosa, Vicario Generale di Buenos [36] Aires, era venuto in Italia per rendere omaggio al Vicario di Gesù Cristo. Orbene il Santo Padre nel discorso pubblicamente a loro rivolto, dopo aver data lode allo zelo dei Vescovi argentini e del loro clero, proferì queste espressioni: “Né lasciano di spiegare la più viva sollecitudine per condurre a vita cristiana e civile le tribù ancora selvagge della Patagonia, in mezzo alle quali, mercé il concorso di religiosi zelanti, si stabiliscono a tal uopo nuove Missioni”[36]. E nel colloquio che segui, avendo monsignor Espinosa riferito al Papa quello che i Salesiani facevano nella Repubblica e specialmente nella Patagonia, Sua Santità gli disse: “Quando abbiamo inteso che gli alunni di Don Bosco assumevano la Missione della Patagonia, il nostro cuore si aperse alla più lieta speranza sull'avvenire di quei poveri selvaggi”[37]. Queste solenni testimonianze procurarono un momento di vera gioia al cuore del nostro buon Padre.
Nelle Missioni patagoniche si facevano reali progressi. Il loro capo Don Giuseppe Fagnano, uomo intraprendente e intrepido, vi spingeva innanzi a tutto potere l'evengelizzazione degli Indi. Era però molto difficile raggiungerli, perché aborrivano i bianchi e al loro avvicinarsi o fuggivano o brandivano le armi. Nel mese di aprile il Governo argentino, che temeva sempre la preponderanza del Chilì sulla Patagonia, aveva mandato il generale Villegas con duemila soldati contro le guerriere tribù dei Sayueques, le quali con le loro scorrerie e saccheggi seminavano il terrore nelle contrade all'intorno. Don Fagnano, montato anche lui a cavallo, prese parte alla spedizione, scorrendo in lungo e in largo quelle sconfinate pianure per rintracciare gli Indi pacifici e spauriti, rassicurarli, farsene protettore, istruirli e battezzarli. Fu tutta una storia di faticosissime e strane avventure, che ebbero per teatro le adiacenze del lago Nahuél - Huapì, da cui nasce il fiume Limay, principale affluente del Rio Negro.[37]
Un'altra missione intraprese fra l'ottobre e il novembre , raggiungendo due tribù di Indi, che si erano piantati a quattrocento chilometri da Patagónes. Vi ottenne qualche frutto; ma purtroppo la vicinanza di un accampamento militare costituiva un grave intoppo, fra l'altro, per causa dei liquori e delle conseguenti ubbriachezze e relativi disordini. Nel percorrere le rive del Rio Negro incontrò parecchie famiglie di coloni cristiani, ai quali fece un po' di bene. “Ah, caro Don Bosco, scriveva il 10 novembre, se fossimo in più, quanto bene si potrebbe fare!”
Ma torniamo a Don Lasagna. Durante il suo soggiorno in Italia Don Bosco si era venuto formando un giusto concetto delle condizioni e dei bisogni delle case aperte nell'Uruguay; aveva potuto anche vedere da vicino la virtù, la prudenza e il tatto di quel suo carissimo figlio. Parendogli pertanto opportuno creare nell'Uruguay una provincia a sé, ne nominò lui Ispettore, tanto più che l'anno seguente bisognava fondare una casa nel Brasile ed egli possedeva tutte le qualità necessarie per introdurre ed estendere l'opera salesiana in quell'immenso impero. Né lo rimandò solo, ma gli diede un drappello di compagni, da ripartirsi fra l'Uruguay e l'Argentina.
Il Beato non volle spedirli alla chetichella, quasi l'avessero impaurito le ringhiose minacce dell'altra volta. A taluno poté anche parere che fosse troppo presto per rinnovare la solennità dell'addio; ma il fatto dimostrò vano ogni timore. Il 10 dicembre fu il giorno della cerimonia: una giornataccia di vento, di freddo e di neve; eppure la chiesa si riempì. Dopo la lettura dell'Enciclica Sancta Dei civitas, da noi citata sul principio di questo capo, disse brevi parole Don Bosco per informare i Cooperatori e le Cooperatrici sui progressi fatti dalla Congregazione nel volgente anno, sui frutti conseguiti nelle Missioni e sullo stato dei lavori per le chiese di San Giovanni Evangelista in Torino e del Sacro Cuore in Roma; cedette quindi il posto a Don Lasagna, che intrattenne da pari suo l'uditorio sulla vita dei Missionari Salesiani.[38]
I partenti erano otto, ma due aspettavano i compagni a Marsiglia, dove tutti si dovevano imbarcare. Don Bosco per animarli al viaggio e per dare a Don Lasagna ancora un segno del suo paterno affetto, volle che Don Lemoyne, già Direttore di lui, li accompagnasse fino a Marsiglia. Di là sul France dei Trasporti Marittimi salparono il 15 gennaio. La traversata passò senza incidenti. A Villa Colón Don Lasagna trovò i Confratelli adunati per gli esercizi spirituali, essendo quello il tempo delle vacanze estive. Predicò egli stesso con l'ardore, la pietà e il verace spirito salesiano novellamente attinto al gran cuore di Don Bosco.
Prima che finisse l'anno, il Servo di Dio ricevette con giubilo la visita di monsignor Espinosa. Giunse egli con due compagni la vigilia di Natale. Don Bosco, felice di conoscere personalmente l'amico sincero de' suoi figli argentini, nulla risparmiò perché il suo soggiorno a Torino trascorresse lieto. Gli ospiti fecero anche una gita a San Benigno, accolti con una bella accademia. Il 4 gennaio si rimisero in viaggio per la Francia.
Monsignor Espinosa era latore di due lettere del suo Arcivescovo per Don Bosco, una in spagnuolo e l'altra in italiano, datate da Buenos Aires il 24 agosto. L'illustre Prelato scriveva nella prima: “Dica a' suoi giovani, dei quali alcuni io conosco forse ancora, che si ricordino di me nelle loro orazioni e specialmente nell'allegria che proveranno all'arrivo de' miei pellegrini. A' suoi Reverendi Sacerdoti raccomandi che preghino molto per i loro fratelli di qui, i quali vanno aumentando di numero e fanno molto bene. Nel Congresso Nazionale trattasi di autorizzare il Governo ad accordarsi col Santo Padre intorno alla divisione dei Vescovadi. Questa sarà occasione propizia per istituire un Vicariato Apostolico nella Patagonia da affidarsi alla cura de' suoi zelanti Missionari. Desidero ardentemente che questo si possa conseguire, ma non sono senza timore. Le orazioni de' suoi buoni figliuoli possono ottenere questa grazia, che sarà pure feconda [39] di molti benefizi temporali. Continuerò a dare a V. R. notizie intorno a questo affare. I suoi Missionari, come anche le Suore di Maria Ausiliatrice, che sono presentemente qui, mi sono di grande aiuto e conforto. Ne rendo perciò lode al Signore, ed a V. R. ringraziamento e felicitazioni.” Nell'altra lettera aggiungeva: “Ai tre preti che vi erano alla Patagonia, ne hanno aggiunto in questi giorni un altro per il grande e profittevole lavoro, che hanno in quelle lontane regioni. Sempre ricordo con piacere i giorni trascorsi nella sua dolce compagnia nel 1877.”
Una terza lettera, trasmessa da Don Costamagna e arrivata a Torino per Natale, era di monsignor Yeregui, che prima ancora di prendere possesso della sua diocesi di Montevideo aveva sentito il bisogno di manifestare i sensi dell'animo suo al Superiore dei Salesiani in America. “Vostra Riverenza sappia, gli diceva[38], che i Salesiani occuperanno sempre nel mio cuore un posto distinto, e che per loro io farò quanto sarà in mio potere, affinché cresca sempre il numero di così buoni operai ed il frutto delle loro imprese. Desidero che V. S. mi usi tutta la confidenza e mi manifesti quanto di bene posso io fare per loro; poiché in tutto ciò che da me dipende, essi possono contare sopra di me, come sopra di un buon amico. Involontaria dimenticanza fu la cagione, per cui non l'ho ringraziata di avermi nominato Cooperatore Salesiano, il che ora intendo di fare col professarmele sommamente grato.”
Testimonianze così calde e sincere venivano a dare particolar risalto alle parole dette dal Papa. Con queste care consolazioni si chiudeva per Don Bosco il travagliato 1881. La divina Provvidenza gli temperava con qualche stilla di dolcezza l'amaro calice, che gli era pur forza tracannare.
IL BEATO Don Bosco era desideratissimo a Marsiglia, non solo per i trambusti dell'anno precedente, ma anche per le nuove costruzioni che importavano debiti sempre maggiori e richiedevano disposizioni per il prossimo avvenire. Più volte al suo buon volere di recarvisi avevano posto ostacolo le circostanze; ma finalmente con gli auguri natalizi poté annunziare il suo viaggio per i primi di febbraio. Non si viveva del tutto sicuri da qualche brutta sorpresa per parte delle autorità governative, poiché nei giornali massonici la campagna contro i religiosi non era definitivamente chiusa; tuttavia gli amici mettevano il cuore in pace, dicendo: Dom Bosco va arriver et lui [à l'oratoire] apportera la puissante intervention de sa sainteté[39].
Partito da Genova per terra il giorno avanti che i Missionari pigliassero il mare e riposatosi un po' a Nizza, giunse a Marsiglia la sera del 5 febbraio. Gli era compagno Don Celestino Durando, Consigliere Scolastico generale, ch'ei conduceva seco, perché osservasse e regolasse nelle case l'andamento degli studi. Si prese pure da San Benigno un chierico, Giulio Reimbeau, parente degli Harmel, che gli doveva fare da segretario. [41]
Quella sera stessa volle compiere un'opera di carità. Abbiamo già fatto menzione del celebre padre Pio Mortara, canonico lateranense[40]. I decreti di ostracismo contro gli Ordini religiosi, mandati ad effetto il 31 ottobre 1880, l'avevano colto a Marsiglia gravemente ammalato nel collegio Saint - Louis presso i Fatebenefratelli, sicché non sapeva dove rifugiarsi, potendo la sua presenza compromettere quei frati ospitalieri. La Provvidenza mosse allora la religiosissima signora Marcoselles, da lui già conosciuta a Roma nel 1869, a offrirgli generosa ospitalità nella propria dimora in Rue de Rome. Là il male si aggravò tanto che egli fu forzato a non lasciare più il letto. Ragioni di prudenza consigliavano di occultare il suo rifugio, potendogli in quei giorni nefasti toccare qualche molestia, anche perché, come si disse altrove, era stato dichiarato in Italia renitente alla leva. Per questo il Direttore Don Bologna si recava di nascosto a visitarlo e in casa nessun altro sapeva che egli fosse da quelle parti.
Ora Don Bosco, informato del desiderio che l'infermo aveva di vederlo, pensò di appagarlo senza indugio. Il recarvisi così a tarda sera favoriva il segreto; e poi, se avesse rimandato, non vi sarebbe forse più potuto andare o non sarebbe giunto fino a lui senza dare nell'occhio. Ecco dunque in che modo il padre Mortara narra la visita del Beato[41]: “Dal Rev. Don Bologna, mio carissimo amico, Direttore dell'oratorio di San Leone, che mi visitava prodigandomi i soccorsi spirituali di cui io abbisognava, seppi che Don Bosco si trovava a Marsiglia. Mostrai gran brama di vederlo, sperando che egli mi otterrebbe la guarigione. Un giorno difatti, il 5 febbraio, il venerabile sacerdote si recava da me. Io implorai la sua benedizione e lo pregai d'intercedere per me presso Dio affine di ottenermi la grazia desiderata, per [42] adoperarmi per la sua gloria e convertire la mia cara madre (che purtroppo passò all'eterna vita il 17 ottobre 1896). Egli rispose esortandomi alla pazienza e rassegnazione ed a fare il sacrifizio della mia vita, se ciò a Dio piacesse. Quanto a mia madre, le mie preghiere sarebbero più efficaci nel cielo. Mi benedisse di nuovo e si congedò. Io non vidi più Don Bosco e pochi anni dopo ebbi la notizia della sua morte in odore di santità. Una fondata speranza mi sorride che l'uomo di Dio che tanto mi favorì in vita, seguiterà a benedirmi e a pregare per me nella sede di gloria che certo egli avrà conseguito.” Alludendo a questa visita diceva in una lettera del 1884 a Don Bosco: “Quando Ella mi onorò di una sua visita a Marsiglia in casa delle signore Marcoselles, mi disse che il Signore poteva sospendere il decreto di morte già emanato per me. Il decreto fu sospeso, Ella me lo fece ritirare, ed ora guai a me se la vita che mi resta non la impiego tutta ad edificare, difendere e dilatare il mistico regno di Dio.”
Don Bosco trovò l'oratorio di San Leone interamente trasformato e quadruplicato. Nulla in antecedenza erasi detto né scritto della sua venuta anche per evitare pubblicità pericolose; eppure due giorni dopo persone d'ogni genere ingombravano la casa in quasi tutte le ore. Si previde facilmente che egli avrebbe dovuto faticare moltissimo; onde il Direttore pregava Don Rua, che lo raccomandasse alle preghiere dei giovani, affinché non avesse a soffrire troppo per gli strapazzi inevitabili. Molti volevano avere il suo ritratto. Un benemerito signore, invitatolo a pranzo, ottenne che egli posasse con cintura e rabat alla francese; ma poiché si sapeva quanto di rado si riuscisse a riprodurne bene la fisionomia lo fotografò in cinque atteggiamenti diversi[42]. Dà egli stesso qualche ragguaglio di sé in una letterina al suo segretario, rimasto all'Oratorio.[43]
Se puoi avere copia della dispensa dei voti di Don Pirro procura di mandarmela che ne ho bisogno.
Cose nostre ben avviate, molto bisogno di preghiere; dillo a Caroglio[43] e a' suoi briganti. Non ho più avuto notizie dell'Oratorio.
Sanità buona, ma stanchissimo.
Dio ti faccia santo come Giobbe, ed amami in Gesù Cristo.
Da una lettera a Don Bonetti con la medesima data apprendiamo che il pensiero della chiesa del Sacro Cuore lo accompagnava nel suo viaggio; gli manda infatti la minuta di tre circolari, delle quali diremo più innanzi, da spedirsi ai giornalisti, ai Vescovi e ai collettori delle offerte.
Non so se abbi ricevuto relazione della dimora e partenza dei nostri missionari da Marsiglia; é materia ottima pel nostro Bollettino.
Vi acchiudo la lettera per i giornali ed un'altra per i Vescovi. C'é l'italiano e il francese fatto da Reimbeau. Leggi, correggi, e spedisci: procura le altre traduzioni. Sarà bene che nella dichiarazione per i signori collettori si aggiunga: Sono pregati di far pervenire a destinazione almeno ogni tre - settimane? mesi? - il danaro che loro fosse dato di raccogliere dalla carità dei fedeli.
Niuna notizia né dall'Oratorio, né da altra parte del mondo.
Le cose nostre procedono assai bene: molto bisogno di preghiere. Dio ci benedica tutti ed abbimi in G. C.
Marseille, li 10 febbraio 1881.
Il parroco Guiol si mostrò cordialissimo con Don Bosco: si sarebbe detto che nemmeno più il ricordo gli rimaneva del disgraziatissimo incidente narrato nell'altro volume. Non si deve però tacere che Don Bosco aveva avuto mano felice nello scegliere il chierico Grosso per il canto liturgico alla [44] chiesa parrocchiale. Benché molto giovane, il maestro di musica godette il favore illimitato del canonico[44].
Le signore del Comitato sospiravano di averlo a presiedere una loro riunione. Con grande gioia lo accolsero nella seduta del 12. Due sole non poterono godere di quella consolazione, ma il verbale dice: “La preghiera e la benedizione di Don Bosco arriveranno certamente fino a loro, compensandole del sacrifizio.”
Per prima cosa fu letta un'accurata relazione del 1880, la somma incassata raggiungeva la cifra di ventimila franchi. Poi venne fissato il programma per la festa di San Francesco da celebrarsi il giorno 16. Da ultimo prese la parola Don Bosco, destreggiandosi con quel tal francese che piaceva tanto sulle sue labbra. Il Verbale dà un largo riassunto del suo discorso, che noi tradurremo
Sono venuto per ringraziare ed anche per raccomandare i miei poveri ragazzi, ma soprattutto per ringraziare queste buone Signore della loro carità. E’ bello vedere Signore che rinunziano alla propria tranquillità per andare chiedendo di casa in casa i mezzi con cui fare il bene. Non oso nemmeno lodarvi, perché temo di offendere la vostra modestia; ma rendo grazie a Dio, del quale noi siamo gli strumenti e alla cui opera si attende.
Non posso non rallegrarmi e non trovar provvidenziale quanto si é fatto in circa due anni. L'ala destra é terminata e la casa conta centocinquanta interni e sessanta esterni; ma si é purtroppo costretti a rifiutarne molti, un cinquemila dacché l'oratorio é cominciato, e questo dimostra quanto necessaria fosse l'opera. Non sono molti gli stabilimenti per ragazzi e in tutti vi sono condizioni d'ammissione che ne chiudono a tanti le porte. A San Leone invece basta che vi sia pericolo di corpo o di anima per venirvi accolto. Finita che sia l'ala sinistra, si potrà portare a trecento il numero dei giovani.
Bisognerebbe allargarsi, comprando una casa, le cui finestre, aperte sui cortili, dànno fastidio. Vi si potrebbero allogare le suore [45] di Maria Ausiliatrice che debbono venire, non lasciando altre comunicazioni con la casa se non quelle richieste dalla cura della biancheria, del bucato e della guardaroba. Sarebbe facile adattarla a quest'uso e si eviterebbero gl'inconvenienti d'ora. Ma ci vorrebbe danaro per farne l'acquisto, e la divina Provvidenza sembra volerla, avendone diminuito il prezzo domandato la prima volta: questo infatti si é venuto abbassando a poco a poco, sicché al presente la si avrebbe per quarantacinque mila franchi.
La divina Provvidenza che vuole l'opera, manderà il necessario; e quando dico la divina Provvidenza, intendo dire Dio. Poiché Dio vuole la nostra opera, egli ci darà i mezzi per attuarla: chi lavora per un fine, ha diritto al mezzi, e noi siamo certi che questi verranno. Noi siamo gli strumenti della divina Provvidenza, e la divina Provvidenza e Maria Ausiliatrice quest'anno ci han protetti in modo abbastanza sensibile.
Vi sarebbe pure un altro acquisto da fare, un terreno di duemila metri, la cui posizione in questa parte della città si presterebbe a stabilirvi un oratorio festivo. Io desidererei che per l'istruzione religiosa e la preservazione morale si potessero riunire colà i giovani, che durante la settimana lavorano in diversi laboratori; così non avrebbero contatti con i ragazzi che frequentano sempre l'oratorio, e vi sarebbe quello che c’è a Torino e fa grandissimo bene, radunando tre mila giovani.
Vi si richiederebbe press'a poco egual somma e io domando al Comitato il concorso delle sue preghiere: non gli domando caritatevoli offerte dirette, non potendo la carità essere inesauribile, ma almeno indicazioni e raccomandazioni utili a ottenerne.
Vi saranno spese da fare anche per l'arredamento della casa, per la provvista di biancheria e di quanto occorre ai bisogni dei ragazzi; ma peu pour fois, o peu à la fois, come dice il signor Curato[45].
Vi é ancora un arretrato di circa dodici mila franchi per le spese domestiche, ma é cosa relativamente di poca importanza; il più é la visita fattami dagli impresari, che mi han portato il conto e domandano il pagamento di centoventi mila franchi loro dovuti per le nuove costruzioni.
Queste difficoltà però e queste cifre sbalorditive non ci spaventino. Evidentemente ci vuol danaro; ma io confido nella divina Provvidenza e non dubito del suo aiuto, pur non potendo presagire in che modo essa ci si manifesterà.
Vi dirò una cosa, che non ho mai detta: la nostra fiducia é ben fondata, purché noi non ci rendiamo indegni; ma questo spero che [46] non avvenga. Mantenendo la casa nella pietà e nella moralità, faremo l'opera di Dio; trascurando quelle, non faremmo più questa. Ma ciò non accadrà e noi non diverremo indegni dei soccorsi della divina Provvidenza.
Il Beato continuò dando notizie sull'origine, lo scopo e lo sviluppo dell'Opera di Maria Ausiliatrice per le vocazioni tardive e disse del particolare interessamento dimostrato dal Santo Padre a riguardo di essa. Indi proseguì:
L’anno scorso, quando andai a Roma il Sommo Pontefice, profondamente afflitto per le spoliazioni che privavano “Propaganda” de' suoi stabili, era impensierito sul come rimediarvi, trasferendo altrove i collegi missionari. La Patagonia e la Terra del Fuoco, che rappresentano un'estensione equivalente alla nostra intera Europa, non sono mai state evangelizzate: francescani, gesuiti, domenicani non vi poterono penetrare o dovettero abbandonare i tentativi; ma l'ora della misericordia é sonata per quei popoli, poiché essi accolgono la parola di Dio e questa vi opera meravigliose conquiste. Il Santo Padre ha pure deciso di stabilirvi un Vicariato e una Prefettura Apostolica; ma ciò che varrebbe di più, sarebbe di potervi mandare numerosi missionari. Appunto per moltiplicarli il Papa ha espresso il desiderio che si aprisse un seminario, dove si preparassero operai evangelici. Si sono messi gli occhi sopra Siviglia, dove stabilire un noviziato per i missionari, essendo lo spagnuolo la lingua parlata nelle regioni, in cui essi devono andare.
Si cercò poi dove fondare un seminario simile in Francia; ma si trovarono difficoltà nella scelta della città, non essendo altre abbastanza centrali né offrendo i medesimi vantaggi di questa. - Io ho fiducia, disse il Santo Padre, nella città di Marsiglia, in cui vi é religione e carità. Vedete un po' se trovate persone che vogliano occuparsene, e dite loro che non voi, non me aiuteranno, ma la Chiesa.
C'era da temere che i Vescovi, i quali stentano tanto ad aver preti non fossero contenti di vedere le vocazioni, già così scarse, portate via per le Missioni. Il Papa lo pensò... e Don Bosco pure; ma l'opera di Maria Ausiliatrice evita questo inconveniente. I giovani che hanno la vocazione allo stato ecclesiastico, fanno gli studi preparatori, terminati i quali, scelgono con la massima libertà fra l'entrare in un Ordine religioso o il tornare nella loro diocesi. Vi sono già a Marsiglia trentadue allievi di questa categoria; ma per prudenza si sono distribuiti in varie case, come a La Navarra e altrove. Inoltre abbiamo già speranze di vocazione per un trecento francesi, senza contare i cinquecento giovani della casa di Torino. L'opera, in apparenza e agli occhi del pubblico, é destinata ad allevare fanciulli poveri [47] e a fare operai in laboratori ben attrezzati; ma il pensiero principale é di cercare in mezzo ai ragazzi il germe delle vocazioni ecclesiastiche e svilupparlo.
Queste difficoltà non saranno portate nella conferenza generale, per non divulgare davanti a un'assemblea numerosa un obbiettivo, che la perversità dei tempi consiglia piuttosto di nascondere; ma esse debbono stimolare il vostro zelo, perché fanno vedere la grandezza e l'importanza del risultato da conseguire.
La fede semplice e confidente del Servo di Dio ammaliò le buone Signore, che si proffersero ognuna a farsi in quattro per radunar fondi e secondare i suoi pii disegni; quella riunione lasciò in tutte un profondo ricordo. Alla fine il parroco Guiol indusse Don Bosco a dar loro la sua benedizione, dicendogli che si stimavano fortunatissime di riceverla. Il Beato avec son inaltérable bonté la diede, ma dichiarando che era la benedizione ad esse portata per incarico avutone direttamente dal Santo Padre.
La fiducia di Don Bosco nella divina Provvidenza fu ben giustificata dai fatti, poiché, come ci apprende il Verbale del 3 marzo, generosi soccorsi permisero di scemare notevolmente il debito più grosso, dando mi primo acconto di ventimila franchi, tosto seguito da un secondo e dopo due mesi da un terzo eguali al primo. Era dunque ridotto della metà. Ma il Comitato desiderava di liberare Don Bosco da quello spettro degl'impresari, che si supponeva dovergli turbare i sonni; onde ideò una sottoscrizione straordinaria presso i capi di stabilimenti industriali, che impiegavano buon numero di operai piemontesi, e presso le madri di famiglia. Per la prima sottoscrizione invocò l'aiuto del Comitato di Signori, presieduto dal signor Rostand.
Don Bosco era assediato da mane a sera, sicché a forza di accordare udienze aveva quasi perduto la voce, e la stanchezza minacciava di abbatterlo. La mattina del 14 dovette far dire che non poteva ricevere; ma si sa bene che in simili casi vi sono sempre i privilegiati. Una povera suora ammalata, il presidente di una certa opera, un distinto signore a [48] cui si era già dato appuntamento, una donna neuropatica nascostasi in un angolo e piombatagli in camera con alte grida, furono successivamente da lui ricevuti, tenendolo occupato fino a mezzodì. Allora non ne poteva proprio più: l'oppressione al petto lo prostrava in modo compassionevole. Nel pomeriggio per evitare il medesimo sforzo si chiuse a chiave nella sua camera. Ne uscì verso sera, perché era aspettato fuori di città. Fece un'ora di carrozza che fu un'ora di patimento, e poi là dovette pur parlare, di modo che rientrò alle dieci stremato di forze e con la prospettiva che la dimane il sospeso assedio della folla si ripigliasse con maggior violenza. Certe persone erano venute e tornate per tre giorni di seguito! Oltre a questo la montagna delle lettere gli cresceva sul tavolo.
Com'erasi previsto, la mattina del 15 non furono visite, fu un'invasione. Una sessantina almeno di persone chiedevano rumorosamente di vederlo. Si aveva un bel dire che egli non stava bene e non poteva ricevere: nessuno si voleva muovere. Stanchi di aspettare e colto il momento in cui venne a mancare la sorveglianza, i più audaci montarono in massa al primo piano e picchiarono alla porta. Egli, che nuovamente vi si era chiuso a chiave, non sospettando chi poteva essere, aprì. Non l'avesse mai fatto! Irruppero tutti nella stanza, sicché l'assalito, vista la mala parata, dato di piglio alla penna e al quaderno su cui scriveva, si rifugiò nell'attigua camera di Don Durando; ma quelli lo inseguirono. Giunsero alla fine in suo aiuto il Direttore e altri della casa, i quali con infiniti stenti poterono bel bello far sgombrare l'appartamento. Debole, sofferente, afono non vide altro scampo che riparare presso il curato di San Giuseppe. Ivi riposò fino alle cinque di sera, ripigliando un po' di vigore per le due laboriose giornate che lo attendevano.
La festa di San Francesco era stata rimandata al 16 febbraio, affinché egli vi si potesse trovare. Monsignor Vescovo, con la positiva intenzione di dare una pubblica prova di [49] benevolenza verso l'oratorio[46], volle celebrare la Messa della comunità, pronunciando un breve elogio del Santo Patrono e distribuendo la Comunione anche a numeroso stuolo di signori e di signore della città. Il panegirico fu detto dall'abate Guérín, predicatore di cartello. In casa, gran movimento e grande allegria fino a tarda notte; Don Bosco non ebbe requie.
Il 17 fu la giornata dei Cooperatori e delle Cooperatrici. Marsiglia ne contava novecento inscritti. Ne vennero pure da paesi vicini e alcuni fin da Tolone. Monsignor Forcade, Arcivescovo di Aix, presedette all'adunanza. L'abate Mendre lesse una relazione sulle condizioni dell'istituto; poi parlò Don Bosco. Il suo dire semplice e soave in certi momenti intenerì fino alle lacrime. Scrive l'abate Mendre: “Don Bosco si esprime abbastanza stentatamente in francese; ma anche in questa parte la divina Provvidenza, di cui egli pronunzia così spesso il nome adorabile con un'unzione che va diritto al cuore di chi lo ascolta, la divina Provvidenza, dico, gli viene mirabilmente in aiuto. L'uditorio, cosa rara in Francia, dimentica quel sorriso che sembra fiorire spontaneo sulle labbra dinanzi a una scorrezione; ognuno sta ad ascoltare, soggiogato dall'incanto di quella parola, che ha evidentemente dal cielo tanta efficacia”.
In ultimo l'Arcivescovo di Aix, accogliendo cortesemente l'invito di Don Bosco, si degnò porre termine al trattenimento
(2) Così scrive il Mendre in una pubblicazione di cui tosto diremo. Don Bosco aveva scritto quello che intendeva di dire. L'abbozzo del suo discorso é negli autografi posseduti dai nostri archivi, e porta il numero 313. Quaderno di 14 facciate, di cui solo 9 scritte per intero. Le prime tre facciate, più quattro righe incomplete della quarta sono di carattere del Beato; nel resto un'altra mano ha scritto sotto dettato o ha copiato da una minuta diversa di Don Bosco stesso. Questa seconda ipotesi sembra la preferibile; infatti la pagina nove comincia con un quae purgat peccata che non ha alcun nesso con ciò che precede, ma il nesso vi fu poi aggiunto da Don Bosco a pié di pagína otto. Il medesimo Don Bosco, rileggendo tutto intero lo scritto, fece non poche modificazioni nel contesto e numerose aggiunte marginali Riproduciamo in Appendice (Doc. 4), il documento, lasciandovi le imperfezioni di forma e solo mettendo gli accenti. ???
[50] con una breve e paterna allocuzione, il cui punto più saliente fu quando disse: “Le opere salesiane, le cui pacifiche conquiste hanno superato quelle di Alessandro, di Cesare e di Napoleone, provano a esuberanza questa verità, che la Chiesa sola é madre dei poveri e dei piccoli. La dolce figura di Don Bosco non ha nulla del profilo d'un conquistatore; i suoi battaglioni di preti non sono davvero terribili come gli eserciti di quei grandi capitani; ma con Don Bosco c'é Dio, e questo spiega il segreto della buona riuscita.”
Soltanto alla porta della cappella caddero nel vassoio tenuto da Don Bosco duemila franchi; ma altre elemosine gli si fecero scorrere nelle mani dopo. Anima di tutto era stato il canonico Guiol, al quale la domenica seguente Don Bosco manifestò in pubblico la propria gratitudine. Pregato di presiedere nella parrocchia a un pio esercizio della terza domenica d'ogni mese in onore della Santissima Trinità, obbedì e, venuto il momento di parlare, esordì a questo modo: - Se mi fosse lecito rifiutare qualche cosa a un re, la riconoscenza mi vieterebbe di rifiutarla al signor curato di San Giuseppe. -
La vasta chiesa presentava quella sera un aspetto imponente: aveva il magnifico uditorio che soleva affollarvisi per ascoltare i grandi oratori succedutisi sul pulpito di San Giuseppe. Don Bosco parlò della manna, simbolica figura dell'Eucarestia, e dei nostri doveri verso di essa. Anche per questo sermone l'abate Mendre nota: “L'uditorio non badava all'elocuzione, ma riceveva piamente la parola di Dio. Anzi certe scorrezioni sembravano dare a quella predica, tutta apostolica, un fascino di più. Auguro il medesimo successo a quanti avranno l'onore di salire i gradini del sacro pergamo.”
La relazione letta dall'abate Mendre nell'adunanza dei Cooperatori fu data alle stampe formando con altri suoi scritti sull'oratorio di Marsiglia un'interessante monografia[47], [51] che si divide in tre parti. Va innanzi una succinta descrizione della festa di San Francesco; poi viene l'ampio e accurato resoconto, preceduto e seguito da notizie sull'assemblea. Il Mendre, descritta minutamente l'ammirevole attività dei due comitati, continua:
“Mentre questi lavorano fuori, che cosa si fa dentro l'oratorio?... Varchiamo la soglia di questa casa benedetta e salutiamo da prima con particolarissimo rispetto colui che é in mezzo a noi l'inviato diretto, il rappresentante di Don Bosco. Egli ci é venuto qui, operaio della prima ora, modesto e indefesso, pronto a tutti i sacrifizi richiesti dagli sviluppi inattesi e rapidi della nostra opera, sempre all'altezza del suo dovere e modello a tutti del perfetto oblio di sé. Osservate gli straordinari lavori eseguiti in pochi mesi e soprattutto benedite Dio.” Delineate poi le condizioni presenti dell'Istituto e portando l'occhio nell'avvenire, il relatore fa questo riflesso: “Noi non spingeremo lo sguardo indiscreto nelle intime relazioni che passano fra la Divina Provvidenza e il nostro Venerato Padre Don Bosco. Mirabili effetti noi ne abbiamo già veduti e senza dubbio ne vedremo ancora.” “Duc in altum, su, avanti! fu la sua nobile perorazione.”
L'abate Mendre pubblicò, in terzo luogo, l'apologia dell'oratorio di San Leone da lui indirizzata al console generale Strambio, ma destinata al prefetto del dipartimento per confutare le accuse mosse all'istituto da certa stampa di Marsiglia verso la fine del 1880[48]. Il prefetto, basandosi sopra un voluminoso e calunnioso rapporto, aveva fatto pervenire al console gravissime doglianze a carico dei Salesiani, che, se le imputazioni avessero risposto a verità, sarebbero stati meritevoli delle maggiori pene comminate dalle leggi agli stranieri resisi indegni dell'ospitalità. Lo Strambio [52] ne diede comunicazione confidenziale agli interessati. Se prima non si era creduto nemmeno decoroso raccogliere quelle basse ingiurie, allora non si doveva più tacere, non solo per iscongiurare i possibili effetti di tante maligne voci, ma anche per un riguardo al console stesso. Egli sia per l'affezione che portava a Don Bosco fin dai banchi della scuola, sia per un legittimo sentimento d'orgoglio nazionale dinanzi ai progressi e alle promesse dell'oratorio, aveva questo oltremodo caro e lo favoriva con la miglior volontà del mondo; gli cagionava quindi serio imbarazzo di fronte alle autorità francesi quell'ammasso di denunzie contro l'opera ed era in ciò un motivo di più per mettere le cose a posto. Se ne assunse dunque il compito l'abate Mendre., disimpegnandolo maestrevolmente. Don Bosco ne aveva letto il manoscritto in novembre, come ne fa fede la seguente lettera, comunicataci dopo la pubblicazione del volume quattordicesimo.
Ella non poteva meglio interpretare i miei desideri che colla esposizione che ebbe la bontà di farmi vedere. Si può anche pregare il Sig. console di darne pubblicità, se egli lo giudica a proposito.
Ho commesso una mancanza. Invece di scrivere a parte alcune cose, che si possono forse aggiungere, io le ho scritte in margine allo stesso foglio. Ne faccia però il calcolo che le pare meglio.
Forse potrebbe anche notarsi che nelle case d'Italia, specialmente di Torino, erano spessissimamente indirizzati giovani poveri ed abbandonati francesi, e che per impedire viaggi, spese, cangiamento di usi e di costumi, richiesti, siamo condotti a fondare case in Francia col fine medesimo di quelle d'Italia.
Mi ha portato grande consolazione la notizia che la pace, l'armonia regna tuttora fra la parrocchia e l'ospizio St. Leon. Ho fondato motivo a sperare che questi vincoli di carità diventeranno ognor più consolidati. Se ciò é necessario in ogni tempo, lo é assai più in questo momento.
Se Ella vede che di qui io possa fare qualche cosa, mel dica ed io seguirei fedelmente ogni suo consiglio.
Dio la rimeriti della assistenza ed aiuto che presta alla nostra congregazione. Passato il temporale, che bell'inno di ringraziamento! Dio la benedica, o sempre caro e benemerito Sig. Ab. Mendre, Dio la conservi in buona salute. Voglia fare umili rispetti al nostro Sig. [53]
Curato, a Don Bologna, e di pregare per me che le sono sempre con pienezza di stima e profonda gratitudine in G. C.
PS. Sarebbe pure opportuno di rilevare che noi non siamo altro che una Pia società di beneficenza in favore dei fanciulli poveri o pericolanti. Il desiderio di ritornar questa lettera a volta di corriere non permette di fame copia. Don Bologna potrà farmene rilevare una. Le tre già spedite al Sig. Console, van egualmente bene.
Scriverò quanto prima al sig. nostro Curato.
Al canonico Guiol Don Bosco, durante la sua permanenza a Marsiglia, parlò tra il serio e il faceto di cosa vista in sogno poco prima di venire in Francia, forse sullo scorcio del 1880[49]. Il Guiol era persuaso che fosse necessario possedere in campagna una casa, dove mandare i giovani di San Leone durante i mesi più caldi. Il Beato ne conveniva; anzi diceva che bisognava preparare il luogo in modo da farlo servire anche per il noviziato. - Quanto alla casa, continuò, l'ho già a mia disposizione. E' uno spazioso edifizio situato in posizione amena, cinto da larga pineta, e vi si accede per magnifici viali di platani; un abbondante corso d'acqua attraversa da un capo all'altro tutto il podere. - Il parroco, che sapeva benissimo come Don Bosco possedesse un bel nulla a Marsiglia, né appigionasse altro stabile fuori del collegio, poco mancò che non temesse in lui un improvviso squilibrio mentale; quindi un po' sconcertato lo interrogò dove mai fosse quella villeggiatura.
- Dove sia, non lo so, rispose Don Bosco; ma so che c'é e che si trova nelle vicinanze di Marsiglia.
- Questa é curiosa! replicò il parroco. Ma come fa a sapere che la casa c'é e che é destinata per lei?
- Ho visto casa, alberi, podere, acqua, tutto come ho descritto, e per di più i giovani che correvano e si divertivano sotto i viali.
L'abate Guiol che, quando Don Bosco parlava di sogni, non lo credeva affatto un visionario, non prese alla leggera le sue parole, ma le tenne bene a mente e stette a osservare. Non gran tempo dopo alcuni benefattori offersero una casa al desiderato scopo; ma Don Bosco la rifiutò, ringraziando e dicendo che non era quella. Intanto gli anni passavano senza che si vedesse alcun principio di avveramento. In ogni incontro i due amici riparlavano fra loro della famosa villa da cambiare in noviziato, e l'abate cominciava a riderne piacevolmente.
Ma Don Bosco ne parlava pure con altri. Infatti nel settembre del 1882 ne fece motto con il chierico Cartier. Questi, recandosi da Marsiglia a San Benigno per ricevere il suddiaconato, si fermò a Nizza, dove il Beato presedeva agli esercizi spirituali dei Salesiani ed ebbe con lui una lunga conversazione, nella quale gli disse: - Noi avremo nei dintorni di Marsiglia una gran casa, in cui metteremo il noviziato e lo studentato filosofico. Tu sarai destinato colà, non però nel primo anno, essendovi bisogno di te a San Leone per la scuola; tuttavia vi andrai a dare lezioni, finché non vi stabilisca la tua residenza.
A Marsiglia si credette che la casa del sogno potesse identificarsi con la villeggiatura della signora Broquier, a poca distanza da Aubagne; anzi, tratto in inganno da inesatte relazioni, inclinò a crederlo anche Don Bosco, che scrisse alla padrona, pregandola di volergliene cedere o la proprietà o l'uso. Mandò la lettera a Don Bologna, perché le desse recapito; ma siccome egli faceva della villa una descrizione conforme a quella che noi conosciamo, la signora non ci si raccapezzava, e Don Bologna s'accorse che Don Bosco era caduto in errore.
Un'altra offerta gli venne nel 1883 dalla signora Pastré, ricca vedova parigina, a cui Don Bosco aveva guarita la [55] figlia. Si trattava dell'uso di una sua villa presso Santa Margherita, poco lungi da Marsiglia; se non che Don Bosco per motivo di personali riguardi, senza nemmeno verificare le condizioni della casa, declinò l'offerta. Trascorsi alcuni mesi, Don Bologna gli scrisse che la signora insisteva nella sua proposta, pregando di accettare. Il Beato rispose che se vi erano i pini e i platani e il corso d'acqua, bene; se no, no. Il Direttore, andato a vedere, gli notificò che di pini ve n'erano centinaia e che c'erano i viali di platani e che l'acqua correva per il fondo. Allora fu accettata la casa di Santa Margherita in usufrutto per quindici anni ed ivi si pose il noviziato nell'autunno del 1883, sotto la denominazione di La Provvidenza. L'abate Guiol, andatovi la prima volta con Don Bosco nel 1884, osservò con istupore che tutto rispondeva esattamente a quanto il Servo di Dio gli aveva detto e ridetto d'aver visto nel sogno.
Di un fatto straordinario, accaduto secondo tutte le probabilità in quest'anno, udì il Rettor Maggiore Don Albera il racconto nel 1921 ad Allevard - les - Bains da un medico, ed egli lo narrò tosto ai confratelli di Marsiglia il 7 febbraio. Un tal signor Guérin, marsigliese era affetto da tubercolosi ossea ad una gamba. La raschiatura dell'osso non aveva apportato nessun giovamento. Il male fu dichiarato incurabile. La piaga bisognava che sempre stesse aperta per dare l'uscita al pus. Da ottimo cristiano il paziente aveva un solo desiderio, di compiere in tutto e per tutto la volontà di Dio. Una sua conoscente. che abitava in via San Giacomo, lo consigliò di andare da Don Bosco, non per domandare il miracolo della guarigione, ma per avere dalle sue parole qualche po' di conforto spirituale. Andò, fu ricevuto e fece palese la sua buona disposizione di portare con pazienza la propria croce per amore di Dio. Il Beato lo incoraggiò e lo benedisse.
L'infermo abitava ai viali di Meilhan. Da San Leone a casa sua era troppo lunga la strada per lui, che aveva la gamba in quello stato; pensò dunque di prendere il tram all'angolo [56] delle due vie Paradis e San Giacomo. Ma poiché il tram si faceva aspettare, s'incamminò lentamente verso la Borsa, sperando di montare sul primo omnibus che andasse da quella parte, ma non ne incontrava nessuno. Dopo un'inutile attesa, infilò adagio adagio la Canebiére sempre con la medesima intenzione; ma niente neppure di là. Lo stesso gli accadde in via Noailles, sicché passo passo e quasi senz'accorgersi arrivò a casa.
Per solito doveva coricarsi presto, cenando poi a letto. Quella sera, noli badando alle rimostranze de' suoi, volle sbrigare alcune faccende che lo tennero in piedi fino all'ora della cena. Finito tutto, non sentendo alcun incomodo, si mise a tavola con la famiglia e quindi andò a riposo. Ed ecco che, sciogliendo la fasciatura per rinnovarla, non vide più la piaga, scomparsa senza lasciar segno di cicatrice. Don Bosco, pur non essendone richiesto, aveva fatto il miracolo.
Era stato adattato per le Suore un edifizio poco discosto dall'istituto; ma l'umidità dei muri e ragioni di opportunità volevano che fosse rimandata ancora la loro venuta. Frattanto però Don Bosco benedisse la casa, compiendo la cerimonia in forma privatissima e non invitando nemmeno le Signore del Comitato, che ne furono un po’ spiacenti; esse infatti in più riunioni si erano già occupate seriamente del modo di provvedere alla nuova comunità. Nella seduta del 3 marzo il Curato giustificò la cosa, allegando due ragioni. In primo luogo non era prudenza allora attirare l'attenzione d'ella cittadinanza sopra quell'altra famiglia religiosa; oltre a questo, Don Bosco negli ultimi giorni della sua permanenza a San Leone era inaccessibile per la ressa dei visitatori e il Curato non aveva potuto intendersi con lui sul giorno, sull'ora e sulle modalità. Queste spiegazioni dissiparono ogni malcontento.
Certo, se si considerano gli avvenimenti narrati nell'altro volume la prudenza non era mai troppa; tuttavia bisogna anche dire che a Marsiglia presso i buoni le simpatie [57] per l'opera crescevano sempre più; onde il Comitato di Signori opinò che essa aveva tutto da guadagnare con l'essere meglio conosciuta. Perciò durante la presenza di Don Bosco caldeggiarono la stampa della memoria compilata dall'abate Mendre, della quale abbiamo parlato sopra.
Nulla più sappiamo d'importante intorno a questa dimora di Don Bosco a Marsiglia. Sembra che appartenga a quest'anno un rimprovero mossogli dalla tanto benemerita signora Prat. Aveva essa due figli sposati e una figlia, che le causavano gravi dispiaceri con la loro condotta; perciò altra volta li aveva raccomandati alle sue orazioni, affinché si convertissero. Don Bosco alla promessa di pregare aveva unito buone speranze per la grazia. Ora invece la madre, non vedendo alcun mutamento, se ne lagnò col Servo di Dio. Egli con tutta umiltà le rispose: - Sì, la colpa é mia, perché non ho pregato abbastanza. -
Se non di quest'anno, é di questi anni un altro episodio che dimostra quanta importanza egli desse alla musica negli oratori festivi. A Marsiglia ricevette la visita di un religioso, che ne aveva fondato uno in una città della Francia e che gli chiedeva se approvasse la musica fra i divertimenti dei giovani. Il suo visitatore pensava che se ne potesse trarre vantaggio per l'educazione e glieli enumerava. Don Bosco, ascoltato con segni di approvazione, disse in fine: - Un oratorio senza musica é un corpo senz'anima. - L'altro però ci vedeva anche inconvenienti e non piccoli, come la dissipazione e il pericolo che i giovani vadano a cantare o a sonare nei teatri, nei caffé, nei balli, nelle dimostrazioni. Don Bosco, udito tutto senza dir parola, recisamente ripeté: - E’ meglio l'essere o il non essere? L'oratorio senza musica é un corpo senz'anima.
Un prodigio segnalato accompagnò la partenza da Marsiglia; la memoria dell'avvenimento é consacrata in una relazione di colui, che ne fu testimonio oculare non solo, ma anche causa occasionale. [58]
La signorina Flandrin, da tempo gravemente inferma, sembrava omai agli estremi della vita. Tutti i giorni la madre andava a San Leone per ottenere che Don Bosco facesse una visita alla figlia; ma Don Bologna, non sappiamo perché, non credeva conveniente che egli vi andasse; perciò, comunicandogli la cosa, se la sbrigò in termini così freddi, che il Beato non si mosse.
Venne intanto il giorno della partenza. Per sottrarlo alla vista dei tanti che l'avrebbero atteso alla stazione di Marsiglia, si stabili che, come l'anno innanzi, Don Bosco si portasse in carrozza fino a Aubagne. Anche all'ultima ora la signora Flandrin venne a rinnovare i suoi tentativi e questa volta si attaccò ai panni dell'abate Mendre, supplicandolo di mettere in mezzo tutta la sua influenza, perché Don Bosco fosse condotto dalla stia figlia.
L'abate, che conosceva la signora solamente per averla veduta già tante volte nell'oratorio, non poté resistere alle sue lacrime; onde le promise che, dovendo avere la fortuna di viaggiare con Don Bosco fino a Aubagne, avrebbe fatto deviare la carrozza verso la casa dell'ammalata e l'avrebbe pregato di visitarla e di perdonare a lui la sua indiscrezione.
Si partì sul far della sera. L'abate riteneva per fermo che Don Bosco non conoscesse la strada; quindi rimase interdetto, allorché lo udì improvvisamente esclamare: - Ma a me sembra che cambiamo strada! - Difatti in quel momento il cocchiere seguiva le indicazioni dategli in segreto dal Mendre, che solo era in grado di capire la modificazione dell'itinerario. Senza rispondere direttamente alla domanda, questi si limitò a osservargli: - Lei, Padre, viaggia sotto la mia responsabilità. Lasci fare a me, che giungeremo sicuramente alla nostra méta.
Don Bosco tacque. Fermatasi poi la vettura alla casa dei Flandrin, egli cedette alla preghiera. La madre lo introdusse nella camera dell'inferma, mentre l'abate se ne restò nella stanza vicina. [59]
Da quindici giorni la giovane aveva la gola serrata in modo da non poter inghiottire cosa alcuna, ma le veniva praticata l'alimentazione artificiale; la tormentava inoltre ardentissima sete. Suo padre, impiegato civile, erasi dovuto recare all'ufficio, ma era uscito con la persuasione che al ritorno l'avrebbe trovata morta; essa infatti aveva da poco ricevuto l'Olio Santo.
Il Servo di Dio, accostatosi al capezzale, le chiese: - Berrebbe un po' d'acqua?
- Non può, fu pronta a rispondere la madre.
Allora tutti i presenti s'inginocchiarono e pregarono alcuni istanti; poi Don Bosco benedisse l'inferma e: - Ora beva, - le ordinò. Essa cominciò a sorseggiare liberamente e mano a mano che beveva, si sentiva infondere nuova vita, finché, allontanato il bicchiere, gridò: -Sono guarita! la entro succedette un vero parapiglia: si gridava, si piangeva, si andava di qua e di là, sembravano tutti impazziti. L'abate Mendre, che subito era accorso, s'imbatté in Don Bosco, il quale se ne veniva sorridente e tranquillo. Il Servo di Dio andò difilato alla carrozza, seguito dal compagno, che pareva intontito.
La moribonda dunque si vestì da sé e uscì sul pianerottolo della scala per aspettare il padre, che fra breve sarebbe tornato. Appena distinse il rumore de' passi, gli volò incontro e gettandosegli al collo: - Son guarita, papà! gli gridò. Don Bosco mi ha guarita. - Il pover'uomo, quasi fulminato, barcollò e cadde. Fu chiamato in fretta il medico, che faticò non poco a farlo rinvenire. La figlia aveva aiutata la madre a prestargli assistenza.
Intanto i due viaggiatori erano omai lontani. Risaliti in vettura, l'abate Mendre erasi contentato di stringere il braccio a Don Bosco e dirgli: - Ebbene, padre, adesso non dirà più che Don Bosco non fa miracoli! - Don Bosco rispose con semplicità e calma: - Dio sia benedetto! Dio sia benedetto! [60]
- L'abate capì che sarebbe stato indiscrezione l'insistere sull'argomento; perciò fino a Aubagne non ne parlò più.
La guarigione fu così piena, che il 4 marzo la signorina, avendo scritto a Don Bosco e non sapendo ov'egli fosse, mandò la lettera a Don Bologna con un suo biglietto, nel quale gli diceva: “Ringraziamo tutti Maria Ausiliatrice della guarigione miracolosa, che io povera peccatrice non meritava. Preghi perché io sia più virtuosa e più affezionata alla sua opera. Ora bisogna celebrare una Messa di ringraziamento in onore di questa buona Madre. La prego, Signor Direttore, di fissare per la celebrazione un giorno della prossima settimana; ma non sia tanto per tempo, perché noi abitiamo lontano. Abbia la bontà di farmelo sapere un giorno o due prima, affinché io possa prendere le mie misure per fare la santa Comunione e avvisare alcune mie amiche.”
In che giorno Don Bosco partisse da Marsiglia, non ci é riuscito di appurarlo; sembra che sia stato ai 25 di febbraio, poiché la domenica 27 si trovava già a Roquefort nel castello del conte di Villeneuve dopo una discreta fermata a Aubagne. Di là scrisse in francese a Don Bologna la lettera che qui traduciamo,
Sono partito; a Aubagne si sono fatte molte cose; ora sono a Roquefort, dove avrò un giorno di riposo. Domani a St - Cyr, se Dio vuole.
1° Intanto dirai ai nostri giovani che sono stato molto contento della loro buona volontà e della loro pietà e che spero che andranno sempre di bene in meglio. Procurino di rompere le corna al demonio con i due martelli della confessione e della santa comunione.
2° Ho lasciato i nostri confratelli preti e chierici e gli altri confratelli con soddisfazione vedendo nel loro volto un'ottima volontà di essere veramente Salesiani, cioè sale nelle parole e luce nelle azioni. Dio sia benedetto. Coraggio e perseveranza.
3° Ho trovato ancora alcuni biglietti di banca in mezzo alle carte (600 fr.) e se tu ne hai assolutamente bisogno, cerco di mandarteli, portando la somma a mille franchi. Ma se ne puoi fare a meno, [61] porterò questo danaro a Don Ghivarello[50], che aspetta soldi come gli Ebrei aspettavano la manna nel deserto.
Per tua norma, scrivo a Mad. Jacques, che in caso di necessità puoi farle domanda di qualche migliaio di franchi sulla somma di cinquemila, che caritatevolmente ti darà al più presto.
Farai le mie scuse a Mad. Brouquier, che in tutta fretta ho dovuto lasciare per recarmi a Aubagne, dove tutti mi aspettavano in chiesa, per dire qualche cosa ai cooperatori.
Tutto bene, Dio sia benedetto.
4° Metterai in buste i biglietti qui uniti e poi li farai pervenire a destinazione.
Dio ci benedica e ci conservi tutti nella sua grazia e pregate per me che sarò sempre in G. C.
Con la identica data diede conto del suo viaggio al Cardinale Nina. Le importanti notizie dovevano nell'intenzione di Don Bosco servire ad avvalorare le sue rinnovate istanze per la concessione dei privilegi.
Sono stato tre settimane a Marsiglia, dove ho potuto raccogliere i mezzi necessari per stabilire il nostro Oratorio di S. Leone. Gli allievi sono oltre a 250, di cui 100 sono dedicati allo studio e formano il nostro seminario per l'America del Sud, specialmente della Patagonia. Ora vado organizzando e pagando i debiti delle altre case; spero che qualche cosa potrò anche portare al S. Padre. A Dio piacendo sarò a Roma sul finire del marzo prossimo. Ma bisogna che il Santo Padre ci accordi quei favori che ci ha tolti[51], favori che ci sono indispensabili e di cui godono tutti gli altri Istituti definitivamente approvati dalla S. Sede.
A Marsiglia sono già fatte le funzioni nella nuova chiesa dell'Istituto. Mons. Vescovo della diocesi ha fatto le funzioni della festa di S. Francesco di Sales: l'Arcivescovo d'Aix ha presieduto la conferenza dei Cooperatori, folla immensa. La questua passò i tremila franchi. St - Cyr, Toulon, Fréjus, Cannes, Nizza attendono per la stessa conferenza. Vedremo ciò che la grazia di Dio farà. [62]
Raccomando tutte le case nostre alla carità delle vostre sante preghiere ed alla sua protezione, mentre con profonda gratitudine ho l'onore di professarmi
Il canonico Brémond, parroco di La Loubiére nella diocesi di Tolone, ha un grazioso ricordo personale. Egli era chierichetto della chiesa di Roquefort e perciò ebbe la fortuna di servire la Messa a Don Bosco: Messa celebrata in un modo che non aveva mai visto. L'atteggiamento del celebrante all'altare lo colpì talmente, che non si saziava di contemplarlo, e quella volta durante la celebrazione dimenticò l'abitudine di giocare alle brilla con il suo compagno sul tappeto che dalla predella scendeva a coprire l'ultimo gradino.
Da Roquefort andò a Tolone, dov'era ansiosamente aspettato per una conferenza. Parlò nella chiesa parrocchiale di Santa Maria, stipata d'una folla avida di ascoltarlo. In una corrispondenza da Tolone comparsa con ritardo sul quotidiano cattolico della provincia[52] si leggeva: “Dopo il Vangelo montò in pulpito e fin dalle prime parole si guadagnò l'uditorio. Non ha statura imponente e si esprime con qualche difficoltà nella nostra lingua; ma tutta la sua persona ispira simpatia. E’ un taumaturgo e più ancora: é un apostolo della carità, è un uomo secondo il cuore di Dio, é un santo.”
Scusatosi di non parlare il francese con l'eleganza di Massillon né con l'eloquenza di Bossuet, raccontò gli umili principii e descrisse l'espansione della sua opera, dilungandosi alquanto a dire delle due vicine case di Saint - Cyr e della Navarre, molto bisognose di aiuti. “Il discorso, nota il sullodato giornale, [fu] pronunziato con un linguaggio vivo, energico, pittoresco, e le stesse scorrezioni contribuirono a renderlo più efficace.” [63]
Finita la conferenza, Don Bosco in ferraiolo e con il piatto d'argento nelle mani fece il giro della chiesa questuando. Durante tale operazione accadde un incidente degno di rilievo. Un operaio, nell'atto che Don Bosco gli presentava il piatto, voltò la faccia dall'altra parte, alzando sgarbatamente le spalle. Don Bosco, passando oltre, gli disse con tutta amorevolezza: - Dio vi benedica. - L'operaio allora si mette la mano in tasca e depone un soldo nel piatto. Don Bosco, fissandolo in faccia, gli disse: - Dio vi ricompensi. - L'altro, rifatto il gesto, offre due soldi. E Don Bosco: - Oh mio caro, Dio vi rimeriti sempre di
più. - Quell'uomo, ciò udito, cava fuori il portamonete e dona un franco. Don Bosco gli dà uno sguardo pieno di commozione e si avvia; ma, quel tale, quasi attratto da una forza magica, lo segue per la chiesa gli va appresso nella sacrestia, esce dietro di lui in città e non lascia di stargli alle spalle, finché non lo vede scomparire.
Anche a Tolone Maria Ausiliatrice glorificò il suo servo. Una giovane sui diciott'anni, che abitava nelle vicinanze della città, andava soggetta a fierissime doglie di fegato. Rimedi e cure non approdavano a nulla. Fervente cooperatrice salesiana, si sarebbe voluta recare alla conferenza di Don Bosco; ma il suo stato, aggravatosi oltremodo sul principiare di marzo, la tenne inchiodata nel letto. - Potessi almeno vedere Don Bosco! diceva. Forse la sua presenza mi farebbe del
bene. - Don Bosco, informato del suo desiderio, si sentì mosso ad accontentarla. Giunto presso di lei, la esortò a mettere tutta la sua confidenza in Maria Ausiliatrice, le diede la benedizione e nel venir via le disse: - Dio le doni santità... - fermandosi come chi sospende la frase cominciata. La madre, temendo in quella reticenza un annunzio di morte, scoppiò in pianto. Poi Don Bosco proseguì: - ...e sanità. - Ciò detto, uscì, rinnovando la raccomandazione che madre e figlia confidassero molto in Maria Ausiliatrice. La confidenza non fu vana. Otto giorni dopo il [64] Beato faceva un'altra conferenza nella chiesa di Sant'Isidoro a Sauvebonne, parrocchia della Navarre, e fra i suoi uditori si trovava anche la giovane, perfettamente guarita[53].
Tolone era sulla via per andare a Saint - Cyr e alla Navarre. Don Bosco visitò entrambe le case ivi aperte, ma della prima visita nulla sappiamo, pochissimo della seconda. Alla Navarre vide occupato ogni angolo; ma quante domande per giovani bisognosi di ricovero si dovevano continuamente respingere! La sua carità che dalla Provvidenza tutto sperava, lo indusse a intraprendere l'erezione di un edifizio che bastasse almeno per trecento. Perciò volle parlare egli stesso con l'ingegnere per suggerirgli il disegno. Fattolo quindi venire da Tolone, ne tracciò con lui le linee generali, sollecitandolo a ultimarlo. Tre mesi dopo il Direttore Don Perrot portava il disegno a Torino per sottoporlo alla sua approvazione. Don Bosco lo diede in esame all'Economo Generale Don Sala e a due distinti ingegneri della città, sulla relazione dei, quali il 26 giugno lo approvò, non senza introdurvi di propria mano alcune modificazioncelle, che furono scrupolosamente osservate. I lavori principiarono il 16 dicembre.
Seguiremo ora il Beato nella Costa Azzurra. Arrivò a Nizza non dopo l'8 o il 9 marzo, poiché l'abate Guiol al Comitato delle Signore nell'adunanza del 10 annunziò una sua lettera di là, che conteneva cose importanti. Ce ne manca l'originale; ma il verbale della seduta ne riporta la traduzione francese, che noi rimetteremo in italiano. Il Beato scriveva:
Mi resta un momento di respiro e lo impiego a scriverle, come avrei dovuto fare prima.
Le dirò anzitutto che partii un po' malcontento da Marsiglia, perché non aveva mai potuto discorrere con lei a lungo, come avrei desiderato, degli affari dell'oratorio. Sembra tuttavia che Don Durando abbia lasciato le scuole abbastanza in buon ordine, sicché si possa per lettera dare le norme e le spiegazioni che saranno opportune. Pare che lo stesso si possa dire della disciplina e della moralità. Vi sarà buona volontà in tutti. [65]
A Aubagne, Roquefort, St - Cyr, Toulon, Hyére, Dio continua a benedirci e abbiamo grandi motivi di ringraziarlo spiritualmente e materialmente.
Don Bologna mi scrive che, avendo dato agli imprenditori tutto il danaro raccolto nella questua durante la mia dimora a Marsiglia, si trova adesso senza quattrini, con le note da pagare. Io aveva raccolto 1500 franchi, che desiderava lasciare alla Navarra; ma adesso glieli mando, perché possa provvedere alle necessità del momento. Spero che le sottoscrizioni degli industriali e delle madri di famiglia potranno aggiustare le cose. Don Bologna mi scrive pure che la S. V. gli ha imprestato 5000 franchi per gli impresari; spero che anche questo si potrà regolare.
Che Le dirò poi per ringraziare Lei, i signori e le signore dei nostri comitati, che sono i sostegni del nostro oratorio? Dica loro che noi siamo riconoscenti a tutti, che pregheremo di cuore il Signore che li ricompensi largamente nel tempo e nell'eternità.
Ho ancora una cosa che non ho potuto spiegare bene. Molti pretendono che il povero Don Bosco con le sue preghiere ottenga grazie particolari dal Signore. Non é così. Dio benedice le nostre opere, le favorisce e le protegge; ma siccome noi non abbiamo i mezzi necessari per sostenerle, Dio viene ad aiutarci con grazie e favori anche straordinari a tutti coloro che ci prestano il loro aiuto materiale.
Lo dica ai nostri benefattori e specialmente a Madamigella Rocca, perché peu pour fois lo metta nel verbale.
Spero di poterle scrivere altre cose alla prima occasione; ora mi raccomando caldamente alla carità delle sue preghiere. Dio ci benedica tutti e ci conservi nella sua santa grazia. Si ricordi di questo poverello, che Le sarà sempre in G. C.
La conferenza dei Cooperatori era stata indetta per il venerdì 12. Il povero Don Ronchail che si dibatteva in mezzo ai debiti, l'aveva preparata con ogni studio; ai soli fornitori dei laboratori doveva trentasei mila franchi, sicché il coadiutore Moro[54], libraio e provveditore, non si azzardava più a ordinare provviste per la casa. Una sera Don Bosco, passeggiando con lui nel cortile, gli disse:
- Fanno debiti e vogliono che Don Bosco li paghi. Ma egli non ha denari. Poi incrocicchiò le mani quasi pregando e dopo alcuni istanti proseguì: - Basta, pregherò la Madonna che faccia essa che [66] può. - Dalla conferenza il Direttore portò a casa più di quattordici mila e seicento franchi. Perfino due signorine protestanti, certe Dandas, inglesi, erano andate per la chiesa a raccogliere offerte. Pochi giorni appresso venne un signore francese a cercare di Don Bosco e gli disse di voler fare qualche cosa per la sua opera e che aveva sedici mila franchi disponibili. Don Bosco, pensando che quegli intendesse di proporre un prestito, gli rispose che era tanto indebitato da non poter rifiutare tale somma, ma che non sapeva proprio quando e come avrebbe potuto fargliene la restituzione. Il signore si spiegò meglio, dicendo che non imprestava, ma donava quella somma per concorrere all'opera del Patronage. Don Bosco allora, ringraziando, disse: - Non la dia a me; s'intenda invece con Don Ronchail per soddisfare in parte i creditori. Quegli così fece. In breve piovvero altre limosine, che, sommate alle precedenti, arrivarono a quarantadue mila franchi, scrive il mentovato provveditore; ma egli non possedeva tutti gli elementi per tirare una somma totale.
Un paio di giorni dopo l'arrivo cominciò pure a Nizza il viavai dei visitatori, che andò sempre crescendo. “Don Bosco! esclamava il Direttore in una lettera[55]. E' impossibile descrivere l'entusiasmo che desta la sua presenza. Dal mattino alla sera é un va e vieni di persone che accorrono per vederlo Questo basti a darle un'idea della grande stima che gode anche qui il nostro amatissimo Padre.”
La settimana appresso stette quatto giorni a Cannes, ospite di una famiglia Monteiths, inglese e protestante, che si recò ad alto onore di albergarlo. Cannes é stazione climatica invernale; durava dunque ancora la stagione, in cui sull'amenissima sua riviera affluiscono dalla Francia e dall'estero, massime dall'Inghilterra, famiglie facoltose a farvi prolungato soggiorno. In quell'avventizia popolazione cosmopolita, sotto titolo di carità o di filantropia, si aprivano pure [67] le borse alla beneficenza. Ecco perché Don Bosco soleva fare colà le sue visite Nel 1881 “se avesse potuto far più lunga dimora a Cannes, scriveva scherzevolmente Don Ronchail[56], avrebbe finito per svaligiare quelle buone famiglie caritatevoli, perché ogni giorno gli recavano delle offerte molto generose”. Ne ripartì il sabato 19 per festeggiare a Nizza San Giuseppe e l'onomastico del Direttore.
Rimanevano ancora alcune famiglie, che a lui premeva di visitare a Cannes, onde ritornò a passarvi un quinto giorno, che fu il 21. Molta gente assistette alla sua Messa. Pranzò dai Monteiths, dove una cugina della signora, benché protestante, volle, prima ch'egli uscisse, ricevere la sua benedizione e una medaglia della Madonna. Per tutti i cinque giorni ebbe sempre a sua disposizione la loro vettura a due cavalli.
Il soggiorno a Cannes aveva avuto un'interruzione la sera del mercoledì 16, perché gli amici di Nizza avevano preparato un concerto di beneficenza in favore dell'opera di Don Bosco. L'esecuzione si fece nella grande sala Paulliani del Circolo Cattolico: artisti di prim'ordine eseguirono con squisita finezza un bel programma dinanzi a un pubblico sceltissimo, quale Nizza può offrire in quella stagione. La serata fruttò un bell'introito.
Organizzatore principale del trattenimento era stato il dottor D'Espiney, sviscerato amico di Don Bosco, sulle opere del quale compose pure una poesia molto graziosa[57].
Egli si rivolgeva alle Signore presenti, terminando con dire che per compiere tanto bene Don Bosco era sprovvisto di mezzi, ma che la sua borsa era la borsa di loro Signore. Gli scorrevoli alessandrini, letti stupendamente dal signor Harmel, produssero ottimo effetto[58].
Una terza adunanza, aperta indistintamente a tutto il pubblico dì Nizza, si tenne il 22, e fu un Sermon de Charité.[68]
Dopo l'oratore disse poche parole Don Bosco, che raccolse poi discrete offerte.
In mezzo a tante faccende la sua mente pensava non solo alle cose vicine, ma anche alle lontane. Pensava, per esempio, all'onomastico della sua benefattrice romana, signora Matilde Sigismondi, come ne fa fede questa delicata letterina.
Quest'anno non posso trovarmi a celebrare S. Matilde colla nostra buona mamà, però mi ricordo di Lei. Dimani celebrerò la Santa Messa affinché Dio la conservi molti anni in buona salute, a vedere il frutto della sua carità. E quando il paradiso? Il Paradiso le sia assicurato, ma ci vada dopo aver passato in terra gli anni di Matusalemme, cioè 969.
Sono ancora in Francia, ma cammino verso Roma, dove spero presentarle i miei figliali omaggi personalmente sul principio di aprile.
Dio benedica Lei, il Sig. Alessandro, buona festa e preghi pel poveretto che le sarà sempre in G. C.
Marsiglia - Tolone ed ora Nizza, 13 marzo 1881.
Pensava poi, e abbastanza intensamente, alle collette per la chiesa del Sacro Cuore, come vedremo più innanzi, e a organizzare in Francia la pia Unione dei Cooperatori, secondoché appare anche da questa lettera al Direttore del Bollettino Salesiano.
Mi hanno mandato le circolari colla lettera ai Giornalisti. Io ne ho spedite alcune senza accorgermene. Procura che non si mettano più. Mandami alcuni formolari per la nomina di collettori e circolari in Italiano. Manda a Don Cibrario, presso cui mi troverò domenica prossima. Martedì prossimo predico qui a Nizza nella chiesa di N. D. per raccogliere quattrini a Don Ronchail, mercoledì a Cannes, venerdì a Grasse; di poi vela per l'Italia.
Ringraziate il Signore. Io non mi sarei immaginato che le benedizioni del cielo scendessero cotanto copiose in questi giorni. Dio sia benedetto. Continuate a pregare.
Dà buone notizie a tutti e credimi in G. C.
PS. Ho potuto fare molto per l'organizzazione dei decurioni. [69]
Nella lettera é cenno di un'andata a Grasse, che é un capoluogo di circondario sopra Cannes, a quaranta chilometri da Nizza. Il dottor D'Espiney nel suo Don Bosco ci sa dire che il Beato vi passò alcuni giorni, che ricevé molte persone e che guarì un'attempata operaia. Presentatasi costei a domandargli la benedizione: - Ben volentieri, le rispose Don Bosco, ma bisogna inginocchiarsi. - La donna gli osservò che non poteva. Infatti da otto anni un ginocchio a causa di una frattura le si era irrigidito e piagato. Don Bosco volle tuttavia che ci si provasse. Ella obbedì, s'inginocchiò e, ricevuta la benedizione, si rialzò senza difficoltà. Dopo lo supplicò di compier l'opera e di concederle alcuni minuti .d'udienza. Egli accondiscese. Passati nella stanza accanto, mentre l'operaia era tutta intenta a narrare le sue miserie, ecco che due gatti cominciarono a ruzzare fra loro e a corrersi dietro, saltando sui mobili, furiosamente. La donna, balzata in piedi, si mise a rincorrerli. La sua agilità fece sorridere Don Bosco, il quale: - Mi pare, le disse, che non siate poi tanto impedita, come mi volevate dare a intendere.
- E' strana! rispose la donna. La mia gamba va meglio.
- Ebbene, voi guarirete, ma non subito. E’ preferibile per voi e per me che Maria Ausiliatrice non vi faccia la grazia tanto presto.
Un giorno il parroco di Grasse, abate Mistre, grande ammiratore di Don Bosco, gli presentò le così dette econome, signorine che, riunite in comitato, lavoravano per i poveri della parrocchia. Erano tutte cooperatrici salesiane della prima ora. La presidente gli rivolse un saluto a nome delle colleghe e gli faceva le presentazioni, quando egli piacevolmente le disse: - Sono ben lieto di salutare le econome; ma non c'é anche la tesoriera? - La tesoriera che stava là con le altre, gli fu presentata, ed ella si avanzò recando l'offerta messa insieme da tutte loro.
I1 Servo di Dio, essendosi fermato a Grasse qualche giorno, andava a celebrare dalle religiose di San Tommaso da Villanova, [70] che tenevano colà un educandato. Un mattino la madre superiora, una Saint - Ferreol, donna d'ingegno ed energica, gli osservò: - Oh, Padre, come ha i capelli lunghi! Bisognerebbe tagliarli.
- Non ho tempo di badare ai capelli, rispose.
- Ebbene, replicò la Madre, se vuole, c'é qui vicino un parrucchiere che verrà subito ad aggiustarglieli un tantino.
- Se questo le fa piacere, sono ben contento.
Era un colpo preparato dal giorno innanzi. Il parrucchiere comparve all'istante e con l'ordine di raccogliere tutti i cappelli e di consegnarli alla Superiora. Essa poi li custodì come reliquie, e alle econome che andavano a lavorare in casa ne distribuì uno spizzico per ciascuna, dicendo: - Quelle di voi altre che avran voglia d'invecchiare, assisteranno alla canonizzazione di Don Bosco, perché egli é un santo. - Di tutte sopravvive soltanto la presidente[59].
Abbiamo citato il Dom Bosco del D'Espiney. E' la prima vera biografia del Beato. Uscì a Nizza nel 1881: piccola di mole, limpida nella forma e ricca di aneddoti, possedeva tutto quanto bisognava, perché divenisse un libro popolare[60]. L'autore, che vi lavorò attorno circa un anno, aveva rimesso il manoscritto al conte Cays, affinché correggesse, modificasse, tagliasse, suggerisse nuove aggiunte. Egli era persuaso che il lavoro avrebbe fatto del bene in Francia; inoltre giustamente rilevava: “Da ogni parte si chieggono informazioni sulla Congregazione di Don Bosco, e in chi le chiede, ci può essere un futuro Salesiano o Cooperatore o Cooperatrice. A spiegare le cose per lettera é un affare troppo lungo, e l'opuscolo dell'abate Mendre non soddisfa abbastanza”[61]. [71]
Anche Don Rua vide l'originale e ne lodò in massima l'autore, pur notando che erano incorse inesattezze cronologiche e che certe cose, per i tempi che correvano, conveniva tacerle. Suggeriva inoltre che della Congregazione si parlasse non come di corporazione religiosa, ma come d'una società di beneficenza, composta di ecclesiastici e laici[62]. Egli però non fece una revisione vera e propria, ma dovette darvi solo una scorsa rapida e saltuaria; altrimenti si sarebbe accorto che un aneddoto narrato a pagina 136 sul conte di Viancino non andava, a cominciare dal nome che era diventato Vianichino. Il Viancino, avendo letto il libro, se ne lagnò con Don Bosco, il quale molto bonariamente gli rispose:
Il Sig. Dottore d'Espiney é un buon cattolico, ma egli ha per iscopo nel suo libro di contarne delle grosse a spalle di Don Bosco. Perciò non si stupisca se trova delle inesattezze ed anche errori nella sua esposizione.
Tuttavia nel prossimo gennaio vedrò questo Signore in Nizza e non mancherò di far togliere o almeno correggere alcune grosse fanfaluche nel suo libro.
Sono però contento che da ciò Ella abbia avuto occasione di scrivermi e lo sarei stato ancora di più se avessi potuto riverirla personalmente.
Ad ogni modo io prego Dio che conservi Lei e la Sig. Contessa di Lei moglie in buona salute e nella sua santa grazia e raccomandandomi alle preghiere di ambedue ho l'onore di professarmi con gratitudine e stima in G. C.
L'autore provvide nella seconda edizione, che molto presto si dovette fare. Le edizioni poi si moltiplicarono rapidamente in Francia; anche la traduzione italiana, condotta sulla undicesima edizione francese e lavoro del toscano e salesiano Don Ercolini, ebbe grande fortuna. Anche oggi il libro é ricercato. [72]
D'allora in poi biografie di Don Bosco videro la luce in differenti idiomi, e fu cosa provvidenziale; poiché s'avvicinava il tempo, in cui Don Bosco non avrebbe più potuto questuare come in passato sia per effetto dell'età, sia per la mole degli affari; il libro veniva a questuare in sua vece. In questo l'efficacia del libro si sperimentò assai durante i primi anni dalla sua morte; poiché tenne viva la memoria del Fondatore e impedì che si essicasse presso tante persone la beneficenza verso le sue opere.
Quanto a sé, egli ripeteva: - Parlate di Don Bosco in male o in bene, come volete, purché le vostre parole cooperino alla salute delle
anime. -Il Servo di Dio diceva questo perché non ignorava due cose, che cioè il parlare della sua opera spianava la strada al salvar anime e che della sua opera non si poteva parlare senza dire della sua persona, tanto l'una s'immedesimava con l'altra. Perciò lasciava fare, salvo a intervenire, quando sapesse che s'andava fuor del vero. Così allorché intese che il Du Boys attribuiva a' suoi genitori “una certa agiatezza”[63], ci narrava Don Barberis che egli fu pronto a correggere: - No, no, ma poveri! Così pure si espresse in una conversazione, alla quale chi scrive ebbe la sorte di assistere nel settembre del 1887 a Valsalice. Un confratello dell'allora Polonia austriaca accennava ad una biografia tedesca, non ricordiamo se originale o tradotta, in cui gli si attribuiva un'origine borghese. Don Bosco animatamente gli rispose: - Bisogna scrivere e dire che si corregga... Bisogna scrivere... Scrivi.
Ma il nemico del bene non dormiva. Il Radical, organo del più fanatico anticlericalismo, nel suo numero del 9 giugno tornò alla carica con un articolo furibondo contro le case salesiane di Francia, eccitando il Governo a chiuderle una buona volta e ad espellere i Salesiani. Il lor Fondatore essere [73] un mistificatore, un sedicente operator di miracoli; scopo della sua istituzione suggestionare la gioventù per farle intraprendere la carriera ecclesiastica a dispetto delle famiglie e spedire poi nell'America gl'irreggimentati; i soci un'accozzaglia di poveracci, piombati senza un soldo dalla non ricca Italia in Francia per isfruttarla; tutti insieme una razza di fratacchioni, di cui parte preti improvvisati in barba alle leggi canoniche e parte chierici o laici pezzenti e disertori; gran pietà esteriore per accalappiare gl'ingenui e vita privata piena di vizi; sulle prime essersi ricevuti pochi ragazzi gratuitamente per poter battere la gran cassa e raccogliere limosine, poi licenziati sotto pretesto di cattiva condotta e sostituiti con altri a pagamento; gli alunni barbaramente trattati, percossi a colpi di martello, ridotti alla fame, costretti a gridare Viva il Papa, abbasso la Repubblica; avere il Direttore corrispondenza con il pretendente al trono francese; inesplicabile apparire la tolleranza del Governo per simili frocardes e fratres seviziatori di ragazzi, tanto più inesplicabile dopo le informazioni e le proteste fattegli pervenire dai cittadini. Il malvagio scrittore, che firmava la sua diatríba, conchiudeva così: “Oggi il loro edifizio in via Beaujour é terminato. Il personale si compone esclusivamente d'Italiani, che vivono a spese della Francia e la insultano. I lettori, ne siam certi, ci sapranno grado d'aver fatto lor conoscere una genìa, che si nasconde, che dissimula la propria qualità di congréganistes interlopes, per isvolgere meglio la sua opera depravatrice. Noi torniamo a domandare che cosa aspetti l'autorità per iscacciare questi fratacci indegni di pietà, né cesseremo mai di chiederne l'espulsione d'accordo col grande partito radicale.”
Come giunse dunque opportuna la pubblicazione del D'Espiney, che, appena messa in vendita, andò a ruba! Troppi del resto a Marsiglia avevano veduto Don Bosco e sperimentato quello che l'autore scrive nella prima pagina del suo libro: “Vedere Don Bosco e non sentirsi attratto verso di lui e non volergli bene é impossibile.”
QUESTO insigne cooperatore salesiano merita un capo a parte; l'insieme delle sue relazioni con Don Bosco costituì un episodio non poco interessante nella vita del Servo di Dio. Il Beato, dopo una visita fattagli da lui e dalla stia consorte a Torino, gli scriveva il 5 luglio 1882: “A Torino, nel nostro collegio di Lanzo, di San Benigno, di Valsalice si é parlato e si parla molto della S. V. e di Madama Colle. Tutti sono edificati della loro affabilità e del loro spirito di pietà pratica. Ci hanno fatto del bene spiritualmente e temporalmente. Da ogni parte mi si assicura che si prega assai per loro.” Sebbene la serie dei benefizi allora fosse appena agli inizi già il nome del conte Colle godeva nelle case salesiane di larghe simpatie, le quali poi crebbero di anno in anno, come noi stessi fummo testimoni. Per la nostra storia la realtà che s'impone é questa, che Luigi Antonio Fleury[64] Colle e la sua nobile consorte Maria Sofia dei baroni Buchet amarono veramente Don Bosco, amarono cattolicamente le sue opere, si svolgessero esse cioè in Francia o in Italia o nell'America, e dimostrarono tale amore col [75] fatto di una carità che non disse mai basta, quando si trattò di soccorrere il Beato Padre, confortandolo indicibilmente nelle angustie de' suoi anni estremi.
La Provvidenza fece incontrare i Colle con Don Bosco alla vigilia di un loro grave lutto domestico. Nel febbraio del 1881, mentre il Servo di Dio si trovava a Marsiglia, venne da Tolone il parroco di Santa Maria a supplicarlo che andasse in quella città a benedire il figlio unico dei signori Colle, ridotto ormai in fin di vita nella fresca età di diciassette anni. Il buon sacerdote gli descriveva la desolazione dei genitori, dei quali esaltava le virtù, dicendo pure quanta speranza essi avessero che l'infermo, da lui benedetto, ricuperasse la salute.
Don Bosco rispose che a Tolone non poteva andare, ma che avrebbe pregato per il giovinetto, né, per quante insistenze gli venissero fatte, si volle mai arrendere. Una settimana dopo il parroco ricomparve, risoluto a non muoversi di là, fino a che la sua preghiera non fosse esaudita. Il Beato non persistette nella sua negativa; soltanto non gli piacque aver l'aria di recarsi a Tolone per quello scopo, ma disse che vi sarebbe andato per tenere una conferenza ai Cooperatori. Rimasero così intesi per il 10 marzo.
Appena giunto a Tolone, Don Bosco si portò dal malato, che lo aspettava a braccia aperte, ma senza dare mai alcun segno d'impazienza. Lo trovò consunto dalla tisi. Quando si poterono intrattenere da soli, il Beato restò ammirato dell'ingenuità e del candore di quell'anima: gli parve Luigi di nome e di fatto. Vedendolo maturo per il paradiso, lo dispose a fare volentieri il sacrifizio della vita al Signore; nel che dovette toccar con mano quant'egli si mostrasse docile ai movimenti della grazia, piegandosi pronto ai sentimenti suggeritigli e abbandonandosi interamente nelle braccia di Dio. Ciò nonostante non credette opportuno distorglierlo dal pregare per la sua guarigione, non foss'altro per riguardo ai genitori trambasciati: solo esortò a mettere sempre la condizione, se questo fosse per tornare a bene dell'anima sua. [76]
Dio lo chiamò a sé il 3 aprile seguente. Ricevuti gli ultimi sacramenti, egli aveva detto ai suoi: - Vado in paradiso; me l'ha detto Don Bosco. -
La memoria del caro giovane s'impresse indelebile nel cuore del Beato, tanto che concepì quasi subito l'idea di scriverne la biografia, e la scrisse di fatto con la massima sollecitudine[65]. Chi legge questa operetta e si ferma alla lingua e allo stile, é tentato di pensare che non sia cosa di Don Bosco. La verità é che Don Bosco la abbozzò di suo pugno, ma affidò al salesiano Don De Barruel il compito di acconciarla nella forma[66]. Infatti in una lettera del 4 ottobre 1881 dice al signor Colle che per non aumentare la fatica crede meglio scrivere subito in francese, riserbandosi di far rivedere il suo scritto a un amico, che era appunto il mentovato confratello.
Quanto al contenuto, egli assicura nella prefazione che le informazioni gli sono state fornite da chi visse con l'estinto [77] o poté trattare con lui e conoscerne la pietà, la carità e il fervore. Di questa sua diligenza in procurarsi positive notizie abbiamo la prova in tre lettere al padre[67]. Nella prima, ringraziatolo di quelle inviategli, lo prega di aver pazienza e di completarle, raccogliendo: 1° detti, discorsi, pensieri espressi coi genitori o nel dare la limosina ai poveri o nel fare le cose comandate; 2° azioni edificanti in materia di mortificazione o di pazienza e nei rapporti con i parenti, gli amici, i poveri; 3° circostanze speciali della visita al Santo Padre nell'aprile del 1878, parole dell'uno e dell'altro e soprattutto qualche frase del Papa; 4° lo stesso per visite a santuari e a chiese o per l'assistenza a solenni funzioni religiose. “Ogni parola, scrive Don Bosco, ogni atto di virtù figurerà bene al suo posto. Abbia dunque la bontà di aiutarmi nella raccolta di queste notizie e io metterò ogni cosa dove andrà messa.”
Le nuove informazioni vennero. “Ogni cosa, ripeteva Don Bosco ringraziando, per piccola che sia, serve a render importante la nostra opera, che va sempre avanti e che si può dir fatta per tre quarti. Spero di portarla con me nel prossimo gennaio, venendole a fare una visita.” Finalmente, quando gli comunicò che la biografia era terminata, aggiungeva: “Non mi resta più che di leggerla e farne una copia, che porterò con me nel mio prossimo passaggio per Tolone. E' indispensabile che la leggiamo insieme.” Già nella prima lettera gli aveva detto: “Prima che sia data alle stampe, V. S. la vedrà e vi farà tutte le sue osservazioni e modificazioni”[68].
Quanto senso storico in questo modo di procedere! Ma vi é quel capo secondo con la sua lunga digressione di [78] psicologia pedagogica, che per alcuni avrebbe tutto l'aspetto di cosa composta da altri e inserita nel testo per crescere importanza e ampiezza al lavoro. Sono circa otto pagine[69] sull'educazione dei fanciulli in seno alle loro famiglie, che dovrebbe avere per base la formazione della volontà, mentre invece questa é trascurata per coltivare precocemente l'intelligenza, anzi é resa quasi impossibile dalle troppe moine e lusinghe, fomentatrici della sensualità e dell'amor proprio. Certo qui come altrove la forma non é quella di Don Bosco; ma non meno qui che altrove bisogna dire che sua é la sostanza.
Naturalmente lo scriba non poteva spogliarsi di se stesso fino al punto da non introdurre elementi soggettivi; la costui mentalità poi, dedita di preferenza agli studi filosofici, in questa parte ha lasciato una più sensibile impronta.
Tuttavia chi non vede qui riflesse le idee formulate poc'anzi da Don Bosco nelle sue norme sul sistema preventivo? Qui pure egli dovette stendere l'abbozzo, che l'altro rimaneggiò; indi a cose fatte lesse e diede il suo benestare. Ma abbiamo di meglio: ci sembra che il germe della breve trattazione stia già racchiuso nell'unica sua lettera italiana[70], scritta quando la biografia era ancora soltanto un pensiero della sua mente. Don Bosco, scrivendo del figlio alla signora Colle[71], aveva detto che alcune cose non le voleva affidare alla carta. Questa reticenza gettò il turbamento nel cuore della madre; onde il Beato si spiegò col marito di lei, usando la lingua italiana, forse perché sua moglie non la intendeva e quindi avrebbe ricevuto la comunicazione attraverso una traduzione all'uopo mitigata. [79]
Stimabilissimo Sig. Avv. Colle,
Vedo che la Signora di Lei moglie é alquanto inquieta di quello che non voleva confidare alla carta. Per questo motivo le dirò qui in poche parole la sostanza delle cose. Il cuore dei genitori era troppo affezionato al loro unico figlio. Troppe carezze e ricercatezze; ma egli si conservò sempre buono. Se fosse vissuto avrebbe incontrato grandi pericoli da cui forse sarebbe stato strascinato al male dopo la morte dei genitori. Perciò Dio lo volle togliere dai pericoli, prenderlo con sé in cielo, donde quanto prima sarà il protettore de' suoi parenti e di coloro che hanno pregato o pregano per lui.
Dal canto mio ho pregato e faccio ancora pregare in suffragio dell'anima del caro Luigi in tutte le nostre case.
Giacché sono a Nizza, credo possano fare una passeggiata amena fino a Torino. Io li attendo con gran piacere. E Maria Ausiliatrice non mancherà di regalare ad ambidue qualche consolazione.
Dio la benedica, sempre caro Sig. Avvocato. Dio benedica Lei, la Sua Signora Moglie e li conservi in buona salute. Vogliano anche pregare per me che le sarò sempre in G. C.
PS. Nel loro arrivo a Torino vadano direttamente all'Albergo della Dogana Vecchia dove saranno ben accolti. Tutti poi sapranno condurli qui al nostro Ospizio.
Una gita a Torino per vedere Don Bosco e pregare Maria Ausiliatrice era quel che di meglio si potesse dagli afflitti coniugi desiderare per sollevar l'animo dal gran dolore; accolsero dunque l'invito. Della loro venuta é cenno in questi periodi d'una lettera del 3 luglio alla Signora: “Il mio modo di agire avrà indotto senza dubbio la S. V. a credere, che io abbia dimenticato la loro visita, le loro attenzioni e le loro caritatevoli liberalità. Ma La prego di voler scusare la mia condizione. Sono stato come assediato dagli affari, che mi han portato via tutto il tempo. Ma nonostante il mio ritardo, ho fatto sempre tutte le mattine un particolare ricordo per la S. V., per il Sig. Colle e per colui che ci ha lasciati per andarsene in paradiso.”
Or questo per l'appunto voleva sapere la madre, quale [80] fosse veramente la sorte del suo Luigi nell'eternità. Ne richiese con insistenza Don Bosco, il quale più volte gliene scrisse e più volte gliene parlò nelle visite fatte o ricevute. Qui entriamo in un mondo di fenomeni, che trascendono la natura e di cui sulla scorta di documenti intendiamo fare una completa rassegna.
Il Beato per la prima volta manifestò qualche cosa alla Signora in una lettera del 4 maggio 1881: “Ella deve stare tranquilla. Il nostro caro Luigi é certamente salvo e domanda a Lei due cose: che si prepari seriamente per andare, quando a Dio piacerà, a raggiungerlo in paradiso e che preghi molto per lui, mentr'egli Le otterrà grazie speciali.” Non giudicò opportuno dire di più per iscritto; ma le palesò più tardi a viva voce quello che allora lasciò nella penna. Il 3 aprile, mentre stava confessando, gli era venuta, com'ei diceva, una distrazione: vide Luigi in un giardino, dove si divertiva con alcuni compagni e appariva felice. La visione durò un attimo. Luigi non parlò, ma quella vista mise in cuore a Don Bosco la persuasione che fosse già in paradiso. Tuttavia continuò a pregare per lui, domandando pure a Dio che gli facesse conoscere altro e aspettando dalla sua infinita misericordia questo favore, perché bramava nei limiti del possibile consolare un padre e una madre immergi nella desolazione dalla perdita del loro unico figlio.
Dio lo esaudì assai più di quanto egli si sarebbe mai immaginato. Il 27 maggio, la dimane dell'Ascensione, il Beato celebrava nella chiesa di Maria Ausiliatrice offrendo il divin sacrifizio secondo l'intenzione dei genitori di Luigi che assistevano alla sua Messa, quando al momento della consacrazione vide Luigi in un mare di luce, bellissimo nell'aspetto, molto allegro, paffuto e rubicondo, con vesti bianco rosate e sul petto dorati ricami. Gli domandò: - Perché vieni, caro Luigi?
- Non é necessario che io venga, rispose. Così come sono, io non ho bisogno di camminare. [81]
- Mi manca soltanto la compagnia del babbo e della mamma.
- Perché non ti fai loro vedere?
- Questo per essi sarebbe causa di troppo grave pena.
Ciò detto, disparve. Ma alle ultime orazioni si fece nuovamente vedere, e poi da capo nella sacrestia, e questa volta accompagnato da alcuni giovani dell'Oratorio morti durante l'assenza di Don Bosco, che ne fu assai consolato.
- Luigi, gli chiese, che debbo dire ai tuoi genitori per temperarne l'afflizione?
- Che si facciano precedere dalla luce e si procaccino amici nel cielo.
Queste cose narrò egli ai Signori Colle durante il loro soggiorno in Torino. Passato quindi poco meno d'un mese, ebbe un'altra visione, da lui descritta nella citata lettera del 3 luglio alla madre. Egli aveva continuato a pregare il Signore, perché facesse conoscere qualche cosa di preciso. Dal maggio al luglio una sola volta ebbe la consolazione di vedere il giovane e di udirne la voce. “Il 21 giugno scorso, scrive, durante la Messa, poco prima della consacrazione lo vidi con la sua faccia solita, ma dal colore della rosa in tutta la sua bellezza e di una carnagione splendente come il sole. Subito gli domandai, se avesse qualche cosa da dirci. Rispose semplicemente: -San Luigi mi ha protetto e beneficato molto. - Allora io ripetei l'interrogazione: - Vi é qualche cosa da fare? - Egli diede la medesima risposta e disparve. D'allora in poi non ho più visto né udito nulla. Caso mai Iddio nella sua infinita misericordia si degnasse di farci conoscere alcun che, mi affretterei a dargliene pronta comunicazione.”
Dopo circa un paio di mesi ecco una nuova apparizione. La narra il 30 agosto alla signora Colle in questi termini: [82] “Durante l'ottava dell'Assunzione della Santa Vergine Maria e più ancora il 25 di questo mese ho pregato e fatto pregare per il nostro caro Luigi. Proprio il 25, alla consacrazione della santa Ostia, ho avuto la grande consolazione di vederlo vestito nel modo più splendido. Egli era come in un giardino, dove passeggiava con alcuni compagni. Tutti insieme cantavano Iesu corona virginum, ma con tale accordo di voci e con tale armonia, che non é possibile esprimere né descrivere. In mezzo a loro si ergeva un alto padiglione o tenda. Io desiderava di vedere e di udire la mirabile armonia; ma in quell'istante una luce vivissima come un lampo mi costrinse a chiudere gli occhi. Dopo mi sono trovato all'altare a dir la Messa. La faccia di Luigi era bellissima; egli sembrava contentissimo o meglio pienamente contento. In quella Messa ho voluto pregare per Lei, affinché Dio ci accordi la grazia singolare di trovarci un giorno tutti insieme riuniti in paradiso.”
Questa lettera é scritta da San Benigno, dove rivide Luigi, come raccontò poi a Tolone. Un giorno nella sua camera egli si stava preparando alla predica, quando gli parve di avere qualcuno accanto. Si voltò da quella parte e in quel mentre la persona passò dalla parte opposta. Fu cosa di un istante. Nell'atto ch'ei si domandava che cosa potesse mai essere: - Non mi riconosce? si sentì rispondere.
- Oh Luigi! esclamò egli. Come mai ti trovi a San Benigno?
- Per me non é più facile essere a San Benigno che a La Farléde[72] o a Torino o dovunque io voglia essere.
- Perché non ti fai vedere ai genitori che ti amano tanto?
- Sì, lo so che mi amano; ma perché mi possano vedere, ci vuole la permissione di Dio. Se parlassi io a loro, le mie parole non otterrebbero il medesimo effetto. Bisogna che queste passino per lei. [83]
L'argomento delle apparizioni ritorna due volte nelle lettere del Beato durante il 1882. Il 30 luglio scrive alla Signora: “Ho la consolazione di dirle che ho avuto la consolazione [sic] di vedere il nostro sempre caro e amabile Luigi. Vi sono molti particolari che spero di esporle personalmente. Una volta l'ho veduto a trastullarsi in un giardino con dei compagni, riccamente vestito, ma in una maniera che non si può descrivere. Un'altra volta lo vidi in un altro giardino, dove coglieva fiori, che portava in una gran sala sopra una magnifica tavola. Gli volli domandare: - Perché questi fiori? - Sono incaricato di cogliere questi fiori, e con questi fiori fare una corona per mio padre e mia madre, che hanno faticato molto per la mia felicità. - Altre cose scriverò in altro momento.” E il 4 dicembre alla medesima: “Il nostro amato Luigi, il nostro carissimo amico, l'ho veduto più volte, ma sempre glorioso, cinto di luce, vestito in modo così splendido, che si può vedere, ma non si può descrivere. Verbalmente potrò dirle qualche cosa di più. Spero di farle una visita a Tolone nel mese di febbraio prossimo e di poter passare un po' di tempo in sua compagnia e col Signor Conte suo carissimo Marito e grande benefattore delle opere salesiane.”
Fece difatti la visita annunziata, ma in marzo, nella quale occasione spiegò meglio le cose. Allora disse pure di un'apparizione avuta a Roma il 30 aprile dell'anno antecedente 1882. Era la festa del Patrocinio di San Giuseppe, terza domenica dopo Pasqua. Stando nella sacrestia della cappella presso la sorgente chiesa del Sacro Cuore, vide Luigi che attingeva acqua da un pozzo. - Perché, gli chiese, tiri su tant'acqua?
- Attingo per me e per i miei genitori.
- Ma perché in tanta quantità?
- Non comprende? Non vede che é il Sacro Cuore del Signor Nostro Gesù Cristo? Quanti più tesori di grazia e di misericordia ne escono, tanti più ve ne rimangono. [84]
- Sono venuto a farle una visita e a dirle che io sono felice.
Allora stette a Tolone dal 5 al 14 marzo e raccontò tante altre cose, che non tutte sono state scritte. Disse, che Luigi nelle diverse apparizioni gli si mostrava sempre differentemente vestito e che, interrogato del perché, rispose: -Questo é solo per suo svago. - Nel viso però aveva sempre i medesimi lineamenti che da vivo, ma con guance pienotte ed espressione allegra, con riflessi d'oro sulla persona e con vesti dai colori dei gigli e delle rose, ma più splendidi; il suo viso era radioso e di una luminosità che cresceva a poco a poco fino ad abbagliare la vista. Delle apparizioni avute durante la Messa diceva che duravano un minuto solo o un minuto e mezzo, e che, se si fossero prolungate un tantino di più, egli sarebbe caduto, non potendo sopportare più oltre quel contatto col soprannaturale.
Quanto al valore delle apparizioni, la Contessa, che era persona illuminata, ci pensava e ne interrogò Don Bosco, che, com'ella scrive, si espresse così: “Riflettendo a queste apparizioni e studiandone il carattere, io mi convinco che non c'entra inganno né illusione, ma che sono realtà. Tutto quello che vedo, é nettamente distinto e conforme allo spirito di Dio. Luigi gode senza dubbio la felicità del paradiso. Riguardo alla frequenza di tali visioni, io ignoro qual sia il fine segreto della divina Provvidenza; vedo in particolare che Luigi viene a istruirmi, insegnandomi tante cose di scienza e di teologia a me interamente sconosciute.”
Torniamo ai fatti da lui narrati in quella circostanza. Un giorno Luigi gli aveva presentato una rosa, dicendo: - Vuol conoscere che differenza passa fra il naturale e il soprannaturale? Guardi questa rosa... La veda ora. - Tosto la rosa si fece così splendente da raggiungere il fulgore del diamante percosso dal sole. - Adesso guardi questo monte, - tornò poi a dirgli. Ed ecco un monte prima pietroso e tutto [85] a buchi pieni di fango, orribili a vedersi, e di lì a poco diventato una magnificenza, e in luogo dei fangosi buchi tante pietre preziose.
Un altro giorno a Hyéres Don Bosco, invitato a un gran pranzo, si era visto non più a tavola, ma in una specie di ampio corridoio, dove Luigi, venendogli incontro, gli disse: - Veda che lusso di banchetto e che vivande prelibate! E' troppo. Tanta gente muore di fame. Troppe spese! Bisogna combattere queste esorbitanti superfluità della mensa. - In quella i convitati rivolgevano la parola a Don Bosco e credutolo distratto, lo chiamavano: - Don Bosco! Don Bosco!
Una volta fra Don Bosco e Luigi si era svolto questo curioso dialogo.
- Il mio corpo é sepolto, ma io vivo.
- Non é il tuo corpo quello che io vedo?
- E' la tua anima? Non é la mia anima.
- Che cosa é dunque ciò che io vedo?
- Ma un'ombra come può parlare?
- Mercé la permissione di Dio.
- La mia anima é presso Dio, sta in Dio, e lei non la può vedere.
- In Dio si vedono tutte le cose; il passato, il presente, l'avvenire vi si vedono come in uno specchio.
- Che cosa fai nel cielo? [86]
- Nel cielo dico sempre: Gloria a Dio! A Dio si rendano grazie. Grazie a Colui che ci ha creati; a Colui che é il padrone della vita e della morte; a Colui dal quale tutto ha cominciamento. Grazie! Lodi! Alleluia, alleluia!
- E i tuoi genitori? Che cosa mi dici per loro?
Prego per essi continuamente e così li ricompenso. Li aspetto qui in paradiso.
In una successiva apparizione Don Bosco lo interrogò di bel nuovo sull'affare dell'ombra: - Tu dici che io vedo soltanto la tua ombra, perché la tua anima é in Dio. Come può l'ombra avere così apparenza di corpo vivo? - Rispose:
- Lo vedrà presto; ne avrà una prova.
Don Bosco aspettava questa prova. Qualche tempo dopo, com'egli raccontò, gli comparve nella notte il defunto parroco di Castelnuovo, che passeggiava sotto i portici dell'Oratorio. Sembrava in buona salute e molto contento.
- Oh signor Prevosto, eccola qui! esclamò egli al vederlo. Come sta?
- Sono felice, felicissimo. Passeggi con me.
- Nel cielo si ha tutto quello che si desidera. Ma passeggi: discorriamo insieme. Mi riconosce bene?
- Mi guardi attentamente. Non vede che io sono in piena giovinezza e in perfetta letizia?
- Sì, signor Prevosto, é proprio lei, non ne posso dubitare.
Passeggiato che ebbero alquanto, come un tempo solevano fare, quegli disse: - Ebbene, ha imparato la lezione? - In così dire sparì. Allora Don Bosco comprese che Luigi se l'era intesa con quel prete. Narrato ciò disse ai Colle: - Simili favori sono così straordinari, che atterriscono per la responsabilità che ne ricade su chi ha obbligo di corrispondere a tante grazie.
Durante quel viaggio del 1883 in Francia i casi si moltiplicarono [87]
La domenica Laetare 4 marzo dalle quattro alle sette pomeridiane, sulla linea da Cannes a Tolone, Luigi si accompagnò con lui in treno dalla prima all'ultima stazione. Gli parlava in latino, magnificando la grandezza delle opere di Dio. Fra l'altro, richiamò la sua attenzione sulle nebulose e gli diede nozioni astronomiche affatto nuove per lui. - Se, diceva, si andasse in treno diretto dalla Terra al Sole, vi s'impiegherebbero non meno di trecento cinquant'anni; per arrivare poi all'altra parte del sole, vi sarebbe egual distanza: il che farebbe settecent'anni. Ora ogni nebulosa é cinquanta milioni di volte maggiore del sole, e la sua luce per giungere alla Terra mette dieci milioni di anni. La luce del sole percorre trecentocinquanta mila chilometri al secondo... - A questo punto, vedendo che egli continuava con simili calcoli astronomici - Basta, basta! gli fece Don Bosco. La mia mente non ti può più tener dietro. Mi ci vuole tanta fatica, che non posso resistere.
- Eppure é soltanto il principio della grandezza delle opere di Dio.
- Come va che tu sei nel cielo e qui?
- Più presto della luce e con la rapidità del pensiero io vengo qui, nella casa de' miei genitori e altrove.
Alcuni giorni dopo a Hyéres durante la Messa., ecco Luigi. -- Che cosa c'é da fare, Luigi? - gli domandò il Beato. Luigi gli indicò una contrada nell'America del Sud, dove bisognava mandar Missionari, e gli mostrava nelle Cordigliere le sorgenti del Chubut.
- Ora, gli disse Don Bosco, lasciami dir Messa. Così sono imbarazzato a continuare.
- Bisogna, ripigliò Luigi, che i fanciulli si comunichino con frequenza. Deve ammetterli presto alla santa comunione. Dio vuole che si nutrano della salita Eucaristia.
- Ma come si fa a comunicarli, quando sono ancora troppo piccoli?
- Dai quattro ai cinque anni si mostri loro la santa [88] Ostia e preghino Gesù guardandola; sarà questa una comunione. I fanciulli devono essere ben compresi di tre cose: amor di Dio, comunione frequente e amore al Sacro Cuore di Gesù. Ma il Sacro Cuore di Gesù racchiude le altre due.
In una visione precedente Luigi gli aveva additato un pozzo in mezzo al mare, dicendo: - Veda quel pozzo. Le acque del mare vi entrano continuamente e il mare non diminuisce mai. Così é delle grazie contenute nel Sacro Cuore di Gesù. E’ facile riceverle: basta pregare.
Nell'aprile del medesimo anno a Parigi celebrava nella chiesa di Nostra Signora delle Vittorie. Luigi gli apparve, mentr'egli distribuiva la comunione. Era, come sempre, circonfuso di gloria e portava sul petto una collana a vari colori, bianco, nero, rosso; ma con questi tre ve n'erano infiniti altri da non potersi descrivere. La subitanea impressione gli arrestò la mano, impedendogli di continuar a comunicare. I vicari della parrocchia, credendo che fosse stanchezza, presero a distribuire essi la santa Eucarestia. Il Beato disse a Luigi: -Come mai tu qui? Perché venire mentre dò la comunione? Vedi come sono impacciato.
- Qui, rispose, é la casa delle grazie e delle benedizioni.
- Ma dove sono? Non vedo più nessuno. Che cosa bisogna fare?
- Dove sono coloro che stavano ai piedi dell'altare?
- Dia la santa comunione. Ecco quelli che vuol vedere.
Luigi allora disparve, e Don Bosco si trovò all'altare a terminar la Messa.
A Parigi vi fu di lì a poco una seconda comparsa nella chiesa di Santa Clotilde. Don Bosco, venuto da celebrare, tentava inutilmente di liberarsi dalla folla per fare il ringraziamento. In sacrestia lo stringevano da ogni parte. - Lasciatemi un momento, diceva; lasciate che dica almeno un Pater! - Ma nessuno gli dava retta. A tal vista il Curato lo trasse in una stanzetta contigua, che, appena egli fu entrato [89] s'illuminò di luce celeste, e Luigi andava su e giù lentamente senza far motto.
- Oh Luigi! esclamò Don Bosco. Perché passeggi così senza dirmi nulla?
- Non é tempo di parlare, ma di pregare.
- Oh! parlami. Dimmi qualche parola, come hai fatto le altre volte.
- Ho veramente qualche cosa d'importante da dirle, ma non é ancora venuto il tempo.
- Tuttavia bisogna che tu mi parli. Vedrò i tuoi genitori, e che consolazioni porterò loro?
- Consolazioni! Le avranno. Continuino a pregare, a servir Dio e la Vergine Maria. Io comincio a preparare la loro felicità.
- Pregare! Non c'é più bisogno di pregare per te. Sappiamo che sei felice. Perché vuoi che i genitori si stanchino a far preghiere?
- Con la preghiera noi diamo gloria a Dio.
- Perché non fai una visita ai tuoi genitori, che ti amano tanto?
- Perché vuol sapere quello che Dio ha riservato a sé?
Ciò detto, disparve. Don Bosco notò che egli aveva tenuto sempre il capo scoperto.
Sempre nel 1883, la notte sul 30 agosto, Don Bosco fece un gran sogno, che riporteremo a suo tempo. Gli parve di trovarsi in una spaziosa sala fra molti amici già passati all'eternità. Uno nell'apparente età di quindici anni, bello di celestiale bellezza e più risplendente del sole, gli si avvicinò: era Luigi. In un viaggio fulmineo egli fece vedere al Servo di Dio l'eredità spirituale riservata ai Salesiani nell'America, i sudori e il sangue con cui l'avrebbero fecondata e la futura prosperità materiale di quelle terre. Di questo sogno il 15 ottobre da Torino richiese a Don Lemoyne una copia per mandarla a Tolone: “Fammi il piacere di ultimare il sogno di America e poi mandamelo tosto. Il Conte Colle ne é [90] desideroso, ma lo vuole tradotto in francese, il che procurerò di fare immediatamente.” Scrivendone poi al Conte l'II febbraio 1884, diceva: “Il viaggio da me fatto col nostro caro Luigi si spiega ogni dì più. In questo momento sembra che sia divenuto il centro degli affari. Si parla, si scrive, si pubblica molto per spiegare e attuare i nostri disegni. Se Dio ci farà la grazia di trovarci un po' insieme, avremo tante cose da dirci.”
Nel 1884 é interessante quello che accadde a Orte. Don Bosco, tornando il 14 maggio da Roma, ebbe in quella stazione una fermata di quattro ore. Era notte, nella sala di aspetto cercò di prender sonno sur un seggiolone, ma non si addormentava. Ed ecco farglisi innanzi Luigi e da' suoi occhi sparire ogni altro oggetto. Don Bosco, alzatosi, gli mosse incontro e gli domandò: - Sei Luigi?
- Non mi conosce? Non si ricorda più del viaggio, che abbiamo fatto insieme?
- Oh sì, certo, me ne ricordo bene, ma come portare a compimento tutte quelle cose? Io sono stanco; la mia salute va male.
- Va male la sua salute? Non é così... Domani mi darà la risposta.
La visione si dileguò solo all'ora della partenza. La dimane era il primo giorno della novena di Maria Ausiliatrice. Don Bosco, che dopo il suo ritorno dalla Francia era andato sempre di male in peggio, sperimentò all'improvviso un sensibile miglioramento, che di giorno in giorno si venne accentuando.
Quando si uscì dalla stazione di Orte, scoccavano le due dopo la mezzanotte. Don Lemoyne, che accompagnava Don Bosco, rimase colpito al vedere nel suo modo di fare alcun che fuor dell'ordinario. Infatti, incontrato il capotreno che lo invitava a montare in vettura, gli disse: - Sa chi sono io?
Il dialoghetto si arrestò lì, perché il treno partiva. In queste sue parole e nel modo di proferirle si ravvisava qualche cosa di singolare, che Don Lemoyne non aveva mai avvertito in lui; onde, cercandone la causa e ignorando l'accaduto, suppose perfino che egli volesse dare a lui segretario una lezione, perché non conosceva abbastanza chi fosse Don Bosco. Il fatto di quest'apparizione fu narrato da Don Bosco ai coniugi Colle il 10 giugno 1885 a Torino.
Un secondo sogno, avuto nella notte sul 10 febbraio del 1885, dischiuse a Don Bosco l'avvenire delle sue Missioni. Ne scrive così al Conte il 10 agosto: “Il nostro amico Luigi mi ha condotto a fare una passeggiata nel centro dell'America, terra di Cam, diceva egli, e nelle terre di Arfaxad o in Cina. Se Dio ci permetterà di trovarci insieme, ne avremo cose da dire.” Di qui apprendiamo chi fosse il personaggio che a un certo punto gli si pose a fianco, quando dall'America si trovò di botto trasportato nell'Africa, e del quale, narrando il sogno, aveva detto soltanto: “Io conobbi in quello il mio interprete.” Del medesimo sogno troviamo un cenno anche in altra lettera del 15 gennaio 1886:
“Riceveranno notizie della passeggiata in Cina col nostro buon Luigi. Quando Dio ci farà la grazia di trovarci insieme, avremo tante cose da direi.” Da quanto precede si scorge che nel giugno del 1885 non ne aveva detto ancor nulla ai Conti Colle.
L'ultima apparizione, di cui ci sia pervenuta notizia, fu nella notte del 10 marzo 1885. Il Beato pressava Luigi a dirgli qualche parola. Luigi gli rispose: - Nella sacrestia della cattedrale di Tolone Lei pregò, perché io guarissi.
- Sì, domandai la tua guarigione.
- Ebbene, fu meglio che io non guarissi.
- Come mai? Avresti fatto opere buone, avresti dato molte consolazioni ai genitori, ti saresti occupato grandemente a far glorificare Iddio...[92]
- Ne é Lei ben sicuro? Pronunziò Lei stesso la sentenza, amara per me, amara per i miei genitori; ma tuttavia fu per mio bene. Quando Lei domandava il mio ristabilimento, in salute, la Santa Vergine diceva a Nostro Signore Gesù Cristo: Adesso é mio figlio; lo voglio prendere adesso che é mio.
- Quando ci dovremo preparare noi per venire nel cielo?
- Si avvicina il momento, in cui le darò la spiegazione che desidera.
Don Bosco fece questa narrazione ai Conti Colle nella galleria accanto alla sua camera il 10 giugno 1885, vigilia quell'anno della festa di Maria Ausiliatrice. Finito che ebbe osservò: - E' indicibile la bellezza degli ornamenti che rivestivano la persona del nostro caro Luigi. La sola corona che gli cingeva la fronte, avrebbe richiesto non giorni o mesi, ma anni per esaminarla particolarmente, tante varietà offriva allo sguardo, divenendo sempre più brillante e dilatandosi a misura che la si contemplava.
I genitori, prima che conoscessero tutte le cose avvenute dopo il marzo del 1883 e narrate loro solo nel 1885, non erano mai abbastanza tranquilli sulla sorte del figlio; onde chiedevano a Don Bosco speciali preghiere in suffragio della sua anima. Il Beato una volta rispose[73]: “Ho già cominciato la novena con Messe, comunioni e preghiere particolari per il nostro Luigi, che, io credo, riderà di noi, perché preghiamo per lui a fine di suffragarlo; in realtà egli é divenuto nostro protettore in paradiso e continuerà a proteggerci, finché non ci accoglierà nella felicità eterna.”
La Contessa, chiudendo i suoi appunti, annotava: “Nel confidare a due cuori afflitti per loro maggior consolazione queste sue comunicazioni col mondo soprannaturale, Don Bosco sembrava così felice da far dire che egli intravvedesse la Gerusalemme celeste. La commozione lo vinceva e i suoi [93] occhi si bagnavano di lacrime, quando ripeteva le azioni di grazie che Luigi rendeva a Dio nel cielo.”
Non ometteremo un episodio, che la signora Colle raccontò alle Suore della Navarre, avvenuto poco dopo la morte del figlio. Don Bosco le aveva detto che nelle sue necessità si raccomandasse pure al suo Luigi. Orbene un giorno si presentò alla porta di casa un individuo che con fare prepotente le domandava denaro. Essa, non badando ai modi, gli diede l'elemosina, come soleva con tutti i poveri. Ma colui prese un'aria e un tono di minaccia da mettere paura. In casa non c'era neppure la serva. Allora, ricordando le parole di Don Bosco, pregò il figlio che l'aiutasse. Appena l'ebbe in cuor suo invocato, il malandrino, come assalito da improvviso spavento, si voltò e in quattro salti fu in fondo della scala, dandosi a precipitosa fuga.
Ma tornando alle apparizioni, noi ci domandiamo: forseché solamente per consolare due cuori afflitti Don Bosco riceveva e confidava ai coniugi Colle queste comunicazioni celesti? Come non pensare invece che con tal mezzo la Provvidenza mirasse soprattutto a incoraggiare quei doviziosi e cristiani Signori, perché impiegassero volentieri una gran parte delle loro sostanze in soccorrere l'uomo di Dio, suscitato a compiere nella Chiesa tante opere di bene secondo i bisogni del tempo? Così appunto doveva pensarla Don Bosco. Infatti egli ai desolati genitori dopo la perdita del figlio aveva detto con l'ardire proprio dei Santi: - Dio toglie loro questo unico figlio, perché adottino come figli tutti i miei orfanelli. -- E così la intesero quei due ferventi cristiani. Il padre esplicitamente dichiarò a Don Bosco che metteva la propria borsa a sua disposizione[74]. Le quali non furono vane parole, né buoni sentimenti di breve durata. Da quella borsa uscirono per più di sei anni somme rilevanti per la nuova casa della Navarre, per la chiesa e l'ospizio del Sacro [94] Cuore a Roma, per l'ospizio annesso alla chiesa di San Giovanni Evangelista in Torino, per la casa dei Figli di Maria a Mathi, per le Missioni e per eventuali necessità dell'Oratorio e di San Benigno. A costo di tediare i lettori, noi ci proponiamo di mettere nella maggior luce possibile tanta carità, valendoci dell'epistolario, che, sebbene non dica tutto, molto nondimeno offre alla nostra pia curiosità.
La prima richiesta di aiuto risale al 3 luglio 1881. Scrive alla Signora Colle: “Finora ho potuto tirare avanti; ma con l'andare dei mesi prevedo che sarò costretto a fare appello alla carità dei Signori Colle. Sarà per un caso di necessità e nei limiti del possibile. “Il caso di necessità si riferiva al Sacro Cuore; ma simili casi vennero poi moltiplicandosi e allargandosi. A una domanda così vaga la risposta fu quanto mai incoraggiante. Infatti il 20 agosto scriveva al Signor Colle: “Ella mi dà la preziosa notizia che mi regalerà 20 mila franchi per la chiesa del Sacro Cuore di Roma. Questo é veramente venire in aiuto della santa Religione Cattolica e allo spogliato suo Capo. Dio Le darà il centuplo adesso e più ancora a suo tempo nell'altra vita; ma il Sommo Pontefice e tutti i buoni cristiani e le persone da bene benediranno la sua carità.”La lettera, nella quale il Colle annunziava l'invio del danaro, piacque tanto a Don Bosco per la sua eleganza e compitezza che ivi stesso gli diceva: “L'ho letta e riletta ed ho creduto di far cosa onorevole a V. S. ed anche alla città di Tolone, mandandola al Santo Padre, al quale farà conoscere come gli avvocati sappiano opportunamente unire scienza e pietà. Dio sia benedetto in tutte le cose.” Non sembri strano questo mandare una lettera privata al Papa. L'impresa del Sacro Cuore gli era stata affidata dal Papa, che personalmente se ne interessava . inoltre Don Bosco dovette fin d'allora mirare a uno scopo speciale, di cui diremo più innanzi.
Per altro danaro speditogli nel 1882 unitamente con gli auguri dell'onomastico lo ringraziava il 7 luglio: “In questa [95] occasione Le fo tanti ringraziamenti per l'aiuto dalla S. V. prestatoci, affinché possiamo fondare, riparare, ingrandire le nostre case. Le anime salvate con l'aiuto di Dio dai Salesiani saranno per Loro, e quando Ella e la Signora sua Consorte entreranno in paradiso, saran ricevuti certamente dalle anime salvate mediante la loro carità.
“Animam salvasti, animam tuam praedestinasti.” Ribadirà il medesimo concetto, ma con precipuo riguardo alle Missioni, il 4 dicembre 1883: “Anzitutto La ringrazio di tutte le larghezze che Ella, Signor Conte, ci ha prodigate in più occasioni. Se noi siamo riusciti a fare progressi nell'America del Sud e specialmente nella Patagonia, lo dobbiamo a Lei, alla sua carità. Ne siano dunque lieti Ella e la Signora Contessa; le anime che i nostri Missionari guadagneranno al cielo, saranno per Lei e per Madama le portatrici delle chiavi del paradiso. Ora Ella aiuta altre case e altri selvaggi, che mediante le sue buone opere verranno alla fede, aumentando il numero delle anime che pregheran per Loro.”
Nella medesima lettera informava pure il Conte di altri due usi che aveva fatti del suo danaro, cioé per le case di Mathi e di San Giovanni, successivamente destinate ai Figli di Maria. “Ho una gradita nuova da darle. La casa di Mathi é stata comperata il 10 ottobre. Ora é mobiliata e popolata da una cinquantina di giovani che non potevano più essere contenuti nella casa di S. Benigno e che adesso stanno là a studiare coraggiosamente per il sacerdozio. Questa casa giovedì scorso é stata benedetta e consacrata a Dio sotto il titolo di Casa di San Luigi, e ciò per richiamare sempre più il ricordo del nostro Luigi e di tutta la sua famiglia. E' la prima nostra casa che porti quel titolo. Dio sia benedetto.” E per San Giovanni: “La casa cominciata presso la chiesa di San Giovanni Apostolo, nonostante tutte le nostre premure, non é ancora al tetto. La costruzione é al terzo piano. Si lavora sempre senza posa.”Finalmente il 22 ottobre 1884 completò queste ultime notizie: “Ho la grande consolazione [96] di parteciparle che la casa fabbricata dalla sua carità a vantaggio dei Figli di Maria Ausiliatrice é finita e abbiamo fissato il 10 novembre prossimo per l'ingresso degli alunni, i quali sul principio saran circa 150.” Poi la data dell'inaugurazione ufficiale fu rinviata, perché, come Don Bosco scrisse al Conte il 20 febbraio 1885, si voleva la sua presenza: “Abbiamo già popolato quasi tutta la casa di San Giovanni Apostolo, ma l'inaugurazione, non é ancora stata fatta. Noi dobbiamo in questa casa preparare un buon pranzo e fare un brindisi cordiale con la Signora Contessa Colle. Va bene, Signora Contessa, nostra buona Mamma in Nostro Signore Gesù Cristo?” I Conti, come abbiamo già detto, vennero per la festa di Maria Ausiliatrice.
Sul principio del 1884 la malferma salute sembrava dover impedire a Don Bosco d'intraprendere il viaggio, che durante quella stagione era solito fare in Francia. Il Conte lo aspettava con desiderio. Il Beato gli rispose l'II febbraio: “Tutti i giorni ed anche più volte al giorno vengo a far Loro una visita in spirito; ma di venire in persona fino a Loro, Signor Conte e Signora Contessa, non mi é ancora concesso. Al presente le cose nostre vanno bene, grazie a Dio; le case aumentano, i giovani più ancora, e le opere portano sempre con sé la benedizione, Dio sia benedetto. Da alcuni giorni la mia salute non é tanto buona, e non so se potrò venire a farle la visita ordinaria; credo che glielo potrò dire di qui a poco. Ma é inteso che in ogni caso ci vedremo a Roma.”
E’ vero che aveva sperato di anticipargli questa visita, arrivando tamquam fur a La Farléde verso il 20 settembre del 1883[75]; ma poi le circostanze non glie l'avevano permesso. Tuttavia il Conte gli teneva preparato quello che sarebbe dovuto essere oggetto di quel “furto”, come si rileva chiaramente da quanto il Beato gli scrisse il 15 ottobre: “Grazie della sua bella comunicazione. In questi giorni i [97] lavori sono progrediti e gli impresari domandano. Dio sia benedetto, e a Loro mille ringraziamenti, Signor Conte e Signora Contessa. Loro sono proprio la nostra provvidenza e gli strumenti scelti dalla mano del Signore per venirci in aiuto.” A ritirare i doni della Provvidenza andò allora Don Rua, al quale Don Bosco diede l'incarico di concertare con i Conti un viaggio a Roma, da essi desiderato. Il Servo di Dio, recatosi nell'aprile del 1884 alla Città eterna e riferendo in data del 16 sull'andamento dei lavori colà, toccò pure di quel viaggio:
“Sono a Roma. Il viaggio é stato buono e grazie a Dio la mia salute é migliorata. Ho esaminato attentamente i lavori tanto della chiesa che dell'ospizio del Sacro Cuore di Gesù; ma le fondamenta di questo presentano difficoltà gravissime a motivo della profondità, e perciò si deve ancora faticar molto prima di mettere a posto l'enorme quantità di pietre, che stanno preparate a tale effetto. Ora poiché la S. V. ha detto che desiderava di venir a Roma per la cerimonia della benedizione della pietra angolare e solo per pochi giorni, io credo meglio per la sanità di Madama e della S. V., che la cosa sia rinviata a più tardi.” Il 24 rendeva conto del ritorno di Don Rua, che erasi recato a Tolone per ricevere dal Conte una somma di 150 mila franchi e ne aveva spedito subito una parte a Roma: “La sua cara lettera é venuta a trovarmi con tutta regolarità e la cosa é riuscita benissimo. Don Rua benedice con me Iddio e le Signorie Loro, che ci aiutano così validamente a propagare la gloria di Dio, Don Rua ha mandato con prontezza tutto il necessario per mettere in moto i lavori e adesso le cose camminano.”
Camminarono però così a rilento che l'accennata funzione si compié solo nel maggio del 1885. Il 10 Don Bosco scrisse ai Conti: “A Roma i preparativi per la posa della pietra angolare sono pronti; noi potremo farci rappresentare da un Borghese: Don Dalmazzo farà e ci guiderà. Vi é tuttavia una cosa che spetta a noi. Nella pietra angolare bisogna mettere [98] dei ricordi e fra gli altri un'esposizione sulla famiglia e sulle due persone del padrino e della madrina. Perciò Ella avrà la pazienza e la bontà di cercare un amico, che in succinto mi dia le notizie principali: nome, data della nascita e le particolarità dalla S. V. giudicate opportune. Abbia pazienza: sono cose storiche da consegnare alla posterità. Avuta questa esposizione, sarà mia cura di unirvi altro, che compirà l'opera.”. E’ del 1884 il ricorso di Don Bosco al Conte per un acquisto, che importava una spesa rilevante, ma che gli premeva di fare a qualsiasi costo. Gliene scrisse così il 20 febbraio: “Un giorno, Signor Conte, abbiamo dal mio balcone osservato una casetta. - Quella casa, Ella disse, bisogna comprarla per togliere una grande servitù. Io metterò per questo a sua disposizione 30 mila franchi. - Allora la cosa restò senza conclusione, perché la proprietaria non voleva vendere. Adesso invece si vorrebbe vendere non solo la casetta, ma anche il terreno adiacente. L'affare ci conviene sotto ogni rapporto; tutti i nostri amici e tutti i Salesiani lo desiderano e lo raccomandano; ma il prezzo sarebbe molto più alto. Tra area, alberi e costruzioni ci importerebbe in cifra tonda 100.000 franchi. Io non voglio essere indiscreto; tuttavia non voglio neppure tacerle un affare che ci sistemerebbe tutta la casa, l'oratorio festivo, le scuole ed i laboratori. Dunque, Signor Conte, potrà in un tempo più o meno lungo venirci in aiuto con questa somma? Io le parlo in tutta confidenza, perché nella sua grande carità mi ha detto più volte che mette nelle mie mani la sua borsa per tutte le cose, nelle quali possa contribuire alla maggior gloria di Dio. Ella penserà un momento su quest'affare e poi mi risponderà con la medesima confidenza, con cui mi sono io rivolto a Lei.” La casa in vendita era quella appartenente alla signora Bellezza e più volte mentovata nei volumi di Don Lemoyne[76]. Sorgeva a ponente della chiesa di San Francesco, divisa [99] solo per un muro dal cortile dell'Oratorio[77]. Il tutto fu comperato col denaro del Conte. Questi con l'immediata promessa dell'offerta dovette significare qualche sua idea mal conciliabile con l'umile sentimento che Don Bosco aveva di sé oppure, chi sa? con la perfetta rettitudine d'intenzione; il fatto é che Don Bosco il 27 gli rispose:
“Ho ricevuto la sua ottima lettera; ma io non voglio che mi porti ragioni perché fa questa o quell'altra cosa. Ella mi permetterà solo di esporre i miei bisogni e poi io sarò sempre ugualmente contento del suo sì o no. Mio pensiero é di pregare ogni giorno per Lei e per la Signora Contessa, e lo faccio tutte le mattine con un ricordo speciale nella santa Messa secondo la loro intenzione. I medici mi hanno detto di andare nelle nostre case del mezzodì e sabato, a Dio piacendo, partirò per Nizza con Don Barberis. Di là spero di farle almeno qualche visita per inaugurare e benedire la nostra o meglio la sua chiesa della Navarre. Nello stesso tempo ci potremo parlare e io spiegherò meglio le mie idee che sono di farle del bene, ma contentandola in tutto che possa renderla felice sulla terra e un giorno nel paradiso.”
In quel 1884 un'altra necessità grave e urgente costrinse il Servo di Dio a invocare la carità dei suo generoso benefattore. Nell'estate scoppiò il colera, le cui conseguenze per Don Bosco furono così descritte il 10 settembre al Conte: “II colera ha sconvolto vari paesi della Francia ed ora travaglia spaventevolmente l'Italia. Le nostre case e i nostri giovani finora sono stati preservati, ma la beneficenza ci vien meno in seria misura, sicché ci troviamo in gravi difficoltà per sostenerci nelle spese richieste dalle costruzioni e dalla manutenzione delle nostre opere. Quindi se in questo momento la S. V. ci può venire in aiuto, sarà come sempre, il nostro sostegno. Tuttavia se, trovandosi Ella a La Farléde, e nell'impossibilità di rientrare a casa per causa del colera, [100] questo Le reca disturbo, io Le raccomando di stare tranquillo nella sua villeggiatura e noi cercheremo di trarci d'imbarazzo come potremo. Ma glielo raccomando, non si dia pensiero, se le circostanze La mettono nell'impossibilità di fare il bene.” Per quanto ce ne manchino le prove dirette, noi crediamo che il caritatevole Signore abbia trovato modo di conciliare la propria tranquillità con l'impulso del suo cuore a fare il bene.
La fine dell'anno offerse a Don Bosco l'occasione per ringraziarlo calorosamente di tanti benefizi. Gli scrisse il 29 dicembre: “Vorrei farle una visita in persona per porgerle tanti ringraziamenti. Non potendo a voce, desidero venire per lettera, finendo l'anno con lo scrivere a Loro, o caritatevole Signor Conte e Signora Contessa Colle. Dio sia benedetto e ringraziato per averci conservati in buona salute e, spero, anche nella sua grazia. Fra le altre buone opere, Ella ha pagato per D. Perrot i debiti della Navarre e il Signore non mancherà di largamente ricompensarla e i nostri poveri orfanelli pregheranno di continuo secondo la sua intenzione. Fortunato D. Perrot che ha pagatori di tal fatta! Ma perché non possiamo trovare benefattori simili in Italia? Se un tal pagatore in Italia esiste, venga a pagare settantacinque mila franchi, che Don Rua dovrà sborsare per i nostri Missionari d'America, e un'altra somma quasi uguale per il corredo e il viaggio di quelli che partiranno quanto prima! E perché non viene a pagare i debiti delle nostre case di Torino e della chiesa e ospizio di Roma? La ragione è chiara. In Francia e in Italia vi é un solo Conte Colle. E noi benediciamo mille volte il buon Dio, che il Signor Conte e la Signora Contessa Colle vivano per aiutarci, appoggiarci, sostenerci nelle nostre difficoltà. Dio li conservi entrambi per lunghissimo tempo in buona salute, doni Loro la grazia di passar ancora molti e molti anni felici in ricompensa della loro carità sulla terra e finalmente dia loro nell'altra vita il vero prendo, il grande premio nel soggiorno del paradiso, dove io ho piena fiducia che noi ci possiamo trovare con Gesù [101] e Maria e col nostro caro Luigi a lodar Dio e a parlare di Dio in eterno.”
Rivide il Conte nell'aprile del 1885 a Tolone con Don Viglietti, ricevendo dalle sue mani nel partire la somma di centomila franchi per Roma e per le Missioni. Pensava di rinnovare la visita in settembre durante gli esercizi spirituali dei Confratelli. Gliene scrisse il 18 agosto da Mathi, dove si trovava da circa un mese per riaversi un tantino dalla sua gran debolezza o meglio, se fosse possibile, come diceva, per ritardare un po' la sua vecchiaia[78]. “Il tempo dei nostri esercizi, scriveva, é sempre su per giù il medesimo: si comincia il 10 agosto fino al 10 ottobre. Ma la gita a Nizza e a Tolone non sarà fin verso la metà dì settembre; Le si dirà il giorno preciso. Io per me desidero molto di vederla, ma non ne sono sicuro, perché da un mese a Mathi i miei viaggi sono stati dalla mia camera al giardino, che é vicinissimo alla cartiera. Per ora Le dirò che la mia salute é rimasta stazionaria; ma mi sembra che la diminuzione dei gradi di calore mi apporterà gran sollievo. Ma nel caso che la salute m'impedisca di mettermi in viaggio, Ella riceverà i ragguagli dei nostri affari. Entro la settimana avrà le carte relative al nostro ospizio di Roma, e Don Rua é interamente ai di Lei ordini per eseguirne le sante intenzioni a questo riguardo.”
Le condizioni della sanità pubblica dissuasero dal fare a Nizza regolarmente gli esercizi; invece Don Bosco stette un mese a Valsalice, donde inviandogli sue notizie gli diceva il 27 settembre:
“Come vedrà, io sono mezzo cieco, ed Ella stenterà forse a leggere la mia lettera. Mi perdoni e abbia pazienza. Non mancherò di ricordarli ogni mattina entrambi nella santa Messa. O Maria, siate nostra guida nella strada del paradiso.” Andò in dicembre a Tolone Don Rua, portando per Don Bosco un prezioso involto del Conte e un [102] grazioso cartoccio della Contessa, alla quale scrisse il 24: “Mentre Don Rua mi portava il plico che Ella sa, V. S. mi ha mandato un pacchetto di giuggiole della loro villa e del loro giardino. Io l'ho accettato quale ricordo di una Mamma la più affettuosa e caritatevole. Il decotto delle giuggiole é stato ottimo e mi ha fatto molto bene contro la tosse. E le esprimo tutta la mia riconoscenza.”
Vorremmo conoscere quanto Don Rua portò a Don Bosco; ma da una lettera del 15 gennaio seguente argomentiamo una volta di più, quanto sia stata provvida la mano di Dio nel fargli contrarre una sì cordiale relazione col Conte. Scriveva il Beato: “Io parlo di Loro ogni giorno e posso dire ogni momento; ma con la mia povera testa sempre un po' scombussolata debbo scrivere pochissimo in confronto di quello che dovrei fare per ringraziarli della tanta bontà e carità che ci usano. In questo momento Loro non solamente sono il sostegno delle nostre opere ed anche dei Salesiani, ma in questi giorni son divenuti quasi i soli nostri benefattori. Poiché in questi momenti le offerte sono diminuite in misura paurosa, massime, nelle nostre case di Francia e nelle nostre Missioni d'America. Ma la nostra caritatevole questuante (quêteuse) Maria Ausiliatrice comincia a venirci in aiuto con grazie straordinarie nella Russia, nella Prussia e segnatamente nella Polonia. Don Rua manda informazioni sull'ospizio di Roma. Roma é una città eterna. Dire molto, fare molto[79] e contentarsi di far le cose lentissimamente. Pazienza”.
Nel marzo del 1886 il Servo di Dio fece il suo viaggio nella Spagna, passando per Nizza e Marsiglia. Il 26 annunziò una visita ai Conti: “Lunedì sera, a Dio piacendo, sarò da Loro e potremo a nostro agio discorrere dei nostri affari. Se possono preparar un altare, molto volentieri dirò la santa [103] Messa in casa loro; altrimenti starò ai loro ordini.” Bicchiere della staffa furono ottantamila franchi.
Da questo punto la corrispondenza tace fino al 25 luglio, quand'egli, infermiccio, era ospite del Vescovo di Pinerolo, monsignor Chiesa, nella sua villa. Poi da luglio si balza al 9 settembre. “Sono ritornato a Valsalice, scrive, per un altro corso d'esercizi e per un capitolo, nel quale si sono trattati gli affari della nostra Congregazione. Vi erano radunati 70 Direttori delle nostre case. Abbiamo parlato molto di Loro e dei nostri affari.” E il 23: “La settimana prossimi ci recheremo a San Benigno, dove abbiamo raddoppiato il numero de' novizi e dovuto perciò preparare in fretta una nuova casa.” Allude alla casa di Foglizzo aperta allora. Qui, come altrove, ha cura di tenere i suoi grandi benefattori al corrente delle cose che si fanno, riguardandoli quali cointeressati nello svolgimento delle sue opere.
Dopo il carteggio non si ripiglia che al 14 dicembre. Don Lasagna con un gruppo di Missionari era stato a ossequiare la famiglia Colle, non partendone a mani vuote. Il Beato scrive ai pii coniugi: “Don Lasagna ha voluto scrivere i particolari della dimora fatta presso le SS. LL. e della carità con bontà veramente paterna ai medesimi prodigata. Essi partono, ma col cuore profondamente impressionato, assicurando che delle SS. LL. si faranno due modelli di vita cristiana in America. Partono per guadagnar anime al buon Gesù, guadagnando la propria e quelle delle SS. LL.” Poi con allusione al trattamento avuto dai Missionari in casa dei Conti prosegue: “Ed ecco un piatto che presenteranno Loro un giorno alla Loro entrata in paradiso; ma un piatto veramente ghiotto; un piatto d'oro, un piatto formato con diamanti e pieno di opere buone; e fra le altre opere buone l'aiuto da Loro portato ai Salesiani nella conversione dei selvaggi e dei peccatori arrecherà Loro una gioia ineffabile e senza fine.” In seguito parla di una vistosa offerta, che, ricordando le giuggiole della Contessa, chiama jujube ossia [104] pasta di giuggiole: “Ma il loro jujube che cosa é diventato? Sentano: il loro jujube, essendo di eccellente qualità, é stato così diviso: I° Quindici mila per una cambiale che monsignor Cagliero mi ha spedita dalla Patagonia. 2° Trentacinque mila alla Banca Tiberina [per il Sacro Cuore]. 3° Il resto a San Giovanni Apostolo, a San Benigno, a Foglizzo, dove abbiamo giovani che studiano per il sacerdozio. Come vedono, ogni parola di questa lettera avrebbe bisogno di spiegazione; ma questo sarà per quando potremo discorrere pacificamente delle cose nostre. Vorrei scrivere ancora molto per attestare l'affetto e gli obblighi che tutti i Salesiani professano alle SS. LL.; ma la mia povera testa obbedisce pochissimo e la Signora Contessa vorrà caritatevolmente decifrare questa cattiva scrittura.”
Del 1887 poco sappiamo quanto a oblazioni del Conte Colle. In una lettera del 23 marzo Don Bosco gli scrive del recente terremoto di Liguria: “Le dirò con la maggior consolazione che nel grande terremoto nessun giovane, nessuna persona ricevette danno. Soltanto gli edifizi han sofferto molto; la casa, le scuole e la chiesa del Torrione sono state quasi rovinate. Ma la divina Provvidenza ci ha sempre aiutati e non ci abbandonerà in questo momento” E' probabile che il ministro della Provvidenza non sia rimasto insensibile a tale comunicazione. Più sicure sono due altre notizie. Una é in un poscritto di Don Rua a una lettera dell'8 aprile; egli ringrazia ivi il Conte della carità usata a Don Perrot, che era andato a fargli visita, molto probabilmente perché in bisogno. L'altra riguarda una somma di cinquemila franchi per San Benigno, come vedremo.
Conchiudiamo intorno a quest'argomento. Dell'ammontare di tante larghezze non é possibile fare un calcolo esatto, mancando ogni registrazione ed essendo la documentazione troppo lacunosa e talora anche vaga; ma per quello che noi ne sappiamo, si deve ritenere che la somma totale della beneficenza partita dal Conte Colle si aggirasse in media [105] sui centoventimila franchi all'anno, la qual cifra cinquant'anni addietro rappresentava indubbiamente un bel valore.
Ora dalla carità del Conte Colle volgeremo la nostra attenzione alla riconoscenza professatagli con i fatti in più modi da Don Bosco.
Allorché si conobbero, il Colle era semplice avvocato e cavaliere dell'Ordine di San Gregorio Magno, onorificenza conferitagli da Leone XIII su proposta del suo Vescovo. Don Bosco volle farne un Conte Romano; al che si accinse con maggior impegno, quando intravvide di fargli con questo cosa gradita. Cattolico francese d'antico stampo, egli amava quel titolo nobiliare non perché nobiliare, ma perché papale e quindi vincolo di più intima unione con il Capo supremo della Chiesa. Il Beato se ne occupava già nel giugno 1881; fin d'allora infatti aveva mandato al Vescovo di Fréjus e Tolone un esposto per il Santo Padre, affinché Sua Eccellenza certificasse nulla contenersi ivi che fosse contrario al vero, e quindi raccomandasse la pratica[80]. La supplica diceva:
Tra gli uomini che senza rispetto umano in questi tempi si rendono benemeriti nel professare e promuovere il decoro e la gloria di nostra Santa Cattolica Religione devesi meritamente tra' primi annoverare il Sig. Avv. Luigi Antonio Colle di Tolone.
Egli appartiene ad una delle più onorate famiglie di quella città;
E' genero del Barone Buchet Generale di Divisione, antico senatore di Francia;
E' Presidente zelante del Consiglio dell'Unione Cattolica e sociale del dipartimento del Varo:
E’ Presidente della Società di S. Vincenzo de' Paoli in questa medesima città di Tolone;
E’ Fondatore del periodico quotidiano politico religioso La Sentinelle du Midi, solo giornale Cattolico nel dipartimento del Varo;
E' Fondatore e Presidente del Circolo cattolico di Provenza.
Nella sua agiata posizione non si rifiuta mai ad alcuna opera di carità. Nel mese di marzo dell'anno testé passato ha fatto la generosa offerta di fr. 20 mila affinché si potessero continuare i lavori già [106] cominciati per la Chiesa e per l'Ospizio del Sacro Cuore all'Esquilino in Roma
Nel settembre dello stesso anno, essendo stato informato che cominciavano a mancare i mezzi per detta costruzione, fece una nuova offerta di fr. 20.000.
Nella Colonia agricola affidata ai Salesiani nella Navarra presso Tolone mancavamo di edifizi pei poveri fanciulli colà ricoverati, ed egli offrì pari somma di 20 mila lire in aiuto ed altre ottantamila garantisce per maggiori largizioni in avvenire.
Questo insigne e benemerito cittadino é già Cavaliere di San Gregorio il Grande; ma pel vivo desiderio di legare ognor più sé e tutta la sua famiglia al Capo Supremo della Cattolica Religione e così professarsi più splendidamente difensore della Chiesa reputerebbe cosa veramente gloriosa alla sua parentela e a lui di sommo gradimento il titolo di Conte di Santa Romana Chiesa. Egli è pronto a pagare tutte le spese di uffizio, di diritto che in qualunque modo si riferiscano a tale atto di benevolenza sovrana.
Il sottoscritto, essendo già stato più volte beneficato nei diversi Ospizi dalla divina Provvidenza affidatigli, umilmente si prostra ai piedi di Vostra Santità, implorando la grazia sopra mentovata.
Dopo tre mesi non vedendo ancora nessun risultato, raccomandò la cosa al Cardinale Vicario il quale sapeva delle liberalità del Colle per la chiesa del Sacro Cuore[81]: “Il Sig. Colle di Tolone pare disposto di fare altre beneficenze in favore della religione ed é persona assai ricca. Ma bisogna che la E. V. se ne occupi presso al Santo Padre affinché gli conceda il titolo di conte, per cui ho fatto pervenire la dimanda regolare colla commendatizia del suo Vescovo presso la E. V. Qualora non giudicasse di parlarne Ella stessa al Santo Padre può affidare la cosa al Sig. Card. Segretario di Stato, che ha già favorito di questo titolo altri cattolici che da quanto appare avevano meriti meno rilevanti. Credo che il Santo Padre sarà contento di incoraggiare in questo modo un uomo che impiega una grande fortuna pel bene della Chiesa e vive da fervoroso cattolico.[107]
In dicembre la pratica era nelle mani del Cardinale Jacobini Segretario di Stato, il quale dava la cosa come fatta; “ma, osservava Don Bosco, Roma é eterna, dicono, anche negli affari[82]”.
Il fatto lo provò anche in quell'affare. Andato a Roma nell'aprile del 1882, trovò che non erasi ancora mosso un dito. Di là il 2 maggio informava così il suo “carissimo e rispettabile amico”: “Sono a Roma. Ho già veduto il Santo Padre, col quale mi sono lungamente indugiato a parlare della S. V. e della sua Signora. Gli dissi delle offerte per la chiesa del Sacro Cuore e per la Navarre, della funzione per la pietra angolare e delle altre opere di carità, alle quali la S. V. e la sua Signora si sono dedicati. Egli ha ascoltato con attenzione paterna e poi mi ha incaricato di comunicar Loro la benedizione apostolica, assicurandomi che avrebbe pregato anche per la loro salute, e per la pazienza e la perseveranza nella grazia di Dio. Infine ha aggiunto:
- E la decorazione, di cui mi avete fatto domanda?
- Santo Padre, gli risposi, la sto sempre aspettando.
- Ma come? Oh negligenza! negligenza! Passate. subito dal Cardinal Jacobini; egli vi dirà che cosa si é fatto.
“Il Cardinal Jacobini, ossia il Segretario di Stato di Sua Santità, mi ha ricevuto con tutta prontezza, ha fatto scuse e mi ha assicurato che prima della mia partenza da Roma mi sarà dato il Breve, che spero di presentarle a Torino. A Torino, Signore e Signora, a Torino per la festa di Maria Ausiliatrice; là spero che potremo intrattenerci sui nostri affari.”
A Torino i Colle non vennero, ma inviarono auguri per San Giovanni. “E' stata una gran festa, scrisse Don Bosco il 5 luglio; festa cordiale, che più volte mi ha fatto venire le lacrime.” Ma se i Signori fossero venuti, sarebbero partiti senza il Breve. Era giunto veramente da parecchio; ma egli [108] continuava nella stessa lettera: “Il Breve di Roma si può chiamare il Breve delle contrarietà. Mi é stato mandato a Torino. Leggo, e trovo: Comes Colle Dioecésis Taurinensis [Conte Colle della Diocesi di Torino]. L'ho rispedito immediatamente a Roma e aspetto la correzione.” Finalmente dopo un anno dall'inizio della pratica il Breve arrivò il 19 luglio, nel qual giorno poté scrivere: “Dopo lunghissima attesa ricevo in questo momento il Breve da parte del Santo Padre. Non si può desiderare di meglio; ma io voglio che Le sia presentato in modo convenevole. Quindi incarico Don Perrot di completare la pratica e di fargliene la comunicazione in un giorno determinato. Egli Le chiederà se preferisca una visita nella sua villa o a Tolone o forse meglio alla Navarre, quando s'inaugurerà la copertura della nuova casa. Ella farà come tornerà più gradito a Lei e alla sua Signora.”
Bisognava anche richiamare l'attenzione sul valore legale del titolo; del che il Beato scrisse al Conte il 30 luglio: “Questo Breve é un documento preziosissimo per la S. V., per la sua famiglia e per la storia della Chiesa. Lo vedrà. Ma da noi in Italia non si può legalmente né portare decorazioni né assumere titoli senza l'autorizzazione del Governo. Ma Ella é avvocato e sa che cosa si debba fare in Francia. Io desidero soltanto che un documento di tal sorta sia consegnato con decoro e poi pubblicato sui giornali.” In Italia la “Consulta Araldica”, che esamina la materia dei titoli nobiliari, non opponeva difficoltà alla convalidazione di quelli accordati dal Papa. In Francia i titoli nobiliari sono aboliti, ma nulla impedisce che corrano privatamente; anzi nella comune estimazione godono sempre del loro credito tradizionale.
Chi lo crederebbe? Le contrarietà del Breve non erano finite. O fosse andata smarrita la prima copia nello spedirla a Don Perrot o avesse sofferto qualche guasto, vi fu necessità di ottenere da Roma un duplicato, il che obbligò a pazientare ancora un bel poco. Frattanto, mentre si aspettava, [109] occorse un curioso incidente. Nella lettera testé citata Don Bosco diceva: “Entro il mese di agosto dovrò ricorrere alla sua carità per un affare, ma Le scriverò a suo tempo con tutta confidenza.” Infatti gli scrisse da San Benigno il 28 di quel mese: “Sono qui a San Benigno Canavese, dove molto sovente parlo della S. V. e della sua Signora con Don Barberis, Don Rua, Don Durando ed altri che ebbero la buona ventura[83] di fare da noi la sua conoscenza. Ma in questo momento, come ho avuto già l'onore di scriverle, mi trovo in gran bisogno di danaro per i nostri giovani che si preparano al sacerdozio e a diventar missionari all'estero. Se loro, Signore e Signora Colle, mi possono venire in aiuto per comperare grano e far pane per gli abitanti di questa casa e per provvedere oggetti che ci si domandano da Carmen in Patagonia, farebbero senza dubbio una grande carità. Le altre volte venivano Loro spontaneamente; ora sono io a domandare. Ma Li prego di trattar con me nel modo che io tratto con Loro: con tutta confidenza. Così, se in questo momento possono o non possono, mi risponderanno con tutta confidenza si o no. La somma che mi abbisogna é di 12.000 franchi. Il loro buon cuore farà quanto possono senza loro incomodo.”
Il Conte gli mandò la metà. “Abbiamo pagato subito, scrisse Don Bosco il 6 settembre accusando ricevuta, il debito principale al fornitore di grano, che rifiutava già di darcene più oltre. Perciò tutta la casa di San Benigno Le manda tanti ringraziamenti e farà molte preghiere per la S. V. e per Madama Colle. Intanto pregheremo la divina Provvidenza che ci venga in aiuto per i nostri Missionari della Patagonia e delle Terre del Fuoco. Don Barberis desidera di ringraziarla egli stesso a nome anche de' suoi allievi, che studiano per le Missioni estere.” Don Barberis infatti accluse in quella di Don Bosco una sua lettera, scritta in italiano. [110]
Orbene, tutto questo aveva che fare col Breve. Don Bosco per San Benigno e per le Missioni si era trovato così con le acque alla gola, perché il Breve gli era costato relativamente caro; ma voleva levarsi d'imbarazzo senza svelare la cosa. Invece il Conte subodorò che Don Bosco avesse dovuto far fronte a spese e lo pregò d'informazioni al riguardo. Il Servo di Dio aspettò a rispondere, finché non ebbe ricevuto dal procuratore Don Dalmazzo il sospiratissimo duplicato. Avutolo nelle mani, lo spedì al Direttore della Navarre, dandogli sul da farsi le opportune istruzioni.
Eccoti finalmente un duplicato del famoso Breve. Vedrai qui un vero monumento storico.
O andare due in deputazione a Tolone, o che i Sig. Colle facessero una passeggiata alla Navarra, cosa un po' difficile in questi giorni. Tu vedrai e farai. Comunque però sia, procura di tradurlo in Francese e poi consegnarlo alla stampa.
Fa poi osservare che mentre l'Avv. Colle prenderà il nome di Conte, la Signora sarà chiamata Contessa.
Fa un cordialissimo saluto ai nostri Conf. e figli augurando a tutti sanità e santità.
Pregate per me che vi sarò sempre in G. C.
Allora soltanto rispose al Conte sull'affare delle spese per il Breve. E qui é da leggere nelle sua integrità la risposta, tradotta nello stile italiano di Don Bosco.
Dio sia benedetto nelle rose tutte e nelle spine. Dopo aver aspettato così lungo tempo, finalmente ogni cosa é in regola e pur con ritardo il Breve è giunto e insieme Le é stata inviata la santa benedizione del Papa.
Adesso mi domanda una cosa, di cui non vorrei parlare; ma per obbedienza Le dirò tutto con semplicità. Ella mi dice: “Voglia dirmi in tutta confidenza quello che io debbo dare per questo documento alla cancelleria del Vaticano. Non voglio che ciò Le costi spese.”
Ora la divertirò con la storia dell'affare. Il Santo Padre non ha [111] mai richiesto danaro da me, in casi simili. Questa volta il Sommo Pontefice mi disse mesi addietro: tutto fatto. Bisogna soltanto che passiate da Sua Eminenza il Segretario di Stato. - Questi mi diceva sempre: - E’ tutto fatto. - Ma non mi si dava mai il Breve.
Finalmente il mio Procuratore Generale a Roma si presentò al Cardinal Jacobini, domandandogli, chiaramente la ragione della cosa. Allora quegli rispose che ci volevano dodicimila franchi. Si fecero rimostranze; si cercò di parlare al Santo Padre, e alla fine si ridusse la somma a seimila franchi. Poi l'incaricato dell'affare volle la sua porzione[84], dicendo che gli si doveva la tassa di 500 franchi.
Per levar di mezzo tutti gl'imbarazzi e tutti i ritardi ho fatto pagare tutto quello che si é dovuto pagare, cioè 6500 franchi.
Ma Don Bosco, voulant faire la chose en seigneur [volendo farla da signore] si trovò nella miseria e Le domandò la carità; ed Ella, certamente ispirata da Dio, gli ha mandato proprio sei mila franchi.
Adesso é stato pagato tutto, e la S. V. non deve più nulla a nessuno, all'infuori della pazienza che Don Bosco ha voluto farle esercitare per leggere questa storia.
Buon giorno, mio caro Sig. Conte, e mio amico nel Signore per sempre. La Santa Vergine protegga Lei e la Signora Contessa Colle e li conservi in buona salute entrambi per lungo tempo e infine dia loro, ma anche a me con loro, la gloria del Paradiso col nostro amato Luigi per sempre. Così sia.
Preghi anche per questo povero prete che Le é sempre in G. C.
Il Conte a giro di posta gl'inviò 6550 franchi[85]. “Noi, rispose Don Bosco il 20 dicembre, abbiamo ricevuta questa somma come carità che Ella ci ha voluto fare. E in questo senso io la ricevo con la massima gratitudine; e poiché questo danaro sarà impiegato a nutrire e vestire i nostri orfanelli, farò pregare i giovani per Lei, mio caritatevolissimo e ottimo amico, e per la Signora di Lei Consorte, affinché il Signore dia loro grandi consolazioni sulla terra e l'eterna felicità in paradiso. E io che cosa farò per ricambiarla? Non ho che [112] darle né che fare per sua degna ricompensa. Una cosa sola mi resta e gliela darò di tutto cuore. La notte di Natale, a Dio piacendo, celebrerò a mezzanotte le tre Messe con la santa Comunione dei nostri giovani e dei nostri chierici, offrendo tutto al Signore e alla Beatissima Vergine secondo l'intenzione sua e della sua Signora.”
Crescendo i benefizi, Don Bosco sentiva crescere in sé il bisogno di manifestare sempre più la sua gratitudine. Con questo intendimento nella primavera del 1884 fece di nuovo alte lodi del Conte e della Contessa a Leone XIII, che si degnò di accordare al primo un'altra onorificenza. Don Bosco senza lasciar trapelare nulla li invitò a Torino per la festa di San Giovanni, anziché per quella di Maria Ausiliatrice, nella quale egli era troppo assorbito dall'affluenza dei visitatori[86]. Essi vennero e al pranzo dell'onomastico sedettero la Contessa a destra e il Conte a sinistra di Don Bosco nel refettorio grande. Qui li attendeva la sorpresa. Sul più bello Don Dalmazzo, giunto di fresco da Roma, lesse la nomina del Conte a Commendatore dell'Ordine di San Gregorio Magno. Fu un colpo di scena molto ben preparato, che destò altissimo entusiasmo. Don Dalmazzo, finita la lettura, abbracciò e baciò il Conte e porse la decorazione a Don Bosco, che la rimise alla Contessa, e questa fra le acclamazioni dei presenti la appese al collo del marito. Sempre coerente a se stesso il Conte, ritornato a Tolone, scrisse al Beato professandosi nella firma
“Commendatore tutto disposto a lasciarsi comandare da Don Bosco [Commandeur tout disposé à se laisser commander Par D. Bosco][87]. “Parole, commentava il Beato, delle quali ben si comprende la significazione. Ma Ella non lo sa! Don Bosco é sempre con le tasche vuote di danaro e Don Rua é insaziabile per averne. Dunque come farà la S. V. a cavarsela? Noi cercheremo di essere sempre molto discreti, sempre contentissimi di ricevere la carità [113] dalla S. V. prodigataci per aiutarci a guadagnare anime a Dio. Ella ben comprende, Signor Conte, che la chiusa di questa lettera é per ridere, e che la mia scrittura é cattiva e quindi ho gran difficoltà a farmi capire. Dio La benedica, mio caro Signor Conte, e con Lei benedica la Signora Contessa. Maria Ausiliatrice Li conservi entrambi in buona salute, ma sempre sulla strada del paradiso. Tutta la casa, compresi i nostri preti, chierici e giovani, presentano Loro i propri omaggi, si raccomandano alle loro preghiere e domani faranno la santa Comunione secondo la loro intenzione.”
A dimostrare la sua riconoscenza usava con i benefattori forme di piccoli presenti, che sapesse tornar loro graditi. Per regalare certe persone gli servivano egregiamente bottiglie di vini prelibati o di squisiti liquori offertegli da famiglie nobili o ricche di Torino. Così al Conte Colle mandò ogni tanto del buon vermouth. La prima volta all'espressione del suo gradimento Don Bosco rispose il 30 agosto 1881: “Un po' di Vermouth é cosa da ridere; ma nella sua grande bontà Ella ha voluto gradirlo. Sono ben contento che una tal piccolezza Le abbia potuto procurare qualche istante di benessere.” E dopo un altro invio, il 4 dicembre 1883: “Sono ben contento che il Vermouth Le sia giunto in buono stato. E' una povera, ma unica maniera che noi abbiamo per dirle che Le siamo riconoscenti, che Le vogliamo bene e che per Lei preghiamo in modo specialissimo.” Vi torna sopra una terza volta il 18 gennaio 1885: “Le domando alla buona una cosa ed Ella avrà la bontà di dirmela. Vermouth ne esiste ancora a sua disposizione? Ella sa che io ne sono il suo fornitore.”
Ma il mezzo usuale per isdebitarsi gli veniva somministrato dalla sua viva fede. Non c'é lettera, in cui non dica di preghiere fatte o da fare per i suoi due benefattori; in occasioni di solennità l'espressione suol essere più ampia e calorosa. Ne abbiamo già veduti parecchi saggi; ne spigoleremo alcuni altri fra i più significativi. [114]
Per la festa dell'Assunta scrisse ai Conti il 10 agosto 1885: “Credo che in questa Novena dell'Assunzione della Santa Vergine non dimenticheranno il loro povero Don Bosco, il quale prega infallantemente ogni giorno per Loro e per la lor felicità spirituale e temporale. Noi Salesiani domandiamo instantemente in questa Novena che la Santa Vergine tenga Loro assicurato un posto a sé vicino in paradiso, ma che non lo dia ancora per lungo tempo.” E per la Natività, l'8 settembre 1886, cominciava così una lettera: “O Maria, nostra buona Madre, in questo giorno, nel quale la Chiesa Cattolica festeggia la vostra nascita, portate voi stessa una benedizione specialissima ai vostri due figli, il Signor Conte e la Signora Contessa Colle. Con tutto il cuore[88] ho celebrato questa mattina la santa Messa e i nostri giovani han fatto la santa Comunione per la loro felicità spirituale e temporale. Preghino Loro pure per questo poverello, che li ama in Gesù Cristo, come tenero figlio.”
Per l'onomastico della Contessa Sofia Colle, il 23 settembre 1886: “In questo suo giorno onomastico vorrei bene farle una visita; ma per il momento bisogna rimandare questo progetto ad altro tempo. Oggi mi devo limitare a dir la santa Messa e i nostri orfanelli faranno la santa Comunione secondo la di Lei intenzione. Noi pregheremo che Dio conservi la S. V. e il Signor Conte Colle in buona salute, in pace, in carità fino all'ultimo istante della vita. E allora la Santa Vergine, accompagnata da una moltitudine di [angeli], Li porti seco in paradiso, ma coi loro parenti e amici e col povero Don Bosco, che Li ama molto nel Signore.” Nella vigilia della Novena dei Santi, 22 ottobre 1884: “Domani cominceremo la Novena dei Santi e io non voglio permettere che passi un tal giorno senza fare di Loro memoria dinanzi al Signore secondo la loro intenzione. Fra le altre cose noi renderemo grazie a Dio, che Li ha conservati in [115] buona salute, e io sono pieno di fiducia che la Santa Vergine continuerà Loro la sua protezione.”
All'avvicinarsi della festa di Maria Santissima Immacolata, il 29 novembre 1881: “Non voglio lasciar passare la Novena dell'Immacolata Concezione senza preghiere per Lei, amatissimo Signore e per Madama Colle sua consorte. Nella vigilia di questa grande solennità io dirò la santa Messa e i nostri giovani faranno la santa Comunione all'altare di Maria Ausiliatrice secondo l'intenzione sua e della sua Signora.” E il 4 dicembre dell'anno seguente alla Contessa: “Come figlio affezionato, e che ogni mattina fa un ricordo per la buona Mamma in Gesù Cristo, non voglio lasciar passare questa Novena della Santa Vergine Immacolata senza fare speciali preghiere per Lei e per il Signor Conte Colle. Perciò nel giorno della gran festa, venerdì 8 dicembre, tutti i Salesiani e i loro giovani faranno preghiere e comunioni per loro. E il povero Don Bosco? Io dirò in quel giorno la Messa secondo la loro intenzione. Noi pregheremo la Santa Vergine che Li conservi entrambi lungamente in buona sanità, ma sempre nella sua grazia e sotto la sua santa protezione, fino a quando saremo tutti insieme riuniti col nostro carissimo Luigi nella compagnia degli Angeli in Paradiso.” Di nuovo il 4 dicembre 1883 al Conte: “Tutta la Congregazione Salesiana Le presenta i suoi omaggi e sabato secondo l'intenzione di Lei e della Signora Contessa celebreremo una Messa all'altare maggiore di Maria Ausiliatrice e i nostri giovani faranno comunioni e preghiere secondo la loro intenzione.”
Nell'occasione del santo Natale, il 23 dicembre 1883: “Loro sanno che i Salesiani ogni giorno, mattino e sera, fan particolari preghiere per Loro e che il povero prete scrivente fa per Loro tutte le mattine un ricordo nella santa Messa. Ma in questi giorni desidero di far Loro un regalo, ma un regalo che sarà certamente gradito. La notte di Natale, a mezzanotte, a Dio piacendo, io dirò le tre Messe, tutti i Salesiani pregheranno e i nostri giovani faran preghiere [116] e numerose comunioni secondo la loro intenzione. Le nostre preghiere sono indirizzate al Bambino Gesù per supplicarlo che dia Loro molte consolazioni sulla terra, Li conservi lungamente in buona sanità e li guidi sicuramente per la strada del paradiso.” Il 17 dicembre 1884 ai due coniugi: “La Novena del Natale é cominciata,. e noi non Li vogliamo dimenticare. Ogni mattino, ogni sera si prega per Loro, per la loro sanità, per la loro conservazione. Affinché il Signore dia Loro lunghi anni felici, la mattina di Natale si dirà secondo la loro intenzione la santa Messa.” Così press'a poco in altri Natali, nel capo d'anno e a San Francesco di Sales.
Del colera, che dal 1884 al 1886 afflisse qua e là l'Italia e la Francia, la corrispondenza che veniamo spogliando, ci presenta echi notevoli, oltreché per le già dette ripercussioni economiche, anche in quanto fu a Don Bosco occasione per manifestare ai Conti Colle la propria gratitudine. Il morbo fece capolino nell'estate del 1884. I Conti che erano venuti all'Oratorio per San Giovanni, come abbiamo narrato, partiti che furono, non diedero subito loro notizie, sicché Don Bosco stava in pena. Finalmente le notizie giunsero liete; onde il Beato rispose il 5 luglio: “La sua ottima lettera é stata per noi angelo consolatore. Da ogni parte ci si domandava di Lei e della Signora Contessa, ma nessuno ne sapeva nulla. Don Rua, Don Cagliero, Don Durando, Don De Barruel e tutti i Salesiani domandavano del suo viaggio, della sua salute e del luogo di sua dimora. Ma nessuno sapeva dire niente fino all'arrivo della cortese sua. Adesso Ella é a La Farléde in buona salute: Dio sia benedetto. Le notizie della sanità pubblica sembrano migliorare, e noi preghiamo incessantemente per Lei, per la Signora Contessa e per tutti i suoi amici, affinché nulla ne turbi la sanità e la tranquillità. E così faremo mattino e sera nelle nostre private e pubbliche preghiere. Ma io, oh quanto lo faccio di cuore! Ogni giorno mi ricordo di Loro nella santa Messa.” [117]
Don Bosco però non istava bene. Il caldo, a lui sempre nocivo, nell'estate del 1884 lo accasciava ogni di più; onde i medici lo forzarono a cercare sollievo in aria migliore. Monsignor Chiesa, Vescovo di Pinerolo, gli offerse ospitalità nella sua villa, dove il Servo di Dio si recò in compagnia di Don Lemoyne. Sua Eccellenza lo colmava di attenzioni. Di là intanto seguiva trepidante lo svolgersi del contagio[89]. I paesi all'intorno cominciavano a essere colpiti e si moltiplicavano i casi. “La nostra confidenza, scriveva l'II agosto, è nell'aiuto di Maria Ausiliatrice. Tuttavia le nostre case sono state sconvolte dal flagello. Tutti i nostri giovani che hanno abitazione o parenti, sono andati alle loro case; i più poveri sono rimasti con noi, e noi cercheremo di averne cura e d'incoraggiarli. Se le cose saranno tranquille, ci vedremo verso la fine di settembre; altrimenti la divina Provvidenza ci darà le norme necessarie. Tutti i Salesiani e i loro giovani pregano per le Signorie Loro e noi pure abbiamo grande fiducia nelle preghiere e nella pietà delle Loro Signorie.”
Fece ritorno all'Oratorio il 23 agosto, nel qual giorno scrisse sue nuove al Conte: “Giungo ora da Pinerolo in discreta salute e Dio sia benedetto. Ho trovato la città di Torino circondata dal colera, ma la città finora interamente immune. Grazie a Dio nelle nostre case la salute é buona mercé l'antidoto della Santa Vergine. Sacerdoti, chierici, giovani pregano e fanno comunioni per Lei e per la Signora Contessa. Li ringrazio della corona che dicono secondo la nostra intenzione. Il Signore e la sua divina Madre non permetteranno che si ripeta invano: Maria aiuto dei cristiani, pregate per noi.” Ma oltreché a pregare, volgeva nell'animo anche un suo disegno. “Mentre stavo a Pinerolo, continuava, pensai seriamente che se Ella e la Signora Contessa potessero venir a passare i mesi del gran caldo a Pinerolo, sarebbe ottima cosa per la loro salute. Non si può apprestar loro un [118]
quartierino per quella stagione? E’ cosa da trattarsi nell'anno prossimo.”
Su di questo nulla si concertò; infatti il 10 agosto del 1885 Don Bosco scriveva: “I giornali pubblicano che il colera minaccia la Francia. Io credo che La Farléde sarà risparmiata; ma tutte le volte che Ella giudicasse di venir a passare qualche tempo a Lanzo, paese sicurissimo, non ha che da prevenirmi qualche giorno innanzi, un giorno per l'altro, e troverà preparata per Lei e per tutta famiglia una casetta a loro disposizione”. Rinnovò la profferta in modo più largo il 16 del mese: “Mio carissimo e caritatevole amico, noi abbiamo piena fiducia che la sanità sua e della Signora Contessa sia buona, e tutte le case salesiane fanno incessanti preghiere per la loro lunga conservazione in sanità e santità a La Farléde. Ma caso mai qualche cosa desse Loro incomodo e giudicassero bene di venir a passare qualche tempo da noi, vengano con tutta libertà e troveranno che tutti faran loro grande festa.”
Nel luglio del 1886 Don Bosco era di bel nuovo dal Vescovo di Pinerolo, donde scrisse il 23: “I miei pensieri sono sempre con Loro per pregare Iddio che li conservi lungamente in buona salute. I Salesiani stanno bene. Niente colera o altri malanni che ci disturbino. Perciò se le nostre case e le nostre persone potranno render Loro qualche servizio, sarà per noi la più grande consolazione e siamo illimitatamente ai loro ordini.” Il reiterato invito non ebbe altro effetto che di testimoniare sempre meglio l'animo riconoscente di Don Bosco verso i suoi grandi benefattori.
A manifestazioni di animo grato da una parte, come ad esercizio di carità benefica dall'altra, dava luogo lo scambio di visite, che ci è avvenuto fin qui di ricordare, ma su cui dobbiamo ancora soffermarci per iscandagliare ognor più i sentimenti del nostro Beato Padre.
Era stato a Tolone fra il marzo e l'aprile del 1883. Il 5 aprile scrisse da Valenza sul Rodano: “Io porto sempre [119] con me il dolce ricordo delle sue cortesie, attenzioni e larghezze, prodigatemi tante volte e segnatamente nei giorni che ho avuto l'onore e la consolazione di passare con la S. V. a Tolone. Ella comprende, Signor Conte, che quanto scrivo a Lei, intendo dirlo anche alla Signora Contessa Colle, che in questo momento noi possiamo veramente chiamare caritatevole Madre[90] dei Salesiani. Nelle loro case e nelle loro occupazioni essi non mancheranno mai di pregare per la loro salute e conservazione.”
Il 10 giugno invitò quelli a Torino per il suo onomastico. “Il 24 di questo mese, scrisse, si fa la festa di San Giovanni e se Loro in tale occasione potran venire a Torino, la festa sarà completa. Credo che avremo tempo di discorrere insieme delle cose nostre e fare anche qualche gita. Ma caso mai fosse meglio per la S. V. e per la sua Signora anticipare o posticipare il giorno della venuta fra noi, sono pienamente liberi e in quel tempo io non ho impegni che mi chiamino altrove. La festa di Maria Ausiliatrice é stata veramente splendida. Ne parleremo a Torino.” L'invito fu accettato con gioia. Alla partenza il Conte era un po' indisposto, e il Beato a scrivergli tosto il 7 luglio:
“Alla sua partenza da Torino, mio carissimo amico, io sono rimasto in pena per la sua salute, che non era buona; poiché Ella aveva un forte raffredore con tosse. Confido in Dio che ora stia meglio; nondimeno, se mi scrive due parole in proposito, mi fa un gran piacere.” Fra le gite Don Bosco ne aveva divisata una a Borgo San Martino, che non si poté fare; onde gli diceva nella stessa lettera: “A Borgo San Martino la festa era tutta per Loro. La camera, il canto, la musica, i giovani, il Vescovo Li aspettavano ansiosamente. Io ho cercato di aggiustare ogni cosa, invitando tutti a far preghiere secondo la loro intenzione.”
Sul principio del 1884 Don Bosco affrettava col desiderio il giorno di tornare a Tolone[91]. Vi andò, come s'é visto, [120] con Don Barberis in marzo. Nuovamente i Conti vennero a Torino per San Giovanni e allora vi fu la consegna della Commenda di San Gregorio Magno. Nel medesimo anno l'elevazione di Don Cagliero alla dignità episcopale fece desiderare a Don Bosco un loro ritorno per la consacrazione. “Vengo a far loro una proposta, scrisse il 7 settembre, difficile, ma non impossibile. Loro giudicheranno. Fu Loro significato, credo, che Don Cagliero sarà preconizzato Vescovo il 13 di questo mese dal nostro Santo Padre Leone XIII. Pochi giorni dopo sarà consacrato. E’ il primo nostro alunno innalzato a questa carica, il primo Vescovo della Patagonia; egli é pure uno dei loro protetti e molto affezionato. Faremo una festa delle più splendide; ma ecco la gran cosa che desideriamo. Tutti e io per il primo desideriamo di averli fra noi in quel giorno per fare da Padrino e da Madrina nella funzione religiosa. Tale é il mio invito e tali sono i comuni desideri. Per altro io ho amore e riguardo anzitutto alla loro salute e perciò se temono, comunque sia, che la loro salute ne riceva danno, io farò per conto mio un gran sacrifizio e voglio assolutamente che rimangano a casa. Ecco, Signor Conte e Signora Contessa, il mio sincero invito, ma con pienissima libertà da parte loro e con gran desiderio di averli con noi.”
La risposta fu quale si temeva. Monsignor Cagliero, recatosi a Roma in dicembre, fece ritorno il 22 con una speciale benedizione del Papa per i Colle[92], ai quali la portò personalmente, ricevendone squisite cortesie[93] e un presente di mille cinquecento franchi[94]. Prima che terminasse il 1885, Monsignore aveva battezzato un giovane indio, imponendogli il nome di Luigi Colle e mandandone a Don Bosco la fotografia per il Conte[95]. [121]
Il Servo di Dio rivide i Colle nell'aprile del 1885 a Tolone, dove concertò con essi un nuovo viaggio a Torino per la festa di Maria Ausiliatrice, rimandata per ragioni liturgiche al 2 giugno[96]. In casa Colle il Servo di Dio si trovava a suo bell'agio, tanto era lo spirito di cristiana pietà che aleggiava là entro; infatti espresse così il dolce ricordo della dimora fattavi[97]: “Il mio paradiso terrestre é sempre la mia camera o meglio la camera datami da Loro nel mio passaggio per Tolone.” All'appressarsi del gran giorno scrive il 26 maggio: “Tutti i Salesiani Li attendono per il 31 corrente nella mattinata. Non dicendomi Loro se arriveranno per Savona o per Genova, io non Li voglio in verun modo incomodare, ma noi li aspettiamo a mezzodì per il pranzo e a qualunque ora per riceverli. Loro saranno veramente i due amici di Maria Ausiliatrice e nostri Priori della gran festa
Frattanto io ho fatto per loro e continuerò a fare un ricordo ogni giorno nella santa Messa fino al loro felice arrivo in mezzo a noi.”Don Bosco restituì la visita sul cadere del marzo del 1886, ultimo incontro di sì sante anime sopra questa terra.
Il Beato veramente ne avrebbe voluto ancora un altro in luogo e occasione più cospicui. Nel 1887 scrisse il 22 marzo: “Si sarebbe stabilito di fare la consacrazione della chiesa del Sacro Cuore a Roma il 14 maggio e di là venire alla festa di Maria Ausiliatrice il 24 dello stesso mese. Va bene così? Se la cosa é da parte sua possibile, io Le scriverò tutte le particolarità che ci riguardano [....]. Tutti Li aspettano per il tempo stabilito, si prega ogni giorno per la loro salute e conservazione e il loro povero, ma affezionatissimo Don Bosco tutte le mattine non manca mai di fare uno speciale ricordo nella santa Messa.” Ripiglia l'argomento l'8 aprile: “Non so se da un po' di tempo siano giunte fino a loro nostre [122] notizie, perché io sono quasi costretto ad abbandonare la corrispondenza epistolare, fatta eccezione delle cose strettamente confidenziali. Ora si é stabilito che la chiesa del Sacro Cuore sia definitivamente consacrata a Dio il 13 maggio. Io sono obbligato a fare piccole tappe; ma per quel giorno spero di essere a Roma e là trovarli entrambi in buona salute e parlare tranquillamente di noi. Da Roma verremo qui a Torino per la festa di Maria Ausiliatrice il 24 maggio. Le nostre cose le vedremo e ce le diremo.”
Ma purtroppo anche la salute del Conte declinava: il suo mal di cuore aveva ripreso a travagliarlo più che mai. Per tale annunzio Don Bosco gli scrisse il 12: “La sua lettera é stata per tutti noi un colpo di fulmine, che ha rovesciato tutti i nostri disegni. Soltanto la sua salute e la necessità di usarsi ogni riguardo tiene luogo di tutte le ragioni. Si faranno o meglio si porteranno ad altro tempo le nostre feste. Io desidero di andarvi, di pregare molto per la S. V. sulle tombe di San Pietro e San Paolo, e spero che il Signore Le accorderà di venire alla festa di Maria Ausiliatrice a Valdocco. Tutte le nostre preghiere sono per questa intenzione. Ella avrà nostre nuove. Dio ci benedica e Maria ci guidi a vederci certamente a Torino, mentre tutti i nostri allievi pregano per V. S. e li aspettano infallantemente: arrecheranno ad essi una grande consolazione con la loro visita.” Ma in un poscritto Don Rua dava al Conte notizie poco buone intorno alla salute di Don Bosco. L'idea di spostare la data della consacrazione, come Don Bosco avrebbe voluto per rendere possibile l'intervento dei Colle, era inattuabile, essendo ormai troppo tardi, come osservava Don Rua, ed essendosi già pubblicato che la si sarebbe fatta il 14 maggio.
Lento fu il viaggio di Don Bosco. Appena giunto a Roma, egli si affrettò a scrivere il 10 maggio: “Siamo arrivati a Roma; il viaggio è stato buono. I particolari li avrà dal mio segretario Don Rua, Se Ella non può venire, si pregherà [123] molto per la sua salute. Tuttavia ho piena fiducia di vederla a Torino, perché non é possibile fare la festa di Maria Ausiliatrice senza la loro presenza. Parlo così sempre a condizione che la salute glielo permetta, giacché la sua salute per noi é tutto. Il mio ritorno é fissato per il 20 maggio al più tardi; potendo anticiperò di qualche giorno. Tutte le nostre opere qui sono cominciate; Dio ci aiuti a compierle. Dio conceda buona salute alla S. V. e alla Signora Contessa e guidi entrambi per la strada del paradiso. Amen.” Nella firma si professa “umile e affezionato come figlio”.
La risposta non fu rassicurante; onde il Beato gli riscrisse il 12 maggio: “Comprendo dalla sua lettera che la sua salute non é buona, come noi tutti desideriamo; quindi vogliamo pregare molto e fare, per dir così, violenza al Signore e alla Santa Vergine. Tutti i giovani dei nostri collegi pregano per la S. V. Domani io e Don Rua diremo entrambi la Messa per Lei. Venerdì sera alle 6 abbiamo udienza dal Santo Padre. Gli parleremo molto di Lei [...]. Sabato si farà la consacrazione della chiesa e dell'ospizio del Sacro Cuore, che tante volte ho raccomandato alla sua carità.”
Alla consacrazione la famiglia Colle fu onorevolmente ricordata; poiché ne parlavano ad alta voce le tre maggiori campane, recando incisi i nomi del Conte, della Contessa e di Luigi con elogi in relative iscrizioni latine, composte dal Beato e tuttora conservate nell'autografo[98]. [124]
Don Bosco anticipò realmente la partenza, come aveva divisato; infatti il 18 era a Pisa, ospite dell'Arcivescovo monsignor Capponi; di là scrisse a Tolone. Riporteremo ora per intero le ultime lettere di Don Bosco ai due buoni signori. Traducendole vi lasciamo le imperfezioni sintattiche, le quali con la scrittura rivelano stanchezza di mano e di mente.
Signor Conte e Signora Contessa Colle,
Credo che abbiano ricevuta la relazione che il S. Padre ha voluto di loro fare nel dar loro la santa benedizione. Adesso io dirò soltanto due parole nella casa Arcivescovile dell'Arcivescovo di Pisa, che m'incarica di presentare loro i suoi rispettosi omaggi.
Domani mattina partirò per Torino, dove vogliamo assolutamente impegnare la S. Vergine Ausiliatrice a ridarle la primiera salute.
Tutti i Salesiani pregano incessantemente per Lei e per la Signora.
Dio li benedica e la S. Vergine li guidi per sempre nella strada del paradiso. Così sia.
Il S. Padre nella lunga udienza che mi ha voluto dare, io ho avuto tempo di parlare di Lei, della Signora e di tutte le opere buone che fanno e che ci aiutano a fare.
Gli rincresce molto che la sua salute non sia quale si desidera e raccomanda molte preghiere nella chiesa del Sacro Cuore, e specialmente nella novena e nella festa di Maria Ausiliatrice.
Io gli ho raccomandato di Lei la sua salute per lungo tempo nella Santa Messa. Egli mi ha assicurato e mi ha incaricato di darle da sua parte una speciale benedizione con l'indulgenza plenaria.
Pazienza della mia scrittura.[125]
Una lunga lettera, in cui é visibile lo sforzo di spingere avanti la ritrosa penna, indirizzò a Tolone da Torino dopo circa un mese dalla precedente. Vi é dimenticata l'intestazione.
Sono nel nostro collegio di Valsalice, che fu onorato dalla sua presenza e che ci dà occasione di parlare assai spesso di loro, o caro Sig. Conte Colle e rispettabile Sig. Contessa. Nel caso che la sua salute le permetta di venire da noi per le feste di S. Luigi e di S. Giovanni, la camera e la mensa é preparata per lei e per la Signora.
Questo soggiorno io lo credo molto gradevole per lei, giacché il caldo non ci disturberà. Tutta la casa sarà ai suoi ordini. Ma anzitutto noi dobbiamo rivolgere i nostri pensieri alla sua salute, di cui ignoro il vero stato.
Desidero veramente di passare qualche tempo con la S. V. e di parlarle un po' dei nostri affari di Roma, di S. Benigno, dei nostri Missionari; ma tutto questo richiede buona salute da parte sua e da parte della Signora Contessa. Tutti i Salesiani fanno preghiere per la sua salute e abbiamo piena fiducia di essere esauditi.
Le notizie dei nostri Missionari sono state cattive, specialmente per Monsignor Cagliero, che viaggiando dalla Patagonia al Chily é caduto da cavallo e rimasto come morto nei deserti delle Cordigliere. Ora la vita é salva e dopo un mese di vita pericolosa, finalmente sono arrivati tutti vivi alla città La Conception e cominciarono le fatiche per la conversione dei selvaggi.
I nostri Missionari scrivono molto spesso che si raccomandano sempre alle sue caritatevoli preghiere; dal canto loro tutti assicurano che ogni giorno non mancano di raccomandare la S. V. e la Signora alle preghiere dei selvaggi e soprattutto di quelli che hanno ricevuto il nome delle SS. LL. nel battesimo.
Dio li benedica entrambi e la Santa Vergine sia loro guida in tutti i pericoli fino al Paradiso.
Don Rua, con tutti i Salesiani, presentano i loro omaggi affettuosi. Sarò per tutta la vita affezionatissimo come figlio Sac. Gio. Bosco.
Il Conte dovette aver pregato Don Bosco di fare novene. Subito ne ricevette la seguente risposta, nella quale é omessa un'altra volta la consueta intestazione. Anche la Contessa non stava bene.
Noi faremo la novena alla Santa Vergine non solo una volta, ma, com'Ella desidera, tante volte, affinché Dio ci esaudisca, come ci assicura il Curato di S. Luigi. Dio lo faccia. Tutta la casa prega con la S. V. [126]
E’ da noi il Conte di Villeneuve con la figlia Anna Maria per ringraziare la Santa Vergine. Abbiamo parlato molto di Lei ed egli mi promette di pregare pure con noi per la di Lei perfetta guarigione.
O S. Giovanni, non permettete che facciamo la vostra festa senza ottenere da Dio o la guarigione perfetta o almeno un assai notevole miglioramento. Così sia.
Quando avrà la bontà di rispondere alle mie lettere, La prego senza complimenti di due semplici parole: Io sto o non sto meglio. Questo é solo perché non si dia troppa pena a scrivere una lunga lettera.
Noi preghiamo anche per la Signora Contessa Colle e abbiamo piena fiducia nella sua perfetta guarigione.
O Maria, nostra Madre pietosa e caritatevole, pregate per noi e proteggeteci. Così sia.
Suo umile e obbligato come figlio
Saputo da Don Perrot, che le condizioni del Conte non accennavano a farsi soddisfacenti, Don Bosco credette cosa buona mandare Don Rua a visitarlo, tanto più che questi aveva affari da sbrigare a Marsiglia. “Don Rua, scrisse il Beato[99], conosce benissimo le di Lei intenzioni, le intenzioni della sua Signora e le mie.” Ritornato Don Rua, egli scrisse alla Contessa.
Don Rua ci dà la notizia che il Sig. Conte sta un po' meglio. Dio sia benedetto. Noi continuiamo sempre le nostre preghiere. Speriamo che il poco continuerà, benché a rilento. Io sono quasi nella medesima condizione. Un po' meglio, ma non posso camminare senza il sostegno di due persone.
Ma Ella per sé, Signora Contessa, trascura la sua salute. Curi il nostro caro infermo, ma non dimentichi sé.
Tutte le mattine nella Santa Messa le mie preghiere saranno per il Sig. Conte e per la Signora di Lei Sorella. I nostri orfanelli fanno tutti i giorni comunioni speciali secondo la sua intenzione all'altare di Maria Ausiliatrice.
O gloriosa S. Anna, otteneteci da Dio sanità, santità e perseveranza fino al paradiso - paradiso - paradiso.
Un improvviso e notevole miglioramento ravvivò le speranze. Don Bosco manifestò prontamente alla Contessa la sua gioia.
Dio sia benedetto e la Santa Vergine sempre ringraziata. La grazia o la guarigione del Sig. Conte Colle é veramente cosa mirabile. Più volte io aveva detto e scritto: - Se piace a Dio, egli mi chiami all'eternità, ma dia ancora tempo al suo figlio Sig. Conte Colle per poter continuare la sua protezione ai nostri missionari e alla nostra nascente Congregazione. - Dio ha voluto scegliere il giorno della mia nascita e darmi tale notizia. Sia sempre sempre ringraziata la Santa Vergine. E' la notizia più gradita. Scriverà anche Don Rua; la S. V. leggerà con pazienza questa cattiva scrittura.
Maria sia la nostra protettrice per sempre. La S. V. voglia anche continuare le sue preghiere per questo prete povero, ma sempre affezionato come figlio.
Posteriori notizie orali portate dal Direttore della Navarre confermarono il buon andamento della malattia; del che il Beato si rallegrò col Conte.
Spero dinanzi a Dio che la sua salute andrà sempre di bene in meglio e che la Signora Contessa e la S. V. avranno salute regolare.. Noi abbiamo pregato sempre con questa intenzione, ma nel giorno della natività di Maria Santissima pregheremo in modo speciale.
Io sono sempre a Valsalice; Don Rua é a Este nel nostro collegio per dirigere gli esercizi dei Salesiani di Lombardia. Sabato sarà qui con me.
Don Perrot é stato alcuni giorni con noi e abbiamo avuto tempo di discorrere della di Lei guarigione, della sanità della Signora Contessa e della Signora sua Sorella.
Dio ci benedica e la Santa Vergine sia nostra guida in tutti i pericoli fino al paradiso.
Umile e affezionato come figlio
Il 20 ottobre Don Bosco doveva a Foglizzo vestire dell'abito chiericale novantaquattro aspiranti; il Conte aveva [128] mandato la somma occorrente per il panno. Questa lettera di ringraziamento é l'ultima al Conte Colle e una delle ultime scritte dal Servo di Dio.
Signore e mio caro Conte Colle,
Don Perrot ci ha mandato la di Lei generosa somma di 5 mila franchi per aiutarci a vestire i nostri giovani chierici. Li ho spesi immediatamente per essi e giovedì prossimo é fissato per la loro vestizione chiericale; ma nel giorno stesso pregano e fanno la santa comunione per Lei, per la Signora Contessa e per la continuazione della di Lei salute. Preghiere speciali noi faremo per i vivi e per i defunti della sua famiglia.
Coraggio, noi continuiamo le nostre preghiere. La mia salute va meglio. Dio sia benedetto e la Santa Vergine ci protegga.
Io sono assai felice tutte volte che potrò ancora pregare per la S. V. e per la Signora e dirmi suo obbligato e umile servitore
Il grande amico e benefattore di Don Bosco precedette di un mese il Servo di Dio all'eternità; il 10 gennaio 1888 un insulto al cuore ne troncò quasi improvvisamente l'esistenza. Negli alti e bassi del male aveva ricevuto due volte il Viatico. Don Rua dispose l'animo di Don Bosco infermo a ricevere la dolorosa notizia. Per lui e per la Contessa, come per altri massimi suoi benefattori, Don Bosco aveva lasciato una lettera scritta con mano tremante, perché fosse calligrafata e spedita dopo la sua morte. Firmandosi “affezionato come figlio”, diceva loro: “Io li aspetto dove il Signore ci ha preparato il gran premio, la felicità eterna col nostro caro Luigi. La Divina Misericordia ce l'accorderà. Siano sempre il sostegno della Congregazione Salesiana e l'aiuto delle nostre Missioni. Dio li benedica.”
La carità dell'estinto non si smentì fino all'ultimo; nelle sue disposizioni testamentarie assegnò a Don Bosco o in mancanza di lui a Don Rua un legato di franchi quattrocentomila. Ma il demonio ci volle mettere la coda. Il testamento olografo depositato presso il notaio Marquand di Tolone portava la data del 2 luglio 1884; se non che la filigrana [129] della carta bollata, su cui era scritto, mostrava un millesimo posteriore, cioé 1886. Un lontano parente, che il Conte rifiutava di ricevere in casa sua, attaccandosi a quel rampino, presentò domanda di nullità. Il Conte aveva bensì conservato nel suo domicilio un testamento identico per il contenuto e per la data, scritto su carta libera; ma disgraziatamente una nota autografa diceva: “Questa é la copia esatta del mio testamento depositato presso il signor Marquand. Sarà esecutivo, se quello depositato presso il notaio venisse a sparire.”
In realtà, originale era quello su carta libera, e copia posteriore l'altro, mentre legalmente doveva apparire il contrario. L'impugnatore credette di avere egualmente buon giuoco, adducendo due ragioni per dimostrare il nessun effetto del testamento conservato in casa: “I° Una copia non può avere maggior valore dell'originale. Nullo essendo l'originale, nulla del pari dev'essere la copia. 2° Il secondo testamento, conformemente alla volontà del testatore, dovrebbe andare in esecuzione se quello depositato presso il notaio venisse a sparire. Ora quel testamento non é sparito, e per conseguenza non si deve eseguire il secondo.”
Per buona sorte il tribunale civile rigettò la domanda di nullità sulla motivazione che il testamento conservato in casa, essendo senza contestazione scritto, datato e firmato dal testatore, portava in sé i tre requisiti indispensabili pel la validità di un testamento olografo; questo dunque doveva essere eseguito. La qual sentenza venne confermata in appello.
La Contessa vedova, degnissima erede del defunto, sebbene per una clausula del testamento tutti i legati in numerario si dovessero soddisfare due anni dopo la di lei morte, decise di sborsare immediatamente quello destinato a Don Bosco e fu ben lieta allorché vide le relative formalità condotte a termine. Però al trar dei conti l'incasso netto fu appena di ottantamila franchi.[130]
Sulla tomba del Conte Colle si legge un versetto dei Salmi che rappresenta l'estrema testimonianza di affettuosa gratitudine del Beato Don Bosco alla sua benedetta memoria. Tre giorni prima che lo seguisse nel cielo, la sera del 28 gennaio 1888, quando stentava già molto a farsi intendere e a dar segno che capiva, si parlava sommessamente accanto al suo letto di una sentenza scritturale da incidersi in testa all'epitaffio del defunto. Don Rua era di parere che vi si scolpisse questa: Orphano tu eris adiutor; monsignor Cagliero invece proponeva quest'altra: Beatus qui intelligit super egenum et pauperem. Don Bosco, il quale gli astanti credevano che non avvertisse quanto si diceva, aperse a un tratto gli occhi e con grande sforzo pronunziò: Pater meus et mater mea dereliquerunt me, Dominus autem assumpsít me.
A Don Bosco il Signore nella sua Provvidenza affidava grandi opere di bene a vantaggio specialmente della gioventù povera e abbandonata; il medesimo Signore fece incontrare a Don Bosco l'Uomo, che in anni di estremo bisogno per il consolidamento delle sue opere fu per lui della divina Provvidenza tesoriere e ministro.
AFFARI molteplici, alcuni dei quali gravi e delicati, richiedevano imperiosamente le presenza di Don Bosco a Roma; quindi al ritorno dalla Francia, senza passare per Torino, proseguì a quella volta. Avvicinandosi però il tempo pasquale, in cui a Roma avrebbe potuto fare poco o nulla, trascorse un paio di settimane visitando case della Liguria e profittando della stagione propizia per andar in cerca di offerte.
Lasciata pertanto Nizza il 27 marzo in compagnia di Don Durando e del chierico Reimbeau, si diresse prima a Vallecrosia. Qui la comunità si componeva di due preti, un chierico e due laici, i quali nell'attesa che la nuova casa fosse pronta a riceverli, stavano molto allo stretto; perciò Don Bosco e i suoi furono ben riconoscenti al cavalier Moreno, che offerse loro generosa ospitalità. Il chierico Reimbeau descrive così le condizioni, in cui versavano allora quei confratelli[100]: “La loro vita è proprio edificante. Sono così poveri che fanno pena a vedere. Io ho visitato, quale membro della Società di San Vincenzo de' Paoli, molte famiglie disgraziate, ma raramente ne incontrai di più povere. Spesso, [132] cosa incredibile, per intere settimane si cibano di soli legumi cotti nell'acqua e conditi col puro sale. Nondimeno sopportano tali privazioni con un'allegria che reca stupore e io non vidi mai faccie più liete. La loro é una vera capanna da Patagoni; la cappella é un magazzino da olio, come pure le scuole. E' così stretta che vi si soffre mancanza d'aria ed io non poteva resistere e mi sentiva venir meno il respiro. Ma passeranno presto in una casa spaziosa, dove saran ricompensati largamente delle loro presenti sofferenze.”
Il Signore al Torrione sembra aver voluto premiare la carità del buon cooperatore e glorificare la santità di Don Bosco con due fatti prodigiosi. Una signora Moreno, parente del Cavaliere, giaceva da gran tempo inferma, quando la mattina del 31 marzo un suo figlio cadde tutto a un tratto in letargia. I mezzi dell'arte per farlo rinvenire non producevano nessun effetto; onde il suo stato appariva ai medici oltremodo pericoloso. La madre a tal notizia provò sì forte dolore, che la sua malattia, repentinamente precipitando, la ridusse agli estremi. Il nostro Don Pesce le amministrò in tutta fretta gli ultimi sacramenti. Don Bosco, saputa la cosa, se ne afflisse per l'ottimo cavalier Moreno, a conforto del quale volle recarsi in quella famiglia a visitare gli ammalati.
Il figlio non dava segno di vita, la madre agonizzava, e il medico passava dall'uno all'altra senza vederci un filo di speranza. Don Bosco, appressatosi a entrambi e postosi alcuni istanti in preghiera, li benedisse. Mirabile effetto! Il giovane cominciò subito a distendere liberamente le membra, addormentandosi poi d'un sonno tranquillo, finché verso sera, ristabilito a pieno, chiese di alzarsi, accusando una gran fame. Anche la signora si sentì all'improvviso tanto meglio, che prima di notte era guarita. Il marito, ritornato esso pure quasi da morte a vita, se già era buon cooperatore salesiano, professò da quel giorno a Don Bosco la più cordiale riconoscenza, che dimostrava generosamente col fatto, avendogli dato Iddio un ricco patrimonio.[133]
Da Vallecrosia Don Bosco scrisse due lettere; tante almeno ce ne sono giunte. La prima era indirizzata al Direttore di Nizza.
Procura di mandarmi ad Alassio la lettera di Don Confortóla ed un'altra cominciata che non ho finita.
Ho dimenticato, o meglio hanno dimenticata la mia zimarra nella vettura che ci condusse alla stazione. Trovatala piegala coll'indirizzo: D. Bosco a Torino. E poi avutane occasione la manderai
Abbiamo dimenticato il Bellet di Mad. Daprotis.
Riassumendo le cose pare che si possa dire:
I° I principali tuoi debiti sono pagati, ma ritieni nota e relazione delle persone che ti ho notato e che sono ben disposte a dare.
2° Quando puoi visita Mad. Medà, Dam. Guigon, coltiva Mad. Daprotis.
3° Occorrendo che convenga qualche mia lettera, dimmelo; io procurerò di scrivere.
4° Procura di radunare spesso il tuo capitolo per insistere che non si battano i giovani, che ciascuno legga la parte di regolamento che lo riguarda. Abbiamo da fare e ci mancano braccia. Preghiamo.
Dio ti benedica, o sempre caro Don Ronchail, e ti conceda buona salute, benedica anche tutti i nostri cari figli e confratelli. Saluta i nostri amici e benefattori e credimi sempre in G. C.
PS. Domani a sera spero vedere Don Cerruti e parlargli delle cose nostre.
Il “Bellet di Madame Daprotis” era una cassetta di bottigliette contenenti vino così denominato dalla vigna che lo produceva e regalatogli da quella signora. Era vecchio di novant'anni. Don Bosco lo voleva portare a Roma per farne un presente al Santo Padre. La seconda lettera fu per Don Barberis.
I) Ho ricevuto notizie di te e dei nostri cari giovani. Benediciamo il Signore in tutte le cose. Ogni giorno io benedico il nostro caro Don Buffa e prego per lui, affinché Dio pietoso me lo conservi ancora molto tempo. [134]
2) Dirai al Ch. Lucca ch'io sono stato molto contento della sua lettera, che continui, ho bisogno di parlare un momento con lui, prima di presentarlo all'ordinazione, e intanto stia tranquillo sulla mia benevolenza e paterna affezione.
3) Riguardo ai lavori a farsi ho dato i pieni poteri a Don Rua: procura di intenderti con lui.
4) Nostre cose vanno bene. Da fare immenso, continuate a pregare.
5) Godo molto che gli esercizi siano riusciti bene; a tale uopo dirai ai nostri amati chierici e preti, nominatamente a Don Piscetta e a Don Merigi che io ho bisogno di qualche eroe nella virtù, e che almeno un paio giungano a far miracoli. Senza di ciò non posso andar avanti.
Dio ci benedica tutti, ci conservi nella sua santa grazia e pregate per me che vi sarò sempre nel Signore.
Don Buffa morì a San Benigno il 7 aprile seguente. Interrotti gli studi nel secondo anno di liceo e travagliato successivamente da varie malattie, dopo qualche tempo di vita agitata, trovò finalmente la pace per mezzo di Don Bosco, che, fattigli trascorrere alcuni mesi a Varazze e alcuni altri ad Alassio, lo accettò al noviziato. Se non che, vedendo come i suoi giorni fossero contati, gli accelerò straordinariamente le sacre ordinazioni fino al presbiterato; la qual cosa non gli fu difficile, grazie alla benevolenza del nuovo Vescovo d'Ivrea monsignor Davide dei conti Riccardi. “La memoria di quel sacerdote, si legge nella cronaca della casa di San Benigno, sarà incancellabile in coloro che ebbero la bella sorte di conoscerlo e d’ammirarne le elette virtù.”
La sera del 10 aprile si discese a San Remo, dove li aspettava il direttore di Alassio Don Cerruti, che, dato il ben venuto al Padre, fece ritorno al proprio collegio. Alloggiarono tutti presso le suore della Visitazione, fra le quali trovavasi una nipote di Don Giulio Barberis[101]. Là Don Bosco ebbe [135] occasione di avvicinare una gran dama inglese, convertitasi da poco al Cattolicismo e assai ricca, che all'invito di lui si disse disposta ad aiutare l'opera di Vallecrosia; ma sopra tutto le sarebbe piaciuto ottenere una fondazione nella sua Inghilterra. Rimase a San Remo circa quattro giorni, trattato da quelle religiose come non si sarebbe potuto meglio desiderare. Quel riposo e la salubrità dell'aria giovarono grandemente alla sua malferma salute. “Mi gode l'animò, scriveva il già citato Reimbeau, nel vedere che il breve soggiorno a San Remo gli ha fatto molto bene; poche visite, lavora solo nella sua stanza, non parla con alcuno e si riposa. Oggi sta benissimo. Del resto le suore della Visitazione lo trattano come si deve.”
Il giorno in cui lasciò San Remo per Alassio, che fu il 4 aprile, spedì questo bigliettino a Don Rua: “Chi sa se non sia possibile che divenga tu mio angelo custode da San Pierdarena a Roma? Le nostre fermate sarebbero più brevi ed io ne sarei molto sollevato, mentre vedresti le cose cogli occhi tuoi. Dimmi quid tibi” Che poteva dirgli se non: Tanto m'é bel, quanto a te piace[102]? Ogni desiderio di Don Bosco valeva per Don Rua uno stretto comando.
Prima di andare a Roma aveva bisogno di vedere i principali Superiori, fra cui Don Cagliero, che continuava ad esercitare il sacro ministero a Utrera; perciò da Alassio gli scrisse:
Non so se questa mia potrà raggiungerti. Ad ogni modo ti dico: se puoi trovarti mercoledì santo a Sampierdarena, ci sarà anche Don Rua e ci potremo parlare. Esso mi accompagnerà a visitare le case di Spezia, Firenze, Roma ed al ritorno probabilmente Lucca, Este, Venezia etc. etc. Il piano é di potermi trovare al 6 di maggio a Torino per fare S. Giovanni ante portam latinam.
Ho la testa che va in cimbalis, pure debbo ancora rotolare. Spero però di essere sollevato da Don Rua. Saluta Don Branda, Don Pane, Don Oberti, il profes. di Musica ed il maestro di cucina Gentre.[136]
La casa di Firenze é stabilita dal 4 di marzo passato e Don Confortóla fa mirabilia.
Abbiamo fatti buoni affari in Francia, anche per la Chiesa ed Istituto del Sacro Cuore. E tu e Don Branda avrete riuscito a cominciare qualche cosa?
Fate omaggio di rispetto al Sig. Marchese Ulloa e famiglia, come a Monsig. Arcivescovo, che attendiamo a Torino.
Dio vi benedica tutti, pregate per me
Mandò pure una serie d'istruzioni a Don Dalmazzo; della terza di esse dovremo ragionare più avanti.
D. Rua verrà a raggiungermi al mercoledì santo e poi mi accompagnerà fino a Roma, facendo però breve fermata a Firenze. Di qui ti scriveremo giorno ed ora del nostro arrivo. Intanto:
I° Prepara le cose in modo, che se non potremo ancora andare nella casa nuova, almeno si possa alloggiare cristianamente anche con qualche spesa se è necessaria.
2° Prepara terreno sulla possibilità di ottenere qualche aiuto per la Chiesa ed Istituto del Sacro Cuore presso al municipio di Roma, al Ministero di Finanze nostro parrocchiano[103], Ministero dell'Interno, di Grazia e Giustizia e dell'Economato.
3° Il Can.co Colomiatti avv. Fiscale insiste sulla necessità di accomodare l'affare di Don Bonetti. Io ci ho risposto che dipende soltanto da lui:
1° Togliendo la sospensione al Don Bonetti.
2° Rivocando le imputazioni fatte a Roma a carico del medesimo. Vedremo. A Roma ci parleremo di tutto.
4° Se puoi va a dire al Sig. Alessandro che quest'anno non ho potuto trovarmi a celebrare S. Matilde al giorno stabilito, ma che le feste solenni si trasferiscono e che almeno una bottiglia di Cipro o di altro desidero che la beviamo.
5° Hai ricevuto li f. 20 mila per la Chiesa del Sacro Cuore provenienti da Tolone? Spero giungeranno altri fra breve tempo.
6° Saluta le Signore Oblate e la Madre Presidente da parte mia. Lo stesso a casa Vitelleschi, Comm. Morello, Cav. Vignolo ecc. Il Sig. Moreno ti potrà dare consiglio e direzione sul modo di chiedere i sussidii di cui sopra.[137]
Prega molto per me, o caro Don Dalmazzo, Dio ti benedica e credimi sempre in G. C.
PS. Domenica prossima vado a fare un sermone di carità a S. Remo; di poi parto per Varazze e Sampierdarena.
Finalmente pensò al suo Don Berto, a cui regalò una diecina di Commissioni e qualche frase allegra, per rasserenare quello spirito abitualmente scontroso.
Per avere un appoggio nei varii spinosi affari ho bisogno che Don Rua mi accompagni in varie nostre case. Ma dal canto tuo sono necessarie più cose.
I° Che tu lo metta a giorno delle principali nostre vertenze a Roma, colle carte relative al noviziato di Marsiglia, ai tre favori rivocati ed alla Chiesa del Sacro Cuore.
2° Tu poi preparami un paio di scarpe di quelle che non schersinano[104], il mio mantellino da estate, alcuni moccichini, il Breviario di Primavera, con alcune circolari del Sacro Cuore in francese ed un numero discreto in italiano.
3° Messo questo ed altro che ben giudichi nel tuo sacco da viaggio, accompagnerai Don Rua a Sampierdarena il mercoledì prossimo[105]. Quivi ci parleremo di più cose che non conviene scrivere e ti darò norme a seguirsi nella mia assenza ed in quella di Don Rua. Dopo con Reimbeau ritornerai a Torino per dirigere la seminagione dei fagiuoli[106].
4° In confidenza, abbiamo cose assai gravi tra mano e perciò avvi urgente bisogno di molte e fervorose preghiere e comunioni.
5° Se é finita la stampa de' nostri privilegi é bene che Don Rua ne porti seco, per lasciarne copia nelle case in cui passiamo e anche per me.
6° Dio ti benedica, o sempre caro mio D. Berto; Dio ti conservi fermo nella sua santa grazia e prega molto per me che ti sarò costantemente in N. S. G. C.
PS. I saluti ai soliti nostri amici[107].[138]
Sopra due cose accennate in questa lettera sarebbe necessario che ci soffermassimo alquanto. La prima riguarda le “circolari del Sacro Cuore”, e l'altra l'opuscolo dei privilegi; ma ne diremo nei capi tredicesimo e quattordicesimo.
Partito per Alassio verso sera, vi giunse sull'imbrunire. Superiori e ragazzi gli andarono incontro alla spicciolata. Disse al primo gruppo scherzevolmente: - Siete venuti a ricevere Don Bosco cum fustibus et lanternis. - Scrive Don Pietro Giordano: “Ogni volta che veniva ad Alassio era sempre accolto, più che in trionfo, festevolmente, specie dai nostri allievi e superiori.” E più innanzi ripete: “Ogni volta che Don Bosco passava per Alassio era per gli Alassini e per noi Salesiani specialmente una festa, una festa, una festa.” Spinto del gran bisogno di danaro per la chiesa del Sacro Cuore, fece nella parrocchia una conferenza, dopo la quale Don Cerruti e il prevosto Della Valle andarono in giro per la questua. Il medesimo Don Giordano ci ha trasmesso una reminiscenza importante. Don Bosco, parlando di Pio IX, disse che quel santo Pontefice nella sua ultima infermità gli aveva mandato invito di andarlo a trovare e che si lagnava di non vederlo; ma le porte del Vaticano, come si narrò nel volume tredicesimo, erano allora ben serrate a Don Bosco. Don Bosco raccontò questo nel refettorio, mentre si prendeva il caffé, e gli stavano attorno parecchi Salesiani, fra cui Don Giordano, il quale crede di rammentare le parole precise del Beato. Egli avrebbe detto: “Quello che più m'addolorò fu l'aver saputo che il Papa, non vedendo Don Bosco, disse ad un suo familiare queste parole: - Quando Don Bosco aveva bisogno del Papa, era sollecito a venire dal Papa, e il Papa lo accoglieva come un padre accoglie un caro figlio; ora che il Papa ha bisogno di Don Bosco, Don Bosco non si fa vivo. -” Nel proferire queste parole il Servo di Dio aveva gli occhi gonfi di lacrime, e non aggiunse altro[108].[139]
Il Servo di Dio, arrivando da San Remo ad Alassio, trovò il Direttore afflittissimo per un caso occorso di fresco. Dall'anno scolastico 1878-79 il salesiano Don Matteo Torrazza andava ogni giorno da Alassio con un altro maestro a fare scuola nel comune di Laigueglia, fermandosi ivi per il pranzo e tornando la sera. Per quel maestro successe ai primi di aprile un putiferio a Laigueglia, ed ecco l'anticlericale Secolo di Milano pubblicare un telegramma da Alassio, che un prete salesiano, addetto al collegio dei Salesiani in quella città, aveva oltraggiato turpemente i ragazzi delle scuole comunali di Laigueglia, ov'era maestro. A questo telegramma ne tenne dietro un secondo che confermava il primo e rincarava la dose, dando a intendere che Don Bosco si fosse recato ad Alassio per tacitare la cosa e rimediare al male e che i parenti ritirassero indignati i loro figli dal convitto. L'Osservatore Cattolico di Milano[109], assunte informazioni, rimbeccò più tardi il confratello dell'opposta riva, riferendo alcune voci malevole sparse in quell'angolo della Liguria perfino contro Don Bosco. Don Cerruti telegrafò al foglio diffamatore essere il collegio di Alassio interamente estraneo ai fatti immorali di Laigueglia; esser falso che l'imputato fosse prete salesiano; falso che i parenti ritirassero alunni. A termini di legge l'organo della sétta dovette pubblicare il telegramma, dopo di che non osò più rimestare la delicata materia.
Per isvagare Don Cerruti dalla dolorosa impressione cagionatagli da questi fatti il Beato lo condusse con sé a Porto Maurizio, dove sperava di fare una buona questua.[140]
Li accolse in casa sua un canonico amico, Don Fabre, presso il quale dormirono due notti. Don Bosco, accompagnato da un ottimo avvocato Ferraris, bussò a molte porte, ma con magro risultato. Ciò nonostante, tranquillo e sorridente, scherzava sul poco o nulla che riceveva di elemosina e sulle ripulse stesse che talora gli toccavano.
Con questo suo buon umore, che non lo abbandonò mai, diede pure una salutare lezione, stando alla mensa dell'ospite. Nell'ultimo giorno sedevano a pranzo con lui due signorine, nipoti del canonico, una delle quali piuttosto civettina permetteva a un giovinotto, pur esso commensale, d'indirizzarle parole, non proprio cattive, ma nemmeno interamente castigate. Don Bosco per troncare così sciocchi scherzi, disse bonariamente di ricordare un sonetto che aveva studiato a. memoria da giovane e in cui si giocava sulle parole donna e danno e prese a recitare adagio adagio la prima quartina. La signorina capì benissimo l'allusione e serpentosetta: - Come? scattò a dire. Lei, ospite in casa nostra e alla nostra tavola, si permette di schernirci? - Don Bosco, quasi non avesse afferrato l'insolenza, continuò con la sua flemma a recitare il resto della poesia. La signorina si rodeva, ma non l'interruppe né dopo ardì proferire parola. Anche il signorino non s'arrischiò più a fare il galante. Vedremo poi come la cosa abbia avuto lieta fine.
Quella sera, lasciato Don Cerruti in casa del canonico e accompagnato dall'avvocato Ferraris, tornò a girare in cerca di elemosine. Vi era a Porto Maurizio una signora chiamata Maria Acquarona, nubile, che da oltre dieci anni teneva il letto per un male incurabile alla spina dorsale. Tutta la cittadinanza la conosceva. Ebbe da prima intenzione di mandare semplicemente un'elemosina a Don Bosco; ma poi pensò meglio di farlo pregare che le regalasse una visita e le portasse la sua benedizione. Don Bosco andò, accolto da lei con segni della più grande allegrezza. Si trovavano presso l'inferma una sorella e il cognato avvocato Ascheri, che in [141] poche parole gli espose natura e circostanze della malattia, da cui i medici disperavano di liberarla. Il Beato, animandola ad aver fiducia nella Madonna, la benedisse e le assegnò alcune preghiere da recitare in seguito; indi passò in un'altra camera, dove s'intrattenne un po' a discorrere con i due avvocati. Sul punto ch'ei si alzava per uscire, ecco affacciarsi vestita l'ammalata e dire che non sentiva più nessun male. L'avvocato Ascheri grida al miracolo e tutti sono in preda a intensa commozione.
La signora che camminava con passo spedito dopo tanti anni che non aveva più fatto uso delle gambe, accompagnò Don Bosco fin sulla porta di strada, dicendo che l'avrebbe poi salutato alla stazione; ma egli le raccomandò di non farsi vedere in città per evitare il chiasso. Così tornò da Don Fabre, e là, come un padre avrebbe parlato a un figlio, raccontò con tutta ingenuità il fatto a Don Cerruti, osservando in fine: - Mi duole però che la signora voglia venire alla stazione. Se ne farà rumore! Pazienza: sia fatta la volontà di Dio... Ma sono contento, caro Don Cerruti, proseguì con una bontà che commosse il Direttore fino alle lacrime, sono contento che in mezzo al tuoi dolori tu abbia avuto questo conforto. Quando canterai l'inno di San Giuseppe, arrivato a miscens gaudia fletibus [alternando gioie e dolori], dillo bene: é la storia di questa vita. -
La notizia del fatto scosse anche la nipote del canonico, che si presentò umile umile al Servo di Dio e, gettatasi in ginocchio, gli domandò perdono di quanto era occorso nel tempo del pranzo.
Sonata l'ora di avviarsi alla stazione, quale sorpresa! La voce del prodigio si era diffusa in un baleno per la città, traendo una folla di gente a vedere Don Bosco. La signora, che aveva preceduto in carrozza i viaggiatori, passeggiava tranquillamente dinanzi all'ingresso, oggetto di stupore ai concittadini, che, quasi non prestando fede ai propri occhi, le chiedevano se fosse proprio lei la signora Maria. “Io stesso [142] la vidi, depone Don Cerruti nei Processi, e confesso che mi pareva persona non stata mai ammalata, cotanto stava bene.”
Essa aspettava Don Bosco per rinnovargli i suoi ringraziamenti. Il Beato, appena giunto, si voleva ritirare nella sala d'aspetto per sottrarsi alla calca, non senza essersi prima lamentato con la signora che non gli avesse dato ascolto e supplicandola di tornare a casa. La signora, fatte le sue scuse, gli porse una busta sigillata, dalla quale si estrasse poi un biglietto da lire mille.
La sala si riempi tosto di persone. Arrivò il treno, e l'avvocato Ascheri pregò ad alta voce Don Bosco di dare ai presenti la sua benedizione. Tutti s'inginocchiarono per riceverla.. Benedetti che li ebbe, sali con Don Cerruti in carrozza, diretto a San Remo. I passeggieri, incuriositi, avevano voluto nella breve fermata sapere il perché di quell'affollamento e quando il treno era in moto, si faceva un gran parlare dell'accaduto e ognuno diceva la sua. Nello scompartimento di Don Bosco un giovanotto esclamò: - Io non credo né ai miracoli né a Dio.
Ma lei crederà ai fatti provati da testimoni, gli rispose Don Bosco. Bisognerebbe non essere ragionevole per fare diversamente. - E prese a narrargli per filo e per segno come quella signora fosse guarita all'istante per una semplice benedizione. Il giovane ascoltava attento. Finito il racconto, Don Bosco lo interrogò, come avrebbe egli spiegato la cosa senza ricorrere all'intervento soprannaturale; strettolo quindi con pochi argomenti sull'esistenza di Dio, terminò con la domanda:
- Qualcheduno adunque vi é sopra di noi?
- Eh, bisogna ammetterlo, rispose colui.
- Perché... perché non ho voglia di cangiar vita, glielo dico francamente. Ma lei chi é?
- Non fa bisogno di saperlo, gli rispose Don Bosco, che [143] da nessuno era ivi conosciuto, e si alzò per discendere, essendo arrivato a San Remo.
A San Remo Don Bosco tornava per una conferenza annunziata cinque giorni prima con una sua circolare a quei “benemeriti cittadini”[110]. Erano venuti a mancare i mezzi per la continuazione dei lavori nella vicina Vallecrosia; a fine di raccogliere sussidi aveva costituito un comitato di trentasei fra signori e signore sanremesi, disposti a questuare presso le persone caritatevoli di loro conoscenza. Essi fecero anche la propaganda per tirare gente ad ascoltare il Beato, e se ne toccarono con mano gli effetti. In quella stazione climatica e balneare i protestanti avevano seminato a larga mano l'indifferenza religiosa; eppure non solo la chiesa di San Siro, ma anche la piazza era piena di gente desiderosa di udire Don Bosco. Il teologo Margotti, che era di San Remo e conosceva la sua città, ebbe a dire che l'aver tirato tanta gente alla sua predica in una popolazione così fredda per le pratiche religiose gli sembrava uno dei più grandi miracoli operati da Don Bosco.
Sul finire della conferenza disse che avrebbe egli stesso fatto il giro per la questua e poi proseguì: - Voi vi meraviglierete forse nel vedere un prete a girare per la chiesa con la borsa in mano; ma quando guardo il Crocifisso e penso a quanto ha fatto Gesù per la nostra salvezza, prendo volentieri in mano la borsa e vado a chiedere per amor suo la limosina. - Raggranellò così ottocento lire. Don Cerruti rammentava nei Processi d'averlo veduto dopo in sacrestia così stanco, prostrato e quasi sfigurato, che ne fu vivamente tocco. Ciò nonostante si sedette e diede udienza a buon numero di persone, che volevano parlargli e deporre nelle sue mani le loro oblazioni.
Ritornò il giorno stesso ad Alassio. Qui compilò un documento, che é prova della sua vigile cura per mantenere [144] salda in ogni parte la. compagine della Congregazione. Come già si disse, Don Cerruti era stato nominato Ispettore delle case di Liguria e di Francia, e sia per alleviargli la fatica, sia per un riguardo alla sua debole salute il Servo di Dio gli aveva assegnato un vicedirettore nella persona di Don Luigi Rocca. Questo ufficio, riconosciuto necessario anche per il collegio di San Carlo in Almagro, costituiva una novità, non contemplata fino allora in nessun regolamento. Perché dunque la cosa pigliasse un aspetto normale e uniforme, dettò i seguenti articoli:
I. Il Vice - Direttore condivide col Direttore tutto quello che riguarda il governo della Casa, e ne fa le veci nella di lui assenza.
2. A lui é affidata la Direzione religiosa, morale e disciplinare degli alunni interni ed esterni, della cui condotta é particolarmente responsabile. Egli dovrà quindi invigilare attentamente a questo riguardo e tenersi in relazione col Prefetto, Catechista, Consigliere Scolastico, Maestri ed Assistenti, onde avere tutte le informazioni che valgano a fargli conoscere lo stato preciso delle cose, ad impedire o levare disordini ed a promuovere con ardore la pietà, la moralità e la disciplina.
3. Ogni Domenica visiterà col Prefetto i voti settimanali di studio e scuola che gli consegnerà il Consigliere Scolastico e quelli dei dormitorii, trasmessigli dal Catechista.
4. S'informerà pure nello stesso tempo delle mancanze che fossero state commesse durante la settimana nella Chiesa, alla passeggiata, nel refettorio e nella ricreazione.
S. Potrà fare le accettazioni degli allievi e del personale pei lavori domestici, attenendosi alle norme stabilite ed assicurandosi sovratutto delle loro condizioni religiose e morali. Comunicherà poi le fatte intelligenze al Prefetto, affinché ne tenga nota nel Registro dei postulanti.
6. Ogni mese riempirà insieme col Direttore il formulario appositamente stampato sul rendiconto della Casa.
7. Spetterà pure a lui l'esecuzione di quanto é stabilito dagli Art. 8 e 10 del Regolamento del Direttore nelle Deliberazioni del Capitolo Generale cioé:
(8) Il Direttore procuri anche ogni giorno di visitare la Casa; veda l'andamento di tutto; passi nelle camere, in cucina, nei refettorii e in cantina; sappia tutto quello che vi si fa. E' questo il mezzo d'impedire che non mettano mai radice i disordini.[145]
(10) Terrà registro delle persone benemerite e benefattrici per invitarle ad assistere in occasione di feste religiose, di accademie, di distribuzioni di premii agli allievi.
8. Non potrà però, salvo casi gravi ed urgenti, licenziare alunni o persone di casa, né far mutazioni negli uffici dei Maestri od Assistenti senza il consenso del Direttore, a cui spetta in particolar modo l'alta sorveglianza della Casa, la direzione religiosa e morale dei Socii e tutto ciò che riguarda l'esterna rappresentanza in faccia ai parenti degli alunni, le autorità ecclesiastiche, civili e scolastiche.
9. Al Direttore però potranno sempre rivolgersi per qualsiasi motivo Socii ed alunni.
Recatosi di là a Sampierdarena, s'incontrò con Don Rua e altri del Capitolo Superiore e con essi conferì un paio di giorni. Di quella dimora un fatto solo noi possiamo narrare, rammentato nei Processi da Don Berto, testimonio oculare. Una signora genovese, di cui il teste tacque per convenienza il nome, viveva in pieno disaccordo col marito, che da dodici anni non le aveva più detto una buona parola, ma richiedeva dalla figlia quanto gli abbisognava. A tavola, mai avveniva che le rivolgesse il discorso; non c'era caso che le desse mai il menomo segno di attenzione. In quel suo stato di malumore cronico aveva perfino dimenticato ogni pratica religiosa; quindi non più Messe, non più preghiere. In famiglia la vita era insopportabile.
Nella sua esacerbazione la moglie, non sapendo più a che Santo votarsi, andò a Sampierdarena per vedere Don Bosco, raccomandarsi alle sue orazioni e averne qualche parola di conforto. Ma lo trovò occupatissimo, tanto che senz'altro egli le disse: - Mi é impossibile trattenermi a lungo con lei. - La poveretta aveva appena cominciato a contargli la storia delle sue pene, che il Beato la interruppe, dicendole: - Dia a suo marito questa medaglia, - e in bel modo la licenziò.
In questo suo fare sbrigativo entravano anche ragioni di prudenza non difficili a intendersi. Ma non si può descrivere l'afflizione della povera donna allorché si vide privata [146] anche di quello sperato sollievo. Imbattutasi in Don Albera, Direttore della casa, gli mostrò la medaglia dicendo: - Come fo io a dare una medaglia a mio marito? Non prega più. La getterà chi sa dove. - Esortata ad eseguire fedelmente il consiglio di Don Bosco, rispose che non se ne sentiva il coraggio; ma Don Albera le replicò la sua raccomandazione. - Ebbene, riprese ella, lo farò, avvenga quello che, vuole.
Un sabato a sera dunque, stando in villeggiatura, la signora dopo cena, pigliato il coraggio a due mani, disse al marito di aver visto Don Bosco, il quale aveva promesso di pregare per tutta la famiglia e offriva a lui una medaglia. Quegli, rosso in faccia: - Come?! esclama. Una medaglia? In cosi dire esce dalla sala da pranzo e si ritira in camera. La moglie, presa da timore, lo segue. Il marito, trovatosi a tu per tu con lei, ha una crisi di pianto, dice che é tempo di finirla, l'abbraccia e le promette che per l'avanti sarà un altro. La dimane con istupore universale furono visti insieme alla Messa; insomma la pace era rientrata in quella casa. Don Albera attestava di scienza propria l'efficacia del suggerimento dato da Don Bosco.
Dalla corrispondenza surriferita si fa palese che se questa volta Don Bosco nel suo viaggio a Roma volle a fianco Don Rua, ci ebbe i suoi buoni motivi. Uno principalissimo riguardava la chiesa del Sacro Cuore. Bisognava prendere conoscenza dei contratti stipulati dalla precedente amministrazione con i fornitori, intendersi con l'architetto, esaminare i disegni dell'ospizio, studiare tutti i modi per procacciarsi le somme necessarie: lavoro immenso, di cui Don Rua lo avrebbe alleggerito, sicché a lui restasse la libertà di attendere ad altri negozi. E fra questi altri negozi primeggiavano le pratiche a fine di ottenere i privilegi e la grossa questione di Don Bonetti per le faccende di Chieri[111]. Ci rincresce però che il materiale d'informazione raccolto di qua e di là non [147] sia affatto proporzionato alla mole degli affari che Don Bosco trattò; anzi scarseggiano financo le notizie di cose che nulla consigliava di tenere avvolte nell'ombra di prudenziale silenzio. L'unico informatore sarebbe dovuto essere Don Rua; ma di lui abbiamo appena una lettera e tre affrettati biglietti a Don Lazzero. Evidentemente anche lui era tutto intento a ben altre cure che non fossero quelle d'inviar notizie a Torino.
Fecero una fermata di tre giorni interi a Firenze, dove arrivarono la sera del 16 aprile, vigilia di Pasqua. Dal 4 marzo Don Faustino Confortóla abitava là in via Cimabue un'umilissima casetta[112], alla quale si studiava di attirare il maggior numero possibile di ragazzi per catechismi quotidiani e per l'oratorio festivo. L'abitazione era tanto angusta, che non aveva spazio per albergare chicchessia; laonde il Beato continuò a usare dell'ospitalità offertagli cordialmente dalla contessa Girolama Uguccioni. La mattina di Pasqua, trattenuto in palazzo da visite, mandò il suo compagno di viaggio a celebrare la Messa nella povera cappelletta dell'oratorio; ma nel pomeriggio vi si recò egli stesso. Assistito da Don Rua e da Don Confortóla diede la benedizione eucaristica; poi fece ai ragazzi una larga distribuzione di confetti, regalati a tal fine da una ragguardevole cooperatrice. Si valse naturalmente dell'ottima occasione per amicarsi quella turba giovanile. Visitò nelle ore pomeridiane l'Arcivescovo monsignor Eugenio Cecconi, non essendo stato possibile presentarglisi prima a motivo delle funzioni pasquali in duomo. Impiegò quindi gli altri due giorni in visite a benefattori e nella trattazione di affari, come vedremo più innanzi. L'ultimo giorno, resistendo a ogni invito, pranzò con i suoi Salesiani. Durante quella dimora avvicinò persone in gran numero lasciandosi dietro quasi una scia luminosa, non sapremmo qual più, se di ammirazione per la [148] sua affascinante amabilità o di venerazione per la santità che gli traspariva dal volto, dal parlare, da tutto il contegno[113].
I nostri viaggiatori giunsero a Roma la notte del 2° aprile. Prima e dopo Firenze fecero conoscenza con molti che o erano già cooperatori o chiesero di essere. Questa volta Don Bosco non prese più dimora a Tor de' Specchi, ma trovò un discreto alloggio nella casetta acquistata presso la chiesa del Sacro Cuore. Le condizioni del luogo sono così descritte da Don Rua[114]: “Il sito in cui dimoriamo qui in Roma, è quanto mai comodo, ameno, salubre. Forse é una delle località di Roma in cui si sta meglio e non si andrà soggetti alla malaria, neppure nell'estate. Ma anche qui ci troviamo alle prese con i protestanti. Pare veramente che il Signore ci voglia destinare a combattere l'eresia colle armi della preghiera, della scuola e della carità, giacché, come sai, a Bordighera ci troviamo proprio dappresso ai protestanti, alla Spezia siamo loro accanto a pochissima distanza, a Firenze il nostro piccolo istituto che dovrà diventare grande, non si poté allogarlo altrove, che nella regione della città, in cui i protestanti fanno propaganda; e qui a Roma il collegio dei protestanti é separato dal nostro ospizio solo da una via. Preghiamo adunque il Signore che ci aiuti a ben riuscire nella Missione che ci vuole affidare, cominciando a mandarci quei soccorsi per far procedere alacremente la nuova fabbrica, che non costerà meno di parecchie centinaia di mila, se pure non ci vorrà qualche milione. Don Bosco prega e lavora a tutto potere per riuscir nell'impresa, non lasciando intentato nessun mezzo che possa giovare; ma sempre dice che ha bisogno del sostegno delle preghiere dei giovani.[149]
L'udienza del Santo Padre non si fece attendere a lungo; il Beato si affrettò a stenderne per i Cooperatori una relazione, che comparve nel Bollettino di maggio[115].
Vi tornerà certamente di grande consolazione, o Benemeriti Cooperatori e Cooperatrici, il conoscere l'insigne benevolenza manifestata dal Santo Padre verso di voi, e di tutto buon grado io ve la comunico.
Nella sera del 23 corrente aprile, essendosi Sua Santità Leone XIII degnata di ricevermi in udienza particolare, ebbi agio ad esporgli lo zelo con cui i Cooperatori vengono in aiuto alle nostre opere di carità in Italia, in Francia, nella Spagna e nell'America. Con premura non ordinaria il Santo Padre volle minutamente informarsi della chiesa e dell'ospizio dei Piani di Vallecrosia presso Ventimiglia, della Spezia e di Firenze. Queste opere formano oggetto di particolari sollecitudini del S. Padre, - perché, Egli diceva, vengono direttamente in aiuto della Chiesa assalita dall'errore e da coloro che lo propagano. Partecipate a mio nome che io mando l'Apostolica Benedizione a tutti questi zelanti Cooperatori, che li ringrazio di quello che fanno, e loro raccomando la fermezza di proposito nel fare il bene. Non mancano le difficoltà, ma Dio non mancherà di venirci in aiuto. L'opera che viene loro affidata é grande. Il raccogliere poveri fanciulli, l'educarli, il toglierli dal vestibolo delle carceri per ritornarli alla Società buoni cristiani ed onesti cittadini sono cose che non possono a meno d'avere l'approvazione di tutte le condizioni degli uomini.
- Ma e la Chiesa e l'Ospizio del Sacro Cuore di Gesù all'Esquilino? Progrediscono i lavori? Si va avanti oppure si sta fermi?
Io ho potuto rispondere che i lavori progrediscono alacremente, e che circa centocinquanta operai impiegano l'arte loro e la loro industria nell'Opera tante volte benedetta da Sua Santità. Feci notare che la carità dei fedeli ci incoraggiava, ma che la gravezza delle opere cominciava a farci sentire la scarsità del danaro.
Un momento prima una persona aveva offerto al S. Padre la somma di franchi cinquemila per l'obolo di S. Pietro. - Ecco, Egli mi disse con ilarità, questo danaro venne a tempo; l'ho ricevuto colla destra e ve lo dò colla sinistra; prendetelo, e serva pei lavori intrapresi all'Esquilino. Spero che il mondo apprezzerà questo sforzo del Sommo Pontefice per un'opera che mi sta molto a cuore, ed ho fiducia che altri generosi oblatori non mancheranno di concorrervi con quei mezzi, che Dio pose in loro mano. Godo molto che abbiate potuto [150] stabilire dei Collettori. Raccogliendo così anche le piccole oblazioni si potranno più facilmente riunire i mezzi che ci sono necessari.
In quel momento il S. Padre apparve alquanto commosso ed esclamò: - Oh! Sacro Cuore di Gesù, siate per tutti i fedeli sorgente di grazie e di benedizione. Benedite tutti coloro che faticano per la vostra Chiesa nelle varie parti del mondo; ma una speciale vostra Benedizione discenda copiosa su tutti i Cooperatori e su tutte le Cooperatrici di S. Francesco di Sales, su tutti gli Oblatori, ed in particolar modo su tutti i Collettori, che prestano l'opera loro ad accrescere l'onore e la gloria Vostra. Sì, continuò il Santo Padre, benediteli tutti: benedite le loro fatiche, le loro famiglie, i loro interessi, e rendeteli felici nel tempo, e beati nella eternità.
A queste parole del Vicario di Gesù Cristo io non ho più osato esprimere altro pensiero, se non di ringraziamento, assicurando che i Cooperatori avrebbero continuato a lavorare con tutto zelo alla gloria di Dio e di S. Madre Chiesa.
Siccome le opere raccomandate alla pietà dei nostri Cooperatori sono dirette a sollievo dei più bisognosi della civile società, e a sostegno della Religione nostra santissima, così io credo che l'elemosina necessaria a farsi per l'acquisto del Giubileo, elargito dal Santo Padre dal 19 marzo al 10 novembre dell'anno corrente, possa assai bene erogarsi a vantaggio delle medesime
In fine vi assicuro, o Benemeriti Cooperatori e Cooperatrici, che tutti i fanciulli da voi beneficati innalzeranno mattino e sera con me le comuni loro preghiere al Cielo pel vostro benessere spirituale e temporale.
Il Giubileo, a cui Don. Bosco accenna, era stato annunziato da Leone XIII nel ricevimento del 20 febbraio al Sacro Collegio, venuto a complimentarlo per il terzo anniversario della stia esaltazione. Rispondendo agli omaggi e auguri degli Eminentissimi, dopo aver deplorato le offese inflitte in quasi tutto il mondo alla Chiesa e la triste condizione a cui era stata ridotta la Santa Sede, terminava dicendo:
“Persuasi per altro che principalmente dal cielo debba attendersi l'aiuto opportuno, senza del quale é vano ogni nostro sforzo e fatica, e memori che nelle epoche più procellose e nei momenti più trepidi fu sempre usa la Chiesa di intimare pubbliche preghiere ed opere di penitenza, abbiamo risoluto di aprire in quest'anno per tutta la cristianità uno straordinario Giubileo, affinché, moltiplicate le preghiere [151] e le opere sante, più presto il Signore inclini a clemenza e prepari alla Chiesa tempi migliori. Questo Giubileo se per una parte é segno delle gravissime condizioni in cui si trova la Chiesa, per l'altra é cagione di speranza e conforto, giacché apre in larghissima copia a beneficio della cattolicità i preziosi Tesori, dei quali per divina bontà é ricca la Sposa di Gesù Cristo.”
Mentre Don Bosco fra prelati e signore aspettava il suo turno per l'udienza, si era svolto uno di quei gustosi incidenti, che con tanta abilità egli sapeva far nascere e condurre sino alla fine. Entrò nell'anticamera un Monsignore a lui sconosciuto; ma gielo fece conoscere un gentiluomo, col quale conversava. - Quegli é monsignor Pio Delicati, disse. - Don Bosco aveva dunque dinanzi a sé colui che nella controversia per la Vita di San Pietro aveva emesso parere sfavorevole. Egli neppure conosceva Don Bosco; anzi non poteva nemmeno supporre che il medesimo fosse venuto a sapere come si chiamasse il consultore, dal quale il suo libro era stato così tartassato, perché dalla relazione comunicatagli aveva avuto l'avvertenza di far scomparire il proprio nome[116]. - Voglio prendermi una piccola rivincita, - pensò Don Bosco fra sé e sé. E avvicinatosi con bel garbo, gli fece una riverenza e gli chiese della sua salute. Monsignore gli domandò con chi avesse l'onore di parlare.
- Con un povero prete di Torino, Don Giovanni Bosco
- Ah! Don Giovanni Bosco! E' un nome molto ben conosciuto; é il nome di un valente scrittore.
- Scusi, Eccellenza, scrittore si, ma valente sono ben lontano dal crederlo.
- Tutta modestia sua. I suoi libri fanno gran bene.
- Certo la mia intenzione non é di far male. Tuttavia avrà forse sentito parlare delle peripezie da me incontrate per certo mio libretto...[152]
- Eppure é così. Ci fu chi vi rinvenne proposizioni inesatte e non mancò chi lo credette addirittura meritevole di essere messo all'Indice. Sarebbe stata bella, perché io aveva seguito in tutto il Cuccagni[117] e il Santorio[118] e si sarebbero con tale sentenza condannati due autori di polso, approvati già dai medesimi giudici che stavano per condannare me. Aggiungo che per quell'operetta io teneva una lettera di lode inviatami da Pio IX. Meno male che lo stesso Santo Padre troncò la questione!
- Eh, meno male!... E lei ha molti giovani nei... nei suoi collegi?
- Un numero abbastanza grande, Monsignore... E così, come le dicevo, la mia Vita di San Pietro...
- E dica un po'... i suoi collegi sono numerosi?
Don Bosco, visto che il suo interlocutore faceva di tutto per levar i piedi da quel terreno scottante, parlò dei collegi. Monsignor Delicati non lasciò punto trapelare di essere stato lui il famoso relatore; Don Bosco a sua volta non volle essere indelicato, ma gli raccomandò i suoi ragazzi, gli baciò rispettosamente la mano e si ritirò alcuni passi più indietro.
Vediamo ora le poche lettere scritte da Roma e a noi pervenute. Di una abbiamo solamente notizia dai verbali del comitato femminile di Marsiglia, perché l'abate Guiol ne diede comunicazione alle Signore nella seduta del 28 aprile, leggendo i passi più notevoli tradotti in francese. Don Bosco diceva: “Vengo dall'udienza del Papa e ne dò a Lei notizia prima d'ogni altra cosa. Egli ha parlato molto di Marsiglia. Ha ascoltato con piacere quello che io gli diceva [153] della nostra costruzione e del numero crescente di giovani e di aspiranti al sacerdozio. Approva e raccomanda un noviziato in cotesta città. Infine ha soggiunto: - Ho difficoltà a scrivere io stesso, ma vi prego di ringraziare da mia parte il Comitato delle signore e dei signori e quanti vi aiutano. Benedico poi in modo speciale tutti i signori della pia Società Beaujour. Benedico essi, le loro famiglie, i loro interessi spirituali ed anche temporali. - Dopo continuando si parlò dei Cooperatori e della chiesa del Sacro Cuore, come si vedrà stampato nel Bollettino Salesiano. Don Bologna mi scrive del grande impegno con cui Ella e il Comitato agiscono a vantaggio della nostra opera. Dio li ricambi tutti largamente.” Ci rimangono poi tre lettere, delle quali daremo in primo luogo quella che fu scritta alla marchesa Fassati per la morte della contessa De Maistre, sua parente. La defunta, come aveva sempre beneficato Don Bosco in vita, così gli legò per testamento la somma di lire tremila[119].
Io era in giro quando avvenne la disgrazia della morte della compianta contessa De Maistre benevola benefattrice della Congregazione Salesiana, ma ne ho avuto prontamente la notizia. Ho tosto ordinato che si facessero in tutte le case della Congregazione, speciali preghiere pel riposo eterno dell'anima di Lei, che fondatamente io credo che sia stata accolta dalla misericordia del Signore e tosto ricevuta a godere la felicità eterna del cielo.
Tuttavia continuerò a pregare ogni giorno per la defunta, ed in modo speciale anche per la S. V. affinché Dio la conservi in quella buona salute, che fu tanto tempo oggetto delle comuni preghiere nostre e di altri molti.
Nella udienza privata del Santo Padre ho potuto comodamente parlare delle famiglie de Maistre e Fassati. Si espresse con molta benevolenza ricordando nome e cognome del Sig. Conte Francesco, Eugenio e Carlo. Mostrò rincrescimento per la morte della Contessa Madre ed assicurò che avrebbe fatto memoria di Lei nella S. Messa.
Di poi conchiuse: - A tutte queste benemerite famiglie (De Maistre, Fassati, Ricci e Montmorency) comunicate da parte mia [154] l'apostolica benedizione. Dal canto mio mi raccomando alle loro preghiere.
Io spero che la sua sanità continuerà ad essere buona e a tale fine faccio ogni mattina un memento nella Santa Messa.
Dio la benedica, o Sig. Marchesa, Dio la conservi a vedere il frutto della sua carità, conceda ogni bene alla Baronessa Azelia, al Barone Carlo Ricci, e raccomandandomi alle sante loro preghiere ho l'onore di potermi professare in G. C.
Roma Porta S. Lorenzo 42, 30 aprile 1881,
PS. Spero di essere a Torino per la novena di Maria SS. Ausiliatrice.
Rispose poi alla signora Maria Acquarona, che gli aveva scritto di essere ricaduta nel suo male.
Ho ricevuto la sua che mi consolò da un lato e dall'altro mi rammaricò per la sua ricaduta nel male di prima. Veramente io desiderava, come le dissi, di non fare rumori, pregare e ringraziare il Signore.
Ma al presente dobbiamo raddoppiare le nostre preghiere. Dio ci ascolterà certamente in modo definitivo se la nostra dimanda non é contraria al bene dell'anima nostra. In questo senso ho dimandato una speciale benedizione al S. Padre, che volentieri ha dato assicurandomi che avrebbe anche pregato per Lei e per la Signora Sorella Vincenza.
La prego di voler stendere i miei umili rispetti al Sig. D. Fabre, al Sig. Avv. Ascheri e famiglia quando avrà occasione di vederli. Dio la benedica, o benemerita Sig. Maria, la rimeriti della carità fattami per la Chiesa ed Ospizio dei Piani di Valle Crosia e voglia anche pregare per me, che le sarò sempre in G. C.
Roma Porta S. Lorenzo 42, 27 aprite 1881.
Che Dio abbia ascoltato “in modo definitivo” la domanda, non vi può essere alcun dubbio. Infatti tre anni dopo il cognato della signora, avvocato Ascheri, incontratosi sul treno con Don Cerruti che egli non riconobbe, si mise a parlare [155] di Don Bosco e di quello che aveva visto con i propri occhi a Porto Maurizio, e da buon parlatore qual era incantò i viaggiatori, che lo stettero ad ascoltare col massimo interesse. Inoltre sei anni dopo la grazia il medesimo Don Cerruti rivide nel collegio di Alassio la graziata, venuta a riverire Don Bosco, a dargli sue nuove e a fare la propria offerta come cooperatrice.
Pendendo dinanzi al Consiglio di Stato la controversia per le scuole ginnasiali dell'Oratorio, come abbiamo narrato nel volume precedente, Don Bosco tentò di vedere il nuovo Ministro della Pubblica Istruzione; poiché dal 2 gennaio a Francesco De Sanctis era succeduto in quel dicastero Guido Baccelli, ultraliberale. Dalla terza lettera al conte Tomasi abbiamo un saggio di chi sa quante simili anticamere dovette fare a Roma e di cui purtroppo non c'é rimasta memoria. Molti passi avrà fatti senza dubbio e inutilmente per i privilegi. Di altre pratiche ci resta solo la miseria di una supplica per ottenere una decorazione dell'Ordine Mauriziano al signor Giuseppe Repetto da Lavagna Ligure, che aveva fatto eseguire a proprie spese lavori notevoli nell'ospizio di San Giovanili Evangelista a Torino[120]. Ecco la lettera al conte Tomasi, impiegato al Ministero della Pubblica Istruzione.
Ringrazio ben di cuore la S. V. Gentil.ma per le due letterine che si compiacque dirigermi relative ad ottenere l'udienza dal sig. Ministro Baccelli. Sono andato precisamente all'ora segnatami, aspettai dalle II mattino all'una e un quarto pomeridiano Allora mi fu fatto dire di ripassare pel giorno seguente all'una pomeridiana. Mi recai. Venne il Ministro, dipoi ripartì senza che potessi né parlargli, né chiedergli altra ora.
Nemmeno mi fu possibile avvicinare il Segr. Generale.
Perciò indirizzerò un piego all'uffizio, ma non posso conferire di varie cose che si riferiscono al pubblico bene.
Tuttavia, io le sono obbligatissimo per la bontà con cui si volle [156] occupare dei nostri poveri giovani e pregando Dio a colmarlo di sue celesti benedizioni ho l'onore di potermi professare
PS. Per assicurarmi che il mio piego vada in mano a qualcuno dei capi del Ministero, credo meglio di pregare la bontà di Lei a volermelo far recapitare.
Durante il suo soggiorno a Roma il Beato inviò Don Rua a visitare i confratelli e la casa di Magliano Sabino. Sulla linea da Roma a Magliano sembra che sia avvenuto un incontro del segretario di Don Bosco col futuro Eminentissimo Lafontaine, Patriarca di Venezia, e allora giovane chierico, il quale ne scrisse così trentaquattro anni dopo[121]: “Mi fece grande impressione l'affabilità di lui, il raccoglimento, la confidenza piena di riserbo, che usò verso di me.”
La mattina del 10 maggio il Beato intervenne a una bella funzione. Alcune centinaia di pellegrini francesi, desiderosi di acquistare il Giubileo, facevano le prescritte visite alle basiliche maggiori, invitando ogni volta qualche prelato per la celebrazione della Messa. A San Giovanni in Laterano invitarono Don Bosco, con preghiera di fare anche un discorsetto nella loro lingua. Egli accettò di buon grado. Nella parole ai medesimi rivolte espresse due concetti: encomiò il loro buon pensiero di recarsi divotamente a quella che era Mater et caput omnium ecclesiarum dopo d'aver reso omaggio al Vicario di Gesù Cristo, al Pastore dei pastori, e con loro si rallegrò che fossero venuti a ritemprare la propria fede nell'attaccamento alla Cattedra di San Pietro e nell'affetto al suo successore Leone XIII, la cui benedizione, ricevuta pochi dì avanti, sarebbe pegno di giorni migliori per essi, per le loro famiglie e per la loro patria, dove con tanto male c'era pur sempre tanto bene, sicché quella nazione non aveva [157] punto smentito il suo titolo glorioso di Figlia primogenita della Chiesa.
A Tor de' Specchi il Servo di Dio convocò secondo il solito i Cooperatori romani nel pomeriggio del 12 maggio. L'Aurora del 13, dando relazione della conferenza, notava che egli aveva l'aspetto affranto e la parola calma. Assisteva il cardinale Alimonda. Il medesimo giornale riassume così il suo discorso:
Dopo aver annunziato che Sua Santità degnavasi inviare una benedizione speciale ai Signori intervenuti all'adunanza, disse che avrebbe parlato dell'opera dei Salesiani in genere e poi della chiesa del Sacro Cuore. Dall'anno decorso in poi le Case dei Salesiani essere aumentate. Le missioni della Patagonia prosperare. Consolidate ed estese le fondazioni di Nizza, Ventimiglia, Spezia, Lucca, Firenze; dove i nuovi istituti, sorti e prosperando al fianco di istituzioni consimili aperte dai protestanti, riescono a paralizzare i loro dannosissimi effetti ed a strappare anime al regno di Satana. La gioventù e l'avvenire essere, secondo la frase di Dupanloup, una stessa cosa, e doversi augurare all'Italia un avvenire sereno, posto che quest'opera benefica di educare e salvare la gioventù, mediante il sussidio dei Cooperatori Salesiani, prenda nuovo incremento.
Venendo quindi a parlare della chiesa del Sacro Cuore, disse essere stato con ottimo intendimento stabilito che sorgesse sul colle Esquilino, una volta sacro ai numi, un tempio sacro alla divina Clemenza, cioé al Sacro Cuore. Come un dì però ivi stavano le excubiae; o sentinelle, convenire far sì che vi sorgesse uno stabilimento, in cui educare le sentinelle destinate a vegliare per la salute delle anime.
L'egregio Padre Maresca aveva cominciato con zelo il lavoro. I Salesiani l'avrebbero continuato. Ben 66 stabilimenti protestanti, sale, scuole, ospizi grandiosi disputare in Roma le anime alla fede cattolica, e molti adescati da promesse di lavoro e da facili concessioni lasciarsi sedurre. Convenire porre un argine a questa propaganda e raccogliere questi giovani senza parenti, senza protettori, senza pane, di qualunque parte d'Italia siano; e però accanto alla chiesa del Sacro Cuore doversi erigere un asilo per raccogliere, educare almeno un cinquecento giovani. A quest'oggetto faceva appello alla carità dei Romani, che, se prima furon larghi di aiuto a lui per fare il bene in altre città d'Italia, oggi dovrebbero stendergli la mano, onde non si avesse a vedere qui in Roma i protestanti solleciti di impiegare energia e tesori nel trionfo dell'eresia, e neghittosi ed impotenti i Romani per il trionfo della fede. Terminò dicendo che a confortarli [158] a questa carità l'Eminentissimo Alimonda aveva gentilmente consentito di rivolgere loro due parole; che egli era felice di veder l'eloquente Porporato trattar la causa dei Salesiani..
Sua Eminenza, parlando dei Salesiani, espresse il seguente giudizio: “Questa Congregazione sembra essere stata istituita dalla Provvidenza per recare un balsamo a tante ferite, rialzare tanti caduti, recar pace a tanti disperati, per glorificare il nome di Dio e sterminare il peccato.” E sul finire delicatamente e opportunamente osservò: “Voi Romani avete un clero virtuoso, é vero, ma gli aiuti morali non sono mai troppi e si accolgono volentieri da qualunque parte ne vengano.”
La conferenza a Tor de' Specchi fu il commiato; la sera del 13 giungeva a Firenze, dove la domenica 15 parlò ai Cooperatori e agli amici fiorentini nella chiesa di San Firenze ufficiata dai Filippini. Per preparare bene questa riunione aveva abbozzato una circolare[122], che mandò a Don Confortóla con la seguente lettera.,
Legga tutto quello che é qui unito, dipoi sigilli la lettera a Mons. Vicario e gliela porti con la lettera d'invito ai Cooperatori; modificate le cose che potessero essere del caso, la faccia stampare colla massima fretta; di poi:
1° Le stampe sieno circa seicento;
2° Ne faccia spedizione a tutto il clero di Firenze, a tutti quei signori e signore che Le saranno segnati da Don Giustino Campolini, dalla Signora Marchesa Uguccioni e da altre persone benevole;
3° Quando Mons. Vicario avrà fissato la chiesa, Ella vada tosto a fare parola col curato di quella, perché veda se niente possa ostare alle ordinarie sacre funzioni. Mi dia poi notizie di quello che si fa.
4° Per fare la spedizione degli indirizzi si metteranno 2 centesimi e potrà essere aiutato dalla Sig.ra Marchesa, dalle sue figlie, da Don Giustino e da altri che nostra buona mamma conosce.
Noi giungeremo a Firenze venerdì sera e partiremo lunedì mattina dopo la conferenza. Saluti i nostri cari Salesiani, preghiamo che tutto riesca bene e a maggior gloria di Dio e la grazia di Dio sarà sempre con noi. Amen.
Sac. Gio. Bosco. [159] Secondo la relazione mandata a Don Bonetti da Don Confortóla, direttore di quel recentissimo oratorio festivo e pubblicata nel Bollettino di luglio, il Beato fece ivi conoscere chi fossero i Salesiani, quali le loro mire, che cosa avessero fatto altrove, che cosa venissero a fare in Firenze e quanto abbisognassero del concorso dei Cooperatori, delle Cooperatrici e di tutti i buoni per riuscire nel loro intento. Il relatore, trascorrendo rapidamente sul resto, riprodusse quasi alla lettera quello che egli disse della elemosina uno degli argomenti preferiti da Don Bosco specialmente nell'ultimo decennio della sua vita, sia che parlasse dal pulpito o in private conversazioni, sia che scrivesse lettere o circolari; anzi pressoché alla vigilia della morte gli parrà di essere ancora in obbligo di scrivere un libro apposito su tale materia. In un tempo, nel quale l'umanità s'ingolfava ognor più nell'egoismo e nella febbrile ricerca dei beni materiali, Don Bosco fece quanto seppe e poté per aiutare il mondo a fare cristiano uso del superfluo. Ne parlò ai Fiorentini così:
Voi mi domanderete: Come possiamo noi avere del superfluo da dare in elemosina negli anni che corrono così critici, in cui non si sa come andare innanzi? Ed io vi rispondo francamente che del superfluo tutti ne abbiamo da dare anche ai poveri e alle opere pie, basta che vogliamo. Del superfluo ce n'è nelle abitazioni e nel lusso, che vi si sfoggia. Quanti mobili, quanti oggetti anche preziosi e superflui! Del superfluo ce n'è nei cavalli e nei cocchi e sulle forniture. Del superfluo ce n'è nelle persone di servizio, ce n'è nelle vestimenta, ce n'è nel vitto, e ce n'è, se volete, anche in molte borse. Ora secondo il precetto di nostro Signore questo superfluo si deve ai poveri.
Alcuni fanno questione quanto ciascuno debba dare del proprio superfluo in elemosine, e chi dice un quinto, chi un quarto, chi altro. Per me, io credo già sciolta questa questione dalle parole del Vangelo, che non potrebbero essere più semplici e più chiare: Quod superest, date elemosynam, quello che vi sopravanza datelo in elemosina.
E tra coloro ai quali dovete fare la vostra elemosina sono tanti poveri giovanetti abbandonati, che si aggirano oggidì sudici, scalzi e pezzenti per le contrade di questa vostra città e che vivendo d'accatto e andando la sera a stivarsi malamente in certe locande, senz'alcuno che si prenda cura pietosa del loro corpo e della loro anima, crescono ignoranti delle cose di Dio, della religione e dei loro doveri [160] morali, bestemmiatori, ladri, impudici, ingolfati in tutti i vizi, e capaci d'ogni azione anche la più scellerata, e molti dei quali vanno poi a cadere miseramente o nelle mani della giustizia che li caccia a marcire in qualche prigione, oppure, ciò che é ancor peggio, tra le branche dei Protestanti. Questi in Firenze hanno ormai aperti molti covi, dove la povera gioventù allettata dal luccicare dell'oro e da mille promesse fallaci, dopo aver perduto ogni altro bene e calpestata ogni altra virtù, vanno a far getto deplorabile anche della lor fede.
Fatti di simil genere voi li avete sott'occhio tuttodì. Voi stessi mi avete narrato come i Protestanti abbiano già irretito coll'oro e con regali d'ogni sorta, sì di oggetti di vestiario, sì di commestibili, molti giovinetti e giovinette, anzi famiglie intere che, secondo la vostra espressione, si sono vendute ai nemici della nostra fede, ai ministri di Satana.
Come si può arrestare tanto male ed impedirne le luttuose conseguenze? Don Bosco é venuto per questo a Firenze, aderendo agli inviti in primo luogo di S. E. Rev.ma Mons. Arcivescovo, poi dei più zelanti Cooperatori e Cooperatrici. Don Bosco in Firenze, e precisamente in via Cimabue num. 31, ha già aperto un oratorio festivo. Don Bosco vorrebbe aprire anche un ospizio per ricoverare tanti poveri figliuoli abbandonati, salvarli dalla corruzione dei costumi e dalla perdita della fede, educarli in modo da fame buoni cittadini e veri cristiani.
Ma Don Bosco ha bisogno per questo della vostra carità; Don Bosco ha bisogno che a lui consegniate quel superfluo che avete, e che egli saprà usare alla maggior gloria di Dio e della Vergine Santissima e al maggior bene delle anime, specie della gioventù.
Dunque per conchiudere vi dirò: io devo partire da Firenze, vi lascio però il mio rappresentante, il Direttore dell'oratorio sopraccennato. Versate nelle sue mani, secondo che Iddio ve ne ha dato il potere, larghe elemosine, e con questo i desideri miei, che sono pure i vostri, si realizzeranno: si salveranno molte e molte anime e, come dice S. Agostino, voi salvando l'anima dei vostri prossimi avrete assicurata la salvezza dell'anima vostra.
Alla conferenza vennero accompagnati anche chierici di parecchi seminari, desiderosi di conoscere il Servo di Dio. Uno di essi, monsignor Gioachino Bonardi, vescovo di Pergamo e ausiliare del cardinale Mistrangelo, ricordava i dolci sensi allora provati nel vederlo, nel baciargli la mano e nell'udire la sua parola molto semplice, ma tutta unzione.
Don Bosco, nonostante alcune contrarietà di cui dovremo parlare, aveva tanta fiducia nella Provvidenza, che partendo [161] per Torino lasciò ordine al Direttore di non indietreggiare; pensasse non solamente a fabbricare l'ospizio, ma anche ad erigervi accanto una chiesa degna della Gran Madre di Dio e della pietà dei buoni; essere egli disposto a fare per i Fiorentini tutti i sacrifizi possibili[123].
A Firenze non sembra che sia accaduto nulla di straordinario. Don Rua nella lettera a Don Lazzero accenna solo ad un provvidenziale, per quanto sgradito, ritardo alla partenza durante il primo passaggio, contrattempo che permise a Don Bosco di ricevere una inattesa e vistosa offerta. A Roma invece qualche cosa vi era stata, ma senz'alcun rumore.
I fatti, a testimonianza di Don Dalmazzo, furono due. In uno di questi due casi veramente le grazie si moltiplicarono. Con la benedizione di Maria Ausiliatrice Don Bosco ridonò la sanità a una signora. Costei imbattutasi di lì a poco in suoi conoscenti che erano protestanti, e interrogata come mai fosse guarita in un subito da si grave malattia, raccontò ciò che era successo. Queglino, avendo una figlia molto inferma, senza badare a pregiudizi religiosi, decisero di condurla da Don Bosco. Il Beato la benedisse e la giovane guarì. Sua madre, piena di consolazione, andava dicendo: - Ecco l'errore di noi protestanti: non onorare Maria. - Nel 1885 Don Bosco ricevette da quella famiglia una lettera, in cui gli si annunziava la conversione di tutti i suoi membri al Cattolicismo.
Un altro giorno mentr'egli diceva Messa nella nostra antica chiesetta di Via Vicenza, entrò un signore che, da diciott'anni infermo alle gambe, si reggeva a stento sulle grucce, e pregava Don Dalmazzo di presentarlo al Servo di Dio; ma Don Dalmazzo, dovendo tornare in casa per preparare il caffè a Don Bosco, lo affidò al chierico Zucchini. Questi lo condusse dopo la Messa alla sua presenza. Con tutta umiltà il buon signore gli chiese la benedizione. Don [162] Bosco, fattegli alcune domande e vista la sua viva fede, lo benedisse, gli tolse di mano le stampelle e: - Cammini! - gli ordinò. Lo storpio prese a camminare senza la menoma difficoltà e partì con le grucce sotto il braccio, dicendo che le voleva conservare per ricordo. Mentre poi si prendeva il caffè, il Procuratore disse a Don Bosco: - Dunque è proprio guarito del tutto dopo la sua benedizione!
- A stata la benedizione di Maria Ausiliatrice a guarirlo, corresse egli. - Anch'io, replicò Don Dalmazzo, ho dato tante volte la benedizione di Maria Ausiliatrice con la medesima formola, ma non mi é mai successo nulla di simile,
- Ragazzo che sei! rispose Don Bosco. E’ perché non hai fede.
Vi era nell'Oratorio un ciclo di feste, che potremmo chiamare propriamente salesiane, fissate oramai in modo stabile dalla consuetudine: Maria Ausiliatrice, San Luigi, San Giovanni e Assunta, ossia, queste due ultime, onomastico e supposto compleanno di Don Bosco. Esse tornavano ogni volta aspettate da tutti e apportatrici di allegria e di frutti spirituali. Dovendone riparlare per questo 1881, non troviamo gran che di nuovo da dire quanto al loro svolgimento; coglieremo perciò soltanto quei particolari che escano dall'ordinario. Quasi tutto quello che é da narrare si riferirà alla solennità del 24 maggio.
Nell'Oratorio vigeva la buona abitudine di pensare alle cose per tempo, né accadeva sotto Don Bosco che sopraggiungessero ricorrenze, per le quali non si fosse provveduto a quanto potesse bisognare. Così per trovar un Vescovo che venisse a pontificare nella chiesa di Maria Ausiliatrice nel dì della grande solennità, Don Rua da Roma in nome di Don Bosco incaricò sul finire di aprile L'Economo Generale Don Sala che trattasse con la Curia torinese. Oggi in qualsiasi diocesi tali formalità si spicciano in breve; ma nell'archidiocesi di Torino si avevano esigenze speciali, come lo diceva [164] chiaro il tono di un'ordinanza contenuta nel Calendario Liturgico del 1881. L'articolo XIV sonava così, tradotto in italiano: “Manca e gravemente alla riverenza che ognuno deve prestare al suo Pastore e alla dignità Episcopale chi invita un Vescovo a compiere qualche sacra funzione in questa Archidiocesi senza prima ottenerne volta per volta facoltà esplicita dal suo Arcivescovo.” Don Sala dunque si portò il 2 maggio da monsignor Gastaldi per pregarlo di voler permettere che monsignor Pampirio, nuovo Vescovo di Alba venisse nel giorno 24 a fare qualche solenne funzione od almeno a predicare. L'Arcivescovo, mentre Don Sala gli baciava l'anello, gli chiese: - Di che cosa ha bisogno lei da me? -- Don Sala girò largo e disse: - Essendo dal mio Superiore incaricato dei lavori per la chiesa di San Giovanni Evangelista ed avendo già ivi i pittori che lavorano, mi é nata una difficoltà, per la quale ho creduto opportuno di recarmi da V. E. Si tratta di dipingere i sette Vescovi delle chiese di Asia in figura di Angeli, secondo che si legge nell'Apocalisse...
- Veramente, interruppe l'Arcivescovo, qualche cosa dell'Apocalisse bisogna dipingervi. Per me, facciano come vogliono.
- L'altro giorno, ripigliò destramente Don Sala, andai ad Alba per vedere quel Duomo dipinto dal medesimo nostro pittore Costa e allora monsignor Pampirio, parlando di questo e della chiesa di Maria Ausiliatrice, lasciò intendere che sarebbe venuto volentieri una volta a pontificare nel giorno della festa. Ma prima di sentire V. E. io non gli poteva dare risposta definitiva; perciò gli dissi soltanto che saremmo stati ben fortunati di averlo fra noi in sì bella circostanza. Ora sono qui appunto anche per domandare la necessaria licenza, se Ella lo crede.
- Di questo bisogna che mi scriva Don Bosco.
- Don Bosco per l'appunto, informato del santo desiderio di monsignor Pampirio, incaricò Don Rua di scrivere [165] che mi recassi io da V. E. a chiederne prima d'ogni altro passo la voluta permissione.
- No, rispose Monsignore, perché i Salesiani si comportano troppo male con quella chiesa di Maria Ausiliatrice, e tutto per fare dispetto a me. Il permettere sarebbe approvare quello che io disapprovo.
- Oh, non dica questo, Monsignore. Noi lavoriamo per fare del bene a tutti e del male a nessuno, tanto meno al nostro Arcivescovo; si fanno anzi sacrifizi per essergli d'aiuto nella sua diocesi, massime in Torino.
- Sì! sì!... Don Lemoyne stampa i miracoli di Maria Ausiliatrice senza il mio permesso, e sotto il mio naso si spargono per tutta l'archidiocesi, e questo per fare dispetto a me.
- E’ la prima volta, Monsignore, che io sento parlare di miracoli. Sempre si parla di grazie ottenute per intercessione di Maria Ausiliatrice.
- Quelli che scrisse Don Lemoyne sono miracoli e i miracoli vanno approvati dall'Autorità ecclesiastica, secondo il decreto della Sacra Congregazione.
- Io sono affatto ignaro di questo decreto; ma so che non esce nessun libro che parli di grazie ottenute da Maria Ausiliatrice senza che abbia l'approvazione ecclesiastica.
- Sì!!! Da un'altra diocesi! E poi con quale autorità si vuole far passare quella chiesa per santuario? Per fare questo bisogna che i fatti, i miracoli, siano approvati dall'Ordinario e non inventati...
A questo punto Don Sala, uomo d'imponente statura, ma di patriarcale semplicità, balza da sedere, si fruga nelle tasche, cava fuori una manata di carte, ne estrae una cartolina e gliela porge dicendo: -Legga, legga, Monsignore, e si persuaderà che le grazie ottenute da Maria Ausiliatrice non sono inventate da Don Bosco. - Ma poiché l'Arcivescovo non voleva leggere: -- Ebbene, riprese Don Sala, permetta [166] che legga io: senta com'è proprio la Provvidenza che me, l'ha mandata questa mattina.
Difatti lesse. Lo scrivente era il cavaliere Mercalli, che da Roma gli dava notizia della guarigione prodigiosa di sua moglie, contessa Fenile. Monsignore ogni tanto intercalava qualche frase: - Sono persuaso che... che... che quelle persone... - Infine disse: - Se tutte le grazie fossero come questa, non avrei difficoltà ad approvarle... E poi del bene se ne fa.
- Ma allora, ripigliò Don Sala, perché ci tratta così? Qui per altro si cambiò discorso e si parlò della chiesa di Roma. Monsignore aveva preso un tono assai diverso, dicendo perfino che ammirava Don Bosco e che la Provvidenza l'aveva sempre aiutato e che Don Bosco faceva uscire danaro anche dalle pietre... Nel licenziarsi Don Sala gli disse: - Se nulla osta, monsignor Pampirio farebbe il panegirico. Risposta: - Monsignor Pampirio lasciatelo là in Alba, a inveire contro Rosmini. - Finalmente, mentre Don Sala, fattogli riverenza, si voltava per uscire: - Ci penserò riprese Monsignore[124].
Per sapere poi che cosa avesse pensato, Don Sala ritornò il giorno 19, e gli domandò che, se non per i pontificali, monsignor Pampirio potesse venire almeno per il panegirico della Madonna. Ma n'ebbe un secondo rifiuto.
Assolutamente Monsignore non sembrava disposto a disarmare con i Salesiani. Il giorno seguente Don Francesia, Direttore del collegio di Valsalice, lo pregò di volere, quando più gli facesse comodo, recarsi ad amministrare la cresima a quei convittori. Rispose di no e che giammai non si sarebbe recato in alcuna casa salesiana, perché i Salesiani gli erano contrari. Eppure lo stesso Don Francesia doveva dargli due settimane appresso una magnifica prova di soggezione. Confessore da dodici anni, fu avvertito di presentarsi a dare [167] l'esame di teologia morale. Don Francesia, a scanso di malintesi, quasiché egli non fosse in regola per le confessioni, si limitò a chiarirgli con una rispettosissima lettera la perfetta regolarità della sua patente[125]; ma poi obbedì, si presentò agli esaminatori designatigli che dinanzi a lui si mostrarono sorpresi e imbarazzati, e naturalmente. ne riportò la piena approvazione.
Dobbiamo aggiungere che nell'anzidetta circostanza dell'invito a Valsalice monsignor Gastaldi fece un rimprovero, perché nella tipografia di Sampierdarena si era stampato per le Letture Cattoliche un fascicolo sul Socialismo del conte Emiliano Avogadro della Motta con un'appendice del medesimo autore contro le dottrine e i principii del Rosmini.
Durante questi ultimi incidenti Don Bosco si trovava già a Torino, essendovi tornato la sera del 16. Dopo un'assenza di quattro mesi gli si voleva fare un solenne ricevimento; ma egli anticipò di qualche ora il suo arrivo entrando nell'Oratorio mentre tutti stavano in chiesa per le funzioni della novena. Mancava poco alla benedizione. Ciò inteso, pensò di darla egli medesimo. Non si può dire la gioia che riempì i cuori appena fu visto uscire dalla sacrestia vestito dei sacri paramenti e avviarsi all'altare. Il resto della sera si trascorse in canti di gioìa, in festosi applausi e in serenate della banda musicale.
Subito la mattina appresso una sua circolare andava in cerca dei Cooperatori e delle Cooperatrici torinesi, per invitarli separatamente a conferenza nella chiesa interna di San Francesco il 19 e il 23. “Si tratteranno, diceva in essa, cose di rilievo che si operano per la maggior gloria di Dio, vantaggiose alla civile società e dì gradimento a tutti.”
Ai Cooperatori venne facendo una di quelle esposizioni particolareggiate che hanno tutta l'aria di resoconti in famiglia e che appunto per questo si ascoltano volentieri da [168] uditori chiamati a udire come più o meno cointeressati. Essi videro successivamente a che punto stessero i lavori per la chiesa e l'ospizio di San Giovanni Evangelista a Torino, per la chiesa di Maria Ausiliatrice a Vallecrosia, per le scuole e l'oratorio della Spezia, per l'oratorio di Firenze, per la chiesa e l'ospizio del Sacro Cuore a Roma; passarono quindi ad ammirare le fatiche apostoliche dei Missionari e delle Suore nell'Uruguay e nella Patagonia. Quando l'animo degli astanti era ben tocco dalle cose udite, Don Bosco fece con tutta naturalezza un'abile digressione. Istituì un confronto tra la vita del Missionario e quella di tanti cristiani che guazzano nelle delizie senza muoversi a dare una limosina per cooperare alla salute eterna dei fratelli.
A cristiani di tal fatta, diss'egli, si potrebbero rivolgere le parole, che S. Pietro in altra occasione pronunziò contro Simon Mago: Pecunia tua tecum sii in perditionem, il tuo denaro perisca con te. Cotali cristiani dovrebbero riflettere che Dio chiederà conto un giorno dei beni che ha loro concessi. Egli dirà a ciascun facoltoso: - Io ti aveva dato delle sostanze, affinché una parte ne disponessi alla mia gloria e a vantaggio del tuo prossimo; tu invece che ne facesti? Il lusso, i divertimenti, i viaggi di piacere, le gozzoviglie, le partite, le comparse, ecco la voragine de tuoi beni.
Taluno dirà: - I miei beni io non li spreco; me li tengo cari, li accresco ogni anno; compero case, campi, vigne e via dicendo. Anche a costoro dirà il Signore: - Li accumulaste! li accresceste! Sì, é vero; ma intanto i poveri soffrivano la fame; ma intanto migliaia di fanciulli abbandonati crescevano nell'ignoranza della religione e nel mal costume; ma intanto le anime redente dal mio Sangue cadevano nell'inferno. Aveste più a cuore i vostri danari che non la mia gloria, più care le vostre borse che non le anime dei vostri fratelli. Ora coi vostri piaceri, coi vostri tesori, colle vostre sostanze andatevene alla perdizione: pecunia tua tecum sit in perditionem.
So bene, soggiunse Don Bosco, che voi non siete di questi tali e che fate limosina secondo le vostre forze; ma nel mondo quanti sono che potrebbero imitare il vostro esempio, eppure non lo imitano!
Infine comunicò che poche ore prima era venuto a sapere come la casa di San Benigno, dove appunto si educavano i futuri missionari e i futuri direttori, maestri e assistenti dei collegi, versasse in gran bisogno; da parecchi mesi non essersi [169] più potuto pagare il panattiere, né questi sentirsi più in grado di somministrare il pane; aver egli Don Bosco avuto intenzione di raccomandare la limosina a vantaggio di varie opere importanti, ma tra tutte la più importante parergli quella di non lasciar mancare il necessario alle preziose speranze della Congregazione; perciò raccomandarla loro a tale scopo. “La carità che voi farete, conchiuse egli, partirà questa sera medesima a consolare quei miei cari figli e vostri fratelli, affidati interamente alla divina Provvidenza.”
Alle Cooperatrici parlò nella medesima forma, esponendo quanto nel corso dell'anno erasi operato a bene della povera gioventù dai Salesiani e dalle Figlie di Maria Ausiliatrice: aumento e ingrandimento di case, numero ognor crescente di anime indirizzate nella via del cielo, colonie agricole, asili, scuole, oratori festivi femminili. Se volevano aver un'idea specialmente di questi oratori, andassero a vedere quello si faceva dalle Suore in Torino o nella vicina Chieri. E' descritta la vita dei due oratori proseguì:
A quello spettacolo voi provereste una grande consolazione e non potreste non desiderare che si aprissero simili istituti in più altri punti della città, anzi in ogni paese del mondo. Ora quello che si fa vicino a noi nelle città di Torino e di Chieri si fa pure in quaranta e più altre case dirette dalle Suore di Maria Ausiliatrice; si fa in Italia, in Francia, in America; si fa persino nella barbara Patagonia. Oh se avessimo mezzi, quanto maggior bene si potrebbe fare! Il buon volere non manca; ma questo non basta. Per incominciare e sostenere queste opere occorrono somme di denaro, e queste il più delle volte si fanno desiderare.
Come dunque promuovere queste ed altre opere di carità e di religione? Imitando le donne ebree nel deserto, quando si trattò di fabbricarsi un idolo per adorarlo invece del vero Dio. Mosé era salito sul monte Sinai per ricevere dal Signore le tavole della legge e tardava a discendere. Allora il popolo impazientito si sollevò contro di Aronne e volle che questi gli facesse un idolo simile a quelli che si adoravano in Egitto: volle che gli facesse un vitello. Impaurito dai tumultuanti, Aronne si mostrò pronto ad accondiscendere; ma forse nella speranza di distogliere quegli sciagurati dall'empia pretesa, domandò loro che gli portassero gli anelli, i braccialetti, le collane e gli orecchini delle donne e delle figlie. Lo credereste? Aveva appena [170] fatta tale richiesta, che vide portare a' suoi piedi un mucchio di quegli oggetti d'oro, e fattili fondere, ne compose un vitello, a cui uomini e donne si prostrarono davanti, facendo un'empia baldoria, come si legge nella Sacra Scrittura.
Ciò posto, non é una vergogna il vedere da una parte le donne e le figlie ebree privarsi dei loro oggetti più cari per concorrere a un'opera iniqua, e dall'altra parte vedere le donne e le figlie cristiane abbigliarsi come tante regine e dame di Corte e mettersi così nell'impossibilità di fare una limosina a gloria del vero Dio, a decoro delle sue chiese, a sollievo di tanti fanciulli e fanciulle abbandonate? Oh io certo non vorrei trovarmi al posto di queste cristiane nel punto di morte! Non vorrei essere al loro posto nel dì del giudizio!
Con questo non voglio dire che una donna, che una signora sia obbligata a spogliarsi de' suoi ornamenti, che sono secondo il suo stato; se le convenienze non le permettono di farne senza, se li tenga pure; ma intendo di dire che è obbligata a non trasmodare, a non correre dietro le vanità del mondo; é obbligata a osservare se ha del superfluo nei mobili di casa, sulla persona, nel trattamento, e trovandolo é obbligata a disporne in pro della religione, a vantaggio del suo prossimo. Questo voi l'avete già fatto finora; continuate, o benemerite Cooperatrici, a farlo in avvenire, affinché chi in un modo e chi in un altro possiamo far amare e glorificare il nostro dívin Salvatore Gesù Cristo e mandare gran numero di anime in Cielo.
Ai più insigni Cooperatori lontani soleva in questa occasione scrivere letterine, che ne richiamassero il pensiero alla grande festa; poiché, non essendo ancora la solennità così universale com'è oggi, facilmente passava inosservata. Ecco un saggio di questi richiami indirizzato al conte Eugenio De Maistre.
Non le scrivo sovente perché so che é occupato in mille cose, ma mi ricordo ogni giorno di Lei e di tutta la sua famiglia nella santa Messa.
A Roma il S. Padre mi parlò molto di Lei, e de' Sig. Fratelli Carlo e Francesco, e a tutti manda una speciale benedizione.
Nel giorno di martedì, solennità di Maria SS. Ausiliatrice, sarà celebrata una Messa secondo la pia di Lei intenzione all'altare di questa celeste benefattrice supplicandola a voler concedere a tutta la sua famiglia sanità perfetta, e il prezioso dono della perseveranza nel bene.
Dio la benedica, o sempre caro Sig. Eugenio, e voglia anche pregare per me che le sarò sempre in G. C.
La vigilia della festa, oltreché dal numeroso concorso delle Cooperatrici torinesi alla conferenza di Don Bosco, fu rallegrata pure dalla presenza dei pellegrini francesi reduci da Roma, che, seguendo l'esempio dato negli anni antecedenti da altri loro compatrioti, si fermarono una mezza giornata a Torino e dedicarono qualche poco di questo tempo all'Oratorio. Al loro arrivo si cantavano con grande pompa i primi vespri di Maria Ausiliatrice, e dopo la benedizione si fece ai graditi ospiti un degno ricevimento con suoni, canti e discorsi. Parlò pure Don Bosco. Rammentato il recente incontro a San Giovanni in Laterano, li ringraziò della visita e promise di accompagnarli con le preghiere sue e de' suoi. - Considerate me, disse da ultimo, considerate tutti i Salesiani come i vostri migliori amici; ogni volta che vi potremo servire, noi saremo ben lieti di farlo. - All'invito poi dell'abate Picard, Superiore degli Assunzionisti, che anche questa volta guidava il pellegrinaggio e pronunziò eloquenti parole, molti, se non tutti, chiesero di essere annoverati fra i Cooperatori.
Francesi furono nel 1881 il Priore e la Priora della festa. Come Priora venne appositamente da Marsiglia la nota Cooperatrice Madame Jaques, sebbene fosse già stata a Roma in aprile. Essa poté così nel ritorno far pago un vivo desiderio di quel Comitato che Don Bosco chiamava la sua milizia contro il demonio (son armée contre le diable). Le buone Signore avevano domandato a Don Bosco alcune copie della fotografia presagli, come si deve ricordare, a Marsiglia; ma, egli, non avendone allora, promise di mandarne da Torino con la sua firma. Ma poíché non le vedevano mai arrivare, si raccomandarono a Madame Jaques di farsi dare le précieux souvenir promis par le vénéré fondateur. La Signora, risoluta di contentare le sue colleghe, se ne procurò una copia, ne fece trarre a sue spese quante altre occorrevano, e poi volle dal Servo di Dio la sua firma su ciascuna, Don Bosco fece di più: le arricchì tutte d'un long et pieux autographe. Vi impiegò [172] tutto il tempo dei vespri nel dì dell'Ascensione. Era visibile lo sforzo richiesto per scrivere; ma questo, a detta delle destinatarie, aggiunse un mérite de plus aux précieux souvenir. Il parroco Guiol si rese interprete della gratitudine di tutte presso Madame Jaques nella prima seduta del Comitato[126].
Priore o Priorino o petit Prieur, come lo chiamavano, fu un fanciullino di sei anni, figlio del conte Flayose di Villeneuve, quello di Roquefort, tanto amico di Don Bosco. Nell'aprile del 1880 il piccolo languiva per una seria polmonite. Il padre costernatissimo, viste svanire le umane speranze, telegrafò a Don Bosco, che conosceva benissimo il bimbo. Don Bosco ricevette la notizia a Lucca. Celebrò per lui la Messa, invocando da Maria Ausiliatrice la grazia della guarigione. Orbene, come si verificò di poi, mentre egli celebrava, il padre, accostatosi al malatino e per vedere se fosse ancor vivo chiamatolo per nome, si udì con infinita consolazione rispondere: - Papà, dammi da mangiare. - Ricuperò i sensi perduti, la febbre disparve, la tosse si calmò e senza convalescenza riebbe forze e salute. Ma un mese dopo ecco sopravvenirgli una grave pleurite. Scongiurato il pericolo, i medici prescrissero delicatissime cure per alcuni mesi. Il padre però, pieno di fede, venne a Torino il 24 maggio, pregò con fervore Maria Ausiliatrice e tornato in famiglia trovò il figliuoletto interamente ristabilito, tanto ristabilito che per la festa del 1881 lo condusse all'Oratorio a farvi una parte ordinariamente riserbata ai grandi. Il fanciullo con il suo bel contegno si attirò le simpatie di tutti[127].
La grande solennità fu senza pontificali, ma non senza Vescovo. Nel 28 e 29 maggio si doveva festeggiare a Milano il giubileo sacerdotale dell'Arcivescovo monsignor Luigi Nazari dei conti di Calabiana con l'intervento dell'Episcopato [173] non solamente lombardo, ma anche subalpino, essendo il festeggiato piemontese ed ex - vescovo di Casale[128]. Monsignor Pampirio, recandosi a Milano, passò per Torino e, preso alloggio a San Domenico dai Frati del suo Ordine, venne per sua particolare divozione la mattina del 24 a celebrare la Messa nella chiesa di Maria Ausiliatrice, dove un tempo aveva predicato. Don Bosco naturalmente gli fece dire la Messa della comunità e della comunione generale. Ma l'Ordinario, appena lo seppe, scrisse a Monsignore una lettera di biasimo, dicendogli che non poteva permettere la sua presenza nella chiesa di Maria Ausiliatrice. Il Vescovo di Alba, tornato a San Domenico e trovato il foglio arcivescovile, mandò subito un biglietto a Don Bosco per notificargli la cosa; rispose quindi all'Arcivescovo che non avrebbe più fatto alcuna funzione, ma solo il panegirico della Madonna alla sera, così essendosi già annunziato; non volesse per questo sollevare impedimenti a motivo dello scandalo che ne sarebbe derivato, quando la cosa si divulgasse tra l'immenso popolo di divoti accorsi alla solennità. L'Arcivescovo consentì contro sua voglia ch'ei facesse il discorso, ma tenne duro per il resto, non permettendogli di dare la benedizione.
Benché fosse giorno feriale, pure la fiumana del popolo durò dall'alba fino a notte avanzata, quando una moltitudine innumerevole si riversò in tutte le adiacenze del tempio per assistere allo spettacolo della prima grande illuminazione a gaz. Si cominciò quell'anno a sperimentare quanto fosse insufficiente la chiesa nell'occasione dei maggiori concorsi di fedeli; poiché alle funzioni principali una folla di gente [174] dovette contentarsi di prendere parte dalla piazza. Non essendovi pontificale, Don Bosco alle altre fatiche della giornata fu costretto di aggiungere anche il non piccolo incomodo di cantare la Messa e dare la benedizione; ma, dice un giornale torinese[129], fu “cosa che rallegrò tutti.” Il medesimo giornale terminava così il suo articoletto: “Dio conservi ancora per molti anni questo degno ecclesiastico, il quale nella sua umiltà e zelo sa eccitare e tener così viva la pietà in mezzo al popolo cristiano.”
Affluirono relazioni di grazie. Chi riferiva oralmente, chi per iscritto. Don Bosco non voleva che se ne perdesse la memoria; perciò si conservano molte lettere a lui dirette e da lui postillate per le risposte, e un apposito registro della sacrestia ne contiene un lungo elenco[130]. Le principali furono poi pubblicate, come sempre, da Don Lemoyne[131].
L'avvicendarsi di tanti visitatori nell'Oratorio offriva un'occasione quanto mai propizia per iscrivere nuovi Cooperatori. Appunto con l'intenzione di agevolare questa propaganda il Beato stese una Breve Notizia sullo scopo della Pia Società Salesiana e fattala stampare con la data del 24 maggio sopra un foglietto agile e nitido, la distribuì a quanti più gli fu possibile. Con semplicità brevità e chiarezza vi si presentavano le notizie più essenziali sulla Congregazione salesiana sulle sue attività, sul suo stato d'allora e sui mezzi per sostenerla[132].
Chiusi i festeggiamenti per Maria Ausiliatrice, l'attesa si volgeva alle due ricorrenze intime di San Giovanni e di San Luigi. Per entrambe nulla troviamo che non sia già stato narrato negli anni antecedenti. Riguardo al genetliaco di Don Bosco, assegnato erroneamente al giorno dell'Assunta, [175] si nota come di anno in anno venisse assumendo sempre maggiore importanza nella casa. Dal 1881 si cominciò a fare in tal giorno la solenne distribuzione dei premi tanto agli artigiani che agli studenti sotto la presidenza di Don Bosco; la qual novità agevolò pubbliche dimostrazioni per il suo sessantesimo sesto natalizio. Nelle parole di chiusa, fatti i ringraziamenti, osservò: - Voi dite che Don Bosco ha fatto tante belle opere; ma il vostro affetto vi fa vedere le cose diversamente da quello che sono. Tutto fu compiuto e si compie per l'aiuto di Dio e per intercessione di Maria Santissima. Se il Signore non ci avesse dato braccio forte e condotti per mano, che cosa avremmo potuto fare noi? E non contate i soccorsi di tanti benefattori e benefattrici? Don Bosco non é che un cieco strumento nelle mani di Dio, il quale così dimostra che, quando vuole, può fare le più grandi cose anche con mezzi meschinissimi. - Fece quindi un'allusione alle croci cadutegli quell'anno sopra le spalle. I giovani certo non vi capirono gran che; ma egli mirava a incoraggiare i suoi collaboratori e amici, che chi più chi meno ne sapevano tutti qualche cosa. Si diffuse poi in lodi per un ex - allievo di Nizza Monferrato, perché nella sua patria aveva fondato una fiorente ed esemplare società di giovani operai cattolici, additandolo all'ammirazione e all'imitazione dei presenti. Il pensiero finale fu per l'anima - Chi sa se l'anno venturo noi ci troveremo ancora tutti qui radunati? Ci sarete voi? Ci sarà Don Bosco? Altri un anno fa erano tra noi vispi, lieti, allegri, sani e robusti, ed ora non sono più! Viviamo dunque sempre come se ogni giorno fosse l'ultimo della nostra vita; operiamo il bene mentre abbiam tempo: così quando sonerà anche per noi l'ultima ora non avremo a pentirci d'aver passati i nostri giorni inoperosi, inutili per Iddio e per la società. Io spero e prego che quest'ora suoni tardi e per voi e per me; ma se così non fosse, sia sempre fatta la volontà di Dio. -
Accennando alle tribolazioni più recenti, Don Bosco si [176] era espresso così: - Ed ora, passando ad altro, vi dirò che sempre, ma specialmente in quest'anno, abbiamo avuto belle e grandi consolazioni, come pure, conviene dirlo, molte spine e dolori. Ma, si sa bene, non c'è rosa senza spine. Ebbene, che fare, figli carissimi? In quelle e in queste, nelle gioie e nelle pene, sia sempre. fatta la volontà di Dio, il quale non ci abbandonerà mai, nemmeno quando ci ruggirà intorno la più furiosa tempesta. Coraggio dunque, coraggio sempre; non istanchiamoci mai di fare il bene, e Dio sarà con noi.
Nel corso del 1881 toccarono a Don Bosco fastidi maggiori e fastidi minori. Dei maggiori alcuni ci sono già noti dal volume precedente, altri saranno oggetto di narrazione nel volume che ci sta dinanzi; qui diremo solo di quelli che appartengono alla categoria dei minori e che abbiamo chiamati fastidioli, non perché trascurabili, ma perché, confrontati con altri, appaiono quasi inezie. Tali si possono considerare gli attacchi giornalistici, tre dei quali si sono già dovuti menzionare nei capi antecedenti; ma ne rimangono ancora.
Fu abitudine costante di Don Bosco ricambiare come sapeva e poteva meglio i benefizi ricevuti. Uno dei mezzi da lui usati era di far giungere ai benefattori onorificenze civili o ecclesiastiche, sempreché vedesse che tornavano accette. Non lo moveva a ciò nessun segreto pensiero di lusingare l'altrui vanità per cavarne vantaggi, ma unicamente il desiderio di sdebitarsi rendendo bene per bene. E’ cosa chiara che le distinzioni accordate dal Governo guadagnavano credito a chi le riceveva e quindi ne favorivano gl'interessi; quelle poi concesse dalla Santa Sede venivano presentate in guisa che fossero accolte da buoni cattolici o da ragguardevoli ecclesiastici come vincoli di più stretta unione con il Capo supremo della Chiesa. Non la pensavano così certi mettiscandali, avvezzi a giudicare tutti gli altri alla propria stregua. Uno di questi cotali era il famoso direttore della Cronaca dei Tribunali.[177]
Questo periodico nel suo numero del 26 marzo uscì con un articolo intitolato "Don Bosco e i Cavalieri", in cui, dopo essersi svelenito contro i trentasettemila decorati d'Italia, andava a ripescare nel passato remoto e per libidine di dir male del povero Don Bosco raccontava a modo suo per quali torte vie un liquorista Revelli torinese fosse arrivato a ghermire nel 1870 una croce da cavaliere. La realtà era che questo signore, smanioso del cavalierato, aveva fatto a Don Bosco un'oblazione di quattromila lire; dopo di che il suo voto fu pago. Ma Don Bosco ignorava che ci stava di mezzo un sensale di decorazioni, il quale aveva fatto due parti in commedia; onde il neocavaliere, subodorato l'intrigo, tirò in ballo anche Don Bosco, quasi che con l'altro messere avesse cooperato a imbrogliarlo, e li querelò entrambi dinanzi al pretore di Borgo Dora, esigendo restituzione di somma fraudolentemente carpita. Il magistrato condannò il querelante alle spese e ai danni; ma la sentenza non piaceva all'articolista, che, manipolato per i suoi creduli lettori un cervellotico racconto dell'affare chiudeva con questa malignità il suo scritto: “Raccomando questo fatto a coloro che dovranno un giorno canonizzare l'abate Bosco, prete, volpe politica e sensale di croci. Sentiamo ora la difesa del “Corriere di Torino” Ma il quotidiano cattolico non difese nulla, certamente per volere di Don Bosco, nemico acerrimo delle polemiche. Per altro dallo sfogo atrabiliare del libellista ecco balzar fuori una testimonianza inattesa della universale fama di santità, che, volere o no, circondava la persona di Don Bosco. Più grave e più velenoso assalto gli mosse da Firenze la Gazzetta d'Italia del 7 giugno; autore ne sembra un protestante, disturbato forse dalla presenza dei Salesiani nella città. Era apparso un nuovo libro del celebre ex gesuita
Carlo Curci[133], che, ripetendo cose già dette in altre sue [178] pubblicazioni, vi lamentava la poca istruzione di grandissima parte del clero italiano. Il giornalista ne prendeva argomento per mostrare in che modo si mettessero insieme e si ordinassero i preti d'Italia, e quindi come dovessero essere necessariamente digiuni di sapere, privi di educazione civile e senza nessuna efficacia morale sui cittadini. Orbene, con l'aria pacata e sorniona di chi vuol dare a intendere che dice verità incontestabili, scriveva: “E v'è a Torino un sacerdote, Don Bosco, che in parecchi de' suoi istituti educa al servizio della chiesa centinaia e centinaia di giovanetti; molti si dànno poi alle missioni in Africa e nell'America Meridionale e nelle Indie; ma parecchi rimangono o dopo qualche anno di vita fra gl'infedeli, ritornano alle nostre chiese. Ognuno può immaginare che sacerdoti sieno. Per novanta su cento vengon fuori da' più bassi strati sociali.” E proseguendo su questo metro e generalizzando, tirava la conclusione che della questione ecclesiastica in Italia tutti oramai dovevano interessarsi. Con quei tutti intendeva di dire specialmente gli uomini del Governo, i quali, a dir vero, nel senso voluto da lui se n'erano già interessati fin troppo da una ventina d'anni a quella parte!
Intanto ecco che dei Salesiani si faceva negli ambienti di Toscana una ben brutta presentazione, quasi d'un'accozzaglia di gente incolta, zotica e retriva. Don Bosco ebbe dinanzi al pensiero sì nefaste insinuazioni, allorché parlò agli ex - allievi sacerdoti nell'annuale adunanza del 10 agosto. L'oratore di circostanza aveva creduto di dover ribattere sì malevole accuse. Don Bosco, pigliando occasione dalle sue parole, raccontò che pochi anni innanzi una persona, di cui tacque il nome, aveva scritto a Roma accusando d'ignoranza i Salesiani[134]. Allora che si fece? -Si prese in mano il registro, diss'egli, e con documenti autentici e bollati si fece constare che sopra duecento membri dell'Istituto cent'ottanta avevano [179] subito rigorosi esami in Seminario, nell'Università di Torino, in Licei e Collegi governativi e ottenutone diploma o di teologia o di filosofia o di belle lettere o di professore o di maestro. Ricevuta a Roma simile risposta documentata, ne venne fatta rimostranza all'accusatore, il quale sapete che cosa rispose? Rispose non essere da stupirsi che Don Bosco avesse tanti laureati o diplomati, perché egli tra i suoi giovani sceglie e tiene con sé i giovani d'ingegno, lasciando gli altri in disparte. Vedete contraddizione, e nel tempo stesso una prova di quel detto dello Spirito Santo che mundus totus in maligno positus est. Sì, il mondo é tutto malignità e non tacerebbe nemmeno se gli mettessimo gnocchi in bocca. - Poi, allargando il suo concetto, soggiunse: - Del resto io non voglio che i miei figli siano enciclopedici; non voglio che i miei falegnami, fabbri, calzolai siano avvocati; né che i tipografi, i legatori e i librai si mettano a farla da filosofi e da teologi; tanto meno intendo che i miei professori e maestri studino De arte Politica, come se avessero a diventar ministri e ambasciatori. A me basta che ognuno sappia bene quello che lo riguarda; e quando un artigiano possiede le cognizioni utili ed opportune per ben esercitare la sua arte, quando un professore é fornito della scienza che gli appartiene per istruire adeguatamente i suoi allievi, quando un sacerdote mediante i dovuti esami é giudicato idoneo ad esercitare il sacro ministero e lo esercita di fatto con vantaggio delle anime, costoro, dico, sono dotti quanto è necessario per rendersi benemeriti della Società e della Religione ed han diritto quanto altri di essere rispettati. Regoliamoci dunque bene e non curiamoci delle male lingue né delle cattive penne. -
Muove proprio a nausea il vedere oggi la spudoratezza con cui certi giornali versavano di quando in quando a piene mani l'insulto e lo scherno su Don Bosco. Anche nel 1881 il Fischietto volle dar prova della sua trivialità contro di lui e lo fece in un articolaccio dell'II ottobre, nel quale, immaginando una lettera di un Cardinale romano a Don Bosco, [180] designati entrambi con nome e cognome da suburra, sotto forma di elogi canzonatorii rappresentava il Servo di Dio intento solo a gabbare gl'ingenui per far quattrini; e sebbene tutti vedessero l'uso che faceva della carità pubblica, pure gettava il dileggio financo sulle chiese da lui fabbricate. Questo non era più fare del buon timore, ma della diffamazione. Il fogliaccio nondimeno con tutto il suo malvagio intento di screditare, veniva senza volerlo a mettere in evidenza un fatto che le spiegazioni ironiche non spiegavano per nulla; poiché gli si faceva dire dallo pseudo prelato: “Un po' fortemente e un po' soavemente vi siete imposto a tanta brava gente e non si sente che il vostro nome echeggiare sul continente.” Ente... ente... ente; ma il fatto sta che Don Bosco in Italia era l'idolo della brava gente.
Pochi giorni dopo, nel numero del 20 ottobre, perfino la male affettata gravità della Gazzetta Piemontese volle sbizzarirsi contro Don Bosco. Un signor Anglesio, banchiere assai noto in Torino e buon cattolico, per affari disgraziati versava in pessime acque; onde prima di lasciarsi travolgere nel vortice delle procedure pensò meglio di ecclissarsi. Dietro quella scomparsa si sbrigliarono le fantasie degl'imbrattacarte; dissero perfino che si fosse rifugiato in Vaticano e che fosse preconizzato direttore di una favolosa Banca Vaticana da impiantare. Finalmente corse voce che, per dirla col citato giornale, fosse stato “ricoverato in qualcuna delle tante case del famoso Don Bosco” e “più tardi mandato a Buenos - Aires appunto in un istituto di questo influentissimo capo ecclesiastico”. Anche qui nelle “tante case” e nell' “in fluentissimo” si sente rodimento di bile settaria di fronte a un uomo che in un mondo avverso andava per la maggiore. Nel fattispecie dunque la verità era questa. L'Anglesio, benefattore costante di Don Bosco, aveva provveduto sempre gratis et amore Dei le medicine all'Oratorio. La rovina delle sue fortune lo trovò cristianamente rassegnato. Abbandonato al suo destino quanto gli rimaneva, ritenutasi la somma [181] necessaria per il viaggio in America e dato il resto, poche centinaia di lire, in elemosina, si mise nelle mani del Servo di Dio, che lo ricoverò nella casa di Patagónes, dov'egli santamente visse e morì.
L'ultima noia di questo genere nel 1881 ebbe origine da un testamento del 1878. In tre anni nuvoli di foglietti volanti si sparpagliarono entro e fuori di Genova per opera di un Don Paolo Ricchino, fratello del testatore, prete esso pure. L'ultimo lancio fu nel dicembre del 1881 e ne vennero spediti esemplari a molti personaggi e a Vescovi e Cardinali. Noi ne abbiamo davanti uno inviato al Cardinale Vicario e da lui rimesso a Don Dalmazzo. Fortuna che la volgarità del linguaggio e l'inettitudine dell'esposizione squalificano senza altro la denunzia contro il “taumaturgo torinese”, operatore di “portentosi miracoloni”. Ma chi può dire tutti gli effetti di una calunnia, per quanto strampalata essa sia?
E di pretta calunnia qui si trattava. Don Angelo Ricchino, custode della chiesa di Nostra Signora delle Grazie a Sampierdarena, ammalatosi per fungosità a un piede., tenne parecchi anni il letto senza potersi muovere. Allora Don Albera mandava tutte le domeniche gratuitamente due preti a dire la Messa a confessare e predicare nella sua chiesa; egli stesso poi andava con frequenza ad assisterlo e a confortarlo. Allorché bisognò procedere all'operazione chirurgica per amputargli il pollice del piede, Don Albera fu il solo che gli alleviasse l'angoscia causatagli dall'apprensione di quel taglio. Una persona autorevole, ma poco prudente gli aveva presentato come obbligo di coscienza il sottomettersi a tale amputazione; onde il meschino si dibatteva fra l'idea del dovere e la paura delle conseguenze. Don Albera cominciò a liberarlo da simile tortura morale, assicurandolo che obbligo non esisteva; quindi a poco a poco lo indusse a fare il volere dei medici. Ma era troppo tardi. Il paziente, venuto a morte volle ricompensare in qualche modo la carità di chi l'aveva tanto assistito, e insieme provvedere alla sorella che [182] non restasse sola al mondo. Affidò la sorella a Don Albera, che l'accolse fra le suore, e nel testamento nominò lui erede universale. Non era però una grande eredità.
Or ecco insorgere il fratello D. Paolo e sollevare contestazioni. Prete di condotta equivoca, come lo dimostrano i processi che dovette sostenere, impugnò la validità del testamento, egli che non era mai stato neppur a visitare il fratello infermo finché non lo seppe agli estremi. Accampò dunque la ragione che Don Albera non era erede vero, ma fiduciario ossia interposta persona a favore di Don Bosco, e i tribunali settari gliela diedero vinta. Ma prima della sentenza definitiva, che cosa non fece il disgraziato per disonorare Don Bosco sui giornali, con fogli volanti e a viva voce? Se non che la giustizia di Dio non lasciò impunita la malvagità. Ben quattro giornalisti, che si erano prestati al tristo giuoco, finirono condannati da tre a sette anni per ricatti, avendo minacciato a cittadini di rivelar segreti a loro carico, se non sborsassero danaro. L'autore medesimo di tutto questo fracasso chiuse malamente i suoi giorni; poiché dovette subire un processo infamante e da ultimo se ne morì senza sacramenti.
Quasi per rialzare l'animo a Don Bosco, sicché il peso di tante contrarietà piccole e grandi non glielo accasciasse, il cielo, diremmo così, si abbassava di tratto in tratto fino a lui sotto forma d'illustrazioni superne, che lo confermavano nella incoraggiante certezza della missione affidatagli dall'alto. Nel mese di settembre egli ebbe uno de' suoi sogni più importanti, che, prospettandogli le sorti della Congregazione in un prossimo avvenire, gliene svelava i grandiosi incrementi, ma insieme gli scopriva i pericoli che minacciavano di annientarla, se non si correva in tempo ai ripari. Le cose vedute e udite lo impressionarono talmente, che non si contentò di esporle a voce, ma le mise anche per iscritto L'originale oggi é smarrito; ce ne sono per altro pervenute numerose copie, che tutte concordano a meraviglia. [183]
Spiritus Sancti gratia illuminet sensus et corda nostra. Amen.
Ad ammaestramento della Pia Società Salesiana.
Il dieci settembre anno corrente (1881), giorno che S. Chiesa consacra al glorioso Nome di Maria, i Salesiani, raccolti in S. Benigno Canavese, facevano gli Esercizi Spirituali.
Nella notte del 10 all'11, mentre dormiva, la mente si trovò in una gran sala splendidamente ornata. Mi sembrava di passeggiare coi Direttori delle nostre Case, quando apparve tra noi un uomo di aspetto così maestoso, che non potevamo reggerne la vista. Datoci uno sguardo senza parlare, si pose a camminare a distanza di qualche passo da noi. Egli era così vestito: Un ricco manto a guisa di mantello gli copriva la persona. La parte più vicina al collo era come una fascia che si rannodava davanti, ed una fettuccia gli pendeva sul petto. Sulla fascia stava scritto a caratteri luminosi: Pia Salesianorum Societas anno 1881, e sulla striscia d'essa fascia portava scritte queste parole: Qualis esse debet. Dieci diamanti di grossezza e splendore straordinario erano quelli che c'impedivano di fermare lo sguardo, se non con gran pena, sopra quell'Augusto Personaggio. Tre di quei diamanti erano sul petto, ed era scritto sopra di uno Fides, sull'altro Spes, e Charitas su quello che stava sul cuore. Il quarto diamante era sulla spalla destra, ed aveva scritto Labor; sopra il quinto nella spalla sinistra leggevasi Temperantia. Gli altri cinque diamanti ornavano la parte posteriore del manto, ed erano così disposti: uno più grosso e più folgoreggiante stava in mezzo come il centro di un quadrilatero, e portava scritto Obedientia. Sul primo a destra leggevasi Votum Paupertatis. Sul secondo più abbasso Praemium. Nella sinistra sul più elevato era scritto Votum Castitatis. Lo splendore di questo mandava una luce tutta speciale, e mirandolo traeva e attraeva lo sguardo come la calamita tira il ferro. Sul secondo a sinistra più abbasso stava scritto Ieiunium. Tutti questi quattro ripiegavano i luminosi loro raggi verso il diamante del centro.
Questi brillanti tramandavano dei raggi che a guisa di fiammelle si alzavano e portavano scritto qua e colà varie sentenze.
Sulla Fede si elevavano le parole: Sumite scutum Fidei, ut adversus insidias diaboli certare possitis. Altro raggio aveva: Fides sine operibus mortua est. Non auditores, sed factores legis regnum Dei possidebunt.
Sui raggi della Speranza: Sperate in Domino, non in hominibus Semper vestra fixa sint corda, ubi vera sunt gaudia.
Sui raggi della Carità: Alter alterius onera portate, si vultis adimplere legem meam. Diligite et diligemini. Sed diligite animas vestras et vestrorum. Devote divinum officium persolvatur; missa attente celebretur; Sanctum Sanctorum peramanter visitetur. [184]
Sulla parola Labor: Remedium concupiscentiae, arma potens[135] contra omnes insidias diaboli.
Sulla Temperanza: Si lignum tollis, ignis extinguitur. Pactum constitue cum oculis tuis, cum gula, cum somno, ne huiusmodi inimici depraedentur animas vestras. Intemperantia et castitas non possunt simul cohabitare.
Sui raggi dell'Obbedienza: Totius aedificii fundamentum, et sanctitatis compendium
Sui raggi della Povertà: Ipsorum est Regnum coelorum. Divitiae spinae. Paupertas non verbis, sed corde et opere conficitur. Ipsa coeli ianuam aperiet et introibit.
Sui raggi della Castità: Omnes virtutes veniunt pariter cum illa. Qui mundo sunt corde, Dei arcana vident, et Deum ipsum videbunt.
Sui raggi del Premio: Si delectat magnitudo praemiorum, non deterreat multitudo laborum. Qui mecum patitur, mecum gaudebit. Momentaneum est quod patimur in terra, aeternum est quod delectabit in coelo amicos meos.
Sui raggi del Digiuno: Arma potentissima adversus insidias inimici. Omnium Virtutum Custos. Omne genus daemoniorum per ipsum eiicitur.
Un largo nastro a color di rosa serviva d'orlo nella parte inferiore del manto, e sopra questo nastro era scritto: Argumentum praedicationis. Mane, meridie et vespere. Colligite fragmenta virtutum et magnum sanctitatis aedificium vobis constituetis. Vae vobis qui modica spernitis, paulatim decidetis.
Fino allora i Direttori erano chi in piedi, chi in ginocchio, ma tutti attoniti e niuno parlava. A questo punto Don Rua come fuor di sé disse: Bisogna prendere nota per non dimenticare. Cerca una penna e non la trova; cava fuori il portafoglio, fruga e non ha la matita. Io mi ricorderò, disse Don Durando. Io voglio notare, aggiunse Don Fagnano, e sì pose a scrivere col gambo di una rosa. Tutti miravano e comprendevano la scrittura. Quando Don Fagnano cessò di scrivere, Don Costamagna continuò a dettare così: La Carità capisce tutto, sopporta tutto, vince tutto; predichiamola colle parole e coi fatti.
Mentre Don Fagnano scriveva, scomparve la luce, e tutti ci trovammo in folte tenebre. Silenzio, disse Don Ghivarello, inginocchiamoci, preghiamo, e la luce verrà. Don Lasagna cominciò il Veni Creator, poi il De Profundis, Maria Auxilium Christianorum, a cui tutti rispondemmo. Quando fu detto, Ora pro nobis, riapparve una luce, che circondava un cartello in cui leggevasi: Pia Salesianorum Societas qualis esse periclitatur anno salutis 1900. Un istante dopo la [185] luce divenne più viva a segno che potevamo vederci e conoscerei a vicenda.
In mezzo a quel bagliore apparve di nuovo il Personaggio di prima, ma con aspetto malinconico simile a colui che comincia a piangere. Il suo manto era divenuto scolorato, tarlato e sdruscito. Nel sito dove stavano fissi i diamanti eravi invece un profondo guasto cagionato dal tarlo e da altri piccoli insetti.
Respicite, Egli ci disse, et intelligite. Ho veduto che i dieci diamanti, erano divenuti altrettanti tarli che rabbiosi rodevano il manto.
Pertanto al diamante della Fides erano sottentrati: Somnus[136] et accidia.
A Charitas: Negligentia in divinis perficiendis. Amant et quaerunt quae sua sunt, non quae Iesu Christi.
A Temperantia: Gula, et quorum Deus venter est.
A Labor: Somnus, furtum, et otiositas.
Al posto dell'Obedientia eravi nient'altro che un guasto largo e profondo senza scritto.
A Castitas: Concupiscentia oculorum et superbia vitae.
A Povertà era succeduto: Lectus, habitus, potus et pecunia.
A Praemium: Pars nostra erunt quae sunt super terram.
A Ieiunium eravi un guasto, ma niente di scritto.
A quella vista fummo tutti spaventati, Don Lasagna cadde svenuto, Don Cagliero divenne pallido come una camicia, e appoggiandosi sopra una sedia gridò: Possibile che le cose siano già a questo punto? Don Lazzero e Don Guidazio stavano come fuori di sé, e si porsero la mano per non cadere. Don Francesia, il conte Cays, Don Barberis e Don Leveratto erano quivi ginocchioni pregando con in mano la corona del SS. Rosario.
In quel tempo sì fé' intendere una cupa voce: Quomodo mutatus est color optimus!
Ma nell'oscurità succedette un fenomeno singolare. In un istante ci trovammo avvolti in folte tenebre, nel cui mezzo apparve tosto una luce vivissima, che aveva forma di corpo umano. Non potevamo tenerci sopra lo sguardo, ma potevamo scorgere che era un avvenente giovanetto vestito di abito bianco lavorato con fili d'oro e d'argento. Tutto attorno all'abito vi era un orlo di luminosissimi diamanti.. Con aspetto maestoso, ma dolce ed amabile si avanzò alquanto verso di noi, e ci indirizzò queste parole testuali:
Servi et instrumenta Dei Omnipotentis, attendite et intelligite. Confortamini et estote robusti. Quod vidistis et audistis, est coelestis admonitio, quae nunc vobis et fratribus vestris facta est; animadvertite et [186] intelligite sermonem. Iacula praevisa minus feriunt, et praeveniri possunt. Quot sunt verba signata, tot sint argumenta praedicationis. Indesinenter praedicate opportune et importune. Sed quae praedicatis, constanter facite, adeo ut opera vestra sint velut lux, quae sicuti tuta traditio ad fratres et filios vestros pertranseat de generatione in generationem. Attendite et intelligite. Estote oculati in tironibus acceptandis, fortes in colendis, prudentes in admittendis. Omnes probate, sed tantum quod bonum est tenete. Leves et mobiles dimittite. Attendite et intelligite. Meditatio matutina et vespertina sit indesinenter de observantia constitutionum. Si id feceritis, numquam vobis deficiet Omnipotentis auxilium. Spectaculum facti eritis mundo et Angelis, et tunc gloria vestra erit gloria Dei. Qui videbunt saeculum hoc exiens et alterum incipiens, ipsi dicent de vobis: A Domino factum est istud et est mirabile in oculis nostris. Tunc omnes fratres vestri et filii vestri una voce cantabunt: Non nobis, Domine, non nobis; sed Nomini tuo da gloriam[137].
Queste ultime parole furono cantate, ed alla voce di chi parlava si unì una moltitudine di altre voci così armoniose, sonore, che noi rimanemmo privi di sensi e per non cadere svenuti ci siamo uniti agli altri a cantare. Al momento che finì il canto si oscurò la luce. Allora mi svegliai, e mi accorsi che si faceva giorno.
Pro memoria. Questo sogno durò quasi l'intera notte, e sul mattino mi trovai stremato di forze. Tuttavia pel timore di dimenticarmene mi sono levato in fretta e presi alcuni appunti, che mi servirono come di richiamo a ricordare quanto qui ho esposto nel giorno della Presentazione di Maria SS. al Tempio.
Non mi fu possibile ricordar tutto. Tra le molte cose ho pur potuto con sicurezza rilevare che il Signore ci usa grande misericordia.[187]
La nostra Società é benedetta dal Cielo, ma Egli vuole che noi prestiamo l'opera nostra. I mali minacciati saranno prevenuti, se noi predicheremo sopra le virtù e sopra i vizi ivi notati; se ciò che predichiamo, lo pratichiamo, lo tramanderemo ai nostri Fratelli con una tradizione pratica di quanto si é fatto e faremo.
Ho potuto eziandio rilevare che ci sono imminenti molte spine, molte fatiche, cui terranno dietro grandi consolazioni. Circa il 1890 gran timore, circa il 1895 gran trionfo. M. A. Chr. ora p. n.
Don Rua mise subito in pratica l'ammonimento del Personaggio, che delle cose rivelate si facesse materia di predicazione; poiché tenne ai Confratelli dell'Oratorio una serie di conferenze, nelle quali commentò loro minutamente le due parti del sogno. Il tempo a cui Don Bosco riferiva la doppia eventualità dei trionfi o delle sconfitte, corrispondeva nella Congregazione a quello che nella vita umana é il principio dell'adolescenza, momento delicato e pericoloso, da cui dipende per lo più tutto l'avvenire. Nell'ultimo decennio del secolo scorso il moltiplicarsi delle case e dei soci e l'estendersi dell'opera salesiana in tante nazioni differenti potevano senza dubbio dar luogo a taluno di quei deviamenti dalla linea retta che, se non si arrestano con prontezza, conducono sempre più lontano dalla strada maestra. Ma allo scomparire di Don Bosco la Provvidenza ci aveva fatto trovare nel suo successore la mente illuminata e la volontà energica che per quella fase critica si richiedevano. Don Rua, che si poteva dire benissimo la personificazione vivente di tutto il bello e buono rappresentato nella prima parte del sogno, fu davvero scorta vigile e duce indefesso e autorevole a disciplinare e guidare le novelle schiere per legittimo cammino.
La portata del sogno non ha limite di tempo. Don Bosco diede l'allarme per un momento speciale che doveva seguire alla sua morte; ma il qualis esse debet e il qualis esse periclitatur contengono un ammonimento che non perderà mai nulla del suo valore, sicché sarà sempre vera la dichiarazione fatta da Don Bosco ai Superiori: “I mali minacciati saranno prevenuti, se noi predicheremo sopra le virtù e i vizi ivi notati.”
I1 2 novembre 1881 Don Bosco andò a San Benigno per fare con gli ascritti l'esercizio della buona morte e benedire a quarantacinque di essi l'abito chiericale. Il suo aspetto era sempre il medesimo né da tutto il suo esteriore trapelava alcun indizio di gravi afflizioni; ma, discorrendo confidenzialmente con Don Barberis, gli raccontò parecchi dispiaceri che disse essere dei più gravi della stia vita. - Ieri, soggiunse, dovetti pregare assai il Signore che mi tenesse bene la testa a posto; son cose che fanno diventar matti. Specialmente in questi due giorni si sono accumulati fatti di vario genere, e altri già passati ci son venuti a notizia, ma tutti in senso sfavorevole. - Poi, raccoltosi un istante e sorridendo d'un sorriso mesto, concluse: - Ho bisogno di qualcuno che mi sollevi un poco. - Parole che spiegano abbastanza perché col suo caro Don Barberis si fosse abbandonato a quelle effusioni. Poi, dopo la cena, per mandar via i pensieri tristi, prese a narrare episodi occorsi a lui in tempi remoti[138].[189]
I maggiori travagli provenivano allora a Don Bosco dalla questione che si agitava dinanzi al Consiglio di Stato per la chiusura delle scuole nell'Oratorio, dalla causa di Don Bonetti per l'oratorio di Chieri e da una terza causa per certi opuscoli contro l'Arcivescovo di Torino. Della prima, anticipando il racconto degli ultimi fatti, abbiamo già detto tutto nel capo sesto del volume precedente; dell'ultimo diremo più innanzi; ripiglieremo qui la storia della seconda, rimasta in sospeso al capo ottavo del quattordicesimo volume.
Riassiumiamo gli antecedenti. Dopo le due prime fasi della controversia svoltesi nell'ambiente ecclesiastico torinese, una terza se ne aperse, allorché Don Bonetti, stanco degl'indugi che artatamente si frapponevano alla revoca del decreto di sospensione, decise di provvedere alla sua onorabilità di sacerdote e di salesiano e al buon nome della religiosa famiglia, a cui apparteneva, deferendo la lite alla Sacra Congregazione del Concilio. Tre volte egli era ricorso a detta Congregazione per ottenere che l'Arcivescovo di Torino o lo rimettesse in piena libertà di esercitare il sacro ministero o almeno si degnasse di dare la ragione canonica del suo rifiuto. La Sacra Congregazione scrisse e riscrisse all'Arcivescovo su tale proposito, ma dopo lungo silenzio questi addusse motivi che non furono trovati soddisfacenti. Onde il 3 luglio 1880 la Congregazione decretò di discutere la causa in pieno consesso dei Cardinali e il 17 ne diede comunicazione a monsignor Gastaldi. Finalmente l'II dicembre gli venne l'ordine di notificare d'ufficio la cosa a Don Bonetti, notificazione fattagli la vigilia di Natale dal segretario Chiuso, che terminava così la sua nota: “Mons. Rev.mo prefigge a V. S. il termine di un mese a computarsi dalla data della presente lettera, affinché Ella esponga le sue ragioni innanzi alla Sacra Congregazione del Concilio.”
Nell'intervallo corso fra l'II e il 24 dicembre Monsignore aveva avuto tempo di compilare una prolissa relazione, che [190] spedì al cardinale Prefetto Eminentissimo Caterini il 29. E' tutta una requisitoria contro i Salesiani, nella quale però Monsignore esordisce così: “Il mio animo é in pena nel trovarsi obbligato a fare recriminazioni contro un'opera del benemerito Don Bosco Giovanni, ché ricordo con compiacenza l'essere stata una delle mie più vive cure sacerdotali aiutare Don Bosco nelle sue nascenti istituzioni, né poscia e come Vescovo di Saluzzo e come Arcivescovo di Torino ho mai diminuito il pensiero e l'opera di secondare le stesse istituzioni ognora crescenti con visibile benedizione celeste.”
Per dimostrare poi la sua simpatia per l'opera di Don Bosco cita due fatti. “Quando, dice, il Collegio di Valsalice di questa città stava per sciogliersi, io mi sono adoperato affinché i Sacerdoti Salesiani ne ottenessero la proprietà, da mantenerlo aperto come casa privata di Don Bosco. Allo scopo ho sborsato del mio lire diecimila, in estinzione di debiti giacché il M.to Rev.do Don Bosco non voleva assumersi l'obbligo di pagare i debiti fatti dall'Amministrazione del Collegio. Pure di quest'anno 1880 verso il fine di febbraio al Molto Rev.do Don Bosco ho fatto l'offerta di una casa mia attigua alla chiesa parrocchiale del Cuore di Gesù in questa città, del valore, di quarantamila lire, alla condizione che i Salesiani vi aprissero due scuole gratuite elementari pei maschi. Questa offerta restò senza risposta.” Se quest'offerta sia rimasta senza risposta, l'abbiamo veduto altrove[139]. Quanto a Valsalice, diecimila lire non erano certo una bagatella; ma di tanta larghezza gli dovevano saper grado i vecchi amministratori, di cui estingueva i debiti, non i Salesiani, che non ne toccarono un centesimo. Inoltre dell'immobile i Salesiani ottennero l'uso, non la proprietà; infatti pagarono per otto anni ai Fratelli delle Scuole Cristiane ottomila lire annue di fitto, né, quando fecero la compera, l'Arcivescovo contribuì in minima guisa. [191]
A questa introduzione tengono dietro i già noti gravami, sul conto di Don Bonetti: violazione dei diritti parrocchiali in morte di una suora a Chieri, questione col Curato di Santa Maria della Scala per le ragazze anziane frequentanti l'oratorio festivo, affare della sospensione non preceduta da monizioni canoniche, opuscolo L'Arcivescovo di Torino, Don Bosco e Don Oddenino “stampato dic'egli, non senza la mano del Don Bonetti”. Ma la finale é un'odiosa accusa contro Don Bosco stesso. “Il Molto Rev. Don Bosco, scrive Monsignore, Superiore della Congregazione Salesiana, che fa tanto bene in Torino e in altri luoghi, in un colloquio avuto col Sig. Canonico Curato di Chieri a riguardo delle questioni dell'Oratorio, disse a costui che quando che sia sorgessero divergenze per il detto Oratorio, egli, il Canonico Curato, non si rivolgesse più a Monsignor Arcivescovo, ma direttamente a lui Don Bosco, che così soli tratterebbero la bisogna, senza Monsignore. Il Canonico Curato fui scandolezzato per questa istigazione fatta dal Molto Rev. Don Bosco, stimato moltissimo per sue virtù, la quale porterebbe insubordinazione di un parroco verso il suo Superiore Ecclesiastico, l'Arcivescovo,”
Se non che il Canonico Curato, pieno di animosità aveva pigliato un granchio a secco. Il colloquio risaliva al 1878, quando l'Arcivescovo aveva concesso a Don Bosco le necessarie facoltà per aprire l'oratorio festivo di Chieri. Allora il Beato, non ignorando che il Canonico Curato ne friggeva, e facilmente presago che per ogni nonnulla egli sarebbe corso a strepitare presso Monsignore, in una conversazione con lui gli aveva detto: - Veda, Signor Curato, poiché Monsignor Arcivescovo concede che si facciano queste funzioni, non occorre dargliene noia per ogni piccola divergenza che insorga. Quindi se vostra Signoria scorge qualche inconveniente nell'oratorio, me ne scriva amichevolmente e tra noi due aggiusteremo le cose di buon accordo. - Tutto questo é il grande scandalo che turbò la timorata coscienza del Canonico Curato! [192]
Don Bonetti presentò a Roma la sua esposizione l'8 gennaio 1881. A Roma circa un mese dopo l'Arcivescovo mandò il canonico Colomiatti, avvocato fiscale della sua Curia, con l'incarico di vedere presso la Sacra Congregazione del Concilio la posizione della causa e di fare le opportune risposte. Arrivato il venerdì 4 febbraio, questi ebbe l'udienza pontificia la mattina dell'8, grazie allo zelo di monsignor Macchi, Maestro di Camera. Nel frattempo monsignor Verga, segretario del Concilio, gli aveva consegnato la posizione, permettendogli di leggerla ivi e di apporvi note, se le credesse necessarie. Il Canonico impiegò il meglio di una giornata per esaminare tutte le carte di Don Bonetti; poi stese una memoria, con la quale volle riassumere i fatti e rispondere in diritto.
Nella lettera, in cui riferiva queste cose a Monsignore, si notano due punti che mal si conciliano insieme. Dopo l'esame della posizione non esita ad asserire che Don Bonetti resterà soccombente; viceversa dimostra il massimo interesse di vedere presto il cardinale Nina, giustificandosi nelle prime righe per non averlo visitato subito il giorno dopo del suo arrivo a Roma: “Non mi recai subito dal Card. Nina, giacché mi premeva vedere prima la posizione della causa.” Aveva dunque una missione particolare, presso Sua Eminenza, e qual fosse, si spiega abbastanza chiaramente da quello che dice più sotto:
“Oggi stesso vado dal detto Cardinale e vedrò di combinare un appianamento extragiudiziale, senza toccare la pendenza in S. Congreg. del Concilio, né impedirla”[140]. Era, come si dice, un mettere le mani innanzi per non cadere, tanto poco fondamento aveva la sua vantata sicurezza di vittoria.
Visitò dunque il Cardinale Protettore dei Salesiani senza altro scopo che d'interessarlo sullo stato della vertenza nel senso detto or ora. Infatti gli manifestò il vivo desiderio che [193] la questione venisse accomodata de bono et de aequo fra le parti senza progredire nel giudizio, dichiarando che, qualora Don Bonetti fosse disposto a fare una scusa all'Arcivescovo si sarebbe potuto sul merito stabilire un accordo che riuscisse di reciproca soddisfazione. Il Cardinale trovava più prudente che, essendo ormai la Sacra Congregazione in possesso dell'affare, le parti si rimettessero al giudizio che essa avrebbe pronunziato. Tuttavia il Canonico insistette, pregando Sua Eminenza d'interporsi presso Don Bosco a tale scopo. Il Cardinale dopo matura riflessione non credette opportuno respingere la preghiera fattagli; onde ne scrisse a Don Bosco, rimettendosi alla sua prudenza e carità e assicurandolo che il Colomiatti si mostrava ben animato né avrebbe rifiutato di preferire una via conciliativa[141].
Il cardinale Nina scrisse dunque subito a Don Bosco, esponendogli questo suo modo di vedere, e inviandogli la lettera per mano dello stesso Canonico; ma questi non gliela poté consegnare personalmente, perché il Beato, come noi sappiamo, si trovava allora in Francia, dove quella gli fu spedita. La limpida risposta del Servo di Dio inchioda la questione sopra i suoi giusti caposaldi.
La veneratissima lettera che la Em.za V. si degnò scrivermi in merito alla vertenza di Don Bonetti fece un lungo giro e mi venne a raggiungere a Roquefort vicino a Tolone.
Desidero vivamente che ogni cosa venga accomodata amichevolmente. E' circa un anno da che l'Arcivescovo mi fe' chiamare e fummo intesi che egli toglieva la sospensione a Don Bonetti ed io pro bono pacis avevo fatto in modo di non inviare questo Sacerdote nella città di Chieri ad esercitarvi il sacro ministero. Comunicai la cosa al medesimo Don Bonetti che ne fu assai contento, giacché é un sacerdote di esemplare condotta laborioso assai.
Ma il giorno appresso al nostro accomodamento ricevo per tempissimo una lettera da Mons. Arcivescovo con cui é ritirato ogni pensiero, ogni parola di accomodamento, richiamando le cose allo stato di prima.[194]
Nel caso presente poi all'accomodamento proposto vien tosto messa una condizione inaccettabile: se Don Bosco, dice il Teol. Colomiatti, non accetta un accomodamento, l'Arcivescovo gli tenterà un processo come autore dei libelli infamatorii, che furono pubblicati a carico dell'Arcivescovo.
Per la qualcosa se io accetto l'accomodamento, mi dichiaro colpevole dei libelli infamatorii, cosa che ho sempre avuto in orrore. Qualora poi si volesse terminare la questione extra forum iuridicum, io non vedo via più facile che ritornare a quanto erasi già stabilito, vale a dire togliere la sospensione al Don Bonetti ed ogni cosa é finita.
E’ pur bene di notare che la minaccia di sospensione ipso facto incurrenda gravita tuttora sopra lo scrivente, qualora per sé o per altri, o colla stampa o cogli scritti pubblicasse qualche cosa che tornasse a carico del nostro Arcivescovo. Ciò nullameno io scriverò di qui all'Arcivescovo di. Torino pregandolo a voler dire quale sia la sua intenzione a questo proposito.
Fo umili ringraziamenti all'E. V. della parte che prende alle cose nostre, e assicurandola della comune gratitudine mercé le deboli nostre preghiere, ho l'alto onore di potermi professare colla più profonda riconoscenza.
Contemporaneamente il Beato mandò a Don Rua le necessarie istruzioni sul da farsi. Don Rua con tutta prontezza le eseguì, recandosi il 4 e 5 marzo dall'Avvocato fiscale della Curia arcivescovile, al quale significò che per aderire ai desideri del Cardinale Protettore i Salesiani avrebbero di buon grado aggiustato pacificamente l'affare di Don Bonetti e ritirata la querela da lui sporta presso la Congregazione del Concilio contro di Monsignore Arcivescovo; tale anzi essere stato sempre il desiderio di Don Bosco e di tutti i Superiori; se si era ricorso al Tribunale della Santa Sede, essersi fatto perché Monsignore non aveva mai voluto indursi a togliere spontaneamente una pena disonorevole inflitta a un Regolare contro un formale decreto della Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari. Dopo alcune riflessioni da una parte e dall'altra, il Canonico gli lasciò sperare che la sospensione a Don Bonetti sarebbe stata tolta anche per Chieri, a patto però che egli si sottomettesse a domandare scusa.[195]
- Ma per quali offese domandare scusa? interrogò Don Rua.
- Per qualche po' di renitenza, rispose, ad assoggettarsi agli ordini di Monsignore e per qualche lettera non troppo rispettosa, ed anche per avere l'anno scorso rinnovata l'istanza a Roma, dopo che la sospensione gli era stata surrogata con un semplice divieto di andar ad esercitare il sacro ministero in Chieri.
Questa cosa per altro non era esatta. Infatti Monsignore in una sua lettera del 27 maggio 1879 a Don Bosco diceva chiaro e netto: “Ritiro la facoltà da Don Bonetti di assolvere sacramentalmente.” In tal modo lo faceva pur sempre apparire colpevole di delitti non commessi, disonorandolo al cospetto di un'intera città. Ma su di questo il Colomiatti sembrava disposto a lasciar correre e a passarla per buona; voleva tuttavia che si domandasse scusa per gli opuscoli stampati contro Monsignore, specialmente per quello riguardante l'affare di Chieri. A una simile uscita Don Rua replicò che la sospensione non aveva nulla da fare con gli opuscoli, pubblicati parecchi mesi dopo; che in siffatta pubblicazione i Salesiani non ci entravano; che, essi anzi ne declinavano ogni responsabilità.
Insomma, da tutto l'insieme Don Rua rilevò due cose: I° Che Monsignore, non potendo sostenere la querela da lui presentata a Roma, cercasse allora dai Salesiani una confessione più o meno esplicita di complicità nella faccenda degli opuscoli per tirar l'acqua al suo mulino. 2° Che, temendo una condanna nella causa della sospensione malamente inflitta, volesse col timore della querela per gli opuscoli far sospendere la causa e mandarla così alle calende greche. “I miei sono sospetti, scriveva Don Rua a Don Bosco[142], ma non punto temerari. E’ vero che il Can. Colomiatti mi assicurava che nel suo soggiorno in Roma ha potuto capire [196] che, se si pronunzia la sentenza, Don Bonetti sarà condannato; tuttavia penso che in realtà si tema una sentenza contro Monsignore.”
Due altre cose Don Rua poté con certezza riferire a Don Bosco: I° Che Monsignore, pur togliendo la sospensione, non avrebbe voluto far nulla per riparare alla sinistra impressione in danno di Don Bonetti; poiché insisteva che non gli si lasciasse più mettere i piedi a Chieri, se non dopo un tempo indefinito; eppure a Don Bonetti era dovuta una riparazione dell'onore, specialmente là dove aveva avuto origine la questione. 2° Che il Canonico desiderava veder aggiustato da lui Don Rua l'affare senza più informarne Don Bosco, adducendo la ragione che altrimenti le cose sarebbero andate troppo in lungo. Perciò Don Rua saviamente avvertiva: “Io temo che gatta ci covi.”
Il timore di Don Rua non era davvero campato in aria. Posta la sincera volontà di venire ad un pacifico accomodamento, la via si parava dinanzi piana e aperta. Monsignore liberasse anzitutto Don Bonetti dalla pena ecclesiastica inflittagli contro il decreto che proibisce agli Ordinari di sospendere confessori Regolari, eccetto che per causa spettante la confessione, quale non era certamente una mancanza di rispetto vera o supposta; quindi cercasse di riparare pubblicamente il torto fattogli, col dissipare almeno i sinistri sospetti fatti concepire contro di lui a scapito di tutta la Congregazione. Il magno spauracchio poteva essere che ne andasse di mezzo l'autorità arcivescovile; ma quell'effetto si poteva evitare benissimo col farlo solo predicare alcune volte nelle chiese di Chieri o con dargli per iscritto la generale facoltà di udire le confessioni negli istituti femminili della diocesi, quando ne venisse richiesto.
Alle osservazioni di Don Bosco il cardinale Nina rispose con un dilemma[143]. O Don Bonetti poteva in coscienza e [197] giuridicamente difendersi dalla pretesa complicità degli opuscoli contro l'Arcivescovo, e allora il suo onore, come quello della sua Congregazione, esigeva che non si facesse luogo ad alcuna composizione; o Don Bonetti non era totalmente tranquillo e per circostanze incidentali anche da lui indipendenti poteva presentire di essere involto in una qualche complicità anche indiretta, e in tale ipotesi gli sembrava non disconvenire un atto di scusa ben redatto e motivato, da cui risultasse la verità del fatto con le circostanze vere e nulla più. Ciò premesso, continuava: “Ella riflettendo bene che si ha da fare con un personaggio sui generis, giudicherà meglio nella sua prudenza il partito da adottare; ed Ella che conosce assai meglio di me le persone, sarà in grado pure di vedere se nel contegno della parte contraria si nasconda un tranello e doppiezza. Ella non si perda di coraggio e ricordi che la prova delle contraddizioni é inseparabile dalle opere accette al Signore.”
Un Cardinale, che dopo tante prove di affettuosa stima per Don Bosco usava espressioni di questa forma, non sappiamo persuaderci che l'8 febbraio si fosse realmente potuto esprimere in modo da giustificare le parole scritte allora dal Colomiatti al suo Superiore: “Sia tra parentesi: il Cardinale non tiene per santo Don Bosco, mentre ha opinione di santità riguardo al P. Anglesio della Piccola Casa”[144].
Don Bosco da Nizza Marittima spedì la lettera di Sua Eminenza a Don Bonetti, che faceva una predicazione ad Aosta. Questi rilevato come gli avversari fossero in timore, perché si trovavano nel torto, raccomandò a Don Rua di tener duro sulla riparazione dell'onore leso da una sospensione non canonica, e riparazione senza condizioni di scusa, perché l'ipotetica mancanza di rispetto non era causa canonica; e stesse duro anche riguardo agli opuscoli. “Noi, scriveva, ci abbiamo preso parte come vittime.” Tutt'al più egli [198] ammetteva che nel parlare con persone venute a spiare com'erano andate le cose, si fosse lasciato portare a confidar le sue pene, per dare le ragioni della propria innocenza. Ma al certo nessuna legge né divina né umana proibisce ad un condannato di sfogarsi e difendersi con amici; se poi questi abusano delle confidenze, l'altro non ne può nulla. Proponeva inoltre a Don Rua di temporeggiare, finché Don Bosco fosse a Roma[145].
In Curia però si aveva una fretta insofferente d'indugi. Infatti il 29 marzo partì da Torino una lettera del Colomiatti a Don Bosco, per invitarlo a venire ad un accomodamento con Monsignore. Il Beato rispose da Alassio, ponendo due articoli fondamentali, se si voleva finire subito la questione e conchiudere la pace.
Rev.mo Sig. Can.co Avv.to Colomiatti,
Io aveva incaricato Don Rua con pieni poteri di aggiustare ogni vertenza relativa al povero Don Bonetti. Notava che il mezzo più spiccio era quello di togliere al medesimo una sospensione che canonicamente parlando non si sa su di che sia fondata. In questo senso erano già state accomodate le cose da me con S. E. Rev.ma, il nostro sempre veneratissimo Arcivescovo. Ma il mattino del giorno dopo delle nostre intelligenze Monsignore con sua lettera a me diretta ritirava ogni trattativa e concessione al riguardo.
Nello esaminare poi lo stato delle cose fu conosciuto che furono denunziate cose che mettono nel fango l'onore e la riputazione d'un Sacerdote che nella sua morale e civile condotta tra noi é sempre stato inappuntabile. Quello poi che non so capire si é il volere che il medesimo Don Bonetti faccia venia di cose che egli respinge con orrore, e che un solo sospetto fondato mi obbligherebbe di allontanarlo immediatamente dalla povera nostra Congregazione esposta a tante prove.
L'unico mezzo pertanto per finire una delle più disgustose vertenze parmi debba essere: 1° Togliere a Don Bonetti la sospensione, come giá si aveva fatto. 2° Rivocare le gravi accuse mosse a Roma contro al medesimo, a meno che si abbiano argomenti sicuri per provarle ed in questo caso il Don Bonetti sarebbe dichiarato espulso dalla Casa religiosa cui appartiene. Egli però assicura che non ha il minimo timore delle fatte imputazioni, e domanda soltanto il permesso di poter dare a suo tempo le necessarie spiegazioni.[199]
Eccole, o caro e Rev.mo Sig. Canonico, il mio modo di vedere e di giudicare, in modo amichevole e confidenziale. Don Rua che ha la pratica nelle mani potrà meglio intendersi colla S. V. Ill.ma. Dio ci benedica tutti e ci conservi nella sua santa grazia, mentre ho il bell'onore di potermi professare con pienezza di stima
La lettera passò per le mani di Don Rua, che la rimise sollecitamente al Canonico. Dal colloquio avuto con lui riportò l'impressione che tutto si potesse accomodare pacificamente a patto che Don Bonetti, senza più chiedere venia per l'opuscolo o, come lo chiamava l'Arcivescovo, libello di Chieri, scrivesse e poi facesse anche stampare nel Bollettino qualche parola, con cui declinasse ogni responsabilità di quella pubblicazione e ne biasimasse il contenuto[146]. Don Bonetti, informatone, volò da Aosta a Torino, perché Don Rua doveva presto raggiungere Don Bosco a Sampierdarena e di là accompagnarlo a Roma. Rimasero pertanto d'accordo che a fare un'ampia dichiarazione di non aver influito né direttamente né indirettamente sulla pubblicazione detestata, non esisteva difficoltà di sorta. Don Rua ne diede avviso al Canonico da Sampierdarena. perché nel giorno della partenza dopo un paio d'ore di anticamera non aveva potuto vederlo[147]. Non lasciava però d'insistere sul punto capitale, dicendo: ““Pare tuttavia che sia da sceverarsi la questione della sospensione da quella degli opuscoli e che l'assoluzione della prima e la riparazione dell'onore non abbiano da dipendere da tale dichiarazione.” Ancor più modestamente poi continuava: “Come la sospensione venne inflitta per iscritto, non sarebbe conveniente che per iscritto venisse dichiarata come tolta? O meglio, ancora si dichiarasse che non venne inflitta pei motivi per cui ad un religioso si può infliggere, cioè per [200] motivi infamanti, ma per altre ragioni? Veda V. S. che cosa si possa fare.” Dal Canonico Don Rua aveva ricevuto una copia dell'opuscolo sulle cose di Chieri, perché lo esaminasse e si persuadesse che era farina del sacco di Don Bonetti. Or ecco il suo parere: “Per dire quello che me ne pare, sebbene per la moltitudine degli affari io non abbia potuto leggerlo interamente, tuttavia dal poco che ne ho veduto sembrami che non si possa arguire che Don Bonetti siane l'autore. Che se taluno può aver pensato tale cosa, convien dire che purtroppo sovente erriamo nei nostri giudizi.” La conclusione della lettera é puro stile di Santi: “Del resto ammirandola pell'interessamento che V. S. prende a questi affari, non posso a meno che testificarle la mia sincera stima; mentre augurandole buon alleluia e ogni benedizione per le prossime feste pasquali [era il giovedì santo], godo professarmi, ecc.”
Lasciata passare la Pasqua, l'Avvocato fiscale subito il giorno dopo con un suo biglietto invitava Don Bonetti a recarsi da lui all'ufficio in un mattino della settimana per una comunicazione. Con questa latitudine di cinque giorni Don Bonetti ebbe tempo di consultare Don Bosco, il quale da Roma laconicamente gli rispose: “Credo si possa andare dove sei richiesto, tenendo sempre ferme le due condizioni fondamentali: Lasciarti libero, ritirar tutti i reclami inviati alla Santa Sede. Affretteremo il nostro ritorno.” Quando e come avvenisse l'incontro dei due antagonisti, non si sa; ma il 24 aprile arrivò nell'Oratorio all'indirizzo di Don Rua ancora assente un altro biglietto del Colomiatti con la comunicazione che le patenti di confessione per Don Bonetti erano firmate; egli quindi o Don Bonetti passasse in Curia per ritirarle. Don Bosco, avvertito della cosa, raccomandò a Don Bonetti[148]: “Riguardo alla nota vertenza riceverai altra lettera. Procura di non dire, non scrivere parola che possa andare in mano altrui. Ci vogliono compromettere. [201]
Ogni cosa cautamente.” Di cautela dava esempio egli stesso, come si vede da questi due suoi scritti.
Appresso nei nostri documenti tutto tace per due settimane. Dopo, ecco una lettera di Monsignore a Don Bosco, che la ricevette a Roma quand'era sulle mosse per andare a Firenze., L'Arcivescovo vi ripeteva i suoi titoli di benemerenza verso la Congregazione Salesiana; ma per noi fanno questi soli periodi: “Sarei molto lieto che tra il sottoscritto e V. S. le cose si restituissero come erano e furono dal 1848 al 1872 nello stato più florido che mai potesse desiderarsi. Io sono sempre quello di allora e ne diedi a V. S. ed a' suoi splendide prove [...]. Se V. S. ed i suoi desiderano trarre sopra di loro tutta la pienezza delle benedizioni di S. Massimo vescovo di Torino, si dispongano a riconoscere i torti che hanno verso l'attuale suo successore, ed a chiederne venia; e gli promettano di non fare, né dire, né pubblicare colle stampe in qualunque sia luogo alcuna cosa che riguardi la diocesi di Torino se non d'accordo col medesimo, e vedranno che immantinenti ritorna tutto il sereno e tutto lo splendore dei tempi passati”[149].
Don Bosco, prestando fede a tali dichiarazioni, aderì al desiderio di Monsignore; onde il canonico Colomiatti si presentò a lui il 27 maggio con pieni poteri per terminare a nome dell'Arcivescovo la questione. Il colloquio durò a lungo. Il Beato credette alla lealtà e sincerità delle promesse che gli si facevano; perciò fu verbalmente stabilito che l'Ordinario avrebbe rievocato tutti i reclami spediti a Roma contro Don Bonetti, contro Don Bosco e contro l'intera Congregazione, e che Don Bonetti sarebbe stato sciolto da ogni molestia e sospensione, com'era prima del 12 e 14 febbraio 1879 e come pure era già stato concesso dall'Arcivescovo la sera del 26 maggio dell'anno medesimo, concessione revocata di buon'ora la mattina appresso. A queste due sole condizioni Don Bosco [202] rilasciò nelle mani del Colomiatti un suo autografo, che servisse di base al pacifico aggiustamento, ma, si noti bene, da doversi ritornare a Don Bosco unitamente a un altro dell'Arcivescovo, in cui fosse espressa l'adesione di lui alle suddette condizioni. Così dunque rimase oralmente inteso. La carta di Don Bosco diceva “Il sottoscritto, nella qualità di Rettore della Pia Società Salesiana, contento che la vertenza tra il sacerdote Giovanni Bonetti e sua Ecellenza Reverendissima Mons. Arcivescovo sia stata amichevolmente ultimata, prega l'Eminentissimo Card. Prefetto della S. Congregazione del Concilio a voler ritornare indietro le carte presentate a quest'uopo.” Seguiva la data e la firma.
L'Arcivescovo, appena avuto nelle mani siffatto scritto, lo spedì con una sua dichiarazione non già a Don Bosco, perché vedesse se questa era conforme alle intelligenze prese con l'Avvocato fiscale, ma al Cardinale Prefetto del Concilio. Nella lettera di accompagnamento Monsignore diceva: “Il sottoscritto, avendo riguardo alle dichiarazioni fatte al suo avvocato fiscale dal Molto Rev. Don Bosco Giov. nella sua qualità di Rettore Maggiore della Congregazione Salesiana relativamente all'Oratorio femminile tenuto in Chieri dalle Suore Salesiane, finora non godenti di alcuna esenzione dalla Autorità Arcivescovile, nel vivo desiderio di ogni bene alla Congregazione Salesiana, dichiara essere sua volontà che non abbia ulteriore seguito la sua controistanza mossa presso la Sacra Congregazione del Concilio contro Don Bonetti Sacerdote, perché obbligatovi da querela del Don Bonetti stesso; e quindi prega Sua Eminenza Rev.ma il Card. Prefetto a permettergli di ritirare le carte in causa prodotte.”
Qui ci sono parecchie cose da osservare. Anzitutto non si fa alcun cenno delle due condizioni verbali; non si revoca il divieto fatto a Don Bonetti di ascoltare le confessioni nella città di Chieri; le carte riguardanti la questione di Don Bonetti non erano le sole da ritirare, ma anche di altre erasi stabilito con l'Avvocato fiscale il ritiro; parlare di oratorio [203] delle Suore Salesiane, era un insinuare che Don Bonetti fosse stato sospeso unicamente dall'udire le confessioni in una cappella privata di Suore e non in una cappella pubblica appartenente ai Salesiani. In secondo luogo, un semplice abbozzo consegnato confidenzialmente e da restituirsi, non foss'altro perché venisse copiato in pulito, quando Monsignore avesse dato il suo consenso alle poste condizioni, non si poteva considerare come documento definitivo, così definitivo da potersi mandare a un Cardinale Prefetto.
Ma non finirono qui le anormalità. Si era convenuto che il Canonico ripassasse in persona da Don Bosco per fare la risposta verbale; invece il Canonico la mandò per lettera, unendovi una sua copia dell'atto arcivescovile. Non basta: il Canonico aspettò più giorni per dare l'avviso dell'invio a Roma. Non basta ancora: invece di servirsi del mezzo più breve, che sarebbe stato di mandare la lettera a mano, la affidò alla posta. In questo modo trascorse una settimana senza che Don Bosco sapesse più nulla di nulla, avendo egli ricevuto la lettera solo il 2 giugno poco prima dell'ora di cena. Egli vide in tutto questo una manovra, il cui fine si capisce dal telegramma che per impedire le conseguenze spedì subito verso le sette pomeridiane a monsignor Verga, segretario della Congregazione del Concilio: “Prego non rimettere fuori uffizio alcuna carta sulle nostre vertenze. Riceverete lettera Bosco.” La sera medesima il Beato scrisse a monsignor Verga.
In questo momento dalla posta ricevo avviso che Monsignor Arcivescovo di Torino inviò a codesta Sacra Congregazione del Concilio un mio scritto, che doveva servire come di base ad un amichevole accomodamento sulla vertenza di Don Bonetti. Quello scritto era confidenziale pel sig. avvocato fiscale. Can. Colomiatti da mostrare a Monsignore, e poi ritornarmelo con altro scritto relativo alle nostre intelligenze. Questo atto Arcivescovile é di fatto venuto, ma non corrisponde a quanto fu convenuto col suo avvocato fiscale, vale a dire di togliere la sospensione al Don Bonetti, e ritirare non solamente [204] i reclami al medesimo relativi, ma eziandio tutte le lettere dirette ad infamare il Sac. Bosco e la sua povera Congregazione. D'altro lato io non l'avrei spedito a Roma, e, quando ciò si fosse, non avrei mandato così un pezzo di carta senza unirvi una lettera, quale conviensi ad un Em.mo sig. Cardinale Prefetto di sì autorevole Congregazione.
Pertanto prego la S. V. a voler mantenere la vertenza al punto normale, in cui si trova: con altra lettera saranno date più positive spiegazioni.
Mi creda quale ho l'onore di professarmi con alta stima e considerazione.
Non lasciò senza immediata risposta il Colomiatti: troppo gli premeva di dichiarargli che l'atto di pacificazione formulato da Monsignore non rispondeva alle intelligenze corse fra loro due.
Ricevo in questo momento dalla posta la sua lettera che mi dà comunicazione del noto atto Arcivescovile. Mi rincresce assai, ma esso mi pare che non corrisponda alle nostre intelligenze. E’ perciò necessario poterci parlare per meglio intenderci. Io non esco di casa. Se può, come ne la prego, faccia un passo sin qui e spero che in poche parole potremo intenderci meglio.
Di tanta premura Don Bosco aveva il suo perché. Eseguita che si fosse la spedizione delle carte, la vertenza era entrata nelle vie pacifiche; se poi, naufragato l'accordo amichevole, si fosse dovuto ritornare sulla questione, sarebbe stato necessario ricominciare da capo con nuove carte e nuove ragioni. Se dunque Don Bosco si fosse lasciato prendere in questo laccio, rotte le trattative, si sarebbe trovato a un brutto bivio, o di non avere alcuna soddisfazione o di riaffrontare tutte le noie indispensabili per riprendere la causa. [205]
Meno male che fece giusto in tempo a sventare ogni tranello, prevenendo la sospensione del giudizio.
Il Colomiatti ritardò di due giorni la sua venuta; ma quando venne, gli negò cavillando, che nel colloquio antecedente si fossero poste le due verbali condizioni per l'aggiustamento. A sì sorprendente disinvoltura Don Bosco capì sempre meglio il giuoco. Per altro nel licenziarlo gli promise che ci avrebbe pensato su ancora qualche giorno prima di rompere affatto le trattative; poiché non era stata sua intenzione di chiudere ogni via ad un accomodamento ulteriore, ma solo di chiarire temuti equivoci. A una settimana circa dall'abboccamento egli scrisse così al Canonico:
Ill.mo sig. Can. Colomiatti Avv. Fiscale,
Secondo il suo avviso nel corso di questa settimana ho pensato, pregato ed anche consultato persona molto affezionata al nostro Arcivescovo intorno alla nostra vertenza.
Ma mi sono sempre più convinto che l'atto Arcivescovile non corrisponde alle nostre intelligenze, lascia D. Bonetti nello stato in cui si trovava, e non revoca per niente le carte inviate a Roma a carico dello scrivente e della nostra povera Congregazione. Ciò viene confermato dal contegno che il medesimo Mons. Arcivescovo mantiene verso di noi, siccome a lei é ben noto[150].
Forse, se Ella avesse osservate le intelligenze di tenere il mio scritto come cosa confidenziale a Lei, farlo vedere e poi comunicarmi il tenore di quello che si voleva unire ad esso, la vertenza avrebbe potuto appianarsi con qualche modificazione; ma non fu così. Anzi Ella mi disse che non sarà cangiata parola di quanto fu scritto.
In questo stato di cose non vedo più altra via che lasciare alla Santa Sede lo stabilire i miei torti e le mie ragioni, che di tutto buon grado accetto preventivamente, qualunque siano per essere. Credo che Monsignore pure ne sarà contento, perché é una Superiore Autorità, la quale concede e limita i poteri e regola l'esercizio dei medesimi.
Nel mio particolare però io l'assicuro che in ogni cosa sarò sempre lieto quando potrò professarmi
Nel frattempo anche Don Bonetti aveva scritto a Roma, spiegando a monsignor Verga in che modo e per qual fine si fosse carpito il piano di conciliazione mandato al cardinale Caterini[151]. Certo è insomma che chiunque abbia volontà sincera di venire a una transazione, concede alcun che alla parte avversaria; ma pretendere di accordar un affare e non voler sapere di concessioni, non é invocare un accomodamento, bensì cercar di fare unicamente il proprio comodo.
Monsignor Gastaldi, vista la risolutezza di Don Bosco, diede formale incarico all'avvocato Menghini di prendere le sue difese[152]. Più tardi il Colomiatti ragguagliò a modo suo il Cardinale Protettore dei Salesiani[153]. Negli stessi giorni Don Bosco ricevette una lettera senza indicazione di luogo nella data e con una firma non decifrabile. Colui che la scriveva, riferite certe impressioni prodotte in qualche ambiente romano dal suo telegramma e dalla sua lettera del 2 giugno a monsignor Verde, gli faceva un predicozzo sulla convenienza di accomodare pacificamente la contesa; il documento sembra provenire da persona amica dell'Arcivescovo e interprete dei sentimenti di altri amici, che avrebbero desiderato di parargli il colpo[154]. Uno di questi amici era il cardinale Hohenlohe, che pure gli consigliò di por termine alla lite[155]. Ma l'uno e l'altro dei contendenti aveva scelto la sua via e, checché pensasse di fare monsignor Gastaldi, Don Bosco intendeva ormai di percorrerla fino in fondo; soltanto raccomandò al proprio avvocato di usare riguardi all'Arcivescovo.
Malgrado il mio vivo desiderio di terminare in modo amichevole la vertenza che da oltre due anni esiste tra l'Arcivescovo Monsignor Gastaldi di Torino e il Sacerdote Giovanni Bonetti tuttora sospeso, tuttavia vedo che deve essere giudicata in piena Congregazione degli [207] Eminentissimi Cardinali entro breve tempo. A tale uopo io prego la S. V. a volersene assumere la trattazione e la difesa nostra raccomandando che Ella procuri di evitare tutti i modi di parlare ed anche quei sentimenti che possano giudicarsi inopportuni nella bocca di un inferiore che parla al suo Superiore.
Qualunque spesa occorra procurerò che sia debitamente soddisfatta.
Mi voglia credere con pienezza di stima e gratitudine
A sollevare un momento l'animo nostro dallo sconcertante spettacolo di tante miserie, nulla troviamo di meglio che interrompere la narrazione per leggere una lettera indirizzata da Don Bosco al Cardinale Protettore proprio nel punto culminante di tutti questi brutti intrighi.
Almeno qualche volta che io possa dare delle buone notizie alla E. V. Rev.ma. Dopo una serie di sforzi, di stenti, di sacrifizi sostenuti nella Spezia, finalmente siamo riusciti a terminare la chiesa e la casa nuova di cui siamo già al possesso e l'abitiamo. In questo modo abbiamo potuto allontanare oltre cinquecento giovanetti dalle scuole dei protestanti ed avviarli come fanno, alle classi ed alla istruzione cattolica. Se avessimo più spaziosi locali maggior ancora ne sarebbe il numero. Studieremo come ciò possa farsi e speriamo che l'aiuto di Dio non ci verrà meno.
La nuova casa e la nuova chiesa dei Piani di Valle Crosia sono eziandio terminate e frequentate a più non dire. Dal Bollettino Salesiano potrà vedere la solenne funzione fatta quando il Vescovo portò il SS. Sacramento dalla chiesa provvisoria alla chiesa definitiva. Io noto solo con piacere che le Scuole dei fanciulli e delle ragazze attivate dai protestanti furono chiuse definitivamente per difetto di allievi. Così neppure un cattolico frequenta il tempio Valdese malgrado le incessanti proferte che fanno per adescare gli incauti credenti.
La casa di Lucca progredisce in mezzo alle gravi difficoltà, ma si vanno oggi giorno appianando. Più tempestose sono le cose di Firenze, dove i Protestanti spendono immenso danaro, e noi ci troviamo nella miseria e senza casa. Abbiamo ciò nullameno viva fiducia di poterci provvedere e consolidarci entro breve tempo, ma [208] qui abbiamo bisogno di una preghiera da parte della E. V. e di una speciale benedizione del S. Padre
Don Dalmazzo darà particolari ragguagli. Dal canto mio la prego di voler comunicare questi risultati al S. Padre il quale ebbe più volte a manifestare essergli sommamente a cuore.
Mi raccomando alla carità delle sante Sue preghiere, mentre ho l'alto onore di potermi umilmente professare della E. V. Rev.ma
Sembrava che la causa dovesse venir trattata in settembre; ma questo mese volgeva al termine senza che si scorgessero indizi di prossima discussione. Don Bonetti che stava sulle spine, faceva fuoco e fiamme con l'avvocato Leonori, quasi gettando su di lui la colpa dell'indugio; lo stimolava pertanto a finir di scrivere la difesa in tempo per distribuirla stampata ai Cardinali prima delle ferie, sicché subito dopo queste la causa si potesse discutere[156].
L'ultimo di settembre accadde un colpo di scena. Don Bosco presiedeva nella casa di San Benigno a un corso di esercizi spirituali per gli ascritti che si preparavano a fare i voti, quando comparve colà improvvisamente il canonico Menghini, l'avvocato dell'Arcivescovo, con la missione officiosa di concertare una base di accomodamento. Il Beato chiamò Don Bonetti e di comune intesa furono proposti i tre seguenti articoli fondamentali:
I° Il Sac. G. Bosco Superiore, dei Salesiani dichiara di ritirare la querela sporta dal Sac. Giovanni Bonetti alla Sacra Congregazione del Concilio a motivo della sospensione inflittagli 3 anni sono dall'Arcivescovo di Torino per causa dell'Oratorio di S. Teresa in Chieri, e promette di dare obbedienza al medesimo di non recarsi ad udire le confessioni in quell'Istituto sino a che non siano scomparsi i veri o supposti timori di urti col parroco locale.
2° Dal canto suo Sua Eccellenza Rev.ma Monsignor Lorenzo Gastaldi Arcivescovo di Torino dichiara per iscritto aver sospeso il Sac. Bonetti non già per causa spettante la confessione, o per [209] violato interdetto, ma per urti incontrati col parroco locale; di riabilitarlo per le confessioni in modo assoluto anche per Chieri e di ritirare qualunque scritto o stampato diretto a denigrare il Sac. Bosco e la Congregazione Salesiana non solo nella presente questione, ma in ogni altra.
3° A legittima riparazione Sua Eccellenza darà ancora al Sac. Bonetti la facoltà di udire le confessioni giusta il prescritto della Costituzione Superna di Clemente X comprese quelle delle persone religiose, o in Ritiro soggetto alla giurisdizione Arcivescovile.
Fatica di Sisifo! Il Menghini sottopose al suo Cliente le conclusioni, ripartì per Roma, e chi s'era visto, s'era visto: Don Bosco aspettò indarno una comunicazione qualsiasi. Monsignore invece rimandò a Roma il suo Avvocato fiscale per imbastire contro il Servo di Dio un'altra causa che attraversasse la prima. Anche di questa per altro si occupò; poiché mentre si badava alla seconda, bisognava cercar di ritardare al possibile l'antecedente. Per questo se la intese con il Cardinale Ferrieri, e fu stabilito che la Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari avrebbe preso in esame quattro quesiti di massima: 1° Se le Suore di Maria Ausiliatrice fossero esenti o no dalla giurisdizione arcivescovile. 2° Se fossero pure esenti o no gl'istituti e oratori loro. 3° Se esenti fossero i sacerdoti salesiani funzionanti nei detti istituti ed oratori. 4° Se gli stessi Salesiani negli oratori e istituti delle Suore di Maria Ausiliatrice dovessero considerarsi come in conventi della loro Congregazione Salesiana o no. Il Colomiatti scrisse il necessario incarto per l'introduzione di tale questione, che, essendo presentata come di massima, aveva la precedenza su quella pendente dinanzi alla Congregazione dei Concilio[157].[210]
I lettori non perdano di vista il punto vero della controversia, che in poche parole era questo: il 12 febbraio 1878 l'Ordinario torinese, sotto pretesto di mancato rispetto verso il Curato di Chieri e di causati dissidi, senza preavviso né all'interessato né al suo Superiore, aveva contro le leggi canoniche sospeso Don Bonetti dall'udire le confessioni dei fedeli non solo per la città di Chieri, ma per tutta l'archidiocesi, con disonore suo e della Congregazione; la qual sospensione venne in seguito limitata a Chieri. Che cosa avevano dunque a fare con la causa di Don Bonetti i mentovati quesiti? Assolutamente nulla; ma servivano a stancare temporeggiando.
Se non che il temporeggiare giovò anche a Don Bonetti, dandogli agio di fare altri passi. In ottobre diede alle stampe un Pro - memoria, che umiliò al Santo Padre e fece distribuire ai Cardinali. A un fascicolo di quindici facciate, di largo formato, contenente una sobria esposizione dell'antefatto e dei fatto e una dignitosa confutazione delle ragioni addotte da Monsignore per non riabilitarlo interamente.
Il temporeggiare arrecò pure un altro vantaggio. Avendo cessato di vivere il venerando cardinale Caterini (contava 86 anni) fu il 10 novembre nominato Prefetto della Congregazione dei Concilio l'Eminentissimo Nina, che conosceva molto [211] bene Don Bosco. Il Beato non indugiò a congratularsi con lui della nomina. Sua Eminenza gli rispose il 24 novembre: “Ascrivo ad un tratto di singolare bontà della S. V. Ill.ma le troppo obbliganti signifìcazioni dei suo animo, che col suo pregiato foglio dell'II corrente mi ha fatto tenere per la circostanza della mia nomina a Prefetto della S. C. dei Concilio. La ringrazio con tutta l'effusione dei mio animo. Dei resto, diffidando sempre delle povere forze che mi restano, sento maggiormente il bisogno di impegnare la di Lei bontà ad implorarmi dal Signore gli aiuti e conforti necessari a reggere il peso, che dalla clemenza dei Santo Padre si é voluto imporre alle mie spalle. Ad onta però della mia pochezza non verrà mai meno in me il buon volere di corrispondere alla aspettazione, ed alle giuste esigenze nella sfera delle mie attribuzioni.”
Sul principiare di novembre Don Bosco ebbe il dolore di sapersi fatto segno a pubbliche manifestazioni di sdegno da parte del Capo della diocesi. Il 10 di quel mese Monsignore, tenendo il sinodo diocesano, fece nella cattedrale due discorsi, nei quali proferì espressioni poco benevole sul conto dei Salesiani e dei loro Superiore, pur senza nominarli. Al mattino mostrando l'utilità degli oratori festivi per i giovanetti, non accennò nemmeno a quelli che da quarant'anni Don Bosco dirigeva in Torino, ma si diffuse a lodare quelli dei Filippini, i quali, disse, dappertutto si distinguono, aiutano il proprio Vescovo e non gli recano fastidi. Gli uditori afferrarono a volo l'allusione. Alla sera poi si espresse ancor più chiaramente, dicendo: - Vi raccomando sottomissione e rispetto al vostro Vescovo e che non facciate come certi religiosi che sono tutta riverenza e devozione al Papa lontano, e portano poco o niun rispetto al Vescovo vicino; si mostrano ossequiosi alla Cattedra di San Pietro e non a quella di San Massimo. Così purtroppo fa nella Diocesi qualche ecclesiastico, il quale col vanto di stare coi Papa mette la mano in cose che non gradiscono all'Arcivescovo e gli dà fastidi. - Se la prese pure [212] con la stampa cattolica che combatteva le dottrine rosminiane, usando parole ancor più aspre: - Periodici, giornali, anzi giornalacci che si vantano del titolo di cattolici e sono invece una disgrazia per la Chiesa. Forse non ve ne ha neppur uno che non esca dai suoi limiti, che non s'intrometta in cose che non gli appartengono, che non faccia più male che bene, che non sia di scandalo ai fedeli. - Da questo linguaggio uno dei presenti, il teologo Luigi Fiore, riportò tanto disgusto, che ne riferì direttamente al Papa[158].
Fra di somma importanza dissipare negli ambienti ecclesiastici e civili di Roma le sinistre prevenzioni che le male lingue vi diffondevano. Con tale intendimento l'avvocato Leonori aveva posto mano alla compilazione di un opuscolo su Don Bosco e la sua Opera per ispargerlo largamente nella città. Il lavoro vide la luce verso la fine dell'anno[159]. In sette capitoli vi si discorreva di Don Bosco, della Società Salesiana in sé, de' suoi progressi in Italia, in Francia, nelle Missioni estere e dei più notevoli apprezzamenti su di essa, per conchiudere che con la sua Opera Don Bosco aveva indicata al Clero la via che doveva tenere praticamente, se voleva camminare con il proprio tempo.
Le clamorose apostrofi sinodali fecero sentire vieppiù a Don Bosco la necessità di correre ai ripari in un campo più ristretto, ma più importante. Guai per la Congregazione, se allora nelle alte sfere ecclesiastiche, cioè fra i Vescovi d'Italia e i Cardinali di Roma, si fosse fatta strada l'idea che i Salesiani e il loro Fondatore erano uomini insubordinati all'autorità episcopale e la osteggiavano! E purtroppo su quella via del cammino se n'era già fatto! Ci voleva a tutti i costi un documento che andasse per le mani degli alti Prelati e li illuminasse ben bene sullo stato reale dei rapporti fra l'Oratorio salesiano e la Curia torinese, fra Don Bosco e monsignor [213] Gastaldi. A un lavoro di tal genere attendevano appunto Don Bonetti e Don Berto, il quale, oltreché segretario di Don Bosco, era, anche l'archivista della Congregazione[160]. Fu compilata così una monografia che portava nel frontispizio questa intestazione: Agli Eminentissimi Cardinali della Sacra Congregazione del Concilio. Esposizione del sacerdote Giovanni Bosco. Le ragioni di questa esposizione erano chiaramente significate nelle prime pagine con un'introduzione scritta da Don Bonetti, ma riveduta e fatta sua da Don Bosco.
RAGIONI DI QUESTA ESPOSIZIONE.
Sono ormai dieci anni, dacché il sottoscritto e la nascente Congregazione Salesiana soffrono gravi vessazioni per parte dell'Arcivescovo di Torino, Mons. Lorenzo Gastaldi, le quali, oltre agli innumerevoli disturbi che ci hanno arrecato, c'impedirono eziandio di attendere alla salute delle anime. Imperocché questo Prelato ora ci vietò di servirci delle facoltà conceduteci dalla Santa Sede; ora contro le prescrizioni ecclesiastiche pretese d'ingerirsi nel regime interno e disciplinare della nostra Congregazione, come se fosse solamente un Istituto diocesano; sovente senza ragione rifiutò di ammettere i nostri Chierici alle Sacre Ordinazioni; talvolta per futili pretesti negò ai nostri Sacerdoti la facoltà di predicare e di confessare ed anche di celebrare la Messa nella sua Diocesi; talora li sospese senza colpa canonica e senza far precedere le formalità richieste dai Sacri Canoni; ci proibì di pubblicare nella sua Diocesi Brevi ottenuti dal Sommo Pontefice a favore delle nostre Opere; biasimò Istituzioni benefiche già commendate e benedette dal Santo Padre; scrisse lettere a grandi e a piccoli, e stampò e pubblicò persino libelli per infamare i Salesiani ed il loro Superiore. Tutti questi atti paiono essere stati promossi dal nemico di ogni bene, per soffocare e distruggere la nostra povera Congregazione, o metterle almeno intoppi sopra intoppi, perché non possa conseguire quel fine, per cui venne stabilita ed approvata dalla Santa Sede.
Tutte queste ed altre innumerevoli molestie noi abbiamo fin qui tollerate in silenzio. I tempi corrono difficili per la Santa Chiesa e io non voleva recarle disturbi, provocando solennemente l'autorevole e supremo suo giudizio a nostro sostegno. Mi doleva eziandio reclamare contro un Personaggio, verso il quale nutrii sempre stima e venerazione. [214]
Noi avremmo continuato ancora a sopportare in silenzio simili molestie e difficoltà; ma ultimamente l'Arcivescovo deferì alla Sacra Congregazione del Concilio, e pubblicò cose infamanti pel sottoscritto e per tutta la Pia Società Salesiana, invocandone provvedimenti; e perciò io mi trovo dal dovere dell'ubbidienza costretto a fare alla Santa Sede la presente Esposizione.
Siccome io compio questo doloroso uffizio con grande ripugnanza dell'animo mio, così passerò sotto silenzio molti fatti e detti, che riguardano solamente l'umile mia persona, esponendo invece quelli che riflettono alla Congregazione o a me stesso, siccome Capo e Superiore della medesima.
Ottava della festa di Maria Immacolata, 1881.
Il testo, procedendo cronologicamente dal 1872 al 1881, elenca anno per anno in più di settanta pagine gli atti non benevoli dell'Ordinario torinese verso Don Bosco e i Salesiani; riassume poi in due pagine le dannose conseguenze derivatene, e si chiude con una preghiera e una protesta: preghiera di aiuto e protezione da parte della Santa Sede, e protesta di sottomissione incondizionata a qualunque disposizione, consiglio e avviso piacesse al Papa di dargli.
Il “dovere dell'ubbidienza” che lo costringe a fare questa Esposizione, non faccia supporre un precetto venuto dall'alto. Il confronto della prima stesura con la definitiva sull'originale ci riporta al fatto che la Santa Sede stessa, approvando la Congregazione e affidandone a lui la custodia e il governo, l'ha posto nell'obbligo di tutelarne gl'interessi e difenderne l'onore. Egli fece stampare il lavoro nel modo più segreto e riservato, ritirando presso di sé l'originale, le bozze e le copie. Anche nello spedirla si usavano tutte le cautele, mandandola solamente a personaggi altolocati della gerarchia ecclesiastica e in busta chiusa. Il fascicolo uscito dalla tipografia sul cadere dell'anno 1881, pervenne anche a Leone XIII, che, sfogliatolo, esclamò impressionato: - Oh, si ponga un termine a questo dissidio, altrimenti monsignor Gastaldi resterà infamato dalla storia. - Allora fu che [215] sorse in lui il primo pensiero di avocare a sé tutta la causa, come diremo nel capo seguente.
Appressandosi il giorno della discussione, l'Arcivescovo andò a Roma. Ve lo chiamava però anche una circostanza solennissima: nella festa dell'Immacolata il Sommo Pontefice sarebbe proceduto alla canonizzazione di quattro Beati: Benedetto Giuseppe Labre, Lorenzo da Brindisi, Giovanni Battista de' Rossi e Chiara da Montefalco. Ne profittò dunque per studiare da vicino il terreno e guadagnare quanti più poteva alla propria causa.
Fu due volte all'udienza del Santo Padre. Nella seconda, durata un'ora e mezzo, il Papa lo intrattenne anche sulle sue relazioni con i Salesiani. Assistette a tutto il colloquio l'Eminentissimo Nina, dal quale provengono i particolari a noi noti[161]. A un certo punto Sua Santità domandò: - Ma e poi quelle questioni continue con Don Bosco e con la Congregazione Salesiana quando termineranno? Povero Don Bosco! Lavora continuamente e fa tanto bene; di questi Salesiani io non sento che elogi da tutti e mi stanno tanto a cuore; perché Lei li tratta in questa guisa? Ma la finisca una volta! Invece di favorirli e di aiutarli, Ella non fa che mettere impedimenti al loro sviluppo!
- Santo Padre, rispose l'Arcivescovo, non é vero: io voglio tanto bene a Don Bosco e alla Congregazione ed ho cercato tutti i modi di aiutarla, e il Signore sa quanto desidero che si venga a un accomodamento. Solo che Don Bosco venisse da me, lo abbraccerei di cuore; io ho sempre preferito aggiustarla all'amichevole, ma Don Bosco vi si rifiutò e mi intentò la causa alla Congregazione del Concilio. Venga pure Don Bosco e vedrà come io lo ricevo.
- Come volete che venga a voi, se quando si presenta, non lo ricevete nemmeno? A questo il modo di trattare un sacerdote di tanto zelo e così pieno dello spirito di Dio? [216]
- Ma io lo riceverò subito, e sono disposto ad accomodare ogni cosa.
- Dunque andate; ma sia una volta finita, perché altrimenti converrà prendere provvedimenti a cui non vorrei ricorrere.
Le difese degli avvocati erano pronte e stampate. Quella del Menghini, a chi la lesse, parve piuttosto moderata e invocava la conciliazione fra “i due ornamenti della diocesi di Torino[162]”. Entrambi si accordarono di formulare così il dubbio: An suspensio seu interdictum locale ab audiendis confessionibus sit confirmandum vel infirmandum in casu. [Se la sospensione o divieto locale di udire le confessioni sia da confermare o da infirmare nel caso]. L'avvocato di Don Bosco, dedicata la prima parte alla narrazione dei fatti, dimostrava nella seconda che il decreto dell'Arcivescovo doveva essere dichiarato nullo perché ingiusto mancando la colpa, perché vessatorio come emanato in odio alla Congregazione Salesiana, perché nullo essendo privo di solennità. La terza parte confutava le obbiezioni.
La difesa dell'Arcivescovo prospettava il caso non come sospensione, ma come semplice restrizione di giurisdizione, per inferirne che l'Ordinario era nel suo diritto d'imporla quando e come gli paresse, anche senza bisogno di solennità. Su questo e su altri punti Don Bonetti quasi alla vigilia della scioglimento credette bene di sottoporre al Cardinale Prefetto del Concilio alcune considerazioni, profilando nettamente e in breve il vero stato della questione[163]. Inteso poi che si faceva gran conto dell'accusa che si fossero mandati Salesiani ad amministrare in Chieri il Viatico e l'Estrema Unzione a una Suora di Maria Ausiliatrice, inviò al medesimo Cardinale una dichiarazione del canonico Sona, che attestava d'aver sacramentato egli stesso la [217] moribonda[164]. Indirettamente questo documento metteva in guardia anche la Sacra Congregazione contro altre asserzioni inducendo ad accettarle per lo meno col benefizio dell'inventario.
La causa si agitò il 17 dicembre. Degli otto Cardinali due soli votarono in favore dell'Arcivescovo; i più energici a sostenere le ragioni di Don Bosco furono gli Eminentissimi Randi, Chigi, Hergenroether e Ledochowski. Il Papa, udita la relazione, ritornò al concetto già espresso a Monsignore. - Non si pronunzi, disse, nessuna sentenza e si faccia invece proposta di accomodamento, salvando così l'autorità vescovile. Don Bosco é così virtuoso che a tutto si acconcia. L'Arcivescovo o si acconcia o no. Nel primo caso Don Bosco sarà contento, perché non cerca che la pace, e tutto sarà finito quando questa sia conseguita. Nel secondo caso noi avremo preso il bue per le corna[165], e allora per lui la é finita.
A questo punto il cardinale Nina si animò e disse che era tempo di farla finita anche altrove, perché anche a Roma si teneva bordone a Torino nel perseguitare Don Bosco e si paralizzava il bene che faceva la Società Salesiana, privandola dei privilegi. E altro osservò come Protettore della Congregazione.
Il Tribunale romano emise sentenza dilatoria con la formula: Dilata et ad mentem ab Eminentissimo Praefecto panditam. Quale fosse la mente, il Cardinale Prefetto lo significò prima confidenzialmente a Don Bosco in questa sua lettera.
A momenti Le perverrà una lettera per parte della S. Congregazione del Concilio concernente la consaputa vertenza, la di cui risoluzione é stata differita, perché senza vulnerare il merito, è anche nelle viste del S. Padre che essa venga sopita nel modo che le verrà indicato, e perché lo stesso Arcivescovo ha a voce manifestato alla [218] stessa Santità Sua molta propensione di devenire ad un accordo. Sperando che questa volta Mons. si presti sinceramente a quanto gli si propone, la interesso, per quanto mi sta a cuore la sua Congregazione, a non frapporre ostacolo di sorta, ma con tutta spontaneità aderendo a quanto le si dirà, non allontanarsi da sua parte menomamente dalle istruzioni, che le verranno indicate. Nel presentarsi Ella a Mons. Arcivescovo, non ho bisogno di fare appello alla di Lei virtù, son certo che Ella userà tale un contegno e linguaggio ossequioso e temperato da non compromettersi menomamente obbligandolo, se fia possibile, ad addimostrarsi umanissimo. Gli dirà in sostanza di esser ben lieto, che dalla S. Sede gli sia stata offerta una propizia occasione di trovarsi ancora una volta ai piedi di Mons. Arcivescovo, che ella non ha cessato mai di amare e venerare. Non entrerà in discussione sulla questione o quistioni, e si limiterà a presentare l'istanza a nome di Don Bonetti, attenendosi in essa ai termini che Le vengono suggeriti. Si mostri disposto a venire a degli accordi sul regime dell'Oratorio nei limiti consentiti dal diritto e nel reciproco intendimento di procurare il bene delle anime. Avverta poi il Don Bonetti di tenersi in molto riserbo nel parlare ed in tutto quello che potesse riferirsi all'Arcivescovo ed al Parroco locale. Un contegno corretto in questa circostanza anche a costo di qualche sacrifizio tanto da parte sua, quanto dei suoi dipendenti, concilierà maggior stima all'Istituto ed appianerà la via a risolvere altre difficoltà, che ormai ad ogni pié sospinto Le si vanno creando per attraversare, forse anco senza volerlo, l'opera del Signore. Avverta poi di tenere esatto conto di tutto quello che si passerà fra Lei e Mons. Arcivescovo, per farne poi fedele discarico alla S. Congregazione.
Questo é quanto mi premeva di significarle. Ora poi profitto di questa occasione per augurarle di cuore ogni felicità spirituale e temporale dal S. Bambino, cui, sono certo, sarà gradita l'offerta delle molte sue tribolazioni ed amarezze, e ne riceverà per compenso grande conforto e coraggio a proseguire la di Lei opera, ed implorando dai Signore una copiosa benedizione su tutta la Congregazione, passo al piacere di raffermarmi con particolare stima
La mente era dunque che prima di pronunziare una sentenza definitiva si tentasse di risolvere la controversia de bono et de aequo cum partis utriusque decore, cioè mediante un equo e onorevole accomodamento. Questo la Sacra Congregazione notificò ufficialmente a Don Bosco, precisandogliene [219] pure il modo: far visita all'Arcivescovo; umigliargli una supplica di Don Bonetti per essere riabilitato a confessare nell' oratorio di Chieri e chieder venia di qualunque dispiacere avesse potuto arrecargli; accordarsi sulla maniera di regolare le cose a Chieri, sicché né i Salesiani disturbassero le funzioni parrocchiali propriamente dette, né ai Salesiani fosse impedito di promuovere il bene spirituale delle anime, come fino allora avevano fatto con grande frutto[166].
L'altra lettera ufficiale diretta nel medesimo tempo all'Arcivescovo era un po' più lunga. Vi si dicevano cinque cose: 1° Essere stata troppo severa la misura presa contro Don Bonetti; 2° deliberazione cardinalizia e modo di attuarla; 3° l'Arcivescovo accogliesse statim atque humaniter [con prontezza e cortesia] Don Bosco e concedesse a Don Bonetti la chiesta facoltà nulla interposita mora [senza indugio di sorta]; 4° ammonisse il Curato chierese e i suoi aiutanti di usare maggior carità con i Salesiani; 5° togliesse la comminazione di sospensione ipso facto incurrenda, se Don Bosco scrivesse o stampasse checchessia in difesa sua o del suo Istituto. In ultimo si faceva appello alla docilità e abilità di Monsignore, perché tutto fosse eseguito con la massima sollecitudine[167].
Prima di ricevere il rescritto di Roma, Don Bosco aveva risposto così al Cardinale Nina:
Quanta bontà la E. V. si degna di usare verso questa povera Congregazione! Io ne la ringrazio di tutto cuore. Finora non ho ancora ricevuto alcuna lettera dalla Sacra Congregazione del Concilio; ma appena sia nelle mie mani io seguirò fedelmente i paterni consigli che Ella si compiace tracciarmi. Sarà però difficile venire ad una conclusione. Ne' tempi addietro sono già stato chiamato tre volte dal medesimo Arcivescovo, ma il nostro trattenimento fu sempre conchiuso con una strapazzata e con un titolo di mentitore. Ciò nulla di meno io sarò pronto a ritornarvi e spero di non essere cagione di alterazione. Sembra però che i preparativi non siano di buon presagio. Il 17 di questo mese si propone un accomodamento. Il 20 si manda [220] un monitorio che richiama la causa di Don Bonetti al suo principio in termini certamente non pacifici[168]. Il 23 dello stesso i Chierici del Seminario dì Torino che furono nostri allievi chiesero di venire ad augurare le buone feste a Don Bosco che loro fece da padre nelle cose spirituali e temporali; ma in quest'anno ne furono severamente proibiti di venire né in corpo, né separatamente[169].
Ieri un nostro antico allievo, ora Sacerdote nel Seminario[170] chiese al Rettore del Seminario di far visita e parlare a Don Bosco e gli espose il suo desiderio che da molti anni nutre in cuore di farsi Salesiano con animo di recarsi alle Missioni estere. Ne ottenne una paternale niente paterna, e conchiuse con queste parole che prego permettermi di scriverle testuali: “Se tu vai a farti Salesiano, oppure vai nelle missioni, tu vai a casa del diavolo a gambe levate.”Spero con un atto di contrizione si possa facilmente ottenere il perdono del peccato commesso nel farsi Salesiano, e nel recarsi nelle missioni estere.
Da tutte parti ricevo visite di condoglianze di amici che vengono a significarmi l'Arcivescovo decantare la vittoria completa su Don Bonetti, Don Bosco e i su tutti i Salesiani.
Ad ogni modo io fui e sono tuttora pronto a fare ogni sacrifizio, purché si possa porre termine ad un affare che mi fa perdere tanto tempo.
La prego di compatire la confidenza con cui scrivo e di permettermi elle con profonda venerazione abbia l'alto onore di professarmi
Leone XIII stimò che in questo caso non fosse venir meno al proprio abituale alto riserbo il far giungere a Don Bosco una sua parola. Ne diede incarico a monsignor Boccali, Cameriere Segreto Partecipante, che a nome di Sua Santità gli scrisse il 27 dicembre. La prima parte della lettera é diplomatica: “L'Ill.mo e Rev.mo Monsignor Arcivescovo di [221] Torino quando fu a Roma per assistere alle feste della Canonizzazione, manifestò al Santo Padre il desiderio di veder composta di comune accordo delle parti contendenti, la vertenza che pende presso la Sacra Congregazione del Concilio tra lui e il sacerdote Salesiano Don Bonetti per le cose di Chieri. Il Santo Padre fu contento di sentir questa proposta; e appunto per dare agio a questa composizione, la Sacra Congregazione nell'ultima adunanza non si é pronunziata sul merito della vertenza, ma ha differito il giudizio, ed ha stabilito che intanto si comunicasse alle due parti la maniera conveniente, con la quale potrebbero giungere a stabilire tra loro un accordo. La S. V. riceverà tale comunicazione officialmente dalla Sacra Congregazione del Concilio; e così pure Mons. Arcivescovo.” La seconda parte é indice del buon concetto, in cui Sua Santità teneva Don Bosco: “Il Santo Padre sa come la S. V. si é sempre mostrata disposta a secondare non solo i comandi, ma anche i desideri suoi, e non dubita che la S. V. si presterà prontamente e docilmente a fare tutto ciò che nella suddetta comunicazione Le verrà indicato. E poiché tra le altre cose Le verrà pure suggerito di presentarsi a Monsignor Arcivescovo, procuri di presentarglisi in quella maniera conveniente e rispettosa che é dovuta alla sua autorità. Composta questa prima vertenza col Bonetti, non sarà forse difficile procedere ad altri accordi e giungere a far cessare gli attriti.” In ultimo il Segretario avvertiva:
“Gradirò di essere informato dell'esito dell'abboccamento e della piega che prenderanno le cose; ché io poi dovrò tutto riferire e sottoporre a Sua Santità.” Don Bosco rispose così a monsignor Boccali e per lui al Papa[171]:
Ho avuto l'alto onore di ricevere la venerata lettera della Ecc. V. Rev.ma in proposito della vertenza Bonetti e Monsignor Arcivescovo. L'assicuro di tutto cuore che ricevuta la lettera della sacra [222] Congregazione del Concilio io mi terrò fedelmente al tenore di quella e di poi seguirò i consigli della Ecc. V.
Finora non ho ancora ricevuto alcuna lettera in proposito.
Temo però che nasca qualche difficoltà dalla parte di Monsignor Arcivescovo perché mi fa sapere in vari modi che egli a Roma ha riportato compiuta vittoria nella causa sopra citata. Anzi al giorno 20 di questo mese ha mandato un novello monitorio minaccioso citando Don Bonetti a comparire in curia per la medesima cagione intorno a cui si é già pronunziato il Dilata il 17.
Ad ogni modo assicuri il S. Padre che io sono pronto a qualunque sacrifizio per terminare una questione di niuna entità che mi ha già fatto perdere tanto tempo. Tempo che io ho assolutamente bisogno di occupare per la povera nostra congregazione e nel sacro ministero delle anime.
Prego V. E. di far gradire un piccolo atto di amor figliale a Sua Santità da parte dei nostri 80.000 giovanetti. Domani 1 del 1882 essi faranno la loro santa comunione con particolari preghiere per ottener da Dio che il medesimo Santo Padre abbia ancora molti anni di vita felice per il bene di santa Chiesa ed anche per l'umile nostra congregazione.
Con gratitudine profonda ho l'onore di potermi professare
Ma Don Bosco purtroppo conosceva il suo uomo. L'Arcivescovo si buttò sul rescritto di Roma, sottoponendolo a una critica minuta e acerba, che mise in carta e inviò al cardinale Nina[172]. “E che composizione! esclama a un certo punto. In essa sono fissi tassativamente il tempo e l'imperativo, l'ubbidienza e quella di tutta la docilità quanta ne posseggo. Eminenza, tra la composizione ed una decisione definitiva della Sacra Congregazione che differenza passa? Questa: Una decisione non é mai mordace verso chi é condannato. La impostami composizione mi dice humaniter excipere”. E più innanzi: “Inoltre la composizione nei termini posti non é ex bono et aequo (..) Ecco un ordine contro giustizia e credo che negli atti della Sacra Congregazione simile disposizione non trovi esempio (…) La composizione [223] imposta […] è una scappatoia che lascio ad altri il qualificarla [...]. Mi si dica chiaramente che non mi si vuole far giustizia, ma non si coprano i delinquenti con un manto che mi é più grave che una di quelle cappe, di cui parla Dante nell'Inferno [..] Si vegga tutta l'enormezza dell'atto della composizione [..] Via! non posso e non debbo credere che la Santa Sede sanzioni il contenuto della veneratissima lettera.” D'irriverenza in irriverenza arriva a questo insulto finale: “Eminenza, Ella come Cardinal Protettore della Congregazione Salesiana ha fatto bene da Avvocato per questa. Io poi debbo lagnarmi che il Protettore stesso faccia da giudice contro di me, e che stante la sua qualità e autorità di Prefetto della Congregazione del Concilio, m'imponga un ordine che dalla piena Congregazione degli Em.mi Padri non verrà mai [...]. Umil.mo Osseq.mo Servo, ecc.”
Dopo questa lettera di fuoco, quello che avvenne era da aspettarsi. Don Bonetti scrisse la sua supplica secondo i termini prescritti. Eccola nei due punti essenziali: “In ossequio alla Suprema Autorità della Santa Sede ed in segno di venerazione alla Eccellenza Vostra Reverendissima, io la supplico nuovamente che voglia avere la bontà di riabilitarrni ad ascoltare le confessioni sacramentali, non solo in tutto il resto dell'Archidiocesi di Torino, ma eziandio nella città di Chieri e nell'Oratorio di Santa Teresa. Nel tempo stesso io le dimando umilmente perdono di qualsiasi dispiacere che per qualsivoglia causa, anche contro la mia intenzione, io abbia recato all'animo della Eccellenza Vostra Reverendissima, promettendo che mi diporterò sempre verso di Lei, come si conviene ad un Sacerdote obbediente e rispettoso, secondo il dovere della mia professione religiosa.” Con questa supplica Don Bosco il 2 gennaio, accompagnato dal coadiutore Giuseppe Rossi, verso le dieci antimeridiane si portò nell'Arcivescovado e domandò l'udienza. Cediamo la penna a lui stesso, che c'informi dell'esito. Immediatamente scrisse al cardinale Nina:[224]
Ricevuta la lettera della S. Congregazione del Concilio sulla vertenza tra Don Bonetti e l'Arcivescovo Monsig. Gastaldi ho tosto fatto preparare una supplica ed io stesso la portai in persona, pronto ad affrontare qualsiasi rimprovero e strapazzatura colla dovuta calma e rispetto.
Questa mattina alle 10e mezzo mi presentai all'episcopio, e sebbene giorno di pubblica udienza, non vi era alcun forestiero nell'anticamera, perciò il Segretario Vescovile, nostro antico allievo, mi disse, che uscito un Sacerdote, anche nostro antico allievo parroco, io ci avrei potuto entrare. Esce quegli, ma si fa segno di attendere. Intanto sopraggiunge un Signore laico che é tosto ammesso. Dopo circa un'ora di anticamera, Mons. Arcivescovo mi fa dire che aveva da trattare affari col Procuratore del Re, altri affari dopo di esso doveva trattare col suo Avvocato Fiscale, che perciò non poteva per tale giorno darmi udienza.
Dimandai se Sua Eccellenza non aveva significato qualche giorno o qualche ora in cui avessi potuto ripassare. Il Segretario imbarazzato e mortificato mi rispose che no.
In quel momento ho giudicato di far consegnare all'Arcivescovo la supplica di Don Bonetti, facendogli dire che quello era l'oggetto della mia visita, e che veniva da parte di quella autorità di cui in quello scritto si parlava. Più nissuna risposta. Vedremo. Se potrò fare qualche cosa io ne dò tosto cenno all'E. V. e se mai Ella avesse qualche consiglio a darmi l'assicuro che lo seguirò fedelmente con quella calma e quel rispetto che deve usarsi verso al capo di una diocesi.
Noti che nei tempi addietro ebbi più volte l'esito medesimo, non ammesso all'udienza; in alcune volte fui ammesso, ma non ottenni altro che una delle più umilianti strapazzate.
Quasi identica esposizione ho fatto a Mons. Boccali secondo la richiesta che egli stesso mi aveva fatto.
Dio rimeriti la E. V. dei rinnovati disturbi che Ella deve sostenere per noi. Ma si assicuri che i Salesiani non le saranno sconoscenti. Essi hanno lavorato e lavorano indefessi, e continueranno a lavorare pel bene di S. Chiesa come la V. E. potrà osservare nella Relazione che spero di fare pervenire alle venerate di Lei mani come a benevolo protettore della umile nostra Congregazione.
Si degni compartirci la sua santa benedizione e gradisca l'umile omaggio delle preghiere dei Salesiani, e dei loro allievi (80.000 e presto 100.000), i quali tutti innalzano i loro voti al cielo, per ottenere da Dio sanità e lunga serie di anni felici per la E. V. Rev.ma di cui ho l'alto onore di potermi professare
La relazione a monsignor Boccali, compilata da Don Bonetti e ritoccata da Don Bosco, descrive inoltre l'ammirazione prodottasi tra i familiari dell'Arcivescovo e in altri che videro o seppero l'accaduto; accenna poi a nuove e gravi vessazioni recentissime, di cui si dirà nel capo seguente. Vi si allegò anche la copia dell'istanza di Don Bonetti. “L'una e l'altra carta, rispose monsignor Roccali[173], fu per superiore disposizione trasmessa da me alla Sacra Congregazione del Concilio: presso la quale dovrà continuare a svolgersi la causa, fallita essendo la composizione in via particolare.”
Il canonico Colomiatti e il segretario arcivescovile teologo Corno, che il 2 gennaio faceva servizio di anticamera, tentarono nel processo apostolico di dare a intendere che monsignor Gastaldi era “dispostissimo” a concedere udienza a Don Bosco, in qualsiasi ora di qualsiasi giorno. Entrambi avrebbero fatto meglio a tacere. Due cose osserva ottimamente Don Cossu[174]: “Mons. Gastaldi non ignorava lo scopo della venuta di Don Bosco[...] Ma con qual animo si dispose ad accoglierlo[...] si può indubbiamente desumere dalla lettera [...]. al Card. Nina.” No, dopo quella lettera egli non poteva essere disposto a ricevere Don Bosco né subito né mai per tale scopo. Infatti nella lettera stessa aveva dichiarato senz'ambagi: “Per altro io, finché specialissimi privilegi non siano loro [ai Salesiani] concessi, non posso per dovere e per diritto di autorità Vescovile di cui benché indegno sono insignito, sottoscrivere alla composizione, nella quale non é servato utriusque decore.”
La causa fu dunque riproposta il 28 gennaio 1882. Al dubbio se la sospensione o divieto di udire le confessioni fosse da confermare o da infirmare nel caso, gli Eminentissimi risposero Negative per la prima parte, Affirmative per la [226] seconda, et ad mentem. E la mente era che l'Arcivescovo venisse ammonito severamente in nome e per ordine della Sacra Congregazione per l'inconsulta lettera [severe moneatur nomine et iussu S. Congregationis ob inconsultam epistolam] mandata il 31 dicembre 1881 all'Eminentissimo Cardinale Prefetto, lettera che la Sacra Congregazione gravemente riprovava [quam epistolam S. Congregatio graviter improbat]. L'avvocato Leonori nel dare notizia del risultato scriveva a Don Bonetti[175]: “Mi pare che possa essere contento [...].
Non cesserò però mai colla libertà dell'Avvocato raccomandare la massima riservatezza e prudenza. Scusi, ma io voglio bene assai a Don Bosco.”
La comunicazione ufficiale all'Arcivescovo fu fatta il 31 gennaio[176]. Tosto Don Bonetti scrisse la buona notizia a Don Bosco, che si trovava in Francia[177]. Monsignore non si arrese, ma interpose appello il che importava una nuova udienza della Sacra Congregazione e la sospensione degli effetti della sentenza. Così Don Bonetti rimaneva nella sua pena e sotto l'incubo dei cattivi sospetti concepiti sul suo conto. Per questa ragione supplicò il cardinale Nina che, se la causa si dovesse riproporre, si facesse al più presto possibile[178]. Il 12 aprile rinnovò le insistenze in una lettera a Don Bosco, giunto a Roma: “Prego Vostra Paternità che voglia anche ricordarsi di me. Io sono da 4 anni punito a nome della Chiesa e contro le sue leggi. Sino a quando dovrò rimanere così? Io sono stanco e domando pietà.” Ma secondo la procedura, non si poteva ripresentare la causa, finché non fossero decorsi tre mesi. L'ultima sentenza, e veramente definitiva, sarebbe stata emanata in maggio, se il Papa, come abbiamo accennato poc'anzi e come presto vedremo, non avesse avocata la causa a sé.
Noi siamo entrati nel periodo più tragico della vita di Don Bosco. Gravissime tribolazioni non si succedettero l'una all'altra, ma si accumularono contemporaneamente sul suo capo. Solo un uomo tutto di Dio poteva reggere a tanti contrasti. Era proprio la lotta per la esistenza. Pur non volendo dare peso alla voce corsa allora che si mirasse a distruggere la Congregazione, una cosa é certa, che l'infamia non avrebbe colpito soltanto il nome di Don Bosco, ma ferita anche a morte la Società da lui fondata. Non pochi ne sarebbero usciti e tanti altri non vi sarebbero più entrati. Fra questo pericolo e con l'onta dello scredito in faccia al mondo, vi era più che a sufficienza per causarle una fatale rovina.
A bello intanto vedere come anime umili e buone, conoscendo le sue pene, indirizzassero a Don Bosco parole di cristiano conforto. Un giovane prete, cooperatore salesiano, gli scriveva da Roma[179]:
“Divido con Lei tutte le sciagure che toccarono ai Salesiani da undici anni. Dio che ha disegnato di formare della Congregazione Salesiana un grande e forte strumento di apostolato, ne bagna le fondamenta [228] coll'acqua della tribolazione […] Dio ha permesso che i Salesiani avessero a trovare nel loro naturale protettore un avversario potente. Dio conosce tutti i perché, e alla Congregazione Salesiana il trionfo che tarda non mancherà.” Anche una cooperatrice parlando a nome di altre cooperatrici di Acqui, toccò note delicate[180]: “Apprendiamo con dolore che molti nemici muovono guerra a Lei e alle sante opere sue; ma, per altra parte, a mostrarle come il nostro cuore cerchi di informarsi ai principii e, sentimenti suoi, bisogna che confessiamo che tali guerre invece di scoraggiarci, c'infondono maggiore animo, fanno ardere di zelo i nostri cuori, ci persuadono sempre più che il Signore gradisce le opere sue e servono a consolarci, come consolavano Santa Teresa, la quale addoloravasi quando non era combattuta, perseguitata.”
Più volte abbiamo fatto menzione di opuscoli e relative controversie; ora é venuto il momento di ragionarne per disteso, poiché anche questa questione s'intreccia con le precedenti.
Nel 1878 apparve in Torino, edito dalla tipografia Bruno, un libretto intitolato Strenna pel Clero, ossia Rivista sul Calendario Liturgico dell'Archidiocesi di Torino per l'anno 1878, scritta da un Cappellano. L'anno dopo la medesima tipografia ne lanciò un secondo dal titolo L'Arcivescovo di Torino, Don Bosco, e Don Oddenino ossia Fatti buffi, serii e dolorosi raccontati da un Chierese; il qual Chierese appié della prefazione si sottoscrive Un capo di famiglia. Su queste due pubblicazioni non abbiamo qui nulla da aggiungere a quanto ne dicemmo già altrove.
Una volta cominciato, si continuò, ché la materia non mancava. Nel medesimo anno 1879, sempre a Torino, ma dalla tipografia Fina, uscì un terzo opuscolo intitolato Piccolo Saggio sulle dottrine di Monsignor Gastaldi Arcivescovo di [229] Torino; autore, Il Cappellano. Una lunga Introduzione fa in stile bernesco la critica di alcuni atti arcivescovili ed enumerando i migliori sacerdoti perseguitati da monsignor Gastaldi, mette per ultimo “il più umile, mansueto ed operoso fra i sacerdoti torinesi, Don Bosco”. La parte principale del libro si diffonde a confutare con dottrina soda e con ricca erudizione ventiquattro teorie estratte da vari stampati di Sua Eccellenza. Seguono quattro Appendici nel tono dell'Introduzione. La prima si aggira intorno a certe tendenze liberalesche professate dal Gastaldi, quand'era semplice canonico. La seconda narra come finì per opera di Monsignore il Convitto Ecclesiastico, recando una larga citazione cavata dal Bollettino Salesiano sulla storia dell'importante istituto[181]; e qui l'anonimo autore ricorda che Don Bosco fu nel Convitto, discepolo di Don Cafasso e che più volte egli fu udito dire:
- Se ho fatto qualche cosa di bene lo debbo a Don Cafasso, nelle cui mani rimisi ogni mia deliberazione, ogni studio, ogni azione della mia vita. - La terza Appendice riproduce la Circolare arcivescovile del 4 agosto 1877, in cui si deprime lo stato religioso in genere, ma con allusioni a Don Bosco, quasi stornasse di proposito i giovanetti dai seminari diocesani di Giaveno e di Bra, e per questo il Cappellano ironicamente commenta: “Quando si ha bisogno di malignare contro taluno[182], si può benissimo far qualche confusione e strappare Vangelo, storia, tradizione ed altro ancora.” La quarta fa la storia dell'oratorio chierese di Santa Teresa, accoppiandovi un entusiastico scritto del canonico Gastaldi sull'Oratorio di Valdocco e stampandone in caratteri cubitali l'apostrofe finale[183], che giova riportare: “Salve perciò, o nuovo Filippo, salve, o Sacerdote egregio: il tuo esempio, deh! trovi molti imitatori in ogni città; sorgano per ogni parte sacerdoti a premere le tue orme; aprano ai giovani de' sacri recinti, [230] dove la pietà si circondi di onesti sollazzi; ché solo in tal modo si potrà guarire una delle piaghe più profonde della società civile e della Chiesa, che é la corruzione dei giovani.”
Finalmente il solito Cappellano, quale, numero per l'anno secondo della Strenna pel Clero, coi tipi del Bruno e cor la medesima data dell'opuscolo precedente, marzo 1879, ne mise fuori un quarto intitolato La Questione Rosminiana e l'Arcivescovo di Torino. Di suo però egli non ha che una breve Prefazione, una Conclusione un po' più lunga e qua e là appié di pagina note piccanti o trammezzati al testo rapidi spunti polemici. Il grosso del volume riunisce e ripubblica una serie di botte e risposte scambiatesi fra monsignor Gastaldi o suoi partigiani in rosminianismo e lo storico Don Pietro Balan in un'ardente polemica rosminiana, cominciata nell'Unità Cattolica, ripresa dal teologo Biginelli nel rosminiano Ateneo di Torino e condotta ad oltranza dal Balan nell'Osservatore Cattolico di Milano. Nell'ultima parte il compilatore riesuma e riassume un gruppo di articoli pubblicati dal canonico Gastaldi nel Conciliatore del 1848 e '49 in difesa del libro di Rosmini Le Cinque Piaghe della Chiesa, non ancora condannato da Roma. Anche in questo opuscolo s'incontrano accenni a Don Bosco. Una nota a pagina 79 ricorda la questione per La Nuvoletta del Carmelo[184]; in un'altra a pagina 94 si dice che la diocesi di Torino é “scandalizzata, perché sa che un fondatore e superiore di una Congregazione religiosa approvata da Pio IX é perseguitato crudelmente”; nell'Avvertenza premessa alla terza parte, riferendosi a parole di monsignor Gastaldi, che affermava d'aver conosciuto nel Rosmini un sacerdote santo e pio, l'autore, rimandando all'elogio di Don Bosco riportato nell'opuscolo antecedente, ribatte:
“Anche un altro sacerdote ancor vivente fu conosciuto e giudicato da lui santo e pio; ciò non di meno se io e voi non avessimo altre prove che [231] questo sacerdote esimio é veramente tale , oggidì non potremmo più aggiustargli credenza, perché col trascorrere del tempo Gastaldi mutò di pensiero, ed ora lo dice superbo, ignorante e peggio.”
Anche nel primo opuscolo Don Bosco era menzionato più volte, come indicammo nell'altro volume; nel secondo poi il titolo parla da sé. Ci era necessario porre in rilievo il continuo chiamar fuori Don Bosco, perché questo serve a meglio lumeggiare i fatti che seguirono. Un'altra osservazione é bene fare. Monsignor Gastaldi chiamò sempre libelli famosi o infamatorii questi opuscoli; ma il Teologo Censore della Sacra Congregazione dei Riti, deputato all'esame degli scritti riferentisi alla controversia fra l'Arcivescovo e il Servo di Dio, ritenne che non sarebbe neppur giusto qualificarli senz'altro per tali[185]. Ed ora vediamo le croci toccate a Don Bosco per queste malaugurate pubblicazioni.
In Curia, com'era naturale, si smaniava di scoprire la fucina da cui emanavano scritti così roventi; poiché a un semplice confronto non apparivano opera di un solo, sebbene unico potesse dirsene l'ispiratore, colui che si qualificava per Il Cappellano. Le indagini furono orientate verso l'Oratorio e fatte convergere su Don Bonetti e su Don Bosco. Quante arti non s'impiegarono per istrappar loro una riga o una parola che li compromettesse! Per questo appunto si esigeva da Don Bosco che domandasse venia del secondo opuscolo, sconfessandolo; se egli pro bono pacis vi si fosse indotto, avrebbe dato appiglio all'accusa di essere reo confesso per uno e indiziato di corresponsabilità negli altri. Ma la sua prudenza non gli permise mai di piegarsi a tale ingiunzione. In seguito il Colomiatti, che in quella inchiesta agiva, nella qualità di giudice delegato per istruire il processo, mostrò di contentarsi che Don Bonetti lasciasse travedere se aveva sospetto su qualcuno; ma Don Rua, che faceva le parti di [232] Don Bosco e di Don Bonetti assenti, lo dissuase da simile pretesa[186].
Già nella lettera del 29 dicembre 1880[187] al cardinale Caterini monsignor Gastaldi aveva espresso il suo convincimento che Don Bonetti, se non autore, fosse stato cooperatore nella compilazione di quel secondo opuscolo; donde ne inferiva la colpevolezza anche per gli altri, nel cui stile si appalesava, a parer suo, identità di origine. Perciò dichiarava senza la menoma esitazione: “Mi sento in dovere di procedere contro Don Bonetti e contro Don Bosco, che quale Rettore Maggiore della Congregazione deve conoscere ogni cosa al riguardo e quindi avrebbe potuto impedire tanto scandalo e dovuto castigare chi di ragione, facendo constare a me del castigo.” Poi, caricando le tinte, ripigliava: “Eminenza Rev.ma, il fatto é gravissimo; perciò faccia V. E. che in debito modo si ripari al male operato col libello dai Salesiani compromessi nel medesimo. Ho fiducia che la Sacra Congregazione coglierà questa mia domanda e farà l'interesse della dignità Episcopale violata con vitupero, provvedendo secondo giustizia.”
Per accertarsi bene del passo che stava per dare, fece leggere al Procuratore del Re avvocato Demissoglio i famosi libelli, pregandolo di esaminarli e di vedere se ci fossero gli estremi per intentare un processo criminale a Don Bosco o a chi li avesse scritti. Il magistrato, esaminabili, gli disse: - Certo, materia di processo vi si può trovare; ma non c'é poi nulla di vero in tutte queste imputazioni?
- Naturalmente, rispose Monsignore, certi fatti potrebbero essere interpretati diversamente... Vi é dell'equivoco... Certe cose non potrebbero negarsi.
- Allora lasciamo stare, replicò quegli, non destiamo un vespaio, dal quale non potessimo uscire con onore.[233]
Intanto le inquisizioni procedevano. L'II e il 13 luglio 1881, il Cancelliere della Curia, canonico Chiuso, e l'Avvocato fiscale Colomiatti, fatto chiamare Don Turchi, rettore allora dell'Istituto dei ciechi e allievo dell'Oratorio, lo sottoposero a un minuto interrogatorio sulla colpabilità di Don Bosco nella pubblicazione dei libelli. Al medesimo fine il giorno 12 era stato invitato in Curia l'ex - gesuita padre Pellicani. Ma qui siamo di fronte a un episodio alquanto complicato e di gravi conseguenze.
Nel 1880 il padre Luigi Leoncini delle Scuole Pie, recatosi da Savona a Torino, visitò l'Arcivescovo, al quale disse di essere a conoscenza di un fatto, che giudicava conveniente rendergli noto. Tempo addietro avendo egli avuto in Piacenza vari colloqui col padre Pellicani, questi gli aveva narrato come cosa indubitabile di essere stato da Don Bosco spinto a scrivere contro monsignore Gastaldi, con promessa di fornirgliene i materiali; che il Pellicani protestava di non aver ceduto a tale invito; che invece egli Leoncini, confrontando la Strenna Pel Clero con un libro pubblicato allora dal Pellicani, vi scorgeva la mano stessa che nell'altro e si credeva in diritto di conchiudere avere il Pellicani fatto buon viso all'incitamento ed essere l'autore nascosto sotto quel generico Il Cappellano. Monsignore non dimenticò la preziosa informazione; onde il 6 giugno 1881 chiese per lettera allo Scolopio se confermava il già detto, assicurandolo che con questo gli avrebbe reso un servizio, di cui gli sarebbe molto riconoscente[188].
Il padre Leoncini gli rispose a giro di posta, parlando non più di un opuscolo, ma degli opuscoli anonimi scritti contro monsignor Gastaldi e dicendo che il padre Pellicani dopo averglieli fatti leggere gli aveva raccontato come Don Bosco un tempo avesse esortato e pregato lui a scrivere cose [234] simili contro l'Arcivescovo di Torino, ma che, sembrandogli tale incarico pericoloso, per liberarsene senza offendere il committente, aveva risposto mancargli i materiali necessari per comporre tali scritture; che allora da Don Bosco gli si era dichiarato esser pronto egli stesso a procurargli tutti i materiali di cui abbisognasse, e che di lì a qualche tempo, incontratosi con Don Bosco, aveva saputo dal medesimo, che dopo il suo rifiuto aveva trovato chi si era assunto il compito e l'incarico di comporre i desiderati opuscoli. Il padre Pellicani, chiamato in Curia all'improvviso, attestò con giuramento la veracità della delazione; poscia la lettera dello scolopio e la testimonianza dell'ex gesuita, non mai però il testo preciso della sua deposizione giurata, furono mandate a Roma, dove costituirono il fulcro principale dell'accusa.
Don Bosco, saputa alcuni mesi dopo la cosa, mandò a chiamare il Pellicani, gli fece coscienza dell'ingiustizia a cui aveva cooperato e lo persuase a smentire quella falsità; ma poi, non contentandosi di parole che volano, gl'inviò uno scritto che dovesse restare, e in cui esponeva la genuina verità del fatto[189].
Molto Reverendo Sig. D. Pellicani,
Ho fatto riflessione su quanto si riferisce nella esposizione del nostro colloquio, e per tutto quello che ho potuto richiamare alla memoria credo che con sicurezza storica debba scriversi come segue:
Ella venne all'Oratorio a motivo delle sue Opere stampate o in corso di stampa. Nel discorrere si vennero a lamentare alcuni fatti relativi al nostro Superiore ecclesiastico. La S. V. disse essere utilissima cosa il darne comunicazione al S. Padre. Io risposi: - La S. V. potrebbe ciò fare, avendone tempo e capacità. - Ecco tutto.
Può darsi che siansi usate altre parole, ma il senso é preciso. Giudico opportuna tale rettificazione, perché dalle indagini che si vanno facendo da Mr Arcivescovo é molto probabile che io sia obbligato di invitarla a fare novella deposizione. Ella potrebbe dire [235] che avendo fatto più attenta considerazione sul colloquio avuto tra noi si trova in dovere di modificarlo come sopra.
Gradisca i sentimenti della mia stima e mi creda
Il giorno precedente a questa data l'Avvocato fiscale della Curia era partito per Roma. Dietro la sua corrispordenza con Monsignore seguiamolo passo passo nelle sue visite a Cardinali e Prelati e ad altri personaggi. Il 14 ottobre scrisse: “Questa mattina, recatomi in Vaticano, col Segretario del Card. Jacobini fu stabilito che in questa sera stessa sarei ricevuto da S. Em.za. Mi recai pure dall'Avv. Achille Carcani, il quale vide le carte della questione - complicità Don Bosco circa i libelli - e rimase gravemente sorpreso del modo di agire di Don Bosco. Siccome egli sarà in questo affare giudice relatore, mi pregò di non interpellarlo intorno al suo giudizio; mi mandò per altro da un suo amico, avvocato criminale molto stimato, Avv. Sinistri, affinché avessi da costui ogni norma al riguardo.” Giorno 16: “Venerdì (14 del corrente) a notte mi recai dal Card. Jacobini, ed ebbi appena consegnata a lui la lettera di V. Ecc. ed il danaro di S. Pietro, quando il Papa lo mandò a chiamare. Il gent.mo Card. mi pregò di ritornare nel giorno appresso ed alle prime ore notturne. Ritornato, gli esposi, anche a lungo, tutta la questione - Don Bonetti e Don Bosco. -- S. Em. al leggere la lettera del P. Leoncini, ne vide la gravità e mi chiese se non avessi di già parlato col Card. Ferrieri al riguardo. Io gli risposi che ne aveva fatta parola al detto Card. nel mattino stesso di quel giorno e che il Card. Ferrieri mi disse non rimanere sorpreso pel fatto criminoso addossato a Don Bosco dal P. Leoncini, perché nelle varie questioni agitate a suo riguardo nella S. Congr. dei VV. e RR., l'ebbe a conoscere per un uomo con cui non si può trattare; e che era bene si facesse in proposito il processo informativo in Curia al fine [236] di smascherarlo. Eravi col Card. Mons. Agnozzi, Segretario della stessa S. Congr. All'udire ciò, il Card. Jacobini mi soggiunse: - Io sarei del medesimo avviso anche al fine che si raccolgano i necessari documenti e si stabiliscano bene in contraddittorio di Don Bosco nella speranza che egli vorrà piegarsi a riconoscere l'autorità.” Giorno 17:
“Questa mattina ebbi la dolce consolazione di prostrarmi ai piedi del Santo Padre e baciarli […]. Prima mi ero recato dal Card. Nina, il quale, al leggere la lettera del P. Leonciní, ripeté: - Possibile, possibile! - Quindi disse: - Sarà ... ; perché veggo qui la lettera originale. - Gli osservai che i documenti, comprovanti la complicità di Don Bosco riguardo ai libelli non sarebbero venuti a luce, qualora Don Bosco non avesse fatto come ha fatto nelle trattative di componimento. - Ora poi (continuai ad osservare) siccome Don Bosco, che non ignora alcuni di tali documenti, invece di rimettersi a Mons. Arcivescovo, dice che é calunniato, Mons. Arcivescovo è obbligato a difendersi coll'addurre i necessari documenti. Di qui é che il Card. Ferrieri ed il Card. Jacobini edotti in proposito, mi dissero essere necessario che si istruisca il processo informativo. - Il Cardinale Nina, udito tutto ciò, soggiunse: - Io non ho che opporre, é giusto che così si faccia. Mi scriva poi intorno a quanto si andrà svolgendo in tale processo. - Come vede, Ecc. Rev.ma, sta bene che la questione si trovi ora in tali termini per il trionfo della verità e della giustizia e per ottenere una volta per sempre che i Salesiani si mettano nella dovuta soggezione.” Giorno 19: “Vengo dall'Avv. Giovanni Sinistri, un avvocato che apparteneva al Tribunale laico Pontificio di Roma, sezione criminale, e che dall'attuale governo non accettò impiego di sorta. Gli presentai gli atti di già seguiti in Curia riguardo alla causa - Don Bosco e Salesiani; e li trovò in regola e rispose soddisfacentemente ai dubbi o alle domande che gli feci circa quanto vi é ancora a compiersi per tale processo. Io rimasi contento di lui, tanto più perché egli, ove nello [237] svolgimento del processo io abbia bisogno di qualche suggerimento e nella sentenza abbia bisogno di qualche parola sicura, mi disse di ricorrere con scritto a lui. Egli stesso poi, nel caso che Don Bosco sì appellasse dalla sentenza, ne prenderebbe la difesa; e il suo nome è rispettato e fa autorità presso la S. Congr. dei VV. e RR., in cui é, giudice relatore in materia criminale l'Avv. Carcani, dal quale mi fu proposto. Così mi sono munito sotto ogni aspetto, anche perché i Salesiani qui vanno già stampando la posizione della causa[190]; donde non vogliono componimenti di sorta: e fiat così; è meglio così! […]. L'avere io parlato ai personaggi, di cui scrissi e in questa mia e nell'altra a V. Ecc. e uditone il parere; l'avere io diviso in tre la questione (onde, questione Bonetti al Concilio questione di quesiti di massima ai VV. e RR. e questione di processo criminale) gli [all'avv. Menghini] fece dire che così andava bene, tutto era sicuro: divide et impera.”
Massima preoccupazione del Colomiatti dopo il suo ritorno a Torino fu di procacciare le prove della reità di Don Bosco. Riuscite vane le torture morali, a cui erano stati messi parecchi sacerdoti, fra cui Don Vincenzo Minella e il canonico Matteo Sona, perché deponessero contro i Salesiani, la Curia subornò un Ispettore[191] della Questura torinese, il quale di sua testa e all'insaputa del Questore si diede alacremente a inquisire. Non si risparmiarono mezzi polizieschi, finché i sospetti caddero su d'un operaio tipografo, già allievo dell'Oratorio. Satelliti sconosciuti gli piombarono più volte in casa durante la sua assenza e ne tempestarono la moglie con domande suggestive: chi frequentasse la famiglia, con chi bazzicasse suo marito, se questi avesse relazione con preti e quali. Cercavano anche d'intimidirla con la minaccia di catturarle il marito, se non isvelasse tutto quello [238] che sapeva. Ma poiché non riuscivano a cavare un ragno dal buco, ecco il 23 ottobre l'Ispettore di Pubblica Sicurezza chiamare al suo ufficio il pover'uomo e sottoporlo a un lungo interrogatorio: parole villane, minacce di processo e di prigione, promesse di ricompense, tutto fu adoperato, come se si trattasse di un volgare delinquente caduto nelle branche della Polizia, pur di strappargli dalla bocca quello che altri voleva. Don Bosco non abbandonò senza difesa il suo antico allievo, che fece a lui ricorso; scrisse infatti all'Ispettore:
Illustrissimo Sig. Ispettore di Pubbl. Sicurez. di Borgo Dora,
In questo momento giunge il Sig. Brunetti Ferdinando pallido e tremante per le ripetute visite fatte al suo domicilio in modo minaccioso a segno, che la stessa sua moglie ebbe a soffrirne assai. Credo opportuno notificare per istruzione di V. S. che il sopranominato Brunetti fu cinque anni allievo di questa Casa con irreprensibile condotta, e che da 22 anni che vive fuori di questo istituto fu sempre conosciuto onesto e laborioso operaio che si é sempre guadagnato il pane col sudore di sua fronte. Perciò si raccomanda rispettosamente, ma con calda istanza, che gli sia tutelata la libertà di domicilio garantita dalle vigenti leggi, e gli siano allontanate le incessanti molestie di gente sconosciuta che si va introducendo in sua casa.
Don Bosco mandò anche a domandare spiegazioni in Questura; ma il Questore non ne sapeva nulla né molto probabilmente avrebbe consentito a' suoi subalterni d'immischiarsi in operazioni che non erano di loro spettanza. L'operaio ben conscio di non aver che fare con la Polizia, per liberarsi da tali molestie scrisse sul principio di novembre al Ministro di Grazia e Giustizia; quando poi gli capitò in casa un poliziotto vestito da prete e qualificatosi per Salesiano, allora non poté difendersi dal dubbio che colui avesse indossato la tonaca perché indebitamente autorizzato dai Superiori ecclesiastici, e pieno di esasperazione scrisse al Papa[192]. [239]
Ma in questo brutto negozio chi più d'ogni altro aveva il dovere di spiegarsi, era il padre Pellicani. Orbene egli il 23 novembre si ripresentò al Colomiatti per chiarirgli la sua deposizione antecedente; anzi gli rilasciò la lettera di Don Bosco. L'Avvocato fiscale ne riferì in questi termini all'Arcivescovo che si trovava a Roma: “Ieri si portò all'ufficio il P. Pellicani, il quale riconfermò la sua deposizione antecedentemente fatta; e, più, ebbe a deporre che Don Bosco cercò di fargli cambiare la deposizione sia parlandogli che scrivendogli. Il P. Pellicani mi consegnò una tale lettera. Oh! mores! oh! tempora! La presente deposizione del P. Pellicani non potrebbe essere più fatale contro Don Bosco. Anzi il detto P. Pellicani disse che pure P. Franco Secondo fu istigato da Don Bosco a farsi scrittore di libelli contro V. Ecc. Rev.ma; egli però, come il P. Pellicani, rifiutò la proposta. Quindi io ho citato il P. Franco per lunedì prossimo.”
Cosa singolare! Questa deposizione del Pellicani era la prova più formidabile per gettare sul Servo di Dio la macchia di complicità nella questione dei libelli; eppure non se ne conobbe mai il vero tenore. Financo nei processi per la Beatificazione il Colomiatti si contentò di chiamarla “contraria a Don Bosco”, ma non ne riferì nemmeno la sostanza, non che produrre il testo. E del padre Franco chi sentì più a parlare in tutto il seguito della controversia? La testimonianza di un tanto uomo avrebbe schiacciato per sempre il presunto mandante. Ma, se interrogatorio vi fu, il padre Franco, da quell'uomo superiore quale tutti lo conoscevano dovette aver confuso in siffatta guisa il suo inquisitore, che né allora né poi durante i Processi fece mai più motto di lui; se poi interrogatorio non vi fu e il Colomiatti rinunziò alla citazione, vuol dire ch'egli n'aveva ben donde. Del resto che un Don Bosco a un padre Franco abbia fatto una proposta simile e che nella peggiore delle ipotesi questi ne abbia propalato la notizia parlando con il suo ex confratello, sono cose di tanta e tale inverosimiglianza che l'averne supposta la [240] possibilità é indizio per lo meno di mente inferma. La spiegazione più plausibile di ciò che l'Avvocato fiscale scrisse a Monsignore é che il Pellicani abbia parlato in un senso e il Colomiatti abbia voluto intendere in un altro a sé favorevole; del che avremo tosto una luminosa conferma.
Nella citata lettera il Colomiatti continuava: “Per altro V. Ecc. vede che al presente non si deve dire parola a chichessia della accennata deposizione del P. Pellicani, perché, se essa sta sub secreto, Don Bosco non cercherà un ripiego contro la medesima. Invece ove venisse palesata a chichessia, tosto verrebbe alle orecchie di Don Bosco, e costui non risparmierebbe mezzi per difendersi. Pertanto permetta, Ecc. Rev.ma, che io La preghi a non farne motto con qualsiasi Cardinale o con altri a Roma.” Meticolose precauzioni dettate dalla paura di dovere quandochessia mettere le carte in tavola e rimanere scorbacchiato.
All'orecchio di Don Bosco qualche rumore venne di questi armeggii; onde sullo scorcio di novembre o sul principio di dicembre (la copia della lettera non porta data) scrisse al Santo Padre.
Mentre sono occupato a preparare una nuova spedizione di Missionari Salesiani per l'America e sopratutto per la Patagonia[193], vengo a sapere di una certa recriminazione fatta alla Santa Sede contro di me e della nostra povera Congregazione dal Rev.mo Mons. Lorenzo Gastaldi Arcivescovo di Torino, in riguardo di alcuni opuscoli pubblicati da autori anonimi. Mons. Arcivescovo accuserebbe me ed i Salesiani quali autori di quelle pubblicazioni e mi si dice che la sentenza debbasi proferire entro pochi giorni. Siccome non posso avere una giusta cognizione delle imputazioni, ed essendo assicurato che tutto si appoggia ad alcune congetture ed osservazioni, così io non posso dare i dovuti schiarimenti, e quindi sono nella impossibilità di poter difendere né me, né la mia Congregazione, secondo l'obbligo mio di coscienza. Per la qual cosa supplico che nella Cong. del 17 corrente si porti giudizio solamente sulla vertenza di Don Bonetti riguardo alla sua sospensione, e di essere ascoltato prima che si [241] addivenga ad un definitivo giudizio sopra le imputazioni, prive affatto di fondamento, di complicità nella pubblicazione de' mentovati opuscoli. Intanto comincio dal dichiarare che io non ho preso parte alcuna né direttamente né indirettamente alla pubblicazione di quegli opuscoli, i quali non ho neppur letti. Due cose solamente io so in riguardo dei medesimi, cioé che trattano di alcune dottrine di Mons. Arcivescovo intorno a Rosmini, e che Mons. medesimo tempo fa volle ch'io facessi una dichiarazione per disapprovare, anzi condannare quegli opuscoli. Ma da relazioni avute sapendo che le cose in essi contenute non sarebbero state disapprovevoli, ma lodevoli siccome conformi alla dottrina cattolica e ad opinioni, che godono giustamente il favore della Santità Vostra, io ricusai di apporre la mia firma a qualsiasi dichiarazione in contrario, e non permisi che alcuno dei miei ve l'apponesse, e ciò pel timore di disapprovare quello, che forse sarebbe stato approvevole. Credo quindi che per questo mio rifiuto Mons. Arcivescovo abbia concepito il sospetto che gli opuscoli fossero usciti da me o dai Salesiani.
Santissimo Padre, io sono pronto a condannare e disapprovare qualunque cosa contenuta in quei libri, giudicata condannabile o disapprovevole dalla Santa Sede. Anzi siccome quei libri furono e sono tuttavia letti da molti ed hanno suscitato dei dubbi intorno ad alcuni importanti punti di dottrina, così io supplico umilmente ma istantemente la Santità Vostra, che voglia farli esaminare, e dare apposito giudizio per norma di chi li ha letti o li avesse a leggere.
Nella fiducia che la S. V. colla sua solita bontà e carità voglia accogliere la preghiera che umilmente Le porgo, mi unisco a tutti i religiosi Salesiani per prostrarmi ed invocare la Santa Apostolica benedizione dalla Vostra Santità di cui mi glorierò sempre di essere
Privatamente Leone XIII, presentandosi qualche occasione, manifestava senza eufemismi il suo pensiero; così fece col barone Héraud, l'insigne cooperatore salesiano di Nizza Mare. Recatosi egli a Roma per fare la sua quindicina di servizio come Cameriere di spada e cappa, il 30 novembre fu ammesso a un'udienza privata, nella quale presentò al Santo Padre gli omaggi di Don Bosco. Il Papa sorrise all'udirne il nome, e disse: - Ah, Don Bosco che fa... e come fa...
- La Provvidenza é con lui, Padre Santo, rispose il Barone.[242]
- Mi saprebbe Lei dire, ripigliò il Papa, perché ha dei fastidi in Torino?
- Eh! Santo Padre, i suoi privilegi adombrano il prossimo.
- Tutto l'Episcopato, notò Sua Santità, e il Clero, al quale forma membri, é per lui, ad eccezione d'un solo....Ma perché questo?... Già, lo vedo, c'é un po' di gelosia [“proprio parola del Santo Padre”, commenta il Barone fra parentesi]... Già, già! Sì, lo benedico, come benedico tutte le sue opere ed in modo particolare quella intrapresa in Roma[194].
Monsignor Gastaldi era andato a Roma, come dicevamo, per le canonizzazioni dell'8 dicembre; ma il suo viaggio non aveva quel solo scopo. Infatti, incontratosi ivi con monsignor Ronco, nuovo Vescovo di Asti; gli disse: - Son venuto qualche giorno prima a Roma, perché vi ho qualche causa a sostenere nelle Congregazioni. Monsignore saprà di quegli opuscoli, che si stamparono in Torino; ebbene verrà dimostrato chiaramente e indubitatamente esserne autore Don Bosco.
- D'un simile parlare il suo Suffraganeo, che conosceva bene Don Bosco, rimase scandolezzato[195].
Di tale quistione degli opuscoli urgeva intanto sbarazzare il terreno, perché procedesse libera da intoppi la causa della sospensione, che doveva trattarsi fra breve; quindi Don Bosco, ricevuta dall'avvocato Leonori e letta una copia della difesa preparata dall'avvocato Menghini e visto che vi si facevano entrare i libelli, mandò un'esauriente esposizione del suo modo di vedere al cardinale Nina.
Mentre sono occupato a preparare una nuova spedizione di Missionari per l'America del Sud e per la Patagonia, i quali partono oggi stesso da Torino, mi viene comunicata la scrittura dell'Arcivescovo di Torino relativa alla vertenza tra lui e il Sac. Giovanni Bonetti, [243] membro della Congregazione Salesiana. In detta scrittura rilevo con mia sorpresa che il Rev.mo Arcivescovo, invece di limitarsi a produrre argomenti in prova della liceità della sospensione inflitta al prelodato Sacerdote Salesiano, involge nella questione me stesso e l'umile Congregazione Salesiana, accusandoci della pubblicazione di alcuni opuscoli che non vi hanno nulla a che fare, appoggiato a sole congetture e asserzioni prive di fondamento.
Siccome la causa deve trattarsi in pieno consesso degli Em.mi Padri il 17 del corrente, e in sì breve spazio di tempo e in mezzo alle gravi cure che mi dà in questi giorni la suddetta partenza di Missionari, non mi é possibile di dare tutti i dovuti schiarimenti né difendere me ed i miei sudditi secondo il mio obbligo di coscienza; così domando umilmente che la Sacra Congregazione voglia nella prossima sua adunanza portare l'alto suo giudizio solamente sul punto della sospensione inflitta da circa 3 anni al Sac. Bonetti, e non sulle imputazioni che le sono estranee.
Questa mia domanda parmi ragionevole: 1° Perché i detti opuscoli non furono causa della sospensione che diede motivo a questa vertenza, perché in allora non esistevano ancora. 2° Perché da quanto riferiscono quelli che li hanno letti, essi non contengono nulla né contro la fede né contro i costumi né contro la disciplina ecclesiastica; anzi si dice che sono ortodossi e combattono solo certe dottrine e certi atti per nulla conformi alle savie intenzioni della Santa Sede. 3° Perché per giudicare rettamente che chi ha preso parte alla loro scrittura e pubblicazione sia colpevole o no, é necessario di prima sapere se i medesimi sieno buoni o cattivi. Tempo fa Mons. Arcivescovo pretese che io facessi una dichiarazione per disapprovarli, anzi condannarli; ma nel timore appunto di disapprovare quello che sarebbe stato approvabile, io ricusai di apporre la mia firma a qualsiasi dichiarazione in contrario e non permisi che alcuno dei miei ve l'apponesse, cosa che indispettì altamente l'Arcivescovo.
Siccome questi opuscoli furono e sono tuttavia letti da molti ed hanno suscitato dei dubbi di coscienza, così ho intenzione di scriverne a Sua Santità e pregarla umilmente che voglia farli esaminare, e dare un apposito giudizio per norma di chi li ha letti o li avesse a leggere.
Intanto come di volo comincio a dichiarare che io non ho preso parte alcuna nella composizione e nella pubblicazione di quegli opuscoli, e non ho dato alcun ordine in proposito.
Indi protesto contro il racconto riferito nel documento che si legge a pagina 47 della detta scrittura dal Rev.mo contradditore. Quel racconto é stato sostanzialmente travisato. Ed ecco invece come é la cosa.
Qualche tempo fa il Padre Antonio Pellicani ex gesuita, essendo venuto nella nostra tipografia di Torino per farvi stampare qualche [244] sua operetta, si portò in mia camera. Nella conversazione il discorso cadde su certi fatti notorii nell'Archidiocesi, i quali facevano sparlare e non parevano tornare alla maggior gloria di Dio e al bene delle anime. Il Padre Pellicani disse: - Sarebbe bene raccogliere questi fatti e scriverli al Santo Padre, affinché fosse appieno informato come vanno le cose, e possa portarvi rimedio. - Io gli dissi: - Padre, Lei ha tempo, ne scriva Lei stesso a Sua Santità. - Ecco tutto. Ho detto che scrivesse, sì, ma al Santo Padre. Perciò non é vero che io abbia esortato e pregato il Pellicani a scrivere e pubblicare libelli; non é vero che avvenuta quella pubblicazione, ed incontrato il Padre, io gli abbia detto che dopo il suo rifiuto aveva trovato chi si era assunto il compito e l'incarico di comporre i desiderati opuscoli. Basta avere anche solo un po' di buon senso per tosto persuadersi che posto anche il fatto come viene riferito, io non sarei stato così bonomo di parlare in quel modo coll'ex gesuita o a qualsiasi altra persona,
Quindi che giudizio portare della lettera del Padre Leoncini delle Scuole Pie? L'uno dei due: o egli ha travisato o frainteso il racconto del Pellicani; oppure questi, saputo che alcuni facevano lui medesimo autore di quei libri, e ne fu persino chiamato nella Curia di Torino fece il racconto in quel modo, allo scopo di stornare la tempesta dal suo capo, e mandarla sulle spalle del povero Don Bosco. Iddio che vede e sa tutto, vede e sa che io non mentisco, e ciò mi basta[196].
Monsignore nella sua lettera che si legge a pag. 22 parla anche di una scrittura del Sac. Vincenzo Minella a mio carico; ma siccome non la vedo nei documenti, così non posso sapere che cosa vi si dice, né che debba rispondere. Osservo ancora che la Curia Arcivescovile di Torino in questa vertenza mancò di delicatezza e di convenienza. Essa fece chiamare parecchi Sacerdoti della diocesi stati anche da giovanetti miei allievi, e li sottopose ad odiose inquisizioni ed anche a minaccie per sapere e far loro deporre contro di me cose che non erano, e ciò a vantaggio dell'Arcivescovo parte interessata. Mi pare che esso non avrebbe dovuto costituirsi giudice e parte come ha fatto. Anzi vi é chi dice che alcuni gravi disturbi, perquisizioni, minacce fatte dalla Questura di Torino ad alcune persone benevole alla nostra Casa, siano state promosse dallo stesso Arcivescovo.
Rifletto eziandio che la relazione fatta dall'Avv. Fiscale al Rev.mo Arcivescovo intorno al tentativo di un pacifico componimento pecca in più luoghi e gravemente. Mi basta domandare: Se fosse vero che io aveva convenuto col Sig. Avvocato che Don Bonetti non andasse più a Chieri, come si pretende, a che dunque venire ad un pacifico componimento? Se questo doveva lasciare le cose come stavano prima, era inutile fare tante parole, e scrivere tante lettere. [245]
Ancora: Nella detta relazione a pag. 42 il Sig. Avvocato Fiscale cita alcune parole della mia lettera del 2 giugno e di quella del Sac. Bonetti al Rev.mo Segretario della Sacra Congregazione, nelle quali si pregava di non rimettere alcuna carta, ma di tenere viva la causa; ma egli sopprime le parole principali colle quali io dimostrava come la dichiarazione lasciatagli era cosa confidenziale, e doveva solo servire di norma per comporre l'atto dell'Arcivescovo conforme alle verbali intelligenze, e non già per ispedirla a Roma, perché in questo caso io non la avrei scritta in un misero foglio, ma in un foglio di rispetto. Queste mie parole l'Avv. non le riferisce. Quindi fa una relazione ben poco sincera e in più luoghi molto infedele.
Riguardo al secundum documentum che si legge a pag. 44 domando: Che cosa ha esso da fare colla questione? Dobbiamo forse supporre che l'Arcivescovo lo abbia riferito coll'intenzione di denigrare la nostra Congregazione? E se questo non fu il suo intendimento, perché non ha egli unita anche la risposta trionfante data a quella lettera dallo stesso Vescovo di Casale a nome suo e a nome mio? Questo modo di riferire documenti non mi pare leale[197].
Finalmente dico che invece di riferire documenti che non fanno al caso, sarebbe stato bene, anzi necessario che avesse riferiti i documenti a cui si allude nel corpo della scrittura e di cui Mons. si fa forte contro di noi. Tra gli altri avrebbe dovuto produrre la famosa dichiara del Sac. Don Michele Sorasio Segretario della sua Curia, la quale dichiara, come scrive Monsignore, compromette non poco Don Bonetti. Perché dunque non ha riferita questa dichiarazione tanto compromettente? La parte contraria ha diritto di conoscerla per vederne la forza , per esaminare se non fu adulterata, avendo dovuto passare per mani interessate.
Qui dovrei aggiungere che il 26 maggio dell'anno 1879 l'Arciv. mi fece chiamare a sé e di comune accordo si aggiustò la cosa con soddisfazione; ma al mattino per tempo mi mandava una lettera con cui disdiceva tutto il convenuto nella sera innanzi. Dovrei ancora aggiungere che sin dal dicembre del 1877, mentre egli scriveva e stampava per denigrare la nostra povera Congregazione, mi minacciò la sospensione ipso facto incurrenda, se mai per mezzo mio o per mezzo altrui avessi scritto qualsiasi cosa a lui sfavorevole, fosse pur per mia legittima difesa o per difesa dei miei.
A questo proposito, giacché ho il bene di scriverle, io supplico umilmente la E. V. Rev.ma che voglia avere la bontà di far ritirare la detta minaccia di sospensione, la quale da 4 anni mi pende sul capo, come la spada di Damocle.
Eminenza Rev.ma, più altre cose io avrei ancora ad osservare: [246] ma la cosa preme, e il tempo, per l'addotta ragione, in questi giorni mi manca.
Nel domandare umilmente scusa di tanto nuovo disturbo io prego V. E. e per mezzo suo tutti gli Eminentissimi giudici a voler portare le loro illuminate riflessioni sulla questione principale, cioé la sospensione inflitta a Don Bonetti, lasciando da parte la querela degli opuscoli da risolversi a tempo più opportuno.
Nella fiducia che la E. V. Rev.ma vorrà darmi un benigno compatimento ed usare la grande sua bontà, come ha fatto finora, verso la nascente Congregazione Salesiana esposta a sì dolorose prove, prego alla E. V. ogni favore, e mi professo con altissima stima e profonda venerazione
Gli eventi precipitarono. Il 17 dicembre la Sacra Congregazione del Concilio decideva la sospensione del giudizio di merito nella causa di Don Bonetti per invitare le parti all'accomodamento. Questa per Don Bonetti era già una mezza vittoria; onde dalla parte avversa bisognava affrettarsi a distruggere il sinistro effetto che la notizia avrebbe indubbiamente prodotto in Torino. Che si escogita? Prima che arrivi la partecipazione ufficiale, s'irretisca Don Bonetti in un processo criminale. Le lettere d'ufficio non furono pronte a Roma che per il 22; il 20 Don Bonetti venne citato a comparire dinanzi al tribunale ecclesiastico, per rispondere del reato di diffamazione per mezzo della stampa col libello L'Arcivescovo di Torino, Don Bosco e Don Oddenino, in seguito a denunzia del teologo Sorasio, promotore fiscale della Curia arcivescovile: giudice delegato, il canonico Colomiatti. Questo tribunale figurava costituito fino dal 22 giugno. Trenta giorni di tempo all'imputato per presentarsi; trascorso senza giusto motivo quel termine, procedimento in contumacia[198]. Don Bosco ne ragguagliò il cardinale Protettore, inviandogli una copia dell'Esposizione.[247]
Mi fo ardito di mandare a V. Em. Rev.ma una esposizione di alcune delle nostre vessazioni che l'Arcivescovo nostro ha fatto, e ciò servirà anche di risposta ai violenti reclami senza alcun fondamento, che egli ha voluto fare su Don Bosco e la nostra Congregazione. Ho però taciuto quanto ha fatto personalmente contro di me per denigrare la mia posizione.
Ma chi lo crederebbe? Mentre la questione é sub iudice in un tribunale superiore, ieri mandò un monitorio a Don Bonetti con cui lo minaccia di un processo, e lo cita a comparire in Curia per rispondere alla imputazione sui libelli famosi in cui Don Bonetti ci entrò come Pilato nel Suscipiat.
Intanto scritti, tempo, scoraggiamenti occupano le ore che si vorrebbero occupate al bene delle anime e della religione. Io non ho mai dimandato e non dimando altro che lasciarmi lavorare in questo tempo di gran bisogno.
Tutti i Salesiani fanno voti al cielo affinché Dio la conservi in buona salute pel bene della Santa Chiesa e pel vantaggio della bersagliata nostra Congregazione.
La notte del S. Natale i nostri giovanetti faranno la santa Comunione secondo la pia intenzione della Ecc. V.
Tutti ci raccomandiamo alla carità delle sante sue preghiere, mentre ho l'alto onore di potermi professare
Una copia dell'Esposizione Don Bosco umiliò pure al Santo Padre, portando a sua conoscenza quanto era accaduto[199].
In ossequio agli Eminentissimi signori Cardinali della Sacra Congregazione del Concilio, e per dare schiarimenti e rispondere ai reclami, che Mons. Lorenzo Gastaldi, Arcivescovo di Torino, ha fatto pervenire alla prelodata autorevole Congregazione a carico dello scrivente e della Pia Società di S. Francesco di Sales, mi sono creduto in dovere di fare una breve Esposizione di alcuni non leggeri disturbi che hanno incagliato seriamente quel poco di bene, che i poveri Salesiani studiano di operare in Europa e nelle Missioni dell'America. [248] Ne mando copia a Voi, Beatissimo Padre, che siete il Moderatore Sapremo della Congregazione Salesiana, affinché conosciate come stanno le cose nostre.
Ma se i disturbi del passato furono gravi, non lo sono meno quelli del presente. Oggidì si vorrebbe indurre la nostra Congregazione ad abbracciare dottrine filosofiche non punto gradite alla Santità Vostra, perché erronee o pericolose. Noi abbiamo fin qui resistito e resisteremo a costo di qualsiasi sacrifizio e tribolazione; ma il confesso, io abbisogno di opportuno consiglio per sapere dare ai miei religiosi istruzioni sicure, affinché in tutti i nostri Collegi, Studentati e Seminari del Piemonte, Italia, Francia, Spagna ed America, possiamo seguire principii prettamente cattolici, con illimitato ossequio al Supremo Gerarca della Chiesa.
Se poi nel decennio passato ci furono date molestie e noie non poche, le quali ci hanno moltissime volte distratti dalle occupazioni del Sacro Ministero, e fatto perdere del tempo immenso, che avremmo voluto spendere unicamente alla gloria di Dio ed al bene delle anime; queste molestie e noie non indicano punto di scemare al presente. Povero me! Mentre sto scrivendo questa lettera, e mentre presso la Sacra Congregazione del Concilio Pende la questione tra Mons. Arcivescovo di Torino e il Sac. Giovanni Bonetti Salesiano, ricevo un monitorio che cita detto mio Sacerdote a comparire davanti all'avvocato fiscale Arcivescovile, per rispondere alla vertenza medesima, e gli si minacciano le pene ecclesiastiche se non si presenta dinanzi a chi si erige a giudice in propria causa, e in una questione devoluta al supremo tribunale della Santa Sede! Quindi contro la comune aspettazione continuano i disturbi e la perdita di tempo così prezioso e la nostra condizione minaccia di farsi ancora più intollerabile.
I nemici della religione si arrabattano con una smania satanica per rapire la fede e il buon costume ai grandi ed ai piccoli, menando guasti e rovine lagrimevoli. I Salesiani si vedono aumentare ogni giorno il lavoro tra mano per opporsi con qualche buon esito al male che irrompe. Abbiamo quindi bisogno di essere lasciati in pace, e di essere aiutati, o almeno di non essere incagliati nell'operare il bene, secondo lo scopo della nostra Congregazione; altrimenti non si può più tirare innanzi.
Per la qual cosa, Beatissimo Padre, umilmente ma pur caldamente io imploro l'illuminato Vostro consiglio, e il validissimo Vostro appoggio. Parlate e noi Vi ascolteremo. Non solo ci atterremo ai Vostri comandi, ma ai Vostri desiderii; non solo Vi seguiremo come Dottore Universale, ma eziandio come Dottore privato; saremo devoti alla vostra augusta Persona non solamente noi Salesiani, ma ci adopreremo ad ispirare, nutrire e crescere nei medesimi sentimenti gli ottanta mila e più giovanetti, che la Divina Provvidenza tiene oggidì raccolti nelle nostre case nell'Europa e nell'America. Saremo in una [249] parola ossequiosissimi alla Vostra Cattedra Apostolica in tutto, in ogni tempo e in ogni luogo, dove ci chiamerà il Signore.
Ma acciocché possiamo compiere liberamente questo sacro dovere; affinché possiamo lavorare alacremente e secondo il bisogno di questi tristissimi tempi; affinché l'umile sottoscritto possa governare i suoi sudditi com'é d'uopo, deh! Beatissimo Padre, fate sentire una parola efficace a Colui, che unico tra i mille membri dell'Episcopato Cattolico pare che tenda a distogliere dalla retta via questa povera Congregazione, e le mette nella Casa Madre e centro di tutte le altre, incagli sopra incagli, affinché non cammini colla necessaria speditezza e si arresti.
Ho piena fiducia che Voi, Beatissimo Padre, vorrete accogliere con paterna bontà quest'umile supplica, che a nome mio e a nome di tutti i Salesiani innalzo al Vostro eccelso trono, e che verrete in aiuto a tanti Vostri devotissimi figli.
Colgo poi con lietissimo animo questa propizia occasione delle Feste Natalizie, per augurare alla Santità Vostra ogni sorta di felicità, assicurando che ogni giorno nelle Case Salesiane s'innalzano particolari preghiere e si fanno ardentissimi voti a Dio, che Vi conceda quanto desidera il Vostro cuore magnanimo.
In fine prostrato in ispirito al bacio del sacro piede, imploro l'Apostolica benedizione sopra la povera mia persona, sopra tutta la Congregazione Salesiana, sopra i nostri giovanetti, sopra i nostri Missionarii che in questi giorni salpano le onde dell'Atlantico alla volta della Patagonia, mentre mi gode l'animo di potermi professare colla massima venerazione
Umil.mo Obb.mo ed Osseq.mo Figlio
La risposta dal Cardinale non si fece attendere[200]. Era “confidenziale” e conteneva questi periodi: “Le raccomando la calma e freddezza d'animo onde non dare pretesto di sorta a chi ex adverso est […]. In quanto all'intimazione, essa rivela sempre più il mal talento di cotesta Curia e di chi la ispira […]. Dai termini della intimazione ove é detto Don Bonetti scriptor libelli etc. dovrebbe arguirsi che il fisco abbia prove in mano da dimostrare la colpabilità dell'imputato.[250]
Secondo la lettera del P. Leoncini l'accusa peserebbe su di lei. Perché in questo caso non dovrebbe esser chiamato Ella in giudizio? Forse per declinare la soverchia odiosità ed esecrazione del pubblico dal canto degli inquisitori? M'avveggo che il Signor Colomiatti è istrumento degno del suo principale.” Gli consigliava poi di sospendere l'invio dell'Esposizione ai Cardinali, non essendo quello il momento opportuno.
Diceva bene il Cardinale per la citazione di Don Bosco; ma quod differtur, non aufertur. La citazione venne anche per lui, e fu addì 5 gennaio 1882, comunicatagli il 7 verso le dieci antimeridiane per mano del signor Aghemo, cursore arcivescovile[201]. Il pubblico accusatore gli moveva due imputazioni: essere egli stato il mandante dei libelli e aver procurato al libellista i materiali. Si ponga ben mente: quella voleva essere la vera risposta alla domandata udienza del 2 gennaio e insieme un bel passo sulla via dell'accomodamento voluto da Roma!!! Pensiamo dunque un po' se quella mattina e nei giorni seguenti Monsignore era proprio “dispostissimo” a ricevere Don Bosco, secondoché pretese il Colomiatti nei Processi per la Beatificazione!
E si noti stravaganza: la questione dei libelli stava già dinanzi alla Sacra Congregazione del Concilio e per volere dell'Arcivescovo stesso. Infatti nella sua lettera del 29 dicembre 1880 aveva denunziato a quella Congregazione Don Bosco e Don Bonetti come autori dei libelli e nel Sommario della causa Bonetti redatto per lui, a pagina 20 si diceva: “Domando dalla Sacra Congregazione ed insisto affinché essa provveda riguardo al medesimo Bonetti coautore, se non autore, del libretto diffamatorio.” La medesima denunzia ripeté egli il 21 giugno 1881, implorando un provvedimento. Dunque nel supposto crimine dei libelli Monsignore aveva già eletto a giudice la Sacra Congregazione del Concilio, [251] rimasta così prevenuta in questa causa, né su tale vertenza gli era più lecito procedere criminalmente.
Circa il da farsi Don Bosco chiese subito consiglio al Cardinale Protettore.
Ecco un nuovo argomento di buon volere di accomodamento amichevole. Tutto apparisce chiaro dalla unita copia di citazione. Pare che l'Arcivescovo voglia tirare a lungo e farmi perdere tempo e danaro.
1° Ora io avrei bisogno di essere guidato, se sono obbligato a comparire mentre la vertenza é sub iudice in tribunale superiore. Se affermativamente, potrei appellarmi di essere interrogato da un altro tribunale? Può un Ordinario citare a capriccio il Superiore di una Congregazione ecclesiastica e così mettere a soqquadro una povera società religiosa, a cui L'Ordinario non poté mai imputare colpa alcuna e che desidera unicamente di lavorare pel bene delle anime che purtroppo camminano per la via della perdizione?
2° Al dieci di questo mese dovrei recarmi in Francia per questuare in favore della Chiesa e dell'Ospizio del Sacro Cuore, dove sta per mancare il danaro. Posso allontanarmi o rimanere in Torino con danno grande delle opere cotanto raccomandate dallo zelo e dalla carità del S. Padre?
3° Ho disposto di protrarre la mia partenza fino al 16, ma di più non potrei a motivo degli appuntamenti pel buon esito della colletta.
Io ed i miei Salesiani abbiamo bisogno di aiuto, di consiglio e di conforto e riponiamo piena fiducia nella E. V. nostro benemerito protettore.
Non ho mai dimandato, non mai dimanderò altro se non pace e tranquillità a fine di lavorare nel sacro ministero in favore delle anime esposte a tanti pericoli.
L'origine di queste nuove imputazioni si é che Don Bosco non vuole mutare sistema; Don Bosco é contro al Rosmini. Ecco il motivo per cui mi si vorrebbe autore dei mentovati opuscoli.
Autore di tali opuscoli non lo sono: il mio sistema é quello di professare la dottrina cattolica e seguire ogni detto, ogni consiglio, ogni desiderio del Sommo Pontefice.
Mi voglia credere in Nostro Signore G. C. con somma gratitudine e con profonda venerazione
Nel dar conto a monsignor Boccali della mancata udienza da parte dell'Arcivescovo, Don Bosco aveva mandato anche a lui una copia della citazione. Il Prelato gli rispose il 9 gennaio 1882: “Abbia pazienza e non si perda d'animo. Se Ella non ha nulla a vedere in quegli opuscoli, l'esito di questa nuova vertenza non potrà essere sfavorevole.”
A Torino si tirava innanzi imperterriti. Solo parecchi giorni dopo le due citazioni, cioé il 12 gennaio, fu notificato l'atto arcivescovile, che costituiva il Colomiatti giudice delegato per il processo dei libelli, atto recante la data di circa sette mesi innanzi. Il 18 Don Bonetti presentò una istanza, con cui impugnava la legittimità e la competenza di quel tribunale sia a motivo della prevenzione detta di sopra, sia perché sospetto, essendo l'Arcivescovo stesso parte principale nella causa. Deduceva perciò a cognizione della Curia d'aver commesso al suo procuratore in Roma, che supplicasse la Sacra Congregazione, già prevenuta nella vertenza, di voler delegare un giudice speciale nella persona di un Vescovo viciniore o in quella di qualche altro ecclesiastico idoneo e imparziale, che assumesse gli atti e istruisse canonico processo da inviarsi alla Sacra Congregazione per la sentenza o per le relative provvidenze. Secondo il consiglio dell'avvocato Leonori l'istanza era formulata a nome di Don Bonetti per rispetto a Don Bosco, perché, scriveva il legale, “questo uomo benefico veramente santo non bisognava metterlo allo scoperto in una lite”[202]. Il Colomiatti respinse l'eccezione d'incompetenza e intimò a Don Bonetti di comparire.
Don Bonetti, anziché arrendersi, appellò a Roma. L'appello fu ammesso senza incontrare la menoma difficoltà; onde la Sacra Congregazione inibì all'Arcivescovo di procedere tanto contro Don Bonetti che contro Don Bosco e delegò monsignor Fissore, arcivescovo di Vercelli, a [253] compilare solamente il processo e poi inviarlo alla Congregazione del Concilio, che si riservava di giudicare. Così gli imputati non avevano più da fare i conti con la Curia torinese per questo processo[203].
Facciamo luogo qui a un breve intermezzo. L'ultima settimana di gennaio si trovava a Torino il Vescovo d'Ivrea monsignor Riccardi, col beneplacito certamente del suo Metropolitano, poiché celebrava la Messa or qua or là, dovunque lo invitassero. Due inviti gli fecero pure i Salesiani, avendolo pregato Don Rua di venir a dire la Messa della comunione generale il 29 per la festa di San Francesco, e Don Francesia di andare a Valsalice per la medesima celebrazione, trasportata di due giorni. Monsignor Riccardi accettò di gran cuore entrambi gli inviti; ma in seguito, essendo stato a pranzo dall'Arcivescovo, scrisse all'Oratorio che motivi sopraggiunti gl'impedivano di mantenere la data parola e al Direttore di Valsalice, che era dolente per lo stesso motivo. Nel partire poi dalla città, confessò al teologo Margotti che se n'andava disgustatissimo, non sapendo concepire come un Metropolitano potesse vietare a un Suffraganeo di celebrare la Messa in una chiesa di religiosi, e lo incaricò di fare ai Salesiani le sue condoglianze.
Quando monsignor Fissore venne a Torino per eseguire la missione affidatagli, Don Bosco era a Roma; onde conferì con Don Rua. Egli non avrebbe dovuto far altro che interrogare i testimoni, se ve n'erano, raccogliere le loro deposizioni e poi mandare tutto a Roma; invece, aderendo al desiderio di monsignor Gastaldi, agì nell'intento di ottenere una conciliazione fra le parti, nel che Don Rua pareva secondarlo. V'ha di più. Monsignore aveva pregato i vescovi Eula e Riccardi, venuti a Torino, che cercassero una via di accomodamento per mezzo di Don Durando. I due Prelati si recarono a Valsalice, ove Don Durando si trovava col [254] teologo Margotti per una festa, e dopo l'accademia, presolo in disparte, lo pressarono a contentare l'Arcivescovo. Il Beato, leggendo in lettere di Don Bonetti e di Don Durando queste notizie, pianse quasi di dolore al vedere sorpresa la buona fede dei suoi e fece tosto scrivere a Don Rua queste sue testuali parole: “Né esso Don Bonetti né alcun altro della casa tratti di questa questione senza preventivo avviso della Congregazione del Concilio e sempre d'accordo con Don Bosco. Questo consiglio viene dall'autorità competente”[204]. A quel punto l'andare in cerca di una soluzione pacifica tradiva una ben scarsa sicurezza di vittoria, mentre dalla parte dei Salesiani l'adattarvisi equivaleva a confessare il timore di una giusta condanna.
Sempre in vista di un componimento, monsignor Fissore aveva già ottenuto una dichiarazione firmata da Don Rua e da Don Bonetti contro i libelli e ne avrebbe voluta anche un'altra da Don Bosco per presentarla a monsignor Gastaldi, ma Don Bosco non la mandò, fece fare anzi inutili tentativi per riavere la precedente; ne lasciò invece una del tenore seguente nelle mani del cardinale Nina.
Un accomodamento amichevole della vertenza del Sacerdote Gio. Bonetti fu sempre il mio vivo desiderio. Più volte feci proposte a S. E. Mons. Arcivescovo di Torino, che furono accettate ma di poi respinte. Una fu nel maggio 1879. Il giorno 26 fui chiamato dal medesimo Mons. Gastaldi, ci andai e fummo intesi che il Don Bonetti fosse riabilitato ad ascoltare le confessioni dei fedeli in tutta la diocesi di Torino, rimettendo alla prudenza dello scrivente a non inviare questo sacerdote a dimorare in Chieri, ma che egli ne fosse libero, e qualora in casi particolari vi si fosse recato a predicare ed ascoltare le confessioni non ne avesse avuto biasimo da parte dell'autorità ecclesiastica. Questa proposta fu accettata. Ho dato comunicazione della cosa al Don Bonetti che ne fu assai contento e ne provammo tutti grande consolazione che fosse finalmente finita una questione inutile e che faceva spendere tempo immenso che ognuno desiderava impiegare a vantaggio delle anime. Ma il mattino immediatamente [255] dopo, 27 dello stesso mese, per tempissimo ricevo una lettera di Mons. Arcivescovo che rievocava a tempo indeterminato tutto quello che era stato convenuto il giorno precedente.
Nello stato presente delle cose io non vedo altra via che possa convenire ad ambe le parti se non quella stessa già proposta ed accettata nel maggio 1879 cioè:
1° Mons. Arcivescovo di Torino darà facoltà al Don Bonetti di ascoltare le confessioni dei fedeli in tutta la Diocesi di Torino.
2° Don Bonetti continuerà da buon sacerdote a lavorare per la maggior gloria di Dio come si conviene ad onesto e zelante sacerdote.
3° A fine poi di non dover ritornare sopra questioni di questo genere, l'Arcivescovo ritirerà due lettere in data una del 25 novembre e l'altra del 1 dicembre 1887, con cui minaccia al Sac. Bosco la sospensione ipso facto incurrenda se scrive, stampa e propaga scritti o detti che possano tornare a carico dell'Arcivescovo di Torino.
Queste lettere richiamate saranno consegnate alle fiamme, e non se ne parlerà più.
Riguardo alla questione degli opuscoli debbo dichiarare che né io né i Salesiani non se ne sono mai mischiati per quanto finora mi consta. Ho sempre biasimato e biasimo tuttora il modo non conveniente con cui si parla dell'autorità ecclesiastica. Sono anche prontissimo a condannare la materia in essi contenuta qualora mi siano specificate le cose, che in faccia alla Chiesa siano da biasimarsi. Coloro per altro che li hanno letti e meditati convengono nell'asserire che la materia di questi opuscoli o libelli concorda pienamente coi principii e colle idee raccomandate dal S. Padre in questi ultimi tempi.
Ogni cosa poi che Sua Santità o la E. V. giudichi tornare alla maggior gloria di Dio io sarò sempre pronto ad accettarla senza condizioni.
Mi conceda l'onore di potermi professare
A questa lettera andavano unite queste osservazioni:
E’ da notarsi che identiche proposte di accomodamento furono già altre volte fatte a Mons. Arcivescovo di Torino. Vennero accettate ma di poi furono cangiate e infine rifiutate.
Rifiutò crudamente di ricevermi il 2 gennaio 1882 quando io mi sono a lui presentato a nome della E. V. e del medesimo Santo Padre per accomodare le cose amichevolmente.
Sono pochi giorni che esso, l'Arcivescovo di Torino, va propalando e me lo mandò a dire dai nostri stessi religiosi, che Don Bosco é il [256] più scellerato degli uomini; é un impostore; inventa i miracoli e poi li affibbia e li fa stampare in onore della Madonna.
Che Roma fa male quello che fa, a Roma tutto cammina per compare e per comare, ecc. ecc.
Queste cose sembrano argomenti poco opportuni per venire ad un accomodamento amichevole. Tanto più dopo la sentenza profferita dall'autorevole Congregazione del Concilio.
Il Cardinale giudicò troppo concisa questa relazione, di cui avrebbe desiderato uno svolgimento in forma più ampia[205]; Don Bosco allora ne fece fare una seconda a Don Bonetti[206]. Il medesimo Cardinale consigliò inoltre di ottenere una ritrattazione dal padre Leoncini e dal padre Pellicani circa la famosa lettera, della quale il Papa non sapeva darsi pace[207]. Il primo non volle saperne; l'averlo però il Tribunale di Torino per la causa di Beatificazione qualificato come uomo nimis simplex, che vuol dire semplicione, ne scalza abbastanza l'autorità, come di persona facile a intendere una cosa per un'altra e a lasciarsi raggirare. L'altro, spiacente che corresse ancora quell'accusa a carico di Don Bosco, intervenne per amore della verità e per debito di coscienza con la seguente smentita.
Avendo udito che su la deposizione, che io in virtù di sant'obbedienza feci intorno ad una proposta fattami di scrivere intorno al governo dell'Archidiocesi Torinese, si fonda un'accusa contro del Rev.mo Sig. Don Giovanni Bosco, Superiore dei Salesiani, di avermi cioè eccitato a scrivere libelli a danno di S. E. R. Monsignor Arcivescovo di Torino, dichiaro davanti a Dio che il predetto Sig. Don Bosco non mi ha mai proposto altro fuorché di scrivere Una memoria da presentare al S. P. Pio IX, né di altro fuorché di questa abbiamo parlato mai; ed aggiungo di più, che questa dichiarazione limpida e netta l'ho fatta e raccomandata ripetutamente all'avvocato fiscale Sig. Can.co Colomiatti, quando fui invitato a deporre. [257]
Che se la medesima dichiarazione non é tanto esplicita, quanto io avrei voluto, nella deposizione da me fatta, sottoscritta e giurata, egli é perché la frase in essa usata da presentare a Roma, mi fu detto che equivaleva, come veramente può, e qui anche dee, equivalere all'altra da presentare al Santo Padre.
In quanto poi alla lettera colla quale il P. Leoncini comunicò a Monsig. Arcivescovo il discorso privato da me tenuto con esso lui unicamente per difendermi dal sospetto, che il Padre stesso mostrava (forse per iscalzarmi) di avere contro di me, quasi autore di certi libelli usciti in luce contro Monsig. Arcivescovo, lettera da me riconosciuta e sottoscritta come vera solo sostanzialmente, dico che se in essa vi é, come si dice ed io non ricordo, la proposizione: Mi Propose di scrivere contro l'Arcivescovo, senza aggiunto alcuno, essa dee interpretarsi in conformità alla dichiarazione posta di sopra, e che il darle altro senso, il senso cioè favorevole all'accusa a danno del Rev.mo Sig. Don Bosco, sarebbe affatto contrario alla verità. Tutto questo affermo per puro amore della verità non avendo io nulla in cuore né contro Monsig. Arcivescovo, né contro il Sig. Don Bosco, fra i quali sarei molto lieto di vedere ristabilita a gloria di Dio perfetta pace.
Fra scrivere al Papa e comporre libelli c'è un abisso. Ma dal secondo capoverso di questa dichiarazione emerge abbastanza che si dovette arzigogolare ben bene sulle sue parole per trarre la deposizione del teste a significare quello che egli non aveva punto inteso di esprimere. E così ci sembra che resti sempre meglio chiarito il perché si tenne ostinatamente occulta la testuale deposizione giurata del Pellicani, mentre si divulgò tanto la lettera del padre Leoncini, fatta stampare anche nel Summarium della posizione gastaldiana per la causa di Don Bonetti.
Nel corso di queste vicende altri fatti erano maturati. Il 12 maggio 1882, allorché Don Bosco aveva lasciato Roma, vi compariva il Colomiatti, accreditato presso il cardinale Jacobini per confutare l'Esposizione e trattare della concordia. L'Arcivescovo aveva domandato per lettera al Papa il permesso d'inviare un delegato a dare spiegazioni e il Papa aveva consultato in proposito l'Eminentissimo Cardinal Nina. [258]
Leone XIII, che aveva già deciso di pigliare nelle sue mani la causa, non appena fu rassicurato che monsignor Gastaldi voleva venire ad un accomodamento, arrestò senz'altro la procedura e diede ordine di chiamare telegraficamente Don Bosco a Roma. Don Dalmazzo gli telegrafò nel pomeriggio del 18 maggio, ricevendo da Don Rua questa risposta: “Sanità assai disturbata impedisce papà mettersi in viaggio.”
Il Procuratore corse tosto dal cardinale Nina per vedere se fosse possibile dispensare Don Bosco dal venire o almeno permettergli di ritardare la venuta. Sua Eminenza disse che l'ordine era partito del Papa, e che essendoglisi osservato come Don Bosco se ne fosse andato da poco e si trovasse già a Torino, Sua Santità aveva risposto:
- Pazienza. Ora che l'Arcivescovo di Torino ha queste buone disposizioni, voglio io stesso accomodare questa divergenza e però gli si telegrafi che venga. - Al Colomiatti da Torino fu ingiunto di fermarsi in Roma quanto bisognasse, anche quattro mesi, finché non avesse sciolto il nodo gordiano[208].
Don Dalmazzo dunque replicò: “Cercato dispensare venuta. Rincresce Nina ritardo, dovendo egli il ventotto partire.” E Don Rua da capo: “Impossibile umanamente venuta padre. Aspettiamo voi Torino.” Per il Cardinale Don Bosco aveva mandato a Don Dalmazzo questa letterina.
Mi rincresce assai non potermi tosto mettere in viaggio come desidero alla volta di Roma. Non posso star seduto ed ho un piede guasto per cui stento a camminare. Tuttavia se é d'uopo una mia gita presso di V. Em. mi metterò in via il 24 0 il 25 del corrente mese. Dovrò fare qualche breve fermata ma pel mezzogiorno del 26 spero di trovarmi a Roma.
Mi voglia perdonare questo involontario ritardo e mi permetta l'onore di potermi professare della Em. V. Rev.ma
Ma al Procuratore nel biglietto di accompagnamento si spiegava in termini alquanto realistici sulla natura del suo disturbo. Era necessario parlar chiaro così, per escludere ogni sospetto di malattia diplomatica.
Leggi e porta questa lettera al Sig. Card. Nina. Il mio male non ha importanza. Ho un guasto nel deretano, e ciò m'impedisce di stare in ferrovia. Poi ho un piede gonfio con due rotture non politiche. Procura di sapere quale sia la cagione di questa premura di dovermi recare a Roma. Se non si può fare a meno io sono pronto a mettermi in via anche subito, avvenga che vuole.
Se tu vieni potremo intenderci di tutto ed anche accompagnarmi.
Saluta Ventrelli e Don Barale cogli altri nostri cari confratelli Don Braga, Don Savio, Don Cagnoli, etc. Se occorre scrivimi tosto. Dio ci benedica tutti. Amen.
Egli pativa allora di emorroidi, come depose Don Albera nei Processi per la causa di Beatificazione.
Con il Cardinale Protettore il Papa dopo aver sentito il Colomiatti si era lagnato dell'Esposizione, dicendola non solo inopportuna, ma contenente cose non conformi al vero, perché l'Arcivescovo allegava argomenti in contrario, escludendo tutto da capo a fondo; perciò Don Bosco, informatone, fece indirizzare da Don Bonetti a Sua Eminenza queste osservazioni, con preghiera di tenerle presenti nel ragionare con il Colomiatti.
I° Si separi la causa Bonetti da ogni altra. Questa non ha da fare né colla questione degli opuscoli, né colla Esposizione dei fatti, né con qualsiasi altra insorta o prima o dopo; e ciò in vista della decisione già data dalla Sacra ed autorevole Congregazione del Concilio.
2° Si noti che la Esposizione fu provocata dai reclami sporti dall'Arcivescovo di Torino e pur pubblicati per le stampe; reclami che richiedevano un'adeguata risposta; altrimenti sarebbero state ammesse come verità accuse gravissime contro la Congregazione Salesiana, della quale l'unica ricchezza é il buon nome e l'appoggio [260] morale, che le occorre per lavorare alla maggior gloria di Dio e alla salute delle anime.
3° Le cose descritte in quella Esposizione sono fatti, tutti appoggiati ad autorevoli documenti.
4° Se il Sig. Avvocato Colomiatti ha ragioni, con cui dimostrare che i fatti ivi esposti non sono veri, in questo caso Don Bosco domanda che gli sieno fatte conoscere non a voce ma per iscritto, affinché o possa ricredersi, o dare la dovuta risposta.
Intanto giova notare che dopo il progettato accomodamento avvennero fatti, che fanno temere essere illusoria la speranza di un esito felice. A questo riguardo il Sig. Don Bosco ha fatto telegrafare a Don Dalmazzo che venga a Torino per comunicargli di presenza cose di rilievo.
Servirono di presentazione della lettera queste righe del Beato:
Quanto scrive Don Bonetti lo fa da parte mia. Le mandiamo queste lettere per mano di Mons. Marini che ci ha onorati in questa giornata. Attendo Don Dalmazzo che tosto rimanderò munito di tutte le facoltà necessarie.
Mi raccomando alla carità delle sue preghiere e mi benedica.
Ho l'alto onore d'inchinarmi e professarmi
Uno dei fatti accennati da Don Bonetti come sintomi poco promettenti toccava il collegio di Valsalice. In aprile s'era tenuto a Torino il Congresso Cattolico regionale sotto la presidenza del duca Salviati e senza intervento dell'Arcivescovo indisposto. In onore dei personaggi che vi avevano preso parte, Don Francesia fece recitare un drammetto latino a mo' di trattenimento accademico, trasformando in sala l'ampia cappella interna. Non ci fu nulla che disdicesse alla qualità del luogo; infatti i Vescovi di Novara e d'Ivrea che vi assistettero non trovarono niente da ridire[209]. A Roma [261] stessa quante volte si facevano accademie perfino in chiese pubbliche, come nel dicembre del 1881 ai Santi Apostoli e nel maggio del 1882 a San Vitale! Ma per Valsalice l'Ordinario torinese sollevò un casus belli: Don Francesia chiamato in Curia, non ammessa spiegazione di sorta, denunzia a Roma. Scriveva Don Francesia[210]: “Era nostra intenzione di cogliere quell'occasione per protestare la nostra fede cattolica, apostolica, papale, ed invece abbiamo incorso nei dispetti dei due estremi. Un giornale empio di Torino, che se avesse potuto trovar a ridire qualche cosa sopra a profanazione non l'avrebbe taciuto, ci mosse una guerra spietata perché papali, ed ora sento che il nostro Arcivescovo continua a tormentarci come profanatori del tempio.”
Quel “continua a tormentarci” deve alludere a un altro fatto di non vecchia data. A Valsalice era professore esterno di lingua tedesca il cavaliere Besson, protestante convertito e presidente di un popolarissimo circolo, denominato del Coraggio Cattolico. Un giorno fu invitato a pranzo da Monsignore. L'ospite dovette subire dal principio alla fine una conversazione ininterrotta su Don Bosco, sui Salesiani, sui loro collegi e soprattutto sulle loro miserie; ma il peggio venne dopo. Levate le mense, l'Arcivescovo chiamò in disparte il professore e gli disse: - Lei frequenta il collegio di Valsalice e deve sapere qualche cosa. Mi dica dunque: non é vero che tra i superiori di quel collegio si commettono immoralità? - A simile domanda quel signore, dolorosamente sorpreso e scandolezzato, negò reciso e poi a voce e per iscritto ne informò il Direttore, manifestando tutto il suo disgusto.
Altri fatti punto benevoli si dovevano considerare le difficoltà opposte alla consacrazione della chiesa di San Giovanni Evangelista, come diremo a suo luogo. Ma non é da tacere qui l'ultima Pastorale per la quaresima. Vi erano in essa due pagine, proprio le ultime, piene di chiare allusioni [262] a Don Bosco e ai Salesiani, e la accompagnava l'obbligo espresso di leggerla tutta e di spiegarla al popolo; la qual lettura fu fatta ciò nonostante da alcuni con l'omissione dell'ultima parte[211].
Insomma, quanto più c'inoltriamo in questa via crucis, di cui narreremo l'epilogo nel capo seguente, tanto meglio ci spieghiamo la forma tragica che il Beato diede all'espressione del suo dolore, allorché nel 1882 al Colomiatti e a chi era con lui disse e pregò di riferire a Monsignore le sue parole: - Ormai ci manca solo che egli mi pianti un coltello nel cuore. - Nessuno scoraggiamento però in lui, ma grande fiducia in Dio e nella giustizia della sua causa. Alcuni anni dopo Don Berto gli manifestava qualche pena, perché nel sostenere tanta guerra non si fosse combattuto sempre a viso aperto, essendosi dovuto ricorrete a coperte strategie per battere l'avversario con le sue stesse armi. Don Bosco, lasciatolo dire, alla fine gli rispose: - E’ il Signore che ha guidato ogni cosa. –
NELL'ESTATE del 1884 Don Bosco, essendo male in. salute, andò a passare alcune settimane a Pinerolo presso quel Vescovo monsignor Chiesa, in compagnia di Don Lemoyne. Un giorno disse improvvisamente al suo futuro biografo: - Sarebbe bene che distruggessimo tutto il carteggio scambiato col povero monsignor Gastaldi e tutti i documenti relativi. - Don Lemoyne, nascondendo il suo sbigottimento, gli domandò: - Ma allora che cosa avremo da dire della storia dell'Oratorio dal 1872 al 1883? - Rispose: - Direte che Don Bosco in questi anni ha continuato i suoi affari. - E proseguì con tanta convinzione che Don Lemoyne, temendo un suo ordine preciso, approfittò dell'arrivo di un altro e lo lasciò in sua compagnia. Tornati in seguito a Torino, non se ne parlò più. Ma, a non dir altro, per poter fare prudentemente tale distruzione, sarebbe stato d'uopo che anche dalla parte opposta si desse alle fiamme tutta la corrispondenza avuta coi Salesiani; senza di questo, la verità storica ne avrebbe sofferto troppo. Se oggi, per esempio, altri avessero le lettere del Colomiatti a monsignor Gastaldi da Roma su gli affari di cui ci occupiamo, e non si conoscessero per mezzo di copie autentiche quelle che contemporaneamente scriveva o faceva scrivere Don Bosco, sarebbe un'impresa ben difficile scagionarlo delle imputazioni [264] che si leggono nelle carte dell'Avvocato fiscale. Così invece si è potuto dare unicuique suum, come ora ci accingiamo a continuare.
Don Dalmazzo, obbedendo alla chiamata di Don Rua, partì immediatamente per Torino, donde poté inviare al cardinale Nina notizie poco buone sulla salute di Don Bosco, il quale stava in piedi e si moveva per casa, ma non era in condizione d'intraprendere viaggi. Gli comunicò pure informazioni documentate sul fatto dell'accademia in chiesa a Valsalice, come il Cardinale gli aveva ordinato, per ismontare anche quel nuovo capo d'accusa[212]. Sua Eminenza gli rispose:
Ho ricevuto la sua lettera con gli inserti e la ringrazio. Ma già da Mons. Marini avevo conosciuto il vero stato delle cose.
Quel che avviene é provvidenziale. Vedendo Don Bonetti gli dica che ho ricevuto la di lui lettera. Me lo ringrazii e lo riverisca.
Le notizie però che mi dà Ella del buon Don Bosco mi rattristano da un lato e mi confortano dall'altro; cioè non vorrei che fosse sofferente, ma da un altro canto egli deve in questa vita rappresentare Giobbe. Intanto lo conforti a mio nome; e se lo stato della di lui salute non gli consente di venire, è necessario per seguire gli intendimenti del S. Padre, che incarichi Lei con tutti i poteri mediante una lettera nella quale dica in ordine alla concordia da farsi coll'Arcivescovo, che egli aveva già manifestato i suoi intendimenti al Cardinal Protettore, il quale deve avere già fatto conoscere al S. Padre che in ogni modo egli accetterà di buon grado tutte quelle disposizioni che Sua Santità nella sua illuminata rettitudine crederà stabilire, gloriandosi di essere egli ed il suo istituto figli obbedienti della S. Sede.
Ella vegga di tornare con sollecitudine ed intanto mi creda con particolare stima.
Don Bosco eseguì senza dilazione quanto il Cardinale Protettore suggeriva, scrivendo queste due lettere a Sua Santità e all'Eminentissimo. [265]
La mia sanità, o Beatissimo Padre, m'impedisce di recarmi a Roma per mettermi rispettosamente ai piedi suoi per qualunque cosa la S. V. giudichi tornare alla maggior gloria di Dio.
Ho però incaricato il nostro confratello Don Dalmazzo con facoltà di fare le mie veci in tutto quello che sarà beneviso alla Santità Vostra.
Supplico umilmente V. S. a voler compartire una benedizione alla mia vista gravemente minacciata affinché possa impiegare i giorni di vita, che Dio vorrà ancora concedermi, a regolare le cose relative alla umile Congregazione che la S. V. si é degnato di affidarmi.
Umilmente prostrato reputo al più grande onore di potermi professare.
Nella impossibilità di recarmi a Roma e mettermi a totale disposizione dei benevoli voleri del Santo Padre Leone XIII conferisco i pieni poteri al nostro Confratello Prof. Sacerdote Francesco Dalmazzo Procuratore Generale della Pia Società di S. Francesco di Sales, Curato della chiesa del Sacro Cuore di Gesù con facoltà di trattare, conchiudere ed approvare qualunque cosa torni di gradimento alla stessa Santità sua sulla spiacevole vertenza con sua Eccellenza Rev.ma Monsignor Gastaldi Arcivescovo di Torino.
Il medesimo nostro procuratore é incaricato di dare spiegazione ad alcuni fatti insussistenti ma che si vorrebbero imputare alla povera Congregazione Salesiana.
Rettore Maggiore della Pia Società Salesiana.
Il Santo Padre si dichiarò soddisfatto che Don Dalmazzo, venendo con pieni poteri, fosse in grado di rappresentare il suo Superiore presso il Segretario di Stato per la conclusione dell'affare[213].
Le cose erano dunque in mano all'Eminentissimo Jacobini, che agiva come delegato dal cardinale Nina, ma riferiva direttamente al Papa. Al Cardinale Segretario di Stato e [266] per suo ordine il Colomiatti presentò uno schema di equo accomodamento in sette articoli, che investivano tutte le questioni dibattute fra l'Arcivescovo di Torino e Don Bosco. Questi articoli furono comunicati al Beato, che li diede a studiare e ne contrappose altri sette, con le ragioni che consigliavano i mutamenti Noi riprodurremo gli uni e gli altri, usando il tondo per i primi e il corsivo per i secondi. Le relative motivazioni si possono leggere altrove[214].
I° Don Bosco scriverà una lettera a Mons. Arcivescovo, nella quale dovrà esprimere il suo dispiacere, che in questi ultimi anni alcuni incidenti abbiano alterato i pacifici rapporti che passavano tra esso e la Curia, ed abbiano potuto cagionare amarezze all'animo di Monsignore; e se Monsignore ha potuto ritenere che egli o qualche individuo dell'Istituto abbia influito a tale condizione di cose, Don Bosco implorerà venia da Monsignore e lo pregherà di dimenticare il passato.
I° Don Bosco scriverà una lettera a Mons. Arcivescovo nella quale dovrà esprimere il suo dispiacere che in questi ultimi tempi alcuni incidenti abbiano alterato i pacifici rapporti che passavano tra di loro ed abbiano potuto cagionare amarezze all'animo di Monsignore.
2° Monsignore Arcivescovo risponderà a Don Bosco dichiarando che i sentimenti da questo espressi gli sono stati di non lieve conforto, e non dubitando della sincerità dei medesimi dimentica il passato e lo riamette nella sua grazia.
2° Mons. Arcivescovo nel termine di tre giorni risponderà che i sentimenti da Don Bosco espressi gli sono stati di non lieve conforto, e non dubitando della sincerità dei medesimi promette di dare a lui ed ai Salesiani nuove prove della primiera sua benevolenza.
3° Decorsi tre giorni da tale scambio Monsignore trasmetterà la riabilitazione alle confessioni a Don Bosco per Don Bonetti senza limitazione di luogo. Don Bosco impegnerà la sua parola di non mandare per un anno Don Bonetti a Chieri. Decorso tale termine non dovrà per parte della Curia inibirglisi il ritorno in detto luogo per qualche particolare circostanza a predicare o ad ascoltare le confessioni.
3° Decorsi tre giorni da tale scambio Mons. Arcivescovo in base del Rescritto della Sacra Congregazione del Concilio in data del 28 gennaio dell'anno corrente 1882 trasmetterà la riabilitazione a Don Bosco per Don Bonetti senza limitazione di luogo; Don Bosco impegnerà la sua parola di non rimandare per un anno Don Bonetti a Chieri in [267] qualità di Direttore. Decorso tale termine Don Bosco e chi per esso sarà libero di servirsi nella sua prudenza dell'opera di Don Bonetti secondo che richiederà il bisogno della Congregazione Salesiana, e il prelodato sacerdote in vista soprattutto del citato Rescritto e della indebita punizione da lui sofferta già per 4 anni, rientrerà almeno nella condizione di ogni altro confessore dell'Archidiocesi, che dopo regolare esame sia stato giudicato idoneo ed approvato; e quindi la Curia non potrà inibirgli di confessare o limitargliene la facoltà pei fedeli, se non a norma dei Sacri Canoni.
4° Quantunque l'Esposizione a stampa dei fatti riguardanti l'Arcivescovo, non abbia avuto lo scopo di pubblicità: ma solamente sia stata diretta ai Cardinali della Congregazione, tuttavia Don Bosco s'impegna di ritirare dai medesimi quelle copie e sopprimerle.
4° Quantunque la Esposizione dei fatti riguardanti l'Arcivescovo non abbia avuto lo scopo di pubblicità e sia stata una semplice difesa presso gli Eminentissimi giudici diretta a ribattere accuse pubblicate a stampa da Mons. Arcivescovo contro i Salesiani e sia poggiata a fatti e a documenti, tuttavia, Don Bosco s'impegna di ritirare le copie per tale effetto distribuite, quando gli sia dimostrato a voce o per iscritto che le cose ivi contenute non sono conformi alla verità.
5° Ad eliminare ogni occasione di attriti Mons. Arcivescovo ritirerà e distruggerà le due lettere, una in data del 25 novembre, l'altra del 10 dicembre 1877 in cui si minaccia a Don Bosco la pena preventiva della sospensione ipso facto incurrenda se scrive, se stampa o propaga scritti o detti che possano tornare a danno di Monsignore Arcivescovo.
5° A riparare l'onore dei Salesiani, a scancellare la macchia loro inflitta nello sfregio recato al loro fondatore e superiore generale e ad eliminare ogni occasione di attriti per l'avvenire, Monsignore Arcivescovo ritirerà e distruggerà le due lettere, una in data del 25 novembre, l'altra del 10 dicembre 1877 in cui contrariamente ai Sacri Canoni si minaccia a Don Bosco la pena preventiva della sospensione ipso facto incurrenda se scrive, se stampa o propaga scritti o detti che possano tornare a danno di Monsignor Arcivescovo. Dichiarerà ancora di ritirare qualunque stampa o manoscritto in cui si contengano accuse ed imputazioni contro i Salesiani senza le dovute prove.
6° Per ciò che concerne la questione degli opuscoli incriminati dalla Curia, Don Bosco dichiara di aver sempre biasimato e di biasimare il modo e la forma non conveniente con cui si parla dell'autorità ecclesiastica, ed é pronto quante volte si richieda ad emetterne atto formale. Come altresì é prontissimo a condannare la materia in essi contenuta qualora gli siano specificati i punti o proposizioni che in faccia alla Chiesa sono da biasimarsi.
6° (Si accetta tutto questo articolo). [268]
7° Tale dichiarazione dovrebbe avere per conseguenza la soppressione del processo incoato dalla Curia Arcivescovile.
7° Tale dichiarazione, da farsi per altro dopo che Monsignore avrà concessa la riabilitazione a Don Bonetti, dovrà avere per conseguenza la soppressione del processo incoato dalla Curia Arcivescovile.
Queste controproposte erano state scritte da Don Bonetti.
Proposte e controproposte messe a confronto vennero fuse in una carta di composizione che fu detta la Concordia. Il 15 giugno a Don Dalmazzo e al canonico Colomiatti giunse una chiamata del cardinale Nina, che fece leggere loro il documento da doversi firmare al più presto, con facoltà però di esporre ognuno le proprie considerazioni. Don Dalmazzo rilevò che, se da una parte si aveva motivo di andar lieti per quanto erasi fatto a favore di Don Bosco, dall'altra lo addolorava la conclusione riguardante Don Bonetti. In tal senso ne scrisse la sera stessa a Sua Eminenza; se non che, essendo quello il volere del Papa, le sue rimostranze a nulla valsero. Chiese allora di firmare con una riserva formulata a dovere. Il Cardinale rifiutò e gl'impose di firmare. Don Dalmazzo firmò.
Fatto questo, Sua Eminenza gli spiegò chiaramente le ragioni che avevano indotto a prendere un tal partito. Il Papa con quel mite provvedimento sperava di tirare a sé l'Arcivescovo e di fargli cambiare sistema su tutta la linea, specialmente in materia di dottrina; pareva anzi che il Colomiatti glielo avesse promesso. In secondo luogo il Papa aveva tenuto conto della mordacità di certe cose scritte da Don Bonetti intorno all'Arcivescovo nel Bollettino Salesiano, il che mostrava il suo spirito battagliero, e di questo spirito il Papa disse che era una prova la lettera a lui diretta[215]. Ora ecco il testo della Concordia. [269]
La Santità di Nostro Signore considerando che le varie vertenze da qualche tempo insorte tra Mons. Arcivescovo di Torino e la Congregazione dei Salesiani sono sorgente di dissapori ed attriti, con detrimento dell'autorità e ammirazione nei fedeli, ha fatto conoscere alle parti dissidenti essere suo volere, che si cessi da ogni dissidio, e si ristabilisca fra essi una pace vera e duratura, mediante i seguenti accordi:
I. Don Bosco scriverà una. lettera a Mons. Arcivescovo, nella quale dovrà esprimere il suo dispiacere che in questi ultimi tempi alcuni incidenti abbiano alterato i pacifici rapporti che passavano fra esso e la Curia, ed abbiano potuto cagionare amarezze all'animo di Monsignore. E se Monsignore ha potuto ritenere che o egli o qualche individuo dell'Istituto abbia influito a tale condizione di cose, Don Bosco implorerà venia da Monsignore, e lo pregherà di dimenticare il passato.
II Mons. Arcivescovo risponderà a Don Bosco, dichiarando che i sentimenti da questo espressi gli sono stati di non lieve conforto, e non dubitando della sincerità dei medesimi dimentica il passato e lo riammette nella sua grazia.
III. Decorsi tre giorni da tale scambio, Mons. trasmetterà la riabilitazione alle confessioni a Don Bosco per Don Bonetti, senza limitazione di luogo; Don Bosco impegnerà la sua parola di non rimandare per un anno Don Bonetti a Chieri. Decorso tale termine non dovrà per parte della Curia inibirglisi il ritorno in detto luogo per qualche particolare circostanza a predicare o ad ascoltare le confessioni.
IV. Quantunque la esposizione a stampa dei fatti riguardanti l'Arcivescovo non abbia avuto lo scopo di pubblicità, ma solamente sia stata diretta ai Cardinali della S. Congregazione, tuttavia Don Bosco s'impegna di ritirare dai medesimi quelle copie e di sopprimerle.
V. Ad eliminare ogni occasione di attriti, Mons. Arcivescovo ritirerà e distruggerà le due lettere, una in data del 25 novembre, l'altra del 10 dicembre 1877, in cui si minaccia a Don Bosco la pena preventiva della sospensione ipso facto incurrenda se scrive, se stampa o propaga scritti o detti che possano tornare a danno di Mons. Arcivescovo.
VI. Per ciò che concerne la questione degli opuscoli incriminati dalla Curia, Don Bosco dichiara di aver sempre biasimato, e di biasimare il modo e la forma non conveniente con cui si parla dell'autorità ecclesiastica, ed è pronto, quante volte si richieda, ad emetterne atto formale. Come altresì è prontissimo a condannare la materia in essi contenuta, qualora gli siano specificati i punti o proposizioni, che in faccia alla Chiesa sono da biasimarsi. [270]
VII. Tale dichiarazione dovrebbe avere per conseguenza la soppressione del processo incoato dalla Curia Arcivescovile.
Roma, questo dì, 16 giugno 1882.
In virtù dei poteri accordatimi dal mio amatissimo Superiore, S. Ecc. Rev.ma Mons. Lorenzo Gastaldi, accetto ed approvo quanto sopra viene stabilito.
In virtù dei poteri accordatimi dal mio Superiore Generale Rev.mo Don Giovanni Bosco, accetto ed approvo quanto sopra viene stabilito.
Il cardinale Nina spedì a Don Bosco l'atto autentico il 23 giugno, accompagnandolo con queste parole di commento: “Come vedrà dal tenore della detta Concordia, il primo e principale incombente si è quello che Ella dovrà scrivere una lettera a Mons. Arcivescovo del tenore, di cui troverà la traccia nel primo articolo. Non ho bisogno di aggiungerle, che più Ella si atterrà ad espressioni castigate ed inspirate ad umiltà e più sarà sperabile guadagnare l'animo di quel Prelato. Né sarebbe fuor di proposito procurare di rivederlo ed avvicinarlo. Insomma dal canto suo dovrebbe usare ogni industria per persuadere che Ella veramente s'inspira alle intenzioni del Santo Padre, per una pace vera e duratura. Che se malauguratamente non avesse a trovare corrispondenza, non si sgomenti, perché Iddio provvederà [...]. Se la misura riguardante Don Bonetti può sembrare piuttosto severa, Ella potrà persuaderlo che il di lui onore in sostanza é riparato coll'abilitazione illimitata, e la di lui virtù non verrà meno se deve rassegnarsi al tempo di un anno per accedere a Chieri. Debbo infine raccomandare per quanto so e posso alla di Lei sperimentata prudenza, due cose. La prima é né nel Bollettino Salesiano, né in altra guisa permetta a chicchessia dei suoi di pubblicare cose, che abbiano la men che indiretta allusione all'Arcivescovo e sua Curia. L'altra che presentandosi qualche nuovo motivo o pretesa che [271] potrebbe dare occasione ad attrito, non Le sia discaro di tenermene in prevenzione informato per quei consigli, che potrei suggerirle a bene dell'Istituto. La molta fiducia che ho della di Lei virtù e senno, mi sono arra del buon risultato delle pratiche da esaurire, e di cui La prego pure tenermi informato.”
Per ben comprendere la risposta che Don Bosco inviò al Cardinale, bisogna sapere che Don Dalmazzo nella lettera del 18 gli aveva scritto: “Dal Papa [il Colomiatti] ebbe udienza ripetutamente ed una volta ci stette un'ora e mezzo, ed io non fui chiamato, non fui sentito.” Di qui il dubbio che gli articoli, anziché dettati da Sua Santità, fossero stati presentati dalla parte contraria; tanto più che il cardinale Nina veniva a trovarsi in contraddizione con una sentenza emanata da lui stesso nella Sacra Congregazione del Concilio. Don Bosco dunque rispose così:
Ho ricevuto la lettera di V. E. Rev.ma che mi comunica il progetto del Sig. Avv. Colomiatti presentato al S. Padre. Vi sono cose di assai difficile esecuzione. Dimando alcuni giorni per fare alcuni schiarimenti che tosto farò tenere alla E. V.
Mi compatisca della maniera forse sconveniente con cui scrivo; voleva scrivere io stesso che, son male in arnese[216].
Mi voglia sempre credere colla massima venerazione
La supposizione di Don Bosco non si può pensare che fosse un pretesto per guadagnar tempo e far disfare il fatto, come forse dubitò il cardinal Nina. Egli era sinceramente persuaso che la chiamata di Don Dalmazzo da parte di Sua Eminenza per dire le proprie ragioni in confronto con il [272] Colomiatti fosse una pura commedia, ma che dietro le quinte si fosse già concertato col Canonico tutto il da farsi. Lo dice senz'ambagi in una sua del 28 al Procuratore: “Le cose sono molto pasticciate. Ho ricevuto la famosa comunicazione. Preparo qualche osservazione. Ma vi é la tua firma. Se hai qualche cosa da osservare dimmelo subito. Il Card. Nina ti attendeva per farti fare il pulcinella. Ci caveremo anche da questa come potremo.”
Ma, checché fosse degl'intrighi dell'avversario, la Concordia era veramente espressione della volontà papale, come assicurò Don Dalmazzo il 30 giugno: “[Il Cardinale Nina] incaricato di stendere in carta i pensieri di Lui, anzi le condizioni di accomodamento, si permise di togliere il punto che consiglia a Don Bosco ritenere il Bonetti per un anno a Torino, e ne ebbe rimprovero dal Papa come non l'avesse ben compreso. Si fece leggere tutto il foglio ed ordinò e fece fare sotto i suoi occhi parecchie modificazioni. Dunque é il Papa, é Lui solamente che ordinò ogni cosa, ed essendo assicurato che non solo era desiderio, ma volere di Lui esplicito, che pro bono pacis Don Bosco si rimettesse, e per altra parte memore delle proteste antecedenti di Don Bosco, di voler essere ossequentissimo a quanto il Papa avrebbe stabilito, io non poteva e non doveva far altro che firmare.”
Il Servo di Dio comprese; ma ragion voleva che aspettasse la risposta del Cardinale, e la risposta fu alquanto severa, poiché a lui evidentemente sfuggivano i motivi che Don Bosco aveva avuto di dubitare sull'origine vera degli articoli.
La sua lettera del 27 spirante giugno giuntami solamente questa mattina, mi é riuscita di non poca sorpresa, e dirò pure di amarezza.
In essa Ella mi parla come di un progetto dell'Avv. Colomiatti presentato al S. Padre, aggiungendo che in esso vi sono cose di assai difficile esecuzione.
Invece io con la mia Le partecipai la Concordia già firmata dalle parti munite di autorizzazione dai rispettivi Superiori, i di cui [273] articoli non dal Colomiatti, ma dalla stessa Santità Sua sono stati ispirati ed approvati.
Questa sola circostanza dovrebbe far sparire ogni difficoltà di esecuzione, se pure Ella non voglia dimenticare e smentire quello che più volte e a voce ed in iscritto ha dichiarato, cioè che nella sua linea di condotta non vorrebbe mai allontanarsi dalla volontà del Santo Padre in cui scorgeva la volontà di Dio. Richiamare quindi in discussione gli articoli approvati, sarebbe lo stesso che sindacare la volontà del Papa, se sia o no fondata su principii di equità e sopra viste di utilità per ambe le parti.
Su qual proposito debbo anzi aggiungerle che il Santo Padre in questi giorni stessi mi ha, con officio del Segretario di Stato, fatto premura di essere cerziorato della esecuzione di quanto si é convenuto, che Egli intende sia un fatto compiuto. Cosa dovrei rispondergli? Io non ho il coraggio di dirgli che nulla si é fatto, che anzi si elevano ora da sua parte difficoltà gravi nell'esecuzione, perché amo che Ella stessa ne giudichi la sinistra impressione che ne risentirebbe, vedendo in fatto smentita quella docilità e sottomissione che a parole si professa, da volersi richiamare fors'anche sulle benevoli disposizioni che nutre verso l'Istituto.
Non vorrei pensare che le difficoltà insorgano per parte di Don Bonetti; ma se la cosa fosse così, mi spiacerebbe scorgere in Lei soverchia debolezza o deferenza verso un subalterno; ed altronde considerata nel suo giusto valore la condizione che lo riguarda, non parrebbe che nell'insieme dei fatti e delle circostanze importasse essa un impossibile sacrifizio.
Torno adunque a pregarla e scongiurarla per quanto so e posso, a non perdere tempo con nuove osservazioni, che allo stato delle cose sarebbero inutili, se non nocevoli, ed invece a dare pronta esecuzione alla detta Concordia, ond'essere in grado di annunziare quanto prima al Santo Padre, che essa é veramente un fatto compiuto, recando così al di lui animo, in mille guise amareggiato, un qualche conforto.
Con la solita distinta stima mi creda
Allora Don Bosco lesse in Capitolo gli articoli della Concordia. Fu una costernazione generale. Don Bonetti era esasperato per la parte toccatagli; tutti erano afflitti per l'umiliazione imposta al loro buon Padre. Dopo il primo sgomento, si accese fra i Capitolari una discussione sull'opportunità [274] di chiedere una dilazione per guadagnar tempo e intanto prendere consiglio dalle circostanze. Solamente Don Cagliero taceva. Don Bosco, dopo aver ascoltato in silenzio, disse a lui: - E tu non parli? - Don Cagliero, cosi interpellato, si rivolse ai suoi colleghi e con l'usata sua franchezza dichiarò che non condivideva affatto la loro opinione. Il Papa aveva parlato, e bisognava obbedire. Il Papa aveva deciso a quel modo, perché conosceva Don Bosco e sapeva di poter fare assegnamento sulla sua virtù, e non c'era da tergiversare.
Essendo cosa nella quale era impegnato l'onore della Congregazione, Don Bosco aveva letto la Concordia in Capitolo unicamente per darne comunicazione ufficiale ai Capitolari, non già per metterla in discussione o per aspettare l'altrui consiglio sul da farsi. L'8 luglio chiese venia a monsignor Gastaldi con questa lettera:
La Santità di Nostro Signore, considerando che le varie vertenze da qualche tempo insorte tra la Ecc.za Vostra Ill.ma e Rev.ma e l'umile Congregazione dei Salesiani, sono sorgente di dissapori e attriti, con detrimento dell'autorità ed ammirazione nei fedeli, si é degnata di farmi conoscere essere suo volere che si cessi da ogni dissidio e si ristabilisca tra di noi una pace vera e duratura.
Laonde, per assecondare le paterne e savie intenzioni dell'Augusto Pontefice, che furono pur sempre le mie io esprimo alla Eccellenza V. Rev.ma il mio dispiacere che in questi ultimi tempi alcuni incidenti abbiano alterato i pacifici rapporti che già passavano tra di noi, ed abbiano potuto cagionare amarezze all'animo della E. V. Rev.ma. Anzi se mai la E. V. ha potuto ritenere che o io o qualche individuo dell'Istituto abbia influito a tale condizione di cose, io ne imploro venia da V. E. Rev.ma, e La prego di dimenticare il passato.
Nella speranza che V. E. Rev.ma vorrà accogliere benignamente questi miei sentimenti, godo di prendere questa propizia occasione per augurarle dal Sommo Iddio le più elette benedizioni, mentre ho l'alto onore di professarmi con grande stima e con profonda venerazione
I1 giorno medesimo scrisse al Cardinale Protettore, confessando con la massima calma il proprio errore ed informandolo d'aver eseguito il primo e più importante articolo della Concordia, senza dare il minimo segno di amarezza per la paternale poc'anzi ricevutane.
Da principio ho creduto che i sette articoli della Concordia sottoscritti dal nostro Don Dalmazzo non fossero da riguardarsi se non quale un progetto di accomodamento presentato dal Sig. Can. Colomiatti, e che quindi fosse permesso alla parte contraria il dare o chiedere schiarimenti in proposito. Ma dal venerato foglio dell'Em.za V. Rev. avendo conosciuto che sono l'esplicito volere del Santo Padre, mi sono affrettato di adempire il 1° articolo, che, come Ella ebbe già ad esprimersi, é il primo e principale mio incombente. Per norma della E. V. Rev.ma Le unisco copia della lettera scritta al Rev. Mons. Arcivescovo.
Voglia l'Em. V. continuarmi la sua benevolenza, e pregare per me e per la povera nostra Congregazione esposta oggidì a grandi traversie.
Nella speranza di poterle tra poco comunicare l'esito della mia lettera diretta a Mons. Arcivescovo, prego il buon Dio che la feliciti, mentre godo dell'onore di potermi professare con alta considerazione
L'Arcivescovo, a termine dell'articolo terzo, rispose a Don Bosco in forma inappuntabile.
Ho ricevuto la lettera di V. S. colla data 8 luglio 1882, e sono assai lieto di potere dichiarare che i sentimenti in essa lettera espressi mi sono stati di non lieve conforto.
Quindi di cuore concedo l'implorato perdono a Lei ed a qualche individuo della Congregazione Salesiana, che io ho potuto ritenere avere influito alla condizione di cose della quale Ella mi esprime il suo dispiacere; ben volentieri dimentico il passato; e la riammetto nella mia grazia.
Anzi liberamente rinunzio a domandare atto di formale dichiarazione e condanna intorno agli Opuscoli incriminati dalla mia Curia.
Perché poi le due lettere mie, l'una in data 25 novembre 1877, e l'altra datata dal 10dicembre dello stesso anno, per la presente [276] lettera sua, cessano di avere lo scopo col quale furono scritte, io intendo che le medesime mi siano rimandate e cessino di esistere.
Medesimamente con questa mia riabilito Don Giovanni Bonetti, Sacerdote Salesiano, ad udire le confessioni senza limitazione di luogo, poiché ritengo impegnata la parola di V. S. secondo le intenzioni del S. Padre, state a Lei manifestate e da Lei riconosciute paterne e savie; e sopprimo il processo incoato dalla mia Curia.
Ringrazio il Sommo Iddio e l'Augusto Pontefice, che nelle insorte questioni fece veramente da buon Padre, quale é, e nella fiducia che la Congregazione Salesiana sarà ognora di consolazione all'Arcivescovo di Torino, dò a Lei ed ai Salesiani la mia pastorale benedizione, auspice di quella amplissima che sopra di Lei e su tutta la Congregazione imploro dal misericordioso Iddio.
Da S. Ignazio presso Lanzo, II luglio 1882.
Restava da eseguire l'articolo quinto. A tal fine Don Bosco gli rimise le due lettere minacciantigli la sospensione.
Fo seguito alla lettera che V. E. mi ha scritto in data 1° del corrente luglio, e Le ritorno le due lettere, 25 novembre, 1° dicembre 1877, con cui erami minacciata la sospensione ipso facto verificandosi i motivi colà descritti.
Io benedico di cuore il Signore che siano cessati i motivi di dispiaceri tra la E. V. e la povera Congr. Salesiana, ed ho piena fiducia che in avvenire soltanto la gloria di Dio sarà oggetto delle nostre sollecitudini nei difficili tempi che corrono per la santa nostra religione.
Con pienezza di stima e colla più grande venerazione, ho l'onore di professarmi.
Con la stessa data informò brevemente del suo operato e dei suoi sentimenti il Cardinale Protettore.
Le mando copia della risposta fatta da Monsignor Arcivescovo, ed oggi stesso ho mandato a lui medesimo le due lettere che diedero origine a tanti dispiaceri.[277]
Giacché io sottometto la povera Società Salesiana a questa umiliazione, almeno le cose durassero Ma ci temo assai. Si va decantando che Don Bosco fu condannato, Don Bonetti non andrà più a Chieri etc.
Ad ogni modo io ho agito con serietà; e serbando silenzio vado avanti.
Mi permetta l'onore di potermi con inalterabile gratitudine professare della E. V. Rev.ma
A cose fatte, venne la parola alta del Cardinale Protettore a commentare e a commendare la finale del dramma. Scrisse a Don Bosco il 26 luglio: “Ho ricevuto la sua ultima graditissima, con l'inserto che era già pervenuto a mia notizia per la trasmissione del Can. Colomiatti Come era ben naturale, ho di tutto reso conto al Santo Padre, il quale é rimasto molto soddisfatto e consolato che finalmente sia stata sopita ogni differenza e fatta la pace, che egli intende sia sincera e duratura. Ora é superfluo parlare e discutere di chi sia la vittoria o la sconfitta. A mio modo di vedere la vittoria é sempre della Congregazione, perché mentre il merito della questione è invulnerato, le modalità accidentali non gli cambiano natura. E non conviene dimenticare che gli atti di umiltà, se in faccia al mondo appaiono debolezze, in faccia a Dio ed ai ben pensanti sono sempre atti virtuosi, che onorano chi li emette ed hanno seco la ripromessa, che qui se humiliat exaltabitur. Per cui Ella stia tranquilla sul suo operato e tranquillizzi pure i suoi dipendenti, che l'aver seguito le viste del Santo Padre ridonderà a vantaggio dell'Istituto ed a gloria di Dio.”
Sotto l'iride di pace che allargava le sue braccia dalle rive della Dora alle valli di Sant'Ignazio non doveva mancare il gracidare stonato di ranocchi giornalistici. Col titolo “Una questione nera” la Gazzetta Piemontese pubblicò nel numero del 26 luglio un articolo, in cui, richiamati i vecchi “malumori” fra monsignor Gastaldi e Don Bosco, raccontava con poca [278] esattezza le ultime vicende. L'intonazione sonava favorevole al primo. Infatti vi si attribuiva ai “patroni del Vaticano” l'avere le Congregazioni dato precedentemente ragione a Don Bosco e torto a Monsignore, soggiungendosi poi che il Papa “cassò le decisioni”delle Congregazioni e “diede torto” a Don Bosco e che il Santo Padre “obbligò” Don Bosco a “fare atto di sottomissione”, e a distruggere le copie “invendute” o reperibili degli opuscoli. L'articolista informato a quel modo non aveva certo attinto a Valdocco per manipolare la sua prosa. Già il 25 luglio Don Bosco medesimo scrivendo al cardinale Nina per la consacrazione della chiesa di San Giovanni, era uscito in questi lamenti: “Dalla stessa Curia si decantano le umiliazioni che hanno fatto fare a Don Bosco. Altre ne dovrà ancora esso fare. Queste dicerie dilatate male, male interpretate abbattono i poveri Salesiani. Già due nostri Direttori di case dimandano di ritirarsi da una Congregazione che loro pare divenuta il ludibrio delle autorità. Altri nostri preti e chierici fanno la medesima domanda. Tuttavia io voglio serbare rigoroso silenzio, secondo che ho già scritto alla Eminenza vostra.” Per tutte queste ragioni il 29 luglio apriva l'animo suo anche a Don Dalmazzo nei seguenti termini: “Le cose coll'Ar. fanno ogni giorno nuove fasi. Oggi tutto pace, dimani tutta guerra, ed io accetto tutto e intanto andiamo avanti”[217].
Il povero Don Bonetti non poteva inghiottire la sua pillola. Alla prima notizia aveva dato sfogo ai sentimenti dell'animo in una lunghissima lettera da inviare al Papa; ma, quando la si ricopiava in bella, si venne a conoscere con certezza essere espressa nella Concordia la volontà del Papa; onde chiuse nel cassetto il suo scritto, che però non ha perduto [279] il suo valore, mostrando chiaramente per quali tribolazioni siano passati Don Bosco e i suoi. Si lagnò pure con Don Albera della tranquillità, con cui Don Bosco aveva accettata ed eseguita la decisione pontificia, anzi gli palesò l'idea di uscire ad tempus dalla Congregazione per essere libero di difendere lui e sé. Il teologo Margotti desiderava molto di accaparrarsene la penna a servizio del proprio giornale. Il confronto fra i due atteggiamenti ci serve a valutare meglio la virtù eroica di Don Bosco, del quale il medesimo Don Albera attestò: “Per parte mia a quell'epoca ebbi a trattare molte volte e di molte cose con Don Bosco e non mi accorsi mai che egli avesse preoccupazione o pena”[218].
Don Bonetti, nei mesi della sua maggiore agitazione, per procurare allo spirito un confortevole diversivo, si era applicato a scrivere una Vita Popolare di Santa Teresa, che uscì nella seconda metà di agosto. Il lavoro, nonostante le difficoltà, che presentava, é assai ben condotto. Ne inviò due copie al cardinale Nina, pregandolo di volerne presentare una al Santo Padre. Nella sua lettera gli diceva[219]; “Mi furono a suo tempo fatti conoscere i 7 articoli della Concordia tra Sua Ecc. Rev.ma Mons. Arcivescovo di Torino e la Congregazione dei Salesiani. Le confesso, Eminenza, che alcuni di quelli articoli mi hanno da prima profondamente addolorato, perché mi sembrò di vedervi punito il mio venerato Superiore Don Bosco e la povera mia persona. Ma appena venni a sapere che i detti articoli erano suggeriti dal Santo Padre, io trovai nel mio cuore tanta stima e tanta devozione per Lui, da non esitare un istante ad accogliere quella sua disposizione colla più assoluta docilità e sudditanza, come Egli ha diritto di aspettarsi dai suoi veri figli.”
Il Cardinale accolse molto benevolmente la lettera e gli fece scrivere che, vedendo il Papa, gli avrebbe presentato il [280] libro e letta la sua lettera[220]. Ed ecco adempiuta tre settimane dopo la promessa. Il Papa volle leggere la lettera da capo a fondo e affidò a Sua Eminenza l'incarico di manifestargli il proprio gradimento e di fargli giungere parole di conforto; il che egli eseguì con tutta sollecitudine[221].
In novembre Don Bonetti impugnò nuovamente la penna per segnalare al Cardinale le male voci che la parte contraria andava spargendo a disdoro di Don Bosco e dei Salesiani. Esposti i fatti, conchiudeva: “Noi siamo trattati per irriverenti, per ribelli, per la feccia del Clero; il peggio si é che tali ci fanno credere appoggiandosi a disposizioni del Santo Padre; qui si tratta ormai della vita o della morte della Congregazione Salesiana, la quale ha bisogno della stima dei suoi benefattori, perché le prestino la mano a sostenere le molteplici opere sue, a vantaggio della religione e della civile società; ha bisogno di godere la fiducia tra i fedeli per avere delle vocazioni religiose; la fiducia degli stessi suoi membri, affinché non venga meno la loro vocazione.” “Sono pettegolezzi inevitabili”, gli fece dire il Cardinale dall'avvocato Leonori[222]; perciò non ne facesse caso e non perdesse la calma. Pettegolezzi però che riempivano di calunniose maldicenze le sacrestie e le canoniche[223] e donde si deve ripetere, in qualche superstite del vecchio clero diocesano, un certo strascico di freddezze o di scarse simpatie verso i Salesiani.
Nel febbraio del 1883 Don Bonetti si vide ancora obbligato a protestare presso il cardinale Nina contro gl'imbarazzi che si frapponevano continuamente dalla Curia nell'esame delle stampe salesiane per dare il Visto[224] e contro certi divieti ai parroci di distribuire come segno della comunione pasquale un libretto intitolato Gesù Cristo nostro Dio e nostro Re e composto dallo stesso Don Bonetti nell'intento pratico di [281] rintuzzare le bestemmie che un giornalaccio, denominato sacrilegamente Gesù Cristo, vomitava in mezzo al popolo[225]. Ma quando Sua Eminenza gli rispose, monsignor Gastaldi non era più tra i vivi: la mattina di Pasqua l'avevano trovato freddo cadavere. Sugl'incidenti lamentati era dunque superfluo interloquire.
“Adoriamo, gli scriveva invece Sua Eminenza il 29 marzo 1883, gl'imperscrutabili disegni di Dio e con cristiana carità preghiamo. Ma Le confesso che all'annunzio del disastro fui compreso da una gravissima tristezza, pensando che l'ultimo atto della sua autorità pastorale commesso a sfregio dei poveri miei Salesiani, osterebbe certo alla di lui canonizzazione. Rimane che si preghi moltissimo perché il Signore mandi un Pastore iuxta cor suum”
La morte dell'Arcivescovo fece sorgere il dubbio, se le disposizioni contenute nella Concordia a carico di Don Bonetti durassero tuttavia in vigore. L'interessato ne interpellò la Sacra Congregazione del Concilio, la cui risposta fu: Nihil innovetur: nessuna novità, fino all'ingresso del successore. Ma egli bruciava dalla voglia di scuotere da sé l'odioso gravame. Il terzo articolo portava che, dopo l'allontanamento di un anno da Chieri, gli sarebbe lecito di ritornarvi, ma solo per qualche particolare circostanza. Compiuto dunque l'anno dalla sottoscrizione della Concordia, supplicò di essere prosciolto da ogni condizione di tempo. Il Papa, facendo buon viso alla domanda, revocò pienamente la disposizione[226]. Questa decisione del Santo Padre fu comunicata ufficialmente a Don Bosco dalla Sacra Congregazione con un rescritto, nel quale si dichiarava che la prefata disposizione non aveva più nessun valore post Archiepiscopi funus. Sulla carta che racchiudeva il sospirato decreto Don Bonetti scrisse:
“E così fu tutto finito. Finalmente!!!”[227]
Ma non tutto é finito per la storia. Dinanzi a noi stanno [282] ancora due punti oscuri, che domandano di essere chiariti. Il primo è sull'inizio del processo criminale. I decreti della Curia torinese che citavano Don Bonetti e Don Bosco a rispondere degli opuscoli, designavano il teologo Michele Sorasio come sostenitore ufficiale dell'accusa, precisando che egli aveva basato la sua denunzia su prove sufficienti. Un po' tardi, se si vuole, ma un bel giorno la verità venne a galla. Ciò fu nel 1917, quando il Sorasio in una lettera dell'8 novembre al Cardinale Prefetto della Sacra Congregazione dei Riti confessò umilmente e francamente com'erano andate le cose. Da che fosse mosso a tale confessione lo diceva nell'esordio: “Il Processo Apostolico del Ven. Don Bosco é oramai terminato, ed io, qual Vicario deputato dall'E.mo nostro Card. Arcivescovo, mi unirò coi Colleghi nel farne la relazione; ma avendo già oltrepassato ottant'anni, e nei timore d'essere colpito dalla morte, mi permetto di esporre all'Emin. Vostra R.ma un mio fatto personale, che potrà dare una qualche luce sulle opposizioni fatte contro il processo; ed intendo che questa esposizione venga unita al processo, avvenendo la mia morte.”
E il fatto personale é questo. Nel 1881 il Sorasio era segretario della Curia. Un giorno il canonico Chiuso, segretario dell'Arcivescovo e Cancelliere, gli disse che nella sua qualità di promotore della mensa doveva fare istanza all'Avvocato fiscale canonico Colomiatti, perché intentasse causa contro Don Bosco, quale autore dei famosi opuscoli. Gli rispose energicamente che credeva impossibile che Don Bosco fosse caduto in tale bassezza; aver egli ben altro da fare, dovendo provvedere il pane a tanti giovani del suo Oratorio, dei collegi e delle missioni; sembrargli anzi incapace di trattare argomenti filosofici, come quelli che formavano la materia di uno degli opuscoli. Essendo stato condiscepolo del Chiuso nello studio della morale, ebbe anche il coraggio di dirgli: - Vedi, a quest’ora Don Bosco é tale un colosso, che vi schiaccerà tutti. - [283]
Il canonico Chiuso, colpito da questo linguaggio, gli rispose: - Ma dunque tu sai chi n'è l'autore! - Gli dichiarò che non lo sapeva, ma che nutriva sospetti sul padre Rostagno, gesuita, perché una volta l'aveva udito esclamare: - Ah! l'aggiusteremo noi il vostro Arcivescovo! -
Il Chiuso, non potendo spillare di più, lo mandò dal Colomiatti, che gli ripeté il medesimo invito o comando e ne ricevette le medesime risposte, meno il giudizio sul colosso. Allora il Colomiatti con aria di sicurezza l'interrogò: - E se lo condannassimo? - L'altro si strinse nelle spalle e conchiuse che in tal caso si sarebbe inchinato alla sentenza, dovendo supporre che ci fossero tante prove e così chiare e sicure da potergli infliggere la condanna. A quel punto il Colomiatti, agitandogli davanti agli occhi un voluminoso incartamento, sentenziò: - Vede? Il processo [di Beatificazione] di Don Bosco non lo faremo, come l'abbiamo fatto per il Cottolengo. - Ciò udito, il Sorasio firmò la domanda già preparata di procedere contro Don Bosco. Parcat mihi Deus [Dio me la perdoni], esclama egli nella sua lettera, scusandosi con l'affermare che quello era il tempo “della potenza e dell'ultrapotenza, per non dir altro”.
Male però gl'incolse per aver osato pigliare le difese di Don Bosco. Si vide tollerato in Curia. L'Arcivescovo senza mai accennare a quanto era passato, gli reiterava le proposte, e con certo calore, perché accettasse parrocchie vacanti, prima fuori dell'Archidiocesi e poi fuori di Torino, finché i Preti del Corpus Domini, sapendolo bersagliato in Curia, lo accolsero nella loro Congregazione.
Un secondo punto da chiarire é la paternità degli opuscoli. Il voluminoso incartamento ostentato dal Colomiatti non conteneva proprio nulla che proiettasse almeno un'ombra su Don Bosco e i Salesiani? Chi diede il colpo di grazia alle così dette prove sufficienti, fu Don Giovanni Turchi, che nel 1881 dirigeva l'Istituto dei Ciechi in Torino. Chiamato a deporre nel Processo Apostolico, chiese ai giudici e ottenne di [284] presentare al Tribunale un suo plico suggellato da servire esclusivamente alla Sacra Congregazione dei Riti. Era una lettera molto lunga, che, sotto il vincolo stesso del giuramento da lui prestato come teste, egli indirizzava al Cardinale Prefetto, protestando innanzi tutto di non essere mosso da rancori verso la memoria di monsignor Gastaldi, compatendolo anzi, perché uomo di prima impressione, perché cervello un po' anormale, perché mal circondato[228]. Fatta quindi una particolareggiata esposizione sullo stato dell'Archidiocesi torinese durante l'episcopato di monsignor Gastaldi, e narrate in lungo e in largo le circostanze che precedettero e accompagnarono le famose pubblicazioni “scritte da un Cappellano”, confessava esplicitamente: “Quel Cappellano era e son io Giovanni Turchi.”
Compaesano di Don Bosco, il Turchi era stato presso di lui nell'Oratorio per un decennio, dalla terza ginnasiale fino a qualche mese dopo l'ordinazione sacerdotale; apparteneva a quel gruppo di seminaristi che durante la chiusura del Seminario il Beato aveva accolti in casa per aiutarli a proseguire i loro studi. Egli amava moltissimo Don Bosco; perciò si sentiva ribollire il sangue al vederlo bistrattato e angariato da monsignor Gastaldi, dal Chiuso e dal Colomiatti. A Roma, dove stette nel 1877 e '78 come insegnante privato, mercé le sue ragguardevoli conoscenze, aveva potuto sapere quanto si susurrava delle cose di Torino fra alti dignitari ecclesiastici. Cosi a poco a poco si venne formando in lui l'idea di scrivere quello che scrisse. Da Torino Don Anfossi, dottore in lettere e filosofia, che al par di lui e con lui era stato nell'Oratorio e a Don Bosco si manteneva affezionatissimo, gli mandava [285] da Torino frequenti notizie, che egli utilizzava nel suo lavoro. Così ebbe origine il primo opuscolo, Strenna pel Clero.
Durante il suo soggiorno a Roma seppe che il padre Antonio Ballerini gesuita scriveva intorno alle dottrine di monsignor Gastaldi; egli preparava infatti il Piccolo Saggio, che mandò poi a Torino dopo il ritorno del Turchi alla propria città, e di cui il Turchi medesimo curò la stampa, aggiungendovi di suo la Prefazione, l'Introduzione, le Appendici e l'Avvertenza finale. Ma né il Turchi né il Ballerini ebbero mai a fare nulla col tipografo, poiché alla stampa badavano Don Anfossi e due fidati operai, ex-allievi dell'Oratorio; costoro pensavano pure al contratto e alle spese. Dalla vendita si ricavò tanto da pagare l'editore e da dare una discreta somma al Ricovero cittadino. Si procedette con tale segretezza, che nemmeno il tipografo poté mai indovinare chi fossero gli autori.
Don Anfossi per conto proprio compilò il libretto intitolato La questione rosminiana, a cui Don Turchi appose note appié di pagina[229]. Riguardo all'opuscolo L'Arcivescovo di Torino, Don Bosco e Don Oddenino, il Turchi scrive: “Io pensava che potesse averlo scritto Don Bonetti stesso; ma di poi mi fu accertato da persona che lo può sapere e fededegna, che lo scrittore non ne fu punto Don Bonetti, ma altri, estraneo all'Oratorio Salesiano; né io so chi ne sia lo scrittore.”
Parrà strano che Don Turchi abbia aspettato a parlare nel 1895. Se col processo criminale si fosse arrivati agli estremi, indubbiamente egli avrebbe fatto il dover suo di svelare la verità; “che fossi io uno degli scrittori degli opuscoli, dichiara nella sua lettera, l'avrei detto francamente e a qualunque costo, ma sol quando le cose fossero giunte a tal punto a carico di Don Bosco, che ne avesse potuto aver gravi danni”. L'intervento pontificio, che mise fuori di questione quell'accusa, tolse alla sua confessione il carattere di urgenza.[286]
Dopo quanto siamo venuti esponendo nei tre ultimi capi nulla troviamo di meglio che conchiudere con il giudizio finale enunziato dal Teologo Censore deputato d'ufficio dalla Sacra Congregazione dei Riti all'esame delle controversie originate dall'opposizione di monsignor Gastaldi e della sua Curia contro Don Bosco. “Da tutto emerge, scrive egli, come tutte le accennate vertenze, che Don Bosco mal suo grado è stato costretto a subire, siano state provocate e poi aggravate con le parole e con le opere dall'Ecc.mo Arcivescovo Gastaldi, il quale par che andasse continuamente ricercando, si direbbe con San Paolo, quae quaestiones praestant magis quam aedificationem, quae est in fide[230]. Ad ogni modo resta accertato che il Servo di Dio, durante il periodo delle controversie, non solo nel parlare e nell'operare si è mantenuto costantemente rispettoso, umile, sottomesso e conciliativo, come s'addiceva alla sua qualità d'Istitutore e Rettore della Società Salesiana, ma ha saputo far valere con carità e fortezza le ragioni della propria condotta, a difesa e tutela del suo religioso Istituto”[231].
Sono parole chiare come la luce del sole, che fugano ogni ombra, non già dalla fronte di Don Bosco aureolata di tanto splendore, ma dall'animo di ogni più esigente storico. Ricco pertanto di sapienza cristiana ci sembra il giudizio espresso nel periodo più burrascoso da monsignore, poi cardinale Giuseppe Guarino, arcivescovo di Messina[232] “So tutto, scriveva al Servo di Dio. Ma quando le contraddizioni vengono da uomini, non sono affatto durevoli. Ella non si scoraggi. Per altro il suggello delle opere di Dio é la contraddizione: il demonio deve far qualche cosa contro l'Ordine novello: lo conceda un pochino alla povera bestia, perché poi al postutto le sue opere maligne producono il gran bene di purgarci nella pazienza”. E così fu.
DURANTE il biennio, di cui narriamo la storia, affluirono a Don Bosco esibizioni e inviti dalla Francia, dall'Inghilterra e da altre parti fuori d'Italia e d'Europa; ma ne daremo notizia a tempo e luogo, limitandoci per ora solamente a dire di proposte italiane, e non di tutte, rimaste in sospeso o senza verun effetto né immediato né remoto. Nei volumi che seguiranno, certo non dedicheremo più tanto spazio a narrazioni di pratiche andate in fumo o rimesse a un lontano avvenire, perché l'azione diretta e personale del Beato, restringendosi gradatamente in questo campo, non ci offrirà più materia che da vicino lo riguardi. Qui invece sembra ancora opportuno allargare un po' la mano e stringere insieme e presentare ai lettori un complesso di atti che, sebbene non condotti al termine voluto, continuano tuttavia a rappresentare un lato non trascurabile della sua attività. Cominceremo dunque dalla Sicilia, risalendo poi il continente fino a Torino.
E’ degno di nota quanto per tempo il clero siculo mostrò di comprendere Don Bosco e le finalità della sua opera. Vescovi, canonici, rettori di seminari parroci, semplici sacerdoti ricevevano con entusiasmo il diploma di Cooperatori salesiani, scrivendo al Beato lettere piene di affettuosa ammirazione e facendo voti o calde insistenze, perché mandasse [288] i suoi figli a prendersi cura della gioventù nella loro isola. Si deve certamente a questa larga preparazione d'animi il gran numero di case aperte laggiù dai Salesiani e dalle Figlie di Maria Ausiliatrice dopo la morte del Fondatore, quando cioè il rapido aumentarsi del personale permise maggiori espansioni. A compimento od a continuazione del già detto nel quattordicesimo volume, altro non poco rimane a dire su documentazione in parte anche anteriore a questo biennio, ma venutaci posteriormente tra mano. Qualche capatina oltre il 1882 servirà 9a integrare la nostra esposizione.
Da Catania continuavano più che mai pressanti le sollecitazioni non solo per la casa di artigiani, ma anche per il collegio Cutelli, tanto più che Don Bosco si era vincolato con promessa vera e formale a mezzo de' suoi due inviati Don Cagliero e Don Durando[233]. In un'adunanza capitolare del giugno 1881: il primo ricordò essere di lunga data l'impegno per Catania; onde il Servo di Dio espresse il desiderio che si mantenesse la parola e tutti i Superiori con particolare predilezione si posero in animo di formare il personale seduta stante. Ma non venne fatto di trovare chi mettere alla testa; perciò si conchiuse di scrivere al canonico Cesàreo che si volesse pazientare ancora. Mercé una nuova dilazione, diceva Don Cagliero[234], “la casa di Catania sarà una realtà ed i Salesiani addiverranno cittadini catanesi. Che se la Commissione si vedesse compromessa da questo nuovo ritardo e non potesse conformarsi a questo spediente, nostro malgrado ci vedremmo fuggire di mano le speranze co' desiderii nostri finora avuti per Catania. E non ne potremo accagionare che la assoluta impossibilità per parte nostra, reclamata dalla eccezionale mancanza di personale maturo.” [289]
Si rassegnarono laggiù a prolungare l'attesa. “Qui, rispondeva subito il canonico, i Salesiani si aspettano con impazienza: si fanno molte domande per ragazzi anche a pagamento. Mi auguro che la messe sarà molta, ma gli operai? Gli operai quando verranno? Noi li aspettiamo e li aspetteremo ancora, ma per amore di Gesù e di Maria, vengano prestamente.”
Anche quale segno tangibile del proprio interessamento, Don Bosco inviò allora a parecchi ecclesiastici catanesi diplomi di Cooperatori, nominandone anche il direttore nella persona del Vicario Generale canonico Riccioli. E' edificante leggere con quanta umiltà e gratitudine essi accettassero di far parte della pia Associazione, mentre poi tale qualità li rendeva più animosi a invocare il sollecito invio dei Salesiani.
Come sono commoventi le implorazioni dell'Arcivescovo di Messina monsignor Giuseppe Guarino! Aveva un seminario che non era seminario. “Io sono desolato, afflittissimo, scriveva a Don Guidazio, Direttore del collegio di Randazzo[235]. Senza seminario non mi fido a continuarla nel vescovato. Tutti abbondano di mezzi allo scopo, io non ne ho alcuno. Sono un martire di desiderio. Ma senza i miei Salesiani amatissimi io non posso aver seminario”. Volle poi “con confidenza alla salesiana”, secondo la sua espressione, aprire il cuore a Don Bosco[236]. Traslatato da Siracusa a Messina nel 1875, vi aveva trovato che da ottant'anni non si pensava alla buona formazione del clero. Seminario distrutto in parte da terremoti e incendi, e il restante edifizio lurido e malconcio; studi incompleti e fatti alla carlona; chierici pochissimi, disciplina e ordine zero. E' facile arguire le conseguenze che da questo stato di cose derivavano a tutta l'archidiocesi.[290]
“Il mio cuore, esclamava, scoppia nei gemiti più affannati del dolore. Si metta un po', Ella che ha un cuore così sensibile, senza di che non avrebbe potuto produrre opere così belle di carità, nella mia posizione! Sprovvisto di mezzi, tutto solo, con una vasta diocesi sulle spalle, col dovere di rialzarla, gettato nella impotenza!” Qualche ecclesiastico istruito c'era, avendo studiato da sé o frequentato la regia Università, quando vi esisteva la facoltà teologica; ma nessuno sapeva che cosa fosse seminario e come si educasse la gioventù. Monsignore aveva dovuto aspettare quattro anni l'exequatur, dopo di che si era dato subito a migliorare il fabbricato: ma per l'andamento morale tutto restava da fare.
Egli dunque pensò che bisognasse cominciare ab imo, con una classe elementare preparatoria e poi il ginnasio; occorrevano però gl'insegnanti e insieme un maestro di spirito che avesse l'intera formazione educativa. C'era bensì un Rettore; ma abitava fuori né si prendeva altra briga che di “far note e contronote di pesci, sale, carne, cavoli, etc.” Consigliato anche dal cardinale Bilio, Monsignore invocava i figli dell' “amoroso Don Bosco”; onde supplicava: “Deh! Padre, consoli un cooperatore salesiano per la di Lei grande bontà, e quindi un suo figlio, indegno sì, ma figlio. Ah! Non mi rigetti, mi stenda la mano e mi aiuti! […] La città è avidissima dei figli di Don Bosco, molto più dopo averli veduti di passaggio così buoni, così cari, così gioviali ad un tempo e modesti.” Li avevano veduti quando passavano per andare a Randazzo.
Don Durando non poté che notificare le buone disposizioni di Don Bosco per dare principio a un seminario convitto “al più presto possibile”[237]. Ma tardando tale possibilità ad affacciarsi, L'Arcivescovo ricorse all'intercessione di Don Guidazio presso il Capitolo Superiore, scrivendo[238]: “Al venerando consesso io chiedo in grazia, in ginocchio. [291]
Apra al medesimo il mio cuore, dica che so amare, e che i Salesiani saranno i miei figli prediletti, le gemme della mia infula episcopale, la corona della mia testa, la delizia del mio cuore, i compagni delle mie gioie, il conforto de' miei dolori […]. Sono un poverello che chiede un tozzo di pane per la mia sposa alla porta di Don Bosco.” Alcuni mesi dopo tornava a scrivere[239], pigliando le mosse da un concetto che troviamo anche sotto la penna di altri Presuli siciliani: “Altro che America! Le circostanze, nelle quali mi trovo io, meritano l'assoluta preferenza sopra tutti. Molto, molto v'ha qui da fare, ed io sarò sempre alla testa de' miei cari figli Salesiani. Se li amo, ne chieda ad essi. Quando ne ho uno in casa, é per me gran giorno di festa. Ah! se talvolta potesse Ella venire in Sicilia [….]. Le scrissi già che verrei ad incontrarla in Reggio, se da Napoli non vorrà venire pel mare.”
All'invio dei Salesiani Don Bosco, forse tra il serio e il faceto, aveva posta una condizione: voleva che Monsignore gli ottenesse da Roma la comunicazione dei privilegi. Recatosi alla Città Eterna, il buon Prelato fece realmente quanto fu in poter suo, ma non venne a capo di nulla come diremo altrove. Non per tal motivo però i Salesiani non andarono allora a occuparsi del seminario messinese; molto comodo anzi avrebbe fatto a Don Bosco l'aprire un convitto sotto le apparenze legali di seminario perché questo lo avrebbe messo al riparo dalle esigenze delle autorità scolastiche. Il vero si é che, nonostante le assicurazioni dell'Arcivescovo in contrario, non si vedeva come fosse conciliabile la presenza di un Rettore in carica, poiché di rimuoverlo non vi era possibilità, con l'indipendenza ritenuta sempre necessaria da Don Bosco per i suoi istituti; inoltre le cose erano impostate in modo che dopo la morte del benevolo Arcivescovo nulla avrebbe guarentito i Salesiani da spiacevoli novità. Per [292] altre vie doveva la Provvidenza condurre i Salesiani a Messina e con loro anche le Figlie di Maria Ausiliatrice ma oggi se gli uni e le altre tanto nella città che nell'archidiocesi hanno creato un complesso meraviglioso di opere, se ne deve saper grado allo zelo illuminato e perseverante del cardinale Guarino, che preparò il terreno e del frutto vide poco più di splendide promesse. Le opere di Dio si compiono ordinariamente a poco a poco.
Una caritatevole gentildonna, la marchesa di Castel Lentini Maria Carmela Gargallo, dimorante in Napoli, ma di famiglia siracusana, avendo a Siracusa le sue possessioni, desiderava impiegare una parte de' suoi capitali a dotare quella città di un ospizio per artigianelli e per piccoli agricoltori. Non sapendo come fare, sì rivolse nel 1879 per consiglio e per informazione al padre Valente, gesuita, che ne scrisse al suo illustre confratello torinese padre Secondo Franco, e questi rimise la lettera a Don Rua, dicendosi molto contento di poter concorrere in qualche cosa al bene che i Salesiani facevano e a dilatarlo[240]. Don Bosco era a Roma. Don Rua rispose essere difficile accogliere la domanda per difetto di personale; tuttavia la Marchesa mandasse distinte notizie. Recatasi essa intanto nella Costa Azzurra, ebbe occasione di vedere la casa di Nizza e di manifestare le proprie intenzioni al Direttore Don Ronchail, che si profferse di esserle intermediario presso Don Bosco.
Per suo mezzo dunque la Signora fece conoscere potersi destinare al vagheggiato scopo un ex-convento dei Cappuccini, che il Municipio siracusano era disposto a concederle e per cui l'Arcivescovo stesso avrebbe domandato le necessarie facoltà a Roma; essere ella pronta a costituire una rendita di lire quattromila. Proponeva per altro a Don Bosco [293] che in un suo viaggio a Roma facesse una corsa a Napoli, professandosi sua grande ammiratrice[241]. Don Bosco fu da lei, come abbiamo narrato, nel marzo del 1880. In seguito il Beato non poté più occuparsi della cosa fin verso la fine di maggio, quando le inviò questa lettera, della quale Don Rua gli preparò la minuta.
Malgrado il nostro buon volere non ci fu possibile prima d'oggi scriverle relativamente al nostro affare dell'ospizio da aprirsi in Siracusa. Speriamo che V. S. saprà compatirci potendo facilmente immaginare la farragine di cose di somma urgenza che si accumularono nella mia quadrimestrale assenza, come anche le gravi e quasi innumerevoli cure che assediarono me ed i miei sacerdoti nella novena e feste di Maria Ausiliatrice. Non abbiamo però dimenticato il suo desiderio di pronta risposta; anzi, appena potemmo radunarci a conferenza io ed il mio Capitolo, la prima cosa messa sul tappeto fu il collegio di Siracusa coi vari documenti che lo riguardano.
Abbiamo esaminato attentamente quelli tra V. S. ed il Municipio e quelli tra V. S. e me e ci parve cosa conveniente e più spiccia che il Municipio, per evitare le molte e minute formalità, faccia a me direttamente la subconcessione del fabbricato dell'ex-convento colla cappella dei PP. Cappuccini e dell'annessa latomía[242]. Per tale subconcessione poi, avendo noi già fatto un quasi identico contratto per un palazzo abbaziale col Municipio di S. Benigno, già approvato dalla R. Prefettura di Torino, penseremmo di adattarlo pel caso presente, sperando in tal modo che non si avrebbe ad incontrare nessuna difficoltà da parte della R. Prefettura di Siracusa. Troverà pertanto qui unito il progetto della subconcessione suddetta modellata sull'anzidetto istrumento.
Quanto poi ai restauri e provvista di mobili per l'impianto, come pure quanto alla dotazione, pensiamo di trattare unicamente con Lei; perciò Le presentiamo altro progetto di convenzione colla S. V. Favorisca esaminarlo e vedere se si può andate d'accordo. Questo progetto sembra il più semplice e il più adatto per assicurare l'autonomia alla Congregazione Salesiana e l'esecuzione della volontà di Lei anche dopo che noi due saremo chiamati all'altra vita.[294]
Mi é molto cara l'occasione di rinnovarle i sensi della nostra grande stima e viva riconoscenza. Voglia il Signore benedire e compensare largamente la S. V. della generosità che si dispone ad esercitare verso la povera gioventù e far riuscire quest'impresa a sua maggior gloria e vantaggio delle anime.
Mi creda quale ho il piacere di riconfermarmi.
Il procuratore della Marchesa presentò al sindaco di Siracusa la domanda per la nuova destinazione da dare all'ex convento e il sindaco ne fece la proposta al Consiglio comunale, che approvò all'unanimità. L'arcivescovo monsignor La Vecchia allora, ritenendo ormai sicura e vicina l'apertura dell'ospizio e desiderando che anche il suo seminario “bisognevole di riordinamento ricevesse le benefiche influenze dei buoni Padri Salesiani”, chiese un sacerdote che vi facesse da Rettore[243]; ma la risposta fu che per il momento non era possibile.
L'anno 1880 passò senza che si scendesse al concreto. Sul principio dell'anno seguente la Marchesa sperò una seconda visita di Don Bosco da Roma. Aveva fatto studiare la cosa da un valente avvocato; ma aspettava il Servo di Dio, perché tutto venisse “rischiarato da chi era il luminare in simili faccende”. La perdita di persone care e le indisposizioni fisiche l'avevano abbattuta; anche per conforto del suo spirito anelava di rivedere Don Bosco. “La sua presenza, gli scriveva[244], mi darà quella gioia ed ilarità, che ormai non posso più avere in questa terra d'esilio.” Parole che sono l'eco viva della santa impressione da lei provata nell'incontro dell'anno innanzi col Servo di Dio.
Il Municipio di Siracusa aveva aggiunto al convento e ceduto alla Marchesa anche la terra annessa, detta la Selva, quella pure già dei padri Cappuccini; la Signora teneva pronto [295] il capitolato per una finta vendita da farsi a Don Bosco[245]; per San Giovanni con gli auguri dell'onomastico rinnovò la preghiera, che si troncasse ogni indugio.
Ma Don Bosco non aveva la medesima fretta, perché aspettava da tempo le conclusioni della Marchesa su due progetti a lei spediti e poi, giunte le conclusioni[246], non le trovò accettabili. Nella lettera del 24 giugno ella accusava ricevuta di quelle carte, unendovi le sue osservazioni. “Come io non sono punto esperta in materie di diritto civile, scriveva, e in quel progetto v'erano degli articoli che non convenivano punto all'intenzione nostra nel fondare quest'opera, le portai al celebre (in queste materie) avvocato Palmulli, che fu perfettamente meco e diemmi uno schema che le invio, perché ella possa vederne l'intenzione.” E l'intenzione era che il convento restasse a lei, affinché nel caso che i Salesiani fossero obbligati a partire da Siracusa, l'opera potesse essere continuata da altri. Perché poi tristi avvenimenti non colpissero il capitale assegnato per la rendita accennata poc'anzi, il contratto doveva farsi in perpetuità e mettersi sotto la protezione dell'Arcivescovo pro tempore. Così i Salesiani avrebbero goduto soltanto l'uso del fabbricato e il frutto del capitale. A ogni altra spesa futura o per la fabbrica o per gli utensili si sarebbe provveduto con gli utili ricavati dal lavoro degli artigianelli, non consentendo la Marchesa che si lasciassero obblighi a carico de' suoi eredi. Come si vede, mancava qui la piena autonomia richiesta sempre da Don Bosco e si andava incontro alle difficoltà che imbarazzavano le opere pie soggette a ingerenze governative, essendo per legge indispensabile a un'opera perpetua l'autorizzazione del Governo.
Mentre su queste due vie così divergenti non era possibile incontrarsi, il Municipio ebbe urgente necessità di adibire l'ex convento ad alloggio temporaneo di soldati.[296]
La Marchesa, volendo impedire che l'occupazione si prolungasse di troppo, insistette per la venuta immediata dei Salesiani; ma in capo alla sua lettera, datata da Castellammare di Stabia addì 3 agosto 1881, Don Bosco scrisse: “Risposto impossibile trattare fino ad approvazione effettuata.” Intendeva l'approvazione dei due progetti; ma approvazione non vi fu. L'ultima lettera della Marchesa a Don Bosco, recante la data del 21 dicembre 1882, con gli auguri natalizi contiene una specie di nuova proposta che ha tutto l'aspetto di un diversivo per non dire apertamente che delle cose prima trattate non si parla più. Nella sua precedente la gentildonna aveva detto: “Ma finisca come si voglia questa faccenda, io non cesserò mai di essere sua affezionatissima serva o figlia.” E nel poscritto: “Mi benedica caldamente”. In quest'ultima scrive che si rivolge a lui come a “consolatore d'ogni tristezza”, perché la conforti e la incoraggi. Ancora il 30 Ottobre 1883 la Marchesa mandando a Don Bosco cento lire per i Missionari e raccomandandosi alle sue preghiere, lo chiamava suo padre e diceva: “Noi non ci vediamo mai, ci scriviamo di rado, ma pure sono sicura che io sono più con lei che Ella con me.” Chi trattava con Don Bosco, benché da lui contrariato, non cessava di stimarlo e di amarlo. Qui l'affare non avrebbe presa sì cattiva piega, se la caritatevole Signora non l'avesse per soverchia prudenza messo in mano agli avvocati, che naturalmente la consigliavano a modo loro.
Bronte, di cui ci siamo già occupati per l'andata delle Suore[247], possedeva da un secolo un grande collegio, che aveva goduto bella rinomamza per tutta l'isola, ma allora andava verso lo sfacelo. N'era stato fondatore il venerabile Ignazio Capizzi, sacerdote brontese dell'Oratorio [297] palermitano. Lo tenevano preti secolari. Sebbene il nuovo Governo l'avesse rispettato, anzi nel 1867 gli avesse accordato il pareggiamento, pure il numero dei convittori e degli allievi esterni scemava sempre più, fors'anche per difetto di buoni insegnanti. Ora la presenza delle Figlie di Maria Ausiliatrice e la vicinanza dei Salesiani di Randazzo fecero pensare che potesse Don Bosco rialzare le sorti del decadente istituto.
Nel 1879 pertanto quel sindaco, mostrandosi ben informato dell'Opera salesiana, chiese a Don Bosco due professori per il ginnasio superiore. Poi nel 1880 il priore Gioachino Leone Zappia, monaco basiliano e direttore del collegio, preoccupandosi soprattutto di un miglior assetto morale, gli scriveva: “Per la parte educativa manco di braccia; perché questo Collegio da un secolo é stato educato col sistema coercitivo, e non trovo in paese soggetti che sappiano adoperare altro modo. E’ stato questo un motivo, per cui é venuto meno il concorso degli alunni, i quali al 1859 ascendevano presso a 400 ed ora appena a 40.” Pregava dunque Don Bosco di mandargli in aiuto un sacerdote salesiano che la facesse da direttore spirituale, e un paio di assistenti, sacerdoti o chierici, che v'introducessero “l'ottimo sistema a lui ispirato dallo Spirito Settiforme”, Con i figli di Don Bosco egli prometteva di comportarsi da confratello, come si addiceva a chi gloriavasi di essere cooperatore salesiano. Quantunque anche il bisogno di assistere spiritualmente le Suore consigliasse di fare buon viso alla domanda, tuttavia fu forza rispondere negativamente per mancanza di personale. Nel febbraio del 1881 il cardinale De Luca, brontese e già alunno del collegio Capizzi, raccomandò oralmente l'affare a Don Bosco, che non poté opporgli senz'altro un rifiuto, ma gli manifestò la sua buona disposizione a secondarne il desiderio; la qual cosa appena risaputa a Bronte bastò a mandare in solluchero il Direttore. O il Cardinale non avesse posto mente che Don Bosco non si era vincolato quanto al tempo o che dai Brontesi fossero malamente interpretate le parole [298] del Cardinale, il fatto é che in Bronte, si credette a una imminente esecuzione della promessa; onde un succedersi di istanze perché vi s'andasse presto. Ma la parola data da Don Bosco senza determinazione di anno fu tenuta nel debito conto dal suo Successore, che vi diede corso quattro anni dopo la morte del Beato.
Anche la casa di Marsala fu aperta nel 1892, sebbene la relativa corrispondenza con Don Bosco fosse pure cominciata nel 1879. Il sacerdote Sebastiano Alagna aveva principiato a gettar le basi di un ospizio per fanciulli poveri, raccogliendone un certo numero in un ex-convento dei frati Conventuali, che dal Municipio era stato messo a sua disposizione, la pubblica beneficenza gli somministrava i mezzi per andare innanzi. Ma, non sentendosi in. grado di proseguire da sé, ricorse a Don Bosco per “consiglio, direzione, aiuto”. Più delle solite buone intenzioni a lunga scadenza non gli si poté dare. Frattanto il padre Alagna pose mano alla costruzione di un edifizio, sempre con il danaro fornitogli dalla carità dei buoni, denominandolo Casa della Divina Provvidenza. Lo sosteneva però sempre la speranza che nutriva in cuore di potere un giorno abbandonare tutto nelle mani di Don Bosco; onde, cresciutagli la famiglia, crebbero del pari le sue insistenze che non diedero requie al Beato e al suo Successore, finché i suoi voti, come abbiamo detto, non furono da quest'ultimo appagati.
MAZZARA, PIAZZA ARMERINA, NOTO.
Marsala appartiene alla diocesi di Mazzara. Due vescovi di questa città invocarono successivamente nel 1883 e nel 1885 da Don Bosco i Salesiani per il loro piccolo seminario; ma dovettero deporre ogni speranza di fronte all'impossibilità di trovare soggetti da inviarvi. Anche da Piazza Armerina il Vescovo monsignor Gerbino nel 1880 aveva fatto calde istanze a Don Bosco, perché accettasse direzione e [299] amministrazione, non che parte dell'insegnamento nel seminario diocesano. “Don Durando ringrazi, si legge scritto da Don Bosco in cima alla lettera vescovile, ma rincresce tutto il personale impegnato.”
Tornando al 1879, troviamo che monsignor Giovanni Blandini, vescovo di Noto, bramoso di veder sorgere nella sua diocesi un buon collegio, si raccomandava instantemente a Don Bosco; non esaudito in questo, gli chiese due Salesiani per istituire un oratorio festivo nella città; deluso per la seconda volta, tornò a scrivere per ottenere tre Suore, a cui affidare le scuole femminili nel comune di Ferla. Cominciava così la sua lettera in data 26 luglio 1883 a Don Rua: “Mi è stata di grande dolore la risposta negativa. Comprendo bene che la merce é tanto più rara quanto più preziosa, e che perciò i figli e le figlie di quel prodigio di operosità ch'é Don Bosco, vengono meno ai bisogni di ogni fatta ed alle innumerevoli richieste, le quali gli son fatte dal vecchio e dal nuovo mondo.” Infine conchiudeva così: “Se sono troppo importuno, la S. V. R. lo addebiti alla grande fiducia, che la Congregazione di Don Bosco m'ispira.” Don Bosco fissò in queste righe a Don Durando la traccia per la risposta: “Scrivere bella lettera. Non manca buona volontà e speriamo che il Signore ci manderà col tempo personale anche per la diocesi di Noto.”
Era Vescovo di Girgenti, ora Agrigento, monsignor Domenico Turano, che nel volere i Salesiani dié prova di mirabile costanza. Egli riferiva nel 1883 a Don Bosco che in una popolosa città marittima della diocesi (doveva trattarsi di Sciacca) una pia persona desiderava da Don Bosco l'impianto di una scuola privata con le cinque classi ginnasiali, assegnando una rendita di lire quattromila; di lì a poco propose l'apertura di una casa delle Figlie di Maria Ausiliatrice nella medesima città; l'anno dopo si contentava di due [300] Salesiani che tenessero ivi stesso una scuola elementare privata. Nonostante tre ripulse il buon Vescovo, a nome sempre della mentovata persona, disposta a comprare e a cedere una casa per questo scopo, si ridusse a chiedere un Salesiano solo con un coadiutore per farvi una prima o seconda ginnasiale. Nella sua mente doveva dominare il pensiero, che, fatto anche solo uno, si sarebbe poi fatto trentuno. Ma le condizioni proposte poggiavano ogni volta sull'arena di mere possibilità future.
Succeduto nella sede agrigentina il fratello del vescovo di Noto monsignor Gaetano Blandini, si affacciò il problema del riordinamento di un collegio cittadino, del collegio Gioeni, così detto dal nome del Vescovo, da cui ripeteva l'origine. Era destinato all'educazione di artigianelli; ma laicizzato divenne un covo di disordini, sicché le autorità stavano per procedere alla chiusura. Il Vescovo sperò che i Salesiani avrebbero portato rimedio a tanto male; ma data la trasformazione dell'ente, ogni buon volere s'infrangeva contro estranee influenze. Per dire tutto, la questione tornerà a galla molto più tardi: il primo Ispettore della Sicilia Don Bertello si farà patrocinatore dell'accettazione, nulla essendovi di più consono all'istituzione salesiana che una scuola di arti e mestieri; ma nemmeno allora si troverà un terreno d'intesa.
Da Agìra, città di ventimila abitanti situata nel cuore dell'isola e appartenente alla diocesi di Nicosìa, c'é un monte di corrispondenza, che va dal febbraio del 1877 fin molto dopo la morte del Beato. Due cose vi sono da notare: la costanza del sacerdote Filippo Giulio Contessa nel tentare tutte le vie per dare alla sua patria una casa salesiana, e l'inclinazione di Don Bosco e di Don Rua a secondarlo senza che mai venissero fuori condizioni accettabili. Sulla prima lettera il Servo di Dio scrisse: “Don Rua legga e vedrà una bella proposta forse effettuabile.” Ma né la prima proposta né le seguenti furono mai tali da eliminare le incertezze di quel “forse”.
Non pago di adoprarsi per sé il Contessa si faceva a [301] intercedere anche per il sindaco di Leonforte, altro cospicuo comune della medesima diocesi. Là si sarebbe voluto un collegio simile a quello di Randazzo, dove schiere di Leonfortesi andavano per gli studi; si desiderava inoltre che i Salesiani prendessero le scuole comunali. Mancarono al solito condizioni che dessero affidamento. Dal primo Capitolo Generale in poi si venne procedendo con sempre maggiori cautele nell'intraprendere nuove fondazioni.
Staccandoci ora dall'isola del sole, ci porteremo sul continente nella capitale delle Puglie. Nel 1880 e '81 vi fu uno scambio di lettere per una fondazione a Bari. Nell'ottobre del 1878 una vedova barese Maria Calò-Carducci in Guarnieri aveva con la figlia visitato a Torino Don Bosco, il quale, vedendole pie e caritatevoli, le fece entrambe cooperatrici salesiane. Tornate in patria e tocche dall'abbandono morale di tanta gioventù, gli offrirono una loro casa nella città vecchia, perché vi aprisse un oratorio festivo. L'Arcivescovo monsignor Francesco Pedicini, afflittissimo per il dilagare della propaganda protestante nella sua sede e bramoso di mettere in salvo tanti poveri ragazzi, non vide miglior arca di scampo che l'oratorio; onde reiterate suppliche anche da parte sua. Nella quaresima del 1881 monsignor Belasio, recatosi là a predicare, ebbe da Don Bosco l'incarico di visitare la casa e riferire. Egli pure confermò l'estremo bisogno che vi era dei Salesiani, massime per i fanciulli. Ma siamo sempre da capo: non si potevano sbalestrare laggiù due o tre confratelli senza che vi fossero condizioni di vita tollerabili. I Vescovi italiani purtroppo, assai meno che oggi, erano in grado di largheggiare in opere di assistenza religiosa, avendoli la tristezza dei tempi ridotti nelle più gravi strettezze. Fu veramente ammirabile la bontà delle due pie signore, le quali, benché amareggiate al sommo dai ripetuti dinieghi, [302] inviavano offerte per la spedizione dei Missionari e per la chiesa del Sacro Cuore. Le loro preghiere però unite alle buone opere non furono vane; sebbene forse nessuna di esse sia vissuta fino al 1905, anno dell'apertura di quello che oggi é a Bari l'Istituto del Santissimo Redentore.
Nel 1879 ad Ascoli Piceno un riformatorio laico tenuto dal Municipio era diventato una babele. Vi s'impartiva l'insegnamento professionale a due centinaia di giovani; ma la direzione dava sempre così cattiva prova di sé, che una prima e una seconda volta la si era dovuta cacciare. Si pensò dunque a Don Bosco. Nel 1881 s'interpose anche una nipote dei Vitelleschi, la nobile famiglia romana affezionatissima al Servo di Dio. Ma non se ne fece nulla. Nel 1885, riassettate alquanto le cose, quel sindaco gli domandò almeno uno, che “coi precetti e coll'esempio” vi tenesse la direzione religiosa e morale; il Vescovo monsignor Bartolomeo Ortolani aggiunse una sua calda raccomandazione, manifestandogli quanto l'avrebbe consolato “l'acquisto di così buoni religiosi” e assicurando che l'Istituto sarebbe finito interamente nelle mani dei Salesiani. Ma l'ottimismo di Monsignore non valutava, come faceva Don Bosco, i pericoli del legarci a un Municipio e quindi sottostare a ingerenze governative.
Il sempre fiorente Istituto San Benedetto di Parma sorse nell'anno della morte dì Don Bosco; ma vi precedette una lunga preparazione. Il primo disegno partì dal Vescovo monsignor Domenico Villa, che nel 1879 ebbe in animo di fondare un orfanotrofio e chiamarvi i Salesiani. Le pratiche furono intavolate l'anno appresso. Sua Eccellenza fece acquisto di un ex convento di San Benedetto con l'annesso [303] terreno. Ma quand'era già abbozzata una convenzione, ecco che il 21 luglio 1882 monsignor Villa morì. Nel testamento egli lasciava a Don Bosco l'immobile con l'obbligo di aprire l'orfanotrofio entro tre anni, trascorsi i quali senza che ciò si facesse, la proprietà fosse devoluta al seminario diocesano. Se non che il legato veniva lasciato a Don Bosco senza tener conto delle formule prescritte dalle leggi[248], la qual cosa diede origine a difficoltà, sicché le faccende s'ingarbugliarono e l'istituzione prese una forma differente da quella ideata in principio.
Fermo nel proposito di stabilire un'opera salesiana in Parma, Don Bosco invocò anche la carità pubblica. Volle pure far ricorso alla munificenza del duca Roberto di Parma, da lui conosciuto a Nizza Mare e dimorante allora a Biarritz nei Bassi Pirenei. Avvertito che nell'interno della lettera bisognava dare al Duca il titolo di Maestà, formulò così la sua supplica:
Da molto tempo si manifestava un vivo desiderio che nella città di Parma fosse fondato un ospizio pei fanciulli poveri ed abbandonati, che presentemente sogliono indirizzarsi a questa nostra casa di Torino. Se ne trattò seriamente con Mons. Villa, di buona memoria, che cooperò a comperare l'antico convento di San Benedetto. In questo locale, comperato in capo allo scrivente, si può stabilire una chiesa pubblica per gli adulti, un ospizio allo scopo sopra indicato, ed un giardino di ricreazione dove trattenere i giovanetti pericolanti con onesta ricreazione dopo aver soddisfatti i loro religiosi doveri.
Eravamo già in via di raccogliere i mezzi necessari per quell'acquisto, riparare e riattare le già esistenti costruzioni, quando a Dio piacque di chiamare a sé il caritatevole e zelante prelato. Fra le persone cui avrei potuto ricorrere mi aveva accennato la Maestà [304] Vostra e me ne diede l'indirizzo. Tale impresa dovrebbe attuarsi nel 1883. Sono sicuro che la benedizione del cielo e la benedizione degli uomini non verranno meno, ma la prima fonte a cui ricorro é la carità della Maestà Vostra.
Io non so se i tempi che corrono, le vicende che ci accompagnano permettano a V. M. di accogliere benevolmente la mia preghiera. Ma io intendo di ricorrere alla bontà del suo cuore, contento di qualunque largizione Ella giudicherà di fare.
Dal canto mio non mancherò di pregare Dio pietoso affinché conservi in buona salute Lei, la Sig. Duchessa e tutta la sua famiglia. Dio ci esaudisca e ci conceda di vedere tempi migliori.
Assicurando a V. M. il debole concorso delle preghiere dei nostri cento mila giovanetti, reputo al più alto onore di potermi professare colla massima venerazione
Roberto era figlio di Carlo III, a cui successe nel 1854, cacciato poi nel '59[249]. Egli non ignorava certamente in che modo il Beato narrasse la tragica morte del padre nella sua Storia d'Italia[250]. Nell'incontro a Nizza il Duca aveva già avuto contezza dell'opera parmense, alla quale si credeva in obbligo di concorrere per una promessa fatta alla Madonna a favore della propria consorte. Mise dunque subito a sua disposizione la somma di lire diecimila, accompagnando l'offerta con una lettera ridondante di affetto per Don Bosco e di cristiana pietà[251].
Non taceremo un gentile episodio, di cui abbiamo trovato memoria nei nostri documenti di questa pratica. Durante il corso delle trattative monsignor Villa, prendendosi a cuore la sorte di una civile famiglia, che la perdita improvvisa del suo capo gettava bruscamente in ben critiche condizioni, ne raccomandò a Don Bosco il maggiore di due figli, fanciullo di appena nove anni, “giovanetto, scriveva il Vescovo, di [305] belle speranze pel suo svegliato ingegno”, e pregava che fosse “accolto in qualche istituto salesiano allo scopo che avesse a progredire negli studi e nelle vie del timor di Dio, alle quali era stato avviato dagli ottimi suoi genitori”. L'esimio Prelato intercalò questa raccomandazione in una lettera dei soliti affari indirizzata a Don Durando, implorandone “la caritatevole interposizione col miracoloso Don Bosco”, al quale non ne scriveva direttamente perché lo sapeva lontano da Torino. Né il verbo implorare é usato qui da noi a caso; poiché egli usciva in queste espressioni: “Me Le metto in ginocchio e me le raccomando quanto so e posso.” Il giovanetto fu accettato nell'Oratorio per l'anno scolastico 1882-83.
Venuto a morte monsignor Villa, il canonico Tescari, suo erede universale e indi a poco Vescovo di Borgo San Donnino oggi Fidenza, facendo proprie le premure dell'estinto, preparò il piccolo alla partenza, della quale avvisò Don Durando in questa forma: “La madre quanto buona altrettanto povera vedova non ha potuto accompagnarlo; quindi il giovanetto é solo. La supplico quindi del favore di mandarlo a prendere alla stazione, affinché non si smarrisca o non trovi quello che non deve. Il Signore le renderà il contraccambio di questa carità”[252]. Quel fanciullo, piccino piccino allora e vivacissimo, sul quale vegliavano anime cosi buone, accolto da Don Bosco nelle sue grandi braccia, vinte che ebbe le prime ritrosie, si affezionò talmente all'Oratorio, che non se n'é voluto staccare mai più. Egli é Don Paolo Ubaldi, salesiano, ordinario di lettere greche nelle regie Università e al presente professore stimatissimo in quella Cattolica di Milano.[253][306]
Pisa richiamò l'attenzione di Don Bosco nel 1880. Il gesuita padre Emilio Pardocchi, colà residente, era di passaggio a Luca, allorché Don Bosco vi teneva la conferenza ai Cooperatori. Volle assistervi, riportando dalle sue parole una profonda impressione. Avuto un colloquio con lui, gli rappresentò così al vivo le condizioni religiose di Pisa, infestata anche dai protestanti, che il Servo di Dio si disse disposto ad accorrere in aiuto e gli commise di parlarne con l'Arcivescovo monsignor Paolo Micaleff. L'Arcivescovo, vecchio e accidentato, ciò udendo, alzò le mani e gli occhi al cielo ed esclamò:
- Pur che fosse vero! Venga, venga Don Bosco, non desidero altro e intonerò il Nunc dimittis -. Anche al Vicario Generale monsignor Ricci parve cosa tanto bella da non poterci credere per la troppa allegrezza. I Cooperatori del luogo, fra cui l'impareggiabile professore Giuseppe Toniolo, che illustrò l'Università pisana con la sua cattedra di economia politica, unendo alla grande scienza una rara pietà cristiana, presero a concertare fra loro il modo di affrettare l'auspicato avvenimento.
La morte dell'Arcivescovo non arrestò l'iniziativa, tanto più che il novello Arcivescovo monsignor Ferdinando Capponi era dell'identico pensare. Si venne ai fatti. Fuori Porta a Piagge esisteva una casa detta degli Esercizi con pubblica chiesa unita, che si denominava di San Jacopo: casa e chiesa si sarebbero volute concedere a Don Bosco. Là presso avevano il convento le Salesiane o Suore della Visitazione, le quali con lunghe lettere non finivano di scongiurare Don Bosco che facesse presto a mandare i Salesiani. Nel giugno del 1883 L'Arcivescovo redasse un minuzioso abbozzo di convenzione, su cui però Don Bosco non poté convenire, poiché il tutto presentava un aspetto di precarietà, che nonostante ogni buon volere non dava bastevole affidamento.[307]
Il Servo di Dio vide poi dal cielo l'ingresso dei Salesiani e delle Suore nella storica città dell'Arno.
Toccheremo ancora di tre luoghi, omettendone altri, che senza pro ci manderebbero troppo in lungo. Il primo é Arenzano, nel circondario di Genova. Quel Municipio trattò nel 1881 con Don Bosco, affinché gli desse i maestri per le scuole comunali. Rispostosi che tentassero presso altre Congregazioni: “E quali, replicò il sindaco, in questi tristi tempi, che per le loro condizioni siano come quella dei Salesiani tollerate dal Governo?”. Ma Arenzano fu meno fortunata di Perosa e di OULX, che se non altro ebbero a lungo andare i figli di Don Bosco.
Perosa Argentina, importante comune del circondario di Pinerolo, contava duemila abitanti cattolici, a cui vivevano frammisti circa duecento Valdesi. Questi eretici, sparsi un po' dappertutto nell'Italia, sommano a circa quaranta mila, metà dei quali formano diverse comunità nelle valli pinerolesi. Nuclei importanti popolano i villaggi limitrofi a Perosa; a Pomaretto, per esempio, vi era allora oltre un grandioso tempio e ospedale, anche un collegio con ginnasio, dove si lasciavano pure attrarre giovani cattolici d'altre parti. Il parroco di Perosa, che aveva assistito alla trasformazione del borgo da agricolo in industriale e commerciante per l'impianto di due notevoli stabilimenti serici, vedeva purtroppo trasformarsi insieme le abitudini della popolazione, con danno specialmente della gioventù, che adescata da molte distrazioni disertava dai catechismi. Essendo poi il paese un centro notevole in quelle valli, i Valdesi agognavano d'insediarvisi e di dominarlo.
A sì doloroso spettacolo il zelante pastore, Don Giuseppe Paolasso, buon cooperatore salesiano, scrisse il 23 settembre 1881 a Don Bosco: “Mi rivolgo a Lei ed a' suoi Salesiani, [308] che Dio scelse in questi tempi a ministri delle sue Misericordie, onde voglia studiar modo di aprire in questo paese ed in sito acconcio un oratorio festivo, non che un piccolo collegio.” Il Beato riconobbe tutta la convenienza di fare ivi qualche cosa; ma ne rimise ad altro tempo l'attuazione, quando potesse avere personale disponibile. Si richiesero ben sedici anni prima che il buon volere di lui venisse posto ad effetto dal suo Successore.
Nel 1881 e '82 i maggiorenti di Oulx, borgata montana del circondario di Susa, brigarono per ottenere che Don Bosco andasse a stabilire lassù un convitto con scuole ginnasiali a benefizio di tutta la vallata. Parecchi furono i piani studiati; ma per allora mancò l'ubi consistam.
Trarremo dall'oblio un fatto, che merita di essere ricordato, perché onora Don Bosco e ne mette in rilievo l'abituale chiaroveggenza negli affari. Per poco egli non ebbe la direzione spirituale dell'Ospedale Mauriziano in Torino.
L'Ordine Mauriziano fu istituito da Emanuele Filiberto, Duca di Savoia, nel 1573 con la fusione dell'Ordine Militare di San Maurizio, creato nel 1434 da Amedeo VIII, e di quello Ospitaliero di San Lazzaro, le cui origini rimontavano al secolo XII. E' tuttora il più alto Ordine cavalleresco dopo quello della Santissima Annunziata ed ha per Gran Maestro il Re. Mercé il concorso dello Stato e la privata beneficenza l'Ordine fondò ne' suoi primordi a oriente di Torino un Ospedale detto Mauriziano o dei Cavalieri, che da modesti princìpi si venne ampliando in guisa da dar ricetto a gran numero d'infermi. Prima sorgeva fuori dell'abitato; ma poi per l'ingrandimento della città finì con trovarsi circondato da edifizi e per l'accrescersi della popolazione non poteva più bastare al bisogno. Si pensò dunque di costruirne uno nuovo, che fosse più vasto e occupasse un'area più adatta. [309]
Quest'area fu trovata lungo il viale di Stupinigi, in luogo che per libertà e salubrità niente lasciava a desiderare.
Ma trovar l'area non era possedere i fondi. All'Ordine Mauriziano le finanze non bastavano per far fronte a sì gravi spese. Il Re Umberto ne conferì con i suoi consiglieri e specialmente con Cesare Correnti, primo Segretario dei Gran Magistero dell'Ordine e già due volte Ministro dell'Istruzione Pubblica; ma la soluzione del problema si presentava quanto mai ardua. Ora il Correnti conosceva assai bene Don Bosco; anzi Don Lemoyne in suoi appunti ci fa sapere che gli andava debitore di un segnalato servigio, per il quale gli si professava ognor grato e desideroso di mostrargli coi fatti la sua riconoscenza. Potrebbe darsi che la cosa risalisse al tempo, in cui egli mazziniano era a Torino esule politico dalla Lombardia. Già nella questione per la chiusura delle scuole era intervenuto con il prestigio del suo nome a difendere Don Bosco. Di lui pertanto si ricordò nell'occasione dell'erigendo Ospedale e ne fece parola al Re, come di uomo dall'ingegno fertilissimo nel trovar denaro per compiere opere grandiose. Piacque al Re il suggerimento; onde fu deciso di udirne il parere sull'importante negozio, in modo però che tutta la pratica rimanesse segreta.
Il Correnti visitò più volte Don Bosco da parte del Re. Il Beato s'incaricò volentieri di studiare un progetto, offrendosi ben anche a dirigerne l’attuazione, a patto nondimeno che il suo nome non facesse mai capolino e soprattutto che nessuno s'intromettesse a disturbare i suoi piani. - Io penserò a tutto, disse. Don Bosco ha bisogno di essere libero, e se farà corbellerie, pazienza: saranno tutte a suo conto. - Correnti ci tenne ad assicurarlo essere volontà del Re che egli non vi rimettesse un centesimo di suo; sapere Sua Maestà a quante opere dovesse provvedere; intendere quindi che presentasse unicamente i suoi disegni, né volere che alcun altro vi s'immischiasse Ancora di più fece il Re: desiderò conoscere se Don Bosco avrebbe potuto assumersi la [310] direzione morale del nosocomio per mezzo de' suoi Salesiani. Don Bosco rispose che non era alieno dal servire in questo a Sua Maestà.
Secondo siffatte intelligenze il Servo di Dio si mise all'opera. Studiò, tastò il terreno, stese il suo disegno. Si trattava di ricorrere a una grande lotteria in danaro, con somme fisse di premi e con determinato numero e prezzo di biglietti. Per la distribuzione di questi e per la raccolta del danaro si sarebbero scelti duecento ragguardevoli signori, non però fra quelli che i liberali chiamavano uomini di sacrestia, ma nemmeno fra avversari della religione, purché fossero persone accette alla Corte. Costoro, stretti in comitato nazionale, avrebbero procurato di smaltire i biglietti, mandandone specialmente a tutti i Cavalieri dell'Ordine Mauriziano. Infine Don Bosco s'intese col banchiere Musso, perché preparasse subito e stanziasse il capitale necessario. Questi, fiutato un buon affare e sicuro che con Don Bosco non si correvano rischi, si prestò a secondarlo.
Si domanderà perché mai Don Bosco si fosse imbarcato in questa impresa. Egli aveva di mira più che altro il bene spirituale degl'infermi, poiché prevedeva che non vi si sarebbe pensato. Onde si affrettò a suggerire che presso l'Ospedale si fabbricasse una chiesa, destinata a fare due servizi, uno per i bisogni religiosi dei malati e del personale loro addetto, e l'altro per le necessità del vicino borgo della Crocetta, la cui chiesa parrocchiale diveniva troppo angusta a contenere la crescente popolazione. Che se all'Ordine Mauriziano mancassero i mezzi occorrenti, egli stesso si sarebbe industriato a trovarli. Faceva pure notare che l'antica chiesuola poteva essere ceduta all'Ordine in cambio della nuova e che i sacerdoti addetti alla parrocchia, essendo già retribuiti per il loro ufficio, si sarebbero contentati di modesta retribuzione o fors'anche vi avrebbero rinunziato del tutto per il servizio dell'Ospedale. In ogni caso avrebbe potuto provvedere egli stesso con i Salesiani. [311]
Formulato il progetto della lotteria, lo mandò al Re, avvertendo che le somme per i premi erano pronte. Il Sovrano lesse con ammirazione e trovò eccellente l'idea; in quanto alla chiesa, gli fece dire che i fondi non sarebbero mancati. Tuttavia Don Bosco teneva preparata una circolare, in cui parlato del nuovo Ospedale, come di cosa nella quale egli non avesse parte alcuna, soggiungeva: “Ma l'Ordine Mauriziano, lo stesso suo Gran Maestro che é il nostro amato Sovrano, desiderano che accanto al futuro edifizio sia eretta una chiesa a comodità degli ammalati, di coloro che sono addetti al servizio dei medesimi ed anche a comodità di quei cittadini che dimorano in quelle vicinanze che distano notabilmente da qualsiasi altra chiesa. A fine poi di raccogliere i mezzi necessari al sacro edifizio io fo appello ai nostri concittadini e a tutti coloro che amano il bene morale ed il decoro della nostra augusta Torino. Crediamo di fare cosa grata notificando che i lavori, la forma di questa chiesa e tutto quello che si riferisce all'esercizio del culto è totalmente affidato al Sac. Giovanni Bosco ed ai suoi preti.” Questa circolare di cui possediamo l'autografo, non fu pubblicata, ma é pur sempre documento eloquente dello zelo di Don Bosco per il bene delle anime.
Le pratiche anzidette corsero qualche tempo segrete fra il Re, il Correnti e Don. Bosco, secondoché erasi concertato; ingerenze occulte o palesi di guastamestieri avrebbero potuto imbrogliare le carte. Ma poi quello che si temeva, avvenne. La notizia trapelò nella Corte e Don Bosco n'ebbe alte lodi; certuni per altro si risentirono per non essere stati consultati. Cosi il teologo Pavarino, cappellano alla Regia Basilica di Superga, e il canonico Durio, cappellano di Corte, vennero da Don Bosco a dirgli che, avendo saputo della lotteria da lui ideata, desideravano di prestarvi l'opera loro, per contribuire anch'essi al buon risultato. Don Bosco cercò bene di far intendere come per volere del Re nessuno dovesse entrare a dar giudizi o a metter mano nella faccenda; ma [312] queglino lo importunarono a segno, che ne rese avvertito il Correnti, e questi per mezzo del barone Cova gli ripeté a nome di Sua Maestà che a lui solo spettava la direzione e l'esecuzione dell'impresa,
Se non che or sorde or palesi le opposizioni non cessavano di dargli molestia. Venne la volta anche di monsignor Gastaldi, il quale si dichiarò contrario al trasferimento della parrocchia, lagnandosi di non essere stato interpellato prima d'ogni altro; spettare a lui designare le chiese parrocchiali e opporvi quindi il suo veto. Aveva senza dubbio tutte le ragioni e tutti i diritti in linea di principio; ma esporre una opinione non era stato ancora invadergli il campo.
Tanta pubblicità costrinse il Correnti a radunare il consiglio di amministrazione dell'Ospedale, pregando pure Don Bosco d'intervenire. Don Bosco andò, accompagnato dal coadiutore Pelazza, che lo attese nella sala. Data ai presenti comunicazione del noto programma, ognuno volle dire la sua circa il modo più sicuro dì procurare il danaro necessario. Interloquirono tutti, e Don Bosco taceva. Finalmente il Correnti, imposto silenzio, disse: - Sentiamo Don Bosco. Il Servo di Dio allora espose quanto aveva manifestato al Re per iscritto, dimostrando come la cosa fosse di esito sicuro. Gli si mossero obbiezioni, finché egli sorridendo uscì a dire: - Ebbene dirò io qual é il mezzo più spiccio per mettere insieme una somma straordinaria. S'invitino tutti i Cavalieri di San Maurizio e Lazzaro e tutti quelli della Corona d'Italia[254] a versare ciascuno dieci o venti lire. Si vedrà che pagheranno volentieri, e sono tanti i Cavalieri! - A una trovata sì originale tutti risero e ogni questione parve finita.
Sciolta l'adunanza, il Correnti accompagnò Don Bosco fino alla porta, gli baciò la mano e si raccomandò alle sue orazioni. Il Pelazza trasecolato al vedere simili [313] dimostrazioni da parte di un tal uomo, quando si fu in strada, non nascose a Don Bosco la propria meraviglia. Il Beato, cammin facendo, gli disse: - Correnti é un uomo di gran sentimento. Se non fosse legato alle sètte, farebbe assai del bene. Tuttavia in punto di morte, se potesse aver vicino Don Bosco o qualche altro prete, io ritengo che si confesserebbe. - Egli mori a Meina otto mesi dopo che Don Bosco aveva lasciato la terra. Negli ultimi giorni, oltreché da monsignor Anzino, cappellano di Corte, era visitato dal parroco, fatto da lui chiamare. Si vide soltanto che questi gli amministrò l'Estrema Unzione[255].
Diventata pressoché di pubblico dominio la notizia della parte di Don Bosco nel famoso programma, gli oppositori non gli davano tregua, massime i due preti, che quasi ogni giorno erano là a proporgli modificazioni o aggiunte al progetto. Quanto tempo gli fecero perdere! Ma la ragionevolezza delle sue vedute non entrava loro in capo. Importunità sì ostinate lo stancarono, sicché finì con dire che, se volevano fare essi in vece sua, facessero pure; essere già troppe le faccende che lo tenevano occupato; aver egli accettato quell'incarico non per gusto che ci avesse, ma per secondare il desiderio dei Re. Contenti che Don Bosco cedesse le armi, i due seccatori gli domandarono, se fosse disposto a secondare i loro disegni e ad aiutarli. Rispose di sì; ma queglino più non comparvero: lasciato da parte Don Bosco, si misero essi alla testa dell'impresa. Mancavano però loro due cose: l'ingegno di Don Bosco e la fiducia di chi doveva somministrare il denaro per la lotteria. E poi, propalatesi a quel modo le trattative, il Re e Correnti stimarono prudenza non più insistere presso di lui. Così il bel progetto di Don Bosco andò in fumo e la costruzione dell'Ospedale non solo esaurì le entrate dell'Ordine, ma ne dissestò per un pezzo le finanze.
L'II novembre 1881 vi doveva essere la cerimonia per la posa della prima, pietra con l'intervento del Re. Sua Maestà [314] desiderava molto di vedere Don Bosco. Anche per questo il Correnti voleva a ogni costo che facesse Don Bosco quella funzione; ma questi tanto disse, che, vinte le sue riluttanze, lo persuase della convenienza di passar sopra alle proprie antipatie e di pregare l'Arcivescovo. Allora il Correnti, divisando di presentarlo al Re in quell'occasione, venne appositamente all'Oratorio e non volle andar via finché non istrappò al Beato una formale promessa di assistervi. La promessa però aveva una condizione, che cioè il Baccelli, Ministro della Pubblica Istruzione, se, come si diceva, fosse stato là a rappresentare il Governo, non tenesse nessun discorso. Era infatti da aspettarsi che, parlando, si abbandonasse a declamazioni anticlericali e antipapali, cosa che a Don Bosco ripugnava maggiormente in un già suddito pontificio e professore nella pontificia Università della Sapienza. Oggi a noi non é più così facile comprendere quanto il contatto con tali uomini potesse allora pregiudicare un ecclesiastico di fronte ai cattolici, troppo ardente perdurando negli animi il dolore della questione romana. Don Bosco ricevette assicurazione che il Baccelli non sarebbe più venuto a Torino; difatti, sebbene fino all'ultimo giorno si desse per certo il suo arrivo, egli non si mosse da Roma[256].
Don Bosco mantenne la parola: ma benché avesse un biglietto d'invito personale, che si conserva nei nostri archivi, si confuse tra la folla, né si mise menomamente in vista durante tutto lo svolgersi della funzione[257]. Il Re, appena [315] giunto, chiese subito al Correnti dove fosse Don Bosco Il Correnti, dato uno sguardo attorno senza poterlo scorgere, ne rimase male e si tenne alquanto offeso; perciò alcuni giorni dopo andò a lamentarsi con lui, che fosse venuto meno alla sua promessa. Il Servo di Dio, scusatosi come credette meglio soggiunse: - Non mi sono fatto avanti appunto per evitare la presentazione al Re. Se il Re mi avesse rivolte anche poche parole, i giornali d'Italia chi sa che cosa avrebbero detto sul conto mio, chi sa che cosa ne avrebbero pensato a Roma! Sarebbe stato un imbroglio per me, e forse anche al Re avrebbero recato qualche noia quelle dicerie. Il Correnti, rimasto là un istante pensoso, gli diede ragione, ammirandone la prudenza e conchiudendo con dire: - Io non ci aveva pensato. - Comprese allora meglio una parola dettagli da Don Bosco in altra occasione, che non sappiamo ben precisare quale fosse. Gli aveva domandato come facesse ad andare sempre avanti senza naufragare in tempi di lotte sì accese e fra tanti partiti. - Con dare a ciascuno il suo, aveva risposto Don Bosco, e schivare tutte le questioni e le pubblicità non necessarie.
Nonostante le contrarietà che abbiamo descritte, né il Correnti volle rinunziare del tutto alla collaborazione di Don Bosco, né Don Bosco credette di doversi disinteressare completamente dell'ospedale. Avendogli il Santo chiesto nel 1884 un'onorificenza per il professore Bonzanino, il primo segretario dell'Ordine Mauriziano gli rispose con molta benevolenza e profittò dell'occasione per pregarlo che lo aiutasse nella costruzione della vagheggiata chiesa, procurandogli un largo concorso dalla carità dei fedeli[258]. In questo Don Bosco non poté fare nulla pubblicamente: scartato il suo disegno, egli non aveva più veste per occuparsi con frutto dell'impresa. Tuttavia essendosi parecchie volte interessato per ottenere distinzioni cavalleresche, induceva i richiedenti a versare [316] somme considerevoli a vantaggio dell'erigendo ospedale. Inoltre, essendosi abbandonata l'idea della chiesa, si restava anche senza una cappella interna; il che non desti stupore, poiché l'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, trasformato in civile e unito a quel della Corona d'Italia, subiva la sorte degli enti laicizzati. Il Beato dunque, recatosi a visitare il nuovo edifizio, domandò al Correnti come s'intendesse provvedere al servizio religioso. Quegli si schermì, dicendo essersi seguite le prescrizioni dei sanitari, che avevano dettato le norme agli architetti. Allora per suggerimento delle Suore, che al suo ingresso gli avevano fatto festose accoglienze, indicò una sala che si poteva senza difficoltà adibire allo scopo. Il Correnti tacque, ma soddisfece al suo desiderio; sicché gl'infermi andarono debitori a Don Bosco del benefizio di avere vicino il Santissimo Sacramento, a conforto dei loro dolori.
TRE Opere salesiane oggi fiorenti ripetono i loro esordi dall'anno 1881: il collegio di Utrera e i due istituti di Firenze e di Faenza. Seguendo l'ordine cronologico della fondazione, diremo anzitutto del primo, la cui mercè furono dischiuse a Don Bosco le porte della Spagna.
Sembra quasi uno scherzo della Provvidenza il modo come cadde nella Spagna il seme, da cui germogliò l'albero rigoglioso, che doveva spandere i suoi rami in tutte le direzioni del paese. Il marchese Don Diego di Casa Ulloa meditava di aprire in Utrera una pia casa per ricoverarvi fanciulli poveri; scrisse pertanto al Superiore Generale dei Maristi, pregandolo di accettarne la direzione. Il Generale andò per fargli visita in ora troppo mattutina e non fu ricevuto; andò una seconda volta, ma nel palazzo non c'erano che le signore. Quasi stizzito, volse le spalle né più si fece vedere. Allora il Marchese, avendo aspettato indarno una risposta, si consigliò con l'Arcivescovo di Siviglia, monsignor Gioacchino Lluch y Garriga, da cui Utrera dipendeva, invocando i suoi lumi per sapere come raggiungere il suo caritatevole intento. L'Arcivescovo era carmelitano e aveva soggiornato nel convento di Lucca, quando già si trovavano quivi i [318] Salesiani; perciò, avendoli conosciuti molto favorevolmente, gli rispose di chiamare i figli di Don Bosco. Il gentiluomo che nulla conosceva né di Don Bosco né della sua Congregazione, pregò il Prelato che volesse scrivere egli stesso a Torino in suo nome. L'Arcivescovo di buon grado consentì.
La risposta non si fece sospirare, ma conteneva solo vaghe speranze. Questo avveniva nel 1879. L'anno seguente Don Cagliero, come abbiamo narrato nell'altro volume, si recò nella capitale dell'Andalusìa accompagnato dal coadiutore Giuseppe Rossi. Vi giunse il 24 gennaio. L'Arcivescovo lo abbracciò con effusione, dicendosi lietissimo di vedere i figli di Don Bosco e ringraziandone il Signore. Presso Sua Eccellenza trovavasi ad attenderli il Marchese con il figlio Antonio e il genero Enrico Muñoz. Il Marchese che aveva 71 anni, venerando patriarca e uomo di fede antica, voleva prima di morire veder i Salesiani stabiliti in Utrera, sua patria. Tutta la sua famiglia, animata dal medesimo spirito cattolico, lo secondava in questo suo desiderio. A Don Cagliero sembrò di ravvisare in lui una copia fedele dell'argentino Francesco Benitez. Dinanzi a tutti l'Arcivescovo parlava di Don Bosco e delle sue istituzioni con santo entusiasmo.
Il figlio e il genero del Marchese accompagnarono gli ospiti a Utrera. Monsignore aveva notificato ufficialmente il loro arrivo al Vicario del luogo; onde tutto il clero si mise in moto per riceverli bene. Anche l'alcalde o sindaco, ottimo cattolico, non solamente andò a dar loro il benvenuto, ma per due giorni volle farsi loro guida nel visitare chiese, scuole e altri stabilimenti.
E' situata Utrera a trenta chilometri da Siviglia, verso sudest, in mezzo a una sterminata e fertile pianura, coltivata a frumento e popolata di ulivi e di bestiame; ma la sua maggior rinomanza le deriva dall'essere il luogo più importante della Spagna per l'allevamento dei tori destinati alle corridas e detti ganaderos. Contava a quei tempi poco più di dodici mila abitanti: popolazione cattolica, sebbene, come in [319] tantissimi luoghi della Spagna, poco praticante per questo i protestanti senza difficoltà vi stavan facendo il covo. Dai buoni si aspettava che i Salesiani venissero a scuotervi la generale indifferenza religiosa e a snidarne i falsi predicanti.
Vi erano nella città diverse chiese, due specialmente del secolo XV, vere cattedrali; ma parecchie per difetto di clero erano quasi abbandonate, e fra queste l'Arcivescovo disse ai Salesiani di sceglierne una, quella che paresse loro meglio. Don Cagliero pose gli occhi sulla chiesa del Carmine, perché più centrale e più comoda alla popolazione ed anche più distante dalla parrocchia. Essendo tuttavia piccoletta l'annessa abitazione il Marchese, finchè non si fosse diversamente provveduto, avrebbe lasciato a disposizione dei Salesiani metà di una sua bella casa ivi prossima. Essendosi intanto arrivati alla festa di San Francesco di Sales, Don Cagliero tenne quel giorno in detta chiesa una conferenza, dopo la quale inscrisse i primi Cooperatori Salesiani spagnuoli.
Egli non dava un passo senza renderne conto a Don Bosco, che si trovava a Marsiglia, e per ordine suo anche a Don Rua, facendo questo in lunghe lettere piene di brio e di buon umore. Partì lasciando dietro di sè e recando seco le migliori impressioni. “Monsignor Arcivescovo, scriveva egli a Don Rua[259], ci vuole in Siviglia ed in altri punti della sua vastissima Archidiocesi. Egli si è costituito il gran Papà dei Salesiani per la Spagna. Il Signor Marchese Ulloa, il suo figlio e suo genero e l'alcalde di Utrera intendono essere i primi Cooperatori salesiani di Spagna. Noi avevamo già idea di cortesia e fraterna bontà girando il mondo; ma il primato credo lo tenga la Spagna e specie l'Andalusia.” E al Maestro dei Novizi Don Barberis[260]: “Di noi si formarono un ideale troppo grande forse, e temo che all'atto pratico i colori abbiano a sbiadire! Di' adunque a questi novizi che facciano [320] dell'uomo e stiano in gamba[261]. Potrebbe darsi che più d'un di loro sia da Dio eletto a fare dei miracoli da queste parti, dove abbiamo un vastissimo campo da lavorare! E pensino che è la terra delle Terese, degli Ignazi, dei S. Domenico, degli Avila e dei Rodriguez, degli Isidori e dei Tommasi da Villanova.” Fra i novizi che udirono leggere questo pronostico trovavasi per l'appunto colui che la Provvidenza destinava a diffondere e organizzare l'Opera salesiana nella Spagna, Don Filippo Rinaldi, il terzo successore di Don Bosco.
Il Servo di Dio, tornato da Marsiglia a Nizza Mare, appena poté godere un po' di respiro, volle sdebitarsi con il Marchese di Ulloa e con l'Arcivescovo di Siviglia. Scrisse pertanto al primo:
Ill.mo Sig. Marchese D. Diego di Casa Ulloa,
Non so come ringraziare la S. V. della carità usata a' miei figli Salesiani che ebbero l'alto onore di essere ospitati in casa sua. Io ne conservo la più [sentita] gratitudine e Dio saprà degnamente rimeritarla.
Vivo però nella più viva speranza che saremo onorati da una sua visita in Torino ed allora potrò personalmente ringraziare di quello che ha fatto ed è pronto di fare a favore della nostra umile e nascente Congregazione.
Dio la benedica, o carissimo e caritatevolissimo Sig. Marchese, e con Lei benedica e conservi in sanità, in grazia sua tutta la sua famiglia.
Lieto di poterla annoverare tra i nostri insigni benefattori l'assicuro che V. S., il suo degnissimo figlio D. Antonio e Il Sig. D. Enrico e famiglia parteciperanno delle comuni e private preghiere che ogni giorno si fanno nelle case Salesiane.
Mi raccomando in fine alla carità spirituale delle sante sue preghiere. mentre con animo riconoscente ho l'alto onore di potermi professare in G. C.
P.S. Confermo quanto il mio incaricato Dottor Cagliero ha conchiuso per la casa da aprirsi nella città di Utrera e spero che coll'aiuto del Signore ogni cosa sarà preparata pel prossimo ottobre, e che i [321] miei e suoi figli Salesiani potranno partire a quell'epoca per recarsi al luogo dell'uffizio che la Divina Provvidenza per mano di Lei ha preparato.
Della lettera all'Arcivescovo non conosciamo il tenore; ma abbiamo sott'occhio la risposta, scritta in italiano. Egli parlava questa lingua, avendo fatto in Italia i suoi studi.
Veneratissimo D. Bosco Sac. Giovanni,
Mille grazie per la sua desiderata lettera del 26 febbraio scorso. Mi rallegro nel Signore che il Sac. Don Cagliero ed il suo compagno sieno costì arrivati lieti e contenti del loro viaggio in Siviglia. Io pure godo d'averli conosciuti, e confido d'avere in cotesta mia Arcidiocesi digià stabiliti i cari Salesiani nel venturo mese d'ottobre. Iddio benedirà questa impiattagione (sic) in Ispagna, ed i nostri posteri ne coglieranno i frutti, paghi noi abbondantemente d'esserne rimeritati dal Datore d'ogni bene.
I miei acciacchi seguitano impedendomi la quiete. Allorquando potrò intrapprendere il bramato da me viaggio a Roma, avviserò per tempo, e fisserò quello del nostro rendez-vous a Torino. Frattanto saluto Don Cagliero e lo ringrazio del suo biglietto al quale voglio sia questa mia lettera di risposta, come pure dei giornali di Marsiglia. Mi raccomando alle orazioni della Congregazione Salesiana, e di Lei, venerato Padre, di cui mi rassegno
FR. G. Arcivescovo di Siviglia.
L'apertura della casa di Utrera si doveva dunque considerare come cosa decisa. “Sono conchiuse le trattative in Utrera, aveva scritto Don Cagliero nella citata lettera a Don Rua, e sei Salesiani sono offerti pel prossimo ottobre.” Ma la data non corrispose esattamente alla previsione.
Dicevamo nel capo primo che Don Cagliero sul principio del 1881 accompagnò a Utrera il piccolo stuolo dei Salesiani destinati alla nuova fondazione. Quanto si erano diffuse nella penisola iberica le notizie di cose salesiane! I viaggiatori ne ebbero subito una prova a Gibilterra. Perduto il piroscafo che salpava [322] ogni venerdì per Cadice, furono costretti di aspettare fino al martedì seguente. Ci volle del bello e del buono, perchè si accordasse loro il permesso di sbarcate nel possedimento inglese; ma tosto si videro circondati da buoni amici. Il Vicario Capitolare e i suoi dieci preti si mostrarono informatissimi di Don Bosco e delle sue vicende, sicché aderirono con gioia all'invito d'inscriversi fra i Cooperatori Salesiani. Grande banditore della fama di Don Bosco erasi fatto l'Arcivescovo di Siviglia, che nella Rivista diocesana pubblicava una Storia dell'Oratorio, attingendo al Bollettino, in cui dal gennaio del 1879 Don Bonetti dava ai lettori le briose puntate raccolte poi in volume sotto il titolo di Cinque lustri di storia dell'Oratorio di San Francesco di Sales. A loro volta la Rivista Popolare di Barcellona e giornali di Madrid e d'altri luoghi riproducevano gli articoli di Siviglia[262], facendo salire in gran rinomanza per tutta la Spagna le gesta dell'uomo di Dio.
L'ingresso in Utrera fu un trionfo. Il 22 febbraio Don Cagliero col direttore Don Branda visitò l'Arcivescovo, che il giorno medesimo scrisse a Don Bosco: “I suoi figli sono arrivati a Utrera in mezzo alle dimostrazioni di affetto e di gioia di quei miei cari andalusi. Oggi ho ricevuto la visita di Don Cagliero e del nominato Superiore di quella residenza. Hanno di già cominciato a lavorare nei santi ministeri. Spero che faranno del gran bene in Ispagna. Ho già loro preparato un'altra casa in Ecija, sede vescovile che fu di San Fulgenzio. Non dubiti, caro Don Bosco, ch'io sarò leur grand Papà.”
Tutto il clero secolare di Siviglia manifestava calda simpatia per la Congregazione, destinata, dicevano, a fare molto bene alla gioventù spagnuola, che dal 1868 in poi, quando il radicalismo cominciò a prendere sempre maggiormente piede, si andava purtroppo perdendo. Anche il Vescovo di Valenza si sforzava di strappare una promessa per l'accettazione di una casa nella sua diocesi; così pure quello di Malaga [323] ardeva del desiderio di abboccarsi con un Salesiano per trattare della stessa cosa. Don Cagliero lo fece pago, recandosi a visitarlo. Ivi trovò che mediante lo zelo di sacerdoti e signori si era già cominciato alcunché di analogo a quanto leggevano di Torino, Sampierdarena, Nizza e Marsiglia; ma si volevano i Salesiani per riordinare, reggere e far progredire l'opera secondo i nostri sistemi educativi. Vi fece venti Cooperatori Salesiani. Da quanto udiva là e altrove egli riportava l'impressione che si sentisse “possente il bisogno di moralizzare la classe operaia” e si fosse persuasi essere “la nostra Istituzione l'unico rimedio ai mali sociali” del tempo. Sono frasi sue nella lettera a Don Bosco. I vigilanti pastori vedevano giusto. Gli avvenimenti di fresca data hanno dimostrato che in realtà la salvezza della Spagna non istava più nell'aristocrazia, ma nel popolo e che di questo urgeva al sommo prendersi cura.
L'Arcivescovo di Siviglia, come abbiamo visto, lodava la prontezza dei Salesiani nel dedicarsi ai sacri ministeri. La chiesa del Carmine prima era deserta. Vi mancava tutto, sicché bisognò prendere a imprestito candele, candelieri e paramenti; ma in meno di quindici giorni fu provveduto quanto occorreva per il servizio divino. Le funzioni attiravano sempre più gente. Primi si affollarono intorno ai Salesiani i ragazzi, riempiendo sacrestia e presbiterio e vestendosi alcuni da chierichetti, altri accorrendo per imparare a servire la Messa, molti adunandosi per istruirsi nella dottrina cristiana, assai trascurata. Le madri benedicevano la venuta dei nuovi apostoli. Il Marchese di Ulloa versava lagrime di consolazione. Don Cagliero, riferendone a Don Bosco, esclamava[263]: “E noi? Già abbiamo ringraziato la Divina Provvidenza che siasi servita de los muchachos di Valdocco per fare vieppiù risplendere la sua gloria e la sua misericordia in questo paese.” [324]
Anche nel vicino Portogallo si moveva incontro ai figli di Don Bosco. Da Lisbona Don Cagliero ricevette per il tramite della Nunziatura un plico raccomandato, in cui il presidente dell'Associazione protettrice degli operai lo invitava a portarsi in quella capitale per convincersi della necessità grande di accorrere per salvare i figli del povero popolo. Da Oporto un'altra lettera, scritta a nome del Cardinale, gli diceva quanto fosse aspettata una sua visita nella seconda città del regno per istabilirvi senza indugio i Salesiani. Al leggere tutte queste notizie Don Bosco gli rispondeva con la sua imperturbabile serenità:
Ho ricevute lettere tue, e rinviate a Torino. I compagni furono curati bene fino a S. Vincenzo[264], d'onde ho testè ricevute notizie. Le nostre cose procedono ottimamente. Dio ci benedice. Avanti. Fa' rispettosi omaggi a tutti i nostri benefattori, specialmente al nostro veneratissimo, e carissimo più che padre, Monsig. Arcivescovo di Siviglia cui spero di scrivere quanto prima. Procura di occuparti della Chiesa del Sacro Cuore di Roma.
Avvi sommo bisogno della tua presenza tra noi. Spero di essere a Roma al principio di aprile per fare presto ritorno a Torino. Un cordialissimo saluto a tutti i nostri cari amici, confratelli e figli in Gesù Cristo.
Dio ci benedica tutti e pregate per me che sono vostro
All'Arcivescovo di Siviglia scrisse soltanto dopochè, ritornato da Roma e udita la relazione di Don Cagliero, le brighe di quei giorni gliene lasciarono la possibilità. Usò la lingua latina, forse perchè non rammentava che Monsignore conosceva benissimo, l'italiano o fors'anche perchè la sua lettera potesse venir letta pure da altri ecclesiastici: un latino semplice e schietto, con cui molto alla buona esprimeva i suoi veraci sentimenti verso il benemerito Prelato[265]. [325]
La raccomandazione a Don Cagliero che si occupasse della chiesa del Sacro Cuore non restò lettera morta: un desiderio qualsiasi di Don Bosco era sempre una legge per quegli affezionati suoi figli ed aiutanti. Don Cagliero, preparata la traduzione di una Circolare italiana che vedremo, e della relativa lettera del Beato, le fece stampare e ne mandò, copia a tutti i Vescovi e parroci della Spagna. I giornali poi vi diedero pubblicità[266].
Il difficile per i nostri era la lingua, che nessuno di essi aveva mai studiata; questo fu uno dei principali motivi che indussero Don Cagliero a prolungare tanto il suo soggiorno in Utrera. Vi si trattenne fino alla Pasqua, che cadeva il 17 aprile. La sera della grande solennità prese pubblicamente commiato dai fedeli o per dir meglio dalle fedeli, che frequentavano la chiesa del Carmine. Per la circostanza la sua vivace immaginazione gli suggerì una delle solite bizzarrie, di cui perdura tuttora la memoria. La mattina, attraversando la città, aveva visto il così detto toro del aguardiente. Lo Spagnuolo nelle maggiori occasioni non sa fare a meno del suo divertimento favorito. A quei tempi, dove non era possibile avere un circo per le corridas, vi si suppliva in una forma molto spiccia. Si prendeva un toro indomito, gli si legava una lunga fune alle corna e lo si lanciava per le vie e per le piazze, dove, fra una turba di spettatori, uomini validi si paravano dinanzi alla bestia, la aizzavano in tutti i modi, la sfidavano di fronte scansandone la furia e nei momenti di pericolo vi era chi, tirando la corda, ne arrestava l'impeto. Si slacciava la fiera nell'ora in cui i popolani uscivano a sorbire il bicchierino dell'acquavite, donde il nome che quel giorno si dava all'animale.
Oggi il pericolosissimo divertimento è proibito fuori degli steccati, ma allora Don Cagliero ne fu spettatore attraverso la città. Onde nella sua predica esordì press'a poco [326] in questo modo: - Io me ne debbo tornare in Italia. Vi confesso che fino a oggi il pensiero della partenza mi era una spina al cuore. Non avendo mai visto se non donne in questa chiesa, m'immaginavo che esse menassero qui la vita nell'abbandono, senza uomini che provvedessero a loro e le difendessero. Ma finalmente stamane, andando per Utrera, son passato attraverso una folla compatta d'uomini nerboruti... Meno male! esclamai. Anche a Utrera uomini ve ne sono... - La morale scaturiva da sè; ma i commenti dell'oratore la ribadirono ancor meglio, sicché si assicura che, divulgatasi la peregrina trovata, ne siano seguiti buoni effetti.
Il Marchese però, pur non confondendosi con la plebe, era assiduo alle funzioni. Egli poi seguiva il costume allora generale nelle persone distinte, di andare alla Comunione a lunghi intervalli, ma con tutta la solennità delle grandi occasioni, cioè in abito di cerimonia e con le decorazioni al petto. Si trattava Gesù da sovrano. Orbene, quando i Salesiani introdussero l'uso della Comunione frequente, il nobil uomo, vedendo anche la gentarella comunicarsi così spesso, non sapeva darsi pace. Ma non passò gran tempo che egli pure, lasciatosi persuadere, ruppe a poco a poco la consuetudine, arrivando fino alla Comunione quotidiana. Allora il giubilo di quell'anima cristiana era così vivo, che non finiva di manifestare la sua riconoscenza a Don Bosco per l'insigne benefizio arrecatogli sul tramonto della sua vita.
Da Utrera Don Cagliero si recò prima a Lisbona e poi a Oporto. Nella capitale del Portogallo ebbe una cordialissima udienza dal Nunzio Apostolico monsignor Aloisi-Masella, grande ammiratore di Don Bosco, le cui opere chiamò opere del Signore. Venne anche ricevuto dalla Regina Maria Pia, figlia di Vittorio Emanuele II. In un colloquio di mezz'ora si parlò di Torino, di Don Bosco, di Maria Ausiliatrice, di Missioni salesiane, della fondazione di Spagna e di quelle da farsi nel Portogallo. La Regina domandò con certa curiosità: - Come fa Don Bosco a compiere tante belle opere con niente? - [327]
- E' il grande segreto della Divina Provvidenza, rispose Don Cagliero. Da principio non furono estranei l'augusto avo e la santa madre di Vostra Maestà.
- Mi rallegro molto che Don Bosco pensi anche al Portogallo. Bisogna cominciare presto presto.
- Quando ciò fosse, avremo in Vostra Maestà una protettrice sicura e perchè Italiani e perchè piemontesi, anzi torinesi.
In ultimo Don Cagliero le parlò della chiesa e dell'ospizio del Sacro Cuore, che Don Bosco per incarico del Santo Padre innalzava come monumento al Padrino di Sua Maestà la Regina. - Ah! esclamò essa, Pio IX se lo merita; era un Santo. - Promise poi che avrebbe contribuito volentieri. Nel congedarlo gli disse di salutare Don Bosco da parte sua e di esprimergli i suoi rallegramenti per le grandiose opere da lui compiute.
A Oporto Don Cagliero trovò nel cardinale. vescovo Amerigo Ferreira dos Santos Silva un sincero amico dei Salesiani. Vi si voleva ad ogni costo e quanto prima una casa; ma Don Cagliero per tema di compromettersi se ne partì al più presto possibile, pur ritenendo elle sarebbe stata carità insigne piantare ivi le tende, tanto più che oltre a miserie morali d'altro genere vi sì erano già installati e bene i protestanti. A Oporto si veniva allora stampando, tradotta in portoghese, la breve monografia francese dell'abate Mendre[267].
Il 27 aprile Don Cagliero per Badajoz e Valenza, attraversando la Spagna centrale, scese a Barcellona e di là, varcate le frontiere, si diresse a Marsiglia[268]. Giunse a Torino precedendo di poco il ritorno di Don Bosco da Roma [328] Sembra che Don Bosco avesse netta dinanzi alla mente la visione del bene che i suoi figli erano chiamati a compiere nella Spagna. Infatti nel giorno di Santa Teresa del 1880, aveva detto al futuro Direttore della casa di Utrera: - A Utrera non si farà che preparare le armi e affilare le spade per occupare campi ben più vasti. Non passerà molto tempo, che una signora, oggi maritata in Barcellona (e adesso io non sogno certamente), restando vedova, inviterà noi a Barcellona, dove apriremo una casa, e poi ne verran fondate molte altre. - La predizione cominciò ad avverarsi nel 1882, quando la signora Dorotea de Chopitea, perduto il marito, pensò di suffragarne l'anima con l'aprire un oratorio festivo e un ricovero per la gioventù abbandonata e affidarli ai Salesiani. Fu quello il vero principio del grande sviluppo preso dalle opere di Don Bosco nella Spagna.
Due settimane dopo l'apertura della casa di Utrera veniva aperta quella di Firenze. A Firenze Don Bosco era conosciuto da tempo. Le sue frequenti visite alla città da quando ve lo chiamava il Governo negli anni della capitale provvisoria, i salutari effetti delle sue benedizioni e soprattutto il prodigioso ritorno da morte a vita del figlioccio della contessa Gerolama Uguccioni[269] l'avevano reso noto non solo, ma caro nelle case patrizie. L'ebbero in venerazione anche i due arcivescovi Limberti e Cecconi. Allorchè quindi il lavorio dei protestanti si fece più intenso in mezzo al popolo fiorentino, i voti dei buoni si rivolsero a lui, come all'uomo più adatto che ci fosse allora per opporre un argine alla propaganda nefasta.
Il primo invito a prendere stanza nella capitale toscana rimonta al 1877, e partì dall'Associazione di Carità reciproca fra operai cattolici, presieduta dal marchese Pompeo Bourbon del Monte[270]. In principio fu un'idea vaga; poi in seno alla Società Operaia si costituì una Commissione incaricata di [329] raccogliere offerte, cercare il locale e condurre le trattative. Vi stava a capo l'avvocato Giovanni Grassi e teneva la corrispondenza un signor Giorgio Rastrelli. Le ricerche di un edifizio andarono in lungo; finalmente nel maggio del 1880 fu presa in affitto una casetta situata in via Cimabue, numero 31. Lì dentro si voleva cominciare una scuola d'arti e mestieri con l'aggiunta di alcune classi elementari; ma l'intendimento era d'arrivar a fare assai più, mirandosi all'erezione di un istituto, che fosse monumento dei cattolici fiorentini alla santa memoria di Pio IX. Don Bosco che in quel maggio stesso aveva visitato lo stabile, consentì di farne la modesta culla dell'opera sua a Firenze.
Nel mese di luglio quei signori pressavano Don Bosco, perchè mandasse un Salesiano a insediarvisi; Don Bosco invece mandò il Direttore della casa di Lucca a vedere, se veramente ogni cosa fosse all'ordine per cominciare. Don Marenco trovò il locale sufficiente per un inizio; quanto al resto però, molte parole, molte assicurazioni, molte speranze e nulla di positivo: egli stesso, se volle sfamarsi, dovette andare in una trattoria. L'Arcivescovo monsignor Cecconi scrisse il 10 agosto a Don Bosco: “Quattrini ce ne sono pochi; ma Ella è abituata a cominciare dal poco.” Don Dalmazzo, inviato a esplorare meglio il terreno, raccolse voci che consigliavano a procedere senz'alcuna fretta.
Intanto la Commissione diramò una Circolare, che invitava a riempire certi moduli, sottoscrivendo l'invio di offerte o l'indicazione di promesse; ma si era corso troppo, dando per certa la venuta dei Salesiani in autunno al riaprirsi delle scuole. Don Bosco che, risoluto di esaudire gli amici fiorentini, non ne aveva mai fissato il tempo, quando seppe il vero stato delle cose, fece scrivere che per il 1880 non poteva disporre del personale occorrente, essendogli morti di fresco alcuni sacerdoti. Allora l'Arcivescovo, radunati i membri della Commissione, decise d'insistere, come fece il 12 novembre, dicendo che la cooperazione salesiana [330] di là non era sperabile fino a che i Salesiani non fossero installati, e osservando che i protestanti lavoravano e ridevano; desse almeno una definitiva risposta.
Dopo quest'adunanza un devoto Cooperatore, il canonico Giustino Campolari, scrisse a Don Bosco: “Saputo ciò da persona che si trovava presente, pensai che forse il difetto di personale non fosse la sola e unica causa di questo suo temporeggiare, e che il motivo vero stia nel non avere Ella in mano tanto da esser sicuro dei mezzi pecuniari per il mantenimento della casa, giacchè io pure non credo che quello che si è raccolto possa essere sufficiente. Se questo fosse, io le suggerirei di scrivere francamente a Monsignore in questo senso, perchè sarebbe indecoroso di veder la casa malaticcia e rachitica e col pericolo di vederla morire dopo due o tre anni. In questo caso sarebbe meglio non aprirla […]. Creda, caro Don Bosco, che la necessità di una casa di Salesiani qui in Firenze nella località prescelta è grande: ma bisogna che questa casa, una volta aperta, abbia una vita vigorosa, perchè possa far argine a quella protestante, che non manca davvero di mezzi materiali per adescare gl'incauti genitori a mandarvi i loro figliuoli, e che è piena di questi poveri innocenti.”
Le ultime parole commossero fortemente il cuore di Don Bosco, che studiava col suo Capitolo la maniera di accelerare l'andata. Ed ecco nel gennaio un nuovo appello dell'Arcivescovo. “Mi sono adoperato, scriveva, per poterla assicurare che i mezzi di vivere non sarebbero mancati. Ora ho la consolazione di dirle che si può prudentemente cominciare; che il locale, a Lei ben noto, è pronto; e che i 1500 franchi annui per tre Salesiani sono assicurati per qualche anno […].
Deh! mio carissimo, non tardi di più, e si arrenda alle calde preghiere di un Vescovo, che in nome di Dio le chiede cooperazione!” Abbiamo copia della risposta definitiva, che Don Bosco aveva tardato a dare, perchè, avendo fatto scrivere a più benefattrici, aspettava l'esito; ma, come si legge nell'appunto di un segretario, fino agli ultimi di dicembre [331] una sola offerta era pervenuta, e piuttosto limitata. Inoltre le persone che corrispondevano con lui, non davano bastevole affidamento, nessuna di esse trovandosi in grado di porgere qualche garanzia, non diciamo materiale, ma almeno morale. Don Bosco attendeva pertanto che l'Arcivescovo pigliasse nelle proprie mani l'iniziativa. L'ultima lettera di Sua Eccellenza soddisfaceva a questa sua attesa; onde rispose:
Alla commovente lettera della E. V. io mi dispongo a fare anche l'impossibile, come dicono i Piemontesi. Ritardavo a rispondere perchè le persone a cui mi era diretto o non risposero o risposero in modo poco lusinghiero. Ora che vedo il buon volere della E. V. e che ho da fare solamente con Lei, io mi ci metto nelle mani e farò tutto quello che mi dica.
Pertanto sulle basi di sua lettera io scrivo al Direttore della casa di Lucca, affinché nella prossima settimana faccia una gita a Firenze per disporre le cose in modo che i futuri salesiani possano trovare quanto loro occorre per far cuocere i macheroni.
Spero che nella sua grande bontà darà ospizio a quell'uno o due giorni che Don Marenco, è il nome di detto Direttore, dovrà passare in Firenze.
Intanto io spigolerò qualche religioso nelle varie case e farò che entro poche settimane vi sia un prete, un chierico e un coadiutore a piena disposizione per l'Opera nostra. Farò sapere il giorno preciso del loro arrivo. Per qualche tempo credo bene che si limitino al solo Oratorio festivo e giardino di ricreazione e quando avranno un po' di conoscenza della città, delle usanze e dei costumi potranno cominciare le scuole serali con altre cose che la E. V. nella illuminata sua prudenza vorrà suggerire.
Ringrazio V. E. e tutti coloro che hanno riposta tanta fiducia nella nostra pochezza e raccomandandoci umilmente alla carità delle sante sue preghiere mi reco ad alto onore potermi professare
Questa lettera allargò il cuore all'Arcivescovo che di lì a pochi giorni accolse con gioia Don Marenco tornato a Firenze per prendere gli ultimi accordi e lo colmò di gentilezze, [332] di carità, di paterno affetto. Indicato quanto mancava ancora nella casa e rientrato in sede, il Direttore di Lucca scrisse a Don Bosco che dopo un paio di settimane la nuova colonia salesiana poteva partire. “Dai discorsi tenutimi, informava egli, sembra conveniente che chi andrà a Firenze si tenga molto vicino all'Arcivescovo, il quale è davvero un buon Padre.” Il suggerimento d'intendersela bene con l'Arcivescovo si vedrà presto quanto fosse opportuno.
I Salesiani presero possesso della loro dimora il 4 marzo: erano in tre, il direttore Don Confortóla[271], un chierico e un coadiutore. Si trovarono subito di fronte a serie difficoltà. Le prime difficoltà provennero dalla Commissione. Essa avrebbe dovuto cedere senz'altro ogni cosa a Don Bosco e ai Salesiani; ma un atto simile parve a quei signori che ridondasse a tutto loro discredito. Perciò, esagerando non poco quello che avevano fatto e ignorando che cosa fosse una Congregazione religiosa, s'immaginarono che i Salesiani dovessero stare in qualche modo alle loro dipendenze. Proposero quindi uno schema di convenzione, in virtù della quale il nascente istituto rimaneva per sempre vincolato alla Società Operaia, quasi non fosse che un'emanazione di essa. Don Bosco non si sarebbe mai assoggettato a sì imbarazzante servitù; che obbligava i Salesiani a muoversi secondo l'altrui beneplacito o, come si esprimeva Don Confortóla, aspettando sempre che altri prestasse loro le gambe. Dalle lettere che si conservano nei nostri archivi su questa noiosa controversia, noi comprendiamo benissimo un lamento uscito dalle labbra di Don Bosco. - Vedete un po', disse al Direttore nell'aprile seguente, come vanno le cose! Prima che Don Bosco mandasse i Salesiani a Firenze; fioccavano a Torino lettere piene delle più lusinghiere promesse. Ora che Don Bosco è qui, lo circuiscono, quasi dicessero: Adesso che Don Bosco c'è, gli faremo noi le condizioni che vorremo. - [333]
Non la pensavano tuttavia così due dei soci che più spesso erano stati in corrispondenza con lui, cioè i Signori Rastrelli e Lucaccini; ma più d'ogni altro ne dissentiva l'Arcivescovo, che sconsigliò dal presentare a Don Bosco nel suo passaggio per Firenze quelle sconvenienti condizioni. Non gli si volle dare ascolto; egli ottenne nondimeno che si formulasse un altro progetto meno irto di clausole odiose. Don Bosco lo prese e lo portò con sè a Roma, dandolo in esame a Don Rua; ma si vide che neppure con quello si salvava l'indipendenza economica e la libertà d'azione da lui voluta. Quando però egli fu di ritorno in maggio, il lavoro di conciliazione intrapreso dall'Arcivescovo aveva avuto esito felice: la consegna venne fatta e la Società Operaia, invece di tante pastoie, si contentò di un'esposizione compilata da Don Rua con tatto finissimo e ad essa dal medesimo rilasciata[272].
Con questo non vogliamo dire che sparissero i malumori; ma Don Bosco non ci badava. Guai se egli fosse stato facile a risentimenti od a scoraggiamenti! Le porte di alcuni signori, fra cui il presidente dell'Associazione Operaia, questa volta rimasero chiuse per lui. La sua conferenza fruttò appena lire 244,81: nessuna fino allora aveva mai dato così poco. A sì scarso successo contribuirono probabilmente la sfiducia degli uni nei collettori, che erano i membri della Commissione, e la diffidenza degli altri verso i Salesiani per le voci correnti. Al qual proposito bisogna sapere che la Commissione aveva dato alle stampe un memoriale da distribuirsi durante la conferenza per far conoscere a tutti che i firmatari consegnavano “lietamente l'Istituto, ormai già sorto per il concorso della cattolica carità, al benemerito Don Giovanni Bosco ed alla sua Congregazione”, e per presentare al pubblico a nome dell'Associazione Operaia, il rendiconto delle oblazioni ricevute e delle spese incontrate. Vi si dava come effettivo un totale di lire 18.031,56, in gran parte di [334] là da venire, perchè fondato su promesse. Il foglio venne consegnato ufficialmente a Don Bosco, che, percorsolo con lo sguardo, stette un momento sopra pensiero e poi, dondolando lievemente il capo, lo restituì senza proferir parola. Mentr'egli era sul punto di andar a chiedere l'elemosina, quel documento dava a intendere che per merito dell'Associazione i Salesiani erano già largamente provvisti.
A neutralizzare l'effetto di questi disgustosi incidenti bastò per Don Bosco il vedere e poi il sapere come l'oratorio festivo andasse di bene in meglio. In una città quale Firenze, feste e spettacoli distraevano grandemente i giovani; pure gli inscritti toccavano i duecento. Quando poi furono chiuse le scuole comunali, una cinquantina di ragazzi frequentavano anche nei giorni feriali la casa, tenendo occupati i Salesiani da mane a sera. “Il Signore, scrisse Don Confortóla[273], ci dà in contraccambio alle povere nostre fatiche buona salute e la consolazione di fare qualche poco di bene, e schivar molto male e molti pericoli a questa povera gioventù.”
A Don Bosco davano poi sempre un grande affidamento le materne sollecitudini della contessa Uguccioni, che metteva ognora a sua disposizione la sua alta influenza presso le famiglie della prima società fiorentina. Dopo il suo recente passaggio, appena poté, le scrisse una lettera piena di riconoscente ossequio[274].
Mi rimane qualche istante e voglio impiegarlo a scriverle qualche parola. Ho scritto alla Contessa Guicciardini nel senso che Ella mi ha suggerito. Forse farà qualche risposta.
Mi rincresce della morte della pia cristiana Costanza Donati[275]. Abbiamo pregato assai per la defunta ed ora preghiamo pei vivi.[335]
A Lei poi auguro sanità e santità in abbondanza, ed anche pazienza quando vado ad occuparla nella sua propria casa coi nostri affari.
Dio conceda a Lei e a tutta la sua piccola e grande famiglia [manca l'oggetto] e preghi per questo poverello che Le sarà sempre nei Sacri Cuori di G. e di M.
Nuove difficoltà sorsero per altro verso. Alla fine di ottobre scadeva il contratto di affitto, né il proprietario aveva intenzione di rinnovarlo, volendo vendere; bisognava dunque sloggiare. Don Bosco ordinò al Direttore di cercare un luogo, dove piantare definitivamente le tende. Acquistare lo stabile e rimanere là non conveniva, essendovi troppe servitù. Nelle feste, per esempio, durante la ricreazione mille occhi stavano a osservare, come se si fosse in un anfiteatro. Don Rua per ogni evenienza aveva già adocchiato varie località in quei paraggi, senza però determinarsi per alcuna. Don Confortóla, continuate le ricerche, s'imbattè in un sito, la cui opportunità e per la posizione e per la vastità dell'area e per i fabbricati ed anche per il prezzo veniva senza difficoltà riconosciuta da quanti erano richiesti del loro parere. Fiancheggiava il lato sinistro di via Fra Angelico, non molto lungi da via Cimabue. Il padre Giuseppe Franco, fratello e confratello di Secondo e buon conoscitore della città, disse al Direttore: - Scriva pure a Don Bosco che un luogo più opportuno di questo non è possibile trovarlo in Firenze per l'opera sua e per fare del gran bene anche alla popolazione. In questo canto della città la popolazione cresce affatto pagana. Non ha chiesa né sacerdoti, e perciò presto non saprà più che cosa sia né religione né sacramenti, e quel che è peggio ancora, è circonvenuta astutamente dagli Evangelici, che in mezzo ad essa hanno posto il loro nido e van facendo facili conquiste d'ogni, sorta. Ma se i Salesiani metteranno il loro ospizio, il loro oratorio, le scuole esterne e la chiesa per [336] il culto pubblico, gli sforzi dei protestanti saranno resi inefficaci, Dio sarà glorificato e le anime salvate. Mandi Don Bosco quattro uomini di Dio, e basta. E dica a Don Bosco che quando verrà il giorno fortunato in cui aprirà un tempio al pubblico, allora quattro sacerdoti saranno appena sufficienti per udire le confessioni; chè la popolazione di Firenze ha in fondo una gran rettitudine e se conosce il bene, lo ama e lo segue passionatamente. - Don Confortóla scrisse queste cose a Don Bosco il 10 giugno. L'Arcivescovo infine non solo caldeggiava l'acquisto, ma esortava a non perdere tempo, anche perchè i protestanti tenevano continuamente d'occhio i Salesiani e il temporeggiare poteva dar modo al diavolo di entrarvi con la sua coda.
Don Bosco costituì una società acquisitrice composta di cinque Salesiani, a cui accedette anche l'Arcivescovo rappresentato negli atti da un ecclesiastico, mentre i primi passarono procura a Don Confortóla; venditrice era la signora Giovanna Glotz nei Panzani. Si fecero le cose veramente alla svelta; tanto alla svelta che ai 5 di settembre l'istrumento di compra era all'ordine e a ottime condizioni. Allora con rapidità fulminea si pose mano ai lavori di adattamento per dar principio quanto prima anche all'ospizio. Ma sul più bello i mezzi presero a scarseggiare; perciò Don Bosco scrisse in San Benigno e spedì a Firenze una Circolare in cui diceva:
Di lontano ricorro alla nota di Lei carità per un'opera che è tutta a benefizio della pericolante gioventù Fiorentina.
Credo che Le sia noto come per mettere qualche argine al guasto grande che fanno i protestanti ai poveri fanciulli in codesta città, si è cominciato un Oratorio festivo ed un Ospizio per i più abbandonati.
Ma il loro gran numero ha tosto palesata la ristrettezza dell'edifizio e quale bene si potrebbe fare ad un maggior numero, qualora si potessero avere più spaziosi locali. Mosso quindi dal grave e crescente bisogno, incoraggiato da S. E. Monsig. Cecconi Arcivescovo della Diocesi e appoggiato alla carità dei Fiorentini, che non mi venne mai meno, ho giudicato bene di por mano alla riparazione ed [337] all'ingrandimento dei locali già occupati. I lavori progredirono alacremente; ma ora cominciano a mancare i mezzi pecuniari, e malgrado ogni buon volere mi trovo in pericolo di dover sospendere la pia impresa diretta al bene della religione e della moralità.
Per non lasciare cosa intentata in un'opera pubblica e privata, ricorro eziandio al suo zelo ed alla sua carità. Dio ricompenserà certamente la sua beneficenza, e i giovanetti che mercè il suo sussidio saranno aiutati a ritornare sulla via dell'onore e della loro eterna salvezza, di certo invocheranno ogni giorno le benedizioni del Cielo sopra di Lei e sopra tutta la sua famiglia.
Pieno di fiducia nel valido suo appoggio, prego Dio che La voglia conservare lunghi anni in buona salute, mentre con gratitudine grande ho l'alto onore di professarmi, ecc.
Quasi contemporaneamente si valse di un'occasione per manifestare alla contessa Uguccioni la sua riconoscenza e in modo indiretto raccomandarle l'opera.
Assicuri il Sig. Pestellini che pregheremo tanto per lui all'altare di Maria e speri molto nella grande bontà di questa comune benefattrice del genere umano
Le cose nostre di Firenze sono cominciate, avremo da fare molto; ma l'aiuto di Dio non mancherà. Coraggio. Ella sarà sempre la nostra cara Mamma e sempre la prima delle nostre benefattrici.
Dio la benedica, o benemerita Sig.a Mamma e con Lei Dio benedica la sua famiglia grande e piccola e continui a pregare per questo poverello che con gratitudine le sarà sempre in G. e M.
Don Confortóla, che nel corso delle complicate trattative per l'acquisto si era rivelato esperto uomo d'affari, seppe spingere innanzi con alacrità i lavori, ingegnandosi a procurarsi danaro e mentre badava all'oratorio festivo di via Cimabue, allestiva l'occorrente per non dover ritardare l'apertura dell'ospizio. Questo avrebbe accolto anche giovani studenti di ginnasio, per la qual cosa ci voleva l'autorizzazione del Provveditore agli Studi. E' vero che dietro il paravento delle scuole professionali si poteva eluderne per qualche [338] tempo l'ingerenza; ma a quei lumi di luna c'era sempre da temere. L'Arcivescovo gli agevolò la via. Aveva egli circa settanta domande di giovani aspiranti allo stato ecclesiastico, fra i quali si proponeva di fare una buona selezione per consegnare i migliori a Don Confortóla, appena l'ospizio fosse aperto. Con questo proposito di Sua Eccellenza tornava facile ottenere un decreto arcivescovile, che erigesse la nuova casa a piccolo seminario, dove quindi il regio Provveditore agli Studi non avrebbe nulla a vedere. Così fu conchiuso. A una relazione del Direttore su quest'argomento Don Bosco rispose:
Va tutto bene quanto fu concluso con Mons. Arcivescovo, ma io desidero secondarlo nelle sue caritatevoli intenzioni con tutto quello che noi possiamo. Perciò:
1° Accettiamo volentieri i giovani che sarà per inviare al nostro Ospizio con la retta di franchi 30 e qualora non possiamo cavarci parleremo alla stessa sua Eccellenza sopra la riduzione di qualcosa alla mensa o fare qualche piccolo aumento sulla retta mensile se fosse indispensabile. Si veda se è possibile portare il numero a trenta gli accettandi di Monsignore;
2° Il numero di 70 giovani da coltivarsi per lo stato ecclesiastico mi stuzzica veramente l'appetito. Qualora piaccia a Monsignore si potrebbe dividere questo numero per quest'anno soltanto, tra le case di Lucca, Spezia, ed anche Sampierdarena. Per altro anno spero avremo posto di poterli tutti raccogliere presso di noi in Firenze. Se l'Arcivescovo approva questo progetto, me lo scriva[276] subito e darò gli ordini opportuni. Il viaggio non sarebbe molto pesante per la spesa, perchè i nostri allievi godono del 50% nella ferrovia.
3° Dica a Monsignore che faremo sempre la preferenza ai giovani che Egli inviasse alle case nostre e che Egli sarà sempre in ogni luogo padrone nelle cose che si riferiscono alla religione ed allo insegnamento.
4° Le raccomando solo che cerchi soldi per fare i lavori e mobiliare la casa novella.
Dio ci benedica in tutte le cose e mi creda sempre in N. S. G. C.
Con l'ultimo di ottobre scadeva il fitto della casa di via Cimabue; perciò nel dì dei morti l'oratorio trasportò i suoi penati nei nuovi locali. L'inaugurazione dell'ospizio si dovette ritardare fino alla festa dell'Immacolata. La casa era ancora piccola, sicché trenta ricoverati la riempivano; ma quando il virgulto è piantato in buon terreno, lentamente l'albero si forma e cresce e stende i rami, sfidando le bufere.
Fra l'una e l'altra di queste due ultime date avvenne l'ingresso dei Salesiani in Faenza. E' una storia lunga quella che precedette tale fondazione: noi la riassumeremo in poche pagine. Don Paolo Taroni, il santo Direttore spirituale del seminario faentino[277], in una sua memoria manoscritta osserva: “Voglio qui notare una volta per sempre, che la fondazione di questa Casa Salesiana di Faenza è stato sempre Don Bosco che l'ha voluta anche contro il parere e le difficoltà del Capitolo.” La buona disposizione del Beato a fare qualche cosa per la cattolicissima città romagnola rimontava al 1877, quando per la festa di Maria Ausiliatrice egli conobbe Don Taroni nell'Oratorio: allora fu che i due santi s'intesero a meraviglia, e fra il seminario di Faenza e il santuario di Valdocco si stabilì una corrente di spirituali rapporti che diedero preziosi frutti.
Nel giugno seguente Don Bosco volle che passassero di là Don Lazzero e Don Barberis, reduci da Roma[278]; la qual visita servì al Direttore spirituale per infiammare vieppiù gli animi. In ottobre però egli ebbe a provare un gravissimo dispiacere. Il cardinale Parocchi, promosso quell'anno alla sede di Bologna, in un pranzo solenne mostrò poca stima di Don Bosco e dei Salesiani. E’ ben vero che l'illustre Porporato dopo il suo incontro con Don Bosco a Bologna[279], cambiò del tutto sentimento e in un confidenziale colloquio [340] si ritrattò con Don Taroni il 7 agosto 1880; ma questi nel frattempo dovette adoprarsi a tutto potere per diminuire l'effetto di quelle parole, che avevano fatto sorgere nel clero un partito avverso alla Congregazione.
Nella primavera del 1878 gli amici, non trovando in città luogo adatto, lo cercarono nel Borgo detto di Urbecco, dove un ex-convento sembrava prestarsi allo scopo. L'aveva soppresso Napoleone I; poi nel 1859 il Governo, pontificio l'aveva ceduto ai due parroci del Borgo sotto certe condizioni, una delle quali portava che il parroco della Commenda vi aprisse scuole per i ragazzi borghigiani poveri: ma per gli sconvolgimenti politici non erasi mai potuto soddisfare a quell'obbligo. Perciò il vecchio prete, che si chiamava Don Babini e di cui esiste un'abbondante corrispondenza con Don Bosco, udito che ebbe il disegno dei Cooperatori faentini, ne ringraziò il cielo, sentendosi alleviare la coscienza da un grave peso.
L'idea camminava. Nel mese di luglio il Vescovo monsignor Angelo Pianori ne fece parola a Leone XIII, che lo incoraggiò a proseguire nell'intento. In settembre Don Clemente Bretto, allora giovane sacerdote e poi Economo Generale, avendo accompagnato a Lugo alcuni convittori di Alassio, si recò a Faenza con l'incarico di visitare l'edifizio, che gli piacque. L'anno dopo in marzo vi giunsero Don Cagliero e Don Durando durante il loro giro di esplorazione e confermarono quel giudizio favorevole. Sedevano essi a mensa nel seminario, quando arrivò una lettera di Don Bonetti, che da Magliano Sabino a nome di Don Bosco scriveva a Don Taroni in risposta a una sua dell'anno avanti[280]: “Appena sia preparato il nido, i Salesiani verranno ad occuparlo”. Queste parole venivano a confermarne altre proferite da Don Bosco un mese prima nel collegio di Alassio ad uno studente di Faenza: - I Faentini mi hanno rubato [341] il cuore e mi obbligano e mi costringono ad andarli a trovare. - La venuta dei Salesiani e una visita di Don Bosco erano il tema favorito di Don Taroni, in seminario e fuori.
L'aspettazione si faceva ognor più viva e impaziente. Nel maggio il parroco Don Babini andò a Valdocco per la festa di Maria Ausiliatrice e intavolò le trattative. Don Bosco, viste le condizioni giuridiche dell'ex-convento, non credette di procedere oltre nella pratica, senza un previo consenso della Santa Sede. Il parroco volò senz'altro a Roma. Il Papa, accordatagli un'udienza privata, lodò la destinazione che si voleva dare all'edifizio, rilevando il gran bisogno di salvare la gioventù. Appresso, una lettera del cardinale Mertel Segretario dei Memoriali, domandava al Vescovo di Faenza informazioni sulla necessità e la probabilità di attuare l'opera ideata. All'uno e all'altro quesito il Vescovo diede risposta affermativa; al che seguì un Rescritto di approvazione con un assegno di lire 250 annue da elargirsi ai Salesiani nei tre primi anni della loro dimora a Faenza.
Un atto di sì inaspettata benignità rinfocolò l'ardore degli amici faentini, talchè dodici sacerdoti cooperatori, sotto la presidenza del Vicario Generale, si unirono in comitato permanente a fine di avviare e accelerare l'esecuzione. Tre di essi nel maggio del 1880 andarono a Torino per vincere le ultime esitanze del Capitolo Superiore. In una conferenza che ebbero con Don Rua, Don Durando e Don Cagliero si abbozzò un capitolato contenente la promessa di mandare a Faenza tre Salesiani nel mese di giugno, purché il locale designato fosse allestito in modo corrispondente al bisogno.
Intrapresi i lavori di restauro, ecco per Faenza circolare la voce che venivano i Gesuiti cacciati dalla Francia; onde proteste e minacce di dimostrazioni da parte di rumorosi anticlericali, che attizzavano le ire popolari, dipingendo quei religiosi come maestri immorali e seminatori di discordie cittadine. Ma, fatta la luce, il buon senso della gran maggioranza ridusse al silenzio lo sbraitare dei mal intenzionati.[342]
Intanto la Commissione dei dodici moltiplicava le sedute per dirimere le difficoltà sollevate ora dal demanio ora dalla provincia; per le quali cause di ritardo si arrivò alla fine del 1880 senza che la casa fosse abitabile. Nel 1881 il Vescovo, tornato a Roma, giudicò di poter assicurare il Papa, che i Salesiani sarebbero andati a Faenza fra breve. - Bravo, bene! esclamò Leone XIII. Sarà un gran vantaggio per la sua diocesi. - Alle incalzanti sollecitazioni dei Faentini il Capitolo Superiore rispose annunziando il prossimo arrivo di un visitatore. Infatti sul finire di marzo giunse l'economo generale Don Sala, diretto a Roma per la chiesa del Sacro Cuore. Piaciuto anche a lui il locale, impartì alcune istruzioni per l'assetto definitivo, stabilendo di comune accordo che la casa s'intitolasse da San Francesco di Sales. Ma sembrava che tutto congiurasse contro quell'opera. Dieci giorni dopo la partenza di Don Sala, piovvero in buon numero a Faenza le copie del Secolo di Milano, recanti la turpe accusa contro i Salesiani di Alassio[281]. Fu un momento di trepidazione per i buoni; vi tenne però dietro la smentita, che, egualmente diffusa in città, sgominò le manovre dei settari.
E poi quante vicende in quella Commissione dei dodici! Entusiasmi e scoraggiamenti, scissure e ricomposizioni, e diffidenze per il temporeggiare di Torino. Il romagnolo dal temperamento ardente e generoso stenta a persuadersi che non di rado negli affari bisogna anche saper dare tempo al tempo. Finalmente il 19 luglio Don Durando scrisse “E’ nostro costume intendercela col Vescovo. A lui scriveremo entro la settimana e poi daremo gli ordini. Al Vescovo scrisse Don Rua, che ne ricevette risposta immediata, auspicante la pronta apertura della casa. La sua lettera tornò assai gradita a Don Bosco, che gli mandò il diploma di Cooperatore salesiano, facendogli annunziare che nella prossima distribuzione del personale sarebbe stato primo pensiero dei [343] Superiori assecondare con ogni sforzo il desiderio dei Cooperatori faentini.
Eppure ottobre già stava per finire, e da Torino nulla. Quante preghiere aveva fatto fare Don Taroni ai suoi seminaristi! E' facile immaginare la sua afflizione allorché s'intese che il personale non si era trovato e si videro invece arrivare a Faenza i protestanti. La sua tristezza non aveva più limiti[282]. Nel colmo della desolazione un raggio di conforto gli brillò da una lettera del chierico Foschini salesiano, già suo seminarista, il quale gli comunicava che Don Bosco, non ostante le difficoltà accampate dai Superiori, dava buone speranze.
E le speranze si avverarono in maniera affatto inaspettata. Nella notte sul 22 ottobre fra Sarzana e Avenza in Liguria succedette un disastro ferroviario: tredici vagoni, usciti dalle rotaie, si erano sfasciati, cagionando parecchie morti e molte ferite. Viaggiava su quel treno un giovane prete salesiano, che fatti i suoi esercizi spirituali in Piemonte, se ne tornava in Sicilia a Randazzo, sua residenza. Proprio allora Don Cagliero, che aveva compiuto un giro nell'isola, avvisava i Superiori che, se fosse ancora possibile, sospendessero la partenza di un qualche sacerdote, potendosene colà fare a meno. Sembrò la mano della Provvidenza. Don Bosco fece telegrafare subito a Don Cagliero e al Salesiano incolume, che s'incontrassero a Roma e andassero a fondare l'oratorio di Faenza. In questo modo fu creato Direttore della nuova casa Don Giovanni Battista Rinaldi, che, sebbene ancora giovane, doveva cattivarsi la stima affettuosa dei Faentini [344] e dei Romagnoli. A lui vennero mandati in aiuto il già detto chierico Foschini e un coadiutore, Paolo Bassignana, popolarissimo poi in città sotto il nome di Paolino, un vero santetto, che fino al termine della sua lunga vita fu entro casa servitor fedele e saggio e fuori angelo di bontà. Don Cagliero fece la solenne apertura dell'oratorio il 20 novembre con una turba di duecento ragazzi. Quella sera si cantavano a Faenza i primi Vespri della Madonna del popolo, solennità cara ai Faentini. La coincidenza non isfuggì all'osservazione: i Salesiani venivano appunto per salvare i figli del popolo.
Destò meraviglia sulle prime il sapere che con tanti Cooperatori faentini ecclesiastici e laici Don Bosco avesse dato ai partiti da Torino alcune righe di presentazione per il solo dottore Marco Cantagalli, scrivendogli sopra un semplice biglietto da visita: “Il SAC. GIOVANNI Bosco ringrazia e saluta e benedice il Coop. Cantagalli, e gli raccomanda la sua piccola famiglia di Faenza.” Il Cantagalli era medico, e si capisce l'opportunità della raccomandazione; ma non se ne capiva l'esclusività. Don Taroni, uomo di Dio e avvezzo a scorgere in ogni evento una divina disposizione, spiegò più tardi il fatto, quando il fratello del Dottore divenne Vescovo di Faenza, quasi che Don Bosco avesse previsto il futuro. La sera dell'8 dicembre giunse da Roma la prima rata della caritatevole munificenza pontificia.
Il 13 maggio 1882 Don Bosco visitò aspettatissimo la casa di Faenza. Manifestò subito il desiderio che si facessero i preparativi per una pubblica conferenza; ma i pareri erano divisi. Infieriva da più giorni, come diremo, una guerra d'inchiostro contro i Salesiani. Anche nella Romagna fogli repubblicani, il qual termine durò un pezzo da quelle parti come sinonimo di massonici, vomitavano villanie e bestemmie, e nella città si adunavano comizi politici. I preti dunque, temendo che i sovversivi ne togliessero pretesto a provocare tumulti contro gli ospiti mal graditi, cercarono di dissuadere Don Bosco dal fare la conferenza. Ma egli irremovibile disse [345] e ripetè loro che voleva parlare. - Vogliamo, diceva, che tutti sappiano di che si tratta, e non credano che noi congiuriamo contro chicchessia o che siamo venuti con intenzioni cattive. - Vista la sua risolutezza, presero a discutere sulla scelta della chiesa. Lasciatili questionare un po': - Andiamo in città, interruppe Don Bosco, facciamo visita al Vescovo e domanderemo a lui e c'intenderemo. - La scelta cadde sulla chiesa parrocchiale dei Servi, una delle più ampie e frequentate di Faenza.
La mattina del 14, domenica, il Beato celebrò in duomo all'altare della Madonna delle Grazie, di cui ricorreva la festa. Vi assistette la camerata dei seminaristi grandi. Alla Comunione, accortosi che vi era gente desiderosa di comunicarsi, estrasse dal ciborio l'ostia grande ivi deposta per la benedizione, la spezzò e la fece bastare per tutti i comunicandi, che erano otto.
Dopo la Messa passò nel seminario. Che gioia in quei chierici! Avevano sentito tante volte Don Taroni parlare di lui, delle sue virtù, delle sue opere, de' suoi prodigi, ed ecco che egli era là in mezzo a loro. Lo ricevettero nel cortile sotto una grande loggia. Il Beato, avvicinandosi a lenti passi e girando sii di essi lo sguardo, disse: - Oh quanto vi amo! - Condotto nella sala, parlò. Ripetè che li amava da gran tempo, che aveva parlato tante volte di loro, che tante volte aveva per essi pregato, che aveva desiderato molto di vederli ed ecco che allora li vedeva e n'era contento. Chiese al Rettore se andassero a casa per le vacanze. Udito che no: - Fortunati loro! - soggiunse, e raccontò il fatto di un suo allievo dodicenne che, andato un anno alle vacanze, non vi era voluto ritornare più, mai, mai. Don Taroni glie ne domandò il perchè. Rispose: - Se si vedessero le anime dei giovanetti, che vanno a casa in vacanza, si scoprirebbe che tanti partono con ali di colomba e tornano con le corna del diavolo. Dispiace dirlo: ma purtroppo si va a casa con buona intenzione, e poi e poi... Ma non facciamo predica... A me dispiace quando [346] i miei figli vanno in vacanza e vorrei farli restare con me, e così giudico che dispiaccia ai vostri Superiori. Fortunati voi!... Ma non predichiamo. - Per conclusione raccomandò i suoi tre S, cioè Sanità Sapienza Santità, facendovi sopra un breve commento.
Non dobbiamo tacere che il Vescovo e alcuni del clero stavano in timore, che la venuta dei Salesiani potesse nuocere al seminario, massime quando vi avessero aperto collegio; onde il Rettore con questa segreta preoccupazione gli fece osservare che i seminaristi diminuivano d'anno in anno e si raccomandò alle sue preghiere. Don Bosco gli rispose che non avesse paura: il seminario faentino sarebbe aumentato. La sua predizione fu così presto e così eloquentemente confermata dal fatto, che Vescovo e Rettore dicevano di ritenere anche per questa sola ragione Don Bosco un santo.
Nel pomeriggio predicò a tre centinaia di ragazzi. Narrò l'apologo di un padre che morendo diede semente di buon grano a tre figli, dei quali uno se la ritenne e non la seminò, l'altro la seminò malamente, il terzo la seminò bene. La morale fu. che come si semina, cosi si raccoglie. Più tardi fece la conferenza, che durò quasi un'ora. Egli parlò dal palco, in piedi, con la berretta in mano, dinanzi ad un uditorio affollatissimo, esponendo lo scopo della sua opera, tutta indirizzata al bene dei fanciulli. Annunziò che la dimane avrebbe celebrato nella chiesa di Sant'Antonio da Padova e parlato alle signore della Conferenza di San Vincenzo de' Paoli. Dovunque mirasse a stabilire una delle sue opere, Don Bosco annetteva grande importanza alla cooperazione di pie signore, le quali egli sapeva muovere efficacemente in suo aiuto.
A quella Messa vi furono comunioni assai numerose. Nella sua breve allocuzione, rallegratosi con le pie dame e accennato a varie indulgenze e al modo di acquistarle, narrò della chiesa del Sacro Cuore in Roma, raccomandando per essa a nome del Papa l'elemosina. [347]
Colpito da grave malattia, versava in pessime condizioni il conte Marcello Cavina. L'infermo e tutta la sua famiglia erano per la loro religiosità e carità circondati di venerazione da parte dell'intera cittadinanza. Si sarebbe voluto strappare al cielo la grazia della guarigione mercè le preghiere di Don Bosco. Il Beato si portò due volte al suo capezzale; la seconda fu dopo la funzione anzidetta, un'ora prima della partenza. Dei benefizi arrecati dalla visita di Don Bosco ai Cooperatori, al Seminario e a Casa Cavina scrive Don Taroni:
“L'effetto che produsse la visita di Don Bosco, fu un grande incoraggiamento massime nei Cooperatori; nel seminario un grande aumento di seminaristi, e in casa Cavina una rassegnazione e una pace e serenità meravigliosa nel malato, insino alla morte.”
Da Torino, prima del decesso, il Beato indirizzò tre lettere al fratello del Conte, canonico Giuseppe. Nella prima troviamo confermata nuovamente un'asserzione del Servo di Dio. Parlando nel 1875 ai Direttori[283], aveva detto essere sua cura che le beneficenze fattegli dal Papa tornassero alla sorgente per via dell'obolo di San Pietro. Che non fosse questo soltanto un pio desiderio, lo hanno dimostrato i seimila franchi portati con tale intendimento da Marsiglia e rubatigli a Roma. Qui affiora un'altra volta il medesimo nobilissimo pensiero. In ciò del resto egli si mostrava coerente a se stesso; fin dall'origine del danaro di San Pietro nel 1849 non aveva raggranellato il piccolo, ma prezioso contributo de' suoi poveri oratoriani?
Ho ricevuto la cara sua lettera e ne la ringrazio di cuore. A Faenza ho visitato due volte suo fratello che trovai assai grave. Da allora in poi ho sempre pregato e fatto pregare per lui. Quando era in casa sua stavo per suggerirgli un mezzo straordinario che più volte è riuscito: un'offerta vistosa al S. Padre che versa nelle strettezze. Ma poi mi astenni perchè le buone disposizioni della signora di lei Madre e di tutta la famiglia erano di fare un'offerta a grazia ottenuta. A [348] me però hanno dato una graziosa limosina per messe e preghiere che abbiamo fatto e continuiamo tuttora mattino e sera all'altare di M. A. Mio carissimo Monsignore, io non mancherò di fare ogni mattina un memento per Lei nella S. Messa ed Ella voglia anche pregare per me che le sarò sempre nei sacri cuori di G. e di Maria.
La famiglia Cavina, benchè avesse già largheggiato con Don Bosco di presenza, volle inviargli ancora duemila lire, che egli destinò alla chiesa del Sacro Cuore. Accennando al contino Carlo, degno erede del nome e delle virtù del padre, il Beato usa l'epiteto “grazioso”. Sarebbe cosa molto contraria all'abituale sentire di lui il riferire questo vocabolo alle grazie fisiche della persona; si deve invece pensare al significato comunissimo del suo corrispondente nel dialetto piemontese, cioè “garbato e servizievole”.
Ho ricevuto le sue lettere ed oggi mi sono pervenuti li quattro vaglia di franchi 500 caduno da spendersi a maggior gloria di Dio e della B. V. Maria, ad oggetto di supplicare l'Augusta Regina del cielo a venirci in aiuto dell'infermo di Lei fratello. Era quello che io avevo in animo di fare quando sono passato a Faenza. Io non fo altro che continuare le cominciate preghiere mattino e sera all'altare di Maria Ausiliatrice. Se Dio non farà un miracolo per la guarigione corporale è certo che il miracolo sarà fatto senza dubbio per la sua eterna salvezza.
Mio desiderio era un'opera in favore del S. Padre che so trovarsi in bisogno; così la somma inviata è oggi stesso impiegata ad estinguere una passività contratta per la chiesa e per l'Ospizio del S. Cuore di Gesù in Roma per cui il medesimo S. Padre si dà molta sollecitudine.
Dio pietoso si degni di ascoltare le comuni nostre preghiere e concedere tutte le grazie che non sono contrarie alla maggior gloria di Dio ed al bene dell'anima di suo fratello.
La prego di far gradire i miei umili omaggi al suo signor fratello, sua Madre, cognata ed al grazioso Carlino di lei nipote.
Il Signore li benedica tutti. Voglia pregare anche per me che le sarò sempre nel sacro cuore di Gesù e di Maria
La terza lettera precedette di pochi giorni la morte del Conte, avvenuta il 19 giugno.
Quanto mi affliggono le notizie che mi dà del suo signor Fratello! In questa nostra casa, nella chiesa di Maria, si prega mattino e sera per ottenere la grazia. Torneranno inutili tante preghiere? Non posso persuadermene; a meno che Dio voglia favorire in senso spirituale quello che noi domandiamo corporalmente. Dica alla Signora di Lei Madre, la Marchesa Cavina-Durazzo, che noi preghiamo eziandio in modo particolare per Lei. Se poi Dio chiedesse da noi un sacrifizio intiero, pazienza! Dio è nostro padre e nostro Padrone e faremo uno sforzo per dire fiat voluntas tua. Mille ossequi a Lei ed a tutta la sua famiglia e mi creda in G. C.
Il ricordo di Don Bosco si mantenne sempre vivo nella famiglia del defunto. All'approssimarsi delle feste natalizie il canonico Giuseppe, inviandogli i suoi auguri, si confidò con lui intorno ai bisogni della sua anima e ne ricevette la seguente risposta.
Ho ritardato un poco la risposta per avere il piacere di rispondere io stesso e per farle conoscere quanto io stimi i suoi auguri e le sue preghiere. La ringrazio pertanto e ben di cuore e prego Dio li centuplichi sopra di Lei, caro Don Giuseppe, e sopra tutta la sua famiglia e in modo particolare sopra il nipotino che il cielo conservi.
Ella mi dice di raccomandarla a Dio che la illumini sulla scelta a fare della via che sicura la conduca alla vita eterna. Sì, lo farò di tutto buon cuore e voglia dimandare la stessa cosa per me. Se mai il Signore la inspirasse di venire a passare anche solo qualche tempo con noi, sarebbe un fratello che va a casa di suo fratello, un padrone che va a casa del suo servo. Lavoro abbondantissimo è preparato anche per Lei. Né per quanto è possibile si risparmierebbero i riguardi dovuti alla sua sanità e condizione.
Ma poiché Ella ha la bontà di parlarmi in confidenza, io pure mi raccomando caldissimamente alle sue sante preghiere ed ai suoi divini sacrifizi. Io mi trovo impegnato in cose assai gravi specialmente per le missioni estere ed è veramente opera dell'aiuto del cielo il [350] potermi cavar bene, perciò confido assai nella carità delle sue preghiere.
Dio la benedica, o sempre caro Don Giuseppe, e la conservi in buona salute. Piacciale di estendere gli umili miei omaggi a tutta la rispettabile sua famiglia ed Ella mi abbia sempre quale ho l'onore di professarmi in N. S. G. C.
Il fiorire dell'oratorio mise sossopra i nemici del bene, che presero a fare fuoco e fiamme contro i Salesiani. Un giorno durante la ricreazione una fucilata attraversò il cortile, diretta a Don Rinaldi; per miracolo, non colpì nessuno. Una notte mani facinorose, inondata di petrolio la porta, vi appiccarono il fuoco. Anche da parte dei buoni si ebbero malintesi, che diedero origine a dissapori. Per tutte queste cagioni guadagnava sempre più terreno il dubbio, che Don Bosco richiamasse i suoi e chiudesse la casa. Ma egli, come Don Berto nei processi afferma di sapere, a chi gli scriveva per iscongiurare quel pericolo, dichiarava che nonostante tutti gli sforzi del demonio e delle sètte la casa di Faenza non si sarebbe chiusa, che anzi avrebbe prosperato. L'asserzione del segretario ci viene confermata da questa lettera al canonico Cavina.
Con gran piacere ho ricevuto la sua lettera che mi portò buone notizie di tutta la sua famiglia. Ringrazio Dio che tutti i suoi parenti siano in sufficiente sanità e prego di cuore che sia ognora di bene in meglio, e che la grazia del Signore li renda costanti nel Divino servizio fino al gran premio dei giusti al paradiso.
Ho però con gran pena intese le cose che rendono difficile l'opera diretta al bene della povera e pericolante gioventù. Dovremo abbandonare il campo nelle mani del nemico? Non mai.
Nei grandi pericoli bisogna raddoppiare gli sforzi ed i sacrifizi. Noi faremo volentieri quanto sta in noi, ma è pure mestieri la S. V. e i suoi amici diano mano efficace per aprire un qualche ospizio per i ragazzi poveri. Si studi e si faccia.
D. Rinaldi spiegherà meglio i miei pensieri. [351]
Mancami tempo a scrivere di più, ma l'assicuro che ogni giorno non mancherò nella S. Messa di pregare per Lei, caro D. Giuseppe, per tutta la rispettabile famiglia.
Voglia Ella pure raccomandare al Signore tutta la armata Salesiana specialmente in questo momento che abbiamo dato un decisivo assalto alla Patagonia.
Dio ci benedica tutti e mi creda in G. C.
Non che lasciare Faenza, Don Bosco volle che si cercasse in città un luogo che offrisse comodità maggiori a far del bene e consentisse maggior libertà d'azione. Nell'attesa fu stipulata fra la Commissione dei Cooperatori e lui una privata convenzione[284], che durò in vigore fino al felice trasferimento dell'oratorio dal Borgo nell'interno della città. Qui l'opera si sviluppò largamente e continua oggi a spiegare la sua benefica influenza non solo vicino, ma anche lontano per tutta la Romagna.
QUANDO cavilli di giurisdizione complicavano la causa di Don Bonetti, l'avvocato Leonori scrisse a Don Bosco[285]: “Ora opinerei che lei chiedesse l'approvazione delle Costituzioni delle Suore, tenendo la stessa norma che tenne per l'approvazione del suo Istituto maschile; allora sarebbero eliminate tutte le questioni.” Anche altri opinavano allo stesso modo. Ma Don Bosco non aveva nessuna fretta di procurarsi dalla Santa Sede tale approvazione. Ben sapeva egli come a Roma s'inclinasse a rendere del tutto indipendenti dalle maschili le Congregazioni femminili, e un simile distacco sarebbe stato allora dannosamente precoce, troppo essendo ancora il bisogno che egli aveva di attendere a formare secondo il suo ideale lo spirito della promettente Congregazione. Nel che del resto seguiva l'esempio dei Signori della Missione, i quali appunto per siffatto motivo non vollero mai che fossero approvate le Regole date da San Vincenzo alle Figlie della Carità[286]. [353]
Promettente abbiamo detto la nuova Congregazione. Nel 1881, sull'esempio dei Salesiani che così facevano dal 1872, le Figlie di Maria Ausiliatrice cominciarono a stampare il loro Annuario o Elenco generale delle Suore e delle Case, con l'appendice di brevi necrologie delle loro defunte. Il Capitolo Superiore vi appare così composto:
SUPERIORA GENERALE Suor Mazzarello Maria.
VICARIA Suor Dagliero Caterina.
ECONOMA Suor Ferettino Giovanna.
PRIMA ASSISTENTE Suor Mosca Emilia.
SECONDA ASSISTENTE Suor Sorbone Enrichetta.
MAESTRA DELLE NOVIZIE Suor Mazzarello Petronilla.
Vi sono registrati i nomi di 97 professe perpetue, 56 professe triennali, 55 novizie e 7 coadiutrici. Con il qual ultimo titolo si designava una categoria speciale di Suore, vestite di nero e con uno scialle invece del modestino. Avevano gl'identici doveri e diritti delle altre; ma la differenza dell'abito costituiva di per sè anche una differenza di condizione. Di qui il sentirsi esse talvolta un po' a disagio, quasi formassero una classe di second'ordine, cosa aliena dalla mente del Fondatore e dall'indole dell'Istituto. La convenienza per altro che vestissero più alla leggiera le Suore addette a lavori grossi e adibite nelle commissioni esterne sembrava sconsigliare modificazioni. Onde si continuò così fino al 1922, quando fu inserito nelle Costituzioni l'articolo 21, che dice: “Le Suore che sono incaricate delle commissioni esteriori, uscendo di casa, potranno usare di qualche veste modesta, che copra l'Abito religioso.” D'allora in poi dentro casa indossano tutte il vestito comune. [354]
Nella Casa Madre di Nizza Monferrato l'ordinamento rispecchiava quello dell'Oratorio: la Superiora Generale ne era direttrice, assistita dalla Vicaria, che effettivamente esercitava la direzione. Le altre case sommavano a 23, di cui due in Sicilia (Catania e Bronte), tre in Francia (Nizza, Navarra e Saint-Cyr) e sei in America (Almagro, La Boca, S. Isidoro e Patagones nell'Argentina; Villa Colón e Las Piedras nell'Uruguay). Nel biennio 1881-82 ne furono aggiunte dieci, delle quali otto in Italia (Fontanile, Visone, Incisa Belbo nella diocesi di Acqui; Rosignano Monferrato nella diocesi di Casale; Sampierdarena nell'archidiocesi di Genova; Trecastagni nell'archidiocesi di Catania e Máscali Nunziata nella diocesi di Acireale), una in Francia (Marsiglia) e una nell'Argentina (Moron presso Buenos Aires).
In tanto fervore di vita Dio chiamò a sè colei che, tutta chiusa nella sua umiltà, n'era stata l'intima forza motrice durante il periodo della lenta preparazione. Fino allora l'Istituto aveva avuto bisogno soprattutto di radicarsi profondamente nelle virtù religiose, affinchè l'albero venisse su diritto e robusto; al qual effetto la santità raccolta e operosa di Madre Mazzarello fu quanto di meglio il Beato Don Bosco potesse desiderare. Ma ormai l'andamento sempre più rapido e sempre più vasto che le cose venivano prendendo, richiedeva in chi stava alla testa un felice connubio di doni soprannaturali e di non comuni attitudini naturali. La Mazzarello stessa, da quella religiosa illuminata che era, mostrò di comprendere a meraviglia siffatta necessità, allorché prima delle elezioni compiutesi nel giugno del 1880 andava attorno alle elettrici e bel bello insinuava loro pensieri come questi: - Vedi, adesso la Congregazione ha bisogno di Superiore istruite, perchè entrano giovani educate e che sanno ed è più difficile discernere la vera virtù. Nelle giovani di campagna non è cosi: in quelle si vede subito ciò che sono. Ma per dirigere le altre ci vuole molta virtù e molta istruzione; scegliete dunque suor Maddalena Martini, benchè si trovi nel [355] l'America, o suor Caterina Daghero. - Non le si diede ascolto; ma un anno dopo il suo suggerimento non fu trascurato[287].
Il male che la portò alla tomba, lo covava da tempo nel petto. Durante quell'inverno la pigliava di quando in quando un dolore sordo al fianco, arrecandole un sensibile incomodo, a cui però ella non badava. Nel viaggio intrapreso per accompagnare le Suore missionarie una febbre ardente la assalì a Sampierdarena; ma ciò nonostante, riavutasi un tantino, s'imbarcò per Marsiglia con l'intenzione di visitare poi le sue figlie di Francia. Se non che, giunta a Saint-Cyr, le si manifestò una violentissima pleurite; così stette là un mese soffrendo molto e molto edificando.
Rimessasi sulla via del ritorno, trovò a Nizza Mare Don Bosco, al quale domandò se avrebbe ricuperata interamente la salute. Il Servo di Dio le rispose raccontando un apologo. - Un giorno, disse, la morte andò a bussare alla porta di un monastero. La portinaia aprì, e quella le disse: Vieni con me. Ma la portinaia rispose che non poteva, perchè non c'era nessuna che la sostituisse nel suo ufficio. E la morte senza dir nulla entrò nel monastero e ripeteva il suo "Vieni con me" a quante incontrava, fossero suore o postulanti o studenti, e perfino alla cuoca. Ma tutte dicevano di non poter accettare l'invito, perchè ognuna aveva ancora tante cose da fare. Allora la morte si presentò alla Superiora, e," Vieni con me", le disse. Anche la Superiora tirò fuori le sue scuse per non doverla seguire. La morte invece questa volta tenne duro e insistette dicendo: La Superiora deve andare innanzi a tutte nel buon esempio, anche quando si tratta del viaggio all'eternità; dunque vieni senz'altro, perchè io non posso accettare le tue ragioni. Che farci? La Superiora dovette abbassare il capo e seguirla. - La Madre capì, ma fece le viste di prendere la cosa in ischerzo per non contristare le Suore presenti. [356]
A Saint-Cyr l'inferma aveva avuto un solo desiderio, di non morire fuori della casa di Nizza Monferrato, lontano dalle sue buone figliuole. Il Signore la esaudì, concedendole di ritornarvi il 28 marzo. Ella però non s'illudeva punto: le parole di Don Bosco le dicevano chiaro che la sua ultima ora non avrebbe tardato a sonare. Con questo pensiero nella mente, quanto le facevano pena le dimostrazioni di allegrezza per festeggiare il suo arrivo! Infatti non passarono due settimane, che la pleurite riapparve accompagnata da sintomi della massima gravità.
Nella sua semplicità umile e schietta soffriva pregando, cantarellando lodi della Madonna, interessandosi dei bisogni altrui e dispensando buone parole. Un giorno alle capitolari e alle più anziane raccolte intorno al suo letto diede tre avvisi: Non ci fossero gelosie dopo la sua morte; finchè c'era quel povero straccio, tali miserie non si vedevano; ma dopo, chi sa?... Si aiutassero a vicenda nel bene, ma le cose di direzione si lasciassero fare a chi ne aveva l'incarico... Le suore avevano abbandonato il mondo; non se ne fabbricassero dunque in Congregazione un altro simile al primo.
Il 10 maggio arrivò dalla Spagna Don Cagliero. Don Bosco era lontano da Torino; l'inferma, non potendo avere la sua benedizione estrema, faceva voti che almeno il Direttore generale giungesse in tempo. Don Cagliero fu da lei, quand'essa aveva già ricevuto gli ultimi Sacramenti; ma la vigilia della morte sedette per tre quarti d'ora al suo capezzale, dandole agio di conferire su gli affari dell'anima. Morì santamente la mattina del sabato 14 maggio, compiendo 44 anni d'età.
La vita e il governo di Madre Mazzarello è prova indiscutibile che Don Bosco fu ben ispirato nel metterla a capo della nascente Congregazione. Di natura piuttosto irritabile, si dominò e divenne la pazienza personificata; sfornita d'istruzione, godette la stima sincera delle Suore che avevano fatto studi; modestissima sempre, possedette in grado sovreminente [357] l'arte di correggere, il segreto di conoscere le vocazioni e il dono di tranquillare gli spiriti. La sua perdita fu pianta amaramente da tutte le sue figlie; ma la fama di santità, che ne aureolò la memoria, ha formato pure di lei l'orgoglio della sua religiosa famiglia, inducendo ben presto a promuoverne la causa di beatificazione.
Fece e fa specie a taluno che manchino indizi, da cui risulti quale parte abbia preso Don Bosco nel doloroso frangente. Qui sono da osservare parecchie cose. Nel dì della morte noi l'abbiamo trovato a Firenze intento con Don Rua a risolvere increscevoli difficoltà e a studiare la maniera di dare un assetto migliore e definitivo a quella casa. Inoltre di tante sue manifestazioni private bisogna pur dire che non è giunta a noi notizia. Restringendoci poi alle Suore, ci sembra incontestabile il fatto che egli, mentre in privato e in pubblico magnificava le opere dell'Istituto, non faceva mai lodi né nomi di singole religiose; e questo silenzio rispondeva a quel riserbo, da cui in certe cose non usciva per nessuna ragione del mondo. Né si dimentichino le osservazioni mossegli da Roma sui rapporti del Rettor Maggiore con la Congregazione delle Figlie di Maria Ausiliatrice[288], e le insinuazioni partite da Torino intorno a supposti maneggi del Servo di Dio per sottrarre le Suore e le loro case alla giurisdizione Vescovile[289]; circostanze tutte che dovevano allora fargli sentire l'opportunità di star in guardia per evitare malintesi e perciò di non toccare pubblicamente argomenti, dai quali altri prendesse ansa ad accusarlo di soverchia ingerenza nel governo di un'istituzione meramente diocesana.
Ma se non parlò Don Bosco, parlò il Bollettino. Subito nel numero di giugno il periodico pubblicò una necrologia breve, ma densa di elogio; poi in cinque numeri diede ai lettori una succosa biografia, in cui le virtù e i meriti dell'estinta [358] venivano messi in bella luce[290]. Ora non è supponibile che l'una e l'altra cosa non sia passata sotto gli occhi di Don Bosco; a noi pare anzi di avvertire qua e là il tocco della sua penna.
Secondo le Regole, durante la vacanza il governo generale della Congregazione passava nelle mani della Vicaria; secondo poi le Costituzioni d'allora, l'elezione della Superiora Generale non si sarebbe dovuta protrarre più di quindici giorni. Ma la Vicaria, comunicando alle Consorelle i particolari della morte di Madre Mazzarello, trasmetteva insieme la copia di questa lettera scritta dal Direttore Generale a nome di Don Bosco.
A Suor CATERINA DAGHERO, Vicaria.
Reverenda Suora e Figlie in Gesù Cristo,
Il Rev.mo Sig. Don Bosco, nostro e vostro carissimo Superiore e Padre prese viva parte al vostro giusto dolore per la sensibilissima perdita che tutte avete fatto della Rev.ma Madre Superiora.
Egli raccomanda a Dio l'anima bella della defunta, non dimentica nello stesso tempo le orfane sue figlie.
Vuole siate tutte rassegnate ai santi voleri di Dio e vi prega di essere tutte unite nel bel vincolo della carità, insieme alla perfetta osservanza della S. Regola del vostro Istituto. Non potendosi per circostanze stare al prescritto dell'articolo terzo, titolo 4° delle vostre Costituzioni circa la elezione della Madre Generale, la rimanda al prossimo agosto, in occasione dei S. Esercizi Spirituali.
Vi anima tutte a confidare nella divina Provvidenza e nella materna protezione di Maria Ausiliatrice; e desidera che in ogni giorno e in tutte le case dell'Istituto, si reciti un Pater, Ave e Gloria allo Spirito Santo, che vi conceda una Madre come la precedente, vi guidi tutte al Paradiso!
Raccomandatemi a Dio nelle vostre fervorose preghiere. Sono in G. C. vostro
L'elezione venne fissata per il 12 agosto. Il Capitolo Generale si adunò nella chiesa di Nostra Signora delle Grazie a Nizza Monferrato. Vi parteciparono col Capitolo Superiore [359] tutte le Direttrici d'Italia e di Francia. Si permise anche alle educande di star presenti. Invocati i lumi dello Spirito Santo, Don Bosco, nella sua qualità di Superiore Generale, assistito da Don Cagliero, Direttore generale, e da Don Lemoyne, direttore locale, dopo un discorso d'occasione, dichiarò essere a nome di Dio aperta la seduta. Per votazione segreta furono designate a scrutatrici suor Pestarino Rosalia, direttrice del Convitto di Chieri, e suor David Adele, direttrice della casa di Vallecrosia. Il Capitolo avrebbe voluto che Don Bosco formasse una terna di eleggibili, fra cui scegliere la Madre Generale; ma Don Cagliero di scatto vi si oppose. Le votanti erano 21. Risultò eletta suor Caterina Dagliero da Cumiana. La Regola richiedeva trentacinque anni d'età, mentr'essa non ne aveva che venticinque; ma Don Bosco le concesse la dispensa. L'elezione fu accolta dappertutto con viva esultanza, godendosi già dalla nuova Superiora notevole prestigio dinanzi alle Consorelle vicine e lontane.
Quando si facevano i preparativi per l'elezione, trovandosi essa con Don Bosco, le aveva detto il Servo di Dio: - Per la poverina che dovrà succedere a Madre Mazzarello, ho già pronta una bella scatola di amaretti, perchè, poverina!… - Difatti mandò alle Superiore non una, ma due scatole, la prima di amaretti e la seconda di confetti, con la seguente letterina:
Alla futura Madre Superiora generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice.
Rev. Madre Superiora Generale,
Eccovi alcuni confetti da distribuire alle vostre figlie. Ritenete per voi la dolcezza da praticarsi sempre e con tutti; ma siate sempre pronta a ricevere gli amaretti, o meglio i bocconi amari quando a Dio piacesse di mandarvene.
Dio vi benedica e vi dia virtù e coraggio da santificare voi e tutta la comunità a voi affidata.
Pregate per me che vi sono in G. C.
Nizza Monferrato, 12 agosto 1881.
Sciolta che fu l'adunanza, le Suore, riversatesi nel cortile, attorniarono Don Bosco, presso il quale c'era anche la contessa Gatti. Il Beato disse: - Quante siete già! La casa è grande, ma sarà ancora più grande. Fatevi coraggio! Vi è mancata una Madre umile, ma ne avete già un'altra umilissima; ne avevate una santa, e già ne avete un'altra che non lo sarà meno... Dove l'avete la vostra Superiora? Andatemela un po' a cercare e ditele che si faccia vedere. - La cercarono e la trovarono rincantucciata in soffitta e tutta in pianto.
Quella sera si fece nel teatrino una festicciuola per l'elezione della Madre Generale e in onore di Don Bosco. Il buon Padre volle che Madre Daghero prendesse posto fra lui e la contessa Gatti. Alla fine del trattenimento disse: - Questa è dunque adesso la vostra Madre. E voi, Madre, avete qui le vostre figlie. Vedo che ci sono là due cabarets [vassoi], uno di amaretti e l'altro di confetti. [Gli amaretti erano di quelli piccolini come favette]. Bene: distribuite, Madre, prima un cucchiaio di amaretti a ciascuna suora, poi un altro di confetti. - Terminata la distribuzione, Don Bosco ripigliò, rivolto alla Madre: - Farete poi sempre così. A ciascuna e a tutte un po' di amaretti, che fanno bene all'anima e al corpo, e un po' di confetti: questi sempre per ultimo.
A Nizza Don Bosco erasi recato fino dal 2 per dirigervi gli esercizi delle signore e signorine, che gli davano molto da fare nel confessionale e nelle udienze. Ogni sera poi, dettesi le orazioni, teneva loro un sermoncino. Suor Angela Rinaldi rammenta che una volta sviluppò questo concetto:
- Molti dicono che Don Bosco è un santo e che fa cose meravigliose, ma io vi so dire che Don Bosco è un povero prete; uno strumento nelle mani di Dio per fare grandi cose, è vero, per lavorare alla salvezza delle anime, specialmente della gioventù. Ma egli non potrà fare nulla senza la vostra cooperazione... Egli attende da voi soccorsi spirituali di preghiere, avvalorate dalla vostra vita veramente cristiana, e attende [361] soccorsi materiali di offerte piccole e grandi... - Questi esercizi producevano sempre frutti così ubertosi, che egli nel 1882 arrivò a dire: - Se non avessi istituito la Congregazione delle Figlie di Maria Ausiliatrice, la vorrei istituite solo per ottenere tanto bene.
Fra le esercitande si trovava la giovinetta Eulalia Bosco, pronipote del Beato, figlia di Francesco, il figlio di suo fratello Giuseppe. Appena la vide, le disse: - Tua sorella Maria desiderava di entrare postulante quest'anno; ma la Madonna la vuole con sè in paradiso e al suo posto qui vuole te. Rimase interdetta la fanciulla e: - No, no, rispose; mia sorella sta meglio e io non ho voglia di farmi suora. - La sorella realmente morì e la piccola Eulalia dopo un anno era di nuovo là per farsi suora. Essa vive tuttodì (1933), fu Ispettrice a Roma e da molti anni fa parte del Capitolo Superiore.
Mentre badava alle esercitande e alle Suore, Don Bosco usufruiva dei ritagli di tempo anche nel rimaneggiare il Giovane Provveduto per aggiungervi cose da lui credute necessarie od opportune. Scriveva in proposito al suo segretario:
Venendo qui procura di prendere teco gli altri quaderni dell'antico Giovane provveduto, giacchè ho preso quelli che non fanno seguito ai quaderni già letti. -Fatti buono. Abbi cura di te e di tutti i nostri fagiuoli[291] e dell'uva. A rivederci e prega per me che ti sono in G. C.
Il giorno 8 aveva voluto anche compiacere un suo ex-allievo, che aveva fondato a Nizza Una Unione Cattolica Operaia. Questi, memore delle lusinghiere espressioni proferite da Don Bosco nel dì onomastico[292], pensò di profittare dell'occasione per onorare lui e fare del bene ai soci. D'accordo quindi col presidente onorario, che era il conte Cesare [362] Balbo, convocò i membri dell'Associazione a un solenne trattenimento, onorato dalla presenza di parroci e di altri ecclesiastici e presieduto dal Servo di Dio. Don Bertello vi lesse un elaborato discorso; parecchi altri prima e dopo di lui presero la parola. Don Bosco ringraziando commosse gli uditori, col rammentare com'egli fosse stato sempre l'amico dell'operaio[293]. Quattro giorni dopo, sul punto di lasciare Nizza, rivolse ancora un delicato pensiero ai soci e al loro presidente, scrivendo a quest'ultimo:
Ieri avrei voluto ringraziare ciascuno della Società Cattolica operaia a cui lodevolmente presiedi. Me ne mancò il tempo e la possibilità. Tu pertanto farai le mie parti e dirai che io fui grandemente consolato e che conserverò incancellabile la memoria di quella serata che si può chiamare trattenimento cristiano sociale. Dio ne accresca il numero.
Dio benedica te e tutta la società; presenta i miei umili omaggi al conte Cesare Balbo e pregate anche per me che sarò sempre in G. C.
Nizza Monferrato, 12 agosto 1881.
Con queste premure Don Bosco mirava anche a circondare di persone benevole la Casa delle Suore, tanto più che in città non tutti le guardavano di buon occhio, come abbiamo già avuto occasione di raccontare.
In ottobre la nuova Madre Generale si recò a Roma. Don Bosco aveva mandato in Sicilia Don Cagliero per visitare i Salesiani e le Figlie di Maria Ausiliatrice e predicar loro gli esercizi spirituali; ma questi prima si era trattenuto alquanto a Roma e aveva visitato la casa di Magliano. Avvicinandosi poi il tempo di proseguire nel suo viaggio, Madre Daghero gli condusse alcune suore, perchè le accompagnasse laggiù a Trecastagni e le aiutasse negl'inizi di quella fondazione.
L'occasione era solenne. Un numeroso pellegrinaggio di cattolici italiani accorreva ai piedi di Leone XIII in atto di [363] protesta e di riparazione per una recente gravissima offesa contro il Vicario di Gesù Cristo. Nella notte del 13 luglio, trasportandosi la salma di Pio IX dal Vaticano al luogo da lui scelto per sua sepoltura, una masnada di forsennati assoldata dalla sètta diede l'assalto al corteo, tentando inutilmente di sbandarlo con ogni sorta di mezzi e minacciando con furore satanico di gettare nel Tevere le sacre spoglie del grande Pontefice. L'indignazione del misfatto si levò da tutte le parti del mondo, ma particolarmente da un capo all'altro d'Italia. Il 16 ottobre circa ventimila pellegrini italiani, radunati nella basilica del Principe degli Apostoli, acclamavano entusiasticamente il Successore di San Pietro; la mattina seguente poi vi fu un ricevimento nelle Logge vaticane, dove i pellegrini si schierarono ad aspettare il Papa divisi per regioni. Madre Daghero e le Suore si unirono al gruppo piemontese, come fecero anche Don Cagliero e altri Salesiani.
Giammai esse avrebbero potuto immaginare una dimostrazione di tanta grandiosità, massime quando il Santo Padre con imponente corteggio di Prelati incominciò il suo giro. Videro così con quanta amabilità Leone XIII si fermasse all'udir nominare i Salesiani e s'intrattenesse prima con il chierico Eusebio Calvi[294] e poi con Don Cagliero[295], ed ascoltarono dalle auguste labbra del Papà le parole: -Don Bosco è un santo. - Elleno pure furono presentate a Sua Santità, che, inteso: - Le Suore di Don Bosco, disse: - Oh bene, bene! Quante case avete? dove le avete? - Madre Daghero, là inginocchiata, era così commossa e confusa che non trovava le parole per rispondere; ma le venne in aiuto Don Cagliero. Il Papa, sentendo che si trovavano anche nella Repubblica Argentina, nell'Uruguay e nella Patagonia: - Oh brave le Suore! esclamò. Fin nella Patagonia! Dio vi benedica tutti e tutte; benedica il vostro Superiore e tutte le case. [364]
L'anno 1881 si chiuse con un bel regalo del cielo alle Figlie di Maria Ausiliatrice. Don Bosco l'ultimo di dicembre fece sul loro Istituto un sogno, che raccontò a Don Lemoyne e di cui questi, come soleva di ogni cosa riguardante la venerata di lui persona, prese immediatamente nota. Nell'esporlo seguiremo i suoi appunti.
Parve a Don Bosco di andar raccogliendo castagne in un castagneto presso Castelnuovo. Ve n'erano molte e belle e grosse, sparse per il terreno erboso. Mentr'egli non badava ad altro, ecco apparire una donna, che gli si appressava, raccogliendo anch'essa e mettendo in un canestro. Don Bosco rimase male al vedere come colei si prendesse così la libertà di raccogliere su quel d'altri e rivolgendole la parola le domandò: - Con qual diritto voi siete venuta qui? Io non intendo come osiate venir a raccogliere castagne sul mio.
- E che! rispose ella. Io non ho questo diritto?
- A me sembra di essere qui il padrone, e questa è roba mia.
- Sia pure; ma io raccolgo castagne anche per te.
La donna parlava con accento così risoluto e senza punto cessare dalla sua raccolta, che Don Bosco non giudicò belle d'insistere e seguitò anche lui a raccogliere. Quando poi entrambi ebbero le loro ceste ricolme, la donna chiamò Don Bosco e gli chiese: - Sai quante sono qui dentro le castagne?
- E’ ben strana la domanda che mi fate!
- Rispondi a tono. Sai quante ve ne sono?
- Io no certamente; non sono mica un indovino, io!
- Precisamente. E sai che cosa simboleggiano queste castagne?
- Le case delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Tante saranno le case fondate dalle tue figliuole. [365]
Mentre facevano questo discorso, si levò un clamore di ominacci furiosi: eran voci simili a quelle degli ubbriachi. Si sentiva che i vocianti si avanzavano in mezzo agli alberi. Impaurito Don Bosco fuggì e la donna gli corse dietro, finchè si fermarono sulla proda di una riva. Andare avanti non si poteva: a tornar indietro non era nemmeno da pensare: Don Bosco stava sulle spine. Intanto quei cotali si avvicinavano schiamazzando e calpestando dispettosamente le castagne rimaste per terra.
Qui Don Lemoyne commenta: “Forse le vocazioni impedite, a causa principalmente delle guerre contro le case delle nostre suore, o meglio la sorte di quelle che restano in mezzo al mondo.”
Don Bosco a tale schiamazzo si svegliò; ma poco dopo riprese sonno e ricominciò a sognare. Gli sembrava di starsene seduto sull'orlo di un rivaccio; a poca distanza sedeva pure la donna col suo canestro pieno di castagne. In lontananza risonavano tuttora gli urlacci di quegli energumeni; pareva che se ne andassero via, camminando dietro una collina; ma fu cosa di brevi istanti.
Don Bosco teneva gli occhi su quelle castagne, che erano belle e grosse davvero. Se non che, osservando meglio, notò che parecchie avevano il buco fatto dal verme.
- Oh! guardate, disse alla donna... Che cosa faremo di queste, che hanno il baco?
- Bisogna scartarle, perchè non guastino le sane... Bisogna mandar via quelle figlie che non sono buone e non hanno lo spirito della casa, perchè il baco della superbia o di altri vizi le rode: e questo specialmente se si tratta di postulanti.
Commento di Don Lemoyne: “Le castagne nel secondo sogno figurano le Figlie di Maria Ausiliatrice.”
Don Bosco, che continuava a guardare quelle castagne, ne mise fuori alcune e trovando che le guaste non erano poi tante, lo fece rilevare alla donna. E la donna: - Credi tu [366] che le rimanenti siano tutte buone? Non ce ne saranno col baco dentro, senza che si vegga di fuori?
- Ma dunque come fare a scoprirle?
- Eh! la cosa è difficile. Certune sanno fingere così bene, che sembra impossibile arrivare a conoscerle.
- Guarda, vi è un solo mezzo. Mettile alla prova delle regole e tienile d'occhio. Vedrai cosi chi abbia o no lo spirito di Dio. E’ una prova questa, mediante la quale difficilmente prende abbaglio un attento osservatore.
Don Bosco pensava e pensando guardava le castagne, finchè all'improvviso si svegliò. Spuntava l'alba.
Egli disse a Don Lemoyne che per una settimana intera questo sogno erasi rinnovato tutte le notti, bastando che si addormentasse, perchè subito gli si parasse dinanzi la scena della donna e delle castagne. Una volta la donna gli parlò così: - Sta' attento alle castagne marce e a quelle vane. Fa' la prova a metterle nell'acqua dentro la pentola. La prova è l'ubbidienza... Falle cuocere. Le marce, se si premono con le dita, schizzano subito fuori il brutto umore che hanno dentro. Queste gettale via. Le vane, ossia, vuote, salgono a galla. Sotto con le altre non istanno, ma vogliono in qualche modo emergere. Tu prendile con lo schiumatoio e buttale. Bada ancora che le buone, quando sono cotte, non è presto fatto a ripulirle. Bisogna prima levar via la scorza, poi la pellicola. Ti parranno allora bianche bianche; eppure osserva bene: alcune sono doppie: aprile e vedrai nel mezzo un'altra pellicola, e lì nascosto c'è dell'amaro.
Non si potrebbe immaginare paragone più calzante per indicare le varie qualità di persone che convivono in una casa religiosa e quanto sia difficile talvolta scandagliare il fondo di certi cuori anche buoni.
NELLA lettera del gennaio 1882 ai Cooperatori, Don Bosco riferiva così intorno alla chiesa di San Giovanni Evangelista: “Questo sacro monumento che i Cooperatori e le Cooperatrici innalzano al grande Pontefice Pio IX, nostro insigne Benefattore, si può dire terminato.
I pittori e decoratori hanno già dipinto il coro, la navata di mezzo, le due laterali, i muri di fianco e tra pochi giorni daranno l'ultima pennellata. Il pavimento di marmo é collocato e sul campanile già si trovano le cinque campane, che col loro gratissimo suono chiameranno i Torinesi nel luogo santo. Ora si stanno collocando a posto gli altari, costruendo i confessionali, le porte e i banchi; e il cav. Bernasconi da Varese, celebre fabbricatore di organi, ne sta lavorando e collocando uno che farà onore al suo nome e sarà degno ornamento della nostra chiesa”[296]. Diamo uno sguardo all'interno del tempio, seguendo punto per punto le indicazioni dateci qui da Don Bosco e lasciando per ultimi il concerto delle campane e l'organo.
Il “coro” di Don Bosco é l'abside col presbiterio. Le [368] pitture dell'abside rappresentano la scena del Calvario nel punto in cui Gesù dalla croce dice a Maria: Donna, ecco il tuo figlio, e a Giovanni: Ecco la tua madre. Lo stuolo delle pie donne sta ai piedi della croce; dall'altro assiste adorante e dolorante una corona di angeli, uno dei quali si accosta in atto di porgere al Redentore il calice della Passione. Il dipinto, eseguito ad uso mosaico alla bizantina, é lavoro del pittore torinese Enrico Reffo. Il Reffo dipinse anche le pareti laterali del presbiterio, rappresentandovi un caritatevole fatto di San Giovanni narrato da antichi storici ecclesiastici.
Nel primo affresco dalla parte del Vangelo l'Apostolo dinanzi all'assemblea dei fedeli pieni di riverenza verso la sua veneranda persona consegna al Vescovo di Smirne un giovinetto, perché lo allevi al santuario; nel quadro di fronte San Giovanni in luogo dirupato raggiunge e stringe al seno il povero fìgliuolo, che, divenuto perverso, capitanava una banda di briganti. Nelle due scene il pittore intese di adombrare l'opera preservatrice e redentrice di Don Bosco a favore della gioventù.
Sul presbiterio corrispondenti a queste due storie due gruppi di angeli, lavoro di Giuseppe Rollini, ex-allievo dell'Oratorio, sciolgono un inno di lode e di vittoria all'Agnello di Dio, che rompe i sigilli chiudenti il libro dei futuri destini riserbati alla Chiesa come narra San Giovanni nella sua Apocalisse.
Il vaso del tempio é compartito in tre navate. Sulle pareti della mediana campeggiano in sette medaglioni (uno é sulla porta) i sette vescovi dell'Asia Proconsolare menzionati nell'Apocalisse di San Giovanni. Li dipinse il Reffo. Altri due medaglioni adornano le pareti in fondo alle navate laterali sulla rispettiva porta; in essi il professor Salvino Caneparo della Regia Accademia Albertina rappresentò a destra Sant'Alfonso Maria de' Liguori e a sinistra San Francesco di Sales, i due Santi proclamati Dottori della Chiesa da Pio IX. Queste due navi si continuano attorno all'abside, formando un comodo ambulacro, che permette di far il giro dell'altar maggiore senza recar disturbo alle funzioni. [369]
Dalle pareti per dieci alte finestre e sei grandiosi rosoni s'immette nella chiesa una luce moderata. Le finestre, avendo i vetri colorati, ne lasciano entrare solo tanta che basti a favorire il religioso raccoglimento; delle rose le cinque sottostanti alla mezza calotta dell'abside incorniciano, dipinte a vetro, le figure di San Giovanni Evangelista, San Giacomo, Sant'Andrea, San Pietro e San Paolo.
Sei altari laterali, di cui due cospicui dedicati all'Immacolata e a San Giuseppe, hanno icone di vari autori, distinte da caratteristici pregi. L'altar maggiore, foggiato all'orientale, é con doppia mensa e grandioso tabernacolo; lo circonda una larga balaustrata in pietra di Satrio con quattro belle cancellate d'accesso.
Il pavimento marmoreo in mosaico alla pompeiana ha la sua piccola storia. Il preventivo portava una spesa di novemila lire. Un giorno Don Bosco, incontrato a Sampierdarena il signor Repetto, che possedeva in Lavagna Ligure una cava di marmo, lo salutò dandogli del cavaliere.
- Non mi burli, Don Bosco, gli rispose quegli, io non sono cavaliere, ma un semplice negoziante che fa i suoi affari come può.
- Eppure una persona come lei avrebbe bisogno di qualche onorificenza che la rendesse, come tanti altri suoi pari, più rispettabile in faccia a subalterni, a corrispondenti e alla società. Non le sembra?
- Certo, la cosa non mi spiacerebbe.
- Ebbene, senta. Lei ha assunto l'impresa del pavimento per la chiesa di San Giovanni. Non potrebbe farmi gratuitamente questo lavoro, liberando me da un pensiero? Sarebbe un'opera buona agli occhi di Dio. Per parte mia, m'impegno a procurarle una croce da cavaliere.
- Si potrebbe fare anche questo, disse quel signore.
- Dunque é cosa fatta, conchiuse Don Bosco.
Tuttavia all'atto pratico il Repetto pensava che fosse troppo gettare novemila lire per un'onorificenza. Manifestò [370] questa sua esitazione a Don Sala, che lo esortò a fare quanto Don Bosco desiderava, dicendogli che la generosità verso Don Bosco aveva sempre apportato fortuna. Infatti il signor Repetto fece il pavimento, ebbe la croce da cavaliere, e poco dopo per mezzo dell'Oratorio ricevette la commissione di un monumento a monsignor Vera nella cattedrale di Montevideo, guadagnandovi una bella somma[297].
La porta grande costituisce un lavoro artistico nuovo a Torino. E’ in legno di noce con bassorilievi in bronzo. La disegnò il professor Boidi, esprimendo un concetto di Don Bosco, il quale voleva che quella porta rammentasse perennemente ai Torinesi essere il tempio in cui entrerebbero, monumento a Pio IX. Vi spiccano in special modo due quadri raffiguratiti i due solennissimi atti compiuti da quel Papa: la definizione dogmatica dell'Immacolato Concepimento di Maria Santissima e la proclamazione di San Giuseppe a Patrono universale della Chiesa. Nel primo vi é una particolarità degna di nota. Dinanzi al Pontefice sta con dalmatica, in modesto atteggiamento, reggendo un libro aperto, un Prelato: l'artista, per suggerimento di Don Bosco, effigiò in esso l'intrepido monsignor Luigi Fransoni, che era stato Arcivescovo di Torino nel 1854, anno della definizione. Di tutto si addossò la spesa l'ex-allievo Don Anfossi che, rimasto orfano a tredici anni e accolto da Don Bosco nell'Oratorio, attestava cosi la sua imperitura riconoscenza verso il proprio educatore e padre.
A chi dal corso Vittorio Emanuele II volge lo sguardo alla chiesa si presenta maestosa la facciata, dal cui mezzo si slancia in alto il campanile. Nel timpano della porta uno squisito mosaico raffigura il Divin Redentore assiso in cattedra con la scritta: Ego sum via veritas et vita, tratta dal Vangelo di San Giovanni, e ai lati l'alfa e l'omega come San Giovanni tre volte lo chiama nell'Apocalisse, per indicare [371] che Egli é principio e fine d'ogni cosa. Più su, nel timpano della trifora superiore, un altro stupendo mosaico rappresenta l'apoteosi di San Giovanni, sorretto nella stia trionfale ascesa dall'aquila, simbolo attribuitogli dai Padri.
Con particolare compiacenza sembra che Don Bosco nella sua lettera menzioni le campane. La loro benedizione fu un avvenimento; quel giulivo tintinnìo era venuto a rallegrare la popolazione circostante, rompendo finalmente il cupo silenzio che incombeva tutto attorno al vicino tempio valdese. Cinque sacri bronzi raggiunsero la cella campanaria della graziosa torre il 10 dicembre 1881. La cerimonia della benedizione, accuratamente preparata ed eseguita con solennità dal canonico Berardi, provicario generale dell'Archidiocesi, si svolse nella chiesa non ancora terminata, alla presenza di numerosi benefattori e amici, a cui Don Bosco aveva rivolto personale invito, e in mezzo a gran folla di fedeli. Tornò affatto nuovo e di mirabile effetto in mottetto accompagnato pure dal suono festivo delle campane, che mano esperta faceva vibrare a tempo e secondo le note per mezzo di apposita tastiera. Le aveva fuse il signor Bizzózero di Varese, intonandole in modo da potervi produrre un concerto armonioso in mi bemolle. Delle iscrizioni su di esse improntate ricorderemo soltanto questa della campana maggiore: Centenis domibus Salesianis Ital. Gall. Hispan. Americ. divinam opem imploro [per le cento case salesiane d'Italia, Francia, Spagna e America imploro il divino aiuto].
C'era bisogno della cancellata in ferro che chiudesse il sagrato lungo il corso Vittorio, fra l'ospizio da un lato e un palazzo dall'altro. Monsignor Gastaldi ne offerse una. L'avevano fatta fare i Canonici della Metropolitana per metterla dinanzi alla Cattedrale, ma il Municipio negò il permesso; poi era stata offerta alla nuova chiesa di San Secondo, ma fu rifiutata perché non istile. “Io la presento, scrisse Monsignore. il 21 febbraio 1882 a Don Rua, sperando di vieppiù trarre su questa Archidiocesi la protezione di questo Santo, [372] ed affine di mostrare sia la mia benevolenza alla Congregazione Salesiana, checché siasi pubblicato alle stampe in contrario; sia il mio vivo desiderio che questa Congregazione abbia coll'attuale successore di San Massimo, tutti quei rapporti, che le regole del Vangelo e della Chiesa esigono che tutte le congregazioni religiose conservino col Capo della Diocesi.” Fu forza di ringraziare non accettando, perché la cancellata era troppo alta e per adattarla bisognava spenderci almeno quanto sarebbe occorso a provvederne una nuova.
Un bell'ornamento della chiesa di San Giovanni Evangelista é la marmorea statua di Pio IX che si aderge su alto piedestallo a mano diritta di chi entra. Il Papa leva la destra nell'atto che precede la benedizione, mentre con la sinistra porge il decreto di approvazione della Pia Società Salesiana. Indossa gli abiti pontificali, recando in capo il triregno. Amorevolissimo ha lo sguardo e angelico il sorriso. Non gli manca che la parola sul labbro, perché l'illusione sia perfetta. E' opera dello scultore Francesco Confalonieri di Barzago in Brianza. L'iscrizione latina ricorda che il tempio é monumento alla memoria del grande Pontefice[298]. [373]
La statua il 25 aprile 1882 fu collocata sulla sua base, nella cui cavità venne racchiusa una pergamena commemorativa con le firme di parecchi illustri personaggi. Per Don Bosco, che si trovava a Roma, firmò Don Bonetti quale suo rappresentante. Nel verbale che precede le sottoscrizioni é notevole il seguente periodo: “Si sarebbe desiderato di onorare questo collocamento con una particolare solennità; ma ragioni di alta prudenza, che i posteri sapranno apprezzare, consigliarono in questi giorni di farne a meno. “
Queste parole trasmettevano ai posteri la tristissima eco di un avvenimento, che riempì di afflizione l'anima dei buoni Torinesi.
I fatti erano recenti. La mattina dell'II aprile monsignor Fissore, arcivescovo di Vercelli, aveva consacrata la chiesa di San Secondo. Fu atto di generosità, obliando il passato, mandare i giovani dell'Oratorio a far risonare per i primi delle loro note musicali le volte del nuovo tempio, e con loro anche la banda salesiana a dar concerto sulla piazza dopo le funzioni della sera[299]. Don Bosco si rallegrò certamente nel vedere che fosse inaugurata al dívin culto e aperta al pubblico una nuova chiesa, a cui egli stesso aveva posto mano dieci anni prima. Non se ne rallegrò invece il nemico del bene. Abbiamo narrato come l'erezione del sacro edifizio, interrotta da più anni, venisse ripresa nel 1878 con l'intendimento che anche quello fosse monumento alla memoria di Pio IX[300]. Per affermare tale proposito dinanzi alla posterità erasi collocato sul frontone un busto del defunto Pontefice con una iscrizione che urtò i nervi ai settari; onde, provocati dalla Massoneria e dal suo organo magno la Gazzetta del Popolo, scoppiarono [374] tumulti, nei quali si commisero indegnità da degradarne i popoli barbari[301]. Furono rimossi busto e iscrizione in mezzo ai lazzi e sotto i proiettili di uomini furibondi, che la durarono fino alla fine indisturbati nei loro eccessi. Dopo simili precedenti non era davvero prudenza far rumore nell'ínalzamento della statua di Pio IX; c'é anzi da stupire che il semplice fatto del collocamento sia passato quasi inavvertito e senza scandali.
Accadde allora un incidente, che diede occasione a discorsi salati. Proprio nell'ora in cui dalla facciata di San Secondo si calava il povero busto di Pio IX, giungeva dalla ferrovia il carrettone portante la statua di Pio IX destinata alla chiesa di S. Giovanni Evangelista. Orbene il coadiutore Buzzetti che andava in cerca di uomini per iscaricare quell'enorme peso, s'imbatté nei muratori che avevano compiuta quell'operazione a S. Secondo e ordinò loro il trasporto della statua nell'interno del tempio. Così le stesse mani che un momento prima avevano tolto il busto del Papa in un luogo, ne rizzavano la statua in un altro, in quell'altro appunto per cui tanto contrasto era sorto a contendergli l'onore di essere monumentale omaggio al nono Pio.
Anche nella collaudazione dell'organo, compiutasi di là a tre mesi, convenne usare buone cautele. La si fece dunque in forma accademica quasi fosse una festa dell'arte, il 3, 4, 5 e 6 luglio; e perché tale fosse in tutto e per tutto l'aspetto di quell'inaugurazione, la lettera contenente l'annunzio e il programma recava soltanto la firma del musico Don Cagliero. Né qui si ristette Don Bosco, ma ricorse anche a una di quelle sue finezze, in cui era maestro. Dopo la vittoria dei forsennati che con atti e parole avevano tanto oltraggiato Dio nel suo Vicario i giornali cattolici, stigmatizzando la selvaggia sopraffazione, si erano spinti a lanciare una sfida imprudente, dicendo agli avversari: - Noi ci troveremo all'inaugurazione [375] della statua di Pio IX nella chiesa di S. Giovanni Evangelista. Venite là, se vi basta l'animo! - E noi ci verremo, - risposero in coro gli altri. Si minacciava dunque un pugilato? Certo i soci della Gioventù Cattolica avevano una gran voglia di mostrare in qualunque maniera al mondo, che nessuna paura li arrestava, quando trattavasi di portar alta la loro bandiera. Quello che si era evitato nel collocamento della statua, poteva dunque succedere nel collaudo dell'organo; ma Don Bosco seppe prevenire ogni pericolo. All'audizione s'entrava con un biglietto personale[302]; egli dunque mandò il biglietto d'invito anche a tutti i giornali liberali. I direttori, soddisfatti di quella cortesia, intervennero, videro necessariamente la statua di Pio IX e nulla incontrando che avesse l'aria di provocazione, misero le cose in tacere. Anzi la Gazzetta di Torino[303], meno intransigente, non si tenne paga di serbare il silenzio, ma uscì con un articolo che cominciava così:
“Sono tre giorni che la nuova chiesa costrutta anch'essa come tante altre per opera di quell'uomo straordinario ch'é il reverendo sacerdote Bosco, non disempie[304], se non negl'intervalli, in cui il suo magnifico organo tace. Tutta la miglior società torinese vi si dà convegno, così nella prima seduta che dura dalle nove a mezzogiorno, come e più nella seconda che va dalle tre alle sei.”
Bisogna però anche aggiungere che Don Bosco aveva fatto le cose da pari suo. Magnifico sempre nella sua povertà quando ci fosse di mezzo il decoro del culto divino, massime in una grande città, non aveva lesinato fin da principio sul preventivo, tanto riguardo alle dimensioni che alle decorazioni del sacro edifizio. Nel 1870 l'architetto conte Edoardo Arborio Mella scriveva a sua figlia[305]: “E’ stato qui da me [376] Don Bosco, e ci siamo intesi e vuole una chiesa discretamente larga, a tre navi e piuttosto bella. Studieremo dunque. Che uomo unico! Dandomi idea del prezzo da spendere votato dall'Amministrazione aggiungevi con una pace e confidenza invidiabili: - Però é meglio far le cose bene e se la stima eccedesse anche il doppio le somme stanziate, non fa niente, troveremo modo di soddisfarvi. -” Volle dunque dal costruttore un organo di prim'ordine e n'ebbe per quei tempi un capolavoro da non temer rivali. Poi chiamò a metterlo in valore artisti di grido, torinesi e forestieri, fra cui il Petrali di Bergamo e il Galli di Milano. Egli poi si fece vedere solamente nel quarto e ultimo giorno. La Gazzetta citata, dopo avere sommariamente descritto chiesa, organo e organisti, conchiudeva appunto come aveva cominciato, cioè riparlando così di Don Bosco: “Ieri nel dopopranzo l'autore primo di tutte quelle meraviglie, Don Bosco, é comparso, nel coro del novello tempio, circondato da molti altri sacerdoti. Ha aspetto grave, ma piacente e s'intratteneva con molta gentilezza di modi, fra un pezzo e l'altro e al finire dell'esperimento, coi moltissimi che si recavano a ossequiarlo. Si comprende al vederlo che quell'uomo lì, come dicono gli amici d'oltr'Alpe, é quelqu'un, e invero é d'uopo riconoscere che ciò che ha fatto e che fa é sorprendente!”
La festa dell'organo preludeva a una solennità assai maggiore. La chiesa ormai era terminata in ogni sua parte. Architettura, affreschi, pitture, ornati, pavimento, altari, porta, tutto dava l'impressione di un vero monumento, sicché a tal vista andavano lieti della loro carità i numerosi benefattori. Era dunque tempo di procedere alla solenne consacrazione.
Affinché l'interesse del pubblico accompagnasse quanto più fosse possibile un atto così importante, Don Bosco non aveva aspettato l'ultima ora per occuparsene. Già il 10gennaio i principali abitanti del vicinato avevano da lui ricevuto personale invito ad una conferenza specialissima, che tenne [377] il 14 nel locale attiguo alla chiesa. In essa egli espose tutto quello che pensava di fare e poi volle udire il parere dei presenti sii quanto credessero poter contribuire al buon esito[306].
La consacrazione si sarebbe voluta compiere verso la fine di maggio[307]. Don Bosco sembra che non avesse speranza nell'intervento dell'Arcivescovo; infatti, trovandosi a Roma, fece in aprile qualche passo per ottenere che venisse a celebrare quel rito un Cardinale[308]. Lo incoraggiava in questo tentativo, che veramente aveva dell'inaudito, un'intenzione manifestata, non sappiamo perché, l'anno avanti dal Cardinale Vicario. Ce lo apprende Don Bosco stesso in una lettera a Sua Eminenza[309]: “Don Dalmazzo mi ha dato una delle più meravigliose notizie: che la E. V. si mostra disposta a venire a consacrare la chiesa di San Giovanni Apostolo che si sta costruendo e volge al termine in questa nostra città a gloria di Pio IX. Io la prendo sul serio e ci conto per quella per noi strepitosa solennità. Tale funzione sarebbe fissata pel 6 maggio 1882. Nel prossimo inverno personalmente concreteremo quanto sarà da farsi secondo il beneplacito della E. V. Rev.ma!”
La notizia che il Beato conduceva questa pratica, trapelò; infatti il 28 aprile Don Rua in via confidenzialissima fu informato che Monsignore per mezzo di persone influenti mandate o incaricate a Roma, aveva o avrebbe brigato per mandare a monte quel tentativo[310]. Ma alla fine di giugno nulla ancora vi era di concluso. Don Dalmazzo informava[311]: “Per la consacrazione di San Giovanni il solo Card. Nina accetterebbe per ottobre, che dice dover venire a Torino; ma non è Vescovo e non può fare la funzione. Il prelodato [378] Cardinale dice però che questa funzione o deve farsi dall'Arcivescovo di Torino, o non farsi per ora, per non suscitare un nuovo vespaio.”
Che cosa propriamente movesse Don Bosco a cercare un Cardinale, non apparisce bene dai nostri documenti. Ma Don Turchi nei processi depose avergli Don Bosco stesso narrato che monsignor Gastaldi non voleva consacrare la chiesa né permettere che s'invitasse un altro Vescovo; che egli perciò, a troncare le ciance causate dalla dilazione, aveva scritto alla Santa Sede e che da Roma erasi posto all'Arcivescovo un aut aut: o la consacrasse lui o si sarebbe mandato di là un Vescovo.
Il Beato dunque, riflettendo sul consiglio del cardinale Nina, si appigliò a una via di mezzo: rimandare la consacrazione a tempo migliore e intanto per non differire l'apertura della chiesa ottenere dall'Arcivescovo la facoltà di benedirla. In questo senso gli scrisse al principiare di luglio.
I lavori della Chiesa di S. Giovanni Evangelista volgono al loro termine, epperciò gli abitanti di quel vicinato fanno vive istanze affinché il novello edifizio sia aperto al pubblico religioso vantaggio. Io sono lieto di appagare questa pia aspettazione; ma tenendo conto delle circostanze dei tempi, io mi limiterei ad una semplice benedizione riservandone la solenne consacrazione a tempo più opportuno.
Sembra che i sacri canoni vadano d'accordo nell'asserire che il superiore di una congregazione definitivamente approvata dalla Santa Sede, possa fare la funzione della benedizione di una chiesa appartenente al proprio istituto. Qualora però la E. V. ne avesse dubbio, io la prego esplicitamente a volermi accordare tale facoltà con quelle clausole che sono richieste dai sacri riti.
Trascorsero ventidue giorni senza che arrivasse alcuna risposta; quindi il 27 Don Bosco pregò per iscritto il Cancelliere della Curia a volergli significare se l'Arcivescovo, [379] che dai primi del mese era assente da Torino, avesse dato qualche disposizione relativa alla sua domanda; ma il Servo di Dio ignorava qualche retroscena, che noi siamo in grado di svelare.
Il giorno avanti che giungesse a destinazione la lettera del 5 luglio, Monsignore era partito per il santuario di San Ignazio sopra Lanzo, dove stavano raccolti sacerdoti per gli esercizi spirituali; perciò la lettera di Don Bosco fu aperta e trattenuta in Curia. Il canonico Colomiatti, ne avesse o no conoscenza, scrisse proprio il giorno 6 al cardinale Nina: “Monsignore é disposto a consacrare egli stesso la nuova chiesa di San Giovanni Evangelista per dare così una prova della sua buona volontà verso Don Bosco. Io desidero che ciò avvenga: e, pensando che tale fatto sarà gradito a Sua Santità, a V. Em. ed al Card. Jacobini, mi adopero e mi adoprerò in proposito.”
Ma l'Avvocato fiscale prevedeva un intoppo, perché sotto la chiesa c'era, diceva, una cappella e un teatro. Ciò sapendosi in Curia, Monsignore aveva presentato il 3 marzo alla Congregazione dei Riti un quesito per sapere se fosse lecito consacrare una chiesa, nel cui sotterraneo si dessero spettacoli a modo di teatro per onesto trattenimento della gioventù e la risposta in data 4 maggio era stata negativa per la ragione che una chiesa con la sua parte sotterranea si consacra Per modum unius, cioè come un sol corpo[312]. Ora il Colomiatti a rimuovere l'ostacolo pregava Sua Eminenza di dire a Don Bosco che nella sua domanda all'Arcivescovo aggiungesse la dichiarazione che del sotterraneo non sarebbesi fatto quell'uso.
Alla suddetta lettera teneva dietro un poscritto, nel quale il Colomiatti asseriva che sul punto di suggellarla il Provicario Generale, ricevuta quella di Don Bosco a Monsignore assente, veniva a chiedere il suo parere sulla medesima ed egli ne rimetteva copia al Cardinale, commentando così il secondo capoverso: “Noto che in essa lettera é la pretesa di credere [380] che il superiore dell'Istituto Salesiano sia equiparato ai superiori degli Ordini religiosi o delle speciali congregazioni privilegiate, mentre pel Salesiano istituto é deciso dalla S. Congr. dei VV. e RR., 13 gennaio 1875, che la condizione imposta ad ogni istituto di voti semplici [e quindi eziandio al Salesiano] é che, trattone il caso in cui fossegli dalla Santa Sede concesso alcun Privilegio, sono quegli istituti esenti ossia non soggetti alla giurisdizione degli Ordinari soltanto in tutto ciò che é contenuto nelle costituzioni dalla Santa Sede approvate. Ora né nelle costituzioni salesiane, né in Brevi dati alla congregazione salesiana si trova la facoltà invocata da Don Bosco. V. Em. mi permetta quindi che io la preghi a dirmi al più presto la risposta che é da farsi a Don Bosco, perché desidero di non comunicare a Mons. la lettera di Don Bosco, prima di aver ricevuto un rigo da V. Eminenza. Penso che V. Eminenza converrà meco in diritto circa l'osservazione che feci, come penso che V. Em. non vedrà male che io immediatamente abbia comunicata la lettera a V. Em. affinché coi corretti giudizi di V. Em. possa scrivere a Mons. al riguardo e così eliminare una questione. In essa lettera di Don Bosco si vede il principio che ha dominato i Salesiani nella loro lotta contro l'Arcivescovo.”
Erano i giorni, in cui fra Don Bosco e l'Arcivescovo avveniva lo scambio di lettere a tenore della Concordia voluta da Leone XIII. Don Bosco aveva fatto la parte sua, quando il cardinale Nina il 26 luglio espresse a lui il proprio pensiero circa l'affare della benedizione e del sotterraneo. Rallegratosi anche a nome del Papa con Don Bosco, perché fossero state eseguite le imposte condizioni, usò parole dure sulla prima cosa. Rammentato il suo precedente consiglio che s'invitasse l'Arcivescovo a fare la consacrazione, soggiungeva: “Vidi poi la minuta della lettera che Ella ha indirizzato a quel Prelato sull'oggetto e mi parve non fosse adatta allo scopo, perché involgeva un dubbio ed implicava una evasiva. Ma bisogna essere nei nostri atti espliciti e sinceri. [381]
Forse Sua Eminenza badò più al commento del Colomiatti che al testo di Don Bosco. La mancanza di sincerità sarebbe stata nel nascondere il dubbio che l'Arcivescovo volesse consacrare lui la chiesa e nel mascherare il proposito di farne a meno con la scappatoia della semplice benedizione. Ma i due fatti allegati da Don Bosco erano certi, la convenienza cioè di presto officiare la chiesa e l'opportunità di non rimettere allora a rumore il campo avversario con la solennità di una celebrazione, che poteva risvegliare le ire antipapali appena sedate. Che il Beato non avesse nessun secondo fine lo confermano queste sue righe del 25 luglio al Cardinale, incontratesi quindi per via con le osservazioni del medesimo: “Ho inviato a Mons. Arcivescovo una memoria per la benedizione della chiesa di San Giovanni Apostolo e finora non si poté ottenere alcuna risposta. Ho mandato nella Curia Arcivescovile per dimandare se vi era qualche disposizione; non mi si fece alcuna risposta. Intanto il pubblico si lagna del ritardo ed io non so che rispondere.” Nel merito della questione di diritto canonico sollevata con tanta abbondanza di parole dal Colomiatti Sua Eminenza non entrava menomamente; dotto canonista, egli sapeva certo valutare le opinioni di competenti intorno a quel caso specifico anche dopo la citata decisione generica.
Restava la questione del sotterraneo. Non esisteva ivi palcoscenico. L'ambiente era formato da un'ampia platea con un ambulacro semicircolare, da potersi adibire l'una e l'altro a qualsiasi uso. Non solo il Bollettino, ma anche Don Bosco aveva fornito tali spiegazioni all'Unità Cattolica per rettificare una “voce erronea”diffusasi dopo la pubblicazione del decreto romano.
Illustrissimo Sig. Direttore dell'“Unità Cattolica
Prego la nota di Lei cortesia a voler rettificare una voce erronea che si va ognora dilatando relativamente alla Chiesa di S. Giovanni Evangelista di cui V. S. si é compiaciuta parlarne più volte nel benemerito suo Giornale. [382]
Il giorno 21 prossimo passato maggio, Ella riportava una risposta della Sacra Congregazione dei Riti, in forza di cui non si può consacrare una nuova chiesa se nei sotterranei di essa fannosi teatri per ricreare la gioventù. Siccome presentemente non v'é che la Chiesa di S. Giovanni Evangelista in tale condizione, così molti si fanno a chiedere se il ritardo dell'inaugurazione al divin culto del sacro edifizio sia da ciò cagionato: cioè se non si possa compiere la religiosa funzione, che il pubblico incessantemente reclama a motivo del teatro il quale dicesi sottostare alla Chiesa. Per la qual cosa io dichiaro che l'autorevole risposta sopralodata non si riferisce in alcun modo alla Chiesa in discorso, perciocché nel sotterraneo ossia negli scuroli della medesima, non havvi altro che:
1° Una cappella destinata al Catechismo, alla celebrazione della S. Messa, e ad altre sacre funzioni, che colà si faranno pei soli fanciulli, affinché siano più tranquille le altre pubbliche funzioni che avranno luogo nella stessa Chiesa a benefizio di quel popolatissimo vicinato.
2° L'altra parte dello scurolo é una sala stabilita per trattenere ed istruire i più adulti, dare l'esame di Catechismo, ed anche fare la distribuzione di premii, come suolsi fare a coloro che lo meritano. Da tutto ciò adunque appare manifesto che quivi non havvi nemmeno l'ombra di teatro, o di cose che si possano riferire a tali profani trattenimenti.
Il ritardo poi della sospirata funzione é cagionato unicamente da alcuni lavori che non sono ancora ultimati.
La ringrazio del favore che spero mi vorrà concedere, mentre con gratitudine mi professo
Il Cardinale Protettore, che non ignorava queste cose, diede in proposito a Don Bosco, sempre nella lettera del 26 luglio, un suggerimento pratico. “Se Ella é disposta, diceva, a seguire un mio avviso, rinnovi la pratica presso Mons. Arcivescovo e personalmente e in iscritto lo inviti e lo preghi pure alla consacrazione in discorso. E siccome l'opinione infondata, in ordine al locale sottostante alla chiesa quasi fosse un teatro, potrebbe presentare qualche ostacolo, così Ella lo affronti direttamente, e dichiari a Monsignore in iscritto come é già detto nel Bollettino Salesiano[313] [383] che quel locale non é punto destinato ad uso profano di teatro; perché certamente disconverrebbe ad una adiacenza del luogo sacro. Segua adunque questa mia insinuazione, che corrisponde pure alle viste del Santo Padre e s'assicuri che gliene verrà bene.”
Al Colomiatti, come si seppe da poi[314], il Cardinale aveva qualche giorno innanzi risposto ingiungendo senz'altro che Monsignore andasse a consacrare. In rapporto con siffatta ingiunzione era una lettera dell'Arcivescovo a Don Bosco, scritta il 26 luglio da Forno Alpi Graie, nella quale si diceva: “Il gravissimo dovere che mi corre di rimuovere ogni pericolo di chiacchiere non cristiane, e conseguentemente la pubblica edificazione richiede imperiosamente che io, proprio io, e non altri consacri la nuova chiesa da dedicarsi a Dio sotto il titolo di San Giovanni Evangelista eretta dai fedeli per cura di V. S. in Torino e perciò tale é la mia determinazione.” Dava quindi alcune disposizioni sui preparativi da farsi. Ma la visita pastorale già annunziata alle parrocchie delle valli di Lanzo non gli permetteva il ritorno a Torino prima del finire di agosto.
Avute queste comunicazioni, Don Bosco il 4 agosto credette bene di scrivere al cardinale Nina: “Spero che non torni discaro alla E. V. che le dia ragguaglio di quelle cose per cui si degnò prendere tanti disturbi. Aveva scritto a Mons. nostro Arcivescovo che tenendo conto della tristezza dei tempi io mi limitava a dare la semplice benedizione alla chiesa di San Giovanni Evangelista. Dopo circa un mese Egli mi rispose che verrebbe esso stesso a fare la consacrazione. Io accettai con riconoscenza; e se niente viene a turbare le pacifiche intenzioni, comincerà la sospirata éra di pace. Vi sono le solite difficoltà, che quando si presenta l'occasione, ci dà forti sferzate parlando con altri ed anche con pubblicazioni mordaci sui giornali. Ma io non voglio farne caso e tiro avanti tacendo.” [384]
In margine al foglio di Monsignore, Don Bosco, per chi doveva stendere la risposta, scrisse: “Accettata ogni cosa, ma si propone fine ottobre.” Ed aggiungeva in stile telegrafico due motivi: alla fine d'agosto i preti e i chierici erano ancora occupati negli esercizi spirituali e i giovani dell'Oratorio stavano ancora in vacanza; non sarebbe, quindi stato possibile preparare le cerimonie e i canti. D'altra parte, e questo era per lui sottinteso, quanto maggior tempo si lasciava trascorrere sulle passate agitazioni anticlericali, tanto meglio si provvedeva alla tranquillità della funzione. Sua Eccellenza non fece difficoltà per ottobre. Restava da fissare il giorno; del che scrisse il Beato medesimo all'Arcivescovo da Sampierdarena il 16 settembre.
Mentre sono qui a Sampierdarena, per una muta di esercizi spirituali, fo seguito alla pratica iniziata per la consacrazione della Chiesa dedicata a S. Giovanni Evangelista. Se alla E. V. Rev.ma non reca troppo disturbo, per noi andrebbe opportuno fissare il giorno 28 Ottobre, giorno di sabato, oppure il sabato seguente. Meglio forse il 28 ottobre perché non essendoci ancora gli studenti[315] saremmo più al riparo di alcuni inconvenienti che pur troppo si possono temere.
Ogni cosa però come alla E. V. parrà meglio.
Fissato il giorno, formolerò quello che si potrà fare e poi sottoporrò tutto al di Lei beneplacito.
Qualora lo giudichi può dare una parola di risposta al portatore della presente.
La prego a volermi credere colla massima venerazione e gratitudine
Sampierdarena, 16 settembre 1882.
La data proposta tornò bene accetta. Alla metà di ottobre il Beato, con una bella circolare, tradotta in più lingue, mise a parte della sua letizia i Cooperatori Salesiani, invitandoli [385] a intervenire personalmente o ad unirsi in ispirito o a rendersi presenti mediante la loro carità.
Con lieto animo sono in grado di dare alla S. V. la consolante notizia che il 28 del corrente ottobre sarà consacrata al divin culto la CHIESA DI S. GIOVANNI APOSTOLO ED EVANGELISTA, eretta in Torino per cura e specialmente per la carità dei Cooperatori e delle Cooperatrici Salesiane. A giudizio dei più ragguardevoli artisti la chiesa e per l'architettura e per la decorazione, riuscì uno dei più perfetti ed eleganti sacri monumenti che arricchiscono la città del SS. Sacramento e di Maria SS.
Ora é nostro dovere di ringraziare il Signore che ci abbia in tante guise aiutati a superare le varie e innumerevoli difficoltà incontrate nell'innalzare questo tempio in onor suo, e che nella sua pietosa Provvidenza, per mezzo del consiglio, dell'arte, e dell'opera di tante pie e benemerite persone, ci abbia fornito i mezzi per riuscire nell'impresa.
Nel tempo stesso dobbiamo pregarlo che voglia degnarsi di prendere la nuova Chiesa sotto l'onnipotente sua protezione, e guardare con occhio benigno ed amorevole tutti coloro, i quali verranno in appresso ad effondere il loro cuore dinanzi ai suoi altari, ed esporgli le proprie necessità spirituali e temporali ed implorare il suo possente aiuto.
A questo fine ed anche perché la Dedicazione fosse per riuscire più solenne sarebbe mio vivo desiderio che vi prendessero parte i nostri Cooperatori e Cooperatrici, non solo di Torino, ma di ogni altra città e paese; ma siccome questo generale intervento non é possibile, così io li invito ad unirsi con noi con quel modo, che a ciascuno suggerirà il proprio cuore.
Qualora V. S., o qualcuno della famiglia, potendo, volesse intervenirvi personalmente, troverà più sotto l'orario delle sacre funzioni, che avran luogo negli otto giorni della Dedicazione.
Ho voluto dare questa comunicazione alla S. V. Benemerita, affinché goda nel Signore che la carità sua comincia ad ottenere il santo fine, per cui l'ha fatta, quale si é la gloria di Dio, il vantaggio della religione, la salvezza delle anime. Le lodi che da quel giorno in poi nella nuova chiesa si innalzeranno a Dio, le preghiere, che vi faranno tante migliaia di fedeli, la salute, che vi otterranno innumerevoli anime sono altrettanti beni, che saranno altresì partecipati alla S. V., e dei quali Ella riceverà a suo tempo dal Signore una copiosa mercede.
Dal canto mio non cesserò di unire le povere mie preghiere a quelle dei Salesiani e dei giovanetti loro affidati, e domanderò ogni giorno al Signore che si degni di spandere sopra la S. V. e sopra i [386] suoi parenti, le più elette benedizioni nella vita presente, e che le conceda un premio distinto nella vita futura, secondo queste sue divine parole: “Io non toglierò la mia misericordia a chi edificherà la Casa al mio Nome, e gli stabilirò un trono nel regno sempiterno: Misericordiam meam non auferam ab eo; et stabiliam Thronum regni eius usque in sempiternum”.
Voglia infine la S. V. continuarmi il valido appoggio della carità sua per le molte opere, che Iddio per sua bontà ci ha posto nelle mani, affinché possiamo fare un po' di bene al nostro prossimo, soprattutto alla povera gioventù abbandonata, mentre con sentimento di profonda gratitudine ho l'onore di professarmi
NB. La Chiesa é terminata in ogni sua parte, ed alcuni oggetti di minore importanza, che mancano ancora, sono già ordinati. Tuttavia non debbo nascondere che rimane ancora una passività di 45 mila lire da estinguere, parte per l'organo parte per la decorazione ed altri lavori eseguiti in questi ultimi mesi. Chi pertanto, potendo, mi prestasse la mano a soddisfare questo debito, farebbe davvero opera di carità e di religione, e Dio certamente non lascierebbe di dargliene una condegna ricompensa.
Non dimenticò i tesori spirituali, di cui fece umile domanda al Santo Padre con la seguente supplica.
Il Sac. Giovanni Bosco prostrato umilmente ai piedi della Santità Vostra prega a voler concedere per la prossima solennità della consacrazione della chiesa di S. Giovanni Evangelista in Torino, e per tutto l'ottavario, l'indulgenza plenaria a tutti i fedeli che confessati e comunicati visiteranno la predetta chiesa, pregando secondo l'intenzione Vostra e pei bisogni di S. Madre Chiesa
Il Papa rispose subito a mezzo di monsignor Boccali, limitando però l'indulgenza plenaria al solo giorno della solenne consacrazione.
Da molto tempo Don Bosco non aveva più veduto monsignor Gastaldi, essendosi svolte per lettere le pratiche del [387] componimento, durante l'assenza dell'Arcivescovo da Torino. Ora questi, rientrato in sede, gli manifestò il 20 ottobre che desiderava prima della consacrazione “conferire con lui a voce su alcune cose intorno al servizio di Dio”, sperando che egli prima di quel giorno si sarebbe recato all'Arcivescovado. Fu pronto Don Bosco alla chiamata; ma una e due volte non trovò l'Arcivescovo in palazzo. Ricorse dunque alla penna, scrivendogli con la massima deferenza:
Desidero anch'io di ossequiare la E. V. in persona prima della consacrazione della Chiesa di S. Giov. Apostolo; ma capitai sempre di recarmi dalla E. V. in quei giorni od in quelle ore che Ella trovavasi fuori di casa.
Appena Ella sia di ritorno io mi darò premura di recarmi a prendere i suo ordini. Intanto io le fo umile preghiera di alcuni favori e
1° Che Ella venisse a pontificare qualcheduna delle sere alla S. Benedizione della sera e preferibilmente l'ultima sera della Ottava della Consacrazione.
2° Almeno il giorno della consacrazione volesse accettare da noi il pranzo col personale del religioso servizio. Non essendoci ancora locale preparato, il desinare si farebbe in Valsalice. Ma dopo la sacra funzione troverebbe tosto una vettura che la trasporterebbe dove fosse mestieri. Appena poi saprò del suo arrivo mi recherò tostamente dalla E. V. per dare pratica a qualunque sua intenzione sia per manifestare.
Con pienezza di stima e di gratitudine reputo ad alto onore quando mi potrò professare umilmente della E. V. Rev.ma
Nonostante il suo buon volere, Don Bosco non poté in quello scorcio di tempo venire a capo d'incontrare l'Arcivescovo; s'incontrarono soltanto la mattina del 28, quando Monsignore puntualissimo arrivò per la funzione. Il Servo di Dio era là a riceverlo con i dovuti onori. Sua Eccellenza, appena gli fu vicino: - Oh Don Bosco! - disse; indi si mise a discorrere con altri, si vestì, cominciò la sacra funzione e se ne partì così presto, che Don Bosco poté appena riverirlo e accompagnarlo alla carrozza, senz'avere la comodità di [388] dirgli una parola. Monsignore tuttavia prima di uscire disse ai chierici del seminario venuti per il servizio e in buona parte ex-alunni dell'Oratorio: - Andate ad ascoltare la Messa di Don Bosco. - Nei giorni dell'ottavario non andò più a pontificare, sebbene Don Bosco gliene avesse fatto cosi calda preghiera[316].
Il vedere finalmente coronate le fatiche e le sollecitudini di tanti anni, lo splendore delle feste e il gran concorso di popolo consolarono assai il cuore di Don Bosco; se amarezza vi fu, egli la contenne dentro di sé, né alcuno sorprese mai alterazione anche momentanea sul suo viso o raccolse dal suo labbro accento, che rivelasse interno affanno.
Perfino il cielo sembrò voler concorrere a rendere più bello il giocondo avvenimento. Infatti la sera e la notte della vigilia piovve a catinelle; ma sul mattino del 28 all'arrivo dell'Arcivescovo la pioggia era cessata e dopo la consacrazione ricomparve il sole, che per tutta l'ottava brillò come da due mesi non si vedeva. Verso mezzodì, appena un festoso scampanio annunziò che il sacro rito era compiuto e furono spalancate le porte, un'onda di popolo divoto irruppe nella chiesa e assistette alla prima Messa, celebrata da Don Bosco e servita da Don Lemoyne e da Don Bonetti. Il medesimo Don Bosco fece dopo i Vespri la prima predica, in cui raccontò che cosa fosse quel luogo trentacinque anni addietro, mostrò quello che era allora e disse ciò che con la protezione di Dio e la benevolenza degli uomini di buon cuore sarebbe diventato fra breve[317].
Nei tre primi giorni dell'ottava pontificarono i Vescovi di Fossano, Biella e Alba, monsignori Manacorda, Leto e Pampirio; per tutta la settimana fu dispensata largamente la parola di Dio da zelanti predicatori; le funzioni si succedettero molto splendide nelle cerimonie, nei canti e nei suoni. [389]
Dopo il pontificale del 29 Si fece l'esposizione del Santissimo Sacramento a modo di Quarantore; membri ragguardevoli del clero torinese cantarono la Messa nei giorni che seguirono il triduo dei pontificali; non mancò un grande funerale in suffragio dei benefattori defunti. Don Bosco insomma non guardò a spese, non risparmiò sollecitudini pur di dare alla manifestazione religiosa la più imponente grandiosità, in vista però sempre dei corrispondenti vantaggi spirituali. Scrivendo a una Cooperatrice francese[318], le dice con trasparente compiacimento del suo cuore: “Leggerà nei Bollettini la consacrazione della chiesa di San Giovanni Evangelista. Si é visto uno spettacolo veramente miracoloso. A mille a mille gli uomini venivano a fare la loro confessione e comunione con una divozione tutta speciale.”
Le note ragioni di prudenza trattennero gli oratori dal parlare del Papa, alla cui memoria la chiesa era stata innalzata. Al loro silenzio suppliva per altro la sua maestosa figura, che tutti ammiravano nell'entrare e nell'uscire. Qualche cosa bolliva sotto sotto; ma non succedettero disordini. Non senza perché il Bollettino di novembre stampava:
“Don Bosco non ricusa di ringraziare persino quei pochi male intenzionati della città, i quali, spinti forse più dallo spirito d'abisso che dalla propria. malvagità, avrebbero voluto disturbare le nostre feste, come nella scorsa primavera turbate avevano quelle della chiesa di San Secondo, e pure se ne sono astenuti. Se questa loro astensione é un'opera buona, come é certamente il rispetto alla libertà e alla roba altrui, noi preghiamo il buon Dio che ne li ripaghi coll'aprire gli occhi loro alla luce della verità.” Ma per questo bisognava ringraziare anche Don Bosco stesso, che aveva condotto le cose in modo da non dare appiglio di sorta a chi non cercava se non un pretesto qualsiasi per creare il solito incidente e legittimare le relative conseguenze. [390]
Tuttavia il livore satanico, se non esplose all'aperto, si andò a sfogare specialmente in due giornali, facendo bersaglio della persona di Don Bosco. Più che ai fogli, convien badare ai loro occulti ispiratori; ma quegli articoli sono per noi documenti delle insidiose difficoltà, contro cui dovette ognor lottare lo zelo circospetto del Beato.
L'immancabile Cronaca dei Tribunali, che sembrava avere il compito di demolire con ogni mezzo il credito di Don Bosco come cittadino, nel numero del sabato 28 ottobre si svelenì contro “il Santo di Valdocco”, definendo la sua nuova chiesa “una protesta contro l'attuale ordine di cose”; tant'era vero, che la inaugurava nel giorno, in cui il popolo veniva “chiamato all'esercizio del suo più alto diritto”, naturalmente del diritto elettorale. Questo carattere derivava alla chiesa di San Giovanni dall'essere monumento a Pio IX, “traditore d'Italia”. Nella sua statua gli occhi dello scrittore vedevano la figura del “papa-re”, perché recante in capo il triregno; onde si mettevano in guardia i “liberali” segnalando questo contrasto: “Nel mentre il popolo andrà alle urne, i clericali, raunati in quella chiesa, rinnoveranno il giuramento fatto contro l'attuale ordine di cose per il ripristinamento del Potere Temporale dei Papi.”
Un altro periodico ancor più perfido mosse all'assalto in due numeri consecutivi. Usciva le domeniche e portava il titolo sacrilego di Gesù Cristo. Lo dirigeva il medesimo transfuga della Cronaca. Nel numero 22-29 ottobre si leggeva, stampata, in grassetto, questa notizia: “Il 28 corrente Don Bosco, che l'ha finalmente spuntata, inaugurerà la sua nuova Chiesa dedicata a San Giovanni Evangelista. Anche questa Chiesa é sacra alla memoria di Pio IX.” Vi erano poi tre cariche a fondo contro Don Bosco. Anzitutto un lungo articolo intitolato "Don Giovanni Bosco" incominciava così: “Don Giovanni Bosco, la cui fama oggi é veramente mondiale, rappresenta il genio non di quel cristianesimo santo, che si sprigiona dall'Evangelio, ma di quella religione, che si [391] ammanta di cristiana dottrina, ma sotto la corteccia d'oro nasconde un vizio, una bruttezza.” Prima di dire dove stesse una sì gran menzogna, si descriveva un Don Bosco primitivo, quello che “non vedeva che i suoi poveri fanciulli, non pensava che al loro avvenire”, e quel Don Bosco commoveva il giornalista; anzi la sua descrizione commuove sinceramente anche noi. Ma il Don Bosco primitivo non aveva più nulla di comune col Don Bosco posteriore. Il primo era la riproduzione fedele di San Vincenzo de' Paoli, il secondo l'incarnazione vera dell'agitatore cattolico. L'idea sublime della fratellanza aveva ceduto a quella del grande affare: la politica e la banca eransi confuse col Vangelo. Ecco il vizio, ecco la bruttezza. La tentata dimostrazione dell'asserto é un tessuto di falsità, che mettono capo a queste denunzie: “Per questo si diffondono libri, giornali, per propaganda clericale; per questo si organizzano circoli e comitati. Per questo si apre la gran bottega dei miracoli; si fa di D. Bosco un Santo e se ne vendono le vesti a tanto il pezzetto come un talismano contro i mali di questo mondo e d'altri siti ancora. Per questo s'inventano le istorie di giovani divenuti santi, come quella di Domenico Savio; di giovinette divenute beate come le sorelle Rigolotti. Parlerò altra volta di questi miracoli, di questa associazione salesiana contro cui é tempo che si premunisca colla legge il governo. La bandiera é sempre la stessa, la bandiera della beneficenza; ma il signifero non é più quello di prima. Attenti dunque da questo nemico d'Italia che tanto può e che tanto male vuole alla libertà del nostro paese. Pensate che egli esercita molto fascino sulla gioventù e che alla gioventù é affidato l'edifizio nazionale, che costò tanto sangue e tanti martiri.”
In secondo luogo il giornale riproduceva da fonti luterane uno pseudodocumento, da cui risulterebbe che Leone X diede a
“Venditori d'indulgenze” una “tariffa dei prezzi da pagarsi per ottenere dal Papa il perdono di qualsiasi peccato”. E questa sconcia cosa doveva servir a mostrare donde [392] avesse appresa Don Bosco l'arte di “accalappiare i gonzi” per procurarsi sussidi alle sue opere.
Finalmente in un trafiletto intitolato "Contro la propaganda" si pigliava occasione dal detto sopra per contrapporre alla stampa di Don Bosco la Biblioteca universale, collezione di libri irreligiosi e immorali, che si vendevano molto a buon mercato. Il punto più saliente era in queste righe: “Per istruirsi bisogna leggere. I preti vi offrono le letture cattoliche di Don Bosco o la collana dei Santi. Noi vi consigliamo di leggere libri, i quali non corrompono in alcun modo né il cuore né la mente, ma l'avviano alla conoscenza di noi stessi, dei nostri diritti e dei nostri doveri.”
L'empio periodico ripeté l'attacco nel numero del 5 novembre con una serie di articoli viperini. Precede una breve storia della nuova chiesa e una discreta descrizione del sacro edifizio, ma seminate l'una e l'altra di malignità, che mettono capo a questa bomba finale: “Questa chiesa suona protesta contro il grande tempio della nostra gloria nazionale. Questo tempio é eretto al primo nemico della nostra unità, Pio IX.” E poi in un articoletto senza titolo, il giornale, polemizzando col teologo Maigotti, insinuava minacciosamente: “Non per un mero caso Don Bosco scelse per le feste dell'inaugurazione i giorni nei quali i liberali sono impegnati nella grande lotta elettorale. E’ furbo Don Bosco! Ma, se non si fanno dimostrazioni, i liberali non hanno per ciò meno aperti gli occhi e sapranno un giorno come opporre monumento a monumento.”
Appresso, il libellista dilaniava una monografia dell'ingegnere Buffa sulla chiesa di San Giovanni. L'autore dell' “elegante fascicolo”nella prima pagina diceva di Don Bosco: “Meraviglia l'uomo a così gran portento di provvidenza ed ammira la veneranda persona di Don Bosco.” Di qui l'altro pigliava le mosse per rincarare la dose di quanto aveva detto in precedenza sui due Don Bosco, fermandosi [393] ora specialmente sulla brutta faccenda di Don Ricchino[319], presentata in modo da farla servire a sfatare l'opinione della santità di Don Bosco. Il Buffa in una nota dava questa notizia: “Gli Istituti Salesiani raggiungono ora i 150 con circa 100 mila giovanetti.” E l'araldo del liberalismo massonico: “Liberali, e voi dormite della grossa? Non avete paura che quei 100 mila giovinetti domani si convertano in 100 mila clericali?” Ma il politicante ce l'aveva a morte coli Pio IX, di cui in ultimo trascinava nel fango l'angelica figura, sfidando Don Bosco a pigliarne le difese contro le indegnità spacciate su quelle colonne come fatti storici che non ammettessero discussione.
Se tutte le infamie da noi per sommi capi riferite caddero sotto gli occhi di Don Bosco, egli dovette gemerne in cuor suo, pensando allo scandalo dei pusilli, che possono essere di tutte le età; ma né diede né permise di dare alcuna risposta. Sarebbe stato un versar olio sul fuoco; e poi al novello Capaneo ben si attagliavano i versi dedicati dall'Alighieri all'antico:
Nullo martiro, fuor che la tua rabbia,
Sarebbe al tuo furor dolor compito[320].
I giornali erano i portavoce di chi manovrava dietro le quinte: i misteriosi mandanti che avevano armato la mano dei sicari nelle due aggressioni narrate sopra[321] tempravano la penna dei giornalisti prezzolati. Da tutto ciò discende per lo storico una conclusione sola. Se nonostante la cura meticolosa di Don Bosco per iscansare la politica, si persistette tanto a lungo nel voler riguardare come politica la sua azione, che cosa sarebbe avvenuto qualora fin da principio egli non fosse andato così guardingo? A noi oggi, guardando ai risultati, è facile dargli lode di somma prudenza; ma l'essersi egli da sé tracciata così nettamente la via e l'averla percorsa [394] fino al termine senza incertezze anche di fronte ad aberrazioni di alti intelletti, fu merito sovrumano per un uomo che si proponeva di andare in tante cose a ritroso dalle tendenze del suo secolo.
Mancò alle feste un desideratissimo assente, il conte Carlo Reviglio della Venarìa, defunto nel 1881. Nelle svariate controversie, a cui fin dagli inizi diede luogo l'erezione della chiesa, egli aveva prestata a Don Bosco un'assistenza generosa e molto efficace. Appena terminato l'ottavario, il Servo di Dio dispose che si celebrasse per lui nella nuova chiesa, un funerale solenne, a cui con bella circolare invitò cooperatori e amici[322].
A glorificare la nuova casa di Dio furono chiamate da Don Bosco anche le lettere. Egli aveva in Don Lemoyne uno scrittore, che non era alle sue prime armi; a lui dunque ordinò d'illustrare il più largamente che fosse possibile la figura del titolare. Ne venne così un'opera assai originale e attraente, accessibile al popolo, ma di gradita lettura anche alle persone colte[323]. L'autore mette l'Apostolo in relazione con i luoghi, con i fatti contemporanei. con personaggi che dànno risalto alla sua nobile figura; il capitolo "San Giovanni Maria SS. e la via dolorosa" é bellissimo. Si occupa anche degli scritti, facendo gustare i tratti più squisiti del suo Vangelo, illustrando gli squarci più notevoli delle sue lettere e tentando persino una breve esposizione dell'Apocalisse, dove ritrae le prime lotte della Chiesa a esempio e incitamento dei cristiani odierni. E’ poi felice nel cogliere occasioni per ribattere in forma popolare gli errori del tempo contro la divinità di Gesù Cristo, della sua dottrina e della sua Chiesa. L'agilità dello stile contribuisce a far sì che questo libro non invecchi [395]
Dopo il Santo, la chiesa a lui dedicata. Di questa scrisse un'elegante monografia l'ingegnere Alberto Buffa[324], la quale, come il lavoro di Don Lemoyne, era già stampata e pronta per la consacrazione. Prima del tecnico parla lo storico narrando le vicende per cui dovette passare l'impresa e riepilogando le evoluzioni dell'architettura sacra; ma le parti più importanti sono quelle dove fa una minuta descrizione dell'edificio e di tutto quanto lo adorna, arrivando a questa sintesi finale: “In tutto l'insieme la chiesa di San Giovanni ha un'unione armonica nelle parti, un equilibrio generale nelle masse, una leggerezza, una precisione, una nobile semplicità, che la rendono tale da poter reggere vittoriosamente ad una critica anche severa. L'arte svelta e graziosa in essa trionfa, e levando l'anima del fedele al disopra delle terrene tristezze la guida nell'aere vivificante e puro dei pensieri soavi, delle idee immortali. Non é in essa bizzarro, fantastico e sovrabbondante accozzamento di ornati e di decorazioni, si ammira ne' suoi membri venustà e delicatezza. All'eleganza del pensiero ed alla purezza dell'arte rispose anche in modo lodevolissimo l'esecuzione d'ogni sua parte. In questa grande costruzione non fu in nessun modo, come purtroppo di frequente accade, sacrificata ai gretti pensieri di economia la convenienza dell'arte.”
Allorché nell'inverno del 1881 Don Bosco stava in procinto d'intraprendere il suo viaggio per Roma, scrisse da Alassio a Don Cagliero nella Spagna[325]: “Ho la testa che va in cimbalis”. Purtroppo non in cymbalis bene sonantibus [326] andava allora quella povera sua testa, stordita com'era da tanti discordi e frastornanti pensieri, nei quali solamente la sua santa imperturbabilità lo aiutava a raccapezzarsi. Nella ressa di tante cure gli attraversavano spesso la mente e gli davano travaglio le preoccupazioni per la chiesa del Sacro Cuore. Ormai il dado era tratto e l'impresa si doveva condurre a termine, costasse quel che volesse costare.
Ogni di più gli si faceva sentire il bisogno di danaro da inviarsi a Roma, senza però nulla distornare della beneficenza dalle altre opere che attendevano da lui i mezzi per sussistere o per essere portate a compimento. Fece dunque come quei pescatori che per assicurarsi buona preda gettano in mare lunghissime le reti. Nel gennaio del 1881 lanciò nel mondo per ogni direzione migliaia di circolari invocanti aiuto. Egli scrisse in italiano, ma si procurò subito buone traduzioni nelle lingue più largamente parlate. [397]
Movendo dal principio che le opere di religione fondate a Roma e promosse dal Papa devono interessare i Cristiani di tutto il mondo, all'universalità dei Cattolici si rivolse con la circolare stampata, redatta in italiano, francese e inglese. Questa lettera non é che il rimaneggiamento di un articolo, con cui il Bollettino Salesiano dello stesso mese dava comunicazione ai Cooperatori dell'incarico affidato dal Santo Padre a Don Bosco.
Della parte storica non diremo nulla, avendone già discorso a lungo nel volume quattordicesimo. E' notevole il modo tenuto nello specificare le opere da compiersi in Roma: “1° Una chiesa al Castro Pretorio sul monte Esquilino da consacrarsi al Sacro Cuore di Gesù, che debba pur servire di parrocchia ad una popolazione di dodici mila anime, e di monumento all'immortale Pio IX. L'ente giuridico parrocchiale é già costituito e riconosciuto dall'Autorità ecclesiastica e civile. 2° Un giardino di ricreazione, dove si possano raccogliere fanciulli specialmente nei giorni festivi, trattenerli con piacevoli trastulli dopo che abbiano adempiuti i loro religiosi doveri. 3° Scuole serali per gli operai più adulti. Questa classe di giovani, occupata lungo il giorno in faticosi lavori, spesso manca di mezzi per procacciarsi la conveniente istruzione, di cui avrebbe gran bisogno. 4° Scuole diurne per quei fanciulli, i quali a motivo della loro povertà o del loro abbandono, non sono in grado di frequentare le pubbliche scuole. 5° Un ospizio in cui siano istruiti nella scienza, nelle arti e ne' mestieri quei fanciulli, che vagano per le vie e per le piazze, a qualunque paese, città o nazione appartengano. Imperocché molti di costoro si recano in Roma colla fiducia di trovare lavoro e danaro, ma delusi nelle loro speranze cadono nella miseria, esposti al pericolo di mal fare, e per conseguenza di essere condotti a popolare le prigioni dello Stato. Questo ospizio dovrà essere capace di accogliere circa cinquecento poveri orfanelli sul modello dell'Oratorio di San Francesco di Sales già esistente in Torino.”[398]
Viene poi a determinare il modo di concorrere: “1° Si può concorrere con mezzi pecuniarii o con materiali per fabbricazione. 2° Ciascuno può venire in aiuto colla preghiera, e consigliando persone agiate a rendersi benefattori. 3° Tutti i Cooperatori sono pregati di far pervenire le loro oblazioni in Roma a Sua Eminenza Rev.ma il Signor Cardinale Raffaele Monaco La Valletta Vicario Generale di Sua Santità o al Sac. Dott. Francesco Dalmazzo (Torre de' Specchi N. 36 Roma); oppure al Sac. Giov. Bosco in Torino. 4° Saranno inviati ed autorizzati a raccogliere oblazioni alcuni sotto il nome di Collettori. Ma essi non dovranno recarsi a questuare come che sia senza essere muniti di uno scritto, in cui sia notato l'oggetto della questua, nome, cognome e qualità del Collettore, la firma del Sac. Giov. Bosco, col timbro portante le parole: Pia Societas Sancti Francisci Salesii[327]. 5° Senza questa formalità sono rispettosamente pregati gli Ecc.mi e Rev.mi Arcivescovi e Vescovi delle varie Diocesi e i molto Rev.di Signori Parroci, Curati o Rettori di chiese a volersi fare Collettori tra i fedeli Cristiani dimoranti nel distretto di loro rispettiva giurisdizione, d'inviare a qualcuno dei tre sopranominati quel denaro che avessero potuto raccogliere, e di favorire i così detti Collettori muniti del richiesto attestato.”
Enumera infine i vantaggi riserbati agli oblatori e Collettori: “1° Una speciale Benedizione del Santo Padre, che approva e raccomanda la pia impresa a tutti quelli che amano l'incremento della nostra santa Religione, il buon costume, il bene della gioventù e di tutta la civile Società. 2° Terminato il sacro edifizio e consacrato al divin culto, nel venerdì di ogni settimana sarà celebrata una Messa all'altar maggiore colla recita della corona del Sacro Cuore di Gesù e con altre particolari preghiere pei benefattori. 3° Il medesimo pio esercizio avrà luogo nella festa del Sacro Cuore di Gesù e di Maria, del SS. Natale, del SS. Sacramento e in [399] ciascuna festa dei Santi Apostoli. 4° A fine di prestare speciale ossequio all'Augusta Madre di Dio ed invocare la potente stia protezione sopra tutti i nostri benefattori, la sera di ciascun giorno si reciterà la terza parte del S. Rosario, si canteranno le Litanie Lauretane o l'Ave Maris stella, cui seguirà la benedizione col SS. Sacramento. La funzione sarà terminata coi De profundis ed Oremus analogo, o con un Pater, Ave e Requiem in suffragio dei benefattori defunti. 5° Queste celebrazioni di Messe, preghiere ed esercizi di cristiana pietà avranno luogo in perpetuo.”
Ai Collettori si distribuivano ampi moduli per segnare i nomi degli oblatori e l'ammontare delle loro oblazioni, unendovi un foglio a parte contenente otto norme dettate dalla più oculata prudenza.
A fine di agevolare l'opera dei Signori Collettori credonsi opportune alcune norme che si sottopongono alla prudenza dei medesimi:
1. Si ritenga che gli Ordinari diocesani, i Parroci, i Rettori di Parocchia sono tutti pregati ed invitati a far pervenire al dato indirizzo quelle somme che avessero a loro disposizione.
2. Vi sono poi i Collettori propriamente detti, i quali sono incaricati di raccogliere offerte ne' paesi e nelle città di loro dimora, o dove avessero a recarsi. Sono essi muniti di un Diploma che porta un bollo collo scritto: Pia Societas Salesiana e firmato dal Sac. GIO BOSCO[328].
3. E' bene che le oblazioni col nome e cognome degli Oblatori siano descritte nei modelli appositamente preparati, a meno che si desideri serbare l'anonimo. Questi modelli appena siano compiuti, col danaro raccolto saranno spediti a destinazione, e se ne invieranno altri muniti del medesimo timbro. Tali modelli saranno legati insieme per formare un glorioso volume da conservarsi nell'Archivio del Santuario a perpetua memoria di coloro che concorsero alla erezione di esso e pei quali si faranno in perpetuo preghiere quotidiane, come sta descritto nella circolare appositamente diramata.
4. I modelli, di cui sopra, porteranno il timbro di S. E. Reverendissima il Card. MONACO Vicario di S. S. LEONE XIII.
In fondo ad ogni colonna si farà l'addizione e nell'ultima si formerà il totale colla firma del Collettore. [400]
5. Siccome in questi nostri tempi non é tanto facile il trovare chi sia in grado e voglia offerire somme rilevanti, così verranno accettate con gratitudine tutte le piccole offerte anche di pochi centesimi. Si può presentare il modello alle Case di educazione, ai Collegi, Seminarii, invitando a concorrere, ma sempre col permesso esplicito dei rispettivi superiori.
7 Il modello può eziandio affidarsi a qualche parente, a qualche amico di famiglia od estraneo alla medesima, lasciandolo nelle loro mani alcuni giorni, affinché possano raccogliere oblazioni presso le persone di particolare conoscenza.
6. Quando s'invita taluno a fare oblazione si può fargli rilevare che colla sua carità promuove un'opera raccomandata, benedetta dal Sommo Pontefice; opera che ha per fine di aiutare la Chiesa a sostenere la religione; perciocché appunto in Roma, sull'Esquilino, accanto al nostro Sacro edifizio, si sono già pur troppo stabiliti i Protestanti che in mille modi fraudolenti minacciano il costume e la credenza degli adulti e dell'incauta gioventù.
Si noti pure che il Sacro Cuore di Gesù é fonte inesausta di grazie e di benedizioni e che ogni piccola offerta sarà da Lui largamente rimunerata.
L'Ospizio poi, l'Oratorio festivo, le scuole serali, le scuole diurne, essendo in favore dei giovanetti provenienti da qualunque parte del mondo, ne segue che ogni oblatore colla sua carità aiuta a migliorare la classe più pericolante e più pericolosa della civile Società e non pochi giovanetti potrebbero così essere tolti dal vestibolo, delle carceri, educati colla scienza e colla religione, istruiti in qualche arte o mestiere, per essere di poi ridonati alla civile società buoni cristiani, onesti cittadini, capaci di guadagnarsi onorato sostentamento colle loro fatiche. Si potrebbe anche rilevare l'obbligo stretto che ha ciascuno di fare limosina specialmente in questi tempi, in cui sonosi in cotante guise moltiplicati i bisogni; ma é meglio limitarci ad accennare i grandi favori che ci procacciamo per noi, per le nostre famiglie mentre viviamo in terra, e più ancora quando noi saremo da Dio chiamati alla vita eterna.
Molti anni dopo la nostra morte forse nessuno più si ricorderà di noi, ma nella Chiesa del S. Cuore, e nell'Ospizio annesso vi saranno dei fedeli Cristiani, vi saranno centinaia di fanciulli, che innalzeranno al cielo per noi la preghiera della riconoscenza.
7. Questa colletta essendo raccomandata alle autorità Civili ed Ecclesiastiche, e facendosi a nome del supremo Gerarca della Chiesa, si spera avrà l'appoggio ed il favore di tutti i buoni; tuttavia se taluna delle mentovate autorità si mostrasse contraria, il Collettore desista dalla questua in quel luogo sino a che ne abbia ottenuto il beneplacito.
8. I lavori progrediscono alacremente, ma temiamo che siano per mancarci i mezzi se la carità dei fedeli non ci viene efficacemente [401] in aiuto. Sono quindici mila franchi che ogni mese devonsi pagare ai soli operai; perciò ogni volta che il Collettore ha potuto mettere insieme qualche somma, almeno ogni tre mesi, la faccia pervenire all'Eminentissimo Cardinale MONACO Vicario di S. S. oppure al Sac. FRANCESCO DALMAZZO, Via Porta S. Lorenzo, 42, Roma, od al Sac. Gio. Bosco in Torino.
NB. Ogni spedizione di danaro, se non si hanno altri mezzi più sicuri, è bene di farla con vaglia postale o con lettera assicurata.
In fondo a queste norme si ricordavano le undici principali promesse fatte dal Divin Redentore per mezzo di Santa Margherita Alacoque a tutti coloro che promuovono il culto del suo Sacratissimo Cuore.
Né si arrestarono al fin qui detto le industrie di Don Bosco per sollecitare la carità del mondo. Egli diramò ancora un gruppo di circolari speciali in italiano agli Arcivescovi e Vescovi e ai giornalisti cattolici d'Italia, in latino a quelli esteri[329]. Monsignor Gastaldi gradì l'invito di Don Bosco ad aiutarlo, ma si scusò di non poter fare nulla. Sebbene le relazioni fra lui e il Beato corressero in quei giorni come i lettori conoscono, pure seppe rispondere con dignità[330].
Quanto egli stesso l'infaticabile Padre si adoprasse per il buon esito della grande colletta, ce lo dicono alcune righe da lui scritte a Don Dalmazzo. I moduli che dicevamo poc'anzi, erano stati stampati a Roma dopo la sua partenza. Ricevutane una parte pochi giorni dopo il suo ritorno a Torino, che fu il 16 maggio, non appena gl'incalzanti affari e le cento cure per le feste di Maria Ausiliatrice gli lasciarono [402] un po' di tempo libero, scrisse il 31 maggio al Procuratore: “E' il primo momento di respiro. Ho ricevuto i moduli; io me ne occupo seriamente. Dimmi se li mandi da Roma ai collettori di cui hai nome e indirizzo, oppure se debbo mandarli di qui. Sarà bene di unirvi una lettera a stampa, in cui si comunichi loro una speciale benedizione del Santo Padre, si dia notizia del progresso dei lavori, si raccomandi l'impresa e stante il bisogno, si preghi d'inviare quel tanto che per avventura avessero raccolto per la metà di luglio prossimo.”
Normalmente occorrevano quindicimila lire al mese per la paga degli operai e per ordinari acquisti; ma alla metà di luglio i lavori progredivano con sì grande fervore che l'architetto Francesco Vespignani credette bene avvisare Don Bosco che, andando avanti di quel passo, ci sarebbe presto voluto due volte tanto. Il Beato non si sgomentò; quindi fu lietissimo di annunziare ai Cooperatori nel suo resoconto del gennaio 1882 che le navate laterali erano già ai capitelli e la centrale toccava pure una considerevole altezza.
Sollecito del bene delle anime, egli aveva fatto ancor più, provvedendo all'erezione di una cappella abbastanza capace, che servisse intanto di chiesa parrocchiale ai seimila abitanti del quartiere. Il Cardinale Vicario la inaugurò al divin culto il 10 luglio, benedicendola e celebrandovi la Messa. Ben altra benedizione riceveva quel luogo tre giorni dopo. Scortata da compatto stuolo di fedeli oranti e angosciati, che nel cuor della notte l'avevano difesa contro ignobilissimi aggressori, passava là accanto prima dell'alba e moveva verso l'estrema dimora nella basilica di San Lorenzo fuori le mura, la salma venerata del grande Pontefice, alla memoria delle cui virtù s'intendeva consacrare il sorgente edifizio.
Dicevamo che Don Bosco non si sgomentò di fronte all'aggravarsi delle spese; ma egli non tentava neppure la Provvidenza. Infatti, annunziando al Cardinale Vicario una vistosa offerta, crede opportuno di far conoscere la sua attività [403] in procacciare soccorsi: “Nel prossimo mese di ottobre un sacerdote Lovatelli Pietro di Cerano diocesi di Novara ha promesso di mandate alla E. V. la somma di lire 10.000 per la chiesa del Sacro Cuore, e prego che nella sua grande bontà le voglia ritirare secondo il solito. Io lavoro incessantemente per trovar danari, e Dio ci favorisce e se ne trova, ma Don Dalmazzo me li spende tutti e non dice mai basta.” Oltre le circolari suddette, lo vediamo indirizzare suppliche individuali a persone facoltose, dalla cui carità, sollecitata a quel modo, poteva sperare maggior larghezza di sussidi. Questa letterina a Don Dalmazzo dice molto più che non esprimano le semplici parole.
Va tutto bene: Dio sia benedetto in tutte le cose. Io non perdo un istante; ma i lavori sono benedetti da Dio e coraggio. Io ho una serie d'imprese. Tra le altre é quella che ti unisco pel Card. Vicario. Leggi per tua norma e metti tutto in una busta e poi la affiderai alla protezione dell'Em.mo e noi pregheremo che riesca questa perché ve ne sono altre e poi altre.
Lavoriamo anche per mandarti preti e quattrini. Scriveremo presto, saluta i nostri amici e benefattori e credimi in G. C.
Il 10 luglio, scrivendo in Francia alla signorina Amalia Lacombe, fervida cooperatrice di Valenza[331], le aveva detto: “A nome del Santo Padre le mando un diploma di collettore per la chiesa che egli ci ha voluto affidare. Lascio in bianco il posto del nome, affinché Ella vi metta quello del suo parroco, se gli piacerà di accettare tale incombenza. Ma nel caso che il suo parroco non possa, bisogna che si ponga Lei a capo dell'impresa.” Altrettanto fece con altre signore francesi[332] e italiane. Così scrive alla contessa Callori verso la fine dello stesso mese.
(1) Sampierdarena, 14 settembre 1881. ??? [404]
Le accludo il diploma di collettrice e spero che il modulo di sottoscrizione sarà riempito di grosse e piccole oblazioni. Forse dove andrà potrà fare qualche cosa; se non in danaro, certamente avrà molto merito nelle mortificazioni che raccoglierà senza che siano sottoscritte.
Ella ama le missioni di Roma ed io godo assai perché ce n'é un gran bisogno, tanto più adesso che i protestanti hanno dato gagliardo assalto al Cattolicismo sul monte Esquilino. Mentre però alcuni dànno la borsa per la Patagonia di Roma, lasciamo che altri vadano ad esercitare il loro zelo e dare la vita pei numerosi selvaggi della veramente selvaggia Patagonia.
Dio la benedica, o benemerita Signora Contessa, Dio le dia sanità e santità in abbondanza e voglia anche pregare per questo poverello che le sarà sempre in G. C.
Pochi giorni innanzi erasi rivolto alla principessa Clotilde, figlia di Vittorio Emanuele II e consorte di Girolamo Bonaparte, la quale aveva la sua ordinaria dimora nel castello di Moncalieri.
Credo che V. A. R. I. abbia notizia come il S. Padre abbia affidato ai cooperatori Salesiani la costruzione della Chiesa e dell'Ospizio del Sacro Cuore in Roma. Io sono il principale questuante che a nome della medesima S. S. vo in cerca dei mezzi necessari che in realtà cominciano a mancare.
Per questo motivo mi fo ardito di ricorrere eziandio alla nota bontà di V. A. R. I. che nei limiti del possibile, non sa mai rifiutarsi ad opere di beneficenza. Ho poi un motivo speciale a sperare nel caso presente che trattasi di onorare il Sacro Cuore dì Gesù verso cui so che Ella porta una divozione tutta particolare.
Dalla circolare, che le unisco, potrà vie meglio conoscere la estensione e il pregio dell'opera. La costruzione tocca l'altezza di sei metri fuori terra.
Io mi servo del Sig. Can.co prevosto Ballesio antico mio allievo e al medesimo, se Le pare bene, Ella può fare quella risposta che la carità del suo cuore sarà per inspirarle. Dal canto mio posso assicurarla che in mezzo alle passate vicende ho sempre raccomandato V. A. e tutta l'augusta sua famiglia nelle comuni e private nostre preghiere; e prometto che faremo altrettanto in avvenire unitamente ai nostri 80.000 giovanetti che la Divina Provvidenza raccolse nelle nostre case.[405]
Dio la benedica, o pia e degna principessa della stirpe sabauda. Dio conservi in buona salute e nella sua santa grazia Lei e tutta la sua figliuolanza e mi permetta che colla massima venerazione abbia l'alto onore di potermi umilmente professare
Sebbene ci manchino documenti atti a provalo, pure noi riteniamo che la “santa di Moncalieri”, come la chiamava il popolo per le sue virtù e beneficenze, abbia segretamente e fors'anche sott'altro nome fatto pervenire al Beato l'obolo della sua carità. Le due sante anime non s'incontrarono mai su questa terra. Negli ultimi anni della vita di Don Bosco la Principessa desiderava ardentemente un incontro; ma l'etichetta di Corte non le permetteva di andare da lui e gli acciacchi e i riguardi impedivano al medesimo di recarsi a Moncalieri. Finalmente per mezzo del canonico Ballesio si era ben combinato che la Clotilde un mattino sarebbe venuta nella sacrestia di Maria Ausiliatrice, dove il Servo di Dio l'avrebbe attesa; ma questi poco dopo l'accordo si mise a letto per non più alzarsi.
Non dimenticò il conte di Chambord, che gli fece tenere prima cento e poi cinquecento franchi[333]. Trattandosi di opera estranea alla Francia, non é da stupire che egli si limitasse a quel poco[334].
Nei collegi salesiani i Confratelli si sottoponevano a veri sacrifizi per rispondere agli appelli di Don Bosco, mandandogli i loro risparmi. Così a Randazzo maestri e professori, secondando la proposta di Don Guidazio, si acconciarono volentieri ad assistere i propri alunni nelle rispettive classi, per lasciar libera la sala di studio e adibirla a dormitorio, sicché, rendendosi possibile accettare quattordici convittori [406]
di più, avanzasse alla fine dell'anno qualche maggior gruzzolo da spedire all'amato Padre.
Nonostante le sue industrie, il Beato s'avvide che fra breve i mezzi non sarebbero più stati sufficienti; per la qual cosa stimò giunto il momento di attuare un disegno da tempo vagheggiato, d'inviare cioè suoi sacerdoti a collettare dove ci fosse speranza d'incontrare buone accoglienze. Con questo incarico nella seconda metà di agosto del 1881 partirono da Torino Don Pietro Pozzan e Don Stefano Febbraro, che per più d'un mese percorsero quasi tutto il Trentino. Prima però che si mettessero in viaggio, Don Bosco aveva dato avviso del loro arrivo a quanti gli era parso opportuno con una sua lettera litografata e redatta in modo che avesse l'aria di una comunicazione personale.
Ho la grande consolazione di partecipare alla S. V. B. che i lavori per la Chiesa e dell'Ospizio del Sacro Cuore in Roma procedono alacremente e che l'elevatezza dell'edifizio supera già i sei metri sopra terra. Ben i 60 operai sono ivi applicati la cui mano d'opera monta alla somma di 15.000 lire mensili Tale dispendio é grave ma necessario; perciò ci siamo determinati di ricorrere al mezzo eccezionale di una questua presso ad alcuni dei nostri più benemeriti cooperatori. Pertanto colla benedizione del Santo Padre abbiamo deciso d'inviare il nostro Sacerdote Don Pietro Pozzan presso della S. V. e nutriamo viva fiducia che dalla sua carità potrà ottenere favori e protezione. A tale uopo dopo la metà di questo mese, coll'aiuto del Signore egli si recherà a farle visita, munito di una nostra lettera che lo accredita presso tutti coloro che la Divina Provvidenza avesse messo in grado di venirci in aiuto.
Intanto noi la preghiamo umilmente a voler accogliere con benevolenza questo nostro incaricato e coadiuvarlo presso quelle persone amiche da Lei conosciute, che amano il bene della Religione e della civile società.
Dio la benedica e la rimeriti largamente della sua beneficenza, mentre con gratitudine particolare ho l'onore di potermi professare
P.S. Il Sac. Pozzan é Direttore dell'Oratorio festivo di S. Francesco di Sales e Capo d'ufficio del Bollettino Salesiano.[407]
Finalmente munì i suoi inviati d'una lettera di presentazione per il Vescovo di Trento, che era monsignor Giovanni Giacomo della Bona.
Per secondare i venerati voleri di S. S. Leone XIII si é deliberata una questua presso ai nostri Cooperatori Salesiani a fine di raccogliere i mezzi necessari a far proseguire i lavori della chiesa e dell'ospizio del Sacro Cuore di Gesù sull'Esquilino in Roma.
A tale uopo mando nell'Archidiocesi Tridentina due Professori, Sac. Don Pietro Pozzan e il Sac. Stefano Febbraro, affinché si presentino alla E. V. R.ma con preghiera di volerli benedire e loro accordare il beneplacito di fare tale questua, prestando protezione, ove ne fosse mestieri.
Trattandosi di un'opera caldamente raccomandata e promossa dal S. Padre, ho fiducia che vorrà eziandio raccomandarli con qualche sua autorevole parola presso a coloro che saranno in grado di venirci in aiuto.
Spero che qualche buona ventura disporrà che la E. V. abbia a venire ne' nostri paesi, e quindi possiamo avere il grande onore e la specialissima consolazione di poterla ricevere tra noi in Torino.
Assicurando la E. V. della mia più sentita e profonda gratitudine, ho l'alto onore di potermi professare
Questuarono nelle case e nelle chiese con buoni risultati[335], tanto che Don Bosco volle manifestare la propria riconoscenza con una lettera stampata di ringraziamento[336]; anzi l'esito lusinghiero del primo esperimento lo indusse a far intraprendere nel seguente anno un'altra simile escursione per tutto il Veneto, affidandola ai medesimi del Tirolo.
Durante questo secondo giro, Don Pozzan quando mandava i frutti delle loro raccolte, non poteva trattenersi dal parlare del gran conto in che gli abitanti di quella regione [408] tenevano Don Bosco. “Questi vispi veneziani, scriveva il 29 agosto da Longarone, conoscono Don Bosco come un loro cittadino e non si saziano di sentirci contare della sua vita e delle opere di carità che va compiendo.” E il 10 settembre da Udine, dopo aver percorso parte delle diocesi di Céneda, di Feltre e Belluno, peregrinando per quasi tutto il Cadore, la Carnia e l'alto Friuli: “L'accoglienza fu, grazie a Dio, dappertutto cordialissima e le offerte raccolte, avuto riguardo alle miserie, locali, soddisfacenti […]. Ella non si dimentichi di noi, che sebbene lontani l'abbiamo sempre nel cuore e sulle labbra. Preghi anche per tanti suoi amici affettuosissimi, che mi commettono tante cose per Lei.” In ultimo il 24 settembre da Spilimbergo del Friuli: “Tutti parlano con grande effusione di Don Bosco e delle opere salesiane.”
Tanta venerazione per il Servo di Dio ci spiega la generosità di cui diedero prova quelle buone genti in circostanze singolarmente critiche; poiché proprio in quei giorni disastrose inondazioni avevano allagato campagne e città nel Veneto, nel Piemonte e nella Liguria.
Tratti visibili della Provvidenza intervennero pure a confortare il Beato. Per non oltrepassare il periodo di cui ci occupiamo, ne riferiremo due soli. Nel settembre del 1881 fu a Don Bosco necessario contrarre un mutuo per lire ventimila; se non che il mutuante, caduto all'improvviso in bisogno, esigeva dopo appena due mesi la restituzione della somma. Il Servo di Dio si trovò in un bell'imbarazzo, né sapeva proprio dove dare del capo, quand'ecco giungergli insieme due lettere, piovute quasi dal cielo. Una veniva dalla Repubblica Argentina. Don Tomatis, Direttore del collegio di S. Nicolas, vi aveva acclusa una cambiale di 60.500 pesos, equivalenti a 12.293 franchi in oro. Era un'offerta per la chiesa del Sacro Cuore ammassata da sedici agricoltori italiani colà residenti. Nell'altra lettera, datata da Cerano nel novarese, il parroco Don Pietro Lovatelli metteva a disposizione di Don Bosco per il medesimo scopo le lire diecimila, [409] delle quali si é fatto menzione qui sopra. A Don Tomatis, dopoché per mezzo di Don Dalmazzo ebbe fatto giungere all'orecchio del Papa la generosità degli oblatori d'America, espresse tutta la sua riconoscenza con una lettera più lunga del consueto.
Ho ricevuto la bella offerta di 12.300 lire che i nostri fervorosi Cooperatori di S. Nicolas hanno inviato in Italia per continuare i lavori della chiesa e dell'ospizio del Sacro Cuore in Roma. Un'offerta così generosa fatta da cristiani patriotti che dimorano tanto lontano da noi, meritava certamente che io ne facessi relazione al S. Padre che appunto affidò e raccomandò tali edifizi allo zelo dei Cooperatori Salesiani.
Sua Santità ne ascoltò con gran piacere il racconto, ne lodò la somma offerta, la carità degli oblatori e in fine conchiuse così: Ringraziate que' miei buoni e cari figliuoli della Chiesa Cattolica io benedico essi, le loro famiglie, i loro interessi e a tutti concedo una plenaria indulgenza da lucrarsi in quel giorno in cui faranno la loro santa Comunione.
Io sono assai lieto di poter comunicare questi benevoli pensieri del Sommo Pontefice a codesti nostri amici e cooperatori ed io sono certo che il Sacro Cuore di Gesù, che é sorgente inesauribile di grazie e di favori, darà il centuplo ai medesimi nella vita presente, come é di fede, e il vero premio nella vita futura.
Se mai qualcuno di questi benemeriti oblatori venisse in Italia, io li pregherei di venire nelle case Salesiane come a casa loro propria.
Fa' loro da parte mia un cordialissimo saluto e raccomandandomi alle valide loro preghiere io non li dimenticherò nel celebrare la Santa Messa.
Dirai a Graziano che mi piacque assai la sua ultima lettera come pure quella di Don Rabagliati. Ad essi e ad altri risponderò quanto prima.
Don Lasagna perfettamente guarito é partito di nuovo per Montevideo. La sua pietà, il suo zelo ci ha veramente edificati. I Salesiani d'Italia, di Francia, di Spagna per mio mezzo vi mandano un fraterno saluto e si raccomandano alle vostre preghiere. Un augurio tutto speciale di celesti benedizioni farai a Mons. Ceccarelli.
La grazia di N. S. G. C. sia sempre con voi e prega per me che ti sono ne' Sacri Cuori di G. e di M.
Nell'aprile del medesimo anno, trovandosi Don Bosco a Roma, il parroco Don Dalmazzo doveva entro la giornata fare un pagamento di lire cinquemila all'impresario. Riusciti vani tutti i tentativi per procurarsi tale somma e presentatosi più volte da Don Bosco per vedere se l'avesse, ecco giungere dalla Francia all'indirizzo del Beato una lettera assicurata con la dichiarazione sia nell'esterno che nell'interno di quattromila lire. Apertala, invece di quattromila se ne trovarono cinquemila; del che facendosi da Don Berto le meraviglie, Don Bosco disse: - Don Dalmazzo ne aveva bisogno di cinquemila, ed ecco perché invece di quattro ve ne sono cinquemila[337].
Ben a ragione, e i fatti ne offriranno prove molteplici, Leone XIII, parlando di lui e della chiesa del Sacro Cuore con l'Arcivescovo di Messina[338], esclamò: - E’ un uomo provvidenziale! - Uomo provvidenziale, sì, ma che andava incontro alla Provvidenza, non trascurando dal canto suo i mezzi umani. Anche questa lettera del 1881 ce lo dipinge al vivo nell'atto di applicare l'ingegno e le forze ad aiutarsi perché il Cielo l'aiuti.
Cominciamo dal n. 1 [339] per non confondere la povera testa.
1° Non ho più moduli; perciò é bene di farne stampare, timbrare e poi mandarne, altrimenti é tutto fermo. Ma procura che ogni modulo porti in capo di pagina: Offerte Per la Chiesa etc.
2° Procura che se ne faccia la stampa in francese, di cui ne sono richiesto e non posso provvedere.
3° Il conte De Roubion di Nizza tiene pronti e ti manderà fr. 2500 per la sua colonna. Gli scriverai due linee di ringraziamento.
4° Il sig. Don Lovatelli Pietro parroco di Cerano, ma che sarà quanto prima Salesiano, per lo stesso oggetto offre fr. 10.000 di cui 8.000 ad ottobre, gli altri a novembre. E' bene di prevenire il Sig. Card. Vicario cui probabilmente il danaro sarà indirizzato. [411]
5° Don Pozzan questua nel Tirolo. Ha già raccolto due mila fr. e continua. In altri siti si lavora e Dio ci benedice assai, ringraziamolo di cuore.
6° Quando sono partito da Roma ho smarrito la nota dei Collettori e di coloro che si assunsero delle colonne; se puoi, e se ne hai copia, fammela mandare, affinché io possa progredire il mio lavoro specialmente in Francia.
7° Credo che ti abbia scritto o fatto scrivere che di buon grado sarò o forse che già io sia padrino[340].
8° Dobbiamo prepararti o mandarti preti? Don Biondolillo ci andrebbe volentieri. Don Rossetti Prevosto egualmente, come pure Don Valimberti, etc. Dimmene qualche cosa.
9° Dimmi eziandio se in mezzo a' tuoi lavori puoi ancora respirare e che io possa fare per sollevarti.
10° Dimani parto di qui per Sampierdarena, ove rimarrò otto giorni[341].
Precedentemente da Alassio[342] gli aveva raccomandato di preparare il terreno per veder di ottenere sussidi dal .Municipio di Roma, dai Ministeri delle Finanze, dell'Interno, di Grazia e Giustizia e dall'Economato. Che cosa facesse Don Dalmazzo non ci é noto; le seguenti rapide istruzioni di data incerta gliene tracciavano la via.
Passare all'Ordine Mauriziano e dire a S. E. Correnti che i suoi ordini saranno eseguiti, e che si leggano la lettera e i due promemoria.
Presso a poco alla memoria [= in modo quasi conforme alla memoria] pel Ministero delle Finanze, che gli sarà pure mandata, si mandi o porti [una memoria]1° [Al] Signor Conte Visone, Ministro della Casa del Re, notando che la nostra Istituzione fu sempre favorita o piuttosto fondata da' suoi antenati [cioé del Re] etc.
2° Quasi lo stesso a Grazia e Giustizia rilevando la parrocchia costituita etc.
3° Al Ministro dell'Interno rilevando lo scopo dei ragazzi poveri ed abbandonati. [412]
4° Ai Lavori Pubblici, che ci diede in passato sussidii e favori pei ragazzi istruiti o ricoverati, ma appartenenti specialmente alle famiglie imp[iegati] nelle Ferrovie dello Stato.
5° Al Municipio che cotanto ama il bene del popolo e de' poveri fanciulli. March. Francesco Vitelleschi accompagnerà Don Dalmazzo dal Sindaco.
6° Se si può avere qualcuno che accompagni al Ministro Pubblica Istruzione rilevando specialmente le cose delle scuole.
Il registro delle offerte pervenute a Roma non elenca molte oblazioni che arrivino al migliaio di lire, meno assai che lo sorpassino; anche le somme racimolate dai collettori raggiungono al massimo le poche centinaia. Quante invece e là e a Torino sono le lirette, che rappresentano economie di ecclesiastici e laici dal cuore largo, ma dalla borsa ristretta! E per meglio risvegliare questa carità del popolo Don Bosco fece unire al Bollettino del marzo 1882 una silografia della chiesa su d'un foglio grande da potersi staccare e tenere esposto entro casa o in vetrine di negozi, sicché parlasse agli occhi di quanti la vedevano.
A comune edificazione e a perenne testimonianza di gratitudine dobbiamo registrare un fatto che altamente onora un grande Istituto religioso. Il Superiore Generale dei Fratelli delle Scuole Cristiane, Fratello Irlide, in data 3 gennaio 1882, diramò da Parigi alle case una circolare in cui, raccomandato di raddoppiare la pietà e la mortificazione durante i mesi della Santa Infanzia, di San Giuseppe, di Maria e del Sacro Cuore, proponeva che, affinché preghiere, privazioni e digiuni tornassero più accetti a Dio, si consacrassero le risultanti economie pecuniarie all'erezione o alla decorazione della chiesa del Sacro Cuore in Roma. Un riguardo alla chiesa ché per voto nazionale s'innalzava al medesimo Divin Cuore in Parigi, aveva consigliato di non fare appello alla generosità dei cattolici francesi per quella di Roma. “Ma noi crediamo, soggiungeva il prefato Superiore, che il nostro Istituto, sparso in tutte le parti del mondo e specialmente consacrato al Sacro Cuore di Gesù, debba [413] fare per l'erigenda chiesa di Roma quello che ha già fatto in favore della chiesa di Montmartre, cioé: offrire a tal fine il frutto di privazioni impostesi dai nostri cari Fratelli in una o due refezioni alla settimana per tutto un anno e raccogliere, specialmente nei convitti, ciò che gli allievi vorranno risparmiare sui loro minuti piaceri per destinarlo al medesimo scopo. Tutte queste somme, che noi faremo pervenire a Roma patrocineranno presso l'adorabile e misericordioso Cuore di Gesù gl'interessi dell'Istituto e quelli delle case oblatrici. Evidentemente tali intersecessioni saranno tanto più efficaci, quanto più generosi sacrifizi i Fratelli si saranno imposti.” Le somme, riunite in Roma dal Procuratore Generale, formarono il bel totale di ventimila franchi, che furono dal successore del defunto fratello Irlide portati personalmente a Don Bosco il 15 febbraio 1885[343].
Graziosa fra tutte é la storia di una elemosina. L'Arcivescovo di Catania monsignor Giuseppe Benedetto Dusmet, poi Cardinale, bisognandogli per il suo seminario alcune composizioni musicali di Don Cagliero, ne fece richiesta direttamente a Don Bosco, domandando la relativa nota per soddisfarla. Don Bosco diede l'incarico della spedizione allo stesso autore, che sul conto facetamente scriveva: “L'importo della musica é di lire 14,75. Nella cifra si vede bensì una virgoletta, ma questa nel totale si può anche riguardare come inutile e fuor di posto.” Al che santamente il Prelato rispose[344]: “Accetto come una voce del Cielo l'osservazione di V. S. sulla virgoletta inutile e fuori posto nel totale. Perciò spedisco 14 lire in estinzione del mio debito verso la Libreria Salesiana, conforme risulta dalla lista che rimando; ed aggiungo 1400 lire senza virgoletta, da servire a Don Bosco per la fabbrica della nuova chiesa del Sacro Cuore di Gesù in [414] Roma. Quest'ultima somma io aveva raccolto a spilluzzico, risparmiando qua e là, coll'intendimento d'impiegarla in un'opera pia, che ho intrapresa, e non ancora compiuta. Ma la virgoletta fuori posto mi ha fatto mutare avviso, perché mi ha ricondotto alla memoria la nota sentenza: Qui cito dat, bis dat[345]. Don Bosco adunque riceva con buon viso l'umile mia offerta, e me ne ricambi con una fervorosa preghiera a quell'adorabile Cuore, che tanto ci amò e ci ama. Rispetto a Lei, Ella si contenti del 14,00 colla virgola, la quale resterà celebre negli annali delle finanze salesiane.” Il buon esempio fatto conoscere dal Bollettino senza indicazione di nome fruttò, invogliando lettori di varie parti a imitarlo con l'inviare a Don Bosco somme destinate a opere da compiersi in altro tempo[346].
Ma le difficoltà al proseguimento dei lavori non erano soltanto di ordine finanziario. Infinite noie intralciarono l'impresa per causa della vecchia Commissione presieduta dal marchese Mereghi[347]. Bisognava sciogliere i contratti anteriori che recavano la sua firma, e liquidare il passato, ma gl'interessati accampavano diritti e pretese esorbitanti. Il presidente stesso, considerando i Salesiani quali intrusi, li denunziava alle autorità ecclesiastiche come gente intrattabile e disonesta. Intorno a lui si era formata contro i nostri una coalizione degli scalpellini e marmisti, pronti a tutti gli eccessi; più accanitamente però infieriva l'impresario, che esigeva un compenso esagerato dell'opera sua, minacciando di adire le vie giudiziarie. L'architetto pendeva piuttosto dalla parte de' suoi aiutanti e lavoratori. C'era purtroppo motivo di credere che aizzassero quest'ultimo relazioni fattegli da chi aveva il suo tornaconto a creare diffidenze e a mettere incagli alla sollecita prosecuzione dei lavori. Don [415]
Bosco, recatosi a Roma nella primavera del 1882, erasi adoprato a chiarire gli esistenti malintesi e a impedire che ne nascessero di nuovi, come ce ne fa fede questa sua lettera; ma, come appare da un'altra che riportiamo qui sotto, l'architetto dopo un primo colloquio evitava d'incontrarlo. Non si voleva riconoscere i Salesiani per proprietari.
Illustrissimo Sig. Conte Vespignani Architetto,
Dopo il colloquio che ho avuto l'onore di tener colla S. V. Ill.ma ho seguito quanto Ella stessa mi disse, ed ho invitato una persona dell'arte a dare una occhiata sulle note e sui nostri lavori già eseguiti, confrontandoli col Capitolato. Furono fatte osservazioni di qualche rilievo che desidero le siano comunicate. Siccome io debbo partire, perché chiamato da affari in Torino, così io dò formale incarico ai due miei sacerdoti Francesco Dalmazzo, Parroco e Curato della Chiesa del Sacro Cuore di Gesù, ed al Sac. Savio Angelo di fare le mie veci. Tutto quello che essi faranno sarà da me approvato.
Dal canto mio desidero e mi raccomando che ogni vertenza venga appianata da buoni amici fuori dei tribunali civili, rimettendoci a persona perita di reciproca confidenza. Affinché poi siano in avvenire tolte le cagioni di male intelligenze, mi paiono necessarie due cose da stabilirsi;
1° Regolare il passato da non doverci più rivenire sopra per intenderci o discutere.
2° Stabilire dei principii e delle basi chiare e perciò presentare i disegni ed un capitolato preciso coi prezzi relativi a ciascun capo di lavoro. Per evitare poi i danni e le conseguenze del ritardo nei lavori, si dovrà immediatamente ripigliare la costruzione della Chiesa per non perdere le attuali giornate che sono le più propizie dell'anno per le opere di costruzioni.
Prego che ogni cosa sia sempre trattata e fatta nel modo che può tornare più utile al bene spirituale delle anime nostre e della maggior gloria di Dio.
La “persona dell'arte” invitata da Don Bosco a esaminare le vertenze era l'ingegnere architetto G. Squarcina, deputato al Parlamento. Questi, scrivendogli sulle norme da lui esposte nella lettera al Vespignani, le giudicò dettate [416] “con vero tatto amministrativo e con molta saviezza” e soggiungeva: “Mi pare che il tempo passi in futili discussioni e aspettative, mentre l'opera per se stessa reclama sollecitudine, anche sotto il punto di vista religioso, anzi per questo principalmente”[348]. Parole che dicono chiaramente da sé, come il cantiere fosse chiuso in attesa che s'arrivasse ad una soddisfacente soluzione; infatti dal 17 giugno i lavori erano completamente sospesi. Fu tenuto un congresso dal Cardinale Vicario presente il marchese Patrizi, il conte Vespignani, l'impresario Andolfi, Don Dalmazzo e Don Savio. L'architetto diede le dimissioni da amministratore, che furono accettate da Sua Eminenza, e questo veniva ad agevolare lo scioglimento definitivo della ingombrante Commissione; ma l'Andolfì non volle sapere di piegarsi a dipendere da Don Savio. Si temeva dunque di dover ricorrere a una lite. Un altro imbarazzo era che il Cardinale non si decideva a mettere le cose nelle mani dei Salesiani: un po' sembrava per essi, un po' per la Commissione. Non vedeva poi di buon occhio l'assunzione dello Squarcina, ritenendo che egli, perché deputato, avrebbe sempre dato torto ai Romani. Intanto si buccinava che i Salesiani avessero fatto bancarotta. Insomma, secondo l'espressione di Don Dalmazzo, Roma era un osso duro[349].
Mentre l'onorevole Squarcina lavorava a questo scopo, l'opposizione si acuiva sempre più, né le relazioni di Don Savio davano adito a sperare prossima la fine. In luglio il Beato, preoccupandosi perché fosse una buona volta rispettata l'autorità de' suoi rappresentanti, scrisse con molta finezza al Cardinale Vicario:
Don Savio mi manda copia delle vertenze sulla costruzione della Chiesa del S. Cuore; vedo che si vorrebbero complicare le cose, e non riconoscere alcuna autorità, nemmeno il Curato Dalmazzo. Io mi riservo di scrivere a Don Savio che Le presenterà il mio scritto. Ma [417] per dare un avviamento alle cose credo indispensabile che V. E. si metta fuori dei disturbi, e rimetta ogni vertenza al Curato che deve cercare danaro e pagare. Io voleva provare un aggiustamento; ho scritto due lettere al Sig. Conte Vespignani, ma né venne, né mi fece alcuna risposta che attendeva in Roma,
Io desidero che i lavori progrediscano, fo degli sforzi incredibili per trovare danaro; ma se le cose vanno così, quando si vedrà la Chiesa finita?
Spero che la mia vista mi permetterà di poterle scrivere quanto prima.
Mi benedica e mi permetta di professarmi colla massima venerazione
Lo scritto da presentare al Cardinale doveva essere compilato a Roma da Don Dalmazzo e da Don Savio e poi spedito a Torino per la revisione; ma non ne abbiamo trovato né copia né minuta. C'é invece nel nostro archivio la minuta della seguente lettera indirizzata il giorno dopo a Don Savio.
Ho scritto una lettera al Card. Vicario in cui lo prego di lasciare ogni vertenza nelle mani del Curato e di te; e che fino a quando non si arrendano a conoscerci per proprietarii, cagioneremo disturbi a lui e non faremo niente. Ora d'accordo con Don Dalmazzo fate una risposta al Card. Vicario, ma prima di mandargliela speditemela; io la leggerò e poi ve la rimetterò tostamente. Ho corretto alcuni punti nella fatta esposizione e poi mi accorsi che era già stata nelle mani del prelodato Sig. Card. Vicario.
Si perde tempo e danaro e si va incontro a dispiaceri. Noi siamo forestieri e perciò...
Dio ci benedica tutti. Saluta i nostri Confratelli e credimi in G. C.
PS. Puoi consultare qualche Avv.
Don Bosco nutriva fiducia che così i litigi si venissero componendo, sicché nulla più impedisse di rimettere mano all'opera; si comprende perciò la santa impazienza con cui [418] il 29 luglio scriveva a Don Dalmazzo: “Siamo privi di notizie. Dimmi dunque o fammi dire: come vanno le cose della chiesa del Sacro Cuore? Si ripigliarono o si possono ripigliare i lavori? Posso di qui fare qualche cosa? Ci sono ancora danari? Continuano lettere chargée ou recommandée? […]Saluta Don Savio, e digli che non faccia corbellerie, e che conduca la chiesa al suo termine a dispetto di tutte le unghiate che ci dà Satanasso.”
La tranquillità che spira dalle ultime righe, diventa ammirevole nel seguito della lettera, dove, toccato con pacatezza di due altri argomenti assai fastidiosi, il primo su pratiche riguardanti i privilegi e il secondo sull'Arcivescovo di Torino, continua: “Fu qui avanti ieri tuo fratello, che diede buone notizie della sua piccola famiglia e di tua madre. Martedì comincia l'azienda degli esercizi spirituali, che continuerà fino ai Santi. Altro ti scriveranno altri. Fa' un cordialissimo saluto a tutti i nostri confratelli. Pregate per me.”
Nonostante il vivo desiderio di Don Bosco che si ricominciasse presto a lavorare, passò l'estate, s'inoltrava l'autunno e si era sempre allo statu quo. Don Dalmazzo, venuto in ottobre a Torino per gli esercizi spirituali, trovò al ritorno la matassa più intricata che mai[350]. Al riaffacciarsi dell'inverno, il 6 dicembre Don Bosco gli scriveva: “Che non ci sia mezzo per terminare la vertenza nostra coll'impresario? Fra te e Don Savio in camera caritatis forse potrete far qualche cosa.” E di nuovo il 18, sempre pacatamente, benché tanto contrariato: “Ti auguro e teco auguro a tutti ogni felicità spirituale e temporale. Procura di comunicare a tutti i Salesiani i miei augurii e le mie raccomandazioni, che sono osservanza esatta della povertà, castità, obbedienza, con cui ci siamo consacrati al Signore. Per noi sarà un bel giorno, quando avremo la carità che regni perfettamente tra noi, che saranno sistemati gli affari coll'impresario, e potremo [419] ripigliare i nostri lavori del Sacro Cuore di Gesù. La lotteria dorme? Prepara di lì, che di qui ti daremo mano.” Ecco un altro dei soliti espedienti a cui ricorreva il Beato per radunare i mezzi necessari alle sue imprese: neanche a Roma egli volle trascurar di concertare una lotteria. Allora però la prudenza consigliava di fare i preparativi alla sordina, perché giravano molte collette a favore dei danneggiati dalle gravi inondazioni dell'alta Italia. Della lotteria romana e delle sue peripezie ragioneremo più opportunamente in uno dei prossimi volumi.
Si uscì finalmente da quel ginepraio sul principio del nuovo anno. Il primo gran passo fu quando dal conte Vespignani venne presentata la liquidazione di tutto il lavoro dell'impresario: s'andava a circa quarantamila lire. Don Savio, come rappresentante di Don Bosco, stabilì di effettuare subito il pagamento senza muovere osservazione, sia per agevolare il ritiro di quell'uomo, sia perché non la si sarebbe finita più. Don Dalmazzo ne diede premurosamente contezza al Beato, come “di cosa desideratissima”[351].
Quest'atto spianò la via a sciogliere definitivamente il vecchio contratto, la qual cosa si fece con scrittura legale firmata da ambe le parti il 6 febbraio. Quindi i rappresentanti di Don Bosco comprarono tutti gli attrezzi, legnami, steccati, materiali esistenti, saldando pure quanto ancora si doveva per la casa d'abitazione e per la cappella, e s'entrò in libero possesso di tutto. Tolto poi di mezzo l'imbroglio dell'antico contratto, fu facile rompere le varie camorre ordite quando la passata commissione, anziché fare il proprio dovere, lasciava che altri facesse il comodaccio suo, come si dice a Roma[352]. Cosicché, cessato il gelo di quel crudo inverno, gli operai poterono rimettersi al lavoro.
Si lavorava a tutto potere anche per riguadagnare il tempo perduto, quando nel buon dell'estate un incaglio [420] inatteso minacciò di arrecare un rallentamento. Ne parliamo qui, sebbene la cosa appartenga al 1883. L'architetto Vespignani, troppo accessibile forse a male insinuazioni d'intriganti, declinò all'improvviso l'incarico di dirigere più oltre la costruzione, notificando il suo rifiuto al Cardinale Vicario. Il Cardinale naturalmente volle che mettesse in iscritto le ragioni che ve l'avevano indotto. Egli ne allegò cinque: 1° Variazioni arbitrarie nelle dimensioni di alcuni muri e di alcune volte; 2° novità arbitrariamente introdotte e senza le necessarie cautele; 3° pretesa di disegni per gli ulteriori lavori; 4° falsa supposizione ch'ei volesse decorazioni superflue e troppo dispendiose; 5° proposito mal celato di sbarazzarsi della sua persona.
Il Cardinale, avuto il foglio, lo rimise a Don Dalmazzo, il quale, non sapendo bene che cosa rispondere oppure volendo per ogni buon fine mettersi d'accordo con Sua Eminenza, ne richiese il consiglio sul da farsi. Sua Eminenza, invece di consigliare, si riprese la lettera del Vespignani e la inviò a Don Bosco, accompagnandola asciuttamente con questa postilla: “Il sig. Curato Don Dalmazzo Francesco mi scrive che cosa si può rispondere e quale assicurazione può darsi al sig. Architetto che le sue prescrizioni saranno adempite.” Don Bosco ordinò anzitutto a Don Dalmazzo che mettesse in carta il suo modo di vedere sui singoli addebiti dell'architetto e mandasse le sue osservazioni a Torino. Il Procuratore obbedì[353]; quindi Don Bosco scrisse così al Cardinale:
Io desiderava che il Sig. Conte Vespignani non si fosse indirizzato alla E. V. per la costruzione della chiesa del Sacro Cuore di Gesù, e ciò per non aggiungere occupazione ad altre occupazioni innumerevoli che esauriscono tutto il suo prezioso tempo. Ma veduta la sua postilla dietro lettera dell'Ingegnere ho dovuto mandare ogni cosa a Roma per avere le osservazioni esatte sullo stato delle cose, come sta qui [421] unito. La vertenza sarà sempre basata sulla diversità di pratica. Tra noi l'ingegnere dà i disegni compiuti, e l'impresario si aggiusta col proprietario che paga ed é risponsale. Costà non si possono avere i disegni, quindi nemmeno dare i lavori al migliore offerente.
Pare però adesso che in qualche modo e con maggiori sacrifizi i lavori progrediscano: e sia così. Io fo tutti gli sforzi per mettere insieme danaro e mandarlo a Don Dalmazzo per gli opportuni pagamenti. Ho piena fiducia, coll'aiuto di V. E., che il danaro non ci mancherà più e che l'opera potrà progredire alacremente.
Noi continuiamo a pregare per la E. V. e preghiamo che Dio lungo tempo lo conservi al bene di S. Chiesa ed a fare una maestosa funzione nella consacrazione della nostra chiesa o meglio della sua chiesa di Roma.
Voglia dare la sua S. Benedizione al povero scrivente e a tutti i Salesiani mentre a nome di tutti ho l'alto onore di potermi professare colla più profonda venerazione e stima
Don Bosco aveva messo destramente il dito sulla piaga. L'impresario che se la intende solo con l'ingegnere e non anche con chi lo deve pagare, e l'ingegnere che non é tenuto a presentate al committente i disegni compiuti, costituiscono una “pratica” che è necessariamente fonte di sperperi e di vertenze ai danni del maggior interessato.
Nell'architetto, che dopo tutto era un gran galantuomo, la ragionevolezza finì con. prendere il sopravvento, facendogli abbandonare il mal concepito proposito. Egli continuò dunque nella direzione dei lavori, coadiuvato dall'ingegnere Valentino Grazioli, essendo esecutore della costruzione il cavaliere Giacomo Cucco.
Accomodato questo affare, Don Bosco era troppo esperto per darsi a credere che fosse d'allora in poi preclusa la via a ogni contestazione tanto più che intendeva si ponesse mano presto alla fabbrica di un grande ospizio accanto alla chiesa. Ecco a questo riguardo le sue comunicazioni e istruzioni a Don Dalmazzo.[422]
Ti mando qui alcuni scritti che non ho avuto tempo a consegnare a Don Sala. Esso va a Roma con danaro e con pieni poteri per vedere di regolare le cose in modo da non trovarci ogni momento nei fastidii.
Bisogna preparare quanto é necessario per incominciare l'Ospizio per tempo, nella prossima primavera. Se verrai pel prossimo Capitolo Generale prepara i tuoi riflessi; o mandali o portali.
Dio vi benedica tutti e saluta i miei cari figli del Macao[354] e credimi in G. C.
Quanti sacrifizi costerà ancora a Don Bosco la chiesa del Sacro Cuore di Gesù! Si può ben dire, e lo conferma Don Rua nei processi, che tale opera logorò gran parte delle sue forze. Già innanzi negli anni, malandato in salute, con incomodi molto gravi che di quando in quando lo disturbavano, era una pena il vederlo scendere e salire scale per chiedere limosine, sottoponendosi talora anche a dure umiliazioni. Patì tanto che qualche volta, nell'intimità, a chi de' suoi, vedendolo incurvato, gli domandava come mai si piegasse così sulla persona, rispose: - Ho la chiesa del Sacro Cuore che mi pesa sulle spalle. - Tal altra volta, amabilmente faceziando e giocando sul doppio senso, diceva: - Dicono che la Chiesa é perseguitata. Io invece posso dire che la chiesa perseguita me! -
FALLITE le pratiche dirette del 1875 per ottenere dalla Santa Sede la comunicazione dei privilegi[355], Don Bosco, senza turbarsi né disperare, ma fedele al suo programma di girare le difficoltà che non poteva prendere di fronte, si studiava di raggiungere a poco a poco per diverse vie il suo intento. Col crescere e dilatarsi della Congregazione egli sentiva ognor più quanto importasse metterla nel pieno possesso della sua personalità giuridica. Nelle condizioni d'allora l'esperienza quotidiana gli aveva dimostrato e gli veniva dimostrando quali inconvenienti le derivassero dall'essere così alla mercé degli Ordinari locali: pur con le migliori intenzioni del mondo troppe volte si finiva con incepparne la ragionevole libertà o si tendeva ad alterarne la vera fisionomia. Egli invece aveva bisogno di renderne il corpo sì ben compatto e omogeneo, che, sotto qualunque cielo, essa fosse in grado di esplicare la sua azione non impacciata da pregiudizievoli pastoie e in perfetta uniformità di spirito. Per forza di cose gli doveva dunque sembrare incompleta sua istituzione fino al giorno in cui non le vedesse riconosciuta [424] legittimamente quell'autonomia, che con tanto loro vantaggio godevano le altre grandi famiglie religiose.
E grande fra le grandi a lui si prospettava nell'avvenire la Società Salesiana. Siffatta grandezza, che non era punto un mistero per lui, non balenava ancora alla mente di tutti gli osservatori, e questa fu la causa precipua che rattenne sulle prime le competenti autorità dall'accordare alla Congregazione di Don Bosco il crisma dei privilegi. Che su questa causa abbiano poi agito sinistramente da altre parti anche forze eterogenee, é cosa che non sorprende lo storico, avvezzo a muoversi fra il cozzo incessante di quelle umane debolezze, a cui si dà il nome di passioni, n é tanto meno può sorprendere l'agiografo, il quale non ignora come per multas tribulationes la Provvidenza soglia affinare la virtù de' suoi Santi per condurli alle vittoriose conquiste in servizio del regno di Dio.
Nonostante la sua calma inalterabile, Don Bosco non nascondeva neppure una certa fretta di giungere a capo del suo disegno. Sentendosi venir meno la vita, gli premeva senza dubbio di fare in tempo ad assistere i suoi nei primi esperimenti della totale esenzione canonica. Anche questa considerazione valga a spiegare la tenacia inflessibile, con la quale perseguì il suo scopo, per quante contrarietà si levassero ad attraversargli il cammino. Il fatto poi che, non appena s'infransero le ostilità torinesi, i suoi sforzi furono coronati da trionfale successo, é la prova migliore che mancavano vere ragioni per contrariare la sua causa.
Dopo il rigetto delle prime domande ripetutamente presentate nel 1875, Don Bosco si contentò di ottenere dal sempre benevolo Pio IX favori isolati e temporanei, accordatigli con le minori formalità possibili. Poteva così usare di tre importantissimi privilegi che erano: 1° I diritti parrocchiali, esercitati dai direttori verso i loro sudditi dimoranti nelle rispettive case; 2° l'extra tempus per i chierici salesiani; 3° la dispensa dalle lettere testimoniali dei Vescovi per l'ammissione di postulanti al Noviziato. Queste facoltà erano [425] state concesse nel 1876. Le prime due dovevano durare tre anni nell'Italia e cinque fuori; la terza non aveva limite di tempo[356]. Spirato il triennio di quelle due, era stata fatta domanda di proroga[357]; diciamone subito i risultati. Per l'esercizio dei diritti parrocchiali bisognò insistere a lungo, finché con Breve 21 marzo 1882 fu rinnovata la concessione triennale e quinquennale, come nel 1876[358]. Per l'extra tempus non si ottenne, nulla fino al 1884. Nel 1881 l'Arcivescovo di Messina interpose una sua calorosa raccomandazione, specialmente nell'interesse del collegio di Randazzo; ma fu senza pro[359].
Per la terza grazia l'affare si complicava, essendo stata revocata quattro anni avanti in modo alquanto drammatico. Ce ne ha lasciato Don Bosco stesso il racconto, scrivendo nel 1882[360]: “Sono cinque anni da che [il sig. Card. Ferrieri] si degnò di ricevermi. D'allora in poi malgrado ogni dimanda, ogni lettera, non ho più potuto ottenere né udienza né risposta per iscritto. In quella unica udienza mi rimproverò l'accusa che faceva l'Arcivescovo di Torino, che non si domandavano le lettere testimoniali nell'accettare in Congregazione. Ho risposto che tali testimoniali si chiedevano sempre; ma quando nascevano difficoltà, lo mi serviva della facoltà concessa dalla Santa Sede di farne a meno.
- Chi concedette questa facoltà? rispose alquanto incollerito.
- Il Santo Padre, risposi, il benemerito Pio IX. Tutta la pratica sta ai Vescovi e Regolari, ed io ne ho copia autentica.
- Da questo momento cessa questa facoltà, e si guardi dal servirsene in avvenire. [426]
Io non so se un Prefetto di Congregazione abbia la facoltà di sospendere un favore così formalmente concesso. Comunque sia, io mi sono limitato a rispondere che mi rimetteva ai suoi ordini, e non mi sono mai più servito del privilegio mentovato.”
Così stavano le cose, quando nel suo viaggio del 1881 a Roma il Servo di Dio volle rimettersi all'opera per vincere le resistenze che si opponevano alla comunicazione dei privilegi. Vi aveva fatto precedere un lavoro preparatorio. Per mezzo del suo segretario Don Berto, pratico di simili ricerche e compilazioni, aveva compilato e dato alle stampe un opuscolo contenente i documenti dei favori e delle grazie concesse da Pontefici e da Vescovi alla pia Società Salesiana[361]. La raccolta si apre con i primi favori spirituali largiti da Gregorio XVI il 18 aprile 1845, estensibili a cinquanta Collaboratori, e si chiude con le facoltà accordate di fresco dal Vescovo di Fréjus e Tolone e dal Vescovo d'Ivrea ai Salesiani residenti nelle due diocesi. Don Bosco, volendo che il frutto di questa fatica ridondasse anche a vantaggio dei Confratelli, distribuì il libretto alle case, premettendovi la seguente lettera per indicarne l'uso pratico.
Desideroso di facilitarvi la conoscenza e la pratica dei Favori benignamente concessi dalla S. Sede alla nostra pia Società, giudico opportuno, che tali Concessioni siano qui stampate a comune vantaggio. Questi Favori sono preziosi doni, che la S. Sede largisce agli Istituti religiosi, che può modificarli od ampliarli ogni qualvolta si giudica della maggior gloria di Dio. Perciò dobbiamo valercene dove sia d'uopo, e professare al Capo Supremo della Chiesa la più profonda gratitudine e la più rispettosa venerazione.
Da essi appare, come la nostra Congregazione, nel suo primo decennio, consisteva nella persona del suo Direttore coadiuvato da alcuni sacerdoti e laici. In capo a quel Sacerdote erano fatte le concessioni Diocesane e Pontificie.
Nel 1852 fu costituito il Capo della medesima con tutte le necessarie facoltà. [427]
Nel 1858 cominciò di fatto a prendere aspetto di Congregazione Ecclesiastica, che dopo sedici anni di studio e di prova venne definitivamente approvata nel 1874.
Affinché poi tali privilegi o favori ottengano il loro fine, é bene che ognuno ritenga:
1° Di approfittare dei favori spirituali, senza eccezione, quando questi si riferiscono al vantaggio spirituale dell'anima nostra, come sono le sante indulgenze;
2° Se ne faccia uso moderato e prudente nell'interno delle nostre case e delle nostre Cappelle private;
3° Ma siano usati colla massima parsimonia quando questi si riferiscono all'autorità degli Ordinarii. A questi sia costantemente in ogni cosa prestato ossequio, obbedienza e venerazione.
Questi Rescritti, Decreti e Brevi furono attentamente confrontati coi rispettivi originali e trovati concordi coi medesimi.
La traduzione de' medesimi fu fatta e riveduta da idonei professori della nostra Congregazione.
Ma siccome nella pratica esecuzione di essi possono incontrarsi non lievi difficoltà, così se ne sta preparando la spiegazione intorno al modo più esatto e sicuro, affinché si possa viemeglio conseguire il fine proposto dalla S. Sede, che é la maggior gloria di Dio e il bene delle anime.
Vivete felici e la grazia di N. S. Gesù Cristo sia sempre con noi.
Che cosa egli abbia fatto di positivo a Roma in riguardo alla comunicazione dei privilegi durante il soggiorno del 1881, a noi non risulta da nessuno dei documenti che abbiamo potuto consultare; ci sembra che in quel primo tempo abbia lavorato soprattutto a guadagnarsi l'animo di prelati influenti per averli poi favorevoli nel momento opportuno. Di certo sappiamo solo che, vicino a muovere dalla Liguria verso Roma, si fece mandare da Torino e portò seco, oltre la pubblicazione suddetta, i documenti originali riferentisi ai tre privilegi or ora mentovati[362]. Dopo quella primavera ci tocca fare un balzo fino all'autunno per trovare notizie sicure. La circostanza che riferiremo, quasi ci commuove, mostrandoci a quali amminicoli si dovesse appoggiare per giungere una buona volta all'appagamento de' suoi voti.[428]
Ricordino i lettori le affannose supplicazioni dell'Arcivescovo di Messina, perché Don Bosco gli rialzasse il seminario. Orbene, quando le istanze del Prelato sembravano proprio scritte con le lacrime, Don Bosco gli pose innanzi un patto: Sua Eccellenza gli ottenesse la comunicazione dei privilegi ed egli avrebbe mandato i Salesiani nella sua città. “Condizione scabrosetta!” rispose l'Arcivescovo, che però soggiunse[363]: “Io farò, metterò Roma sottosopra […]. Abbia intanto la bontà di dirmi chi sia il contrario e l'oppositore in Roma e quali siano i suoi argomenti […]. Si degni dirmelo per mia regola, poiché davvero metterò ogni impegno.”
Andato a Roma in novembre, l'Arcivescovo mantenne la parola. Anzitutto si diede premura d'informarsi come stessero le cose sulla comunicazione dei privilegi alla Congregazione Salesiana; ma purtroppo dovette subito persuadersi, che, opponendosi il Cardinale Prefetto dei Vescovi e Regolari, poco o nulla vi era da sperare. Tuttavia nell'udienza accordatagli dal Santo Padre, condusse bel bello il discorso al punto voluto. Ai suoi elogi sulle benemerenze dei Salesiani il Santo Padre rispose con elogi; udita però la menzione dei privilegi, osservò che gli altri Ordini religiosi li avevano ottenuti dopo secoli di meritorii lavori e che la Congregazione Salesiana, recente com'era, doveva lavorare ancora per ottenerne la partecipazione[364].
Replicare l'Arcivescovo non poteva; ma Don Bosco gli rimise una supplica, pregandolo che la presentasse egli stesso a Sua Santità.
“Creda pure, gli rispose Monsignore[365], ch'Ella forse tra i Salesiani soltanto potrebbe trovar persona più impegnata di me in vantaggio suo e del suo insigne Ordine, seppure il mio interessamento sia capace di confronti. Parlo col cuore sulle labbra. Le difficoltà ch'Ella incontra qui, partono da Torino.” [429]
Consigliatosi pertanto, come già la prima volta, col cardinale Nina, se, tornando dal Santo Padre, dovesse rientrare in materia e presentare la supplica, sembra che ne venisse dissuaso e ne ricevesse invece il suggerimento di passare dal cardinale Ferrieri. Andò, ma non lo trovò in casa. Ne fu dolentissimo, perché avrebbe voluto sentire dalla stessa sua bocca qualche cosa, e d'altra parte non poteva fermarsi ulteriormente a Roma; consegnò nondimeno alla segreteria della Sacra Congregazione la supplica di Don Bosco. “Sia compiacente, scrisse quindi a Don Dalmazzo[366], ossequiare per me il sig. Don Bosco e dirgli quante scale ho salite, quante anticamere ho fatte, quanti andirivieni per servirlo; l'ho fatto con intimo amore, e sono amareggiatissimo di non aver potuto sentir l'esito.”
Lo zelo di monsignor Guarino aveva richiamato l'attenzione sulla facoltà esercitata da Don Bosco di rilasciare le dimissorie ai chierici salesiani per le sacre ordinazioni.
Per qual motivo ci si sia pensato proprio allora, noi non sapremmo dire con precisione; il fatto é che poco dopo la partenza di monsignor Guarino da Roma pervenne a Don Bosco un richiamo.
In data 28 dicembre monsignor Agnozzi, segretario dei Vescovi e Regolari, gli scriveva: “Interessa a questa Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari avere certa notizia del privilegio ed indulto in forza del quale la S. V, rilascia le lettere testimoniali per l'ordinazione in Sacris ed inclusive ad Presbyteratum, dei professi della sua Congregazione. Sarà quindi compiacente di trasmetterne al Sacro Consesso un esemplare”. Sebbene non abbiamo rinvenuti i termini della risposta, il suo tenore non ci può essere dubbio. Il 3 aprile del 1874, con rescritto firmato dal cardinale Bizzarri, allora Prefetto di detta Congregazione, il Santo Padre Pio IX, annuendo a una supplica di Don Bosco, gli aveva benignamente [430] conceduto tale facoltà per un decennio. La cosa non ebbe seguito, forse perché si volle lasciare che spirasse il decennio o perché la ripresa della pratica per i privilegi in genere fece sospendere la decisione sopra un privilegio speciale.
Il Servo di Dio agì direttamente nel 1882 per la comunicazione dei privilegi ad instar, come si dice in linguaggio canonico. Recatosi anche quell'anno a Roma e ricevuto in privata udienza da Leone XIII, perorò a viva voce la sua causa. Il Papa non gli si manifestò contrario, ma gli rispose che andasse da monsignor Masotti, novello segretario dei Vescovi e Regolari, e gli dicesse di parlargliene in una delle ordinarie udienze. Pochi giorni dopo il cardinale Bilio, vescovo di Sabina e tanto benevolo ai Salesiani, rifece presente al Papa il desiderio di Don Bosco, riportandone l'impressione che Sua Santità inclinasse a contentarlo. Un terzo assalto fu dato da Don Bosco medesimo, con una supplica da lui stesa in lingua latina, per suggerimento forse di monsignor Segretario. Il Papa la lesse durante un'udienza al cardinale Nina, lodando il latino, che disse semplice e chiaro, ma insieme pulito. Poi chiese all'Eminentissimo: - Sa Ella chi abbia scritto questo foglio?
- L'ha scritto Don Bosco, rispose il Cardinale.
- Possibile? esclamò il Papa. Ma Don Bosco non ha fatto studi.
Nel riferire a Don Bosco questo dialogo, il Cardinale gli domandò se avesse studiato belle lettere. - Sì, gli rispose Don Bosco. Ho letto tutti i classici latini e nei migliori commenti. - Quindi prese a tirar giù la filastrocca delle opere e degli autori, finché il Cardinale: - Basta, basta! gli gridò, agitando le braccia. Voglio dirlo al Santo Padre.
Nella sua supplica il santo Fondatore, rappresentato lo sviluppo della Società nei nove anni che seguirono la definitiva approvazione, e dedottane l'urgente necessità di [431] accordarle la comunicazione dei privilegi, necessità della quale esponeva distintamente le ragioni in un foglio a parte[367], chiedeva che fossero comunicati quelli concessi da Leone XII il 12 settembre 1826 agli Oblati di Maria Vergine, fondati dall'abate Lanzeri. Tali privilegi erano identici a quelli goduti dai Redentoristi e parevano i più consoni alla natura e al fine della Congregazione Salesiana[368].
Sollecitamente Don Bosco dopo l'udienza pontificia erasi recato alla Cancelleria per conferire con monsignor Masotti, che trovò molto premuroso e che quasi fu spiacente di essere stato prevenuto, mentre in giornata sarebbe egli stesso passato da lui. Infatti il Papa gli aveva già chiesto se avesse parlato con Don Bosco; e alla sua risposta negativa aveva soggiunto: - Ebbene, ve lo raccomando. Povero Don Bosco! Gli voglio bene. Guardate di consolarlo. - Ciò riferito, Monsignore gli suggerì di non farne motto con nessuno, ma di lasciare il tutto nelle sue mani. Il Servo di Dio si limitò a rispondergli che qualora occorressero spiegazioni o informazioni, le chiedesse pure al cardinale Bilio, il quale conosceva assai bene le cose dei Salesiani. Dal cardinale Nina egli seppe quindi in via confidenziale che il Papa aveva nominata segretamente una Commissione cardinalizia composta degli Eminentissimi Sbarretti, Martinelli e Zigliara per lo studio della questione.
Don Bosco partì da Roma il 9 maggio con buone speranze in cuore; da Torino però sebbene si fosse nella fase più acuta della causa di Don Bonetti, non lasciava raffreddare la pratica. Monsignor Masotti voleva che egli specificasse gl'invocati privilegi in un'esposizione completa e documentata[369]. Non era faccenda che si potesse sbrigare in breve tempo; tuttavia egli rispose abbastanza presto, scrivendo a [432]
Don Dalmazzo[370]: “Ecco le carte richieste per la dimanda di privilegi. Porterai ogni cosa al Card. Vicario e poi da Mons. Masotti. Quindi sapere se debbonsi stampare o soltanto alcuni. Tienmi a giorno di tutto e ti dirò come regolarti.”
Fatta da poco questa spedizione, ecco giungergli all'orecchio una musica né nuova né troppo allegra. “Molte pie società, scriveva l'avvocato Leonori[371], sono state erette in questi ultimi tempi come la sua, tutte di voti semplici, e non tutte hanno tutti i privilegi; anzi, soggiungo che nessuna ha tutti i privilegi […]. Io Le proporrei che prendesse le costituzioni dei Padri Passionisti, i quali a preferenza degli altri istituti godono i privilegi, li esaminasse, e si appropriasse quelli che crede utili per la sua società, e quelli chiedesse […]. Per la concessione di questi privilegi vi è contraria presunzione, e vi sono oppositori tremendi […].”
Don Bosco parve non fare gran caso di queste malinconie; infatti sul finire di luglio scuoteva il suo Procuratore, scrivendogli[372]: “L'affare dei nostri privilegi dorme? Se non si batte il ferro quando é caldo, si lavora inutilmente. Passa da Mons. Masotti, porta i miei sentimenti di ossequio e pregalo a direi che debbo fare o preparare. Se vi sono difficoltà, e quali. Sono le cose promesse dal S. P. e da M. Masotti.
Abbi pazienza. Se fa caldo, prenditi una vettura di ghiaccio e trotta.”
Ma tutto sembrava ormai inutile. Il giorno stesso che Don Bosco spronava così da Torino il Procuratore, questi da Roma gli notificava che la comunicazione dei privilegi ad instar non si concedeva; che perciò spedisse a monsignor Masotti una nota distinta di privilegi desiderati, e la spedisse ben formulata e documentata molto prima che cominciassero le ferie; Monsignore si sarebbe adoperato a tutt'uomo per il conseguimento. [433]
Si vede però che Don Bosco, non aveva ancora perduto ogni speranza. Infatti, non avendo ancora ricevuto partecipazione ufficiale in contrario, il 4 agosto scrisse al cardinale Nina:
... Io ho mandato l'esposizione per dimanda della comunicazione dei privilegi, e mi sono tenuto alle formole già vedute dalla E. V. e ripetutamente approvate dal S. Padre. Ma ora Monsig. Masotti disse a Don Dalmazzo che fa d'uopo specificare quali privilegi si vogliano dimandare. Se dimandiamo soltanto alcuni privilegi, noi saremo, come in passato, ad ogni momento incagliati.
Se la S. Sede vuole mettere i Salesiani in uno stato normale e non esporli ad ogni momento negli imbarazzi é indispensabile una comunicazione formale dei privilegi, come furono concessi ai Passionisti, ai Redentoristi, agli Oblati di Maria ed ai Rosminiani e come godono le Congregazioni ecclesiastiche definitivamente approvate dalla S. Chiesa.
Qualora poi fosse deciso di non concedere tale comunicazione, ma solamente alcuni privilegi in particolare, dovrei per forza piegarmi.
Ma in questo caso dovrei formare la mia supplica in altro modo. Spero però che i buoni uffizi di V. E. presso al S. Padre riusciranno ad ottenermi quello che tutte le Congregazioni ecclesiastiche di questi nostri paesi hanno goduto e godono dal tempo della loro definitiva approvazione.
Don Dalmazzo passerà da V. E. e metterà in pratica que' consigli che si degnerà di suggerire al medesimo.
Mi voglia perdonare la mia brutta scrittura. Non posso fare meglio e non desidero passare per terza mano.
Colla massima venerazione ho l'alto onore di inchinarmi e professarmi della E. V. Rd.ma
PS. Della citata mia esposizione avvene soltanto una copia; se é mestieri, mi si dica e la farò stampare.
Poi, pur provvedendo nel senso indicatogli, all'appressarsi della festa di San Gioachino che cade il 19 agosto, scrisse, come se nulla fosse, al Procuratore: “Mando qui gli augurii nostri pel Santo Padre. Se puoi leggi, e poi o tu stesso, o per mezzo di Mons. Boccali, o del Cardinale Nina falli trasmettere a Stia Santità. In caso estremo si metta tutto alla posta. Desidero molto sapere notizie [434] di tua sanità e di quella degli altri. Risparmia niente per conservarla. Ho fatto un estratto di alcuni privilegi dall'elenco di quelli dei Liguorini, Passionisti e Lazzaristi, e ciò pel caso che andasse al vento la dimanda ad instar. Avrai tutto entro due giorni. Nota però che il vento anche soffiando, qualche cosa lascia sempre cadere.”
I privilegi così estratti erano novantaquattro. Nell'incartamento qui accennato accluse la seguente lettera per monsignor Masotti.
Mi fo ardito di scrivere alla E. V. non in modo ufficiale, ma in modo figliale e rispettoso come chi desidera di fare un po' di bene, ma secondo i santi voleri del Sommo Pontefice, che per me sono un precetto. Ella pertanto mi faccia da padre. Nell'ultimo passato aprile in una udienza che Sua Santità degnava concedermi, dopo aver intesi i gravi imbarazzi in cui si trovava l'umile nostra pia società di fronte alle altre Congregazioni e dirimpetto ad alcuni Ordinarii diocesani, Sua Santità mi lasciava sperare la comunicazione dei privilegi ad instar. A tale fine io formolavo rispettosa posizione da umiliarsi alla S. Congregazione dei Vescovi e Regolatori di cui V. E. é sostituto degnissimo. Ma testé mi fu osservato che la communicazione si suole difficilmente concedere dalla Santa Sede; perciò ho estratto quei privilegi e facoltà che mi sembrano indispensabili affinché la nostra Congregazione possa compiere il suo fine e sostenersi nelle diverse diocesi e parrocchie, specialmente nelle estere missioni, che in questo momento formano l'oggetto principale della nostre sollecitudini e che sono caldamente raccomandate dal Santo Padre.
L'Esposizione coi relativi documenti sono stati riuniti e presentati a questa autorevole e sacra Congregazione. Perciò se occorresse qualche schiarimento relativo, la prego a voler indicare al nostro Procuratore Generale Don Dalmazzo che si farà premura di cercarlo o in qualche maniera di provvederlo.
Io metto questa pratica sotto la benevola protezione dell'E. V. La domanda é certamente di urgenza. Le nostre missioni in America si moltiplicano ogni giorno. Vi sono delle case che dalle altre distano quasi due mesi di cammino. Come mai poter stabilire delle norme certe ed invariabili, se prima non sono stabilite e regolate dalla Santa Sede?
Mi perdoni la confidenza con cui Le scrivo.
Come piccolo segno della incancellabile nostra gratitudine, tutti i Salesiani pregheranno tanto per Lei e con noi pregheranno i 150 mila allievi che la Divina Provvidenza ci volle affidare [435]
Mi raccomando alla carità delle sante sue preghiere, mentre ho l'alto onore di potermi professare con profonda venerazione della E. V. Reverendissima.
Mandò pure copia della nuova proposta al Cardinale Protettore, con la seguente presentazione.
Mi fo dovere di mandare a V. E. R.dma una copia della nuova proposta: dimandare non più ad instar ma “speciatim” dei privilegi più indispensabili. Temo che anche questi pochi trovino difficoltà. Mons. Masotti si mostra assai ben disposto.
Dagli uniti scritti la E. V. ove occorra può vedere quanto siasi fatto. Sono qui nella casa di S. Benigno per una muta di esercizi spirit. pei nostri Sacerdoti.
Tutti facciamo umili preghiere per la E. V. ma ci raccomandiamo per una speciale benedizione mentre con gratitudine profonda mi inchino e mi professo
S. Benigno Canavese, 3 settembre 1882.
Sac. Gio. Bosco.[373]
In forma ufficiale Don Bosco faceva la presentazione dei documenti al Papa con una breve e umile supplica in latino[374], nella quale non mancava pure un cenno, meno esplicito però che non qui sopra, alla comunicazione ad instar, quasi volesse blandamente mostrare che non dimenticava le buone parole avute nel suo ultimo viaggio a Roma. [436]
Ma anche per i privilegi limitati la risposta della Sacra Congregazione fu un dilata, cioè a miglior tempo. Vi venne inoltre a conoscere da buona fonte avere il cardinale Ferrieri detto al Papa che, invece di concedere ai Salesiani dei privilegi, intendeva di mandare a tutti i loro istituti una visita apostolica; alla quale minaccia essersi risposto dal Papa: - Oh! questo poi non lo permetterò giammai assolutamente![375]
Del cardinale Ferrieri Don Dalmazzo sperimentò la severità in un'udienza della fine di novembre. Senza mostrar di conoscere il risultato dell'ultima domanda, il Procuratore lo pregò a nome di Don Bosco che gliene dicesse qualche cosa. Il Cardinale gli rispose secco di non saperne niente. Insistette l'altro con dire che monsignor Masotti doveva avergliela presentata. Sua Eminenza replicò: - Io non me ne sono occupato; quando arriverà monsignor Masotti, provi a interrogarlo. - Rimasero muti un istante entrambi. Gli occhi del Cardinale fissavano l'interlocutore con fierezza scrutatrice. Questi, punto intimidito, ripigliò: - Il mio venerato Superiore Don Bosco, non avendo potuto ottenere l'onore di essere ammesso alla presenza dell'Eminenza Vostra, bramerebbe sapere se vi ha qualche cosa a notare sulla nostra Congregazione, ché volentieri ne riceverebbe le osservazioni ed i consigli. - Un'occhiata fulminante fu la risposta. E poi, visto che Don Dalmazzo faceva atto di alzarsi, esclamò ironicamente: - Don Bosco ha trattato cavaliérement! - In così dire lo accompagnava alla porta, mandandogli dietro a voce alta questo saluto: - Don Bosco non ha spirito religioso. -[376]. Aveva ben ragione monsignor Masotti di dire poco dopo a Don Dalmazzo che trovava il cammino irto di spine e che conveniva andare adagio e che dando tempo al tempo tutto si sarebbe fatto[377]. [437]
Non passò un mese che Don Bosco ricevette dalla Santa Sede un segno di fiducia del quale si valse per ribadire la sua argomentazione in favore dei privilegi. Il Vescovo di Mantova monsignor Berengo, angustiato per non trovar modo di soccorrere a stringenti bisogni spirituali del suo gregge, era pronto a fare qualunque sacrifizio pur di avere a sua disposizione alcuni sacerdoti da mandare dove più forte si sentiva il disagio dai fedeli. Ricorse dunque al Santo Padre per avere un gruppo di religiosi provenienti da vari Ordini o Congregazioni. Non piacque al Papa l'idea di tale miscuglio, ma volle che i desiderati operai fossero tutti Salesiani; nel qual senso fece scrivere a Don Bosco. Eseguì l'incarico monsignor Boccali, usando termini del più alto encomio per la nostra Società e spiegando così il pensiero del Papa[378]: “Il Santo Padre, facendo assegnamento sulla docile deferenza della S. V. anche ai suoi desideri, ritiene per certo che la S. V. si darà tosto premura di secondare questo che io le ho esposto e che é, potrei dire, più che un desiderio di Sua Santità.” Veramente non era cosa che rispondesse allo scopo della Congregazione; ma l'affare si presentava oltremodo delicato. Don Bosco, quando poté trattarne con il suo Capitolo, rispose così a monsignor Boccali:
Con tutta venerazione ho ricevuto la rispettabile lettera con cui V. E. Rev.ma mi manifesta il desiderio di Sua Santità, che vorrebbe fossero inviati alcuni salesiani ad esercitare il Sacro Ministero nella diocesi di Mantova. Prima di deliberare in proposito ho radunato il nostro Capitolo a viemeglio esaminare diligentemente se in qualche casa della Congregazione esistessero soggetti idonei all'importante ufficio cui sarebbero destinati. Tutti siamo mossi dalla più viva brama di accondiscendere alla proposta, ma ci troviamo pur troppo nelle difficoltà per la scarsità di personale nelle singole case dei salesiani. Egli è per questo motivo che in questo anno abbiamo già dovuto sospendere la spedizione di nuovi missionari in America in aiuto delle case aperte ed anche per prendere la direzione di quelle cui niente più manca che il sospirato personale. [438]
Ciò nulladimeno secondo il parere della E. V. ho tosto iniziate pratiche col Vescovo di Mantova e con lui studieremo di fare in modo, che almeno qualche cosa sia cominciata in ossequio ai venerati pensieri del Santo Padre.
Debbo qui confessare che i soggetti disponibili sarebbero in assai maggior numero, se questa nostra Congregazione si trovasse in condizione meno anormale, come prendomi la libertà di notare a parte alla E. V. come a benemerito cooperatore salesiano.[379] Ella potrebbe di ciò dare comunicazione allo stesso S. Padre, se nella illuminata sua prudenza giudica opportuno di farlo.
M permetta poi di raccomandare alla carità di V. E. questa povera Congregazione. Ringrazio Lei e per mezzo di Lei il S. Padre che ha Voluto darci questo segno di stima e di benevolenza, mentre colla più profonda gratitudine ho l'alto onore di professarmi
Don Durando con validi argomenti persuase il Vescovo di Mantova ad aspettare che circostanze più propizie permettessero di far paghi i suoi voti.
Conchiudiamo. Per allora di totale o parziale concessione di privilegi non era più da parlare. Quanto all'avvenire, monsignor Segretario della Sacra Congregazione diceva di dar tempo al tempo; l'Eminentissimo Segretario di Stato confermava essere questione di tempo, date le favorevoli disposizioni del Papa. Lo stesso Santo Padre disse a Don Dalmazzo: - Avete nemici e bisogna che camminiate coi calzari di piombo, perché in Roma si dà corpo anche alle ombre. - [380]
A dire l'ultima parola sarà proprio il tempo, il quale anche questa volta si mostrerà galantuomo e dopo un corso assai più breve che non si sarebbe mai potuto immaginare.
I grandi viaggi, i grandi affari, le grandi lotte cedono ora il campo a umili episodi, a personali relazioni, a private corrispondenze, cose tutte che per sé non rivestirebbero un carattere di spiccata importanza storica, ma che nondimeno attingono rilievo dall'Uomo di cui si narrano. Prenderemo però le mosse da una particolarità che si stacca notevolmente dal resto.
Un fatto che denotava la vitalità dell'opera dì Don Bosco era l'ampliarsi delle sue case. Si faceva tanta ressa alle porte degli ospizi e dei collegi che gli edifizi primitivi diventavano angusti e bisognava aumentarne la capacità; d'altra parte tali ingrandimenti producevano un ottimo effetto sull'animo dei benefattori, i quali in modo evidente si rendevano conto dell'impiego che s'andava facendo dei mezzi dalla loro carità somministrati. Per dire soltanto degli accrescimenti più considerevoli, nel 1881 l'oratorio di San Leone a Marsiglia fu più che raddoppiato; il Patronage St-Pierre di Nizza Mare venne prolungato per buon tratto e provvisto di bella chiesa; all'oratorio festivo di Lucca si aggiunse un ospizio; a Vallecrosia, sospesi i lavori della chiesa, sorse un edifizio [440] diviso in due corpi, uno per l'abitazione dei maestri e per le scuole dei fanciulli, l'altro per le maestre e le loro allieve; a La Spezia si condusse a termine la chiesa e si apprestò un locale più vasto per le scuole; ampliati furono anche i collegi di Este, di Cremona e di Randazzo.
In questo generale moto di espansione non rimase stazionario l'Oratorio di Valdocco; poiché anche nel 1881 Don Bosco ne accrebbe l'area e il fabbricato. Comperò infatti per lire diciannove mila un terreno coltivabile e fabbricabile, che portò il confine dell'orto oltre la linea dell'attuale via Sassari. Ma fabbricare non vi si poté mai, vietandolo il Municipio, che divisava di aprire colà un mercato, finché nel 1932 vi fu l'esproprio per pubblica utilità. Invece l'acquisto del terreno annesso alla casa Nelva[381] rese possibile erigere a ponente di Maria Ausiliatrice un edifizio simmetrico a quello della portineria e destinato ad accogliere la scuola tipografica e tutti i suoi annessi e connessi[382]. Ne fu collocata la pietra angolare il 22 novembre 1881 e con solenne cerimonia. Quanta importanza si annettesse da Don Bosco a quella costruzione, lo dice la scritta che vi fece accludere per onorare un benefattore e per esprimere esultanza[383].
Il cominciato edifizio avrebbe compito l'ornamento esterno della chiesa di Maria Ausiliatrice e, dando modo di sgombrare i vecchi locali della tipografia, avrebbe permesso di provvedere alle cresciute esigenze di altri laboratori; ma più che tutto veniva a creare per l'arte del libro un insieme di ambienti, che le avrebbero offerto ogni comodità di esplicarsi in forma adeguata agli intendimenti di Don Bosco. Perché anche i lontani si facessero un concetto dell'attività libraria spiegatasi fino allora nell'Oratorio e voluta da lui maggiore e proporzionata alle necessità dei tempi, fece [441] stampare nel 1881 un catalogo generale, che in novantasei pagine conteneva l'elenco delle edizioni uscite dalla sua tipografia. Di quel fascicolo furono diffuse in tutta l'Italia quarantamila copie[384]. Don Bosco dunque comprendeva già a pieno il valore della pubblicità non solo come anima del commercio, ma per lui come nuovo mezzo alla propaganda del bene.
In tutto il Casalese le simpatie per Don Bosco avevano profonde radici. Il suo primo collegio, aperto a Mirabello nel 1863, godette subito buona riputazione; trasportato a Borgo S. Martino nel 1870, si acquistò un credito ancor maggiore. Si aggiunsero poi le case di Penango e quella delle Suore a Lu. Per questo mezzo il nome di Don Bosco godeva grande popolarità in tutto il circondario. Ma ogni anno piú l'avevano fatto conoscere e amare i non pochi sacerdoti diocesani che erano stati sotto la sua paterna direzione nell'Oratorio. Le numerose vocazioni tanto di Salesiani che di suore sbocciate nella diocesi e i larghi sussidi inviati a Torino nelle varie spedizioni di Missionari ne testimoniavano l'attaccamento generale alla pia Società. Di tali sentimenti fu novella prova la prima conferenza salesiana tenuta nella città il 17 novembre 1881. La vollero quei Cooperatori, che ne trattarono da sé col Vescovo. Non solo monsignor Ferré approvò, ma ne scrisse di proprio pugno a Don Bosco e dispose che i parroci urbani ne parlassero ai fedeli dal pulpito. La voce, propagatasi nei Comuni anche lontani, attirò pure molti dal di fuori, sicché in quel giorno la chiesa di [442] San Filippo, benché vasta, bastò appena a contenere la folla degli accorsi per udire la parola del Servo di Dio.
Egli si attenne al suo schema prediletto. Rappresentò anzitutto come in un quadro lo svolgersi dell'operosità salesiana dai primordi dell'Oratorio fino alla recente apertura della casa di Faenza e al prossimo ingresso nel Brasile, illuminando la sua esposizione con far vedere i tratti mirabili della Provvidenza, che interveniva sempre opportunamente per mezzo dei Cooperatori. Passò quindi a ragionare dell'elemosina, considerata come un religioso dovere e come una vera necessità sociale[385].
Il Vescovo che presiedeva, presa la parola e fatto vedere il dito di Dio nelle opere descritte, eccitò clero e popolo alla cooperazione, segnalando le benemerenze di Don Bosco e de' suoi figli in tre campi: nella buona educazione della gioventù, nell'evangelizzazione degl'infedeli e nell'erezione della chiesa dedicata al Sacro Cuore di Gesù in Roma.
Quanta affezione nutrì sempre questo Vescovo per Don Bosco! Gli volle sempre un gran bene, quantunque non da lui secondato in cosa che gli era cara come la pupilla degli occhi[386]. Dieci volumi sulla teoria degli Universali stanno ad attestare il suo lungo studio e grande amore per le dottrine rosminiane. Passava talora le notti intere a leggere o a scrivere del suo filosofo; con qualunque persona un po' colta gli avvenisse di parlare, dopo le prime battute entrava difilato nel vivo della questione rosminiana. Don Bosco e i suoi non erano disposti a seguirlo su quel terreno, ed egli lo sapeva benissimo; ma questo non influiva punto sulla cordialità de' suoi rapporti con loro. Ne diede una prova edificante nella circostanza, della quale discorriamo.
Il giorno prima della conferenza, recatosi a Borgo San Martino per la festa del collegio, mentre si aspettava l'ora [443] del pranzo, aveva attaccato disputa con Don Bertello, suo franco e fiero antagonista in rosminianismo. Questi aveva finito col dirgli:
- Veda, Monsignore, se per impossibile io divenissi vescovo, esigerei che i miei chierici studiassero secondo le norme che partono da Roma.
- Roma! Roma! rispose egli. Sapete che cosa é Roma? E’ come un alto scoglio in mezzo al mare. Il Papa sta in alto, nell'aere sereno; ma al basso i flutti si accavallano e urtano e flagellano. Sono i Gesuiti quei che combattono a oltranza Rosmini e i Rosminiani. - E s'infervorò talmente, che i convitati s'impazientirono del ritardo. Alla fine Don Bertello: - Venga, Monsignore, l'interruppe; non conviene che Rosmini ci faccia tardare più oltre il pranzo.
La discussione si riaccese fra loro il dì seguente nell'episcopio, dove il Vescovo aveva invitato a pranzo con Don Bosco anche Don Bonetti, Don Bertello e parecchi del clero. A tavola, ab ovo usque ad mala, i due contendenti non la smisero un istante. In ultimo il Vescovo, osservato come Leone XIII da Papa non avesse imposto di abbandonare il sistema rosminiano, affermò ché non si era obbligati di abbracciare le sue private opinioni. - Oggi, diss'egli, l'attuale Pontefice come filosofo ha una tendenza; dopo di lui ne verrà un altro che avrà una tendenza contraria; quindi per non dover cangiare sistema filosofico ad ogni mutar di Papa, ciascuno tenga quello che crede migliore: per me il migliore é quello di Rosmini.
E Don Bosco? Don Bosco ascoltava il dibattito in silenzio, senza che il Vescovo, trasportato dall'ardore della polemica, badasse agli altri commensali. Finalmente, per chiudere in bel modo la controversia, tanto più che Monsignore si appellava a lui intorno alla sua ultima osservazione, prese con tutta calma a dire cosi: - Io sono superiore di comunità; voglio lasciare un ricordo ai miei soggetti che serva loro di norma e nel caso presente e in ogni altro che possa succedere in avvenire. Vedo pertanto che in una questione filosofica [444] o teologica molti filosofi e teologi tengono una sentenza che credono la migliore, mentre altri ne tengono per migliore un'altra a quella contraria. Ambedue le sentenze hanno patroni dotti, ma una di esse conta fra i suoi sostenitori anche il Papa. Da superiore prudente che cosa dovrei consigliare ai miei soggetti? quale regola pratica di condotta dare? Io non starei in forse, ma direi: Figliuoli, seguite la sentenza che arride al Papa, anche solo come filosofo, come teologo, come dottore privato. Così facendo, oltreché mostrerei rispetto al Papa, mi sembra che batterei una via più sicura: così o non si erra o si erra con onore.
Monsignor Ferré non oppose replica, ma soltanto mormorò: - In questo mi credevo che Don Bosco fosse dalla mia - Eppure la sera assistette, come dicevamo, alla conferenza, dopo la quale parlò eloquentemente della Congregazione e fece di Don Bosco i più alti elogi. Don Bertello affermava di non aver mai sentito elogi più splendidi. Anzi da quel giorno, come é attestato da parecchi, incontrando Salesiani, non menzionò mai più con essi il Rosmini. Un giorno dopo le ordinazioni, fatto il solito discorsetto di esortazione, si mise in privato a parlare dei principii rosminiani, combattendo gli avversari. Tutti assentivano, meno due. Accortosene, lì interrogò: - E voi che cosa ne dite? Perché tacete? - Saputo che erano di Don Bosco: - Intendo! - rispose, e troncò il discorso, senza però cessare di mostrarsi amorevole anche con loro.
Nel 1881 l'Oratorio vide un secondo stuolo di pellegrini francesi, che ritornavano da Roma dopo aver assistito alle canonizzazioni dell'8 dicembre. Con i tre Beati italiani Giovanni Battista de' Rossi, Lorenzo da Brindisi e Chiara da Montefalco aveva ricevuto la suprema glorificazione anche il loro connazionale Benedetto Giuseppe Labre. Il padre [445] Picard che col padre Ippolito dirigeva il pellegrinaggio, non poteva omettere nel programma del ritorno una fermata a Torino per visitare il santuario di Maria Ausiliatrice, l'Oratorio e Don Bosco.
L'ora del convegno a Valdocco era alle cinque pomeridiane del 15; ma, arrivati in città la mattina, ne cominciarono a giungere fin dalla prima ora del pomeriggio. Nella brama generale di poter parlare privatamente con Don Bosco, quasi tutti, a piccoli gruppi, gli uni a insaputa degli altri, si erano da diverse parti mossi a quella volta, sicché in breve il cortile ne fu pieno. Don Bosco, uscito dal refettorio, stette alcun poco ad ascoltare i primi venuti; ma poi, cresciuta la moltitudine, pregò che si dividessero in drappelli e dietro apposite guide visitassero la casa: egli si mise alla testa del più numeroso. Nell'andare lo tempestavano di domande sulle origini e sulle vicende dell'opera; ma come fare a contentare tutti? Promise di parlarne quando fossero radunati nella chiesa.
Data dunque la benedizione, il Servo di Dio, accompagnato dal padre Ippolito e dai più ragguardevoli pellegrini (il padre Picard aveva tenuto altra via), salì su d'un palco, donde in lingua francese salutò commosso gli uditori, diede un'idea dell'Opera salesiana, disse dei Cooperatori e invitò tutti a iscriversi nella pia Unione[387]. Che egli fosse ascoltato con interesse, si vide dal contegno dei presenti, ma più ancora dalla gara con cui dopo gli si strinsero attorno perché ne registrasse i nomi fra i Cooperatori.
Dopo di lui parlò il padre Ippolito per ringraziare della cordiale accoglienza. Avendo poi accennato alle rose di virtù che olezzavano nel giardino dell'Oratorio, continuò: “Questa graziosa e spontanea accoglienza ci fa quasi dimenticare che fra tante rose noi siamo qui pungenti spine, perché, piombati in sì gran numero, abbiamo portato soltanto imbarazzi. [446]
Ma ci conforta il pensiero che i Santi non sono come la gente del mondo. Spesse volte ciò che il mondo aborrisce é per loro oggetto di consolazione. A costo anche d'incomodi Don Bosco gode di vederci fra queste mura, dove noi possiamo apprendere in qual modo giovare alla nostra povera gioventù. Egli ama i derelitti, dovunque si trovino; ecco perché abbiamo case salesiane anche in Francia. E piacesse a Dio che ve ne fossero in maggior numero! Auguriamoci che simili istituti si moltiplichino a segno da averne presso di noi almeno uno in ogni dipartimento, in ogni grande città, non esclusa Parigi.” Quindi volle che Don Bosco benedicesse i pellegrini, i quali, uscendo dal lato del cortile, sfilarono salutati dalla banda.
La loro partenza doveva essere nel pomeriggio della dimane; perciò la mattina appresso i sacerdoti vennero a celebrare nel santuario e moltissimi signori e signore vi fecero la santa comunione. Il capo e i membri più cospicui del pellegrinaggio onorarono in quel giorno la mensa di Don Bosco, il quale dopo fu preso d'assalto assai più che nella sera antecedente. Desiderando di portar seco un suo ricordo, chi gli presentava oggetti religiosi da benedire, chi libri e immagini, su cui apporre la propria firma; certuni, scritto che avesse, gli sostituivano la penna, per tenersi come preziosa memoria quella da lui usata.
Continuava Don Bosco a essere commensale desiderato presso le patrizie famiglie torinesi, sebbene non potesse più con l'antica frequenza accettarne gl'inviti. Le sue conversazioni edificanti a un tempo e amene rallegravano cuori afflitti ed erano talvolta una benedizione per la figliuolanza[388]. [447]
Ordinariamente quei signori non lo lasciavano partire a mani vuote, ma ne compensavano la carità spirituale con materiali larghezze per i suoi giovanetti e per le sue opere.
Sul principio di gennaio il Conte di Castagnetto[389] desiderava festeggiare con lui e con alcuni intimi il nuovo anno; ma sapendo quant'ei raramente fosse libero da impegni, rimise alla sua scelta il giorno da designarsi.
Il conte Cesare Trabucco di Castagnetto, morto l'anno stesso di Don Bosco, prima e dopo di essere fatto senatore aveva preso parte attiva nella politica del Risorgimento italiano, non però oltre il 1870. Cattolico convinto, il 2 dicembre di quell'anno a Firenze parlò in Senato contro l'accettazione del plebiscito delle province romane e il 21 gennaio successivo contro la legge delle guarentige; poi, come tanti altri nobili piemontesi, si tenne in disparte, dedicandosi alle opere di beneficenza e di azione cattolica. Don Bosco, che pure non volle mai rompere i ponti col Governo insediatosi a Roma, non perdette punto la stima e la fiducia degli uomini di questo pensare, tanto evidente appariva la sua onorata fermezza in dare sempre a Cesare solo quello che era di Cesare e a Dio tutto quello che era di Dio.
Al grazioso invito rispose dunque piacevolmente così.
Eccellenza e Sig. Conte Carissimo,
La sua grande bontà mi dà la scelta del giorno per fare carnevale presso la E. V. ed io la ringrazio dell'invito e della comodità del giorno.
Preferisco il giorno 13 del corrente perché giovedì dedicato non alla luna instabile, non a Marte guerriero, non a Mercurio protettor dei ladri, ma a Giove che, essendo capo di tutti gli déi, avrà certamente un poco di onestà.
Dio benedica Lei, la sua famiglia e preghi per questo poveretto che sarà sempre in G. C.
Il Conte gradì la scelta; per le modalità diede carta bianca al teologo Margotti, che era fra gl'invitati. Or ecco un altro caso che rivela come Don Bosco sapesse farsi voler bene da tutti. Il Margotti, già deputato al Parlamento subalpino e pubblicista di prim'ordine, passava per l'antesignano di quei cattolici italiani che allora si chiamavano intransigenti. Nemico giurato dei liberali e dei settari, ogni numero della sua Unità Cattolica era una battaglia. Nulla dunque di più contrario agli atteggiamenti di Don Bosco. Eppure questi due uomini sinceramente si amarono. E’ vero che negli ultimi tempi si ravvisava nel giornale un certo riserbo verso Don Bosco; ma questo era imposto da ragioni di prudenza, fatte valere fors'anche dal Servo di Dio, per non disgustare l'autorità ecclesiastica diocesana, a lui cotanto sfavorevole. I loro sentimenti però furono sempre immutati. Perché talune apparenze non ingenerino dubbi nell'avvenire, giova render nota la lettera, che il grande polemista scrisse in quell'occasione al mite uomo di Dio. Professandoglisi “devotissimo amico e servo”, si esprimeva così l'8 gennaio: “Impedito di venire personalmente, Le dico per iscritto ciò che avrei amato meglio di dirle a viva voce. S. E. il Conte di Castagnetto[390] é fuori di sé per la gioia di avere a pranzo Don Bosco. Il pranzo sarà diplomatico[391] per la casa, pel cuoco e pei commensali. Resta inteso che Don Bosco dee condurre con sé un aiutante di campo a sua scelta. Il Conte volea mandarla a prendere in carrozza; ma io mi sono incaricato di condurre Lei e il suo aiutante. Ecco ora la mia proposta. Giovedì, 13, s'inaugura il teatro di Valsalice. Ella vada all'inaugurazione, come ha promesso a' giovani. Io pure verrò, e siccome il teatro finisce alle 5½, allora partiremo [449] insieme pel pranzo. Il suo aiutante di campo deve essere Don Francesia che il Conte conosce e viceversa. Alla sera troverà la carrozza che lo condurrà all'Oratorio. Se il mio progetto Le piace, mi scriva due parole: Visto, si approva. Se no, faccia una proposta qualunque, me la dica per mia regola, ed io fin d'ora l'approvo, perché mi glorio di esser con la massima venerazione ed affetto, ecc.”. La straordinaria contentezza del Conte poteva derivare dalla certezza che la presenza di Don Bosco avrebbe impedito o fatto rientrare divagazioni non conformi ai principii del padron di casa.
Da circa tre anni Don Guanella era rientrato in diocesi, dove spendeva tutto il suo zelo nell'opera di bene, alla quale si sentiva chiamato[392]. Non tutti però a Como vedevano di buon occhio quello che faceva; aveva anzi di fronte avversari così forti e ostinati, che le sue imprese correvano rischio di fallire. Le cose giunsero a tal punto che egli, perdutosi di coraggio, ripensò a Don Bosco e ruminava nella sua mente di abbandonare nuovamente la patria e far ritorno per sempre alla Congregazione. Tanto s'internò in quest'idea, che verso la metà di settembre scrisse a Don Bosco, pregandolo di volergli riaprire le porte. Don Bosco, che con i membri del Capitolo Superiore si trovava ad Alassio per una muta d'esercizi, diede ai Capitolari comunicazione della domanda e li richiese del loro parere. Don Guanella si era guadagnata presso di noi tanta stima e la sua dipartita era avvenuta in forma così irreprensibile, che nessuno dei presenti sollevò obbiezioni. Gli rispose Don Cagliero, che aveva l'incarico di condurre le pratiche relative alle ammissioni. Due condizioni a nome di Don Bosco gli furono poste innanzi: sbrigarsi totalmente degli affari materiali, che potessero in seguito richiamarlo a Como, e venire con l'animo pronto a [450] una totale obbedienza[393]. Da una frase della lettera si rileva che Don Bosco inclinava a riprendere il disegno d'inviarlo a San Domingo. Ma i legami che lo tenevano avvinto alla diocesi erano ormai troppo saldi, perché senza gravi inconvenienti se ne potesse sciorre.
Le lettere dirette da Don Bosco ai torinesi coniugi Fava e da noi finora pubblicate[394] dimostrano quant'essi fossero caritatevoli verso il Servo di Dio. La corrispondenza che noi conosciamo, comincia dal 1873. Il cavaliere era segretario emerito del Municipio. Nell'estate del 1881, andato a rinfrancare la salute nella valle d'Andorno sopra Biella, ricevette da Don Bosco questa cordiale e lepida lettera.
Godo molto che la V. S. e tutta la sua famiglia abbiano potuto regolare ad Andorno la loro dimora prima di questi intensi calori che sono giunti in pochi giorni all'eroismo. Abbiamo cominciato il corso regolare del sudore che serve di bagno permanente da un mezzo giorno all'altro mezzo giorno. Malgrado questo non venne ancora notizia che alcuno sia rimasto cotto.
Mi rincresce che la sua sanità non sia ancora in uno stato perfetto. Io spero che il riposo, l'aria fresca, i riguardi, e le molte preghiere che noi facciamo, ogni dì, riusciranno ad ottenere che Ella possa ritornare a suo tempo fra noi in ottima salute.
Ella mi dice che non ha ancora volontà di morire, ma neppure io voglio che parta da noi tanto presto. Abbiamo ancora tante opere di carità da compiere, le quali non devono rimanere incomplete; dunque bisogna ancor vivere. Ella accettò il mio invito di venire alla mia messa cinquantenaria che sarà celebrata la domenica della SS. Trinità del 1891. Vuole mancare ad un invito fatto e da Lei accettato? Di più ho un'impresa da affidare alla Sig. di Lei moglie, che potrà essere aiutata da Lei e dalla Signorina Maria Pia; dunque dobbiamo ripetere, bisogna vivere.
Che buon tempo ha Don Bosco! Ella dirà. E' vero: ma scrivendo a Lei mi è di sollievo in mezzo alle mie 500 lettere cui vado in questo momento a cominciare la risposta. [451]
Dio la benedica, o caro Sig. Cavaliere, e con Lei benedica tutta la sua famiglia e a tutti conceda sanità e santità in abbondanza.
Vogliano anche pregare per me che con rispetto e gratitudine le sono in N. S. G. C.
Questa fu l'ultima lettera scrittagli da Don Bosco. Il buon signore sul principio del 1882 passò a miglior vita e il Bollettino di maggio diede l'annunzio della sua morte dicendo aver egli in circostanze le più difficili prestato all'Oratorio tali servigi, che solamente Iddio poteva adeguatamente premiarlo. Si alludeva all'opera sua in favore di Don Bosco, quand'era impiegato al Municipio. La vedova continuò a beneficare l'Oratorio finché visse, cioè fino al 1911
La signora Bernardina Magliano-Sollier, dimorante in Torino, era una ricca vedova, che fu molto larga di soccorsi a Don Bosco, a Don Rua e per l'oratorio festivo a Don Pavia. Don Bosco, che la sapeva alquanto impressionabile, le usava la carità di ascoltarla talora anche a lungo e di abbondare con lei nella corrispondenza epistolare. Nel 1881 le scrisse più volte. La prima lettera che noi abbiamo é una risposta indirizzata a Susa, poco avanti S. Luigi. Per quella festa la invita in termini faceti a far da priora.
Stimabilissima Sig. Magliano B.na,
Ricevo la sua carissima lettera con vera consolazione e le rispondo parte per parte.
Al giorno 6 e 7 del prossimo luglio sarò a Torino e sarò sempre onorato quando mi favorirà qualche sua visita.
Ben fatto che siano state disseppellite quelle carte, le quali cadendo in mano di taluno poteva fame tema di quistione.
In questo mese il Bollettino fu alquanto in ritardo a motivo del Redattore che fu alquanti giorni malato. Ora é stampato e lo riceverà forse in giornata. [452]
La corona del S. Rosario l'attende, ma se ritarda molto la sua venuta può darsi che mi sia da altri involata. A tale scopo non posso facilmente farle buono che non venga a fare in questo anno la priora di S. Luigi. La festa di questo santo é fissata pel 26 di questo mese. Attesa la comodità del viaggio, non potrebbe venire a passare quella giornata con noi e condurre seco sua sorella ed anche sua nipote? Facendo S. Luigi, vi é pranzo preparato per tutti e studieremo di onorare questo Santo con una mensa assai frugale siccome so che Ella desidera. Tutte le preghiere di quella giornata, le comunioni dei giovani, la Messa del povero Don Bosco sarebbero tutte cose offerte a Dio secondo la santa di Lei intenzione.
E poi io ho già pubblicato che in questo anno Ella sarebbe stata la nostra priora. Dovrò adesso disdirmi? San Luigi non si offenderà? Ci pensi e poi dica di no, se si sente.
Dio la benedica, o benemerita Sig. Bernardina, Dio la conservi in buona salut,. ma sempre nella sua santa grazia. Voglia Ella pure pregare per questo poverello, che pregherà pure ogni mattino per Lei, mentre con gratitudine le sarò sempre in G. C.
Al 5 di luglio le manda un regaluccio di confetti, donativo certamente fatto a lui stesso forse nell'occasione dell'onomastico, e glielo presenta con un biglietto così concepito: “Alla Sig. Bernardina Magliano nostra buona Mamma in G. C. il Sac. GIOVANNI Bosco manda questi confetti che prega rispettosamente voler gradire come piccolo segno di molta gratitudine.” Verso la fine dello stesso mese, la invita a Nizza Monferrato per farvi gli esercizi spirituali, scrivendole sopra la circolare stampata, che egli inviava quell'anno a pie signore e a maestre per annunziar loro il prossimo divoto ritiro[395]: “Chi sa se la S. V. sentasi di venire a questi esercizi? Io ci vado, e farò mia parte. Vedremo il suo coraggio.” La Signora doveva in quei giorno andare a Busca, nel circondario di Cuneo, per la villeggiatura; ma prima desiderava di vedere Don Bosco, che a una sua lettera, in cui forse ella manifestava il timore di importunarlo, rispose: [453]
Rispettabile Sig. B. Magliano,
Io sono in casa a qualunque ora oggi e domani e desidero di riverirla prima che Ella parta per la campagna di Busca. Qualora poi non potesse venire io l'attendo pel 2 oppure pel cinque agosto a Nizza. Per Lei é sempre tempo. Va bene?
E’ sempre una vera spirituale consolazione quando mi scrive qualche sua lettera.
Dio la benedica; e Maria A. la conservi sempre sua. Amen.
Agli esercizi ella non andò; quindi per il 20 agosto, onomastico di lei, Don Bosco le fece pervenire i suoi auguri. Dirigendo allora gli esercizi spirituali degli aspiranti a San Benigno, avvalorò tali auguri con la promessa di abbondanti preghiere anche da parte degli esercitandi.
Sig.ra Bernardina Magliano nata Sollier,
Dimani suo onomastico vorrei riverirla personalmente, ma non posso perché occupato in una muta di esercizi in questa casa. Farò così:
Dimani io celebrerò la santa messa, gli esercitandi faranno la santa comunione e preghiere secondo la pia di Lei intenzione. Ecco il nostro tributo di riconoscenza.
S. Bernardo le porti il dono prezioso della dolcezza e del fervore e la S. Vergine Ausiliatrice la conservino in buona salute e per la via della santità. Amen.
Preghi per me che le sarò sempre in G. C.
Da San Benigno nell'ultimo giorno degli esercizi[396] un giovane aspirante, Carlo Dallera, poi sacerdote salesiano in [454] America essendo sul punto di dare il proprio nome alla Società, ringraziò per iscritto la Signora, che l'aveva beneficato all'Oratorio. Nella lettera di lui Don Bosco accluse queste sue righe:
Il giovane Dàllera Carlo compie il suo dovere verso di V. S. ed io mi servo della stessa busta per presentarle i miei umili rispetti.
Abbiamo oggi finita una muta di esercizi Spirituali di 160 giovani aspiranti a farsi salesiani. Dio li faccia tutti veri ecclesiastici.
Voglia pregare anche per me che le sarò sempre
L'ultima lettera di quest'anno é dell'ottobre. La Magliano villeggiava ancora a Busca. A lei ricorse Don Bosco, pregandola di aiutarlo a provvedere il panno, con cui fornire sottane per la vestizione dei nuovi chierici ed anche per sacerdoti bisognosi di rinnovare le proprie all'approssimarsi dell'inverno.
La S. V. ebbe la bontà di chiedere di mie notizie e la ringrazio. Io stesso ne voglio dare. Di sanità va assai bene pel corpo; per l'anima Dio lo sa. Ma vi è un Ma. Ho troppe cose da compiere e non ho danaro a sostenerle. Oltre le missioni e le costruzioni ho trecento tra preti e chierici da vestire. O se Lei, Benemerita Signora, fosse un po' inspirata a venirmi in aiuto per questa ultima impresa, quale straordinario suffragio pe' suoi defunti e per tutte le anime del purgatorio!?
Sono persuaso che farà quanto potrà e a me non occorre altro che ringraziarla e pregare Dio che le dia il centuplo nella vita presente e la mercede eterna nella vita futura.
Spero che il suo ritorno alla città non sarà lontano. Maria Ausiliatrice le dia buon termine della campagna, felice ritorno tra noi e voglia anche pregare per questo poverello che le sarà sempre nei Sacri Cuori di Gesù e di Maria.
Sul principio del nuovo anno scolastico 1881-82 Don Albera aveva dovuto rimettere a Don Belmonte la direzione della casa di Sampierdarena, perché traslocato a Marsiglia con le funzioni d'Ispettore per le case di Francia. Era partito da pochi giorni, quando Don Bosco scrisse colà a Don Bologna:
Non ho potuto accompagnare Don Albera con una lettera al vescovo di Marsiglia. Dimmi adunque che ne é delle suore, dei nostro ospizio, del sig. curato e del nuovo personale?
Ho scritto a Mad. Jacques. Oggi scriverò a Madame Prat-Noilly. Dio ci benedica e di' a Don Albera che mi scriva una lunga lettera.
A Sampierdarena il futuro secondo successore di Don Bosco godeva la stima non solo di tutto il clero, che a lui ricorreva per consiglio, ma anche della Curia e dell'Arcivescovo. Il Vicario Generale nella visita di commiato gli gettò le braccia al collo, esclamando con le lacrime agli occhi: Perdo un amico!
Don Bosco era venuto preparando da un anno quel trasferimento. Egli sapeva tra l'altro di dover vincere le opposizioni della nobildonna genovese Fanny Ghiglini, maternamente affezionata al Direttore. Cominciò pertanto a scriverle come per domandare in confidenza il suo parere circa quella sua intenzione; avvertì poi Don Albera di disporre le cose in modo che, qualora i Superiori credessero di mandarlo a Marsiglia, potesse tosto senza inconvenienti lasciare Sampierdarena.
Il preavviso fu per Don Albera un colpo tanto più grave quanto meno aspettato. Allora alquanto timido, s'immaginava di dover trovare un monte di difficoltà nel cambiar nazione e lingua. Don Bosco però riteneva per certo che egli [456] avrebbe obbedito. La signora invece rispose con una serie di argomenti per dimostrare l'impossibilità di tale partenza. Ma, trascorsi alcuni giorni e ritornata su quella prima impressione, pigliò nuovamente la penna per dichiarare a Don Bosco, che con le sue osservazioni essa non intendeva affatto porre ostacolo alla volontà di Dio. Volere, sì, molto bene a Don Albera, perché se lo meritava; ma sopra ogni cosa portare affetto alla Congregazione. Prendesse quindi Don Bosco le disposizioni da lui giudicate migliori.
In ottobre Don Albera fece la consegna al suo successore; poi, pensando che nessun ordine espresso gli era ancora giunto di partire e illudendosi che gli potesse ancora venir risparmiata un'obbedienza cosi difficile, venne a Torino per parlare con Don Bosco. - Come? gli disse Don Bosco, appena lo vide. Non sei ancora andato a Marsiglia? Parti subito! - Né aggiunse altro.
Don Albera, fatto immediatamente ritorno a Sampierdarena, andò con Don Belmonte a passare una giornata presso la signora Ghiglini nella sua villa, posta sui colli che si stendono dietro l'ospizio dì San Vincenzo. La padrona, prevenuta della visita, aveva invitate colà le principali cooperatrici, uno stuolo di nobili dame. Al momento della separazione si levò un pianto generale; egli pure, scendendo di lassù col suo compagno, singhiozzava come un ragazzo. Ma il dì seguente era già in Francia. Non furono poche le critiche per quell'ordine di Don Bosco; la Signora però ogni volta ripeteva non doversi mai anteporre l'individuo alla Congregazione. Può darsi che Don Bosco alludesse a questi suoi buoni sentimenti, scrivendole poco dopo in un biglietto di presentazione: “Il SAC. GIOVANNI Bosco fa vivi ringraziamenti alla Signoria Vostra con auguri di celesti benedizioni e Le presenta la Sig. Angela Picardo valente cooperatrice salesiana.” Era cosa risaputa che egli presa che avesse una risoluzione di tal genere, non ne recedeva più per umani riguardi. [457]
DIPLOMA DI COOPERATORE A UN EBREO.
Nel mese di novembre accadde un grazioso qui pro quo. Per una mera svista era stato mandato da Don Pozzan il diploma di cooperatore salesiano a un signor Augusto Calabia, israelita, il quale si dié premura di rispondere a Don Bosco:
“Le sono grato della fiducia ch'Ella mi dimostra col farmi l'onore di ascrivermi fra i Cooperatori Salesiani e tengo per memoria il relativo regolamento, nonché l'annesso supplemento; ma Le fo osservare che io appartengo alla religione Mosaica, e con ciò ho detto tutto. Mi professo col massimo ossequio, ecc.”. Don Bosco fu non meno sollecito a rispondergli.
E' cosa veramente singolare che un prete Cattolico proponga un'associazione di carità ad un Israelita! Però la carità del Signore non ha confini, e non eccettua alcuna persona di qualunque età, condizione e credenza.
Fra i nostri giovani che in tutti sono 80.000 ne abbiamo avuti, e tuttora ne abbiamo, che sono Israeliti. D'altro lato Ella mi dice che appartiene alla religione Mosaica, e noi Cattolici seguitiamo rigorosamente la dottrina di Mosé e tutti i libri che quel gran Profeta ci ha lasciati, avvi in ciò disparità soltanto nella interpretazione di tali scritti.
Di più il sig. Lattes della città di Nizza al Mare é Israelita, ma uno de' più ferventi nostri cooperatori. Ad ogni modo io continuerò a spedirle il nostro Bollettino, e credo che non troverà alcuna cosa che offenda la sua credenza, e qualora ciò succedesse oppure ne desiderasse la cessazione, non avrebbe che a darmene cenno.
Dio la benedica, la conservi in buona salute e mi voglia credere con rispetto e stima
Verso la fine del 1881 pendeva sui così detti corpi morali la minaccia di una nuova legge assai vessatoria; Don Bosco vi allude in una lettera a Don Ronchail, lettera non datata, [458] ma che deve appartenere al cadente 1881[397]. Per colpire sempre più le superstiti Congregazioni religiose, venne decretata dal radicale Ministero Gambetta una nuova imposta del tre per cento sui loro beni. La corta durata di quel Ministero non lasciò il tempo di applicare la legge; ma sotto il Ministero seguente fu poi dato al testo della medesima un'interpretazione mite nel senso che l'imposta s'intendeva gravare solamente su utili reali. Da questo lato dunque i bilanci di Don Bosco erano al sicuro, poiché si chiudevano ogni anno con reali deficit; furono quindi fatte in tempo le opportune dichiarazioni escludenti la presenza di utili[398].
1 Appena ho ricevuto la tua lettera che m'annunciava la malattia della sorella della damigella Girard, ho immediatamente dato ordine di farvi speciali preghiere mattino e sera all'altare di Maria SS. Ausiliatrice e noi continueremo di tutto cuore. Ma tale guarigione sarà della maggior gloria di Dio? Sarà utile all'anima dell'ammalata? Lo spero. Intanto pregate anche nella vostra casa, e se piace alla gran Madre di Dio vedremo il miracolo. Diversamente sia fatta la volontà del nostro Padre celeste.
2. La pratica per l'affare del Sig. Piron sarebbe conchiusa. Ma avvi un punto assai delicato. Sua Eccellenza Correnti, segretario di tutto l'Ordine Mauriziano, mi domanda nota delle beneficenze fatte o sperate del mentovato Signore Piron. Perciò pensaci, se sei in tale confidenza da poterne parlare tu stesso, oppure ch'io stesso ne scriva in confidenza.
Pel chierico Reymond ritieni: Se fu cacciato dal Seminario per motivo d'immoralità, non può essere accettato in alcuna delle nostre case; se per altro, dimmelo.
3. A quest'ora avrai già Dellavalle e Serra. Se non bastano, manderemo altri, e ci andrò anch'io[399].
4. Sulle imposte da fissarsi ai corpi morali non possiamo dire niente; perché avendo nemmeno un soldo di preventivo non possiamo [459] presentare alcun bilancio. Qualora vogliano assolutamente una copia delle nostre Regole, se ne dia una copia in latino.
5. Come abbiamo ardentemente pregato quando fu malato il sig. ingegnere Levrot, così abbiamo tosto cominciato a fare per la signora di Lui moglie, appena abbiamo saputo che Ella era malata e speriamo che Dio ci abbia esauditi e che a quest'ora essa abbia già acquistata la primiera sanità.
6. Riguardo alla nota onorificenza, quando fui a Roma (passato aprile ultimo) ne feci proposta al Papa, che di buon grado annuì: le carte furono portate al Card. Segretario di Stato, che mi diede la cosa fatta, D'allora in qua non ho più potuto avere la conclusione. So però che il S. Padre, secondo l'uso, ne dimandò il voto all'Ordinario di Nizza. Vedremo.
7. Ho riscritto per la terza volta al medesimo Cardinale.
8. Gran cosa sono i comitati dei Signori e delle Signore pel nostro Patronato. Dirai loro che io prego ogni giorno per le medesime. Il Santo Padre manda a tutte una speciale benedizione e l'indulgenza plenaria ogni volta che si radunano in conferenza.
9 Presenterai i miei umili rispetti, col rispettoso omaggio delle nostre preghiere a tutti i nostri benefattori e benefattrici, Mad. Visconti, alla Baronessa Héraud, Mad. Daprotis, Mad. Guigou, al Can. Giovan e a Mons. Tibeau.
10. Dio ci benedica tutti e prega per me che ti sarò sempre in G. C.
PS. E’ bene che tu t'intenda con Don Bologna, perché si mandino alcune copie ad alcuni dei nostri benefattori del D'Espiney: Come, Curato di S. Giuseppe, Abbé Mendre, Mad. Prat, Mad. Jacques, M. Rostand, Bergasse, Monsig. Vescovo, ecc. Al Card. di Lione, Monsig. Guiol Rettore dell'Università Cattolica ibidem, Monsieur Colle di Toulon, etc. Procurate di intendervi per non duplicare. Badate che io non debbo comparire. Questo libro nel suo genere é un vero capo d'opera e se io non fossi compromesso, vorrei farlo leggere in tutte parti[400]. Vorrei sapere come ringraziare il dotto autore.
Il rincaro dei viveri, per effetto della scarsa raccolta fattasi nell'annata, metteva in quotidiane angustie chi aveva [461]
Gli aspiranti francesi, finché non fu possibile aprire un noviziato nella loro patria, venivano a San Benigno, dove i chierici rimasero otto anni. Don Barberis dirigeva la casa con tutto lo spirito di Don Bosco, sicché regnava là entro una pietà allegra e una lodevole applicazione allo studio; ma quanto a vita materiale bisognava avvezzarsi a far a meno di tante comodità. Scarsi i ripari contro gl'intensi freddi invernali e nessun riscaldamento negli ambienti; vitto preparato alla buona; piatti di stagno per la minestra; invece di bicchieri i tazzoni del caffè; mobili molto primitivi; biancheria in comune. Si comprende come quei poveri Francesi dovessero trovarsi a disagio. Coloro che venivano in età matura e con serie intenzioni, apprezzavano la sorte di vivere vicino a Don Bosco e si affezionavano a Don Barberis, la cui inesauribile paternità era proprio la gran panacea per tutti; ma i giovani, spoetizzati dai disagi, raramente la duravano.
Nel 1881 vennero fra gli altri dalla Francia i cinque giovani Damasceni, menzionati da noi nel volume precedente. I catalogi del 1880 e del 1881 li registrano fra gli aspiranti studenti di Nizza Mare. Qualunque ne fosse la causa, dopo qualche mese, allorché mancava poco tempo alla vestizione chiericale, manifestarono scontentezza, e uno di loro per nome Antonio Homsi scrisse a Don Bosco, confidandogli il suo stato d'animo e fors'anche quello dei compagni, e n'ebbe un'affettuosa e ragionata risposta in lingua francese. Diamo qui tradotta la lettera.
Ho ricevuto la tua lettera, che mi ha fatto molto piacere; perché tu mi apri il tuo cuore e io sono in grado di darti un buon consiglio. Risponderò a ogni tua domanda.
Iddio, avendoti chiamato in modo affatto straordinario a venire con me, aveva certamente un fine degno di lui: il bene della tua anima [462] e allontanarti dai pericoli del mondo. Sei stato conservato in buona salute, hai fatto gli studi, hai serbato a lui il tuo cuore. In tutto questo tempo Don Bosco ha fatto tutte le spese necessarie per la tua educazione e non ti mancherà nulla per il tuo avvenire. Ritornando invece nel mondo, avrai molto da combattere e forse cadrai in battaglia; e la tua anima? e il paradiso? Saranno in pericolo di andare perduti.
Perciò io credo che per te sia molto meglio fare come ci dice San Paolo: Chi sta bene non si muove.[401] E altrove: Rimanete nella vocazione, a cui Dio vi ha chiamati. Inoltre, se tu volessi tornare al tuo paese per fare gli studi, dovresti andarvi prima della vestizione chiericale; perché io non posso dare la sottana a un giovane che sia sotto la giurisdizione altrui.
Dunque considerando le spese, il viaggio, i pericoli spirituali e temporali; considerando che sei in una casa, dove non manchi di nulla né per l'anima né per il corpo e quindi é moralmente sicura la tua salvezza eterna; considerando che Don Bosco é tuo amico e a ogni costo desidera di renderti felice in questo inondo e nell'altro: io ti dò il consiglio di farti Salesiano. Così farai senza dubbio la santissima e adorabile volontà di Dio sulla terra, e alla fine la Santa Vergine Ausiliatrice ti condurrà a ricevere un giorno il grande premio, del Paradiso. Così sia.
Dio ti benedica e con te benedica i tuoi compagni, e prega per me che sarò sempre in G. C.
Mandando al giovane la sua esortazione per mezzo di Don Barberis, il Servo di Dio scriveva a quest'ultimo: “Darai questa lettera a Homsi che spero servirà anche per gli altri” Ma non servì né per gli altri né per lui. Dovevano già essersi intesi col Patriarca, il quale, come abbiamo narrato[402], diplomaticamente li fece rinviare in Francia. Forse Don Barberis avrebbe voluto già sbarazzarsene; almeno così sembra potersi arguire da queste scherzevoli espressioni di Don Bosco: “Fatti buono e non tacchignoso quando non si vuol fare a tuo piacimento.” [463]
Chiunque aiutasse Don Bosco a fare il bene, era sicuro di averne la gratitudine in parole e in fatti. Ecco una signora Caterina Ghione, vedova Cavalli, offrirgli quattro cartelle del debito pubblico della rendita di lire 50 caduna, più lire 300 una volta tanto, a queste condizioni: 1° Mantenere per tutto il corso ginnasiale tre allievi nel collegio di Borgo San Martino; 2° per uno di essi provvedere anche il bucato e le piccole somministranze, eccetto abiti, biancheria e copertura del letto; 3° andandosene alcuno dei tre dal collegio, fatta facoltà alla donatrice di nominarne un altro al suo posto per il restante del tempo che avrebbe avuto diritto di rimanervi quello uscito[403]. In sostanza, cento lire d'ingresso e circa venticinque mensili di pensione erano un bel benefizio per i giovani, ma, economicamente parlando, non per Don Bosco. Eppure scrisse alla oblatrice:
Ho ricevuto l'offerta sua per mano del Sig. Can.co Sisto parroco e mi rallegro con Lei che certamente da Dio inspirata manda il lume che le rischiarerà la via per la beata eternità. Il Signore la conservi in questi generosi sentimenti e ne sarà certamente consolata in vita e assai confortata al punto di morte.
La prego di voler gradire una coroncina benedetta dal S. Padre e con questa intendo di professare la mia gratitudine.
Dio la benedica e la conservi nella sua santa grazia e voglia pregare anche per me che le sarò sempre in G. C.
Di viva riconoscenza é documento anche questa letterina, con la quale ringrazia per un'offerta di sessanta lire.
Credo abbia ricevuto il diploma per Lei e per la Signora sua zia. Prego di buon cuore per ambidue. Li ringrazio dell'offerta di fr. 60 [464] che mi fanno. Siamo veramente nelle strettezze. Dio li rimeriti degnamente. L'attendo con gran piacere a farci una visita qui a Torino.
Dio ci benedica tutti e conservi tutti nella sua santa grazia.
Essendo prossime le feste natalizie, condensa in una lettera l'espressione dei suoi sentimenti di gratitudine verso benefattori e benefattrici di Nizza Mare, ma vuole che quel Direttore si faccia suo interprete, partecipandoli individualmente in forma degna.
Con tante ferrovie che conducono a Nizza i nostri inviati[404] stentano a pervenirvi. Credo però che D. Dellavalle e Serra saranno al loro posto.
Dirai a Madamigella Guigou che ho stabilito delle preghiere quotidiane pel buon esito della sua vendita. Farai rispettosi augurii alla medesima da parte mia. A madame D'Aprotis auguro buone feste, sanità e santità quanta ne desidera. Alla nostra Mamma e al suo angelo custode, la domestica, umile augurio di perfetta sanità e lunga vita.
Alla Baronessa Héraud buone feste, buon capo d'anno e sanità migliore, come dimando ogni giorno al Signore per Lei.
Al Sig. Ingeg. Levrot e famiglia: Centuplum accipiet in praesenti et vitam aeternam in futuro.
Al Sig. nostro buon amico, Notaio Saietto, che lo ringrazio della bontà che ci fece e ci usa. Me ne ricorderò in faccia a Dio e in faccia agli Uomini.[405]
La mia partenza da Torino sarà al 10 del prossimo gennaio si Dominus dederit. Chambéry, Lyon, Valence, Aix, Marseille, Aubagne, Toulon, Hyéres, Fréjus, Cannes, Grasse, Nice, ecco il luogo di stazione. Spero di essere con te alla metà di febbraio.
Ricevo in questo momento una lettera di Don Porani in francese. Digli che mi rallegro con lui e della calligrafia e del progresso fatto nella lingua francese. Salutalo da parte mia.
Dio benedica te, i nostri cari confratelli e allievi, le suore e tutti [465] i nostri benefattori; a tutti conceda buona salute e il dono della perseveranza nel bene. Pregate anche per me che sarò sempre in G. C. Torino, 22 dicembre 1881.
PS. Non dimenticare Madama Girard e sua sorella e Mons. Girard.
Ho scritto a Mad. de St-Michel a Lyon sull'epoca del mio passaggio in quella città. Finora non ho ricevuto alcun riscontro.
Riboccante di riconoscenza é anche quest'altra lettera, comunicataci in copia e non per intero. La destinataria, Filomena De Maistre, ultima figlia del celebre scrittore, andò sposa al conte Medolago Albani, rimasto vedovo della di lei sorella Benedetta. Mortole il marito e terminata l'educazione di Stanislao, il futuro economista cattolico, si fece suora nelle Figlie del Sacro Cuore e morì a Roma nel 1924. Serbò fino all'ultimo una venerazione profonda per Don Bosco, del quale parlava sempre con commozione.
Mi sono fatto premura di ringraziarla e rispondere minutamente ad alcuni quesiti che nella sua bontà giudicava di farmi. Or rimango di stucco al sapere che la mia lettera non le é pervenuta.
Mi rincresce, Ella mi perdoni. Non ci ho colpa.
Ora vedrò se questa mia sarà più fortunata dell'altra.
Dunque in questo momento ricevo fr. 1000 offerti pel Santuario del Sacro Cuore in Roma. Le sue pie intenzioni saranno fedelmente appagate: dirò la messa che mi chiede in onore di Maria, pregherò e farò pregare per tutte le pie intenzioni che mi accenna. Per sua norma le dirò che sono molti anni da che faccio ogni mattino per Lei e per la sua famiglia un memento speciale nella S. Messa e continuerò fino a che ne abbia ricevuto il frutto del bene elle ci ha fatto e lo riceva lassù in paradiso.
Ad ogni modo la preghiera ottiene tutto quello che ci fa mestieri e quella preghiera noi la faremo per Lei ogni giorno specialmente nella prossima festa di Maria.
Dio la benedica, o Signora Filomena, Dio le conceda santità e sanità in abbondanza e voglia pregare anche per questo poverello
PS. Se questa lettera le perviene, mi mandi biglietto di visita. [466]
Soavi espressioni di cristiano conforto scrisse all'avvocato Guido Donati di Firenze in morte della moglie. Questo cooperatore salesiano fu padre di Suor Celestina Donati, fondatrice delle Figlie Povere di San Giuseppe Calasanzio e degli Asili gratuiti per le figlie dei carcerati, morta in concetto di santità il 18 marzo 1925.
In Gesù Cristo Signor Avvocato carissimo[406],
Abbiamo pregato e si continua a pregare da ben 80.000 fanciulli: sembrava che Dio volesse appagare i nostri voti colla guarigione della Signora Costanza, di Lei moglie. Non fu così, nei decreti di Dio. Egli voleva che quell'anima benedetta andasse a ricevere il premio delle sofferenze della vita. Le nostre preghiere contribuirono ad ottenerle da Dio una santa morte e ad abbreviarle il purgatorio. In questo momento io credo di non dire troppo giudicandola già al possesso della gloria eterna del Cielo; già divenuta presso Dio potente protettrice per tutta la famiglia e specialmente per Lei suo degno Marito. Noi, intanto continueremo le nostre preghiere per la compianta Signora, pregheremo per quelli che vivono in sua Famiglia, affinché facendosi fedeli seguaci di sue virtù in vita, possiamo tutti un giorno raccoglierci tutti intorno a lei a lodare e benedire Iddio per tutti i secoli.
Comprendo quanto sia il dolore in cui é immersa tutta la sua Famiglia. Ma essi possono fare molte cose gratissime alla compianta Genitrice in più modi. Offrire a Dio in suffragio suo il dolore che provano per la sua perdita, pregare molto per lei, finché ciascuno vivrà, consolarci tutti nel gran pensiero che la rivedremo forse presto in uno stato migliore che non era quello in cui si trovava quivi in terra.
Dio la benedica, o sempre caro Signor avvocato, Dio conservi in buona salute Lei, tutta la sua Famiglia e voglia anche pregare per me che le sarò sempre in N. S. G. C.
In un'altra lettera Don Bosco scrive parole di cristiano conforto a un padre che piange la perdita del figlio. Questo signore, dal nome straniero di Massimiliano Flik, villeggiava a Rivoli; altri particolari si apprendono dalla lettera. [467]
Allora che la S. V. compiacevasi di passare alcune ore con noi, pareva che qualche raggio di speranza spuntasse nel nostro cuore sulla guarigione del suo figlio infermo.
Dio ha disposto altrimenti, e Dio sia benedetto in tutte le cose. Quel suo figlio dava buona speranza di un lieto avvenire; era un fiore del paradiso terrestre che Dio vuole trapiantare nel paradiso celeste per cui era già maturo.
Ho pregato per Lui ed ora non mancherò di pregare per Lei, o rispettabile signore, per la sua signora moglie e per tutta la sua famiglia. Dio li benedica tutti e tutti li conservi in buona salute e nella sua santa grazia.
La ringrazio dell'offerta che fa di prestarsi in favore della nostra casa; e mi auguro qualche occasione di poterla servire in qualche cosa di cui sia capace.
Ho speranza di poterla riverire a Torino mentre ho l'onore di potermi professare in G. C.
S. Benigno Canavese, 4 settembre 1881.
Una lettera piena di cortesia va al barone Roberto Ricci des Ferres, fratello di Carlo e figlio di Feliciano. La madre, di cui qui si parla, era una Pralormo; la famiglia comitale di questo nome favorì sempre Don Bosco.
Avrei bisogno di conferire con Maman di qualche cosa che mi pare assai utile per la maggior gloria di Dio. Se pertanto mentre essa passa in Torino o qua vicino Ella potesse darmene cenno, io mi recherei per ivi riverirla e conferire secolei un momento.
Dio La benedica, o sempre caro Sig. Roberto, Dio benedica Lei, la sua signora Moglie e tutta la sua famiglia, e voglia anche pregare per me che con grande affezione e stima le sarò sempre in G. C.
Le malattie che avevano visitato la casa di Este durante l'anno scolastico 188o-81, tenevano in apprensione il Direttore alla vigilia della riapertura; Don Bosco gli ridà coraggio, rianimandone la fiducia in Dio.
Mettiamo la nostra confidenza in Dio e andiamo avanti. Aprite il vostro collegio, dite mattina e sera un Pater al Sacro Cuore di Gesù e di Maria, studiate d'impedire il sudore negli allievi, riparateli dal passaggio dal fresco al caldo nel mattino e nella sera.
Tanti saluti al sig. Venturini ed al sig. Pelà cui dirai che forse ci vedremo fra breve.
Dio vi benedica tutti e vi faccia, o meglio vi conservi sani e santi.
Pregate per chi vi raccomanderà ogni giorno nella S. Messa, mentre sono in G. C.
Don Stefano Chicco crebbe nell'Oratorio fin dall'età di dodici anni. Nonostante gl'incomodi continui di salute, che, confortato da Don Bosco, sopportava con abituale rassegnazione e pazienza, poté nel 1871 ascendere al sacerdozio. Fu prefetto ad Alassio e a Magliano Sabino. Dotato di sano criterio e di rara prudenza direttiva, esercitò con zelo e frutto il ministero delle confessioni. Andò primo Direttore delle Figlie di Maria Ausiliatrice nella nuova casa madre di Nizza Monferrato, donde nel 1879 passava ad aprire e dirigere la casa di Cremona. Molto faticò, molto patì in quell'ufficio. L'illustre Vescovo monsignor Bonomelli ne aveva stima, i buoni lo amavano. Fra l'estate e l'autunno del 1881, acuitisi i suoi mali, si pose a letto per non più alzarsi. Don Bosco inviò a Cremona Don Belmonte, che, lasciata la direzione di Borgo San Martino, si disponeva ad assumere quella di Sampierdarena; egli doveva dirigere interinalmente [469] l'istituto ed assistere l'infermo. Sul principiare d'agosto Don Bosco gli scrisse questa paterna lettera da Nizza Monferrato[407].
Tu sei a Cremona, tu sei accanto al nostro caro Don Chicco, la cui malattia é sempre grave. Sia benedetto il Signore in tutte le cose. In tutte le nostre case si prega per lui ed in questo istituto della Madonna delle Grazie, dove egli esercitò con zelo il sacro ministero, si fanno straordinarie suppliche al Signore. Ci conceda Iddio ciò che egli crede meglio per la sua gloria e per la nostra eterna salvezza.
Intanto tu procura che niente gli manchi; assicuralo che mattino e sera oltre al pregare gli mando una speciale benedizione. Se non mi trovassi impacciato in mille cose, volerei a fargli una visita; forse potrò ciò effettuare al principio della prossima settimana.
Dio benedica il sempre caro ed amato Don Chicco, benedica te e tutta codesta nostra famiglia cremonese; Dio vi conservi tutti nella sua santa grazia e pregate anche per me che vi sono sempre in N. S. G. C.
Don Bosco andò realmente a confortarlo d'un ultimo abbraccio. La preziosa visita lo preparò al sacrifizio della vita, che egli compié serenamente la notte del 16 settembre.
Per la novena e festa dell'Immacolata Concezione Don Bosco regalò alle case dieci fioretti, che i Direttori dovevano proporre e spiegare ai loro giovani nei sermoncini della "buona notte".
Ai miei cari figli della casa di N.
Fioretti per la Novena dell'Immacolata Concezione.
In onore di Maria, mia madre carissima, nel corso di questa novena, colla protezione di Lei e coll'aiuto di Gesù suo figliuolo, voglio: [470]
Giorno I. Frequentare la S. Comunione.
„ II Essere puntuale nei doveri di pietà;
„ III. ...nei miei doveri temporali e ubbidire.
„ V. Fuggire gli sguardi cattivi.
„ VI. Fuggire i cattivi discorsi e quelli che li fanno.
„ VII. Evitare ogni cosa contraria alla santa virtù della modestia.
„ VIII. Esaminare la coscienza mia intorno alle confessioni passate.
„ IX. Preparazione ad una santa morte.
Festa. Voglio consacrarmi a Maria e recitare sovente:
Scrivendo a Don Barberis per il giovane damasceno, Don Bosco gli diceva: “Dirai a Saluzzo che può venire quandochessia in uffizio a meno che Nicoletti non ti fosse di qualche servizio e tu preferissi di mandarmi lui a farmi da maggiordomo,” Il Nicoletti era un chierico proveniente da Rimini; di lui non abbiamo altro da aggiungere, mentre del primo nominato sì.
Don Lorenzo Saluzzo, primo Direttore della casa di Milano e primo Ispettore in Lombardia, compiuto il ginnasio nell'Oratorio, era passato a San Benigno, dove il 3 Ottobre 1881 fece la professione perpetua. La mattina dopo, incaricato di portare a Don Bosco il caffè nella sua cameretta, li rinnovò con filiale confidenza i suoi ringraziamenti per la grazia dell'ammissione ai voti religiosi. Don Bosco, ascoltatolo con bontà, gli disse: - Sai, Lorenzo, avrei deciso di farti venire con me a Torino per aiutare Don Berto. Gli hanno tolto il chierico Aime e desidero che tu prenda il suo posto. Dimmi però se preferisci restar qui a continuare gli studi classici ovvero venire a Torino, finirvi il corso di filosofia e poi andare a Roma con altri compagni per lo studio [471] della teologia. - Quell'anno andava in vigore una deliberazione presa nel secondo Capitolo Generale di far compiere a tutti i chierici il corso liceale. Saluzzo, che amava lo studio e riusciva bene, non vedeva l'ora di riprendere le occupazioni scolastiche; ma prontamente rispose che era ai suoi comandi. - Ben, ripigliò Don Bosco, adesso non dire niente a nessuno e sta' tranquillo. Appena avrò parlato con Don Berto, scriverò a Don Barberis. -
Scrisse difatti, come abbiamo veduto. Don Barberis, che avrebbe preferito mandare un altro, non osò menomamente contrariare una designazione così manifesta. Il giovane chierico partì. La sua comparsa nell'Oratorio destò meraviglia a tutti, giacché ne mancava solo da un anno; ma Don Bosco lo chiamò nel refettorio dei Superiori e disse ai Capitolari. - Il chierico Saluzzo é venuto per stare con Don Berto presso di me e non dovrà avere altra occupazione se non quanto gli daranno da fare Don Bosco e Don Berto. Don Rua, Don Cagliero e tutti i presenti gli fecero festa, congratulandosi con lui.
Già da studente Don Bosco lo adoperava per commissioni ai benefattori in Torino; inoltre nelle maggiori solennità lo chiamava a servire in tavola Superiori e invitati. Così, sommando i due periodi, sebbene non sempre nelle medesime condizioni, visse per quattordici anni accanto al Servo di Dio, godendone quasi la familiarità. Riandando quei tempi ormai lontani, egli ci scrive: “Chierico e sacerdote fui sempre da lui aiutato, benedetto e fatto segno a particolare fiducia, come bene può attestare il caro Don Trione. Fui testimonio oculare di grazie e miracoli compiuti da lui che sempre paternamente mi resse, compatì e confortò, specie in momenti non sempre lieti per giovani, anche se già chierici e sacerdoti. Non per vanità, ma solo per rendere sempre più viva riconoscenza e filiale gratitudine a chi mi fu più che Padre e benefattore, scrivo queste righe dettate dal cuore, e per ravvivare anche dopo 52 anni di [472] professione religiosa salesiana la mia fede nel Beato e nelle sue regole”[408].
Nel 1881 vi era all'Oratorio un altro chierico, egli pure tuttor vivo e vegeto e medesimamente debitore d'un particolare tributo di gratitudine alla benedetta memoria del caro Padre. Doveva quell'anno prepararsi ad un esame, per il quale gli bisognava studiare una materia a lui poco simpatica. Salì da Don Bosco e, come allora si soleva, gli espose con tutta schiettezza il proprio imbarazzo, tanto più che aveva poco tempo libero per dedicarsi a quello studio. Don Bosco, datogli uno di que' suoi sguardi soggiogatori e fattolo sedere accanto a sé: - Tu sei amico di Don Bosco, non é vero? gli disse. Ebbene, facciamo così. Due o tre volte la settimana, a quest'ora (erano circa le diciotto), verrai qui da me. Se Don Berto facesse difficoltà a lasciarti passare, gli dirai che Don Bosco ti ha chiamato, e così studieremo insieme la matematica, perché anch'io ho bisogno di ripassarla. - Il chierico Chiapello, poiché di lui parliamo, ebbe naturalmente tanto buon giudizio da non profittare dell'inaspettata esibizione, poiché capiva abbastanza di non dover rubare a Don Bosco il suo tempo sì prezioso. Ma oggi a leggere di queste cose non si possono quasi trattenere le lacrime[409].
Dopo la burrasca del 1880 le cose delle Congregazioni in Francia procedettero l'anno dopo senza nuove minacce persecutrici fino alla metà di ottobre, quando l'anticlericalissimo Gambetta formò un Ministero di suoi servitori, risoluti di applicare integralmente il programma dei radicali contro la Chiesa; perciò nell'oratorio di Marsiglia si ridestarono le preoccupazioni. Alle signore del comitato un po' sbigottite l'abate Guiol nella seduta del 28 ottobre raccomandò la fiducia nella Provvidenza divina sull'esempio di Don Bosco, imitando al possibile quel perfetto abbandono, che in lui derivava dalla santità. “Calcando le orme di Don Bosco, disse loro, per cooperare alla sua opera, non c'é da tremare né da dubitare.”
Un buon incoraggiamento venne da Don Bosco stesso, il quale scrisse in dicembre chiedendo preghiere e comunioni; l'orizzonte sembrargli minaccioso, ma l'uragano potersi scongiurare mediante la divozione a Gesù Sacramentato e a Maria Ausiliatrice.
“L'anno scorso, commentò il curato, quando tutti trepidavano, Don Bosco aveva parole rassicuranti; l'invito che egli rivolge alla nostra fede e pietà, potrebbe essere una di quelle ispirazioni che Dio manda a' suoi Santi, affinché con i loro consigli e con le loro preghiere stornino vicini pericoli. Ascoltiamo sì preziosi avvertimenti, raddoppiando [474] il nostro fervore per ottenere da Dio che il temporale si dilegui.”
Nel capo d'anno Don Bosco, mandando i suoi auguri al parroco e alle dame, si esprimeva in guisa da produrre l'impressione che le orazioni avessero già cominciato a mostrare la loro efficacia. Non era ancora la sicurezza, ma il cielo si veniva facendo meno fosco. Dando di ciò comunicazione alle signore, il presidente voleva che si perseverasse a pregare, finché non fosse tornato il sereno.
Le concepite speranze non andarono del tutto deluse. Il bellicoso Ministero ebbe appena settantadue giorni di vita, dal 15 novembre 1881 al 26 gennaio 1882, lasciando il posto a elementi che sembravano un po' meno radicali.
Come dal fin qui detto si vede, le dame patronesse lavoravano con buona volontà per l'oratorio di San Leone; possiamo anzi aggiungere che lavoravano con lo spirito di Don Bosco. Il loro presidente, che lo conosceva benino, le illuminava sulla sua natura e portata. “L'opera di Don Bosco, diceva, riposa interamente sulla fiducia nella Provvidenza. Associati a un'opera così grande, noi dobbiamo prendere esempio dal venerato Fondatore, penetrarci del suo spirito e credere con la più ferma convinzione che nulla varrebbe a sostituire la vigile sollecitudine, a cui il nostro assoluto abbandono sembra obbligare la Provvidenza divina. Le più larghe generosità non giovano punto all'opera che abbiamo tra mano se non a patto di non andare contro il suo principio animatore, che é vivere sotto l'ala di questa Provvidenza, attendendo tutto dal suo aiuto, e non da misure e precauzioni tendenti a fare astrazione da tale assiduo intervento.” Date sì belle disposizioni d'animo, é facile indovinare con quanta gioia si apprendesse il 27 gennaio che Don Bosco sarebbe nella giornata a Marsiglia[410]. [475]
Don Bosco si trovava in Francia dal 16 gennaio. Il suo itinerario non era il medesimo degli anni precedenti. Lo accompagnava Camillo De Barruel, già avvocato e allora chierico salesiano, al quale si deve saper grado di preziose notizie intorno alla prima parte del viaggio[411]. Dieci giorni prima di mettersi in cammino il Servo di Dio aveva scritto così al Direttore della casa di Nizza.
Ricevo una lettera dalla nostra buona Maman che mi fa stupire. Sono certamente molti laureati che non sono in grado di scrivere una così compita lettera.
La saluterai da parte mia e le farai tenere l'unita lettera in risposta.
E’ fissata la mia partenza il 16 del corrente per Lione. Sarò forse a Nizza sul finire di febbraio prossimo.
Una serie di motivi, che non toccano né te né altri dei nostri ci consigliano per ora di continuare qui a Torino la stampa del Bollettino francese. Ne parleremo circa la metà di febbraio. I1 dire che i cooperatori mandano qui danaro é una vera scusa per non dare. Ad ogni modo farò in maniera di ricompensarti.
Dio conceda ogni bene a te, a tutti i nostri confratelli e figli ed abbimi sempre in G. C.
PS. M. de Monrémy é a Nizza? Mons. morì ed abbiamo perduto un amico.
Ne scrisse pure a Don Albera. Per dare all'Opera salesiana in Francia un sempre migliore assetto egli aveva col nuovo anno scolastico staccato dall'Ispettoria Ligure a cui le aveva momentaneamente aggregate, le quattro case francesi, costituendo ivi il primo nucleo di un'Ispettoria a sé, della quale affidò il governo a Don Paolo Albera. Questi raggiunse la sua residenza a Marsiglia nella seconda metà di ottobre, annunziato dall'abate Guiol, che l'aveva conosciuto a Sampierdarena, e da lui presentato alle signore come “sacerdote [476] giustamente avuto in pregio per merito e capacità” e come quello la cui “presenza era apportatrice delle più liete speranze per l'avvenire dell'oratorio”[412]. Gli diceva pertanto Don Bosco:
Ricevo due dispacci telegrafici da Marsiglia di cui uno di T. Flandin e l'altro di M. Ferand. Ambedue dimandano benedizione e preghiere per persone gravemente ammalate. Sarebbe opportuno che a queste persone fosse detto che noi qui abbiamo pregato e che continuiamo a pregare ogni giorno a pié di Maria V. A. Sono persone benefattrici e Don Bologna le conosce.
Dirai allo stesso Don Bologna che per la proposta Piron tratteremo di presenza e spero che i comuni desiderii saranno appagati.
Spero trovarmi con voi a fare S. Francesco purché questo nostro protettore possa rompere le corna ad una schiera di diavoli che non ci lasciano in pace: pregate e fate pregare. Ne ho veramente di bisogno.
Dio ci benedica tutti e credetemi in G. C.
La vigilia della partenza, ricordatosi di non aver ancora risposto agli auguri degli scolari di Don Borio a Lanzo, indirizzò al professore una letterina, che dovette tornare assai cara a lui e a' suoi allievi.
Sebbene mi manchi il tempo di scrivere e di recarmi a Lanzo secondo mio desiderio e quello de' tuoi allievi io non voglio partire per la Francia (16) senza ringraziate i tuoi e i miei cari allievi delle affettuose e belle lettere che mi hanno scritto di auguri per le buone feste e di buon capo d'anno. Appena di ritorno il primo passo sarà a Lanzo e ci parleremo. Intanto tu prega per me ed invita da parte mia la tua scolaresca a fare qualche comunione secondo la mia intenzione nel tempo di mia assenza. [477]
Dio ti benedica, o sempre caro mio Don Borio, e con te benedica le tue fatiche, i tuoi allievi, e pregate in modo particolare per me che vi sarò sempre in G. C.
PS. Fa' i miei saluti al Sig. Direttore.[413]
La sua prima tappa fu a Lione, accolto con esultanza dal fratello dell'abate Guiol, monsignor Luigi, rettore della locale Università cattolica. Questi, che in dicembre era andato a Roma, desiderava tanto di accordargli ospitalità nella sua casa, che, occorrendo, avrebbe anche anticipato il suo ritorno. A prevenire in ciò qualsiasi inconveniente Don Bosco mise sull'avviso il curato con questa lettera.
Un solo momento di disturbo. Io temo molto che suo fratello Mons. Luigi acceleri la sua partenza da Roma perché gli aveva scritto che al dieci di questo mese sarei partito alla volta di quella città. Non ho qui il suo indirizzo e perciò prego Lei a dirgli con qualche parola che la mia partenza non posso effettuarla se non al giorno 16, e che in qualsiasi modo io desidero che egli non precipiti ne' suoi affari per cagion mia.
Noi continuiamo a pregare per la sua sanità ed ho piena fiducia che sia già di molto migliorata.
Voglia anche pregare per me che in questo momento ho molti spinosi affari a trattare, affinché ogni cosa riesca a maggior gloria di Dio.
Mi ami in Gesù Cristo e mi creda sempre suo
Appena ritornato, Monsignore si affrettò a pregare il desiderato ospite di telegrafargli l'ora del suo arrivo alla stazione lionese; così egli fu il primo a porgergli il benvenuto. [478]
Don Bosco non poteva augurarsi un méntore più prezioso in quell'importantissimo centro, dov'egli faceva la sua prima apparizione, sebbene la fama ve l'avesse già da tempo preceduto. Far questue, visitare infermi e dare udienze saranno in questo, come nei passati viaggi, le sue occupazioni quotidiane. Per Lione noi possiamo dire qui in particolare solamente di tre conferenze da lui tenute.
La terza città della Francia, una delle prime del mondo negli annali della carità, dovette essere per il grande apostolo della carità una méta a lungo vagheggiata delle sue peregrinazioni; ma ve lo attirava soprattutto quell'Opera della Propagazione della Fede, che in Lione ebbe la culla e che vi teneva la sua direzione generale. A più riprese egli ne aveva sollecitato i sussidi per i suoi Missionari, ma ogni volta inutilmente, per non trovarsi la sua Missione argentina nelle condizioni contemplate dagli statuti; ora che all'evangelizzazione propriamente detta erasi dato principio, veniva in persona a rendere conto del lavoro già fatto e di quello prossimo a farsi. Il Consiglio centrale gli dischiuse ben volentieri la sala ordinaria delle sedute e vi si adunò al completo per udirlo, dandogli ognuno dei membri i segni della massima deferenza; anzi il presidente, salutandolo a nome dei colleghi, disse che la sua presenza avrebbe attirato sui lavori del Consiglio la benedizione di Dio.
Don Bosco, ringraziatolo e rammentate le cortesi lettere inviategli più volte da quella presidenza, perorò la causa della Patagonia, narrando le origini della Missione, descrivendo i primi tentativi dei Missionari con gli effetti conseguiti e tracciando il programma futuro. Una cura particolare egli pose nell'illustrare il metodo adottato per ottenere risultati migliori che per l'addietro. Invece di avventurarsi subito nelle pericolose terre dei selvaggi, i Salesiani si erano stabiliti in paesi civili presso i confini delle loro tribù. Là avevano fondato una chiesa e una scuola, e con la dolcezza, e con regalucci si sforzavano di guadagnarsi i figli degli Indi. [479]
A poco a poco per mezzo dei piccoli i Missionari erano entrati in relazione coi grandi, sicché parve possibile una spedizione pacifica nell'interno. Si prese la via del mare nella direzione di Carmen; ma una furiosa tempesta dopo tredici giorni respinse i naviganti a Buenos Aires. “Sembra, osservò Don Bosco, che la Provvidenza abbia voluto tagliar la strada ai Missionari, perché la fama della loro bontà non erasi ancora abbastanza diffusa fra gli abitatori del deserto”. Un tentativo più recente, e lo descrisse, aveva sortito ottimo effetto. Mentr'egli parlava, i suoi Missionari percorrevano le lande patagoniche catechizzando e battezzando. Era allo studio il disegno di erigere in quelle plaghe estreme dell'America meridionale tre vicariati apostolici.
Qui Don Bosco toccò di una difficoltà. Da un lato le Congregazioni Romane gli dicevano: - Se vuole vicariati apostolici, bisogna che aumenti il numero de' suoi Missionari. Da un altro canto l'Opera della Propagazione della Fede gli diceva: - Se vuole da noi sussidi, bisogna che i suoi Missionari dipendano non da una diocesi, ma da un vicariato apostolico. - Come uscire da quel cerchio? Come avere Missionari senza mezzi? e dove prendere i mezzi, se la Propagazione della Fede nega il suo appoggio materiale e morale? Qui con dati geografici alla mano, fece presente all'uditorio l'estensione della diocesi di Buenos Aires per inferirne che a buon diritto la Propagazione della Fede poteva considerare paese di Missione tutto il territorio situato al di là del Rio Colorado.
Il presidente lo pregò di fornirgli poi elementi precisi sullo stato attuale della Missione, non permettendo i regolamenti dell'Opera di sovvenire in Europa istituti destinati alla formazione di Missionari, come Don Bosco l'aveva sollecitato; potersi però accordare indennità di viaggi a Missionari recantisi direttamente in luoghi di Missione; a ogni modo non essere possibile alcuna deliberazione, finché non si possedessero dati precisi. [480]
Uno dei dirigenti domandò a Don Bosco in che maniera da solo e in sì breve tempo avesse trovato i fondi per far fronte alle ingenti spese, a cui indubbiamente aveva dovuto porre mano. - La divina Provvidenza! - esclamò egli, alzando gli occhi e le mani al cielo, e raccontò un fatto accadutogli pochi giorni prima a Torino.
Stava per giungere da Roma l'impresario, a cui erano accollati i lavori della chiesa del Sacro Cuore, e veniva per riscuotere quindicimila lire. La somma doveva essere pronta infallantemente per le cinque pomeridiane. Come fare se alle quattro e mezzo non c'era nulla in cassa? Don Bosco mandò, come soleva in simili circostanze, alcuni giovani a pregare davanti al Santissimo Sacramento, ed ecco quel che accadde. Arriva nell'Oratorio un sacerdote forestiero, che domanda di parlargli. Condotto da lui, gli dice che a forza di economie aveva messo da parte ottomila lire, deciso di lasciarle in morte a Don Bosco, e che un suo amico era risoluto di fare altrettanto per lire settemila. Comunicatasi a vicenda quest'idea, avevano pensato essere più meritorio dare subito il danaro a Don Bosco anziché tenerlo ozioso. - Stamane dunque, proseguiva il sacerdote, sono andato dal mio amico a prendere le settemila lire per unirle con le mie e alla fine della settimana portarle a Lei. Ma che é che non é, rientrato in casa per deporre il danaro nello scrigno, faccio tutto il rovescio: prendo invece anche il mio e distratto m'incammino verso la stazione. Là mi domando: Ma che cosa ho fatto? Non oggi devo andare a Torino, ma sabato venturo! Dò una scrollatina di spalle e: Andiamo, soggiungo, é sempre meglio prima che dopo. Ora eccole qui le quindicimila lire. - Don Bosco, senza dir parola, gli accenna con la mano di attendere un istante, e fa chiamare l'impresario. Questi viene e reclama l'immediato pagamento. Don Bosco gli risponde: - Io, vedete, non ho le quindicimila lire; c'é però qui un buon parroco che ve le darà per me. - In così dire si volse al prete e lo invitò a ripetere il racconto fattogli [481] poc'anzi. Impresario, parroco e Don Bosco non poterono trattenere le lacrime.
Anche gli uditori erano visibilmente commossi a tale racconto. Don Bosco prima di uscire comunicò al Consiglio che teneva in deposito un legato di tremila franchi da rimettere alla Propagazione della Fede e chiese di poterne usare a vantaggio delle sue Missioni. Non era cosa da decidersi così su due piedi; ma di lì a dieci giorni una riverente e affettuosa lettera della presidenza lo autorizzava a impiegare quella somma nel senso desiderato[414].
Don Bosco fece spedire da Torino una relazione contenente tutto quello che era necessario per dare un'idea completa della Missione patagonica; né tale documento fu posto a dormire negli archivi, ma venne pubblicato sull'organo ebdomadario dell'Opera Les Missions Catholiques del 24 luglio. Il ritratto di Don Bosco ornava questo numero; una nota della Direzione diceva in fine chi fosse Don Bosco[415].
A Lione, come pure in tante città della Francia, un'altra istituzione missionaria fioriva, la così detta Opera Apostolica, costituita di zelanti signore, che raccoglievano e spedivano, ai Missionari poveri, soccorsi in natura. Don Bosco, che ne aveva già sperimentata la carità, andò a far loro una conferenza. Anch'esse erano desiderose di vederlo e di udirlo. Egli s'immaginava d'incontrarvi una dozzina e non più di buone dame; invece si trovò dinanzi a un'imponente assemblea. Benedetto colui che viene nel nome del Signore! fu il saluto che gli rivolse la presidente. Esposto poi lo scopo dell'Opera, accennato alle sue difficoltà e mostratane la grandezza, pregò Don Bosco di ottenere a lei e alle sue collaboratrici quello che forma il segreto dei successi dell'Opera salesiana, cioè una fiducia illimitata nella divina Provvidenza, un intero [482] e filiale abbandono nelle mani della dolce Madre sempre Ausiliatrice. Infine animò le compagne ad aiutare con tutte le forze Don Bosco, rappresentandone al vivo i bisogni.
Don Bosco, rese le debite grazie per tanta benevolenza a suo riguardo, ricordò di averne già provato gli effetti specialmente per due cappelle portatili, di cui disse l'uso che già se ne faceva in Patagonia. Esaltò quindi la nobiltà del loro programma, che le rendeva cooperatrici dei Missionari nell'estendere i benefizi della Redenzione. Descrisse le condizioni, in cui si svolgeva l'apostolato dei Salesiani nella Patagonia e narrò alcune avventure delle ultime loro escursioni. Promise di far conoscere ai Missionari i nomi delle presenti, perché, li imponessero nei nuovi battesimi; volesse pertanto la presidente procurargliene la nota. Le esortò anche a inscriversi tutte nella pia Unione dei Cooperatori e delle Cooperatrici, esponendone il carattere, l'origine e gli sviluppi. Finì assicurandole che avrebbe parlato di esse quanto prima al Papa e, detto che per ispeciale concessione egli era autorizzato a impartir loro la benedizione papale con indulgenza plenaria alle solite condizioni, le benedisse. Scambiate ancora poche parole di reciproca riconoscenza, l'assemblea si sciolse.
A una terza riunione fu invitato in quei giorni, a un'adunanza straordinaria dei dirigenti e dei membri principali delle varie opere cattoliche lionesi. Più di ottanta persone, individualmente convocate dagli organizzatori della conferenza, accorsero ad ascoltarlo. Il suo dire questa volta si aggirò intorno all'attività educativa dei Salesiani soprattutto negli ospizi a bene della gioventù povera e abbandonata, rilevandone i vantaggi religiosi e sociali e mettendo in bella luce i frutti già raccolti. Non tacque della Patagonia. Uno degli ascoltanti gli domandò se quei frutti non si perdevano dopo l'uscita dei giovani dalle sue case. - In generale, rispose Don Bosco, il buon seme che fu gettato nel cuore dei giovanetti durante la loro prima educazione impartita secondo i nostri metodi, produce frutti duraturi negli ex-allievi. [483]
Molti sono quelli che hanno percorso onorate carriere nella vita civile e militare, mantenendosi buoni cristiani. - L'adunanza ebbe termine con un voto unanime che la carità lionese facesse sorgere un istituto di Don Bosco in qualche quartiere operaio della città, come a La Croix-Rousse o a La Guillotière oppure in tutt'e due.
Nei quattro giorni passati a Lione molti infermi lo vollero al loro capezzale. Dovunque ne visitasse, egli faceva sempre a un modo, che era infondere nel sofferente il sentimento della conformità al divino volere, suggerirgli di domandare la guarigione purché questa tornasse a maggior gloria di Dio, recitare con gli astanti un'Ave Maria e la Salve Regina, ordinare la continuazione quotidiana di tali preci fino a un dato tempo, promettere orazioni da parte de' suoi giovanetti e da ultimo impartire la benedizione di Maria Ausiliatrice. Un testimonio scriveva al Bollettino francese: “E' impossibile ritrarre quella scena di dolce e grave maestà, la commozione dei presenti e l'ardore dei cuori, che si appalesava dal loro modo di rispondere alla sua preghiera e da tutto il loro contegno.”
Fece numerose visite e più assai ne ricevette. Il medesimo corrispondente scrive: “Con incosciente egoismo ognuno dimentica che il povero prete, già più che sessagenario, é un uomo dalle forze limitate. A sì penosa e incessante fatica egli soccomberebbe, se non fosse la grazia di Dio che lo sostiene e se non intervenisse chi lo mette un poco al riparo dalle esigenze dei visitatori, i quali non gli lascerebbero nemmeno il tempo di prendere un boccone. Quanto a lui, non che lamentarsene, si mostra sempre contento e vorrebbe che non si mandasse via nessuno.” A tutta questa gente egli non domandava mai un centesimo; eppure le offerte gli fioccavano, accompagnate ordinariamente da biglietti, sui quali si specificavano le intenzioni degli oblatori nel raccomandarsi alle sue preghiere. Il momento critico era quando tornava da celebrare. Ce ne voleva allora per cavarlo fuori dalla sacrestia! Una calca d'uomini e di donne, bramosi di [484] una benedizione, di una medaglia, anche solo di un suo sguardo lo serrava da ogni lato, ingombrandogli il passo. Alla vista di tanta fede, Don Bosco una volta esclamò: - Quanto é mai grande la potenza della religione! Un povero prete, straniero alla Francia e personalmente sconosciuto a coloro che lo assediano, ricevere simili dimostrazioni di fiducia, e di una fiducia così illimitata! -
La sera del sabato 21 gennaio arrivò a Valenza, città situata un po' meno che a mezza via fra Lione e Marsiglia, sempre sulla riva sinistra del Rodano. Qui una zelante cooperatrice, Amalia Lacombe, sarebbe stata felicissima di dargli ospitalità nel suo palazzo; lo desiderava tanto che, appena avuto sentore del suo prossimo viaggio, aveva tentato di accaparrarsi questa fortuna scrivendogli a Torino. Ma Don Bosco la ringraziò, avvertendo che avrebbe albergato in casa del suo compagno di viaggio, il quale era di là. Nella lettera[416] opportunamente aggiungeva: “Sono impaziente. di vedere e ringraziare l'abate A. Didelot, arciprete della cattedrale, Gli dirà in antecedenza che a lui mi raccomando e che farò quanto egli giudicherà utile per la gloria di Dio e il bene delle anime. Ma per prima cosa andrò a far visita a Sua Eccellenza il Vescovo della diocesi, al quale La prego di presentare i miei più umili e rispettosi ossequi.”
Anche a Valenza stette quattro giorni. La domenica, dopo i Vespri, non più in private adunanze, come a Lione, ma davanti al popolo nella chiesa metropolitana ragionò delle Opere salesiane, “ascoltato, dice il corrispondente, col più religioso silenzio e con la più benevola e avida attenzione”. Eccetto alcune parole sulle Missioni verso la fine, il suo discorso si svolse tutto intorno alla virtù rigeneratrice dell'educazione cristiana, quale s'impartiva nelle sue case ai fanciulli derelitti. Il suo appello alla carità scosse i cuori e fece aprire le borse. [485]
Vi era nella città un oratorio per giovanetti operai. I dirigenti avevano preparato una rappresentazione drammatica da dare in sua presenza allo scopo di raccogliere offerte per la chiesa del Sacro Cuore di Gesù a Roma. Don Bosco vi assistette, facendogli onoratissima corona ragguardevoli signori della città. Arrendendosi all'invito del parroco, fece in principio agli spettatori un discorsetto avec autant de tact que d'à propos. Nel corso poi della recita, forzato dalle insistenze dell'arciprete, raccontò fra un atto e l'altro avec une bonhomie charmante la storia del tentativo fatto dai due preti per condurlo al manicomio e il tiro da lui giocato ai suoi zelanti amici[417].
Da Valenza, passando per Tain e Tournon, nei quali luoghi tenne discorso dal pulpito e fece collette, giunse la sera del 27 gennaio a Marsiglia Questa volta delle cose marsigliesi é scarso quello che possiamo portare a conoscenza dei lettori; per avere una prima notizia ci bisogna attendere fino al 3 febbraio, giorno in cui le dame patronesse lo ebbero fra loro alla consueta adunanza presso il curato. Erano là ad aspettarlo, ma non arrivava mai. Dice il verbale: “Don Bosco, trattenuto da una folla smaniosa di avvicinarlo e riceverne la benedizione, non può trovarsi all'ora stabilita, e questo ritardo fa temere un momento che si debba rinunziare alla soddisfazione di vederlo presiedere la seduta. Le signore Berthou e Jacques vogliono andare esse a chiamarlo. Ritornano ad annunziare che egli é in cammino per recarsi al comitato, ma attraverso una gran piena di gente, la quale riempie i corridoi e le scale dell'oratorio, implorandone preghiere e benedizioni, talché riesce difficile strappar fuori il venerato santo.”
Come Dio volle, arrivò e s'assise. - Ringrazio, diss'egli, il comitato per il suo zelo e la sua carità. Vorrei ringraziare una a una tutte le signore, ma le ricordo sempre nelle mie [486] orazioni e domando a Dio benedizioni per tutte in generale e grazie speciali per ognuna in particolare. E’ veramente bello veder signore radunarsi non una volta all'anno, ma con frequenza per lavorare a gloria di Dio nell'esercizio della carità. Raccomando però al comitato di formare un cuor solo e un'anima sola per amare e servire Dio e promuovere la sua gloria mediante la pratica della carità. A questo fine io vi suggerisco il rinnegamento della volontà propria. Se la decisione preferita da una non é quella voluta dalle altre, bisogna che la prima vi rinunzi per conservare la carità e non stia attaccata alla sua idea per non turbare la pace. Lavoriamo a gloria di Dio con la carità, con la costanza nella religione e con la fermezza nella difesa dei principii cattolici. A consolazione del comitato dirò che qui nell'oratorio tanti giovani aspirano al sacerdozio e parecchi sono già stati ordinati preti e due sono partiti per le Missioni d'America. Tutto a gloria di Dio, e Dio sia benedetto, - conchiuse egli questo punto avec sa pieuse et profonde humilité.
Cambiò quindi argomento. Le Figlie di Maria Ausiliatrice nella vigilia di Ognissanti avevano preso possesso della loro dimora distante pochi passi dalla casa. Su questa vicinanza Don Bosco aveva qualche cosa da osservare. Continuò dunque: - Bisogna avvertire bene che nell'Opera Salesiana vi sono varie parti assai differenti, e io desidero di farle conoscere a dovere. Vi é qui l'orfanotrofio e vi é la comunità delle suore, e sono due cose da mantenere ben separate a motivo degl'inconvenienti che potrebbero derivare da troppo frequenti contatti. La casa di Torino é fatta in modo, che a questi inconvenienti si é potuto ovviare, ma ho la consolazione di dire che fra breve anche, quella di Marsiglia avrà le stesse comodità.
Il comitato marsigliese si occupava anche della biancheria. In un giorno della settimana le socie che potevano, andavano a lavorare con le suore. Ora accennando a una delle annunziate comodità, cioè a una sala adatta per questo, Don Bosco [487] portò l'esempio di Valdocco. - A Torino, disse, nella residenza delle suore, situata accanto a quella dei Salesiani, vi é un salone, in cui due o tre religiose e alcune signore fanno tanti involti di biancheria da riparare e li mandano a caritatevoli persone che la cuciscano. Vi si esamina la roba, non per raccomodare quella che é inracommodable, ma per vedere i pezzi ancora buoni, tagliarli via e di quattro camicie, a mò d'esempio, farne una sola.
Ritornando poi all'argomento di prima, ripigliò: - L'oratorio San Leone non é soltanto orfanotrofio, ma anche casa di religiosi, preti e chierici, il che impone una prudente riserbatezza. Ah! proseguì avec l'expression d'un sentiment profond, se le case salesiane non dovessero essere quali bisogna che siano, io amerei meglio che cessassero di esistere. La divina Provvidenza abbrevierà qui senza dubbio le condizioni provvisorie dalla necessità richieste; un trentacinquemila franchi trasformerebbero l'alloggio delle suore in abitazione conveniente e definitiva. Il posto di una casa per loro é già designato. - Qui l'abate Guiol notò che anche i disegni erano già pronti nella pia speranza di poterli eseguire. E la segretaria nel suo resoconto soggiunge: “Le parole di Don Bosco dànno a sperare che i mezzi necessari non tarderanno a venire, grazie naturalmente alle sue preghiere e per merito della sua santità.”
Don Bosco riprese a dire: - Oh sì, la protezione della divina Provvidenza é davvero ammirabile. Sul principio dell'anno scorso non c'era niente per la chiesa del Sacro Cuore a Roma e nel corso dell'annata si sono spese trecentocinquanta mila lire, mercé offerte per grazie ricevute; cosicché lavori, la cui esecuzione sembrava dover richiedere una decina d'anni, sono stati condotti a termine in un anno solo. Io ne resto proprio stupito: si potrebbe credere che sian favole, ma sono realtà, ed é facile riscontrare il vero. Ecco la mano della Provvidenza, e Dio sia benedetto, perché il tutto é a gloria sua. - [488]
Il comitato si dichiarò lietissimo d'aver udito la parola du saint et vénéré fondateur, al quale per bocca dell'abate Guiol domandò e dal quale pieusement ricevette la benedizione, ponendosi così termine alla seduta.
Le speranze fatte balenare da Don Bosco che sì potesse quanto prima ordinare la casa nel modo più conforme alle abitudini salesiane e metterla in un assetto di maggior comodità per le suore, diventarono entro pochi giorni una bella realtà. Seguì infatti a brevissimo intervallo la compera di due stabili là presso, che per San Michele dovevano essere sgombrati dagli inquilini e lasciati interamente a disposizione delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Però le pratiche legali vennero espletate dalla Società civile Beaujour, che legalmente indennizzò anche Don Bosco delle costruzioni erette a sue spese sul terreno, di cui appariva semplice locatario. Bisognava salvaguardare la Società dal pericolo di scioglimento sotto l'imputazione di beneficenza mascherata; il che si ottenne assegnando a Don Bosco un aumento di azioni proporzionato all'apporto. Offerte spontanee e generose agevolarono il pagamento della prima rata per l'acquisto di detti immobili. L'abate Guiol, riferendone al comitato il 17 febbraio, segnalava l'intervento della Provvidenza nell'opera marsigliese di Don Bosco e ne attribuiva il merito all'efficacia prodigiosa da lei accordata alle sue preghiere. In prova del suo asserto narrava gl'interessanti particolari di una guarigione miracolosa ottenutasi in quei giorni à l'intercession et par la bénédiction du saint fondateur. “Il fatto é già noto, conchiuse l'abate, e la riconoscenza della felice miracolata si é tradotta in un'offerta di cinquemila franchi. Non tutte le grazie ottenute sono così strepitose; ma il prestigio della santità di Don Bosco, la fiducia nel suo potere sul cuore di Dio, il desiderio di attirarsi le divine benedizioni per via della carità, gli fanno affluire i mezzi, di cui la sua opera abbisogna.” Infatti il Direttore di San Leone là presente annunziò che era in grado di dare subito agl'imprenditori [489] ventimila franchi dei settantotto mila loro dovuti. Qui il Curato uscì in una delle sue acute osservazioni. “Anche i debiti, disse, per le spese domestiche sono diminuiti; ma Don Bosco sembra piuttosto proclive a conservarne sempre un po' per poterne fare altri; giacché questo obbligherà la Provvidenza a intervenire e intanto mantiene il comitato nella necessità di continuare a darsi attorno per aumentare il numero delle sottoscrizioni.”
Riguardo al “fatto noto”, che i verbali ricordano sommariamente, ci somministra alcune informazioni il direttore Don Bologna, testimonio oculare. Una ricca signorina inferma e inchiodata da tre anni nel suo letto, appena ebbe ricevuta la benedizione di Don Bosco, si levò e dopo lo accompagnò alla porta. Tutti erano stupefatti e piangevano. Le donne di servizio parevano ossesse. La signorina gridava a tutta forza: La Vierge m'a guérie! la Vierge m'a guérie! Don Bosco medesimo stentava a calmar la madre. Tutti piangevano là entro e Don Bosco piangeva con loro.
Delle “grazie non così strepitose” Don Bologna ne riferisce tre. Un giovanotto che aveva una fistola in un occhio, fu da lui benedetto e in due giorni guarì perfettamente.
Una povera donna, venuta a raccomandare la sorella, che non si poteva muovere affatto dal seggiolone, su cui la adagiavano, la trovò al ritorno in perfetta salute. La domenica 19 febbraio visitò una signora ridotta omai agli estremi: presa da una pleurite violentissima, i medici la davano come spedita. Don Bosco pregò, le disse di recitare una preghiera sino alla festa di San Giuseppe e le assicurò la guarigione.
Difatti tre giorni dopo era in piena convalescenza. Una quarta grazia di quelle che non sollevarono alcuno strepito, é narrata dal D'Espiney nelle edizioni ulteriori del suo Dom Bosco. Una signora, tutta in pianto perché i figli, il genero e la nuora la trattavano molto male, andò da Don Bosco per averne una parola di conforto. - Preghi Maria Ausiliatrice, le diss'egli, e domani venga a comunicarsi alla mia Messa, [490] che io applicherò per Lei. - La signora obbedì. E qual non fu la sua meraviglia allorché, ritornata dalla chiesa, trovò nel salotto tutti i suoi figli che deploravano il loro cattivo contegno a suo riguardo e le promettevano seriamente riparazione in avvenire! Lacrime e abbracci suggellarono i buoni propositi[418].
A Marsiglia emanò da lui anche spirito profetico. Il coadiutore Luigi Nasi aveva l'onore di fargli da barbiere. Un giorno, mentre, terminato di raderlo, gli baciava la destra sul punto di congedarsi, Don Bosco, ritenendolo per la mano, gli disse: - Tu ti aspetti da me la mancia; ma te la darà molto più grande il Signore. Continua intanto ad aiutare quanto puoi Don Bologna. Tu lo seguirai per la Francia in varie case che sarà chiamato a governare; egli però non finirà i suoi giorni in questi paesi, ma andrà a morire a Torino. Quando tu riceverai la notizia della sua morte, prepàrati, perché a breve distanza lo dovrai seguire. - Infatti Don Bologna morì di morte repentina il 4 gennaio 1907 nell'Oratorio e Nasi gli tenne dietro il 7 dicembre dello stesso anno.
Risplendeva non meno in Don Bosco lo spirito sacerdotale. In una magnifica sala eransi radunate intorno al Servo di Dio persone del gran mondo marsigliese e s'intrattenevano con lui, ed egli, discorrendo or con l'uno or con l'altro, sapeva dire sempre qualche cosa che si riferisse all'anima. Il marchese di Villeneuve Trans, che lo andava osservando, si avvicinò a Don Albera e gli disse: Dom Bosco prêche toujours [Don Bosco predica sempre].
Molto fece parlare di lui un tratto di squisita delicatezza, che egli compié in casa dei signori Olive, buoni cooperatori. Una volta la signora, cedendo a un subitaneo impulso di generosità, si trasse dal dito un anello di sommo valore e [491] glielo offerse. Don Bosco, che non stimò prudente accettare il dono, movendo la destra aperta con la palma rivolta alla donatrice, le disse: - Guardi, signora, questo é un ricordo di famiglia perciò bisogna che Ella lo conservi. - Ma l'altra insisteva, volendo assolutamente che lo accettasse. Allora il Servo di Dio ripigliò: - Ebbene, dandolo a me, sarà contenta che io ne faccia poi l'uso che crederò meglio? A questa sola condizione sono disposto a riceverlo. - Alla risposta affermativa della signora, Don Bosco stese la mano e prendendo con due dita l'anello continuò: - Ecco, io lo accetto ben volentieri. Ed ora che é mio, ne faccio dono a Vostra Signoria. - Intenerita la signora non poté ricusare. Quell'anello oggi é religiosamente conservato dalla famiglia come preziosa reliquia del Santo.
“Il soggiorno di Don Bosco a Marsiglia, scriveva con ragione Don Bologna[419], é veramente qualche cosa di meraviglioso. La gente lo considera come un Santo […]. La gente staziona nei nostri corridoi a centinaia tutta la giornata. Io non so veramente come Don Bosco possa reggere a tante fatiche.” Tutto questo, mentre faceva affluire le offerte, cattivava pure ai Salesiani la stima dei buoni.
I1 15 febbraio si festeggiò in casa San Francesco di Sales, con adunanza di Cooperatori e Cooperatrici.
L'adunanza fu presieduta dal Vescovo. Molto prima dell'ora stabilita non c'era più un palmo libero nella cappella. Don Bosco, fatti i suoi ringraziamenti ai benefattori, narrò con la semplicità, dont les saints ont le secret[420], i principali sviluppi dell'opera salesiana nel 1881. A Roma, a Firenze, alla Spezia, a Ventimiglia fiorenti oratori opponevano un argine provvidenziale all'invasione protestante.
- Gl'infelici nostri fratelli separati, disse, hanno grosse somme a loro disposizione; ma noi abbiamo a nostro vantaggio [492] la forza della preghiera. Pur raccomandando abbondanti limosine, chieggo specialmente ai Cooperatori che innalzino al cielo fervide suppliche; poiché, se il denaro fa molto, la preghiera ottiene tutto e trionfa di tutto. Monsignore, facendo suoi i due concetti del denaro e della preghiera, li sviluppò con l'efficacia della sua eloquenza.
Il 19 poi Don Bosco parlò dal pulpito della chiesa di San' Giuseppe. Ma di questo ci mancano i particolari: né il Direttore né altri confratelli della Casa pensavano in quei giorni a scriver lettere, perché, come diceva Don Bologna, “il nostro caro Don Bosco ci dava del lavoro per tutti”. Diremo pertanto del giro da lui compiuto in quella estrema parte della Francia.
La sua prima gita fu a Tolosa, distante allora da Marsiglia dodici ore di treno. Quel cardinale arcivescovo, Eminentissimo Desprez, avrebbe voluto che Don Bosco mandasse i Salesiani in un orfanotrofio della città, il quale non si poteva più reggere per difetto di mezzi e di personale. La proposta era venuta a Sua Eminenza dal confondatore e direttore stesso del pio istituto abate Julien dopo la lettura della monografia inviatagli in omaggio dal suo amico abate Mendre[421]. Udito l'arrivo di Don Bosco a Marsiglia, il Cardinale gliene scrisse; poi mandò l'abate stesso a pregarlo di venire a Tolosa. L'abate in un diario inedito[422] narra così il suo primo incontro col Servo di Dio:
“Don Bosco mi ricevette la sera del martedì 31 gennaio con tenerissima affabilità nell'oratorio di San Leone. Gli esposi in breve lo scopo della mia visita, gli raccontai per sommi capi la nostra storia e mi azzardai a chiudere la narrazione con un invito, che restai sorpreso di veder subito accettato. Il santo prete aveva piacere di visitare la nostra casa e desiderava anche di fare [493] una colletta per la sua chiesa e per il suo ospizio di Roma. Bisognava dunque preparargli le vie: non c'era un minuto da perdere: non più di due giorni egli sarebbe rimasto a Tolosa. Ripresi il treno alle undici. Ottenuto il beneplacito di Sua Eminenza, annunziai la venuta dell'Uomo di Dio con un articolo, inserito dalla Semaine Catholique nel numero del 5”[423].
Nel suo articolo egli esponeva il doppio scopo della venuta di Don Bosco e ne annunziava una conferenza nella chiesa metropolitana; al qual proposito avvertiva: “I fedeli non sono invitati a un discorso accademico, perché Don Bosco é italiano e non ha gran pratica della nostra lingua; ma se l'eloquenza viene dal cuore e se le cause sante e belle hanno il privilegio di farlo traboccare, l'allocuzione di Don Bosco sarà al certo eloquente. Per questo ognuno gli perdonerà i solecismi che potrà commettere, e le parole italiane o latine, delle quali infiorerà il suo dire.”
Pubblicarono il medesimo articolo anche l'Echo de la Province e le Nouvelles, due importanti quotidiani della stampa conservatrice locale. Così la notizia destò una pia aspettazione in ogni classe della cittadinanza.
Don Bosco arrivò la mezzanotte del 4 e prese stanza nell'orfanotrofio della Grande-Allée. Allo spuntare del giorno una folla di cittadini invase la cappella per ascoltare la sua Messa; poi cominciò la sfilata dei visitatori, che non gli diedero più tregua, finché in ora debita non se ne liberò a mala pena per andar a ossequiare il Cardinale. La conferenza venne fissata per la sera dopo i Vespri.
Nella stessa ora doveva predicare in un'altra chiesa monsignor Lamothe-Tenet, rettore dell'Università cattolica tolosana. Parve un contrattempo; fu invero, come si scrisse, una singolare coincidenza che porse l'occasione, se non di contrapporre, almeno di confrontare l'eloquenza dotta, elegante, [494] nobilmente persuasiva di un prelato che era l'esponente di un corpo accademico, e la parola scolorita, scorretta di un italiano, alienissimo dalla ricerca di qualsiasi movimento oratorio. Eppure l'aspettazione di questa parola creò alla conferenza l'atmosfera di un avvenimento. La vasta navata di Santo Stefano si gremì di gente, che, secondo la frase usuale, pendette per un'ora dal labbro dell'oratore. L'effetto ben si vide nella questua, la quale fu tanto abbondante che in segno di riconoscenza egli promise di celebrare l'indomani la Messa nell'orfanotrofio per i benefattori e di tenervi nel pomeriggio un'adunanza dei Cooperatori e di quanti aspirassero a essere del numero.
Nella cattedrale aveva raccontato avec una simplicité charmante[424] le origini e gli sviluppi dell'Opera Salesiana, indugiandosi specialmente sul tema delle scuole professionali; nell'orfanotrofio ragionò della cooperazione salesiana. Entrambe le volte il Cardinale si degnò di assistervi. Dell'effetto non avremmo detto tutto, se non aggiungessimo un particolare. Fiorisce ancora a Tolosa Un'Accademia denominata dei Giuochi Floreali, la più antica d'Europa. Orbene il suo segretario perpetuo, conte Fernando De Rességuier, dopo aver ascoltato con il conte Du Bourg[425] un oratore, com'ei disse, così dimesso e per giunta così poco padrone della grammatica e del vocabolario francese, confessava al suo compagno[426]: “Bisogna proprio convenire che dalla sua persona emana il soprannaturale e che l'azione soprannaturale della grazia si ride dei nostri mezzi di conquista.” [495]
Il lunedì 6, in un grande albergo cittadino[427] fu servito un pranzo intimo a onore dell'ospite. Il conte Du Bourg, che tante volte lo aveva incontrato presso i De Maistre, diceva al canonico Tournier[428] che egli si mise tranquillamente a tavola col suo dolce sorriso, come se fosse in casa De Maistre a Torino o a Borgo Cornalense e che carezzò e benedisse i fanciulli e secondo le sue abitudini mortificate si cibò più di amor divino che di vivande.
Due sacerdoti viventi rammentano la dimora di Don Bosco nell'orfanotrofio. Con un loro compagno, morto prete, studiavano colà il latino per entrare nel seminario e gli servirono la Messa. Una sera egli diede la "buona notte" agli interni, infervorandoli nella divozione alla Madonna e producendo in tutti una così forte impressione, che impararono la Salve Regina per recitarla ogni sera prima di andare a riposo. Batté anche sulla necessità del lavoro per gli uni e dello studio per gli altri e ad un certo punto, movendo comicamente gli indici delle due mani da ambo i lati della fronte, disse: Un enfant paresseux sera toujours... un “asinus”. L'abate Julien, dopo la sua partenza, spiegava ai tre candidati del santuario che il santo prete, nonostante la continua ressa della gente intorno a lui, aveva conservato sempre la sua dignità e calma imperturbabile, perché non perdeva mai di vista la presenza di Dio.
Sarebbe dovuto partire il lunedì sera; ma le insistenze altrui valsero a trattenerlo ancora per celebrare il di appresso nella basilica di San Saturnino. Questa é la chiesa più ricca di reliquie che esista al mondo. Celebrò dunque nella cappella di San Tommaso d'Aquino, del quale si custodisce ivi il capo[429]; indi, accompagnato dall'arciprete e da vari ecclesiastici, [496] fece il giro dell'abside e scese nella cripta a venerare avec une piété trés vive[430] i resti preziosi di tanti Santi. Dinanzi al reliquiario di San Giuda disse: - Questo é il mio patrono favorito. - Senza dubbio perché a quest'Apostolo si ricorre come a patrono dei tribolati; sotto questo titolo appunto gli si fa a Torino pubblica novena nella seconda metà di ottobre. Mentr'egli stava inginocchiato dinanzi alla sacra Spina e al capo dell'Aquinate, una religiosa, che non l'aveva mai perduto di vista, gli si gettò ai piedi, raccomandando alle sue preghiere una povera cieca. Egli la benedisse e promise di pregare. “Questa scena, scrive il giornale più volte citato, dimostra nella sua semplicità, quanta riputazione di virtù goda in mezzo a noi Don Bosco.”
Assediato fino all'ultimo istante da ogni qualità di persone, disse nel montare in treno a chi gli era da presso: - Io mi auguro che i Tolosani offrano per la chiesa del Sacro Cuore a Roma una colonna, sulla quale s'incida l'elogio fatto da Pio IX alla loro città, quando fu da lui salutata Tolosa fidelis. - Correva già una sottoscrizione per un pilastro nell'erigenda basilica di Montmartre; ma la Semaine ne aperse egualmente una seconda per quella del Castro Pretorio, e così ne rendeva ragione: “Roma e Parigi simboleggiano la Chiesa e la Francia, le nostre due patrie, le nostre due madri […]. In entrambe le capitali Gesù viene colpito al Cuore; al suo Sacro Cuore dunque attestiamo ivi il nostro fervore di fede, di espiazione e di amore.” Ad un religioso francese [497] che, calcolando i milioni inghiottiti dal voto nazionale, pronosticava a Don Bosco che la sua questua per la chiesa di Roma avrebbe avuto in Francia ben poca fortuna, egli rispose: - Come Lei conosce male il suo paese! La Francia ha oro per tutti i bisogni e dà senza posa e senza fatica. Si ha un bel dire! Con tutte le tempeste e le prove, essa per chi la conosce bene, e Don Bosco lo sa, é sempre la generosa Francia. -
Il fatto gli diede pienamente ragione. La sottoscrizione fruttò 3.557 franchi, un po' più di quanto bastasse per la colonna, che nella basilica romana eternerà il ricordo della generosità francese di Tolosa[431].
Quanto al mandare Salesiani, Don Bosco manifestò il suo buon volere; ma non nascose che, molto restava a fare prima che potesse esaudire i voti di quegli amici. I locali erano insufficienti; poi bisognava assolutamente provvedere laboratori interni, perché i giovani non dovessero più lavorare fuori di casa. Le sue osservazioni furono prese in serio esame, tanto che si pose subito mano ad alcuni lavori. Si volevano i Salesiani per ottobre; ma era troppo presto. D'altra parte il personale vecchio si era licenziato per andare in cerca di miglior fortuna e quindi non si poteva più tirare innanzi; onde nel 1883 vennero chiamati altri religiosi. Però c'era anche un guaio peggiore per Don Bosco. In qualche relazione annuale dell'orfanotrofio[432] si legge fra le righe che ai Salesiani non s'intendeva già di affidare la direzione, ma si voleva da loro un aiuto alla direzione. Su questa base non era possibile intendersi[433]. Don Bosco, al quale non dovette [498] sfuggire siffatto sottinteso, non ebbe premura di conchiudere, ma aspettava di trattare; perciò dovette respirare, quando udì la soluzione che dicevamo. Nei nostri archivi esiste ulteriore corrispondenza con l'abate Julien e con altri di Tolosa, senza che però nessuno mai rimembri più il passato.
Tutto questo non valse a raffreddare le simpatie dei Tolosani per Don Bosco. Mercé lo zelo dell'abate Julien si costituì in Tolosa un bel gruppo di Cooperatori, di cui egli fu il primo direttore. Anche oggi l'associazione é ivi fiorente, sicché nel dicembre del 1929 la reliquia del nuovo Beato vi fu accolta con tale entusiasmo e pompa di clero e di popolo, quale forse per simile occasione non si vide in alcun'altra città del mondo. A buon diritto fu detto quello un trionfale ritorno di Don Bosco alla storica gloriosa città[434].
I Salesiani e le Suore tanto a Saint-Cyr che alla Navarre sospiravano la presenza del loro amato Padre. Si accinse egli a contentarli subito dopo la conferenza di San Giuseppe, non però direttamente, ma facendo diverse tappe nella diocesi di Tolone.
Venuta l'ora di lasciare Marsiglia, salì in carrozza nel cortile del collegio pieno di popolo, che s'inginocchiò aspettando la benedizione. Don Bosco, girato lo sguardo attorno e profondamente commosso, mormorò fra sé, in modo per altro che Don Albera intese: - Che cosa è mai il prete! - In quegli atti di venerazione egli non vide se non tanti segni di rispetto per la dignità sacerdotale. Nei giorni seguenti molti non si volevano convincere, che egli fosse partito davvero, poiché si sosteneva che se ne stesse tuttora nascosto in casa[435].
La partenza da Marsiglia fu ai 20 di febbraio, né pare che si sia fermato fino a La Ciotat, cittadina marittima e industriale [499] sulla linea da Marsiglia a Tolone. Era l'una e mezzo. Lo accolse in chiesa numerosissimo popolo, al quale parlò e domandò l'elemosina; dopo si recò alla non lontana parrocchia di Saint-Cyr. Qui accadde un fatto singolare. Invitato a pranzo dal parroco, stava conversando con diversi parroci dei dintorni, essi pure invitati, quando entrò un giovane prete. Don Bosco, che non l'aveva mai né visto né conosciuto, gli mosse incontro, lo prese festevolmente per la mano e gli raccomandò con viva insistenza la rassegnazione alla volontà di Dio. L'altro non sapeva che dirsi e sulle prime pensò a un equivoco; ma poi non gli nascose tutta la sua meraviglia per quelle parole, non avendo alcun motivo di rassegnarsi, perché ogni cosa gli andava bene. - Eppure è così, gli asseverò Don Bosco. Godo che lei sia felice; ma la prova può sempre venire più presto che non vi si pensi. - A tavola il pretino sedeva un po' distante da Don Bosco, il quale ripetute volte gl'indirizzò scherzando espressioni richiamanti il discorso fattogli avanti. Quegli stava in dubbio se dovesse prendere la cosa sul serio o per burla; ma alla fine cominciò a impensierirsi. Questo avveniva il lunedì dopo la domenica di quinquagesima. Il primo giorno di quaresima egli era a tavola con sua madre. Si porta la minestra. La madre ne mangia alcuni cucchiai, giunge le mani, piega il capo e muore. Allora il prete capì, e nel 1887 narrò il caso a Don Albera, mostrandosi pieno di ammirazione per il gran Servo di Dio.
La colonia agricola di Sant'Isidoro non distava molto da Saint-Cyr; pure Don Bosco, essendosi per la conferenza e per altro intrattenuto colà più a lungo che non avesse pensato, rinunziò a visitarla, non volendo mancare all'appuntamento coi signori Colle in Tolone. Quivi giunto la sera del 21, fece la conferenza nella cattedrale la mattina del 23. Trovò la chiesa stipata di fedeli. L'argomento fu il solito, come fu conforme al solito l'attenzione del pubblico. Dopo mezzodì radunò nella sacrestia le sole Cooperatrici, tutte sollecite di aiutare più specialmente l'orfanotrofio di Sant'Isidoro. [500]
Su proposta di Don Bosco si obbligarono tutte a una quota mensile per assicurare alla povera casa almeno i mezzi, con cui far fronte alle più urgenti spese quotidiane. Egli le esortò inoltre ad allargare la cerchia delle contribuzioni col muovere a concorrervi altre persone di loro famiglia o di loro conoscenza.
Disse che avrebbe voluto radunare anche i Cooperatori, se non glie ne mancasse il tempo; ci tenne però a non omettere un punto di somma importanza. - Bisogna, spiegò alle signore, comprendere bene lo scopo della pia Unione. I Cooperatori salesiani non debbono solamente raccogliere limosine per i nostri ospizi, ma anche adoprarsi con ogni mezzo possibile per cooperare alla salvezza dei loro fratelli e in particolar modo della gioventù. Cerchino pertanto di mandare i ragazzi al catechismo, aiutino personalmente i parroci a farlo, preparino i fanciulli alla comunione e vedano che abbiano anche gli abiti convenienti; diffondano buoni libri e si oppongano energicamente alla lettura della stampa irreligiosa e immorale. Tutto questo entra nel programma dei Cooperatori salesiani. - Tale raccomandazione, quando fu conosciuta, dovette far piacere a quei parroci, che si erano mostrati tanto generosi non solo mettendo a sua disposizione le loro chiese, ma anche annunziando le sue conferenze, assistendovi, prendendo la parola e deponendo per i primi nel piatto l'obolo della loro carità.
Omettiamo di ridire delle udienze ininterrotte e faticose anche a Tolone; ma non tralasceremo di ricordare un fatto prodigioso e una predizione di cui abbiamo testimonianza scritta. A Tolone il tredicenne figlio dei de Pontevés pativa da un anno e mezzo frequenti deliqui, che lo disturbavano assai, impedendogli di studiare e ostacolandone l'educazione morale e fisica. La madre lo presentò a Don Bosco, che gli diede la benedizione e gli disse: - Coraggio, figlio mio; prima della festa di San Giovanni Battista sarai guarito. - Fidando nella sua parola, che ritenne come un oracolo del [501] cielo, la signora non gli apprestò più alcuno dei rimedi prescritti dai medici. Da quel giorno gli attacchi del male cessarono e il giovinetto riacquistò il suo benessere, né della grave infermità gli rimase la minima traccia[436].
Della predizione serbò memoria una religiosa della Sagesse, che nel settembre del 1932 viveva ancora nella Casa madre di Saint-Laurent sur Sévres[437]. La vecchia suora nella sua semplicità diceva di ricordare molto bene ce petit bonhomme noir et maigre comme un clou. L'aveva visto nel 1882 all'Ospedale Marittimo di Tolone, tenuto dalle sue consorelle, che erano una cinquantina. Don Bosco, andato a trovarle, domandò provvisoriamente due di esse per aprire subito un orfanotrofio a Gien, da affidare poi alle Figlie di Maria Ausiliatrice, fondazione che durò pochissimo, perché là entro si pativa la fame e non c'era speranza di risorse. Entrato dunque nell'ospedale, salutava una dopo l'altra le religiose, dicendo loro, avec un accent italien, di mano in mano che le incontrava: Bonjour, ma Soeur, comment çà va? Ora una di esse molto anziana, anzi la più anziana di tutte, avvicinatasi a lui e salutata nello stesso modo, gli rispose: Ça ne va pas... Je suis sourde... Vous devriez me guérir. E Don Bosco: Ma Soeur, dans huit jours vous entendrez chanter les anges du Paradis. La buona vecchietta non udì, ma udirono le altre. L'indomani la prese una polmonite, che esattamente otto giorni dopo la profezia la portò ad ascoltare i canti degli angeli in Paradiso.
Da Saint-Cyr si portò a Hyéres, passandovi tutto il sabato e tutta la domenica e impiegando la massima parte del tempo in visitare malati e ascoltare quanti lo assediavano per parlargli. Al popolo parlò la domenica dopo il Vangelo della Messa solenne nell'antica basilica di San Luigi, dove il santo re pregò, tornando dalla Crociata. Colpì gli ascoltatori, [502] allorché, alludendo forse a qualche pubblicazione, alzò la voce contro le asserzioni di chi gli attribuiva il dono dei miracoli. - Don Bosco, diss'egli, sarebbe l'ultimo degli uomini, se si arrogasse un tale potere. Grazie straordinarie certamente sono state concesse; ma le ha fatte a vantaggio delle nostre opere la Santa Vergine, che le ottiene dal suo divin Figlio per chi soccorre gli orfanelli, a Lui tanto cari. Le nostre case, che vivono unicamente della carità dei fedeli, non potrebbero sussistere, se grazie straordinarie non venissero a svegliare la carità cristiana, facendo deporre nelle nostre mani il tributo della riconoscenza. Ecco perché Iddio, la cui assistenza anche miracolosa non manca mai quand'é necessaria, ci viene in soccorso con sì segnalati favori. -
Aggiunte alcune notizie sulle Missioni della Patagonia ed enumerati i vantaggi della carità, scese a fare egli stesso la questua, destinata alla casa della Navarre. Ivi pure un secondo appello per il medesimo scopo fu lanciato la sera dal quaresimalista. Dopo la Messa del lunedì raccomandò una terza elemosina per la chiesa e l'ospizio del Sacro Cuore, mostrando come tale elemosina riunisse in sé tre caratteri, essendo a un tempo atto di religione e di amore verso il Sacro Cuore di Gesù e verso la Chiesa madre di tutte le Chiese, atto di carità per la povera gioventù d'ogni nazione, atto di pietà filiale e di affettuosa venerazione verso il glorioso Pontefice Pio IX, del quale il nuovo tempio doveva con l'annesso ospizio esser degno monumento.
Il penultimo giorno di febbraio Don Bosco era alla Navarre. Qui lo raggiunse Don Albera per aiutarlo con tutte le sue forze nel moltissimo che aveva da fare. Scriveva il 2 marzo a Don Rua: “Don Bosco non ne può più: é sì oppresso e sempre attorniato da persone, che non si sa come fare a parlargli delle cose più urgenti e fargli conoscere almeno le cose più importanti della corrispondenza. La sua questua é veramente miracolosa in questi momenti in Francia, dopo tante disgrazie.”L'Ispettore, temendo assai per la sua [503] salute, manifestava poi a Don Rua il dubbio, se non fosse il caso di fargli sospendere tante fatiche.
Abbiamo narrato sopra come Don Bosco nella visita dell'anno precedente desse le disposizioni, perché alla Navarre si mettesse mano a erigere un corpo di fabbrica assai maggiore, capace di trecento giovani. Orbene il direttore Don Perrot non aveva perduto tempo; infatti il 16 dicembre era stata posta già la prima pietra per le fondamenta: ma per la benedizione della pietra angolare si aspettava l'arrivo di Don Bosco. La cerimonia fu compiuta il 1° marzo. Nella riferita lettera Don Albera continuava: “Ieri si mise la pietra angolare del nuovo fabbricato della Navarre. Don Bosco seppe attirare tanta gente a questa funzione, che si crederebbe d'essere a Marsiglia o a Tolone, e non in un deserto com'é la Navarre. Ogni giorno si vede che il Signore lo assiste in modo speciale.”
Il consueto verbale, chiuso in astuccio di vetro e deposto e suggellato entro la cavità di una pietra, recava le firme di ragguardevoli personaggi, che stimarono gran favore poter scrivere il proprio nome sotto quello di Don Bosco[438].
Le cure che lo incalzavano da presso, non gli facevano porre in oblio o trasandare gli affari lontani. Due lettere spedite dalla Navarre testimoniano del suo vigile pensiero. La prima è una risposta a Don Rua sul da farsi riguardo alla cancellata offerta da monsignor Gastaldi per la chiesa di San Giovanni Evangelista[439]. In poche parole esamina, giudica e risolve. Poi informa dell'itinerario e lascia intendere quanto gli costi quell'andare questuando.
All'Arcivescovo credo si possa rispondere o meglio prima di rispondere intendere se il c.te Mella trovi la cancellata conforme al suo disegno, e se non bisogna disfarla per metterla in opera. In questo [504] ultimo caso porterebbe una spesa enorme. E poi ad ogni momento si rimprovererebbe tale donazione.
Perciò rifiutarla in bel modo; ma servirci di uno dei mentovati motivi.
Sabato parto per Cuers, lunedì per Brignoles, quindi Fréjus, Grasse, Cannes, Nizza. Oggi conferenza a Sauve Bonne nostra parrocchia.
Io non posso più; eppure bisogna pagare i debiti. Abbiamo mandato L. 5000 a Don Dalmazzo; spero mandare anche qualche cosa a te.
Dio ci benedica tutti e continuate a pregare per me che vi sarò sempre in G. C.
L'altra lettera contiene le istruzioni per la conferenza che intende di fare presto a Genova, e dice al nuovo Direttore come vuole trovare la sua casa, quando vi sarà di passaggio.
Leggi la lettera che ti unisco e poi la chiuderai e la porterai all'Arcivescovo concertando il da farsi. Se ti domanda: Gli altri anni come si faceva? Risponderai: Si facevano debiti, che Don Bosco studiava di pagare, ma che in quest'anno non può a cagione di altre spese. Procura di avere il consenso dell'Arcivescovo e poi andrai a trattare col parroco che egli ti indicherà. Prendi pure l'ora di mattino o di sera, purché sia fuori del tempo delle altre prediche.
Dopo mi farai tosto la risposta a Nizza ed io preparerò il resto. Dio benedica te, tutta la nostra cara famiglia di S. Pierdarena, e di' a tutti che dimando per favore particolare che facciano in modo, affinché verso la fine di questo mese al mio arrivo in S. Pierdarena possa avere la consolazione di trovarvi la casa in buona condizione. I salesiani osservanti delle loro regole e dei loro doveri; gli studenti nemici implacabili del diavolo; gli artigiani modelli di buon esempio. Dio ci benedica tutti e ci conservi nella sua S. grazia e credimi in G. C.
PS. Porterai mie notizie alla Sig. Ghiglini dicendole che non ho mai cessato di raccomandarla ogni giorno nella S. Messa, e che spero poterla trovare in perfetta salute.
Non di tutte le soste indicate nella lettera a Don Rua possediamo notizie. A Sauvebonne gl'intervenuti, che accorsero anche dai paesi vicini, rilevarono in Don Bosco una [505] differenza dall'anno avanti, cioè una maggior padronanza della lingua francese. Un suo brindisi originale fece parlare di lui in quelle parti. Uno dei maggiori proprietari del luogo lo invitò a pranzo, e grandi proprietari di là erano pure i commensali chiamati a fargli compagnia. A tavola regnava il più cordiale buon umore. Dopo che ebbero brindato alcuni, anche Don Bosco si alzò e chiese licenza di dire una parola. Premise con certa esitazione che veramente stava per dirne una un po' fuori di proposito. Gli altri protestarono e lo incoraggiarono a parlare. - Ebbene, ripigliò, voi mi scuserete. E poi dopo aver bevuto si può andare anche un tantino fuori del seminato. Ecco quello che io pensava or ora, vedendomi qui attorno i rappresentanti di questa vallata. Pensavo che la valle di Sauvebonne meritava di avere una parte speciale nella nuova costruzione dell'orfanotrofio, di cui abbiamo benedetto ieri la pietra angolare. Spetterebbe a voi coronare l'edifizio e io m'immaginava che voi vi stimereste ben fortunati di mettere i poveri orfanelli al coperto. Vi propongo dunque di fare a vostre spese il tetto della nostra casa. Che ve ne pare?
- Accettato! gridarono in coro i convitati.
- Quand'é così, disse Don Bosco levando il bicchiere, io bevo al tetto della Navarre e ai suoi generosi donatori.
La sera del 4 marzo lo troviamo a Cuers, salutato con mille feste dalla popolazione. Vi era andato con l'intenzione di fermarsi appena ventiquattro ore; ma tanta fu l'affluenza dei visitatori, che vi rimase fino alla mattina del 6. Di là proseguì per Brignoles, ricevuto con grande trasporto. In entrambi i luoghi fece di sera una conferenza per le opere salesiane e la mattina dopo Messa raccomandò la chiesa del Sacro Cuore. Una signora dì Brignoles ricordava nel febbraio del 1891 quel suo passaggio, scrivendo al Successore[440]: “Noi l'abbiamo visto da vicino. Era tranquillo e calmo, [506] nonostante il gran numero di persone che aspettavano per avere udienza. Benedisse tutta la mia famiglia e scherzò con i miei figli, facendosi trar di mano medaglie e carezzandoli. Io gli manifestai il mio desiderio di occuparmi della sua opera. Mi rispose: - I miei uccellini hanno appetito, e ce ne vuole per mantenerli! - Gli promisi che avrei fatto la mia parte, e d'allora in poi lavoro a confezionare biancheria, che mando alla Navarre. Di quando in quando facciamo questue, e il parroco spedisce tutto alla Navarre o a Sant-Cyr. Ho un solo rincrescimento, di non essere più ricca per poter dare molto.”
A detta della medesima signora, Don Bosco non era allora quasi conosciuto a Brignoles e un debole annunzio aveva informato della sua venuta la popolazione. Eppure come andò, si chiese essa, che al suo montare in pulpito per parlare della sua opera la chiesa era piena? Tanto concorso di gente non si era forse mai visto. La questua produsse milleduecento franchi, mentre quelle che si facevano una volta all'anno a vantaggio del paese, davano appena da sessanta a centoventi franchi. E l'indomani dopo la Messa, avendo parlato della chiesa del Sacro Cuore, sebbene nessuno si aspettasse una seconda questua e l'uditorio non fosse numeroso, raccolse ancora quattrocento franchi circa, ce qui était prodigieux, osserva la buona Cooperatrice.
Alle cinque pomeridiane del 7 arrivò a Fréjus, donde verso mezzodì giunse a Nizza. Il Patronage Saint-Pierre continuava a godere ottima riputazione presso la cittadinanza. Nell'assemblea generale, tenutasi dalla Società di San Vincenzo de' Paoli in episcopio sotto la presidenza del Vescovo e con l'intervento di circa settanta persone, il signor Beaulieu, facendo il resoconto delle opere assistite dai Soci durante l'anno antecedente, quando venne a parlare dei Patronages, aperse una parentesi e: “Io, disse, non posso pronunciare questo nome senza che immediatamente il pensiero corra a quello fondato fra noi da Don Bosco. Non é mio compito di parlarvene; ma non so resistere al piacere [507] di mandargli così di passata un saluto. Il Patronage Saint-Pierre prende uno sviluppo ogni dì più considerevole. L'opera dei Santi non conosce ostacoli, e voi lo vedrete progredire a dispetto di tutte le difficoltà che potrà incontrare”[441]. Due giorni dopo che furono ascoltati con plauso sì magnifici elogi, Don Bosco faceva nell'istituto un ingresso trionfale. Peccato che sul tempo ivi da lui trascorso i nostri archivi siano muti!
Un particolare si legge nei processi diocesani[442], attestato da Don Giulio Barberis, che dichiara di aver conosciuto molto bene l'individuo e di avere dal medesimo inteso tutto il racconto. Si presentò a Don Bosco nel cortile un giovane, che egli non aveva mai visto. Il Beato lo guardò, gli puntò l'indice sulla fronte e gli disse sotto voce: - Qui dentro c'é qualche cosa che non mi piace. Vienmi poi a trovare in camera. - Il giovane andò e Don Bosco gli scoperse tutti i suoi segreti pensieri. Questo fatto lo scosse talmente che cambiò vita, si fece salesiano e divenne poi maestro d'arte in una casa di Francia.
Nell'itinerario comunicato a Don Rua c'era Grasse e Cannes. Di Grasse non c'é alcun ragguaglio; di Cannes abbiamo la relazione di un fatto che secondo le migliori probabilità si deve collocare in quest'anno[443]. Dopo la conferenza una signorina inglese ventenne si presentò a Don Bosco e gli disse: - Ho sentito che Lei opera molte guarigioni. Mio padre dottore in medicina mi ha fatto curare dai sanitari più rinomati d'Inghilterra e di Parigi, ma le loro cure a nulla valsero. - Don Bosco le rispose che quanto [508] a sé, egli non operava guarigione di sorta, né tampoco s'intendeva di arte medica; chi faceva grazie e guarigioni miracolose essere la Madonna Ausiliatrice, Madre di Gesù Cristo.
La signorina allora insistette, dicendo che avrebbe pur voluto ricevere anch'essa la grazia da Maria Ausiliatrice; ma che, essendo protestante, aveva timore di non essere esaudita: pregasse dunque egli per lei. Don Bosco la incoraggiò e disse: - Benché protestante, abbia fede e speranza certa nella Madre di Dio. A questo scopo io fo dono di sue medaglie. Eccone una per lei: faccia per nove giorni una preghiera a Maria Ausiliatrice e guarirà. -
Difatti pochi giorni dopo venne da Don Bosco a Nizza il padre della signorina e lo ringraziò, dicendogli essere sua figlia perfettamente guarita e dichiarandosi pronto a sborsare qualunque somma egli volesse. Don Bosco rispose che nulla egli voleva per sé; essere Maria Santissima colei che gli aveva risanata la figlia; che se volesse dare qualche cosa per i poveri fanciulli mantenuti con la pubblica beneficenza, ne' suoi collegi, l'accetterebbe volentieri e con gratitudine, non per sé, ripeteva, ma per i poveri giovani abbandonati. L' inglese gli diede cinquemila franchi in oro.
Un'altra guarigione prodigiosa erasi poc'anzi operata nella persona di una figlia della marchesa Godemarie, lionese. Affetta da parecchi malanni, l'avevano portata da Lione a Cannes, come si porterebbe un corpo morto, sperandosi che ivi la dolcezza del clima le fosse di sollievo nella stagione invernale; ma tosto peggiorò a segno che in marzo i suoi temevano di perderla da un giorno all'altro. In tale frangente l'inferma domandò la benedizione di Don Bosco, che le diede pure una medaglia di Maria Ausiliatrice. Riceverla e cominciar a migliorare fu una cosa sola; per la festa di Maria Ausiliatrice stava così bene, che venne a ringraziare la Madonna nel suo santuario di Torino[444].[509]
Ma il fatto che destò maggior rumore é il seguente. Don Bosco, dopo aver pranzato presso la famiglia che lo ospitava, andò a visitare l'orfanotrofio del Sacro Cuore, dove, appena entrato, s'imbatté in una signora che piangeva dirottamente; il mal di denti la tormentava da tre giorni. Don Bosco le diede la benedizione e una medaglia di Maria Ausiliatrice.
Fermatosi ivi quant'era necessario, passò dalle Suore Ausiliatrici per farvi una predica. Qui trova tutto il viale pieno di landò, con una moltitudine di domestici in livrea. Si apre la porta d'entrata, ed ecco uno spettacolo singolare. Una folla si precipita ai piedi del Servo di Dio, domandando la sua benedizione. Vi erano storpi, ciechi, sordi, muti, paralitici, etici, malati d'ogni sorta; si piangeva, si rideva, si gridava, e Don Bosco benediceva. Ma perché tanto e tale agglomeramento presso quelle Suore? La Superiora, come poté avvicinare Don Ronchail, gli disse: - La signorina Rohland é qui in casa e desidera parlare a Don Bosco. - Il mistero cominciava a chiarirsi; ma per noi fa d'uopo raccontare la storia dei precedenti.
Quattro giorni avanti, Don Bosco era stato nella Pensione Bel Air, tenuta da protestanti e abitata da protestanti, per far visita a una signorina Rohland, polacca, di ventidue anni. Essa, suo fratello e una signora erano là entro i soli cattolici. La meschina da due anni soffriva molto alla spina dorsale e da due anni non poteva neppure muoversi, nonché camminare: dovevano trasportarla dalla poltrona al letto e dal letto alla poltrona. Don Bosco, chiamato a benedirla, andò, la benedisse e le suggerì certe preghiere da farsi fino a un dato tempo, sembra fino alla festa di San Pietro. Sul partire le disse: - La sua guarigione sarà proporzionata alla sua fede.
- Ma io fede ne ho molta! rispos'ella.
- Ebbene, ripigliò Don Bosco, se ha fede, guarirà.
I protestanti, curiosi di sapere perché un prete fosse entrato nella loro dimora, non tardarono a scoprirlo; onde risero assai e della benedizione e della sperata guarigione [510] e della superstiziosità cattolica. Né essi erano gente del volgo; fra gli altri vi era anche un ministro evangelico.
Questo accadeva il giovedì 17 marzo. Al sabato, l'infermiera che curava l'ammalata e continuamente l'assisteva, sentì di buon mattino nella camera di lei un rumor di passi, che la fece trasalire; temette che vi fosse entrato qualche ladro. Corse a vedere: era l'ammalata che passeggiava nella stanza, appoggiandosi per prudenza a una canna. La donna mandò un grido, tanta fu l'emozione che la assalse. Al grido accorse per primo il ministro protestante, dubitando di qualche accidente toccato all'inferma, e vistala a muoversi così da sé avanti e indietro, rimase trasecolato. In poco d'ora tutti gl'inquilini dell'albergo si radunarono là, pieni di stupore, mentre la signorina, lieta e sorridente: - Sono guarita, - andava ripetendo a ognuno che arrivava.
Don Bosco celebrava giusto allora la Messa dalle suore Ausiliatrici. La giovane mandò il fratello a chiamarlo, senza però dir nulla dell'accaduto. Le si fece rispondere che Don Bosco doveva partire per Nizza, ma che sarebbe tornato dalle medesime religiose a predicare il lunedì 21 alle tre pomeridiane. Quella sera, mezz'ora prima delle tre, essa si portò dalle Suore, camminando alla vista di tutti senza difficoltà. Le persone di sua conoscenza, vedendola attraversare così la piazza, non credevano ai propri occhi; ma la notizia del prodigio si era già sparsa per la città, come pure che Don Bosco in quel pomeriggio sarebbe tornato dalle Ausiliatrici, ed ecco il perché di tanta gente sana e inferma convenuta presso le Suore.
Don Bosco, udita l'ambasciata che abbiamo detto, si mosse incontro alla Rohland, che veniva verso di lui; ma al primo vederla parve turbarsi, e: - Che cosa fa lei qui? le domandò.
- Sono venuta a ringraziarla della guarigione e per ascoltare la sua predica.
- No, no! Ritorni a casa. Forse non é guarita bene e potrebbe avere una pericolosa ricaduta. Non é prudenza che si fermi qui. [511]
- Ma se le dico che mi sento perfettamente bene!
- Oh, in quanto a questo, lasci andare: l'abbiamo già tentato prima d'ora entrambi, io e lei.
Dopo la predica e la benedizione restavano tre quarti d'ora alla partenza. Don Bosco fu talmente circondato dalla folla, che Don Ronchail dovette fare prodigi di destrezza per aprirgli il varco. Il Beato sembrava fuori di sé. Molti signori, volendo fargli ancora limosine, gli si accostavano come potevano e gli mettevano in mano biglietti di banca, che il compagno doveva star bene attento a raccogliere, perché cadendo in terra non venissero calpestati o non andassero smarriti.
Diradatasi la moltitudine, mentre si stava per raggiungere la porta, ecco la signora del mal di denti farsi innanzi tutta festante e dire forte che dopo la benedizione di Don Bosco il dolore in un subito era cessato. La voce si sparse per tutte le sale, l'entusiasmo si riaccese e tornò a esser difficile partire. Don Ronchail mise in opera tutte le sue energie per istrapparlo alla stretta di tanti che gli si accalcavano intorno, mentr'egli, come intontito e ansante, ripeteva sommessamente: Dieu soit béni en toutes choses!
Come Dio volle, giunsero alla stazione, dove Don Ronchail fece appena in tempo a sospingerlo in una vettura, che tosto il treno partì. Don Bosco stette ancora un po' nel suo sbalordimento; indi lentamente riavutosi domandò: - Che cosa c'é stato? - Don Ronchail con poche frasi richiamò le due guarigioni, ed egli abbassò il capo e con le lacrime agli occhi ripeté di nuovo: Dieu soit béni en toutes choses[445].[512]
Così arrivarono a Nizza. Don Rua attestò nei Processi d'aver visto due mesi dopo la Rohland, venuta a Torino in pellegrinaggio di riconoscenza durante le feste di Maria Ausiliatrice, secondo la promessa fattane a Don Bosco.
Don Bologna, che una volta sola abbiamo incontrato nei documenti di questo tempo, ci ricompare qui sull'ultimo per una lettera assai interessante, a lui diretta da Don Bosco nel suo giorno onomastico.
S. Giuseppe, 82 Nizza Marittima
Sono le prime parole che mi riesce di scrivere dopo due mesi. Ho ricevuto la lettera da Mad. Prat ed ho già risposto. Conferma la promessa di darci fr. 15 m. a Pasqua ed altri 20 m. a settembre sopra cui potete calcolare. Andate spesso a fare visita a Mad.elle Du Gaz, non domandate ma limitatevi a parlare che andate via estinguendo i vostri debiti, ecc.
Non abbiamo potuto parlare delle cose della casa e della Congregazione. Pazienza.
Ti dirò qui in breve alcune cose che tu puoi anche comunicare a Don Albera.
1. L'Ispettore quando dimora in una casa ha l'autorità di Direttore che può esercitare quando non é assente. Il vice Direttore ne fa le veci come ad Alassio, anzi farà tutto, ma sempre colla intelligenza dell'Ispettore.
2. La cura morale, religiosa, scientifica, scolastica, sanitaria dei confratelli Salesiani é in modo speciale confidata all'Ispettore: perciò esso deve tenere le conferenze morali, ricevere i rendiconti mensili, ascoltarli in confessione e simili.
3. La cura delle suore é pure affidata all'Ispettore.
4. Ridotte le cose in questo senso riuscirà più facile al Direttore ordinario disimpegnare la gestione complicata delle altre cose appartenenti all'Oratorio di S. Leone.
5. La base di ogni cosa consiste che il Direttore con pazienza e carità parli sovente coll'Ispettore e conferisca sulle cose da farsi.
Non ho tempo di scrivere a Don Albera; ma tu puoi dare comunicazione di quanto ti scrivo, e dopo che avrete esaminate bene le cose mi scriverete notandomi tutte le osservazioni che convengono o che vi sembrano opportune pel buon andamento di questa casa che deve divenire un modello delle altre case Salesiane.
Va' a fare una visita a Madama Brouchier e dille che io la raccomando ogni giorno nella santa Messa, ma Ella preghi molto per me.[513]
Dio ti benedica, o sempre caro Don Bologna. Dio benedica te, Don Albera, i nostri confratelli, Borghi e tutti gli allievi. Amen.
Sac. GIOV. Bosco[446].
Da Nizza non aveva dimenticato nemmeno di augurare, come soleva, il buon onomastico alla benemerita signora Matilde Sigismondi di Roma.
Buona festa. Non posso scrivere molto, ma mi ricordo assai di Lei. Dio le conceda buona salute e la conservi sempre nella sua Santa Grazia. Ai primi di aprile spero ossequiar Lei, o Benemerita Sig. Matilde, il nostro sempre caro Sig. Alessandro e la rispettabile famiglia di Torre de' Specchi. Dio ci benedica tutti. Mi creda in G. C.
Di Lei e del Sig. Alessandro e della Sig. Adelaide
Vicino ormai a lasciare la Francia, divisava di ripigliare tosto il viaggio fino a Roma; onde con questa paterna letterina chiamò dall'Oratorio Don Berto, che venisse a prendere il posto del segretario francese.
Sul finire di questa settimana, a Dio piacendo, fo vela verso l'Italia e perciò mi fa mestiere del mio segretario Italiano. Non so quale sia lo stato di tua salute, giacché non me l'hai detto, ma desidero che tu faccia questa parte, purché tu sia migliorato dai disturbi di petto e che non abbi altro malanno di salute che t'impedisca. Mi manca tempo a scrivere di più: rispondimi a Nizza.
Saluta i miei due amici Franchino e Don Ottonello[447].[514]
Dio ti benedica, o mio sempre caro Don Berto, Dio ti doni buona salute per potermi aiutare a lavorare alla maggior gloria di Dio.
Prega anche per me che ti sarò sempre in G. C.
Nell'anzidetto itinerario non é menzionato Mentone; ma é certo che vi passò una giornata dopo la sua partenza da Nizza e precisamente a Villa Imberti dal signor Saint-Genest, noto corrispondente di giornali francesi. Don Bosco visitava i luoghi più frequentati della Costa Azzurra, perché, come altra volta abbiamo avuto occasione di osservare, nella fredda stagione vi dimoravano persone facoltose, francesi e straniere, da cui egli sapeva cavare buoni soccorsi. E’, secondo noi, molto probabile che al signor Saint-Genest lo presentasse il conte Du Bourg, incontrato a Tolosa, essendoché l'uno e l'altro erano in stretti rapporti coi De Maistre. Questo signor Saint-Genest nel 1883 venne all'Oratorio, sperando di trovarvi Don Bosco; ma Don Bosco allora stava a Parigi ed egli spedì da Torino una lunga corrispondenza al Figaro[448], dalla quale stralciamo un passo, perché fa qui a proposito. Di quel suo primo incontro col Servo di Dio il pubblicista scriveva: “Io non aveva allora la fortuna di conoscere la prestanza di colui che aveva l'onore di ricevere ma ne era meno ignara la folla; poiché, fin dal suo giungere a Villa Imberti, la gente già lo attendeva al cancello per domandargli la benedizione. Confesso che a tutta prima l'atteggiamento e la fisionomia del santo non mi fece impressione. Ma Don Bosco non é quello che appare di primo acchito. Sull'esordire di una conversazione generale, qualsiasi altro ha maggior importanza di lui. Esprimendosi con difficoltà in francese, resta nella penombra. Poi a poco a poco certe parole dette sotto voce sono lampi luminosi. Questi sprazzi vanno crescendo. Tosto si fa silenzio, e non si guarda e non si [515] ascolta che lui. Allora chi ne osserva bene il volto, vi scorge lo stampo di un uomo creato da Dio per qualche cosa […]. Quello che in lui colpisce é la finezza del sorriso, l'occhio furbo e un'aria di bontà superiore e di volontà indomita.”
Quel vedere Don Bosco fatto segno a tante dimostrazioni di simpatia da parte della buona nobiltà francese dovette dare sull'occhio o sul naso a zelanti funzionari della polizia repubblicana, i quali sembra che mandassero rapporti al Governo, provocando un provvedimento. Infatti il corrispondente parigino di un pretofobo giornale torinese[449] telegrafò: “Parigi, 24 aprile, ore 7 pomeridiane. Il Governo ha dato ordine ai Prefetti di Nimes, Tolosa e Marsiglia di sorvegliare il Sacerdote Bosco di Torino, il quale col pretesto di raccogliere in Francia sottoscrizioni per un monumento a Pio IX, si é abboccato coi capi del partito reazionario per scopi politici.” L'ordine di sorveglianza fu spiccato così tardi, perché l'esame dei rapporti e le relative indagini dovettero richiedere del tempo; quindi fu un pigliare lepre col carro. Ma Don Bosco si sentì così poco intimidito dal sapersi in Francia un vigilato speciale, che nel 1883 tornò a riprendere i suoi abboccamenti sotto gli occhi delle sospettose autorità e alla luce del sole di Parigi[450].
E’ questo per Don Bosco un anno di conferenze ai Cooperatori e agli amici della sua Opera. Molte ne fece in Francia, più che non siano quelle da noi menzionate; ripassate le Alpi, intraprende un giro per l'Italia, chiamando in otto città a raccolta i buoni e ripetendo loro senza mai stancarsi il quod superest date eleemosynam; fatto poi ritorno in Piemonte, continuerà a predicare opportune e importune il medesimo verbo. Nessun Santo spese sì gran parte delle sue forze e del suo tempo a persuadere gli uomini in pubblico e in privato che la elemosina é un dovere, un grave dovere, e non elemosina in una misura qualunque, determinata dall'egoismo, ma fino al limite consentito dai propri mezzi. Fu un vero apostolato che egli, messo da parte ogni rispetto umano, esercitò in mille modi per più di quarant'anni e che possiamo pur dire benedetto dal cielo, se é vero, com'é verissimo, che anche con miracoli Dio intervenne a rendere efficace la sua parola.
Per estremo bisogno di riposo, rientrato che fu, in Italia, si tenne un paio di giorni appartato a Genova nel palazzo della signora Ghiglini[451]. Là si recarono a salutarlo il 30 [517] marzo Don Berto e Don Lazzero, giunti a Sampierdarena la sera del 29. Quest'ultimo gli recava le comunicazioni d'ufficio da parte di Don Rua; a informarlo di affari delicati li aveva preceduti Don Bonetti[452], poiché Don Bosco intendeva di proseguire per Roma.
Stando a Genova, egli ultimò i preparativi per una conferenza, la prima nella metropoli ligure. Ne avvertì i Cooperatori con una circolarina, datata da Sampierdarena il 29, nella quale diceva: “Più volte i Cooperatori e le Cooperatrici della Liguria avranno letto e udito a parlare delle Conferenze, dei Cooperatori Salesiani tenute in vari luoghi; e quest'anno abbiamo pure la grande consolazione di annunziare che la prima riunione dei medesimi avrà luogo nella città di Genova, in San Siro, nel giorno di giovedì, 30 corrente marzo.” Egli notava per altro che l'invito si estendeva anche a tutti coloro che fossero desiderosi di conoscere la pia associazione e faceva sapere inoltre che la questua andrebbe a favore dell'ospizio di San Vincenzo, versante in gravi strettezze.
Quel giorno un cordiale invito dell'arcivescovo monsignor Salvatore Magnasco gli dava convegno nell'episcopio per l'ora del pranzo. Ve l'accompagnò Don Bonetti, che non si staccò più dal suo fianco fino a tarda sera e poté così gettare in carta e subito consegnare ai tipografi un'ampia relazione per il prossimo numero del Bollettino, che doveva uscire il primo di aprile.
Don Bosco, preso sulla sua stessa carrozza dall'Arcivescovo e condotto alla basilica, la trovò già piena zeppa di gente. La notizia della sua conferenza era stata diffusa dal Cittadino, giornale cattolico genovese; anche i quaresimalisti l'avevano propagata dal pulpito. Il consueto cerimoniale venne osservato prima e dopo a puntino, come si praticherà sempre in seguito. Ecco le grandi linee del [518] discorso. Dio vuole che ognuno abbia cura del suo prossimo; oggi estremamente bisognosi di questa carità ci si presentano i giovanetti poveri e abbandonati. Mezzi per aiutarli sono oratori festivi, scuole serali per artigianelli, scuole diurne e gratuite, catechismi domenicali, patronati per collocamenti, ma soprattutto ospizi. Ospizio di San Vincenzo de’ Paoli, sua storia e sue necessità. Obbligo e misura del fare elemosina. Siccome questo punto produsse la più forte impressione, ne riportiamo qui il riassunto dato dal Bollettino di aprile.
Dio ha fatto il povero, perché si guadagni il Cielo con la rassegnazione e la pazienza; ma ha fatto il ricco, perché si salvi con la carità e la limosina. Taluni credono lecito di godere tutti per sé quei beni di fortuna che il Signore ha loro concessi; lecito di conservarli, farli fruttare, adoperarli come loro pare e piace, senza farne parte alcuna ai bisognosi. Altri giudicano di fare abbastanza quando dànno qualche piccola moneta o somministrano qualche soccorso raro e stentato. Questo é un inganno. Gesù Cristo comanda la limosina. Quod superest, date eleemosynam. Fate limosina, e di che cosa? di quello che sopravanza al vostro onesto sostentamento.
Né mi si venga a dire che questo é consiglio e non precetto. Col Vangelo alla mano io vi rispondo che é di consiglio abbandonare tutto per farsi volontariamente povero, come i religiosi; ma é di precetto il far limosina del superfluo. Quod superest, date eleemosynam: queste parole non sono mie, ma sono di Gesù Cristo, che ci ha da giudicare e presso al cui tribunale non avranno buon giuoco né pretesti né cavilli.
Che il fare limosina non sia solamente consigliato, ma comandato, il divin Salvatore lo dimostra specialmente col racconto della parabola del ricco Epulone e del povero Lazzaro. Vi era un ricco signore, Egli dice, il quale spendeva i suoi danari in laute mense e in belle vesti; e nel tempo stesso un mendico gli domandava inutilmente di che sfamarsi. Dopo alcun tempo morirono entrambi. Morì il povero, e fu dagli Angeli portato nel seno di Abramo; morì il ricco, e qual fu la sua sorte? Udiamola dalla bocca di Gesù medesimo: Morì il ricco, e fu sepolto nell'inferno, mortuus est dives et sepultus est in inferno. E per qual colpa? Forse perché bestemmiava? forse perché disonesto? forse perché ingiusto o ladro? Il Vangelo non dice altro, se non che quel ricco si godeva i suoi beni senza farne parte ai bisognosi. Induebatur purpura et bysso et epulabatur quotidie splendide. Che altro dunque occorre per fare intendere che Dio vuole ad ogni costo che il ricco faccia la carità e si mostri misericordioso verso i poveri?
Forse alcuni di voi diranno: - Queste cose sono molto gravi e [519] spaventose. - Avete ragione, e a me rincresce di averle ricordate a voi, che forse non le meritate. Invece io le avrei ricordate ben più volentieri a certi signori e signore, che non si trovano qui e che sprecano i danari nell'acquistare e mantenere più coppie di superbi cavalli, sopra cui potrebbero fare risparmi senza molto detrarre al proprio decoro; a certi signori e signore che spendono e spandono il danaro in pranzi e cene, in abbigliamenti, in serate, in balli, in teatri e via dicendo, mentre con una vita più cristiana avrebbero potuto soccorrere a tante miserie, asciugare tante lacrime, salvare tante anime. A costoro sì, che sarebbe necessario far risonare alle orecchie le terribili parole di Gesù Cristo: E’ morto il ricco, e fu sepolto nell'inferno. A voi invece io ricordo le belle promesse che Dio fa a chi si mostra caritatevole, a chi usa cristianamente de' suoi beni, a chi promuove e sostiene le opere di beneficenza. Date e vi sarà dato, dice il Signore. E che cosa vi darà? Il centuplo in questo mondo e la vita eterna nell'altro.
Nella perorazione annunziò una benedizione speciale del Papa agl'intervenuti e ne significò il desiderio che i cattolici si risvegliassero e facessero sacrifizi per sostenere le opere di religione e di carità; parecchie istituzioni cittadine e diocesane essere sul punto di perire per mancanza di mezzi; l'Arcivescovo averne il cuore angustiato; potersi i beni di fortuna considerare come una chiave, con cui aprire il cielo o spalancare l'inferno; si facessero i suoi uditori con le loro ricchezze tanti amici, che nel momento della morte venissero a riceverli e a introdurli negli eterni tabernacoli.
I soci della Gioventù Cattolica si sparsero tra la folla a raccogliere l'elemosina. Appena Don Bosco discese dal pulpito, la gente gli si strinse d'attorno, facendo a gara per baciargli la mano o per dirgli una parola; certuni gli si gettavano in ginocchio ai piedi, implorandone la benedizione. In sacrestia poi dovette fermarsi un paio d'ore, per appagare quanti volevano vederlo e parlargli. L'Arcivescovo, prima di uscire, era andato là a cercarlo per congratularsi e porgergli ancora un saluto. La colletta passò il migliaio; ma oltre a duemila lire gli furono consegnate brevi manu.
La mattina del 31, secondo la promessa fatta nella conferenza, celebrò a Sampierdarena la Messa della comunità [520] per i benefattori. Moltissimi vi assistettero e si comunicarono; poi vi fu in sacrestia la solita calca, che ve lo imprigionò fino al tocco e dopo pranzo le udienze continuarono fino a notte. Dei visitatori due hanno per noi particolare importanza.
Il primo fu un canonico genovese. La dottrina di Don Bosco sull'elemosina gli sembrava peccare di eccessiva severità; una discussione in proposito poteva tornare giovevole all'una e all'altra parte. Con questo intendimento venne dunque da lui. Attaccato discorso, la disputa non finiva più, sicché la gente, stanca di aspettare il suo turno, ne mormorava per il corridoio e protestava col Direttore. Di quando in quando Don Belmonte si affacciava alla porta per far comprendere che era tempo di lasciar passare altri; poté così vedere il canonico che a testa bassa pareva conquiso dalle ragioni di Don Bosco. Finalmente uscì; ma era talmente confuso, che non sapeva più da che lato voltarsi e sbagliò porta e scala. Gli si avvicinò con tutta cortesia il Direttore, accompagnandolo fin sotto i portici. Nell'accomiatarsi lasciò una generosa elemosina.
Il secondo visitatore fu un sant'uomo di cappuccino, per il quale l'affare dell'elemosina diede luogo a una seria conseguenza. Don Bosco sapeva che il buon padre era confessore di un nobile genovese già vecchio, senza figli e molte volte milionario. - Come va, gli chiese Don Bosco, che quel signore non fa elemosina proporzionatamente al suo stato?
- Dà ogni anno ai poveri ventimila lire, rispose il frate.
- Ventimila lire soltanto? Se vuol obbedire a Gesù Cristo, dando nella misura proporzionata alle ricchezze che possiede, non basterebbero centomila lire all'anno. Che cosa pensa di fare del suo denaro?
- Capisco bene; ma non é possibile indurlo a dare di più.
- Eppure bisogna che egli riconosca quest'obbligo e che compia il suo dovere. [521]
- Non saprei come fare a persuaderlo. Lei nel caso mio come se la caverebbe?
- Io gli direi che non voglio andare all'inferno per causa sua e che, se ci vuole andare lui, ci vada solo. Quindi gl'imporrei di fare elemosina secondo lo stato suo o altrimenti gli direi che non mi sento di continuar ad essere io responsabile della sua anima.
- Ebbene, glielo dirò, promise il buon religioso.
Come disse, così fece. Di tanta familiarità godeva presso di lui da venti e più anni, che non si sentì impacciato a entrargli in argomento; ma quegli fece il sordo, anzi congedò il confessore, mostrandosi offeso della sua evangelica libertà.
Un altro episodio avvenuto in autunno ci chiarisce sempre meglio il pensiero di Don Bosco su questa materia. Il capomastro Borgo, amicissimo del Servo di Dio, era costante benefattore dell'ospizio San Vincenzo; infatti aveva anticipato somme notevoli senza esigere interessi; aveva fatto gratuitamente i disegni; gratuitamente aveva assistito per due anni i lavori. Orbene egli conservava in casa tutti i gioielli e gli abiti preziosi della moglie, già morta da venti anni, e parlando incidentalmente di questo con Don Bosco, venne a dirgli che desiderava suffragare la defunta un po' più del consueto.
- Oh, gli osservò Don Bosco, che cosa sta a fare tutta quella roba in casa sua? E' proprio inutile tenerla ivi così, mentre c'é tanto bisogno di carità.
- Prendere e portare qui all'ospizio. Ecco il miglior modo di suffragare l'anima della sua consorte.
Il signor Borgo uscì commosso e agitato. Gli rincresceva fare quel sacrifizio. Passeggiò, pensò, andò a casa; ma la parola di Don Bosco gli rimaneva fitta nella mente. Per quanti buoni Cooperatori una parola di Don Bosco era voce del cielo! Nei casi simili al precedente, come pure quando lo richiedevano di consiglio o con lui trattavano del loro [522] avvenire o del loro passato, egli si raccoglieva un istante in se stesso, poi in termini concisi esprimeva il proprio pensiero, che faceva l'effetto di un sacro responso. Il nostro imprenditore pertanto, passati alcuni giorni, e saputo che Don Bosco si trovava nuovamente a Sampierdarena dopo una visita alla casa della Spezia, se ne rivenne all'ospizio e gli consegnò tutti quegli oggetti di valore, da cui Don Belmonte, incaricato di venderli, ritrasse oltre cinquemila lire[453].
Da Sampierdarena Don Bosco si recò il 3 aprile a Camogli, dov'era aspettato per un'altra conferenza. Due suoi grandi amici, il sacerdote Sebastiano Paladino e il cavaliere Bozzo avevano con l'arciprete Don Candia predisposte le cose in modo che egli non poté rifiutarsi di fermarsi un giorno colà nella sua andata alla Spezia.
Una scenetta graziosa lo commosse al suo arrivo. La piccola città è situata sopra uno scoglio in riva al mare. Un centinaio di fanciulli, che si trastullavano sul lido, appena lo videro metter piede nella piazzetta vicina al molo, ecco che, troncati i loro divertimenti, presero tutti la corsa verso di lui, gli si strinsero intorno, gli baciavano la mano, gli parlavano con la massima confidenza, quasi lo conoscessero già da lunga data. Indubbiamente sapevano chi era quel prete; tuttavia produceva una certa meraviglia il vedere come lo accompagnassero, guardandolo estatici. La cosa é tanto più degna di nota, perché i Liguri non sogliono essere tanto impressionabili; anche i piccoli, dinanzi a chi non hanno mai visto, prendono per lo più un'aria indifferente. Don Bosco godette assai di quella festa giovanile.
Nel pomeriggio visitò il santuario della Madonna del Boschetto, rimandando la conferenza a tarda sera, nell'ora della giornata che sembrava la più opportuna per aver gente; ma la voglia di vedere e di udire Don Bosco era troppo grande [523] perché tutti aspettassero l'ora fissata: la popolazione riempì per tempo la bellissima chiesa parrocchiale. Dopo la recita del Rosario e il canto delle litanie, scrive Don Belmonte[454], “il nostro amatissimo Papà incominciò la sua conferenza, dal pulpito. Si vedeva che era commosso al mirare una folla di gente pendere dal suo labbro senza fiatare. Specialmente i ragazzi diedero segno di grande attenzione, rimanendo lì come incantati alle parole di Don Bosco.”
In sostanza egli ripeté le cose dette a Genova, premettendo alti elogi dell'arciprete e del clero, che tanto si occupavano della parrocchia e dei Cooperatori salesiani. Ringraziati e pregatili di continuare, spiegò il significato della parola Cooperatore, descrisse i pericoli a cui andava incontro la gioventù abbandonata e gli sforzi adoperati dai cattivi per traviarla. Narrò quindi i princípi dell'Oratorio, fece vedere i vantaggi dei giardini di ricreazione e via via parlò delle case salesiane, del loro numero, della loro attività per allevare ragazzi alle arti, ai mestieri, alla milizia, agli studi, allo stato ecclesiastico. Tutto questo richiedeva mezzi assai; domandava perciò aiuto ai Camogliesi, professandosi riconoscente per quello già prestato in addietro. L'ultima parte fu anche qui sull'obbligo di fare elemosina.
Contento della questua, promise che la dimane avrebbe celebrato la Messa per i Cooperatori di Camogli e detto qualche cosa sulla chiesa del Sacro Cuore di Gesù a Roma. La gente vi accorse come la sera innanzi. Narrata la storia di quella chiesa, continuò dicendo come con la chiesa sorgesse la necessità di edificare un ospizio attiguo capace di cinquecento giovanetti, e ciò in vista dei gravi pericoli che in quel quartiere i giovani cattolici incontravano di perdere la fede; e raccontò come fosse accaduto a lui di vedere parecchi giardini di ricreazione aperti da protestanti e frequentati da molti ragazzi e giovanette ch'ei credeva protestanti, [524] mentre erano cattolici colà tirati dalla elemosina di pane, di vestito e di qualche soldo. “Se i cattolici, disse, non si oppongono a tali sforzi, Roma, città del mondo cattolico, diventerà una rocca del protestantesimo. Laonde é dovere di tutti i buoni cattolici di concorrere a edificare chiesa e ospizio a beneficio della gioventù povera”[455]. Si raccolse nuovamente una somma discreta.
“Quivi come altrove, nota ancora Don Belmonte, Don Bosco ha fama di santo e perciò al suo passaggio si affolla la gente per vederlo e baciargli la mano.” E Don Berto nel suo diario: “Fu un vero trionfo della religione. Dappertutto dove Don Bosco passava era circondato e seguito da un'immensa folla di ragazzi, ragazze, donne e uomini d'ogni condizione, desiderosi di ricevere la sua benedizione e dirgli una parola.” Don Lemoyne in suoi appunti accenna alla testimonianza di Don Luxardo, rettore del santuario ed ex-allievo dell'oratorio, il quale gli riferì di tre grazie ottenute allora da Don Bosco in visite fatte a infermi. Una donna etica e un'altra soggetta al ballo di S. Vito e dichiarata incurabile guarirono mercé una novena alla Madonna, che Don Bosco ordinò loro di fare. Una terza, certa signora Bono, aveva le braccia paralizzate, né poteva fare alcun uso delle mani. Don Bosco le disse di fare il segno della croce; ma ella gli rispose che era impossibile. Il Servo di Dio le ripeté di farlo. - Ma non posso - ,replicò la meschina. Allora Don Bosco ordinò che le pigliassero la destra e gliela recassero sulla fronte e sulle spalle, nella forma del segno di croce. La cosa riuscì a perfezione e la donna riebbe da quel momento e conservò finché visse la libera articolazione delle sue braccia.
Ripreso il viaggio per la Spezia, Don Bosco vi tenne due conferenze nella nuova cappella stipata di popolo, una la sera del 4 aprile e l'altra la mattina seguente. Il 6, giovedì [525] santo, confessò quelli di casa, disse la Messa a porte chiuse e lì comunicò tutti. Dopo mezzodì partito per Lucca, incontrò a Pisa il direttore Don Marenco.
Quanto erasi progredito nell'oratorio della Croce! Due anni prima si facevano voti per avere casa, laboratori e scuole, e allora c'era un bel convitto con più di cento interni fra studenti e artigiani. Tuttavia per rispondere alle numerose richieste il posto mancava, e bisognava ingrandire Queste floride condizioni gli suggerirono l'esordio della conferenza, che tenne il sabato santo, invocando la cooperazione generale per quella e per le altre Opere salesiane e scendendo alla pratica in questo modo[456]:
Uno avrà mille franchi di rendita e di ottocento può onestamente vivere; orbene i duecento che avanzano cadono sotto le parole: Date eleemosynam.
- Ma una necessità impreveduta, una fallanza nel raccolto, una disgrazia nel commercio... - Ma sarete ancora in vita allora? E poi Iddio, che al presente vi aiuta, non vi aiuterà specialmente se avrete dato per amor suo? Io dico che chi non dà il superfluo, ruba al Signore e, con S. Paolo, regnum Dei non possidebit.
Ma la mia casa é povera; ho bisogno di rinnovare certe suppellettili già troppo vecchie e non più secondo il gusto che corre. - Se permettete, entro con voi nella vostra casa. Veggo là suppellettili molto ricercate, qui una tavola fornita di ricchi servizi, altrove un tappeto ancor buono. Non si potrebbe lasciar di cambiare questi oggetti, e invece di ornare i muri e la terra, coprire tanti poveri giovanetti, che soffrono e che pure sono membra di Gesù Cristo e tempio di Dio?
Veggo là risplendere argento e oro e ornamenti tempestati di brillanti.
- Ma sono una memoria... - Aspettate voi che vengano i ladri a rubarveli? Voi non li usate, né vi sono necessari. Prendete questi oggetti, vendeteli e datene il prezzo ai poveri: voi li date a Gesù Cristo, ed acquistate una corona in cielo. In questo modo non isquilibrate punto le vostre sostanze, né vi levate il necessario.
E quella cassetta così ben chiusa? - E' niente - E’ niente? Lasciate vedere.
- Ecco: é qualche migliaio di napoleoni d'oro; li conservo perché può venire una malattia; e poi c'é un vicino che mi disturba; vorrei comprare quella possessione; e così farebbe miglior vista la mia tenuta. - Ma questo é superfluo, io dico; voi siete obbligato a prendere [526] quel danaro che non giova a nessuno, e farne ciò che comanda Gesù Cristo. Volete conservarlo? Conservatelo pure, ma ascoltate. Il demonio verrà, e di quel denaro farà una chiave per aprirvi l'inferno. Se volete sfuggire a tanta sventura, imitate l'esempio di S. Lorenzo e soccorrete i poveri. Dando ai bisognosi le vostre sostanze, voi le mettete come in mano agli Angeli, i quali ne faranno una chiave per aprirvi il cielo nel giorno della vostra morte.
Questo passo della conferenza, allorché comparve sul Bollettino, sconcertò un arciprete emiliano, che in lettera rispettosissima confidò a Don Bosco le sue impressioni[457]. Gli esempi portati non gli parevano potersi accordare con la dottrina insegnata comunemente su tale materia dai moralisti più accreditati, compreso lo stesso Sant'Alfonso. “Intendo bellissimo, scriveva, che un sacro Dicitore, cui sta tanto a cuore la salute delle anime e la causa dei poveri, non parli, per dir così, con termini aritmetici o matematici, anzi prenda la cosa oratorio modo, quale reputa giovevole a conseguire il suo intento; ma anche in questo mi sembra dover ammettere che egli non abbia a scostarsi dai limiti della verità, e ciò tanto più che nel caso nostro, specialmente in un Oratore così pio, così facondo quale senza fallo, la Dio mercé, é la Riverenza Vostra, non mancano né possono mancare innumerevoli, per dir così, altri mezzi, altri amminicoli conducenti per vie più acconce allo stesso scopo.” Lo preoccupava anche la possibilità che sulle parole di Don Bosco taluno ardisse malignare o che dalle medesime qualche confessore inesperto prendesse abbaglio. Ecco le ragioni che l'avevano indotto a scrivere. Il Servo di Dio gli rispose con ritardo, ma gli rispose. In questa risposta non ricordava più che la conferenza in questione era stata quella di Lucca.
Io sono debitore di una risposta ad una lettera che la S. V. ca.ma ebbe la pazienza di scrivermi sulla raccomandazione della limosina da me fatta in Genova. Me ne mancò il tempo ed ora invece di una [527] lettera credo ancor meglio fare un articolo o forse alcuni articoli da pubblicarsi nel Bollettino Salesiano. Noti però ch'io tratterò l'argomento senza nominare persona alcuna.
La ringrazio poi in modo particolare per la bontà, anzi carità con cui si compiacque di scrivermi. Mi farà sempre un gran piacere qualunque suo riflesso sulle cose nostre.
Le celesti benedizioni discendano copiose sopra di lei e sopra tutta la sua popolazione e voglia pregare anche per me, che le sarò sempre in G. C.
L'annunziato articolo venne e lunghissimo[458], intitolato "Risposta ad una cortese osservazione sull'obbligo e misura della limosina". E’ una sintesi animata dei principi generali e delle più comuni opinioni dei maestri sull'argomento. Nello stile arieggia alla maniera di Don Bonetti, direttore del periodico; ma Don Bosco dovette rivederlo. L'arciprete lasciò passare più d'un anno e poi replicò[459]. Gliene aveva dato la spinta un colloquio avuto con un sacerdote diocesano “assai rispettato per pietà e scienza”, secondo la cui opinione le teorie sostenute dal Bollettino collimavano con quelle dei comunisti. La sua critica, concentrata su tre punti dell'articolo e condotta sulla scorta di autorevoli moralisti, é tutt'altro che trascurabile; ma su Don Bosco più che le argomentazioni teologiche potevano in tema di elemosina gl'imperativi e le minacce del Vangelo contro i ricchi. Due categorie di ricchi erano per lui inescusabili e perciò da lui presi di mira: i veramente buoni che senza ragionevoli motivi tengono ozioso del danaro nello scrigno, e i meno buoni che, pur facendo carità, sperperano volentieri in lussi e piaceri. “Vissi tra i poveri ed ebbi pure da frequentare i ricchi, disse poi nel 1887 [460] […]. In generale io ho visto che si fa poca elemosina, e che molti signori fanno poco buon [528] uso delle loro ricchezze. Nessuno può immaginarsi come il Signore chiederà stretto conto di quanto ha loro dato, perché si adoperasse a benefizio dei poveri.” Egli non ignorava certamente che i teologi assolvono chi in via ordinaria dà il due per cento ossia la cinquantesima parte del superfluo ai bisogni della vita e della condizione; ma sapeva pure come in ogni caso l'aver il cuore attaccato ai beni della terra sia di per sé un gran male, che impedisce tanti favori celesti, a cui potrebbero essere connesse la preservazione dal peccato, la grazia del pentimento e la perseveranza finale. Onde quel suo amore per le anime, che gl'ispirava eroici sacrifizi a pro della gioventù materialmente e spiritualmente bisognosa, gl'infondeva anche il non sempre piacevole coraggio d'ammonire i ricchi che dessero con larghezza, secondo l'avviso di San Paolo al suo Timoteo[461].
Una delle tante ricche signore che alla scuola del nostro Santo comprendevano a meraviglia la forza di tali ammonimenti, era la già da noi lodata Magliano[462], alla quale scrisse da Lucca:
Ho ricevuto sue notizie più volte. Ma ora non so più dove dimori e quale sia lo stato di sua salute[463]. [529]
Noi abbiamo sempre pregato per Lei ed io faccio ogni giorno un memento nella S. Messa, affinché Dio la ritorni a perfetta salute; possa ritornare a Torino, vedere i suoi figli di Valdocco e fare una strepitosa festa di Maria A.
Sono qui nella nostra casa di Lucca, dimani parto per Firenze, poi a Roma per dimandare per Lei una speciale benedizione del S. Padre. Colà mia dimora sarà Via Porta S. Lorenzo, Chiesa del Sacro Cuore - Roma. Dio la benedica, o benemerita Sig. Magliano, Dio la conservi in buona salute, ma sempre nella sua santa grazia e voglia anche pregare per questo poverello che Le sarà sempre in G. C.
Nel suo viaggio per Firenze ebbe la gradita sorpresa d'incontrare a Pistoia il direttore Don Confortóla, che con filiale impazienza lo attendeva e che nella città dei fiori lo condusse per prima cosa a visitare la mamma dei Salesiani, la contessa Uguccioni. Come l'anno innanzi, così nel 1882 egli veniva a passare la Pasqua coi Fiorentini.
Giunse all'istituto fra le dieci e le undici di notte del sabato santo. Nell'entrarvi un sentimento di contentezza gli rallegrò il cuore, perché a Firenze egli metteva piede finalmente in terra propria. - Ecco, disse varcando la soglia, eccoci in terra salesiana, in casa nostra. Sia benedetto il Signore!
La mattina di Pasqua confessò, celebrò, distribuì la comunione agl'interni. I ragazzi erano una trentina, il primo nucleo dei ricoverati. Alla sera predicò ai giovani e diede la benedizione; poi venne la Contessa a prenderlo in carrozza per accompagnarlo dall'Arcivescovo. Monsignore promise spontaneamente di assistere alla conferenza salesiana la sera della seconda festa di Pasqua.
Tenne questa conferenza, come già l'anno innanzi, nella chiesa di San Firenze dei padri Filippini. Sostanzialmente fu una ripetizione delle precedenti; di nuovo c'era soltanto la [530] parte che riguardava l'opera fiorentina e che il Direttore della casa riassunse in questi termini[464]:
Noi abbiamo aperto fuori Porta la Croce, in Via Masaccio N. 8, l'oratorio festivo e poscia non senza gravi sacrifizi e per riattazione delle case e per provvista di mobilia anche l'ospizio pei poveri giovanetti, e parecchi già vi ricevono quanto occorre al corpo e all'anima. Numerose domande si sono già presentate per altri, che sarebbero in grande necessità di essere ricoverati, per strapparli all'evidente pericolo di loro perdizione. Ma ormai la casa é piena, non vi é più un posto, e il Direttore é costretto di respingere con gran dolore del suo cuore le più pressanti istanze con la dura parola: Non c'é più luogo.
Vi ha di più. Oltre l'oratorio festivo e l'ospizio si desidererebbero pure come necessarie in quell'estremo angolo della città, dove non ve ne sono altre se non quelle degli eretici, le scuole esterne; ma anche per queste come per l'ospizio, ci vogliono fabbriche. Ma come fabbricare ed incontrare per tal modo nuove e ingenti spese, mentre si ha ancora da pagare un debito di ventiquattro mila lire, contratto per l'acquisto del terreno? Io dò ordine di fabbricare; per il resto confido in Dio, nella Beata Vergine Immacolata, che ha preso questa nostra casa di Firenze sotto la particolare sua protezione, e nella carità vostra, o buoni Fiorentini.
Dalla carità vostra appunto io aspetto i mezzi per pagare i debiti fatti, per fabbricare una nuova cappella e ingrandire l'abitazione attuale, per sostenere la spesa dell'oratorio festivo e delle scuole esterne; poiché per allettare i giovanetti a intervenirvi é pur necessario provvedere e mantenere loro giuochi e divertimenti, somministrare libri, dare premi. Dalla vostra carità aspetto il pane e il necessario alla vita ed alla buona istruzione ed educazione cristiana e civile ai giovanetti ricoverati ed a quelli che si spera di accettare in seguito e che, poveri e abbandonati, non hanno altro patrimonio che il vostro buon cuore.
Perché poi il vostro aiuto risponda al bisogno, io vi invito e vi prego a volervi tutti sottoscrivere per offerte mensili, sieno pur anche di poche lire o di una sola lira o di mezza lira o di pochi centesimi, tanto solo che nessuno ci neghi o in poco o in molto il proprio concorso.
Alcuni Decurioni eletti con apposito diploma[465] riceveranno le vostre sottoscrizioni e le vostre offerte per passarle poi alla fine d'ogni [531] mese nelle mani del Direttore dell'oratorio salesiano di questa città, e così speriamo che l'opera nostra aiutata dai vostri continui sussidi, sostenuta dalla vostra carità possa progredire e fare tutto quel bene che si desidera.
Anche là i soci della Gioventù Cattolica si prestarono volonterosi a ricevere gl'invitati e a raccogliere l'elemosina; poi la mattina del 12 vollero recarsi in corpo alla stazione per ossequiarlo nella partenza. Egli donò loro una medaglia grande di Maria Ausiliatrice.
Dall'arrivo a Roma fino all'udienza pontificia dobbiamo contentarci di queste povere note che riportiamo testualmente dal diario di Don Berto.
Mercoledì 12 aprile. Giungemmo a Roma verso le 3 e 40 pom. Discesi trovammo che ci attendeva nella stazione il Sig. Alessandro Sigismondi e fuori di questa D. Savio con diversi nostri confratelli e addetti alla casa e chiesa del Sacro Cuore. Trovammo il parroco un po' incomodato. Il marchese Francesco Patrizi e l'ingegnere assistente della chiesa visitarono Don Bosco.
Giovedì 13 aprile. Vennero varie persone a far visita a Don Bosco. Alla sera visita alla M.sa Villarios gravemente inferma.
Venerdì 14 aprile. Vennero varie persone francesi e il Conte Vespignani ingegnere architetto. Alla sera dal Card. Alimonda.
Sabato 15 aprile. Venne a trovarlo la Contessa Stara di Torino.
Domenica 16 aprile. Alla sera pranzo da signori inglesi residenti in parrocchia.
Lunedì 17 aprile. Tutto il giorno in casa. Alla sera dal Card. Segretario di Stato e dal Card. Nina nostro Protettore. Lunedì sera il Cav. Marchisio, nostro antico allievo, impiegato alla Direzione Generale delle Poste, venne a portare una lettera raccomandata a Don Bosco che conteneva 2000 lire in due biglietti francesi da mille. Verso le ore 11/2 pom. era venuto pure l'avvocato Leonori.
Martedì 18 aprile. Al mattino venne di nuovo il Cav. Marchisio, e Don Bosco gli diede di nuovo un avviso di ritirare un'altra lettera assicurata Il Cav. Marchisio la portò verso il mezzogiorno. Don Bosco l'aprì e invece di 4000 lire, ne trovò incluse 5000, mentre la dichiarazione esterna e della lettera interna diceva 4000. Alcuni minuti dopo venne Don Dalmazzo, dicendo a Don Bosco che gli occorrevano subito per pagare L. 5000. Allora si capì perché erano 5000 e non 4000. A me che faceva le meraviglie di questo pio sbaglio, disse: - Ora vedi, Don Berto, perché erano 5000 e non 4000? Perché ce ne occorrevano subito 5000 da pagare. - Sia benedetta la Divina Provvidenza! [532]
Alla sera Don Bosco andò a visitare la madre inferma della Signora Maria Altini, Via Principe Umberto N. 46, 4° piano
Mercoledì 19. Pranzo da Sigismondi. Poi visita alla Madre Superiora di Torre de' Specchi.
Giovedì 20. Don Bosco Messa alle dame del S. Cuore della Trinità de' Monti. Quindi a benedire il figlio della Cont.sa Stanlein Belga (Trinità dei Monti, N. 9, 2° p.)[466] e fece a Don Bosco un'offerta di fr. 5oo. Poi a Propaganda dal Minutante Don Giovanni Zonghi a parlare del Vicariato apostolico da erigersi in Patagonia per le Missioni Salesiane.
Venerdì 21 aprile. Pranzo in casa. Al mattino [vennero] alcune signore americane che presero il caffè con Don Bosco e promisero far erigere a loro spese una colonna con piedestallo nella chiesa del S. Cuore[467]. Alla sera venne P. Saccheri di S. Remo, Segretario della Congregazione del Concilio. Alla sera l'Avv. Leonori; Don Bosco però era fuori.
Sabato 22 aprile. Don Bosco a pranzo da M.r l'Abbé Captier e l'Abbé Gueneau de Mussy (Quattro Fontane, 113), dove c'era anche il Vescovo di Bayonne e Mons. Mermillod. Poi da Mons. Boccali. Quindi da Mons. Rota alla Canonica di S. Pietro, il quale ci invitò a pranzo per venerdì.
Domenica 23. Pranzo dal Card. Alimonda, Via Ripetta 102. Poi dal Card. Parocchi, Via Cestari 34. Lasciata copia dell'Esposizione[468]. Quindi a casa.
Lunedì 24 aprile. Pranzo in casa cogli invitati Sig. Alessandro e Matilde Sigismondi e signori Carlo e Carolina Ciuti. Dalle 4 alle 5 a vedere la Magistrelli, Piazza S. Nicola de' Cesarini.
Martedì 25. Invitati a S. Paolo, non si poté andare. Verso le 10 ½ Don Bosco al Vaticano. Don Tamietti ed io l'accompagnammo.
Questa improvvisa apparizione di Don Tamietti ha la stia spiegazione in una letterina, con la quale Don Bosco, prevedendo di non poter visitare nel ritorno la casa di Este, ne chiamava a Roma il Direttore[469].[533]
Viste le crescenti difficoltà per passare ad Este, io sono assai contento se tu venissi a fare una passeggiata fino a Roma.
Procura di mettere il cuore dei nostri Confratelli e de' loro allievi in un sacchetto e portali teco da farmene un regalo.
Dirai al sig. Benedetto che io ho pregato e prego tanto per lui, e che ho più volte chiesta la Benedizione dal S. Padre che l'ha sempre data volentieri.
Dio benedica te, tutta la nostra famiglia Estense, e pregate per me che vi sarò sempre in G. C.
Roma, 17 aprile 1882. Porta S. Lorenzo 42.
I tre motivi che avevano condotto Don Bosco a Roma nel 1881, erano i medesimi che ve lo riconducevano nel 1882, cioè la chiesa del Sacro Cuore, le Missioni d'America e gli affari con le Congregazioni romane; del primo e dei terzo, fattisi assai più gravi, i lettori hanno trovato larghe informazioni in più luoghi di questo volume[470]. Se dovette aspettare l'udienza fino al 25 aprile, un sì lungo indugio dipese da circostanze affatto estranee alla sua persona[471]. Da quanto poterono sapere Don Berto e Don Lemoyne, il Santo Padre li usò molta bontà. Il Papa gli domandò perfino:
- Che io sappia, apertamente non ce n'é che uno, il quale si professa e si dichiara come tale.
- A Torino anche uno solo, ed é l'Arcivescovo. [534]
- E col Buroni e col professor Papa? [Erano due noti Rosminiani].
- Tanto Buroni quanto Papa mi salutano, mi trattano bene, e almeno esteriormente mi si dimostrano benevoli.
- Di queste cose io non parlo, perché saremmo subito in battaglia.
- Va bene, soggiunse sorridendo il Santo Padre. L'Arcivescovo mi ha scritto che vorrebbe aggiustarla. E voi che cosa avreste da opporgli?
- Niente,Santità. Vorrei solo che mi dicesse in motivi, per cui osteggia la Congregazione, e io sono disposto a fare qualunque sacrifizio. Egli finora non mi accusò che di cose vaghe e per individui che non appartenevano a noi, gettando sempre tutto sopra i Salesiani. Solo una volta mi scrisse che, se io voleva cangiar sistema, egli avrebbe ritornate le cose allo stato, in cui erano prima di questi screzi; cioè che io facessi come lui nei nostri collegi, adottando gli stessi autori di teologia e di filosofia, che egli ha prescritti ne' suoi seminari, vale a dire il Rosminianismo. Ma questo io non farò giammai.
- Va bene, disse nuovamente sorridendo il Papa. E ora io che cosa potrei fare per la vostra Congregazione e per i Salesiani?
- Santo Padre, io desidererei che Vostra Santità si ponesse un momento alla testa dei Salesiani, di questa Congregazione, e le facesse avere la comunicazione dei privilegi, come li hanno altre Congregazioni.
- Andate a nome mio da monsignor Masotti, novello Segretario dei Vescovi e Regolari, e ditegli che me ne parli. E' un ottimo ecclesiastico. Così pure andate da monsignor Jacobini, Segretario di Propaganda, per istabilire i Vicariati Apostolici in Patagonia. [535]
Accennato quindi alla questione di Don Bonetti, gli chiese: - Ora ditemi un po': vi fermerete ancora molti giorni a Roma?
- Nove o dieci giorni, rispose Don Bosco.
I1 Santo Padre si mostrò minutamente informato delle cose salesiane. Il colloquio si volse poscia sul disegno di un Catechismo unico per tutte le diocesi del mondo. Don Bosco ne caldeggiava l'idea, perché con tanti giovani di tante diocesi diverse sperimentava quanta difficoltà portassero Catechismi così vari. Chiesta dunque licenza di esprimere qualche suo pensiero al riguardo, disse: - Vostra Santità, che ha già fatto molto in questo senso, potrebbe comandare che si desse l'ultima mano al divisato lavoro.
- E’ una cosa molto delicata, che richiede lunga e seria disamina, gli rispose il Papa.
- Appunto per questo, replicò Don Bosco, la suprema autorità del Papa tronchi ogni dilazione. Fra tanti Brevi su altre importantissime materie un Breve anche per questa... E’ una necessità anche perché tanti Catechismi non sono nemmeno esatti nei termini e anche teologicamente parlando han bisogno di essere corretti. Per esempio nel Pater vi é Dimitte nobis debita nostra sicut et nos dimittimus debitoribus nostris. Certi Catechismi omettono quell'et.
- E nei comandamenti della legge di Dio in quanti Catechismi si legge: IX. “Non desiderare la donna d'altri”! Per le donne non ha senso, e per i fanciulli mette malizia.
- Come faccio recitare ai miei giovani: “Non desiderare la persona d'altri”. I Catechismi francesi e tedeschi in questo sono più giudiziosi; dicono: “Non desiderare le opere della carne”. Però mi sembra più pulita la dicitura da me proposta.
- Sta bene, é giusto. Il Catechismo della vostra diocesi come ha?
- “La donna d'altri”. Ne ho fatto proposta all'Ordinario, [536] ma non ha creduto opportuno fare cambiamento nel suo Catechismo.
- Si stia in questo all'Ordinario per l'unità.
- Molte, ma secondo i Catechismi. Talora ho trovato inesatto ciò che si dice della seconda Persona della Santissima Trinità e ciò che si risponde alla domanda chi sia Gesù Cristo; ma se si dovesse entrare in questa particolarità non si finirebbe così presto. I Catechismi vanno ridotti a unità anche per togliere con l'autorità pontificia ogni inesattezza.
- Vedete, osservò il Papa, vi sono le Commissioni incaricate; mi sono informato pochi giorni fa e mi fu detto che si lavora alacremente. Il piano é questo: 1° fare il Catechismo teologico ragionato che serva per i chierici; 2° un Catechismo grande per gli adulti; 3° da questo trarre un Catechismo piccolo per i fanciulli.
- Ma questo é un lavoro lungo e si verrebbero a formare compendii di trattati teologici.
- Certo che é lungo. Anzi é rimasto incagliato per la morte di due prelati, che facevano parte della Commissione.
- Mi perdoni, Santo Padre. Con questo metodo hanno tempo a morire tutti, e dopo questi, altri ancora.
-Santo Padre, a me parrebbe che Vostra Santità potrebbe prendere un Catechismo piccolo di qualsivoglia diocesi, darlo a leggere a qualche Cardinale o ad altro prelato eminente per scienza, e su questo fare le debite correzioni. Appresso il Santo Padre esaminasse o facesse esaminare il volumetto; in ultimo lo annunciasse come testo unico per tutte le diocesi.
Il Papa ascoltava benignamente, approvando il metodo; ma nella sua prudenza vedeva difficoltà non ancora superate. Nella ripresa del Concilio Vaticano potrà darsi che si [537] venga alla conclusione; tanto più dopo la pubblicazione del cardinale Pietro Gasparri.
L'udienza era durata circa tre quarti d'ora; in seguito furono introdotti Don Berto e Don Tamietti al bacio del piede. Appena rincasato, Don Bosco dettò a Don Berto per tutti i Direttori, compresi i Missionari, questa lettera, di cui il medesimo segretario moltiplicò le copie.
Ti dò la consolante notizia che oggi 25 aprile S. Santità il Sommo Pontefice Leone XIII degnavasi di ricevermi in udienza particolare.
Egli impartì di gran cuore l'apostolica benedizione sopra tutti i nostri Confratelli, loro allievi, Cooperatori e Benefattori Salesiani. Tu avrai cura di comunicare questa pia notizia con apposito bigliettino a tutti quelli che amano le cose nostre e che si prestano volentieri in favore della nostra Santa Cattolica Religione.
Prego Iddio che ci conservi tutti nella sua santa grazia e raccomandandomi alle comuni vostre preghiere ho la consolazione di potermi professare in G. C.
Sac. Gio. Bosco[472]. [538]
Dopo l'udienza pontificia il fatto più importante é la conferenza ai Cooperatori di Roma, tenutasi, secondo il solito, a Tor de' Specchi, nel pomeriggio del 27 aprile. Nella chiesa delle nobili Oblate Don Bosco aveva celebrato quella mattina, e dopo la Messa erasi recato da monsignor Boccali per consegnargli una lettera singolare. Un sacerdote di Siena notificava a Don Bosco che un signore, proprietario di una miniera in un suo fondo a Perugia valutata a sessanta milioni, l'aveva morendo, lasciata per un terzo al Papa, per un terzo ad un Piccolomini e l'altro terzo a Don Bosco. Di più non sappiamo intorno a questo affare, che forse non era serio.
La conferenza fu presieduta da monsignor Giulio Lenti, arcivescovo di Sida e vicegerente[473]; v'intervenne pure il cardinale Alimonda. Don Bosco esordì con una parola di Leone XIII. Due giorni avanti il Papa gli aveva domandato:
- Quando farete la vostra conferenza?
- Giovedì prossimo, Santità, rispose Don Bosco.
- Ebbene, dite che si preghi e che si operi.
Toccato della necessità di unire preghiera e azione, si diffuse nel consueto ragguaglio sull'andamento dell'Opera salesiana. Venuto poi a dire di Roma: - Qui, esclamò, troviamo un osso duro! - Esposte le difficoltà o almeno quelle che la prudenza gli permetteva di esporre, si domandò: Come fare? La risposta era già data in principio: pregare e operare. Questi due concetti svolse nell'ultima parte del suo discorso.
Il cardinale Alimonda non volle essere uditore silenzioso. [539]
Sviluppò eloquentemente un tema enunziato nei termini seguenti: - In molti che la Congregazione Salesiana non conoscono, o la conoscono male, é questo il dubbio: Ma é opera buona? é opera secondo lo spirito del Signore? E bisbigliano... come una volta i discepoli di Gesù. - Qui, ricordato l'episodio evangelico di un dubbio e di un bisbiglio simile fra i discepoli sull'opera del Messia, applicò alla Congregazione la risposta di Gesù, il quale si appellò ai fatti. Anche Sua Eminenza rispondeva col linguaggio dei fatti, che gli astanti avevano uditi nella relazione di Don Bosco e che rassomigliavano grandemente a quelli segnalati dal Redentore. I ciechi vedono. La laicità della scuola toglieva ai fanciulli il vedere dell'anima e della coscienza, facendoli cadere in tante fosse; i Salesiani, senza privarli dell'istruzione scolastica, aprivano loro gli occhi alla vista del cielo. Gli storpi camminano. Sottratto ai fanciulli l'insegnamento religioso, si guastavano in loro i principi stessi della moralità; i Salesiani nelle loro case e scuole raddrizzavano quegli storpi. I lebbrosi sono mondati. La peggior lebbra della gioventù é la disonestà. Quante scuole d'immoralità! I Salesiani ingigliavano di purezza il cuore dei fanciulli. I sordi odono. i grandi sordi erano quei tanti che ricusavano di ascoltare la parola di Dio e disprezzavano la voce della Chiesa; i Salesiani ridonavano l'udito a tanti piccoli sordi, raccogliendoli con affetto materno negli oratori festivi e facendo loro sentire parole di vita eterna. I morti risorgono. I morti dello spirito sono i peccatori. Il mondo non voleva più pratiche religiose né sacramenti; i Salesiani, avvezzando ai sacramenti i fanciulli, li iniziavano alla vita dell'anima e comunicavano loro il soffio della risurrezione. Il Vangelo é predicato ai poveri. Gesù non andò a battere alle porte dei palazzi, non entrò nelle reggie, ma prese ad amare i poveri e ad evangelizzarli; i Salesiani raccoglievano fanciulli poveri e si facevano ministri del bene dappertutto, fino alla lontana Patagonia. Dopo questa dimostrazione della bontà [540] dell'Opera Salesiana, domandò l'obolo della carità in nome della Chiesa, in nome di Roma cattolica[474].
Dal 28 aprile al 9 maggio le note del segretario si susseguono scarne come le precedenti[475]; l'unica notizia di qualche rilievo é del 5 maggio[476]. Era venuto da Magliano Don Daghero con sette giovani, parte del seminario e parte del convitto, per riverire Don Bosco e invitarlo a visitare la duplice famiglia. Il 5 maggio Don Bosco li voleva presentare a Leone XIII; perciò quella mattina, montato in carrozza col loro Cardinale Vescovo, l'eminentissimo Bilio, si recò in Vaticano. Il Cardinale nell'udienza che ebbe subito, annunziò al Santo Padre la presenza di Don Bosco in anticamera, dicendo che egli avrebbe avuto piacere di vedere un solo momento Sua Santità per farle una risposta. Ma caso volle che di lì a poco fosse fissata l'udienza per un gruppo di pellegrini.
- Mi rincresce, disse il Papa; debbo pensare alcuni minuti, perché debbo fra breve ricevere gl'Irlandesi e far loro un discorso. - Allora il cardinale Bilio parlò al Papa di due spine che trafiggevano a Don Bosco il cuore. - Santo Padre, gli disse, Don Bosco supplica Vostra Santità a volergli [541] concedere i privilegi. Egli ha due spine a questo riguardo. Una è Ferrieri, l'altra l'Arcivescovo di Torino. Fa tanto bene al mio seminario e qui in Roma fabbrica la chiesa del Sacro Cuore. Consolatelo, Beatissimo Padre!
- Sì, sì, rispose il Papa, lo consoleremo. Io voglio bene a Don Bosco.
In tale occasione per mezzo del cardinale Bilio fece conoscenza col cardinale Ledochowski; quindi salutò il novello cardinale Angelo Jacobini da Genzano[477], e poi il cardinale Simeoni. Dopo il ricevimento dei pellegrini Leone XIII, fuori della sala del Trono, trovò disposti in fila e inginocchiati Don Bosco, Don Daghero, i chierici e i convittori di Magliano e Don Berto. Col cardinale Bilio li passò in rivista uno a uno, dicendo loro qualche parolina e carezzando i piccoli; infine, data loro la benedizione, si ritirò.
In Roma il Signore per mezzo di Don Bosco procurò un'ineffabile consolazione a una gran Serva di Dio, alla fondatrice delle Dorotee, Madre Paola Frassinetti[478]. Ella aveva conosciuto già da vari anni il nostro santo Fondatore; anzi lo teneva in tale concetto, che s'adoperava, secondo la propria condizione, d'imitarlo e di seguirne le orme. Saputala inferma, Don Bosco si recò a visitarla. Il vederlo fu allegrezza grande per tutte le Suore, che sperarono anche dalla presenza e dalla benedizione di lui un giovamento alla sanità della loro Madre. “Paola, scrive il Capecelatro, non credo che avesse allora alcun pensiero di guarire, ma si rallegrò pur molto nel vedere che il Signore Iddio consolava la sua vecchiezza per mezzo di un grande apostolo della carità.” Vedendolo dunque si commosse per santa letizia, ne ricevette umilmente la benedizione e umilmente si raccomandò alle sue preghiere. La carità e l'amichevole benevolenza da lui [542] dimostrate alla loro Madre fecero piacere alle figlie, ma non le appagarono del tutto; avrebbero voluto un miracolo o una grazia o almeno una parola profetica, che le rassicurasse intorno alla guarigione. Egli invece al capezzale dell'inferma non proferì verbo che non fosse di cristiano conforto. Appena però si fu allontanato, le Suore lo incalzarono di domande per istrappargli dal labbro un cenno, un cenno solo che valesse a tranquillarle. Ma Don Bosco con soave benevolenza si limitò a rispondere: - Figliuole mie, la corona dei meriti della vostra Madre é compita. - “E la risposta, nota il Capecelatro, parve ragionevolmente alle Suore insieme mesta e lieta, mesta perché non dette speranze di lunga vita, lieta perché accennò alla corona, onde Paola sarebbe stata presto incoronata nel regno dei Cieli.”
Don Bosco lasciò Roma la sera del 9 maggio, prendendo la via di Magliano, dove si trattenne coi Salesiani e coi giovani fino alla mattina dell'II, quando per Foligno e Falconara partì alla volta di Rimini.
A Falconara, cambiando treno, montò in uno scompartimento, dove avevano già preso posto un tenente Montanari di Ravenna e un padre Filippino di Firenze. Il primo veniva da Ancona e andava direttamente a Torino; il secondo, che tornava da Loreto e aveva assistito alla conferenza fiorentina e a quella romana, lo riconobbe subito. Entrambi furono arcicontenti della sua compagnia; anzi l'ufficiale si dilettava a farlo parlare, non rifinendo di esprimere la sua gioia per sì felice incontro. Egli non sapeva darsi pace al vedere che un uomo come Don Bosco il Papa non lo facesse cardinale, né poteva capacitarsi che alle sue opere non dovesse tornare più utile l'attendervi da cardinale, anziché da semplice e povero prete. Quando si separarono, lo pregò che gli permettesse di venirlo a salutare alla stazione di Torino nel momento dell'arrivo o di fargli una visita nell'Oratorio.
A prendere la via di Rimini l'aveva determinato un giovane e ragguardevole sacerdote di quella città, Don [543] Francesco Cagnòli. Questi da prete era stato per cinque anni precettore presso la distinta famiglia Massani; poi nel 1881 aveva domandato e ottenuto di essere accolto come novizio a San Benigno. Ma nel mese di ottobre un'infiammazione di gola con tosse, degenerata a poco a poco in catarrale bronco-polmonite acutissima, lo portò sull'orlo della tomba. Dopo parecchi alti e bassi ogni speranza sembrava perduta, allorché Don Bosco, chiamato a dargli l'ultima benedizione ed a raccoglierne l'estremo respiro, gli posò invece la mano sul cuore dicendo: - Non è tempo di andarsene. C'é ancora tanto bene da fare, mio caro Don Cagnòli! Domani se mai, potrà alzarsi un pochino; poi La manderemo a Rimini per la convalescenza. - Ciò detto, gl'impartì la benedizione di Maria Ausiliatrice. Era la vigilia dell'Immacolata. Da quell'istante, senz'altra cura di medici e di medicine, migliorò rapidamente, sicché una settimana dopo si mise in viaggio per Rimini. Tutti quei di casa sua, che sapevano del suo stato, avvertiti della sua prossima venuta, gridarono all'imprudenza; ma Don Bosco gli disse: - Vada pure. Confidi in Maria Ausiliatrice e stia tranquillo, che non avrà alcuna stanchezza del viaggio. - E così fu. Fece circa cinquecento chilometri, nutrendosi come poteva e strapazzandosi molto nella stazione di Bologna; arrivato però in casa, si sentiva meglio di quando era partito da Torino. Né fu cosa effimera; poiché il benessere durò tanto e tale, da fargli asserire che dal'68 in poi non si era trovato mai in condizioni di salute così buone[479] e poté succedere nel 1887 a Don Dalmazzo come parroco del Sacro Cuore a Roma.
Il fatto a Rimini era conosciuto negli ambienti ecclesiastici e altrove, ed era di data recente; servì perciò ad accrescere l'aspettazione della venuta di Don Bosco. Il clero fu [544] il primo a dare esempio di venerazione verso l'Uomo di Dio. All'arrivo il Rettore del seminario lo attendeva con la carrozza del Vescovo, monsignor Francesco Battaglini, che lo volle presso di sé nell'episcopio e gli scese incontro fino ai piedi della scala, colmandolo per tutto il tempo di gentilezze e assegnandogli la camera e il letto, in cui aveva dormito Pio IX, allorché fece il famoso giro per le Romagne.
Il venerdì 12 maggio andò a celebrare nella chiesa di Santa Chiara, all'altare della Madonna Mater misericordiae che nel 1850 dinanzi a migliaia di persone aveva mosso gli occhi; proprio in quel giorno si festeggiava la memoria del prodigio. Finita la Messa, fece un fervorino al popolo, esortandolo a perseverare nella divozione a Maria, Madre di misericordia. La Messa gli venne servita da due sacerdoti novelli, poi parroci, Don Berlini e Don Tendi, che non hanno dimenticato mai tale fortuna.
Mentre nella sacrestia dava ascolto a chi desiderava dirgli qualche cosa, ecco sopraggiungere il Vescovo per condurlo a un'adunanza di nobili signore riminesi, che si occupavano di opere caritatevoli, specialmente soccorrendo e visitando infermi. Egli, presentato loro da Monsignore medesimo, propose subito ad esse che si facessero tutte Cooperatrici salesiane, proposta che accettarono di buon grado. Quindi le esortò a estendere la loro assistenza anche alle fanciulle e ai ragazzi, porgendo aiuto ai parroci nel fare il catechismo. Andò poi al seminario, dove una settantina di chierici fra grandi e piccoli ricevettero la sua benedizione, preceduta da qualche buona parola. Col Vescovo si fermò a pranzo dai padri Buffalini di Santa Chiara. Di là si recò nel palazzo già di Francesca da Rimini per benedire un ammalato, degente da quarantadue anni. Da una finestra gli fu indicato sulla piazza il luogo, in cui Sant'Antonio fece il miracolo dell'asino, inginocchiatosi dinanzi al Santissimo Sacramento, e il lido, da cui il grande taumaturgo predicò ai pesci. Dopo il signor Francesco Massani ottenne che [545] portasse una benedizione alla sua moglie inferma. Don Bosco le predisse che non sarebbe guarita dal male che la travagliava, ma che avrebbe avuto egualmente vita lunga; la qual cosa si avverò, essendo la signora campata fino a settantadue anni. Al giovane sacerdote Don Giuseppe Casicci, ivi presente, disse che sarebbe diventato parroco, e così fu. Compiute queste visite, fece ritorno a Santa Chiara per la benedizione, dando in seguito udienza a varie pie signore, fra le quali la marchesa Cima,
Il terzo giorno della sua dimora a Rimini Don Bosco, celebrato nel duomo, ripigliò le udienze e le visite. Nell'andare da un luogo all'altro lo seguiva sempre numerosa folla, con la quale s'intratteneva familiarmente. Molti s'inginocchiavano, chiedendo in grazia di essere benedetti. Quando nel pomeriggio del 13 si accomiatava dal Vescovo e partiva per Faenza, l'illustre Presule voleva la sua benedizione; ma Don Bosco fu pronto a inginocchiarglisi davanti per essere da lui benedetto.
Parecchie istituzioni cittadine si erano procacciato l'onore di una sua visita, fra le altre un incipiente oratorio festivo diretto dal canonico Venturini, l'asilo Baldini e l'ospedale maggiore.
L'Asilo aveva preso il nome dal conte Alessandro Baldini, per la cui carità era sorto a vantaggio della gioventù povera. Nel 1882 lo dirigeva la signorina Anna Cervellieri, giovanissima allora e tuttora vivente. Con freschezza di memoria essa rendeva così le sue impressioni a chi in quest'anno della canonizzazione la interrogava[480]: “Dapprima D. Bosco mi parve serio, meditabondo... tanto che alla presenza di quell'uomo, precorso ovunque dalla fama di santità, mi sentii come annichilita. Ma quando lo vidi scherzare amabilmente coi miei giovani, subito conquistati al suo cuore di Padre, quando osservai da vicino quel suo fare [546] bonario, semplice, lepido, mi sentii rinfrancata e si accese in me un moto di speciale simpatia per il buon prete di Torino. I miei bimbi recitarono alcune poesie d'occasione, a cui il desideratissimo Visitatore rispondeva ringraziando ed esortando i fanciulli alla pratica del bene e della virtù. Prima di congedarsi mi regalò alcune medaglie e poi aggiunse queste testuali parole: - Lei preghi per me e per la mia famiglia ed io pregherò per lei e per la sua famiglia”.
- La nostra famiglia, soggiunse l'economo dell'Asilo, signor Leurini, é microscopica.
- Le piccole famiglie, rispose Don Bosco, unite insieme, formano una grande famiglia.
Nell'ospedale maggiore incontrò un giovanetto, che, orfano già di padre, aveva perduta là dentro da poco la mamma, ed egli stesso ci era stato infermo di broncopolmonite. La Superiora delle suore, impietositasi di lui, gli prolungava quel soggiorno, occupandolo in lavorucci adatti alla sua età e alla debolezza della sua costituzione. Un bel mattino lo chiama, lo veste a festa e lo presenta a un sacerdote in parlatorio. Era Don Bosco! Questi gli parla come un papà e domanda alla Superiora: - Quanti anni ha ?
- Dieci e qualche cosa, risponde essa.
- Già! ripigliò Don Bosco. Troppo piccolo! Ha bisogno ancora di mangiare qualche pagnotta di più. Se sarà buono, lo prenderò l'anno venturo.
Don Bosco, che non prometteva solo per promettere, l'anno appresso per mezzo di Don Lazzero scrisse realmente alla Superiora dell'ospedale, che, se quel tal ragazzino era ancora disposto ad andare con lui, egli lo poteva accettare. Il giovanetto fu condotto fino a un certo punto del viaggio da un Canonico, il quale, lasciandolo, gli disse: - Alla stazione di Torino tira fuori e sventola il tuo fazzoletto bianco. Ti verrà incontro un signore alto e magro, che si chiama Garbellone: tu andrai in sua compagnia. - Tutto riuscì [547] d'incanto. Così venne all'Oratorio Pietro Cenci, il maestro dei sarti, che formò una legione di allievi e che, com'egli si compiace di ripetere, vestì Don Bosco da vivo, da morto e da beato.
Un periodico locale [481] parlava così della visita di Don Bosco a Rimini: “La venuta di D. Bosco in Rimini fu quasi improvvisa: ma non se ne ebbe appena sentore, che il prestigio del suo nome e delle sue virtù fece che su tutti i passi di lui traesser turbe di visitatori; sicché nei due giorni che soffermossi fra noi furono a mala pena lasciate libere le ore del breve riposo che pigliavasi la notte, tant'era l'assedio che facevaglisi intorno da ogni condizion di persone ovunque si recasse, alle chiese, alle abitazioni degli infermi, riputandosi beato chi potesse vederlo, baciargli la mano, essere benedetto; beatissimo poi chi avesse una parola di consiglio o di conforto: credevasi di vedere un Santo, di ricevere la benedizione, ascoltar la parola d'un Santo.”
Le impressioni di Rimini accompagnarono Don Bosco fino a Torino; poiché, incontrato nell'Oratorio lo studente Francesco Tomasetti, oggi Procuratore generale della Congregazione a Roma, gli disse: - Sono stato dalle tue parti, a Rimini. Che brava gente ho trovato là! Hanno trattato il povero D. Bosco come se fosse stato un principe! -
Non seguiremo Don Bosco a Faenza, avendo già parlato di questa sua andata nel capo decimo. Il 15 maggio sulla linea da Bologna a Torino egli apparve subitamente commosso e al segretario, che se n'era accorto, disse: - Chi sa Franchino come stia? Temo assai che faccia la fine di Tavella. - Poi tacque e rimase pensieroso. Tavella era un aspirante morto all'improvviso durante una breve malattia. Difatti anche il giovane Franchino cessò di vivere inaspettatamente la mattina del 16 nel suo paese di Rubiana, dove era andato per motivi di salute. Don Berto, suo zio, appena [548] giunto a Torino, intese che egli era moribondo e volò tosto a vederlo; ma lo trovò già senza favella e vicino a spirare. Faceva la quinta ginnasiale. Il suo professore Don Matteo Ottonello, nell'ultimo resoconto degli allievi presentato a Don Bosco, aveva scritto accanto al suo nome: “Modello a tutti in ogni parte.” A questo ragazzo Don Bosco voleva molto bene. Due sere dopo la sua morte, parlandone in pubblico ai giovani, disse: - Io credo che alla sua età San Luigi non fosse più buono di lui. -
Altre anime care Don Bosco non rivide più al suo ritorno. Oltre al già mentovato cavaliere Fava[482], erano mancati ai vivi due esemplarissimi sacerdoti torinesi, il teologo Roberto Murialdo e il canonico Francesco Marengo. Il primo, cugino del Servo di Dio Leonardo, fondatore dei Giuseppini, era stato assiduo aiutante di lui nell'opera degli oratorii e aveva per molti anni diretto quello dell'Angelo Custode in borgo Vanchiglia; l'altro, che insegnava teologia nel seminario arcivescovile, era stato fino dai primordi dell'Oratorio, maestro di catechismo ai giovani della classe più avanzata professore di morale ai chierici e negli ultimi tempi confessore straordinario degli interni, che ogni sabato sera ascoltava talvolta per ore e ore nel tribunale di penitenza. Scrisse il Bollettino di maggio: “Erano due gemme del clero di Torino; erano due amici sinceri, sopra cui potevamo contare; erano due ecclesiastici, con cui potevamo fare e stare a fidanza.”
Dolorosa fu pure la perdita di due donne, che ai figli di Don Bosco facevano da madri: la signora Paolina Clara, nata Pollietti, e la duchessa Anna Costanza di Laval-Montmorency, figlia di Giuseppe De Maistre, deceduta a Borgo Cornalense.
Un pensiero che, come si é potuto osservare, accompagnò costantemente Don Bosco nel suo lungo viaggio per la [549] Francia e per l'Italia fu quello di moltiplicare i Cooperatori e le Cooperatrici. Col diffondersi che faceva in tanti minuti ragguagli sull'entità dell'Opera Salesiana, egli mirava a suscitarle da ogni parte numerosi fiancheggiatori che, comprendendone a pieno la missione, le agevolassero il cammino nel mondo. Così continuerà a fare sino all'ultimo della vita, adoperandosi a tutto potere perché anche questa, non meno delle altre sue creazioni, metta profonde e salde le radici.
Un pensiero poi che la presenza di Don Bosco suscitava dovunque andasse, era che egli fosse un Santo. Tale persuasione s'impadroniva ognor più degli animi non solamente nel popolino, ma anche nei ceti elevati, non escluse le persone dell'ordine ecclesiastico, sicché noi vediamo crescere di anno in anno intorno a lui la venerazione universale. A Roma, presente Don Berto, mentr'egli entrava all'udienza del cardinale Bartolini, monsignor Agostino Caprara, promotore della fede presso la Sacra Congregazione dei Riti, trovandosi là nell'anticamera e indicandolo a un gruppo di preti, disse loro: - Vedono quel sacerdote? Spero che tratteremo la causa della sua beatificazione e che toccherà a me fare l'avvocato del diavolo. - Non toccò a lui l'onore di sostenere quella parte, ma ben gli spetta la lode d'aver compreso chi fosse Don Bosco e d'averlo fin d'allora così francamente proclamato.
NELLA continuità dei fatti ad ampio svolgimento s'inseriscono anche quest'anno svariati episodi che con quelli non ebbero un legame vero e proprio. Nella narrazione dei primi non potevamo dunque, senza turbare l'euritmia del racconto, far luogo ai secondi, che, fedeli al nostro costume, riuniremo in un capo a parte, contendandoci della sola unità che viene loro dall'identità del personaggio, da cui partono o a cui si riferiscono. E sia anzitutto la
Quando rientrò Don Bosco nell'Oratorio, la novena era al primo giorno. Fu suo immediato pensiero di mandar una circolare ai Cooperatori e alle Cooperatrici torinesi con l'invito alla rispettiva conferenza, fissata per gli uni alle sette pomeridiane del 21 e per le altre alle tre della vigilia. Diceva ai singoli: “Prego umilmente la S. V. a voler onorare questa Adunanza colla sua presenza. Molte sono le cose a cui si é posto mano nel corso di questo anno, e di tutte si desidera dare un breve cenno ai benemeriti Cooperatori e Cooperatrici di Torino e di altri vicini paesi che vi possano intervenire.” Un notabene conteneva tre avvertimenti, sull'estensione cioè dell'invito, sulla benedizione del Papa, sullo scopo della questua. “Sono invitati diceva, alla Conferenza i Cooperatori [551] e tutti coloro, che desiderano conoscere la pia associazione; gli uomini alla prima, le donne alla seconda. Sua Santità Leone XIII accorda una speciale benedizione a quelli che intervengono a questa Conferenza, e tutti potranno lucrare l'Indulgenza Plenaria secondo il Regolamento. La questua che si farà, andrà a totale beneficio della chiesa del Sacro Cuore di Gesù in Roma e dell'Ospizio annesso. I Signori Cooperatori e Cooperatrici sono pregati di raccogliere tra i loro parenti ed amici le offerte che potranno allo stesso scopo, e portarle pel giorno della Conferenza o farle altrimenti recapitare al Sac. Giov. Bosco Superiore della pia associazione.”
Per il Vescovo pontificante non consta che siano sorte difficoltà in Curia, come potrebbe sembrare dalla tardiva intesa. Fu invitato il Vescovo di Alessandria, monsignor Giocondo Salvai, dalla cui risposta traluce quanto grande stima e affezione egli portasse a Don Bosco. “All'invito potentemente soave, scriss'egli[483], di prendere parte alla solennità di Maria SS. Ausiliatrice, celebrandovi le funzioni pontificali, fattomisi dalla S. V. Vener.ma e car.ma, rispondo di pieno cuore affermativamente e mercoledì mattina coll'aiuto del Signore e della Madonna, spero di essere da Lei. Nella speranza di abbracciarla così di presenza, la saluto fin d'ora cordialmente.”
Gioia vivissima arrecò a Don Bosco un telegramma giuntogli da Roma. Il giorno 22 e la mattina del 23 era stato suo ospite monsignor Nicolò Marini, cameriere segreto partecipante di Sua Santità. Egli, di ritorno da Madrid, dove in qualità di Ablegato pontificio aveva portato la berretta cardinalizia per l'Arcivescovo di Sivilia monsignor Gioachino Lluch, cotanto benevolo ai Salesiani di Utrera, si fermò a Torino appositamente per far visita a Don Bosco, che lo condusse a vedere la chiesa di San Giovanni e gli fece dire la Messa della comunità. Testimonio oculare del concorso e [552] della pietà del popolo al tempio di Maria Ausiliatrice durante la novena, diede telegraficamente al Santo Padre l'annunzio del suo arrivo a Torino e della sua prossima partenza per Roma, implorando la benedizione apostolica per Don Bosco e per i fedeli. Rispose nel dì stesso della solennità il cardinale Lodovico Jacobini, Segretario di Stato: “Mons. Marini, presso Don Bosco, Torino. Sua Santità accolse con vero gradimento sentimenti filiale affetto e preghiere Don Bosco e fedeli Torinesi ed invia implorata apostolica benedizione.”
Alla festa quest'anno la Francia non poteva essere meglio rappresentata. Priore e Priora furono il conte e la contessa Colle[484]. Celebrò la Messa della comunione generale l'abate Mendre di Marsiglia. Vennero a ringraziare Maria Ausiliatrice la figlia della marchesa de Gaudemarie e la signorina de' Rolland, guarite entrambe miracolosamente a Cannes nel mese di marzo. Erano con loro la contessa de Corson di Parigi, scampata inaspettatamente da fiera polmonite a Hyéres dopo aver fatto una novena a Maria Ausiliatrice, e la signorina Clara Louvet, di cui molto avremo da dire nel capo seguente. Ma vi pellegrinarono pure altri dalla Francia.
Sulla celestiale bellezza della festa si espresse con pia semplicità il Vescovo di Alessandria. Commosso al riandare lo spettacolo delle cose vedute, egli partendo non si tenne dall'esclamare in presenza di Don Bosco: - Io credo che feste simili si celebrino solamente in Paradiso. -
Era opinione assai diffusa che questo culto a Maria Ausiliatrice fosse voluto dal Cielo, poiché se ne scorgeva l'intervento nella concessione di molte e svariate
Quanta fiducia si riponeva nell'intercessione di Don Bosco presso il trono dell'Ausiliatrice! Ci commuove, per esempio, la supplica pressante con cui nel giugno del 1882 una nobile [553] famiglia di Vendôme, inviando duemila e trecento franchi per la chiesa del Sacro Cuore, scongiura Don Bosco di strappare a Maria Ausiliatrice non una, ma sei grazie[485]. “Io, dice la scrivente, non ho più fiducia se non nelle sue preghiere per ottener misericordia […]; quanto a me, credo, spero e amo, qualunque cosa mi sia per avvenire.” Don Bosco, dando incarico della risposta, ne indicò il tenore con queste frasi, vergate in capo al foglio: “Grazie. I preti, i giovanetti pregheranno, [faran] comunioni. Siamo certi di tutto che non é contrario alla gloria di Dio.”
Nell'alta società parigina Don Bosco era già molto conosciuto. Viveva allora a Parigi la regina Isabella II dì Spagna, che nel 1870 aveva abdicato in favore del figlio Alfonso XII, ma naturalmente non cessava di seguire con trepida attenzione gli avvenimenti spagnuoli. Nel 1882 agitazioni in apparenza economiche, ma in fondo politiche, mettevano sossopra Madrid e Barcellona, facendo temere per la monarchia. Orbene durante la novena di Maria, Ausiliatrice Don Bosco ricevette da Parigi un foglio, in cui laconicamente si diceva: “Si raccomandano alle possenti preghiere del Rev.mo Don Bosco Sua Maestà la regina Isabella II di Spagna e tutta la sua Reale Famiglia[486], il conte e la contessa Walsh, la signora Street di Klinduworth.”
Altri dall'Italia e dall'estero riferivano di grazie ricevute, ma molto attribuendo a Don Bosco. Così il barone Antonio Manno, Commissario del Re alla Consulta Araldica, dopo aver fatto da priore alla festa di San Luigi, gli scriveva fra l'altro[487]: “Nello scorso anno mi trovava in una grande afflizione. Pregai la S. V. Rev.ma di raccomandarmi alla Madonna Santissima Ausiliatrice. Ne sono quasi libero e posso dire miracolosamente. Dica ancora un'Ave Maria per [554] me, acciò io possa riacquistare intera tutta quella pace di cui tanto ho bisogno e pensare all'anima mia e per accudire alla mia cara famiglia. Dica, La prego, quest'Ave Maria ed ho ferma fiducia e fondatissima speranza che mi verrà il desiato conforto. Sì, la dica!”. E sotto la firma si professava “indegno cooperatore Salesiano”.
Da Nizza Mare una signora Fruero scriveva il 19 giugno a Don Lago: “Da quattordici giorni tenevo il letto con una febbre di neuralgia molto dolorosa. Ed ecco venirmi l'idea di ricorrere alla lettera che il nostro venerato padre Don Bosco tutta di sua mano mi aveva scritta. Io l'applicai sulla mia povera testa e da quel momento i grandi dolori si sono calmati e benché molto debole mi sento meglio. Dio sia benedetto.” Questa signora, che traduceva allora in francese la novena di Maria Ausiliatrice, conchiudeva la sua lettera così: “La supplico di ricordarmi al nostro venerato padre e di dirgli che se io riesco in un affare che si tratta in questo momento, verrò a salutarlo in Torino e ad inginocchiarmi al Santo Altare della nostra madre Maria, Auxilium Christianorum.” Ci teneva infine a dichiararsi “fedele cooperatrice”.
La contessa de Liniers di Champdeniers aveva un figlio unico di sei anni colpito da angina cotennosa, che lasciava ai genitori ben poca speranza di guarigione. Nel colmo dell'ambascia invocarono le preghiere di Don Bosco e il figlio fu salvo. Dal 1882 la madre mandò ogni anno a Don Bosco e poi a Don Rua cinquecento franchi per le opere salesiane[488].
Altri venivano in persona a richiedere di grazie la celeste dispensiera, presentandosi a colui che ne era ritenuto come il tesoriere. L'avvocato Maurizio Joumar, tocco da paralisi al capo e alla spina dorsale, da due anni non aveva più potuto articolar parola. Condotto alla presenza di Don Bosco e ricevuta la benedizione di Maria Ausiliatrice, proferì il [555] nome di Maria, sentendosi all'istante così meglio, che scrisse sur un foglio messogli davanti: Je vous remercie de ma guérison de suite. Maurice Joumar. Dieu soit béni. Il fatto accadde nella camera di Don Bosco il 14 giugno[489].
Una guarigione ancor più strepitosa é quella operatasi nell'Oratorio verso l'autunno del 1882[490]. La signora Giovanna Le Mire a Misevent, comune di Pont-de-Poitte nel dipartimento del Giura, deperiva a vista d'occhio. I migliori medici consultati da più parti e nella stessa Parigi non trovavano rimedio che arrestasse la consunzione, sicché la giovane donna era ridotta al peso di venticinque chili. La vestivano; poi Paolo Noël, suo marito, la prendeva sulle braccia come una fanciullina e la portava su, e giù, dov'ella chiedeva di andare. Un uovo crudo con sale, quando le riusciva d'inghiottirlo tutto, era il suo più gran nutrimento di un giorno.
La fede regnava: nella nobile famiglia; conosciute da tempo le opere di Don Bosco, si erano messi in relazione con lui. Nel mese di maggio il signor Paolo Noël gl'inviò tremila franchi. Il Servo di Dio gli rispose ringraziando com'egli sapeva fare, con una lettera autografa di tre facciate e annunziandogli che il 29 giugno avrebbe applicato per lui tutte le comunioni e le buone opere de' suoi giovanetti e ch'egli avrebbe celebrato la Messa per l'inferma. Questa promessa gli allargò il cuore, tanta fiducia aveva nell'efficacia della sua preghiera.
Ma intanto miglioramenti non si vedevano, né si poteva credere che quello stato dovesse durare all'infinito. Allora Don Bosco, col quale la corrispondenza continuava, scrisse al marito: - Conduca l'ammalata a Torino.
- Ma come? rispose questi. Non é affatto in condizione di partire.
- La conduca egualmente, replicò Don Bosco. [556]
Preso un vagone con letto, la trasportarono a piccole tappe fino a Torino. Dalla locanda il signor Paolo Noél fece avvertire Don Bosco che sua moglie era arrivata viva, come egli aveva promesso. - Ebbene, perché guarisca; rispose, bisogna condurla alla mia Messa domani mattina ed essa farà le sue divozioni. - Non si ardì replicare. All'indomani la portarono a Maria Ausiliatrice. Dopo la Messa Don Bosco in sacrestia le disse: - Signora, ci vuole un atto di fede. Lei è guarita. Si consideri come guarita e si rimetta a compiere tutte le obbligazioni del suo stato. - Ella si mise tosto a mangiare e vi riuscì a meraviglia; qualche giorno dopo era tornata allegrissima, fuori di sé dalla gioia, riprendendo gusto alla vita. Tutta la famiglia rendeva grazie a Dio, a Maria Ausiliatrice e a Don Bosco.
Allorché Don Bosco fu a Hyéres presso il conte de la Flecheray, poi marchese di Aorillard, amico della famiglia, domandò notizie della signora Le Mire. Gli dissero che era ricaduta quasi nello stesso male di prima. - Non se ne diano pensiero, rispose egli.. Tutto andrà bene di qui a qualche mese. - Infatti la guarigione predetta da lui fu coronata dalla nascita di un figlio, grandemente desiderato; e questo fu poi seguito da un secondo. Entrambi nel 1897, data della relazione che ci servì di guida nel racconto, frequentavano le scuole dei Gesuiti a Digione.
Il Signor Le Mire rivide in seguito più volte Don Bosco, che diceva di lui: - I1 signor Le Mire e io siamo come due fratelli, - “canonizzandolo per metà”, commenta il relatore; infatti il signor Paolo Noël era assai religioso e caritatevolissimo. “Per noi, conchiude il medesimo, l'esistenza sola di madame Le Mire non può essere che un prodigio accordato a Don Bosco, il quale rendeva così a' suoi benefattori molto più di quello che aveva ricevuto”[491]. [557]
Dei favori concessi da Maria Ausiliatrice non la pensavano tutti in questo modo. Il solito rinnegato di Torino in un articolo dal titolaccio "Don Bosco e la sua bottega"[492], pigliando le mosse dal libro del D'Espiney, che definiva “una biografia del così detto santo del Valdocco” contenente “una quantità di miracoli” dal medesimo operati “colla cooperazione della sua madonna”, pretendeva di svelare in tutto questo ai suoi lettori una “ciarlataneria” con cui certi “miseri” miravano “a cretinizzare la gioventù loro affidata” e un mezzo speciale di Don Bosco “per spillare il danaro dalle tasche” dei creduloni. E per dimostrate questo secondo asserto traduceva dal francese una lettera scritta da Don Bosco l'anno innanzi alla marchesa Vernon Bonneuil e prodotta in tribunale dal costei marito a Parigi, in una sua querela contro la moglie, per separazione. Il documento c'entrava come il cavolo a merenda; ma comunque ce lo fecero entrare. La marchesa aveva spedito a Don Bosco un'offerta di cinquecento franchi per una grazia ricevuta, promettendogliene venticinquemila, se dalla Madonna glie ne ottenesse un'altra, che le stava sommamente a cuore. Don Bosco le rispose[493]:
Ho ricevuto la sua ottima lettera con la consolante notizia che l'operazione la quale le faceva tanta pena é riuscita benissimo e che Ella ora è perfettamente guarita. Sia benedetto e ringraziato Dio per questa grazia.
Nella stessa lettera ha incluso la somma di 500 franchi per la chiesa del Sacro Cuore di Roma. Maria Ausiliatrice ne la rimeriti degnamente, tanto più che nella sua carità dice essere questo solo il principio delle sue offerte.
Deo gratias! Io non mancherò di pregare particolarmente, affinché Dio faccia sì che avvenga l'unione da Lei accennata, purché sia a gloria di Dio. Ma dirà loro che io accetto l'offerta promessa di [558] 25.000 franchi. Però bisogna osservare attentamente che il Vangelo dice chiaro: “Date e vi sarà dato”, e non già: “Promettete e vi sarà dato”. Io credo quindi che sarebbe ottima cosa cominciar a dare qualche somma in anticipo.
Non dimenticherò di fare ogni giorno nella santa Messa una memoria per Lei e per tutte le sue intenzioni, specialmente affinché Ella, i suoi parenti e i suoi amici possano camminare per la strada del Paradiso.
Dio la benedica, caritatevole signora Marchesa, e voglia anche Lei pregare per me che Le sarò sempre in G. C.
S. Benigno Canavese, 8 settembre 1881.
Come si vede, nulla qui, proprio nulla si può riscontrare di disdicevole né in sé né per rapporto a Don Bosco, nemmeno in quelle righe sottolineate dall'articolista. Ma si sa: omnia immunda immundis. Troppo alto poggiava la fama della santità di Don Bosco, perché vili conati di detrattori arrivassero a offuscarne menomanente la chiarezza.
Nulla di speciale ci é stato tramandato intorno alla festa di S. Giovanni: il Bollettino e i giornali cattolici della città ripetono le solite descrizioni, che a noi non dicono più niente di nuovo[494], Don Bosco ne fa menzione in una lettera al conte Colle[495]: “Ho ricevuto con la massima riconoscenza i suoi auguri per la festa di San Giovanni. E' stata una festa grande; festa cordiale, che mi ha fatto spesse volte versar lacrime.”
La luce di santità che s'irradiava dal Servo di Dio non risplendeva ormai più soltanto da vicino agli sguardi de' suoi figli o del popolo semplice e buono, ma colpiva anche da lungi coloro che vivevano nelle altissime sfere, come abbiamo già veduto e come viemaggiormente vedremo nel [559] processo di questa storia. Per il 1882 va segnalato pure l'omaggio reso alla santità di Don Bosco dal
Gran nome questo nei fasti dell'Inghilterra. La famiglia traeva la sua lontana origine dai Plantagenèti, che, vi regnarono dal 1154 al 1485; il suo capostipite in Tommaso Plantagenèto, secondogenito del re Edoardo I. Durante le persecuzioni del secolo XVI contro i Cattolici la ducale prosapia non si staccò dalla Chiesa Romana, perseverando nella sua secolare fedeltà fino ai giorni nostri, né lasciando per questo di godere cospicui privilegi presso la corte sovrana; infatti il suo capo ha il titolo di primo duca, primo marchese, primo conte e primo barone d'Inghilterra e nelle cerimonie ufficiali spetta a lui il primo posto dopo i principi del sangue.
Don Bosco aveva scritto al cappellano del Duca, pregandolo di voler promuovere a Londra una colletta per la chiesa del Sacro Cuore. La risposta reca la data del 13 agosto. Il cappellano, dimostratogli non essere quello il tempo opportuno per la cosa da lui desiderata, si valeva dell'occasione per dirgli altro. “Il duca di Norfolk, scriveva egli, desidera sapere se sia vero che Ella gli abbia mandato un'ambasciata intorno al suo unico figliuolino, il quale é nato cieco. L'ha portato due volte a Lourdes, sperando di poter ottenere una grazia dalla Madonna. Ora qualcuno lo assicura che Don Bosco voleva fargli dire che non dovesse perdere la speranza. E’ vero questo? Tutta l'Inghilterra Cattolica prega per questa grazia, perché il Duca é tanto buono e caritatevole e amato, da tutti coloro che lo conoscono. Il Duca sarebbe pronto a far tutto per ottenere la guarigione del figlio, la cui nascita sola é già un miracolo. Mi faccia la grazia di rispondere presto a questa lettera.”
Ignoriamo la risposta di Don Bosco al cappellano; ma l'effetto della risposta é consacrato in due lettere del Duca, [560] scritte di suo pugno a Don Bosco nel mese di ottobre[496]. Nella prima gli diceva: “Abbiamo sentito che Ella e con Lei il suo grande esercito di fanciulli hanno pregato, affinché Dio conceda la sanità al nostro figliuolino. Questa prova di bontà così grande venendo da persone così lontane da noi e sulla cui simpatia non abbiamo alcun diritto, ha cagionato tanto a me che a mia moglie la più grande soddisfazione. Vennero anche a nostra conoscenza le grandiose opere che Ella va tuttodì compiendo in pro della Chiesa Cattolica, e questa notizia pure ci ha colmati di gioia e di consolazione. Intanto La pregherei di voler accettare questa mia tenue offerta di lire quaranta[497] come un piccolo aiuto per le opere che ha tra mano. Raccomandiamo il nostro figlio e noi stessi alle sue preghiere e a quelle dei suoi ricoverati, mentre ci rincresce di non poterla ringraziare personalmente.” Dalla seconda lettera, che é del 26 ottobre, rileviamo soltanto che Don Bosco rispose, indirizzandogli parole consolantissime; e poiché Don Bosco gli domandava che lingua dovesse usare scrivendogli ancora, il Duca gli diceva: “Qualora Ella credesse bene di scrivermi nuovamente, La prego di adoperare quella lingua che più Le aggrada, potendo io sempre farmi fare la traduzione di quello che Ella dice. Delle lingue nominatemi da Lei nella pregiatissima sua, la francese é quella che più intendo.” Ritroveremo altre volte il virtuoso Duca nel seguito di queste Memorie.
La santità di Don Bosco richiamava, come in passato, l'attenzione dei Vescovi, quando avevano qualche traviato sacerdote da ricondurre in grembo a Santa Madre Chiesa. Così fu nel caso del povero
Don Paolo Orioli, della diocesi di Mantova, era cappellano-curato nella parrocchia di Canneto, quando, rimasta [561] vacante quella di Paludano, la popolazione, sobillata da chi avrebbe voluto formare una Chiesa Nazionale Italiana cominciando dalla diocesi di Mantova, ripudiò il legittimo parroco eletto dal Vescovo e con una sottoscrizione a rogito notarile elesse a tenue maggioranza lui, che accettò, s'intruse e, se dall'Autorità civile non fu riconosciuto parroco, si ritenne però come una specie di economo spirituale con uso della casa canonica e con assegno sulla prebenda. Ciò avveniva nel 1874. Nel 1876 un decreto ministeriale portò l'assegno da lire ottocento a duemila, somma corrispondente alla metà della prebenda, mentre l'altra metà fu accordata alla fabbriceria, che nella mente del Governo rappresentava la parrocchia, per ispese di culto, di scuola, di beneficenza.
Il Vescovo d'allora lo dovette perciò nominatamente scomunicare, a nome anche della Sacra Congregazione del Concilio. Questo fatto e un secondo avvenuto in un'altra parrocchia della stessa diocesi, a cui si aggiunsero parecchi simili tentativi abortiti per mancanza di preti disposti ad acconsentirvi, e poi qualche cosa dello stesso genere accaduto in una frazione d'una parrocchia del Friuli indussero Pio IX a emanare per organo della Sacra Congregazione del Concilio in data 23 maggio 1874 un decreto che estendeva alle province ecclesiastiche Lombarda e Veneta la scomunica speciali modo Pontifici reservata contro gli eletti per suffragio del popolo.
Intruso, scismatico, scomunicato, quante scomuniche, sospensioni e altre censure aveva incorse Don Orioli in tanti anni, quanti sacramenti della confessione e del matrimonio amministrati, quante irregolarità contratte! E poi quel di più che Dio solo e lui sapevano. Venuto finalmente a resipiscenza, la Santa Sede accordò al Vescovo monsignor Berengo tutte le facoltà necessarie e opportune per riconciliarlo con Dio e con la Chiesa in utroque foro, con quella pure di subdelegare anche sacerdoti estradiocesani ad assolverlo dovunque dalle censure e pene ecclesiastiche e a dispensarlo [562] dalle irregolarità, nelle quali era incappato in utroque foro. Le condizioni imposte erano: 1° abbandono della parrocchia; 2° ritrattazione pubblica; 3° corso di esercizi in una casa religiosa. Mentre stavano per compiersi le due prime, la terza fu affidata all'Oratorio. Il Rescritto non determinava il numero dei giorni da passarsi nel ritiro; ma il Vescovo ne volle almeno dodici. “Ecco, scriveva il Vescovo nell'inviarlo a Torino[498], ecco l'uomo dall'orgoglio e dall'interesse miseramente acciecato, e le condizioni, sotto cui lo metto in mano del Rev.mo Don Bosco e dei suoi Religiosi. Io loro lo raccomando e tutto spero da loro per la verace e costante sua conversione. La mia gratitudine sarà perenne, con me l'intera diocesi esulterà di santa gioia, e il Rev.mo Don Bosco e cotesti suoi ottimi Religiosi avranno le bendizioni di tutti i veri Cattolici.”
Don Orioli, messosi a disposizione del Vescovo, lasciò in sua mano la propria ritrattazione, affinché fosse pubblicata. Il Vescovo, dando ai diocesani la lieta notizia, benediceva Iddio, perché la estinzione d'ogni scisma nella diocesi era omai un fatto compiuto. Nello stesso giorno, 4 aprile, spedì all'Oratorio la patente per le opportune facoltà suddelegate al confessore. Egli ignorava che Don Bosco fosse assente; quando seppe che era in Francia confidò egualmente il convertito agli aiuti spirituali di Don Rua, di Don Cagliero e di tutti gli altri “pii religiosi”, ravvisando nei figli lo spirito del padre.
Don Orioli compié in modo esemplare tutto il suo dovere. Durante il suo soggiorno, con la piena libertà che gli era concessa di vedere e di osservare, studiò la vita dell'Oratorio, raccogliendo poi le sue impressioni in un opuscoletto che dedicò a un suo amico e intitolò La casa di Don Bosco in Torino. “In questa Casa, scrive egli, non spirano che modi insinuanti a fare il bene. E v'ha un'aria di dolcezza, di [563] allegria sui volti di tutti, che ne resti sorpreso Io non ebbi la sorte tanto ambita di vedere il Rev. Don Bosco, che si é circondato di giovani sacerdoti, che Gli sono figli di adozione. Ma benché non l'abbia visto, sono sicuro che l'indirizzo, il movimento della Casa é lo specchio di quell'Uomo. Frutti sì belli, quali questi, che tu vedi nella Casa stessa, ti rivelano di che indole sia l'albero, sul quale crebbero e rami e frutti eletti.” Venendo a dire dei Superiori, nota: “Se li avvicini senza conoscerli, non sospetteresti punto che sieno costituiti in autorità, non perché tu scorga in loro quello che, conosciuta la loro posizione in questa Casa e nelle altre, li abbia a giudicare impari ad essa, ma perché il loro tratto sociale é tale, che pare vogliano allontanare perfino il sospetto dell'essere loro. Ma più cresce la sorpresa quando vedi quei direttori aggirarsi in mezzo ai giovani studenti, ai poveri artigiani, e porgersi più da amici che da Superiori. Nella Casa di Don Bosco non è quell'aria greve di autorità, che spira in certi Collegi […]. Fa consolazione all'animo il vedere quei laureati tanto modesti e non curanti dei loro pregi reali. Il che mi faceva dire ad uno di quelli che il non concepirsi da coloro, che hanno parte tanto importante nell'indirizzo della Casa, soverchia estimazione di sé e dei grandi benefici che vanno arrecando alla sociale famiglia, é arra di crescente prosperità. E un tarlo, quale quello di esagerare i propri meriti tarderà ancora, e molto, a logorare la grande Istituzione Salesiana. A certo che un professore di matematica, fuori di questa Casa, non si adatterebbe a fare da inserviente umilissimo, come quello di suonar campane. Ma la pietà é utile a tutto. In questo Dottore il fare modesto e non curante di sé ti terrà mille miglia lungi dal pensarlo tale[499]. Eppure é così presso Don Bosco e nella sua Casa.” [564]
Detto infine della muscia, della pietà, dell'istruzione (era il tempo della guerra alle scuole dell'Oratorio), come precedentemente aveva parlato dei laboratori, conchiudeva: “M'allontano non senza una viva emozione da questa Casa, e avendo sott'occhio ciò che crea quasi il volere, quando l'alito della carità gli dona le ali, auguro, che di case eguali ne sorga almeno una in ogni città d'Italia.”
L'opinione che Don Bosco fosse veramente un santo continuava a essere avvalorata nella casa da quelle divinazioni, di cui la sua vita era stata sempre piena. Parleremo ora di due incontri del 1882, nei quali la sua virtù divinatrice risplende di luce meridiana. Il primo é col futuro
Antonio Malàn emigrato con i parenti a Tolone, aveva fin dai sette anni una gran voglia di farsi prete; ma, date le condizioni economiche della famiglia, non osava manifestare ai genitori siffatto desiderio, tanto più che era il maggiore di cinque fratelli[500]. “Quando, scrive egli, vedevo qualche mio compagno studiare per farsi prete, avrei pianto per la mia impossibilità di fare come lui e dicevo fra me: - E' inutile pensarci! - Quindi scacciavo quel pensiero, che però non tardava a ripresentarmisi alla mente.”
Un simile tormento gli durò fino all'età di quattordici anni. Entrò quindicenne al servizio di una nobile e cristiana famiglia, la famiglia de Combaud, divenuta poi grande benefattrice della Congregazione. Questi signori erano così buoni con lui e soccorrevano così largamente i suoi, che egli contentissimo non pensava più se non rare volte al sacerdozio. Sui vent'anni gli si risvegliò l'idea dello stato ecclesiastico; ma, avendo per due soli inverni frequentato da ragazzo le scuole dei Fratelli, non possedeva davvero un corredo di [565] istruzione che gli permettesse di entrare in seminario. L'unica speranza sarebbe stata di battere alla porta dei Cappuccini; non ne fece però nulla, essendo quello il tempo dell'espulsione dei religiosi dalla Francia.
Afflitto per tante contrarietà, ricevette una lettera che lo chiamava in Italia per presentarsi al Consiglio di leva nel suo distretto di Cuneo. La signora de Combaud, che si era interessata sempre della sua anima, lo consigliò di passare per Torino e visitare Don Bosco. Gli spiegò chi fosse Don Bosco e gli diede una copia del libro pubblicato l'anno avanti dal D'Espiney. Il giovane divorò quel libro in un giorno e una notte. Fece anche una novena a Maria Ausiliatrice con le preghiere suggerite da Don Bosco.
Non vedeva l'ora di partire. Quando partì, molti lo caricarono di commissioni per Don Bosco. Che egli vagheggiasse di farsi prete, non l'aveva mai detto ad anima viva. Giunto a Torino sul far del giorno, volò per alcuni minuti a Maria Ausiliatrice. Era il 29 ottobre. Don Bosco finiva la Messa all'altare di San Pietro. Nello scendere i gradini, il Santo vide una fiammella staccarsi dall'altare della Madonna e andarsi a fermare sul capo di un giovane sconosciuto, ritto in piedi là vicino. Il Servo di Dio, fermatosi dietro la balaustra, stette a osservarlo; quindi proseguì in sacrestia e si mise a confessare i giovani. Finito che ebbe, uscì nel cortile, dove in mezzo ai giovani ravvisò quello sconosciuto, che, entrato per la porteria, aveva aspettato una buona mezz'ora. Una folta schiera di ragazzi circondava il Servo di Dio. Malàn si fece avanti e gli baciò la mano. Egli lo guarda e come se lo conoscesse da gran tempo, esclama: - Oh! - Poi senza lasciargli tempo di aprir bocca gli dice in francese: - Saliamo in camera; qui i giovani non ci lasciano tranquilli.
- Ma Lei mi conosce? domandò l'altro, pure in francese.
Salgono, Malàn gli consegnò le lettere che portava per lui. [566] La signora non poteva aver scritto nulla della vocazione, perché nulla sapeva. Don Bosco si mette a leggere le lettere e di tanto in tanto gli domanda notizie intorno alla persona, della cui lettera finiva la lettura; e così di seguito, finché le ebbe sbrigate tutte. Una donna aveva dato a Malàn tre franchi affinché Don Bosco dicesse una Messa per lei, e Malàn ne aveva aggiunti tre, con l'intenzione di fare alla casa una piccola limosina, senza che Don Bosco lo sapesse. Egli prese la limosina e guardandolo gli chiese: Cela ne te privera pas? [questo non ti causerà una privazione?]. Indi si accinse a fare le risposte, quale sur un foglio di carta, quale sopra un biglietto di visita, quale dietro a un'immagine di Maria Ausiliatrice, senza più parlare. Terminato quel lavoro, gli domandò il suo nome e sul rovescio di un'immagine della Madonna scrisse: O Marie, protégez votre enfant Antoine et le conservez dans le chemin du Paradis. Abbé Jean Bosco.
Mentre Don Bosco era così occupato, Malàn, tutto confuso e in agitazione, avrebbe voluto fare la domanda di entrare nell'Oratorio, ma non sapeva come cominciare. Doveva dirgli tutto o soltanto domandargli consiglio sulla sua vocazione? Non trovava il coraggio di aprir bocca, tanto più che l'unica volta, che ne aveva parlato a un religioso francese in confessione, avevane ricevuta una sconfortante risposta. “Dio solo sa, scrive egli, ciò che in quel momento mi si agitava nel cuore.”
Infine Don Bosco, deposta la penna e voltosi verso di lui, gli consegnò le risposte per le persone a cui erano destinate e gli diede pure l'immagine preparata per lui, raccomandandogli che non se ne separasse mai. Quindi lo guardò sorridendo e gli disse in francese: - Ora che abbiamo parlato di tutti gli altri, parliamo un po' di voi. Presto voi verrete per stare con me, non é vero? - Malàn, col cuore già gonfio, all'udire tali parole, ruppe in singhiozzi, cadde in ginocchio e per alcuni minuti si sforzò di rispondergli., ma non gli fu possibile, tanto piangeva dirottamente. - Perché piangete? - [567]
gli diceva Don Bosco. Avrebbe voluto rispondere, perché gli aveva domandato se volesse farsi Salesiano; aver egli desiderato ciò, ma non aver osato palesarglielo. Finalmente, senza badare a ciò che diceva, gli domandò se avesse parlato sul serio. Don Bosco, che lo guardava sempre sorridendo, gli rispose: Je dis trés sérieusement.
A tale risposta le lacrime ricominciarono. Don Bosco, sempre sorridendo, gli ripeteva che Maria Santissima Ausiliatrice voleva così. “Io, com'egli si esprime, non mi sapeva più rendere ragione né del luogo ove fossi, né che cosa facessi. Un buon quarto d'ora continuò quella mia profonda commozione. Dopo ai piedi del tenero padre mi confessai; gli dissi tutto. Oh quale consolazione, quale felicità!”.
Ciò fatto, si ritirò, perché nell'anticamera molta gente aspettava. L'abboccamento era durato un'ora e mezza. Il giorno dopo tornò da lui e si conchiuse tutto, ma con la massima calma.
Allora Don Bosco prese a dirgli di vestire presto l'abito chiericale.
- Ma io, obbiettò Malàn sbigottito, non ho ancora fatto studio di sorta.
Quindi gli propose di scegliere la casa salesiana che più gli piacesse, Nizza Marittima o la Navarre. Una difficoltà gli restava da sciogliere. Come avrebbe potuto svincolarsi dal servizio della contessa de Combaud, senza offendere una persona che gli aveva fatto tanto del bene?
- E' presto fatto. Scrivile che ti fermi con Don Bosco.
- Scriverò, chiederò la licenza, e se Lei vuole, lascio tutto e vengo subito.[568]
- No, stimo troppo quella signora e non voglio che la lasci improvvisamente. Potrebbe trovarsi imbarazzata. Ritorna là, di' che hai veduto Don Bosco e che egli ti ha invitato a farti Salesiano.
- E io aggiungerò che ho un gran desiderio di venire con Don Bosco e la pregherò di darmene il permesso.
- Fa' le cose con prudenza e non aver tanta premura.
Rimasti così intesi, fece ritorno a Tolone e si recò al castello dei Combaud. Alla signora egli aveva scritto; onde la vide commossa e tutto confuso le disse: - Se vuole che stia qui, rimango; ma Don Bosco mi ha detto che io sarò Salesiano. - Poi le raccontò quanto gli era accaduto a Torino. - Oh, quand'é così, rispose la signora, sappiate che Don Bosco non la sbaglia mai in queste cose; ha Dio che l'ispira. Andate pure, che sono contenta e non mi oppongo. Seguite il consiglio di Don Bosco. Io cercherò di provvedermi altrimenti. -
Stette tre mesi al castello. Ogni sera egli s'inoltrava nei boschi e andava a pregare e a piangere ai piedi d'un pilone, che dentro una nicchia aveva una statuetta della Madonna. Una volta, mentr'egli raccomandava caldamente alla Santa Vergine la sua vocazione, vide una fiammella brillare nella destra della Madonna e poi venire verso di lui. Tal vista lo riempì di stupore e di consolazione. Confidata la cosa a Don Bosco la prima volta che lo incontrò alla Navarre e interrogatolo se dovesse tenerne conto: - Sì, sì, gli rispose, davvi mente, tienne conto, facci attenzione.
Malàn era entrato alla Navarre tre mesi circa dopo che aveva parlato con Don Bosco; nel marzo del 1883 arrivò Don Bosco a quella casa. Gli si fece un'accademiola, in, cui anche Malàn lesse qualche cosa. Don Bosco, appena lo vide, lo riconobbe ed esclamò: - Oh Antonio, sei dunque finalmente in prigione?
- Je suis en Paradis, gli rispose Malàn.
Che Don Bosco prevedesse allora nel povero popolano il [569] futuro Vescovo del Brasile, non ci consta in nessuna maniera; ma post eventum possiamo ben affermare che una sì gran preparazione preludesse a qualche cosa di non ordinario. Un'osservazione dello stesso genere noi dovremo ripetere, sebbene con molto minor copia di particolari, per
I1 suo anonimo biografo, che scriveva nel 1898, incomincia così l'introduzione del libro[501]: “Finora nessun altro figlio di Don Bosco chiamò sopra di sé tanta benevolenza ed ammirazione quanto D. Unia.” Era un contadino. A ventisette anni, nella festa di S. Giuseppe del 1877 venne da Don Bosco e lo pregò di accettarlo, perché voleva farsi prete. Don Bosco lo accettò per il seguente agosto. Veramente la sua intenzione non era di farsi Salesiano; ma dovette fare i conti con Don Bosco. Tornato all'Oratorio il primo agosto, fu mandato a Lanzo per disporsi con gli esercizi a intraprendere gli studi. Lassù un giorno, interrogato da Don Bosco che cosa pensasse di fare dopo il ginnasio:
- Andare al mio paese, rispose con tono risoluto.
- Non ti piacerebbe fermarti con Don Bosco?
- Io ho sempre avuto in mira di essere prete a Roccaforte.
- Ma se il Signore ti volesse per un campo più vasto?
- Se il Signore mi dimostrasse che questa é la sua volontà...
- Se Dio mi rivelasse il tuo interno e io te lo dicessi qui a te, avresti in ciò un segno che egli ti vuole con me?
Unia che non aveva mai inteso un linguaggio simile, non sapeva se dovesse prendere sul serio o per burla quelle [570] parole. Ma Don Bosco stava là in attesa di una risposta.
- Ebbene, ripigliò, mi dica quello che vede nella mia coscienza..
- Tu devi fare la tua confessione, non é vero? Orbene, te la farò tutta io; tu non avrai che di rispondermi: Sissignore.
Difatti cominciò a dirgli tutto il suo passato con tanta esattezza e precisione, che Unia sulle prime credette di sognare: numero, specie, malizia, tutto veniva fuori. Commosso al sommo, il penitente non sapeva più in che mondo si fosse. - Ma, caro Don Bosco, gli domandò a un certo punto, come ha fatto Lei a sapere tutte queste
miserie? - Allora, forse per confortarlo, giacché lo vedeva mortificatissimo, proseguì: - So ben altro ancora. Tu avevi undici anni, quando, trovandoti una domenica nel coro della tua chiesa durante i vespri ed essendoti accorto che un tuo compagno dormiva vicino a te con la bocca aperta, tu che avevi susine in tasca, cercasti la più grossa e giù la cacciasti nella gola del dormiente. Il poveretto, sentendosi soffocare, balzò in piedi e si mise a correre di qua e di là, implorando aiuto. La costernazione generale fece sospendere il canto. Ma per questo peccato non occorre altro: tuo cugino prete te ne diede subito la penitenza con una mezza dozzina di scapaccioni. - Non ci volle di più, perché egli si desse per vinto.
Terminato il corso dei Figli di Maria con Don Rinaldi a Sampierdarena e con lui passato a S. Benigno Canavese, fu nel 1882 ammesso al suddiaconato. Non c'era verso d'indurlo a ricevere quel sacro ordine; ma Don Bosco ve lo persuase, e così pure nello stesso anno per il diaconato. Quando però si fu all'ordinazione sacerdotale, che era fissata per la domenica antecedente al 25 dicembre., l'affare si fece più serio che mai. Si mostrò così irremovibile, che gli si concesse di recarsi a Torino per parlare con Don Bosco; avrebbe voluto chiedere almeno una dilazione. Gli pareva di non avere ancora studiato abbastanza e di ritenere ancora troppo del profano, com'egli non si stancava di ripetere.[571]
Entrato dunque nella camera di Don Bosco, espose lo scopo della sua venuta e mentre tutto si accalorava, vide che il buon Padre lo guardava in silenzio e sorrideva. - Dunque non vorresti più andare avanti? lo interrogò Don Bosco.
- No, assolutamente no! Io ho la testa rotta e mi voglio fermare come sono.
- Lasciar tutto e andarmene a Roccaforte per studiare un poco di più.
- Lasceresti dunque Don Bosco? Proprio tu?
- Ebbene, giacché dici che hai la testa rotta, io te la accomodo subito. Prendi la mia. - In così dire si tolse la sua berretta di testa e la pose a Don Unia; quindi: - Ora va dove io ti mando! gl'ingiunse.
Paure, dubbi, pensiero di tornare a Roccaforte si dileguarono sotto quella magica berretta in un baleno. Usci senza restituirgliela e la portò sempre con sé; oggi é una preziosa reliquia.
Don Unia andò davvero in capo al mondo. Una vocazione straordinaria lo portò, con licenza dei Superiori, nel grande lebbrosario di Agua de Dios in Colombia, dove con l'eroismo del suo sacrifizio onorò la Congregazione e la Chiesa, contraendovi una malattia che lo condusse anzi tempo alla tomba nel 1895; ma il suo esempio, seguito da altri generosi, dischiuse ai Salesiani una forma dì apostolato, che si é venuto ognor più sviluppando e porta oggi conforto e salvezza a migliaia d'infelici. Il cardinale Rampolla, Segretario di Stato e Protettore della Congregazione, elogiando in lui “l'esercizio della più sublime carità” espresse allora il dispiacere del Santo Padre Leone XIII e suo per sì luttuosa perdita[502]. [572]
La gratia sanitatum, la discretio spirituum, lo spiritus prophetiae sono carismi che abbondarono nella vita del nostro Santo, né ci stancheremo noi di registrare i fatti, mano a mano che ne incontreremo di accertati. Diremo qui di alcuni pochi del 1882 accaduti in sue
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Don Bosco nel luglio del 1882 andò a Borgo S. Martino per celebrare la festa di S. Luigi Gonzaga. Un Coadiutore della casa, Giovanni Brigatti, dolorava a letto per una sciatica che gli cagionava atroci sofferenze. I rimedi non gli recavano alcun sollievo. Fu pregato Don Bosco di salire a benedirlo. Egli acconsentì e gli domandò: - Avete molta fede?
- Levatevi e mettetevi in ginocchio.
Aiutato dai presenti e aiutandosi col bastone, il malato obbedì spasimando. Don Bosco lo benedisse; poi, volendo il Brigatti nel rialzarsi riprendere il bastone, glielo impedì. Il male era improvvisamente scomparso, né mai più gli ritornò in seguito[503].
Allora fu che si udì la sorprendente inconscia rivelazione narrata da Don Lemoyne intorno al giovanetto Carlo, che si diceva avere Don Bosco risuscitato nel 1849, senza che però vi fossero veri argomenti per attribuire a lui il prodigio[504]. La prima sera dunque, volendo disporre i giovani del collegio a fare tutti una buona confessione, raccontò drammaticamente l'accaduto; se non che, mentre altre volte altrove, ripetendo la portentosa narrazione, non aveva mai fatto cenno di sé, quella volta nell'ardore della descrizione passò di botto dalla terza persona alla prima, dicendo: Io entrai nella camera... io gli dissi... egli mi rispose. – Nel [573] qual modo proseguì per buon tratto, fino a che verso il termine ripigliò la persona terza. Ognuno immagina facilmente l'impressione dei Salesiani e dei giovani. Ma Don Lemoyne che era fra gli uditori, scrive: “Quand'ebbe finito, attraversò le loro file per recarsi in camera e mentre tutti gli facevano ressa intorno, si vedeva dal suo sguardo e dalle sue parole la perfetta inconsapevolezza di ciò che era avvenuto.”
Quell'anno, visitando il collegio di Varazze, mentre i Superiori nel corridoio gli baciavano la mano e gli davano il ben venuto, egli adocchiò il chierico Francesco Ghigliotto e gli domandò misteriosamente: - Come stai?
- Ti sentiresti di fare a pugni con Pertile? - Era questi un chierico molto robusto.
- Veramente non ne ho ancora fatta la prova, rispose sorridendo Ghigliotto.
Ghigliotto aveva una classe regolare, aiutava il prefetto e assisteva in refettorio; non si trovava quindi a tavola con gli altri. Ma dopo pranzo gli dissero che Don Bosco aveva domandato al Direttore come stesse Ghigliotto, e che Don Monateri gli aveva risposto che stava bene.
- Ma sta proprio bene Ghigliotto? aveva ridomandato pochi istanti dopo.
- Che io sappia, sì, gli era stato replicato da Don Monateri.
Tale insistenza colpì i confratelli; ma Ghigliotto non ne fece caso, scorgendovi soltanto il suo paterno interessamento per essere egli molto occupato. Don Bosco era partito da un paio d'ore, quando il chierico, sentendo un'insolita stanchezza, pregò il prefetto di sostituirlo nell'assistenza durante la cena, persuaso di poter riprendere l'indomani il suo uffizio. Ma, allettatosi, n'ebbe per tre mesi, correndo anche pericolo di morte. Evidentemente Don Bosco non aveva voluto dire tutto quello che sapeva.
Quest'altro aneddoto accadde durante la visita alla casa di Vallecrosia. Il signor Gioachino Spinelli di Ventimiglia, [574] maestro municipale, aveva la madre gravemente inferma. Inteso del suo arrivo, andò per raccomandargliela; ma, appena entrò nella sua stanza, il Santo gli disse: - Lei viene qui per domandare una grazia?
- Sì, rispose lo Spinelli e gli contò la cosa.
- Ebbene, vada pure tranquillo, gli disse Don Bosco, sua madre guarirà.
Infatti guarì. Alcuni anni dopo, tornato Don Bosco a Vallecrosia, ecco di nuovo il maestro che tornava anche lui a rinnovargli la stessa preghiera, essendo sua madre un'altra volta seriamente ammalata. Senza dargli tempo di parlare, il Santo gli disse: - Lei torna per domandare una grazia; ma questa volta la grazia non c'é. Sua madre la vedrà in paradiso -[505].
Chi potrà mai raccogliere tutte le predizioni fatte da Don Bosco per lo più molto alla buona e fedelmente avveratesi? Nell'autunno del 1881 era tornato da Marsiglia in Italia il chierico Angelo Bologna, chiamatovi dall'obbligo di leva; partì infatti per la caserma nello scorcio dell'anno. Don Bosco, nell'accomiatarlo, gli disse: - Tornerai a casa prima del tempo stabilito. - Questa parola fece meraviglia a Bologna, che, uscendo dalla camera di Don Bosco, la riferì al coadiutore Mondone.
Tra parentesi. Il Beato diede al partente dieci lire, raccomandandogli di non dirlo al prefetto, perché altrimenti questi non gli avrebbe dato più nulla.
Spirava dunque il secondo anno di servizio militare e ne mancava ancora uno per il congedo. Bologna, caporale maggiore, avendo danari e maggior libertà, pensava di godersela a Firenze specialmente con l'andare a teatro, né si rammentava più di quello che Don Bosco gli aveva detto. Si sparse allora la notizia che il Ministero per motivi di economia avrebbe fatto sorteggiare un certo numero di soldati per [575] abbreviar loro di un anno il servizio. Orbene, Bologna fu del numero dei sorteggiati. Rammentatosi allora della predizione, comparve inaspettato e gongolante di gioia nell'Oratorio.
Per quante tribolazioni sia passata la santità di Don Bosco durante tutto questo biennio, si é visto troppo bene nei capi precedenti; ma non ogni cosa é stata detta. Di un caso si deve ancor parlare, che al nostro Beato Padre ferì acerbamente il cuore, vogliamo dire dello sfruttamento settario che si tentò trarre dal già noto
CASO DI CREMONA[506].
Fu grande sciagura per quell'istituto la perdita di Don Chicco, che cumulava nella sua persona le migliori doti di un bravo Direttore Salesiano e fra i cittadini della difficile città si era cattivata la benevolenza della parte sana o almeno libera da vincoli di setta. I partiti anticlericali, che riguardavano l'attività Salesiana come tanto fumo negli occhi, stavano sempre in vedetta per afferrare la prima occasione di muovere guerra aperta, e l'occasione o, diremo più esattamente, il pretesto venne.
L'anno civile 1881 era terminato felicemente. Nel mese di luglio il Capitolo Superiore aveva fissato le basi di una convenzione per far propria la Casa di S. Lorenzo[507]; il Vescovo si mostrava così contento, che per le feste natalizie e il capo d'anno fu il primo a mandare gli auguri al Servo di Dio, il quale gli rispose con questa riverente e affettuosa lettera.
Sono un po' confuso nel vedermi precedere la E. V. negli auguri che punto non merito.
Intendo con questo umile scritto di compiere un mio grande dovere che stringe tutti i Salesiani verso la E. V., la gratitudine.
Ella ci continui la sua protezione e noi tutti raddoppieremo le comuni [576] sollecitudini per servirla, compiacerla in tutto quello che Ella giudicherà poter tornare a gloria di Dio e a bene delle anime.
Spero che, ove occorra, si degnerà di dare ai nostri Salesiani tutti quei patemi avvisi ed anche sgridate di cui fosse mestieri.
Chiedo in grazia la sua santa benedizione, mentre ho l'alto onore di potermi professare colla massima, venerazione
Anche il nuovo anno cominciò bene. Il nuovo direttore nel febbraio del 1882 radunò per la prima volta a conferenza i Cooperatori cremonesi; ma in quella prima solenne manifestazione dell'Opera salesiana a Cremona egli ebbe appena il tempo di farsi conoscere, che in un baleno andò travolto nella rovina della sua casa. Don Bosco pareva che presagisse il disastro; infatti nelle vacanze autunnali del 1881 (Don Chicco era morto il 16 settembre) avrebbe voluto che i Salesiani si ritirassero da quella città. Gli fu contrario il parere del Capitolo Superiore, alla cui opposizione egli si arrese. Non possiamo tacere che a Cremona gli aderenti del Rosminianismo facevano partito; poi vi erano trenta preti fedifraghi, che menavano vita secolaresca, addetti in parte all'insegnamento; il municipio infine era interamente infeudato alla Massoneria. I Salesiani per tutti costoro, più che fumo, erano un pruno negli occhi.
Ora ecco in breve quello che accadde. Il maestro elementare Don Ermenegildo Musso aveva indotto qualche giovane a sciocche e strane penitenze, come a lasciarsi introdurre ortiche sotto lo sparato della camicia o a lasciarsi colare da una candela accesa sulla pelle della schiena gocce di cera bollente. Era costui un fantastico, preso allora da monomanie religiose. La cosa non poté restare a lungo nascosta. Alcuni parenti ne mossero lamento ai Superiori, i quali, negando senz'altro la possibilità del fatto, rimandarono un padre senza soddisfazione e irritato. Questi, uscito dal collegio, [577] si sfogò col primo amico incontrato, che lo condusse diritto dal pretore a dar querela. Saputosi della minaccia, il Direttore corse ai ripari facendo cercare il padre, uomo tanto poco avverso ai Salesiani, che poi mandò suo figlio all'Oratorio, dove fu ricevuto; ma era troppo tardi. Egli stesso deplorò la sua precipitazione; se non che bisognò aver pazienza. La giustizia procedette fulminea e inesorabile. Esulava dalla fattispecie ogni ombra d'immoralità; eppure su questo presupposto s'imbastì l'accusa. Il Musso per buona sorte ebbe tempo di passare i confini; la condanna a soli tre mesi di carcere indicò chiaramente essere fuori di questione il reato appostogli; nondimeno il collegio si dovette chiudere, come appunto voleva la Massoneria. L'avvocato Villa, che aveva accettato la difesa e ricevuto il suo onorario, lasciò scientemente scadere il termine utile per l'appello presso la Corte di Brescia[508].
Quanti per l'innanzi dimostravano amichevoli disposizioni verso i Salesiani, li abbandonarono alle ire dei loro nemici; né questo voltafaccia deve sembrare troppo strano, se si considera che tutta la stampa liberale, pubblicando la notizia ai quattro venti, travisava le cose in modo indegno e vi aggiungeva le calunnie più nere.
Don Durando volò tosto a Roma per trattare la causa con la superiore autorità scolastica. Amici di Don Bosco lo presentarono a monsignor Luigi Baccelli, fratello del Ministro della Pubblica Istruzione, dal quale ricevette un biglietto per Sua Eccellenza concepito in questi termini: “Il latore del presente é D. Durando. Favoritelo quanto potete, come si trattasse di me stesso. Egli ha un nome distinto nella repubblica letteraria e gode di altissime protezioni.” Andato al Ministero, Don Durando non vi trovò il Ministro, ma presentò il biglietto al Segretario, il quale, lettolo e udito di che si trattava, gli disse in confidenza: - Volentieri la [578] favorirei, se mi fosse possibile. L'unico mezzo sarebbe quello di poter ammansare almeno uno di quei signori di Cremona. E’ cosa intesa, che in tali questioni il Ministero lasci fare. Se così si vuole là [alludeva alla loggia massonica], noi non abbiamo come opporci. - Ma Don Durando non disperò. La sera chiese udienza al Ministro, che, accoltolo molto urbanamente, gli rispose: - La risposta l'ha già avuta dal segretario. Io non posso rispondere diversamente.
Monsignor Gastaldi che stava sempre con tanto d'occhi su gli affari dei Salesiani, si dié premura di scrivere a Roma senza prendersi il menomo incomodo d'informarsi a dovere; onde Leone XIII ne interpellò il cardinale Nina, mostrandosi addolorato che un Salesiano fosse sotto l'accusa de re turpissima. Fortunamente il Procuratore poté dare al Cardinale ampie spiegazioni, e il Cardinale ne fu contento e promise che la dimane avrebbe giustificato il povero Don Musso davanti al Papa[509]. Poco mancò che la denunzia dell'Arcivescovo provocasse da parte del cardinale Ferrieri una visita apostolica a tutti i collegi salesiani, rappresentati come luoghi di malcostume; si seppe in seguito che Leone XIII recisamente vietò di mandare ad effetto il malaugurato divisamento[510].
Come a Cremona venne imposta la chiusura di un collegio, così di un altro collegio fu impedita l'apertura a
In men vasto teatro - la lotta non uscì dalla cerchia di qualche conventicola e di qualche foglio anticlericale della provincia di Alessandria - si combatté l'identica battaglia che da Cremona mise in allarme la stampa massonica o [579] massoneggiante d'Italia: in sostanza la campagna era contro le scuole private, ossia dei preti in genere e di Don Bosco in specie, il massimo rappresentante della rinnovata attività cattolica nell'educazione della gioventù. L'aveva senz'ambagi spiattellato un giornale di Roma[511], scrivendo contro “il noto don Bosco” nell'affare di Don Musso:
“Comunque sia, é sperabile che da questo fatto vergognoso traggano utile insegnamento e le famiglie che per bigottismo preferiscono certe scuole dirette da certi ecclesiastici, e il governo il quale per spirito di tolleranza, non sorveglia sufficientemente quelle scuole.” Narriamo brevemente i fatti.
Per procurare la venuta dei Salesiani nel suo nativo comune di Castellazzo Bormida si era adoperato quel professor Boidi, al quale la chiesa di S. Giovanni Evangelista va debitrice della monumentale porta; egli infatti aveva condotte le pratiche preliminari con la Giunta municipale, animata dalle migliori intenzioni. L'edifizio destinato a divenire collegio di Don Bosco era l'ex-convento dei Passionisti, in una stanza del quale, ancora conservata, S. Paolo della Croce aveva scritto le regole del suo istituto. La gran maggioranza, per non dire la quasi totalità del paese, desiderava i Salesiani; ma il solito nucleo di liberali, che a quei tempi, comunque fossero amministrati i comuni, si atteggiavano a padroni del mondo e si tenevano sicuri di far fare al Governo quel che volevano, s'irritò della deliberazione municipale e inscenò una dimostrazionella, che colorì come una levata di scudi del paese contro il tradimento dei suoi reggitori. Ecco perché il 6 agosto un professor Ricagni, che insegnava in Sicilia e si dava aria di carducciano, pronunziò nel circolo di lettura e poi diede alle stampe un discorso[512], di cui si occuparono pro e contro i giornali alessandrini. [580]
Non erano molti ad ascoltarlo. L'arrabbiato professore s'accanì per un'ora a rappresentare quanto fosse deplorevole nei tempi moderni un insegnamento clericale, tanto più poi un insegnamento quale s'impartiva nei collegi di Don Bosco, le cui scuole rovinavano la gioventù con una falsa e scarsa istruzione e con un'educazione antinazionale. Chi era in sostanza Don Bosco? Un caporione del partito clericale, ché ingannava la gente con promesse di vantaggi chimerici. Bisognava dunque allontanare da Castellazzo Bormida un sì grave pericolo.
Ma intanto esisteva un compromesso regolare fra Don Bosco e il Municipio. Che importava? Una protesta corredata di firme e presentata al Prefetto avrebbe mandato a monte ogni cosa. Il liberalissimo Osservatore di Alessandria nel numero del 26 agosto scriveva: “Persino due sacerdoti, valenti professori, le cui generose opinioni e la cui intemerata onestà pubblica e privata sono da un pezzo conosciute e stimate, hanno messo la loro firma nella protesta contro Don Bosco!”Sull'esito poi della protesta il medesimo giornale anticipava i suoi pronostici in un brano di prosa, che é documento della mentalità così detta liberale d'allora. “Noi siamo certi, diceva, che la prima Autorità della provincia, sotto un governo saggiamente liberale, vorrà con la dovuta prudenza e con la solita fermezza aiutare la nostra causa; causa santa che ha ormai prodotto una feconda agitazione e un sano fermento qui, in Castellazzo, il quale potrà o dovrà avere diciassette chiese, potrà o dovrà dare ogni tanto lo spettacolo di quattro o cinque vescovi pontificanti in pompa magna, potrà o dovrà, Dio sa come e perché, offrire ricetto ai frati capuccini (sic); ma non é secondo a nessuno per principii liberali; e per ossequio alla legge, per riverenza alla monarchia sabauda, per amore alle nostre libere istituzioni ha sempre meritato le lodi de' buoni e si é ognora cattivato la stima sia del Governo, sia delle Autorità preposte alla provincia alessandrina. No: noi Don Bosco non lo avremo mai!!” [581]
E non lo ebbero, nonostante che persona ben informata scrivesse[513]:
“La sguaiata conferenza lasciò il tempo che ha trovato e i buoni Castellazzesi non sospirano che il momento di vedere il loro paese regalato da un sì caro Istituto.” Don Bosco, amico di pace, visto che anche alcuni del clero avversavano i Salesiani, stimò bene ritirarsi e lasciare che quell'opposizione passasse. Le strettezze del personale servirono a coprire la ritirata.
La santità che dava a Don Bosco la forza di sopportare pazientemente sì indegni affronti, era la stessa che a guisa di potente calamita gli attirava i cuori dei buoni; appunto per vedere e udire un santo si succedevano nell'Oratorio, tornando, da Roma, gruppi di
Nell'ottobre del 1882 una novella schiera di essi, che da Roma avevano proseguito per la Terra Santa, nel ritorno, prima di ripassare le Alpi, pernottarono a Torino. Visitata la chiesa di S. Giovanni Evangelista, tutta adorna per l'imminente consacrazione, e pregato nel pomeriggio alla Consolata, si radunarono tutti nell'Oratorio. Qui, dopo la cerimonia in chiesa, si fece loro un cordiale ricevimento all'aperto con suoni, canti e discorsi. Le parole che Don Bosco, invitato, proferì in fine, parole sgorgategli proprio dal cuore e perciò spiranti la più candida semplicità, rivelarono una volta più quant'egli amasse la Francia cattolica e quanta riconoscenza nutrisse in fondo all'anima per la carità che dai cattolici francesi continuamente gli veniva[514].
Terminato il ricevimento, principiarono le udienze. Nell'anticamera entrò pure un tal Giuseppe Ciappei livornese, che, vestito da terziario francescano, aveva intrapreso coi [582] Francesi il pellegrinaggio senza portar seco danaro di sorta, volendo per divozione vivere di elemosina, come i fervorosi Romei antichi. Accattando un po' dall'uno un po' dall'altro sul treno e sul piroscafo aveva raggranellato la somma necessaria al viaggio; il vitto lo chiedeva per carità a pietosi pellegrini, poiché portavano tutti un canestro con cibarie. Forse intendeva di continuare il pellegrinaggio fino a Lourdes. Finalmente dunque, dopo lungo aspettare, venne la sua volta di entrare da Don Bosco; ma ecco uscirne il segretario e dire che Don Bosco era troppo stanco e quindi chiedeva perdono, se doveva por termine alle udienze. Nessuno però si mosse per desiderio di baciargli almen la mano.
Di lì a poco Don Bosco si avviava a cena. I pellegrini lo circondarono. Egli non sapeva chi fosse il terziario, né alcuno dei presenti conosceva quanto questi sentisse bisogno di sfamarsi. Il poverino, essendosi staccato dai compagni per visitare chiese, non si era trovato nel luogo del pranzo. Parlato che avesse con Don Bosco, aveva in animo di recarsi quella sera dai Cappuccini a chiedere ristoro e alloggio. Don Bosco, guardatolo, esclamò: - Ma questo pellegrino non ha mangiato e non sa dove andare! - E presolo per mano, mentre quegli era fuori di sé dalla maraviglia, lo condusse nel refettorio e fattolo sedere, gli disse: - Mangiate, mangiate, pellegrino, che ne avete bisogno. - Cenato che ebbe, Don Bosco ripigliò: - Ma questo pellegrino non sa dove andar a dormire. - E gli fece assegnare una camera.
Questa camera dava sul ballatoio, che metteva alla stanza di Don Bosco. Ora egli desiderava ardentemente d'intrattenersi col Santo di cose spirituali. Uscito pertanto la mattina seguente con l'intenzione di scoprire dov'egli stesse in quell'ora, ecco Don Bosco medesimo aprire la propria porta. Fu subito da lui e poté liberamente parlargli; così furono coronati i suoi voti. [583]
Di un altro episodio non possiamo precisare la data; ma accadde certamente fra il 1880 e il 1882[515]. In esso il Santo diede a una signora alquanto spregiudicata una
A Nizza Monferrato una Contessa non prestava fede alla santità di Don Bosco, ma specialmente era scettica intorno ai suoi lumi soprannaturali. Un giorno in casa della contessa Corsi fu invitata a pranzo con lui, che vi andò accompagnato da Don Lemoyne e da Don Francesia. Essa sedeva accanto al Servo di Dio. Durante la conversazione gli fece più volte l'interrogazione, se fosse vero ch'ei conosceva i segreti dei cuori. Don Bosco divertiva sempre il discorso, anzi le disse pure in bel modo che certi argomenti non si mettono fuori a tavola. Ma colei tornava ostinata alla carica, finché, avendo quasi l'aria di prenderlo in giro, gli chiese: - Mi dica, conosce forse qualche cosa anche sul conto mio? - Allora Don Bosco credette venuto il momento di parlare. Piegandosi un tantino da un lato e parandosi con la mano la bocca, le sussurrò qualche paroletta all'orecchio. La signora ammutolì sull'istante, si fece pallida, si alzò e si ritirò dalla sala. Credendola indisposta, vi fuchi accorse con premura; ma essa pregò di chiamare Don Bosco, perché si voleva confessare. Lo chiamarono infatti, ma egli rispose, che la lasciassero in pace e non si mosse. Sembra che di poi si sia confessata davvero; certo é che da quel giorno cambiò tenore di vita e divenne benefattrice del Santo. Poiché bisogna sapere che, quantunque colei cercasse di salvare le apparenze, non tutti però ignoravano che la sua condotta non era punto cristiana.
LE pie donne che compresero Gesù et ministrabant ei de facultatibus suis[516], ebbero una serie non mai interrotta di fedeli imitatrici, in mille modi sollecite di soccorrere tanto i ministri del santuario che uomini santi da Dio suscitati per speciali missioni nella sua Chiesa. E’ difficile, per non dire impossibile, trovare un Santo che più di Don Bosco sia stato schivo di familiarizzare con persone dell'altro sesso; eppure furono in numero stragrande le nobili e ricche signore che, mosse da pura carità cristiana, non badavano a sacrifici pur di aiutarlo, comunque potessero, nelle sue imprese. Una di siffatte donne provvidenziali ci proponiamo ora di far conoscere, la cui figura balza limpida come il suo nome da ben cinquantatre lettere, che Don Bosco le scrisse e che tutte, meno tre, possediamo nell'originale francese:
Mademoiselle Clara Louvet[517].
Un lavoro simile abbiamo già fatto per il conte Colle, né ci sembra un fuor d'opera il ripeterlo qui per la Louvet. D'innumerevoli benefattori italiani e stranieri, la cui sinistra [585] molto spesso ignorava quello che faceva la loro destra, noi conosciamo or sì or no e quasi sempre in confuso le liberalità, con le quali vennero in soccorso di Don Bosco, né si arriverà mai a fare la storia, non diremo completa, ma neppure abbastanza approssimativa della beneficenza da lui ricevuta nel corso della sua vita; allorché quindi una felice congiuntura ci mette in possesso di documenti inoppugnabili e copiosi circa le larghezze di qualche munifica persona, é cosa naturalissima che noi ci avventiamo su tanto ben di Dio con la legittima curiosità di scoprirvi i misteri della carità cristiana, quali fossero cioè i sentimenti che animarono cospicui benefattori nel dare senza posa e quali quelli dell'eternamente “povero Don Bosco” nel chiedere senza peritanza.
Don Bosco fece la conoscenza della Louvet a Nizza per mezzo di quel Direttore che gliene lodava la bontà e la carità; ma essa era di Aire sulla Lys nel dipartimento di Pas-de-Calais, figlia nubile di un ufficiale superiore dell'esercito. Presa della fama di santità che circondava il nome di Don Bosco la damigella ardeva di avvicinarlo; né le fu difficile appagare il suo desiderio, perché generalmente scendeva nella Costa Azzurra proprio durante il periodo dell'anno, in cui il Servo di Dio aveva la consuetudine di andare questuando da quelle parti. Erano del resto due anime fatte per intendersi e non senza particolare disegno della Provvidenza giunsero a incontrarsi. Da quel fortunato momento la Louvet nutrì ognora per Don Bosco tanta venerazione, che non ebbe più con lui né segreti nella sua vita spirituale né misura nell'aprirgli la borsa, il tutto facendo con una spontaneità che incanta; Don Bosco poi la trattava da buon papà, consigliandola paternamente e manifestandole con candore i suoi tanti bisogni.
La corrispondenza comincia dal 10 gennaio 1882 e va fino al 5 settembre 1887. In una delle prime lettere[518] Don [586] Bosco domanda alla Louvet, se capisce la sua cattiva scrittura e se ha più caro che egli si valga del segretario, buon calligrafo; ma la Signorina dovette rispondergli che preferiva vedere i caratteri di Don Bosco: infatti non si dà mai il caso che c'imbattiamo in mano estranea. Neanche il francese di Don Bosco, piuttosto libero in tema di lingua e di sintassi, spiacque alla destinataria, pur donna di squisita finezza, se ella ne conservò le lettere con sì religiosa cura.
Discretamente provvista di censo, nella stia carità non disse mai basta; di sì costante generosità ci fornisce sufficienti prove questo epistolario. La Louvet venne la prima volta a Torino sul finire del 1881, accompagnata da una signorina Deslyons e l'albergarono le Figlie di Maria Ausiliatrice, presso le quali lasciò vivo desiderio di sé; appena rimpatriata, annunziò a Don Bosco il suo felice arrivo con una carta da cinquecento franchi per le sue opere. Ma ben più fece l'anno seguente dopo la sua seconda venuta nell'occasione del 24 maggio. Aveva promesso allora per l'onomastico di Don Bosco una vistosa somma, che avrebbe mandato a più riprese. Dopo il primo invio Don Bosco le scrisse[519]: “Ella promette di completare la somma promessa dalla sua pietà. Grazie, caritatevole Damigella; io l'accetto con la massima gratitudine dinanzi a Dio; ma mi raccomando che faccia con tutta sua comodità e nel tempo e nella misura che le sarà possibile.” Essa però volle mantenere fedelmente la parola e con tanta sollecitudine, che una settimana avanti alla festa non mancava più nulla. Il Servo di Dio, accusando ricevuta dell'ultima rata, commentava[520]: “Diecimila franchi come bouquet di buon S. Giovanni! O Damigella, se tutti coloro che vengono qui in tal giorno preparassero bouquets di questa fatta, io sarei un altro Rothschild”[521]. [587]
Talora le sue offerte giunsero così opportune, che parvero ispirate dalla Provvidenza. “Ascolti una bellissima storia, le raccontava Don Bosco nel luglio del 1882. Io doveva pagare una somma rilevante per il nostro seminario dei giovani che fanno gli studi ecclesiastici; ma, non sapendo ove prendere, dicevo fra me e me: - Se non fossi indiscreto, vorrei ricorrere a Madamigella Louvet; ma essa ci ha dato e ci darà, e perciò discrezione! - Intanto viene il 14 Luglio; io aveva raccolto qualche cosa, ma mi mancavano ancora duemila franchi a completare la somma necessaria. Ed ecco la Divina Provvidenza! Viene il postino e mi porta un'assicurata. Valore dichiarato: duemila franchi. - Oh, come mai? E' proprio il Signore che suggerisce alla Damigella Louvet di anticipare la sua offerta, mandando questo suo danaro che arriva proprio nel momento di pagare! - Dio sia benedetto e Lei mille volte ringraziata.”
Un casetto simile si rinnovò sul principio del 1884. “Ella é sempre una vera Provvidenza per noi, cominciava Don Bosco una sua lettera del 2 gennaio. Don Rua doveva pagare nel corso di questa settimana un debito abbastanza grosso. E mentre parlavamo del modo di aver il danaro, ecco la sua assicurata, che ci ha portato duemila franchi. Dio sia benedetto e ricompensi largamente la sua carità! Noi faremo per Lei tante preghiere.”
L'8 ottobre del 1882 la Signorina tornò per la terza volta a Valdocco, prendendo stanza dalle Suore. Si fece allora collettrice per la chiesa di Roma e in dicembre rimandò una pagella con cinquecento franchi.
“Vi sono soltanto sei sottoscrittori, notava Don Bosco; ma vi é la sottoscrizione di Madamigella Clara per trecento novantacinque franchi. Quest'ultima offerta aggiusta tutto”[522].
Nel gennaio dell'83 le manifesta la possibilità di farle da Parigi una visita a Aire in aprile, se essa non si troverà [588] ancora in luogo di cura; nel caso che sia assente, egli rinvierà ad altro tempo quell'andata. Detto questo, piacevolmente soggiunge: “Ella mi dirà: - Ma io ho danaro da darle, se verrà a Aire. - E' un affare che sarà regolato a suo tempo. Noi dobbiamo cercare quello che ci cagiona minore spesa e che torna più confacente alla sua salute. Prepari soltanto il danaro, e poi la posta ci verrà sicuramente in aiuto. Dico per ridere.”
Le lettere della Cooperatrice a Don Bosco erano sempre présage de bonté et de charité, com'egli si esprime, ringraziandola di cinquecento franchi[523]. Nello stesso foglio, pregandole l'assistenza della Santa Vergine in un pellegrinaggio a Lourdes, si augura che la Madonna la guidi fino a Torino, dove le Suore tengono sempre allestita per lei una camera. Non ci risulta se venisse o no.
Durante il suo viaggio del 1883 in Francia Don Bosco aveva accettato l'ospizio di S. Gabriele a Lilla nel dipartimento del Nord e non lungi da Aire; in dicembre Don Albera e Don De Barruel erano già sul posto per preparare l'apertura della nuova casa. La Louvet avrebbe voluto fondarvi subito alcuni letti, come dicono in Francia, ossia posti gratuiti, per orfani. “Per il momento non si dia pensiero d'istituire borse nell'ospizio, la prevenne Don Bosco[524]. Ogni cosa a suo tempo. Ora abbiamo tanti debiti da pagare per la costruzione della nostra chiesa e del nostro ospizio di Roma e per le enormi spese da sostenere a pro dei nostri Missionari e delle nostre Missioni nella Patagonia fra i selvaggi.” Ella somministrò a suo tempo il capitale, la cui rendita bastasse al mantenimento di cinque orfani, come attesta Don Albino Ronchail, già Direttore di quella casa.
Vi fu un momento, nel quale la Louvet temette che non tutte le volte il suo danaro arrivasse a destinazione. Ne avvertì pertanto Don Bosco, che da prima nella lettera citata le dichiarò di non essersi mai accorto che le buste fossero [589] state dissuggellate alla posta; ma più tardi[525] dovette convenire che manomissione e furto c'erano stati; e poiché la Signorina si credeva in obbligo di mandare altro danaro invece del rubato, egli non volle.
“Pazienza, le scrisse, e per ora grazie a Lei. Nella grande quantità di lettere che riceviamo, non é possibile esaminare se per caso alcuna sia stata aperta. Tuttavia non mancheremo di stare sull'avviso.”
Don Bosco l'avrebbe desiderata a Roma nel 1884 alla benedizione della prima pietra della chiesa; anzi, poiché in quei torbidi anni spuntavano ogni tanto timori di guerra che la spaventavano, egli l'aveva rassicurata scrivendole[526]: “Riguardo alle cose che si pubblicano sulla Francia, stia tranquilla; può fare il suo viaggio a Roma, dove troverà Don Bosco che l'attende.” Non sembra però che Ella vi andasse.
Il 1884 fu l'anno del colera. Don Bosco passò quel mese di agosto dal Vescovo di Pinerolo, donde le scrisse: “Io sono qui a Pinerolo per curare la mia pigrizia. Il Vescovo é per me un degno padre. Tutta la nostra casa é in buona salute; parimente le case di Francia.” La Signorina si affrettò ad assicurarlo delle sue preghiere e ad inviargli danaro; del che Don Bosco la ringraziava dicendo: “Le sue preghiere in questi momenti sono sommamente necessarie. Continui. La sua carità, il suo biglietto da mille servirà per un orfano del colera e preserverà senza dubbio la persona dell'oblatrice. Ho una bella notizia da darle. Tutte le nostre case di Francia, tutti i benefattori dei nostri orfanelli, grazie a Maria Ausiliatrice, sono stati preservati dal flagello che affligge la Francia. Lo stesso sarà di Lei, Madamigella Clara”[527]. Per la medesima causa invocò bellamente in autunno la carità della benefattrice[528]: “Adesso, non voglio sollecitarla a venirci in aiuto con la sua carità, perché, quando é in grado [590] di farlo, ci aiuta sempre; ma in questo momento mi trovo molto impensierito per mancanza di danaro. Il colera ci obbliga a riempire le nostre case di orfanelli e non sappiamo come fare. Ella pregherà e farà quel tanto che potrà e nulla più. Intanto noi abbiamo pregato e pregheremo sempre secondo la sua intenzione sia per la conservazione della sua salute sia specialmente perché i mali che travagliano i nostri paesi stiano sempre lontano da Lei. O Maria, mantenete la vostra figlia Clara sulla strada del Paradiso.”
La parola di Don Bosco non poteva non toccar il cuore alla pia Cooperatrice; infatti otto giorni dopo egli già dichiarava d'aver ricevuto da lei una trés bonne lettre avec l'offrande qu'elle contenait. Contemporaneamente le suggeriva che, mandando a Torino assegni bancari, sulla busta scrivesse per economia semplicemente: “Valore dichiarato cento franchi”. Con questa sola dichiarazione le somme, qualunque fossero, erano sempre pervenute all'Oratorio[529].
Nella novena dell'Immacolata un'altra trés bonne lettre avec le billet de 500 francs. Ringraziandola della sua “inesauribile carità” le augurava che Dio le desse “più volte il centuplo” e le sollevava di bel nuovo l'animo dai timori causatile dall'andamento delle cose pubbliche. “La prego, le diceva, di stare tranquilla sugli avvenimenti dei nostri tempi. Sia pur certa che la Santa Vergine sarà sua guida, sua protettrice in tutti i pericoli della vita”[530]. E un'altra volta nel farle gli auguri di buon capo d'anno[531]: “Mi rincresce molto che in questi giorni la sua salute sia scossa. I sacerdoti, i chierici, gli orfanelli pregano mattino e sera all'altare di Maria Ausiliatrice. Si faccia coraggio; non é ancora la sua ora. Non tema nulla.”
Il ravage horrible, ossia l'imperversare del colera aveva interrotte le ordinarie relazioni tra l'Italia e la Francia; [591] quando queste ripresero il loro corso normale, Don Bosco ebbe necessità di picchiare alla porta della Louvet. Un incendio aveva cagionato nell'Oratorio centomila lire di danno, senza però far male alle persone. Gliene scrisse il I° febbraio del 1885, con molta discretezza, segnalando solo il bisogno; infatti, accennati gli effetti della catastrofe, si limitò a dire: “La Divina Provvidenza ci ha sempre aiutati e nel momento di un bisogno così eccezionale non ci abbandonerà.” Una chrétienne lettre di lei gli recò mille franchi prontamente inviati dalla sua carità e non men prontamente spesi da Don Rua. Don Bosco le promise per tutta la quaresima quotidiane preghiere secondo la sua intenzione, soprattutto perché il Signore la conservasse in salute[532].
La salute purtroppo non le tornava. Per ristabilirsi presto la Signorina vagheggiava un viaggio in Italia. “Non potrebbe fare cosa migliore, la incoraggiò Don Bosco il 27 febbraio. Quando la decisione sia presa, me lo scriverà. Le nostre Suore la aspettano con gioia. Me lo dirà un po' prima, facendomi sapere se verrà sola o con una compagna. Nel caso che sia con Lei l'abate Engrand, egli verrà da noi per dormire e per la mensa durante tutto il tempo che si fermerà a Torino. Ella mi dirà come intende fare e io sarò ben fortunato di esserle umile servitore in tutte le cose che La potranno aiutare spiritualmente o temporalmente.”
L'abate Engrand di Aire, buon cooperatore salesiano, aveva strette relazioni di famiglia con la Louvet e mandava di quando in quando le sue offerte a Don Bosco. Abbiamo al suo indirizzo quattro lettere del Beato, che lo chiamava suo caro amico.
Del viaggio in Italia non si fa più menzione; ma dal 27 febbraio la corrispondenza tace fino al 12 agosto, giorno di Santa Chiara. Questa lunga interruzione potrebbe essere indizio che il viaggio fu fatto. Poi di nuovo silenzio fino al [592] 7 ottobre; ma ringraziamenti per nuove offerte non ne troviamo se non al 15 dello stesso mese, e con un semplice Merci de toute votre charité. Si apprende però sotto la medesima data che la Louvet avrebbe voluto affittare o vendere parte delle sue terre, ma non le riusciva di farlo. “Me ne dispiace, scrive Don Bosco. Il danno é mio, perché meno danaro per Lei é meno carità per i nostri orfanelli. Ma la Santa Vergine aggiusterà tutto; miglior sanità, non siccità nelle campagne, un po' più d'abbondanza nei raccolti metteranno ogni cosa a posto.” Termina esprimendo la grande consolazione procuratagli dalla speranza che ella gli dà di poterla rivedere. “Tutti i salesiani, le dice, pregano che questo si avveri. Speriamo che gli affari pubblici e privati lo permetteranno.”
La aspettava ancora nel febbraio del 1886. Leggiamo per intero la lettera, che le scrive in quei giorni.
Abbiamo fatto la festa di S. Francesco di Sales e la conferenza; ma non abbiamo mancato di pregare molto per Lei e per la sua tranquillità. I giornali pubblicano di disordini in Francia; ma Lei stia tranquilla. Niente La disturberà; ma io Le raccomando di portare in dosso una Medaglia di Maria Ausiliatrice.
In questo momento abbiamo con noi tre Missionari della Patagonia, che ci portano buone notizie dei di Lei protetti[533]. Staranno ancora con noi quindici giorni.
Ma nel corso dell'anno verrà anche Lei a farci una visita? Spero di sì, perché la mia salute mi tiene tutta la stagione a Valdocco; le nostre Suore l'aspettano con impazienza.
Tutti i Salesiani Le presentano i loro omaggi, pregano per Lei, e tutti con me si raccomandano alle sue sante orazioni, mentre la Santa Vergine La proteggerà e La guiderà sicura per la strada del Paradiso. Così sia.
PS. Se ne ha l'occasione, La prego di salutare e assicurare i nostri Cooperatori di Aire che io non manco di raccomandarli tutti i giorni nella santa Messa. [593]
Rimessosi un poco in forze, Don Bosco interruppe il riposo per intraprendere nella seconda metà di marzo il suo viaggio di Spagna[534]; ma ne tornò oltremodo spossato. “Il mio stato di salute, scrive il 27 luglio, mi ha costretto a sospendere ogni sorta di occupazioni; ma adesso, sentendomi di cominciar a fare qualche cosa, mi trovo in obbligo di scriverle, caritatevole Madamigella.”
Gl'invii di danaro, come si legge qua e là fra le righe, si ripeterono più altre volte che non siano quelle specificate; così, per esempio, il 26 dicembre 1886 Don Bosco incomincia così una sua lettera: “Ella é la carità personificata”. Segno manifesto che aveva ricevuto da lei un bel presente per le feste natalizie. Ma vi é di più in quest'anno. Da un periodo del 27 luglio traspare che la Louvet eseguì allora una rilevante operazione finanziaria a vantaggio dell'Opera salesiana. Scriveva infatti Don Bosco: “Anzitutto Le dirò che gli affari che ci riguardano sono stati regolati da D. Rua secondo le intenzioni da Lei manifestate nelle sue lettere e a me personalmente. Per questo possiamo stare pienamente tranquilli.” Poi con la massima semplicità passa ad altro, continuando: “E le sue donne di casa fanno bene il loro servizio? E la pazienza va sempre bene in Lei e nella famiglia?” Essendo poi scoppiato nuovamente in Francia il colera, la esorta a starsene tranquilla in patria. “Nulla verrà a disturbarla, le dice, e se qualche disturbo vi sarà, non giungerà fino a Lei.” Da ultimo Le dà più precise notizie di sé: “Per quindici giorni io starò col Vescovo di Pinerolo. Qui la mia salute migliora sensibilmente. Tutti i Salesiani pregano ogni giorno secondo la sua intenzione. Dio ci benedica e la Santa Vergine La protegga e L'aiuti a leggere la mia cattiva scrittura.”
Per valutare il più approssimativamente che sia possibile l'ammontare delle sue liberalità, bisognerebbe conoscere anche le somme maggiori che essa rimetteva a Don Bosco, [594] profittando dei loro incontri in Francia e in Italia; ma tutto andò sommerso e confuso nel gran mare della carità dei Cooperatori Salesiani. Inoltre disse ella stessa al salesiano Don Moitel, al quale fece da madre nel periodo degli studi, che parte delle lettere di Don Bosco erano state da lei distrutte. Spigoliamo dalla corrispondenza superstite il poco che rimane ancora da esplorare in questo argomento.
Nell'autunno del 1886 Don Bosco diramò una circolare per chiedere i mezzi, con cui far fronte alle spese di una spedizione missionaria; la nostra benefattrice rispose con la solita prontezza. “La sua carità, le scrisse Don Bosco il 6 novembre, é stata ben collocata; il suo biglietto da mille ci aiuta molto bene ad allestire la spedizione dei nostri Missionari in Patagonia e nel Brasile. Perciò non solo i nostri Missionari pregheranno per Lei, ma anche i selvaggi salvati dalla sua carità Le otterranno larga ricompensa. Io e tutti i Salesiani faremo speciali preghiere per la sua sanità e santità e così pure per quei della sua famiglia e per il buon esito de' suoi affari.”
Per l'Immacolata mandò cinquecento franchi, ultima offerta di cui si faccia distinta menzione in questo epistolario, ma che non poté essere l'ultima inviata, vivente Don Bosco. Infatti nel marzo del 1887 il Servo di Dio le rappresenta i disastri causati allora allora dal terremoto, il che dovette subito farle portar la mano al portafoglio.
Non ho più ricevuto notizie della sua salute dopo i guai che ci minacciano. Due parole mi saranno di consolazione.
Noi siamo stati ben disturbati dal terremoto. Le nostre case sono state tutte un po' danneggiate; ma la chiesa, l'ospizio, le scuole di Ventimiglia sono rimaste rovinate. Però grazie a Dio le persone, i preti, gli allievi sono tutti salvi. Noi ringraziamo di tutto cuore Iddio e la nostra Ausiliatrice.
Preghi che il Signore ci venga ora in aiuto.
Quest'anno verrà a farci una visita per la consacrazione della nostra chiesa del Sacro Cuore di Gesù? Si farà l'inaugurazione il 14 maggio a Roma. [595]
Noi continuiamo a pregare per Lei, per la sua pace e tranquillità. Raccomando alle sue caritatevoli preghiere tutti i nostri orfanelli, i nostri Missionari e il povero prete che Le sarà sempre in nostro Signore Gesù Cristo
A Roma la Louvet non andò; ma da Roma Don Bosco la ricordò appena giunto, scrivendole:
Sono a Roma per la consacrazione e l'inaugurazione della chiesa e dell'oratorio del Sacro Cuore; ma ai 16 del mese, piacendo a Dio, partirò per Torino. Il 18 spero di vederla nell'Oratorio di S. Francesco di Sales per trattar degli affari che toccano la gloria di Dio e l'onore della Santa Vergine Ausiliatrice.
Dio La benedica e ricompensi largamente la sua carità e voglia pregare per i nostri orfanelli, che pregano tutti i giorni secondo la sua intenzione, come ho l'onore di fare io ogni mattina un memento per Lei nella santa Messa.
Dio ci guidi e la Santa Vergine protegga in tutti i pericoli della vita tutti i nostri benefattori. Così sia.
Non crediamo arrischiata l'ipotesi che gli affari qui sopra accennati riguardassero la sistemazione di capitali a scopo benefico. La Louvet venne a Torino per la festa di Maria Ausiliatrice; ma quale non fu la sua pena al trovare Don Bosco pressoché stremato di forze! Il presentimento di non doverlo più rivedere e qualche paroletta di lui in questo senso la riempirono di afflizione. Il Servo di Dio che, salutandola nel partire, si era accorto dell'interno suo strazio, non tardò a raggiungerla con una lettera.
Spero che il suo viaggio per Aire sarà stato buono é che Ella sarà in buona salute, come io domando ogni mattina per Lei nella santa Messa.
Ella ha passato alcuni giorni con noi; ma alla sua partenza mi sembrava afflitta fino alle lacrime. Questo mi ha fatto pena. Forse Ella [596] non aveva capito bene le mie parole, perché io le ho sempre assicurato che le nostre relazioni sulla terra non erano durevoli, ma nella vita eterna passeremo i giorni nella vera gioia per sempre e non mancheremo mai delle cose desiderabili: in perpetuas aeternitates.
Ora il caldo minacciava di bruciarci a Torino e per questo sono venuto a Valsalice, dove sto molto meglio, grazie alla freschezza del clima. Qui ci manca solamente la sua presenza per rimetterci un po' in forze. Pazienza. Io non lascerò di fare ogni mattina una preghiera speciale nella Santa Messa per Lei e per Madamigella Lyons.
Il Signor abate Engrand sta meglio? La salute gli permette di lavorare? Tutti i Salesiani parlano di Lei, della sua carità, ma tutti mi assicurano che fanno per Lei quotidiane preghiere.
E la guerra? Stia tranquilla; quando vedrò un piccolo pericolo, glielo dirò subito, purché io sia ancora tra i vivi
Dio la benedica, o caritatevole Madamigella; la Santa Vergine La conservi in buona salute per lungo tempo, ma sempre e sicuramente per la strada del Paradiso.
Addio, preghi per questo povero prete che Le sarà sempre in Gesù Cristo
Collegio Convitto Valsalice, 12 giugno 1887.
Preghiere, comunioni, messe per la benefattrice entrano abitualmente nel novero degli atti di riconoscenza, dei quali Don Bosco le rinnova spesso l'assicurazione, nel ricevere la sua carità o nelle principali solennità dell'anno o nel di lei onomastico. Con la ricca documentazione che abbiamo tra mano, ci perdonino i lettori, se qui pure c'indugiamo alquanto, ricercando i sentimenti espressi dal Beato in queste tre circostanze.
Del consueto suo modo di manifestarle gratitudine, quando ne riceveva caritatevoli offerte, abbiamo già incontrato parecchi saggi, sicché poco aggiungeremo su questo punto. “Ella si trova lontano di qui, le scrive una volta; ma ogni giorno c'é per Lei un memento particolare nella Santa Messa.” Un'altra volta dice: “Le nostre Suore mi parlano sovente di Lei, Le augurano ogni bene e per questo fanno ogni giorno memoria di Lei nelle loro comuni preghiere”[535].
Tale linguaggio però si fa più colorito nelle maggiori [597] solennità, come nel santo Natale. “I nostri orfanelli, le dice nel 1882, Le porgono speciali ringraziamenti per la carità che fa loro, poiché versano in gravissimo bisogno. Mancano di pane e di abiti nel freddo dei nostri paesi. Quindi pregano, e pregheranno in modo particolarissimo per i loro benefattori.” E nell'anno seguente: “Ella sa bene che noi facciamo quotidiane preghiere secondo la sua intenzione; ma nel gran giorno di Natale La prego di gradire il presente di tre Messe celebrate all'altare di Maria Ausiliatrice con molte preghiere e comunioni. Tutto questo in ricambio della carità che Ella ci viene facendo. Dimanderemo al Bambino Gesù che La conservi a lungo in buona salute e Le conceda giorni settimane, mesi, anni in gran numero pieni di consolazione, e a corona di tutto un bel premio in Paradiso. Le piace così? E così sia. Tutti i Salesiani, tutte le suore Ausiliatrici Le presentano i loro auguri e tutti implorano la sua conservazione per lungo tempo, ma sempre in buona salute.” Nel 1886 é piuttosto spiccio; ormai s'intendono così bene, che le molte parole non aggiungono nulla: “Tanti ringraziamenti per la carità fattaci da Lei nel corso dell'anno. Le sue pie intenzioni saranno eseguite.”
Da buona Cooperatrice essa considerava la festa di San Francesco di Sales, come festa sua. Scrivendole nel 1886 poco prima della novena e accludendo un'immagine di San Luigi, re di Francia, poiché la sapeva angustiata da timori, le parla così: “Il giorno 20 di questo mese comincia la novena di S. Francesco di Sales e io Le voglio mandare il Re di Francia a farle una visita e ad assicurarla che nulla di male la turberà. Per tutta la novena io dirò la santa messa secondo la sua intenzione e i nostri giovani faranno preghiere e comunioni per Lei.” E nel 1887: “Il giorno 20 di questo mese comincia la novena di S. Francesco di Sales, e noi non vogliamo lasciarla sola a pregare; tutti i Salesiani faranno ogni giorno per Lei preghiere e comunioni, e io tutte le mattine per Lei farò un memento nella santa Messa.” Con la data poi [598]
del 29 le mandò un'immagine che riproduceva il S. Francesco del de Champaigne, con questa preghiera a tergo: “O S. Francesco di Sales, portate voi la santa e potente benedizione del Signore, che assicuri alla vostra figlia la pace e la tranquillità. Essa non ha nulla da temere, per essa noi pregheremo.”
Nell'ultima Pasqua da lui celebrata in questo mondo il Servo di Dio, col pensiero rivolto alla prossima consacrazione della chiesa dei Sacro Cuore, le fece pervenire il seguente biglietto: “Buone feste, buona Pasqua, arrivederci a Torino o a Roma. Dio La benedica e la conservi in buona sanità e santità. Tutti i Salesiani Le porgono i loro omaggi.” In una festa del Corpus Domini, accusando ricevuta di duemila franchi, la ringrazia dicendo[536]: “Per attestarle la mia riconoscenza, nel giorno del Corpus Domini io dirò la santa Messa e i nostri giovani faranno le loro sante comunioni secondo le sue intenzioni. E' contenta?” Rinnovandole poi simili azioni di grazie vicino alla ricorrenza del proprio onomastico “Voglio, dice[537], che S. Giovanni Le paghi la festa e per indurvelo dirò io in quel giorno la santa Messa all'altare di Maria Ausiliatrice e i nostri giovani faranno preghiere e le loro comunioni secondo la sua intenzione.”
La festa d'Ognissanti in Francia é più solennizzata che in tante parti d'Italia; ecco perché Don Bosco nel 1886 scrive alla Louvet questa letterina.
Vengo a darle il buon giorno e a dirle che la famiglia Salesiana é tutta raccolta qui a Valdocco. Siamo ai Santi e io non voglio che Ella sia dimenticata nelle nostre preghiere.
Durante questa novena diremo ogni giorno una Messa e faremo comunioni per i suoi parenti vivi e defunti; ma in una misura tutta speciale vogliamo pregare per la sua sanità e santità.
O Maria, guidateci sempre per la strada del Paradiso.
Nelle feste della Madonna non dimentica di farle sapere che la raccomanda alla gran Madre di Dio. Così per l'Assunta le scrive[538]:
“Sabato, Assunzione della Santa Vergine al cielo, io pregherò e farò pregare questa buona Madre, perché generosamente Le ottenga buona e durevole sanità e santità e le tenga preparato presso di sé un posto in Paradiso. Ma tale grazia io domando per Lei, per i suoi parenti e amici. Sarà per Lei la mia Messa, ed Ella preghi poi anche per me. Addio, arrivederci tante volte sulla terra, ma sicuramente un giorno in Paradiso, non é vero?”. Per la Natività della Madonna[539]: “Le scrivo non per domandar danaro, ma solo per augurarle buona festa nella Natività della Santa Vergine. In quel giorno io pregherò e i nostri giovani pregheranno pure per la sua sanità e secondo tutte le sue intenzioni. La mia santa Messa e le comunioni dei nostri ragazzi saranno per Lei. Va bene così?” Per la Maternità di Maria Santissima:
So che desidera festeggiare la Santa Vergine in tutte le occasioni e soprattutto nelle solennità, e perciò voglio aiutarla secondo il mio potere. Domenica II ottobre é la Maternità di questa buona Madre e i nostri giovani faranno molte preghiere e comunioni secondo la sua santa intenzione, e io avrò la consolazione di dire la Santa Messa esclusivamente per Lei. Per Lei, per la sua sanità e santità, per la sua perseveranza sulla strada del Paradiso; e tutto questo per offrirle qualche ricompensa della carità che ci fa e dell'aiuto che presta alle nostre opere.
Un'altra cosa mi scrive inoltre Mons. Cagliero. Egli ha dato il Battesimo a una fanciulla selvaggia sul Rio Negro nella Patagonia e a di Lei ricordo le è stato imposto il nome di Clara Louvet con la dizione che preghi per Lei in tutta la sua vita. Spero di darle altre notizie di quell'orfanella, se sarà buona, come desiderano le nostre Suore.
Addio, Madamigella, Louvet; la Santa Vergine La guidi e con Lei guidi tutti i suoi parenti e amici in modo da rivederci sicuramente in Paradiso, ma anche col povero Don Bosco. [600]
Preghi per me e specialmente per i sacerdoti, che non lasciano di fare ogni mattina un memento secondo la sua intenzione. Dio sia benedetto.
Belle espressioni gli detta l'approssimarsi della festa di Maria Santissima Immacolata. Nel 1882: “E' la Santa Vergine che mi spinge a scriverle in questi giorni. Per riconoscenza de' suoi benefizi vogliamo fare qualche cosa che Le torni di gradimento. Perciò venerdì tutti i nostri giovani (150 mila) faranno preghiere e comunioni secondo la di lei intenzione, e il povero Don Bosco, non potendo fare di meglio, dirà per Lei la santa Messa, affinché Dio La benedica e la Santa Vergine La protegga sempre e sia il suo aiuto nei pericoli, il suo conforto in punto di morte, la sua gioia in Paradiso. A contenta così? Ma ogni cosa a suo tempo.”[540]. Poi per procurarle un benefizio spirituale in cambio dei temporali da Lei fattigli, la invita a fare nell'estate seguente gli esercizi dalle Suore di Nizza Monferrato, che la aspettano a braccia aperte. Nel 1884:
Sabato prossimo noi cominceremo solennemente la novena della grande festa dell'Immacolata Concezione, e io desidero che i Salesiani preghino in modo particolare per la conservazione della sua salate molto a lungo.
Si offriranno a Dio secondo la sua intenzione una Messa, preghiere e comunioni all'altare di Maria Ausiliatrice.
Nel dì della festa Don Cagliero sarà consacrato Vescovo e La raccomanderà molto nella sua Messa.
Addio, Madamigella; la Santa Vergine La guidi e La protegga; preghi anche per tutta la famiglia salesiana e specialmente per il povero suo obbligato
Abbiamo visto come Don Bosco promettesse da parte dei Missionari alla sua e loro benefattrice, che essi avrebbero imposto il suo nome a neobattezzate, le quali poi avrebbero imparato a conoscerla e a pregare per lei. Già prima egli le aveva scritto ancor più specificatamente:
“Ora voglio scrivere in America che nelle quindici colonie, battezzandosi orfanelli selvaggi che verranno alla fede, almeno una fanciulla per colonia riceva il nome di Clara nel suo battesimo e sia così in obbligo di pregare per Lei tutta la vita.” E un'altra volta pure: “In questi giorni io era ingolfato negli affari. Finalmente i nostri Missionari son partiti ieri mattina per la Patagonia. Essi pregheranno per Lei, Madamigella, e mi hanno assicurato che il nome di S. Chiara verrà imposto a molte orfanelle di selvaggi battezzate con l'obbligo di pregare molto per Lei in tutta la loro vita”[541].
E' anche bello vedere con quanta bontà Don Bosco la ricorda nel di lei onomastico, che cadeva il 12 agosto. “Siamo alla festa di S. Chiara, le scrive nel 1882, e io non La voglio dimenticare in quel giorno. Ecco il mio umile bouquet. Il 12 di questo mese io dirò la Santa Messa e i nostri giovani faranno le loro preghiere e sante comunioni secondo la sua intenzione e per ricambiarla della carità fattaci in più
circostanze.” Nel 1883 per isbaglio anticipò di un mese gli auguri, sebbene la sua lettera che dice d'aver scritto il 12 luglio non compaia nella nostra raccolta; venuto quindi il giorno vero e accortosi dell'errore nel celebrare la Messa: “Pazienza! tornò a scrivere. Il bene é meglio farlo presto che tardi. Tuttavia ho voluto dire la Santa Messa secondo la sua intenzione all'altare di Maria Ausiliatrice e i nostri giovani han pregato e fatto per Lei la santa comunione. Dio la benedica e La conservi in sanità e santità.” Nel 1886 comincia la lettera con una preghiera: [602] Santa Chiara, pregate per noi e in modo specialissimo per la vostra protetta, che porta anche degnamente il vostro nome. Dio la benedica e la Santa Vergine le ottenga la pace del cuore, la perseveranza nelle opere buone, e tutti i Salesiani pregheranno ogni giorno che le sua carità sia largamente ricompensata sulla terra e più largamente ancora in Paradiso.
Voglia anche pregare molto per questo povero prete, che con la più sincera gratitudine Le sarà sempre.
Pinerolo, Villa Vescovile 1886.
Sapendo di farle cosa gradita, Don Bosco le inviò talora un po' dell'uva, che vendemmiava con le proprie mani dai pampini ombreggianti le finestre della sua loggetta e che soleva distribuire in Torino a famiglie signorili. Pareva alla Louvet e alle sue amiche di ricevere grappoli della Terra Promessa.
Ma la riconoscenza di Don Bosco aveva pure un'altra manifestazione tutta sua propria, ogniqualvolta egli avesse da fare con persone di fede viva. Allora non si contentava di ringraziare, di pregare e di far pregare; in quei casi, ricevendo benefizi, si studiava di beneficare i suoi stessi benefattori, col condurli all'evangelico e tanto meritorio distacco dai beni della terra. Questa é una cosa che i profani non capiscono; eppure é di un altissimo valore morale e cristiano. In nessun altro luogo de' suoi scritti abbiamo trovato che Don Bosco svelasse così chiaramente la sua tattica di santo come nel seguente passo di una lettera alla Louvet[542]: “Nell'ultima sua Ella mi dice che le costa molto non mettere nulla da parte per i casi imprevisti. Non é così. Io voglio che Ella conservi tutte le sue entrate e che le metta all'interesse del cento per cento sulla terra e poi abbia la vera ricompensa di goderli per sempre in Paradiso. Mi capisce? Lo spero. E' STATO SEMPRE MIO INTENDIMENTO DI FARE TUTTO IL POSSIBILE PER DISTACCARE IL CUORE DEGLI AMICI DALLE [603]
COSE MISERABILI DI QUESTO MONDO E INNALZARLI A DIO, AL BENE ETERNO. Ella vede, Damigella, che io cerco di renderla ricca o meglio di far fruttare le ricchezze della terra, che si conservano per pochissimo tempo, e cambiarle in tesori eterni per sempre.” Ciò detto, viene alla pratica, ponendo con disinteresse in seconda e in terza linea se stesso. “Ella mi domanda in che opera possa collocare bene le sue economie. Io credo che saranno ben collocate col venire in aiuto della Chiesa e del Santo Padre, che versa in tante necessità; col venire in aiuto delle opere dal medesimo Santo Padre raccomandate, come l'erezione della chiesa e dell'ospizio del Sacro Cuore a Roma; con l'aiutare le opere aventi per fine l'avviamento della gioventù al sacerdozio: in una parola, facendo preti che guadagnino molte anime a Dio. Se Ella avrà la pazienza di leggere e se capirà la mia cattiva scrittura, continuerò poi l'argomento.”
Sembra però che di continuare su questo tema non ci fosse bisogno. Un'insinuazione nel senso esposto qui sopra egli l'aveva già fatta nella prima lettera del nostro epistolario. La Louvet teneva pronta una sommetta da consegnargli nelle mani; ma poi pensò di spedirgliela per posta. Onde il Beato[543]: “Ottimo pensiero é stato certamente il suo d'inviare un biglietto da cinquecento per le nostre opere. Il vantaggio é stato tutto per Lei, perché il centuplo é già cominciato a decorrere dal giorno e dal momento dell'invio; tanto più che da ora al mio viaggio per Aire (Aprile) Ella ha tempo di preparare altro danaro.” Un concetto analogo le espresse nell'agosto dello stesso anno: “Ella mi dice che desidera di farmi un'offerta di duemila franchi in qualche occasione. Ma poiché noi ci troviamo sempre, e specialmente adesso, in bisogno di danaro, io credo che sarà meglio anticipare l'offerta, perché così Ella si anticiperà il centuplo davanti a Dio e noi potremo aiutarci al più presto.” [604]
Tornando ora sulla riferita spiegazione, osserveremo che, se egli non ribadì più l'argomento nella forma dottrinale, ridiscese tuttavia ad applicazioni pratiche secondo i casi. Infatti nel 1884 la Louvet, ventilando il disegno propostole da Don Bosco di recarsi a Roma, gli chiese consiglio, a chi potesse dare in custodia i suoi valori durante l'assenza. Don Bosco le rispose che li poteva affidare alla persona, a cui era solita commettere l'incarico di custodirli in somiglianti occasioni. Ma poi soggiungeva: “Tuttavia, se vuol essere ancor più sicura, può metterli alla banca di Don Bosco, che li custodirà, o meglio li spenderà prontamente, ma in modo che i ladri non li potranno mai toccare. Ecco la maniera di assicurar il danaro. Capirà bene, Damigella, che io dico per ridere.” In altro caso fu più esplicito. Sembra che nel 1886 la Louvet ideasse di fare qualche lascito per un'opera da attuarsi dopo la sua morte; ma quante pie fondazioni negli ultimi tempi erano state distratte dal loro scopo per effetto delle leggi laicizzatrici! Perciò Don Bosco la ammoniva: “Riguardo alle cose di cui mi parla, ecco il mio avviso: le opere buone che può fare, le faccia di presente, senza impegnarsi per l'avvenire. Poiché mi sembra questo il consiglio datoci dai tempi che attraversiamo: fare quello che si può e non prendere impegni per il futuro”[544]. In forma lapidaria troviamo scolpito il suo pensiero, allorché, scrivendo al suo benefattore, l'abate Engrand, gl'implora da Dio e dalla Santa Vergine la grazia che possa morir povero per essere ricco in sempiterno[545].
Ci piace ancora sull'ultimo raccogliere alcune note di direzione spirituale, disseminate in questa interessante corrispondenza. Da tutto l'insieme s'intravede nella Louvet un'anima buona, avida di cristiana perfezione e piena di carità. La sua fiducia in Don Bosco é quella che si ripone in un santo. Vi fu un momento, in cui ruminava di entrare [605] nelle Figlie di Maria Ausiliatrice, anzi ne fece domanda al Santo; ma egli sorridendo le disse: - L'età, la salute, la condizione, formano un ostacolo insormontabile all'attuazione di questo pio desiderio. - Ed ella si acquetò.
Interessandosi della sua vita spirituale, il Servo di Dio non si sostituisce punto al direttore della sua coscienza, ma ne integra l'azione, specialmente incoraggiando. “Per Lei e per la sua guida, le scrive subito nella prima lettera, abbia pazienza; Dio aggiusterà i suoi affari spirituali e temporali a sua gloria. Ma intanto procuri di accostarsi alla sacra mensa il più sovente possibile, e quando per qualsiasi motivo non possa accostarvisi, non se ne dia pena di sorta. Le sue pene me le dirà, e io mi studierò di darle direttive e consigli.” A forza di comunicarsi quotidianamente aveva paura di farci l'abitudine; ma Don Bosco la istruisce[546]: “Continui a fare ogni mattina la santa comunione. Ella dice di temere che sia per abitudine. Quando l'abitudine é buona e ci porta al bene, dobbiamo seguirla e praticarla.”
Anch'essa aveva le sue croci. Una volta Don Bosco le mandò un'immaginetta con una crocina. Un po' impressionata del dono, la Signorina volle sapere che cosa egli intendesse con quello significare. Le rispose[547]: “La crocetta che Le ho mandata significa che Dio fra croci e spine Le prepara molti fiori. Non se ne preoccupi. A suo tempo Le dirò tutto.” Intanto le fa animo, proseguendo: “Oh, Iddio La benedica, o Damigella Clara, Iddio La conservi in buona salute e Le conservi un posto a fianco di Maria Ausiliatrice in Paradiso.” Anche nel gennaio del 1883 la sua parola mira a porgerle conforto: “Stia tranquilla con tutta coscienza. Io farò ogni mattina un memento per Lei nella Santa Messa, e spero che Ella pure pregherà per me.”
Appare, e si sa anche da altre fonti, che quell'anima buona era provata da Dio con pene interiori; onde il Servo [606] di Dio la incoraggiava[548]: “Ma io desidero la sua pace e la sua tranquillità di cuore. Mi ascolti. La sua coscienza é in buono stato; la Santa Vergine le é stata data per guida; il suo Angelo Custode la protegge. Perciò non ha niente da temere.”
Otto giorni dopo le tracciava un metodo di vita spirituale assai pratico e atto a liberarla dal timore di non fare mai abbastanza[549]: “Poche cose, ma da osservarsi con diligenza. Ogni anno: revisione annuale della coscienza, riflettendo sul progresso e sul regresso dell'anno trascorso. Ogni mese: esercizio della buona morte, con la confessione mensile e la santa Comunione, come se fossero le ultime della vita; preghiere per la buona morte. Ogni settimana: santa confessione; grande attenzione per ricordare e praticare gli avvisi del confessore. Ogni giorno: Santa Comunione, se é possibile; visita al Santissimo Sacramento; meditazione, lettura, esame di coscienza. Sempre: considerare ogni giorno come l'ultimo della vita.”
Scoppiato il colera, fu pronto a prevenire in lei ogni turbamento.
Spero che la sua salute sia buona e mi affretto a darle l'antidoto sicuro contro il colera.
1° Una medaglia di Maria Ausiliatrice sulla persona.
2° La giaculatoria: O Maria, Auxilium Christianorum, ora pro nobis. 3° Frequenti la santa Comunione.
Grazie di tutte le sue limosine. Dio ricompensi largamente le sue opere buone. Noi preghiamo per Lei, ed Ella preghi per noi e per la nostra famiglia. Così sia.
Di malferma salute, ma assai delicata di coscienza, avrebbe voluto osservare il digiuno e l'astinenza nella quaresima del 1885. Don Bosco ne la dissuase[550]: “Durante questi [607] giorni Ella non deve pensare né a magro né a digiuno: ne è rigorosamente proibita. Lasci che facciano penitenza tanto che basti i peccatori come D. Bosco.”
La lettera trentottesima, ricca di notizie sull'itinerario di Spagna, contiene norme direttive, sebbene il poco ivi accennato prometta di più in un prossimo abboccamento. Forse la Louvet provava qualche scrupolo a recarsi quell'anno sulla Costa Azzurra, quasi fosse più un vano spasso che necessità vera; a ogni modo Don Bosco le propose di venire in Italia e prendere stanza presso le Figlie di Maria Ausiliatrice.
Qui nella città di Alassio e nel nostro collegio ricevo la sua ottima e cara lettera. Le cose di cui mi parla, sono un nulla di fronte all'eternità. Se ci potremo parlare, potremo regolar tutti gli affari; altrimenti c'intendiamo per lettera.
Frattanto cominci a riflettere a due cose: 1° Per Lei sarebbe ottimo il clima del mezzodì; 2° si sbarazzi di tutto che possa darle pensieri e afflizioni. Di queste due cose bisogna che discorriamo partitamente insieme.
La mia salute é sufficientemente buona. Partirò, a Dio piacendo, sabato per Nizza ecc. fino a Barcellona, e per i primi di maggio spero di trovarmi a Torino. Le sue lettere sempre dirette a Torino. Di là mi saranno rinviate con tutta prontezza dove mi troverò.
Di qui partirò per Nizza, Cannes, Tolone, Marsiglia, Barcellona. Poi riprenderò la strada d'Italia per essere a casa sul principio del mese di maggio.
Addio, Madamigella; la Santa Vergine ci guidi sempre per la strada del Paradiso.
PS. Credo che per Lei sarà buon soggiorno Alassio durante l'inverno, Nizza Monferrato nell'estate con due camere per Lei accanto alla casa delle nostre Suore. Della convenienza parleremo a voce.
Più volte in queste lettere fan capolino le apprensioni della Louvet in conseguenza della brutta piega che pigliavano le cose pubbliche in Francia, donde le venivano anche turbamenti spirituali. Don Bosco la confortava, come si é 608] veduto in parecchi luoghi. Nel 1886 la dimane dell'Immacolata egli appare meno ottimista del solito quanto alle vicende umane, ma sempre fiducioso nell'aiuto divino. Scriveva infatti: “L'avvenire nel mondo è scuro assai; ma Dio é la Luce e la Santa Vergine é sempre la Stella Matutina. Confidenza in Dio e in Maria; non tema nulla. Io posso tutto in colui che mi dà forza, Gesù Cristo. Pazienza. La pazienza ci è assolutamente necessaria per vincere il mondo e assicurarci la vittoria ed entrare in Paradiso.”
L'ultima parola che, pur sonando saluto, sa di direzione, é del 16 gennaio 1887. “Addio, Madamigella Clara, Dio Le conservi la pace del cuore, la tranquillità dell'anima e la perseveranza fino al Paradiso.” Quanto si fa frequente il richiamo del Paradiso! Esso si ripete in tutte le quattro lettere che chiudono la raccolta; le riproduciamo, due qui nella traduzione e due in facsimile nell'appendice. Sono brevi e la scrittura è molto irregolare, perché la mano, come tutto l'organismo, é stanca. Le due prime vengono da Lanzo, dove il Servo di Dio passò parte dell'ultima sua estate; il Paradiso é nominato due volte in entrambe.
Il suo posto in Paradiso é preparato e, credo, assicurato; ma, ecco, deve ancora aspettare qualche tempo.
Ricevo la limosina che manda ai nostri orfanelli; Dio La ricompensi largamente. Don Rua sta meglio; il conte Colle non sta meglio. Noi preghiamo.
Dio benedica Lei, l'abate Engrand e ci guidi tutti per la strada del Paradiso. Amen.
Io sono a Lanzo; la mia salute va un po' meglio, e la sua? Non lascio di pregare ogni giorno secondo la sua intenzione. Il Paradiso quando verrà a farci una visita? Noi lo aspettiamo non appena piacerà al Signore.
Raccomando Don Rua alle sue buone preghiere; la sua salute [609] non é come si desidera. In questo momento é a Tolone dal conte Colle, che è seriamente ammalato.
Dio ci benedica e Maria sia nostra guida nei pericoli fino al Paradiso. Così sia.
Le due ultime lettere furono scritte da Valsalice in tempo di esercizi durante la novena della Natività di Maria Santissima, il 4 e il 5 settembre e quasi con il medesimo contenuto. Dovette essere un caso assai spiegabile di amnesia.[551]
In due occasioni Don Bosco fece della Louvet preziosi elogi. La prima volta, parlando con l'abate Engrand, disse: - E’ una persona che ha grandi virtù. - Un'altra volta disse al salesiano Don Bellamy: - Ci aiuta molto di borsa, ma più ancora con le sue preghiere. -
Come per il conte Colle, così per la Louvet Don Bosco lasciò una letterina da spedirle dopo la sua morte. Le diceva così: “Io debbo partire prima di Lei; ma non mancherò mai di pregare per la sua felicità eterna. Continui a sostenere i nostri orfanelli, e i nostri orfanelli Le faranno corona, quando gli Angeli La porteranno un giorno a godere la gloria del Paradiso. O Maria, proteggete sempre la vostra figlia. Voglia pregare per il riposo eterno della mia povera anima.”
Morto Don Bosco, essa viveva del suo ricordo, invocandolo come il suo più potente protettore celeste e soprattutto sforzandosi d'imitarne la pazienza nelle prove inevitabili della vecchiaia. Nelle crisi più penose dell'ultima sua malattia bastava che sentisse proferire il nome di Don Bosco, perché le tornasse il sorriso sulle labbra e la serenità nello spirito. Una suora di Maria Ausiliatrice, mandata da, Don Rua ad assisterla, si valeva di questo mezzo infallibile per infonderle coraggio e rassegnazione nei momenti critici.
Alcuni mesi dopo la dipartita del Beato, la voce di una sua profezia intorno a una prossima guerra le turbava i [610] sonni. Don Rua il 19 dicembre, ringraziandola di mille franchi, la rassicurò scrivendo: “Noi non conosciamo punto la profezia che circola, attribuita a Don Bosco. Quindi se Don Bosco ha parlato di guerra contro qualcuno per la prossima primavera, ha voluto indicare semplicemente la guerra che noi sosteniamo in tutte le primavere: la guerra dei giovani alle pagnotte: la guerra dei fornitori, dei creditori che ci assediano quando da noi regna più che mai la penuria, cioè nella primavera d'ogni anno. Io credo che Don Bosco non volesse parlare di altra guerra; altrimenti ce ne avrebbe detto qualche cosa: mentre non ci ha detto né scritto nulla in proposito. Stia dunque tranquilla; abbia confidenza in Maria Ausiliatrice e in Don Bosco, la cui protezione allontanerà da Lei ogni male. Essi sanno che Ella é grande protettrice dei loro figli: dunque nessuna paura.”
Finché sopravvisse a Don Bosco, ripose tutta la sua confidenza e venerazione in Don Rua, del quale con l'intuito delle anime sante aveva già scoperto le rare virtù e i doni soprannaturali. Don Bosco le aveva detto: - Quando si aprirà una casa nel suo dipartimento, Ella ne sarà la mamma. - La casa fu aperta a Ruitz nel 1891 e fino al 1903, cioè fino alla cacciata delle Congregazioni, la Louvet largheggiò assai in limosine con il primo direttore Don Albino Ronchail e con i suoi successori Don Cosson e Don Patarelli; fra l'altro, ogni anno interveniva immancabilmente a colmare del suo il deficit del bilancio. Finché visse, si tenne in relazione col Capitolo Superiore, dando sempre con la stessa spontaneità e frequenza come al tempo di Don Bosco. Esigenze di parentela non esistevano, poiché aveva soltanto dei cugini; quindi si spiega come sull'ultimo largheggiasse al punto che suor Guiot, figlia di Maria Ausiliatrice, ricorda d'aver spedito una volta in suo nome a Don Albera cinquantamila franchi.
L'II novembre del 1912 andò a rivedere i suoi due grandi Protettori in Paradiso.
L’ULTIMA andata di Don Bosco a Roma doveva nella sua intenzione far fare il passo decisivo verso il riconoscimento ufficiale e la canonica autonomia della Missione patagonica; quindi, là giunto, si occupò indefessamente della cosa presso la sacra Congregazione di Propaganda e dopo l'udienza pontificia per mandato dello stesso Santo Padre[552]. La geografia del paese era allora in Europa pochissimo nota; anche a Roma se ne aveva soltanto un'idea vaga e perciò insufficiente a fissare quelle delimitazioni di territorio che sono richieste per circoscrivere con esattezza una giurisdizione. Per questo Don Bosco aveva dovuto farsi mandare d'urgenza da Torino una carta della Patagonia, che era stata riprodotta per lui in discrete proporzioni e che egli teneva appesa alla parete nella galleria accanto alla sua camera[553].
Nelle sue trattative il Beato andava prospettando la convenienza di fondare non uno solo, ma tre Vicariati o almeno tre Prefetture Apostoliche nella Patagonia: il primo dal Rio Colorado al Rio Chubut, il secondo dal Rio Chubut al Rio Santa Cruz, il terzo dal Rio Santa Cruz fino alla Terra del Fuoco, incluse le isole Malvine. Il Santo Padre entrò in quest'ordine d'idee, dicendo espressamente che si potevano [612] stabilire i limiti di tre Vicariati, ma che intanto conveniva cominciare ad attivarne uno, dal Rio Colorado verso l'intera Patagonia[554].
A Roma però gli affari si trattano con la massima ponderatezza e senz'alcun risparmio di tempo; finché non si posseggono elementi chiarificati, non si addiviene a stipulazioni di nessun genere. Non deve quindi causarci meraviglia, se Don Bosco in agosto lamenta il ritardo frapposto alla conclusione, in massima, del sospirato disegno. Egli temeva che gl'indugi finissero con rovinare tutto il suo piano[555]. Fu però ottimo partito quello di aver intavolato le trattative già da due anni; se non ci avesse pensato così presto, non avrebbe avuto senza dubbio la consolazione di veder appagato il suo voto nel 1884.
Né si creda che al suo progetto spirassero favorevoli i venti dall'Argentina. Lo stesso Arcivescovo di Buenos Aires, pur così benevolo, non giudicava né opportuna né necessaria la creazione del Vicariato, perché diceva: - Tutte le facoltà che io ho, le do ai Salesiani, che vadano in quelle Missioni. Dunque a che pro staccare la Patagonia dall'archidiocesi bonariense? -[556]. Modificò poi il suo atteggiamento, quando seppe come la si pensava a Roma. Anche col Governo bisognava procedere con ogni cautela per non urtarne le suscettibilità, quasi vi fossero ingerenze arbitrarie o intromissioni straniere entro i confini della repubblica testé assicurati con le armi. Di qui s'intende che cosa volesse Don Bosco significare, scrivendo al Procuratore di “opportunità notata dall'Arcivescovo di trovare appoggio presso il Governo” in questo affare[557].
Intanto nella Patagonia si lavorava con ardore e si veniva così preparando quello stato di cose che avrebbe giustificato, [613] per non dire reclamato, un ordinamento, il quale di fatto e di diritto la inserisse come entità ben definita nel complesso organico delle Missioni cattoliche. Dal quartier generale di Patagónes e di Viedma Don Beauvoir e Don Milanesio si spingevano in tutte le direzioni, dovunque fossero gruppi di civilizzati o arridessero speranze d'incontrare famiglie o tribù indie. Don Bosco, parlando talora di numerose colonie, intendeva tanti piccoli nuclei di popolazioni concentrate in località, donde fosse possibile trarre il necessario alla vita con l'esercizio dell'agricoltura e della pastorizia. Movendo da questi punti, nei quali i Missionari cercavano di apprestare piccole cappelle per la preghiera e per il culto, si andava in cerca dei selvaggi sparpagliati ordinariamente a non grande distanza[558]. L'ardimentoso Don Fagnano, capo della Missione, mentre si slanciava alla campagna e faceva esplorazioni nelle zone più impervie, badava a rafforzare la principale residenza, erigendo a Patagónes una chiesa e un doppio collegio. Di tratto in tratto Don Bosco era rallegrato da relazioni, che gli permettevano di condurre innanzi con sicurezza la sua pratica per l'istituzione del Vicariato Apostolico.
Progredivano anche le opere di Buenos Aires. Il 1882 fu un anno specialmente prospero per i laboratori: vi affluiva il lavoro e abbondavano i mezzi con cui soddisfare agli impegni. La tipografia aveva tre macchine sempre in moto; numerose ordinazioni arrivavano ai falegnami; si diede anche principio al laboratorio dei fabbri. Essendosi fatta allora un'Esposizione Continentale, i nostri vi presero parte con onore; poiché la stamperia, la sartoria e i falegnami riportarono premi lusinghieri. L'Arcivescovo in una sua pastorale, mettendo in vista le opere cattoliche, fatte, da farsi e da aiutare, raccomandava alla carità pubblica le scuole salesiane di arti e mestieri con espressioni sommamente benevole.
La riputazione di queste scuole, diffondendosi nella repubblica, invogliava altri personaggi a presentare domande [614] per averne di simili nei loro paesi; così l'ispettore Don Costamagna ricevette istanze da Chivilcoy, Dolores, Salta, Las Flores, Azul, e soprattutto da Tucumán. Il governatore e le autorità della provincia tempestavano di lettere e di raccomandazioni Don Costamagna, invitandolo per intanto ad andare colà per riconoscere il luogo. Si offriva terreno, danaro, chiesa, appoggio materiale e morale, tutto. Tali e tante furono le pressioni, che egli non poté ricusarsi. Vi arrivò con quattro giorni di viaggio e vide che alla fondazione non mancava proprio nulla sul posto; ma a lui mancava il più, che era il personale. Quattro mesi dopo venne a Buenos Aires il Vescovo con pieni poteri da parte del governatore; il Governo centrale accordava i passaggi a tutti i Salesiani che si sarebbero mandati dall'Europa per quella casa. L'Ispettore, persuaso della convenienza di non rispondere con un rifiuto, era quasi deciso di recarsi a Torino per chiedere gente. “Ho paura che Ella mi sgridi, scrisse a Don Bosco il 7 luglio, che non mi dia nulla e mi mandi un'altra volta in America colle pive nel sacco... E’ vero che questo mio pensiero fa torto al cuore di Don Bosco; ma che vuole? Quando si é tanto lontani ed é tanto tempo che non si poté udir la voce di D. Bosco, uno resta come mezzo stupido. Basta, se é vero che il governo ci dà i passaggi, e tutti in un solo battello, tenendo in vista che, se si tardasse ancora, sopraggiungerebbe l'inverno e ci incaglierebbe assai, chissà che non mi decida a venire.” Ma Don Bosco gli rispose immediatamente di soprassedere per allora, e glielo disse con questa bella lettera.
Io leggo sempre assai volentieri le tue lettere e ne facciamo gran conto leggendole in Capitolo.
Vediamo la copiosa messe che Dio ci pone ogni giorno più abbondante fra le mani. Abbiamo però due ostacoli a sormontare: la scarsità di personale e l'immenso lavoro che ci opprime.
Mi pare che noi possiamo fare così. Noi di qui prepareremo quanto è necessario per una regolare spedizione pel prossimo anno 1883; pel [615] luglio dello stesso anno verrai con un compagno a farci una visita assisterai al Capitolo Superiore Generale che avrà luogo in agosto o in settembre.
Nel tempo stesso ci infiammerai tutti di zelo apostolico; poscia con una schiera di prodi farai ritorno alle terre di Cabotto.
Questo dico soltanto io, qui in S. Benigno dove mi rimane qualche istante libero. I tuoi progetti però saranno letti appositamente nel Capitolo Superiore, e poi siamo tutti d'accordo di metterli in esecuzione nei limiti del possibile.
Sono qui a S. Benigno dove ieri si fece la festa di S. Luigi, coll'intervento di Mons. Riccardi Vescovo d'Ivrea che fece tutte le sacre funzioni e passò con noi l'intiera giornata.
Sulla sera si rappresentò il dramma La Patagonia, opera di Don Lemoyne. Tutti i paesi vicini si recarono a questo spettacolo di nuovo genere. In fine entusiasmo e commozione generale. Tutti volevano partire per la Patagonia.
Ti raccomando un caro saluto per tutti i nostri confratelli. Ti raccomando Don Debella. Accudiscilo; egli può aiutarti a fare molto bene, ma abbisogna della dolcezza e della confidenza.
Ho parlato di te ai Chierici e preti di questa casa. Applausi prolungati, saluti da tutti.
Dio ti benedica, o sempre caro mio Don Costamagna. Dio ti conservi sempre nella sua santa grazia e con te benedica Don Remotti, Don Bourlot, Don Vespignani ed altri cui spero di scrivere quanto prima qualche lettera.
Pregate anche per me che vi sarò sempre in G. C.
S. Benigno Canavese, 9 agosto 1882.
La stima grande che i Salesiani godevano nella capitale, faceva sì che persone facoltose si ricordassero di loro nelle proprie disposizioni testamentarie. Così nel 1882 una ricchissima signora Petronilla Rodriguez, trovandosi in pericolo di morte, senza che neppure conoscesse l'Ispettore, gli legò cinquecento mila pesos; un altro legato di centocinquanta mila gli venne dal signor Félix Frías. Don Costamagna destinò la prima somma alle Figlie di Maria Ausiliatrice, che in Almagro avevano bisogno di una casa. Ottenuta l'autorizzazione da Torino, fece preparare un disegno, nel quale mise a profitto le cognizioni di disciplina, d'igiene e di vita religiosa e comune da lui acquistate in tanti anni della sua [616] direzione di Suore sì in Europa che in America. Volle che la cappella fosse un piccolo santuario di Maria Ausiliatrice. L'Arcivescovo si profferse con entusiasmo a benedire la prima pietra. La cerimonia si compié il 24 maggio, quando si vedevano già i muri uscire alcun poco dal suolo, mostrando la pianta dell'edifizio in tutta la sua estenzione. I lavori procedettero con alacrità, anche perché l'Ispettore era sovente sul luogo a vedere, a dirigere e financo ad aiutare per mezzo degli aspiranti e dei giovani più grandicelli.
Le occupazioni materiali non impedivano all'Ispettore di attendere alle necessità spirituali delle case; gli stava a cuore soprattutto la casa di Patagónes, che non aveva ancora visitata. Perciò si accinse a quel lungo e pericoloso viaggio imbarcandosi sul finire di giugno. Colà diresse le cose temporali e spirituali sì dei confratelli che delle suore. Diede gli esercizi ai quattro sacerdoti e ai tre coadiutori ivi residenti, e lo stesso fece alle suore. Dopo un mese circa di assenza tornò a S. Carlo, dove con maggior solennità che negli altri anni fu festeggiato il suo onomastico.
In una lettera del 1° maggio, nella quale annunziava a Don Bosco la sua prossima andata a Tucumán, Don Costamagna finiva con questa brutta notizia: “In S. Nicolas mandarono i giovani a casa per un malore contagioso. Preghi...”. Quel collegio aveva dovuto sopportare una ben dura prova. Chiusi gli esercizi spirituali, i giovani erano stati condotti alla passeggiata che si suol fare in tale occasione; ma al ritorno molti di essi furono assaliti da un malessere, che ben tosto si palesò difterite. Il direttore Don Tomatis nel cuor della notte mandò a casa tutti quelli che potevano reggere al viaggio, e la indovinò; perché il dì seguente la casa venne custodita manu militari in modo che nessuno potesse più entrare né uscire. Due mesi durò tale prigionia. Quattro giovani morirono, assistiti dai Salesiani, ai quali toccò far loro la bara e collocarveli. Un colono irlandese, padre di un allievo, ottenuto volontariamente di entrare, vi rimase finché [617] durò lo stato d'assedio, prestando servizio agl'infermi e conforto ai superiori. I coloni portavano il vitto, facendolo passare attraverso un'inferriata. Don Costamagna, corso a visitare quella povera casa, fu fermato alla porta dalla sentinella. Chiese allora di poter entrare almeno nella chiesa. Avuto il permesso, passò nella sacristia e chiamò i confratelli, che scesero ansiosi. Il dolore e le veglie li avevano sfigurati. Scambiatesi poche parole, fu recata una bottiglia di vino. Guai se la sentinella li sorprendeva là riuniti! Don Costamagna chiamò il soldato e un bicchiere di quel buono accomodò tutto. Poi subito ciascuno tornò al suo posto, mentre l'Ispettore riprendeva la via di Buenos Aires.
Don Tomatis il 15 luglio poté dare a Don Bosco nuove migliori.
“Dopo la prova dolorosa, scriveva egli, per cui siamo passati, l'allegria é ritornata nella nostra casa, ed i nostri quaranta infermi, tutti per grazia di Maria SS. Ausiliatrice perfettamente guariti, continuano, maestri e allievi, le loro scolastiche occupazioni; anzi non solo ritornarono al collegio tutti gli allievi che si erano per infermità allontanati momentaneamente, ma, quasi il Signore volesse ricompenserei delle passate tribolazioni sofferte, aumentò il numero dei nostri alunni di modo che questa sua casa di S. Nicolas é al presente in ottime condizioni.” I quaranta guariti dovevano essere quelli che erano infermi dopo la morte dei quattro, allorché Don Tomatis aveva comunicato a Don Bosco le prime notizie in una lettera precedente, di cui é menzione in questa e che noi non abbiamo rinvenuta. Infatti nella seconda del 15 luglio diceva: “Dopo la mia ultima lettera, che le inviai per mezzo del signor D. Ramon Quesada, non abbiamo avuto novità.” Quest'ultima frase va intesa nel senso, che non vi furono altri decessi. Certo é che, senza uno speciale aiuto del Cielo, poteva con tutta facilità succedere là entro un'ecatombe.
Un mese giusto mancava al giorno, in cui nell'Oratorio si sarebbe commemorato il genetliaco di Don Bosco; onde [618] il Direttore di S. Nicolas continuava: “Passando adesso al principale oggetto della presente, fra tanti suoi affezionatissimi figli vengo io pure a rallegrarmi con Lei, ottimo fra i padri, per il prospero compimento del suo bel giorno natalizio, nel prossimo mese di agosto. Ella in quel giorno avrà certamente ragione di ringraziare il Signore, che per mezzo suo ha operato grandi cose; ma noi, suoi figli nel Signore, non ne avremo minore obbligazione, poiché non solo ci ha conservato nella sua persona il migliore fra i padri, ed il più sincero amico, ma ci conserva pure il fondatore della Società Salesiana a cui apparteniamo, e che é per noi l'arca di salvazione. Tutti i Salesiani di S. Nicolas conosciamo questa verità, che ci riempie il cuore di affetto e di gratitudine verso il Signore e verso di Lei; quindi come i Salesiani di tutte le sue case, così anche noi di S. Nicolas, il giorno 15 di agosto, offriremo le nostre Messe e comunioni allo scopo di ottenere dalla divina Bontà la conservazione dei suoi preziosi giorni, e la prosperità e salute di cui ha bisogno per il buon governo della nostra Società. Eccole, caro padre, quali sono i nostri sentimenti, la cui manifestazione é l'unico regalo che ci sia dato inviarle da queste lontane terre. Li riceva come la espressione della nostra gratitudine e del nostro sincero affetto, e ci benedica.”
Queste effusioni di affetto, come di figli a padre, sono, diremmo così, all'ordine del giorno nelle lettere dei Salesiani a Don Bosco e costituiscono un documento nuovo nella storia dei grandi Fondatori di Ordini o Congregazioni religiose. Eccone un altro saggio proveniente dall'Uruguay, del quale ora veniamo a parlare. Don Giordano, descrivendo le feste cordiali fatte a Don Lasagna nel suo ritorno da parte di confratelli, amici, allievi ed ex-allievi, prorompe improvvisamente in queste espressioni[559]: “Oh! amatissimo Padre, che festa faranno a Lei in cielo i suoi cari figli! che accoglienza! [619] che gioia pel loro cuore! Oh pensiero consolante per noi, che ci siamo allontanati e forse per sempre da Lei, che pei suoi figli lavora, soffre e prega tanto! Che il Signore la conservi ancora a lungo pel bene nostro e di tante anime! e d'altra parte che il Signore affretti quel giorno di gioia e di festa eterna nel cielo, in cui i figli si troveranno di nuovo uniti al loro amato Padre per non mai più separarsi.”
La nuova Ispettoria uruguaiana, affidata a Don Lasagna, aveva allora quattro case, cioè il collegio Pio a Villa Colòn, l'oratorio S. Vincenzo de' Paoli a Montevideo, la parrocchia e il collegio S. Isidoro a Las Piedras, e la parrocchia pure di S. Isidoro a Paysandù.
Il collegio Pio, residenza dell'Ispettore, fu rafforzato notevolmente di personale, sicché con le molteplici opere che vivevano della sua vita, entrò in una fase nuova di prosperità. L'avvenimento più notevole del 1882 fu l'inaugurazione dell'Osservatorio meteorologico[560]. L'impianto richiedette il suo tempo; ma sul principio di maggio si poté inaugurare. La cerimonia si compié con la massima solennità, presenti l'Internunzio del Brasile che si trovava là di passaggio, il Vescovo e molte persone distintissime della repubblica. Nel verbale, che porta venticinque illustri firme, si dichiara di apprezzare in tutta la sua importanza il voto emesso dal terzo Congresso geografico internazionale di Venezia e si fanno voti a Dio, che il nuovo Osservatorio possa felicemente esaurire i suoi difficili compiti scientifici, prestando “valido concorso nello scoprimento e nello studio fruttuoso delle leggi fisiche, alle quali Iddio ha sottoposto il globo che sostiene le umane generazioni nella nostra carriera mortale”.
Nella capitale l'oratorio e le scuole dell'ospizio S. Vincenzo si allietavano della frequenza di duecentottanta giovanetti poveri; anzi la casa si fece il centro di tutta una bella corona di oratori festivi, sorti in città per l'iniziativa degli [620] ex-allievi di Villa Colón, come abbiamo narrato altrove. A Las Piedras per rispondere ai bisogni e alla fiducia della popolazione s'ampliavano i locali tanto dei Salesiani che delle Figlie di Maria Ausiliatrice.
A Paysandù invece si ebbe a deplorare un grave disastro. La città siede sulla sinistra del fiume Uruguay all'estremo di una collina, sul cui vertice stava edificata la chiesa parrocchiale. Il 26 marzo, un anno dopo l'arrivo dei Salesiani, quella chiesa nel cuor della notte andò in fiamme, causando un danno di quarantamila lire. Don Lasagna temette che i protestanti avessero a profittare della sciagura; ma in sì breve tempo i nostri si erano guadagnate tante simpatie, che furono presto raccolti i fondi per i restauri e il sacro edifizio risorse dalle ceneri più sontuoso di prima. Anzi l'Ispettore si sentì così animato, che, mentre si organizzavano i catechismi e le missioni, avvisò senz'altro ai mezzi di costruire un collegio maschile e un collegio femminile. Cosicché, grazie alla divina Provvidenza, dal male si poté ricavare del bene.
La medesima Provvidenza sembrava disporre le cose in modo, che fosse affrettato l'ingresso dei figli di Don Bosco anche nel Brasile. E' noto quanto fin dal 1877 il zelantissimo Vescovo monsignor Lacerda avesse fatto per ottenere questa grazia. Egli nel dicembre di quell'anno era partito dall'Europa con la dolce speranza di avere quanto prima i Salesiani a Rio Janeiro; ma correva già il maggio del 1882 e nulla ancora si era impreso al riguardo. Don Bosco però non dimenticava mai le sue promesse; soltanto la necessità di preparare convenientemente gli uomini esigeva tempo. Dei suoi disegni a favore del Brasile aveva ragionato moltissimo con Don Lasagna nel 1881; Don Lasagna a sua volta portava da tempo il Brasile in cima a' suoi pensieri e formava l'oggetto delle sue maggiori aspirazioni. Don Bosco dunque gli affidò l'incarico di recarsi in quella capitale per concertarvi col Vescovo l'impianto della prima casa. [621]
Don Lasagna, assettate le cose di Villa Colòn e dell'Ispettoria, s'imbarcò il 9 maggio alla volta di Rio Janeiro. “Come può congetturare, aveva scritto qualche giorno avanti a Don Bosco[561], la mia mente, il mio spirito é assorto nella grandezza dell'impresa, a cui stiamo per metter mano, e nell'avvenire che in quel vastissimo impero aspetta i giovani Missionari di Don Bosco. Il mio cuore é adunque in preda alla trepidazione ed a grandi timori, ma nel tempo stesso é animato da speranze ancor più grandi […]. Confortato dalla sua benedizione, o amatissimo Padre, e studiandomi di seguire fedelmente le istruzioni che Ella mi diede, intraprenderò questo primo viaggio, che dovrà aprire alla nostra Società le porte d'un impero, la cui estensione uguaglia i tre quarti d'Europa.” Scelse quella data per salpare, a motivo dell'ottima occasione che gli si offriva di accompagnare nel viaggio monsignor Mocenni, reduce dal Chilì e diretto al Brasile come internunzio della Santa Sede presso quell'Imperatore.
Laggiù due circostanze locali inasprivano terribilmente la piaga sociale della gioventù abbandonata. L'imperatore Don Pedro II, stimando impossibile abolire d'un colpo la schiavitù senza rovinare l'agricoltura esercitata esclusivamente dagli schiavi, s'era appigliato a una via di mezzo: undici anni prima aveva promulgata una legge che dichiarava liberi tutti i figli degli schiavi che sarebbero nati in appresso. Di quanti poveri ragazzi per effetto di tale provvedimento brulicavano allora le vie o le piazze! Inoltre le frequenti apparizioni della febbre gialla rendevano orfani e derelitti innumerevoli fanciulli. Quindi per la città di Rio Janeiro Don Lasagna incontrava turbe di giovanetti che, abbandonati a se stessi, si addestravano al malfare. Il Governo tentava di provvedere, facendone retate e distribuendoli per forza fra i padroni delle grandi aziende agricole; ma i bricconcelli per lo più fuggivano e ricomparivano nella [622] capitale, finché la prigione o il cimitero non li sottraesse a quella vita randagia. Quello che avveniva nella metropoli, succedeva pure nelle città più popolose. Un simile stato di cose, che straziava l'anima di monsignor Lacerda, intenerì fino alle lacrime Don Lasagna e ne infiammò lo zelo; onde promise al Vescovo che avrebbe fatto di tutto per condurre là i Salesiani a prendersi cura dei figli del popolo. Fu divisato allora di aprire un istituto salesiano sui colli di Nicteroy, dirimpetto all'immenso porto di Rio Janeiro.
Le cortesi accoglienze fattegli dalle autorità civili stimolarono ancor più il buon volere di Don Lasagna. Lo stesso Imperatore lo ammise ad una particolare udienza nel suo palazzo di Petropolis, il giorno di Pentecoste, e si trattenne lungamente con lui in familiare conversazione. Volle essere ragguagliato per filo e per segno sull'origine dei Salesiani, sullo scopo della loro missione nella Chiesa, sui loro metodi d'istruzione e d'educazione della gioventù, sui mezzi con cui riuscivano a sostenere tante opere, sui risultati ottenuti. Quando si fu ben informato degli oratori, degli ospizi, delle scuole di arti e mestieri, delle colonie agricole, delle Missioni nella Patagonia e nelle Pampas, altamente soddisfatto manifestò vivo desiderio di vedere presto trapiantata anche nel suo vasto impero la caritatevole istituzione salesiana, promettendo fin d'allora l'alta sua protezione.
Da Rio Janeiro Don Lasagna continuò la sua escursione verso Pernambuco, il Cearà, il Marangone, il Parà, accolto, dovunque con le massime dimostrazioni di stima dai Vescovi, che tutti lo scongiuravano di qualche soccorso nelle loro miserevoli strettezze. Ciascuno di essi era alla testa di diocesi sterminate, più grandi ognuna dell'intera Italia; anzi quella di Parà abbracciava una superficie sei volte più estesa della Francia. E il clero vi era scarsissimo, i seminari deserti, gli Ordini religiosi estinti o agonizzanti. Visitò più particolarmente per ordine di Don Bosco la provincia del Parà e delle Amazzoni, dove s'incontrò con uno dei più grandi Vescovi che [623] avesse allora la Chiesa, monsignor Antonio De Macedo Costa. L'insigne Prelato, scorgendo in Don Lasagna un uomo capace di comprenderlo, gli tracciò un quadro impressionante della sua diocesi, priva di parroci che conservassero la fede nelle popolazioni cristiane, e popolata di tribù selvagge da convertire.
La lunga lettera, da cui abbiamo desunti in buona parte questi particolari[562], contiene un passo, nel quale il grande figlio di Don Bosco dà sfogo a tutto il suo ardore sacerdotale e che non si legge senza ammirare i prodigi operati dal nostro Beato Padre nella formazione de' suoi primi aiutanti. Chi non sa che un uomo come Don Lasagna, degno di stare a fianco dei maggiori uomini apostolici, fu nell'Oratorio un giovane fra i più insofferenti di freni disciplinari? Egli stesso, e noi l'abbiamo udito, esaltava commosso la lunga pazienza esercitata con lui dal santo educatore. Scrive dunque: “E qui mi permetterà di notare, amatissimo Padre, che quest'anno 1882 spirerà forse senza che neppure uno sia venuto dall'Italia a raggiungere i suoi fratelli Missionari. Questo fatto che da vari anni non era successo mai, ci ha cagionato una dolorosissima impressione. Egli ci viene a dire che anche in Italia i bisogni aumentano e le difficoltà si fanno ognora più giganti. Egli ci dice che, sebbene da un lato non sia punto scemato il fervore in petto ai nostri giovani confratelli, forse per l'altro sono venuti meno quest'anno i mezzi indispensabili per preparare ed intraprendere queste costosissime spedizioni, e noi di qui ci vediamo obbligati a levar le mani al Cielo e supplicare il buon Dio, perché accorra presto colla sua divina Provvidenza in aiuto al nostro Padre Don Bosco, e susciti molte anime generose che coi loro sacrifizi ne sostengano l'animo intraprendente e le opere sommamente caritatevoli ed evangelizzatrici. Oh! piacesse al cielo che l'anno prossimo fosse apportatore per Lei di grandi consolazioni [624] e di potenti aiuti e per noi pure fosse foriero d'invocati soccorsi. Deh! non si faccia sospirare più oltre una nuova spedizione di Missionari! Il sacrifizio eroico che faranno essi nel divellersi dalle braccia dei cari loro e poscia tutto l'immenso bene che potranno prodigare alle anime nel corso delle loro Missioni ritornerà a cadere convertito in celesti benedizioni sulla patria loro. Vengano, vengano numerosi i prodi del Signore, vengano a formare l'intrepida avanguardia dell'esercito invitto della Chiesa di Cristo! Qui troveranno già spianata la via alle grandi conquiste e potranno coronarsi la fronte d'immortali allori. Una parte di loro dovranno accompagnarci al principio dell'anno prossimo alla Capitale del Brasile, là sui colli di Nicteroy, dirimpetto a Rio Janeiro, dove già ci aspetta una modesta casa, destinata ad essere un dì un grande asilo di poveri fanciulli derelitti, e forse un vivaio di nuovi Missionari; mentre quelli che saranno più intrepidi andranno a portare la croce e la civiltà cristiana proprio nel cuore, nel centro stesso dell'America Meridionale, rimontando fiumi interminabili, attraversando foreste vergini e paesi strani sotto un sole ardente. E' un'impresa ardita e d'una importanza così grande che non può sfuggire alla mente più ottusa. Andranno dunque a Cuyabà, capoluogo del Matto Grosso, la provincia più interna del Brasile, la terra più centrale e più sconosciuta d'America, corsa in tutte le direzioni da molte tribù selvagge, confinando al Nord colle province inesplorate delle Amazzoni e del Parà, all'Ovest colle interminabili e cupe foreste della Bolivia, al Sud coi boschi incantevoli del Paraguay, già redento dai miracolosi sforzi dei Gesuiti ed ora ripiombato nella barbarie per opera di Satana e dei suoi emissari sulla terra, e confinando all'Est con altre province brasiliane senza che sia possibile determinare con certezza le loro linee divisorie, poiché nessun uomo avrebbe la temerità di spingersi innanzi in quelle cupe boscaglie, covo di belve feroci e di uomini più feroci delle belve stesse. La sua superfice si calcola ad [625] un milione quattrocento mila chilometri quadrati, vale a dire ad una estensione cinque volte maggiore dell'Italia intera con tutte le sue isole adiacenti. Sopra una superficie così sterminata gli abitanti battezzati sono appena sessantamila, di cui sei mila ancora schiavi[563]; i selvaggi poi delle foreste, sebbene numerosissimi, sono di tal natura indomabili e feroci da non lasciarsi contare [...]. I Salesiani non trepideranno un istante a tentare una sì difficile impresa [...]. Così mentre da un lato i nostri fratelli si spingono innanzi alla conquista delle gelide spiagge della Patagonia, noi sotto la sferza di un sole tropicale rimonteremo ignoti fiumi [...] e andremo a impadronirci del cuore stesso dell'America [...]. E chissà che valicando poscia i gioghi dei monti Pary e scendendo i fiumi Arinos e Tapajós, non possiamo arrivare un giorno a darci la mano coi nostri confratelli che devono tentare le Missioni del gran Parà e delle Amazzoni.”
Quest'ultima frase ci dice, che qualche cosa si stava preparando anche per il Parà; era realmente così. Monsignor De Macedo Costa, non avendo potuto avere da Don Lasagna una promessa sicura, il 27 giugno ne scrisse al cardinale Lodovico Jacobini, segretario di Stato. Ma un anno prima aveva già scritto a Don Bosco una commovente lettera[564], perché gl'inviasse alcuni Salesiani. Don Bosco, ringraziandolo della fiducia da lui riposta nella nostra Società, lo aveva assicurato che per suo incarico un Salesiano da Montevideo si sarebbe portato al Parà e avrebbe trattato di presenza con lui. L'inviato di Don Bosco fu appunto Don Lasagna, il quale però non aveva alcun mandato di concludere, ma solamente di vedere e riferire. Il Vescovo allora, più non istando sulle mosse, si rivolse direttamente alla Santa Sede[565] [626] e supplicò il cardinale Jacobini d'indirizzare in nome del Papa una parola a Don Bosco, affinché si decidesse a fondare un istituto salesiano nella sua diocesi. Sua Eminenza con tutta sollecitudine rimise al Beato copia della lettera vescovile, eccitandolo a secondare nel miglior modo che gli fosse possibile la domanda e accertandolo che la cosa sarebbe veduta con molta soddisfazione dal Papa[566].
Per trovare un documento che ci faccia conoscere con precisione il pensiero di Don Bosco al riguardo, siamo obbligati di riportarci a una lettera dell'8 settembre, in cui egli scrive al Procuratore: “Al medesimo [cardinale Nina] puoi anche dire che le due case di missione nel Brasile, nelle diocesi di Parà e di Rio Janeiro sono definitivamente stabilite, secondo il desiderio del S. Padre espressomi dal signor Card. Segretario di Stato. A Parà sono già cominciati i lavori di costruzione e riattazione, e andremo a prenderne il possesso appena quelli siano terminati. A Rio Janeiro é tutto ultimato, e la nostra casa é a poca distanza da questa città, in una amena posizione detta Nicteroy, che tu puoi vedere nella carta geografica al nord di Rio Janeiro. Ieri ho mandato l'approvazione del contratto fatto a tale scopo tra monsignor Lacerda, D. Lasagna ed un proprietario.”
Ma il giorno innanzi Don Bosco aveva risposto al cardinale Jacobini. Ignoriamo il tenore di quella risposta; però il pronto riscontro di Sua Eminenza é un documento prezioso e lo riportiamo qui integralmente. Dal medesimo si rileva come il Servo di Dio nessuna occasione si lasciasse sfuggire per rinnovare le sue insistenze intorno ai privilegi.
La lettera che V. S. Ill.ma mi ha diretto il 7 corrente mi ha porte occasione di fare gradita relazione al S. Padre. Imperocché Sua Santità ha con molto piacere appreso la sollecitudine con cui V. S. ha provveduto perché i suoi Religiosi preparassero m vicinanza del [627] Parà una colonia agricola nell'intento anche di scoprire qualche vocazione allo stato ecclesiastico. Similmente si é compiaciuto vivamente l'Augusto Pontefice di apprendere, ch'Ella, memore delle raccomandazioni da Lui fattele per la diocesi di Rio Janeiro, ha già inviato a Monsignor Lacerda la conferma di compra di una casa a Nictileroy (sic) a poca distanza da quella Capitale.
Il bisogno peraltro di zelanti operai evangelici si fa sentire vivamente anche nel resto del Brasile, e specialmente nella vastissima e poco popolata Diocesi di Cujabà. Intorno a questa si é ricevuta in questi stessi giorni una desolante descrizione da Monsig.r Mocenni Internunzio Apostolico presso la Corte Brasiliana, il quale invoca a grandi grida un qualche sacerdote dell'ordine da Lei istituito in vantaggio di quei poveri cattolici. Se Ella potesse ascoltare tale appello farebbe cosa ben grata al S. Padre, e molto più se prendendo a cuore tali urgenti bisogni procurasse di formare gradatamente in quel vasto Impero un noviziato di Salesiani indigeni.
Del resto assicurandola che mi darò tutta la premura di secondare la domanda ch'Ella mi presenta intorno ai privilegi da accordarsi al suo istituto, ho il piacere di raffermarmi con sensi di ben distinta stima.
Ormai si guardava all'Oratorio come a un gran vivaio di Missionari e, a Don Bosco come all'uomo inviato da Dio per promuovere l'evangelizzazione degl'infedeli e l'apostolato missionario tra i fedeli più abbandonati in terre lontane. Nel 1882 visitarono l'Oratorio due Vescovi Missionari, già allievi dell'Istituto missionario di S. Calogero a Milano. Il secondo, monsignor Simeone Volonteri, Vicario apostolico di Ho-nan nella Cina, venne il 7 settembre, accompagnato da un sacerdote savoiardo e da un catechista cinese e vi passò una giornata, festeggiatissimo dai Superiori e dai giovani; ma non ebbe la consolazione d'incontrarsi, com'egli bramava, con Don Bosco, il quale era assente.
Più notevole per la nostra storia era stata il 26 aprile la visita di monsignor Eugenio Biffi, nuovo Vescovo di Cartagena in Colombia. Fu nell'Oratorio per, due giorni con [628] monsignor Marinoni, superiore dell'Istituto milanese. La mattina del 28, dopo celebrata la Messa della comunità nella chiesa di Maria Ausiliatrice, ringraziò, pieno di commozione, i giovani per avergli fatto godere con la loro pietà una mezz'ora di paradiso. Neppure a lui toccò la sorte di potersi abboccare con Don Bosco, che si trovava a Roma, né ebbe più agio di vederlo in altra occasione, perché andava a imbarcarsi nel porto di S. Nazaire. Suo scopo era di domandargli a viva voce Missionari salesiani, come aveva già fatto per lettera.
Don Bosco, appena ritornato a Torino, fece scrivere subito a monsignor Marinoni questa gentile lettera:, “D. Bosco é dolentissimo di non essersi potuto trovare a Torino al passaggio di S. E. il Vescovo di Cartagena e di aver quindi perduto la bella occasione di fare la conoscenza anche di Vossignoria Illustrissima. Don Bosco non può pel momento servirla; ma colla grazia di Dio, con un Pastore sì zelante e che sa tanto bene accaparrarsi l'affetto delle anime, quanto bene non potrebbero fare una mezza dozzina di buoni e solerti operai! Basta, preghi pur Ella il Signore, affinché Don Bosco abbia forze copiose da impiegare a gloria di Dio, nel quale pienamente confida.”
Monsignor Biffi, eroico missionario prima nella provincia di Cartagena, poi degli Indi del Yukatan, infine tra i pagani della Birmania, rientrava in Cartagena insignito della dignità episcopale, ma con un solo missionario, e la sua vastissima diocesi era un morto da risuscitare alla vita cristiana. Angosciato di sì infelici condizioni e dello scarso suo clero, oppresso dal lavoro, mentre incominciava le trattative col Generale dei Padri Eudisti per ottenere qualche operaio evangelico, non sapeva darsi pace, perché Don Bosco non avesse appagato il suo desiderio, e scrivendo il 14 ottobre 1883 a monsignor Marinoni, si sfogava in questa apostrofe: “Ah D. Bosco, D. Bosco! se i tuoi zelanti sacerdoti venissero qui, quanto bene potrebbero fare! Ti avranno detto che qui sono tutti massoni. Nelle città ve ne sono davvero; ma nei villaggi [629] la setta non ha potuto attecchire; vi sono bravi contadini, di costumi liberi, se si vuole (non può aspettarsi altro cogli esempi che hanno. sotto gli occhi), ma docili che seguirebbero la voce del Salesiano come la pecorella quella del pastore. Ah D. Bosco, D. Bosco, come hai potuto dire che per Cartagena non avevi neppure un sacerdote? Ah! queste parole mi ferirono il cuore. Perdonami se non posso comprenderle. Non bisogna fidarsi d'informazioni alle volte interessate di qualcuno che vuole scusarsi avanti agli uomini, giacché non può farlo dinanzi a Dio. Qui vi sono molte anime da salvare. Ecco la parola magica pel cuore di un Saverio! Basta, io alzo gli occhi al cielo e dico al Signore: Ho bussato a tutte le porte e non se n'é aperta nessuna; se voi così disponete, sia fatta la vostra santissima volontà. Povera Cartagena! Povera mia diocesi! Io però continuerò a fare quanto posso pel bene de' miei figli: e voglia il Signore proteggermi.”
Il Signore premiò il suo zelo con frutti copiosi e duraturi. Allora Don Bosco, occupato nelle Missioni dell'America del Sud, non poteva proprio muoversi in suo aiuto. Ma non tardarono molto i Salesiani a stabilirsi nella Colombia con prima sede a Bogotà, consacrandosi anche eroicamente ai lazzaretti dei lebbrosi. Nella diocesi di Cartagena venne loro affidata da monsignor Brioschi, successore di monsignor Biffi, una parrocchia a Barranquilla.
Nella circolare del gennaio 1883 ai Cooperatori, riandate le cose fatte di recente e quelle in via di farsi Don Bosco si porrà il quesito, se non sia un tentar Dio e commettere imprudenza il voler mettere mano a tante opere. “Io credo di no”, risponderà, adducendo la ragione avere Dio in più guise mostrato di approvare tale condotta. Argomenti: parole d'incoraggiamento da parte di venerandi prelati, di eminenti personaggi e dello stesso Sommo Pontefice; buon esito delle opere intraprese, e aiuti a intraprenderne ogni anno delle nuove; benevolenza di molte buone persone e carità ardente dei Cooperatori e delle Cooperatrici; continue [630] grazie e segnalati favori celesti, concessi da Dio e dalla Madre di Dio a quelli che venivano in aiuto con la loro beneficenza; gara caritatevole di tanti e tanti, che da varie città e paesi portavano o mandavano i frutti dei loro risparmi, il superfluo dei loro beni a sostegno delle opere che si avevano tra mano. In tutto questo egli vedrà i segni dell'approvazione divina. “Ora, conchiuderà Don Bosco, se Iddio si compiace di parlare in modo così eloquente ed efficace, noi non dobbiamo temere; anzi dobbiamo aprire il cuore alla più grande speranza e continuare ad occuparci della sua maggior gloria, sicuri che Egli non lascerà di favorirci a misura dei nostri bisogni.” Le pagine di questa storia sono e continueranno a essere la documentazione eloquente di tale assistenza divina.
LE lettere di Don Bosco non erano certamente scritte perché le leggessero altri da coloro ai quali egli le indirizzava; eppure, buttate là alla buona per l'uso di un momento, quel momento passò da un buon pezzo e le lettere ci palpitano ognora dinanzi come cose vive. Sono infatti viventi reliquie di una gran vita, le cui anche minime manifestazioni posseggono un'innata attrattiva, sicché la comune dei lettori non vi rimane insensibile; esse presentano inoltre un interesse psicologico e storico atto a richiamare in ogni tempo l'attenzione degli studiosi. I cercatori però della santità si compiacciono di ravvisare e gustare in esse tanti affiati dell'amore soprannaturale, descritto così dall'autore dell'Imitazione[567]: “L'amore é veloce, sincero, pio, giocondo, delizioso, forte, paziente, fedele, prudente, longanime, virile. Mai non cerca se stesso; ché dove uno cerca se stesso, ivi non é più amore. L'amore é circospetto, umile, diritto, non fiacco, non leggero, non volto a vanità, sobrio, casto, stabile, tranquillo, in tutte le sensazioni guardingo.”
Del 1882 ci resta un bel numero di lettere, che non hanno trovato luogo acconcio nei capi precedenti e che riuniremo qui, raggruppandole secondo le affinità del contenuto.[632]
La signora Sofia Bonola Mattei di Milano[568] gli aveva mandato una sommetta, in parte con un'obbligazione e in parte dovuta; eppure ecco in quali termini la ringrazia.
Grazie, Signora Sofia, grazie degli auguri che mi fa e dei fr. 15 che offre per una Messa e fr. 6 per la libreria.
Dio la rimeriti della sua carità e conservi Lei, la sua famiglia ed in modo speciale conceda al Sig. Marito lunga serie di anni felici.
Ella continui a beneficarmi temporalmente e noi faremo speciali preghiere perché la S. V. e tutta la sua famiglia abbia ogni giorno la pioggia delle celesti benedizioni.
Voglia anche pregare per me che le sarò sempre in G. C.
La signora Giovanna Bosio Saladino aveva in Acqui radunato intorno a sé un nucleo di cooperatrici, che tutte insieme raggranellarono un po' di strenna per Don Bosco e gliela mandarono. Il Beato non si tenne dall'esprimere a suo modo la più viva riconoscenza.
La graziosa somma di L. 60 che mi manda la S. V. a nome delle pie cooperatrici sue compagne e più ancora la bella e cristiana lettera che si compiace di scrivermi meritano certamente speciali parole di ringraziamento. Ella si compiace di notare che l'offerta é piccola. Non é tanto piccola, avuto riguardo alla grandezza di animo delle oblatrici e dei nostri crescenti bisogni. In questo momento ogni più piccola oblazione é ricevuta con molta gratitudine.
Per questi motivi le sono molto riconoscente; la ringrazio di tutto cuore e la prego di significare a tutte le cooperatrici di Acqui che io mando loro una speciale benedizione, ogni giorno le raccomando nella Santa Messa e farò fare dai nostri giovani (80.000) una speciale comunione secondo la loro intenzione. [633]
Dio le benedica e le conservi tutte in buona salute e nella sua santa grazia e vogliano pregare per me ed in modo particolare pei nostri missionari che appunto in questi giorni traversano le burrascose onde dell'Atlantico.
Ai benefattori vicini, quand'era il loro onomastico, Don Bosco godeva talora d'inviare graziosi presenti: cose di poco valore materiale, ben s'intende, ma a cui si annetteva gran pregio per riguardo al donatore. Nell'onomastico del barone Ricci non trova nulla da mandare e vi rimedia in altra maniera.
Ca.mo Sig. Barone Ricci Feliciano,
Ho cercato in tutti i lati per trovare qualche cosa da offrirle in questo suo onomastico; ma non mi fu dato trovare cosa alcuna. Pazienza!
Abbiamo in qualche maniera studiato di provvedere alla meglio possibile.
Questa mattina ho celebrato per Lei la S. Messa, i nostri giovani hanno fatto preghiere e la Santa Comunione secondo la pia di Lei intenzione.
Poi l'assicuriamo di nutrire la più viva riconoscenza pella sua carità che in più occasioni ci ha voluto fare; pregheremo ogni giorno il Signore affinché la consoli nella vita mortale e le tenga assicurata la vera consolazione a suo tempo in paradiso.
Colla più sincera riconoscenza ho l'onore di professarmi in G. C.,
Aff.mo amico ed obbl.mo servitore
Verso chi lo beneficava, si mostrava sempre disposto a usare ogni deferenza, non calcolando la molestia che non di rado questa delicatezza gli poteva recare. Così la signora Magliano[569], cotanto generosa con lui, aveva però le sue fantasie; ma Don Bosco evitava in tutto e per tutto di contrariarla.[634]
Raccomandi giovanetti quanti ne vuole per farli preti o buoni cristiani. Io li accetto tutti; ma quando sarò alla vigilia della bancarotta, io volterò le cambiali sopra di Lei.
Ella ci penserà... Ciò per ridere.
Venga quando vuole, aggiusteremo tutto che riguarda agli studenti di cui parla il P. Guardiano dei Capp. di Busca.
Dio la benedica e la conservi a vedere il frutto delle sue opere di carità e mi creda in X. S. G. C.
Ha cura di mettere in valore anche offerte di poco rilievo, specificando l'alto scopo a cui dovevano servire, come in questo biglietto ad una maestra.
Con vero sentimento di gratitudine ricevo la somma di franchi 26 dalla Signora Amalia Sartena Maestra di scuola comunale e tale offerta é in aiuto dei Missionari Salesiani che lavorano per la dilatazione del Vangelo fra i selvaggi della Patagonia.
La sua maniera più ordinaria di ricambiare i benefizi era di pregare e far pregare per chi glieli faceva, massime quando si trattasse di ottenere qualche grazia così col sacerdote Don Oreste Pariani:
Con piacere grande ho ricevuto prontamente la sua venerata lettera con entro fr. 700. La ringrazio ben di cuore e non mancherò di pregare per tutte le intenzioni che mi accenna, ma in modo particolare per la sorella inferma. Anzi a tale fine farò anche pregare tutti i nostri giovanetti (150 mila), affinché riuniti gli sforzi, costringiamo, per così dire, il Signore a concedermi tutte le grazie che non sono contrarie al bene dell'anima dell'ammalata che mi raccomanda. Se mai Ella venisse in questi nostri paesi faccia capo presso di noi come fratello e ci farà vero piacere. [635]
Dio benedica Lei, o caro Don Oreste, e con Lei benedica sua zia, sua sorella ammalata e ci conservi tutti nella sua santa grazia e mi creda con gratitudine grande.
S. Benigno Canavese, 5 settembre 1882.
In questi ultimi cinque volumi abbiamo visto le cifre, dei giovani salire dai venti ai quaranta, agli ottanta mila, ed ora siamo arrivati ai centocinquantamila. Con questi calcoli indubbiamente Don Bosco intendeva fare dell'iperbole; non si iperboleggia del continuo nella conversazione col mille, senza che alcuno se ne scandalizzi? Diciamo infatti: Mille volte no! altri mille anni di vita! mille impicci, a mille doppi. - Nell'usare di questa figura rettorica il suo scopo era uno solo, di rappresentare in forma plastica ed efficace l'enorme sproporzione che correva fra le possibilità di un privato come lui e l'entità dell'intera sua Opera: Don Bosco stava allora di fronte ai suoi giovani nel rapporto dell'uno a centocinquantamila. Perché la generalità degli uomini possa formarsi un concetto adeguato della grandiosità di un'impresa, il cui carattere sia prevalentemente morale, bisogna fargliela guardare attraverso una lente d'ingrandimento. E badiamo bene che l'esagerazione di Don Bosco aveva la sua base, poiché egli calcolava tutta la gioventù maschile e femminile dei collegi, degli oratori, delle Missioni e anche tutta quell'altra, a cui giungeva il suo benefico influsso per il tramite dei Cooperatori e delle Cooperatrici. La somma diventava così rilevantissima.
Ricordino i lettori quella Maria Acquaroni, di Porto Maurizio, alla quale una benedizione di Don Bosco restituì la salute nel 1881[570]; a lei é indirizzata la lettera che segue. [636]
Stimabilissima Sig. Maria Acquaroni,
A suo tempo ho ricevuto la lettera del Sig. Luigi Sartorio, la sua, e il denaro (150 fr.) che racchiudeva. Dal canto mio fo umili ringraziamenti e a suo tempo Dio pagherà da buon padrone.
Io sono assai contento che la sua sanità sia sufficientemente buona; io pregherò co' miei fanciulli affinché diventi migliore, anzi perfetta. Nel mese di gennaio prossimo spero di passare a Porto Maurizio e sospendere brevemente il mio viaggio a fine di riverirla e fare insieme una breve preghiera per Lei e per la sorella Vincenza.
Dio le conservi tutte e due in sanità; le conceda di perseverare nel servizio del Signore sulla terra per essere poi un giorno ricevute da Maria SS. in cielo a godere la vera ed invariabile felicità. Vogliano, anche pregare per me che con gratitudine sincera loro sarò sempre in G. C.
La signora Luigia Radice, vedova Vittadini, era una zelante cooperatrice salesiana milanese. Il Beato, ogni qualvolta si recava a Milano, le faceva visita. Allora essa riuniva intorno a sé i parenti che desideravano conoscerlo e parlargli. Consacrandosi la chiesa di S. Giovanni Evangelista, la benefattrice aveva inviata la sua offerta; qui Don. Bosco la ringrazia.
Con grande mia consolazione ho ricevuto di sue notizie. Ella stà meglio. Sia benedetto Iddio. Spero la perfetta guarigione. Abbiamo fatto la consacrazione della Chiesa di S. Gio. Evangelista. Che concorso, che feste, quante confessioni di uomini! Oggi a mezzogiorno si confessava ancora. Ne goda, ne ringrazi il Signore.
Dio ci benedica tutti e mi creda sempre.
PS. Grazie della sua carità. La rimeriti Iddio.
Di Porto Maurizio era pure la signora Musso Bensa, accasata a Torino, la quale, avendo comunicati a Don Bosco i [637] saluti del proprio padre e delle sorelle Acquaroni, n'ebbe in risposta la seguente letterina:
Non mancherò di pregare secondo le intenzioni che accenna e farò anche pregare Maria A. da' miei giovanetti.
La ringrazio dei rispettosi saluti che le sorelle Acquaroni e suo Sig. Padre mi mandano. A Dio piacendo nel corso dell'inverno spero di poterli tutti riverire personalmente.
Voglia ossequiare da parte mia il Sig. suo marito. Dio ci benedica tutti e ci conservi sempre nella sua santa grazia ed Ella preghi anche per me che le sarò sempre in G. C.
Il conte Guido Lazzoni da Carrara nel mandare a Don Bosco un'offerta, erasi rivelato così bravo cristiano, che il Beato, ringraziandolo, prese ansa a proporgli senz'altro il solito modo d'impiegare ad altissimo frutto i propri capitali.
Ho ricevuto la sua lettera e l'offerta in essa contenuta. La ringrazio ben di cuore; Dio la rimeriterà e noi pregheremo per Lei, per tutte le sue intenzioni e in modo particolare per la compianta consorte. Credo però a quest'ora sia già in gloria con Dio e non occorrano più preghiere per volare al cielo.
I pensieri veramente cristiani della sua lettera fanno conoscere che Ella ha religione e che la pratica. Pertanto io mi rallegro con Lei e benedico Iddio che l'abbia conservato in buona salute forse pel bene della sua Chiesa. Se mai venisse a Torino mi procurerebbe onore e un dolce piacere con una sua visita.
Io non so se la sua posizione le permetta di fare beneficenze ai poverelli. Se ciò fosse io mi raccomando pe' miei orfanelli dell'Ospizio di S. Vincenzo in Sampierdarena. Abbiamo colà un trecento giovanetti che mancano di pane e sono quasi tutti vestiti da estate in questa stagione.
Mi compatisca se parlo con troppa confidenza. Comunque però Ella faccia, io sono egualmente obbligato, e pregherò ogni mattino nella Santa Messa secondo la sua intenzione.
Dio la benedica e voglia pregare anche per questo poverello che le sarà sempre in G. C.
Il cavaliere Vesme torinese, buon amico dell'Oratorio desiderava che Don Bosco gli ottenesse un titolo nobiliare. Sullo stato della pratica lo interpellò per mezzo di Don Rua, che gliene scrisse a Marsiglia. La cosa dipendeva in massima parte dal commendatore Correnti, segretario generale dell'Ordine Mauriziano. Fra i meriti che a tal fine si dovevano far valere uno era l'aver compiute opere benefiche di pubblica utilità; bisognava inoltre elargire a vantaggio del grande ospedale mauriziano mantenuto dall'Ordine una somma non inferiore a ventiquattro mila lire. Don Bosco, amicissimo del Correnti[571], dopo avere già procurato agevolazioni al Vesme, suggerisce qui che cosa gli rimane a fare prima che egli si occupi ulteriormente della faccenda.
A fine di rispondere alla domanda del Sig. Caval. Vesme ho giudicato bene di interpellar la persona autorevole da cui dipende l'esito della pratica. Ecco adunque il da farsi.
I) Versare dieci mila lire al cassiere dell'Ordine Mauriziano per la chiesa a costruirsi accanto al novello Ospedale de' Cavalieri.
2) Altre dieci mila lire per comperare pane o meglio per pagare commestibili provvisti ai nostri poveri giovanetti.
3) Un certificato di buona condotta civile della o meglio sulla persona de qua: su carta libera che sia di qualunque autorità governativa o municipale. Di ogni cosa mi sia mandata ricevuta regolare unitamente al certificato sopramentovato. Tutto il resto lo farò io stesso e me ne darò sollecitudine. Dirai al Cav. Vesme che sono così inteso col Comm. Correnti. La tassa ordinaria per tale titolo trasmessibile sarebbe di fr. 24 mila. Nel caso presente fa una eccezione.
Dio ci benedica e ci conservi tutti nella sua santa grazia. Con umili rispetti al caro e rispettabile Sig. Cav. Vesme.
Durante la sua dimora a Roma chiese all'onorevole Zanardelli, ministro di Grazia e Giustizia, un degno riconoscimento ufficiale di meriti acquistatisi da un medico francese presso gl'Italiani residenti a Marsiglia e per la sua opera "gratuita a pro dell'oratorio S. Leone.
Un cittadino in misura eccezionale propenso a beneficare gli Italiani dimoranti in Marsiglia é senza dubbio il Sig. Feliciano Bousquet dottore in medicina e chirurgia.
Egli presta gratuitamente il servizio medico a tutti quegli Italiani che ne lo vanno a richiedere a casa sua, o lo invitano di recarsi al loro domicilio in qualunque ora del giorno o della notte.
Da quattro anni é il medico ordinario dell'Ospizio di S. Leone, in cui vi sono oltre a trecento poveri giovanetti la maggior parte Italiani. Qui con zelo grande presta eziandio l'opera sua gratuitamente in qualunque ora ne sia richiesto.
Gode meritatamente il nome di onesto e caritatevole cittadino, come assai volentieri sono pronti dichiarare il Municipio di Marsiglia ed il Console Italiano residente in quella città.
Per questi ed altri titoli pare che sia ben degno di una decorazione da parte del nostro Governo, qualora la E. V. lo giudichi opportuno.
Ciò tornerebbe a lui di onorata ricompensa e lo incoraggerebbe certamente a continuare la sua benevola e gratuita assistenza alle numerose famiglie italiane che dimorano in quella città di Marsiglia.
I° Unisco qui copia di vari documenti.
2° Si faranno pervenire prontamente quelle dichiarazioni che possono occorrere all'uopo.
Stefano Quartino, alunno della prima liceale nel collegio di Alassio, aveva domandato consiglio intorno alla propria vocazione; il Beato gli rispose così:
Con piacere ricevo la tua lettera piena di ottimi progetti e di santi pensieri. Ed io non posso a meno che lodarne la elevazione. Non posso però ben comprendere se tu desideri avviarti al sacerdozio nello stato secolare o farti salesiano. Nel primo caso ci sarebbero difficoltà da [640] appianare; nel secondo tu avresti soltanto da fare con me. Di questo tratta col Sig. Direttore Don Cerruti ed egli te ne darà spiegazione.
Ad ogni modo nel corso delle vacanze ci parleremo e tratteremo tutto quanto che può tornare al bene dell'anima tua.
Dio ti benedica e prega per me che ti sarò sempre in G. C.
Il Quartino vestì l'abito nell'ottobre dell'anno stesso a S. Benigno e prematuramente morì nel 1901 direttore della nuova casa di Siracusa, che ebbe anch'essa vita breve.
Con Quartino faceva gli esercizi a S. Benigno Teodoro Harmel, già ventenne, nipote del bon pére Leone di Val des Bois. Aveva parlato precedentemente della sua vocazione con Don Bosco in Francia. Interrogatolo se avrebbe potuto salvarsi tanto nel mondo che nella vita religiosa, ne aveva ricevuto questa risposta: - Non le dico che faccia male a ritornare in famiglia; conducendo una vita buona, potrà salvarsi anche nel secolo. Tuttavia le consiglio di rimanere con noi. - Insomma lo lasciava completamente libero, ed egli tornò a casa.
In agosto poi, riflettutovi meglio e con il consenso dei genitori, venne a S. Benigno per prepararsi al noviziato; ma, finiti gli esercizi lo assalse una così violenta nostalgia, che risolse di andarsene. Chiedeva perciò a suo padre l'itinerario da seguire e come fare per i denari del viaggio. Don Bosco sulla sua stessa lettera e sotto i suoi occhi scrisse in italiano:
Il suo Teodoro é venuto con buona volontà, sta bene di sanità, fu sempre contento di tutto. Dice che gli esercizi spirituali gli fecero gran bene. Non adduce alcuna ragione: dice solamente che vuole ritornare in famiglia. Io vorrei che rimanesse, ma egli insiste ed io non posso farlo rimanere per forza. Le scriverò presto.
I miei rispetti a tutta la sua famiglia; Dio ci benedica tutti e mi creda in G. C.
PS. Pel danaro non si dia pensiero. Se occorrerà, daremo quanto sarà necessario. [641]
Teodoro vi aggiunse un lungo poscritto, dove fra l'altro diceva: “Don Bosco mi fa leggere la lettera. Mi dice che debbo rimanere; ma io non mi sento la vocazione. Prevedo che se rimanessi non potrei vivere dalla malinconia [...]. Non ne posso più. Tagliate corto con una risposta decisiva.”
Partì dunque. Ma, passati sette anni, poco dopo la morte di Don Bosco, nel gennaio del 1889 andò a fare l'aspirandato e il noviziato a Marsiglia, ed é a tutt'oggi (luglio 1933) un esemplare sacerdote salesiano.
Per Don Nicola Fenoglio salesiano si trattava non di vocazione da seguire, ma di vocazione in cui perseverare. Venuto a S. Benigno nel 1880 dopo aver compiuti regolarmente gli studi teologici nel seminario torinese, fu ordinato sacerdote nel marzo del 1882 a Padova, poiché apparteneva alla casa di Este. Prima di entrare nella Congregazione egli aveva l'abitudine di sottoporsi a penitenze corporali molto fuori dell'ordinario con serio pericolo della salute; ma, quando fu salesiano, Don Bosco e gli altri superiori gl'imposero le dovute moderazioni. Egli però non vi si sapeva rassegnare[572]. Nella seguente lettera Don Bosco cerca di richiamarlo a più ragionevoli propositi.
Lodo il tuo desiderio di fare e patire qualche cosa per la maggior gloria di Dio; ma prima di venire all'opera desidero che ci parliamo qualche istante personalmente. Ciò faremo nella muta degli Es. Sp. che sarà fissata a tua comodità.
In questo frattempo procura di esercitare la virtù della carità, della pazienza, e della dolcezza di S. Francesco di Sales.
Prendi caldo, freddo, sete, dispiaceri come altrettanti regali che ti fa il Signore.
Il resto quando ti manifesterò i miei divisamenti a tuo riguardo.
Dio ti benedica e ti aiuti a camminare per la via del cielo. Prega anche il Signore per me che ti sarò sempre in G. C.
Si vede che la parola di Don Bosco durante gli esercizi non valeva a frenarlo; infatti ruminava di passare sott'altra regola, forse la filippina, che gli concedesse in questo maggior libertà. Il Beato, ravvisando in ciò una vera tentazione, si fece a dissuaderlo da quel passo.
P. Riva mi consegnò la tua lettera. Sta tranquillo della tua vocazione. Pensare ad altra vocazione dopo la fatta professione, vale cedere alla tentazione.
Manete in vocatione qua vocati estis. Il Demonio vorrebbe per sé le anime che Dio ti affida, Non lasciarti ingannare. Ti dirò poi tutto a voce.
Dio ti benedica; lavora molto a guadagnar anime.
Prega per me che ti sarò sempre in G. C.
Don Fenoglio perseverò nella Congregazione fino alla morte, che lo sorprese nella casa di Malaga. Nella Spagna l'aveva mandato Don Bosco stesso: dal 1886 al 1910 operò colà gran bene.
E' la nota predominante in undici lettere scritte a personaggi ragguardevoli, dai quali riceveva benefizi e coi quali trattava a cuore aperto e con la libertà propria dei santi.
Con ammirabile confidenza diede sul principio dell'anno l'assalto al cooperatore ligure monsignor Fantini per farsi regalare da lui la bagatella di cinquanta mila lire.
Carissimo e Reverendissimo Monsig. Can.co Fantini,
A suo tempo ho ricevuto la sua cara lettera e godo assai che la sua sanità vada migliorando. Io l'ho sempre raccomandata alle preghiere dei nostri giovani, ed io aggiunsi e continuo ancora oggidì un memento quotidiano nella Santa Messa. Spero che Dio ascolterà le povere nostre preghiere e che la S. V. riacquisterà la sua primiera salute.[643]
Vi sarebbe però un bel colpo a fare per istrappare la grazia compiuta dalle mani del Signore. Ascolti. All'Ospizio di Sampierdarena si trovano in grave bisogno. Colà i giovani nostri sanno di fame. Ho già mandato e mando quanto posso, ma non basta. Le passività vanno a 100 mila lire. Ella pertanto, unicamente per amor del Signore e per assicurarsi la sanità del corpo e la salvezza dell'anima pigli cinquantamila lire in biglietti di Banca o in titoli a portatore, e li porti a quell'Ospizio. Colà troverà il povero Direttore che si trova in orgasmo pei suoi debiti. Lo consolerà, solleverà i poveri affamati.
Ella dirà che é una somma grossa. E’ vero, ma la mercede é assai più grande. D'altronde la vita nostra corre al suo termine come un celere destriere e ciò che non facciamo noi non sappiamo se lo faranno altri.
Non ho tardato a pregare e a far pregare per la famiglia che mi raccomanda; spero che Dio prepari non ordinarie consolazioni alla medesima.
Di tutto buon grado prego per Lei, o sempre caro Sig. Canonico, e prego per la buona Nicoletta e pel suo nipote chierico. Dio ci benedica tutti e tutti ci conservi nella sua santa grazia; voglia pregare anche per me che le sarò sempre in G. C.
Con i conti De Maistre era poco meno che di famiglia, come si vede anche dalle due lettere, che ora leggeremo. Ecco la prima.
Nei giorni che Ella mi accenna non mancherò di pregare ed anche far pregare pel buon esito degli esami, che dovrà sostenere il suo Sig. Nipote Enrico de Menthon. Nemmeno dimenticherò Lei, o Sig. Eugenio, e tutta la sua famiglia.
Ho veduto la Signora Annunziatina qualche momento nella Sacristia. Mi disse che Ella é bene in salute e che la frazione della Famiglia alla medesima affidata le dà molta soddisfazione[573].
Saprà la risoluzione presa dalla Sig. Cont.ssa Filomena Medolago. Essa è entrata nelle Orsoline di Bergamo. Lo seppi quando era già tutto fatto. Optimam partem elegit. [644]
Dio benedica Lei, o caro Sig. Conte Eugenio, e con Lei benedica tutta la sua famiglia e voglia anche pregare per me che le sarò sempre in G. C.
L'inesattezza delle prime informazioni aveva tratto in errore Don Bosco nei riguardi della contessa Medolago, nata De Maistre: non nelle Orsoline era entrata, ma nelle Figlie del Sacro Cuore, del qual istituto essa aveva preso conoscenza a Bergamo[574].
La seconda lettera si aggira piacevolmente intorno all'eventualità di un prossimo incontro. Don Bosco, viaggiando da Alassio a Torino sulla linea di Savona, sarebbe passato per Villastellone, dove scendeva chi si recava a Borgo Cornalense, anche oggi residenza dei De Maistre.
Ho misurato il tempo, ma non so se la mia andrà d'accordo colla sua giornata. Io potrei trovarmi alla sera del 29 alle 9,53 a Villastellone. Se é sì, abbia la carità di mandarmi qualche legno alla stazione. Se é no, o che Ella fosse già partito, non occorre più. Perciocché non facendomi scrivere niente é segno che non facciamo buona concordanza e quindi io continuo il mio cammino a Torino.
Le benedizioni del Cielo siano copiose sopra di Lei e sopra tutta la famiglia sua, e voglia pregare anche per me che le sarò sempre in Nostro S. G. C.
La lettera seguente, di cui é in nostro potere l'autografo, non sappiamo a chi fosse indirizzata. In Piemonte Don Bosco chiamava sua “buona Mamma” la contessa Callori e la contessa Corsi.
Da più giorni voleva scrivere ad unico fine di sapere di sue notizie. Sapere cioè se era ancora su questa miserabile terra o fosse già volata [645] al paradiso senza nemmeno prendere qualche mia commissione. Ora con gran piacere conosco che é tuttora con noi in esiglio. Va bene. Cercheremo di aiutarvi alla meglio, ed ogni giorno io la raccomanderò nella Santa Messa.
Dimori tranquilla al monte S. Vittorio[575]; gli avvenimenti si compieranno altrove, ma Ella non sarà disturbata. Dio la benedica, o mia buona Mamma, Dio la conservi in buona salute e voglia pregare per questo poverello che le sarà sempre in G. C.
La familiarità dà il tono a tutte le lettere che Don Bosco scrive alla contessa Callori. Eccone un saggio.
Ricevo il biglietto che mi scrive dall'Oratorio. Avrei avuto piacere di poterla riverire e parlarle di qualche cosa, non però di alta importanza. Se mai lunedì prossimo Ella fosse ancora a Torino ci potrei fare una gita.
Ella mi dà la notizia che la Contessa di Damincourt (é scritto bene?) ha vinto una questione importante. Ne sapeva ancora niente. Non ricordo i particolari; parmi che abbia promesso una generosa offerta se fosse stata favorita in una lite giudicata disperata. Se Ella ricorda qualche cosa me lo dica, ossia abbia la bontà di dirmelo ed io la ricompenserò con un Ave Maria.
Ogni bene a Lei, a tutta la sua famiglia e voglia pregare pel povero
S. Benigno Canavese, 29 agosto 1882.
Identica impronta recano le lettere del Beato alla tanto Benemerita marchesa Fassati.
Sono lieto, Signora Marchesa, di poterle inviare alcune medaglie o meglio immagini di Maria SS.ma A. da inviare a chi sarà di suo gradimento. Ad una di queste ho voluto scrivere qualche parola in latino per Lei, perché tanto la Madonna quanto la S. V. comprendono assai bene questa lingua.
L'anno scorso aveva preparato un libretto L'orfanella degli Appennini con preghiera di farne la traduzione e stamparla in Francese. Non so però se quel libro sia pervenuto a sue mani. Se mai non lo [646] trovasse più e potesse fare detta traduzione, io ne manderei tosto altro esemplare, perciocché mi é da varie parti richiesta la stampa in francese di quella operetta.
La ringrazio delle buone notizie che mi dà dei nipotini De Maistre, e non mancherò di pregare per loro ed in modo particolare pel buon Rodolfo affinché sia illuminato sulla scelta dello stato.
Io sono qui a S. Benigno con una divisione del mio esercito Salesiano. I nostri esercizii hanno cominciato col mese di agosto e continueranno di muta in muta fino al 9 di ottobre. Tra il 10 e il 15 di questo mese, spero di recarmi a respirare un po' di aria quieta al Pessione[576] e dare un po' di ordine alle carte agglomerate sul mio tavolino. In questo modo manterrò la mia parola e godrò della sua carità, come ho già tante altre volte goduto.
Dio la benedica, o Benemerita signora Marchesa, e la conservi in buona salute, ma sempre per la via del cielo e voglia pregare anche per me che con gratitudine le sarò sempre in G. C.
S. Benigno Canavese, 30 agosto 1882.
PS. Se mai la Baronessa Azelia ed il Barone Carlo fossero con Lei al Pessione, la prego a volerli riverire da parte mia e raccomandarmi alle loro preghiere.
Il titolo del “libretto” che aveva “preparato” l'anno avanti ossia del quale aveva spedito una copia alla Marchesa perché lo traducesse in francese, era questo: Angelina o l'Orfanella degli Appennini. Apparteneva alle Letture Cattoliche fino dal novembre 1869 col numero 203 della collezione. E' la biografia di una ricca signorina, che, impedita di farsi religiosa, fuggì dal palazzo paterno e si assoggettò per tutta la vita a servire sconosciuta, in una casa di contadini[577]. Non ci risulta che la traduzione sia stata fatta.
Alla signora Angela Piccardo, buona cooperatrice di Mele presso Voltri, risponde e domanda senza tanti complimenti.
Va tutto bene quanto mi dice del Chierico Artana. Io lo vedrò volentieri. Dovendo però dal 13 al 20 settembre prossimo trovarmi e [647] dimorare nel nostro Ospizio di S. Pierdarena, potrà più facilmente costà recarsi.
Di tutto buon cuore pregherò per Lei e per la sua sanità come ho sempre fatto da che ho avuto l'onore di fare la personale di Lei conoscenza.
Credo che Ella pure mi favorirà una visita in S. Pierdarena; ed in tale occasione non dimentichi di portarmi un taschetto di marenghini di cui ho molto bisogno.
Dio la benedica, o Signora Angela, e la conservi in buona salute ma sempre nella sua santa grazia e voglia pregare anche per me che le sarò sempre in G. C.
S. Benigno Canavese, 31 agosto 1882.
Con che disinvolta semplicità prega il Rettore di Loranzé nella diocesi di Aosta, che gli mandi aiuti e gli procuri aiutatori!
In questo anno ed in questi giorni sono veramente in bisogno di danaro. La Cartiera di Mathi, alcuni lavori dell'Oratorio di Torino e di S. Benigno e il pane già consumato da circa 150 mila giovanetti mi sollecitano a pagare gravi somme, mentre mi trovo colle finanze esauste.
Ella mi venga in aiuto prima colla sua borsa, poi supplicando il suo zio Prevosto, e infine supplicando il Sig. Pagliassotti che faccia quanto può in questo momento eccezionale.
Quod superest, date eleemosynam. Gli spieghi quod superest.
Sono tuttora qui a S. Benigno per altra muta di esercizi sp. Mi saluti suo zio Prevosto e sua sorella e voglia pregare anche per me che le sarò sempre in G. C.
PS. Favorisca portare la lettera qui unita al Sig. Pagliassotti con qualche parola di raccomandazione.
Il cenno alla cartiera di Mathi non aveva bisogno di spiegazioni per chi doveva aver letto il Bollettino di marzo. Il 3 febbraio la cartiera di Mathi era stata teatro di un grosso disastro. Verso le cinque del mattino una fragorosa esplosione scosse e atterrì tutto il tranquillo paese. Mentre due [648] operai lavoravano intorno alla macchina, era scoppiata la caldaia a vapore, entro cui cuocevano i cenci: volte, muri, tetto della casa saltarono in aria: ne fu sconquassato tutto il macchinario della fabbrica: i due poveri uomini rimasero schiacciati sotto le macerie. Bisognava pertanto rifabbricare l'edifizio, provvedere nuove macchine e acquistare nuovi attrezzi.
L'affare di Mathi torna a essere menzionato in una lettera alla signora Magliano, lettera che é un capolavoro di grazia pur nell'eterno ritornello del chiedere e chiedere.
Nel giorno natalizio le Madri sogliono fare qualche regalo ai loro figli, sebbene talvolta non ne abbiano gran merito. Così, per mezzo di Lei ricorro alla Madonna SS. affinché mi voglia fare un regalo non ordinario. Come già le accennava a Torino, mi trovo tra mano la spesa della cartiera di Mathi, il saldo dei lavori per la chiesa di S. Giovanni Evangelista, le costruzioni accanto alla chiesa di Maria Ausiliatrice, e le nostre missioni di America. La somma assolutamente necessaria in questo momento é di dodici mila lire, ma io accetto con gratitudine qualunque offerta, qualora non possa fare l'opera intiera. Veda con quale fiducia ricorro a Lei; ed Ella se l'aggiusti colla Madonna. Intanto io pregherò tanto questa celeste Madre per Lei, affinché la conservi in buona salute, ma sempre per la via del Paradiso, che le auguro di tutto cuore, ma non tanto presto, perché desidero che muoia povera e che si distacchi totalmente dalle cose della terra per portare seco al cielo il frutto di tutte le sue opere di carità.
Per sua norma al giorno 13 vado a S. Pierdarena per altra muta di esercizi spirituali; di poi ad Alassio, di poi a S. Benigno Canavese, ed infine a Torino stabilmente pel 9 di ottobre. Ma per qualunque indirizzo sia sempre a Torino, donde, senza ritardo, qualunque piego mi é prontamente fatto recapitare.
Lunedì, se piacerà a Dio, Don Pavia partirà per Busca. Poverino! Ha lavorato, é stanco, e tocca a Lei il farmelo veramente buono[578].
Dio la benedica e voglia pregare anche per me che con gratitudine grande le sarò sempre in G. C.
S. Benigno Canavese, Giorno natalizio di Maria, 1882.
Col canonico Martini di Alassio[579], da cui riceveva e a cui faceva tanto bene, usava ormai dimestichezza da amico.
Dal 22 al 29 di questo mese mi trovo ad Alassio per una breve muta di Eserc. Spir.li in quella casa. Venga anch'Ella a passare que' giorni con me e così potremo parlare un poco dei nostri affari e passare qualche ora in amichevole ricreazione.
Iddio ci benedica tutti e tutti ci conservi in buona salute, ma perla via del cielo. Così sia.
Voglia pregare anche per me che le sarò sempre in G. C.
S. Benigno Canavese, II settembre 82.
Era stato eletto Vescovo di Treviso Don Giuseppe Apollonio, cooperatore salesiano e grande amico di Don Bosco. Don Lemoyne lo menziona più volte ne' suoi ultimi volumi. Di quell'elezione il Beato godette anche perché la casa di Mogliano si trovava nella diocesi del neo-eletto.
Mio Car.mo D. Apollonio ed Eccel.za Rev.ma,
Ma bisogna proprio che Dio ci voglia nelle sue mani. Abbiamo testé fondata una casa in Mogliano, e di quella Diocesi Ella ne é fatto Vescovo. Sia in ogni cosa benedetto il Signore.
Di tutto cuore celebrerò la S. Messa e reciterò l’Ave Maria secondo la sua pia intenzione. Ho pure io una particolare intenzione che Dio la conservi in buona salute ad multos annos. Non sarà lungo tempo che io, si Dominus dederit, andrò a farle una visita e passare con Lei almeno qualche ora.
Ho ricevuto la sua elemosina di fr. 15 e ne la ringrazio.
Scrivo troppo male. Ho sessantasette anni e non so ancora scrivere; potrò meglio imparare in avvenire?
Dio ci conservi tutti nella sua santa grazia e doni la sua santa benedizione ai suoi Salesiani che per mezzo mio si inchinano e si professano
Alassio-Torino, 23 settembre 1882.
Con grande cordialità e cortesia scrive al suo benefattore torinese signor Giuseppe Ceriana.
Grazie della cortese sua lettera. Io non potrei per qualche tempo uscire di casa, ma mi trovo a' suoi cenni qualunque giorno ed ora a Lei piacesse fare un passo fin qui; ma a tutta sua comodità. Ho poi piacere che vada a fare una visita alla Chiesa di S. Giovanni Evangelista. Qualora ciò sia abbia la bontà di far chiamare il Sac. Marenco Direttore che si fa certamente un gran piacere di accompagnarla.
Godo sempre grandemente quando posso augurare le benedizioni del cielo sopra di Lei e sopra tutta la sua famiglia, mentre ho l'alto onore di potermi professare
Nella vigilia della festa di Maria Ausiliatrice Don Bosco rivolse un pensiero al conte Cays, costretto a starsene lontano in sì solenne occasione. Inappetenza e insonnia l'avevano obbligato a tentare le arie salubri del suo castello di Casellette.
Con piacere grande ho ricevuto la sua lettera. Dai sentimenti in essa espressi parmi che la sua sanità abbia migliorato assai, ed io ne benedico Iddio con tutto il cuore.
Io sarei stato lietissimo di averla con noi in questi giorni, che danno lavoro a tout le monde, come dicono i Francesi. Spero però di poterla riverire personalmente quanto prima o qui a Torino o costà a Casellette.
Ella sa che io l'amo molto nel Signore. Prego e fo pregare per Lei, e quanto abbiamo é tutto a sua disposizione.
Dio la benedica, o sempre caro Sig. Conte, e le dia ottima salute. Voglia pregare anche per me che le sarò sempre in G. C.
La salute non tornò più al Conte[580]. Nell'estate provò le acque di S. Didier presso Aosta. Fece gli esercizi spirituali a S. Benigno nei primi giorni di settembre. Il 28 di quel mese passò alcun tempo del mattino ad ascoltare le confessioni dei fedeli nella chiesa di Maria Ausiliatrice. Alla sera cenò, cosa insolita, con appetito: sembrava che le cose andassero meglio. Ma nella notte fu preso da una specie di rantolo, che gli disturbò alquanto il riposo. Da questo sintomo giudicando vicina la sua ultima ora, ad altro più non volle pensare che a Dio e all'anima.
Aveva una reliquia della santa Croce, che un tempo era solito mettersi al collo andando al Parlamento, perché in quell'aula gli stavano appunto di fronte le partes adversae. Messo il prezioso legno entro un borsellino, che si fece attaccare al braccio, di tratto in tratto v'imprimeva baci, meditando la passione del Signore e pregando il divin Redentore di dargli forza a patire per amor suo.
La sera del 29 tornò Don Bosco sul tardi a Torino e si recò a visitarlo poco prima della mezzanotte. L'infermo gli chiese in grazia che ne volesse ascoltare la confessione. Poco dopo per le sue calde istanze gli fu amministrato il Viatico. Prima di comunicarsi domandò perdono dei dispiaceri o scandali che avesse potuto cagionare ai confratelli, come pure di tutti gl'incomodi che avesse dati a qualsiasi di loro, parlando in guisa da muovere alle lacrime gli astanti.
Fece quindi chiamare telegraficamente il Conte suo figlio, al quale diede sereni consigli con la benedizione sacerdotale e paterna. Appresso chiese e gli fu amministrata l'Estrema Unzione; volle pure la benedizione papale, benché non apparissero veri indizi di prossima fine. Il dottore Bruno però, visitatolo, dichiarò che l'arte non vi aveva più nulla a fare.
Il I° ottobre, domenica, essendo la festa del Rosario, desiderò che Maria gli aprisse in quel giorno le porte del [652] Paradiso. Don Bosco, nonostante il bisogno di recarsi a San Benigno per l'ultimo corso di esercizi spirituali, aveva differito la sua partenza per assisterlo negli ultimi momenti, qualora entro la giornata il Signore l'avesse chiamato a sé. Poi un lieve miglioramento manifestatosi d'improvviso lo indusse a partire per S. Benigno, dove era aspettato da molti, che volevano confessarsi da lui; ma non partì senza prendere congedo dal suo vecchio amico, confortandolo con parole ispirategli dall'affetto e dalla fede. Per grande che fosse il suo desiderio di avere l'assistenza di Don Bosco in punto di morte, il virtuoso Conte fece con animo tranquillo anche questo sacrifizio al Signore, rassegnandosi pienamente ai divini voleri.
In vita aveva pregato spesso Iddio a non permettere che pene e dolori lo tormentassero nell'ultima malattia, perché temeva di non avere abbastanza pazienza. Dio lo esaudì; infatti l'unico suo male era una grande stanchezza e prostrazione di forze senz'altra sofferenza fisica o morale. Egli attribuiva questa grazia alla materna intercessione di Maria.
Il mattino del 3 ottobre volle fare nuovamente la santa comunione. D'allora in poi non parlò più che del suo viaggio all'eternità. Si faceva leggere le preghiere per la buona morte sul Giovane Provveduto, invocava sovente Maria Santissima e i suoi santi Protettori e baciava con fervore il crocifisso, che da due giorni teneva sul letto. Alla sera con tutta franchezza e serenità disse: - Stasera non morrò, ma domani non vi sarò più. -
Vedendolo declinare sensibilmente, Don Rua non lo abbandonò per tutta la notte e con lui stette il barone Alberto della Torre nipote del morente e a lui carissimo per lunga e intima comunanza di affetti, di religiosi sentimenti e di carità premurosa verso il prossimo.
Alle ore dieci e mezzo chiese che gli si leggessero ancora una volta le preghiere della buona morte; poi gli venne impartita a sua richiesta l'assoluzione sacramentale. Quindi, nascosta la fiammella della candela con un paralume per rendere [653] oscura la camera, Don Rua si ritirò qualche istante. Allora l'infermo si addormentò tranquillamente. Svegliatosi di botto, domandò tutto allegro al barone della Torre: - Che ora é?
- Mezzanotte, gli fu risposto.
- Mai più! Non vedi com'é chiaro?
- Eppure la mezzanotte é sonata adesso adesso.
- Non pare possibile, con la camera così illuminata.
Sarà stato un riflesso di quella luce immortale, in cui doveva fra breve immergersi? Il fatto é che quella luce lo riempì di gioia ineffabile, e silenzioso sembrava bearsi in un arcano oggetto visibile a lui solo.
Esortato a riposare, si riaddormentò con una misteriosa serenità diffusa nel volto. Ridestatosi, prese a ripetere fervide giaculatorie. A un'ora e mezzo dopo la mezzanotte si fece più volte il segno della croce; ma la destra non gli poteva più giungere fino alla fronte. Suggeritegli alcune invocazioni, le ripeté con sentimento, ma con un filo di voce. Era agli estremi. Furono chiamati subito il figlio, la nuora e il di lei fratello barone Garofoli, che si erano fermati nell'Oratorio. Don Rua, annunziandogli quei suoi cari, lo pregò di volerli benedire ancora una volta, ed egli col capo fe' cenno di sì. Un istante dopo, tenendo nella destra il crocifisso, rese l'anima a Dio. L'orologio segnava le tre e venti. Aveva sessantanove anni[581].[654]
6. A SUPERIORI DI CASE FRANCESI.
Persone, cose, necessità varie delle case di Francia gli stavano tutte dinanzi alla mente e al cuore: la sua corrispondenza ne rispecchia la cura assidua. Guardava però con occhio non diremo di predilezione, ma più vigile e attento l'oratorio di Marsiglia che era per lui quello che si direbbe in linguaggio militare, una base di operazione. Scrive qui al Direttore:
Tu dirai alla Sig. Contessa De Sobran che noi abbiamo pregato e continuiamo a pregare per Lei e per tutta la sua famiglia ogni giorno.
A Madame Jacques:, che Ella ha ogni giorno un memento particolare nella santa Messa e ciò al posto di mia madre che non ho più sulla terra.
Non so darmi ragione. La Sig. Maria Loyton di Thournon mi ha già inviato tre lettere di lamento perché non riceve risposta, ed io ho sempre fedelmente risposto all'indirizzo che mi dava. Come fare per assicurare il recapito? C'é qualche cosa in mezzo?[582]
Dimenticavo di partecipare a Mad.me Broquier che la veneriamo sempre come Madre e che preghiamo tanto per Lei e per suo marito.
Mi dicono che Don Albera ha una [somma] che non sa come spendere. Don Rua ne gode assai e ci spera.
Dio ci benedica tutti ed abbiatemi sempre in G. C.
PS. Mi si dice che il Sig. Curato di S. Giuseppe debba recarsi fuori di Marsiglia per fare un po' di vacanza. Se non é ancora partito, digli che se direttamente o nel viaggio può venire fino a Torino, noi lo attendiamo col massimo piacere, ed io stesso farei in modo di poterlo accompagnare a far la visita pastorale a diverse nostre case che da molto tempo non ho più visitate.
Dimmi anche se Mad.me Prat si chiama Anna.
Purtroppo finora non si sa dove siano andate a finire le lettere che Don Bosco indubbiamente scriveva a Don [655] Albera prima e dopo della sua nomina a Ispettore delle case di Francia. Sono pochissime quelle che conosciamo; di due che si presentano qui, abbiamo soltanto le copie, donde venute non si sa.
Ti mando lettere da leggere e poi distribuire a ciascun indirizzo. Riceverai tutte le altre usque ad complementum. Un saluto cordialissimo a Don Bologna, a tutti i confratelli, a tutti i nostri cari figliuoli e a tutti i nostri benefattori.
Da Don Cagliero avrai norme come regolarti riguardo a quattro o sei salesiani viaggianti per la Spagna.
Dio ci benedica tutti e credetemi sempre in G. C.
I Salesiani qui sopra mentovati dovevano recarsi a Utrera, dove la casa nel suo primo anno aveva fatto mirabilia e abbisognava di rinforzi. La seconda ha un esordio molto amabile.
Ti dò facoltà di ritenere il 1000 fr. di Madame Fabre con condizione che tu sii buono e che tu sii sempre un grande amico di Don Bosco.
Farai però bene dire, data occasione, che di qui nelle nostre gravissime strettezze veniamo anche in aiuto pecuniario alle case di Marsiglia.
Tu poi quanto ti é possibile aiuta la casa di S. Cyr.
Ho scritto e ricevuta risposta da M.e Jacques: procura di vederla, ringraziarla assicurarla che preghiamo tanto per Lei, e che Don Cagliero nel partire spera di farle una visita. Dà l'unito biglietto a. Mad.lle Dugaz.
Ringrazia M.me Rocca e M.me Fabre e dirai loro che qui preghiamo a loro intenzione e che al giorno della Im. Conc. diremo per loro una Messa all'altare di M. A.
Dio benedica, porta anche i nostri rispetti, saluti e pregh. al Sig. Curato, a tutti i Confratelli etc. etc...
A Nizza Don Bosco sperava di essere per la fine di gennaio del 1883; ma i suoi calcoli andarono falliti, perché vi giunse nella seconda metà di febbraio.
Con piacere grande ho saputo che la Signora Ferrant é giunta a Nizza. Io ne sono molto contento. Porta alla medesima i più sinceri auguri da parte mia e dille che spero di ossequiarla personalmente sul finire del prossimo mese, ma che ogni giorno io fo un memento per lei nella santa Messa. Dopo mi scriverai minute notizie di questa nostra insigne benefattrice.
La medesima cosa, i medesimi auguri farai alla famiglia del Barone Héraud, alla nostra buona mamma, avv. Michel, al sig. Curato Germon che mi prepari molti quattrini pel Sacro Cuore.
E la mamma di S. Gio. di Ville Franche, Madame D'Aprotis, M.elle Guigou? Come sta il March. d'Avila?[583]. Il Cav. Levrot?
Vi sono molti forestieri? La sig. Fauche ha venduta la sua proprietà? Mi si dice che il principe di Vallombrosa é molto ammalato vero?
Fa tanti saluti a Don Vincenti e a Don Reimbeau.
Auguro ogni celeste benedizione a te, caro Don Ronchail, a tutti i preti, chierici e giovani ed abbiatemi sempre in G. C.
Se passa da te l'abbé Lambert, non ci badare.
Intendiamo dire della bontà paterna di Don Bosco verso i suoi dipendenti. Due lettere sole riferiremo, in cui maggiormente spicca quella paterna disposizione d'animo, che non esitiamo a significare con un tale neologismo italiano; ma dove non si sente qualche palpito d'amor paterno, quand'egli scrive anche al più umile dei Salesiani? Paternamente sollecito si mostra della salute di Don Confortola, direttore della casa di Firenze, pur dandogli del lei, perché venuto già sacerdote in Congregazione. [657]
Ricevo con piacere la sua lettera con cui mi dà notizie della sua sanità alquanto migliorata. Ne sia benedetto il Signore. Presentemente faccia quello che può, ma pensi a curarsi ed aversi molti riguardi nella sanità. La mia intenzione si é che Ella rimanga al suo posto in Firenze. Don Bruna era soltanto supplente ed appena Ella possa fame a meno io lo invierò ad altro ufficio che gli sta preparato.
Non occorre che faccia altra volta gli esercizi spirituali; tanto più che non è ancora tanto fermo in salute. Può invece a piccoli tratti leggere le regole nostre italiane e farne materia di riflessione per ciascun giorno fino a che le abbia terminate.
Farò in modo che abbia il personale necessario, ma coltivi o meglio faccia coltivare l'Oratorio festivo che é tanto desiderato in codesta città.
Favorisca di salutare caramente nel Signore tutti i miei amati figli, che seco dimorano in Via Masaccio e mi raccomandi alle comuni loro preghiere.
Dio la benedica, o mio caro Don Confortola; Dio le dia buona salute e la conservi sempre nella sua santa grazia e voglia anche pregare per me che le sarò sempre in G. C.
S. Benigno Canavese, 28 agosto 1882.
Ma dove il cuore di padre si rivela sovranamente, é nella seconda lettera a Don Berto. Questi in agosto era andato al paese per rimettersi in salute. Non crediamo fuor di proposito ricordare che egli era uomo d'un naturale per niente simpatico; se Don Bosco nella sua serafica bontà non se lo fosse tenuto a fianco più di vent'anni, ben difficilmente il buon prete avrebbe mai saputo farsi una nicchia qualsiasi. Ecco dunque come Don Bosco trattava un figlio di carattere così difficile.
Da che sono partito da Torino resto affatto digiuno di tue notizie. Dammi adunque nuove di tua sanità, se hai cominciato qualche cura che sembri doverti giovare. Dimmi anche se pare che l'aria di montagna, di riviera, o qualche altra cosa ti possa recare qualche conforto.
Ti scrivo in mezzo al Capitolo Superiore. Tutti ti salutano, ti augurano e ti pregano da Dio ottima salute. [658]
Qualunque cosa ti sia necessaria dimmelo e tutti vogliamo che niente ti manchi: non é onore della Congregazione che tu rechi ad altri disturbo.
Dio ti benedica, o mio caro Don Berto. Dio ti ritorni in buona salute e prega per me che ti sarò sempre in G. C.
PS. Saluta il tuo parroco e tutti i tuoi parenti da parte mia.
Alla signora Magliano, che tra la fine e il principio del l'anno aveva fatto una gita a Busca nella sua campagna, era accaduto un grave sinistro, di cui il Guardiano dei Cappuccini aveva dato notizia a Don Bosco. Il Servo di Dio gli rispose:
Sospettava di qualche disastro per la Sig. Magliano come appunto è avvenuto. Scrivo una letterina alla medesima pregando V. P. a volerne dare lettura qualora non possa ancora leggerla da sé.
La ringrazio della carità che mi usa; voglia anche pregare per me e per la mia numerosa e crescente famiglia, mentre con gratitudine grande ho l'onore di professarmi della P. V. R.ma
La lettera per la signora era del tenore seguente.
Era veramente inquieto perché non aveva sue notizie. Più volte mandai a casa sua per averne, ma non me ne seppero dare. Il nostro timore era fondato, poiché il P. Guardiano dei Cappuccini mi espone la disgrazia che le incolse. Sia benedetto Iddio in ogni cosa. Il male poteva essere assai maggiore. Noi abbiamo sempre pregato per Lei da che partì per la campagna, ma adesso abbiamo stabilito delle speciali preghiere per Lei e le continueremo mattino e sera fino a tanto che Dio l'abbia ritornata in buona salute e possa venire a farci una visita quale madre pietosa in mezzo ai suoi figli. Tutta la famiglia di Valdocco, soprattutto Don Rua, Don Lazzero, Don Bonetti, Don [659] Pavia etc. vogliono essere ricordati e assicurano particolari preghiere per Lei ogni giorno nella santa Messa. Spero non sarà molto lontano il suo ritorno a Torino, ed allora di quante cose avremo a discorrere!
Dio la benedica, o benemerita Signora Bernardina, Dio le conceda buona salute e la grazia di ben vivere e di ben morire. Quale atto di carità voglia anche pregare per me che le sarò sempre in G. C.
Nel settembre e nell'ottobre del 1882 inondazioni generali devastarono tutta l'alta Italia, e buona parte della media. Sotto la quotidiana rubrica L'Italia sotto l'acqua i giornali per circa un mese descrivevano disastri continui. Ma la regione che maggiormente patì i danni del cataclisma fu la veneta, dove straripamenti di fiumi sconvolsero estesi territori e da villaggi e da città scacciarono gli abitanti, riempiendo di rovine e di mota gli abitati. Anche le campagne di Este soffersero assai; come tanti altri il cavaliere Pelà, generoso cooperatore salesiano[584], fu gravemente colpito. Il collegio non riportò guasti materiali; ma era un triste prodromo per la riapertura dell'anno scolastico. Don Bosco scrisse parole di conforto al Direttore e per il cooperatore, dando anche consigli di carità a pro delle vittime.
Le croci sono quelle che ci portano alla gloria, dillo a sig. Cav. Pelà. Ma non ci sgomentiamo. Camminate tranquilli come l'anno scorso e mettetevi con fede nelle mani della Divina Provvidenza. Non abbiate timore. Dirai pure al sig. Pelà che le attuali spine diventarono rose sotto agli occhi suoi.
Se l'ingrossamento delle acque ti persuadesse a fare qualche sacrifizio, non rifiutarti.
Dio benedica te, i nostri confratelli, le suore e i nostri amici giovani allievi e non allievi, e li liberi da ogni male. Amen.
Al marchese Cantono Ceva di Cervelli, afflitto da gravi dispiaceri domestici, scrive confortandolo e promettendogli caritatevole interessamento.
Prendo viva parte alle spine che la mano del Signore Le manda. Io procurerò di valermi delle notizie che mi dà ogni volta la prudenza lo suggerirà e nella maniera la più riservata. E' però necessaria una gran pazienza e molta prudenza. Intanto io pregherò e farò anche pregare il nostro buon Dio che tocchi il cuore e dia i lumi a quei occhi che non vedono.
Per le altre cose del giovanetto a Lanzo farò tutto come mi suggerisce.
Con vera gratitudine ricevo un biglietto da L. 100 a favore della chiesa di S. Giovanni Evangelista e ne fo i più vivi ringraziamenti. A proposito di S. Gio. le partecipo che questo Santo attende V. S. a visita nella sua chiesa. Chi sa che non sia per concederle qualche grazia e forse quello che ci sta tanto a cuore?
Dio la benedica, o sempre caro Sig. Marchese, Dio le conceda il gran tesoro della pace e tranquillità della famiglia sua.
Voglia pregare anche per questo poverello che le sarà sempre in Nostro Signor G. C.
Il signor Giuseppe de Paolini doveva essere un buon cristiano e avere dimestichezza con Don Bosco, giacché per consolarlo il Beato si limita a poche righe, come si suol fare quando due se la intendono senza molti discorsi.
Abbia pazienza. Le spine conducono senza dubbio al regno dei fiori. Io pregherò tanto per Lei, per sua sorella. La mia famiglia farà altrettanto.
Ella poi raccomandi a Dio la povera mia persona e la moltitudine (150 mila) di giovanetti che la Divina Provvidenza mi volle affidare.
Dio ci benedica tutti e ci conservi sempre nella sua santa grazia e mi creda sempre in G. C.
Don Bosco negli anni, di cui ci occupiamo, predicava la pazienza assai più con fatti che con parole; tuttavia anche le parole hanno gran valore, quando chi raccomanda la pazienza, ha occasione di praticarne tanta e la pratica.
In un bigliettino a Don Dalmazzo ogni espressione riassume molte cose. Quante contrarietà in quell'estate del 1882 cimentavano la pazienza dell'uomo di Dio! Tre cause di afflizione fanno qui capolino: inconvenienti domestici, ritardi nel dar corso alla pratica per le Missioni patagoniche e blateramenti di male lingue sui lavori per la chiesa del Sacro Cuore. Per dir solo di questi facili denigratori, ora che ci son noti gli sforzi erculei di Don Bosco sotto quel peso romano, veramente onus Actna gravius, facciamoci ragione dell'angoscia che si nasconde nella mite sua rimostranza.
Ricevo la tua lettera. Pazienza in tutto. Accomoderemo tutto. Stabilisci il personale. Rincresce molto l'affare di Propaganda. Questo ritardo può rovinar tutto. Scriverò a Mons. Jacobini.
Invece di biasimare quello che fabbrichiamo a Roma io vorrei che certi signori pensassero a darci danaro.
Tuttavia metti la sanità prima di tutto.
S. Benigno Canavese, 27-8-[82].
PS. Sollecita la dispensa Bielli[585].
Un'altra eco dei disturbi causatigli dalla protervia dell'impresario per la fabbrica del Sacro Cuore e un'altra prova della sua paziente longanimità si ha in un secondo biglietto al medesimo Don Dalmazzo. Don Angelo Savio rappresentava Don Bosco per la parte amministrativa e contenziosa. [662]
Sono di passaggio a Roma il nostro confratello Don Farina e Mainardi ambidue car.mi; se loro manca qualche cosa, somministralo pure. Mi starebbe a cuore che quei libri fossero in qualche modo trasmessi al S. Padre.
Che non ci sia mezzo per terminare la vertenza nostra coll'impresario? Fra te e Don Savio in camera caritatis forse potrete far qualche cosa. Dio ci benedica tutti e credimi in G. C.
Chi sale il dolce pendio che dal Po conduce al collegio di Valsalice, giunto a tre quarti del cammino, saluta un'immagine di Maria Ausiliatrice, che, dipinta in un tabernacoletto campestre, fa gradita apparizione in quell'angolo solitario dell'ombrosa valletta, presso il margine del mormoreggiante fiumicello, da cui questa prende il nome. Dietro il recinto si stende il terreno arborato, che circonda un signorile Istituto aperto ivi dalle Dame o Religiose del Sacro Cuore.
Prima del 1848 le Religiose del Sacro Cuore avevano a Torino una casa in via dell'Ospedale, che dopo la violenta espulsione fu occupata dal Governo; oggi vi é il Politecnico. Calmate con l'andare del tempo le ire partigiane, fu rimandata dalla Francia a ristabilire il suo Ordine in Italia la madre Cristina Gazelli, dei conti di Rossana, sorella del canonico Stanislao, che fu un luminare del clero torinese nel secolo scorso[586]. Col grado di Vicaria provinciale d'Italia essa fondò e diresse le case di Avigliana, di Portici, di Firenze e di Torino. Dalla sua penultima residenza si mise in. relazione con Don Bosco. [663]
Il Servo di Dio, che conosceva molto bene i peculiari bisogni delle nobili famiglie torinesi in tutto quanto concerneva l'educazione cristiana delle fanciulle, desiderava grandemente che tornassero fra noi per questo santo scopo le esperte educatrici; sembra anzi che il Signore gli concedesse al riguardo lumi speciali. Infatti un giorno del 1880, imbattutosi presso via Legnano in un gruppo di educande che dal Sacro Cuore di Chambéry in compagnia di una Suora Commissaria arrivavano a Torino per trascorrere le vacanze nelle proprie famiglie, si portò dinanzi a loro e disse: - Or ora voi siete passate davanti alla vostra casa. - E poiché le giovani si guardavano stupite a quelle parole, ben sapendo che non avevano allora nessuna casa a Torino, egli ripigliò: - Sì, davanti alla vostra casa; non quella che avevate una volta, ma quella che avrete poi. -
Nel 1881 la Madre Generale aveva formato il proposito di riaprire una casa del Sacro Cuore a Torino; ma circostanze speciali non le permisero di attuare subito il disegno. Ed eccoci al 1882, quando da Firenze la madre Gazelli scrisse la prima volta a Don Bosco per avere l'aiuto delle sue preghiere. A quanto pare, egli non s'avvide da principio che la Gazelli fosse religiosa e superiora di religiose.
Ho ricevuto la sua veneratissima lettera che mi annunzia un progetto dà molto tempo desiderato: una casa delle dame del Sacro Cuore in Torino.
La S. Vergine Ausiliatrice non trovasi imbarazzata a trovare casa o terreno quale si desidera. Sarebbe però necessario che la Madre Generale, a grazia ottenuta, prendesse sotto la sua protezione la Chiesa e l'Orfanotrofio in costruzione in onore del Sacro Cuore a Roma.
Se Ella giudica bene, io me ne occuperò volentieri e trovata casa che mi paia conveniente ne darò tosto avviso, senza però iniziare alcuna pratica.
A tale uopo io farò di buon cuore la novena di preghiere, comunioni e di messe che saranno cominciate il giorno 8 del prossimo settembre fino al 20 stesso mese. Io ne ho già ricevuta la limosina in fr. 50 di cui la ringrazio. Compatisca questa mia cattiva scrittura: ho già 67 [664] anni e non ho ancora imparato a scrivere: non so quando e da chi potrò imparare a scrivere un po' bene.
Le celesti benedizioni discendano copiose sopra di Lei e sopra tutta la Istituzione del Sacro Cuore di Gesù e voglia pregare anche per me che le sarò sempre nel Signore.
S. Benigno Canavese, 29 agosto 1882.
Un mese dopo la Gazelli inviò al Beato una vistosa offerta, senza tuttavia rivelare ancora l'essere suo; onde Don Bosco le rispose nuovamente come avrebbe fatto con qualsiasi benefattrice.
Che Dio vi benedica. Il pensiero non poteva essere migliore; giacché i nostri giovani si trovano in bisogno e di pane e non so come loro provvederne.
La sua offerta fu un vero sollievo.
Giunto che sarò a Torino me ne occuperò seriamente e la S.ta Vergine ci dovrà senza dubbio favorire.
Quando passerò a Firenze non mancherò di portarle personalmente i miei omaggi
La grazia del Signore sia sempre con Lei e con tutta la sua famiglia, e mi voglia raccomandare a Dio mentre le sarò sempre in G. C.
Dalla terza lettera si vede che Don Bosco e la Madre Vicaria conducono avanti di comune accordo l'affare.
Ecco la immagine che mi chiede. La ringrazio della offerta che mi fa pei nostri orfanelli che pregano tanto per Lei e per tutta la sua famiglia.
Vi é una quantità di case, ma tutte hanno qualche cosa di più o di meno. Ora avvi quella del Barone Ceva e mi dicono che possa convenire.
Io ho partecipato ogni cosa al Sig. Barone e Conte Orsara persona di comune confidenza. Voglia pregare per questo poverello che le sarà sempre in G. C.
Qui finisce la corrispondenza. Ma religiose anziane sanno che nel 1882 il Beato, sollecitando e incoraggiando la fondazione, assicurò essere questa un'opera di Maria Ausiliatrice e dovere le Religiose venire a Torino nel maggio dell'anno seguente. Infatti proprio il 24 maggio del 1883 si firmò il contratto per la casa di via Legnano II. Qui l'Istituto rimase fino al giugno del 1885, allorché venne trasferito nella villa Rolle, dove presentemente si trova. Cosa singolare! Nel muro di cinta della villa esisteva già la rozza edicola con la Madonna dipinta e ricoperta da una grata. Orbene, dal 1830 due figlie del conte Gazelli, che possedeva sulla collina di Santa Margherita una villa, ogni volta che scendevano in città, portavano sempre seco qualche fiore del loro giardino e fatto fermare la carrozza davanti all'edicola, introducevano per la grata i fiori fino ai piedi della Vergine. Una delle due bambine era appunto la Cristina. Oggi il dipinto rappresenta Maria Ausiliatrice. L'immagine, che fu restaurata da una religiosa nel 1930, era antica; ma non s'é potuto sapere se la Madonna che riceveva i fiori delle due bimbe, fosse questa o un'altra. Neppure si sa qual parte abbia avuto Don Bosco nella scelta della casa; può darsi che la vicinanza del collegio salesiano per i nobili abbia consigliato a Don Bosco di fare quella proposta.
Due volte il Beato visitò la nuova casa. La prima visita fu il 29 settembre 1885 verso le dieci del mattino. Lo accompagnavano tre sacerdoti. Si rallegrò assai di vedere le Religiose in un luogo così ameno, dicendo che ringraziava il Signore e la Madonna di averle chiamate a Torino, Una delle Madri gli disse: - Vostra Riverenza profetizzò che nel maggio del 1883 si sarebbe venute, e appunto il 24 maggio trovammo la casa di via Legnano - Don Bosco rispose: - Oh! tante volte si dicono delle parole e il Signore permette che s'indovini. Certo é che quello era il tempo voluto da Dio per il loro arrivo e il Signore l'ha benedetto; perché, se avessero tardato un poco, avrebbero avuto delle gravi difficoltà. [666]
Ma ora ci sono, e niente può contro di loro. Il Signore vuol fare l'opera sua per mezzo di loro e vi é molto da fare. Avendolo la Madre Superiora ringraziato che desse loro i suoi sacerdoti per le Messe e le benedizioni, egli rispose: - Lo facciamo molto volentieri; se potessi, verrei a dir Messa anch'io. - La Maestra Generale dell'educandato disse: - Don Bosco, preghi perché le bambine stiano bene tutto l'anno e siano sempre buone cosi. - Don Bosco le rispose: - Non vi sarà bisogno di pregare; le educande avranno sanità e santità. - Nel salire in carrozza disse ancora alla madre Gazelli: - Facciamo il possibile per salvare anime. - La cronaca nota: “A tutte rimase la dolce impressione di aver avuto la visita di un santo.”
Tornò la seconda volta il 2 ottobre 1887, festa della Madonna del Rosario; ve lo indussero le istanze filiali della madre Gazelli, che desiderava tanto una sua visita. Giunse verso le cinque e mezzo della sera, mentre le Religiose uscivano dalla benedizione. Lo sorreggevano Don Viglietti, allora suo segretario, e Don Cesare Cagliero, confessore della comunità e direttore del collegio di Valsalice. Il buon padre in quegli ultimi mesi della sua mortale esistenza camminava a gran fatica. Malgrado la visibile stanchezza, s'interessò assai della casa e della fabbrica quasi ultimata per l'educandato, e disse: - Vedo che hanno fatto qui qualche cosa di gigantesco. - Avendogli poi la Madre osservato che secondo il suo desiderio si era posta la casa sotto il patrocinio di Maria Ausiliatrice, rispose sorridendo: - Oh! Maria Ausiliatrice é un terribile patrocinio: terribile per quelli che vogliono opporsi all'opera sua, ma onnipotente per coloro che si tengono sotto il suo manto. - Prima di risalire in carrozza sul piazzale d'entrata alzò gli occhi, abbracciando con lo sguardo tutta la fabbrica, e accennando con la destra l'ultimo piano disse: - Là sarà tutto pieno di probande. - Le Madri pensarono che volesse dire di educande, ma si vide in seguito che era una parola [667] profetica. Infatti quel piano, destinato a dormitorio per le più grandi, albergò numerose giovinette che ebbero la grazia della vocazione religiosa e che si trovano ora o al Sacro Cuore o in altre Congregazioni.
Una brutta sera del 1904 il conte Francesco Bonmartini di Padova, rincasando sul tardi, cadde in un agguato tesogli nella camera da letto, dove uomini di sua conoscenza ed anche del suo parentado gli piombarono addosso e barbaramente lo pugnalarono. L'atrocità del crimine, il mistero che da prima lo avvolse, la scoperta dei sicari, il recondito movente della tragedia, le vicende drammatiche del processo, le visibili ingerenze massoniche per sottrarre i rei alla giustizia tennero a lungo desta l'attenzione del pubblico fra il rimpianto sulla povera vittima e l'esecrazione contro gli efferati carnefici.
All'infuori di pochissime persone, non seppe allora nessuno dei rapporti che un ventennio innanzi il Bonmartini aveva avuto col Beato Don Bosco. Da piccolo egli era rimasto orfano di padre; la madre, nata Mainardi, gentildonna piissima e desiderosa che il suo Franceschino crescesse buono, gli diede un aio solerte e virtuoso nel sacerdote Don Tullio De Agostini. Questi fu che le fece conoscere Don Bosco. Ne nacque una relazione spirituale documentata da diciassette lettere di Don Bosco, sette delle quali indirizzate alla Contessa, due al figlio e otto al suo istitutore. Sebbene non tutte appartengano al nostro biennio, tuttavia sarà molto meglio che non vengano disgiunte.
Da Padova la signora nell'ottobre del 1881 spedì al Beato un'offerta, chiedendogli preghiere per sé e per il figlio e un favore presso il Santo Padre. Don Bosco le rispose: [668]
Ho ricevuto la somma di lire 100 in due volte come ella mi ha inviato. Fo la ottava muta di esercizi spirituali, e il tempo mi stringe in tutti i modi, ma non manco di pregare per lei e per suo figlio.
La commissione per Roma vuol essere fatta personalmente al S. Padre. Io mi darò premura di farlo la prima volta che mi recherò nella capitale del mondo cattolico.
Dio benedica Lei, la sua famiglia e tutti li conservi in buona salute; voglia pregare per me che Le sarò sempre in G. C.
S. Benigno Canavese, I ottobre 81.
Una seconda offerta per la chiesa del Sacro Cuore le ottenne poco dopo dal Servo di Dio un'altra lettera.
Mi faccio dovere di accusarle ricevuta della riverita sua lettera del 15 ottobre e dell'unitavi somma di L. 100 per la chiesa del Sacro Cuore di Gesù in costruzione a Roma. Abbiasene la S. V. B. i miei più vivi ringraziamenti che intendo estendere a tutte le altre persone che vi concorsero in qualche modo. L'assicuro poi che continuerò a pregare per Lei, per suo figlio, e per tutti i suoi cari vivi e defunti.
Riguardo alle domande del M. R. D. Tullio De Agostini, abbia la bontà di dirgli che può sempre cooperare con celebrazione secondo la mia intenzione. Però ogni tanto, cioè quando la celebrazione delle Messe che destina a detto scopo é compiuta, favorisca a mandarmene piccolo accenno onde si possano registrare a nostro scarico ed a suo grande merito.
Mi continui sempre la sua caritatevole opera ed io le pregherò sempre dal Divin Cuore il compenso delle celesti benedizioni.
Le presento infine mille rispetti e auguri d'ogni felicità. Voglia gradirli e pregare anche per me che le sarò sempre nel Signore di V. S. Ill.ma
Nel 1882 la Contessa, andando in pellegrinaggio a Lourdes, si fermò appositamente a Torino per fare la conoscenza personale con Don Bosco e conferire con lui su cose di spirito. Ve l'accompagnavano il figlio giovinetto e Don Tullio. [669]
Il ragazzo produsse in Don Bosco una gradita impressione; la madre a sua volta riportò di Don Bosco un'impressione profonda e continuò a sentir il bisogno de' suoi aiuti spirituali, come si scorge anche da questa lettera del Beato a Don De Agostini.
La Sig. Beltramini mi fa molte dimande che io studierò di appagare colle deboli mie preghiere.
Riguardo alle cose confidenziali di cui mi scrive, é indispensabile che si rimetta agli avvisi del suo Direttore spirituale. Se mai avverrà il momento che io possa parlare a viva voce con questa Signora dirò meglio il mio parere.
Intanto il nostro Franceschino si fa buono? fa miracoli? Non lo lasci in pace fino a tanto che velit nolit sia un vero S. Francesco di Sales.
La sig. Mainardi come sta? La assicuri che io prego tutti i giorni per Lei nella santa Messa.
Ho speranza che le inondazioni non avranno affatto danneggiata questa caritatevole Signora; perché ogni danno va a cadere sui poverelli di Gesù Cristo.
Dio benedica Lei sal terrae et lux mundi; conceda ogni bene alla Sig. Mainardi, a suo figlio, alla Sig. Beltramini e mi creda sempre suo
Don Bosco aveva in Don Tullio un buon rappresentante presso la famiglia Bonmartini e di lui si serviva per giovare spiritualmente alla Contessa.
Io la costituisco con questa lettera mio Segretario Generale e Plenipotenziario.
Abbia pertanto la bontà di dare l'unito biglietto al mio caro amico Sig. Antico. Alla Sig. Mainardi che prima di ogni altra cosa abbia cura della sua sanità. Io spero sia che rimanga a Cavarzere, sia che ritorni a Padova la sua sanità non avrà a soffrirne. Tuttavia io credo più opportuno il suo ritorno in città, dove l'alloggio é migliore per l'inverno, e dove Don Bosco potrà anche avere qualche buon pranzo. Io farò delle preghiere particolari a questo fine.
Dica al Sig. Franceschino che S. Francesco di Sales lo attende a farsi santo a Padova colla Mamma o a Torino con Don Bosco. Ci pensi e poi mi risponda egli stesso. [670]
Gesù Bambino conceda a Lei e a que' di sua famiglia sanità e santità. A Lei poi in particolare: Esto sal et lux.
Nel corso della Novena del Santo Natale ho stabilito di fare ogni giorno un memento speciale nella santa Messa chiedendo a Dio per la Signora Mainardi sanità, consolazione e pace del cuore.
Dio ci benedica tutti e ci conservi nella sua santa grazia e vogliano pregare anche per me che loro sarò sempre in G. C.
L'invito a farsi santo con Don Bosco fu accolto da Francesco nel 1883. In quell'estate la mamma, desiderando venire a Torino e trattenervisi alquanto per avere comodità di ricevere da Don Bosco un po' a lungo il benefizio della sua direzione spirituale, chiese di poter albergare dalle Figlie di Maria Ausiliatrice. Don Bosco le fece rispondere da Don Pozzan, amministratore del Bollettino Salesiano, il 25 giugno:
“Per D. Tullio e pel suo amatissimo figlio l'Oratorio è sempre aperto per ospitarli; ma per lei sarebbe necessario che praticasse quanto i medici le consigliano per la salute. Nella casa delle suore non ci sarebbe posto per lei, essendo le suore stesse piuttosto ristrette e qualora anche si volesse approntarle un qualche stanzino, esso sarebbe sì basso e angusto da renderle penosa l'abitazione pei calori della state. Che se credesse di cercare un altro alloggio per vivere sotto la direzione di Don Bosco e col suo caro figlio, Don Bosco mi rispose che non avrebbe che dire nulla in contrario, solo l'avvisa che resterebbe a Torino fino agli ultimi di luglio e poi dovrebbe partire per gli esercizi fino ai 15 di ottobre. La ringrazia di nuovo dell'offerta e degli auguri e l'assicura che pregherà per lei e secondo le sue pie intenzioni.”
Gli auguri erano stati per l'onomastico. Quel “di nuovo” lascia intendere che Don Bosco aveva già ringraziato; ma di questo non c'é lettera. Da tutto l'insieme poi si fa palese il suo pensiero di non incoraggiare punto la Contessa a quella dimora torinese. [671]
Don Pozzan soggiungeva: “Dice poi al suo Franceschino di attendere allo studio finché resterà a Padova; all'arrivo poi in Torino, parlerà con Don Bosco di presenza. Intanto vegga di starsene occupato.” Che vorranno dire queste parole? Riguardano forse l'avvenire del giovane? Questi nell'agosto seguì con Don Tullio la mamma a Torino e col medesimo andò a fare gli esercizi spirituali degli ascritti a San Benigno. La Contessa dimorò presso le Suore del Buon Pastore, a breve distanza dall'Oratorio. Più tardi, avendo ella risposto con una “generosa offerta” all'appello di Don Bosco in favore dei Missionari, il Beato le scrisse:
Con verace gratitudine ho ricevuto la generosa offerta che nella sua grande carità si degnò di fare pei nostri missionari Essi partiranno il giorno 10 di questo mese alla volta della Patagonia, ma anche da quelle lontane regioni non cesseranno d'invocare le benedizioni del Cielo sopra di lei e sopra tutti i suoi parenti ed amici.
Le medesime preghiere mi adopererò di fare debolmente ogni giorno io stesso cogli orfanelli che la divina Provvidenza si compiacque indirizzare nelle nostre case.
Dio la benedica e la conservi in buona salute e mi voglia credere in G. C.
Nella novena di Natale aveva anche un motivo particolare di ringraziare la signora. Si era essa adoperata presso il Vescovo dì Padova, perché accordasse il permesso di tenere nella città una conferenza salesiana per il 20 gennaio. Chiama suo “Angelo Custode” il figlio di lei, forse perché in qualche occasione gli fece da guida.
Stimabilissima Signora Bonmartini Mainardi,
Almeno almeno in questi giorni voglio compiere un mio dovere e scrivere qualche cosa a V. S. B.
Prima di ogni cosa la ringrazio perché si volle sempre occupare dei nostri poveri giovanetti sia col proporre la conferenza dei Cooperatori a Monsignor Arcivescovo, sia col tenere in viva relazione [672] varie persone caritatevoli. A tempo debito non mancherò di indirizzare una lettera a Monsignor Vescovo di Padova per intendere bene i suoi caritatevoli pensieri verso di noi.
Ho però motivo di lagnarmi col mio Angelo Custode sig. Franceschino, che credo essere bene da lei conosciuto. Egli mi promise di scrivermi sovente delle stupende lettere, ma finora per quanto mi ricordo, ci fu niente. Egli può scusarsi col dire che pregò per me e questo basta. Che abbia pregato lo credo, ma forse non pregò tanto bene perché il mio cuore - é vero ch'é un po' duro, -ma non se ne é accorto. Vedrò poi volentieri come si scuserà.
Sono stato anch'io un po' negligente a scrivere ma non ho dimenticato di pregare ogni giorno nella santa Messa per lei e per tutta la sua famiglia.
L'ultima volta che ci siamo parlati, non ricordo precisa la cifra, ma parmi che volesse per ridere farmi un regalo di dieci o di dodici mila lire. Non ricordo però bene. Ma accetto l'una o l'altra cifra: meglio la seconda.
In questi giorni però, vogliamo pregare tanto per lei, per la sua perfetta sanità. Sì, o Signora, Dio la benedica e la conservi, le dia molti anni ma tutti pieni di consolazioni.
Le faccio rispettosi saluti da parte di tutti i Salesiani che l'hanno qui conosciuta; tutti ci raccomandiamo alla carità delle sante sue preghiere, mentre il povero scrivente a nome di tutti ha l'onore di professarsi in G. C.
Due giorni dopo Natale ringraziò Don Tullio degli auguri, e di due offerte, una fatta da lui e un'altra da lui procurata.
Ricevo la sua cara lettera co' suoi Cristiani augurii. Dio li centuplichi sopra di Lei, e sopra tutta la sua famiglia e sopra tutte le sue fatiche.
Ringrazi tanto la Sig. Beltramini Antico per la carità che ci fa in questo momento per noi di vere strettezze. Pregherò in modo speciale pei suoi parenti, amici e per tutti quelli della famiglia.
Dica alla Sig. Mainardi che io sono contento che abbia mosso Don Tullio e il Sig. Franceschino a scrivermi.
Dio la benedica, o sempre caro Don Tullio, e ricompensi largamente tutto quello che fa pei nostri orfanelli. Mi ami in Gesù Cristo e voglia pregare anche per me che di cuore le sarò sempre
Anche alla Contessa il Beato aveva fatto la proposta di assumersi le spese per una delle colonne da erigersi nella chiesa del Sacro Cuore. Di questo e della conferenza Si parla in due lettere a Don De Agostini.
Ho ricevuto con novello piacere la sua lettera e i fr. 50 che racchiudeva. Di ogni cosa grazie, e Dio la paghi.
Ella mi dice una parola che mi fa piacere, cioè che la Sig.a Mainardi attese le particolari nostre strettezze è disposta di anticipare la sua offerta per la colònna al Sacro Cuore di Gesù. Io rimetto la cosa alla sua prudenza. Se Ella vede che questa anticipazione' non disturbi questa caritatevole Signora, le dica che i0 accetto il danaro e che la ringrazio. Tanto più che la colonna è già elevata, e si va fabbricando sulla medesima. Ma se mai ciò la disturbasse, Ella non ne faccia nemmeno parola.
Io taglio un p0' corto, perchè il mio stomaco è molto stanco.
Le grazie del Signore discendano copiose sopra di Lei, sopra il caro Franceschino e più copiose ancora sopra la nostra Mamma Mainardì, per cui, e pei quali fo ogni giorno un memento nella santa Messa. Vogliano anche pregare per questo poverello che loro sarà sempre in G. C.
PS. In caso di spedire danaro perla posta, si metta pure semplicemente in lettera raccomandata; sia soltanto ben chiusa e sigillata. Così ordinariamente fanno i banchieri.
Il suo piego è venuto intatto. Franchi iooo della Sig. Mainardi, fr. 120 delle pie persone di cui parla nella sua lettera. Incarico il Sacro Cuore di Gesù a pagare ciascuno degnamente. In questo senso io lo prego. Riverisca e ringrazi tutti, e faccia santo il caro Franceschino, di cui godo avere buone notizie per tutti i rapporti.
Ho scritto una lettera a Mous. Vescovo di Padova. Accettavo la sua caritatevole promessa di assistere e fare la nostra Conferenza pel 20 corrente. Altra lettera fu scritta a Don Tamietti Dirett. del Collegio di Este. Esso passerà a dire le cose a Lei ed alla Signora Mainardi.
Un'apposita circolare è stampata e sarà spedita a tutti i Coop. di Padova e del vicinato, quindi un pacco a ]Lei. Don Pozzan si recherà a Padova ad hoc alcuni giorni prima. Io spero bene per la maggior gloria di Dio.[674]
Maria ci protegga e ci aiuti a salvare le anime nostre.
Scriverò di nuovo quanto prima. Per tutto il resto della Signora Mainardi va tutto bene.
Preghi anche per me che le sono in G. C.
Al Sacro Cuore la prima colonna a destra di chi entra porta Scritto nella base: CONTESSA BONMARTINI.
La Contessa era rimasta un po' mortificata per l'esito della prima conferenza padovana; ma- Don Bosco ne giudicava col Suo ottimismo.
Io debbo compiere un mio dovere e ringraziare Lei, di tutta la carità che ci usò in tante occasioni e specialmente in questa prima conferenza fatta testè in Padova.
A Lei pare che la città non abbia preso parte come si sperava. Ma il Vescovo rappresenta tutta la città nel senso ecclesiastico e poi vi erano anche parecchi buoni Padovani. Stia tranquilla che questo sarà un buono e fruttuoso principio per la maggior gloria di Dio. Io non mancherò di pregare e far eziandio pregare i nostri orfanelli pel figlio della Marchesa Robustalla che Ella cotanto ci raccomanda.
In quanto al signor Bamboni pare che almeno per adesso. non convenga farlo cooperatore; di tutto buon grado fo spedire il diploma al Conte Camerini, che mi si dice essere un buon cattolico.
Godo po grandemente che il caro nostro Franceschino continui ad essere animato per le buone opere. Ne ebbi già vari argomenti e specialmente da quanto mi raccontò Don Pozzan, nella occasione della conferenza dei Cooperatori. No, non manco di raccomandarlo ogni giorno nella santa Messa, affinchè continui ad essere buono, che salvi molti e che salvi se stesso.
La mia sanità non è cattiva, ma non è molto buona. Sono sempre molto stanco. Riguardo alla carità di L. 3000 che Ella intende di fare per continuare i lavori per la chiesa del S. C. di Gesù a Roma, non s'inquieti. Faccia come può e sempre senza suo grave disturbo.
Qui noi ricordiamo sempre la sua dimora in Torino, e tutta la famiglia salesiana/prega per Lei.
Dio la benedica, e Maria faccia di Franceschino un altro S. Luigi. A tutti, compreso Don Tullio, i miei umili rispetti; e voglia pregare anche per questo poverello' che Le sarà sempre in G. C.
Il Beato, recatosi a Roma per la benedizione della pietra angolare, rivolse alla Bonmartini un pensiero - dalla città eterna.
Per sua tranquillità ho il piacere di significarle che ricevo in questo momento il biglietto da mille, che la sua carità inviò in favore della chiesa del Sacro Cuore. Dio pagherà abbondantemente le sue opere di carità ed io continuerò le mie deboli preghiere per lei, pel caro Franceschino e per Don Tullio:
Io non mancherò poi di fare speciali preghiere per tutte le persone che mi raccomanda, anzi le raccomanderò tutte al Sacro Cuore di Gesù e di Maria, affinchè Dio loro conceda tutte le grazie che vede bene per le anime loro. Se poi queste persone volessero fare qualche opera esterna, si uniscano a me che ogni giorno le ricordo nella santa Messa ē facciano quelle offerte che potranno, per continuare i lavori della chiesa del Sacro Cuore.
Ella poi voglia pregare anche per me che le sarò sempre in G. C.
La Signora di lì a poco mandò altro a Roma; infatti il 10 maggio Don Bosco le fece di là rispondere da Don Lemoyne: « Grazie e mille a nome di D. Bosco del denaro e dei doni che Sono giunti in buono Stato. Sabato Saremo di ritorno a Torino, dove D. Bosco Spera finalmente di. poter rivedere lei, Signora Contessa, Franceschino e. D. Tullio. Ha chiesto ed ottenuto dal S. Padre una benedizione Sua speciale-per lei e per la Sua famiglia. Di Sanità Don Bosco Sta molto meglio e Deo gratias. » I doni erano oggetti per la lotteria.
I Signori Antico, buoni cooperatori di Padova, avevano promesso un'offerta, che poi dissero di non poter più fare; ma in queste cose Don Bosco non era corrivo a disobbligare, Se non vedeva ragioni Sufficienti.
Se i Sig. Fratelli Antico non possono, non son tenuti alla promessa offerta; ma è bene che facciano consapevole la Madre e si rimettano al di Lei parere. [676]
Oggi pregherò e farò pregare per la famiglia Antico, Sig.a Mainardi, Franceschino, e per Lei, Sig. Don Tullio, di cui sarò sempre in G. C.
Al medesimo Don Tullio riscrisse tre mesi dopo.
La lettera della Sig. Mainardi fu ricevuta e la conservo gelosamente per fame a suo tempo il conto dovuto.
Io sono qui a S. Benigno Canavese: molto stanco; ma prego incessantemente per la Buona Mamma, per Lei, Sig. Don Tullio, e pel nostro caro Franceschino.
Più sovente mi scrive, più mi fa piacere. Quanto avrei caro di averli qui agli esercizi spirituali, e quanto ne godrebbe la signora stessa! Ma Dio ci creò e ci vuole tutti al Paradiso; colà ragioneremo delle cose nostre, ma sodamente.
La grazia del Signore ci accompagni e Maria sia la nostra guida fino al Paradiso.
Dio ci benedica e vogliano pregare anche per me.
In settembre la Bonmartini terminò di versare la somma promessa per la colonna; Don Bosco le rese grazie da Valsalice.
Benemerita Sia Contessa Bonmartini-Mainardi,
Credo avrà ricevuto i ringraziamenti della somma di L. 1053 che nella data 19 agosto si compiacque inviarmi a compimento saldo di quanto volle impegnarsi verso il Sacro Cuore di Gesù. Dio la voglia largamente ricompensare.
Ogni giorno faccio una memoria speciale per la signora Antico nella santa Messa, come pure pel bene spirituale e temporale per la sua famiglia. Stia pure sicura che Dio concederà certamente ed abbondantemente tutto quello che non é contrario al bene dell'anima loro.
In questo momento ricevo la sua lettera del 29 agosto. Va tutto bene; procuriamo di guadagnare delle anime; Dio benedirà i nostri sforzi e ci darà forza, volere e grazia.
Sono a Valsalice per gli esercizi spirituali. Grazie a Dio la mia sanità va sempre migliorando.
Faccia tanti saluti ai miei due cari amici Don Tullio e Franceschino.[677]
Il colera ci sta attorno, ma finora Dio ce lo tenne lontano. Voglia la Santa Vergine continuarci la sua assistenza e la sua protezione.
La benedizione del cielo sia sempre con noi, e mi creda colla massima gratitudine.
In novembre Don Bosco aspettava Franceschino con Don Tullio, come fece scrivere da Don Pozzan alla Contessa; ma era troppo tardi, perché il giovane che frequentava la quinta ginnasiale nel seminario di Padova, doveva riprendere gli studi. Chiedere il permesso al Vescovo la madre non osava, perché quasi sicura di averne un rifiuto. In altra circostanza, sentendola parlare di Don Bosco, Monsignore le aveva detto: - La signora é pregata di avere stima, non del solo Don Bosco, ma bensì anco degli altri ecclesiastici. - Alle quali parole ella soggiunse: - Eh sì, Monsignore; io stimo moltissimo anche gli altri ecclesiastici, ma mi accorderà però che dei Don Bosco non se ne trovano con tanta facilità. E poi sa che cosa io penso, o Monsignore? Che facendo ciò che Don Bosco dice, non si sbaglia mai, perché ritengo che Don Bosco vegga la Madonna spesso, ed ecco il motivo per cui non sarà mai possibile che nessuna persona mi convinca di non dar retta a Don Bosco, quando mi suggerisse qualche cosa o per me o pel figlio mio -[587].
Questa é l'ultima lettera di Don Bosco alla vedova Bonmartini. Ce ne restano due al figlio. Una é del 1885, quando la mamma era in fin di vita. Don Bosco gli diceva:
Mi scrivi che le notizie di Mamma sono assai gravi. Mi rincresce. Tutti i nostri orfanelli, in tutte le nostre Chiese si prega incessantemente per Lei.
Qualunque cosa sia per avvenire, tu sai che Don Bosco ha [678] promesso a te, a Mamma, a Don Tullio che vuol farti da padre specialmente per l'anima,
Per qualunque cosa non siamo distanti.
Se Mamma si trova in uno stato di capire, dille che parleremo delle cose nostre nella beata eternità.
Per te, per Don Tullio la camera é preparata.
Maria sia in ogni cosa di guida pel Paradiso.
Dopo non c'é più nulla fino al gennaio del 1887. Don Bosco allora scrisse prima a Don De Agostini, che gli aveva mandato degli ex-voto per una grazia ricevuta.
La ringrazio tanto dei suoi auguri e, di tutto cuore, prego il Signore di colmarla di tutte quelle grazie che a me desidera; le dia salute, contento, pace; benedica il suo Ministero e renda l'anima sua molto gradita agli occhi suoi col moltiplicarle sempre più la buona volontà e l'attenzione sopra di se stessa, per essere, quando le sarà dato, degna di quel grande Iddio al servizio del quale noi sacerdoti e religiosi siamo più specialmente consecrati.
I quadretti ed i cuori saranno, secondo la loro intenzione, appesi nel santuario di Maria Ausiliatrice. Ci rallegriamo che questa buona Madre li abbia protetti e preservati da una così grande disgrazia.
Noi intanto ringraziamo la Madonna e continuiamo a pregare per Lei, per Franceschino e sua parentela, e per tutte le sue intenzioni, specialmente pel suo fratello.
Mi creda qual godo professarmi
Il giorno appresso D. Bosco rispose agli auguri di Francesco, dandogli preziosi consigli.
Ho ricevuto con piacere i tuoi auguri e te ne ringrazio di tutto cuore.
Mi dici che hai già studiata la lingua italiana, ma ora tu devi seriamente studiare questa lingua; ortografia, vocaboli, sentimenti, esposizione, ecco quello che devi ancora e molto meditare. [679]
Sta attento ai compagni. Fuggi come la peste chi non frequenta la santa Comunione. Tienti fedelmente ai consigli di Don Tullio e sta certo che tutto andrà bene. Preghiamo per tua madre che spero fra non molto rivedere. Maria ci guidi per la via del cielo. Amen.
Il Beato sperava “fra non molto di rivedere” la mamma di Francesco; naturalmente, in Paradiso. Povero Franceschino! Tutto ci autorizza a credere che Don Bosco nella bontà della sua indole e nelle altre sue attitudini riscontrasse i requisiti per farne un buon prete e fors'anche un buon salesiano. Non glielo dice mai aperto; ma lo piglia quasi per mano, lo incammina, lo porta fin sulla soglia, non lo spinge però a entrare. Si direbbe che il buon Padre avesse il segreto presentimento della mala sorte che attendeva il suo pupillo, restando nel mondo.
Le lettere che scrisse al Procuratore, sogliono essere di affari. O per intero o a brani, ne abbiamo riportate parecchie finora; faremo luogo qui a due sole.
L'invio di un prete in aiuto a Don Dalmazzo, una spedizione di libri suoi e di Don Lemoyne da umiliare al Santo Padre quale segno tangibile del suo attaccamento al Vicario di Gesù Cristo, la speranza che il dilata[588] non gli chiudesse le porte a qualsiasi privilegio, una manifestazione di stragrande superiorità d'animo, una nota di paternità in principio e in fine, formano il precipuo contenuto di questa importante lettera.
Questa volta é nostro corriere il nostro Confratello Sac. Manfredi ex-parroco. Egli ha buona volontà ed é capace di lavorare. Ma egli é ancora novizio e però procura di essergli Maestro nelle parole, nei [680] fatti, e nella pratica di Roma. Se occorrono esami egli li prenderà. A S. Benigno faceva eccellentemente. Ad altro.
Desidererei sapere se i miei libri e quelli di Lemoyne siano stati presentati al S. Padre e se questi abbia detto qualche cosa e ciò per nostra norma.
Sarà bene che tu parli a Mons. Masotti e lo preghi a volerci dare un consiglio e dirci se tra una concessione del S. Padre da una parte e il dilata dall'altra vi sia ancora qualche cosa, ma assoluta.
Dopo dirai tutto al Card. Nina, che noi seguiremo senza riflessi.
Alii alia dicant delle nostre cose a Roma. Io bado a niente perché siamo sicuri del fatto nostro. Tuttavia se mi dici in confidenza: delle nostre relazioni col S. Padre, col Card. Vicario, colla chiesa del Sacro Cuore etc. mi farai cosa assai utile.
Qui unita avvi una lettera sulla Spezia che tu leggerai, poi chiuderai e porterai al suo indirizzo. So che non é ben scritta; il Cardinale[589] mi perdoni, non ho potuto fare meglio. La mia vista se ne va ogni giorno più. Caro D. Dalmazzo, lavora, ma sempre colla dolcezza di S. Francesco di Sales e colla pazienza di Giobbe. Saluta Don Savio e tutti i nostri confratelli ed abbimi sempre in G. C.
Per necessità di cose la risposta piena alla precedente tardò alquanto a venire; é necessario leggerla pressoché intera[590].
Eccomi finalmente in posizione di rispondere ai venerati suoi fogli e darle le notizie desiderate. Ebbi finalmente ieri sera, mercé l'intercessione del Card. Nina, la sospirata udienza privata dal S. Padre. Mi accolse egli colla consueta benignità, se non maggiore. Prese la lettera che dissuggellò, ma non lesse; perché forse stentava a capire. Poi sedutosi al suo tavolo volle mi mettessi in piedi, e quindi ripassò quasi tutti i volumi e si congratulò assai con Don Bosco pel tanto che scriveva. Lodò la Storia d'Italia specialmente, dicendo che la conosceva già. Vi mancava la Storia Ecclesiastica che si potrà mandare più tardi. Domandò quindi dove Don Bosco prendeva il tempo per iscrivere tante cose. Risposi che sono molti anni che Don Bosco lavora indefessamente a vantaggio della gioventù. Ma notò egli: - Ora però che non ci vede, come fa? - Padre Santo, soggiunsi, ora che [681] la vista é soverchiamente affaticata ed indebolita, detta. - Mi incaricò di ringraziarla tanto e assicurarla che gradì molto l'offerta e che con tranquillità avrebbe dato un'occhiata a tutto. Mi domandò quindi dell'Arcivescovo e risposi che, quantunque avesse consacrata la Chiesa, il suo contegno é però sempre ostile. Si rammaricò assai di ciò e disse di pregare. Mi domandò quindi della Parrocchia animandomi ad andare avanti, malgrado le difficoltà che insorgono e poi mi disse, dietro mia preghiera, che dava un'ampia benedizione a Don Bosco, alla Congregazione e a tutti quelli che si erano raccomandati. Venne quindi ad accompagnarmi con somma bontà fino alla porta della seconda stanza.
Con questo é ampiamente risposto al suo quesito, se siamo in buona relazione col S. Padre. Con tutti i Cardinali, eccetto la solita eccezione, stiamo in relazioni anche migliori del passato. Il Card. Jacobini che visitai anche ieri sera per umiliare gli auguri di Don Bosco e della Congregazione, benché avesse molto da fare e sapesse la ragione della mia visita, volle ricevermi con tenerezza paterna ed informarsi minutamente di lei, delle missioni e poi dell'Arcivescovo. Deplora lo stato delle cose e dice di sperare e pregare. Tornai a raccomandargli i nostri privilegi e mi assicurò che é questione di tempo, ma che le favorevolissime disposizioni del S. Padre sono per noi un pegno sicuro. Mostrò poi desiderio di sapere qualche cosa su Passaglia che fu da lui, promise grandi cose e poi qui fece nulla. Nel congedarmi mi disse che egli parlerà nuovamente col Papa alla prima occasione pei privilegi e poi insistette assai perché le scrivessi che desiderava un'Ave Maria alla Madonna proprio per lui, ma detta da D. Bosco.
Il Card. Nina si é così affezionato a noi che dopo l'ultima mia visita é già venuto due volte a trovarci e Domenica si trattenne un'ora. Mi parlò di certe chiacchiere che si facevano da certi nemici nostri per atterrarci e mi seppe anche dire che debbono essere partite dal Card. Ferrieri, il quale fece al Papa il più brutto quadro di noi. Nella visita ultima che gli feci nel presentargli l'ultima lettera che io gli portai, entrò egli stesso in argomento per isventare ogni cosa e fece intendere qualche cosa di caustico su Ferrieri. Il papa disse: - Che mai! hanno molti nemici e bisogna camminino coi calzari di piombo, perché in Roma si dà corpo anche alle ombre. Parlò in seguito della Spezia. Annuì alla preghiera di prestarsi con un sussidio per quella santa opera ed ora starò alle costole del Cardinale perché lo ritiri. Con lui lodò tanto Don Bosco e le opere sue e si mostrò soddisfattissimo di tutto e di tutti. Essendogli in questa circostanza di nuovo stato parlato dei privilegi nostri e con molta insistenza, il S. Padre disse: - Ma é un istituto nascente e bisogna andiamo adagio e glie ne concediamo uno per volta. - Riprese allora il Cardinale: - Sarebbe però tempo che si cominciasse da questo uno, per poter venir agli altri. [682]
Provi adunque Ella a rinnovare la dimanda per uno il più necessario per le missioni, ché questo l'otterremo coll'appoggio del Card. Simeoni. In una settimana avrò parlato circa tre ore col Card. Nina, il quale, con una confidenza ineffabile mi parlò di tante cose, di tanti intrighi, di tanti soprusi che a lei solo affido [….…].
A voce meglio che per iscritto le saprò dire tante altre cose. Qui da noi tutti bene. Tutti vogliono ossequiarla ed augurarle per mezzo mio e con me le buone feste, il buon fine e capo d'anno, e lo fo tanto volentieri, persuaso che gradirà gli auguri con quel cuor di Padre che tanto allieta e rasserena l'animo dei figli affezionatissimi cui si gloria d'esser annoverato il più cattivello
PS. Oggi arriva Mons. Manacorda; l'accoglieremo il meglio che si possa.
In dicembre andò a Roma monsignor Manacorda, Vescovo di Fossano. Amico di Don Bosco in tutto il senso della parola e assai pratico dei dicasteri romani, presso i quali aveva fatto la sua carriera, poteva in quelle circostanze giovare moltissimo colà agl'interessi di lui; se pure quella sua andata non ebbe per l'appunto questo preciso scopo. Il Beato ne informò il Procuratore, infiorando la lettera di un monito prezioso. Della lotteria si parlerà in appresso.
Mons. Manacorda nostro buon amico va a passare un po' di tempo a Roma per evitare i crudi freddi del nostro paese. Egli ti darà di nostre notizie in lungo e in largo.
Ti auguro e teco auguro a tutti ogni felicità spirituale e temporale. Procura di comunicare a tutti i Salesiani i miei augurii e le mie raccomandazioni, che sono osservanza esatta della povertà, castità, obbedienza, con cui ci siamo consacrati al Signore. Per noi sarà un bel giorno, quando avremo la carità che regni perfettamente tra voi, che saranno sistemati gli affari coll'impresario, e potremo ripigliare i nostri lavori del Sacro Cuore di Gesù.
La lotteria dorme? prepara di lì, che di qui ti daremo mano.
Dio vi benedica tutti e dirai ai nostri benefattori singoli, che Don Bosco prega e fa pregare per tutti loro.
La grazia di N. S. G. C. sia sempre con noi. Amen.
Prima che l'anno spirasse, Don Bosco fece pervenire ai Direttori delle case la strenna per l'anno nuovo, a mo di circolare intestata ai singoli. Con quella però di Don Lemoyne, direttore delle Figlie di Maria Ausiliatrice a Nizza Monferrato, mise un biglietto personale, quasi a peculiare significazione di benevolenza per il suo recente lavoro su S. Giovanni Evangelista[591].
Mando a tutti una strenna generale: ma al celebre scrittore di S. Giovanni Evangelista voglio fare un augurio a parte: - Avere grande cura della tua sanità e santità e di quella di tutti i tuoi della casa.
Amami in nostro Signore e credimi sempre tutto tuo
Ed ecco in qual modo era presentata la strenna.
Direttore della casa di .......
Siamo alla fine dell'anno ed al principio di un anno nuovo.
Ti raccomando di ringraziare cordialmente tutti coloro che in questi giorni mi hanno inviati scritti ed hanno pregato per me.
Io poi a tutti imploro da Dio sanità e grazia di una vita felice.
La mia strenna poi é: 1° Al direttore. Carità e dolcezza con tutti.
2° Ai confratelli della Congregazione. Esatta osservanza dei voti con cui ci siamo consacrati al Signore.
3° Ai giovani tutti. Frequente confessione e comunione divota.
4° Dirai a tutti da parte mia che mi raccomando a volermi dire in complesso e separatamente quale cosa vogliono risolvere, per venirmi in aiuto a salvare l'anima loro, che fu e sarà oggetto delle mie sollecitudini sino al termine della mia vita.
La grazia di nostro S. G. C. sia sempre con noi.
PS. Mi farai pervenire la risposta che ciascuno farà al numero 4. [684]
Come saggio delle risposte al numero 4 riportiamo queste righe di Don Cibrario, direttore della casa di Vallecrosia[592]: “La risposta é una sola per tutti. La salvezza dell'anima nostra é strettamente legata all'osservanza dei voti fatti; da essa dipende; per conseguenza siamo tutti pronti ed impegnati ad osservarli fino alla morte. Così speriamo colla grazia del Signore. Ecco l'aiuto, la cooperazione che noi tutti desideriamo e vogliamo prestarle, affinché salvi le nostre anime.” [685]
Relazione di Don Bosco al Ministro degli Esteri.
Corre il sesto anno da che io mi presentava al sig. Ministro degli affari Esteri in Roma, esponendo il bisogno di una Missione Italiana nell'America del Sud. Esaminata e conosciuta l'importanza del progetto il sig. Ministro l'approvava, l'incoraggiava con lusinghiere parole e mi veniva in aiuto con un sussidio pei viaggi. Pertanto il 14 novembre 1875 io mandava dieci socii del nostro Istituto i quali giungevano nella Repubblica Argentina il 14 del susseguente mese. Si fecero poi altre quattro spedizioni.
Voglia ora gradire un breve cenno di quanto si é potuto fare in questo lasso di tempo.
Nella città di Montevideo capitale di quella Repubblica si fondò una scuola cui intervengono più di 300 poveri giovanetti, che in parte notabile sono figli Italiani. In Villa Colon poco lungi dalla capitale avvi un Collegio dove è insegnata e parlata la lingua italiana. La medesima istruzione si somministra agli Europei che abitano nelle città orientali della Plata.
Nella città detta la Bocca popolatissimo sobborgo di Buenos Aires vi abitano oltre 20.000 Italiani. Quivi fu costituita una Parrocchia, si fondarono scuole pei ragazzi e per le fanciulle con Ospizio di circa 200 poveri fanciulli.
Nel centro poi della città esiste la Chiesa della Misericordia. Nella medesima città avvi l'ospizio di S. Carlos de Almagro dove sonvi raccolti più di 200 fanciulli poveri. I soci Salesiani ne hanno cura ed esercitano il culto religioso in favore di moltitudine di adulti e di fanciulli, che intervengono per così dire alla loro Chiesa Nazionale, dove [688] é costantemente predicata e parlata la lingua italiana. Nella città di S. Nicolas de los Arroyos vi é pure un collegio di convittori ed esterni dove é studiata e parlata la lingua italiana
Si ha eziandio cura di molte colonie italiane fra cui primeggia quella detta Villa Libertad in Entrerios e che conta 200 famiglie italiane le quali sono stanziate nei così detti campi ossia in siti molto distanti dalle città e dal commercio. Colà si attende esclusivamente alla coltura di quelle fertilissime campagne.
Nella Patagonia sulle sponde del Rio Negro si poterono in breve tempo fondare sei colonie di Indi presso i quali concorsero molti Europei e segnatamente Italiani. In quelle colonie i Salesiani hanno già fondate e vanno tuttora fondando scuole, case di educazione ed Ospizi per i fanciulli, adulti e per tutti quelli che si trovano in bisogno di apprendere le arti e mestieri e il modo di coltivare la terra.
Il divisamento si é di continuare le Missioni Italiane fino allo stretto di Magellano e di qui avanzarci fino al capo Horn. Ma di questo argomento ho bisogno di conferire personalmente colla E. V. come spero di fare, se mel concederà, nel prossimo mese di marzo.
Le statistiche ultime annoverano oltre a 300.000 italiani nella Repubblica Argentina di cui 50.000 sono nella Capitale senza calcolare i sobborghi. Si fecero già cinque spedizioni di salesiani, i quali presentemente sono divisi in trentaquattro località dove danno istruzione ed educazione in generale ai più poveri ed abbandonati ma sempre con sollecitudini particolari verso degli Italiani.
Si tratta presentemente di fare una nuova spedizione in aiuto di quelli che lavorano già in quelle Repubbliche che versano nel medesimo bisogno di chi prenda cura della gioventù e degli stessi adulti. Tale spedizione é fissata al N° di 22 ed in parte avrà luogo verso il fine del corrente mese sul battello Umberto I della Società Rocco e Piaggio.
Gli altri partiranno al 3 del prossimo febbraio sui postali della Società Lavarello.
Trovandomi nelle strettezze per fare le dovute provviste e pagare le spese di viaggio, ricorro a V. E. affinché mi presti soccorso in quella impresa che tornerà certamente di grande onore alla Nazione Italiana e di tutti coloro che la promuovono. Credo pure le torni cosa gradita sapere come i soci Salesiani si sono più volte prestati a rendere servizio agli incaricati dal governo Italiano residenti a Montevideo [689] e a Buenos-Aires, come consta dall'esposizione che quei potenziari hanno fatto al governo Italiano.
Ecco l'opera ch'io intendo di mettere sotto la protezione dell'E. V. opera che ha per iscopo di diffondere la scienza, la moralità, la civiltà, il commercio e l'agricoltura in quei lontanissimi paesi in cui affluiscono continuamente famiglie Italiane,
Pieno di fiducia nella nota di Lei bontà ho l'alto onore di professarmi
Risposta del Ministro degli Esteri a Don Bosco.
Insieme alla preziosa sua lettera del 16 corrente, ho ricevuto una Memoria che Ella dirige a questo Ministero intorno all'invio d'una nuova missione nell'America del Sud. Per quanto sta in me, non mancherà certo il mio appoggio alla sua ammirabile intrapresa, ma credo che il Ministero non potrà prendere una decisione circa l'invocato sussidio, prima del ritorno di S. E. Cairoli che, com'Ella sa, accompagna la Famiglia Reale[593].
Il marchese Spinola deve trovarsi in questi giorni a Torino, ed Ella potrà avere da lui i ragguagli che desidera sulle cose sud-americane.
Profitto dell'occasione per ripetermi con la maggiore considerazione
Progetto di una rete meteorologica nell'America del Sud
Il terzo Congresso Geografico Internazionale di Venezia emise in seduta solenne il seguente voto proposto dal 3° Gruppo:
“Il 3° Gruppo propone che si istituiscano lungo il Rio Negro di Patagonia e sulla baja di S. Giuseppe alcuni Osservatorii meteorologici diretti specialmente alle osservazioni magnetiche, valendosi in ciò della cooperazione dei Missionarii italiani in Patagonia.” [690]
L'importanza di stabilire delle stazioni meteorologiche in quelle regioni era già stata riconosciuta dal Comitato internazionale della meteorologia polare, e nella Conferenza che esso raccolse a Berna nell'agosto dell'anno passato 1880, per mezzo del delegato Italiano prof. Cora, aveva espresso il desiderio perché si ordinasse almeno una di tali stazioni nell'estremo Sud-America. Ma diverse difficoltà s'incontrarono per l'attuazione di questo progetto, e la proposta del delegato Italiano di stabilire una stazione al Capo Horn, od in altri luoghi vicini, non trovò valido appoggio nel suo paese.
Pare che i Francesi vogliano andar essi al Capo Horn, ma é cosa ancora incerta.
Appartenendo io appunto, come Segretario al terzo Gruppo del Congresso di Venezia, da cui fu formulato il voto, non osai aggiungere parola, per non compromettere innanzi tempo i missionarii Italiani, della Congregazione dei Salesiani, che sono in quelle regioni, sebbene ne conoscessi l'operosità e il buon volere.
Giunto però a Torino ne conferii senza indugio col venerando Capo, il sac. Don Bosco, già noto dovunque per la mirabile sua energia nell'iniziare opere buone d'ogni sorta, il quale invia ogni anno in quei lontani paesi un eletto stuolo di suoi figli che si consacrano al bene religioso di quei popoli, senza trascurarne l'intellettuale e materiale vantaggio.
Come già io m'aspettava, Don Bosco accondiscese di buon grado a quanto io gli esposi, soddisfacendo in tal modo senza molte pratiche inutili e senza difficoltà, al desiderio del mondo scientifico di estendere il suo dominio sulle regioni poco conosciute del globo.
Un primo progetto fu concertato insieme; ed in seguito andrà man mano completandosi e perfezionandosi.
Innanzi tutto, importa sapere, che, anche prima del Congresso geografico, nel mese di Luglio, era venuto da me l'egregio prof. Don Lasagna, Direttore del Collegio Pio che i Salesiani hanno a Montevideo, manifestandomi il divisamento che egli aveva di ordinare una buona stazione di meteorologia in quel Collegio collocato in ottima posizione. lo accolsi con tutto il favore l'opportunissima proposta, e l'Osservatorio di Montevideo, ormai può dirsi un fatto compiuto. Gli istrumenti sono già acquistati, ed io sto addestrando gli Osservatori che tra breve partiranno per quel luogo.
L'Osservatorio di Montevideo sarà fornito di tutti i migliori istrumenti che posseggono le nostre stazioni meteorologiche, non escluso l'anemojetografo Denza, ed un buon apparato per la declinazione magnetica. Esso potrà riguardarsi l'Osservatorio centrale della nuova rete.
Oltre a questo osservatorio la cui fondazione come é stato detto è indipendente dal voto del Congresso Geografico, Don Bosco ne mette sin d'ora a disposizione altri due in quelle contrade, uno a Buenos-Ayres e l'altro a Carmen non lungi dalle foci del Rio Negro che é il [691] confine settentrionale della Patagonia. Queste due stazioni saranno anch'esse fornite di tutti gli strumenti richiesti per una completa stazione di meteorologia. In essa del pari che a Montevideo le osservazioni si faranno in modo regolare e continuo perché esistono già in quelle località case di Salesiani fornite di personale adatto.
Alle tre suddette stazioni si deve aggiungere una quarta che l'Associazione meteorologica possiede nell'interno della stessa repubblica Argentina, dappresso alle Ande, fondata dall'antica Corrispondenza meteorologica Italiana, nel Seminario Conciliare di Satta, sotto la direzione del prof. sac. Noalles e che già manda le sue osservazioni da due anni.
Alle ricordate Stazioni se ne aggiungeranno altre di terzo ordine che saranno incaricate di osservazioni sulla temperatura, sulla pioggia e su altri fatti atmosferici specialmente sul Rio Negro.
Un'altra Stazione, che anch'essa non mancherà d'importanza, verrà molto facilmente ordinata dagli stessi missionari a Petropoli, oltre Rio Janeiro.
Questo primo ordinamento di un servizio meteorologico nelle regioni più meridionali dell'America, offre già per se solo una importanza grandissima per la Fisica del Globo. Esso però non é che il cominciamento di un lavoro assai più grande ed esteso; e, grazie all'operosità dei missionari Italiani, ed al favore sempre crescente che essi godono meritamente in quei paesi, altri luoghi d'osservazioni anche più importanti si andranno man mano ordinando e vi ha grande speranza che tra pochi anni uno sarà messo vicino allo stesso Capo Horn.
In tal maniera senza grave dispendio, e senza rumori, si giungerà alla difficile soluzione di un problema a cui anela ardentemente la odierna meteorologia, e, ciò che importa non poco, i risultati che saranno a noi inviati da quelle remote contrade del Globo, in cui é ben difficile istituire controlli saranno tali da meritarsi l'intera fiducia de' dotti, perché raccolti da quegli uomini di sagrifizio, con nessun altro intendimento, salvo quello di rendersi utili alla Scienza.
Dall'Osservatorio di Moncalieri, 2 novembre 1881.
Conferenza. di Don Bosco ai Cooperatori di Marsiglia.
Charitables coopérateurs et coopératrices,[594].
Le comte rendu que le très zélé Monsieur l'abbé Mendre vient de faire de nos souscripteurs, des dames et des MM.rs des deux comités et en général de tous nos coopérateurs me persuade de ne pas ajouindre [692] Appendice di documenta un mot sur leur grande charité. Je me borne à exclamer avec la voix de la religion et de la reconnaissance: Dieu soit béni pour toujours dans vos bonnes oeuvres; et pendant qu'il vous assure un grand prix au ciel, moi, tous nos enfants vous professent une reconnaissance qui sera jamais effacée de nostre coeur.
C'est pour quoi que me semble que soit pas à propos de faire un raisonnement moral sur les ceuvres qui ont été l'objet de votre charité; ne moins vous parler du progrès. que nos missions dans l'Amérique du Sud et surtout dans la Patagonie, des maisons fondées en cette année. Me semble qu'il doit être de votre bon gré un simple exposé de nos maisons de France, c'est-à-dire du Patronage de S. Pierre à Nice, des deux fermes agricoles de la Navarre et de St. Cyr, et plus particulièremment de l'Oratoire de St-Léon où la Divine Providence a permis de nous assembler en ce jour pour moi si heureux.
Je commence par notre patronage de Nice. Pendant cette année on a bâtie une église, on a agrandi la construction première, on a augmenté notablement le nombre des élèves et avec notre consolation nous avons l'apui et le secours des autorités civiles et ecclésiastiques. La ferme agricole pour les garçons est à la Navarre, canton de la Crau d'Hyères. Cette ferme vient de se développer merveilleusement.
Quand nous avons reçu cette propriété on peut dire qu'elle était un fond de terre couvert de chiendent; maintenant les travaux des enfants ont déjà donné quelques fruits en blé, en vin, en primeurs et nommément en liége et en olive. On a aussi augmenté le nombre des petits laboreurs, mais on dut agrandire, reparer les constructions pour en empêcher la ruine; pourtant nous avons dû faire quelque dette qu'il faut payer.
Ferme agricole pour les orphelines. A St. Cyr pays entre Aubagne et Toulon, dans le canton dit de St. Isidore a été définitivement établie une ferme agricole pour les orphelines. L'année passée nous on parlâmes comme d'une oeuvre à commencer; à présent nous pouvons déjà voir des pauvres jeunes filles qui pendant le jour, comme des petits laboreurs, manient l'herbe et le foin, ramassent et brûlent le chiendent et s'occupent de toutes les autres choses relatives au jardinage. Le matin et le soir ont l'instruction en classe, apprendent le cathéchisme, en même temps apprennent à coudre, tricoter et tout le ménage nécessaire pour une bonne mère de famille, mais d'une famille rurale.
La direction, l'administration, la surveillance et en un mot toute la maintenue de l'orphelinat a été confié aux soeurs de M. Auxiliatrice. Oratoire de St. Léon. Maintenant venons à l'Oratoire de St. Léon qui est l'objet spécial de vos travaux et de vos soins continuels.
L'année passée dans ces jours mêmes, on voyait dans toute la maison un bouleversement de choses. Maçons, manoeuvres, pierres, briques, serruriers, charpentiers, de la chaux, bois, fers et planches [693] occupaient tout l'emplacement de notre maison. A présent, o charitables coopérateurs et coopératrices, vous voyez cette église qui a été bâtie en très peu de temps. La salle même où nous avons tenu autre fois la conférence des coopérateurs, maintenant est changée en dortoir où couchent bien des garçons. L'aile gauche, le milieu, en toute son élévation est finie. On a quatre étages, mais rigoureusement remplis: bureaux des Supérieurs, dortoirs, salles de classes, chambres de récréation; réfectoires et cuisines; grande salle pour la classe de musique voyal et instrumentale, ateliers, magasins; sont ces choses qui ne nous laissent pas le plus petit coin disponible.
Une seule chose pourra bien venir à notre aide, c'est l'aile droite, qui vient d'être à la toiture, mais avant qu'elle soit habitable il faut du temps et de l'argent. Le nombre de nos enfants aujourd'hui est de 250 à peu près, dont plusieurs font leurs études, les autres un métier. Nous avons pas de budget préventif, c'est seulement la charité de nos fervents.comités de Messieurs et de Dames, des coop. et des coop.ces et d'autres zélés chrétiens. Mais la maison étant très bien réglée, il n'y a pas de difficultés pour l'entretien des enfants et pour les petits frais de chaque jour.
On devrait acheter deux petites maisons et le terrain; mais une dette seulement nous donne des soucis, ce sont les notes des entreprenneurs, auxquelles nous devons la bien remarcable somme de cent vingt mille francs (120.000) sans calculer les frais qu'on doit encore faire à finir l'aile droite. C'est un grande dépense pour une maison qui se soutient par la charité publique. Mais c'est une oeuvre qui Dieu le veule, et pour cela il faut chercher le moyen pour achever cette aile et la remplir tout de suite de pauvres garçons qui sans cesse demandent d'être reçus et auxquels faut toujours répondre avec le coeur déchiré: Point de place. Nos régistres nous donnent les chiffres surprennants de plus de cinq mille (5.000) pauvres garçons auxquels on a dû refuser la réception, défaut de la place. Quand nous aurons terminé l'aile droite nos pourrons porter le nombre de nos pauvres garçons à (350) trois cent cinquante. Mais où prendre l'argent pour payer les dettes et conduire les travaux jusqu'au bout? Mon Dieu, pourquoi vous m'avez pas donné des richesses, pour les employer jusqu'au dernier centime pour éloigner tant de malheureux des rues et des places! Pauvres garçons! Ils marchent à la perdition sans s'en apercevoir. Combien de vous pourraient être éloignés des antichambres des prisons et placés dans notre Oratoire! Ici la science, la religion, un metier pourront vous sauver l'honneur de vous, de votre famille, et au même temps assurer le bonheur éternel de votre âme.
Mon Dieu, je dis, pourquoi vous m'avez pas créé riche; porquoi vous me donnez pas de l'argent pour recevoir chez nous tous les pauvres garçons et en faire des bons citoyens sur la terre et des bons chrétiens pour le ciel en préparant aussi un bon avenir à la société civile! [694]
C'est vrai, je n'ai pas le bonheur des richesses, mais j'ai l'incomparable bonheur d'avoir des coopératurs et de coopératrices, qui sont bien riches de bonne volonté, de charité, qui ont déjà fait, qui font, et qui feront toujours tous les sacrifices pour venir en aide à complir et à soutenir l'oeuvre de Dieu, l'oeuvre protégé par notre grande Mère la très Sainte Vierge Marie.
Courage donc, à l'oeuvre, o charitables coopérateurs, courage, à l'oeuvre. Mais comment faire à trouver l'argent? Dieu nous le dit: Quod superest, date eleemosynam, tout le superflu donnez-le aumône. Maintenant donnez votre superflu pour l'orphelinat Beaujour, et l'orphelinat sera terminé.
Mais vous me dites: Quelle chose entendez-vous par superflu? Écoutez, mes respectables Coopérateurs; tout le bien temporel, toutes les richesses vous ont été données par Dieu; mais, en les donnant, il nous donne la liberté de choisir tout ce qui est nécessaire pour nous. Pas plus. Mais Dieu qui est maître de nous, de nos propriétés et de tout notre argent, Dieu demande un compte sévère de toutes choses qui ne nous sont pas nécessaires, si nous les donnons pas selon son commendement. Je suis sûr que si nous, avec une bonne volonté, nous mettons dans un côté notre superflu, nous aurons sans doute les moyens nécessaires pour notre oeuvre.
Vous direz: Est-ce une obligation de donner tout le superflu en bonnes oeuvres? Je ne peux pas vous donner d'autre réponse hors de celle-là, que le divin Sauveur nous commande de donner: Donnez le superflu. Il a pas volu fixer des bornes et moi je n'ai l'hardiesse de changer sa doctrine.
Je vous dirai seulement que notre Seigneur, dans la crainte que les chrétiens n'auraient pas bien compris ces paroles et qu'il lui ne veux pas donner une grande importance, il a ajouté que c'est plus facile, qu'un chameau entre dans le trou d'une aiguille, qu'un riche se sauve. C'est-à-dire qu'il faut un miracle et un grand miracle, dit St. Augustin, qu'un riche se sauve, s'il fait pas un bon usage de ses richesses en donnant le superflu aux pauvres. Entrons donc dans nos maisons et on trouvera quelque chose de superflu dans les habillements, dans les meubles, dans la table, dans les voyages, dans les frais et dans la conservation de l'argent et dans des autres choses qui ne soient pas nécessaires.
Autre moyen encore pour, venir en aide aux pauvres, c'est de nous constituer comme des quêteurs et des quêteuses en faisant connaître à nos parents, à nos amis l'importance de faire l'aumône. C'est Dieu qui nous le dit. Donnez et on vous donnera. Date et dabitur vobis. Voulez-vous des grâces et effacer vos péchés de l'âme? Faites de l'aumône. Eleemosyna est, quae pourgat peccata. Voulez-vous vous assurer d'avoir miséricorde chez Dieu? Faites l'aumône. Facit invenire misericordiam. Voulons-nous nous assurer le bonheur éternel du [695] Paradis? Eleemosyna est quae facit invenire misericordiam et vitam aeternam. Dieu nous promet le centuple de toutes nos bonnes ceuves; Dieu maintiendra sa parole, soit avec une grande abondance des grâces temporelles, soit spirituelles.
Mais dans l'autre vie quelles choses nous gagnerons avec l'aumône? On goûtera le bonheur éternel; et les âmes que nous avons soignées, mises dans l'orphelinat, habillées, nourries, seront des puissantes protectrices chez Dieu au moment que nous nous présenterons au tribunal de Dieu, pour Lui rendre compte des actions de la vie. Mais je veux pas ici entrer dans un argument moral, car sa Grandeur l'Archevêque d'Aix, qui a daigné de présider notre réunion, il se daignera aussi de nous dire quelques paternelles paroles qui nous soient comme un guide au bonheur spirituel et temporel.
Mesdames, je voudrais vous conter une histoire
Bien courte, en quelques mots, mais, vous pouvez me croire;
Intéressante. Or donc, un pauvre prêtre, un jour
Se senti transpercé de cet étrange amour,
Flêche divine au coeur, adorable blessure,
Qui du bonheur du ciel nous donne la mesure.
Il se fit père et mère, étreignant sur son sein
L'enfant abandonné vaguant par le chemin,
Et, dans un fier élan de charité suprême,
N'ayant rien à donner, il se donna lui-même.
Mesdames, le bon Dieu, de son bras tout-puissant,
Soutient toujours celui qui protège l'enfant;
L'Esprit-Saint largement lui donne sa lumière
Et déverse sur lui tous ses biens de la terre.
Le pauvre abbé, d'abord, recueillit un enfant,
Puis un second, puis dix, puis cinquante, puis cent;
Mesdames, à cette heure, ils sont quatre-vingt mille.
Quatre-vingt mille enfants, vous entendez, mesdames,
Dont on nourrit les corps, dont on soigne les âmes!
On fait de ces enfants d'habils ouvriers,
De vaillants travailleurs, rompus à leurs métiers!
Mais on va plus avant, plus haut: on leur révèle
L'ineffable beauté de leur âme immortelle,
Et ces enfants du peuple, enivrés à leur tour,
Transpercés, eux aussi, de la flêche d'amour,
Se donnent, en grand nombre, au bon et divin Maître,
Le jésus ouvrier qu'on leur a fait connaître. [696]
O prodige inoui! Céleste contagion!
D'un coeur qui s'est donné merveilleuse éclosion!
Des prêtres sont sortis de la jeune famille,
Des prêtres!... à lui seul il en a fait six mille!
Ces prêtres, à leur tour, puissants intercesseurs,
Lèvent les bras au Ciel pour tous leurs protecteurs.
Quatre-vingt mille enfants, mesdames, cela mange,
Cela mange beaucoup. Si l'enfant est un ange,
Quand il est sur la terre il a bon appétit;
Il lui faut, chaque jour, du pain, un toit, un lit.
Où trouver tout cela quand pour toutes ressources
On a, c'est notre lot, lé vide dans sa bourse?
Le pauvre Prêtre, alors se mit à demander;
Quand les enfants ont faim il faut bien mendier!
Et, lors, la Sainte Vierge, aimable protectrice,
Se fit de ces enfants dame auxiliatrice.
Elle -daigna combler d'éclatantes faveurs
Tous ceux qui leur donnaient, - trop heureux bienfaiteurs!
Et l'on donna beaucoup: pour la grâce espérée,
Et pour la guérison d'un enfant adoré...
Le pauvre Prêtre ainsi possède un vrai trésor:
C'est la Reine du Ciel qui lui fournit de l'or.
Un sac et un bâton, bagage de l'apôtre,
Voilà tout son avoir, sa bourse: c'est la vôtre.
Per la conferenza di Don Bosco a San Remo.
SCUOLE E CHIESA NEI PIANI DI VALLECROSIA.
Ai benemeriti cittadini di S. Remo,
Tra Ventimiglia e Bordighera è la Vallecrosia, dove in breve tempo si è formata una, popolazione, che si può dire un novello paese. Ma fra quegli abitanti non vi erano nè Chiese, nè Scuole cattoliche. I Valdesi soltanto vi fondarono ospizio, tempio e scuole per allettare l'innocente gioventù a recarvisi. A fine di impedire le dolorose conseguenze dei mali crescenti, fu preso provvisoriamente a pigione un meschino locale, che tosto divenne insufficiente. Costretti dalla necessità, si diede principio alla costruzione di una Chiesa con annessa abitazione pei maestri e per le scuole dei ragazzi da un lato, e dall'altro, un locale per le maestre e per le scuole delle fanciulle.
A tale uopo non vi è nè reddito, nè sussidio fisso.
Tutto si sostenne e si sostiene colla beneficenza quotidiana. I lavori progredivano alacremente, quando vennero a mancare i mezzi [697] per la continuazione dei medesimi. Ed ecco lo scopo dell'appello alla vostra carità, o generosi cittadini di S. Remo, Una scelta di benefici Signori e di zelanti Signore accettarono l'incarico di questuare presso alle persone caritatevoli di loro conoscenza. Domenica poi (10 corrente aprile) con autorizzazione di S. E. R. Mons. Vescovo di questa Diocesi, sarà tenuta una conferenza dallo scrivente nella Chiesa parrocchiale di S. Siro, in cui sarà meglio spiegato lo scopo e il bisogno di ottenerlo.
La funzione avrà luogo come segue:
Ore 3 ½ pom. - Canto dei Vespri;
“ 4 “ - Conferenza di attualità, Canto dell'Inno
Stabat Mater e Benedizione col SS.
E’ bene qui di notare, come il Sommo Pontefice LEONE XIII, con tratto di singolare clemenza, manda a tutti coloro, che interverranno a questa conferenza, una speciale benedizione con indulgenza plenaria in forma consueta.
La questua sarà a totale benefizio dell'Istituto sopra mentovato.
Iddio misericordioso che dà il centuplo ad ogni piccola cosa che si fa per amor suo, benedica, e largamente ricompensi quelli, che concorreranno a sostenere un'opera consacrata al bene della religione, a gloria della Chiesa, a vantaggio della stessa civile società.
Con profonda gratitudine ho l'alto onore di potermi professare
Benemeriti Collettori e Col lettrici
Asquasciati Sig. Gio.Batta. Bottini Sig.a Bianca Maestra priv.
Borea Sig. Marchese. Capoduro Signora Marietta.
Brandy M. l'abbé. Cioccale sorelle-Maestre.
Deandreis Sig. Pietro. Corradi Signora Angela ved.
Deandreis Sig. Gio. Batta. Garbarini Signora Marchesa.
Ferrari Sig. Pietro. Gismondi Signora Costanza ved.
Guasco Sig. Giacomo. Martini sorelle Maestre priv.
Laura Sig. Antonio. Madame del Castillo.
Margotti Sig. Gio. Batta. Musso Signora Bianca via
Massabò M. R. Sig. Teologo. Musso Signora Bianca
Melga Sig. Pietro. Onetti Signora Lucia.
Musso Sig. Stefano. Pesante Signora Petronilla.
Parodi Sig. Giacomo. Rambaldi Signora Anna.
Pesante Sig. Giacomo. Religiose Domenicane.
Adorni Signora Fanny. Rinco n. Della Torre Sig.a
Asquasciati Signora Catterina. Roverizio Signora
Biria Signora Maddalena Maestra. Siccardi Signora Giulia n.
Bobone Signora Paola. Trucco Signora Anna. [698]
A maggior gloria di Dio, a decoro di nostra santa cattolica religione, a perpetua memoria della compianta Contessa Azeglio de Maistre, dichiaro quanto segue:
La pia signora Contessa Azeglia de Maistre in tutto il corso della sua vita mortale fu un valido sostegno delle opere di beneficenza affidate ai Salesiani. Quando poi Dio la volle chiamare alla vita eterna per godere il frutto della sua carità, legava la generosa somma di fr. tre mila (3000) in favore dei nostri poveri giovanetti già tante volte beneficati.
Oltre alla comune incancellabile gratitudine, noi abbiamo sempre pregato per tale benefattrice, mentre viveva sulla terra; ora che Dio la chiamò a sé, l'abbiamo annoverata fra coloro, per cui in tutte le case della Congregazione Salesiana si faranno ogni giorno particolari preghiere in perpetuo, vale a dire fino a tanto che il Signore pietoso conserverà l'umile istituto di S. Francesco di Sales.
La mentovata somma di danaro venne oggi da me ricevuta per mano della signora Marchesa Maria Fassati, degna figlia della sullodata Contessa defunta, essa pure nostra insigne benefattrice.
Dio ci conceda la grazia di ben vivere e di ben morire.
Supplica per onorificenza al sig. G. Repetto.
Credo non tornerà discaro che io presenti alla E. V. un virtuoso cittadino che mi pare degno di essere segnalato alla munificenza Sovrana. E' questi il sig. Repetto Giuseppe di Lavagna Ligure, figlio di Bernardo cavaliere giudice del tribunale di commercio della città di Chiavari.
Esso é ufficiale della guardia nazionale mobile.
Fondatore e sostenitore della scuola di disegno di ornato, di figura e plastica nella sua propria casa.
Vice console della Repubblica Argentina, generoso protettore di molte opere di beneficenza in favore della sua parrocchia e di asili d'infanzia.
Ultimamente ha fatto eseguire importanti lavori nell'Ospizio di S. Giovanni in costruzione nella città di Torino sul corso Vittorio [699] Emanuele destinato a ricovero di poveri fanciulli pel valore di circa quindici mila lire che ha generosamente condonato.
Per costui lo scrivente domanda rispettosamente una decorazione dell'Ordine Mauriziano come sarà più gradita all'Ecc.za V.
E’ nato e residente in Lavagna Ligure e trovasi in età di anni 45.
Circolare ai Cooperatori Fiorentini.
Ai Signori Cooperatori ed alle Signore Cooperatrici
Con grandissima consolazione ho l'alto onore di potervi partecipare che l'Oratorio festivo pei giovanetti ebbe un regolare principio in questa nobile città, nella Via Cimabue n. 31 Parrocchia S. Salvi e che sta per aprire eziandio l'ospizio pei poveri fanciulli da tanto tempo desiderato. Affinché voi possiate ben conoscere quanto si é fatto e quanto ancora rimanga a fare al detto scopo, col consenso e sotto la presidenza di Sua Ecc. Rev ma Mons. Cecconi nostro veneratissimo Arcivescovo, rappresentato dal Reverendissimo Canonico Gaetano Righi suo Vicario Generale, fu stabilita una conferenza dei Cooperatori e delle Cooperatrici da tenersi domenica prossima nella chiesa di S. Firenze alle ore 5 pomeridiane. Essendo questa la prima riunione dei Cooperatori Salesiani di Firenze, io vi fo umile ma calda preghiera a volerla onorare di vostra presenza, tanto più che non si tratta di opere estranee a questa città, ma di fondare stabilmente un Istituto per i poveri orfanelli, la cui buona educazione so starvi molto a cuore, che in questo tempo versano in grave pericolo della moralità e religione. Prego Dio che largamente rimeriti la vostra carità, mentre con gratitudine profonda mi professo.
1° La conferenza comincerà colla lettura di un capitolo della vita di S. Francesco di Sales e vi terrà dietro il canto di un mottetto.
2° Il Sac. Giovanni Bosco darà breve cenno delle opere raccomandate alla carità dei Cooperatori Salesiani e parlerà più specialmente del novello Istituto consacrato a ricordare le glorie del grande pontefice Pio IX; [700]
3° Altro mottetto e benedizione del SS. Sacramento;
4° Preghiere per i benefattori vivi e defunti.
NB. Sua Santità Leone XIII manda una speciale benedizione a quelli che intervengono a questa conferenza e tutti potranno lucrare l'indulgenza, plenaria secondo il regolamento. La questua che si farà andrà a totale beneficio dell'Oratorio e dell'Ospizio su accennati e i Signori Cooperatori sono pregati di raccogliere tra i loro parenti ed amici tutte le offerte che potranno allo stesso scopo.
Ognuno può a suo piacimento condur seco le persone di sua conoscenza sebbene non ancora ascritte alla Pia Unione.
Lettera di Don Francesia a Mons. Gastaldi[595].
Dopo una vita periculorum plenissimam, io aveva quasi diritto di credere l'ultimo esame quello che mi avrebbe dato il buon Dio. M'accorsi ieri da una lettera del Can. Chiaverotti, scritta a nome di V. Ecc., che io mi era ingannato. Pazienza! D'una cosa sola io ho timore, di non fare cioé onore al mio bravo e venerato maestro[596]. Quest'idea di chiamarmi a nuovo esame sulla Teologia Morale, dopo 12 anni che confessai regolarmente in varie Diocesi, io credo che Le sia nata dal dubbio che io non l'abbia mai fatto. Quand'Ella, Mons. V.mo, lasciava Torino[597] il povero sottoscritto, quasi contemporaneamente, lasciava l'Oratorio per andare a Cherasco come dir. di un Collegio Municipale ed Economo Sp. della Parrocchia attigua. Allora appunto si trattava di fare gli esami dì Teologia Mor. Mons. Galletti[598] desiderò averne esso la prerogativa, e mi delegò a buona memoria del T. Golzio. Ebbi le regolari patenti dopo tal esame, e poi le feci convalidare anche a Torino. Ciò fu nel tempo che rimasi a Cherasco. Quando invece andai a Varazze, donde non veniva che raramente a Torino, non ci pensava per nulla di figurare solo in questa cara città, che era la seconda patria. Se però io non ci pensava, ci pensò V. Ecc. e con venerato foglio di ap. del 1873 mi dava ampiamente la licenza di ascoltare le confessioni. Mi diffondo su questo per l'unico motivo che Ella sappia che io era in regola colla Curia, almeno mi pare; e che gli esami gli diedi da un Esam. Sinodale di Tor. specialmente delegato dalla venerata M. di M. Galletti. [701]
Spiegatomi così in confidenza con V. E. R.ma, non ho che da dirle di fare secondo la sua parola. E’ vero che ho da umiliare un poco il mio amor proprio; ma dirò, come ogni dì: Bonum mihi quia humiliasti
E' vero che la memoria é logora, lo stomaco indebolito, le occupazioni accresciute, ma dirò: Paratum cor meum, Domine, paratum cor meum, et fac cum servo tuo secundum misericordiam tuam. Fatte così le mie adesioni intere ai venerati cenni di V. Ecc., vorrei pregarla a concedermi questo esame almeno non prima di luglio p. v. Mi perdoni poi finalmente se non seppi intieramente ancor dimenticare l'affettuoso Maestro, né riconoscere solo in Lei il zelante ed operoso Pastore dell'arcid. dì S. Massimo. Sa il Signore quante volte ho dovuto frenare il mio cuore perché non mi tradisse e non mi trasportasse a valicar quei confini di riverente confidenza che un dì per sua degnazione mi soleva concedere.
Qui sul finire mi ricordo in buon punto che ho da ringraziare l'Ecc. V. per avermi fatto avvisare che Ella andrebbe a S. Giuseppe[599] addi 19 corrente per la Cresima a quegli alunni e che se anche i nostri avessero voluto partecipare, Ella ne sarebbe stata assai lieto. Quel dì l'abbiamo già impegnato, e non possiamo tener l'invito. La sua buona memoria mi ha proprio commosso!
Mentre prego il buon Dio a conservare V. E. ad multos annos per il tanto bene che fa, baciandole il sacro anello, implorandone la S. benedizione, mi ripeto
Guarigione di Raimondo di Villeneuve.
Je pouvais avoir 7 ou 8 ans quand mon frère Raymond, plus jeune que moi d'environ 3 ans, tomba gravement malade. Nous étions à la campagne et par conséquent, avec peu de facilité pour avoir médecin et remèdes. Par bonheur, un ami de la famille, le bon Docteur d'Espiney, auquel nous étions aussi débiteurs pour la connaissance que nous avions faite de don Bosco deux ans auparavant, comprenant pleinement l'angoisse de mon père, qui avait déjà perdu deux enfants, accourut à son premier appel et s'arrêta au chevet du cher petit malade. Tout de suite il déclara que Raymond avait une pneumonie très grave. Invoquer l'Auxiliatrice des chrétiens fut la [702] première pensée de papa: en effet, il écrivit immédiatement au Valdocco, confiant ses peines à don Bosco et demandant ses prières. Mais le saint était absent de Turin et la lettre ne lui parvint que quelques jours plus tard. Pendant ce temps le mal progressa rapidement, d'une manière inexorable: Le 8e jour, vers le soir, tout espoir de guérison était perdu: le docteur lui-même croyant que le petit malade ne passerait pas la nuit... aussi veillait-il près de lui, attendant son dernier soupir.
Et pourtant, le jour reparut: et le malade respirait encore... quand soudain, vers 7h. il se réveilla comme d'un profond sommeil, se dressa sur son petit lit et demanda à manger. Oh! prodige de la bonté du Seigneur! Il était parfaitement guéri; Marie Auxiliatrice le rendait à son père.
Deux jours après, une lettre avec un timbre italien, vrai messager céleste, venait sceller d'une manière marveilleuse le prodige arrivé. C'était une lettre de don Bosco, datée du jour de la guérison de mon frère et disait: « Ce matin, vers 7 heures, tandis que je montais à l'autel pour célébrer la sainte Messe, j'ai uni mes actions de grâces aux votres pour la guérison de votre fils». Et l'année suivante, don Bosco voulut avoir comme prieur de la fête de N. D. Auxiliatrice au Valdocco, le petit miraculé.
Soit à jamais louée et bénie la puissante Auxiliatrice à laquelle nous sommes redevables de tant de bienfaits!
ANNE, MARIE, DE VILLENEUVE TRANS, [fille du Marquis, religieuse du Sacré Coeur].
Racconti di grazie scritti da Don Bosco.
Il Sig. Becchis Domenico di Santena ebbe la diasgrazia di essere colpito da una sciatica che lo travagliò molto tempo. Ogni giorno peggiorava, i medici non sapevano più quale rimedio prescrivere. Avendo inteso a parlare delle meraviglie di Maria Ausiliatrice in favore de' suoi devoti, a lei si raccomandò e ne ricevette in Torino la S. Benedizione nella chiesa a lei dedicata, il 24 maggio 1880.
Da quel giorno, o meglio da quel momento, restò perfettamente guarito, nè ebbe più a soffrire molestia alcuna.
Rosso Giuseppe di Castagnole Piemonte di anni 26 ebbe la disgrazia di cadere in una malattia che ha percorso diverse fasi. Cominciò con acuto dolor di costa, di poi furono aggiunte febbri violenti, ed in fine tifo e migliare. - Dopo 15 giorni di così grave e complicata malattia i medici non davano più alcuna speranza e la sua perdita pareva imminente.
In quel grave pericolo fu scritta una lettera al Direttore della Chiesa di Maria Ausiliatrice in Torino chiedendo preghiere e la Benedizione di Maria A. Cominciammo la novena e promettemmo una visita alla Chiesa.
Da quel momento incominciò il miglioramento e la grazia fu così sensibile, che in pochi giorni il malato guarì perfettamente da una malattia che l'aveva condotto in fin di vita, e che avrebbe certamente richiesto più mesi di rigorosi riguardi e di lunga convalescenza.
La madre dell'infermo venne oggi a compiere la sua religiosa obbligazione, ringrazia la gran Madre di Dio che ridonò la sanità ad un figlio che é il sostegno della famiglia e la cui perdita ne sarebbe stata la rovina.
Lodata sempre sia Maria Ausiliatrice, e questo fatto dia coraggio ad altri di ricorrere con fiducia alla S. Vergine cui non si ricorre invano etc.
Rosso Domenica madre del protetto di Maria.
Breve notizia sullo scopo della Pia Società Salesiana.
Soventi volte ci sono richieste notizie intorno alla pia Società di San Francesco di Sales, ed io credo di appagare almeno in parte tale aspettazione esponendo il fine che questa si propone con alcuni brevi ma precisi schiarimenti. Il fine della Pia Società Salesiana é di venire in aiuto della gioventù povera ed abbandonata. Essa cominciò con un semplice Catechismo nel 1841 nella chiesa di S. Francesco d'Assisi in Torino. In progresso di tempo si fondarono e si praticarono i seguenti mezzi:
1° Oratorii festivi e giardini di ricreazione. In essi i fanciulli più abbandonati sono raccolti e trattenuti con piacevoli trastulli in varie ore della giornata. Questi trastulli sono la ginnastica elementare, salti, corsa, altalena, piastrelle, musica vocale e istrumentale, declamazione, teatrini, ecc. Al mattino ad ora stabilita si dà loro la comodità di confessarsi [704] comunicarsi. ascoltare la S. Messa, la spiegazione del Vangelo. Di poi un po' di scuola domenicale.
Dopo mezzogiorno si fa il Catechismo in classe, si cantano i Vespri, cui segue breve istruzione in comune, Benedizione col SS. Sacramento. Di poi ricreazione fino a notte, quindi scuola fino alle ore otto nella stagione d'inverno soltanto. Prima che gli allievi si rechino alle rispettive famiglie alcuni buoni signori, detti Collaboratori o Cooperatori, si fanno a ricercare quelli che non avessero lavoro, mentre altri collaboratori procurano di condurli da qualche onesto padrone presso cui occuparli nel corso della vegnente settimana;
2° Pei giovani operai più adulti cui non basta l'istruzione festiva si fondarono le Scuole serali. Sono ivi insegnati il Catechismo e i corsi elementari in que' limiti e rami d'insegnamento che si giudica convenire ad un artigianello;
3° Scuole diurne per que' giovanetti che essendo male vestiti od alquanto indisciplinati non possono frequentare le classi pubbliche;
4° Ospizi. Gli Ospizi hanno per fine di dare ricetto a que' giovani poveri ed abbandonati che mancano di tetto, di vitto, vestito ed assistenza. In questi Ospizi gli allievi sono applicati alle arti ed ai mestieri, ed alcuni percorrono anche gli studi classici. Ma tutti frequentano le scuole serali dove loro é somministrata l'istruzione elementare, professionale, e l'insegnamento della musica vocale, istrumentale, di canto fermo, di pianoforte, armonio, organo e simili.
Fra gli studenti molti si rendono capaci di coprire impieghi civili e commerciali, altri si danno all'insegnamento scolastico, o vanno nella milizia, mentre alcuni secondando la loro vocazione rientrano nelle rispettive Docesi ed abbracciano la carriera ecclesiastica. Non pochi si consacrano alle Missioni Estere del Brasile, dell'Uruguay, della Repubblica Argentina, e fra gli stessi selvaggi dei Pampas e della Patagonia.
In questi ultimi tempi le campagne richiedendo braccia per la coltivazione delle terre furono pure fondate alcune colonie agricole in Italia, in Francia ed in America tanto per fanciulli quanto per orfanelle. Queste sono affidate alle Suore di Maria SS, Ausiliatrice, che formano come un secondo ordine, e fanno tra le povere fanciulle quello che i Salesiani procurano di fare in favore dei ragazzi.
A sostenere tutte queste opere sono chiamati i Cooperatori Salesiani che costituiscono come un terz'Ordine che differisce alquanto da quello dei Francescani e dei Domenicani. Questi hanno per fine di promuovere lo spirito di pietà tra coloro che vivono nel secolo, mentre i Cooperatori Salesiani si propongono per massima fondamentale di esercitare opere di carità per giovare al buon costume ed alla civile Società dirigendo le loro speciali sollecitudini in favore dei fanciulli poveri ed abbandonati. [705]
L'associazione dei Cooperatori é stata fondata, approvata ed arricchita di molte Indulgenze dal Gran Pontefice Pio IX. Il Regnante Leone XIII é il Capo dei Cooperatori. Il modo con cui gli Associati, possono cooperare é descritto nel Diploma d'Aggregazione e nel Regolamento annesso.
Presentemente vi sono cento trenta Case in cui hanno cristiana educazione circa ottanta mila fanciulli, di cui molti si potevano dire nel vestibolo delle carceri. Accolti essi nelle nostre case, coltivati nella scienza e nella moralità in numero di circa venti cinque mila sono ogni anno ridonati alla civile Società buoni cristiani ed onesti cittadini.
La Casa Principale é a Torino.
Non vi sono mezzi preventivi. Tutto é sostenuto colla beneficenza quotidiana.
Il Sottoscritto si raccomanda a tutti quelli che amano il pubblico bene di venirgli in aiuto colla preghiera, coll'opera personale e con mezzi pecuniarii.
I giovani beneficati fanno ogni giorno mattino e sera delle preghiere particolari pei loro Benefattori.
NB. Parlarono delle Opere Salesiane:
L'Abbé MENDRE in diversi opuscoli;
Il Conte CONNESTABILE nell'operetta: Opere religiose e sociali in Italia, ed in altre operette;
Il Sig. Giulio ROSTAND di Marsiglia;
Il Dottore D'ESPINEY di Nizza;
Il Bollettino Salesiano in molti numeri.
Episodi della vita di Don Bosco
narrati da lui stesso a Don Barberis.
Per venti anni continuati ed assiduamente io frequentai le prigioni di Torino ed in particolare le senatorie; dopo ci andava ancora, ma non più regolarmente. Un giorno uno di questi carcerati infermo mi manda a chiamare per confessarsi. Vado e mentr'esso si aggiusta un po' le coperte, io gli vedo d'accanto un lungo coltellaccio, sottile e bello, ma con una lamina molto lunga e aguzza. Senza dir niente lo prendo, lo chiudo e lo metto in saccoccia. Intanto il prigioniero si volta da me, cerca, cerca, tocca sotto il guanciale, tra le coltri, di qua, di là. [706]
- Una cosa che aveva qui poco fa.
E intanto continuava a cercare. Non trovandolo, chiama l'infermerie.
- Avete preso qualche cosa qui?
E sebbene molto ammalato e in camicia, salta giù dal letto e cerca da ogni parte e non trovando si rimette in letto tra bestemmie e spergiuri con le quali rispondeva alle mie rimostranze sul non saltar giù dal letto così indecentemente ecc.
- Ficcarglielo nel cuore a lei.
- Ma vi ho io fatto qualche male?
- No. Ma é da troppo tempo che peno qui in prigione e non vogliono condannarmi a morte. Se mi riusciva di uccidere lei, almeno mi avrebbero subito condannato alla forca; in a così avrei cessato di soffrire.
Io lo presi poi molto alle buone e finalmente riuscii a farlo confessare.
Altra volta veniva da Caprilio ai Becchi recitando il Breviario sull'imbrunire della sera. Precisamente dove si chiama la Serra e si comincia a discendere, ad uno svolto di via mi si presenta uno e con tono burbero mi dice: - Mi dia qualche cosa. - Ma intanto metteva la mano destra sotto l'ascella e tirava fuori un'arma.
Io lo guardo un po', lo conosco e gli dico: - Cortese! - Egli mi guarda sbalordito.
- E non ti ricordi delle molte promesse che mi hai fatto?
- Oh! Lei é Don Bosco: mi perdoni, mi perdoni, non sapeva!
- E ti sei di nuovo messo per questa via scellerata? Quando eri nelle carceri senatorie a Torino, mi hai detto tante volte che se uscivi, non avresti mai più fatto questa vita.
E senza muoverci da quel luogo, l'ho persuaso a confessarsi. Si preparò un poco, mentre io terminai il Breviario, e poi esso inginocchiato per terra, io seduto su d'una pietra, fece la sua confessione e se ne andò con Dio e pare che non abbia poi più fatta quella vita.
Nel dopo pranzo essendoci parlato a lungo e dandomi egli ogni famigliarità, si venne a parlare del buon avviamento di questa casa e come avessi speranza che Don Bosco troverebbe le cose preparate; e passando d'una cosa in altra, Don Bosco disse.
Quando si va così per le case, non si trovano mai le cose a posto; é bene quando si trova meno male. Nei primi tempi dell'Oratorio, [707] saranno trent'anni fa, ricordo che io mi credeva d'avere in mano il cuore di tutti i giovani e veramente mi amavano in modo straordinario. Venne Don Belasio a dettare gli esercizi spirituali e dopo, così, prima che partisse gli volli domandare come in generale avesse trovato le cose, se aveva trovato imbrogli di coscienza... Mi rispose: - Non sono mai andato a dettare missioni o fare esercizi spirituali senza che ne abbia trovato. La differenza sta dal più al meno. -
Io fui maravigliato e mi pareva che quella non dovesse essere pretta verità; eppure mi dovetti col tempo persuadere essere così realmente: la differenza sta dal più al meno. Ve ne sono sempre di quelli che tacciono e per fare che si faccia... E si va avanti mesi ed anni e molti anni e se ne trovano anche tra i medesimi adulti e preti.
Io feci osservare che qui in casa era unico confessore e che, sebbene credessi di essere molto amalo e di avere la confidenza di tutti, temeva... Mi rispose:
Non lusingarti mai d'averla di tutti la confidenza. Vi sarà sempre chi meno pare e più é. Tuttavia sta pur tranquillo e non é necessario che cerchi altri ad aiutarti in questo[600]. Chi ha cominciato o é disposto a cominciare, se tace con te, tace anche con qualunque altro. Procura tuttavia di dare molta comodità dello straordinario.
Accennando che questo lo faceva sempre e che anzi insisteva che venisse con frequenza qualche Superiore di Torino, mi fece capire che così va e altrimenti no e che forestieri secolari non sono adattati.
Lettera dei Card. Nina a Don Bosco.
Il Sig. Can.co Colomiatti avv. Fiscale della Curia di Torino porgitore della presente fu da me sere sono per interessarmi sullo stato della vertenza che pende presso la S. Congregazione del Concilio sull'affare di Don Bonetti, e mi manifestò il vivo desiderio che la detta questione venisse accomodata de bono et aequo fra le parti senza progredire nel giudizio; e mi soggiungeva che qualora il Don Bonetti fosse disposto a far una scusa all'Arcivescovo potrebbe sul merito stabilirsi un accordo che riuscisse di reciproca soddisfazione. Gli risposi sulle prime che essendo ora la Cong.ne in possesso dell'affare mi pareva prudente che le parti si rimettessero al giudizio che avrebbe essa pronunciato. Ma in seguito ad ulteriori insistenze e riflessioni non mi è sembrato conveniente di respingere la preghiera che mi fece [708] d'interpormi presso di Lei allo scopo indicato. Io quindi con la presente adempio all'assunto, persuaso, che ove Ella nella sua prudenza e carità riconosca possibile seguire le viste del Sig. Can.co, il qual d'altronde mostrasi ben animato, non rifiuterà preferire una via conciliativa. Dopo ciò gradisca i miei distinti ossequii, mentre benedicendola nel Signore ho il piacere di dirmi
Lettera di Don Bonetti a Monsignor Verga
segretario della S. Congregazione dei Concilio.
Spero che la E. V. Rev. avrà ricevuto il telegramma e la lettera del mio venerato superiore Don Bosco, con cui questi La pregava di non voler punto ritenere come sospesa la questione vertente tra l'Arcivescovo di Torino e me, né rimettere al medesimo alcuna carta in proposito. Ora per norma dell'Ecc. V. e di cotesta autorevole Congregazione credo bene di narrarle un po' più in disteso le cose avvenute in questi ultimi giorni.
Il 27 dell'ora scorso mese il Sig. Can. Colomiatti Avv. Fiscale della Curia Arcivescovile di Torino dopo aver scritte parecchie lettere, si presentò a nome di Mons. Arcivescovo a Don Bosco e istantemente lo pregava a voler accomodare pacificamente la questione spettante la mia sospensione, tuttora pendente, presso cotesta sacra Congregazione, e in pari tempo, a ritirarne le carte che la riguardano. Don Bosco sempre pronto alla pace si mostrò disposto a ciò fare, ma a due condizioni: I° Che Mons. Arcivescovo ridonasse a Don Bonetti la facoltà di udire le confessioni anche in Chieri, onde venisse riparato il suo onore, leso da una sospensione inflittagli contro le regole canoniche; 2° Che Mons. ritirasse da Roma non solamente le carte spettanti la mia questione ma tutte quelle eziandio dirette ad infamare Don Bosco medesimo e la Congregazione Salesiana. Ciò facendosi per parte di Monsignore Don Bosco per parte sua avrebbe fatto analoga dichiarazione da spedirsi a cotesta Sacra Congregazione, onde ritirare ogni querela.
Intanto desiderando l'Avv. Fiscale di conoscere in qual forma approssimativamente Don Bosco avrebbe fatta la sua dichiarazione insistette che gliene rimettesse la minuta, e Don Bosco di nulla sospettando [709] gliela rimise, aggiungendo con espresse parole che quel foglietto era affatto confidenziale e doveva servire solamente per lui e come base ad ulteriori trattative; e si conchiuse il colloquio andando intesi che l'Avv. Fiscale ne riferisse a Mons. Arcivescovo, ne ottenesse un atto da cui risultassero le due apposte condizioni, gli riportasse con questo anche lo scritto confidenziale, e che allora Don Bosco gliene avrebbe alla sua volta consegnato un altro autentico, redatto secondo i comuni accordi, e l'Avv. promise di così fare.
Don Bosco nella sua buona fede attendeva poscia di giorno in giorno il ritorno dell'Avv. Fiscale quando il 2 di giugno riceve per posta una lettera del medesimo colla quale scusandosi di non poter ripassare personalmente da lui, gli annunzia che Mons. Arcivescovo aveva trasmesso direttamente a cotesta Sacra Congregazione un suo apposito atto, di cui univa copia; atto per nulla conforme alle prese intelligenze; atto che non ritira punto tutte le carte convenute; atto infine che lungi dal riparare l'onore del Sac. Bonetti, lo lascia nello statu quo, anzi tende a nascondere che egli sia stato sospeso per tutta la Diocesi e in una Chiesa pubblica, e lo fa in quella vece supporre privato solamente della facoltà di udire le confessioni in un oratorio o ritiro femminile di suore Salesiane non esenti dalla giurisdizione vescovile, travisando affatto la questione. Né vale che Monsignore dica che mi ha sottoscritto la patente di confessione; poiché anche nei due anni precedenti egli me l'aveva sottoscritta, e ciò non ostante non ha mai permesso che io ritornassi ad esercitare il sacro Ministero nel luogo, in cui io ero stato maggiormente disonorato. Del resto nella lettera di sospensione in data 14 febbraio 1879 Mons. scrive che “Don Bonetti non ha la facoltà di ascoltare le confessioni sacramentali in questa diocesi in sino ad un nuovo esplicito avviso che gli sia comunicato per iscritto”. Or questo avviso, esplicito per iscritto Monsignore non volle farlo neppure ultimamente: prova luminosa che egli non ha intenzione di aggiustare la cosa de bono, et aequo.
Essendo così, la E. V. Rev. non istenterà a persuadersi come Don Bosco fu altamente addolorato nel vedere in siffatto modo sorpresa la sua buona fede e dall'Avv. Fiscale e dall'Arcivescovo medesimo, e quindi meritamente ha dichiarato che intende di mantenere viva la questione, e perciò non ritira da cotesta Sacra Congregazione né la mia querela, né le relative carte.
Da oltre due anni e Don Bosco e il sottoscritto vanno tentando tutti i mezzi per accomodare la cosa pacificamente; ma dalle esperienze sin qui fatte, ed ancora dall'ultimo giuoco ben si vede che per comporre le cose con questo Prelato noi dovremmo immolare sull'ara della pace la verità e l'onore; e ciò non possiamo né vogliamo fare. Quindi già che la vertenza pende presso cotesta autorevole Congregazione io pure dal canto mio intendo che ella sia esaurita sino ad una definitiva sentenza, che qualunque sia per essere riceverò con sommessione [710] e rispetto, siccome quella che sarà emanata da un tribunale saggio ed oculato, che inspira piena fiducia.
Colgo la propizia occasione per raccomandarmi all'alta sua benevolenza, e professarmi con grandissima stima e profonda gratitudine
della Congregazione Salesiana.
Lettera di Mons. Gastaldi all'avv. Menghini.
Con questa lettera prego ed incarico V. S. di prendere le mie difese nella vertenza che ho contro D. P. C. delle Sacr., di Don Bonetti in Torino e direi anche con Don Bosco e i salesiani innanzi alla Sacra Congregazione del Concilio e fare, dire, stampare, compiere quanto le parrà necessario od utile a fine di porre in luce i miei diritti, i miei doveri, le mie rette intenzioni e la giustizia della mia giurisdizione Vescovile.
Non ostante ripetuti e gravissimi dispiaceri che io aveva ricevuto da Don Bosco e dai Salesiani, tuttavia appunto per loro dimostrare la mia intenzione ed il mio vivo desiderio di essere con essi in buona armonia, io con lettera invitai nel 1878 Don Bosco ad aprire un oratorio festivo in Chieri in una casa civile di proprietà di esso Don Bosco per le ragazze che sono in questa città, affidandolo alle suore di Maria Ausiliatrice istituite da Don Bosco, le quali però non hanno alcuna approvazione pontificia. Don Bosco mandò alcune di quelle suore ad abitare in quella casa con mia licenza per iscritto. Si convertì la sala principale in una Cappella ed ogni domenica e festa si manda da Torino, sono ora tre anni, qualche sacerdote a celebrarvi la messa, predicarvi, udirvi le confessioni, a impartirvi la benedizione e sono io che per iscritto autorizzai Don Bosco a mandarvi dei suoi sacerdoti ad ufficiare questa cappella. Questa casa in Chieri quantunque proprietà di Don Bosco, non é per certo una casa religiosa di Salesiani; essa é una casa abitata da femmine le quali vivono in comunità con nessun'altra approvazione o licenza fuorché dell'Arcivescovo di Torino. La cappella che é in questa casa non é una cappella d'una casa di Salesiani, la quale goda di qualche loro privilegio, ma essa é una cappella affatto dipendente dall'Arcivescovo, a cui spetta destinare i Sacerdoti che la debbono ufficiare ed il quale ha diritto di rimuovere dall'ufficiarla quelli che per gravi motivi esso giudica doversi rimuovere senza essere tenuto a darne le ragioni. [711]
Or bene Don Bosco in conformità dell'autorizzazione avutane per iscritto dall'Arcivescovo mandava un suo Salesiano, Don Bonetti, ad uffiziare questa cappella, il quale però fu tosto in urto col Can. Oddenino parroco del duomo di Chieri e questi venne più volte in Curia a muovere gravi lagnanze contro Don Bonetti perché traeva a sé tutte le ragazze solite a frequentare la Chiesa parrocchiale nei dì festivi e compiva le funzioni sue nella cappella, contemporaneamente colle funzioni del Duomo. Io feci chiamare dal Vicario generale Don Bonetti, e lo chiamai pure a me, mi adoperai in tutti i modi acciò esso nell'uffiziare quella cappella non facesse alcuna opposizione al Parroco suddetto e non suscitasse alcun scandalo nella città, ma invano. Scrisse lettere impertinenti al parroco, scrisse pure a me con niente rispetto ed io gli tolsi la facoltà di ascoltare le confessioni in Chieri, per cui Don Bosco fu obbligato mandare altro Sacerdote Salesiano ad uffiziare nella Cappella. Don Bonetti non comparve più in Chieri, ma Don Bosco e Don Bonetti pretendono:
1° Che il Vescovo non può ritirare la facoltà di ascoltare le confessioni ad un Regolare dopo averla concessa. E’ vero questo quando la facoltà si concede solo ad annum, come é il caso con Don Bonetti? Togliere la facoltà di ascoltare le confessioni in un luogo determinato non é un toglierla in senso assoluto, ma solo porre una piccola limitazione.
2° Pretendono che io dovea rivolgermi ad esso Don Bosco per togliere via Don Bonetti e che io debba giustificare innanzi alla Sacra Congregazione questa rimozione.
Frattanto uscirono fuori l'uno a distanza dall'altro varii libelli infamatorii contro di me evidentemente scritti d'ordine e di complicità di Don Bonetti e degli altri Salesiani, i quali libelli largamente si sparsero per tutta la diocesi, per tutto il Piemonte ed anche a Roma. Don Bonetti ricorse alla Sacra Congregazione del Concilio contro di me fin dal maggio 1879 e finalmente nel novembre 1880 fui invitato dalla Medesima a presentare le mie osservazioni, le quali furono redatte dal Can. Colomiatti avvocato fiscale della Curia e nelle quali io presi l'offensiva contro il Don Bonetti e contro i Salesiani per quei libelli infamatorii.
Don Bosco mentre era in Roma avendo potuto esaminare queste osservazioni e temendone danno nella pubblica opinione mi invitò per lettera da Roma a porre le cose quali erano prima che sorgesse questa questione, locché era come dire, che egli come Superiore dei Salesiani recedeva dalle lagnanze innanzi alla S. C. riguardo ai libelli infamatorii e riguardo a Don Bonetti.
D'altronde pare a me che Don Bosco promettendo di non mandare più Don Bonetti a Chieri non faceva che corrispondere ad un mio diritto. Quella cappella dipende da me: non posso io farla uffiziare da altri sacerdoti, sebbene la proprietà sia di Don Bosco e valendomi [712] dei Salesiani, non ho io il diritto di eliminare quelli che si mettono ad urtare col parroco locale e persistono in tumultuosi scandali nella città, e quali siano questi io non ne sono il giudice? Come si dovrà fare con siffatta gente? Fare che si ponga in luce la malafede e la cattiva condotta di questa gente verso l'Arcivescovo
Lettera del Can. Colomiatti al Card. Nina.
A dì due del corrente mese, contento che la questione coi Salesiani fossesi terminata amichevolmente, scrissi una mia letterina a V. Em. per darle sì buona notizia.
Che vuole! Il Cancelliere avendo scritto costà allo spedizioniere apostolico per questa Curia affinché si portasse in S. Congr. del Concilio a ritirare tutte le carte che riguardano i Salesiani, ebbe in risposta che non gli potevano essere rimesse, stante un telegramma di Don Bosco che diceva le trattative essere rotte.
Questo annunzio fecemi cattivissima impressione. Ella se lo può immaginare, ove ritenga che io fin allora aveva un buon concetto di Don Bosco.
Poi, alli II del mese ricevo lettera di Don Bosco, nella quale egli scrive: “L'atto arcivescovile non corrisponde alle nostre intelligenze, lascia Don Bonetti nello stato in cui si trova e non revoca per niente le carte inviate a Roma a carico dello scrivente e della nostra povera Congregazione. Ciò viene confermato dal contegno che il medesimo Monsignor Arcivescovo mantiene verso di noi, siccome a Lei é ben noto. Forse se Ella avesse osservate le intelligenze di tenere il mio scritto come cosa confidenziale a Lei, farlo vedere e poi comunicarmi il tenore di quello che si voleva unire ad esso, la vertenza avrebbe potuto appianarsi con qualche modificazione”.
Unisco a questa mia l'atto arciv. e l'atto di Don Bosco, non che le annotazioni, che feci alle surriferite parole di Don Bosco nella mia relazione, che intorno alle trattative scrissi a Mons. Arcivescovo, il quale le ha inviate alla S. Congregazione del Concilio.
Eminenza R.ma, ora la questione non deve essere finita altrimenti elle con sentenza della S. Congr. Mons. Arcivescovo ha quindi appoggiata la sua istanza con due gravissimi documenti, che rivelano la complicità di Don Bosco stesso nei libelli famosi. Avrei desiderato che un tale processo non si facesse, ma veggo che ora non é più possibile fermare il passo. Dio vorrà fare venire fuori gli attori di una guerra maligna contro Mons. Arcivescovo. Et fiat voluntas Dei. [713]
Se V. Em. desidera che io mano mano la ragguagli dei fatti, che si svolgeranno, sono pronto a servirla con minutezza e devozione illimitata.
Mons. Arciv. mi dà incarico di presentare i suoi omaggi a V. Em. R.ma. Prostrandomi al bacio della S. Porpora e implorando la sua benedizione mi dico
Lettera di incerto a Don Bosco.
Arrivo da Roma dove ho inteso delle ciancie contro di Lei. Si dice che Ella dopo di avere aderito ad un accomodamento amichevole iniziato e proposto dall'Arcivescovo riguardo alla vertenza Bonetti, con sua lettera in data del 27 scorso maggio, e che unitamente alla sua lettera ci arrivava a Roma anche quella dell'Arcivescovo con preghiera al Card. che permettesse di ritirare le carte inoltrate alla Sacra Congregazione d'ambe le parti. Lei dopo tale lettera, ha mandato a Roma telegrammi ed altra lettera diretta alla Congregazione per disdire la prima, scrivendo cose in contraddizione a quelle già scritte non consone alla verità, come sarebbe il dire che la sua prima lettera era soltanto come confidenziale al C. Colomiatti e che solo doveva servire come di base all'aggiustamento, mentre aveva dichiarato apertamente che era contento di aggiustare ogni cosa senza porre condizione alcuna. Tale sua seconda lettera ha fatto cattiva impressione in Roma, dove si dice che Ella mancò in questa cosa di spirito di carità e di conciliazione, e solo guidato da puntiglio e pretesto per sostenere la vertenza Bonetti; e se tutto ciò verrà a sapersi in Torino Ella farebbe una figura non troppo bella, perché ci sarebbe per lei il di sopra e di sotto. E perciò tutti dicono che sarebbe meglio di venire ad un aggiustamento coll'Arcivescovo, perché la matassa s'imbroglia, e le acque si fanno torbide anche per Lei.
Creda, Rev. Don Bosco, che in certe vertenze vale meglio un magro aggiustamento, che una vittoria, la quale non può essere vantaggiosa nemmeno al vincitore per le traccie di scandali che lascia dietro di sé; e poi vi é di mezzo lo spirito di carità che deve dominare gli uomini che stanno in alto circondati da prestigio dei buoni, i quali saranno sempre addolorati degli scandali massimamente voluti e promossi da chi porta per insegna carità e buon esempio. [714]
Insomma tutta la vertenza sua poggia sull'affare Bonetti; ebbene destini Don Bonetti ad altra Casa fuori di Diocesi, oppure lasci che eserciti il suo ministero anche nella Diocesi di Torino e abbandoni il puntiglio di Chieri. Ella è Superiore e può ordinare in virtù della santa obbedienza al Don Bonetti di fare sì piccolo sacrifizio e per nessun modo di sfregio alla Congregazione, e così si venga ad una riconciliazione, la quale forma il desiderio dei buoni e che non potrà a meno di fare onore a Lei, e ciò per la maggior gloria di Dio, per amore del bene, per evitare grandi scandali e per edificazione di tutti i buoni che amano la religione e il trionfo di tutte le cristiane virtù.
Colla più alta stima la riverisco pregiandomi.
Lettera di Don Bonetti all'avv. Leonori.
Preg.mo e M. R. Sig. Avvocato,
La causa da me promossa contro l'Arcivescovo di Torino per la illegale sospensione inflittami da circa 3 anni non fu sinora trattata, e da quanto mi fa sapere Don Dalmazzo non si tratterà nel corrente mese. Eppure la S. V. mesi sono ci dava come per certo che in settembre sarebbe stata giudicata dalla Sacra Congregazione del Concilio, presso cui pende sin dal 1879. Fummo adunque delusi nella nostra aspettazione.
Ottimo Sig. Avvocato, permetta che le dica che non solo io, ma lo stesso Sig. Don Bosco, mio venerato Superiore, e quanti sono informati della dosa si stupiscono di un tanto indugio. In 3 anni non aver potuto studiare e trattare una questione, che a giudizio degli intelligenti, presa nel suo vero aspetto, é una delle più facili, é tal fatto che dà il diritto alle più strane congetture. Per verità non potendosi dare la ragione sufficiente di una tale lungaggine varie sono le opinioni che si vanno emettendo. Chi attribuisce questa tardanza alla S. Congregazione stessa, ciò che non é: chi l'attribuisce alle occupazioni dell'Avvocato, il quale per altro ci assicurò che non si sarebbe addossato altro lavoro, a fine di accudire e terminare questa nostra causa. Per altra parte di qui fu pure aiutato dal cliente stesso ad estendere la scrittura in latino, come gli era stato indicato dall'Avv. stesso; e inoltre gli si mandò a dire per tempo che ove gli occorresse aiuto ce lo facesse sapere, che gli avremmo spedito apposito scrivano, anzi nel bisogno sarebbe venuto a Roma lo stesso Don Bonetti; ma l'Avv. non diede indizio di aver un tal bisogno. Taluni poi attribuiscono il lamentato indugio ai raggiri, alle arti degli avversarii, da cui suppongono siasi lasciata cogliere la buona fede dell'Avvocato stesso, [715] cosa che non vorrei credere, essendo stato messo più volte in sull'avviso. Insomma chi ne dice una, chi ne dice un'altra. Tutti poi esternano la più alta meraviglia che un povero religioso illegalmente sospeso e ingiustamente disonorato, malgrado ricorsi sopra ricorsi alla Santa Sede, non abbia in sì lungo tempo potuto ottenere giustizia, e farsi lavare la brutta macchia, che gli venne ingiustamente impressa a disdoro del carattere Sacerdotale e a scandalo dei fedeli.
Sig. Avvocato, fin dal principio che fu risolto di fare questa causa, Don Dalmazzo, nostro Procuratore costì, interpellò la S. V. se il suo impiego alla Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari le lasciasse la dovuta libertà di trattare questa questione contro l'Arcivescovo di Torino a difesa di un Salesiano, ed ella dichiarò di essere liberissimo, portandone in prova la causa di Don Mellica. Ma forse il nostro timore non era mal fondato.
Ad ogni modo é tempo di parlare chiaro e far presto. Mi pare utile che il lavoro sia tosto terminato, onde sia distribuito agli Eminentissimi giudici nel tempo delle ferie, e così siano in grado di trattare la causa immancabilmente dopo le medesime, senza doverla più trasferire ad altro mese e forse ad altro anno.
Quindi le dimando: Può ella attendere al lavoro in questo mentre? Può ella accudirlo onde riesca non solo quale si conviene per la dottrina, ma pulito e scevro di errori tipografici? Può ella mandarcene le bozze? Se la sua sanità e le sue occupazioni le permettono di attendervi, la prego a farlo; se no, mi parli chiaro, onde io possa provvedere al caso imprevisto.
Aspetto dunque una risposta categorica, ed ho troppa fiducia nella sua franchezza e lealtà per non dubitare che ella vorrà favorirmela al più presto possibile.
Perdoni ai disturbi di un povero cliente da 3 anni a dispetto dai sacri canoni sospeso e segnato a dito quale un Sacerdote indegno.
Nella fiducia di quanto sopra mi pregio di professarmi cori pienezza di stima
PS. Se la S. V. non possa attendere all'Opuscolo[601] e alla Scrittura, lasci pure da parte l'opuscolo, ma termini innanzi la scrittura, la quale se sarà ben redatta, può bastare per tutto. L'Arcivescovo sulla fin del luglio stampò sul giornale radicale il Duca di Locarno una lettera a pro del Rosminianismo della quale V. S. potrebbe far cenno, perché farebbe conoscere chi sia colui. [716]
Lettera del teol. Fiore al Papa.
Io sono un Sacerdote secolare della Diocesi di Torino, ma fin da giovinetto conosco la casa e le opere del caritatevolissimo e zelantissimo Don Bosco in Torino. Io non posso trattenermi dal manifestare una pena gravissima, che ebbi comune con moltissimi altri del Clero Torinese, assistendo al Sinodo Diocesano, che tenne in Torino il Rev.mo nostro Arcivescovo il 10 del corrente.
Consapevole di quello che era già avvenuto più altre volte, io nel recarmi a quella radunanza temeva che avrei nuovamente avuto il dolore di udire l'Arcivescovo a pronunziare parole rincrescevoli; e pur troppo la mia previsione si é avverata.
Due discorsi egli tenne al suo clero in quel giorno, l'uno al mattino, l'altro alla sera, e in ambidue Sua Eccellenza fece vedere il suo animo avverso al vero merito. A mo' d'esempio venne egli a parlare degli Oratorii festivi o giardini di ricreazione pei giovanetti, e ne dimostrò il grande vantaggio. Per questo poteva bene l'Arcivescovo portare l'esempio degli Oratorii festivi che da 40 anni il Rev. Don Bosco istituì e tiene tuttora aperti nei punti principali di Torino, e per mezzo dei Salesiani dirige a tutte sue spese; eppure no. Monsignore con mal celata premeditazione portò l'esempio degli Oratorii della Città di Brescia, come se Don Bosco ed i suoi non punto esistessero in Torino. Santissimi Padre, il clero, il quale conosce quello che da 8 lustri fa il Rev. Don Bosco a vantaggio della Diocesi, provò una pessima impressione allo scorgere nel suo Capo una tale noncuranza verso di un ecclesiastico così benemerito non solo di Torino, ma del Piemonte dell'Italia, e di altri luoghi ancora. Questo é il vero modo di demoralizzare il clero, e fargli perdere il favorevole concetto, che dovrebbe nutrire verso il suo Arcivescovo.
Più doloroso fu il discorso della sera. Con adirata voce si scagliò egli furiosamente contro di coloro che sfoggiano tanta riverenza al Papa ma a spese del Vescovo, tanta dipendenza alla Cattedra di Pietro e nulla a quella di Massimo; iveì con termini violenti contro il giornalismo cattolico accusandolo d'immischiarsi in questioni che non gli appartengono, e senza escluderne neppur uno, chiamò giornalacci impertinenti tutti quei diarii che si vantano del titolo di Cattolici e poi fanno peggio dei giornali irreligiosi ed empii. Pareva insomma udire il povero Padre Curci a declamare certi squarci dell'infelice suo libello: I vecchi zelanti. Furono alcuni istanti veramente crudeli e scandalosi. Guai se i laici avessero udito quel discorso! Guai se lo [717] sapessero i fedeli! Seppure, non é già un gran danno che lo abbiano udito e lo sappiano tanti membri del clero?
Dico nulla del modo con cui a voce e per iscritto ei difende il sistema filosofico dell'abate Rosmini, come fece ancora ultimamente con apposita pastorale il 24 ottobre passato, malgrado che sappia che detto sistema non arride alla Santa Sede; e conchiudo coll'assicurare la Santità Vostra che immenso é il male che questo Arcivescovo fa in questa disgraziata Arcidiocesi. Se Voi, Santissimo Padre, non prendete qualche determinazione, il male si farà irrimediabile, perché guai se si guastano le teste specialmente del giovane clero.
Beatissimo Padre, perdonate ad un umile Sacerdote questo sfogo dell'anima. Io non mi sarei azzardato di scrivere queste cose, se non avessi riflettuto che le confidava nelle mani del Vicario di Gesù Cristo, il quale non se ne servirà che alla maggior gloria di Dio e a bene della Chiesa.
Prostrato in ispirito al bacio del Sacro Piede imploro l'apostolica benedizione mi dico con profonda venerazione
Lettera di Don Bonetti al Card. Nina.
Quasi alla vigilia dello scioglimento della mia causa col Rev.mo Arcivescovo di Torino, permetta, Eminenza Rev.ma, che io sottoponga umilmente alcune considerazioni all'alto giudizio della Sacra Congregazione, a cui Ella sì degnamente presiede. Io le presento per niun altro motivo, se non per poter dire poscia a me stesso di aver fatto tutto quello che mi credeva in obbligo di fare a riguardo di questa dolorosa vertenza. La Eminenza Vostra e i sapientissimi Padri ne faranno quel conto che ne crederanno bene nel Signore, poiché a loro intieramente m'affido e mi abbandono.
I. Da principio l'Arcivescovo non mi ha solamente ristretto la giurisdizione per Chieri, ma me l'ha tolta affatto per tutta la Diocesi. Di qui la mia morte civile religiosa ed Ecclesiastica perché quella sospensione totale mi ha fatto credere colpevole di gravi delitti presso il popolo, presso i miei confratelli, presso il clero.
II. La restrizione parziale essendo stata susseguita immediatamente alla totale sospensione, in questo caso mi pare che equivalga alla sospensione medesima; é con essa strettamente legata e al pari [718] di quella produce il pessimo effetto del mio disonore non meritato da alcuna colpa canonica.
III. Se io non ho bisogno per ora della giurisdizione anche per Chieri allo scopo di campare la vita materiale ne ho per altro bisogno per vivere la vita civile, cioè per essere ripristinato nell'onore Sacerdotale rapitomi dalla totale sospensione non giustificata.
IV. Se non mi viene restituita intieramente la giurisdizione, in questo caso con qual altro mezzo potrò io essere ristorato nell'onore? E' forse egli giusto che senza colpa io debba proseguire ad essere creduto dai fedeli quale un Sacerdote e religioso indegno con tanto scandalo delle anime? Ed é cosa giusta che la Congregazione Salesiana, che attende con tutte le forze a fare nel mondo il maggior bene che può, rimanga anch'essa disonorata, e riceva una sì cattiva mercede? I padri e le madri di famiglia della città di Chieri che dovranno pensare, quando sapranno che il Sacerdote Salesiano, mandato ad istruire le loro figliuole fu degno di essere in tal modo punito? Non sarebbe questo un colpo fatale ad un'Opera che fece già tanto del bene coll'unico fine della gloria di Dio?
V. Anche la Congregazione Salesiana, di cui fo parte, e a nome di cui io operava ha pur bisogno che l'onore mi sia ridonato, perché altrimenti nel suo membro ne contrarrebbe essa pure una macchia immeritata, e ne scapiterebbe assai, specialmente in questi tristissimi tempi nei quali ha bisogno d'ogni appoggio per fare il bene in mezzo al popolo.
VI. Finalmente, se nel caso mio l'Arcivescovo di Torino fu in diritto di sospendermi e tradurmi quale un malvagio soggetto, senza poter addurre altra ragione fuorché le rimostranze di un parroco o la propria volontà, ne conseguiterebbe che egli medesimo e ciascun Vescovo delle 100 Case Salesiane potrebbe fare egualmente cogli altri Confessori miei Confratelli. E allora a che ci servirebbe ancora il Breve Pontificio del 12 7.bre 1876? A che gioverebbe la clausola del medesimo, che i Salesiani nelle loro Chiese ed Oratorii pubblici possono esercitare il sacro Ministero de Moderatorum suorum licentia libere ac licite? Quale dei Salesiani potrebbe ancora stare tranquillo nell'esercizio del suo sacro Ministero, se per farli sospendere e allontanarli dalle loro Chiese bastassero le rimostranze di un parroco o la volontà di un Ordinario? Che sarebbe di noi soprattutto nella Diocesi di Torino? Se fin qui Mons. Arcivescovo c'impedì già tante volte delle sacre funzioni nelle nostre Chiese, ci punì e ci sospese già tanti preti, ci sospese persino Don Bosco e da 4 anni lo tiene sotto la minaccia di una sospensione che sarebbe mai di lui e di noi per l'avvenire?
La questione che mi riguarda non é già se l'Arcivescovo possa negarmi od anche limitarmi la giurisdizione per assolvere certi peccati o per confessare in una Casa di Monache o ritiro di fanciulle, come si vorrebbe far credere: ma bensì se senza causa conveniva [719] togliere o limitare la giurisdizione ad un Confessore religioso già approvato per udire le confessioni dei fedeli in una Chiesa od Oratorio pubblico gaudente di speciale pontificio privilegio, come fu appunto nel caso mio.
VII. Il breve Pontificio del 12 settembre 1876 non parla di Case, come farebbe intendere il R.mo Arcivescovo; ma di Chiese ed Oratori pubblici appartenenti a' Salesiani. Ora l'Oratorio di Chieri appartiene per legittima proprietà ai Salesiani, come ammette lo stesso Mons. e non già Oratorio privato di Monache, ma Oratorio pubblico, perché fu destinato per le ragazze esterne della Città, le quali vi intervengono in numero di oltre a 500. Dunque i privilegi in quel Breve confermati si estendono anche al detto Oratorio; ed io esercitandovi il sacro mio ministero per mandato del mio Superiore aveva il diritto di esercitarlo libere. Perciò l'Arcivescovo se gli gradiva poteva negarmi o togliermi la facoltà di confessare le Suore nella loro Cappella privata, ma non avrebbe potuto lecitamente sospendermi ed allontanarmene dalla Chiesa pubblica con tanta mia infamia e senza una colpa canonica.
VIII. L'Arcivescovo per giustificare il suo operato dice ancora (nel novero di queste Congregazioni) che la Congregazione Salesiana non é un Ordine regolare propriamente detto, e che quindi io non posso appoggiarmi al Decreto emanato dalla S. Congreg. de' VV. e RR. in data 20 novembre 1615. Ma io rispondo che presentemente la S. Chiesa non approva più nessun Ordine Regolare propriamente detto, ma soltanto Congregazioni di voti semplici tra cui prima é quella dei Teatini nel 1525. Dopo i Teatini vennero tutte le altre Congregazioni di voti semplici, come dei Lazzaristi, Passionisti, Redentoristi, gli oblati di Maria, i quali tutti godono dei privilegi degli ordini antichi. Ora fra le Congregazioni Ecclesiastiche é anche la Pia Società Salesiana definitivamente approvata il 3 aprile 1874, e poscia con dichiarazione della Sacra Congreg. dei VV. e RR. in data 13 gennaio 1875.
Eminenza Rev.ma, prego umilmente, ma caldamente, che nel portare l'alto loro giudizio, che da tre anni io attendo, vogliano gli Em.mi, portando alta la difesa del mio Arcivescovo aver presenti queste ultime mie considerazioni. Nella fiducia che Ella voglia aver tanta bontà di perdonarmi ancora questo disturbo, m'inchino riverentemente al bacio della Sacra Porpora e godo di potermi professare con altissima stima, e profonda venerazione.
Lettera dei Can. Sona a Don Bonetti.
Molto Rev.do e caro D. Bonetti,
Richiedendomi la S. V. Molto Rev. un attestato riguardante l'amministrazione degli ultimi sacramenti da me fatta alla Suor Innocenza defunta l'anno scorso 1880 in novembre nella casa dell'Istituto Salesiano in Chieri, nel Distretto di questa Parrocchia e Chiesa Collegiata di S. Maria della Scala, credo di doverle dichiarare ogni cosa, non solo in quanto alla sostanza e verità del fatto, ma ancora quelle circostanze che riguardano la mia intenzione per non violare i diritti parrocchiali e nemmeno per altra parte quei privilegi o facoltà che potesse avere la Congregazione Salesiana. Debbo adunque notare che fui chiamato in fretta ad un'ora pomeridiana a visitate l'inferma in caso d'urgenza gravissima e fui chiamato come amico della Casa dell'Istituto e come assistente delegato verbalmente per quei casi straordinarii che potessero occorrere in assenza del Sacerdote Direttore e per quelle cose in cui potessi esser utile. Per tal fine adunque essendo venuto ed avendo inteso che la inferma a parere del medico stava in gravissimo pericolo, e che perciò già si era spedito un dispaccio telegrafico per chiamare un prete Salesiano dalla Casa Madre di Torino e specialmente il Rev. Don Cagliero Direttore delle Suore, così passai a visitare l'inferma, ma riconobbi che si era alquanto riavuta e che si poteva ancora aspettare fino all'arrivo del Sacerdote Salesiano che doveva essere fra poche ore. Ma siccome nel partire in fretta da Torino il Sacerdote Salesiano per assistere la moribonda avrebbe potuto facilmente arrivare in Chieri senza Olio Santo, come di fatto avvenne, e sapendo io che nella Chiesa dell'Istituto in Chieri non si tiene l'Olio Santo, perciò mi sono recato dai RR. PP. di S. Antonio della C. di Gesù dove narrando brevemente l'occorrente necessità, mi fu conceduto dal P. Prefetto della Sacrestia. Portato adunque l'Olio Santo nella Chiesa dell'Oratorio o Istituto Salesiano venne l'ora del Vespro e Compieta: mi recai alla recita del Vespro e Compieta nella Collegiata e quindi andai a confessare al Ritiro delle Rosine donde più verso sera ritornato alla casa dell'Istituto intesi non essere ancora arrivato il Sacerdote, ed introdotto di nuovo presso alla Suora inferma, e vedendo che non era più prudenza il differire trovandosi proprio in pericolo imminente di morte, avvisai l'inferma e la Superiora ed assistenti e quindi la confessai e subito dopo dalla Chiesa propria della Casa le portai il SS. Viatico e le amministrai l'Olio Santo: dopo di che l'inferma ripigliando alquanto di forza e di [721] riposo poté ancora protrarre la sua tranquilla agonia fino alla tarda notte del giorno seguente che era giorno di sabato. Intanto appena terminata l'amministrazione dei Sacramenti arrivò quasi subito il Sacerdote Don Branda il quale diede ancora alla moribonda in quella sera medesima del suo arrivo da Torino la Benedizione Papale
Ecco dunque, o caro e Rev. Don Bonetti, quello che riguarda l'amministrazione dei Sacramenti da me fatta alla detta Suora, la quale amministrazione feci io stesso personalmente perché si trattava di un caso urgentissimo quando venni all'atto dell'amministrazione. Del resto avrei lasciato ogni cosa nelle mani del prete Salesiano che doveva arrivare fra poche ore da Torino essendo stato chiamato per dispaccio telegrafico. Mi rincresce che il Rev. Don Branda ora si trovi in Ispagna, il quale potrebbe anch'esso, attestare per parte sua la presente dichiarazione. E siccome questa dichiarazione od attestato é ora da me fatta in forma tutta privata perciò non so qual valore possa avere in giudizio; però potendo io stesso essere chiamato in Giudizio non solo per la presente dichiarazione, ma ancora per la detta amministrazione dei Sacramenti in extremis, intendo perciò e voglio che questa mia dichiarazione od attestato non possa dalla S. V. Molto Rev. essere presentata a nessuno fuorché alla Sacra Congregazione del Concilio presso di cui si tratta la sua causa verso Mons. Arcivescovo di Torino, e che in tal caso questa medesima dichiarazione mi serva come di lettera d'appello presso la medesima Sacra Congregazione presso la quale intendo essere giudicato della soprannunziata amministrazione dei Sacramenti ove facesse bisogno ed alla quale umilmente e pienamente mi sottometto.
Sono adunque, o Caro Molto Rev. D. Bonetti,
Suo Aff.mo e Dev. Servo in Domino
Per copia conforme all'Originale.
Lettera della S. Congregazione del Concilio
Proposita in generali Concilio huius S. Congreg. Conc. controversia Taurinensis inhibitionis sub dubii formula: an suspensio seu interdictum locale ad audiendis confessionibus sit confirmandum vel infirmandum in casu: Eminentissimi Patres die 17 defluentis decembris [722] scripserunt « Dilata et ad Mentem ». Mens auteur est, ut significetur Tibi, atque Archiepiscopo in votis esse eorumdem Eminentissimorum Patrum, ut praefata quaestio antequamn prout de iure dirimatur, de bono et de aequo componi valeat cum partis utriusque decore.
Compositionis auteur ratio haec esse posset: Ipse Archiepiscopum adire deberes; eidemque supplicem Sacerdotis Ioannis Bonetti offerre libellum quo rehabilitatio ad excipiendas confessiones in Cheriensi Oratorio efflagitetur verbis convenientibus, simulque veniam exposcentibus qualibet de causa, quae animurn Archiepiscopi etiam praeter memorati Presbyteri intentionem moerore afficere potuerit. Speratur auteur Archiepiscopum statim ac paterne recepturum Te fore, ac petitam facultatem Ioanni Bonetti concessurum. Hinc inter Te et Archiepiscopum opportune decernendum foret quoad sacras functiones, aliaque pietatis opera in Oratorio peragenda, ita, ut neque functiones parochiales proprie dictae turbentur a salesianis sodalibus, nequé isti impediantur, quominus spirituale animarum bonum promoveant.
Optata S. Ordinis ex animo Te facturum confido, dum omnia bona tibi adprecor a Domino.
TAURINENSI Sacerdoti IOANNI Bosco.
Lettera della medesima Congregazione a Mons. Gasfaldi.
Perillustris ac Rev.me D.e uti Fraier,
In Congregatione Generali Em.orum ac Romanorum Patrum Cardinalium Concilii Tridentini Interpretum habita die 17 Xbris huius anni; actum est de controversia inter amplitudinem tuam, et sacerdotem salesianum Ioannem Bonetti.
At placuit eisdem Em.mis Patribus, ut causae resolutio differretur, et interim tibi significaretur S. Congregationi nimis rigida visa esse quae a te contra praefatum sacerdotem decreta sunt. Quare antequam sententiam ferat prout de jure, in votis ipsius est, ut coutroversia ex bono et aequo dirimatur, utraque parte acquiescente et servato utriusque decore. Ratio auteur huius compositionis obtinendae sequens proponitur. Sacerdos Ioannes Bosco se se Archiepiscopo sistere debebit securn feréns supplicem libellum Ioannis Bonetti, quo hic, ea qua decet ratione, petat propriam rehabilitationem ad sacramentales confessiones in Oratorio Salesiano Cherii excipiendas, illud [723] addens, si quid etiam contra voluntatem suam accidit, quod Episcopo dolori esse potuerit, de eo sé veniam petere: Archiepiscopi autem esse debebit, statim atque humaniter excipere Sac. Ioannem Bosco, et Sacerdoti Ioanni Bonetti, nulla interposita mora, facultatem, de qua supra, concedere. Deinde inter R.mum Archiepiscopum et Ioannem Bosco, communi consensu convenire debebit de omnibus rebus quae respiciunt ecclesiasticas functiones et reliqua pietatis opera in Oratorio Salesiano obeunda; ita ut nec a Salesianos functiones proprie dictae parochialès perturbentur, nec bis impedimenta opponantur, quominus spirituale animarum emolumentum, ad quod huc usque cum fructu incubuere, provehere possint.
Tum per Archiepiscopum monendi erunt parochus eiusque cooperatores, ut quae conventa sunt, adamussim exequi, et Salesianos maiore in posterum charitate prosequi studeant, nec quidquam courmittere quod aemulationibus, simultatibus, et querelis occasionem praebeat, sed codeur Christi spiritu acti simul conspirent animarum saluti promovendae.
Mens denique est Em.morum Patrum ne per amplitudinem tuam diutius vetitum sit, sub poena suspensionis ipso facto incurrendae, Sacerdoti Ioanni Bosco, ne quidquam scripto vel typis edatur alibi quam penes S. Sedem, etiam in sui vel Instituti defensionem.
Haec omnia, ea qua polles docilitate et dexteritate, ab Amplitudine tua quantocius exequenda, simulque de resultantibus certiorem faciendam esse S, Congregatio confidit. Interim vero Amplitudini tuae impensos animi mei sensus profiteor, fausta omnia adprecatus. Amplitudinis tuae
Lettera di Mons. Gasfaldi al Card. Nina.
Ho ricevuto la veneratissima lettera di V. Em. in data 22 dicembre 1881, e dopo averla letta e riletta,, dopo aver riflesso con calma e consultato Iddio fonte della giustizia, mi sento in dovere di rispondere con questa mia.
V. Em. permetterà che io` francamente le. parli e che le mie parole vengano sottomesse al giudizio dei singoli Cardinali e Prelati componenti la S. Congregazione del' Concilio.
La veneratissima lettera parla della questione che mi intentò [724] presso cotesta S. Congregazione il Sacerdote Salesiano Don Bonetti Giovanni, riferendosi alla decisione presa dagli Eminentissimi Padri nel giorno 17 del corrente dicembre.
E primieramente essa lettera mi dice che piacque agli E.mi Cardinali che la soluzione della causa venisse differita e che mi si significasse come la provvidenza da me presa verso il suddetto Sacerdote fu trovata troppo rigida. Quindi si desidera che la controversia si componga ex bono et aequo utraque Parte acquiescente et servato utriusque decore prima che succeda la sentenza.
Ma secondariamente essa lettera mi impone la composizione. Dico, impone; Archiepiscopi autem esse debebit, statim atque humaniter excipere Sac. Ioannem Bosco et Sacerdoti Ioanni Bonetti nulla interposita mora facultatem, de qua supra, concedere. Deinde etc. Haec omnia, ea qua polles docilitate et dexteritate ab Amplitudine tua quantocius exequenda etc.
E che composizione! In essa sono fissi tassativamente il tempo, e l'imperativo, l'ubbidienza e quella di tutta la docilità quanto ne posseggo. - Eminenza, tra la composizione ed una decisione definitiva della S. Congregazione che differenza passa? Questa: una decisione non é mai mordace verso chi é condannato. La impostami composizione mi dice: humaniter excipere.
Frattanto si prescrive a Don Bosco di venire innanzi a me portando una domanda scritta da Don Bonetti, il quale chiegga con riverenti parole la riabilitazione di udire le confessioni a Chieri nell'Oratorio, col si quid contra voluntatem suam accidit quod Archiepiscopo dolori esse poterit, de eo se veniam petere. Così e non altro. Ora si osservi che questo é quanto vuole Don Bosco e vuole Don Bonetti, anzi e l'uno e l'altro hanno chiesto meno, domandando solo che Don Bonetti potesse nelle solennità portarsi a Chieri. Quindi la composizione é una sentenza già pronunciata in senso tutto favorevole agli avversarii, sicché non può essere loro di più. - Ma se questa era l'idea degli E.mi Giudici, perché si é differita la soluzione? la composizione urta affatto col differtur.
Inoltre la composizione nei termini posti non é ex bono et aequo, giacché la natura di siffatta composizione esige che le due parti si accordino tra di loro, e che un paciere, se non é scelto da ambe le parti colle più ampie facoltà, non si imponga autoritativamente; cosa per nulla osservata nel caso presente. L'equità poi vuole almeno che nella composizione non si deprima una delle due parti; io invece sono proprio depresso ed annichilito e Don Bosco é in tutto trionfo, ha quel trionfo, che non potendo egli avere da una decisione, l'ha da una composizione che si presenta con un proponitur ed é in sostanza un imponitur, utraque parte acquiesente. Mi dica, Eminenza, posso io acquietarmi ad una composizione tanto umiliante, che condanna me senza una sola buona parola, e mi condanna nel mentre che ho difeso [725] i diritti della Giurisdizione Arcivescovile, diritti che debbo tutelare e fare sì che in futuro non vengano manomessi, diritti riconosciuti nella facti specie dai R.mi Prelati aggiunti[602] alla S. Congregazione del Concilio, i quali addì 13 del presente dicembre stesso, in numero di cinque su sei dissero al dubbio: Affirmative ad primam partem, negative ad secundam? Il sesto se é contrario, il suo ad mentem é assai più mite che non la composizione impostami.
Poi se cedo alla composizione, potrò ancora esercitare il pastorale ministero e correggere gli eccessi che altri Salesiani potessero commettere lì ove non hanno eccezione di sorta? I Salesiani con un tale componimento faranno in futuro quello che vorranno e più che se avessero i privilegi singolarissimi di certi ordini religiosi. Ah! si conceda loro subito ogni esenzione pendente lo stesso giudizio: l'ingiustizia sarebbe minore. Per altro io, finché specialissimi privilegii non siano loro concessi non posso per dovere e per diritto di autorità Vescovile di cui benché indegno, sono insignito, sottoscrivere tanta composizione nella quale non é servato utriusque decore.
Il mio non lo é davvero anche per questa ragione che é: se mi piego alla composizione resterà vero con ciò stesso che io ho calunniato Don Bonetti e Don Bosco, secondoché essi van gridando, in quella che V. Eminenza sa, o deve sapere che essi sono colpevoli, ed io, a scanso di incolparli senza prove ho ordinato il processo.
Ebbene; mentre si fa un processo contro Don Bonetti e Don Bosco, si prescrive che io rimetta Don Bonetti a Chieri e subito, subito statim nulla interposita mora, quantocius concede tutto a Don Bosco. Ecco un ordine contro giustizia, e credo che negli atti della S. Congregazione simile disposizione non trovi esempio. Che diranno i nemici della S. Sede ad una tale condotta in una giuridica questione? La giustizia esige che un processo si finisca e che poi si castighi o si dichiari innocente il denunziato, il quale finché é sotto l'imputazione di un delitto, non deve essere liberato dal processo con una scappatoia. La composizione imposta dalla veneratissima lettera é una scappatoia che lascio ad altri il qualificarla. Leggo illud addens si quid etiam contra voluntatem suam accidit quod Archiepiscopo dolori esse potuerit, de eo se veniam petere!!
M si dica chiaramente che non mi si vuole fare giustizia, ma non si coprano i delinquenti con un manto, che mi é più grave che una di quelle cappe, di cui parla Dante nell'inferno. E si vegga tutta l'enormezza dell'atto della composizione in ciò pure che essa s'impone a me, mentre a Roma si sa, stante una supplica al S. Padre, che un cooperatore Salesiano compromesso nella pubblicazione dei libelli, non si vuol presentare al mio tribunale per dire la verità, e costui che in risposta di quella supplica dovrebbe esservi obbligato, fin'ora [726] non lo é. Il chiedere un teste é un torto? Il dire la verità é un male? Non gli si chiede che dica contro ad alcuno, ma il vero. E se può scolpare Don Bosco e Don Bonetti non é un bene per questi?
Via; non posso e non debbo credere elle la S. Sede sanzioni il contenuto della veneratissima lettera. E' cosa gravissima nella Chiesa di G. C. una pubblicazione infamatoria contro un Vescovo, né questa é cosa da trascurare come fa la veneratissima lettera, che vi passa sopra; benché si sappia elle si istruisce il processo e che ho le prove le, quali ne palesano gli scrittori ed il mandante. La S. Sede che al riguardo ha emanato gravi decisioni, più gravi della provvidenza detta nimis rigida, non loderà né anteporrà ad un Vescovo diffamato Don Bosco che riguardo ai libelli ha scritto allì 10 dicembre 1881, le seguenti parole: ... Per giudicare rettamente che chi ha preso parte alla loro scrittura e pubblicazione sia colpevole o no é necessario di prima sapere se i medesimi siano buoni o cattivi. Tempo fa Mons. Arcivescovo pretese che io facessi una dichiarazione per disapprovarli, anzi condannarli; ma nel timore appunto di disapprovare quello che sarebbe stato approvevole, io ricusai di opporre la mia firma a qualsiasi dichiarazione in contrario, e non permisi che alcuno dei miei ve l'apponesse: cosa che indispettì altamente l'Arcivescovo. Siccome poi questi opuscoli furono e sono tuttavia letti da molti ed hanno suscitato dei dubbi di coscienza, così ho intenzione di scriverne al S. Padre e pregarlo umilmente che voglia farli esaminare e dare un apposito giudizio per norma di chi li avesse letti o li volesse leggere.
Così Don Bosco: mentre quanti lessero i libelli, e non sono Don Bosco e socii, hanno disapprovata una tale pubblicazione; cercata di tutelare ora nel modo della composizione.
Dovrei ancora dire, che mentre la veneratissima lettera loda i Salesiani ad quod (spirituale animarum emolumentum) hucusque cum fructu incubuere, io sono trattato come chi ha tutti i torti e deve essere condotto a tamburo battente.
Eminenza, Ella come Cardinale Protettore della Congregazione Salesiana liti fatto bene da avvocato per questa. Io poi debbo lagnarmi che il Protettore stesso faccia da giudice contro di me che stante la sua qualità e autorità di Prefetto della Congregazione del Concilio, m'imponga un ordine che dalla piena Congregazione degli E.mi Padri non verrà mai; sifattamente la giustizia delle mia causa sta per me, secondoché hanno già deciso i Prelati aggiunti.
Quindi domando che la Sacra Congregazione decida il dubbio iuris ordine servato col nihil transeat.
Baciandole la S. Porpora mi dico
Lettera della S. Congr. del Concilio a Mons. Gastaldi.
Iuxta Amplitudinis tuae postulationem huius Cong.nis Concilii judicium subiit, servato iuris ordine, Causa, cui titulus - Taurinen. Inhibitionis - ac propositae dubii formulae - An suspensio seu interdictum locale ab audiendis confessionibus sit confirmandum vel infirmandum in casu - Emi.mi Patres die 28 labentis Ianuarii rescripserunt - Negative ad primam partem, affirmative ad secundam, et ad mentem. - Mens autem est ut iussu et nomine S. C. severe moneatur Amplitudo tua ob inconsultam Epistolam ad subscriptum Cardinalem Praefectum sub die 31 decembris 1881 missam, quam Epistolam eadem S. Congregatio graviter improbat. Iussu igitur S. Ordinis per praesentes Literas tecum exequor ac impensum studium meum singulariter Tibi interim profiteor ac fausta cuncta a Domino precor.
Lettera di Don Bonetti al Card. Nina.
Supplico umilmente la Eminenza V. Rev. e per mezzo suo tutti gli Eminentissimi e sapientissimi Padri della Sacra Congregazione del Concilio ad aver la bontà di permettermi che io presenti questa breve esposizione e porga una preghiera.
Ho poc'anzi ricevuto avviso che Sua Ecc. Rev. Mons. Lorenzo Gastaldi Arcivescovo di Torino interpose appello dalla sentenza emanata a mio favore da cotesta Sacra Congregazione il 28 del passato gennaio, intorno la dolorosa sospensione, la proibizione di confessare, che egli m'infliggeva sin dal febbraio 1879.
Io credeva già che quel favorevole rescritto infirmandum cioè interdictum locale ab audiendis confessionibus etc., fosse per far cessare finalmente una pena così grave, che mi ha coperto d'infamia in tutta [728] questa Archidiocesi e che la mia riabilitazione fosse per distruggere i sospetti che la inflittami punizione aveva fatto malamente concepire contro la povera mia persona, con tanto danno delle anime, con tanto sfregio del sacerdozio, con tanto disonore del mio religioso Istituto; ma scorgo invece che siamo da capo.
Quando dunque il Rev.mo Arcivescovo di Torino lascierà che la giustizia faccia il suo corso? Quando cesserà di torturare questo povero sacerdote? Quando insomma porrà fine ad una questione già così lunga, così dannosa al bene dei fedeli e così gravida di disturbi alla Salesiana Congregazione?
Sono 4 anni che l'Arcivescovo di Torino mi tribula senza ragione e paralizza il Sacro mio ministero. Dopo di avermi sospeso nel modo e pel motivo già ben noto a cotesta S. Congregazione e così contrario ai Canoni, Egli passò il primo anno il 1879 senza rispondere alle replicate. lettere che cotesta S. Congr., a cui io aveva fatto ricorso, gli scriveva Pro informatione; e io rimasi nello stato di prima. Venne il secondo anno 1880, e l'Arcivescovo lo passò scrivendo e affastellando gratuite accuse non solo contro di me, ma contro i Salesiani in genere e contro lo stesso Don Bosco venerato nostro Superiore generale; e intanto io continuai a rimanere nella inflittami punizione. Sopraggiunse il terzo anno 1881 e Monsignor Arc. mi tenne a bada, lusingandomi di terminare la mia vertenza mediante un equo componimento; ma quando questo parve ottenuto, ecco che egli ci muta le carte in mano, retrocede, e poi c'incolpa ancora di avere rotte noi le prese intelligenze; e io proseguo nel disonorevole mio castigo.
Ora é incominciato il quarto anno 1882 e Sua Eccellenza dopo di aver rifiutato il savio suggerimento dato da cotesta Sacra Congregazione per un'amichevole composizione dell'affare, dopo di aver negata l'udienza a Don Bosco e tenuta in niun conto e lasciata senza risposta la domanda di riabilitazione, che il medesimo facevagli tenere secondo la mente degli Eminentissimi Padri; dopo di aver cercato di rendermi frustranea la sentenza favorevole recentemente emanata da cotesto autorevole tribunale, anzi dopo aver tentato pochi giorni dopo di condannarmi in fretta e in furia siccome autore di certi libelli senza avermi prima udito, e non ostante le obbiettategli eccezioni d'incompetenza, e l'interposto appello dalla sua sentenza interlocutoria; dopo tutto ciò, dico, ed altro che per brevità tralascio, egli si appella ancora dalla citata sentenza di cotesta Sacra Congregazione, come se fosse ingiusta ed arguisce imperizia nei sacri giudici; e così costringe la Sacra Congregazione medesima e il povero scrivente a nuove preoccupazioni, a nuovi disturbi, a nuovo spreco di tempo e di danaro. E intanto io mi rimango nella mia pena, e intanto continuano le male dicerie e i concepiti sospetti sul mio conto sì rassodano; e intanto si fanno più gravi gli scandali, e si turbano le coscienze di tante anime da me dirette. [729]
Ora io domando se sia tollerabile ed umano questo modo di procedere, domando se sia questo un corrispondere alle sante intenzioni della Chiesa che é una Madre, e che ha fatto tante sapientissime leggi a difesa degli oppressi, domando se lo stato mio non muova a pietà?
Io non so la misura che sarà per prendere la S. Congregazione a questo riguardo. Quello che dessa farà sarà ben fatto, potendosi meritamente applicare ad ogni tribunale della Santa Sede le parole del Vangelo: Omnia bene fecit. In quanto a me domando solo che se si ha da riproporre la causa la Sacra Congregazione voglia aver la bontà di riproporla al più presto possibile, onde liberarmi da uno stato così anormale ed anche scandaloso.
Dico scandaloso, imperocché l'Arc. ed alcuni de' suoi hanno fatto correre la voce che in questa vertenza la Sacra Congregazione ha data ragione a lui medesimo e lo provano dal fatto che io sono tuttora come ero prima. Or sì sa che l'Arcivescovo non poteva punirmi né potrebbe tenermi punito senza una colpa spettante la confessione e ben grave e disonorante; così vedendo appunto che io sono sempre privo della toltami facoltà di confessare nel luogo stesso del supposto delitto, i sospetti già fatti concepire contro la mia onestà si vanno ogni di più confermando, con tutte quelle funeste conseguenze che V. E. può di leggeri immaginare; conseguenze tanto più funeste nei tristi tempi che corrono, e perché io sono sacerdote e sacerdote appartenente ad una Congregazione religiosa, occupato nell'educazione della gioventù.
Laonde per l'onore sacerdotale, pel buon nome della cara mia Congregazione Salesiana che mi accolse ed educò a gloria di Dio, pel decoro della religione, per la salute delle anime domando che questa causa termini presto e termini in modo che questo Mons. Arcivescovo non possa più oltre arrecare un si grave danno. Se io sono colpevole non recuso mori, dirò con S. Paolo; ma se colpevole non sono, prego, supplico e scongiuro che mi sia fatta giustizia, e mi sia concesso di poter lavorare ancora per la Chiesa col mio nome intemerato, affinché il mondo non abbia a rinfacciarmi il medice, cura te ipsum.
Pieno di fiducia che l'Em. V. Rev.ma e tutto cotesto alto consesso, al quale Voi, Em.mo Principe, così degnamente presiedete, vorrà accogliere in buona parte questa umile mia esposizione e fervida preghiera, mi gode l'animo di potermi professare colla più alta stima e profonda venerazione
della Congregazione Salesiana. [730]
Lettera dell'operaio Brunetti al Papa.
Io sono un umile artigiano poco letterato, povero padre di famiglia, malaticcio e colla moglie incapace a guadagnare il pane ai nostri figli. Eppure questo povero individuo viene in questi giorni angustiato, minacciato e disonorato per causa del Rev.mo Arcivescovo di Torino.
Questo Arcivescovo si é messo in capo che io conosca l'autore di certi libri scritti e pubblicati contro di Lui e per sapere la cosa ha fatto chiamare nella sua Curia vari Sacerdoti. Ora Egli é venuto a sapere che io sono stato uno dei beneficati di Don Bosco, e che per riconoscenza lo vado a trovare sovente e pratico ancora nella Casa, che fu l'asilo della mia giovinezza. Per questo venne in sospetto che io possa sapere, se Don Bosco o qualcuno de' suoi abbia scritto o pubblicato que' libri.
Per la qual cosa non potendomi far chiamare in Curia é ricorso alla polizia, promettendo chi sa che cosa se mi facevano dire quello che non é e che non so. Quindi da una settimana e più mi vedo la casa frequentata da poliziotti, ad intimorire mia moglie e i miei figli, come se il loro marito e padre fosse un furfante, mentre non ho mai dato motivo a lagnanze né alle autorità civili, né alle ecclesiastiche.
Quello poi che é più indecoroso si é che ieri l'altro 7 del corrente, venne in mia casa a tentarmi un poliziotto travestito da prete, annunziandosi per un prete Salesiano. Io credo che abbia usato una tale sacra divisa col permesso e colla connivenza dell'Arcivescovo, perché agiva per lui.
Santissimo Padre, io sono stimolato a fare delle pubblicità sopra questi atti indegni; ma non ho voluto farlo. Io sono cristiano ed ho creduto fare cosa migliore esporre il fatto alla Santità Vostra, perché sono persuaso che saprà dare gli ordini necessarii all'Arcivescovo, affinché mi lasci in pace, e non voglia costringermi a mettere in piazza la sua persona.
Beatissimo Padre, perdonate questo disturbo che vi dà un povero operaio, che fu e vuole essere sempre buon Cattolico e vostro affezionatissimo figlio.
Canonicus Emanuel Colomiatti, constitutus a Reverendissimo Archiepiscopo Taurinensi, iudex delegatus in causa criminali de libellis infamatoriis typis editis contra eundem Archiepiscopum, cum exceperit a Reverendissimo Domino Michaéle Sorasio Curiae Archiepiscopalis promotore fiscali denunciationem, qua asseritur Dominus Sacerdos Salesianus Taurini degens Ioannes Bonetti scriptor libelli, L'Arcivescovo di Torino, Don Bosco e Don Oddenino, editi a typographia Bruno huius civitatis anno 1879, iuxta gravia indicia exhibita, prout in actis ex praevia Curiae informatione, cumque inde sufficientia emerserint contra praefatum Dominum Sacerdotem Joannem Bonetti, ut possit et debeat reus constitui, ulterius volens mandato suo satisfacere, eundem Dominum Sacerdotem Ioannem Bonetti decrevit citare, prout harum serie citat ad personaliter comparendum coram se in Archiepiscopali Curia loco officii fiscalis infra spatium triginta dierum ab intimazione praesentim ipsi faucta computandorum, quorum decem pro primo, decem pro secundo et decem pro tertio et peremptorio termino assignat, hac unica pro trina monitione valitura. Igitur si (legitima non impediente causa) dictus Dominus Sacerdos Ioannes Bonetti infra assignatum peremptorium terminum comparere neglexerit, noverit iudicem supradictum contra ipsum tamquam contumacem, nulla alia ulteriori citatione praemissa, prout de iure, processurum.
Datum in Curia Archiepiscopali Taurinensi die vigesima mensis decembris anni millesimi octingentesimi octogesimi primi.
Theol. JOSEPH CORNO actuarius.
(Loco sigilli Archiepiscopalis).
Lettera del Card. Nina a Don Bosco.
Mi é pervenuta puntualmente la sua lettera del 23 cadente con la copia della intimazione ed in pari tempo l'opuscolo con cui Ella narra i fatti che affliggono da più anni cotesta benemerita Congregazione dei Salesiani. [732]
Mi piace apprendere che Ella si atterrà puntualmente alle istruzioni della S. Cong.ne che a quest'ora Le saranno pervenute. Le raccomando la calma e freddezza d'animo, onde non dare pretesto di sorta a chi ex adverso est.
Giovi sperare che Mons. si inspiri, specialmente in questi giorni, a quei sensi di mitezza e dolcezza che Gesù Bambino c'insegnò fin dai primi istanti della sua nascita, e che gli sia di eccitamento la lettera abbastanza esplicita della S. Congregazione. Ma se contro ogni previsione egli proseguisse nei suoi propositi, la giustizia verrà finalmente resa a chi si deve. In quanto alla intimazione, essa rivela sempre più il mal talento di cotesta Curia e di chi la ispira. Vorrei pur credere, che fosse uno spauracchio, e che dopo la lettera della S. Cong. non avesse più séguito. Laonde conviene stare in aspettativa del risultato, che avrà la sua presentata all'Arcivescovo; ad ogni modo mi riserbo di darle qualche consiglio dopo che mi sarò abboccato con Mons. Segretario. Dai termini della intimazione ove é detto Don Bonetti scriptor libelli D. dovrebbe arguirsi che il fisco abbia prove in mano da dimostrare la colpabilità dell'imputato. Secondo la lettera del P. Leoncini l'accusa peserebbe su di lei. Perché in questo caso non dovrebbe esser chiamato Ella in giudizio? Forse per declinare la soverchia odiosità ed esecrazione del pubblico dal canto degli inquisitori? M'avveggo che il Signor Colomiatti é istromento degno del suo principale.
Riguardo alla Esposizione mi astengo dal qualificarne il merito per non venir meno a quei riguardi di cristiana carità che si debbono verso un Arcivescovo, sieno pure i di lui atti tali da rivoltare la coscienza e da far dubitare se sia mens sana in corpore sano. Solo avrei da aggiungere che quell'opuscolo se dovesse avere pubblicità non sarebbe stato scelto bene il momento. Sia pure esso un sillabo di fatti veri e di corollarii legittimi. Ma la verità irrita troppo certi caratteri e la logica non fraternizza colle passioni. Mi giova credere che quella stampa sia per i soli Cardinali della S. Congregazione. Ad ogni modo eccole un consiglio di questi giorni preghi e faccia pregare i suoi il S. Bambino per Mons. Arcivescovo onde gli ammorbidisca un poco il cuore e gli rischiari la mente per vedere di por fine ad una lotta che non può avere altri risultati che il discredito dell'autorità ed il danno delle anime
La ringrazio degli augurii ed in ricambio, invoco su di lei e tutta la Congregazione abbondanti benedizioni dal Cielo, e mi abbia sempre suo
Canonicus Emanuel Colomiatti, constitutus a Rev.mo Archiepiscopo Taurinensi iudex delegatus in causa criminali de libellis iniuriosis typis editis contra eundem Archiepiscopum, cum exceperit a Reverendo Domino Michaële Sorasio, Curiae Archiepiscopali promotore fiscali, denunciationem, qua asseritur, quod Sacerdos Ioannes Bosco, Rector Maior Instituti Salesiani, Taurini residens:
1° Sit mandans fieri et publicari libellos ad minus iniuriosos, typis editos in hac urbe:
La strenna pel Clero, ossia rivista sul Calendario Liturgico dell'Archidiocesi di Torino per l'anno 1878, scritta da un Cappellano;
Piccolo Saggio sulle dottrine di Monsignor Gastaldi Arcivescovo di Torino, preceduto da una introduzione e seguito dà alcune appendici;
Le questione rosminiana e l'Arcivescovo di Torino - Strenna Pel Clero compilata dal Cappellano;
L'Arcivescovo di Torino, Don Bosco e Don Oddenino, ossia fatti buffi, serii e dolorosi, raccontati da un Chierese.
Et 2° Sit quaesitor et provisor documentorum pro dictis libellis; in qua denuntiatione denominantur plures testes ad probandos duos supradictos articulos, prout in praevia Curiae informatione; cumque inde sufficientia emerserint contra praefatum Dominum Sacerdotem Ioannem Bosco, ut possit et debeat reus constitui; ulterius volens mandato suo satisfacere, eundem Dominum Sacerdotem Ioannem Bosco decrevit citare, prout harum serie citat, ad personaliter comparendum coram se in Archiepiscopali Curia loco officii fiscalis, infra spatium triginta dierum, ab intimatione praesentium ipsi facta computandorum; quorum decem pro primo, decem pro secundo et decem pro tertio peremptorio termino assignat, hac unica pro trina canonica monitione valitura. Igitur si (legitima non impediente causa) dictus Dominus Sacerdos Ioannes Bosco infra assignatum peremptorium terminum comparere neglexerit, noverit iudicem supradictum contra ipsum, tamquam contumacem, nulla alia ulteriori citatione praemissa, prout de iure, processurum.
Datum in Curia Archiepiscopali Taurinensi die quinta mensis ianuarii anni millesimi octingentesimi octogesimi secundi.
(Loco sigilli Archiepiscopalis). [734]
Inibizione alla Curia Torinese di procedere per i libelli.
Sacerdos Ioannes Bonetti sub die 26 labentis Januarii appellationem interjecit penes S. Congr. Concilii ab interlocutoria sententia die 23 praedicti mensis edita a Iudice Delegato super processu de famosis libellis in ista Curia instituto. Porro Em.i Patres mature perpensis rationibus ab Appellante propositis, in plenario conventu die 28 eiusdem mensis iusserunt inhiberi Amplitudini tuae atque isti Archiep.li Curiae, quominus procedatur ad ulteriora in praedicta causa libellorum, nedum contra Sacerdotem Ioannem Bosco, stante causarum continentia: ac vicissim deputari Archiep.um Vercellensem ut super eodem libellorum capite conficiat processum, ac transmittat acta ad S. Congr.nem Concilii. Vigore idcirco huiusce Decreti, per praesentes Literas inhibetur Amplitudini Tuae et Curiae isti Metropolitanae, quominus contra utrumque praedictum Sacerdotem Salesianum in causa, vel causis libellorum ad ulteriora procedatur. Haec pro meo munere Tibi significans, animi mei sensus profiteor Amplitudini Tuae ac fausta quoque ac salutaria a Domino precor. Amplitudinis Tuae
Lettera di Don Bonetti al Card. Nina.
Il venerato mio Superiore Don Bosco di ritorno da Roma mi manifestò il desiderio del S. Padre, che la Em. V. Rev.ma ebbe la bontà di comunicargli, desiderio di un amichevole componimento col Rev.mo Arc. di Torino circa la mia sospensione. I desideri del Sommo Pontefice furono, sono e saranno sempre per lo scrivente siccome comandi di un padre amorevole ad un figlio ossequioso, pronto col divino aiuto a morire anzi che dispiacergli anche nella più piccola cosa. Quindi da parte mia non sarà interposto il più lieve ostacolo ad un giusto accomodamento, che suggerito dal Vicario di Gesù Cristo provvederà saviamente all'autorità, e nel tempo stesso alla giustizia e alla carità. Un consimile componimento si sarebbe già conseguito da tre anni, [735] se Mons. Arcivescovo noti avesse ritirata al domani la parola data al Sig. Don Bosco la sera innanzi. Dal canto mio adunque non fo che affrettare coi più ardenti voti l'aurora di quel giorno avventurato, in cui da ambe le parti si possa esclamare dal più intimo del cuore: Finalmente é fatta la pace!
Tuttavia la Em. V. vorrà permettermi che io Le esponga i miei timori. Alcuni fatti avvenuti ancora in questi ultimi giorni, aggiunti ai molti precedenti, mi danno ragionevole motivo a temere che Mons. Arcivescovo, sotto il colore di accomodamenti, ad altro non miri che a prolungare la infelice mia posizione, non già di porle un fine, né di cessare dal recare molestie ai poveri Salesiani. Poco tempo fa egli ha fatto spargere in Chieri tra il popolo che io fui ritenuto per colpevole, e che quindi non sarà mai che io possa presentarmi ancora ad amministrarvi i santi Sacramenti: sì vere furono le mie colpe! Non basta. Dalla sacra Congregazione del Concilio gli fu inibito di procedere contro di me e contro del venerando mio Superiore nella causa degli opuscoli, di cui ci volle fare autori; ma ancora oggidì, e solo la settimana scorsa, fece molestare per la quinta volta un povero operaio già nostro allievo, per nome Ferdinando Brunetti, perché da lui supposto conscio degli autori di quegli opuscoli. Ciò che non può fare contro di noi e al tribunale ecclesiastico, il fa per via del tribunale laico e contro dei nostri amici del laicato. - Che più? Monsignore si é posto in capo che i Salesiani abbiano preso parte a diramare una circolare a stampa, nella quale veniva detto che egli univasi con un editore protestante a spandere libri sfavorevoli ai primi dignitarii di S. Chiesa e in difesa delle dottrine di Antonio Rosmini[603], e quindi eccitò ed eccita tuttora il protestante a recarci molestie sopra molestie. ed ha persino già affidata la causa agli avvocati. - Ancora un fatto. Nell'occasione del Congresso Cattolico Piemontese, tenuto in Torino, il Direttore del nostro collegio di Valsalice fece dare dai giovanetti un'accademia letteraria ad onore del Pontefice Pio IX di veneranda memoria, e dei Vescovi intervenuti al Congresso, nonché dell'Eccell.mo Sig. Duca Salviati, presidente del medesimo. Or bene pochi giorni dopo Mons. Arcivescovo fa scrivere dal Canonico Colomiatti, al Direttore del Collegio, movendo lagnanza che si fosse tenuta quella accademia nella interna cappella dell'Istituto ed esigendo che glie ne dimandasse scusa per iscritto. Siccome in simili occasioni, e persino per la distribuzione dei premi agli scolari, si sogliono fare dette solennità nelle stesse chiese pubbliche dell'Archidiocesi, come erasi pur tenuto nella Chiesa dell'Arcivescovado il Congresso Cattolico, così [736] non sappiamo a che attribuire le accennate rimostranze dell'Arciv. Ebbe forse dispiacere, che noi abbiamo dato quel pubblico attestato alla memoria del Grande Pontefice, e all'esimio principe romano, che in quel giorno ci onorava di sua presenza? Per lo meno desse sono sufficiente motivo a non fare grande assegnamento sopra una cordiale composizione.
Taccio di altri fatti per non dilungarmi di troppo; e noto solo più alla Em. V. che dall'anno 1879, in cui Mons. Arcivescovo m'inflisse la dolorosa sospensione, io non posi più, il piede in Chieri, neppure a titolo di riposo, quantunque quella casa serva di campagna ai Salesiani. Questa mia scrupolosa sottomissione agli ordini dell'Arciv. aggravò maggiormente la mia condizione; poiché vivendomi come esiliato da quella città, si venne a supporre che io avessi veramente mancato e in cose gravi. Or mi consta che si trovò modo di far credere che io dimorai e dimoro tuttavia in quella casa a dispetto della proibizione arcivescovile. Essendo così, io sono logicamente condotto a domandare se si possa fare di più contro di me? Quando si giunge al punto che un atto della più esatta sommessione praticato ormai per 4 anni, lo si traduce alla suprema autorità per un atto di testardaggine e di ribellione, io domando se sia possibile un giusto accomodamento, quando questo dipenda dalla volontà di colui, che manda a Roma di siffatte informazioni a carico di un povero religioso?
Ad ogni modo io mi rimetto nelle mani di V. Em. Rev.ma e per mezzo si io nelle mani del Santo Padre. Io desidero la pace; ma una pace sicura, una pace durevole, una pace, che mi permetta di lavorare nuovamente nel sacro ministero, senza arrossire davanti al popolo cristiano. Oggi nol posso più, perché i sospetti fatti concepire contro di me dalla fatale sospensione e dalle male dicerie lungi dall'essere sgombrati sono disgraziatamente confermati; onde é compromessa la giustizia, é leso l'onore religioso e sacerdotale, é posposto il bene delle anime scandalizzate.
Nella fiducia che la Em. V. vorrà darmi un benigno compatimento, colgo questa propizia occasione per ringraziarla della patema bontà, con cui ha tollerate le immense noie, cagionatele dalla mia causa, e mentre le prego da Dio ogni grazia e dono perfetto, gliene prometto una riconoscenza imperitura.
Colla più alta stima e profonda venerazione m'inchino al bacio della Sacra Porpora e mi professo
Lettera del Duca Salviati a Don Francesia.
Mi perdoni se adempio un po' tardi il dovere di ringraziarla per il grande onore che mi fece invitandomi al saggio letterario de' suoi alunni. Eguale all'onore é stato il piacere che trassi dall'ammirare in così teneri giovanetti tanta spigliatezza di maniere, così ben intesa imitazione de' costumi Romani, e famigliarità così spontanea con la lingua latina. Ho compreso da cotesta prova come siffatti esercizi sieno utilissimi per comunicare ai giovani il sentimento e il vero sapore della lingua latina. Se io non m'inganno, la sua scuola e il suo metodo sono un fatto fra i molti, che fermano al Piemonte la gloria di essere benemerito degli studi e dell'insegnamento classico.
Accolga di buon grado il mio plauso, benché di giudice incompetente, e con esso il sentimento di stima e di affezione con cui mi dichiaro
Brano di una Pastorale torinese del 1882.
Il nostro Divin Redentore ci dice chiaro (MATTH XXIV, 24) le scaltrezze del demonio essere tali da poter trarre in inganno e rovina per fino gli eletti, ove Dio non li assista della sua grazia: ed egli stesso avvertì i suoi apostoli (LUCAE, XXII, 31), che Satana si apprestava a fare contro di essi prove speciali della sua furberia, vagliandoli sul crivello, come si fa del grano. Quindi l'apostolo S. Pietro pone (I Ep., V, 8) tutti i Cristiani in guardia contro le insidie dell'Infernale nemico, dicendo loro: Siate sobrii e vegliate, imperocché il demonio, vostro nemico siccome leone che rugge va in cerca della preda da divorare: e l'apostolo S. Paolo ammonisce i fedeli di Efeso: che hanno da combattere non già colla carne e col sangue, ma cogli spiriti maligni, con i Principati e con le Podestà che signoreggiano le tenebre di questo mondo (Ephes, VI, 12). Egli é perciò che tutti i figliuoli della Chiesa, nessuno eccettuato, tutti senza distinzione alcuna, debbono sentire un vivo timore delle frodi e degli inganni del demonio: imperocché non é luogo alcuno per quantunque sacrosanto, dove il demonio non penetri: [738] ricordiamoci che Satana entrò nel paradiso terrestre, che era il regno dell'innocenza, ed entrò nel cenacolo ove era il Redentore co' suoi apostoli; e là prese possesso di Giuda; né é uomo così illuminato, né così santo e ricco di meriti, a cui Satana non cerchi di avvicinarsi a gettargli addosso qualche spruzzo della sua bava: Gesù Cristo permise a Satana di accostarsi alla sua stessa divina persona e di portarlo sul pinnacolo del tempio e la sommità di un monte; stupiremo gli permetta di avvicinarsi a qualunque sia dei suoi servi? E per certo quando si presenta a questi, Satana usa frodi ed arti tutte speciali; e come ce ne avverte l'apostolo S. Paolo (II Corinth, XI, 14), trova modo di prendere la figura di un angelo della luce: Satanas transfigurat se in angelum lucis; e troppo sovente avviene, che ancorché non giunga ad operare tutto il male che vorrebbe, e a portar via tutto il bene, nullameno riesca a guastare e corrompere qualche parte del bene, ed a mescolare insieme col bene una dose di male.
Quindi vediamo l'apostolo S. Paolo dolersi (II Philipp., I, 17) amaramente delle scissure e discordie, le quali disturbavano la pace dei primi cristiani in Corinto; lamentarsi di certuni i quali predicavano Gesù Cristo, non già solo per dare gloria a Dio, ma anche per ispirito di contrasto ed opposizione ad esso Paolo: e lo stesso Apostolo mai non cessare dal premunire i fedeli contro le insidie e gli inganni del demonio, ed ammonirli in ispecial modo di stare pienamente soggetti all'autorità costituita da Gesù Cristo e per mezzo dell'umiltà e soggezione ciascun tenere il suo posto così, da conservare nella chiesa la perfetta unità, pace e concordia (Ephes., IV, 3).
Così si spiega, come mai in seno alla Chiesa Cattolica troppo sovente persone, che nelle mani di Dio sono manifestamente stromenti di santificazione, tuttavia cadano in alcune delle insidie di Satana, e le brutture del male appariscano accanto alle bellezze del bene, e presso il fulgore dell'oro si vegga l'orridezza della scoria, e le gemme più splendide abbiano qualche spruzzo di fango. Si spiega come mai S. Gerolamo dovesse cercarsi pace presso alla grotta di Betlemme, perché altrove le lingue malediche di certi chierici non gli concedevano riposo; come S. Giovanni Crisostomo ben due volte fosse cacciato in esilio per sentenza di personaggi adorni del più augusto carattere, fra i quali era S. Cirillo di Alessandria; come S. Carlo Borromeo fosse perseguitato a morte da un gruppo di religiosi; e S. Giuseppe Calasanzio incontrasse le più terribili opposizioni dove avrebbe dovuto promettersi aiuti e conforti. Così si spiega, perché oggidì il Vicario di Gesù Cristo Leone XIII nella sua lettera agli Arcivescovi e Vescovi delle provincie di Milano, Torino e Vercelli, delli 25 ultimo scorso gennaio, altamente abbia dovuto muovere gravissime lagnanze di un giornale della Lombardia, il quale, mentre mira a sostenere la causa più sacra che sia sulla terra, quale é quella della Chiesa Cattolica, non si fa coscienza di trascinare innanzi al suo tribunale le [739] venerande persone di Vescovi ed Arcivescovi, dimenticandosi della terribile minaccia proferita da Gesù Cristo, quando disse a' suoi Apostoli e loro successori: Chi disprezza voi disprezza me stesso. Qui vos spernit, me spernit (LUC., X, 16), e delle maledizioni che nell'atto di consacrare i suoi Vescovi solennemente invoca la Chiesa contro coloro che diranno male di essi...[604].
Osservazioni sulla controproposta di conciliazione.
I. Al primo articolo proposto dal Sig. Can. Colomiatti si soppresse l'ultimo periodo, per non dare luogo a risposte e contro risposte; imperocché siccome Mons. ha sempre preteso che la colpa degli screzi avvenuti siano stati Don Bosco e i Salesiani senza addurre, però mai le prove, così a dilucidare chi abbia avuto il torto o la ragione bisognerebbe entrare in discussioni che non finirebbero più e si manderebbe in lungo il principio dell'accomodamento, seppure non si verrebbe a cagionare altre amarezze.
II. Al secondo articolo del Colomiatti si aggiunse che Mons. Arcivescovo dovrebbe rispondere alla lettera di Don Bosco nel termine di 3 giorni, per evitare il pericolo che ritardando di settimana in settimana, di mese in mese si meni la conclusione dell'affare troppo in lungo, come avvenne già negli anni addietro nei quali non rispondendosi neppure alle lettere della Congregazione del Concilio, s'impedì per oltre ad un anno la introduzione della causa.
III. Al terzo articolo venne fatta una essenziale variazione, e ciò per molte ragioni, che paiono degne di essere ponderate:
1° perché come concepito e proposto dal Colomiatti é in troppo aperta opposizione colla sentenza già emanata in proposito dalla Sacra Congregazione del Concilio;
2° perché detto articolo, sotto colore di sciogliere Don Bonetti della ingiusta pena, lo ritiene ancora un anno nella medesima, non riparando in faccia al popolo cristiano l'onore rapitogli da una sospensione contraria ai Sacri Canoni, come giudicò la S. Congregazione medesima;
3° perché la disposizione del mentovato articolo riuscendo ancor essa una punizione, fa arguire in Don Bonetti l'esistenza di colpe proporzionate le quali dovrebbero essergli fatte conoscere e intanto si dovrebbe dargli il mezzo di difendersi, perché non avesse a dirsi che si condanna un imputato senza udirlo; [740]
4° perché l'articolo come é concepito infligge un castigo non solo al Don Bonetti ma alla Congregazione Salesiana, la quale senza sua colpa viene privata della facoltà di servirsi liberamente dell'opera del detto suo membro non solo per un anno ma ancora in seguito in quanto che potrà inviarlo nella casa di Chieri solo in alcune circostanze e purché la Curia non lo inibisca,
5° perché non ostante la ingiusta punizione già sofferta per 4 anni, ed una sentenza a suo favore, Don Bonetti dal detto articolo viene collocato in condizioni peggiori che non qualsiasi confessore non solo della Congregazione Salesiana, ma di tutta la diocesi, e quindi il suo onore sacerdotale lungi dal venire riparato in faccia ai fedeli viene in quella vece maggiormente violato;
6° perché gli altri Salesiani vedendo punito in siffatto modo un loro confratello grandemente stimato in Congregazione, e già dichiarato incolpevole da un tribunale competente della Santa Sede, verrebbero a sfiduciarsi, ed ognuno avrebbe a temere di essere un giorno o l'altro trattato allo stesso modo e quindi la Congregazione ne riceverebbe un danno grandissimo ora e per l'avvenire.
Invece l'articolo da noi proposto concilia la disposizione a norma del Rescritto della S. Congregazione, e non dà motivo né ora né in futuro a vedervi delle contraddizioni; e intanto per non dare luogo a troppo malcontento alla parte contraria, già stata tuttavia condannata, si dice che Don Bonetti non sarà più per un anno rimandato a Chieri in qualità di Direttore come era prima, ed anche in seguito; quantunque si lasci la libertà al Superiore di disporre, si dice tuttavia che questi il farà con tutta prudenza. Pare che questa sia l'unica via per salvare ogni diritto, conciliare la verità colla autorità, ravvicinare la giustizia colla pace onde si possa dire: justitia et Pax osculatae sunt.
IV. Il IV articolo proposto dall'Avv. di Mons. Arcivescovo domanda il ritiro della Esposizione dei fatti. Questo articolo fu modificato per due principali ragioni. Il ritiro richiesto farebbe credere che detta Esposizione o sia una difesa illegittima, oppure contenga delle falsità; ma la cosa é altrimenti. La Esposizione fu fatta per purgare la Cong. Salesiana da imputazioni ed accuse pubblicate da Mons. Arcivescovo, le quali non avevano alcuna attinenza colla causa di Don Bonetti; fu quindi una difesa concessa da tutte le legislazioni, e non solo dal diritto canonico, ma dallo stesso diritto naturale. E per altra parte quella Esposizione contiene fatti provati ed é quale un estratto di documenti autentici usciti o dalla Curia Arcivescovile, o dallo stesso Monsignor Arcivescovo. Il confessare adunque che dessa non sia conforme al diritto ed alla verità non si può sino a che non sia dimostrato. Ecco dunque il motivo per cui si propone un altro articolo.
V. Al V articolo del Can. Colomiatti si aggiunse che Mons. Arcivescovo abbia da distruggere le due citate lettere minaccianti la sospensione a Don Bosco non solo per eliminare ogni occasione di [741] attriti, ma eziandio per dare una dovuta soddisfazione ai Salesiani stati da quella minaccia contraria al diritto canonico, oltraggiati nella persona del loro Capo.
Questa aggiunta fu fatta dal Capitolo Superiore, il quale non può permettere che i Salesiani presenti ed avvenire abbiano a muovergli rimprovero di non aver difeso secondo il dovere l'onore della Congregazione e del suo fondatore. Siccome poi oltre alle due lettere citate Mons. Arcivescovo stampò e scrisse altre cose contro i Salesiani imputando loro gravi accuse, così si aggiunse che egli debba pure dichiarare che intende di ritirare tutto quello che stampò e scrisse contro i medesimi, il quale non sia stato provato. Questa dichiarazione salverà non solo l'onore dei Salesiani, ma dello stesso Mons. Arcivescovo, quando la storia verrà ad occuparsi di queste cose.
VI. All'articolo VI non si ha nulla da giungere, nulla da levare. Si fa solo riflettere che dopo la esplicita dichiarazione emessa dal Padre Antonio Pellicani il 30 maggio dell'anno corrente, parrebbe inutile l'esigere ancora da Don Bosco la dichiarazione in discorso. Perché la si esige da lui e non da ogni altro ecclesiastico della Diocesi? Questa esigenza non fa egli supporre ancora che Don Bosco abbia avuto parte nella pubblicazione degli opuscoli incriminati, mentre consta il contrario? Tuttavia Don Bosco farà la dichiarazione, perché ciò non aggrava punto la Congregazione di cui é Capo.
VII. Al VII ed ultimo articolo proposto dal Can.co Colomiatti si aggiunse che la dichiarazione di Don Bosco spettante gli opuscoli non avesse a farsi se non dopo la riabilitazione concessa a Don Bonetti, affinché questa che é l'incombente principale non venga maggiormente ritardata da atti secondarii, che possono eseguirsi anche dopo.
Lettera di. Don Anfossi a Don Bonetti.
Ti scrissi una lettera da Groscavallo due mesi fa, alla quale non rispondesti; ti compatisco però, sapendo quanto gravi siano le tue occupazioni. Secondo certa gente Don Bosco l'avrebbe avuta tra capo e collo. Questo si disse per tutta la valle grande di Lanzo, per dove passò l'Arcivescovo e Colomiatti; si disse a Torino, a me fu ripetuto da sei Parroci a Cavallermaggiore, tra i quali Don Menzio priore affermò di aver esso letto una lettera Arcivescovile divisa in cinque punti, diretta ad un Vicario Foraneo, (credo quel di Castelnuovo d'Asti), nella quale si diceva lo stesso; mi fu ripetuto a Saluzzo dove si recò l'Arcivescovo con Chiuso per la consacrazione di S. Agostino; mi fu ripetuto dal Can.co Assom di Nizza Mare, il quale a [742] Mondovì fu ricevuto dall'Arcivescovo e s'intrattenne con Colomiatti; mi fu ripetuto da Don Aniceto, Rettore del Seminario di Giaveno, il quale il giorno innanzi che parlasse con me, pranzò coll'Arcivescovo alla Sacra di S. Michele, il giorno stesso di S. Michele, dove si trovavano quaranta e più Sacerdoti. Mi fu detto ancora altrove. Che significa questo spaccio di notizie? Che vogliono dire le frasi: - Don Bosco chiese perdono all'Arcivescovo con una lettera per ordine del Papa? - Don Bosco fu condannato? - Don Bonetti non sarà più Rettore di Chieri? - Don Bosco é riconosciuto l'autore degli opuscoli, ecc.?
Perché si tollera che l'Arcivescovo e il Canonico Colomiatti spaccino notizie simili? A Groscavallo il Teologo Verlucco, professore di morale in Seminario, disse a me: - Il Canonico Colomiatti a Roma dimostrò una grande abilità; egli presentando documenti irrefragabili riuscì a far annullare due sentenze della Congregazione. E il Cardinale Nina fece ben brutta figura: dimostrò di non capirne niente, e si capisce ora perché il Papa lo fece ritirare da Segretario di Stato; si lascia accalappiare facilmente; ma l'ha trovato il buono... Il Papa, inteso da Colomiatti come stavano le cose, ha tosto chiamato il Card. Nina e l'ha sgridato bene e finirà per essere anche deposto da Presidente della Congregazione. E poi che cosa sono le Congregazioni? Ce lo dice frequentemente lo stesso Arcivescovo; sono composte di quattro o cinque Cardinali, e quando qualcuno furbo se n'é guadagnati due o tre, facilmente fa pendere le decisioni in suo favore; così si spiegano certe vittorie riportate da alcuno. Roma, sì, é maestra, ma presa così in generale; le Congregazioni poi ne fanno delle loro. - Questo ragionamento teneva meco il predetto Teol. Verlucca passeggiando a Groscavallo, dove egli non nominò Don Bosco, ma ben si capisce che le sue parole mirano a lui. E il Teol. Verlucca é maestro in Seminario, abita in Seminario? Conviene però dire che il Verlucca il giorno prima che discorresse con me in tal guisa, aveva pranzato e cenato coll'Arcivescovo, e qualche giorno prima erasi trattenuto a lungo col Colomiatti.
Voi capite quel che vi fate, io però non avrei taciuto quando la Gazzetta Piemontese uscì con quell'articolo di due mesi fa; almeno almeno avrei fatto dichiarare dalla stessa Gazzetta: Don Bosco non é autore degli opuscoli a cui si accenna nell'articolo; né questi sono usciti da alcuna sua tipografia, il che appare dallo stesso lor frontispizio. Voi avete taciuto; intanto l'affermazione del giornale fu accettata e propagata; si aggiunsero le dicerie dell'Arcivescovo, di Colomiatti e di altri, e qualche po' di giorno in giorno si perde della buona causa. Si aspetta giustizia? Non so quando sia per venire: ormai non trovo più l'orizzonte. Addio. Voglimi bene. Da parte mia ti ammiro, ti difendo, ti voglio bene, ti compatisco.
Prof. Sac. G. B. ANFOSSI. [743]
Lettera di Don Bonetti al Card. Nina.
(Difficoltà per il Visto della Curia).
Nella sua innata bontà la E. V. Rev.ma scriveva già al venerato mio Superiore Don Giovanni Bosco che - presentandosi qualche nuovo motivo o pretesa per parte della Curia Arcivescovile li Torino, che potesse dare attriti, non ci fosse discaro di tenerla informata. Per questa ragione, ai fatti che io già le segnalava nella mia lettera dell'II novembre dell'anno decorso, debbo ora aggiungerne alcuni altri recenti, i quali dimostrano elle la Concordia voluta dal Santo Padre, e sottoscritta dai Procuratori delle due parti, invece di dare luogo ad una pace vera, prosegue ad essere precaria e a lasciare libera la via alla Curia medesima di praticare disgustose vessazioni contro dei Salesiani e delle opere loro.
Da 14 anni la tipografia Salesiana di Torino tra le altre produzioni attende ad una pubblicazione, che ha per titolo - Biblioteca della gioventù italiana - ed ogni mese mette in luce un volume di opere scelte dei migliori classici italiani, purgati da ogni menda. Lo scopo di tale pubblicazione é di porre nelle mani dei giovani studiosi libri classici di utile e amena lettura, senza pericolo della fede e dei buoni costumi; e per la più voluta deferenza all'autorità ecclesiastica, ogni volume, quantunque non tratti ex professo né di Sacra Scrittura, né di liturgia, né di altra materia ecclesiastica, tuttavia prima di essere stampato si presenta alla Curia Arcivescovile per la Revisione.
Or bene la Curia, invece di limitarsi a vedere se nelle materie da pubblicarsi vi siano cose contrarie alla fede o alla disciplina ecclesiastica od ai buoni costumi, spinge il suo occhio indagatore e il suo giudizio all'eccesso, e sino alle cose opinabili. Per questo motivo essa incomincia a ritenere presso di sé settimane e settimane i manoscritti; di poi vuole ancora rivedere le bozze di stampa, e infine confronta pagina con pagina, linea con linea, parola con parola, e ciò con una diffidenza tale, quale si userebbe appena con editori di mala fede.
Questo sistema cagiona discussioni inopportune, arreca danni gravissimi alla nostra tipografia, che si trova arenata nel lavoro, e pel ritardo delle pubblicazioni ci disgusta ed aliena li avventori ed associati, quelli perché noi non possiamo dare finite le opere pel tempo convenuto, questi, perché si vedono il più delle volte distribuiti un mese dopo i volumi della periodica pubblicazione. Quello poi che pure addolora si é che mentre la Rev.ma Curia usa tanto rigorismo contro le opere, che si pubblicano dalla nostra tipografia, mostrasi [744] poi facilissima a dare le più ample approvazioni ad opere pubblicate altrove, non ostante che contengano giudizi sfavorevoli e sinistre insinuazioni a carico di persone in alto locate nella gerarchia ecclesiastica, e contro gli stessi Eminentissimi.
Ultimamente poi successe un fatto molto grave. Nel mese di novembre e di dicembre uscirono per la mentovata pubblicazione due volumi, contenenti novelle scelte dagli Ecatommiti di Giambattista Giraldi. Quantunque le edizioni precedenti fossero già state purgate, e una, di esse fin dal 1563 avesse la Revisione dell'Inquisitore, che chiamò gli Ecatommiti. “consoni alla Santa Romana Chiesa”, tuttavia noi nel ridarle alla luce le abbiamo ancora ripulite di meglio, anzi ne abbiamo eliminate varie, la cui lettura non ci pareva abbastanza conveniente alla gioventù studiosa. Ora la Curia Arcivescovile, come se si fosse prefisso lo scopo di atterrare la pubblicazione suddetta, negò il Visto al fascicolo del mese di dicembre, tempo in cui gli abbonati sogliono rinnovare l'associazione per l'anno seguente; anzi fu in procinto di pubblicare sul giornale - il Corriere di Torino - come fatto aveva in altra occasione, un'acerba protesta contro di noi e dell'opera nostra.
Il pretesto di ciò fu una cosa da nulla; fu la svista del proto, che non badò ad un piccolo segno fatto dal Revisore nel manoscritto, e quindi non soppresse nella prefazione del fascicolo di novembre alcune parole. Le parole non soppresse non contengono nulla né contro la fede né contro la morale, e che sia così lo provò la condotta della Curia medesima. Infatti non apponendo questa il Visto al manoscritto esaminato, ma solamente alle bozze già compaginate, da lei rivedute e col manoscritto minutamente confrontate, riebbe a tempo utile gli stamponi, su questi vide prodotte anche le parole da sopprimersi, e tuttavia appose la sua firma.
Con ciò la Curia diede a divedere che quelle linee potevano passare senza danno veruno, se pure non si voglia supporre che essa abbia finto di non accorgersene per cogliere indi occasione a molestarci, ricorrendo al manoscritto. Se invece di tacere, la Curia rivedendo le bozze avesse fatto osservare l'ommissione del proto, questi avrebbe potuto ancora rimediare al suo sbaglio, perché la composizione in allora non era per anco stata messa in macchina. All'opposto la Curia scorge che le bozze portano le parole da lei non volute, mette loro nondimeno il suo Visto, lascia che il volume sia stampato e distribuito, e poi ascrive il fatto ad insubordinazione, e per vendicarsene nega la permissione di stampa al volume consecutivo, sebbene innocuo per ogni verso, ed uscito del tutto conforme al manoscritto esaminato e riveduto. Sembrano cose da fanciulli; eppure sono fatte da uomini serii e posti sul candelabro.
Né il tutto fu qui. Non paga di aver recato un grave danno alla nostra pubblicazione, la Curia andò più oltre. Invece di far sapere le [745] cose a Don Bosco, che erane ignaro affatto, il Sig. Can. Colomiatti, Avv. fiscale della Curia, scrive e poi manda il suo cursore al nostro Istituto e fa chiamare a sé non uno de' Superiori, che si trovasse a casa, ma il Sac. Michele Rua, che da 8 giorni era assente da Torino. Non vedendolo poscia a comparire, l'Avv. giudica il fatto una testardaggine; quindi stende l'accennata protesta, questa si sottoscrive dal Can. Chiuso Provicario generale, ed é ad un pelo di essere pubblicata per le stampe. Così o a nome proprio o a nome di Mons. Arciv. i due Canonici tentarono di screditare sempre più presso i fedeli la Tipografia Salesiana, che da 30 e più anni lavora per difendere la religione cattolica, per diffondere sane dottrine tra il popolo e la gioventù, e per provvedere nel tempo stesso il pane e la educazione a più migliaia di fanciulli poveri ed abbandonati. A chi conosce intimamente le cose sembra che nella Curia Arcivescovile di Torino non si abbia altro lavoro, fuorché il creare imbarazzi alle opere Salesiane e impedirne lo sviluppo.
La fatale protesta non solo già estesa, ma debitamente sottoscritta, non venne pubblicata per interposizione del Prof. Don Celestino Durando, che il 16 del corrente presentatosi in Curia ottenne che venisse rivocata. Corre pur voce che non venne pubblicata, perché il Direttore del Corriere si rifiutò di darle posto nel suo giornale.
Noi ringraziamo la Divina Provvidenza che abbia risparmiato alle anime un grave scandalo, al Santo Padre un nuovo disgusto, e alla povera Congregazione Salesiana un pubblico sfregio, ma il fatto dimostra chiaramente che la Curia Arcivescovile mantiene tuttora verso di noi lo stesso sistema, vale a dire, giudica e sentenzia a priori con grande leggerezza e senza prima udirci, dimostra che contrariamente alle paterne intenzioni e savie disposizioni del S. Padre, la Curia coglie occasione dalle più piccole cose, anzi pare che vada come mendicando e suscitando pretesti per affliggerci ed incagliarci; dimostra ancora che i Salesiani hanno ragione di stare col timore in dosso di vedersi fatte da un momento all'altro le più dolorose ed inaspettate sorprese, alla guisa di quei viandanti che camminano per luoghi infestati da nemici
Questa condizione di cose ci ha già fatto e continua a farei molto danno; imperocché oltre ai gravi disturbi e la perdita di tempo che ci cagiona, i Salesiani per fare tutto il bene che oggidì si richiede hanno bisogno di essere aiutati ed incoraggiati, e non avviliti ed oppressi da chi meno il dovrebbe. E poi molti fedeli e pur benefattori conoscendo solo a mezzo le cose, e ingannati dalle dicerie dei malevoli, si turbano e raffreddano a nostro riguardo, onde chi ne guadagna é lo spirito del male.
Il Santo Padre nella suggerita Concordia ebbe le migliori intenzioni; noi ci siamo arresi ai suoi desiderii, ancorché ciò ci costasse sacrifizio di onore e di riputazione presso al popolo; speravamo [746] almeno che tutto fosse finito; ma non é così. La Curia persuasa di essere stata dal Santo Padre giustificata, non ostante la sentenza della Sacra Congregazione a lei contraria, d'allora in poi prese a mostrarsi baldanzosa come di una vittoria, continua a convertire l'autorità in arbitrio ed usarne non ad aedificationem ma ad destructionem.
Dal sin qui detto risulta: - 1° Che la Curia mette incaglio alla Tipografia Salesiana con un eccessivo rigorismo nella Revisione; 2° Ha negato il Visto al volume di una periodica pubblicazione scevro da ogni censura, e lo negò in sul fine dell'anno mettendola in sospetto presso gli associati; 3° Poteva avvertirci per tempo di alcune parole che non voleva si producessero e non ci avvertì, movendone solo lamento quando non si poteva più rimediare; 4° Invece di renderne consapevole il Superiore, scrisse e chiamò a sé un subalterno, che non si trovava a casa; 5° Prima di udire o l'uno o l'altro ci giudicò disobbedienti e caparbii, e perciò stese e sottoscrisse contro di noi una protesta a forma di condanna, che non fu pubblicata solo per accidens. A decoro e per rispetto alla dignità episcopale voglio credere che tali disposizioni non siano partite da Mons. Arciv., ma solo dai suoi subalterni.
Esposte le cose come sono, ne lascio l'autorevole giudizio alla Em V. Rev.ma, pregandola ad un tempo che voglia degnarsi di continuare a proteggerci coll'alta sua autorità e colla efficacia di sue fervorose orazioni, affinché anche in mezzo a tante difficoltà e pene non veniamo meno nel bene operare.
In fine facendo i più ardenti voti che il buon Dio spanda ogni eletta benedizione sopra la veneranda sua persona, godo dell'insigne onore di potermi professare con alta stima e profonda venerazione
Due lettere di Don Bonetti al Card. Nina.
(La questione per l'opuscolo G. C. nostro Dio e nostro Re).
La Em. V. Rev.ma mi permetta che Le segnali un fatto abbastanza grave da meritare l'attenzione di una persona piena di zelo, come l'Eminentissimo Protettore dei Salesiani. [747]
Ella saprà come da parecchi mesi si pubblica in Torino uno spudorato ed empio giornale, che s'intitola: Gesù Cristo. Grande é il male che ha già fatto e che fa tuttora; micidiale é lo scandalo che spande in Torino e in altri luoghi, sicché molte effemeridi cattoliche fin dalla Sicilia ne levarono alti lamenti, ma indarno.
A premunire i fedeli contro cotali sforzi degli empi, il Bollettino Salesiano dello scorso febbraio pubblicò un articolo apposito, che per consiglio di Don Bosco venne ridotto a forma di libretto e sparso gratuitamente in Torino in numero di 100 mila copie. Il libriccino porta il nome: Gesù Cristo nostro Dio e nostro Re.
Quantunque l'articolo avesse già avuto il Visto della Curia Arcivescovile di Genova, siccome stampato nella Tipografia Salesiana di S. Pier d'Arena, tuttavia prima di riprodurlo e diffonderlo in Torino, fu presentato nuovamente a questa Curia Torinese, la quale con difficoltà sì, ma pure a viva voce ne dava il permesso.
Intanto alcuni giornali cattolici avendo annunziato il detto opuscolo, come molto acconcio a ravvivare la fede nei cattolici, ed animarli a porgere una qualche riparazione al Nostro Divin Salvatore, nella stessa città del SS. Sacramento e della Sacra Sindone, oltraggiato da sacrileghe penne, da tutte parti d'Italia se ne fece dimanda alla Tipografia Salesiana per diffonderlo vie più largamente. Alcuni Parrochi poi di altre Diocesi, non punto impediti da locali prescrizioni, divisarono eziandio di distribuirlo ai loro parrocchiani come biglietto e segno della Comunione Pasquale.
L'Unità Cattolica sempre pronta ad aiutare la buona stampa e a dare la mano a spargere tra il popolo sane idee, nel suo N°. 53 dava contezza di questo divisamento di alcuni Parrochi; e siccome questo benemerito giornale è sparso non solo nell'Archidiocesi di Torino, ma in tutte le Diocesi d'Italia, così per norma dei Parrochi di queste lodava il pensiero di dare il prefato libretto come segno della Comunione Pasquale per la ragione che in questo caso avrebbe servito non solamente come ricordo dell'adempiuto precetto, ma come ottimo maestro nelle famiglie. A questo uopo la nostra tipografia ne faceva tirare più migliaia di copie colla scritta: Segno della Comunione Pasquale. Tanto l'Unità Cattolica quanto noi eravamo ben lontani dal volere con ciò contravvenire alle leggi sinodali di Torino. Nostro intendimento era di esaudire le dimande che ci pervenivano da altre Diocesi della penisola, e contribuire vie meglio alla maggior gloria del Figliuolo di Dio.
Che poi questo divisamento non contenesse nulla di riprovevole ce ne fu garante la Curia Arcivescovile di Genova, che in data del 10 del corrente dava il permesso di annunziarlo nel Bollettino.
Ciò posto, ecco, Em. Rev.ma, quello che avvenne. Mons. Arcivescovo di Torino vide nell'annunzio della Unità Cattolica una contravvenzione al Sinodo Diocesano del 1873, col quale egli aveva [748] ordinato di dare alla Comunione Pasquale biglietti piccoli, e proibito di dispensare medaglie, immagini, biglietti, ogni volta che si amministra la S. Comunione. Quindi per ricordare ai soli 268 Parrochi della sua Archidiocesi questa legge locale, che essi già conoscevano, egli nel N° 54 dell'Unità Cattolica, la quale va nelle mani di più migliaia di Parrochi e di fedeli di altre Diocesi, fece pubblicare un Avviso, che pare fatto apposta per eccitare il sospetto che il libriccino Gesù Cristo Nostro Dio e Nostro Re non abbia avuta l'approvazione ecclesiastica, e che perciò contenga qualche cosa di contrario alla fede ed ai costumi; sospetto, che non solo ne impedisce la ulteriore diffusione, ma distrugge la buona impressione avuta già da migliaia di persone che lo hanno letto, e fa gongolare di gioia gli empii scrittori del satanico giornale, contro di cui il libretto era rivolto.
Affinché questa cattiva impressione meglio si propagasse, Mons. non si contentò di pubblicare l'avviso sull'Unità Cattolica, ma lo fece comparire ancora sul Corriere di Torino, il quale dell'accennato libro, come segno della Comunione Pasquale, non aveva fatto parola né punto né poco.
L'Arcivescovo diede propriamente a vedere che non approva il libretto in genere, perché uscito dalle mani dei Salesiani e sparso da loro. Se così non fosse, dopo aver ricordato ai Parrochi di non darlo come biglietto Pasquale o nell'atto della Comunione, avrebbe almeno raccomandato loro di distribuirlo in altra circostanza come hanno fatto molti giornali d'Italia ed anche Vescovi, tra cui quello di Alessandria; ma no, Mons. Arcivescovo di Torino si limita a distruggere e non si cura punto di edificare. Ed ecco, Eminenza, una bella prova dell'appoggio che questo Prelato ci porge per fare il bene alle anime.
Ed ora io domando se sia questo il modo di coadiuvare la buona stampa e diffonderla in mezzo al popolo come innondato ed affogato dalla colluvie di libercoli e fogli infami ed empii; domando se sia questo il mezzo di eccitare lo zelo dei Sacerdoti, dei religiosi, dei laici, ad opporsi allo spirito del male, come sovente raccomanda il Santo ed invitto Pontefice che ci governa; domando se sia questo il premio da darsi a scrittori e a tipografi, che a tutta loro spesa hanno sparso gratuitamente 100 mila copie di un opuscoletto all'unico scopo di ravvivare la fede nella Divinità di N. S. Gesù Cristo, in questa istessa Torino impunemente assalita da una mano audace di cosidetti anticlericali: domando ancora se sia questa la pace sincera e duratura, che il Can. Colomiatti il 18 giugno dell'anno scorso prometteva e sottoscriveva a nome di Mons. Arcivescovo.
A Genova ed a Venezia bastò la voce dell'Arcivescovo e del Patriarca per soffocare due giornali scellerati che infestavano quelle città. Torino invece si vede insultata nella sua fede, demoralizzato il basso popolo, pervertita la gioventù da un periodico schifoso, che osa intitolarsi col nome adorabile di Gesù Cristo; e quando Don [749] Bosco con un atto di generosità, da tutti applaudito, tenta almeno dal canto suo di porre un qualche riparo, ecco tosto un avviso dell'Arcivescovo a fare il giro del mondo per metterlo in sospetto! - Ahi! Eminenza, quanto é mai doloroso vedere i lupi nel gregge e il Pastore che batte i cani perché abbaiano! Ahi! si degni la E. V. d'innalzare una preghiera al buon Dio per me, che non venga meno vedendo e provando siffatta contraddizione.
Prego intanto il Signore che La rimuneri coll'abbondanza dei celesti carismi, e inchinandomi al bacio della sacra porpora godo di professarmi colla più alta considerazione
Sac. Gio. BONETTI de' Salesiani.
Quantunque disposto a fare compagnia in questi giorni al Divin Salvatore e nell'orto e nei tribunali e sul Calvario, tuttavia l'amore della giustizia e della religione mi muove a segnalare alla Em. V. Rev.ma mi nuovo fatto di Mons. Arcivescovo di Torino, che le menti più calme hanno definito per un abuso di potere a disdoro dei Salesiani. Al libretto Gesù Cristo nostro Dio e nostro Re già ben noto alla Em V. e sparso in Torino e in altre parti d'Italia a più migliaia di copie, furono ultimamente apposte queste semplici parole: Segno della Comunione Pasquale, come si vede nella copia che qui Le unisco. Questa scritta fu suggerita da Parrochi non dell'Archidiocesi di Torino, ma di altre, i quali vennero nel pensiero di distribuirlo ai fedeli in occasione della Pasqua. Simile domanda ci fu diretta anche da Vescovi, tra cui mi basta nominare L'Eminentissimo Sig. Cardinale di Canossa, che ne ordinò ben 3000 esemplari per la sua Cattedrale di Verona.
Or bene Mons. Arcivescovo di Torino non solo obbligava l'egregia Unità Cattolica e il Corriere di Torino a pubblicare per tutta l'Italia quell'avviso, di cui io già informava la E. V. con Mia lettera del 7 corrente, ma di questi giorni diramò una circolare, in cui con monito speciale dichiara sospeso ipso facto dall'udire le confessioni quel Sacerdote che distribuisce in qualsiasi luogo dell'Archidiocesi l'accennato libriccino colle riferite parole: Segno della Comunione Pasquale.
Niuno vi ha il quale non veda che un tanto rigore contro la diffusione di un libretto così innocuo, anzi nella sostanza così opportuno, fu usato in odium auctorum, cioè dei poveri Salesiani. Di fatto né di tale né di altre ecclesiastiche pene finora Mons. Arcivescovo non ha colpiti quei disgraziati, che o scrivono, o stampano, o leggono, o diffondono quell'empio periodico, che da 6 mesi fa uno strazio [750] nefando del Nome adorabile del nostro amabilissimo Gesù, ne combatte la Divinità, ne vilipende la Chiesa, il Papa, il Sacerdozio. Di questa punizione egli colpisce invece quei poveri Sacerdoti, i quali spargessero con innocentissima scritta un libretto Salesiano, distribuito già in Torino in numero di 100 mila copie, allo scopo di paralizzare il male che vi fanno gli empi, premunirne i fedeli ed eccitarli alla riparazione! Lascio giudicare alla Em. V. se questa diversa misura non riveli un mistero e non cagioni scandalo alle anime.
Vero é che dopo tali atti che producono le più sinistre impressioni, e sono tosto rilevati con diabolica compiacenza dai giornali della setta, Mons. cerca tosto di contrapporne degli altri che sanno di pietà e di zelo; ma questi servono solo a nascondere l'animo suo a qualcuno, e non valgono punto a distruggere il male prodotto da quelli.
Come adontato di dovere così spesso palesare alla E. V. fatti consimili, che non possono a meno di addolorare il suo bell'animo, io non mi distendo in ulteriori riflessi; ma cogliendo la propizia occasione Le auguro dal più intimo del cuore lietissime le prossime feste pasquali, e prego il Signore trionfatore della morte e dell'inferno che Le partecipi in gran copia le gioie di sua gloriosa Risurrezione.
Sono colla più alta stima e col più profondo ossequio
Sac. Gio. BONETTI de' Salesiani.
Decreto di proscioglimento per Don Sonetti
Quum peculiaribus de causis anno superiore inter te ac Taurinensem Archiepiscopum inita fuerit concordia, qua statutum est inter coetera, Sacerdotem Ioannem Bonetti Salesianae Cong. alumnum Cherii civitatem nonnisi in aliqua circumstantia fore petiturum, SS.mus Dom.us Noster Leo Papa XIII omnibus mature perpensis in Audientia diei 9 defluentis iulii praedictae dispositionis causas post Archiepiscopi funus penitus evanuisse iudicavit, ac propterea dispositionem ipsam nullius iam roboris esse declaravit et, quatenus opus foret, eamdem plane delevit atque abrogavit tibi Alumnoque tuo Bonetti pristinam libertatem restituens ac restitutam esse decemens. Haec porro tibi significans de mandato huius Congregationis Concilii, fausta omnia a Domino adprecor.
(Dalla lettera di Don Turchi al Prefetto della S. C. dei Riti).
Com'é noto, il povero Mons. Gastaldi se l'era presa con tutto e con tutti. E 1° con la S. Sede rifiutandosi di obbedire e buscandosi sospensioni particolari, non volendo stare a sentenza dei Tribunali di essa, ma consigliandosi e combinando con capimagistrati per reagire a Roma e renderle frustranee 2° Con i veri dettami della Fede, avendo prima ancora che fosse Vescovo, stampate proposizioni, nelle quali andava d'accordo coi capi-setta [...]. 3° Con la Morale di S. Alfonso de' Liguori, che trovava troppo larga, ed in conseguenza distruggendo una delle più belle e pel Piemonte più proficue istituzioni, qual era il Convitto Ecclesiastico per lo studio della Morale, che sbandì i rigori del Giansenismo dal Piemonte stesso, e ch'era fondazione d'uomini insigni per dottrina e santità, quali furono il Teol. Guala e Don Giuseppe Cafasso; e quindi lo sfratto dato al grande Moralista Teol. G. B. Bertagna, ora Vescovo titolare di Cafarnao. 4° Con gli Ordini e Congregazioni religiose, specialmente contro i Gesuiti, contro cui, facendo poi esso stesso scuola di Morale ai giovani Sacerdoti, spesso convertiva la scuola in declamazioni contro i Gesuiti stessi, ed avendo in un suo scritto mandato alle stampe asserito che lo stato religioso non é più perfetto del semplice Sacerdozio; specie pure col povero Don Bosco, cui sarebbe troppo lungo dire quanto ha maltrattato, e che aveva il torto di non volersi lasciar distruggere lui e la sua Congregazione. 5° Con la sana e cattolica filosofia, essendosi esso fatto campione delle teorie Rosminiane, i cui seguaci ho letto io stesso in un giornale liberale professare che avevano una rôcca in Gastaldi Arcivescovo di Torino. 6° Col suo Clero e coi migliori di esso, intimando sospensioni senza numero e per futili motivi; e tra le vittime di sospensioni anche Don Bosco quanto al ministero delle confessioni; cosa però di cui [Don Bosco] non s'era accorto, perché esso ed altri supposero che le sue Patenti di Confessione fossero state, come al solito, regolarmente confermate ad annum [...] 7° Perfino coi Vescovi vicini, a cui vietava di venire per funzioni di sua diocesi[605]. 8° Direi perfino coi Santi, giacché trattandosi di ristampare per la millesima volta una Laude di S. Alfonso, né volendone permettere la ristampa senza una variante da esso voluta, ed osservandogli il [752] tipografo od altri che quella Laude era oramai antica, né alcuno aveva mai avuto a vedervi nulla che non andasse bene, esso gli soggiunse: - S. Alfonso era Vescovo, ed io sono Arcivescovo, e voglio così! - 9° Col Capitolo Metropolitano. Nel fare il suo Sinodo Mons. Gastaldi ne presentò, come di ragione, copia al Capitolo; poi nell'adunanza del Clero in Duomo ne fe' leggere un altro. Andato poi in Riviera ligure per bagni, ne compilò un terzo, e questo stampò nel 1873 [...]. Poi se l'era presa ancor col Margotti e la sua Unità Cattolica, vessandolo al punto, che il Margotti dové, per liberarsene, far proprietario del giornale suo fratello Stefano. Cosa strana fu che alla morte di Mons. Gastaldi le nuove che dirò di palazzo, cioè intorno all'esposizione del cadavere e di quanto avveniva nel palazzo arcivescovile e cappella esterna unitavi, nonché quanto alle modalità del trasporto funebre, ecc., le notizie venivan tutte e molto dettagliate da un giornale liberalissimo ed il peggiore dopo la Gazzetta del popolo, cioè dalla Gazzetta Piemontese, da cui i fogli religiosi poi le prendevano. Mons. Gastaldi era inoltre di idee liberali, come prova in particolar modo una sua Pastorale[606].
Due progetti di convenzione per Siracusa.
Nostro progetto di subcessione dal Municipio di Siracusa al Sac. Giovanni Bosco.
Si premette che al Municipio di Siracusa venne ceduto con atto 15 dicembre 1867 dall'Amministrazione del fondo per il culto il fabbricato del soppresso convento dei PP. Cappuccini sotto il titolo di S. Francesco d'Assisi sito fuori le mura della città di Siracusa. Nel desiderio di dare a tal fabbricato una destinazione che abbia a ridondare a pubblica utilità e beneficenza, il Municipio l'offre al Sac. Giovanni Bosco fondatore di vari stabilimenti a benefizio della gioventù, e conviene con lui su quanto infra:
I° Il Municipio subconcede al Sac. Giovanni Bosco e suoi eredi e successori in uso e custodia l'ex-convento dei Cappuccini di Siracusa e sue pertinenze, cioè la cappella e la Silva o Latomia cogli oggetti mobili inerenti nello stato in cui si trovano attualmente e tali e quali vennero concessi al Municipio dal Regio Governo per virtù dell'atto di loro cessione qui avanti riferita, e liberi da ogni peso e servitù. [753]
2° All'atto di consegna di detto fabbricato e sue pertinenze dal Comune al Rev. Sac. Giovanni Bosco, saranno redatte testimoniali di stato, dalle quali risulti della condizione in cui si trovano gl'immobili e mobili subconceduti.
3° In caso di retrocessione dovrà il Municipio rimborsare al Sac. Giovanni Bosco o suoi eredi di tutte le spese che si fossero incontrate per ristorarlo, migliorarlo ed adattarlo all'uso cui viene destinato.
4° Essendo questi immobili destinati ad uso di pubblico istituto per poveri fanciulli, dovrà il Municipio dare il preavviso di anni cinque qualora giudicasse di rescindere la convenzione.
Nostro progetto di convenzione tra l'Ill.ma Sig.ra Marchesa Maria Carmela Gargallo e il Sac. G. Bosco.
Desiderosa la Sig. Marchesa di Castellentini Maria Carmela Gargallo d'impiegare parte delle sue sostanze a favore della città di Siracusa, conviene col Sac. Giovanni Bosco, fondatore di parecchi stabilimenti di beneficenza per la gioventù povera, quanto segue:
I° S'incarica di fare agli immobili subceduti dal Municipio al Sacerdote Bosco i ristauri e riparazioni che saranno ravvisati necessari, affinché possano servire ad uso di casa di educazione ed istruzione per indirizzare la gioventù ai mestieri e all'agricoltura, oppure destinerà a tal uopo la somma di L. 25.000, dando al Sac. Giovanni Bosco l'incarico di farli eseguire per proprio conto.
2° Provvederà quanto occorre di oggetti mobili per l'impianto di un orfanotrofio colla suddetta destinazione oppure destinerà a tale scopo la somma di L. 15.000.
3° Si obbliga del pari l'anzidetta Signora a mantenere i fabbricati in stato di buona riparazione senza lasciarli deteriorare, provvedendo anche per tempi successivi alla sua morte.
4° Si obbliga finalmente a dare al Sac. Giovanni Bosco la somma di Lire 80.000, la cui rendita abbia a servire pel mantenimento del personale che verrà destinato alla direzione ed amministrazione dello stabilimento. La qual somma verserà, o in numerario od in tante cartelle del debito pubblico che diano il reddito di L. 4.000 nette, nell'atto stesso della stipulazione.
5° Con la subcessione del fabbricato dell'ex-convento e chiesa dei PP. Cappuccini e della Silva annessavi e con li sovraindicati sussidi e dotazione il Sac. Giovanni Bosco si obbliga per sé e successori di erigere nel fabbricato dell'ex-convento dei PP. Cappuccini un ospizio di beneficenza per fanciulli indigenti da reggersi e governarsi in tutto dalla Pia Società di S. Francesco di Sales, alla foggia [754] dell'Oratorio sotto lo stesso titolo da lui fondato in Torino, con le stesse regole e discipline.
6° Il nuovo ospizio prenderà il nome Gargallo-Castellentini, e sarà sotto la protezione di S. Marciano primo Vescovo di Siracusa e della concittadina S. Lucia.
7° Il Sac. Giovanni Bosco si obbliga per sé e successori a restituire alla Sig. Marchesa o suoi eredi tanti ventesimi della dotazione quanti sono gli anni a scorrere fino al ventennio, qualora non per forza maggiore, ma volontariamente esso od i suoi successori prendessero la risoluzione di dimettersi dalla direzione dell'Istituto.
8° In caso di ritiro della Società Salesiana dall'Istituto il Sac. Bosco o successori cederanno alla Sig. Marchesa o suoi eredi il diritto di rimborso per la parte a lei spettante.
9° La Sig. March. Gargallo unitamente al Sac. Giovanni Bosco mettono il nuovo ospizio sotto la paterna assistenza di S. E. Rev.ma l'Arcivescovo Pro tempore di Siracusa, da cui si riceveranno con riconoscenza quei consigli che nella sua saggezza giudicherà opportuni pel buon andamento dell'opera.
Lettera del Duca di Parma a Don Bosco.
Carissimo e molto Reverendo Don Bosco,
Ho ricevuto la sua lettera del 29 luglio ove Ella mi parla della fondazione, nel 1883, di un suo ospizio per fanciulli nell'antico convento di S. Benedetto in Parma. Ella vorrà bene ricordarsi che a Nizza, nella scorsa primavera, avevamo ragionato su questo interessante argomento.
Sono disposto a concorrere a quella buona opera con tutti i mezzi che potrò ed é anzi un dovere per me. Ecco il perché. La Duchessa mia moglie si trovava alquanto seriamente indisposta allorquando avevamo la fortuna di incontrarci a Nizza, ed allora feci la promessa alla Madonna Santissima di offrire dieci mila lire per una fondazione di cui Lei ora mi parla, se la Duchessa si ristabilisse in salute, se il parto che aspettavamo per la fine di Ottobre, si passava bene, e se la Creatura aspettata godesse di buona salute. Sarebbe male, da parte mia, di dubitare che ciò che ho chiesto alla Madonna SS.ma non venisse esaudito, tanto più che fino ad ora la salute della Duchessa si é molto migliorata; sono certo che il parto della madre e la salute del bambino saranno ottime. Quindi quando Ella lo crederà bene e dove Ella lo vorrà le farò giungere le 10.000 lire promesse per il [755] futuro ospizio suo di Parma. M dia un cenno dove e quando vuole ricevere questa somma e dò gli ordini in conseguenza.
Spero che la morte dell'ottimo e compianto Mgr. Villa non produrrà verun ritardo all'andamento della Sua, per la mia Parma, così utile opera.
Mi raccomando, Carissimo Don Bosco, alle Sue preghiere per me, per mia moglie e per i miei numerosi figli. Conservo nel mio libro di orazione la immagine della Madonna che Ella mi manda, come prezioso di Lei ricordo verso un associato alle Sue opere Salesiane, come Ella volle bene inscrivermi a Nizza e mi creda sempre con sommo rispetto
Lettera dei C. Correnti a Don Bosco.
Io son ben lieto che V. S. Rev.da si ricordi di me e mi aiuti coi suoi suggerimenti a far cose giuste e degne. Tale sarebbe la promozione a cavaliere del Prof. Bonzanino che Ella mi raccomanda e che io raccomanderò a mia volta a S. E. il Ministro della pubblica Istruzione. Ma vorrei anche sperare che V. S. Rev.da si rammenterà delle promesse fattemi per trovar modo di ottenere un largo concorso dalla carità e pietà dei fedeli nella vagheggiata costruzione di un nuovo tempio a servigio del nuovo grande Ospedale Mauriziano che sorge lungo la via di Stupinigi. Quel tempio se passano ancora due mesi senza che alcuno mi aiuti, o incoraggi, dovrà ridursi ad una modestissima cappelletta la quale certo non potrà corrispondere né alla grandezza del Nosocomio, testé costruito dall'Ordine, né al decoroso prospetto del Viale Re Umberto, né al divisamento di consacrare il Sacro edifizio a S. Umberto.
Lettera di Don Bosco all'Arcivescovo di Siviglia.
Cum theologus vir Joannes Cagliero ex Hispania in Italiam rediit, plurima de bonitate et munificentia tua nobis exposuit. Inter coetera nobis adnotavit tibi esse in votis Salesianam domum pro adolescentulis derelictis educandis in hac tua civitate instituendam, eamdem que tua sub valida protectione te habiturum.
Talis ac tanta benevolentia pergratos animi nostri sensus expostulat. Quapropter haec singularia munera tua libentissime accipientes, nos omnes in manus tuas confidimus, atque de nobis et de nostris tu disponere poteris in iis omnibus quae ad majorem Dei gloriam, lucrumve animarum aliquid nos collaturos fore judicaveris.
Si quid in posterum de hoc negotio dicendum vel faciendum sit, tanquam pater nobis semper dicito.
Nos vero in nostris precibus matutinis et vespertinis exorabimus, ut Deus longitudine dierum te repleat teque incolumem servet, donec aut Taurini aut in hac tua dioecesi te personaliter videamus, tibique pro benefactis gratias ex intimo corde nostro referre valeamus.
Dum dextera tua, ut peto, nos omnes benedicat, ego omnibus feliciorem me profiteor.
Esposizione di Don Rua per la casa salesiana di Firenze.
Firenze. - Chiesa dell'Immacolata Concezione ed Istituto Pio IX.
Da molto tempo era reclamato in Firenze un istituto ed ospizio pei poveri giovanetti orfani ed abbandonati. Ultimamente poi fecesi maggiormente sentire tale bisogno, dacché i protestanti colle solite arti loro cominciarono a sedurre l'incauta gioventù valendosi dell'abbandono e della povertà per farla seguace dell'errore. In tale emergenza la Benemerita Associazione Operaia Cattolica costituita in questa città, che già diede vita a tante altre opere molto vantaggiose alla classe povera, prese l'iniziativa eziandio per raccogliere mezzi per provvedere a tale necessità nell'intendimento di procurare [757] alla città di Firenze la fondazione di una casa Salesiana. Con accademie, con questue pubbliche e private raccolse considerevoli somme, e fin dal maggio 1880 venne appigionato un locale che potesse servire per Oratorio festivo e per qualche scuola, provvedendolo dei mobili più indispensabili.
Giunta a tal punto l'impresa, la benemerita Associazione suddetta si rivolse a S. E. Rev.ma l'Arcivescovo di Firenze, affinché volesse interporre l'efficace sua preghiera per invitare il Sac. Giovanni Bosco Fondatore di parecchi altri stabilimenti di simil genere a volere fondare anche in Firenze Oratorio, Scuole ed Ospizio per la povera gioventù. La pratica ebbe il desiderato effetto. Il Sac. Giovanni Bosco, visto l'unanime desiderio di S. E. Rev.ma e della più eletta parte della cittadinanza di Firenze e considerati i pericoli che quivi purtroppo, come in altri siti, corre la gioventù, non badando a serie difficoltà che si frapponevano, spedì tosto tre religiosi della Società Salesiana per dar principio all'Oratorio festivo e alla scuola, riserbandosi ad incominciare pure a ricoverare poveri orfanelli appena si possa avere un locale adatto.
La Società Cattolica Operaia, lieta del felice risultato delle sue sollecitudini, rimette al Sac. Bosco quanto ha potuto raccogliere sia in oggetti sia in danaro; e piena di fiducia in lui lo prega a volere con l'applicazione de' suoi sistemi di amministrazione ed educazione dare il maggior sviluppo possibile al novello istituto.
Dal suo canto il Sac. Giovanni Bosco colla Pia sua Società di S. Francesco di Sales, mosso dalla più sentita riconoscenza sia per la stima e fiducia in lui riposta, sia per lo zelo e carità spiegata nel raccogliere offerte da questi benemeriti cittadini, rende alla Benemerita Società Operaia Cattolica e a tutti gli altri caritatevoli oblatori le più vive azioni di grazie pregando il Signore a ricolmare di ogni più eletta benedizione tutti i benefattori dell'opera e con gran piacere poi seconderà le pie intenzioni dell'Associazione Operaia Cattolica con mettere il novello istituto sotto la protezione di Maria Immacolata, di S. Giuseppe e S. Francesco di Sales e porre una lapide commemorativa che ricordi ai posteri essere il nuovo istituto-ospizio un monumento alla sempre cara memoria dell'Immortale Pontefice Pio IX che mostrò maisempre tanta carità verso la povera gioventù abbandonata.
Intanto mentre si accinge con tutto l'ardore alla pia impresa, non può fare a meno di notare che l'opera é solo ne' suoi primordii e che molto ancora réstavi a fare. Vi saranno pigioni a pagare, terreni da acquistare, fabbricati da erigere e da fornirsi di suppellettili e da sostenere le spese pel mantenimento e per l'educazione dei futuri allievi. Perciò si raccomanda caldamente a volergli continuare l'appoggio materiale e morale, sopra cui dopo l'aiuto del Cielo sono fondate le sue speranze. [758]
Convenzione per l'Oratorio di Faenza.
Convenzione privata fra la Benemerita Commissione ecclesiastica di carità della città di Faenza ed il Sac. Gio Bosco a fine di ottenere maggiore sviluppo all'Oratorio Salesiano aperto in detta città.
I° La commissione si adoprerà per ottenere il maggiore ampliamento del fabbricato, che sarà possibile.
2° Dai due Signori Parroci della Commenda e di S. Antonino procurerà sia scritta una dichiarazione colla quale si obbligano per se e pei successori a lasciare libero l'uso del fabbricato e delle adiacenze al Sac. Gio. Bosco ed ai suoi eredi successori per tutto il tempo concesso dalle leggi canoniche, e civili. In caso si dovesse rompere la convenzione i Signori Parroci della Commenda e di S. Antonino dovranno darne avviso al Sac. Bosco tre anni prima.
3° Permetterà al Sac. Bosco libera la direzione e l'amministrazione dell'Istituto; perciò consegnerà al medesimo le offerte che per esso già furono fatte e quelle che si faranno per l'avvenire.
4° Il Sac. Bosco si obbliga a mandare e mantenere il numero dei Sacerdoti, Chierici e Coadiutori necessario pel buon andamento dell'Istituto.
5° Di ricoverare ed ammaestrare nelle arti e negli studi giovanetti orfani od abbandonati, secondoché sarà permesso dall'ampiezza .del fabbricato e dai mezzi somministrati dalla Divina Provvidenza.
6° Di tener aperto l'Oratorio festivo, le scuole serali e di canto pei giovani della città, che dai singoli Parroci vi saranno inviati.
7° Di aprire, appena sarà possibile, un altro Oratorio festivo nella parte opposta della città.
8° Il Sac. Bosco terrà nota delle somme consegnategli dalla Commissione. Se per forza maggiore od altra grave cagione, quod Deus avertat si dovesse rompere questa Convenzione, il Sac. Bosco restituirà il denaro statogli consegnato, dedotte le spese fatte nel ristorare, riattare ed ampliare il fabbricato, nel provvedere mobili ed utensili per l'Istituto e nel mantenere i giovanetti ricoverati per incarico della Commissione. Sottrarrà eziandio dal capitale ottocento franchi (800) ogni anno per ogni maestro e per ogni capo-arte, i quali ottocento franchi coll'interesse ricavato del medesimo capitale serviranno per provvedere alle spese necessarie pel personale, che il Sac. Bosco si obbliga di mandare.
9° Se per grave ragione l'una delle parti giudicasse di rompere questa convenzione dovrà tre anni prima darne avviso all'altra parte.
Udienza Pontificia. Relazione di Don Eusebio Calvi.
L'anno 1881 in ottobre essendo gli Italiani venuti in numero di 20.000 circa in pellegrinaggio a Roma in riparazione degli insulti recati alle mortali spoglie del Pontefice dell'Immacolata Concezione, Pio IX, furono accolti tutti il giorno 16 ottobre in S. Pietro; quivi si lesse a nome di tutti un indirizzo da S. E. il Patriarca di Venezia, a cui rispose con eloquentissimo e patetico discorso l'immortale Pontefice Leone XIII; discorso che io ho potuto udire tutto interamente per essermi trovato proprio in prima fila immediatamente dopo gli eminentissimi Cardinali che al Sommo Pontefice formavano corona. Lasciando tutto quello che pare non faccia pel caso presente, dirò che il dì seguente S. S. il Papa degnavasi ammettere tutti i pellegrini divisi per regioni al bacio del piede augusto nelle loggie Vaticane. Noi Salesiani appartenevamo alla regione piemontese e fummo dei primi ad essere ammessi. Trovavansi con noi alcune suore e Mons. Giovanni Cagliero vescovo di Magida, allora semplice sacerdote.
In fila a due a due, ché a noi diretti alla Sicilia si erano aggiunti varii confratelli della Casa del Sacro Cuore di Roma, stavano per presentarci al Pontefice, quando il sig. Don Cagliero, che mi stava alla destra, si volse ed accortosi che le suore erano lungi da noi si fece addietro per richiamarle, ed io per l'insistenza di alcuni che dirigevano lo sfilare del pellegrinaggio essendo venuta la mia volta, mi presentai, in ginocchio baciai al S. Padre il piede e quindi l'anello e per trar profitto dell'occasione che mi si era offerta, titubante gli dissi: - Santo Padre, benedica questi giovani chierici salesiani, che vanno in Sicilia e che pigliarono parte al pellegrinaggio. - Il S. Padre non mi lasciò neppur terminare ché avendo udito noi esser salesiani, subito sorse in piedi e pigliata la mia infra le sue mani mi disse: - Salesiani...! E come sta Don Bosco?
- Santità, risposi, sta bene e per mezzo nostro anche egli desidera inviarle i suoi figliali ossequi, pregandola che si degni benedir lui e tutte l'opere sue.
- Sì, bene: lo farò volentieri: e dove si trova ora?
- Da alcuni giorni noi manchiamo da Torino, gli soggiunsi, e parmi che egli stesse, forse, per intraprendere un viaggio per la Francia in cerca di qualche aiuto pecuniario per sopperire ad alcuni bisogni di somma urgenza.
Il S. Padre che mai non mi aveva lasciata la mano, me la strinse più forte e poi alzò gli occhi e disse: - Don Bosco é un santo. -
S. E. il Card. Bilio, di buona memoria, che tanto ci amava e che era stato ascoltando questo breve dialogo, a questo punto si alzò e [760] fattosi alla sinistra del Pontefice, a me che stavagli dinanzi, disse in tono faceto: - Ha udito? Don Bosco é un santo: l'ha detto il Papa, il Papa è infallibile, perciò Don Bosco é un santo. Si dice che non si santifica nessuno in vita, Don Bosco invece fu santificato; glielo dica poi, glielo dica. - Sorrise il Pontefice e soggiunse: - Sì, Don Bosco é un santo.
Parendomi di dovere esser omai soddisfatto e lieto della fortuna di aver potuto trattenermi alquanto col S. Padre, per cedere un poco il campo a chi si conveniva, gli dissi ancora: - Santità, é con noi il signor Don Cagliero. - Il Papa fece un oh! di sorpresa e poi: - Dov'é? - mi disse. Io glielo additai poco discosto da me che stava aspettando che me la sbrigassi, meravigliato soprattutto del mio lungo colloquio col S. Padre. Don Cagliero si avanzò ed io mi ritrassi, contento come una pasqua della felice sorte toccatami la prima volta che ebbi la fortuna di baciare al S. Padre il piscatorio anello.
Lo stesso giorno, a pranzo, nella casa del Sacro Cuore in Roma non ho potuto fare a meno di narrar subito il fatto a quanti mi stavano d'attorno; ed ogni volta che mi si offerse l'occasione, ai Superiori e confratelli l'ho di buon cuore narrato per dimostrare quanto sia l'affetto e la stima che S. S. il Sapientissimo Pontefice Leone XIII ebbe sempre pel Padre nostro amatissimo, il caro Don Bosco.
Torino, I aprile, Pasqua di Resurrezione, 1888.
Viaggio di Don Cagliero in Sicilia.
Ciò che fu di me in Magliano già lo sa Don Bosco, quello che in Roma di noi é noto a Don Bonetti, e quanto seguì la nostra partenza da Roma ora lo conto a te primus inter pares.
A Napoli sostammo due giorni per abbordare il piroscafo del mercoledì 21 dell'andante, perché la via di terra trovasi interrotta a causa di un uragano calabrese che distrusse più di quattro chilometri di ferrovia. Il viaggio di mare fu abbastanza buono, se si eccettuano poche ore del mattino amareggiateci da un vento greco amaro amaro.
Giunti a Messina, Calvi e Traversino presero il treno omnibus per Piedimonte, io con due suore il diretto per Catania. Sostai un giorno per le necessarie visite; mi portai il sabato (22) a Trecastagni per regolarizzarvi la nuova casa di suore e visitare Mons. Arcivescovo di Catania, villeggiante a 10minuti di strada.
La domenica predicai per la festa del Sacro Cuore di Gesù nella [761] chiesa matrice di Trecastagni ed alla sera con un'ora di vettura già mi trovava da Mons. Vescovo di Acireale.
Stamattina col primo treno muoveva per Piedimonte disposto ad assaporarmi 4 ore di salita fino a Randazzo, dove giunsi all'una pom., in mezzo ai canti e grida e schiamazzi dei nuovi collegiali siculi.
Don Bosco é aspettato con ansia febbrile da tutti i Siciliani. L'Etna stessa pare che voglia preparare buona cucina, se giudichiamo dai molti suoi cammini o camini che fumicano, e fiammeggiano. Io poi vo a tuonare forte nelle prediche che vado incominciando adesso adesso.
Dopo i Santi avrò anche terminato gli esercizi di Bronte, dove convengono suore e postulanti siciliane per dare saggio del loro spirito, vivacità ed abilità scientifiche e manuali.
Ripasso per Randazzo, calo a Catania e combino una convenzione per Trecastagni, segnata dal rappresentante la commissione e firmo iuxta praecepta communia. Quindi volo a Caltanissetta e a S. Cataldo, dove stanno preparando altro progetto per altra casa di suore che di là ha da venire. Dopo faccio fagotto e tosto partir voglio.
Parecchi sacerdoti di queste parti vorrebbero essere Salesiani, ma siccome sono di buon conto, trovano ostacolo nel rispettivo Ordinario. E lo stesso Arcivescovo di Catania mi lasciò un serio vae, se gli porto via l'unica rarità di Bronte.
Le lettere che possono arrivare pel primo e secondo di novembre siano indirizzate a Randazzo; per tutta l'ottava a Catania, Istituto Carcaci. Dopo ad Este.
Di salute va bene, di quattrini male. I disagi sono molti, i fastidi pochi. Parlo molto e guadagno poco. Viaggio lungo e tempo breve; quindi buona notte.
Ho ricevuto le tue preziose due linee.
Siete tutti salutati dagli amici e conoscenti.
per un'onorificenza al Sig. Repetto.
Credo non tornerà discaro che io presenti alla S. V. un virtuoso cittadino che mi pare degno di essere segnalato alla munificenza Sovrana. E' questi il sig. Repetto Giuseppe di Lavagna Ligure, figlio di Bernardo cavaliere giudice del tribunale di commercio della città di Chiavari.
Esso é ufficiale della guardia nazionale mobile, [762] Fondatore e sostenitore della scuola di disegno, di ornato, di figura e plastica nella sua propria casa.
Vice console della Repubblica Argentina, generoso protettore di molte opere di beneficenza in favore della sua parrocchia e di asili d'infanzia.
Ultimamente ha fatto eseguire importanti lavori nell'Ospizio di S. Giovanni in costruzione nella città di Torino sul corso Vittorio Emanuele, destinato a ricovero di poveri fanciulli, pel valore di circa quindicimila lire che ha generosamente condonato.
Per costui lo scrivente domanda rispettosamente una decorazione dell'Ordine Mauriziano, come sarà più gradita all'Ecc.za V.
E' nato e residente in Lavagna Ligure e trovasi in età di anni 45.[Roma], 3-5-1881.
Storia della chiesa di S. Secondo.
Fin dall'anno 1867, tra varii proprietari del borgo detto volgarmente il borgo dei Sagrín[607], poi di Garibaldi, ed ora di S. Secondo, si formò un apposito Comitato per promuovere l'erezione di una Chiesa a comodità della numerosa popolazione, che andava ogni anno aumentando in quella saluberrima parte della città. S'indisse pertanto pel disegno un concorso, a cui si presentarono varii architetti. La scelta cadde sul progetto presentato dall'ingegnere Luigi Formento. Il Municipio dava il permesso edilizio il 2 di gennaio del 1868, concedeva gratuitamente il terreno e accordava il sussidio di 30 mila lire da erogarsi in tre rate; la prima quando il sacro edifizio fosse giunto al coperchio, la seconda quando fosse ormai terminato, la terza quando venisse inaugurato al divin culto ed aperto al pubblico.
Ma queste concessioni e cotale assegno non bastavano ancora per innalzare la Chiesa; imperocché occorreva raccogliere danari, occorreva soprattutto una persona, che si mettesse alla testa dell'impresa e la prendesse sopra di sé. Per la qual cosa l'anno 1871 il Comitato promotore non avendo ancora potuto mettere mano al lavoro, giudicò bene d'intendersi con Don Bosco e di affidare a lui questo còmpito; e Don Bosco lo accettò. Abbiamo sotto gli occhi varii documenti relativi, tra cui una lettera, in data del 25 aprile di detto anno, scritta al Sindaco di Torino dal sig. Angelo Chiesa, Segretario del Comitato, nella quale notifica al Capo del Municipio le intelligenze prese con Don Bosco per la erezione del sacro edifizio e la supplica “acciò [763] si compiaccia di autorizzare il prefato Sig. Sacerdote Don Bosco a dare cominciamento all'opera”. Il permesso per iniziare i lavori veniva emanato il 6 di maggio del 1872.
Di consenso col Comitato promotore e coll'Autorità ecclesiastica, Don Bosco mirava non solamente a provvedere ai bisogni religiosi degli adulti con una Chiesa, ma altresì ai bisogni dei giovinetti con un Oratorio festivo, giardino di ricreazione e scuole diurne e serali. A questo scopo benefico egli nel far eseguire il disegno adottato volle che si traesse partito di tutto il terreno in modo che la Chiesa sorgesse, non già in mezzo, ma sul fianco a ponente, affinché rimanesse a levante lo spazio necessario per le scuole, cortile di ricreazione, e via dicendo. Concessa in appalto la costruzione ai fratelli Carlo e Giosué Buzzetti Don Bosco con questo divisamento, nel maggio del 1872, pose mano all'opera, elle sperava di condurre a fine in tre anni. I lavori progredirono con tanta alacrità, che in provviste, steccato, costruzione e scavi la spesa in due soli mesi salì alla somma di ben 27 mila lire, in maggior parte prese ad imprestito.
La escavazione era ormai compiuta, e stavasi per gettare le fondamenta quand'ecco che il 19 di luglio giunge a Don Bosco un ordine del Sindaco di sospendere i lavori. E perché? Più devoto all'euritmia che non allo scopo di Don Bosco, il Municipio esigeva che la Chiesa sorgesse nel “centro dell'isolato concesso senza appendice di altro fabbricato qualsiasi” né per iscuole ai fanciulli, né per Oratorio festivo, né per giardino di ricreazione, né per altro consimile; esigeva insomma che sì perdessero due tratti di terreno a destra e a sinistra della Chiesa, come si vede oggidì, e ciò senza alcun vantaggio della parrocchia. A siffatta intimazione Don Bosco fece sospendere i lavori, e intanto espose a voce e per iscritto le sue osservazioni, facendo rilevare al Sindaco la pubblica utilità, a cui egli mirava col variare, non già sostanzialmente il disegno, ma soltanto la posizione e planimetria della Chiesa.
Stante la ragionevolezza delle sue riflessioni e il senno di molti membri del Municipio, Don Bosco sperava di arrivare di giorno in giorno ad un equo aggiustamento della questione, quando viene a conoscere che Sua Eccellenza Rev.ma Mons. Lorenzo Gastaldi, Arcivescovo di Torino, succeduto al compianto Mons. Alessandro Riccardi, erasi offerto di fabbricare egli stesso la Chiesa secondo le viste del Municipio, e che questi gli aveva aderito. Ciò inteso, Don Bosco si ritirò dall'impresa, non già perché, affidato alla divina Provvidenza e mediante la carità dei fedeli non potesse riuscire[608] a tirarla innanzi, ma per rispetto al suo Arcivescovo. [764]
Che poi Don Bosco avesse motivo a sperare che il Municipio desistesse almeno in parte dalle obiettate difficoltà, lo provò il fatto stesso; poiché in seguito venne accordato che dietro alla Chiesa s'innalzasse ai due lati un' “appendice di altro fabbricato”; e i due spazi davanti che Don Bosco domandava di usufruire a vantaggio dei giovanetti, sono circondati da una inferriata e servono al pubblico bene in quel modo che tutti vedono!
Delle 27 mila lire che vi aveva già speso pei primi lavori, Don Bosco fu rimborsato di 12 mila per la Chiesa di S. Giovanni. Quindi senza contare le sollecitudini dell'animo, i molti disturbi avuti, furono ben 15 mila franchi, che egli lasciò a vantaggio della Chiesa di S. Secondo. Di tutto conserviamo i documenti autentici. Di questi ci servimmo per tessere questo po' di storia, e dei medesimi si serviranno altri per tessere il resto.
Manifesto di studenti universitari.
Si vuole infliggere un'onta alla liberale Torino! In questa città, in via San Secondo, é sorta una Chiesa, monumento a Pio IX, traditore e spergiuro nel '48, proclamatore dell'infallibilità papale, creatore del Sillabo.
Un'epigrafe bugiarda dice il Municipio Torinese complice di questo atto antinazionale, quel Municipio che nel 1864 redigeva la protesta affermante il diritto d'Italia su Roma, e nel 1867 emetteva un grido di fraterno sdegno contro l'eccidio di Mentana!
Dalla classica terra dei Vespri udiste il grido di Giuseppe Garibaldi che, dopo le battaglie combattute per la libertà della patria, ci invita a combattere per quelle non meno gloriose per la libertà del pensiero.
A quel grido, che intima l'ultima guerra all'oscurantismo, non possiamo, né dobbiamo rimanere indifferenti!
La nera canaglia osa gettarci il guanto di sfida, Raccogliamolo! Ed in segno di energica popolare protesta rechiamoci al Palazzo di Città per proclamare la nostra solenne volontà, a che il Municipio della colta e patriottica Torino voglia cancellato il suo nome dalla fronte del monumento ignominioso, ricacciando in gola al prete la farisaica calunnia
IL COMITATO ANTICLERICALE UNIVERSITARIO. [765]
Circolare di Don Bosco per una conferenza
ai principali abitanti del vicinato di S. Giov. Evangelista.
Ho la grande consolazione di poter partecipare alla S. V. Ill.ma che i lavori della Chiesa di San Giovanni Evangelista volgono al loro termine e per ciò si avvicina il tempo in cui saranno appagati i comuni desideri di poterla inaugurare al divin culto.
Prima di questo atto solenne io avrei bisogno di parlare ai principali abitanti del vicinato per udire il loro parere intorno a varii punti, che potranno contribuire assai al buon esito della cosa e all'interesse di tutti.
A questo fine ho divisato di tenere un'apposita conferenza, per così aver agio di esprimere a ciascuno i miei pensieri ed averne opportuni consigli.
Fo pertanto umile preghiera alla S. V., affinché voglia prendere parte, e condurre seco quelle persone di sua conoscenza, che non avessero ricevuto il presente invito.
La radunanza avrà luogo Sabbato prossimo 14 del corrente alle ore due e mezza pomeridiane, nel locale che serve oggidì ad Oratorio festivo pei giovanetti di coteste parti, attiguo alla Chiesa.
Nella fiducia che la S. V. potrà fare il sacrifizio di un'oretta di tempo per intervenire a questo convegno, le auguro da Dio ogni bene e mi professo con tutta stima ed alta considerazione
NB. Per ricordo di chi vi ha da intervenire, verso le ore 2 pomeridiane, sarà dato un segno colla campana. La parte d'ingresso é in .via Madama Cristina N... Dopo la radunanza ciascuno sarà libero di visitare i lavori della nuova Chiesa.
Lettera di Don Durando a Don Dalmazzo.
Sono più che persuaso che il tentare una conciliazione coll'Arcivescovo è tempo perduto; io non feci altro che soddisfare ad un incarico affidatomi. Ora potrai ancora dire a Don Bosco che l'Arcivescovo, [766] temendo che venga qui un Cardinale, diede incarico a due secolari di recarsi costì per impedire ogni cosa; dissuasi dal Teol. Margotti questi rifiutarono l'incarico avuto, ed allora Mons. Gastaldi si rivolse all'Arcivescovo di Vercelli per ottenere il suo intento. Ciò mi raccontò il Teol. Margotti. Che desiderio di conciliazione! - Riguardo alla venuta qui di un Cardinale o due, come teme Mons. Gastaldi, possiamo avere qualche speranza? Non ne sappiam nulla noi, ed in Torino se ne parla moltissimo.
Dirai anche a Don Bosco che una grande tempesta sovrasta al Collegio di Valsalice. Si volle far troppo fracasso per l'Accademia in onor di Pio IX tenutasi in occasione del Congresso Cattolico. La Gazzetta del Popolo da quel giorno ha mosso una guerra terribile contro Don Francesia ed il Collegio di cui é Direttore; insiste arrabbiatamente presso le Autorità per ottenere la chiusura del Collegio. Le accuse più atroci furono mandate costì al Ministero. Il Provveditore, che non vuole accondiscendere ai desiderii della infame gazzettaccia, é pure fatto segno alle calunnie. Dio ce la mandi buona!
Raccomandami alle preghiere di Don Bosco e degli altri confratelli, prega anche tu pel tuo
nella consacrazione della Chiesa di S. Giovanni Evangelista.
Finito il Vespro, ascese il pulpito Don Bosco e pel primo vi annunziò la parola di Dio. La calca era tale, che a stento ei poté penetrare sino alla cattedra di verità. Siccome per le svariate e innumerevoli occupazioni egli non ebbe tempo di scrivere quello, che intendeva di dire, così ci riesce impossibile di qui riprodurre fedelmente il suo discorso. Tuttavia se la memoria non ci tradisce la sostanza n'é questa:
Dio é grande ed immenso, egli disse, e del suo essere infinito riempie il cielo e la terra. Sebbene per questa ragione noi lo possiamo in ogni luogo adorare in ispirito e verità, tuttavia Egli ha ordinato che vi fossero in sulla terra alcuni siti determinati, benedetti e a Lui dedicati, dove essere in modo particolare dagli uomini ossequiato, e dove ricevere il loro tributo di adorazione e di amore. Così Egli comandava fin dai primordii del mondo. Adamo, Enos, Noé, Abramo gli offrirono sacrifizi, gli presentarono l'omaggio delle loro adorazioni nei luoghi da Lui indicati. - Va', disse a quest'ultimo il Signore, e [767] offrimi il tuo figliuolo unigenito in olocausto sopra uno dei monti che ti mostrerò -; ed Abramo obbediente si portò al luogo che il Signore gli aveva assegnato. Il patriarca Giacobbe consecrava a Dio il sito, sopra cui dormendo aveva visto una misteriosa scala, che dalla terra toccava il cielo, e il Re dei secoli, che maestosamente vi posava sulla sua cima; e compiuta quella cerimonia vi adorò il Signore, offrendogli preghiere, sacrifizi e voti. Per ordine di Dio Mosé fabbricava il Tabernacolo nel deserto; per ordine di Dio Salomone innalzava il gran tempio in Gerusalemme, e, questo distrutto, un secondo per ordine del Signore ne erigevano gli Ebrei nel luogo stesso.
Dietro questi esempi ed altri moltissimi, che per brevità non accenno, la Chiesa Cattolica fin dai primi tempi scelse anch'essa dei luoghi determinati, li benedisse, li consacrò al Signore. Ivi i Cristiani si raccoglievano per pregare, celebrare i divini misteri, ricevervi i santi sacramenti, udirvi la parola di Dio. Questa pratica si estese per tutta la Cristianità e durerà sino alla fine del mondo.
In questi tempi la gloria di Dio e il bene delle anime richiedevano, che si erigesse pure una Chiesa in questo sito della città di Torino. La Chiesa fu eretta, ed oggi stesso consacrata solennemente, e colle più splendide cerimonie inaugurata al divin culto, in onore di San Giovanni Apostolo ed Evangelista. Ad esempio del re Salomone noi celebreremo questa dedicazione con otto giorni di festa, secondo l'orario che venne pubblicato.
Nel corso dell'ottavario, i sacri oratori vi tratteranno argomenti relativi alla solennità. Questa sera come introduzione io giudico che non vi debba tornare discaro un ragguaglio storico di questa Chiesa. Pertanto vi esporrò così alla buona ciò che era questo luogo, ciò che é e ciò che sarà, mediante il divino aiuto e la pietà e carità vostra. L'Apostolo prediletto del divin Salvatore mi ottenga la grazia di svolgere degnamente l'argomento che vi ho annunziato.
Dopo questo esordio, Don Bosco trattò il primo punto descrivendo ciò che 35 anni prima, erano e il luogo dove fu edificata la Chiesa e i suoi dintorni. Ecco per sommi capi i pensieri sviluppati da lui: - Qui in allora non eravi alcuna traccia né di strade, né di palazzi, né di giardini. Da questo sito sino alla sinistra del Po non vedevasi che un incolto e sterile gerbaio. Il sito poi dove si innalza oggi la Chiesa, era coperto da poche casipole, strette, basse, affumicate, le quali erano le ultime abitazioni di questa parte. Le appigionavano alcune lavandaie, e se le tenevano care, e perché non molto distanti dal fiume, e perché circondate da grande estensione di terreno libero, il quale loro si prestava comodissimo per distendere ed asciugare i loro bucati, da cui ritraevano giornalmente da campare la vita. Ma questi luoghi medesimi si porgevano pure acconcissimi ai più svariati divertimenti. Quindi nelle domeniche e nelle feste di precetto li coprivano e scorazzavano da un capo all'altro schiere numerosissime di fanciulli e [768] giovanetti, molti dei quali vi si intertenevano tutto il santo giorno, senza recarsi punto né alla messa, né al catechismo, né alle sacre funzioni.
Era l'anno 1847. I tempi si facevano ognor più torbidi e disastrosi per la povera gioventù. L'Oratorio festivo di S. Francesco di Sales in Valdocco, frequentato da circa 800 giovani della città, non poteva più capirne altri. Allora si venne in pensiero di fondarne un secondo, e fu scelto questo luogo come più adatto ed opportuno. Molte e grandi furono le difficoltà incontrate per riuscire ad aprirlo. Da prima le lavandaie che lo avevano in affitto, si sollevarono contro Don Bosco, perché costrette ad abbandonarlo; ma furono acquetate e dalla speranza di un maggior lucro e dalla bontà della padrona, la Signora Vaglienti. Don Bosco entratone in possesso adattò una parte delle catapecchie ad uso dell'Oratorio o di Cappella per le sacre funzioni, che venne benedetta il giorno della Concezione di quell'anno medesimo; un'altra parte fu ridotta ad uso di scuola e di ricreazione. Avuto riguardo al grande bisogno, il sito era ristretto, tuttavia ogni festa circa 500 giovani qui si raccoglievano per la Messa e pel catechismo e oltre due centinaia vi si recavano ogni giorno per la scuola elementare. A vantaggio di quest'Oratorio che prese il nome di S. Luigi Gonzaga, spesero le loro fatiche e sollecitudini parecchi membri della Società di S. Vincenzo de' Paoli, e vari zelanti sacerdoti di questa città. Tra questi sono degni di memoria il Teol. Giovanni Borel, il Teol. Francesco Rossi, il Sac. Don Demonte, già da Dio chiamati a ricevere il premio del loro zelo, e più altri tuttor viventi che continuano a sacrificarsi al bene religioso e morale della gioventù. Così tirossi avanti parecchi anni, e colla carità di vari signori e varie signore, e colla costanza e intrepidezza dei suoi aiutanti Don Bosco fece fronte a molti altri ostacoli, fra cui una fiera persecuzione per parte di monellacci, istigati da certa gente di questi dintorni ostile e nemica.
Ma intanto per l'amenità del sito e per la salubrità dell'aria questi luoghi andavano coprendosi di case e di palazzi, cresceva ogni anno la popolazione all'intorno, e con questa crescevano i bisogni religiosi. A questo si aggiunse l'insediamento dei Valdesi qui da presso, i quali col loro tempio, colle scuole, colle conferenze e con altri consimili artifizi mettevano a cimento la fede cattolica dei fanciulli e degli adulti.
Queste ed altre circostanze reclamavano una Chiesa più ampia, che desse agio non solo ai fanciulli, ma agli adulti di ambo i sessi, di santificare il giorno festivo, di istruirsi nella cattolica Religione, e praticarne le opere di carità e di devozione, e così viemmeglio premunirsi contro le insidie nemiche.
Qui Don Bosco passò a trattare il secondo punto, a dire cioé quello che era oggimai il sito di 35 anni addietro. Siccome quello che esso fosse ognuno lo vedeva, così Don Bosco toccò soprattutto le [769] difficoltà a pochissimi note, le quali si dovettero superare, perché il luogo divenisse quello che era. La prima difficoltà fu la mancanza di mezzi pecuniarii per incominciare l'impresa; ma fatto appello alla carità cattolica, i mezzi cominciarono a venire per affrontare le prime spese. La seconda difficoltà fu la compera di vari pezzi di terreno e di casipole, i cui proprietarii non sapevano disfarsene, o pretendevano un prezzo esorbitante. A questo proposito uno di essi mosse tale un ostacolo, che ai più parve davvero insuperabile. A causa di questo, proseguì Don Bosco, si dovette soprassedere dai lavori per circa 8 anni, ma coll'aiuto di Dio e per l'opera di persone benevole, soprattutto per lo zelo instancabile del benemerito Conte Reviglio della Veneria, furono superate e questa e più altre difficoltà insorte ancora di poi. Quindi sul principio del 1877, col consenso dell'Autorità Ecclesiastica avuto fin dai primi anni, si ripigliarono i lavori con molta alacrità. Il Conte Edoardo Arborio Mella da Vercelli concepì e tracciò il disegno, dando luminosa prova del suo amore ardente pei sacri edifizi di stile antico, e di quella incontestata sua perizia nell'architettura, per cui gode una ben meritata fama: il Cav. Spezia lo eseguì e diresse; e l'ingegnere Vigna ne accudì egli pure i lavori, come se fossero opera sua. Dopo 14 anni di sollecitudini, di pene e di fatiche, quanti appunto ne trascorsero dal 1868 in qua, la Chiesa é oggi quello che voi vedete. Essa ha due parti: una é quella che ci raccoglie; l'altra é sotto di noi. Nel sotterraneo vi ha un secondo membro, che serve di Oratorio ai giovanetti del vicinato, ed un luogo acconcio pei loro intrattenimenti religiosi e morali. Noi abbiamo pensato agli adulti, ma non dovevamo dimenticare i fanciulli, che sono le speranze della Chiesa, il sostegno delle. famiglie, la caparra di ordine e di benessere alla civile società. Tutti sanno con quanto zelo e sollecitudine attendano all'ammaestramento e alla salute delle anime loro affidate i RR. Curati di S. Massimo, dei Santi Apostoli Pietro e Paolo e della Madonna degli Angeli, colle cui parrocchie confina questa Chiesa, ma la loro popolazione da qualche anno é cresciuta di tanto, che ormai ne esaurisce tutte le forze.
Gli zelanti Curati reclamano aiuto e per l'istruzione dei grandi e per il catechismo dei piccoli. E’ intenzione di Don Bosco che la Chiesa di S. Giovanni sia un loro rinforzo,. come essi desiderano e come hanno più volte domandato.
Per siffatta guisa Don Bosco si fece strada a svolgere il terzo punto del suo discorso. La Chiesa é consacrata, ei disse, ma che sarà in avvenire? Sarà sorgente di grazie e di benedizioni. In essa si darà gloria a Dio ed alla Beata Vergine; in essa saranno celebrate le Messe, verrà distribuita la SS. Eucaristia, saranno ascoltate le confessioni dei fedeli, si farà il catechismo, si terranno prediche a tempo ed ora opportuna. Che cosa sarà questa Chiesa in avvenire? Sarà la casa di orazione e la porta del Paradiso. Domus Dei, porta Caeli. In questa [770] Chiesa si avvereranno le parole del divin Salvatore: Chiunque chiede riceve; e chi cerca, trova; e sarà aperto a colui che picchia: Omnis qui petit, accipit; et qui quaerit, invenit; et pulsanti aperietur. I genitori troveranno la cristiana educazione della loro figliuolanza; la prosperità nel commercio; la sanità nelle persone; la pace e la concordia nelle famiglie; tutti volendo vi troveranno la perseveranza nel cammino della virtù. E in fine? In fine vi troveranno la porta che li metterà in cielo: porta Caeli.
Ed ora quali grazie vi renderò io mai per la carità, che mi avete usata nella costruzione di questa Chiesa? Io non posso degnamente rimunerarvi; ma vi rimunererà Iddio per me. Sì, o generosi cattolici, Iddio pregato tutti i giorni in questo santo luogo, pregato da migliaia di giovanetti, raccolti nelle Chiese dei Salesiani e in molte parti del mondo, questo Dio misericordioso vi ricompenserà largamente di quanto avete fatto e sarete ancora per fare a vantaggio di questa Chiesa. E qui vi confido che vi sono ancora vari debiti a saldare e molte spese a sostenere; ma vi aggiungo che io confido altresì che la vostra carità, la quale non mi venne meno in passato, non mi verrà neppur meno per l'avvenire. Voi proseguirete ad aiutarmi a compiere opere di carità e di religione, e il Signore Iddio proseguirà a spandere sopra di voi e sopra le vostre case le sue grazie, le sue benedizioni pel corpo e per l'anima, temporali ed eterne.
Don Bosco terminava il suo dire riepilogando e adattando all'immenso uditorio la stupenda preghiera, fatta a Dio dal Re Salomone in presenza del popolo d'Israele, accorso da tutte le parti in Gerusalemme per la dedicazione del primo tempio. - Grande Iddio, egli diceva, la vostra maestà é infinita, né il cielo, né i cieli dei cieli la possono capire; ma giacché vi siete degnato di scendere ad abitare in questa casa, che abbiamo innalzato alla gloria del vostro nome, deh! ascoltate le preghiere che vi presentano i vostri servi. Fate che tutti coloro che entreranno in questa Chiesa per ispandere dinanzi a voi il loro cuore, per esporvi i loro bisogni, per pregarvi di aiuto, trovino sempre aperti i tesori di vostre misericordie e se ne partano di qui consolati. Consolati i padri e le madri nei loro figli morigerati e pii; consolati i figli nei loro genitori esemplari ed amorevoli; consolati i padroni nella fedeltà dei loro servi, consolati i servi nella bontà dei loro padroni; consolati gl'infermi nella liberazione o pazienza dei loro mali; consolati i poveri nella carità dei ricchi; consolati i giusti nella perseveranza della loro giustizia; consolati i peccatori nel perdono dei loro peccati, nella pace della coscienza, nell'amicizia con Voi, o mio Dio. Se chiuso il cielo, mancheranno alla terra le piogge benefiche; se rottene le cateratte ne piomberanno violente ad inondarci; se volgeranno a male i nostri negozi e le nostre campagne; se la fame, se le malattie, se le guerre, se le tribolazioni insomma o di corpo o di spirito ci verranno addosso per rendere infelice la nostra [771] vita e noi pentiti dei nostri peccati verremo ad implorare in questo luogo la vostra misericordia, deh! o Signore, perdonateci, benediteci, salvateci. Se mai i vostri fedeli si allontanassero dalla via dei vostri comandamenti, o mio Dio, ed invece di servire a Voi solo, si facessero schiavi del demonio, delle passioni, del mondo, ma illuminati dalla luce della verità, guadagnati dalla soavità della vostra grazia volgeranno uno sguardo a questa vostra Casa e compunti invocheranno la vostra pietà, deh! non rigettateli, o Signore, ma prostrati a questi tribunali di penitenza accoglieteli, come già accoglieste il figliuol prodigo, date loro il bacio di pace, rivestiteli del candore della vostra grazia, ristorateli delle carni sacrosante del vostro Unigenito Figlio, ed ammetteteli un giorno alle eterne feste del Paradiso. E questo favore impartite eziandio a coloro, che non sono del novero dei veri credenti; a coloro che non seguono il Vangelo del Nostro Signor Gesù Cristo; a coloro che sono stranieri alla Chiesa Cattolica Apostolica e Romana che é l'unica vera Chiesa, fuori della quale non vi é salute. Da divino ed amoroso pastore delle anime, per mezzo di questo santo luogo richiamate al vostro ovile tante pecorelle erranti, affinché in abbondanza ricevano con noi la salute e la vita. Sì, o grande ed onnipotente Iddio, ripetete a noi pure quelle promesse, che già faceste a chi vi innalzava il primo tempio: Gli occhi miei saranno aperti e intente le mie orecchie all'orazione di chiunque mi invocherà in questo luogo; perocché io l'ho eletto e santificato, affinché porti in eterno il mio nome, e fissi siano sopra di esso gli occhi miei e il cuor mio in ogni tempo. Adesso dunque, conchiuse Don Bosco colle parole di Salomone, levatevi, o Signore Iddio, e venite al vostro riposo voi, e l'arca di vostra possanza; i vostri sacerdoti siano, ammantati di salute e i vostri santi festeggino dei vostri benefizi: Nunc igitur consurge, Domine Deus, in requiem tuam, tu et arca fortitudinis tuae. Sacerdotes tui, Domine Deus, induantur salutem, et Sancti tui laetentur in bonis. -
Invito al funerale del Conte della Veneria.
Una delle persone più benemerite della Chiesa di S. Giovanni Evangelista, stata poc'anzi inaugurata al divin culto, fu certamente il nobile CONTE CARLO REVIGLIO DELLA VENERIA, dalla morte rapito all'amore dei parenti e degli amici, il 19 dello scorso Ottobre.
Noi speriamo fondatamente che l'anima sua abbia già ricevuto in Cielo il premio delle sue virtù e delle sue opere di carità e di beneficenza. Ciò non di meno il sottoscritto si sente in dovere di tributare all'Illustre Gentiluomo un sincero attestato di sua profonda gratitudine [772] pel soccorso che gli ha generosamente prestato nella erezione di detta Chiesa.
Per la qual cosa sono venuto nella deliberazione di celebrare un servizio funebre in suffragio dell'anima del compianto Signore nella Chiesa medesima, al cui vantaggio egli spese danaro, sollecitudini e fatiche senza numero.
A questo fine, Giovedì prossimo, 16 del corrente, alle ore 10 antim. nella Chiesa di S. Giovanni Evangelista sarà cantata in musica una Messa Solenne da REQUIEM.
Pertanto io invito la S. V. e tutta la rispettabile sua famiglia a voler prendere parte alla sacra funzione, per pregare all'anima dell'insigne benefattore la luce, il riposo e la pace eterna.
Nella fiducia che la S. V. sarà in grado di dare in quel giorno questa prova di sua pietà ed amicizia alla grata memoria del nobile CONTE, ne la ringrazio anticipatamente, e pregando Iddio che la feliciti nel tempo e nella eternità, godo dell'onore di potermi professare con alta stima
Testo latino e francese del diploma
dei Collettori per la Chiesa del Sacro Cuore.
PRO TEMPLO ET HOSPITIO LORDI JESU DICATIS.
Ut in Urbe monumentum adstaret religionis nostrae ac devotionis erga Sanctissimum Cor Jesu, erigi coeptum est Templum in Exquilino, in vico Castro Pretorio, una cum Hospitio pueris pauperioribus alendis atque educandis.
Verum ad opus hoc sanctum perficiendum, adprobante necnon suadente Leone XIII, P. M., a cunctis undique piis Christi fidelibus opem est in animo petere; res enim, quam adstruimus, unice in decus vertit religionis atque in juventutis solatium, quae humanae societatis pars electissima vocatur.
Quo nomine jure deputamus ………………………………………………………………………………….. qui, a nobis potissimum delectus, stipem possit colligere ex more folioli hic adjuncti, atque nobis transmittere.
Itaque nos, ut sanctam ex viribus voluntatem Leonis XIII, P. M., exequi possimus, hunc nostrum Collectorem etiam atque etiam omnibus, in aliqua vel civili vel ecclesiastica auctoritate consttuuons, conimendamus, [773] praesentm vero Episcopis, Curionibus, atque Ecclesiarum Rectoribus, ut, quae sua est bonitas, ipsi velint opem adhibere atque consilium in omnibus, quàe hac in re necessaria crederentur.
Dominus vero, Cuius est bonitas et misericordia infinita, omnibus quae hac in re necessaria crederentur.
Cominus vero, Cuius est bonitas et misericordia infinita, omnibus Benefactoribus nostris benedicat, atque res prospere cedat. Et Cor Jesu, quod recte adpellamus omnium gratiarum aerarium et securum in rebus adversis refugium, nos suis cumulet thesauris, nos a praesentis vitae periculis abripiat, nos novissimo die peramanter suscipiat, nos demum ad praemium illud deducat, quod Ipse omnibus promisit, qui ex fide ac coelesti caritate operentur.
Augustae Taurinorum, Iv nonas februarii, anno MDCCCLXXXI
POUR L’ÉGLISE ET L'HOSPICE DU SACRÊ-COEUR DE JÉSUS.
Dans le but d'ériger à Rome un monument de foi et de charité au Sacré-Ceeur de jésus, une Église, à laquelle sera joint un Hospice pour les jeunes gens pauvres, est en voie de construction sur le Mont Esquilin, dans la région appelée Castro Pretorio.
Mais pour conduire à terme la pieuse entreprise, après en avoir reçu l'approbation et la recommandation de sa Sainteté Léon XIII, nous recourons à la charité de tous les fidèles chrétiens; car l'oeuvre en question a pour but unique le bien de la Religion et de la jeunesse, portion choisie de la société civile.
A cet effet, nous constituons Collecteur.....................................……………………………………………… lequel est spécialement chargé par nous de recueillir les aumônes dans la forme prescrite par la circulaire ci-jointe.
N'ayant rien tant à ceour que de seconder les pieuses intentions du soaverain Pontife, nous recommandons vivement notre Collecteur à toutes les autorités civiles et ecclésiastiques, et d'une manière particulière aux Ordinaires des Diocèses, aux Curés et aux Administrateurs d'Églises, afin qu'ils veuillent bien avoir la bonté de lui prêter leur aide et leurs conseils, qui serviront à lui rendre plus facile l'accomplissement de son mandat.
Que Dieu, dont la bonté et la miséricorde sont inépuisables, bénisse et protège tous nos Bienfaiteurs, et que le Ceour de Jesus, source de toutes les grâces et refuge assuré, nous enrichisse de ses trésors, nous préserve de tous les dangers de la vie présente, et, à notre dernier jour, nous accueille avec amour, et nous admette à jouir de la récompense promise à ceux, qui à la foi joignent les eouvres de la charité.
Turin, 2 février, fête de la Purification de la Bienheureuse Vierge Marie, 1881. [774]
Circolari agli Arcivescovi e Vescovi ed ai giornalisti
Colla massima venerazione mi fo animo di supplicare la E. V. a venirmi in appoggio per condurre a termine una pia impresa, cominciata e caldamente raccomandata dallo zelo e dalla carità di Sua Santità Leone XIII.
Dal foglio unito la E. V. potrà di leggeri comprendere l'oggetto della mia preghiera e dei pensieri di S. S.
Voglia intanto gradire la Benedizione del Santo Padre, e permettere che con profonda gratitudine io abbia l'onore di professarmi
b) Ai giornalisti cattolici d'Italia.
La grande stima che meritamente gode il suo Giornale e lo zelo con cui la S. V. lo dirige, mi fanno sperare il suo appoggio in una impresa, che si riferisce direttamente al bene della Religione e della civile società. Dal foglio unito Ella potrà conoscere di che si tratta.
A tale uopo mi raccomando alla ben nota sua benevolenza, con preghiera di dare pubblicità al progetto ivi esposto con quelle parole, che nella illuminata sua prudenza giudicherà opportune.
Dal canto mio gliene professo profonda gratitudine, innalzando preghiere a Dio che la conservi in buona salute. mentre ho l'alto onore di potermi professare
c) Agli Arcivescovi e Vescovi fuori d'Italia.
Ut mini des operam ad rem perficiendam nuper incoeptam et maxima caritate zeloque a LEONE XIII, Pontifice Maximo commendatam, Te, Excellentissime Vir, venerabundus enixe rogabo.
Ex ipsa enim chartula hic adiuncta facile poteris-reni animo perspicere, de qua hic sermo est et ipsius Pontificis Maximi voluntatem. [775]
Ut igitur libenter accipias velini Benedictionem, quam Tibi Pontifex huius rei gratia impertitur, neque Tibi sit molestum me Tibi amore devinctissimum honoris causa ultro profiteri,
Dabam Taurini Kal. Feb. MDCCCLXXXI.
PS. Quoniam summa urget necessitas opus hoc perficiendi, quod insumitur, te rogo ut quae colligere potueris illico Romani mittas ad unum ex illis in altera epistola nominatis.
d) Ai giornalisti cattolici esteri.
Grandis aestimatio, qua late merito laudantur Ephemerides tuae, et studium quo cas sapienter moderaris, in spem adducunt me opera tua adiutum iri in re, quae ad bonum Religionis idemque societatis civilis omnino pertinet. Ex chartula hic adiuncta ex te ipsum novisse rem posse confido.
Quo facto me tuae humanitati commendo, teque etiam atque etiam rogo, ut hanc rem pervulges illis usus potissimurn verbis, quae tuo iudicio aptiora credideris. Egomet vero tibi maximas gratias pro munere habebo, et Deum precabor, ut te incolumem servet, dura, quod mini maximum est decus, meum in te gratum animum profitebor. Me semper inter tuorum beneficiorum memores habeto.
Dabam Taurini Kal. Feb. MDCCCLXXXI. PS. (Come sopra).
Lettera di Mons. Gastaldi a Don Bosco
Levita Laurentius bonum opus operatus est, qui thesauros Ecclesiae dedit pauperibus.
Ho ricevuto una lettera a poligrafia sottoscritta da V. S. nel dì 27 ultimo scorso luglio senza data di luogo, in cui ella mi dice, avermi mandata copia d'una sua circolare riguardante la costruzione della chiesa del Sacro Cuore con annesso Ospizio per 500 giovani in Roma sull'Esquilino: che anzi i lavori essere già arrivati a buon punto: però ora mancare i mezzi materiali, e conseguentemente si rivolge al sottoscritto per essere coadiuvato in questa santa opera. Io non ho ricevuto la circolare qui menzionata; e perciò é la prima volta in cui io sia informato da V. S. o da alcuno de' suoi Salesiani della erezione [776] di questa nuova chiesa, della quale alcuni anni fa io era stato uffizialmente avvertito dal Card. Vicario; le cui speranze però rimasero deluse[609].
Io non posso altro che rallegrarmi toto corde con V. S. che il Sommo Pontefice le abbia affidato un'opera di tanta importanza, quale é la costruzione di una nuova chiesa parocchiale nella parte nuova di Roma, e di un ospizio per la educazione di 500 giovani, così necessaria in questa Capitale dell'Orbe Cattolico, e forse più che in altre città, e che la chiesa ed ospizio sieno consecrate al Sacro Cuore di Gesù. Vi ha certo per lei e per tutti quelli che lo coadiuvarono fino da' primordi del suo ministero in pro dei giovani (tra i quali dal 1848 insino ad ora il sottoscritto tiene un posto cospicuo), di che ringraziare Iddio, che il granello di senapa sia cresciuto sì fattamente, da essere riuscito a un albero con rami così estesi, e fornisca albergo agli uccelli dell'aria, giusta l'espressione del S. Vangelo. Quale missione più nobile che aver da coadiuvare in grande sfera la stessa missione della Chiesa nella sua città centrale, e dove piantarono le loro tende S. Domenico, S. Ignazio, S. Gaetano, San Camillo, e S. Filippo? Se vivesse la mia buona madre che per 20 anni incirca fece proprio da madre si paziente e si tenera ai figliuoli adottivi di V. S., o vivesse la mia sorella Marianna che proseguì per altri 10 anni lo stesso uffizio, quanto ne sarebbero consolate! esse piangerebbero di gioia. Io vorrei avere alcunché delle ricchezze del Card. Farnese che edificò la chiesa del Gesù, e costrurre questa del Sacro Cuore in Roma, la quale cotanto abbisogna di accendersi tutta dell'amore di cui é sorgente inesauribile questo Cuore Divino: ma per ora non posso arrecarle altro aiuto che quello della preghiera. Le molte costosissime opere da me intraprese pel bene di questa diocesi (fra le quali l'avere procurato ai Salesiani il Collegio Valsalice collo sborso di lire 10.000 e di lire 250 annue) hanno esaurito tutte le mie finanze. Quanto ai miei diocesani, avendo io dovuto loro raccomandare quasi contemporaneamente da pochi anni in qua le chiese del Sacro Cuore, di S. Secondo, e di S. Gioachino in Torino ed ora di nuovo quella del Sacro Cuore affine di compirla, e decorarla, ed anche la nuova chiesa parocchiale degli Angeli Custodi, da cominciarsi quanto prima in Torino; e poi il mantenimento dei Chierici poveri, e l'Ospizio di Lanzo, e in meno di 9 mesi avendo domandato due volte la elemosina pel Danaro di S. Pietro, io non giudico cosa prudente il fare una raccomandazione speciale per la chiesa del Sacro Cuore in Roma; e questa é la risposta già data da me all'invito del Card. Vicario. Inoltre V. S. conosce cento volte meglio di me quali dei miei diocesani e in Torino e nelle altre parti della diocesi sieno forniti del volle e del posso riguardo a chiese da costruirsi e a opere, da compiersi; e sa per lunga prova che la sua parola senz'altro [777] conforto é efficacissima per ottenere l'intento. Adunque quanto all'Arcivescovo di Torino V. S. si contenti delle preghiere che ogni dì all'altare io offro per la prosperità della Congregazione Salesiana, e pel trionfo della santa Chiesa in Roma, e per il celere compimento della chiesa e dell'ospizio del Sacro Cuore nell'alma città. Sì, degnisi il Cuore sacratissimo del nostro Divin Redentore di spandere le sue fiamme di carità nel cuore di V. S. e de' suoi Salesiani e di tutte le persone, specialmente dei giovani, a cui ella e i suoi rivolgeranno le loro cure. Degnisi di accenderli tutti del fuoco della sua carità acciò tutti accesi d'amore di Dio ne accendano anche il maggior numero d'uomini che sarà possibile. Questa é la mia preghiera a D. O. M. colla quale finisco questa lettera.
Con la massima stima di V. S. Rev.ma
Lettera di Don Bosco alla signorina Lacombe.
Votre bonne lettre m'a donné bien de consolation; car elle me fait connaître que vous êtes en bonne santé et que vous êtes a Valence. Je dirai bien volontier une messe avec indulgence plenaire pour suffrage de l'âme de la pieuse votre mère dans le cas qu'elle en aie besoin encore.
Les communications et les révélations, dont on vous parle, sur les âmes du purgatoire, il faut les respecter, mais pas les suivre. Nous avons l'Église qui nous apprende de venir en aide de nos parents morts et nous le ferons toujours quoique nous sachions que leurs âmes, peut-être soient déjà au paradis.
Au nom du S. Père je vous envoie un diplôme de Collecteur pour l'église qu'il a bien voulu nous confier. Je laisse la place du nom en blanche à fin que vous mettiez le nom de votre Curé s'il voudra bien accepter cette charge.
Avec des circulaires vous avez aussi des moduls de suscriptions. Mais dans le cas qui votre Curé puisse pas accepter, alors il faut que vous même vous mettiez à la tête de l'entreprise. Je prierai pour vous, pour votre mère, pour la vente dont vous parlez, et vous priez aussi pour moi qui serai à jamais en J. Ch.
Lettera di Don Bosco a una signora francese.
Dans la ville d'Alassio peu loin de Nice je viens de recevoir votre bonne lettre qui me porte de vos nouvelles avec une offrande de 1000 fr. Dieu soit beni et Dieu vous donne le centuple sur la terre et à son temps la vrai récompense au paradis. Vos intentions seront accomplies. Louis, Alexandre, François seront les noms qui on donnera à trois patagones dans leur baptême, mais qui prieront pour vous pendant toute leur vie. Ces missions >marchent très bien. Dernièrement dans une course au milieu des déserts nos prêtres sont reussis à instruir et baptizer 1800 sauvages. Mais nous mancons absolument des moyens nécessaires pous fonder des églises, des classes, des maisons, des habillements et nourir les plus pauvres et abandonnés. Vous voyez, Madame, combien votre offrande est bien placée, et combien plaira au bon Dieu. - Je vois que vous avez beaucoup de dévotion au Sacré Coeur de jésus; pour cela je crois bon de vous constituer à nom du St. Père Collecteur et vous envoyer le diplôme, des circulaires etc. comme vous verrez et recevrez dans un envelop à part. - Vous ferez ce que vous pourrez et Dieu peyra tout.
Que Dieu soit remercié de la grâce accordée en faveur de votre oncle. Nous continuerons à prier pour lui à fin que la grâce soit toute entière.
Quand la santé vous le permettra ne manquez pas de faire la sainte communion, et je ne manquerai pas de prier pour vous et pour votre père à fin que tous les deux soyez en bonne santé bien long temps.
Dans l'hiver prochain viendrez-vous à Nice? Si Dieu me donnera la vie j'espère d'y aller et de recevoir des amis, des bons chrétiens, et parmi eux Madame...
Que Dieu vous bénisse, o charitable Madame, et avec vous bénisse votre oncle, votre père et vous conserve tous en bonne santé et par le chemin du paradis.
Veuillez bien aussi prier pour moi et pour nos missionnaires et je vous assure que je serai itoujours en J. Ch.
PS. Adresse toujours à Turin. [779]
Da una Lettera di Don Dalmazzo a Don Bosco
sulle vertenze per la chiesa del S. Cuore.
Vengo ora alle notizie sulla Chiesa. Giunto a Roma trovai la matassa più intricata che mai. Le cose erano entrate nel periodo acuto. Il Marchese Mereghi proprietario simulato del terreno e della Chiesa in costruzione ben lieto che non si volessero riconoscere i Salesiani intrusi, com'egli e tutta la baraonda chiamanci, scrisse a D. Savio che si recasse da lui. Lo ricevette come un Pascià di tre code, e, presentatogli un piano di accomodamento coll'Andolfi, lo invitò a firmarlo, asserendogli che era il medesimo di quello già da lui firmato presso l'Avv. Tongiorgi, quando le cose parevano in via di scioglimento. Don Savio lo pregò a leggerglielo o a lasciarglielo vedere e l'altro si alterò dicendo: - Ché, non si fida di me? Mi crede capace di mentire? - No, soggiunse Don Savio, ma non posso firmare quello che non ho visto. - E letti i primi due articoli e trovatili modificati nella sostanza si rifiutò. Successe allora una scena assai brutta. Il Mereghi inveì contro Don Savio, contro i Salesiani. Ed esclamava: - Scriverò io al Cardinale Vicario. Andrò dal S. Padre, e so io che cosa dire sul conto loro, sulla loro cocciutaggine, sulla loro immoralità e vedranno allora chi é il Marchese Mereghi. Tirò giù a campane doppie sul Curato, sui Vicecurati, su tutti i Salesiani e scrisse davvero una lettera al Card. Vicario, che egli gentilmente mandò a noi da Subiaco piena di insulti contro di noi e specialmente su Don Savio, avvertendolo che doveva liberarsi da questo uomo che egli chiama sospetto. Rividi ieri il Card. Vicario e fu più buono del consueto e capii che la lettera non gli aveva fatto né caldo né freddo. Tuttavia la faccenda della Chiesa pare a buon termine. Stanno ultimando la liquidazione e presto ci verrà presentato dall'Andolfi e da Vespignani il conto definitivo. Il meglio sarà pagarlo ad occhi chiusi, salvo si trattasse di aumento considerevole, e farla finita. Il diavolo anche qui ci fa la guerra, ma coll'aiuto di Dio e di Maria Ausiliatrice trionferemo. Ci aiuti colle potenti sue orazioni anche Lei, Padre Amatissimo.
Le cose nostre sono ben avviate. Tutto procede con ordine; meditazione e lettura spirituale in comune; le regole nella loro piena osservanza: armonia in tutti e buon umore. Le scuole sono avviate, benché non abbiano fin'ora che una trentina di alunni.
Tutti vogliono umiliarle i loro ossequi e baciarle la mano. Io lo [780] fo per tutti implorando, ad usbergo di tutte le presenti e future persecuzioni, la sua paterna benedizione.
Tutto suo Aff.mo figlio in G. C.
Risposta alla Lettera 19 Luglio 1883
dei Sig. Conte Francesco Vespignani
diretta e S. Em.za Rev.ma il Sig. Card. Vicario.
Ragioni per le quali il Sig. Conte Ingegnere vorrebbe declinate l'incarico di dirigere la costruzione della nuova chiesa del S. Cuore.
I° L'essere state variate le dimensioni di alcuni numeri e di alcune volte e precisamente riducendo alla metà i piloni N° 58 e 62, sopprimendo il pilone fra il N° 61 e 62, ed eseguendo la volta del sotterraneo della Sacrestia dello spessore di una sola testa di mattone, grossezza assolutamente insufficiente alla stabilità di una volta dell'ampiezza di metri 7,25.
Risposta. Le variazioni introdotte furono consentite ed approvate dal Sig. Ing. Assistente. Per rendere più utile il sotterraneo il medesimo Sig. Ing. Grazioli suggerì di sostituire al pilone soppresso un grosso arco di mattoni. Non esistendo disegno per la Sacrestia, per la costruzione della volta dei sotterranei il Capo Mastro Costruttore s'intese coll'Ing. Assistente. Di quanto siano state ridotte le grossezze di alcuni muri non ricordo, ma pare non sia della metà. Comunque sia non si contravvenne a nessuna prescrizione; visitando il lavoro il Sig. Ing. Grazioli lo trovò ben fatto.
2° L'essersi proceduto all'innalzamento di un pilastro monolitico di granito senza le necessarie cautele e senza praticare i rinforzi nelle armature ingiunte dal mio Assistente Ing. Grazioli eludendo la sua vigilanza coll'accelerare di un giorno la manovra e facendolo inutilmente trovare sul lavoro alle ore 5 1/2 del mattino. Questa imprevidenza per poco non fu causa di qualche grave disgrazia essendo accaduti degli inconvenienti nell'innalzamento del pilastro medesimo.
Risposta. Ignorando affatto che siansi dati ordini per rinforzare alcune armature sarebbe desiderabile conoscere a chi furono fatte tali ingiunzioni. Nessuna disgrazia é succeduta, ma é vero che qualche rinforzo, sebbene in un punto secondario, avrebbe procurato maggior sicurezza, speditezza e facilità nella manovra. - Don Savio si lagnò di ciò col Capo Mastro in quel giorno stesso. Non si cercò di eludere la vigilanza del Sig. Architetto la quale si desiderò molte volte inutilmente [781] Il pilastro fu innalzato nel giorno stabilito e per attendere il Sig. Ingegnere si ritardò la manovra di circa due ore. Ne é anche prova l'essere intervenuti il Sig. Ugolini coi suoi uomini per l'assistenza, e gli uomini del Sig. Poscetti. Qualche mala intelligenza sarà stata la causa dell'assenza del Sig. Ing. Grazioli.
3° La pretesa mancanza dei disegni necessari al graduale avanzamento dei lavori.
Risposta. Non si può fare a meno di ripetere ancora che la mancanza dei necessarii disegni incaglia il regolare sollecito ed economico avanzamento dei lavori.
4° L'assicurazione inesatta che da mia parte si richieggono decorazioni superflue e troppo dispendiose, cosa che può asserirsi del tutto opposto a ciò che accade realmente.
Risposta. Se non si discendesse a qualche specificazione é inutile rispondere su questo punto.
5° In fine il proposito deliberato e confermato da moltissime circostanze di liberarsi dalla mia persona.
Risposta. Ignoro chi abbia tal cosa deliberato. Le lettere di Don Savio dirette al Sig. Conte Vespignani, il vivo desiderio di avere i disegni, tutti i colloquii avuti col Sig. Architetto provano il contrario. Questa supposizione sarà forse fondata su relazioni fatte da chi ha interesse di far nascere diffidenze ed incagliare la sollecita prosecuzione dei lavori.
POSTILLA DELL'EMMO SIG. CARD. VICARIO.
Il Sig. Curato Don Dalmazzo Francesco mi scrive che cosa si può rispondere e quale assicurazione può darsi al Sig. Architetto che le sue prescrizioni saranno adempiute.
Risposta. Il Sig. Architetto favorisca trasmettere i disegni perché possano essere esaminati, e sui medesimi si faranno riflessi se sarà il caso. Chi deve pagare ha bisogno di fare i suoi calcoli. D'altronde come fissare prezzi preventivi, come dare lavori a cottimo senza disegni coi quali sia regolato lo spessore e l'ampiezza dei lavori?
(L'originale é a Roma S. Cuore).
Per l’esercizio dei diritti parrochiali.
Ad futuram rei memoriam. – A dilecto filio Francisco Dalmazzo Presbytero Procuratore generali Congregationis Salesianae nomine dilecti filii Joannis Bosco Antistitis universae Congragationis praedictae [782] supplicatum est Nobis, ut nonnullas facultates a Decessore Nostro s. m. Pio IX in bonum ejusdem Congregationis ad praefinitum temporis spatium concessas denuo indulgere de Apostolica Auctoritate Nostra velimus. Hisce precibus annuentes, tenore praesentium Litterarum et suprema potestate nostra concedimos, ut singoli religiosarum Congregationis Salesianae domorum praesides Sacerdotes erga omnes et singulos in eamdem Congregationem rite cooptatos et in sua domo religiosa conviventes munia parochialia exercere licite possint et valeant. Item concedimos, ut cuivis e Salesiana Congregatione Presbytero, antea in qualibet Dioecesi ad sacramentales confessiones excipiendas legitime probato, cum deputatione tantum religiosi Praesidis sui Sodalium Religiosorum suorum in eadem domo habitantium, Sacramentales confessiones excipere liceat; iisdemque, habita ut supra sui Praesidis deputatione, praesertim cum ad exteras missiones se conferant, Sacramentales religiosorum Sociorum ejusdem Congregationis secum iter facientium Confessiones extra Dioecesim quoque, in qua dicti Praesidis sui domus extat audire fas esse concedimos. Facultates vero supradictas pro memoratae Congregationis domibus, quae in Italia existant, triennio tantum hinc proximo, pro aliis vero, quae extra Italiam sitae sint, quinquennio pariter hinc proximo duraturas elargimur. In contrarium facientibus, quamvis speciali atque individua mentione ac derogatione dignis, non obstantibus quibuscumque.
Datum Romae, apud S. Petrum sub Annulo Piscatoris, die XXXI Martii MDCCCLXXXII. Pontificatus nostri anno quinto.
Supplica di Don Bosco a Leone XIII per i privilegi.
Jam nonus annus agitur ex quo, Beatissime Pater, humilis societas a S. Francisco Salesio dicta, absolutam et specificam adprobationem consecuta est. Aliqua privilegia omnimode necessaria a Supremo Ecclesiae Antistite turc elargita fuerunt. Hoc temporis decursu socii Salesiani toti in eo fuerunt, ut eorum constitutiones ad praxim traducerent; Novitiatum, studia perficerent, pietatis exercitia inter socios eorumque alumnos promoverent et ita societatis finem consequerentur, qui gloria Dei lucrumque animarum semper fuit. Post absolutam adprobationem, adiuvante Deo, factum est ut haec humilis societas, vere pusillus grex, mirum in modum citissime augeretur et in diversas Italiae partes, in Galliam, in Hispaniam, in Americam Meridionalem usque ad' Indos et ad Patagones se se extenderit.[783]
Cum haec Congregatio suam adprobationem est consecuta, sexdecim domos dumtaxat habebat, in quibus septem millia circiter adolescentuli christianam educationem habebant: socii tercentum adnumerabantur.
Nunc vero domus sive familiae alumnorum sunt centum quinquaginta; alumni ultra centum millia, religiosi quatuor centum supra mille.
Inter tot alumnos et socios, inter tot domus unam ab aliis dissitam magna difficultas exorta est ob deficientiam privilegiorum, quibus coetera ecclesiastica instituta gaudere solent.
Quapropter re mature perpensa, habito consilio a viro prudente et auctoritate praedito, Privilegiorum Communicatio pemecessaria dijudicata fuit. Necessitas et ratio huiusmodi postulationis separatim exponuntur. Privilegiorum vero Communicatio petitur non in genere, sed speciatim cum Oblatis Beatae Mariae' Virginis quorum Congregatio definitivam adprobationem et Communicationem Privilegiorum cum Redemptoristis obtinuit a felici recordatione Leonis XII sub die 12 septembris 1826 bis verbis:
Superiorem Generalem et Oblatos specialibus favoribus et gratiis prosequens, omnia et singula indulta, privilegia, indulgentias, exemptiones et facultates Congregationi SS. Redemptoris concessa, iisdem Oblatis, eorumque ecclesiis, capellis et domibus benigne communicat, extendit, atque in perpetuum elargitur cum omnibus clausulis et decretis necessariis et opportunis ».
Nunc vero quum nostra humilis Societas, sive quoad constitutiones et finem, sive quoad messem in evangelico agro colendam praelaudatis Congregationibus assimilari possit, eadem etiam privilegia suppliciter postulantur.
Hisce breviter aduotatis, Salesiani omnes ad pedes tuos pervoluti, Beatissime Pater, supplices postulamus ut nostrae Congregationi per Communicationem concedas Privilegia, facultates, gratias spirituales, quibus generatim aliae Congregationes et nominatim Congregatio Oblatorum B. V. Mariae fruuntur, hoc est:
Perinde ac si specialiter et expresse ac pariformiter et aēque principaliter Salesianae Congregationi concessa fuissent, tamquam de verbo ad verbum expressa et inserta fuissent et specialem mentionem requirerent ».
Per huiusmodi communicationem, Beatissime Pater, Salesiana Societas tutam et cognitam viam habet quam sequatur; facillime Ordinariis locorum innotescent privilegia quibus fruatur, praecipue in Missionibus suscipiendis et domibus in exteris regionibus adageriendis.
Ob tale et tantum beneficium Salesiani omnes grato animo Deo et tibi quotidie laudem dicent; unusquisque pro virili parte ad vineam Domini excolendam operam dabit.[784]
Ego vero videns solidatum opus quod Sancta Dei Ecclesia mihi concredidit, cum gandio cantabo: Nunc dimittis servum tuum Domine. Romae, die 3 maii 1882.
Breve relazione sulla comunicazione dei privilegi e delle
grazie spirituali in favore della Pia Società Salesiana.
I Privilegi e le Grazie spirituali concessi agli Ordini Religiosi ed alle Congregazioni Ecclesiastiche possono considerarsi come altrettante cordicelle, con cui tali Instituzioni restano legate colla S. Sede: perciocché Essa sola potendoli concedere, restringere ed anche rivocare a piacimento secondo il bisogno e la convenienza, ne segue un vivo e continuo pensiero di gratitudine dei beneficati verso il loro insigne benefattore che é il Vicario di Gesù Cristo.
L'umile Congregazione di S. Francesco di Sales ottenne il più grande favore, quando, mercé la definitiva approvazione delle sue Costituzioni (3 aprile 1874), Venne posta sotto all'immediata protezione della S. Sede. Alcuni privilegi furono di poi benignamente concessi con Decreti o Rescritti particolari. Parecchi di questi privilegi essendo stati concessi ad tempus ne succede vera confusione all'epoca della loro innovazione e successiva partecipazione a tutte le famiglie Salesiane soprattutto a quelle che distantissime le une dalle altre si fondarono e si vanno fondando in America tra i selvaggi. Maggior imbarazzo succede ancora quando tali privilegi sono modificati e sospesi.
Nelle medesime relazioni coi Parrochi e cogli Ordinari diocesani, ad ogni momento occorrono incertezze nella pratica delle Costituzioni.
Per questi ed altri motivi si fa ora umile preghiera per ottenere la comunicazione di queste grazie spirituali con qualche Congregazione di voti semplici, ma già costituita e conosciuta notoriamente.
Tale comunicazione di Privilegi si può definire:
Communicatio idem est ac Commune facere, et conferre alicui, quod prius alteri iam fuerat concessum, ita ut communicatio privilegiorum consistat in participatione, et concessione quadam privilegii quia Superior privilegium quod uni simpliciter concesserat, etiam ad alterum extendit. Così il Reiffenstnel.
Questa Comunicazione é da molto tempo praticata nella Chiesa, [785] e fin dal secolo decimosesto. Il Pontefice Leone X concedette la vicendevole comunicazione dei Privilegi a tutti gli Ordini mendicanti.
Clemente VII (1525) colla Bolla che comincia: Dum fructus uberes concedette ai Religiosi detti della Regolare osservanza la Comunicazione dei Privilegi e Grazie Spirituali con qualunque Ordine: quibusvis congregationibus et aliis Ordinibus quibuscumque etiam non mendicantibus quomodolibet concessis aut concedendis etc.
La cagione di queste comunicazioni dei Privilegi fu data da Clemente VIII nella Bolla (20 decembris 1595) che comincia: Ratio Pastoralis efflagitat ut quorum Religionem ac virtutem Sedi Apostolicae, totique Ecclesiae non modo illustrem, et praeclaram, sed utilem etiam ac necessariam esso animadvertimus, eosdem nostris et eius Sedis Apostolicae honoribus, ac beneficiis libenter prosequamur.
Nello stesso secolo cominciarono le comunicazioni de' Privilegi degli Ordini Religiosi anche alle Congregazioni Ecclesiastiche. Sebbene queste abbiano ottenuto per concessione diretta parecchi privilegi, tuttavia perché avessero una regola studiata, praticata ed uniforme, una via già conosciuta e tracciata, si cominciò per comunicazione concedere alle novelle Congregazioni i Privilegi degli Ordini religiosi ne' limiti che alle medesime convenivano. Così S. Pio V col Breve che comincia Ad Immarcescibilem (7 febbr. 1567) concedette la comunicazione dei Privilegi con tutti gli Ordini e Congregazioni Religiose ai Teatini, che si possono considerare come la prima tra le Congregazioni Ecclesiastiche[610].
Urbano VIII nella Bolla di erezione della Congregazione dei Preti della Missione, che comincia Salvatoris Nostri (12 januarii 1632) stabilì che quella potesse partecipare di tutti i privilegi, esenzioni, indulti, che godono aliae quaecumque similes vel dissimiles Congregationes. Eguale concessione fecero altri Pontefici a favore della Compagnia di Gesù, della Congregazione della Madre di Dio, dei Pii Operai, dei Ministri degli Infermi, dell'Oratorio, della Dottrina Cristiana, dei Passionisti, dei Redentoristi. Le ultime cui io sappia essere stati concessi i favori per Comunicazione sono quella degli Oblati di Maria, cui Leone XII (12 settembre 1826) la concedette coi Redentoristi, e l'Istituto della Carità approvato da Gregorio XVI nel 1838. [786]
Nell'approvazione di questo Istituto il Superiore Generale mostrava vivo desiderio che gli fossero concessi i Privilegi dei Regolari. A tale uopo tra gli altri furono proposti i seguenti dubbi nella Congregazione Generale del 30 dicembre 1839:
1° Se convenga estendere ad un tale Istituto della Carità, i Privilegi dei Regolari.
2° E se questi Privilegi vogliano concedersi come a Pia Congregazione, o come a Congregazione Religiosa.
Eminentissimi Patres referente Eminentissimo Castracane, rescripserunt:
Ad I. Affirmative juxta modum: hoc est: Pro exemptione a jurisdictione Ordinariorum quoad visitationem Domorum et Ecclesiarum: et quoad disciplinam, et observantiam regularem; itemque pro facultate expediendi suis subditis Litteras Dimissoriales ad Ordines Minores, et Sacros. Ad 2. Affirmative ad primam Partem, negative ad secundam. (V. Collectonea edita cura Eminentissimi Bizzarri, pag. 800-I).
Ad esempio di queste e di altre Congregazioni Ecclesiastiche graziate della Comunicazione dei Privilegi, l'umile esponente Rettore Maggiore della Pia Società Salesiana, desideroso di seguire la via già praticata da tali uomini conosciuti per virtù, santità ed esperienza, fa rispettosa preghiera, che alla medesima sia accordata tale comunicazione colla Congregazione dei Redentoristi o degli Oblati di Maria Vergine, oppure con altra Congregazione, le cui Costituzioni e scopo possano dirsi identiche colle Salesiane.
Vi sono poi parecchi motivi speciali per cui si fa tale preghiera anche in favore della Congregazione Salesiana, e sono:
I° - Essendo essa affatto destituita di mezzi materiali, abbisogna di molta indulgenza e di molti. aiuti spirituali, affinché possa conseguire il suo fine.
2° - Questa Congregazione ebbe principio e si andò consolidando in tempi burrascosi, in cui tuttora ci troviamo, ed in cui si vorrebbero soppresse ed annientate tutte le istituzioni Ecclesiastiche; tuttavia essa poté crescere, aprire case in varie Diocesi, ed anche nelle Missioni estere. In questa calamità di tempi, diversità di paesi, nella grande distanza degli uni dagli altri i soci Salesiani hanno bisogno di una maniera compiuta di governo con Privilegi già conosciuti e in generale già praticati da altre Pie Congregazioni.
3° - La tristezza dei tempi fa che le autorità civili vedano di mal'occhio il frequente ricorso alla S. Sede, come in casi dolorosi si ebbe a provare.
4° - Le case o le famiglie della pia Società non possono preventivamente conoscere le cose che possano occorrere; perciò devesi [787] attendere il caso del bisogno, e per lo più qualche inconveniente prima di conoscerle.
Quando poi si conosce devesi riferire al Superiore affinché supplichi la Santa Sede per l'opportuna facoltà. La qual cosa, se può farsi per una casa determinata, riesce quasi impossibile in una Congregazione, che conta già oltre cento cinquanta case con chiese aperte in diverse Diocesi nelle più remote regioni della terra.
5° - Non conoscendosi poi le Congregazioni cui devonsi indirizzare le dimande, per lo più passa un tempo assai notabile prima di ricevere la desiderata risposta.
6° - L'umile esponente poi desidera questo favore per impiegare quel po' di vita, che a Dio piacerà concedergli, nel regolare le varie case, e uniformare tutti quelli che ne hanno la Direzione a servirsi de' Privilegi con parsimonia, e colla massima prudenza; e solamente nei casi in cui chiara appaia la maggior gloria di Dio e il vantaggio delle anime.
Intorno alla Comunicazione dei Privilegi alcuni vollero osservare che tali concessioni:
I° - Possono dare causa a questioni; 2° Turbare l'armonia e la pace cogli Ordinarii; 3° Accordare dei Privilegi ad Istituti, che ai medesimi non convengono.
Si risponde al primo. Se queste concessioni fossero nuove, potrebbero essere cagione di questioni; ma i Privilegi che si vanno comunicando dagli uni agli altri da oltre a trecento anni; che furono costantemente studiati, interpretati, e praticati in modo uniforme e secondo lo spirito di santa Chiesa, sembrano doversi dire piuttosto un vincolo di unione, di uniformità, e quindi escludere ogni ragione di questioni. In questi momenti devesi sostenere una lunga, dannosa e spiacente questione che forse non avrebbe avuto luogo, se i Salesiani avessero goduto dei Privilegi di cui godono le altre Congregazioni Ecclesiastiche.,
2° - Al secondo. Nemmeno pare turbare la pace cogli Ordinarii, perciocché in pratica i Vescovi ed i Parroci conoscono i Privilegi degli Istituti approvati dalla Chiesa, e nei nostri paesi cagiona maraviglia il vedere che un Istituto goda maggiori o minori favori degli altri. Anzi i Privilegi essendo atti che altamente onorano la Suprema Autorità del Pontefice, e fanno palese il pieno suo gradimento verso di una istituzione, farebbe supporre che una Congregazione non sia definitivamente approvata, finché dalla S. Sede non è graziata dei medesimi Privilegi che godono le altre.
Un dotto e rispettabile Ordinario non si poté finora indurre a credere, la Congregazione di S. Francesco di Sales essere definitivamente [788] approvata perché non gli consta che goda i Privilegi dei Ministri degli Infermi, dei Preti della Missione, e degli Oblati di Maria.
3° Al terzo. Nemmeno sembra potersi dire che con tale Comunicazione ai novelli Istituti si concedano favori, non opportuni. Imperciocché in tali concessioni si intendono sempre le clausole: Dummodo Institutis eorum conveniant, ac Regulari Observantiae non sint contraria.
Si aggiunga ancora che tali favori potendosi esclusivamente concedere dalla S. Sede, essa li può liberamente modificare ed anche rivocare ogni volta scorgesse tornare di maggior bene a coloro cui furono concessi.
Ciò posto conchiudo rispettosamente colle parole di un accreditato Canonista, il quale nel dilucidare i Privilegi concessi per Comunicazione, come parafrasi delle parole di Clemente VIII, ha quanto segue: Regulares, qui licet diversorum ordinum, idem unum in Deo et professione existant, aequum etiam est, ut in iisdem indultis, et privilegiis uniantur, ut sic uniti arctiori vinculo Sedi Apostolicae, et inter se ad nomen Dei in terris propagandum, animarumque salutem procurandam copulentur; quos conjungunt par labor et paria merita, paria etiam conjungant privilegia. Ita ab Aragonia elucidatio privilegiorum, Tract. 5, cap. 8.
Supplica di Don Bosco a Leone XIII
per una concessione parziale dì privilegi.
Ioannes Bosco Sacerdos ad pedes Sanctitatis Tuae pervolutus pro Salesiana Congregatione himillime exponit.
Haec pia Societas sub die 3 aprilis anno 1874 definitivam adprobationem a Sancta Sede consecuta est atque nonnullis privilegiis et gratiis ditata. Sed ut multae et graves difficultates eliminentur, communicatio privilegiorum cum aliis ecclesiasticis Congregationibus ad instar petita est.
Si vero Sanctitas Tua non hujusmodi communicationem ad instar, sed speciatim aliqua tantum pernecessaria privilegia nostrae Salesianae [789] societati concedere judicaverit, supplex postulo ut ea praeferre et concedere digneris quae in folio sunt descripta.
Quod si perpendere non dedigneris multitudinem domorum religiosarum et alumnorum in variis et dissitis Europae ed Americae regionibus, humiliter et instanter deprecor ut haec privilegia in perpetuum concedantur.
Pro quo tanto et insigni beneficio Deo optimo maximo ego et omnes socii Salesiani et tibi gratias habebimus aeternas.
La prima conferenza di Don Bosco a Casale.
Siccome era la prima volta che egli parlava ai suoi Cooperatori e Cooperatrici di Casale, così dopo essersi rallegrato della numerosa udienza, che lo onorava, tessé l'origine e lo sviluppo dell'Oratorio e dell'Ospizio annesso. In questa guisa venne man mano facendosi strada a dire l'appoggio, che fin dai primordii gli prestarono signori e signore nel condurre innanzi l'opera sua, e quello che facevano in allora a benefizio dei suoi poveri giovanetti; disse poscia dell'istituzione delle Suore di Maria Ausiliatrice per la educazione delle fanciulle; della formale istituzione dei Cooperatori e delle Cooperatrici approvata dal Grande Pontefice Pio IX, ed arricchita di grazie e favori segnalati; discorse delle principali opere intraprese e condotte a buon fine mediante la loro carità, in Italia, in Francia, nella Spagna, in America; l'impianto, di numerosi ospizi e laboratori per insegnare arti e mestieri a giovanetti derelitti, onde renderli capaci a guadagnarsi un pane onorato; della fondazione delle colonie agricole per addestrare alla coltura della campagna fanciulli e giovanette di famiglie contadine, e con questo mezzo tenerle lontane dal mettersi a servizio nelle città dove farebbero facilmente naufragio e nella fede e nel costume; dell'apertura di collegi a modica pensione, per dare ad un maggior numero di giovani di eletto ingegno comodità di ricevere un'istruzione non disgiunta da una cristiana educazione, onde riescano col tempo o buoni Sacerdoti, o coraggiosi Missionarii o savii padri di Famiglia; della istituzione di Oratorii festivi e giardini di ricreazione, per mezzo dei quali attirare i ragazzi al Catechismo, tenerli lontani dall'ozio ed aiutarli a compiere i loro doveri di pietà e di religione. A questo proposito annunziò come avesse ricevuto poc'anzi da Faenza un telegramma il quale gli dava la consolante notizia del felice arrivo di alcuni Salesiani colà spediti, per aprirvi un Oratorio festivo; e nel tempo stesso lasciò speranza che un Oratorio consimile si sarebbe aperto tra non molto nella stessa città di Casale. Toccò poscia delle sacre Missioni nella selvaggia e sterminata Patagonia; delle Case già [790] aperte colà a vantaggio dei figli e delle figlie dei selvaggi; della prossima partenza di altri Missionarii per quelle regioni; e di una nuova Casa che sarà aperta nell'impero del Brasile. Finalmente venne a parlare della Chiesa e dell'Ospizio del Sacro Cuore di Gesù a Roma, la cui erezione il regnante Pontefice Leone XIII si degnò di affidare allo zelo ed alla carità dei Cooperatori Salesiani. Dopo di aver detto abbastanza estesamente delle sullodate opere, Don Bosco confessò che da solo non avrebbe potuto, non che compierle, neppure incominciarle, perciò ne attribuì la lode primieramente a Dio Ottimo Massimo, poscia alla carità dei Cattolici, soprattutto dei suoi Cooperatori e Cooperatrici, che ben sapendo dove va a finire la loro beneficenza, chi più chi meno, giusta le proprie sostanze, non cessarono mai di aprirgli generosamente la mano. Qui Don Bosco indirizzando al suo uditorio un caldo appello, perché volesse continuargli il suo caritatevole appoggio, svolse alcuni pensieri sopra i vantaggi della limosina, che crediamo utilissimo di mettere sott'occhio ai nostri lettori.
La limosina che si elargisce in favore delle opere Salesiane, osservò Don Bosco, si estende al corpo e all'anima, alla società e alla religione, al tempo e all'eternità. Si estende al corpo perché serve a provvedere albergo, vitto e vestito a più migliaia di poveri giovanetti raccolti nelle nostre Case di beneficenza, i quali senza di questo aiuto languirebbero nella più squallida miseria, o perché privi di parenti o perché abbandonati. Si estende all'anima perché questi giovanetti ricevono in pari tempo un'istruzione religiosa, sono educati nel timor di Dio e nel buon costume, sono in mille guise aiutati a procacciarsi l'eterna salvezza e divenire un giorno felici abitatori del regno dei Cieli. Si estende alla società domestica e civile, perché i prelodati ragazzi, se sono addetti ad un laboratorio, si fanno col tempo capaci, coll'esercizio dell'arte loro, a provvedere un onesto sostentamento alla propria famiglia, e colla loro industria ed attività recheranno pure non lieve giovamento al civile consorzio; se poi attendono allo studio delle scienze e delle lettere si renderanno utili alla società colle opere d'ingegno, o con questo o con quell'altro civile impiego. E poi, tanto gli uni quanto gli altri, essendo non solo istruiti, ma, quello che più importa, saviamente educati, saranno sempre tra il popolo una guarentigia di moralità e di buon ordine, saranno onesti cittadini e non daranno fastidii alle autorità né politiche né giudiziarie. Si estende alla Religione, poiché oltre che serve, come ho detto, a rendere buoni cristiani tanti giovanetti, giova in pari tempo ad aiutare molti di essi a divenire Sacerdoti, dei quali altri impiegheranno la loro persona e il loro talento in sostegno della Religione nei nostri paesi, altri poi coraggiosi battendo le orme degli Apostoli andranno come Missionarii a propagarla tra i popoli che ancor non la conoscono, come fanno oggidì molti Salesiani nella Patagonia. Si estende ancora alla Religione; [791] perché parte di detta limosina viene impiegata ad innalzar chiese al divin culto, nelle quali le verità insegnateci da Gesù Cristo saranno predicate, difese e praticate nel presente e nell'avvenire. Che poi si estenda al tempo e all'eternità chiaramente si rileva da altri vantaggi che la limosina apporta a chi la riceve e a chi la fa.
Qui Don Bosco lasciati da parte i vantaggi temporali ed eterni, che la limosina procura a coloro a cui vien fatta, disse dei vantaggi medesimi procacciati a chi la dispensa per amor di Dio, rilevandoli e dal santo Vangelo e dalle parole che si leggono nel libro di Tobia, in lode della limosina.
Tutti, disse Don Bosco, abbiamo bisogno di ricevere limosina da Dio. Abbiamo bisogno che il Signore dia la sanità del corpo a noi ed alle nostre famiglie, la fertilità delle campagne, la buona riuscita dei nostri affari e via dicendo. Orbene qual é il mezzo più efficace per ottenere questa limosina da Dio? Uditelo dalla bocca dello stesso nostro Signore Gesù Cristo: Date et dabitur vobis, date e vi sarà dato; fate limosina agli altri e Dio la farà a voi. In altro luogo lo stesso Divin Salvatore promette di retribuire quaggiù il cento per uno di quanto si sarà dato per amor suo: Centuplum accipiet in tempore hoc. Questo centuplo Iddio lo dà non solo in beni spirituali, ma, come spiegano i Santi Padri, anche in beni temporali.
Oggidì si lamentano forti rapine, incendii, grassazioni, e peggio. Sono mali questi, sono disordini dolorosi, ma diciamolo anche: di una buona parte di questi malanni sono pur causa coloro, che potendo non fanno limosina. Se quel facoltoso, se quel ricco allargasse un po' meglio la mano verso gl'Istituti di carità, se vi facesse ritirare a sue spese quel giovanetti, che sono pressoché abbandonati, egli leverebbe tanti individui dal pericolo di diventar ladri e malfattori. Se quei signori, se quelle signore, se quei possidenti facessero limosina toglierebbero molte persone dalla mala vita, e intanto sarebbero più amati dai poveri, e sarebbero eziandio più rispettati nelle loro campagne, nei loro negozi, nei loro possessi; e così non si avrebbero a deplorare tanti delitti. Invece coll'avarizia, coll'interesse, colla spilorceria, colla durezza di cuore, mentre lasciano crescere tanti malfattori in mezzo alle vie, mentre lasciano languire tante famiglie nel fondo della miseria e le mettono come nella dura necessità di provvedersi per forza ciò, che vien loro negato per carità, si fanno eziandio mal volere e odiare e in un subbuglio saranno essi i primi a pagarla. E poi che avverrà? In un giorno, forse non lontano, si avvereranno anche quaggiù i guai pronunziati da Gesù Cristo e dall'Apostolo S. Giacomo contro i ricchi senza cuore: Vae vobis divitibus, guai a voi, o ricchi. Agite nunc, divites, plorate ululantes in miseriis vestris, quae advenient vobis: Su via, o ricchi; piangete, alzate le grida a motivo delle miserie che verranno sopra di voi. [792]
Ma quelli che ci devono più efficacemente spronare a fare limosina, proseguì Don Bosco, sono i vantaggi spirituali che essa ci arreca. L'arcangelo Raffaele parlando al vecchio Tobia in nome di Dio pronunziò sulla limosina queste parole: Eleemosyna a morte liberat, et ipsa est quae purgat peccata, et facit invenire misericordiam et vitam aeternam: la limosina libera dalla morte. Ciò può intendersi in tre sensi. Libera dalla morte dell'anima, o coll'ottenerci di non cadere in peccati mortali, o col meritarci il pentimento dei medesimi e la grazia di confessarcene colle dovute disposizioni, quindi il perdono. Libera dalla morte eterna, ossia dalla eterna dannazione, in quanto che ci ottiene il dono della perseveranza finale, la grazia cioè di morire nell'amicizia di Dio. Libera anche dalla morte corporale non già nel modo assoluto, come se ci rendesse immortali, ma relativamente col tenerci lontani certi mali, che ci arrecherebbero più presto la morte, coll'ottenerci la guarigione di malattie anche gravi e disperate. La Sacra Bibbia ci narra di una certa Tabita da San Pietro risuscitata da morte a cagione delle sue limosine. Quando poi giunga l'ora nostra, la limosina ci libererà dal fare una morte crudele e spaventosa, ci otterrà di terminare la vita rassegnati e confortati, ci renderà la morte come il sonno di un bambino, che si addormenta placidamente nelle braccia di amorosa madre. Eleemosyna a morte liberat.
L'Arcangelo aggiunge: Ed essa é che purga i peccati; et ipsa est quae purgat peccata. La limosina purga i peccati in questa e nell'altra vita. Una persona che faccia limosina per amor di Dio e del prossimo, esercita un atto di carità; ora un atto di carità verso Dio perfetta cancella dall'anima non solamente i peccati veniali, ma anche i mortali, purché abbia il desiderio di confessarli quando le si presenti occasione. Li purga eziandio coll'ottenercene più facilmente il perdono da Dio; li purga col rendere più disposta l'anima a ricevere in maggior abbondanza le grazie del Sacramento della Confessione e della Comunione. Li purga non solo per questa, ma eziandio per l'altra vita: poiché la limosina specialmente quando viene fatta con qualche sacrifizio, soddisfa pei peccati commessi, ci libera dalla pena che per causa dei medesimi dovrem soffrire in questo o nell'altro mondo, e ci impedisce di cadere o di rimanere a lungo nel Purgatorio. E questo vantaggio lo apporta la limosina non solo a chi la fa, ma alle anime che già si trovano in pena, soddisfacendo pei loro peccati, liberandole dalla loro prigione e mettendole più presto al possesso dell'eterna gloria.
Finalmente facit invenire misericordiam et vitam aeternam; la limosina fa trovare misericordia e la vita eterna. Guai a noi, se il Signore ci trattasse a tutto rigor di giustizia! Chi non avrebbe a temere di cadere da un momento all'altro sotto i flagelli dell'ira sua? Chi non avrebbe a tremare nel presentarsi al suo giudizio? Abbiamo quindi assoluto bisogno che Dio ci usi misericordia, pietà e compassione. [793]
E questa compassione, questa pietà e misericordia Egli la userà con noi, se noi la usiamo verso gli altri mediante le nostre limosine. Gesù Cristo ce lo promise con queste parole: Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia; ed invece ha fatto minacciare dall'Apostolo S. Giacomo un giudizio senza misericordia a colui, che non avrebbe fatta misericordia. Judicium sine misericordia ei, qui non facit misericordiam.
Ma non solo la limosina fa trovare misericordia, ma altresì la vita eterna, vale a dire, il Regno dei Cieli. Il divin Redentore ce lo assicura, laddove parlando del giudizio universale, ci dice le parole, colle quali nell'ultimo giorno decreterà ai benedetti il premio e ai maledetti il castigo eterno: Venite benedetti del Padre mio, prendete possesso del regno a voi preparato sino dalla fondazione del mondo; imperocché nella persona del vostro prossimo io ebbi fame e voi mi deste da mangiare; ebbi sete, e mi deste da bere; fui pellegrino e mi ricoveraste; era ignudo e mi vestiste; era ammalato e carcerato e mi visitaste. Poi rivolto ai cattivi: Via da me, o maledetti, Egli dirà, al fuoco eterno; Imperciocché nella persona dei vostri fratelli io era nel bisogno, e voi non mi avete assistito.
Sì, conchiuse Don Bosco, eleemosyna a morte liberat, purgat peccata, et facit invenire misericordiam et vitam aeternam. Procurate adunque di farla ora e in avvenire; e per non rendervela impossibile abbiate l'occhio a non isprecare il danaro con delle inutili spese. Sappiate fare dei risparmi nella persona, negli abiti, nella tavola, nei mobili nei viaggi e via dicendo; e qualora poi per sostenere le opere di religione e di carità doveste fare anche dei gravi sacrifizi, vi conforti il pensiero che le vostre sostanze al di là della tomba non varranno più niente, e invece adoperandole quaggiù a procurare la salute delle anime altrui voi assicurate la salvezza dell'anima vostra.
Discorso di Don Bosco a Pellegrini francesi.
Je vous remercie de l'honneur que vous me faites, d'une visite très précieuse et très chrétienne. Vous êtes des voyageurs religieux, qui avez quitté les douceurs de la vie, vos parents, vos occupations et votre patrie pour entreprendre une grande mission dans des temps difficiles. Au moment où vous venez dans notre patrie, les corporations religieuses sont supprimées, les couvents fermés, et les religieux sont obligés de rester chez eux par la force de la loi. Eh bien! alors, la divine Providence suscite des apôtres laïques, qui vont par les villes, [794] au-devant des dangers, et s'en vont faire visite, non à un ami, pas même à un évêque, mais ils vont à Rome, à l'évêque des évêques, à Léon XIII, successeur de saint Pierre, vicaire de Notre-Seigneur Jésus-Christ sur la terre. On ne doit plus vous appeler maintenant des pèlerins, mais de vrais religieux, de vrais apôtres, qui font voir que la France est toujours catholique. C'est un apostolat admirable. Et dans les pays où vous passez, on dit partout: Voilà des Français qui viennent de Rome; voilà des catholiques qui viennent de saluer le Souverain Pontife. C'est un grand exemple pour les catholiques d'Italie.
En passant, vous saluez aussi les oeuvres religieuses, et c'est une grande consolation pour Don Bosco que cette visite. Déjà, il a eu, cette année, une première consolation, celle-ci est la seconde. La maison où vous êtes est celle de la divine Providence, et c'est Notre Dame Auxiliatrice qui est sa lumière et son soutien. Je sais que vous désirez quelques mots sur cette pauvre maison. Vous voyez où nous en sommes actuellement. Il y a quarante ans, cet endroit était un pré, un champ, où les jours de fête on buvait, on s'amusait, on dansait et on faisait encore... autre chose. La divine Providence a voulu que l'on commençât ici l'oeuvre du patronage du dimanche et l'Oratoire St-François de Sales. Cette oeuvre a débuté par un garçon. En allant par les rues et les carrefours, on voyait des enfants qui jouaient, qui se battaient, des vagabonds. Il y en avait aussi qui habitaient dans les prisons,, pas volontairement. D'autres vivaient aux dépens d'autrui, honte de la patrie, de la famille et d'eux-mêmes. N'y a-t-il pas moyen de gagner ces garçons, de les instruire et de les rendre capables de gagner leur vie?
On a commencé par louer le pré, puis on l'a entouré de murailles, afin d'y recueillir les plus abandonnés. Ce fut d'abord le dimanche. Mais, comment gagner ces garçons? Le moyen a été trouvé. Par des jeux. On les appelait avec un violon, une guitarre, un tambour. On faisait du bruit, et ceux qui étaient derrière la muraille demandaient: - Que fait-on là? - On répondait: - Venez, on s'amuse. on fait de la gymnastique, de la musique, on fait des courses, de la déclamation. Il y a un théâtre. On fait toutes choses pour enchanter la jeunesse. -
Elle arrivait en masse. Le pré était trop petit pour jouer, car on venait de toutes parts.
Les amusements les appellent, la religion va les moraliser. Des Messieurs de la ville, coopérateurs laïques, des gens distingués les accueillent. avec de belles manières, les mènent à l'église; les prêtres les confessent. Les Messieurs faisaient la prière. On dit la messe, on prêche; quelques-uns des enfants s'approchent de la Table sainte.
A midi, les garçons étaient fatigués. On les renvoyait, ou bien on leur donnait quelque chose. S'ils retournent, ils reviennent très [795] empressés, très heureux, très impatients; à une heure, une heure et demie.
A deux heures, on sonne la cloche. Les garçons voulaient sortir. Ils disaient qu'ils étaient fatigués de jouer. Mais la porte était fermée, et les Messieurs les invitaient à entrer dans l'église pour se reposer. On y faisait des instructions, ce que vous appelez le catéchisme de persévérance; on chantait les vêpres, le salut puis on recommençait à s'amuser_ jusqu'à la nuit tombante. Le soir les garçons étaient vraiment fatigués; ils allaient manger une soupe et ne pensaient plus qu'à se reposer.
Si les *ouvriers étaient sans travail, les coopérateurs cherchaient pour eux des ateliers où ils les plaçaient, où ils les suivaient. Et il n'y en avait plus de prisonniers.
On a trouvé que beaucoup d'enfants et d'ouvriers avaient besoin d'instruction religieuse. A cinquante ans, quelques-uns même n'avaient pas fait leur première communion. On a commencé les classes du soir pour les y préparer. C'était de vrais catéchismes, mais il fallait les flatter, et ils venaient volontiers.
Pendant le jour, il y avait des désoeuvrés, alors on a fait les classes de jour. Il n'y avait plus de vagabonds.
Mais la grande difficulté; c'est que parmi ces désoeuvrés, il y en avait de pauvres, d'abandonnés, de déchirés.
- Mais je ne pourrai pas manger jusqu'à ce qu'on me paie! - On te donnera du pain.
Ainsi fut créée cette maison: depuis l'Oratoire qui a commencé, on a fait des patronages et des hospices, en Italie, en France, en Espagne, au Brésil, dans l'Uruguay, dans la République de l'Equateur et dans la Patagonie. On a fondé cent quarante maisons avec plus de 80.000, près de 100.000 garçons recueillis, qui apprennent un métier ou la science, c'est-à-dire deux moyens de vivre honnêtement.
Mais pour ces maisons, il fallait des prêtres et des chefs d'ateliers. On fait un choix parmi les plus vertueux et les plus intelligents. Et ce sont eux maintenant qui dirigent les maisons, les ateliers et les fermes agricoles.
Ces'prêtres sont aussi missionnaires parmi les sauvages de l'Amérique.
Mais jé ne veux pas abuser de votre patience. Toutes les choses qu'on fait ici, on peut les faire dans toutes les villes. Et quand on a commencé, la divine Providence vient en aide. [796]
25.000 garçons sortent de nos maisons chaque année, et sont remplacés par 25.000 autres. C'est autant d'enlevés à l'antichambre des prisons. Ils sont instruits et amenés à la religion, et ils entrent dans la société, non comme des fléaux, mais comme de bons citoyens, qui sont l'honneur de la patrie, de la famille et de leurs amis.
Je voudrais faire avec vous une alliance. Je désire que vous soyez tous Coopérateurs Salésiens. Donnez-moi vos noms et vos adresses, pour vous envoyer notre Bulletin. Ainsi, ce soir ou demain, qu'on me donne les noms de tous les pèlerins. On gagne beaucoup d'indulgences dans notre association. Pour les prêtres, indulgence plénière à chaque messe qu'ils célèbrent, et pour les laïques à chaque communion.
Pie IX était à la tête des Coopérateurs Salésiens. Léon XIII l'est aussi, et tous les Cardinaux sans exception. Cette oeuvre fera grand bien à l'Eglise dans tous les temps et surtout en celui-ci.
Vous remplecerez ainsi les religieux que l'on veut mettre dehors. Merci de la bonté que vous m'avez témoignée, et chaque fois que vous viendrez ici, vous pourrez dire: Nous sommes chez nous. Je me reccommande à vos prières.
Dites en France que, dans l'Italie, il y a des catholiques qui aiment beaucoup la France, et que, parmi ceux-là, il y a Don Bosco, qui prie beaucoup et qui fait beaucoup prier Notre Dame Auxiliatrice pour la France, et dont les oeuvres sont des foyers de voeux et de prières pour votre patrie.
(Bulletin Salésien, Février 1882).
Lettera di Don Cagliero e Don Guanella.
Molto Rev. e car.mo D. Guanella,
Abbiamo letto in capitolo la sua lettera con le belle disposizioni che manifesta verso la nostra Congregazione insieme col vivo desiderio di ritornarvi.
Attesa la buona memoria che abbiamo di lei, ed al suo modo di zelare la gloria di Dio, si é deciso di far luogo alla sua domanda ponendo due sole condizioni:
1° Che assesti gli interessi temporali che la tennero fino ad ora più o meno legato in diocesi, in modo da non avere più nessun richiamo in patria.
2° Che venga disposto ad interamente sottomettersi alla S. Obbedienza; ma senza idee preconcette o desiderii predisposti.
Allora sarà un buon Salesiano e Dio benedirà le sue fatiche. Se no, no. [797]
Sia sempre nostro amico, si sbrighi e venga presto di buona e santa volontà.
S. Domingo o S. Benigno le daranno a fare.
Invito agli esercizi per Signore.
ESERCIZI SPIRITUALI PER LE SIGNORE.
Per secondare il desiderio di molte zitelle e maestre di scuola, nonché di pie Signore, le quali amerebbero passare alcuni giorni di sacro ritiro spirituale per attendere al bene dell'anima loro, saranno dati in questo anno come negli anni addietro gli esercizi Spirituali nel Conservatorio della Madonna delle Grazie, diretto dalle Suore di Maria SS. Ausiliatrice, in Nizza Monferrato.
Incominciano la sera del 2 agosto, e terminano la mattina dell'II. La
La pensione é fissata in L. 20; sì fa un'eccezione per le maestre, la cui quota sarà di L. 15.
L'aria salubre e di campagna, il sito amenissimo e solitario sono allo stesso tempo un sollievo per lo spirito affaticato bisognevole di riposo.
Si prega di farne pervenire la domanda non più tardi del 20 luglio alla Superiora dell'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice in Nizza Monferrato; od a Don Bosco Via Cottolengo N. 32 - Torino.
NB. Nizza Monferrato é stazione della ferrovia Alessandria Cavallermaggiore.
Il sottoscritto Sac. Gio. Bosco Superiore della Pia Società di San Francesco di Sales riceve dalla Sig.ra Ghione Catterina Vedova Cavalli quattro Cartelle del Debito Pubblico della rendita di L. 50 caduna, più franchi 300 alle seguenti condizioni.
I) Accettare tre allievi per fare il corso Ginnasiale nel Collegio e Piccolo Seminario di S. Carlo in Borgo S. Martino - e sono Moisio Clemente nipote della Signora Oblatrice, Depretini Francesco
2) Il Depretini sarà anche provveduto del bucato e delle piccole somministranze del Collegio ad eccezione degli abiti e biancheria e copertura del letto; gli altri due, cioé il Marchese ed il Moisio avranno le piccole spese a loro conto. Per Moisio poi e Depretini la pensione comincia a decorrere col 10 Gennaio 1882 e pel Marchese vi sarà decorrenza dal 10 Novembre 1881.
3) Qualora avvenisse che alcuno dei mentovati allievi per qualunque motivo cessasse dalle scuole del collegio, la Sig. Donatrice é in facoltà di nominare un altro per quel tempo e per quegli anni che avrebbe ancora potuto godere l'allievo nominato.
4) I giovani beneficati come il Sac. Bosco promettono di fare ogni giorno particolari preghiere per la pia Signora Oblatrice affinché Dio la conservi in buona salute e le tenga assicurato il premio dei giusti a suo tempo in cielo.
Opera della Propagazione della Fede a Don Bosco.
Nous nous empressons de vous informer que le Conseil Central de l'OEuvre de la Propagation de la Foi, prenant en considération ce que vous lui avez exposé au sujet d'un legs de trois mille francs depose entre vos mains pour être employé à la propagation de l'Évangile, a resolu de vous en abbandonner l'application dans ce, but.
Permettez-nous, Monsieur, de solliciter en échange le concours de vos prières pour nous, nos familles et l'OEuvre confiée à nos soins, au milieu des graves circonstances actuelles, et agréez l'hommage des sentiments de respect avec lesquels
Nous avons l'honneur d'être, de Votre Révérence les très-humbles et obéissants serviteurs. Pour le Conseil Central de Lyon.
Au nom du Conseil de l'OEuvre de la Propagation de la Foi je vous offre l'expression de notre reconnaissance pour la visite que vous avez bien voulu nous faire et en mon nom particulier l'assurance des respectueux sentiments dé votre très humble serviteur.
L'evangelizzazione della Patagonia per opera de' Missionari Salesiani di D. Bosco.
Gli immensi deserti dei Pampas, la Patagonia, la Terra del fuoco, e le isole Maluine avevano opposto finora la più ostinata resistenza alla civiltà ed al cattolicismo.
Da che fu scoperta l'America da Cristoforo Colombo, più volte coraggiosi operai evangelici tentarono d'entrare in quelle contrade eguali in superficie all'intiera Europa; ma questi tentativi furono infruttuosi; tutti gli apostoli vennero trucidati, e nessuno poté dare
esatti ragguagli di quel paese e de' suoi abitanti.
Il Rev.mo Don Giovanni Bosco, sacerdote di Torino, deliberò di fare un nuovo tentativo, andò a Roma, comunicò i suoi disegni a Sua Em. il Cardinale Prefetto della Congregazione di Propaganda, poi li sottopose all'esame di Pio IX.
Compiute queste formalità preliminari, il dì 1 novembre del 1875, il Vicario di Gesù Cristo riceveva uno scelto drappello di Salesiani.
Il Pontefice li accolse con bontà tutta paterna e disse loro: - Voi andrete nell'America meridionale; l'esperienza acquistata coi tentativi fatti finora, vi consiglia di non recarvi direttamente in mezzo ai selvaggi; ma di stabilirvi sui confini del loro territorio, per conservare nella fede coloro che l'hanno già ricevuta. Prendendovi cura dei fanciulli indiani, vi aprirete una via per accostarvi ai genitori.
Ricevuta così la missione dal Vicario stesso di Gesù Cristo, i figli di S. Francesco di Sales, in numero di dieci, sotto la condotta del Sacerdote Don Giovanni Cagliero, dottore in teologia, partirono, il dì 14 novembre del 1875, per la Repubblica Argentina; e il dì 14 del mese seguente, approdavano a Buenos Aires, città capitale di questo Stato.
Le prime fatiche dei novelli Missionarii furono date al. fondare istituti d'educazione, pei selvaggi, sui confini dell'Uruguay e della Repubblica Argentina. Si edificarono ospizii per raccogliervi i bambini poveri ed abbandonati. Si istituirono seminarii per educarvi giovani capaci di ricevere istruzione e coltura speciale, e per coltivare in essi la vocazione ecclesiastica.
La moltiplicazione delle case rese necessario l'aumento delle persone. Ogni anno si fece uno e anche più invii all'America del sud. In diversi luoghi si cominciarono missioni, in vicinanza degli indiani. Ebbero un buon successo, e molte centinaia di bambini e d'adulti ricevettero istruzione e battesimo. [800]
Primi tentativi d'entrare nella Patagonia.
Affine di poter maggiormente addentrarsi, si determinò di profittare d'un battello del governo, che doveva sferrare per il Rio Negro, fiume della Patagonia settentrionale.
La nave partì nel maggio del 1879. Pareva che la navigazione dovesse essere felice; ma appena i viaggiatori furono in alto mare una terribile burrasca sconvolse le onde dell'Atlantico. Dopo tredici giorni di inutili sforzi e di pericoli, dovettero abbandonarsi alla discrezione dei venti che respinsero il battello al luogo stesso donde eransi partiti; e fu speciale protezione del cielo, se i Missionarii e gli altri viaggiatori poterono scampar da morte.
Invece di perdersi di coraggio, i Missionarii vollero fare un'altra prova per la via di terra. A questo fine, l'anno dopo, il sacerdote Don Giovanni Costamagna, il dottore Antonio Espinosa e un cathechista si posero in viaggio, attraverso i Pampas. Ivi li attendevano grandi consolazioni. Poterono abboccarsi con diversi cacichi (capi di tribù), far udire il nome di Gesù agli abitanti di quegli estesissimi deserti, finallora sconosciuti, e battezzare cinquecento selvaggi circa tra bambini e adulti.
Finalmente dopo quarantacinque giorni di viaggio per terre inesplorate e senza nome, poterono, non senza difficoltà, passare il Rio Colorado, il Rio Negro, ed entrare nella Patagonia propriamente detta, oggetto delle loro costanti aspirazioni. il governo della Repubblica Argentina protesse questa pericolosa spedizione impresa sopra una estensione di oltre a duemila chilometri.
Confini della Patagonia. Stato delle Missioni Salesiane in quelle regioni.
Si dà il nome di Patagonia a quella parte dell'America meridionale che dal grado 37° di latitudine sud va fino allo stretto di Magellano. Un'alta catena di montagne, chiamate le Cordigliere, la divide in due declivii. Il declivio orientale é del governo argentino.
Ecco i confini del declivio orientale: al nord, il Rio Colorado, che ha le sorgenti sulle Cordigliere e scarica le acque nell'Atlantico; all'est, l'Atlantico; al sud, lo stretto di Magellano; all'ovest, le Cordigliere che lo separano dal declivio occidentale.
I novelli Missionarii si fermarono sulle rive del Rio Negro, al 40° grado di latitudine sud, dove si trovano diversi mercati, a cui gli stranieri sogliono recarsi per vendere, o piuttosto scambiare vino, liquori, pane coi frutti o coi lavori degli Indiani. Questi oggetti vengono poi trasportati nelle altre parti dell'America, e anche in Europa, dove la rarità li rende ricercati. I Missionarii si stabilirono dunque a Carmen, terra aperta, dove s'incontrano selvaggi e stranieri.
I Patagoni ed alcuni europei già stabiliti nel territorio, accolsero [801] i Missionarii con gioia inesprimibile; questo buon accoglimento fece sì che potessero trattare coi capi, esaminare lo stato degli abitanti e vedere se fosse possibile stabilirvi colonie. Poi, usate le cautele necessarie a mantenere il buon accordo cogli indiani e promesso di ritornar fra loro al più presto, ascesero una nave posta dal governo a loro disposizione, e ritornarono a Buenos-Aires. Lì, volevano procacciarsi i viveri di cui cominciavano a mancare. Arrivati alla città capitale, esposero al governo ed ai confratelli il felice esito del viaggio. Tutti ringraziarono il Signore d'essersi alfine mosso a pietà di que' popoli finallora seduti nell'ombra di morte.
Fatte le provvigioni necessarie, con l'aiuto di altri Missionarii e delle Religiose di Maria Ausiliatrice, arrivate allora dall'Europa, il Padre Fagnano, verso la fine di dicembre del 1879, recavasi direttamente nella Patagonia, per compaginarvi e assestare la missione. Fondò case, chiese, ospizii; istituì scuole per i fanciulli e le fanciulle.
Ecco lo stato presente delle colonie in Patagonia, sulla riva nord del Rio Negro, verso il Rio Colorado. Son esse:
1° Il Carmen de Patagones, che conta circa mille e cinquecento tra europei e indiani convertiti.
2° La Guardia Mitre, a ottantacinque chilometri da Patagones, che ha un egual numero di neofiti.
3° La Colonia Conesa, a centocinquantacinque chilometri da Patagones, dove sono più di ottomila indiani, della tribù Catriel.
4° La nuova popolazione detta Choele-Choele, a trecentocinquanta chilometri da Patagones. Vi si contano duemila e cinquecento indiani tra battezzati e catecumeni.
Di fronte a Carmen, sulla riva sud del Rio Negro, nella Patagonia propriamente detta, é posto Mercedes, residenza d'un governatore mandato dalla Repubblica Argentina; la popolazione é di circa duemila anime.
A cinquanta chilometri da Mercedes, c'é la colonia di San Francesco Saverio; posta anch'essa sulla riva meridionale del Rio Negro, ma più addentro nella Patagonia. Vi sono riuniti seicento indiani Linares, già battezzati o presso a compire l'istruzione loro nella fede. Al presente si stanno fondando nuove colonie in mezzo alla Patagonia, e si attende attivamente a stabilirne una sulle rive del lago Nahuel-Hu-Api, i cui dintorni sono popolatissimi di indiani selvaggi.
Il P. Giuseppe Fagnano, con un catechista ha fatto non ha guari un'escursione verso quel lago, lontano da Carmen più di mille chilometri, a poca distanza dalle Cordigliere. I minuti ragguagli di questo viaggio apostolico furono argomento di speciale narrazione.
Finalmente, nei dintorni del lago Nahuel-Hu-Api, si poterono già ricevere in seno alla Chiesa alcune centinaia di selvaggi, che incominciarono così una cristianità, primo fiore offerto alla Chiesa dalla Patagonia centrale. [802]
Essendo la prima difficoltà il piccol numero dei Missionarii, abbiamo fondato in Europa, coll'approvazione della Santa Sede, collegi e seminarii, che preparino operai evangelici.
Nell'Uruguay e nella Repubblica Argentina, abbiamo già due collegi o seminarii.
La seconda difficoltà é la mancanza di denaro; mentre ci bisogna costruire case e scuole per le fanciulle e i fanciulli.
Già si sono fondati orfanotrofii pei figli degli indiani; ma ce ne vorrebbero molti altri.
Non parlo dei paramenti e vasi sacri; dei mobili per le scuole e le abitazioni; delle vesti da dare ai più poveri.
Un altro ostacolo de' più gravi ci viene dai protestanti. Non appena videro dissipato il pericolo andarono a piantare le tende loro nelle nuove colonie; e presero a far scuola, esercitando la medicina, la chirurgia, la farmacia: e, prodigando denaro, riescono a cagionare un grave imbarazzo ai Missionarii cattolici.
Ma i Missionarii potranno vincere tutte queste difficoltà, ed altre più, perché la protezione del cielo non verrà loro meno.
La cosa che ora ci fa più di bisogno é l'appoggio della pia Opera della Propagazione della Fede, che ha già si ben meritato della Chiesa.
Il venerabile fondatore della Congregazione dei Missionarii Salesiani, Don Giovanni Bosco nacque a Castelnuovo d'Asti in Piemonte, ai 15 d'agosto del 1815. Nel 1841, raccoglieva il primo di quelle migliaia di giovanetti abbandonati, ai quali la carità sua sacerdotale ha generosamente dato il pane dell'anima e del corpo, e che gli hanno offerto i mille religiosi e Missionarii della sua Congregazione di S. Francesco di Sales. Al presente il santo prete ha più di settantadue case dirette da' suoi religiosi.
(Le Missioni Cattoliche, 3 novembre 1882).
Lettera di Don Bosco alla Signorina Lacombe.
Mon voyage pour Valence sera sur les premiers jours du mois prochain, mais je vous indiquerai le jour précis de mon arrivée.
Je ne puis pas demeurer chez vous dans ce temps là, car je suis déjà lié chez la famille de Barruel dont le fils avocat est chez nous [803] comme religieux Salésien. Il m'accompagnera lui-même dans toute ma pérégrination. Je ne manquerai de prier et faire prier pour vous et pour toutes vos intentions.
Je suis impatient de voir et remercier personnellement l'Abbé A. Didelot archiprêtre de la cathédrale. Vous lui direz en avance que je me recommande à lui, et je ferai tout ce qu'il jugera bon pour la gloire de Dieu et le bien des âmes.
Mais la première chose que je ferai c'est de me rendre à faire une visite a sa Grandeur l'Évêque de Valence à qui je vous prie de vouloir bien présenter mes très humbles et tres respectueux hommages.
Dieu vous benisse et vous conserve en bonne santé et veuillez bien aussi prier pour moi qui serai à jamais en J. C.
PS. La sainte messe sera célébrée pour vous jeudi prochain.
della pietra angolare alla Navarre.
Au nom de la Très Sainte Trinité, Père, Fils et Saint-Esprit.
En l'honneur de la Vierge Immaculée, la tendre Mère et la puissante Auxiliatrice des Chrétiens.
L'an mil huit cent quatre-vingt-deux, du Pontificat de Sa Sainteté Léon XIII le 4; de l'Épiscopat dé Monseigneur joseph Sébastien Ferdinand Terris, Evêque de Fréjus et Toulon le 6 et le 12 de la République Française:
Le premier Mars à 3 heures du soir, en présence d'un grand nombre de bienfaiteurs et de bienfaitrices des (Euvres Salésiennes et au milieu d'un grand concours de fidèles, après la bénédiction solennelle donnée selon les prescriptions des rites de la Sainte Église Catholique, par M. l'Abbé jean Bosco, Supérieur de la Pieuse Société Salésienne: la pierre angulaire de cette nouvelle construction a été placée par M. Fleury Colle, Chevalier de Saint Grégoire le Grand, avocat et par Madame Colle son épouse, bienfaiteurs insignes de la Société Salésienne et particulièrement de cet Orphelinat de la Navarre. Monsieur et Madame Colle ont bien voulu venir tout exprès de Toulon pour un témoignage public de l'intérêt qu'ils portent aux OEuvres Salé siennes. [804]
Cette nouvelle construction est devenue nécessaire par suite de l'insuffisance des bâtiments existants pour donner satisfaction aux nombreuses demandes d'admissions qui ne cessent d'affluer de toutes parts.
Elle est située sur le territoire de la Commune de la Crau, Canton d'Hyères, Département du Var. Et sera entièrement consacrée à la Gloire de Dieu au bénéfice des pauvres enfants destinés aux travaux de la campagne.
Le plan de cette maison et la direction des travaux sont dus à la charité de M. l'Ingénieur Aubert Auguste de Toulon.
L'Orphelinat de la Navarre se trouve sur la paroisse de St-Isidore de Sauvebonne administrée actuellement avec zèle, par M. l'Abbé Oscar Roubaud; son digne Curé.
Le Directeur de l'Orphelinat est l'Abbé Pierre Perrot, prêtre Salésien.
La nouvelle construction a été commencée sans d'autres ressources que la charité de bons catholiques et c'est uniquement sur cette charité que compte la Société Salésienne pour mener à fin cette entreprise avec l'aide de Dieu pour le plus grand bien de la société civile, le bonheur des familles et de la patrie française, pour l'honneur de la moralité chrétienne et la gloire de notre Sainte Religion.
De ce moment et toujours dans la suite tous les enfants recueillis dans cette maison et tous ceux qui seront reçus dans la maison nouvelle ne cesseront de prier le Bon Dieu d'accorder une large récompense à nos bienfaiteurs. Que Dieu leur rende ce qu'ils font pour les Orphelins; ils leur bâtissent une maison et ils les y recueillent charitablement. Que Dieu les reçoive tous avec nous dans son saint Paradis pour y goûter éternellement les joies ineffables qu'il réserve à ses élus. Ce bonheur nous est promis et nous le recevrons par les mérites de Notre-Seigneur Jésus-Christ et pour les prières de sa Très Sainte Mère. Ainsi soit-il.
Jules Berenguier, Entrepreneur
Lettera di Don Bosco a cooperatori fiorentini.
Il sottoscritto a norma del Capo V art. 5 del Regolamento dei Cooperatori Salesiani é venuto nella deliberazione di nominare i Decurioni, quindi prega la S. V. di accettare questo ufficio. Dalla lettera annessa vedrà quale sia la messe copiosa che le viene affidata. A tale uopo Ella é pregata a prender nota nel modulo che Le presento di quelle offerte che vorranno fare quelli di sua particolare conoscenza. Si riceve con gratitudine qualunque oblazione fosse anche una lira, o mezza lire, o cinque centesimi mensili.
Siccome ci troviamo in grave bisogno di estinguere parecchie passività incontrate, e di far fronte alle spese quotidiane, quindi é pregata di fare pervenire al Direttore di questo Oratorio dell'Immacolata quello che mensilmente la sua industriosa carità potrà raccogliere.
Prego Dio che largamente La rimeriti della sollecitudine con cui spero voglia venire in aiuto dei poveri e pericolanti giovanetti, mentre ho l'onore di potermi professare con grato animo in N. S. G. C.
Due lettere di Don Bosco alla Signora Quisard.
Je reçois ici à Rome votre très bonne lettre dans laquelle vous me faites connaître les épines que Dieu vous envoye. Courage! Foi et prières, voilà nos armes et nos appuis. Je ne manquerai pas d'unirmes faibles prières selon vos bonnes intentions et vos besoins. Mes enfants feront aussi des prières et des communions au même but.
Si vous désirez d'unir aux prières quelques bonnes oeuvres de charité vous pouvez faire quelque offrande pour l'église du Sacré-Cceur de Rome chaudemént recommandée par Sa Sainteté. On peut adresser les offrandes à Rome au Cardinal Vicaire, ou à l'Abbé Dalmazzo, Curé de l'église du Sacré-Cceur, ou à moi-même. [806]
En attendant vous direz trois Pater, Ave, Gloria Patri au SacréCoeur de jésus jusqu'à la fête de Saint Pierre. Nous ferons ainsi parmi nos enfants.
Je vous reccommande de faire plusieurs foi la Sainte Communion à la même intention.
Que Dieu vous benisse, Madame, et avec vous bénisse vos affaires et l'heureux avenir qui est préparé.
Veuillez aussi prier pour moi qui serai à jamais en J. Ch. Rome, 14 avril 1882. Via Porta S. Lorenzo 42.
J'ai reçu et j'ai lu votre bonne et respectable lettre avec attention et connais comme la Divine Providence vous a frappé et vous a au même temps soulagé et on peut dire a bien voulu vous donner un grand prix à votre patience et à votre courage. Donc Dieu soit béni en toute chose.
Les affaires sont toujours en bataille, mais j'ai pleine confiance qui seront beaucoup améliorés entre un temps pas trop long.
Pour renforcer nos espérances je désire que nous fassions quelques choses dans la prochaine neuvaine de l'Immaculée Conception à l'honneur de la S.te Vierge Marie. Nous dirons: Les Salesiens et leurs enfants (150 mille) feront des prières et des Communions à votre intention; moi je ferai tous les matins un memento dans la sainte messe pour vous, pour vos affaires et pour toute votre famille. Que la Sainte Vierge vous protège et éloigne de vous tout le mal des maux, le péché.
Vous continuerez la même prière que nous avons faite jusqu'à présent.
Pour les choses de votre conscience donnez pas vous la moindre des inquiétudes.
Au mois de février prochain j'espère de vous revoir à Lyon, mais vous connaitrez tout en avance, et vous aurez toute la comodité de nous parler.
Vous m'avez envoyée une somme d'argent, 900 f.s en honneur du Sacré-Cceur de jésus et de Marie et je tâcherai de faire de sorte que votre volonté soit mise en exécution. Dieu nous a dit: Donnez et on vous donnera le centuple sur la terre et la vraie récompense à son temps en paradis.
Vous aurez de la peine à lire cette mauvaise écriture. Ayez patience. Voyez, Madame, j'ai déjà compi 67 ans, mais je n'ai pas encore apris à écrire. [807]
Que le bon Dieu soit avec vous et avec toute votre famille et veuillez aussi prier pour ce pauvre prêtre qui avec gratitude vous sera à jamais en J. Ch.
Venerdì 28 Aprile. Don Bosco, Don Dalmazzo e Don Cagliero a pranzo da Mons. Rota.
Sabato 29. A pranzo dal Sig. Cinti, Via Carlo Alberto N. 8, piano 1°, porta a sinistra della scala. Poi a casa.
Domenica 30 Aprile. Pranzo in casa col sig. Pesce, nostro antico allievo, impiegato alla Direzione Generale delle Poste in Roma. L'avv. Leonori con un impiegato della Casa Reale. Dal Conte Gloria, P. Bartolomei, P. Gregorio Palmieri di S. Paolo, sig. Viale, Mons. Turiccia.
Lunedì 10 Maggio. Alla sera dal Card. Nina, che essendo stanco non poté riceverci.
2 Martedì. Don Bosco a dir la Messa dal March. Patrizi. Poi dal Min. Correnti primo segr. di S. Maurizio e Lazzaro. Alla sera dal Card. Simeoni; poi dalla signora Armand di Marsiglia, albergata all'Hótel de Rome di fronte a S. Carlo al Corso: poi dal Card. Consolini.
3 Mercoledì. In casa tutto il giorno.
Giovedì. Visita a due Signore infermiccie. Poi dal Card. Vicario.
Venerdì. Alle 9 ½ dal Card. Bilio con Don Daghero e sette giovani di Magliano Sabino.
Alla sera 5 maggio. Dalle Dorotee presso S. Onofrio in Trastevere. Poi dal Card. Nina. Entrando dentro la Porta di Bronzo le Guardie Svizzere gli presentarono l'arma chiamando al posto tutti i Compagni. Il Card. Nina trattenne Don Bosco per circa un'ora e mezzo.
Sabato 6 Maggio. Al mattino venne alla Messa di Don Bosco la Sig.ra Armand di Marsiglia, poi fece con lui colazione, quindi accompagnati da Don Savio visitarono la Chiesa in costruzione del S. Cuore di Gesù. Poi Don Bosco alla Cancelleria ai Vescovi e Regolari da Mons. Masotti. Alla sera visita al Card. Martinelli, poi a Mons. Ralli a cui Don Bosco lasciò supplica della Sig. Armand per conservare il SS. Sacramento in casa.
Domenica 7 Maggio. Pranzo in casa.
Lunedì 8 Maggio. Venne a trovar Don Bosco Mons. Marzolini, Segr.rio di Mons. Boccali. Poi visita alla Sig.ra Principessa Altieri. Alla sera dal Card. Sbarretti e dal Card. Lasagni.
Martedì 9 Maggio. Don Bosco dal Card. Nina e Alimonda. Pranzo a casa. Poi verso le 5 3f4 partenza da Roma per Magliano.
Si chiedono preghiere a Don Bosco.
Ma mère à qui j'ai envoyé votre response du 5 Juin, me charge de vous remettre 2.000 fr. à employer soit pour vos bonnes couvres, soit pour la construction de l'Église du Sacré Ceeur de Rome, à l'intention d'obtenir par votre entremise, près de N. D. Auxiliatrice et près du Sacré Ceour de jésus, ma guérison et celle de ma fille dont la hanche est deboitée.
Aucun moyen humain arrive à nous guérir de toutes nos maladies et je vous conjure, mon Révérend Père, d'attirer sur nous et sur tous les miens, la bénédiction de Marie Auxiliatrice et de nous obtenir la délivrance de toutes nos infirmités. Un nouveau remede soidisant infaillible essayé par moi ces jours-ci a encore échoué et m'a beaucoup ébranlé; aussi, ne voudrais-je pas le tenter pour mes filles, qui ont une de mes maladies, j'aime mieux les recommander, ainsi que moi à la bénédiction et à l'intercession de Marie Auxiliatrice, vous suppliant de prier pour nous, comme Vous avez prié pour la guérison de M.elle de Gaudemarie que je connais et qui vient d'être guérie de sa maladie de poitrine par Marie Auxiliatrice.
Ma mère vous enverra plus tard pour ma plus jeune fille, et pour moi.
Je joins ici à l'envoi de ma mère, suivant mes très faibles moyens, 300 frs, pour ma guérison, celle de ma fille deboitée, et celle de deux autres de mes filles, dont l'une a une bronchite chronique et l'autre un développement très retardé, puis aussi, pour la réussite du baccalauréat de mon fils le 20 et 21 Juillet, et pour le caractère: d'une autre de mes filles. Je ne compte plus que sur vos précieuses prières, pour obtenir miséricorde; ma fille deboitée a obtenu ces jours-ci un ralogement sensible de sa jambe, mais elle ne petit encore marcher sans béquilles et sa hanche est plus grosse que l'autre, son corps balance beaucoup -lorsqu'elle . veut essayer de s'empanner; et moi, je me fais traîner à l'église avec une humble confiance priant et suppliant, en union avec vous, pour tous les miens. [809]
Pensez, mon Révérend Père, que nos deux guérisons miraculeuses seraient le point de depart de plusieurs conversions et du retour zélé de ceux qui se négligent dans leurs devoirs de piété. Pour le bien de ces âmes et de nôtres, attirez sur nous la miséricorde, elle ouvrirà le ceeur et la main dont je ne puis disposer; parsque la foi n'est pas assez ferme. On ne doute pas que cela se puisse, mais on ne croit pas obtenir. Que le Coeur de N. S. triomphe de ces ésitations. Pour moi je crois, j'espère, et j'aime quoiqu'il arrive. -
Récevez, Mon Révérend Père, l'expression de ma bien respectueuse considération et de toute ma reconnaissance pour votre secours près de la S. Vierge
Juin, 1882. 23 G. Faubourg Vendôme, Loir-et-Cher.
Grazie, di Maria Ausiliatrice scritte da Don Bosco.
A maggior gloria di Dio e della B. V. A.
L'anno 1881 sui primi di febbraio cominciò un grave incomodo in parte delicata che mi travagliò molto tempo. Dopo molte sofferenze il mio male degenerò in tumore maligno (scirro) che in breve tempo minacciava la mia esistenza. I medici praticarono quanto l'arte può suggerire ma inutilmente. La sentenza dei medici era questa: senza venire ad una operazione si andava incontro ad una vicina morte. Se facevasi l'operazione era assai incerta la riuscita.
In quei dubbii ho deliberato di raccomandarmi alla S. Vergine sotto il titolo di Aiuto dei Cristiani e se l'operazione fosse riuscita, io avrei fatto un pellegrinaggio a Torino nella Chiesa appunto consacrata a M. A. Ch. compiendo un voto che io faceva d'accordo con mio marito.
Piena pertanto di confidenza nella protezione dell'Augusta Regina del Cielo, munita di tutti i conforti di N. S. R. mi sottomisi alla difficile operazione. Contro ad ogni umana aspettazione la cosa riuscì maravigliosamente e quel male che minacciava la mia esistenza disparve, e nello spazio di pochi giorni mi trovai perfettamente guarita da un male che in simili casi avrebbe forse richiesti mesi e forse degli anni prima di una compiuta guarigione.
Piena di riconoscenza alla mia celeste benefattrice, oggi porgo alla medesima il tributo della mia riconoscenza, compiendo i miei religiosi doveri nella chiesa appunto dedicata a M. A. in Torino. [810]
Questo dichiaro per gloria di Dio, a gloria della verità che qui di tutto buon cuore attesto e confermo.
La beneficata si firmava e ripeteva la data: ELISA PASCALI RAGGI, di Ascoli Piceno.
Don Bonetti la esponga. La nobile damigella Barlocci nipote della signora Marchesa Cravosio, era ammalata gravemente per febbri tifoidee per cui i parenti temevano assai della vita. I suoi parenti, buoni cristiani, vennero a chiedere la benedizione di Maria Ausiliatrice che fu impartita alla malata colla ingiunzione di qualche preghiera. La signora Contessa Cravosio portò seco una medaglia di M. A. e giunta a casa, piena di fede la pose al collo della damigella inferma. Sull'istante la gagliarda febbre cessò, ogni pericolo scomparve ed oggi perfettamente guarita viene a ringraziare la S. Vergine per la grazia ricevuta.
In riconoscenza della grazia ricevuta e perché le glorie di Maria SS. siano sempre più conosciute, tutta la famiglia si raccomanda che al fatto si dia quella pubblicità che ognuno crederà tornare a maggior gloria di Dio ed a vantaggio di tutti coloro che fossero afflitti per qualche malanno o malattia.
Quanto é sopra esposto é tutto conforme alla verità.
Firme autentiche: MARIA BARLOCCI. - GIUSEPPINA CRAVOSIO, vedova BARLOCCI, madre della bambina graziata.
La fanciulla Maritano Rosa soffriva contorsioni alla spina dorsale che l'avevano resa deforme nella schiena e nel petto. Non poteva più camminare. Le fu proposto che un busto macchina l'avrebbe guarita. I parenti dissero: - Se Maria ci fa guarire la nostra figlia, noi offriremo in onore di M. A. le 80 lire che dovremmo spendere per comprare il busto ecc. La benedizione e la preghiera alla Vergine ottennero il sospirato effetto. Guarì perfettamente.
Oggi compiono la loro promessa ecc.
La patria della fanciulla é Giaveno.
Angela Musso da Castelnuovo d'Asti dimorante alla Chotad in Francia, trovavasi col marito travagliato da disperato malore alla spina dorsale. Non sapendo più che fare, si rivolse alla S. Vergine A. e ne chiese con tutto il cuore la benedizione. La grazia fu istantaneamente concessa, e il malato poté tosto alzarsi da letto e ripigliare le sue ordinarie occupazioni, cui attende da sei mesi senza risentirne alcun incomodo.
Deposizione fatta il giorno II luglio 1882, Torino.
Due lettere del Duca di Norfolk a Don Bosco.
We have heard that you yourself and your great army of children have been praying for the health of our little son.
This good news of such great kindness coming as it does from those so far away from us and upon whose generous sympathy we have no claim has touched my wife and myself very deeply. We have heard too of the great works you are carrying on and the account of them has filled us with great interest. May I ask you to accept the enclosed offering of L. 4°.00 as a small help to your great undertaking.
We both most earnestly commend our son's health to vou and yours as an intention for your continued prayers and we only wish we could properly tell you how very deeply thankful we are.
Norfolk House, St. James's Square, S. W., London.
Let me thank you for your most kind letter. If at any time you are so good as to communicate with me I beg you will use what language you plaese as 1 can easily get a friend to translate it for me.
Of those you name French is the one I can read with least difficulty.
Arundel Castle, Arandel, England.
Basi di convenzione per Cremona.
Il nostro ven.to Sig. Don Bosco col suo Capitolo prese a serio esame la proposta e le condizioni di accettazione della Casa di S. Lorenzo per parte della Congregazione, partendo dalle basi stabilite nella riunione ultima che V. S. Rev.ma degnavasi intimare in casa propria.
Ed eccone il risultato nostro.
I° Don Bosco ed il suo Capitolo accettano la Casa di S. Lorenzo che diventerà Salesiana e tale durerà finché a Dio piaccia. Avvenendo il caso di abbandono volontario o forzato di detta Casa, la Congregazione si obbliga a restituire o versare nelle mani della Commissione o chi per essa, Lire trentamila.
2° Sarà impegno della Congregazione a che fiorisca non solo il Convitto, ma eziandio l'Oratorio festivo pei giovani Cremonesi per quanto il locale permetterà e la divina Provvidenza ce ne favorirà i mezzi; essendo gli Oratori festivi uno dei fini principali della Congregazione stessa.
3° La Congregazione accetta pure l'assunto importantissimo delle Scuole Cattoliche elementari dietro il corrispettivo di lire due mila annuali.
4° La Commissione spinta dalla sua naturale generosità e carità fa un mutuo alla Congregazione non minore di Lire 20 mila, dietro l'estinzione annuale di Lire 2 mila senza che decorrano interessi. E ciò per le spese di compra di una delle case immediate e per altre occorrenze allo stesso scopo.
5° La Commissione inoltre é pregata ad incaricarsi delle pratiche per la compra di una delle dette case incominciando però dallo retrostante antico convento come più comodo e adatto, e meno costoso.
Non dubito che la Commissione sarà per accettare senz'altro le incluse proposte della Congregazione, per tosto porre mano e dare impulso e sviluppo alla nuova Casa Salesiana, pel bene di questa [813] popolazione Cremonese e specialmente della gioventù che forma il timore e la speranza di questo degnissimo Prelato e della Commissione per gli interessi Ecclesiastici.
Riceva, Rev.mo Monsignore, unitamente ai Colleghi suoi, i rispettosi saluti ed ossequii di Don Bosco, del suo Capitolo e di chi si dice
Appello dell'avv. Villa pel Tribunale di Cremona.
ALL'ECC.MA CORTE D'APPELLO DI BRESCIA.
Il sacerdote Don Ermenegildo Musso già docente nella scuola privata di S. Lorenzo in Cremona e che per effetto del presente atto elegge il suo domicilio nello studio dell'avv. T. Villa via S. Domenico N. I, Torino - venne in questi ultimi giorni fatto segno ad un'atroce calunnia - che egli avesse così per spirito di brutale malvagità applicate delle ortiche sulle nude carni di due ragazzi e che avesse quindi recato offesa al pudore di uno di essi.
Sorretto dalla coscienza di non aver mancato ai suoi doveri di Cittadino e di Sacerdote egli attendeva di essere invitato a presentarsi dal Giudice istruttore per addurre le sue ragioni di discolpa. - Ma contrariamente al suo diritto ed in contradizione a quanto la comune prudenza poteva suggerire si volle invece chiamarlo per citazione diretta al pubblico Giudizio. Non si badò che la malevolenza aveva intanto esagerati i fatti e dato ai medesimi un carattere contrario alla verità, e sollevando anzi le passioni popolari e suscitando a danno del Don Musso la pubblica universale riprovazione. Si fece anzi qualche cosa di più. - Clamorose dimostrazioni furono scatenate non solo a danno del Don Musso, ma a danno ben anche della scuola, alla quale Egli trovavasi aggregato.
Con quale sicurezza avrebbe mai il Don Musso potuto comparire al cospetto del Tribunale?
Egli ritenne quindi di doversi allontanare dalla Città di Cremona ed attendere per la propria difesa che sovvenisse la calma e la riflessione a disarmare gli animi concitati in modo così violento a danno suo.
Mentre però egli riteneva che l'Autorità Giudiziaria conscia dello stato delle cose avrebbe almeno fatto precedere alla solennità del Giudizio un'istruttoria formale, o ritardato almeno per un tempo [814] conveniente la trattazione di una causa che commuoveva vivamente il pubblico sentimento, venne ad un tratto a sapere che egli era stato dal Tribunale condannato ad una pena di tre mesi di carcere, di giorni 10 di arresto e di Lire 200 di multa.
Il Don Ermenegildo Musso non può riconoscere né conforme alla legge né fondata in giustizia tale sentenza che gli viene detto possa portare la data del 17 Marzo ultimo scorso e contro la medesima dichiara quindi di voler ricorrere all'Eccellentissima Corte di Brescia appellandone per i seguenti motivi.
Non vi fu atto regolare di citazione. - Il Don Musso Ermenegildo era docente nelle Scuole di S. Lorenzo in Cremona: ma chiuse per ordine superiore le scuole medesime Egli lasciava la Città di Cremona. - Ciò era certamente noto all'Usciere il quale in un atto internato nella Sede antica nelle Scuole dichiarò che l'imputato era assente, né in quella sede trovò alcuno che avesse la qualità di congiunto o famigliare del Don Musso. Era quindi necessario che l'Usciere osservasse le disposizioni dell'ultimo alinea dell'art. 189 del Cod.e di P. P. - Ciò non venne dall'Usciere eseguito, e nulla perciò deve ritenersi la notificazione che egli possa avere in altra forma eseguita dell'atto di Citazione.
Ciò che si dice dell'atto di Citazione deve dirsi parimenti della sentenza del Tribunale di Cremona che si dice venisse pronunciata colla data del 17 Marzo ultimo scorso. - Quella sentenza non venne certamente notificata, e se lo fu ciò avvenne in modo irregolare. Essa non fu infatti notificata alla residenza né al domicilio del Don Bruna, né in difetto venne notificata al Sindaco od al Pretore i quali non avrebbero mancato di farla pervenire nelle di lui mani.
Il difetto di un atto regolare di Citazione e di un a regolare notificazione della sentenza assolve l'appellante Don Musso da ogni vincolo di termini. - Esso non ha potuto venir privato del diritto di reclamare contro l'ingiustizia della Condanna. -- Così decisero in specie le Corti di Cassazione di Torino, di Napoli, di Firenze con vari e ripetuti giudicati.
Egli ricorre quindi all'Ecc. Corte d'Appello perché annulli l'ingiusta sentenza per le seguenti principali considerazioni:
1° Perché non poteva per la seguita qualunque irregolare Istruttoria chiamarsi il Don Musso al pubblico giudizio senzaché il Giudice [815] Istruttore lo interrogasse ed egli potesse addurre nel procedimento formale le sue ragioni di discolpa.
2° Il Tribunale fece un erroneo e capriccioso apprezzamento delle circostanze della Causa quando ritenne che vi erano state per parte del Don Musso offese volontarie e determinate da malvagia brutalità d'istinto.
3° Il R.o Tribunale travisò nel modo più aperto i fatti narrati dai due giovanetti, i quali non seppero mai di essere stati sottoposti ad un'offesa, ma intravidero negli atti rimproverati al Don Musso un carattere ben diverso e ben altrimenti definibile.
4° I fatti dei quali si fa rimprovero al Don Musso erano evidentemente ispirati ad un sentimento ben diverso; che se per l'eccesso e l'esagerazione poteva dirsi riprovevole, non era però tale da considerare gli atti medesimi con quelli qualificati dalla legge come offese brutali e punibili con pene severe.
Per questa e per quelle altre ragioni che potranno essere ulteriormente rappresentate si fa istanza piaccia all'Eccellentissima Corte di annullare la denunciata sentenza e dopo più ponderato esame e più imparziale giudizio dichiarare non colpevole il Don Musso del reato che gli venne apposto.
Presentato oggi in questa Cancelleria dal sig. Rossi Giuseppe fu Matteo di Torino procuratore speciale del condannato Don Musso.
Cremona, dalla Cancelleria del Tribunale, addi 6 Aprile 188.
Don Bosco ai pellegrini francesi.
J'aurais bien de choses à vous dire, si je pouvais exprimer tout ce que mon coeur me suggère et vous exposer toutes les pensées qui se pressent dans mon esprit en vous voyant réunis ici, sur la fin de votre long pèlegrinage. Je vous parle en toute simplicité, et avec un entier abandon, comme un ami à son ami. Je suis bien heureux de vous voir ici. Vous avez tenu à venir faire une visite à Notre Dame Auxiliatrice, après être allés déposer aux pieds du Souverain Pontif l'hommage de votre foi catholique et de votre fidélité. Pour le pauvre Don Bosco et ses enfants, ils ne méritaient pas votre visite, mais ils en sont, nous en sommes tous très-contents; et, pour ma part, je ne puis vous exprimer le plaisir que j'en ressens. Je suis toujours [816] heureux quand des étrangers viennent visiter notre oratoire, ma je le suis encore plus quand ces étrangers sont des Pèlerins; je le suis surtout quand ces Pèlerins sont des Français. La France nous a beaucoup aidé, surtout dans ces derniers temps, et si cette maison est ce quelle est à présent, c'est à la France que nous le devons. Nos pays traversent en ce moment des circostances bien difficiles, ils parcourent une route pénible et ce paraît être une des voies admirables de la Providence, un des desseins extraordinaire de sa conduite de se servir de la France pour nous venir en aide.
Je ne puis en ce moment vous exposer toutes choses en détail, mais s'il m'était permis de le faire, vous verriez comment la France est l'appui matériel et le soutien moral de l'Italie.
Vous venez de nous donner un bien bel exemple en allant mettre aux pieds du Saint Père, comme un témoignage de vénération et d'amour, les croix que vous avez rapportées de Jerusalem.
Le Saint Père ne manque pas de croix; elles pèsent sur Lui et Lui arrivent en quantité de tous les côtés; pourquoi donc Lui avoir rapporté des croix? Ah les croix que vous Lui avez portées, étaient de bien grandes consolations pour son coeur de Père! Votre visite était pour Lui un adoucissement à ses douleurs. Et vous tous aussi cet adoucissement à vos peines vous l'aviez déjà trouvé aux pieds du Calvaire, vous avez tous laissé en France des croix plus ou moins pesantes pour en aller adoucir l'amertume avec la prière en ces lieux bénis où jésus a porté la croix pour notre salut nous apprenant à la porter nous-mêmes à sa suite et par amour pour Lui. Vous avez retrempé votre courage chrétien dans ce souvenir vivant et vivifiant, des sublimes excès auxquels l'amour de notre Dieu a porte le dévoû-ment pour nos âmes. Vous reviendrez en France prêts à soutenir toutes les épreuves, à souffrir même le martyre s'il était nécessaire pour la défense de la Religion Catholique. Merci de l'exemple que vous nous donnez et en vous je remercie la France Catholique. Je vous remercie encore à un autre titre; car, je vous l'ai déjà dit, si je vois en vous de fervents Catholiques, je vois aussi nos généreux bienfaiteurs.
Notre reconnaissance ne peut rien vous offrir pour reconnaître vos bienfaits, elle ne peut les récompenser que par la prière. Nous prierons donc pour vous, pour vos familles, pour vos amis, pour tous nos bienfaiteurs Français. Vous allez bientôt nous quitter, mais vous ne nous laisserez pas complètement, nous resterons unis en esprit et plus de 100.000 enfants élevés dans les diverses maisons Salésiennes de l'Europe et de l'Amérique ne cesseront de prier pour vous; je le ferai moi-même; et, tout spécialement, demain matin à la sainte messe. Nous demanderons que vous persévériez dans la charité et les bonnes couvres, que Dieu vous donne la santé et toutes les consolations et surtout que nous ayons le bonheur de nous trouver tous réunis au Paradis à louer et bénir Dieu pour toujours.[le ppgg. 817 e 818 non esistono] [819]
Lettera del Vescovo di Parà a Don Bosco.
Onoratissimo Padre in Gesù Cristo,
Io non ho l'onore di conoscerla personalmente, ma la rinomanza delle opere sue ha traversato l'Oceano ed é giunta in questo nostro paese. Ecco perché nelle angoscie in cui mi trovo, mi é nato il pensiero di ricorrere a Lei, Padre onoratissimo, per pregarla di venire in mio soccorso. La provincia del Parà e delle Amazzoni, che comprende la immensa e ricca valle irrigata da questo gran fiume e da suoi affluenti, é una contrada che, crescendo ogni giorno più d'importanza, sempre maggiormente attira il commercio del mondo.
La fede che fu piantata dai primi nostri Missionari, ora é quasi morta. Questo vasto campo é il teatro delle mie fatiche da venti anni. Ma che cosa ho io ottenuto? Purtroppo ben poco. Il Clero che sono riuscito a formare é assai scarso. Conto più di 40 parrocchie vacanti, e centinaia di tribù selvagge da convertire. Le vocazioni si fanno sempre più rare, sia a causa dei tempi disgraziati che corrono, sia per l'organamento ancor difettoso dei miei Seminari. Solamente una Congregazione religiosa, può introdurvi uno spirito profondo di pietà.
Qualche tempo fa ho scritto al Santo Padre, esponendogli la gravità della nostra situazione. Gli diceva che tosto o tardi saremo per soccombere, se noti avremo l'aiuto di buoni preti e di zelanti religiosi d'Europa. La fede cattolica non si potrà sostenere in queste regioni, se ci mancherà questo cotanto necessario rinforzo. Abbiamo bisogno di rinvigorirci con nuovo sangue. Gli elementi bastevoli per la grande ristorazione cattolica di queste contrade ci mancano assolutamente.
Non passa giorno che io nel santo Sacrifizio della Messa non chieda con lacrime al Signore di mandare operai in questa sua vigna. O Padre mio carissimo in Gesù Cristo, voglia consolarmi nella mia desolazione. Le chieggo una sola parola che mi rialzi, una parola che m'infonda coraggio. Voglia spedirmi qualcuno dei suoi preti, qualcuno di quegli apostoli zelanti, ch'Ella invia nelle varie parti del mondo. Qui vi hanno a compiere opere magnifiche. I mezzi materiali non Le mancheranno. Le do fin d'ora il mio seminario. Questo é già in possesso di un piccolo patrimonio; Le prometto che sarà aumentato. Deh! voglia indicarmi ciò che si avrà da fare, che io voglio oltrepassare i suoi desideri; mi basta solo che Ella voglia consolarmi con questa parola che attendo da Lei: Noi andremo al Parà. [820]
In attesa di sua risposta, caro e onorato Padre in G. C., gradisca l'attestato della mia ammirazione e devozione più sincera in nostro Signore.
ANTONIO DE MACEDO Vescovo di Parà.
Lettere del Vescovo di Parà al card. Jacobini.
Il Rev. Don Bosco inviò pocanzi al Parà uno dei suoi Sacerdoti più distinti, il Rev. Don Lasagna, per trattare con me dell'impiantamento di una grande scuola di agricoltura, d'arti e mestieri, per la istruzione e la educazione dei fanciulli poveri ed abbandonati del Parà.
Il bene immenso che i venerandi Sacerdoti Salesiani possono fare nella mia Diocesi, Vostra Eminenza nell'alta sua saggezza é in grado di apprezzarlo assai meglio di me. Il Brasile più che ogni altro paese dell'America del Sud ha bisogno di un rinnovellamento religioso. Io l'ho detto alla Santa Sede: bisogna soccorrerlo, e soccorrerlo prontamente ed efficacemente, sotto pena di vedervi spegnersi la fede Cattolica. Eminenza, Voi aveste la degnazione di dirmi che il Santo Padre aveva udito con dolorosa impressione e con vivo interesse la voce d'angoscia, che era sfuggita dal mio cuore di Vescovo, e che nella sua benignità apostolica il degno Vicario di Nostro Signor Gesù Cristo prometteva di aiutarci in mezzo alle gravi difficoltà, che ci suscita la setta diabolica, che s'impadronì del povero Brasile. Ebbene, Eminenza, io Vi supplico di volgere in questo momento una parola a Don Bosco, affinché si decida a fondare un Istituto Salesiano in questa Diocesi. Io so che un desiderio del Santo Padre é una legge per quel Sacerdote. Io mi confesso indegno di ottenere questa grazia; ma Ve la domando a nome delle migliaia di poveri orfanelli e a nome di una moltitudine di anime, che chieggono di essere istruite e salvate.
La mia riconoscenza, la mia devozione per la Vostra Eminenza e per la Santa Sede Apostolica saranno eterne.
Ricevete, Eminenza, l'omaggio sincerissimo di questi sentimenti, coi quali mi onoro di essere
ANTONIO Vescovo di Parà. [821]
Lettera di Don Bosco ad una suora francese.
Vous êtes plus sage que votre Maman, car Elle, je crois, a changée habitation et je n'ai pas plus-de nouvelles. Vous êtes religieuse, vous avez faite une bonne choix, Dieu soit béni. Mais votre santé est bien délicate, et cela vous empêche de faire tout ce que vous désirerez pour accomplissement de la sainte règle. Patience. Rappelez-vóus que Dieu paye avec bonne mesure non les ceuvres, mais il paye la bonne volonté et le désir de en faire beaucoup.
Toutefois je ne manquerai pas de vous envoyer une particulière bénédiction et de prier pour votre parfaite santé ou au moins pour une bien remarquable amélioration; et j'ai pleine confiance en Dieu que votre santé commencera améliorer et qu'elle continuera de bien en mieux. Mais avec la permission de votre Supérieure vous direz Pater Ave Gloria au Sacré Coeur de jésus jusqu'à la touts saints. Je ferai faire les mêmes prière. par nos enfants à l'Autel de notre Dame Auxiliatrice.
Si vous avez occasion de voir Maman je vous prie de lui présenter mes respectueux hommages; à toute la famille et particulièrement à Monsieur André mon ancien ami.
Que Dieu vous bénisse et avec vous bénisse Votre très R. Supérieure et toute sa communauté et vos élèves, et -la S.te Vierge vous conserve toutes en bonne santé et en sainteté.
Veuillez bien prier, je l'espère, pour le pauvre Don Bosco et pour toute sa famille (150.000), et de mon côté avec ma mauvaise écriture je serai à jamais en J. Ch.
Tre lettere di Don Bosco al marchese d'Avila.
Je regrette beaucoup que Madame la Marquise d'Avila soit malade. Nous feront bien des prières, et le bon Dieu nous accordera sans doute la guérison. Que le Bon Dieu bénisse vous, Madame, et priez pour le pauvre
Depuis que nous nous sommes vus je n', ai plus eu un moment à moi. Aujourd'hui seulement je puis répondre à votre très aimable lettre. Je regrette beaucoup la triste condition de la jeunesse de votre pays qui on peut la dire de tout le monde.
Dans cette douloureuse situation on peut faire:
1° Employer la personne à faire des bonnes oēuvres dans le borne du possible.
2° Vous ferez très bien de mettre à disposition de. M.r votre curé la remise dont vous parlez, mais avec la condition que vous soyez pas ambarassé dans le cas d'une vente convenable.
Retenez d'abord que un notable changement dans les affaires publiques est bien près.
Je vous prie, o mon cher enfant de choeur, de vouloir présenter mes respectueux hommages à M.r votre curé et à Madame la Supérieure de nos Soeurs (M.me la Marquise d'Avita) en les assurant que je ne manquerai pas de prier pour eux et pour vous pendant que j'ai le grand bonheur de me déclarer en J. Ch.
PS. Vous lirez, se vous pourrei.
Mon très cher enfant de chœur,
Dieu soit béni à jamais. Quelquefois semble que Dieu nous écoute pas, mais c'est sa conduite. Il désire seulement la persévérance dans nos prières et puis la grâce sera assurée. Donc Dieu soit béni et la S.te Vierge soit remerciée de la vente que vous avez faite, et de l'argent que vous me porterez: un gros paquet, n'est-ce pas?
La charge de supérieure pour Madame est prête à tout moment. La même pour vous, mais comme enfant de choeur vous viendrez chez moi dans tout endroit que je sois.
J'ai oublié l'adresse de Madame Ferrand et pour ce la je me recommande à votre bonté de vouloir bien lui adresser la lettre ici incluse, Que Dieu vous bénisse, mon cher et très bon ami; Dieu conserve en bonne santé vous, Madame la Marquise, et fasse de vous deux saints: S.t Charles et S.te Thérèse. Ainsi soit-il.
Veuillez aussi prier pour moi et pour nos enfants et croyez moi avec- gratitude en J. Ch.
Lettera di Don Dalmazzo a Don Bosco.
Eccole il Breve duplicato pel Conte Colle. Ottenni a stento a L. 50 si rinnovasse. Il Card. Jacobini ricevette volentieri le buone notizie sulle missioni. Al Papa non potei ancora pervenire benché abbia fatto dimanda. Ebbe la lettera mia che trattava dei privilegi e dei buoni uffizi del Card. Ferrieri? Mi rincrescerebbe assai fosse andata smarrita, perché conteneva informazioni delicate e piuttosto particolareggiate. - Mons. Masotti dice che trova il cammino irto di spine, che conviene andare adagio, dar tempo al tempo e tutto si farà. - Mons. Jacobini, cui parlai del Vicariato, mostrò molto buone disposizioni e disse aver sospeso la pratica, perché Ella, o Padre, promise o di passare da lui prima di partire o di scrivergli maggiori dettagli. - Domani se starò meglio, essendo infreddatissimo, andrò dal Sostituto a prendere gli ordini sul da farsi. - La Chiesa é sempre allo statu quo. Fino ad ora nulla di nuovo. Se andiamo di questo piede, passerà anche l'ottantatré senza lavoro.
E' giunto il caro Don Manfredi volenterosissimo di prestarsi a tutto. Per ora, facendo il Prefetto di Sacristia e scuola serale, si occupa della morale, dovendo dar l'esame. La ringrazio di questo aiuto perché non se ne poteva più.
Favorisca dire a Don Bonetti che per la lotteria si lavora alla sordina in preparativi, ma che per ora non conviene parlarne con tante collette per gli innondati. Almeno questo é il consiglio delle persone prudenti. Per gennaio si potrà pubblicare.
Il Card. Nina é stato da noi. Ha parlato al S. Padre delle cose nostre e se ne mostrò molto soddisfatto massime per le Missioni. Pei privilegi dice che finché vi é Ferrieri non é da sperare. In un prossimo mutamento o per promozione o per morte, mi disse confidenzialmente essere designato dal Papa ai VV. e RR. il Card. Jacobini. Da lui potremo sperare aiuto, conforto. Il Card. Nina vuol sapere se vi sono novità coll'Arcivescovo. Seppe dell'accoglimento fatto a S. Giovanni e disse: E’ sempre lui.
Domenica con Don Cagnoli parto per Magliano ove detterò gli Esercizi. Di là scriverò l'esito. Umilio gli ossequii di tutti e le bacio la mano.
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Di questo prodigioso avvenimento parla Don Lemoyne nel vol. VII, pag. 352. La Madre Giulia Sannazzaro delle Dame del Sacro Cuore, nipotina della marchesa di Sommariva, ne scriveva a Suor Pierina Rabiola, Figlia di Maria Ausiliatrice, l'8 maggio 1903.
Desidera particolari sul miracolo del suo Beato Padre?... Egli era andato nelle sue corse apostoliche a Sommariva del Bosco Bra e, senza avvertire come era suo uso con gli intimi, era venuto al Castello per la colazione, verso le II e ½. Era il giorno 19 Novembre 1862, festa di S. Elisabetta e onomastico della Nonna, la quale, con gli zii, era tra i Cooperatori Salesiani ecc. Nel corso della colazione il Beato si accorse che si festeggiava la nonna al castello; allora con quel suo fare semplice e grazioso, disse di essere ben dispiacente di non averlo saputo, e che sperava avrebbe il Signore riparato e pagato la festa al posto suo... E si prese la cosa come un delicato complimento e nulla più.
Ma all'uscire di tavola, e passati nell'attiguo salone, che apriva a sua volta nella stanza da letto della nonna (con due finestre l'uno e l'altra) quale non fu la sorpresa di tutti vedendo queste, poi tutto il muro del castello da quella parte, incorniciate quelle, ricoperto questo, di bellissime rose, fiorite su un rosaio rampicante che era brullo per la stagione!
Furono esclamazioni di gioia da parte dei presenti, e il Beato col suo modo bonario a ripetere: “Vedano, il Signore ha proprio pagato la festa alla Signora Marchesa!...”. [825]
Il commendatore Filippo Tolli, uno degli uomini più benemeriti dell'Azione Cattolica in Italia, scrisse questa pagina forse per qualche occasione speciale. L'originale é nei nostri archivi.
Quando un'opera é reclamata da veri bisogni sociali, si impone fin dal principio di sua fondazione. Ecco perché la istituzione dei Salesiani di Don Bosco fu subito accolta con entusiasmo, e conquise il mondo non appena apparvero i primi fulgori della sua beneficenza.
Don Bosco, ispirato da Dio, intuì le miserie del suo tempo, e fondò una legione di angeli, che celeri come folgore, si sparsero per l'orbe a curarne le piaghe, a sollevarne gli affanni, e tosto l'opera del sacerdote torinese addivenne la più popolare dell'universo.
Questo fatto fu un miracolo della divina Bontà: e tali miracoli Iddio li fa solo per mezzo dei suoi santi.
Mi riporto a tre punti della sua vita.
Don Bosco fu ricevuto in udienza particolare dal S. Padre Pio IX, che lo aveva in grande stima e che lo accolse più da amico che da suddito. All'uscire dall'udienza una sola voce si levò per le sale Vaticane: “ecco il santo!... ecco il santo!...”. Tale voce echeggiò sommessamente lungo il suo passaggio, mentre l'umile servo di Dio transitava tra due file di ammiratori... prelati... cortigiani, famigliari e cattolici ammessi all'udienza, i quali tutti chinavano la testa per riverenza.
Il giorno della udienza di Don Bosco faceva il servizio della anticamera pontificia Mons. Francesco Ricci Paracciani, cameriere segreto di Sua Santità, e quindi Card. di S. R. Chiesa. Ammirato della virtù di Don Bosco, il Ricci, che spendeva il suo zelo sacerdotale a pro delle classi operaie in una scuola serotina, pregò il ven. fondatore dei Salesiani di recarsi nella prossima domenica a tenere un discorsetto ai suoi giovani dell'oratorio festivo nella or distrutta chiesa di S. Francesco, presso il Ponte Sisto.
Don Bosco accettò l'invito; e il modo come Mons. Ricci lo partecipò agli operai fu questo: “Domenica prossima alla Congregazione [826] vi parlerà un santo. Egli si chiama Don Bosco, ed é l'apostolo della gioventù”. Il discorso fu tenuto, l'affluenza dei giovani fu numerosa; il frutto fu grande: e quando da quei giovani si voleva rammentare la fausta data si diceva da ognuno di essi: “Quel giorno che venne a predicarci il Santo”.
Mi recavo da Novara a Torino. Affacciatomi ad un comparto di seconda classe, vidi modestamente rincantucciato in un angolo un umile sacerdote, mentre i troppo sbrigliati operai facevano un chiasso straordinario. Vi era ancora un posto da occupare, e mi sembrò che potesse essere il mio, anche a conforto del negletto prete, che non si trovava certo in degna compagnia.
Mi sedei accanto a lui; e riconoscendolo, esclamai forte: “Don Bosco!... sono lieto di trovarmi al suo fianco!...”. Magico effetto di quel nome! Gli operai cessarono all'istante di far baccano; e, quantunque mezzo avvinazzati, alzarono su lui riverente il ciglio, e sottovoce ognuno ripeté: “Don Bosco!”. La battaglia era vinta, gli spiriti erano domati e il santo salesiano divenne l'arbitro della situazione. Da Novara a Torino quei figli del lavoro si mostrarono soddisfattissimi della compagnia di Don Bosco, di cui taciti e riverenti ascoltarono la santa parola di religione, ad essi rivolta, e, giunti a Torino, gli baciarono ossequiosi la mano nell'accomiatarsi.
Questi tre semplici episodi, dei quali chi scrive fu testimonio, avvenivano dal 1868 al 1875. Onde possiamo concludere, che fin d'allora il Ven. Don Bosco tanto dalla corte pontificia, quanto dal ceto operaio e dagli artigianelli delle scuole notturne di Roma era stimato santo!
Suor Maria Gabriella, procuratrice delle Norbertine, scrive da Château de Grimberghe nel Brabante:
C'était vers 1875 que la chose se passait. Une demoiselle du monde, très fortunée, désirait se donner au Bon Dieu, les obstacles était nombreux. Son tuteur, comme elle était orpheline„ y mettait des empêchements que l'on croyait insurmontables. Cette demoiselle alla trouver Don Bosco, lui raconta sa vie, lui dit son grand désir de devenir religieuse au plus tôt. - Mon père, dit Mademoiselle X, si vous m'obtenez cette grâce d'ici à trois semaines, je vous donnerai cinquante mille francs pour vos oeuvres. - La faveur fut obtenue, [827] la promesse joyeusement accomplie, et l'année dernière une Moniale d'un grand Ordre rendait à Dieu sa belle âme de foi, après avoir accompli pendant de longues années les plus admirables vertus du Cloître.
L'abate Stefano Monteils, cappellano nell'educandato di Notre-Dame a Tolone, tenuto dalle Orsoline, scriveva al Direttore del Bollettino f francese:
Je réponds à l'invitation du Bulletin en vous adressant un souvenir déjà bien lointain que ma mémoire a néanmoins très fidèlement conservé. Puisse cette modeste petite pierre servir pour le monument que vous vous proposer d'ériger à la gloire de notre nouveau Saint.
C'était en 1879. De passage à Toulon Don Bosco avait prêché à la Cathédrale un sermon de charité en faveur de ses OEuvres. Sa grande réputation de sainteté y avait attiré une énorme affluence de fidèles avides de l'entendre, mais plus avides encore de le voir, de l'approcher. Quand il descendit de chaire pour se rendre à la sacristie on eut toutes les peines du monde à le défendre contre les manifestations de la foule qui poussait l'indiscrétion jusqu'à couper des pans de sa ceinture.
A l'issue de cette émouvante cérémonie le pieux directeur de la Maîtrise de la Cathédrale pria le Saint de vouloir bien venir bénir les élèves de son école et leur adresser quelques paroles d'édification. La visite fut promise pour le lendemain matin. Les recommandations les plus pressantes furent faites par le directeur aux enfants de ne pas rire ni sourire de l'accent étranger et des expressions peu françaises de Don Bosco. Recommandations bien superflues, car dès que le Saint parut, tous furent sous le charme de son sourire et de ses yeux. Et ce fut dans le plus profond recueillement qu'on écouta son allocution et qu'on reçut sa bénédiction. Après quoi il se dirigea en toute hâte vers la porte de sortie qui se trouvait au fond de la salle.
Mais tout à coup il s'arrêta devant un enfant de 12 ans placé à l'extrémité d'un banc, il plongea son regard dans ses yeux, posa une main 'sur sa tête, et avec un sourire d'une ineffable douceur lui dit dans un' mauvais français: - Toi, tu seras prêtre et il passa.
A vrai dire, l'enfant fut plus fier, plus glorieux de la préférence dont il était l'objet que de la parole qui lui état dite. Toutefois il n'oublia jamais l'une et l'autre... Depuis plus de 40 ans il est prêtre [828] et son seul désir est celui d'être le prêtre selon le coeur de Saint Dom Bosco.
Ce prêtre, Monsieur le Directeur, vous devinez sans peine que c'est le signataire de ces lignes qui vous envoie avec ses meilleurs voeux pour vous, votre Bulletin et toutes les (Euvres salésiennes l'hommage de son religieux dévoûment.
Extrait des annales de ter Monastère de la Visitation
Le 3° Janvier Mr. le Chanoine Gastaud, notre vénéré Supérieur, accompagna Dom Bosco qui célébra le Saint Sacrifice de la Messe dans notre Église. Ce digue 'Prêtre regardé comme le Thaumaturge de notre siècle, se rendit au parloir. Il nous bénit et nous promit le secours de ses prières. Nous les lui demandâmes surtout pour nos Soeurs malades en ce moment. «Je les bénirai moi-même volontiers», répondit d'un ton inspiré Dom Bosco. Mr. Gastaud frappé de son ton d'assurance, crut voir dans ces paroles un indice de- la volonté de Dieu et proposa à l'éminent visiteur d'entrer dans le Monastère, ce qu'il accepta avec empressement. Nous le conduisimes d'abord à l'infirmerie où notre chère Soeur L. G. souffrait depuis bien des mois. Nous désirions beaucoup sa guérison et nous l'espérâmes un moment; mais Dom Bosco, en la bénissant, l'exhorta à la patience et à l'abandon la pauvre malade pressentit qu'elle ne devait plus espérer sa guérison... Le 1o Août, en effet, elle rendait son âme à Dieu...
... Entrant ensuite dans une cellule voisine occupée par Mademoiselle Adrienne Perrier nièce de notre vénérée Soeur Marie Agnès, l'envoyé de Dieu l'engagea à se recommander à Notre Dame Auxiliatrice, dont il lui donna la médaille, promettant à la jeune malade que la Sainte Vierge la guérirait, ce qui eut lieu aussitôt après cette visite. Mademoiselle Adrienne entra bientôt chez les Religieuses de Notre Damé Auxiliatrice à Nizza, elle' a eu le bonheur de faire ses voeux à Turin où elle est morte saintement, après s'être dévouée pendant ans.
Nous devons mentionner encore une grâce produite par la visite de Dom Bosco.
Soeur Marie de Sales D se mourait en proie à des peines intérieures qui l'avaient tourmentée toute sa vie. « Cette visite, lui dit Dom Bosco, en entrant dans son infirmerie, est une visite de paix», et. les dispositions de la malade changèrent subitement : Elle vécut encore 8 jours dans la 'paix la plus profonde. Au moment de sa mort Dom Bosco [829] dit à Mr. Gastaud: «La Soeur de la Visitation est panie pour le Ciel » sans qu'il eût pu en être informé par un moyen humain, ce qui nous remplit de confiance sur l'état de notre chère Soeur.
Vecchi conti con la vedova Bellezza.
Lettera rinvenuta fra le carte del Beato. Non vi appare a chi fosse indirizzata. (Cfr. GIRAUDI, L'Orat. di Don Bosco, pag. 91).
Nel sistemare i conti colla vedova Bellezza avvi qualche differenza sui lavori fatti eseguire da me di consenso della predetta Signora nella sua casa della Giardiniera. I lavori fatti sono indispensabili affine di potersi servire del locale, tuttavia io me ne assumo la metà spesa.
Per questo prego V. S. Ill.ma di voler interporre la sua benefica influenza, e far notare la necessità di questi lavori, rimettendomi anche al giudizio di persona perita.
Le accludo la somma di fr. 311,70 che uniti alle spese, come da nota, fatte pel vetraio, Bianchino Capomastro fanno l'ammontare di fr. 475 fitto del semestre.
Pieno di fiducia nella provata di Lei bontà mi dico colla massima considerazione
Don Lemoyne nel volume V pubblica quattro lettere di Don Bosco a un seminarista, studente di Teologia, omettendone un'ultima, della quale, come delle altre, possediamo l'autografo. Il destinatario é defunto da tempo.
Per rispondere direttamente alla preg.ma sua lettera avrei bisogno di sapere il tempo da cui non ci furono più ricadute. Mio sentimento, coram Domino, sarebbe che non si assumessero ordini finché non siano [830] trascorsi almeno sei mesi di prova vittoriosa. Non intendo però di proibire di seguire il parere delle persone che l'hanno incoraggiato di andare avanti.
Dio l'aiuti: preghi per me ed io pregherò anche per Lei mentre con affetto paterno mi dico tutto
Al chierico Giuseppe Bongioanni.
Don Lemoyne parla di questo chierico in più luoghi delle Memorie Biografiche, come in vol. V, pag. 127; vol. VII, pag. 235 e 337.
Se potrò, ben volentieri somministrerò a tua zia la somma che mi accenni; ma non posso dir nulla finché sia giunto a casa ed abbia fatta la sottrazione dei debiti dai crediti.
Dirai a tua zia che speri nel Signore ed egli avrà cura di noi; tu poi accudisci lo stadio e la pietà; sta molto allegro; procura di farti presto santo: haec est voluntas Dei sanctificatio vestra, dice S. Paolo.
Affinché io possa rispondere categoricamente per l'accettazione del giovanetto Cerutti figlio del bigliettario della staz. di Novara bisogna che egli mi dica se intende avviarlo allo studio o ad un mestiere, quale istruzione abbia conseguito, più un certificato di condotta morale, e se intende di pagare pensione o entrare per carità.
Avuti questi schiarimenti risponderò tosto nel senso più favorevole, che mi sia possibile. [831] Dica al Sig. Can.co Gallenga che noti fui più a tempo per fare la sua commissione, perché le carte erano già spedite.
Dio la benedica; preghi per me e per questi miei poveri giovanetti, mentre mi professo con sincera affezione
Alla Confessa Margherita Caccia (Milano).
Appena ricevuta la lettera che nel 19 di questo mese compiacevasi indirizzarmi ho subito disposto che si facessero preghiere pel di Lei figlio caduto ammalato e fra le altre cose ho scelto sei giovani dei più commendevoli per pietà, affinché ogni giorno facciano la loro santa Comunione, ascoltino la santa Messa secondo le pie di Lei intenzioni. Io poi ho sempre fatto commemorazione speciale nella santa Messa.
Preghiamo e speriamo, Dio esaudisce certamente queste nostre preghiere ad eccezione che, questo nostro Padre celeste da buon negoziante volesse darci oro invece di terra siccome dimandiamo, vale a dire volesse dare la salute eterna in luogo della salute temporale.
Anche in questo caso adoriamo la santa volontà del Signore.
La prego di fare i più rispettosi ossequii alla Sig.a contessa Dal Verme, assicurandola che non la dimenticheremo nelle deboli nostre preghiere.
Dio benedica Lei, Sig. Contessa, benedica tutta la sua famiglia e le conceda (ne sia sicura) corone di rose, dopo le corone di spine. La Santa Vergine ci aiuti tutti a camminare per le vie del cielo. Amen.
Raccomando me e li miei giovanetti alla carità delle sante sue preghiere, mentre con sentita gratitudine ho l'onore di professarmi
PS. Riapro la lettera per dirle che ricevo in questo momento un dispaccio telegrafico dalla contessa Dal Verme in cui mi dice il suo figlio essere vie più dal male aggravato. Raddoppiamo le nostre preghiere e mettiamoci interamente nelle mani del Signore. [832]
Il cav. é assente, é a Roma, io ne farò le veci[611]. Venga adunque V. S. Ill.ma con tutte le persone che giudicherà di condurre seco alla Messa di mezzanotte; dimandino soltanto del Sac. Don Cagliero; esso loro fisserà un posto meno disagevole. Dal canto mio li raccomanderò tutti nella santa Messa.
Raccomando me e li miei poveri giovanetti alla carità delle sante sue preghiere e mi professo con gratitudine
al Duca Tommaso Scotti di Milano.
Nella incertezza della sua venuta in Torino nella occasione di queste feste stimo farle cosa cara il dirle un regalo spirituale che intendo di farle. E’ il seguente. Nel corso di questo Ottavario ho disposto che ogni giorno si dica una messa privilegiata secondo la pia di Lei intenzione. Il mio scopo é di invocare speciali benedizioni celesti sopra di Lei, la Sig.ra Duchessa di Lei moglie, sopra tutta la famiglia, affinché Iddio nella sua profonda misericordia le conceda di vederli tutti crescere e vivere nel santo timor divino, ed abbia la grande consolazione di vederli tutti intorno a Lei un giorno nella patria dei beati.
Questo é un piccolo segno della più viva mia gratitudine pei benefizi fattici in tante critiche circostanze. Ella con bontà lo voglia gradire. [833]
Raccomando me e la mia famiglia alla carità delle sante Sue preghiere e mi professo con pienezza di stima
Mi capita tra le mani un dipinto o meglio una fotografia che sembra molto analoga al nostro scopo con qualche piccola modificazione. Credo che mettendo S. Francesco di Sales al posto di Pio IX, e tracciare il Ciablese al posto della venerabile Taigi, si possa avere un lavoro come si desidera. Se si vuole si potrebbe anche collocare il Salvatore al posto di S. Paolo, oppure lasciare lo stesso Apostolo delle genti.
Io dico tutto quello che mi sembra tornare della maggior gloria di Dio; ma desidero che Ella segua quel pensiero che Dio le farà giudicare migliore.
Pregando di cuore il Signore che spanda copiose le sue benedizioni sopra di Lei, sopra tutta la sua famiglia e specialmente sopra la Signora Duchessa Barberini, ho l'alto onore di potermi professare.
Eccellenza e car.mo Sig. Duca,
Ho ricevuto la somma di fr. 500 che nella sua grande carità mandò pei vari nostri bisogni. Io la ringrazio di tutto cuore. Tale somma in questo anno di strettezze eccezionali e di scarsezza di beneficenza, é per noi un aiuto che corrisponde al triplo degli altri tempi.
Abbiamo una congregazione nascente, i membri crescono ogni giorno, la messe si presenta ogni giorno copiosissima. Ma dobbiamo fermarci per mancanza di mezzi. Ella pertanto aiutandoci in questi momenti, aiuta una congregazione, [che] pregherà per tutto il tempo della sua esistenza per colui che aiutò ad impiantarla ed a sostenerla.
Venendo poi all'oggetto che mi accenna, le dico anche in confidenza che io mi sono trovato nella stessa apprensione. Il mio salvaguardia fu una medaglia di Maria -Ausiliatrice. Per tre volte il fulmine mi cadde vicino, fino a trasportarmi il letto con me dentro da una parte all'altra della camera; ma non ne riportai mai offesa alcuna. Ora temo più niente, qualunque succeda minaccia di temporali, di burrasche, di tuoni. [834]
Io credo poterla assicurare a nome del Signore che non le sarà mai per accadere cosa alcuna colla medaglia in dosso e colla confidenza in Maria.
Nella Sua lettera mi accenna alla probabilità di recarsi a Cerano nel Novarese dopo la metà di questo mese. Se tale cosa si avvera, Ella permettendolo, andrei volentieri a farle visita e passare seco Lei una giornata.
Non mancherò di fare ogni giorno di fare (sic) uno speciale memento nella Santa Messa, e pregando Dio a conservare tutta la sua famiglia in sanità ed in grazia sua, raccomando pure la povera anima mia alla carità delle sue sante preghiere mentre mi professo di V. E. Car.ma
L'autografo é posseduto dalla Contessa Lucrezia Bardi Dufour Berte, di Firenze.
La ringrazio della sua lettera e dei cristiani sentimenti che con essa mi esprime Si assicuri, Sig. Contessa, che io non manco ogni giorno di raccomandare al Signore Lei e tutta la sua famiglia nella Santa Messa. La memoria dei benefizi ricevuti non sarà giammai per dimenticarli. Il conte Oreglia é ben contento di potersi adoperare in quelle cose che possono tornare a qualche suo vantaggio: lo stesso dico io e tutti quelli della nostra famiglia.
Con sua comodità La prego di portare o meglio far tenere una medaglia commemorativa con lettera ai seguenti indirizzi:
1° Alla Sig. Elena Rati-Amerighi. Via S. Spirito N. 1.
2° Alla Sig. Teresa Coletti. Via Ginori N. 19.
3° Alla Sig. Alessandra Coletti idem.
Queste persone si sono molto adoperate per nostro bene e specialmente per la chiesa di Maria A.
Le acchiudo una immaginetta di M. A. che io incarico di portarle la sua santa benedizione.
Se mai ne avesse conoscenza e potesse ossequiare le seguenti persone: Contessa Virginia Digny - March. Enrichetta Michelangelo - March. Gerini Isabella - Contessa Girolama Uguccioni - mi farebbe piacere; sono tutte persone di molta pietà ed insigni benefattrici della novella Chiesa. [835]
Don Francesia si unisce meco ad augurarle ogni bene dal cielo, mentre io mi raccomando alla carità delle sante sue preghiere e mi professo
Questo biglietto di raccomandazione é indirizzato a Don Annibale Serra, segretario del Patriarca di Costantinopoli Ruggero Emidio dei Marchesi Antici Mattei.
Latore di questo biglietto é il Cav. Ghirelli che va a Costantinopoli per alcuni suoi interessi particolari. Esso é mio amico, ed ogni atto di benevolenza usato a Lui, lo reputo fatto a me stesso.
Dio ci benedica tutti, e ci renda felici nel tempo e nella eternità.
La lettera si riferiva all'acquisto della casa malfamata presso l'Oratorio per allogarvi le Figlie di Maria Ausiliatrice; vi era unita un'apposita circolare (Cfr. M. B., vol. XI, pag 367 sgg.).
Maria Ausiliatrice va a bussare alla porta del suo cuore, perché allontani e distrugga una casa di Satanasso. Dal foglio unito può conoscere di che si tratta. Se perciò può venirmi in aiuto a mettere insieme la somma che qui è notata, avrà certamente la consolazione di sentirsi, un giorno dal Signore: Hai salvato delle anime, perciò hai salvato la tua.
Qualunque cosa faccia, sia. in suffragio dell'anima della compianta sua sorella madama Jano Dio la benedica, preghi anche per me che con gratitudine mi professo
Accetta probabilmente un famiglio, raccomandatogli dalla Contessa Olimpia di Pamparato. All'appello per i Missionari la nobildonna rispose (vol. XII, Pag. 319).
Mi occuperò volentieri del suo raccomandato. Lo mandi qui e dimandi Don Lazzero, che vedrà in quali cose possa essere occupato in questa Casa.
Raccomando poi a Lei e al Sig. Conte di Lei marito la causa de' miei poveri Missionari come vedrà nella lettera che unisco.
Dio benedica Lei, suo marito, e assicurandoli delle deboli mie preghiere, mi professo con gratitudine
Scrive a monsignor Salvai, chiedendo a lui cosa che non potrebbe ottenere dall'Ordinario di Torino.
Ho tre sacerdoti che devono partire per le Missioni, e sebbene siano abbastanza istruiti, tuttavia pei motivi che può facilmente arguire non potrebbero qui presentarsi ad un regolare esame di confessione. Fo pertanto a V. S. Rev.ma e Car.ma preghiera di volerli munire di una patente di confessione per la sua diocesi, di cui non avranno certamente occasione di servirsi, ma che varrà per quei luoghi, dove occorresse di confessare prima di essere con dimora stabile in qualche diocesi.
Martedì pel convoglio che parte da Genova Torino e che giunge ad Alessandria alle 10 circa passerà Don Albera e se nella sua grande bontà potesse mandare qualcuno alla stazione a portar il pacco farebbe novello favore. Se non si potessero incontrare, io manderò qualcuno a ritirarlo. [837]
Si degni di benedire le cose nostre e questo poverello, che colla più profonda gratitudine pei favori fatti, si professa umilmente in G. C.
Lettera di Don Bosco al P. Perucchetti.
Il P. Felice Perucchetti, Vicario spirituale di Alfiate in Brianza, aveva pregato Don Bosco di ricevere presso di sé il suo zio materno Don Antonio Marinelli, che per acciacchi voleva ritirarsi dalla parrocchia. Don Bosco gli rispose:
Il parroco di cui scrive V. S. potrebbe benissimo essere accettato con me a Torino, purché nel vitto possa conformarsi alla vita comune. Se egli giudicasse di farne l'esperimento, io sarei assai contento. Tra aprile ed ottobre p. potrebbe venire a passare qualche giorno, o qualche settimana con me, e mentre potremmo parlarci e intenderci di ogni cosa, egli potrebbe fare prova, se gli é compatibile il progettato tenor di vita.
Ho ricevuto L. 14 per l'opera di Maria Ausiliatrice e ne la ringrazio di cuore.
Dio le conceda vita felice, e preghi per me che le sarò sempre in G. C. Roma, 8 febb, 78.
Scritta da Roma, quando il Servo di Dio vi accompagnò l'Arcivescovo di Buenos Aires (cfr. vol. XIII, pag. 134 sgg). Si tratta degli esami straordinari di abilitazione all'insegnamento nelle scuole secondarie (cfr. ivi, pag. 23 sgg.). L'originale si conserva alla Nazionale di Firenze (Cass. 329, n. 229).
Don Rua mi dice che fu pubblicato il decreto per gli esami straordinari per le scuole secondarie. Ora prenditi la cosa sommamente a cuore e risparmia niuna sollecitudine per quanto può contribuire alla buona riuscita di questi esami, [838]
Avvisa quelli che ti sembrano idonei, e se occorrono libri od altro, fa che si abbiano.
Mons. Cigolini[612], Mons. Fratejacci ti salutano.
Dirai a Don Guidazio che stia allegro, si faccia buono, si metta di buon accordo con Febbraro e Bonora per farmi molti Salesiani.
Dio sia benedetto. Egli l'accompagnò e l'assisterà in ogni passo e la ricondurrà sana e salva in patria. Prego in questo senso ogni giorno nella S. Messa e nelle nostre comuni preghiere.
Porti o mandi questo biglietto al Sig. Can.co Arcip. Oliveri, e avrà la conoscenza di una santa persona. Per l'affare del giovane Muratori ne lasci la cura a me.
In questi caldi sono rimasto mezzo cotto. Ora respiro alquanto. Di questo mese abbiamo già aperto cinque case, e sono già tutte ben popolate; quattro saranno aperte nel prossimo agosto, a Dio piacendo. Non é vero che siamo progressisti?
Dio benedica Lei, la sua compagna e mi abbia in G. C.
Lettere alla Confessa Uguccioni.
Parla di lei Don Lemoyne nel vol. VIII, pag. 536. Gli autografi delle lettere alla medesima indirizzate sono custoditi dagli eredi a Firenze.
La grazia di N. S. G. C. sia sempre con noi. Amen.
Avrei dovuto scrivere prima di ora a V. S. B. per ringraziarla della grande bontà e carità che Ella unitamente alla venerata di Lei [839] famiglia mi hanno usato nella occasione in cui ho fatto la mia gita a Firenze. Lo avrei fatto, ma non volendo far scrivere da altri, e i miei occhi essendo incomodati, ho dovuto per questo motivo differire. Grazie a Dio ora sto bene. Ella, Signora Contessa, non può immaginare la santa impressione che in me lasciò la pietà, la carità e la cortesia dei Fiorentini e specialmente della alta sua famiglia, capo il di Lei marito.
Ho più volte ringraziato Iddio che si degni inspirare tanto coraggio, fede e fermezza nella nostra cattolica religione. Non diciamo di più, perché Ella non vuole, sia tutto a maggior gloria di Dio. Ho fatto come ha detto, e giunto appena a casa ho fatto recitare una speciale preghiera per Lei e per la sua famiglia, e finché vi saranno giovani in questa casa io intendo che Ella abbia sempre parte delle povere nostre preghiere come persona che prega per noi e come nostra insigne benefattrice.
Io volevo fare un regalo a Lei ed alli Signori suo marito e Generi, ma non sapendo quel che offrire, che fosse degno di loro, ho pensato di fare il piccolo, ma cordiale omaggio della Storia d'Italia. Si compatisca il dono, ma assai più il donatore.
La Marchesa Villarios deve partire per Roma, ed io avrei bisogno che Ella colle pie sue figliole aiutassero o meglio si mettessero a sua vece per far centro de' biglietti di Lotteria che furono in vari siti indirizzati, che sono ritornati o se ne richiedono. Che ne dice? Lo faccia per amore di Maria Ausiliatrice. E per Lei? Ecco la sua parte.
I. Non si dia alcun fastidio per le sue cose di coscienza; ogni cosa é a suo posto.
2. Abbia viva fede in Gesù Sacramentato e quando le occorre qualche grazia gliela domandi con fiducia che certamente la otterrà.
3. Preghi per il povero Don Bosco affinché mentre dà precetti agli altri non trascuri gli affari di sua eterna salvezza.
Del resto quale umile Sacerdote di Gesù Cristo io prego dal Cielo, sanità, grazia e giorni felici a Lei, alla sua famiglia ed alle famiglie delle sue figliuole, cui tutti dia Iddio vera ricchezza, il Santo Timor di Dio.
Raccomando me e li miei poveri giovanetti alla carità delle loro preghiere e mi professo con sentita gratitudine
A maggior gloria di Dio. Ho ricevuto la sua lettera e la ringrazio della carità che continua ad usare a questa casa. Siccome i lavori di costruzione si sono ripigliati, quindi bisogno di danaro, così Ella [840] potrebbe portare al Sig. Don Giustino il danaro che poté ricavare dai biglietti spacciati e mi sarà inviato dal medesimo con mezzo facile e sicuro.
Questo Sig. D. Giustino ha presso di sé parecchi biglietti che a Lui furono recapitati; se oltre a quelli che ha seco, Lei ha speranza di distribuirne altri potrebbe dimandarne. Fra breve avrà un potente aiuto per lo spaccio da questa contessina.
Si persuada, Sig. Contessa, e lo dica pure al rispettabile di Lei marito, che noi li abbiamo ambedue annoverati fra le persane cui, oltre la gratitudine, intendiamo far parte delle deboli nostre preghiere finché sussisterà quest'Oratorio. Anzi il Giovedì Santo i nostri giovani faranno la loro comunione secondo la loro intenzione, cioé allo scopo di invocare le benedizioni del cielo sopra di Lei, sopra il Carissimo Sig. di Lei Marito, sopra le Loro figlie, generi e bambini e così tutti vivano giorni felici in questo mondo per fare di poi (quando a Dio piacerà) una sola famiglia nella patria dei Beati.
Il Cav. Oreglia deve andare a Roma per la consacrazione in Arcivescovo del suo Fratello; probabilmente passerà per Firenze per farle una visita.
Ma Ella non si inquieti per le cose di coscienza, che non ne ha motivo, e si ricordi che le spine che ci pungono nel tempo, saranno fiori per l'eternità.
Preghi per me e per i miei giovanetti e mi creda nel Signore
Con gran piacere ho ricevuto delle sue notizie e ringrazio Dio che li conservi tutti in sanità. Se le corse della ferrovia non fossero irregolari e sospese, le sarei già andato a fare una visita; ma bisogna attendere.
In quanto al ritiro Capponi bisogna piuttosto lasciar fare dalla Provvidenza che consiglierà. Se potessi parlarle vorrei accennarle come qui in Torino vi sono le Maddalene che [hanno] proprio lo scopo di raccogliere e mettere sul buon sentiero giovanette traviate. Esse hanno già una casa a Brescia; nel prossimo autunno ne apriranno un'altra a Venezia. Sono zelanti, fervorose, economiche, tra noi fanno molto bene. Chi sa che non possano convenire?
Io ho sempre raccomandato Lei e tutta la sua famiglia al Signore nelle comuni nostre preghiere e le do parola che continueremo a far così finché non saremo tutti in paradiso. [841]
La nostra famiglia va bene; la cupola della Chiesa é a buon punto, ma a motivo dei quattrini i lavori sono ridotti a poca entità. Possiamo dire che la principale questuante per la Chiesa é la stessa Maria Ausiliatrice. Tutti i giorni si incominciano novene con promessa di qualche oblazione se si ottiene la grazia; finora niuno fu deluso e così teniamo in movimento le opere di costruzione.
Avrò piacere di sapere se la March. Gerini é a Firenze.
Dica al Sig. suo marito che ho una notizia bella a dargli, ma non possa manifestargliela se non fra due mesi dalla data di oggi.
Dio benedica Lei, Signora Contessa, il Sig. Cav. di Lei Marito, figlie, generi e nipoti.
Raccomandandomi alle loro preghiere auguro a tutti le benedizioni del cielo e mi professo di V. S. B.
PS. Ricevo in questo momento notizie della Marchesa Villarios che é tutta occupata della Lotteria in Roma. Mi dice che sta bene.
Due cose credevo di poterle partecipare fra due mesi dalla data della lettera scritta alla Signora di Lei moglie; la pace conchiusa, il ritorno dei vescovi e sacerdoti allontanati dalle loro residenze. Mi immaginavo che queste due cose le avrebbero recato vero piacere. E’ vero che queste cose non si sono ancora totalmente compiute, ma io le credo imminenti.
Io sono per altro contento che una parola sfuggita senza badarci abbia dato a lei motivo di scrivermi la cara sua lettera.
Ella fa bene di metter la gestione e riuscita dei suoi interessi nelle mani del nostro santo Padre celeste; egli sa, può e vuole quanto é meglio per noi. Dal canto mio non mancherò, siccome altra volta ho promesso, di raccomandare al Signore ogni giorno la sua sanità corporale, la salvezza dell'anima e gli interessi di tutta la sua famiglia.
Dio benedica Lei, Caro Sig. Cavaliere, benedica la Sig. sua Moglie, Generi, figlie e nipoti e conceda a tutti la grazia di vivere felici nel santo timor di Dio.
Mentre poi raccomando la povera anima mia e quelle de' miei giovanetti alla carità delle sante sue preghiere, godo assai di potermi con verace affezione professare della S. V. Ill.ma
A Dio piacendo lunedì mattina sarò a Firenze, dove spero di fare personalmente risposta della sua lettera.
Questa mattina i nostri giovani hanno fatto la loro santa comunione secondo la pia di Lei intenzione e quella del Sig. di Lei marito.
Dio li benedica tutti, preghino per me che li sono nel Signore
Ho ricevuto la sua lettera da cui comprendo i gravi timori che la circondano sulla sorte dei suoi nipoti. Niente ti turbi, diceva Santa Teresa; preghiera e fiducia nella bontà del Signore.
Adunque per due mesi vada Ella e chi altri può comodamente a recitare tre Pater, Ave, Gloria al SS. Sacramento con tre Salve Regina alla B. Vergine Ausiliatrice.
Io ho già disposto che da questa mattina fino all'epoca citata sei giovanetti facciano la comunione con particolari preghiere ogni giorno. Nella santa Messa io farò ogni mattino un memento speciale.
I parenti promettano che, passato il tempo del pericolo, faranno qualche cosa per la continuazione dei lavori della Chiesa di Maria Ausiliatrice.
Un caso molto più atroce avvenne nella città di Carmagnola. Un cane idrofobo morse profondamente ambedue le gote ad [una] bambina di sei anni circa.
I medici non davano più speranza, una prova era proposta e consisteva nel tagliare tutta la carnagione delle gote per sradicare le parti infette, che era in certo modo anticipare la morte della povera fanciulla.
Fu proposta la pratica sopra notata e grazie a Dio e alla sua Gran Madre guarì dalle piaghe e adesso sono quasi quattro mesi e la ragazza é nello stato ottimo di salute.
Abbiamo tutti viva fede; Maria non permetterà niuna delle sciagure di cui potrebbesi aver timore.
Nella sua lettera era chiuso un biglietto di mille franchi, ma non si fa parola nella lettera dello scopo e della provenienza. Io credo che sia stato chiuso da Lei come limosina e per impegnare con offerta preventiva la B. V. ad essere generosa a chi a Lei ricorre. In questo [843] caso sia di ogni cosa ringraziata e questo é motivo maggiore di raddoppiare le nostre preghiere.
Tanti saluti a tutti i suoi Generi, Marito, figlie e nipoti. Fede senza timore. Preghi anche per me che con pienezza di gratitudine mi professo della S. V. B.
Ho ricevuto con vera soddisfazione la venerata sua lettera secondo il solito piena, di cristiani sentimenti. Vorrei per altro che nelle sue lettere dimostrasse più tranquillità di spirito. Richiami quanto le ho detto più volte, cioé di non darsi niun fastidio delle cose di coscienza del passato e pensare unicamente ad un lieto avvenire.
Sebbene io le scriva alquanto di rado, tuttavia mi ricordo sempre di Lei, del Sig. di Lei marito, e di tutta la famiglia nelle comuni nostre preghiere e all'altare del Signore; anzi nel corso di questo mese ho stabilito alcune comunioni quotidiane secondo i bisogni particolari della sua famiglia.
Ho ricevuto una stupenda lettera del Sig. Comm. di Lei marito, che mi ha fatto molto piacere, lo ringrazi e lo riverisca in modo speciale da parte mia; spero fra non molto di doverle scrivere qualche altra cosa. Ringrazio poi Lei di tutto il bene che fa a me ed a questi nostri poveri giovanetti. Dio é generoso e lo prego che doni largamente centuplicato quanto fa per noi.
Ricevo lettera in cui mi si dice esservi qualche timore di colera in Firenze. Se ciò avvenisse, non diasi pena di sorta, assicuri pure nuovamente la sua e le sue famiglie che niuno di quelli che in qualche modo hanno preso parte alla costruzione della Chiesa di Maria Ausiliatrice sarà vittima di questo malore purché abbia fiducia in Lei.
Io mi trovo in gravissimo bisogno di aiuto spirituale, e per questo mi raccomando a Lei, alla sua famiglia, al P. Verda, al P. Metti, al P. Bianchi, cui fo umili saluti, auguro ogni bene spirituale e temporale.
Dio la benedica e mi creda nel Signore
PS. Ricevo in questo momento una lettera del Cav. Oreglia che mi parla a lungo dei segni di bontà e di cortesia a lui prodigati da Lei e dalla sua famiglia in quest'ultima gita a Firenze, e mi dà carico che scrivendo rinnovi da parte sua i suoi cordiali ringraziamenti. [844]
La sua lettera, i suoi preziosi caratteri mi hanno non poco consolato. Conosco che il peso della disgrazia si fa tuttora sentire, ma che qualche miglioramento é succeduto ai suoi mali. Nella nostra casa preghiamo mattina e sera per Lei, parecchi nostri giovani fanno la loro comunione ogni giorno ed io nella mia pochezza la raccomando pure nella santa Messa tutte le volte che Dio mi aiuta di poterla celebrare. Io sono pieno di fiducia che questa é una prova che Dio volle fare della sua pazienza, ma che la sua sanità ritornerà fra non molto allo stato di prima.
Il Cav. Oreglia é ritornato da Roma; mi assicura che egli pure pregherà per Lei e fra poco le scriverà.
Ella, suo Marito, la sua famiglia tutta non abbiano alcun timore del colera che va per l'Italia serpeggiando. Non le raccomando altro che la viva fiducia in Maria Ausiliatrice. Nemmeno dimenticherò nelle comuni nostre preghiere le persone che mi accenna. Noi qui finora, grazie a Dio, siamo liberi da ogni morbo e speriamo nella protezione del cielo.
La Contessa Calderoni venuta da Roma a Torino per alla volta di Milano cadde qua ammalata di uno sgorgo di sangue che la travaglia da quattro giorni e finora non c'é ancora miglioramento di sorta; raccomando a Lei pure questa santa e caritatevole Signora.
Dio benedica Lei e tutta la sua famiglia e mi creda con gratitudine
Ho ricevuto la venerata sua lettera dell'otto corrente con un biglietto di fr. 100 offerte da due padri di famiglia a Maria Ausiliatrice per grazia ricevuta. Da che il Signore le fece quella visita dolorosa, io l'ho sempre raccomandata al Signore nella santa Messa e nelle preghiere comuni della casa con Pater, Ave e Gloria mattino e sera. Nel giorno poi che le si doveva sfasciare il femore ho detto Messa per Lei e alcuni giovani fecero la santa loro comunione appositamente. Speriamo che Dio avrà tenuto conto delle deboli nostre preghiere e che unite ad altre molte che si faranno altrove avranno ottenuto il loro effetto, cioé lo sfasciamento senza cattive conseguenze e con miglioramento progressivo. [845]
Noi qui siamo circondati dal colera, ma speriamo che Maria Ausiliatrice continuerà a tener lontano da noi questo flagello che grazie a Dio non si è fatto ancora fra noi sentire. Il Cav. Oreglia con tutti i nostri giovanetti godiamo ottima salute. Abbiamo però avuta la perdita di un insigne benefattore nella morte del piissimo e dotto conte di Camburzano avvenuta il 16 corrente.
Dio benedica Lei, il Sig. di Lei marito con tutta la sua famiglia e mi creda nel Signore
Il giorno prima che ricevessi la sua lettera avevo fatto un sogno che mi aveva recato molta consolazione. Avevo sognato che aveva detto messa nella sua cappella e che Ella mi aveva interrotto il ringraziamento portandomi con tutta la disinvoltura Ella medesima una tazza di caffè nero. - Lode a Dio, io esclamai, il suo male é guarito bene. - Ma la sua lettera che ricevetti la mattina seguente mi avvisò che era un sogno. Per altro io godo che vada meglio e sono pieno di fiducia che quest'autunno quando, a Dio piacendo, andrò a Firenze, Ella sia proprio in grado di portarmi il caffè: vedremo.
Intanto noi non mancheremo di continuare le nostre preghiere pel compimento di sua guarigione e per la conservazione dei Sig. di Lei marito, figli e Generi e nipoti. Spero che niun malanno recherà loro molestia, siccome dimandiamo nelle nostre preghiere.
La tristezza dei tempi ci hanno costretto a rallentare i lavori di Maria Ausiliatrice; non già che questa Madre cessi dal benedire gli oblatori dì quest'opera pia, ma le miserie fanno sì che le oblazioni, sebbene moltiplicate siano divenute grandemente tenui.
Nulladimeno sono pieno di fiducia di due cose: che di quest'anno i principali lavori saranno terminati e che nella prossima primavera quando ne faremo l'inaugurazione Ella sarà in grado di potervi venire per fare una visita.
Dio ci benedica tutti, e ci aiuti a camminare per la via del cielo. Amen. Con gratitudine mi professo di S. V. B.
PS. Il Cav. Oreglia é qui meco a far gli spirituali esercizi e per mezzo mio offre alla S, V. e a tutta la sua famiglia i suoi saluti assicurandomi che prega per tutti loro. [846]
Sarà una lettera breve, ma non voglio che si dica che alla Pasqua di Risurrezione sia dimenticata una mamma tanto buona ed un padre tanto affettuoso. Mettano adunque una particolare intenzione. Domenica noi faremo servizio religioso con messa e speciali preghiere all'altare di Maria A. secondo la loro intenzione invocando la grazia della sanità e della perseveranza nel nome loro ambidue, a tutti figlie, generi e nipoti, cui tutti provengano copiose celesti benedizioni. Se mi darà il nome di tutti, io manderò una pagella per ciascuno affinché serva di memoria in avvenire a lucrarsi dei favori concessi dal Santo Padre.
La sua famiglia gode buona salute? La Signora Gondi sta bene? Me la riverisca tanto se ha occasione di vederla.
Verrà quest'anno a farmi una visita? Almeno a vedere una volta la nuova Chiesa!
Raccomando la povera anima mia alla carità delle sue preghiere e mi professo
Non so se lungo l'anno abbia ricevuto qualche mia lettera, ma so d'aver più volte scritto, e che Ella si lagnò di non aver ricevuto nulla. Ad ogni modo io mi dichiaro colpevole e dimando scusa qual figlio ravveduto alla sua ottima madre.
Ad altro. Lo scopo principale si é che domenica ho desiderio di fare un servizio religioso per Lei, pel Sig. Tomaso, per tutta la famiglia, specialmente per defunti suoi.
Pertanto alle sette mattino i nostri giovani. reciteranno preghiere particolari, cui terrà dietro la recita del Rosario, la S. Messa, Comunione dei med. giovani colle preghiere comuni. Ciò é tutto indirizzato a Dio in suffragio dei loro parenti defunti e affinché Dio doni a quelli la gloria del Paradiso e a quelli che vivono conceda lunghi lunghi anni di vita felice col prezioso dono della perseveranza nel bene. Io poi fo una speciale preghiera per Lei e pel Sig. Tomaso, perché Dio li conservi a vedere il frutto della loro carità, a prepararmi, o che gola!, buoni pranzi quando vado a Firenze, ad avere pazienza quando all'una o all'altro manco del dovuto rispetto. [847]
In quanto a noi abbiamo cose buone assai con molte tribolazioni. Fra le altre abbiamo parecchi dei nostri maestri prossimi all'ordinazione sacra, i quali dovettero andare sotto le armi; altri dovranno andare nella. prossima chiamata. E' questa per noi una vera sciagura.
Preghi Dio che ci conceda la rassegnazione ai suoi divini voleri e sopportare cristianamente questa ed altre non minori croci che gli piaccia inviarci.
Siamo però consolati da cinque mila circa giovanetti che vengono regolarmente alle pratiche religiose, ai Sacramenti e fanno sperare molto bene di sé.
Dio benedica Lei, il Sig. Tomaso, colle figlie, generi e nipotini e mi creda con vera gratitudine
Voleva rispondere già da alcuni giorni alla gradita sua lettera del 15 del corrente, ma le molteplici occupazioni mi privarono finora di tal piacere. Ora però trovato un ritaglio di tempo mi fo premura di riscontrarle, annunziandole che il vaglia portante L. 63,50 fu ricevuto, come pure che furono spediti libri chiestici coll'ultima sua che spero già arrivati alla loro destinazione.
Mi é tanto cara questa occasione per augurarle buon fine e buon principio d'anno con tutte quelle benedizioni che possano contribuire a felicitare la S. V., il Sig. Commendatore e tutti i suoi attinenti. Qui abbiamo fatto la festa di Natale in modo assai solenne, specialmente alla messa di mezzanotte vi fu un concorso straordinario di gente e di comunioni. V. S. con i suoi parenti ebbero pur parte delle deboli nostre preghiere e se il Bambino Gesù vuole esaudirci, molte grazie pioveranno sulla sua famiglia. Uno degli auguri che le facciamo è che il suo negozietto di libri[613] vada via prosperando di giorno in giorno accrescendo così i meriti della S. V. colle molte buone massime che andrà via diffondendo con que' libretti.
Gradisca questi auguri di Don Bosco e di tutti i suoi figli cogli [848] ossequiosi loro omaggi, estensibili all'Ill.o Sig. Commendatore, e mi permetta l'onore di riconfermarmi colla più profonda stima e riconoscenza
Mia Buona Mamma[614],
Più volte al giorno volo col pensiero a visitare Lei, ed il Sig. Tommaso, e non potendovi andare corporalmente, mi sono messo a raddoppiare le preghiere ai piedi di Maria SS. A.
Non tema però; é una prova, ma la S. Vergine ci esaudirà. Qui tutti pregano mattino e sera. Ella unisca il pensiero colla nostra preghiera, ed abbia fede, avrà certezza di guarigione.
Più sovente mi darà notizie, più grande mi farà il piacere.
Non mancheremo di pregare anche pel rimanente della piccola e grande famiglia dì Lei, ma Ella non dimentichi nelle sante sue preghiere questo suo povero, ma sempre in G. C.
Signora Moma[615] in G. C. dilettissima,
Sono più giorni che voglio scrivere, ma il povero mio cuore é così turbato, che non so né dove cominciare né dove finire. Il Sig.r Tommaso, colui che io amava come [padre], venerava come benefattore, confidavo come amico, egli non é più. E’ questo il martello che mi ha sempre battuto nei giorni passati. Noi abbiamo celebrato messe, fatto preghiere, comunioni, rosarii perché Dio ce lo conservasse in vita. Dio giudicò di prenderselo con sé, e noi amaramente rassegnati abbiamo raddoppiate le povere nostre preghiere, e continuiamo.
Nella foga di questi dolorosi pensieri uno veniva a recarmi qualche conforto: Quel Tommaso che tanto amasti, egli non é morto; egli vive e vive in seno al Creatore, e a quest'ora gode già il premio della sua carità, della sua pietà, della sua fede. Tu stesso lo vedrai forse [849] tra breve, ma lo vedrai in uno stato assai migliore, che non era quello che possedeva in terra; tu lo vedrai ma per non separarti mai più da lui. Ma sebbene tu possa fondatamente sperare che egli goda la gloria dei giusti in cielo, tuttavia non devi dimenticare il dovere dell'amico mentre sei ancora in terra. Ricordarti di Lui, conservare il suo nome e pregare ogni giorno fino a tanto che lo raggiungeremo nel regno della gloria.
Dal pensiero del compianto defunto passavo a Lei, Sig. Moma. Quanto avrà sofferto e soffrirà tuttora! So che é rassegnata, so che adora la mano del Signore, ma il calice sarà sempre amaro. Per questo motivo ho fatto e continuerò a fare speciali preghiere anche per Lei, affinché Dio la consoli, e le faccia trovare il conforto nel pensiero che ha un marito in cielo, e che dovrà rivederlo per godere la sua santa compagnia in eterno.
Quando Ella possa e giudichi di darmi un ragguaglio intorno alle ultime sue ore, mi farà un dono, il più caro che io possa desiderare.
Compatisca questa lettera che é piuttosto una raccolta di pensieri, che uno scritto ordinato. Dio benedica Lei e la colmi di celesti consolazioni e con Lei benedica tutta la sua piccola e grande famiglia; ma la prego di considerarmi sempre in G. C. quale spero di essere costantemente con gratitudine somma di V. S. Dil.ma
Sempre dilettissima in Gesù Cristo,
Qui in Mornese nell'Istituto di Maria Ausiliatrice ricevo la venerata sua lettera. Qui sonvi centocinquanta signore che fanno gli esercizi spirituali e se mai fosse possibile che Ella pure si fosse trovata, ne avrebbe certamente provato grande consolazione. Chi sa che qualche anno non ci possa intervenire?
Tuttavia non ho dimenticato Lei e per (sic) la persona che é cagione di tanti sospiri; anzi dimani mattina essendovi la comunione generale, sarà offerta a Dio in suffragio della bell'anima del sempre caro Tommaso, né dimenticherò di pregare per Lei e per tutta la sua famiglia. Indirizzerò poi le nostre intenzioni anche per tutti quelli che adesso avranno ragioni nella divisione, affinché ogni cosa abbia luogo senza guai e senza offesa di Dio.
Quanto desidererei di fare un volo per trattenermi alquanto dalla buona mia Mamma e sollevarla almeno in parte dalle molte spine che forse non leggermente pungono il di Lei cuore. Non potendo ciò fare corporalmente, lo fo col pensiero innalzando a Dio particolari [850] preghiere a Dio (sic) affinché l'aiuti colla sua santa grazia a portare la croce santa colla speranza di avere a suo tempo la grande mercede in cielo.
Il Sig. Corsi mi scrisse che il Sig. Tommaso prima di lasciare il mondo mi notò una memoria di due dipinti sacri, anima benefica! Fece quanto poté in vita e vuole ancora continuare la sua carità dopo morte. Che grata memoria non dovrò conservare di Lui!
Dio la benedica, Signora Moma, e preghi anche la misericordia del Signore per me, che sebbene buono a nulla le sarò sempre in G. C.
Mia buona e sempre Cariss. Mamma,
Stupirà che le scrivo da Roma, dove mi trovo da due giorni e dove ho ricevuto la rispettabile sua lettera. Avendo preso il viaggio per riviera non ho potuto passare per Firenze, ma spero di passare al ritorno che sarà circa la 2ª Domenica dopo Pasqua. In quella occasione spero di poterla riverire e di trattenermi anche qualche poco a discorrere delle cose nostre. Anch'io aveva in animo di iniziare una casa a Firenze, e non dimando altro o meglio non cerco altro che un qualunque casolare dove raccogliere ragazzi. Chi sa che non sia lontano il tempo opportuno? Preghiamo.
Si assicuri che non la dimenticherò nelle deboli mie preghiere, anzi mi é di vera spirituale consolazione il ricordare nella S. Messa Lei, la sua grande e piccola famiglia e segnatamente il compianto Sig. Tommaso, che certamente in quest'ora protegge (sic) presso a Dio in Cielo.
Preghi anche per me e pei molti affari che debbo terminare prima di partire da Roma.
Dio la benedica e la renda felice nel tempo e nella beata eternità.
Le sono con gratitudine e stima [Roma, 1876.]
Col pensiero le fo più visite al giorno ed ogni mattino la ricordo nella santa Messa; ma le mie occupazioni crebbero a segno che fui costretto a trascurare le più care e le più doverose corrispondenze. [851]
Ma Ella, quale Mamma pietosa, perdonerà questo figlio discolo, che promette ravvedimento; non é vero? Chi ne dubita!
Non sono più passato a Firenze, ma se passo, mi fermassi anche poche ore, le andrò a passare nella casa dove esistono tante dolci ricordanze, e dove tuttora vive quella persona che ci ha sempre fatto tutto il bene che le fu possibile, e di cui la Congregazione Salesiana serberà incancellabile memoria in faccia a Dio e agli uomini.
Per darle un cenno delle cose nostre, le dirò solo [che] in quest'anno solo abbiamo aperto ventuna casa nuova. Si aggiungano le Missioni dell'America, delle Indie e dell'Australia, e poi vedrà che c'é da divertirsi. Però Dio ci benedice oltre il nostro merito.
La mia sanità, grazie a Dio, é assai buona. Don Berto, Don Rua ed altri che la conoscono, le fanno ossequio e assicurano di pregare per Lei.
Le mando alcune copie di collaboratori Salesiani[616] da distribuire alla Sig. Gondi, March. Nerli, Digny e ad altri che sa amare le cose nostre. I diplomi li riceverà colle letture catt. e mi farà soltanto avere il cartellino rosso firmato.
Dio benedica Lei, tutta la sua grande e piccola famiglia, e mi creda sempre in G. C.
Non ho scritto da qualche tempo, perché sempre in giro a visitare o ad aprire nuove Case; ma spessissimo penso a Lei, ed alla sua difficile posizione. Ogni mattina l'ho sempre raccomandata nella S. Messa, come di buon cuore continuo a fare per Lei e per tutta la sua famiglia.
Ora mi sarebbe cosa veramente cara, il darmi notizia di tutti quei di sua famiglia, e se in questi affari domestici ebbe dispiaceri, oppure se ognuno studiò di lenire le piaghe col balsamo del rispetto e della consolazione. Non ho più avuto notizie della March. Nerli, e della Sig. Maria Gondi etc.
Il giorno dell'Imm. Conc. io celebrerò la S. Messa, i nostri ragazzi faranno la loro Comunione all'Altare di Maria A. per la persona che abbiamo tutti compianta. Dio la benedica, Sig. Girolama, e le conceda ogni celeste prosperità, preghi anche per me che le sono sempre in
Sono in Roma di nuovo e fui in fretta chiamato dal S. Padre per affari di premura. Ma a Dio piacendo andando a Torino spero di passare a Firenze e fermarmi un paio di giorni per ossequiare la Buona mia Mamma, cui vorrei portar sanità e consolazioni in abbondanza come prego ogni giorno il Signore che le voglia concedere.
Ora la prego a dirmi, ma colla libertà di Madre, se non le cagiona qualche disturbo l'alloggio in casa sua. Se ciò fosse potrei con molta facilità averlo altrimenti. Ad ogni modo giunto a Firenze verso la fine del mese corrente, il primo passo lo farò da Lei e dopo aggiusteremo tutto.
Ieri ho avuto l'udienza dal Santo Padre, e gli ho chiesto una speciale benedizione per Lei, e per tutta la sua piccola e grande famiglia, cui mi unisco per augurar copiose le benedizioni celesti.
Abbia sempre (sic) questo poverello che si raccomanda alla carità delle sue preghiere e le sarà sempre in G. C.
La sua lettera mi recò gran piacere con una dose di confusione; piacere grande perché veniva da Lei, che tanto amo nel Signore, confusione perché mi rimprovera giustamente di un dovere non corrisposto augurandole buone feste pasquali. Aggiusteremo le cose col chiederle scusa ed Ella perdonerà a questo discolo che promette di fare meglio il suo dovere in altre occasioni. Intanto non dubiti che Ella sta annoverata tra coloro per cui si fanno ogni giorno speciali preghiere mattina e sera in tutte le case Salesiane. Io poi nella Santa Messa non mancherò mai di fare un memento speciale per Lei, e per tutta la famiglia dei grandi e dei piccoli.
Ho passato quaranta giorni fuori di casa. Andai fino a Marsiglia dove ci offrono tante case da amministrare. Soltanto in Francia ce ne offrono trenta coi mezzi necessari. Ma dove prenderemo tanto personale? Preghi, Sig. Moma e Mamma, che Dio ci mandi molti e molto santi operai, perché la messe dei campo evangelico é copiosissima.
Don Berto, Don Rua ed altri di questa casa Salesiana la salutano ed ossequiano. Ella abbia poi la bontà di riverire rispettosamente da [853] parte mia i sig. suoi Generi, figlie, e nipoti; e mi annoveri tra quelli che colla massima venerazione saranno sempre in G. C.
Non voglio che passi questa bella novena di Maria Im. senza rinnovare l'assicurazione che questo suo figlio, sebbene molto cattivo, si ricorda tuttavia della caritatevole e buona sua Mamma. Ogni dì prego per Lei nella Santa Messa; ma venerdì prossimo ho divisato che celebrerò la S. Messa, i nostri giovani faranno la loro Comunione secondo la pia di Lei intenzione, pel suo benessere perché piovano copiose le benedizioni del cielo sopra di Lei e sopra tutta la sua famiglia grande e piccola.
Nell'andare e nel venire da Roma spero di poterla riverire a Firenze, ma Ella non dimentichi di pregare per questo scapestrato, che sempre dice di volersi dare davvero al Signore, ma che é sempre lo stesso.
La grazia di N. S. G. C, sia sempre con noi e colla più sincera gratitudine ed ossequio ho l'onore ed il piacere di potermi professare
PS. Don Berto, Don Rua etc. la ossequiano rispettosamente.
Mia buona e sempre cara Mamma,
Da più giorni voleva scriverle per sue notizie, e dirle che questo suo figlio, sebbene alquanto discolo, tuttavia ogni [mattino] prega per Lei nella Santa Messa. Ella mi volle prevenire ed io la ringrazio di tutto cuore.
Nel corso dell'inverno, a Dio piacendo, farò una gita a Lucca ed a Roma e farò modo di sostare a Firenze ed approfittare della sua carità e così avere la consolazione di celebrare almeno una Santa Messa nella sua cappella affinché [Dio] colmi di sue celesti benedizioni Lei e tutta la sua famiglia grande e piccola, come Ella dice.
Le cose non vanno soltanto a vapore ma come il telegrafo. In un anno coll'aiuto di Dio e colla carità dei nostri benefattori abbiamo [854] potuto aprire venti case. Cosicché ora abbiamo oltre a settanta case con trenta mila allievi. Veda come é cresciuta la sua famiglia! Però nelle comuni e private preghiere tutti pregano per la loro Mamma di Firenze.
Grazie a Dio godiamo buona salute, Don Rua, Don Berto ed altri che desiderano di conoscerla le fanno rispettosi ossequi. Io poi mi raccomando alla carità delle sante sue preghiere assicurandola che le sarò sempre con figliale gratitudine in G. C.
Mia Buona Mamma[617],
La sua lettera non poteva recarmi maggior piacere. Io l'attendeva perché ero incerto della sua sanità. Non mi dice se stia molto meglio; ma il suo scritto mi fa credere essersi già alquanto riavuta dalla caduta che la fece Madre dei dolori. Dio la benedica, Le dia buone feste, buon fine e buon capo d'anno. E quando vuole consolarmi mi dia delle sue notizie; sebbene i miei occhi abbiano sofferto assai, tuttavia mi permettono di poter almeno firmare le lettere ed assistere l'andamento degli affari.
Umili ossequi a tutta la sua famiglia piccola e grande e preghi per me che le sarò sempre in G. C.
Ps. Le offro i miei più affettuosi auguri. Sac. GIOACHINO BERTO.
a monsignor Pietro De Gaudenzi Vescovo di Vigevano già Canonico Arciprete del Duomo a Vercelli.
Don Bosco alla porta del Sig. Arciprete, 24 dicembre '51.
B. C'é Don Bosco che avrebbe bisogno di parlare col Signor Arciprete, purché si possa senza troppo disturbo. [855]
S. Vado subito ad annunciarlo; credo che ha già pranzato.
ARCIPRETE. Servitore, caro Don Bosco. Come, che buon vento la porta qui? Sta bene? Venga ad accomodarsi.
B. Tutto bene, ho fatto buon viaggio, e mi rallegro di vederla in buon essere di salute. Porto nuove della nostra Chiesa[618]. Essa é coperta col tetto, fu già fatta la volta del coro, delle due cappelle laterali, della sacrestia e si sta preparando il necessario per la volta centrale.
ARCIPRETE. Si é già fatto molto; sia ringraziato Iddio! Io aveva anche impegnata la parola di mandare alcuni mattoni...
B. E’ uno dei motivi della mia visita.
ARCIPRETE. Ho capito, ho capito. Vuole portarseli seco adesso?
B. No, Signor Arciprete, può mandarmeli a suo comodo, o con un vaglia postale o con lettera racchiudente qualche biglietto di banca; al presente non vado a casa, sono in giro per visite ai Benefattori della Chiesa.
ARCIPRETE. Come é furbo! Pela l'oca senza farla gridare. In questo pacco che cosa c'é?... Oh! piano, per una lotteria... E’ anche per la Chiesa dell'Oratorio. Ma, ma, oh qui, come va che mi ha posto fra i promotori? perché questo, perché?
B. Signor Arciprete, ho agito con opera di fatto. Temevo che nella sua modestia avesse cercato motivo per esentarsi da questo peso; perciò ho fatto senza dirlo.
ARCIPRETE. Birichino di un Don Bosco! Ma come ho da fare?
B. Per ora cominci a distribuire questi inviti e se potrà avere qualche oggetto, lo manderà a Torino, da qualche conducente, e ne radunerà senza dubbio. Quando saranno raccolti gli oggetti, se ne farà la perizia e stamperemo i biglietti da diramarsi e porgersi a f. 0,30. Questo è tutto il suo fare. Mi raccomandi caldamente a casa Mella, ché in questo affare ci potranno fare molto bene.
ARCIPRETE. Giacché mi ha posto nell'imbroglio, farò di cavarmela alla meglio che posso.
B. Le mie commissioni sono fatte. Vale in Domino, buone feste, buon fine e santo principio d'anno. Il Signore benedica Lei e tutti quelli che vorranno esserci caritatevoli a prendere parte alla nostra lotteria. Di qui parto sopra un regolo che mi porta colla velocità del vento. Vado a fare una visita al Sig. P. Goggia a Biella.
So che V. E. come ci si dice, deve fare una gita a Roma e so anche che il Santo Padre La riceverà assai volentieri, avendone parlato a lungo la settimana passata. Non dimentichi il buon P. Belasio. Chieda [856] il titolo di Cappellano o Cameriere d'onore di S. S. e soddisferà ai comuni desideri e il S. Padre l'appagherà.
Domani andrò, a Dio piacendo, a Borgo S. Martino. Oh! che piacere ,e giovedì potesse fare un passo fin là! Faremo la festa di S. Carlo. Ho fatto anch'io una volata a Roma e di quante cose potremmo parlarci!
Mi doni la sua santa benedizione e mi creda sempre in G. C.
Più volte avrei dovuto fare vivi ringraziamenti a V. E. carissima per le belle Pastorali che mi ha inviate, specialmente quelle due sul catechismo, che sono due capolavori. Le abbiamo lette e rilette a mensa, e Don Bonetti ne farà uno studio per riprodurle in minuziose parti nel Bibliofilo. Che Dio la benedica e l'aiuti a fare altri simili lavori.
La devo pure ringraziare per la graziosa offerta fatta pei nostri Missionari che si mostrarono tanto consolati e mi diedero carico di assicurarla della loro gratitudine e delle loro preghiere per la E. V. car.ma.
Ma perché non possiamo avere un Vescovo a Torino che sia pari suo? Le cose nostre vanno sempre come la paglia sul fuoco, e perciò nella prima metà del prossimo dicembre dovrò fare una gita a Roma. Se valessi colà a servirlo in qualche cosa, ne sarei ben lieto di potermi prestare.
Due suoi Chierici, Signorelli e Calligaris, commendati dai rispettivi Parroci e dal [Teologo] Belasio, vennero a fare gli Esercizi in Lanzo e dopo chiesero di fermarsi con noi, manifestando desiderio per le Missioni Estere. Non so quale sia l'intenzione di V. E. Ma io li tengo tuttora a sua disposizione, e li ammetterò nella nostra Congregazione quando il suo beneplacito e il suo parere sia favorevole.
Il Signore La conservi. Doni la sua benedizione a tutti i Salesiani, specialmente a me, che con verace gratitudine sarò sempre
Rev.mo e carissimo Monsignore,
L'ultima nomina fatta dal sempre compianto Pio IX fu di mandarmi il Brevetto di Cameriere d'onore pel Sig. T. Belasio.
Io prego V. E. a dirmi se giudica a proposito che io mandi a Lei questo documento perché glielo comunichi con qualche esteriorità [857] o pure glielo mandi ove ora si trova, che credo in Torino. Fo come mi dice essere di suo maggior gradimento.
Pio IX non é più, Roma é in costernazione. Tutti i Cardinali e tutto il corpo diplomatico é al Vaticano. Preghiamo che Dio ci mandi un degno successore di così eroica carità e fermezza. L'anima sua bella volava in seno al Creatore oggi, alle ore 5,40 pomeridiane.
Ieri il Santo Padre diceva con un Cardinale: - L'Arcivescovo di Torino mi ha fatto un vero dispiacere colla Pastorale sulla morte di V. E. -[619].
Mi raccomando alla carità delle sante sue preghiere e mi creda in G. C.
Reverendissimo e caro Monsignore,
Allora che ho ricevuto la sua lettera, la imbalsamazione della Salma del Santo Padre era già compiuta e perciò non potei mostrare la mia offerta, che di tutto cuore avrei fatta. Non mancherò di tenerne conto per altra occasione, se si presenterà ed anche a parlarne a Monsignore.
Ora vi é il Conclave; si dice che fra i candidati sian nominati: Bilio, Monaco, Simeoni. Vedremo quem elegerit Deus.
Non so se le sia pervenuta una mia lettera in cui Le diceva che S. S. nominava Cameriere Segr. il T. Belasio. Ho qui il diploma sul mio tavolino. Sarà bene che lo mandi a Lei o glielo faccia tenere direttamente? Desidero di fare come a Lei piace di più.
Se niente viene a turbare i miei progetti, nell'altra settimana parto verso Torino ed ho in voto da Alessandria fare un passo a Vigevano e così discorrere un poco di molte cose con V. E.
Domando la sua santa benedizione e mi professo con gratitudine e stima
Le trasmetto qui il Brevetto di nomina a Cameriere Segreto in abito pavonazzo pel Sig. T. Belasio. Le noto che il S. Padre in questa nomina aveva intenzione di dare un segno di benevolenza alla Diocesi di Vigevano nella persona del Canonico Belasio. Forse questa fu l'ultima onorificenza dell'incomparabile Pontefice.
Per norma del T. Belasio, può dire che non si dia pensiero della tassa del Maggiordomato, delle mancie e regali d'uso. Ogni cosa é soddisfatta. Avrebbe dovuto fare una visita al Pontefice per ringraziarlo, ma essendo volato al Paradiso, bisogna che la ritardi ancora qualche tempo e si limiti a venire a sua comodità ad ossequiare il novello Pontefice.
Ieri ho potuto avere breve udienza e si può dire Pio IX ringiovanito. Mi ha parlato con paterna bontà e m'invitò ad una udienza privata per trattare delle cose nostre. Dio sia benedetto.
Mi doni la sua santa benedizione e preghi per questo poverello che le sarà sempre in G. C.
Quante volte volo col pensiero a farle visita! Quante cose vorrei sottoporre al savio di Lei parere! Ma quel benedetto tempo mi manca sempre e le occupazioni crescono in modo spaventoso. Vedremo.
Accetto il giovane di Mortara che mi raccomanda; se ha già fatta la terza elementare, posso accettarle subito; se poi é per un mestiere, fino ad anni dodici compiuti, o almeno al prossimo febbraio, che é l'epoca in cui si accettano gli artigianelli. Ella intanto favorisca mandarmi nome, cognome, età e scuola percorsa; così ogni cosa sarà messa a posto.
L'anno scorso mi furono raccomandati da parte sua due Chierici: Signorelli e Calligaris; ora mi sono raccomandati due altri. Si adduce sempre la ragione che non possono più sostenersi le spese occorrenti. Io li ho accettati e sono pronto ad accettarne altri. Ma se essi domandano di farsi Salesiani, posso accettarli? Se però amano di ritornare in Diocesi, ne sono del pari contento. Come debbo regolarmi?
Io desidero ch'Ella sia sempre contento di me e dei Salesiani, ed abbiamo sempre come un tesoro i suoi consigli ed anche le sue strillate. [859]
Sono qui a Lanzo agli Esercizi, con duecento Salesiani: é la terza muta di quest'anno; veda quanta roba!
Pedíni il T. Belasio, che ha quasi abbandonato il S. Ministero per assistere la stampa dei suoi libri, che hanno uno spaccio straordinario. Esso per mezzo mio, Le fa umili ossequi, dicendo che intende essere sempre suo umile e fedele servitore.
Doni a tutti la sua santa benedizione e preghi per me che Le sono sempre in G. C.
PS. La ringrazio vivamente per le preziose Pastorali che mi manda, che si leggono pubblicamente tra noi con tanto piacere.
La sua ultima mi é un tesoro e mi mette in chiaro di molte cose che io credeva ben diversamente. Ho sempre creduto che il T. Belasio agisse, non solo d'accordo, ma anche a nome di V. E. Rev.ma. Per questo motivo io accettavo colla massima facilità ogni raccomandato me ne fosse possibile, perché io non ho mai fatto alcuna distinzione tra giovare alla nostra Congregazione e alla Diocesi di Vigevano. Ora mi terrò alle cose, o meglio, alle norme che mi suggerisce. Userò riservatezza per un compromettere; ma dopo un colloquio tenuto col T. B. potemmo conchiudere che per l'avvenire ogni cosa che si riferirà ai Chierici passerà per mano della E. V. Le dò nota a parte dei Chierici, suoi Diocesani, di cui Ella mi dirà come giudica meglio nel Signore.
Un sonoro e gagliardo schiaffo non poteva mortificarmi di più che il rifiuto fatto per la facoltà di benedire la nota Cappella[620]. Dirò con Lei: povero A.! Ma povera Diocesi, e misero chi deve stare nelle mani di Lui. Preghiamo.
La ringrazio dell'appoggio che ci assicura siccome ha sempre fatto in passato. Da parte sua, Ella deve sempre considerare le Case della nostra Congreg. come tutte sue e servirsene senza riserva in tutto quel che possa renderle qualche servizio.
Mi doni la sua santa benedizione e preghi anche per questo poverello, che umilmente ma affettuosamente Le sarà sempre in G. C.
Nel corso della settimana testé passata giunsero i nostri Chierici da villa S. Anna dove erano andati a passare due mesi in campagna. Nel passarli in rassegna ne trovai alcuni sconosciuti, ed erano: Antonioli, Ferrari, Gatti e Secondo Luigi. Essi giunsero all'Oratorio quand'io ero a Castelnuovo d'Asti. D. B[arberis] li mandò senz'altro in campagna con gli altri Chierici. Mi rincresce la sorpresa.
Ho loro parlato, mi paiono buoni; però tutti vestiti da estate e senza speranza di potersi provvedere per l'inverno; pensione niente. Dicono tutti che vogliono farsi Missionari ma sono fioretti del giorno. Ad ogni modo io ho parlato chiaro col T. Belasio, dicendo che qualunque Chierico appartenga alla Diocesi di Vigevano non può in niuna maniera essere accettato all'Oratorio se non col beneplacito e colle commendatizie del suo Ordinario, e ciò si osserverà sia per convenienza, sia per dovere, giacché così prescrivono i Sacri Canoni.
Riguardo a quelli che sono già qui, se lo giudica, io li tengo quest'anno; farò loro compiere la Retorica; li coltiverò tanto che si può nella loro vocazione ecclesiastica. Terminato l'anno, io ne darò cenno a Lei e faremo ciò che Ella ne giudica meglio nel Signore. Uno di essi ha scritto una lettera ad un compagno che ne lo richiedeva di fargli anche un posto tra noi; ma l'ho obbligato a scrivere che qualsiasi richiesta deve passare per mano del suo Ordinario. Se Ella giudica che vi sia altro a farsi, mi rimetterò ben volentieri. Ma io desidero vivamente che questa e le altre case nostre, siano a sua piena disposizione in tutto quello che le potranno servire, non però mai a cagionarle dispiacere.
La supplico di pregare per noi e di credermi sempre, con profonda venerazione e gratitudine, come ho l'onore di professarmi
Godo del suo buon viaggio da Roma e La ringrazio della sollecitudine che si diede per la nostra Congr. Il Card. Ferrieri ha fatto bene a parlare con V. E. delle cose nostre, così ne sa qualche cosa.
Riguardo alla scenatona del c.te Cays la cosa avvenne così. Mancava qualche poco a compier l'anno di Noviziato. Gli autori di [861] Diritto Canonico Bouie, Suarez, Ferraris, dicono positivamente che il Superiore di una Congreg. di voti semplici può dispensare. Io per accertarmi ho pregato un Card. ad interpellare il S. Padre, che rispose di procedere alla Professione di cui é parola. Venne a saperlo l'Arciv., scrisse a Roma, donde si pretese una sanatoria. Ho ceduto ciecamente e nel passato ottobre ho chiesto la voluta sanatoria. Non so come non sia ancora pervenuta nelle mani del Card. Prefetto.
Riguardo ai reclami che questo Ordinario fa sul non chiedere le lettere testimoniali, il Card. lo sa che ne avevamo la dispensa da Pio IX, di cui però non ce ne eravamo mai serviti. Onde io ho sempre chiesto che mi si dimostri l'accettazione di un solo prete o chierico senza che siansi richiesti tali documenti. Non si diede mai risposta, e si continuò a muovere lagnanze.
Si volle dall'Arcivescovo nominarne alcuno, ma ho tosto notato l'errore, che si riferiva non all'accettazione in Congr. ma ad accettazione di chierici o preti raccomandati in questa casa per dimorare momentaneamente, come fu di diversi chierici e preti della Diocesi di Vigevano.
Ella pertanto. se giudica nella sua prudenza, potrebbe scrivere: - Fatta commissione. Sanatoria richiesta spedita in ottobre; prego nominare un solo ricevuto senza testimoniali. -
I miei occhi sono andati, non posso più scrivere. Scusi. Mi servirò altra volta del Segretario.
Ho parlato in particolare col Sig. Carlo De Gaudenzi, ma pare che la sua complessione non gli permetta di fare fra i Trappisti la prova che desidera. Ora pare deciso di chiedere sei mesi di aspettativa, che verrebbe a passare qui all'Oratorio per provare se può reggere agli studi oppure a qualche occupazione che vada bene per lui. La E. V. Rev.ma e caris. conoscerà meglio le cose dal medesimo postulante, che a Lei si presenterà personalmente.
O caro Monsignore, quante volte io penso a Lei e sebbene debolmente prego per Lei!
Ci dia la sua santa benedizione e voglia pregare per me che con profonda gratitudine Le sarò sempre
N.[621]
La ringrazio del nuovo segno di bontà che mi usò presso l'Arcivescovo di Vercelli. Poco per volta; ma ad ogni momento, difficoltà.
Dopo l'ultima sua avevo scritto all'Arcivescovo come la E. V. mi aveva dato cenno dalla risposta e lo supplicava per la carità del Signore a volermi concretare quanto trovava biasimevole in me ed avrei accettati e praticati i consigli come un vero tesoro. Secondo il solito non rispose. Ho voluto andare io stesso a parlargli in ora di pubblica udienza. Mi ricevette, ma disse che egli aveva niente con Don Bosco, ma che egli non riconosceva l'approvazione della nostra Congregazione, che intendeva di esaminare e all'uopo sospendere chiunque dei nostri.
- Non mi sono mai opposto alla sua autorità, ma mi dica quello che fece cangiare un protettore in censore così severo? - risposi.
Egli continuò a biasimare i voti triennali, aggiunse che Roma aveva fatto male ad approvarli.
Dissi che tutti gli ordini religiosi, gli stessi francescani, fanno anche due volte i voti triennali, secondo uno speciale decreto della S. Sede.
- Questo é male, m'interruppe, si riprenda il Concilio Vaticano e tutte queste autorità dei frati saranno regolate. -
Di poi saltò sulla lettera scritta da Lei, e ripeté quello che aveva già scritto, aggiungendo nuovi epiteti, per Lei, per me e per altri. Disse che io non aveva autorità di ricevere i voti dei nostri soci; e sebbene ne avesse già più copie, si fece mandare decreti, regole, rescritti per esaminarli e ne attendo risposta.
Io non ne capisco più niente. Mi sono fatto legge di tacere e aspettare che Dio mi faccia, capire qualche cosa.
Dio ci aiuterà. La ringrazio di tutta la sua carità, preghi per me che con gratitudine mi professo
O.[622]
Finora abbiamo usato la filosofia del Corte, per uniformarci al Seminario Arcivescovile. Questo anno l'abbiamo cangiata, finora [863] l'Ordinario non mi disse niente, e credo che non verrà a disturbarci in questo affare, cagionandoci già abbastanza disturbi in altro.
Sanguina il cuore al riflettere gli sforzi fatti dal Guala, dal Cafasso, dal Golzio per collegare la morale delle loro conferenze con quella del Liguori, che é pur quella della S. Sede, ed ora va tutto disperso!
Il T. Bertagna non tiene più conferenza né pubblica né privata. Ecco una lampada luminosa posta sotto lo staio.
E' però certo che Dio aggiusterà le cose e forse fra non molto tempo.
In quello che possiamo servirla siamo tutti ai suoi comandi; Ella poi ci benedica e preghi pel poverello che sarà sempre
Umile Servitore ed amico in Cristo
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Il prodigio della voce, narrato nel vol. XIV a pag 408 e collocato a Marsiglia, accadde invece a Nizza Mare.
[1] Capo XVI e App., doc. 13.
[2] Eccle., 1, 4.
[3] Par., XVII, 120.
[4] LEMOYNE, M. B., vol. V, pag. 2 17 sgg.
[5] La lettera, che é del 16 ottobre 1882, sembra provenire dalle carte di don Bonetti. L'ipotesi é confermata anche dalla circostanza che egli, scrivendo allora nel Bollettino Salesiano, di cui era Direttore, la “Storia dell'Oratorio”, proprio nel numero del novembre di quell'anno pubblicò il capo, in cui descriveva l'uscita dei corrigendi dalla Generala in compagnia di Don Bosco. Il sacerdote che scrive la lettera, chiama “direttore” il destinatario.
[6] La politique d'un Saint: Dom Bosco aux heures du Risorgimento. In Etudes, 20 giugno 1929.
[7] G. Mollat prof. à l'univ. de Strasbourg. La Question Romaine de Pie VI à Pie XI. Paris, Lecoffre 1932, pgg. 371-2. L'articolo di Don Auffray diventò poi un capo distinto nella sua Vita di Don Bosco, che tanto favore incontrò in Francia e nei paesi di cultura francese (Lyon, Vitte).
[8] FR. CRISPI, Politica interna, e. VIII, pgg. 81-93. Ivi é detto che la lettera era destinata al cardinale Camerlengo, con cui il Mancini sarebbe stato in relazione; ma doveva dire il Cardinale decano, con cui veramente il Mancini aveva qualche familiarità; mentre non consta dì suoi rapporti col Camerlengo Pecci.
[9] Pag. 31.
[10] Cfr. Vol. XIV, pgg. 102-4. Cfr. anche ivi pag. 66.
[11] Preziosa per questo é la dichiarazione che egli fa riguardo a quanto narra della madre di Don Bosco. Nel vol I, pag. 121, delle Mem. Biogr. scrive: “Per ciò che riguarda mamma Margherita, lo scrivente seppe quanto qui descrive dalla bocca stessa di Don Bosco, avendo goduta la fortuna di avere con lui per sei e più anni giornalmente tutte le sere familiari colloqui; e benché rarissimamente si ritornasse sulle cose già raccontate, pure interrogandolo talora di ciò che aveva detto anni precedenti e che fedelmente aveva messo in carta, stupiva nell'udirmi ripetere le stesse cose e le medesime parole di sua madre e con tale esattezza da sembrare le leggesse in un libro. Lo stesso posso assicurare di tanti altri fatti, che ebbe la bontà di confidarmi e dei quali io feci tesoro per i miei cari confratelli”. E in una lettera del 28 aprile 1894 scriveva da Roma a Don Rua: “Io non ho ancora potuto vedere Roma, perché c'é sempre da scrivere, ma troppo mi preme assistere questo gran uomo di Dio, prender nota di quanto giungo a conoscere di lui, e aiutarlo in quel poco che posso.” Don Viglietti in un suo diario sotto il 27 febbraio 1885:
“Ogni giorno che D. Bosco scende a passeggio, e che io sempre lo accompagno, si delizia in raccontare cose antiche occorsegli. E’ una conversazione amenissima; di tutto prendo nota su quaderni a parte da consegnarsi a D. Lemoyne per la Storia dell'Oratorio e vita di D. Bosco”.
[12] Per altro negli elenchi ufficiali delle spedizioni si tenne sempre conto anche di costoro, considerandoli come componenti una spedizione del 1880.
[13] Fra gli omaggi pervenuti a Don Bosco nel capo d'anno vi fu un libro scritto da un Rosminiano e a lui offerto “in segno di profonda venerazione” dall'autore, che, toccando dei progressi fatti dalla Chiesa nelle più remote regioni del globo, accennava pure “alle inospiti lande dei Patagoni e dei Pampas nell'America del
Sud” e polemizzando diceva: “Appunto adesso il Cattolicismo dal suo capezzale di morte ha tanta lena fra un rantolo e l'altro da inviare [colà] sempre nuove schiere di Missionari Salesiani, recente creazione di quel Don Bosco, altro Calasanzio, che intanto qui in Europa co' suoi numerosi e ognor crescenti istituti ritrae dalle vie della gogna e della galera migliaia di fanciulli per farne operosi ed onesti cittadini”. (P. A. CICUTO, Se il Cattolicismo sia morente. Saggio diagnostico. Tipografia Giulio Speirani e figlio, 1881, Torino). Il libro non é scevro di mende.
[14] Così il Diritto del 7 gennaio, in un lungo articolo di Raffaele Mariano, intitolato i “Missionari e Parlamento”, rendeva omaggio alla potenza incivilitrice del Cattolicismo, benché fin d'allora l'autore simpatizzasse per i protestanti, dei quali ivi stesso elogiava l'energia, la moralità e il sapere.
[15] Bollettino Salesiano, gennaio 1881.
[16] Era anche Presidente dei Ministri.
[17] Appendice, doc. I.
[18] L'Unità Cattolica del 15 gennaio, per far conoscere l'opera compiuta dai Salesiani nell'America in un solo quinquennio, pubblicò il seguente prospetto, del quale erasi poc'anzi inviata copia autentica a S. S. Leone XIII:
CASE E MISSIONI SALESIANE NELL’AMERICA DEL SUD
Buenos Aires. - San Nicolas: Collegio maschile; Parrocchia di Ramallo; Missione Estancias; Parrocchia San Carlos. - Almagro: Collegio - Ospizio; Casa Madre delle Suore di Maria Ausiliatrice. - Centro: Cappella italiana della Misericordia; Parrocchia Bocca di Rachuelos. - Sud: Scuole maschili; Scuole femminili delle Suore di Maria Ausiliatrice. - Sant'Isidoro: Scuole femminili; Oratorio festivo.
Uruguay. - Montevideo: Chiesa della Carità per gli Italiani; Scuole di San Vincenzo. - Las Piedras: Parrocchia; Scuole maschili; Scuole femminili delle Suore di Maria Ausiliatrice; Missione; Campagna. - Villa Colon: Collegio maschile; Scuole femminili delle Suore di Maria Ausiliatrice.
Entre Rios. - Colonia Villa Libertà, 1877-78.
Pampas. - Missione; Catechismo e battesimo agli Indii.
Patagonia. - Colonia: Fiscomenoco; Choele-Choel; Tribù di Catriel; Conesa; Guardia Mitre; Indios Linares; Sant'Javier. - Carmen de Patagones: Parrocchia; Scuole maschili; Collegio femminile di Santa Maria de las Indias. - Mercedes: Parrocchia. - Viedma: Scuole maschili.
Del generale Roca, presidente della Repubblica Argentina, a Don Bosco pervenne in gennaio questa lettera, pubblicata in francese (Société Anonyme de la Maison Beaujour. Rapports etc. Marseille, Typ. E. Iouve et Cie. 1881; pag. 23:
Ho ricevuto la sua lettera del 10 novembre, di cui gradisco gli onorevoli sentimenti. Ella può star certa che le missioni nelle Pampas e nella Patagonia terranno sempre il posto spettante alle imprese civilizzatrici e che i suoi religiosi saranno sempre trattati con i riguardi, dei quali si sono finora resi meritevoli da parte delle autorità civili e politiche del paese.
Desiderando vivamente il soccorso delle sue preghiere per poter sopportare il grave peso del governo, La saluto con particolare considerazione e stima. Buenos Aires, 10 dicembre 1880.
Non abbiamo trovato l'originale, che sappiamo essere stato indirizzato dal mittente per orrore a Milano e ricevuto da Don Bosco nel febbraio a Marsiglia.
[19] Appendice, DOC. 2.
[20] Cfr. sopra, pag. 15, nota 4.
[21] Lettera di Don Dalmazzo a Don Bosco, Roma 20 gennaio 1881.
[22] Unità Cattolica, 15 gennaio 1881. Ivi si legge: “La nuova falange è composta di 23 persone”. In questo numero il giornale comprendeva tutti i partenti, cioè, oltre i 6 salesiani e le 8 suore destinati all'America, anche i 6 che andavano a Utrera e Don Cagliero che li accompagnava, più Madre Mazzarello e Madre Roncallo, che, viaggiarono con una parte delle Suore fino a Marsiglia.
[23] Lettera a Don Rua, Gibilterra 14 febbraio 1881.
[24] La medesima scena é descritta così da Don Bologna (lett. a Don Rua, Marsiglia, 9 febbraio): “Domenica a sera alle 6 con due omnibus i missionari, le Suore, Don Bosco ed il sottoscritto si recarono all'Umberto I. Era notte, il mistrale era in furore. Il bastimento era a secco in riparazione in mezzo a canali e precipizi. Con quattro mani sul cappello, aggrappati a Don Bosco, potemmo giungere al ponte del bastimento. In mezzo a tanto pericolo e con tutte le precauzioni a prendere, Don Bosco facea ridere i vicini con mille lepidezze. Giunti a bordo il Sig. Evasio Piaggio, proprietario dell'Umberto, cercò di Don Bosco, che introdusse nel suo gabinetto e trattenne tre quarti d'ora con squisita bontà e amabilità. L'uffizialità di bordo si strinse a Don Bosco e si andava a gara a testimoniargli rispetto e benevolenza. Il capitano era fiero di saper Don Bosco più capitano di lui, avendo 60 mila sudditi. Capitano, Commissario e tutti quei di bordo accompagnarono Don Bosco sostenuto sempre dal Sig. Piaggio. Tutti si inginocchiarono quando Don Bosco dava la benedizione ai Missionari e non si alzarono finché non finì di parlar loro. Al fosco chiaror della luna uscimmo: il tempo non potea esser peggiore pel vento. Il Sig. Piaggio prese Don Bosco nelle sue braccia per guidarlo, dicendogli di abbandonarsi a lui. Il Capitano dirigeva i passi, il rappresentante della Società seguiva e gli altri accompagnavano. Per lo spazio di 20 minuti tutti costoro continuarono ad accompagnarci tra le travi ed i ponti mobili, e non ci lasciarono che quando arrivammo sulla strada, dove trovammo una vettura. I missionari eran discesi ed erano sparpagliati all'intorno. Il tempo, la notte, il mistrale davano tanto di distrazione da impedire la commozione che si sarebbe rinnovata.
[25] Forma piemontese del motto “L'arte di Michelaccio: mangiar, bere e andare a spasso”.
[26] Cfr. vol. XII, pag. 596.
[27] Num. 19 (23 gennaio). Anche l'Emporio Popolare o Carriere di Torino nel num. 17 pubblicò un articolo sulla funzione.
[28] Può darsi che una risposta indiretta fosse in un articolo del 30 gennaio, dove, citandosi gli Atti ufficiali della Camera subalpina, si riferivano brani di discorsi tenuti dal Cavour e dal La Marmora nel 1853 contro la proposta di assoggettare tutti i chierici alla leva militare, e da quest'ultimo ribaditi poi sotto il Regno d'Italia nel 1869 e nel 1871. Nessun fatto pubblico poté dar motivo al Margotti di esumare questi documenti nel gennaio del 1881; sarà dunque stato per far intendere una volta di più che non meritava il nome di legge quella che strappava i chierici dai seminari per mandarli alla caserma.
[29] Mettiamo qui i due nomi, perché nei cataloghi compare prima col secondo e poi col primo. Mentre scriviamo (ottobre 1932), egli vive ed esercita il sacro ministero nella parrocchia di San Giovanni Evangelista alla Boca.
[30] Lettera a Don Bosco, Buenos Aires 6 marzo 1881.
[31] Lettera a Don Bosco, Villa Colón 7 marzo 1881.
[32] Appendice, Doc. 3.
[33] Lettera della Direzione Generale a Don Bosco, Torino 30 novembre 1881.
[34] Monsignor Giacinto Vera, nato a S. Caterina, diocesi di S. Sebastiano di Rio de Janeiro, il 3 luglio 1813, preconizzato vescovo di Megara e nominato Vicario Apostolico di Montevideo da Pio IX il 23 settembre 1864, quando il vicariato divenne diocesi residenziale, vi fu trasferito da Leone XIII il 15 luglio 1878. Morì di apoplessia, mentre faceva la visita pastorale in Pan de Azúcar.
[35] Proc., dioc., Summ. Num. XVI, 98, pag. 756.
[36] Civiltà Cattolica, fasc. 753 (5 novembre 1881), pag. 358.
[37] Boll. Sal., novembre 1881, pag. 9.
[38] Lettera a Don Costamagna, Montevideo 29 novembre 1881.
[39] Procés verbaux du Comité de Dames, 27 gennaio 1881.
[40] Vol. XIV, pag. 268.
[41] Lettera a Don Lemoyne, 1898. Mancano altri dati, perché non abbiamo rinvenuto l'originale, ma soltanto la copia di questa lettera per mano dello stesso Lemoyne.
[42] Lettera di Don Bologna a Don Rua, Marsiglia 9 febbraio 1881.
[43] Don Martino Caroglio, ora a Caracas nel Venezuela e allora studente nell'Oratorio. I “suoi briganti” erano i suoi buoni amici del piccolo clero.
[44] Nei Procés-verbaux del Comitato femminile (5 maggio 1881), il Curato dirà, parlando di lui: “ Monseigneur l'Evéque veut bien venir ordonner diacre, dans la chapelle de St-Léon, un salésien auquel ses fonctions de Maitre de Chapelle de St-Joseph attire un intérét sympatique plus particulier encore.” E nella seduta del 14 ottobre: “Mr le Curé loue ( ... ) le zéle de l'abbé Grosso qui ne recule devant aucune fatigue malgré ses occupations et sa santé.”
[45] Don Bosco sapeva che il suo abituale solecismo peu pour fois, poco per volta, era simpaticamente ripetuto nel Comitato.
[46] Verb. cit., seduta del 12 febbraio.
[47] Oratoire Saint-Leon, Féte de Saint-Francois di Sales et compte rendu de l'année 1880. Marseille, Typ. Olive. Le citazioni fatte qui sopra derivano da questa pubblicazione, che é anonima. Altre notizie sono attinte da lettere del chierico Reimbeau e di Don Bologna e dal Bollettino francese di aprile.
[48] Cfr. vol. XIV, pag. 61o.
[49] Scrivendo al Guiol nell'ottobre del 1883, Don Bosco dice: “Tre anni or sono”.
[50] Direttore a St-Cyr.
[51] Cfr. più innanzi, capo XIV.
[52] La sentinelle du Midi, 5 marzo 1881.
[53] Bulletin Salésien, luglio 1881, pag. 12.
[54] Lettera di Don Carlo Moro a Don Lemoyne (cfr. vol. XIV, pag. 414).
[55] Lettera a Don Rua, Nizza 22 marzo 1881.
[56] Lettera cit.
[57] App., Doc. 5
[58] Bulletin Salésien, aprile 1881, pag. II
[59] Si chama Teresa Chauve. Comunicò queste ultime notizie a Don Cartier in una sua del 20 gennaio 1934, della quale abbiamo potuto tenere conto durante la correzione delle bozze. Sembra che la Chauve creda essere avvenuta la visita di Don Bosco nel 1875; ma non é probabile che egli vi si sia recato prima del 1881.
[60] DR CHARLES D'ESPINEY, Dom Bosco, Nice, Typ. et lib. Malvano-Mignon 1881. Pgg. 180.
[61] Lettera del D'Espiney al Cays, Nice 21 giugno 1880.
[62] Appunti autografi sopra una lettera del D'Espiney al Conte, 15 luglio 1880
[63] ALBERT Du Boys, Dom Bosco et la pieuse Société des Salésiens.. Paris, Gervais, 18 84. Dice precisamente: “Son pére et sa mére étaient des cultivateurs jouissant d'une certaine aisance.”
[64] In scritti italiani e in qualche epigrafe latina, senza badare alla grafia antiquata, si é fatto di Fleury il nome del Conte, traducendolo per Fiorito e Floritus; ma quello invece fa parte del cognome. Il nome di battesimo era Luigi, a cui si associava l'altro di Antonio, così come per il figlio.
[65] Le nostre fonti sono tre: questa biografia, la corrispondenza epistolare, alcune note manoscritte della contessa Colle. Della biografia diremo subito. La corrispondenza comprende ottantadue lettere, delle quali settantacinque di Don Bosco, una di Don Barberis, tre di Don De Barruel e tre di Don Rua. Sono tutte in francese, meno una di Don Bosco e quella di Don Barberis; il francese di Don Bosco é alquanto alla buona, tirato giù currenti calamo, come si vede dalla scrittura. Le lettere abbracciano un periodo di circa sei anni e mezzo, dal 4 maggio 1881 al 17 ottobre 1887. Le note della Signora contengono appunti di conversazioni avute con Don Bosco sulle apparizioni di Luigi. In morte di lei si trovarono, con l'incartamento dell'epistolario e degli appunti, due biglietti, uno del 3 giugno 1886 e l'altro del 7 aprile 1889, in cui ella pregava caldamente i suoi eredi di rimettere ogni cosa ai Salesiani nella persona di Don Perrot o di qualche altro Salesiano. Quarantasei lettere e le note si avevano in copia già da molti anni; ma gli autografi nel numero di ottantadue ci sono pervenuti solo nel 1931 per mano dell'Ispettore francese Don Ippolito Faure.
[66] Don Bosco possedeva il francese tanto da farsi intendere; ma lo parlava e lo scriveva con molta disinvoltura, Passando facilmente sopra al dizionario e alla grammatica. Per questo é rimasto celebre un aneddoto. L'abate Mendre, vicecurato e poi curato di S. Giuseppe a Marsiglia, il quale amava Don Bosco con tenerezza di figlio, un giorno gli sedeva a lato durante un trattenimento nell'oratorio di San Leone. I musici facevano ogni tanto qualche stecca. L'abate, assai intendente di musica, scattava. Dopo varie di queste impazienze il Beato gli sussurrò all'orecchio con la sua pronunzia e il suo stile: Moussieur Mendre, la mousique de les enfants elle s'ecoute avec le coeur et non avec les oreilles. Infinite volte il Mendre gustò poi la sapiente sentenza rifacendo simpaticamente il tono, con cui era stata proferita.
[67] S. Benigno Canavese, 4 ottobre, Torino 29 novembre e 30 dicembre 1881.
[68] Il libro uscì nel 1882: Biographie du jeune Louis Fleury Antoine Colle par Jean Bosco prétre. Fu stampata nella tipografia dell'Oratorio e porta in fronte questa dedica: A MONSIER ET A MADAME COLLE HOMMAGE RESPECTUEUX.
[69] Da pag. 23 a pag. 31.
[70] Il Colle aveva dato un insegnante di lingua italiana al figlio; ma egli doveva averne appena un'infarinatura. Se così non fosse stato, Don Bosco e Don Rua non gli avrebbero scritto in francese. Don Barberis (S. Benigno Canavese 6 settembre 1882) gli scrive in italiano scusandosi con dire che non sa abbastanza il francese e che d'altra parte il Conte conosce questa lingua. Conoscere non esclude lo stento a capire.
[71] Roma 4 maggio 1881.
[72] Luogo di campagna dei Colle.
[73] Lett. da Torino 23 agosto 1884.
[74] Lett. a Mad.Colle, Torino, 3 luglio 1881.
[75] Lett. da S. Benigno Canavese 25 agosto 1883.
[76] Cfr. M. B., vol. II, pag. 543.
[77] Cfr. G GIRAUDI, L'Oratorio di Don Bosco, tav. VIII.
[78] Lett. al Conte, Torino 14 luglio 1885.
[79] L'una e l'altra cosa s'intende da parte di chi ha interessi da trattate. Senso: Uno deve dire e fare molto colà, ma poi rassegnarsi alla lentezza delle pratiche.
[80] Lettera al Conte, TORINO 3 luglio 1881.
[81] Sampierdarena, 14 settembre 1881.
[82] Lettera al Conte, Torino 30 dicembre 1881.
[83] Le parole in corsivo sono in italiano nel testo.
[84] Le parole in corsivo sono in italiano.
[85] Dei 50 in più la spiegazione é in queste parole della lettera, con cui Don Dalmazzo accompagnava il duplicato: “Eccole il Breve duplicato pel Conte Colle. Ottenni a stento a L. 50 si riscrivesse”. Queste tasse si sogliono segnare a tergo dei documenti, dove perciò il Conte lesse dei 50 franchi.
[86] Lettera di Don Barruel, Torino 21 maggio 1884.
[87] Lettera di Don Bosco, Torino 5 luglio 1884.
[88] Frase sottolineata nel testo francese.
[89] Lett. al Conte, Pinerolo, Villa del Vescovo, 20 luglio 1884
[90] Sottolineato nel testo.
[91] Lett. al Conte, Torino II febbraio 1884.
[92] Lett. di Don Bosco ai Conti, Torino 17 dicembre 1884.
[93] Lett. di Don Bosco al Conte, Torino 20 febbraio 1885.
[94] Lett. di Don Bonetti a Don Bosco, Marsiglia II febbraio 1885.
[95] Lett. di Don Bosco al Conte, Torino 27 settembre 1885.
[96] Lett. di Don Bosco ai Colle, Torino 13 marzo, Nice 25 aprile, Torino 10 maggio 1885.
[97] Lett. ai Colle, Nice 25 aprile 1885.
[98] Dalla minuta autografa di Don Bosco:
“Sul Campanile della Chiesa del Sacro Cuore di Gesù in Roma, la campana maggiore con questa iscrizione. Floritus Colle Sanctae Romanae Ecclesiae Comes patria Tolonensis in Gallia fidei rerumque catholicarum propugnator et decor, Salesianae Congregationis benefactorum princeps, tyntinnabulum hoc in obsequium Summi Pontificis Leonis XIII dicavit. 1887.
” Sulla seconda campana: Sophia Comitissa Colle de nobili familia Buchet patria Tolonensis caritate et pietate undequaque fulgens omnium virtutum viri sui fidelis pedissequa ad honorem B. V. A. Christianorum D. O. M. d. anno 1887.
” Sulla 3ª campana. Aloysius Colle, filius unicus Comit. Sophiae et Floriti Colle, dum innocentia caeterisque virtutibus parentibus solatium et exemplum praeberet, florente aetate raptus est ne malitia mutaret intellectum eius. Quievit in osculo Domini aetatis suae anno 17, A. D. 1881. Parentes benedicentes Dominum qui dedit et abstulit, Pauperes Christi haeredes constituerunt, qui illorum thesauros in coelum deportaverunt.”
Nel 1893 in un ambulacro a lato della chiesa del Sacro Cuore venne murata una grande lapide con i rilievi dei tre Colle e con la seguente epigrafe di Don Francesia: Honori et memoriae - Aloysii Colle Comitis F. Floriti et Sophiae Buchet - qui cum pietatis et litterarum studio - inclaresceret quievit in Domino sexdecim an. n. - Parentes dum moesti Dei mentem adorant - rei suae haeredes pauperes Chr. constituerunt - et pueros in primis - qui Christianis moribus imbuendi alerentur - Romae in aedibus a div. Corde Jesu nuncupatis - ut rei memoria ad posteros prorogetur - hunc titulum insculpendum curavimus - an. MDCCCXCIII.
[99] Lett. da Torino, 7 luglio 1887.
[100] Lett. a Don Barberis, S. Remo 3 aprile 1881.
[101] Cfr. M. B., vol. XII, pag. 484.
[102] DANTE, Inf., XIX, 37
[103] Il nuovo palazzo del Ministero delle Finanze é a breve distanza dal Sacro Cuore.
[104] Vocabolo piemontese per “scrìcchiolano”.
[105] Mercoledì santo, 13 aprile.
[106] I giovani aspiranti salesiani (cfr. vol. XIII, pag. 870).
[107] I giovani che pregavano per lui e per il buon esito de' suoi affari.
[108] Lett. di Don Giordano, Alassio 30 novembre e 4 dicembre 1932.Quest'anno 1932 in un Numero Unico pubblicato dai Concettini o Confezionisti per commemorare il 75 o anniversario della loro fondazione, il padre Spreafico barnabita, storico di quell'Istituto, asseriva che Don Bosco volle ingerirsi nelle cose dei Concettini per mutarne le regole e che per questo Pio IX non lo volle più ricevere. I documenti da noi pubblicati nei volumi XII e XIII mostrano che Don Bosco fu incaricato espressamente da Pio IX di riformare quella Congregazione; quanto all'altro asserto, la testimonianza di Don Giordano viene a ravvalorare quanto dicemmo altrove circa la natura degli ostacoli che si frapposero a impedirgli di arrivare al Papa.
[109] Num. 88, sabato-domenica 16-17 aprile 1881.
[110] App., Doc 6.
[111] Cfr. vol. XIV, pag. 230.
[112] La si vede tuttora, al num. 31.
[113] Cfr. Sac. L. MORI, Don Bosco a Firenze. Firenze, Libr. sal. edit. 1930. In questo opuscolo la parte più notevole per noi é costituita da testimonianze di superstiti, delle quali terremo il debito conto.
[114] Lett. a Don Lazzero, 22 aprile 1881.
[115] La relazione porta la data dell'udienza; fu spedita a Don Bonetti il 29 con questa avvertenza: “Ti mando qui una lettera pel Bollettino. Se trovi da correggere, fallo pure.”
[116] Cfr. LEMOYNE, M. B., vol. VIII, pag. 762.
[117] LUIGI CUCCAGNI, Vita di S. Pietro Principe degli Apostoli cavata dalla S. Scrittura ed illustrata colle considerazioni dei Ss. Padri, Roma, 1777. In due voll., Venezia 1782.
[118] P. AEM. SANCTORIUS, Acta SS. Petri et Pauli ex Sacris Scripturis collecta Roma, 1597.
[119] App., Doc. 7.
[120] App., Doc. 8.
[121] LETT. a Don Amadei, Venezia 22 settembre 1915.
[122] App., Doc. g.
[123] Lett. di Don Confortóla a Don Bosco, Firenze 10 giugno 1881.
[124] Lett. di Don Sala a Don Rua, TORINO 3 maggio 1881.
[125] App.,Doc.10
[126] Verbali del Comitato, seduta del 12 maggio e dell'8 giugno 1881.
[127] LEMOYNE, La Madre delle Grazie, Sampierdarena 1881, pag. 155. Cfr. anche Boll. Sal. del luglio 1881 La sorella del graziato, religiosa del Sacro Cuore, ci ha fatto pervenire una relazione del prodigio nel marzo del 1934 (App., Doc. II).
[128] Memore della benevolenza, con cui monsignor Calabiana aveva accolto nel 1867 i Salesiani andati ad aprire il collegio di Mirabello nella sua diocesi casalese e delle tante prove d'affetto date loro in ogni tempo, Don Bosco gl'inviò il 29 maggio questo telegramma: “Salesiani, loro allievi, vostri affezionatissimi figli, fanno cordialissime congratulazioni vostro Giubileo sacerdotale, ricordando Voi amico, protettore, benefattore. Tutti pregano Dio conservarvi coi vostri commensali per rinnovazione questo giorno.” L'insigne Prelato gli rispose: “Ringrazio commosso, amorevole attenzione. Benedico cordialmente, padre, figli.”
[129] Unità Cattolica, No 24, giovedì 26 maggio 1881.
[130] Nel registro una di queste relazioni é scritta da Don Bosco; un'altra pure di suo pugno e con data posteriore é sur un foglio volante. (Appendice, Doc., 12).
[131] La stella del mattino, Sampierdarena, 1883.
[132] App., Doc. 13.
[133] Sac. C. M. CURCI. La nuova Italia ed i vecchi zelanti. Firenze, Fratelli Bencini editori, 1881. Fu messo all'indice con decreto del 15 giugno 1881; l'autore laudabiliter se subiecit et opus reprobavit.
[134] Cfr. vol. XI, pgg. 218-220.
[135] Dev'essere stato un lapsus calami invece di potentissima, come appunto più sotto dopo Digiuno.
[136] Nelle varie redazioni c'è erroneamente sumnum.
[137] Servi e strumenti di Dio Onnipotente, ascoltate e intendete. Siate forti e animosi. Quanto avete veduto e udito é un avviso del Cielo, inviato ora a voi e ai vostri fratelli; fate attenzione e intendete bene quello che vi si dice. I colpi previsti fanno minor ferita e si possono prevenire. Le parole indicate, siano tanti argomenti di processione. Predicate incessantemente, a tempo e fuori tempo. Ma le cose che predicate fatele sempre, sicché le vostre opere siano come una luce, che sotto forma di sicura tradizione s'irradi sui vostri fratelli e figli di generazione in generazione. Ascoltate bene e intendete. Siate oculati nell'accettare i novizi, forti nel coltivarli, prudenti nell'ammetterli [alla professione]. Provateli tutti, ma tenete soltanto il buono. Mandate via i leggieri e volubili. Ascoltate bene e intendete. La, meditazione del mattino e della sera sia costantemente nell'osservanza regolare. Se ciò farete, non vi verrà meno giammai l'aiuto dell'Onnipotente. Diverrete spettacolo al mondo e agli Angeli e allora la vostra gloria sarà gloria di Dio Chi vedrà la fine di questo secolo e il principio dell'altro dirà di voi: Dal Signore é stato ciò fatto, ed é ammirabile agli occhi nostri. Allora tutti i fratelli e figli vostri canteranno: Non a noi, Signore, non a noi, ma al tuo Nome dà gloria.
[138] Da un fascicolo manoscritto, unito alla Cronaca della casa di S. Benigno. Il contenuto o fu dettato da Don Barberis o da lui scritto e dato a copiare. Pubblichiamo in Appendice (Doc. 14) il racconto degli episodi.
[139] Vol. XIV, pag. 532 sgg.
[140] Lett. 8 febbraio 1881. Gli originali delle lettere che il Colomiatti scrisse da Roma all'Arcivescovo, sono presso il teologo Franchetti di Torino.
[141] App., Doc. 15.
[142] Lett., Torino 7 marzo 1881.
[143] Lett., Roma 16 marzo 1881
[144] Lett., Roma 8 marzo 1881.
[145] Lett. di Don Bonetti a Don Rua, Aosta 20 marzo 1881.
[146] Lett. di Don Rua a Don Bonetti, Torino 8 aprile 1882.
[147] Lett. 14 aprile 1881.
[148] Lett., Roma 29 aprile, 1881.
[149] Lett., Torino 10 maggio 1881.
[150] Allude qui al rifiuto di andare a Valsalice per la cresima e all'obbligo fatto a D. Francesia di dare l'esame di teologia morale. Cfr. sopra, pag. 166.
[151] App., Doc. 16.
[152] La lett. niente oggettiva, poté essere copiata da Don Dalmazzo e inviata a Torino. (App., Doc. 17).
[153] App., Doc. 18.
[154] App., Doc., 19.
[155] Lett. dell'avv. Leonori a Don Bonetti, Roma 14 agosto 1881.
[156] App., Doc. 20.
[157] Lettere del Can. Colomiatti a Mons. Gastaldi, Roma 16 e 19 ottobre 1881 E' istruttivo conoscere come venga nella seconda di queste lettere travisato il fatto della Madre Galeffi, già Presidente delle Oblate di Tor de' Specchi (cfr. vol. XIII, pgg. 464-5): “Oggi stesso seppi dal sottosegretario della S. Congr. dei Riti che Don Bosco é ormai conosciuto per Roma per quello che é. Mi narrò come di quest'anno venne a morire quasi repentinamente [era morta nel gennaio del 1876 dopo non breve malattia!!] la Superiora delle Oblate di Torre de' Specchi. Don Bosco siccome con questa superiora teneva conto corrente riguardo a libretti delle letture cattoliche [qui nell'originale c'è la parola approfittò, cancellata con un tratto di penna], sapendo che essa non aveva potuto ragguagliare le Oblate circa l'amministrazione da lei tenuta [le Oblate erano ragguagliatissime di tutto, fuorché delle irregolarità di un nipote della Galeffi, ignorate naturalmente dalla zia stessa], chiese alle medesime come suo avere quattromila scudi [ossia fece risultare una scadenza di lire 20.133,32 al proprio danno per merci spedite, ricevute, non pagate]. Le Oblate rimasero stordite a questa richiesta [no, a questa scoperta] e non sapevano pacificarsi a credere che la superiora si fosse addossato un debito tale senza parlarne; ma non avevano prove in contrario. Per altro a non fare scandalo gli offersero una parte della somma [non é vero]. Don Bosco allora cercò di ottenere una parte del caseggiato loro, dicendo che ivi avrebbe aperto scuole, ecc., ecc. [falsità] e così sotto sembianza di non volere quel denaro come denaro, perché vedeva che lo sborsarlo era alle Oblate molto gravoso, tentò di farsi padrone di parte della casa loro [un atto in piena regola smentisce queste asserzioni - cfr. vol. XIII. pag. 954. ]. Questo fatto fu sentito pure da me biasimare dallo stesso Card. Ferrieri, quando gli parlai.” Nel processicolo di Roma (1915-16) due superstiti Oblate d'allora, fecero deposizioni onorevolissime per il Servo di Dio tanto su questo fatto quanto su altre imposture del Colomiatti (Summarium, Pgg. 49-50).
[158] App., DOC., 21.
[159] COSTANTINO LEONORI, Cenni sulla Società di S. Francesco di Sales istituita dal sacerdote Giovanni Bosco. Roma, Tip. Tiberina 1881.
[160] L'originale dei due compilatori ha numerose cancellature, aggiunte e modificazioni per mano di Don Bosco; i tratti della sua penna che sopprimono anche lunghi brani, sono frequenti.
[161] Lett. di Don Dalmazzo a Don Bosco, Roma 21 dicembre 1881.
[162] Lettera dell'avv. Leonori a Don Bonetti, Roma 10 novembre 1881, e di Don Dalmazzo a Don Bosco, Roma 29 novembre 1881.
[163] App., Doc. 22.
[164] App., Doc., 23.
[165] “Parole testuali”, commentava il Cardinale Nina nel riferire questo discorso a Don Dalmazzo (Lett. Cit., 21 die.).
[166] App., Doc. 24.
[167] App., Doc. 2.5.
[168] Di questo si parlerà nel capo seguente.
[169] Lettera del ch. Bartolomeo Gillio seminarista a Don Bonetti (23 dic.): “Quest'anno gli alunni del seminario metropolitano di Torino che già furono alunni di Don Bosco, non possono più con loro grande rincrescimento recarsi in corpo ad augurare i loro amati Superiori, perché il Can.co Soldati li proibisce. Il nostro rincrescimento é grandissimo, specialmente perché gli altri nostri compagni oggi vanno liberamente ad augurare ai Superiori di quegli istituti in cui compirono il Ginnasio. Onde a gran furia deliberai di scrivere ad insaputa de' miei Superiori [...]. Questi sono i sentimenti di tutti i Seminaristi che in quest'oggi vengono proibiti di recarsi in persona a quell'Oratorio in cui passarono i più begli anni di loro vita.”
[170] Il Rev.do Don Cravero.
[171] L'autografo fu donato il 16 ottobre 1926 dal signor Pasquale Piancastelli di Bologna all'Istituto salesiano di Faenza, dove si conserva.
[172] App., Doc. 26.
[173] Lett., Roma, 9 gennaio 1882.
[174] Confutazione delle accuse formulate contro la causa del Ven. Giovanni Bosco, § 93. Roma, Stabilimento poligrafico per, l'Amministrazione della Guerra, 1922.
[175] Roma 29 gennaio 1882.
[176] App., Doc. 27.
[177] Lett., Torino 2 febbraio 1882.
[178] App., Doc. 28.
[179] Lett. di Don Andrea Maggia, 3 maggio 1882. Era addetto al collegio degli Orfani di Piazza Capranica.
[180] Lett. di Giovanna Bosio-Saladino, 15 giugno 1882.
[181] Num. di gennaio 1879, pag. 7.
[182] Il corsivo è del CAPPELLANO
[183] Dal Conciliatore di Torino, 7 aprile 1849.
[184] Cfr. Mem. Biogr, vol. XI, pag. 450.
[185] Positio super rev. script, anno 1906, pag. 17.
[186] Lett. di Don Rua a Don Bonetti, Torino 8 aprile 1881
[187] Cfr. sopra, pag. 190.
[188] Tanto risulta da una lettera non firmata, ma tutta di pugno dell'Arcivescovo e con un'annotazione dello stesso carattere che dice: Copia di lettera. E’ posseduta dal teologo Franchetti.
[189] Don Berto ne poté trarre una copia, che é nei nostri archivi.
[190] Quella per la sospensione di Don Bonetti (cfr. c. prec.).
[191] Ispettori di Pubblica Sicurezza si chiamavano allora quelli che oggi si dicono Delegati.
[192] App., Doc., 29.
[193] La cerimonia della partenza fu ai 10 di dicembre.
[194] Il barone Héraud, ritornato in patria, scrisse a Don Bosco questo dialoghetto il 23 dicembre seguente.
[195] Lett. di Don Anfossi a Don Bonetti, Torino 5 dicembre 1881.
[196] Negli atti del Processicolo, da monsignor Mariani, promotore della fede, il Pellicani é definito inconstans e il Leoncini nimis simplex.
[197] Il fatto risaliva al dicembre 1869 (cfr. LEMOYNE, M. B., vol. IX, pag. 749 sgg.).
[198] App., Doc. 30.
[199] Questa lettera fu minutata da Don Bonetti e riveduta da Don Bosco, che vi fece qualche aggiunta.
[200] App., Doc., 31
[201] App., Doc., 32.
[202] Lett. a Don Bonetti, Roma 9 gennaio 1882.
[203] App., Doc.- 33.
[204] Lett. di Don Berto a Don Bonsetti, Roma 18 aprile 1882.
[205] Lett. di Don Dalmazzo a Don Bosco, Roma 15 maggio 1882.
[206] App., Doc. 34.
[207] Lett. cit. dì Don Dalmazzo
[208] Lett. di Don Dalmazzo a Don Bosco, Roma 21 maggio 1882.
[209] Quel saggio fruttò al Direttore una bella lettera del duca Salviati (App., DOC. 35).
[210] Lett. a Don Dalmazzo, Torino 24 maggio 1882.
[211] App., Doc, 36.
[212] Lett. del 25 maggio 1882.
[213] Lett. del card. Nina a Don Dalmazzo, Roma 30 maggio 1882
[214] App., Doc. 37
[215] Nella lettera di Don Dalmazzo (18 giugno 1882), che riferiva queste cose, Don Bonetti appose qui più tardi la seguente nota: “E’ vero, ma era più giovane, un po' stanco, scandalizzato che non si ponesse rimedio e poi l'amor mio a Don Bosco. Tuttavia se avessi ancora da trovarmi in simili lotte, mi pare che userei più prudenza, quantunque lo stile é l'uomo”.
[216] Si scusa della cattiva scrittura, dovuta alle sue condizioni di salute; ma non ha voluto servirsi di altri per la delicatezza dell'argomento.
[217] Don Dalmazzo il 21 giugno gli aveva scritto di monsignor Verga, segretario del Concilio, poi Cardinale: “Interpellato da Nina sulle conclusioni prese, si mostrò contrario dicendo che era aperta ingiustizia, ammirò la pazienza e l'abnegazione di Don Bosco che a tutto si accomoda pro bono pacis”. Indi proseguiva per conto suo: “Sono però tutti persuasi, eccetto il Papa, che non se ne farà nulla. Avremo però tentate tutte le vie.”
[218] Summarium del Processiculum, pag. 125
[219] Torino. 27 agosto 1882
[220] Lett. di Don Dalmazzo a Don Bonetti, Roma 5 settembre 1882
[221] Lett. del 16 settembre 1882
[222] Lett. dei 15 febbraio 1883
[223] Cfr. App., Doc., 38
[224] App., DOC.. 39
[225] App., Doc. 40
[226] Lett. del card. Nina a Don Bosco, 10 luglio 1883
[227] App., Doc. 41.
[228] Cfr. App., Doc. 42. Anche monsignor Re, vescovo di Alba, depose nel Processicolo (Summarium, pag. 137): “A spiegare la durata di quegli attriti tra due persone animate entrambe da retta intenzione, stimo opportuno ricordare che l'Arcivescovo, insieme con molte buone qualità, aveva pure un'idea un po' esagerata della propria autorità e della propria scienza, oltre ad un carattere pronto, per cui talora precipitava nelle sue decisioni e difficilmente poi si induceva a recedere dalle medesime per timore di menomare il prestigio della sua autorità.”
[229] Il Turchi ci fa anche sapere che Don Anfossi era stato l'autore dello stampato del Cooperatore Salesiano, di cui si disse nel vol. XIII, pag. 376.
[230] I Tim., 1, 4.
[231] Positio super revisione scriptorum, a. 1906
[232] Lettera “Riservatissima” a Don Bosco, Roma 1° dicembre 1881
[233] Cfr. vol. XIV, pag. 318.
[234] Lett. 14 giugno 1881.
[235] Lett. 17 luglio 1880.
[236] Lett. 24 luglio 1880.
[237] Lett. di Monsignore a Don Durando, Messina 20 agosto 1881
[238] Lett. 27 maggio 1881
[239] Lett. a Don Bosco, 10 ottobre 1881
[240] Lett., Torino 20 marzo 1879
[241] Lettere a Don Ronchail, Napoli 4 novembre, e a Don Bosco, 23 novembre 1879.
[242] Si chiamano così certe grotte siracusane, formate ab antiquo per lo scavo della pietra e oggi ancora utilizzate da cordari e ad altri usi. Una é il famoso Orecchio di Dionisio.
[243] Lett. a Don Bosco, Siracusa 3 agosto 1880
[244] Lett., Napoli 17 aprile 1881.
[245] Lett. della Marchesa a Don Rua, Napoli 7 giugno 1881
[246] App., Doc. 43
[247] Cfr. vol. XIV, pag. 650 sgg.
[248] Monsignore si era espresso in questi termini: “Lascio lo stabile dell'ex convento di S. Benedetto, ortaglie e adiacenze, da me comperato alli Rondani Manici, per un orfanotrofio maschile sotto la direzione ed amministrazione della Congregazione Salesiana a Don Giovanni Bosco di Torino superiore generale della stessa per l'effetto suindicato. Nel caso che l'orfanotrofio non sia istituito entro tre anni dalla mia morte, lascio detto stabile,. ortaglie, ecc. al seminario diocesano di Parma.”
[249] Morì nella sua villa di Pianore presso Viareggio (1848-1907).
[250] Cfr. LEMOYNE, M. B., vol. VII, pag. 324.
[251] App., Doc. 44.
[252] Lettere di mons. Villa 9 ottobre 1881 e del can. Tescari 6 agosto 1882.
[253] Nel giugno del 1885 il piccolo Ubaldi, alunno della quarta ginnasiale, lesse a Don Bosco nell'accademia dell'onomastico una sua composizioncella in greco; andato quindi a baciargli la mano, si aspettava qualche parola di complimento. Invece Don Bosco gli disse: - Oh il grecista! Ti faremo poi professore di Università!
[254] Quest'Ordine cavalleresco, istituito da Vittorio Emanuele II nel 1868 per conservare la memoria dell'annessione della Venezia all'Italia, era stato aggregato all'Ordine Mauriziano.
[255] Unità Cattolica, 7 ottobre 1888.
[256] L'Unità Cattolica dell'II novembre in un articolo sulla imminente cerimonia scriveva: “Alla solenne funzione assistono i principali personaggi ufficiali della nostra città, e non vi manca il ministro Guido Baccelli, che vi rappresenta il
Governo”. Ma nel numero del 12 rettificò: “Mancava il ministro Baccelli, trattenuto a Roma dalle sue occupazioni ministeriali. Il Governo veniva perciò rappresentato dal prefetto di Torino, senatore Casalis.”
[257] Circondato dai canonici Chiuso, Antonelli e Bertoglio, dal decano dei parroci commendatore Genta e da altri preti, monsignor Gastaldi benedisse la pietra fondamentale e pronunziò dinanzi al Re un discorso, di cui allora furono censurate alcune espressioni che urtarono i sentimenti dei cattolici più fedeli al Papa. Erano poi i giorni delle tribolazioni narrate nei capi antecedenti. Don Bosco dunque si sarebbe trovato molto a disagio, se avesse preso il posto a cui l'invito gli dava diritto.
[258] App., DOC. 45.
[259] Siviglia, 30 gennaio 1880.
[260] Siviglia, 31 gennaio 1880
[261] “Stare in gamba”, espressione piemontese che vuol dire “stare in buona salute” oppure “state di buon animo, farsi animo”.
[262] Lett. cit. e a Don Bosco, Siviglia 23 febbraio 1881.
[263] Utrera, 10 marzo 1881.
[264] Allude alla burrasca che li sbattè durante quel tragitto.
[265] App., Doc. 46.
[266] Lett. di Don Cagliero a Don Bosco, Utrera, 17 marzo 1881.
[267] A obra de D. Bosco, Fondador da Congregação dos Salesianos (S. Francisco de Salles) segundo a versáo do francez do Padre Mendre. Porto, Typ. Da Palavra, 1881.
[268] Lett. di Don Cagliero a Don Lazzero, Oporto 26 aprile 1881. Il settimanale di Lisbona A Cruz do Operaio nei suoi numeri del 23 luglio, 6 e 13 agosto, 3 settembre parlò di Don Bosco, dei principii dell'Oratorio, dell'opuscolo dell'abate Mendre e delle Missioni salesiane.
[269] Cfr. LEMOYNE, M. B., vol. VIII, pag. 536
[270] Cfr. vol. XIII, pag. 631.
[271] Cfr. vol. XIII, pag. 848.
[272] App., DOC. 47.
[273] Lett. a Don Rua, Firenze 2 luglio 1881.
[274] Solo ora siamo venuti in possesso delle copie di molte lettere scritte da Don Bosco alla Contessa e da noi riscontrate con gli originali. Nell'Appendice dei Doc. anteriori inediti ne pubblicheremo 37, dal 1866 al 1878.
[275] Cfr. avanti, pag. 466.
[276] Don Bosco dava del Lei a Don Confortóla, venuto in Congregazione, quand'era già prete.
[277] Cfr. vol. XIII, pag. 413 e 855 sgg.
[278] Cfr. vol. XIII, pag. 54.
[279] Cfr. vol. XIV, pag. 102 sgg. Desumiamo la notizia da due noterelle della citata memoria.
[280] Cfr. vol. XIII, pag. 855.
[281] Cfr. sopra, pag. 139.
[282] Dotato di anima poetica, ogni volta che un forte sentimento lo agitava, non sapeva astenersi dall'esprimerlo in versi. Allora sfogò il suo corruccio in queste tre strofe, che inviò al chierico Foschini salesiano
- Vengono i Salesiani? - I Protestanti sì
Dimandano i cristiani. I Salesiani no;
- Vengono i Protestanti, - Maria, guardate qui
Rispondono i birbanti. Quello che ci toccò.
Mira, o Madre, a' tuoi ginocchi
[283] Cfr. vol. XII pag. 23, e sopra pag. 149. Gli originali delle lettere di Don Bosco al Canonico si conservano nell'archivio domestico di Casa Cavina.
[284] App., Doc. 48. Una convenzione si era fatta prima dell'andata; ma ebbe carattere preparatorio. Potrà essere utile sapere che il Beato durante il suo soggiorno nell'ex-convento occupò la penultima stanza a levante, nel corpo di fabbrica che sul cortile si allunga verso mezzogiorno.
[285] Roma, 21 giugno 1881.
[286] Nel 1901 un decreto della Congregazione dei Vescovi e Regolari fra le condizioni perchè le Congregazioni femminili potessero ottenere dalla Santa Sede l'approvazione delle Regole, poneva la piena indipendenza da ogni Congregazione maschile di eguale scopo. Nel 1918 quel decreto diventò un articolo del nuovo Codice di diritto canonico. Per le Figlie di Maria Ausiliatrice il detto decreto andò in vigore nel 1906. Nel 1921 Benedetto XV nominò Don Albera delegato apostolico per le Figlie di Maria Ausiliatrice con la missione di conservare fra loro per sè o per mezzo d'altri lo spirito del Fondatore.
[287] Cfr. MACCONO, Suor Maria Mazzarello, pag. 268. (Prima ediz.).
[288] Cfr. vol. XIV, pag. 222 e 227.
[289] Cfr. sopra, pag. 209.
[290] Settembre, ottobre e dicembre 1881; marzo e giugno 1882.
[291] Cfr. vol. XIII, pag. 870.
[292] Cfr. sopra, pag. 175.
[293] Boll. Sal., settembre 1881.
[294] App., Doc- 49.
[295] Boll. Sal., novembre 1881. Per il viaggio di Don Cagliero in Sicilia, cfr. App., Doc. 50.
[296] Boll. Sal., gennaio 1882. A questa chiesa abbiamo già dedicato l'intero capo XVIII del volume XIII.
[297] Abbiamo la minuta della lettera indirizzata da Don Bosco al ministro dell'Interno per la decorazione (App., Doc. 51).
[298] Ecco l'iscrizione,dettata da Don Francesia
IPSOQUE NOMINE SIBI AD SACRUM FONTEM IMPOSITO
SODALES SALESIANI IISQUE ADPELLATI COOPERATORES
AUCTORITATE ILLIUS RITE COMPROBATI
OBSEQUII AMORIS GRATI ANIMI MONUMENTUM
IN SUAVISSIMUM EUMDEMQUE MUNIFICUM PARENTEM
LAETITIA GESTIENTES EXSTARE VOLUERUNT
(A Pio IX Sommo Pontefice - che la costruzione di questo tempio ad onore di S. Giovanni Apostolo ed Evangelista - col consiglio e coll'opera promosse - e con lo stesso suo nome battesimale - di buon grado concesse fosse chiamato - i soci Salesiani e i loro Cooperatori - da lui canonicamente approvati - e largamente più d'una volta soccorsi - l'amore, l'ossequio e la riconoscenza loro -verso un sì dolce e generoso Padre - vollero giubilanti eternare con questo monumento - l'anno 1882.)
[299] Poiché più volte negli ultimi volumi si é parlato di questa chiesa, né, per la mancanza del volume decimo, se ne conosce ancora appieno dai lettori la storia, riportiamo nell'Appendice (Doc. 52) un articolo del Bollettino (marzo 1882), che ne racconta le origini. Don Berto scriveva da Roma: “Quel vedere associati i nostri giovani cantori e la musica alle imprese dell'Arcivescovo, ci fa in questo momento molto male, perché i lontani credono veramente che ci sia benevolo.” (Lett. a Don Bonetti 17 aprile 1882).
[300] Cfr. vol. XIII, pag. 577 pgg.
[301] Per la conoscenza dei tempi é bene leggere il manifesto pubblicato allora da studenti sobillati dai mestatori (App., Doc. 53).
[302] Questo “Biglietto personale d'ammissione” era un cartoncino che portava i nomi dei “maestri Collaudatori,” l'orario e questa nota: “Si prega di un'elemosina nell'ingresso per le spese di quest'Organo”.
[303] Num. del 6 luglio 1882.
[304] Francesismo: désemplir, vuotarsi.
[305] Contessa Adele di Rovasenda madre della marchesa Maria Terzi, che possiede l'originale della lettera e ci ha permesso la citazione.
[306] App., Doc. 54.
[307] Lett. di Don Bonetti a Don Bosco, Torino 12 aprile 1882.
[308] Lett. cit., e di Don Berto a Don Bonetti, Roma 16 aprile 1882.
[309] Sampierdarena, 14 settembre 1881. Dimenticandosi di essere a Sampierdarena, dice “in questa nostra città”, come se fosse a Torino.
[310] Lett. di Don Bonetti a Don Berto, Torino 29 aprile 1882. Cfr. App., Doc. .5 S.
[311] Lett. a Don Bosco, Roma 30 giugno 1882.
[312] Cfr. Boll. Sal. del giugno 1882.
[313] Num. cit.
[314] Lett. di Don Dalmazzo a Don Bosco, Roma 25 ottobre 1882.
[315] Intende quei tali studenti universitari.
[316] Lett. di Don Bosco a Don Dalmazzo, Torino 12 novembre 1882.
[317] Il Bollettino del gennaio 1883 diede la sostanza del discorso, che si può leggere nell'Appendice di questo volume (Doc. 56), Esistono anche appunti autografi.
[318] Lett. a Mademoiselle Clara Louvet, Torino 2 novembre 1882.
[319] Cfr. sopra, pag. 181.
[320] Inf., XIV, 65-6.
[321] Vol. XIV, pag. 5,5 sgg.
[322] App., Doc. 5 7
[323] G. B, LEMOYNE, L'Apostolo San Giovanni e la Chiesa primitiva Due vol. in 16, di pgg. 398, 362. Torino, Tip. e libr. salesiana 1882. Se ne fecero contemporaneamente due edizioni, una, per allora, di lusso e l'altra economica; la prima costava 4 lire, la seconda 1,25.
[324] A. BUFFA. La Chiesa di San Giovanni Evangelista. In 8°, pp. 22. Torino, Tip. e libr. Sal., 1982.
[325] Cfr. sopra, pag. 135.
[326] Salmo CL, 5.
[327] Fu poi modificata così: Societas Salesiana. Discite a me qui mitis sum.
[328] Riportiamo altrove nel testo latino e francese questo diploma (App., Doc., 58)
[329] App., Doc., 59, A-B-C-D. Dal registro delle offerte che si conserva nell'archivio dell'Ispettoria romana si raccolgono alcuni dati notevoli. Nel 1881 pervennero lire 63,964,79, di cui 50.000 dalla sola Duchessa De Séveré; nel 1882, lire 39.528,55, figurando fra gli oblatori il Conte di Chambord per lire mille e la Marchesa De Paterat per ventimila; nel 1883 il solo Don Bosco poté inviare a più riprese la somma complessiva di lire 180.500. Delle offerte del conte Colle si é detto nel capo terzo. Sotto l'anno 1885 troviamo segnate lire 20.000 da parte del Superiore Generale dei Fratelli delle Scuole Cristiane, della cui generosità diremo più innanzi. Figurano in buon numero Vescovi italiani e stranieri. Ma le offerte non sono ivi tutte segnate.
[330] La risposta che non é priva di alcune singolarità, si può leggere nell'Appendice (Doc. 60)
[331] App., Doc. 61.
[332] Ivi, DOC. 62.
[333] Lett. del cappellano a Don Bosco. Froshsdorf 28 novembre 1881.
[334] Fece domanda di sussidi anche al Ministero di Grazia e Giustizia ma il 3 luglio gli fu risposto che “per mancanza dei necessari fondi” non si poteva concorrere alla costruzione della chiesa e dell'ospizio da lui “con tanto zelo”intrapresa.
[335] Lett. di Don Pozzan a Don Bosco, in Bollettino Salesiano di novembre e dicembre 1881 e di marzo 1882.
[336] Lo dice il Boll. Sal. del dicembre 1881; ma non ne abbiamo rinvenuta copia.
[337] Summ. sup. virt., VI, 118 (De heroica spe).
[338] Lett. di mons. Guarino a Don Bosco, 10 dicembre 1881.
[339] Cioè, procediamo con ordine, enumerando le cose da dire.
[340] Il Marchese Léon Boulanger de Saint-Cyr comte de Villeneuve, padre del Priorino della festa di Maria Ausiliatrice, aveva invitato Don Bosco a fare da padrino a un suo neonato. Don Bosco accettò per il suo prossimo viaggio in Francia; ma la cerimonia doveva già essere stata fatta per procura. (Lettera di Don Bosco al Marchese, Turin, le 11 août 1883).
[341] Manca data e firma. Lo scritto dovette essere stato portato a mano. Don Bosco era a Sampierdarena alla metà di settembre (cfr. sopra, pag. 403)
[342] Lett. 6 aprile 1881.
[343] Quest'ultimo particolare é notato in un diario di D. Viglietti.
[344] Lett. da Catania, 21 del 1883. Cfr. Boll. Sal. del marzo 1883 e D. GAETANO AMADIO, Il Cardinale Dusmet, Catania, Casa ed. “L'Arte Sicula”, pag. 109.
[345] Il motto va comunemente nella forma Bis dat qui cito dat. Chi dà prontamente, raddoppia il dono.
[346] Cfr. Bollettino del maggio 1883.
[347] Cfr. vol. XIV, capo XXIV.
[348] Lett. a Don Bosco, Roma 17 giugno 1882. giugno 1882
[349] Lett. di Don Dalmazzo a Don Bosco, Roma 7, 21 e 30
[350] Lett. a Don Bosco, Roma 30 ottobre 1882 (App., Doc. 63).
[351] Lett di Don Dalmazzo a Don Bosco, Roma 31 gennaio 1883.
[352] Lett. di Don Savio a Don Rua, Roma 20 febbraio 1883.
[353] App., Doc. 64.
[354] Un tempo al Castro Pretorio i Gesuiti possedevano terreni e case, per il cui acquisto avevano impiegato fondi provenienti dalla loro missione del Macao in Cina; donde i1 nome della località.
[355] Cfr. vol. XI, cc. IX e XXI.
[356] Cfr. vol. XII, pgg. 646-7.
[357] Cfr. vol. XII, pgg. 241-4; XIV, Pag. 707.
[358] App., Doc. 65.
[359] Lett. di monsignor Guarino a Don Bosco, Roma 10 dicembre 1881, e dell'avvocato Leonori a Don Bosco, Roma 26 dicembre 1881.
[360] Lett. a Don Dalmazzo, S. Benigno 8 settembre 1882.
[361] Favori e grazie spirituali concessi dalla S. Sede alla Pia Società di S. Francesco di Sales dal 1835 al 1879. Torino, Tip. Sal. 1881.
[362] Lett. di Don Bosco a Don Berto, Alassio 8 aprile (Cfr. sopra, pag 137).
[363] Lett. a Don Bosco, Messina 1° ottobre 1881.
[364] Lett. di mons. Guarino a Don Bosco, Roma 21 novembre 1881.
[365] Lett., Roma 1° dicembre 1881,
[366] Lett., Roma 14 dicembre 1881.
[367] Non ne abbiamo trovato copia. E’ probabile che quel foglio contenesse le ragioni esposte già nel 1875.
[368] App., Doc. 66.
[369] Lett. di Don Dalmazzo, Roma 7 giugno 1882.
[370] Lett., Torino 19 giugno 1882. Faceva parte dell'incartamento una “Breve Esposizione”, che riportiamo in app. (Doc. 67).
[371] Lett. a Don Bosco, Roma 27 giugno 1882.
[372] Lett., 29 luglio 1882.
[373] Nello spedire l'incartamento commise una svista; onde riscrisse il giorno dopo:
Ieri probabilmente la mia povera vista o dimenticò o scambiò altra carta invece della lettera che accompagnò la petizione di alcuni privilegi per la nostra Congregazione.
Qui la unisco pel caso che le occorresse in qualche occasione.
Mi perdoni la E. V. della rinnovazione di tanti disturbi e permetta che io mi possa professare colla più profonda venerazione
[374] App., Doc. 68.
[375] Lett. di Don Dalmazzo a Don Bosco, Roma 25 ottobre 1882.
[376] Lett. di Don Dalmazzo a Don Bosco, 30 ottobre 1882. ,
[377] Lett. di Don Dalmazzo a Don Bosco, non datata ma di poco posteriore alla precedente.
[378] Lett. del 29 novembre 1882.
[379] L'anormalità proveniva dal diniego dei privilegi. Don Dalmazzo scriverà a Don Bosco il 31 gennaio 1883: “Il Card. Nina domanda se Don Bosco ha risposto al Papa per la casa di Mantova. Se no, prega sollecitare, mettendo per condizione, umilmente, l'accordo dei privilegi. Dice che su questo punto bisogna andare fino ad importunitatem.”
[380] Lett. di Don Dalmazzo a Don Bosco, Roma 18 dicembre 1882.
[381] Cfr. vol. XIV, pag. s18.
[382] Cfr. GIRAUDI, L'Oratorio di Don Bosco, tav. IX, D e A.
[383] Diceva l'iscrizione: I Salesiani esultanti - nella deposizione delta pietra angolare - della nuova tipografia - questo ricordo depone - il sig. cav. Giovanni Frisetti - 22 nov. 1881.
[384] L'Osservatore Romano, nel numero del 15 giugno 1933, in un articolo del sacerdote Giuseppe De Luca, parlando dell'antica Biblioteca dei Classici Italiani, edita nell'Oratorio, pur non nascondendone i difetti, lodava “l'attività libraria iniziata da Don Bosco, che ai cattolici italiani giovò non poco in tempi calamitosissimi”; dopo la quale osservazione affermava: “Una storia di tale attività sarebbe senza dubbio un capitolo onorato, quando si volesse narrare la cultura dei cattolici italiani nell'Ottocento.”
[385] Il Bollettino Salesiano di dicembre diede di questa conferenza un largo resoconto. (Cfr. App., Doc. 69).
[386] Cfr. VOI. XIII, pgg. 20-22,
[387] Il Bollettino francese del febbraio 1882 pubblicò intero il suo discorso. (Cfr. App., Doc. 70).
[388] Con qualche frequenza si recava a Borgo Cornalense dai De Maistre. Il Conte Eugenio, quando lo vedeva comparire, esclamava piacevolmente: - Oh la benedetta seccatura! - Egli fu del numero dei nobili torinesi che aiutarono in origine Don Bosco nel fare il catechismo.
[389] Cfr. vol. XIII, pgg. 381-4
[390] Gli spettava il titolo di Eccellenza per le alte cariche sostenute a Corte sotto Carlo Alberto.
[391] Un pranzo coi fiocchi, vuol dire certamente; ma c'erano anche dei diplomatici autentici fra i convitati, per esempio il conte di Donato, regio ambasciatore d'Italia presso lo Scià di Persia; la famiglia del qual Conte possiede l'autografo della lettera surriferita.
[392] Cfr. vol. XIII, pgg. 812-5
[393] App., Doc. 71.
[394] Cfr. vol. XI, p. 17; vol. XIII, P. 834; vol. XIV, pgg. 396 e 566.
[395] App., Doc. 72.
[396] Questi esercizi, cominciati la sera del 17 agosto, si chiusero la mattina del 25. Predicarono Don Rua e Don Lazzero. Gli esercitandi erano 163, in massima parte aspiranti. Don Bosco vi arrivò a mezzogiorno del 18. La domenica 21, festa di S. Gioachino, egli fece spedire il seguente telegramma al Santo Padre: “Salesiani raccolti esercizi spirituali e loro allievi godono vostro onomastico. Pregano Dio concedervi lunghi anni di vita felice. Sac. Bosco.” Il 30 giugno su proposta di Don Bosco si era dal Capitolo stabilito che in quell'anno tutti i corsi d'esercizi si tenessero a S. Benigno e non più a Lanzo. I chierici andarono a passare le vacanze nel collegio di Borgo S. Martino,
[397] Il poscritto suppone pubblicato di recente il Dom Bosco del D'Epiney (1881). L'accenno all'invio del nuovo personale (num. 3) riporta il documento all'autunno avanzato, quando si facevano i trasferimenti (le scuole cominciavano dopo i Santi), e non prima né dopo il 1881. Don Dellavalle compare la prima volta come addetto alla casa di Nizza nel catalogo del 1882. L'allusione all'imposta sui corpi morali la fissa agl'inizi del Ministero Gambetta, che si presentò alla Camera il 15 novembre 1881.
[398] Procés verbaux di Marsiglia, 9 e 23 marzo 1882.
[399] Annunzia scherzevolmente la non lontana sua visita.
[400] Don Berto in una sua copia della lettera ha cura di annotare a questo punto: “E ciò ad unico fine di ottenere maggiori aiuti e sussidi per promuovere la gloria di Dio e il bene delle anime.”
[401] Deve alludere a: Qui se existìmat stare, videat ne cadat (I Cor., X, 12 )
[402] Vol. XIV, pag. 373
[403] App., Doc. 73.
[404] Il nuovo personale, che s'indugiava per via.
[405] Pensava certo a ottenergli qualche onorificenza.
[406] L'originale é posseduto dalle Suore Calasanziane di Firenze (Via Faenza, 54).
[407] L'originale si conserva alla Nazionale di Firenze (Cass. 329, n. 229).
[408] Lett., Sondrio 31 maggio 1933
[409] D. TOMMASO CHIAPPELLO, Salesiano. Il Beato Don Giovanni Bosco nella visione e nelle previsioni di quarant'anni fa. Federico e Ardia editori, Napoli, 1929. Pag. 79.
[410] Procés verbaux, 17 ottobre e 2 dicembre 1881, 6 e 27 gennaio 1882.
[411] Le utilizzò il Bollettino francese nei numeri di marzo e di aprile.
[412] Pr. ver, 7 e 28 ottobre 1881. Per la data dell'arrivo vi é questo cenno nel verbale del 28 ottobre: “Aprés la priére d'usage, Mr le Curé présente au comité, Dom Albera […], arrivé depuis quelques jours à l'oratoire.”
[413] intorno all'opera di Don Borio a Lanzo si legge questa bella testimonianza nei verbali del Capitolo Superiore (5 giugno 1884, sotto la presidenza di Don Bosco):
“D. Rua nota come esso abbia sempre osservato che la riuscita della quinta ginnasiale dipende sempre dal Professore. Dopo che a Lanzo D. Borio fa scuola in rettorica, la Congregazione ebbe sempre ascritti provenienti da quel collegio.”
[414] App., Doc. 74.
[415] Il Bollettino delle Missioni Cattoliche stampato a Milano, traduzione del lionese, nel numero del 3 novembre dava in italiano l'articolo, recando pure il ritratto di Don Bosco. (App., DOC. 75).
[416] App., Doc. 76.
[417] Si sono divulgate erronee notizie sui due preti. Essi furono il teologo Vincenzo Ponsati, parroco di S. Agostino, e il canonico Luigi Nasi.
[418] Nella Vita in due volumi si assegna al 1882 (vol. II, pag. 530) la guarigione della signorina Flandrin. Ma il D'Espiney la racconta già nella prima edizione del 1881 come avvenuta in quell'anno stesso. D'altra parte le circostanze della partenza da Marsiglia nel 1882 non si conciliano con quelle del fatto. (Cfr. sopra, pag. 58).
[419] Lett. al fratello Luigi coadiatore nell'Oratorio di Torino, Marsiglia 23 febbraio 1882.
[420] Echo de N. D. de la Garde, 26 febbraio 1882 (NUM. 14).
[421] Cfr. vol. XIV, pgg. 100-2.
[422] Togliamo la citazione da CHAN. CLEMENT TOURNIER, Doyen de Saint-Sernin, Le Bienheureux Dom Bosco à Toulouse. Berthoumier, Toulouse, 1929, pag. 37.
[423] Il settimanale portava la data della domenica, ma usciva prima.
[424] Semaine Catholique del 12 febbraio. Il padre Anton Maria, cappuccino, apostolo della regione tolosana, fece nel 1890 questo confronto fra il parlare e trattare di Don Bosco e quello di Don Rua: “Oh l'ho udito predicare [Don Rua]: parla con la stessa sublime semplicità. L'ho visto in riunioni private: discorre con la stessa affascinante attrattiva. Mi trovai assiso accanto a lui, alla festa familiare [a Nizza] che diede in suo onore il Circolo Operaio Cattolico: ed ho visto, ho ascoltato Don Bosco”. (Bull. Sai., février 1890).
[425] Del Du Bourg, tuttora vivente (giugno 1933), dovremo occuparci nel volume XVI a proposito del conte di Chambord, al cui seguito quegli apparteneva.
[426] TOURNIER, I. c., pag. 57.
[427] Hótel Marsac, piazza della cattedrale di S. Stefano, n. II.
[428] L. c., pag. 59.
[429] Nell'opuscolo citato, a pagina 67, il Tournier dopo aver detto alcuni motivi che dovevano rendere gradito a Don Bosco il poter innalzare colà una preghiera all'Angelo delle scuole, ha una divagazioncella che vale la pena di riferire: “Une pensée plus intime a peut-être concouru à déterminer sa démarche. Dans son décret de Béatification de Don Bosco, le pape Pie XI déplorera qu'il ait rencontré des contradictions provenant de ceux-là même dont il était en droit d'attendre aide et secours. Le prélat docte et zélé. qui occupait le siege archiépiscopal de Turin et se croyait engagé par devoir à contrarier les entreprises du fondateur du Valdocco, recherchait la solution des problémes modernes moins dans les ceuvres de saint Thomas que dans certains théories suspectes du philosophe Rosmini. Ah! si L'influence secréte du Docteur Angélique, rectifiant tout écart intellectuel et redonnant à une áme inégale le calme de la clairvoyance et la miltrise de soi, allait faire cesser un trop long conflit funeste àla diffusion du bien, un conflit dont lui, Don Bosco, eu victime saignante et silencieuse, subissait l'épreuve depuis dix ans!”
[430] Semaine Catholique del 12 febbraio 1882.
[431] Nella monografia del Tournier vi é un'appendice con l'elenco nominativo di tutti gli oblatori; vi figura anche il Cardinale per franchi 25.
[432] L. c., pgg. 81-2.
[433] La cosa non passò ignorata né senza commenti. La signora Leocadia Orloff, scrivendo a Don Bosco da S. Remo il 12 maggio 1883, diceva: “A Toulouse ils ont été bien mal intentionnés de n'avoir accepté; la maison de M. l'Abbé Julien aurait dû vous être cédée; pour une nouvelle maison je crois que cela serait bien difficile, vu la grande quantité d'oeuvres de Charité qui se trouve dans cette ville.”
[434] Il Tournier, rievocando questo avvenimento in una sua conferenza (Les Ubaldini de Toscane, Dante et Toulouse: Toulouse, Andrau et Laporte, 1933 pag. 48), scrive che allora “les reliques du doux bienheureux Don Bosco, recues (...) avec les honneurs du triomphe, vinrent apporter leur parfum de pacifique sainteté.”
[435] Proc. verb., 24 febbraio 1882.
[436] Lett. dell'abate J. Rostand a Don Ronchail, Antibes 16 dicembre 1882.
[437] Lett. di Don Pastol a Don Auffray, Liegi 4 settembre 1932.
[438] App., Doc. 77.
[439] Cfr. sopra, pag. 371.
[440] Mme Lambot-Miraval a Don Rua, Brignoles 22 febbraio 1891.
[441] Rapport sur les OEuvres de la Société de Saint-Vincent de Paul à Nice. Nice, Patr. St-Pierre, 1882. Pag. 18. Nel 1883, celebrandosi a Nizza il cinquantesimo anniversario della fondazione delle Conferenze di S. Vincenzo in quella città fu pubblicata una notizia storica (Notices Historiques des Conférences et OEuvres de Saint-Vincent de Paul à Nice depuis la fondation en 1844 jusqu' à 1883 année des noces d'or de la Société) in cui si narra distesamente delle relazioni di Don Bosco con le Conferenze.
[442] Summ, Num. XVII De donis supernat, etc., § 69.
[443] La relazione fu orale del sacerdote Carlo Moro a Don Lemoyne, (cfr. vol. XIV, pag. 414), ma da questo messa per iscritto.
[444] Boll. Sal. di giugno 1882.
[445] Del fatto esiste nei nostri archivi una relazione posteriore di Don Ronchail, al quale però la memoria fece difetto; poiché lo pone nel 1881, mentre é certamente del 1882. Infatti lo riferisce molto brevemente la Gazzette du midi del 27-28 marzo 1882 in una corrispondenza del 25 da Cannes; inoltre il Boll. Sal. del giugno 1882 parlando della venuta della signorina a Torino per la festa di Maria Ausiliatrice, scrive che essa aveva ricevuto la grazia nel marzo antecedente. Le dame Ausiliatrici conservarono religiosamente un amitto usato da Don Bosco, celebrando nella loro cappella.
[446] Prima di partire da Marsiglia aveva lasciati scritti per Don Bologna questi ricordi: Finestra e ruota tra cucina e refettorio.
[447] Cfr. avanti, pag. 548.
[448] Il giornale parigino la pubblicò nel numero del 18 maggio 883, sotto il titolo”Dom Bosco “.
[449] La Gazzetta del Popolo, 25 aprile 1882. L'Unità Cattolica rispose per le rime il 26; l'articolo é riportato nel Bollettino di maggio.
[450] Questo incidente suggerì al professore Alessandro Fabre ex-allievo dell'Oratorio, nell'annuale convegno degli ex-allievi il tema di un discorsetto umoristico, che fu stampato. S'intitola La Politica di Don Bosco. Fingendo di prendere sul serio l'accusa che Don Bosco fosse un politicante, mossagli pure da giornali torinesi, l'autore dice a un certo punto: “E noi... noi tre volte meschini, che in tanti anni che coabitammo con quell'uomo misterioso, noi, che ne ascoltammo le migliaia di volte le parole di carità, noi, che potemmo le mille volte sorprendere i suoi segreti maneggi in favore della triste politica, che fa tremare i grandi della terra; noi meschinissimi, che non ci avvedemmo di nulla! Noi semplici, che abbiam sempre creduto e crediamo che l'unica politica di Don Bosco fosse di trovar modo da far bollire la tradizionale pentola dell'Oratorio, fosse di rendere alacri e volenterosi a lavorare nella vigna del Signore i cento e cento, che la voce di un tal maestro chiamava a coadiuvarlo nelle gravi cure di un apostolato vasto e diffìcile assai; fosse d'ispirare in cuore dei mille e mille alunni, che entrarono, si fermarono ed uscirono da quest'ostello di benedizione e di pace un salutare timore del male, un disinteressato amore del bene, una sana prudenza nella condotta, una franca indipendenza nel carattere; - ripeto, noi meschini tre volte, che non sapemmo vedere come tutto questo affannarsi nel bene non era per Don Bosco che un mezzo sicuro per raggiungere i suoi fini politici!“
[451] Cfr. sopra, pag. 455.
[452] Cfr. sopra, capo VI.
[453] Don Bosco nell'autunno fu in Liguria per gli esercizi spirituali, come risulta da due lettere che troveremo nel capo ultimo. Di tale andata non sappiamo altro che questo episodio.
[454] Lett. a Don Bonetti, Camogli 4 aprile 1882.
[455] Lett. cit.
[456] Bollettino di maggio 1882.
[457] Don Raffaele Veronesi, Montebudello presso Bazzano (Bologna), 26 maggio 1882.
[458] Bollettino di luglio 1882.
[459] Lett. a Don Bosco, Montebudello 2 settembre 1883.
[460] Sac. G. B. FRANCESIA, L'elemosina ossia il Paradiso assicurato ai ricchi nella persona dei poveri. Torino, Tip. Sal., 1898, pgg. 5 e 6.
[461] Tim., VI, 18. BOSSUET (Sur l'éminente dignité des pauvres, Parigi, 1659) dice: “Se gl'ingiusti pregiudizi del secolo impediscono ai ricchi di comprendere in questo mondo che pesante fardello sia l'abbondanza, allorché arriveranno là dove sarà di nocumento l'esser troppo ricchi, allorché compariranno dinanzi a quel tribunale, dove bisognerà rendere conto non solo dei talenti impiegati, ma anche dei talenti sotterrati e rispondere a quel giudice inesorabile non solo dello speso, ma anche del risparmiato e messo da parte, allora, signori, conosceranno che le ricchezze sono un gran peso e si pentiranno indarno di non essersene scaricati.” E altrove (Sur l'impénitence finale, Louvre, 5 marzo 1662): “Chiunque abbia gli occhi aperti da intendere la forza di quell'oracolo pronunziato dal Figlio di Dio: Nessuno può servire a due padroni, potrà facilmente capire che, a qualunque oggetto il cuore si attacchi, sia esso proibito o permesso, se vi si dà interamente, non é più di Dio; e che quindi vi possono essere attaccamenti dannabili a cose le quali sarebbero di lor natura innocenti. Se é così, o cristiani (e chi ne può dubitate dal momento che la Verità ce ne assicura?), o grandi, o ricchi del secolo, quanto la vostra condizione mi fa paura!”
[462] Cfr. sopra Pag. 451
[463] Cfr. avanti, capo XXI, sotto il paragrafo “Consolatore”.
[464] Lett. di Don Confortola a Don Bonetti, Firenze 3 maggio 1882, pubblicata nel Bollettino di luglio.
[465] Vedere in Appendice, Doc. 78 la lettera di Don Bosco ai Cooperatori fiorentini, perché accettassero l'officio di decurioni.
[466] Un'aggiunta posteriore dice: “il quale morì poi nella estate passata”.
[467] Aggiunta posteriore: “e alcuni giorni dopo vi portarono 5000 fr.”
[468] Cfr. sopra, pag. 213. Don Berto, scrivendo di questa visita, diceva a Don Bonetti: “Questa sera abbiamo veduto il Card. Parocchi, il quale si dimostrò più Salesiano di noi Salesiani. E’ disposto a coadiuvarci in tutto, ed é contento di trovarsi nella posizione attuale di Prefetto degli studi e di far parte anche alla Congregazione del Concilio per poterci giovare e favorire.”
[469] Vi é un'altra sua lettera in francese da Roma alla signora Guisard di Lione, alla quale fa coraggio nelle prove e raccomanda la Chiesa del Sacro Cuore. Alla medesima riscrisse in novembre: sembra che le cose di lei andassero meglio. (App., Doc. 79 A-B).
[470] Specialmente nel capo XIII e nei capi VI, VII, VIII, XI, XIV.
[471] Andò all'udienza con questo promemoria: “Ud. 25-4-82. - Omaggio dei Salesiani, allievi, coop, e benefattori. - Obolo di S. Pietro - Regolare le cose della Congr. - Novizi di Marsiglia. - Missioni. - Vicariato Patagonia, Terra del Fuoco, Isole Malvine. - Affari particolari. - Chiesa del S. Cuore. - Ospizi. - Segr. e D. Tamietti”. Questi due, per la presentazione in fine; le “cose della Congregazione” d'a “regolare” si riferivano alla concessione dei privilegi.
[472] Per Marsiglia Proc. verb., Séance du 25 Mai: “Une lettre de Don Bosco, datée du 8 mai, mentionne un souvenir tout spécial pour le comité. Il dit que, reçu la veille en audience par le Saint-Pére, il avait pu l'entretenir de toutes ses affaires, et avait une bénédiction spéciale pour les Messieurs et les dames de Marseille; il espére que cela apportera entre leurs mains beaucoup d'argent, qui deviendra pour eux des richesses éternelles.”
I Direttori comunicavano alle persone più benemerite la benedizione del Papa. Valga per saggio questa lettera del Direttore dell'Oratorio, indirizzata alla signora Fava.
Sono lieto di poterle annunziare che il 25 aprile p. p. S. Santità il Sommo Pontefice Leone XIII degnavasi ricevere in udienza particolare il nostro amatissimo Signor Don Bosco Giovanni.
Fra gli altri favori domandò una speciale benedizione per la S. V. Ben.ta che il Santo Padre compartì ben di cuore.
Voglia gradire la pia notizia unitamente ai dovuti rispetti di riconoscenza con cui mi professo
Una vedova Savine, che aveva ricevuto una simile comunicazione, rispondeva a Don Bosco il 1° giugno da Parigi: “Nous venons bien tard vous remercier pour cette bonté que vous avez eue de solliciter pour nous une bénédiction du S. Pére; elle nous est fort précieuse et davantage encore lorsque nous avons dú renoncer à faire à Rome un 2° sejour assez long pour espérer une audience; nous avons dà brusquement revenir à Paris et renoncer à aller vous porter, Révérend Pére, nos remerciments. Mon fils et moi espérons que vous n'oublierez pas votre promesse de venir nous voir 6 rue Cassette. Nous serons heureux de vous voir et de vous remettre notre petite offrande pour concourir aussi à l'oeuvre de salut à laquelle vous consacrez votre vie et votre dévouernent.”
[473] Ha questo titolo in Roma un Vescovo che aiuta il Cardinale Vicario.
[474] Abbiamo riassunto qui un articolo dell'Unità Cattolica del 2 maggio, firmato A. M., che, sappiamo essere stato il sacerdote cooperatore salesiano Andrea Maggia (Roma, Collegio Orfani, Piazza Capránica).
[475] App., Doc. 80. Questo diario deve omettere anche molte cose. Si sa per esempio da altre fonti che Don Bosco fu a Propaganda più volte che qui non sia detto.
[476] E' del giorno innanzi un biglietto a Don Lazzero sulla cui busta era scritto: “M. A. Don Lazzero”. Le due iniziali volevano dire “Maria Ausiliatrice”.
Esto sicut bonus miles Christi. In tribulatione exardescit ignis charitatis. De praesentia dilucidabuntur omnes difficultates. Age viriliter, si vis coronari feliciter.
[Sii buon soldato di Cristo. Nella tribolazione arde il fuoco della carità. Di presenza tutte le difficoltà saranno chiarite. Agisci virilmente, se vuoi essere felicemente coronato. Saluti e saluta. Prega per me].
[477] L'altro Jacobini nominato sopra, era monsignor Domenico fatto cardinal più tardi. Il cardinale Lodovico aveva avuto la porpora nel 1879
[478] Il card. Capecelatro (Vita della Serva di Dio P. Frassinetti, Desclées 1900, pag. 496), narrando questo fatto lo pone erroneamente nel mese di giugno.
[479] Sua relazione da Rimini, 1° marzo 1882, pubblicata in LEMOYNE, La Stella del mattino, pag. 69. Qui però, come la convenienza esigeva, la parte di Don Bosco è lasciata nella penombra. Abbiamo pure altre relazioni scritte, fra cui una di suor Clelia Genghini, segretaria del Capitolo Superiore delle Figlie di Maria Ausiliatrice e nipote di Don Cagnòli.
[480] Don Bosco ritorna! Numero unico 1934, Rimini, Stabil. tipografico Garattoni. Aggiunta fatta durante la correzione delle bozze.
[481] La parola. Rivista mensile cattolica, filosofica-letteraria. Dir. Sac. Luigi 1revisani. Rimini, tip. Malvolti. Anno III, maggio 1882, pp. 157-8.
[482] Cfr, sopra. pag. 450.
[483] Lett. a Don Bosco, Alessandria 22 maggio 1882.
[484] Cfr. sopra, pag. 112.
[485] App., Doc. 81.
[486] Le parole in corsivo sono sottolineate nel testo francese, che noi conserviamo, in data: S. Augustin, Paris 17 mai 1882.
[487] Lett., Torino addì 6 luglio 1882.
[488] La relazione fu scritta a Don Rua sei anni dopo il fatto, in occasione della morte di Don Bosco (Cháteau du Pont Jarno Champdeniers, Deux Sévres, 5 febbraio 1888).
[489] L'autografo si conserva.
[490] La relazione fu inviata a Don Rua per istanza della miracolata da suo cognato des Bouillons solo nel 1897; perciò il relatore dichiara di non ricordar più il mese. Egli si protesta pronto ad attestare la grazia in tutte le sue particolarità anche sotto la fede del giuramento.
[491] Sono di quest'anno alcune relazioni di grazie, che Don Bosco stesso scrisse per glorificare Maria Ausiliatrice, nascondendo naturalmente la parte avuta da lui. Le pubblichiamo nell'appendice (Doc. 82).
[492] Cronaca dei Tribunali, 3 giugno 1882.
[493] Non avendo potuto rintracciare il testo della lettera, diamo qui la traduzione del giornale italiano, ritoccando solamente un tantino la forma troppo franceseggiante.
[494] Bollettino di luglio; Unità Cattolica, num. 148, e Corriere di Torino, num. 149.
[495] La lett. é senza data; ma il bollo postale sulla busta porta: “Torino, 4-7-82”.
[496] Il testo inglese in App. (Doc. 83).
[497] Lire sterline, pari a mille italiane antebelliche.
[498] Lett. a Don Bosco, Mantova 30 marzo 1882.
[499] Si allude al chierico, poi coadiutore Camino Quirino. Di acuto ingegno, buon conoscitore di parecchie lingue antiche e moderne e versatissimo nelle matematiche, ebbe tanta modestia, che lo rattenne dal salire al sacerdozio. Venerò sempre Don Bosco e fu da lui molto amato; lasciò memoria di santo.
[500] Una sua relazione ci fornisce i particolari di questa narrazione, meno uno che abbiamo da altre fonti: la fiammella veduta da Don Bosco.
[501] Memorie biografiche del Sac. Michele Unia, sacerdote salesiano, S. Benigno Canavese, 1898.
[502] Lett. al Procuratore, 13 dicembre 1895.
[503] Testimonio Don Marchisio, che ne depose durante i processi.
[504] Mem., biogr., vol. III, pgg. 495-500.
[505] Così racconta il salesiano Don Gioachino Spinelli, nipote dell'altro Gioachino e confessore nel noviziato di Cuenca (Equatore).
[506] Cfr. vol. XIII, pag. 642, e XIV, pag. 336.
[507] App., Doc. 84.
[508] App., Doc. 85.
[509] Lett. di Don Dalmazzo a Don Bosco, Roma 15 maggio 1882.
[510] Lett. del med. al med., Roma 25 ottobre 1882.
[511] Messaggero, articolo intitolato “Che bravo prete!”, num. del 3 marzo, 1882.
[512] Prof. GIOVANNI RICAGNI, Don Bosco e l'istruzione ne' suoi collegi, Alessandria, Tip. Jacquemod 1882.
[513] Lett. del prevosto Don Giovanni Barizione a Don Bonetti, Alessandria 26 agosto 1882. Don Bonetti rivide le bucce al professore nel Bollettino di settembre. Il professore ebbe in premio una cattedra di Liceo a Torino.
[514] App., Doc. 86. Cfr. Bulletin Salésien, novembre 1882.
[515] Don Lemoyne ne fece il racconto a parecchi, fra gli altri a Don Angelo Lovisolo.
[516] LUC., VIII, 3.
[517] Nelle parti che dovremo tradurre, non diremo Signorina, vocabolo affatto estraneo al dizionario di Don Bosco tanto nello scrivere che nel parlare; useremo invece il termine madamigella o damigella, più rispondente al suo trascendentale riserbo e ricorrente d'ordinario nelle sue lettere italiane, allorché egli menziona donne nubili, qualunque sia la loro età.
[518] Torino, 5 agosto 1882.
[519] Torino, 31 maggio 1882.
[520] Torino, 17 giugno 1882.
[521] Pron. Ròtscild. Israelita della Germania, che diede l'esistenza e il nome a una grande casa bancaria, continuata e dilatata dai suoi figli.
[522] S. Benigno, 5 ottobre e Torino, 18 dicembre 1882.
[523] Torino, 19 agosto 1883.
[524] Torino, 21 dicembre 1883.
[525] Torino, 14 febbraio 1884.
[526] Torino, 26 gennaio 1884.
[527] Pinerolo, lo e 18 agosto 1884.
[528] S. Benigno, 4 ottobre 1884.
[529] Torino, 12 ottobre 1884.
[530] Torino, 30 novembre 1884.
[531] Torino, 8 gennaio 1885.
[532] Torino, 21 e 27 febbraio 1885.
[533] Gl'infedeli battezzati dai Missionari. Suoi protetti chiama quei neofiti, per gli aiuti che essa dava alle Missioni.
[534] Alassio, 19 marzo 1886.
[535] Torino, 15 luglio 1882; 18 gennaio 1883; 26 dicembre 1886.
[536] Torino, 31 maggio 1882.
[537] Torino, 17 giugno 1882,
[538] Torino, 12 agosto 1885.
[539] Torino, 5 settembre 1882.
[540] Con questa riserva le vuol far intendere che così dicendo, egli non vuol significare prossima la di lei fine.
[541] Torino, 15 luglio 1882 e 15 novembre 1883,
[542] Torino, 17 giugno 1882.
[543] Torino, 1° gennaio 1882.
[544] Torino, 26 gennaio 1884 e 26 dicembre 1883.
[545] Torino, 18 dicembre 1882.
[546] Torino, 15 luglio 1882.
[547] Torino, 10 agosto 1882.
[548] Torino, 9 settembre 1883.
[549] Torino, 17 settembre 1883
[550] Torino, 21 febbraio 1885.
[551] App., Doc. 87.
[552] Lettera di Don Berto a Don Costamagna, Roma 28 aprile 1882.
[553] Lett. di Don Berto a Don Bonetti, Roma 22 aprile 1882.
[554] Lett. di Don Bosco a Don Dalmazzo, Torino 29 luglio 1882.
[555] Lett. di Don Bosco a Don Dalmazzo, S. Benigno 27 agosto 1882.
[556] Così attesta Don Vespignani nella sua già citata cronaca inedita della Casa Ispettoriale di S. Carlos.
[557] Lettera da Torino, 29 luglio 1882.
[558] Cfr. Boll. Sal., aprile e luglio 1882; febbraio 1883
[559] Lett. a Don Bosco, Villa Colon 26 gennaio 1882.
[560] Cfr. sopra, pag. 33.
[561] Villa Colón, 6 maggio 1882.
[562] Don Lasagna a Don Bosco, Villa Colòn 24 novembre 1882. Altre notizie abbiamo attinte da una lettera del 24 maggio, pubblicata nel Bollettino di agosto, ma di cui non si é ritrovato l'originale.
[563] L'abolizione totale della schiavitù fu l'ultimo atto più notevole di Don Pedro II nel 1888 e la compié in omaggio a Leone XIII, di cui il mondo celebrava il giubileo sacerdotale.
[564] App., Doc. 88. Il Vescovo scriveva in francese.
[565] App., Doc. 89. Il testo francese delle due lettere é pubblicato nel Bulletin di settembre.
[566] Roma, 22 luglio 1882.
[567] L .III, c. 5, § 4 (trad. TESCARI, SOC. Ed. Int.).
[568] Cfr. vol. XIV, pag. 109 in nota.
[569] Cfr. sopra, pag. 451.
[570] Cfr. sopra, pag. 140.
[571] Cfr. sopra, pag. 308 sgg.
[572] Sua lettera a Don Rua, Este 21 ottobre 1881 (arch. num. 4945).
[573] Annunziatina, detta signora per facezia da Don Bosco, era Maria Annunziata, figlia del conte Eugenio, la quale in quei giorni aveva la cura di fratelli e sorelle a Torino. Spesse volte a Borgo Cornalense fece da segretaria a Don Bosco.
[574] Cfr. sopra, pag. 465.
[575] Non si distingue bene se sia S. Vittorio o S. Vittoria.
[576] Campestre frazione di Chieri, dove i Marchesi Fassati avevano una villa.
[577] Cfr. LEMOYNE, M. B., vol. IX, pag. 739.
[578] Don Pavia riceveva dalla Magliano molti aiuti per l'oratorio festivo di S. Francesco di Sales, che egli dirigeva. Don Bosco lo mandava allora a fare un po' di vacanza con la famiglia Magliano.
[579] Cfr. vol. XIII, pag. 191 sgg.
[580] Cfr. vol. XIII, capo VIII.
[581] Sulla sua tomba fu posta la seguente iscrizione, dettata da Don Francesia:
CAROLUS CAYS TAURINENSIS COMES GILETTAE ET CASTELLARUM
QUI A CAROLO ALBERTO INTER URBIS CURATORES ADSCITUS
ET ORATOR LEGIBUS FEREMDIS PLURIES A POPULO DELECTUS
RELIGIONIS PROBITATIS ET IUSTITIAE ILLUSTRE EXEMPLUM SE PRAEBUIT
SEXAGENARIO MAIOR CAELESTI VOCE ADMONITUS,
CONGREGATIONI SALESIANAE TAURINENSI NOMEN DEDIT
PIETATE MODESTIA CETERISQUE VIRTUTIBUS EXCELLUIT
[582] Probabilmente si riferisce a questa signora quello che Don Bosco scrisse dieci giorni dopo a una suora Madeleine (Appendice, Doc., 90).
[583] Al Marchese d'Avila dobbiamo le copie di tre lettere del Beato scritte in francese. (Appendice, Doc., 91).
[584] Cfr. vol. XIII, pag. 688 sgg.
[585] Dei due Don Bielli, Alberto e Giovanni, qui si parla del primo, che solo ebbe bisogno di dispensa per il presbiterato nel 1882 (nato nel dicembre del 1858 e ordinato il 23 settembre 1882, gli mancavano circa due mesi e mezzo all'età canonica); dunque il millenario omesso nell'originale resta così determinato.
[586] Ne scrisse una bella biografia il sacerdote conte Luigi Di Robilant: Un prete di ieri, Il canonico Stanislao Gazelli di Rossana e S. Sebastiano con documenti inediti. Torino, Tip. Sal. 1901.
[587] Lett. della Bonmartini a Don Pozzan, Padova, 8 novembre 1882.
[588] Cfr. sopra, pag. 436.
[589] Il Cardinale Iacobini, Segretario di Stato.
[590] Una lettera anteriore di Don Dalmazzo, non datata, stava pure senza dubbio in relazione con la medesima di Don Bosco (App., Doc. 92).
[591] Cfr. sopra, pag. 349.
[592] Lett. a Don Bosco, 23 gennaio 1883.
[593] Il re Umberto I e la regina Margherita stavano facendo un viaggio in Sicilia e nelle provincie meridionali
[594] Abbiamo ritoccato l'ortografia e l'accentuazione dell'originale.
[595] L'originale é presso il teol. Franchetti di Torino.
[596] Mons. Gastaldi stesso, quand'era canonico a Torino.
[597] Mons. Gastaldi andò Vescovo di Saluzzo nel 1867 e Don Francesia andò Direttore del collegio di Cherasco nel 1869.
[598] Vescovo di Alba, nella cui diocesi era Cherasco,
[599] Cioè nel collegio,dei Fratelli delle Scuole Cristiane.
[600] Vuol dire: stabilmente, come ordinario.
[601] L'avvocato redigeva una monografia in sei capitoli sulla Congregazione Salesiana, perché servisse d'informazione ai Cardinali. La “scrittura” é la difesa, in latino.
[602] Consultori, che, per chi non lo sapesse, non hanno voto deliberativo, essendo questo riserbato ai Cardinali.
[603] Allude all'editore Loecher, che nel 1881 aveva annunziato con un manifesto e dato alla luce un'opera avente per titolo: Del Lume dell'Intelletto secondo la dottrina dei SS. Dottori Agostino, Bonaventura e Tommaso d'Aquino opposto al sistema del soggettivismo propugnato dal Cardinal Parrocchi nell'Indirizzo a PP. Leone XIII circa l'Enciclica Aeterni Patris.
[604] Allude all'Osservatore Cattolico di Milano, che allora battagliava contro il Rosminianismo.
[605] Mons. Emiliano Manacorda, Vescovo degnissimo di Fossano in Archidiocesi di Torino, dovette a quel tempo, chiedere alla S. Sede - e lo ottenne - di non dipender più da Mons. Gastaldi suo Metropolitano.
[606] Quella in occasione della morte di Vittorio Emanuele Il, datata 10 gennaio 1878.
[607] Risponde al francese chagrin, fastidio, dispiacere.
[608] Questo corsivo che é dell'articolista, corregge un'espressione sfuggita a uno scrittore dell'Unità Cattolica (16 aprile 1882), il quale scrisse: “Non essendo neppure riuscito Don Bosco, l'Arcivescovo di Torino, monsignor Gastaldi, assunse sopra di sé nel 1878 l'ardua impresa”.
[609] Questo inciso si capirà da quello che viene appresso.
[610] Clemente VII nel Breve di erezione dei Teatini, che comincia Exponi Nobis (24 giugno 1524) loro aveva già comunicato tutti i Privilegi e favori concessi e concedendi ai Canonici Regolari.
Lo stesso Pontefice per la Bolla che comincia Dudum (7 marzo 1533) accorda la stessa Comunicazione coi Cisteriensi, coi Cluniacensi, e con tutti gli Ordini mendicanti.
Pio V l'anno primo del suo Pontificato colla Bolla Ad Immarcescibilem concedette ai Teatini la totale comunicazione colla Compagnia di Gesù.
Gregorio XIV (5 aprile 1591) concedette ai medesimi il grande privilegio di poter comunicare con tutti gli altri Ordini e Congregazioni di qualunque Nome, Mendicanti e non Mendicanti.
[611] Parla del cav. Oreglia di S. Stefano, allora salesiano.
[612] Mons. Ciccolini, custode generale dell'Arcadia,
[613] Come un tempo la Madre Galeffi a Roma, così allora la contessa Uguccioni a Firenze teneva deposito e curava lo spaccio di libri editi dalla tipografia salesiana.
[614] Le lettere dal 1871 al 1874 troveranno luogo adatto nel volume decimo. Allude qui alla malattia del Sig. Tommaso.
[615] Forma familiare per Girolama.
[616] Vuol dire del Manuale dei Cooperatori.
[617] La lettera é scritta da Don Berto e firmata da Don Bosco.
[618] La chiesa di S. Francesco di Sales nell'Oratorio.
[619] Subito dopo la morte di Vittorio Emanuele Il monsignor Gastaldi mandò una lettera pastorale, in cui, piangendo vivamente la perdita del Re, non faceva alcuna riserva per i torti di lui verso la Chiesa. L'Osservatore Romano giudicò la pastorale in questo modo: “Non potendo associarci a tutti i concetti in essa espressi, ci asteniamo dal riprodurla”. Questa nota fu dettata da Pio IX, come Don Albertario scriveva a Don Mazzara da Roma il 18 gennaio 1878.
[620] Cfr. vol. XIII, pag. 701 seg.
[621] Senza data. Si può ritenere che sia del 1875 (cfr. vol. XI, pag. 98 sgg.).
[622] Senza data. Dev'essere del '75 o del '76, perché sembra che in quell'anno scolastico Don Bertello, professore di filosofia, abbia sbandito il Corte, autore rosminiano.
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