raccolte dal sacerdote salesiano Giovanni Battista Lemoyne
(Giovanni Battista LEMOYNE voll. I-IX, Angelo AMADEI vol. X, Eugenio CERIA voll. XI-XIX, Indice anonimo dei voll. I-VIII e Indice dei voll. I-XIX a cura di Ernesto FOGLIO)
Il cardinal Nina, quand'era Segretario di Stato, fu molto richiesto un giorno da Leone XIII in quale concetto egli avesse Don Bosco. Rispose: - Poichè Vostra Santità me ne richiede, dirò che io lo credo non un semplice uomo, ma un gigante dalle lunghe braccia che è riuscito a stringere a sè l'universo intero[1] -Esatto e ben detto! La storia non penerà a dimostrare che Don Bosco ricevette dal Cielo una missione amplissima di bene non per un Popolo solo, ma per tutto il mondo. A riprova di ciò si addurrà il fatto che, celebrandosene la beatificazione, sembravano per lui crollate le barriere nazionali; poichè ogni popolo si fece a esaltarlo come se si trattasse d'un glorioso figlio della propria stirpe.
E realmente Don Bosco apparve nel seno della Chiesa cattolica quale precursore o antesignano mandato a suscitare in, ogni parte con il suo esempio molteplici attività o novelle o rinnovellate per la dilatazione del regno di Dio e per la conquista delle anime. Due Congregazioni dotate di mirabile elasticità, per cui si adattano a tutti i bisogni moderni sotto tutti i governi e in tutti i climi; parecchie altre Congregazioni propagginate dalle sue; sistemi di propaganda primamente da lui introdotti e da non pochi guardati con diffidenza, ma poi universalmente imitati; forme di religiosa cooperazione ispirate ai vetusti terzi ordini, ma armonizzate con i tempi e preludenti all'odierna Azione cattolica; diffusione dell'idea missionaria, fatta penetrare [8] simpaticamente in tutti gli strati della società; indirizzi pedagogici tutti suoi, che adagio adagio hanno trionfato di metodi educativi antiquati, soppiantandoli; scuole tipografiche per la propaganda popolare della buona stampa; svariate opere di assistenza giovanile o creato di netto o rinnovate secondo le esigenze dell'ora presente; reclutamento di vocazioni ecclesiastiche fra adolescenti già maturi; inusitate pompe sacre di una attrattiva irresistibile sulle masse dei fedeli; inaudita frequenza pubblica ai Sacramenti e pratica delle prime comunioni precoci, l'una cosa e l'altra solennemente sancite quattro lustri dopo la sua morte, dal Papa Pio X e con termini che ricordano espressioni a lui familiari; un apostolato sacerdotale senza vincoli di servitù politiche; uno spirito francamente ortodosso nei principii, ma caritatevolmente conciliante nelle applicazioni: ecco in rapida sintesi un insieme d'iniziative o partite direttamente da Don Bosco o da Don Bosco promosse e divulgate, sicchè dei loro benèfici effetti è ripieno oggi il mondo, mentre cent'anni fa erano o ignorate o dimenticate o giudicate impossibili o ristrette entro angusti confini. Nè tardò a rivelarsi qual tempra di apostolo si venisse in lui apprestando al mondo; poichè si compie quest'anno un secolo, dacchè Don Bosco istituì ira i suoi condiscepoli di ginnasio una società ch'ei nomò dell'allegria, e in cui non finiamo di ammirare, quanto, e dettandone le leggi e mettendola in azione, il giovane sedicenne precorresse fin d'allora i tempi.
Alla storia del nostro Beato questo volume tredicesimo delle sue Memorie biografiche apporta un ben notevole contributo.
Esso comprende due anni della sua vita, il 1877 e il 1878. La mole del libro sorpassa alquanto la giusta. misura; ma sdoppiandolo ne sarebbero risultati due monconi, mentre le cose compiute in quel biennio s'adagiano tanto per benino entro unica cornice e piace assai più a chi legge il poter cogliere a colpo d'occhio nella loro interezza i singoli fatti.
Due avvenimenti stanno al centro di questo periodo, riguardanti uno la Congregazione salesiana e l'altro la Chiesa cattolica [9], vale a dire il Primo Capitolo generale della nostra Società e il Passaggio delle Somme Chiavi dalle mani di Pio IX in quelle di Leone XIII. Il primo avvenimento segnò un passo di somma importanza nel procedere dell'Opera di Don Bosco e le impresse un vigoroso impulso; del secondo la divina Provvidenza dispose che Don Bosco si trovasse a essere, Per dir così, non inerte, nè inutile spettatore. I due massimi avvenimenti furono Per lui preceduti, accompagnati e seguiti da faccende e da travagli che s'incalzarono senza posa, contendendosi le ore delle sue giornate. Il Servo di Dio fece tre viaggi a Roma e tre in Francia; spedì due belle schiere di Salesiani e due di Suore nell'America Meridionale, dove pure provvide a nuove fondazioni; fondò in Italia le case della Spezia, di Lucca, di Este, principiò il collegio di Magliano Sabino, rilevò la Cartiera di Mathi torinese; in Francia aperse l'oratorio di Marsiglia e la colonia agricola della Navarra; trasferì inoltre da Mornese a Nizza Monferrato la Casa Madre delle Figlie di Maria Ausiliatrice, per le quali allestì Pure altre residenze; Pose la Pietra angolare alla chiesa di San Giovanni Evangelista in Torino; organizzò i Cooperatori o lanciò il Bollettino Salesiano. Queste sono soltanto le imprese Più vistose.
Ma o per esse o con esse un vero mondo d'affari ne occupò incessantemente l'attività, senza che giammai un negozio lo assorbisse a segno da impedirgli di attendere nel contempo a parecchi altri. Chi voglia valutare fino a qual grado arrivasse, diciamo così, l'ubiquità della mente di Don Bosco, non ha che da compilarsi una tavola sincronistica delle cose narrate in queste pagine, riunendo sotto le proprie date tutte le occupazioni, pratiche, iniziative, imprese, a cui il Beato metteva mano: si ammirerà così il prodigio di un uomo che sapeva moltiplicarsi in tante guise non solo senza detrimento dell'intensità richiesta caso per caso, ma anche senza venir meno un istante alla padronanza di sè e alla calma più perfetta; della quale serenità e sicurezza apparirà la virtù sovrumana nei momenti, in cui il suo spirito, preoccupato da cento pensieri, verrà per giunta [10] abbeverato di fiele, Nessuno mai, fosse pure nelle contingenze più critiche, avvicinava Don Bosco senza che sentisse emanare da lui il celestiale profumo d'un uomo pieno di Dio. Nè poteva essere altrimenti; Perchè nella sua indefessa e multiforme attività esteriore lo animava costantemente quell'interno soffio soprannaturale, che è soave effluvio dello spirito del Signore[2].
Quanto alla maniera di condurre innanzi il presente lavoro, dopo i due volumi già pubblicati non occorre spendere molte parole. Gli spontanei incoraggiamenti giunti in buon numero e da venerandi confratelli anziani, testimoni dei tempi. di cui leggevano la storia, e da maestri dei novizi che giorno per giorno maneggiano le memorie del Beato Fondatore, e da studiosi nostri, nei quali ad altri titoli si accoppia la specifica loro competenza, bastano a provare che la via battuta è quella buona, sicchè nulla potrebbe consigliare di scostarsene. E l'andamento è questo: polarizzare in ogni capo verso un concetto centrale notizie d'idee e di fatti che vi abbiano affinità entro limitato spazio di tempo; curare diligentemente l'esattezza storica delle cose narrate, l'ordine e la chiarezza dell'esposizione e la dignità del dettato; raccogliere e incastonare nel racconto, quali preziose reliquie, tutte le parole del Servo di Dio, siano esse state da lui poste in iscritto o proferite a viva voce e a noi per sicuro tramite pervenute. Il parlare e lo scrivere di Don Bosco recano l'impronta del linguaggio dei Santi, che se non è impreziosito da fiori letterari, va però sempre adorno di altre doti assai più preziose e rare, quali sono specialmente la limpida trasparenza delle loro anime nobilissime e quella spirituale soavità che chiamiamo unzione. I lettori salesiani poi vi sentono il palpito del cuore paterno. Sarebbe dunque doppiamente condannevole il defraudarneli.
Certo è che niuna cura sarà mai soverchia per rappresentare al completo la figura di Don Bosco. Nulla egli deve temere dalla storia; anzi quanto più si approfondirà la conoscenza della sua [11] mirabile vita, tanto meglio si verrà comprendendo perchè il regnante Pontefice Pio XI, dell'averne goduto per brevi giorni la familiarità in sugli albori del suo sacerdozio, si sia ripetute volte gloriato in facie Ecelesiae. Dall'alto del suo soglio il Papa abbraccia ora con lo sguardo tutta l'ampiezza della missione esplicata dal Servo di Dio nel mondo, ed è non piccolo vanto l'avere anticipatamente ravvisato sotto la modestia di un esteriore comune e in un fugace contatto l'uomo della Provvidenza Per l'età che è nostra.
Il proposito era che questo volume andasse a prendere posto fra gli omaggi da presentarsi a Don Rinaldi nel suo giubileo sacerdotale, a Lui per volere del quale mi sono sobbarcato a questa fatica, ma l'uomo propone e Dio dispone. Dedicato alla sua cara memoria, muova invece incontro al suo successore e, chiunque egli sia per essere, gli porga il più cordiale e riverente benvenuto nella serie dei successori del Beato Don Bosco.
Domenico Savio aveva detto a Don Bosco nel sogno del dicembre ultimo: “Oh se sapessi quante vicende hai ancora da sostenere! ”. L'anno 1877, di cui ci accingiamo a narrare la storia, fu per il Servo di Dio un succedersi di travagli e di pene, che la strada già per sè abbastanza ardua gli cosparsero di pungenti spine, a cominciar dall'affare dei Concettini, il quale ne determinò l'andata a Roma; ne diremo qui il puro necessario, riserbandoci di dedicarvi un capitolo a parte.
Il Beato partì per Roma la sera del capo d'anno. Lo accompagnavano il segretario Don Gioachino Berto, il sacerdote destinato alla direzione dei Concettini Don Giuseppe Scappini e un tal Fiorenzo Bono, biellese, aspirante coadiutore, che doveva andare ad Albano.
Don Scappini faceva da prefetto nel collegio di Lanzo, quando il Beato scrisse così al suo Direttore:
Il S. Padre mi fa scrivere che io ritorni a Roma nel più breve termine possibile con almeno un Salesiano da lasciarsi colà dopo la mia partenza. Io ho parlato e pregato se doveva pigliare te o D. Scappini; [14] ma al presente la tua lontananza indeterminata disturberebbe e potrebbe compromettere il collegio. Dunque D. Scappini. Avvisalo e fate che esso venga riprodotto in D. Porta[3], e ciò entro quattordici giorni. Al più tardi il 10 prossimo gennaio salperemo in ferrovia alla volta di Roma.
Andando per la strada si aggiusta la somada e il S. Padre ci dirà il da farsi, e coll'aiuto di Dio lo faremo. È sempre l'affare dei Concettini. Basterà che D. Scappini si trovi un giorno prima all'Oratorio.
Fa' il più caro saluto a tutti i Salesiani, a tutti i giovani del Collegio di Lanzo, e di' loro che li amo tanto nel Signore, che prego per loro. Auguro loro buone feste, buon capo d'anno, e giunto a Roma dimanderò una speciale benedizione al Santo Padre per loro; aggiungi che Dio ci propone molto lavoro, molte anime a guadagnare nell'Australia, nelle Indie, nella China, e che perciò ho bisogno che crescano tutti in persona, scienza e virtù e diventino tutti presto grandi, intrepidi missionarii per convertir tutto il mondo.
Dio vi benedica tutti, e credimi in G. C.
Alla partenza di Don Scappini da quel collegio si potè toccar con mano l'effetto del metodo educativo insegnato verbo et opere da Don Bosco. I giovani lacrimavano e avvennero scene commoventi. Eppure Don Scappini era tutt'altro che un superiore di manica larga; anzi, come per indole tendeva a severità, così per ufficio doveva addossarsi le parti odiose: ciò nonostante si potè vedere in quella circostanza quanto gli alunni lo amassero. Un superiore che nell'esigere il dovere temperi il rigore della disciplina con la carità e dolcezza dei modi si fa sempre ben volere dai giovani.
Giunsero a Roma con viaggio felicissimo verso l'una e mezzo pomeridiana del giorno seguente. Il signor Alessandro Sigismondi, secondo il consueto, li condusse in sua casa. Dopo il pranzo Don Bosco, accompagnato dal signor Alessandro, si recò al palazzo Caffarelli da monsignor Fiorani, commendatore di Santo Spirito, mentre il segretario e Don Scappini [15] se n'andavano a prendere stanza presso l'Ospedale. Don Bosco albergò dal signor Alessandro. Don Berto nel suo diario con la filza delle indicazioni e con la povertà estrema di particolari ci lascia almeno l'impressione che il Servo di Dio abbia fatto davvero buon uso del suo tempo durante quel mese di vita romana. Certo si vorrebbe sapere anche un po' di quel che fece e di quel che disse in tante visite a Prelati, in tanti inviti di persone amiche, in tanti incontri con uomini ragguardevoli del clero e del laicato; ma, giacchè più largo pasto non c'è largito, contentiamoci delle briciole.
Dopo la prima visita di convenienza, il Beato conferì più e più volte con monsignor Fiorani, che si faceva regolarmente assistere dal suo uditore. Anzitutto la discussione si aggirò intorno al modo d'incorporare i Concettini ai Salesiani o almeno d'uniformare le costituzioni degli uni con quelle degli altri; quindi Monsignore, fatte porre in iscritto le conclusioni che dovevano servire di base, mandò il foglio a Don Bosco, affinchè, “esaminandole a mente posata”, potesse vedere se rispondessero interamente alle sue viste e, occorrendo vi facesse le sue avvertenze. Da questo s'intravvede come le basi già convenute nel passato novembre non contassero più nulla. Don Bosco gli consegnò le sue osservazioni la domenica 7 gennaio. Il 13 vi fu nuovo congresso, nel quale, come scrive il segretario, “si terminò salvando solo apparentemente i pensieri del Santo Padre”; onde il Beato scrisse a Monsignor Commendatore questa lettera.
Nei giorni passati mi sono messo a studiare gli andamenti dello stato attuale dei Concettini ed ho potuto convincermi che il mio buon volere non può giungere allo scopo che la S. V. si era prefisso, secondo i venerati voleri del S. Padre.
Se giunto a Roma si fosse tostamente data esecuzione al primo progetto, forse avremmo trovati gli animi meglio preparati.
Ora vi è tale disparità e contrarietà di voleri che a me non resta altro a fare che l'umile offerta del servizio puramente religioso, purchè tale esibizione incontri il Sovrano gradimento. [16] Don Scappini dirà di presenza quanto sarà del caso.
Debbo recarmi ad Albano e ad Ariccia per due giorni e sarò di ritorno il prossimo giovedì.
Sempre contento di poterla in qualche cosa servire ecc.
Pio IX, che aveva saputo da Don Bosco stesso l'andamento delle trattative, in un'udienza a monsignor Fiorani volle vedere questa lettera. Il Prelato gliela presentò. Egli la prese e la lesse tutta ed esclamò: - Povero Don Bosco! È molto che voglia prendere la direzione spirituale dei Concettini. Egli fa tutto quello che può; ma ditegli che gli voglio fare un bel regalo. - Cosi parlando, il Papa mirava a far intendere come Don Bosco non ambisse il governo dei Concettini, ma vi si sobbarcasse unicamente perchè obbligato.
Dopo un altro abboccamento, convocati i Concettini alla presenza di monsignor Fiorani e del maestro di casa o sindaco, com'essi lo chiamavano, Don Bosco espose le disposizioni del Santo Padre, quali erano a lui comunicate da Monsignore, che cioè Monsignore stesso avrebbe la parte materiale e Don Bosco la spirituale. È però singolare il fatto che la sera medesima il Papa, mandato a chiamare monsignor Fiorani e consegnandogli per Don Bosco il promesso regalo, una somma di lire ventimila, gli raccomandasse di procurare che Don Bosco nella direzione dei Concettini avesse tutto, lo spirituale e il temporale. Al che Monsignore: - Si farà in modo che si vada sempre d'accordo da ambe le parti. - E il Papa: - Dite a Don Bosco che questo regalo non ha da far niente coi Concettini e che spero di fare assai più per questa sua Congregazione. - Il Beato poteva dunque della graziosa somma disporre a suo piacimento. Onde scrisse a Don Rua in un biglietto senza firma e senza data: “Riceverai un vaglia bancario di franchi ventimila, diretto a Rossi Giuseppe; procura di spenderlo presto, ma la porzione notabile si dia al medesimo [17] Rossi, se ne ha bisogno. Della provenienza non occorre tenerne memoria”. Rossi era il provvisioniere dell'Oratorio. La raccomandazione di spendere presto e il dubbio se Rossi ne avesse bisogno, erano piacevolezze di Don Bosco. Sapeva egli troppo bene quanti fossero i debiti della casa!
Monsignor Fiorani aveva avvertito per iscritto Don Bosco della necessità di fare una visita al deputato laico di Santo Spirito, soggiungendo: “Se prima potesse passare da me, Le dovrò suggerire qualche cosa”[4]. Risulta che Don Bosco visitò subito il deputato e che fu cortesemente ricevuto, ma non appare che passasse prima a ricevere i suggerimenti. Venti giorni dopo tornò dal medesimo signore, che di nuovo gli si mostrò oltremodo gentile e si offerse di condurlo dal suo successore nella deputazione dell'Ospedale. Il novello deputato era il principe Don Paolo Borghese, che, appena scorto il Servo di Dio, gli disse: - Don Bosco mi conosce fin da ragazzo; io gli ho servita la messa. - Fece poi ritorno dal Principe con Don Scappini, prima di procedere alla elezione del Capitolo dei Concettini; aspettò il Principe dalle 11 alle 12, ma il Principe non venne. Recatosi allora da monsignor Fiorani, si procedette alla formazione del Capitolo con le nomine del superiore generale, dell'economo, del soprintendente alle corsie e dell'incaricato dei novizi.
Ed ora passiamo a dire delle udienze papali. Don Bosco, aspettato inutilmente per tutta una settimana che gli venisse invito a recarsi in Vaticano, vi andò senz'altro la mattina del 9. Monsignor Macchi, Maestro di camera, appena lo vide nell'anticamera del Papa, gli disse che egli non aveva udienza. Eppure, rispose Don Bosco, ho bisogno di parlare col Santo Padre. Gli altri vengono per i loro affari e io vengo per gli affari del Santo Padre. - Difatti, introdotto che fu, il Papa gli disse: - Ma perchè, Don Bosco, aspettar tanto a venirmi a parlare? [18]
- Perchè ci vuole tanta pena a giungere fino alla vostra presenza!
Allora il Papa volse lo sguardo sul Maestro di camera, quasi volesse domandargliene il perchè. Don Bosco prontamente ripigliò: - Santo Padre, ogni indugio è fatale per il nostro progetto.
- Basta così! - fece il Papa, e lo trattenne ivi da solo a solo.
Don Bosco ebbe una seconda udienza privata alle cinque e mezzo pomeridiane dell'11, durata circa mezz'ora. Di lì a dieci giorni, sull'imbrunire, terza udienza privata, e questa volta in circostanze molto singolari. Il Beato aspettava da circa quindici minuti, quando il Papa, licenziati i Cardinali che si trovavano presso di lui e messosi a letto per una forte costipazione, mandò segretamente a chiamare il Servo di Dio, che ricevette così coricato dicendogli: - Don Bosco mi prende in letto prima del tempo. - Si parlò subito dei Concettini. Fra le altre cose il Beato disse al Papa, che egli ne assumeva soltanto la direzione spirituale.
- No, prendete tutto, rispose il Santo Padre.
- Ma sono già inteso così con Monsignor Fiorani.
- Ma no, replicò Pio IX; mons. Fiorani non è il Papa.
Il Servo di Dio, uscito di la, parve trasecolato, come ben di rado si mostrava dinanzi a qualsiasi accidente. Concentrato e silenzioso scendeva pian piano le scale; il segretario che gli era al fianco, non ardiva aprir bocca. Andarono a sedersi nell'anticamera del cardinal Simeoni, nuovo Segretario di Stato dopo la morte dell'Eminentissimo Antonelli. Là il buon Padre, guardando fisso il suo compagno e vibrante di commozione, gli disse: - Il Santo Padre è a letto, e il suo letto è così basso e povero, come quello dei nostri giovani. Non ha in terra nessuno strato, ove posare i piedi scalzandosi dal pavimento è tutto a mattoni, ma così logori e scalcinati, che bisogna star bene in guardia per non inciampare. Difatti, mentre io mi avvicinava, il Santo Padre, sapendomi [19] corto di vista, mi disse: Venite adagio; passate qua, che lì c'è un intoppo. - Di questa singolare udienza Don Bosco scrisse in termini anche singolari a Don Rua il giorno dopo, 22 gennaio: “Nota bene: il Santo Padre era a letto, perchè indisposto, ricusando a tutti l'udienza. Il solo capo dei monelli fu ammesso, e gli feci compagnia quasi tre quarti d'ora”.
Nella prima udienza il Papa era venuto fuori con una facezia, che ci apre la via a mettere in chiaro l'atteggiamento di Don Bosco intorno a una salebrosa quaestio. Spesso l'acume della mente suggeriva a Pio IX certe arguzie, condite di gustosa ironia e contenenti salutari ammonizioni. Disse dunque a Don Bosco:
- Sapete già che abbiamo undici comandamenti? - Don Bosco fece un atto di sorpresa e il Papa continuò:
- Chi dice essere le opere di Rosmini proibite, pecca gravemente. Però questo comandamento fu fatto a mia insaputa. Che ne dite voi?
- Io, rispose Don Bosco, credo che almeno non obbligherà, finchè Vostra Santità non l'abbia approvato!
- Eppure, continuò il Papa, l'han fatto senza di me a Torino.
Con questa uscita il Papa volle alludere a un monito inserito nel Calendario diocesano di Torino. La Sacra Congregazione dell'Indice, il 20 giugno del 1876, con lettera indirizzata all'Arcivescovo di Milano, dov'erasi riaccesa la controversia pro e contro il filosofo di Rovereto, aveva rinnovato il precetto “di conservare il più rigoroso silenzio in proposito della questione sulle opere dello scrittore Antonio Rosmini, non essendo lecito infliggere censura in materia religiosa e avente relazione alla fede e alla sana morale sulle opere di Rosmini e sulla di lui persona, rimanendo solo libero di puramente discutere nelle scuole e in libri e fra i dovuti limiti le opinioni filosofiche e relativamente al modo di spiegare talune verità pur anco teologiche”. Così testualmente il mentovato rescritto. Appellandosi a questa disposizione, il calendario [20] suddetto commentava: “Perciò peccano gravemente contro l'ordinanza pontificia, promulgata dalla Sacra Congregazione dell'Indice, coloro che dicono pericolose le opere di Antonio Rosmini, a cui si riferisce il Dimittantur pronunziato da Pio IX il 3 luglio 1854”. A rincalzo della quale asserzione vi si allegava l'autorità di monsignor Ferrè, Vescovo di Casale, che in una lettera del 26 aprile 1876 ad Praepositum N. N. aveva scritto: “sono ormai più di vent'anni dacchè faccio insegnare le teorie rosminiane nelle scuole del Seminario, e ne ho veduti i più felici risultati sia dal lato della scienza come da quello della pietà”.
Noi qui ci muoviamo una prima domanda: come realmente la pensava Don Bosco intorno alle teorie del grande Roveretano? Don Bosco, a cui nulla sfuggiva di quanto potesse interessare la Chiesa, guardò sempre la grossa questione più dal lato pratico che non dal lato speculativo. Vi è tutta una collana di aneddoti fra lui e il Vescovo di Casale, che ce ne rivelano benissimo l'intimo sentimento. Questo Prelato, veramente dotto e pio, professava una specie di culto per il Rosmini e per la sua filosofia, non sembri irriverenza il dire che n'era infatuato. Don Bosco, che venerava nel Rosmini la santità del sacerdote, non condivideva neppure in minima parte questo entusiasmo per il suo sistema filosofico. Il Vescovo, che voleva un gran bene a Don Bosco, ebbe un bel tentare più volte di entrare in discussione con lui per tirarlo dalla sua o almeno per cavargli di bocca qualche giudizio favorevole alla scuola del suo cuore; Don Bosco, per iscansare il pericolo di doverlo contraddire, gli sguisciava sempre di mano, mutando destramente discorso. Una volta sola, messo con le spalle al muro, si liberò dall'assalto con queste parole: - Veda, Monsignore, io non sono filosofo nè sono perciò in grado di sostenere con lei una disputa di questo genere; ma quello che so di certo si è che il voler dimostrare, come pretendono i Rosminiani, l'esistenza di Dio a priori è impossibile; quindi l'idea innata dell'ente cade da sè. - D'ordinario invece [21] se la svignava, ricorrendo a qualche espediente. Così per esempio, una volta, mentre Monsignore lo tempestava con le sue ragioni filosofiche contro coloro che affermavano il Rosmini non essere seguace di san Tommaso, Don Bosco visto entrare nella camera Don Francesia, gli disse sorridendo: - Bravo, sei arrivato a tempo; senti un po' quello che mi dice Monsignor Ferrè. Io non ne capisco niente; sono cose che mi fanno dormire Tu forse ne capirai qualche cosa. Un'altra volta il Vescovo l'aveva invitato a pranzo nel suo palazzo di Casale. Sedevano a mensa anche tutti i canonici e Don Bonetti e Don Bertello. Si furono appena assisi, che tosto vennero fuori gli elogi delle dottrine rosminiane. Don Bosco taceva; i canonici approvavano; qualcuno stuzzicò Don Bertello, che osservava prudente silenzio Don Bertello era studioso di cose filosofiche e insegnava filosofia. Monsignore stesso si rivolse a lui, che senz'ambagi, com'era nel suo carattere, si dichiarò antirosminiano. La disputa si accese vivissima; il buon Vescovo, impegnatissimo nella lotta, più non mangiava. Per troncare la questione, fu pregato Don Bosco di dire il suo parere. - Sì, sì, parli Don Bosco, - insistette anche il Vescovo. Don Bosco ruppe il silenzio e disse: - Veda, Monsignore, io non entro nelle ragioni intrinseche nè di una parte nè dell'altra. Se mi permette, farò una sola osservazione. Un Vescovo sarebbe contento se sapesse che i chierici del suo Seminario tengono un'opinione contraria alla sua? Ora io considero tutto il clero del mondo come un vasto Seminario rispetto al Papa. E il Papa potrà essere contento che questo suo clero o una certa parte di esso tenga principii che egli non accetta e che questi principii vada propugnando? Del resto noto ancora come al Papa, anche quale dottore privato, si debba avere molta deferenza e che sia conveniente conformarsi al suo modo di pensare. Così i buoni figliuoli usano diportarsi verso il loro padre. - Gli astanti ammirarono, il Vescovo non aggiunse parola, e la polemica morì. Alla sera il Rettore del Seminario lo felicitò per quella risposta, che [22] egli medesimo aveva avuto tante volte intenzione di dargli, ma senza mai sentirsene il coraggio. Torna però a grande onore di Monsignor Ferrè, che tale divergenza d'opinioni non abbia mai diminuito in lui di un'oncia l'affetto e la stima verso Don Bosco, nè il desiderio e la premura dì fargli in qualsiasi circostanza cosa grata.
Se Don Bosco parlò qualche rara volta di Rosminianismo, lo fece unicamente in vista dei tristi effetti prodotti tra gli ecclesiastici da quell'accanirsi di polemiche astiose, nè mai disse verbo che sonasse disistima verso la persona del Rosmini. E quello che egli stimava nell'abate Rosmini, non era il suo sistema filosofico, a giudicare del quale egli si dichiarava incompetente, ma la santità dell'uomo e del sacerdote. In qual alto concetto egli l'avesse, lo dichiarò con queste parole: “L'abate Rosmini si fece conoscere per dotto filosofo nello scrivere le sue opere, ma si mostrò filosofo profondamente cattolico nella sottomissione al giudizio dell'Autorità religiosa. Mostrò di essere coerente a se stesso, e che il rispetto professato alla Cattedra di Pietro sono fatti e non, parole[5]. Il Rosmini alla profondità della scienza accoppiava la fermezza e l'umiltà del buon cattolico[6]. Non ricordo di aver visto un prete dire la. Messa con tanta divozione e pietà come il Rosmini. Si vedeva che aveva una fede vivissima, da cui proveniva la sua carità, la sua dolcezza, la sua modestia e gravità esteriore[7] [23]
Una seconda domanda non ci faremo noi, ma riferiremo fatta da altri a Don Bosco in persona. - Perchè, gli chiese un giorno con tutta confidenza il segretario, perchè Don Bosco si adoperò presso Pio IX per far nominare il canonico Gastaldi prime Vescovo di Saluzzo e poi Arcivescovo di Torino, pur sapendolo seguace della scuola rosminiana e uscito inoltre dalla Congregazione dei Rosminiani? - Don Bosco, secondochè lasciò scritto il segretario, avrebbe risposto così: - Vedi, il canonico Gastaldi mi aveva più volte assicurato d'aver abbandonato l'Istituto della Carità, perchè certi suoi membri non professavano abbastanza sommissione e attaccamento al Papa e mi assicurava pure d'aver rinunziato a certe sue idee liberali, professate e difese prima di farsi rosminiano. Oltre a questo io aveva tutte le ragioni di credere che egli ci sarebbe stato sempre largo del suo favore. Che vuoi? Appena divenne Arcivescovo di Torino, cambiò registro. Si fece difensore del Rosmimianismo, sostenendone in privato e in pubblico i fautori e avversando noi, perchè Don Bosco non lo volle secondare in questo suo modo di vedere. E Don Bosco, alieno dal battagliare, soffrì tutto piuttostochè romperla con lui, tenendosi sempre passivo. - La stessa domanda, del resto, gli fu fatta più e più volte. Nel 1878, invitato a pranzo dai Benedettini di San Paolo per la festa del loro Patriarca, nella sala del caffè, ascoltò in silenzio le cose che vi si presero a dire dell'Arcivescovo di Torino, finchè, interrogato a bruciapelo dal cardinal Bartolini se non fosse stato lui a proporlo per quella sede, rispose: - Sì, Eminenza. E ora purtroppo ne fo la penitenza.
Nei primi giorni della sua dimora in Roma Don Bosco fece visita al Ministro della Pubblica Istruzione. Un motivo importante ve lo condusse. Negli anni antecedenti s'indicevano esami straordinari per coloro che, non avendo conseguito laurea, volessero ottenere l'abilitazione all'Insegnamento nel ginnasio inferiore e superiore; ma questa agevolezza non era veduta di buon occhio dai professori ordinari [24] che avevano dovuto frequentare l'Università, nè da altri, cui non garbava che della concessione profittassero in massima parte insegnanti di scuole private, cioè cattoliche, sicchè prevaleva la tendenza ad abolirla per sempre. Don Bosco a più riprese aveva fatto in modo che da diverse parti d'Italia persone private, istitutori e direttori di collegi e specialmente suoi chierici, i quali però non dichiaravano questa loro qualità, inviassero al Ministero centinaia di suppliche, invocanti il benefizio di tali prove. Naturalmente ognuno chiedeva per conto proprio, adducendo chi una ragione chi un'altra. Già due volte il Beato aveva potuto raggiungere l'intento; poichè come appariva dalle relazioni ufficiali, il Ministero, vedendo che tanti imploravano il medesimo favore, aveva giudicato opportuno soddisfare ai bisogni di tanti luoghi e di tante persone. Ora il Servo di Dio si era proposto di ottenere per la stessa via una nuova informata di professori. L'onorevole Coppino gli usò ogni gentilezza. Don Bosco gli espose come la mancanza di mezzi mettesse molti giovani d'ingegno nell'impossibilità di laurearsi frequentando i corsi universitari, e come non solo i ginnasi privati, ma anche i governativi difettassero di professori atti a sostenere degnamente e legalmente il nobile còmpito d'istruire la gioventù nelle scuole secondarie. Il Coppino lodò altamente le idee di Don Bosco e pregò di metterle in carta, stendendo una domanda nelle debite forme. Don Bosco non se lo fece dire due volte; infatti gl'indirizzò subito questa supplica, datandola però da Torino.
La grande sollecitudine con cui la E. V. promuove e sostiene gli, Istituti che hanno per fine l'educazione e l'istruzione della gioventù, mi dà animo a supplicarla per un segnalatissimo favore appoggiato unicamente alla nota di Lei clemenza ed autorità. Questo favore riguarda l'Istituto detto Oratorio di S. Francesco di Sales. Coi soli mezzi della Provvidenza quotidiana si poterono aprire in Piemonte, nella Liguria e nella stessa Provincia Romana, parecchie case tutte collo scopo di porgere educazione ed istruzione alla classe povera o meno agiata della Civile Società. Questa caritatevole istituzione fu [25] sempre benevisa presso l'autorità scolastica, che ci ha sempre usato molta benevolenza, tenendo in considerazione le nostre premure per uniformarci alle pubbliche leggi, sia nei programmi d'insegnamento, sia nelle patenti degli insegnanti. Ma ora ci troviamo in grave penuria di maestri provvisti di titoli legali, specialmente da che non ebbero più luogo gli esami straordinarii pei corsi secondarii. Egli è per questo motivo che ricorro alla E. V. supplicandola a voler concedere una sessione particolare di tali esami di Ginnasio Superiore ed Inferiore nella R. Università dì Torino, come fu già accordato agli istituti insegnanti della Provincia Romana con circolare 10 Agosto 1874 - 7 Gennaio 1875 - e 7 Agosto 1875.
Coloro che dopo fatti esperimenti sembrano idonei per tale esame, stanno descritti nel foglio a parte e sono in numero di 30.
Con questa concessione la E. V. porgerebbe un mezzo di coltivare la scienza letteraria agli esaminandi, che come pubblici insegnanti potranno procacciarsi onesto sostentamento colle loro fatiche, mentre farebbe pure un grande benefizio a questa nostra istituzione, che potrebbe anche somministrare alcuni maestri pei piccoli Seminari delle Provincie Romane che ne fanno calde richieste.
Di questo favore e di altri benefizi già concessi in passato, Le professiamo sentita riconoscenza e pregando Dio di colmarla di sue benedizione conservarla a lunghi anni di vita felice, ho l'alto onore di potermi professare
Lo scritto fu accolto favorevolmente; le promesse furono amplissime; il Beato restò convinto d'aver colto nel segno. Ma quale non fu la sua delusione, allorchè, pubblicatosi in data 10 maggio il decreto, vide imposte condizioni tali, che di trenta suoi candidati ben pochi erano in condizione di usufruire della concessione! Si richiedeva infatti l'età di trent'anni e sei anni d'insegnamento, ovvero venticinque anni d'età e qualche patente elementare o tecnica. Una nota ministeriale poi del 31 luglio imponeva alle autorità scolastiche, cui spettava, la rigorosa osservanza delle anzidette disposizioni. Nonostante le apparenze, il ministro Coppino avversò sempre Don Bosco e l'Oratorio.
La mattina del 16 gennaio il Beato Padre fece una gita [26] ad Albano, dove i suoi figli lo attendevano a braccia aperte. Albergò nel convento dei Carmelitani, residenza dei Confratelli di Albano, ai quali si unirono in quei giorni gli altri della vicina Ariccia. Secondo il suo costume, rese il domani personalmente omaggio alle autorità ecclesiastiche e civili, cioè al Vicario Generale di Albano, all'Arciprete e al sindaco di Ariccia. Trascorse la sera insieme con i suoi, rallegrandoli, dice Don Francesco Varvello che era presente, con i più ameni conversari del mondo, quasi avesse dimenticati per via tutti i fastidi. Al terzo giorno fece con l'intera comunità l'esercizio della buona morte; indi, ossequiato il sindaco di Albano e visitato un locale che s'intendeva destinare per lui a collegio, si rimise in viaggio verso la città eterna.
Qui continuò le sue visite ai membri delle Sacre Congregazioni. Alla Congregazione dei Vescovi e Regolari presentò per la prima volta la relazione triennale sullo stato della Pia Società, a tenore della Costituzione apostolica Romani Pontifices. Professi perpetui 163 e triennali 78; ascritti 120 e aspiranti 79; sacerdoti 89. Il Capitolo Superiore era così composto:
Direttore spirituale: Sac. Cagliero Giovanni.
Economo: Sac. Ghivarello Carlo.
Consigliere scolastico: Sac. Durando Celestino.
Consigliere: Sac. Sala Antonio.
Al posto dell'assente Don Cagliero come direttore spirituale o catechista generale il Beato aveva deciso di chiamare Don Bonetti; ma non potè ancora rimuoverlo dalla direzione del collegio di Borgo S. Martino. Don Ghivarello, già Consigliere, sottentrava come Economo generale a Don Bodratto, partito per l'America; Don Durando, già semplice Consigliere, assumeva la direzione generale delle scuole salesiane, aggiungendo [27] al suo titolo il qualificativo di “scolastico”; entrava a far parte del Capitolo Superiore come Consigliere Don Sala in sostituzione di Don Lazzero, fatto vice - direttore dell'Oratorio. Don Barberis, Maestro dei novizi, figura soltanto come Consigliere nel Capitolo particolare dell'Oratorio. Delle case si dirà altrove.
Dall'Oratorio giunsero a Don Bosco indirizzi sottoscritti dai novizi e dagli artigiani e contenenti espressioni di fervido omaggio al Vicario di Gesù Cristo. Il Papa si compiacque di udirne la lettura. Gli pervennero pure le note dei giovani d'ogni classe, che avevano ottenuto dieci punti in condotta alla fine del primo trimestre.
Verso gli ultimi di gennaio arrivò a Roma l'Arcivescovo di Torino col Rettore del Seminario. Furono ospiti dei Rosminiani. Dobbiamo parlarne qui a motivo dei commenti, a cui questo viaggio diede la stura sui giornali; dicendosi ciò che si sapeva e ciò che non si sapeva, ma che s'immaginava, e coinvolgendosi nelle chiacchiere anche la persona di Don Bosco[8]. Sopra un punto erano tutti d'accordo, cioè nell'asserire che monsignor Gastaldi fosse andato a Roma per rassegnare nelle mani del Papa le sue dimissioni da Arcivescovo di Torino. Si accordavano pure nell'addurre le ragioni dì quel passo, le quali, più o meno diluite, sarebbero in sostanza state due, l'essere cioè Monsignore in urto col Vaticano a causa delle ammonizioni da lui rivolte al clero circa il non biasimare la vita o la dottrina dell'abate Rosmini, e l'essere in urto con Don Bosco, il quale impunemente sconturbava l'amministrazione dell'Archidiocesi. Il solito Fischietto uscì con una caricatura, nella quale Don Bosco in costume di gladiatore aveva colpito con un pugno e fatto stramazzare ai suoi piedi l'Arcivescovo. Di tutte queste chiacchiere giornalistiche l'avvocato Menghini, che difendeva allora monsignor Gastaldi in una causa spinosa di [28] diritto canonico, scriveva così dopo la partenza di Don Bosco da Roma: “Quanto dicono i fogli sopra la rinuncia dell'Arcivescovo non ha fondamento alcuno. Io suppongo che qualche foglio della mia difesa sia pervenuto a qualche giornalista, il quale ne ha profittato per guadagnare qualche soldo. Alludo alla pagina 37 dove si legge: Quindi già due volte ho presentato al S. Padre il mio vivo desiderio di ritirarmi da questo posto, ove ho le mani legate non solo dal potere civile, ma anche dall'Autorità Ecclesiastica. Del resto sono persuaso che l'Arcivescovo non rinuncierà giammai spontaneamente”[9].
Nell'Oratorio allora non si leggevano giornali, se non da pochissimi superiori e lontano dagli sguardi altrui; tuttavia qualche eco di quel cancan vi si fece udire, tanto più che per difesa religiosa o per rappresaglia di partito anche fogli cattolici o moderati avevano scritto in lode del Servo di Dio. Perciò un giorno taluno in conversazione gli chiese che ne dicesse loro qualche cosa; ma egli mutò discorso. Un altro giorno lo interrogarono in altra maniera. Parecchi sacerdoti e chierici intorno a lui si misero a discorrere della fama mondiale che giornali d'ogni colore creavano al suo nome e gli domandarono scherzevolmente se egli non se ne insuperbisse. - Insuperbirmi?! rispose Don Bosco. Eh, temo che il Signore mi abbia a castigare bene per altre cose, ma per questa no. Vedo essere tanto poco quello che metto io nelle nostre imprese! Se non fosse il Signore a volerle e a disporne i mezzi, noi andremmo subito a rotoli. È tanto piccola, specialmente ora, la mia parte, che mi meraviglio forte come mai il carro della Congregazione e tante altre cose cominciate possano andare avanti.
Conformemente alla nostra abitudine, prima di seguire il Beato nel suo viaggio di ritorno, offriremo qui ai lettori per ordine cronologico e con qualche nota proemiale un gruppetto [29] di lettere, che il Beato scrisse da Roma in quel gennaio. Non sono tutte al certo; ma sono quante abbiamo potuto raccapezzare.
Il Beato Don Bosco, tutte le volte che si assentava per un tempo notevole dall'Oratorio, escogitava sempre nuovi mezzi per farsi vivo ai suoi giovani e animarli al bene. Quest'anno, inviando all'Oratorio o ai collegi la benedizione del Papa, scrisse che il Santo Padre domandava una comunione da tutti gli alunni; egli poi ne chiedeva un'altra per sè, affinchè le cose sue procedessero in Roma secondo i suoi desideri. Il Vicariato Apostolico nel Malabar, di cui qui si parla, rimase un pio desiderio del cardinal Franchi; la morte di Pio IX e i cambiamenti sopravvenuti fecero sì che più non si pensasse a questo disegno.
Ti mando una letterina per il ch. Zemo e Laureri. Credo a quanto asseriscono nella speranza dei frutti che promettono.
Di' a Vincenzo[10] che saluti tanto sua madre, che il S. Padre le manda una speciale Benedizione.
Altra speciale benedizione manda ai nostri cari giovani, nominatamente a quelli che sono ascritti al piccolo Clero, alla Compagnia di S. Luigi, e del SS. Sacramento.
Augura a tutti Sanità, Santità, Sapienza e volontà eroica di andare nelle indie, dove abbiamo accettato un Vicariato Apostolico di circa tre milioni di anime.
Mi raccomando a tutti che facciano una Santa Comunione per me, che ho molti spinosi affari a trattare, io farò una particolare preghiera per loro sulla tomba di S. Pietro.
Il Sig. Alessandro e Sig. Matilde salutano.
Questo signore si ritiene che fosse un agente segreto del Governo e fors'anche un massone convertito. Egli veniva sovente a visitare Don Bosco, dimostrandogli venerazione e confidenza. Il Servo di Dio lo trattava con molta bontà, per indurlo, secondo il suo solito, a prendersi pensiero anche dell'anima. Le ripetute notizie sulle condizioni religiose di Rio de Janeiro, scrittegli dai Missionari, stimolavano sempre più la carità del Beato a fare qualche cosa per il Brasile, dove regnava l'imperatore Don Pedro II, privato del trono dalla rivoluzione del 15 novembre 1889 e morto in esilio due dopo.
Comincio per ringraziar la S. V. Car.ma della buona memoria che conserva per me e per tutto il piccolo mondo di Valdocco.
Assai spesso parliamo di Lei e speriamo che non sarà lontana una sua visita.
Godo assai che Ella possa avere relazioni famigliari con D. Pedro e sua moglie Imperatrice del Brasile. Se ne avrà la comodità suggerisca loro una delle nostre case in quel vasto impero. Credo che molti poveri fanciulli diverrebbero buoni cittadini e che diversamente finiscono colla prigione. Ogni cosa però alla sua prudenza.
Il sito che accomoderebbe il Sig. Piano non è più vendibile. Colà si fa una chiesa e gli scavi ne sono già cominciati.
Dio la conservi e le conceda vita felice e mi creda sempre suo
Nella festa dell'Epifania vi fu all'Oratorio la prima rappresentazione teatrale; in seguito le recite sarebbero continuate tutte le domeniche. Da alcuni anni però il Beato non era guari contento delle rappresentazioni drammatiche sia per le cose rappresentate che per il modo di rappresentarle. [31] Quelle commedie grandiose, quei vestiari di gran costo, la mancanza di un diretto scopo morale, lo spostamento dell'orario, la cena degli attori dopo il teatro, il non esserci un capo abbastanza risoluto e vigilante avevano dato luogo a inconvenienti. Già nel '76 Don Bosco aveva un giorno chiamati a sè i coadiutori Dogliani, maestro di musica, e Barale, capo della libreria, giovani entrambi sui ventott'anni, buoni e capaci e, facendosi da essi accompagnare per Torino, così aveva espresso loro il suo pensiero: - Il teatro adesso non ha più lo spirito che io desidero che abbia; perciò ho creduto bene di darne a voi due la direzione. Io desidero che si recitino cose semplici e morali; ma più di tutto che io sappia prima quello che si reciterà. - I due coadiutori fecero del loro meglio per assecondare i voleri di Don Bosco; ma duravano fatica a reagire contro la corrente invalsa dall'uso. Don Bosco sospese perfino un dramma intitolato I Poveri di Parigi, sebbene se ne fossero già distribuite le parti. Qui egli insiste perchè si ritorni all'antico.
Osserva un po' quel benedetto teatrino. Parla con D. Lazzero e fate in modo che siano sbandite le cose tragiche, duelli, le parole sacre. Forse Barale è quello che vi potrà aiutare ed è d'accordo con Dogliani. Il mio libretto della Ferrovia si può rimettere a S. Pierdarena, dove lo prenderò andando a Torino. Se le Suore gradiscono il teatrino, vadano.
Per Sozzi fate in Domino. Questa sera vado di nuovo all'udienza del S. Padre.
Valete e gaudete omnes in Domino.
La lettera è senza data; ma fu scritta dopo la prima udienza privata. Il cenno sull'oratorio di Chieri merita un chiarimento fin d'ora, giacchè non poco se n'avrà a dire in [32] seguito. I primi che pensarono a Don Bosco per l'istituzione di un oratorio festivo in quella città furono i Confratelli Apostolici, come si denominò un'associazione di preti secolari e regolari, che mettevano in comune i loro sforzi per giovare alle anime. In una seduta del 18 agosto 1875 risulta dai verbali che fra parecchie deliberazioni veniva per terza la seguente: “si propone di procurare lo stabilimento di un oratorio festivo per li fanciulli per mezzo e coll'aiuto del M. Rev. D. Bosco Giovanni, il quale perciò sarà pregato dal Molto Rev.do Can. Calosso e Can. Menzio”. Nell'attesa che Don Bosco potesse inviare i Salesiani, il sacerdote Don Sona, coadiuvato dal gesuita padre Luigi Testa, aperse una specie di oratorio nel '76 a S. Bernardino e nel '77 a S. Michele. Intanto si preparava il terreno per affrettare la venuta dei figli di Don Bosco. A tale oggetto dovevano naturalmente essere corse trattative presso la Curia di Torino; donde l'occasione allegata per la “lunga lettera”, a cui qui Don Bosco accenna.
Anche la benedizione speciale per Don Vespignani infermo richiede un po' di commento. Sacerdote novello, egli entrò nell'Oratorio il 6 novembre del '76; nel Natale successivo Don Bosco lo ammise già alla professione perpetua. In famiglia dal 10 agosto a settembre aveva avuto sputi sanguigni; nell'Oratorio dopo l'Epifania del '77 gli tornò la tosse con deperimento di forze e con dolori al petto e alle spalle. Mandato alla casa di Alassio, perchè il clima più mite giovasse a rinfrancarlo, peggiorò, rinnovandoglisi l'emottisi, che l'obbligò a tenere il letto. Poichè l'aria marina, a detta del medico, gli era nociva, ripartì per Torino. Giunto a Bra, fu assalito da violenti sbocchi di sangue, che lo ridussero a mal partito. Gli attacchi si ripeterono a più riprese fin dopo la Purificazione, quando il Servo di Dio, tornato da Roma, lo andò a trovare.
- Come va? gli chiese. Si sente meglio?
- Eh! rispose. Avevo chiesto di andare in America; ma [33] sono già bell'e andato e ritornato. Oramai mi preparo per il viaggio dell'eternità.
Ciò detto, lo benedisse. Da quel giorno Don Vespignani prese a migliorare, tanto che guarì, andò quell'anno stesso nell'America, vi lavorò indefessamente fino al 1922 e, mentre scriviamo, è a Torino Consigliere professionale nel Capitolo Superiore.
1) Fa' sapere al Sig. A. Crida che la parte fu fatta, che preghi ed io pregherò, e speriamo.
2) Si faccia pure il trattenimento pel giovedì grasso[11] ma cose brevi, che facciano ridere e che non siano protratte oltre le cinque.
3) In quanto alla damig. Pozzi è bene di aspettare il testamento. Se ha fatto qualche cosa per noi si compia pure un servizio religioso.
4) Il nostro Arciv. scrisse una lunga lettera, in cui dà notizie di sua sanità, mostrò gradimento dell'Oratorio di Chieri, etc., etc.
5) Pel prossimo esame dì ginnasio Coppino promise molte facilitazioni
6) Di' a D. Vespignani che ho dimandato una benedizione speciale per lui al S. Padre. Altra per tutti gli ammalati, nominatamente D. Guidazio e Toselli.
7) Comunicherai la stessa benedizione alla nonna Teresa, Damig. Cinzano, Mad. Massarola, Damig. Mandillo, etc.
Il giovedì 18 gennaio, facendosi l'esercizio della buona morte, vi fu la comunione per Don Bosco; la domenica seguente si fece la comunione per il Papa o “Le comunioni, nota la cronaca per entrambe le circostanze, si fecero con entusiasmo e furon numerosissime”.
Dà queste lettere e se puoi leggile e consegnale in persona, specialmente quella al Sig. Faia. [34]
Il S. Padre fece splendida accoglienza: manda la sua benedizione a tutti i salesiani, novizi, aspiranti e allievi. Essendo alquanto incommodato dalla tosse si raccomanda expressis verbis alle preghiere di tutti specialmente per una S. Comunione, cui egli annette indulgenza plenaria.
Altro giorno i particolari. Dio ci benedica tutti ed abbimi nel Signore
Senza data. Fu scritta nella settimana che precedette l'andata del Servo di Dio ad Albano; dunque prima della domenica 14, essendosi recato colà il martedì 16.
1) Ti mando alcune lettere per norma tua e di Lazzero.
2) Va' in mia camera e troverai sul secondo ripostiglio della scanzia del mio tavolino il Cattolico provveduto[12] (quello delle Lett. Catt.) interfogliato e in più cose corretto per la ristampa; ivi pure, ci deve essere un quaderno di fogli da lettera, in cui si parla dell'esistenza di Dio, etc.: procura di mandarmelo. Idem se ci sono stampe o se si stampa qualche cosa nella Unità Cattolica che ci riguardi[13].
3) Ho fatto prima di partire[14] una dimanda al Ministro della Guerra e dell'Interno per ottenere qualche cosa per l'Oratorio. Se ricevi qualche risposta mandamela subito per norma.
4) D. Berto avrà scritto della buona accoglienza che il Min. Coppino fece alle nostre dimande.
5) Dirai a D. Guidazio che non minchioni[15] e che si curi molto la sua sanità col riposo affinchè possa lavorar molto.
6) D. Scappini e D. Berto dormono e mangiano in S. Spirito; io sono col Sig. Sigismondi e lavoro per sistemare la difficile posizione dei Concettini coi Salesiani.,
7) Nella Prossima settimana, a Dio piacendo, fo una gita ad Albano. Nel fare poi ritorno a Torino passerò a Magliano, e a Firenze. [35]
8) Dirai ai nostri confratelli e a tutti gli amati nostri giovani che ho tra mano molti ed importanti affari; perciò gran bisogno delle loro preghiere. Pregali che facciano una Comunione secondo la mia intenzione, ed io farò anche per loro una preghiera speciale alla tomba di S. Pietro.
9) Dammi notizie della sanità dell'Arciv. e del nostro caro Toselli.
10) Dirai pure a Giulio[16] che scopi bene la scala nostra e che raccolga i pezzi di carta sparsi qua e là.
11) Fa' pure un saluto alla buona nonna Teresa e a tutte le nostre sorelle in G. C.
Dio ci benedica tutti ed abbimi in G. C.
Nei manoscritti con questa lettera va unito un biglietto non datato, che ripete cose già dette qui sotto, impreziosito però dal seguente poscritto: “Vengo in questo momento dal S. Padre, che di tutto buon cuore manda l'apostolica sua benedizione a tutti i Salesiani d'America, aggiungendo: Raccomandate da parte mia che veglino vigilantemente sulla osservanza delle' Regole vostre, speciatim vero sulla moralità, che in quei luoghi va esposta a continui pericoli”.
A quest'ora avrai già ricevuto i nostri cari confratelli, che spero abbiano fatto buon viaggio, sebbene non abbia ancora ricevuto notizie positive a questo riguardo. Questa volta lascio tutte le altre cose. Ti scrivo di affari tutti particolari.
Due sono le proposte che ci si fanno dal s. Padre e che io ho accettate. Ora vediamo quanto si possa fare.
Un Vicariato Apostolico nella Patagonia, e a Carmen, o a S. Crux, o a Puntarenas, o meglio ancora un solo Vicariato che si estenda a tutti tre. Si potrebbe cominciare con una casa di educazione e Seminario a Carmen, che dicesi anche Patagone e Concezione; e mentre si consolida questa casa pensare agli altri due siti. Ma i mezzi?
La Propaganda verrà in aiuto; la Propagazione della fede idem: Santo Padre più ancora; poi ci penseremo e faremo anche noi. [36] E il personale? Deve essere tutta farina del nostro sacco, e fra gli altri mi passa pel capo d'invitare Mons. Ceccarelli a porsi alla testa di questa impresa, e tu puoi parlarne direttamente con lui. È vero che egli dovrebbe essere consacrato Vescovo, ma potrebbe tenere il titolo parrocchiale mettere uno o più Salesiani a farne le veci in S. Nicolas. Ma e di D. Cagliero quid? Andremo ad assumere il Vicariato Apostolico di Mengador[17] nelle Indie, che ha circa tre milioni di anime. Così mi dice il Card. Franchi, Don Cagliero Vicario Apostolico, Don Bologna suo Vic. Gen., etc., etc.
Tra gli individui che ci sono e quelli che si stanno preparando il personale ci sarà. Con facilità si possono preparare sei Salesiani per la Patagonia, dieci Sacerdoti con dieci Catechisti per le Indie. Il resto lo farà Iddio.
Come vedi, io fo l'orditura, adesso tu pensaci, parla con M. Ceccarelli ed anche con altri, e poi fammi sapere se vi sentite di tesserne quindi la tela.
Il Santo Padre poi manda una speciale benedizione a tutti i Salesiani che sono in America, a tutti gli aspiranti o che vogliono aspirare, ma in modo speciale al Sig. D. Benitez, cui prego da Dio lunghi anni di sanità e dì vita felice.
Non ho ancora potuto conchiudere il prezzo del sito latistante alla Chiesa della Misericordia[18]; spero che ciò sarà pel principio di Febbraio, quando di nuovo ti scriverò: il console sembra assai ben disposto, ma è genovese ed assai lungo negli affari.
Farai noto a tutti i Salesiani che, la Congregazione in Europa acquista nome, si accresce di numero, di dimande per case, e credo poter anche dire, di fervore individuale. Vedrai tutto dal Catalogo che riceverai con altro corriere. E nell'America come vanno?
Per tua norma ho sempre scritto per ogni 10 e 15 di ciascun mese; ma pare che molte lettere siansi smarrite.
Scrivo anche una lettera a Monsig. Arcivescovo, notificandogli il desiderio del S. Padre che si faccia una prova nella Patagonia, e sulla utilità di una sua lettera al Presidente della Propagazione della fede in Lione.
Deus nos benedicat et in sua pace custodiat et ad vitam perducat aeternam.
P. S. Se non hai ancor veduto Mons. Roncetti, sarà tra voi quanto prima. È incaricato di trattare gli affari della Chiesa nel Brasile. Passerà a Buenos Aires per vedere la posizione dei Salesiani: tratterà [37] anche coll'Arcivescovo sulla possibilità di avanzarsi nei Pampas e nei Patagoni. Egli è a noi benevolo; ed io ho messo il granello sulla bilancia, per cui fu scelto per questa missione. Al suo ritorno sarà fatto Cardinale, cosa che egli ignora, e che vedendolo tu puoi accennargli[19]. È bene che l'Arcivescovo sia di ogni cosa informato. Ancora attendo le notizie positive da Montevideo, per comunicarvi il tutto della benedizione del S. Padre.
Perchè lo chiami “Romualdo”, non possiamo indovinarlo; probabilmente è una delle abituali piacevolezze dì Don Bosco, riferentesi o a qualche frase della lettera qui accennata o a qualche circostanza personale. È questi il Buzzetti, della cui affezione per Don Bosco due belle pagine ha scritte Don Lemoyne nel quinto volume delle Memorie biografiche (pag. 524 - 5).
La tua lettera mi ha fatto piacere, e siccome in essa niente era segreto, l'ho fatta a leggere a diversi prelati che ne furono soddisfattissimi.
Continua, coraggio, Dio è con te. Fa' un saluto a tutta la tua scolaresca musicale e di' loro che desidero di udire una bella suonatina al mio ritorno e loro regalerò un bicchiere di quel là.
Dio ti benedica, mio caro Buzzetti, fa', o meglio, fate una S. Comunione per me. Nella prossima settimana a Dio piacendo, ci rivedremo.
9. A Monsignor Giuseppe Gastaldi.
Risponde alla lettera, in cui l'Arcivescovo gli parlava dell'oratorio di Chieri. In data 7 gennaio l'avvocato Menghini, [38] riferendo al suo illustre cliente intorno a una propria memoria defensionale sopra una causa che Sua Eccellenza aveva pendente dinanzi alla Sacra Congregazione del Concilio, si era espresso in questi termini: “Mi sembra pel momento e per politica mostrare qualche deferenza in verso D. Bosco, il quale è onnipotente col Card. Berardi, uno dei Giudici della S. Congregazione del Concilio. Perciò a far recapitare l’acclusa letterina a D. Bosco per sommo favore”[20]. Nella lettera a Monsignore manca la data; ma il cardinale di Canossa assicurò che l’incontro, qui mentovato, avvenne ai 14 di gennaio.
Colla massima consolazione ho ricevuto la venerata lettera di V. E. R.ma e mi tornò tanto più consolante in quanto che mi dà notizia della desiderata ed implorata da Dio sanità della E. V.
Appena avrò l’udienza del Card. Berardi non mancherò di fare gli atti di ossequio da parte di V. E. e non dubito che siano per essergli graditi. È però incomodato. In quanto a Chieri farò quello che posso per attivare un Oratorio per le ragazze ed un altro pei fanciulli; e mi è di massimo incoraggiamento l’approvazione e l’appoggio dell’autorità ecclesiastica.
Mentre scrivo giunge Mons. Canossa Vescovo di Verona e che per prima cosa mi domandò notizie della sanità di V. E. e fu meco contento di poterle dare assai soddisfacenti. Mi diè carico di fare i suoi omaggi.
Egli è a Roma e vorrebbe esimersi dall’Arcivescovado di Bologna a cui lo elesse il S. Padre facendolo Cardinale. Sarà però assai difficile che il S. P. modifichi tale sua decisione[21].
Prego Dio che la conservi in perfetta sanità, mentre ho l’alto onore di professarmi colla massima venerazione.
Le lettere che Don Bosco scriveva all'Oratorio, si leggevano quasi tutte in pubblico la sera dopo le orazioni. Il Beato Soleva salutare per nome allievi e Confratelli. Don Bologna, prefetto degli esterni, non essendosi mai inteso nominare, ne restò scontento. Don Bosco, saputolo, gli mandò questa lepida poesiola, nella quale fa particolare allusione allo studio di parecchie lingue intrapreso dall'operoso Salesiano, che desiderava partire per le Missioni; onde nella lettera a Don Cagliero il Beato glielo designava vicario generale nelle Indie.
Perchè ancora non ti ho scritto,
Manda un foglio[22], e la risposta
Ognun prega e il braccio tende:
Privazioni, affanni e stento!...
Dopo la morte di Don Chiala fu incaricato Don Barberis di preparare per la stampa le lettere dei Confratelli d'America.
Ti mando la lettera dei Missionarii. Osserva se non convenga togliere parecchie citazioni, nomi Inglesi, Irlandesi ecc.
Agli ascritti pel loro indirizzo[23] scriverò. Il Papa tiene il letto da due giorni: oggi è meglio. Mi ha ricevuto da coricato, e mi trattenni quasi un'ora a fargli compagnia. Di' agli ascritti che ho preparato per loro serie imprese; e che le potranno tutte compiere utilmente e mediante sanità, santità, sapienza.
Saluta Peretto[24] da parte mia e digli che tengo conto di sua lettera.
Mandami citissime il decreto dell'Opera di Maria Ausiliatrice.
Dio ci benedica; pregate molto, ed abbimi in G. C.
Era catechista degli artigiani. Addì 22 gennaio il Beato aveva scritto a Don Rua nella lettera, di cui abbiamo già riportato sopra due periodi: “Va' a dire agli artigiani, miei rari amici, che ho letto al S. Padre la lettera che D. Branda mi scrisse di loro, e che ne fu assai contento. Disse ripetutamente: - Dio benedica quei miei cari giovani; essi mi consolano assai; pregherò per loro, continuino ad esser buoni; preghino per me, che mi vo avvicinando al tramonto -”.
Le notizie che tu mi hai dato mi portarono grande consolazione. Il Santo Padre ascoltò la lettura di tutta la lettera, si mostrò contento e manda a tutti gli artigiani una speciale benedizione. Dirai ad [41] Arietti che è ancora tempo anche per lui; la misericordia di Dio è grande, ma che non differisca. Spero che mi consolerà con un buon S. Francesco.
Intanto dirai a tutti che io non li dimentico mai nella S. Messa, li ringrazio delle preghiere fatte per me che furono già in parte esaudite; continuino e saranno essi pur contenti anche temporalmente.
Salutali tutti da parte mia e credimi sempre in G. C.
Era il 29 gennaio, quando il Beato Don Bosco, celebrata la Messa in onore di san Francesco di Sales nella cappella domestica del signor Alessandro e preso commiato dai generosi suoi ospiti, lasciò Roma e si mise in viaggio alla volta di Magliano. Quivi lo attendeva alla stazione di Borghetto il Vescovo ausiliare del cardinal Bilio. Fatto breve cammino ecco arrivare i chierici del Seminario, poi i giovani convittori e gli alunni esterni coi loro maestri, e tutti baciarono la mano a Don Bosco. Il Servo di Dio, salutatili paternamente, montò nella carrozza del Vescovo, col quale proseguì fino alla città. Tosto si presentò all'episcopio il sindaco, accompagnato da una rappresentanza del Municipio per dargli il ben venuto. La mattina del 30, restituita la visita al sindaco, che era un signor Orsoli, veramente un poco, orso con i preti, ma conquiso dalle parole e dalle maniere di Don Bosco, assistette a una festicciuola fattagli dai seminaristi con la lettura di alcune poesie. Presa quindi la parola, il Beato diede loro, in terra classica, un classico ricordo, quello lasciato da Agesilao nell'occasione che visitò una scuola: non operare mai cose, delle quali in avvenire possiamo pentirci, operare sempre cose che ci possano in avvenire tornare di utilità. Nel terzo giorno chierici e giovani fecero l'esercizio della buona morte. Alla sera il sottotenente Graziano, di cui già si disse[25], venne da Viterbo, dove si trovava di guarnigione, e diresse una piccola accademia, nella quale fece cantare l'Orfanello e lo Spazzacamino [42] al suono della chitarra. Finalmente il 1° febbraio, detto addio ai confratelli e amici di Magliano partì per Firenze. Colà si fermò fino alla sera del 3 in casa della pia e caritatevole marchesa Uguccioni, ancora tutta costernata per la recente perdita del suo consorte. La mattina del 4 era a Torino, ricevuto al solito con il massimo tripudio nell'Oratorio.
Due giorni dopo il suo arrivo all'Oratorio, il Servo di Dio tornò a Roma in sogno. Fu un sogno profetico, che egli narrò privatamente ai direttori convenuti per le annuali conferenze; ne porremo qui il racconto, quale lo scrissero subito Don Barberis e Don Lemoyne. È necessario premettere che l'Eminentissimo. Monaco La Valletta, Vicario di Sua Santità dopo la morte del cardinal Patrizi, aveva pregato Don Bosco dì mandare alcuni Salesiani a dirigere l'Ospedale della Consolazione, che sorge a brevissima distanza dal Foro Romano. Mancava il personale; tuttavia Don Bosco, essendo la prima volta che il nuovo Cardinal Vicario chiedeva qualche cosa alla Congregazione, bramava ardentemente di appagarne il desiderio. La notte sul 7 di febbraio, andato a dormire con questo pensiero, sognò di ritrovarsi a Roma.
Mi parve di trovarmi di nuovo a Roma; mi recai subito al Vaticano senza neppur pensare al pranzo nè a chiedere l'udienza nè ad altro. Mentre mi trovavo in una sala, arriva Pio, IX ed all'amichevole si siede in un gran seggiolone o canapè a me vicino. Io, tutto meravigliato, cerco d'alzarmi in piedi e fargli i debiti ossequi; ma esso nol permise, anzi con premura mi fece forza che stessi lì seduto accanto a lui, e si incominciò a un dipresso questo dialogo.
S. Padre. Non è da molto tempo che ci siamo veduti.
D. Bosco. Veramente son pochi giorni.
S. Padre. D'ora in avanti ci vedremo con più frequenza, perchè vi sono molte cose a trattare. E intanto ditemi: che, cosa avete già fatto dopo la vostra partenza da Roma?
D. Bosco. Ci fu tempo a poco; si sono assettate varie cose interrotte per la mia assenza e poi si pensò a quello che si sarebbe potuto fare per i Concettini. Ma ecco che mi arriva domanda del Card. Vicario, perchè prendiamo la direzione dell'Ospedale della Consolazione. È la prima domanda che ci fa il detto Cardinale e vorremmo accondiscendere; [43] ma nello stesso tempo siamo imbrogliati per mancanza di personale.
S. Padre. Quanti preti avete già mandati ai Concettini? - Ed intanto mi fece passeggiare con lui tenendomi sempre per mano.
D. Bosco. Noi ne abbiamo mandato un solo e studiavamo appunto di mandarne alcuni altri, ma siamo impacciati perchè non ne troviamo.
S. Padre. Prima di pensare ad altro procurate di provvedere a Santo Spirito. - Poco dopo il Santo Padre ritto sulla persona colla faccia alta e quasi raggiante di luce, mi stava guardando.
D. Bosco. Oh santo Padre, se potessero mai i nostri giovani vedere la vostra faccia! Io credo che resterebbero fuori di sè per la consolazione. Essi vi vogliono tanto bene!
S. Padre. Questo non è impossibile... Chi sa che non possano ancora vedere compiuto questo loro desiderio?
Ma intanto quasi gli venisse male, appoggiandosi qua e là, va come per sedersi sopra di un canapè e seduto che fu vi si prostese sopra, distendendovi tutta la persona. Io credeva che fosse stanco e che volesse adagiarsi per riposare un poco e perciò cercai di mettergli un capezzale un po' elevato sotto il capo per sostenerlo; ma esso non volle e distese anche le gambe, mi disse: - Ci vuole un lenzuolo bianco da coprirmi da capo a piedi.
Io stava tutto attonito e stupefatto a rimirarlo: non sapevo che cosa dovessi dire, nè che cosa dovessi io fare. Non intendeva nulla di ciò che accadeva.
In quel mentre il S. Padre si alza e dice: - Andiamo.
Arrivati in una sala ove erano molte persone di dignità ecclesiastica il Santo Padre, senza che gli altri vi badassero, s'incammina verso un uscio chiuso. Io prestamente apro l'uscio, acciocchè Pio IX che era già vicino potesse passare. Vedendo ciò uno dei prelati si mise a crollare il capo ed a borbottare: - Questa non è cosa che spetti a Don Bosco; vi sono persone apposite a fare questo ufficio.
Mi scusai alla meglio, facendo osservare che io non mi arrogava alcun diritto, ma che apersi la porta non essendovi alcun altro che il facesse e ciò perchè il Papa non s'incomodasse e non vi inciampasse. Il Santo Padre avendo udito, si volse indietro sorridendo e disse: - Lasciate che faccia; sono io che lo voglio. - Ed il Papa, passata questa porta, non apparve più.
Io dunque mi trovava lì tutto solo e non sapeva più dove fossi. Voltandomi qua e là per orizzontarmi vidi che da una parte vi era Buzzetti. La sua vista mi fece molto piacere. Io voleva dirgli qualche cosa, quando egli avvicinatosi a me: - Veda, mi dice, che ha le scarpe guaste e malandate.
D. Bosco. - Lo so. Che vuoi? Ne hanno già fatto dei giri queste scarpe; sono ancora quelle che avevo quando andai a Lanzo; vennero [44] a Roma già due volte: sono già state in Francia ed ora sono già di nuovo qui. Certo che debbono essere logore.
Buzzetti. Ma adesso non possono assolutamente più portarsi; non vede che i talloni sono già tutti rotti ed ha i piedi per terra?
D. Bosco. Questo va tutto bene: ma adesso dimmi; sai tu dove siamo? Sai che cosa facciamo qui? Sai il perchè sono qui?
D. Bosco. Dimmi adunque: sogno io, oppure quello che vedo è una realtà? Dimmi presto qualche cosa.
Buzzetti. Stia tranquillo che non sogna; è tutto vero quello che vede. Qui siamo a Roma nel Vaticano. Il Papa è morto. E tanto è vero questo, che ella volendo uscir di qui avrà delle difficoltà e non troverà la scala.
Allora io mi affaccio alle porte, alle finestre e trovo case infrante e diroccate da ogni parte e le scale rotte; e frantumi in ogni luogo.
D. Bosco. Ora qui mi avvedo proprio che sogno: poco fa io sono stato in Vaticano e col Papa, ma non vi era niente di tutto questo.
Buzzetti. Queste macerie furono prodotte da uno scrollo improvviso che avverrà dopo la morte del Papa, poichè tutta la Chiesa alla di lui morte sarà scossa terribilmente.
Io non sapevo nè che dirmi nè che farmi. Volevo ad ogni costo discendere dal luogo ove mi trovava; faccio la prova, ma temeva di rovinare in qualche abisso.
Tuttavia io tentava discendere, ma molti tenevanmi chi per le braccia, chi per la veste ed uno mi teneva forte pei capelli e non mi lasciava andare a nessun costo. Io mi son messo a gridare: - Ahi! mi fai male! - E tanto fa il dolore che soffersi, che mi svegliai trovandomi nel letto in camera.
Il Servo di Dio, se non credette di tenere per sè questo sogno singolare, proibì nondimeno ai Direttori di parlarne con chicchessia, esprimendo anzi il parere che per allora non fosse da farne verun caso. Ma ben si vide di lì a un anno preciso, che non trattavasi punto di sogno comune; infatti proprio sul principiare della notte dal 6 al 7 febbraio il grande Pontefice Pio IX, dopo una rapida malattia, rese la sua bell'anima al Signore.
Dopo la prima fase, ricca di belle promesse[26], le cose dei Concettini si vennero imbrogliando sempre più. Vi fu chi considerò come un grave smacco inferto al clero romano il ricorrere all'opera di un prete forestiero per la direzione e l'ordinamento di un Istituto nella città di Roma, quasi che non ci fossero in Roma sacerdoti nè Ordini religiosi buoni a tanto. Simili doglianze vennero portate anche dinanzi al Papa e a più riprese e in forme quasi ufficiali.
Alle opposizioni esterne si aggiunsero difficoltà e resistenze interne. La gestione dell'Istituto andava così male, che le autorità civili volevano togliere ai Concettini l'Ospedale di Santo Spirito. Lo stesso principe Borghese, deputato laico, ebbe a dire: - Mi contano che Don Bosco fa miracoli; io non ci credo: ma, se aggiusta l'affare dei Concettini, sarà quello il più grosso dei miracoli. - Vi regnava infatti il massimo disordine. Alcuni Fratelli non erano stati mai neppure ammessi alla Comunione; molti da anni non frequentavano più i Sacramenti; ogni idea di vita religiosa, nonostante l'abito che indossavano, a poco a poco si andava perdendo. Inoltre sul conto di Don Bosco tante male voci si erano sparse, che quasi tutti avevano di lui una grande paura. [46]
Durante il mese di gennaio egli li visitò più volte, disse da loro la Messa, vi stette a pranzo, sicchè vide, udì, parlò e con la grazia del Signore sembrava che tutto fosse in via di accomodamento. La maggior parte chiesero subito di confessarsi e presero a frequentare i Sacramenti. Molto per altro rimaneva a fare; bisognava dar tempo al tempo, procedendo con lentezza e cautela. A ogni modo il Santo Padre, conosciuti i primi risultati, ne restò così soddisfatto e contento, che quasi non capiva in sè dalla gioia.
Ma l'idea dello smacco montava ancor sempre la testa a certuni. Una deputazione si presentò al Papa, introdotta da un alto Prelato, per suggerirgli che affidasse quella direzione ai Gesuiti. Il Santo Padre, benchè disgustatissimo, fece osservare con bontà che, se quel mattino egli avesse mandati i Gesuiti a Santo Spirito, un tumulto di gentaglia avrebbe prima di sera messo sossopra l'Ospedale, chiedendo freneticamente la cacciata dei Padri, e si degnò pure di aggiungere che, avendo già i Salesiani dato buona prova, non si vedeva alcuna necessità di chiamarvi altri. Andate, disse poi al Prelato, dite voi stesso a Don Bosco, che io sono contento di lui; ditegli che tenga quella direzione e che faccia venire presto i suoi figli. Voglio anzi che ogni Salesiano riceva il suo regolare stipendio dall'amministrazione dell'Istituto e sia provvisto di tutto l'occorrente. - A persona di fiducia il Santo Padre aveva anche detto: - Cercano ogni mezzo per farmi fare cattiva figura! Povero Don Bosco! Egli è generoso e fa tutto quello che può.
Nè il Papa si fermò lì. Per impedire che pettegolezzi, ingerenze o disturbi di qualsiasi genere intralciassero l'opera del Beato, stabilì che il Direttore salesiano dei Concettini dipendesse direttamente dal Papa e una volta al mese venisse a regolare udienza. Di questa disposizione Don Bosco andava lietissimo anche per il vantaggio che ne poteva derivare alla Congregazione nella trattazione de' suoi affari.
In tutto questo negozio il deus ex machina era monsignor [47] Fiorani, il commendatore di Santo Spirito. Ora egli, qualunque ne fosse il motivo, manifestava ogni di più certe sue vedute personali che mal si conciliavano con le intenzioni manifestate dal Papa. Il punto capitale per lui stava qui, che ci avessero a essere due dirigenti col titolo di Visitatori Apostolici, uno nella persona di Don Bosco per le cose spirituali e l'altro in quella di Monsignore per le temporali. Ma una famiglia così bicipite come avrebbe potuto vivere? Don Bosco era persuaso che per tal modo, quanto alla riforma dell'Istituto, si sarebbe fatto un buco nell'acqua. Voleva parlarne seriamente col Papa; ma non gli fu più possibile avere udienza, sicchè dovette rassegnarsi a ultimare la trattative per mezzo dello stesso monsignor Fiorani. Allo stringere dei conti questi gli significò essere volontà del Papa che si addivenisse all'anzidetta divisione dei poteri. Ciò udito, Don Bosco si tacque e accettò l'esperimento.
Esperimento diciamo, perchè egli considerò sempre come transitorio tale stato di cose, ritenendolo per lo meno inefficace allo scopo inteso dal Papa. Lo disse anche a Don Barberis, che ne raccolse le parole nella sua cronaca sotto il 1° maggio: - Quando a Roma mi si parlò la prima volta dei Concettini, io dissi subito essere necessario che, per riuscire nell'intento, i Concettini fossero rifusi nei Salesiani, ritenendo essi soli il loro scopo di Ospedalieri. Approvando il Papa questo pensiero, io scrissi un progetto che incontrò il suo gradimento. Sorsero in seguito vari intrighi, vari imbrogli, e si dovettero moderare le cose; ma tali modificazioni furono stese solo per un momentaneo accomodamento: dura tuttavia il mio primo disegno approvato dal Papa.
L'esperimento pertanto fu concretato, in un decreto, che a nome del Santo Padre la Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari emanò il 6 febbraio 1877. Quel decreto conteneva sette articoli: 1° Don Bosco Visitatore Apostolico a vita, nelle sole cose spirituali; i suoi successori non più a vita, ma ad nutum della Santa Sede. 2° Monsignor Fiorani Visitatore [48] Apostolico nelle cose temporali, e così i suoi successori pro tempore. 3° Sospesa la giurisdizione del Superiore Generale dei Concettini. 4° I due Visitatori autorizzati a subdelegare in loro vece rispettivamente un Salesiano e un Ecclesiastico del clero secolare o regolare. 5° Il Visitatore in spiritualibus tenuto a destinare un Salesiano alla direzione spirituale dei professi e un altro Salesiano a quella dei novizi, secondo le Costituzioni dei Concettini che dovevano restare immutate. 6° Autorizzato il Visitatore in temporalibus, d'intelligenza col Visitatore in spiritualibus, a fare le ammissioni dei postulanti all'abito e dei novizi alla professione, come pure al licenziamento dei novizi giudicati non atti all'Istituto; autorizzato inoltre a provvedere, sempre d'accordo col suo collega, all'assegnazione e rinnovazione degli Uffizi. 7° Relazione triennale alla Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari da parte di entrambi i Visitatori[27].
La condizione creatasi con questo decreto venne così descritta dal Beato nel surriferito colloquio: - Per ora è deciso che Don Bosco comandi in tutto ciò che riguarda il bene delle anime e il progresso della Congregazione. Monsignor Fiorani ne sarebbe il capo materiale. Avrebbero anche il sindaco, come lo chiamano, o provveditore generale, che si arricchisce alle loro spalle, facendo lui tutte le spese in grande e rivendendo le cose al minuto. Avrebbero ancora un direttore generale scelto fra loro medesimi. Con tanti Superiori credo che non sappiano neppur essi a chi obbedire, e con questo regime non vedo come possa prosperare quella Congregazione. Ora si tratta di ridurre un poco per volta i Concettini ad essere veri Salesiani, osservando le nostre Regole e, quanto al modo di eseguirle, servendosi delle loro come di manuale pratico. Essi però, sobillati da alcuni Cappuccini e dai sindaci che vivono a loro spese, commossi da mille voci che corrono, vorrebbero conservare la loro autonomia. Anche [49] Monsignor Fiorani, il quale aveva scritto e riscritto come con poche parole si sarebbe aggiustato l'affare, vista la mia risolutezza, mandava le cose in lungo. Ma non si sarebbe ancora concluso nulla e chi sa per quanto tempo sarebbero durate le trattative, se io non andava a dire che avevo assoluto bisogno di partirmene e che me ne sarei partito, fossero o no aggiustate le cose. Finora non c'è altro di nuovo; ma noi dobbiamo tendere alla meta, raccomandando generalmente l'obbedienza ai Superiori, senza specificare nessuno.
Un saggio degli umori che serpeggiavano nell'Istituto si ebbe a Torino sul principio dell'estate. Un tal Fratello Pietro Concettino arrecava gravi disturbi alla comunità con la sua pessima condotta. Don Bosco, com'era di sua competenza, se lo fece mandare a Torino per ammonirlo. Venne il Fratello senza conoscere bene il motivo della chiamata. Arrivato a Torino e saputo di che si trattava, montò su tutte le furie e ripartì immediatamente per Roma.
Ritorniamo ora alcuni mesi indietro. In febbraio fu sollevata intorno al fondatore dei Concettini una polemichetta, che attizzava nei Fratelli il fuoco della discordia fra chi era pro e chi era contro la nuova direzione sottentrata a quella dei Cappuccini. Vi diede occasione una corrispondenza particolare da Roma a L'Unità Cattolica, nel cui numero del 28 gennaio sotto il titolo “Don Bosco e i Concettini” si leggeva: “Da qualche settimana tra noi si parla molto di Don Bosco e dei Concettini, ed io credo opportuno di esporvene il tema e rettificare notizie che possono diffondersi inesatte e forse dannose. Diconsi Concettini i Fratelli ospedalieri di Maria Immacolata, che hanno per iscopo l'assistenza agli ammalati, prestando loro i più abietti servigi. Essi furono fondati da un certo Pezzini Cipriano da Cremona nel 1854 in onore dell'Immacolata Concezione, e fin dal loro principio assistiti, coltivati e consolidati dal Padre Cappuccino Giovanni Battista Taggiasco da Genova. La loro casa madre è sempre stata l'ospedale di Santo Spirito in Roma, e siccome tra essi [50] non vi son sacerdoti, anzi sono esclusi gli studi classici e letterari, così la direzione spirituale ne fu per regola affidata ai reverendissimi Padri Cappuccini. Ma, a cagione dei tempi che corrono, e per le incessanti domande che si facevano in vari ospedali per avere dei Concettini, non si era potuto stabilire un vero noviziato, e quindi nemmeno una regolare osservanza delle loro Costituzioni. In questo momento lo stato degli Ordini religiosi non permettendo più ai Cappuccini di prestare la necessaria assistenza, l'Istituto dei Concettini si andava sfasciando. Il Santo Padre, che sempre guardò con occhio benevolo questo Istituto pel gran bene che può fare specialmente quando gli ammalati sono in pericolo di vita, volle egli stesso farsi loro protettore. Fatto pertanto chiamare Don Bosco, gli espose il suo desiderio intorno alla organizzazione di questi figli di Maria Immacolata, accennando pure come esso, il Santo Padre, aveva già fatto appositamente fabbricare una casa in piazza Mastai da destinarsi pel noviziato dei Concettini. Don Bosco accettò di buon grado la proposta di Sua Santità, col nome di Visitatore Apostolico ad vitam, con pieni poteri, e per mezzo di alcuni sacerdoti salesiani si darà cura di stabilire il voluto noviziato e la vita comune, la cui mercè il novello Istituto potrà conseguire il non mai abbastanza lodato scopo, che è di sollevare moralmente e corporalmente la sofferente umanità, massime negli estremi della vita”.
Un Padre Valentino da S. Remo, Cappuccino, già direttore dei Concettini, letto quest'articolo, ne fu indignato, giudicandolo “in tutto e per tutto falso, tranne dove dice delle premure del S. Padre a pro dell'Istituto”; inviò quindi subito da Anagni al Direttore del giornale torinese una vibrata protesta, accompagnandola con una rettifica scritta “di proprio pugno, diceva, dal P. Giovanni Battista Taggiasco” suo confratello residente in Roma alle Sette Sale e presentato quale “vero e reale fondatore dei Concettini”. S'intendeva così di rispondere “al menzognero articolo” e “Risarcire [51] l'offuscato onore dell'Ordine Cappuccino e mettere in chiara luce un fatto noto” a quanti in Roma avevano “Relazione con l'Archiospedale di Santo Spirito”. Ma L'Unità Cattolica, in ossequio a Don Bosco, che aveva compilato la precedente corrispondenza sopra dati raccolti fra gli stessi Concettini più anziani[28], rifiutò di stampare lo scritto del Padre Valentino, il quale allora lo pubblicò in un periodico francescano[29]. Secondo la sua versione, i Concettini sarebbero stati fondati nel 1857 dal detto padre Taggiasco, coadiuvato da altri suoi Confratelli, per sostituire, nell'assistenza degl'infermi, ai secolari infermieri religiosi. A conferma della propria tesi recava una dichiarazione analoga del Concettino Fratello Crispino da Roma, la cui testimonianza però è dichiarata grandemente sospetta dal segretario di Don Bosco, per motivi che qui non vale la pena di riferire.
Se non che nei nostri archivi esiste anche un'altra dichiarazione autografa del primo annalista dei Concettini, il quale, vestito l'abito nel '58, cominciò a scrivere gli annali dell'Istituto nel '60. Orbene, in data 23 novembre 1876, questi dichiarava e affermava “per la pura verità, pronto a confermarlo anche con giuramento”, che egli aveva raccontato la storia delle origini “sotto l'ispirazione ed influenza” dei Padri Cappuccini, che erano allora direttori dei Fratelli ospedalieri, ignaro dei primi antecedenti corsi fra il P. Giambattista ed il giovane Pezzini Cipriano da Cremona, che aveva poi riconosciuto esserne stato il solo primo e vero autore. Dopo di che prosegue: “Laonde, come confermo tutto ciò che è posteriore al mio ingresso nell'Istituto, così dichiaro inverosimile o almeno di dubbia fede tutto che concerne l'antecedente”. Don Bosco dunque era bene informato.
Questa controversia non ebbe strascichi, fors'anche perché [52] Don Bosco, fedele al suo metodo di lasciar cantare le passere, non interloquì nè per sè nè per mezzo d'altri.
Al principiare di marzo monsignor Fiorani, valendosi della facoltà conferitagli dal decreto 6 febbraio di assegnare gli uffici al personale, non senz'aver prima interpellato il Servo di Dio, chiamò il Fratello Luigi Maria Monti milanese ad assumere la carica di Superiore dell'Istituto. Era questi un Concettino di buono spirito e membro della religiosa famiglia fino dagl'inizi. Suo primo atto fu di rendere omaggio a Don Bosco, professandoglisi riconoscente “per il tanto bene che prestava all'Istituto e quindi a loro poveri fratelli Concettini”. Appresso effondeva l'animo suo in questi affettuosi sentimenti: “Noi certamente non abbiamo lingua abbastanza per ringraziare la Paternità Vostra Rev.ma dell'opera che presta, onde migliorare la nostra condizione; e noi non abbiamo da poterla compensare: avrà però l'eterna retribuzione da Dio e dall'Immacolata nostra Madre. Finora non ho avuto il bene di poterla conoscere, ma ravviso il Padre dalle opere del Figlio”[30]. E voleva dire del direttore Don Scappini.
I due primi mesi furono per il novello Superiore pieni di tribolazioni. I disordini ormai erano tali, da non potersi più tenere nascosti agli occhi del pubblico, che ne pigliava scandalo. Gli bisognò licenziare dall'Istituto otto Fratelli e una ventina d'inservienti. Estirpata la zizzania maggiore, si principiò a godere un po' di pace. Torna a sua lode il fatto che in ogni provvedimento di tal genere egli non moveva una paglia senza consigliarsi col Direttore spirituale Don Scappini. Ma spiacenti intoppi attraversavano la via a impedire il risorgere e il rifiorire dell'Istituto. Alcuni Fratelli, brigando con influenti personalità esterne, creavano sotto l'aspetto di zelo continui imbarazzi; monsignor Fiorani si lasciava menare per il naso da un suo servo, a cui prestava troppa fede, e da qualche altro, che pur avendo buona intenzione, [53] ma non avendo buon discernimento finiva con mostrargli lucciole per lanterne, procurando forti dispiaceri al povero Don Scappini; questi poi, benchè tribolato la parte sua, doveva far animo al Fratel Monti, che, non meno tribolato di lui, in lui unicamente trovava sostegno.
“Devo gratitudine, ripeteva egli a Don Bosco[31], alla Paternità Vostra del bene che da Lei ricevo, e ricevono i miei Confratelli nella persona di Don Giuseppe, nostro ottimo Direttore e vera copia del Padre”.
Non vogliamo che cada nell'oblio una frase del Beato, la quale non è qui fuor di proposito ricordare, sebbene proferita in altra occasione. La disse egli al coadiutore Barale, di cui allora il buon Padre apprezzava l'opera fedele. Quegli un giorno chiese a Don Bosco se, di fronte alle gravi difficoltà presenti e alle minacciose incognite future, non pensasse di sbarazzarsi della cartiera acquistata a Mathi; ma il Servo di Dio gli chiuse la bocca, rispondendogli risoluto: - Don Bosco, quando ha messo mano a un'impresa, non è uomo da arrestarsi a mezza via. L'affare dei Concettini non ne è una prova? Erasi obbligato al famoso esperimento, a malincuore, se si vuole, perchè lo giudicava espediente di nessuna efficacia: ma vi si era obbligato, e impegnatosi a quel modo, spiegava in quel senso lealmente la sua azione, senza indietreggiare nè rallentarsi per contrarietà derivanti dal mal adottato sistema e in pari tempo senza perdere di mira la forma di soluzione che egli stimava la più acconcia a raggiungere l'intento e la più conforme al desiderio del Papa. Eccolo quindi una terza volta, nel giro di men che otto mesi, affaticarsi, stillarsi il cervello e, diciamolo pure, dolorare a Roma per fare seriamente quel bene che Pio IX voleva. Ma anche in questo agì con somma prudenza.
Si preparavano a Roma per i primi di giugno grandi festeggiamenti in onore di Pio IX, che celebrava il suo giubileo [54] episcopale. Don Bosco volle che la Congregazione vi fosse rappresentata. Stabilì pertanto di mandare con questa missione nella città eterna Don Lazzero e Don Barberis; ma, senza lasciar trapelare che vi avrebbero preceduto lui stesso, volle che facessero un viaggio e due servizi. Per motivi di economia cominciò a pregare monsignor Fiorani che ai suoi due inviati desse alloggio nella casa dei Concettini; ma più che a risparmiare sulle spese, egli mirava a ottenere che essi avessero ogni libertà di parlare con Don Scappini e di conoscere direttamente come andassero ivi le cose. Poi venne il meglio. Detto a Monsignore che i suoi due rappresentanti erano il Direttore della casa madre e il Direttore del noviziato salesiano, gli proponeva di metterli in relazione con quei religiosi e di servirsi liberamente dell'opera loro, se mai credesse di valersene in qualche cosa; anzi, caso mai i Concettini non avessero ancora fatto gli esercizi spirituali, non avrebbero potuto i suoi due preti predicarli? Monsignore ne conferì con Don Scappini, e quest'ultima proposta fu trovata ottima. Don Scappini, che fece la risposta al Beato, lo assicurò per parte sua che non ci poteva essere scelta migliore e che i due vi erano ansiosamente aspettati. Partirono il 28 maggio da Torino. Terminate le feste giubilari, fecero la loro predicazione. “Gli esercizi, scrisse uno dei predicatori[32], andarono bene oltre ogni nostra e anche loro aspettazione. Oggi, come ultimo giorno e giorno di chiusa, abbiamo pranzato tutti insieme a Santo Spirito; fu proprio una festa di famiglia. I Concettini ci vogliono proprio molto bene, farebbero per noi qualunque sacrifizio; ma guai se si toccasse la loro autonomia! Quindi le cose loro rispetto a noi staranno ancora per l'avvenire in statu quo”.
Quando questa lettera partiva da Roma, a Roma da nove giorni si trovava Don Bosco. Vi aveva accompagnato l'Arcivescovo di Buenos Aires, venuto in Europa a capo del pellegrinaggio [55] argentino; ma giunto che fu, il Beato parve non essere là se non per i Concettini. Fra l'altro stese un lungo memoriale per il Santo Padre, a cui volle render conto degli inconvenienti causati dall'assetto che erasi preferito dare all'Istituto, insistendo sulla necessità di tornare al primo proposito. Fece leggere lo scritto a Don Scappini e agli altri due, e con loro lungamente lo discusse, toccando e ritoccando, fin chè gli sembrò che andasse. Il Papa era molto occupato nelle cose del giubileo; numerosi Vescovi attendevano l'udienza. Tuttavia Don Bosco seppe che di lui si lagnava, perchè non venisse a parlargli dei Concettini; “ma come avvicinarlo?”, chiedeva a se stesso, scrivendo a Don Rua[33]. Il 10 giugno prese parte a un'udienza pubblica; quando il Papa nel suo giro fu da lui, Don Bosco gli domandò qualche minuto per parlargli privatamente. - Troppo volentieri vi ascolterò, rispose Pio IX; abbiate solo pazienza che sia passata la furia dei pellegrini, affinchè si possa trovare un istante di tempo. - Dell'udienza privata il Servo di Dio fece domanda anche per iscritto; ma indarno aspettò risposta. Visto così, non potendo prolungare di troppo la sua dimora a Roma, nè riuscendogli di umiliare personalmente al Papa la sua relazione, la consegnò al Cardinal Vicario, affinchè nel tempo e nel modo più opportuno gliela rimettesse, e senza più aspettare se ne tornò a casa.
Due erano le parti più importanti di questa relazione: una, l'enumerazione dei mali esistenti nell'Istituto dei Concettini, e l'altra, la proposta dei provvedimenti atti a eliminarli per l'avvenire. Cinque cose specialmente vi lamentava Don Bosco: 1° La mancanza di un regolare noviziato. 2° La persuasione che era nei Fratelli di sapersi governare da sè, mentre non possedevano nè istruzione nè pratica per tutto ciò che è governo di una società religiosa. 3° La moltitudine dei Superiori, che, comandando ognuno per conto suo [56] senza intendersi fra loro, s'intralciavano a vicenda. 4° L'assenza di voti e l'impreparazione generale a emetterli; onde risse e minacce reciproche, insubordinazioni contro i Superiori, diserzioni dall'Istituto. 5° Nel caso di un'eventuale professione religiosa, incertezza circa il Superiore a cui fare i voti e circa le Regole su cui farli. Cinque erano pure i provvedimenti principali, a cui urgeva metter mano, se si voleva fare opera duratura: 1° Attivare un noviziato, ma lontano all'Ospedale di Santo Spirito. 2° Fare la professione religiosa sulle Costituzioni salesiane. 3° Non accettare ospedali, dove i Fratelli avessero comunanza di lavoro con persone dell'altro sesso, a meno che fossero totalmente e rigorosamente separate le abitazioni. 4° Evitare la necessità di dover assumere infermieri secolari. 5° Assoluta unità di comando. Il Beato terminava il suo esposto offrendo al Santo Padre i più umili e volonterosi servigi da parte dei Salesiani in tutte le cose, nelle quali allora e da poi piacesse alla Santità Sua di adoprarli[34].
Il Santo Padre misurò tutta la gravità e la portata del documento. Volendo pertanto che i Concettini raggiungessero lo scopo della loro istituzione, nè potendo prendere direttamente in esame l'affare, deputò a tal uopo il cardinal Randi, e ne rese edotto Don Bosco il 20 giugno per il tramite del cardinal Simeoni, Segretario di Stato[35]. Il cardinal Randi, presa visione del memoriale di Don Bosco, fissò la propria attenzione massimamente, su quei punti, donde appariva come Don Bosco per difetto d'indipendenza si sentisse a disagio nell'esecuzione del suo mandato. Letto il decreto 6 febbraio, dovette riconoscere che veramente esso non era abbastanza chiaro nel determinare le attribuzioni del Visitatore Spirituale e dava luogo nella pratica a difficoltà da prima non prevedute; quindi ritenne opportuno che dichiarazioni più esplicite togliessero di mezzo ogni dubbio e chiudessero [57] la porta a eventuali conflitti. Interrogò pure l'altro Visitatore per la economia, dal quale ricevette schiarimenti in proposito, non che l'assicurazione, che egli non aveva mai personalmente posto, nè intendeva di affacciare per l'avvenire alcuna difficoltà all'esercizio della Visita Spirituale. Ciò fatto, il Cardinale si rivolse a Don Bosco, pregandolo di manifestargli il suo “pregevole sentimento” a questo riguardo e insieme d'indicargli quelle ulteriori osservazioni ch'ei credesse di addurre.
Tutta la lettera non poteva essere scritta in termini più onorevoli per Don Bosco. Il Beato però non potè rispondere con la sollecitudine desiderata, perchè in quei giorni accompagnava l'Arcivescovo di Buenos Aires nella Liguria e per la Francia; onde una replica di Sua Eminenza, che, vedendo quanto premesse al Santo Padre la pronta sistemazione dell'affare, stimolava Don Bosco a far note premurosamente le sue definitive osservazioni. Oltre a questo il direttore Don Scappini, essendosi buscate le febbri, caso non infrequente ai forestieri che capitavano a Roma prima che le acque del Tevere fossero arginate, erasi restituito da alcune settimane alle arie del nativo Piemonte; perciò il Cardinale pregava pure Don Bosco d'inviare presto colui che destinava a sostituirlo[36]. Il Servo di Dio, subito che gli fu possibile, si affrettò a rispondergli, ribadendo il concetto che ne aveva informato il disegno fino dall'apertura delle trattative e a cui non trovava alcuna ragione di rinunziare.
Nella persuasione che la E. V. si degni dare benevolo compatimento al mio ritardo, mi fo dovere di riscontrare alle sue venerate lettere che si riferiscono ai fratelli Ospedalieri dell'Immacolata, comunemente Concettini. A vie meglio esprimere il mio concetto, credo bene richiamare le cose al suo principio.
Nel novembre dell'anno scorso 1876, il S. Padre si degnava di farmi chiamare dall'Em. Bilio. Recatomi a Roma, S. S. mi parlò [58] della sistemazione che desiderava dare ai Concettini. Di tutto buon grado accettai la proposta, ma affinchè la sua volontà fosse fedelmente eseguita, lo supplicai volermela dare scritta, e ciò fu fatto per mezzo del Rescritto del 15 Novembre dello stesso anno. Messomi a fare gli studi opportuni ed in conformità del mentovato Rescritto dopo un mese e mezzo poteva umiliare a S. S. le basi sopra cui sembravami potersi fondare la progettata sistemazione. Ogni cosa piacque a S. S. e S. E. Mons. Fiorani mi notificava che tutto andava bene, nè altro occorreva che un breve colloquio per mettermi definitivamente all'opera, e che venendo a Roma conducessi meco almeno un Sacerdote il quale tosto si assumesse la direzione dei Concettini. Ma invece mi incominciò allora a parlare di modificazioni e lasciare press'a poco le cose come prima si trovavano. Allora volli parlare al S. Padre che verbalmente confermò quanto si conteneva nel mentovato Rescritto. Dopo non potei più aver l'onore di ossequiare S. S. e dovetti sempre esporre le cose per mezzo di Mons. Fiorani, il quale continuò nel pensiero che fosse cosa migliore il deputare lo scrivente Visitatore Apostolico nello spirituale, ed il prelodato Monsignore nelle cose temporali. A me sembrava difficile che i due capi di una medesima famiglia potessero formare un comando uniforme che tornasse a tutti di gradimento. Ma avendomi detto che tale era la volontà del S. Padre, io mi tacqui, ed accettai la prova, in cui però fin da principio ravvisava molte difficoltà, siccome ho avuto l'onore di esporre nel promemoria umiliato a S. S. che suppongo sia pervenuto nelle mani di V. E. Rev.ma. La prego di notare che ho redatto quel promemoria non per fare un sottomano, ma unicamente perchè non potei parlare verbalmente al Santo Padre.
Ora considerato lo stato dei Concettini, come Visitatore Apostolico, non saprei proporre se non quello che ho accennato nel promemoria mentovato. Se pertanto si vuole un provvedimento sicuro, stabile, definitivo, secondo me, è quello stabilito fin da principio dall'illuminata sapienza del S. Padre. Se poi si vuole tentare un altro provvedimento, sarebbe di affidare l'antica direzione dei Concettini a S. E. il Comm di S. Spirito, mentre i Salesiani, come Cappellani, si presterebbero unicamente alla parte spirituale di Catechismo, predicazione, ascoltare le confessioni e celebrare la Santa Messa a favore dell'Istituto. Ma in questo caso i Salesiani non hanno alcuna responsabilità nè materiale nè morale: vivrebbero separati dai Concettini e si recherebbero soltanto presso di loro per ciò che concerne ai doveri spirituali dei medesimi. Quest'ultimo pensiero incontrerebbe qualche facilità nella sua attuazione, perchè i Salesiani dovendo aprire un piccolo ospizio per coloro che sono di passaggio, o che per affari devono dimorare in Roma, possono anche qui alloggiare i preti destinati pei Concettini.
Esposto con tutta sincerità il mio modo di vedere, attendo ora la [59] carità de' suoi riflessi. Qualora però il S. Padre desiderasse altrimenti, io non farei la minima osservazione, e tutti i Salesiani si terranno unanimi ai venerati voleri del nostro benefattore Pio IX.
Ho potuto parlare con D. Scappini, il quale per le febbri avute, stette male alquanti giorni. Ora sembra un po' migliorato, e fra pochi giorni, se vedo che non possa andare Egli stesso, provvederò almeno un altro prete pel servizio religioso dei Concettini.
Non certo il Santo Padre si poteva opporre a una revisione del decreto 6 febbraio nel senso proposto da Don Bosco, in quanto che per tal modo si venivano ad attuare meglio le reali intenzioni pontificie. Ecco perchè il cardinal Randi pregò il Beato di condursi nuovamente a Roma o di munire delle istruzioni e facoltà necessarie il Salesiano, che avrebbe ripreso la direzione dei Concettini. La presenza del qual Salesiano in Roma si faceva urgentissima, sia perchè senza di lui le pratiche religiose dell'Istituto rimanevano trascurate, sia perchè bisognava con opportune istruzioni preparare per la festa dell'Immacolata alla prima emissione dei voti i soggetti riconosciuti degni[37]. La pronta e limpida risposta del Beato ne fissava in modo inequivocabile e definitivo il pensiero.
Come la S, V. Rev.ma si compiace di scrivere, sarebbe necessario che certi affari fossero trattati di presenza. Ed io appunto nella mia lettera non mi sono abbastanza bene espresso. Io voleva semplicemente dire che, se si vuole un provvedimento stabile, bisogna che i Concettini siano aggregati ad un Istituto dalla Santa Sede riconosciuto ed approvato. Dei Concettini si conservi l'abito, il nome, lo scopo e tutte quelle Regole che sono necessarie a sostenere il loro fine. Questo fu sempre il mio modo di vedere per assicurare un'esistenza sicura che non devii dalla osservanza delle proprie Costituzioni. Questo mi pare sia il senso del Rescritto del 17 Novembre 1876.
Nel caso poi, come nota V. E., si voglia tener ferma la regolare e [61] che la riforma dei Concettini sarebbe stata affidata temporaneamente a ecclesiastici di Roma sotto la dipendenza del Cardinale Vicario. Il cardinal Randi biasimò l'affrettata partecipazione, fatta a Don Bosco in forma tanto sconveniente e prima che le cose fossero solidamente risolute[38]; ma non si tornò più indietro, e Don Bosco per tutto lo zelo da lui posto nell'affare dei Concettini si ebbe questo così poco invidiabile benservito. La causa di tutto ciò si comprenderà meglio, quando si conosceranno a fondo le mene de' suoi avversari. Per il momento il miglior epilogo sia questa lettera del nostro Beato al cardinal Luigi Bilio: a colui che sull'affare aveva detto a Don Bosco la prima parola, Don Bosco indirizzava la parola che fu l'ultima.
La Em. Vos. Rev.ma. che fin da principio ebbe gran parte nella ingerenza da me avuta pella direzione dei Confratelli Ospitalieri, detti Concettini, è certamente in grado di poter conoscere ed apprezzare lo stato delle cose che qui brevemente accenno.
La bontà del Santo Padre per mezzo di Vos. Em. Rev.ma degnavasi chiamarmi a sè colle più affettuose espressioni. Io desidero, egli mi disse, che voi prendiate cura dei Concettini, che hanno una missione sublime e possono giovare assai gli ammalati a fare una buona morte. Ma voi non dovete o riformare o correggere, ma creare o meglio immedesimare le Costituzioni dei Concettini con quelle dei Salesiani. Sebbene conoscessi l'importanza e la delicatezza dell'incarico, tuttavia mi sono stimato altamente onorato di poter adoprarmi secondo i venerati voleri del Santo Padre e chiesi a S. S. che solamente si degnasse di darmi per iscritto il suo pensiero per meditarlo e meglio eseguirlo. Veda il rescritto 17 novembre 1876 al numero notato col n. I°.
Facendo base su tale rescritto mi accinsi all'opera e nello spazio di un mese mandai l'idea generale che consisteva nel conservare nomi, abito, scopo delli Concettini, con tutte quelle regole che non fossero in contraddizione con quelle dei Salesiani. Tutto piacque al S. Padre e Mons. Fiorani mi scrisse che tutto andava bene, nè più altro occorrervi che un brevissimo colloquio, e che conducessi pure meco un sacerdote. Ma giunto a Roma incominciarono le difficoltà. La volontà del S. Padre mi sembrò sempre la stessa, ma Mons. Fiorani [62] diceva non esser conveniente fare le radicali mutazioni e che era solamente possibile una riforma morale: specialmente dacchè S. S. aveva largito ai Concettini l'ingente somma di L. 200.000: quindi a D. Bosco doversi la qualità di Visitatore Apostolico rappresentato nel Sac. Scappini. Non poteva darmi ragione di ciò: parlai col S. Padre che mi ripetè le parole prima dette e scritte. Ma Monsignore ripetè doversi modificare il Rescritto di Sua Santità. Ammisi quel cambiamento, perchè mi fu affermato esser tale il volere Sovrano, e D. Scappini divenne così direttore in spiritualibus, riservata ogni autorità a Mons. Fiorani nel temporale e ancora nel personale.
Continuando lo studio delle regole Concettine applicate alla pratica, vidi non potersi continuare quello stato di cose e quando venni a Roma pel Giubileo del S. Padre ho fatto ogni sforzo per avere anche un solo momento di udienza da Sua Santità. Ho fatto la dimanda per iscritto: il S. Padre in udienza pubblica palesò il desiderio di udirmi, ma non mi fu possibile per la moltitudine dei forestieri che desideravano di poter almeno vedere il S. Padre. In quella strettezza di tempo e di affari l'Em.mo Card. Vicario avendomi chiesto minute notizie sui Concettini ho pensato di affidare a lui il Promemoria ivi unito, con preghiera di farlo tenere a mani del S. Padre, come credo sia stato eseguito. N. 2°. Alcune cose d'urgenza mi chiamarono in fretta a Torino. Un mese dopo D. Scappini cadde in una prostrazione di forze per cui dovette rimpatriare e porsi a letto. Ma prima di partire provvide al servizio religioso dei Concettini con un prete che doveva farne le veci sino al di lui ritorno.
Intanto mi fu scritta la prima lettera del Card. Randi che mi chiedeva schiarimenti ed osservazioni. N° 3. Se mai avesse tempo, qui vedrebbe la lettera di quell'Em.mo Porporato e la mia risposta. La conclusione era che come semplici cappellani noi avremmo prestato servizio, ma se il S. Padre desiderava altrimenti saremmo andati a suo beneplacito. Intanto D. Scappini riavutosi dalle ostinate febbri trovandosi in grado di partire per Roma, già aveva avvisato il superiore dei Concettini, quando ricevetti una lettera dal F. Luigi in cui a nome di Mons. Fiorani scrive che D. Scappini sospenda la sua venuta a Roma, perchè forse dovrebbe tosto ritornare, senza dame ragione. Questa lettera è nelle mani del Card. Randi. Rimasi maravigliato; supplicai Sua Ecc. a sapermi dire qualcosa e dopo alquanti giorni mi diede la risposta colla lettera 1° Ottobre 1877, in cui mi accenna la pontificia disposizione e disapprova il modo con cui fu licenziato D. Scappini. Allora dovetti sospendere ogni sollecitudine pei Concettini. Attendo ora nuove deliberazioni, e intanto occupo altrimenti le persone a tale uopo stabilite. Ma in ogni mio scritto mi sono sempre raccomandato di notare al S. Padre, che ogni sua intenzione, ogni suo desiderio, era pei Salesiani un comando che con gioia avremmo sempre e prontamente eseguito. [63] Alcune confidenziali sono scritte all'Em.mo Card. Randi. Fra breve tempo spero di fare una gita a Roma e dire all'Em. Vos. quello che non conviene affidare alla carta. Sono pieno di gratitudine per la bontà che ci usa, ed invocando umilmente la santa sua benedizione, ho l'alto onore di potermi professare della
Eminenza Vostra Reverendissima
Per conoscere interamente la storia di quell'affare, bisognerebbe sapere anche quali fossero le particolarità che la prudenza non permetteva di “affidare alla carta”; tuttavia ogni lettore accorto si sarà avveduto che ci dovettero essere dei retroscena punto onesti, che Don Bosco n'ebbe per lo meno sentore e che ciò nonostante egli procedette fino all'ultimo con la massima rettitudine, carità e disinteresse.
Dopo la morte di Pio IX la Santa Sede non abbandonò a se stesso l'Istituto; ma con l'accordargli di avere fra i suoi membri un limitato numero di sacerdoti per la direzione spirituale dei Confratelli e con altre salutari riforme provvide al suo rifiorire, sicchè oggi esso onora grandemente la Chiesa, mentre si va pure acquistando insigni benemerenze di fronte alla civile società.
La solennità di san Francesco di Sales nell'Oratorio era stata rimandata alla domenica 4 febbraio per dar tempo a Don Bosco di trovarvisi presente. Egli giunse infatti proprio quella mattina verso le otto e mezzo, accolto al suono della banda, fra lo scrosciare degli applausi, le grida di evviva e le più entusiastiche manifestazioni di gioia. In mezzo alla folla dei giovani che gli facevano festa intorno, si sforzavano di aprirsi un varco per arrivare fino a lui i Direttori delle case, convenuti alle solite conferenze di san Francesco. Il buon Padre non si sentiva mai più felice di quando si vedeva così circondato dalla variopinta moltitudine de' suoi figli dell'Oratorio, gareggianti nell'attestargli la loro affettuosa riconoscenza. Quella sera nel teatrino vi fu un cordialissimo trattenimento in suo onore. Rappresentanti di ogni categoria gli lessero componimenti, nei quali sotto forme svariate esprimevano la comune letizia per il ritorno del caro Padre; quindi gli attori recitarono un dramma intitolato La vocazione di san Luigi, che piacque assai anche per la buona esecuzione.
La sera del 5 s'inaugurarono le conferenze. La prima fu presieduta da Don Rua. Vi si trattò anzitutto di personale, di amministrazione economica e di nuove fondazioni, tutte cose, sulle quali qui non mette conto di soffermarci; faremo invece qualche rilievo sopra tre argomenti, che presentano lati d'interesse generale o storico per la Congregazione. [65] Il dilatarsi dell'opera Salesiana e il moltiplicarsi degli affari rendevano sempre più difficile a Don Bosco quella cura individuale, che con tanta efficacia egli si prendeva dei Soci, si temette quindi che dovesse venir meno lo spirito di pietà, massime nei nuovi chierici. È un fatto innegabile che sotto l'influsso di Don Bosco si formavano di anno in anno certi tipi di chierici, dei quali si sarebbe voluto perpetuare la generazione: riflessivi, studiosi, ferventi nelle pratiche divote e insieme pronti a fare di tutto, sol che sapessero una cosa conforme al desiderio dei Superiori, conducevano una vita che era un misto di raccoglimento e di attività, e che noi oggi potremmo definire come un riflesso della spiritualità stessa di Don Bosco. A siffatti modelli, che emergevano fra i compagni, guardavano con rispettosa e deferente ammirazione gli altri, che non si levavano al disopra dell'ordinaria regolarità, sentendosi sospinti dai loro esempi verso il bene. Anima di questa formazione e di questa vita era ciò che solevasi chiamare spirito di pietà, vale a dire gran frequenza dei Sacramenti, amore della preghiera, zelo per il culto divino, gusto della parola di Dio e delle buone letture. I Capitolari dunque e i Direttori si preoccuparono della necessità di alimentare tale spirito nelle diverse comunità e specialmente nel cuore dei giovani Soci, vigilando per iscoprire in tempo e sbandire con prontezza le cause che sopravvenissero a intiepidirlo.
Un secondo argomento concerneva i Figli di Maria. Noi di quest'opera non abbiamo più fatto parola nel volume dodicesimo, perchè nel volume precedente ci eravamo spinti oltre l'anno 1875, dicendo anche ciò che si riferiva all'anno successivo; dopo quello che là è narrato, la provvida istituzione, accentrata nell'ospizio di Sampierdarena, si appressava al periodo del suo pieno rigoglio. Di mano in mano che se ne diffondeva la notizia, le domande piovevano da ogni parte, anche dopo che l'anno Scolastico era già abbastanza inoltrato. Il Direttore Don Albera, per non imbarazzare le [66] scuole, avrebbe voluto che dopo le prime settimane le accettazioni si sospendessero fino al termine dell'anno; ma, compreso dell'importanza che Don Bosco annetteva ai progressi dell'opera, desiderava non far cosa contraria alle sue intenzioni. E le intenzioni di Don Bosco erano su questo punto ben diverse: egli intendeva che si accettassero quanti chiedevano e possedevano i requisiti necessari, senza badare al tempo del loro ingresso: troppo grandi egli diceva essere i risultati che si aspettava dall'opera, perchè potesse permettere pericolosi indugi alle accettazioni. Ciò saputo, l'adunanza decise per i ritardatari l'aggiunta di un articolo nel programma, dove fosse detto che questi tali entrassero nella casa disposti a occuparsi in lavori manuali, finchè, mediante un po' di scuola preparatoria, un certo numero di allievi fosse in grado di costituire una nuova classe, a cui allora si sarebbe dato un regolare insegnante.
Don Rua infine comunicò ai presenti un desiderio di Don Bosco, che doveva essere per tutti loro un comando. Il Servo di Dio, desiderava che in tutti i collegi ogni anno al ricominciate delle scuole si facesse un triduo di predicazione per disporre i giovani a principiar bene; poichè si porgerebbe così ad essi il modo di riordinare le idee, talora sconvolte dalle vacanze, e di provvedere con calma ai bisogni delle loro anime. Così fu deciso e così s'è continuato a praticare dal 1877 a oggi con inestimabile vantaggio della disciplina, della moralità e degli studi.
Alla seduta della mattina appresso intervenne il Beato. Approvate le deliberazioni della sera innanzi, egli riferì intorno agli ultimi sviluppi della Congregazione ed esaminò una serie di proposte e disegni, esponendo i criteri, che dovevano servire di norma per giudicare in tutto secondo il suo spirito. Nell'intimità di quella riunione potè come in famiglia discorrere liberamente dell'affare dei Concettini, prospettando le reali condizioni dell'Istituto ed esponendo l'andamento delle trattative fino alla sua partenza da Roma. [67] Don Bosco era stato sempre contrario ad accettare edifizi monastici da cambiar in collegi, troppo dispiacendogli di dar occasione a dire che religiosi scacciavano altri religiosi; che se qualche rara volta erasi trattato di redimere conventi dalle mani dei secolari, aveva sempre voluto che il possessore stesso del locale se la intendesse con Roma e si munisse delle debite licenze. Allora invece pronunciò queste precise parole:
- Ora a Roma il Papa stesso non solo mi diede licenza, ma mi raccomandò di comperare edifizi già appartenenti ai frati per farne case nostre, e ciò per restituire alla Chiesa quello che le fu tolto, per conservare queste case, già destinate alla gloria di Dio, nello scopo primiero e per non lasciarle cadere in mani profane. Da qui innanzi, se le nostre convenienze lo permettono, sappiamo che a Roma non incontreremo difficoltà. -
Da Albano e da Magliano gli si facevano vive istanze per l'apertura di un collegio - convitto in entrambi i luoghi. Il cardinal Berardi gli rinnovava per la terza volta l'offerta del collegio di Ceccano, che gli Scolopi volevano lasciare, perchè ridotto a men di dieci convittori. Gli si proponeva pure di accettare il collegio di Ascona. Fatte queste comunicazioni, disse: - Non par vero! Andiamo in luoghi, dove vi sono imbrogli sopra imbrogli; eppure non abbiamo ancora dovuto dare un passo indietro. Noi procediamo, e ogni impresa ci riesce più prosperamente che non sperassimo, mentre vediamo di continuo altri obbligati a ritirarsi dai luoghi, che già occupavano. È proprio il Signore che ci fa andare avanti così a gonfie vele. Se non vedessimo in tutto e da per tutto la mano di Dio, meriteremmo di esser detti ciechi.
Poi venne sul tappeto una grossa questione. Spirava per il collegio di Valsalice il quinquennio della locazione; durante quei cinque anni si era sperato sempre un aumento di convittori, mentre il loro numero restava costantemente inferiore all'aspettazione. Si doveva continuare a tenerlo o bisognava dare la diffida ai Fratelli delle Scuole Cristiane, ai [68] quali si pagava il fitto? Quid agendum? chiese Don Bosco ai suoi collaboratori; indi proseguì: - Io avrei desiderato tanto che questo collegio continuasse e prosperasse, per coltivarvi vocazioni allo stato ecclesiastico e vedere se anche da quella classe di persone si potessero avere giovanetti da consacrare al Signore. Qualche buon frutto maturò, ma non ci accorgiamo che il Signore ci benedica in questa casa come ci benedice nelle altre. Quando si trattò di prenderne la direzione, tutti eravamo contrari; ad accettarla nessun altro motivo c'indusse fuorchè l'obbedienza all'Arcivescovo. Quanto alla nostra Congregazione, pare che finora san Francesco d'Assisi ci abbia anch'esso dato un valido aiuto. Sapete la storiella che si racconta. I demoni facevano fuoco e fiamme contro il novello suo Istituto e si adunarono a complottare. Parecchi mezzi venivano proposti per distruggere quei frati mendicanti. Ed ecco saltar su un demonietto più astuto dei compagni e affermare che il mezzo più efficace per far decadere dal fervore un Ordine religioso era l'introdurvi nobili o ricchi. Per trattare con carità questi signori, si usano loro riguardi, si fanno particolarità, si permettono eccezioni alla regola, e poi queste si generalizzano e l'Ordine diviene rilassato. Il diabolico consesso applaudì e approvò a pieni voti la proposta. Io dico adunque che finora san Francesco ci protesse. Vi furono bensì alcuni nobili che fecero tra noi la prova o che domandarono di farla, ma fino a oggi nessuno ha preso la decisione di fermarsi con noi; e di tutto ringraziamo sempre il Signore, Per altro intorno all'esistenza del collegio di Valsalice Don Bosco non credette ancora opportuno che si dicesse l'ultima parola; solo raccomandò di pensarci e di pregare.
Il Beato non fece questa raccomandazione solo pro forma; infatti dieci giorni dopo volle che le sorti del collegio di Valsalice fossero riprese in esame dal Capitolo Superiore, presente il direttore Don Dalmazzo. A settembre scadeva l'affitto. Circa la convenienza o meno di ritirarsi, i pareri erano divisi. Chi stava per il no, aveva buone ragioni da accampare: [69] essersi accettato quel collegio per obbedire all'Arcivescovo, e tal motivo sussistere tuttora; doversi considerare un bene grande il poter coltivare le vocazioni fra i signori; il ritirarsi tornare a disdoro dei Salesiani. Ma i fautori dell'abbandono opponevano mal rispondere la natura di quel collegio allo scopo della Congregazione; scarseggiarvi gli alunni; ottenervisi quasi un bel nulla in fatto di vocazioni; ogni anno verificarsi nel bilancio un deficit di seimila lire a carico dell'Oratorio: toccar dunque ai poveri provvedere ai ricchi? Ponderato maturamente il pro e il contro, prevalse il voto favorevole alla continuazione; solo si adottarono alcune misure economiche da introdursi nell'amministrazione per ovviare al disavanzo. Non piacque però l'idea di un semiconvitto sull'esempio di altri Istituti, che con l'omnibus mandavano a prendere e a riportare i giovani alle loro case, perchè se ne temettero le conseguenze.
Torniamo alla conferenza mattutina del 6 febbraio. Prima di chiuderla Don Bosco espresse due volte e con calore un desiderio da lui già manifestato negli anni precedenti, che cioè ciascun Direttore compilasse la monografia del proprio collegio, dedicando a questo lavoro tutte le cure possibili. Infine la chiusa fu fatta da lui con queste parole: - Il Santo Padre mi disse che se vogliamo far sempre fiorire le nostre istituzioni, badiamo d'introdurre fra noi e di propagare fra i nostri giovani queste tre cose:
Ciascuno adunque si faccia uno studio speciale per promuovere queste tre cose fra i Soci e fra i giovani. Se ne parli nelle prediche, nelle conferenze e nei discorsi privati. Io desidero che in qualcuna delle conferenze da tenersi in questi giorni si cerchino i modi pratici, con cui secondare il consiglio del Papa. - [70] Nel pomeriggio tutti i professi, ascritti e aspiranti dell'Oratorio furono convocati nella chiesa di S. Francesco per la conferenza generale. L'uditorio si componeva di dugentundici persone. Il rendiconto particolareggiato delle singole case, anzichè dai rispettivi Direttori, com'erasi praticato per l'addietro, venne fatto in parte da Don Rua sulle informazioni fornitegli dai Direttori e in parte da Don Bosco. Il Beato aperse la seduta dicendo così: - La conferenza di quest'oggi è un po' irregolare, diversa cioè da tutte le altre conferenze che si fan nel corso dell'anno. È la medesima conferenza di san Francesco di Sales che si teneva negli anni scorsi, ma ancora modificata alquanto, per la moltiplicità delle materie da esporsi. Il parlare particolarmente di tutte sarebbe cosa troppo lunga. Don Rua dia un cenno sintetico dei collegi del Piemonte, della Liguria e della Francia, parli insomma dell'Europa. Quanto all'America dirò io qualche cosa, come pure delle case del Lazio, essendo io andato a visitarle. Quindi per soddisfare al desiderio di voi tutti, e a conservazione dello spirito che deve dominare in tutte le case, vi farò vedere come il Signore ci aiuta e ci difende. Egli certamente guiderà questa conferenza per il bene della Congregazione, a generale incoraggiamento e per la salute delle anime.
Sebbene siamo soliti di riferire testualmente nel corso della narrazione soltanto le parlate di Don Bosco, pure ci sembra cosa utile far luogo qui, in via eccezionale, alla relazione di Don Rua, arrivata per buona sorte fino a noi quale la raccolse chi la udì; essa è condotta con l'accuratezza che il primo successore del Beato metteva in tutte le cose sue, e poi dovette essere preparata sotto la diretta ispirazione del Servo di Dio. Don Rua adunque parlò così:
Nel darvi questo cenno procederò con ordine cronologico, cioè partendo dalle case che furono stabilite per le prime. Dirò quello che ho potuto sapere dai vari Direttori, e quello che io stesso già conosceva.
Incominciando da quel collegio che fu il primo, cioè da quello [71] di Borgo S. Martino, dirò che le cose in generale vanno molto bene, sia per i giovani, sia per i Salesiani. Prima si temeva che il numero dei giovani avesse a diminuire a cagione delle risaie che erano a poca distanza dal collegio; ma ne seguì un effetto tutto contrario; il numero crebbe, ed ora ve ne sono circa 200, contando solo gli allievi, senza il personale. È vero che si deve usare qualche piccolo riguardo per evitare il pericolo delle febbri, ma ringraziando il Signore nessuno ebbe ancora questo male; anzi godo nel dirvi che essendo io andato a visitare quel collegio, trovai che non vi era nessuno nell'infermeria, e il Direttore mi assicurò che da un mese nessun giovane era caduto infermo. Riguardo al materiale, va bene: non hanno ricchezze, ma vanno avanti con economie, ed a questo contribuirono le monache che quest'anno vi furono stabilite per aver cura della biancheria e della cucina. Non si tralascia certamente di fare le spese necessarie, ed hanno tutti quanto conviene pel vitto e pel vestito. In quanto al morale, non si debbono ripetere quelle parole del Profeta: Multiplicasti gentem et non multiplicasti laetitiam, perchè, crescendo i giovani, crebbe anche la pietà. Sono in fiore le compagnie del Santissimo Sacramento, dell'Immacolata Concezione, del Piccolo Clero e di san Luigi. Dai sacerdoti e dai chierici si ottennero buoni risultati. In quest'anno agli esami finali molti giovani indossarono la veste chiericale: parte di essi andarono in Seminario, ma il maggior numero si fermò con noi e vennero qui nell'Oratorio. In quest'anno quei nostri Confratelli riapersero l'oratorio festivo per coltivare i giovani esterni. Parte frequentano la chiesuola del collegio, parte la parrocchia ed hanno le loro divozioni, messe, catechismi, prediche, benedizioni, istruzioni religiose ed oneste ricreazioni. Quello che i nostri chierici fanno per i ragazzi, lo fanno pure le suore per le ragazze.
Da Borgo San Martino passiamo al collegio secondogenito che è Lanzo. Qui pure vi fu un notevole incremento di giovani. Nonostante l'ampiezza della fabbrica, quest'anno fu quasi ripieno. Quanto è ammirabile la Provvidenza Divina! Fece crescere quel collegio meravigliosamente anche pel morale degli allievi. A Lanzo vi era posto per maggior numero di allievi. L'anno scorso si compì la ferrovia in agosto; vennero all'inaugurazione i ministri, i deputati ed i senatori; il Comune di Lanzo, non avendo luogo adattato, pregò il Direttore di quel collegio, che è comunale, acciocchè ottenesse dal nostro Superiore licenza graziosa di mettere i portici ed i giardini a disposizione degli ospiti, che rappresentavano il Re. I Ministri vennero, ebbero dal collegio festiva accoglienza, visitarono il collegio e vi stettero per un'ora e mezza. Per questo fatto si era levato un grande rumore, si temeva che ne venisse del danno, causa i giudizi di chi non esamina le cose dal loro vero lato; ma invece ne provenne un gran vantaggio. Sapendosi che era stato visitato dai Ministri, salì in fama, si credette da tutti un collegio d'importanza e crebbe quindi il numero [72] dei giovani. Non parlerò della sanità di quei giovani, perchè Lanzo è il luogo della sanità per eccellenza, e l'unico fastidio dei giovani si è quello di saziar l'appetito, quantunque sia loro somministrato abbondantemente il cibo. La pietà, la condotta, gli studi procedono regolarmente. Si sente però la mancanza di alcuni preti che si dovettero trasportare in altri collegi. Don Scappini dovette andare a Roma. Costoro lasciarono un vuoto che dovrà essere riempito da altri, oppure compensato dalle maggiori fatiche di quelli che vi si trovano. Speriamo che coll'aiuto dei nuovi chierici i Superiori non lasceran nulla a desiderare pel buon andamento di questo collegio. Vi si introdussero anche le monache per reppezzare la lingeria.
Venendo ora a Varazze, dalle relazioni di quel Direttore ho saputo che le cose vanno molto bene per lo studio e per la moralità. Quindi abbiamo da rallegrarci. Il collegio è pieno e non si può ingrandire, sia perchè è proprietà del Municipio, sia perchè il terreno attorno non permette ingrandimenti. Anzi i nostri chierici vanno in città a fare scuola agli esterni, i quali, essendo cresciuti di numero, costrinsero il Municipio a prendere in affitto nuovi locali. La buona condotta dei giovani si deve attribuire allo zelo dei Confratelli.
Da Varazze veniamo ad Alassio. La nuova fabbrica, incominciata tre anni or sono, fu terminata nell'anno 1876. È un palazzo che forma la meraviglia di Alassio. I viaggiatori dai treni della ferrovia ammirano quell'alto e bel edifizio e i cittadini si gloriano e si stimano fortunati di possedere fra di loro un collegio di Don Bosco. Questo palazzo che l'anno scorso era disabitato, venne ora occupato e il numero dei giovani crebbe a 200, quantunque i Superiori siano stati molto ritrosi nelle accettazioni. A da consolarci, perchè la moralità va meglio. Non già che negli anni scorsi non si osservasse questo importantissimo punto, ma va meglio forse per maggior comodità dei locali: si poterono fare le divisioni convenienti e specialmente separare il liceo dal restante del collegio. Ne vantaggiarono subito le pratiche religiose. I liceisti che nei tempi passati lasciavano molto a desiderare, quest'anno sono il modello di tutti gli altri. Da quelle parti i Salesiani sono in grande stima e numerose le domande delle varie popolazioni della Liguria, perchè Don Bosco stabilisca fra di loro un collegio. E non sono domande di semplici privati, di una o due persone, ma sono domande di municipii intieri, col sindaco alla testa e molti altri dei principali del paese. Giunsero sottoscrizioni colle firme di tutti i consiglieri da Novi Ligure, da Montaldo Ligure, da Nizza, ecc., ecc. e ciò dimostra un gran desiderio e di porgere aiuto alle nostre opere e di servirsi di noi pel loro bene particolare. Ci amano e ne hanno ragione, perchè i nostri sacerdoti si prestano a celebrare, a predicare, a confessare nei paesi circonvicini e non è a dire quanto quei parroci siano loro riconoscenti. Tante volte io vado là e domando: - Il tale dov'è? - È fuori di casa, mi si risponde, predica [73] nel tal paese! - E il tale altro? - A andato a confessare nella cappella su quella collina. - Talvolta erano quattro o cinque fuori di casa. E così va bene, quando ciò non disturba il buon andamento del collegio. Ad Alassio si stabilirono pure le monache per la biancheria e la cucina e per catechizzare le ragazze. Si deve notare che in collegio nessuno più si lamenta pel vitto, il che, come sembra, non è poco; infatti in quasi tutti gli altri collegi ciò è motivo di qualche mormorazione, e perfino alle mense dei Re vi è qualcuno che si lamenta.
Non molto distante da Alassio vi è Sampierdarena. Io devo parlare con un poco d'invidia di questo ospizio, perchè minaccia di soppraffar l'Oratorio. Cinque anni fa era una casupola a Marassi, dove in poche camerette si doveva fare scuole, camerate, cucina e studio. Qui l'opera non poteva ingrandirsi. Si trattò di trasportarla a Sampierdarena, città famosa per l'irreligione e per la framassoneria. Era impresa arrischiata. Ma la Divina Provvidenza ciò voleva e il nostro Superiore non badò alle difficoltà. Si comprò una casa e da Marassi ove si stava in affitto, fu trasportato qui il personale. Ma i nostri vi stavano allo stretto, vi erano molte domande di allievi, gli esterni accorrevano numerosissimi. Vi era bisogno di una fabbrica corrispondente alla necessità Don Bosco andò a farvi una visita e sorse come per incanto una bella e grande fabbrica, così per gli interni come per gli esterni, e due anni fa venne condotta a termine. In breve tempo crebbero i giovani ed ora sono da 260 a 300: quasi quasi raggiungono il numero dì quelli dell'Oratorio. Questo incremento è anche da attribuirsi all'Opera di Maria Ausiliatrice. I giovani, fra cui molti già d'età, che studiano il latino sono circa 80, per fornire alla Chiesa ed alla Congregazione buoni ministri del Signore. Vi sono molte domande d'ammissione per essere ascritti o per essere aspiranti. Quest'anno l'ospizio diede qualche chierico: alcuni andarono nel seminario della diocesi e alcuni sono qui tra di noi. Si incominciò pure quest'anno l'oratorio festivo per i giovani esterni. Il cortile è abbastanza spazioso; si mutò un corridoio in cappella per fare il catechismo Per la benedizione si conducono i giovani nella chiesa pubblica. Inoltre si procura loro la comodità di accostarsi ai Sacramenti. È anche da notarsi che quest'anno vi si stabilì una tipografia, la seconda della Congregazione, da cui già uscirono parecchi buoni libri, e speriamo che gioverà molto per la diffusione di questi da quelle parti e farà molto bene alla popolazione.
Dirò anche due parole su Valsalice. In quest'anno 1876 - 77 Valsalice ebbe un po' d'aumento, ma va crescendo lentamente, come dobbiamo aspettarci per la classe degli allievi che contiene. Riguardo allo studio ed alla moralità abbiamo anche qui motivi per rallegrarci. Alcuni di quei giovani indossarono l'abito ecclesiastico ed ora si trovano in seminario. Riguardo agli studi è cosa notabile la riuscita [74] dell'esame di licenza liceale in sul finire dell'anno. A Torino si procede con molto rigore in questo esame e i tre allievi di Valsalice che si presentarono a subirlo, non solo furono promossi, ma anzi tutti e tre ebbero il primo premio, mentre in generale pochissimi sono quelli non costretti a subire una seconda prova.
Ora passiamo dall'Italia in Francia, ove a Nizza abbiamo un collegio. Voi sapete che dopo la prima partenza di Missionari Don Bosco andò da quelle parti. Già da qualche anno si trattava di stabilirvi un collegio. Si prese in affitto una casupola, vi si mandò un prete Direttore, un chierico per fare scuola, un secolare per la cucina. Si cominciò coll'oratorio festivo, si aprì un ospizio per i giovani poveri e quando ne furono raccolti quattordici, non se ne poterono accettare più altri, per la ristrettezza dei locali. Così si andò avanti fino all'agosto o settembre del 1875, quando col concorso di un gran numero di benefattori, si potè avere una casa vicino alla piazza d'armi con molte sale, due giardini e cortili. Il busillis stava qui, che quella casa costava circa 100.000 lire. Come fare a comprarla, mentre siamo sempre sprovvisti di danari? mentre noi andiamo sempre avanti coi debiti, a vapore, puff, puff? Il Superiore non si lasciò spaventare da questo ostacolo che pareva insuperabile, ma confidò nella Provvidenza, la quale venne in suo soccorso e la casa fu comperata. Ora va prosperando e i giovani sono già cinquanta. Quaranta dati alle arti e dieci allo studio. Anche di là uscì qualche contingente per la Congregazione e due studenti fecero domanda per essere accettati come aspiranti. Sono i primi Francesi! Speriamo che il Signore benedirà i nostri sforzi e potremo fare dei gran bene. L'ospizio si chiama il Patronato di S. Pietro. Potrei contarvi vari episodi, ma per brevità li tralascio non avendo ora il tempo. Vi sono scuole per gli esterni e diurne e serali e due oratori. Ciò è una fortuna per quella città, rifugio degli spiantati che là vanno per cercare lavoro e guadagnar danari, gente che ha poca cura dell'anima propria e di quella dei propri figliuoli, che non va alla chiesa e non si prende nessuna premura di mandare i giovanetti alla scuola e alle istruzioni parrocchiali. Quindi motti sono i discoli, ed è un gran vantaggio che costoro, i quali riceverebbero o nessuna o una cattiva educazione, siano istruiti cristianamente e indirizzati ai Sacramenti; grande vantaggio non solo per essi, ma anche per la città. I giornali francesi lodano questo collegio, fanno conoscere il benefizio recato dai Salesiani a Nizza e invitano tutte le città di Francia a procurarsi una casa di Salesiani. La settimana scorsa due di questi giornali, levando a cielo i Salesiani, sparsero un così grande entusiasmo per noi, che Marsiglia, Lione, Bordeaux ed altre città si fanno uno studio per avere una casa di Salesiani. Alcuni giorni fa una buona persona scrisse al Direttore una lettera, offrendoci gratuitamente una casa con vasti locali, camere, cortile e giardino alla sola condizione di aprirvi un collegio. [75] L'anno scorso il nostro Superiore Don Bosco, ritornando dalla Francia, passò in Bordighera a Vallecrosia, dove hanno posto piede i protestanti e fanno tanto danno alle anime. Quivi essi hanno chiese, collegi, scuole. Addolorato e impensierito il Vescovo di Ventimiglia non sapeva come porre argine a quell'empietà. Non vi erano più scuole cattoliche. Eravi la parrocchia, ma più nessuno vi andava. Perciò pregava Don Bosco acciocchè volesse in qualche modo porre rimedio a tanti mali. E Don Bosco si arrese ed accettò di mettere colà una casa. Si affittarono alcune camerette, povere, basse, che dovevano servire di alloggio ai Salesiani e di scuola per i ragazzi e per le ragazze: s'improvvisò una Chiesa, ripulendo alla bella meglio due specie di rimesse con volta molto bassa. Se dovesse entrarvi il Vescovo, il quale è di statura ordinaria, non si potrebbe mettere la mitra in capo. Per mettersela bisognerebbe che fosse dell'altezza di alcuni di quelli che sono qui. (Don Paglia, Don Paglia! si udì mormorare nella chiesa). Questa ci richiama alla memoria la nostra chiesa antica che occupava il luogo del nostro refettorio e la cui volta o soffitto era bassissimo. Non vi era luogo per le scuole: e se ne fa una in sagrestia e un'altra in chiesa, separandola con una tenda dal presbiterio . Qui lungo il giorno si fa scuola ai fanciulli e alla sera agli uomini coi baffi. Invitati ai Sacramenti, essi corrispondono. I giovani ci vanno volentieri, hanno comodità dì confessarsi e se ne promuovono molti alla santa Comunione. Quest'anno furono promossi quaranta. Le suore di Maria Ausiliatrice producono anche buoni frutti fra le ragazze. E con quali mezzi si mantengono? Sovente mancava vino o pietanza e si disponevano a mangiare un po' di minestra, talora non ben condita. Alcune volte di questa sola dovevano contentarsi. Talora si sente picchiare alla porta. Chi è? Entra una buona persona che porta un barilotto di vino, dicendo che lo dona di tutto cuore. Di 1ì a poco ecco un altro che porta un po' di frutta. Si va avanti in questo modo per mezzo della Provvidenza e noi dobbiamo ringraziarne il Signore. Tutta la popolazione è molto riconoscente e vuole un gran bene ai Salesiani, manda volentieri i suoi ragazzi alle nostre scuole, e quando venne a mancare il parroco, tutti correvano all'unica messa nella nostra povera chiesuola, stando pigiati l'uno sovra l'altro fuori della porta. Ho detto l'unica messa, ma alcuna volta erano due, essendo la seconda celebrata da un prete che in vista della necessità era mandato da Alassio. Ora le cose sembrano bene avviate. Tanto i ragazzi come le ragazze non vanno più alle scuole dei protestanti e non ne vogliono più sapere, eccetto alcuni interni che stanno nel loro collegio e venuti da altri paesi. Ciò forma la grande nostra consolazione e quella del Vescovo, che è tanto contento e soddisfatto di possedere i Salesiani. Ed i protestanti non possono più avere alcuno o ben pochi alle loro scuole, benchè forniscano ai giovani carta, penne, libri e tutto ciò che loro fa di bisogno. [76] A Trinità si è mandato in quest'anno 1876 un prete come Direttore con due chierici per fare scuola ed un secolare. Tengono oratorio festivo pei ragazzi e scuola diurna e serale. Molti di quelli che andavano alle scuole del paese, vollero essere ascritti alle scuole dell'oratorio; quindi si dovettero fare le classi superiori elementari. Di giorno si fanno le scuole per i più piccoli e alla sera e sul principiar della notte vi sono le scuole per gli adulti. Invitati ad accostarsi ai Sacramenti, corrisposero, e sono l'edificazione del paese. Gli alunni sono tutti esterni, l'Oratorio è fiorente, le scuole vanno bene. Avrei ancora da parlarvi degli altri collegi dell'Italia centrale, ma ce ne parlerà il nostro buon Superiore.
Le Figlie di Maria Ausiliatrice a Mornese. Quella casa prende uno sviluppo meraviglioso. Due o tre anni fa le Figlie erano solamente trenta fra professe, novizie, postulanti, ed ora sono da 160 a 180. Allora avevano la sola casa di Mornese e in quest'anno sono in sette od otto luoghi: a Torino, a Lu, a Biella, a Lanzo, a Borgo S. Martino, a Sestri Levante, ad Alassio, a Bordighera, ecc. E questo istituto potè superare molte difficoltà che presentavano nei collegi la lingeria e la cucina, mentre le suore fanno dovunque un gran bene fra le ragazze. A Mornese le raccolgono, le istruiscono coi catechismi. L'Educatorio delle alunne interne è abbastanza fiorente, non ostante l'incomodità della via e la distanza dalla stazione ferroviaria. Sono anche nelle mani dei Salesiani le scuole del paese. Quest'anno per questa parte si ebbe qualche contraddizione: qualcuno cercava di osteggiare il maestro salesiano; ma tutta la popolazione si levò in nostra difesa e il parroco dovette far desistere l'oppositore dalle sue pretese e mandare un indirizzo a Don Bosco, pregandolo di mantenere nelle scuole comunali il maestro e le suore. Don Bosco aderì al loro desiderio. Avrei ancora molte cose da dirvi sulla virtù delle suore, sulle penitenze che fanno, ma non occorre: ci fanno ricordare gli antichi monaci della Tebaide e di altri deserti.
Ora passiamo a noi. Ci rimane a parlar di Torino, della nostra Casa Madre. L'Oratorio va progredendo di bene in meglio. Non voglio dir ciò a nostra lode e ne siano resi a Dio i dovuti ringraziamenti. Quest'anno fra gli studenti furono coltivate molto le compagnie di San Luigi, del Santissimo Sacramento, dell'Immacolata Concezione. È anche da dire il modo con cui si celebrano le sacre funzioni. Il piccolo clero fu numeroso e compieva con decoro le sacre cerimonie. E ciò fu un gran bene. Molti forestieri venivano apposta nella nostra chiesa per vedere quei chierichetti e restavano edificati dal loro contegno; per i giovani servì di grande eccitamento allo stato ecclesiastico.
Molto abbondante fu quest'anno il numero di coloro che indossarono l'abito ecclesiastico, quantunque la scuola di quinta ginnasiale non fosse tanto numerosa: ma si manifestarono tante vocazioni, che [77] si scelsero i giovani anche dalle altre scuole e specialmente dall'Opera di Maria Ausiliatrice. Furono circa ottanta.
Gli artigiani quest'anno fecero due gravi perdite: Don Chiala loro Direttore e il principale degli assistenti, il chierico Piacentino. Essi cessarono di vivere, ma non cessò il frutto delle loro opere. Gli artigiani continuano nel fervore che loro inspirarono quei Superiori e speriamo che coi nuovi catechisti e nuovi assistenti procederanno di bene in meglio. Fra essi sono fiorenti le Compagnie dell'Immacolata, di San Giuseppe, oltre le altre conferenze particolari che si fanno tra gli aspiranti.
Gli ascritti della casa crescono di numero e in quest'anno procedono in ogni cosa con maggior regolarità. Erano già prima separati dagli altri di dormitorio, di studio e di cortile, ora lo sono anche di refettorio. Sono in numero di 140, senza contare i due di Nizza e alcuni che andarono in America. Don Barberis, loro maestro, mi ha detto che frequentano i Sacramenti e che è molto soddisfatto di loro, quantunque si possa desiderare di più.
L'Oratorio per gli esterni è molto frequentato, disciplinato e numeroso. Le nostre suore di Maria Ausiliatrice aprirono anche un Oratorio per le ragazze e tante sono quelle che v'intervengono, da non esservi posto sufficiente nella Cappella: si dovrà allungare. Prima che venissero le suore, si vedevano continuamente in questi prati moltissime fanciulle; ed ora non se ne vede più alcuna. I ragazzi vanno da una parte ed esse dall'altra.
La nostra Congregazione adunque progredisce maravigliosamente di giorno in giorno, in modo che ci fa toccar con mano, essere dessa protetta da Dio. Nelle persecuzioni e tribolazioni prende sempre un maggior sviluppo. Crebbe il numero dei Soci, sia professi perpetui che triennali, e specialmente ascritti. Vi è maggior regolarità sia spirituale come temporale. Il numero dei giovani che escono dalla Congregazione è assai inferiore agli altri anni; ciò riguardo agli ascritti e professi triennali, che dei professi perpetui, ringraziando il Signore, non è ancora uscito alcuno da che questa venne fondata e speriamo che non ve ne saranno mai e poi mai.
Concludendo vi dirò: ringraziamo Iddio e facciamo quanto possiamo per corrispondere col fervore, colla nostra condotta, coll'esatto adempimento delle regole, alla particolare protezione di Maria SS. Ausiliatrice verso di noi. Si può dire che il Signore porta sulle sue braccia la Congregazione, dandole tutti gli aiuti che le abbisognano per farla prosperare.
Appena Don Rua ebbe posto termine al suo dire, sorse a parlare Don Bosco, che ripigliò a questo modo.
Io vi tratterrò più poco, perchè non voglio prolungar di troppo questa conferenza. Sarebbe ancora da parlarsi dell'oratorio di San [78] Luigi e di San Giuseppe e degli istituti del Refugio e di San Pietro, dove si va a prestar servigio. Ma passiamo di volo in America. Di quelle case si parlò già altre volte e siccome le lettere dei Missionari si stampano, così sarebbe inutile parlarne. Le ultime notizie sono: si stabilì un collegio a Montevideo, dove non vi sono nè seminari, nè chierici, nè collegi cattolici. È, un vero caos, tanto la repubblica come la capitale. Chi volesse dare un'educazione cristiana a suo figlio, doveva inviarlo qui a Valsalice e in altri collegi d'Europa. Don Lasagna è Direttore di questo collegio, che fu chiamato collegio Pio, il primo in America consecrato alla gloria di Pio IX. Si prese anche a funzionare una chiesa annessa al collegio per uso degli alunni, e dei forestieri di quelle ville attigue, perchè il collegio si trova alquanto fuori di città. Alla domenica specialmente vi è grande affluenza. Ne speriamo molto bene! Si cominciarono le scuole anche a beneficio dei poveri come esterni; e pei convittori. Erano dieci i Salesiani, ma non bastando, se ne dovettero mandare altri da San Nicolás e da Buenos Aires per aiutarli. Di mano in mano che avremo notizie ve le comunicheremo.
Da Montevideo con quindici ore di vapore pel gran fiume della Plata si va a Buenos Aires, capitale della Repubblica Argentina. Là si incominciò ad amministrare la chiesa della Misericordia e si fa una vera missione, funzionando, facendo catechismi, prediche, ecc. per i fanciulli e per gli adulti, e tutti gli altri esercizi di pietà. Nacque anche necessità di aprire un ospizio per i poveri ragazzi e si aprirono due oratorii festivi.
A S. Nicolas il collegio che si è aperto, prese già un grande sviluppo e in soli sette od otto mesi contava 140 allievi. Inoltre si funziona una chiesa pubblica, ove avvi comodità di assistere alle sacre funzioni e di accostarsi al Santi Sacramenti. I nostri preti mentre prestano servizio alla loro chiesa ed al collegio, aiutano in parrocchia e altrove per le predicazioni, le confessioni e colla celebrazione della santa Messa.
A Buenos Aires si dovrà Prendere la direzione di una parrocchia in un sito chiamato la Bocca del diavolo, così detto perchè là arrivano tutte le cose di malo augurio e vi è il centro della framassoneria. Vi saranno però difficoltà per chi vi si dovrà stabilire.
Si tratta ora d'iniziare una missione nella Patagonia, dove, come vi è noto, vi sono i selvaggi. Alcuni di questi furono già accolti in collegio. Anzi Don Cagliero, quando ritornerà, ci condurrà qui qualche Patagone e se ne vedrà la fisonomia, il colore, l'indole. Si dovrà anche prendere un Vicariato Apostolico. I Patagoni non distano molto da Concezione e dicono che sono feroci e che si prendono molto divertimento nel mangiare i cristiani. Chi saranno quei coraggiosi che vorranno esporsi a tali pericoli? ad essere pasto a quei selvaggi? Si vedrà. Già molti domandano di essere i primi ad arrischiarsi in quei [79] luoghi per portare la santa religione a quei popoli. Io lodo molto la loro buona volontà e il loro coraggio: tuttavia è mio desiderio, anzi è mio dovere di procedere con cautela per non sacrificare la vita di alcuno. Io sono quasi certo che nessuno dei nostri perirà. Se poi malgrado la pazienza e la prudenza qualcuno restasse martire, bisognerà adattarci alla volontà del Signore e ringraziarlo. Chi fra noi sfuggirebbe la fortuna d'essere martire? Spero però che Iddio ci proteggerà e che si potrà fare qualche cosa di bene anche là nella Patagonia, senza pagar tributo ai selvaggi coll'essere assassinati e mangiati.
Debbo ancora dirvi che da tutte parti del nuovo mondo abbiamo gran quantità di domande, perchè stabiliamo altre case. A Santiago, capitale del Chili, ci offrono l'amministrazione di un ospizio. Vi è pure domanda di prendere la direzione di un seminario a Concezione, ultima città verso la Patagonia. Il Municipio appoggia la domanda, pronto a soccorrerci. Nel Paraguay, nel Brasile ed altrove ci aspettano, perchè andiamo a stabilire collegi, seminari, ospizi. Le cose in America sono ad un punto da non poter desiderare nulla di più. Noi però dobbiamo aspettare di avere maggiori mezzi e maggiori forze. Don Ceccarelli scrisse una lettera nella quale diceva: la Congregazione Salesiana essere veramente benedetta dal Signore, perchè in soli quattro mesi ha fatto in America quello che le altre Congregazioni hanno fatto in quattro secoli. È un'espressione che io non voleva manifestarvi, ma io ve la dico perchè può essere un eccitamento a far progredire con maggior coraggio l'opera incominciata. Facciamoci animo, che Dio benedice i nostri sforzi, ma vuole corrispondenza, come dice S. Paolo.
Ed ora veniamo in Italia. Di questi giorni fui a Roma. Mi dicevano che in quei luoghi la gioventù è diversa dalla nostra, che non è possibile avvicinarsi ai fanciulli, che non si sarebbe potuto stabilire gli oratorii o almeno non certamente simili a quello di Torino. Sarà un miracolo, ma ad Ariccia si aprirono le scuole elementari, che prima erano in mano dei protestanti, per desiderio e istanze delle autorità dei luogo e del Santo Padre. Le nostre scuole diurne, divennero frequentatissime: i protestanti si misero disperatamente a fare scuola privata, e per avere discepoli davano gratuitamente ai giovani ogni casa: carta, penne, libri, quaderni. Contuttociò alle loro scuole avevano pochi o nessuno. Quando io arrivai là, anche quei pochi abbandonarono i maestri dell'errore con mia grande consolazione, e li lasciarono intieramente. Se si continua così, i protestanti faranno bancarotta in poco tempo. E non solo sono frequentate le scuole diurne, ma ben anche le serali per gli adulti, e apriremo anche l'oratorio festivo, ed i protestanti facciano pure ciò che vogliono.
Ad Albano abbiamo anche da far scuola pel ginnasio municipale o piccolo seminario, e tutti sono così affezionati ai Salesiani e di essi così soddisfatti, che non si può desiderare di più. Quei chierici al mio [80] arrivo, per prima cosa, mi domandarono tutti in corpo di confessarsi, e andato in casa, trovo una deputazione di studenti esterni per ottenere di confessarsi tutti da me. Ed io confessai dal mattino prestissimo fino alle 12 e sempre in modo soddisfacente, senza che io avessi nulla da aggiungere, come faccio qui. Alcuni erano venuti per confessarsi fino dalle 6 del mattino e venne il loro turno alle 12, aspettando con una pazienza ammirabile. Era impossibile il fare di più. E qui, oltre questo ginnasio pubblico, il Municipio fa istanze, acciocchè vi sia anche un convitto per gli esterni e per convittori e abbiamo visitato un locale che sarà preparato per questo fine. Il Cardinale Di Pietro, Vescovo di Albano, offre il suo Seminario ai Salesiani, facendo vedere che vi sarebbe messe copiosa. Sa che da noi non si vogliono danari, ma fatiche.
A due ore di vapore da Roma verso la Toscana dalla parte opposta di Albano ed Ariccia, si trova la città di Magliano, luogo decantato per immoralità da non potersi dire di più. Anche là io vidi giovani docili e rispettosi ed affinchè non fuggissi da loro senza confessarli, pregarono il Direttore che non mi lasciasse andar via, ed il Vescovo, quando io era per partire, venne ad invitarmi perchè confessassi gli esterni e gli interni. Ed io dovetti ritornar là e contentarli tutti. Questa fu la causa che ritardò il mio arrivo di qualche giorno. Quei chierici chiedono tutti in corpo di farsi Salesiani. Il Rettore del Seminario mi porse tre domande per sè, per il direttore spirituale e per l'economo, desiderosi di farsi Salesiani e furono ricevuti come ascritti[39]. Ma noi vogliamo andare adagio, con cautela e prudenza, per non danneggiare la diocesi e per non far gridare la gente. Quando si manifesteranno più chiare le vocazioni, vedrassi se si dovranno accettare. Nei paesi vicini a Roma vi è anche grande entusiasmo per i Salesiani, imperciocchè tutti domandano i nostri collegi. Se non ci mancasse personale e accettassi tutte le proposte, prima dei Santi avrei più di venti nuovi collegi.
Tuttavia si accettò la cura dei Concettini, ordine fondato da Pio IX venti anni fa e che più non potrebbe sussistere a lungo senza essere da altri aiutato. Così volle il S. Padre e noi abbiamo fatto questo sacrifizio. Le cose sono già bene avviate: tutto è aggiustato: il Direttore è a posto: il Papa stesso ci offre ventimila lire.
L'anno scorso, se vi ricordate, Don Bosco disse che passato l'anno, sarebbe avvenuto qualche cosa di straordinario. Si sarebbero gettati i primi germi di qualche opera che avrebbe prodotto gran bene. Ciò dissi nella conferenza generale. Qualcuno mi chiedeva spiegazioni. Diciamo su questo alcune parole. Ecco. Sono due cose. Una è l'impianto [81] a Roma di alcune nostre case. Dapprima si presentavano grandi difficoltà. Il Signore dispose gli avvenimenti in modo straordinario e tolti gli ostacoli, si farà del bene. Pio IX volle che si prendessero le scuole di Ariccia, di Albano e di Magliano. E con quali nostre spese? Con niente! Tutto ci fu provveduto e vitto ed alloggio, il solo corredo personale fu a nostro carico. Siamo andati senza un soldo e le spese furono fatte dal Santo Padre e dal Municipio. Già Don Scappini è andato a prendere la direzione dei Concettini, ed altri Salesiani saranno mandati in suo aiuto. Oggi stesso abbiamo un'altra domanda da Roma per aprire altra casa e si può dire che la Congregazione è stabilita regolarmente in Roma.
Il Santo Padre concesse che uno dei nostri sacerdoti che sarà stabilito in Roma, possa una volta al mese aver diretta udienza da lui, favore finora non concesso ad alcun altro.
Sono anche iniziate le pratiche per l'India e per l'Australia; io debbo preparare il personale, ma c'è ancor tempo.
La seconda di quelle opere che doveva mettere un seme, è l'Opera dei Cooperatori Salesiani. Essa è appena incominciata e già molti vi sono ascritti. Lo scopo è un vicendevole aiuto spirituale e morale non solo, ma anche materiale. Se ne vedrà il grande sviluppo. Non andrà molto che si vedranno popolazioni e città intiere unite nel Signore in vincolo spirituale colla Congregazione Salesiana. Riguardo al materiale si sono disposte e si manterranno le cose in modo che non si dovrà dipendere da alcuna autorità, eccetto da quella spirituale del Sommo Pontefice. Non in modo però che si venga ad urtare coi Vescovi o colle autorità secolari. Il Sindaco di Magliano, cavaliere ricchissimo, il più ricco di quei paesi, liberale aperto, volle anch'egli farsi cooperatore salesiano, dicendo che questa è un'opera divina. Ciò che fece il Sindaco, vollero anche fare molti altri; ma bisogna procedere con molta prudenza e a rilento nel ricevere quelli che desiderano il diploma.
Si è stabilito, a questo proposito, di stampare un Bollettino che sarà come il giornale della Congregazione, perchè sono molte le cose che si dovranno comunicare ai detti Cooperatori. Sarà un Bollettino periodico, come un legame fra i Cooperatori e Confratelli salesiani. Io spero che se corrispondiamo al volere di Dio, non passeranno molti anni che le città e le popolazioni intiere non si distingueranno dai Salesiani che per le abitazioni. Se ora sono cento Cooperatori, il loro numero ascenderà a migliaia e a migliaia, e se ora siamo mille, allora saremo milioni, procurando di accettare ed iscrivere quelli che sono più adattati. Spero che questo sarà il volere del Signore.
Cerchiamo di far conoscere quest'Opera: essa è voluta da Dio. Dell'Opera di Maria Ausiliatrice già si parlò. Vorrei che queste cose, che si sono dette, fossero ascoltate da tutti gli altri Confratelli ed anche dai giovani nostri. Ma non essendo essi tutti presenti, mi raccomando [82] ai Direttori perchè espongano loro quanto io ho detto, in qualche conferenza o in altro modo, in breve oppure più in lungo, riguardo alla Congregazione, alle nostre cose, alle Missioni e ai Cooperatori salesiani. Si dica che noi Salesiani siamo uomini miserabili, ma che siamo istrumenti nelle mani di Dio, che le cose da noi dirette sono favorite dal Signore. Queste cose se non le vedessimo, ci parrebbero favole, e sono fatti. Gli uomini non possono far tanto: Iddio ne è il facitore. Si serve di noi per eseguire i suoi santi voleri, per compiere i suoi disegni. E ci benedirà.
Ed ora che cosa adunque dobbiamo noi fare? Una cosa sola!
Il Santo Pontefice quando mi ricevette nella sua camera stando in letto, poichè era ammalato, mi espresse vari sentimenti, fra i quali mi disse le seguenti cose: - Andate; scrivete ai vostri figli, e cominciate a dire ora e ripetete sempre, che non avvi dubbio la mano di Dio essere quella che guida la vostra Congregazione. Pesa però su di voi una grande responsabilità, e voi dovete corrispondere a tanta grazia. Ma io vi dico a nome di Dio, che se voi corrisponderete al divino aiuto col vostro buon esempio, se voi promuoverete lo spirito di Pietà, se voi promuoverete lo spirito di moralità e specialmente quello di castità, se questo spirito rimarrà in voi, avrete coadiutori, cooperatori, ministri zelanti, vedrete centuplicarsi le vocazioni religiose, sia per voi, per la vostra Congregazione, come per gli altri Ordini religiosi ed anche per le diocesi, che non mancheranno di buoni ministri, i quali faranno molto del bene. Io credo di svelarvi un mistero! Io sono certo che questa Congregazione sia stata suscitata in questi tempi dalla Divina Provvidenza, per mostrare la potenza di Dio: sono certo che Dio ha voluto tenere nascosto fino al presente un importante segreto, sconosciuto a tanti secoli ed a tante altre Congregazioni passate. La vostra Congregazione è la prima nella Chiesa, di genere nuovo, fatta sorgere in questi tempi in maniera che possa essere Ordine religioso e secolare, che abbia voto di povertà ed insieme possedere, che partecipi del mondo e del chiostro, i cui membri siano religiosi e secolari, claustrali e liberi cittadini. Il Signore ciò manifestò ai giorni nostri e questo io voglio svelarvi. La Congregazione fu istituita affinchè nel mondo, che, secondo l'espressione del S. Vangelo, in maligno positus est, si desse gloria a Dio. Fu istituita perchè si vegga e vi sia il modo di dare a Dio quello che è di Dio, a Cesare quel che è di Cesare, secondo quello che disse Gesù Cristo a' suoi tempi: Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio. E vi predico, e voi scrivetelo ai vostri figliuoli, che la Congregazione fiorirà, si dilaterà miracolosamente, durerà nei secoli venturi e troverà sempre dei coadiutori e dei cooperatori, infino a tanto che cercherà di promuovere lo spirito di pietà e di religione, ma specialmente di moralità e di castità. Io avrei, continuava il S. Padre, ancora altre cose a dirvi, ma mi trovo stanco. Raccontatemi voi qualche storiella.
Quindi passammo a parlare di altre cose. [83] Ora mi raccomando a qualcheduno di voi che abbia buona memoria, perchè raccolga in iscritto quello che ora ho detto: io questo scritto lo rivedrò volentieri, vi aggiungerò ancora qualche piccola cosa, e questo si terrà come un memoriale di gran conto per la Congregazione.
Ma non si dimentichi mai di custodire gelosamente la moralità. La gloria della nostra, Congregazione consiste nella moralità. Sarebbe una sventura, si offuscherebbe questa gloria, qualora i Salesiani degenerassero. Il Signore disperderebbe, dissiperebbe la Congregazione, se noi venissimo meno nella castità. È questa un balsamo da spargersi fra tutti i popoli, da promuoversi in tutti gli individui, essa è il centro d'ogni virtù.
Ora non mi resta che da rallegrarmi nel Signore, perchè con tante spese siamo quasi senza debiti, e pel momento non abbiamo alcuna spesa che sia di premura. A cosa che ci deve cagionare una grande e riconoscente consolazione. Debbo rallegrarmi con voi che lavorate e che avete lavorato, e che manterrete ferma la volontà di continuar nel lavoro. Debbo ringraziare Maria Santissima che sempre ci ha assistiti. Io come Superiore della Congregazione ringrazio i Direttori delle fatiche personali e morali. Dico ad essi: portate in ciascuna casa queste mie parole di riconoscenza, i miei ringraziamenti; e dite a tutti che io sono soddisfatto di loro, che il loro padre non è indifferente per quello che essi hanno operato e sofferto: dite loro che esso si raccomanda nello stesso tempo, affinchè tutti vogliano prestare l'obolo del sacrifizio delle loro forze, che li prega ad unirci tutti insieme per il guadagno delle anime nostre ed altrui; ad aumentare nel cuore la pietà e la virtù, per accrescere il numero dei Salesiani e il numero di coloro che poi ritroveremo nel regno della gloria.
La conferenza generale non segnò la fine delle conferenze particolari, come accadeva negli anni antecedenti; ma queste proseguirono e furono ancora in numero di quattro.
Nel giorno 7 la prima conferenza venne presieduta da Don Rua. Oggetto precipuo era stabilire il tempo e i predicatori degli esercizi spirituali per i giovani nei diversi collegi, tanta importanza vi si attribuiva per il buon andamento generale. Il presidente poi passò in rassegna molte norme di prudenza, per far sì che quegli esercizi sortissero gli effetti desiderati. La seconda conferenza dello stesso giorno si tenne dinanzi al Beato, il quale esaminata la proposta di mandare i Salesiani a dirigere spiritualmente l'ospedale della Consolazione [84], raccontò il sogno sulla morte di Pio IX, da noi riferito nel primo capo di questo volume.
Nel giorno 8 Don Bosco fece solo una comparsa al termine della conferenza serale. La massima parte del tempo andò mattino e sera nella lettura e discussione del regolamento per i collegi, che si doveva fra breve dare alle stampe. Sul testo già presentato nelle conferenze del ’76 e rielaborato dopo le osservazioni di allora, si fecero nuove modificazioni e aggiunte. Una cura speciale si credette doversi porre nel formulare le prescrizioni in modo, che non apparisse coartata la libertà e menomata l'autorità del Direttore. Non già che il potere del Direttore avesse a essere senza limiti, ma, poichè quel regolamento sarebbe corso anche per le mani dei giovani, dei chierici e dei superiori subalterni, si volle che il Direttore potesse in ogni caso aver salvo il proprio prestigio di fronte ai sudditi. L'assemblea ritenne che e dalle Regole della Congregazione e dalle note dichiarative comunicate segretamente i Direttori avrebbero conosciuto a sufficienza i giusti limiti della loro autorità. E uno di questi limiti i Capitolari raccomandarono che fosse nel rispettare le disposizioni del Capitolo Superiore circa gli uffizi assegnati al personale; soltanto in caso di assoluta necessità si cambiassero le occupazioni, ma se ne desse subito avviso al Consigliere Scolastico della Congregazione. L'ultimo scorcio dell'ultima conferenza, per ottemperare al desiderio espresso da Don Bosco nella conferenza mattutina del 6, fu occupato nello studio dei mezzi, con cui tener alto ognora lo spirito di moralità nelle case salesiane tanto fra i convittori che fra i soci; al qual proposito i convenuti si accordarono sulla convenienza di essere tutti solidali intorno a otto punti:
1° Trattare i giovani con bontà per averne la confidenza.
2° Fare sacrifizi, ove occorra, per assistere e vigilare.
3° Tener nota dei posti, che ciaschedun allievo occupa in dormitorio, in scuola, in refettorio, in istudio.
4° Di notte fare un'ispezione in dormitorio. [85]
5° Stabilire che al passeggio i giovani vadano a tre a tre; che non facciano fermate, che non si dia a nessuno licenza di allontanarsi dalle file.
6° Raccomandare ai giovani che a titolo di civiltà tengano le mani sul banco nella scuola e nello studio.
7° Cercar di animare molto la ricreazione con quei giuochi, che ai giovani tornano più graditi.
8° Non prolungare troppo il tempo dello studio per i piccoli o per coloro che sono poco occupati.
Si stava per chiudere la discussione e l'adunanza, quando entrò Don Bosco, il quale, udito di che si trattava, volle dire la sua parola sull'argomento della moralità: una parola molto pratica, secondo il solito. Agli otto punti fissati ne aggiunse un nono: grande temperanza nel mangiar carne e nel bere vino. All'eccesso nell'uso della carne e del vino egli attribuì l'immoralità, che domina in qualche paese. Chi mangia di magro, essere di gran lunga più libero da certi fastidi spirituali; giovar pure a siffatta libertà l'astenersi da cibi di difficile digestione e dalle carni salate, perchè eccitanti; la Chiesa, quando raccomanda la penitenza, vietare per prima cosa le carni. - Badate, continuò egli, che finora quello che tenne su le nostre case, è stata la persuasione che tutti hanno della nostra sicura moralità, superiore ad ogni accusa. Questo sarà vero sempre? La fama dice il vero? Attenti! Finora è stato Dio colui che ci ha difesi. Le cause dei pericoli altre sono interne, altre esterne. La frequente confessione e comunione, la regolare vigilanza di chi deve assistere saranno grandi mezzi preventivi. Possono succedere disordini, ma sempre riparabili. L'assistenza sia solidale; nessuno se ne creda dispensato, quando si tratta d'impedire l'offesa di Dio. E poi mezzi per non cadere siano la fuga dell'ozio ed evitare le amicizie particolari. Sia pure uno superiore, sia pure attempato, non importa: non c'è età nè santità passata che valga contro le insidie di questo nemico. Anzi, quanto più l'età è avanzata, tanto più è raffinata la malizia. Anche quel posto [86] che si occupa vicino a quel tale può essere pericoloso. Si comincia con regalucci, croci, immagini; poi vengono i buoni consigli, e poi... e poi avanti! Non si conducano mai i giovani in camera. I giovani osservano molto: certuni sono guasti, hanno letto libri cattivi, nulla sfugge loro di quello che fanno i Superiori, e, guai se uno viene incolpato! Insomma, aut nullum aut omnes pariter dilige. Il lavoro è anch'esso una gran salvaguardia. Qualcheduno mi disse: Ma non faccia lavorar tanto i suoi preti! Eh! il prete o muore per il lavoro o muore per il vizio. - Terminò con la raccomandazione a lui familiare di curar molto le vocazioni, suggerendo tre mezzi: parlare spesso di vocazione, discorrere molto delle missioni, far leggere le lettere dei missionari.
Qui propriamente il capo dovrebbe finire, ma vi sono ancora cose da aggiungere. Dopo l'assenza di un mese e più dall'Oratorio, Don Bosco sentiva il bisogno di rivolgere una parola speciale sia ai giovani che agli ascritti. Assorbito dalle conferenze e dai colloqui coi Direttori, non che dal disbrigo di affari urgenti e di molta corrispondenza arretrata, non aveva ancor potuto trovare il tempo nè per l'una nè per l'altra cosa. Ci sembra che le due parlate fatte separatamente agli alunni e ai novizi stiano bene qui a completare tutto un cielo d'indirizzi riguardanti la Congregazione e la casa madre nel punto dell'anno scolastico da Don Bosco prescelto per una generale intesa sul modo d'imprimere all'andamento delle case un ritmo risoluto e costante, che durasse fino settembre.
Dai ragazzi studenti e artigiani riuniti per le orazioni andò la sera dell'11 febbraio. Convien sapere che il giorno avanti il Signore aveva chiamato a sè dall'Oratorio il primo dei “sei più due” prenunciati da Domenico Savio. Sì chiamava Stefano Mazzoglio; era nativo di Lu e scolaro della quarta ginnasiale. È dato come giovane pio, studioso ed esemplare, dal suo ingresso nell'Oratorio fino alla morte. Parlò dunque così. [87] Finalmente ci troviamo tutti qui insieme riuniti. Io era già ansioso di vedervi e di parlarvi ed anche voi lo eravate di parlare con me. Ed ecco che ora sono venuto a dirvi due parole, solamente per poter vedere tutti voi; e voi potete tutti vedere me, benchè i lumi siano un po' piccoli! È già molto tempo, che non ci siamo parlati e molte cose avvennero in questo frattempo. Alcuni di voi non mi conoscevano. Vi sono dei nuovi che dicono: - Non abbiamo ancora potuto vedere D. Bosco! - E adesso che mi vedete siete contenti?
Sono andato a Roma, e in questo frattempo che sono mancato da voi, ho trattato di molte cose importanti, e sempre in favore dell'Oratorio. Si vede che avete pregato molto pel vostro padre, che siete molto buoni! Infatti, diciamolo qui fra di noi che nessuno ci senta, tutte le cose delle quali ho trattato, hanno avuto buon esito. Da Roma sono andato ad Ariccia, dove abbiamo una casa, e quivi si sono fatti buoni affari. Da Ariccia sono andato ad Albano, ove si è aperta un'altra casa, e là si è aggiustato ogni negozio. Poi sono andato a Magliano, dove si è stabilita una terza casa, e quivi si ordinarono vari disegni per un prospero avvenire. Sono poi tornato a Roma, ove si è accettata e aperta una quarta casa, e l'affare dei Concettini è conchiuso, le proposte furono accettate...
Il Sommo Pontefice è tutto per noi, ci ha dato delle speciali benedizioni e ci ha fatto un bel regalo, senza contare altri doni che ancora ci prepara.
Ora passando ad altro, dirò, come abbiamo perduto un nostro fratello, Mazzoglio: ieri alle quattro del mattino esalava l'ultimo respiro, e stamattina gli abbiamo data sepoltura. Era un buon giovane, e sarà stato preparato. Anche i suoi compagni dicono che la domenica prima abbia fatto la santa Comunione; si coricò al lunedì sera su quel letto dal quale non doveva più uscire. Essendosi la malattia fatta repentinamente gravissima, si corse subito a chiamare in tutta fretta Don Cappelletti, che venne all'istante. Ma il giovane non era più in istato di confessarsi, e poco dopo spirò.
Ditemi un po' giovani miei: se Mazzoglio avesse aspettato a fare la sua confessione generale a Pasqua per esempio, quale sarebbe la sua sorte? certo che ne avremmo molto da dubitare. Buon per lui che si teneva preparato, come tutti speriamo. Questo fatto deve servire di ammaestramento, perchè quando meno ce lo aspettiamo, la morte può esserci addosso. Se arrivasse a noi il medesimo caso ci troveremmo preparati? Alcuno di voi va susurrando: - Potrebbe darsi che presto muoia un altro di noi: vi è quasi il proverbio che i nostri giovani muoiano due a due: se uno non ha fatto la quaresima, un altro non farà la Pasqua. - Io dirò: sia pure questa una vana diceria, sia quel che si vuole, ma noi teniamoci tutti ben preparati. Non aspettiamo a fare la confessione generale e ad aggiustare le cose dell'anima nostra in fin di vita; perchè saremo colti all'improvviso, [88] e andrà male per noi. Confessiamoci bene per tempo, e la morte venga a me, venga a voi, saremo tutti preparati. La morte per uno che abbia la coscienza tranquilla è un conforto, un'allegrezza, un passaggio che lo conduce alla perfetta felicità. Al contrario per uno che abbia il peccato sull'anima, è il maggior spauracchio di terrore che ci possa essere, è un tormento, è una disperazione.
Fra tanti uomini che vissero dal principio del mondo fino adesso non uno ha sfuggito la morte. Ma benchè non siavi cosa più certa della morte, tuttavia non vi è cosa più incerta dell'ora, del luogo, del modo della morte. Altri muoiono nella fanciullezza, altri in età più adulta, altri poi in vecchiaia. Chi sa quando noi moriremo? chi sa dove poi moriremo? Se nell'oratorio, o andando a passeggio, o nel letto per malattia, o soffocati improvvisamente dal sangue? Noi non lo sappiamo. Con questa certezza e queste incertezze, dobbiamo stare all'erta! E comincerò io a tenermi preparato, e voi pure dovete farlo. Il proverbio dice: Chi ha tempo non aspetti tempo. Il Signore ci ripete, che la morte viene come un ladro, quando uno meno se lo aspetta. Pregate il Signore per me affinchè possa tenermi sempre preparato, che la morte non mi colga all'improvviso. Io pure raccomanderò voi al Signore nella S. Messa e pregherò affinchè nessuno dei miei giovani muoia impreparato.
Posdomani, secondo il solito degli altri anni, vi sarà l'esercizio della buona morte, e poi il Priore di S. Luigi distribuirà a ciascheduno una bella fetta di salame per rinvigorire le forze. Si cominci da domani sera la preparazione a far bene questo esercizio. Chi ha bisogno di confessarsi, cominci subito domani mattina. Adesso in carnevale questa sarà la vera allegria; cioè aver la coscienza pulita; essere tranquilli negli affari dell'anima nostra, affinchè venendo il Signore a prenderci con lui, ci trovi tutti ben preparati.
Gli ascritti udirono la parola di Don Bosco, dove meno se lo sarebbero aspettato. La domenica 18 febbraio egli andò per la prima volta a pranzare con loro nel refettorio inaugurato da due mesi. Gli lessero alcune poesie; poi la banda sonò sotto i portici al levar delle mense.
“Caro Don Bosco! esclama Don Barberis nella sua cronaca. Gli compariva proprio il contento sul volto”. I chierici erano sessantacinque. La vista di sì bella schiera, il pensiero di tante belle speranze gli fecero ripetere più volte: - Sono contento! Sono proprio contento! Bisogna che io venga qui ancora altre volte. Qui manderò di quando in quando a pranzare preti forestieri. - Finito il pranzo, così prese a dire: [89] Voi mi avete letto qualche composizione, mi avete parlato in poesia, ed ora io voglio dirvi qualche cosa in prosa, acciocchè anche quelli che non sono poeti possano intendermi, ed aver la parte loro. Sono venuto qui non per altro motivo se non per vedere questo nuovo refettorio e vedervi tutti schierati in questo luogo per fate la parte vostra.
Ho da congratularmi con voi che fate tutti bene la parte vostra; intendo in refettorio. Però non voglio dirvi che non facciate bene la vostra parte altrove: io sono contento in tutto e per tutto degli ascritti, quantunque alcuni pochi non abbiano i dieci decimi di condotta. Tuttavia sono ancora abbastanza buoni i nove decimi.
Dovrei raccomandarvi in primo luogo che ciascuno abbia cura della sua sanità. Ho sentito che molti di voi hanno voglia di digiunare, massimamente ora in tempo di quaresima, ovvero non vogliono fare tutta la ricreazione o per studiare essendo vicini gli esami[40], o per far penitenza, o per altro fine. Perciò affinchè alcuno non mi domandi una licenza che difficilmente soglio concedere, io vi dico che per quanto si può la penitenza consista nell'osservare l'orario. E ciò che voleva inculcarvi: osservate bene l'orario, e specialmente in questo tempo di quaresima. Invece di fare opere di penitenza fate quelle dell'obbedienza. Siate puntuali al mattino nell'alzarvi, alla sera nell'andare a letto, nell'andare a scuola e in chiesa e nell'eseguire ogni altro vostro dovere. Si faccia fare quaresima alla lingua, col non permettere nessun genere di discorsi inopportuni. Alcuni i quali fecero un carnevale prolungato finora, cioè che non meritarono i dieci decimi di condotta, facciano ora quaresima col guadagnarsi un voto assolutamente soddisfacente.
Facendo altrimenti cadreste in un disordine. Io ho bisogno che voi cresciate e diveniate giovani robusti e che vi usiate i riguardi necessari per conservarvi in sanità, e per poter più tardi lavorare molto. Per questo motivo io sono contento d'aver veduto che siete valenti nello sbarazzare la tavola, e che non fate smorfie quando vi mettono davanti le pietanze. Io poi verrò ancora qualche altra volta a pranzare con voi, perchè vedo che mi trattate bene. Ed io pure faccio la mia parte.
I Gesuiti prima di accettare alcuno nella loro Compagnia, la prima prova alla quale lo sottopongono è quella d'invitarlo e condurlo a pranzo. Se vedono che mangia di ogni cosa, senza distinzione, se sbarazza presto i piatti e con buona voglia, costui ha già molti punti di probabilità di essere accettato. Essi dicono: Costui ha sanità, robustezza, e potrà lavorare. Se invece uno rifiuta la pietanza, o mangia solo metà della sua porzione, o fa smorfie, o si lamenta del cibo, è [90] ben difficile che lo accettino, perchè vogliono solamente individui che possano essere di utilità e non di peso alla Congregazione. Se un maestro di novizi avesse veduto voi stamane, credo che vi avrebbe dato i pieni voti. Ciò indica sanità.
Così io ho bisogno che voi stiate sani e cresciate, perchè possiate succedere a quelli che mandiamo nelle altre case e perchè mi aiutiate nei lavori che vanno moltiplicandosi. E sono contento di vedervi in così gran numero, perchè da tutte parti ci invitano, da tutte parti cresce la messe. Anche di questi giorni mi vennero fatte nuove proposte di mettere su case, e proposte molto grandi, dalla Francia, dall'Inghilterra, da Vienna in Austria. Si vedrà, ma bisogna che voi facciate presto a crescere.
Dappertutto hanno di noi un grande concetto, e ci credono tutti santi e che facciate miracoli. Io vi credo tutti buoni, e qui a tavola ben anco capaci di far miracoli; ma del resto, senza farvi torto, credo che non siate ancora a quel punto: tuttavia bisogna che pensiamo a sostenerci ed a mantenerla questa fama.
Dappertutto vi è un grande entusiasmo per i Salesiani. Guardate! Dovunque va qualcuno di noi, tutti stanno attenti, per vedere il modello che Don Bosco invia. In tutti i posti dove sono andato, ad Albano, a Magliano, ed in altri siti, ardevano tutti pel desiderio di vedere un Salesiano, e giunto questo fra di loro, dicevano subito: A un santo! Perfin coloro che furono mandati via dall'Oratorio per cattiva condotta, per cose gravi, presentatisi in qualche paese, e saputosi dalla gente donde venivano, fossero anche questi espulsi gente di poco ingegno, ottenevano subito impieghi, assistenze nei collegi, cattedre nelle scuole, e la piena fiducia di tutti. Basta che dicano: - Vengo dall'Oratorio - e non si domanda più loro l'attestato di buona condotta. Trovino pure ogni prosperità questi tali, e facciano meglio di quello che han fatto per lo passato; ma io vi ho detto questo solamente per farvi vedere la grande stima in cui siamo tenuti. Ma ditemi: se noi mancassimo a questa grande riputazione in cui la gente ci tiene? Dunque bisogna che ci adoperiamo a tutto potere per non mancare alla generale aspettazione e di fare tutto il nostro dovere, sia di studio, sia di pietà, sia di condotta inappuntabile. Il Signore penserà al resto.
Don Cagliero dall'America ci scrive, che i Missionari dell'ultima spedizione sono arrivati là felicemente, e che tutti hanno già le loro occupazioni. Raccomanda a coloro che partiranno di fare onore al nome di Salesiano. In America, basta che non si degeneri dalla fama che ci precorse, e le cose andranno avanti bene e da sè. Procuriamo adunque di essere quali ci stimano, poichè noi non siamo poi tutti santi!
Riguardo agli esami io vi dirò, che vedremo se avete studiato. Ma non tutti quelli che hanno studiato molto possono avere i voti migliori, perchè può esservi difetto di capacità o di studi precedenti; ma quando [91] uno abbia tenuto buona condotta morale da meritarsi i dieci decimi, coll'aiuto del Signore e con quello che si potè studiare, si riuscirà certamente nella prova con voti sufficienti. Del resto io spero che gli esami andranno bene.
Ora per dirvi qualche cosa d'altro, io vi raccomando che procuriate di fuggire e d'impedire le mormorazioni: cioè che vi dimostriate sempre contenti delle cose come sono disposte. Questo giova grandemente all'allegria, perchè se qualcheduno ha ragioni di malcontento e non le comunica ad altri, sta esso tranquillo, il malumore si dissipa da per sè, e non vi è nulla di male: se invece lo manifesta, gli altri vi prendono parte, e le cose a cui prima non badavano, diventano dispiacenti. Non parlo dei cattivi discorsi, dei quali dice S. Paolo: Nec nominentur in vobis. Di questo io non debbo neppure sospettare, e quindi tra di noi non si deve parlare di questo argomento. Accenno a quelle parole di biasimo colle quali si giudicano le disposizioni e i comandi dei superiori o le cose elle si fanno nella casa. Mi scriveva un Salesiano solamente ieri: - Mi basta che una cosa sia disposta dai Superiori, che subito mi piace e non vado a cercarne il perchè. - Io vorrei che proprio tutti poteste dire così.
La mormorazione porta il rispetto umano. Molte volte fra i compagni si farebbe qualche buona azione, ma subito si pensa che cosa ne diranno gli altri e che non la interpretino bene; e per timore di quella parola, di quell'atto di disapprovazione quella cosa buona non si fa più. Ecco un male grandissimo prodotto dalla mormorazione.
E pur troppo di tali parole se ne dicono. Questa è una mancanza che porta molto danno alle Congregazioni religiose, come appunto mi scriveva una persona in questi giorni. Perchè tanti ragionamenti, quando si tratta di obbedire? Il Superiore ha dato un ordine? Ebbene, si eseguisca. Ma perchè l'ha dato? Perchè, perchè ...? E perchè andate a cercare il perchè? Facciamo noi il nostro dovere, il Superiore farà il suo. Quando uno si mette a parlare male di un Superiore, di un assistente, a censurare qualche cosa che egli ha fatto, a dire che poteva farla in questo o quell'altro modo, vi è sempre un altro e poi un altro che si aggiunge al primo, e fanno coro, e dicono spropositi ancora più grossi, massimamente se vi è qualcuno che abbia un po' di eloquenza oratoria. In questo caso si spande il malcontento anche negli altri, e tutta la casa procede male. Guardate adunque di fare quanto potete per impedire che si parli male dei Superiori, e voi stessi procurate di eliminare ogni critica dai vostri discorsi, perchè fanno del grati danno. Che se poi in queste ciarle entrasse l'offesa di Dio, allora si dovrebbe alzar la voce contro il nemico delle anime, gridare al lupo perchè non faccia strage, e adoperare tutti i mezzi per ridurlo al silenzio. Allora sì che è lecito mormorare, cioè accennare ai difetti altrui. Quando potete impedire, parlando, l'offesa di Dio, fatelo, fatelo, e ne avrete merito. [92] Ora più non mi resta che farvi coraggio a proseguire con animo virile nell'impresa incominciata, perchè Iddio benedirà i nostri sforzi. Dunque coraggio nel conservarvi in buona sanità, coraggio nel proseguire gli studi, coraggio nell'impedire che si dica male dei Superiori, e allora non ci mancherà più niente: potremo sfidare tutti i diavoli e i loro fautori che volessero farei del male, e non avremo più nessuna paura di loro, e faremo con sicurezza del bene a noi ed agli altri.
Se si pensa che con tanti ascritti vi erano nell'Oratorio anche molti chierici professi, non ci reca meraviglia il sapere come taluno manifestasse qualche preoccupazione per un numero sì grande di vesti nere nel medesimo luogo. I visitatori non ne avrebbero ricavata poco favorevole impressione? e i maligni non ne avrebbero pigliato pretesto a critiche velenose? Appunto per non dare troppo nell'occhio a diverse qualità di persone, le vestizioni chiericali si facevano nell'Oratorio alla spicciolata e senz'apparato. La necessità insomma di una casa a sè per gli ascritti si faceva ogni anno più sentire. - Sarebbe necessario, disse a questo proposito Don Bosco, che io mi potessi sempre trovare in mezzo agli ascritti, per formarne lo spirito, per conferire molto di frequente col loro maestro; ma pure... pure... qui a Torino sono veramente troppi! - Di fronte a una necessità Don Bosco non si contentava di rilevarla e di parlarne accademicamente; il suo pensiero correva subito alla ricerca dei mezzi per ovviarvi: Così avvenne che per l'anno scolastico 1879 - 80 la casa degli ascritti era bell'e trovata e ampia e decorosa nel vicino borgo di S. Benigno Canavese.
Dalle parlate precedenti e da altre fonti noi sappiamo che il Servo di Dio in pubblico e in privato, fra molti e da solo a solo, in casa e fuori discorreva volentieri dei progressi che la sua Congregazione veniva facendo e dei destini che le erano riservati nel futuro. In tutto questo egli aveva per iscopo di animare i suoi figli a grandi imprese, infondendo in loro l'intimo convincimento che i Salesiani erano chiamati a grandi cose e che ognuno di essi doveva rendersi atto a fare generosamente la parte sua.
Quel grande amico del Beato Don Bosco, che fu Don Giacomelli, quando vide l'estendersi della Congregazione Salesiana, gli aveva chiesto se egli sarebbe andato anche in Francia, e n'aveva avuta una risposta esitante. I Francesi fanno da sè - aveva detto Don Bosco. Al medesimo Don Giacomelli il Beato ripetè più volte una sentenza, che sembra spiegare le parole precedenti. - Le cose fanno gli uomini, non gli uomini le cose - soleva dirgli. Don Bosco dunque andava là dove il dito di Dio gli indicava e dove la mano di Dio lo guidava. Occasioni provvidenziali e lumi interiori gli segnavano il cammino, che la divina grazia l'aiutava poi a percorrere. Così fu per le Missioni, per l'Opera dei Figli di Maria, per i Cooperatori, e così fu anche per la Francia; il poco che si è già visto per la fondazione di Nizza, apparirà molto più distintamente nel seguito di queste Memorie rispetto ad altre fondazioni sul suolo francese.
L'inaugurazione del Patronato di S. Pietro a Nizza nella sua nuova sede e il bisogno di trattare sul posto, per una casa a Marsiglia furono i motivi principali che lo determinarono a recarsi in Francia verso la fine di febbraio del 1877. Diciamo principali, perchè nel suo itinerario troviamo espressa l'intenzione di andare anche a Tolosa, a Bordeaux e in altre città; certo è pure che ai 19 di febbraio egli parlò di ventiquattro [94] domande provenienti da diverse parti della Francia; ma non abbiamo documenti se non per una corsa a Cannes.
Questo viaggio gl'impediva di trovarsi nell'Oratorio per un'occasione importante e delicata. In quei giorni il Prefetto di Torino e il regio Provveditore agli studi visitavano insieme tutti gl'Istituti della città, e quindi sarebbero venuti anche all'Oratorio. Non c'era chi meglio di Don Bosco sapesse trarsi d'impiccio in simili circostanze; onde prima di assentarsi impartì ai Superiori istruzioni molto precise. - Io, disse loro, e la cronaca ne registra le parole[41], li ho già invitati a venire all'Oratorio; mi fu risposto che prima visitavano gl'Istituti governativi e che fra gl'Istituti privati il nostro avrebbe forse avuto la precedenza. Si facciano loro le migliori accoglienze possibili. Si ricevano alla porta con la musica strumentale e si conducano in luogo adatto, ove si canti, si legga, si declami qualche cosa di bello. Si metta bene in rilievo che il numero degli artigiani supera quello degli studenti. Prima si conducano a vedere la panatteria, i refettori, la cucina e poi tutti i laboratori e in ultimo i migliori dormitori. In tipografia si procuri che tutte le macchine siano in moto. Lo studio senza i giovani non si presenta bene; ma se vi sono i giovani, temo che compaiano troppi. Chi li accompagnerà, faccia risaltare essere questa una casa di beneficenza e che qui mancherebbe questo, e che là ci vorrebbe quell'altro, ma che costerebbero assai, e noi siamo poveri. Infine, quando partiranno, vi sia la musica per salutarli e si offra loro una copia della Storia d'Italia, come saggio di tipografia e di legatoria e come segno d'affetto. - Don Bosco poteva star certo che le sue raccomandazioni non sarebbero state parole al vento; vi era Don Rua, per cui sillaba di Don Bosco non cadeva invano.
Partì il 21 febbraio. La prima parte del suo itinerario portava brevi tappe a Sampierdarena, Varazze, Vallecrosia [95] e Ventimiglia. Sembra che il 22 sia stato a Vallecrosia[42]. Dopo ne perdiamo le tracce fino al 28, quando da Nizza proseguì per Marsiglia[43] in compagnia di quel direttore Don Ronchail. Trarremo l'ordito al nostro racconto da documenti dei nostri archivi e da altri conservati negli archivi della parrocchia di S. Giuseppe in quella città, scarsi tutti però circa questa prima fase delle trattative per la fondazione salesiana nella capitale della Provenza[44].
L'avvocato Ernesto Michel[45] fu il primo che fece conoscere Don Bosco a Marsiglia con una conferenza da lui tenuta nel 1876 sulle opere del Beato[46] a vantaggio della gioventù povera e abbandonata. Uno de' suoi uditori, l'abate Clemente Guiol, parroco di S. Giuseppe, che l'aveva ascoltato con il massimo interesse, si sentì mosso a mettersi in relazione col Servo di Dio per chiamarlo in aiuto a pro di tanti giovani italiani, che popolavano le strade di Marsiglia e vivevano nel più completo abbandono per quel che riguardava l'educazione cristiana. Non conoscendo personalmente l'avvocato, ricorse a un intermediario. Aveva egli un intimo amico nella persona del canonico Timon - David, Fondatore e Superiore di un'Opera giovanile denominata Oeuvre de la Jeunesse ouvrière du Sacré Cœur e confidente del pio e caritatevole [96] signor Michel. I due sacerdoti s'intesero all'istante. Il canonico, per desiderio dell'abate Guiol, scrisse il 21 maggio all'avvocato, pregandolo di raccomandare a Don Bosco la gioventù di Marsiglia. L'avvocato, avendo motivo di credere che Don Bosco sarebbe venuto presto a Nizza, si riservava di trattarne a viva voce con lui; Don Bosco invero nel mese di giugno visitava le case della Liguria e tutto faceva credere che passasse anche la frontiera: ma quel viaggio gli fu impossibile. Don Ronchail, avvisatone, si affrettò a raggiungerlo, portando seco la lettera del canonico marsigliese e riportando poi all'avvocato nizzardo la seguente risposta di Don Bosco per il canonico sullodato.
Il Sig. Avv. E. Michel di Nizza, mio buon amico, ebbe più volte ad accennare ad un notabile numero di giovanetti italiani che o colla propria famiglia oppure in cerca di lavoro si recano a Marsiglia. Essi pochissimo istruiti nella scienza scolastica e religiosa, ignari affatto della lingua francese, restano esposti a gravi pericoli morali. Ciò dicendo manifestava che qualcuno delle nostre case avrebbe forse potuto farvi del bene. Ecco la ragione principale della sua proposta. In quanto a Lei poi, Sig. Abate, io dirò con tutto buon cuore, che se io posso in qualche modo giovare, o meglio mettere un granellino sulla bilancia di tante opere di carità che esistono in Marsiglia, io lo farò volentieri, purché:
1° Io abbia il previo gradimento dell'Arcivescovo[47], da cui intendo sempre avere dipendenza non solo nelle cose di religione, ma in qualunque cosa a Lui piacesse di semplicemente consigliare.
2° Che la S. V. giudichi tale cosa conveniente e che l'Opera della gioventù operaia mi dia il suo appoggio morale.
3° Le case vivono di provvidenza e poco ci basta, nè mai si cercano annualità pecuniarie. A me basta poter avere un sito dove poter radunare i più poveri nei giorni festivi, e dare ricovero a quelli che fossero in totale abbandono. Si è osservato che qualunque opera pia già esistente non viene mai ad urtare con quello che fanno i Salesiani.
Ciò premesso, io prego la bontà sua a voler parlar da parte mia a S. E. l'Arcivescovo di Marsiglia e di averne in massima il suo parere, e se poi Ella ha qualche cosa a suggerirmi a questo scopo, mi farà un gran favore di comunicarmelo. [97]
Nel corso del prossimo autunno andando nella casa di Nizza mi sarà facile fare una gita a Marsiglia e di presenza si potranno dare più positive spiegazioni.
Se mai V. S. od altri venissero in questi nostri paesi, offro loro di buon grado questa casa per qualunque servizio loro tornasse opportuno.
La grazia di N. S. G. C. sia sempre con noi, e si degni di pregar per me che le sono nel Signore
L'avvocato Michel trasmise immediatamente al canonico Timon - David lo scritto del Beato, unendovi una sua traduzione in francese[48]. L'altro nel comunicarla all'abate Guiol usava queste edificanti espressioni: “Faccio ardenti voti per il buon esito delle trattative con Don Bosco; quand'anche dovessimo soffrirne noi, dummodo Christus annuntietur, in hoc gaudeo”. Quel “noi” si riferisce a lui stesso e ai suoi religiosi. Esisteva a Marsiglia un'Œuvre de la Providence ovvero des enfants de l'Étoile, tenuta dai Fratelli delle Scuole Cristiane, ai quali si trattava allora di far sottentrare i Fratelli del Sacro Cuore del Puy, fondati dal canonico Timon - David. Questi dunque era pronto a cedere il posto ai Salesiani, se Don Bosco accettasse.
Nemmeno nell'autunno del '76 il Beato Don Bosco potè andare in Francia; vi andò solo nel febbraio del '77, come dicevamo, spingendosi fino a Marsiglia. Qui egli aveva bisogno di possedere almeno un pied - à - terre per i suoi Missionari, che vi sarebbero passati per imbarcarsi: tanto più volentieri avrebbe accettato un'opera di beneficenza a pro della gioventù povera. Se non che in una città dove già tante famiglie religiose attendevano ai bisogni spirituali e materiali della popolazione, il Vescovo Monsignor Place non vedeva di buon occhio la venuta di una Congregazione nuova[49]. Ma il [98] Servo di Dio, quando ebbe agio di parlargli, non durò fatica a guadagnarsi la benevolenza e il favore del degno Prelato; infatti, udita l'umile richiesta di Don Bosco, gli rispose che un semplice pied - à - terre, era troppo poco, ma che ci voleva a Marsiglia una casa, la quale fosse per la Francia quel che la casa di Torino era per l'Italia. Fece ancora di più: gl'indicò l'abate Guiol come il sacerdote suo diocesano più capace di aiutarlo nell'impresa, non solo per la sua virtù e per l'ascendente grande che aveva sui fedeli, ma anche per il posto da lui occupato, essendo a capo della parrocchia più ricca di Marsiglia. Nè pago di questa designazione orale, gli diede pure un suo biglietto di presentazione per il curato. In tutto questo parve tanto più mirabile l'intervento della Provvidenza, perché era cosa notoria come per questioni d'ordine amministrativo fossero piuttosto tesi i rapporti fra il parroco di San Giuseppe e il suo Vescovo. Noi non possiamo dunque non tener conto anche di tale circostanza nel valutare un certo motto del Beato. Si racconta che un giorno, discorrendosi alla sua presenza del primo miracolo da lui operato a Marsiglia, il quale sembrava risalire al gennaio del 1879, egli, per rendere omaggio al curato di S. Giuseppe, rettificasse dicendo: - No, il primo miracolo di Don Bosco a Marsiglia fu che monsignor Place gli designasse l'abate Guiol ad aiutarlo nell'opera sua.
Recatosi Don Bosco dall'abate, ci volle l'assistenza dell'interprete, perché l'uno stentava fortemente a esprimersi in un francese che fosse intelligibile quanto lo richiedeva l'importanza delle cose da trattare, e l'altro non capiva un briciolo d'italiano; ma questo non impedì che le due anime si comprendessero a pieno. Che cosa precisamente siasi fra loro concertato in quei giorni, non ci è dato saperlo; senza dubbio però le relazioni strette da Don Bosco a Marsiglia durante quella sua prima dimora e le conversazioni preliminari con l'abate Guiol segnarono in modo definitivo il punto di partenza per l'opera sorta l'anno dopo in quella città. [99] Dopoché il Beato Don Bosco lasciò Marsiglia, corsero fra il curato e il canonico scambi di idee che portarono alla proposta formale di affidare ai Salesiani l'opera dell'Étoile; infatti nella prima metà di maggio il Servo di Dio ricevette lettere in tal senso. Egli aveva visitato l'opera anzidetta, ma dovette osservare che essa non rispondeva agl'intendimenti suoi; giacchè vi si ricevevano ragazzi di sette anni per tener veli fino ai quattordici, mentr'egli nelle sue case di arti e mestieri li accettava sui dodici e non li rimandava finchè non avessero compito il corso professionale. Dovette anche vedere che egli non vi avrebbe avuto mano libera, dipendendo l'ente da un consiglio di amministrazione estraneo. L'11 maggio poi, riferendone al Capitolo Superiore, si espresse in questi termini: - Quando fui a Marsiglia, visitai un orfanotrofio. Il locale era magnifico, i mezzi di sussistenza abbondanti. I giovani in casa erano poco custoditi, non hanno laboratori interni, e andavano a lavorare in città. Chi entra buono in quell'orfanatrofio, in poco tempo si guasta. Quel direttore, che mi sembra di buone intenzioni, mi domandava consiglio, ed io gli risposi essere assolutamente necessario avere per prima cosa laboratori interni; e gli parlai del come vanno qui le cose nel nostro Oratorio. Ieri ricevetti una lettera, in cui questo direttore si dice disposto e desidera che Don Bosco con i suoi prenda la direzione di questa casa, che appartiene ai Fratelli del Sacro Cuore[50]. - La risposta fu che per mancanza di personale non si poteva accettare. [100]
A Marsiglia Don Bosco albergò allora presso i Fratelli delle Scuole Cristiane. Stare in mezzo a tanti giovani e non curarsi di loro era mai possibile a Don Bosco? Un giorno, attraversando il cortile, ne incontrò uno, al quale fe' cenno di accostarsi e gli disse qualche paroletta, come soleva fare con i ragazzi. Che cosa gli dicesse, non lo sappiamo; il giovane però ne rimase talmente colpito, che, ritornato fra i compagni, disse loro: - Ho veduto un santo! - Fu una scintilla elettrica: in breve tutti volevano vederlo e parlargli. Pur esprimendosi come poteva in quel suo francese più ingegnoso che corretto, se ne guadagnò a poco a poco i cuori, sicché si accese una gara per confessarsi da lui. Una camerata ebbe licenza di farlo. Confessatisi alcuni, ecco spargersi la voce che egli manifestasse anche i peccati che si volessero tenere occulti. Questa notizia mise sottosopra il collegio. Si chiedeva da ogni parte di fare la confessione generale. I Superiori, impensieriti, non credettero di permettere che altre camerate si andassero a confessare; sebbene con vivo rincrescimento, Don Bosco per evitare dispiaceri lasciò che facessero.
In un collegio cattolico poteva Don Bosco non parlare di vocazione? Quei Superiori lo assicuravano che era impossibile fra i loro allievi trovare chi aspirasse allo stato ecclesiastico. - Nessuno si vuole far prete! - gli ripetevano in [101] tutta buona fede. Ma bastò il piccolo saggio di bontà e di santità dato dal Servo di Dio, perché si svegliasse in molti di quei convittori il desiderio di essere sacerdoti e Salesiani. Fatto è che parecchi volevano seguirlo a Torino, e che, qui giunto, egli trovò un pacco di lettere, in cui tanti gli ridicevano la loro brama di venire a Torino e farsi Salesiani, pronti a qualunque sacrifizio, pur di essere da lui accettati. Alcuni perfino, appartenendo a famiglie ricche, si protestavano disposti a pagare qualunque somma, e vi era perfino chi con candida ingenuità prometteva di dare quanto possedeva, allorché fosse padrone di disporne. Uno arrivò a fuggire dal collegio e, venuto all'Oratorio, non volle più saperne di rimpatriare.
Non omise neppure di osservare il metodo ivi usato per il governo degli alunni. I superiori gli chiedevano com'egli facesse ad attirarsi così subito, dovunque andasse, la benevolenza e la simpatia dei giovani e perché ad un suo sguardo non potessero resistere, ma restassero tosto avvinti quasi da forza misteriosa. Egli spiegava loro un po' del sistema preventivo e dell'amorevolezza, con cui si guidavano e si correggevano i fanciulli nei collegi salesiani; mostrava anche quali effetti derivassero dal sistema opposto, secondo il quale i Superiori stavano sempre lontani dai giovani, facendosi vedere abitualmente seri, e financo burberi per sostenere la propria autorità[51]. Egli in quel tempo non aveva ancora scritte le auree pagine sul sistema preventivo; ma o doveva già ruminarne il contenuto o le osservazioni ivi fatte gli suggerirono l'idea di scriverle, come di qui a poco vedremo.
Anche fuori si diffuse la notizia della sua presenza in Marsiglia. I convittori dei Fratelli, con la loquacità dei collegiali quando parlano coi parenti, contribuirono certo a divulgarla, se pure non furono essi i principali divulgatori. Così avvenne che un armatore del porto, uomo ricco e religioso, corse dal parroco della cattedrale provvisoria e gli disse: - Abbiamo un santo a Marsiglia e non lo conosciamo! [102]
- Andati insieme a trovarlo, ne furono conquisi e tanto il signor Bergasse che monsignor Payan gli divennero amici e benefattori; il nome soprattutto del primo suona ancora benedetto dai Salesiani dell'Oratorio di S. Leone. I giornali alla loro volta non tacquero; onde cominciò il viavai dei visitatori.
Egli però non diede udienza a tutti coloro che la domandavano, perchè uno sbocco di sangue lo costrinse a concedersi un po' di riposo, andando a letto presto e levandosi tardi. Per questo forse depose il pensiero di recarsi in altre città. Delle tante proposte fattegli per l'apertura di case, nove gli erano venute dalla sola Marsiglia; ma, impedito così dalla salute di occuparsene direttamente, pregò il Vescovo di vedere e scegliere. Monsignore annuì ben volentieri, promettendo intanto di appianare le eventuali difficoltà e di portare poi in persona a Torino i risultati delle sue pratiche, poiché aveva un gran desiderio di visitare l'Oratorio. I venti e gli improvvisi sbalzi di temperatura apportavano sempre al Beato qualche incomodo di salute nei suoi viaggi per la riviera.
Don Bosco stette a Marsiglia circa una settimana. Lo argomentiamo da una lettera a Don Rua, senza data di luogo e di tempo, ma scritta certamente allora di là, secondoché si deduce dal contesto[52]. Scrivendo a Don Rua, more solito, fra comunicazioni, istruzioni, licenze, incarichi, gli mette dinanzi in ordine di elenco, ben dodici cose o gruppi di cose disparatissime, tre delle quali si riferiscono al suo soggiorno marsigliese. Uno dei numeri è interessante per quel che vi si dice del Vescovo: “Il Vescovo di Marsiglia, che fu assente, giunse ieri, ed oggi andrò con D. Ronchail a pranzo a casa sua. Si manifesta assai favorevole alle cose nostre. Vado [103] scoprendo terreno e darò la zappata dove il terreno sarà più conveniente”. Un altro numero riguarda il collegio che lo ospita:
“Ieri vi fu trattenimento per la distribuzione delle menzioni onorevoli[53] agli allievi di questo collegio di seicento convittori. Pare che possa servire di norma anche per noi. Declamazione di cose diverse, canto, suono, qualche concerto; contentarono l'immenso uditorio che trovavasi presente in un vastissimo salone sotto alla chiesa”. Un terzo numero accenna a una gita in luogo che allora era rifugio a inalati di petto: “Dimani mattina partiremo per Cannes, dove mi fermerò sei ore per visitare qualche ammalato e trattar per una memoria da darsi al Governo mercè l'appoggio di un amico di Mac – Mahon”. Il maresciallo Maurizio Mac - Mahon fu presidente della repubblica francese dal 1873 al 1879. Scopo di questa “memoria” dovette essere di ottenere dal Governo francese l'autorizzazione per l'apertura di una scuola libera secondaria accanto a quella professionale[54]. Poi continua: “Sulla sera, a Dio piacendo, sarò a Nizza”. [104]
Benchè assediato dagli affari, non dimentica i suoi figli lontani. Non dimentica gl'infermi: “Fà coraggio e saluta da parte mia D. Vespignani, D. Tonelli, e Giovanetti, e assicurali che io li raccomando in modo espresso nella santa Messa ed essi preghino anche per me”. Il povero chierico Giovanetti morì il 6 marzo, primo dei due indicati a parte da Domenico Savio. Non dimentica i giovani dell'Oratorio:
“Dirai ai nostri giovani che mi sembra un mezzo secolo, da che non li ho più veduti. Desidero tanto di far loro una visita per dir loro tante cose, ed anche per avvisarli che preghino per un compagno che non vuole più fare con loro la festa di Pasqua”. Questo compagno fu il giovane Giovanni Briatore, da Deversi di Garessio nel circondario di Mondovì, alunno della prima ginnasiale, morto il 28 marzo, secondo dei sei accennati nel sogno. La Pasqua del 1877 cadde nel 1° di aprile. Ricorda pure le Figlie di Maria Ausiliatrice: “Quando occorre inviare suore in qualche nuova casa, non si devono tutte prendere nella casa madre: ma come facciamo pei Salesiani a Torino, cercarne qualcuna nelle case già aperte, ma che sia capace, e poi facendo supplire questa da qualcheduna nuova, inviare quella alla direzione della nuova casa. Di questo ne parleremo giunto a Torino”. Vi rammenta perfino che ad Albano un chierico ha bisogno di un pianoforte: “Ho scritto al principe Chigi per un piano a Trione e spero che sarà favorito”.
In una seconda fase delle pratiche marsigliesi vedremo che l'abate Guiol non tenne le mani in mano. Indizio della serietà de' suoi propositi era anche l'impazienza di vedere da presso e in azione l'opera di Don Bosco. Il 1° maggio gli manifestò l'irresistibile idea di fare un viaggio a Torino e di fermarsi alcuni giorni nell'Oratorio. A giro di posta Don Bosco gli rispose per mano di Don Rua che venisse, venisse presto.
Con molto piacere il nostro caro D. Bosco ha ricevuto la riverita sua del 1° del corrente. Impedito dalle tante sue occupazioni, dà a me il piacevole ed ambito incarico di riscontrarla. M lascia pertanto [105] a dirle che venga pure a farei visita per fermarsi qualche tempo con noi, che l'attendiamo ansiosamente e ci riputiamo fortunati di poterle dare ospitalità. Passi anche al Patronato di S. Pietro in Nizza (Piazza d'Armi 1), e a S. Pier d'Arena nell'ospizio dì S. Vincenzo de' Paoli presenti questa mia e sarà pur colà il benvenuto. Fin d'ora Le auguriamo buon viaggio e preghiamo di cuore il Signore a volerla assistere e condurla qua felicemente.
Gradisca i cordiali ossequi del prelodato Sig. D. Bosco con quelli dello scrivente che gode professarsi con distinta stima
Rapida fu la visita. S'avvicinava la Pentecoste, che non gli permise di restare almeno fino alla festa di Maria Ausiliatrice. Ritornato alle sue cure parrocchiali, scrisse a Don Bosco una lettera di ringraziamento per tutte le cortesie usategli; ma Don Bosco tardò alquanto a rispondergli, perché occupatissimo, dovendo, oltre tutto il resto, far onore all'Arcivescovo di Buenos Aires, che accompagnò anche a Roma. E da Roma gli rispose il 13 giugno.
Sono in Roma per alcuni giorni e di qui rispondo alla graziosa lettera che si compiacque di scrivermi negli ultimi giorni di maggio passato.
Anzichè ringraziare, la S. V deve darmi compatimento per la mancanza di riguardi che forse non le furono usati in quel brevissimo tempo che Ella favorì dimorare con noi. Appena vide i preparativi; ma la festa non la vide. Oh quanto sarei stato contento che Ella pure si fosse trovata con noi in quella giornata!
Ho scritto al console italiano comm. Strambio[55], che spero avremo favorevole nel nostro progetto, che è tutto umanitario e religioso.
Il S. Padre parlò del nostro progetto e lo incoraggisce di tutto cuore e benedice tutti quelli che lo promuovono. Domandò notizie del Vescovo di Marsiglia, cui professa molta stima. In Marsiglia, egli disse, avvi campo assai vasto per molti forestieri, cui difficilmente si [106] riesce a far apprendere la via che conduce al cielo. - È necessario molto lavoro, molta pazienza; ma Dio non mancherà di aiutarci in questa impresa.
L'Arcivescovo di Buenos Aires coi pellegrini Argentini giunsero alquanto in ritardo. A Genova presero ospitalità nella nostra casa di S. Pierdarena. Di qui li accompagnai a Roma e nel loro ritorno passeranno per Torino.
In Roma folla immensa, il S. Padre in ottima salute, l'esposizione è uno spettacolo senza esempio.
Avendone occasione faccia da parte mia umili ossequi a Mons. Place suo Vescovo e gli partecipi una speciale benedizione che il S. Padre gli invia.
Caro Sig. Curato, Dio la benedica, preghi per me e per le nostre cose e mi creda sempre nel Signore
Si vede da questa lettera che nella moltiplicità degli affari l'opera di Marsiglia teneva ognora per lui un posto assai distinto! Ogni affare che Don Bosco intraprendeva sembrava sempre che stesse in cima a' suoi pensieri.
A Nizza un comitato di ragguardevoli cittadini preparava degnamente la festa dell'inaugurazione. Lo componevano il conte De Béthune, il conte Michaud de Beauretour, il conte De la Ferté - Meun, l'avvocato Ernesto Michel, il barone Héraud, i signori Carlo Gignaux e Augusto Faraut, che molto avevano già fatto per promuovere quell'opera di beneficenza. L'antica villa Gautier, acquistata e racconciata coi denari della carità, offriva ormai comodo spazio ad aumentare grandemente il numero dei ragazzi interni, bisognosi di pane, d'istruzione professionale e di cristiana educazione. Quei signori redassero una circolare, con la quale invitavano per il 12 marzo alla cerimonia inaugurale il fior fiore della cittadinanza. Bisognava dare pubblica assicurazione che i comuni voti si traducevano seriamente in realtà. Intanto proprio sul mattino di quel giorno accadde un episodio, che potremmo quasi dire simbolico. Si presentò al Patronage St - Pierre un [107] giovanetto, che chiedeva soccorso e ricovero. - Chi sei? gli fu domandato.,
- Sono un povero ragazzo Orfano.
- No, è morto prima che io potessi conoscerlo.
- Mia madre è nella miseria. Non potendomi dar pane, mi manda a cercar da vivere.
- Me lo guadagno sonando il Violino.
- Nelle osterie e nei caffè. Ma, se potrò imparare bene la musica, spero di andare più tardi a sonare nei teatri, e così guadagnarmi denari.
- Sei già stato ammesso alla santa Comunione?
Datogli quindi un breve esame sulla sua istruzione religiosa, si conobbe che ignorava le parti più elementari del catechismo e che per giunta versava in gravissimo pericolo di andar a finire molto male. Fu senz'altro accettato.
Dopo il mezzogiorno la cappella interna e le camere attigue si gremivano di gente. Nel cortile per i viali alberati che lo dividevano e lo fiancheggiavano, era uno sventolio di bandierine a vari colori. Alla festa eransi invitate anche le autorità civili, che intervennero con piacere e con segni di cordiale approvazione. Il sindaco della città cavalier Raynaud, trattenuto da cause impreviste, vi si fece rappresentare dal Cavalier Toselli assessore. Monsignor Pietro Sola col clero della cappella Vescovile alle due e mezzo diede principio alla funzione religiosa; i canti furono eseguiti maestrevolmente dagli allievi dell'ospizio. Finiti i vespri, Don Bosco prese la parola. [108] Fece prima la storia del Patronato, la quale in gran parte noi già conosciamo. Osservò che metà della somma che egli si era obbligato a pagare per l'acquisto di quella casa, era stata versata mediante l'offerta del Santo Padre e di altre caritatevoli persone; manifestava intanto la speranza certa che l'altra metà di franchi cinquantamila si sarebbe un po' alla volta pagata. Descrisse lo scopo dell'Istituto e quello che vi si faceva per la gioventù; rappresentò al vivo lo stato miserando di tanti poveri giovanetti: doversi quindi raccogliere tali infelici, istruirli nella religione, collocare gli esterni a lavorare presso onesti padroni, occupare gl'interni nei laboratori della casa, facendo loro apprendere un mestiere con cui potessero a suo tempo guadagnarsi il pane della vita. Ciò detto, prosegui:
Voi mi domanderete: I giovani di questa fatta sono molti? Gli esterni sono in numero assai notabile, ma gli interni per ora sono solamente sessantacinque: sono però oltre a duecento quelli che domandano con urgenza di essere ricevuti, e ciò avrà luogo di mano in mano che avremo locale preparato, si andrà ordinando la disciplina e la Divina Provvidenza ci manderà mezzi per mantenerli.
A questo punto della nostra esposizione voi mi farete un'altra ragionevole domanda. La strettezza del luogo, la moltitudine di richieste d'accettazioni, le riparazioni, le ampliazioni di locali, anzi di questa chiesa stessa, dove siamo, reclamano un edifizio più vasto, più alto, che possa meglio servire alla celebrazione della messa, per ascoltare le confessioni, per fare il catechismo ai piccoli, per la predicazione agli adulti e a coloro stessi che abitano qui vicino. Queste cose sono indispensabili, affinchè questo Istituto possa conseguire il suo fine, che è il bene dell'umanità e la salvezza delle anime. Ora come provvedere a tanti bisogni che occorrono? come trovare il danaro indispensabile per dar pane agli interni, vestirli, provvederli di maestri, assistenti, capi d'arte? Come continuare i lavori intrapresi e quelli che dovrebbersi incominciare?
A tutto vero, anzi io ungo ancora, che per sostenere le opere già incominciate si dovettero contrarre parecchi debiti, e questa medesima casa è soltanto pagata per metà; cioè vi sono oltre a cinquantamila franchi da pagare. Malgrado tutto questo non dobbiamo sgomentarci. Quella Provvidenza Divina che qual madre pietosa veglia su tutte le cose, che provvede agli uccelli dell'aria, ai pesci del mare, agli animali della terra, ai gigli del campo, non provvederà a noi che [109] davanti al Creatore siamo di gran lunga più preziosi di quelli esseri materiali? Di più: quel Dio che in voi, nei benèfici vostri cuori ha ispirato il generoso pensiero di promuovere, di fondare, di sostenere finora quest'opera, non continuerà ad infondere grazia e coraggio e somministrarvi i mezzi per continuarla? Più ancora: quel Dio, che con niente fece sì che si fondassero Istituti, in cui sono raccolti oltre a quattordici mila fanciulli senza che per loro vi sia nemmeno un soldo preventivo, quel Dio vorrà forse lasciarci ora mancare il suo aiuto in queste opere che tutte tendono a sollevare la classe più abbandonata e più bisognosa della civile società, a sollevare le anime più pericolanti, quelle anime per cui fu creato il cielo e la terra e tutte le cose che nel cielo e sulla terra si contengono: quelle anime per cui l'adorabile nostro Salvatore ha donato fin l'ultima goccia del suo sangue?
No! Adunque niun dubbio, niun timore che possa mancarci l'aiuto del Cielo. Non facciamo questo torto alla Divina Bontà, non facciamo questo torto alla vostra religione ed alla vostra grande e tante volte esperimentata generosità. Io son certo che quella carità che vi mosse a fare tanti sacrifizi in passato, non permetterà giammai che rimanga imperfetta un'opera così felicemente incominciata.
Questa speranza, oltre alla bontà dei vostri cuori, ha pure un altro saldo fondamento che si appoggia nella grande mercede che voi tutti cercate e che Dio assicura alle opere di carità!
Dio è infinitamente ricco e di generosità infinita. Come ricco, può darci largo guiderdone per ogni cosa fatta per amor suo; come padre di generosità infinita, paga con buona ed abbondante misura ogni più piccola cosa che noi facciamo per suo amore. Voi, dice il Vangelo, non darete un bicchiere d'acqua fresca in mio nome ad uno dei miei minimi, ossia ad un bisognoso, senza che abbia la sua mercede.
L'elemosina, ci dice Dio nel libro di Tobia, libera dalla morte, purga l'anima dai peccati, fa trovare misericordia nel cospetto di Dio, e ci conduce alla vita eterna. Eleemosina est, quae a morte liberat, purgat peccata, facit invenire misericordiam et vitam aeternam.
Fra le grandi ricompense avvi pure questa, che il Divin Salvatore reputa fatta a se stesso ogni carità fatta agli infelici. Se noi vedessimo il Divin Salvatore camminare mendico per le nostre piazze, bussare alla porta delle nostre case, vi sarebbe un cristiano che non gli offrisse generosamente fino l'ultimo soldo della sua borsa? Pure nella persona dei poveri, dei più abbandonati è rappresentato il Salvatore. Tutto quello, Egli dice, che farete ai più abbietti, lo fate a me stesso. Dunque non sono più poveri fanciulli che dimandano la carità, ma è Gesù nella persona de' suoi poverelli.
Che diremo poi della mercede eccezionale che Dio tiene riservata nel più importante e difficile momento, in cui sarà decisa la nostra sorte con una vita o sempre beata o sempre infelice? Quando noi, o Signori, ci presenteremo al tribunale del Giudice Supremo per dare [110] conto delle azioni della vita, la prima cosa che amorevolmente ci ricorderà non sono le case fabbricate, i risparmi fatti, la gloria acquistata o le ricchezze procacciate: di ciò non farà parola, ma unicamente dirà: Venite, o benedetti del Padre mio celeste, venite al possesso del regno che vi sta preparato. Io aveva fame, e voi nella persona dei poveri mi avete dato pane; aveva sete, e voi mi deste da bere; io era nudo, e voi mi avete vestito; era in mezzo di una strada, e voi mi avete dato ricovero. (MATTH., 25, 54 - 56).
Queste e più altre parole dirà il Divin Giudice, siccome stanno registrate nel Vangelo: dopo di che darà loro la benedizione e li condurrà al possesso della vita eterna.
Ma Dio, padre di bontà, conoscendo che il nostro spirito è pronto e la carne assai inferma, vuole che la nostra carità abbia il centuplo anche nella vita presente. In quanti modi, o Signori, su questa terra Dio ci dà il centuplo delle opere buone! Centuplo sono le speciali grazie di ben vivere e di ben morire; sono la fertilità delle campagne, la pace e concordia delle famiglie, il buon esito degli affari temporali, la sanità dei parenti e degli amici, la conservazione e la buona educazione della figliuolanza. Ricompensa della carità cristiana è il piacere che ognuno prova in cuor suo nel fare un'opera buona. Non è grande consolazione, quando si rifletta che con una piccola elemosina si contribuisce a togliere esseri dannosi alla civile società per farli divenire uomini vantaggiosi a se stessi, al loro simile, alla religione? Esseri che sono in procinto di diventare il flagello delle autorità, gli infrantori delle pubbliche leggi e di andar a consumare i sudori altrui nelle prigioni, e invece metterli in grado di onorare la umanità, di lavorare e col lavoro guadagnarsi onesto sostentamento, e ciò con decoro dei paesi in cui abitano, con onore delle famiglie a cui appartengono?
Oltre a tutte queste ricompense che Dio concede nella vita presente e nella futura, avvene ancor una che debbono i beneficati porgere ai loro benefattori. Sì, o Signori, noi non vogliamo defraudarvi di quella mercede che è tutta in nostro potere. Ascoltate.
Tutti i preti e i chierici, tutti i giovani raccolti ed educati nelle case della Congregazione Salesiana e più specialmente quelli del Patronato di S. Pietro, innalzeranno al cielo mattino e sera particolari preghiere pei loro benefattori. Mattino e sera i vostri beneficati con apposite preghiere invocheranno le divine benedizioni sopra di voi, sopra le vostre famiglie, sopra i vostri parenti, sopra i vostri amici. Supplicheranno Dio che conservi la pace e la concordia nelle vostre famiglie, vi conceda sanità stabile e vita felice, da voi tenga lontano le disgrazie tanto nelle cose spirituali, quanto nelle cose temporali e a tutto ciò aggiunga la perseveranza nel bene, e, al più tardi che a Dio piacerà, i vostri giorni siano coronati da una santa morte. Se poi nel corso della vita mortale, o Signori, avremo la buona ventura d'incontrarvi per le vie della città od in qualsiasi altro luogo, oh sì, [111] allora ricorderemo con gioia i benefizi ricevuti e rispettosi ci scopriremo il capo in segno d'incancellabile gratitudine sulla terra, mentre Iddio pietoso vi terrà assicurata la mercede dei giusti in cielo. Centuplum accipietis et vitam aeternam possidebitis.
Come Don Bosco ebbe terminato di parlare, alcuni degli uditori spontaneamente s'intesero fra loro per fare una questua, che fu copiosa oltre l'aspettazione. La ristrettezza del luogo aveva permesso di entrare quasi unicamente ai soliti benefattori, sicché non si era stimato opportuno raccomandare l'elemosina. Tuttavia vennero raccolti mille e cinquecento franchi.
Monsignor Vescovo impartì in forma solenne la benedizione col Santissimo Sacramento; dopo di che tutti gl'invitati andarono nel cortile, dove alcuni giovanetti recitarono un dialogo composto in onore di monsignor Sola, i musici eseguirono alcuni pezzi e fu cantato un inno di occasione; quindi gli astanti passarono a visitare sale, scuole e laboratori. In una sala stavano esposti su tavole oggetti per una piccola lotteria a vantaggio dei giovanetti del Patronato. Essendo corsa la voce che il frutto della lotteria doveva servire a comprar pane per i ricoverati, i biglietti andarono a ruba.
Don Bosco nella sua conferenza aveva parlato del giovanetto violinista, ricevuto al mattino; allora tutti i convenuti furono desiderosi di vederlo. Quando pertanto si raccolsero nel giardino, ecco apparire il giovanetto col suo strumento e in mezzo a quei signori dar saggio della propria abilità. Uno degli spettatori, meravigliato della sua disinvoltura e commosso alla vista degli abiti meschini che lo coprivano, spiccò un mandato perché egli venisse immediatamente fornito di vestiario dalla Conferenza femminile che si adunava presso la chiesa della Madonna di Nizza. La dimane il povero giovanetto, presentatosi col suo violino per ricevere il vestito, rallegrò con qualche sonatina le caritatevoli signore colà intente a lavorare per i poveri. Stette nell'ospizio più d'un anno, applicandosi con buona volontà allo studio e alle pratiche religiose. [112] Il giorno seguente si presentò al Beato un altro giovane sedicenne, che non si era mai nè confessato nè comunicato; orfano egli pure e per giunta forestiero, sprovvisto d'ogni cosa e già inoltrato purtroppo nella via del male. Non occorse altro perchè lo accogliesse tostamente nell'ospizio.
Ben singolare fu anche il caso del giorno 14. Certi parenti, indotti dalla miseria, avevano forzato un loro figliuolo a entrare in un ospizio dì protestanti. Il ragazzo, inorridito delle cose che udiva là dentro sul conto dei cattolici, riuscì a fuggire; ma, ricercato e preso, vi fu ricondotto di viva forza. Poté fuggire una seconda volta, e proprio allora ebbe la buona ventura d'imbattersi nel direttore del Patronato, che, al sentire quella brutta storia, gli aperse le porte della sua casa.
Il discorso di Don Bosco parve così notevole, che fece nascere l'idea di pubblicarlo, affinchè in Francia si conoscesse meglio l'opera del Patronato. Il pensiero non gli dispiacque; anzi, come suole accadere, riflettendovi sopra, allargò il disegno. Infatti durante il viaggio di ritorno compilò un bel opuscoletto, che fece stampare nella tipografia dell'Oratorio col titolo: Inaugurazione del Patronato di S. Pietro in Nizza Mare. Descritta ivi brevemente la festa, pose il discorso alquanto rimaneggiato nella forma, e gli mandò appresso una novità che era una splendida primizia: una serie di articoli, sul sistema preventivo, che con qualche variante ricomparvero di lì a poco in capo al Regolamento delle case[56]. Più tardi, parlando di tutto questo lavoretto, disse che gli era costato vari giorni di fatica e che l'aveva fatto e rifatto tre volte. “Andava quasi lamentandomi meco stesso, aggiunse, di non trovare di mio gusto questi miei scritti. Una volta gettava giù le intere facciate, e non vi ritornava più sopra; ora invece scrivo, correggo, riscrivo, ricopio, rifò la quarta e la quinta volta, e ancor non mi piace il mio lavoro”. Egli [113] riteneva per altro che l'opuscolo fosse atto a fare gran bene in Francia[57].
In Francia e in ogni parte, allora e in ogni tempo l'umile opuscolo doveva far del bene per quell'appendice messa là quasi come semplice riempitivo, quasi come se l'autore medesimo non ne misurasse tutta la portata. La pedagogia contemporanea teorizzava molto, ma operava ben poco; la sua scarsa fecondità derivava dal fatto che traeva i suoi elementi dai puri dettami della filosofia naturale: quindi principii razionalistici e spirito positivistico ne informavano e infirmavano l'indirizzo. Don Bosco senz'alcun sussiego dottrinale, senza la menoma pretesa di aver scoperto il segreto dell'arte educativa, ispirandosi al Vangelo e agl'insegnamenti della Chiesa, seppe armoniosamente congiungere con le norme della filosofia naturale i mezzi soprannaturali della Grazia e dar vita così a un metodo che nel campo della pedagogia ha prodotto e produce ubertosissimi frutti. Quello che aveva attuato per tanti anni, condensò nelle poche paginette del suo scritterello. Si ponga mente anche solo a un punto: alla gran questione dell'autorità e dei premi e castighi. Un corifeo della tendenza naturalistica d'allora, il celebre Raffaello Lambruschini, v'impiegò attorno almeno due terzi del suo libro Dell'educazione, dicendo tante belle cose, mischiate purtroppo a errori teorici; ma per il difetto lamentato poc'anzi è rimasto le mille miglia lontano dall'efficacia raggiunta da Don Bosco che col procedere per via di ragione e di Fede ha in poche battute maestre risolto praticamente e pienamente l'arduo problema.
Meritato e degno riconoscimento del valore pedagogico che impreziosisce questo “Metodo preventivo” si è l'averlo il Ministero italiano della pubblica educazione assegnato allo studio delle scuole magistrali; al qual proposito l'ex - ministro Fedele, senatore del regno e professore di storia [114] nell'Università di Roma, pronunziò in una solenne occasione queste parole: “Senza il soprannaturale l'opera di Don Bosco non si spiega. E quest'opera è il fiorire esterno delle sue virtù interne. Egli fu contro il materialismo corrompitore della gioventù e fermò a tempo il popolo italiano sulla china della via funesta. Quando io proposi lo studio della dottrina pedagogica di Don Bosco, qualche filosofo idealista sorrise. Oggi il tempo mi ha dato ragione”[58].
È qui il luogo di riferire sul sistema educativo di Don Bosco una testimonianza più antica, resa di pubblica ragione nel 1878. Il perugino conte Carlo Conestabile della Staffa diede quell'anno alle stampe un suo opuscolo[59], nel quale narra com'egli vide attuato dal Servo di Dio il suo metodo pedagogico prima ancora che dal medesimo si pensasse a formularlo per iscritto. Un giorno il Conte, andato a visitare Don Bosco, lo trovò allo scrittoio che percorreva una noterella recante alcuni nomi. - Ecco qui, disse egli, alcuni de' miei bricconcelli, la cui condotta lascia a desiderare. - Venne spontaneo al visitatore di domandargli quale punizione riserbasse loro. - Nessuna punizione, rispose; ma ecco quello che farò. Costui, per esempio (e gl'indicò uno dei nomi) è il più bricconcello di tutti, sebbene sia di buon cuore. Lo incontrerò durante la ricreazione e gli chiederò notizie della sua salute; egli risponderà senza dubbio che sta bene. “Ma sei proprio contento?”, gli dirò allora. Egli resterà prima sorpreso; poi abbasserà gli occhi, arrossendo. Io insisterò affettuosamente: “Eh, tu hai qualche cosa che non va bene; se il corpo gode buona salute, l'anima forse non è contenta!...
È già da molto che non ti confessi?”. Di lì a pochi minuti questo giovane sarà al tribunale di penitenza, e sono quasi certo che non avrò mai più a dolermi di lui. - Il Conte ascoltava [115] in silenzio, incantato dalla dolcezza di quel suo parlare, e qui commenta: “Avevo scoperto il segreto delle grandi opere che quest'umile prete ha saputo condurre a compimento. Spessissime volte dappoi, allorchè alla vista dei mali onde questa nostra età è travagliata, sentiva un'amara tristezza impadronirsi dell'animo mio, quella voce sacerdotale mi è tornata nella memoria, e mi ha reso fiducioso nell'avvenire d'una società a cui Iddio manda tali riformatori”.
Dalla cronaca delle Figlie di Maria Ausiliatrice apprendiamo che, tornando dalla Francia, si fermò a Vallecrosia e visitò pure tutta la casa delle Suore, dal dormitorio alla cucina e alla dispensa. Ne lodò l'economia e lo Spirito di povertà; ma volle che si avessero cura né abusassero delle proprie forze per non rovinarsi la salute. La gente del vicinato le regalava spesso di cose in natura; così allora qualcuno aveva portato loro in dono un cavolo cappuccio di enorme grossezza e bianchissimo, e tanto bello che sembrava un fiore smisurato. Lo mostrarono al Servo di Dio, che, guardandolo un po' e pensato un istante, disse sorridendo alla direttrice:
- Prendete questo mio biglietto di visita e con esso mandate questo bel cavolo a Torino, alla contessa Corsi. Così vedrà che Don Bosco la ricorda.
La direttrice obbedì. Don Bosco era allora in trattative per la compera di una casa a Nizza Monferrato, dove trasferire le Suore da Mornese, e la contessa se ne interessava e prestava aiuto.
Alcune lettere, scritte nel ritorno o subito dopo, completeranno la nostra narrazione del viaggio. Il 17 marzo troviamo Don Bosco ad Alassio; ce lo dice una lettera indirizzata di là al sacerdote casalese Don Domenico Ossella, a cui si deve in massima parte la fondazione dell'Educatorio diretto dalle Figlie di Maria Ausiliatrice a Casal Monferrato. [116]
Ho letto attentamente la tua, che dimostra il tuo desiderio di provvedere alle anime che versano nello estremo della vita. Ottimo pensiero; ma il mezzo che vorresti usare è assai difficile e spinoso per te e per qualunque altro prete. Le ragioni te le dirò poi di presenza quando, dopo Pasqua, farò, a Dio piacendo, una gita a Borgo S. Martino.
Io ti consiglierei piuttosto ad altra opera più facile per te e di sicura riuscita: promuovere vocazioni allo stato Ecclesiastico. Come fare? dirai tu. Adoperarti per inviare fanciulli buoni dove possono essere coltivati nello studio e nella pietà e quindi nella vocazione Ecclesiastica. Trovando giovani adulti di buona condotta, animarli a studiare, e se occorre fare loro scuola oppure avviarli dove possono essere istruiti ad hoc.
Altre cose ti dirò di presenza. Intanto prega per me. Dio ti benedica e credimi in J. C.
Da Alassio fu condotto a Noli per visitare una bella casa, in cui si sarebbe voluto che aprisse scuole e convitto. L'edifizio apparteneva al padre del defunto chierico salesiano Antonio Vallega[60]. Egli accettò, ma a tre condizioni: 1° Che fossero affidate ai Salesiani le scuole comunali; 2° che si assegnasse ai maestri lo stipendio complessivo di lire tremilacinquecento; 3° che non vi si dovessero fare spese. Ma il signor Vallega nella prima metà di aprile venne a Torino, latore di altre proposte così diverse e onerose, che la pratica rimase arenata.
La cronaca poc'anzi citata serba anche il ricordo di una visita fatta allora da Don Bosco alle Suore di Alassio. Interrogatele se avessero molto lavoro e udito che sì: - Ebbene, guardate, disse, quando io vado nelle case e sento che c'è molto da lavorare, vivo tranquillo. Dove c'è lavoro, non c'è il demonio. - Ne andò a vedere tre che erano ammalate. Dopo voltosi alle altre che tutte ve l'avevano accompagnato, [117] domandò: - Di quale virtù volete che vi parli? - Esse che avevano sempre tanto da fare e non sapevano come praticare quella regola che diceva di “stare continuamente alla presenza di Dio”, unanimi risposero: - Ci parli dello stare sempre alla presenza di Dio. - Ed egli: - Sarebbe veramente bello che le Figlie di Maria Ausiliatrice stessero perpetuamente alla presenza di Dio!... Ma possiamo fare così: rinnovare l'intenzione di far tutto alla maggior gloria di Dio ogni volta che si cambia occupazione. - Sopra il quale argomento ragionò un poco e infine conchiuse: - Come vedete, non è poi tanto difficile farsi l'abito della continua unione con Dio.
Il 23 lo ritroviamo a Sampierdarena. Sul partire, crediamo, da Alassio scrisse a Don Ronchail.
Sono sulle mosse per Sampierdarena. I tre quaderni li ho lasciati tutti al Can. Mons. Viale che ne porterà uno al P. Tedeschi, due li spaccierà in Monaco. Ma questi due sono a conto del Can.co Mons. Viale, Vic. Gen di Monaco.
Ora tu mandane uno o due alla signora Marchesa Aurelia Spinola con una tua lettera, secondo il solito. Ma, per tua norma, di' così che quanto si riceverà sarà per la casa dei Torrione e che può rimettere a D. Cibrario quanto non potesse spacciare. Siamo così anche intesi con D. Cibrario. Questa signora è molto propensa per la nostra famiglia del Torrione. La prelodata signora abita in Porto Maurizio.
Veniamo a noi. Il mio exposé è terminato; lo do a copiare e prima di partire da Sampierdarena te lo manderò.
Mentre preparo un prete per mandarti, tu comincia ad osservare:
1° Quando si canta qualche ufficiatura in chiesa procura che i preti, chierici, o coadiutori disponibili siano divisi in due parti nei due lati della chiesa e facciano coro alternativamente in modo che tu non abbi ad occuparti di questa parte di funzione.
2° Metti alla prova l'aspirante Africano e l'ex - concierge del Seminario ed osserva come possono prestare assistenza in ricreazione, nello studio e negli altri siti.
3° Cerca se trovi qualche aiuto per la predicazione. D. Martini, il T. Giovan, il T. Farank, gli Oblati si offerirono tutti di lavorare pro viribus in tuo aiuto. Uno di essi non si prenderebbe un corso di [118] istruzioni (venti minuti, non di più) pei nostri giovani e così ogni festa avere già qualche sollievo? Credo tale cosa ti possa giovare assai.
4° Pei catechismi in classe credo ti possano giovare alcuni buoni Signori secolari, tra cui anche il sig. Audoli.
5° Poi fa' in modo che o D. Guelfi od un altro prenda cura diretta della sacrestia in modo che tu non abbia a pensare per la proprietà, ordine, soppressatura, bucato, collocamento delle cose, paramentali, altare, ecc.
Insomma da ciò tu potrai scorgere che l'essenza di Direttore consiste nel ripartire le cose a farsi e poi insistere che si facciano.
Dammi poi notizie del T. Giovan. Mi rincresce non averlo più veduto o meglio che non siasi più lasciato vedere, giacché aveva più cose da parlargli. Credo che non siasi adombrato di qualche cosa. Digli così che nel partire con rincrescimento ho detto: Ainsi soit - il.
Nel mandarti l'exposé unirò anche altre cose di cui fummo intesi.
Saluta nominatim quelli della nostra famiglia e tutti i nostri benefattori di mano in mano che ne avrai l'occasione. Dammi poi delle notizie della. Contessa Celebrini e del Sig. Marchese Spagnuolo e di sua figlia adottiva.
Di' a tutti che io prego e fo pregare per loro a Torino all'altare di Maria Ausiliatrice.
Prega per me che ti sarò sempre in G. C.
P. S. Dà un pizzicone a D. Perrot e digli che stia allegro.
“Quaderni” egli chiama quelli che oggi con voce tedesca si sogliono dire “blocchi” o “blocchetti”, specie di taccuini formati di fogli staccabili, con relativa matrice. Erano biglietti per la lotteria di Nizza. La qualifica di “Vicario Generale di Monaco”, data da Don Bosco al canonico Viale[61], richiede una spiegazione, tanto più che ci si porge così il destro di ricordare un tratto ignorato del Servo di Dio.
Il principato di Monaco dipendeva allora ecclesiasticamente dal Vescovo di Ventimiglia. Nel 1876 Pio IX per fare cosa grata al principe Carlo III staccò il suo Staterello dalla giurisdizione di quel Vescovo, erigendovi l'abbazia Nullius dei santi Nicola e Benedetto. Ma il principe ne desiderava [119] l'erezione in diocesi e proponeva a vescovo il suo cappellano Theuret. Il Papa non gradì il personaggio presentatogli, ma si limitò a disporre per mezzo della Congregazione degli affari ecclesiastici straordinari che monsignor Lorenzo Biale, vescovo di Ventimiglia, amministrasse l'abbazia, con facoltà di nominarvi un vicario generale, che fu appunto il canonico ventimigliese Carlo Emilio Viale. Quel provvedimento però era transitorio; infatti nell'anno medesimo il vescovo Biale chiese a Don Bosco che gli indicasse un sacerdote meritevole di occupare quella nuova sede. Il Servo di Dio gli fece il nome del teologo Sora, già parroco alla Crocetta in Torino, e poi canonico penitenziere a Tortona. Se non che il principe voleva un Vescovo che sapesse vivere a corte da gentiluomo e fosse dotato di bella presenza. Ecco perchè il canonico Sora venne scartato da Carlo III: egli non era nè aulico nè bello. Così monsignor Biale spiegò la cosa a Don Cerruti, Direttore di Alassio. Leone XIII finirà la questione nel 1878, nominando monsignor Theuret amministratore apostolico, che nello stesso anno preconizzerà Vescovo titolare di Ermopoli e costituirà nel 1887 Vescovo di Monaco.
Torniamo alla lunga lettera indirizzata a Don Ronchail. L'exposé è la relazione sulla festa di Nizza con gli annessi e connessi che sappiamo. L'“aspirante Africano” era uno dei giovani algerini, inviati dall'allora monsignor Lavigerie all'Oratorio e poi da Don Bosco mandati a Nizza[62].
Vi sarebbe anche una lettera del 24 marzo a Don Rua da Sampierdarena; ma basti riferire alcuni de' suoi dodici punti: Il primo riguarda la salute del Vescovo di Alba: “Dolorosa la notizia di Monsignor Galletti. Fate preghiere particolari; io scriverò di qui: preghiamo e speriamo nella bontà del Signore”. Il terzo tratta di cosa concernente la chiesa di San Secondo; se ne dovrà parlare per disteso a suo tempo. Il settimo esprime il suo disappunto circa i lavori in corso all'Oratorio [120] per portate dinanzi alla sua stanza l'ambulacro che vediamo oggi[63]. Quei lavori erano stati cominciati quasi di sorpresa, durante una sua assenza, per procurare a lui un alloggio meno disagiato. Scrive: “Dirai a D. Ghivarello che io non voglio altro che la casa terminata, e che giunto a Torino io voglio che siano assolutamente allontanati i rumori dei muratori. Che ragazzi! Mi promisero tutto finito in pochi giorni, con pochissima spesa, e poi, etc.”. Non manca un pensiero agl'infermi: “Saluta i nostri cari confratelli D. Vespignani e D. Tonelli e di' loro che sono assai contento che stiano meglio e prego Dio che ad ambedue conceda la robustezza di Sansone, atteso il gran bisogno che avvi di lavorare”. Di particolare importanza è il punto quinto: “Per fare le cose con garbo farò e manderò di qui all'Arcivescovo un indirizzo”. Il Capitolo della Cattedrale e il Clero urbano, per una tacita protesta contro le improntitudini giornalistiche, di cui abbiamo parlato sopra, fece pubbliche dimostrazioni di ossequio a monsignor Gastaldi, quando ritornò da Roma. Don Bosco, informatone da Don Rua, volle essere solidale con gli altri, unendo anche la sua voce di plauso; ecco la ragione dell' “indirizzo”, che egli mandò poi non da Sampierdarena, ma da Torino, ed era del tenore seguente.
Giunto testè[64] dalla visita fatta alle case della Liguria apprendo con gran piacere che il Clero Torinese ha esternato alla E. V. sentimenti di ossequio pel fausto suo ritorno da Roma. Di tutto buon grado a nome mio e di tutti i membri della nostra umile Congregazione mi associo ai sentimenti di stima e di venerazione che altri abbia manifestato in quest'occasione. Noi abbiamo pregato quando la E. V. cadde inferma alcuni mesi addietro, ora raddoppiamo le deboli nostre preghiere che si faranno in tutte le nostre case; supplicando [121] la bontà del Signore perchè si degni di conservarla in buona sanità e così possa continuare le sue fatiche pel bene della Chiesa e della nostra Congregazione che rispettosamente Le raccomando.
Voglia gradire questi cordiali pensieri sia per confutate le chiacchiere di alcuni giornali, che supposero cose prive di ogni fondamento, e per assicurarla che in tutto quello che potranno servirla i Salesiani saranno sempre quale a nome dì tutti ho l'alto onore di professarmi
Un biglietto di Monsignore “ringraziava vivamente il rev. D. Bosco della sua lettera delli 28 corrente marzo”. Non molto dopo il Beato si meritò i ringraziamenti dell'Arcivescovo per cosa assai più rilevante che non fosse un semplice atto di convenienza. A Bertulla, piccola frazione alle porte di Torino, i popolani erano in fermento contro il parroco della Badia, chiesa matrice. Questi, vacando la rettoria di Bertulla, accampava sulla chiesa rettorale certi diritti, che quella gente non voleva riconoscere; così avrebbe voluto che si andasse alla Badia per battesimi, per matrimoni, per la Messa. Monsignor Gastaldi prese a sostenere il parroco; onde la popolazione irritata trattava di chiamare un pastore valdese per farsi protestante. Don Bosco, saputo questo, s'informò della questione e badando più al bene delle anime che ai dissensi dell'Arcivescovo, si presentò a lui e gli mostrò come in forza dì antichi diritti la ragione stesse dalla parte dei Bertullesi. Monsignor Gastaldi convinto abbandonò la causa del parroco, rimettendo le cose come dovevano essere. Il popolo contento depose l'idea dì abbandonare la Chiesa cattolica e ricevette il nuovo rettore con grandi feste. Ancora nel 1902, quando il rettore di Bertulla narrava il fatto a Don Francesia, quella buona gente diceva: - Se noi siamo ancora cattolici, lo dobbiamo a Don Bosco.
Il 28 Don Bosco, trovata fra la corrispondenza una domanda dì ammissione alla Congregazione, rispose con tutta sollecitudine: [122]
Giungo in questo momento a casa dopo un lungo giro a visitare le case di riviera. Risponderò tosto alla cara sua lettera. Non posso desiderare offerta più preziosa di quella di venire a rinforzare le file Salesiane cui oggi più che mai si presenta copiosa la messe. Venga pure Lei col Sacerdote suo amico. Ci parleremo con parole ed affetto paterno, e credo che andremo intesi in ogni cosa. In questi giorni o meglio in questa settimana non m'allontano da casa. A rivederci. Dio ci benedica tutti e preghi per questo poveretto che le è di cuore in G. C.
Da Torino il Beato scrisse nuovamente a Don Ronchail una lettera in cui le persone e le cose di Nizza tornano a sfilarci dinanzi circonfuse da quell'aura di carità operativa che il Servo di Dio metteva in tutti i suoi rapporti domestici e sociali.
1° Ti mando l'Exposé de quo. Sono stato occupatissimo, ritardai il mio ritorno a Torino; fui alquanto incomodato: ecco la ragione per cui non sono stato diligente. Adesso cerca o meglio prega l'avv. Michel ed il B. Héraud che ne procurino la traduzione con tutte le note necessarie.
Per la stampa si dica se dobbiamo stamparlo qui o a Nizza. Non occorre che sia rinviato il quaderno, giacché ne abbiamo copia.
2° Dolorosissima la morte inaspettata del benemerito Sig. Avv. Ferrant, Si aggiunga quanto sarà del caso nella nota dell'esposizione[65]; preghiamo che Dio susciti altri campioni ad emulare la stessa gloria.
3° Avendone occasione fa' i miei ossequi alla Contessa Celebrini, e dam. Dolores, assicurandole che il 23 di questo aprile cominciamo il mese di Maria e che ho disposto che si facciano mattina e sera speciali preci per loro.
4° Riceverai la lettera per la C.ss del Michel che saluterai da parte mia.
5° L'Ab. Isnard prevenga D. Lanza che faccia comprovare la sua buona condotta ed io scriverò al Vescovo. [123]
6° Pel circolo degli operai e per quelli che lo promuovono tu puoi sempre dire che noi lasciamo a parte ogni idea di partito tenendoci fermi a quanto disse G. C.: Date quae sunt Caesaris Caesari, quae sunt Dei Deo. Ma che niuno ha niente a temere da noi nè in parole, nè in fatti.
7° È già il terzo prete che si stava preparando alla partenza per Nizza e l'un dopo l'altro vennero ammalati. Tuttavia in qualche modo si provvederà e presto.
8° Dammi notizie della Lotteria e se hai ancora molti biglietti mandamene un certo numero e mi adoprerò affinché si cangi, se non in marenghini, almeno in carta moneta.
9° Attendo qualche bella e lunga lettera dal Sig. Audoli, cui raccomanderai allegria, pazienza e venuta per la festa di Maria A.
10° Se ne hai, dammi notizie del T. Giovan e del Direttore dei Fratelli.
11° Hai potuto parlare con D. Tiban pel terreno della Chiesa?
12° In settimana, credo, avrete un Capo legatore che comincierà a fare qualche cosa.
Saluta caramente nel Signore i preti, i chierici, e tutti i nostri giovani. Dio li benedica tutti e tu prega per me che ti sarò sempre in G. C.
Nel numero sei si allude a un circolo cattolico di operai fondato da persone caritatevoli in Nizza per impulso d'un bravo ufficiale di marina. Don Bosco aveva da poco tempo comperato la villa Gautier, quando venne a sapere che il comitato del circolo andava in cerca di un locale per quella opera. - Se non trovate di meglio, disse, allora Don Bosco a quei signori, venite a vedere la mia casa e cercate ivi il posto che più vi conviene per dar principio alla vostra impresa. Trovarono che un ambiente accanto all'argine del fiume e il giardinetto attiguo per il momento potevano andare, e lo pregarono che fissasse la pigione. - Non si tratta di appigionare, rispose il Beato; fate del bene e a me basta, non occorre altro. - Così il 19 marzo, festa di San Giuseppe, monsignor Sola inaugurò nel locale imprestato da Don Bosco il circolo cattolico operaio con la celebrazione della messa e con un pranzo ai primi soci. Era naturale però che le due opere [124] differenti non potessero svilupparsi insieme; onde sei mesi dopo, il comitato del circolo ne trasportò la sede alla villa Pauliani. Le persone che ebbero parte nella faccenda, gli professarono sempre molta gratitudine per la generosità con cui ne aveva favorito gl'inizi dell'opera.
Quando ritornò all'Oratorio, aveva la voce un po' affiochita e stentava alquanto a tenere la conversazione, effetto dei disturbi bronchiali patiti. A tutta la comunità poté rivolgere la parola solamente la sera del 10 aprile dopo le orazioni.
È da molto tempo che non ci siam più veduti: ma, come dice il proverbio, là è il cuore dove è il suo tesoro; così mentre io era a Nizza e a Marsiglia pensava sempre ai miei cari giovani dell'Oratorio. E’ vero che anche là vi sono molti dei nostri giovani, ma nell'intrattenermi con loro andava illudendomi. Io, guardando uno di quelli, mi sognava che fosse il tale che si trova qui nell'Oratorio; osservando il tale altro, mi sembrava che fosse quello che avea lasciato qui: ma poi, parlando loro, rispondevano tutti in francese oui, oui, oui, ed allora io mi accorgeva che non era all'Oratorio.
Quanto alla stima che colà tutti hanno di voi, non si può dire di più. Se uno dei nostri artigiani, fosse anche principiante nel mestiere, andasse là, gli offrirebbero un generoso stipendio. E tanto è grande questa stima, che qualcheduno mi propose di mandargli a Nizza alcuni studenti dell'Oratorio, proferendosi di pagare ogni spesa di viaggio, disposto a far loro percorrere gratuitamente la carriera degli studi, solo perché andassero, come essi dicono, a santificare quei luoghi, rendendo santi anche quelli del Patronato di Nizza e di altre città. Essi credono che siate tanti S. Luigi; ma se venissero qui eh! che la vostra santità potrebbe andarsene in fumo! E mi chiedevano: - Sono poi tutti simili a S. Luigi? - Ed io rispondeva: - Certamente che ve ne sono degli uni e degli altri, ma proprio dei cattivi non ve ne sono. - Essi instavano sulla loro domanda, ma io che avevo paura, che voi me ne faceste poi qualcuna, ho salvato la capra e i cavoli. Dissi loro che amo tanto di tenervi tutti uniti insieme, affinchè gli uni servano di edificazione agli altri; che io ed i giovani dell'Oratorio ci volevamo tanto bene, e che non ci potevamo distaccare gli uni dagli altri, se non costretti da qualche necessità, o finiti gli studi di quinta ginnasiale: e che anche allora ciò non potevamo fare se non con grandissima pena. E così essi rimasero nella loro santa opinione e ammirarono l'affezione reciproca di Don Bosco e dei suoi giovani.
Ora passando dalla facezia a qualche cosa di più sodo, vi dirò che là a Nizza vi è un entusiasmo grande per la nostra Congregazione e [125] nella sola Marsiglia ci offrono nove case; trenta in tutta la Francia; senza contare le molte e molte altre che ci offrono in gran numero di città nella varie parti del mondo. Vogliono case come quella dell'Oratorio: si credono che basti per i giovani il venire nelle nostre case per diventar subito tanti S. Luigi. Per ora ci è impossibile attendere a tutto questo, ma coll'aiuto del Signore qualche cosa faremo.
Io pertanto a fine di provvedere a tanta urgenza di dimande, avrei bisogno che tutti voi altri quanti siete qui, foste altrettanti preti, e preti Salesiani, e che sapeste tutti il francese come tanti Biellesi[66], e poi mandarvi là ad impiantar delle case. Ma questo tutto in una volta non si può fare, e col divino aiuto speriamo nell'avvenire. Voi da parte vostra fate anche quello che potete per diventare col tempo tanti buoni preti che si possano mandare in un posto od in un altro a pascolare le anime, dico dei nostri giovani, che la Provvidenza ci affiderà.
O almeno, se non tutti vi farete preti Salesiani, che tutti vi facciate preti, per diventar poi santi parroci, perchè così potrete preparare, scegliere, educare dei buoni giovani, da mandarsi nei nostri collegi, e che formati da voi possano poi lavorare alla salute delle anime.
A questo proposito vi dirò come nella settimana prossima, ci saranno gli esercizi spirituali e se ne farà l'apertura domenica a sera. Quindi in questi giorni che li precedono preparatevi tutti: pensate a quello che allora dovrete stabilire, pel vostro bene spirituale ed eterno. Ciascuno potrà pensare seriamente allo stato da scegliere. Alcuni avranno lasciato passare la festa d'Ognissanti, quella dell'Immacolata, quella di Natale, la quaresima, la Pasqua, e non hanno aggiustata qualche cosa della loro coscienza. Ora avranno occasione di aggiustar tutto. Ciascuno pensi seriamente a sè, faccia il suo esame e dica: Sono del tutto tranquillo nella mia coscienza? . Se può rispondere che sarebbe tranquillo trovandosi in punto di morte, nello stato nel quale ora si trova, vada avanti con coraggio. Ma se alcuno riflettendo dicesse: - Io ho questa cosa nel mio cuore, che in fin di vita m'inquieterebbe! - ahi, meglio è che tu l'aggiusti adesso per essere poi tranquillo allora!
Io poi desidero parlarvi in particolare a tutti, tanto prima come durante e dopo gli esercizi e quello che potrò fare in vostro vantaggio, lo farò.
Io mi trattengo volentieri con voi, e voi anche con me, io vi parlo volentieri, specialmente di ciò che riguarda la salute dell'anima. Procuriamo di tenerci tutti così uniti nel Signore. Egli ci aiuterà, e facendo anche noi la parte nostra potranno essere soddisfatti i nostri desideri [126] Spero che tutti faremo bene i santi esercizi, e le grazie del Signore pioveranno copiose sopra di noi, e noi tutti andremo avanti nella via della santità. Buona notte.
Tre giorni dopo questa parlata il Servo di Dio scrisse ancora a Don Ronchail una letterina, in cui parlava di giovani raccomandati all'avvocato Michel e da accogliere nell'ospizio di Nizza. Essi erano cinque ragazzi di Damasco, che si chiamavano Kabil, Nais, Loftì, Homsi, Naggiar e Klat, e vi furono accettati.
I giovinetti di cui è scritto all'Avv. Michel credo bene siano accolti in Nizza. Procura che se ne dia pubblicità a suo tempo, e il Sig. Avvocato faccia una bella corrispondenza per L'Unità Cattolica e credo tale cosa ci sarà di vantaggio.
Avrai quanto prima, il prete e l'assistente.
Porta questa immagine alla Marchesa Celebrini e dille che in maggio e giugno credo poter essere in Torino.
Dio vi benedica tutti e credimi sempre in G. C.
Non mancò a più riprese chi fece carico a Don Bosco, perchè ricorresse alla pubblicità o per mezzo dei giornali o con opuscoli di occasione. Noi vorremmo dire piuttosto che spiccò anche in questo la sua virtù. Infatti il Beato non ignorava gli umori di certuni e le critiche di certi altri, nè poteva sfuggirgli come per tal modo egli scapitasse nella stima di qualche personaggio altolocato; talora la disapprovazione gli veniva espressa in faccia. Del suo operare egli dava la ragione così: - Siamo in tempi, in cui bisogna operare. Il mondo è divenuto materiale, perciò bisogna lavorare e far conoscere il bene che si fa. Se uno fa anche miracoli pregando giorno e notte e stando nella sua cella, il mondo non ci bada e non ci crede più. Il mondo ha bisogno di vedere e toccare. Parlando poi della convenienza dì dare alle opere buone la massima pubblicità, diceva:. - Questo è l'unico mezzo per [127] farle conoscere e sostenerle. Il mondo attuale vuole vedere le opere, vuole vedere il clero lavorare a istruire e a educare la gioventù povera e abbandonata, con opere caritatevoli, con ospizi, scuole, arti, mestieri... E questo è l'unico mezzo per salvare, la povera gioventù istruendola nella religione e quindi di cristianizzare la società[67].
Appartiene al tempo di questo viaggio in Francia un fatto straordinario di penetrazione del pensiero. Fu raccontato pubblicamente a Nizza nel 1908, festeggiandosi ivi il decreto della Venerabilità di Don Bosco[68]. L'aveva narrato a Don Albera in presenza di molte persone colei stessa, alla quale il caso era occorso. La signora Beaulieu, che aveva conosciuto il santo curato d'Ars, si credeva di essersi fatta alla vista di lui un'idea esatta di quello che fosse un santo. Giunto Don Bosco a Nizza, la signora, avendo inteso dire che era arrivato un santo, il cui nome essa conosceva per fama, desiderò farne la conoscenza personale. Saputo questo desiderio, una sua amica la condusse in una casa di conoscenti durante l'ora del pranzo. Don Bosco sedeva in capo alla tavola e la signora si accomodò in fondo con l'amica. Il Servo di Dio sempre sereno teneva in quel momento alzato il bicchiere e brindava all'anfitrione. La nuova venuta rimase quasi scandalizzata. - E questo è un santo? - pensò fra sè e sè, delusa nella sua aspettazione. Levate le mense, ella si presentò a Don Bosco, profondendosi in complimenti; ma Don Bosco sorridendo le disse: - Sia che mangiate sia che beviate, ogni cosa fate nel nome del Signore. - La buona donna capì, nè altro ci volle perchè si ricredesse. Si fece tosto cooperatrice salesiana e tale era da tre anni, quando narrò a Don Albera la cosa, già da lei ripetuta a molti altri.
QUANTO più il vivere mortale di Pio IX si appressava al termine, tanto più cresceva verso la sua augusta persona l'amore dei fedeli. Se n'ebbero prove solenni nel 1877 per il suo giubileo episcopale: si può dire che tutto il mondo cattolico per mezzo di rappresentanti pellegrinò in quell'anno al Vaticano, sfidando le ire dei settari cosmopoliti e dei politici. Specialmente nel mese di giugno vere legioni di credenti andarono a prostrarsi ai piedi del venerando Vegliardo. I doni inviati al Papa da ogni angolo della terra formarono una grandiosa esposizione, il cui valore fu f atto ascendere a dieci milioni; l'obolo di San Pietro raccolto per la circostanza toccò i sedici milioni e mezzo. Fino allora nessun Papa aveva mai avuto tante dimostrazioni d'affetto.
Questo plebiscito mondiale di devozione al Vicario di Gesù Cristo colmava di esultanza il cuore di Don Bosco, così pieno di venerazione per il Sommo Pontefice e così vibrante di riconoscenza verso la persona di Pio IX. Stabilì pertanto d'inviare a Roma, rappresentanti della Congregazione e latori di un Album, il Direttore dell'Oratorio e il Maestro dei novizi. - Che ne dici tu, chiese egli bonariamente un giorno a Don Rua in presenza di parecchi altri sacerdoti e accennando [129] con la mano a Don Lazzero e a Don Barberis, se mandassi questi due ratatùi?[69]. - Don Rua assentì e gli astanti applaudirono.
Si mise subito mano alla preparazione dell'Album, che riuscì cosa fatta per benino. Chiuso in elegante legatura, recava sul frontispizio questa iscrizione a placca d'oro:
DEI SALESIANI E DEI LORO ALLIEVI
DEL SUO PONTIFICATO L'ANNO XXXII
Internamente, su bei fogli protocolli di carta spessa, compariva in primo luogo una statistica sommaria della Congregazione Salesiana; poi sfilavano le varie case. Anzitutto la casa madre con questa intestazione: “La casa madre è in Torino sotto il nome di Oratorio di S. Francesco di Sales, dove abitano i Salesiani come segue”. E seguiva il quadro del Capitolo Superiore e l'elenco dei Soci residenti nell'oratorio. Tutta la parte grafica era lavoro dì mano esperta. La singolarità del contenuto stava in questo, che di ogni casa erano distinte tutte le sezioni o ramificazioni, che si potevano considerare separatamente, col nome dei Soci addetti a ciascuna e col numero dei giovani o delle persone o dei fedeli, di cui quelli si occupavano.
- Questa cosa, disse Don Bosco, l'ho imparata a Roma nelle sacre Congregazioni; poichè, nel parlare di Torino, accennando io a novizi, artigiani, studenti, [130] oratorio festivo e poi facendone relazione come di una casa sola, mi si disse che era meglio presentare tutte le parti distintamente. - Così la ripartizione dell'Oratorio era fatta in questo modo
1° Casa di studenti. Capitolo e numero degli alunni.
2° Casa di artigiani. Come sopra.
3° Noviziato. Personale e numero dei novizi.
4° Casa di studenti adulti, ecc.
5° Chiesa di Maria Ausiliatrice.
6° Oratorio festivo di S. Francesco di Sales e scuole annesse.
7° Oratorio festivo di S. Luigi e scuole annesse.
8° Oratorio festivo di S. Giuseppe.
9° Laboratorio di S. Giuseppe, dove radunasi un centinaio di ragazze per imparare un mestiere, assistite dalle Suore di S. Giuseppe. Cappellano, Sac. Sala Antonio.
10° Istituto di S. Pietro, ove sono ricoverate circa cento giovani uscite dalle carceri. Cappellano, Sac. Teol. Bertello Giuseppe.
11° Istituto del Buon Pastore, ove sono raccolte circa 500 giovanette di condizioni diverse. Cappellano Sac. Bologna Giuseppe.
12° Istituto di S. Carlo e scuole annesse per le ragazze. Direttore spirituale, Sac. Paglia Francesco. Cappellano Sac. Cipriano Carlo.
13° Oratorio festivo in Chieri per ragazze assistite da alcune Cooperatrici Salesiane. Direttore Sac. Rua Michele.
Dopo Valsalice e Lanzo, si procedeva per diocesi, sempre tenendo lo stesso metodo. In fine, dopo le “Case d'America” compariva l’ “Istituto di Maria Ausiliatrice” con questa dicitura: “Come appendice della Congregazione Salesiana è l'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, che da quella è dipendente. Il loro scopo è di fare per le povere fanciulle quanto i Salesiani fanno pei ragazzi. La casa madre è a Mornese, diocesi di Acqui. Il Capitolo Superiore è composto come [131] segue... ”. Dopo Mornese, si faceva l'elenco delle case: Borgo S. Martino, Lu, Alassio, Torino, Bordighera, Biella, Lanzo, secondo l'ordine cronologico della fondazione. Per ogni casa, nome della direttrice, numero delle suore, rami d'attività, qualità e quantità delle ragazze. Per esempio, della casa di S. Angela Merici in Torino: “Direttrice, Suor Elisa Roncallo con 20 suore. Alcune fanno scuola alle povere ragazze; altre sono occupate nella lingeria dei poveri giovani dell'Oratorio; alcune sono applicate allo studio per abilitarsi all'esame di maestre. Hanno l'Oratorio festivo, le ragazze che intervengono, sono in gran numero”. Notevole la rubrica per la casa di Bordighera: “Direttrice, Suor Pestarino Rosalia con tre altre suore. Tengono congregazione festiva; lungo la settimana fanno scuola alle più pericolanti tre volte al giorno. È da notarsi che questa casa trovasi circondata da protestanti; le suore oltre alla scuola regolare fanno ripetizioni a non poche fanciulle adulte per allontanarle dal pericolo di cadere nelle mani di maestre eterodosse”.
Lo stato della Congregazione in America fu compilato da Don Cagliero, al quale Don Bosco ne aveva fatto tempestivamente richiesta, scrivendogli: “se puoi mandare lo stato della nostra Congregazione nell'America del Sud, io lo farò portare al S. Padre pel suo Giubileo Episcopale, per cui tutta Europa ed anche l'America sono in movimento”[70]. Don Cagliero vi unì la minuta di un indirizzo speciale al Papa in nome di quei Soci.
Don Bosco riteneva che un Album compilato in tal maniera non sarebbe andato perduto nè gettato là in un canto, ma sarebbesi conservato e consultato quale documento per conoscere lo stato della Congregazione nel 1877. I due inviati che lo dovevano portare a Roma partirono da Torino il 28 maggio.
I ricevimenti dei pellegrinaggi erano cominciati in Vaticano [132] il 30 aprile. Due furono i festeggiamenti religiosi Urbis et Orbis: uno ai 21 di maggio nella basilica di S. Pietro per la data cinquantenaria della nomina di monsignor Mastai ad Arcivescovo di Spoleto, e l'altro ai 3 di giugno a S. Pietro in Vincoli, dove cinquant'anni prima egli aveva ricevuto la consacrazione episcopale. Per entrambe le ricorrenze i giovani interni dell'Oratorio fecero comunioni generali e assistettero a solenni funzioni. Nel 21 maggio i ragazzi dell'Oratorio festivo misero insieme la somma di lire 70, 35 per l'obolo di S. Pietro[71]. Nella chiesa di Maria Ausiliatrice i fedeli furono invitati per il giorno susseguente alla festa titolare con questo avviso: “Preghiamo pel Sommo Pontefice Pio IX. Il 25 del corrente maggio nella chiesa di Maria Ausiliatrice alle ore 7 sarà celebrata una Messa con preghiere e comunioni. La S. V. è pregata ad intervenire con altre pie persone e di offrire ogni cosa per ottenere da Dio sanità stabile al Santo Padre”. La prudenza consigliò questa forma d'invito personale con l'indicazione anche dello scopo che si aveva con tale cerimonia, perchè purtroppo anche a Torino i settari disturbavano clamorosamente le pubbliche manifestazioni in onore di Pio IX.
Alla festa romana del 21 maggio parteciparono anche numerosi pellegrini francesi, trecento dei quali alla vigilia della solennità di Maria Ausiliatrice, essendo di ritorno, visitarono l'Oratorio. Vi entrarono verso le otto e mezzo pomeridiane, ricevuti al suono della banda e al canto dell'inno A Roma, fedeli, composto in occasione del Concilio Vaticano e musicato da Don Cagliero. Lo cantarono in coro poderoso tutti gli alunni, accompagnati dalla banda. Il Beato Don Bosco rivolse ai pellegrini alcune parole di saluto in francese. Quelle parole, precedentemente stampate in bei caratteri e su bella carta, furono distribuite loro per ricordo della gradita visita[72]. Parlarono anch'essi; eloquente fu sopra tutti l'abate [133] Piccard, direttore del pellegrinaggio. Dopo nei locali stessi dell'Oratorio e per cura della Gioventù Cattolica venne servito ai pellegrini un rinfresco; quindi si avviarono alla stazione per la partenza. Ai giovani era stato insegnato il grido Vive les pèlerins français, acclamazione che risonò più e più volte con effetto molto simpatico.
L'ultimo giorno di maggio un telegramma da Gibilterra annunziava a Don Bosco che l'Arcivescovo di Buenos Aires sarebbe sbarcato a Genova il 1° giugno[73]. Monsignor Leone Federico Aneyros veniva a capo della delegazione argentina per umiliare al Santo Padre gli omaggi dei cattolici di quella fiorente repubblica. Il Beato, che già sapeva del suo viaggio, si era dato premura di procurargli a Roma un alloggio conveniente; ora poi la notizia del suo prossimo arrivo lo rallegrò moltissimo. Ne parlava con tutti e con espressioni di vivo contento. Il 1° giugno partì alla volta di Sampierdarena. Ignoriamo i particolari dello sbarco; due cose sole ci son note: che Sua Eccellenza fu ospite dell'Arcivescovo di Genova e che vide Don Bosco la mattina del 3[74]. L’incontro avvenne nella chiesa pubblica di S. Gaetano. L'arcivescovo era giunto, mentre Don Bosco terminava di celebrare. Il direttore Don Albera si moveva per andarlo ad avvisare in sacrestia, ma monsignor Aneyros lo fermò, dicendogli: - Non si disturbi un santo, mentre sta con Dio dopo la santa Messa. - Così aspettò che egli dalla sacrestia passasse in chiesa. Allora che scena commovente! La stima che l'insigne Prelato nutriva per il Servo di Dio e la riconoscenza del Servo di Dio per lui si espressero in un cordialissimo abbraccio; poi si guardarono muti e lagrimosi alcuni istanti, e si gettarono quindi nuovamente uno nelle braccia dell'altro. I testimoni del fatto dissero e ridissero in seguito che Don Bosco non era apparso mai così espansivo, solito com'era a dominare continuamente se stesso. [134] Quasi sulle mosse per partire, il Beato ebbe un pensiero per il conte Cays, entrato da pochi giorni nell'Oratorio per darvi principio al suo noviziato.
Devo partire oggi alle 12 ½ pomeridiane per Roma. Rossi le darà notizie dei pellegrini Argentini. È un vero spettacolo. M raccomando che parli con Barale per ciò che è da fare per le Letture Cattoliche. Credo bene che si faccia prendere la misura della sua talare, e così al mio arrivo possiamo fare una funzione con cui Ella diventi totalmente eredità del Signore.
Al caro avv. Fortis[75] dica che stia fortis in bello e che ai grandi sacrifizi è riservato un gran premio.
Dio ci benedica tutti e preghi per me che le sono in G. C.
Il Beato partì per Roma poco dopo il mezzogiorno. Monsignor Aneyros, a quanto sembra, non andò con lui, ma si accompagnò più tardi con l'Arcivescovo Magnasco; sembra invece che con Don Bosco partissero gli Argentini alloggiati nell'ospizio di Sampierdarena, fra i quali monsignor Ceccarelli[76].
Don Bosco aveva molte cose da trattare a Roma: la più grossa di tutte era quella dei Concettini. Prese stanza al solito in casa del signor Sigismondi. Faceva un caldo da soffocare, e la sua cameretta, situata proprio sotto le tegole, era un forno; il che lo costringeva a tenere uscio e finestra aperti. Sudato com'era (portava anche la veste d'inverno), quelle correnti d'aria potevano essergli micidiali: gli causarono solo febbre con eruzione miliarica. “Queste cose non sono mai quelle che abbattono Don Bosco”, scrisse Don Barberis, testimonio oculare[77]. Infatti egli continuava i suoi lavori, [135] come se nulla fosse. Utili informazioni possiamo attingere dalla sua corrispondenza con Don Rua. Ecco una prima lettera:
1) Compi pure la pratica pel cherico Ricci, ma partito che sia danne tosto cenno al suo Vescovo.
2) In quanto a Bodratto preghiamo; parlagli, salutalo da parte mia, digli che mi scriva una lunga lettera, e intanto se continua provvederemo. Se però vi è qualche pericolo per lui o per altri facciamo al più presto quanto è da farsi[78].
3) Roma è capitale del mondo in senso letterale. Pio IX è la 1a meraviglia di questo secolo, l'esposizione pel suo giubileo è la 2a; ma l'una e l'altra senza esempio nella storia del passato e credo anche in quella dell'avvenire.
4) Era lì per iscrivere al Sig. Conte Cays ed al Sig. Avv. Fortis perchè venissero a fare una volata anche solo per vedere un momento lo spettacolo della pubblica esposiz.; ma attesa la folla immensa ed anche l'indiscrezione di alcuni, dimani si sospenderà, e vedrò se si riaprirà.
5) Finora non si potè ancora avere udienza dal S. Padre, nè pubblica nè privata. Spero l'avremo nei primi giorni della p. settimana. Il S. Padre si lagnò più volte che D. Bosco noti gli va a parlare dei Concettini, ma come avvicinarlo?
6) Mons. Ceccarelli è una copia di D. Cagliero, verrà col suo Arcivescovo (copia di Mons. Galletti) a passare qualche giorno cm noi a Torino. Ciò che raccontano dei Salesiani è di gran lunga superiore a quanto ci fu scritto nelle loro lettere.
7) La parrocchia detta la Bocca, che è ancora parrocchia Urbicaria è definitivamente data ai Salesiani. È la prima parrocchia della Repubblica Argen. affidata a Cong. ecclesiastiche, ed è una delle più difficili, ma delle più importanti della città. L'arcivescovo la sera precedente la partenza volle firmare il Decreto e racconta ciò con grande compiacenza.
8) D. Lazzero e D. Barberis fanno e fanno fare gli esercizi Sp. ai Concettini. Vedremo.
9) Dopo l'udienza conto di partire per Sampierdarena, dove giungerò mezzo cotto per andarmi a far cuocere tutto a Torino, se ciò non succede prima che io parta da Roma.
10) Fa' un cordialissimo saluto ai nostri cari giovani, chierici, preti, studenti e artigiani e di' loro che mi raccomando di tutto cuore [136] di fare una santa comunione secondo la mia intenzione. Al mio ritorno ne dirò il motivo.
11) Saluta D. Vespignani da parte mia e digli che andando dal S. Padre spero di chiedergli una speciale benedizione per lui
Dio ci benedica tutti e credimi sempre in G. C.
PS. - Dirai a D. Berto che finora non ho ricevuto niente di quanto gli aveva richiesto. Forse non gli sarà pervenuta una mia lettera.
Ritieni che in questo anno sarà il Sig. Casalegno Gius. padre di Casalegno priore della festa di S. Luigi.
Le altre volte che era andato a Roma, il Beato aveva sempre avuto libero accesso al Papa; allora Pio IX e per l'età e per le indisposizioni non dava udienze private neppure ai Vescovi, accorsi numerosi per il giubileo, ma li faceva venire a sè per gruppi di nazioni. Per Don Bosco a contendergli il passo c'erano anche le altre cause accennate nella storia dei Concettini. Don Barberis nella sua cronaca scrive senz'ombra di dubbio che egli ebbe udienza privata “circa due giorni prima di partire” da Roma; Don Bosco al contrario nella lettera del 29 novembre al cardinal Bilio, riassumendo la storia dell'affare dei Concettini, dirà a questo proposito: “Quando venni a Roma pel Giubileo del Santo Padre, ho fatto ogni sforzo per avere anche un solo momento di udienza da Stia Santità. Ho fatto la dimanda per iscritto: il Santo Padre in udienza pubblica palesò il desiderio di udirmi; ma non mi fu possibile”. Nella lettera del 13 giugno all'abate Guiol il Servo di Dio dice bensì che il Santo Padre ha parlato dell'opera di Marsiglia e lodato quel Vescovo, cose che farebbero supporre un colloquio privato; ma questo potè essere stato detto o nell'udienza pubblica, avendo forse allora Don Bosco chiesto una benedizione speciale per la buona riuscita di quella nuova impresa o in udienza privata all'Arcivescovo di Buenos Aires, per mezzo del quale Don Bosco avesse domandato quella benedizione. Il certo si è in ogni modo che egli nel [137] non breve tratto della lettera, nel quale riferisce i sentimenti del Papa, non ha neppur una parola da cui si possa arguire che il Papa abbia così parlato a lui personalmente; ond'è che nella mentovata pubblica udienza il Servo di Dio vide per l'ultima volta Pio IX vivo.
Tale udienza fu accordata il 10 giugno ai giornalisti cattolici e ai loro rappresentanti. Don Bosco vi partecipò come editore delle Letture Cattoliche. L'amabilità del Pontefice verso di lui non poteva essere maggiore. Passandogli davanti, si fermò, lo ascoltò ed ebbe la bontà di ricordare una sua supplica, di cui aveva avuto notizia dal Cardinal Oreglia[79]. - E avete anche bisogno, gli disse, di arredi sacri per la vostre chiese e per le missioni, non è vero?
- Santità, rispose Don Bosco, ne abbisognerei veramente, perchè molte delle nostre chiese sono affatto sprovviste.
- Bene; intendetevela qui col Cardinal Oreglia. Io incarico lui, che vi faccia somministrare l'occorrente, scelto fra gli oggetti dell'esposizione.
Don Bosco s'intese col Cardinale, a cui presentò la lista di quanto gli bisognava per le singole sue chiese, cappelle, oratori, altari. La compilazione gli rubò molto tempo.
Per due altre cose. Don Bosco si adoperava in Roma: per avere quivi un'abitazione propria e per poter aprire un ospizio a pro dei giovanetti. Presso il signor Sigismondi egli si trovava sempre un po' impacciato, non essendovi per lui se non una camera e un letto, mentre gli bisognava un segretario che gli stesse vicino e lo provvedesse dell'occorrente e anche di pennini, carta, buste, inchiostro e simili. Ed in questo fu ben fortunato. Le nobili Oblate di Tor de' Specchi avevano [138] con l'Oratorio da lungo tempo una specie di debito, che desideravano saldare, ammobigliando cinque camere di loro proprietà, situate in una casa di fronte alla loro, e mettendole a disposizione dei Salesiani, ogni qualvolta alcuno di essi andasse a Roma. Don Bosco, visitate quelle camere, accettò molto volentieri il partito, anche per isventare una strana voce già corsa, che la casa dei Concettini fosse per divenire la locanda dei Salesiani di passaggio per Roma.
Affare più serio fu la ricerca di un luogo, dove aprire un ospizio. Visitate parecchie case, entrò in trattative per l'acquisto di una che sorgeva nei quartieri di Roma nuova. Fattane parola col Cardinale Segretario di Stato, ne ebbe non solo incoraggiamento, ma anche promessa quasi formale che il Santo Padre l'avrebbe soccorso pecuniariamente con molta larghezza. Poco dopo il Cardinal Vicario gli significò il bisogno che vi era di una chiesa nella parte nuova di Roma, non trovandosi in quel quartiere già così abitato neppure una cappella cattolica, mentre vi avevano eretto nel bel mezzo un tempio i protestanti; egli quindi pregava Don Bosco di costrurre colà una chiesa. Da ormai tre anni il suo predecessore aveva affidato ad altri l'incarico di fare gli studi relativi, ma non se n'era trovata l'area e tanto meno i mezzi. Don Bosco, udito questo, non frappone indugi: esce dal Cardinale, va subito dal conte Berardi e gli domanda se ha tuttora in vendita un certo terreno, di cui si era altre volte discorso. Ne riceve risposta affermativa; ma in quell'affare è interessata una terza persona. Don Bosco si porta issofatto da questa persona, si accorda con essa per la cessione dell'area e chiede che se ne fissi il prezzo in base al reddito. I proprietari cedono e si conclude per la somma di dugentomila lire. Così le trattative furono cominciate, condotte e finite in un giorno solo. Restavano le formalità legali, che richiedono sempre un po' di tempo; ma egli dovette lasciare Roma e là ricominciarono le lungaggini, sicchè le fila di nuovo s'imbrogliarono e non se ne fece nulla. [139] Ora è bello vedere come in tanto affaccendarsi il Servo di Dio scrivesse a Don Rua.
1) La pratica pel Seminario di Magliano è terminata nel senso da noi inteso. Sarà questo il primo esempio di Seminario amministrato in questo modo. Ti manderò copia del capitolato, appena Don Berto l'avrà ridotta in bella copia.
2) Se le ciliegie non sono molto care, credo convengano per far del vino. Si osservi che più sono mature, più sono opportune per farne. Affinchè si depurino ci vuole notabile quantità di acqua.
3) Di' a D. Berto che ho ricevuto le carte e le lettere inviate e che va tutto bene; la Sig. Matilde dimanda spesso di lui e gli ritorna i saluti.
4) Coltiva la pratica di D. Dàllera; io spero anche di prepararne qualcuno.
5) Va bene il contratto della palazzina di Cambiano. Se non sai dove mettere il danaro che [ricaverai dalla vendita] Rossi e D. Albera ti aiuteranno a recapitarlo.
6) Sarebbe cosa stupenda se al passare gli Argentini a Torino si potesse dare il dramma sulla Patagonia.
7) La stampa degli schemi pel capitolo va avanti?
8) Dirai a D. Ortelli che mi fa molto piacere se si ferma tra noi sino al mio ritorno.
9) Mons. Lacerda Vescovo di Rio Janeyro è qui in Roma; gli ho parlato, vuole venire a Torino e non partirà più dall'Oratorio, se non quando avrà con sè almeno cinque salesiani, di cui ha preparato i passaggi. Vedrai che cara persona.
10) È stabilito che D. Cagliero va a fare una perlustrazione agli ultimi confini della Patagonia a Sancta Crux. Quindi resta di alcuni mesi differito il suo ritorno in Europa.
11) Oggi è il Card. Arcivescovo di Malines, che a nome del Santo Padre chiede che si vada ad aprire una casa nostra in sua diocesi. Idem il Card. Simeoni per Palestrina; idem pel Canadá etc. Dunque di' ai novizi che mi raccomando per carità che facciano presto; perchè ogni giorno si moltiplicano i bisogni. Non so come ce la caveremo.
Fa' coraggio e saluta D. Vespignani. Dì al Conte Cays e all'Avv. Fortis che la messe è molta e senza limiti; perciò, etc. D. Cappelletti co' suoi si prepari alla partenza. Saluta Cottini, Pellazza, Barale.
Dio ci benedica tutti e a tutti fa' un saluto in G. C. Amen.
(Finora niuna udienza). [140] Nè diverso è il tenore e il tono di quest'altra lettera indirizzata al direttore del collegio di Varazze il giorno dopo la precedente.
Se la tua lettera fosse stata ostensiva, l'avrei mandata allo stesso arciprete di Noli. Ciò non convenendo, credo meglio che tu scrivagli direttamente e dirgli le voci che corrono, il pensiero contrario del Vescovo, ecc. In questo modo noi possiamo stare al nostro posto.
Ma finito il quinquennio di Varazze dove andremo?
Se hai qualche cosa da mandare pel S. Padre, spediscilo subito a gran velocità a Tor de' Specchi.
L'Arcivescovo di Buenos Aires, Mons. Ceccarelli, il Vescovo Lacerda di Rio Janeiro verranno a Torino e si fermeranno alcuni giorni con noi. Forse passeranno, o meglio passeremo a farti visita. In ogni modo ne sarai avvisato ed invitato a venirci a raccontare la storia di Pipetta a Torino in quella occasione.
Non posso ancor fissare la mia partenza, perchè non fu ancora possibile di avere udienza particolare dal S. Padre.
Saluta Mancini Alessandro, Talice, Cinzano e D. Turchi, il mio antico ortopedista. Dio vi benedica tutti; credimi in G. C.
P. S. Di' ai tuoi di 3ª e 4ª Ginnasiale che siamo chiesti da tutte le parti e che mi raccomando loro affinchè mi preparino dei fervorosi Salesiani.
In queste lettere si contengono alcune cose, di cui si avrà più innanzi la spiegazione, e alcune altre, la cui spiegazione o non è necessaria o non è possibile. Le pubblichiamo per intero, perchè ci paiono preziosi documenti, utili a chi vorrà col tempo studiare la psicologia di Don Bosco. Ed eccone una terza a Don Rua, scritta quattro giorni dopo la seconda.
1) Di' a D. Berto che mi mandi una veste da estate, altrimenti resto cotto in Roma. Per la ferrovia a grande velocità credo non costerà quanto comprarla nuova.
2) Se niente osta da parte della moralità, Peret Cherico si faccia fare la tonsura. [141]
3) Ti mando qui milante cose, tra cui la lettera da inserirsi nel Bollettino Salesiano che devesi sollecitare quoad fieri potest, affinchè possa uscire pel prossimo mese. Mi si manderanno le stampe. Se l'Opera di M. A. è stampata me se ne mandino alcuni esemplari, ma si procuri il visto dell'autorità ecclesiastica di Genova.
4) Non ancora avuto udienza particolare, e il S. Padre non vuole ancora che parta. Spero quanto prima, di poi volerò ad lares.
5) Moltissime cose si presentano da cominciare a fare: ma mi mancano tutti i segretari. Ciò mi fa sospirar D. Berto.
6) Ho poi costì affari che ti communicherò tosto se riescono; ma che hanno bisogno di molte preghiere.
7) Di' al Sig. C.te Cays che il corso di teologia è di sette anni e forse, quanto è necessario, egli lo farà in sette mesi. Al mio arrivo dirò il seguito segreto.
Saluta nominatamente chi di ragione.
Finalmente tornò a scrivergli una quarta ed ultima volta prima di lasciar Roma. Il conte Cays, ripetutamente menzionato, e l'avvocato Fortis erano entrati all'Oratorio per farsi Salesiani.
È deciso che l'Arcivescovo di B. A. passerà a Torino co' suoi pellegrini. In tutti saranno da 6 ad otto. Mons. Ceccarelli ci precederà; io li accompagnerò per via, e scriverò un dispaccio il [giorno] precedente l'arrivo.
1) Quest'anno faremo S. Gio. e S. Federico insieme, e probabilmente sarà pel giorno di S. Pietro. Dunque chi legge qualche composizione abbia di mira Pietro Ceccarelli, Leone Aneyros, che è la vigilia; San Gio. lo invocherà Gastini colla sua parrucca bianca.
2) Si fermerà otto giorni e in tale tempo visiterà Torino, Valsalice, Lanzo dove è bene che preparino qualche cosa in latino, in Italiano, in Francese ed anche in Ispagnuolo.
3) Mons. Ceccarelli predicherà al giorno di S. Pietro e parlerà nella chiesa di M. A.; procureremo che qualche giornale ne parli. Mons. Aneyros pontificherà o assisterà solennemente.
4) La domenica dopo, primo luglio faremo la festa di S. Luigi e probabilmente pontificherà l'Arcivescovo di Rio Janeiro. Avvisa il Sig. Casalegno in questo senso.
5) Passa un momento dall'Arcivescovo nostro, e digli che essi stessi passeranno ad ossequiarlo, e che lo preghiamo a voler dare la facoltà di celebrare ai preti che li accompagnano ed ai Vescovi di [142] fare funzioni se il tempo e la sanità loro il comporta. Ti farò poi Sapere dove potrai farmi la risposta.
6) In quanto al vitto sono tutti di facile contentatura, purchè sia roba buona; cioè non danno soggezione di sorta. Sarà probabile che si faccia una gita a Superga, ma di questo preverremo l'abate Stellardi.
8) Oggi udienza pubblica pei Salesiani. Vedrò se sarà possibile un momento di udienza privata.
9) Sta bene, fatti buono, saluta cordialissimamente tutti i nostri cari Salesiani, aspiranti, o che possono essere aspiranti in avvenire. Di' a tutti che desidero che facciamo una grande allegria nel Signore ed anche in cucina.
P. S. Per tua norma non parlare di miserie in presenza del Conte Cays e dell'Avv. Fortis. Questo sarebbe un chiedere loro sussidio, quod non expedit.
Nell'Oratorio si facevano grandi preparativi per la venuta dell'Arcivescovo di Buenos Aires. Don Rua, secondo le istruzioni inviategli dal Beato nella sua lettera del 20 giugno, pregò monsignor Gastaldi che volesse concedere a quel Prelato e al suo clero la facoltà di celebrare nell'Archidiocesi e il permesso di fare un pontificale nel giorno dei Santi Pietro e Paolo. Monsignore diede ampie licenze e già tutto era pronto e i giornali ne avevano pubblicato l'avviso, quando il 24 un comunicato della Curia avvertiva a nome di Sua Eccellenza che, essendovi nella festa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo assistenza pontificale e omelia in duomo, non era conveniente che, mentre l'Arcivescovo pontificava e predicava nella sua Cattedrale, un altro Vescovo pontificasse o predicasse in altre chiese; essere quindi intenzione dell'Ordinario di revocare in questo la facoltà accordata per dimenticanza; il medesimo concedere soltanto per quella festa la benedizione col Santissimo Sacramento, purchè non venisse impartita prima delle sei pomeridiane; permettere inoltre per la prima domenica di luglio i pontificali nella chiesa di Maria Ausiliatrice, a [143] patto che vi si osservasse il cerimoniale dei Vescovi là dove si prescrive che un Vescovo, pontificando fuori della sua diocesi, non abbia due diaconi e due suddiaconi, ma un diacono e un suddiacono solo.
In quel giorno 24 si sarebbe dovuto festeggiare l'onomastico di Don Bosco; ma Don Bosco era tuttora in viaggio con l'arcivescovo Aneyros, Monsignor Ceccarelli e cinque preti argentini. Partiti il 22 da Roma per Ancona, dove furono splendidamente trattati dal cardinale Antonucci, il 23 andarono a Loreto, ritornandone lo stesso giorno. Da Ancona il Beato scrisse a Don Rua.
Sono qui ad Ancona col Cardinale Antonucci e faremo S. Giovanni sulle sponde dell'Adriatico, dirimpetto a Lissa.
Dimani a Dio piacendo partiremo per Milano dove ci fermeremo martedì, mercoledì fino alle 4 pomeridiane, quando faremo vela a Torino. Giungeremo circa alle otto. Per tua norma gli Argentini amano molto la carne e sono molto delicati di cucina, ma per la loro pietà si mostrano sempre contenti. Per quanto è possibile, scegliete camere con comodità e nettezza di cessi.
Pel resto tu farai, noi faremo, [eglino] faranno. Dio ci benedica tutti. Dirai ai nostri cari giovani che vado ora a celebrare la S. Messa e che pregherò molto per loro; e per questo lato essi non ci perderanno; neppure voglio che abbiano danno per ciò che riguarda la cucina, perciocchè quod differtur non aufertur, e li renderò indenni. Ma Mons. Aneyros vorrebbe condurre con sè un mezzo esercito di Missionari per dare l'assalto ai Pampas ed ai Patagoni. Pregate pel vostro in G. C.
Il 24 cadeva in domenica. Don Bosco andò a celebrare verso le dieci nella chiesa del Gesù, ufficiata dai Missionari del Preziosissimo Sangue. Gli servì la messa un giovanetto, che per tutta la vita non dimenticò più quell'incontro. Vide egli entrare in sacrestia un “pretarello” basso, modesto nel viso e nell'atteggiamento, affatto sconosciuto. Però “in quel viso bruno” scorse un non so che di bontà attraente, che [144] destò subito in lui un misto di curiosità e riverenza. Nel celebrare poi notò che aveva qualche cosa di speciale, d'invitante al raccoglimento e al fervore. Terminata la messa, dopo il ringraziamento, il prete gli pose la mano sul capo, gli regalò dieci centesimi, volle sapere chi fosse e che cosa facesse e gli disse alcune buone parole. A quarantott'anni di distanza quel giovane, che si chiamava Eugenio Marconi ed era alunno dell'Istituto Buon Pastore, doveva poi scrivere:
“Oh la dolcezza di quella voce! l'affabilità, l'affetto racchiusi in quelle parole! lo rimasi confuso e commosso”.
Ritornato dunque all'Istituto, vide fra i superiori e i compagni un movimento insolito. Gli dissero che c'era Don Bosco in Ancona e che nel pomeriggio sarebbe venuto a visitare l'Istituto e che bisognava prepararsi a riceverlo degnamente. E verso le tre, mentre tutti stavano schierati nella sala maggiore, ecco entrare proprio il “pretarello” del mattino, in compagnia del direttore monsignor Birarelli. Egli dunque aveva servito la messa a Don Bosco! Il Beato, passando in rivista gli alunni, si fermava a interrogare, diceva qualche parolina e regalava a tutti un libretto delle Massime Eterne. Ma quando giunse al Marconi, fece un passo indietro, fissandolo negli occhi come per raffigurarlo meglio, e: - Oh, noi ci conosciamo! gli disse. Bravo! Bravo! - Quindi, rivoltosi al Direttore, continuò: - Monsignore, le raccomando questo ragazzo; egli col tempo le potrà essere di aiuto. Saputo che il ragazzo era nipote del Direttore, soggiunse: - Tanto meglio! Il suo Istituto comincia ora a vivere e a entrar in un mare pieno di tempeste e di pericoli. I giovani nocchieri possono essere più utili dei vecchi, purchè siano volonterosi ed esperti. - Il giovane crebbe, si fece prete, fu proprio per l'Istituto il buon nocchiero vaticinato da Don Bosco, sempre a fianco di vari direttori, lottando virilmente contro gravi procelle finchè condusse sana e salva la nave in porto[80]. [145]
Data una capatina a Milano dove albergarono presso il grande amico avvocato Comaschi, i nostri viaggiatori fecero il loro ingresso nell'Oratorio la sera del 26 giugno. Un ingresso trionfale! Tutti i giovani stavano schierati in due grandi file dalla porteria ai portici, per far ala al passaggio. Dall'entrata fino alle camere degli ospiti sventolavano bandiere argentine dai colori bianco e azzurro, alternate con le pontificie e le italiane. Imbandierate erano pure le ringhiere dei ballatoi. Svariati addobbi ornavano i muri dell'edifizio, e nel punto che segnava la divisione del cortile degli studenti da quello degli artigiani innalzavasi un arco trionfale disegnato con gusto e tutto a festoni e lampioncini variopinti. I musici coi loro strumenti attendevano immobili dinanzi al portone. Ad uno squillo vibrato e forte si produsse un silenzio universale, ed ecco apparire sulla soglia la figura imponente dell'Arcivescovo con il Beato Don Bosco alla destra e il suo Vicario Generale a sinistra; dietro venivano i suoi preti. Tosto la banda intonò l'inno argentino e gli evviva di mille voci riempirono l'aria di allegrezza. Quando il corteo si mosse, i giovani piegarono il ginocchio, aspettando la benedizione e segnandosi. Gli ospiti, passando per mezzo a quella turba giovanile tripudiante, salirono al primo piano e dopo alcuni minuti il gruppo dei personaggi si affacciò al ballatoio. Allora fu un delirio di grida e di applausi, finchè un cenno di Don Bosco ricondusse il silenzio, nel quale risonarono queste sue parole: - Ecco l'Arcivescovo di Buenos Aires! - Ma le proferì con voce sì soave e commossa e le accompagnò con gesto così espressivo, che tutti le intesero come se egli avesse detto: - Ecco il nostro padre, il nostro benefattore, il nostro amico, che tanto abbiamo desiderato di vedere! - Questa presentazione intenerì talmente il Prelato, che si volse ad abbracciare Don Bosco, e ponendogli le mani ora sulle spalle ora sul capo, pronunziò alcune frasi che il rinnovarsi dei clamori non permise di udire. La serata si chiuse fra canti e suoni d'allegria in una fantastica illuminazione alla veneziana. [146] Del pranzo datosi la dimane vi è memoria per un episodio che rallegrò e insieme edificò i commensali. Al momento dei brindisi entrò nella sala l'ex - allievo Gastini, famoso per le sue originali trovate. Vestiva da menestrello. Salutati quei signori, declamò e cantò versi suoi in onore di monsignor Aneyros e di Don Bosco, ma con tanta grazia e piacevolezza, che uno dei sacerdoti argentini, il canonico Garcia Zùñiga, uomo faceto, chiamò a sè il poeta e gli regalò una lira sterlina. Gastini, detto grazie e baciata la mano al donatore, corse difilato verso Don Bosco e con garbo quasi cavalleresco gli mise in mano la moneta, come se quella fosse destinata a lui.. Il canonico, a un atto così gentile e spontaneo, richiamò il menestrello e gli disse: - Se avessi voluto farne un regalo a Don Bosco, gliel'avrei data io stesso. Ma io te l'ho data per te. Ora prendi quest'altra, e tientela. - Gastini spiccò un salto e porse anche questa a Don Bosco. Udendo però il canonico che fra le risa dei presenti gli gridava dietro: - È tua! - cambiò tono e disse con serietà: - Noi siamo tutti di Don Bosco. Qui non c'è niente di nostro, ma tutto è suo. Bravo! esclamarono i convitati. - Ma io non te ne darò una terza - fece scherzevolmente il canonico, vedendo di non poter ottenere che se ne prendesse almeno una per sè[81].
La manifestazione più solenne fu quella che potremmo chiamare dei tre onomastici. La festa per l'onomastico di Don Bosco era stata trasportata al giorno di San Pietro. Secondo l'usanza, la festa cominciava alla vigilia sul far della sera con lettura di componimenti e con musiche e canti, nè si volle venir meno alla tradizione neppure in tali circostanze. Ora in quel giorno 28 ricorreva la festa di san Leone onomastico e compleanno dell'Arcivescovo Aneyros; era poi anche la vigilia di San Pietro, onomastico di monsignor Ceccarelli. Non poteva darsi combinazione più felice.
Il cortile non si riconosceva più: ingegnosi confratelli, [147] coadiuvati da giovani più grandi, l'avevano trasformato in ampio teatro all'aperto. Al disopra di un podio, eretto con tavole e coperto di tappeti, si stendeva un gran baldacchino, che ombreggiava tre seggioloni dorati: il più sontuoso nel centro era per monsignor Arcivescovo, e i due laterali per Don Bosco e per monsignor Ceccarelli: tutto all'intorno trionfava una pittoresca varietà di bandierine, drappelloni, fiori, lampioncini. Dinanzi a quel trono, per il cortile, fanali a gaz, disposti in largo cerchio con vetri variopinti, diffondevano sul far della notte una luce viva e tranquilla. Nei vani delle finestre s'intelaiavano carte trasparenti a due colori, sulle quali le fiammelle collocate dietro facevano risaltare emblemi e iscrizioni, inneggianti a Don Bosco e agli ospiti. Ma attraeva gli occhi del pubblico, là raccolto per il trattenimento serale, una grandiosa stella a trasparenza, che brillava sull'alto del trono. Aveva questa, due metri di diametro e venti raggi, ognuno dei quali portava in lungo il nome di una casa Salesiana e in punta l'anno della fondazione. Nel bel mezzo vi spiccava il nome di Don Bosco, cerchiato da una fascia recante nello sfondo le sigle O. S. F. S dell'Oratorio di S. Francesco di Sales. Illuminata a tergo da molti lumi, questa stella produceva un effetto magico. Il pubblico occupava lo spazio libero del cortile. Lo componevano Cooperatori e amici in gran numero e circa un migliaio di giovani fra interni ed esterni. Ai lati ergevansi i palchi per la musica strumentale degli artigiani e per la vocale degli studenti.
Verso le nove i festeggiati salivano i gradini del podio; ma quando furono sopra e Don Bosco fe' cenno a Monsignor Aneyros di prender posto nel seggio di mezzo più elevato, sorse fra loro una gara, volendo l'uno cedere all'altro quell'onore. La gentile contesa, guardata prima in silenzio dagli spettatori, suscitò, ben tosto un fragore di applausi in ogni parte della platea. Vinse però l'umiltà di entrambi, suggerendo un ottimo ripiego: lasciarono vuoto quel seggio, invitando [148] tutti i presenti a figurarsi di vedere là assiso il Santo Padre Pio IX nel giorno, in cui la Chiesa festeggiava il Principe degli Apostoli.
Due inni furono eseguiti coi debiti intervalli, uno dagli artigiani, musicato dal fantasioso De Vecchi, e l'altro dagli studenti, musicato da Dogliani, ambidue su parole di Don Lemoyne. Molti vi lessero componimenti in italiano, francese, spagnuolo, inglese, polacco, latino, greco, piemontese, tanto di verso che di prosa. L'immancabile Gastini, il brillante dell'Oratorio, sostenne parti allegre fra l'ilarità generale. Vi si fece naturalmente un gran dire di Missioni, di Pampas, di Patagonia. I nomi di Don Bosco, di monsignor Aneyros e di monsignor Ceccarelli risonarono in tutte le lingue e su tutti i toni. Quando le declamazioni finirono e tacquero i canti, Don Bosco, domandata licenza all'Arcivescovo, pose termine al trattenimento con queste parole.
L'ora si fa già tarda, e non si può più continuare, ma Mons. Aneyros, Arcivescovo di Buenos Aires, e gli altri benevoli signori che io ringrazio di tutto cuore per aver voluto onorarci, avranno ancora la compiacenza di assistere alle letture che si continueranno domani a sera. Ringrazio tuttavia di buon cuore quelli che composero musica, poesie, prose, o che in qualunque modo esternarono ed esterneranno i loro affetti in questa occasione. Io pensava già di farla franca, e che avvenisse secondo quel proverbio: passata la festa, gabbato il santo, e che alcuno non pensasse più a San Giovanni; ma vedo che anzi vi siete messi con maggior impegno e se non avete fatta festa allora, volete farla almeno adesso.
Vi assicuro che queste cose mi fanno molto piacere. Ringrazio anche tutti quelli che ebbero la compiacenza di passare con noi questa bella serata, e tutti quelli che offersero doni e scrissero lettere da lontano.
So anche che voi avete pregato molto per me durante la mia assenza, e le vostre preghiere non sono state senza effetto. Ma ora non si può ancora sapere quale frutto abbiano fatto, perchè l'affare per cui mi raccomandava alle vostre preghiere non è ancora sciolto. Vi ringrazio molto di ciò che avete fatto, e vi prego a continuare.
Anche Mons. Aneyros vi domanderebbe un piacere, e sarebbe che tutti quelli che faranno la comunione domani mattina, la facciano secondo la sua intenzione.
Lungo il giorno di domani ci sarà molta allegria. Alle dieci antimeridiane [149] vi sarà messa in musica, alla sera vespro pure in musica, e Mons. Ceccarelli vi farà un caro sermoncino.
Anche in cucina vi assicuro che vi sarà la vostra parte. Bàstivi dire che abbiamo forse il miglior cuciniere di Torino; e il vedere poi quelle belle bottiglie uscire dalla cantina farà certamente aguzzare l'appetito. Si farà in modo che alla sera i musici invece di cantar festina dovranno cantare festona...
La Messa del 29 per la comunità fu celebrata da monsignor Aneyros. Venuto il momento della comunione, egli si accinse a distribuire le sacre specie; ma, giunto a metà, non potè più reggere alla fatica e pregò che altri lo surrogasse. Alle dieci monsignor Ceccarelli cantò la Messa solenne e nel pomeriggio fece dopo i vespri la predica, spiegando mirabili doti oratorie. All'Arcivescovo di Buenos Aires non fu possibile nemmeno dare la benedizione, perchè non erano ancora le sei. Verso le sei e mezzo si rinnovò o meglio si riprese l'accademia della vigilia in onore di Don Bosco. Vi assistette maggior numero di forestieri; anche i collegi vi erano rappresentati o dai direttori o da altri. Finite le letture e le declamazioni, finiti i suoni e i canti, Don Bosco, alzatosi in piedi e accolto da fragorosi applausi, disse fra il più religioso silenzio dell'imponente uditorio:
Questo giorno è uno dei più belli di mia vita. Sarà una memorabile data nelle memorie dell'Oratorio. Al vedermi intorno tanti giovanetti, e tutti con gioia esternarmi, il loro amore, la loro riconoscenza, mi si commuove veramente il cuore. Quanto è mai bello l'amore congiunto alla carità! E perchè si provvedono i mezzi per adunare e tirar su tanti giovani pel paradiso? E perchè molte e molte pie persone, sacrificando parte delle loro sostanze, le impiegano santamente nel soccorrere questi giovanetti? E perchè molte e molte persone, abbandonando il secolo, si uniscono a Dio coi legami di virtù e di amore fraterno e impiegano tutta la loro vita a far crescere pel cielo queste tenere pianticelle? Per la carità! Sì, sono i vincoli di questa virtù, che ci tengono ovunque stretti nel Signore, sicchè amorevolmente ci soccorriamo gli uni gli altri. È la carità che muove altre distinte persone di regioni lontanissime a venire in questo Oratorio e ad adattarsi alla povertà di questo luogo per soddisfare al santo zelo che hanno di portare la luce del vangelo in altre regioni incolte, e ad accrescere così di nuovi figli la famiglia del comun Padre dei [150] fedeli. È la carità che indusse molti prodi soldati di Cristo ad abbandonare patria, parenti ed ogni altra cosa per andare in regioni remotissime, affrontando disagi e stenti per portare la buona novella ai loro fratelli.
Ed è la carità che ci riunisce stassera qui tutti in questo luogo. Io lo dico proprio di tutto cuore: avrei voluto avere palazzi tutti tempestati di diamanti, con pavimenti tutti sparsi di rose e di gigli per ricevere degnamente l'Arcivescovo di Buenos Aires, Mons. Ceccarelli e gli altri del suo seguito. Ma noi siamo poveri Salesiani che viviamo dei soccorsi di pie persone e non possiamo far loro l'accoglienza che avremmo desiderata. Ed essi spinti dalla carità non hanno sdegnato di sopportare gl'incomodi dell'Oratorio per avere mezzi di fare nuove opere di carità. Siano dunque grazie a loro delle privazioni sofferte nell'adattarsi alla povertà di questa casa e del grande onore e piacere che ci hanno fatto. Noi ne conserveremo un'imperitura memoria.
Voi ritornate ai vostri paesi, al campo della vostra messe, ma dite ai vostri compagni e a Don Benitez che la nostra riconoscenza per i benefizi ricevuti da voi e da essi non si estinguerà giammai. State certi che noi, benchè divisi da tanto spazio di mare, vi avremo sempre presenti alla nostra mente, al nostro cuore, nelle nostre preghiere. State certi che nei Salesiani avrete sempre un fedele aiuto e un gran numero di fratelli che vi amano con tutto l'affetto del cuore e che cercano d'aiutarvi nell'opera vostra.
Troviamo scritto e sentiamo dalla bocca di testimoni oculari che il Beato verso la fine del suo discorso aveva preso un tono di voce sì affascinante, quale non erasi udito mai sulle sue labbra. Dopo di lui parlò l'Arcivescovo. La dignità del porgere e l'affetto che visibilmente lo animava rapirono quanti lo ascoltavano, sebbene egli usasse la lingua spagnuola. Nel Parlamento della sua patria erasi come deputato acquistata gran fama di oratore estemporaneo. Terminato che ebbe, Don Bosco gli baciò l'anello e Monsignore baciò a lui la mano; ma poi si diedero un affettuoso abbraccio in mezzo a uno scrosciare di applausi. Quindi il Beato pregò monsignor Ceccarelli di ripetere la parlata in italiano; il che quegli fece con gran maestria[82]. [151]
La Provvidenza serbò in ultimo una bella sorpresa. Assisteva al trattenimento una giovinetta di nome Giuseppina Longhi, che fino a un mese prima paralitica e muta, ave va prodigiosamente ricuperato il moto e la favella, dicendo con Don Bosco un'Ave a Maria Ausiliatrice. Essa era là in compagnia dei genitori, venuti a testimoniare per iscritto la verità del fatto. Consigliati da Don Rua, questi montarono su per i gradini del trono, conducendo la figlia a baciar la mano all'Arcivescovo e a Don Bosco. Allora il Prelato volle udire da lei il racconto del prodigio, facendogli da interprete Monsignor Ceccarelli. La bimba dodicenne con scilinguagnolo scioltissimo raccontò vivacemente la cosa com'era avvenuta; quindi l'Arcivescovo la benedisse e le donò una medaglia. Pochi istanti dopo, mentre il padre e la madre apponevano la firma alla - relazione stesa dal conte Cays, Don Bosco disse alla piccina di firmare anch'essa. Il padre la scusò, dicendo che la poverina non sapeva scrivere. - Oh! esclamò Don Bosco. Una ragazzina così non è andata a scuola e non ha imparato nemmeno a fare il suo nome? - Veramente prima della paralisi la Longhi sapeva scrivere; ma dopo non potè più. Inteso questo, il Beato tagliò corto dicendo: - Se sapeva prima, sa anche adesso; la Madonna non fa le cose solo per metà. - In così dire le pose nella mano la penna, con cui la fanciulla speditamente firmò.
È indescrivibile l'entusiasmo dei giovani in quei giorni. I modi veramente belli e dignitosi dell'Arcivescovo americano li avevano conquisi; ogni volta che egli attraversava il cortile o si affacciava dall'alto, forti battimani si levavano da ogni angolo. Ma uno spiacevole incidente sopraggiunse a fargli abbreviare la sua permanenza nell'Oratorio. Recatosi il 27 nell'Arcivescovado per far visita a monsignor Gastaldi, non ve l'aveva trovato. Ritornato la mattina dopo, sentì che Monsignore non era in casa, ma nella villeggiatura arcivescovile di Pianezza, donde, informato già della visita, gli mandava a dire che non s'incomodasse più oltre, perchè egli [152] il 29 sarebbe venuto a Torino solamente per il pontificale e poi avrebbe fatto ritorno la sera stessa alla villa. Più tardi per altro mandò il segretario a invitare il solo Arcivescovo a pranzo, non sappiamo bene per qual giorno. Il segretario, entrato nell'Oratorio, avvicinò il primo giovane, in cui s’imbattè, gli diede l'incarico di portare l'ambasciata a Don Bosco e se n'andò. Il giovane rimase come trasognato; pure salì da Don Bosco e tutto peritoso stava per metter piede nella sua anticamera, quando, visti là dentro molti signori, si arrestò sulla soglia. Il barone Bianco di Barbanía, accortosi dell'imbarazzo, lo interrogò e conosciuto il singolare messaggio, s'incaricò egli stesso di riferire la cosa. Monsignor Aneyros ne fu talmente disgustato che non solo respinse l'invito, ma decise di andarsene al più presto possibile da Torino; si scusò tuttavia presso l'Arcivescovo, adducendo per motivo la prossima partenza. Infatti il giorno 30 di buon mattino partì col suo seguito alla volta di Sampierdarena. Là nell'ospizio fu accolto a festa. Passò quindi a Varazze e a Savona da quel Vescovo, e poi andò ad aspettare Don Bosco nel collegio di Alassio. Quando vi era ancora speranza di smuoverlo dal suo proposito di anticipare la partenza, Don Bosco aveva scritto a Don Cagliero una lunga lettera, a cui non potremmo trovare luogo più opportuno di questo, come i lettori vedranno.
Avrei bisogno di scriverti un volume. Ti darò un cenno delle cose. Accolsi Mons. Aneyros a Sampierdarena coi pellegrini Argentini e li accompagnai a Roma. Io alloggiai al solito presso al Sig. Sigismondi, Mons. al Collegio Americano Latino in S. Andrea al Quirinale. Potè vedere il S. Padre in capo dei pellegrini; ebbe pure un'udienza privata e ne fu molto soddisfatto. Mons. Ceccarelli vestito da Cameriere segreto brillava con ed anche senza Mons. suo Vescovo.
Pel caldo eccessivo di Roma, partirono il 22 per Ancona ed il Cardinale Antonucci ci accolse splendidamente, e ci alloggiò lautamente tre giorni. Il 23 andammo a Loreto, dove fummo tutti contentissimi. Il 24, il mio S. Giovanni fu festeggiato con un gran pranzo Cardinalizio con tutti i pellegrini e molti altri. Brindisi, segni di affetto, bottiglie di ogni genere pompeggiavano. [153] Il 25 da Ancona andammo direttamente a Milano, ed albergammo presso al Cav. Comaschi. Il 26 a Torino.
Qui tutto entusiasmo, tutta festa. Mons. fu soddisfattissimo fino all'entusiasmo; ma alle rose van sempre annesse le spine. Il nostro Arcivescovo Gastaldi, dietro una richiesta concedette ampia facoltà di predicare, pontificare, ma la rivocò pel giorno di venerdì. Mons. andò per fargli visita e l'altro era andato a Pianezza, donde mandò dire che non occorreva rinnovare l'andata, perchè egli veniva il 29 per pontificare, ma che tosto sarebbe ritornato a Pianezza. Accorgendosi poi della sgarbatezza mandò ad invitare il solo Arcivescovo a pranzo, cui egli ricusò adducendo voler partire. Ora io con Ceccarelli insistiamo che vengano tutti a Lanzo, poi a B. S.. Martino, indi in Riviera per alcuni bagni, di cui abbisogna il Sig. Vicario[83].
Mille episodi ameni sono avvenuti: spero di scriverli altro momento. È assai contento di noi, delle cose nostre, e parla con trasporto dei Salesiani di America. La sua partenza è fissata pel 14 prossimo Luglio.
A noi. Ti ho scritto dicendoti di andare a S. Cruz. È questo un solo mio pensiero, ma se pensatis pensandis ti pare meglio differire questa gita, fiat sicut melius in Domino placuerit.
Il personale c'è; siccome l'anno scolastico volge al fine, così se niente osta, si differisce secondo il solito al 14 di novembre prossimo. Se occorre, anticiperemo la partenza, e pei passaggi in qualche modo ci aggiusteremo.
Leggi la lettera al March. Spinola, poi mettila in una busta e la porterai.
Intanto per questo autunno avremo sulle spalle un collegio in Sicilia, un Orfanatrofio a Trento, un Collegio Cantonale nella Svizzera, il Seminario di Magliano Sabino, dove avremo l'amministrazione della parte materiale, la direzione degli studi elementari, ginnasiali, filosofici, teologici. Una casa a Marsiglia etc. Dove prenderemo il personale? Prepareremo la risposta.
Ciò che scrivo a te, scrivo a D. Bodratto ed agli altri. Per la partenza di Mons. prepareremo lettere e commissioni. Nella prossima settimana passerà qui Mons. Lacerda di Rio Janeiro, che non partirà senza avere con sè non meno di cinque Salesiani.
Dio ci benedica tutti, e a tutti fa' auguri e saluti: pregate per me, ed abbiatemi sempre nel Signore
Don Bosco avrebbe voluto trattenere ancora monsignor Aneyros almeno un paio di giorni, perchè il 1° luglio nell'Oratorio si doveva celebrare la festa di san Luigi e negl'inviti già stampati si diceva che l'Arcivescovo di Buenos Aires avrebbe pontificato solennemente nella chiesa di Maria Ausiliatrice. Meno male che si trovò casualmente a Torino e ospite dell'Oratorio monsignor Formica, vescovo di Cuneo, il quale accettò volentieri di cantare la messa e i vespri, di fare la processione e di dare la benedizione.
Il programma dei festeggiamenti si doveva chiudere il 3 luglio con la rappresentazione di un dramma, intitolato Una speranza ossia Il passato e l'avvenire della Patagonia, lavoro di Don Lemoyne. Don Bosco non solamente ne aveva ispirato all'autore l'idea, ma lo assistette anche nel corso della composizione. Infatti nel suo viaggio in Francia portava seco il manoscritto della prima stesura, che lesse piangendo; poi da Nizza il 28 febbraio scrisse a Don Lemoyne che egli riteneva quel componimento drammatico come il suo capolavoro; ma insieme gli raccomandava di studiarci su ancora un poco e di fare tre cose: 1° rendere più facile l'azione e l'allestimento scenico; 2° collegare più strettamente le parti rialzando nel terzo e nel quarto atto l'azione stessa, che gli sembrava languirvi; 3° unire insieme l'atto quarto e il quinto per non indebolire la finale. Prometteva che avrebbe poi riletto e conchiudeva dicendogli: “È una cosa nuova che piacerà assai”. Piacque infatti moltissimo. Il palcoscenico fu costruito molto, vasto e coperto da un ampio velario nel cortile degli artigiani. Oltre ai giovani v'intervennero più di millecinquecento forestieri. Ma lo spettatore più desiderato mancava; ve lo rappresentò Monsignor Ceccarelli, rimasto in Italia fino alla partenza dei Missionari della terza spedizione, che Don Bosco stava preparando. Se la novità del tema e la varietà dell'intreccio riscossero gli applausi talora entusiastici del pubblico, il dramma in se stesso produsse buoni effetti spirituali, sia svegliando nei cuori calde e benefiche [155] simpatie per le Missioni, sia ingenerando o sviluppando nei giovani e nei chierici le vocazioni missionarie. Quelle scene furono oggetto di molte conversazioni in casa e fuori.
Il 4 luglio Don Bosco partì dall'Oratorio con monsignor Ceccarelli per visitare il collegio di Borgo S. Martino e poi raggiungere ad Alassio monsignor Aneyros e i suoi. Lasciò Borgo la mattina del 6, scrivendo a Don Rua: “Qui pare ci sia per quest'anno buona raccolta di Salesiani da depurarsi agli esercizi di Lanzo”. Il giorno stesso da Sampierdarena inviò al suo segretario una mezza serqua d'incarichi, riferentisi quasi tutti alle circostanze del momento.
Affido a te una serie di commissioni, calcolando sulla sveltezza di tue gambe.
1° Una cassetta o due di bottiglie per l'Arcivescovo di Buenos Aires; Bordeaux, Malaga, Barbera, Grignolino, Nebbiolo, Moscato di Strevi; in tutto da 15 a 20 bottiglie: per nobilitare la nascita del vino si può dare un'esistenza alquanto antica, mercè una terra... Questa cassetta si prepari, e a mio cenno sarà inviata a Genova.
2° Appena sia stampato il fascicolo dell'opera di Maria A. me ne siano tosto inviate alcune copie.
3° Osserva se le dispense ottenute in favore dei nostri chierici Argentini siano state spedite a destinazione.
4° Aiuta D. Rua a fare una cerna di tutti quelli che cogente necetate possono presentarsi per le ordinazioni nella prossima infornata, che spero faremo nel prossimo settembre nella diocesi di Casale.
5° La coperta che le Suore di M. A. regalarono a D. Bosco[84], si metta in un pacco coi libri relativi, e cogli scritti e stampati, che o per essere scritti in lingue diverse, o perchè si riferiscono agli Argentini, ecc. [si possono offrir all'Arcivescovo] e siano indirizzate al console generale della Repubblica Argentina in Genova, per rimettere a S. E. Rev.ma l'Arcivescovo di Buenos Aires. Si faccia lo stesso indirizzo alla cassetta di bottiglie.
6° Senza premura poi si facciano legare tutti i volumetti della Biblioteca Italiana, Lett. Catt. e copia di tutte le mie operette e a suo tempo si manderanno al medesimo Arcivescovo per mezzo del Consolato.
7° Appena ci saranno copie dell'opera di Maria A. mandamene tosto a Nizza Marittima; ma non dimenticare di inviarne alcune copie [156] a Mons. Ceccarelli, con una dodicina di copie del Capitolo Generale[85] per Montevideo. Buenos Aires, San Nicolas.
8° Infiamma di S. Amor di Dio tutti i Salesiani presenti, aspiranti, e prega pel tuo in G. C.
Verso le otto pomeridiane arrivò ad Alassio. L'Arcivescovo gli andò incontro alla stazione, lo abbracciò al cospetto del popolo e gli diede il braccio fino a casa. Quella sera i Superiori e gli alunni del collegio per festeggiare l'arrivo di monsignor Aneyros e degli Argentini tennero un'accademia letteraria e musicale, in cui l'esimio Prelato volle alla fine pronunziare un breve e fervido discorso. Anche là monsignor Ceccarelli ridisse in italiano le parole dette dall'Arcivescovo in spagnuolo[86]. Don Bosco si sentiva così sfinito di forze, che dopo cena si era ritirato nella sua stanza a prendere un po' di riposo.
Il Beato sembrava ancora indeciso se dovesse o no accompagnare monsignor Aneyros a Nizza e a Marsiglia, dal cui porto questi sarebbe salpato per l'America; tuttavia in fondo in fondo gli rincresceva accomiatarsi da lui e lasciarlo solo prima dell'imbarco[87]. Non gli si spiccò dunque dal fianco, finchè Monsignore e i suoi sacerdoti non s'imbarcarono il giorno 17 sul Poitou: là sulla nave gli diede l'estremo saluto. Erano pieni di allegria quegli Americani: il pensiero della patria li faceva esultare e calcolavano il numero dei giorni che ci volevano ancora per rivederla. Il Servo di Dio ascoltava e taceva; alla fine sorridendo disse loro che i calcoli fatti non tornavano. Poi con la sua calma abituale li esortò a non aver tanta fretta, ma piuttosto ad armarsi di santa pazienza: a Buenos Aires sarebbero giunti tutti sani e salvi, ma il giorno [157] tale... E precisò la data, che faceva dodici giorni in più del tempo normalmente impiegato dai piroscafi nella traversata da Marsiglia alla capitale dell'Argentina. - Questo è impossibile! esclamarono essi a una voce con un senso di terrore. Il nostro viaggio non può durare tanto! - Eppure Don Bosco aveva detto il vero. Il loro bastimento lottò con la tempesta fino al Capo Verde, sicchè per le avarie sofferte dovette andar a gettare le ancore presso l'isola S. Vincenzo e là aspettare il passaggio di qualche nave, su cui trasbordare passeggieri e merci e così farli proseguire[88]. Quando approdarono a Buenos Aires, era il venerdì dopo l'ottava dell'Assunzione, 24 agosto, il giorno predetto da Don Bosco. Monsignor Aneyros scrisse al Servo di Dio il 4 settembre: “Non ho avuto un sol momento e desidererei averne moltissimi per scrivere lungamente alla S. V. Reverenda... I giorni passati costì sono indimenticabili. Li ho consegnati qui alla pubblica luce, e mi obbligano ad una gratitudine profonda verso V. S. R., i suoi cari Salesiani ed amati alunni”[89]. Anche il Segretario monsignor Espinosa, futuro Arcivescovo, espresse a Don Bosco la piena del suo affetto[90].
A Marsiglia Don Bosco stette malissimo di salute. L'abate Guiol gli apprestava le cure più assidue; ma egli aveva gran premura di far ritorno in Italia. Di là aveva scritto a Don Rua: “sono stanco a non plus ultra. Io mi arresto a Marsiglia e gli altri vanno tutti a Lourdes; io li assisterò domenica all'imbarco, di poi me ne vado tosto a Torino, dove spero le zanzare mi lasceranno in pace”. Prevedeva però che non ve l'avrebbero lasciato in pace i creditori; infatti proseguiva: [158] “Bisogna proprio adoperarci per aver danaro. Da ogni parte ne domandano, e non trovo chi ne possa dare”. Sei numeri della lettera toccano di combinazioni finanziarie per avere qualche somma, e un numero suggerisce il modo di tacitare un creditore.
Da Marsiglia a Torino la dissenteria che lo travagliava lo costrinse a ben diciotto fermate. Giunto a Sampierdarena il 22 luglio, pur non potendo scrivere per l'estrema debolezza, non volle differire più oltre a ringraziare il caritatevole suo infermiere di Marsiglia; dettò quindi a Don Albera una lettera in cui diceva: “sono giunto a Sampierdarena alquanto meglio in sanità. Le rinnovo di tutto cuore vivi ringraziamenti per la grande cortesia che mi volle prodigare e pregandola di voler ossequiare Monsignor Vescovo da parte mia, avutane occasione, mi raccomando alla carità delle sue preghiere”. Ma prima di fermarsi a Sampierdarena, era passato per Alassio e Varazze, come appare da questa lettera:
Sono ad Alassio un po' rotto. Dimani spero andare a Varazze col celebre D. Francesia. Scriverò pel Sig. Ceriana. Probabilmente la mattina del 25 farò vela per Torino. Ti scriverò ancora. Ho scritto negativamente per Magliano, affermativamente per la Spezia. Quello che puoi mandarmi, indirizzalo a S. Pierdarena fino a tutto il 24.
Di' a D. Berto che mi scriva se la mia uva comincia a saracinare[91] e l'affido alle sue cure.
Dio ci benedica, un cordialissimo saluto a tutti, e prega i nostri cari giovani che facciano una comunione per la mia sanità e mi faranno un gran piacere. Io pregherò per loro
PS. - Mons. Alimonda è Vescovo di Albenga. Ottima scelta per noi.
Ad Alassio Don Bosco ebbe uno di quegli incontri, in cui spiccava la sua prudenza. Nel liceo di Genova il professore di filosofia sacerdote Sciorati e altri suoi colleghi avevano [159] una pessima idea del collegio di Alassio; quindi i giovani che ivi si presentavano per gli esami di licenza erano trattati con estrema severità e quasi con acrimonia. Il direttore Don Cerruti, andato a Genova per dissipare le prevenzioni, invitò lo Sciorati ad Alassio per esaminarvi i liceisti. Quegli acconsentì. Era prete liberale, di condotta poco edificante. Andò, ma vestito da secolare. Ivi giunto e saputo che era arrivato pure Don Bosco, rimase alquanto sconcertato e sentì il bisogno di spiegarsi con Don Cerruti. - Capisce bene!... Son venuto in borghese... la maggior comodità in viaggio... non essere esposto a possibili insulti... - In così dire arrivò alla presenza di Don Bosco. Il Beato che tante volte aveva fatto osservazioni a qualunque prete non portasse l'abito ecclesiastico, allora non disse nulla, fu con lui gentilissimo e gli diede ogni segno di stima e di rispetto, sicchè lo Sciorati ne fu scosso ed entusiasmato, nè dimenticò mai più quel primo abboccamento. L'anno appresso e altre volte ancora vi tornò come amico, ma sempre in veste talare. Don Cerruti notò che appariva ogni volta migliore e che celebrava regolarmente e con divozione la santa messa. Chiuse i suoi giorni in modo veramente sacerdotale. Mentre un avviso l'avrebbe irritato o avvilito, il fare prudente di Don Bosco operò in lui una salutare mutazione.
Nell'Oratorio il Beato non reggeva quasi più a confessare i giovani; stentava perfino ad alzar la mano per assolvere. La stanchezza fisica però non gl'impediva di dare udienze per buona parte della mattina, nè di sedere lunghe ore allo scrittoio nel pomeriggio e tanto meno di lavorare con la mente. Proprio allora studiava il modo di dar vita a una pubblicazione periodica, ideata già da tempo: al Bollettino Salesiano.
LE tre comunità salesiane regolarmente costituite nelle repubbliche argentina e uruguaiana formavano l' “Ispettoria Americana”, governata da Don Cagliero, che risiedeva a Buenos Aires e rappresentava degnamente Don Bosco in quelle remote contrade. Il Beato Padre soleva scrivergli con molta frequenza, rare volte lasciava partire il postale del 1° e del 14 d'ogni mese senza qualche suo scritto. Gli comunicava notizie, lo metteva al corrente degli affari, gl'impartiva istruzioni, gli domandava informazioni e pareri, lo considerava insomma come suo uomo di fiducia in tutto il senso della parola. Così il 13 febbraio, reduce da Roma, si affrettò a fargli conoscere i sentimenti e i disegni del Papa Pio IX nei riguardi dei Salesiani.
Ricevo in questo momento (12 Febbraio), la cambiale[92] di D. Fagnano in data 13 Dicembre 1876. Due mesi di via è un po' troppo: ciò serva di motivo di sollecitare questi banchieri in altri casi. Però non la rifiutiamo, nè ci offendiamo, fosse anche due volte maggiore.
A questo proposito ricevo lettera da D. Lasagna che la Chiesa loro è provveduta dalla carità dei benestanti fedeli, perciò bada che le molte cose portate ad hoc non vadano a male. Tu saprai come si [161] debba fare in simili casi. Affidare lo spaccio ad un coadiutore o ad altra persona confidente, senza che i Salesiani abbiano niente a comparire.
Il Santo Padre è entusiasmato della nostra Congregazione. Oltre la casa in Roma, dei Concettini, vuole che ne accetti un'altra, l'Ospedale della Consolazione, e per incoraggiarci fecemi un regalo di ventimila franchi. Molte proposte da altre parti. Le nostre suore hanno aperto un Oratorio femminile a Chieri.
Il Comm. Gazzolo dopo una settimana di calcoli e di chiacchiere ridusse la sua dimanda a fr. 60 mila per i suoi settecento metri di terreno latistante alla Chiesa della Misericordia[93]. È inteso che si limita a questo prezzo per farei un benefizio. Darebbe anche insieme altra sua proprietà, che è a S. Nicolas, del valore di fr. 3000. Quando gli notai la cifra tua di fr. 18 mila, restò maravigliato dicendo: - Questa è appena la cifra che pagai io stesso quando l'ho comperato. Come vedi, lo pagò 19, e per farci un benefizio lo dà ora a 60 mila. Ah Rôgna! Rôgna![94].
Parla col Sig. Dott. Carranza e pensate al da farsi.
In altra tua dimmi se convenga fare presto una novella spedizione, e, non urgendo, se non sia meglio attendere qualche poco. In questo caso potremmo accomodare più facilmente le cose di Roma.
Procura di sistemare le cose tue, e quando tu potrai dire che gli affari cammineranno con sicurezza, mi notificherai il tuo ritorno, che, si fieri potest, non dovrebbe essere oltre il p. agosto.
Sarà bene che prevenga Mons. Arcivescovo Aneyros che il S. Padre desidera di fare qualche cosa per la Patagonia, e il Card. Pref di Propaganda Fide gli scriverà forse per questo medesimo corriere, sulla convenienza di stabilire a Carmen una Prefettura Apostolica. Stabilita una casa, dice il S. Padre, riesce alquanto più facile tirare i raggi e dilatare la circonferenza. Il S. Padre è specialmente mosso a ciò dalle notizie dolorose che riceve dai paesi confinanti coi selvaggi, come la Repubblica Argentina, il Chilì, ecc., che sono intenti a combattere e distruggere i selvaggi, non a convertirli. Se dal Brasile o dal Paraguay ti fanno formale dimanda di Missionari, tu puoi accettare con queste due condizioni: 1° Aiuto per le molte spese che abbiamo già incontrate, e che tuttodì dobbiamo sostenere; 2° Per l'anno 1878.
Il Santo Padre propone un Vicariato Apostolico nelle Indie, ed un altro nell'Australia. Per ora ho accettato una spedizione nel Ceylan pel 1878. In questo momento sono disturbato, e non posso terminare questa lettera, nè scrivere a D. Fagnano come vorrei, nemmeno a [162] D. Lasagna o D. Bodrato. Sarà per altra volta; fanne le mie veci: partecipa il partecipando. Dio ci benedica. Saluta S. E. Monsignore e gli altri nostri amici e benefattori. Amen.
PS. - Sarà bene che mi mandi il nome dei Cooperatori.
Quest'altra lettera è della metà di maggio. Stava sempre fisso nella mente del Beato il pensiero che si dovesse penetrare fra i selvaggi della Patagonia; una circostanza sembrava allora favorevole allo scopo. Il Governo Argentino, avanzando le sue frontiere verso le Cordigliere, aveva condotto una linea di fortini, lungo la quale stavano scaglionati cinquemila uomini, per tenere in rispetto gl'indigeni. Quei posti militari, distanti l'uno dall'altro venti chilometri, sono divenuti col volgere del tempo tanti centri, intorno ai quali sono andate a stabilirsi famiglie di coloni, formando così villaggi e città; ma allora sorgevano isolati lungi da ogni consorzio civile. Onde il Governo stesso fin da principio nella località detta Carhuè si accinse a creare un borgo, che chiamò Alsina dal nome del ministro della guerra, autore dell'avanzata, e domandava un parroco, un maestro e due secolari capaci d'insegnare a fare le cose più necessarie. Sembrava pertanto ai Salesiani non esservi luogo più adatto per avvicinarsi agli Indi e fare qualche cosa a loro vantaggio[95]. A questo disegno allude il Beato nel primo periodo della lettera.
Ciò che scrivi sulla Patagonia va d'accordo co' miei desideri: avvicinarsi poco alla volta, avvicinarsi mercè l'apertura di case nelle città è paesi più vicini ai selvaggi. Il resto lo farà il Signore.
Rabagliati avrà la dispensa di età, ma non potrà goderla sino al 10 Giugno: perciò prenda tutte le altre ordinazioni, e si prepari pel Sacerdozio nella prima domenica di Luglio.
Lo so che si parlò troppo di noi: ma che farci? Ho sempre tolte le [163] cose che sembravano ridondare in nostra lode, e modificai quelle che si riferivano ad altri. Se però tu puoi mandarmi una relazione dei Missionari dell'America del Sud, fa di spedirmela, ed io aggiusterò tutto.
Ho veduto l'avv. Ferrero, che si fermò un giorno con noi, e ci consegnò molte lettere, però assai in ritardo.
Riceverai le dimissorie, che occorrendo puoi rilasciare tu, o D. Bodrato.
Ho iniziato la pratica pei passaggi sui battelli Francesi. Il Presidente della Società dei Trasporti Marittimi, Sig. Bergasse di Marsiglia, ci promette notabili riduzioni; il governo di Parigi forse ci concederà alcuni posti totalmente gratuiti. Compiuta la pratica te ne darò tosto cenno.
In vista delle case che si vanno moltiplicando, e quindi assottigliando il personale, si sospende al tuo ritorno il progetto del Ceilan, Mangalor, Australia, ecc. Ma non perdo di vista una decina di buone lane da mandare a Dolores, se tu mi dici essere cosa necessaria.
Saluta tutti in N. S. G. C. In altra mia ti accennerò alcuni punti che al tuo ritorno dovrai toccare.
Dio vi benedica tutti: credetemi in G. C.
La più recente delle tre comunità, quella del collegio Pio di Villa Colón a Montevideo, si componeva di tre sacerdoti, due chierici e quattro coadiutori. Il direttore Don Lasagna ebbe cura di mantenersi in stretta relazione col suo collega di S. Nicolás, che dirigeva un collegio della medesima specie; poichè entrambi gl'istituti avevano un elemento omogeneo, formato da figli di agiati estancieros, che aspiravano a professioni e carriere liberali. Si aiutavano dunque a vicenda, conferendo spesso insieme e accordandosi nella scelta dei testi, come anche nell'uso dei mezzi proprii delle case salesiane. Il Direttore però del Collegio Pio si trovò di fronte a una difficoltà, che l'altro non aveva. Essendo il collegio di S. Nicolás in campagna, i convittori venivano raramente visitati e riusciva abbastanza facile tenerli dentro durante il corso dell'anno scolastico; invece quelli di Villa Colón, a sì breve distanza dalla capitale, ricevevano frequenti visite dai genitori, che avrebbero voluto avere i figli a casa più volte [164] al mese ed anche tutte le domeniche. L'inconveniente era grave; ma Don Lasagna se ne liberò con un mezzo molto semplice.
Fra le compagnie ideate da Don Bosco per avviare al bene i giovani, primeggia quella del Santissimo Sacramento; di essa appunto seppe Don Lasagna valersi. Istituitala fra i più grandicelli, che sogliono dare il tono alla vita del collegio, ne dispose i soci alla frequenza dei sacramenti, li affezionò alla casa e si servì di loro stessi per distogliere i parenti da quelle dannose esigenze. Egli ottenne così ancor più di quanto desiderava; poichè quel vedere i proprii figli fare a meno e volentieri delle libere uscite, colmò di ammirazione i padri e le madri che, discorrendo del collegio, ne levavano a cielo gli ordinamenti.
Nè il bravo Direttore si fermò lì; ma prese anche a stimolare i soci della compagnia, perchè lo aiutassero a compiere opere di carità spirituale, come in quella di catechizzare i ragazzi del vicinato; nella qual cosa fu assecondato mirabilmente. Infatti i suoi giovani catechisti, sia quando andavano alle vacanze sia dopochè lasciavano il collegio, mettevano su nelle loro case veri oratori festivi, dandosi ogni domenica con gran fervore all'insegnamento della dottrina cristiana. Sì bella iniziativa giovanile attirò le simpatie di tante nobili e ricche famiglie, che favorivano l'impresa con doni e premi ai fanciulli; anzi trovò pure imitatrici nelle sorelle dei convittori, le quali a lor volta prendevano a fare il medesimo con le fanciulle. Tali oratori domestici diedero poi origine a regolari oratori festivi presso le parrocchie della città, dove gli ex - allievi continuavano a esercitate il loro zelo sempre sotto l'ispirazione e secondo le direttive di Don Lasagna. Questi per tal modo potè formare un'organizzazione degli oratori festivi presieduta dell'ex - alunno dottor Lenguas e tenuta salda mediante un piccolo regolamento intitolato “Oratorios festivos de Montevideo regenteados por Exalumnos del Colegio Pio”. [165] Di un socio della compagnia, alunno di ginnasio, esiste nei nostri archivi una lettera a Don Bosco, la quale è un buon documento dello spirito che fino dai primordi regnò in quel collegio. Il giovane, avvezzo a tutti i comodi della vita domestica, perchè figlio di genitori milionari, si adattò talmente alla modesta vita collegiale da trovarvisi come nel proprio elemento e da benedire Iddio che lo avesse condotto fra quelle mura[96]. Anzi, finito il ginnasio, non volle più staccarsi dai suoi educatori, ma passò al noviziato Salesiano di recente aperto e divenne un ottimo figlio di Don Bosco. Parliamo di Don Mario Migone, sacerdote sempre affezionatissimo alla Congregazione e pieno di zelo per il bene delle anime.
Il collegio Pio, quantunque ampio, non potè nel primo anno capire tanti allievi quanti facevano domanda di entrarvi; perciò il Direttore pose subito mano a fabbricare. Ma vi si sperimentò anche subito all'aprirsi delle scuole (laggiù l'anno scolastico incomincia a marzo ), che il lavoro era molto e i lavoratori pochi. Per altro gli amici se ne preoccupavano più che non i Salesiani. Queglino infatti, non sapendo ancora quanta fosse l'attività dei figli di Don Bosco, non volevano credere che si potesse così tirare innanzi e temevano sia per la salute dei confratelli, sia per il buon nome dell'Istituto tanto bene avviato; onde brigavano presso Don Cagliero, perchè mandasse opportuni rinforzi[97]. Questi vennero, ma l'anno appresso; intanto però i trepidi amici ebbero un saggio dell'operosità instancabile dal Beato Don Bosco trasfusa ne' suoi figli.
La comunità di S. Nicolás con i suoi quattro sacerdoti, tre chierici e sei coadiutori, oltre al convitto, aveva le scuole comunali, l'oratorio festivo e la cappellania dell'ospedale. L'edifizio, terminato che fu, campeggiava imponente sull'alto con i suoi portici e cortili fra larga cornice di svelti pini, aperto sopra un bellissimo giardino e ricco di un orto molto ben [166] coltivato. Coloro che navigavano a ritroso della corrente del Paranà lo miravano da lungi biancheggiare fra il nero delle piante, ricevendone un'impressione di serenità e pace.
Ma i lavori di costruzione si erano lasciato dietro lo strascico dei soliti guai: bâtir c'est pâtir. “Le nostre cose vanno discretamente bene, scriveva il Direttore; solo, mi trovo in mezzo a tanti debiti, che non so quasi dove rivolgermi. Benitez fa quanto può, e il Signore gli dà sanità: aiuterà a pagarli”[98].
Il signor Benitez era sempre il buon amico dei Salesiani, sempre pieno di venerazione affettuosa per Don Bosco, dei cui lieti successi gioiva come di cose sue. Quando seppe che si stava per aprire il collegio a Villa Colón, il venerando ottuagenario se ne rallegrò con lui, scrivendogli una lettera nel latino dei suoi anni giovanili, rallegrandosi insieme dei progressi che vedeva farsi sotto i suoi occhi dal collegio della sua patria. Per mano poi di Monsignor Ceccarelli inviò al Beato una seconda lettera in lingua spagnuola, lettera scritta col cuore alla mano e in cui non sapremmo che cosa maggiormente ammirare, se l'affetto filiale per Don Bosco e la fraterna cordialità verso i Salesiani ovvero l'umiltà buona e commovente del Cooperatore che dice: “A ben poco serve questo cooperatore, nonostante tutte le sue insegne cavalleresche e il benevolo atto del Papa” e si augura che si presentino in avvenire occasioni, nelle quali egli possa essere più utile che in passato. Don Bosco soltanto il 14 maggio potè rispondere alla lettera latina e lo fece egli pure nella lingua del Lazio, e mentre con viva gratitudine ne rammentava i benefizi, gli esponeva con la massima confidenza le gravi strettezze in cui dibattevasi Don Bodratto a Buenos Aires, raccomandandolo alla sua carità[99]; della quale raccomandazione il Servo di Dio rese avvertito lo stesso Don Bodratto, per sua norma e incoraggiamento. [167]
È bene che ti prevenga di una lettera scritta al Sig. Benitez. In essa raccomando la tua posizione, e mentre lo ringrazio di quanto ha fatto e fa per noi, lo prego di portare il suo occhio caritatevole sopra i preti della Chiesa della Misericordia che vivono unicamente delle oblazioni dei fedeli. Ciò solo per tua norma in caso fosti richiesto su questo argomento.
Tu mi dici che avete tanto da fare; lo so; vorrei potervi venire in aiuto. Forse potrà consolarti il sapere che noi qui siamo così oppressi dalle occupazioni da non saper più dove incominciare e dove finire. Sono più mesi da che mi metto al tavolino alle 2 pomeridiane e mi levo alle otto e mezza per andare a cena. Tuttavia ricordati che la sanità è indispensabile, e perciò fate quello che potete. Avrete aiuto e cogli operai che manderemo di qui e con quelli che farete di costà.
Dirai poi a tutti i nostri cari figli Daniele, Rabagliati e ad altri, segnatamente al mio caro D. Baccino che vi raccomando tutti al Signore nella S. Messa ogni mattino.
La grazia di N. S. G. C. sia sempre con voi e credimi, o meglio credetemi in G. C.
N. B. Fu comperata una casa a Nizza Monferrato dove sarà trasferita la casa di Mornese con grande vantaggio, spero.
È bello vedere come l'affezionato Cooperatore seguisse passo passo i Salesiani nelle loro intraprese. Così qui con intimo compiacimento si fa a riferire d'una prossima missione di Don Cagliero in una colonia italiana di Entre - Ríos, ma a S. Nicolás egli non aveva ancora ricevuto la notizia che era già cosa fatta. Don Cagliero col chierico Rabagliati aveva visitato in quella regione la numerosa colonia italiana di Villa Libertad, a circa trecento miglia da Buenos Aires. Dal 12 al 26 aprile furono quattordici giorni di fatiche incessanti, rese più ardue da dieci giorni di pioggia[100]. Fu per lui notevole il fatto che venne a trovarlo uno di quei cacichi, a cui [168] il Governo aveva dato il titolo di colonnelli, e venne per raccomandargli quattro battesimi. Gli restituì la visita, impiegando mezza giornata di cammino a cavallo; disagio a cui si sottopose di buon grado anche per moltiplicare i contatti con gli Indi. I frutti raccolti, troppo inferiori al bisogno, lo fecero esclamare: “Oh ci vogliono missionari, missionari, missionari! Altrimenti le anime si perdono come gli animali del campo”.
La comunità di Buenos Aires aveva da lavorare non meno delle altre due. La scuola di arti e mestieri, aperta nel mese di aprile, come già si disse, fu inaugurata solennemente alla fine di settembre. Questa casa distava circa due chilometri dalla chiesa Mater Misericordiae. Essendo provvisoria, non ebbe nome definitivo, sebbene per la cooperazione prestata dai soci delle conferenze di S. Vincenzo si chiamasse comunemente ospizio di S. Vincenzo de' Paoli. Appunto per edificarne una regolare e in luogo più comodo, ove i Salesiani potessero state uniti, si faceva di tutto per acquistare dal signor Gazzolo il terreno necessario a fianco della chiesa, secondochè abbiamo detto altrove, e come leggiamo insistentemente ripetuto nelle lettere del Servo di Dio a Don Cagliero. Sul principio poi dello stesso mese di settembre l'Arcivescovo aveva canonicamente affidato alla Congregazione Salesiana nella persona di Don Bodratto la parrocchia della Boca del Riachuelo[101]: nuovo campo di lavoro che avrebbe richiesto fresche energie di strenui operai evangelici.
Invece il manipolo già tanto sottile degli operai là presenti fu assottigliato ancor più dalla molte: il 13 giugno la comunità di Buenos Aires perdette repentinamente uno de' suoi membri più attivi, Don Giovanni Battista Baccino, partito per l'Argentina con la prima spedizione. Sotto umili apparenze egli nascondeva un gran cuore di apostolo. Fare catechismi diurni e scuola serale ai giovanetti, confessare più ore della [169] giornata, predicare in italiano o in spagnolo, assistere gl'infermi, costituivano tale un cumulo quotidiano di fatiche da spossare più uomini, non che uno solo; eppure egli non si stancava mai, dolendosi unicamente di non poter sempre bastare a tutto. Invocava rinforzi da Torino. I rinforzi giunsero con la seconda spedizione; ma in luogo di sollievo gli apportarono accrescimento di lavoro, perchè diedero occasione a più larghi sviluppi dell'opera Salesiana in Buenos Aires. Onde poco dopo l'arrivo dei nuovi confratelli scriveva a Torino: “Il Signore benedice visibilmente le nostre fatiche. Prima aveva molto lavoro, ma ora ne ho moltissimo, giacchè, mentre, essendo tre, ne avevamo per sei, ora che siamo quattro ne abbiamo per dieci”.
Specialmente nelle sue lettere a Don Bosco i sentimenti di zelo che lo infiammavano nell'esercizio dei ministeri sacri, gli traboccavano dal cuore. “Io qui, gli diceva il 19 marzo 1876, mi trovo circondato da una infinità di giovani, molti passano già i vent'anni e debbo pensare a prepararli a ricevere la santa Cresima e fare la prima Comunione. Costoro sono in gran parte Italiani. I loro genitori vengono dal campo lontano fin dieci e più leghe per udire a predicare, confessarsi, comunicarsi, ascoltare una messa, e intanto lasciano i giovani perchè vengano da noi a farsi istruire. Pensi, caro Padre: in otto giorni, e poco più, devo prepararli alla confessione, ammetterli alla santa Comunione e tutto! Devo io aver coraggio a risparmiare me stesso?... Vi sono anche delle vocazioni allo stato ecclesiastico, se fossero coltivate; già varii ci fecero dimanda di entrare come coadiutori nella Congregazione”. E il 3 aprile: “Con quanto piacere ho letto il biglietto che si degnò mandarmi! Ella mi dice di avere gran cura della mia sanità. Grazie a Dio dalla mia partenza di costì ho goduto sanità perfettissima... Ma se presto non ci manda aiuto, qui dovremo sicuramente soccombere... Favorisca di mandarci anche dei libri. Se vedesse quanto frutto fanno il Giovane Provveduto e la Vita di Savio Domenico!... Non mi domandi [170] notizie di Buenos Aires, perchè non so come sia fatta. Sono divenuto un romito perfetto; non esco mai di casa, se non in gran fretta per visitare gl'infermi”. A Don Barberis scriveva il 18 maggio: “Devo sforzarmi per trovare un momento per mangiare. Il tempo non so come lo passi; solo so che mi alzo di buon mattino e alla sera vado a dormite molto tardi; vari giorni non trovo proprio un istante per riflettere se sono prima o dopo pranzo, se di mattina o di sera. Pure ho una sanità di ferro”. Citiamo ancora qualche periodo di una sua lettera del 20 aprile '77, che fu l'ultima a Don Bosco: “si può dire che tutti gli Italiani anche della campagna e distanti fino le cinquanta e cento leghe si versano qui come i fiumi si versano nel mare. Dio ci dà grandi consolazioni... Quando siamo giunti, l'abbiamo detto loro ch'eravamo venuti per lavorare e far loro del bene; ci han compreso, e del lavoro ce ne danno. Deo gratias...! Io sono molto contento di essere venuto in America, vivo tranquillo, lavoro facendo ciò che posso, ma sono ignorante: qui ci vorrebbero uomini più esperti di me. Una sola cosa mi resta a desiderare su questa terra, ed è che vorrei ancora una volta vedere il mio amato padre Don Bosco. Potrò sperarlo in questo mondo? Almeno preghi che, riunitici dopo morte, possa poi stare vicino a Lei per tutta l'eternità”.
Le testimonianze altrui confermano pienamente le cose che con filiale abbandono egli confidava al padre dell'anima sua. Una testimonianza è del signor Gazzolo che vide sul posto e quindi descrisse ai Superiori di Torino, in che modo il zelante sacerdote aveva passato la seconda domenica di febbraio del '77, il qual mese laggiù è nella stagione più calda dell'anno ed ha le giornate più lunghe[102]. Un'ora prima che levi il sole, Don Baccino scende in confessionale. Italiani e Argentini accorrono in folla a confessarsi da lui, nè egli si muove se non per recarsi a celebrare; poi dopo la messa, [171] trovando ancora il suo confessionale assiepato, vi si rinchiude di nuovo e vi rimane finchè non si presenta più nessuno, cioè fin verso il tocco. I Salesiani non avevano allora cucina in casa; perciò si facevano portare il pranzo dalla locanda. Andato a rifocillarsi, Don Baccino gusta un po' di cibo, ed ecco annunziarglisi che una famiglia arrivata poc'anzi da lontano per far le sue divozioni, chiede di confessarsi e ricevere la comunione. Udito che quei poveretti han fatto sei ore di viaggio a cavallo e quattro in ferrovia e che debbono affrettarsi a tornare, lascia là il pranzo e va da loro. Dopo finisce appena di trangugiare il cibo freddo, che bisogna cantare i vespri e fare la predica. Parla per circa un'ora a un uditorio assai numeroso e dà la benedizione; quindi una processione di gente gli sfila dinanzi, e chi vuol essere benedetto, chi lo richiede di benedire un matrimonio o di amministrare un battesimo, chi lo prega di un consiglio. Intanto vengono a dirgli che due infermi gravi lo aspettano: egli corre dall'uno e vola dall'altro. Alle dieci di notte finalmente può prendere un po' di cena e andare a riposo. Ma la predica della sera ha fatto frutto: alle quattro del mattino i penitenti si stipano già al suo confessionale. Diceva il relatore che quella era su per giù la sua vita tutte le domeniche e quasi anche tutti i giorni feriali. Specialmente se si trattava di malati, il più chiamato era sempre Don Baccino. Bisognava poi vedere quando usciva dalla camera degl'infermi! Torme di ragazzi lo aspettavano nei cortili e per le strade, ed egli a interrogarli, a catechizzarli, a benedirli, invitandoli all'oratorio. - Che buoni preti! esclamavano tanti. Dio ce li conservi! - Don Giuseppe Vespignani, succedutogli alcuni mesi dopo la sua morte, rimase intenerito alla vista dell'affetto che la gioventù serbava per Don Baccino.
Le Autorità ecclesiastiche scrivevano di lui a Don Bosco, magnificandone lo zelo; ma chi meglio di tutti poteva giudicare dell'opera sua era il suo superiore Don Cagliero. Ecco alcune espressioni spigolate nella sua corrispondenza con Don Bosco: “Fa magnificamente bene... M'accudisce quella chiesa [172] molto bene... La fa in tutto e per tutto da pastor bonus verso gli Italiani di Buenos Aires... D. Baccino nelle prediche piace moltissimo per la sua semplicità, quantunque non manchi alle volte di tuonare molto forte... Don Baccino non dice mai basta... Ho trovato Baccino in buona salute (19 agosto 1876), ma molto stanco... Non si capisce come possa fare tanto... Don Baccino lavora per quattro e riesce bene in tutto”.
E donde era venuto a Don Bosco un servitore così buono e fedele del padrone celeste? Sui ventitrè anni d'età una vaga aspirazione di vita più perfetta gli agitava il cuore. Sentì dire allora che nell'Oratorio di Don Bosco a Torino si accettavano giovani già grandi, i quali desiderassero di studiare per farsi preti. Una voce interna gli diceva che quello era luogo per lui. Temette che la povertà gliene chiudesse la porta; ma non fu così. Lasciò dunque i lavori campestri, diede l'addio alla nativa Giusvalla e fece il suo ingresso nell'Oratorio. Di fronte alle prime difficoltà un altro timore lo assalse: di non poterla durare agli studi, ripresi dopo tanti anni d'interruzione Ma la costanza lo sorresse a tal segno in quell'ambiente, dove Don Bosco allenava al bene, che in due anni imparò quanto bastava di latino per essere chierico e studente di filosofia. Durante i primi tre anni di teologia insegnò a Lanzo nelle classi elementari superiori: chiarezza d'idee e facile comunicativa ne rendevano efficace l'insegnamento. Quando morì, molti erano i chierici che benedivano la sua memoria, perchè da lui incamminati a Lanzo per la via del santuario. Vicino agli ordini sacri, fu mandato a Varazze, dove più agevolmente potesse ottenere di riceverli. I primi discorsi dell'America lo entusiasmarono, sicchè si mostrò uno dei più caldi a chiedere di andarvi. Il Beato Don Bosco che ne conosceva la tempra, lo esaudì nell'anno stesso della sua ordinazione sacerdotale, annoverandolo fra i dieci della prima spedizione. Chi nella fotografia del gruppo lo rimira là in piedi fra Don Bosco e il signor Gazzolo, gli scorge [173] in volto un'espressione di energia e di bontà, che dell'umile figlio dei campi farà un ministro degnissimo del Vangelo.
Ma il suo ministero purtroppo fu di breve durata, sebbene imperituro sia rimasto il ricordo e l'esempio delle sue sacerdotali virtù. La domenica 10 giugno del '77 diresse ancora la grandiosa processione del Corpus Domini, che lo stancò enormemente. Sul mezzodì del 13, rientrato dalla visita a un infermo sentì imperioso il bisogno di adagiare le membra e riposare. Dormiva in una modestissima cella, povera anche d'aria e di luce, sotto il campanile della chiesa. Là lo assalse una colica sì violenta, che le cure dell'arte valsero solo a procurargli tanto di calma che bastasse per ricevere gli ultimi conforti della religione, e poi quasi subito spirò. Don Cagliero nel comunicare a Don Bosco la luttuosa notizia si lasciò cadere dalla penna una proposizione che è il miglior epitafio del defunto: “Egli era di grand'animo, ma umile, doti, che lo fecero amare da tutta Buenos Aires”.
Scomparso il grande lavoratore, anche il grande animatore stava in procinto di partirsi dai fratelli per far ritorno al Padre. Il 31 marzo Don Bosco gli aveva scritto: “sarà possibile che tu possa intervenire al Capitolo Generale che dovrà cominciare al principio di settembre prossimo? Si dovranno trattare e risolvere cose assai importanti; perciò vedi, osserva, e dimmi si fieri potest”. In men di due anni è incredibile quanta fiducia e benevolenza Don Cagliero avesse saputo cattivarsi da parte dei confratelli e da ogni ceto di persone. Allorchè Don Bosco, scrivendo laggiù, aveva fatto mezza parola di quel richiamo, il caro Don Baccino gli aveva risposto: “Ci chiama figli e ci tratta tanto rigorosamente? Se già fossimo adulti, pazienza! ma siamo bimbi. Il Signore i suoi bimbi li pasce con latte e confetti; le prove le riserba ai vecchi, perchè si guadagnino meriti. Non sa che noi siamo bimbi, ed io il primo? Se ci toglie il capo, ah, che faremo? Verumtamen, non mea voluntas, sed tua fiat”. In molte lettere poi, che conserviamo, si vede l'afflizione generale degli amici [174] e conoscenti, quando sonò l'ora dei distacco, ma il sentimento di tutti balza fuori da queste scultorie parole di monsignor Vera: “ [Don Cagliero] ha sabido conquistar las voluntades de los Americanos”[103]. Non c'è chi, scrivendo, non faccia caldi voti per il sicuro e pronto suo ritorno[104].
Il suo arrivo all'Oratorio fu preceduto dalla visita di monsignor Pietro Lacerda, il Vescovo zelantissimo di Rio de Janeiro, del quale abbiamo già due volte fatto parola nel volume precedente[105]. “Non saprebbe dirsi, scrive Don Albera[106], se vi sia stato altro prelato che più intimamente abbia conosciuto Don Bosco, più l'abbia stimato e più teneramente a lui si sia affezionato”. Don Barberis andò a riceverlo alla ferrovia e a dargli il benvenuto in nome di Don Bosco. La banda musicale lo salutò al suo entrare nell'Oratorio, dove lo aspettava il Beato. Tre fatti restarono memorabili dopo la sua partenza. Il primo fu quella consultazione di parecchi giovani, della quale si è detto nel luogo testè citato. Fece impressione anche una poesia di Don Lemoyne in suo onore. Monsignore voleva a ogni costo avere nella sua diocesi i figli di Don Bosco. Il poeta dunque, pensando ai nomi portati dal Vescovo e da Don Bosco, svolse intorno alla pesca miracolosa del Vangelo il concetto che come Pietro dalla sua barca, non potendo sostenere il peso delle reti strapiene di pesci, chiamò dalla barca di Giovanni pescatori che gli venissero in aiuto per mettere in salvo la strabocchevole pescagione, così monsignor Pietro Lacerda, per assicurare vie meglio il tanto bene da lui operato nel suo ministero episcopale invocava le braccia dei figli di Don Giovanni Bosco, che unissero ai suoi gli sforzi loro nella divina pesca delle anime giovanili. Tutto concorreva ad alimentare in lui la dolce speranza di avere quanto prima nella capitale del Brasile o [175] nelle adiacenze un istituto Salesiano per la povera gioventù; speranza che, sebben tardi, egli ebbe la consolazione di veder avverata finalmente nel 1882 per mezzo di Don Lasagna.
Il terzo fatto è di altra natura: fu un richiamo toccato a Don Rua da parte della Curia arcivescovile di Torino, subitochè il Vescovo se n'era partito. Erasi creduto fermamente nell'Oratorio che monsignor Gastaldi, richiestone a viva voce, avesse accordato a monsignor Lacerda ampia facoltà di pontificare nella chiesa di Maria Ausiliatrice; tanto più che si era anzi mostrato tanto cortese da invitarlo all'Eremo[107] nella villeggiatura del seminario, dove i chierici l'avevano festeggiato con un'accademia. Ma subito dopo la sua partenza Don Rua si vide recapitare una lettera, in cui per ordine di Monsignor Arcivescovo gli si esponevano “gravi lagnanze” perchè si fosse “indotto Monsignor Lacerda a pontificare nella chiesa di Maria Ausiliatrice con assicurarlo che si aveva il permesso dello stesso Arcivescovo; mentre questi aveva sì consentito che e quel Vescovo e l'Arcivescovo di Buenos Aires, i quali erangli stati annunziati come venienti a Torino per passare alcuni giorni sul finire di giugno o il principiare di luglio, pontificassero per la festa di san Luigi: ma non aveva data altra licenza”. Monsignore perciò raccomandava “su un punto sì grave e sì delicato la massima esattezza e la piena consonanza con la realtà della cosa”.
Monsignor Lacerda portò chiusa in cuore una predizione di Don Bosco. Molte tribolazioni aveva già dovuto sopportare nell'esercizio del suo episcopale ministero; sapeva che altre glie n'erano riserbate in appresso; al Beato aveva confidate tutte le sue pene. Il Servo di Dio lo assicurò che da vivo egli non avrebbe avuto gloria in questo mondo, sibbene quando fosse morto. E così fu. Ai suoi funerali splendidissimi presero parte [175] nelle adiacenze un istituto Salesiano per la povera gioventù; speranza che, sebben tardi, egli ebbe la consolazione di veder avverata finalmente nel 1882 per mezzo di Don Lasagna.
Il terzo fatto è di altra natura: fu un richiamo toccato a Don Rua da parte della Curia arcivescovile di Torino, subitochè il Vescovo se n'era partito. Erasi creduto fermamente nell'Oratorio che monsignor Gastaldi, richiestone a viva voce, avesse accordato a monsignor Lacerda ampia facoltà di pontificare nella chiesa di Maria Ausiliatrice; tanto più che si era anzi mostrato tanto cortese da invitarlo all'Eremo[108] nella villeggiatura del seminario, dove i chierici l'avevano festeggiato con un'accademia. Ma subito dopo la sua partenza Don Rua si vide recapitare una lettera, in cui per ordine di Monsignor Arcivescovo gli si esponevano “gravi lagnanze” perchè si fosse “indotto Monsignor Lacerda a pontificare nella chiesa di Maria Ausiliatrice con assicurarlo che si aveva il permesso dello stesso Arcivescovo; mentre questi aveva sì consentito che e quel Vescovo e l'Arcivescovo di Buenos Aires, i quali erangli stati annunziati come venienti a Torino per passare alcuni giorni sul finire di giugno o il principiare di luglio, pontificassero per la festa di san Luigi: ma non aveva data altra licenza”. Monsignore perciò raccomandava “su un punto sì grave e sì delicato la massima esattezza e la piena consonanza con la realtà della cosa”.
Monsignor Lacerda portò chiusa in cuore una predizione di Don Bosco. Molte tribolazioni aveva già dovuto sopportare nell'esercizio del suo episcopale ministero; sapeva che altre glie n'erano riserbate in appresso; al Beato aveva confidate tutte le sue pene. Il Servo di Dio lo assicurò che da vivo egli non avrebbe avuto gloria in questo mondo, sibbene quando fosse morto. E così fu. Ai suoi funerali splendidissimi presero parte [176] tutti i poteri dello Stato, il Presidente della Repubblica vi si fece rappresentare, a migliaia e migliaia se ne diffusero i ritratti, tutti i giornali d'ogni colore ne tesserono gli elogi. Mons. Silva, vescovo di Goas, venuto all'Oratorio nel marzo del 1891, attestò il vaticinio, riferitogli dal defunto prelato, e il postumo trionfo, a cui pochi mesi innanzi aveva assistito. In principio di settembre Don Cagliero era a fianco di Don Bosco. Festeggiatissimo nell'Oratorio e fuori, rallegrò molto il buon Padre con la relazione delle grandi cose che i suoi figli facevano in America e delle maggiori che gli amici di là se ne aspettavano. Mosso da queste notizie, egli scrisse una serie di lettere, le quali ne lumeggiano assai bene l'azione missionaria o per dir meglio, l'industriosa attività apostolica. Le prime sei furono spedite nell'America, due con il secondo postale di settembre e quattro con il primo postale di ottobre.
1. Alla signora Elena Jackson.
Questa insigne benefattrice era sorella del signor Giovanni Jackson, da cui si denomina tuttora la colonia agricola salesiana di Mango nell'Uruguay. La famiglia Jackson, una delle più influenti e ricche di Montevideo, favorì sempre generosamente i Salesiani. La signora Elena contribuì anche alle spese per allestire l'edizione spagnuola del Giovane Provveduto e di altre opere del Beato; a lei in particolare si deve la casa delle Figlie di Maria Ausiliatrice, che fu aperta nelle vicinanze del collegio Pio.
La Divina Provvidenza che ha tra le mani il cuore de' suoi servi suole muoverlo a suo tempo a compiere le cose che sono secondo i suoi adorabili voleri senza riguardare al merito verso cui si dà tanto beneficio. È questo il caso nostro. I miei figli Salesiani colle sole mani in mano, unicamente fiduciosi nella bontà del Signore, intrapresero il viaggio dell'America del Sud per cooperare a salvare qualche anima [177] al cielo. La S. V. fu l'anima eletta a cominciare e sostenere l'opera del Signore di Villa Colón.
Il Dott. D. Cagliero ed il Dott. Lasagna mi aveva più volte scritto della sua religione, della sua affezione al Papa e della grande carità usata al Collegio Pio. L'aiuto prestato ad iniziare questo collegio; la carità continua che ci usa a sostenere la traduzione del Giovane Provveduto che già si sta stampando; la traduzione della Chiave del Paradiso; la casa delle Suore di Maria Aus. sono opere che renderanno sempre caro e venerato il nome di Lei, e per cui si faranno ogni giorno speciali preghiere finchè durerà la Salesiana Congregazione. Ella pertanto fu scritta sul catalogo delle insigni nostre benefattrici ed ogni mattino in tutte le case della nostra Congregazione (vi sono oltre a 15 mila allievi ) vi saranno speciali preghiere, affinchè Dio pietoso colmi di grazie il suo fratello D. Giovanni, conceda la grazia che si desidera per la tributata somma carità. Per tratto poi di bontà ora si occupa a tradurre alcune mie composizioni, ed io non voglio che lavori gratuitamente. Le anime che questi libri guadagneranno al Signore serviranno ad accrescere il corredo delle opere buone e la corona di gloria che gli angioli già le tengono preparata in cielo.
L'opera poi che le procurerà gran merito davanti a Dio e in faccia agli uomini è quella delle suore di Maria A. Don Cagliero ha fatta la scelta, e le sei designate studiano alacremente lo Spagnuolo e si preparano alla partenza nel prossimo novembre.
Ma tutte le suore dei novello istituto fin d'ora pregano per Lei che ne fa la prima fondazione nell'America del Sud. Forse Ella non comprenderà abbastanza il pregio dell'opera che fa. Fondare un istituto educativo in un paese vuol dire fare un segnalato benefizio a tutte le classi dei cittadini che vivono adesso e a tutti quelli che vivranno dopo di noi.
La spedizione per l'America del Sud è di 40 tra suore e Salesiani: circa 20 sono per la prossima spedizione e saranno accompagnati da Mons. Ceccarelli: gli altri partiranno poco appresso con D. Cagliero, se qualche fatto imprevisto non farà cangiare divisamento. Spero poterle scrivere altre cose entro breve tempo. Io la ricorderò ogni giorno nella Santa Messa, ed Ella preghi anche per me che le sarò sempre in G. C.
È già noto segretario di monsignor Vera e factotum nella fondazione del collegio di Villa Colón. Con vera effusione di [178] cuore il Beato risponde qui specialmente a una lettera del 6 agosto, nella quale Don Yeregui magnificava l'opera dei Salesiani del collegio Pio e lamentava forte la partenza di Don Cagliero. “El Dr. Cagliero, diceva egli, se ha conquistado las simpatías de todos, grandes y pequeños; y V. R. sabe muy bien que esa conquista de las simpatías generales vale mucho por la realisación de las obras buenas”. Quindi, interpretando il sentimento di molti, esprimeva il desiderio che Don Bosco lo rimandasse presto e ben accompagnato.
Da molte lettere ricevute da Montevideo e da Villa Colón era già stato informato della grande carità che Ella ha fatto e fa ai suoi cittadini e ad altri. Ma le cose raccontate da D. Cagliero superano di gran lunga quanto aveva la fama portato di Lei. Dio sia benedetto, Dio la rimeriti largamente, rimeriti Lei e i suoi fratelli e sorelle che tanto fecero per Villa Colón, pel Collegio Pio. Desidero di darle un piccolo segno della gratitudine grande che nutro per Lei, e ciò spero di fare nella prossima spedizione del vicino mese di novembre.
Questa spedizione provvederà a sufficienza il personale di Villa Colón, che è molto scarso in proporzione del gran lavoro che in ogni momento va ingrossando.
Sia adunque benedetto il nome di Gesù e di Maria che le inspirarono di venirci così efficacemente in aiuto colle lettere scritte, colle offerte fatte, colle raccomandazioni prodigate.
Se le è possibile si compiaccia di farmi una commissione presso a Monsignor Vescovo dicendogli che pel prossimo corriere spero di adempiere una parte dei molti e gravi doveri che ho verso la venerata sua persona. D. Cagliero ritornerà in Montevideo e nella Repubblica Argentina; ma prima dovrà forse recarsi ad aprire una casa a S. Domingo, dove il Vescovo manca affatto di Seminarii, di preti e di chierici.
Dio la benedica, caro D. Raffaele; prego Dio che ci conservi lunghi anni un tanto benefattore e conceda copiosi favori a Lei, ai suoi fratelli e sorelle, e raccomandandomi umilmente alla carità delle sante loro preghiere ho la consolazione di potermi sottoscrivere
Il Servo di Dio risponde a una lettera recatagli da Don Cagliero. Il Vicario Apostolico di Montevideo gli rinnovava i suoi ringraziamenti per il regalo, che egli, donando i suoi figli, aveva fatto a tutti gli Uraguaiani, “a todos los que pertenecemos a esta República del Uruguay”; ma in pari tempo faceva voti che l'assenza di Don Cagliero fosse solo temporanea e di breve durata.
Più volte il Dottor Lasagna e gli altri miei Religiosi mi scrissero intorno alla sollecitudine che V. E. praticò sia per iniziare, sia per sostenere la casa di Villa Colón; ma ora che D. Cagliero mi espose di presenza lo stato delle cose, conosco che dopo Dio è dovuto alla efficace sua protezione l'impianto di tale istituto.
Io pertanto le professo la più sentita gratitudine e tutti pregheremo la Divina Bontà che ci voglia conservare lunghi anni la E. V. nostro insigne benefattore.
D. Cagliero non può subito tornare nella partenza del 14 pross. novembre; e perciò ogni autorità di esso resta conferita al Sac. Bodratto, parroco alla Bocca in Buenos Aires: ma siccome intendo che tutti i Salesiani sieno suoi figli, così qualunque autorità mia sopra di loro la conferisco a V. E. tanto nello spirituale quanto nel temporale, pel tempo che dimorano nella Repubblica dell'Uruguay.
In novembre partiranno sei suore, otto Salesiani per Montevideo: gli altri andranno a Buenos Aires e a S. Nicolás.
Ella poi mi farà una grande carità se me ne darà avviso, ogni volta che scorgesse qualche disordine tra i miei Salesiani: e farò tosto ogni mio possibile per porvi rimedio. Ci troviamo in principio bisognosi di tutto: Ella ci aiuti colla sua protezione, e noi saremo tante braccia: nelle sue mani, che lavoreremo con tutto lo zelo possibile, per coadiuvare la E. V. e con Lei promuovere la maggior gloria di Dio. Mi raccomando umilmente alla carità delle sante sue preghiere, mentre ho l'alto onore di potermi professare
4. Al Dottor Edoardo Carranza.
Anche il dottor Carranza, presidente generale delle Conferenze Vincenzine a Buenos Aires, aveva scritto al Beato per mezzo di Don Cagliero. La sua lettera comincia così: “Dios ha favorecido nuestro pueblo, enviando a èl, a los Padres de la Congregación de San Francisco de Sales”. Poi vengono gli elogi di Don Cagliero, del quale tutti avevano in gran pregio “l'esperienza e la riconosciuta capacità”; non potersi quindi dubitare che Don Bosco non voglia rimandarlo a compier l'opera così felicemente iniziata.
Fra i mezzi che Dio in questi tempi suscitò pel bene della Chiesa e della civile Società, devesi a buon diritto annoverare la pia Società del cui Superiore Consiglio Ella è degnissimo Presidente. Non parlo del gran bene che questa meravigliosa istituzione va ogni dì operando con insigni opere di carità in Buenos Aires ed altrove: mi limito solamente ad accennare quello che fecero pei Salesiani. Questi Religiosi giunsero in questa città privi di tutto, ricchi soltanto di buon volere. Ma fortunatamente trovarono costì la Società di S. Vincenzo costituita, trovarono dei zelanti confratelli, trovarono il dott. Carranza. Essi adunque porsero mano ai pellegrini Salesiani, loro offersero protezione, direzione, consiglio, per loro cura i poveri religiosi vennero ricevuti con grande benevolenza, installati nella Chiesa della Misericordia, nella Chiesa della Bocca, alla direzione dell'ospizio dei poveri giovanetti.
Queste, Sig. Dott., sono tutte opere dei confratelli di S. Vincenzo. Ora le cose sono incominciate: ci vorranno non piccoli sacrifizi, affinchè abbiano lo sviluppo e possano dare quei frutti che a ragione tutti si aspettano. Niente risparmieremo. Qui in Italia preparerò operai evangelici, preparerò capi d'arte idonei, e li invierò tra voi. E voi continuerete loro la stessa protezione, la stessa benevolenza che già avete usato a quelli che li hanno preceduti.
Ma se me lo permette, Sig. Dottore, io raccomando l'ospizio dei poveri fanciulli, per arti e mestieri. L'esperienza ci fa persuasi che questo è l'unico mezzo per sostenere la civile società: aver cura dei poveri fanciulli. Raccogliendo ragazzi abbandonati si diminuisce il vagabondaggio, diminuiscono i tiraborse, si tien più sicuro il denaro [181] nella saccoccia, si riposa più quieto in casa, e coloro che forse andrebbero a popolare le prigioni, e che sarebbero per sempre il flagello della civile società, diventano buoni cristiani, onesti cittadini, gloria dei paesi ove dimorano, decoro della famiglia cui appartengono, guadagnandosi col sudore e col lavoro onestamente il pane della vita.
Ella, Sig. Dottore, raccomandi ai suoi confratelli l'opera dei poveri fanciulli, come quella che sarà di gran merito in faccia a Dio ed in faccia agli uomini.
Mi compatisca, Sig. Dottore, se io parlo con troppa confidenza. Le belle cose che il vostro Arcivescovo raccontò dello zelo e dell'abnegazione dei confratelli di S. Vincenzo, me ne danno l'ardire. Questo venerando prelato coi pellegrini Argentini si degnò di venire ad abitare nell'umile nostra casa di Torino: tutti ci edificò colla sua pietà e scienza. Si dimostrò contento di quel poco che sapemmo fare per attestare il nostro ossequio e la nostra gratitudine ad un insigne benefattore. Egli parlò molto di Lei, sig. Dottore, e della Società di S. Vincenzo, e ripetè più volte che questa era l'opera del Signore, da cui ne sarebbe derivato gran bene alla Chiesa ed allo Stato. Abbiamo anche avuto il piacere di essere visitati dal Confratello Dott. Martel; ma egli si fermò poco, sicchè ci mancò tempo di manifestargli i nostri sentimenti di stima e di affezione quali si meritava e quali noi desideravamo di esternare.
La ringrazio della bella lettera che si degnò di scrivermi e che ricevetti per mano di D. Cagliero. Esso si fermerà in Italia per sistemare alcune missioni a S. Domingo e nelle Indie, di poi ritornerà ai suoi cari amici di Buenos Aires, come caldamente egli desidera. A supplirlo alla Chiesa degli Italiani ci andrà D. Costamagna, buon musico e valente predicatore, con D. Milanesio, che si occupa di proposito dei fanciulli pericolanti. Altri preti con due catechisti saranno inviati alla Bocca in aiuto di D. Bodratto. La partenza loro è fissata pel 14 del p. Novembre.
Ora voglia gradire i miei umili, ma vivi ringraziamenti: abbia la bontà di estenderli a tutti i suoi confratelli: abbiano tutti vita felice, i posteri possano vedere il frutto della loro carità, mentre Dio a tutti terrà preparato il ben meritato guiderdone in cielo.
M raccomando infine alla carità delle sante loro preghiere, e mi professo colla massima gratitudine
P. S. Il Conte Cays fondatore delle nostre conferenze, presidente del Consiglio superiore di Torino, si fece Salesiano, vestì da prete, e a Dio piacendo, fra pochi mesi sarà sacerdote. [182]
Scioltasi, come abbiamo narrato nel volume precedente, la Società proprietaria di Villa Colón, rimasero al principale socio Enrico Fynn la chiesa di santa Rosa e i locali destinati a collegio. Il munifico signore, messosi d'accordo con il Vicario Apostolico, cedette quegli stabili a Don Bosco; sicchè a buon diritto il Beato poteva attribuire a lui il merito precipuo di quella fondazione salesiana.
Benemerito Sig. D. Enrique Fynn,
È ben giusto che qui dall'Europa un suo beneficato levi le mani al cielo invocando le divine benedizioni sopra di lei, nostro insigne benefattore. Leggiamo con ammirazione le donazioni fatte da S. Clemente, da S. Pudente, da S. Prassede e di molti altri per sostenere i bisogni della Chiesa o per fondare istituti a favore della Religione e della società. Ora io godo immensamente in vedere tali fatti rinnovati nel Collegio Pio dalla carità di V. S. Io nutro viva fiducia che questo atto generoso contribuirà a formare giovanetti nella fede e nella moralità, giovanetti che spargendosi nella civile società saranno ad altri e poi ad altri modelli di civiltà e di pietà. Ella poi ne goda in cuor suo, chè tale opera sta già scritta nel libro della vita in cielo, mentre i Salesiani sono gloriosi di scrivere il suo venerato nome nella storia della loro Congregazione; e finchè questa sussisterà, si faranno speciali preghiere per Lei e pel caro suo figliuoletto, e verrà il tempo in cui Ella sarà già nel riposo con Dio in cielo, ma i Salesiani continueranno tuttora la quotidiana loro prece della riconoscenza. La prego di estendere questi miei sentimenti di gratitudine al Sig. Lezica, e al Signor Lanus[109], suoi compagni nel bene operare a favore della nostra nascente istituzione.
D. Cagliero prima di ritornare in Montevideo, dovrà andare ad aprire altra Missione, ma nel prossimo novembre partiranno otto Salesiani e sei suore alla volta di Montevideo per completare il personale del Collegio Pio.
Le noto qui con piacere che alcuni mesi sono, essendomi recato a Roma per pregare il S. Padre a voler gradire che il Collegio di Villa Colón portasse il suo nome, lo gradì assai, e ne benedisse il pensiero. Ma siccome S. S. conosceva la magnificenza di quella località, mi chiese [183] come l'avessi potuto acquistare. Quando poi seppe che era dono di V. S. dimandò varie particolarità della sua famiglia e poi m'incaricò di comunicarle questa sua particolare benedizione: - Dio benedica quei generosi oblatori, dia loro il centuplo nella vita presente e la vera mercede nella futura. Faccia poi che la carità del genitore passi nel suo figliuoletto Enrique, e così diventi ricco della vera ricchezza del santo timor di Dio.
Il medesimo D. Cagliero mi disse che lei si compiacque di mettere lo stesso suo figlio in collegio e che continua a beneficare l'opera che ha incominciata. Io nutro viva fiducia che, in ricompensa di tanta carità, Dio concederà a questo suo figliuolo che cresca nella sanità e nella virtù, e le faccia un giorno gloriosa compagnia nel regno dei Beati.
La grazia di N. S. G. C. sia sempre con noi: e si degni anche di pregare per me che sono sempre colla massima venerazione
6. Al Priore, al Consiglio e ai fratelli
della Confraternita di Nostra Signora della Misericordia.
Una lettera del 12 agosto, sottoscritta dal priore della Confraternita di Mater Misericordiae signor Romolo Finocchio e dai membri del Consiglio, diceva a Don Bosco il dispiacere universale per l'improvvisa partenza di Don Cagliero. “La sua partenza, si legge ivi, ci ha lasciati molto afflitti, e non solo questa Confraternita, ma ancora i figli del paese, che lo avevano sentito predicare nella loro lingua dopo un mese appena dal suo arrivo. Era infaticabile nel suo ministero ed eseguiva il suo programma annunziato dal pergamo, quando disse di essere venuto per fare del bene. Non infruttuose furono le sue fatiche, perchè giammai la chiesa italiana in questa città era stata si frequentata dai fedeli, come dal tempo che ne prese lui la direzione, aiutato dagli altri suoi compagni, che come figli di ubbidienza tutti adempivano il loro dovere. Pertanto, noi La ringraziamo infinitamente di averci fatto conoscere il R.do P. Cagliero, la cui permanenza [184] qui sarebbe stata per questa chiesa di gran profitto spirituale e temporale. Il nostro desiderio sarebbe che ritornasse presto fra noi a continuare il progresso già cominciato. Noi gliene saremmo molto grati. Dipende da Lei il volere o no; quindi La preghiamo di far sì che non siano deluse le nostre speranze. Qui potrà fare gran bene, perchè già conosce ed è conosciuto, e lo stimano ed amano molto, e dopo la sua partenza si nota nei Confratelli una certa tristezza e disanimazione, come se fosse loro successo un grande infortunio; e non può essere a meno, perchè poco tempo fa la morte rapì loro per sempre il R.do P. Baccino da tutti compianto, ed ora si vedono privi del R.do Padre Cagliero, che tanto amano. Sì, ne hanno purtroppo ragione, e se Lei fosse testimone oculare, non si farebbe certo pregare di ritornarlo a noi”.
La grazia di N. S. Gesù Cristo sia sempre con noi. Amen.
La vostra lettera, amati confratelli e figli carissimi, mi portò la più grande consolazione.
Voi fate vedere che avete un buon cuore, e che quanto i Salesiani mi scrissero, ed ora D. Cagliero mi racconta di voi, è assai poco in confronto della realtà. L'accoglienza fatta a D. Cagliero ed a' suoi compagni, è un fatto che resterà incancellabile nei nostri cuori, e farà parte della storia della Congregazione Salesiana. Sì, o miei cari Confratelli, la storia ricorderà a quelli che verranno dopo di noi che sul finire dell'anno 1875 un'umile schiera di Missionari colle sole mani in mano, unicamente mossi dal desiderio di fare del bene al loro simile, lasciarono l'Europa, e si recarono nella Repubblica Argentina. Colà incontrarono degli amici, dei cristiani generosi, i Confratelli della Misericordia. Costoro li accolsero con bontà esemplare, loro offersero alloggio, chiesa e pane, offrirono comodità di celebrare il sacro loro ministero, e così di essere conosciuti, aprite altre e poi altre case a favore della classe più bisognosa della civile società, di pericolanti giovanetti, che se non sono aiutati diventano il flagello della società, e per lo più vanno a popolare le prigioni
Questo bene, questa gloria, è dovuta a voi, generosi Confratelli. Siatene santamente gloriosi in faccia a Dio e in faccia agli uomini. Presentemente D. Cagliero non può ritornare tra voi, siccome di tutto cuore desidera. Esso è uomo provvidenziale, e dovrà andare ad iniziare una missione nell'isola di Ceilan e poi un'altra a S. Domingo. Di poi a Dio piacendo volerà tra voi che siete i suoi primi amici d'America.
Intanto il 14 dei prossimo novembre partirà un'altra schiera di 24 [185] Salesiani che andranno a rinforzare coloro che già lavorano nelle case e nei collegi già aperti ed anche a rimpiazzare l'anima cara di D. Baccino, da Dio chiamato a godere il premio delle sue fatiche. A fare le veci di D. Cagliero avrete zelanti operai, e fra gli altri avrete D. Giacomo Costamagna, assai conosciuto per la sua perizia nella musica, nel canto, nel suono, e specialmente nel predicare. Avvi eziandio Don Milanesio che tra noi fa gran bene alla povera gioventù cogli Oratorii festivi.
Essi andranno, e andranno per lavorare a maggior gloria di Dio, e salvare anime fino all'ultimo respiro della loro vita. Ma voi, o cari Confratelli, continuate ad usare ai medesimi carità e benevolenza. Compatite i loro difetti, date loro buoni consigli, e quell'aiuto e quel pane che loro porgete, immaginate di darlo all'umile scrivente che voi chiamate padre, mentre vi sottoscrivete col dolce nome di figli.
Le parole di affetto, di stima, di gratitudine e di ringraziamento dette a voi, desidero che siano comunicate anche ai vostri compagni, e a tutti quelli che in qualunque maniera fanno del bene ai Salesiani.
Coraggio adunque, o figli amatissimi, continuate ad amare la religione nei suoi ministri, continuate a praticare questa nostra santa Cattolica religione, che possa renderci felici su questa terra, sola che valga a renderci eternamente beati in cielo.
Se volete farmi cosa veramente grata, scrivetemi ancora altre lettere, e pregate anche per me che con vera stima e profonda gratitudine vi sono sempre nel Signore
7. Al Presidente della Propagazione della Fede.
Con la medesima data delle quattro ultime lettere il Servo di Dio si rivolse una seconda volta alla Presidenza generale della Propagazione della Fede per ottenere qualche sussidio a favore delle sue Missioni.
Il desiderio grande che ho di promuovere le missioni dell'America dei Sud, è quello che mi muove a rinnovare l'umile preghiera alla pia opera della Propagazione della fede, di cui la S. V. Ill.ma è degnissimo presidente. Nello spazio di due anni, si aprirono cinque Chiese al divin culto, un collegio a poca distanza dalla capitale dell'Uruguay, altro a S. Nicolás de los Arroyos, ed un ospizio pei fanciulli più poveri a Buenos Aires.
Le Chiese sono frequentate, i collegi sono letteralmente pieni di [186] allievi. La moralità è coltivata, e già si manifestarono parecchie vocazioni. A tal fine si è fondato un noviziato, o meglio un seminario, appositamente per fare gli studi di filosofia e teologia, e di lingue, e così prepararci per andare fra i selvaggi. Senza contare gli indigeni[110], vi sono già 34 Missionarii a poca distanza dai Pampas e dai Patagoni. Anzi nelle missioni date a Villa Libertad, ed in altri paesi limitrofi ai selvaggi, si ottenne molto. Ora si tratterebbe di aprire una missione presso al Rio Santa Cruz, che è al grado 50° di latitudine Sud, dove sonvi parecchie tribù di Patagoni, ed un'altra a Carhuè, frontiera di Buenos Aires, dove sonvi altre tribù di Indi Pampas. A tale uopo sono indispensabili non meno di 40 Missionarii che già io tengo preparati. Ma per sostenere le missioni iniziate ed aprire le case indispensabili per avanzarci con minor pericolo fra i selvaggi, ci vogliono mezzi, che una povera Congregazione principiante qual è la nostra, non può sostenere.
Perciò d'accordo coll'Arcivescovo di Buenos Aires ricorro nuovamente alla S. V. Ill.ma affinchè prenda queste missioni sotto alla benevola ed efficace sua protezione e mi venga in aiuto, almeno pel corredo e viaggio dei novelli missionari, di cui 24 dovrebbero partire al 14 del prossimo novembre, e gli altri poco dopo.
Molti mi decantano la grande carità di V. S. ed io mi raccomando quanto so e posso, perchè si degni di superare le difficoltà che si possono incontrare, e così venirmi in aiuto.
Dal canto mio l'assicuro che, come ho sempre fatto in passato, non mancherò colla parola e colla stampa, di promuovere l'opera meravigliosa cui Ella così degnamente presiede.
Colla massima venerazione, ho l'alto onore di potermi professare
P. S. Il Sig. Canonico Ortalda, Direttore della Propagazione della Fede in questa nostra città, sarebbe pronto a darmi quel sussidio che la S. V. giudicasse di concedermi.
Con questa lettera personale il Beato mandò di conserva una relazione schematica, da presentarsi al Consiglio. La risposta venne con la massima sollecitudine e in forma assai cortese, ma negativa e per la solita ragione: non risultava che la Missione fosse stata canonicamente costituita dalla Santa Sede[111].
LA prima volta che il Beato Don Bosco portò la sua attenzione sopra i locali, in cui doveva più tardi trapiantare la Casa Madre delle Figlie di Maria Ausiliatrice, non fu per mettervi suore. Prima di dire come la cosa andò, ci vuole un po' di storia.
Dove comincia l'agro nizzese, poco lungi dall'abitato, sorgevano una chiesa e un convento, le cui origini si perdono nella notte dei tempi. Quella, più antica e dedicata alla Madonna delle Grazie, divenne un santuario assai venerato; di questo si sa soltanto che da prima lo abitarono i Minori Osservanti e poi i Minori Riformati, come si denominavano precedentemente alle modificazioni introdotte da Leone XIII, le famiglie dell'Ordine francescano, e che nel 1817 dopo le soppressioni francesi fu dato ai Minori Cappuccini. Questi buoni Padri vi dimorarono tranquilli e benedetti dalle popolazioni dei dintorni fino al 1855, quando la legge piemontese del 29 maggio, sopprimendo gli Ordini religiosi, li strappò al chiostro e mise convento e chiesa nelle mani del demanio. Sgombrato l'edifizio e chiuso il santuario, il Municipio di Nizza ne fece acquisto per la somma di lire 24 mila, cifra non rilevante rispetto al valore degli stabili; ma furon denari buttati, perchè non se ne ricavavano gli sperati frutti. Si tirò [188] avanti così fino al 1869, allorchè il Municipio deliberò di disfarsene. Trattò pertanto con una società di professori, perchè venissero ad aprire ivi un collegio convitto privato con l'obbligo dell'insegnamento ginnasiale. Le pratiche sembravano ormai ultimate; ma la tardanza dell'autorità superiore amministrativa a dare l'approvazione legale non permise che si attuasse in tempo utile il disegno e tutto andò a monte.
Allora fu che il sindaco signor Filippo Fabiani ai 3 di marzo del 1870, imbattutosi in Don Bosco sopra non sappiamo quale treno, tenne con lui discorso dell'affare, nella speranza che egli acquistasse quelle fabbriche e vi aprisse un suo istituto. Forse Don Bosco gli diede buone parole, perchè il sindaco ai 29 di aprile, riferendosi alla conversazione avuta in ferrovia, tornò alla carica per lettera. “Riconoscendo, scriveva egli, quanta potenza sia in Lei, Rev.mo Signore, e non ammettendo dubbio sulla urgente necessità di provvedere questa povera e dimenticata città di un insegnamento utile qual è quello ginnasiale, mercè cui apresi pure la via al sacerdozio, i cui militi vanno ogni di più dileguandosi, oso implorare dalla S. V. Rev.ma di voler occuparsi con qualche sollecitudine della cosa e fra il più breve termine possibile riferirmi sulle più o meno possibilità dell'impianto di cui sopra”. Il comune però, a detta del suo rappresentante, non era in grado di “esporre denaro” per l'adattamento del locale; tuttavia l'avrebbe ceduto a modico prezzo, purchè Don Bosco si obbligasse a impiantare il collegio convitto privato con l'insegnamento ginnasiale. Noi ignoriamo il tenore della risposta; ma possiamo asserire con certezza che il Servo di Dio non si trovava allora in condizione di assumersi un obbligo tale entro brevi termini di tempo. Basti riflettere che nel 1870 fra preti, chierici e coadiutori egli aveva appena ventisette professi perpetui e trentatrè professi triennali, ripartiti fra l'Oratorio di Torino e le due case di Mirabello e di Cherasco; e che doveva aprire per ottobre il grande collegio di Alassio. [189] A ogni modo è lecito pensare che non indarno la sua attenzione sia stata richiamata su quei profanati edifici sacri.
Ma la profanazione fu subito dopo spinta ben più oltre di quello che alcuno si sarebbe potuto immaginare. Il Consiglio comunale in un primo tempo non trovò miglior via di uscita che cedere tutto alla Congregazione di Carità in estinzione di un debito che aveva verso di questa, ma con la condizione che s'impiantasse un ospedale, o là entro o altrove, nel termine di due anni. Se non che, mentre la Congregazione di carità aderiva alla proposta, ecco sopraggiungere un'offerta maggiore da parte di una Società Enologica che aveva sede in Savigliano. Le si diede la preferenza, e le metamorfosi cominciarono ben tosto. La Società saviglianese ridusse la chiesa in una vasta cantina, la quale trasformazione di un luogo, sacro da secoli al culto divino e alla preghiera, seppe amara alla cittadinanza; ma più la offese il modo. Poichè botti enormi presero il posto degli altari in ogni cappella e per colmo di empietà vennero battezzate coi nomi dei gradi gerarchici in uso presso le comunità monastiche. A tanto potè giungere il cinismo di un frate apostata e de' suoi degni compagni, soci dell'Enologica. Ma se con sì sacrileghe violazioni essi credettero di veder prosperare i loro affari, fecero molto male i conti, tanto male che dopo men di un lustro dovettero vendere, vino, bottame e masserizie enologiche e sul finire del '76 posero in vendita anche il fabbricato e i suoi accessori, come le vigne piantate all'ingiro.
La gran maggioranza dei Nizzesi, che avevano imparato dalla pietà dei loro padri a fare piamente la strada del santuario mariano, stavano con ansietà aspettando come le cose sarebbero andate a finire. Nessuno si presentava. Dato lo spirito del tempo, era follia sperare che quei vetusti edifizi fossero ridonati al loro scopo primitivo; tuttavia si desiderava generalmente dì vederli almeno destinati a qualche opera di pubblica utilità o di beneficenza. Ed ecco un bel giorno di primavera del '77 giungere da Torino affatto inatteso il Beato [190] Don Bosco per visitare quelle vecchie mura. I conti Balbo che avevano cascine e villeggiatura nel territorio di Nizza ed alcune famiglie di maggiorenti nizzesi tanto avevano fatto da indurlo a fare tale visita per trovar il modo di rimediare all'enorme profanazione. Il Beato, che cercava appunto un novello asilo per le suore di Mornese, non aveva aspettato allora a rivolgere il memore pensiero alla storica derelitta dimora dei padri Cappuccini. Trovò dunque che la solidità della costruzione, l'unica cosa rimasta sana, non lasciava nulla a desiderare e che sebbene a costo di molti lavori e spese il convento poteva certamente essere ridotto a istituto di educazione. L'amenità poi del sito, la salubrità dell'aria, la vicinanza della città, l'agevolezza delle comunicazioni coi paesi limitrofi e coi centri lontani, tutto rispondeva egregiamente ai bisogni di una comunità così numerosa e varia. Ma affacciatosi all'entrata della chiesa: - Misericordia! - esclamò inorridito e dando un passo indietro. Aveva dinanzi agli occhi nulla più che una squallida spelonca. Distrutti gli altari, rotto e frantumato il pavimento, le pareti annerite dal fumo, le volte chiazzate di muffa per le umide esalazioni: l'abbominazione della desolazione era proprio entrata nel luogo santo. Una cosa sola anche là durava in essere: la saldezza delle opere di muratura. Bisognava, sì, bisognava senza indugio restituire al culto quella casa di Dio; bisognava ritornare quel cenobio ad asilo di pietà. Per Don Bosco risolvere e fare erano tutt'uno. D'allora in poi non ebbe altro più in vista che di accelerare il compimento dell'impresa.
Le due cose più importanti erano anzitutto stipulare il contratto con la Società Enologica e ottenere l'autorizzazione da Roma; la prima urgente, la seconda di prammatica. Il contratto di vendita e compra fu sottoscritto il 30 aprile al prezzo di lire trentamila[112]; ad altre formalità secondarie si provvide nei giorni immediatamente successivi; onde il [191] Beato potè scrivere il 5 maggio alla signora Francesca Pastore di Valenza, Cooperatrice Salesiana: “Questa compra... fu definitivamente conchiusa ieri”. Della cosa in se stessa il Servo di Dio vi si mostrava lietissimo; infatti, nei periodi che precedono le parole citate, dopo aver detto della pratica per l'accettazione di un ragazzo nell'Oratorio, proseguiva: “Assai più importante è quello che le ho da partecipare. Ella sa che la Casa di Mornese, conveniente per diversi motivi, è veramente incomoda e dispendiosa per arrivarvi. Ora eccone comprata una in Nizza Monferrato, dove Ella potrà recarsi a suo piacimento e assai comodamente. L'antico convento e chiesa della Madonna erano ridotti in un orrido magazzeno da vino; e dove si cantavano le lodi a Maria, ora si offrivano libazioni a Bacco, risuonando bestemmie etc. Dopo lunghe e difficili pratiche, ora è comperata”. Per l'atto notarile Don Bosco non ebbe fretta; non voleva lasciarsi mettere dai creditori il coltello alla gola, sebbene fosse sua intenzione di non ritardare troppo il pagamento. Ne scrisse così il 2 maggio alla contessa Corsi: “Il contratto pel Convento della Madonna è conchiuso. Dopo molte chiacchiere si definì a fr. 30 mila che assicuravano si erano offerti da altri. Mi sono preso tre mesi di tempo per fare l'atto notarile, ed in questo tempo bisogna che pensiamo a mettere insieme danaro. Se è possibile, è meglio pagarlo subito. Ella faccia solo quello che può; ne parli con chi crede opportuno. È una gloria per Nizza e per la Religione, che una chiesa fatta magazzeno da vino sia ritornata al culto. Spero di rivederla e ci parleremo più positivamente”.
Del come agisse “positivamente” in affari di tal natura, ce ne offrono un saggio tre lettere, da lui indirizzate al canonico Edoardo Martini di Alassio. Andato giovane prete in America, aveva questi esercitato per quindici anni il ministero parrocchiale ad Azul non lungi da Buenos Aires. Ritornato in patria, siccome disponeva di una discreta fortuna, potè procacciarsi quegli agi che si sogliono desiderare per [192] andar incontro serenamente alla vecchiaia. Nel suo primo abboccamento con lui Don Bosco gli chiese che cosa facesse. - Riposo - fu la sua risposta. - Come? ripigliò il Beato. I preti riposano in cielo. Parole così semplici gli penetrarono l'anima; d'allora in poi prese ad amare il Servo di Dio, che a sua volta si studiava di disporlo a chiudere santamente i suoi giorni. La libertà con cui qui Don Bosco gli scrive perchè lo aiuti nell'acquisto della casa di Nizza, dimostra che il Canonico senz'aspettare l'ultima ora pensò per tempo a farsi del bene.
La “casa di campagna”, della quale Don Bosco gli fa menzione nella prima lettera, è la villetta che passò poi in proprietà del collegio di Alassio e da cui volò al cielo il principe Czartorski. Quale fosse il “carnevale veramente cristiano” fatto ivi insieme, non si sa con certezza; potè essere quello del '76, che cadde ai 29 di febbraio, quando il Beato, di ritorno da Nizza Marittima, visitò alcune case della Liguria. Dell'affare di Nizza Don Bosco trattò con lui per mezzo di Don Cerruti. Dalla seconda lettera apprendiamo che della famosa Società Enologica facevano parte anche protestanti; con l'aggiunta “e peggio” allude certamente al misero frate sfratato.
Il carrozzino è fatto; ora bisogna studiare il modo per farvi le ruote. La casa per le nostre suore posta nell'amena città di Nizza Monf. in eccellente posizione è comperata a f. 30 mila. Abbiamo tre mesi di tempo a fare scritto notarile, se non possiamo farlo prima.
Ora a lei compiere la grande impresa. È un bel convento con una chiesa che costò non meno di 150 mila f. ridotta ad un orrido magazzeno da vino, ma che Ella può ritornare al Divin culto con trionfo di nostra Santa Religione.
Ella adunque abbia la bontà di dirmi se la sua volontà e la sua posizione finanziaria è tuttora nello stato in cui era quando ho avuto il piacere di fare un carnevale veramente cristiano nella sua casa di campagna e ciò per mia norma.
Dio la benedica e preghi per me che le sarà sempre in Gesù Cristo
Il Sig. D. Cerutti mi comunicò la sua intenzione ed io apprezzo assai le sue osservazioni, che cioè sarebbe in detrimento del Capitale il realizzare in questo momento i titoli di valore. Per questo io mi assumerei di fare in modo che V. S. avesse minor danno possibile. Ho dato ad un cambista la cifra delle due rendite senza nominare persona e mi diede il bollettino che le unisco. Io pertanto le passerei una obbligazione con quelle garanzie che Ella desiderasse e sarebbe di mille franchi annui.
Può darsi che una banca di commercio per diminuirmi la perdita accetti questi titoli e mi dia la somma occorrente e se verrà il momento che vi siano aumenti li lasci a nostro benefizio.
Riguardo ai proprietarii dello stabile di Nizza non si può sperare alcun vantaggio, essendo alcuni protestanti ed altri peggio; sicchè bisogna proprio che procuriamo di fare da noi, ed Ella avrà la consolazione di aver contribuito a porre termine ad una profanazione, ritornando una chiesa al Divin Culto ed impiantando un Istituto con educandato dove saranno sempre invocate le benedizioni del Signore sopra di Lei.
Non dimentichi la seconda parte della mia lettera antecedente.
Per ogni convenzione o scritto D. Cerutti ha la mia procura generale.
Che Dio la benedica; preghi anche per me, che in tutto quello che potrò le sarò sempre in G. C.
P. S. Al 15 del corrente mese comincia la novena di Maria A. Ella non verrà a passare con noi qualche giorno o almeno la festa che è al 24?
Le nostre lettere si incrocicchiarono ed io accetto quello che Ella propone; solamente noto riguardo alla nota cambiale, che finora sta nelle promesse e nella buona speranza; ed io mi obbligo di corrisponderne il frutto relativo di mano in mano verrà ad effettuarsi qualche parte di pagamento.
Del resto se c'è qualche difficoltà a questo riguardo, D. Cerruti ha tutti i poteri per appianarla.
Facciamo dunque così: Ella venga a fare con noi la festa di Maria Ausiliatrice e al suono dei musicali istrumenti realizzeremo la compra del novello edifizio e questo ricorderà la solennità della S. Vergine A. C. del 1877.
Mi raccomando tanto tanto alla carità delle sue preghiere e nel piacere di presto rivederla ho l'onore di professarmi in G. C.
Il Canonico rimise a Don Cerruti lire 25 mila in cartelle del Prestito di Genova, e Don Cerruti si affrettò a portarle a Don Bosco. A questo atto di generosità s'indusse, quando seppe che anche le Figlie di Maria Ausiliatrice prestavano l'opera loro nelle Missioni d'America. Venuto poi a morte nel 1884 e desiderando che i suoi beni tornassero a vantaggio di una Congregazione che avesse Missionari là dov'egli si era onestamente formata una buona condizione finanziaria, costituì Don Bosco suo erede universale.
In pari tempo correvano presso la Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari le pratiche consuete per avere le debite facoltà. Don Bosco umiliò al Santo Padre una supplica, con un succinto ragguaglio delle vicissitudini subite, dal convento dei Cappuccini. Il 14 settembre la Sacra Congregazione, su relazione favorevole dell'Ordinario diocesano e dopo favorevole voto della Procura Generale dei Cappuccini, emise un Rescritto con cui dava incarico a Monsignor Vescovo di accordare a Don Bosco la chiesta facoltà, previa dichiarazione scritta del medesimo, che in un eventuale ritorno degli antichi possessori egli avrebbe restituito all'Ordine dei Cappuccini il convento e la chiesa, a condizione naturalmente che fosse indennizzato delle spese sostenute, dichiarazione che doveva conservarsi negli archivi della Curia vescovile di Acqui. Al che Don Bosco ottemperò, come di dovere.
Anche in questo il Beato diè prova di estrema delicatezza. Sebbene avesse parecchie ragioni per ritenere che la formalità dell'approvazione di Roma non gli poteva mancare, non badò a sollecitazioni d'interressati, ma ci tenne a dichiarare che l'atto notarile non si sarebbe fatto prima di avere in mano il Rescritto della Sacra Congregazione. In questo senso egli rispose alla signora Lansetti, che trattava con lui a nome del suo compagno signor Stefano Lansetti, principale azionista e rappresentante della Società enologica. [195]
La Signoria V. ha ragione di insistere per divenire alla sistemazione del Contratto sulla casa di Nizza Monf. ed io non so che rispondere. Attendo giorno per giorno la facoltà che mi è indispensabile. Fu già chiesto il parere al Vescovo di Acqui, che tosto lo mandò favorevole. Oggi stesso rinnovo lettera alla Congr. dei Vescovi e Regolari, e se mai Ella avesse colà qualcuno da pregare perchè vada a sollecitare, mi farebbe piacere. Ad ogni modo, passato questo mese, faremo in modo di parlarci e stabiliremo quanto possa farsi per salvare i danni e la coscienza.
Mi voglia credere con perfetta stima
V'ha di più. Don Bosco sapeva con tutta certezza che il Rescritto era pronto a Roma e che il ritardo a spedirlo proveniva da circostanze estranee alla cosa; tuttavia fece intendere all'altra parte che egli non si sarebbe mosso prima di riceverlo. Replicò infatti alle insistenze della medesima signora:
La sua lettera mi ricorda il dovere che dovrei compiere per l'acquisto del locale della Madonna di Nizza Monferrato. Non avvi altra difficoltà se non la facoltà di poter fare l'atto notarile. Ho scritto a Roma alla Congregazione dei Vescovi e Regolari; mi risposero più volte [che] riceverei quanto prima il Rescritto richiesto, e intanto si ritarda. Ho di nuovo fatto istanza. Facciamo adunque come si può. La Società vinicola raccolga le uve e gli altri frutti dell'annata. Appena avrò ricevuto il necessario Rescritto, lo renderò tosto manifesto, e allora ci intenderemo su tutto. È mia intenzione che la detta Società non abbia alcun danno, come so pure che V. S. e suoi soci non vogliono alcun mio danno.
Se mai Ella ha qualche osservazione a fare, favorisca di accennarla, che io la riceverò di buon grado e spero andremo d'accordo in tutto.
La prego di volermi credere con perfetta stima ed ossequio
Lanzo, Collegio, 8 sett. 1877.
Finalmente il sospirato documento venne[113]. Di tutto diede notizia alla contessa Corsi in una lettera, con la quale mandava un Salesiano bisognoso di sollievo, al posto di un altro che per lo stesso motivo aveva già presso di lei trascorso qualche tempo.
Le mando D. Bussi Prefetto di S. Pierdarena per supplire a Don Bertello, che deve venire a farsi buono qui a Lanzo. Questo D. Bussi è stanco dal lavorare ed ha bisogno di qualche giorno di sollievo e perciò lo raccomando alla sua materna benevolenza ed alla cortesia eccezionale del Conte Cesare, perchè con bontà supplisca alla timidità dell'altro con fargli fare qualche passeggiatina e con qualcheduna delle sue amene storielle.
Colla posta di oggi ho ricevuto il permesso di acquisto della Chiesa e Convento dei Cappuccini. Per condizione speciale metto questa, che se i Cappuccini potessero ritornare, io la cedo loro di buon grado.
Ora dobbiamo trovare i quattrini. Mi dica a chi potrei scrivere; intanto ecciti la pietà del Clero e dei fedeli Nizzesi. È gloria loro che sia ritornato al culto un edifizio orrendamente profanato. D. Bisio sospenda le altre cose e per un poco si occupi di questo affare cercando quattrini. Io ho già settemila franchi; ce ne vogliono trenta, e gli altri ventitrè mila in qualche modo bisogna trovarli; altrimenti facciamo un brutto fiasco.
La Contessa Nonna bisogna che faccia anch'essa qualche sacrificio in onore della Madonna.
D. Francesia, D. Rua e circa duecento dei suoi figli la ossequiano, le assicurano preghiere e tutti si raccomandano alle sue.
Dio la benedica e conservi Lei, tutta la sua famiglia in sanità e grazia sua e mi creda sempre quale con gratitudine mi professo di V. S. amatissima
P. S. Il Conte Cays è vestito da chierico da otto giorni. Si mostra un Serafino di amor di Dio. Se Dio ce lo conserva, sarà un buon Salesiano. Dice che non fu mai così bene in sanità e contentezza come da che venne a fare vita francescana.
L'atto fu poi rogato il 12 ottobre 1877 a Savigliano nello studio del notaio Saverio Negro. Don Bosco vi era legalmente [197] rappresentato da Don Rua. Lire quindici mila vennero sborsate ivi stesso; per le restanti quindici mila Don Bosco si obbligò a pagarle entro tutto il mese di aprile del 1879, corrispondendo intanto l'annuo interesse del sei per cento.
Il contratto mise Don Bosco in possesso di poco più che delle nude muraglie, quasi come di fabbriche consegnate al committente appena i fabbricatori abbiano raggiunto i comignoli, mentre alla mano dei muratori si deve ancora associare quella di fabbri, falegnami e simili artieri per renderle abitabili. Sborsato il prezzo di acquisto, quante spese sarebbero restate a fare, perchè e la chiesa ridiventasse non indegna casa di Dio e la monacale dimora si cambiasse in educandato femminile e in noviziato di suore! Perciò, quando la buona stagione permetteva di riprendere con alacrità i lavori già avviati, il Servo di Dio invocò soccorsi da ogni parte, diramando largamente questa circolare.
Nelle vicinanze di questa città di Nizza Monferrato esiste da parecchi secoli un convento con una Chiesa attigua sotto al titolo di Santuario della Madonna delle Grazie. Tutti i Nicesi ricordano ancora il tempo che quel luogo benedetto era albergo di Santi Monaci, i quali coll'austerità della vita e col fervore dell'assidua preghiera imploravano le Benedizioni del Cielo sopra, il popolo cristiano. La Chiesa aperta al culto pubblico, e regolarmente ufficiata dai Monaci del Convento, era un pacifico rifugio della pietà, dove molti andavano a consolarsi dei travagli della vita, e non pochi vi ritrovavano lo smarrito cammino della salute. Ma dispersi i Monaci a motivo dei politici avvenimenti, la Chiesa e il Convento furono venduti e convertiti in usi profani, in magazzeno da vino.
La profanazione di quel luogo Santo cagionò amaro rincrescimento nel cuore dei Fedeli che tutti dimandavano un riparo alla pietà e molti divoti Nicesi lo sollecitavano coi voti e colle preghiere. Fu allora che incoraggiato da pii e ragguardevoli Ecclesiastici e secolari mi accinsi all'impresa, e d'accordo col Vescovo della Diocesi e coi Religiosi e previa licenza della S. Sede acquistai il Convento e la Chiesa, ed ora si stanno facendo i restauri perchè siano quanto prima ritornati al Culto Divino. La Chiesa sarà provveduta di sacerdoti in guisa che i fedeli potranno comodamente farvi le loro divozioni ed il Convento [198] si cambierà in una casa di educazione, la quale mentre sarà di ornamento alla città dì Nizza, porgerà ai genitori un mezzo facile di allevare la figliolanza nella scienza e nella pietà. Ma a compiere tale impresa sono necessarie grandi spese, perciocchè il fondo costò 32 mila franchi, e la metà soltanto è pagata. Per dare poi la esecuzione ai ristauri, provvedere il suppellettile, mancano assolutamente i mezzi indispensabili. Ognuno sa che il povero scrivente non vi si accinse all'opera se non confidando nella Provvidenza del Signore e nella pietà di quelli ai quali stanno a cuore le opere utili alla Religione ed alla Civile Società.
Oltre al danaro si accettano offerte in materiali per costruzione, mobili, lingeria, legna d'opera e da ardere, ed ogni altra cosa che possa conferire al fine sopradetto. Mentre si è grati alle cospicue offerte, si riceveranno eziandio con riconoscenza le piccole, perchè il Signore terrà conto non meno dell'obolo della vedova che delle larghe elemosine del ricco.
Per ricevere queste offerte, a Nizza si nominò una commissione nelle caritatevoli persone del Sig. D. Bisio Vicario di S. Giovanni, del Geometra Sig. Terzani Luigi e del Sig. Berta.
A Torino presso il sottoscritto.
Nei paesi della Diocesi d'Acqui l'Opera è umilmente raccomandata allo zelo ed alla carità dei R.di Sig. Parroci, pregandoli a voler promuovere e ricevere qualunque oblazione e di farla pervenire allo scrivente oppure al prelodato D. Bisio con quel mezzo che giudicheranno più opportuno.
Sono però lieto di poter assicurare a tutti i benemeriti oblatori l'Apostolica Benedizione del novello Regnante Pontefice Leone XIII, il quale in data di 23 Febbraio passato degnavasi di tutto buon grado di compartirla.
Dal canto mio oltre la sincera ed inalterabile gratitudine assicuro loro la cordiale offerta delle preghiere, delle Messe, di tutte le opere di religione, che ogni giorno si faranno nella Chiesa e nel Convento sopra indicati, e così impetrare copiose benedizioni del Cielo sopra questi benefattori.
Con animo altamente riconoscente ho l'onore di potermi professare di V. S.
Sebbene i lavori procedessero con sollecitudine e costanza, tuttavia l'adattare un simile edifizio alle esigenze nuove era cosa che richiedeva non solamente spesa, ma anche tempo. Infatti agosto volgeva al termine e ancora si lavorava. Questa [199] lettera al conte Cesare Balbo mirava a calmare le sante impazienze della contessa Corsi, sua suocera.
Se V. S. Car.ma fosse valente in viaggiare quanto la sua lettera, farebbe con facilità il giro del mondo. Essa venne a Torino, di poi venne a Mornese quando io ero già partito, perciò dovette tostamente mettersi in viaggio per Torino. Finalmente giunse sul mio tavolino tutta imbrattata di timbri e di indirizzi. Rispondo: Con piacere parlerò al giovane Simma e se è possibile venga domenica dalle 3 alle 8 di sera.
Nella p. settimana dovrò forse allontanarmi qualche giorno, ma sul finire della medesima ci sarò nuovamente.
Non possiamo ancora fissare il giorno dell'apertura della Casa di Nizza, poichè i lavori di abitazione per le monache e pel Cappellano o meglio pel Direttore, sono tuttora in corso. È però già fatto il programma per l'educandato e l'avrò presto[114]. Appena poi siasi potuto fissare il giorno, Ella sarà il primo ad esserne informato. Io spero di farle una visita al casino; ma il tempo imbroglia tutti i galantuomini, si immagini se non imbroglia il povero capo dei monelli.
La grazia di N. S. G. C. sia sempre con Lei, colla buona Mamma colla Contessa Maria, con tutta la sua famiglia. Dio li benedica tutti ed ella preghi per me che le sarò sempre in G. C.
P. S. Le raccomando D. Bertello Perchè messo fuori di gabbia temo ne faccia qualcheduna[115]. Lo tenga d'occhio e favorisca di salutarlo da parte mia.
Se Don Bosco si adoperava così con ogni mezzo per allestire in fretta la nuova sede alla Casa Madre delle Suore, bisognava dire che da Mornese urgesse proprio trasmigrare. E urgeva realmente. Nelle conferenze di san Francesco se n'era trattato una prima volta per rilevare la difficoltà delle comunicazioni, essendo il paese troppo distante dalla ferrovia e privo del servizio di omnibus per il trasporto dei forestieri. Nella stagione invernale poi, quando le strade si rendevano [200] impraticabili, si doveva troppo spesso fare di necessità virtù, sottostando a privazioni e sacrifizi non lievi. Il parroco di Rosignano aveva bensì invitato Don Bosco a trasportare colà le tende; ma anche quel sito era fuor di mano e poi per il riattamento dell'edifizio offerto ci volevano spese soverchie. Nelle stesse conferenze se ne riparlò da capo, quando il Beato annunziò che la contessa Corsi faceva dei passi per comprare una casa a Nizza da far servire al desiderato scopo: si espresse a quel modo perchè non credeva ancora opportuno rendere di pubblica ragione quanto egli a mezzo della Contessa aveva già fatto per l'acquisto che sappiamo. In seguito Don Bosco proseguì di nuovo in silenzio l'opera sua.
Agli anzidetti motivi del trasferimento altri due erano da aggiungere. In Mornese le Suore non godevano buona salute; forse v'influiva anche l'aria troppo fine per chi non poteva avere una nutrizione abbondante e doveva lavorare molto. Inoltre allo sviluppo preso dal convitto e al crescente numero delle postulanti quella casa riusciva angusta e disagiata. Che poi ai Mornesini fosse per rincrescere soverchiamente la partenza delle Suore, non parrebbe potersi affermare; infatti le vecchie ire contro Don Bosco, perchè avesse aperto in mezzo a loro un collegio femminile e non maschile, erano sopite più che estinte, sicchè ogni tanto bruscamente divampavano, come appunto nel carnevale del '77, quando per tutta una notte sotto le finestre della casa si udirono risonare le più plateali villanie contro le povere inquiline.
Per un anno intero a Mornese nulla trapelò dei disegni di Don Bosco nè dentro nè fuori dell'istituto. Solo ai primi di febbraio del '78 il Beato volle che madre Mazzarello con qualche suora si recasse a Nizza per vedere il nuovo soggiorno e dare i suggerimenti opportuni; dispose insieme che si trovassero allora sul posto anche l'economo generale Don Sala e Don Bonetti. La Madre si tolse a compagna suor Enrichetta Sorbone, assistente delle educande, quasi fosse già presaga della parte di prim'ordine che la giovane Figlia di Maria [201] Ausiliatrice era dalla Provvidenza destinata a sostenere nella nuova casa, generalizia; poichè, designata da Don Bosco a Vicaria della Congregazione, vi eserciterà ininterrottamente per ben mezzo secolo quell'ufficio, finchè testimone vivente della tradizione, seguirà il Capitolo Superiore nel suo trasferimento da Nizza a Valdocco. La vocazione di questa madre Enrichetta è un non trascurabile episodio nella storia del nostro Beato. Perduta la madre in giovane età, faceva essa da madre alle sorelle e ai fratelli, tutti minori di lei, quando un giorno di maggio del 1873 capitò in paese quell'ideale di portinaio Salesiano che fu il suo conterraneo Marcello Rossi. Questi prese a raccontarle mirabilia di Don Bosco e della sua santità, ascoltato con crescente ammirazione della pia zitella, la quale, invidiando la sorte del narratore, pensava fra sè e sè: - Che bella cosa dev'essere vedere un santo! - Finalmente il Rossi le disse: - Don Bosco sarà fra breve a Borgo S. Martino; vieni là, e te lo farò vedere. - Tale proposta aguzzò in lei la voglia di vedere con i propri occhi che cosa fosse un santo.
Strappatane dunque al padre la licenza e unitasi a due sorelle del coadiutore, si mise in via. Assorta nel pensiero che andava a vedere un santo, percorse di buona lena a piedi le quattro ore di strada che c'erano da Rosignano a Borgo. Giunte verso le sette alla mèta, le buone figliuole si diressero alla chiesa parrocchiale, dove fecero la santa comunione; poi avviatesi al collegio, incontrarono il Rossi, che ve le introdusse. Stettero là ad aspettare con certe donnette che rammendavano biancheria, finchè le note della banda e gli evviva del popolo non annunziarono l'approssimarsi di Don Bosco. Allora le tre giovani furono condotte in un corridoio, per cui Don Bosco doveva passare e donde videro l'irrompere della folla plaudente e quasi delirante nel cortile. Dopo lungo attendere, eccolo varcare la soglia e avanzarsi a lenti passi, seguito da uno stuolo di amici e di figli. Enrichetta lo squadrava da capo a piedi: si era creduta di dover vedere chi sa che, mentre invece s'accorgeva di avere davanti un prete [202] come tanti altri. L'incanto stava per isvanire, allorchè il Servo di Dio, data loro la mano a baciare, si ferma, guarda un momento Enrichetta e, puntando l'indice verso di lei, dice: - Voi, andate a Mornese.
- È un bel paese, vedrete... Ora andiamo a pranzo e poi ci riparleremo.
La giovane rimase là ad almanaccare. Dopo pranzo Don Bosco la fece chiamare e appena la vide comparire: - Oh brava! le disse. Come vi chiamate?
- Enrichetta Sorbone, da Rosignano Monferrato.
- Eh sì! Mia madre desiderava farmi maestra; ma essa è morta e io debbo pensare alle mie sorelline.
- Non avete mai pensato a farvi suora?
- Mah! Mia madre sarebbe stata molto contenta che le sue figlie si consacrassero al Signore.
- Ma il mio Prevosto mi ha detto che se starò buona e custodirò bene le mie sorelle, egli penserà poi per me. Non vorrei adesso fare due parti.
- State tranquilla; col Prevosto m'intenderò io.
- Ma e le mie sorelle? e mio padre?...
- Oh! la divina Provvidenza penserà anche a loro. Vedete: a Mornese abbiamo l'istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Là potrete studiare.
- Chi sono le Figlie di Maria Ausiliatrice? Sono suore?
- Ma a me piacciono le suore che sono vestite come [203] quelle che si vedono nelle immagini. - Così diceva, perchè, sapendo esservi suore presso il collegio di Borgo, aveva creduto suore quelle tali donnette che rammendavano la biancheria. - Sì, sì, l'assicurò Don Bosco. Le suore di Mornese sono appunto vestite come dite voi, vedrete. E là studierete e passerete con le suore e farete tanto bene. Altro ancora le aggiunse, che ella non poteva sul momento capire, ma che più tardi vide avverate; poi, trattosi di tasca un foglietto di carta azzurrognola e scrittovi qualche cosa, glielo consegnò dicendo: - Ecco: per adesso ritornate a Rosignano e portate questo al vostro Prevosto; ma andate presto a Mornese. Prima però di entrare in quella santa casa, lasciate la vostra volontà fuori della porta. - La giovane, riposto il biglietto, si mosse per uscire. Andava via adagio e soprapensiero. Dalla porta si rivolse a salutare Don Bosco, che, guardandola con occhio paterno, le disse in tono vibrato: - Lasciamolo questo mondo traditore! Queste ultime parole, proferite in tal modo, la impressionarono grandemente. Sembrava che Don Bosco vedesse vicino a lei una belva pronta a sbranarla. Brutta cosa dev'essere il mondo! - ruminava fra sè la giovane durante il ritorno alla casa paterna.
Non fu lieve impresa convincere il Prevosto e persuadere il padre; ma la lotta fu abbastanza breve, poichè già il 6 giugno, primo venerdì del mese, Enrichetta Sorbone fece il suo ingresso a Mornese. Studiò, come le aveva detto Don Bosco, passò con le suore, diede l'esame da maestra, divenne Vicaria generale. Festeggiandosi poc'anzi l'anno cinquantesimo della sua carica, madre Enrichetta ci narrava la sua storia con tanti altri particolari da noi tralasciati; questo solo non tralasceremo, che, avendone suo padre con indicibile sacrifizio, ma cristianamente secondato la vocazione, Dio lo premiò col provvedere a lui e alla numerosa figliuolanza in modo e misura assai superiore a quanto si sarebbe potuto mai da alcuno attendere, se la primogenita fosse rimasta in famiglia.
Dove si scorge come il Signore ispirasse il suo Servo e insieme [204] benedicesse chi cooperava con lui nell'attuazione de' suoi santi disegni.
La Madre Generale non la sola casa da aprire, ma anche tutte le case aperte doveva visitare. Essa veramente si credeva di poterne fare a meno, massime per quelle che avevan nel Direttore salesiano la loro guida; ma Don Bosco non era del medesimo avviso. Egli le fece conoscere esser meglio che andasse e si fermasse alcuni giorni anche in quelle case. L'esperienza doverla col tempo far persuasa che vanno bene le case di un Istituto, quando il Superiore ha spesso la valigia in mano, come un commesso viaggiatore. Essere lei la Madre Superiora e convenire che vedesse con i propri occhi in qual maniera le sue figlie fossero trattate; se abbisognassero di qualche cosa; se vivessero contente; se lavorassero come voleva il Signore, senza perder tempo, ma anche senza trascurare le pratiche di pietà e la propria sanità; se dappertutto l'orario del luogo si accordasse, quant'era possibile, con il loro; e tante altre cose. Anche i Direttori, se avessero qualche difficoltà da appianare, qualche buon consiglio da suggerire, qualche desiderio da esprimere, avrebbero avuto più comodità di farlo. L'intesa portar sempre buoni risultati per l'anima e per il corpo. Dunque andasse a fare il suo giro, portasse i saluti di Don Bosco e, dicesse a tutte le Figlie che egli le benediceva di gran cuore: Madre Mazzarello si attenne scrupolosamente a queste istruzioni. Quando poi nell'estate fu a Torino per la seconda muta di esercizi spirituali, riferì oralmente al Beato Padre quanto di più notevole aveva potuto rilevare nelle visite fatte.
Questa fedele docilità e profonda venerazione verso il Padre Fondatore spicca sotto mille forme in tutte le sue manifestazioni di qualche importanza. Persone anche autorevoli dicevano che l'abito delle Figlie di Maria Ausiliatrice sembrava da lutto e che ci voleva un po' di bianco in tanto nero. A Mornese ci si studiò, si raffazzonò anche un modello; ma prima di tutto la Madre volle sentire che cosa ne pensasse [205] Don Bosco. Quindi per suo ordine Suor Caterina Daghero, rassegnatasi a far da manichino, si presentò nella nuova foggia al Beato, che a tale novità sorrise, guardò un tantino e poi, rimasto un momento in silenzio: Eh là! disse... Non va mica male...! Potete provare. Tanto siete voi altre che dovete portarlo. Provate. - Fu un gran giorno per Mornese quello in cui si parlò di mandare le Figlie di Maria Ausiliatrice oltre le frontiere e oltre l’Oceano, in Francia e in America. Tuttavia la prudenza sembrava consigliare che si soprassedesse, perchè le buone Suore difettavano ancora tanto di sapere e di esperienza. Ma la Madre disse: - Se Don Bosco parla così, è la Madonna che ha parlato a lui; e la Madonna sa di che Figlie dispone per le opere del suo divin Figliuolo. A Torino alcune Suore che erano state a Cuneo per darvi gli esami da maestre, non finivano di lodarsi delle gentilezze usate loro dalle Domenicane, presso le quali avevano preso dimora. La Madre, dopo aver detto: - Impariamo anche noi a trattare sempre così, - soggiunse: - Non dimentichiamo però mai che se ci trattano tanto bene, si è perchè siamo Suore e Figlie di Don Bosco. - Nel rendere conto a Don Bosco della casa di Biella, gli manifestò un suo dubbio, che non ci si potesse continuare, perchè le Suore non vi stavano guari volentieri. Si udì rispondere: - Nelle case dì Don Bosco nessuno sta per forza. Se le Suore di là non ci vogliono stare, si cambino; ma la casa non si chiude. - La Madre non fiatò più. Nel '78, visitando la casa di Alassio, trovò che l'orario era troppo pesante, perchè le Suore dovevano alzarsi più presto e andare tardi a riposo. La Madre con umiltà e rispetto osservò a chi di ragione: - Don Bosco sa di quest'orario? Se Don Bosco lo sa, bene; se no, procuri di modificarlo.
Tanta riverenza per Don Bosco faceva sì che ella ne riguardasse con grande bontà i figli. Quando vide nel poc'anzi nato Bollettino Salesiano[116] pubblicati i programmi dei due [206] nuovi educandati femminili di Nizza Monferrato e di Chieri, esclamò: Ecco, Don Bosco e i Salesiani ci ritengono proprio della famiglia. Tutte le nostre cose non hanno vita e fortuna, se non per Don Bosco e per i suoi figli. Guai, guai a noi se la superbia arriva a metterci in testa che possiamo qualche cosa senza di loro! Diventeremmo tralcio distaccato dalla vite, e nient'altro. - Ripetè il medesimo pensiero a suor Elisa Roncallo, che gongolava di gioia, narrandole tante belle cose del suo oratorio festivo di Valdocco. - Sì, sì, le disse; è consolante tutto questo, consolantissimo. Ma ricordiamolo bene: dopo Dio, tutto noi dobbiamo a Don Bosco e ai Figli così bravi e così santi, che Don Bosco ci dà per nostra guida e sostegno. Ah, per carità! non dimentichiamoci mai dì ringraziare la Madonna che, non contenta di farei sue Figlie, ci ha pure affidate a un santo, com'è Don Bosco. - Un giorno la Direttrice di Torino le riferì un suo dialogo con Don Rua, che dirigeva quella comunità. - Signor Direttore, gli aveva ella domandato, possiamo continuare a prendere frutta anche a colazione? Ce ne regalano tanta, che ne abbiamo in abbondanza.
- Com'è detto nella Regola? - chiese Don Rua.
- Che si può prendere caffè e latte o frutta.
- Meglio che vada a male la frutta e non l'osservanza della Regola. E poi, con la frutta che avanza non si può soccorrere qualche miseria e far star buona qualche ragazza?
Ciò udito, la Madre conchiuse: - Vedete i santi? Guai a voi di Torino, se non sapete approfittarne anche per noi, che non abbiamo la vostra fortuna di vivere a Valdocco!
I sentimenti della Madre in tante guise fatti palesi, ne ispiravano pure le Figlie, al cui devoto affetto verso Don Bosco dobbiamo la cura gelosa in serbar memoria di parole dette da lui nelle sue rare e rapide visite. Una di tali visite egli fece alle Suore di Valdocco dopo il suo ritorno da Roma e dalla Francia nel '78. Egli non era mai stato fuori di casa per sì [207] lungo tempo; anch'esse dimostravano la loro allegrezza, come meglio potevano. Nella speranza di presto vederlo, ornarono a festa il loro umile parlatorio; ma il Beato, saputo questo, mandò a dire: - Oh, no, no! Io non vengo dove ci sono tende, tendine e sofà! - Allora le Suore rimisero le cose nello stato di prima, quando poi il buon Padre andò, senza mostrar di ricordare questa particolarità, domandò subito se avessero molte ragazze. Alla risposta affermativa soggiunse: - Che bella cosa! Noi siamo proprio per questa grande opera. Ma, attente! Per fare del bene alle ragazze, bisogna essere sempre allegre; bisogna amarle e stimarle tutte, anche se l'una o l'altra non lo merita. E continuano a venire anche tutti i giorni, dopo il pranzo e alla sera, quando escono dalla fabbrica? - Udito che sì, osservava che erano tanti peccati di meno, tanta malizia non imparata per le strade, tanti buoni pensieri seminati per la notte e per il giorno seguente, non solo tra le ragazze stesse, ma anche tra quei della famiglia, perchè d'ordinario le ragazze godono a raccontare in casa tutte le loro novità. Gli chiesero come si facesse a far conoscere e a far amare Maria Ausiliatrice. E il Servo di Dio: - Parlando opportunamente di lei con la gioventù che la Provvidenza ci affida e con le persone esterne che ci avvicinano; scrivendo qualche parola su di lei in ogni nostra lettera ai parenti e ai conoscenti; rivolgendo a lei chi ha bisogno di grazie speciali e raccontando i favori ottenuti per suo mezzo; distribuendo medaglie e immagini che portino la sua effigie; recitando e e facendo recitare spesso la giaculatoria: Maria Auxilium Christianorum, ora pro nobis; cantando di preferenza le sue lodi nelle ricreazioni e in chiesa, soprattutto nel suo mese; consigliando di dare il nome “Ausilia”, “Ausiliatrice” alle bambine da battezzare; celebrando con la maggior solennità possibile la sua festa non solo in chiesa, ma anche con accademia e processione regalando quadri di Maria Ausiliatrice per le famiglie, per le parrocchie; dando il suo titolo alle nuove fondazioni... [208] Le Suore che lavoravano a Valdocco avevano ricevuto da Maria Ausiliatrice per mezzo di Don Bosco una segnalata grazia nella novena dell'Immacolata, rimanendone infervorate nella pietà verso la loro Madre celeste e ricolme di venerazione verso il Padre delle anime loro. La novizia Giuseppina Quarello, anzichè a Mornese, stava a Valdocco per aiutare suor Caterina Daghero a condurre innanzi la sua scuola. Recatasi a Mornese per passarvi alcuni giorni, ammalò così gravemente, che il dottor Albertotti la diede per ispedita. La buona novizia si apparecchiava rassegnata alla morte; ma però supplicava che la portassero da Don Bosco per averne la benedizione e assicurarsi meglio una santa fine. Non senza gravi difficoltà venne soddisfatta. Giunta come potè nell'anticamera di Don Bosco, non fece in tempo ad aprir bocca per esprimergli il suo desiderio, che il Servo di Dio prontamente le disse: - Volete andare in paradiso? Spero di andarvi anch'io, se la misericordia del Signore mi vorrà. Ma voi avete ancora da lavorare molto. - Nel pronunziare assai lentamente queste ultime parole, alzò la mano e benedisse l’inferma. - Questa volta si sbaglia! pensava fra sè la poveretta, ritenendo che egli così parlasse per non essere bene informato delle sue condizioni. Ma essa piuttosto si sbagliava, poichè cominciò subito a sentirsi meglio e nella novena medesima riprese tranquillamente la sua scuola.
Vi è il ricordo anche di una visita fatta da Don Bosco alle Suore di Lanzo nel medesimo anno 1878. Passò da un luogo all'altro della casa, dicendo a ciascuna che vi incontrava una buona parola. Alla refettoriera: - Brava! Ma ricordatevi che dovete essere il buon esempio di tutte le sorelle che vi circondano. - Alle cuciniere: - Marta e Maria! Siete Marte, ma dovete essere anche Marie. E le pietanze che preparate, sapete farle pietanze di paradiso? Ci vuol poco, sapete? Basta santificarle con la retta intenzione, con atti di unione al Signore e alla Madonna, e con farle meglio che potete. - Alla Direttrice che provava soggezione dinanzi ai secolari, quando in [209] certe occasioni, specialmente di feste, entravano anche in cucina o nel laboratorio o nella guardaroba dei ragazzi, fece intendere che non v'era nulla da temere e che anzi essa vi aveva buone occasioni di trarli al bene, non foss'altro con la predica del buon esempio.
Di due altre visite abbiamo detto in un capo precedente[117]. Ben si apponeva Madre Mazzarello, quando, udendo dalle sue Figlie i particolari di simili incontri, ne cavava questa conclusione: - Il nostro buon Padre dove passa e dove sta, fa sempre del bene.
Che se tanta importanza si dava dalle Figlie di Maria Ausiliatrice alle parole di Don Bosco dette occasionalmente e come di volo, è facile immaginare quale conto facessero dei discorsetti che talora teneva alle esercitande. Ciò avvenne due volte nel '78. La prima fu in agosto per gli esercizi di Mornese. Le grandi novità dei prossimi traslochi forse gli consigliarono tale andata, di cui diede avviso al direttore Don Lemoyne in termini assai significativi. Don Lemoyne era succeduto in quell'ufficio a Don Costamagna, partito per l'America.
Desidero proprio di venire a farti una visita. A Dio piacendo sarò a Mornese pel giorno 16 e mi fermerò 8 giorni. Sicchè avremo tempo a chiacchierare a piacimento, numerare tutti i quattrini che tu, le monache ed altri potranno mettere all'ordine del giorno.
Tanti e cordiali saluti a D. Campi, Musso e a tutti i nostri parenti spirituali.
Gratia D. N. J. Ch. sit semper nobiscum. Amen.
Alla chiusa dunque degli esercizi il Beato, ricevuta la professione di parecchie Suore, fece il sermoncino dei “Ricordi”, esaltando la virtù dell'obbedienza. È rimasto scolpito [210] un paragone. - Se, disse, togliete al sacco le sue cuciture, il sacco lascia sfuggire ogni cosa; così la religiosa, se non ha la cucitura dell'obbedienza, non può conservare nessuna virtù e cessa di essere religiosa. - Uscito di chiesa e fattasegli umilmente innanzi la Madre, le disse: - Mi piacerebbe che sotto questo porticato ci fossero due cartelli con le scritte: LA MORTIFICAZIONE È L'ABBICCÌ DELLA PERFEZIONE e OGNI MINUTO DI TEMPO VALE UN TESORO. Don Bosco non era ancora partito che già i due cartelli stavano appesi nel luogo indicato.
Brevi parole di “Ricordo” rivolse alle Suore anche nella muta d'esercizi fatta a Torino. Vi ribadì l'argomento dell'obbedienza religiosa, ricorrendo al paragone del fazzoletto Come esso si lascia usare quando si vuole e per quel che si vuole, lasciandosi anche lavare, stirare, stropicciare, senza dir nulla, così dobbiamo essere noi per la virtù dell'obbedienza religiosa. Vogliamo essere sempre allegri? Siamo obbedienti. Vogliamo essere certi della perseveranza nella vocazione? Siamo sempre obbedienti. Vogliamo andare molto in alto nella santità e nel paradiso? Siamo fedeli a obbedire anche nelle piccole cose.
Quell'anno nella festa dell'Immacolata Don Bosco fece alle Suore un bel regalo: distribuì loro stampata la santa Regola, conforme al testo approvato due anni avanti per opera sua dall'Ordinario della diocesi acquense. Prima dei due cartelli menzionati poc'anzi uno già vi pendeva sotto il porticato e per le scale, con la sentenza dettata da' Don Costamagna: “Ogni religiosa dev'essere una copia della santa Regola”. L'avere allora anche in mano il libro della Regola, doveva esser loro di grande aiuto a ottenere quell'effetto. In capo al libretto si leggevano alcune paterne ammonizioni, che piacerà ai nostri lettori vedere qui riprodotte.
Alle Figlie di Maria SS. Ausiliatrice.
Mercè la bontà del nostro Padre Celeste l'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, al quale fortunatamente appartenete, prese da qualche tempo un grande sviluppo. Nello spazio di pochi anni noi [211] abbiamo potuto inaugurare un buon numero di case in Piemonte, in Liguria, in Francia; anzi nelle più lontane regioni d'America.
Finchè l'Istituto era concentrato nella Casa Madre di Mornese, alcune copie delle Regole manoscritte potevano bastare a che ogni Suora ne potesse venire in cognizione; ma ora che per la Divina Provvidenza si sono moltiplicate le Case e le Suore ivi ripartite, esse non sono più sufficienti.
Per la qual cosa io ho giudicato della maggior gloria di Dio, e di vantaggio all'anima vostra, il farle stampare; ed ora ve le presento. Esse hanno già avuta l'approvazione di più Vescovi, i quali le trovarono pienamente adattate a santificare una Figlia, che aspiri ad essere tutta dì Gesù, e che voglia nel tempo stesso impiegare la propria vita a servizio del suo prossimo, specialmente alla educazione delle povere fanciulle. Anzi di più: lo stesso Istituto fu con Decreto speciale collaudato ed approvato dal R.mo Vescovo d'Acqui, nella cui Diocesi nacque nel 1872 e prospera tuttora.
Abbiate dunque care le regole che lo governano, leggetele, meditatele; ma soprattutto non dimenticate mai che a nulla varrebbe il saperle ben anche a memoria, se poi non le metteste in pratica. Perciò ognuna si dia la più viva sollecitudine di osservarle puntualmente; a questo miri la vigilanza e lo zelo della Superiora; a questo la diligenza e l'impegno delle suddite. Così facendo voi troverete nella Vostra Congregazione la pace del cuore, camminerete per la via del cielo e vi farete sante.
Intanto io colgo volentieri questa propizia occasione per raccomandarvi che nelle vostre preghiere abbiate ognora presente l'anima del Molto Reverendo Don Domenico Pestarino, primo Direttore delle Suore di Maria Ausiliatrice, del quale il Signore si servì per gettare le fondamenta di questo Istituto. Egli per la sua carità e zelo si merita davvero la nostra più viva gratitudine.
Pregate anche le une per le altre, affinchè il Signore vi faccia costanti e fedeli nelle vostra vocazione, e vi renda degne di operare del gran bene alla sua maggior gloria. Pregate in modo speciale per le Consorelle che già si portarono, e per quelle che ancor si porteranno nelle più lontane parti della terra per diffondervi il Nome di Gesù Cristo, e farlo conoscere ed amare. Pregate soprattutto per la Chiesa Cattolica, pel suo Capo visibile, pei Vescovi e Pastori locali; pregate altresì per la Società Salesiana, alla quale siete aggregate; e non vogliate dimenticare me, che vi desidero ogni felicità.
La Vergine Ausiliatrice ci protegga e ci difenda in vita e in morte; e colla sua potente intercessione ci ottenga dal sud divin Figliuolo la bella grazia di trovarci un giorno tutti insieme raccolti sotto il suo manto nella eterna Beatitudine.
Torino, Festa dell'Immacolata Concezione, 1878.
Queste Regole, distribuite sotto sedici Titoli, si direbbero nelle loro parti essenziali ricalcate sulle Regole dei Salesiani, del cui Rettor Maggiore l'Istituto era sotto l'immediata dipendenza. Per comprenderne lo spirito ne coglieremo e porremo sotto gli occhi dei lettori alcuni punti più caratteristici che non hanno propriamente riscontro nelle Costituzioni Salesiane.
Parecchie virtù principali sono proposte nel titolo nono allo studio delle novizie e alla pratica delle professe: “1. Carità paziente e zelante non solo coll'infanzia, ma anche colle giovani zitelle. - 2. Semplicità e modestia; spirito di mortificazione interna ed esterna; rigorosa osservanza di povertà, - 3. Obbedienza di volontà e di giudizio, ed accettare volentieri e senza osservazione gli avvisi e correzioni, e quegli uffizi che vengono affidati. - 4. Spirito d'orazione, col quale le Suore attendano di buon grado alle opere di pietà, si tengano alla presenza di Dio, ed abbandonate alla sua dolce Provvidenza”.
Riguardo ai Sacramenti è notevole questa regola 2ª del Titolo undecimo: “Al tribunale di penitenza si accosteranno regolarmente ogni otto giorni. Nell'accusa dei loro falli si studino di omettere le circostanze inutili; siano brevi e dicano con semplicità ed umiltà le loro colpe in egual modo, che se le accusassero a Gesù Cristo. Verso il loro Confessore abbiano grande rispetto e confidenza, quale si conviene a chi è destinato da Dio ad essere Padre, Maestro e Guida delle anime loro, ma non parlino mai tra esse di cose di Confessione, e tanto meno del Confessore”.
Nell'esordio al Titolo undicesimo sul voto di castità si leggono queste belle parole: “La virtù della Castità deve essere collocata in grado eminente dalle Figlie di Maria Ausiliatrice. Primieramente perchè l'impiego, che esse hanno di istruire ed istradare i prossimi nella via della salute, è somigliante a quello degli Angeli santi; perciò è necessario che esse ancora vivano col cuor puro, ed in uno stato angelico, giacchè le Vergini sono chiamate Angeli della terra; in secondo luogo [213] perchè la loro vocazione per essere ben eseguita richiede un totale distacco interno ed esterno da tutto ciò che non è Dio”.
L'ultimo Titolo contiene trenta regole generali, alcune delle quali danno come i lineamenti distintivi delle Figlie di Maria Ausiliatrice. “9. Ognuna deve riconoscersi per la minima di tutte, perciò nessuna mancherà agli atti umili, nè si ricuserà dall'esercitare gli uffici più abbietti della Casa, nei quali la Superiora la eserciterà a norma delle sue forze, e secondo che prudentemente giudicherà bene nel Signore. - 10. Le Figlie di Maria Ausiliatrice saranno sempre allegre colle sorelle, rideranno, scherzeranno, ecc., sempre però come pare debbano fare gli Angeli fra loro; ma alla presenza di persone di altro sesso conserveranno ognora un contegno grave e dignitoso. Andando per le vie cammineranno colla massima compostezza e modestia, non fissando mai nè le persone, nè le cose che incontrano, dando tuttavia il saluto coll'inchino del capo a chi le saluta, e alle persone ecclesiastiche se loro passano vicine. - 11. Nella Casa e fuori adopreranno sempre un parlare umile, non sostenendo mai il proprio sentimento, evitando soprattutto ogni parola aspra, pungente, di rimprovero, di vanità relativamente a se stesse, od a riguardo di quel bene che il Signore si degnasse cavare dalle opere loro, facendo tutte le loro azioni private e comuni pel solo gusto di Dio. Non parleranno mai di nascita, di età o di ricchezze, se nel mondo ne avessero avute. Non alzeranno mai la voce parlando con chicchessia, quand'anche fosse tempo di ricreazione. Quando saranno alla presenza di persone di sesso diverso, terranno un parlare serio e grave, perchè se sono di condizione superiore alla loro, per esempio ecclesiastici, così vuole il rispetto dovuto al loro stato; se sono laici, così richiede il decoro, e il buon esempio. - 12. Tutto il loro impegno sarà dimostrato nel tratto e nel contegno degli sguardi e di tutta la persona, quali debbono essere, cioè imitatrici di Gesù Cristo Crocifisso, e serve dei poveri. In chiesa staranno [214] colla massima compostezza, ritte sulla persona, e genufletteranno fino a terra passando avanti l'altare, ove si conserva il Santissimo Sacramento. - 21. Ciascuna avrà cura della propria sanità, perciò quando una Suora non si sentirà bene in salute, senza nascondere od esagerare il male, ne avviserà la Superiora, affinchè possa provvedere al bisogno. Nel tempo della malattia ubbidirà all'infermiera ed al medico - chirurgo, affinchè la governino nel corpo, come meglio crederanno innanzi a Dio. Procurerà pure di mostrare pazienza e rassegnazione alla volontà di Dio, sopportando le privazioni inseparabili dalla povertà, e conservando sempre una imperturbabile tranquillità di spirito in mano di quel Signore, che è Padre amoroso, sì nel conservar la salute, sì nell'affliggerci con malattie e dolori. Per avvalorarle viemaggiormente nello spirito, alle inferme obbligate al letto si darà la santa Comunione almeno una volta per settimana, ove il genere di malattia ed il luogo lo permetta. - 22. Le Suore procureranno di tenersi sempre strettamente unite col dolce vincolo della Carità, giacchè sarebbe a deplorarsi, se quelle che presero per iscopo l'imitazione di Gesù Cristo, trascurassero l'osservanza di quel comandamento, che fu tanto raccomandato da Lui, sino al punto di chiamarlo il suo precetto. Adunque oltre lo scambievole compatimento ed imparziale dilezione, resta pure prescritto, che se mai accadesse ad alcuna di mancare alla Carità verso qualche sorella, debba chiederle scusa al primo momento, che con calma di spirito avrà conosciuta la sua mancanza, o almeno prima di andare a dormire. - 23. Per maggior perfezione della Carità ognuna preferirà con piacere le comodità delle sorelle alle proprie, ed in ogni occasione tutte si aiuteranno e solleveranno con dimostrazioni di benevolenza e di santa amicizia, nè si lascieranno mai vincere da alcun sentimento di gelosia le une contro le altre. - 24. Desiderino e procurino efficacemente di fare al prossimo tutto quel bene che lor sia possibile, intendendo sempre di aiutare e servire nostro Signor Gesù Cristo nella persona de' suoi [215] poveri, specialmente coll'assistere, servire, consolare le consorelle malate ed afflitte, e col promuovere il bene spirituale delle fanciulle dei paesi in cui hanno dimora... 27. Pongano tutte la massima premura per gli esercizi di pietà, dalla cui osservanza deriva quell'interno fervore, che ci muove dolcemente ad uniformarci in tutto a Gesù Cristo nostro divino Esemplare, e Sposo delle anime fedeli”.
Il nome di Mornese resterà memorabile negli annali della Congregazione, perchè da Mornese uscirono le prime Figlie di Maria Ausiliatrice che varcarono le frontiere e tragittarono l'Oceano, segnando alle loro consorelle il cammino della Francia e dell'America meridionale. Nizza Marittima le ebbe nel settembre del '77 e Saint - Cyr in Provenza nell'ottobre del '78. Per l'America il Beato scrisse alla Madre Generale che quelle desiderose di consacrarsi alle Missioni straniere per cooperare coi Salesiani e come i Salesiani alla salvezza delle anime e particolarmente delle fanciulle, ne facessero domanda per iscritto: poi si sarebbe scelto. Molte domandarono; le prescelte furono sei[118], che, inviate a Roma con i Salesiani della terza spedizione per ricevere la benedizione del Papa, con loro s'imbarcarono e andarono ad aprire la casa di Villa Colón. Un secondo drappello di dieci salpò da Genova il 30 dicembre del '78, avendo a capo Suor Maddalena Martini, che per la prima portò il titolo d'Ispettrice. Due di queste ultime si fermarono a Villa Colón; le altre proseguirono per Buenos Aires e si stabilirono in Almagro.
Prima che si trasportassero i penati da Mornese a Nizza, ne uscirono pure nel settembre del ‘78 le Suore destinate ad aprire la casa di Chieri. In questa città i coniugi Bertinetti, privi d'eredi necessari, avevano lasciato per testamento a Don Bosco la propria casa, affinchè egli se ne servisse a fare [216] del bene. Oltrechè grande l'edifizio era storico; poichè in antico faceva una cosa sola col palazzo dei Tana, dai quali venne la madre di san Luigi Gonzaga. Don Bosco vi era stato più volte da giovane e vi aveva dato l'esame di vestizione chiericale. Colà il Servo di Dio mandò le Figlie di Maria Ausiliatrice ad aprite un oratorio festivo per le fanciulle della città, avverandosi così una predizione del Beato Cottolengo, che quella casa sarebbe diventata un giorno abitazione di Suore.
Finalmente cominciò l'esodo da Mornese, non in massa ma alla spicciolata. Le prime, cinque sole, s'insediarono a Nizza il 16 settembre 1878, accolte festosamente dal clero locale e dalle famiglie benefattrici di Don Bosco; ivi mentre attendevano a preparare la dimora alle consorelle, s'ingegnavano d'attirare fanciulle a un po' d'oratorio festivo. La chiesa, appena ripulita venne ribenedetta il 27 ottobre; la cerimonia per altro si svolse senz'apparato per motivi accennati da Don Bosco in una sua lettera alla contessa Maria Balbo, figlia della contessa Corsi.
Malgrado tanti progetti non ho ancora potuto fare un'ora di vacanza in tutto quest'anno e nemmeno sono sicuro di poter almeno Domenica recarmi a Nizza per la festa di apertura della Chiesa Madonna delle Grazie.
Fra un po' di pigrizia che lega stabilmente in casa e tra venti Case che abbiamo aperte entro breve spazio di tempo, aggiungendo la imminente spedizione di Missionarii in America, tutto insieme fa che non so più dove cominciare e dove finì . Malgrado tutto questo non ho mai mancato di pregare per Lei, pei suoi figli e nipotini, specialmente al mattino nella Santa Messa, e non mancherò di continuare affinchè Dio li conservi tutti in buona sanità, vita felice ed in grazia Sua.
Domenica o in persona o per mezzo di D. Cagliero, D. Lazzero e di altri saprà perchè non osiamo fare molto spatuzzo[119] nella festa di Domenica. Le principali ragioni sono la mancanza di locale per ricevere [217] una persona che visiti la Chiesa o che faccia funzioni. E poi siamo così squattrinati che non osiamo lanciarci in altre spese. So che la Buona Mamma ci aiutò è ci aiuterà. Ma noi suoi affezionati figli dobbiamo calcolare sulla sua bontà e non abusarne.
Mi fu detto che il Sig. Conte costituì un Comitato per promuovere una questua in sollievo delle nostre spese. Questo è da vero Cooperatore Salesiano. Io però non voglio che lavori per niente. Voglio pregare, far pregare Iddio, che è ricco assai, affinchè gli dia il centuplo di ogni cosa. Centuplichi sanità sopra la sua famiglia, sopra i suoi interessi, sopra le sue campagne, ne faccia un vero galantuomo ed un gran santo. La Madonna farà poi a suo tempo la parte sua.
La prego di dire alla Contessa Nonna che io desidererei il suo altare fosse il Maggiore, perchè in esso conservasi il SS.mo, e perciò avrà parte a tutte le Messe e a tutte le Comunioni che colà si faranno. D. Cagliero parlerà in questo senso.
Che Dio la benedica, mia cara e buona Mamma, la conservi, le dia buona dimora, felice ritorno al figlio suo cattivo, ma che tanto l'ama in G. C.
Mi raccomando alle preghiere di tutti e mi creda in ogni cosa
Quattro giorni dopo la benedizione vi arrivò una nidiata di educande mornesine, quelle che pagavano pensione o che dovevano ricevere un'istruzione regolare; a Mornese rimasero le altre, chiamate ivi le figliette di casa. Suore e postulanti si succedettero poi a piccoli gruppi, finchè, rimaste a Mornese alcune poche, Don Bosco ordinò alla Madre Generale di partire anch'essa e di stabilire a Nizza la Casa Madre. Le Suore di Maria Ausiliatrice, disse Don Cerutti in un suo discorso, entrando nella casa di Nizza rinnovellavano di novella fronda una gloriosa secolare istituzione, ripristinavano su più vasta scala ed in una modernità di forma consentanea ai tempi le tradizioni momentaneamente interrotte di uno splendido passato[120].
Continueremo a chiamarlo così, come lo chiamarono i suoi contemporanei, compreso Don Bosco, e come lo chiamano tuttora gli anziani. Nel mondo tutto giovanile e tanto democratico dell'Oratorio il vecchio gentiluomo, che con cristiana semplicità si adattava interamente alla vita della casa, appariva quasi esaltazione visibile di Don Bosco e dell'opera sua.
Carlo Alberto Cays, conte di Giletta e di Casellette, discendeva da una famiglia di antichissima nobiltà nizzarda. Compiuti i primi studi nel collegio del Carmine a Torino sotto la direzione dei Gesuiti, conseguì la laurea in giurisprudenza. Nel 1837 si sposò; ma otto anni dopo rimase vedovo con un figlio. Allora si fece padre dei poveri. Con particolar amore occupavasi della gioventù abbandonata, insegnando la dottrina cristiana negli oratori di san Francesco di Sales, di san Luigi Gonzaga e dell'Angelo Custode; poichè fu uno dei tanti nobili torinesi, che, guadagnati dal nostro Beato, cooperarono con lui e sotto i suoi ordini nel beneficare moralmente e materialmente i figli del popolo. Come i suoi maggiori, godette la benevolenza del Re e della reale famiglia, che durante il colera del '54 abitarono per tre mesi nel suo castello di Casellette, situato in luogo saluberrimo ai piedi delle Alpi. Fu pure deputato al Parlamento subalpino durante la sesta [219] legislatura dal '57 al '60, e la sua voce risonò eloquente nell'aula parlamentare a difesa dei sani princìpi e a rivendicazione dei diritti della Chiesa. Quando però vide che la politica prendeva una piega troppo contraria ai suoi sentimenti cattolici, si ritirò a vita privata, dedicandosi unicamente alle opere di carità e di religione. Visitare infermi nelle case e negli ospedali, soccorrere derelitti, catechizzare fanciulli, fondare e presiedere Conferenze di san Vincenzo in città e fuori, promuovere la buona stampa, essere sempre fra i primi dove ci fosse un bene da fare o un male da impedire, ecco la vita del conte Cays finchè restò in seno alla propria famiglia. Tutto questo non valse a risparmiargli le carezze della polizia; come Don Bosco e altri insigni personaggi subì nel '62 una esosa perquisizione, la quale servì solo a mettere in luce come il sant'uomo non fosse mai uscito per nulla dal campo della carità cristiana. Sentì per altro il dovere di difendere l'onore del casato; onde stese del fatto una memoria, dalla quale appare quanta fosse la nobiltà e franchezza del suo carattere[121].
Un antico desiderio di appartarsi dal mondo e abbracciare lo stato religioso gli si fece vivo più che mai nel cuore verso il 1877. Noi crediamo che in un biglietto del 4 aprile di quell'anno Don Bosco intenda parlare di lui stesso con quelle parole: “Pel noto individuo ho pregato assai, ma quello che mi frulla sempre pel capo si è che farebbe assai bene nello stato ecclesiastico. Ella che lo conosce meglio di me, che ne dice? ”. Le sue vaghe aspirazioni finalmente si fissarono sulla Congregazione Salesiana; del che si aperse nel seguente maggio con Don Bosco, in cui aveva avuto sempre una confidenza illimitata. Il dialogo avvenuto fra lui e il Servo di Dio e pubblicato nella sua necrologia[122] si deve considerare sostanzialmente [220] autentico, perchè senza dubbio comunicato e riveduto da Don Bosco, che non trasmetteva ai Confratelli gli annui ricordi biografici dei defunti senza prima leggerli e farvi sopra le sue osservazioni.
Don Bosco dunque, ascoltatolo, gli disse: - Va tutto bene, signor Conte; ma Ella ha pensato che cosa voglia dire farsi religioso? Ha pensato che questo porta seco l'abbandonare ricchezze, onori, piaceri e ogni cosa del mondo?
- È da molto tempo che vi penso, rispose il Conte, e so tutto quello che importa questo passo; ma so anche per propria esperienza che le ricchezze, gli onori, i piaceri di questa terra non contentano il mio cuore e che a nulla mi serviranno in punto di morte.
- Ma la Signoria Vostra è assuefatta ad avere in casa sua molte comodità della vita; invece in un Istituto religioso, quantunque non si lasci mancare il necessario, pure le dico schietto che le mancheranno tantissime di quelle cose, di cui oggi abbonda per vitto, vestito, letto e via discorrendo.
- Lo so; ma so pure che molti vissero e vivono senza tanti agi e delicatezze e spero che con l'aiuto di Dio potrò farne a meno anch'io.
- Ma in casa sua Lei comanda ora da padrone; invece in una comunità religiosa le toccherà di obbedire da umile servo. Vi ha badato bene?
- Sì, vi ho badato, e mi sono convinto che in punto di morte mi consolerà più l'aver obbedito che l'aver comandato.
- Mi perdoni, signor Conte, se le aggiungo un'osservazione. Lei ha già un'età un po' avanzata, e non saprei se questa le permetterebbe di osservare le regole dell'Istituto.
- È vero, rispose il Conte dopo un istante di riflessione e con accento commosso; non sono più giovane, e mi cagiona grande rammarico il dover dare a Dio gli ultimi avanzi della mia vita. Tuttavia mi conforta il pensiero che non sono ancora vecchio decrepito e con tutti i miei sessantaquattro anni godo ottima salute, sicchè ho buona speranza dì potermi [221] adattare alla vita comune. Almeno non mi pare imprudenza tentare la prova.
Don Bosco, vedendolo così risoluto e conoscendone la gran virtù, avrebbe potuto senz'altro confermarlo nel santo proposito e dargli promessa di accettarlo tra i suoi; ma non volle avere neppure l'aria di precipitare le cose; perciò, standosi per cominciare la novena di Maria Ausiliatrice, gli suggerì di farla, per aver lume dal cielo, passando anche qualche giorno nel ritiro e nella preghiera.
Don Bosco non escludeva per principio dalla sua Congregazione gli uomini fatti nè i nobili; ma in quei primordi gli premeva sommamente l'omogeneità degl'individui che la componevano; non guardava però senza preoccupazioni alla eventualità che col tempo cominciassero a entrare adulti e aristocratici. Abbiamo su quest'argomento una preziosa conversazione del Servo di. Dio con Don Barberis che ce l'ha tramandata nella sua cronaca sotto il 17 maggio 1876. Tutte le altre Congregazioni, disse Don Bosco, nel loro cominciare ebbero aiuti di persone dotte e intelligenti, che, facendone parte, aiutavano il fondatore o piuttosto si associavano a lui. Fra noi, no: sono tutti allievi di Don Bosco. Questo mi costò un lavoro faticosissimo e continuo di circa trent'anni, con il vantaggio però, che, essendo stati tutti educati da Don Bosco, ne hanno i medesimi metodi e sistemi. Coloro che entravano nelle altre Congregazioni ad aiutare i fondatori, mentre cooperavano, essendo già essi formati a loro modo e non potendosi gli uomini spogliare in tutto del vecchio Adamo quando sono a una certa età, creavano una certa eterogeneità di elementi, che finiva con essere esiziale all'Ordine. Fra noi non è ancora entrato uno di famiglia nobile o molto ricco o di grande scienza; tutto quello che si fece e s'imparò, s'imparò e si fece qui. Non capirà l'importanza di questo punto chi non abbia meditato che cosa siano le Congregazioni o gli Ordini religiosi; ma chi riflette bene sulle cause d'ingrandimento e di decadenza dei vari Ordini e sull’origine [222] di varie scissioni, a cui tanti Ordini andarono soggetti, troverà che questo avveniva per mancanza d'omogeneità fin dal principio della fondazione dell'Ordine.
Per il conte Cays nel momento decisivo un fatto straordinario sembrò predisposto dalla Provvidenza a significargli il volere divino. Era finito il ritiro, finiva la novena: nella vigilia di Maria Ausiliatrice il Conte doveva esporre a Don Bosco lo stato dell'animo suo. Qualche dubbio gli permaneva. Quella mattina l'anticamera del Beato era piena di gente. Anche il conte Cays vi attendeva da un pezzo il suo turno, quando entrò una signora di Torino, parte strascinando e parte portando una sua figlia di undici anni, Giuseppina Longhi. Costei, per effetto di uno spavento prodottole da minacce, era stata assalita da convulsioni, perdendo la parola nè potendo più servirsi della mano destra, perchè colpita da paralisi. I suoi genitori dopo consultati parecchi medici che le prescrissero cure e medicine, dopo fatte anche preghiere e promesse, non vedevano alcun principio di miglioramento. Da un mese la fanciulla non proferiva più parola; si manifestava anzi in lei una perturbazione delle facoltà mentali. Allora la madre, avendo sentito dire che grandi meraviglie si operavano da Maria Ausiliatrice per mano di Don Bosco, portò là l'inferma per averne la benedizione. Trascorsa circa un'ora, si vide la povera donna rasciugar i sudori dal volto della figlia e poi prenderla per un braccio e disporsi a condurla via. Ma il segretario Don Berto le chiese, perchè se ne volesse già andare; al che rispose che si faceva tardi e sembrava che la figlia soffrisse ad aspettare più lungo tempo, troppi essendo quelli a cui toccava l'udienza prima che a lei. Allora gli astanti si alzarono per osservare la sofferente e unanimi si offersero di cederle il passo, non senza assicurarsi bene che si trattasse proprio di cosa seria. Nessun dubbio era possibile sul misero stato dell'infelice. Il più risoluto a ottenerle da tutti la precedenza fu il conte Cays. Accompagnandola con l'occhio nell'entrare, egli disse allora fra sè: - Se questa fanciulla uscirà [223] guarita, io riterrò questo fatto come una prova che la Madonna mi vuole Salesiano e bandirò da me ogni dubbio e timore.
Mentr'egli ruminava nella mente tale idea, che avveniva nella stanza attigua? La madre, adagiata sul sofà la figliuola, ne raccontò a Don Bosco la dolorosa storia, conchiudendo con dire che sperava ormai soltanto nella misericordia di Dio e nell'intercessione di Maria Santissima; volesse dunque darle la sua benedizione. Il Servo di Dio, esortatala ad avere fiducia nella Madonna e fatta inginocchiare la madre, benedisse la piccola malata. Quindi invitò la fanciulla a fare il segno della croce, ed essa si accinse a obbedire, ma con la mano sinistra.
- Non con la sinistra, ma con la destra, disse Don Bosco.
- Lasci, lasci che provi. Su, con la destra. - E lo fece speditamente
- Brava, disse Don Bosco, l'hai fatto bene; ma non hai dette le parole. - Su, rifallo e dì con me: - Nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo. Così sia.
La fanciulla, muta da un mese, sciolse la lingua, pregò e dopo, fuori di sè, si mise a gridare: - O mamma, la Madonna mi ha guarita. - La madre levò un grido e proruppe in pianto.
Rimaneva a provare se potesse stare in piedi e camminare senza sostegno; ebbene, andò su e giù per la camera con passo libero e franco. Allora la fortunata, non potendo più contenere la gioia apre la porta, si presenta agli astanti e con disinvoltura superiore all'età narra l'accaduto. Qual commozione in tutti! Madre e figlia scesero tosto nella chiesa a ringraziare Maria Ausiliatrice.
A tal vista il conte Cays non ebbe più bisogno d'altro. Entrato nella camera di Don Bosco, e dettogli della condizione posta e avverata, soggiunse: - Se Don Bosco mi accetta, io sono Salesiano.
- Venga pure fra noi, rispose Don Bosco, sarà accettato.
- Verrei fin da domani, festa di Maria Ausiliatrice e quarantesimo anniversario del mio matrimonio, ma siccome mi resta qualche affare da mettere in ordine, verrò, se nulla osta, il giorno 26.
- Va benissimo. Il 26 è festa di san Filippo Neri. Questo Santo, così divoto della Madonna, io spero che le otterrà la perseveranza.
Come disse, così fece. A onor del vero non dobbiamo nascondere che nelle prime ventiquattro ore e specialmente nella notte sostenne una lotta formidabile. Il mutamento di vita gli si affacciava così arduo, che temette di non poterla durare a lungo. Non sarebbe dunque stato meglio ritirarsi onoratamente in principio, per non essere costretto a farlo più tardi con ammirazione del pubblico e dopo aver cagionato disturbi all'Istituto? Buon per lui che non aveva segreti con Don Bosco. Gli si presentò nel secondo giorno e gli aperse l'animo. Il Servo di Dio, accortosi della tentazione, quanto più erasi mostrato prima restio a incoraggiarlo perchè entrasse, tanto più lo animò dopo la decisione presa. Alle osservazioni di Don Bosco sulle difficoltà dei principii e sui segni della sua vocazione: - Ha ragione, rispose il Conte rasserenato. Io non faceva queste riflessioni Mi sono lasciato turbare senza motivo. - Facciamo dunque così, conchiuse Don Bosco: Lei non badi tanto alle difficoltà quanto agli aiuti di Dio, che non Le mancheranno. Provi almeno qualche settimana. Intanto preghiamo tutt'e due. Se il Signore non vuole che Lei prosegua in questo stato, io spero che lo farà in qualche modo conoscere.
Cacciato lo scoraggiamento, gli venne un dubbio: chi sa, se quella guarigione avesse continuato? chi sa se non fosse cosa momentanea? Orbene, una mattina, passando per la sacrestia nel recarsi in chiesa, vide la giovanetta che con i genitori veniva a portare un'offerta, camminava, aveva un bel colore, stava insomma benissimo. Tale incontro fu provvidenziale. Da quel giorno la sua risoluzione non patì più scosse nè tentennamenti. [225] L'ingenita nobiltà dei sentimenti, la coerente fermezza di un carattere forte e provato, la fede illuminata e tanti anni virilmente vissuta fecero del conte Cays un Salesiano dì tempra adamantina. Ruppe tosto l'antica abitudine di riposare sino ad ora comoda, uniformandosi all'orario comune. Aveva per cella una umile soffitta lassù fra il secondo piano e lo spiovente del tetto, con l'abbaino per finestra: una di quelle soffitte che sono a Torino gli stambugi della povera gente e che oggi nell'Oratorio sono le abitazioni dei famigli. Durante l'inverno vi mancava qualsiasi mezzo di riscaldamento, onde il Conte per ripararsi dal freddo avvolgeva la persona in un copertone militare di lana verde tolto dal letto. Sedeva poi alla mensa comune, dimentico delle passate larghezze domestiche e pago del povero vitto, così poveramente apprestato. Talora non isfuggiva ai Superiori lo sforzo che doveva fare per mandar giù certa roba e gli facevano presentare qualche cosa di speciale; ma egli non voleva eccezioni. Non basta: poichè gli ascritti avevano il refettorio a parte, dopo alcuni giorni abbandonò la compagnia di Don Bosco a lui carissima per unirsi con quelli fino al termine richiesto. I suoi conoscenti, non ignorando quali riguardi gli abbisognassero per la sua malferma salute, non sapevano comprendere come mai potesse resistere, il barone Carlo Bianco di Barbanía andava dicendo che quello per lui era un miracolo. Tutta la sua vita, come scrive Don Vespignani[123], era studiare, pregare e intrattenersi amabilmente coi confratelli senza mai ricordare nè il suo casato nè le cose del mondo.
Per le mani di Don Bosco nel collegio di Lanzo vestì l'abito da chierico il 18 settembre 1877; ma aveva già intrapreso da tre mesi e più lo studio della teologia[124]. Per incarico di Don Rua gl'impartiva quell'insegnamento Don Vespignani, che, [226] entrato da poco in Congregazione, possedeva una bella cultura ecclesiastica. Di scienza religiosa il Conte era ben agguerrito, essendosi dedicato lungamente all'apologetica anche per tenere con onore il posto di deputato cattolico nel Parlamento subalpino, pervaso da spirito ostile alla Chiesa. Scriveva correntemente in prosa latina; anzi quell'anno, offrendo a Don Bosco nel suo onomastico un prezioso Crocifisso appartenuto già al beato Cafasso, aveva accompagnato il dono con un epigramma in distici latini da lui composti. S'applicò poi con tanto ardore allo studio della teologia, che recitava bravamente la sua lezione in latino. La sua minuziosità nel chiedere spiegazioni metteva a continua prova la sagacia del maestro, il quale si avvedeva quanto egli fosse addentro nella conoscenza della Sacra Scrittura. Nessuno quindi si stupì che Don Rua, esaminatolo ben bene, lo presentasse a Don Bosco per le sacre ordinazioni poco dopo la sua professione perpetua e prima ancora che finisse l'anno 1877.
Il Beato aveva stabilito di ammetterlo ai voti nella festa dell'Immacolata, riducendogli ai minimi termini il tempo del noviziato e così presentarlo per la tonsura e i quattro minori nell'ordinazione di Natale. Per il regime interno della Congregazione Pio IX, che conosceva la grande prudenza di Don Bosco, gli aveva accordate facoltà molto ampie, delle quali egli si serviva senza mai parlarne pubblicamente e senza mai neppure farvi appello nelle controversie che talora insorgevano; i Superiori però ne erano a conoscenza. Naturalmente dopo la morte di Pio IX tali facoltà dovevano cessare.
Don Rua fece la domanda degli ordini sacri per il Conte e per due altri chierici quaranta giorni avanti, come l'Arcivescovo esigeva dall'Oratorio. Il prefetto generale dunque ai 14 di novembre pregò per lettera monsignor Gastaldi, che si degnasse ordinare i suddetti nel sabato delle tempora natalizie 22 dicembre, informandolo che il Conte avrebbe professato l'8 di tal mese. Sua Eccellenza rispose non a Don Rua, [227] ma al Conte così[125]: “Io l'ammetterò in tal giorno alla tonsura ed ai minori, a patto Che Ella si costituisca in questa Curia arcivescovile il patrimonio ecclesiastico: imperocchè io non posso considerare per validi i voti suddetti che si facessero prima del tempo prescritto dalle Regole Salesiane, eccetto che V. S. ne abbia la facoltà con rescritto pontificio, od almeno con lettera della santa Congregazione dei Vescovi e Regolari, che mi sia comunicata, acciò io la esamini. Conoscendo V. S. dal 1829 e sapendo perciò, che Ella è in tutta regola, non esigo che essa richiegga da me i testimoniali prescritti dal decreto pontificio 25 gennaio 1848; e li considero come chiesti e ottenuti. Ma per la sacra ordinazione non posso in coscienza regolarmi diversamente da quanto ho espresso più sopra”. Appianata questa difficoltà nel modo voluto, l'ordinario il 23 novembre notificò che l'avrebbe ammesso con gli altri due chierici Salesiani; ma il 24 riscrisse, dicendo che non avrebbe ammessi questi ultimi. Ciò non ostante essi il 6 dicembre si presentarono entrambi in Curia, pregando che venisse loro significato, se potevano presentarsi all'esame. Monsignore, il quale credeva allora che Don Bosco fosse stato l'ispiratore di una lettera anonima di cui diremo più oltre, fece risponder loro negativamente. Il giorno stesso si presentò pure il Conte, a cui fu risposto che egli era ammesso e gli altri due no. Mortificato e meravigliato il Conte dichiarò ripetutamente di essere Salesiano al pari di quei due e di voler essere tale fino alla morte; non pago poi di queste dichiarazioni orali s'intese con Don Bosco e scrisse la seguente lettera.
Fra tre Salesiani che abbiamo umiliato all'Ecc. V. Reverendissima il nostro ricorso per essere ammessi alle sacre ordinazioni, io per gli ordini minori e gli altri due pel suddiaconato, io solo ho avuta la sorte di esserne favorito.
Devo renderne all'Ecc. V. i miei più vivi ringraziamenti; però sento di avere a compiere ad un altro dovere, che se mi riesce penoso, [228] non devo però tralasciare. Io certamente non devo investigare le ragioni che possono aver determinata la E. V. R.ma a questa diversità di trattamento; però non ho potuto far a meno di riflettere alla differenza più spiccata che passa tra me e gli altri due postulanti; che cioè questi già sono ascritti definitivamente alla Cong. Salesiana, e come tali hanno fatta la loro dimanda, mentre io non lo era ancora. Quando ciò fosse, io mi tengo obbligato in coscienza a far conoscere all'Ecc. V. R. che domani, giorno dell'Immacolata Concezione, avrò la fortuna di emettere i voti di Salesiano; quindi al momento della ordinazione sarò ancor io Salesiano di cuore, e di fatto. Posto così in identica condizione con gli altri due, posso ancor io solo presentarmi alle ordinazioni, a fronte delle ragioni che possono aver persuasa la Ecc. V. a non ammettere i Salesiani alle ordinazioni in questa circostanza?
Sarebbe mio immenso desiderio di non ritardare la conclusione di uno dei più cari miei voti, ma non posso dimenticare che tale mio voto non andò mai disgiunto da quello di far parte della Salesiana Congregazione a cui mi sono consecrato.
Se questo mio atto solenne potesse dare ombra a credere che tale non sia sempre la mia intima persuasione, devo piuttosto, mio malgrado, privarmi dell'onore di presentarmi alle prossime ordinazioni, rimettendo al Signore ed a Maria SS.ma Ausiliatrice il compimento di tale mio desiderio.
Membro di questa Santa Congregazione, non posso separarmi dalla sorte de' miei confratelli, e se questo passo mi è sommamente doloroso, devo però preferirlo a quello che mi potesse dimostrare ingrato a questa buona madre ed occasione di sfregio a' miei confratelli.
Confido che la Ecc. V. non sarà per trovare sconveniente questo mio scritto che è dettato dal desiderio di aprirle sinceramente tutto il mio cuore come a mio Superiore Ecclesiastico, a cui ho sempre avuto ed avrò sempre il più sincero affettuoso rispetto e venerazione profonda.
Mentre baciandole riverentemente l'anello mi pregio di sottoscrivermi,
In Torino si faceva già un gran parlare di questo incidente; la risposta poi del Conte, così ponderata in sè, era pur degna di considerazione per la qualità dello scrivente. Onde l'Arcivescovo, per tema che la sua decisione desse motivo a dicerie di parzialità, fece scrivere immediatamente che i candidati [229] erano ammessi tutt'e tre all'esame. Favorevole essendone stato l'esito, ricevettero gli ordini dalle mani di monsignor Gastaldi.
Nel giorno dell'Immacolata tutti i professi e gli ascritti dell'Oratorio con gli aspiranti studenti e artigiani avevano assistito verso le sei di sera nella chiesa di S. Francesco alla professione del Conte Cays, preceduta da quella triennale dei tre chierici Galavotti, Bielli e Calligaris e del coadiutore Lisa. Nel '52 il Conte aveva aiutato Don Bosco nella costruzione di quella chiesa ed era stato priore della festa di san Luigi; di qui il buon Padre tolse occasione a mostrare le mirabili vie della Provvidenza. Parlò dunque così.
In questo giorno dedicato a Maria Santissima Immacolata, io godo una grande consolazione nel trovarmi con tutti i miei figli Salesiani, professi, ascritti ed aspiranti, e di poter ad essi tutti radunati insieme indirizzare la mia parola. Godo che fra le altre cose fatte in suo onore, vi siano state or ora parecchie professioni religiose, che sono le offerte più grate che si possano fare a Dio ed alla sua Santissima Madre. Rese maggiormente solenne questa festa il rinunziare che alcuni fecero alla propria volontà ed ai propri comodi per far piacere a Maria, dedicandosi al servizio del suo Divin Figlio Gesù. In quanto a me, non posso fare a meno, umanamente parlando, che rallegrarmi anche molto con coloro che hanno emesso i voti.
Ma fra questi per uno specialmente io sono commosso: il Conte Cays. Egli si tratteneva già qui con noi quando si fabbricava questa chiesa, veniva come ausiliario di quest'opera, per prendere parte ai lavori ed aiutarci nei nostri bisogni; egli accettava allora di essere priore nelle nostre feste. Chi allora avesse detto: Verrà un tempo che il Conte Cays in questa medesima chiesa farà i voti di povertà, castità, obbedienza, che egli lascerà tutte le comodità che possiede e tutte le soddisfazioni che può sperare nel mondo, per abbracciare una vita austera e mortificata, si farà Salesiano, lo si sarebbe creduto pazzo. Certamente nè io nè lui lo avremmo immaginato. Eppure quello che nessuno avrebbe potuto immaginare, lo operò la Divina Provvidenza. Egli in questa stessa chiesa che ci aiutò a edificare, dove si è consacrato al Signore coi voti, non certamente per goder in avvenire maggiori soddisfazioni, sarà guida al cielo di molti giovanetti. La divina Provvidenza ha disposto questo fatto per vie mirabili, ed io volentieri l'ho accettato. Oh! bisogna pur dirlo che le vie del Signore sono segrete, e quando giunge il tempo prestabilito egli manifesta la sua volontà. Fortunati coloro che da Dio vengono scelti, [230] siano giovani, siano vecchi, siano ricchi o poveri, a compire la sua adorabile volontà a sua maggior gloria e a loro vantaggio spirituale. Fortunati quelli che, venendo a conoscere questa volontà, subito l'accettano e si accingono all'opera. Saranno salvi in eterno.
Esposta questa idea, bisogna che passi ad esprimere un altro pensiero, a dire una parola generale a tutti i Salesiani, ai miei figli qui raccolti. È la prima volta nell'anno scolastico che io vi posso parlare a tutti insieme, e forse in quest'anno non potrò più avere altra occasione per radunarvi. È una parola che mi venne in mente, mentre si faceva la professione religiosa; ed è questa. Il Catechismo dice: ““Io sono stato creato per conoscere, amare, servire il Signore in questa vita, per andarlo a godere per sempre nella celeste patria”. Quanti sublimi pensieri si raccolgono in questa parola! Vi è materia da meditare pei dotti e per gl'ignoranti, pei ricchi e pei poveri, pei fortunati e per gl'infelici, per tutti coloro insomma che si trovano su questa terra. Tutti siamo chiamati a conoscere, ad amare e servire Iddio. Ma molti sono gl'impedimenti che non ci permettono di amare e servire Iddio come si conviene: le ricchezze, le passioni, il demonio; dimodochè ben pochi sono nel mondo quelli che proprio vivono cristianamente e santamente. Eppure Iddio manifesta la sua santa volontà che ci vuole tutti santi: haec est voluntas Dei sanctificatio vestra. Eppure egli ci dà tutti i mezzi per salvarci, e poi ci dice: Ora pensateci voi a servirvi di questi mezzi.
E quale sarà il mezzo principale, più efficace per diminuire questi impedimenti, e così invece di dover combattere come cento, vi sia più solo da combattere come novanta, come sessanta, come dieci? Sì che vi è il mezzo: fare quello che ci suggerisce Gesù Cristo. Va', abbandona quello che possiedi, e seguimi. Entrare in Religione. Ciò abbatte d'un colpo solo i tre nostri nemici, coi voti di povertà, castità ed obbedienza.
Infatti quanta differenza esiste, tra la pace e la tranquillità di coloro che si consacrano a Dio in religione e quelli che vivono nel inondo! Due pensieri si contendono la prevalenza nella loro mente, due affetti cercano di disputarsi il possesso del loro cuore. Essi credono di potersi salvare godendo delle misere cose di questa terra, mentre è certo che non si può servire a due padroni, nè stare vicini a tutti e due. Amando l'uno bisogna necessariamente odiare l'altro, servendo uno non si può far a meno che disprezzare l'altro. Il demonio ci invita con tutti gli allettamenti immaginabili. Fruamur bonis, coronemus nos rosis, antequam marcescant: ma Gesù Cristo comanda: Diliges Dominum Deum tuum ex toto corde tuo, ex tota mente tua, ex tota anima tua, ex totis viribus tuis: tutti intieri come siamo e quanto siamo ed abbiamo ci vuole per sè. Ma nessuno può insieme servire a Dio e godere i piaceri della terra, cioè servire il demonio. Quanto grande è l'attaccamento che l'uomo porta alle ricchezze! [231] Eppure sta scritto: Non potestis Deo servire et mammonae. Coloro che sono nel mondo si trovano fra queste due potenze. Da una parte Dio cui dobbiamo servire; dall'altra la vanità, la concupiscenza, verso le quali ci fa pendere la corrotta natura, mentre dobbiamo assolutamente respingerle, pena un eterno danno. Cedere al mondo e al demonio? Ed ecco strazi di coscienza, rimorsi, e quindi perduta la pace. Resistere? Certo! e combattere infaticabilmente! Da ciò le grandi battaglie che si debbono sopportare nel corso della vita da tutte parti per le passioni ardenti, per gli assalti della vanagloria, della superbia, della gelosia, per gli allettamenti della gola, per il fascino delle ricchezze, che sono spine, disse il Divin Maestro; per acquistarle, per conservarle, per possederle, continue distrazioni, preoccupazioni; affezioni anche troppo spinte, anche a danno dell'anima, e dimenticando Iddio, o non dando al Signore il posto che gli è dovuto nel nostro cuore, per i parenti e per gli amici. E tutti questi combattimenti di giorno e di notte, quando siamo desti e quando andiamo al riposo. Ora in mezzo a queste lotte continue ed acerbe che il demonio muove contro i cristiani, ecco il mezzo che il Signore ci offre per difenderci da tutte le insidie e i tormenti, ed uscirne illesi: accrescere a noi le forze e toglierle al nemico. Se tu vuoi combattere meno, dice Gesù, va', rinunzia alle tue agiatezze, vendi ciò che hai, vieni e seguimi e avrai una mercede centupla nella presente vita, e la vita eterna nel futuro. Così disse ad un giovanetto ebreo che gli aveva domandato in qual modo avrebbe potuto giungere alla perfezione: Si vis perfectus esse, vade, vende quae habes et da pauperibus et veni, sequere me. Allontanarsi da tutto ciò che è causa di combattimento, troncare ogni relazione coi nostri nemici, metterci ai fianchi del Divin Salvatore, entrare insomma in religione, ecco il mezzo per aver la pace e la sicurezza. Disse Gesù Cristo anche agli apostoli: Se volete cessare di essere pescatori di pesci, e diventar pescatori d'uomini, abbandonate tutto ciò che possedete, e venite con me. Avevano ben poco quei pescatori; eppur Gesù volle che lasciassero anche questo poco. Chi vuol essere veramente mio, disprezzi le cose di questa terra! Ecco la massima che ci lascia il Divin Salvatore, perchè possiamo avere la sicurezza di salvarci.
Ma uno non si può salvare vivendo anche nel mondo? Sì, ma vi debbo anche soggiungere che vi sono molte difficoltà da superarsi, le quali vengono distrutte, se uno lascia il inondo e si consacra tutto a Dio.
Taluno va dicendo: Ma anche nel secolo non vi sono dei santi, degli uomini profondamente cristiani, i quali osservano esattamente la legge di Dio, come quelli che vivono in religione? Ve ne sono, ed è vero, nel mondo molti buoni cristiani, ma vi sono anche molti pericoli, e quante difficoltà si debbono superare per fare un po' di bene! Quando volessero fare qualche atto di pietà, ne sono pressochè [232] sempre impediti; per contrario nella Congregazione, essendo questi atti prescritti per regola, ed essendo stabilito il tempo per praticarli, resta facilissimo dare il pascolo spirituale all'anima. Quanti sono, per esempio, i cristiani nel mondo che fanno la meditazione? Pochissimi. Quali fra i cristiani la possono fare più bene? Qui fra di noi per fortuna vi ha la santa usanza di fare la meditazione tutti i giorni. Se la vogliamo far tutti insieme, non abbiamo da far altro che alzarci presto al mattino. Ci leviamo alle cinque, e andiamo in chiesa senza che alcuno ci disturbi. Nel mondo invece farla molti insieme non si può. Da soli lungo la giornata non si sa qual momento prendere, perchè le faccende di casa incalzano da tutte parti. Ora hanno una visita, ora devono restituirla; oggi saranno invitati ad un pranzo, domani ne dovranno imbandire uno agli amici in casa propria, Sono convenienze sociali imposte dall'uso e guai a chi non le osserva! Si ha da tener cura della famiglia, bisogna pensare a far ristorare la propria abitazione, si deve pagare il fitto a tempo debito e andare a riscuotere le rendite, si ha il negozio, la bottega da accudire.
Non parliamo del levarsi di buon'ora, perchè nel secolo, a dirla com'è, si alzano molto tardi. Alcuni aspettano a lasciare il letto alle sette, alle otto e persino alle dieci. Non è guari che mi sono recato a far visita ad un'onesta persona e mi fu risposto che non poteva parlarle, perchè si trovava ancora in letto. Erano le dieci passate. - E come? Non è ancora alzato? È andato dunque a dormire ben tardi? - io dissi. Mi fu risposto - Veda: fa pranzo alle quattro, poi tiene un po' di conversazione, va al teatro, qualche volta anche al ballo, e non viene a coricarsi prima di mezzanotte; perciò ha bisogno di riposarsi fino ad ora tarda.
Io pensai allora: Se conducessimo anche noi questa vita, che cosa ne sarebbe della meditazione? Eh!! di meditazione non se ne parlerebbe più. E se andiamo ad esaminare come si occupa la loro giornata, troveremo che per fare il bene i mondani incontrano ogni giorno difficoltà maggiori. Talora hanno anche intenzione di ascoltare la messa, di fare una visita in chiesa, ma non hanno mai il tempo e la comodità. Così accade di ogni altra cosa che riguardi la divozione. Insomma il mondo non è un sito per le pratiche di pietà, anzi dirò che è un luogo ov'è difficilissima l'osservanza della legge del Signore, ov'è quasi impossibile mettere in pratica i consigli evangelici. È un gran che se uno si tiene in grazia di Dio e non cade nei lacci tesi dal demonio e dalla carne.
Un buon cristiano adunque che brama restar illeso da questi pericoli, una sol cosa deve fare: fuggirli, ritirarsi in religione, ove sarà come in una fortezza, alla quale i suoi nemici non si potranno avvicinare. Ma Iddio questa singolare grazia della vocazione religiosa non la fa a tutti, e fortunati quelli che sono da lui prescelti! Noi tutti lo fummo, poichè l'averci Iddio qui radunati, è un segno manifesto essere suo [233] volere che qui noi lo serviamo. Ed io vi dico, che perseverando nella religione, nell'osservanza delle regole, tolte le armi di mano ai nemici dell'anima vostra, percorrerete sicuri la via del cielo, avrete il centuplo su questa terra, secondo la promessa del Salvatore, e la vita eterna dopo morte.
Oh se coloro che sono nel mondo potessero conoscere la pace e la felicità che si gode in religione, tutti indistintamente abbandonerebbero i loro passatempi, le loro delizie, le loro ricchezze per dare la scalata ai chiostri e alle Congregazioni religiose, per trovare quella contentezza che indarno vanno cercando altrove. E noi che l'abbiamo conosciuta e che ci siamo raccolti in questo luogo, sappiamo approfittare di tanta ventura. Ecco la grande grazia che Dio ci fa col chiamarci in Religione. Un gran tesoro è nelle nostre mani. Questo vi dico, acciocchè non regni illusione in alcuno. Tutti voi foste chiamati da Dio. Bisogna dunque che corrispondiate alla grazia, e poi state certi, ed io ve l'assicuro, proverete la dolcezza di chi vive in Religione.
Ora qualcheduno dirà: D. Bosco potrà assicurarci proprio che tutti noi siamo chiamati a questo stato? Non voglio andare a fondo per conoscere particolarmente i segni della divina chiamata; ma io credo di potervi rispondere di sì, perchè lo stesso esserci radunati tutti insieme è segno della divina volontà. Ve lo ripeto: osservate le regole, e state sicuri
Però anche voi che siete in Congregazione, non pensate già a fare cuccagna e di potervi salvare stando attaccati almeno col cuore alle miserie di questa terra. Certamente chi anche fra voi volesse servire a due padroni, non dovrebbe stare in Religione per trovarvi pace. Stolto chi facesse i voti pensando che qui non vi sia altro che godimenti! Stolto chi fosse nel numero di quelli di cui dice S. Bernardo: Pauperes esse volunt, eo tamen pacto, ut nihil eis desit! Si disinganni costui, la sbaglierebbe a partito. Nella religione non vi sono tutte rose, anzi è l'opposto; vi sono le spine. Ma vorremo noi coronarci di rose, mentre Gesù è coronato di spine? Talora l'umiltà, l'obbedienza, la mortificazione e il lavoro hanno le loro spine. E chi non sa che stretta è la via del cielo?
Ma io vorrei dire anche a qualcheduno: Non t'ingannare, mettendo nel cuore che la vita religiosa sia una vita tutta di sacrifizi. Prima le spine e poi le rose. È vero che la vita religiosa domanda lavoro continuo, spirito di sacrifizio, umile abnegazione di se stesso; ma queste stesse prove sono fonti di grazie maggiori, e di consolazioni grandissime, pensando che serviamo un padrone così giusto e così buono. È vero che la nostra mercede è in cielo, dice San Paolo; ma anche qui sulla terra in molti modi si ha il centuplo di ciò che uno sacrifica al Signore. Tutto si deve offrire a lui, ogni nostra fatica deve essere a sua gloria, ed anche per lui la mercede della nostra fatica; ma, [234] quando siamo stanchi, il Signore addolcisce il nostro riposo, ed altri compagni ci sollevano: quando il nemico ci tenta, noi lo conosciamo alle sue lusinghe ed abbiamo potenti armi da difenderci, che il Signore stesso ci va porgendo. E sovrattutto il centuplo, che Gesù Cristo promise ai religiosi in questa vita, si deve ripetere dalla pace dalla fiducia, dalle consolazioni che proveremo in punto di morte. Fidelis Deus! Ma ciò che vale più di tutto è la promessa della vita eterna.
E noi tutti, o Salesiani, ci arriveremo, conservando il tesoro della nostra vocazione, osservando le nostre regole e mantenendoci sempre sotto la protezione dì Maria Santissima, che tanto vuole favorirci.
L'anticipata professione del Conte Cays diede origine l'anno seguente a una vertenza incresciosa, che basterà esporre qui per sommi capi. L'Arcivescovo, invece di sentire Don Bosco, come sarebbe stato naturale, denunziò a Roma il fatto della sua ammissione ai voti perpetui prima che egli avesse finito l'anno di noviziato. Da Roma il nuovo prefetto della sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari, Cardinal Ferrieri, richiese spiegazioni della cosa a Don Bosco. Il Servo di Dio rispose allegando le ragioni canoniche, le quali gli sembravano giustificare a pieno il suo operato e appoggiandole all'autorità di un noto e molto stimato maestro in diritto ecclesiastico:
Interrogato se io in qualità di Superiore Generale della Congregazione Salesiana abbia realmente accordato dispensa al Conte Cays di Giletta dal compiere un intero anno di Noviziato, incorporandolo prima del suo termine alla sopraddetta Congregazione per mezzo dei voti semplici, e per quale motivo io avrei ciò fatto; rispondo candidamente al primo quesito affermativamente: quanto al secondo confesso pure con tutta umiltà che io credetti in buona coscienza di poter ciò fare tanto rispetto alla validità, quanto rispetto alla liceità dell'atto.
Per la validità mi sembrarono militare sufficientemente le ragioni seguenti. Per una parte non è emanata, che io mi sappia, una dichiarazione autorevole, se la legge del Tridentino (Sess. 25, Cap. 15), secondo cui si prescrive sotto pena di nullità doversi premettere un anno intero di Noviziato alla incorporazione negli istituti religiosi, riguardi solo la professione solenne, oppure si estenda anche alla incorporazione che si fa coi voti semplici. Per altra parte gli autori che ne hanno [235] scritto, non sono in ciò d'accordo. Il Bouix, accreditato canonista contemporaneo, nel suo trattato De jure regularium (parte IV, Cap. V, N. II) si pronunzia apertamente per la validità dell'incorporazione fatta prima di compiere l'anno intero del noviziato.
Volendo tuttavia camminare con sicurezza in tale materia, ho fatto richiesta ad un Eminentissimo Porporato del suo parere, il quale, dopo interrogato il S. Padre, mi rispose che noti v'era ragione di dubitarne e quindi poteva tranquillamente seguire l'approvato autore (Bouix) che accennava.
Del resto sarà almeno permesso il dubitarne. In questo caso trattandosi di legge rigorosa potremo nel dubbio, stando ai principii generali, interpretare la legge nel senso più stretto e rigoroso, ed ammettere senza tema di errare, che sia valida l'incorporazione del Novizio prima ancora ch'egli abbia compito interamente il Noviziato.
Partendo da un altro principio si può similmente osservare, che la legge citata del Tridentino parla della necessità dell'anno intero per la validità della professione. La legge essendo rigorosa, come abbiamo detto, vuole essere interpretata nella stretta significazione dei termini, secondo cui la parola professione significa solennità di voti religiosi. Dunque di questi soli si potrà interpretare a buon diritto la legge del Tridentino.
A conferma di tutto ciò si noti, che dove, secondo la recente disciplina, si parla dei voti semplici da premettersi ai voti solenni, si stabilisce bensì che sia nulla la professione solenne se non precedano i voti semplici, non s'accenna però mai che siano parimenti nulli i voti semplici, dove non vengano preceduti da un anno intero di Noviziato. Segno evidente che la S. Sede non ha credute necessarie le medesime condizioni per gli uni e per gli altri.
E meritamente, giacchè i voti solenni sono assolutamente indispensabili, e difficilmente vi si può arrecare rimedio, quando siano emessi incautamente e senza avere almeno compite le prove; dove ciò non accade pei voti semplici. Onde si fa manifesto che le leggi stabilite pei voti solenni non si possono per sola analogia e senza parità, di causa estendere ai voti semplici.
Finalmente nemmeno per parte delle costituzioni Salesiane potrebbe affermarsi che sia invalida una tale dispensa dall'anno intero del Noviziato, perchè in nessun luogo di esso viene stabilito che tale dispensa non si possa accordare dal Superiore Generale.
Provata così la validità della dispensa rimane a stabilire nel nostro caso la liceità.
Senza dubbio una tale dispensa sarebbe illecita, come contraria agli interessi della religione e del Novizio, se non vi fossero gravi ragioni per fare una eccezione, come dice il Bouix nel luogo citato.
Ma nel nostro fatto si tratta di un caso straordinario: si tratta cioè di una persona molto distinta per pietà, per talenti, per dottrina, [236] per vita lunga ed operosa in servizio di Dio: di un dotto laureato in utroque jure, istruito nella Sacra Teologia Dommatica e Morale, eletto membro del Parlamento Sardo, in cui fece belle prove di scienza e di coraggio cristiano in compagnia dell'amico Conte Solaro della Margherita, di un intelligente Direttore della Società di S. Vincenzo de' Paoli, chiaro per nobiltà e per censo patrimoniale, provveduto di titolo per sacri ordini, che prima ancora di principiare il Noviziato passò varii mesi in prova della vita religiosa che meditava di abbracciare nella casa madre dei Salesiani, rinunciando ai comodi della vita, nella grave età di oltre a sessantacinque anni. Onde non rimaneva luogo a dubitare nè delle ottime qualità del Novizio, nè della maturità della deliberazione, nè della fermezza nel santo proposito, nè del bene che avrebbe potuto fare in servizio della Religione e della Chiesa; anzi era scopo della dispensa il rimeritare per una parte un uomo, che aveva dato un esempio così singolare di virtù e di sante intenzioni, e di metterlo in grado di giovare il più che si potesse prontamente a quei tanti bisogni, cui la nascente Congregazione è chiamata per divina bontà a provvedere.
In prova di tutto ciò valga l'autorità stessa dell'Arcivescovo di Torino Mons. Gastaldi, che con lettera indirizzata al Novizio credette potergli dare un segno di stima col dispensarlo, tutto da sè, dalle testimoniali richieste per ammettere lecitamente il novizio alla tonsura ed agli ordini minori.
Con tutta la fiducia di essermi giustificato immune da errore e da colpa, mi dichiaro come è mio dovere, sempre pronto alla osservanza delle leggi ecclesiastiche ed a quelle norme, cui la Sacra Congregazione piacesse prescrivermi per mia condotta e per il buon governo della Congregazione Salesiana.
Queste considerazioni non incontrarono favorevole accoglienza; infatti il Cardinale gli rispose che bisognava stare a quanto prescrivevano le Costituzioni salesiane in materia di voti[126]. La lettera di Sua Eminenza fu trasmessa d'ufficio a Don Bosco il 7 luglio dall'avvocato Don Costantino Leonori, che da qualche tempo lo assisteva presso le Congregazioni Romane[127]. [237] Ma Don Bosco non aveva detto tutto nella lettera surriferita. Allorchè nel novembre del 1877 vennero mosse a Torino le prime obiezioni sulla validità dell'imminente professione religiosa del Conte, egli si era consultato con un Cardinale di Curia, che probabilmente, per non dire certamente, fu il Cardinale Berardi, suo consigliere intimo negli affari più delicati, e l'aveva inoltre pregato di far parola dell'incidente col Papa. Il Santo Padre non trovò nulla a ridire intorno a quello che Don Bosco aveva giudicato bene di fare. Altro non si poteva attendere dal Santo Padre; più d'una volta noi abbiamo avuto occasione di ricordare come per il governo interno della Società Pio IX l'avesse munito oralmente di facoltà amplissime, tanto Egli si fidava della sua prudenza. E prudentemente Don Bosco profittava della sovrana liberalità e ancor più prudentemente ne parlava. Insistette dunque nel chiedere una sanatoria senza che occorressero speciali formalità, lumeggiando meglio e con tutta umiltà le ragioni del suo procedere. Riscrisse pertanto così:
Il giorno 8 del corrente mese riceveva la veneratissima lettera con cui la E. V. mi invitava a chiedere una sanatoria pel Conte Cays, che sarebbe stato ammesso alla professione religiosa prima che fosse terminato l'anno di Noviziato o, come dicono le nostre Costituzioni, prima che finisse il tempo della seconda prova.
Senza fare la minima osservazione, chiedo soltanto in via di grazia per ossequio alla S. Sede e per decoro della Congregazione cui sono stato preposto, che io richiami alcune ragioni su cui mi sono fondato nel concedere questa dispensa, siccome fu più diffusamente esposto nella mia lettera antecedente.
1° Accreditati canonisti, come il Bouix, il Ferraris, asseriscono che il decreto tridentino sull'anno intero di noviziato stringe solamente gli ordini religiosi di voti solenni, che professano obbedienza, [238] castità e povertà in senso assoluto, ma che le Congregazioni ecclesiastiche di voti semplici non sarebbero in quello comprese e che perciò i superiori di queste per gravi motivi possono dispensare da qualche frazione di quel tempo di prova.
2° Volendomi tuttavia assicurare del mio procedere ho pregato un benemerito Porporato a volerne fare parola col S. Padre.
La risposta fu che, appoggiato all'autorità di quegli scrittori e sopra l'autorevole dichiarazione di S. S., io poteva con tutta tranquillità accordare quella dispensa.
Non ho dimandato alcun Rescritto, trattandosi di un caso particolare relativo a cose interne dell'Istituto.
Esposte queste ragioni del mio operato, io mi prostro umilmente ai piedi della E. V. implorando venia dell'errore involontariamente commesso e chiedo la necessaria sanatoria.
Noto solamente che il tempo prescritto per il Noviziato del Conte Cays essendo già da più mesi trascorso, io farò al medesimo ripetere la formola della professione religiosa, e compierò tutte le altre cose che la E. V. giudicasse di comandare.
Ho l'alto onore di potermi professare della E. V. Rev.ma
Indubbiamente Don Bosco avrebbe fatto meglio a premunirsi di un Rescritto pontificio da potersi produrre in ogni evenienza; ma egli non sentì la necessità di chiederlo, sia perchè il Conte, costituitosi il patrimonio presso la Curia torinese, riceveva ormai regolarmente gli ordini sacri, sia perchè egli era lungi le mille miglia dal presagire che il caso sarebbe stato deferito al tribunale di Roma. Per questo motivo si trovò allora sguernito del suo più valido mezzo di difesa, quando Pio IX era morto.
Il Prefetto della Sacra Congregazione ai 29 di luglio replicò che si domandasse semplicemente la sanatoria sul noviziato e la professione del Conte e che questi dichiarasse per iscritto essere sua volontà di ottenerla.
Parlare subito della faccenda al Conte sarebbe stato un gettargli all'improvviso lo sgomento nell'animo e lasciargli credere che dai Superiori si agisse con la testa nel sacco e con ignoranza delle leggi ecclesiastiche; le quali cose gli [239] avrebbero tolta la serenità necessaria per prepararsi all'ordinazione sacerdotale avvicinantesi a grandi passi. Poichè conviene sapere che uno dei motivi di accelerargli i voti era stata la necessità di liberarlo dalle angustie di un'agitazione interna, la quale difatti cessò. Don Bosco stimò quindi opportuno temporeggiare e aspettare il momento propizio, tanto più che il Cardinale non fissava alcun termine all'esecuzione. Intervenne poi il periodo estivo, nel qual tempo si rallentavano i lavori delle Congregazioni romane; sicchè il Conte ebbe agio di celebrare tranquillamente la sua prima messa ed anche di fare con Don Rua un viaggio a Parigi per trattarvi importanti interessi della Congregazione, come narreremo più innanzi. Al suo ritorno egli era ormai in uno stato d'animo che gli permetteva di ricevere l'inattesa comunicazione senza pericolo di contraccolpi. Difatti, udito quello che si voleva da lui e compresa bene la natura e la portata della cosa, in data 4 dicembre scrisse al Santo Padre la sua supplica nella forma seguente “Carlo Cays sacerdote Salesiano in Torino ossequiosamente espone alla Santità Vostra essergli stato detto che la sua professione religiosa sia irregolare perchè non conforme a ciò che prescrivono le Costituzioni della detta Congregazione Salesiana; pertanto implora umilmente benigna sanatoria, dichiarando essere sua assoluta intenzione di continuare nella Congregazione Salesiana, pronto a rinnovare la sua religiosa professione con voti perpetui...”. Il 12 dicembre l'avvocato Leonori spedì il Rescritto[128], nel quale s'ingiungeva al Conte di passare un mese intero nella casa di Noviziato sotto la direzione del maestro dei novizi e poi di ripetere la professione perpetua a norma delle Costituzioni. Con tutta semplicità il buon religioso rientrò per la mensa nel refettorio dei [240] Novizi, unendosi anche a loro per tutto un mese negli esercizi propri del Noviziato, e infine rinnovò privatamente nelle mani di Don Bosco la sua professione perpetua. Così la questione fu finita nè mai più se ne parlò.
Tutto questo, come dicevamo sopra, non impedì al Conte Cays di ricevere tutti gli ordini sacri col titolo del patrimonio. Ebbe il suddiaconato da monsignor Salvai, Vescovo di Alessandria, il 15 aprile 1878; il diaconato dall'Arcivescovo il 15 giugno e il presbiterato dal medesimo il 20 settembre. Sua Eccellenza volle conferirgli l'ultima ordinazione nella chiesa cattedrale, alla presenza di molti nobili signori e signore, parenti, conoscenti e amici dell'ordinando e in mezzo a gran concorso di popolo. Il sacerdote novello avrebbe potuto celebrare solennemente in Torino la sua prima messa; ma la sua pietà ne sarebbe stata troppo distratta. Perciò, rinunziando a ogni festa, si allontanò dalla città e recatosi col figlio a Sampierdarena, cantò ivi la messa nella chiesa dell'ospizio di San Vincenzo. Tutto infervorato, commise una distrazione di quelle che si ricordano per un pezzo. Giunto alla benedizione finale, invece di proferirne la formula a bassa voce, la intonò a note spiegate, more Episcoporum.
Il Beato Don Bosco, che si trovava a Sampierdarena per dirigere gli esercizi spirituali, assistette all'altare il neolevita, e mentr'egli faceva il ringraziamento, scrisse all'avvocato Fortis torinese, desideroso allora di seguir l'esempio del Conte facendosi salesiano. Il Servo di Dio lo conosceva da giovane, perchè molto amico di suo padre. Lo chiama professore, perchè Don Bosco l'aveva incaricato di dare lezioni di Filosofia ai chierici dell'Oratorio.
Il conte Cays termina in questo momento la sua prima Messa, e mentre egli fa il ringraziamento scrivo due linee.
Mercoledì cominciano gli esercizi a Lanzo e ti attendo sotto pena di andarti a prendere.
Doppio guadagno se teco verrà eziandio il nostro caro Riccardo[129] [241], che desidera di diventar buono, ma vuole fare miracoli, come io desidero.
Spero che Papà sarà bene in salute; non oso invitarlo, ma se mai venisse anch'esso a Lanzo, faremmo una gran festa e gli userei tutti i riguardi possibili. Io prego per lui tutti i giorni e prego Dio che gli conceda lunghi anni di vita felice.
Dio ci benedica tutti; umili ossequii a Mamma, a Riccardo, e prega per me che ti sarò sempre in G. C.
Sac. Gio. BOSCO[130].
Dopochè fu sacerdote, Don Carlo domandò ogni giorno alla Madonna tre grazie, per il termine della sua vita: di morire presso Don Bosco e da lui assistito; di poter benedire quei della sua famiglia, perchè conservassero la fede dei loro padri; di non soffrire molto nel morire, perchè diceva di avere poca pazienza.
Pio, umile, obbediente, mortificato, caritatevolissimo, edificò per soli cinque anni i suoi Confratelli; poichè il Signore lo chiamava a sè il 4 ottobre 1882. Morì nell'Oratorio, assistito da Don Rua, al quale Don Bosco lo affidò negli ultimi due giorni, essendo egli aspettato a San Benigno per [242] la chiusura degli esercizi spirituali. Il virtuoso Conte fece generosamente a Dio il sacrificio causatogli da quell'assenza; ma anche nell'assistere i moribondi quel figlio di predilezione rappresentava degnamente il Padre; infatti era opinione generale in casa che Don Rua avesse dal Cielo doni speciali per così delicato ministero.
Fino all'estremo istante gli atti e le parole del morente furono un sublime esercizio delle virtù teologali e una testimonianza continua del suo sincero amore alla vita religiosa. Nei frequenti colloqui con Don Rua si doleva talvolta di non aver sempre durante gli ultimi mesi osservate tutte le regole, come quella del levarsi al mattino con la comunità. Ringraziava il Signore che, compatendo alla sua fragilità, gli risparmiasse gravi sofferenze fisiche. L'ultima sera benedisse con effusione di cuore il figlio e la nuora, spirò nelle prime ore del giorno consecrato al centenario di S. Francesco d'Assisi, com'egli aveva predetto. Al vedere quanto dolce fosse stato il suo morire, Don Rua, parlandone in pubblico, rammentò la santa massima che il piacere di morire senza pena vale ben la pena di vivere senza piacere.
AL compiersi del terz'anno dall'approvazione definitiva delle Regole correva l'obbligo di tenere il primo Capitolo Generale; poichè fino al 1904 la convocazione ordinaria dei Capitoli Generali era prescritta di tre in tre anni. Don Bosco vi pensava da tempo; ma ne parlò la prima volta il 21 aprile 1877. - Siccome è il primo, disse allora a parecchi Superiori, intendo che si celebri molto solennemente, dovendosene mandare gli atti a Roma. Ciò farà prendere un nuovo aspetto alla Congregazione... Sarà un gran passo! È bello vedere come d'anno in anno si faccia sempre un passo rilevante. - Egli lavorava allora a preparare uno schema completo delle cose che riteneva opportuno proporre all'esame e alle deliberazioni dell'assemblea. - Desidero, soggiunse, che questo Capitolo faccia epoca nella Congregazione; cosi, morendo io, si vedranno le cose già tutte aggiustate e composte. - Qui il cronista osserva: “È mirabile come Don Bosco sembri lasciar passare mille cosette come inosservate: non ne parla, ma bada a tutto, vi medita sopra e, venuto il momento d'importanza, ha tutto preparato”.
Suo pensiero dominante era in quel tempo di consolidare bene la Congregazione, sicchè non vi restassero imbrogli per chi sarebbe venuto dopo di lui; questo Capitolo poi gli sembrava l'ultimo grande fatto, al quale egli avrebbe posto mano [244] prima di morire: onde, messi un po' da banda gli affari non appartenenti alla Congregazione, vi attese con ogni ardore. - Ora si tratta, disse pure, di ridurre tutto a vita regolare... Finora si disse: Le cose vanno bene. Ma, oh quanto siamo ancora lontani dalla vera regolarità! È presto detto: Vita comune! Molto ancora ci manca ad attuarla. Le nostre Regole sono brevi; ma in molti punti una sola parola richiederebbe più capitoli di spiegazione sul modo pratico di eseguirla. Se, quando facevo le Regole, avessi avuta l'esperienza che ho al presente, le avrei fatte ancora molto più brevi, da ridurle forse a una quinta parte; perchè a Roma per le approvazioni non si finisce mai di stare sopra ogni parola che vi è scritta, e al resto non si bada tanto. Alle Congregazioni romane si presenta l'ordinamento organico; di quello che riguarda la pratica, si lascia a noi il pensiero. Ora della pratica specialmente si ha da trattare in questo Capitolo Generale. Adesso tante prescrizioni non si praticano ancora; anzi non si conosce neppure che siano contenute nelle Regole. Perciò queste saranno spiegate con precisione e s'indicherà il modo dì osservarle.
Terminato che ebbe lo schema delle proposte, ne fece stampare un discreto numero di copie, che nel mese di luglio spedì ai Direttori, perchè le distribuissero ai confratelli; egli invitava tutti a studiare le questioni ivi paragrafate e a formulare ognuno le proprie osservazioni, che si sarebbero poi raccolte e ordinate per materie, a fine di rimetterle durante il Capitolo alle commissioni che verrebbero incaricate di discutere i diversi temi. Al suo schema Don Bosco premise queste avvertenze.
Le nostre Costituzioni al capo sesto articolo 3° stabiliscono che ogni tre anni si debba tener un capitolo generale, cui è attribuita la facoltà di trattare e proporre tutte le cose che possono tornare a vantaggio dei Soci in particolare o della Congregazione in generale. Essendo appunto già trascorsi tre anni dalla definitiva nostra approvazione, è dovere che questo capitolo sia intimato e celebrato. Ci dovranno prendere parte i Direttori ed i Prefetti di tutte le nostre case, purchè la distanza o qualche altra ragione non renda a taluno [245] impossibile la venuta. Siccome poi questo è il primo capitolo generale della nostra Congregazione, interessa certamente tutti i soci di adoprarsi, affinchè si ottengano tutti i vantaggi che possano contribuire al bene comune. Questo capitolo sarà convocato in Lanzo, o prima o dopo gli esercizi spirituali. Sarà esso come il regolamento pratico delle nostre Costituzioni; perciò i Direttori, gli Economi o Prefetti coi capitoli della rispettiva casa devono avere preventiva cognizione delle cose da trattarsi a fine di preparare quelle aggiunte e quei riflessi che fossero reputati opportuni. Ogni Direttore pertanto comunicherà questi schemi ai singoli membri del capitolo della sua casa, raccomanderà e darà comodità a ciascuno di studiare la materia proposta.
I prefetti furono invitati come semplici consultori ed anche per dare al Capitolo la massima solennità possibile; ma all'atto pratico si vide, che, data l'assenza dei Direttori, i prefetti non si potevano allontanare dalle case e perciò Don Bosco stabilì che sopra certe questioni di loro competenza sarebbero stati uditi in altra sede, quando intervenissero agli esercizi spirituali. Dei componenti il Capitolo Generale si dirà più innanzi.
Allo schema faceva seguito un regolamento del Capitolo Generale, che, approvato con pochissime modificazioni, servì di norma per i Capitoli successivi. Lo schema ha per noi grande importanza, perchè compilato da Don Bosco stesso in più giorni di studio; per questo motivo è bene spiluccarne quei punti che giovano a farei comprendere la mente del Fondatore intorno ai precipui problemi della vita religiosa; tanto più che non è facile oggi trovarne esemplari. Dei 21 paragrafi che lo compongono, daremo i titoli e le parti più significative.
1° Vita comune. Propone vari quesiti, movendo da questo principio fondamentale: “La vita comune è il legame che sostiene le Istituzioni religiose, le conserva nel fervore e nell'osservanza delle loro Regole. Senza vita comune tutto va soqquadro”.
2° Sanità e riguardi. Anche qui piglia le mosse da idee norme generali, che sole ora a noi interessa di conoscere. “Dobbiamo avere grande cura della sanità nostra e di quella [246] dei nostri confratelli. La sanità è un dono assai prezioso del Signore, con cui possiamo fare molto bene a noi e agli altri. Ma si badi che questa sanità si trovi in buono stato all'epoca dell'accettazione in Congregazione, e coloro che danno voto o notizie a quest'uopo, cerchino di averle esatte, e in generale dì non dare il voto di accettazione a quei candidati, che non possono uniformarsi alla vita comune e compiere tutti gli uffizi e tutti i lavori, che sono propri della nostra Società. Quando poi uno è accettato definitivamente, si usino tutti i riguardi necessari. È mezzo efficace per conservare la sanità che vi sia sufficiente riposo, non troppo lavoro, non si mangi fuori dell'ora stabilita. Niuna applicazione alla sera dopo cena, anzi dopo le orazioni comuni ciascuno si rechi tostamente a riposo. La diligenza d'ogni socio nel compiere il proprio dovere, il ragionevole riparto degli uffizi secondo la sanità, la scienza, l'attitudine e le propensioni gioveranno assai alla conservazione della salute”.
3° Studio. Parla di studi letterari e teologici dei chierici e della preparazione al predicare. Niente di notevole.
4° Studio per gli allievi. Fa alcune raccomandazioni preliminari: “si abbia massima cura che gli allievi non passino il tempo in ozio, ma che non istudino più di quello che ognuno può. Il maestro non isforzi a progredire coloro che sono di scarso ingegno; gli allievi siano aiutati nelle rispettive classi”. Infine suggerisce queste quattro cose “da tenersi in considerazione” per il profitto degli allievi nello studio: “la precisione dell'orario, l'osservanza della disciplina, le passeggiate a suo tempo senza fermate e non troppo lunghe, non troppe vacanze, e queste pure condite con istudi di gradimento”.
5° Libri di testo. Per regola generale vuole che “i libri di testo siano scritti o corretti dai nostri soci o da persone notoriamente conosciute per onestà e religione”. Vuole parimente che si vegli sui libri di premio: “È meglio dare un libro meno gradito ma buono, anzichè uno ambito e curioso, ma che contenga massime o principii dannosi ai premiandi”. [247]
6° Moralità tra i soci salesiani. Punto di partenza: “La moralità è il fondamento e la conservazione degli Istituti religiosi. Non basta che questa sia palese esternamente, ma deve essere preventiva; vale a dire che preceda l'entrata in Congregazione”. E perciò ecco i criteri da lui imposti per l'accettazione degli aspiranti e per l'ammissione degli ascritti: “Prima di accettare un aspirante si prendano informazioni da fonte sicura sulla sua condotta morale antecedente; si transiga sulla scienza e sull'interesse materiale, ma si usi rigore intorno alle doti morali; nè mai si accetti un individuo, il quale per ragione d'immoralità sia stato espulso da qualche collegio, seminario o istituto educativo. Gli ascritti che nell'anno di prova mettono in dubbio questa dote importante, non siano ammessi alla professione religiosa. Anzi è meglio seguire l'usanza di altre corporazioni religiose, che rimandano il novizio appena vi è indizio che la moralità non sia ben fondata”. Per i professi, batte sull'osservanza delle Regole, sull'obbedienza, sulle pratiche di pietà e sulle uscite non necessarie.
7° Moralità tra gli allievi. Mette in prima linea l'esempio dei Salesiani: “La moralità tra gli allievi progredisce in proporzione che essa risplende nei Salesiani. I giovinetti ricevono quello che loro si dà; e i Salesiani non potranno mai dare agli altri quello che essi non possedessero. Siano ben considerate queste parole, e i Direttori ne facciano tema delle loro conferenze”. Poi “seme di buon costume tra gli allievi” sono “la precisione dell'orario e la puntualità di ciascuno al proprio uffizio”. Vengono quindi certi “Rigagnoli per cui le grazie e le benedizioni scorrono e si fanno via al cuore dei giovanetti”, cioè piccolo clero, compagnie, sacramenti, tridui, novene, esercizi spirituali, funzioni e solennità di chiesa. Finalmente sono buoni mezzi “i trastulli”; preferibili però quelli “in cui ha parte la destrezza della persona”, e da sbandirsi quegli altri che portano a “tratti di mano, baci, carezze” e simili. [248]
8° Abiti e biancheria. Nulla di speciale, nella parte dispositiva; ma lo spirito del Beato è in questo suggerimento: “La pratica di queste disposizioni abbisogna di molta carità; perciò i Superiori veglino che ciascuno sia decentemente vestito nè gli manchi alcuna cosa necessaria a riparare il freddo o a mitigare altrimenti il rigore delle stagioni”.
9° Economia nelle Provviste. Vi fanno da cappello questi due periodi: “Il nostro vivere è appoggiato sulla divina Provvidenza, che non mai ci mancò, e speriamo che non sarà per mancarci. Noi però dobbiamo dal canto nostro usare la massima diligenza per fare risparmio in quello che non è necessario, per diminuire le spese e dare qualche utilità nelle compre e vendite”.
10° Economia nei lumi. Sono le solite raccomandazioni e proposte.
11° Economia nella cucina e nei legnami. Di mezzo a una serie di norme pratiche balza fuori questa raccomandazione: “Ogni giorno il Prefetto faccia le sue ordinarie visite in cucina sia per osservare quello che manca, sia per impedire che altri vada in cucina, se non è addetto a qualche lavoro”.
12° Economie nei viaggi. Osservazioni comuni. Vi collega la giusta misura nella corrispondenza epistolare.
13° Economie nei lavori e nelle costruzioni. Dice qui il Beato Don Bosco: “Offende l'occhio delle persone oneste il vedere eleganza, ricercatezza negli edifizi, nelle suppellettili e negli apprestamenti di tavola presso di chi loro suole domandare carità”.
14° Rispetto ai Superiori. Anzitutto il grande ammonimento: “tutti quelli che esercitano qualche autorità, se vogliono essere ubbiditi e rispettati, facciano essi stessi altrettanto verso i loro rispettivi superiori”. Nel rimanente nulla di nuovo, se non fosse l'insistere perchè un paio di volte all'anno ogni Salesiano scriva al Rettor Maggiore “intorno alla propria sanità, alle difficoltà nel rispettivo uffizio e nelle altre cose che si riferiscono moralmente o materialmente alla [249] sua persona”; missive e risposte “non possono esser lette da altri fuori di colui che scrive o da chi esso volesse farle vedere”.
15° Ispettorati o provincie. Tre linee maestre per un primo regolamento che bisognerà compilare nel prossimo Capitolo per gl'Ispettori: rapporti scritti mensili dei Direttori, prelevamenti di danari dalle case e uso da farne, visite ordinarie e straordinarie. Don Bosco assegna all'esercizio della “autorità” ispettoriale questi due compiti: “promuovere l'osservanza delle nostre Regole” e “impedire le cose che possono generare abusi”.
16° Ospitalità, inviti e Pranzi. “Buone maniere, cortesia con tutti”. L'ospitalità a mensa ““sopra tutto nei giorni di magro” si offra “Rispettosamente”, ma “solamente a coloro che non istanno sulle pretese”. Nel seguito del paragrafo son tutte cose note.
17° Usanze religiose. Intende qui “le pratiche di pietà non comandate dalle nostre Regole”. Ci porge questa norma pratica: “Ogni Direttore ritenga le usanze della Casa Madre, ne serbi memoria e le mantenga in vigore nella casa a lui affidata”.
18° Abitudini. Tutte cose passate nel Regolamento.
19° Limosine. Precipuo: “secondo la nostre Costituzioni niuno può conservare danaro presso di sè nè in piccola nè in notabile quantità senza uno speciale permesso del superiore. Quindi, vivendo noi di Provvidenza quotidiana, non siamo in grado di fare alcuna limosina”. Norma pratica.. “tuttavia per la posizione nostra in faccia alla civile società e pei tempi in cui viviamo, ogni Direttore può concedere alcuni soldi ai preti di sua casa, affinchè possano fare qualche limosina nei casi di strettissimo bisogno o di grave convenienza, cioè ad evitanda scandala aut convicia”. Precauzione importante: “Nè prima nè dopo avere udite le confessioni, neppure in sacrestia si facciano limosine, perchè tale cosa potrebbe cagionare disturbi ed anche interpretazioni che ogni religioso deve assolutamente evitare”. [250]
20° Degli ascritti. Il punto più degno di nota è quello dove si raccomanda di rinviare tosto alla propria famiglia ogni ascritto che dopo l'anno di prova non fosse per gravi motivi ammesso alla professione religiosa. Della qual severità il Beato arreca due ragioni: “Ciò che non ha fatto nell'anno di prova, difficilmente lo farà dopo e, quando anche lo facesse, sarebbe uno sforzo momentaneo, sopra cui non si può calcolare... Fermandosi ancora in Congregazione, per lo più dissemina il malumore e il malcontento”.
21° Vacanze. Don Bosco si mostra in ogni occasione avversissimo alle andate in patria o presso parenti e amici o alle case di allievi. Anche qui ripete la nota sua raccomandazione: “L'esperienza ci ammaestrò che tali andate nel secolo furono sempre dannose e se qualche volta taluno giudicò di avere riportato qualche apparente vantaggio materiale, è però certo che non si può sapere di un solo che abbia conseguito alcun vantaggio spirituale”.
Poco tempo era trascorso dall'invio dello schema, che fu dato l'avviso del giorno di convocazione: l'apertura venne fissata per il pomeriggio del 5 settembre. I Direttori pertanto nel dì prescritto si raccolsero a Torino, donde partirono alla volta di Lanzo, sede dei lavori. Qui radunatisi verso il tramonto nella cappella del collegio, Don Bosco intonò il Veni Creator. Finito l'inno e data lettura degli articoli 3°, 4° e 5°, capo sesto, delle Regole, il Beato rivolse ai capitolati brevi parole.
Noi diamo ora cominciamento al primo nostro Capitolo Generale che da questo punto dichiaro aperto e convocato. Noi intraprendiamo cosa della massima importanza per la nostra Congregazione. Si tratta in modo speciale di prendere le nostre Regole e vedere quali siano le cose che si possono stabilire per ridurle uniformemente alla pratica in tutte le case che vi sono già al presente e in quelle che la divina Provvidenza disporrà che si possano aprire in futuro. Tutti avete in mano lo schema preventivo appositamente stampato; voi l'avete già annotato e avete ricevuto e siete incaricati di ricevere tutte quelle osservazioni che i singoli membri della Congregazione possono avervi [251] fatte per proporle al Capitolo. Altro non rimane che radunarci nel nome del Signore e trattare quelle cose che saranno proposte.
Il Divin Salvatore dice nel santo Vangelo che dove sono due o tre congregati nel suo nome, ivi si trova Egli stesso in mezzo a loro. Noi non abbiamo altro fine in queste radunanze che la maggior gloria di Dio e la salvezza delle anime redente dal prezioso Sangue di Gesù Cristo. Possiamo dunque essere certi che il Signore si troverà in mezzo a noi e condurrà Egli le cose in modo che tutte ridondino a sua maggior gloria.
Intendiamo in questo momento di porre il Capitolo sotto la protezione speciale di Maria Santissima essa è l'aiuto dei Cristiani e niente le sta più a cuore che coadiuvare coloro che non solo cercano di amare e servire il suo Divin Figliuolo, ma si radunano appositamente per istabilire il modo pratico di ottenere lo stesso fine anche nel maggior numero di uomini che sia possibile. Maria è lume dei ciechi; preghiamola che si degni proprio d'illuminare le nostre deboli intelligenze per tutto il tempo dì queste adunanze. S. Francesco di Sales poi che è nostro titolare, presiederà esso alle conferenze e speriamo che ci otterrà da Dio il necessario aiuto per prendere risoluzioni che siano secondo il suo spirito.
La cosa che più è da raccomandarsi e che bisogna si osservi in modo assoluto, è il segreto strettissimo di tutte le cose che si trattano in queste conferenze fino a tanto che siano compiute e sia arrivato il tempo di dar loro pubblicità. Allora si stamperanno le decisioni prese e si manderanno a confermare dalla Santa Sede, infallibile maestra in queste cose, e quindi saranno pubblicate.
Desidero grandemente che si proceda adagio e bene. Dacchè siamo per questo, lasciamo altri pensieri e attendiamovi seriamente. Se non bastano pochi giorni, ne impiegheremo più, impiegheremo tutto il tempo necessario; ma che sia poi una cosa fatta.
Ora invochiamo la protezione di Maria Santissima col canto dell'Ave maris stella e si darà là benedizione col Santissimo Sacramento; quindi ci recheremo nella sala del Capitolo a dar principio alle nostre conferenze.
Impartita la benedizione col Santissimo, si procedette immediatamente alle operazioni preliminari nella sala del Capitolo, che fu la stanza della Direzione. Riporteremo qui i nomi dei capitolari e dei consultori, nell'ordine e con le qualifiche di ognuno, secondo che li troviamo nei verbali. In certi ambienti torinesi circolava purtroppo ancora la voce malevola che i Salesiani fossero un'accozzaglia d'ignorantelli, buoni solo a far del chiasso e nulla più; questo spiega la cura [252] che ebbe Don Bosco di mettere in evidenza i titoli culturali dei presenti, tanto più che alle sedute egli invitava anche persone estranee. Ecco dunque l'elenco ufficiale.
1°.Sac. D. GIOVANNI Bosco, fondatore e Rettor Maggiore della Congregazione; autore di molti libri pubblicati a benefizio specialmente della gioventù.
2°.Sac. MICHELE RUA, Prefetto della Congregazione, professore di rettorica.
3°.Sac. GIOVANNI CAGLIERO, Catechista della Congregazione, dottore in teologia, celebre maestro e compositore di opere musicali ed Ispettore delle case dell'America del Sud.
4°.Sac. CARLO GHIVARELLO, Economo della Congregazione, maestro ed inventore di parecchi attrezzi di fisica e di meccanica.
5°.Sac. CELESTINO DURANDO, Consigliere scolastico della Congregazione, professore e autore di varie opere letterarie.
6°.Sac. GIUSEPPE LAZZERO, Consigliere del Capitolo Superiore, Direttore della casa dell'Oratorio di S. Francesco di Sales.
7°.Sac. ANTONIO SALA, Consigliere del Capitolo Superiore ed economo della casa di Torino.
8°.Sac. GIOVANNI BONETTI, Direttore del collegio di Borgo San Martino, professore di ginnasio, autore di varie produzioni letterarie.
9°.Sac. GIOVANNI FRANCESIA, Direttore dei collegio di Varazze, dottore in lettere, commentatore di Dante.
10°.Sac. FRANCESCO CERRUTI, Direttore del collegio di Alassio, dottore in lettere, autore di varie opere scolastiche.
11°.Sac. GIOVANNI LEMOYNE, Direttore del collegio di Lanzo Torinese, licenziato in teologia, autore di varie produzioni a pro della gioventù e del popolo.
12°.Sac. PAOLO ALBERA, Direttore dell'ospizio di S. Vincenzo in Sampierdarena, professore di ginnasio.
13°.Sac. FRANCESCO DALMAZZO, Direttore del collegio Valsalice, dottore in lettere.
14°.Sac. GIUSEPPE RONCHAIL, Direttore del Patronage St. Pierre in Nizza, professore di francese e di ginnasio.
15°.Sac. GIACOMO COSTAMAGNA, Direttore delle Figlie di Maria Ausiliatrice in Mornese, maestro e compositore di varie opere musicali.
16°.Sac. NICOLAO CIBRARIO, Direttore delle scuole di Maria Ausiliatrice in Torrione Valcrosia (Ventimiglia).
17°.Sac. LUIGI GUANELLA, Direttore delle scuole ed oratorio in Trinità presso Mondovì.
18°.Sac. GIUSEPPE SCAPPINI, Direttore spirituale dei Concettini in Roma. [253]
19°.Sac. GIUSEPPE MONATERI, Direttore del ginnasio di Albano Laziale, professore di ginnasio.
20°.Sac. GIUSEPPE DAGHERO, professore nel seminario di Magliano Sabino, dottore in lettere.
21°.Sac. DOMENICO BELMONTE, professore di fisica e storia naturale nel liceo di Alassio.
22°.Sac. GIULIO BARBERIS, Direttore del Noviziato, dottore in teologia, autore di varie opere letterarie.
23°.Sac. GIOACHINO BERTO, Segretario di D. Bosco ed Archivista della Congregazione.
Assistettero anche a varie sedute, specialmente a quelle sull'economia, il sac. Giuseppe LEVERATTO, Prefetto del collegio di Borgo S. Martino; il sac. ANTONIO PAGANI, Direttore spirituale nel seminario di Magliano Sabino; il signor Giuseppe Rossi, provveditore generale delle nostre case; ed il conte, ora abate Carlo CAYS di Giletta e Casellette, dottore in ambe le leggi, già Presidente del consiglio superiore delle Conferenze di S. Vincenzo de' Paoli nella provincia di Torino; già Deputato al Parlamento Subalpino; ed alcuni altri.
Alcuni Direttori condussero seco un confratello della propria casa, non proprio come delegato, ma quasi come consultore. Quando si trattò dell'economia, fu chiamato da Torino il coadiutore Giuseppe Rossi, provvisioniere dell'Oratorio. Le sedute erano di due specie: le une parziali, che si tenevano dalle varie commissioni, e le altre generali a cui dovevano partecipare tutti i membri del Capitolo. Ad alcune di queste ultime Don Bosco aveva ottenuto che assistessero due illustri Gesuiti, il padre Secondo Franco, consumato maestro di ascetica, e il padre Giovanni Battista Rostagno, già professore di diritto canonico nell'Università di Lovanio. Entrambi professarono costantemente la più alta stima e venerazione verso il Servo di Dio. Con essi il Beato Fondatore aveva in sere precedenti tenute parecchie conferenze allo scopo di concertare le cose nel modo più conforme ai sacri canoni e alle consuetudini delle Congregazioni religiose.
Le conferenze generali si susseguirono in numero di ventisei, presiedute tutte da Don Bosco. I membri del Capitolo Generale prendevano posto in circolo su sedie attorno al tavolo della presidenza, nè vi era in questo alcun ordine prestabilito. [254] Ogni seduta si apriva e si chiudeva con le solite preci rituali.
Nella prima adunanza, lettosi il regolamento del Capitolo Generale, si passò all'elezione di un Regolatore, che fu Don Rua, e di due segretari, che furono Don Barberis e Don Berto. Il Regolatore aveva l'incarico di far eseguire il regolamento, avvisare per tempo le singole commissioni, affinchè avessero tutto pronto quando arrivava il loro turno, provvedere le cose necessarie ed essere come il centro, a cui si rivolgessero gli altri in qualsiasi occorrenza. Dei due segretari, uno doveva redigere i verbali delle sedute e l'altro registrare gli atti autentici ossia le deliberazioni che di comune accordo si prendessero.
Ciò fatto, vennero determinate le commissioni a cui affidare l'incarico di studiare minutamente le materie da trattarsi nelle conferenze generali, preordinando, per quanto fosse possibile, le deliberazioni definitive. A ogni commissione fu assegnato un presidente; ognuna poi si scelse un relatore, che nella conferenza generale sopra un dato argomento riferisse le conclusioni delle sedute particolari. Queste relazioni dovevano farsi in iscritto, sia per ottenere maggior precisione e speditezza, sia per agevolare ai segretari il loro còmpito abbastanza laborioso. Cinque furono la commissioni costituite in quella prima conferenza; tre altre vi si aggiunsero appresso per l'esame di alcune questioni, che in un primo tempo non eransi prese in considerazione. Di queste otto commissioni gli uffici e i componenti erano come segue.
COMMISSIONE I. Accettazioni e Noviziato. Studi sacri e Predicazione.
D. Francesia, D. Lazzero, D. Costamagna e D. Barberis. Presidente Don Francesia.
COMMISSIONE II. Studi tra gli allievi. Stampa e simili. D. Durando,
D. Cerruti, D. Monateri, D. Daghero. Presidente Don Durando. COMMISSIONE III. Vita comune. D. Rua, D. Ghivarello, D. Albera,
D. Cibrario. Presidente Don Rua.
COMMISSIONE IV. Moralità e cose relative. D. Cagliero, D. Lemoyne, D. Ronchail, D. Dalmazzo. Presidente Don Cagliero. [255]
COMMISSIONE V. Economia. D. Bonetti, D. Belmonte, D. Sala, conte Cays, cui si aggiunse D. Leveratto. Presidente Don Bonetti.
COMMISSIONE VI. Ispettorie ed uffici dell'Ispettore, D. Cagliero, Don Rua, D. Albera.
COMMISSIONE VII. Le Figlie di Maria Ausiliatrice. D. Costamagna, D. Bonetti, D. Cerruti, D. Albera.
COMMISSIONE VIII. Le deliberazioni Prese negli anni antecedenti; quali proporre al Capitolo Generale, perchè siano approvate e messe ai loro posti.
Questi lavori preparatorii assorbirono tutto il tempo assegnato alla prima conferenza generale. Allorchè l'ordine del giorno fu esaurito, il Beato pregò il padre Franco di rivolgere all'assemblea una sua parola; e questi richiamò l'attenzione degli astanti sulla necessità di formare nei Salesiani la coscienza[131]. Infine Don Bosco tenne il seguente discorsetto di conclusione.
È questo il primo Capitolo Generale della nostra Congregazione. Oltre al regolamento testè letto, non vi sono ancora norme speciali e consuetudini da seguire. Nei particolari si andrà avanti alla buona. Faremo tuttavia le cose adagio e pacatamente, affinchè questo medesimo Capitolo possa poi dare norma a quelli che si raduneranno in seguito.
A vero che è brevissimo il tempo che possiamo impiegare per questo Capitolo; ma molte cose sono praticate da anni e anni; noi poi non vogliamo fare una cosa scientifica, procedendo secondo regole o prestabiliti, ma tenerci alle cose pratiche, le quali direttamente ci riguardano. Se si lasciassero per caso alcuni punti da trattare, non importa: vi sarà tempo a ritornarvi sopra altra volta. Per noi sia tutta roba pratica; senz'aver bisogno di servirci d'altri libri per i nostri studi, questi si facciano sullo schema, togliendo qualche articolo, altri modificandone e altri aggiungendovene, secondo che si veda la convenienza. Si studino le regole, i regolamenti dei collegi, le circolari già mandate negli anni scorsi a tutte le case, e le deliberazioni già prese nelle conferenze generali dei Direttori, tenutesi qui a Lanzo e a Torino.
L'importanza di questo Capitolo sta in ciò, che le regole, le quali finora sono solo organiche, riescano pratiche; cioè si studino tutti i mezzi per ottenere che in pratica si eseguiscano uniformemente in tutte le nostre case. [256]
Ripeto che la cosa più importante in queste radunanze e direi la cosa al tutto necessaria è il segreto assoluto sia con gli esterni che con i confratelli, i quali non siano del Capitolo, e questo fintanto che gli atti vengano mandati a Roma per l'approvazione; badando anche a essere circospetti nel parlare fra noi, quando altri ci possono udire. Quasi in ogni Congregazione il segreto è obbligatorio, sanzionato col giuramento, e perciò si fa colpevole chiunque lo violi. Noi non abbiamo questo; ma ciascuno vegga da ciò, quanto in ogni luogo si creda importante il tenere le cose segrete.
Ciascuno in questi giorni abbia molta pazienza nello studiare le varie materie, ed anche qualora le cose non procedessero con tutta regolarità per essere questo il Capitolo, a cui non vi sono ancora regole preventive. Speriamo però che, benedetto dal Signore, posto come lo abbiamo sotto la protezione speciale di Maria Santissima Ausiliatrice, arrecherà alla Congregazione copiosi vantaggi.
Nelle adunanze plenarie le discussioni partivano dai resoconti delle sedute particolari, presentati dai relatori delle commissioni. Quando su queste discussioni si deliberava per via di voto, se ne formulavano articoli, che poi riuniti avrebbero costituito gli atti autentici da spedire a Roma. Tali atti andavano distinti in doppia serie: gli uni puramente disciplinari e aventi per iscopo di formare il manuale a uso della Congregazione, e gli altri organici direttivi, da aggiungersi alle Regole già approvate. Per quelli sarebbe bastato il Visto di Roma; per questi invece si richiedeva l'approvazione formale, senza di cui non potevano aver forza obbligatrice. La massima parte di detti articoli vide la luce nel 1878, nè riesce malagevole procurarsene copia; quindi non ci sembra opportuno sovraccaricarne qui il nostro volume. Le discussioni poi che li prepararono, così come le vediamo riassunte nei verbali, non ci presentano oggi elementi di tal rilievo, che valga la spesa di dedicar loro molte pagine. Noi crediamo piuttosto di far cosa utile e gradevole ai nostri lettori scorrendo quelle vecchie carte per estrarne le parole vive di Don Bosco, che per buona sorte sono state con frequenza raccolte a verbale testualmente. Dove per altro nel corso delle discussioni compaiano elementi di qualche interesse, non mancheremo di prenderne nota. [257]
COADIUTORI E ARTIGIANI AGLI STUDI. PREDICAZIONE.
Conferenza 2ª. Per via ordinaria, chi fosse accettato in Congregazione come coadiutore, non si volle che potesse venirvi ammesso alla carriera ecclesiastica: su questo punto gli altri Istituti religiosi sono inesorabili. Tuttavia, se occorressero eccezioni, queste si accordassero esclusivamente dal Rettor Maggiore. Quanto agli artigiani desiderosi di passare agli studi per entrare nella Congregazione come chierici, la cosa si rimetteva ai rispettivi Direttori. Del resto, osservò Don Bosco a conclusione, ora che scarseggia tanto il clero, ove è moralità e attitudine, io son di parere che si faciliti la via al sacerdozio. Egli difatti aveva ottenuti buoni frutti in entrambi i casi. Da coadiutore a studente era passato quel sant'uomo di Don Lago. Degli artigiani poi saliti al sacerdozio il numero cresceva ogni anno; allora, per esempio, si fecero i nomi di Don Tamietti, di Don Pavia, di Don Rinaldi Giovanni, di Don Cassinis, di Don Beauvoir, di Don Davico.
In tema di predicazione Don Bosco osservò: Per quanto è possibile, si scrivano le prediche; così riusciranno più proficue agli uditori ed anche di maggiore utilità per il predicatore medesimo, in quanto che questo lavoro lo aiuta a istruirsi assai bene. In casi di premura la preparazione si faccia su qualche accreditato scrittore.
DISCIPLINA E BUON ORDINE. COMPONENTI IL CAPITOLO GENERALE.
Conferenza 3ª. In questa conferenza sorse incidentalmente una questione, che tocca la storia delle Regole; quindi bisogna parlarne. Chi precisamente aveva diritto di prender parte al Capitolo Generale? Le Regole, contemplando il caso, in cui si dovesse tenere il Capitolo Generale per l'elezione del Rettor Maggiore, stabilirono che si radunassero tutti i Direttori e un socio professo perpetuo di ogni casa, eletto dai soci professi [258] della medesima; dove poi si diceva del Capitolo triennale, non si faceva motto dei componenti. Per sopperire a questo silenzio, Don Bosco, stampandosi le Regole in italiano, appose all'articolo 3° del capo 6° una postilla di questo tenore: “Il Capitolo Generale è composto dai membri del Capitolo Superiore e dai Direttori delle case particolari”. Questa nota sbrigativa non infirmava naturalmente il disposto per l'elezione del Rettor Maggiore. Orbene il primo Capitolo Generale approvò la postilla con l'aggiunta degli Ispettori.
Tema di quella conferenza erano gli studi fra gli allievi; si trattò quindi anche della disciplina, sul quale argomento il Beato tenne questo importante discorso.
Per lo passato, due cose in modo speciale impacciavano il regolare andamento della casa.
1° La mancanza di personale faceva sì che quasi tutte le cose si accumulavano sul Direttore, il quale rimaneva così sopraccarico da non essergli possibile di farle procedere tutte con ordine. Un po' alla volta questo inconveniente diminuì e va sempre più diminuendo; ma neppur ora le cose sono abbastanza regolate. La base dev'essere questa: il Direttore faccia il Direttore, cioè sappia far agire gli altri: invigili, disponga, ma non abbia mai esso da metter mano all'opera. Se non trova individui di grande abilità nel far le cose, lasci chi è di abilità mediocre; ma per la smania del meglio non si metta a far le cose esso. Egli deve invigilare che tutti facciano il proprio dovere, ma non deve prendere nessuna parte particolare. Così facendo, gli rimarrà tempo per eseguire ciò che io credo di non aver mai abbastanza inculcato. Il Direttore, per quanto può, anche tutti i giorni visiti tutta la casa, veda l'andamento di tutto, sappia tutto quello che si fa. In molti luoghi non si fermerà, in altri non dirà nulla, ma passi e in cucina e nei refettori e persino in cantina, nelle camere e dappertutto. Se vi sarà questo, non si potrà mai nella casa radicare nessun disordine e si eviteranno molti inconvenienti.
2° Noi non avevamo un regolamento fisso. Si fece un primo regolamento; ma era per artigiani, che andavano a lavorar fuori. Appena si cominciava a praticarlo bene, vedendosene la grande necessità, si stabilirono i laboratori interni. Si adatta il regolamento per questo uopo; ma sopravviene la necessità di tenere in casa anche studenti ed ecco che il regolamento deve di nuovo essere cambiato e adattato a questa nuova circostanza. Andava in vigore questo cambiamento, e sopravviene il bisogno di aprire collegi separati di studenti. Ora ci viene altro, e sono i seminari che ci sono affidati. Altro già ci aspetta, [259] e sono le colonie agricole che ci si propongono. Non potendosi avere con tutta precisione un regolamento stabile e particolareggiato, avveniva che alcuni punti, anche d'importanza, erano trascurati; ma ora le cose si possono dire nel loro stato normale. Si procuri da tutti di osservare bene ognuno la parte sua, e si veda anche modo di far bene osservare agli altri la loro, e le cose procederanno senza inconvenienti.
Già da molti e da lungo tempo ed anche da persone assai influenti mi si faceva osservare che si sarebbe ottenuto frutto più sicuro non estendendomi tanto, ma consolidando di più le cose esistenti. Nessuno meglio di me vedeva certi disordini ed inconvenienti che avvenivano da quella straordinaria scarsità di personale, causataci dall'estenderci a molte cose; ma dall'altra parte si vedevano tante e tante anime per la via della perdizione, e proprio nessuno che se ne curasse! Poi anch'io aveva sotto gli occhi i disordini che sarebbero avvenuti, se non vi fosse stato tra noi un lavoro continuato e molto intenso. Quindi si giudicò bene di andare avanti nel modo incominciato. Con questo io intendeva ancora di fare ossequio alle parole del Santo Padre Pio IX, al quale avendo appunto proposto questa difficoltà, egli m'incoraggiò a proseguire e mi disse precisamente: - Quando avete un buon prete od un buon chierico su cui possiate far calcolo e di cui vi possiate proprio fidare, andate pure ad aprire una casa. - Facendogli osservare che in queste case i giovani non venivano a essere abbastanza disciplinati e riuscirebbero un po' indocili, rispose: - Se non farete dei novizi, non importa; ma farete dei buoni cristiani, istruiti nella santa legge di Dio.
COOPERATORI SALESIANI E “BOLLETTINO SALESIANO”.
Conferenza 4ª. Buona parte di questa conferenza si aggirò intorno all'associazione dei Cooperatori Salesiani, dei quali noi abbiamo ragionato a lungo nel capo quarto del volume undecimo, e intorno al Bollettino Salesiano, destinato a essere l'organo dei Cooperatori stessi. Ritessiamo brevemente la storia di questo periodoco, che doveva ben presto acquistare tanta popolarità.
Per circa due anni uscì dalla tipografia dell'Oratorio un foglio quasi mensile, che aveva per iscopo di far conoscere le edizioni salesiane e altre pubblicazioni utili specialmente alla gioventù e al clero; onde portava il titolo di Bibliofilo Cattolico. Fino a oggi non ci è stato possibile rinvenirne un [260] solo esemplare. Sembra però che non avesse un contenuto esclusivamente librario, infatti sappiamo che nel suo secondo numero, comparso nell'agosto del 1875, pubblicò il regolamento per l'opera dei Figli di Maria, compilato allora allora da Don Bosco[132]. Il periodichetto tirò avanti così fino all'agosto del 1877, quando subì una radicale trasformazione. Otto grandi facciate a due colonne contenevano comunicazioni e notizie prevalentemente salesiane; un'appendice portava elenchi di libri; perciò il titolo era doppio: Bibliofilo Cattolico o Bollettino Salesiano mensuale. Il primo fascicolo di saggio, continuando la numerazione precedente, figurava come quinto fascicolo dell'anno terzo. Non recava più l'indicazione tipografica dell'Oratorio, ma di Sampierdarena; Don Bosco aveva dovuto appigliarsi a questo espediente, perchè la Curia arcivescovile di Genova non gli sollevava le difficoltà di quella torinese per la concessione dell'imprimatur. La doppia intestazione durò soltanto fino al numero di dicembre; il primo numero del '78 porta in fronte l'unica dicitura di Bollettino Salesiano. L'abbonamento costava tre lire, le quali per altro non si faceva obbligo al alcuno di versare. Sulle prime lo curò personalmente Don Bosco, sia per dargli l'indirizzo da lui inteso, sia perchè non aveva allora a chi affidarne la direzione, ma pensava già di richiamare per questo scopo all'Oratorio Don Bonetti, Direttore del collegio di Borgo S. Martino.
È bello il sentire come il Beato Padre parlasse della novella pubblicazione. Il 10 agosto 1877, quando era uscito appena il primo numero, egli disse a Don Barberis: - Il fine del Bollettino è di far conoscere le cose nostre il più che si può, e farle conoscere nel loro vero senso. Questo ci servirà per ottenere soccorsi, attirando l'affetto delle persone alle nostre istituzioni. Sapendo maneggiar bene l'argomento, nello scrivere si potranno insinuare le varie maniere di soccorrere le [261] nostre imprese. Tale periodico sarà il sostegno principale di tutte le nostre opere: se esso cadesse, anche queste cadrebbero. Gli si procurino quanti più lettori si possa; si cerchi di divulgarlo in tutti i modi e gratuitamente. Si tenga per principio che il vantaggio da esso arrecato non istà nelle tre lire di annualità; quindi non si richieggano: un benefattore che dia una limosina, basterà talora a pagare per tutti.
La presentazione del Bollettino ai Cooperatori fu dettata da Don Bosco in uno scritto che riempiva le due prime pagine. Eccone il riassunto. Nel regolamento dei Cooperatori si prometteva un organo mensile che li ragguagliasse delle cose fatte o da farsi per ottenere il fine ad essi proposto: allora sì attuava la promessa. Riusciva così possibile operare con unità di spirito e rivolgere tutte le sollecitudini ad un punto solo, che era la gloria di Dio e il bene della civile società. Il programma comprenderebbe tre parti: 1° Esposizione delle cose proposte dai soci o dai loro Direttori per il bene generale e particolare degli associati, con le norme pratiche per i Cooperatori. 2° Relazione di fatti, tornati fruttuosi ai soci e atti a servire di esempio; come episodi edificanti e notizie e lettere di Missionari, specialmente Salesiani. 3° Comunicazioni, annunzi, libri, massime da propagarsi.
Di qui il Beato passava a dare un'idea del Cooperatore Salesiano. “Diconsi Cooperatori Salesiani coloro che desiderano occuparsi di opere caritatevoli non in generale, ma in ispecie, d'accordo e secondo lo spirito della Congregazione di S. Francesco di Sales”. Quindi raccogliere ragazzi pericolanti e abbandonati, avviarli al catechismo, trattenerli nei giorni festivi e collocarli presso onesti padroni, dirigerli, consigliarli, aiutarli in modo da farne buoni cristiani ed onesti cittadini. Il Bollettino avrebbe date le norme opportune. Don Bosco insisteva sul carattere pratico dell'istituzione. “Qui non si stabilisce, diceva, una confraternita, non un'associazione religiosa, letteraria o scientifica, nemmeno un giornale; ma una semplice, unione di benefattori dell'umanità, pronti [262] a dedicare non promesse, ma fatti, sollecitudini, disturbi e sacrifizi per giovare al nostro simile”. Egli chiudeva il suo indirizzo con queste categoriche dichiarazioni: “Estranei affatto alla politica, noi ci terremo costantemente lontani da ogni cosa che possa tornare a carico di qualche persona costituita in autorità civile od ecclesiastica. Il nostro programma sarà inalterabilmente questo: lasciateci la cura dei giovani poveri ed abbandonati, e noi faremo tutti gli sforzi per far loro il maggior bene che possiamo, chè così crediamo poter giovare al buon costume ed alla civiltà”.
Non mancò gente corriva che definì il Bollettino Salesiano la gran cassa per far quattrini. Don Bosco, al solito, lasciò dire e andò innanzi; osservò soltanto che col tempo il suo esempio avrebbe avuto innumerevoli imitatori, e anche di coloro stessi i quali biasimavano il suo operato, non pochi avrebbero messo fuori Bollettini propri. Nel che fu veramente profeta. Comunque sia, il Bollettino Salesiano, fra tutte le pubblicazioni di Don Bosco, è forse quella che ha prodotto i maggiori frutti sia con l'accendere i cuori a cooperare alle Missioni e alle opere di religione, sia col suscitare generose vocazioni ecclesiastiche e missionarie. Certo è che anche in questo il Beato Don Bosco antivenne i tempi: nel mondo tendenze nuove soppiantavano abitudini vecchie: quel che una volta si amava tener celato, si doveva presto sentire il bisogno di propalarlo, fosse bene o fosse male. Don Bosco credette miglior partito far servire all'incremento del bene quella voglia di pubblicità che egli presagiva dover diventare una vera mania e insieme un veicolo di tanto male.
Il Capitolo Generale non approvò la proposta d'introdurre fra i Cooperatori la pratica di conferenze mensili, benchè se ne facesse già cenno nel regolamento. Una ragione stimata persuasiva e conforme allo spirito di Don Bosco fu che tale pratica veniva a creare un vincolo alquanto imbarazzante. Molti infatti desiderare di essere Cooperatori e fare veramente [263] del bene; pure sentir ripugnanza a comparire in pubblico o non trovar comodo il recarsi a tali adunanze. Chi poi non volesse più appartenere all'associazione, astenendosi dall'intervenire, dar tosto a divedere il proprio alienamento e quindi giustificarsene parlandone con altri e necessariamente biasimando qualche disposizione dei Salesiani. Esserci ormai il Bollettino qual vincolo naturale di unione; evitarsi con questo il lamentato inconveniente. Non meriterebbe più qualcuno di essere annoverato fra i Cooperatori? Gli si sospendesse l'invio del periodico, e la cosa moriva da sè.
Si obbiettò: - Il Bollettino si manda gratuitamente; pure a noi costa danaro e cagiona disturbo. - Riguardo alle spese fu risposto che fino allora erano state Coperte et quidem a usura. Tanti, non vedendo quota fissa e obbligatoria, largire più che non si sarebbe domandato; altri non dar nulla sul momento, ma inviare poi limosine in determinate circostanze o aiutare in diverso modo l'Oratorio. Riguardo ai disturbi, fu osservato che l'Oratorio, essendo il centro unico per un numero già grande di associati, vi aveva certo il suo da fare; tuttavia, una volta regolata l'amministrazione, le cose dover procedere più comodamente: richiedersi quasi solo una persona abile, che se ne occupasse esprofesso. Queste osservazioni erano di Don Bosco, il quale continuò così:
Io avrei subito trovato il mezzo, che non desse tanto lavoro; ma allora questa associazione non avrebbe più corrisposto allo scopo. Il mezzo era facile: lasciare molti centri, che facessero ognuno da sè, affratellando o cancellando affratellati. I Terziari francescani sono così costituiti. Ogni casa di Francescani può affiliare chi vuole, e il numero in questo modo resta anche sempre molto grande, ma non si può avere un centro e unità di azione. Il più grande sforzo che io abbia fatto per questi Cooperatori, cosa per cui ho studiato molti anni e in cui per questo solo parmi di essere riuscito, fu appunto di trovare il modo di rendere tutti uniti al capo e che il capo possa far pervenire i suoi pensieri a tutti. Ora nemanco noi non possiamo farei un'idea dell'estensione che prenderà quest'Opera e dell'influenza morale che eserciterà quando si sia così estesa. Quando siano varie migliaia, ed io son persuaso che in poco tempo saranno cinque mila almeno, allora si otterranno effetti sorprendenti. Il Santo Padre stesso, quando vide [264] questo vincolo di tutti col capo, del capo con tutti, sorpreso soggiunse: Ma questa è una vera massoneria cattolica!
Oltre ad altre cose, scopo nostro si è ancora di spargere buone massime, e nelle stesse famiglie dove si riceve il Bollettino fare del bene. Ora ecco come abbondantemente noi otterremo lo scopo. Poniamo, ad esempio, che oggi nel Bollettino s'invitino tutti a fare il catechismo a ragazzi, mostrandone l'utilità e il modo pratico; che domani si raccomandino i nostri collegi; che in un altro numero si parli dell'esercizio di buona morte da farsi una volta al mese, mettendone in rilievo la bellezza e indicando il modo pratico di farlo; in altro numero s'invitino ad esercizi spirituali una volta all'anno; altra volta s'insista sull'utilità di spargere letture cattoliche; e cose simili. Che effetto non produrranno queste proposte fatte in bel modo e da amici? E son di parere che questo gran bene si otterrà sempre, perchè le nostre proposte son prese in buona parte. D'altronde poniamo un po' che in un anno la Congregazione versi in grave bisogno di soccorsi; facendone un appello sul Bollettino, credo che ci verrebbe oltre al domandato, poichè sono in bel numero le famiglie disposte a far sacrifizi per questo.
È dunque necessario che ogni Direttore abbia buona cognizione di questi Cooperatori, e poi ne parli nel vero senso. Domandati dello scopo, non vi è da rispondere altro se non che il loro scopo è di fare al giovani tutto quel bene sì spirituale che temporale che per noi si possa, e si preferisce far del bene ai giovani più poveri e più abbandonati. Si dica di più che il Santo Padre volle farsi mettere come primo Cooperatore. In questo modo, senza esagerare nulla, moltissimi restano attirati e domandano essi medesimi di esser fatti Cooperatori.
Don Bosco invitò poi tutti i presenti a vedere insieme il modo pratico di aumentare il numero dei Cooperatori. Fra l'altro piacque la proposta di estrarre dall'elenco degli associati alle Letture Cattoliche i nomi di tutti coloro che fossero conosciuti come persone oneste e atte e di mandar loro il diploma. Alla domanda, se i religiosi e gl'istituti educativi si potessero ascrivere fra i Cooperatori, Don Bosco rispose:
Sì, tanto gli uni che gli altri. Tuttavia per gl'istituti si mandi il diploma solo al superiore od ai superiori, e si registrino essi col nome dell'istituto; in questo modo tutto l'istituto rimane affiliato: ma bisogna avvisarli che tutto il corpo fa per parti e che perciò tutti i membri facciano qualche opera o materiale o morale a pro della Congregazione.
L'essere poi questa nostra associazione sciolta da vincoli obbligatorii [265] fa sì che anche gli Ordini religiosi possano appartenervi. Tanto più lo possono i Terziari francescani e domenicani. Il nostro modo di ottenere lo scopo, che è la gloria di Dio e la salvezza delle anime, è al tutto diverso dal loro. Essi adoperano un modo tutto ascetico, fanno molte preghiere, recitano l'uffizio e simili; noi invece siamo tutti azione, moto, opere di carità verso il prossimo. Essendo così i primi tutti pratiche di pietà e noi tutti pratiche di carità, si congiungono tanto bene le due istituzioni; ed anche facendo parte di entrambe, non vi resta niente di sopraccarico nè in preghiere nè in opere buone.
Generalmente l'associazione dei Cooperatori è benevisa a tutti, perchè in nessun modo entra in politica, e sono di parere che se noi siamo lasciati operare, si è appunto perchè la nostra Congregazione è al tutto aliena dalla politica. Anzi io avrei persino voluto che vi fosse un articolo nelle nostre Costituzioni che proibisse d'immischiarsi comechessia in cose di politica, e questo era nelle copie manoscritte; ma allorchè si presentarono a Roma le nostre Regole e si approvò per la prima volta la Congregazione, questo articolo fu tolto dalla Congregazione deputata appositamente ad esaminare le nostre Regole. Quando poi nel 1870 si trattò di approvare definitivamente la Congregazione e si dovettero nuovamente mandare le Regole ad essere esaminate, io, come se nulla fosse avvenuto antecedentemente, v'inserii di nuovo quest'articolo, in cui si diceva essere vietato ai Soci entrare in quistioni politiche: me lo cancellarono di nuovo. Io che era persuaso dell'importanza di questo, nel 1874, in cui si trattava di approvare i singoli articoli delle Costituzioni, cioè si trattava dell'ultima approvazione definitiva, presentando le Regole alla Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari, ve l'introdussi ancora, e nuovamente mi fu cancellato, e questa volta la cancellatura fu motivata e mi si scrisse: È per la terza volta che questo articolo si cancella. Sebbene in generale paia che esso si potrebbe ammettere, in questi tempi alle volte avviene in coscienza di dover entrare in politica, poichè spesso le cose politiche sono inseparabili dalla religione. Non è dunque da approvarsene l'esclusione fra i buoni cattolici. - Così quell'articolo fu tolto definitivamente e noi in caso di utilità e di vera convenienza potremo trattarne: ma fuori di questi casi teniamoci sempre al principio generale di non intrigarci in cose politiche, e questo ci gioverà immensamente.
Il giorno dopo questa conferenza ricorreva la Natività di Maria Santissima. Parecchi dei capitolari avrebbero voluto recarsi a Torino in quella circostanza per confessare e per fare altro del sacro ministero; ma Don Bosco fece osservare che per il momento nulla doveva premere quanto il buon andamento [266] del Capitolo: si vedesse perciò di anteporre questo a tutto il rimanente, eccettochè vi fossero casi di urgente necessità. - Desidero, seguitò, che le cose procedano avanti bensì con alacrità, ma con calma. Non precipitiamo niente, perchè queste adunanze faranno epoca nella nostra Congregazione e da esse dipenderà in gran parte il suo buon avviamento per l'avvenire. Non dico che ne abbia a dipendere la sua esistenza o il suo scioglimento; ma che esse saranno base molto sicura al suo progredire. Io sono di parere che la salvezza di tantissime anime dipende da quanto saremo per sottoporre a regola in questi giorni. - Si stabilì dunque che a Torino si recasse il solo Don Durando, chiamatovi da vera necessità.
ASPIRANTI. COADIUTORI TROPPO GIOVANI.
Conferenza 5ª. Questa conferenza fu tenuta alla sera della Natività dopo le sacre funzioni. Vi si trattò degli aspiranti, degli ascritti e dei professi triennali. Degli aspiranti Don Bosco disse:
Prima di tutto è da intendere bene che cosa voglia dire aspirante per la nostra Congregazione. Aspirante è chi desidera ritirarsi dal mondo e viene come per vedere che cosa qui si faccia, se la vita nostra è conforme alla natura sua, in una parola se la Congregazione gli piace o no. Chi viene di fuori, non si fa mai un'esatta idea delle cose nostre: uno se le figura in un modo e altri in un altro; vengano nell'Oratorio o in altra casa, stiano alcune settimane o alcuni mesi, e vedranno se la Congregazione è pane per i loro denti, ed anche i Superiori possono in quel frattempo conoscere quel postulante così in generale, ed egli intanto o paga un po' di pensione o lavora a pro della casa. Conosciute che abbia poi alquanto le cose nostre, qualora volesse andarsene, è sempre in libertà; se invece vuol fermarsi, farà la domanda formale di passare al noviziato. Questo è l'essere aspirante.
Non fa neppur bisogno che l'aspirante conosca le singole regole; fa solo bisogno che conosca così in generale lo spirito della Congregazione. Quando viene uno, il quale, sebbene affatto esterno, è già persona conosciuta, ed egli conosce già più o meno la Congregazione, l'aspirandato è già fatto: egli può benissimo essere accettato subito come ascritto. Per i giovani della casa il metterli nel catalogo degli [267] aspiranti è un soprappiù; essi, mentre frequentano le nostre case, già vedono e conoscono lo spirito della Congregazione e restano anche conosciuti. Già tutto è fatto. Ma per gli adulti non conosciuti questo tempo d'aspirandato è indispensabile. Ecco una cosa che ci avvantaggia sopra le altre Congregazioni e Ordini religiosi, poichè essi non hanno, come abbiamo noi, un mezzo di poter conoscere coloro che domandano l'abito, e bisogna che li accettino subito in casa a vita comune. Da noi, chi viene già adulto, è bene che si faccia lavorare molto da principio; così più facilmente acquistano lo spirito della Congregazione o, se non altro, si guadagnano il pane che mangiano.
Circa l'età per l'ammissione dei coadiutori ai voti il Beato non si mostrò guari propenso ad ammettere coadiutori di giovane età con gli adulti, perchè in tale mescolanza egli diceva nascondersi gravi pericoli; anzi lo spirito della Chiesa sembravagli essere stato sempre di tener separati i giovani dagli adulti. L'assegnare poi a giovanetti certi uffizi di casa, come in cucina, nei refettori, egli giudicava cosa pericolosissima sempre. - Per me, soggiunse, piuttosto che mettere a fare il refettoriere un giovane che non sia ancora d'età matura, preferirei fare io la pulizia del refettorio.
Conferenza 6ª Le discussioni sulla vita comune portarono a considerare quella regola che prescrive di consegnare al Superiore qualsiasi dono possa pervenire ai confratelli. Don Bosco, fatta notare la convenienza di ciò e detto come tale fosse la consuetudine ordinaria in tutte le Congregazione religiose, recò due graziosi esempi.
Una volta, disse, mi trovai presente, quando ad una monaca fu fatto il regalo di un orologio. Essa lo prese dalle mani della persona donante, lo guardò un poco, lo encomiò: - Oh, com'è bello e grazioso! Tante grazie, tante grazie! Poi si rivolse alla madre superiora e senza più glielo consegnò. Pareva che il donante fosse persino un po' mortificato e le disse: - L'ho portato apposta per lei. - Ma essa rispose: - La madre sa ben essa che cosa farne. Se ne avrò bisogno, me lo darà; per ora non ne abbisogno.
Un'altra volta a un Domenicano, già abbastanza attempato e [268] grave, fu portata una somma notevole di danaro, perchè ne facesse limosine a suo grado. - La ringrazio tanto, rispose, ne parlerò col padre Priore e si accerti che verrà speso nel miglior modo. - Intanto passa il Priore, ed egli subitamente gli consegna il danaro, dicendo averlo portato quel signore, perchè si spendesse in limosine. - È per lei - soggiunse il donatore. - Sì, bene, rispose il padre; ma non sa che tutto ciò che hanno i figli è del padre?
Ragionandosi in seguito di libri personali e di libri comuni e del non farne grandi trasporti, quando si muta di casa, il Beato espresse questo pensiero: - Io credo che la nostra Congregazione avrebbe fatto un gran passo, quando, nell'andare da una casa all'altra, non vi fosse bisogno di far baule, ma si potesse partire issofatto con un piccolo involto sotto il braccio.
ASCRITTI: MORALITÀ, SCRUPOLI, MEDITAZIONE.
Conferenza 8ª. Fu dedicata agli ascritti. Vi si ribadì il principio che la Congregazione Salesiana non ha per fine di riformare una vita mondana, riducendola con la preghiera, la meditazione e la penitenza all'osservanza della legge di Dio e alla pratica della perfezione cristiana; ma ha bisogno d'individui di vita già buona e provata, i quali vogliano consacrare ingegno e fatiche alle opere di carità verso i loro simili. “Il nostro noviziato, sono parole del relatore Don Cagliero, non è di natura tale che possa cambiar i costumi già depravati, ma è fatto perchè ciascuno possa istruirsi sul genere di vita che vuole abbracciare e sulle cose che dovrà fare nel rimanente del viver suo. Questo fine del nostro noviziato e della nostra Congregazione è da tenersi altamente impresso nella mente; il non badarvi può produrre pessime conseguenze”.
A far sì che vi fosse unità di azione nel consigliare chi chiedesse di ascriversi alla nostra Società, il Beato Don Bosco propose il seguente caso. Un giovane domanda di essere ammesso in Congregazione e così espone il suo stato: - Durante quest'anno sono caduto in tempi diversi due, tre volte in [269] cose immorali. - Oppure: - Caddi una volta; poi stetti molto tempo senza ricadere; poi ricaddi tre o quattro volte di seguito; poi non più. - Che consiglio si darebbe a costui? Gli si potrebbe consigliare di entrare in Congregazione? Un'osservazione fondamentale, disse Don Bosco, si è di vedere se il giovane cadde tutte le volte che si trovò nell'occasione. Posto che sì, sarebbe ancora a vedersi, se egli è di quelli che rispetto alla vocazione sono fermi e non tentennanti e se la sua volontà è di quelle risolute. Posto che sia di fermo volere, gli si può rispondere che vada avanti; poichè, se non si rispondesse così, bisognerebbe temere di veder i seminari e gli Ordini religiosi vuotarsi a poco a poco, perchè quasi più nessuno potrebbe entrarvi. Se invece, date le condizioni descritte, il giovane non è di quelli fermi e costanti nei loro propositi, si risponda pure negativamente. - Nel margine del verbale, accanto al penultimo periodo, una mano estranea, che si può ritenere con certezza essere di Don Cagliero, scrisse “Qui si parla certo di sole mancanze cum seipso solo; vae, nobis, si aliter foret!”.
Si venne appresso a parlare degli scrupolosi, i quali nelle Congregazioni cagionano ordinariamente grandi noie. Bisogna distinguere bene fra scrupolosi e scrupolosi. Ben pochi si danno davvero a Dio senza provare sul principio scrupoli di varia forma: il Signore li permette per sempre meglio purificare le anime. Questi tali s'incoraggino, si aiutino, si consiglino con ogni carità; chè in breve si ridurranno a bene e faranno onore alla Congregazione. Altri invece sono proprio teste stravolte, che non prendono mai le cose per il giusto verso, e questo è da ritenersi come un genere o un primo grado di vera pazzia. Si distinguano dunque bene gli uni dagli altri, e dei secondi bisogna assolutamente disfarsi, perchè o tosto o tardi cagioneranno gravi dispiaceri.
Si chiese a questo punto qual libro si conoscesse più adatto per la meditazione dei principianti. Per gli altri si usava il Da Ponte e si giudicò doversi continuare a usarlo, sia per [270] l'abbondanza della materia, sia perchè, una volta finito, si può ricominciare anche più volte. Per i principianti invece i capitolari trovarono utilissimo l'Apparecchio alla morte, di sant'Alfonso, e La scuola di Gesù appassionato, di un religioso Passionista. Prosegue il verbale: ““Ma del Da Ponte si fecero elogi sperticati. È da commendarsi altamente l'introduzione, che andrebbe letta cento volte e imparata a memoria, poichè vale tant'oro. Chi segue bene quanto in essa si dice, troverà assai facilitato il modo di fare la meditazione”.
CONFESSIONI MAL FATTE. SEMICLAUSURA. MESCOLANZE DI GENTE NELLE FESTE. ASSISTENZA NEI DORMITORI.
Conferenza 10ª. Fu ripreso l'argomento della moralità fra gli allievi. Avviata la discussione, Don Bosco parlò così:
Finora si dissero molte cose sulla moralità e si parlò di molti mezzi per ottenerla nei giovani; ma non si toccò ancora il principale. Punto culminante per ottenere la moralità è al certo la frequente confessione e comunione, ma proprio ben fatte. S'è detto nella conferenza antecedente di dare ogni comodità ai giovani e di far venire confessori da essi non conosciuti, ma preferibilmente della Congregazione; si vede proprio che col dare grande comodità e col procurare confessori intendentisi di queste cose, si ottiene già molto: ma certo sarà sempre quasi impossibile ottenere tutto. Fa pietà vedere lo stato di coscienza in forse nove decimi dei giovani. Nè l'avere ogni comodità li mette a posto! Bisogna persuadersi che quando un giovane ha la disgrazia di lasciare imbrogli sulla coscienza, per lo più va avanti anni e anni, e non vi è solennità o muta d'esercizi o morte di altri che lo colpisca. È proprio da dire che l'aggiustarsi delle coscienze viene direttamente da Dio, il quale di tanto in tanto, forse senza nessuna occasione straordinaria, fa rinsavire.
E con la grazia del Signore nelle nostre case di bell'imbrogli si aggiustano. Si può dire che non passa una gran festa, non esercizio della buona morte, senza che si appalesi la misericordia del Signore sopra qualcuno dei nostri allievi. In occasione poi degli esercizi spirituali ciò avviene proprio su larga scala; ma purtroppo questo non è in tutti, ed anche dopo vari anni, se si domanda a uno di costoro: - Ma non hai tu fatto gli esercizi spirituali? - Sì. - E come va che non hai aggiustato questo? - Mah!... non l'ho aggiustato. - E tutto finisce lì. Tuttavia son di parere che si studino tutti i modi di dare [271] sempre maggior comodità, perchè vi sarà sempre qualcuno, il quale in grazia di questo lascerà operare su di sè la divina misericordia; e la sola probabilità di un buon successo merita che ce ne occupiamo molto. Ma la si tenga come cosa importante.
Essendo incidentalmente ritornato il discorso sulla moralità dei soci, Don Bosco volle esporre un suo pensiero.
Da molto tempo vi rifletto sopra, ma fin adesso l'ho solo abbozzato, e bisognerà studiarci fra tutti. Si tratterebbe di stabilire che i Salesiani, per quanto è possibile, dormano in una parte della casa, dove non siano mai ricevuti nè forestieri, nè uomini di casa, nè giovani. Vi sia, quasi direi, una specie di clausura, che nessuno possa valicare. Per esempio, lungo la scala per cui si va nelle celle dei preti, dei professori e generalmente dei superiori, non vi sia a dormire nessun altro, nè per quella si dia adito ai dormitori dei giovani; specialmente poi e assolutamente non dormano in quella parte della casa donne di sorta alcuna, fosse pure la madre del Direttore o di quelle buone donne che nei nostri collegi rappezzano la biancheria o fanno altri simili lavori. La ragione è chiara: noi molte volte accettiamo in casa di coloro che non sono per niente conosciuti; saranno buona gente, ma noi non li conosciamo ancora abbastanza e sappiamo d'altronde che il mondo è pieno di malizia e che tutti siamo figli d'Adamo. Passerebbero forse moltissimi anni, com'è da sperare, senza che avvenga niente; ma potrebbe anche avvenire. Oggi non vi sarà alcun pericolo; ma è precauzione da prendersi. Se poi queste precauzioni per noi sarebbero non necessarie e quasi eccessive, riteniamo che sarebbero ciò non ostante molto opportune per riguardo agli esterni, i quali, sebbene maligni, non avrebbero alcun appiglio a dubitare o a parlar male. Io proporrei quasi di mettere un qualche cancello nel luogo che dà adito a dette camere e di scrivervi sopra: RISERVATO oppure SALE DI RIPOSO PEI SUPERIORI.
Nell'Oratorio per la festa di Maria Ausiliatrice e nei collegi per quella del titolare si facevano certe fiere, a cui partecipavano anche gli esterni, producendosi così mescolanze di gente che potevano riuscire pericolose. Esaminandosi il fatto, Don Bosco mise le cose a posto, dicendo:
Queste sono cose che nei primordi delle nostre case sono necessarie e non producono alcun male, appunto perchè sono cose straordinarie: ma il lasciarle andare avanti come di regola sarebbe un grande sbaglio, poichè tutti gli anni s'introduce qualche disordine e una volta introdotto [272] non si toglie più. Anzi, per un altr'anno si riproduce in proporzioni già usai più vaste; e fa spavento il vedere quali proporzioni prenda col tempo, mentre non vi è quasi disordine introdotto una volta, che non si sia riprodotto l'anno veniente.
Negli esordi il permettere di queste cose fa del gran bene sia per il far conoscere la casa, sia per l'allegria dei giovani, sia per l'accaparrarsi la benevolenza dei forestieri; ma in seguito vanno diminuite e poi anche tolte affatto.
Nell'Oratorio da principio non vi era neppure porteria e si andava a lavorare fuori; eppure la novità e il fervore primitivo delle cose facevano sì che non avvenivano disordini. Con l'andare del tempo si vide la necessità di cintare il cortile e di mettere un portinaio; ma si lasciava entrar in casa chicchessia. Col tempo si dovette impedire anche quello. Così si dica della fiera di Maria Ausiliatrice. Nei primi anni si fece un chiasso dell'altro mondo; ma la novità della cosa faceva sì che di minore entità fossero i disordini. In seguito si diminuì l'affluenza degli esterni, e quasi si può dire che la festa oggi è regolata.
Utile a ricordarsi è quel che vi si disse intorno all'assistenza nei dormitori. Un tempo si permettevano agli assistenti piccole cellette negli angoli delle camere, consistevano esse in semplici tendine sostenute da un ferro. Quivi per lo più l'assistente aveva un tavolino con alcuni libri. In seguito Don Bosco tanto insistette, che furono eliminate le celle, furono tolti assolutamente i tavolini; per chi assisteva, si lasciò solo un letto con cortine, e non mai negli angoli, ma fra gli altri letti del dormitorio. Ora egli rinnovò le sue raccomandazioni su questo punto, che gli stava grandemente a cuore: via le celle, via i tavolini! La qual fermezza di lui ci colpisce ancor più, vedendo com'egli tenne testa alle obbiezioni sollevate da alcuni Direttori.
- Vi sono maestri, osservò taluno, che devono assistere in camera ed hanno bisogno del tavolino per mettere libri e pagine ed abbisognano della celletta per andarvi a studiare qualche volta.
- Nemmeno in questo caso ciò si permetta, ribattè Don Bosco.
- Come faranno dunque i maestri?
- Abbiano luogo adatto altrove; per esempio, uno scrittoio [273] chiuso a chiave nello studio comune o nella scuola, ma in dormitorio, no.
- Altrove non vi sono camere disponibili; con tanti giovani che domandano di essere accettati, nei nostri collegi si sta allo stretto.
- Ebbene, si accetti minor numero di giovani; ma in dormitorio non vi siano tavolini nè, celle. Basta il letto con le tende per il tempo della levata e del coricarsi; poi queste siano sempre raccolte.
Dopo di che il Beato, allargando il discorso, toccò di alcuni mezzi per far fiorire la moralità nei collegi.
Queste sono precauzioni, con le quali si potranno già ottenere molti buoni effetti; tuttavia nè con questo nè con altro si potrà mai ottenere una moralità assoluta in tutti: bisognerebbe non essere figli d'Adamo. Si faccia quanto si può e poi ancora un poco, e in seguito ricordiamoci di pregare molto, e la preghiera otterrà quanto non potremo ottenere coi nostri sforzi. E ricordiamoci che i due mezzi più atti a togliere dalla radice ogni azione d'immoralità e a introdurre questa virtù in grado pressochè perfetto tra i nostri allievi sono: 1° La molta frequenza dei santi Sacramenti. Questo è il principale e, checchè si dica, se veramente i Sacramenti si frequentano molto e nelle dovute maniere, non si radicherà nessun disordine. 2° Si restituiscano alla propria famiglia coloro che cagionassero scandali di questo genere. Non c'è verso: quando il mal abito è inveterato, solo per miracolo uno si converte. Quel tale si confesserà, ne sarà veramente pentito, ne domanderà perdono in privato e in pubblico; ma non passerà gran tempo, e saremo da capo. Con costoro bisogna procedere irremissibilmente. Avranno tutto il dolore necessario per avere l'assoluzione dei peccato, ma noi non possiamo fidarci di loro per il tempo avvenire.
Conferenza IIª. L'economia diede materia a discutere per quattro conferenze. In questa prima venne fuori la proposta di stabilire un provveditore o agente, che avesse l'ufficio di sollecitare i pagamenti delle pensioni. Sembra che fossero troppi coloro che, messi i figli in collegio, si contentavano di promettere senza mai pagare. A procedere per via giudiziaria, [274] erano più il tempo perso e gli incomodi incontrati che non il profitto ricavatone. Siccome il dibattito andava per le lunghe, Don Bosco tagliò corto dicendo: - Con quelli che si mostrano morosi, bisogna essere santamente crudeli. Io non trovo altro rimedio che mandare i giovani presso i loro genitori o parenti, affinchè, se sono nella possibilità di pagare, siano sollecitati con questo atto a farlo prontamente; se non sono nella possibilità, si tengano i giovani a casa. Non vi è che una sola eccezione, ed è quando quel giovane desse buone speranze per la Chiesa; allora si può tollerare alquanto e, se non solvono, si possono inviare alla casa di Torino o di Sampierdarena o in altra casa di beneficenza. Qui, come per altri, la Provvidenza provvederà anche per loro; ma i collegi è bene abbiano una retta fissa e che, per quanto si può, non si transiga.
Conferenza 13ª. Conveniva fare distribuzioni di pane e minestra ai poveri presso la porta dei collegi? Distribuzioni pubbliche di vitto, no; in privato, sì, ma a famiglie indicate dal parroco. Dopo questa conclusione Don Bosco diede sul far limosina alcune norme sapienti, che sono insieme documento della sua carità generosa, ma illuminata.
Raccomando tanto tanto di sostenere, quanto si può, i forestieri poveri, perchè d'ordinario non sono conosciuti, ed anche se conosciuti, non sono curati dal paese. Trovandosi di costoro che si conoscano proprio necessitosi, si soccorrano in tutti i modi possibili; perchè sono sempre in pericolo maggiore che non i paesani in egual condizione.
Bisogna anche avere riguardo specialissimo ai giovani e a quegli omaccioni, che si vedono di tanto in tanto domandare la limosina. Il motivo di questo è che, se costoro si adattano a domandare la limosina mentre sono forti e robusti, li spinge vera necessità e sono buoni cristiani. Se tali non fossero, si getterebbero al ladroneccio e per lo più non vi è nefandità che non si mettano poi a fare questi tali, qualora comincino a battere la mala via. Se poi sono giovanetti, ci sono già più raccomandati, appunto perchè più conformi alla nostra missione, ed anche perchè, non potendo ancora avere principii abbastanza [275] fermi, basta un nonnulla a gettarli per la strada dell'iniquità, la quale seguiteranno forse per tutta la vita.
Qualora poi avvenisse che chiedano la carità zitelle, oh, allora si soccorrano immancabilmente e con ogni carità e con la maggior larghezza che per noi si possa. Non vi è forse al mondo classe di persone più in pericolo dell'immoralità che queste zitelle così povere e abbandonate. Io per me darei ben volentieri la parte mia del pranzo, se non avessi altro, per toglierle di pericolo. Nè si dica che forse non ne avranno bisogno o che saranno già rotte ad ogni vizio. Se non fossero in bisogno, per lo più non verrebbero a chieder soccorso a noi. D'altronde, ancorchè non fossero virtuose, si toglierebbero almeno per quella volta dal pericolo. Ed è già una gran cosa!
Non si dica generalmente che coloro i quali domandano limosina, non siano bisognosi; si creda pure che la miseria ai nostri tempi ha forme molto più estese di quel che sembra esteriormente, e si trovano di quelli degni d'ogni compassione, i quali all'esterno sembrano di agiatissime famiglie. Quanti stettero già da me a domandarmi qualche cosa, anche del pane, i quali tengono il posto di pubblici impiegati e molte volte sono assai ben vestiti! Eppure, avuto quel poco, mescolarlo a lagrime di consolazione, che loro cadevano involontariamente dagli occhi!
Conferenza 14ª. Don Bosco biasimò sempre chiunque facesse nelle singole case costruzioni nuove o riparazioni di qualche rilievo senz'averne chiesto e ottenuto il permesso dal Superiore. - Questo punto, riaffermò allora, è della massima importanza; poichè non solo nelle nuove costruzioni, ma anche nelle riparazioni, specialmente dove entrano i muratori, la spesa ascende, ascende molto, e rincresce il vedere che si fa economia fin sul centesimo per altre cose e quasi si stenta del necessario, e poi per lavori di non vera necessità si spendono a cuor leggiero anche centinaia di franchi. Sia dunque inteso che prima di fare simili spese si ottenga il permesso dal Superiore, per ora dal Rettor Maggiore e in seguito almeno dall'Ispettore. - A taluno pareva che con questa esigenza Don Bosco fosse troppo stretto.
Anzi, ripigliò, è necessario essere strettissimo, perchè si tratta di cosa che, se non si tiene molto stretta, quasi per natura sua s'allarga, [276] essendo naturale, al vedere una cosa che non garba tanto, il volerla far cambiare, e qui bisogna tirare su un tramezzo e là demolire quell'altro, e qui aprire una porta e là chiudere quell'altra; ben inteso però che, cambiandosi in quella casa prefetto o direttore, verrà di nuovo il bisogno di atterrare l'eretto e di erigere l'atterrato, andando avanti così di spesa in spesa e con poca o nessuna utilità.
È poi necessario essere molto rigoroso in ciò per togliere d'imbroglio il Direttore. Vi sarà sempre quel prefetto, quell'assistente, quel maestro, che trovano indispensabili tante cose e vorrebbero introdurre variazioni. Vanno dal Direttore, il quale, vedendo anche lui dell'utilità nella cosa, non potrebbe negarla senza ingenerare malcontenti. Invece, quando si sappia che le son cose al tutto indipendenti dal Direttore, si acquetano e non dimandano più oltre.
D'altronde, io vidi che, come in tutto il resto, così in ciò specialmente si deve avere la mira più alta del segno e che bisogna volere due per essere sicuri di ottenere almeno uno.
In certi Ordini religiosi, alla fine dell'anno oppure quando vi è la visita del Superiore, fanno una lista delle riparazioni che occorrono ed anche delle più piccole cose si domanda permesso al Superiore. Molte volte il Superiore non farà alcuna osservazione; ma è sempre in libertà di farne: e poi quel solo riflesso che la tale spesa deve passare dal Superiore, fa sì che le cose non necessarie si tengano indietro.
Più avanti tornò sul tappeto la questione delle monografie e delle cronache, ventilata già nelle annue conferenze dei Direttori. Affacciatasi fortuitamente, occupò la maggior parte della seduta. Don Bosco fece un discorso, da cui si rileva una volta di più quanta importanza egli desse alla cosa.
Fra noi si lavora molto, si fanno molte cose; ma non teniamo memoria delle cose che si fanno. Finora la straordinaria moltiplicità delle occupazioni che si accalcano l'una sull'altra, senza lasciare un po' di tempo libero, ha fatto sì che riuscisse impossibile riprodurre per iscritto quello che fra noi si faceva. Non già che adesso le occupazioni per noi abbiano tregua; ma molte cose si trova modo di farle fare da altri, e molte sono già divise fra più, mentre prima erano unite e addossate al medesimo individuo. Di più nei tempi andati non si conosceva tanto la necessità di tenere nota di ciò che si faceva; ora vediamo che alcune volte nascono confusioni dove non avverrebbero, se si fossero tenuti gli opportuni appunti. E poi oggi ci accorgiamo che, essendo la Congregazione definitivamente approvata, dobbiamo dare norma a chi verrà dopo di noi. Il vedere che da noi si è operato in un modo piuttosto che in un altro e che la cosa riuscì, indicherà a loro la via per la quale dovranno camminare. Io pel momento trovo [277] di maggior importanza questo che altre cose; perciò credo necessario che ciascun Direttore in quest'anno vi si metta di buona voglia e pensi e studi il modo più opportuno e trovi il tempo a ciò, e questa che chiameremo monografia del proprio collegio si faccia e ogni anno si continui dal Direttore pro tempore.
La monografia cominci dal momento che in Torino si parlò di aprire quella casa o quel collegio; si mettano le trattative, i pro e i contro, gli aiuti e gli ostacoli, l'anno e il mese della fondazione; i nomi del Sommo Pontefice regnante, del Re, del Vescovo diocesano; poi seguiti narrando, per esempio, che l'anno tale si fece questo e quello e si tiri avanti cronologicamente indicando i fatti particolari, tessendo la biografia di coloro, per cui la convenienza lo richiegga; ma più che ad ogni altra cosa si badi a portare i documenti autentici e a indicare dov'essi si trovano. Di ognuna si trarranno due copie: una si conserverà nell'archivio del proprio collegio e l'altra si manderà all'archivio generale. Quando queste singole monografie siano arrivate a Torino, allora sarà da pensare a un altro lavoro, cioè a togliere da ciascuna quanto contiene di più importante per descrivere più in breve l'andamento della Congregazione.
Noi stessi fra molti anni saremo ammirati di vedere come con sì pochi mezzi e in sì poco tempo si sia fatto tanto, e impareremo l'uno dall'altro i mezzi da usare per riuscir bene nelle imprese. E dirò ancora che ciascuno imparerà da se stesso; poichè col procedere dei tempo non par vero come si dimenticano molte delle cose pratiche fatte da noi, che, sebbene facili, sono importantissime: rileggendoci, avremo di che imparare. Affinchè poi l'ammaestramento sia maggiore, e d'altronde trattandosi di scritti privati per noi, si mettano pure i difetti, nei quali si è caduti, dicendo, per esempio, che nelle tali circostanze si adoperarono tali mezzi e si sbagliò. Questo renderà la storia più fedele e servirà d'avviso per altre volte.
Tutti gli Ordini religiosi hanno questa specie di cronaca e minuta e documentata, e continuano a lavorarvi attorno alacremente, sebbene talora l'Ordine sia in decadenza; e continuano a farla di certe case che da mezzo secolo non sono più in loro potere, sicchè sanno di quelle tutte le principali vicende... Ne fummo privati l'anno tale; andò in possesso dei tale; poi servì al tale uso; poi passò al tal altro; poi si restituì... E conoscono per filo e per segno nomi di venditori e di padroni
Fra i Gesuiti vi è uno appositamente in ogni casa, il quale deve scrivere la storia e nei catalogi dei confratelli si stampa anche che il tale dei tali è scriptor historiae domus. Costui o chi sarà da lui incaricato fa la biografia di chi muore in casa, fosse pure l'infimo dei confratelli. E tutte queste memorie si tengono in archivio. Ogni tre anni poi tutte le case mandano copia dei loro annali all'archivio generale, affinchè serva alla storia della Congregazione. La storia poi della Congregazione [278] non si scrive tutti gli anni, ma dopo un periodo considerevole di tempo, ed anche si attende per avere un buono storico: allora si redige e sempre in latino: et quidem storia vera e autentica e molto bene scritta, sia per il latino eccellente sia per il modo di condurre la narrazione. Perchè questa non riesca troppo lunga, dagli annali bisogna estrarre solo i fatti principali; altrimenti diverrebbe noiosa. Neppure gli annali devono contenere tutte le singole particolarità. Anch'essi vogliono essere bene scritti ed elaborati; bisogna far uso di gran discernimento, saper evitare le ripetizioni, le cose che non hanno conseguenze, le minutezze. Tra i Gesuiti per le piccole cose, specialmente per i fatti edificanti, si ha un altro mezzo; vi sono le lettere annue, in cui si tien nota precisa di quanta predicazione si fa in ogni chiesa, degli esercizi di pietà e degli esercizi spirituali, delle confessioni e comunioni fatte in casa; ma specialmente di tutti i fatti edificanti che avvengono fra loro. E queste lettere si tramandano da una casa all'altra, da provincia a provincia, perchè si leggano in refettorio. In ogni casa vi è uno incaricato di redigerle e nel personale della casa è notato: Redigit litteras annuas.
Certo adesso questa monografia darà molto da fare, perchè si tratta di cominciare e i principii sono sempre più difficili, ed anche perchè si hanno da riandare cose di parecchi anni addietro; ma quando si sia redatta fino ai nostri giorni, ed anno per anno non si abbia da aggiungere se non quanto in quel tempo di più importante successe, e, sapendosi già di dover fare questo, si prenderà nota dei fatti mentre succedono, allora la cosa sarà di molto semplificata e con facilità da qualunque Direttore potrà eseguirsi.
Nella biografia che è da farsi di quei confratelli, i quali già furono dal Signore chiamati all'eternità, è da usare cura speciale. Di alcuni basteranno poche memori; di altri invece sarà da occuparsene proprio ex professo. Dei confratelli morti in questi ultimi anni sarà sufficiente quanto si è stampato in appendice ai nostri catalogi: ma degli antichi molte memorie sono da cercarsi con cura e bisogna vedere che non si perdano; perchè mi par proprio di poter dire che saranno questi sacerdoti o chierici o coadiutori, come altrettante perle che si devono far risplendere nella storia della nostra Congregazione. Quante cose sarebbero a dirsi di Don Alasonatti! E Don Ruffino? Quante care memorie lasciò! Fu un vero modello di vita cristiana. Io non so se l'abbia da mettere a confronto con san Luigi; ma per certo, tutto quello che sa fare un buon giovane, un buon chierico, un buon prete, lo fece tutto e lo fece con un ardore tale che nella pietà può essere messo a confronto coi migliori esemplari di vita cristiana e religiosa. Un bel lato principale di queste biografie sta qui: vedremo fra tanti anni come in questi tempi andati si lavorasse. Nasceranno con l'andare del tempo difficoltà e si avrà la chiave in mano per schivarle. Io ora mi trovo in certi imbrogli successi già molti anni sono; altri in questo [279] resterebbe impigliatissimo: io me ne vo avanti tranquillo, poichè non ho da fare altro che ricordare la buona o cattiva riuscita dei mezzi adoperati allora.
RIPOSO DOPO PRANZO, ISPETTORIE E ISPETTORI, RETTORE MAGGIORE E CAPITOLO SUPERIORE.
Conferenza 16ª. In quasi due conferenze successive si trattò di abitudini buone e di abitudini cattive. Fra le abitudini per sè indifferenti, ma nella realtà sempre cattive ed esiziali Don Bosco poneva l'andar a riposo nel letto dopo il pranzo. Nei paesi molto caldi si costuma andarvi; certe Congregazioni stabiliscono che vi sia per i confratelli un tal riposo; educatori anche buoni cristiani lo permettono agli allievi.
Ma per me, disse Don Bosco, la tengo una delle cose più pericolose per la moralità e sono di parere che il tener quest'abitudine e conservar bene la moralità sia cosa difficilissima, per non dire impossibile. Credo che se i Direttori di case conoscessero quanto questo riesca esiziale, si contenterebbero piuttosto di chiudere il collegio, che introdurre tale abitudine.
È dunque da vietare ai nostri confratelli ed ai giovani di riposare un poco nel dopomezzodì? Se avviene che, specialmente d'estate, uno resti soprappreso dal sonno, nel pomeriggio, dovrà sforzarsi a non lasciarsi vincere da quella tendenza? No; avvenendo che, mentre si lavora o si studia, il sonno ci sorprenda, ognuno assecondi pure questo bisogno e dorma un momento, adagiandosi sulla sedia o posando il capo sulla scrivania; ma nessuno si ponga a letto per conciliarselo il sonno; poichè io credo che sia precisamente questo il daemonium meridianum, da cui siamo avvisati di guardarci, come tanto pericoloso per le anime.
Per i giovani poi si continui quanto da noi già si pratica, nei paesi di gran caldo, dopo aver fatto un po' di ricreazione, si radunino nello studio o nella scuola e quivi ciascuno al proprio posto studii o dorma a suo piacimento, purchè siano assistiti, affinchè regni il silenzio e chi vuol riposare non ne venga impedito. Così chi sente il bisogno di riposare, può farlo; gli altri, cui il sonno non si concilia, hanno occupazione e tutti i pericoli scompaiono. Insomma quel che si riprova è l'abitudine di andare a letto dopo pranzo.
Tuttavia si volle far notare come nei paesi caldi questa abitudine fosse proprio generale, sicchè pochissimi non la [280] seguivano. - Ebbene, riprese Don Bosco, procuriamo di essere noi nel numero dei pochissimi, e credo che non ci troveremo malcontenti d'aver schivato quest'abitudine. Così facendo, si potrà lavorare di più, si acquisterà maggior riputazione, e altri imiteranno forse il nostro esempio.
Esaurito il tema delle abitudini, il resto del tempo fu speso a legiferare intorno a quella novità che era la divisione della Congregazione in province. Ne risultò il Regolamento per l'Ispettore, che si può leggere a parte; di due cose che ivi non si leggono, diremo noi ora brevemente, perchè materia dì storia.
Prima di tutto la denominazione. Il Capitolo scartò il nome di Provincia e specialmente il titolo di Provinciale, perchè non più opportuni ai giorni nostri. In faccia al mondo avrebbero fatto apparire la Congregazione sotto l'aspetto di Ordine monastico, rendendola antipatica, tanta avversione i nemici della Chiesa avevano inoculata in animi anche onesti contro le vecchie e venerande istituzioni religiose. Per altro non era questo un uscire dal solco della buona tradizione. Lo stesso sant'Ignazio non aveva già sbandito una parte della precedente nomenclatura conventuale? Così, per esempio, all'appellativo di Padre Guardiano aveva egli sostituito quello di Padre Rettore. Parve dunque ottimo consiglio fare a meno anche noi di certe esteriorità accidentali atte a urtar i nervi nei contemporanei e a renderci invisi fra la gente, a cui vogliamo far del bene. Il superiore pertanto incaricato d'invigilare sopra un certo numero di case si chiamasse Ispettore, e Ispettoria il territorio della sua giurisdizione; questi due termini esprimere con esattezza la cosa voluta e sonare oggi bene accetti ai profani, essendo pure usati in amministrazioni civili e scolastiche.
In secondo luogo, l'età dell'Ispettore. Fra i requisiti di eleggibilità conveniva fissarne un minimo? Don Bosco nel comporre le Regole aveva stimato meglio passar sopra all'età in tutte le cariche; quindi nelle redazioni primitive e nel testo [281] mandato a Roma per l'approvazione, di età non si parlava mai, qualunque fosse la carica elettiva. Roma però volle trentacinque anni per le cariche maggiori. Se non che, essendo la Congregazione quasi ancora sul nascere, i suoi membri non toccavano allora generalmente la matura virilità; onde fu necessario subito invocare dispense temporanee dall'osservanza di quella regola. Quanto agl'ispettori, evidentemente non si poteva far motto della loro età nelle Costituzioni, perchè al tempo dell'approvazione essi non esistevano ancora; perciò il Capitolo Generale lasciò in sospeso il problema, aspettando di vedere che cosa avrebbe fatto la Congregazione dei Vescovi e Regolari, quando le si fossero presentate deliberazioni di Capitoli Generali intorno alle Ispettorie.
Secondo il concetto di Don Bosco, che l'ha espresso nella conferenza 17ª, l'Ispettore Salesiano è “ un padre il quale ha per ufficio di aiutare i suoi figliuoli a far andar bene i loro negozi, e quindi li consiglia., li soccorre, insegna loro il modo di trarsi d'imbarazzo nelle circostanze critiche ”.
L'argomento delle Ispettorie tirò in campo la questione dei poteri che bisognava riconoscere nel Rettor Maggiore.
Su questo terreno Don Bosco tendeva manifestamente ad allargare i limiti, mirando a ottenere che tutto l'andamento generale della Società dipendesse dal Rettor Maggiore. Vi fu chi credette bene di muovere un'osservazione. Finchè si trattasse di Don Bosco personalmente, tutti volevano che egli avesse ogni autorità senza limitazione di sorta, ma bisognava pensare anche a quelli che sarebbero venuti in seguito. - E appunto per questo, interruppe Don Bosco, io vado guardingo e sto ben attento che non s'intralci l'autorità del Rettor Maggiore. Se si trattasse di me, non avrei questo bisogno, perchè già nel poco e nel molto mi lasciate fare quanto mi sembra; e poi, avendo io nelle mani il filo di tutte le cose, non si potrebbe quasi neanche agire diversamente. Ma io devo badare a quelli che verranno dopo di me. - [282]
Conferenza 20ª. Questa conferenza ebbe piuttosto il carattere di una seduta ordinaria del Capitolo Superiore per il disbrigo degli affari correnti; così avvenne che si discorresse pure di quei cotali, che, dimentichi della propria vocazione, se ne andavano per i fatti loro. Don Bosco raccomandò di usare sempre con essi tutti i riguardi possibili. - La cosa è un po' difficile, notò egli, perchè costoro spesse volte, e si può dire sempre, hanno demeriti notevoli. Tuttavia è bene che dissimuliamo i loro falli, usando con essi la massima benevolenza. Così anch'essi serberanno amore e rispetto alla Congregazione e noi saremo sicuri che, passato un po' di tempo, avremo in quel confratello un amico, un aiuto, uno insomma che, se non altro, parlerà bene di noi. E si creda pure che ne abbiamo bisogno: arreca sempre gran danno colui, il quale, anche ingiustamente e colpevolmente, sparli della Congregazione. Desidero piuttosto che si abbondi in gentilezze non meritate, anzichè far loro sentire un po' aspramente i meritati rimproveri e licenziarli di malagrazia.
Conferenza 22ª. La lettura dei verbali, anzichè farsi al principio di ogni seduta, fu rimessa al termine delle discussioni. Ebbe dunque cominciamento in questa conferenza, dando origine a una digressione, sulla quale è utile soffermarci. Si domandò se non fosse cosa buona stabilire che ogni sera nei collegi si desse la benedizione col Santissimo Sacramento. Così farsi da molti anni nell'Oratorio, così a Lanzo; non potersi dunque fruttuosamente fare lo stesso dappertutto? Tanto poco essere il tempo richiesto a ciò!
Buona, anzi ottima la cosa, come dubitarne? Ma non la si volle nei collegi se non durante le novene e il mese mariano, secondochè costumavasi nell'Oratorio prima che vi fosse la [283] chiesa di Maria Ausiliatrice. Vi si addussero due motivi. Il primo era di non sovraccaricare i giovani con pratiche divote. Molti di essi venivano da famiglie, in cui di religione poco si parlava e di pratiche religiose non se n'aveva forse nessuna quotidiana. C'erano già tutti i giorni le orazioni del mattino e della sera, il rosario, la messa, più le piccole preghiere solite a recitarsi lungo la giornata, e tanto bastava per la generalità. Chi volesse fare di più, si esortasse a farlo spontaneamente, massime la visita quotidiana a Gesù Sacramentato e alla Santissima Vergine; ma in comune non si aggiungesse altro. Il secondo motivo era per non dare tanto nell'occhio ai cattivi. Tutti avevano gli occhi addosso ai Salesiani, tanto i privati che il pubblico. In tempi nei quali si studiava ogni mezzo per abbattere tutto che sapesse di religione e si cercavano appigli d'ogni fatta per distruggere sacre istituzioni, manipolandosi apposta l'insegnamento e cambiandosi e ricambiandosi programmi, perchè i religiosi, attaccati ai loro metodi, antichi, non potessero più rispondere alle esigenze del moderno insegnamento, i nemici della Chiesa qualora avessero scorte nei collegi Salesiani tante pratiche di pietà, li avrebbero subito fatti bersaglio alle loro vessazioni. - Noi, continuò Don Bosco, abbiamo da fare con lo spirito del secolo, nemico potente e di malizia molto raffinata. Abbiamo assolutamente bisogno di non dare nell'occhio. Dal momento che volessimo combattere, come si dice, a spada tratta e apertamente con questo nemico, noi resteremmo subito contrariati e resi inutili a ogni lavoro. Atteniamoci sempre alla legalità; si accondiscenda proprio sempre molto dove si può; pieghiamoci alle esigenze moderne, anche ai costumi e alle consuetudini dei vari luoghi: purchè non si abbia da fare contro coscienza. Piuttosto che metterci in lotta con le autorità, prendiamoci pure il torto, dove abbiamo ragione; accondiscendiamo a tutti i regolamenti, decreti, programmi. In questo modo saremo benevisi, ci lasceranno operare (il che è più), e nello stesso tempo non faremo nulla contro coscienza. [284] Questa idea sulla convenienza di evitare sinistre impressioni nei profani con segni esterni di pietà non necessari, già due volte era affiorata durante il Capitolo Generale. Nella conferenza ottava essendosi da taluno proposto che in ogni dormitorio si accendesse sotto una statuetta della Madonna un lumicino simile alle lampade delle chiese, sicchè, chi si svegliasse, corresse subito con lo sguardo a Maria Vergine, arrise a tutti il bel pensiero; ma Don Bosco vi oppose un'osservazione “ che egli ha sempre di mira ”, commenta il verbale. - Venendo qualche maligno a visitare le nostre case, che direbbe al vedere in tutti i dormitori un altarino? Ci accuserebbe di superstizione; e noi, dati i tempi in cui siamo e viste le circostanze in cui ci troviamo, dobbiamo andar guardinghi in questa parte. Dobbiamo cercare d'imprimere, per quanto è possibile, la religione nel cuore di tutti e d'imprimerla più profondamente che si possa; ma con il meno di esteriorità che sia possibile. E sebbene nelle cose necessarie a farsi, non bisogni guardar in faccia a nessuno, tuttavia nelle non necessarie conviene evitare qualunque manifestazione che ci metta troppo in vista per quel che siamo.
Poi da capo nella conferenza quindicesima, a proposito di abitudini buone da conservare e propagare, fu rinnovata la raccomandazione di non introdurne di quelle che agli occhi dei cattivi potessero aver l'aria di pratiche superstiziose; nel che doversi aver riguardo specialmente alle usanze dei paesi. Che dire pertanto dell'uso di fare il segno della croce in cortile prima di sbocconcellare la pagnotta della colazione? Ecco la risposta del Beato: - Questa per certo è un'abitudine ottima; ma che direbbero i maligni se, andando a casa loro o comecchessia loro presenti, ci vedessero fare così il segno di croce? Se ci vedono farlo a pranzo, non dicono nulla; sanno che il catechismo lo prescrive, che ogni buon cristiano lo fa, e non se ne meravigliano. Noi in particolare possiamo farlo; ma in quei luoghi dove non c'è l'abitudine, non è il caso d'introdurlo. Specialmente non è da insistere su di questo coi giovani dei [285] nostri collegi. Purtroppo ve ne sono di quelli, che hanno genitori tutt'altro che religiosi. Se li vedono fare la preghiera prima o dopo il pranzo, forse lo tollerano; se vedessero farlo a colazione, facilmente susciterebbero questioni e alle volte non manderebbero più i giovani in collegio, dicendo: S'insegnano loro troppe bizzoccherie!
RETTOR MAGGIORE E CAPITOLO SUPERIORE. LE CRITICHE. “ LETTURE CATTOLICHE ” E “ BOLLETTINO ”.
Conferenza 23ª. Nella lettura degli articoli precettivi o direttivi, che nei verbali facevano seguito alle varie discussioni, se ne incontrò uno, nel quale di una certa cosa si diceva che la si rimettesse “ al Capitolo Superiore ”. Don Bosco volle modificata l'espressione con sostituirvi “ al Rettor Maggiore ”. E spiegò: - Nominandosi il Rettor Maggiore è già tutto inteso; poichè la Regola dice che nelle cose d'importanza egli raduni il suo Capitolo. Dicendosi altramente, pare si voglia far la cosa senza il Rettor Maggiore, mentre a lui spetta il disporre tutte le cose della Congregazione. In tutte le cose di rilievo si faccia sempre capo al Rettor Maggiore; egli poi, se vede spettare esse a qualche uffizio particolare, affiderà una faccenda al prefetto, un'altra all'economo o a chi di ragione. Ma se le cose sono di maggior rilievo, radunerà il Capitolo.
Nel corso della medesima lettura, riandandosi il detto intorno alla diffusione di buoni libri, il Beato prese la parola per dare alcuni consigli.
Non si critichino mai libri altrui, non se ne sparli. Questo serve solo ad attirarci grandi odiosità. Noi adotteremo i testi che meglio ci piacciono, se qualche amico c'interroga, si risponderà come a noi pare, ma lasciando di criticare altri.
Questo poi si faccia ancora più scrupolosamente, qualora si tratti di associazioni esistenti nei paesi, vale a dire confraternite, in cui le cose si facciano alla buona e grossolanamente. Non se ne dica mai male, nè si mettano in ridicolo per questo; anzi s'istruiscano, si aiutino [286], si consiglino, si sostengano in ogni modo queste buone istituzioni, e così noi con la benedizione di Dio ci attireremo pure la benevolenza degli uomini.
Anche verso chi criticasse noi, adoperiamo benignamente, prendendo in questo per stemma il prezioso motto: “ Far bene e lasciar dire ”. Se si attacca briga, si perde anche quando nelle dispute si riesce vittoriosi. Alcune volte vi è chi desidera attaccar briga, perchè così avrà poi pronto un motivo o almeno un pretesto per farci del male in tutti i versi.
Se diciamo già tanto contro il criticare cose altrui, tanto più dobbiamo dire contro coloro i quali, occorrendo alcun che non di loro gusto, criticassero le cose nostre. Mi sta tanto a cuore che ogni Direttore propaghi questo principio, e raccomandi e insista, finchè sia allontanato lo spirito di critica dai nostri confratelli!
Ogni Direttore inoltre si faccia con zelo a propagare nei nostri collegi le Letture Cattoliche e le associazioni dei Classici. Una volta quasi tutti i giovani vi erano associati; ora si è limitato tanto questo numero! Lungo l'anno procurino tutti in varie circostanze di parlarne, farle conoscere, lodarle e ottenere che molti restino associati. Saran sempre buoni libri che si spargono nel collegio e che si leggono con gran vantaggio. Inoltre questi libri si mandano dai giovani a casa e tanti altri li leggono. Nella loro casa varii li vedono e domandano di associarsi anch'essi, e con questo mezzo può allargarsi molto il bene che con dette letture si può fare. Si creda che la cosa è di maggiore importanza che non paia a primo aspetto: noi che ci affatichiamo tanto a fare associati, trascurando questo, tralasciamo uno dei mezzi che può essere di maggior vantaggio e di più facile esecuzione.
Un altro bene straordinario che viene dalla lettura e diffusione fra noi di queste associazioni e specialmente del Bollettino Salesiano, si è l'unità di sentimenti che ci acquista da parte di tutti e il vincolo strettissimo di unione che inserisce fra i confratelli. Noi siamo ancora nei nostri principii; il nostro numero non è ancora straordinariamente grande e finora l'Oratorio è stato centro per tutti, di modo che e tutti ci conosciamo e tutti i superiori delle varie case han visto come si fa qui e si sforzano di conservarne le istituzioni e lo spirito; ma andando avanti, se non si studia ogni modo di rannodare questo vincolo, in breve entrerà uno studio eterogeneo e non vi sarà più assoluta unità fra noi. Bisogna far di tutto per vincolarci in un solo spirito, e un modo speciale per ottenere questo si è che si leggano possibilmente nelle nostre case i medesimi libri, si studino i medesimi trattati, si apprezzino i medesimi autori e specialmente si conoscano dappertutto i libri composti dai nostri e le speciali opere delle singole case. E nulla potrà contribuire a questo meglio del Bollettino e delle Letture Cattoliche, che perciò si spandano largamente ed anche si leggano fra noi, quanto più sarà possibile. [287]
L'APPELLATIVO DI SALESIANO. DARE A CESARE QUEL CHE DI CESARE.
Conferenza 24ª. La denominazione di Salesiano, attribuita a soci e alle cose loro[133] e ripetutamente risonata agli orecchi nella lettura dei verbali, condusse Don Bosco a toccare un tasto sempre delicato ma allora delicatissimo.
Questa voce da noi dovrebbe usarsi molto parcamente. Alcuni anni fa non si era ancora introdotta e quasi non si conosceva che cosa volesse dire. Fu l'occasione della prima partenza dei nostri Missionari due anni fa quella che la introdusse e stabilì. Si cominciò a dire e ridire, stampare e ristampare dei Missionari Salesiani in Europa e in America, su libri e su giornali si raccontava dei Missionari Salesiani, e così invalse questo nome. Era cosa necessaria mi questi anni scorsi: bisognava che la Congregazione prendesse un nome fisso. Quello di san Francesco di Sales è nome caro alla Chiesa e al civile; è il santo della mansuetudine, virtù che piace sommamente anche ai cattivi; il santo che ci siamo preso per Patrono principale. Anche la parola Salesiano suona bene, sicchè si credette bene di adottarla.
Quello che ora dobbiamo fare si è di non darle troppa importanza, necessario che prendiamo qualche precauzione a questo riguardo. E prima di tutto nel dare alle stampe qualche libro non si metta: Prete Salesiano oppure della Congregazione Salesiana. Questo si è fatto fin qui, non è nulla; così si potrebbe continuare in certe circostanze speciali; ma generalmente non si faccia. Se l'autore del libro è Direttore di collegio, può mettere molto a proposito: Direttore del collegio salesiano, perchè quell'attribuzione è personale e serve a far conoscere il collegio e ad accrescere riputazione; il fare di più ci attirerebbe invidia, malvolere ed anche persecuzioni pubbliche e private.
Ora tuttavia si è fatto un passo molto ardito da questa parte: si è fissato questo nome nel Bollettino, che si manda ai nostri Cooperatori. È stato un passo ardito, dobbiamo dirlo, ma studiato. Era necessario farci conoscere e nel vero senso nostro. Finora, ringraziando il Signore, tutte le cose che si pubblicarono a nostro riguardo, si pubblicarono nel vero senso. Quel poco che si pubblicò dai malevoli contro di noi, consistette in alcune accuse o fatti particolari, che non intaccarono ancora niente l'andamento generale della nostra Congregazione. È gran cosa questa, che noi non veniamo fraintesi, ma possiamo [288] essere conosciuti proprio quali siamo. Io voglio sperare che il Bollettino, il quale si stampa appositamente per far conoscere il nostro scopo, aiuterà grandemente a tale effetto e presenterà sotto il loro vero punto di vista le con principali che di mano in mano avvengono nella Congregazione.
Scopo nostro si è di far conoscere che si può dare a Cesare quel che è di Cesare, senza compromettere mai nessuno; e questo non ci distoglie niente affatto dal dare a Dio quel che è di Dio. Ai nostri tempi si dice essere questo un problema, ed io, se si vuole, soggiungerò che forse è il più grande dei problemi; ma che fu già sciolto dal nostro Divin Salvatore Gesù Cristo. Nella pratica avvengono serie difficoltà, è vero; si cerchi adunque di scioglierle non solo lasciando intatto il principio, ma con ragioni e prove e dimostrazioni dipendenti dal principio e che spieghino il principio stesso. Mio gran pensiero è questo: studiare il modo pratico di dare a Cesare quel che è di Cesare nello stesso tempo che si dà a Dio quel che è di Dio.
- Ma, si dice, il Governo sostiene i più grandi scellerati, e talvolta si propugnano false dottrine ed erronei principii. - Ebbene, allora noi diremo che il Signore ci comanda di obbedire e di portar rispetto ai superiori etiam discolis, finchè non comandano cose direttamente cattive. Ed anche nel caso che comandassero cose cattive, noi li rispetteremo. Non si farà quella cosa che è cattiva; ma si continuerà a prestare ossequio all'autorità di Cesare, come appunto dice San Paolo, che si obbedisca all'autorità, perchè porta la spada.
Nessuno è che non veda le cattive condizioni in cui versa la Chiesa e la Religione in questi tempi. Io credo che da San Pietro fino a noi non ci siano mai stati tempi così difficili. L'arte è raffinata e i mezzi sono immensi. Nemmeno le persecuzioni di Giuliano l'Apostata erano così ipocrite e dannose. E con questo? E con questo noi cercheremo in tutte le cose la legalità. Se ci vengono imposte taglie, le pagheremo; se non si ammettono più le proprietà collettive, noi le terremo individuali, se richiedono esami, questi si subiscano; se patenti o diplomi, si farà il possibile per ottenerli; e così s'andrà avanti.
- Ma ciò richiede fatiche, spese: crea pasticci! - Nessuno di voi può vederlo come lo vedo io. Anzi la maggior parte degl'imbrogli non ve li accenno neppure, perchè non si resti spaventati. Sudo io e lavoro tutto il giorno per vedere di metterli a posto e ovviare agli inconvenienti. Eppure bisogna avere pazienza, saper sopportare e invece di riempire l'aria di lamenti piagnucolosi, lavorare a più non si dire, perchè le cose procedano avanti bene.
Ecco che cosa s'intende di far conoscere a poco a poco e praticamente col Bollettino Salesiano. Questo principio con la grazia del Signore, e senza dir molte parole direttamente, lo faremo prevalere e sarà fonte d'immensi beni sia per la società civile che per quella ecclesiastica. [289] Anche quanto al far bene e lasciar dire, Don Bosco sapeva benissimo che ogni regola ha la sua eccezione. Quindi, benchè alienissimo dal rispondere per le stampe ai giornali che lo assalivano, pure in certi rari casi stimò dover suo il ricorrere a quell'arma di difesa. Se n'era avuto un esempio il mese innanzi. La famigerata Gazzetta del Popolo aveva pubblicato una corrispondenza da Giaveno, nella quale, dandosi con velenose espressioni la notizia dell'arresto di un chierico assistente del locale collegio per fatti innominabili, si diceva ironicamente che l'arrestato era “un ex - allievo dell'Istituto di Don Bosco”. Don Bosco, appena potè avere le necessarie informazioni, scrisse questa letterina, che è un modello di moderazione:
Ill.mo Sig. Direttore della Gazzetta dei Popolo,
Nel suo giornale del 7 corrente agosto la S. V. pubblicò una corrispondenza di Giaveno che attribuiva a un mio allievo alcuni fatti per cui si occupava l'autorità Giudiziaria di Susa.
Io la prego di dare una rettificazione e dichiarare che la persona cui sono attribuiti quei fatti non fu mai allievo di alcuna delle mie case, nè come studente, nè come artigiano.
Spero che farà questa rettificazione a solo titolo di cortesia e per amore di verità, senza ricorrere all'appoggio delle leggi.
Colla dovuta stima ho l'onore, di professarmi
Sac. GIOVANNI BOSCO Superiore.
La Gazzetta, nel suo numero del 19, sotto la quotidiana rubrica “Pozzo nero”, dov'era comparsa la corrispondenza, pubblicò la lettera di Don Bosco, senz'aggiungervi una parola di commento.
DECRETO FINALE. ESERCIZI DEI CONFRATELLI.
Conferenza 25ª. Nella sedicesima conferenza Don Bosco aveva prospettata al Capitolo Generale l'opportunità che prima di sciogliersi addivenisse a un decreto, con cui fosse [290] data al Superiore la facoltà di redigere definitivamente e di ordinare gli articoli da mandarsi a Roma, lasciando lui arbitro di cambiare espressioni e cose nel modo che egli giudicasse migliore. Infatti era naturale che il complesso delle deliberazioni dovesse suggerire mutamenti, di cui volta per volta non s'intuiva la ragione; inoltre certi particolari, che tornava a proposito segnalare tra soci in privato, non andavano stampati nè posti sotto gli occhi altrui. Tanto lavoro non sarebbesi potuto compiere là da tutti insieme; onde la necessità di autorizzare il Superiore a eseguirlo comodamente in seguito. Ora si toccava con mano quanto fosse stata giusta la previsione di Don Bosco. La 25a conferenza si teneva la mattina del 5 ottobre, giorno destinato a chiudere i lavori del Capitolo Generale. Dopo un mese preciso di fatica tutti vedevano quanto restasse da fare, perchè l'opera si potesse dire compiuta. Eppure i Direttori avevano urgenza di ritrovarsi nei loro collegi per la prossima riapertura; Don Bosco per il 7, domenica del Rosario, aveva da tempo promesso di essere altrove. Disse adunque il Beato: - Le cose, come finora si sono trattate, si devono dire piuttosto abbozzate che compiute. È ancora necessario un lungo studio e lavoro per limare gli articoli già fatti, per ordinarli e vedere che non vi siano ripetizioni nè un articolo esprima qualche cosetta, a cui un altro contraddica; e poi occorre ancora separare le cose organiche, le quali sarà bene far approvare come regola, dalle cose disciplinari, ed anche da cose che, buone a sapersi da noi, non vanno pubblicate in alcun modo. Bisogna dunque oggi comporre questo decreto, il quale esprima la chiusura del Capitolo; nell'ultima seduta poi che terremo stassera, sarà letto e sottoscritto. - Nessuno fece difficoltà ad approvare che si troncasse senz'altro la lettura dei verbali. Per il decreto il medesimo Don Bosco tracciò le linee di base; l'incarico di redigerlo venne affidato a Don Durando e a Don Francesia.
Il rimanente della seduta fu dedicato a stabilire quanto [291] poteva concernere gli esercizi spirituali dei confratelli negli anni avvenire. Somma importanza il nostro Beato Padre attribuì in ogni tempo a questi annui ritiri. Fino al '77 il collegio di Lanzo, sulle alture delle prealpi, offerse nella stagione estiva la più gradita ospitalità a tutti gli esercitandi; ma l'estendersi della Congregazione obbligava a moltiplicare i luoghi di sì salutari convegni. Fu adunque deliberato che le case d'America, dell'Italia centrale e della Liguria avessero il loro corso d'esercizi nella rispettiva regione; due corsi fossero tenuti in Piemonte e due per le Figlie di Maria Ausiliatrice. Ma dove e quando?
Don Cagliero, interpellato per primo, nicchiò alquanto, accampando la mancanza di locale adatto. Don Bosco disse: - Il locale la Provvidenza lo provvederà. In ogni caso si preghi l'Arcivescovo di Buenos Aires che permetta di farli nel seminario durante le vacanze dei chierici. Buenos Aires è l'unico luogo centrale. Costerà certamente il venire da Montevideo e da S. Nicolás; ma pazienza! Noi abbiamo visto che qui la Congregazione prese, si può dire, uno sviluppo un po' accentuato solo dal tempo, in cui si cominciarono a fare gli esercizi spirituali appositamente per i confratelli.
Per l'Italia centrale si designò il seminario di Magliano, dove sarebbe andato Don Rua a rappresentare Don Bosco. Per la Liguria si rimase indecisi fra Sampierdarena, Alassio e la casa da aprirsi prossimamente alla Spezia. Di lì a due anni si sarebbe provveduto per un corso anche in Francia: ma intanto quei confratelli venissero nella Liguria. Ai due corsi di Lanzo, oltre i confratelli del Piemonte, sarebbero intervenuti sempre tutti i Direttori e quanti altri non potessero andare altrove.
L'assemblea; unanime fece voti che tali esercizi fossero predicati sempre da Salesiani. L'esperienza aveva insegnato che predicatori forestieri, anche assai dotti e santi, non producevano frutto come i nostri. Onde l'esortazione dì Don Bosco ai presenti che si addestrassero a predicare. - E poi, [292] soggiunse, incontrandosi chi abbia inclinazione speciale alla predicazione, e dicasi il medesimo per qualunque altra cosa, tenetelo presente alla memoria e cercate di secondarlo. Questo è un modo di ottenere buoni risultati senza tante fatiche.
Conferenza 26ª. Il Capitolo Generale, aperto la sera del 5 settembre, fu chiuso la sera del 5 ottobre: sicchè a un mese preciso di distanza l'ora del Te Deum coincise con quella del Veni Creator.
Anzitutto si esaminò l'abbozzo del decreto. Una sola osservazione merita di venir riferita. Gli estensori avevano scritto che si davano al Capitolo Superiore pieni poteri per ordinare, aggiungere e via via, A “Capitolo Superiore ” Don Bosco volle sostituito “ Rettor Maggiore ” adducendo tre motivi: 1° Per seguire l'uso di Roma che nelle comunicazioni ufficiali fatte alla Congregazione indirizza sempre gli atti al Rettor Maggiore. 2° Perchè, dicendosi Rettor Maggiore, si comprende anche il Capitolo Superiore. 3° Per una norma generale, com'erasi già dichiarato in precedenza.
Si trascorse quindi un po' di tempo a riparlare di predicazione. Nella seconda conferenza erasi deliberato che qualche confratello stendesse un breve trattato di eloquenza sacra da assegnarsi come libro di testo nelle scuole teologiche; venne designato Don Bonetti.
Ma bisogna, disse Don Bosco, che questo trattatello di precetti non riguardi esclusivamente la predicazione, sì bene anche l'educazione da darsi ai giovani. Bisogna incarnarvi il nostro sistema preventivo di educazione. Dev'essere l'amore che attira i giovani a fare il bene per mezzo di una continua sorveglianza e direzione; non già la punizione sistematica delle mancanze, dopo che queste siano commesse. È constatato che questo secondo metodo il più delle volte attira sull'educatore l'odio del giovane infin che vive.
La predicazione poi sia cosa semplice. Si dia la definizione della cosa, di cui si vuol trattare; dalla definizione si trae la divisione e se ne spiegano le parti. Non si affastellino molti testi o molti fatti appena [293] accennati, a fine di persuadere una cosa; ma quel testo o quei pochi testi si spieghino bene e si facciano campeggiare. Invece poi di accennare a molti fatti, se ne prenda uno che sia più a proposito e si racconti a lungo con tutte le sue particolarità che più facciano all'uopo. La ristretta mente del fanciullo, il quale non sarebbe capace di comprendere ed apprezzare la moltiplicità delle prove, terrà invece quest'una profondamente stampata nella mente e se ricevette in ciò una forte impressione, la sua tenera memoria la ricorderà poi ancora per molti anni.
Nel frattempo, essendosi messo in pulito e riportato nell'aula il decreto, se ne diede lettura; indi, pronunziatosi il placet, si passò alle sottoscrizioni[134].
Con quest'atto rimase chiuso il primo Capitolo Generale, i cui lavori erano proceduti con esemplare alacrità. Il Padre Franco, felicitandone i Capitolari, disse che in un sol mese essi avevano fatto quanto altrove avrebbe richiesto mesi parecchi. Ma appresso il dare forma canonica definitiva ai deliberati non fu cosa tanto spiccia, essendovisi voluto maggior tempo che da prima non si fosse immaginato; il fatto è che un anno dopo, l'impresa non era ancor giunta a compimento. Allora Don Bosco, valendo pur dare una legittima soddisfazione alla comune attesa, fece stampare e distribuire le quattro parti riguardanti la Vita comune, la Moralità, l'Economia e le Ispettorie, rimandando il resto a più tardi. Era un bel volumetto di circa cento pagine, recante sul principio un'affettuosa lettera del Beato Padre a' suoi “ figli amatissimi in Gesù Cristo ”[135].
Quando questa pubblicazione uscì, pendeva presso la sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari una pratica di Don Bosco per ottenere il benestare circa la proroga del Capitolo Generale. I tre anni dopo l'approvazione delle Regole datavano dal 4 aprile 1874, sicchè il Capitolo aveva subito [294] un ritardo di cinque mesi. Il Rescritto è annunziato dall'avvocato Leonori in sua lettera del 24 novembre 1878 insieme con quello per il conte Cays. Convalidata così la proroga del primo, riusciva possibile convocare gli altri Capitoli Generali nel periodo delle ferie scolastiche.
Il Beato aveva detto tante volte che le deliberazioni capitolari si sarebbero mandate a Roma; invece dopo un anno e più di rimaneggiamenti a Roma decise di non mandar nulla. Egli, come aveva per costume, ritenne miglior consiglio saggiare a bell'agio l'esperienza e vedere se la pratica in tutto e per tutto confermasse l'opportunità delle disposizioni fermate sulla carta. S'arrivò per tal modo al secondo Capitolo Generale, in cui alle deliberazioni del primo rivagliate ne furono aggiunte di nuove, e le une e le altre ben coordinate videro la luce nel 1882.
Il Padre Secondo Franco durante i preparativi del primo Capitolo Generale aveva detto che scopo precipuo dei capitolari doveva essere di formare la coscienza religiosa nei confratelli. Ciò che siamo venuti esponendo in questo capo è più che sufficiente a mostrare quanto buon cammino si fosse fatto in tal senso.
IL primo squillo annunziatore della terza spedizione partì da L'Unità Cattolica. Nel numero del 13 settembre un articolo intitolato “Nuova spedizione di Salesiani in America”, dopo un inno al Signore per il gran bene già compiuto e una descrizione dei vasto campo che si parava dinanzi ai figli di Don Bosco, mostrato il bisogno di operai evangelici in quelle remote contrade, diceva come Don Bosco stesse allestendo un terzo imbarco di circa quaranta persone fra Salesiani e Figlie di Maria Ausiliatrice, di cui una parte avrebbe salpato nel prossimo novembre e il rimanente poco appresso. Si faceva quindi appello a tutti gli uomini di cuore, affinchè, aprissero le loro borse e aiutassero il Servo di Dio a sostenere le ingenti spese necessarie. Indi vi si proseguiva: “Non ignoriamo che alcuni non guardano tanto di buon occhio siffatte missioni, allegando per ragione aversi troppa penuria di sacerdoti fra noi”. Ma dopo altre considerazioni su questo proposito l'articolo terminava con la seguente osservazione: “Una persona molto versata nella storia moderna ebbe a ripeterci che ogni missionario spedito all'estero frutta non meno di dieci fratelli, i quali si avviano allo stato sacerdotale e pigliano [296] posto nella schiera, che quegli abbandonò eroicamente per recare agl'infedeli il Vangelo”[136].
Le citate parole dell'articolo alludevano con prudente reticenza agli effetti prodotti nel clero dell'archidiocesi da una lunga circolare che l'Arcivescovo aveva inviata ai parroci il 4 agosto. In essa Monsignore, rappresentata al vivo l'inquietante diminuzione dei sacerdoti, stimolava lo zelo dei sacri pastori a coltivare nella pietà i giovanetti inclinati allo stato ecclesiastico, mandandoli poi ai seminari di Bra e di Giaveno. Con tante cose belle e ben dette si leggeva fra le righe abbastanza chiaramente un biasimo per coloro che si adoperavano a preparare giovani per le Missioni estere e l'insinuazione che lo stato religioso non è più perfetto dello stato secolare. In un grave documento si osserva inoltre che chiunque leggesse quella circolare e conoscesse la Congregazione Salesiana, diceva subito che era fatta contro di essa[137]. Il punto più chiaramente allusivo a Don Bosco era là dove, asserito che “tutti gli Ecclesiastici sono indistintamente invitati [297] da Gesù Cristo alla perfezione”, soggiungeva: “Certo la immensa moltitudine dei fedeli, come tutti veggono, è posta dal nostro divin Redentore in mano ai Sacerdoti appartenenti al Clero così detto secolare ed è impossibile il supporre che esso voglia commettere quasi tutte le anime redente dal suo Sangue divino alle cure ed alla direzione di quella parte del Clero, che, come si vorrebbe supporre da taluno, dovesse essere la meno perfetta, la meno adorna, la meno ricca dì santità”. Lo stesso canonico Zappata, Vicario Generale, in un suo “parere intorno ad una circolare di Mons. Gastaldi”[138], era così persuaso del riferimento a Don Bosco che scriveva: “Bramerei che sopprimesse o almeno mitigasse l'allusione a Don Bosco, perchè temo assai ne possano avvenire da altra parte gravi disgusti all'Ecc. V. Ven.ma. Ella sa più di me quanti appoggi e protettori Don Bosco abbia in Roma; come, da quanto si dice, sia specialmente amato dal Papa... Non potrebbe accadere che da mala fraintesa o interpretazione da Roma venisse qualche cenno spiacevole e disgustoso all'Eccellenza Vostra?”.
Dopo questi precedenti, l'articolo del giornale cattolico non poteva esser lasciato correre senza richiamo. Infatti Monsignore, avutane contezza mandò al Teol. Margotti, direttore del giornale, una copia della sua lettera con queste parole scritte di suo pugno nel margine:
“Il benemerito Teol. Margotti è caldamente pregato di non promuovere neppure indirettamente la ognor crescente scarsezza di clero in Piemonte, ed anche nella diocesi di Torino, siccome potrebbe aver promosso col n. 213 anno 1877 de L'Unità Cattolica: e quindi non porre mai questo giornale in opposizione colle parole dell'Arcivescovo la cui autorità non può essere diminuita pur d'un millimetro, senza che ne riceva danno fra noi anche l'autorità papale. Vadano nelle missioni quanti Dio vi chiama: ma non si cerchi infondere tale vocazione in chi non l'ha nè quindi [298] la manifesta. La vocazione alle missioni è cosa tutta speciale”. Il Direttore de L'Unità Cattolica, tanto amico di Don Bosco, girò senz'altro a lui la stampa con la relativa soprascritta, accompagnandola con questo biglietto: “Venerat.mo e cariss.mo Don Bosco. Favorisca di leggere la presente, e pro bono pacis, per non offendere nè l'Arcivescovo, nè il Papa, non mi mandi più articoli da stampare senza il visto di S. E. Rev.ma. Suo dev.mo ed affez.mo Teol. MARGOTTI”. Don Bosco, che presiedeva a Lanzo il Capitolo Generale, gli rispose il 19 settembre, limitandosi a queste sole espressioni sull'incidente:
“Noi, caro Teologo, dovremo andare in paradiso insieme; giacchè dove c'è l'uno, c'è sempre l'altro...”[139].
Il fervore missionario era tenuto vivo, massime nei confratelli giovani, dalle lettere che giungevano dall'America durante i primi mesi dell'anno e che descrivevano al vivo i sacrifizi del personale troppo scarso per far fronte a tutti i bisogni. Quelle corrispondenze, lette a mensa, invogliavano tanti a domandare di correre in aiuto; anzi parecchi nel mese di aprile avrebbero voluto già intraprendere lo studio dello spagnuolo, tanto più che Don Bosco sembrava propenso a inviare rinforzi appena passata la festa di Maria Ausiliatrice. Ma poi incaricò Don Barberis di rispondere a quanti domandavano di partire che pensassero a far bene il mese di Maria e a prepararsi seriamente per i loro esami. Dichiarò inoltre essere sua intenzione che quella volta i Missionari imparassero meglio la lingua; sperare anzi che Don Cagliero potesse far loro almeno un mese di scuola, sicchè, arrivati là, fossero tosto capaci di lavorare. [299]
Rimandata dunque la nuova spedizione a novembre, la scelta dei soggetti da inviare fu fatta dal Beato men di due mesi prima che cominciasse il Capitolo Generale: quattro preti, otto chierici e sei coadiutori. La curiosità era grande di sapere chi fossero i fortunati; perciò molti stavano attenti a ogni sua parola per veder di scoprire il segreto. Il tutto si seppe in una maniera molto semplice. Un giorno Don Rua invitò Don Vespignani a prendere il caffè con Don Bosco. Egli non se lo fece dire due volte, ma volò nel refettorio, baciò la mano al Beato e si assise al suo fianco. Mentre si versava nelle tazze l'aromatica bevanda, Don Bosco prese a scherzare con lui e con i circostanti; quando poi ognuno ebbe la sua chicchera e ne sorbiva allegramente il contenuto, ecco Don Rua cavar fuori la solita strisciolina di carta, che sempre teneva fra le dita durante la ricreazione del dopo pranzo e che gli serviva di promemoria per dare avvisi, disposizioni e simili, e con un sorriso un po' misterioso guardare Don Bosco e dirgli: - Signor Don Bosco, vuole che io legga i nomi di quelli che faran parte della nuova spedizione di Missionari? - Avutone l'assenso, lesse adagio adagio: Don Costamagna, Don Vespignani... - e via via. In un baleno tutti quei nomi corsero di bocca in bocca per l'Oratorio, dando luogo a svariati commenti.
Don Vespignani che non s'aspettava tale improvvisata, trasalì. Egli, venuto alla Congregazione prete novello proprio la vigilia della seconda spedizione, aveva subito fatta domanda di andar Missionario; ma, nonostante le rassicuranti parole di Don Bosco[140], temeva sempre che le sue condizioni di salute non fossero ancora tali da permettergli quel viaggio. Allora Don Rua, accortosi del suo turbamento, gli chiese con grande amorevolezza, se avesse difficoltà. Alla sua risposta negativa: - Lei non andrà, interloquì Don Bosco, se prima il medico non la visita ben bene e non dichiara che [300] questo viaggio non Le può nuocere nella salute. - Infatti richiese il parere del medico, che glielo diede favorevolissimo.
I preti e i chierici a persone estranee sembrarono troppo giovani: cosa già detta sotto voce le altre volte, ma ridetta ora più apertamente. Ebbene da quei quattro preti uscirono un Vescovo, Don Costamagna, capo della spedizione; un Ispettore dell'Argentina e poi Consigliere professionale del Capitolo superiore, Don Vespignani; un eroico missionario della Patagonia, don Milanesio: ed erano i più giovani dei preti. Di quei chierici, due furono sapienti organizzatori d'Ispettorie, uno nell'Uraguay e nel Paraguay, Don Gamba, e l'altro nel Brasile, Don Rota; un terzo divenne zelantissimo apostolo del pergamo e del confessionale, Don Paseri; un quarto emulò Don Milanesio in Chos Malal e nel territorio del Neuquén, Don Panáro; un quinto si segnalò come pedagogista di competenza ufficialmente riconosciuta, diresse molto bene il grande collegio di S. Nicolás e per mezzo della scuola ottenne risultati sorprendenti fra i detenuti, Don Galbusera.
Sul conto dei coadiutori, che avevano l'aria di essere buoni laici e nulla più, nessuno par che trovasse a ridire. Di due almeno, Massa e Graziano, nomi non ignoti ai memori lettori[141], noi vogliamo fare un cenno. Il primo per circa dieci lustri, insegnando ai ragazzi il mestiere del calzolaio, contribuì efficacemente con la sua grande carità e pazienza a educare un bel numero di allievi artigiani. Toccò a lui la consolazione di addestrare al lavoro il primo Indio della Pampa Centrale figlio di Cacico e portato da monsignor Aneyros al collegio Pio IX. Questo tipo autentico della razza patagonica profittò talmente alla scuola del buon coadiutore, che divenne a sua volta maestro calzolaio nella scuola professionale di Viedma in Patagonia. Il Graziano, che incontrammo a Roma nel 1875 brillante ufficiale dell'esercito, deposte le spalline e fatti i voti nelle mani di Don Bosco, portò laggiù con la sua multiforme [301] attività le più spiccate attitudini a esercitare le funzioni proprie di un capo d'ufficio, prestandovi ottimi servigi nell'impianto e nell'organizzazione di quelle prime scuole professionali salesiane.
Dopo quanto abbiamo detto qui sopra sarà facile intendere un'osservazione di Don Vespignani, che dando un sintetico sguardo retrospettivo, scrive a più di mezzo secolo da quella data: “Nella terza spedizione partirono dall'Oratorio coloro che avrebbero tracciato ai Salesiani il cammino in tutte le direzioni per l'America del Sud, movendo successivamente dall'Argentina, donde si passò nel Chilì e nella Bolivia; dall'Uruguay, donde si andò al Paraguay e al Brasile, centro d'irradiazione alle Missioni del gatto Grosso, delle Amazzoni e del Rio Negro. Le due prime fondazioni del Plata diedero poi anche l'elemento per le fondazioni dell'Equatore, della Colombia e delle repubbliche circonvicine”[142]. È insomma la storia del granello di senapa, che si rinnova continuamente in seno alla Chiesa.
Sotto l'alta direzione di Don Cagliero e la guida immediata di Don Barberis gli eletti si addestravano nella lingua spagnuola e compievano la loro preparazione spirituale. Verso la metà di agosto si riunirono tutti a Lanzo per un corso di esercizi insieme con altri confratelli. Appartiene alla biografia del Beato Don Bosco ciò che scrive Don Vespignani a proposito di quello spirituale ritiro[143]: “Don Bosco che presiedeva i nostri esercizi, veniva quasi sempre con noi nelle ricreazioni e noi lo circondavamo col più tenero affetto, pendendo dalle sue labbra, ascoltandone consigli e raccomandazioni, facendogli molte domande, consultandolo su quanto ci poteva incogliere nell'avvenire: volevamo proprio stamparci bene nell'anima tutta la sua figura morale, volevamo bere alla fonte tutto il suo spirito. Non ci balenava lontanamente al pensiero l'idea, che non l'avremmo più visto o ascoltato; [302] giacchè per noi Don Bosco non doveva morir mai solo, prima di staccarci dal suo fianco, sentivamo il bisogno di raccoglierne quanti più ricordi e ammonimenti ci fosse possibile”. Nella così detta predica dei ricordi il Beato raccontò un sogno[144].
Sono venuto a dirvi due parole al posto del solito predicatore. Si ricevettero poco fa dall'America buone notizie, che sentirete poi leggere nei refettori o in altro luogo. Qui però io, invece di farvi una predica, vi racconterò una storiella. Chiamatela voi come volete: favola, sogno, storia; datele molta, datele poca, datele nessuna importanza. Giudicatela come vi piace; tuttavia anche la storiella che sono per narrarvi c'insegnerà qualche cosa..
Mi sembrava di passare per i viali di Porta Susa e davanti alla caserma dei militari vidi una donna che mi sembrava una venditrice di castagne abbrustolite, perchè sul fuoco faceva girare una specie di cilindro, dentro il quale io credeva che vi fossero a cuocere delle castagne. Meravigliato di vedere una maniera così nuova di far cuocere le castagne, mi avvicinai e vidi proprio quel cilindro a girare. Domandai alla donna che cosa facesse cuocere in quello strano arnese. Ed essa:
- Vado facendo confetture per i Salesiani.
- Come! dissi; confetture per i Salesiani?
- Sì! mi rispose; e in ciò dire aperto il cilindro, me le mostrò. Io potei allora, conoscere entro a quel cilindro confetture di vario colore, tramezzate e divise le une dalle altre da una tela; altre erano bianche, altre rosse, altre nere. Sopra di esse vidi una specie di zucchero ingommato, che sembrava goccie di pioggia o di rugiada caduta di fresco e questa pioggia era in qualche punto sparsa di macchie rosse. [303]
Io allora interrogai la donna: - Si possono mangiare questi confetti?
Ed io: - Ma... e che vuol dire che alcune di queste confetture sono rosse, altre nere, e altre bianche?
E quella donna: - Le bianche costano poca fatica, ma si possono facilmente macchiare; le rosse costano il sangue; le nere costano la vita. Chi gusta di queste, non conosce fatiche, non conosce la morte.
- E quello zucchero ingommato che cosa indica?
- È simbolo della dolcezza del Santo che avete preso ad imitare. Quella specie di rugiada significa che si dovrà sudare e sudare molto per conservare questa dolcezza, e che talvolta si dovrà spargere persino il sangue per non perderla.
Io tutto meravigliato voleva continuare a far domande, ma essa non mi rispose, più non parlò ed io continuai il mio cammino, tutto sopra pensieri per le cose udite. Ma ecco che, fatti appena alcuni passi, incontro D. Picco con altri nostri preti, tutti sbalorditi, tutti mortificati, coi capelli rizzati sul capo: - Che cosa è accaduto? dimandai loro.
E D. Picco: - Se sapesse!... se sapesse!...
Ed io insisteva domandando che cosa ci fosse di nuovo; ed esso: - Se sapesse!... Ha veduto quella donna che faceva confetture?
- Or bene, continuava tutto impaurito, mi ha detto che le raccomandassi di far in modo che i suoi figliuoli lavorino, lavorino. Essa diceva: troveranno molte spine, ma troveranno anche molte rose: di' loro che la vita è breve e la messe è molta; la vita, s'intende, è breve paragonata a Dio, perchè davanti ad esso è un momento, un nulla.
- Ma... e non si lavora? dissi io.
Ed egli: - Si lavora, ma si lavori. - Detto ciò, io non vidi più nè lui nè gli altri e più meravigliato di prima continuai la mia strada verso l'Oratorio e quivi giunto mi svegliai.
Questa è la storiella che vi voleva raccontare. Chiamatela apologo, parabola, fantasia, questo poco importa; quello che vorrei si ritenesse bene a mente si è ciò che disse quella donna a Don Picco ed agli altri; ossia che pratichiamo la mansuetudine del nostro San Francesco e che lavoriamo molto e sempre!
Qui Don Bosco si diffuse a spiegare quanto era stato detto dalla donna, ricavando dalle sue parole argomenti d'incoraggiamento a praticare quello che era stato; raccomandato. Disse pure a lungo del gran lavoro da farsi e del bisogno di lavorare, conchiudendo così: Guardiamo adunque di essere mansueti con tutti, preghiamo gli uni per gli altri, affinchè non avvengano defezioni nella moralità; facciamo il proponimento [304] di volerci sempre aiutare a vicenda. L'onore di uno sia l'onore di tutti, la difesa di uno la difesa di tutti; tutti siano impegnati per l'onore e per la difesa della Congregazione nella persona di ogni individuo, poichè l'onore e il disonore non cade già sopra un solo confratello, ma cade sopra tutti e sopra la intiera Congregazione. Perciò adoperiamoci tutti con zelo, affinchè questa nostra buona madre non abbia a ricevere danno o vergogna. Applichiamoci tutti a difenderla e ad onorarla. - Nell'esposizione di questo concetto proseguì ancora finchè uscì nella seguente perorazione: - Facciamoci coraggio, o figliuoli: incontreremo molte spine, ma ricordatevi che ci saranno anche tante rose. Non abbattiamoci d'animo nei pericoli e nelle difficoltà; preghiamo con fiducia e Dio ci darà il suo aiuto promesso a chi lavora per la sua causa. Uniamoci tutti insieme e facciamo quello che dice la Scrittura dei primi cristiani: cor unum et anima una. -
I Missionari evidentemente avevano più degli altri bisogno di stringersi e formare un cuor solo e un'anima sola. Don Bosco ci pensava. Il 7 ottobre era la Madonna del Rosario. Il Servo di Dio, appena chiuso il Capitolo Generale, non volle rompere la tradizione di festeggiare ai Becchi la solenne ricorrenza. Vi aveva mandato Don Milanesio con un gruppo di aspiranti a predicare la novena. Poi alla vigilia della festa mandò pure gli altri Missionari. Questi, andati fino a Chieri in treno e visitato il seminario, in cui Don Bosco aveva fatto i suoi studi ecclesiastici, proseguirono a piedi, sostando ogni tanto per riposare ed eseguendo allora capricciose fantasie con istrumenti a fiato e a corda più o meno concertabili, che parecchi di loro avevano portato seco. Don Bosco li raggiunse sul tardi. La festa riuscì molto divota e allegra. Nel ritorno passarono per Mondonio a visitare la tomba e la casetta di Domenico Savio. Quella gita così in corpo fu per Don Bosco uno dei mezzi, con cui affratellare i cuori di coloro che, poco o punto conoscendosi per l'addietro, dovevano andare a spendere le comuni fatiche tanto lungi dal Padre comune. [305] Mancava sempre il capo della spedizione. Don Costamagna nella casa di Mornese badava a preparare le sei Figlie di Maria Ausiliatrice, scelte a essere le prime della lunga schiera di consorelle, che si susseguirono in ambedue le Americhe. Impartiva loro lezioni di lingua spagnuola, avendola già egli appresa discretamente; le assisteva nelle inevitabili difficoltà coi parenti; le aiutava nell'allestimento del corredo da viaggio; ma soprattutto ne agguerriva gli animi con gli ausili spirituali. Non si mosse di là fino all'arrivo del nuovo Direttore Don Lemoyne. Finalmente il 28 ottobre tenne all'intera comunità una conferenza che fu l'ultima, sopra questo tema: “Il mondo sotto i piedi; nel cuore, sempre Gesù; nella mente, l'eternità”. Le scene del commiato dimostrarono quanta fosse la stima che per lui nutrivano educande e suore.
Fra quelle educande vi erano due sorelle di Don Vespignani. La visita improvvisa del loro Padre levò Don Giuseppe da un imbarazzo. Questi non aveva ancora scritto nulla ai suoi dell'andata in America; suo padre lo seppe dal Direttore di Mornese. Naturalmente corse a Torino più presto che non avesse stabilito. Ma a Torino c'era Don Bosco. Egli con Don Bosco aveva già avuto un incontro sul principio di febbraio, proprio nel momento che il Beato ritornava da Roma e quando il figlio giaceva così infermo come abbiamo detto. Sebbene fuori di sè dalla sorpresa dolorosa di trovare il malato in sì tristi condizioni, pure non aveva potuto sottrarsi al fascino che la bontà di Don Bosco esercitava su quanti lo avvicinavano; onde per quest'altra sorpresa ebbe difficoltà assai minore a rasserenarsi. Anzi le affettuose maniere del Servo di Dio lo soggiogarono a segno, che nel congedarsi, levatasi una grossa catena d'oro, gliela pose nelle mani, dicendo: Prenda questo piccolo omaggio a Maria Ausiliatrice. - Non bastò: fece ancora il sacrifizio di non riavere il figlio a casa prima della partenza, assumendosi egli stesso la delicata incombenza di far sì che anche la madre mettesse il cuore in pace. [306] Bisogna pur dire qualche cosa della preparazione finanziaria, che gravava anch'essa le spalle a Don Bosco. Che questa volta come nelle due precedenti egli diramasse una circolare per chiedere soccorsi, non sembra; del resto c'era ormai il Bollettino che vi poteva sopperire, tanto più che se ne faceva larga diffusione, se ne pagasse o no l'abbonamento. Nel suo numero di ottobre fu riportato per intero l'articolo de L'Unità Cattolica; ma soprattutto in quello di novembre si leggeva un caldo appello ai Cooperatori, perchè venissero in aiuto. Il Beato poi andò in persona a sollecitare la carità dei benefattori. “Io sono in giro cercando quibus per i missionari, scrisse in quel torno a un Direttore[145]; prega Dio che ce ne mandino”. In pari tempo dava mano alla penna e scriveva, scriveva con umile insistenza. Quand'anche non ottenesse nulla materialmente, egli non stimava gettata la fatica, perchè così, se non altro, di personaggi o di enti veniva richiamata l'attenzione sulla sua Opera.
Sperò di avere dal Ministro degli Esteri Melegari almeno le solite mille lire; con questa speranza gli fece pervenire una memoria, che raccomandò ai buoni uffici del tanto benevolo commendator Malvano.
Le unisco qui una memoria per S. E. il Ministro degli Esteri in favore dei nostri missionarii e maestri che devono partire per l'America in aiuto a quelli che già lavorano in modo speciale per la gioventù italiana che trovasi nella repubblica dell'Uruguai e della Repubblica Argentina.
Io raccomando questa pratica alla sua bontà e carità, e so che una sua parola contribuisce efficacemente ad un buon risultato della mia dimanda.
D. Durando si unisce meco ad esternarle incancellabile gratitudine e pregando Dio a renderla felice ho l'onore di potermi professare
Ma non ebbe nemmeno la somma consueta. Ardeva allora la guerra turco - russa che, creando in Oriente bisogni straordinari, aveva obbligato a impiegarvi tutti i fondi stanziati nel bilancio di quel Ministero. Ricevette però dal Ministro e dal Direttore della politica estera lettere sommamente cortesi[146]. Risposte di tal fatta provenienti dalle supreme autorità erano pur sempre indirette approvazioni, di cui egli faceva gran conto.
Tanto e non più potè conseguire in Francia. Al Ministro degli Esteri francese diresse il seguente foglio.
A sua Eccellenza il Ministro degli Esteri, Parigi,
La pia Società detta di S. Francesco di Sales potè già aprire parecchie case in Italia, in Francia, in America collo scopo di raccogliere giovanetti poveri ed abbandonati per istruirli nella scienza e ne' mestieri con avviarli a potersi col tempo guadagnare il pane della vita. Per sostenere le opere cominciate torna indispensabile una novella spedizione di quaranta altri Missionari nell'Uruguay e nella Repubblica Argentina.
L'umile esponente, Superiore di questo istituto, appoggiando tali imprese alla sola carità pubblica, si rivolge eziandio alla E. V. supplicandola a venirgli in aiuto con alcuni passaggi marittimi, che la generosità del Governo Francese suole concedere per coloro, che consacrano la vita a pro dei loro simile nelle missioni straniere. Questi Missionari dimorano nell'Ospizio nominato Patronage de S. Pierre nella città di Nizza Marittima.
Oso notare che il favore sarebbe anche più grande, se fosse concesso sulla società dei trasporti marittimi di Marsiglia, oppure presso altra società cui tornasse di maggior gradimento alla E. V.
Assicuro la E. V. che prego Dio a colmarla di eletti favori e a rendere felice la Francia, mentre ho l'alto onore di potermi professare con profonda gratitudine
Ma il legale capitolato di appalto con le società di navigazione portava la clausola tassativa che il benefizio dei passaggi [308] gratuiti per i missionari fosse riservato esclusivamente a religiosi di nazionalità francese[147].
Con egual esito un mese innanzi aveva fatto istanza per sussidi presso il Consiglio centrale della Propagazione della Fede, come abbiamo detto altra volta[148]. Nè dimenticò il Cardinale Prefetto di Propaganda; infatti spedì al cardinal Randi questa supplica.
La missione dei Salesiani nell'America del Sud, cominciata sotto gli auspizii di V. E. due anni sono, fu benedetta dal Signore, ed ora conta già cinque Chiese aperte al divin culto, più un collegio o piccolo seminario a Villa Colón nell'Uruguay: altro a S. Nicolás de los Arroyos, più un ospizio pei fanciulli più abbandonati in Buenos Aires. In queste case sono già raccolti più centinaia di allievi, di cui non pochi manifestarono vocazione allo stato ecclesiastico, chiedendo di farsi missionarii, e di recarsi in mezzo agli Indi. Furono già date varie missioni nelle colonie più vicine ai selvaggi, ed ora si tratterebbe di aprire tre istituti. Uno al Rio Colorado vicino ai Pampas, altro a Carmen sul Rio Negro tra i Pampas e la Patagonia, il terzo a Santa Cruz, punto estremo della Patagonia sullo stretto di Magellano. Per sostenere le opere incominciate, rimpiazzare alcuni Salesiani da Dio chiamati alla vita eterna, ed impiantare le tre case summentovate io mi trovo nella necessità di fare una spedizione non minore di 40 missionarii che sono già preparati.
Ma oppresso dalle spese sostenute anteriormente e da quelle che dovrei in questa occasione sostenere, ricorro umilmente alla E. V. supplicandola a volermi venire in aiuto, anche per questa sola volta per fornire il corredo ai missionarii, provvederli di libri spagnuoli, fare le spese di viaggio e simili. È una spedizione numerosa, ma indispensabile, ed ho fiducia che entro brevissimo tempo, avremo i selvaggi che saranno evangelizzati dai medesimi selvaggi.
So che ci sono difficoltà per ottenere tale sussidio, ma so eziandio che una parola di V. E. appiana ogni ostacolo che vi si possa incontrare.
Assicuro V. E. che la nostra Congregazione sarà sempre ai suoi cenni, e faremo quanto potremo per la maggior gloria di Dio e del progresso delle missioni cattoliche; ma ho assoluto bisogno che la sua carità mi aiuti materialmente e moralmente. [309]
Pieno di confidenza nella sua bontà, reputo il più grande onore di potermi professare col più profondo ossequio e dichiararmi
Al medesimo Cardinale scrisse nuovamente e più a lungo per ottenere quella benedetta approvazione pontificia, che era condizione indispensabile, perchè l'Opera della Propagazione della Fede potesse comprendere anche la Patagonia fra le Missioni regolarmente da essa sussidiate.
Sono due anni da che sotto gli auspizii di V. E. e colla benedizione del S. Padre, si effettuava la Iª spedizione di Salesiani nella Repubblica dell'Uruguay e nella Repubblica Argentina. Un anno dopo se ne compieva un'altra ancor più numerosa. Loro scopo era di stabilire Collegi o Seminari nei paesi più vicini ai selvaggi, e così per mezzo degli allievi farsi strada tra i Pampas e tra i Patagoni. Dio benedisse i nostri deboli sforzi, e cinque Chiese furono già aperte al divin culto, a vantaggio dei fedeli: un piccolo Seminario in Villa Colòn presso Montevideo, capitale dell'Uruguay, ed il Santo Padre dimostrò gradimento che quel Collegio fosse chiamato coi suo venerando nome; altro Collegio fu aperto nella città di S. Nicolás de los Arroyos, il cui territorio confina cogli Indi; il terzo è un ospizio in Buenos Ayres pei poveri fanciulli specialmente selvaggi. Queste tre case sono piene di allievi, la disciplina e la moralità danno piena soddisfazione e già si manifestano parecchie vocazioni allo stato ecclesiastico. Quindi coll'autorizzazione di V. E. e coll'approvazione del Vescovo di Buenos Ayres si è aperto in questa medesima città una casa di studio o di Noviziato in cui preparare gli allievi per le missioni.
In questi due anni i Salesiani diedero missioni nelle vicinanze dei Selvaggi, e si ottennero buoni risultati, sia: nelle Colonie che da più anni non vedevano più il prete cattolico, sia fra gli stessi indigeni che di buon grado venivano ad ascoltare la parola del Vangelo. Fatta questa prima prova, dovevasi divenire alla seconda, studiare cioè un mezzo con cui potersi avanzare di fatto tra i selvaggi. Dopo aver conferito più volte con Mons. Aneyros Arcivescovo di Buenos Aires, si convenne essere cosa indispensabile attivare delle missioni tostamente sopra alcuni punti più limitrofi ai selvaggi. Da molte parti si potrebbe cominciare; gli stessi Cacichi si mostrarono ora benevoli, e chiedono missionari, ma i siti che presentano più speranza fondata, [310] e che sono giudicati meno pericolosi sono quelli di S. Cruz e del Caruhuè. Il Caruhuè è un punto dove avvi una nascente popolazione con guarnigione di soldati, costrutto nel 1875 sulla frontiera nuovamente eretta dalla Repubblica di Buenos Aires allo scopo di tener lontani i selvaggi Pampas che sotto apparenza di commercio fanno continue escursioni d'esterminio sugli Argentini. Dalla parte d'occidente è questa la parte più avanzata in mezzo agli Indi posta com'è ai gradi 37 e 20 di latitudine meridionale, ed ai gradi 5 di longitudine occidentale dal meridiano di Buenos Aires. Santa Cruz è una piccola colonia sulla punta estrema della Patagonia sullo stretto di Magellano al grado 50 di latitudine. È questo un sito di commercio dove i Patagoni sogliono radunarsi per iscambiare alcuni loro prodotti coi forestieri e ricevere invece commestibili e bibite che da quei selvaggi sono di preferenza ricercate. Un ospizio, una casa di Missione iniziata in questi due luoghi sembrano opportunissimi, sia per conservare la fede in quelli che l'avessero già ricevuta, sia per mettersi in relazione cogli indigeni, ricoverare ed educare i loro figli e così avanzarsi sulle terre da loro abitate.
È vero che sono gravi le spese sostenute e quelle che si devono sostenere al presente. Si tratta della spedizione di 40 novelli missionarii, per unirsi ai loro compagni e lavorare nella messe, che ognor più copiosa si presenta in quella vasta parte del campo evangelico. Tuttavia si spera che la pietà dei fedeli non verrà meno.
La stessa opera della Propagazione della Fede è disposta dì venirci in aiuto, ma, come di ragione, desidera che queste missioni siano approvate dalla S. Sede siccome sta notato nella lettera del Presidente del Consiglio Centrale di Lione che unisco originalmente.
Pertanto ad unico fine di promuovere la maggior gloria di Dio ed adoperare le deboli forze di questa Congregazione a dilatare il regno di G. C. supplico umilmente la E. V. a voler donare la sanzione a queste due Missioni da affidarsi ai Salesiani in capo al Teol. Gio. Cagliero. Esso ha fondato le nostre case di America, aprì 5 chiese al divin culto in quei siti, ha studiate e visitate le località di cui si tratta. In questa guisa saranno fondate due missioni, che benedette dal Signore e protette dalla S. Sede fanno sperare un lieto avvenire pei selvaggi Pampas e Patagoni. Mentre però io rimetto ogni cosa nelle mani dell'illuminata prudenza e sapienza dell'Em. V., mi raccomando quanto so e posso di aiutarmi coll'opera e col consiglio ad appianare quelle difficoltà che in questa pratica si potranno incontrare.
Con profonda gratitudine e col massimo rispetto ho l'alto onore di potermi professare.
Il Cardinale ricevette regolarmente entrambe le lettere; ma, trasmessa la prima alla Segreteria degli affari ecclesiastici straordinari, da cui l'America meridionale dipendeva, stimò che di là avrebbero risposto e non riscontrò la lettera di Don Bosco; avuta poi la seconda e rimessala a quella stessa Segreteria, avvisò il Beato che là si rivolgesse “per tutte quelle disposizioni che potessero essere adottate in argomento”[149]. Ma quando ricevette questa tardiva comunicazione, i Missionari stavano già per toccare il suolo americano; onde, sebbene vessato in più guise a Torino e obbligato a parare continui assalti, si applicò a stendere il “Progetto” di una Prefettura e di un Vicariato apostolico nella Patagonia, inviandolo al medesimo Prefetto di Propaganda. Ne riparleremo a suo tempo.
Era dunque una serie di disdette. Ma la più acerba di tutte gli venne questa volta dal Papa. Aveva egli pregato il cardinal Bilio d'implorargli dal Santo Padre qualche sussidio per la nuova Spedizione; ora immagini chi può come dovette restare al leggere queste righe.
Al ritorno dalla visita pastorale della Diocesi, trovai la pregiatissima sua lettera del 27 ottobre p. p. che mi attendeva. Nella prima udienza che ebbi l'altro ieri dal S. Padre, gli parlai di una nuova spedizione di quaranta Missionari Salesiani in America e della grande urgente necessità di qualche sussidio, massime per le spese del viaggio. Mi dispiace di doverle significare che il S. Padre non mi parve così ben disposto come l'anno scorso. I motivi di ciò, se non ho mal inteso, sono principalmente due: 1° L'affare dei Concettini; 2° L'abbracciar ch'Ella fa troppe cose insieme.
Mi studiai di togliere dall'animo del Papa ogni men favorevole impressione verso di Lei. Non so se io ci sia riuscito; ma è certo che una sua corsa a Roma in questi momenti sarebbe a tal uopo utilissima, se non anche necessaria.
Dal canto mio, non dubiti, ch'io l'aiuterò secondo la mia possibilità quavis data occasione, non solo per l'affettuosa stima che Le porto, ma anche a titolo di riconoscenza per il bene che i suoi buoni Salesiani [312] fanno a Magliano, bene che io non ho mancato di recare a notizia di S. Santità.
Aspettando di poterle discorrere più esplicitamente a viva voce, mi raccomando intanto alle sue sante orazioni, e di vero cuore mi raffermo
L'affare dei Concettini che dopo aver procurato a Don Bosco tanti fastidi, finì nel modo che sappiamo, naufragò non certo per colpa sua: gli accorti lettori l'avranno intuito, ma, il Papa non ebbe sentore delle occulte manovre. Quanto all'abbracciare molte cose insieme, sì, guardata da lontano, la molta intraprendenza di Don Bosco poteva impressionare; ma è anche vero che egli a nulla si accingeva senza i consigli di un'oculata prudenza, nè d'altra parte, se si toglie l'affare dei Concettini andato a male non per difetto suo, nessuna impresa da lui abbracciata in quel tempo gli fallì. “Men favorevole impressione” era penetrata purtroppo nell'animo del Papa; ma il seguito della nostra storia farà la luce sulle influenze che agirono allora ai danni del Servo di Dio. Qui ci limiteremo a narrare un fatto. In quella seconda metà del '77 Pio IX aveva scritto tre lettere a Don Bosco, dal quale gli si era prontamente risposto; ma le risposte non giunsero mai al Papa, perchè venivano intercettate da persone residenti in Vaticano. Del creduto silenzio di Don Bosco il Papa sulle prime si stupì; poi suppose che il suo strafare gli fosse causa di passar sopra anche ad alti doveri; infine se ne lamentava dicendo: - Che cosa ho fatto io a Don Bosco, che non si degna neppure di rispondermi? Non ho fatto per lui tutto quello che ho potuto? - Anche col cardinal Bilio sfogò una volta il suo dispiacere, esclamando: - Che cosa ho fatto io di male a Don Bosco, che non mi risponde? - Il Cardinale non trovava parole per discolpare il Servo di Dio quanto il suo affetto gli suggeriva; recatosi poi Don Cagliero a Roma [313] coi Missionari, gli spiegò chiaramente anche tutto questo, che nella sua lettera a Don Bosco aveva velatamente accennato. Don Cagliero che sapeva come Don Bosco a tutt'e tre le lettere avesse risposto con la massima premura e fosse molto sorpreso di non ricevere mai riscontro, lo rassicurò a pieno. Al Porporato non sembrò vero di avere in mano con che dissipare i dubbi del Papa, e Pio IX, uditolo, alzò gli occhi al cielo esclamando: - Pazienza! - Tuttavia il cardinal Bilio riportò l'impressione che il Papa non fosse rimasto ben persuaso. Il Signore permise che all'angelico Pontefice sull'estremo della vita toccassero di quelle croci che sogliono affliggere maggiormente i cuori dei Santi, purificandoli e distaccandoli sempre più dalla terra[150].
Non però da tutte le parti fioccavano a Don Bosco dinieghi. Così un bel giorno sul cadere d'ottobre gli fu notificato che il rappresentante della navigazione francese a Genova aveva ricevuto da Buenos Aires l'ordine per dieci posti di seconda classe da mettersi a disposizione di Don Bosco[151].
Poichè un gruppetto di Missionari doveva salpare da Lisbona, il Servo di Dio scrisse due volte a un sacerdote di quella città, ma senza averne mai risposta. Da ultimo si rivolse direttamente al Patriarca con una lettera in latino, nella quale lo pregava con viva istanza di procurare ai suoi figli una conveniente ospitalità a loro spese nel seminario o altrove[152]; ma anche questo passo dovette rimanere senza effetto, perchè, venuta la partenza, Don Bosco non ne fece motto ad alcuno e i viaggianti non ebbero nemmeno il pensiero di presentarsi all'alto Prelato.
Per la solenne cerimonia dell'addio fu scelto il 7 novembre. Tutto quel giorno Don Bosco tenne attorno a sè quei cari [314] figliuoli, che poterono con ogni agio parlargli in privato e in comune. Ormai non si andava più nell'ignoto. Don Cagliero, che prima di tornare in Italia aveva preparato ai nuovi il loro posto, si era studiato d'iniziarli alla vita che li attendeva. Eravi poi monsignor Ceccarelli, pregato da Don Bosco di fermarsi a Torino per insegnar loro lo spagnuolo e per iscortare una parte dello stuolo. Il distacco tuttavia e la gran distanza non potevano non essere sentiti vivamente da persone vissute vicino a Don Bosco e, tranne poche eccezioni, avvezze alla vita tranquilla del loro vecchio Piemonte.
Trepidavano assai più le buone Figlie di Maria Ausiliatrice; ma il pensiero che Don Costamagna sarebbe stato per loro angelus in via, ne rinfrancava gli spiriti. La sera del 6 novembre Don Lemoyne dispose che nella cappellina di Mornese si facesse una funzione simile a quella dì Torino. Vi convennero parenti e amici delle Missionarie. Dopo il canto dei vespri egli disse parole di saluto e d'incoraggiamento; poi, impartita la benedizione col Venerabile, furono cantate le preci dell'itinerarium. Quindi fra la commozione generale la madre Mazzarello si alza, e alla testa delle sei Suore che la seguono va verso l'uscita, mentre i presenti le salutano più col cuore che con le labbra. Due di esse che sarebbero andate con la Madre a Roma partirono subito per Sampierdarena ad attendervi i Salesiani; le altre quattro ve le raggiunsero il 13, quando le loro compagne erano di ritorno.
Dal pulpito di Maria Ausiliatrice la sera del 7 il Beato Don Bosco parlò così alla moltitudine dei fedeli accorsi.
Nel cominciare questa mia parlata devo avanti di ogni altra cosa ringraziare Iddio e Maria dei grandi benefizi che ci hanno fatti.
La maggior parte di voi si ricorderà che or sono due anni altri coraggiosi Salesiani in questa stessa chiesa prendevano commiato dai loro fratelli, per dirigersi in paesi sconosciuti, senza mezzi, senza sapere che cosa troverebbero. E perciò si era nella maggior inquietudine. Ma giunti in Buenos Aires ed in S. Nicolás trovarono aiuto, trovarono appoggio; le cose prosperarono e fu necessaria un'altra spedizione. Quindi, non fidati nelle nostre deboli forze, ma nell'aiuto [315] di Maria Santissima, fu inviato un secondo drappello nelle lontane Americhe. Andò e aiutò i fratelli. Ed ora una terza spedizione sta per partire ed in buon numero; sta per abbandonare la patria ed i parenti a fine di portare la luce del Vangelo in quelle remote regioni. Questa non si fa per poter dire d'averla fatta, ma sibbene per assoluta necessità di dividere le fatiche con gli altri che la precedettero. Coloro che già lavorano in quelle regioni non bastano, perchè il campo è tanto vasto, e se non vogliamo che soccombano sotto il peso della fatica dobbiamo mandare in loro aiuto altri Missionari. E questa terza missione non sarà l'ultima.
Qui anzi tutto dirò che tutto questo non è opera nostra, eccetto la fatica che deesi sopportare, ma è una vera e grande gloria del Signore che benedice la nostra buona volontà e i nostri disegni. Ora non vi è più quell'agitazione in coloro che partono, e in quelli che rimangono; i pericoli sono diminuiti, la distanza è abbreviata e più non reca turbamento: non abbreviata materialmente, ma essendo già percorsa da altri e coi mezzi di comunicazione e di trasporto che abbiamo si può considerare come una passeggiata, tanto più che un fratello che era partito coi primi, ritornò fra noi dopo avere spianata la via, e procurati gli aiuti per gli altri che verrebbero dopo. Ed un altro fratello che ora ritorna in America, era di là venuto e si fermò con noi qualche tempo.
Ed ora abbiamo qui una nuova scelta di confratelli che vanno in Missione. Sapete che cosa vuol dire la parola missione? essere missionario? Vuol dire essere mandato. Nello stesso modo con cui Gesù Cristo prima di abbandonar questa terra per ascendere in cielo mandava i suoi Apostoli: Ite, ad annunziare la parola di Dio in ogni luogo, e mossi da questa stessa parola i discepoli si fecero udire in tutte le regioni della terra; così con la stessa parola, il Capo visibile della Chiesa, il Vicario di Cristo in terra, manda sacerdoti da una parte e dall'altra per diffondere la luce del vangelo. Ed i nostri Missionari quando saranno a Roma, non andranno dal Santo Padre solo per vederlo, per offrirgli i loro omaggi, per ricevere una benedizione, per cerimonia, per formalità; ma per ricevere quel mandato che Gesù Cristo diede ai suoi Apostoli: Ite in mundum universum, praedicate evangelium omni creaturae. Andate, fate del bene; andate pure là dove siete indirizzati. Ed essi con questa benedizione se ne vanno tra le tribù selvagge e mutatele in mansuete gregge le conducono all'ovile di Gesù Cristo. In omnem terram exivit sonus eorum et in fines orbis terrae verba eorum.
Ma i Missionari bisogna che siano preparati ad ogni evento, anche a far sacrifizio della vita per predicare l'evangelio di Dio. Finora però i Salesiani non ebbero a portare gravi sacrifizi propriamente detti o vessazioni, se si vuole eccettuare D. Baccino che morì: e dicono quelli che lo osservarono, essere egli morto vittima sotto il peso delle fa - [316] tiche nel campo evangelico, o come si direbbe in altro modo, martire di carità e di sacrifizio pel bene altrui. Ma anzi che aver fatto una perdita in quel laborioso missionario, noi abbiamo fatto un acquisto, poichè in questo momento egli è nostro protettore in cielo.
I sudori dei nostri fratelli vennero benedetti da Dio. Avevamo già aperte case, ospizi, oratori e parrocchie in varii punti dell'America del Sud. In Buenos Aires specialmente si era fondato un grande ospizio per ricoverare i giovani poveri ed abbandonati. Ma vi sono anche delle ragazze più bisognose ancora, povere, abbandonate, che non conoscono pur se stesse, senza nessuno che le istruisca, che pensi per loro. Bisognava provvedervi. Ed appunto per la prima volta adesso le suore di Maria Ausiliatrice, in numero di sei, anch'esse abbandonano e casa e parenti e tutto per correre dove le chiama il bisogno. Là apriranno scuole, faranno il catechismo: faranno insomma del bene a quelle povere figlie abbandonate. E questo è un altro passo fatto.
Debbo qui notare una cosa: anche i protestanti mandano e vanno nelle loro così dette missioni, ma quale diversità tra le nostre e le loro missioni, tra il missionario protestante ed il missionario cattolico! Non ho tempo di farvi vedere particolareggiata questa differenza, ma ve la noterò solo. I protestanti vanno in missioni, sì, ma da chi sono mandati? Dalla regina d'Inghilterra, da imperatori, da re, da principi. I Missionari cattolici da chi ricevono la missione? Da Gesù Cristo rappresentato dal suo Vicario, il Sommo Pontefice. La regina d'Inghilterra o l'imperatore di Russia o di Prussia mandano forse in nome di Gesù Cristo? Eh no, essi non sono sacerdoti, nè succedono per una serie non interrotta agli Apostoli di Gesù Cristo. Essi sono mandati da uomini, hanno una missione umana che in generale non ha altro scopo che la politica e la guerra alla vera Chiesa. Non è Gesù Cristo che li manda. I ministri protestanti prima di partire, osservano se lo stipendio è abbastanza grasso: Eh? quanto mi danno? Se mi danno tanto, bene, vado; altrimenti non ci vado. E vi è poi buon alloggio? E il vitto e il vestito è largamente provveduto? - Poi cercano se vi hanno mezzi di sussistenza per i figli e per la moglie e partendo conducono con sè un mondo di cose, perchè vogliono ogni comodità ed agiatezza. Fa così il missionario cattolico? Niente di tutto questo! Dà l'addio ai parenti ed ai confratelli e parte tenendo per sola sua ricchezza ed appoggio Iddio e null'altro; e va dove l'obbedienza comanda, dove più vi è bisogno dell'opera sua, senza pensare dove, come, e quando troverebbe i mezzi da vivere.
I protestanti vanno solamente ove siano possibili tutti i conforti della vita, e se non vi fossero, se li procurano in ogni modo, calcolano i vantaggi temporali che potranno ricavare da quelle missioni e ricusano di andare incontro ai pericoli, e se talora la necessità o l'onore li costringe, vi vanno bene armati. I nostri invece non badano ad incomodi e sacrifizi, vanno dove sono mandati senza badare a [317] stenti e a pericoli; e quando loro toccasse soffrire anche la lame e la sete, sanno sopportare le privazioni con ammirabile pazienza. - Iddio, essi dicono, mi manda a predicare il suo vangelo, ed io lo predicherò a costo della mia vita. Del rimanente non mi preoccupo e non mi curo. - Questi vanno per guadagnare anime a Gesù Cristo, quelli vanno per far danaro ed arricchire sè, le mogli, i figliuoli e per rendere onorevole secondo il mondo la propria casa. Mentre le missioni protestanti sono un impiego lucroso, le missioni cattoliche sono un ufficio nobile, utile alla società umana, necessario alla vita eterna, un ufficio celeste, divino.
Chi ricopia in sè la vita del divin maestro, l'amore alle anime, le fatiche per salvarle? Il missionario protestante, o il missionario cattolico?
Ed ora lasciate che io rivolga una parola ai miei figli che partono. Ma che cosa debbo dire a questi cari confratelli che stanno per abbandonarmi, per andare, coraggiosi, nel campo del Signore? Voglio darvi i medesimi consigli, i medesimi avvisi che ho dati a coloro che sono partiti per i primi. Furono stampati e voi avrete comodità di leggerli e di studiarli. Un'altra cosa che vi raccomanderei anche tanto, sono le regole della nostra Congregazione. Prendete quel libro, studiatelo a memoria: quelle regole abbiatele sempre con voi e siano la norma del vostro operare.
Ora andate a Roma. Presentatevi al Santo Padre, come se fosse lo stesso Gesù Cristo in persona. Andrete poscia in America. Giunti colà, ringraziate tutti coloro che ci fecero del bene. Dite loro che qui in questa chiesa si prega per loro; dite loro che continuino le loro beneficenze, assicurandoli che il bene che voi farete, sarà anche tesoro di chi vi aiutò.
Notate, che avete laggiù dei ferventi cristiani che vi aspettano e vi sospirano; avete colà dei confratelli già stabiliti che vi preparano i locali destinati alla vostra abitazione; vi sono altri giovani che vi ascolteranno volentieri, ed essi stessi sono impazienti di vedervi e di abbracciarvi. Questi pensieri sono quelli che vi debbono animare. Ricevetti oggi una lettera che mi annunziava come in quelle parti si svilupparono molte vocazioni religiose e che molti domandarono di farsi Salesiani, vi aspetta adunque una messe copiosa e troverete molte consolazioni che vi faranno dimenticar le fatiche.
Ecco quello che io aveva in animo di dirvi.
Partite con coraggio. Potrà darsi che voi ritorniate a rivedere ancora questa stessa casa, il vostro paese, i parenti e gli amici; ma non è questo il pensiero che vi deve guidare. A nient'altro voi dovete anelare, se non a guadagnare anime a Dio, confortati da quelle consolanti parole: Animam salvasti, animam tuam praedestinasti. Io vi raccomando che preghiate per noi e noi pregheremo per voi perchè Iddio benedica il vostro lavoro. [318] Facendo voi quanto potete colla grazia di Dio, per le nostre preghiere, e per l'Aiuto di Maria Ausiliatrice, unendo tutti insieme i nostri sforzi, formeremo un cuor solo ed un'anima sola qui in terra, e potremo guadagnar anime al cielo per condurle con noi all'eterno trionfo. Ci rivedremo ancora qui in terra? Vi sarà qualcuno che più non ritornerà a riveder queste mura? Ebbene... là... sì... in cielo sarà il vero ritorno... là ci potremo riposare dalle nostre fatiche, là potremo godere la vera consolazione... Là ci rivedremo nel gaudio ineffabile in mezzo a tanti confratelli e alle molte anime da voi salvate... Là saremo eternamente beati lodando e benedicendo il Signore.
Capitanato da Don Cagliero, il drappello si mise in viaggio per Roma. Poco dopo il mezzogiorno del 9 Salesiani e Suore ebbero la dolce consolazione di vedere e di udire il Papa, il grande Pio IX. Stavano allineati nelle gallerie di Raffaello, quando giunse il Santo Padre con gli Eminentissimi Bilio, Pacca e Ledokowski. Don Cagliero, invitato a fare le presentazioni, disse: - Ecco, Santo Padre, la terza spedizione dei Missionari Salesiani, i quali vanno a raggiungere i loro confratelli nel campo delle nostre Missioni Americane. Vi sono pure le Figlie di Maria Ausiliatrice, che salpano anch'esse per la repubblica dell'Uruguay a fondarvi la prima loro casa per le povere fanciulle abbandonate. Siamo venuti a domandare la vostra apostolica benedizione, che non solo ci fu di conforto, ma che sperimentammo prodigiosa durante due anni passati nell'Argentina e nell'Uruguay. - Il Santo Padre rispose: - Si, cari figliuoli miei, vi benedico ben di cuore. Quindi, dato uno sguardo alla lunga fila, chiese: - Don Bosco dove prende tutta questa gente?
- Santità, gliela manda la divina Provvidenza.
- Ah, sì, la Provvidenza! Dite bene! Ella può tutto; confidiamo sempre in lei.
Don Cagliero umiliò a Sua Santità una relazione manoscritta sullo stato delle Missioni Salesiane in America, una copia dell'opuscolo stampato in occasione dell'inaugurazione del Patronato di San Pietro a Nizza Marittima e una copia dell'altro sull'Opera dei Figli di Maria per le vocazioni tardive [319] allo stato ecclesiastico. Qui il Papa, dando segno di speciale interessamento: - Ah! esclamò, le vocazioni allo stato ecclesiastico! Bene, bene! Indi li ammise tutti al bacio della mano; dopo di che, postosi loro di fronte, con voce ferma e robusta, nonostante i suoi 85 anni, tenne questo discorso: - Cari figli, ora spetta a me darvi un qualche ricordo che vi sia di conforto nell'avvenire. Ebbene, vi manifesterò un pensiero, che stamane mi si affacciò alla mente durante la santa Messa. Nell’introito della santa Messa che oggi abbiamo celebrato, della dedicazione della principal chiesa di questa nostra Roma, io leggeva alcune parole, che a prima vista fan meraviglia, e sono: Terribilis est locus iste. Come? interrogai me stesso. La chiesa è un luogo terribile, mentre è luogo dove noi veniamo a deporre le nostre amarezze, ad elevare la mente e il cuore nostro, a Dio, a domandargli aiuto nelle nostre afflizioni e necessità? E risposi a me stesso: Sì, la chiesa è terribile, ma solo per certuni. Dovete sapere, o cari figli, che vi sono degli uomini, che pur son figli della Chiesa, i quali sono cattivi assai assai. Costoro altro non fanno che affliggere e far piangere questa Chiesa, e se vengono nel luogo sacro, vi vengono solo per portarvi la desolazione ed aumentare gli affanni a questa povera Madre. Ora è con costoro appunto che la Chiesa diventa terribile, è a costoro che la Chiesa, santamente sdegnata, manda terribili castighi e pene, come vediamo tuttodì. Per altra parte la Chiesa non è terribile, ma benigna e dolce con coloro tutti che la amano, ne osservano i santi precetti e le sono devoti. Sta quindi a voi, o cari figli, il fare che questa Chiesa cessi di essere terribile. Voi, armandovi di grande zelo, farete che cessi il peccato, scompaia l'iniquità dalla faccia della terra; insomma voi, santificandovi nella vostra Congregazione, santificherete le genti che vivono in quelle remote regioni, ed allora vedrete questa Chiesa tornare lieta, benigna e pietosissima Madre e compartire a tutti gioie e benedizioni. - Riepilogato poi il suo pensiero, che è riferito qui per sommi capi, quale si [320] legge ne L'Unità Cattolica del 16 novembre, conchiuse: Amate, miei cari figli, la Chiesa, difendetene l'onore, fatela amare dai popoli: ecco il ricordo che vi dà in questo momento solenne il Vicario di Gesù Cristo. Infine annunziò e diede una larga benedizione.
Dopo permise ancora ai Missionari di avvicinarsi e di ribaciargli il sacro anello. Quando fu la volta di Don Vespignani, Don Cagliero disse: - Questo giovane sacerdote non ha ancora la facoltà di confessare. Prego Vostra Santità che voglia concedergli di poter esercitare il sacro ministero, finchè giunga a Buenos Aires. - Il Papa gli disse: - Confessate, confessate. Io vi dò ora tutte le facoltà. Quando poi sarete a Buenos Aires, vi presenterete a quell'Arcivescovo, ed egli vi concederà stabilmente le licenze canoniche. - Il medesimo Don Vespignani scrive: “Uscimmo dall'udienza con l'anima ripiena d'ineffabili sentimenti e benedicendo Iddio. Ci sembrava di discendere dal Tabor, d'aver visto il Signore e di avergli parlato a tu per tu come Mosè ed Elia”[153].
Nei giorni seguenti uno di loro, il chierico Carlo Pane, cadde infermo. Mentre visitavano le Catacombe di san Callisto, lo prese la febbre. La prima ad accorgersene dai brividi fu la Madre Mazzarello, che, levatosi lo scialle e accostatasi a lui, lo pregò riverentemente, ma fermamente di porselo sulle spalle. Il poveretto si schermì un po', ma le insistenze della Madre e il freddo per le ossa lo costrinsero ad accettare. Stette dai Fatebenefratelli, finchè le sue condizioni gli permisero di affrontare il viaggio per Sampierdarena; ma i suoi compagni non c'erano più: dovette aver pazienza e attendere un'altra spedizione.
Don Bosco il 13 li aspettava a Genova. Dolente del caso toccato al chierico: - State attenti, disse loro, a non perdere più nessuno per istrada! - Essi lo circondarono affettuosamente, gli raccontavano con entusiasmo l'udienza del Papa, [321] gliene rifacevano a gara il discorso, nè finivano più di dirgli le loro impressioni romane. E il buon Padre ad ascoltarli con bontà e a trarre da tutto utili riflessi, mostrando di condividere la loro gioia.
A Sampierdarena Don Vespignani non vedeva il momento di trovarsi a quattr'occhi con Don Bosco. Quella licenza di confessare, cascatagli così da alto e così d'improvviso, lo teneva soprapensiero. Non già che gli mancasse la preparazione: aveva fatto regolarmente i suoi corsi di morale nella sua terra nativa e aveva assistito alle conferenze bisettimanali del teologo Ascanio Savio nell'Oratorio; ma sul punto di esercitare il sacro ministero esitava. Si era dovuto ricorrere a quel colpo di audacia, perchè a Torino sarebbe stato inutile ogni tentativo di ottenere la regolare patente o facoltà di confessare. Solo in confessione egli potè aprire a Don Bosco i suoi timori che erano tre: uno sulla direzione delle anime, l'altro sul modo di sradicare dai giovani gli abiti cattivi e il terzo sulle cose de sexto per le persone maggiori. Il Beato lo ascoltò con la massima calma, mostrò di prendere in seria considerazione le sue difficoltà e poi si fece a scioglierle a una a una. Per la direzione spirituale, gli richiamò il testo: Quaerite primum regnum Dei et iustitiam eius et haec omnia adicientur vobis. - Cerchiamo, disse, di fondar bene nelle anime il regno della giustizia di Dio, guidandole per il cammino della grazia, cioè nell'esercizio di tutte le virtù cristiane e con il mezzo della preghiera: ecco i due punti importanti. Il resto poi, cioè il risolvere casi speciali e il dare consigli secondo lo stato di ciascuno, verrà per giunta, verrà da sè. - Per le confessioni dei giovani circa quel punto delicato gli suggerì d'insistere sulla frequenza dei sacramenti e sul ricordo delle massime eterne, non cessando mai di ripetere il vigilate et orate e d'incoraggiare alla divozione del Sacro Cuore di Gesù e di Maria Ausiliatrice. L'ultima cosa, per coloro che avevano ricevuto il sacramento del Matrimonio, si rendeva piana col ricordare i tre punti del catechismo romano, cioè il bonum fidei, il [322] bonum prolis, il bonum sacramenti e col raccomandare insistentemente di vivere da buoni cristiani.
Anche le suore non si staccavano dalla loro Madre Generale. Don Bosco pensava pure ad esse. La sera dei 13 Don Cagliero si presenta là con un bel dipinto di Maria Ausiliatrice su tela. - L'ho rubato nella sacrestia di Valdocco, disse scherzevolmente, e l'ho rubato per voi. Quel quadro aveva una storia. Il pittore, in serio pericolo di perdere la vista, era ricorso a Don Bosco. Don Bosco lo benedisse, ed egli guarì perfettamente, fece quella pittura e la donò al Beato. - È dunque il quadro del miracolo, conchiuse Don Cagliero. Don Bosco l'ha benedetto ed ora ve lo manda, perchè lo portiate con voi.
La partenza si doveva eseguire da tre porti e in tre tempi. Il gruppo maggiore sarebbe partito il 14 da Genova, un gruppo minore da Lisbona il 29 e due confratelli isolatamente da Le Havre fra i primi e i secondi. Il grosso dunque della carovana s'imbarcò sul Savoie con alla testa Don Costamagna; le suore li seguirono. Don Bosco per la terza volta salì a bordo di quel piroscafo, dove per la terza volta si rinnovò la scena del commiato con le ultime parole e l'ultima benedizione. Scrive Don Albera[154]: “ Fui varie volte in sua compagnia quando sul bastimento dava l'addio ai suoi missionari, e fu in quei preziosi istanti che potei aver la miglior prova della sua viva fede e del suo ardentissimo zelo. A questo egli diceva: - Spero che tu salverai molte anime, - A quell'altro suggeriva all'orecchio: - Avrai molto da soffrire; ma ricordati che il paradiso sarà il tuo premio. - A chi avrebbe dovuto assumere la direzione di parrocchie, raccomandava di prendere cura speciale dei fanciulli, dei poveri e degli ammalati ”. Poi ecco Salesiani e Suore ginocchioni sulla tolda e singhiozzanti e il Servo di Dio in piedi davanti a loro e benedicente.
La commozione agitava pure fortemente il suo cuore [323] paterno. Quasi per distrarlo Don Cagliero e Don Albera gli additarono la barca che sotto li attendeva. Discese. Vi presero posto in disparte anche Madre Mazzarello e un'altra suora. Trovavasi insieme Don Vespignani della seconda schiera, ma da Don Bosco chiamato seco nel venire alla nave. Un accidente provvidenziale temperò in Don Bosco il commovimento causatogli dal vedere i partenti, che si protendevano dal vapore e si sforzavano di far giungere al suo orecchio le ultime voci di addio: un buffo di vento gli portò via dal capo il nicchio. Quell'altra suora, che osservava le mosse del buon Padre, fu pronta a ghermirlo in acqua traendolo tutto grondante e intriso, mentre un bravo Cooperatore per ripararlo gli piantò in testa il suo cilindro... Don Bosco lasciò fare, sorridendo e ringraziando e portava con cert'aria di umoristica gravità quel copricapo, che a dir vero gli dava un aspetto abbastanza comico. Tutt'a un tratto con indescrivibile serenità e dolcezza guarda di sotto alla tesa Don Vespignani seduto di fronte e gli dice: - Lei pensa alla mamma... Ebbene, adesso alla mamma penso io. No, signor Don Bosco, rispose Don Vespignani, tocco vivamente da tanta delicatezza; questo pensiero non mi preoccupa troppo. Mia madre si rassegna presto, quando si tratta della volontà di Dio. - Don Bosco non fu mai l'uomo del dire e non fare. Passarono ventidue anni da quel giorno, e al figlio Don Giuseppe reduce dall'America la madre diede a leggere una letterina, che diceva testualmente così: “ signora Vespignani, Don Giuseppe parte e Don Giovanni resta in suo luogo presso di Lei. Ne è contenta? Egli va in America per salvare delle anime e per assicurare la salvezza dell'anima propria e di tutti i suoi cari. È a Lisbona e il mare è tranquillo e Maria Ausiliatrice lo copre col suo manto. Stia dunque allegra nel Signore e mi creda suo amico in Gesù Cristo Sac. Giov. Bosco”[155]. [324]
Il Savoie toccò Marsiglia. I nostri viaggiatori profittarono della sosta per scendere a terra e andar ad ossequiare il parroco Guiol, che li accolse a braccia aperte, e alla vista del loro bel gruppo esclamò: - Quando verrà anche a stabilirsi qui una schiera numerosa di Salesiani? Marsiglia è prima dell'America. Io li voglio fin da quest'anno. - Tocchi da tanta amabilità, i Missionari ne scrissero a Don Bosco in termini di affettuosa riconoscenza[156]. Il Servo di Dio non dimenticherà queste cortesie del benemerito abate.
Il gruppo minore dei Missionari lasciò Sampierdarena due giorni dopo gli altri; lo scortava monsignor Ceccarelli, che, ritardata la partenza col consenso del suo Ordinario, faceva ora ritorno nell'Argentina. Non abbiamo ancora detto perchè egli vivesse nell'America. Nato a Mantova e compiuti i suoi studi a Roma, vi si era appena laureato in teologia e in diritto canonico, quando morì colà durante il Concilio Vaticano monsignor Escalada, predecessore di monsignor Aneyros. Il giovane sacerdote si offerse allora per accompagnarne la salma a Buenos Aires, prezioso servizio che la Curia Bonaerense compensò, affidando al Ceccarelli la parrocchia di S. Nicolás de los Arroyos, una delle più importanti dell'archidiocesi. Il resto è noto.
Quand'egli, di ritorno dalla sua città nativa, arrivò a Sampierdarena, il Beato era già a Torino; ma per lui aveva lasciato una lettera, scritta forse in latino, come usava fare talvolta per piacevolezza e in segno di confidenza, massime se voleva dare qualche buon consiglio. Questa probabilmente è la ragione per cui Monsignore gli rispose in latino. La sua lettera è un documento dell'affezione e della stima che Don Bosco sapeva cattivarsi da quanti praticavano con lui un po' a lungo e nell'intimità. Don Bosco quanto più si conosceva da vicino, tanto più si faceva voler bene e stimare. N è sembra che egli con la libertà dei Santi risparmiasse al benemerito [325] Cooperatore Salesiano qualche paterno ammonimento per il bene dell'anima sua. Tanto si legge fra le righe della risposta; era questa una forma di carità spirituale con cui il Servo di Dio soleva ricambiare i benefizi ricevuti[157].
Il drappelletto di monsignor Ceccarelli si doveva imbarcare sul vapore Miño della Valigia reale inglese, che toccava Lisbona; quindi sembrò opportuno andare per terra fino a Marsiglia e là prendere un piroscafo che navigasse alla capitale del Portogallo. Ma la brevità del tempo e il timore di dover aspettare troppo la comodità di quel passaggio, consigliarono loro di percorrere in ferrovia, dopo breve sosta a Marsiglia, lo spazio che li separava dal porto ulissiponese. Fra peripezie che non è qui il luogo di narrare e dopo una buona settimana di viaggio toccarono felicemente la meta.
Desiderosi di soddisfare la santa curiosità dei lettori che bramano conoscere tutto quanto emanò direttamente dal nostro Beato Padre, apriremo qui una breve parentesi per inserire cinque sue lettere datate allora da Sampierdarena. Le tre prime furono recapitate per mano dei Missionari.
Don Fagnano dirigeva il collegio di S. Nicolás e le opere annesse. Qui Don Bosco ha dinanzi al pensiero specialmente una lettera scritta da Don Fagnano il 2 marzo su certi progetti riguardanti la maniera di cominciare la penetrazione in Patagonia. Nella stessa lettera gli aveva detto sull'argomento degli aiuti pecuniari: “In questo semestre non potrò mandare qualche cosa all'Oratorio; ma spero nel secondo di concorrere col nostro obolo alla educazione di tanti orfani”.
Ho ricevuto le tue lettere; ma perchè non sei venuto anche tu agli esercizi di Lanzo? Temevi la mancanza di posto? Spero li farai [326] un po' più lunghi altro anno. Ho esaminato quanto mi hai scritto in diverse rate. Quando il locale sia preparato, le monache partiranno.
Questa nuova spedizione ci stancò di gambe e di borsa. Spero che tu pure, sarai provveduto, e se ti manca qualcuno, dimandalo e procureremo d'inviarlo. Tutte le cose chieste vennero provvedute e le riceverai coi novelli confratelli. Ma se puoi, mandami dei quattrini. Ritieni che il S. Padre vagheggia sempre la Patagonia e probabilmente sarai scelto a farne l'esperimento, se D. Cagliero tarda il suo ritorno in America. Farò in modo di scrivere qualche cosa, secondo la traccia che mi hai dato per ciascuno. Ma tu ricorda sempre a tutti i nostri Salesiani il monogramma da noi adottato: Labor et temperantia. Sono due armi con cui noi riusciremo a vincere tutti e tutto.
Delle notizie ne avrai personalmente dai confratelli che giungono.
Dirò solo che venendo in Europa troverai una casa Salesiana a Marsiglia, a Tolone, Navarra, Cannes, Nizza, Ventimiglia, Spezia, Lucca, Magliano Sabino, Albano, Ariccia, ecc.
Fa' a tutti i miei più affettuosi saluti; io vi raccomando ogni giorno nella Santa Messa; voi pure pregate per me.
La grazia di N. S. G. C. sia con tutti voi, coi nostri cari giovanetti e ci tenga saldi per la via del cielo. Amen.
Sampierdarena, 14 novembre 1877.
Don Tomatis in quei primordi andava soggetto a scoraggiamenti. Il Beato Padre usa qui espressioni atte a fargli animo e a infondergli confidenza. Questa confidenza filiale era una leva potente nelle mani di Don Bosco per muovere al bene e alle opere di zelo i suoi.
Qualche linea anche a te tornerà certamente gradita, essendo scritta dal vero amico dell'anima tua. Le notizie nostre ti saranno date in abbondanza dai nostri Confratelli che giungono, e da Mons. Ceccarelli che ha veduto tutto e l'abbiamo occupato in tutto. Anima buona, di molto cuore. Tu poi dovrai, e te lo comando di essere il modello nel lavoro, mortificazione, nell'umiltà e nell'ubbidienza a' neovenuti.. Non è vero che lo farai? Vorrei però che tu mi scrivessi qualche lunga lettera che fosse come un rendiconto degli esercizi [327] sp[irituali] e mi dicessi schiettamente vita, virtù, miracoli presenti, passati e futuri.
Caro D. Tomatis, voglia bene a D. Bosco come esso porta grande affezione a te.
Io ti raccomando di tutto cuore al Signore nella S. Messa, ma tu prega anche per me che ti sarò sempre in G. C.
Sampierdarena, 14 novembre '77.
Questo zelante sacerdote Salesiano esercitò per molti anni con frutto il sacro ministero nella parrocchia di San Giovanni Evangelista alla Bocca, dov'era coadiuvato anche da preti, secolari.
D. Bodratto è incaricato di darti un pizzicone, credo abbia compiuto il suo dovere... Che cosa vuol dire? Quando il demonio va a disturbarti ne' tuoi affari, fa' altrettanto verso di lui con una mortificazione, con una giaculatoria, col faticare per amor di Dio. Ti mando due compagni di cui spero sarai contento. Usa loro molta carità e pazienza. Io poi sono contento di te. Continua. Obbedienza nella tua condotta; promuovere l'ubbidienza negli altri: ecco il segreto della felicità della nostra Congregazione.
Dio ti benedica e credimi sempre in N. S. G. C.
Sampierdarena, 11 novembre 1877.
P. S. Ti prego di tare speciali saluti a quei sacerdoti che in qualità di vicecurati lavorano teco alla Bocca pel bene delle anime.
Da Don Vallauri, pio e caritatevole sacerdote torinese, Don Bosco era di casa.. Anche da lui si recava ogni tanto in certi pomeriggi, per sottrarsi a visite o a disturbi d'altro genere e sbrigare la corrispondenza o qualche lavoro urgente. [328] Non di rado pure, tornando da viaggi, se gli annunziava per il pranzo; il che faceva o a motivo dell'ora incomoda in cui sarebbe giunto all'Oratorio o per la premura di spicciare qualche faccenda in città o al tavolino.
Chi ben trova ritorna. Venerdì a mezzogiorno e un poco sono da Lei, perchè mi dia la minestra per amor di Dio. Spero anche di poter riverire la Sig.ra Sorella Teresa, che prego ossequiare da parte mia. I nostri Missionari e le nostre Suore partirono oggi alla volta dell'America.
Erano 19. Gli altri dovranno avere altro imbarco chi ad Havre, chi a Lisbona nei primi giorni della p. settimana.
Dio ci benedica tutti e mi creda in G. C.
Sampierdarena, 14 novembre 1877.
La comunicazione del cardinal Bilio che il Papa fosse malcontento per “ l'affare dei Concettini ” e le relative notizie portategli da Don Cagliero dovettero far sentire a Don Bosco la necessità di preparare una relazione documentata di tutta la pratica. Il “ noto Breve ”, se, come sembra dal contesto della lettera, si riferiva al medesimo affare, dev'essere propriamente il decreto del 6 febbraio[158].
Il noto Breve l'ho trovato tra le mie carte e ne ho fatto tirare copia. Ora necessita: 1° Fare una copia del rescritto con cui il santo Padre dava carico a D. Bosco di ridurre le cose dei Concettini in conformità a quelle dei Salesiani.
2° Lettera scritta dal card. Randi a D. Bosco e mia risposta. Nota che una lettera di questo cardinale è qui con me.
3° Lettera del fratello Luigi con cui previene D. Scappini a soprassedere di ritornare a Roma. [329]
4° Promemoria lasciata al card. Vicario per rimettere al Santo Padre; credo sia scrittura di Don Scappini.
Amami in N. S. G. C. e credimi sempre
S. Pier d'Arena, 15 - 11 - 1877.
P. S. La prima porzione dei missionarii è partita. Domani a Dio piacendo sarà a Torino.
A Lisbona monsignor Ceccarelli conosceva personalmente il Nunzio Apostolico monsignor Sanguigni, che, visitato dai Missionari, li ricevette cordialmente e trattenne presso di sè il loro duce. Essi ignoravano che si trovava in città uno sviscerato amico di Don Bosco e dei Salesiani, monsignor Pietro Lacerda vescovo di Rio Janeiro, due mesi prima ospite dell'Oratorio. Era là da quindici giorni e s'imbarcò il 24, sicchè forse avrebbero ancora fatto in tempo per vederlo. Questo incontro sarebbe stato loro di non poca utilità durante il tempo dell'attesa, perchè il zelante Pastore aveva parlato molto di Don Bosco e della sua Opera nei migliori ambienti cittadini[159]. Ma, ignari della lingua e non raccomandati a nessuna persona influente, passarono per la capitale portoghese affatto inosservati. Con la partenza di questi ultimi, tutti i Missionari navigavano verso il campo del loro apostolato.
NEL febbraio del 1877 mons. Gastaldi riportò da Roma l'impressione che fosse per lui opportuno fugare i sospetti che egli avversasse Don Bosco e i Salesiani; quindi, rientrato in sede, spedì a tutti i Cardinali e a molti altri uno stampato dal titolo: L'Arcivescovo di Torino e la Congregazione di S. Francesco di Sales. Vi si esordiva così: “Il nemico delle anime sempre intento a promuovere il male, distruggere il bene, impedirlo se può, guastarlo e corromperlo almeno in parte, da qualche tempo si adopera ad insinuare e a diffondere la supposizione, che l'Arcivescovo di Torino non sia benevolo verso la nuova Congregazione di S. Francesco di Sales (detta perciò Salesiana) fondata dal Rev.mo D. Giovanni Bosco. Questa supposizione è certissimamente l'opera dello spirito della menzogna, che tutte le persone fornite di prudenza cristiana possono da per se medesime facilmente scoprire; ma la quale purtroppo riuscendo a gettare nella mente di non pochi, non abbastanza accorti, delle incertezze e dei dubbi, è cosa conveniente che tali dubbi ed incertezze siano dissipate”. Seguiva poi l'esposizione di dieci fatti tra il '48 e il '76, per inferirne esser cosa manifesta che l'Arcivescovo di Torino aveva dato e continuava a date alla Congregazione Salesiana e al suo Fondatore
“tali prove di benevolenza da dissipare [331] ogni dubbio ed incertezza in senso contrario”. Una nota autografa dell'Arcivescovo in una copia da noi posseduta dichiara: “È quindi chiaro che l'Arcivescovo di Torino, se a quando a quando è costretto a fare delle serie e gravi osservazioni riguardo a Don Bosco ed alla sua Congregazione, lo fa non per difetto alcuno di benevolenza, la quale egli prosegue a professare e verso Don Bosco e verso la Congregazione, ma per nessun altro motivo che per sentimento del suo dovere”. Ai singoli Cardinali della Congregazione del Concilio furono mandate due copie, una delle quali portava la firma del “Can.co Chiuso, Segr. dell'Arcivescovo di Torino, 28 febbraio 1877”. Sebbene non tutto ivi fosse esatto, pure, non essendovi nulla di biasimevole per la Congregazione, Don Bosco non rispose e la cosa non ebbe conseguenze palesi.
Ma nell'agosto seguente scoppiò una controversia, che fece versare un mar d'inchiostro. Di pochissima entità nella sua origine, essa divenne gravissima per l'importanza datale da Monsignore, per i principii su cui egli l'appoggiava e per la divulgazione fattane. Narriamone oggettivamente le fasi e le vicende, lasciando la parola soltanto ai documenti, che noi ci limiteremo a collegare nel modo voluto da una esposizione ordinata e chiara.
Un certo Don Perenchio della diocesi d'Ivrea si presentò il 17 agosto all'Oratorio per farsi Salesiano. Il Superiore, prese sommarie informazioni, lo ammise alla prima prova. Quegli, fatto pago de' suoi voti, chiese e ottenne di allontanarsi per poca e ritornò dopo due giorni per dar principio, alla sua vita religiosa come aspirante. Naturalmente sapendosi che la sua condotta era stata sempre buona, gli si permise senz'altro di celebrare la santa Messa. Or ecco che ai 22 di agosto Don Giuseppe Lazzero, vicedirettore dell'Oratorio, ricevette per mezzo del canonico Chiaverotti segretario l'ordine di notificare alla Curia se il Don Perenchio si trovasse nell'Oratorio, se vi dicesse la Messa e da quanto tempo fosse presso la Congregazione Salesiana. Don Lazzero rispose: “sì, D. Perenchio [332] trovasi fra noi da alcuni giorni. Egli fece domanda di entrare nella Congregazione Salesiana, non fu ancora accettato. Intanto Don Bosco già incominciò le dovute pratiche col suo Vescovo”. All'indomani il medesimo segretario, d'ordine di Monsignore, pregava Don Lazzero di rispondere anche alle due altre domande fattegli. Don Lazzero obbedì prontamente, scrivendo il 24: “D. Perenchio trovasi in questa casa da 12 giorni. Egli finora disse la Messa dietro a buon certificato del suo parroco. Fu accompagnato dal suo curato, il quale depose verbalmente non esservi cosa alcuna sul suo conto. Lo si tenne provvisoriamente, mentre si stanno ultimando le pratiche col suo Vescovo”.
Apriamo una parentesi. Riguardo a queste pratiche Monsignore scriverà al cardinal Ferrieri[160]: “Quali pratiche Don Bosco potesse incominciare con l'attuale Vescovo d'Ivrea, io non lo so, essendo cosa nota a tutti, che M.r Moreno ha una dichiarata pubblica opposizione a D. Bosco e che difficilmente esso darebbe il suo positivo consenso a che un suo sacerdote entrasse nella Congregazione Salesiana”. Le pratiche erano quelle consuete per avere le testimoniali d'ufficio. Esse furono prima fatte per iscritto e poi, non ricevendosi risposta, rinnovate per mezzo di persona a ciò specialmente delegata. E per ben comprendere la posizione di Don Perenchio si tenga presente: 1° Che risultava abbastanza essere egli immune da censura. 2° Che non gli occorreva il consenso del Vescovo per uscire dalla diocesi, trattandosi di uscita per farsi religioso. 3° Che egli, essendo nella prima prova, cioè nel primo stadio della sua carriera religiosa, apparteneva già alla Congregazione Salesiana quanto era necessario per goderne i diritti e i vantaggi, che in quella condizione si potevano a lui comunicare. 4° Che gli Ordinari non possono negare le testimoniali ai loro sudditi che vogliano farsi religiosi; se le negano, si ricorre alla Santa Sede. [333]
Riprendiamo ora il filo del racconto. Nel medesimo giorno 24 arrivò
“a Don Rua o a chi per esso” una terza ingiunzione: non si lasciasse celebrare Don Perenchio, perchè sfornito delle carte necessarie; l'essere accettato come novizio nella Congregazione non dargli il diritto di celebrare, se vi entra in modo irregolare, cioè senza testimoniali del suo Vescovo. Anzi, aggiungevasi: “Nè esso nè anche alcun professo può celebrare nelle chiese non strettamente dell'Ordine religioso senza permesso dell'Ordinario”.
Come mai dalla Curia di Torino erasi avuta notizia della presenza del prete estradiocesano nell'Oratorio? A quanto allora si asserì, appena partito il Don Perenchio dalla sua diocesi, la Curia d'Ivrea aveva spedito a quella di Torino un decreto di sospensione a divinis contro di lui con questa motivazione: quem constat esse reum maleficiorum. Al decreto andava unita una lettera, in cui si chiedeva licenza d'intimarglielo per mezzo del Cursore della Curia torinese. Fu risposto a Monsignor Vescovo d'Ivrea permettersi la intimazione del decreto, ma non concedersi l'ufficio del Cursore; essersi quindi stabilito che l'intimazione fosse fatta da un usciere di tribunale civile. Dove, quando, da chi questa intimazione fu eseguita? I Salesiani non lo seppero mai; Don Perenchio interrogato affermò di non averla mai ricevuta. Nonostante tutto, Don Lazzero, d'accordo con Don Rua, diede ordine a Don Perenchio di cessare subito dalla celebrazione della santa Messa e, perchè la cosa non destasse ammirazione, lo mandò a Sampierdarena.
Colpì senza dubbio i Superiori il forte monito finale della lettera sull'annosa questione delle testimoniali. Ivi era detto: “ [Mons. Arcivescovo] mi lascia ancora di soggiungere che quivi trattasi di cosa delicatissima ed importantissima, sulla quale, se la Congregazione Salesiana non osserva le leggi ecclesiastiche, esso Mons. Arcivescovo sarà obbligato di usare la sua autorità e fare reclami alla Santa Sede”. Ma l'attenzione dei Superiori si posò più che in altro sulle ultime parole del [334] periodo che precedeva: “Nè esso nè anche alcun professo può celebrare nelle chiese non strettamente dell'Ordine religioso senza permesso dell'Ordinario”. - Noi si va a celebrar fuori, dissero. Finora non abbiamo mai domandato questo permesso. C'è bensì l'avvertimento del Calendario in questo senso; ma noi l'intendevamo come l'affermazione generale di un diritto dall'Ordinario. Qui le cose cambiano; qui i professi vengono messi alla pari con l'aspirante estradiocesano. Come per quest'ultimo l'Arcivescovo, afferma evidentemente la necessità della sua esplicita licenza, così pare che la esiga anche per tutti i nostri. Qui dunque si ha l'imposizione di un dovere fatta proprio a noi Salesiani. Bisognerà quindi che ci mettiamo in regola. La conseguenza di siffatta interpretazione fu che Don Lazzero in nome di Don Bosco rispose così al canonico Chiaverotti.
Dalla lettera, che V. S. mi scrive a nome di S. R. Rev.ma mons. nostro veneratissimo Arcivescovo ricevo ordine, che niun sacerdote della Congregazione Salesiana vada a celebrar Messa fuori delle chiese, che non siano strettamente della Congregazione. Rincresce questa misura severa, ma ci uniformiamo, e in tale senso mi fo premura di prevenire alcune chiese, che si provvedano altrimenti senza fare calcolo sulla Messa, che alcuni nostri sacerdoti richiesti andavano colà a celebrare a comodità dei fedeli. Riguardo poi al D. Perenchio di altra diocesi che come novizio non ha diritto di celebrare perchè senza i testimoniali dei suo vescovo, prego V. S. a dirmi, se havvi qualche sacro Canone, o legge ecclesiastica in forza di cui: 1° Una Congregazione ecclesiastica definitivamente approvata dalla Chiesa debba dar conto all'Ordinario diocesano dell'interna amministrazione e dare nota dei documenti, che ha o non ha ricevuto per la sua accettazione, tanto più che molti ordini religiosi sono dispensati dalle lettere testimoniali.
2° Se quando un sacerdote è accettato come novizio non possa celebrare nelle chiese che sono strettamente della Congregazione. Specialmente quando presenta i voluti certificati del suo Parroco, e l'accompagna e lo raccomanda lo stesso suo curato.
Mentre con rispetto attendo questi due schiarimenti, mi fo dovere di assicurare S. E. in ossequio all'autorità sua, che il mentovato D. Perenchio ha già cessato di celebrare questa mattina; ed egli stesso [335] penserà a far valere i motivi, che secondo lui avrebbero dovuto essere bilanciati prima di tale misura. Egli assicura che ogni cosa fu riferita al suo Vescovo da persona incaricata e col mezzo di lettere, e che finora niente gli fece rispondere.
Ciò esposto, reputo ad onore di potermi professare colla dovuta stima ed ossequio
Un'altra conseguenza dell'accennata interpretazione fu che si credette doveroso non mandar più nessun prete dell'Oratorio a celebrare nelle chiese e negl'istituti della città, finchè gl'interessati non avessero provveduto a ottenere la licenza. Le medesime istruzioni furono inviate ai collegi di Valsalice e di Lanzo, perchè si trovavano nell'archidiocesi. Nè vi era tempo da perdere: essendo l'intimata giunta al sabato, bisognava affrettarsi a pregare l'Arcivescovo di concedere la licenza per il giorno dopo. La lettera di Don Lazzero pervenne alla Curia nelle ore pomeridiane, quando si stava per chiudere l'ufficio, e l'Arcivescovo era fuori di Torino. È vero che avrebbe potuto provvedere anche il Vicario Generale; ma questi dichiarò che non s'ingeriva in tale faccenda[161]. Don Lazzero restò in attesa fino alla mattina della domenica, sperando sempre di veder arrivare qualche risposta; ma alla fine, non ricevendo nulla, scrisse ai rettori delle chiese un biglietto così concepito: “Per severe disposizioni di S. E. Mons. Arcivescovo siamo proibiti di celebrare messa fuori delle chiese della Congregazione. Se pertanto Ella ha bisogno di qualche nostro sacerdote, sarà mandato volentieri mediante un permesso scritto dell'Autorità Ecclesiastica”. Così in alcuni luoghi mancò la Messa; in altri vi fu perchè, avuto l'avviso, si fece in tempo a chiedere la licenza. È facile immaginare lo scompiglio che ne nacque e le dicerie che andarono in giro per le sacrestie. [336]
A quanti da Torino, da Valsalice e da Lanzo ricorsero per avere la licenza, l'Arcivescovo ripetè che egli non aveva mai proibito ai sacerdoti salesiani di celebrare in alcune chiese o pubbliche o private dell'archidiocesi e che le disposizioni attribuitegli erano immaginarie. In pari tempo, senza premettere le ammonizioni canoniche e senza indicare la causa, il 26 agosto sospese per 18 giorni Don Lazzero dall'udire le confessioni dei fedeli in tutta l'archidiocesi.
Con la medesima data scrisse al cardinal Ferrieri una lettera, nella quale chiamava in colpa Don Bosco per tre cose: perchè non chiedeva mai nè a lui nè al Vescovo d'Ivrea, nè ad altri Vescovi le testimoniali a favore dei loro diocesani da ammettere nella Congregazione; perchè scaldava le immaginazioni dei giovani, suggestionandoli a fine di attirarli a sè; per il caso Perenchio. Terminava così: “se si lascia procedere le cose in questo modo, le case di Don Bosco diventano il ricettacolo di tutti i preti puniti dai loro Vescovi. Io ho una diocesi piantata dentro alla mia diocesi: Don Bosco fabbrica con una mano, e distrugge coll'altra; fa del gran bene, ma apre il campo a del gran male; diminuisce assai l'autorità dell'Arcivescovo di Torino, e introduce lo scisma nel clero. Io ho fatto per Don Bosco quanto non fece nessun altro, eccettuato il S. Padre; ma io sono costretto ad invocare la protezione della S. Sede contro gli attentati di questo ecclesiastico, il quale ha la mente piena, e la riempie a’ suoi, dello spirito di autonomia e di indipendenza”.
Il 31 agosto scrisse nuovamente al cardinal Ferrieri sull'affare delle Messe, dicendo che i Salesiani con quell'atto avevano avuto per iscopo “di mettere il loro Vescovo in uggia ai suoi diocesani, creandogli dei disturbi e dispiaceri”. Di questa seconda lettera il cardinal Oreglia informò Don Bosco il 6 settembre nel modo seguente: “La prevengo che l'Arcivescovo ha scritto una lettera fulminante contro di Lei, perchè ha fatto mancare le Messe in varie chiese e comunità di Torino nella domenica scorsa. Si affretti a mandare un suo [337] ricorso coi necessarii documenti”[162]. Don Bosco il 14 settembre mandò al cardinal Oreglia questo memoriale, allegandovi i documenti relativi e pregando Sua Eminenza che si degnasse di trasmettere tutto al cardinal Ferrieri.
La pia Società o Congregazione di S. Francesco di Sales per mezzo dell'umile esponente Rettore Maggiore ricorre alla Eminenza Vostra per avere lume e direzione nei fatti che qui con brevità rispettosamente si espongono:
1° Ogni volta che un Salesiano chiede a Monsignor Gastaldi Arcivescovo di Torino di essere ammesso alle sacre Ordinazioni o di subire l'esame di Confessione esige si presentino le Lettere Testimoniali, dietro le quali fu ammesso al Noviziato.
2° Testè avendo avuto notizia che il sacerdote Perenchio Giovanni d'Ivrea era stato ricevuto nella Congregazione Salesiana, per mezzo del suo segretario Canonico Chiaverotti intimò al Direttore della Casa Madre, o a chi per lui, di non lasciarlo più celebrare in alcuna chiesa, la quale proibizione fu estesa eziandio a tutti i Salesiani o almeno a tutti i sacerdoti della predetta Comunità di celebrare fuori delle chiese non istrettamente della loro Congregazione.
3° Il sacerdote Lazzero facendo piena sottomissione agli ordini dell'Arcivescovo dimandava rispettosamente se vi fosse prescrizione ecclesiastica che obbligasse una Congregazione esente a dipendere dall'Ordinario Diocesano nell'accettazione de' suoi membri soprattutto quando appartengono ad altra Diocesi; e se ad un Novizio possa essere proibito di celebrare pel solo motivo che egli non abbia le testimoniali del suo Vescovo.
L'unica risposta alla predetta lettera fu una severa pena comunicata al Lazzero con cui gli si toglieva la facoltà di confessare per lo spazio di venti giorni.
Per evitare scandali il sacerdote Perenchio non ha più celebrato, come più non celebrarono i Salesiani fuori delle loro chiese.
Il Rettore di qualche chiesa esterna, dove i Salesiani solevano celebrare, in assenza dei Vescovo, si recò esso stesso con premura alla Curia, per domandare la voluta licenza. Il Vicario Generale rispose che non poteva ingerirsi in questo affare. Intanto diverse chiese [338] e Pii Istituti non poterono più munirsi del voluto permesso, nè trovare tostamente altri sacerdoti; quindi la spiacevolissima conseguenza che molti fedeli dovettero perdere la S. Messa nel giorno festivo, e il sacerdote Lazzero, che con zelo lavora nel sacro Ministero della predicazione e delle confessioni, dovette rimirare il suo confessionale intorniato di penitenti senza che egli abbia potuto minimamente prestarsi al bene dell'anima loro.
Esposti questi fatti, l'umile esponente, senza voler accusare alcuno, supplica soltanto Vostra Eminenza a degnarsi di provvedere che non abbiano a rinnovarsi tali spiacevoli e dolorose vertenze. In foglio separato aggiunge alcune osservazioni limitandosi qui a fare i seguenti dubbi:
1° Se Sua Eccellenza Monsignor Gastaldi poteva legittimamente farsi giudice sulla valida ammissione del Perenchio al Noviziato; ed in caso che ciò potesse, se non dovea prima chiamare il superiore a dare le sue ragioni.
2° Se fu lecita la pena da lui inflitta contro il Direttore D. Lazzero per aver presentato delle osservazioni intorno a quel giudizio.
3° Se poteva intimare ai Salesiani di non presentarsi a celebrare senza il suo permesso in nessuna chiesa che non fosse strettamente della Congregazione.
4° Se non basta a questo fine il presentare le testimoniali del Superiore colla firma riconosciuta in Curia.
5° Se quando un Salesiano si presenta per l'esame di confessione o per le ordinazioni M. Gastaldi possa esigere oltre le testimoniali del suo Superiore anche quelle che i Superiori della Congregazione ricevono dal Vescovo Diocesano prima di ammetterlo al Noviziato.
Qualunque parola, qualunque norma piaccia a V. Eminenza di proporre sarà colla massima venerazione accolta dai Salesiani, i quali riputeranno sempre a loro gloria di seguirla fedelmente e prontamente.
M permetta intanto ch'io abbia l'alto onore di potermi profondamente inchinare e baciarle la sacra Porpora, mentre mi professo
Il “foglio separato” conteneva alcune osservazioni giuridiche sull'intimazione fatta al Superiore dell'Oratorio di non lasciar celebrare nella propria chiesa un sacerdote ricevuto come aspirante, e al Superiore medesimo e per esso anche ai sacerdoti salesiani di non celebrare fuori delle chiese appartenenti strettamente alla Congregazione senza il permesso dell'Ordinario. È un parere steso modis et formis dal gesuita [339] Padre Rostagno, canonista di vaglia. Sul fatto delle testimoniali, Don Bosco stimò utile aggiungere in calce all'esposto del suo consultore questa dichiarazione: “Nell'udienza ottenuta da S. S., il Sommo Pontefice Papa Pio IX, a richiesta del sottoscritto 3 maggio 1876, vivae vocis oraculo, ha concesso che tutti i giovani che percorrono la carriera degli studii o sono per altre ragioni tenuti o educati nelle nostre case, convitti, collegi della Congregazione Salesiana, qualora a tempo opportuno desiderassero ascriversi e diventar membri della medesima Congregazione, siano dispensati dalle testimoniali prescritte dal decreto dei Vescovi e Regolari del 25 febbraio 1848. Nell'udienza poi del 10 novembre 1876 parimenti vivae vocis oraculo tale dispensa venne estesa indistintamente a tutti quelli che desiderassero entrare nella Congregazione Salesiana. Di questa benevole concessione, ossia di questo insigne atto di clemenza di S. S., se ne diede comunicazione all'autorevole sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari in data 16 dicembre 1876 con lettera diretta a S. E. Rev.ma il sig. Card. Prefetto di questa stessa Congregazione e con altra lettera di gennaio anno corrente 1877 consegnata nelle mani di S. E. mons. Segretario che la depose nell'incarto della Pia Società Salesiana. Sac. GIOVANNI Bosco”.
Il 19 settembre Monsignore ripresentò, per la terza volta al Cardinal Prefetto della sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari le sue “lagnanze riguardo alla Congregazione di Don Bosco pel fatto del 26 ultimo agosto”, giudicando di poter allora “esporre la cosa nel suo pieno aspetto”. Sono dodici facciate di formato protocollo, a linee serrate e con scrittura fitta e chiara. In tale esposizione egli spiega così il senso da darsi alle parole usate dal segretario della Curia circa il permesso dell'Ordinario ai religiosi per celebrare nelle chiese non loro: “È cosa chiara che nè esso nè alcun professo, ecc. si aggiungevano solo per dire che quand'anche il Don Perenchio fosse stato novizio in tutta regola, od anche professo, l'Arcivescovo poteva proibirgli di celebrare la Messa nelle, [340] chiese della diocesi, siccome poteva proibirla a qualunque regolare. Non si faceva con tali parole una proibizione a tutti i sacerdoti di Don Bosco di celebrare nelle chiese della diocesi senza che avessero una nuova licenza[163] e non si parla di licenza per iscritto: non si ritirava con tali parole una licenza già data in modo abbastanza esplicito, ed esercitata da un numero considerevole di sacerdoti salesiani pel corso di alcuni anni... sciente et non contradicente Archiepiscopo”. In una postilla a un documento che tosto vedremo, persona autorevole nota che di fatto la lettera dell'Arcivescovo, se per alcuni era “chiara”, per altri era “dubbia” e per altri anche “oscura”. I Salesiani poi non dissero che Monsignore proibiva loro di celebrare fuori di casa senza un permesso in iscritto, ma essi stessi esigevano questo permesso in iscritto dai rettori delle chiese o delle comunità: savia precauzione, com'è facile intendere. Monsignor Gastaldi descrive infine lo scandalo derivato dall'improvvisa mancanza delle Messe per colpa dei Salesiani e mostra la necessità di una riparazione.
Qual dovesse essere questa riparazione, Sua Eccellenza l'aveva già indicato ed ecco in che circostanza. Don Chiaverotti, turbato per le rimostranze dell'Arcivescovo, era venuto il 5 settembre all'Oratorio per chiedere la sua lettera, causa di tanti dispiaceri. Egli protestava di averla scritta sotto dettato di Monsignore. Don Lazzero in giornata spedì l'originale alla Curia, perchè così voleva l'Arcivescovo; ma il canonico Zappata, Vicario Generale, poco prima di ricevere il documento, gli aveva scritto:
Io non posso dispensarmi dal compiere il cenno di S. E. Rev.ma mons. Arcivescovo di chiamare a me V. S. M. R. e invitarla a produrre [341] la lettera, di cui già a lui si è parlato, ed a lui nota; per renderle meno incomodo l'abboccamento le feci dire dai due chierici venuti in Curia, che l'avrei aspettato nella sacrestia del ss. Rosario, e ve lo aspettai fino alle 7.
V. S. non avrà potuto recarvisi. Ma io non posso a meno di aver a riscontrare al più presto S. E. Sicchè al ricevere il presente invito si rechi tosto alla Curia arcivescovile... e se ha cotesto originale di grazia, di grazia se lo rechi seco per rendermelo ostenso.
Proprio quella sera si apriva a Lanzo il primo Capitolo Generale della Congregazione. Di lassù due giorni dopo, Don Rua spedì all'Arcivescovo questa dichiarazione di Don Bosco: “7 settembre 1877. Il sottoscritto Sac. Giovanni Bosco, Rettor Maggiore della Congregazione di S. Francesco di Sales, si fa dovere di render noto a V. E. che fra gli aspiranti a questo istituto fu annoverato il Sac. Gio. Peronchio, diocesano di Ivrea. Secondo le prescrizioni della S. Sede furono tosto giudicate opportune e di fatto richieste le testimoniali del suo Vescovo che non giudicò opportuno di concederle. Si dà comunicazione di ciò a V. E. in ossequio al decreto 25 gennaio 1848 Regulari Disciplinae ed ho l'alto onore di potermi inchinare e professare, ecc.”. Questo era per mettere le cose a posto riguardo al richiamo di Monsignore all'osservanza delle leggi ecclesiastiche sulla “cosa delicatissima e importantissima” delle testimoniali con le due relative minacce.
Sua Eccellenza incaricò il teologo Francesco Maffei, pro - segretario arcivescovile di accusare ricevuta a Don Rua e di dirgli che prima di rispondere Monsignore voleva sapere se Don Lazzero e gli altri Superiori fossero dolenti e disposti a chieder venia del “gravissimo disturbo” cagionato da loro il 26 agosto per “un errore enormissimo” dai medesimi commesso; ne lo accertassero dunque per mezzo di una lettera sottoscritta da Don Lazzero o da Don Rua o da Don Bosco; [342] altrimenti egli avrebbe fatto quanto gli paresse conveniente per il rispetto e il decoro della sua autorità.
I Salesiani, persuasi di aver ottemperato a un ordine dell'Arcivescovo, non vedevano d'aver commesso un fallo di cui bisognasse domandar perdono e per iscritto. Piuttostochè dunque rilasciare nuovi pericolosi documenti, quando si ebbe notizia dei passi presso la Santa Sede, parve necessario mantenersi in possesso dei documenti di propria spettanza, e quindi riavere l'originale della lettera di Don Chiaverotti. A tal fine Don Lazzero pregò il Vicario Generale di restituirgliela; ma monsignor Zappata gli rispose che, essendo il foglio nelle mani dell'Arcivescovo, a lui ne facesse richiesta. Il Vicedirettore dell'Oratorio si affrettò a scrivergli una seconda volta.
Ho ricevuto la sua venerat.ma del 10 corrente, e la ringrazio vivamente della premura con cui si degnò rispondermi.
Con mia sorpresa e grandissimo rincrescimento debbo di nuovo ricorrere alla bontà di V. S. Rev.ma affinchè voglia liberarmi da un vero imbroglio in cui mi trovo.
S. E. Rev.ma mons. nostro Arcivescovo mosse lagnanze a Roma riguardo alla lettera in questione: ora da Roma mi si chiede quella stessa lettera onde esaminare le cose; come farò io a spedirla essendone privo? Se mi rivolgo io stesso a S. E. me la rifiuterà, potrà dire d'aver ricevuto nulla da me. Dunque, solo V. S. Rev.ma può rimediare a tutto, o col pregare S. E. a rimetterle quella lettera anche solo per tirarne una copia autentica, purchè venga da cotesta Curia, che a me fa lo stesso, oppure autenticare la copia già costì spedita dall'Oratorio e farmela tenere. Non potendo riuscire nè l'una nè l'altra, favorisca almeno formolarmi una risposta con cui possa dare a Roma quella soddisfazione che si richiede all'uopo. - La patema benevolenza usata sempre verso di me e de' miei confratelli da V. S. Rev.ma mi dà speranza che anche questa volta non avrò ricorso invano.
Nel chiederle perdono del disturbo e ringraziarla anticipatamente del favore, le auguro ancora cento anni di vita dal buon Dio a nostro maggior bene, professandomi colla più profonda stima e venerazione
Il canonico Zappata gli replicò tra l'altro il 19 settembre: “Ieri dopo le 3 pom. ricevetti il foglio di V. S. X. R. in data 17 corrente, col quale mi rinnova la domanda di riavere per mezzo mio la lettera a noi entrambi nota; prima di uscire dalla Curia salii da S. E. per farne la domanda: ed esso mi rispose che l'avrebbe restituita e me l'avrebbe nel domani perciò mandata giù in Curia. Oggi appena dopo le tre la ricevo, ed io mi faccio premura d'indirizzarla alla V. S. M. R.”. Ma la lettera non ritornò sola: era accompagnata da un decreto arcivescovile che sospendeva Don Lazzero dalla confessione fino a tempo indefinito.
Sono del medesimo giorno le “gravi lagnanze” per il pontificale di monsignor Lacerda[164]. Di tre giorni avanti era la sospensione del sacerdote bolognese Don Cesare Cappelletti, del qual atto vi si dice il perchè nella lunga lettera indirizzata da Monsignore il 19 settembre alla sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari. In essa ad un certo punto si legge: “Ed è pur necessario che in luogo come Torino, dove oggidì vengono continuamente sacerdoti stradiocesani da ogni parte, ed in una casa come quella di Don Bosco a cui i sacerdoti stradiocesani ricorrono con tanta facilità, l'Arcivescovo sorvegli, imperocchè Don Bosco è frequentemente fuori di Torino, e i suoi subalterni non sono tutti ben forniti di occhi. Varii mesi fa era quivi ricevuto un sacerdote di Bologna. Ad istanza dei sacerdoti di Don Bosco io gli ho dato facoltà di ascoltate le confessioni e si pose infatti a confessare nella chiesa dì Maria SS. Ausiliatrice, che è la chiesa di Don Bosco. Or bene pochi dì fa una denunzia di sollecitazione in tutta forma mi fu recata contro questo sacerdote, che ho trasmesso al S. Uffizio”. Don Bosco subito dopo la sospensione aveva scritto a Bologna per ulteriori notizie sul conto del sospeso, ma senza accennare al motivo. Gli rispose il 19 settembre quel Cancelliere arcivescovile Achille Manara, futuro cardinale [344], ripetendo quanto gli aveva già dichiarato con altra sua fin da principio, che cioè il Cappelletti aveva bisogno di essere tenuto umile e diretto, essendo di carattere leggiero, di scarsa capacità e facile a mettersi avanti; che guidato poteva fare del bene, essendo zelante e operoso; che quanto alla sua condotta morale nulla affatto constava o risultava a suo carico. Lo raccomandava perciò di nuovo caldamente alla sua carità. Don Lemoyne dice essersi dubitato che si trattasse di una vera denunzia. In ogni modo la via ordinaria sarebbe stata di far conoscere la cosa al Superiore per i provvedimenti senza farne ancora un capo d'accusa contro la Congregazione dinanzi alla Santa Sede. Il sacerdote si restituì alla sua diocesi.
Viene a inserirsi qui cronologicamente una lettera del Servo di Dio teologo Roberto Murialdo a monsignor Gastaldi, del quale era stato condiscepolo.
Nel trasmetterti la lettera, che desideri, scritta da D. Lazzero alla Madre dell'Istituto di S. Pietro[165] non posso trattenermi dal rinnovarti l'offerta della mia mediazione presso il Sig. D. Bosco e Compagni, coi quali tutti sono in ottima relazione, per far cessare il presente stato di cose troppo doloroso per tutti.
Io sono persuaso che tutti quelli Eccl.ci sarebbero ben lieti di ritornare nella primitiva grazia del loro Superiore Eccl.co, e di rivederlo di quando in quando nel loro Oratorio qual Padre ed Amico, come già nei tempi andati. Un giorno incontrai per la città il buon D. Rua, che ho conosciuto dalla sua giovinezza, e standomi a cuore i rapporti di lui e dei suoi compagni con Mons. Arciv.vo gli dissi qualche parola in proposito; ma si dimostrò talmente addolorato per le esistenti scissure, che per poco ne piangeva per istrada, e mi fece compassione, onde non instai sull'argomento. Al presente D. Bosco e la sua Congregazione stanno facendo gli spirituali esercizi a Lanzo, e credo che il momento sia più che mai opportuno per venire ad un accomodamento dì tutte le differenze passate.
Se stimi pertanto che io faccia qualche passo, e quale, ed in qual modo, ed in quali termini, favorisci di significarmelo, chè sarà per me veramente una buona ventura di adoperarmi per quanto so, e posso [345] per un buon accordo per l'avvenire tra Mons. Arcivescovo e D. Bosco e la sua Congregazione, seppellendo nell'oblio il passato scusandone le intenzioni. Qualora ciò riuscisse, sono persuaso che se ne rallegrerebbero tutti i buoni, e lo stesso Sommo Pontefice ne godrebbe al sentire che i dissapori tra l'Arciv.vo di Torino e D. Bosco e C.i sono, la Dio mercè, intieramente cessati. E a Monsig. Arcivescovo non sarebbe tolta dal cuore una ben larga e dolorosa spina?... Forse un colloquio fatto tra di Voi, alla presenza di qualche autorevole Eccl.co per ispiegarvi sui diversi argomenti che diedero occasione ai presenti guai, servirebbe molto per dissipare certi dubbi e sospetti, e darvi ragione e spiegazione del vostro operato. Dopo quest'apertura reciproca, fatta per difendere i diritti che ognuno crede d'avere, e datasi soddisfazione a vicenda, sono persuaso che sarà facile il mettersi d'accordo e riamicarsi.
Così sia, e presto, anzi subito.
Non aggiungo ulteriori parole; solo ti chieggo scusa, se dimenticando per un momento l'alta tua e l'umile mia posizione mi sono permesso di scriverti quanto sopra. Se credi che possa fare qualche cosa, comandami chè sono a' tuoi cenni; altrimenti tieni almeno conto dei mio buon volere.
Ti bacio in ispirito il sacro anello, ti domando la tua santa benedizione per me e pel povero Istituto di S. Pietro, e mi dichiaro
Appartiene a questo tempo e fu suggerito da questi avvenimenti un secondo disegno di mediazione partito dalla casa dei Gesuiti di Chieri. Sebbene il piano sia rimasto allo stato di pio desiderio, pure, poichè diede origine a uno scambio d'idee con un autorevole Padre Filippino, ci sembra che la relazione dell'iniziativa serva a illustrare sempre meglio la realtà delle cose. Sarà anche un intermezzo di piacevole lettura. Sul finire dunque di settembre il Padre Luigi Testa della Compagnia di Gesù scrisse così a Don Bosco:
Lo scrivente è un sincero e franco amico della sua congregazione, benchè non conosca di persona il suo fondatore. Io sono un Padre della povera Compagnia di Gesù, da alcuni anni professore nel seminario di Susa. [346] Avendo antica amicizia coll'arcivescovo di Torino e conoscenza col P. Carpignani confidente dell'arcivescovo, dopo di aver molto pregato il Signore, mi presentai al suddetto Padre e lo richiesi d'una conferenza per affari gravissimi. Accettata la proposta incorninciai a trattare del parroco dei santi Martiri e della Conferenza della Consolata, fondata in origine dalla Compagnia di Gesù col consenso della S. Sede. Trattammo di por termine a questi imbrogli e ne ebbi sufficienti promesse. Siccome questo non lo riguarda personalmente, non mi estendo di più; altri più abili e potenti faranno in modo che questi affari finiscano secondo la mente del Papa.
Allora io dissi che era necessario di aggiustare e sbrogliare una bella volta le molteplici faccende che riguardavano il R. D. Bosco e la sua congregazione approvata dalla S. Sede - che di questo si parlava assai forte in tutta l'Italia e specialmente nelle romane congregazioni e che persino in Francia ne aveva inteso discorrere. -
Il P. Carpignani mi espose la conferenza tenuta su ciò dall'arcivescovo di Torino, dall'arcivescovo Fissore e dal rev. Don Bosco, senza alcun frutto, perchè D. Bosco non aveva voluto firmare una certa carta. Io ignorando il contenuto di quella carta (or lo conosco intieramente), soggiunsi che la cosa mi pareva trattata troppo diplomaticamente, e che non era così che si potevano acconciare con saldezza e facilmente queste gravi divergenze: epperò proposi che l'arcivescovo chiamasse a sè D. Bosco con quella stessa amorevolezza con cui (dietro mio consiglio) aveva chiamato a sè il capo degli oppositori nelle gravi questioni di Chieri e così s'intendesse caritatevolmente su tutte le questioni che li dividono; e all'uopo si cedesse un pochino da una parte e dall'altra, come si suole far dai santi, quando hanno tra loro questioni di diritto che non sono puramente personali.
Il P. Carpignano (che è buon diplomatico) mi domandò in bel modo, se io aveva una missione officiale od almeno officiosa per trattare una faccenda sì delicata.
Io risposi: - Dagli uomini non ho nè l'una nè l'altra, ma sì dal Dio della pace e della gloria della Chiesa, ed ecco il come e ne chiamo in testimonio (mi volsi al ritratto) lo stesso suo fondatore. È già più di un anno che mi sento continuamente nell'orazione questa voce interna: “Tu sei stato fin da ragazzo amico e compagno di clero dell'arcivescovo; per mezzo tuo si sono aggiustate più divergenze fra lui e varie potenti persone; ancora ultimamente con soddisfazione comune hai impedito un grande urto che stava per nascere in occasione delle feste di Chieri; tollera da te certe verità ed osservazioni che non sopporterebbe neppure da un altro arcivescovo; tanto che senza offesa alcuna hai potuto dirgli in faccia, che così gli parlavi perchè nessuno osava fiatare al suo cospetto e che tu non avevi non solo niente a sperare da lui, ma ancora niente a temere: sei giunto fino a minacciarlo di fare certa novena in suo castigo; e non solo non [347] si offese, ma molto amorevolmente ti pregò di farne una in suo favore... Perchè adunque non ti servi di questa fortunata circostanza per fare un po' di bene ai miei servi?”. Con tutto ciò sapendo assai bene le enormi difficoltà di questo affare, e conoscendo le intenzioni dei miei superiori, che niuno di noi s'imbrogli coll'arcivescovo Gastaldi, mi contentava di pregare e far pregare, e di scrivere ad alcuni potenti nella romana Curia, perchè vedessero modo di finire questo, che mi pareva uno scandalo. Ma ecco che questa mattina (verso il fine di Agosto) passando a caso avanti s. Filippo, mi sentii spinto con gran forza a parlare con V. R. a cui aveva reso servigio nell'affare della sua elezione, contrastata da qualcuno del Governo. Tre volte volli continuare la mia via, e tre volte fui come costretto a tornare indietro: però mi pare di essere qui per pura volontà di Dio. Mi faccia dunque una formale promessa di occuparsi seriamente di questo negozio, che oramai puzza (mi scappò questa parola) ed è causa di stupore e forse dì scandalo ancora ai buoni. Ella se vuole lo può, ed io credo che secondo la morale del Liguori (unico autore che nominatim sia stato approvato dalla S. Sede), tanto l'arcivescovo quanto lei, sono tenuti sub gravi ad occuparsi di finire questa faccenda (come le altre due) iuxta mentem S. Sedis.
A queste parole così recise, il P. Carpignani cambiò leggermente di colore, ed apparve in tutta la sua persona un'aria di pena e d'impiccio. Poi con voce sommessa mi disse: - Rev. Padre, vedo che le sue e mie idee in questa faccenda vanno d'accordo. La gran questione è quella dei mezzi pratici per condurla a bene. Imperocchè lei sa che abbiamo a fare con due santi irremovibili nelle loro idee (io interruppi: testardi, vuol dire, come tutti i Piemontesi).
Sorrise e poi continuò: - Però facciamo così: preghiamo molto il Signore, perchè si degni di metterci la sua santa mano. Mirabile a dirsi: entrambi credono di operare secondo gl'intenti e voleri di Dio e forse entrambi hanno un po' di ragione ed un poco di torto. Che cosa si può f are in questo caso?
Diedi l'ultima risposta ed è questa che dissi con voce grave e molto adagio: Per ora V. R. non dirà il mio nome all'arcivescovo, più tardi lo potrà dire se lo crede. Sappia adunque che, dalle mie informazioni che ho da Roma, là si è stanchi e ristucchi di tutte queste cose dell'archidiocesi, tanto che io temo forte, che si faccia qui coll'arcivescovo ciò che Pio IX ha già fatto con altri, ed ora sta facendo col vescovo di Nizza, che pure ha potentissimi appoggi ed è assai destro ed astuto (non conoscendo lui la faccenda gliela narrai). Si aggiustino dunque debitamente, secondo vuole il Papa, tutti questi gravi negozi, del resto al venturo anno ci sarà chi ci penserà.
Il P. Carpignano balbettò qualche parola e poi ci ritirammo molto serii e l'uno e l'altro; e così fini la conferenza.
Da quel tempo o circa l'arcivescovo non rispose più niente alle [348] mie lettere; i suoi amici (che vidi) mi trattarono quasi con paura. So però che ha modificato alcune sue determinazioni ed ha quasi timore che si scriva a Roma, da me e da lei caro D. Bosco. Questo sul P. Carpignano le può bastare.
Mi permetta di dirle che io a luogo suo non avrei acconsentito a non servirmi dei privilegi della congregazione vita durante dell'arcivescovo di Torino; anzi come capo li sosterrei a Roma con tutto il mio potere. Così abbiamo fatto sempre da sant'Ignazio fino, al caso dell'arciv. Darbois di Parigi, che fu costretto a cedere. Per questa medesima ragione, non lascierei correre l'impedimento che il vescovo d'Ivrea pone ai suoi preti di dir Messa nella sua diocesi: di più farei fare un processo canonico (Padre Rostagno S. I. è l'uomo da ciò) su quel pretino loro novizio che fu sospeso (dopo che era partito da Ivrea) in diocesi non sua. Se ha colpa, passi; ma se è innocente lo difenderei in prima istanza alla Curia Torinese da cui emanò la sospensione, e poi nella Curia Romana. Così fecero i santi fondatori. Un colpo ben dato impedisce ulteriori attacchi..
Permetta che Le baci umilmente mani.
S. Antonio Chieri, dì di S. Michele Arcang., 1877.
Durante il Capitolo Generale nessuno si accorgeva della sospensione di Don Lazzero dall'udire le confessioni; ma sul punto di scendere da Lanzo a ripigliare nell'Oratorio le sue funzioni, egli sentiva quanto la sua condizione stesse per divenire imbarazzante; quindi si raccomandò per lettera al Vicario Generale che gl'implorasse da Monsignore la riammissione ad audiendas fidelium confessiones o almeno lo pregasse di dirgli il perchè d'una misura così grave. Quanto a intercedere, monsignor Zappata non credette di poterne convenientemente appagare il desiderio. “È necessario, gli scrisse il 4 ottobre, che chi desidera dal suo Superiore una condonazione, ne dimostri la brama e ne inoltri in modo ossequioso la dimanda”. Quanto poi alla causa del provvedimento, gli diceva: “Io seppi alcun che degli effetti della lettera firmata Chiaverotti e diretta non so bene se a Don Rua o Don Bosco od altro, ma nulla so della causa per cui V. S. sia stata sospesa... Ella lo saprà... A tenore del merito e del peso della medesima [349] V. S. scriva direttamente a mons. Arcivescovo, implori il favore a costo (se in buona coscienza non può dissimularsi di esserne in dovere) di domandare qualche umile venia”. Per allora nè Don Lazzero nè altri fecero nulla con l'intendimento di chiamarsi in colpa.
Frattanto le tre lettere dell'Arcivescovo al cardinal Ferrieri ebbero per effetto questa comunicazione ufficiale a Don Bosco.
In seguito delle rimostranze fatte da Mons. Arcivescovo di Torino, questa santa Cong. dei Vesc. e Regol. crede opportuno rivolgersi a lei a fine di evitare l'ammirazione di questa devota popolazione vedendosi priva delle Messe nelle domeniche e feste di precetto in molte chiese, conservatorii, ritiri nei quali sogliono celebrare i sacerdoti della Società Salesiana. Riconoscendo che le prescrizioni date da Mons. Arcivescovo non oltrepassano i limiti de' suoi diritti, e che per conseguenza in nulla ha egli offeso la Società medesima, ella vorrà conformarsi alle prescrizioni del lodato Arcivescovo Ordinario, e quindi fare in modo che i luoghi già di sopra menzionati non siano più defraudati del vantaggio di assistere al santo sacrificio nei giorni designati dalla Chiesa. Inoltre non può a meno questa S. Congreg. di esigere da lei l'esatta osservanza dei decreti pontificii circa l'ammissione dei soggetti nell'Istituto Salesiano. Ella riconoscerà di quanta importanza sia per l'Istituto medesimo la testimoniale dei rispettivi Ordinarii, essendo questa una garanzia delle qualità o difetti ai quali possono andare soggetti gl'individui che domandano d'appartenere alla menzionata Società. Mentre dunque le si prescrive l'esatto adempimento dei decreti pontificii sull'oggetto, resta ben inteso che non le vien preclusa la via di manifestare il relativo documento, all'appoggio del quale ella si credesse dispensata da tale osservanza come sembra d'insinuarsi nella sua corrispondenza.
Nel parteciparle tutto ciò le prego ogni prosperità dal Signore.
Il Beato senza frapporre il menomo indugio riassunse la storia degli ultimi avvenimenti in questa sua lettera di risposta al Cardinale. [350]
Con grande mia sorpresa ho ricevuto la lettera di V. E. Rev.ma con cui si verserebbe sulla Congregazione Salesiana la mancanza di servizio religioso ad alcuni istituti e pubbliche chiese di questa diocesi. Della rimostranza fatta dal nostro Arcivescovo erasi già sparsa vaga voce ed a tale effetto nei primi di Settembre aveva trasmesso un memoriale al card. Oreglia, perchè si degnasse di trasmetterlo alla E. V. Forse quell'Em.mo è assente da Roma, oppure ammalato.
Ad ogni buon modo io desidero di dare a V. E. una rispettosa soddisfazione, e la prego umilmente volermi dare comunicazione delle rimostranze fatte dal nostro Arcivescovo, affinchè io possa dare i necessari schiarimenti. Intanto ad intelligenza di quanto ella si compiacque di scrivermi mi fo ardito di esporre le cose con breve cenno, riservandomi di trasmettere alle rispettabili mani di V. E. quanto prima i relativi documenti.
Al principio di quest'anno 1877 l'Arcivescovo di Torino nel calendario diocesano decretava che, Regulares omnes monemus [se non posse sine licentia Nostra] ne una quidem vice celebrare Missam in ulla ecclesia vel oratorio etsi Privato nostrae dioecesis: ex decreto XII.
A questa grave proibizione ci siamo prontamente sottomessi e dimandato alla Curia arcivescovile il necessario permesso ci fu dato tostamente e continuammo celebrare nelle chiese dove eravamo soliti prestare gratuito servizio nei giorni festivi ed anche feriali. Ma dopo la metà di Agosto con apposita lettera rinnovò la stessa proibizione espressamente pei Salesiani. Si chiesero schiarimenti e per unica risposta e ragione fu intimata la sospensione al sac. Lazzero direttore di questa casa che aveva scritta la lettera con cui si chiedevano rispettosamente le ragioni di quella proibizione. Allora fu giocoforza prevenire gl'Istituti e le chiese da noi servite ed invitarli a munirsi del voluto permesso. Alcuni avendolo potuto tosto ottenere, da noi si continuò a celebrare loro la Messa come prima, ad altri mancò il tempo; giacchè l'arcivescovo trovavasi a villeggiatura, il vicario generale rispose di non voler immischiarsi in quell'affare. Ecco la cagione delle chiese rimaste mancanti di Messe. Malgrado che l'arcivescovo dica essere immaginaria tale proibizione, tuttavia continua ad essere in vigore. Parecchi nostri preti si presentarono per celebrare in alcune parrocchie, e non fu loro permesso. Ancora domenica scorsa (festa del SS. Rosario) il sac. Cinzano Giovanni, chiamato in patria per affari di famiglia, non potè appagare il vivo desiderio dei parenti e dovette venire a Torino per celebrare in una chiesa della Congregazione. Il parroco non addusse altra ragione, se non che essere questo ordine espresso dell'Arcivescovo. Qual cosa mai io avrei potuto fare?
Altro fatto è quello che riguarda le testimoniali di un novizio. [351] Io sono persuaso che le testimoniali debbano chiedersi all'Ordinario di origine e non a quello nella cui diocesi andrebbe a dimorare e mi pare che l'Ordinario non possa ingerirsi nell'interno di una Congregazione, senza fare uno sfregio alla S. Sede che l'ha approvata indipendente nel suo regime interno. Il sacerdote di cui si tratta, appartenendo alla diocesi d'Ivrea, furono chieste le testimoniali al proprio Ordinario. Ma non avendo giudicato di concederle, nè fare alcuna risposta, ho seguito le prescrizioni di questa sacra ed autorevole Congregazione ed alla medesima ho comunicato ogni cosa in conformità dei decreti pontificii 25 Gennaio 1848.
Eminenza Rev.ma, io mi trovo alla testa di una Congregazione nascente che in mezzo alle spine prende un grande sviluppo, fin'ora non ho mai mosso un piede senza il pieno accordo del S. Padre e delle sacre Congregazioni e ciò desidero di far inalterabilmente per l'avvenire. Ella mi usi carità, mi aiuti, mi continui la sua protezione, mi consigli e lo assicuro che mi troverà sempre coi Salesiani pronto ad ubbidirla. Ma ho bisogno di essere diretto nelle continue vessazioni cui andiamo soggetti. Il sacerdote Lazzero pio e zelante ecclesiastico con grande scandalo deve vedersi ogni giorno il suo confessionale attorniato di fedeli ed egli è tuttora sospeso senza che se ne.sia mai saputa la cagione.
La supplico a volermi condonare la libertà e confidenza con cui scrivo e di credermi con profonda gratitudine e colla massima venerazione
In quei giorni fu fatto un novello sforzo per sopire il dissidio. Il teologo Tresso, Vicario di Lanzo, conobbe subito il caso delle Messe; lo seppe dal direttore di quel collegio, essendovi anche lui personalmente interessato. Durante poi la lunga permanenza dei Superiori a Lanzo per il Capitolo ebbe ogni occasione di venirsi informando esattamente dell'intera faccenda. Egli era affezionato ex - allievo; onde Don Bosco prima di separarsi gli aveva lasciato l'incarico di tentare qualche via d'accomodamento: facesse di tutto per assicurare l'Arcivescovo che i Salesiani non volevano se non il bene della diocesi, ubbidire, lavorare e non dispiacergli in nulla. Don Tresso ci si mise di buona voglia. L'11 ottobre potè ottenere udienza. Il colloquio durò un'ora e mezza. Veramente [352] più che colloquio, fu soliloquio, fu cioè tale sfogo di risentimento che all'interlocutore fece lì per lì morire la parola in bocca e appresso gli tolse ogni ardire di recarsi a Torino da Don Bosco per rendere conto della sua missione[166].
Il 15 ottobre segna la data di una grossa novità. Monsignore per i tipi del Marietti diede alle stampe un opuscolo anonimo il quale era un semplice rimaneggiamento della lunga lettera del 19 settembre. In testa alla prima facciata si leggeva: “stampato riservato per gli Eminentissimi Cardinali ed alcuni Arcivescovi e Vescovi”. Il titolo era: L'Arcivescovo di Torino e la Congregazione di S. Francesco di Sales (detta perciò Salesiana). Seguiva questa didascalia: “Fondata dal Reverendissimo Signor D. Giovanni Bosco, Sacerdote dell'Archidiocesi torinese, in Torino nella casa che ha per titolo: Oratorio di S. Francesco di Sales, via Cottolengo, n. 32, e che possiede ed ufficia la chiesa attigua di Maria Ausiliatrice”. Cominciava [353] così: “Da questa Casa nell'agosto del 1877 vennero gravi disturbi all'Arcivescovo di Torino, i quali esso pensa essere cosa conveniente lo esporre agli Eminentissimi Cardinali e ad alcuni Arcivescovi e Vescovi”. Subito dopo veniva la storia di Don Perenchio, indi quella delle Messe. La duplice esposizione si chiudeva con dire che tutta la causa delle lagnanze dell'Arcivescovo di Torino riguardo ai Salesiani stava in questo, che non si osservavano le leggi ecclesiastiche. L'opuscolo terminava così: “L'Arcivescovo di Torino il 9 settembre 1877 scrisse a Don Rua superiore locale dell'Oratorio di Torino, che quando con lettera sottoscritta o da Don Bosco, o da esso Don Rua, o da Don Lazzero i Salesiani dichiarino di essere dolenti dell'errore commesso il 26 agosto e ne chiedano venia, esso Arcivescovo si terrà pienamente tacitato su questo disgustoso affare; altrimenti dovrà fare quanto giudicherà conveniente per mantenere il suo decoro e la sua autorità. Finora non si fece risposta alcuna. Ed ecco il perchè si esposero queste cose. Eppure la sola umiltà cristiana, senza di cui non esiste alcuno spirito religioso, e nella quale essenzialmente consiste la vita di qualunque sia Congregazione regolare, e di qualunque membro di tale Congregazione, dovrebbe bastare per riconoscere che nel fatto del 26 agosto e nei fatti che lo precedettero furono degli sbagli gravissimi, se non di volontà, certo di intelletto e di immaginazione: coi quali essendosi gravissimamente compromessa l'autorità divina vescovile e l'ecclesiastica arcivescovile, vi ha stretto dovere di riparare all'offesa almeno con riconoscere l'errore e chiederne venia”.
Per entrambe le parti la sede della causa era ormai a Roma. Lo dicono chiaro questi periodi del cardinal Oreglia in una sua lettera precisamente del 15 ottobre a Don Bosco: “Non so come spiegare la lettera che Le fu indirizzata dal detto Cardinale [Ferrieri], ora specialmente che le Segreterie sono chiuse. Questo però non impedisce che Ella faccia il ricorso, suggeritole ieri per telegrafo, al S. Padre, nel quale [354] mi pare che dovrebbe insistere, affinchè tutta la sua vertenza fosse trattata in piena Congregazione. Senza questo non vedo com'Ella possa uscire d'impiccio”. Don Bosco dunque, seguendo le istruzioni del cardinal Oreglia, non fece che prendere il suo memoriale del 14 settembre al cardinal Ferrieri[167], cambiarne l'intestazione e la chiusa, introdurvi qualche modificazione e aggiunta, e umiliarlo al Santo Padre.
È importante per noi l'aggiunta che troviamo sotto Conseguenze dopo il secondo capoverso: “Da taluno essendosi fatte osservazioni all'Arcivescovo, ebbe asseverantemente a rispondere verbalmente e per iscritto essere stata mal intesa la sua lettera. Ma chi la legge, pare non possa trovarvi altro senso se non quello di una vera proibizione Difatti il cav. Occelletti, essendosi presentato all'Ordinario per aver il prescritto permesso, glielo concedette individualmente nel modo più formale[168]. Perchè concedere tale permesso, se non ci fosse stata una proibizione? Si conferma dal fatto del Curato di S. Pietro e Paolo. Dimandò egli che un nostro prete potesse continuare la celebrazione in sua chiesa. Il Vicario Generale rispose che se quel prete era Salesiano, se ne lavava le mani; che se non apparteneva alla Congregazione Salesiana, celebrasse pure con tutta libertà. Inoltre alcuni nostri sacerdoti recatisi in patria, richiesti dai parenti e chiesto di celebrare, ebbero un rifiuto dal rispettivo parroco, adducendo essere tali le prescrizioni superiori. Nella domenica del s. Rosario un nostro neosacerdote, prof. Giovanni Cinzano, andò a passare un giorno in famiglia, entrato in chiesa per celebrare, gli fu tosto risposto dal suo parroco (di Pecetto Torinese) non poterglielo [355] permettere per ordine arcivescovile ricevuto personalmente quindici giorni prima”[169].
Tornando all'opuscolo anonimo, aggiungeremo che noi ne abbiamo una copia postillata qua e là in margine da persona autorevole della sacra Congregazione dei Vescovi e Regolare[170]. Sull'alto della prima pagina scrisse a matita: “Meglio sarebbe stato inter te et ipsum solum ac postea dic Ecclesiae. Il mettersi in piazza da sè non può essere degno di lode”. E alla fine con inchiostro violetto: “Puerilità che sanno di pettegolezzo e giuochi di parole”.
Rimangono a chiarire le ragioni del lungo silenzio lamentato nell'opuscolo. Dopo la corrispondenza fra Don Lazzero e il canonico Zappata la prima comunicazione che i Superiori Salesiani ebbero con la Curia sopra questo affare, fu una lettera di Don Rua in data 4 novembre. Tre motivi obbligarono Don Rua a scrivere. Il 2 novembre dal prosegretario teologo Maffei si chiese a Don Rua, d'ordine dell'Arcivescovo, se [356] monsignor Ceccarelli fosse fornito delle carte necessarie per il esercizio del sacro ministero nell'Archidiocesi, e s'ingiungeva di presentarle alla Curia. ““Dorrebbe assai a Monsignore, avvertiva lo scrivente, che questo Ecclesiastico, ritornando in America, avesse da dire che nella diocesi di Torino non si osservano le leggi ecclesiastiche”. Inoltre Don Giuseppe Pavia, Direttore di un oratorio festivo e già approvato per ascoltare le confessioni dei fedeli nella diocesi suburbicaria di Albano Laziale, non potendosi presentare prima d'Ognissanti al voluto esame, aveva chiesto licenza di confessare i suoi giovanetti almeno per quei pochi giorni di grande concorso. Ma l'Arcivescovo gli rispose che non pensava di dare alcuna facoltà, fino a tanto che i suoi Superiori non chiedessero venia. Finalmente un altro sacerdote salesiano, Don Porrani, già munito delle patenti di confessione, venne obbligato a nuovo esame. Vi si sottopose egli di buon grado e ne uscì con il voto di peridoneus; ma, domandata la pagella, ricevette una risposta identica alla precedente. Allora fu che Don Rua, prefetto generale della Congregazione, scrisse al teologo Maffei.
Ho il piacere di riscontrare alle gradite lettere da te inviatemi in questi ultimi tempi. Primieramente ti prego a voler notificare a S. E. Rev.ma Mons. Arcivescovo che noi siamo rimasti molto dolenti del dispiacere che S. E. ebbe a provare, quando lo scorso agosto avvenne l'inconveniente delle messe
Potrai eziandio notificargli che ad aumentare il nostro dolore si aggiunse un rimprovero mossoci per tal motivo dalla Venerandissima Congregazione dei Vescovi e Regolari.
Avrei voluto prima d'ora scrivere a S. E. su questo oggetto, ma saputo che la cosa era stata deferita alla prelodata Congregazione, parvemi fuori proposito per timore di dire cosa che potesse danneggiare l'una parte e l'altra. Avendo però saputo che S. E. nella sua illuminata saggezza desidera tutt'ora che io scriva su questo argomento, anzi ciò pone come condizione indispensabile per concedere la facoltà provvisoria di confessare al nostro Sacerdote D. Giuseppe Pavia, e le patenti di confessione al nostro Sac. D. Alessandro Porrani (che all'esame a tal uopo subito in questa Archidiocesi nell'Agosto [357] scorso riportò il voto peridoneus) di buon grado accondiscendo al suo desiderio.
Riguardo poi all'ultima tua in data di ieri relativa a Mons. Ceccarelli, puoi assicurare S. R. che egli fu munito delle volute facoltà, per l'esercizio dal Sacro Ministero in questa Archidiocesi. Quanto alle carte parmi che le abbia presentate a questa Curia, sebbene, essendosi da qualche settimana recato alla sua città natia, non lo possa affermare assolutamente.
Abbi intanto la compiacenza di baciare per noi il Sacro Anello a S. E. R.ma e gradisci gli anticipati ringraziamenti e cordiali saluti, con cui godo professarmi
Ma perchè mai procrastinare tanto a raccogliere l'invito dell'Arcivescovo? e perchè poi dopo un indugio così protratto sbrigarsela in sì poche parole? La cosa non può non sorprendere i lettori. Ebbene la sorpresa cesserà dopo aver conosciuto questo brano di lettera scritta da Don Rua a Don Bosco, che trovavasi a Roma[171]: “ Passando ad altro farò presente a V. S. una cosa, qualora non la ricordasse più. Monsignore nel suo ultimo opuscolo ci accusa, perchè aveva fatto sentire a me che scrivessi una lettera per dimandargli perdono di quanto si era fatto relativamente alle messe, e non ebbe risposta. Sappia adunque che quando ricevetti tal suggerimento, eravamo a Lanzo ed Ella sa quanto eravamo occupati e se ci rimaneva tempo di scrivere lettere che abbisognavano di tanta ponderazione. Per altra parte amava meglio presentarmi in persona, avendo veduto, l'esito avuto dalla lettera di Don Lazzero. Nei primi dì dopo il ritorno da Lanzo andai all'arcivescovado e non potendo parlare con S. E., parlai col Segr. C. Chiuso, e feci le condoglianze pel dispiacere reciproco avuto per quell'affare, facendo però notare che da noi erasi operato come pareva suggerire la prudenza e la carità. Poco dopo il Segretario fecemi intendere che Monsignore aspettava [358] la lettera, ed io allora la scrissi nel senso della dichiarazione fatta a voce ”.
La lettera del 4 novembre conteneva per l'appunto le spiegazioni orali; ma per essa l'Arcivescovo fece rispondere che non la riteneva buona, sia perchè troppo tardiva, sia perchè mal rispondente alla forma da lui prescritta. Il ritardo della risposta derivò dall’impossibilità di rilasciare una dichiarazione quale veniva richiesta, perchè riconoscimento di colpa che non era esistita.
Or ecco spuntare un novello incidente. Don Angelo Rocca, da Rivara Torinese, era stato invitato dal suo parroco a recarsi in patria per celebrare e predicare nella festa di San Giovanni Battista. Se ne domandò il permesso. Fu risposto dal segretario che Monsignore voleva anzitutto sapere queste quattro cose: 1° Dov'egli avesse compiuti gli studi teologici. 2° Con qual permesso fosse entrato nella Congregazione Salesiana. 3° Quando aveva emesso i voti. 4° Perchè non si fosse presentato a lui per le ordinazioni. Il desiderio dell'Arcivescovo fu contro il volere di Don Rocca appagato dall'arciprete. Allora il canonico Chiuso replicò che, nonostante tutto, l'Arcivescovo non permetteva a Don Rocca di celebrare a Rivara, soggiungendo credere egli che Monsignore così agisse contro di lui in particolare per punirlo della sua uscita dal seminario ipso invito. Don Rocca, vista la mala parata, fece solo una breve comparsa alla festa, della quale suo padre era priore. Ma nel settembre, dovendo per affari importanti di famiglia recarsi a Rivara, nè volendo privarsi della grazia di celebrare[172], ricorse a un espediente. Aveva egli nella casa paterna una cappella privata, di cui erasi ceduta la proprietà alla Congregazione insieme con la parte dell'edifizio che toccava a lui; egli dunque considerò quel sacello come aperto in una casa della Congregazione e perciò fuori affatto dalla giurisdizione episcopale, e ivi celebrò per una settimana, eccettuata la [359] domenica. La cosa venne all'orecchio di Monsignore, che fece scrivere a Don Rua:
S. E. Rev.ma mons. Arcivescovo m'incarica di dire a V. S., essere informato, che il sac. Don Rocca da Rivara uscito dal seminario di Torino ad insaputa di tutti, ed entrato nella Congregazione Salesiana senza chiedere i testimoniali al suo Arcivescovo, qualche mese fa fermatosi varii giorni nel suo paese nativo, celebrò la s. Messa dentro la sua casa, e disse all'amministratore della parrocchia di Rivara, che esso in ciò usava del diritto dell'oratorio, privato concesso ai Salesiani.
Monsignor Arcivescovo per adempiere uno dei gravissimi obblighi del suo ministero, che è di vegliare attentamente sulla SS. Eucaristia, chiede per mezzo mio a D. Rua comunicazione del rescritto pontificio, col quale il santo Padre concede ai Salesiani in generale l'oratorio privato.
Teol. FRANCESO MAFFEI seg. arcivesc.
Don Rua rispose che Don Rocca era uscito dal seminario col permesso dei Superiori per motivi di salute e che poi era entrato in Congregazione, dopochè e il chierico ed egli stesso avevano fatto domanda delle testimoniali; ma che, non essendosi queste ottenute, erasi ricorso alla sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari, secondo i decreti del 25 gennaio 1848 sullo stato dei Regolari. La replica da parte dell'Arcivescovo fu del tenore seguente.
S. E. Rev.ma ha letto la sua lettera del 12 del corrente mese: e m'incarica di dirle, non essere possibile che la S. V. o D. Rocca gli abbiano chiesto i testimoniali prescritti il 25 gennaio 1848. Imperocchè: 1° Esso non ne ha memoria alcuna; 2° ha per contro la memoria ben chiara, che fin'ora per nessuno dei suoi diocesani si chiesero dalla congregazione Salesiana i testimoniali; 3° che solo in uno o due casi gli si domandò il consenso, ma non già i testimoniali; 4° quando per D. Rocca si fossero chiesti i testimoniali, e questi fossero stati negati [360] da mons. Arcivescovo, e quindi si fosse ricorso alla sacra Cong. dei Vesc. e Regol. questa non avrebbe mancato, come è suo uso costante, di comunicare a mons. Arcivescovo il ricorso, e chiedere il perchè della negativa, lo che non si fece per D. Rocca. Monsignore quindi conclude, non potere essere vero che per D. Rocca gli siano stati chiesti i testimoniali; e dolergli assai, che i Salesiani ora in un modo ora in un altro gli diano disturbi e gravi ragioni di lagnanza.
Teol. FRANCESCO MAFFEI Pro seg. arcivesc.
Don Bosco veniva stretto da tutte le parti. In data 14 novembre una lettera del cardinal Ferrieri lo invitava a produrre le facoltà e i Privilegi concessigli dal Papa.
In vista di alcuni reclami che mons. Arcivescovo di Torino ha presentato alla Santità di Nostro Signore, a carico di V. S. e del suo istituto e dei quali la Santità Sua ha commesso l'esame a questa sacra Cong. dei Vesc. e Regol., si rende necessario che ella faccia conoscere distintamente e con tutta esattezza le facoltà e privilegi, che ha ricevuti, e di cui gode per benigne concessioni della S. Sede, affinchè questa cognizione serva di norma nell'accurata disamina, che gli Emin.mi Padri faranno di questa vertenza. Tanto doveva significarle; e Dio la guardi. Al piacer suo
Il 15 Monsignore avvertì Don Bosco essere “anormale ” la pubblicazione da lui fatta nell'Archidiocesi d'indulgenze accordate ai Cooperatori e sorgere da ciò il dovere di darne avviso a tutto il clero. Egli aveva già esposto le sue difficoltà al cardinal Asquini, Segretario della sacra Congregazione dei Brevi; ma, ricevutane dopo lungo tempo una risposta che l'aveva eccitato a nuove osservazioni, non gliene arrivava mai un cenno di riscontro. Stanco di aspettare, manifestò a Don Bosco il vivo desiderio che di quelle indulgenze sospendesse [361] la pubblicazione nella sua diocesi fino al completo scioglimento delle difficoltà. “ E ciò, faceva scrivere, non già perchè a mons. Arcivescovo non piaccia di vedere la santa opera a cui mira la Congregazione Salesiana aiutata con grazie speciali, ma solo perchè è suo stretto dovere il vegliare, e lo stesso interesse non momentaneo, ma stabile della Congregazione Salesiana richiede che tutto proceda secondo le regole canoniche ”. Quanto all'intenzione di divulgare un avviso ai parroci sull'invalidità di dette indulgenze, tenendo conto delle osservazioni fattegli da persona prudente, ne depose l'idea. Tuttavia non desistette dai ricorsi per l'annullamento del Breve, finchè non gli venne comunicato che l'associazione dei Cooperatori Salesiani era stata eretta canonicamente dall'Arcivescovo di Genova nella sua archidiocesi e che il medesimo ne aveva stabilito il centro nell'ospizio di S. Vincenzo in Sampierdarena. Non fu però mai permessa la stampa del Breve nella diocesi di Torino. Ma su di quest'argomento rimandiamo i lettori al capo quarto del volume undecimo.
Negli stessi giorni riportarono in Roma il sopravvento coloro che volevano il ritiro dei Salesiani dalla direzione dei Concettini e principiarono a Torino gl'incagli alle ordinazioni del Conte Cays. Nè si dimentichi che il 14 era anche la partenza dei Missionari, i quali non poterono avere, come l'avevano avuta i loro antecessori, la benedizione dell'Arcivescovo. Tornato poi Don Bosco da Sampierdarena dopo la partenza della spedizione, bisognò che si occupasse della richiesta piovutagli addosso dal cardinal Ferrieri e recapitatagli con ritardo, a motivo della sua assenza. Essendosi dunque recato al collegio di Borgo S. Martino, scrisse al segretario Don Berto:
Buon giorno. Nel punto mi fu consegnata una lettera del card. Ferrieri che in seguito a nuovi reclami dell'Arcivescovo al santo Padre si dimanda copia di tutti i privilegi concessi alla nostra Congregazione [362]. Perciò cercati un segretario che abbia un carattere leggibile e poi per ordine cronologico fagli scrivere i decreti cominciando dal 1864 fino ad oggi, compresi i rescritti ed i Brevi.
Non occorre eleganza: un quadernetto pulito e basta. Pel resto ci vedremo venerdì; datine cenno al P. R.[173].
Dio ci benedica tutti e credimi in G. C.
Mentre anche quest'affare gli dava non poco da pensare, doveva pur prepararsi a far valere il suo buon diritto innanzi alle Congregazioni Romane. A tal fine incaricò Don Berto di raccogliergli documenti sulla vertenza principale, come si verrà mostrando in questa nostra esposizione cronologica dei fatti. Il primo documento fu questa dichiarazione, ottenuta da Don Perenchio, da cui era venuta prima mali labes.
Il sottoscritto dichiara, che nei pochi giorni, che passò in Torino nella casa, detta Oratorio di S. Francesco di Sales, non gli fu comunicata alcuna dichiarazione o decreto di sospensione, nè per parte del vescovo d'Ivrea, nè da parte dell'Arcivescovo di Torino.
Solamente il giorno 24 di agosto il sac. Rua Michele mi disse che S. E. l'Arciv. mons. Lorenzo Gastaldi non voleva più che mi lasciasse celebrare nella sua diocesi, e quindi mi consigliava d'allontanarmi dalla sua casa.
Sebbene quella fosse chiesa della Congregazione Salesiana, nè ciò mi fosse detto da parte del mio Ordinario, tuttavia ho tostamente cessato di celebrare e mi sono immediatamente allontanato dall'Oratorio di S. Francesco di Sales e dalla diocesi Torinese.
Costigliole di Saluzzo, il giorno 22 Nov. 1877.
Nello stesso giorno il prevosto di Pecetto diede spiegazioni a Don Bosco sul caso di Don Cinzano a cui aveva impedito di celebrare nella sua parrocchia. Le male lingue ne avevano preso pretesto per dire che anche quel prevosto si era schierato contro Don Bosco. [363]
Non solamente io non avverso D. Bosco, ma lo ammiro e lo venero, e non solo non osteggio la sua Congregazione ma la considero come una speciale opera della Provvidenza atta pei nostri tempi; e questi miei sentimenti non solo ho in cuore, ma sulla bocca, e quanti mi frequentano ne sono testimonii. E sebbene io non abbia avuto la bella sorte di potere, come allievo di qualche suo collegio, pretendere alla sua speciale affezione, Ella ben sa quante volte io ho desiderato di essere uno de' suoi figli, e ricorderà quante volte La pregai a considerarmi come tale, quantunque non me lo meritassi. Per questi motivi, il sospetto manifestato nella sua di ieri, che corre per le bocche di certuni a mio carico, è falso, e per chi mi conosce è temerario, e forse maligno, ed io prego V. S. a non darci retta. Ma si dice: perchè dunque non ha dato licenza al mio sacerdote Cinzano di celebrare la S. Messa nella solennità del Rosario? Per chi ha cuore e mente retta non durerà fatica a capire il perchè, e V. S. non mi condannerà certo, quando sappia tutto. Io non credeva di tanta gravità il Monito n. 12 apposto da mons. Arcivescovo nel calendario di quest'anno, che non potessi largamente interpretarlo a favore di un mio parrocchiano, e permettergli di celebrare almeno una volta: quindi quanto a me e per quel capo solo l'avrei soddisfatto, anche a costo di attirarmi una sgridata, e così sempre più decadere dall'affezione di Monsignore (presso il quale, sia detto di passaggio, alcuni maligni mi hanno già reso il servizio che ora si adoprano a rendermi con Lei). Ma a ciò ostava una speciale proibizione ed è la seguente: Andando io nelle scorse ferie autunnali a confessare al s. Eremo, monsignore che già conosceva Cinzano, me ne domandò nuove, ed io risposi che non poteva dir certo, ma che da quanto si diceva nel paese, credeva che nell'anno doveva esser promosso al sacerdozio. Allora monsignore mi disse: - E verrà a Pecetto a celebrare la Messa? - Al che io: - Nessuno me ne fece di ciò cenno, ma mi pare che od ora od altra volta certo verrà. - Ebbene conchiuse monsignore, si ricordi del monito del calendario e lo osservi e lo faccia osservare. Dopo ciò poteva io ancora permettere a Don Cinzano che celebrasse, e se non glielo ho permesso ne avrò una colpa? Io credo di no, ed oso sperate, che V. S. Venerat.ma mi saprà compatire, e vorrà degnarsi di far tacere le male lingue che cercano di screditarmi presso di Lei! ecc. ecc. Confidando che ella si varrà con la sua nota prudenza di questa mia e che non me ne verrà alcun dispiacere, la prego a rimettermi nelle sue grazie, a ricordarmi nelle sue orazioni, ed a credermi qual godo dirmi Di V. S. Venerat.ma
Pecetto Torinese, li 22 novembre 1877.
D. PERLO, prevosto di Pecetto Torinese. [364]
Con la medesima data il Servo di Dio mandò all'Arcivescovo la risposta sul doppio affare delle indulgenze e di Don Rocca. Gliene preparò l'abbozzo il Padre Rostagno.
In ossequio alla venerata sua del 9 corrente mi faccio un dovere di assicurarla che riguardo alla Messa celebrata da un sacerdote Salesiano il 16 settembre dell'anno corrente in un oratorio privato di Rivara, io non intendo di mettere innanzi alcun privilegio. Il sacerdote che ciò fece, non potendo ottenere di celebrare perchè respinto dal suo parroco, credette in buona fede ed appoggiato sopra ragioni che a lui parevano sufficienti, che in quella circostanza gli fosse permesso di celebrare in quel luogo diventato proprietà della Congregazione Salesiana. Io, se il tempo avesse permesso di esserne interrogato, non glielo avrei consentito e non lo consentirò a nessuno, stando le cose nel termine in cui sono. Spero che siccome innanzi a Dio non vi sarà stato alcun fallo, così questa franca dichiarazione troverà buon accoglimento presso V. E. Rev.ma e ne La supplico riverente mente.
Quanto alla questione delle indulgenze per i Cooperatori mi rincrescerebbe assai che il giudizio fattone da V. E. Rev.ma venisse portato dinnanzi al pubblico, fosse anche dei soli parrochi prima che essa sia esaminata dalla Congregazione delle Indulgenze.
Perchè sono persuaso che questa pubblicazione sarebbe uno scandalo e pietra di offensione per i fedeli e per gli increduli che non mancherebbero di averne notizia. Certamente ne verrebbe danno alla Congregazione, perchè un'accusa tanto grave non potrebbe non farle torto; ma forse il peggiore danno non sarebbe per la Congregazione nè per me. Il solo conoscere l'esistenza di questa vertenza, il solo mostrare il dissenso, sarebbe già occasione di molte critiche, e di opposti giudizi, non tutti disfavorevoli a me. Sarebbe allora necessario per parte mia ricorrere alle Congregazioni Romane; e se, come credo, la sentenza mi fosse favorevole, quale inconveniente quando si venisse a conoscere tale decisione! Non intendo punto impedire per nulla che V. E. faccia quello che il suo zelo per la religione Le detta; ma conceda ad un indegno suo servo di pregarla che prima di fare questo passo voglia interrogarne persone assennate e prudenti, non fosse che per mettersi al coperto di ogni critica e dalla malevolenza degli avversarii, come già V. E. ha fatto per qualche lettera pubblicata nel Calendario[174]. E poi perchè non rimettersi anzitutto ai [365] maturi ed autorevoli giudizi delle Romane Congregazioni, che non mancheranno di trattare le cose ponderatamente, e giudicar secondo diritto? Per dirle sinceramente tutto quello che penso, mi rincrebbe assai che la quistione della proibizione delle Messe non sia stata trattata in questo stesso modo, e che uno stampato, che porta il nome di riservato, sia venuto a pregiudicare la decisione. Dacchè la controversia era stata da V. E. deferita a Roma, non era forse più opportuno che colà si fosse aggiustata? La sacra Congregazione vedrà se veramente questa pubblicazione sia giunta a proposito. Ora a mio malgrado dovrò rispondere, e certamente una difesa sopra accuse sufficientemente gravi, nella quale sono persuaso di avere ragione, non potrà mai essere senza una censura proporzionata agli appunti ed ai rimproveri esposti da V. R. contro il mio modo di agire. Io Le domando preventivamente perdono, e se Le parrà che io ecceda in qualche cosa, lo attribuisca al bisogno della difesa ed al veemente dispiacere che ne provo. Ma perchè non trattare queste difficoltà con misure paterne, e con quella indulgenza che merita una congregazione nascente che vuole sinceramente il bene, e può bene errare per ignoranza, ma non certo per malizia? Dio giudicherà V. E. ed il suo povero servo intorno alla rettitudine delle nostre intenzioni, della cristiana carità ed umiltà con cui avremo operato, dello studio che avremo messo a trovare i mezzi proporzionati a difendere e promuovere gl'interessi della sua santa religione: in Lui mi affido.
Non devo lasciare senza risposta l'osservazione fattami di aver ricevuto nella Congregazione senza testimoniali un chierico (ora D. Rocca) espulso dal venerabile seminario di Torino. V. E. mi permetta di ricordarle che le testimoniali furono richieste cinque volte dal chierico Rocca, altra volta da D. Rua, ed una volta dallo scrivente senza averle mai potuto ottenere: in conseguenza di ciò si è andato oltre, secondo le istruzioni della sacra Congregazione della disciplina regolare date ai 25 Gennaio 1848 (Collectanea, pag. 891).
Baciandole ossequiosamente le mani mi protesto
Il 23 Monsignore rispose a Don Bosco: “ Il meglio che Ella potrebbe fare, sarebbe di presentarsi al suo Arcivescovo con nessun altro spirito che quello dell'umiltà e della carità; chè allora pel meglio di V. S. e della sua Congregazione e dell'Archidiocesi Torinese si potrebbero probabilmente appianare gli ostacoli della pace. Imperocchè l'Arcivescovo attuale siccome ha cooperato assai volentieri ad erigere la Congregazione Salesiana, così desidera di concorrere a conservarla e dilatarla; purchè sieno salve le prerogative dell'Autorità Arcivescovile, che esso ha promesso con giuramento di mantenere, e se ne venga vantaggio e non danno all'Archidiocesi di Torino”. Egli poi sfiora due altre questioni pendenti: l'ordinazione dei due chierici compagni del conte Cays e l'erezione della chiesa di S. Giovanni Evangelista. Della quale ultima controversia diremo poi. Con la medesima data giunse a Don Bosco una lettera del parroco di Favria per render ragione di un incidente analogo a quello, in cui ebbe parte il prevosto di Pecetto.
Rispondo alla preg.ma sua delli 21 corrente ricevuta stamattina. Le notizie a carico dei sacerdoti il più delle volte provengono da ignoranza o del fatto, o delle circostanze. Disgraziatamente il Sac. Paglia ignorava anch'Egli la seconda parte del numero 12 dei Decreta et Monita inserito nel Calendario di quest'anno.
Non appena ebbi letta la proibizione contenuta in quel decreto, se l'applicò da se medesimo, dicendo: Non ho questa licenza, non posso celebrare. E con mio dispiacere non celebrò. Ma un altro Sac. salesiano venne a Favria, D. Vota; aveva la richiesta licenza, e celebrò più volte. Come appare dal detto, io non feci alcuna proibizione. Il Sac. Paglia non celebrò per ubbidire al citato decreto; le lingue poi parlarono per ignoranza. Però, se le mie preghiere avessero un qualche valore, vorrei pregarla a fare in modo, che questi casi non possano più succedere nè qui nè altrove. Mi creda con tutta la stima
BONINO MICHELE, Prev. Vic. foraneo. [367]
Mettiamo qui anche una lettera del teologo Arpino, parroco dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, sebbene sia di data alquanto posteriore, per raggruppare meglio i documenti.
Nel 25 pp. agosto, giorno di sabbato, una lettera di D. Lazzero mi poneva in avviso, che nella Domenica seguente (26) in seguito a severe disposizioni di S. E. R. Monsignor Nostro Arcivescovo, il sacerdote salesiano non avrebbe più potuto celebrare la S. Messa ai fanciulli miei parrocchiani nell'Oratorio di S. Giuseppe. Non potendo io supplire con un altro sacerdote, sono ricorso al R. M. Vicario Generale invocando una eccezione alle prefate disposizioni, che io non conosceva. M. Vicario mi rispose non volersene immischiare. S. E. R. non era a Torino, ma per fortuna si restituì nella sera medesima, ed ho ottenuto dalla E. S. R. il desiderato permesso, ed i fanciulli dell'Oratorio udirono la solita Messa celebrata dal sac. Salesiano. Sempre riconoscente all'assistenza spirituale, che per mezzo dei Salesiani nei dì festivi la S. V. R. dà ai fanciulli alla mia cura affidati, passo a dirmi col più profondo rispetto
Devotiss. Obbligatiss. Servitore
Curato dei SS. Apostoli Pietro e Paolo.
Nuova esca al fuoco venne allora dalla ristampa dell'opuscolo di Don Bosco intitolato Maria Ausiliatrice. Noi ne ragionammo già in altra parte del nostro lavoro[175]; qui aggiungeremo solo quel tanto che là non si disse. La questione veramente erasi riaccesa dopo un paio d'anni nel maggio di questo ‘77 per la pubblicazione di un fascicolo delle Letture Cattoliche, compilato da Don Lemoyne, ma edito a Sampierdarena. Il 18 di quel mese Monsignore aveva fatto uscire sull'Emporio Popolare[176] il seguente articoletto con l'intestazione della Curia Arcivescovil: “ Il fascicolo V delle Letture Cattoliche pubblicato nel corrente maggio col titolo La Nuvoletta del Carmelo, invece di essere uscito secondo l'uso costante da [368] 25 anni in qua, dalla Tipografia di Torino, venne fuori da una, Tipografia in Sampierdarena. Dopo la pag. 113 vi si legge: Con licenza dell'Autorità Ecclesiastica. Si avvertono i lettori che l'Autorità Ecclesiastica ivi accennata non è quella della Curia Arcivescovile di Torino ”. Quale fosse il fondamento del biasimo inflitto così al libro si può scorgere dalla parte dell'articolo che per osservazioni di persona benevola fu soppressa sul giornale e che diceva: “ Al cui esame il detto libro non fu presentato; e nella quale Curia si è stabilito che, d'ora in poi il permesso di stampare un libro sia accompagnato dalla sottoscrizione di Monsignor Arcivescovo, o del suo Vicario Generale, o di alcuno dei Provicarii, o di altro ecclesiastico a ciò autorizzato. Si aggiunge che il Concilio di Trento nella Sessione 25 e nel decreto della invocazione dei Santi stabilisce non doversi ammettere nuovi miracoli se non dopo che il Vescovo li abbia riconosciuti ed approvati. Dal quale sapientissimo ordinamento del Concilio di Trento risulta, che le narrazioni di cose soprannaturali sensibili non riconosciute ed approvate dal Vescovo non hanno titolo ad essere credute ”. Per altro il contenuto di questa parte soppressa fu poi prodotto nel titolo XVIII dei Monita et Decreta sul Calendario diocesano del 1878, con l'aggiunta della minaccia, generica pro forma, di procedere a far coprire immagini e chiudere chiese, dove si dicessero ottenuti miracoli non prima vagliati dall'Autorità Vescovile.
Dopo l'articolo suddetto, Monsignore il 19 maggio insistette: “ Reputo mio obbligo gravissimo di esaminare le narrazioni dei fatti soprannaturali che si dicono avvenuti nella mia diocesi ad invocazione di Maria SS. onorata come Ausiliatrice dei Cristiani nella chiesa di V. S. in Torino ”. Don Bosco gli rispose:
Ricevo un dispaccio da Gibilterra che l'Arcivescovo di Buenos Ayres con quindici Argentini giungeranno domani sera a Genova e prenderanno alloggio nel nostro ospizio di S. Pierdarena. Appena sarò [369] di ritorno soddisferò a quanto significava nella sua lettera antecedente e segnerò alcuni fatti che mi paiono opportuni ad un regolare esame, o meglio le persone a cui si riferiscono sono vie meglio in grado di esprimersi intorno alle dimande indirizzate.
La prego di avermi quale colla massima venerazione mi professo
Questo esame non si fece mai, perchè la vertenza prese nuovi sviluppi, essendo stata la questione portata a Roma, Come abbiamo già narrato[177].
Per transenna rammenteremo il già detto altrove, che la proibizione tridentina si restringe ai miracoli attribuiti ai non beatificati o non canonizzati, morti in fama di santità. Ma non regge nemmeno la conclusione dedotta dall'ordinamento tridentino, che, senza il decreto autentico dell'Autorità Ecclesiastica, al racconto di miracoli non si possa prestare nessuna fede; poichè si confonde ivi la testificazione autentica di un fatto prodigioso con la persuasione privata. La prima dev'essere rivestita di caratteri e formalità determinati dalle leggi; l'altra si contenta dei segni ordinari più o meno certi, secondo i quali si regola l'umano giudizio. Dunque, senza contestare la verità delle cose stampate col Nulla osta della Curia arcivescovile genovese e senza togliere loro ogni probabilità, bastava dire che quelle relazioni non erano autentiche: proposizione che nessuno avrebbe mai presunto di mettere in dubbio. Si sa bene che chi stampa un libro di tal genere con l'approvazione dell'Ordinario non intende mai che quest'approvazione valga per la storicità delle cose narrate, ma solamente per la pubblicazione del libro. Ecco il perchè delle proteste che gli autori debbono apporre sul grado di credibilità spettante a loro narrazioni di fatti miracolosi.
Il 24 novembre pertanto, comparsa la nuova edizione [370] sopraddetta, l'Arcivescovo, nella risposta a una lettera di Don Rua su quest'argomento fece ripetere che la Tipografia Salesiana era “ colpevole di grave mancanza verso la Curia Arcivescovile di Torino e le leggi Ecclesiastiche, per avere ristampato l'opuscolo Maria Ausiliatrice... non approvato dalla Curia, ma solo da P. Saraceno, Revisore ecclesiastico, e... pubblicato contro le intenzioni di esso Monsignore ”; e che l'edizione del '77 “ manifestamente ” aveva delle aggiunte; e che quand'anche fosse vero non essersi mutata una virgola, non poteva pubblicarsi senza sottometterlo di nuovo alla Revisione. Noi abbiamo fatto il confronto delle due edizioni e trovatele in tutto identiche.
Il 25 novembre portò all'Oratorio due lettere partite dall'Episcopio. Una era diretta a Don Rua, sul chiedere perdono.
S. E. Rev.ma mi incarica di avvertire V. S. che esso nella lettera da me scritta il 9 scorso settembre, chiedeva, che i Salesiani per mezzo di lettera sottoscritta da D. Bosco, o D. Rua, o almeno D. Lazzero si dichiarassero dolenti del disturbo gravissimo dato il 26 ultimo agosto e ne chiedessero venia. A questa dichiarazione non risponde per nulla quella che V. S. fece 56 giorni dopo!! cioè il 4 del corrente novembre, di essere molto dolenti del dispiacere che Monsignore ebbe a provare, e nient'altro. Chi ha cuore è sempre dolente del dispiacere, quantunque meritato, che prova chi è giustamente condannato a patire per le sue mancanze. Rimane quindi evidente, che la dichiarazione di V. S. non dice nulla.
Con tutta la stima sono di V. S. R.
La seconda lettera, scritta da Monsignore a Don Bosco, era di eccezionale gravità, non solo per l'ombra odiosa che proiettava sulla figura morale del Beato, ma anche perchè in sostanza gli chiudeva la bocca e gli legava le mani, sicchè non avrebbe più potuto nemmeno difendersi. [371]
Ripeto a S. V. quanto le scrissi il 23 corrente mese; il meglio che ella possa fare essere di presentarsi al suo Arcivescovo con umiltà e carità, chè si potrebbero dissipare gli ostacoli della buona armonia; conciossiachè l'attuale Arcivescovo di Torino come è concorso assai volentieri ad erigere la Congregazione Salesiana, così è disposto a cooperare per mantenerla e dilatarla; e non richiede altro se non che sia salva l'autorità Arcivescovile e salvo il bene della sua diocesi. Quindi io confido, che ella si arrenderà a questi consigli.
Nel caso poi che V. S. desse alle stampe o producesse colla litografia od altri mezzi qualche scritto sfavorevole all'attuale Arcivescovo di Torino; oppure scrivesse a mano sua o di altri qualche carta sfavorevole a questo Arcivescovo e la presentasse a qualunque sia persona, eccettuato il Sommo Pontefice e gli Eminentissimi Cardinali membri delle Sacre Congregazioni Romane le dichiaro fin d'ora, che in quell'istante cessi per lei la facoltà di ascoltare le confessioni sacramentali e di assolvere, e ciò ipso facto nella mia diocesi; imperocchè evidentemente io non potrei più porre in lei la fiducia necessaria per affidarle la Direzione delle coscienze di alcuno de' miei diocesani, o delle persone che mi sono suddite riguardo alla confessione; e quindi fin d'ora ritirerei da V. S. la facoltà pel punto di tempo in cui avvenisse il caso più sopra espresso.
Se poi V. S. si arrendesse a miei consigli, se ne darebbe tosto avviso agli Eminentissimi Cardinali ed ai Vescovi che sono informati dello stato delle nostre cose.
Con tutta la dovuta stima di V. S. Rev.ma
Dopo questa intimazione, silenzio fino al 1° dicembre, nel qual giorno di buon mattino il Beato ricevette questa giunta alla derrata:
In aggiunta e correzione di quanto scrissi a V. S. il 25 ultimo scorso novembre, Le dico che se Ella presenta o fa presentare uno scritto qualunque sfavorevole all'attuale Arcivescovo di Torino, sia questo scritto a mano di V. S. o di altri, sia esso a stampa o litografato o fotografato, a qualunque sia persona, eccettuati il Sommo Pontefice, il Card. Segretario di Stato, ed i Cardinali Prefetti delle [372] Sacre Congregazioni dei Vescovi e Regolari e del Concilio, io da questo istante dichiaro che per V. S. in tal caso cessa la facoltà di assolvere sacramentalmente, e perciò di ascoltare le confessioni in questa Archidiocesi; e cessa ipso facto senza bisogno di altra dichiarazione: siccome la dichiaro già cessata, se mai V. S. avesse già fatto ciò, in vista di che intendo revocare da lei la facoltà suddetta.
Con tutta la dovuta stima di V. S. Rev.ma
Era una spada di Damocle che continuò a pendere un bel po' sul capo di Don Bosco. Egli così se ne lagnava col cardinal Oreglia il 25 marzo 1878: “ Questa severa disposizione persiste, sebbene lui abbia pubblicato, stampato e stampi opuscoli e pastorali contro di noi, senza che siasi data alcuna risposta, sia perchè tale è il nostro principio, e tale è pure stato il consiglio dell'E. V. Rev.ma ”.
Tutti questi guai non arrestavano la raccolta di documenti utili alla difesa, che il Servo di Dio per l'onore della Congregazione intendeva prendersi dinanzi alla sacra Congregazione. A quelli già registrati ne uniremo tre altri sul diniego fatto a Don Rocca di celebrare nel paese nativo. Il primo proviene da un testimonio che riferisce quanto gli consta per sentito a dire. Il secondo è una lettera a Don Berto, scritta dal Rettore della Regia Basilica e Arciconfraternita dei Santi Maurizio e Lazzaro in Torino; egli in parte conferma, in parte completa la testimonianza del precedente. Il terzo emana dalla Curia Torinese, e rivanga la faccenda delle testimoniali. Tutti insieme concorrono a colorire questo episodio sotto ogni aspetto, offrendo utili elementi di giudizio.
Ecco la pronta risposta. L'Amministratore di Rivara D. Tarizzo domandò all'Arciv. che lasciasse celebrare e predicare il D. Rocca, prete Salesiano nativo di Rivara, e lo pregò di tal favore perchè i parenti di D. Rocca avevano esternato il vivo desiderio di partecipare tutti in famiglia a tale solennità, e l'Arcivescovo sentendo che [373] era prete Salesiano il D. Rocca, non volle abilitarlo e persistette nel suo rifiuto. Il D. Tarizzo tardò a notificare il rifiuto dell'Arcivescovo a permettergli di celebrare e predicare in detta solennità, al Sig. Don Rocca, e questi alcuni giorni prima della solennità si portò a Rivara. Il D. Tarizzo, temendo scandali a manifestare la negativa dell'Arcivescovo, pensò di rivolgersi al Sac. D. Zucchi, Rettore della Basilica Magistrale, e lo pregò di portarsi all'Arcivescovado e presentare quali e quanti scandali potrebbero evenirne quando egli si trovasse nella dura necessità di eseguire la proibizione di celebrare relativa al Don Rocca, il quale ha ottimi parenti in Rivara, ed è da tutti conosciuto ottimo prete. Il cav. Zucchi per favore si portò dal Can. Chiuso, Segretario Arcivescovile. Gli fece riflettere i disordini che evidentemente ne sarebbero avvenuti in Rivara, e gli scandali ed i dispiaceri allo stesso Amministratore; insomma terminò con dirgli che la popolazione di Rivara non avrebbe saputo rendersi ragione di una tale proibizione, dopo che si è ricorso per tempo all'Autorità Arcivescovile a favore del D. Rocca. Il can. Chiuso parve convinto della necessità di concedere la facoltà richiesta al D. Rocca, ed andò a trovare l'Arcivescovo in sua camera, e dopo venti minuti ritornò, e disse che la risposta era: che il D. Rocca non facesse alcuna funzione a Rivara; e il Can. Chiuso aggiunse che l'Arcivescovo non demordeva a riguardo dei preti di D. Bosco.
Questo è quanto mi fu raccontato dallo stesso sacerdote D. Zucchi rettore della Basilica Magistrale, e dica pure a D. Bosco, che se ne serva come crede meglio, perchè io posso sempre affermarlo.
M raccomandi alle calde preghiere del caro D. Bosco, e me lo saluti di gran cuore, e presto spero di vederlo. Intanto le dica di ricordarsi di ciò che io ho avvisato D. Rua, relativamente alla circolare segreta, e il parroco di Revigliasco che la lesse.
Gradisca i più sinceri e cordiali saluti, e preghi molto per chi si dichiara con distinta stima di lei
Buttigliera d'Asti, I° dicembre 1877.
Ho ricevuto or ora la preg.ma sua in data di ieri, cui mi affretto di porger riscontro. Il Sig. D. Tarizzo, Amministratore della parrocchia di Rivara, mi scrisse nel mese di giugno che nella festa patronale di S. Giovanni era priore il Rocca padre del Sac. Angelo, e che avrebbe avuto piacere e la cosa era veramente a posto, che il di lui figlio avesse cantato la messa e detto il discorso del Santo: che però trattandosi di un sacerdote regolare occorreva il permesso di Monsignor [374] Arcivescovo, e mi dava l'incarico di ottenerlo. Trattandosi d'una licenza ch'io prevedeva difficile ad avere, ho scritto a volta di corriere al Sig. D. Tarizzo, che era dolente di non poterlo soddisfare, giacchè l'affare se era difficile per lui, lo era molto più per me, e ad ogni modo si rivolgesse egli stesso a Mons. Arcivescovo...
Alla vigilia di S. Giovanni ricevo un'altra lettera dallo stesso Sig. D. Tarizzo unitamente ad un'altra diretta al Sig. Canonico Chiuso, che mi pregava di recapitare io stesso perorando ad un tempo per l'implorato favore. Ho recato tosto la lettera al Canonico Chiuso e lo pregai caldamente di voler interporre i di lui buoni uffizi presso Mons. onde ottenere, che il sereno di una così cara festa di famiglia non venisse disturbato, aggiungendo quanto seppi di meglio per ottenere l'intento. Il Sig. Can. si recò da Monsignore, si fermò un 10 minuti e ritornò con dirmi che Mons. stava fermo nella negativa e che gliene rincresceva. Anche a me duole assai, soggiunsi io; ma ambasciator non porta pena. Favorisca di darmi per iscritto tale negativa risposta onde per mio scarico possa mandarla al Sig. D. Tarizzo. Ed egli vi aderì, e dello stesso giorno io l'ho fatta pervenire alle mani del Sig. D. Tarizzo.
Gradisca: Rev.mo Signore, i miei rispetti in un coi sensi della profonda mia stima e venerazione, e mi creda
S. E. M. Arcivescovo mi incarica di scrivere a V. S. quanto segue riguardo a D. Rocca. E D. Rua e V. S. ripetutamente affermarono nelle loro lettere che prima di ricevere qualche individuo nella Congregazione Salesiana si erano domandati a Mons. i testimoniali. Ora Don Rocca è appunto uno dei soggetti, che per essere stati espulsi dal Seminario Metropolitano, e tuttavia ricevuto nella Congregazione suddetta, Mons. Arcivescovo ebbe a muovere sì gravi e ripetute lagnanze. Riguardo a D. Rocca V. S. nella sua lettera 29 maggio 1873 scriveva: “ Il Ch. Rocca non è accettato nè membro di nostra Congregazione nè come chierico della diocesi: ma unicamente per fare alcune settimane di convalescenza nel Collegio di Lanzo. Ciò gli fu permesso coll'espressa condizione che seco portasse un permesso per iscritto del suo Superiore ecclesiastico ”. D'altronde dal momento che un chierico si merita l'espulsione dal Seminario non è certamente degno di una Congregazione religiosa. Questa fu sempre la regola seguita fin ora non solamente pei chierici della Archidiocesi di Torino ma di tutte le altre diocesi.
Dopo tali assicurazioni di V. S., Monsignore a buon diritto supponeva [375] che il giovane Rocca fosse uscito definitivamente dalle case dei Salesiani, quando con grande suo stupore viene a sapere che esso è sacerdote, ordinato non sa da chi, e che pensando avere il privilegio non solo dell'Oratorio privato, ma dell'altare portatile a guisa di Vescovo celebra la S. Messa nella sua casa di Rivara.
Monsignore non può a meno che muovere nuove gravissime e continue lagnanze contro questo modo di operare così evidentemente anormale.
Con la massima stima sono di V. S. Rev.ma
Fino al 9 novembre si sapeva in Curia che Don Rocca era uscito dal Seminario di Torino “ad insaputa di tutti”[178]; viceversa il 4 dicembre dalla medesima Curia si scrive che Don Rocca dal seminario fu espulso. Qui la contraddizione è flagrante. Se non che ci sembra lecito supporre che il secondo asserto si debba attribuire a erronee informazioni assunte dopo il primo, come si può ben credere che la domanda delle testimoniali non sia stata consegnata a Monsignore da persone che l'attorniavano[179].
Ricordo tuttora e benissimo quando il B. D. Bosco, essendomi io deciso di fermarmi in Congregazione, mi fece chiedere a Mons. Gastaldi le necessarie testimoniali. Non avendo avuto risposta alla mia domanda, ne parlai a voce (eravamo negli ultimi dell'ottobre 1873) io stesso, col Rettore del Seminario D. Soldati, il quale mi disse che ne avrebbe interpellato l'Arcivescovo. Ritornato a lui il giorno dopo, mi rispose, testuali parole: - Mons. Arcivescovo le darà mai le testimoniali, perchè lei non doveva lasciare il Seminario. - Bella e sapiente ragione! E noti che io era uscito dal Seminario per motivi di salute e col permesso del Superiore. Fu poi necessario che Don Bosco le ottenesse direttamente da Roma. In seguito ebbi altre beghe per aver io celebrato la S. Messa in una cappella di famiglia. Ciò per una mala intelligenza, e non assolutamente per contraddire ai suoi ordini. Due anni dopo, neppure senza difficoltà, mi concesse il celebret tutto scritto di sua mano. Se altro occorre, mi scriva.
La saluto di cuore, Memento mei.
Anche il parroco di Rivara aveva scritto; ma la sua lettera andò smarrita. Onde il 26 dicembre riscrisse a Don Bosco:
…Da me pregato il zelantissimo Sac. Rocca di accettare il discorso in onore di S. Giovanni titolare della parrocchia, senza avere in quel momento a mente il disposto che abbiamo nel nostro Calendario, avvisato da un mio collega, vistane l'accettazione, scrissi tosto alla Curia arcivescovile per la voluta autorizzazione, la quale non potei avere. Il prelodato Sig. Sacerdote si recò di nuovo a Rivara per passarvi alcuni giorni in compagnia dei suoi pii genitori, e sapendo lo stesso il disposto del nostro Calendario non mi fece neanche la domanda per la celebrazione della Santa Messa. Eccovi il fatto preciso.
Liberiamoci da questa briga con un'ultima osservazione. L'altare dell'oratorio privato di Don Rocca era antico, decente e in tutto conforme alla rubriche. Sebbene fosse provvisto di ogni cosa necessaria, pure più nessuno vi badava. Don Rocca lo rimise in onore tornando a dirvi la Messa dopo chi sa quanti anni più nessuno l'aveva fatto[180].
La matassa già abbastanza ingarbugliata si arruffò ancora di più. Nei primi giorni del mese di dicembre per i tipi di Camilla e Bartolero comparve una Lettera sull'Arcivescovo di Torino e, sulla Congregazione di San Francesco di Sales. Il sottotitolo Un po' di luce vi stava per dirne lo scopo, che era d'illuminare i lettori sull'opuscolo anonimo del mese di febbraio. Anonima anch'essa, era indirizzata a un Vicario anonimo; nel luogo della firma si leggeva: Un antico allievo dell'Oratorio, onorato di potersi dire COOPERATORE SALESIANO. Esordiva cosi: “ Nell'inverno trascorso aveva inteso a dire qualche cosa di un opuscolo scritto da S. E. R. Monsignor Lorenzo Gastaldi, sopra la Congregazione Salesiana; ma non potei averlo fra le mani se non ora che V. S. Molto Reverenda si compiacque trasmettermelo in dono. Ne la ringrazio di cuore tanto più che, com'Ella me ne accerta, desso è di provenienza autentica, avendolo ricevuto dalle mani medesime di Monsignore. Io l'ho letto con ansietà, e siccome sono dei [377] più antichi allievi dell'Oratorio Salesiano, credo di poter giudicare coscienziosamente della realtà delle cose ivi esposte e dare a Lei gli schiarimenti, che mi domanda ”. I fatti esposti non si può asserire che fossero falsi; ma l'acrimonia e l'irriverenza della forma ne guastavano il contenuto. Ne furono spedite copie a molti parroci e alle persone che l'autore giudicava interessarsi delle cose di Don Bosco. Ne ricevettero anche molti superiori Salesiani; ma tutti i Salesiani disapprovarono specialmente gli ultimi periodi. Monsignore se ne offese al sommo e fece scrivere a Don Bosco che quello stampato conteneva “ una serie di menzogne ed inesattezze contro la Sacra persona di S. E. Rev.ma Mons. Arcivescovo di Torino ” e che quindi s'invitava Don Bosco, ed in sua assenza Don Rua a dichiarare prima del 15 che essi condannavano e biasimavano o respingevano quello scritto. “ trascorso il 15 dicembre, conchiudeva il prosegretario, senza che siasi mandata all'Arcivescovado una tale dichiarazione.... Monsignore farà quanto stimerà conveniente per il decoro della sua autorità ”.
Questa lettera aveva la data del 5. Il 6 Don Bosco, che con l'aiuto del suo fido segretario, aveva finito di allestire l'elenco dei favori concessigli dalla Santa Sede, secondo gli ordini dei cardinal Ferrieri, lo mandò a Roma con le seguenti righe di presentazione:
Ho l'onore di presentare all'E. V. Rev.ma copia autentica di tutti i favori spirituali e privilegi dalla S. Sede concessi all'umile Congregazione di S. Francesco di Sales. Per facilitare la lettura di alcuni li ho mandati stampati nei relativi libretti di cui si è unito un esemplare. Ho poi creduto inutile trascriverne alcuni temporanei la cui data è già scaduta. Ma se occorre altro scritto o schiarimento, sono troppo fortunato di poterlo fare prontamente.
Mi rincresce che dovrò cagionare quanto prima disturbi all'E. V. Rev.ma. Il nostro Arcivescovo aveva già ammessi i nostri chierici per le prossime sacre ordinazioni. Oggi ha fatto comunicare che egli non ci ammetterà alcun Salesiano senza però darne ragione alcuna. [378] Prego Dio che conservi V. E. pel bene della Chiesa e sostegno della nostra Congregazione, mentre con profonda gratitudine mi inchino e mi professo della E. V. Rev.ma
Celebrata poi la festa dell'Immacolata, che gli soleva sempre dare molto da fare specialmente per le confessioni, Don Bosco scrisse all'Arcivescovo sulla lettera anonima e in forma riservata.
Ieri l'altro per posta venne pure[181] un foglio stampato ad uno di questa casa, che tosto me lo consegnò e si riferiva ad una stampiglia in data assai anteriore[182], ma riguardante la Congregazione di S. Francesco di Sales. Non è a dire quanto io l'abbia letto con dispiacere e rincrescimento. Perciocchè ho sempre aborrito e detestato la difesa per mezzo della pubblica stampa.
Io pertanto posso assicurare la E. V. Rev.ma che:
1° Ho ignorato ed ignoro tuttora chi l'abbia composto o chi l'abbia disteso.
2° Non ci ho preso parte alcuna nè colla stampa, nè colla autografia, litografia o scrittura per me, o per mezzo mio, o di altri da me dipendenti.
3° Mi rincresce assai e biasimo il modo indecoroso con cui si parla di V. E., e come ho già avuto l'onore di scrivere a V. E., io non sarò mai per usare questi bassi mezzi per far valere alcuna ragione, specialmente adesso che la V. E. deferì la vertenza al S. Padre, giudice supremo delle controversie Ecclesiastiche, al quale preventivamente di buon grado ed umilmente mi sottometto.
Prego però V. E. di notare che chiunque sia colui che si è sottoscritto Cooperatore Salesiano, non pare che sia esso che abbia dato pubblicità alla sua lettera, ma quel parroco che gli mandò il primo e il secondo stampato[183].
Mi raccomando infine di non fare stampare altre cose su questo [379] argomento, per unica ragione che parecchi nemici miei e della E. V. attendono ansiosi tale pretesto per venire ad altre più insolenti pubblicità. Ella poi si assicuri che nei Salesiani non avrà mai nemici, ma poveri individui che fanno quanto possono pel bene di questa diocesi, sebbene spesso incagliati dalle difficoltà che loro si oppongono.
Dal canto mio sarò sempre lieto di potermi professare con rispetto e venerazione grandissima
Il Beato aveva promesso agli ascritti di andare a pranzo con loro, quando tutti avessero indossata la veste chiericale. Gli ultimi ricevettero l'abito alla vigilia dell'Immacolata; ma per quella solennità non potè mantenere la parola, perchè aveva alla sua mensa molti invitati. Vi andò il giorno appresso dopo aver spedita la sua Riservata all'Arcivescovo. Il 10 ne ricevette la risposta: Monsignore non ne era rimasto pago.
S. E. Rev.ma Monsignor Arcivescovo mi incarica di scrivere a V. S. per informarla che esso ha ricevuta la sua lettera in data del 9 corrente; ed aggiungere, che V. S. è in strettissimo obbligo di pubblicare sull'Unità Cattolica o sull'Emporio al più presto possibile un'energica protesta sottoscritta da sè, in cui in nome suo e di tutta la Congregazione Salesiana condanni e respinga quanto è scritto in quel libello infamatorio, largamente diffuso in Torino, nella Diocesi e fuori Diocesi.
Con tutta la dovuta stima sono di V. S. Rev.ma
Per tutto il 10 e l'11 Don Bosco fu occupatissimo nelle sedute del Capitolo Superiore. Bisognava dare l'ultima mano ai lavori del Capitolo Generale, secondo il decreto che conosciamo, prima che il tempo ne offuscasse la memoria: c'era da rileggere tutti i verbali, da rivedere tutti gli articoli, da ordinare [380] tutta la materia. Il 12 rispose così all'Arcivescovo per l'ultima comunicazione della Curia:
La lettera scrittami ieri l'altro d'ordine di V. E. mi ha dato da riflettere assai. Desidero vivamente di compiacerla, d'altro canto non vorrei compromettere la povera Congregazione Salesiana in faccia alle Congregazioni di Roma. Pertanto Ella abbia la bontà di dirmi, oltre al modo indecoroso, quali siano le cose che io sia in obbligo strettissimo di respingere e condannare.
Rinnovo qui che io non ebbi alcuna parte nel noto foglio stampato, e che nè io nè la Congregazione Salesiana intendono di prenderne alcuna responsabilità. Mi rincresce assai il dare nuove pubblicità che sembra essere la provocazione di nuove stampe.
Tuttavia, io obbedisco e stampo quanto sarà per dirmi essere erroneo e perciò da disdirsi e condannarsi.
L'assicuro pure che io non ho mai avuto nè ho alcuna animosità verso di Lei e che mi reputo sempre a gloria di potermi professare della E. V. Rev.ma
L'arcivescovo più non rispose. Ma la sera del 12 il canonico Chiaverotti fece chiamare in Curia i due chierici Amerio e Bonora, presentò loro la lettera del così detto Cooperatore Salesiano e voleva che sottoscrivessero questa formola apposta ivi di proprio pugno da Monsignore: “ Io condanno tutto ciò che è contenuto in questa lettera ”. Aut aut: o firmare o rinunziare a ricevere le ordinazioni. I due chierici che non solamente non avevano letto la lettera, ma neppure ne aveano udito parlare, rimasero di stucco e domandarono di leggerla. Trasecolati a quella lettura, risposero che essi non sapevano niente di niente, che prima di fare dichiarazioni avevano il dovere di parlare col proprio Superiore, disposti a eseguire quanto egli direbbe. Con tale rifiuto rischiarono le loro ordinazioni; ma tra il dire e il fare c'erano di mezzo motivi di prudenza da parte dell'Ordinario[184]. [381]
Non pochi lettori saranno forse tentati di credere affettata l'ignoranza di quei due chierici, sembrando impossibile che nell'Oratorio ci fossero Salesiani ignari degli ultimi avvenimenti. Eppure dobbiamo dire che era così: là entro si viveva realmente al buio di questi retroscena. Infatti Don Vespignani, che avvicinava di continuo i Superiori della casa, non che la massima parte dei confratelli, negli uffici, a mensa e durante la ricreazione, ne ebbe si poco' sentore, che, interrogato da noi sull'affare di Don Perenchio e delle Messe e sulla sospensione di Don Lazzero, ci assicurò con sua e nostra meraviglia essere la prima volta che ne udiva parlare. Questo era effetto dell'estremo riserbo di Don Bosco e dell'assoluta padronanza che egli aveva di sè[185].
Don Bosco aveva stabilito di partire per Roma il 15 dicembre: ve lo spingeva il desiderio di trovare un accomodamento con l'Arcivescovo; ma un caso imprevisto l'indusse a differire un poco il viaggio. Quel giorno, subito dopo il pranzo, egli vide entrare nel refettorio il teologo Margotti col conte di Castagnetto, antico ministro di Stato e senatore del Regno. Il vecchio gentiluomo dimostrava tanta premura d'incontrare Don Bosco, che, avendogli detto erroneamente taluno che egli era andato a pranzo dal parroco della Crocetta: - Pazienza! aveva risposto. Andrò a trovarlo là! - Nientemeno egli veniva da parte dell'Arcivescovo, il quale desiderava che Don Bosco passasse da lui per aggiustate amichevolmente ogni controversia. Il teologo ne giubilava, sperando fermamente in un prossimo accordo; ma Don Bosco, osservatore acuto, dalle parole del Conte capì tosto che Monsignore cominciava quelle pratiche in modo da condurre le cose per le lunghe. Tuttavia non sollevò ostacoli, tant'è vero che accondiscese subito all'invito, sospese la partenza e per due volte si recò a far visita all'Arcivescovo. S'accorse però ancor meglio [382] che bisognava state in guardia: Monsignore si studiava di scandagliare i pensieri e le intenzioni di Don Bosco e mirava a scoprire con quali propositi egli si accingesse a trattare la causa in Roma.
Nella sua visita del 15 il conte di Castagnetto si era offerto per ogni occorrenza di fare da intermediario. Uomo colto, pratico del mondo e ottimo cattolico, volle prima ascoltar bene tutto quello che era passato fra le due parti; poi, venuto il momento opportuno, accettò da Don Bosco di continuare le pratiche con pieni poteri e si fece rilasciare da lui una protesta scritta contro lo stampato anonimo. Il Servo di Dio mise solo due condizioni: che l'Arcivescovo considerasse la Congregazione Salesiana come le altre della città e che per dimostrare pubblicamente la fine degli screzi venisse a celebrare una Messa o a fare qualche funzione religiosa nella chiesa di Maria Ausiliatrice. Senz'aggiungere nulla di nostro, noi presentiamo ora semplicemente ai lettori due documenti che dicono tutto. Il primo è una lettera di Don Bosco al Conte, scritta la vigilia della sua partenza per Roma.
Ho differito fino a dimani la mia partenza per Roma per attendere l'effetto dei suoi buoni uffizii presso S. E. Rev.ma nostro sempre Veneratissimo Arcivescovo. Ella potè conoscere quanto fosse grande il mio desiderio di venire ad un qualche accomodamento. Ora apprendo con sommo rincrescimento che le savie di Lei sollecitudini tornarono inutili. Pazienza. Anche in questo è forza di adorare le permissioni del cielo. Il trovarmi Capo di una Congregazione cui si nega, a chi le sacre Ordinazioni, ad altri la facoltà di predicare, ad altri di confessare ed anche di celebrare la S. Messa, mi mettono nella necessità di recarmi al legittimo e assoluto Superiore per averne istruzioni e consiglio.
Se mai Ella può ancora vedere S. E. l'Arcivescovo la prego di assicurarlo ch'io non vado per accusare, ma unicamente per rispondere ai reclami che la stessa E. S. ha giudicato di fare all'Augusta Persona di Sua Santità.
La ringrazio in modo speciale pel disturbo che si degnò assumersi per questa povera Congregazione, che non mancherà di pregare Iddio [383] che spanda copiose le sue benedizioni sopra di Lei e sopra tutta la sua famiglia.
Ella fu sempre un nostro insigne benefattore, ci continui la sua benevolenza, specialmente col pregare, affinchè la misericordia di Dio ci aiuti a togliere di mezzo gli ostacoli che si oppongono alla salvezza delle anime.
Con profonda gratitudine ho l'alto onore di potermi professare di V. S. B.
L'illustre patrizio torinese non aveva potuto più conferire con Don Bosco sull'esito della sua mediazione; ma il Beato che aveva bisogno di una relazione per iscritto, ne lo fece richiedere e n'ebbe la seguente risposta:
Molto Rev. e venerato D. Bosco,
In seguito alle conferenze tenute colla S. V. R. intorno alle rincrescevoli divergenze con Mons. Arcivescovo e più specialmente colla lettera anonima del Cooperatore Salesiano, io mi son recato da S. E. non senza averle chiesto prima l'ora che le sarebbe comodo di ricevermi
Esposi il sunto del nostro colloquio, ed il vivo desiderio di D. Bosco di essere in armonia col suo Superiore ecclesiastico, a cui lo vincolavano tante rimembranze. Ch'egli non poteva a meno di vedere quali gravi conseguenze derivassero alla sua Congregazione da questo screzio, ed anche il doloroso effetto nella pubblica opinione.
Dopo ciò io presentai a Mons. il progettato articolo da inserire nell’Unità soggiungendo ch'io avevo tutta la fiducia che il T. Margotti si sarebbe fatta una premura di pubblicarlo.
L'Arcivescovo lesse e rilesse il progettato articolo, poi mi disse: D. Bosco senza estendersi in questa lunga dichiarazione, avrebbe dovuto adottare la formola molto breve, che giorni fa io gli aveva trasmesso. Qui si disdice la forma dello scritto anonimo, tacciandolo di indecoroso e sconveniente, ma non si condanna la sostanza dei fatti incriminati: qui D. Bosco non la cenno della disapprovazione de' suoi dipendenti.
Io allora dissi a Monsignore che posto che egli mi aveva autorizzato a prender parte in questa discussione, mi permettesse di parlare con libertà.
Che io vedevo nel proposto articolo una bastante disapprovazione e che una tal dichiarazione fatta dal Superiore doveva estendersi a tutti i suoi dipendenti della Congregazione. [384] Che S. E. riflettesse alla difficoltà dei tempi ed al desiderio dei tristi di vedere una dissensione nel clero.
Che mai fu tanto necessaria la unità, e che un conflitto tra l'Arcivescovo ed un Ecclesiastico, tanto benemerito della Chiesa quale si è il Rev.do D. Bosco, non poteva che dar ansa alla stampa irreligiosa e produrre lagrimevoli conseguenze. Quanto a me avrei desiderato che si cancellasse la memoria di questi fatti con un amichevole accordo, e che Monsignore fosse il protettore della Congregazione, vi si recasse una delle prime domeniche a celebrare e benedirla nell'Oratorio.
Al che mi rispose che non era ancora il caso di questo, e che toccava a lui di vedere il tempo ed il modo: che intanto vi erano ancora molte cose da regolare.
Soggiunse S. E. che avrebbe redatto egli stesso una formale dell'articolo e me l'avrebbe comunicata.
La sera stessa del nostra colloquio io stava aspettando questo scritto, quando ho ricevuto un piego di Mons. Arciv. contenente la restituzione del progettato articolo di D. Bosco ed insieme l'annessa Carta di visita con complimenti[186]. Capii che non dovevo più ingerirmi in quest'affare, ed ora a richiesta del nipote ed amico, Conte Cays, faccio questa relazione al venerato D. Bosco, salutandolo distintamente, e raccomandando alle sue orazioni (ma in modo particolare) la cara mia consorte gravemente ammalata
Rispettosamente e con affettuosa osservanza
L' “articolo di Don Bosco”, accennato dal Conte, era la seguente dichiarazione, che, previo il consenso di Sua Eccellenza, si sarebbe dovuta pubblicare nei giornali cattolici, ma che, rotte le trattative, comparve poi nel Bollettino Salesiano.
Da alcuni giorni venne diffuso uno stampato anonimo senza data di luogo e di tempo, firmato solamente un Cooperatore Salesiano che col pretesto di risposta ad anteriori Scritti del Rev.mo Arcivescovo di Torino s'intromette a parlare di fatti riguardanti il medesimo [385] Rev.mo Arcivescovo, e la Congregazione di S. Francesco di Sales. Alieno dal discendere sul terreno della pubblicità, me ne sarei assolutamente astenuto, se non avessi temuto col mio silenzio parer quasi approvare le indecorose espressioni ed il modo sconveniente tenuto in quello scritto verso la persona stessa del venerato Arcivescovo di questa Diocesi, a cui professo e nel mio particolare e come Ecclesiastico la più profonda e sincera venerazione. Ricorro in secondo luogo alla pubblicità per dichiarare nel modo più esplicito che quel foglio fu stampato a totale mia insaputa, e che io ne ignoro assolutamente l'autore, che quindi ne respingo formalmente ogni qualsiasi responsabilità, sia per parte mia sia per quella de' miei dipendenti tanto nella stampa quanto nella sua diffusione.
Devo finalmente ricorrere alla pubblicazione di questa mia pro testa, per aver modo di dichiarare all'anonimo sconosciuto autore che io deploro la non richiesta difesa, e che abborrendo dalla pubblica discussione di fatti che al pubblico non appartengono, non ammetto qualunque ulteriore pubblicazione a questo riguardo.
Possa questa mia dichiarazione paralizzare l'effetto di quell'indecoroso stampato e far conoscere quel rispettoso ossequio che ho sempre portato, che ho fermo proposito di portare e che coll'aiuto del Signore spero, sempre di professare fino agli ultimi momenti della mia vita al Superiore Ecclesiastico della nostra Diocesi, al venerato nostro Arcivescovo.
Di questa dichiarazione l'abate Bardessono scrisse al Beato[187]: “ su tutte le persone oneste e che hanno veramente lo spirito di Dio, ha fatto un'ottima impressione la sapientissima dichiarazione pubblicata nell'ultimo Bollettino Salesiano in proposito a quella certa lettera di un cooperatore; in tale dichiarazione dalle persone buone si è conosciuto tutto lo spirito di Dio che in Lei si manifesta, e che d'altronde in tutte le di Lei opere si è sempre, costantemente, mirabilmente palesato. La calma, la prudenza, la discrezione, la dignità, la parsimonia di parole della S. V. Rev.ma colpiscono le anime serie e soprattutto fanno contrasto coll'inquietudine, coll'agitazione, colle diatribe di M. A.”.
Il 18 dicembre Don Bosco partì per Roma. Noi lo seguiremo più tardi nella città eterna, dove la Provvidenza lo conduceva a essere non solo spettatore, ma attore in grandi [386] avvenimenti. Non possiamo tuttavia por termine a questo capo senza narrare gli ultimi fatti di Torino, che del gran dibattito furono l'epilogo locale.
Per volere di Monsignore i Canonici della Metropolitana tennero due adunanze. Alla prima, del 17 dicembre, parteciparono i soli Canonici effettivi. In essa si propose di firmare un indirizzo di protesta contro la lettera anonima e spedirla all'Arcivescovo. Si voleva far credere ed anche far constare nella protesta, che la lettera anonima fosse stata pubblicata da Don Bosco; ma si levarono validi oppositori, fra cui i canonici Ortalda e Peinetti, che difesero Don Bosco da tale accusa. Perciò l'indirizzo che era già bell'e pronto, venne rifatto e mitigato col sopprimere quell'imputazione. Messa ai voti la convenienza di spedire all'Arcivescovo la protesta, ne risultò la minima maggioranza di un solo voto. Firmarono unicamente il Vicario Generale Zappata che presiedeva, e il canonico Pelletta, come segretario capitolare. I Canonici avevano inteso di far cosa privata; qual non fu poi invece la sorpresa dei più al veder pubblicata la protesta sull'Emporio Popolare del 20![188]
Questa pubblicazione fu scintilla che destò un incendio. Lo stampato anonimo, fino allora noto a pochissimi, fu ricercato, letto e fatto segno a commenti su giornali d'ogni colore, insinuandosi generalmente che lo scritto incriminato fosse uscito dalla penna di un Salesiano[189]. Alquanti giovani che erano stati all'Oratorio, volevano che si rispondesse e si difendesse Don Bosco per le stampe, pronti a firmarsi; ma ne vennero dissuasi. Vari parroci, se mai fosse uscito qualche atto pubblico che ridondasse a disdoro di Don Bosco, avevano deciso di sottoscrivere una supplica a Sua Santità, invocandone l'intervento. A L'Unità Cattolica, che non aveva pubblicata la protesta capitolare, toccarono le rampogne del canonico Chiuso; ma il teologo Margotti inviò l'abate Scolari a rispondere: [387] 1° che non avrebbe pubblicata nessuna protesta, perchè il pubblicarla sarebbe scandalo maggiore; 2° che il Santo Padre leggeva o si faceva leggere quotidianamente L'Unità Cattolica, e quindi egli non voleva rattristarlo in quella sua età con simili narrazioni. Il canonico Soldati aveva fatto firmare ai chierici dei seminario un indirizzo e un altro a pochi preti della Consolata con l'intenzione di pubblicarli entrambi; ma non osò, per tema che restassero soli[190], . Il teologo Tresso, vicario di Lanzo, chiamato ad audiendum verbum, si sentì incolpare di essere il Vicario, a cui era stata diretta la lettera anonima. Parò egregiamente il colpo; ma, sollecitato a far firmare ai preti della vicaria un indirizzo, bellamente se ne schermì. La cosa insomma levava rumore per ogni verso.
Riprendiamo ora la cronaca delle adunanze per combinare indirizzi. Il 17 dicembre i canonici si riunirono di bel nuovo. Fu proposto di firmare una supplica al Papa per chiedere che condannasse Don Bosco e la Congregazione Salesiana. La gran maggioranza non ne volle sapere. Nacque così un po' di discussione, che portò via del tempo. Finalmente conchiusero d'inviare una lettera di augurio al Santo Padre, pregandolo che volesse dire una parola di pace fra l'Arcivescovo e Don Bosco, e così fu fatta. Quella lettera si finì di firmarla il 22 dicembre, nel qual giorno doveva essere spedita a Roma. La firmarono anche i Canonici onorari; ma non conteneva niente di ostile contro Don Bosco e i Salesiani. Se non che, essendo stata rimessa al canonico Zappata e da questo al canonico Chiuso, sorse il dubbio che non fosse stata spedita[191]. Certo è che non se n'ebbe più notizia, per quante indagini si fossero fatte a fine di scoprire il netto.
Anche i parroci urbani si raccolsero a consiglio il 21 dicembre, invitati a seguire essi pure l'esempio del Capitolo Metropolitano. Di 22 che erano, intervennero appena 14. Dopo [388] che si parlò e pro e contro, passarono alla votazione sulla convenienza o no di fare una protesta. Risultarono sette sì e sette no. Anche qui la protesta già preparata rimase sotto il fermacarte del presidente, nella cui casa tenevasi il convegno[192]. “La votazione dei parroci, scrisse il teologo Bertagna[193], è stata un colpo di cannone per atterrare tutte le macchine che si erano disposte per distruggere l'effetto della lettera al Vicario”. Nella difesa di Don Bosco erasi segnalato il teologo Reviglio, parroco di S. Agostino. Don Bosco, non appena lo seppe, gliene rese paterne grazie.
Da varie fonti mi è comunicato il congresso dei parroci Torinesi nel 20 (sic) del corrente mese. Tu hai parlato in favore del tuo papà e te ne ringrazio. Fu provvidenza anche per l'Arcivescovo che sia andata così, perchè le cose contenute in quel foglio sono state preventivamente deferite dall'Arcivescovo stesso al S. Padre ed alla Congregazione dei Vescovi e Regolari. E, causa vertente, il parere pubblico dei parroci Torinesi avrebbe incagliato non poco le cose giudicande. Questo è il parere di un alto personaggio che ha già avuto comunicazione del congresso del Capitolo e di quello dei parroci. Io sarei molto ansioso che qualcheduno notasse le falsità stampate in quel foglio. Se tu mi dai un minuto ragguaglio dell'intimazione del congresso materia trattata colle particolarità, mi fai vero piacere.
Il Santo Padre da ieri cominciò a levarsi da letto. Fu immensa festa per tutta Roma. Tuttavia è cadente per età, per lavoro e per acciacchi. Dio ci conservi ancora questo prezioso tesoro.
Buone feste, prega per mq che sarò sempre in G. C.
P. S. Si noti che quel famoso stampato fu provato da quattro opuscoli di M[onsignor] A[rcivescovo][194], e che se taluno non si fosse opposto ne avrebbe già aggiunto un quinto contro alla Sacra Congregazione dei Brevi. Sarà a meravigliarsi se si pubblicherà qualche cosa contro? [389]
Il teologo, commosso della bontà di Don Bosco, gli riferì minutamente intorno alla seduta.
Rev.mo Padre ed Amatissimo mio D. Bosco,
invano tenterei di esprimere l'immensa gioia gustata nel ricevere la preziosa di V. S. Ill.ma e Rev.ma. Vedere quei caratteri che mi ricordano il mio insigne benefattore e tenerissimo Padre, leggere che aveva fatta cosa gradita a quel D. Bosco che ho sempre nella mente, sulle labbra e nel cuore, fui commosso profondamente! Lessi più volte, baciai ripetutamente quello scritto vergato da quella benedetta mano che in tanta copia versò su di me povero, abbandonato, infelice per ogni riguardo, i tesori della più generosa beneficenza e dello sviscerato suo amore. Mi strinse però il cuore e tutto s'imporporò il mio viso a quell'espressione: Te ne ringrazio. Oh! mio amatissimo D. Bosco, Lei ringraziar me che tutto Le debbo dopo Dio, che senza di Lei io sarei stato il più sventurato dei mortali! Ringraziarmi per un atto dovuto non solo dalla riconoscenza, ma dalla più rigorosa giustizia! Questo mi confonde e mi copre la faccia di rossore! La prego di mai più ringraziarmi, ma solo comandarmi. Io intanto freno i miei affetti per ragguagliare V. S. di quanto brama conoscere. Il congresso dei Parroci Torinesi non fu per nulla spontaneo. Lo stesso curato di San Francesco da Paola, che, come anziano, ci convocò a casa sua, dichiarò più fiate, che a ciò fare era stato sollecitato; e quando ci rivolse la parola dicendo: Essi sapranno lo scopo della nostra radunanza, si rispose ad una voce, che non si sapeva niente affatto. Si crede adunque che sia lo stesso Arcivescovo che abbia dimostrato il desiderio a qualche canonico di avere in questa circostanza una dimostrazione di stima e condoglianza per prevalersene in suo favore.
Varii parroci ancora dolenti di essere stati colti all'improvviso nel primo indirizzo, espressero la loro risoluzione di non intervenire per l'avvenire ad adunanza alcuna, senza che se ne annunzi prima l'oggetto e si proceda per votazione segreta. Altri poi prevedendo quello che fu in realtà non vollero trovarsi al convegno. I presenti furono quattordici. A questi fu proposto di seguire il capitolo Metropolitano nel presentare a Monsignore le parti vive che si prendevano al dolore cagionatogli da quello scritto anonimo, che era in giro e che si riprovava il modo con cui era stato trattato. Ma fa osservato, che i parroci non potevano limitarsi alla forma, senza entrare nell'intrinsichezza dello scritto, come si poteva rilevare dall'indirizzo Capitolare, e che di ciò i parroci non potevano essere giudici; che i fatti citati dall'anonimo erano stati riportati al supremo giudizio di Roma e che non era quindi permesso a noi prevenirne la sentenza: che non conveniva nei tristi tempi che corrono somministrar esca ai maligni di sparlare e fare pubblicità scandalose, cose che si dovettero purtroppo [390] deplorare appena comparve sui giornali il prefato indirizzo dei Canonici; che la Congregazione Salesiana era stata approvata dal S. Padre e perciò si doveva rispettare; fu smentita la calunnia che D. Bosco avesse approvato quella lettera anonima; e dopo animata discussione si conchiuse di procedere a votazione segreta, se convenisse o no imitare l'esempio dei Canonici. Sette votarono pel Sì e sette pel No e quindi non ebbe luogo indirizzo di sorta per parte dei Parroci. Si noti però, che quando la maggioranza fosse stata pel sì non si sarebbe fatta parola che del modo usato dall'anonimo, cosa che non poteva giovare di molto a Monsig. Arcivescovo. Ma dal complesso dei discorsi tenuti dagli organi di Mons. fu facile scorgere che qualunque nostro indirizzo sarebbe stato accolto da Lui ed interpretato da tutti come un giudizio di condanna di D. Bosco. È parimenti certo che qualora nessun parroco fosse stato assente, la maggioranza sarebbe stata negativa. Io senza dubbio dissi quanto poteva e sapeva, ma chi si distinse fu il T. Arpino ed il curato del Carmine con cui mi era inteso preventivamente. Per quanto io seppi, il contegno dei Parroci meritò l'approvazione di tutti i buoni. Ora non occorre più confutare quanto dissero i Canonici, poichè si seppe, che anche tra essi vi furono di quelli che opinavano di non presentare alcun indirizzo; quasi tutti poi deplorarono di vedere stampato pei giornali quanto privatamente scrissero a Monsignore; e finalmente si parlò sempre del modo e mai della sostanza. Anzi un canonico ha detto con qualche parroco: Monsignor Arcivescovo pensa di favorire la causa sua col promuovere indirizzi, ma ottiene tutto il contrario. È comune la persuasione che i parroci non saranno più convocati, ma quando lo fossero il trionfo di D. Bosco sarebbe assai più splendido. In questa occasione si toccò con mano che in Torino si apprezza l'indicibile bene che V. S. fa alla Chiesa ed alla Società. Le preghiere dei buoni cominciano ad avere il loro effetto. Mi duole non poter dilungarmi di vantaggio. Imploro la benedizione del S. Padre, se me la può procurare, e quella di V. S. di cui sarò per tutta la vita colla massima stima e sentita riconoscenza
Un'altra assemblea di parroci fu convocata da Sua Eccellenza nel palazzo il 2 gennaio. Ne scrisse così il teologo Bertagna[195]: “ Qui ci fu quest'oggi alle ore 3½ pomeridiane un convegno presso S. E. che fu molto pacifico, e si trattò [391] unicamente la questione del catechismo. Infine a modo di chiusura ci raccomandò di stare uniti e di andare di buon accordo. Tanto meglio! ”. Parve però che il punto trattato in ultimo fosse stato lo scopo dell'adunanza e che si fosse cercato di disporre gli animi per una nuova votazione[196]. Ma si approssimavano così importanti avvenimenti pubblici, che avrebbero per un tempo sopraffatto quelle e altre agitazioni private.
Don Rua, rimasto solo sulla breccia a Torino, si teneva in continua corrispondenza col Beato Padre. A una sua lettera natalizia sulla situazione Don Bosco fece dopo le feste questa importante risposta.
È una prova che fa il Signore della nostra povera Congregazione. Egli ci aiuterà a tirarci fuori come in tanti altri affari. Lasciatene a me il pensiero. Silenzio, preghiera, ed osservanza rigorosa delle nostre regole.
Se non fosse più a tempo mettere il noto foglietto[197] nel Bollettino, si potrebbe mettere in un supplemento, ma è bene che ciò si faccia. Nei dubbi consigliatevi con P. Rostagno che è nostro amico. Credo pure che D. Cagliero faccia una visita al Can.co Nasi e al Can.co Pelletta dicendo loro che vadano adagio nello impegnarsi, perchè potrebber trovarsi in non leggeri imbarazzi quando dovessero provare quello che si è scritto a Roma: “ Il Foglio anonimo è a attribuirsi a D. Bosco ”[198]. Si noti anche come l'Arcivescovo provocò quattro volte una risposta colle stampe; e tutte le mandò a Roma. Ma perchè non si dà cura di notare quello che è erroneo[199] e proclamarlo? Questi continui scritti e stampati senza mai essere interpellato sono per noi una vera difesa.
Se qualcuno passa ad ossequiare e ringraziare da parte mia chi ha preso la nostra parte tra i parroci, credo molto opportuno. Ogni particolarità raccoglietela e poi scrivetemi[200]. [392]
Siamo alla fine dell'anno; mi trovo dolorosamente lontano da' nostri cari figli. Tu li saluterai tutti da parte mia, e raccomanderai pel novello anno:
1° Combattere l'abitudine del fumare e del mormorare.
2° Esattezza nei doveri del proprio stato, cominciando da Don Rua fino a Giulio[201].
3° Facciano comunioni e preghino assai per le case aperte testè e che si vanno aprendo nelle missioni, dove Iddio ci ha preparata messe copiosissima.
Prepara il Catalogo dei soci; mi si mandi breve Biografia dei defunti; mandami i nuovi calendarii.
Dio ci benedica tutti e credimi in G. C.
Prima che le anzidette cure maggiori assorbissero le minori, anzi quasi alla vigilia, un atto di Don Bosco chiuse, per dir così, il cielo di vicende che si succedettero nella fase or ora tratteggiata dell'ancor lungo contrasto. Mentr'egli, in viaggio verso Roma, si soffermava a Spezia e visitava la casa da pochi giorni aperta per impulso di Pio IX, pervenne al suo indirizzo nell'Oratorio questa comunicazione.
Sono giunte a questa S. Congregazione de' Vescovi e Regolari le carte e documenti richiesti[202] e per ordine ricevuto da N. S. saranno sottoposte ad un serio esame. Mi occorre intanto significarle che questa S. C. interessa vivamente la di lei religione e prudenza ad impedire che tutti i membri, e cooperatori della Congregazione Salesiana da lei dipendenti, anche indirettamente diano alle stampe o pubblichino altri scritti di qualunque sorta relativi alle suscitatesi vertenze col Reverendissimo Arcivescovo di Torino. E nella sicurezza che si atterrà a quanto sopra, le auguro ogni bene.
La lettera gli fu rispedita a Roma, e gli porse il destro di raccogliere le fila della controversia in una relazione al cardinal Ferrieri, la quale ce ne prospetta in breve l'origine, lo sviluppo e le conseguenze.
Pochi giorni sono, allorchè aveva l'alto onore di trovarmi all'udienza di V. E. Rev.ma, dimenticai di fare vivi ringraziamenti della lettera che si compiacque di scrivermi e pel modo benevolo con cui mi raccomandava di evitare ogni pubblicazione di cose relative alla vertenza tra la Congr. Sales. e Mons. Arcivescovo di Torino.
Posso pertanto assicurare la E. V. che nè in presente nè in passato, nè da me nè da alcuno dei miei dipendenti non fu mai in modo alcuno pubblicata cosa che potesse anche solo interpretarsi sfavorevole al nostro Veneratissimo Arcivescovo Ordinario.
Ciò dovrò vieppiù scrupolosamente osservare, dopo questo sapiente consiglio, specialmente da che i reclami vennero deferiti al Supremo Tribunale della Santa Sede, a cui i cattolici di ogni condizione devono rispettosamente sottoporsi, anzi essere lieti di qualunque giudizio sia per essere pronunziato da questo infallibile Tribunale.
Avesse voluto Iddio che tale contegno fosse stato mantenuto dal prelodato nostro Arcivescovo! Le cose non sarebbero impicciate, come pur troppo piucchè mai ora si trovano.
Da molti mesi una vera pioggia di lettere minacciano ai Salesiani pene ecclesiastiche, danno rifiuto per usare ordinazioni, o sospendono di fatto predicatori o confessori, il Rettore della casa madre e lo stesso superiore della Congregazione. Ho scritto, ho pregato illustri personaggi ad interporre i loro buoni uffizi per mitigare tale severo contegno, tanto più dacchè Egli stesso aveva deferiti i suoi reclami alla S. Sede. Sollecitudini inutili. Volendo poi assicurarsi e metterci nella impossibilità di usare le stesse armi di difesa mi scrisse due lettere minacciose di cui una è del tenore seguente: Se ella...[203].
Messi i Salesiani nella impotenza di esprimere in qualsiasi modo le loro ragioni, a me non rimaneva altra via che ricorrere alla Madre, alla maestra di verità: perciò con non leggiero disturbo e danno, io fui costretto interrompere gli affari della Congr. in Europa e delle missioni estere per venire a Roma, per avere direzione e giustizia.
Dopo la mia partenza Mons. Gastaldi continuò ad indirizzare lettere, ora manoscritte, ora stampate a molte autorevoli persone; di poi pel 18 Dicembre 1877 fece convocare i Canonici della chiesa Metropolitana perchè condannassero un foglio che senza sussistente fondamento egli attribuisce ai Salesiani. [394]
I canonici non condannarono ma semplicemente biasimarono il modo con cui quello stampato parla dell'Arcivescovo. Tale indirizzo egli mandò stamparsi nel giornale l'Unità Cattolica, ma il direttore di questo recisamente si rifiutò. Fu invece pubblicato nell'Emporio Popolare del giorno 20.
Con altro invito fece convocare i Parroci di Torino proponendo loro di condannare la Cong. Salesiana nello stampato anonimo.
I Parroci però, facendo osservare che le cose in questione erano state sottoposte al giudizio della S. Sede, non vollero prendere quella proposta in considerazione.
Allora l'Arcivescovo (22 stesso mese) procurò che fossero di nuovo convocati i Canonici affinchè pronunciassero una esplicita condanna del noto foglio e della Cong. Salesiana. Ma essi pure si rifiutarono, e, siccome assicurano alcuni che erano presenti, si limitarono a pregare il S. Padre ad interporre la sua autorità per mettere un termine a quelle vertenze.
Ma non contento Monsignore di questi risultati, con apposita circolare convocò di nuovo tutti i Parroci della città di Torino nel suo palazzo episcopale pel giorno 2 del corrente mese. Dopo aver loro raccomandato il catechismo dei fanciulli, passò ad inculcare l'unione dei parroci col loro pastore, ricordò i benefizi che loro aveva fatto, invocando il loro appoggio per un affare di grande importanza che entro breve tempo avrebbe loro manifestato. Tutti capirono, mi scrivono, che si alludeva ad un altro prossimo invito per unirsi con lui a danno dei Salesiani.
I giornali raccolgono tutto e tutto pubblicano, facendo capricciose interpretazioni. I cattivi poi se ne valgono con gioia a strombazzare a danno della religione.
La E. V. può averne una idea da alcuni periodici che certamente per disprezzo mi furono inviati e che mi fo ardito di unire a questa lettera.
Io sono persuaso che quelle pubblicità e quelle maligne interpretazioni sarebbonsi evitate se si fosse seguito quanto la E. V. aveva scritto.
L'Arcivescovo ad ogni costo vorrebbe che la diffusione del foglio anonimo tornasse a carico dei Salesiani, e a tale fine continua a fare accuse stampate, verbali e scritte in Roma e altrove. È una calunnia. Ho più volte assicurato l'Arcivescovo che niun Salesiano vi ha preso parte e con più lettere ho biasimato il modo indecoroso con cui si parla dell'autorità ecclesiastica ma che perciò intendeva rifiutarmi assolutamente da ogni responsabilità. Non ci volle credere e tuttora persiste nel pretendere che io dica che sono falsità.
Io non posso e non voglio mentire, perchè là si espone la verità. Ho pregato lo stesso Arcivescovo a volermi notare cose erronee, che avrei tosto condannate formalmente, ma non ha giudicato di rispondermi.
In tanta persistenza di accuse e di pubblicazioni di ogni genere, io non so come le questioni si possano sistemare. [395] Quello che è certo si è che
1° La Cong. Salesiana nella diocesi di Torino ha preti sospesi dalla confessione, altri dalla predicazione, altri dal celebrar la S. Messa; ai chierici sono rifiutate le sacre ordinazioni. Ciò si fa mentre si lamenta da tutte parti la necessità di lavorare, e lo stesso Mons. Gastaldi reclama la somma penuria di Sacerdoti nella sua diocesi.
2° Nelle ultime tempora del S. Natale aggregò un nostro chierico, professo perpetuo, alla sua diocesi, gli conferì la tonsura e i quattro ordini minori, sebbene egli persistesse nell'asserire che egli è Salesiano professo e che intende di perseverare tutta la vita, e prima di essere ordinato presentasse la dimissoria del suo superiore[204].
3° Infamò la Cong. Salesiana in tutte le parti d'Italia, la screditò nella città di Torino, e lo scoraggiamento tra i Salesiani è tale, che parecchi postulanti mutarono proposito, ed altri già ricevuti non vollero più far parte ad una Congregazione così vituperata e l'abbandonarono; perciocchè i Salesiani possono essere coperti da ogni villania, ma sotto pena di sospensione loro è proibita la difesa.
4° Ha anche cagionato grave danno morale e materiale. Ho dovuto interrompere utili occupazioni, fare spese nei viaggi, nella sospensione di affari; e ciò nel momento in cui io dovrei portare ogni mia sollecitudine sulle case già aperte e sopra altre da aprirsi in varie parti dell'Europa e all'Estero.
5° Recò poi grave danno alle nostre case che si reggono tutte di provvidenza. Così pubblicamente calunniati come potranno ancora i Salesiani presentarsi ai fedeli per eccitare la loro carità, perchè vengano in aiuto dei nostri giovanetti ricoverati, cui in numero di oltre a ventimila i Salesiani debbono provvedere pane e cristiana educazione?
Prego V. E. a darmi compatimento se la mia mente apparirà un po' esacerbata. Io sono persuaso che qui sia impedita la maggior gloria di Dio e il bene delle anime e senza motivi sia vessata una Congregazione approvata dalla S. Sede e posta sotto alla efficace e paterna sua tutela.
Solamente la E. V. può mettere un argine a questi mali, e dare gli opportuni provvedimenti affinchè non si abbiano più mai a rinnovare.
Spero che la E. V. nella provata e nota bontà sua degnerà favorirmi qualche altra breve udienza per dare schiarimenti sopra le cose ivi soltanto di volo accennate, intanto che con profonda gratitudine e col più rispettoso e cordiale ossequio ho la buona ventura di potermi professare della E. V. Rev.ma
C'erano però anche due altri effetti, di cui Don Bosco non poteva certo far parola. Conoscendosi bastantemente a Torino qual differenza passasse fra il carattere di Don Bosco e quello di monsignor Gastaldi, si faceva un gran mormorare, in lode bensì del primo, ma con grave discapito dell'autorità ecclesiastica. A Roma poi il succedersi senza tregua di denunzie per qualunque cosa Monsignore credesse poco onorevole sul conto di Don Bosco e della sua Congregazione, ne insinuava il discredito in Cardinali che non avevano piena conoscenza delle cose. Anzi quel dipingere del continuo il Servo di Dio come uomo testardo e quasi facinoroso, influì pure sull'animo di Pio IX, raffreddandolo alquanto verso di lui; tanto più che qualche Prelato la sentiva come Monsignore[205]. È vero che Cardinali, Vescovi e personaggi distintissimi cercavano di rassicurare Sua Santità; ma nella stessa corte pontificia covava qualche avversione, di cui purtroppo vedremo presto le dolorose conseguenze. Per altro vedremo anche Don Bosco diportarsi in tutto le cose come ministro di Dio, con molta pazienza... con la mansuetudine, con la soavità, con lo Spirito Santo, con la carità non simulata, con la parola di verità, con la virtù di Dio, con le armi della giustizia a destra e a sinistra[206].
Sono rimaste ancora dimenticate per i solchi tante spighe da poterne formare un altro buon covone, che metteremo insieme riunendo in un sol fascio parecchi manipoli.
Il conversare di Don Bosco, a detta di quanti vissero accanto a lui o sotto di lui, non aveva mai l'aria d'un qualsiasi barattar di parole; specialmente i suoi figli vi trovavano sempre del buono da apprendere o ne riportavano incitamenti al bene: donde il prolungato ricordo delle cose udite ed anche la cura di porsele in iscritto. Il più costante di tutti a prender nata di quei privati colloqui fu per un tempo Don Barberis, dai quaderni del quale abbiamo già attinto più volte e attingeremo tuttavia, sebbene oramai per poco; giacchè dopo il '76 i suoi appunti si fanno meno assidui e nel '78 e '79 presentano lacune di mesi e mesi, finchè cessano del tutto.
Il 2 aprile, intrattenendosi con alcuni confratelli anziani sulla vita dei collegi in genere e in specie, proferì sentenze che possono illuminare chi si trovasse nella necessità di rimediare [398] a disordini. Quando si vedono disordini nelle case, disse, non si creda mai disperato il miglioramento, finchè tra i superiori della Congregazione regna santità e operosità... Quando sembra che certi chierici meritino di essere licenziati, si possono per ultima prova invitar a fare tre giorni di esercizi spirituali... Piuttosto diminuire della metà i giovani in un collegio che permettere che le cose vadano male. Sì, piuttosto si mandi via una metà dei giovani, ma i nostri collegi siano al sicuro... Quando in un collegio vi è del male morale, non bisogna menarne rumore. Se si conosce qualche caporione, incominciare a espellere questo; dopo qualche tempo un altro, e poi un altro. Mancando chi potrebbe seminare la zizzania e ingenerandosi timore in chi vede questi atti risoluti, improvvisi e senza tante parole, la moralità si ristabilisce perfettamente in casa... Tolte dalle comunità le mormorazioni e le parzialità, si gode perfetta pace.
Il giorno seguente Don Barberis, passeggiando con lui dopo pranzo, venne a parlare di qualcuno che nella casa si lasciava vincere un po' dalla gola. “Tutte le volte che si parla di quest'argomento, scrive egli nella sua cronaca, Don Bosco si mette sopra pensiero”. Il Beato disse: - State attenti, stateci dietro! Quando uno si lascia dominare da questo vizio, non v'è risoluzione, non vi è proponimento che tenga: è troppo difficile l'emenda. E con la gola vengono poi di conseguenza altre miserie. San Girolamo dice che vino e castità non possono stare insieme. - Raccontò quindi alcuni fatti, succeduti a' suoi tempi in seminario e nel convitto con Don Cafasso e col teologo Guala, che ripetevano spesso, di chi si fosse già lasciato dominare molto dal vino: - Se facessero anche miracoli, non crediate ancora che si siano vinti; passato un po' di tempo, ricadranno.
Il Servo di Dio paventava ogni principio di abuso in questa materia. Nella festa, di Maria Ausiliatrice, oltre alla fiera di libri, nell'Oratorio si allestiva un banco di rinfreschi, a cui si servivano i giovani, pagando gli interni con le così [399] dette marche[207] e quelli degli altri collegi con danaro. Vi erano pure i chierici ascritti e studenti nell'Oratorio: nel '77 il Capitolo Superiore stabilì che essi non andassero più al buffet e che se ne desse avviso in pubblico, sicchè anche i giovani udissero. Allora taluno domandò a Don Bosco, se per evitare malcontenti non fosse il caso di distribuire ai chierici fuori di pasto nel refettorio qualche bibita. Il Beato rispose di no, come altra volta aveva risposto negativamente a chi gli chiedeva di distribuire ai professi alcuni soldi, con cui potessero comprarsi qualcosuccia alla fiera. - Ciò che è loro necessario, osservò, si provvede senz'altro in ogni circostanza. Certe concessioni con l'andare dei tempo diventano un diritto, che può produrre spiacevoli conseguenze.
Nella conversazione del 3 aprile, caduto il discorso sui mormoratori: -
Ecco, diss'egli, un'altra peste: le mormorazioni. Entrate che siano nelle case religiose, tutto va in rovina; non c'è quasi più speranza di salute. L'unico mezzo è troncare risolutamente, bruscamente, il ramo infetto. Oh! bisogna proprio che a poco a poco ci mettiamo anche noi a imitare gli altri Ordini religiosi: chi è scrüsì (magagnato) in qualche, cosa, allontanarlo e non sperare ulteriormente che si corregga.
Passandosi poi a discorrere degli esercizi spirituali predicati in quei giorni da Don Barberis ai nobili convittori di Valsalice, il Beato corse a un'idea che gli era tanto cara. Nel tempo degli esercizi bisogna, disse, assolutamente trattare sempre della vocazione, e trattarne, per esempio, così: “Il Signore, creando un uomo, vuole da lui qualche cosa di speciale. Lo pone, direi quasi, in capo a una via che Egli sparge di grazie. Arrivati a un certo punto della vita, è da prendersi una decisione: bisogna incamminarsi risolutamente per quella tal via che si para dinanzi. Questa via può essere dì due specie, una della vita secolare e l'altra dello stato ecclesiastico, e la via di quest'ultimo si dirama in due, di cui una è per i sacerdoti sciolti e l'altra per quelli regolari, che [400] si ritirano dal mondo per mettersi più al sicuro dai pericoli”. E così si continuò a ragionare sul tono di una semplicissima esortazione. Raccomandare, e molto, che non si vada alla cieca, ma che, ci si pensi assai assai, e si preghi, si preghi, essendo questo un punto di capitalissima importanza nella vita dell'uomo. Poi soggiungere: “Vi è qualcuno che si senta speciale inclinazione alla vita sacerdotale o religiosa? Ebbene, costui si arrenda e si consigli specialmente in questi santi esercizi. Vi è qualcheduno già avanzato in età, che non si sentì mai nessuna inclinazione a questi due stati? Ebbene, costui non vi è chiamato; segua pure il genere di vita, nel quale si trova”. In questa maniera io credo che si possa parlare a tutti di vocazione, in qualunque collegio si predichi e a qualunque classe sociale i giovani appartengano, siano essi nobili o borghesi o contadini. Questo punto insomma nei nostri esercizi ai giovani non si deve mai tralasciare.
A coltivare le vocazioni ecclesiastiche e religiose, erano indirizzate, com'è noto, le Compagnie. Queste infatti, mentre avevano per fine immediato la formazione cristiana dei soci e l'azione del buon esempio, alimentavano nei cuori le aspirazioni alla vita perfetta, lungi dalle corruttele del mondo. Durante gli esercizi spirituali di Borgo S. Martino il Beato scrisse al direttore Don Bonetti:
Ricordati di raccomandare il piccolo clero, la compagnia del SS.mo Sacramento, di S. Luigi, e, se si può anche dell'Immacolata Concezione. Raccomanda di parlare, di pregare per la vocazione e chi sentesi ispirato a romperla col mondo, secondi la grazia dei Signore, etc.
Comunica questo anche a D. Lazzero e a D. Lemoyne e a D. Scaravelli[208].
Dio vi benedica tutti e pregate pel povero vostro
Tutti gli scritti che uscivano dall'Oratorio e che riguardavano in qualche modo le cose o le persone della casa, Don Bosco li voleva vedere con i propri occhi. - Questi scritti, diceva, non bisogna che lodino troppo noi; bisogna inoltre, che, lodandosi la Congregazione, non si dia mai biasimo ad altri, sebbene le cose da dire fossero la pura verità e si vedesse una certa convenienza di palesarle. - Don Barberis, prendendo nota di questa osservazione, si chiama fortunato, perchè Don Bosco, mentre gli assegnava non di rado lavori da fare, glieli correggeva ogni volta di sua mano prima che si stampassero. Anzi gli era pure largo di consigli letterari. Tu, gli disse allora, prima cerchi i pensieri e poi li ordini e fai da questi risultare il tutto. Invece prima si deve concepire l'intero argomento, ordinarlo e ad esso coordinare i singoli pensieri. - Notatigli poi alcuni suoi errori linguistici, proseguì: - Sempre periodi corti; in luogo di un sol periodo lungo, ogni volta che si può, farne due o tre. Il verbo alla fine è da lasciarsi ad altri scrittori; noi che tendiamo all'assoluta popolarità, abbandoneremo sempre quel vezzo. Avviene ancora spesso che sotto varie forme e con diverse parole non si faccia che ripetere uno stesso pensiero: questo è modo da scrittorelli. Espresso un pensiero, rapidamente si passa ad un altro.
Amava spingere lo sguardo nell'avvenire; ma, scorgendo i progressivi sviluppi dell'Oratorio, non avrebbe voluto che si lasciassero perdere le tracce di quello che l'Oratorio era stato nelle sue origini. Così, discorrendo il 27 dicembre delle condizioni in cui l'Oratorio si presentava nei primordi più remoti, disse; - Sarà opportuno che si conservi la pianta dell'Oratorio primitivo; anzi converrebbe che, dacchè ne fu presa la mappa, la si riproducesse od anche fotografasse. Tornerà caro ai posteri il vedere quella prima casupola rustica, in cui si posero i principii dell'Oratorio e della Congregazione.
- In mezzo ai giovani antichi vi era qualche pittore fra [402] gli altri un certo Rellisio[209], che ce ne conservò con precisione e ne tirò varie copie... Chi scriverà per disteso la storia dell'Oratorio e della Congregazione, potrà poi illustrarla con vignette che ne rappresentino le diverse fasi; il che mentre arrecherà diletto ai lettori, servirà sempre meglio all'esattezza della narrazione e ad acquistar fede al narratore. - Anzi gli sarebbe piaciuto di aver preso la fotografia o fatto fare un disegno dei giovani in chiesa, per mostrare come vi stessero, cioè in che modo vi fossero ordinati e quanti e quali essi fossero. - Specialmente, aggiunse, mi parrebbe cosa di sommo pregio poter vedere nella loro divisa le guardie mandate dalla città per ispiare se Don Bosco predicasse la guerra o la sommossa o la resistenza alle leggi. Sarebbe un bel quadro, m'immagino, aver dinanzi parecchie centinaia di giovani seduti e attenti e pendenti dalle mie labbra e sei guardie civiche in divisa, ritte a due a due e impalate in tre diversi punti della chiesa, che con le braccia conserte ascoltano anch'esse la predica. E mi servivano tanto bene per l'assistenza dei giovani, sebbene fossero là per assistere me! Bello oltremodo il dipingere queste guardie, che o col rovescio della mano si asciugano furtivamente le lacrime o col fazzoletto si nascondono la faccia, perchè nessuno si accorga della loro emozione. Oppure disegnarle in ginocchio fra i giovani intorno al mio confessionale, ad aspettare il loro turno. Perchè le prediche io le aveva fatte più per esse che per i giovani, svolgendo gli argomenti dei novissimi: il peccato, la morte, il giudizio, l'inferno. Erano poi chiamate dai loro capi ed anche dal sindaco, e le interrogavano se Don Bosco avesse predicato la rivolta. “Certo, si rispondeva, ha fin messo in rivolta me contro me stesso e sono andato anch'io a far pasqua, dopo tanti anni che non ci andavo più... Parlò della morte, come se fossimo già morti o come se fra mezz'ora dovessimo morire. [403]
E poi l'inferno! Io non aveva mai udita una descrizione simile. Eppure Don Bosco disse in fine che le cose descritte erano un nulla, quasi una debole ombra di fronte alla realtà! „. E le scene fra Don Bosco e il marchese di Cavour, soprannominato gamba di legno, padre di Gustavo e di Camillo?... E la ragioneria dello Stato radunatasi presso l'Arcivescovo per decidere, se gli Oratori fossero cose da permettersi?... Così parlando egli riviveva e faceva ai suoi quasi vivere le scene più caratteristiche di quei tempi eroici. Se non ci fu allora il quadro, ci sono pur sempre qui nelle sue parole gli elementi per farlo essere, quando sorga l'artista.
Sotto il I° maggio Don Barberis raccoglie alcune preziose confidenze fattegli dal Beato, passeggiando nella biblioteca, che comunicava con la sua camera e dove entrava quando aveva bisogno di riposare la testa o di sgranchire la persona. Quante cose vi si possono leggere fra le righe! - Vedo proprio, gli diceva, essere impossibile ch'io attenda a tutto. È necessario che il Capitolo Superiore sia affatto emancipato dalle cose della casa, e più ancora che ciaschedun membro di questo abbia qualche segretario. Se io avessi cinque o sei preti non occupati in altro che in eseguire i piccoli lavori che continuamente darei loro, avrebbero da fare anche troppo. Finora sono andato avanti confessando quotidianamente; ma vedo che non è possibile continuare così. Certamente è cosa della massima importanza. Io ho tenuto finora e tengo il mio posto finchè si può, ma ormai non posso più. Bisognerà che dica la mia messa in camera, per avere un po' di tempo libero a riflettere sulle cose nostre. Fra confessioni e udienze, in tutto il mattino non mi resta un sol minuto da impiegare in altri affari. Finora davo udienza solamente al mattino; ma ora, essendosi saputo che nel pomeriggio si poteva in qualche modo aver adito a Don Bosco vengono anche nel dopo pranzo, ed io debbo lasciare di occuparmi delle cose della Congregazione o non uscire assolutamente di casa: ed allora la sanità non resiste e manca la pagnotta ai giovani, perchè i benefattori [404] non manderebbero più elemosine. Se Don Bosco va a trovarli, sono larghi di mano; altrimenti non danno nulla.
Anche nella prima metà d'agosto col medesimo interlocutore riparlò delle sue opprimenti occupazioni, dicendo: - Io in questo stato potrei andare avanti ancora un poco, ma è impossibile continuare. Ora faccio proprio gli ultimi sforzi della disperazione! - E Don Barberis commenta: “Abbattuto com'è di sanità, dopo aver dato udienza tutto il mattino, non lascia mai di sedersi al suo scrittoio, poco dopo le due pomeridiane, e non si muove più fino alle otto e mezzo per la cena. Per poter sbrigare gli affari della Congregazione non esce più di casa. Egli è fisso in questo, di dare alla Pia Società l'indirizzo necessario pel suo buon andamento avvenire e diceva in questi giorni: - Sto a casa, al tavolino, e ne faccio passare delle carte! Spesse volte mi meraviglio io stesso della gran quantità di cose che sbrigo in un giorno; e per lo più lascio da parte tutto il resto per limitarmi a quanto riguarda la Congregazione. Eh, sì! io temo da un giorno all'altro di morire, e non vorrei lasciare i miei figli nell'imbroglio
Il 30 giugno, passeggiando al solito nel refettorio dopo pranzo, ragionava di direzione spirituale e di confessione, quando pensò di dire a Don Barberis che rispondesse in suo nome a un parroco, il quale gli chiedeva consiglio sul modo di condurre una penitente scrupolosa e indocile. Costei avrebbe voluto anche cambiar confessore; ma il parroco per paura che si rompesse ancor più il capo, non glielo permetteva. La risposta doveva essere che se la donna continuava a confessarsi da lui, egli esigesse di venir obbedito e che, se bisogna permettere sempre ai penitenti di andare da altri, a questa gente fa d'uopo facilitare e anche consigliare il cambiar confessore; che se poi tornano, si ricevano nuovamente e si esiga obbedienza: ma se desiderano nuovamente un altro confessore, si lascino fare.
La sera dopo cena, confabulandosi di tante cose fra monsignor Ceccarelli e alcuni preti dell'Oratorio, fu proferita la [405] parola beata, che è quasi termine tecnico per indicare certe donne attaccate alle pratiche religiose, ma in modo che ha dell'esagerato o dell'indiscreto. Don Bosco udì. Persuaso com'era che tali donne facessero del bene, non voleva mai sentirne parlare con biasimo; onde ripetè ivi quello che aveva inteso da Don Cafasso: - Le beate per lo più sono il sostegno religioso d'un paese o d'una parrocchia. Il non curarle o trattarle male è causa che si rallenti la frequenza ai sacramenti. A volte un buon mezzo per elevare in una popolazione la pietà è valersi di queste buone donne. Ciò che le rende un po' pesanti suol essere l'ignoranza e un soverchio timore; ma in generale sono anime innocenti, che passano anni interi senza commettere peccato non dico mortale, ma neppure veniale deliberato. Se si vedono contrariate, non osano più avvicinarsi, parlano con le amiche e comari, vanno attorno con questo malcontento sempre nell'animo e raffreddano un po' tutti nella divozione. Mi ricordo che il parroco di Castelnuovo da principio tanto in privato che dal pulpito dava addosso alle beatelle, dicendo che facevano perdere tempo, che potevano spiegarsi meglio con meno parole, e via di questo passo. Ebbene, non aveva mai nessuno a confessarsi da lui ed i parrocchiani da lui si alienavano, preferendo confessarsi da un suo vice - parroco. Se ne lamentò un giorno con me. Io non feci che rammentargli il consiglio di Don Cafasso, invitandolo a non parlare più così, ma a dire che venissero pur molto a confessarsi e che si confessa sempre volentieri; ma poi specialmente in confessionale trattar bene queste donne, usar con loro molta dolcezza e pazienza, incaricarle anche di condurre altre a confessarsi. Il parroco fece così e in breve tutto il paese si confessava da lui, e le comunioni aumentarono.
Riguardo alle confessioni dei giovani osservò questo - Vengono, disse, talvolta a confessarsi certi giovani, che non dicono nulla ed anche interrogati non rispondono. Questi tali è bene averli davanti e non alle grate; così con maggior [406] facilità si potranno far parlate. Vale tanto in simili casi quell'avere il loro capo fra le nostre mani, quel non poter essi guardare qua e là! Per tal modo si riducono a dir tutto. Ma da principio bisogna usare tanta, tanta pazienza e continuare a far interrogazioni vane, perchè comincino ad aprir bocca. Mi accadde d'incontrarne taluni, da cui sembrava impossibile cavare una parola, e vi riuscii solo con uno stranissimo espediente. Non ottenendo risposta ad alcuna mia interrogazione, domandava loro: Hai già fatto colazione stamattina? Sì. Hai buon appetito? Sì. E fratelli in casa quanti siete?... Una volta cominciato a rispondere, continuavano anche quando io passava a far domande più serie.
La festa delle feste era ed è sempre nell'Oratorio il 24 maggio. Per la novena e la solennità furono distribuite in gran numero le copie di un Invito Sacro, stampato su sottili foglietti cilestrini, grazioso lavoruccio tipografico che conteneva l'orario delle funzioni e pratiche religiose e il programma musicale: gran Messa a quattro voci del Rossini, Vespri con Saepe dum Christi o battaglia di Lepanto e Tantum ergo di Don Cagliero. Una nota in ultimo diceva: “La limosina che gli aggregati [all'Arciconfraternita] o altri divoti giudicheranno di fare in quest'anno, è destinata a far riparare il pavimento, a migliorare l'orchestra, ad indorare la statua di Maria Ausiliatrice”. Il simulacro della Madonna sulla cupola, cadutagli ormai d'attorno la prima doratura, nereggiava lassù con isgradevole effetto; bisognava far in modo che la cara immagine splendesse di bel nuovo dall'alto nel fulgore dell'oro.
Due volte il Beato diede la “buona notte” ai giovani durante il periodo della prossima preparazione alla festa: prima della novena e prima del triduo. Il 13 maggio dopo le orazioni della sera così parlò. [407] Di quando in quando mi sento spinto a farvi qualche visita, a dirvi qualche parola. Siamo in tempo nel quale vi è un moto straordinario di opere buone. Abbiamo in questi giorni tante belle occasioni per acquistarci meriti: il mese di Maria, la novena dello Spirito Santo, le domeniche di S. Luigi e poi la novena di Maria Ausiliatrice. Oh quante belle cose! E queste sono come tanti fili per tirare a noi le grazie del Signore.
È specialmente in questa novena dello Spirito Santo che io soglio raccomandare il pensiero della vocazione; è il tempo più opportuno per conoscere ciò che il Signore vuole da noi. Tutti debbono pensarci ed in ispecial modo quelli che hanno già indossato l'abito, che sono iniziati nella carriera ecclesiastica, cioè i chierici che hanno bisogno di perseverare. Costoro pensino seriamente alle cose dell'anima loro, vedano in questa novena se nella loro condotta vi è qualche cosa da togliere, quello che vi è da aggiungere e quello che è da correggere, e poi domandino al Signore la grazia di poter adempiere quello che hanno meditato e risoluto. Queste grazie il Signore non le rifiuta.
E non solamente i chierici, ma anche gli altri giovani devono pensare alla loro vocazione, e per i primi quelli di quinta ginnasiale, che di quest'anno debbono prendere una stabile risoluzione; anche quelli della quarta e qualcuno delle altre scuole inferiori incomincino a pensare adesso a quello che dovranno fare in avvenire per assicurarsi un felice stato anche in questo mondo. Se deliberano per tempo e prendono consiglio, al fine dell'anno si troveranno contenti e sicuri. Si domandi di cuore questa grazia, che il Signore concede a tutti, purchè gli sia domandata, ed Egli confermerà colla sua benedizione i buoni propositi.
Desidero poi che tutti in questo mese e in questa novena di Maria Ausiliatrice domandiate a questa buona Madre la grazia di essere liberati da tutti i pericoli del secolo. Voi non lo conoscete il mondo, ma io che ne sono pratico, vedo a quanti pericoli sono esposti tanti vostri amici e tanti vostri parenti. Voi qui siete nell'arca di Noè, quantunque l'Oratorio sia più grande dì quella; siamo, voglio dire, come in luogo di salute, al sicuro dal diluvio di mille pericoli che di fuori da ogni parte ne circondano. Qui siamo separati dagli scandali, dai cattivi compagni, e abbiamo ogni comodità di far bene. Usciti da quest'arca, ahi! quante e quanto gravi occasioni di cadere vi si faranno incontro, essendo voi ancora quasi affatto inesperti del mondo. Ah! non sapete in quali pericoli siano molti dei vostri compagni che hanno avuto la disgrazia di entrarvi.
Inoltre qui abbiamo la gran ventura di aver Maria Ausiliatrice pronta a proteggerci, la quale tutti i giorni concede moltissime grazie anche corporali. Ora è un cieco che acquista il vedere, ora un epilettico è perfettamente risanato, come accadde questa mattina: ora è uno storpio che da otto anni non poteva più muoversi, ed ha cominciato [408] a camminare, come è succeduto ieri; ed altre grazie strepitose, straordinarie potrei raccontarvi che Maria Santissima largisce continuamente a chi la supplica.
Se tanto, io dico, questa Madre si fa vedere benigna e liberale nel concedere grazie pel corpo che è destinato a servire allo spirito, per questo corpaccio miserabile che fra poco ha da essere gettato sotto terra a marcire e a ridursi in polvere, che cosa non farà mai Ella riguardo alle anime nostre destinate a godere col Signore per tutta l'eternità? Quante grazie Ella tiene preparate, ansiosa che qualcuno gliele domandi! Ricordatevi, o cari figliuoli, che la Vergine ha messe in serbo tutte quelle grazie che sono necessarie a ciascuno di noi per la nostra anima, pel nostro corpo, per i nostri genitori, parenti, amici. Per darcele aspetta solamente che le domandiamo. Se dunque Essa le tiene preparate, se è pronta a concederle a chi le domanda, con qual divozione noi non dovremo pregarla, specialmente in questa novena!
E poi le madri hanno sempre qualche tempo speciale, in cui sono disposte a donare regalucci ai loro figliuolini, in cui sogliono concedere più facilmente tutto ciò che essi domandano. Questo tempo sarà il giorno della loro nascita, sarà il giorno onomastico, sarà l'anniversario della prima comunione, sarà quello della cresima, sarà il di che loro rammemora qualche buona fortuna. Hanno tanti tempi queste buone madri nei quali tengono preparati speciali favori pei loro bambini. Ma desiderano che loro si domandino per poterli donare, e talvolta sono esse dolenti, quando passa una di queste belle occasioni senza che nulla loro si domandi.
E se è così delle madri della terra, non sarà lo stesso di quella buona madre che sta lassù nei cieli? Ah credetelo, essa è più buona, infinitamente più amorosa, e assai più potente che non le madri di questa terra, e può concederci ogni cosa, ed ama concedercela.
Perciò se di cuore ci raccomanderemo a Lei, essa sarà pronta ad aiutarci, perchè noi siamo in nodo particolare suoi figli.
Serviamoci adunque della buona occasione di questo suo mese, di questa sua novena, di questa sua festa per raccomandarci alla Beata Vergine Ausiliatrice. Oh quante belle grazie essa ha preparate per appagare i nostri desiderii ! Grazie spirituali, grazie corporali; grazie per la sanità, per gli studi, per i parenti nostri, pei loro negozi, e per le loro campagne. Preghiamola. Ella vi difenda, in tutti i pericoli della vita. Ella vi guidi alla meta a cui tende ogni nostro sforzo. Ciascuno di voi prenda buone risoluzioni, cerchi di metterle in pratica e il Signore e Maria Santissima vi aiuteranno ad uscire illesi da ogni occasione di peccato. Buona notte.
Risalì il pulpitino la sera del 20. Un giovane, com'era costume, gli si avvicinò e baciandogli la mano gli porse, avvolto [409] in un pezzettino dì carta, un oggetto smarrito. Il Beato ne tolse argomento per esilarare l'uditorio e così prepararsi la via a quello che intendeva dire.
Qui vi è un biglietto.... cioè una moneta d'oro da cinque centesimi (risa). Vedete quanti errori di grammatica! (risa). E siccome è proibito tener danaro, così nessuno verrà a riscuoterlo (mettendosi in tasca la moneta) e servirà per pagare i debiti dell'Oratorio (risa) e a farvi stare tutti allegri a Maria Ausiliatrice.
Siamo nella festa di Pentecoste, nella novena di Maria SS. Ausiliatrice. In questo mese si ottengono non una sola, ma molte grazie ogni giorno dalla Madonna. Ora sono persone che vengono esse stesse qui in questa nostra Chiesa a chiedere favori o a ringraziare per quelli ricevuti; ora giungono da lontano lettere e relazioni di fatti mirabili, attribuiti all'invocazione della nostra buona Madre; ed esprimenti la gratitudine dei beneficati.
Ma le grazie più strepitose sono quelle che non sono conosciute. Quante e quante persone per intercessione di Maria Santissima poterono mettere in sesto le cose dell'anima loro! E anche senza andare molto lontano, qui nella nostra casa sono innumerabili le grazie che ci furono e si vanno facendo in favore di tanti giovani, i quali invocando Maria sotto questo titolo di Auxilium Christianorum, poterono ottenere grazie spirituali. Chi riuscì a perdere qualche cattiva abitudine, chi ad acquistare qualche virtù difficile a praticarsi...
Mi raccomando adunque quanto so e posso, che ciascuno preghi Maria Santissima in questa novena. Questa Madre pietosa concede facilmente le grazie di cui abbisogniamo, e tanto più le spirituali. Essa in cielo è potentissima, e qualunque grazia domandi al suo Divin Figliuolo, le è subito concessa. La Chiesa ci fa conoscere la potenza e la benignità di Maria con quell'inno che incomincia: Si caeli quaeris ianuas, Mariae nomen invoca. Se cerchi le porte del cielo, invoca il nome di Maria. Se per entrare in paradiso basta invocare il nome di Maria, bisogna pur dirlo che Ella sia potente. Il solo suo nome è rappresentato come porta del cielo, e tutti quelli che vogliono entrarvi, debbono raccomandarsi a Maria.
E noi ricorriamo a lei, specialmente perchè ci aiuti nel punto della morte. La Chiesa infatti in altro luogo dice che Maria da sola è terribile come un esercito ordinato a battaglia che pugna contro i nemici dell'anima nostra. Quantunque nel senso letterale della Sacra Scrittura queste parole si intendano dei nemici della Chiesa, lo spirito però della Chiesa stessa le interpreta dei nostri nemici particolari nelle cose dell'anima. Al solo nome di Maria i demoni si danno a precipitosa fuga. Ella perciò è chiamata Auxilium Christianorum, aiuto dei Cristiani, sia contro i nemici esterni che contro i nemici interni. [410] Noi principalmente dobbiamo a lei raccomandarci, noi che la sua festa in modo speciale celebriamo come nostra propria, quantunque sia festa della Chiesa universale. Per questo motivo io vi raccomando quanto so e posso, e il mio consiglio sia scolpito nella vostra mente e nel vostro cuore, di invocare sempre il nome di Maria, specialmente con questa giaculatoria: Maria Auxilium Christianorum, ora pro nobis. È una preghiera, non tanto lunga, ma che si esperimentò molto efficace. Io l'ho già consigliata a molti, e tutti, o quasi tutti, mi dissero che avevano ottenuti felici risultati. Così pure alcuni altri mi assicurarono, i quali senza consiglio di alcuno, ma da per se stessi, avevano presa l'abitudine di recitarla.
Tutti noi abbiamo delle miserie, tutti abbiamo bisogno di aiuto. Quando adunque vogliate ottenere qualche grazia spirituale, prendete come abitudine di recitare di quando in quando questa giaculatoria. Per grazia spirituale si può intendere la liberazione da tentazioni, da afflizioni di spirito, da mancanza di fervore, da vergogna nella confessione che renda troppo pesante la manifestazione dei peccati. Se qualcuno di voi vuol far cessare qualche ostinata tentazione, vincere qualche passione, schivare molti pericoli di questa vita, o acquistare qualche grande virtù, non ha da fare altro che invocare Maria Ausiliatrice. Queste ed altre grazie spirituali sono quelle che si ottengono in maggior quantità, e che non si vengono a conoscere e fanno maggior bene fra le anime.
Non è a proposito che vi reciti qui moltissimi nomi di quelli che invocandola con questa giaculatoria, ottennero grazie speciali. A quanti aveva consigliata la giaculatoria: Maria Auxilium Christianorum ora pro nobis! Furono cento, furono mille, parte della casa, parte estranei, e mi sono raccomandato che se non fossero stati esauditi recitando questa giaculatoria, venissero a dirmelo. E nessuno finora è ancor venuto a dirmi di non aver ottenuta la grazia. Dico male; bisogna che mi corregga: vi fu alcuno, come in quest'oggi stesso, che si venne a lamentare con me di non essere stato esaudito. Ma sapete il perchè ? Avendolo io interrogato, mi confessò che aveva avuta bensì l'intenzione di invocare Maria, ma poi non l'aveva invocata. In questo caso non è Maria Vergine che manca, ma noi manchiamo verso di lei non pregandola: non è Maria che non ci esaudisca, siamo noi che non vogliamo essere esauditi. La preghiera deve farsi con istanza, con perseveranza, con fede, con intenzione proprio di essere esauditi. Io voglio che la facciate tutti questa prova e che la facciate fare anche a tutti i vostri parenti ed amici.
In questa prossima festa di Maria Ausiliatrice, se venissero a trovarvi, o se non vengono scrivendo loro una lettera, o facendo fare commissioni in famiglia, dite loro da parte mia: - D. Bosco vi assicura che se avete qualche grazia spirituale da ottenere, preghiate la Madonna con questa giaculatoria: Maria Auxilium Christianorum, ora [411] pro nobis, e sarete esauditi. S'intende che sia recitata colle condizioni che deve avere una preghiera. Se non sarete esauditi, farete un piacere a D. Bosco scrivendoglielo.
Se io verrò a sapere che qualcuno di voi abbia pregato bene, ma invano, scriverò subito una lettera a San Bernardo dicendogli che si è sbagliato nel dire: “Ricordatevi, o piissima Vergine Maria, che non si è mai udito al mondo che da voi sia stato rigettato od abbandonato alcuno, il quale implori i vostri favori”. Ma state pur certi che non mi accadrà di dover scrivere una lettera a san Bernardo. E se mi accadesse, il santo Dottore allora saprà subito trovare qualche difetto nella preghiera del postulante. Voi ridete sul mandare una lettera a san Bernardo. E non sappiamo noi dove si trova san Bernardo? Non è in cielo?
- V'è difficoltà nelle poste, si udì esclamare D. Rua. Non sanno come recapitarla tale lettera.
Certamente, rispose D. Bosco, che per andare sino alla dimora di san Bernardo ci vorrebbe un carrozzone postale che corresse molto in fretta e chi sa per quanto tempo. Neppure basterebbe il telegrafo, e benchè la corrente elettrica percorra in un lampo grandissima distanza, pure in questo caso mancherebbero i fili. Ma noi per scrivere ai Santi abbiamo un espediente più veloce che le vetture, che il vapore, che il telegrafo, e non temete che i Santi non ricevano le nostre lettere e subito, anche se il fattorino fosse in ritardo. Infatti ora, mentre io vi parlo, col mio pensiero più veloce del fulmine, m'innalzo nello spazio del cielo, vado su, su, sopra le stelle, percorro distanze incomprensibili, e giungo davanti al seggio di san Bernardo che è uno dei più gran Santi del paradiso. Fate adunque la prova che vi ho detto, e se non sarete esauditi non troveremo difficoltà a mandare una lettera a san Bernardo.
Lasciando lo scherzo, vi ripeterò che per il fine di questa novena che è ancora in corso, vi scolpiate nel cuore queste parole: Maria Auxilium Christianorum, ora pro me: e che le recitiate in ogni pericolo, in ogni tentazione, in ogni bisogno e sempre; e che domandiate a Maria Ausiliatrice anche la grazia di poterla invocare. Ed io vi prometto che il demonio farà bancarotta. Sapete che cosa vuol dire che il demonio farà bancarotta? Vuol dire che non avrà più alcun potere sopra di voi, non riuscirà più a farvi commettere alcun peccato, e dovrà ritirarsi. Io intanto nel santo Sacrificio e negli altri esercizi di pietà vi raccomanderò tutti al Signore perchè vi aiuti, vi benedica; vi protegga, e vi conceda le sue grazie per mezzo di Maria Santissima. Buona notte.
Nel triduo scomparvero un bel giorno gl'innumerevoli cuori d'argento che tutt'attorno al quadro costellavano largamente le pareti, spoglie ancora d'ogni altro ornamento; [412] ma alla vigilia se ne comprese il perchè . I giovani, entrando in chiesa, videro la grande icona contornata da una larghissima fascia di velluto cremisi, sul cui fondo brillavano vagamente disposti quei cuori, che tutti insieme dicevano alla Vergine la riconoscenza di tanti e tanti fedeli per grazie da Lei ricevute. La ripulitura dei cuori argentei e la loro destinazione suggerirono a Don Bosco il tema di una parlata, della quale abbiamo solo il ricordo e non il testo. - Ecco, diss'egli in sentenza, quello che dobbiamo far noi nella festa di Maria Ausiliatrice: ripulire i nostri cuori con buone confessioni e offrirli, anzi attaccarli a Maria Santissima, perchè stiano sempre vicini a Gesù, e ciò ottenere con frequenti e fervorose comunioni[210] - .
Quasi preludio alle grazie che la Santa Vergine avrebbe concesse nel dì della festa, avvenne la guarigione prodigiosa, di cui fu testimonio nella vigilia il conte Cays e che decise della sua vocazione. La madre aveva portata la figlia prima in sacrestia, dove Don Vespignani sedeva al tavolo per registrare le grazie e distribuire medaglie. La povera donna gli chiese di vedere Don Bosco, per pregarlo di benedire la figliuola. Egli, mosso a pietà, le disse di adagiare l'inferma sul seggiolone, dal quale il Servo di Dio ascoltava le confessioni; poi, venuta l'ora delle udienze, le fece accompagnare fino a lui. Quello che accadde dopo, è noto.
Il gran giorno, preparato con nove eloquenti discorsi del padre Domenico Pampirio, dell'Ordine dei Predicatori e futuro Arcivescovo di Vercelli, vide manifestazioni di pietà quali si riscontrano solo nei massimi santuari. Le messe celebrate nella chiesa furono sessantasette, e circa cinquemila le comunioni. Col beneplacito dell'Arcivescovo pontificò monsignor Domenico Agostini, vescovo di Chioggia, che il dì appresso ricevette in Torino la notizia ufficiale della sua promozione alla sede patriarcale di Venezia. [413]
Il culto di Maria Ausiliatrice si dilatava ognor più; ne erano prova i pellegrinaggi venuti da lontano, e ce lo conferma la supplica di Don Bosco al Papa per ottenere che l'Arciconfraternita di Torino potesse aggregare a sè altre confraternite dello stesso nome e tenore anche oltre i confini assegnatile nel 1870. Si diceva nella supplica: “Il sac. Giovanni Bosco in data 5 aprile 1870 otteneva da V. S. che fosse eretta in Arciconfraternita la pia Associazione detta dei divoti di Maria Ausiliatrice eretta in questa chiesa consacrata appunto a Maria Ausiliatrice e con facoltà di aggregare altre Associazioni nella Diocesi di Torino. Ora facendosi da molti luoghi simili dimande e sembrando tornare a maggior gloria di Dio e bene delle anime che tale Associazione sia ognora più dilatata supplica umilmente V. S. che voglia estendere la facoltà di aggregare eziandio in altre Diocesi”. Il 2 marzo del '77 un Breve di Pio IX aveva benignamente esteso quella facoltà alle Diocesi del Piemonte in perpetuo[211].
Per la festa di Maria Ausiliatrice venne in pellegrinaggio a Valdocco un grande cooperatore salesiano, sacerdote veramente esimio per santità di vita, per zelo delle anime e per tenera divozione alla Madonna di Don Bosco: vogliamo dire Don Paolo Taroni, Direttore spirituale nel seminario di Faenza. La presenza del suo discepolo Don Vespignani nell'Oratorio lo determinò quell'anno al viaggio lungamente sospirato. Anche Don Bosco desiderava di conoscerlo. Sull'imbrunire del 16 maggio egli stava per varcare la soglia dell'Oratorio, quando giunse una carrozza, da cui scese un prete. Don Taroni fermatosi e salutatolo rispettosamente, gli domandò: Lei forse entra nell'Oratorio?
- Sì, e Lei pure? Conosce forse qualcuno nell'Oratorio?
- Conosco un certo Vespignani. Lei pur lo conosce?
Entrarono insieme nel momento che la comunità usciva [414] di chiesa dopo la benedizione. Don Vespignani, scorto il suo direttore, corse a quella volta, baciò la mano allo sconosciuto salutandolo con un: - Buona sera, signor Don Bosco! e poi subito si rivolse a Don Taroni. Ma questi, come fuor di sè: - Avete detto Don Bosco? chiese. Ma dov'è Don Bosco? - Al cenno di Don Vespignani che glielo indicava, il sant'uomo gli cadde in ginocchio davanti, alzando le mani e congiungendole in alto ed esclamando: - Ah, signor Don Bosco! E io non l'aveva conosciuto!
Don Bosco, fattolo alzare, abbracciatolo e uditone il nome: - Ho capito, disse, ho capito! Questo è quel gran nemico di Don Bosco!... Don Vespignani lo conduca in camera a deporre la valigia, perchè il Direttore ha bisogno di riposare, e questa sera a cena lo metta al mio posto a boscheggiare. Domani poi faremo la pace. - Quindi amorevolmente si licenziò. Don Taroni disse andando: - Ora capisco perchè Don Bosco ha fatto tante cose ! Non vedete con quanta calma, con quale tranquillità parla e cammina? Come si vede che è un santo!
Rimase nell'Oratorio dieci giorni, tutto osservando e molto annotando. Il 18 si confessò da Don Bosco la prima volta nella sua camera; dopo di che tutto raggiante disse a Don Vespignani: - Mi sono messo nelle sue mani, perchè facesse di me quello che voleva. Ma egli mi ha detto reciso di tornarmene al seminario per coltivare vocazioni ecclesiastiche; questa essere la mia vocazione; dovere poi io farla da cooperatore salesiano, spargendo buoni libri e specialmente le Letture Cattoliche. - Questa delle Letture Cattoliche divenne la sua passione; ne portò gli associati oltre ai quattrocento, avendo preso per motto: Mai diminuire, sempre accrescere il numero. Più tardi soleva ripetere: - Don Bosco non mi ha voluto; ma io mi vendico, mandandogli i miei figliuoli. E ne mandò parecchi.
Nel suo taccuino sotto il giorno 23 scrisse quanto segue: “Il 23 rimasi con lui in camera fino a mezzanotte. Gli manifestai [415] le grazie che io intendeva chiedere domani a Maria, fra le altre la fortezza e il coraggio. Mi rispose: - Aggiunga: Fac ut ardeat cor meum in amando Christum Deum... - Prima di uscire dalla sua camera gli chiesi la benedizione e me la diede”. E sotto il 25 “Il venerdì mattino 25 mi confessai di nuovo da Don Bosco in sacrestia, dove verso le ore dieci attendeva ancora alle confessioni. Gli domandai la benedizione per i miei seminaristi ed egli con aria da santo rispose: - Si, preghiamo che tutti si facciano santi e qualcuno si renda Salesiano, se è volontà di Dio -”.
In quel depositario delle sue confidenze Don Taroni prese nota anche di queste parole dettegli dal Servo di Dio: “Stamane Don Bosco mi ha detto che non avrebbe difficoltà a levarsi il cappello al diavolo, purchè lo lasciasse passare per andar a salvare un'anima”. Un concetto analogo a questo, che a primo aspetto sembra troppo ardito, venne espresso dal Papa Pio XI il 24 maggio del 1929 in un discorso agli alunni del collegio di Mondragone[212]: “Quando si trattasse di salvare qualche anima, di impedire maggiori danni di anime, ci sentiremmo il coraggio di trattare col diavolo in persona”.
Tornato a Faenza con l'anima riboccante di soavi emozioni, Don Taroni sfogò in versi la piena degli affetti che gl'inondava il cuore, poichè ebbe fino all'ultimo una tal sua vena poetica semplice e amabile; indi a poco a poco raccolse le impressioni e i ricordi del suo pellegrinaggio in un quaderno, nel quale premise la sentenza di Edipo: “L'amicizia, di un uomo grande è un favore degli dei”.
Dopo la festa di Maria Ausiliatrice veniva quella di Don Bosco di cui abbiamo già parlato; poi quella di san Luigi, la quale per lo più veniva rimandata alla prima domenica di luglio. Pontificò in essa monsignor Formica, vescovo di Cuneo. Alla sera si fece, secondo il consueto, la solenne distribuzione [416] dei premi agli artigiani. Don Bosco chiuse il trattenimento dicendo: - Monsignor Formica, vescovo di Cuneo, è molto contento della bella dimostrazione che gli avete fatta e mi lascia di ringraziare voi tutti. Venendo ora a parlare della nostra festa, mi pare che anche Don Bosco avrebbe diritto a un premio. Lo ebbero il signor Priore[213], lo ebbero gli altri signori, e ancor io avrei potuto averne uno. Qualcheduno dirà: Lei, il suo premio l'ha già anche nelle dimostrazioni di gratitudine dei suoi giovani! Sì, questa è già una bella cosa; ma io vorrei ancora un altro premio, e sarebbe quello della buona condotta... Questo premio però non dalle mani degli uomini si deve aspettare; essi non giudicano rettamente, perchè guardano solo alle apparenze. Oh qual soddisfazione si prova nel lavorare molto e bene, non col basso fine dell'interesse, ma per fare il proprio dovere! Qual consolazione nel prestare il braccio all'opera benefica della carità! Questo è il buon guadagno che può l'uomo trarre dalla fatica in questa misera terra; ma il nostro fine non dobbiamo cercarlo quaggiù. Esso è di gran lunga più nobile: dobbiamo aspettarlo nella patria beata, fra gl'imperituri godimenti del paradiso.
Di questa distribuzione dei premi si parla nella già citata Memoria del conte Conestabile, il quale dice[214]: “Ho assistito or fa qualche mese, alla distribuzione de' premi nell'Oratorio. Per Don Bosco e pe', suoi figli la era una vera festa. Un gentiluomo piemontese, benefattore dell'Opera, aveva largamente contribuito a quella solennità, e Dio rimunerò quel generoso con lo spettacolo della schietta gioia di quella gioventù, la quale mandava entusiastiche benedizioni al nome del suo benefattore. Ma allorchè si alzò Don Bosco per prendere la parola, si fece un profondo silenzio: non era un oratore, ma un padre, un amico che parlava, ed il suo discorso andava diritto al cuore di quelli che l'ascoltavano. [417]
Grida d'amore e di filiale riconoscenza salutarono il prete, quando ebbe finito di parlare; e Don Bosco, rivolgendosi verso di me, dissemi ridendo: - Mi piace tanto di udir le grida di questi ragazzi! Non è vero che hanno buoni polmoni? - Io non potei che riconoscere il fatto e fargliene i miei rallegramenti”.
Per l'altra festa sempre tanto solenne dell'Immacolata non abbiamo in quest'anno se non una parlata di Don Bosco ai giovani: è un'esortazione a far bene la novena, rivolta loro la sera del 29 novembre.
Ecco che Don Bosco viene a salutarvi tutti insieme e a dirvi due parole. Ho il piacere di darvi una buona notizia ed è che domani a sera incomincerà la novena della Beata Vergine Immacolata, alla quale vi fu sempre una speciale divozione fra i nostri giovani. Savio Domenico, quando viveva in questo Oratorio, la faceva con un fervore tutto speciale. Qui abbiamo ancora presentemente una compagnia detta dell'Immacolata Concezione e fu Savio Domenico che la principiò e vi entrarono solamente i giovani più buoni. Egli con alcuni compagni compose un regolamento che si conserva ancora adesso, stampato nel libro della sua vita e questo si pratica ancora presentemente da coloro che sono ascritti a questa associazione, e sono molti e quelli solo che risplendono in tutte le virtù.
Quale consiglio adunque devo darvi, perchè facciate bene questa novena? Due cose: esattezza e pulitezza. Sono due parole che fanno rima insieme e che vanno molto d'accordo. Esattezza nell'osservare tutte le regole della casa, e senza affettazione; prontezza nel trovarvi allo studio, prontezza nel trovarvi in ricreazione, a pranzo, a cena, a dormire; prontezza nell'alzarvi da letto, nell'andare in chiesa e via via; che ciascuno cerchi di compiere con esattezza i propri doveri in tutto l'anno, ma in modo speciale in questa novena.
Poi pulitezza. Con questa pulitezza non voglio dire del farvi pulire le scarpe o gli abiti, ma della pulitezza dell'anima. Bene è il tenersi puliti nella persona come si conviene, ma è meglio che ciascuno abbia la coscienza monda da ogni colpa. E se alcuno non avesse fatta la confessione generale, può benissimo farla in questa occasione. Alcuno si accorgerà di aver mancato di dolore o di proponimento nelle confessioni passate, o di non aver fatto sufficiente esame, o che la confessione fu mancante per qualche altra parte, per esempio, di umiltà, di sincerità, d'integrità; ebbene tolga partito da questa novena per aggiustar bene tutto. Se qualcuno si sentisse un prurito qui nel cuore e dando un'occhiata alle sue confessioni vedesse d'aver sempre le [418] stesse colpe, le stesse bugie, le stesse perdite di tempo, le stesse mancanze alle regole, dimodochè egli si trovasse con una serie di peccati e confessioni, di confessioni e peccati, ebbene costui manifesti queste cose e, se lo crede bene il confessore, faccia anche una rivista di tutta la sua vita con una confessione generale, o solo su quei punti che si crederà necessari.
Vi sarà un altro che sentirà un'agitazione nell'anima e dirà: - Ma io temo d'aver fatta male una confessione e di non trovarmi in un buono stato; è vero che di quel peccato mi sono dimenticato, ma l'ho dimenticato apposta. - Costui forse è andato altre volte a confessarsi e non ha avuto il coraggio di rifare la confessione mal fatta. E anche costui se si trovasse qui, vada dal proprio Direttore, gli parli della sua pena, si rimetta interamente a lui. Esso esaminerà con tutto l'affetto di un amico lo stato di quella coscienza, si ritornerà indietro di confessione in confessione, fino all'ultima fatta bene, si aggiusterà di nuovo regolarmente quella povera anima, sicchè possa rimanere tranquilla e sicura.
Un altro dirà: - Da qualche tempo mi trovo inquieto. Ho dubbi, ho paure. - Ebbene anche costui si confidi col suo padre spirituale, e se vuole, faccia pur anche la sua confessione generale più o meno precisa, secondo che il confessore interrogherà, che questo è appunto il tempo opportuno per ciò.
È un grande errore quello che commettono alcuni accusandosi: - La tal cosa l'ho fatta tre o quattro volte - mentre sanno certamente d'averla fatta quattro volte. Fanno così per attenuare un tantino la loro colpa. Altri poi dicono: - L'ho fatta solamente due o tre volte - mentre sanno d'averla fatta cinque volte. Allora la confessione è mancante. Supponete che aveste un debito di quattro franchi ed al creditore diceste di darne solamente due o tre, oppure gliene deste tre o quattro che vale a dire tre e mezzo: l'altro non sarebbe contento e direbbe subito. - Parla chiaro; il debito è di quattro franchi e tu dammene quattro.
Mettiamo adunque in ordine le nostre coscienze. Io mi ricordo come al principio della novena dell'Immacolata Concezione Savio Domenico si proponesse di passarla bene. Venne da me e volle fare la sua confessione generale, che, per quanto io sappia, non aveva ancor fatta e poi conservò talmente netta la sua coscienza in tutta la novena, da poter tutti i giorni fare la santa Comunione.
Imitate anche voi Savio Domenico.
Supponete che in questa notte aveste da morire; come vorreste fare la confessione? Ebbene confessatevi come se aveste da morire al fine di questa novena: confessatevi come se la vostra confessione fosse l'ultima della vita, accostatevi il più spesso che potete alla santa Comunione e tenetevi sempre in buono stato la coscienza per poterla far bene. [419] È desiderio ardente della Chiesa che ognuno dei cristiani, e con ciò non voglio dire dei soli adulti in generale, ma sibbene che anche tutti i giovanetti, si tengano sempre in istato di poter fare tutti i giorni la santa Comunione. Savio Domenico come faceva questo con ogni attenzione! Oh con quanta prontezza cercava di compiere ogni suo dovere! Facendo prima di tutto una buona confessione e regolandosi sempre ottimamente, poteva accostarsi quotidianamente al banchetto eucaristico. E lungo il giorno faceva delle, visite in chiesa e invitava altri suoi compagni ad andare con lui ai piedi di Gesù. Ecco il vero modello di un giovane imitatore di san Luigi Gonzaga; ecco un modello di giovane che facendo la sua prima comunione a sette anni e mezzo, scriveva per suo ricordo: - La morte ma non peccati.
Queste due cose adunque vi raccomando: Esattezza e pulitezza. Pulitezza nell'anima e pulitezza anche nel corpo come riverbero della prima. Se metterete in pratica i miei consigli in questa novena, Maria Santissima farà a ciascheduno un bel regalo, il quale consisterà nel concedervi qualche grande favore spirituale, quello che più giovi all'anima vostra. Buona notte.
Quando si avvicinava il tempo degli esercizi spirituali, il Beato ne diede l'annunzio, svolgendo la sera del 12 aprile questi concetti, pervenutici in forma, riassuntiva.
Molti lungo l'anno desiderano di parlare di varie cose che riguardano la coscienza od il loro avvenire: ma non ne hanno l'opportunità: altri aspettano la festa d'Ognissanti, poi Natale, poi Pasqua: volevano sempre aggiustare completamente certi imbrogli di coscienza, e forse antichi, ma non lo fecero. Altri finalmente si trovano nell'età e negli studi a tal punto da dover decidere per la propria vocazione, ed ora sono ansiosi per non aver ancora deciso nulla. Negli esercizi spirituali appunto si sogliono mettere in ordine tali cose. Essi si avvicinano a voi, e voi avrete ogni comodità necessaria al bene delle anime vostre.
In tempo di esercizi il Signore è solito a fare grazie straordinarie; perciò nessuno rimandi ad altra occasione questi importantissimi affari; ma eseguisca quanto ha in cuore, si serva di questa grazia e ne sarà poi contento e tranquillo tutta la vita.
Gli studenti li cominciarono la domenica 15 aprile, Predicatori furono Don Francesia per le istruzioni e Don Dalmazzo [420] per le meditazioni. Nella "buona notte " quel giorno il Servo di Dio così parlò:
Avrei da dirvi molte cose, ma io mi contento soltanto di poche. Stassera avete incominciato gli esercizi spirituali. Io ne sono contento. Ciascuno avrà comodità in questi giorni di pensare seriamente alle cose che sono sue proprie e di attendere unicamente a quelle.
Veramente so che molti di voi non avrebbero bisogno degli esercizi, perchè sono già molto buoni; anzi vorrei dire che la maggior parte, specialmente gli studenti, soddisfanno all'aspettazione dei superiori, sono veri cristiani. Dico veri: alcuni lo sono perchè hanno ricevuto il santo battesimo, ma non hanno corrisposto colle opere all'eccelso carattere di figli di Dio: altri sono cristiani perchè osservano la legge di Gesù Cristo e sono giovani quali debbono essere. Per questi ultimi veramente gli esercizi non sono di assoluta necessità, ma non faranno però loro del male. Esso debbono tutti cercar di progredire in quella via per cui si sono messi, e di resistere al nemico delle anime nostre, che in questo tempo fa i suoi sforzi maggiori per combatterci.
Ma in mezzo a tanti buoni ve ne sono alcuni che prima degli esercizi si era in procinto di mandar a fare le vacanze... ed in questi giorni ebbi la lista dei nomi di certi soggetti, e l'ho di sopra in mia camera. Li lessi, ho osservato i motivi, ed erano ragionevoli. Essi appartengono alle classi inferiori, superiori e più superiori ancora. Basta... ho differito sempre un giorno, poi un altro e un altro ancora a porre in esecuzione questa disgustosa misura, e siam venuti agli esercizi: e poi ho pensato che se costoro non facevano gli esercizi spirituali nell'Oratorio, non avrebbero mai più avuta occasione di farli e di pensare seriamente all'anima. Perciò ho preso quella nota, l'ho messa ai piedi del Crocifisso e della Madonna, e a Lui li ho raccomandati. Faccia Egli secondo la sua santa volontà; se loro tocca il cuore, bene, sarà una gran fortuna. Costoro sono qui che mi ascoltano; io non li nominerò, e neppure li farò chiamare, ma ciascuno può sapere, se entra in questo numero.
Le cagioni del mio dispiacere sono: cattiva condotta, discorsi cattivi, letture cattive e propagazione di libri cattivi. Questa sera ho dovuto bruciare una quantità di questi libri, che se fossero venuti nelle mani di altri compagni, qual danno avrebbero potuto fare! Non voglio che per alcune erbe cattive si abbia da guastare tutto il seminato.
Costoro che hanno fatto queste cose e che mi sentono, pensino che si parla di loro. Gli esercizi fanno specialmente per essi: si decidano a farne frutto, a mutar condotta, e almeno almeno a non costringere i superiori a far loro interrompere l'anno scolastico. Perchè Don Bosco, e con Don Bosco intendo tutti gli altri superiori, quando accetta qualche giovane, vuol fargli tutto il bene che può, e desidera [421] che tutti stiano con lui fino al termine dei loro studi: e perciò solamente quando è costretto, licenzia qualcuno dall'Oratorio. Questi tali che meriterebbero di essere licenziati non sono molti: quindici o sedici in tutto, e su settecento od ottocento che siamo qui, non è molto. Ora vedremo se rientrano in se stessi, se danno segni di pentimento, se migliorano la loro condotta, se sarà necessario mandarli altrove o tenerli con noi.
Alcuni poi, pochi, pochissimi, si lamentano continuamente, e spargono il malcontento fra i compagni, dicendo: - Non possiamo leggere un libro di nostro gusto, senza aver subito chi ci interrompa quella lettura; sempre gli occhi dei superiori addosso a noi in tutti i luoghi! - E altre cose simili. Spensierati che sono! I vostri assistenti sarebbero crudeli se non facessero così: questo è il loro dovere, questo richiede il vostro bene. Gli assistenti avrebbero ben altro da fare, se si contentassero del loro personale interesse; potrebbero stare tranquilli, se l'assistenza non fosse un loro preciso dovere. Se ciò fanno, è per impedire il male, e ciò ridonda a vostro bene. Gli assistenti dovranno inoltre rendere conto a Dio, se avran trascurato di assistere i loro giovani e se questi per loro negligenza si fossero lasciati andare a qualche colpa. Questo vada per chi ne ha di bisogno.
Ve ne sono poi altri che debbono in questi esercizi pensare alla loro vocazione, specialmente quelli della quarta e quinta ginnasiale, e quelli della scuola separata[215], debbono pensare se hanno da abbracciare lo stato secolare o l'ecclesiastico. Costoro si consiglino col confessore; questo è appunto il tempo opportuno. Non vi dico di più su quest'argomento, perchè credo che se ne parlerà di proposito durante gli esercizi. Io procurerò di trovarmi per chi ne ha di bisogno.
I primi adunque, cioè i buoni, li facciano bene; quelli che hanno un po' di disordine nelle cose dell'anima loro, procurino di farli più bene; gli altri seguitino il loro esempio. Preghiamo il Signore che ci dia il suo aiuto, e così tutti ne trarremo grandi frutti, porremo principio ad una santa vita, e al fine canteremo tutti insieme in paradiso un solenne Te Deum. Buona notte.
La cronaca di Don Barberis ci fornisce queste notizie: “I predicatori, benedetti tanto dal Signore, favoriti anche da un tempo fresco assai e coperto, fecero nella casa un gran bene... I giovani li fecero in modo che da loro non si poteva aspettare di meglio. Almeno venti si sono decisi per la Congregazione e altri per il chiericato”. Don Bosco alcuni giorni dopo, dinanzi a tutti i giovani della casa, toccò un'altra volta [422] l'argomento della vocazione, per ribadire certi punti che solitamente egli presentava come di capitale importanza.
Abbiamo compiuta una gran cosa, siamo in buone condizioni: abbiamo fatti gli esercizi spirituali. Non tutti, è vero, perchè finora i soli studenti li fecero, ma fra poco li faranno anche gli artigiani. Voi mi fate fare sempre festa! Sì, è una vera festa per Don Bosco il poter prendere cura delle anime dei suoi giovani. Questo è il fine per cui si lavora, per questo fine esiste questa casa: perchè i giovani facciano del bene all'anima loro. Gli studenti hanno fatti gli esercizi spirituali, ed io sono contento. Tuttavia rimangono alcuni che non poterono soddisfare il loro desiderio. Vi fu chi non ha potuto fare la confessione generale, ovvero riandare le cose passate per aggiustarle come era sua volontà: e anche quelli delle scuole avanzate non ebbero comodità di parlare di vocazione.
Per questo e per qualunque cosa che riguardi la confessione vi è tempo domani, dopo domani, e poi anche altri giorni, nei quali vi è comodità di fare le cose bene, ed io procurerò di trovarmi. Per chi volesse parlarmi con maggior libertà della sua vocazione, può venire in mia camera tutte le feste dopo la benedizione della sera. Questo è il tempo adattato per ciò, ed io mi terrò in libertà per occuparmi solamente di loro.
Qualcuno mi domandava una regola generale riguardo al conoscere la propria vocazione. La prima regola che io do è questa che tutti sanno: se uno non si sente inclinato allo stato ecclesiastico, non si faccia prete; se non si sente inclinazione allo stato secolare, non si faccia secolare: se poi non ostante l'inclinazione alcuno vedesse che uno stato è pericoloso per l'anima sua, prenda consiglio. Così pare faccia chi non sente speciale inclinazione a nessuno stato. Se poi uno non fosse non inclinato, ma avverso allo stato ecclesiastico, siccome questa avversione può essere tentazione del demonio, prescinda dal deliberare senza esame e si consigli. Altre regole sono gli Statuti Ecclesiastici, la probitas morum, lo spirito di santità, e questa sarebbe una buona caparra per attirare la benedizione del Signore.
Io do poi un'altra regola per scegliere lo stato. ed è questa. Si metta in un luogo donde possa vedere il Crocifisso, e dica: - Mio Dio, io voglio abbracciare quello stato che più mi deve consolare al punto di morte. Voi illuminatemi e fatemi conoscere la vostra santa volontà. - Poi dica un Pater noster, e quindi aspetti un poco, e consideri quanto gli dice il suo cuore. Molti a cui io ho già suggerito questo mezzo, deliberarono per uno stato contrario a quello che prima avevano l'intenzione di abbracciare. Il Signore queste grazie le fa a chi le domanda sinceramente, risoluto di seguire la divina vocazione.
Un'altra cosa ancora molti mi hanno già domandato. Qual differenza esista tra prete salesiano e prete nelle diocesi e dei seminari. [423] Io rispondo: nessuna, rispetto alle persone sacre ed alla messa, perchè sono sempre le stesse persone e la stessa messa.
Ma vi sono molti che si fanno salesiani, a cui io non consiglierei di farsi preti nel secolo, poichè certo correrebbero grave pericolo. E questi sono quelli che provarono per loro danno nelle vacanze, quanto sia loro fatale vivere in mezzo al mondo. Mi domandano consiglio, ed io chieggo loro: - Le cose tue in collegio come vanno? qui sei tranquillo?
- In collegio vanno sempre benissimo, mi rispondono, qui non trovo nessun pericolo, in quanto a cose di coscienza sono sempre sicuro. Solamente le vacanze mi sono proprio fatali!
Ebbene, costui, cui le vacanze sono causa di cadute, come potrà tenersi ritto in piedi stando continuamente nel mondo, e anche durante le vacanze del seminario? Sarà facilmente preso negli agguati del demonio. Invece in Congregazione potrà divenire un buon sacerdote e salvare l'anima sua.
Generalmente si crede che per farsi religioso sia necessaria maggior santità. Ciò non è vero. Se si è santi, certamente è meglio; ma per costui non è tanto necessaria la santità quanto ad uno che stia nel secolo. Il Signore gli darà i suoi aiuti secondo la sua buona volontà. E perciò almeno potrà farsi salesiano, domenicano, agostiniano, francescano od altro, mentre non potrebbe essere buon sacerdote in diocesi. Chi sta ritirato in una Congregazione, se cade ha subito chi lo solleva. La frequente confessione e la frequente comunione, la meditazione, le visite a Gesù Sacramentato, le letture spirituali, gli avvertimenti dei superiori, le frequenti conferenze che si fanno a tutti i confratelli radunati insieme, lo sosterranno e lo faranno subito risorgere da qualsiasi caduta. Questo vantaggio non l'ha certamente il sacerdote che vive nel secolo.
Anche gli artigiani, e non solo i signorini studenti, hanno da pensare alla loro vocazione; perchè se io vedessi in alcuno di loro, la volontà di farsi salesiano, me lo prenderò molto a cuore, e sarò ben sollecito di raccogliere questa perla preziosa, e conservarla nell'Oratorio:
Noi tutti intanto pregheremo il Signore, perchè ognun di voi ricavi il maggior frutto possibile dagli esercizi che ha fatti o che farà, e che voglia assistere quelli che sono già avviati alla carriera ecclesiastica, ed illuminare quelli che stanno per abbracciarla o per scegliere qualunquesia stato della loro vita, affinchè noi tutti possiamo passare nella virtù i giorni del nostro pellegrinaggio su questa terra e dopo una santa morte trovarci un giorno tutti insieme riuniti a lodarlo in Paradiso. Buona notte!
Gli artigiani ebbero i loro esercizi a cominciare dal 27 maggio; ma le memorie del tempo non ce ne hanno tramandato nulla, che riguardi Don Bosco. Qualche cosa invece possiamo [424] raccogliere circa il secondo corso degli esercizi fatti a Lanzo da aspiranti, ascritti e professi, e sono alcuni pensieri del Beato in due “buone notti” e in una predica.
22 settembre. Chi vuol entrare, in Congregazione, bisogna che ami il lavoro. - Il tempo passa come un'ombra: non abbiamo ancora incominciati gli esercizi che ci troviamo già alla metà di essi. Domani sera saremo a metà. E abbiamo tutti i giorni materia nuova. Stamattina si sono incominciate le confessioni; non si poterono soddisfare tutti, ma per gli altri vi sarà ancora tempo negli altri giorni. Domani quelli che vogliono farsi ascrivere alla nostra Congregazione e gli ascritti che desiderano fare i voti, potranno presentar la domanda. Di ciò abbiamo però tempo a discorrere domani. I sopraddetti che vogliono essere ascritti vadano da D. Barberis: è lui incaricato di questo affare e saprà anche adoperare il pettine, ed un pettine molto sottile per qualcheduno. Intanto voglio che vi persuadiate di una cosa: ad uno che entra in Congregazione non si lascia mancar nulla del necessario, ma bisogna lavorare. Talvolta un Superiore vuol dare un'assistenza ad alcuno. - Ma! ho già da fare la tale scuola risponde. Vuole dargli un altro impiego, ma costui si sottrae all'obbedienza con un'altra scusa, tantochè il Superiore scoraggiato lo lascia in un canto, abbandonato a se stesso a far niente. Lo spirito della Congregazione non è questo: niuno vi entri colla speranza di starvi colle mani sui fianchi
23 settembre. Chi vuol fare i voti, non abbia secondi fini. - Siamo realmente alla metà dei nostri esercizi; finora si è seminato, ora bisogna raccogliere. Quest'oggi già molti si fecero ascrivere e se alcuno avesse ancora questo desiderio, potrà soddisfarlo domani. Ora è tempo di dare un colpo di martello sulle corna del demonio e romperla con lui, col mondo e colla carne, emettendosi da quelli che hanno già compiuto il loro tempo di ascrizione, i voti triennali o perpetui. Io non faccio gran differenza tra questi due voti, pel motivo che io guardo all'intenzione che uno ha di rimanersi in Congregazione. Che se uno, vedendo di non potersela far bene altrove, cercasse d'ingannare Don Bosco, farebbe certo una cosa biasimevole. Vi può essere chi dice: - Comincio a stare un anno con D. Bosco e intanto per un anno mangio la pagnotta alle sue spalle e studio a spese altrui! - Un altro dirà: - Io me ne rimango per tre anni all'Oratorio, senza infastidirmi pel vitto e pel vestito: dopo andrò in cerca di un posto che mi piaccia. - Costoro farebbero meglio ad essere leali e andare dal Superiore e dirgli schiettamente: - Io non ho volontà di rimanermi in questa Congregazione; ma vorrei fare i miei studi e non ne ho i mezzi. Lei favorisca di provvedermi questi mezzi. - Allora il Superiore vedrà se può trovare qualche modo per agevolargli il corso degli studi; del [425] resto costui vada anche altrove, se può, a far fortuna: ma non emetta i voti. Tuttavia l'anno scorso, mentre da questo luogo diceva le stesse cose, ve ne erano qui di quelli che avevano questa intenzione e la conservarono e se ne andarono via, or sono pochi mesi. Speriamo che quest'anno non sia più così.
Coloro poi che hanno buona volontà, non si spaventino di fare i voti perpetui, temendo che quando venisse qualche grave bisogno non possano più uscire di Congregazione; imperocchè quando vi fossero gravi motivi, il Superiore può anche scioglierli da questi voti...
26 settembre. Parole dopo l'emissione dei voti: consolazioni del religioso in vita e in morte. - Se alcuno di coloro che sono nel mondo, fosse stato presente alla funzione che ora si è fatta, avrebbe ragionato così: questi giovanetti ancor sul fiore della loro età, potrebbero godersi i piaceri, aspirare alla gloria del secolo: invece come pazzi si ritirano qui in un chiostro, lasciano stoltamente quelle delizie che si potrebbero godere. E ci direbbe degni di compassione. Invece noi che pensiamo meglio ai casi nostri, facciamo questo ragionamento: se non lasciamo adesso queste cose materiali, le dovremo lasciare Un'altra volta, colla differenza che, se le lasciamo adesso, le avremo ricambiate col centuplo su questa terra e colla felicità del cielo. Il Signore questo centuplo lo dà in molti modi. Prima colla contentezza del cuore... Anche stando in Congregazione, abbandonando affatto il mondo, si acquista gloria. Quanta se n'è acquistata S. Vincenzo de' Paoli, San Sebastiano Valfrè, S. Carlo Borromeo e molti altri! Ma anche riguardo alle cose materiali egli non ne manca su questa terra. Non ostante la nostra povertà abbiamo tutto il necessario. Abbiamo lasciati alcuni fratelli e ne abbiamo acquistati altri molto migliori, che ci aiutano e che ci consoleranno in punto di morte. Qui se uno ammala, si ordinano subito speciali preghiere per lui nelle orazioni del mattino e della sera; altri per lui fanno delle visite in chiesa. Se viene in punto di morte, quasi tutti si radunano davanti al Santissimo Sacramento e raccomandano l'anima sua. Nel mondo invece l'infermo si vede intorno una turba di parenti ed amici, che non aspettano altro che il possesso delle sue misere masserizie; e qui vi sono i testimoni, là il notaio, ed il povero prete deve stare in un cantone ed usare molti riguardi. E quando il prete tenta di avvicinarsi al letto, gli si fa avanti un cugino del moribondo dicendogli: - Oh padre, faccia un po' la carità di raccomandarmi a lui che lasci anche a me un poco di eredità: che non lasci tutto al tale. - Ed in mezzo a questo frastuono di cose temporali, che cosa sarà dell'anima del povero moribondo?
In Congregazione invece non si ha nessun fastidio per le cose temporali. Se uno viene ammalato, vi sono altri che lavorano per lui e lo mantengono. Se è sano, lavora; fa quello che gli altri hanno fatto per lui. Se viene in punto di morte, non ha più alcun fastidio per le [426] misere cose di questa terra, perchè già tutte le ha lasciate e se ne muore circondato dai suoi cari fratelli che pregano per lui; i quali anche dopo morte si ricordano di lui, e per anni e per secoli, finchè durerà la Congregazione, non si perderà la sua memoria.
Invece appena uno del mondo muore, gli altri si impossessano di quanto egli aveva, ed uno si lamenta di aver ricevuto poco, un altro critica il suo testamento: della casa che egli abitava prende possesso un altro padrone, il quale vien dentro e dice: - Qui stava la buon'anima del tale: requiescat in pace e salute a noi. E dov'è quel bell'orologio che egli aveva? dove ha messo quell'abito nuovo e prezioso? Non vorrei che andasse perduto. - Così si attaccano alla sua roba e non pensano più niente a lui. Anzi prima che muoia hanno paura che guarisca, sono contenti che vada in Paradiso, non desiderano altro se non che presto abbandoni questa terra per impadronirsi delle sue sostanze.
Noi siamo poveri, ma mentre viviamo non abbiamo a patir tanto per la povertà. Abbiamo lasciato una casa e ne abbiamo acquistate molte altre. A Torino abbiamo abitazione propria, veniamo qui a Lanzo e siamo in casa nostra, andiamo a Borgo S. Martino e quel collegio ci appartiene, a Varazze non abbiamo da chiedere ospitalità a nessuno, perchè quel Collegio è nostro, ad Alassio, a Nizza abbiamo case nostre e perfino nella lontana America tetti ospitali ci attendono e noi vi prenderemo alloggio essendone padroni. Nemanco un ricco signore, nemanco un principe ha tante case. Ma se dobbiamo anche sopportare qualche disagio, dobbiamo saperlo sopportare pazientemente e non fare come quelli qui pauperes esse volunt et socios paupertatis nolunt: e come molti altri che vorrebbero essere chiamati poveri, ma a condizione che loro non manchi niente, e che abbiano tutto ciò che vogliono. Finora, grazie a Dio, non ci è mancato ancora nulla del necessario; tuttavia, venendone il caso, dobbiamo essere disposti a patire anche i disagi della povertà.
Ed ora io vi dirò: vi è mai mancato nulla in Congregazione? Purtroppo invece il Signore ci dà talora anche il superfluo e bisogna guardarci di non attaccare il cuore a questi mezzi materiali. Ma voi mi risponderete: - Noi abbiamo già abbandonato il mondo e non vogliamo più saperne di terrene cose! - Va bene: anch'io voglio che non attacchiate il cuore a questo; ma ciò vi diceva solamente per farvi vedere che il Signore anche in questo mondo tratta bene i suoi servi. Quanto poi ai vantaggi spirituali che si godono in Congregazione, chi potrebbe numerarli? In parte vi furono accennati in questi esercizi e se io volessi ora entrare in questo argomento non la finirei più. Basta un solo. A quei del mondo si dice: Veh soli, quia cum ceciderit non habet sublevantem se. Di noi invece si deve ripetere: O quam bonum et quam iucundum habitare fratres in unum! In religione uno non è mai solo. [427] Ed ora voi vorrete un consiglio. Io ne avrei molti da darvi, ma mi contento di darvi il solito. Fuga dell'ozio, temperanza, osservanza delle regole. Quando vedete uno non contento di essere in Congregazione, dite pure che di ciò è cagione la mala osservanza delle regole...
La tempesta esterna, che abbiamo narrata nel capo precedente, obbligava Don Bosco all'ingrato lavoro di prepararsi una difesa a Roma, costringendolo a molteplici corrispondenze e ad esposizioni ragionate e documentate dei fatti; ma tutto questo lavorio non gl'impediva di guidare tranquillamente i suoi giovani per la via del bene. Erano prossime le vacanze. La sera del 21 agosto, salito sul pulpitino e aspettato un poco per dar tempo agli artigiani di prender posto presso gli studenti, dopo un esordio atto a conciliare col silenzio l'attenzione, svolse mirabilmente il pensiero della presenza di Dio, presentandolo quale mezzo efficace per passare le vacanze senza cadere in peccato.
Ora fate un po' di silenzio, che voglio dirvi qualche cosa. Ciò che io voleva farvi sapere si è che in questi grandi calori più soffocanti che quelli del mese di gennaio, noi per grazia del Signore siamo tutti sani e l'appetito non manca. Negli altri anni verso il fine di giugno alcuni sentivano diminuirsi la voglia di mangiare. Quest'anno il panattiere non si è ancora lamentato che il numero delle pagnotte che si consumano sia diminuito. È questa una cosa che deve farci piacere, e ringraziamone di tutto cuore il Signore.
Passiamo ad altro. S'avvicina il tempo delle vacanze, tanto per gli studenti come per gli artigiani, gli uni per riposarsi la testa, gli altri per riposarsi le spalle e le braccia. Io dovrei dare agli uni ed agli altri qualche consiglio adattato per passarle bene, ma vi sono dei consigli generali che possono valer per tutti. Il consiglio adunque che io son solito a dare è questo: quando siete in vacanza, mettetevi pure in libertà, fate pure disordini, ma cercate di ritirarvi in un posto in cui il Signore non vi veda: chiudetevi in una stanza remota della casa, andate a basso in cantina, salite anche sul campanile, o nascondetevi nel folto di una foresta, purchè non sia presente il Signore. Credo però che non vi sarà nessuno così gonzo. Ah! voi conoscete subito essere impossibile sottrarvi agli occhi di Colui che vede contemporaneamente ogni cosa in ciclo e in terra. Questo pensiero ci deve accompagnare [428] in ogni tempo in ogni luogo, in ogni azione. E come osereste commettere un atto che possa offendere il Signore, se Egli ha la potenza di farvi all'istante restar secca la mano mentre vi accingete a commetterla, o farvi intorpidire la lingua mentre pronunciate quella cattiva parola? Adunque quando vi troverete a casa fra i vostri amici e compagni, se qualcheduno vi consiglierà di tenervi lontani dalla Chiesa, o d'andare in qualche luogo pericoloso, o di fare qualche altra azione cattiva, rispondete come fece già una volta Giuseppe, quando in Egitto volevano fargli commettere un peccato: - E come posso io offendere alla sua presenza il mio Signore? - E noi Cristiani dobbiamo dire ancora dì più: e come possiamo noi offendere alla sua presenza il nostro Dio, Dio onnipotente che ci ha creati, Dio misericordioso che ci ha redenti, Dio infinitamente buono che ci ricolma ad ogni istante di suoi benefizi, Dio giusto che potrebbe con un solo atto della sua volontà toglierci questa nostra misera esistenza?
E non potrebbe essere che noi, mentre ora andiamo a dormire, domani mattina non ci alzassimo più tutti dal letto? che alcuno di noi fosse trovato morto? Se domani mattina si spargesse la voce: - Stanotte è morto uno.
- Oh poveretto! Ieri sera era allegro, ci parlava, ed ora è già passato all'eternità!
Quello che potrebbe arrivare a me, può arrivare a qualsiasi di voi. Molti morirono mangiando, studiando, passeggiando, divertendosi. Per esempio, due o tre giorni fa a Lanzo un prete, D. Oggero, aveva fatta la sua predica e contento passeggiava pel giardino col suo parroco che si congratulava con lui, perchè aveva soddisfatto gli uditori, perchè si era fatto onore, quand'ecco dopo un momento se lo sente mancare dal fianco. Si volta, guarda, e lo vede steso a terra. Lo chiama, lo prende per mano: - Che c'è? come va? Oggero! Oggero! - Ma s'accorse che egli non era più. Non è da temere di questo prete che fu all'Oratorio, perchè era una santa persona; ma vedete come si muore. Un prete che l'anno scorso era stato un po' di tempo nell'Oratorio e poi a Lanzo, moriva a S. Nicolás tra le braccia di D. Cagliero in una chiesa che egli amministrava. Dico di questi due: ma potrei dire di tanti e tantissimi che morirono improvvisamente, ed in mille maniere. Dobbiamo adunque procurare di trovarci sempre senza peccati, alla presenza di un Dio che può punirci sul momento ed annientarci.
Dicendo di metterci in guardia per non offendere Iddio, intendo anche di dire che se alcuno avesse colpa sulla coscienza procuri di rimettersi subito in grazia col Signore. Voi sapete come si deve fare, perchè se il Signore vede ogni atto che facciamo, non ci vede solamente per punirci. Egli è giusto, epperciò punisce il male e premia il bene. È anche misericordioso. Non è inflessibile, no: egli è tutto bontà, [429] amore, e questo fa sì che egli sia più propenso a farei del bene che a castigarci e quanto più deve temerlo chi ha il peccato sulla coscienza, tanto più dev'essere lieto e contento chi è in grazia di Dio. Ognuno faccia la domanda a se stesso: - Ora posso dire di non aver sull'anima nessuna cosa che dispiaccia al Signore? - Se può dirlo, allora stia pur tranquillo, viva felice, corra, salti, mangi, rida, dorma tranquillo i suoi sonni, che sarà sempre bene, perchè non ha paura del giudizio di Dio: ma se non lo può dire, procuri di rimettersi subito in grazia di Dio per non temere la morte, in qualunque tempo essa venga. Buona sera.
Il I° agosto erano cominciati gli esami di licenza ginnasiale. I candidati dell'Oratorio vi si erano fatto onore; due anzi di essi avevano meritato un particolare attestato di lode. Dalla " buona notte " del 24 agosto si vede che alcuni si trovavano ancora presenti. Per gli altri gli esami dovevano principiare il lunedì 27 e durare tutta la settimana. Don Bosco avrebbe voluto che gli aspiranti rinunziassero all'andata in famiglia. Oltrechè alla sera del 24, parlò pure in quella del 31. Quante belle cose in queste due parlate!
24 agosto. Chiedere consiglio sulla vocazione; nelle vacanze occupare utilmente il tempo. - Questa sera ho piacete di darvi la buona notte e d'indirizzarvi qualche parola. Vi furono alcuni di quarta ginnasiale e diversi figli di Maria, che desiderano di venirmi ancora a parlare di vocazione, e che mi scrissero riguardo a questa e riguardo ad altro. Io debbo loro rispondere, non avendolo ancor fatto. Si era già stabilito il tempo adatto per parlare coi miei giovani, ma questo è sempre mancato. Adunque coloro che desiderassero parlarmi, vengano in mia camera domenica dopo la benedizione, e si potrà aggiustar tutto. In quanto a quelli di quarta ginnasiale, voglio credere che ve ne saranno di abbastanza istruiti, dotti e coraggiosi da poter un altro anno fare un bel salto: saltare di pie' pari la quinta ginnasiale, cioè a dire volare con un colpo di penna dalla quarta in filosofia. Questo si può fare di preferenza fra noi, poichè nei due anni di filosofia abbiamo ancora scuola di letteratura latina e di letteratura italiana.
Gli esami si avvicinano, e questo mi fa anche piacere, perchè dopo vi sono le vacanze, e senza esami non si può andare. Tuttavia io voglio tanto bene ai miei figli, che mi rincrescerebbe che le facessero lontani da me. Io vi amo molto, e qui vi è abbastanza da fare per tutti. Non voglio dire con questo che non si possa andare alle proprie case. Sì, si può andare, quando vi sia una sufficiente ragione, un grave motivo di famiglia che richieda la propria presenza. Quando [430] vi è questo motivo, si dà volentieri la licenza. Ma quando si va per semplice piacere di andare, costoro rimangano pure qui con me. Io amo molto di tenervi nell'Oratorio. State tranquilli e sicuri che le vacanze le faremo tutti insieme o in un posto od in un altro, e le faremo belle e molto lunghe.
Questo diceva per alcuni che han già terminati gli esami, e sono incerti e vorrebbero andare a casa; stiano pur qui tranquilli, così pure i chierici e i nostri secolari. Ciò non fa per quelli che non sono giunti alla quarta ginnasiale, e che debbono partire il giorno 3, e che non hanno ancora preso i loro esami. Vadano pure a far le vacanze alle loro case: ma non perdano il tempo; e così facciano pur quelli che han finito il loro corso e preso l'esame.
Per queste vacanze desidererei darvi un consiglio sul modo di passarle bene. A tutti rimane sempre qualche materia che non si è potuto studiare abbastanza lungo l'anno: in questo tempo si procuri di ripassarla con maggior attenzione. Vi sono certe lezioni che non si mandarono troppo fedelmente a memoria, tante altre che non si intesero in ogni lor parte, tanti trattati nei quali si fece riuscita mediocre, e se ora più non si guardano, si finirà con uno zero. Tutto ciò si può accomodare tanto bene in tempo di vacanza. Si ripassi quel poco di latino e quel poco d'italiano, si rivedano gli autori latini per abilitarsi a capirli. Notate ancora che per imparare è necessario leggere, leggere libri molto utili, e tante volte questa cosa lungo l'anno non si può fare. Si faccia adesso che avete tempo, si legga per imparare, e non per sola curiosità, perchè ora non siete più stretti da quella lezione, da quei lavori che prima vi davano molto da fare. Così non perderete il tempo. Ricordatevi di quell'avviso dello Spirito Santo, di non perdere neppure un minuto di tempo.
Non dico già con questo che si debba sempre studiare, che non sia lecito far ricreazione. Sì, ricreatevi pure, ma sia ricreazione onesta, siano divertimenti utili che servano a ristorare le forze del corpo ed a ringiovanire lo spirito: guardatevi che lo spasso che vi prenderete non sia oziosità e tempo inutilmente perduto. Questo ve lo dico, ve lo ripeto, e per quanto posso ve ne faccio un obbligo, Studiate qualche cosa che nell'avvenire vi porti utilità. Oh se io fossi giovane come voi, come vorrei impiegarlo meglio il mio tempo! Oh s'io potessi avere ancora tante particelle di tempo che ho speso, non dico inutilmente, ma che avrei potuto spendere più bene, quanti libri utili vorrei leggere ancora, quante nuove opere incominciare! Allora aveva tempo, adesso non l'ho più, e non potrò più averlo, e non mi rimane più altro che dire a voi: occupate bene il tempo ora che l'avete!
Ma vi sarà ancora in casa qualcuno che non abbia niente da fare? Venga da me, e gli procurerò del lavoro. Vada da Don Rua, da Don Guidazio, da Don Lazzero, da Mons. Ceccarelli che tutti gliene daranno finchè ne vuole. [431] Intanto per gli esami ricordatevi che Maria è Sedes Sapientiae ed al mattino ed anche lungo il giorno raccomandatevi a Lei con questa giaculatoria: Maria, sedes sapientiae, ora pro nobis. Finisco con augurarvi buoni esami e buona notte.
31 agosto. Etimologia della parola vacanza. Aiutare la famiglia nei lavori di casa; temperanza; non andare a letto dopo pranzo. - Ho una bella notizia a darvi. Lunedì cominciano le vacanze! Vi piace questa notizia? Vedo che a molti piace, ed io sono contento che facciate le vacanze. Però vi posso dire che molti hanno chiesto di farle qui con me nell'Oratorio. Ciò mi fa piacere, ma desidero che costoro le facciano volentieri, e che non facciano disperare gli assistenti ed i maestri. Vi sarà anche per loro tempo di ricreazione, di passeggiate e in abbondanza, ma faranno le vacanze più ritirati ed esposti a minori pericoli.
A. quelli che vanno e a quelli che rimangono l'unica cosa che io raccomando è la fuga dell'ozio. So che ad alcuni non sembrerà tanto bella cosa l'andare in vacanza per lavorare. Eppure il verbo vaco, vacas, vacare non significa riposarsi, non far nulla, come alcuno crede, ma anzi vuol dire occuparsi, attendere a qualche cosa. Così vacare studio, vuol dire attendere allo studio; vacare agriculturae, applicarsi all'agricoltura; vacare deprecationibus, impiegare il tempo in esercizi di pietà.
Io desidero che in qualunque tempo si faccia sempre qualche cosa, e non si lasci andar perduto nemanco un minuto, perchè in vacanza o lavorate voi, e il demonio se ne sta inoperoso, oppure voi vivete disoccupati, è il demonio lavora lui. Voi mi direte: - Dovremo adunque sempre lavorare, mai riposarci un momento? - Io voglio che c'intendiamo nei termini. Fuggir l'ozio vuol dire non stare inoperoso, ma non vuol dire lavorare continuamente in lavori manuali, in studi, in preghiere.
Quantunque per verità un lavoro continuo non sia niente biasimevole, anzi ve lo raccomando. Mi ricordo che quando io andava a casa in vacanza prendeva del cuoio, lo tagliava, ne faceva delle scarpe, e poi le regalava: comprava del panno, della stoffa, prendeva della tela, la tagliava, ne formava un paio di pantaloni, di mutande, e poi le cuciva e le faceva servire in qualche modo o per me o per gli altri. Oppure mi metteva a fare il falegname, lavorava attorno al legno e fabbricava banche, sedie, tavolini ed altro. In casa mia ancora adesso vi sono delle tavole e delle sedie che ho fatte io di mia mano. Tante volte io andava a tagliar l'erba nel prato, e per riposarmi leggeva Virgilio. Tali altre rivolgeva il fieno. Era bello vedermi talora con la falce e il forcone nella destra, e Virgilio nella sinistra. Insomma non saprei dire quale sia il mestiere che io non abbia esercitato; ma posso assicurarvi di non aver mai passato inoperoso un momento di tempo. Non voglio già proporvi questi fatti ad esempio; ma li ho [432] ricordati solamente per farvi vedere in quanti modi si può occupare il tempo delle vacanze.
E in famiglia non potrà ciascuno rendere quei servigi che fan conoscere il buon cuore e l'attenzione di un giovane? Ciascuno scopi le camere, lavori in cucina, apparecchi la mensa, serva in tavola, aiuti il papà, aiuti la mamma e se vi fosse da lavorare in giardino o nella vigna, presti l'opera sua; come anche scuota il fieno nel prato, tagli la legna, pulisca qualche botte e via discorrendo, ma non si stia mai inoperosi.
Se uno si mette lì fermo e non fa nulla e sta colle mani in mano, il demonio che osserva sempre attentamente, dice subito: - Questo è mio! - E lo seguita con insistenza, ed ora col mezzo dei compagni, ed ora coi pensieri fa in modo che costui cada nelle sue unghie.
- Ma dunque dovremo sempre lavorare? mai divertirci? - Vi sono diversi generi di lavoro; il divertimento stesso può essere occupazione. Chi avesse delle vigne, vada pure a mangiar dell'uva; gli raccomando solo di prendere la più matura. Se vi fossero delle pesche, dei fichi, delle pere, dei pomi, purchè siano buoni, mangiatene allegramente. Sì, vi raccomando anzi che vi divertiate molto; giuocate pure alle boccie, alla palla, al pallone. Ciascuno in famiglia avrà anche dei divertimenti speciali, e si giuochi pure alle carte, alla dama, ai tarocchi, agli scacchi, e con tutti gli altri mezzi che troverete per trastullarvi. Soprattutto vi raccomando e molto di far delle belle passeggiate molto lunghe. Contuttociò ciascuno avrà ancora molto tempo per leggere, per studiare e per terminare qualche trattato o qualche autore non ancora ben capito.
In tempo di colazione fate pure il vostro dovere e al tempo di pranzo mangiate anche con buon appetito. Ma guardate di essere temperanti nel mangiare e nel bere. Sapete bene che vi sono certi proverbi in piemontese che fanno ridere, ma dicono la verità. Ora io non vorrei dirli, ma pel vostro bene ne esporrò solo alcuni. Per esempio: Pancia piena è roba di tentazione. Quello che è nella pancia è tutta roba del diavolo. I Santi Padri dicono che noi viviamo con un nemico, e questo è il nostro corpo. Se noi gli diamo tutto ciò che egli domanda, allora esso prende baldanza e può farei del male: ma se gli diamo poco nutrimento, a somiglianza di un cavallo che se gli danno da mangiare poco fieno e poca biada, diventa docile, allora egli piega subito le orecchie ed obbedisce allo spinto. Ricordatevi che al dire dei Dottori della Chiesa, gola e castità non possono stare insieme. Di più San Paolo, scrivendo avvisi per i vari ceti di persone, pei giovani dà solamente questo: Ut sobrii sint. Possibile? voi direte. San Paolo non trovava altri avvisi più importanti da dar loro? No: perchè quando i giovani sono sobrii, potranno fare molto profitto nella virtù. Se manca la sobrietà, il demonio tenta, e si cade in molti peccati.
Ancora un'altra cosa. In tempo di vacanza riposatevi pure anche un po' più del solito al mattino e alla sera; ma guardatevi bene da [433] un certo genere di riposo che si chiama daemonium meridianum. È il più terribile dei demoni che possiate trovare. Per questo si intende il riposo che si fa dopo pranzo. Questo demonio viene quando in quell'ora uno va a coricarsi. Oh quanto male gli fa! Gli gira attorno. Va da una parte e gli fischia una parola cattiva nell'orecchio. Oh quali discorsi gli fa ritornare alla memoria! Gli va d'innanzi, lo sbircia con occhi maligni e gli presenta qualche brutta figura, qualche brutto spettro, che egli ha visto in qualche libro cattivo. Gira dall'altra parte e gli sussurra qualche ricordo che dovrebbe essere dimenticato per sempre e gli accende la fantasia. E queste tentazioni si fermano lì, ed egli non se ne può sbrigare, e l'immaginazione va dietro a questi fantasmi, va... va.... finchè cade in qualche deplorabile eccesso, e il demonio canta vittoria.
Guardatevi adunque dal mettervi a letto dopo di aver mangiato. A meno che siate già avanzati in età e che non possiate più tenervi in piedi, non prendete mai quest'abitudine. Se aveste bisogno di riposo, tutt'al più mettetevi sopra una sedia e col capo o ritto o piegato statevene lì un po' di tempo sonnecchiando. Ciò vi basterà, e vi farà del bene.
- Oh che chiacchierata ha fatto Don Bosco! - Rifacciamoci da principio e ripetiamo tutto in breve.
Fate belle vacanze, ma non state mai inoperosi. Se non lavorate voi, lavora il demonio. Di giorno lavorate, divertitevi, conversate, giuocate. In tempo di colazione si faccia colazione, in tempo di pranzo si faccia pranzo, in tempo di cena si faccia cena, ma non si stia mai senza fare qualche cosa. Anche di notte procuriamo di occuparci. E che cosa fare? Si dorma; ecco, dormite. Nel cibo sobrietà, mai più del bisogno, perchè oltre la sanità del corpo si possa conservare anche quella dell'anima.
Altre cose mi rimarrebbero ancora a dirvi, ma ve le dirò domenica o lunedì prima che partiate. Domani e dopo domani, che sono gli ultimi giorni che passate con noi, io desidero che veniate tutti da me, perchè io avrei qualche cosa da dirvi a tutti. Ora desidererei che ciascuno mi facesse un piacere: che vi prendeste nota di quelle cose che Don Bosco vi suggerisce per passare allegramente le vacanze, per averle sempre a mente e per metterle in pratica. Se le eseguirete, l'esperienza vi dirà come io coi miei avvertimenti abbia procurato di rendervi felici e allegri. Ritornando nell'Oratorio mi direte il vantaggio che questi vi avranno portato, e benedirete quell'ora e quel momento in cui ve li ho dati. Buona sera.
Il 2 settembre si distribuirono i premi agli studenti. Monsignor Ceccarelli lesse il discorso, che fu stampato dalla tipografia dell'Oratorio. Essendo in quel giorno arrivato Don [434] Cagliero dall'America, l'oratore, interprete della gioia comune, finì con un saluto entusiastico alla sua persona. Don Bosco non prese la parola nell'accademia; ma parlò la mattina seguente in chiesa. Le sue furono parole di padre che trepida sulla sorte dei figli vicini a dipartirsi dal suo fianco.
Un padre quando deve abbandonare i suoi figli, o quando vuole mandarli a fare qualche commissione in lontano paese, benchè sappia i suoi figli essere obbedienti e conoscere bene il negozio che hanno da fare, tuttavia teme sempre che qualche disgrazia incolga a quei figli che egli ama tanto. Partiti che sono, egli vive in angoscia, pensando che potrebbero cadere in qualche fosso, sdrucciolare giù da qualche pauroso precipizio in mezzo alle montagne, essere sbranati da qualche lupo in mezzo ai boschi, cadere sotto il coltello dell'assassino in qualche burrone, o soffrire incomodi e disagi per la lunghezza dei cammino, l'asperità dei luoghi, le intemperie della stagione.
E fino a quando vive in angoscia? quando tornerà a essere tranquillo? Finchè, ritornati al tetto paterno, possa di nuovo stringerli al suo seno.
Credetelo: questo padre che teme, padre indegnamente, ma di tutto cuore, sono io. Quei figliuoli che debbono separarsi per andare in lontano paese, siete tutti voi che andate alle vacanze. Voi avete terminate le vostre fatiche ed ora andate in cerca dei debito riposo; ma secondo me quest'anno scolastico è un anno di più che è passato, di cui dovremo rendere conto a Dio; un anno di più di merito o di pena. E chi sa se fra poco tempo il Signore non si prenda alcuno di voi e invece di lasciargli fare le vacanze, gli domandi conto del come ha passato quest'anno?
Ma voi avete tutti il sangue che vi bolle nelle vene e gridate tutti con entusiasmo: - Vacanze, vacanze! - E non pensate che a queste, desiderate nient'altro che queste, non volete ascoltar altro.
Sia pure. Voi adesso ve ne andate adunque alle vacanze, e non mica con cattive intenzioni, ma con buoni proponimenti; ma io temo che qualche nemico venga a strapparveli questi buoni proponimenti e vi faccia perdere la vita dell'anima. Quanti pericoli incontrerete! Tutti quelli che ora vi ho nominati, i lupi, i precipizi, i ladri, sono tante immagini dei pericoli spirituali nei quali v'imbatterete. E questo pensiero mi dà pena al cuore e mi spinge ad avvertirvi, perchè ve ne guardiate. Se non siete fermi nel bene e risoluti, quando sarete a casa, non più custoditi e ritirati, ma liberi e in mezzo alle occasioni di male, comincerete a lasciarvi andar giù a poco a poco e finalmente cadrete. Un giovane dell'Oratorio andrà in chiesa e vedendo uno che non prende l'acqua benedetta, neppur esso oserà prenderla per timore che lo burlino. Vedrà che un altro non fa, o fa male la genuflessione ed [435] esso per vano rossore degli uomini o negherà a Gesù in Sacramento questo segno di adorazione, o lo farà così male da parere piuttosto uno scherno. Un giorno vi si presenterà l'occasione di servire una messa.
- Potrei servirla io; ma chi sa che cosa diranno i miei compagni? Diranno che sono buono solamente a stare in sacrestia. Io uomo di sagrestia? - E lascia che vada un altro a servirla; ed egli si ritira in un cantuccio della chiesa, affinchè nessuno lo veda, e si contenta di ascoltarla. Ed io vi dico che quando uno si mette per rispetto umano in un luogo oscuro, nascosto della chiesa, il giorno dopo non andrà più ad ascoltar la santa Messa. Poi verranno i compagni: - Oh, amico! oh da tanto tempo che non ci siamo più veduti! Vieni, andiamo a bere una bottiglia di gazosa insieme! - E vanno e giuocano ed escono in cattivi discorsi. Il giovane va a casa ancor frastornato dalle cose che ha udite in quella conversazione e smette già alquanto della riverenza dovuta ai suoi genitori, quindi incomincia a sprecar danari, poi non obbedisce più a sua madre, dà mano a rubare qualche po' di danaro in casa. E quel giovanetto che qui all'Oratorio era tanto buono, diventa un vero disobbediente, un dissipatello. Non voglio andar avanti nel descrivere le tristi conseguenze delle vacanze. Il rispetto umano, le compagnie cattive a quante colpe trascinano! Quanti ritornati da casa nell'Oratorio si debbono mandar via per cattiva condotta o perchè non hanno potuto ottenere dal parroco un certificato di buona condotta tenuta nelle vacanze! E non può essere altrimenti; perchè il parroco possa fare questo certificato, bisogna che si tenga condotta buona.
Ma io spero che ciò non avverrà ad alcuno di voi; quindi lasciando da parte queste cose dispiacevoli, vi darò alcuni avvisi per conservarvi buoni nelle vacanze.
Guardate adunque; appena arriverete a casa e vi incontrerete coi vostri genitori, salutateli, abbracciateli pure, e dite loro che io li saluto di tutto cuore. E voi rispettateli, obbediteli e fate tutto ciò che può recar loro piacere. Quindi andate a presentarvi al parroco del vostro paese, o a quel prete che ha la cura della vostra borgata, riveritelo da mia parte, ditegli che vi mettete sotto la sua direzione e offritegli i vostri servigi, se nel corso delle vacanze in qualche cosa credesse di giovarsi di voi. Ditegli che se avesse bisogno di far scrivere qualche lettera, di servire alle sacre funzioni, far qualche lavoretto, ed anche se avesse della bella uva nel suo giardino, voi siete anche pronti ad aiutarlo ed a prestare l'opera vostra. In generale i parroci godono di poter trattar bene e familiarmente con quei buoni giovani o studenti o artigiani che vengono da una casa di educazione: amano dar loro una volta da bere, un altro giorno li invitano a pranzo o a colazione: talora si compiacciono di averli per compagni al passeggio. E voi prendetevi pure il piacere di compiacerli.
Ma prima di tutto ricordatevi sempre della fuga dell'ozio e della [436] presenza di Dio, argomenti dei quali ho già trattato con voi. Ora torno a ripetervi che il tempo che passerete nelle vostre case non lo passiate in ozio, e qualunque cosa facciate, abbiate sempre a mente che il Signore vi vede. Procurate quindi di diportarvi da buoni cristiani come siete stati qui all'Oratorio. Quindi ogni mattina servite la santa Messa e se non potrete servirla, sentitela almeno con divozione. Parete prima o dopo un po' di meditazione, e se non potete farla nè prima nè dopo, fatela nel tempo della messa. Continuate nella buona pratica di accostarvi ogni domenica alla santa Comunione, oppure in un altro giorno della settimana. Sarei contento che andaste più sovente alla Comunione, ma vi consiglio di andarvi almeno una volta alla settimana. Gesù Cristo in Sacramento è quello che dovrà aiutarvi in tutto questo tempo di pericoli. E perchè la possiate fare con maggiori disposizioni e più buon frutto, ricordatevi quella meditazione che vi ho raccomandato o prima o dopo il Santo Sacrificio.
Vi sarebbero ancora molte altre cosette da raccomandarvi, che voi qui fate e che farete a casa; come il dir sempre le orazioni mattino e sera, senza lasciar passare giorno alcuno trascurando questo dovere; andate in chiesa quando si darà la benedizione e da buoni figlioli intervenite alle altre pratiche di pietà che anche il parroco saprà suggerirvi. Fuggite la lettura dei cattivi libri ed i cattivi compagni; ma di queste cose vi ho già parlato altre volte e spero che le metterete in pratica. Ciò vi raccomando da padre che ama molto i suoi figli, acciocchè possiate passar bene questo tempo di vacanze.
Ripetiamo in breve ciò che vi ho detto e vi basti: fuga dell'ozio, presenza di Dio, Messa e meditazione quotidiana, confessione e comunione settimanale, orazioni mattina e sera. Così le vostre vacanze saranno vere vacanze e ciò che più deve importare, senza l'offesa del Signore.
Tuttavia, come vi dissi, io temo che vi accada qualche disgrazia. Ed in vero da venti anni in qua i miei giovani vanno alle vacanze, e io non mi ricordo che un solo ritornando mi dicesse, che a casa era stato più buono di quando era all'Oratorio: non mi ricordo che mai alcuno mi abbia detto di aver riportato qualche vantaggio spirituale dalle vacanze. Tutti gli anni invece ho dovuto lamentare molte cadute ed è per questo che temo e temerò sempre, fin che non vi veda di bel nuovo tutti qui radunati. Il tempo del ritorno è fra il 15 ed il 20 di ottobre. Ordinariamente la media del tempo fissato perchè i giovani si trovino qui, è il giorno 18. Raccomando che ciascheduno sia puntuale, affinchè non manchi poi il posto, o almeno non si faccia aspettare per più giorni, o qualchedun altro non sia rimandato a casa, come avvenne negli anni scorsi. In ogni caso i primi venuti saranno sempre i meglio serviti.
Tuttavia chi sa se ritornerete poi tutti?... Temo che il Signore si [437] prenda con sè qualcuno di voi nel tempo di queste vacanze. Speriamo che no, ma in ogni caso teniamoci sempre preparati. Vedete! Poco tempo fa uno dei vostri compagni se ne partiva allegro dall'Oratorio e sperava di venir poi agli esercizi di Lanzo. Ma ecco che pochi giorni dopo passava da questa vita alla sua eternità. Egli aveva buona volontà e non potè avverare i suoi desideri.
Ora io vi saluto e vi dico: Arrivederci un altro anno. Certamente però non ci rivedremo tutti. Alcuni saranno destinati ad una professione diversa, altri saranno ritenuti a casa dai parenti bisognosi di aiuto, o crederanno meglio di andare ad altre scuole. Tuttavia sia che ritorniamo nell'Oratorio, sia che non ritorniamo, sia che facciamo allegre o tristi le vacanze, la sola cosa che raccomando si è sempre di non commettere alcun peccato. Se vi guarderete da questo come da un serpente, passerete santamente le vacanze, ritornerete tutti sani ed allegri per fare un altro anno di studio e di esercizi di pietà, finchè dopo una lunga serie di fatiche conseguirete il premio desiderato.
Io intanto vi auguro felici vacanze e felice ritorno.
Il ritorno all'Oratorio doveva essere fra il 15 e il 20 ottobre; ma fin dal 7 vi era un discreto numero di giovani, perchè, fra gli altri, si trovavano presenti quelli che avevano da dare o da ridare esami. Don Bosco quella sera andò a salutarli. Le sue parole erano rivolte anche ai chierici, che ad ascoltare Don Bosco si univano d'ordinario con i ragazzi.
Io vi saluto tutti e tanto più di cuore in quanto che è la prima volta che vi vedo dopo le vacanze. È vero che non sono ancora arrivati tutti i giovani, ma osservo che siamo già in buon numero e se qui stesse apparecchiata una buona tavola, ci sentiremmo da noi soli capaci di farci onore.
La maggior parte di voi si trova qui per prepararsi ad entrar nel ginnasio, o per passare ad un'altra classe superiore, o per rimarginare qualche ferita riportata nell'esame: perciò tutti questi hanno da studiare. Vi sono poi altri che al principiare dell'anno devono ripetere l'esame di quei trattati che hanno studiati nell'anno scolastico scorso e pigliarlo anche su quelle materie delle quali non vennero ancora sottoposti alla prova; e questi pure hanno da studiare. In questo numero sono compresi indistintamente tutti i chierici.
E gli altri che non avessero occupazione fissa, devono sempre far vacanza? Quando non vi fossero più libri da leggere, nè in libreria, nè in biblioteca, e li avessero già letti tutti, io direi loro: - Riposatevi pure! - Ma fin tanto che vi sono libri da leggere, vi dirò sempre: Leggete! Fra costoro sono quelli che vennero per passare alla filosofia; ed io li consiglierei a leggere il trattato che avranno da studiare in [438] quest'anno: potrebbero anche leggere o mandare a memoria un libro di Virgilio, di Orazio, di Ovidio, o un canto di Dante, o ripassare e ripetere quegli autori che hanno studiato nel corso di latinità.
Un libro che consiglierei a tutti di leggere è la storia d'Italia e ad uno che l'avesse letta cinque volte, io direi ancora: Leggila! Ed ecco il perchè . In questi tempi tutte le storie sono falsate; i nemici della Chiesa prendono occasione dalla storia per poterla infamare e screditare, narrando fatti o esagerati o del tutto inventati. In questo libro invece sono esposti i fatti nella loro integrità storica; in breve sì, ma in modo che dà ai giovani la chiave per poter studiare la storia d'Italia più particolareggiata e la storia ecclesiastica che le è così congiunta d'affinità. Non voglio ora far le mie lodi dicendo i pregi della mia storia, ma dico solo questo, perchè ne vedo la grande utilità.
Ricevo adesso la notizia della morte del padre di Don Cerruti. Domani noi pregheremo per l'anima sua. E questa non è l'unica notizia di morte che mi sia pervenuta in questi giorni. Seppi non è guari che morì improvvisamente sul palco scenico un celebre attore, ed un altro che recitava con lui vedendolo cadere preso da terrore morì anch'egli sull'istante. E gli spettatori che assistevano alla commedia partirono colpiti da così truce tragedia. E questo non è il solo caso di questo genere che potrei narrarvi: ne avrei altri ancora. Noi intanto teniamoci preparati, che quando verrà la morte possiamo rispondere come Abramo quando il Signore lo chiamò: Abraham, Abraham! - Ecce Domine! Adsum! E intanto buona notte.
Il 16 ottobre ripassò per l'Oratorio monsignor Lacerda con i due sacerdoti che l'accompagnavano, ripartendone il 19 per la Francia e poi per Lisbona, dove noi l'abbiamo trovato. Ignoriamo i particolari di questa seconda visita.
La sera del 28 il Beato annunziò agli studenti una novità. Nelle conferenze di Lanzo erasi deliberato che dopo il ritorno dei giovani dalle vacanze si desse principio all'anno scolastico mediante un triduo di predicazione vespertina; al che nell'Oratorio furono scelti i tre giorni precedenti la festa di tutti i Santi.
Il motivo per cui vi ho radunati e son venuto qui è il desiderio di salutarvi tutti e di dirvi qualche parola dopo le vostre vacanze. Comincio col darvi una buona notizia di quelle fresche fresche. Oggi poco prima di cena ho ricevuto un dispaccio da Don Ronchail che annunzia l'apertura di una nuova casa. È poco lontana da Nizza, in una città chiamata Cannes: ma dobbiamo aprirci il passo per andare [439] ad aprirne altre a Marsiglia, a Navarra, Bordeaux, in altre città della Francia. E poi avanti, avanti, tutto il littorale fino a Barcellona e quindi a Utrera, a Siviglia ed in altre città della Spagna.
Poi fare un salto lungo lungo, fino a Rio Janeiro, a Montevideo, un salto a fare il quale il vapore impiega quindici giorni, correndo dì e notte. E qui quante Missioni ci si aprono avanti, quante sono le domande di Salesiani a fondar sempre nuovi ospizi e collegi!
Dunque abbiamo bisogno che voi veniate su buoni preti, buoni maestri, buoni campioni, che si possano spedire qua e là pel mondo a fare del bene; e sono persuaso che siete tutti venuti coll'intenzione di farvi santi.
La cosa però che m'importava di dirvi è questa. Siete ritornati tutti dalle vacanze, e del fango noti ce n'era per la vostra strada. Ma se non del fango, vi può essere stata della polvere, e qualche zacchera sarà rimasta sui vostri abiti. Quando arriva un forestiero da un lontano paese, gli si guarda subito addosso, se il suo abito è inzaccherato o impolverato per subito ripulirlo ben bene colla spazzola. Così voglio fare io, e così fate prima voi. Delle vacanze più o meno ne avete fatte tutti, e perciò siete come coloro che ritornano da un viaggio. Osservate un po' gli abiti vostri, se sono ben puliti. Io non intendo di parlare dell'abito materiale, ma del morale, dello spirituale. Guardate un po' se nell'anima vostra è rimasta qualche cattiva traccia delle passate vacanze. Osservate bene, e poi: mala corrige, bene facta serva. Togliamo via tutto ciò che abbiamo portato con noi di male, acciocchè questo male non abbia più a nuocerci lungo l'anno; e conserviamo ciò che abbiamo portato con noi di bene, perchè ci sia di aiuto a progredire nella virtù e a perseverare in questa.
Che cosa è che avete portato di bene? Ecco: per esempio uno mi disse che il parroco a casa gli aveva dato questo ricordo: - Ogni momento di tempo è un tesoro, ed ogni momento che impiegherai bene sarà un tesoro che guadagnerai. - Un altro giovane, un artigiano, mi narrò che suo padre gli aveva detto: - Guarda di far profitto nel tuo mestiere, e se poi sarai ricco o povero, ciò non dipenderà da te: ma col tuo mestiere avrai acquistato una cascina che porterai sempre teco, e da vivere ne avrai sempre. - Così una madre diceva a suo figlio che partiva da casa: - Sii divoto della Madonna. - Mi piace che mi si dicano quelle cose buone udite nelle vacanze, io ne sono contento, ma bramo che se ne faccia profitto. Ma se si vedesse di aver riportato da casa qualche cosa di cattivo, per esempio, qualche malo abito, qualche inclinazione alla mormorazione, alla disobbedienza, allora corrige.
Procuriamo di rimetterei in grazia di Dio, se per isventura questa grazia l'avessimo perduta: così saremo sempre sicuri del fatto nostro. Quanti alla mattina si alzarono sani ed allegri, e poi alla sera andarono a cena con Don Pautasso, Direttore del Campo Santo! Stiamo [440] preparati in modo che, qualora arrivasse anche a noi una cosa simile, non abbiamo da temere nulla.
Vi è appunto l'opportunità in questa festa dei Santi di fare una rivista alla propria coscienza e perchè vi possiate preparar bene si è pensato di fare un triduo con una piccola predica alla sera. E voi procurerete di eseguire ciò che nelle prediche vi si dirà. Quello che io vi suggerisco in questi giorni dedicati dalla Chiesa alle anime dei defunti è di procurare in ogni modo di suffragarle. Coloro che possono fare la comunione, la facciano. Tutti poi pregate, e pregate molto, e specialmente le indulgenze che acquistate, applicatele alle anime purganti, che questo sarà il più bel modo di suffragarle. Usate loro questa carità specialmente a quelle dei vostri parenti: parenti defunti o più prossimi o più remoti ne avete tutti. E poi queste preghiere, questo bene che farete alle anime del purgatorio, resta in realtà bene fatto per voi, resta come il cibo che si dona alla bocca, la quale lo gusta, ma in realtà nutrisce la mano stessa che lo porge, la persona stessa che lo prende.
Vi raccomando adunque che passiate bene questi giorni, facendo una rivista alla propria coscienza, ed offrendo tutto il bene che farete per le anime del purgatorio. Così, quando noi ci presenteremo all'eternità, ci troveremo preparate molte nostre opere buone, che ci preserveranno dalle fiamme del purgatorio e ci apriranno le porte del paradiso. Buona notte.
Nel triduo i giovani si misero in ordine la coscienza, sicchè ripigliarono serenamente i loro studi. La casa era stipata di allievi. Il numero degli accettati soverchiava di molto la misura. Non sapendosi più dove allogare quelli che continuamente arrivavano, furono mandati a Lanzo i Missionari, perchè facessero un po' di posto. Oltre ai ragazzi, molti adulti laici ed ecclesiastici, “ un esercito ” dice la cronaca, accolti come aspiranti accrescevano il disagio e stavano essi stessi a disagio; costoro però, uomini d'ogni fatta, avvocati, professori, maestri elementari, ufficiali dell'esercito e della marina, impiegati delle ferrovie, preti semplici, parroci, canonici, quando videro da vicino quali sacrifizi li attendessero nella vita da loro vagheggiata, quasi tutti se ne ritrassero.
Si procedette alla divisione del lavoro. La venuta di Don Bonetti all'Oratorio e la presenza di Don Cagliero avevano fatto sperare agli altri Superiori qualche sollievo nelle loro [441] fatiche; ma per l'estendersi della Congregazione il da fare cresceva, si può dire, di giorno in giorno, e il sovraccarico restò.
L'ultima formalità per l'avviamento generale fu la lettura pubblica del Regolamento. La si fece nello studio in due sere consecutive, 5 e 6 novembre, presenti tutti i Superiori. Quel regolamento, uscito allora allora per le stampe e destinato non solo all'Oratorio, ma anche ai collegi, era costato a Don Bosco lunghe riflessioni durante l'estate. Nelle conferenze di san Francesco ne aveva fatto leggere ai Direttori le parti che si riferivano al personale; poi volle che Don Rua lo rivedesse da capo a fondo e che Don Barberis esaminasse attentamente gli articoli disciplinari, inspirandosi a principi, di cui avevano più volte ragionato insieme. Dopo vi si rimise attorno egli stesso, ponderandovi ogni parola e tempestando i fogli di modificazioni. Finalmente Don Vespignani nell'ufficio di Don Rua ne ricavò la copia definitiva. Rapidamente stampato, venne distribuito nel mese di novembre a tutte le case. Una seconda edizione se ne fece nel 1899 senza varianti. Nelle edizioni del 19o6 e 1920 il vecchio testo fu mescolato con parti nuove, elaborate in Capitoli Generali; ma in questo ampliamento si ebbe rispetto al nucleo primitivo, che, tolte rare e lievi modificazioni formali, vi è rimasto intatto, riconoscibile anche per lo stile, in cui si riscontra la maniera di Don Bosco. “ Nonostante la concisione del dettato, scrive Don Vespignani[216], vi trovai ogni articolo Cosparso di pietà e di carità ”.
Molto Don Lemoyne ha narrato d'inviti a pranzo, che il Beato riceveva e accettava; per il tempo del quale noi ci occupiamo, è ben poco quello che si sa in proposito: vi sono appena due o tre cosette, che tuttavia non ometteremo.
Don Bosco aveva dimestichezza con l'agiata e caritatevole [442] famiglia Ruggieri di Torino, nella quale era una festa per tutti ogni qualvolta potevano averlo a mensa con loro. Morti i genitori, cessarono gl'inviti e cessarono pure le sue visite; ma il figlio avvocato Giuseppe avrebbe desiderato continuare con lui le vecchie relazioni. Perciò nel maggio del 1877 lo pregò di accordargli la consolazione e l'onore di averlo un giorno a pranzo in casa sua come al tempo dei suoi genitori. Gli rinnovò l'invito una volta che con la propria moglie lo incontrò per città; Don Bosco allora accettò, riserbandosi di fissare la data. Più tardi l'avvocato, dovendogli scrivere per raccomandargli un giovane, certo Clary, che poi divenne sacerdote, gli chiese se poteva dirgli quando avrebbe avuto il bene di riceverlo in casa sua. Il Beato gli rispose:
Quod differtur non aufertur. Non posso dire quando, ma ci andrò, e te lo farò noto al giorno prima, affinchè il cuoco abbia agio a preparare qualche manicheretto, non è vero? - Per Chiari farà D. Bologna. Dio benedica la tua famiglia e credimi in G. C.
La presenza di Don Bosco nelle case ove si recava, produceva sempre buoni frutti di carità e di edificazione. Un giorno andò a pranzo dalla marchesa Durando. Erano invitate molte signore che intervennero in gran lusso, bramose d'intrattenersi con Don Bosco; ma vestivano alquanto liberamente e avevano le braccia quasi nude. Il Servo di Dio, appena entrato, guardò attorno dicendo: - Io credeva che in questa casa un prete potesse venirci con tutta libertà. Le compatisco però: si usa tanta tela nelle falde dell'abito, che non ne resta per coprire le braccia. - Così dicendo si avviava per uscire. Le signore arrossirono, pregarono Don Bosco di fermarsi e con scialli e altri drappi si copersero com'egli voleva. Il Beato si fermò, levandole d'imbarazzo con qualcuna di quelle piacevolezze che le erano tanto familiari. [443] I Direttori dei collegi vicini, in occasione di feste e d'inviti, facevano di tutto per averlo in mezzo a loro; gl'invitati poi, sapendo che a mensa vi sarebbe stato Don Bosco, si stimavano felici di poter godere della sua amabile conversazione. A Valsalice, celebrandosi nel 1878 una festa, gli facevano corona a tavola personaggi ragguardevoli e dotti. Il discorso cadde sulla matematica: si discuteva sopra un sistema nuovo di numerazione, proposto allora da un valente professore. Don Bosco non parlava. Infine quasi per celia i contendenti si appellarono a lui. Il Beato mostrò di aver seguito la discussione; perchè in quattro e quattr'otto fece vedere l'assurdità della teoria discussa ed espose il suo parere in forma così chiara e persuasiva, che tutti l'acclamarono e qualcuno gli domandò con meraviglia se fosse anche matematico. Il Beato rispose: - Avevo dell'inclinazione per questa scienza. Ho preso sempre il primo premio in tale materia, quando andava alle scuole[217].
Dio illuminava spesso la mente del suo Servo intorno alle persone di coloro, che avrebbero dovuto pei primi raccoglierne l'eredità spirituale. Ciò dispose la Provvidenza, affinchè egli si potesse preparare successori, che fossero all'altezza della loro missione. Come già per il primo, così il Servo di Dio ricevette dal cielo lumi speciali per conoscere chi sarebbe stato il secondo a succedergli nel governo generale della Pia Società. Questo almeno è il convincimento che ci forniamo, esaminando un fatto accaduto nel 1877.
Don Bosco, ogni volta che poteva, andava a fare San Carlo nel collegio di Borgo S. Martino, e appunto perchè egli avesse comodità di recarvisi la festa non di rado veniva trasferita anche molto innanzi; così nel '77 fu celebrata il giovedì 22 novembre. Alla mensa, onorata da monsignor Ferrè, [444] vescovo di Casale, sedeva fra gl'invitati a poca distanza da Don Bosco il giovane ventenne Filippo Rinaldi, allora ancor secolare. La conversazione cadde su Don Albera e sulle difficoltà mossegli già dal clero della sua patria e dall'arcivescovo Riccardi, per distoglierlo dal restare con Don Bosco dopo il ginnasio. Il vescovo, che ascoltava con interesse il racconto di Don Bosco, domandò se Don Albera avesse vinto quegli ostacoli. - Certamente! rispose il Beato. Egli è il mio secondo... - E in così dire si passò una mano sulla fronte, come quando pensiero si sovrappone a pensiero e dobbiamo arrestarci nell'esprimerlo. Nessuno dei commensali badò alla parola e al gesto; ma il nostro giovane, che era molto bene informato delle cose salesiane, veniva fra sè e sè ruminando: - Don Albera non fu il secondo a entrare nella Congregazione; non è il secondo in dignità, non essendo nemmeno del Capitolo Superiore; non è stato neppure il secondo a essere nominato direttore... Non dovrà forse diventare il secondo successore di Don Bosco? - Si tenne in cuore la sua supposizione, attendendone dagli eventi la conferma.
Passarono da quel giorno trentatrè anni. Don Rinaldi era Prefetto generale. Il 27 febbraio 1910, vedendo quanto fosse grave lo stato di Don Rua, consegnò allo scritto il segreto che fino allora non aveva palesato ad anima viva, chiuse il foglio in una busta, suggellò questa e vi scrisse sopra: “ Da aprirsi dopo le elezioni che avverrebbero alla morte del caro Don Rua. F. RINALDI ”. Ciò fatto, consegnò il documento a Don Lemoyne, segretario del Capitolo Superiore, senza lasciar nulla trapelare del misterioso contenuto. Passato Don Rua a miglior vita e compiutasi appena l'elezione del successore, Don Rinaldi si fece recare al suo tavolo, dissuggellò alla presenza di tutti e lesse il suo scritto. In quella lettura parve ai congregati di udire la voce del Padre che venisse a confortare l'eletto e a rassicurare gli elettori.
Anche profezie a più breve scadenza dobbiamo registrare [445] per il 1877: sono le solite predizioni di morti fra i giovani dell'Oratorio. Quando preannunziò il numero di coloro che nel corso dell'anno sarebbero passati all'eternità, Don Bosco non diede altra indicazione nè circa il tempo dei decessi nè circa la qualità dei morituri; lo fece più tardi due volte. La prima volta fu nel periodo del carnevale. Una sera dopo le orazioni disse: - Passiamo pure allegramente il carnevale; ma attenti! Uno di coloro che mi ascoltano, non finirà il carnevale. - Infatti il 10 febbraio, vigilia della domenica di quinquagesima, cessò di vivere il giovane Stefano Mazzoglio, alunno della quarta ginnasiale, nativo di Lu Monferrato. Aveva avuto pochi giorni di malattia, nè alcuno avrebbe potuto credere così vicina la sua dipartita da questo mondo. Durante la quaresima fece il secondo vaticinio. In una "buona notte", dopo aver ricordato il compagno defunto, raccomandandolo ai comuni suffragi, proseguì: Se uno di noi non finì il carnevale, un altro non terminerà la quaresima, nè potrà fare con noi la santa Pasqua. - Tutto si avverò a puntino. I giovani dell'Oratorio facevano allora solennemente la loro Pasqua il mercoledì santo. Il martedì santo nell'infermeria, durante la messa, quando il sacerdote era già alla consumazione, un giovinetto ammalato si avvicinò all'altare, per ricevere la comunione; ma il celebrante, non essendo stato avvertito, non aveva consacrato particole: onde gli disse di aver pazienza, che avrebbe potuto comunicarsi la mattina seguente. Ma la mattina seguente il ragazzo non vide l'alba: un malore improvviso lo portò in fin di vita, lasciando appena il tempo di amministrargli l'Estrema Unzione. Era il 28 marzo. Egli si chiamava Giovanni Briatore, da Deversi di Garessio (Cuneo), della prima ginnasiale[218].
RIMANDANDO ad altro luogo il far la storia delle fondazioni di questo biennio, diremo qui soltanto di trattative diverse per cose dei collegi già esistenti o per fondazioni proposte, ma non attuate.
Il Consiglio comunale di Lanzo nella seduta dell'11 aprile 1875 aveva deliberato di licenziare Don Bosco dall'ex - convento, che dal '64 egli teneva in uso per le scuole elementari del paese[219]. A tenore della convenzione il licenziamento doveva essere notificato cinque anni prima; perciò entro un quinquennio a partire dall'anno scolastico 1875 - 76 Don Bosco era obbligato a lasciare sgombri quei locali. - La ragione di quell'atto era, si dice, che il Comune, abbisognando di danaro per la ferrovia, voleva mettere in vendita il fabbricato. Subodorato ciò il teologo Luigi Botto, Lanzese e condiscepolo del Beato, lo esortò a non lasciarsi sfuggire l'occasione propizia di rendersi definitivamente padrone del luogo; tanto più che il prezzo d'acquisto sarebbe oscillato fra le quaranta e le trenta mila lire. Egli stesso il teologo si esibiva a fare da intermediario[220]. Don Bosco gli rispose: [447]
Ho parlato colla madre del giovane Cottino, e mi condurrà il ragazzo con cui tratterò e farà quanto posso[221].
Riguardo al Collegio di Lanzo, io credo, io ed il municipio possiamo camminare sopra basi certe, mediante un perito per parte. Tu sai che in una perizia si fa estimo di un chiodo rotto, e che l'estimo commerciale è sempre inferiore a quello che si fa degli stabili specialmente fabbricati.
Se pertanto il Municipio giudica di ammettere questa base, io sono pronto ad aderire, e le altre circostanze del contratto non metteranno più difficoltà.
Pel pagamento non ho il denaro, ma qualora urgesse sono anche pronto di fare un mutuo per accomodare il municipio.
Ti prego però di far osservare due cose: I° che di propria mia borsa ho già speso somme vistose pel miglioramento del collegio.
2° Chiunque lo compra non lo destinerà a benefizio del paese, come noi da tanti anni facciamo e continueremo in avvenire.
Ti ringrazio della tua esibizione che mi fai di trattare anche da parte mia, e te ne dò di buon grado formale incarico.
Avrò tutta la cura dei due Lanzesi Sperta e Castagno che mi raccomandi.
In ogni caso abbimi sempre tutto tuo
Nel frattempo venne fuori un parere del Consiglio di Stato in data 20 aprile 1877, adottato dal Ministero della Pubblica Istruzione, in virtù del quale erano da considerarsi nulle tutte le convenzioni fra comuni e privati o corpi morali per la direzione e amministrazione delle scuole comunali, essendo tali funzioni di esclusiva e diretta spettanza dei municipi. Era una misura subdola per eliminare sempre più dall'insegnamento primario le Congregazioni religiose. Allora dunque il Consiglio provinciale scolastico, nella tornata del 17 dicembre 1877, pur dichiarando di non opporsi a che per l'anno scolastico in corso le scuole elementari maschili di Lanzo venissero [448] ancora dirette dai maestri già nominati, avvertiva però che in forza di quel parere la convenzione fra il Comune e il sacerdote Bosco Giovanni per il mantenimento di dette scuole doveva cessare con la fine dell'anno scolastico già avviato. Don Bosco, forte del giudizio di valenti avvocati romani, poichè in quel tempo era a Roma, riteneva per fermo che un parere del Consiglio di Stato non potesse mai annullare contratti stipulati nelle forme legali; onde in un primo tempo egli pensò di far valere le proprie ragioni. Infatti da Roma scrisse così di quest'affare in una lettera a Don Rua:
La carta unita pel Collegio di Lanzo sia presentata al Cav. Alessio[222] e si preghi del suo consiglio. Intanto scrivo a D. Scappini che interpelli il Sindaco di Lanzo a dire se con quel verbale si intendono ultimate le nostre convenzioni, oppure lasciarsi così continuare fino al tempo convenuto; e posto che in questo anno cessi la convenzione sia indennizzata la parte pel frutto che non percepisse, pel danno che si porta per la diminuzione inaspettata del tempo convenuto. Avuti questi schiarimenti d'accordo e secondo il consiglio dell'Avv. faremmo regolare risposta. Le cose nostre procedono bene, pasticci, disturbi lunghi, ma pur molto utili. Silenzio, preghiera, niun timore, scrivimi quel che sai. Saluta tutti nel Signore e Dio ci benedica tutti. Che fa la Sig. Clara?
P. S. Qui avrai la lettera di D. Lasagna. D. Cagliero legga, aggiusti d'accordo con D. Bonetti, perchè possa uscire per febbraio. Buona salute. Scriverò presto.
Ma in appresso abbandonò l'idea di sollevare eccezioni, tanto più che aveva ottenuto di restare là ancora un anno oltre il limite imposto dalla Provincia. Spirato quel termine, rinunziò a ogni suo diritto, depose anche il pensiero della compera e nel settembre del 1879, ritiratosi dal vecchio convento, [449] trasferì le scuole elementari nell'attiguo edifizio, fatto già da lui costrurre per il convitto e per il ginnasio privato.
Per il nuovo anno scolastico 1877 - 78 Don Bosco desiderava che fosse meglio provveduto ai suoi figli di Albano Laziale. La loro abitazione, incomoda per più versi, distava troppo dal sito delle scuole: specialmente nella cattiva stagione il percorrere quel tratto quattro volte al giorno non era cosa davvero piacevole. Inoltre lo stipendio non bastava ai bisogni della vita, massime per essersi dovuto aumentare il numero dei Confratelli più del convenuto. Li raccomandò quindi contemporaneamente al Vicario Generale e al Sindaco, perchè volessero porvi rimedio, il primo facendo valere la sua influenza presso chi di ragione e l'altro facendo uso della Sua autorità. Don Bosco era ben lungi dal considerare stabile la condizione, in cui si trovavano allora i Salesiani: egli la riguardava solo come uno stato di cose transitorio per arrivare ad aprire in Albano un collegio suo, al che lo movevano le insistenze di tanti impiegati dell'alta Italia, i quali, trasferitisi a Roma col trasporto della capitale, avrebbero molto volentieri affidati i loro figli ai Salesiani. Bisogna però aggiungere che non tutti gli Albanesi li vedevano di buon occhio colà, chi per motivi settari, chi per ragioni, diremo così, politiche[223]. Allora poi sembrava che si cercasse di prevenire Don Bosco, aprendo ivi un collegio d'altro colore. Su di questo specialmente Don Bosco richiamò l'attenzione del Vicario Generale.
Sul principio di questo anno scolastico io affidava e raccomandava alla bontà di V. S. Rev.ma i miei maestri che andavano a prendere la direzione delle scuole di Ariccia e di Albano. Ora La prego rispettosamente a volermi dire se hanno corrisposto alla comune aspettazione, e se avvi qualche cosa da aggiungere o da togliere per promuovere vie meglio la gloria del Signore.
Affinchè poi le cose possan continuare e consolidarsi, sarebbe indispensabile un locale più vicino alle scuole, dove ecclesiastici e [450] laici possano dimorare senza soggezione altrui, indipendenti soprattutto nell'esercizio delle loro pratiche di pietà. Questo V. S. ebbe la bontà di farmi sperare per l'anno prossimo, ed io sono sicuro che se Ella dice una parola al Sindaco, ne avrà buon risultato.
Credo che Ella sappia che alcuni trattano di aprire un Collegio in Albano. Se non in questo anno, sarà probabilmente per un altro. Certamente Ella farebbe, io penso, un gran bene alla Diocesi di Albano, se prevenisse il colpo, e se la intendesse col Sindaco sul modo di collegare un collegio all'attuale piccolo Seminario, ma sempre in capo all'Ordinario Diocesano. Quando si dicesse che già esiste un collegio - convitto, non è più probabile che altri parli di andarne a stabilire un altro. Ella ci pensi; di ciò non ho scritto niente al Sindaco. Ho però scritto raccomandandogli caldamente di sistemare lo stipendio dei maestri, e provvedere in qualche modo un'abitazione più conveniente, comoda e salubre pei nostri maestri.
Io La ringrazio della benevolenza usata a me ed ai miei maestri, e raccomandandomi alla carità delle sante sue preghiere, ho l'onore di potermi professate
Al Sindaco Don Bosco mise innanzi chiare e nette le sue oneste esigenze, esprimendosi con un tono di risolutezza, che lascia supporre dall'altra parte ingiustificate resistenze.
L'anno scorso essendo già la stagione alquanto inoltrata, ci siamo aggiustati come si è potuto nella persuasione che l'anno scolastico avrebbe dato opportunità di regolare l'abitazione dei maestri, e il loro numero, e lo stipendio. Io desidero che queste cose nel modo più conveniente vengano sistemate e a tale uopo do tutte le facoltà al prof. Monateri Giuseppe, che è pieno di buon volere, ma alquanto inquieto:
I° Pel locale che è troppo distante dalle scuole, non lascia libertà alla vita comune, nè si può fare cosa alcuna pei poveri figli del popolo, che è scopo del nostro Istituto.
2° Per la sanità. La soggezione della dimora, il fare quattro volte al giorno la distanza dalla scuola allo stallo per l'inverno e più ancora pei caldi estivi, contribuirono a compromettere la sanità dei maestri. Quindi è indispensabile un'abitazione più prossima alle scuole e, se si vuole il bene dei fanciulli, una chiesetta pei maestri. [451]
3° Quando si convenne lo stipendio pei maestri, si stabilirono quattro professori, ma ce ne vollero assai più. Ora deve trattarsi in modo stabile, affinchè il municipio sappia quello che deve spendere ed io sappia il personale che devo provvedere.
M fu assicurato che Mons. Dannibale sarebbe disposto a giovare la sua patria, cedendo o lasciando l'uso di una Chiesa, e di un corpo di casa di sua proprietà. Ciò dico soltanto come comunicazione privata con V. S. Ill.ma.
Io scrivo anche a Mons. Vicario affinchè prenda in viva considerazione ciò che scrivo a V. S., affinchè si possano in tempo debito prendere gli opportuni provvedimenti.
Prego Dio che conceda ogni bene a Lei e a tutti i rispettabili Signori del Municipio, mentre ho l'onore di potermi professare
Con tutto ciò le cose rimasero allo statu quo fino al '79, quando i Salesiani, costretti anche da nuove circostanze sfavorevoli, presero la decisione di levar le tende e andarsene dove potessero lavorare con maggior libertà e frutto.
Lunghe, laboriose, attive pratiche si svolsero durante circa sei mesi del 1877 per la direzione del collegio Cantonale di Mendrisio nel Canton Ticino. La gioventù aveva colà estremo bisogno di sana educazione; poichè quel popolo, messo prima sossopra dai massoni del luogo, era stato poi per più anni tiranneggiato dai radicali. Il Mazzini in Mendrisio aveva casa. Nonostante però si avverse condizioni il partito conservatore si mantenne sempre talmente in forze, che nel '77 riportò vittoria alle elezioni e salì al potere. Ecco perchè in quell'anno il Governo cantonale favoriva le proposte miranti a riformare il collegio di Mendrisio.
Le proposte furono presentate per il tramite di un signor Croce, il cui figlio era stato allievo dell'Oratorio: dietro di lui agiva il deputato locale, ma chi brigava con ardente zelo e presso il Governo e presso i Superiori perchè i Salesiani si stabilissero nella sua patria, era il Croce. Don Rua, dopo non breve corrispondenza epistolare, andò il 30 aprile sul posto per visitare [452] il locale e procurarsi informazioni precise. Su di tutto riferì al Capitolo Superiore nella seduta del 3 maggio. Mentr'egli procedeva nella sua relazione, arrivò il Vescovo di Susa, al quale Don Bosco dovette dare udienza. Durante la sospensione della seduta i membri del Capitolo Superiore lessero il programma di quel collegio, il cui direttore laico aveva già rassegnate al Governo le proprie dimissioni. Serie difficoltà stavano di fronte: laico dover essere il personale per non aizzare le ire dei radicali; essere indispensabile un professore di tedesco; quel sistema di studi troppo differente dal nostro; il rapido cambiarsi dei partiti al Governo dava poco affidamento di stabilità. I Capitolari insomma non vedevano come si potesse dar voto favorevole all'accettazione di quella prima proposta elvetica.
Sul più bello rientra Don Bosco e, senz'aver udito parola dei loro discorsi, fin dalla porta comincia a dire: - Il voto del Vescovo di Susa è favorevole all'accettazione del collegio di Mendrisio, perchè si può aiutare la Svizzera a risorgere. Certamente noi ci gettiamo in un labirinto molto intricato; ma sarà questo un vero passo della nostra Congregazione. D'altra parte noi troveremo là delle vocazioni: noi il personale laico lo troveremo facilmente e in tutt'i casi per un bisogno così pressante noi potremo anche mandare chierici e vestirli da secolari sino al tempo delle ordinazioni. Il vestito non impedisce che studino teologia e facciano le loro pratiche di pietà secondo la regola. Bisogna però scrivere a quel signor Croce che veda se ci fosse qualche professore di quelli che attualmente fanno scuola, purchè buon cattolico, il quale desiderasse di continuare con noi. Questi tali bisognerebbe allora invitarli a passare alcune settimane qui nell'Oratorio affinchè ci mettano al corrente dei metodi di studio seguiti in quelle parti. Quando tutto sia fatto, si scriva al Direttore presente, che noi non vogliamo in nulla danneggiarlo nè essere a lui contrari, ma che chiamati verremo, sapendo aver egli date definitivamente le sue dimissioni. Si facciano spedire [453] immediatamente i programmi d'insegnamento. Riguardo allo stipendio per il corpo insegnante, il Governo prima dava diecimila lire; ora vorrebbe darne a noi solo seimila. Noi ne chiederemo ottomila per far fronte alle prime spese, e poi si vedrà di diminuire alquanto le pretese sullo stipendio. La capitolazione sia di cinque anni, e il diffidamento, tanto da una parte che dall'altra, si dovrà fare cinque anni prima. Però si esamini la costituzione politica e si veda quanti anni può durare il Governo cantonale esistente: ad esso si mandi una copia del capitolato di Alassio.
La decisione fu che si continuassero le trattative. L'affare stava già per giungere in porto, quando si levò contro uno scoglio: l'assuntore ufficiale del collegio, sempre per ragioni di tattica, non sarebbe dovuto essere Don Bosco, ma un altro individuo di sua fiducia, svizzero o italiano che fosse. Ebbene, Don Bosco non vide nemmanco in questo un ostacolo insormontabile; infatti trattò successivamente con tre sacerdoti secolari, perchè facessero così da prestanome. Se non che per uno si oppose il Vescovo di Como, alla qual diocesi apparteneva allora quella parte del Canton Ticino; un altro finì con ritirarsi per motivi personali. Il terzo era il parroco di Mendrisio, il cui nome Don Bosco mise in testa all'abbozzo di capitolato spedito da Torino il 7 agosto[224]; ma questi pure all'ultima ora si tirò indietro. Le cose erano a questo punto, quando il Governo stesso nominò l'assuntore nella persona di un professor Cattaneo, laico. Sulla lettera, con la quale gli si chiedeva il suo benestare, Don Bosco scrisse queste parole, che dovevano servire di traccia a Don Rua per la risposta: “Non expedit: un assuntore di fatto ci toglierebbe l'autonomia”. Diceva qui “di fatto”, perchè nel concetto suo e degli amici i precedenti assuntori sarebbero stati tali solamente di diritto, lasciando in tutto e per tutto mano libera a Don Bosco. Quindi Don Rua rispose a chi conduceva l'affare in Svizzera: [454] “Nell'ultima mia pregava la S. V. a sospendere ogni deliberazione intorno al Collegio Cantonale di Mendrisio, nella fiducia di poter concretare la cosa secondo i suggerimenti datici di far rappresentare come assuntore qualche ecclesiastico del Canton Ticino. Ora però non trovando alcuno che voglia assumersi tale incarico fra i vari ecclesiastici invitati a tal uopo, notifico la cosa confidenzialmente a V. S. affinchè non si tenga impegnato dalla precitata mia lettera, ma disponga come parrà meglio alla sua illuminata prudenza. Se potrà bastare spedir un ricorso firmato dal Sig. Prof. Pietro Guidazio unito al capitolato, si spedirà tantosto; del resto disponga pure diversamente, che noi volgeremo ad altra parte le nostre tende, essendo richiesti in varie città e paesi d'Italia e d'altri Stati”. Tuttavia le pratiche furono considerate dagli amici svizzeri non già come rotte, ma come sospese[225]; infatti alcuni anni dopo le si poterono riprendere.
Con Milano si strascinavano già da tempo le trattative per la cura e l'amministrazione di un collegio aperto da Don Giovanni Usuelli, parroco dell'Incoronata, e da lui medesimo diretto. Ora egli, non sentendosi più in forze per continuare a occuparsene personalmente, chiedeva aiuto a Don Bosco, che alle sue premure perchè si volesse finalmente decidere, rispose:
Sono alcune settimane che tengo l'occhio sopra una sua lettera cui sono in ritardo a rispondere. Ciò faccio presentemente con questa mia umile risposta.
Accetto V. S. come tra i miei amici, figli, fratelli Salesiani, ed accetto la sua proposta del locale ad uso collegio, che sarà sempre chiamato coll'onorato nome di Istituto o collegio Usuelli. Questa è accettazione in massima; ora, volendo venire al particolare credo bene di maneggiare la cosa colla semplicità della colomba e colla prudenza del serpente.
I° Credo opportuno che Ella si presenti all'Arcivescovo e dica [455] che Ella ha scritto a D. Bosco che per mezzo dei suoi preti venisse a prendere la direzione, l'insegnamento del suo Collegio, e con questo mezzo avere anche qualche ecclesiastico in aiuto religioso alla sua crescente popolazione. D. Bosco rispose affermativamente, e mi soggiunse di presentare l'ideato progetto a V. E. e pregarla a dire se permette che s'incominci formalmente la pratica; notando che qualunque cosa sia per conchiudersi sarà sempre sottoposta al suo beneplacito ed a qualunque sua osservazione.
2° Per ora pare non convenga parlare della parrocchia. Terminata questa prima pratica del collegio si passerà a quella della Chiesa parrocchiale.
3° Qualora Ella avesse motivi di non fare tale proposta, io non ho alcuna difficoltà di farla io medesimo.
4° In quanto poi a noi potrebbesi cominciare nella prossima primavera. Invierei due Sacerdoti con due maestri, i quali mentre aiuterebbero V. S. per la parrocchia, inizierebbero o continuerebbero a tenere aperto il collegio che si annunzierebbe al pubblico in Agosto 1878
5° Esposte così le cose in genere, vi saranno cose particolari da intendersi, ma in ciò andremo certamente d'accordo, mercè qualche colloquio ch'io mi procurerei.
6° Iddio benedetto che a V. S. inspirò la felice idea di rivolgersi all'umile Congregazione Salesiana, ci aiuti ad appianare qualunque difficoltà venga ad opporsi, e così noi viribus unitis lavorare a maggior gloria di Dio ed a vantaggio delle anime.
7° La grazia di N. S. G. C. sia sempre con noi e colle cose nostre; e preghi per tutti i Salesiani di Europa e di America, e noi pure pregheremo per Lei, mentre ho il bel piacere di professarmi.
Pare che Don Usuelli non abbia creduto bene di presentare egli stesso il suo disegno all'approvazione dell'Arcivescovo; infatti Don Bosco a monsignor Luigi Calabiana, che da Vescovo di Casale aveva favorito l'apertura della casa di Mirabello, scrisse così in dicembre:
Da due anni si va trattando un affare col pio Sac. D. Giovanni Usuelli, parroco dell'Incoronata, Parrocchia di Milano. Egli domanda un numero sufficiente di professori e di assistenti di questo Oratorio, [456] perchè vadano a prendere cura ed amministrazione del suo Collegio, cui egli per età e per occupazioni non potrebbe più attendere.
In generale saremmo d'accordo, ma prima di conchiudere cosa alcuna, di comune accordo col prelodato Sig. Prevosto, ne do partecipazione a V. E. Rev.ma, pregandola a volermi dire se Ella non è contraria che il D. Usuelli come Parroco, ed io come superiore della Congregazione Salesiana, veniamo ad una pratica e definitiva conclusione. Perciocchè io non sarei giammai per mandare alcuno dei nostri preti o maestri in qualche diocesi, senza il pieno gradimento dell'Ordinario, da cui intendo ora e sempre ognuno debba dipendere, siccome appunto le nostre regole prescrivono. In questo modo la S. V. che fu il fondatore della prima nostra casa fuori di Torino, sarebbe pur quello che fonderebbe la prima casa nel Lombardo - Veneto.
Se con sua comodità mi farà scrivere due linee per mia norma, mi farà veramente piacere.
Se mai qualche buona ventura disponesse che V. E. venisse in Torino, farebbe a tutta la casa un piacere e grande consolazione, se ci onorasse con una sua visita. Sono sicuro che osserverebbe con soddisfazione i progressi fatti da qualche anno a questa parte.
Implorando la sua santa benedizione ho l'alto onore di professarmi con profonda gratitudine.
L'Arcivescovo aderì di buonissimo grado. “Quanto a me, scrisse a Don Bosco il 22 dicembre, se Ella può assumere la direzione esclusiva di quel convitto, che qui si dice quasi morto, per ravvivarlo, io Le presto fin d'ora il pieno mio consenso, come sarei lieto di vederlo prosperare”. Don Bosco da Roma segnò a Don Rua con queste linee il tenore della risposta: “Gradimento: cosa conchiusa in massima. Passare io andando a Torino o inviare plenipotenziario”. A rialzare le sorti di quell'istituto si erano già provati i Gesuiti, mandandovi un ottimo Rettore; ma non avevano conchiuso nulla, perchè Don Usuelli, non pratico di comunità e gravato del governo di una parrocchia molto numerosa, voleva esercitarvi un'ingerenza che riusciva soltanto a imbarazzare. Per questo l'Arcivescovo nella sua lettera aveva messo sull'avviso Don Bosco, scrivendogli: “V'ha un proverbio che dice: Patti chiari, amicizia lunga. E così la S. V. Rev.ma deve [457] fare con Don Usuelli... se vuole assicurarsi un buon andamento del collegio che Le viene offerto”. Ma i patti chiari non furono possibili; perciò il Beato, discussa ancora una volta la faccenda col suo Capitolo dopo il ritorno da Roma, dovette con rincrescimento rinunziare a quell'occasione di andare a Milano, com'era in votis.
Anche per l'Oratorio Don Bosco nel '77 ebbe tra mano affari di varia natura, dei quali uno riguardava le scuole, un altro i laboratori e due il piano edilizio dello stabilimento.
Un'ingiunzione del regio Provveditore agli studi gli diede serio motivo a temere che le autorità scolastiche stessero per mettere negl'impicci il ginnasio dell'Oratorio con l'esigere che tutti gl'insegnanti fossero muniti di titolo legale. Tra lauree e abilitazioni il numero dei diplomati nella Congregazione era già notevole; ma bastava appena appena a coprire i posti nei collegi. Come si praticasse nell'Oratorio e che cosa Don Bosco facesse per iscongiurare il pericolo, è detto in questa lettera, indirizzata da lui al commendator Barberis, antico suo compagno di scuola e allora Provveditore centrale della Pubblica Istruzione a Roma.
Richiamo l'antica nostra amicizia per raccomandarmi in un affare di cui tu mi puoi favorire. Nelle scuole che si fanno ai nostri poveri giovani ricoverati nella casa di Valdocco finora l'autorità scolastica ci lasciò tranquilli; perchè erano maestri che insegnavano gratuitamente a poveri fanciulli. Quest'anno il R. Provveditore ci ha prevenuti che pel 15 di questo mese (Ottobre), vuole in ogni classe un maestro patentato.
Io non posso tosto avere tali insegnanti e poi non potrei pagarli. Ho quindi fatta una dimanda al sig. ministro Coppino a volere per un triennio autorizzare gli attuali insegnanti e in questo tempo avrei in qualche modo provveduto.
Il sig. ministro pare abbia benevolmente accolta la supplica ma disse di volerla rimettere al consiglio scolastico superiore, cui tu presiedi.
Fammi adunque questa carità, o meglio fa' questa carità ai poveri fanciulli di questa casa, di una parola in nostro appoggio, e tu avrai molti beneficati che pregheranno per la felicità tua e per quella della tua famiglia. [458] Aggiungerai novello favore se mi userai la cortesia di farmi scrivere anche poche parole per mia norma.
Da' benigno compatimento alla confidenza con cui ti scrivo, e Dio ti renda fortunato in questo mondo e nell'altro, mentre ho il bel piacere di professarmi
Qualche buon effetto ci dovette essere, perchè le scuole poterono avviarsi nel modo solito. Trovandosi poi a Roma nel gennaio del '78, il Beato volle tentare un colpo, che, se fosse riuscito, gli avrebbe data vinta la causa per sempre. Con una ragionata esposizione fece istanza al Ministro dell'Istruzione pubblica, perchè gl'insegnanti dell'Oratorio fossero esenti dall'obbligo di possedere titoli accademici.
Credo essere noto a V. E. come da 25 anni in Torino esistono i così detti Oratorii maschili. Consistono essi in appositi locali destinati nei giorni festivi a raccogliere i giovanetti più pericolanti che dai varii paesi dello Stato intervengono a questa città, per trattenervisi con piacevole ed onesta ricreazione dopo aver compiuto i loro religiosi doveri. Vi sono quattro Oratorii dì questo genere, dove si radunano anche più migliaia di ragazzi e mentre loro è somministrata l'istruzione elementare, si ha pur massima cura che ciascuno possa lungo la settimana essere collocato presso a qualche padrone. Ma nella moltitudine se ne riscontrano di quelli che sono così poveri, e privi d'assistenza, che forse tornerebbe inutile ogni sollecitudine, se non venissero accolti in qualche casa, nutriti ed avviati a qualche mestiere con cui a suo tempo possano guadagnarsi onoratamente il pane della vita. Di qui cominciò la casa dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, ove presentemente sono accolti circa ottocento giovanetti. Tutti hanno singolarmente la scuola elementare serale con altri studi loro adatti. Lungo il giorno poi una parte è occupata in varii mestieri come sono calzolai, sarti, falegnami, ferrai, legatori da libri, tipografi, compositori e simili. Altri poi cui la Provvidenza fornì speciale attitudine alle scienze soglionsi destinare allo studio secondario. Costoro riescono compositori nello stabilimento od in altre tipografie; parecchi conseguiscono il diploma per l'insegnamento ginnasiale. Alcuni infine intraprendono altre carriere, cui mercè, possono in breve spazio di tempo giungere a procurarsi mesto sostentamento. [459] Queste scuole secondarie pel passato furono sempre considerate come opere di zelo e di carità, perciò il signor Ministro della pubblica istruzione in più occasioni le raccomandò, le incoraggi, e fra le altre cose compiacevasi di significare all'esponente che quel Ministero desiderava di concorrere con tutti quei mezzi che erano in suo potere, affinchè queste nostre scuole avessero il maggior loro sviluppo[226]. I maestri furono il Direttore coadiuvato da alcuni allievi dello stabilimento ed anche da persone esterne; ma tutti lavoravano gratuitamente. Perciò i Regi Provveditori agli studi per lo spazio di oltre venti anni prestandosi in senso il più favorevole, lasciarono piena libertà di insegnare quelle scienze che si giudicavano più opportune pel bene dei giovani senza badare se il maestro fosse o no patentato. Solamente da qualche anno il Regio Provveditore, sebbene in modo assai benevolo, considerando questo stabilimento soltanto come pubblico ginnasio convitto, vorrebbe sottomettere queste scuole a tutte le leggi e discipline con cui sono governati e diretti i pubblici collegi, e fra le altre cose vuole, che gli insegnanti delle rispettive classi presentino i loro diplomi o titoli equivalenti. Ora non potendosi se non con dispendio provvedere tali maestri, perchè lo stabilimento è totalmente gratuito, sarebbero nel pericolo di dover cessare con danno grande di tanti figli del basso popolo, che pure hanno ingegno e volontà di fare i corsi secondarii che loro aprirebbero la strada per guadagnarsi da vivere onestamente.
Dopo tale esposizione io prego rispettosamente la E. V. che:
1° In considerazione dell'articolo 251 della legge sulla pubblica istruzione, in cui è fatta facoltà ai padri di famiglia ed a chi ne compie le veci di far dare ai loro figliuoli o congiunti l'istruzione secondaria, prosciolta da ogni vincolo di ispezione per parte dello Stato:
2° che dispensa le persone, che insegnano a titolo gratuito ai poveri fanciulli delle scuole elementari e tecniche, coll'articolo 356 dal far constare la loro idoneità:
3° in considerazione eziandio di quanto V. E. pronunziava testè nella Camera dei Deputati con cui proclamava voler concedere ogni possibile facilitazione alla libertà dell'istruzione, si conceda al Sac. Giovanni Bosco, Direttore dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, coadiuvato da caritatevoli persone, di compartire l'istruzione secondaria ai poveri giovani ricoverati in detto stabilimento in conformità degli articoli mentovati cioè, dispensarli dal far constare la loro idoneità all'autorità scolastica siccome per oltre a ventitrè anni sè praticato. Questo favore non ridonda a vantaggio di alcun privato, giacchè le scuole sono gratuite e gli insegnanti si prestano pure gratuitamente, ma torna a totale vantaggio di poveri fanciulli, i quali non potrebbero in verun modo coltivare l'ingegno che il Creatore si degnò loro di concedere. [460]
Il desiderio da V. E. in più occasioni dimostrato di coadiuvare il libero insegnamento, mi fa sperare che sarà preso in benigna considerazione quanto è qui esposto, che i giovanetti di questo stabilimento avranno un motivo di più per offrirle gli atti della più sentita loro riconoscenza. Mentre invoco le benedizioni del cielo sopra di lei ho l'alto onore di potermi professare
Egli dovette nel medesimo tempo invocare l'appoggio anche di altri Ministri; infatti la stessa richiesta troviamo che fu presentata pure al Ministro della Guerra, con la sostituzione però di questo esordio al precedente: “Supplico V. E. a voler considerare il Direttore di questo stabilimento come padre dei giovani ivi ricoverati, cui realmente provvede quanto loro è necessario per la vita materiale e morale, essendo l'insegnamento totalmente gratuito, ed amministrato a giovani poveri che non hanno altro mezzo per procacciarselo; che sarebbe un gran beneficio materiale e morale, qualora si potesse liberamente somministrare l'istruzione secondaria a detti giovani, secondo la loro capacità e bisogni”. Quindi passava a formulare la sua domanda.
Finchè fu il Coppino Ministro della Pubblica Istruzione, nulla venne a disturbare la tranquillità dell'Oratorio; ma caduto quegli nel marzo del '78 e succedutogli il De Sanctis, le cose presero un'altra piega, come vedremo
Non meno che agli studenti le sollecitudini di Don Bosco andavano pure agli artigiani, di cui voleva perfezionare i laboratori. Tutte le macchine, eccetto quelle della tipografia, dove agiva un dispendioso motore a vapore, andavano a forza di braccia e quindi con maggior fatica e minor rendimento, che se vi si fosse applicata l'energia idraulica. Pensò dunque di chiedere al Municipio di condurre nelle sue officine la forza motrice dalla Ceronda. Chiamasi tuttora con questo nome un canale sotterraneo derivato dalla Dora e gettantesi nel Po attraverso l'attuale Corso Regina Margherita. Questa [461] acqua anche con parecchie ramificazioni distribuiva la forza motrice a diversi stabilimenti industriali. La sua turbina funzionava proprio nel sito, dove oggi l'edifizio della Società Editrice Internazionale spinge il suo angolo fra la piazza di Maria Ausiliatrice e il corso testè menzionato. Don Bosco nel mese di novembre presentò la sua domanda per una forza di trenta cavalli e ordinò all'ingegnere Spezia di escogitare una forma di motore adatta per l'Oratorio e in base a tale misura di energia. Sembra che egli nutrisse fondata speranza di ottenere quanto chiedeva; poichè in una seconda istanza leggiamo: “La prego di mandare in considerazione il lavoro di costruzione già in corso, la natura di questo istituto che vive di sola beneficenza, il numero degli operai che si occupano, l'essere noi stati dei primi ad ascriversi; e quindi volerci concedere, se non la forza di 30 cavalli promessa, almeno quella maggiore quantità di forza che fosse ancora disponibile”. Il Sindaco non voleva concedere più della terza parte, nè valsero a smuoverlo gli schiarimenti trasmessigli per dimostrargliene l'insufficienza.
Più fortunate furono le trattative del Beato col Municipio per due altri affari. Il piano regolatore di Valdocco portava il prolungamento della via Fiando, la quale sarebbe venuta a tagliare nel mezzo l'orto dell'Oratorio. Il suo tracciato, tanto per ispiegarci, staccandosi da via Cigna e penetrando nel recinto parallela al primitivo edifizio centrale, avrebbe attraversato l'attuale cortile degli artigiani all'altezza del vialino che conduce al monumento di Domenico Savio; vogliamo dire, dove ne incontra i primi alberetti chi vi si avanza venendo dal cortile degli studenti[227]. Il Servo di Dio, che spingeva lo sguardo nell'avvenire e voleva salvare tanto di terreno che bastasse alle future espansioni dell'Istituto, ne fu preoccupatissimo. Presentò quindi le sue osservazioni al Sindaco in una lettera del 21 novembre, nella [462] quale, mentre lo assicurava non essere sua intenzione di recar disturbi nè muovere difficoltà al Municipio nelle opere imposte dall'interesse pubblico, aggiungeva: “Il sottoscritto si limita solo a fare osservare che con il prolungamento di via del Fiando si viene a tagliare per circa metà un orto cintato che fa parte integrante dell'Istituto, con l'inconveniente che per accedervi si dovrebbe attraversare la via pubblica”. Le sue ragioni trovarono ascolto; poichè nelle successive modificazioni il piano regolatore non comprese più quel deprecato prolungamento.
Col Municipio nell'anno stesso aveva già condotta felicemente a termine un'altra pratica analoga a questa. Il medesimo piano regolatore in un primo tempo conteneva una nuova via da intitolarsi a Carlo Botta, la quale, intersecando via Cottolengo e correndo parallela alla chiesa di Maria Ausiliatrice dal lato di tramontana, attraversava la proprietà di Don Bosco secondo una linea che oggi da quell'altro cortile degli artigiani per il cortile dell'Oratorio festivo andrebbe a stroncare l'ala dei grandi refettori, di fronte alla lavanderia[228]. Una memoria redatta dell'ingegnere Spezia e firmata da Don Bosco il 17 luglio metteva in rilievo la somma importanza e il continuo ingrandirsi dell'Opera Salesiana per inferirne la necessità di non sancire proposte che, causando espropri, impedissero ulteriori sviluppi edilizi facilmente previdibili e col tempo indispensabili a costituire un centro adeguato ai bisogni futuri. Anche l'apertura della nuova via scomparve in seguito dal piano regolatore. Così grazie alla preveggente accortezza e all'azione risoluta del Beato Fondatore la casa madre dei Salesiani è potuta essere quello che è.
PERSONAGGI benevoli e altolocati invitavano Don Bosco a Roma per chiarire nettamente lo stato delle cose; egli stesso non vedeva ormai altra via di uscita che andare in persona a prendervi le proprie difese da imputazioni, che sarebbero gravate chi sa fino a quando sulla Congregazione Salesiana, pregiudicandone oltremodo le sorti in quel delicato periodo del suo definitivo organizzarsi. Ma in tutto questo noi ravvisiamo oggi la mano della Provvidenza, che invisibile guida gli eventi umani.
Quell'andata, già così poco lieta a causa del suo oggetto, e che ripugnava estremamente all'indole di Don Bosco, fu ancora preceduta da funesti presagi o previsioni, che si vogliano chiamare; poichè sul partire egli lasciò chiaramente intendere che l'Oratorio durante la sua assenza sarebbe dovuto sottostare a dure prove. Don Vacchina, allora docente nella prima ginnasiale, assicura di non aver mai dimenticato che Don Bosco, poco prima di partire per Roma, disse in una "buona notte": - Quest'anno scompariran dalla scena di questa vita due grandi personaggi, di cui parlerà tutto il mondo, ed anche l'Oratorio sarà visitato dalla morte e molto. [464] Arrivò a Roma il 22 dicembre, avendo fatto una fermata di due giorni a La Spezia. Questa volta prese alloggio in via Tor de' Specchi insieme col suo segretario. D'ora in avanti egli e i Salesiani avranno in uso dirimpetto al celebre Monastero un appartamento, del quale dobbiamo fare un po' di storia.
La benemerita madre Maddalena Galeffi, mossa da zelo per l'istruzione religiosa non solo delle Signore componenti la casa da lei presieduta, ma anche di tante altre persone e stimolata pure dal desiderio di compiere una caritatevole opera a vantaggio dell'Oratorio, si faceva spedire da Don Bosco molte e svariate pubblicazioni, che ella cercava industriosamente di esitare: erano libri ascetici, manuali di pietà, racconti morali ed ameni; ed anche immagini, medaglie, corone, crocifissi e simili. Dal 1870 in poi di questi oggetti le si mandavano grandi casse, a ognuna delle quali i librai dell'Oratorio univano un catalogo con la specifica dei prezzi relativi, restando sempre inteso che al mittente bisognava rimettere l'ammontare. In breve tempo lo smercio divenne larghissimo, sicchè le ordinazioni si moltiplicavano; quanto alle somme ricavate dalla vendita, la buona Presidente o le inviava di tanto in tanto a Torino o le consegnava nelle mani di Don Bosco o le affidava ad altri da lui incaricati. Finalmente nel '74 ella pensò di richiedere al Beato un conto più preciso dell'importo, totale e delle somme versate, ed ecco che allora ebbe la sgradita sorpresa di trovare che a suo debito rimaneva una partita ancor molto rilevante, della quale non era in grado di fornire alcuna spiegazione. Era stato sempre suo convincimento che le somme spedite rappresentassero tutto il ricavato dalle vendite successive in base ai prezzi di tariffa, mentre le cose stavano in ben altro modo. La ragione fu che in questo negozio la Presidente si serviva dell'opera altrui, avendo affidato a una persona secolare di sua fiducia tutta la contabilità e il disbrigo delle operazioni finanziarie; ma sembra che nel maneggio del [465] danaro non ci fosse troppa esattezza. La madre Galeffi, che non aveva alcun sospetto, continuò l'opera buona fino alla morte, ingegnandosi di coprire a poco a poco il disavanzo.
Avvenuta la sua morte nel gennaio del '76, la nuova Presidente marchesa Canonici, tenutone proposito con Don Bosco, potè verificare a danno di lui una scadenza di lire 20.133, 32, che non apparivano pagate, sebbene le merci fossero state spedite e ricevute. La nobildonna, sebbene avesse diritto di eccepire che la Casa di Tor de' Specchi non doveva dirsi obbligata per i contratti personali della defunta, pure sia in ossequio alla buona memoria della compianta Superiora sia per delicati riguardi verso Don Bosco, mostrò desiderio di comporre equamente le vertenza. Allora il Beato, a cui interessava di avere in Roma un procuratore generale della Congregazione e un punto di recapito per sè e per i suoi, domandò come compenso che la Casa di Tor de' Specchi gli concedesse l'uso gratuito di alcune camere per abitazione. La madre Canonici, previo il consenso delle signore Oblate, annuì di buon grado, mettendo a sua disposizione tutto il secondo piano di una casa appartenente al Monastero e situata là di fronte col numero 36[229]. La concessione non poteva in alcun modo superare la durata di trent'anni, esclusa anche la facoltà di sublocare in tutto o in parte le camere. In corrispettività Don Bosco si riteneva saldato e soddisfatto del suo credito sia nel caso che si servisse della concessione per l'intero trentennio sia che gli piacesse di servirsene per un tempo minore od anche di non servirsene affatto. La relativa scrittura venne firmata nel marzo seguente[230]. I lettori non immaginino che fosse un grande appartamento: una porticina immetteva dalla strada a una scaletta angusta e logora, che portava a cinque stanzuccie strette e basse, dove si soffocava dal caldo l'estate e si basiva dal freddo l'inverno. [466]
Allogatosi nella povera dimora, Don Bosco spese la prima settimana andando attorno per conoscere i sentimenti dei Cardinali sulle sue vertenze torinesi e per informarsi sui termini precisi delle accuse mossegli. In via molto confidenziale, gli furono comunicate parecchie lettere importanti, tre delle quali dirette a Pio IX. In una si diceva che Don Bosco spingesse i giovani a fermarsi nella sua Congregazione senza esaminare se avessero vocazione o no e che anzi li mettesse nell'impossibilità di prendere altra carriera. In un'altra si accusava il Beato di non tenere in conto alcuno i sacri canoni, anzi addirittura di calpestarli, pur di accrescere il numero de' suoi. Nella terza si asseriva che presso i Salesiani non vi era nè ordine nè disciplina e che s'insinuava nei sudditi il disprezzo dei loro Vescovi.
Conosciuti questi ed altri capi d'accusa, in parte a noi già noti, il Servo di Dio si accinse a raccogliere e ordinare il materiale per una efficace difesa. Il suo segretario dovette scrivere molte lettere a tutti coloro, che fossero in grado d'inviargli relazioni su fatti incriminati; parecchi amici di Don Bosco che seppero il perchè del suo viaggio a Roma, spontaneamente gli mandavano relazioni sui convegni di Torino e su quanto presumessero dover tornare di qualche utilità alla sua causa. Per Don Bosco lavoravano a Torino il padre Rostagno[231] e Don Bertagna, stendendogli memorie defensionali con tutto il necessario apparato giuridico. Del padre gesuita scriveva Don Berto a Don Rua il 30 dicembre: “La prego ancora di dire al P. Rostagno che se ha già preparato qualche cosa, ce la spedisca presto, mentre il tempo è propizio. Sarà bene che Ella vada a trovarlo e lo solleciti a mandarci ciò che egli sa”. Il già capo delle conferenze nel [467] Convitto Ecclesiastico[232] manifesta tutto il suo impegno in una lettera del 2 gennaio a Don Berto. “Tutti gli elementi, scrive, sono pronti e saranno spediti per la posta con raccomandazione non più tardi dell'Epifania, coll'aggiunta di tutte quelle osservazioni che possono favorire lo sviluppo di tutte quelle parti degne di esame e di provvedimento. Vi sarà anche qualche osservazione sulle cose pubblicate ultimamente. Insomma si procurerà che non resti nulla a desiderare... Tante belle cose per parte mia e per parte degli amici a chi lavora indefessamente per il bene di tutti e si fa amare universalmente”.
Il da fare stringeva talmente, che sulle prime Don Bosco non si affrettò a chiedere udienza dal Papa. “Siamo oppressi dal lavoro, scrisse Don Berto a Don Rua il 30 dicembre; gli avvenimenti incalzano”. E da capo il 15 gennaio: “Non abbiamo ancora potuto vederlo [il Papa] pel troppo lavoro che sino adesso ci tenne occupati”. A metà di gennaio l'udienza doveva già essere stata chiesta; ma Don Berto ignorava quello che Don Bosco non gli diceva e che presto noi sapremo. Il Beato conosceva troppo bene il tempus tacendi. Taceva, voleva che si tacesse, ma operava indefessamente. Il 3 gennaio informava Don Rua: “Il nostro silenzio e la preghiera faranno quanto sarà della maggior gloria di Dio. Io però non istò inoperoso. Benevolenza presso di tutti. Da fare immenso. Fu aggiunto un nuovo segretario „[233] [468]
E pochi giorni dopo: “Le cose nostre procedono bene; pasticci, disturbi lunghi, ma pur molto utili. Silenzio, preghiera, niun timore”. A. Don Francesia il 13: “Gli affari per cui sono in Roma vanno undequaque favorevolmente, ma sono un po' lunghi. Pazienza”.
Da una lettera a Don Rua non datata, ma certo della metà di gennaio apprendiamo alcuni motivi che inducevano Don Bosco a così bene sperare. Scriveva: “Puoi anche comunicare in confidenza [al Capitolo Superiore] che le cose nostre vanno assai bene. Il Consultore dei Vescovi e Regolari[234] ha già esaminato tutte le imputazioni dell'Arcivescovo; ma conchiuse che non ve n'è una che regga, e che la nostra Congregazione ha niente di biasimevole verso di lui. Ora io ho presentato un mucchio di reclami ossia le lettere vessatorie. Tutti i Cardinali sono sbalorditi e non sanno che deliberare, ma tutti prendono le nostre parti e vogliono farei una posizione normale e tranquilla”.
Un solo Cardinale gli dimostrava una certa diffidenza, l'Eminentissimo Ferrieri, Prefetto dei Vescovi e Regolari, molto propenso per monsignor Gastaldi, al quale lo univa comunanza d'idee filosofiche. Tempo addietro, parlando con suoi dipendenti, aveva detto che quando gli si presentasse Don Bosco, avrebbe usato molte cautele, perchè temeva di essere preso in parola[235]. Don Bosco fu da lui sul principiare del nuovo anno; dopo di che gli scrisse la lettera del 7 gennaio da noi riferita sopra nel capo undecimo. Ivi il Beato, dicendo di voler sopperire a una dimenticanza occorsagli nell'udienza, esponeva sommariamente, ma con molta chiarezza le proprie ragioni. Su quella stessa udienza un po' di luce viene proiettata da un prezioso documento alquanto posteriore. È una lettera che il Servo di Dio indirizzò l'8 settembre 1882 da [469] S. Benigno Canavese a Don Dalmazzo, allora Procuratore generale in Roma. Trattando ivi del cardinal Ferrieri, dice: “Sono cinque anni da che si degnò di ricevermi, d'allora in poi malgrado ogni dimanda, ogni lettera, non ho più potuto ottenere nè udienza nè risposta per iscritto. In quella unica udienza mi rimproverò l'accusa che faceva l'Arcivescovo di Torino, che non si domandavano le lettere testimoniali nell'accettare in Congregazione. Ho risposto che tali testimoniali si chiedevano sempre; ma quando nascevano difficoltà, io mi serviva della facoltà concessa dalla Santa Sede di farne a meno. - Chi concedette questa facoltà? - rispose alquanto incollerito. - Il Santo Padre, risposi, il benemerito Pio IX. Tutta la pratica sta ai Vescovi e Regolari, ed io ne ho copia autentica. - Da questo momento cessa questa facoltà, e si guardi dal servirsene in avvenire! - Io non so se un Prefetto di Congregazione abbia la facoltà di sospendere un favore così formalmente concesso. Comunque sia, io mi sono limitato di rispondere che mi rimetteva ai suoi ordini, e non mi sono mai più servito del privilegio mentovato”.
L'8 gennaio fulminea partì dal Quirinale la notizia che re Vittorio Emanuele II versava in gravi condizioni, e il 9, ch'egli non era più. Quel lutto così inopinato aperse gli occhi ai Salesiani dell'Oratorio sopra una disposizione data da Don Bosco verso la fine del 1877. Dal '62 non si udivano quasi più in nessuna chiesa del Piemonte le preci liturgiche per il Sovrano; nell'ufficiatura del venerdì e sabato santo e in altre sacre funzioni il nome di Vittorio Emanuele non veniva più pronunziato pubblicamente. Sulle prime alcuni zelanti avevano denunziato il fatto al Governo; ma nel '63 ai 24 di marzo il ministro Pisanelli dichiarò che quella omissione non costituiva reato passibile da parte delle leggi. Anche nell'Oratorio si faceva così; Don Bosco però, qualche tempo prima di andare a Roma, senza che nessuno ne sapesse il perchè, aveva ordinato di ripigliare l'Oremus pro rege nella benedizione. Don Lazzero dal pulpitino della " buona notte" insegnò [470] a rispondere al Domine, salvum fac regem nostrum Victorium Emmanuelem. In quell'atto così inesplicabile parve dunque di scorgere l'indizio di un presagio dei bisogni spirituali, a cui l'anima del Re doveva andare prossimamente incontro.
Una manifestazione sola è giunta fino a noi dei sentimenti di Don Bosco in quella congiuntura: l'abbiamo in una sua lettera del 12 gennaio al conte Cays, al quale scriveva: “Io qui sono tra funerali e danze, dice la commedia[236]. Tutto si andava preparando per la morte del Papa e pel Conclave, e si dice che tutto il Quirinale dovesse ornarsi a lutto. Ma Dio mutò l'argomento che trattava la mente degli uomini. Il Papa prende miglioramento ed ora si può dire in ottimo stato di salute relativamente alla sua età. Egli si nutrisce; riceve, scherza, e i medici assicurano che nella primavera egli potrà benissimo ripigliare le sue passeggiate per le sale del Vaticano. Al contrario il lutto del Quirinale dovette servire per chi l'aveva preparato. Avvi però grave motivo di benedire il Signore. Col ricevere i SS. Sacramenti, assicurò, speriamo, la salvezza dell'anima sua, darà un terribile esempio a tutta l'Europa che vede un Re in buona età, sano, robusto e in tre giorni fatto cadavere. Ha pure tolto la Chiesa da veri imbarazzi, in cui sarebbesi certamente trovata, qualora avesse dovuto rifiutare i funebri e gli altri suffragi di Chiesa. Si dice che presso il Card. Vicario esista una formale ritrattazione, firmata dal Re. Quello che è certo [si è] che negli ultimi momenti chiese carta e penna, che gli furono negate dicendo che in que' momenti ne avrebbe avuto troppo grave nocumento[237]„. [471]
Rispondeva a verità la voce raccolta da Don Bosco circa il lutto di corte in previsione della vicina morte di Pio IX. Prima che fiera polmonite troncasse così bruscamente l'esistenza del monarca, si era paventato per la vita del Papa. Dal settembre in poi la sua salute andava sempre più declinando, sicchè Vittorio Emanuele, preoccupato del caso, diede ordine per i preparativi del lutto, sottoscrivendo il 31 dicembre le disposizioni concernenti i funerali pontifici; ma nel corso del mese appresso il Papa venne riacquistando di giorno in giorno sempre nuove forze, il che fece dileguare a Roma e nel mondo i timori concepiti. Anzi il vedere come egli avesse ripreso le udienze, parve offrire argomento a bene sperare.
I funerali del Re diedero occasione a incresciose polemiche ed anche a processi contro Vescovi. Fra cattolici incontrò censure la condotta e il linguaggio di monsignor Gastaldi, come a noi risulta da corrispondenze private di sacerdoti torinesi; ma la stampa buona non se ne occupò se non una volta, quando un foglio liberale tirò in ballo il nome di Don Bosco. La Nazione di Firenze nel suo numero del 1° febbraio fece sapere ai suoi lettori che Don Bosco si era recato a Roma espressamente “per protestare contro la condotta tenuta da Mons. Arcivescovo di Torino, in occasione della morte di Vittorio Emanuele „. La tendenziosa notizia poteva danneggiare non poco il Servo di Dio; onde fu provvidenziale una nota ufficiosa de L'Osservatore Romano, dove, riferite le parole della gazzetta fiorentina sullo scopo dell'“ egregio sacerdote torinese Don Bosco” nella sua andata a Roma, si diceva: ““La origine e la provenienza di tali dichiarazioni ci dispensano dal dichiarare che sono una sciocca invenzione”.
Motivi ben più seri trattenevano Don Bosco a Roma. Oltre quelli già noti, egli volgeva sempre nell'animo il pensiero dei privilegi e con la sua costanza invitta, quando si vedeva chiusa una via, andava in cerca di un'altra. Ne è [472] prova questa lettera al padre Tosa domenicano, consultore dei Vescovi e Regolari[238]:
Le trasmetto copia del Rescritto con cui furono concessi agli Oblati di M. V. per communicationem i privilegi dei Redentoristi.
Segue la lettera ap[ostolica] di Leone XII che loda, approva, concede in modo stabile ed invariabile le facoltà necessarie. Oh se potesse mai ottenere per noi altrettanto! Ella sarebbe per sempre nostro insigne benefattore.
Intanto gli imbrogli crescono ogni giorno più. Nuove pubblicazioni di giornali, nuove sospensioni di preti, agitazione grandissima in Torino.
Faccia quello che può per arrestare i mali, noi studieremo di ricompensarla col debole concorso delle nostre preghiere.
Mi doni la sua santa benedizione e mi creda con profonda gratitudine
Nuove tristissime gli pervenivano dall'Oratorio. Il prefetto esterno scriveva a Don Berto[239]: “Di' a Don Bosco che mandi presto una benedizione sull'Oratorio tutto, perchè pare che quest'anno le malattie e la morte abbiano portato qui il loro quartiere”. Tosto il Beato scrisse a Don Rua[240]: “Prendo viva parte alle malattie che molestano la nostra casa di Valdocco. Noi benediciamo sempre il Signore nelle cose prospere ed avverse. Tuttavia io farò ogni giorno un memento speciale nella S. Messa; facciano altrettanto i preti dell'Oratorio; i giovani tanto artigiani quanto studenti facciano la S. Comunione, e dopo le orazioni si dica ogni sera da tutti una Salve Regina ed un Pater a Gesù Sacramentato per due settimane. Dimanderò pure una speciale benedizione dal S. Padre, cui non potei ancora parlare, ma che spero [473] avere udienza quanto prima”. In tredici giorni più di cento giovani avevano dovuto andare a casa per malattia; al I° febbraio vi erano già sette morti, oltre parecchi moribondi[241]. Il 4 febbraio Don Rua comunicò a Don Berto: “Dei giovani in generale... abbiamo notizie proprio desolanti a dare, che tu favorirai comunicare bellamente a Don Bosco. Dopo la morte di Omodei cinque giovani morirono alle case loro... Ieri poi morì a Lanzo il caro chierico Arata di malattia violenta dopo quattro giorni di letto. Qui abbiamo di nuovo uno in pericolo di vita... Forse una quinta parte degli studenti sono a casa per motivi di salute, e forse anche più di un quinto. Vedi quanto abbiamo bisogno di preghiere. Prega dunque tu e dillo anche a Don Bosco, sebbene non occorra. Queste cose le diciamo in confidenza, del resto neppure ai giovani lasciamo saper tutto, per non allarmare nè essi nè i parenti”. In una lettera senza data di giorno, ma che sembra scritta dopo queste informazioni, ripetuto il ritornello “Da fare immenso!”, Don Bosco dice a Don Rua: “Visitando i nostri cari figli infermi salutali tutti da parte mia e di' che io prego per loro nella S. Messa e che di tutto cuore loro mando la mia paterna benedizione”. Un po' di miglioramento cominciò allora a verificarsi: verso la metà di febbraio il malanno era cessato. Sembra che si trattasse di epidemia tifoidea.
Dunque ai 24 di gennaio Don Bosco non aveva ancora potuto vedere il Papa. Appena inteso che le udienze erano state riprese, aveva fatto domanda di esservi ammesso, ma non veniva alcuna risposta. Egli non ignorava che i giorni di Pio IX erano contati; perciò gli premeva oltre ogni dire di portarsi ancora una volta all'augusta presenza del suo più insigne benefattore, tanto più che gli stava sempre fitta in cuore la spina causatagli dal sentire che Pio IX soffriva per cagion sua. Rinnovò a due riprese le sue istanze presso [474] il Maestro di camera, ma sempre invano. Si recò parecchie volte a S. Pietro, aggirandosi nei pressi del Vaticano, con la speranza di qualche felice incontro che gli agevolasse l'appagamento del suo desiderio. Anche Pio IX lo aspettava; infatti Don Bosco seppe che egli aveva detto ripetutamente lamentandosi: - So che Don Bosco si trova a Roma e non vien neppure a vedermi; e io ho cose importanti da dirgli. Io non l'ho trattato così Don Bosco. Oh, l'ho trattato meglio io! - Don Bosco palesò il suo dolore al cardinal Oreglia. Il Cardinale si prese a petto la cosa e, scoperto che vi era dell'intrigo, fece conoscere al Papa la verità e ne mosse rimprovero al Maestro di camera; ma tutto fu inutile. Eppure questo prelato, se occupava un posto così cospicuo nella corte pontificia, lo doveva proprio a Don Bosco, secondo che narra distesamente Don Lemoyne[242]. Così avvenne che Don Bosco non rivide vivo l'angelico Pio IX.
Di qui si scorge fin dove arrivasse in Roma l'azione de' suoi oppositori. Ma egli ne ebbe altre prove. L'arcivescovo di Siviglia, monsignor Gioachino Lluch y Garriga, era stato da lui per supplicarlo di aprire una casa salesiana nella sua diocesi. Don Bosco gli rispose che avrebbe accondisceso al suo desiderio, se gli avesse ottenuto dalla sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari la comunicazione dei privilegi.
- Oh! la cosa è facilissima, rispose il prelato.
- Non la creda tanto facile, gli osservò Don Bosco.
- Oh, vedrà! Io le ottengo subito questo favore.
Presentatosi al Cardinal Ferrieri, gliene parlò come chi si ritiene sicuro del fatto suo. Ma il Prefetto della sacra Congregazione gli troncò la parola con un - No! - bruschissimo e senz'altro gli voltò le spalle. Il medesimo Cardinale aveva già detto a Sua Santità: - Se vogliono concedere i privilegi a Don Bosco, aspettino che io sia morto!
L'impossibilità di comunicare direttamente col Cardinal [475] Prefetto aggravava ogni di più la condizione del Servo di Dio, che senz'aspettare il giudizio conclusivo su tutta la vertenza, aveva bisogno urgente di ovviare a parecchi guai. Il recente Calendario diocesano di Torino conteneva disposizioni nuove e ne ribadiva di anteriori, che violavano l'autonomia legittima della Congregazione; qualche atto di fresca data diffamava i Salesiani di fronte al clero dell'Archidiocesi; da sei mesi durava tuttora la irregolare e imbarazzantissima sospensione di Don Lazzero; rimanevano sempre in pieno vigore le lettere episcopali, che comminavano la sospensione allo stesso Don Bosco. Per tutti questi motivi il Beato, non avendo miglior partito a cui appigliarsi, mandò a monsignor Bianchi, arcivescovo di Mira e segretario della sacra Congregazione, suo benevolo, una memoria o supplica, corredandola degli opportuni allegati.
Con mio vero rincrescimento debbo significare a V. E. Rev.ma che Mons. Arciv. di Torino non desiste dalle disposizioni, che, sebbene siano onerose a tutte le corporazioni religiose, sono in misura eccezionale per la Congregazione Salesiana.
La Santa Sede proibì a questo prelato di divulgare cose relative alle nostre attuali vertenze. Mons. Gastaldi ricorse a pubblicità ufficiali del Calendario liturgico e delle pastorali.
In quest'anno egli approva i moniti e decreti degli anni passati e ne aggiunge dei nuovi. Egli vuole entrare nell'interna amministrazione delle case religiose, e quindi turbare la preziosa autonomia con cui quelle sono legate colla Santa Sede, da cui sono state approvate e da cui devono direttamente dipendere. Di questi Moniti e Decreti si unisce copia autentica.
Colla data poi dell'8 gennaio testè passato pubblicò una Circolare in cui al N° 8° si dice: “I RR. SS. Superiori dei Regolari manderanno, secondo l'usato, direttamente alla Curia le patenti dei loro confessori e predicatori, avvertendo di metterle per ordine alfabetico e di uniformarsi al prescritto pei Sacerdoti secolari in tutto quello che li può riguardare, ed esplicitamente dichiarando se i loro sudditi si siano accostati frequentemente alla Confessione Sacramentale”.
I regolari dimoranti a Torino hanno dichiarato di non stare a tale disposizione, quindi noi ci troviamo nella dura alternativa di agire diversamente dagli altri, o di cimentare la sospensione di tutti i confessori Salesiani che esercitano il Sacro Ministero in quella Diocesi. [476] Colla data dei giorno 12 stesso mese venne diramata una pastorale che i Parroci devono pubblicare; quelli che l'hanno letta unanimi asseriscono che fa seguito a quella del 4 agosto 1877 e ravvisano chiaro due allusioni dannose alla congregazione Salesiana: cioè che noi facciamo una violenza morale per indurre i nostri allievi a farsi religiosi.
La stessa accusa fu già fatta dallo stesso Arcivescovo e diretta alla S. Sede con asserzione totalmente gratuita, nè alcuno potrà mai addurre ombra di prova.
Coll'altra allusione accenna i Collegi cui devonsi dai Parroci indirizzare i giovani studenti e dice che questi soltanto somministrano chierici al Seminario Maggiore; mentre [non] nomina nemmeno tre nostri Collegi che dal 1847 al 1877 hanno dato tre quarti dell'attuale Clero della Diocesi di Torino. Mi si dice che si stiano preparando altre pubblicazioni dello stesso genere.
Mentre colla massima venerazione espongo queste cose alla E. V. credo di compiere uno stretto mio dovere di porgere umile, ma calda preghiera a V. E. e per mezzo di Lei all'Em.mo Cardinale Prefetto, affinchè si degnino di usare della efficace loro autorità per togliere la sospensione che da 6 mesi, senza motivo e senza forma canonica, gravita sopra il Reverendo D. Lazzero Rettore della Casa Madre di Torino.
Nel tempo stesso che cessi il rifiuto delle sacre ordinazioni ai chierici Salesiani, onde provvedere all'attuale penuria di Sacerdoti della Congregazione. In fine siano dichiarate prive di effetto le lettere minaccianti sospensione allo stesso Superiore Generale della Congregazione Salesiana.
Queste misure sono indispensabili perchè possa tornare la calma tra i poveri Salesiani che sono realmente scoraggiati ed impacciati nel lavorare pel bene delle anime, come appunto desiderano, e di cui avvi grande e sentito bisogno.
Col più profondo ossequio e colla massima considerazione ho l'alto onore di potermi professare
Ma la fine di Pio IX doveva ben tosto produrre il ristagno negli affari. Le rosee speranze di un suo ristabilimento nella primiera salute furono alimentate dalle descrizioni dell'udienza concessa il 2 febbraio ai parroci di Roma ed ai rappresentanti dei capitoli e degli ordini religiosi per la [477] consueta offerta dei ceri. Il Papa allora pronunziò con voce limpida un discorso, che chiuse raccomandando caldamente l'istruzione religiosa dei fanciulli. In quella festa della Madonna, che segnava il settantacinquesimo anniversario della sua prima comunione, a Roma e fuori fu un accorrere di fedeli e specialmente di giovanetti alla sacra mensa, animati dal pensiero di pregare per il Papa. Quelle preghiere di tante anime buone e di tanti fanciulli innocenti lo dovevano accompagnare all'eternità. Nella notte sul 7 di febbraio il male che da tempo lo travagliava, improvvisamente si acuì. La mattina il Santo Padre ricevette gli ultimi sacramenti e all'Ave Maria della sera il grande e longevo Pontefice si addormentò nel Signore, proprio nell'ora prevista da Don Bosco il 7 febbraio dell'anno antecedente.
Fino agli estremi suoi giorni il buon Pio parlò di Don Bosco. Nonostante le brighe e i dispiaceri che a Don Bosco non davano tregua, il Servo di Dio per il 29 gennaio, festa di san Francesco di Sales, aveva preparato a Tor de' Specchi un'adunanza, nella quale tenne la prima conferenza ai Cooperatori Salesiani. Vi assistette anche il Cardinal Vicario Monaco Lavalletta. Orbene pochi giorni dopo il Papa volle udire da Sua Eminenza una minuta relazione di tutto, compiacendosene paternamente. Quasi alla vigilia poi dei suo transito parlò nuovamente del Beato con il cardinal Simeoni, Segretario di Stato, e gli disse: - Oh! Don Bosco è un uomo che fa molto bene, è un uomo prodigioso io lo stimo e gli voglio bene. Ma nelle Missioni manda individui troppo giovani e quindi temo che le sue Missioni finiscano come quelle dei... - I timori, ispirati al caro Pontefice dall'amore, non si avverarono; ma è giusto notare com'egli non dicesse così per suo personale convincimento, bensì per le insinuazioni di persona, che cercò di screditare presso di lui le Missioni salesiane, affinchè egli non le favorisse tanto. La sera stessa della morte Don Bosco scrisse queste memorande parole a monsignor Rosaz, vescovo eletto di Aosta: “Oggi [478] alle 3½[243] si estingueva il sommo ed incomparabile astro della Chiesa, Pio IX. I giornali Le daranno i particolari. Roma è tutta in costernazione e credo lo stesso in tutto il mondo... Entro brevissimo tempo sarà certamente sugli altari”. Petizioni perchè ne fosse introdotta la causa di beatificazione, cominciarono nel marzo di quello stesso anno a essere inviate da cattolici italiani; nel 1907 Pio X permise che la causa fosse introdotta e ne costituì il tribunale sotto la presidenza del cardinal Cretoni, prefetto della Congregazione dei Riti[244].
Una curiosa particolarità, ignorata dai giornalisti, troviamo ricordata da Don Berto e confermata da Don Bosco. Verso le cinque e tre quarti di quella sera il Beato e il suo segretario scendevano dal Campidoglio, quando i lupi, che a ricordo di remotissima leggenda il Municipio di Roma alleva e mantiene sul declivio del colle, si misero a ululare così forte e in tono così mesto per oltre cinque minuti di seguito, che i passanti si fermavano e un signore vicino a lor due esclamò: - Piangete, piangete pure, che il nostro Santo Padre è morto! - “Infatti, scrisse Don Bosco in margine alle memorie di Don Berto, era morto in quell'istante, come poi si verificò”. [479]
Il Papa che non potè rivedere vivo, egli contemplò estinto. La sacra salma stette esposta a S. Pietro nella cappella del Santissimo Sacramento dalle ore 7 antimeridiane della domenica 10 febbraio alle 4 pomeridiane del mercoledì 13, secondo le antiche consuetudini, coi piedi fuori del chiuso cancello. L'onda del popolo fu immensa e continua per tutti i quattro giorni. Scrive Don Berto in data 12 febbraio: “Siamo penetrati in 8, Pietro a visitare la salma del S. Padre. Si potè baciargli il piede e far toccare vari oggetti”. Don Bosco venne via di là col cuore commosso; ma la sua commozione si cambiò in tenerezza, quando rientrò nella sua dimora. Il 27 gennaio, quasi disperando di ottenere l'udienza, aveva indirizzato al Santo Padre questa supplica, con cui domandava onorificenze per insigni suoi benefattori.
Il sac. Giovanni Bosco umilmente prostrato ai piedi di V. S. ha l'alto onore di segnalare alla clemenza di V. S. alcuni illustri cittadini cui tornerebbe di grande consolazione e di conforto nel bene operare se V. S. loro concedesse qualche titolo di onore. Questi sono: Il Conte Prospero Balbo, dotto e fervoroso cattolico, che impiegò scienza e sostanze per il bene della Religione e fa scuola quotidiana ai nostri orfanelli. Il cav. Giovanni Frisetti, ricco signore ed insigne nostro benefattore. Sig. Emmanuele Campanella ingegnere, che, tra le molte opere di carità, fece gratuitamente i disegni per l'Ospizio di S. Vincenzo in S. Pier d'Arena, ne diresse i lavori, e vi contribuì con dispendio non leggero. Ivi sono ora raccolti oltre a trecento poveri fanciulli. Pel Conte Balbo si chiede col massimo rispetto la croce di commendatore di S. Gregorio Magno. Pel Sig. Giovanni Frisetti e pel Sig. Campanella si fa anche preghiera per la croce di cav. di San Gregorio Magno o di altro ordine che alla B. V. tornasse di maggior gradimento. A nome poi del Vescovo di Vigevano si raccomanda il canonico D. Antonio Belasio illustre uomo apostolico. Esso consuma vita e sostanze pel sacro Ministero, è in continua predicazione; ai nostri giovani ha fatto insigni benefizi. È autore di molte opere in favore della religione. A lui sta molto a cuore di poter appartenere alla famiglia pontificia con qualunque titolo piaccia a V. S. di onorarlo.
Roma, 27, 1878, Torre dei Specchi, 36.
Orbene il Santo Padre due giorni dopo erasi degnato di accogliere benignamente la sua petizione in favore del conte Balbo, riservandosi di prendere in appresso le sue disposizioni riguardo agli altri due; intanto si preparava il Breve che, firmato, rimase fra le carte da spedire. Quel giorno dunque monsignor Pietro Lasagni, nella sua qualità di segretario del Sacro Collegio, rimise a Don Bosco il documento, col quale il conte Prospero Balbo veniva annoverato fra i Commendatori di san Gregorio Magno. Così fu questa l'ultima prova di affezione che il glorioso Pio IX dava al nostro Beato Padre poco prima di partire per l'eternità.
Cessata con la morte del Papa l'autorità del Segretario di Stato, il cardinal Pecci, quale Camerlengo di Santa Romana Chiesa, assunse il governo insieme con i cardinali Di Pietro, Asquini e Caterini. Durante i novendiali, massima preoccupazione del Sacro Collegio furono i preparativi per l'imminente Conclave. Gli Eminentissimi Elettori si sarebbero potuti riunire a Roma? e l'elezione si sarebbe svolta libera e tranquilla, cioè senza tumulti di piazza e senza mene o pressioni o inframmettenze di qualsiasi genere da parte di coloro che sedevano al potere? Di qua e di là si stimolava il Governo italiano a immischiarvisi, in onta alla legge delle guarentigie, che glie lo vietava; avvenivano anche clamorose dimostrazioni settarie in più città d'Italia al grido di “Abbasso le guarentigie!”. Per questi ed altri motivi il Governo non era scevro d'inquietudini. La Capitale del 13 febbraio, sotto il titolo ““Le paure ministeriali” scriveva: “Se dobbiamo credere ai segni apparenti, c'è stata qualche ora di grande apprensione al Ministero. Si temette cioè che in seno ai Cardinali radunati in Congregazione prevalesse il pensiero di riunire il Conclave altrove che a Roma. Questa eventualità si esaminava quasi tremando la si considerava come una irreparabile sventura”. Anche la Libertà del 13 aveva un articolo intitolato “Conclave e Parlamento”, dove diceva: “Non giova sofisticare sulla situazione presente. Essa è [481] grave per se medesima, ma può diventarlo assai più qualora sia commessa una qualsiasi imprudenza. Oggi, come oggi, il più grande interesse nostro è che il Conclave adempia in Roma le sue alte funzioni, non solo in mezzo all'Ordine più perfetto, ma in mezzo a tale tranquillità da togliere ai fanatici ogni pretesto per sostenere che sarebbe stato miglior partito allontanarsi di qua”.
In giorni di sì trepida incertezza l'opera di Don Bosco tornò assai preziosa. Ricevette egli ufficiosamente l'incarico di esplorare quali fossero le reali intenzioni governative; il cardinal Pecci trovò buona e opportuna tale scelta. Si presentò dunque al ministro guardasigilli Pasquale Stanislao Mancini che presiedeva al dicastero di Grazia, Giustizia e Culti; ma questi lo ricevette in modo così villano da non degnarsi neppure di volgere la faccia a quel prete, che gli stava umilmente dinanzi col cappello in mano. Alle rispettose domande di Don Bosco dava risposte secche, quasi ironiche e sprezzanti, sicchè il Servo di Dio nel ritirarsi si credette in dovere di dirgli con dignitosa calma: - Signore, se non altro, rispetti almeno coloro che mi hanno mandato.
Ma egli aveva incarico di trattare specialmente con l'onorevole Crispi, ministro dell'interno. Il primo incontro fu anche nel suo ufficio ben poco incoraggiante. Quando il Beato entrò, quegli stava sprofondato in un seggiolone, tenendo una gamba sull'altra, e fumava. Don Bosco rimase là in piedi e il ministro non si tolse dalla sua positura.
- Vengo a chiedere se il Governo intende di tutelare la libertà del Conclave.
- E chi è lei che mi fa questa domanda? Di quali poteri è rivestito?
- Debbo far avere una risposta al Cardinale Camerlengo. [482]
- Ebbene, il Governo farà il suo dovere! rispose secco il ministro.
- E che cosa intende ella con questa parola, dovere?
- Ma insomma da chi ha lei ricevuto l'incarico di farmi questa domanda?
- Non ricerchi di questo, replicò pacatamente Don Bosco. Io ho bisogno di una pronta risposta. Se il Governo non intende di garantire al Conclave piena ed assoluta libertà, è necessario ch'io lo sappia subito. I Cardinali vogliono senza indugio prendere una decisione. Per ogni evento fu stabilita già ogni cosa; perchè il Conclave si radunerà subito e infallantemente a Venezia o a Vienna o in Avignone, secondo le circostanze[245]. Mi permetto però di far osservare a Vostra Eccellenza che è loro interesse che il Papa venga eletto a Roma. Non dimentichino però loro Signori la legge delle guarentigie, e che le Potenze europee stanno osservando lo svolgimento di un fatto che interessa tutto il mondo.
Crispi stette alquanto in atto di chi pensa seriamente, e poi, alzatosi, porse la mano a Don Bosco dicendo: - Assicuri pure da parte mia i Cardinali, che il Governo rispetterà e farà rispettare il Conclave, e che l'ordine pubblico non sarà menomamente turbato. [483]
Ciò detto, ritornò a sedersi e, avendo invitato Don Bosco a fare il medesimo: - Dunque lei è Don Bosco? - proseguì. Indi prese familiarmente a parlare di Torino e dell'antico Oratorio di Valdocco. Egli aveva conosciuto l'Oratorio nel 1852, quando abitava un piccolo alloggio di due o tre camerette in via delle Orfane, presso la Consolata, nel qual santuario talora andava a pregare. Rievocati questi lontani ricordi, gli chiese: - Non si rammenta, Don Bosco, che io qualche volta veniva a confessarmi da lei all'Oratorio?
- Non me ne rammento, rispose Don Bosco sorridendo; ma se vuole, io sono pronto ad ascoltarla anche adesso.
- Ne avrei bisogno! - fece il Ministro, ridendo della parola sfuggitagli di bocca. Mostrò pure di ricordare quegli anni ormai lontani, nei quali Soleva parlare con Don Bosco, riceverne conforto e non di sole parole[246]. Affermò essere state allora le sue angustie minori di quelle che aveva al presente. - Ma allora io aveva fede, soggiunse; sì, aveva fede; ora non l'abbiamo più!
Crispi chiese pure a Don Bosco notizie sull'andamento della sua opera, il che lo portò a parlare di sistemi educativi e a lamentare i disordini che avvenivano nelle carceri dei giovani corrigendi. Su tale argomento la conversazione durò a lungo. Il Ministro sentì i pareri di Don Bosco, fece voti perchè quei luoghi, ove la gioventù rinchiusa anzichè migliorare, andava moralmente peggiorando, fossero affidati agli educatori cresciuti nell'Oratorio di Don Bosco e gli chiese un programma del suo sistema per poterlo esaminare. Il Beato capiva benissimo l'impossibilità per il Ministro di prendere una simile decisione; tuttavia lasciò dire e promise che gli avrebbe mandato un suo modo di vedere intorno al riordinamento delle case di pena per detenuti minorenni. Il colloquio non poteva terminare con maggiore cordialità. [484]
Don Bosco andò subito a render conto della sua missione ufficiosa. La risposta del Ministro fu trovata soddisfacente. Certo è che Crispi era uomo di polso; infatti mantenne la parola, e grazie alla sua energia i cominciati turbamenti dell'ordine pubblico cessarono come per incanto.
Al suo ritorno in Vaticano dopo questa visita, Don Bosco ebbe un incontro singolare. Gli premeva di conferire col cardinal Simeoni, già Segretario di Stato, nè sapendo come e dove avvicinarlo, si aggirava per sale e gallerie vaticane, parendogli di essere in un cantiere. Muratori e falegnami in quei sontuosi ambienti costruivano file di cellette come per seminaristi. Dappertutto operai che lavoravano con energia dì e notte a preparare alloggi per un quattrocento persone, secondo le norme prescritte dai sacri canoni. I soli Cardinali erano sessantuno; tranne il Conclave di Gregorio XV, nel quale entrarono sessantasette Cardinali, nessun altro era stato così numeroso. Allora tutto era da improvvisare in angustia di tempo e di spazio; poichè prima i Conclavi si tenevano nel palazzo del Quirinale, che nella parte del grandioso edifizio detta romanescamente manica lunga, offriva le comodità indispensabili per l'abitazione dei Cardinali e dei loro conclavisti. I lavori procedevano sotto la direzione del Camerlengo di Santa Romana Chiesa, il Cardinal Gioachino Pecci. Ora Don Bosco ad uno svolto di scalone s'imbattè in un prelato, e chi gli faceva da guida, gli disse di botto: - Ecco, qui c'è il Cardinale Camerlengo, l'Eminentissimo Pecci. - Don Bosco mira in volto il Porporato, gli si avvicina e con accento filiale gli dice: - Vostra Eminenza mi permetterà che le baci la mano.
- Chi è lei, che si appressa con tanta autorità?
- Io sono un povero prete, che ora bacia la mano a Vostra Eminenza, pregando con ferma speranza che entro pochi giorni io possa baciarle il sacro piede.
- Badate a quello che fate: vi proibisco di pregare per quanto dite. [485]
- Ella non può proibirmi di chiedere a Dio quello che a Lui piace.
- Se voi pregate in questo senso, vi minaccio le censure.
- Ella finora non ha l'autorità d'infliggere censure; quando l'abbia, saprò rispettarla.
- Ma chi è lei, che mi parla così autorevolmente?
- Per carità, tacete di questo. È tempo di lavorare e non di burlare.
Così dicendo il Cardinale si avanzò in altri appartamenti, per dirigere e dare disposizioni[247].
Quello che Don Bosco disse, si avverò. I Cardinali cominciarono lo scrutinio il 19 febbraio e la mattina del 20 il Cardinal Pecci era già eletto Sommo Pontefice. Prese il nome di Leone XIII in memoria di Leone XII, per il quale aveva sempre nutrito venerazione altissima. Fu gran meraviglia che, appena pubblicata l'elezione, tutti, amici e nemici, si accordassero ad acclamarlo; perfino il Cancelliere germanico Bismarck avrebbe affermato che non poteva farsi scelta migliore. Don Bosco non lasciò passare ventiquattr'ore senza esprimere per lettera i suoi devoti sentimenti al novello Vicario di Gesù Cristo.
La elezione straordinaria di V. S. a capo supremo della Chiesa riempì tutti i cattolici della più grande consolazione. A tanti figli adottivi umilmente, ma nel modo più affettuoso e rispettoso, si associano i Salesiani, o religiosi della pia Società di S. Francesco di Sales.
Questa Congregazione è stata consigliata, diretta, approvata dalla veneranda memoria di Pio IX, ma ha tuttora bisogno della protezione di V. S. affinchè possa conseguire la stabilità necessaria a promuovere la maggior gloria di Dio.
Tutti prostrati ed uniti in un cuor solo ed in un'anima sola, venerano, riconoscono il successore di S. Pietro, il capo supremo della Chiesa, il Vicario di Gesù Cristo nell'augusta persona di V. S.; tutti [486] i Salesiani e i fanciulli loro affidati, con affetto filiale, offrono fatiche, cure, sostanze e vita, sia in Europa sia nelle missioni estere, qualora V. S. giudichi di servirsi dell'opera loro.
Colla massima venerazione e con inalterabile attaccamento dimandano l'apostolica benedizione, mentre a nome di tutti per la prima volta ha l'incomparabile onore di potersi prostrare ai piedi di V. S.
Affezion.mo Obbllig.mo figliuolo
Rett. magg. dei Salesiani, della Cong. Sal.
Il sabato 23 Leone XIII accordò la prima udienza pubblica a un numeroso stuolo di Francesi venuti in pellegrinaggio alla tomba di Pio IX e ai piedi del suo successore. Essi stavano radunati nel braccio a ponente delle seconde logge. Per assistere al passaggio del Santo Padre mentre si sarebbe recato là, moltissime persone erano state ammesse nelle anticamere pontificie: nel numero trovavansi pure Don Bosco e il suo segretario. Il Papa uscì col suo seguito dall'appartamento del Segretario di Stato. Quand'egli giunse presso Don Bosco, monsignor Cafaldi, maestro di camera provvisorio e cerimoniere pontificio, gli disse: - Non so se Vostra Santità conosca già Don Bosco. - E il Papa: - Chi non conosce Don Bosco? - conosciutissimo per il suo grande zelo. - Poi rivolto a Don Bosco: - Ho sentito che volete aprire anche qualche casa qui ... - E Don Bosco: - Dalla Santità Vostra dipende. - Cui il Santo Padre: - Sicuro, sicuro! - Il Beato con poche parole gli presentò l'omaggio di tutta la Congregazione Salesiana e domandò per tutti una speciale benedizione.
Il nuovo Papa aveva forse per la prima volta avvicinato i figli di Don Bosco ad Ariccia nell'estate del 1877 Erano le quattro pomeridiane, quando entrò nella loro dimora poverissima un Prelato magro magro e pallido, che tutti riconobbero tosto per il cardinal Pecci, solito a villeggiare in quelle vicinanze. Che onore, che gioia, ma insieme che confusione per loro! Il Cardinale con grande gentilezza [487] disse: - Miei cari Salesiani, ho tanta sete! Datemi un po' d'acqua. - Essi non avevano bibite; ma l'acqua fresca c'era ed anche un po' di zucchero, ed egli bevette, chiese schiarimenti sull'andamento della casa e ringraziando se n'andò.
Nonostante le buone parole dettegli nell'udienza, è certo che nei primi giorni del suo Pontificato il nuovo Papa era assai prevenuto verso Don Bosco, tanto prevenuto che non lo voleva ricevere in udienza privata. Monsignor Manacorda, Vescovo di Fossano, andò ripetute volte a fargli visita anche per tastare il terreno; ma non appena apriva bocca per nominare Don Bosco, il Papa mutava discorso e faceva grandi elogi del Cottolengo, concludendo che quello era veramente un santo. Monsignore osservava che la santità ha caratteri differenti secondo le persone e le missioni loro affidate; dominare negli uni lo spirito di predicazione, in altri lo spirito di scienza, in altri la penitenza eroica o il dispregio delle ricchezze e via dicendo. Il Cottolengo essersi segnalato per il suo abbandono totale nelle mani della Provvidenza; Don Bosco esaurire prima tutti i mezzi umani atti al raggiungimento de' suoi fini e poi rimettersi ciecamente alla Provvidenza. Ci volle insomma un po' di tempo per togliere dall'animo del Pontefice i preconcetti insinuatigli senza dubbio da altri; ma alla fine vi si riuscì. La vera virtù, o tosto o tardi, si fa strada da sè.
L'occhio sagace di Leone XIII ne potè cogliere qualche riflesso in alcuni pensieri, che Don Bosco volle fargli giungere per iscritto dopo la lettera antecedente. La cosa fu attestata dall'ex - allievo Don Giovanni Turchi, dimorante in Roma quale istitutore presso la famiglia del conte Mirafiori. Una sera, andato da Don Bosco per accompagnarlo in una piccola passeggiata, lo trovò tutto intento a finire una lunga lettera, che a lui parve un quaderno. Il Beato con quella confidenza che usava ai suoi antichi figliuoli, gli disse:
- Aspetta che io finisca. Ho scritto al Papa de modo tenendi nei tempi presenti. - [488]
Don Turchi però non potè sapere se quel foglio fosse indirizzato direttamente al Papa o a qualche Commissione di Cardinali. Il documento deve ancora esistere. Fra le copie che Don Berto tirò da autografi di Don Bosco, una sembra contenere in riassunto le cose svolte nel “ quaderno „, di cui parla Don Turchi. Se pure non si deve dire che per ordine superiore Don Bosco abbia esposto ampiamente e presentato a qualche Congregazione cardinalizia le cose sommariamente accennate nel foglio, dov'egli diceva così:
Un povero servo del Signore che talvolta inviava al santo Padre Pio IX alcune cose che giudicava venire dal Signore, è quello stesso che ora umilmente ma letteralmente dà comunicazione a S. S. Leone XIII di alcune cose che paiono di non leggera importanza per la Chiesa[248].
Esordio delle cose più necessarie per la Chiesa.
Si vogliono disperdere le pietre del santuario; abbattere il muro e l'antemurale e così mettere confusione nella città e nella casa di Sion. Non riusciranno, ma faranno molto male.
Al supremo reggitore della Chiesa in terra tocca provvedere, riparare i guasti che fanno i nemici.
Il male incomincia dalla deficienza di operai evangelici.
È difficile trovare leviti nelle agiatezze; perciò si cerchino con massima sollecitudine tra la zappa e tra il martello senza badare all'età ed alla condizione. Si radunino e si coltivino fino a che siano capaci di dare il frutto che i popoli attendono.
Ogni sforzo, ogni sacrificio fatto a questo fine è sempre poco, in paragone del male che si può impedire e del bene che si può ottenere.
I figli del chiostro che oggi vivono dispersi vengano raccolti e se non possono più formare dieci case, si adoprino per ricostituirne anche una sola, ma con tutta la regolare osservanza.
I figli del secolo, tratti dalla luce dell'osservanza religiosa, andranno ad accrescer il numero dei figli della preghiera e della meditazione.
Le famiglie religiose recenti sono chiamate dalla necessità dei tempi. Colla fermezza nella fede, colle opere loro materiali devono combattere le idee di chi nell'uomo vede soltanto materia. Costoro [489] spesso disprezzano chi prega e chi inedita, ma saranno costretti a credere alle opere di cui sono testimoni oculari.
Queste novelle istituzioni hanno bisogno di essere giovate, sostenute, favorite da coloro che lo Spirito Santo pose a reggere e governare la Chiesa di Dio.
Si ritenga adunque: Col promuovere, coltivare le vocazioni al santuario;
Col raccogliere i religiosi dispersi e restituire la regolare osservanza;
Coll'assistere, favorire, dirigere le congregazioni recenti, si avranno operai evangelici per le diocesi, per gli istituti religiosi, e per le missioni estere.
Con un terzo scritto Don Bosco supplicò il Santo Padre di approvare una formula da lui composta della benedizione di Maria Ausiliatrice. La lettera, sebbene scritta a Roma, porta nella data Torino.
Nella tristezza dei tempi in cui viviamo pare che Dio voglia in varie meravigliose maniere glorificare l'augusta sua Genitrice invocata sotto il titolo di Maria Auxilium Christianorum. Fra i diversi argomenti avvi quello della efficacia delle benedizioni coll'invocazione di questo titolo glorioso che sogliono impartirsi in parecchi luoghi, segnatamente nel santuario a Lei dedicato in Torino.
Ma affinchè tali formole siano stabilite e regolate secondo lo spirito di S. Chiesa, il Sac. Giovanni Bosco rettore di detto Santuario e dell'Arciconfraternita ivi eretta fa umil preghiera affinchè la formola descritta a parte sia presa in benevola considerazione, esaminata, modificata, ed ove sia d'uopo, corretta perchè si possa usare nel compartire la così detta Benedizione di Maria Ausiliatrice, specialmente nel Santuario a Lei dedicato in Torino. Ivi ad ogni momento affluiscono i fedeli a farne richiesta con grande incremento della pietà e spessissimo con sensibile vantaggio nelle loro miserie spirituali e corporali.
La formola di cui è parola, è una raccolta di giaculatorie già usate ed approvate dalla liturgia della Chiesa, e qui riunite a maggior gloria di Dio e della B. V. Maria.
La formula fu approvata dalla Sacra Congregazione dei Riti il 18 maggio[249], ma il rescritto giunse nelle sue mani [490] soltanto dopo la metà di dicembre[250]. È la formula che ora si trova in appendice all'edizione tipica del Rituale Romanum.
Al nuovo Papa il Beato si studiava di appressarsi con gli scritti, giacchè nemmeno allora riusciva a trovar la via per presentarglisi in persona. Gli uni temevano che egli andasse a riparlare di Concettini, altri temevano che mirasse a guadagnarsi l'animo del Papa nelle controversie torinesi, tanto più dopo che il 28 febbraio giunse improvvisamente a Roma l'arcivescovo Gastaldi col segretario teologo Maffei, prendendo albergo dai Rosminiani, dove abitava pure il cardinal Hoenlohe, suo grande amico. Agli uni e agli altri prestava mano il passato maestro di camera, che era stato riconfermato nel suo ufficio. Questi personalmente non aveva una ragione al mondo di contrariare Don Bosco; anzi nel '67 il Servo di Dio, vinto dalle sue attenzioni, l'aveva messo nelle grazie di Pio IX, che non lo guardava con favore. Solamente dopo che gli ebbe reso possibile entrare in Vaticano, il Beato potè conoscere l'indole di questo signore; ma allora ci volle pazienza e gli bisognò subire le conseguenze del suo efficace interessamento.
Accadde in quei giorni un episodio assai significante. Detto signore poneva ogni studio per non incontrarsi con Don Bosco. Una mattina Don Bosco andò a celebrare la messa nella chiesa di Tor de' Specchi. Nel convento mentre egli stava all'altare, venne pure colui. La Presidente, senza dir nulla, invitò Don Bosco a salire sopra per prendere il caffè. Don Bosco accettò l'invito. Nemmeno quel tal signore era stato avvisato della presenza di Don Bosco. Trovatoselo di fronte, Don Bosco restò sorpreso al vederlo; ma l'altro seppe fare il disinvolto. Erano con lui due giovani svizzere, eleganti ma sfacciate. Il signore, appena visto Don Bosco, [491] gli disse accennando alle giovani: - Veda, Don Bosco, che due bei tocchi di grazia di Dio! - Don Bosco non rispose. L'interlocutore senza scomporsi proseguì: - Che ne dice di queste due figlie?
- Ma io non me ne intendo e non so che cosa dire, rispose Don Bosco. Io non credo che questi siano discorsi convenienti a un prete.
- Oh, esclamò il primo ironicamente, se tutti i preti fossero come lei, le cose andrebbero meglio!...
- Non dica, se fossero come me, osservò Don Bosco, ma se fossero come li vuole Nostro Signore Gesù Cristo.
La Presidente interruppe l'increscioso dialogo, dicendo a quel signore: - E quando procurerà un'udienza dal Santo Padre per Don Bosco?
- Veda, rispose quel tale, il Santo Padre ha tante cose da fare, che non ha tempo, almeno per ora, di dare udienza a Don Bosco. Ma... vedremo... vedremo...
- Oh noi, fecero allora baldanzosamente le due giovani, in questo mese abbiamo avuto quattro udienze dal Santo Padre!
Il Servo di Dio, udito ciò, non potè a meno di osservare a quelle signore: - Loro, quattro volte in un mese sono state ammesse alla presenza del Papa, e io che sono qui a Roma da più mesi, che ho tanti affari da sbrigare, che chiedo udienza da tanto tempo, io non posso ottenere di sbrigarmi per ritornare a Torino!
Quel signore rispose che avrebbe cercato, che si sarebbe veduto, che qui e che là, e intanto continuò a fare i complimenti con le signorine. Don Bosco nauseato si levò e si ritrasse, accompagnato dalla Presidente, alla quale disse:
- Signora, io non credeva che lei mi preparasse una simile sorpresa.
- Scusi, Don Bosco, rispose la Presidente, io ho fatto questo, perchè potesse trovarsi una volta con quel signore e fare a lui stesso la domanda dell'udienza. [492]
- Ebbene, replicò Don Bosco, mi faccia la grazia di adoperarsi, perchè io non mi trovi mai più a contatto con quest'uomo.
Don Bosco nello stesso mese di febbraio diede un esempio di carità cristiana e di cristiano disinteresse, che riempì d'ammirazione quanti ne ebbero notizia. Il I° marzo morì a Roma l'avvocato Francesco Sertorio da Pieve di Teco, amicissimo del Beato, che lo assistette quasi continuamente negli ultimi due giorni e ne raccolse l'ultimo respiro. Abitava in via Barbieri, numero uno, piano terzo. Egli aveva imprestato al Servo di Dio quarantamila lire al cinque e mezzo per cento con semplice ricevuta in carta libera. Non esisteva altro documento che provasse il credito del defunto. Si sperava che il buon signore, non avendo eredi necessari, avrebbe fatto dono all'Oratorio di quella somma. Più volte aveva accennato alla possibilità di fare quest'atto venendo a morire e senza accennarvi nel testamento. Ma era di quegli uomini irresoluti, che non si decidono mai e quindi neppure si determinò a fare un testamento; caduto poi infermo, mandò a pregare Don Bosco di una visita. Don Bosco andò, trovò che in casa con lui dimorava una sola fantesca e seppe che tutti i suoi parenti vivevano in Liguria. Durante la malattia nessuno di loro si mosse; Don Bosco per due intere settimane lo visitò quotidianamente ed era, si può dire, padrone assoluto della casa. L'amico non gli fece motto delle quarantamila lire, nè Don Bosco volle ricordargli la sua promessa, per tema che il parlarne gli potesse causare disturbo; cosicchè il malato morì senza fare alcun condono. Dopo il decesso Don Bosco scrisse subito a Don Rua che si preparasse a pagare le quarantamila lire.
Passato qualche tempo, Don Rua avvertì Don Cerruti, Direttore di Alassio, che i due fratelli dell'avvocato si sarebbero presentati a lui per trattare della restituzione; poichè essi, domiciliati a Oneglia, appena udito che il fratello era morto ab intestato, erano corsi a Roma per fare l'inventario [493] degli oggetti appartenuti al defunto e avevano ritrovato pure le carte di quel credito. Furono dunque ad Alassio per parlare con Don Cerruti. Uno di essi, architetto e uomo senza religione, era rimasto profondamente commosso dell'onestà di Don Bosco; onde entrò in camera di Don Cerruti esclamando: - L'onestà oggi si trova solamente fra i preti. Quando seppi che nella casa di mio fratello morto Don Bosco si era trovato come padrone assoluto, solo, senza testimoni, debitore di quarantamila lire, io pensai: “E come?! Poteva far sparire quella carta, ed era cosa di un momento e di facilissima esecuzione; eppure non lo fa e rispetta un documento di tanto suo aggravio! Ah! Don Bosco è proprio un galantuomo; è più unico che raro un uomo di simile lealtà nel mondo”. - Don Bosco nel '78 era sempre quel medesimo che nel '29, pur potendo in coscienza e a insaputa dei parenti prendere il denaro lasciato da Don Calosso, non volle.
Le cose erano andate così. Venuti a Roma i fratelli dell'estinto, il Beato aveva fatto saper loro com'egli fosse realmente debitore agli eredi, domandando se volessero donargli quella somma per i suoi giovanetti o se desiderassero ritirarla e quando. I due Sertorio gli avevano risposto aver essi bisogno di quel danaro. L'ingegnere per altro s'intese con Don Cerruti sul modo di esigere il pagamento con la minore spesa possibile per Don Bosco. Col fratello ricevitore del registro divise la somma in tre parti, essendovi pure una sorella, e Don Cerruti scrisse in carta semplice tre obbligazioni, fissando il frutto come prima. Erasi deciso che il capitale verrebbe restituito a richiesta; ma gli eredi lasciarono che la restituzione si facesse a poco a poco secondo la possibilità; anzi più volte, invitati a ritirare il capitale, ricusarono, dicendo che in altre mani non sarebbe così al sicuro come in quelle di Don Bosco. A questo modo il Beato risparmiò tutte le spese notarili e il tanto per cento che avrebbe preteso il Governo. L'architetto da quel punto non cessò più di [494] magnificare il nome di Don Bosco e guardava assai più di buon occhio i preti.
Due giorni dopo la morte dell'avvocato Don Bosco assistette alla grandiosa cerimonia dell'incoronazione in S. Pietro, dove essendo stato dal cardinal Oreglia aggregato alla sua cappella, potè osservare da vicino tutto lo svolgersi del sacro rito. Ma egli aveva sempre il pensiero alla tanto contesa udienza pontificia; pensiero che gli si fece ancor più assillante il dì appresso, quando dai giornali torinesi apprese di un grave contrattempo sopravvenuto, come diremo, fuor d'ogni previsione a sconcertare i suoi piani circa l'erigenda chiesa di S. Giovanni Evangelista. Stanco dunque di aspettare una risposta che non veniva mai, si decise a muoverne lamento col cardinal Oreglia. Il Cardinale, che conosceva il desiderio del Papa d'intrattenersi col fondatore dei Salesiani, promise di occuparsene presso chi di ragione. La cosa però non fu tanto facile nemmeno per l'autorevole Porporato; ma dopo una serie di brutti incidenti, sui quali è meglio sorvolare, finalmente conseguì quello che voleva. Infatti il 14 marzo monsignor maestro di Camera mandava a lui il biglietto di udienza privata per Don Bosco. L'udienza era fissata per le sei e mezzo pomeridiane del giorno 16. All'ora indicata Don Bosco si trovò in Vaticano; se non che dovette aspettare circa un'oretta prima di essere introdotto. Entrato da Leone XIII alle sette e mezzo, ne uscì alle otto e mezzo. Si presentò con il solito promemoria, che comprendeva otto punti: “ I° S. Giovanni. Ventimiglia. Spezia. Missioni. - 2° Cooperatore Salesiano. - 3° Comunicare per mezzo del Card. Oreglia protettore. - 4° Condizione nostra rapporto all'Arcivescovo. - 5° Cose nostre da ultimarsi. - 6° Una parola per gli allievi, Cooperatori Salesiani e Benefattori. - 7° Casa in Roma. Galliera. - 8° Ing. Campanella, Avv. Frisetti ”. Nell'udienza presentò pure al Papa la seguente supplica, riferentesi al numero 3° del promemoria. [495]
Il Sac. Gio. Bosco prostrato ai piedi di V. S. umilmente espone a favore della Congregazione di S. Francesco di Sales, che:
Col vivo desiderio di agevolare la comunicazione dei Salesiani colla S. Sede ed assicurare sempre più gli stretti legami, che ogni istituto ecclesiastico deve mantenere inalterabili colla medesima, supplica V. S. che si degni di nominare l'Eminentissimo Card. Luigi Oreglia per protettore di questa Congregazione, delle sue Missioni d'America, dei Cooperatori Salesiani, dell'opera di Maria SS. Ausiliatrice per le vocazioni ecclesiastiche, dell'Arciconfraternita dei divoti di Maria Ausil. canonicamente eretta nella chiesa a Lei dedicata in Torino.
L'udienza e per essere la prima accordatagli dal nuovo Papa e per la bontà da questo usatagli parve a Don Bosco di tanta importanza, che ne volle mettere in iscritto un'ampia relazione, la quale noi riprodurremo qui integralmente.
La prima udienza particolare, avuta dal S. Padre Leone XIII, contenendo cose e discorsi di molta importanza, ho procurato di tenerne memoria e mandarli alla carta, affinchè non siano dimenticati, anzi servano di norma ai Salesiani.
1° Si parlò adunque della chiesa di S. Giovanni Evangelista, della Casa e Chiesa di Ventimiglia, e della Spezia. Dissi come questi istituti erano opere promosse da Pio IX, il quale se ne era con zelo occupato, specialmente perchè riguardavano al bene della gioventù, dirette a fare argine ai Protestanti che in quei siti con scuole infantili, femminili, maschili, ospizi e templi si erano resi in certo modo veri padroni di quelle popolazioni.
Io non posso a meno, ripigliò il S. Padre, di non apprezzare e appoggiare queste istituzioni. In questo momento ognuno deve fare grandi sforzi per combattere l'errore e dove ciò non si possa direttamente, almeno lavorare per diminuirne le conseguenze. Ciò si ottiene con questi istituti di carità. Si alzano due stendardi. Uno fa palese la chiesa militante, ne fa conoscere al mondo la sua esistenza, la sua dottrina inalterabile contro all'errore. Se malgrado gli sforzi dei buoni non si può annientare l'errore, se ne diminuiscano almeno le conseguenze coll'impedire che i fanciulli vadano a bere il veleno sotto allo specioso pretesto, che il mondo chiama necessità, per avere pane ed istruzione. Oh che gran merito hanno quei pii fedeli che impiegano le loro sostanze a sostenere queste opere di carità! Mi rincresce che le attuali strettezze della Santa Sede non permettono di concorrere [496] in larga proporzione, ma farò tutto quello che posso moralmente e materialmente.
2° In quel momento lo pregai umilmente a permettere di essere annoverato tra i Cooperatori, come lo era già stato Pio IX e come lo sono molti Cardinali. Allora Egli me ne domandò qualche schiarimento, ma appena intese che era un'associazione promossa da Pio IX e tendeva a giovare al buon costume specialmente dei fanciulli abbandonati: - Basta così, prese a dire; in questo senso io sono non solo come Cooperatore ma operatore e come Pontefice e come semplice fedele. Promuoverò senza dubbio tutte le istituzioni che hanno di mira il bene della società, soprattutto quelle che si prendono cura dei fanciulli pericolanti. Sono persuaso che non ci sia ministero più nobile che quello di adoperarsi a diminuire il numero dei discoli per farne onesti cittadini e buoni cristiani.
Non è gran tempo che passando nel quartiere di Roma che chiamano Città Nuova ho veduto una turba immensa di ragazzi che scorrazzavano rissando e bestemmiando. Ne parlai col S. Padre Pio IX. Quel gran cuore conobbe la necessità di dare a que' meschini un provvedimento. Ma per allora non si potè. Adesso non vi sarà modo di farlo? Studi, proponga e faremo di comune accordo quanto sarà possibile.
- S. Padre, risposi, da molti anni io vagheggio il pensiero di poter inviare alcuni Salesiani ad unirsi ai preti di Roma, e con loro cooperare al bene della pericolante gioventù soprattutto dei forestieri Un piccolo ricovero, un Oratorio festivo, scuole serali, scuole diurne pei più poveri, ecco quanto parmi indispensabile.
E il S. Padre: - Come adunque si può conseguire questo scopo? - Risposi: - Parmi si possa tentare un mezzo. Io farei una memoria a V. S. in cui esporrei la necessità di un tale istituto, accennerei ad una grande benefattrice, che è la Duchessa di Galliera; V. S. farebbe una commendatizia, io inviterei il T. Margotti a venir meco da quella pia signora che essendo buona Cattolica, affezionata alla S. Sede, spero non lascierà il progetto infruttuoso.
- Bene, conchiuse il S. Padre, fate pure, io sono pronto a tutto. Andate solamente inteso col Card. Vicario. Egli me ne faccia relazione o venite voi medesimo e niente risparmierò, affinchè i nostri desiderii siano appagati a maggior gloria di Dio e a vantaggio delle anime.
3° Ho fatta dimanda di un Cardinale protettore pel cui mezzo comunicare con S. S. Da prima pareva che desiderasse egli stesso essere nostro Protettore, ma quando gli feci notare che il Cardinale Protettore era appunto un referendario delle cose Salesiane a S. S., che tali cose noi non potevamo trattare nelle Sacre Congregazioni perchè lontani, S. Santità sarebbe appunto stato il nostro Protettore di fatto, il Cardinale avrebbe maneggiato le nostre cose nei varii dicasteri per riferirle poscia a S. S. - In questo senso va bene, egli [497] aggiunse, e comunicherò ogni cosa alla Cong. dei VV. e RR. - Il Card. è l'Em.mo Oreglia che sarà protettore delle nostre Missioni, dei Cooperatori Salesiani, dell'Opera di Maria A.; dell'Arciconfraternita dei divoti di M. A. e di tutta la Congregazione Salesiana per gli affari che dovranno trattarsi in Roma presso alla S. Sede.
4° Si parlò pure di ultimare parecchie cose che mancano alla nostra Congregazione, osservando che tale pratica è già in corso nella Congregazione de' Vescovi e Regolari, perciò se ne attenderebbero le risposte.
Egli parlò delle vertenze nostre coll'Arcivescovo di Torino, ma disse che attendeva pure su ciò una relazione d'ufficio della stessa Congregazione e che ha un progetto che spera di soddisfazione ad ambe le parti.
5° Ho riferito di un favore dimandato (decorazioni) per due nostri benefattori, cav. Frisetti e l'Ingegnere Campanella. La grazia fu concessa, ma la morte del Pontefice ne impedì il compimento. Lesse la memoria che aveva rinnovato, se la ritenne, e assicurò di appagarmi[251].
6° Ho consegnato un indirizzo con f. 100 della signora Lorenzina Mazzè, ed un altro del T. Arpino con f. 70. Ne mostrò gradimento, disse che volentieri avrebbe loro risposto per iscritto, ma che non poteva; incaricava me di scrivere loro, ringraziarli da parte sua, comunicando loro una speciale benedizione.
7° Nell'atto di congedarmi ho chiesto una parola da comunicare ai Salesiani in genere, ai loro allievi, ai Cooperatori Salesiani, agli ascritti ed ai nostri Missionarii d'America.
Rispose per ciascuna dimanda: Partecipate a tutti quelli che appartengono alla vostra Congregazione che non dimentichino mai il beneficio grande che Dio loro ha fatto nel chiamarli dove possono fare gran bene per sè e per il prossimo.
La fondazione di questo istituto, gli allievi che sono educati cristianamente nelle varie case, le scuole attivate, le Chiese aperte al Culto, le Missioni, che già riportano frutto soddisfacente, e tutto questo essersi fatto senza possedimenti materiali, fanno certamente palese la benedizione del Signore. Io credo che coloro i quali negano i miracoli, se volessero spiegare come un povero prete possa dar pane a 20 mila ragazzi con tutti gli altri accessorii, io credo che egli sia costretto a dire: Digitus Dei est hic. I Salesiani pertanto siano grati a questa misericordia del Signore, ma dimostrino la loro gratitudine colla esatta osservanza delle regole. Le costituzioni religiose sono atte a promuovere ed assicurare la cristiana perfezione. Ma la perfezione [498] delle Costituzioni non è quella dei religiosi. I religiosi la otterranno quando le praticheranno coi fatti. Dite adunque che studino le loro regole, procurino di capirle, ma le pratichino esemplarmente. Così con loro grande meraviglia vedranno ogni giorno crescere il numero dei religiosi, salveranno molte anime e Dio pietoso li sosterrà, e li benedirà in tutte le cose.
Ai giovanetti che la Divina Provvidenza vi affida. Facciano coraggio a combattere il formidabile nemico delle anime che è il rispetto umano; siano istruiti nella fede, si faccia loro costantemente conoscere l'autorità della S. Sede e del Romano Pontefice, che è il centro della verità! Imparino per tempo a conoscere, amare la S. Madre Chiesa Maestra infallibile, àncora di salvezza, cui è necessità che vivano tutti uniti per potersi salvare. So che pregano per me, so che sono affezionati alla Cattedra di S. Pietro; ringraziateli, e dite loro che io li amo in N. S. G. C. e prego Dio che li faccia crescere nell'età e nel santo timor di Dio, a segno che siano sempre il decoro delle rispettive famiglie e la gloria della Chiesa.
Ai Cooperatori. I Cooperatori hanno davanti a sè un vasto campo dove lavorare e far del bene. Vivono nel secolo, ma acquistano i meriti di coloro che fanno vita comune. Non avvi opera più meritoria agli occhi di Dio che cooperare alla salvezza delle anime. La missione pertanto dei Cooperatori Salesiani è di santificare le proprie famiglie col buon esempio, coi doveri religiosi, impiegare le loro sollecitudini per aiutare i Salesiani nelle cose che devono compiersi in mezzo al secolo e non è conveniente che siano fatte da un religioso. Ricordate loro il detto Evangelico che le sostanze della terra sono spine e che tocca ai possessori a coltivarle col farne un uso santo, affinchè in punto di morte siano odoriferi fiori con cui gli angeli abbiano ad intrecciare loro la corona di gloria celeste.
Agli Ascritti. Agli ascritti, ai Novizi ricordo le piante preziose chiuse in un giardino. Guai se si rompe la siepe; i ladri entrano, derubano i pochi frutti che vedono, guastano le piante, rovinano tutto. Dunque ai Novizi, alla speranza della Congregazione Salesiana si raccomandi la ritiratezza e la pratica di quelle virtù che devono praticare in tutta la vita. Si abbia cura della loro sanità. È questo un potentissimo elemento per fare del bene a sè ed al prossimo. Ma loro spesso ricordi il grande pensiero di S. Girolamo: “ Non mai dimenticare quello che eri nel secolo, nè mai pretendere più di quanto avevi, godevi, possedevi, prima di entrare in Religione ”. Si faccia calcolo delle virtù acquistate e non di quelle da acquistarsi. Il maestro dei Novizi deve usare rigore in questo ultimo punto.
Quando si venne ai Missionarii, dimandò quali paesi abitavano, quanti erano, quante Case e Chiese avevano aperte.
Ho risposto che tra Chiese e Case erano dodici; che i Salesiani partiti da Europa erano 60. Uno dei più zelanti è morto sul lavoro, [499] oltre a trenta sono gli indigeni[252] ascritti, sicchè tra tutti toccano i cento. Un Collegio a Colón, un ospizio a Buenos Aires, un altro collegio a S. Nicolás de Los Arroyos erano come tre seminarii da cui speravamo non pochi evangelici operai.
- Deo gratias, ripigliò. Nel parlare delle Missioni e dei Missionarii il Pontefice deve usare maniere particolari. Il Missionario che va a dar la sua vita per la fede ha diritto ad una benemerenza speciale. Io considero i Missionarii come altrettanti incaricati della Chiesa, mandati a portare la civiltà e la religione nei lontani paesi. Essi hanno l'incarico di conservare la fede nelle regioni dove è già predicata, e propagarla fra i selvaggi. Le fatiche dei loro viaggi, le sofferenze, le privazioni cui devono certamente sottostare in climi diversi, tra uomini sconosciuti, ignoranti e spesso pericolosi; disagi nel nutrimento, nel riposo, e in altri modi, sono tutte cose che rendono il Missionario benemerito della religione e della civile società. Dite loro che io li ringrazio del servizio che prestano alla Chiesa, che io li amo, li stimo assai, prego Dio che li conservi in grazia sua, che li scampi dai pericoli morali, faccia fruttare le loro fatiche.
Li benedico ben di cuore. Ma non mancate di ricordar loro una rigorosa vigilanza sopra di se stessi. Gli ammaestramenti che danno al popolo giovano assai, ma la luce delle opere, una vita esemplare deve essere come una luce che rischiari la mente, il cuore di tutti quelli che mirano le loro opere, od ascoltano i loro discorsi.
Quando poi fate la scelta di coloro che devono andare nelle Missioni, preferite sempre coloro che sono già stati ben provati nella virtù. Queste cose sono il fondamento delle. Missioni Cattoliche. Non dissimulo che lontani dalla patria, dai parenti, dagli amici, e in mezzo alle sofferenze non mancheranno giorni di scoraggiamento. Allora ricordino il motivo per cui si recarono in quei lontani paesi, che è di promuovere la gloria di Dio; si ricordino che alle loro fatiche un gran premio è preparato in cielo, Si delectat multitudo praemiorum, non deterreat magnitudo laborum. Momentaneum est quod cruciat, aeternum est quod delectat.
Benedico Voi, la vostra Congregazione, gli allievi, i vostri benefattori, Cooperatori, gli ammalati che mi avete raccomandato.
Di molte cose fatte da Don Bosco a Roma siamo completamente all'oscuro; di alcune, come della conferenza ai Cooperatori, diremo più innanzi, quando si presenterà occasione più opportuna; di qualche altra daremo un cenno [500] nel capo seguente, servendoci dei pochi elementi che abbiamo a nostra disposizione.
Il Servo di Dio portò per lungo tempo scolpito nella memoria il ricordo di quei tre mesi. Nel febbraio del 1879, una sera, ad Alassio, riandando con alcuni pochi tante peripezie, fece vedere chiaramente quanto avesse allora sofferto: udienze impedite, lettere intercettate, segrete e palesi opposizioni da più partì, parole dure e mortificanti... Rammentò pure il sogno, in cui aveva visto il Vaticano devastato e prelati strascinati giù per le scale, quasi in pena di non aver ascoltati consigli. Palesò, lamentandosi, d'aver lacerate le sue corrispondenze con i suoi avversari di mano in mano che essi morivano, sicchè una terza parte di notizie riguardanti la sua vita più non esisteva[253]. Il vicedirettore Don Luigi Rocca, che tutto udì, non potè mai dimenticare il calore e la vibratezza del suo linguaggio; Don Cerruti per altro, discorrendone, asseriva che nulla vi aveva scorto di eccessivo o iroso. Ma a un tratto il Beato s'interruppe, riflettè un istante e poi disse dinanzi a tutti: - Ho parlato troppo. - Quella sera stessa volle confessarsi da Don Rocca.
COME già parecchie volte precedentemente, così anche allora fu la domenica 17 marzo invitato a pranzo nel collegio irlandese, dove sedette a mensa con tre Porporati: Cullen, arcivescovo di Dublino, Franchi, nuovo Segretario di Stato, e Falloux, cardinale di Curia. Verso la fine del banchetto giunse il cardinal Manning, vescovo di Westminster, che disse al Beato di passare da lui il giovedì seguente, perchè aveva da parlargli di cose importanti. Il Servo di Dio, trovatosi all'appuntamento, ebbe con Sua Eminenza un lungo colloquio, in cui il Prelato inglese volle sentire il suo parere intorno a cose riguardanti le relazioni fra la Santa Sede e il regno d'Italia. A noi è noto soltanto che, essendosi trattato di tali argomenti in vari congressi di Cardinali, il Santo Padre aveva incaricato il Manning d'interrogare su tutto Don Bosco e vedere com'egli la pensasse. In quei primordi del Pontificato leoniano si discuteva appassionatamente di conciliazione. Coi primi di gennaio era uscito per le stampe il famoso libro dell'ex - gesuita padre Curci sopra Il moderno dissidio della Chiesa e l'Italia, dove l'autore sosteneva a modo suo la necessità e la possibilità di comporre la gran lite; pochi mesi prima il cardinal Manning aveva pubblicato a [502] Londra un opuscolo[254] in cui dedicava il capo terzo a mostrare assurda ogni probabilità di un'intesa. Le due pubblicazioni fornivano argomenti alle due parti in contrasto nelle polemiche giornalistiche, accendendo più che mai gli animi nell'attesa degli atteggiamenti che Leone XIII avrebbe assunti di fronte alla questione romana. Quale fosse il sentimento di Don Bosco intorno all'arduo problema non era stato un mistero nè per Pio IX nè per alcuni maggiori uomini del Governo italiano. La conciliazione fra Chiesa e Stato in Italia “stava veramente in cima ai pensieri e agli affetti” di lui, “ma come poteva esserlo in un servo veramente sensato e fedele; non col desiderio di una conciliazione come che fosse, così come molti erano andati per molto tempo almanaccando, arruffando e confondendo le cose; ma in modo tale che innanzi tutto si assicurasse l'onore di Dio, l'onore della Chiesa, il bene delle anime”. Tanto proclamò il Santo Padre Pio XI nell'allocuzione del 19 marzo 1929 per il decreto sui miracoli, attestando d'averlo udito dalle labbra del Servo di Dio quarantasei anni addietro.
Nel giorno di San Giuseppe il Servo di Dio, capitatogli fra le mani l'opuscolo recente di monsignor De Segur Tous les huit jours e piaciutogli molto, pensò subito a farne uno dei prossimi fascicoli delle Letture Cattoliche, onde scrisse al conte di Viancino che lo voltasse o lo facesse voltare in italiano.
Car.mo Sig. Marchese o meglio Sig. Conte Francesco
Le mando un librettino che credo si possa stampare con frutto. Ma abbia la bontà di farne la traduzione oppure cercare qualcuno che la faccia.
Sabato ho avuto il piacere di essere ammesso all'udienza particolare del S. Padre; me la concedette di buon grado dicendomi di comunicarla da parte sua.
Con grande bontà poi benedisse i Salesiani ed egli stesso volle annoverarsi tra i cooperatori.
Nella settimana spero voltare le vele verso Torino. Oh! Quante [503] cose avremo a dire! Ella mi ami in G. C. ma mi aiuti quanto può a fare andare avanti la Chiesa di S. Giovanni.
Se mai vede il Cav. Clemente[255] favorisca di riverirlo da parte mia.
Dio benedica Lei, la pia Sig. Contessa di Lei Consorte, e vogliano anche pregare per questo poveretto che Le sarà sempre in G. C.
L'autore tratta ivi della comunione settimanale, dimostrandone i vantaggi, massimo dei quali la sicurezza di guadagnare il paradiso. Il Conte aderì tanto di buona voglia, che in otto giorni la traduzione fu finita; il volumetto uscì in luglio ed è il fascicolo 307 della collezione. Come si vede, Don Bosco non perdeva di vista le sue care Letture Cattoliche; anzi quell'anno spedì ai quattro venti una nuova circolare per una sempre maggiore diffusione[256].
Il 21 marzo, festa di san Benedetto, il benedettino Don Gregorio Palmieri condusse Don Bosco a S. Paolo fuori le mura, facendo un'improvvisata a tutta la comunità, che ne fu lietissima. Era allora superiore l'abate Don Gianfrancesco Leopoldo Zelli. Per la prima volta Don Bosco visitava quel monastero. Partecipò al pranzo in quel giorno di festa[257]. Don Gregorio ricordava ancora nel 1915 che, dopo il pranzo, nella conversazione che secondo l'usanza dei Benedettini si fa nella camera dell'abate, essendo caduto il discorso su monsignor Gastaldi e sulle difficoltà suscitate contro Don Bosco, udì il Beato esclamare: - Eppure lo abbiamo fatto noi arcivescovo! - Il buon Benedettino, che era pure bibliotecario del monastero, condusse il Servo di Dio a visitare la biblioteca. Nell'album dei visitatori illustri della biblioteca, il quale si apre con la firma di Pio IX, Don Bosco scrisse, appunto sotto la data del 21 marzo 1878: Joannes Bosco sacerdos amico suo patri Gregorio vita et gaudium. [504]
Don Gregorio novantenne, ma fiorente di salute e agile di spirito, ricordando con particolare tenerezza e venerazione i suoi rapporti con Don Bosco, amava ripetere che l'uno e l'altro augurio del Beato erano stati efficacissimi. Fu sempre benefattore dell'Opera Salesiana.
Ottenuta che ebbe la descritta udienza, Don Bosco non aveva più nulla che lo trattenesse ancora a Roma; quindi si affrettò a fare le visite di congedo. La sera del 23 marzo andò con Don Berto dal Cardinal Vicario, il quale gli disse che avrebbe fatto del suo meglio per procurare ai Salesiani una casa in Roma
Poi gli domandò: - Ella confessa anche qui a Roma?
- Sì, se Vostra Eminenza me ne dà il permesso.
- Mi confessi adunque. - E si confessò.
Simili attestazioni di fiducia egli aveva ricevute altre volte da Cardinali, alcuni anzi non solo si raccomandavano alle sue preghiere, ma anche volevano essere da lui benedetti. Piaceva pure nel Servo di Dio la rispettosa franchezza, con cui a Porporati, che gli movevano difficoltà per il conseguimento di favori necessari a rendere stabile e operosa la Congregazione, soleva dire: - Io ho bisogno che mi aiutino a superare le difficoltà e non a farne. Vorrei che si considerasse non tanto la persona di Don Bosco, ma il bene e il vantaggio della religione e delle anime; perchè io lavoro per la Chiesa.
Alla vigilia della partenza riassunse in un foglio le sue osservazioni sulla guerra mossagli a Torino e lo rimise al Cardinale Oreglia, considerandolo già come Protettore della Congregazione, com'egli aveva supplicato il Santo Padre.
La E. V. Rev.ma che conobbe e beneficò la nostra umile Congregazione fin da' suoi primordi, spero mi vorrà dare consiglio nella difficile posizione in cui mi trovo'.
Oggi poi accorro con fiducia speciale alla bontà della R. V. pel motivo che la clemenza del Santo Padre, essendosi degnata di appagare il desiderio dei Salesiani, La elesse a nostro protettore. [505] La E, V. Rev.ma conosce pur troppo i gravi disturbi che da più anni sosteniamo per parte di S. E. Rev.ma l'Arcivescovo di Torino, senza che se ne sia mai potuto conoscere la vera cagione.
Le cose giunsero a tale segno che io sono minacciato della sospensione ipso facto se per iscritto o colle stampe o per mezzo mio o di altri tratto o parlo di cose che siano sfavorevoli al nostro Arcivescovo. Eccettuò il solo Card. Prefetto dei VV. e RR. il seg. di Stato, e il S. Padre. Questa severa disposizione persiste, benchè lui abbia pubblicato, stampato e stampi pastorali e opuscoli contro di noi, senza che siasi data alcuna risposta, perchè tale è pure stato il nostro principio e tale è pure stato il consiglio della E. V. Rev.ma. Di più senza alcuna forma canonica sospese parecchi nostri sacerdoti, e lo sono tuttora dopo otto mesi; rifiutò le ordinazioni ai chierici Salesiani che gli vennero presentati e ciò con danno grande e delle case d'Europa, e vie più delle missioni di America che fanno incessanti richieste di Operai con cui potersi avanzare in mezzo ai selvaggi dei Pampas e della Patagonia.
Ridotti i Salesiani a tali strettezze, l'Arcivescovo portò reclami alla S. Sede sopra fatti non esistenti, che tuttavia provocarono una lettera di biasimo della sacra Cong. dei VV. e RR. a disdoro della povera nostra Congregazione.
In questo stato di cose (non potendo avere alcuna risposta alle istruzioni richieste) venni a Roma e dalla sacra Cong. dei VV. RR. furono assicurati pronti provvedimenti. Ma i gravi avvenimenti che negli ultimi giorni turbarono il mondo Cattolico, la mai ferma sanità dell'Emin. V. fecero sì che dopo quattro mesi di sollecitudini infruttuose mi trovo ora costretto di ripartire senza alcun successo e forse in peggiore condizione di prima. La ragione si è che si stanno preparando alcune risposte ai quesiti fatti dall'Arcivescovo che gli porgeranno non pochi appigli di molestarci ulteriormente. Che più? Venerdì invece di provvedimenti, si tratterà della convalidazione dei nostri privilegi, osservandosi che difficilmente saranno tutti confermati dal S. Padre. Sarebbe un fatto veramente umiliante pel nostro Istituto che costituitosi in mezzo a tante gravi difficoltà, favorito finora di pochi privilegi in confronto degli altri d'Italia, i cui membri fecero veramente gravi sacrifizi personali e pecuniarii per corrispondere al loro fine, ed ora si vedessero tolte o diminuite quelle benemerenze che la bontà di Pio IX ha concesso. La pia associazione dei Salesiani ottenne varii favori spirituali dalle altre sacre Cong. di Roma, ma furono scarsi i privilegi. Tutti gli Istituti e Congregazioni ecclesiastiche in Italia definitivamente approvate ottennero la comunicazione dei privilegi.
I Salesiani non poterono finora conseguire questo segnalato favore che ci avrebbe tolti da tutti gli imbarazzi in cui siamo stati e tuttora ci troviamo. Ora sono chiamato dal bisogno de' miei ragazzi, [506] cui, in numero di oltre a ventimila (come a V. E. è ben noto) debbo provvedere il pane spirituale e materiale. Avrei trattato di questa difficile posizione, chiedendo consiglio e direzione alla E. V. presso cui ho sempre trovato un padre benevolo, ma per nostra vera sfortuna in questo spazio di tempo fu quasi sempre travagliata da malori che La rendono tuttora sofferente e non posso avvicinarmi. Mi venne pure in pensiero di fare una regolare esposizione dello stato nostro al S. Padre o al medesimo Card. Ferrieri, presso cui ho sempre trovato molta benevolenza. Ma siccome dovrei toccare argomenti delicati e direi compromettenti, non voglio fare cosa alcuna senza il parere della illuminata di Lei sapienza.
Se mai Ella mi dicesse di partire, tacere e lasciare al tempo che aggiusti le cose, io mi sottometto con piena rassegnazione; ma ne temerei tristi conseguenze unite ad un pernicioso scoraggiamento pei poveri Salesiani. Se in questa lettera la E. V. trova qualche espressione che sia meno opportuna, la condoni all'animo che in questi fatti ravvisa un vero impedimento alla maggior gloria di Dio, che perciò non può a meno di sentirsi profondamente afflitto. Ebbi l'udienza dal S. Padre, e fui come imparadisato da quell'angelica bontà, e tanto grande ne fu la mia consolazione. Ma la posizione mia attuale mi fa esclamare: miscens gaudia fletibus.
In momenti così difficili mi raccomando alla carità delle sante sue preghiere, mi raccomando che voglia fare da padre ai poveri Salesiani, che non hanno altro fine che di lavorare per la Chiesa e pel bene delle anime. Essi poi non cesseranno di mostrare la loro gratitudine verso della E. V. pregando ogni giorno che Dio la conservi in buona salute affinchè possa continuare le sue fatiche a vantaggio di nostra santa Cattolica Religione. Intanto permetta che colla massima venerazione abbia l'onore di baciare la sacra Popora della E. V. Rev.ma.
Noi ignoriamo se ci entrassero anche le vertenze con Don Bosco nei motivi che condussero monsignor Gastaldi a Roma sullo scorcio di febbraio. Egli aveva una trentina di cause con suoi preti davanti a Congregazioni Romane; era stato inoltre assai discusso il suo contegno in occasione della morte del Re e del Papa: ragioni per andarvi non ne mancavano senza che vi si aggiungessero altre questioni. Tuttavia, appena rientrato in sede, scrisse al domenicano padre Tosa, consultore dei Vescovi e Regolari, proponendogli [507] alcuni quesiti, che si riferivano a Don Bosco e di cui sembra che si fosse occupato a Roma, lasciando però le cose sub iudice; cosicchè la lettera si direbbe ispirata dalla preoccupazione circa l'esito del dibattito. Di scrivere al padre Tosa Monsignore era già stato consigliato dal suo avvocato Menghini tre mesi avanti con queste parole[258]: “Don Bosco da una settimana a questa parte dimora in Roma. L'accerto che le ultime pettegolezze con il relativo incarto è stato affidato al Rev.mo Consultore P. Tosa Rettore del Seminario Pio. Il cardinale Ferrieri questa mane mi ha incaricato di scrivere a V. E. Rev.ma assicurandola che niente si farà senza Preventivamente interpellare V. E. Rev.ma, e ciò in risposta alla ultima diretta allo stesso Card. Prefetto... Io mi adoprerò presso P. Tosa per informarlo bene, e forse non sarebbe inutile che V. E. Rev.ma gli scrivesse, perchè non è un mistero soltanto a Don Bosco, ma anche V. E. per mio mezzo può conoscere che le ultime pendenze sono state sottoposte al giudizio consultivo del nominato P. Tosa. Spero che tali notizie saranno utili a V. E. Rev.ma e che così conoscerà il mio indefesso impegno per tutelare l'Autorità Arcivescovile e la Giustizia. Don Bosco è in movimento, ma Ella deve consolarsi che la S. Congregazione l'è favorevolmente disposta „. Possediamo per buona sorte la risposta del Consultore all'Arcivescovo[259]; essa tocca talmente il vivo della controversia e ne mette in si chiara luce i punti essenziali, che è interesse della storia recarla a conoscenza dei lettori. [508]
Rispondo al ven.mo foglio scrittomi dall'E. V. dopo il suo ritorno a Torino; e tanto più volentieri adempio a questo mio debito, quanto più spero, che una qualche più esplicita dichiarazione di alcuno de' punti, accennatimi da V. E. possa contribuire a riconciliarle stabilmente cotesta Congregazione Salesiana come vivamente desidero.
Ed in prima non nasconderò la sorpresa che mi fa l'asserzione dell'E. V. Rev.ma, che la Congregazione di Don Bosco finora non ha una carta con cui dimostrare, che ella è esente dalla Giurisdizione Vescovile. Ciò significa che all'E. V. non dovrebbero essere stati presentati alcuni documenti, che io ben ricordo d'aver veduto tra le carte trasmessemi in Dicembre dalla S. Congregazione de' Vescovi e Regol. e da me già restituite alla medesima nel Gennaio di quest'anno. È vero che a conferma della Congregazione Salesiana non fu spedito dalla S. Sede un Breve, come per alcun'altra Congregazione Ecclesiastica confermata in questo secolo, e che alla medesima non è stata, che io sappia, finor concessa la partecipazione di tutti i Privilegi, di cui godono comunemente gli altri Ordini, e Congregazioni dianzi approvate. Tuttavolta essa fu definitivamente approvata co' suoi statuti con un decreto della S. Congregazione de' Vescovi e Regolari fin dal 1874, ed ad alcuni quesiti presentati poscia alla stessa S. Congregazione (se non erro, appunto dall'E. V.) per sapere fin dove si estendesse l'esenzione della Congregazione Salesiana dall'Autorità e giurisdizione degli Ordinari in forza di quel Decreto, la S. Congregazione avrebbe formalmente risposto, che la predetta Congregazione Salesiana, quanto all'interna vita e regime delle Case sue, era oggimai esente dalla visita e giurisdizione degli Ordinarii, salvo ogni altro diritto degli Ordinari stessi. Adunque fin dal 1874, restò senza meno concessa alla Congregazione Salesiana la prima e principale esenzione degli Ordini e Congregazioni Ecclesiastiche approvate dalla S. Sede, ossia l'immunità dalla visita e giurisdizione Vescovile quanto all'interno regime, pel quale rimane quindi soggetta immediatamente alla S. Sede. Perciò non è meraviglia che l'annuario o Gerarchia Cattolica pubblicata qui in Roma sul principio di quest'anno tra le Congregazioni Ecclesiastiche approvate ed immediatamente soggette alla Santa Sede de' Dottrinari, Missionari, Oblati, Istituto della Carità, etc. annoveri anche in ultimo luogo la Congregazione Salesiana a pag. 460 con queste parole:
“Congregazione de' preti Salesiani.
“D. Giovanni Bosco Superiore Generale.
“D. Michele Rua Procuratore Generale.
Ciò posto, è ben chiaro, che se per E. V. Rev.ma la Congregazione Salesiana non è assolutamente ancor esente dalla giurisdizione [509] Vescovile, cotal persuasione nell'E. V. può dar costo origine ad un'infinità di spiacevoli divergenze. Quanto agli altri punti toccati dalla E. V. nella sua lettera, io convengo pienamente con l'E.V., che, senza nessun speciale privilegio, in nessun Ordine o Congregazione Regolare si può ricevere alcun Novizio senza le Testimoniali dell'Ordinario, prescritte da' Decreti di Pio IX. Non è però lecito agli Ordinari di negar tali Testimoniali ad un individuo qualunque non indegno, desideroso di entrare in un Ordine o Congregazione Religiosa approvata, eziandio di Voti semplici, come ha dichiarato la S. Congregazione de' Vescovi e Regolari. Per questo capo la S. Sede si attiene ora, come prima di quei Decreti, alla giurisdizione dottamente spiegata da Benedetto XIV nella lettera Apostolica Ex quo dilectus del 14 gennaio 1747, con le quali quei gran Pontefice dimostrò chiaramente al dotto per altro ed illustre Cardinal Quirini Vescovo di Brescia, che la legge Canonica non consentiva, che gli rimandasse in Diocesi non che altro il vecchio esemplarissimo e beneficentissimo Arcidiacono della sua Cattedrale, che, senza alcuna sua intelligenza e consenso, se ne era improvvisamente andato a Bologna a farsi Gesuita. Laonde la predetta S. Congregazione ha pur dichiarato che la mancanza delle suddette Testimoniali rende ora illecita, ma non invalida l'ammissione e professione de' Novizi; e quando avvenne il caso che qualche Vescovo senza produr ragioni, ricusò di concederle a qualche individuo di probità e capacità canonica, sufficientemente nota al Superiore Regolare, mi fu assicurato che la S. Congregazione annuì, che fosse accettato nell'Ordine, o Congregazione a cui aspirava, come se le richieste Testimoniali gli fossero state rilasciate dall'Ordinario. Insomma la S. Sede sta sempre ferma a mantenere il generale principio che qualunque, o chierico o laico, o sacerdote o non sacerdote si senta chiamato da Dio, deve esser libero di poter abbracciare la vita, non solamente più perfetta, ma, come ben osserva Benedetto XIV nella precitata lettera, eziandio più sicura del Chiostro.
Qui poi non sarà forse vano di osservare ancora, che se ad un Superiore Regolare di un Ordine o Congregazione approvata dalla Santa Sede si presenti a domandar l'abito dell'Istituto un sacerdote, per attendibile testimonianza abbastanza conosciuto per onesto e non soggetto a censure nella rispettiva Diocesi, nessuna legge canonica o antica o moderna vieta al predetto Superiore di ritenerlo, se non come Novizio, almeno come postulante nella casa, finchè s'ottenga dal rispettivo Ordinario d'esso postulante una risposta, relativa alle richiestegli Testimoniali.
Per quel che riguarda il fatto spiacevolissimo della Domenica 26 agosto dell'anno scorso, l'E. V. Rev.ma mi permetta che osservi, come quel Monitum del Calendario Diocesano (ripetuto poi non so quanto a proposito, dal suo secretario nella lettera diretta al Superiore della Casa de' Salesiani di Torino) fu enunciato tanto nel testo [510] quanto nella traduzione italiana di quella lettera, con parole sì assolute, che a prima vista ingenerano l'idea, che fosse mente dell'E. V. che nessun sacerdote Regolare e specialmente Salesiano, dovesse poter celebrare la Messa fuori delle loro Chiese, senza una espressa licenza di V. E. Rev.ma. Ma lascio ben volentieri ogni rimarco su ciò. Imperocchè anche quel deplorevole fatto è certamente uno di quelli, pe' quali la Rev.ma E. V. protestando di perdonare tutto, ha con la lettera se ben ricordo, del 27 Decembre, non pur consentito, ma pregato la S. Congregazione dei Vescovi e Regolari ad omettere ogni esame, purchè si assicurasse la pace futura. Io non seppi e non so quale decisione la predetta Congregazione abbia presa, o voglia prendere in proposito. Ben assicuro l'E. V. che per parte mia in quella proposta e preghiera ho scorto e scorgo tuttavia il più prudente, il più efficace, e caritatevole modo di dar prontamente fine ad un dissenso, che, come non ha prodotto nulla di bene in passato, così non prometterebbe nulla di buono, nè per l'E. V. Rev.ma e per la Diocesi, nè per la Congregazione Salesiana in avvenire.
L'E. V. mi perdoni la libertà onde ho osato di esporle modestamente l'impressione riportata dalla lettura e dalla spassionata considerazione de' documenti veduti di questa causa, e non l'attribuisca, ne La prego, che al sommo desiderio e interesse, che ho di saperla pienamente tranquilla e consolata nel regime affidatole da Dio di cotesta Diocesi illustre. Con ciò Le bacio umilmente le s. mani, e col massimo ossequio mi raffermo.
In margine all'originale di questa lettera si legge la seguente nota, scritta di pugno dell'Arcivescovo: “P. Tosa da Roma, anch'egli frate e protettore di tutti i privilegi dei frati”. A fianco della qual nota il segretario canonico Chiuso aveva aggiunto di suo a matita la parola “frate”.
Don Bosco ripartì da Roma alle due e mezzo pomeridiane del 26 marzo, dopo tre mesi e tre giorni di permanenza nell'eterna città. A Sampierdarena lo attendevano tutti i membri del Capitolo Superiore, da lui convocati là per dare l'ultima mano alle deliberazioni del Capitolo Generale e trattar gli affari della Congregazione, non potendo egli proseguire subito per Torino, perchè doveva andare in Francia. [511] Prima di lasciar Roma aveva rinnovata al Papa la domanda di onorificenze pontificie per i signori Campanella e Frisetti, tanto benemeriti dell'Ospizio di S. Vincenzo de' Paoli; ma non le potè portare con sè, com'egli avrebbe desiderato. Più tardi ripetè la domanda, indirizzandola all'eminentissimo Franchi, Segretario di Stato[260], che gli procurò l'esaudimento del suo desiderio, come appare da un suo rescritto del 27 maggio[261].
Ora sarà bene che diamo uno sguardo retrospettivo all'Oratorio, toccando delle sue principali vicende durante l'assenza di Don Bosco. Veramente Don Bosco faceva sempre di tutto, perchè il vuoto della sua lontananza vi fosse avvertito il meno possibile. Dovunque andasse, egli pensava a tutto e a tutti, dice la cronaca. Infatti da Roma scriveva spessissimo a Don Rua, dandogli commissioni per tutti quelli della casa; scriveva biglietti ai giovani, massime agli alunni della quinta ginnasiale, che ricevendoli andavano in solluchero; indirizzava lettere collettive ora agli studenti ora agli artigiani; chiedeva di tempo in tempo agli uni e agli altri preghiere e comunioni per i suoi particolari bisogni: insomma non passava giorno che non si presentasse occasione di nominare Don Bosco e di parlarne. Quando conobbe la grave malattia di Pio IX telegrafò all'Oratorio e ai collegi, perchè si facessero preghiere straordinarie. “Oh il colpo che fu per l'Oratorio la nuova della morte di Pio IX!”, esclama il cronista.
Crescevano le strettezze finanziarie, nè più si sapeva ove dar del capo; arrivavano cambiali da pagare e bisognava scervellarsi per evitare cattive figure. Riandando le vicissitudini d'allora, è impossibile non riconoscere l'intervento della Provvidenza nell'incontro di Don Bosco con quel mirabile Don Rua, che, seguendo fedelmente le istruzioni del [512] Beato e informando del suo spirito tutta la propria condotta, riusciva a levarsi dagli impicci senza che in casa neppur si subodorassero certi disagi! Sopravvenne poi quella specie di tifo, per cui circa duecento giovani rincasarono e quindici morirono, cinque nell'Oratorio e dieci in famiglia; Don Rua si condusse in modo da non allarmare la comunità. Don Bosco ne fu avvisato con ritardo, perchè si sperava che il malanno si dileguasse presto e non si voleva accrescere le già tante sue preoccupazioni; egli ordinò speciali preghiere, che non restarono senza effetto: poichè al termine dei quindici giorni da lui fissati per alcune pratiche divote, il morbo non fece più vittime.
L'Oratorio durante l'assenza di Don Bosco ricevette una visita preziosa: venne monsignor Alimonda, da poco tempo vescovo di Albenga. Egli aveva prima visitato il collegio di Valsalice, in compagnia del teologo Margotti. Nell'Oratorio gli si era preparato un solenne ricevimento, ma, essendo andata in lungo la visita di Valsalice, arrivò quando la comunità assisteva in chiesa ai solenni funerali del conte Luigi Giriodi di Monasterolo. Questo gentiluomo piemontese nel 1850, allorchè fu arrestato l'arcivescovo Fransoni, era membro della corte d'appello; ma piuttosto che giudicare l'illustre accusato, si dimise e naturalmente perdette il suo posto nella magistratura. Allora continuò a servire la patria con le opere della beneficenza. Don Bosco fu tra coloro che maggiormente godettero i frutti della sua carità. Monsignor Alimonda pertanto, visitati i laboratori, entrò in chiesa mentre i giovani cantavano ancora il Dies irae. Quell'anima così aperta alle cose belle ne rimase estasiata. Egli parti con segni di viva soddisfazione da quest'Oratorio, dove cinque anni dopo sarebbe tornato Arcivescovo di Torino e angelo consolatore di Don Bosco, affranto ormai, più che dall'età, dai travagli.
Il primo giovedì della quaresima, 17 marzo, l'Oratorio celebrò un solennissimo funerale in suffragio di Pio IX. [513] Un maestoso catafalco si ergeva fin quasi alla cupola; l'apparato della chiesa e la preparazione musicale furono quali richiedevano e la grandezza dello scomparso e la gratitudine dei Salesiani. Belle iscrizioni ai lati del tumulo e sulla porta del santuario dicevano le lodi del lagrimato Pontefice. Poi dall'Oratorio andarono cantori per la trigesima a Oneglia, dove rividero monsignor Alimonda, che pontificò e lesse l'elogio funebre; ne andarono ad Alassio e altrove; precedentemente erano andati a Fossano, ad Alba e a Cuneo, chiamati dai Vescovi delle tre diocesi.
Ora, secondo il consueto, noi dovremmo terminare il capo pubblicando la restante corrispondenza epistolare di Don Bosco da Roma; ma il numero delle lettere sarebbe qui ingombrante: perciò rimandiamo i lettori alla fine del volume[262]. Da esse sole abbiamo notizia di fatti, a illustrare i quali ci mancano elemento sicuri; come la visita ai confratelli di Albano e dell'Ariccia in gennaio, l'andata a Magliano in febbraio, la violazione del segreto postale ne' suoi riguardi da parte del Governo, e altro ancora. In generale poi chiunque voglia conoscere più a fondo il Servo di Dio, non può dispensarsi dal leggerne l'epistolario.
Nelle ultime settimane del suo soggiorno a Roma il Beato Don Bosco ideò un lavoro, che non poteva essere più utile e opportuno. Si propose di compilare un volumetto, il quale, istruendo in forma popolare i fedeli intorno all'elezione di un Romano Pontefice e facendo ben conoscere il Pontefice novello, servisse a perpetuare il ricordo del fausto avvenimento, la cui risonanza era stata grandissima per tutto il mondo. Concepire un disegno buono e cercare di attuarlo formavano per Don Bosco una cosa sola; ci si mise dunque subito attorno. Quali fossero i suoi intendimenti nel compilare la piccola monografia, nessuno meglio di lui varrebbe a significarlo. Dice nella prefazione: [514]
La salita di un Papa al trono Pontificio è avvenimento della massima importanza per tutti i Cattolici. Con esso i Vescovi acquistano il loro Capo e Direttore Supremo, la grande famiglia dei credenti ha di nuovo il Padre perduto, mentre il mondo Cattolico vede sotto ai propri occhi compiersi un fatto grande, che attesta la costante e non mai interrotta visibilità del Romano Pontefice da S. Pietro fino all'attuale Leone XIII. Di modo che se si domanda da chi questo Pontefice abbia ricevuta l'autorità che esercita, le verità che insegna, la fede che propone, Egli risponde che le ha ricevute dal suo antecessore Pio IX, e questi da un altro Pontefice, e così come dalla mano di uno alla mano dell'altro si rimonta fino al Principe degli Apostoli costituito dal medesimo Gesù Cristo per Capo supremo della Chiesa, Pastore di tutti gli altri Pastori.
Ad un avvenimento così solenne, così importante tutti i Cattolici sarebbero lietissimi di potersi trovare presenti, vedere, osservare e notarne tutte le particolarità. Ma ciò essendo possibile soltanto ad un piccolo numero, io credo di fare a tutti cosa grata esponendo qui con particolari circostanze questo atto straordinario. Così quelli che furono presenti, ne potranno vie meglio conservare stabile ricordanza, e gli altri avranno almeno agio di vedere il fatto descritto. Ciò fo tanto più volentieri, perchè espongo cose, delle quali fui testimonio oculare.
Io pertanto esporrò le cose che precedettero ed accompagnarono la elezione del novello Pontefice Leone XIII, e farò seguire con un cenno biografico di Lui, in appendice alcuni atti del suo Pontificato, e una breve biografia di tutti i Cardinali, che intervennero al Conclave[263].
Per non ripetere citazioni ad ogni momento, dirò che nelle materie qui trattate ho seguito il Pagi, Navaes, Giaconio, Baronio, Morcelli ed altri. Chi poi volesse più comodamente istruirsi sulle medesime potrebbe consultare gli articoli dell'accreditato Dizionario del dotto Cav. G. Moroni, l'Enciclopedia dell'Ecclesiastico, e i Diari contemporanei. Di ogni cosa procurerò di esporre l'origine, e di corredare le sacre funzioni di quelle particolarità e dilucidazioni che saranno del caso.
Dio ci benedica e ci conservi tutti fedeli alla voce infallibile del Supremo Pastore della Chiesa, che Gesù Cristo assisterà sino alla fine dei secoli.
Al libro diede un titolo felicissimo: Il Più bel fiore del Collegio apostolico. Lo divise in tre parti. Nella prima riunisce [515] le nozioni storiche, canoniche e liturgiche, le quali giovano a far comprendere che cosa sia e in che modo si svolga un Conclave; narra la fine di Pio IX e ne descrive i funerali; dà un minuto ragguaglio dell'elezione di Leone XIII e delle solenni cerimonie che la seguirono. Nella seconda traccia con la massima semplicità un profilo di Leone XIII, prendendolo dalla sua fanciullezza e accompagnandolo su su fino alla sua esaltazione. Nella terza fa la biografia di 63 Cardinali, sebbene soli 61 siano stati gli elettori del Papa. Alla compilazione collaborò pure Don Bonetti, come si può rilevare da questa lettera.
Dai giornali che ti mando, da quello che pubblicò e va pubblicando l'Unità Catt. procura di prepararmi una biografia del novello Pontefice che faccia da trenta a cinquanta pagine delle Letture Cattoliche.
La morte di Pio IX, il conclave, con tutte le cose che si riferiscono è già preparato. Insieme deve formare un fascicolo delle nostre Letture. Procura adunque di farlo bene, presto e ti darò la medaglia d'onore. Per il resto ci parleremo.
Saluta i cari nostri amici e confratelli. Vale.
Le biografie cardinalizie sono tolte da L'Unità Cattolica, che tante appunto ne venne pubblicando a intervalli fra il 14 febbraio e il 29 giugno. Don Bosco però non le riprodusse tali quali: noi abbiamo dodici numeri del giornale torinese, dove la sua penna introdusse modificazioni, diede di frego a superfluità ed espunse checchè avesse acre sapore politico. Sia nelle biografie che nel proemio di esse, dove, passando in rapida rassegna i Cardinali, coglie e ritrae di ciascuno la nota caratteristica, si osserva lo studio suo di mettere in rilievo le qualità sacerdotali dei singoli, quali sono specialmente la pietà, la carità e lo zelo.
Di questa operetta elegantemente legata inviò copia a [516] tutti i Cardinali ed a parecchi prelati della Corte pontificia; ma anzitutto ne umiliò una al Santo Padre, presentandogliela con questa lettera.
La divina provvidenza, o Beatissimo Padre, dispose che mi trovassi in Roma mentre si compievano i grandi avvenimenti della morte del compianto Pio IX e della gloriosa elevazione della S. V. al trono pontificale. In quella solenne occasione, mi sono dato premura di raccogliere le principali notizie che potessero interessare il cristiano con animo di pubblicarle a vantaggio spirituale dei nostri giovanetti studenti ed artigiani ed anche degli altri semplici fedeli che ne volessero approfittare.
Di questo umile lavoro mi fo ardito presentare copia alla S. V. che forma il soggetto di tutto il libro. Mi rincresce però assai di non essere capace di parlare degnamente dell'augusta Vostra Persona e delle cose che a V. S. si riferiscono; e di ciò Le domando benigno compatimento. Si degni nondimeno di gradire il buon volere dell'autore, che con questo scritto mira unicamente a dare un segno di profondo ossequio, gratitudine, venerazione grandissima verso il capo supremo della Chiesa.
A questo umile omaggio unisco l'assicurazione dì tutti i Salesiani e loro allievi che fanno ogni giorno particolari preghiere per la lunga e preziosa conservazione dei giorni di V. S.
Si degni, come umilmente La supplico, d'impartire l'apostolica benedizione sopra di loro e specialmente sopra il povero scrivente che giudica senza dubbio uno dei più bei giorni di sua vita ogni volta si può professare
Gli fu risposto, come di prammatica si suole, dalla Segreteria di Stato con lettera a firma del cardinale Nina. Vi si diceva tra l'altro avere il Santo Padre in quel lavoro “ravvisato una novella prova dello zelo ond'egli era animato pel bene delle anime, e della sua filiale devozione alla Santa Sede”. Prima ancora però Don Bosco aveva saputo da buona fonte che il Papa si era fatto mettere l'opuscolo sullo scrittoio, dicendo a chi gliel'aveva portato: - Lo voglio [517] leggere. - Al Santo Padre Don Bosco aveva mandato il libro con un intento speciale: desiderava che Sua Santità vedesse con quale alacrità i Salesiani lavorassero e quanto fosse il loro attaccamento alla Cattedra di Pietro e che sforzi facessero per istillare negli altri l'ossequio e l'amore verso il Vicario di Gesù Cristo. Gli parve di aver ottenuto il suo scopo e santamente se ne compiacque[264].
Per i Cardinali la lettera di accompagnamento era a stampa e del tenore seguente.
Supplico umilmente la R. V. a voler gradire un piccolo mio lavoro in cui per dovere ho fatto anche menzione della rispettabile di Lei persona.
Se il buon volere non ottenne il felice e desiderato effetto, me ne dia compatimento, e si degni di gradire l'umile omaggio non pel merito dell'opera, ma qual semplice segno di molta gratitudine e venerazione, che nutro verso alla R. V.
Dovendosi poi divenire quanto prima alla ristampa del libretto, l'avrò come segnalato favore se degnasse di farmi qualche analoga azione.
Intanto raccomando me e i miei giovanetti alla carità delle sante sue preghiere, mentre ho l'alto onore di potermi professare
Le lettere di ringraziamento pervenutegli dall'Italia e dall'estero dimostravano quanto l'omaggio fosse tornato accetto. In quelle lettere vi sono alcune cose da spigolare. Il cardinal Serafini chiama l'operetta di Don Bosco “ottimo frutto dello zelo infaticabile con cui egli dà mano a tutto ciò che può riferirsi ad avantaggiare gli interessi religiosi ed il bene delle anime”. Il cardinale di Canossa, arcivescovo dì Verona, trova il libro “ben utile per tanti che, anche in buona fede, sparlano e spropositano per quanto vien fatto nei Conclavi, solo perchè, come assai di frequente, blasphemant [518] quod ignorant”. Il Cardinale Antonucci ricorda “la grande bontà „ che Don Bosco gli “ha sempre dimostrato fin da quando era Nunzio Apostolico in Torino” e soggiunge: “Dal canto mio L'ho sempre stimata moltissimo, in vista del grandissimo bene che va sempre più operando con uno zelo veramente evangelico pel vantaggio delle anime a maggior gloria di Dio. Il Signore sempre più La benedica. Preghi per me Iddio benedetto e mi raccomandi caldamente alla beatissima Vergine, che si venera nella sua chiesa sotto il titolo di Auxilium Christianorum e che opera tante grazie a pro di quelli che ricorrono al di Lei patrocinio”. “È una pregevole storia contemporanea”, dice il cardinal Consolini. Il cardinale Martinelli gli acclude nella lettera “lire cinquanta pei suoi tanti bisogni”. Il cardinale Sbarretti, che aveva avuto agio di conoscere Don Bosco quand'era segretario della sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari, si rammarica quasi, perchè “non ostante il buon volere ha potuto fare sì poco a favore di chi per se stesso ha diritto ad ogni riguardo, e più come fondatore di un Istituto che in breve tempo per lo zelo, disciplina e dottrina sta emulando i più benemeriti Istituti della Cattolica Chiesa e dell'intiera società”. Nelle altre lettere non occorrono espressioni che vadano oltre i ringraziamenti anche calorosi; soltanto in quella del cardinal Oreglia, dopo le giustificazioni per il ritardo a ringraziare, si leggono due periodi che dovettero essere due spine per Don Bosco. “La compatisco, dice, per la difficile posizione in cui si trova, ma non posso lusingarla col prometterle che ne uscirà presto. Si è stabilita la massima che non si conceda più ad alcuna Congregazione la comunicazione dei privilegi; ora può Ella sperare che si farà dal card. Ferrieri un'eccezione proprio per Lei?”[265]. Con questo Sua [519] Eminenza rispondeva alla preghiera di Don Bosco, che volesse appoggiarne la supplica per i privilegi presentata al Papa verso la fine di ottobre a mezzo di monsignor Boccali, segretario particolare di Leone XIII[266].
Il libro, uscito in settembre per le Letture Cattoliche, nella cui serie occupa i due numeri. 309 e 310, si chiude con una breve rassegna degli atti di Leone XIII fino al mese d'agosto; dopo di che il Beato Don Bosco, indirizzando la sua parola ai “Cattolici”, dice loro: “Questi atti ed altri molti che per brevità tralascio ci fanno con tutta ragione riguardare Leone XIII come una bella aurora foriera di più splendido trionfo per la Chiesa Cattolica. Tocca a noi il facilitarlo. E come? Colla preghiera, colla docilità alla voce dei nostri pastori, con una condotta veramente cristiana. Mettiamoci all'opera, e ciascuno nella propria sfera promuova o riconduca nelle famiglie il buon costume, e le pratiche di religione: ciascuno allontani il peccato da sè e dai suoi, ed il giorno del Signore non tarderà a spuntare”.
IL viaggio in Francia faceva parte dell'itinerario di Don Bosco dopo la sua partenza da Roma; era sua intenzione, dopo visitata la casa di Nizza Marittima, recarsi a Marsiglia, dove il canonico Guiol lo aspettava da gran tempo, e andare a Fréjus per trattare di due fondazioni col Vescovo o con i suoi rappresentanti.
Per la visita a Nizza preparò le cose alla lunga. Anzitutto pensò a uno di quei sermons de charité, a cui traggono tanto volentieri i Francesi. Memore degli ottimi risultati morali e materiali conseguiti già con la conferenza di monsignor Mermillod, si rivolse ad altro non meno illustre Prelato, che in Francia, e non in Francia solo, godeva altissima rinomanza: al celebre monsignor Dupanloup, vescovo di Orléans. Si conoscevano personalmente. Don Bosco l'aveva veduto a Roma durante il Concilio Vaticano, senza però incontrarlo; ma poi il I° maggio 1877, essendo quegli di passaggio per Torino e ospite di monsignor Gastaldi, fu invitato a essergli commensale nell'episcopio, perchè il prelato francese desiderava vederlo e conoscerlo. È probabile che allora s'intendessero per Nizza e che ivi Don Bosco ne ricevesse la formale premessa, di cui egli scrisse in una lettera. Comunque [521] sia, da Roma gli ripetè più volte l'invito, quando si figurava di poter essere presto in libertà. Oltre a ciò veniva studiando seriamente le proposte di nuove fondazioni in terra francese. La seguente lettera a Don Ronchail è senza data; ma dal contesto possiamo assegnarla alla metà circa di gennaio del 1878.
I° Attendo risposta da Mons. Dupanloup per definire il nostro sermon de Charité.
2° Il Regolamento per la scuola di Cannes non è possibile. Bisogna fare patti chiari. Se non siamo assolutamente liberi e indipendenti, è meglio sospendere ogni cosa e noi ce ne andremo più in là cioè fino a St - Cyr o a Marseille.
3° Dirai a' tuoi e miei cari giovani che mi rincresce non aver tempo di scrivere a ciascuno una lettera; ma che li ringrazio dei loro augurii, e che li restituirò nel prossimo febbraio di presenza con un po' di carnevale.
Fra le altre cose faremo un cordialissimo brindisi al sig. Audoli[267].
4° Ho bisogno di preti e chierici francesi. Fammene un numero sterminato.
Omnes fratres et amicos et fenefactores in Domino saluta.
Fa' l'indirizzo colla busta alla lettera del Barone Héraud.
Gli premeva molto di ben disporre per mezzo di Don Ronchail gli amici nizzardi, affinchè gli prestassero man forte allora che l'opera salesiana era sul punto di consolidarsi nella loro città. Onde tornò a scrivergli il 2 febbraio:
Ho già scritto due volte a Mons. Dupanloup e non ho ancor ricevuto alcuna risposta. Non so darmi ragione. Aveva promesso formalmente. Parlane col sig. Barone e poi o scrivi allo stesso di nuovo, oppure pensate ad un altro, e qualora si giudicasse che potessi in qualche modo giovare, predicherei anche io stesso. Ma concerta con [522] questo nostro Mecenate. Io sono in libertà ad hoc dal 20 febbraio al 20 marzo circa. Ma ho bisogno di saperlo alquanto prima, per preparare il voluto programma.
Mi fu assicurato essere stata spedita la risposta in senso favorevole alla nota confraternita[268].
Di lì andrò avanti per le nostre case di Francia.
Per l'affare del Laghetto[269] io aveva messo sossopra la metà del mondo e pareva ogni cosa a suo posto, quando una lettera del Can.co Brés dice di sospendere ogni pratica ulteriore essendo la cosa affidata ad altri. Optime Così io resto esonerato.
3° Dai giornali avrai ragguagli della nostra prima conferenza dei cooperatori di Roma, presieduta dal Card. Vicario che parlò, etc., etc. Eravi pure il Card. Sbarretti con molti Arcivescovi, Vescovi e Prelati. È un gran fatto storico per noi.
4° Saluta il Sig. Audoli, fagli coraggio. Saluta pure tutti i nostri cari figli, amici e benefattori.
5° All'Avv. Michel che non mi abbandoni. Non è tempo di far da burla.
6° Partirò da Roma subito dopo il 15 corrente mese.
Roma, 2 - 2 - 78, Torre Specchi, 26.
Noi sappiamo come il giorno della sua partenza da Roma si protraesse fino al martedì 26 marzo. Appena giunto a Sampierdarena impartì a Don Ronchail le sue ultime istruzioni.
Ti mando una brutta copia delle cose da stamparsi e darsi ai collettori e collettrici e a' loro amici. Sarà un po' difficile a leggersi, ma non ho tempo a farla copiare. Fa' un buon atto di contrizione e capirai facilmente. Il sig. Barone poi l'aggiusterà con quattro tinte con cui a suo tempo egli sa bellamente colorire i pensieri.
Preparata una copia pulita in Francese, si vada dal Vescovo e si preghi di tre cose: se niente osta che si stampi; se egli verrà ad assistere; se permette che dopo le parole del Santo Padre si aggiunga: Pari consolazione proviamo ad un'altra consolante' notizia, che il nostro amatissimo Vescovo si degnò essere cooperatore e come tale interverrà [523] alla conferenza. Se tu non puoi fa' correre D. Gio. Batt.[270] e procurate di dar movimento.
Sabato, a Dio piacendo, alle due pomeridiane sarò con te. Preparami qualche cosa da manducare molto cotta, cioè per un povero vecchio sdentato.
Mi fermerò fin dopo la questua, dopo andremo a Fréjus, S. Cyr, Navarre e Marseille. In questo senso ho già scritto al curato di S. Giuseppe.
Dimenticai di dirti che l'indirizzo di cui sopra sarà firmato da noi due o da altri, siccome il Sig. Barone giudicherà opportuno.
È probabile che meco venga anche D. Rua o qualche altro malfattore del Capitolo Superiore. Siamo qui raccolti per terminare la impresa del nostro capitolato[271] di Lanzo.
Delle molte altre cose ci parleremo di presenza. Fatti coraggio; io prego tanto Dio per te e spero che mi ascolterà. Egli ti benedica.
Un saluto a tutti e pregate pel vostro in G. C.
Nell'anno scolastico 1877 - 78 furono avviate a Nizza le scuole professionali e iniziate le classi secondarie. Gli alunni interni arrivarono a sessanta; ma si ricevevano pure semi - convittori ed esterni. Naturalmente l'oratorio festivo era in piena attività. Con l'indirizzo, menzionato nella lettera, Don Bosco voleva fare appello alla carità cittadina e invitare alla conferenza Salesiana.
Benemeriti e caritatevoli Nicesi,
Fra le opere che certamente meritano la benedizione di Dio e la benevolenza degli uomini crediamo poter annoverare il Patronato di S. Pietro che umilmente raccomandiamo alla carità dei Benemeriti Nicesi. Questo istituto esiste da poco più di due anni, fu fondato e sostenuto dalla pietà dei fedeli. Tutti hanno sempre portato volentieri il loro obolo perchè era donato a poveri fanciulli esposti a mille pericoli di anima e di corpo: fanciulli che se non vengono aiutati sono in procinto di diventare la molestia dei cittadini, disturbo delle pubbliche Autorità con rischio di rovinare se stessi e i loro compagni.
Invece in apposito ospizio sono istruiti nella scienza scolastica [524] e religiosa, avviati ad un mestiere con cui a suo tempo potranno guadagnarsi il pane della vita.
Questi giovanetti provengono da vari paesi e da qualunque nazione, e senza alcuna distinzione sono accettati alle scuole diurne, serali, alle adunanze festive ed alla pratica della religione. I frutti ottenuti in questo lasso di tempo sono assai soddisfacenti ed abbiamo la gran consolazione di poter annoverare non pochi ragazzi già inoltrati nelle vie del male, e diremo già alla porta delle prigioni, ritornare indietro, darsi al lavoro ed ora di nuovo restituiti alle proprie famiglie e così ridonati alla civile società ma buoni cristiani ed onesti cittadini.
Quest'opera, da voi, o Nicesi, tanto benevisa e sostenuta, presentemente versa in vere strettezze.
Oltre alle spese quotidiane per dar pane a non meno di cento cinquanta giovanetti tra interni ed esterni, devonsi estinguere alcune passività incontrate per abiti, pane ed altri commestibili consumati da questi poverelli. Le varie scadenze riunite formano una passività di f….
La casa attualmente abitata è ancora metà da pagare, cioè avvi un residuo di f. quarantacinque mila cogli annui interessi. Vi sono riparazioni e molti lavori dalla cui esecuzione dipende poter raddoppiare il numero dei fanciulli pericolanti.
Non si hanno altri provvedimenti fuori dei ricorso alla vostra carità, o benemeriti Nicesi, e di quei benevoli signori che dimorano in questa medesima città.
Il discorso di carità che avrà luogo nel giorno... ha lo scopo di sollevare le strettezze del patronato di S. Pietro e provvedere pane e vestito ai ragazzi ivi raccolti.
A voi dunque, cooperatori e cooperatrici delle opera Salesiane, voi tutti, pietosi collettori e collettrici, umilmente ma caldamente raccomandiamo di voler usare il vostro zelo in favore di questi esseri che sono i più degni della civile società: raccomandateli anche alle persone caritatevoli di vostra conoscenza, raccogliete l'obolo della vedova e le offerte dei ricco, ricordando a tutti che a tali opere Dio assicura il centuplo nella vita presente e il premio eterno nella futura.
Questa è la prima conferenza che fanno i cooperatori di Nizza; e il santo Padre manda a tutti e singoli una speciale benedizione, concedendo indulgenza plenaria a tutti quelli che verranno a prendervi parte, purchè adempiano le cose a tale uopo prescritte dalla Chiesa.
Vi annunziamo poi colla massima consolazione che sua Santità Leone XIII si è degnato di farsi cooperatore Salesiano e di permettere che il suo augusto nome fosse tra questi annoverato... [525] Don Bosco lasciò in bianco il nome del conferenziere, perchè aspettava sempre una buona risposta da Orléans; la risposta venne, ma da Hyéres, luogo di cura, ed era cortese, ma negativa[272]. Prima di uscire dall'Italia spedì ancora la circolare, con cui chiedeva l'obolo dei cooperatori per la compera del convento di Nizza Monferrato da trasformarsi in casa madre delle Suore[273].
A Sampierdarena si fermò tre giorni, fino al 30 marzo, e mentre i Capitolari facevano ritorno a Valdocco, egli con Don Rua partì per la Costa Azzurra. A Nizza le molte spese che si erano dovute fare, avevano stancato le borse; al suo arrivo egli trovò i suoi figli con diecimila franchi di debito solamente con i fornitoti di generi alimentari; anche gli assegni della Conferenza di san Vincenzo de' Paoli non venivano più, perchè la cassa era vuota. Tuttavia il Servo di Dio non proferì una parola di biasimo o di lamento; ma in casa incoraggiava i confratelli, e fuori encomiava le opere esterne. Tanta fiducia nella Provvidenza produsse ottimi effetti, destando in suo favore fiamme novelle di carità, sicchè affluirono aiuti che permisero di pagare i debiti e di sviluppare il Patronage.
Una delle cose da fare arrivando a Nizza era di prendere quel prefetto Don Giovanni Battista Ronchail, cugino del direttore Don Giuseppe, condurlo alla Navarra o a Marsiglia [526] e installarvelo direttore. Egli, che non sapeva ancora nulla di questa scelta decisa dai Superiori, si fece in quattro la domenica 31 marzo per ottenere che l'arrivo di Don Bosco fosse festeggiato con la massima solennità possibile. Quel giorno, essendo ammalato il Direttore, aveva dovuto predicare due volte; la sera poi si strapazzò nel teatrino a dare una rappresentazioncella che chiudesse allegramente la festa. Tutto riuscì con soddisfazione del buon Padre; ma purtroppo quello fu l'ultimo sforzo fatto da Don Giovanni. L'indomani, sentendosi stanco, prolungò il riposo. Il martedì Don Bosco dovette andare a Fréjus, dove sotto gli auspici del Vescovo bisognava stipulare il contratto delle case della Navarra e di Saint - Cyr. Don Ronchail gli mandò a dire che proprio la stanchezza gl'impediva di alzarsi. Il Beato partì tranquillo. A Fréjus le persone che dovevano riunirsi per il contratto, non avevano ricevuto l'avviso in tempo; perciò l'affare fu rinviato al venerdì seguente. Allora Don Bosco proseguì il viaggio alla volta di Marsiglia.
A Marsiglia dopo le due precedenti visite del Beato l'idea di una fondazione salesiana aveva fatto del cammino, sebbene non ancora nella direzione precisa che doveva essere la sua. Se n'era determinata esattamente la forma; il canonico Guiol, tornato dalla sua gita a Torino nel maggio del '77, non si contentava più di un semplice oratorio festivo per la sua parrocchia, ma voleva un'opera somigliante a quella da lui ammirata in Valdocco. Monsignor Place la pensava allo stesso modo. E s'intravvide pure il procedimento da seguire per tradurre l'idea in realtà. Esisteva a Marsiglia una Società Beaujour, costituita da ottimi cattolici e avente per iscopo di favorire istituzioni benefiche a vantaggio della gioventù pericolante; essa quindi assumeva la proprietà degl'immobili e il loro uso di fronte al Governo secondo le esigenze legali. Il Vescovo, che stava sempre ai panni dell'abate Guiol perchè facesse presto, trattò per suo mezzo [527] con il consiglio d'amministrazione della Società nell'agosto del 1877 e con buoni risultati[274].
La Società, nella via da cui prese il nome, possedeva un caseggiato dove i Fratelli delle Scuole Cristiane tenevano scuole elementari frequentate da figli di poveri operai e un convitto per artigianelli. Era la così detta Maison Beaujour. Il primo pensiero del parroco di San Giuseppe fu di vedere se fosse possibile sostituire quivi ai Fratelli i Salesiani. Apertosene con il loro Visitatore, non incontrò veruna resistenza. Di tutto diede comunicazione a Don Bosco. Poi le vacanze del canonico, obbligato a recarsi in luogo di cura portarono una sospensione nelle trattative. Il Beato che presiedeva allora il Capitolo generale a Lanzo, non ricevendo più notizie da Marsiglia, fece scrivere al canonico che era vago di sapere come andasse la faccenda[275]. Tre giorni dopo gli scrisse di suo pugno, per esprimergli il suo vivo desiderio di conoscere da lui a che punto si fosse[276]. Allora nel consiglio d'amministrazione si ventilò il disegno di lasciare ai Fratelli le scuole elementari e di affidare ai figli di Don Bosco solamente le scuole professionali. Il voto dell'assemblea risultò favorevole; ma ecco che un incidente non preveduto riportò le cose allo stato di prima. Il Visitatore dei Fratelli tolse dalla Maison Beaujour e inviò altrove un religioso amatissimo dai giovani e assai benemerito dell'opera. Il consiglio della Società, spiacente del trasloco, tentò di [528] farlo revocare; ma il superiore tenne duro. Dopo di che naturalmente non si parlò più di Fratelli: tutta la Maison Beaujour doveva passare nelle mani di Don Bosco, del quale si aspettava la venuta per i primi di dicembre del '77 a fine di stipulare una convenzione.
I lettori sanno bene se in dicembre Don Bosco potesse andare a Marsiglia! Allora l'empressement o diciamo meglio l'impazienza passò nel canonico Guiol. Egli incalzava, non sapendo capacitarsi di tanti ritardi. Da Nizza gli fornì spiegazioni Don Ronchail[277]; finalmente Don Bosco stesso gli scrisse con la sua abituale serenità.
Con vera soddisfazione ho ricevuto la sua lettera con cui mi annunzia essere presso che conchiuse le pratiche per una casa destinata ai giovanetti più pericolanti. A Dio le grazie; a Lei gratitudine.
Aveva in animo di recarmi quanto prima a Marsiglia, ma una dimanda urgente fa che lunedì prossimo debbo recarmi [a Roma] e ciò per secondare i voleri del S. Padre che a sue spese vuole che apriamo una casa nella Spezia che è città di protestanti e di Massoneria, un'altra a Roma. Sicchè io non potrei recarmi a Marsiglia fino agli ultimi del p. Gennaio. Se però ci fosse urgenza, io incaricherei Don Ronchail a fare preventivamente una gita presso V. S. per intendersi e fare quanto sarà necessario allo scopo. A Roma Ella può dirigermi qualunque cosa a Torre de' Specchi.
Qui, sebbene un po’ tardi, Le debbo fare i più vivi ringraziamenti per la grande benevolenza e carità usata, ai nostri missionari. Ne sono stati tutti entusiasmati della sua benevolenza; ed unanimi scrissero: Il Curato di S. Giuseppe è un vero Cooperatore salesiano; Dio ce lo conservi.
Oggi tutti i nostri missionari sono in alto mare. I primi giungeranno dimani a Montevideo, dopo dimani a Buenos Aires.
Ci raccomandiamo tutti alla carità delle sante sue preghiere e mi creda in G. C.
L'accenno ai Missionari ci richiama opportunamente un episodio un po' singolare. Oltre a quelli del gruppo di Don Costamagna anche i compagni di monsignor Ceccarelli avevano esperimentato in circostanze eccezionali il buon cuore del canonico Guiol. Partiti da Nizza, pensando che sarebbero arrivati nottetempo a Marsiglia, dove non conoscevano anima viva, s'accordarono di telegrafare al curato di San Giuseppe: “Giungeremo quattro Salesiani stassera ore dieci”. Ma poichè nessuno della comitiva era persona nota, firmarono tout - court: DON BOSCO. Il canonico, persuasissimo che venisse Don Bosco in persona, allestì un solenne ricevimento. Appena il treno fu fermo in stazione, i nostri si videro fatti segno a premure d'ogni genere da parte di nobili signori, che li invitavano a salire sulle loro carrozze padronali, mentre l'abate correva affannosamente in su e in giù ripetendo: Don Bosco où est - il? D. Bosco où est - il? Allora soltanto i mal capitati compresero quanto l'avessero fatta grossa, e più ancora al momento che, messo piede nell'abitazione, si affacciarono a una gran sala splendidamente illuminata e si trovarono dinanzi a una mensa sontuosamente imbandita e dovettero rispondere ai complimenti di parecchie gentildonne, che però guardavano donde spuntasse l'aspettato Don Bosco. Se la cavarono come Dio volle; ma l'abate Guiol, credesse o no all'asserzione di monsignor Ceccarelli che Don Bosco era stato trattenuto a Nizza da affari improvvisi, dopo il primo disappunto, non si mostrò contrariato e, disbrigatosi con i suoi amici, diede ai quattro la più cordiale ospitalità.
Intanto le settimane passavano, senza che Don Bosco sapesse indicare con qualche approssimazione quando fosse per finire il suo soggiorno a Roma. Nel gennaio del '78 gli fece comunicare da Don Ronchail, che egli sperava di essere a Marsiglia verso gli ultimi del mese e che, se urgesse conchiudere il contratto, il medesimo Don Ronchail sarebbe andato a Marsiglia con una procura generale per tutta la [530] Francia[278]; ma a Marsiglia si amò meglio rimettere ogni cosa alla venuta di Don Bosco. Passarono così anche i mesi di gennaio e febbraio senza che le circostanze, come abbiamo narrato, permettessero a Don Bosco di lasciare Roma. È del marzo inoltrato questa lettera del Beato al suo benefattore marsigliese.
Malgrado ogni mio progetto non mi fu ancora possibile stabilire la mia partenza da Roma. Spero però nella prima quindicina del p. aprile di essere a Marsiglia e fare degli affari secondo il caritatevole suo pensiero e mio vivo desiderio. Compatisca la mia trascuratezza, La cagione ne è il S. Padre, faccia a Lui un rimprovero.
Mando a Lei una delle ultime fotografie di Pio IX e di presenza spero di poterne offrire a Lei ed al venerato Mons. Laplace (sic) una dell'attuale pontefice Leone XIII.
Se avesse occasione di parlare un momento con Monsignore potrebbe comunicare al medesimo che ho portato al S. Padre il progetto di una casa pei poveri artigiani in Marsiglia. Ne mostrò gran piacere, mi diè carico di comunicargli una speciale benedizione con altre cose che gli esporrò di presenza.
Mio caro Sig. Curato, quanto da fare! quante anime da salvare! Parlandoci tratteremo di tutto[279].
Mi raccomando di tutto cuore alla carità delle sue preghiere e mi creda sempre, in G. C.
Roma, 14 marzo 1878, Torre de' Specchi 36.
Finalmente il 2 aprile Don Bosco era a Marsiglia, accompagnato da Don Rua. Ospite del parroco di San Giuseppe, s'incontrò nella sua casa con due persone destinate a essere ivi per lui strumenti della divina Provvidenza; vogliamo dire la signora Prat - Noilly e l'abate Mendre. La signora Prat, ascoltando la Messa nella chiesa parrocchiale di San Giuseppe, notò all'altare un sacerdote, il cui esteriore grandemente [531] la colpì; scorgeva in lui un contegno generale, un'esattezza nell'osservanza delle rubriche, un raccoglimento abituale, un'aria insomma di santità che la fecero esclamare: - Questo prete dev'essere un religioso. - Un desiderio irresistibile di conoscerlo da vicino la spinse nella sacrestia a domandare chi fosse quel prete che celebrava in modo così edificante. Il parroco la soddisfece ampiamente.
- Potrei essergli presentata? chiese con peritanza.
- Ma subito, signora, le rispose l'abate Guiol.
La presentazione avvenne là stesso, nè ci volle altro perchè la buona signora fosse guadagnata interamente alla causa di Don Bosco e riponesse nel Beato la più assoluta fiducia. Quanto d'allora in poi ella abbia fatto per l'oratorio di san Leone, Dio solamente lo sa: basti dire che fino all'estremo anelito ne fu la vera madre.
Anche il canonico Mendre strinse allora relazione con Don Bosco in una maniera semplicissima. Fino all'aprile del 1878 egli non sapeva chi fosse Don Bosco. - Il parroco Guiol, del quale era vicario, un giorno lo chiamò e gli disse: Don Bosco sta per cominciare le sue opere qui a Marsiglia; Lei si metta a sua disposizione. - Il Servo di Dio fu anche per Don Mendre una calamita: fino dal primo incontro il buon abate divenne tutto cosa sua. È rimasto nella memoria dei Salesiani francesi l'espressione del Beato: - L'abate Mendre ha rubato il cuore a Don Bosco. - Ma a più forte ragione si sarebbero potuti invertire i termini. Per circa quarant'anni non passò quasi giorno che il vice - curato e poi curato a sua volta di San Giuseppe non desse qualche prova di benevolenza ai figli di Don Bosco.
Mentre si faceva così nuovi amici e rivedeva gli antichi, il Beato veniva prontamente concretando i suoi piani con il canonico Guiol, al quale sul partire lasciò la cura di abbozzare con la Società Beaujour uno schema di convenzione rispondente alle loro intelligenze e di mandargliela subito ad Alassio o a Sampierdarena. [532] Don Bosco, arrivato da poco a Marsiglia, scrisse a Don Lemoyne una lettera misteriosa, di cui non abbiamo il testo ma una nota autografa del destinatario, il quale dice: “Io mi trovava un giorno nella sua anticamera profondamente afflitto ed angustiato non so più per che cosa. Dopo qualche giorno, forse all'indomani, senza che io parlassi con alcuno dei miei affanni, mi veggo giungere una letterina di Don Bosco piena di soavi espressioni e di sì salutari conforti, che furono come un balsamo a tutte le mie pene. Ritornato all'Oratorio mi diceva: - Ti ho scritto quella lettera per sollevarti dalle afflizioni in cui ti vedeva qui immerso. Ed io in quel giorno d'angoscia era veramente in quel luogo indicatomi dal Servo di Dio”. Nel medesimo foglio Don Lemoyne ha raccolto una testimonianza di Don Francesco Ghigliotto, il quale ricordava che nel 1877, essendo chierico all'Oratorio, aveva udito Don Bosco dopo la festa di Maria Ausiliatrice, parlare così in una "buona notte" sotto i portici: - Ringraziamo la Vergine Santissima che in quest'anno più che negli altri mi ha conceduto la grazia di leggere e vedere nelle coscienze di tutti come in uno specchio.
Per il giorno fissato Don Bosco fu di nuovo a Fréjus, dove prese gli accordi per la prossima apertura di una casa alla Navarre. Designavasi con questo nome un vastissimo fondo che misurava 233 ettare nel comune della Crau, dipartimento del Var. Di tutta quella campagna si era formata una colonia agricola, denominata orfanatrofio San Giuseppe. L'aveva fondata nel 1863 il sacerdote Giacomo Vincent, mercè la carità del signor Roujou, proprietario della tenuta, il quale la diede all'unico scopo di farla servire a un'opera di beneficenza. Dieci anni dopo l'orfanatrofio con i terreni annessi fu ceduto in enfiteusi per 99 anni dall'abate Vincent a tre sacerdoti secolari, che vagheggiavano di risuscitare il terz'ordine dei religiosi Trinitari: ma sempre con l'obbligo di conformarsi alla condizione imposta dal munifico donatore nell'atto di donazione. Se non che, trascorsi appena cinque [533] anni, i locatari si trovarono talmente ingolfati nei debiti, che non sapevano più come rimettersi a galla e, ascoltando il consiglio del Vescovo, vennero nella decisione di cedere tutto a Don Bosco, esigendo che egli pagasse loro ventimila franchi per le migliorie fatte alle fabbriche e ai terreni nel tempo della loro amministrazione, e si accollasse un debito di franchi settemila, che era l'ammontare di una somma tolta dai medesimi in prestito presso vari benefattori della casa: salva sempre la condizione anzidetta, l'inadempimento della quale trasferiva senz'altro all'Ospedale d'Hyères il diritto di possesso della Navarre.
Iniziatore e caldo promotore di questa cessione fu, dicevamo, il Vescovo di Fréjus e Toulon, monsignor Ferdinando Terris; ma egli era inconscio strumento della Provvidenza di Dio. La prima sua lettera intorno all'affare della colonia agricola pervenne a Don Bosco nell'agosto del 1877. Nel che si notino bene due cose: anzitutto l'invito gli piovve improvviso, senza cioè che vi fossero state non diremo pratiche remote, ma neppure le più lontane probabilità di tale proposta; e poi Don Bosco si era manifestato sempre avverso alla fondazione di colonie agricole, perchè, a suo modo di vedere, non offrivano guarentigie sufficienti per la morale condotta dei giovani. Orbene, la notte che precedette l'arrivo della lettera di monsignor Terris, il Beato fece un sogno, che lo liberò da quell'avversione e lo dispose ad accogliere favorevolmente la dimanda. In settembre durante gli esercizi di Lanzo egli narrò quello che aveva veduto; udirono fra gli altri la narrazione il conte Cays chierico, Don Barberis e Don Lemoyne, il quale scrisse tutto nella forma seguente[280]. [534]
Sognai. Stendevasi innanzi a me una regione che non mi sembrava dei dintorni di Torino. Una casa rustica avente d'innanzi una piccola aia parea che mi ricettasse. Questa casa come quelle dei contadini era disadorna, e la camera ove io mi trovava avea porte che mettevano in varie altre stanze. Queste però non allo stesso livello della prima. In alcune si saliva, in altre si scendeva per mezzo di pochi gradini. Tutto intorno si vedeva una rastrelliera che sosteneva utensili per i lavori rurali. Io volgeva gli occhi da una parte e dall'altra, ma non vedeva alcuno. Mi pongo a girare per le camere, ma erano tutte vuote. La casa era deserta. Quando la voce di un ragazzino che cantava giunse al mio orecchio. La voce veniva dal di fuori della casa. Esco. Il fanciullo era sui dieci o dodici anni, tarchiato, robusto, vestito da artigiano. La sua voce era sonora. Stava ritto fermo, fissando lo sguardo su me. Vicino a lui una donna pulitamente vestita, ma che all'apparenza sembrava una contadina, assistevalo. Il giovane cantava in lingua francese:
Io che mi era fermato sulla soglia della porta: - Vieni, vieni pure, gli dissi: e chi sei tu? - Il giovane guardandomi ripeteva la stessa canzone di prima. Ed io: - Che cosa vuoi da me?
E l'altro ritornava da capo a cantare il suo ritornello.
Ed io: - Ma spiegati chiaramente. Vuoi che ti riceva in casa? Hai qualche bella cosa da dirmi? Desideri qualche regalo, una medaglia forse? Ovvero aspetti da me qualche soccorso in danaro?
Il giovanetto allora non badando alle mie interrogazioni volse lo sguardo attorno e cambiando parole si mise a cantare:
Qui diront ce que nous voulons.
Ed ecco spuntare una gran quantità di giovani che venivano innanzi verso l'area sulla quale mi trovavo, camminando sui gerbidi[281]. E costoro a pieno coro cantare distintamente:
Mais au jardin des bonnes moeurs.
- Ma chi siete tutti voi? - dissi io meravigliato, mentre mi era [535] fatto innanzi fra quella moltitudine infantile. E il piccolo che aveva cantato prima da solo, da solo risponde continuando il canto:
Ed io ripresi: - Non capisco! Che cosa fate qui? Che cosa volete da me?
- Siamo d'accordo, soggiunsi. Volete venire nei miei collegi? Siete troppi! ma in qualche modo faremo. Volete imparare il catechismo? Io ve lo insegnerò. Volete confessarvi? Son pronto. Volete che vi insegni il canto, vi faccia scuola, oppure una predica? - E tutti in coro graziosamente ripeterono:
Io tacqui allora e pensava tra me: - Ove sono io? A Torino oppure in Francia? Ma ieri non mi trovava ancora nell'Oratorio? È cosa strana questa! Non mi ci raccapezzo! - E mentre così pensava e rifletteva, quella buona donna prese per mano il fanciulletto e coll'altra fece un segno, indicò ai giovani che si raccogliessero e che si incamminassero verso un'aia più grande della prima, che non era molto lontana: - Venez avec moi - disse: e si mise in cammino.
Tutti i giovani che mi avevano circondato si misero in marcia verso la seconda aia. Mentre io pure andava con essi, nuove folle di giovanetti si aggiungevano alla prima. Molti di essi portavano la falce, molti le zappe e molti recavano gli strumenti di varii mestieri. Io mirava questi giovani sempre più stupito. Io non era all'Oratorio, non ero a Sampiedarena. Diceva fra me: - Ma io non sogno, perchè cammino. - Intanto la moltitudine dei giovani che mi circondava, se qualche volta io rallentava il passo, mi urtava e mi spingeva verso l'aia più grande.
Io intanto non perdeva di vista la donna che ci precedeva, e che attirava la mia viva curiosità. Con quel suo modesto vestire da montanina o pastorella, con quel suo fazzoletto rosso al collo e pettorale bianco, pure sembravami un essere misterioso, benchè nulla avesse di sorprendente nel suo esterno. Su quella seconda aia eravi un'altra casa rustica e poco distante un fabbricato molto bello.
Quando tutti i giovani furono raccolti in quell'aia, la donna si volse a me e: - Guarda, mi disse, queste campagne: guarda questa casa, guarda questa gioventù! [536] Io guardava e la folla dei giovanetti era innumerevole. I giovani erano in numero maggiore più di mille volte del numero partito dalla prima aia. La donna continuò: - Questi giovani sono tutti tuoi!
- Miei? risposi io. E con quale autorità voi mi date questi giovanetti? Non sono nè vostri nè miei; sono del Signore!
- Con quale autorità? riprese la donna; sono i miei figli ed io te li affido.
- Ma come farò io a sorvegliare una gioventù così vispa, così immensa? Vedete quei giovani che corrono all'impazzata per i campi e gli altri che li inseguono? Questi che saltano i fossi, quelli che si arrampicano sugli alberi? Quei là che si battono? Come è possibile che io solo li tenga tutti in ordine e disciplina?
- Mi chiedi il da farsi? Osserva, - esclamò la donna.
Mi voltai indietro e vidi avanzarsi una nuova schiera numerosissima di altri giovanetti. Ed ecco la donna slanciare e stendere un gran velo sopra di essi e tutti coprirli. Ove avesse preso il velo non vidi. Dopo alcuni istanti lo tirò a sè. Quei giovanetti si erano trasformati. Erano divenuti tutti uomini, tutti preti e chierici.
- E questi preti e chierici sono miei? - Così interrogai la donna.
Essa mi rispose: - Sono tuoi se te li farai! Adesso se vuoi sapere qualche cosa di più vieni qui. - E mi fece avanzare alquanto verso di sè.
- Ma ditemi, o buona donna, ditemi, qual luogo è questo? ove sono io?
La donna non rispose, ma colla mano fece segno a quei giovani che tutti si raccogliessero intorno a Lei. I giovani accorsero ed essa intuonò: - Attention, garçons, silence. Ouvriers, Ateliers, chantez tous ensemble. - E battendo la mano fece un segnale. Allora i giovani a pieno coro cantarono: Gloria, honor, gratiarum actio Domino Deo Sabaoth. Tutti insieme formarono una meravigliosa armonia. Erano serie di voci che contemporaneamente dalle note più basse salivano alle più alte, intrecciandosi: sicchè sembravano il basso partire dalla terra, mentre il soprano andava a perdersi nell'alto dei cieli. Finito che ebbero quest'inno tutti gridarono cantando: - Ainsi soit - il.
È molto interessante la risposta che Don Bosco fece al Vescovo, scritta con una quasi briosa confidenza, a lui non usuale sul principio di qualche trattativa. Forse l'abate Guiol conosceva le intenzioni di Monsignore e per questo, senza dir nulla a Don Bosco, aveva divisato di procurare l'incontro accennato nell'esordio della lettera. [537] Eccellenza Reverend.ma,
Non poteva ricevere lettera più cara di quella che V. E. ebbe la degnazione di indirizzarmi. Se nel mio ritorno da Marsiglia non fossi stato impedito da un leggero disturbo di sanità, forse coll'ab. Guiol mi sarei procurato l'onore di fermarmi ad ossequiarla personalmente.
Venendo ora ai due orfanotrofii che la E. V. mi propone, io li accetto in massima, e siccome ho piena confidenza in Lei, così mi rimetto interamente nelle sue sante mani pel compimento della pratica. Affinchè poi io possa seguire vie meglio i suoi venerati voleri, ed Ella più chiaramente conosca lo scopo della nostra Istituzione, io manderò l'Abbé Joseph Ronchail Directeur du Patronage de Saint Pierre - Nice. Egli va con pieni poteri e tratterà e conchiuderà quanto la E. V. giudicherà della maggior gloria di Dio.
Nel considerare il tenore della venerata sua lettera mi nacque un pensiero che quivi sottopongo al suo buon volere.
Noi abbiamo specialmente in mira di radunare i fanciulli poveri e pericolanti in Patronati domenicali, e ritirare i più abbandonati in Ospizi di arti e mestieri. Più le città sono popolate, più fanno per noi. Ciò posto, non si potrebbe coll'Orfanatrofio di S. Siro, e dell'altro della Navarre stabilirne uno in Fréjus dove fare: 1° Il giardino di ricreazione, oratorio e scuole domenicali pei giovanetti della città?
2° Scuole serali per gli adulti.
3° Orfanatrofio simile a quello di Torino o di Nizza.
Chi sa che Dio non inspiri V. E. a trovare forse altrove i mezzi necessari ad hoc, qualora ne veda il bisogno?
La R. V. dirà che ho una testa poetica. È vero; ma prima di fare le cose bisogna dirle, ed a fine di non errare sottometto questo ed ogni altro mio pensiero alla illuminata saviezza della E. V. assicurandola che il suo parere sarà sempre norma del mio operare.
Intanto io innalzerò le deboli mie preghiere al trono di Dio per la preziosa conservazione de' giorni suoi ed invocando la sua santa benedizione sopra di me e sopra i miei giovanetti, ho l'alto onore di potermi professare con profonda gratitudine
La chiave del sogno era dunque nelle esibizioni giuntegli poche ore dopo dalla Francia; e che la spiegazione non fosse altra, venne confermato più tardi dai fatti. Don Lemoyne, visitando la nuova casa poco dopo l'apertura, ne riscontrò una prima prova. Entrato dov'era la direzione, ecco al piano [538] superiore una stanza con la rastrelliera attorno alle pareti e con porte a cui si accedeva ascendendo o discendendo per gradini e si entrava in altre stanze; ecco inoltre davanti a quella casa una piccola aia e un larghissimo prato in abbandono, cinto da una corona di alberi, e più in là, ma non lontano, una seconda aia assai maggiore, dove fu l'abitazione dei primi giovinetti accolti. Era il sogno ad litteram. Don Lemoyne, che non si aspettava una simile sorpresa, ne scrisse immediatamente a Don Bosco. Ma una maggior meraviglia attendeva Don Bosco stesso, allorchè in seguito andò colà per la sua seconda visita. Avanzandosi il Beato nel tenimento, i giovani gli mossero tutti incontro preceduti da un compagno recante un mazzo di fiori. Il Servo di Dio, giunto a pochi passi da lui, per subita commozione cambiò colore: il giovanetto aveva statura e lineamenti quali egli aveva veduti nel sogno. Era Michelino Blain, che, resosi salesiano, vive tuttora nella nostra casa di Nizza Marittima. Alla sera poi, durante l'accademia tenutasi in onore di Don Bosco, mentre i cantori eseguivano un inno e il Blain faceva una parte a solo, il Beato, additandolo al direttore Don Perrot, gli disse: - Mi sembra lui quello del sogno.
Nei sogni di Don Bosco si contengono spesso anche elementi profetici; bisogna però diffidare delle affrettate interpretazioni, perchè talora le cose predette hanno da verificarsi a lunga scadenza. Se i profeti i medesimi non comprendono sempre tutto il significato delle proprie profezie, che sarà dei loro commentatori? Nell'ultima parte del nostro sogno è rimasta fino a pochi anni fa un enigma quella nuova schiera di giovani che non maneggiavano strumenti contadineschi e che si trasformarono in chierici e preti. Vi furono bene tentativi di spiegarla, con dire che là Don Bosco intravide vocazioni ecclesiastiche maturate fra gli allievi della colonia; ma era una spiegazione che non appagava, perchè troppo vaga di fronte alla forma preci sa della rappresentazione simbolica. Quando però, senza che nessuno ponesse mente [539] al sogno, fu deliberato d'istituire alla Navarre i Figli di Maria e poi il noviziato, allora cominciò a delinearsi la genuina portata del vaticinio. Vi richiamò per primo l'attenzione Don Candela, consigliere del Capitolo Superiore, nell'autunno del 1929, allorchè, sul punto di imporre l'abito talare a un gruppo di venti aspiranti o ivi preparati o ivi d'altronde convenuti, additò la schiera e la relativa trasformazione prevista più di cinquant'anni avanti dal Beato Don Bosco.
Ritorniamo al venerdì 5 aprile 1878. Quella volta il Vescovo e Don Bosco fissarono le linee generali dell'opera; ma dal dire al fare ci furono di mezzo spinose trattative, delle quali vedremo fra non molto i risultati. Le difficoltà si complicavano con tre altre pratiche, le quali si trovavano già sul tappeto, per l'orfanotrofio cioè di Saint - Cyr, fondato pure dall'abate Vincent, per una casa a Cannes, che in un primo tempo si annunziava di grandi proporzioni, e per la fondazione di Marsiglia, dove anche l'importanza della città imponeva inizi adeguati.
Monsignor Terris s'interessava pure di Saint - Cyr; infatti dalla corrispondenza precedente abbiamo visto come Don Bosco ne trattasse con lui a mezzo di Don Ronchail. Alla pronta adesione del Servo di Dio dopo il sogno, il Vescovo aveva supposto che già col prossimo anno scolastico 1877 - 78, i Salesiani sarebbero stati bell'e pronti; perciò coll'inoltrarsi dell'autunno lo prese una certa irrequietezza, che gli faceva moltiplicare le insistenze a Torino e a Nizza. Don Ronchail fra l'ottobre e il novembre scrisse a Don Bosco: “Ricevo all'istante una lettera del Vescovo di Fréjus colla quale sollecita la soluzione dell'apertura delle case. Dice esso... che ha scritto a V. S. Rev.ma, ma che non ha ricevuto risposta. Io pure già scrissi tre volte dal mio ritorno dagli esercizi e non ebbi ancora nessuna risposta”. Don Bosco rimise a Don Rua il foglio, vergandovi queste righe: “Fu scritto a Don Ronchail che cominci ad aggiustare le cose a Saint - Cyr, [540] un prete e le monache, stipuli il contratto, poi Cannes, poi Navarre”. La lettera che Don Bosco diceva d'aver scritto al direttore di Nizza, era questa.
La moltitudine degli affari rese inoperoso il mio buon volere. Ora però bisogna fare qualche cosa pei nostri progetti. Cominciamo così. Prenditi D. Perrot, o D. Ronchail G. B., con un coadiutore, passate dal Vescovo di Fréjus. Messi questi due in qualche sito, di’ loro che crescano in multam gentem. Poi osserva il posto per le monache, di poi dimmi il numero che occorre e possiamo tosto mandarle perchè sono preparate ad hoc.
Poi dimmi, come si potrà provvedere Cannes e Navarre e poi scrivimi tosto.
Così ho già scritto al Vescovo di Fréjus. Per tua norma io ho qui un prete che ti manderò e che spero ti contenterà sia col lavoro, sia colla capacità.
Tu intanto devi fare un miracolo aggiustando tutto e tutto bene.
Dirai al Barone Héraud che il Card. Bilio Prefetto della sacra Congregazione dei Riti risponde che ha preso in viva considerazione la sua vertenza, che l'ha già studiata ed affidata ad un segretario perchè riferisca. Sarà mandata prima all'Ordinario pro informatione, ma ciò non farà difficoltà. Fin qui il Card. Bilio[282].
Un caro saluto ai nostri cari figli, fratelli, amici, e fra gli altri il caro sig. Audoli. Dirai a costui che è da me incaricato a farsi santo ed a santificare gli altri. Coraggio adunque.
P. S. Dio benedica il caro D. Mellano e faccia santi Bianco e Giordano cui la Provvidenza va preparando molto lavoro. Quanti miracoli hanno già compiuti? [541]
Quell'invio di personale allora non avvenne; infatti all'arrivo di Don Bosco nell'aprile del '78 Don Giovanni Ronchail era prefetto nella casa di Nizza. Il Servo di Dio ve l'aveva lasciato indisposto come dicevamo nel partire per Fréjus; poi notizie allarmanti l'obbligarono ad affrettare il ritorno per assistere e confortare il caro suo figlio. Le cose precipitarono rapidissimamente: una violenta polmonite sopravvenne a minacciarne l'esistenza. Il giorno 7, domenica di Passione sembrava che la crisi fosse superata e che non ci fosse più pericolo; ma la dimane una complicazione fece svanire ogni speranza. L'infermo conobbe da sè il proprio stato, riconobbe non esservi più rimedio umano, e l'unico suo rincrescimento era dì non poter continuar ad aiutare i confratelli, che tanto lo amavano; in tutto però si mostrava rassegnato alla volontà del Signore. La mattina del 9 chiese di confessarsi e di ricevere il santo Viatico. Lo consolava il pensiero che nell'estremo passo avrebbe avuto Don Bosco al suo fianco. Con la santa rassegnazione Don Bosco gli infuse un sentimento vivo di Gesù sofferente, ai dolori del quale l'ammalato univa i suoi. Rese l'anima a Dio l'11, durante la messa della comunità. In pochi mesi dacchè stava a Nizza, si era guadagnata l'affezione e la stima di tutti, dentro e fuori di casa. Per tanta perdita Don Bosco rimase afflittissimo; non lo dava a divedere, ma quei confratelli ne intuirono la profonda ambascia, allorchè li benedisse in procinto di separarsi da loro.
Nella sua paterna sollecitudine egli si preoccupava del Direttore di Nizza, che dopo la sua partenza avrebbe sentito più dolorosamente il vuoto fattosi nella sua casa; perciò nell'andarsene volle raccomandarlo all'ottimo barone Héraud.
Io La ringrazio della carità e delle sollecitudini che prodiga ogni giorno a' miei poveri salesiani e a tutto il Patronato di S. Pietro. Procurerò di mostrarle la mia gratitudine pregando ogni mattino per [542] Lei e per la Sig. di Lei moglie nella S. Messa, come pure so che pregano mattino e sera i giovani beneficati pel medesimo fine.
Presentemente il Direttore D. Ronchail ha molto bisogno del suo aiuto morale. Perciò venga qui, per quanto le altre sue occupazioni lo permettono. Egli ha in Lei piena confidenza e segue volentieri i suoi consigli.
Abbia di mira la necessità di una Chiesa che serva pei ragazzi e pel pubblico accanto alla nostra Casa verso i sig. Tibaut. Preghiamo e Dio non mancherà di mandarci qualche insigne benefattore.
Ringrazi anche da parte mia la Sig. Baronessa di Lei consorte e la Damig. Ambury e quelle Collettrici cui avrà occasione di parlare.
Mi aiuti colla carità delle sue preghiere e facciamo[ci] coraggio che ci possiamo tutti salvare in eterno. Amen.
Le sono di tutto cuore in G. C.
Ignaro del luttuoso avvenimento il parroco di San Giuseppe brigava per accelerare la conclusione, lusingandosi di avere quanto prima i Salesiani a Marsiglia. Subito che ne fu partito Don Bosco, egli si diede premura di redigere un progetto di locazione degl'immobili con la Società Beaujour, intestando l'atto a Don Bosco; la durata sarebbe di cinquant’anni, con clausole e condizioni abbastanza eque. L'abbozzo che è nei nostri archivi, fissava addirittura al 21 aprile del 1878 il punto di partenza per il computo degli anni. Impaziente dunque di veder comparire il personale che doveva sottentrare ai Fratelli, spedì lo schema di convenzione e poi scriveva e riscriveva, ma di risposta non veniva mai un rigo. Ignaro di un altro doloroso incidente toccato a Don Bosco stesso il benemerito sacerdote cominciava seriamente a inquietarsi. Infine ai 22 di aprile Don Rua ne calmò le apprensioni con uno scritto rispecchiante così bene lo spirito del Beato, che piacerà a chi legge conoscerne il tenore.
Il nostro caro D. Bosco incomodato nella salute ed obbligato al letto diede a me il gradito incarico di rispondere alle carissime sue [543] del 10 e 15 del corrente mese. Anzitutto m'incarica (e sento il bisogno e dovere di farlo anche per conto mio) di renderle le più vive grazie per quella cordiale, e direi fraterna bontà con cui ci accolse e trattò in quei giorni che avemmo il piacere di passare con V. S. Car.ma. Non sapremmo come compensarla, ma ben lo saprà Iddio che tiene esatto conto di quanto per suo amore si fa a benefizio del prossimo. Dal canto nostro lo pregheremo di cuore a voler nella sua paterna liberalità ricolmare di benedizioni la S. V.
Quante peripezie ci avvennero dacchè siam partiti dalla sua tranquilla dimora! Avrà saputo come il prefetto della nostra casa di Nizza era gravemente infermo, quando noi partimmo da Marsiglia. Ebbene quel caro confratello veniva dal Signore chiamato all'altra vita all11 del corrente. Egli era colui su cui maggiormente calcolavamo per la casa da aprirsi in codesta città. Come se questo fosse poco, di quei giorni ricevemmo pure l'annunzio della morte di un altro nostro sacerdote avvenuta in Torino[283]; non basta; tre maestri chierici ci vennero rapiti in questi ultimi tempi dalla inesorabile falce della morte, malgrado la giovanile loro età. Ah! non è per niente che il povero D. Bosco si è infermato; ha tutta la rassegnazione ai divini voleri, ciò non ostante il cuore ferito ne' suoi più cari affetti ne patisce. E intanto come faremo a provvedere ai nostri impegni e specialmente a quello di Marsiglia che tanto ci sta a cuore? Malgrado tutto questo, appena ricevuto il progetto di convenzione propostoci dalla S. V. D. Bosco avrebbe voluto mettersi subito attorno per esaminarlo, e risponderle facendo le osservazioni che gli paressero opportune. Ma la malattia ne lo impedì, e speriamo che V. S. saprà compatirlo. Essendo però adesso in via di miglioramento spera di poterlo presto esaminare, presentarlo eziandio al suo Capitolo e poi risponderle nel senso più favorevole che per noi si potrà. Voglia solamente pazientare alquanto e speriamo fra non molto essere in grado di darle analoga risposta. Per sua norma se avesse da scrivere potrà ora indirizzare le lettere a Torino, dove contiamo di recarci fra breve, se altro di peggio non ci accade.
Intanto voglia pregare il Padron della nostra piccola vigna affinchè ci mandi operai da poter corrispondere e soddisfare ai tanti bisogni spirituali che ci si fanno avanti. Preghi pel nostro D. Bosco ed anche per lo scrivente che coi sensi di sincera stima e sentita gratitudine ha il piacere di professarsi
S. Pier d'Arena, 22 aprile 1878.
Don Bosco dunque era caduto non lievemente infermo a Sampierdarena. Da Nizza era arrivato là dopo brevi fermate a Ventimiglia, Vallecrosia, Alassio e Varazze. Affranto dai disagi del viaggiare e colto per via da tempo pessimo, non gli bastarono le forze a proseguire per Torino. Anche la repentina morte del caro Don Ronchail, il più valido sostegno della casa di Nizza e destinato a importante mansione, l'aveva duramente ferito. Quest'afflizione inoltre gli fece tanto più male, perchè a rialzare dall'abbattimento i confratelli aveva dovuto dimostrarsi tranquillo e quasi allegro. Tale sforzo di apparir lieto e l'intimo dispiacere della perdita diedero il tracollo alla sua salute; la sua fibra, già tanto scossa da forti sofferenze d'animo, più non resse. Il Servo di Dio provò bene a farsi violenza per tenersi in piedi; ma alla fine dovette piegarsi e mettersi a letto. Al coadiutore Pietro Enria, da un anno addetto all'ospizio San Vincenzo de' Paoli, disse che aveva sempre avanti agli occhi la morte di Don Ronchail. Di questo coadiutore, che gli apprestò filiale assistenza, abbiamo tre lettere a Giuseppe Buzzetti, che meglio d'ogni nostra descrizione ci pongono sotto gli occhi lo stato dell'infermo durante la prima fase del male.
Ieri sera alle ore 11 arrivava da Varazze il nostro buon padre D. Bosco in compagnia di D. Rua. Io gli sono andato incontro alla stazione ed ho visto che era molto stanco, ma però anche molto allegro. Lo accompagnai a casa, e gli domandai se desiderava qualche cosa. Mi rispose di no e ci diede la buona notte.
Ma qual fu la nostra ansietà quando verso le otto del mattino, D. Bosco non discendeva per dir la Messa! Si aspettò ancora un poco, e poi si entrò nella sua camera. D. Bosco erasi già alzato, ma stava seduto sovra un seggiolone, tutto pallido, colla faccia verso il catino e stava rigettando. Si corse a cercargli qualche bibita, ma gli assalti del vomito continuarono fino all'una pom. Per conseguenza si sentì preso da tanto freddo che gli si scaldò il letto e per le nostre istanze si coricò verso le tre. Ma lo prese la febbre che a poco a poco andò crescendo e a mezza notte non era ancora cessata. Si addormentò verso un'ora ant. [545] Il medico venuto alla sera trovò che era molto stanco ed affaticato; e infatti non è un'indigestione il suo male, poichè ella sa quanto mangi poco. A Varazze aveva presa una sola minestrina..
Sampierdarena, 17 aprile 1878.
Oggi D. Bosco ebbe tutto il giorno la febbre; la faccia sempre infuocata con due rossetti sulle gote che ora comparivano ed ora scomparivano. Pare che di nuovo voglia erompere la migliare. Devono essere effetti degli strapazzi del lungo viaggio, dei cambiamenti di vitto e dell'età che declina. A mezza notte, e gira e rigira sul suo letto, e non può prendere sonno. Sembra impossibile che per il solo sforzo di vomito che ebbe siasi tanto indebolito. Questa mattina gli vennero altri simili disturbi di stomaco e dopo si trovò tutto in un sudore e tanto stanco, da non potere da sè tirarsi su il guanciale. Temo che il suo male sia complicato con una costipazione.
È già un'ora dopo mezzanotte e non ha ancora chiuso un occhio. Egli si sente in questo momento tutto freddo, e anche raddoppiando le coperte non può scaldarsi.
D. Rua è partito per la Spezia e stasera sarà di ritorno. Abbiamo Ferraris il musico gravemente infermo e fuori dei sensi per febbri alla testa. Due altri sono in letto, ma in via di miglioramento. Questo anno l'ospizio è messo alla prova. Abbiamo avuto molti infermi, i ladri hanno rubato in cucina, e altra volta penetrati in chiesa per un foro che apersero nel muro della sagrestia, involarono tutti i vasi sacri, gettando le sacre particole e l'ostia grande parte sull'altare, parte sulla predella. Questo sacrilegio cagionò una vera desolazione in tutta la casa. Alcune pie persone si occuparono di rifarci del danno materiale.
Parliamo di D. Bosco. Se può, Lei mi mandi dei grissini fini. È vero che D. Bosco non me lo ha detto, ma se aspettiamo che li chieda, sicuramente che non domanderà mai. Se fosse per altri sì, ma per se stesso non si cura.
Ora sono le 4 antim. Verso le 3 gli ho dato un po' di brodo caldo e gli è cessato il freddo che sentiva prima. Ma questo caldo deve essere cagionato dal cambiamento della febbre. Subito dopo si addormentò, ma destavasi ogni due o tre minuti.
Dalle 4 e ½ dormì tranquillo sino alle 5. Pare che voglia dormire ancora. Speriamo che la giornata sarà migliore della notte.
Dia notizia di D. Bosco al Baron Bianco e alla Contessa Corsi se per caso li incontrasse.
Sampierdarena, 18 e 19 aprile 1878
Io sperava che D. Bosco passasse una buona giornata; invece ebbe tutto il giorno la febbre. Il medico dice che il suo male è una specie di gastrica nervosa prodotta dalle soverchie fatiche, e gli ha ordinato un leggiero purgante.
Ciò che mi dà più pena si è che non può dormire. Pochi momenti fa mandò un grido così forte che io mi alzai dal tavolino e corsi vicino a lui che sognava e non so che cosa. Io stava attento per udire che cosa dicesse, ma non poteva capire perchè erano grida affannose soffocate. Diceva: - Olà! fermi! - E altre parole confuse delle quali non intendeva il significato. Io però vedendolo respirare a stento, lo scossi. Egli svegliatosi mi fissò gli occhi in volto, e mi disse: - Ah! sei tu qui? - Che cosa diceva quando gridava, io gli risposi, e che non ho capito?
Non mi rispose, e stato in atto di chi pensa si addormentò. Venuto il giorno gli domanderò che cosa ha sognato. Sono sicuro che sognava sempre de' suoi cari figli e in modo particolare di quelli dell'Oratorio che da quattro mesi più non vede.
La lontananza dall'Oratorio infatti lo affligge non poco, perchè di quando in quando dice: - Ho tanti affari che mi aspettano a Torino! Ma bisogna rassegnarsi, pazienza! Il Signore vuole così! Sia fatta la sua santa volontà.
Pare che questa notte vada un poco meglio perchè dopo quelle grida si addormentò e dormì tranquillo per quasi due ore, svegliandosi una sola volta. Ora sono le 4 e continua a dormire. Alle sei gli mutai camicia e corpetto a maglia perchè erano impregnati di sudore ed ora ricadde in un sonno tranquillo.
D. Rua è arrivato dalla Spezia e credo che in questo momento scriva a D. Lazzero.
Io intanto assisterò D. Bosco sempre, di giorno e di notte, finchè non sia perfettamente guarito.
Ciò farò anche dovesse costarmi la vita. Qualunque sacrificio si faccia, non si fa mai abbastanza per contraccambiare i sacrifici e le fatiche che egli ha sopportato per noi.
Sampierdarena, 20 aprile 1878.
È indicibile la pena provata da tutti nell'Oratorio all'annunzio improvviso che, come blandamente si esprimeva Don Rua in un suo biglietto, Don Bosco non istava guari bene; ma al venire delle lettere di Enria fu un vero strazio. I giovani si affollavano in chiesa a pregare; gli ascritti volevano [547] passare le notti davanti al tabernacolo; parecchi chiesero al Signore che mandasse a loro la malattia di Don Bosco, purchè egli guarisse presto; taluni fecero a Dio l'offerta della propria vita. In non pochi si verificarono radicali cambiamenti di condotta, sia per essere più facilmente esauditi dal Signore, sia perchè Don Bosco guarendo ne avesse motivo di consolazione. Nei collegi si gareggiava con l'Oratorio e molte pie persone univano le loro suppliche per impetrare dal Cielo la grazia. Nè il Cielo fu sordo a tante voci; il 21 aprile, solennità di Pasqua, poco dopo il mezzodì ecco giungere al Direttore dell'Oratorio Don Lazzero un telegramma di Enria così concepito:
“Esaudite preghiere. Padre meglio. Pranza con noi. State allegri”. Fu il secondo alleluia pasquale, che dopo quello liturgico riempì d'indicibile allegria tutta la casa.
Subito a Sampierdarena cominciò il viavai delle visite. Vennero molti benefattori e benefattrici, vennero autorità ecclesiastiche e civili, tra i primissimi venne il signor Dufour. Si videro anche deputazioni di paesi vicini venute a chiedere la benedizione di Maria Ausiliatrice per le loro persone e per i loro infermi. Don Bosco riceveva tutti con gran piacere. Si presentò pure un gran signore con la sua consorte, che gli consegnarono una vistosa somma per i suoi giovani e per i Missionari. Don Bosco li benedisse ed ecco che furono liberati da un grave malore che li tormentava. Don Lemoyne, che aveva atteso Don Bosco a Varazze e l'aveva accompagnato a Sampierdarena, dice in una sua nota autografa: “Io ho visto quei signori entrare molto tristi nella stanza di Don Bosco e poi uscirne contenti come una pasqua”.
I più non comparvero a mani vuote. C'era proprio da ringraziare la Provvidenza! Dopo quattro mesi che Don Bosco non andava più in cerca di soccorsi, i bisogni stringevano da ogni parte; ma quella pioggia benefica ristorò le finanze esauste. Un giorno Don Bosco disse a Enria, e questi l'ha lasciato scritto: - Come ci vuol bene la Madonna! [548] Eravamo in grandi strettezze, era difficile aver denaro abbastanza, e a poco a poco la Provvidenza tutto provvede. Ne sia ringraziata di tutto cuore!
In una di quelle notti più travagliate Don Bosco aveva fatto uno de' suoi soliti sogni. Enria ne ebbe sentore, come appare dalla sua terza lettera, ma Don Lemoyne ne udì dal Beato il racconto e così lo riferisce in una sua memoria.
Nella notte del Venerdì Santo io vegliai al fianco di D. Bosco circa fino alle due dopo mezzanotte e mi ritirai quindi nella stanza vicina per dormire, essendo venuto Enria Pietro a succedermi nella veglia. Essendomi accorto dalle grida soffocate di D. Bosco che egli sognava di cose non sorridenti, lo interrogai sul far dell'alba, ed ebbi la seguente risposta.
“Mi pareva di trovarmi in mezzo ad una famiglia, i cui membri avevano deciso di mettere a morte un gatto. Il giudizio e la sentenza era stata rimessa a Monsignor Manacorda. Monsignore però rifiutavasi, dicendo: - Che cosa debbo saper io del vostro affare? Io non ci ho nulla da vedere. - E in quella casa regnava una grande confusione.
Io stavo appoggiato ad un bastoncello osservando, quando ecco comparire un gatto nerastro coi peli irti che precipitava correndo verso la mia direzione. Dietro a lui due grossi cagnacci inseguivano quel meschinello tutto spaventato, e sembrava che presto lo avrebbero raggiunto. Io vedendo passare poco lungi da me quel gatto, lo chiamai. Esso parve esitare alquanto, ma avendo io replicato l'invito, alzando un poco i lembi della mia veste, quel gatto corse ad appiattarsi vicino a' miei piedi.
Quei due cagnacci si fermarono di fronte a me ringhiando cupamente.
- Via di qua, dissi loro, lasciate in pace questo povero gatto.
Allora con mia grande meraviglia quei cagnacci apersero la bocca e snodando la lingua presero a parlare in modo umano: - No mai; dobbiamo ubbidire al nostro padrone; e abbiamo ordine di uccidere questo gatto.
- Esso si è dato volontariamente al suo servizio. Il padrone può assolutamente disporre della vita del suo schiavo. Quindi noi abbiamo l'ordine di ucciderlo, e l'uccideremo.
- Il padrone, risposi, ha diritto sulle opere del servo e non sulla vita, e questo gatto non permetterò mai che venga ucciso.
- Non lo permetterai? tu? - E ciò detto i due cani si slanciarono furiosamente per afferrate il gatto. Io alzai il bastone menando colpi disperati contro gli assalitori. - Olà! io gridava; fermi, indietro! [549] Ma essi ora si avventavano, ora rinculavano e la lotta si prolungò per molto tempo; in modo che io era affranto dalla stanchezza. I cani avendomi lasciato un momento di tregua, volli osservare quel povero gatto che era sempre a' miei piedi, ma con stupore me lo vidi tramutato in un agnellino. Mentre pensavo a quel fenomeno, mi rivolgo ai due cani. Essi pure avevano cambiato forma; apparivano due orsi feroci, poi cambiando sempre aspetto parevano prima tigri, poi leoni, quindi scimmioni spaventosi e prendevano altre forme sempre più orribili. Finalmente presero figura di due orrendi demoni: - Lucifero è il nostro padrone, urlavano i demoni, colui che tu proteggi si è dato a lui, quindi dobbiamo a lui strascinarlo togliendogli la vita. -
Mi volsi all'agnello il quale più non vidi, ma al suo posto stava un povero giovanetto che fuori di sè dallo spavento, andava ripetendo supplichevole: - D. Bosco, mi salvi! D. Bosco, mi salvi!
- Non aver paura, gli dissi. Hai proprio volontà di farti buono?
- Sì, sì, o D. Bosco; ma come ho da fare a salvarmi?
- Non temere, inginocchiati; prendi nelle mani la medaglia della Madonna! Su, prega con me.
E il giovanetto si inginocchiò. I demoni avrebbero voluto appressarsi; io stava in guardia col bastone alzato, quando Enria vedendomi così agitato mi svegliò e mi tolse così di vedere il fine di quell'avvenimento.
Il giovanetto era un di quelli da me conosciuti.
Un secondo telegramma del 23 annunziò che Don Bosco era in viaggio e che sarebbe arrivato sulla sera a Torino. In un attimo i giovani sembrarono pazzi dalla gioia; “ saltano, dice nella cronaca il testimonio oculare, corrono, gridano e non san darsi ragione del perchè ”. I musici corsero a provare qualche sonata e i cantori a preparare un inno; altri misero su un po' d'illuminazione. Era persuasione comune che le loro preghiere avessero fatto il miracolo in realtà quella guarigione, se non subito perfetta, era però avvenuta istantaneamente; il medico stesso non si aspettava tanto.
Enria, quando Don Bosco gli disse di preparargli il sacco da viaggio per la dimane 23 prima delle otto, volle con affettuosa semplicità dissuaderlo dal partire, perchè non era ancora guarito del tutto e non avrebbe potuto resistere così a lungo in treno. - Sta' tranquillo, gli rispose il Beato, io [550] sono forte abbastanza. Sono di bosco[284] e di quel duro! Il Signore e la Beata Vergine mi aiuteranno. Ti ringrazio delle tue affettuose cure; prega per me; io non ti dimenticherò mai. - Si alzò di buon'ora e volle celebrare la messa ad un altare provvisorio nella camera attigua alla sua. Avviatosi alla ferrovia fra Don Rua e Don Albera, aveva fatto appena metà del cammino, che il treno arrivò nella stazione. Enria, che l'aveva preceduto per prendere i biglietti, pregò il capo che volesse rendere possibile a Don Bosco il partire. - Per Don Bosco farò tutto quello che posso - rispose il bravo impiegato. Tosto Enria volò verso Don Bosco a sollecitarlo. Il treno ritardò sei o sette minuti, senza che si udissero le solite lagnanze; anzi la voce che veniva Don Bosco, attirò molti passeggieri agli sportelli per vederlo e quand'egli si avvicinò accompagnato dal capostazione e da' suoi figli, lo guardavano con rispetto e ammirazione.
Narriamo anche quest'altro episodietto, precorrendo al tempo. Un mese dopo, essendo Enria venuto a Torino, Don Bosco, vedutolo e paternamente salutatolo, gli disse: Guarda, sono parecchi giorni che desidero di scriverti e non ho mai avuto tempo. Ma quello che volevo dirti per carta, te lo dico a voce. Ti ringrazio dell'affetto che mi porti. Sta' sicuro che io ti raccomando ogni giorno nella santa messa. Mi rincresce di averti fatto dispiacere partendo da Sampierdarena contro il tuo parere. Ma ora sto bene. Sei contento? - Il coadiutore intenerito balbettò alcune parole per dirgli che a ricambiarlo dei suoi benefizi egli si sentiva in obbligo di fare ben più! - Prima che tu riparta, ripigliò Don Bosco, allontanandosi, voglio ancora vederti.
IL Beato arrivò a Torino di sera sul tardi, perchè affari d'importanza l'avevano trattenuto in Asti. Dalla piazza di Maria Ausiliatrice egli avvertì già il brusio che veniva dall'Oratorio. Al suo apparire un delirio di acclamazioni soffocò le note più alte della banda. Il cronista copiò la lettera d'un giovane a un suo compagno assente per malattia, ma non ne scrisse il nome. Cominciava così: “Quale più lieta notizia potrei darti se non quella del felice arrivo del nostro amato padre Don Bosco?”. Poi, narrato della stia guarigione e delle accoglienze fattegli, continuava: “Tutti s'affollavano intorno per vederlo e baciargli la mano, di modo che non bastavano tutti gli assistenti per dividerli e far passaggio al ben venuto. Siccome appena arrivato andò subito in refettorio, allora tutti volevano vederlo. Una gran folla di giovani stava dietro la porta, l'aprivano e guardavano dentro, e se per caso lo vedevano un tantino in fondo al refettorio, questo già bastava per far sorgere in tutti un sospiro d'amore come se fossero liberati da un gran peso”. L'anonimo non si sarebbe mai immaginato che il suo umile scritto sarebbe passato nella cronaca e di lì nella storia; il minuscolo documento è certo abbastanza significativo. [552] Il giorno appresso, sul terminare del pranzo, sfilarono i rappresentanti d'ogni classe a leggergli qualche prosa o poesia in italiano e in latino. Quindi sotto i portici i cantori, accompagnati dalla banda, incominciarono un inno. Allora Don Bosco uscì e sedette ad ascoltare fra una bella corona di nobili signori e di superiori. Quando la musica tacque, si fecero avanti tre artigiani, che, recitato un dialoghetto, gli presentarono un quadro recante il prospetto della chiesa e dell'Oratorio. Il buon Padre commosso salutava, sorrideva, ringraziava.
Per tre giorni egli non potè lavorare al tavolino nè confessare, tanta spossatezza ne prostrava ancora le forze. Tuttavia udì le relazioni dei singoli superiori maggiori e diede ordini e istruzioni per ogni cosa. Anzi trattò pure alcuni affari esterni. Ce lo attestano due lettere con la data del 25 aprile[285]. Della prima al conte De Maistre diremo nel capo seguente; dell'altra vogliamo parlare qui, perchè si connette col viaggio di Roma, riferendosi allo scambio d'idee avuto col ministro Crispi
Il Servo di Dio scriveva detta lettera al commendatore Giovanni Battista Aluffi, allora segretario al Ministero dell'Interno e più tardi prefetto di provincia, affezionatissimo sempre alla persona e alla memoria di Don Bosco.
Vorrei ripigliare le pratiche iniziate sotto al Ministero Crispi[286] e che erano già a buon punto. Ho pertanto bisogno che Ella mi consigli intorno al modo di fare. Se le carte per la Decorazione di Giovanni Albertotti Dott. e Prof. in Medicina si sono conservate, rinnoverei la sola preghiera; se poi fossero andate smarrite unirei una copia [553] di tutto[287]. Lo stesso dico sul progetto preventivo di aprire case per accogliere fanciulli pericolanti; siccome ne era stato formalmente incaricato da quello stesso Ministro.
Per sua norma Le dico che Zanardelli in passato fu sempre in buone relazioni e mi ha sempre trattato con molta benevolenza.
Ho già veduto il Direttore del Collegio di Lanzo e spero che il suo raccomandato sarà favorito secondo il comune desiderio.
Sono giunto ieri a Torino e sto ripigliando l'interrotto corso delle mie faccende.
Dio La conservi in sanità e nella sua santa grazia e mi creda con gratitudine sincera
Quale seguito questa lettera abbia avuto riguardo al “progetto preventivo”, non sappiamo con precisione; che cosa fosse quel “progetto” si scorge da una lettera del 23 luglio al ministro Zanardelli, succeduto al Crispi. Sembra che questo documento sia da mettere in relazione con la lettera all'Aluffi; infatti sotto la stessa data 23 luglio troviamo rinnovata la supplica in favore del dottor Albertotti[288], di cui è parola nel medesimo foglio all'Aluffi. Don Bosco ai suoi fini non aveva voluto passar sopra del tutto all'accademica proposta fattagli dall'on. Crispi nella famosa udienza di febbraio.
Nel mese di febbraio ultimo decorso il Signor Ministro dell'Interno chiedevami di esprimere il mio pensiero intorno al sistema preventivo e sulla possibilità di provvedere ai fanciulli che non sono perversi, ma solamente abbandonati e perciò pericolanti, nelle varie città d'Italia, e specialmente di Roma.
Desideroso d'appagare il sig. Ministro e fare del bene alla gioventù, ho preparato un promemoria di pratica e di poco costo al governo.
Presentati quegli scritti e fatta una conferenza, succedette il mangiamento [554] di ministero, per il che restò ogni cosa sospesa. Se mai tale fosse l'intenzione della E. V. io mi presterei di tutto buon grado; e se quel piego non fosse reperibile, ne rinnoverei copia, che farei tosto pervenire a mani della E. V.
Qualunque deliberazione nella sua saviezza giudicherà di prendere, io La prego di gradire la costante mia volontà di adoperarmi per diminuire il numero dei discoli e di crescere quello degli onesti cittadini, mentre ho l'onore di potermi professare
Avendo noi rinvenuto il “promemoria” da Don Bosco presentato al ministro Crispi e rinnovato per Zanardelli, l'offriamo qui ai lettori, come nel luogo più opportuno.
Ho l'onore di presentare a V. E. le basi sopra cui si può regolare il sistema preventivo applicato tra i giovanetti pericolanti nelle pubbliche vie e nelle case ed ospizi di educazione.
Nel tempo stesso ansioso di assecondare il buon volere espresso da V. E., mi fo ardito di nominare alcune località di Roma che possono servire a tale scopo e che sono dipendenti dal medesimo Governo.
I° L'edifizio e cortile innanzi alla Parrocchia di S. Bernardo occupato dal comando militare del 20° di cavalleria che dicono devesi traslocare altrove. Nel tipo che le unisco è indicato col colore verde.
Avuto tale edifizio dal governo, il March. Berardi cede quella porzione di area che potrebbe occorrere al bisogno e sviluppo del pio progetto.
2° Edilizio, cortile del rinomato istituto di S. Michele a Ripa.
3° Edifizio e sito, già occupato dai Francescani, noto sotto al nome di Convento per le Missioni Estere. È posto tra le Quattro fontane e S. Maria Maggiore.
4° S. Cajo con terreno e case a poca distanza dalle Quattro fontane.
5à Convento di S. Agata già abitato dai Religiosi Dottrinarii in Trastevere.
6° S. Nicola dei Cesarini, casa e cortile già abitato dai Carmelitani. È nella piazza di questo nome.
Qualunque di questi locali al governo piacesse di lasciare a mia disposizione, lo destinerei esclusivamente a favore dei fanciulli poveri e pericolanti, ed ho piena fiducia che ciò possa effettuarsi con leggiero disturbo delle finanze dei governo. In questo modo provvederebbe [555] ad un gran numero di poveri fanciulli che dimandano di essere ricoverati, e si porrebbe anche un termine al grave e dispendioso inconveniente di inviare da questa città una moltitudine di ragazzi all'Ospizio di Torino e di S. Pier d'Arena.
Con piena fiducia e con profonda gratitudine prego Dio che la conservi e mi professo
IL SISTEMA PREVENTIVO NELLA EDUCAZIONE DELLA GIOVENTÙ.
Due sono i sistemi nella educazione morale e civile della gioventù: repressivo e preventivo.
L'uno e l'altro sono applicabili in mezzo alla civile società e nelle case di educazione. Daremo breve cenno in generale sul sistema Preventivo da usarsi alla civile società; di poi come possa con successo praticarsi nei collegi, negli ospizi e negli stessi educandati.
SISTEMA PREVENTIVO E REPRESSIVO IN MEZZO ALLA SOCIETÀ.
Il sistema repressivo consiste nel far conoscere le leggi e la pena che esse stabiliscono; di poi l'autorità deve vegliare per conoscere e punire i colpevoli. Questo è il sistema usato nella milizia e in generale fra gli adulti.
Ma i giovanetti mancando di istruzione, di riflessione, eccitati dai compagni o dalla irriflessione, si lasciano spesso ciecamente strascinare al disordine pel solo motivo di essere abbandonati.
Mentre le leggi vegliano sopra i colpevoli, devonsi certamente usare grandi sollecitudini per diminuirne il numero.
QUALI FANCIULLI DEBBONO DIRSI PERICOLOSI.
Io credo che si possono chiamare non cattivi, ma in pericolo di divenir tali coloro che:
I° Dalle città o dai diversi paesi dello Stato vanno in altre città e paesi in cerca di lavoro. Per lo più costoro portano seco un po' di danaro, che consumano in breve tempo. Se poscia non trovano lavoro, versano in vero pericolo di darsi al ladroneccio e cominciate la via che li conduce alla rovina.
2° Quelli che fatti orfani dei genitori non hanno chi li assista, quindi rimangono abbandonati al vagabondaggio ed alla compagnia dei discoli, mentre una mano amica, una voce caritatevole avrebbe potuto avviarli nel cammino dell'onore e dell'onesto cittadino. [556]
3° Quelli che hanno genitori i quali non possono o non vogliono prendere cura della loro figliuolanza; perciò li cacciano dalla famiglia o li abbandonano assolutamente. Di questi genitori snaturati pur troppo è grande il numero.
4° I vagabondi che cadono nelle mani della pubblica sicurezza, ma che non sono ancora discoli. Costoro se venissero accolti in un ospizio, dove siano istruiti, avviati al lavoro, sarebbero certamente tolti alle prigioni, restituiti alla civile società.
L'esperienza ha fatto conoscere che si può efficacemente provvedere a queste quattro categorie di fanciulli:
I° Coi giardini di ricreazione festiva. Coll'amena ricreazione, colla musica, colla ginnastica, coi salti, colla declamazione, col teatrino si raccolgono con molta facilità. Colla scuola serale poi e domenicale, e coi catechismo si dà l'alimento morale proporzionato e indispensabile a questi poveri figli del popolo.
2° In queste adunanze fare indagini per conoscere quelli che sono fuori di padrone, e fare in modo che siano occupati ed assistiti lungo la settimana.
3° Se ne incontrano poi di quelli che sono poveri ed abbandonati, nè hanno come vestirsi, nè come nutrirsi, nè dove dormire la notte. A costoro non si può altrimenti provvedere, se non con ospizi e case di preservazione, con arti e mestieri ed anche con colonie agricole.
Il Governo senza assumersi una minuta amministrazione, senza toccare il principio della carità legale, può cooperare nei seguenti modi:
I° Somministrare giardini pei trattenimenti festivi; aiutare e fornire le scuole e i giardini del necessario suppellettile.
2° Provvedere locali per ospizi, fornirli dei necessarii utensili per le arti e mestieri cui sarebbero applicati i fanciulli ricoverandi.
3° Il Governo lascierebbe libera l'accettazione degli allievi, ma darebbe una diaria, ovvero sussidio mensile per coloro che, trovandosi nelle condizioni sopra descritte, fossero ricoverati. Ciò si farebbe constare o dai certificati dell'autorità civile, o dai fatti delle questure che assai di frequente incontrano giovanetti che appunto si trovano di questa condizione.
Questo sussidio giornaliero sarebbe limitato ad un terzo di quanto costerebbe un giovanetto nei riformatorii dello Stato. Togliendo per base le carceri correzionali di Torino, e riducendo la spesa totale di ciascun individuo, si può calcolare ad 80 centesimi al giorno.
In questo modo il governo aiuterebbe, ma lascierebbe libero il concorso della privata carità dei cittadini. [557]
Appoggiato sopra l'esperienza di trentacinque anni si può constatare che:
I° Molti ragazzi usciti dalle carceri con facilità si avviano ad un'arte con cui guadagnarsi onestamente il pane della vita.
2° Molti che versavano in estremo pericolo di divenir discoli, cominciavano a cagionar molestia agli onesti cittadini, e già davano non leggieri disturbi alle pubbliche autorità, costoro si ritrassero dal pericolo e si posero sulla strada dell'onesto cittadino.
3° Dai registri consta che non meno di centomila giovanetti assistiti, raccolti, educati con questo sistema, imparavano chi la musica, chi la scienza letteraria, chi arte o mestiere, e sono divenuti virtuosi artigiani, commessi di negozio, padroni di bottega, maestri insegnanti, laboriosi impiegati, e non pochi cuoprono onorifici gradi nella milizia. Molti anche forniti dalla natura di non ordinario ingegno, poterono percorrere i corsi universitarii e si laurearono in Lettere, in Matematiche, Medicina, Leggi; Ingegneri, Notari, Farmacisti e simili.
È da collocare anche qui la relazione di un abboccamento del Beato con il Prefetto della provincia torinese. Regnano incertezze sulla data del colloquio e quindi sulle persone che coprivano allora determinati uffici; ma sembra verosimile che fra il sovresposto disegno ministeriale per la città di Roma e una proposta prefettizia che ora vedremo per la Generala di Torino corra un qualche rapporto cronologico.
I disordini che succedevano nella Generala erano tali da preoccupare fortemente le autorità; erasi perfino creduto di dover fare fuoco sui giovani rivoltosi e vi furono vittime. Il Prefetto, avuta occasione di parlare con Don Bosco, lo interrogò se avrebbe presa la direzione di quei corrigendi, facendogli vive insistenze perchè accettasse. Don Bosco rispose che per conto suo non esistevano difficoltà, ma che certamente il Ministero non avrebbe mai affidato a lui un penitenziario.
- Perchè si dice che Don Bosco vuol troppa religione; e infatti io ritengo che senza religione nulla si possa ottenere di buono fra i giovani. [558]
- Oh! non dica questo. Noi non voler la religione? Anzi ne riconosciamo per i primi la necessità; quindi saremmo a Lei ben riconoscenti, se Ella con questo mezzo riuscisse a domare quei disgraziati. Se mi permette, io scriverei a S. E. il Ministro dell'Interno, proponendo che Le sia affidata quella direzione.
- Ripeto che il mio metodo di educare non sarà guari di gradimento al Governo. - Qui Don Bosco espose il proprio sistema educativo: frequenza dei sacramenti, istruzione religiosa, sorveglianza preveniente, carità conquistatrice... e relativi vantaggi.
Il Prefetto lo ascoltò con interesse nè ci vide seri ostacoli al suo divisamento. - Facciamo la prova, disse poi. Io scriverò al Ministro e vedrà!
- Eh! io credo cosa molto difficile che il Governo acconsenta.
- Ed io la credo cosa facilissima.
Il Prefetto scrisse subito. La risposta non tardò a giungere. Era un serto di elogi per Don Bosco, si approvava quell'idea e si pregava di trattarne. Non esservi di meglio che affidare la direzione della Generala a Don Bosco; l'esito non poter mancare; doversi star sicuri che i deplorevoli fatti accaduti non si sarebbero più rinnovati. Fu tosto chiamato il Servo di Dio per dargli la buona novella. - Veda, veda, gli disse il Prefetto, se non aveva ragione io!
- Partito troppo largo! - rispose Don Bosco, crollando il capo. Tuttavia cominciò le trattative, non volendo che per colpa sua si spegnesse quel barlume di speranza. Ma egli esigeva piena indipendenza nell'educazione religiosa; gli bisognava essere solo nella direzione; il Governo pagasse un ottanta centesimi al giorno per ogni giovane detenuto; escludesse le guardie carcerarie; al più si conservasse il picchetto dei soldati alla porta. Il Prefetto non vi trovò nulla d'irragionevole; ma il Ministro finì con rispondere che Don Bosco voleva far tutti preti quei giovinetti e che di preti [559] ve n'erano già troppi. Così prosaicamente si chiuse la nobile iniziativa; e così su per giù dovette andar a terminare l'altra pratica per Roma.
Nello spoglio della corrispondenza accumulatasi durante le ultime due settimane l'occhio di Don Bosco si posò tosto sovra un plico proveniente da Roma. Apertolo, vi trovò tre lettere: l'avvocato Leonori gli trasmetteva due documenti con la firma del cardinal Ferrieri, più un elenco di privilegi riconosciuti legittimi.
Diciamo anzitutto di questo elenco. Rammentino i lettori che l'eminentissimo Ferrieri il 14 novembre 1877 aveva ordinato a Don Bosco di produrre i documenti atti a provare l'autenticità delle concessioni pontificie e che il 21 dicembre successivo il medesimo Cardinale, accusandone ricevuta, gli notificava che la Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolati le avrebbe sottoposte a esame. Ora, sceverate le facoltà ritenute autentiche dalle altre che non parvero tali, se ne preparava a Roma un sommario ufficiale. Cadde così definitivamente annullato il privilegio, a cui Don Bosco teneva cotanto, dell'esenzione dall'obbligo di chiedere le testimoniali dei Vescovi per i postulanti.
Ma l'affare dei privilegi entrava solo per via indiretta nella comunicazione del Cardinale. Questi gli rendeva noto soprattutto che gli comunicava copia di un rescritto inviato all'Arcivescovo di Torino sulle questioni insorte fra loro, confidando che le adottate provvidenze avrebbero posto un termine a ogni dissidio. La copia delle provvidenze conteneva sei “petizioni” di monsignor Gastaldi e le sei relative risposte della sacra Congregazione con l'annullamento dei privilegi più importanti concessi da Pio IX.
Questa S. Congregazione dei Vescovi e Regolari ad eliminare alcune questioni insorte tra la S. V. ed il Sac. D. Giovanni Bosco Superiore [560] Generale dell'Istituto Salesiano intorno ai privilegi che il medesimo esercita in codesta Archidiocesi di Torino, ha creduto opportuno d'invitare il predetto Superiore a far conoscere la legittima esistenza di tutti i privilegi, di cui egli fa uso. Pertanto dai documenti da lui esibiti si è potuto rilevare esservene alcuni che si contengono in un rescritto in forma non autentica ed altri che diconsi da lui ottenuti vivae vocis oraculo riguardando questi in ispecial modo la dispensa dalle lettere testimoniali degli Ordinarii prescritte nel decreto Romani Pontifices del 25 gennaio 1848 dalla S. Congregazione Super Statu Regularium per l'ammissione all'abito religioso dei postulanti. Prima peraltro di procedersi all'esame di tali questioni, ne fu resa avvertita la S. V.; ed Ella onde torre di mezzo ogni causa di dissidio, presentava alcune petizioni contenute nel suo foglio del 27 dicembre p. p. nei termini che seguono.
1° Si obblighi formalmente la Congregazione Salesiana ad osservare il Rescritto Pontificio 25 gennaio 1848.
2° A non ingerirsi nella predicazione, nell'amministrazione dei Sacramenti se non in piena conformità dei Canoni.
3° A non pubblicare miracoli, come operati in Torino o nella mia diocesi nel tempo del mio Arcivescovado senza il mio consenso.
4° A non pubblicare indulgenze che riguardino i miei diocesani senza che io mi sia assicurato della loro legittimità.
5° A non lasciare celebrare la Messa nelle loro Chiese ad alcun Sacerdote che non sia della Congregazione senza il mio consenso.
6° Ed in generale si obblighi questa Congregazione a mantenersi nella sua dovuta sottomissione all'Arcivescovo eccetto i punti nei quali gli Statuti, approvati dalla Santa Sede per essa Congregazione, concedono loro delle esenzioni. Soggiungendo poi: “Io non chieggo altro; e prego istantemente la S. Congregaz. a desistere da qualunque esame dei fatti passati, chè io perdono di cuore a D. Bosco, ed a tutti i suoi, i disturbi gravissimi che mi arrecarono e tutto il resto; purchè si possa procedere tranquillamente per l'avvenire”. Presosi quindi tutto ciò a maturo esame da questa S. Congregazione e fattasene accurata relazione al S. Padre nella udienza del 22 marzo 1878, Sua Santità si è degnata di ordinare che si scrivesse alla S. V. su i proposti punti nel modo che segue. Riguardo:
Al I°. È da premettersi che sebbene il Sacerd. D. Bosco abbia ottenuto, come asserisce, vivae vocis oraculo dalla S. M. dei testè defunto pontefice Pio IX la dispensa dal menzionato decreto del 25 gennaio 1848, pur tuttavia è da ritenersi non aver inteso il prelodato pontefice di derogare onninamente ad una disposizione sì salutare, che riguarda la universale disciplina dei Regolari, delle pie Congregazioni ed Istituti, che tanto gli era a cuore, come significò altresì a questa S. Congregazione prima che avvenisse la sua morte; e perciò si dichiara [561] colla presente che detto decreto debba essere fedelmente osservato dalla Congregazione Salesiana.
Al 2°. La medesima non dovrà ingerirsi nella predicazione, nell'amministrazione de' Sacramenti se non in piena conformità dei Sacri Canoni e delle Canoniche prescrizioni.
Al 3°. Non dovrà pubblicare miracoli se non abbia prima ottenuto il permesso dal vescovo nella cui diocesi diconsi avvenuti.
Al 4°. Quante volte si tratti d'indulgenze particolari concesse all'Istituto Salesiano, non potranno queste essere pubblicate dall'Istituto medesimo senz'averne prima mostrato il documento all'Arcivescovo ad effetto di riconoscerne l'autenticità.
Al 5°. Non dovrà lasciar celebrare nelle sue chiese della diocesi di Torino la S. Messa ad alcun sacerdote senza il Celebret, ossia licenza in iscritto della Curia Arcivescovile.
Al 6°. La Congregazione Salesiana è obbligata a mantenersi nella sua dovuta sottomissione all'Arcivescovo in tutto ciò che gli attribuiscono i S. Canoni, e le Apostoliche costituzioni, eccetto i punti nei quali gli Statuti approvati dalla S. Sede concedono ad essa delle esenzioni, e salvi i privilegi che abbia ottenuto con Rescritti, Decreti, Risoluzioni ed altri provvedimenti della S. Sede emanati in forma autentica.
Benchè poi colle surriferite dichiarazioni debba ritenersi che ogni dissidio sia per cessare, tuttavia nel desiderio che in avvenire abbia anche a precludersi la via a meno esatte interpretazioni su quanto fu accordato alla Congregazione Salesiana, Sua Santità dopo aver presa piena contezza di tutte le grazie e favori concessi dal suo Predecessore di S. M. alla predetta Congregazione, ha ordinato che se ne faccia un accurato sommario da redigersi in tre esemplari il primo dei quali sarà presentato dal Sac. D. Giovanni Bosco alla S. V. onde possa da lei apporvisi il Visto per essere dal medesimo ritenuto, il secondo sarà sottoscritto dal detto Sacerdote e rilasciato alla Curia Arcivescovile, ed il terzo sottoscritto da ambedue per essere depositato nell'Archivio di questa segreteria.
Confida poi la S. Congregazione, come già ella stessa accennava nel suddetto suo foglio del 27 dicembre p. p., che dopo di essersi adottate le richieste provvidenze tutto procederà tranquillamente in avvenire. La stessa santa Congregazione va quindi a comunicare al Superiore dei Salesiani una copia della presente lettera, onde gli serva di norma per conformarsi in tutto ciò essa in essa è prescritto.
A. Arcivescovo di Mira Segr. [562]
L'avvocato trasmettitore, pur dicendosi non soddisfatto della soluzione adottata, consigliava a Don Bosco di obbedire ciecamente e di andare senz'altro dall'Arcivescovo per parteciparsi a vicenda le disposizioni romane e parlargli dei preti sospesi[289]. In materia di obbedienza Don Bosco non mostrò mai che gli occorressero altrui consigli. Quanto al recarsi dall'Arcivescovo, non conosciamo la data precisa del primo incontro; ma per il 4 maggio questo doveva già essere avvenuto. Don Bosco andò all'Episcopio in compagnia di Don Lazzero, che durante l'udienza rimase nell'anticamera e udì Monsignore parlare molto forte. Il Beato uscendo era soprapensiero, talchè fin quasi alla Consolata (un quarto d'ora di cammino) procedettero in perfetto silenzio. Finalmente Don Bosco disse sorridendo: - Ma che buon uomo! Non mi ha mai lasciato aprir bocca. Ha parlato sempre lui. Tuttavia il ghiaccio sembrò rotto; infatti il 4 maggio in tono di confidenza Monsignore pregò per iscritto Don Bosco di recarsi all'Arcivescovado il giorno appresso, perchè aveva “urgente bisogno di conferire” insieme. Don Bosco andò. L'indomani 6 dall'Eremo, villeggiatura dei seminario, Sua Eccellenza gli scrisse una lettera, che cominciava così: “Se V. S. ha de' suoi religiosi da mandare all'Ordinazione per le prossime Quattro Tempora, non ponga indugio; e ne mandi l'elenco alla mia Curia, indicando di ciascuno il nome, il cognome, la diocesi di nascita, l'età, la assicurazione che sono legati alla Congregazione Salesiana con i voti perpetui; e quali ordini abbiano già ricevuto, se già ne hanno”. Quindi soggiungeva che se per il 24 maggio avesse avuto certezza sul buon andamento di un affare[290] riguardante il parroco e la parrocchia dei Santi Martiri, avrebbe mantenuto la promessa fattagli di andare a render grazie a Maria Ausiliatrice. A proposito poi di un altro affare, la cui soluzione egli aspettava [563] dal cardinal Bartolini, ripeteva che, se prima del 24 le cose avessero pigliato buona piega, si sarebbe recato “ alla nuova casa di Maria SS. Ausiliatrice a ringraziarla”, e poi proseguiva: “Se V. S. pregando e facendo pregare ed anche con altri mezzi, se mai ne avesse in mano, ottiene questo favore, spererei di inaugurare con lei un’era di pace e buona armonia”. Nella chiusa finalmente diceva: “Sono quivi a riposare per due o tre di il cervello, il cuore, e tutto quanto io sono, in mezzo alle memorie di quei santi eremiti che per secoli santificarono questi luoghi solitarii[291]: ma venerdì prossimo al più tardi sarò di nuovo al mio telonio”. Don Bosco gli rispose il giovedì seguente.
Ringrazio di cuore la E. V. Rev.ma per aver ammesso i nostri Chierici per le prossime quattro tempora.
Le acchiudo nota e gli altri relativi documenti saranno trasmessi alla Curia Arcivescovile.
Di tutto buon grado prego e farò pregare perchè la nota vertenza riesca favorevole all'autorità ecclesiastica e a tale uopo ho già stabilite speciali preghiere che si faranno tutto il mese all'Altare di Maria SS.A.
Più speciali preghiere faremo per la conservazione della preziosa di Lei sanità, che a dir vero, mi pare molto affranta.
Domenica giunto a casa ho trovato una lettera del Card. Franchi che da parte della E. V. mi chiedeva ragione dell'appello fatto per la Chiesa di S. Giov. Evang. in concorrenza a quella di S. Secondo e senza autorità ecclesiastica. Ho risposto quanto ho già avuto l'onore di dire a V. R. cioè che l'appello fu fatto ai soli Salesiani Coop. in bollettino che si stampa a Genova, che questa Chiesa è già stata cominciata e raccomandata fin dal 1870 con approvazione di Pio IX e dell'autorità eccles.ca locale, che invitava tutti i fedeli a concorrere.
Siccome però ho dato ordine che non si tocchi più la parola Monumento, così spero ogni difficoltà essere appianata.
Colla speranza che ci onori al giorno di M. A. l'assicuro che le sarò sempre con perfetta venerazione ed ossequio della E. V. Rev.ma
Della questione toccata dal cardinal Franchi discorreremo nel capo diciottesimo. L'arcivescovo tornò a pregare Don Bosco di passare da lui l'11 o il 12 per intendersi circa gli ordinandi . Il Beato, andatovi il 12, gli fece parola anche di una prossima cresima e in giornata gl'indirizzò queste righe.
Oggi ho esaminato i vari siti in cui si fanno i Catechismi e l'epoca in cui i giovanetti possono essere sufficientemente preparati pel muto sacramento della Cresima.
Pare che ogni cosa possa essere in ordine per la Domenica fra l'Ottava dell'Ascens. di N. S. che cade il 2 di giugno prossimo. Se così accomoda la E. V. noi sceglieremmo tale giorno e lo modificheremo qualora ciò torni a Lei di gradimento.
Oggi ho dimenticato cosa che le voleva partecipare. È la conferenza dei Cooperatori Salesiani che si terrebbe giovedì prossimo in questa casa alle tre pomeridiane. Sebbene questa conferenza sia affatto privata limitata ai soli cooperatori e relativa a cose tutte loro particolari, tuttavia intendo che ne sia informata per quei riflessi che Ella giudicasse di fare.
Godo sempre assai ogni volta che con pienezza di stima, di venerazione ho l'onore di potermi professare.
Da un grave colpo Don Bosco dovette parare l'Oratorio, appena ebbe fatto ritorno. Verso la fine di marzo erasi scoperto che in città serpeggiava la congiuntivite, malattia degli occhi attaccaticcia. Il Prefetto di Torino nominò una commissione medica, che visitasse anzitutto gl'istituti d'educazione e le scuole pubbliche. Prime a essere chiuse furono queste, perchè si riscontrò che il male vi si propagava sempre più fra gli alunni; poi venne sciolto il collegio delle Missioni, diretto dal teologo Ortalda; finalmente toccava all'Oratorio. La commissione vi fece una visita minuta, che durò parecchi [565] giorni; ma sembrò di ravvisare nei commissari uno zelo soverchio, la qual cosa mise i Superiori in sospetto e suggerì al catechista don Veronesi una gherminella. Nel secondo giorno dell'ispezione egli ripresentò con gli altri anche alcuni giovani, il cui stato i medici avevano giudicato gravissimo. Orbene quei signori, di nulla sospettando, li dichiararono sani; poi, conosciuto il giuoco, si può ben immaginare come restassero. Il male però c'era. Compiuta la visita personale, i sanitari ispezionarono la casa; indi compilarono la relazione da presentare alla Prefettura, notando come tutte le norme d'igiene paressero loro trascurate nell'Oratorio e indicando due immediati provvedimenti per arrestare il diffondersi del contagio: isolamento completo degli infetti e costruzione di nuovi locali o rinnovamento dei vecchi dove fosse meglio provveduto alle esigenze sanitarie. Questa seconda misura equivaleva a far chiudere l'Oratorio. Il Prefetto si mostrò più discreto: anzichè ordinare d'ufficio l'eseguimento immediato delle proposte, amò meglio rimettersi alla prudenza di Don Bosco, annunziando che a suo tempo una seconda visita avrebbe verificato come si fossero eseguite le sue ingiunzioni[292]. Don Bosco, presa conoscenza dell'ordinanza prefettizia, comunicò i provvedimenti che subito si erano presi durante la sua assenza.
Essi erano come segue: “Provvedimenti presi per impedire la diffusione della congiuntivite granulosa: I° Allontanamento di tutti quelli che ne furono affetti gravemente. Di questi già parecchi fecero ritorno perfettamente sani, come ne fanno fede le relative dichiarazioni mediche che per prova qui si uniscono. - 2° Separazione immediata da tutti quelli che ci furono dichiarati affetti anche leggermente. - 3° Diligente ed assidua cura dei medesimi secondo il suggerimento dei Dottori datoci fin dalla prima visita. - 4° Imbianco dei porticati e pareti delle scale, corridoi, ecc. - 5° Sospensioni [566] per le accettazioni con rinvio all'autunno per le domande. 6° Aumento di n. 3 uomini per pulizia di dormitori, scuole, refettori, scale, ecc.”. Le Autorità non pretesero altro.
Si aspettava pertanto che tornasse la Commissione sanitaria a verificare quali fossero i provvedimenti adottati; invece ecco ai 13 di maggio un'ordinanza prefettizia di chiusura dell'Oratorio, perchè da una seconda visita era risultato non essersi fatto nulla di nulla. Don Bosco stavolta ebbe miglior giuoco a rispondere.
Con sorpresa ho ricevuto comunicazione della visita sanitaria che si dice fatta a questo ospizio.
Secondo il rapporto di essa sarebbonsi notati parecchi disordini, senza attuare alcuno dei provvedimenti che quella rispettabile commissione aveva proposto, e pel che vienmi imposta la chiusura di questo caritatevole ospizio.
Io prego rispettosamente V. S. a volersi persuadere che dopo la ricevuta della prelodata sua circolare non vi fu più alcuna visita sanitaria in questa casa; che se i signori di quella commissione fossero ritornati; come dicono, avrebbero verificato che i provvedimenti da loro proposti vennero praticati quanto si è potuto.
I provvedimenti proposti ed attuati sono: (v. sopra). Del resto io credo poter assicurare V. S. che fu sempre cura di questo istituto di cooperare al bene pubblico sanitario, materiale e morale, e lo farà sempre per l'avvenire per quanto lo comporta una casa che non ha reddito di sorta e che riceve gratuitamente ragazzi poveri ed abbandonati.
Spero di trovare in V. S. quel benevolo appoggio che ho sempre avuto dall'autorità nei tempi passati, mentre ho l'alto onore di potermi professare
Mentre l'imbarazzo del Prefetto faceva tardare la risposta, il Beato, a meglio assicurarsi da ingrate sorprese, andò in cerca di uno specialista in malattie degli occhi, perchè volesse assumersi la vigilanza sanitaria dei giovani fino a che [567] ogni traccia di congiuntivite fosse scomparsa; e lo trovò nella persona di un giovane dottore Losana, al quale scrisse:
Chiarissimo Sig. Dottore Losana,
Per corrispondere alle esigenze della Commissione Sanitaria per la Congiuntivite, ho bisogno di un medico speciale che se ne voglia prendere cura pei nostri poveri ragazzi. A tale scopo prego la S. V. chiarissima a volerci prestare questo caritatevole servizio.
Io fo tanto più volentieri questo invito in quanto credo V. S. essere un antico giovanetto Losana, con cui io era in piena confidenza e a cui portava cordiale e patema affezione.
La ringrazio anticipatamente, auguro vita felice a Lei e a tutta la sua famiglia verso cui abbiamo tante obbligazioni; e mi creda con gratitudine e stima
L'Oratorio non fu chiuso; ma non cessarono le molestie per via dell'igiene. Il 12 giugno Don Bosco ricevette dal Consiglio Provinciale Scolastico la comunicazione che il 10 antecedente erasi deliberato un grave provvedimento a suo carico: una commissione di sanitari, con a capo il dottor Secondo Polto, vicepresidente del Consiglio Sanitario della provincia, sarebbe proceduta fra breve alla ispezione sanitaria dell'Oratorio, per determinare il numero degli alunni che vi potevano essere accolti senza pericolo o danno dell'igiene pubblica e privata e avrebbe visitato nello stesso tempo gli alunni per accertare se ve ne fossero affetti da congiuntivite granulosa. Il “fra breve” aveva senso largo; poichè solamente in settembre il Consiglio Provinciale Scolastico deliberò di mandare ad effetto la risoluzione presa in giugno, come il Prefetto Vaini partecipò a Don Bosco l'11 di quel mese, terminando con questa esortazione: “Non dubito che la S. V. sarà per accogliere la Commissione con tutta quella deferenza che si merita per l'importanza dell'incarico che le è commesso, nell'interesse delle famiglie [568] che collocano i loro figliuoli in codesto istituto, e in quello della pubblica igiene e per mandare in esecuzione i suggerimenti igienici che da esse Le venissero dati”. Don Bosco rispettosamente gli rispose:
Di tutto buon grado tengo questa casa aperta all'Esimio Comm. Polto ed agli altri dottori che l'accompagnano, a fare una visita igienica in questo Ospizio, e terrò nel dovuto pregio qualunque suggerimento si compiaceranno proporre in favore dei giovani ivi ricoverati.
Prego soltanto V. S. Ill.ma a far notare ai Sig. Dottori incaricati, che vogliano tener conto che questo ospizio è casa di beneficenza, di fanciulli poveri, ed abbandonati, inviati per lo più dalle autorità governative, e tenuti qui gratuitamente. Molti di essi se non fossero qui accolti rimarrebbero in mezzo alle piazze o per le vie; perciò essi si uniscono a me in numero di circa ottocento ad invocare la benevolenza delle autorità civili e la carità dei privati cittadini.
Colla massima stima ho l'alto onore di potermi professare della S.V. Ill.ma
Il dottor Polto aveva ottime intenzioni. Infatti nel visitare le camerate i medici che l'accompagnavano dicevano che non c'era abbastanza aria; ma egli, quasi seccato: - Andate, disse, a vedere nelle soffitte, dove padre, madre e tre o quattro ragazzi stanno tutto il giorno e si fa cucina, si dorme, si lava, e non possono alzare il capo senza urtare nel soffitto!... - Egli confidò a Giuseppe Rossi che i colleghi gli volevano far sottoscrivere una relazione contraria al vero e che egli, piuttostochè fare simili parti, avrebbe preferito dimettersi dall'ufficio. La Commissione dichiarò che l'istituto si trovava in condizioni sufficienti per contenere 275 alunni. Così la chiusura fu scansata; ma Don Bosco, obbligato a limitate il numero dei ricoverati, quando all'Oratorio venivano le madri per raccomandare i propri figli, rispondeva loro:
- Io non posso accettarli. Andate dal signor Prefetto e chiedetegli licenza. - Ora si dice che il Prefetto, a quella [569] processione interminabile di madri, perduta la pazienza, mandasse a dire a Don Bosco: - Accetti quanti giovani vuole, ma non venga più nessuno a rompermi le tasche.
La falsa informazione data al Prefetto di una seconda visita sanitaria non mai avvenuta confermò il dubbio di manovre subacquee per arrivare alla chiusura dell'Oratorio. Il fatto è che, fallito quel tentativo, il Consiglio Scolastico si appigliò ben tosto al partito di far chiudere il ginnasio; ma poichè l'incidente, cominciato nel '78, raggiunse la fase acuta nel '79, ne rimettiamo l'intera narrazione al seguente volume.
Non soltanto dalla Prefettura, ma anche dal Municipio spirava sull'Oratorio un vento poco propizio. Nella seconda metà di maggio la Giunta senz'alcuna motivazione soppresse nel bilancio un sussidio di lire trecento, godute da trent'anni per le scuole serali. Don Bosco era stato il primo a introdurle in Torino; le autorità municipali, visitatele per bene, erano rimaste così soddisfatte, che venne stanziata quella somma per concorrere alla spesa d'illuminazione. Don Bosco il 12 maggio lamentava con alcuni de' suoi preti tanta freddezza del Municipio verso di lui, mentre l'Oratorio aveva sempre trattato con ogni riguardo quei signori e poi in se stesso era un bel vantaggio e una bella gloria per Torino. Ma la causa non poteva essere diversa da quella allegata, quando fu rifiutato il solito sussidio per le scuole autunnali[293].
E di qual altra natura fu la ragione vera che determinò la chiusura delle scuole elementari esterne? Don Bosco ve le manteneva da molti anni, ma il 31 ottobre 1878 il Consiglio Provinciale Scolastico lo invitò a chiuderle, perchè, a detta della sullodata Commissione, i locali ad esse destinati [570] erano in condizioni estremamente deplorevoli. Prima però aveva fatto istanza al Municipio, affinchè provvedesse quel Borgo di scuole elementari sufficienti per accogliere tutti i fanciulli che colà dimoravano con le loro famiglie, al che il Municipio aveva “di buon grado „ aderito[294]. Il Servo di Dio che conosceva i bisogni di quella popolazione, fece pervenire all'autorità le sue rispettose rimostranze.
Ho ricevuto la sua rispettabile lettera del 31 testè passato ottobre colla quale mi comunicava le disposizioni del Consiglio Scolastico Provinciale intorno alle scuole interne pei ricoverati in questo ospizio, e pei poveri fanciulli esterni. Godo assai che il Municipio abbia attivate le scuole elementari cotanto sospirate in questo popolatissimo quartiere di Torino. Queste scuole però potranno difficilmente provvedere alla categoria di coloro che sogliono accogliersi nelle nostre classi. Sono fanciulli che per la loro indisciplina, e perchè male vestiti non sono accolti o vengono licenziati dalle pubbliche scuole. Sono quei ragazzi che da un momento all'altro corrono rischio di doversi condurre nelle carceri correzionali... In quanto ai locali trovati in cattivo stato credo bene di informare la S. V. che le camere visitate erano per uso momentaneo, cioè fino a che le camere a tal uopo stabilite fossero a dovere riparate, come appunto si è fatto. Le classi per questa sorta di fanciulli sono attivate nell'edifizio più vicino a questo Istituto facendo fronte con via Cottolengo. Del resto lavorando per fare del bene alla classe più abbandonata della civile società riceverò sempre con gran piacere qualunque consiglio che possa giovare a questo benefico scopo e mi darò sollecita cura di tradurlo in opera.
Col massimo ossequio ho l'onore di potermi professare della S.V. Ill.ma
Il Consiglio Provinciale Scolastico, vista la ferma volontà del Beato di continuare quell'opera buona, richiese d'ufficio l'elenco degl'insegnanti e l'indicazione precisa del luogo dove le scuole erano allora collocate, non che il numero degli alunni inscritti nelle singole classi[295]. Don Bosco dovette [571] aver risposto in modo soddisfacente, perchè non vi furono repliche; ma in quei giorni scoppiava l'accennata minaccia di chiusura per il ginnasio.
MORTE DI TRE GRANDI BENEFATTORI
Dicevamo delle grandi strettezze, in cui si dibatteva l'Oratorio per la prolungata assenza di Don Bosco. Offerte veramente non erano mancate, massime per la lettura del Bollettino, che stimolava la carità dei Cooperatori; tuttavia i debiti restavano sempre ingenti. La Provvidenza però dispose allora che un atto di straordinaria liberalità recasse notevole sollievo alle finanze di Don Bosco, sebbene vi si associasse un gran dolore. Il 27 aprile uscì di vita in Torino il barone Camillo Bianco di Barbanía, per il quale Don Bosco nutriva particolare affetto e dal quale era medesimamente riamato. Mortogli l'erede, in favore del quale aveva parecchi anni avanti testato, annullò quel testamento, chiamando suo erede universale Don Bosco, con l'onere di molti legati. Si ebbe modo così di saldare grosse partite. Quando ancora non si conoscevano le ultime volontà del defunto, nell'Oratorio furono ordinati speciali suffragi per il riposo della sua anima, essendo egli stato in ogni tempo benefattore, amico e padre dei Salesiani. Anzi per tutto il 28 i chierici andarono al suo palazzo per l'officiatura funebre, alternandosi quattro a quattro ogni ora e recitandosi da ogni gruppo l'ufficio dei morti e l'intero rosario accanto alla salma. '
Don Bosco, che a stento poteva reggersi in piedi, era andato a trovare l'infermo nelle ultime ore. Il Barone, benchè non desse più segno di conoscere i circostanti, si destò quasi da sopore al suono della sua voce, mostrò contentezza della sua visita e ne ricevette con visibile compiacimento la santa benedizione. Il Servo di Dio sempre serbò del barone Bianco la più cara memoria. Poco tempo prima di morire tolse dal cassetto dello scrittoio una fotografia e la porse [572] a Don Lemoyne senza dir nulla. Don Lemoyne la prese, la osservò e disse - È il ritratto del barone Bianco.
- Sì, il ritratto di un mio grandissimo amico - rispose il Beato con le lacrime agli occhi.
Don Lemoyne voleva restituirglielo. - No, fece Don Bosco tienlo tu, custodiscilo. - Don Lemoyne interpretò quelle parole come se volessero significare che toccava a lui perennare la memoria di un così insigne benefattore. Certo è che la maniera usata da Don Bosco in tale istante colpì il futuro biografo, il quale vide in simile atto alcun che di misterioso.
Il barone Bianco fu del bel numero di quei nobili Piemontesi che tanto si segnalarono per il loro amore alla Chiesa e per la loro devozione al Papa. Anche lui, venuti i tempi nuovi, per non tradire la coscienza si ritirò da ogni aulico o pubblico ufficio, attendendo invece a beneficare generosamente la Santa Sede e i poveri. Per noi sono degnissime di nota alcune espressioni da lui inserite nel proprio testamento, che porta la data del 22 gennaio 1877. Dichiarato suo erede universale Don Bosco, che chiama suo “grand'amico” e dettosi “persuaso pure di far cosa aggradevole a S. S. il Papa Pio IX Sommo Pontefice e Sovrano, dal quale implora la santa benedizione”, prosegue così: “E siccome quel grande uomo che è Don Bosco, ha inimici, credo bene di dichiarare essere ignaro il medesimo di questa mia deliberazione e di questo ne dò la mia parola d'onore”.
Tuttavia le male lingue, se non in questo, trovarono in altro materia da esercitarsi. Corsero le più fantastiche dicerie intorno al valore dell'eredità toccata a Don Bosco; andavano di bocca in bocca cifre colossali: eran milioni e milioni cascati dal cielo: non aver egli più alcun bisogno di chiedere la carità. Ma la realtà stava molto molto al disotto delle iperboliche supposizioni. E poichè il diffondersi di chiacchiere così strampalate poteva influire sinistramente sugli animi e deviare i rivi dell'ordinaria beneficenza, il Bollettino di giugno tagliò corto, pubblicando una dichiarazione che [573] rimetteva le cose a posto. Il Servo di Dio, a testimoniare pubblicamente la sua gratitudine, gli fece fare un solenne funerale di trigesima il 28 maggio nella parrocchia di santa Teresa con larghi inviti.
Un nuovo dolore Don Bosco ricevette a brevissima distanza di tempo: il 3 maggio perdette quell'altro suo grande benefattore che fu il marchese Domenico Fassati, fervente cristiano e attaccatissimo al Papa. Molte preghiere si fecero anche per lui nell'Oratorio e nella sua dimora. Per i funerali di trigesima Don Bosco invitò quanti più potè a intervenire, diramando una circolarina tanto semplice quanto espressiva.
I giovanetti dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, dolenti per la perdita del Marchese Domenico Passati, fanno un servizio religioso in suffragio dell'anima di Lui nella Chiesa di Maria SS. Ausiliatrice il giorno 5 del corrente mese ore 7 mattino.
La S. V. è rispettosamente pregata ad intervenire, e qualora non possa si compiaccia almeno di innalzare a Dio una prece in suffragio dell'anima del compianto loro benefattore.
Di poco aveva preceduti i due patrizi torinesi nella tomba un altro gran protettore di Don Bosco, il cardinale Giuseppe Berardi, passato agli eterni risposi il 6 aprile. Dall'estate del 1877 egli pativa incomodi molto gravi di salute; un colpo apoplettico ne troncò l'esistenza. Aveva dieci anni di cardinalato, alla qual dignità era salito per rilevanti servigi resi alla Santa Sede fino dai primordi del pontificato di Pio IX. Era nato a Ceccano il 28 dicembre 1810.
La scomparsa di questi tre vecchi e sì benemeriti suoi amici amareggiò profondamente l'animo del Servo di Dio. Dai figli di Don Bosco essi meritano riconoscenza eterna.
IL giorno in cui fu collocata la prima pietra di questa chiesa fu senza dubbio per Don Bosco un bel giorno. C'eran voluti circa dodici anni di preparazione. È vero che l'idea di costruire sul Viale del Re una chiesa dedicata a San Giovanni Evangelista datava solo dal 1869; ma per rendersi padrone del terreno che gli faceva d'uopo per sviluppare l'oratorio di san Luigi, egli brigava già da più anni innanzi. Era poi sua intenzione di onorare con quel sacro edifizio la persona di Pio IX, che nel battesimo aveva ricevuto il nome dell'apostolo prediletto e a cui Don Bosco tanto si sentiva obbligato; tuttavia non rese di pubblica ragione il proprio intendimento se non dopo la morte del grande Pontefice. Una prova che questo suo proposito fu anteriore alla morte del Papa è che nel 1877, trovato un benefattore pronto ad assumersi la spesa della porta grande, affidò al professore universitario Giuseppe Boidi da Castellazzo Bormida l'incarico di disegnarla, ornandola con emblemi raffiguranti le gesta di Pio IX.
L'architetto conte Edoardo Arborio Mella, valente cultore dell'architettura sacra medievale, disegnò una chiesa in stile romanico lombardo del 1200. Essa doveva occupare un'area rettangolare di circa 60 metri in lunghezza per 22 in [575] larghezza divisa in tre navate, di cui la centrale larga e alta il doppio delle altre due. La superficie libera sarebbe nella chiesa di 1100 metri quadrati sì da contenere comodamente 2500 persone. La facciata avrebbe avuto nel mezzo il campanile, elevantesi a un'altezza di 45 metri. Accanto alla casa di Dio Don Bosco voleva un ospizio, che fosse succursale dell'Oratorio per darvi ricetto a trecento allievi interni, ma con locali opportuni per oratorio festivo e scuole domenicali, feriali ed anche serali a pro dei ragazzi del vicinato, insidiati dai Valdesi, che avevano il loro tempio a breve distanza.
Ma con quali mezzi il Servo di Dio si proponeva di condurre a termine la gravosa impresa? La sua fede li aspettava dalla divina Provvidenza e dalla pietà dei fedeli. Già in una circolare del 12 ottobre 1870 egli aveva fatto appello alla carità pubblica, esprimendo la speranza che i lavori sarebbero compiuti entro lo spazio di due anni; non aveva però fatto i conti con gli eretici dei dintorni, che sollevarono mille ostacoli, causando enorme perdita di tempo e gravi sacrifizi pecuniari. Se non che quando il Beato si era persuaso che un'opera fosse voluta dalla gloria di Dio e dal bene delle anime, il diavolo poteva scatenargli contro tutte le forze del male, ma alla fine se n'andava con le corna infrante. Il fatto è che nel maggio del 1877, rimossi con la sua tenacia e abilità tutti gl'impedimenti, potè presentare all'Arcivescovo i disegni per la debita approvazione. Monsignor Gastaldi il 13 di quel mese nella pianta del doppio edifizio scrisse e sottoscrisse: “Avendo esaminati i disegni per la nuova chiesa a onore di S. Giovanni l'Evangelista da erigersi nella nostra città arcivescovile di buon grado li approviamo”. Era l'ultima formalità. Sotto la direzione dell'ingegnere Antonio Spezia i lavori procedettero alacremente, sicchè nell'agosto del 1878, fatti gli scavi e compiute le fondamenta, i muri comparivano fuori terra e già cominciava la volta per il pavimento.
Con che metodo il Beato Don Bosco si accingesse alla [576] costruzione di sacri edifizi, ci è in parte svelato da lui stesso. Nel 1877 una signora che cooperava all'erezione di una chiesa in Castagneto di Pisa, si rivolse a lui per consiglio sul modo di procacciare i fondi necessari. Egli le rispose così.
Preg.ma Signora Marianna Moschetti,
Sarebbe necessario potersi parlare per esaminare quali progetti si possono fare e quale probabilità vi abbia di poterli effettuare. Le dirò tuttavia quello che mi pare bene nel Signore.
I° Pregare ed invitare altri a pregare e fare delle Comunioni a Dio, come mezzo efficacissimo per meritare le sue grazie.
2° Invitare il Parroco a mettersi alla testa di due comitati numerosi; per quanto è possibile numerosi: uno di uomini, l'altro di donne. Ciascun membro di questo comitato si firmi per una oblazione divisa in tre rate una per anno.
Nel tempo stesso ognuno cerchi oblatori in danaro, in lavoro, o in materiali. Per esempio invitare chi faccia fare un altare, il pulpito, i candelieri, una campana, i telai delle finestre, la porta maggiore, le minori, i vetri etc. Ma una cosa sola caduno. Se potessi parlare col Parroco potrei, in confidenza suggerire altro mezzo; ma mi rincresce affidarlo alla carta[296].
Io pregherà che ogni cosa vada bene. L'unico mio appoggio è sempre stato il ricorso a Gesù Sacramentato ed a Maria Ausiliatrice.
Dio la benedica e preghi per me che le sarò sempre in G. C.
Questo del distribuire le varie parti dell'edifizio ai più fervorosi cooperatori, acciocchè ne sostenessero le spese, era uno spediente da lui già sperimentato utilissimo e ritentato all'ora con buon successo. Ricorse anche alla stampa. L'Unità Cattolica del 28 agosto 1877 pubblicò un articolo, in cui, rendendo conto del già fatto, stimolava gli amici a “concorrere con offerte di danaro, di materiali da costruzione, dì mano d'opera, con oggetti d'arte e con arredi sacri”. Anzi, per crescer forza al suo invito, il giornale riesumò una raccomandazione, un po' vecchia veramente, ma non inopportuna, [577] dell'autorità ecclesiastica torinese in favore dell'opera. “Con grande nostra soddisfazione, diceva il Vicario generale Zappata in data 30 ottobre 1870, abbiamo visto ed approviamo l'avanti esposto divisamento dello zelante e pio nostro sacerdote Don Giovanni Bosco, dì già benemerito della Chiesa e della civile società per varie sue istituzioni sì religiose che di pubblica beneficenza „. Poi augurava il pronto compimento dell'impresa e rafforzava la sua commendatizia apponendovi prima della firma questa formula: “Il tutto d'ordine e a nome di S. E. Mons. Arcivescovo”. L'Arcivescovo era monsignor Alessandro Riccardi.
Questa pubblicazione, non si sa perchè, spiacque a monsignor Gastaldi, il quale con notevole ritardo fece scrivere il 14 ottobre a Don Rua come a superiore riconosciuto dell'Oratorio, che, non avendosi copia di tal documento in curia ed essendo necessario averla, quanto prima rendesse ostensibile l'originale per prenderne copia autentica; “ma questo, leggiamo nell’Esposizione ai Cardinali del Concilio[297], conservandosi in Curia, non si potè portargliene che una copia; di cui non fu soddisfatto e continuò a darci disturbi sopra disturbi per volere da noi un documento, che egli teneva presso di sè”. Più tardi il professore Don Anfossi scrisse per L'Unità Cattolica un articolo, nel quale dimostrava quanta fosse la necessità della chiesa e dell'ospizio di San Giovanni; ma il direttore del giornale ricusò di pubblicarlo, dicendo che l'Arcivescovo non glielo permetteva[298]. Eran nubi foriere di nuove procelle.
Il vero incidente sorse, mentre Don Bosco stava ancora a Roma. La chiesa di San Secondo in Torino, dacchè Don Bosco, dopo averla cominciata, era stato costretto a disinteressarsene, non andava avanti con la costruzione. Orbene il parroco del borgo di quel nome, Don Leone Prato, vedendone la grande necessità, lanciò l'idea di farne un omaggio [578] dei Torinesi “alla bell'anima di Pio IX” mediante il generoso contributo alla sua erezione; nel qual senso L'Unità Cattolica dei 17 febbraio 1878 pubblicò un breve articolo. Don Bosco, avvertito della cosa[299], scrisse a Don Rua[300]: “Di' a Don Bonetti che prepari un articolo pel Bollettino sulla chiesa di S. Giovanni, dicendo: I° Esser opera consigliata, benedetta, sussidiata da Pio IX. 2° Non potersi promuovere miglior monumento che condurre a termine un'opera da Pio IX cominciata, consacrata al suo nome, e che è secondo il suo ultimo ricordo: “Abbiate cura della povera gioventù”[301]. 3° È dovere dei cooperatori condurre alla fine un'opera cominciata dal fondatore dei promotori[302] salesiani”.
Don Bonetti stese subito l'articolo, ma ne rimandò la pubblicazione al numero di aprile, perchè quello di marzo era tutto consacrato al defunto Pontefice. L'articolo s'intitolava: “I Cooperatori Salesiani a perpetua Memoria di Pio IX il Grande”. Ai Cooperatori la proposta arrise subito e talmente, che ogni giorno davano prove del loro gradimento inviando offerte per il nobile scopo. Di tanto favore il periodico diede ampie notizie nel suo numero di maggio.
Ma nel frattempo era avvenuto un colpo di scena. In data 27 febbraio l'Ordinario aveva pubblicato una lettera pastorale “sopra un monumento da erigersi in Torino al grande Pio IX”. Il monumento s'indovina facilmente quale fosse. L'Unità del 3 marzo venne fuori con uno stelloncino dal titolo: “Il Monumento dei Torinesi alla santa memoria di Pio IX”, auspicando un edifizio monumentale sull'alto della cui cupola si vedrebbe torreggiare la statua di Pio IX benedicente “Torino, l'Italia e il mondo”. Indi Monsignore vietò al Bollettino di ritornare per suo conto sul tema del [579] monumento e scrisse lettere alla Congregazione dei Vescovi e Regolari e alla Segreteria di Stato, dai quali dicasteri s'iniziò con Don Bosco una corrispondenza, che costituisce una pagina importante nella biografia del nostro Beato.
Primo a scrivergli fu l'eminentissimo Segretario di Stato. A quell'ufficio Leone XIII aveva chiamato il cardinal Franchi, il quale lo tenne per pochi mesi, essendo morto il 31 luglio. Fondandosi sulle informazioni pervenutegli da Torino diceva a Don Bosco:
Nella dispensa del mese di aprile del Bollettino Salesiano che V. S. Ill.ma pubblica in San Pier d'Arena è comparsa una raccomandazione ai fedeli per convertire in monumento alla S. M. di Pio IX la nuova chiesa che si sta per cura di Lei costruendo in cotesta Città, sotto il titolo di San Giovanni. Essendo già stati antecedentemente invitati da Monsignor Arcivescovo di Torino i fedeli stessi a contribuire ad un monumento in onore del glorioso Pontefice anzidetto, colla creazione di una nuova Chiesa Parrocchiale nel nuovo Borgo intitolato a San Secondo, non sembra opportuno questo doppio appello per uno stesso oggetto alla carità cristiana, tanto più che essendo partito il primo dalla superiore autorità ecclesiastica locale, il secondo, fatto da un sacerdote senza l'autorizzazione della detta autorità, può apparire agli occhi del pubblico una mancanza di riguardo verso di essa. Questi riflessi poi acquistano maggior forza conoscendosi non trovarsi Ella nelle migliori relazioni con Mons. Arcivescovo, e non essendovi dubbio che a questo debba essere riuscita di poco gradimento questa specie di pubblica rivalità, in un'opera di tale natura.
Vorrà Ella quindi presso queste ed altre considerazioni che facilmente Le possono venire alla memoria, studiare il modo di sciogliere qualsivoglia malinteso in proposito, procurando in cosa si strettamente legata coll'autorità arcivescovile di procedere d'accordo con la medesima, ovvero di appigliarsi a quel partito che non le dia ragione di malcontento e disgusto.
In questa fiducia Le confermo i sensi della mia distinta stima.
Vistosi incolpato di cosa, della quale si sentiva innocente, e ben conoscendo l'origine dell'accusa, diede a Sua Eminenza gli schiarimenti necessari.
Ringrazio di tutto cuore la E. V. Rev.ma per la lettera che si degnò indirizzarmi, perciocchè con essa mi porge opportunità di dare schiarimenti, senza cui rimarrebbe affatto cangiato lo stato delle cose ivi esposte.
Qui sarei incolpato di aver fatto un appello ai fedeli della diocesi di Torino, per innalzare un monumento al compianto Pio IX in concorrenza di altro precedente appello, e ciò senza autorizzazione superiore. Abbia la bontà di permettermi alcuni schiarimenti, e:
I° La Chiesa di S. Gio. Evangelista è monumento destinato alla gloria di Pio IX cominciato da molti anni. Fin dal 1870 l'Em.mo Card. Antonelli a nome del S. Padre m'inviava una lettera d'incoraggiamento, ne benediceva gli oblatori facendo la sua prima oblazione in f. 2000 (due mila) notando che S. S. cooperava a quell'edifizio perchè si trattava di fare argine ai protestanti, che in quel quartiere hanno innalzato un ospizio, le loro scuole e un tempio all'errore. Quindi il cominciamento di quella chiesa è molto anteriore all'appello dell'Arcivescovo di Torino.
2° Tale edifizio venne cominciato col consenso dell'autorità arcivescovile, anzi l'esponente fu direttamente invitato, incoraggiato, aggiungendo una viva raccomandazione ai fedeli per eccitarli a venire in aiuto dell'opera progettata.
3° Il Bollettino Salesiano non si stampa in Torino, ma in S. Pier d'Arena eziandio coll'approvazione di quell'Arcivescovo, che colla sua grande carità approva e raccomanda i poveri fanciulli delle nostre case.
4° In quella dispensa non si fa appello ai fedeli, come si vorrebbe far credere, ma unicamente ai cooperatori salesiani col quale nome si intendono i nostri ordinarii benefattori delle nostre case d'Italia, di Francia, d'America.
5° È pur bene di notare che per le opposizioni di un alto personaggio, l'opera dei Cooperatori è assai limitata in questa Arcidiocesi Torinese.
Da questi schiarimenti la E. V. può facilmente rilevare che tutto si fece coll'approvazione e raccomandazione del S. Padre e dell'autorità ecclesiastica locale, che l'appello in discorso è molto anteriore a quello dell'Arcivescovo; che diretto ai soli cooperatori sono assai pochi nella diocesi Torinese; che il Bollettino Salesiano si stampa coll'approvazione dell'autorità Arcivescovile di Genova, e si diffonde solamente presso ai nostri benefattori, ai quali si dà conto di quello che si fa, affinchè vedendo il frutto della loro carità, ci vengano più [581] volentieri in aiuto. Siccome più volte sono avvenuti disgustosi incidenti a motivo di male intelligenze, così io prego caldamente la E. V. a volermi pure altre volte comunicare le cose di questo genere che per avventura venissero deferite alla E. V. Rev.ma.
Con somma gratitudine e con pienezza di venerazione ho l'alto onore di potermi professare
Non andò guari che giunse a Don Bosco un monito anche dal Cardinal Prefetto dei Vescovi e Regolari. Una frase della sua lettera, là dove dice dell' “appello alla carità dei Cooperatori e Cooperatrici Salesiane” sembra indizio che il cardinal Ferrieri avesse preso visione della lettera precedente e che volesse rispondere all'osservazione quarta di Don Bosco.
Non ha guari l'Arcivescovo di Torino ha significato a questa Sacra Congregaz. de' Vescovi e Regolari, che la S. V. ha fatto appello alla carità de' Cooperatori e Cooperatrici Salesiane, onde raccogliere delle oblazioni per costruire in Torino la nuova Chiesa di S. Giovanni quale memoria a Pio IX. Un tal proposito è veramente per se stesso commendevole, e merita sotto ogni rapporto encomio grande. Ma nel momento, potendo sembrare un tale fatto una certa emulazione al proposito medesimo di cotesto Arcivescovo pubblicato nella sua pastorale un mese fa, d'innalzare cioè un monumento al Sommo Pontefice Pio IX nella chiesa di S. Secondo in Torino; s'invita la S. V. a desistere per ora dal raccogliere dell'elemosine per l'oggetto suindicato, onde non dare appiglio ai pusilli di sospettare antagonismo coll'autorità Arcivescovile. In tale intelligenza, le auguro dal Signore prosperità.
Erano trascorsi due giorni, quando arrivò al Beato un terzo richiamo, anche quello dal cardinal Franchi, che con molto tatto riaffermava il suo punto di vista. [582]
Il foglio della S. V. R. in data dell'8 corr. mi ha recato gli schiarimenti ch'ella ha creduto bene somministrarmi presso il ricevimento del mio dispaccio N. 29089. Da questi schiarimenti rilevo che ben validi sono i motivi pei quali ella con lodevolissimo zelo, si accinse alla costruzione della chiesa dedicata a S. Giovanni Evangelista. Ne deduco quindi che fondandosi su questi motivi non ha bisogno per eccitare la carità dei fedeli, di aggiungervi il proposito d'innalzare con ciò un monumento alla sacra memoria di Pio IX. Quando specialmente questo monumento vuole erigersi da cotesto Monsignor Arcivescovo, per provvedere di sacro tempio i fedeli del nuovo borgo di S. Secondo.
Nella ferma persuasione quindi ch'Ella per deferenza al detto prelato, si asterrà di presentare e raccomandare in qualsiasi modo sotto questo aspetto, il compimento dell'opera, e che ciò servirà a restringere sempre più le buone intelligenze che devono passare fra lei come capo di molteplici pii istituti e l'autorità diocesana locale, torno a confermarmi con sensi di distinta stima
A Don Bosco premeva di confermare, chiarire e completare quanto aveva detto nella sua al cardinal Franchi; perciò, ricevuta quest'ultima vi rispose prima che all'altra del cardinal Ferrieri. Ai Cooperatori egli si rivolgeva dall'archidiocesi di Genova, non da Torino, sicchè non gli si potevano fare addebiti dal suo Ordinario locale.
Supplico V. E. Rev.ma a volermi ancora permettere alcune parole di schiarimento e di risposta alla cortesissima lettera che si degnò di scrivermi. A ciò sono pure indotto dalle lettere che lo stesso rev.mo nostro Arcivescovo ha scritto ad altre sacre Congregazioni a mio carico sullo stesso argomento.
Si ritenga adunque che non sono io che ho fatto concorrenza ad altri, ma altri la fece a me, che già da dieci anni aveva pubblicamente cominciata la chiesa ed ospizio di S. Giovanni; che il Bollettino Salesiano si stampa in Genova nel borgo di S. Pier d'Arena all'ospizio di S. Vincenzo, a spese e responsabilità del direttore degli orfanelli colà [583] ricoverati. Credo che l'autorità arcivescovile di Torino non si voglia estendere fin là, chè il Bollettino si spedisce ai soli cooperatori o benefattori Salesiani delle varie città e paesi dove abbiamo delle case. Diamo ai medesimi ragguaglio di quanto si fa, o meglio, come è impiegata la loro carità. Ciò nulladimeno di costoro è assai ristretto il numero in Torino a motivo delle opposizioni fatte dal superiore ecclesiastico; ma volendo in ogni cosa prestare ossequio all'autorità e togliere ogni pretesto si assicurò l'Arcivescovo che, eccettuato il foglio in corso di stampa, in avvenire si parlerebbe della chiesa di S. Giovanni, ma senza fare motto che debba servire di monumento a Pio IX. Ciò fu promesso malgrado le opposizioni dei cooperatori salesiani, che vedono ingiusta la proibizione di erigere un monumento di gratitudine al fondatore della loro associazione. Sebbene l'Arcivescovo siasi mostrato contento e pienamente soddisfatto di tale accondiscendenza, tuttavia non cessò di scrivere alla E. V. ed alla Congregazione dei Vesc. e Regol., movendo lagnanze per cui si deve spendere tempo che la coscienza stringe di occupare a maggiore gloria di Dio e a vantaggio delle anime. Io pertanto prego la E. V. a voler prendere questa nostra povera congregazione sotto alla potente sua protezione e scrivere al rev.mo nostro Arcivescovo che quando nascono difficoltà me le dica; e quando una cosa è aggiustata tra noi perchè ancora ricorrere ripetutamente alla santa Sede? Sono più anni da che, quasi giornalmente, sono costretto a dare schiarimenti ai reclami dell'autorità ecclesiastica fatti a Roma a nostro carico; la qual cosa torna a danno della nascente congregazione salesiana che ha somma necessità di consolidarsi secondo il bisogno e le calamità dei tempi nostri. Si degni di compatirmi se in questo foglio uso espressioni meno riverenti. Intendo di esprimere unicamente la verità e manifestare lo stato delle cose al supremo tribunale della Chiesa e desidero di poter impiegare il po' di vita che Dio vorrà ancora concedermi in favore della congregazione che la Santa Sede mi volle affidare.
Mi doni adunque compatimento di tanti disturbi e gradisca che i Salesiani in segno di profonda gratitudine preghino ogni giorno il Signore Iddio che le conceda sanità stabile e vita felice, mentre a nome di tutti ho l'alto onore di potermi professare
Rimasto alcun poco in attesa, forse per vedere se altro gli venisse dalla Segreteria di Stato, mandò al cardinal Ferrieri una risposta, in cui è degno di considerazione specialmente il punto quarto. [584]
Ho ricevuto la lettera con cui la E. V. Rev.ma mi invita a desistere di raccogliere limosine presso ai cooperatori e cooperatrici salesiane per continuare i lavori della chiesa di S. Giovanni, perchè ciò sembra una concorrenza all'Arcivescovo di Torino che avrebbe fatto preventivamente identico appello per la chiesa di S. Secondo.
Io prego V. E. di permettermi che io le rinnovi qui gli schiarimenti già dati all'Em.mo Segretario di Stato presso cui furono fatti gli stessi reclami.
I° Noto anzitutto che io non ho fatto appello di sorta perchè il foglio cui si allude, fu pubblicato in mia assenza e senza alcuna mia ingerenza; si stampò nell'ospizio di S. Pier d'Arena presso Genova a spese e sotto alla responsabilità del direttore di quel ricovero coll'approvazione dell'autorità ecclesiastica di quell'arcidiocesi.
2° Non si è pubblicata cosa alcuna nella diocesi di Torino, quindi non sembra esservi alcun motivo di reclamo per parte di questo Ordinario.
3° Si ritenga che la chiesa di S. Giovanni Evangelista fu cominciata da oltre a dieci anni colla benedizione e con un sussidio di 2000 fr. del pontefice Pio IX sempre di cara memoria. Egli concorse perchè trattavasi di fare argine ai protestanti che là vicino hanno scuola, ospizio, ospedale e tempio. L'autorità arcivescovile tutto approvò e commendò, eccitando i fedeli a venire in aiuto, come si può vedere dalla esposizione nel foglio a parte. Credo non si voglia rivocare quanto venne già approvato.
4° La chiesa di S. Secondo l'ho cominciata io stesso molti anni dopo a quella di S. Giovanni; e dopo avere io consumato una somma di danaro assai rilevante, l'arcivescovo giudicò di subentrare egli stesso in quella costruzione. Io cedetti di tutto buon grado, perchè trattavasi col superiore ecclesiastico.
Laonde non ho fatta concorrenza ad altri, ma altri la fecero a me, contro di un'opera da oltre dieci anni cominciata, e per cui dovetti superare indescrivibili difficoltà da parte dei protestanti.
5° Ciò nulladimeno pro bono pacis appena l'Arcivescovo fece osservazioni in proposito, l'ho immediatamente in persona assicurato che in avvenire, eccettuato il foglio in corso di stampa, il così detto Bollettino Salesiano avrebbe parlato della chiesa e dell'ospizio di San Giovanni senza più qualificarla monumento a Pio IX.
Persuaso di avere così soddisfatto al dovere di riscontrare alla ven.ma ed osseq.ma di lei lettera, mi offro pronto a qualunque ordine e consiglio sia per manifestarmi, mentre ho l'alto onore di potermi professare
Questo scambio di note, ignorato dal pubblico, non dispensava il Bollettino dalla convenienza di giustificare dinanzi ai lettori torinesi i suoi passati asserti prima di ammutolire sull'argomento. E diciamo i lettori torinesi, perchè tutta qui si restringeva la questione. Appunto per questo il direttore del periodico dispose che gli articoli trattanti della chiesa di S. Giovanni fossero redatti in due forme, una per i Cooperatori dell'archidiocesi di Torino senza “monumento” e l'altra per i Cooperatori estranei con il suo bravo “monumento”. Il Bollettino dunque di giugno uscì con un articolo intitolato: “Una giustificazione sulla chiesa di San Giovanni qual monumento a Pio IX”. In esso, riassunto quello che si era antecedentemente pubblicato sull'erigenda chiesa, Don Bonetti proseguiva: “Per certi riguardi... ci limitammo a raccomandare l'Opera ai soli nostri Cooperatori e Cooperatrici, mostrando loro quanto bella ed onorevole cosa fosse per essi l'innalzare questo sacro Monumento al primo e più grande nostro Benefattore, al Promotore insigne della nostra Pia Unione[303]. Eppure malgrado tutto ciò ci venne testè riferito che noi abbiamo dispiaciuto a qualcuno. Dolenti di essere stati nostro malgrado cagione di dispiacere a qualsiasi persona, noi osserviamo che se non fosse accaduta la dolorosa morte del grande Pio IX, la chiesa di S. Giovanni dovevasi nondimeno continuare egualmente, che quella di S. Secondo. Ciò posto, qual danno può arrecare al proseguimento dell'una il titolo di Monumento attribuito all'altra? Dal canto nostro raccomandiamo caldamente ai nostri Cooperatori e Cooperatrici la chiesa di S. Giovanni, che deve ricordare alla posterità il grande [586] Pio IX e la loro gratitudine verso di lui; e in pari tempo raccomandiamo pure con tutto l'affetto del cuore ai fedeli di concorrere per la chiesa dì S. Secondo, che sarà altro Monumento ben degno di quel glorioso Pontefice. Noi abbiamo piena fiducia in Dio da poter dire che Egli saprà somministrare i mezzi per innalzarli ambidue alla sua maggior gloria, a vantaggio delle anime e ad onore eziandio del suo fedelissimo Servo”. Infine per assicurare tutti che il pensiero di erigere la chiesa di S. Giovanni Evangelista a memoria di Pio IX era molto antico e che ogni cosa erasi fatta sempre col pieno consenso dell'autorità ecclesiastica, si riferivano due documenti del 1870. La notizia di questa vertenza addolorava i tanti amici di Don Bosco, che non tacevano il loro vivo rammarico[304].
Monsignor Gastaldi alludeva a detto articolo, scrivendo il 20 luglio a Don Bosco: “La prego di nuovo caldissimamente di avvertire lo scrittore del Bollettino Salesiano a lasciar in pace l'Arcivescovo di Torino e qualunque altro Vescovo; essendo uno scandalo gravissimo di danno immenso alla religione nostra santissima la pretensione che si arrogano certi giornalisti sedicenti cattolici, i quali vogliono fare da maestri, esaminatori, giudici, riprensori dei Vescovi, ai quali fu detto docete omnes gentes. Io mi oppongo totis viribus a questa pretenzione che è essenzialmente empia e scismatica. E di avvertirlo ancora a non pubblicare più oltre alcuna notizia o avviso, invito od esortazione riguardo alla suddetta chiesa come una memoria di Pio IX. V. S. nella sua prudenza e nella sua buona volontà apprezzerà tutta la importanza di quanto io scrivo, e quindi spero che io non avrò alcuna ragione di mutare la mia indicazione di benevolenza verso la Congregazione Salesiana”.
Intanto Don Bosco s'ingegnava a cercare sussidi da ogni parte. Nel '77 aveva ottenuto dalla direzione delle ferrovie [587] dell'alta Italia certe agevolezze per il trasporto dei materiali, ma soltanto per una quantità non superiore a trentotto tonnellate. Ora il 14 dicembre, alla vigilia quasi della partenza per Roma, chiese che quella condizione fosse eliminata Il Direttore generale gli rispose che, stando per cessare la gestione dell'esercizio d'allora[305], tali agevolezze non si potevano prolungare incondizionatamente, ma che sarebbero durate non oltre il 31 maggio del '78 e sempre senza oltrepassare il quantitativo già fissato. Il 24 aprile del '78 Don Bosco rinnovò la preghiera che gli fosse ridotta la tariffa di trasporto oltre quei limiti; ma la risposta fu nuovamente negativa.
Chiamò in aiuto anche i sacerdoti, proponendo loro di celebrare e far celebrare messe secondo la sua intenzione e cedere a lui la limosina. A questo scopo nella festa di Maria Ausiliatrice e poi con le debite modificazioni cronologiche nella solennità dell'Assunta indirizzò a gran numero di preti la seguente circolare.
Benemerito e molto Rev.do Signore,
Per facilitare i mezzi onde concorrere alla costruzione della Chiesa ed istituto di S. Giovanni Evangelista, alcune pie persone offrono un notabile numero di Messe da celebrarsi da qualche benevolo Sacerdote che ne voglia cedere la limosina per questo fine.
Se pertanto V. S. o qualche altro Sacerdote di sua conoscenza possono e vogliono prestarsi al caritatevole appello, Ella non ha da fare altro che significarmi il numero di Messe che s'incarica di celebrare nello spazio di un anno cioè dal 22 del corrente maggio fino al 24 dello stesso mese 1879.
Ringrazio V. S. della caritatevole cooperazione e pregando Dio a volerla largamente rimeritare del suo zelo, ho l'onore dì professarmi con profonda gratitudine
Torino, festa di M. Aus., 1878.
Naturalmente poi il Bollettino faceva la parte sua di mese in mese. Così nel numero di luglio diede in grande su due facciate attigue il prospetto della chiesa e dell'ospizio, quale risultava dal disegno; fu la prima illustrazione che adornasse la pagine del periodico.
Una cerimonia rimaneva a compiersi: il collocamento solenne della pietra angolare. Don Bosco ci aveva pensato subito dopo al suo ritorno a Valdocco; infatti scrisse allora al conte Eugenio De Maistre:
Sono giunto ieri sera da Genova ed oggi ho potuto passare una parte della giornata fuori di letto e posso dire di essere molto meglio. Mi ha grandemente consolato che la Sig. Duchessa è meglio. Deo Gratias. Tutta questa casa continua a pregare per ottenere da Dio la perfetta di Lei guarigione.
Ora la debbo pregare di un favore. Nella prima quindicina del prossimo maggio dovremo fare la benedizione della pietra fondamentale della Chiesa di S. Giov. Evang. che in onore del compianto Pio IX si sta erigendo presso al tempio dei Protestanti lungo il viale del Re in Torino. Ella farebbe il favore di venire a porre tale pietra al suo posto e versarci la prima calce? Ecco il favore che le dimando per amor di quel Pontefice per cui ha tante volte esposta la vita[306]. Ella potrebbe scegliere quel giorno che l'accomoda di più.
Spero che la sua famiglia sarà tutta in buona salute e prego Dio che la voglia tutta conservare nella prosperità e in mezzo alle celesti benedizioni.
Mi raccomando alla carità delle valide sue preghiere, mentre con verace gratitudine ho l'onore di professarmi di V. S. Car.ma
Il Conte non potè aderire all'invito; egli soleva nella buona stagione lasciare Borgo Cornalense e recarsi con la famiglia in Francia. Allora il Beato guardò più in alto: inviò supplica al Duca di Genova. Anche questi il 6 giugno gli fece rispondere che, a motivo della sua imminente partenza [589] da Torino, gli tornava impossibile accettare “la cortese offerta”. Dopo tale diniego tentò di avere il principe Eugenio di Carignano, che non credette di annuire per la ragione che non aveva mai secondato domande per altre consimili funzioni.
Principi di Casa Savoia non avevano in altri tempi ricusato di onorare l'Oratorio, intervenendo a solenni cerimonie; ora però le condizioni della vita pubblica non erano più quelle d'una volta e certi riserbi si rendevano opportuni. A Corte nondimeno Don Bosco era sempre tenuto in alta stima. Infatti i figli del principe Amedeo, duca d'Aosta, usavano nei loro studi libri suoi, come la Storia Sacra, la Storia Ecclesiastica, la Storia d'Italia; poichè avevano per maestro il professore Don Violino, già allievo dell'Oratorio. Talora i principini gli chiedevano chi fosse Don Bosco. - È un santo, rispondeva il precettore, il santo dei nostri tempi. - Curiosi di vederlo, gli domandarono se ve li avrebbe condotti. - Volentieri - rispose. Ma sebbene li conducesse di quando in quando nella chiesa di Maria Ausiliatrice, non entrò tuttavia mai nell'Oratorio, perchè il principe Amedeo non voleva dare appiglio ai giornali di far rumore, se i suoi figli fossero stati presentati a Don Bosco[307].
Ma bisognava provvedere anche alla benedizione rituale, che alla posa della prima pietra si suole associare Il Servo di Dio, che, nonostante tutto, si teneva in continua corrispondenza con Monsignore e per lettera e, di persona, andò da lui il 19 luglio; vi si era aggiunto pure un invito di Sua Eccellenza medesima, che desiderava avere insieme “una breve conferenza”. Don Bosco, valendosi dell'occasione, gli fece parola di quella cerimonia. L'indomani l'Arcivescovo gli scrisse in proposito: “Ieri V. S. mi parlò della benedizione [590] e posizione della pietra angolare della nuova chiesa di S. Giovanni in questa città, come di cosa prossima. Siccome è mia intenzione di compiere io stesso questa sacra Cerimonia giusta le prescrizioni delle leggi ecclesiastiche liturgiche; e d'altra parte avendo pure io altre funzioni a compiere, La prego di indicarmi nel più breve tempo possibile presso a poco il dì in cui quella sacra funzione avrà a compiersi, acciò io possa disporre le cose mie”.
Non passarono ventiquattro ore che, ripensandovi sopra, tornò a scrivergli: “Riflettendo sulla cerimonia del benedire e porre la pietra angolare della chiesa di S. Giovanni Evangelista, in questa città, penso che forse potrà piacere a V. S. di compierla Ella medesima. E ove ciò sia, io ne dò a Lei per mezzo di questa carta la piena facoltà; colla quale potrà quindi procedere a compiere questo sacro Rito in conformità del Rituale Romano: quando che sia ne voglia stabilire il giorno e l'ora. Osservi però che ove nelle circostanze attuali l'Arcivescovo di Torino non benedicesse esso medesimo quella pietra, tanto più se vi fosse presente il Sindaco o il Prefetto o qualche Principe, si aprirebbe la porta al maestro e promotore delle menzogne di spargere ad ambe le mani la semenza sua infernale, empiendo le mentì e i giornali e le bettole e le botteghe e gli omnibus di chiacchiere contrarie alla verità ed alla carità e di immenso danno alle anime. E nè Ella nè io saremmo affatto senza colpa in questo scandalo. Per lo che reputo cosa convenientissima, che tutto proceda in piena accordanza con quanto Le dissi a voce, e Le scrissi ieri mattina”. A Don Bosco non era mai passato per la mente di compiere egli stesso la sacra cerimonia; ma non dev'esserci mancata l'opera dei soliti sussurroni, che diede così motivo a questo sermoncino.
Non appagato nel suo desiderio di avere un principe sabaudo, il Beato mandò il conte Cays a invitare il sindaco Ferrari, che credette doveroso riferirne alla Giunta municipale. “Nessuno disconosce, gli rispose quindi il 31 luglio, [591] lo zelo con cui la S. V. si adopera a pro delle classi più bisognose di istruzione e di educazione; e senza entrare in merito del risultato che ne possa venire al miglioramento dell'istruzione, tutti rendono giustizia alla attività colla quale vengono attuate le sue idee. L'amministrazione municipale che deve mantenersi nella sfera della propria azione, applaudisce l'iniziativa privata senza incepparla, nè dare incoraggiamenti che potrebbero farla declinare dalle sue mansioni. Non parve quindi che al Sindaco fosse dato di prender parte, tanto meno presiedere ad una funzione la quale, per essere cospicua, non ha certo bisogno di alcun sussidio”. Inteso che il sindaco, nè inceppando nè incoraggiando, si lavava diplomaticamente le mani, Don Bosco ne diede partecipazione all'Arcivescovo, rispondendo alla Sua lettera del 20 luglio intorno all'affare del Bollettino.
Il Sig. Sindaco di Torino dopo un aspettare alquanto lungo ha risposto che non può venire pel collocamento della pietra angolare nella Chiesa di S. Giov. Evangelista.
Ho invitato ed accettò di accondiscendere il Sig. Ceriana Gius. Banchiere. La funzione sarebbe per lunedì prossimo 12 corrente agosto alle 10 del mattino. Ciò accomoderebbe al prelodato Signore il quale varierebbe anche tale orario ove fosse d'uopo Ora se V. E. giudicasse di venire a compiere quella funzione farebbe a tutti gran piacere ed io Le ne fo umile: preghiera. Se poi Ella non potesse o non giudicasse di venire la farei io stesso secondo la facoltà che ebbe la bontà di darmi nella sua lettera 21 luglio p. p. Qualora poi Ella ci favorisse, la prego di farmi dire dove potrei mandare una carrozza a prenderla.
Ho inviato il tenore della sua lettera al Redattore del Bollettino siccome mi aveva scritto ed avendone ricevuto risposta confidenziale, confidenziale la trasmetto, non che io l'approvi, ma unicamente per reciproca cognizione.
La ringrazio ben di cuore della benevolenza che promette alla nostra povera Congregazione, e posso assicurare la E. V. che noi ci adopereremo coi mezzi a noi possibili per non demeritare.
Io non domando altro che di essere tenuti nel grado che sono le congregazioni ecclesiastiche di questa città. Un favore che chiederei pel primo si è che i nostri preti specialmente i Direttori delle case, quando hanno già subìto altrove l'esame di Confessione ed esercitato [592] più anni il sacro Ministero, siano esonerati da novello esame qualora fossero traslocati in qualche casa della Diocesi Torinese. Questo dico per esprimere un mio desiderio, ma comunque faccia io me Le professerà sempre contento.
Al dieci di questo mese giorno di S. Lorenzo, onomastico di V. E. tutti i nostri giovanetti si uniranno meco a pregare e fare la Santa Comunione pel riacquisto e conservazione della Sua sanità, mentre ho l'alto onore di professarmi
Torino, 6 agosto 1878[308].
La “risposta confidenziale”, di cui è cenno qui sopra, fu scritta da Don Bonetti, datata da Sampierdarena e fatta a nome dei redattori. Don Bosco la trasmise con la riserva: “Non che io l'approvi”. In verità specialmente la parte che si riferisce all'Ateneo è condita di finissima ironia, per chi sapeva come quel periodico rosminianeggiante rispecchiasse le idee di Monsignore. Riproduciamo questa prosa, perchè nella presente vertenza può considerarsi come l'ultima parola.
Rev.mo e Caris.mo nostro D. Bosco,
Abbiamo ricevuto testè la preg.ma sua, che ci riportava la caldissima raccomandazione di sua E. Rev.ma Mons. Gastaldi, che cioè lo scrittore del Bollettino Salesiano lasci in pace l'Arciv. di Torino e qualunque altro Vescovo; e di non più pubblicare alcuna notizia o avviso, invito o esortazione riguardo alla chiesa di S. Giovanni come memoria di Pio IX.
Le confessiamo che sopratutto la prima parte della raccomandazione ci ha non solo sorpresi, ma spaventati; quasi che i redattori del Bollettino avessero finora fatto guerra all'Arcivescovo di Torino, o a qualunque altro Vescovo, mentre non altro cerchiamo che promuovere il bene della Chiesa tra i nostri benefattori o Cooperatori. [593]
Abbiamo tosto dato di piglio al Bollettino per rileggere i nostri articoli, ma non ci fu dato di trovare neppure una espressione, che a nostro parere sapesse d'irriverenza ad un Vescovo, o indicasse come che sia noi avere la pretensione di farla da maestri, come egli scrive, da esaminatori, giudici e riprensori dei Vescovi. Per tacere degli altri Prelati, noi abbiamo accennato due volte all'Arcivescovo di Torino, ma con buon fine, e persuasi essere fedeli interpreti dei santi suoi voleri. La prima volta nel Bollettino di giugno, nella descrizione della festa di Maria Ausiliatrice scrivemmo così: “Diede poi maggior lustro alla funzione la presenza del piissimo Vescovo di Novara Mons. Stanislao Eula che vi pontificò col permesso di S. E. Mons. Lorenzo Gastaldi, nostro venerato Pastore”.
Pare che queste parole non contengano nulla d'irriverente; tanto più che lo stesso Mons. di Torino nel dare la licenza che s'invitasse un altro Vescovo a funzionare in quel dì nella Chiesa di Maria Ausiliatrice, appose la condizione che facendosene parola in pubblico, si dicesse che il tal Vescovo pontificava col permesso di lui.
La seconda volta fu nel Bollettino di Luglio nel rispondere all'Ateneo illustrato, il quale pretendendo di uscire col visto della Curia Arcivescovile di Torino, venne fuori con arbitrarie interpretazioni sui decreti di Urbano VIII, con cui tentava dimostrare non esser lecito ai giornali cattolici il pubblicare miracoli che dicevansi ottenuti per intercessione di Pio IX, prima che fossero come tali riconosciuti dalla S. Sede. Ma nella nostra risposta lungi dal farci maestri, esaminatori, giudici e riprensori dei Vescovi, noi abbiamo anzi levata la voce contro quel periodico, il quale aveva inflitto una nota di biasimo, non solo ai giornali che avevano pubblicato di siffatte grazie prima del giudizio definitivo della Chiesa, ma ancora a tutti quei Vescovi che avevano apposto il visto a quelle pubblicazioni. Come chiaro si pare dal nostro articolo, noi abbiamo combattuto l'irriverenza del prefato giornale che pretendeva di saperne più che le Revisioni Vescovili ed Arcivescovili d'Italia, non esclusa quella di Roma, e nel tempo stesso abbiamo difeso l'Arcivescovo di Torino che dall'Ateneo veniva fatto passare come di parere contrario a tanti illustri e venerandi Prelati. Essendo così non abbiamo noi ragione di mostrarci sorpresi al vedere che in quella vece Ei ci dipinge quali irriverenti all'autorità episcopale, e perturbatori della pace dell'Arcivescovo di Torino?
Del resto poi se Egli giudica la condotta da noi tenuta in questa vertenza come uno scandalo gravissimo e quale un immenso danno alla religione nostra SS., noi rispondiamo di non averne colpa veruna; la colpevole sarebbe questa nostra Revisione Arcivescovile di Genova, che senza farci verun riflesso appose il visto ai nostri articoli. Perciocchè Ella ben sa che questa nostra povera Tipografia nulla stampa, se non è prima approvato dall'autorità ecclesiastica. Ma in questo caso noi daremmo a credere che il dotto, il pio e zelantissimo Arcivescovo [594] di Genova abbia messo il suo visto ad una pubblicazione empia e scismatica. Noi piuttosto preghiamo umilmente ma caldamente S. E. Mons. Gastaldi a volerci notare in che abbiamo mancato nei nostri articoletti, e stia sicuro che accetteremo di tutto buon cuore e col dovuto rispetto le sue osservazioni.
Riguardo alla Chiesa di S. Giovanni la questione versava sulla parola monumento. Mons. domandò che detta Chiesa più non si chiamasse da noi Monumento a Pio IX, volendo che in Torino servisse di monumento al grande Pontefice la sola Chiesa di S. Secondo. Dal giorno in cui abbiamo conosciuto questo suo desiderio, noi abbiamo sempre avuto riguardo di sfuggire questa parola in tutte le copie del Bollettino, destinato ai Cooperatori della città e della Archidiocesi di Torino. È testimonio il tipografo, che a tempo debito fermava la macchina, e il compositore che ne mutava i caratteri. Lo stesso faremo ancora per l'avvenire. Il non alludere più per niente allo scopo di detta Chiesa noi crediamo che non si possa. I Cooperatori che ci mandarono e ci mandano limosine all'uopo, hanno diritto di sapere da noi di tratto in tratto notizia di cotesto sacro edifizio per opera loro innalzato. Ma si ritenga che noi non parliamo in alcun modo ai fedeli, ma solamente ai nostri Cooperatori, ai nostri benefattori, il cui numero è assai limitato in codesta Archidiocesi.
Noi abbiamo scritto a Lei in confidenza, ma la S. V. faccia di questa nostra quell'uso che crede. Ma la preghiamo di far conoscere a S. E. Rev.ma che dal canto nostro le professiamo stima e venerazione, e che preghiamo Dio che lungamente la conservi pel bene della Chiesa e della Religione, e che daremo opera costante, affinchè da noi non si stampi, se non quello che il nostro Superiore ecclesiastico giudicherà tornare a maggior gloria di Dio, e dì vantaggio alle anime.
Sampierdarena, I° agosto 1878.
Per la costruzione della chiesa di san Secondo accadde un episodio che getta un po' di luce sull'entourage dell'Arcivescovo; chi lo circondava, lo circuì con tendenziose relazioni in modo da fargli fare una parte, in cui, più che attore, fu vittima.
Costruttori della chiesa erano i fratelli Carlo e Giosuè Buzzetti, che avevano stipulato il relativo contratto con monsignor Gastaldi, obbligàtosi a corrispondere loro le somme pattuite fino al compimento del sacro edifizio. Monsignore di quando in quando pagava acconti, di cui ogni volta uno dei Buzzetti faceva regolare ricevuta. Dai libri [595] di contabilità dei signori Buzzetti ci risulta che dal 1° luglio 1874 al 6 novembre 1877 furono rilasciate quattordici ricevute parziali per la somma complessiva di lire 80.200.
Ora avvenne che il 1° febbraio 1878, recatosi Giosuè Buzzetti in Episcopio per domandare altri acconti, l'Arcivescovo lo ricevette con molta cortesia e incominciò a dirgli come credesse conveniente riunire in un solo documento la somma degli acconti pagati in più anni, per semplificare le carte; quindi gli diede altre tremila lire e tratte fuori le quattordici ricevute antecedenti sommò le quattordici quote, e stese una ricevuta generale della somma di lire 83.200. In questa carta Monsignore non accennava e non volle accennare, benchè pregatone dal Buzzetti, all'annullamento delle ricevute parziali, ma invitò senz'altro Buzzetti a firmare.
Ognuno comprende come dovesse trovarsi a disagio il costruttore. Avrebbe voluto prima della firma aver nelle mani quelle ricevute; d'altra parte gli sembrava un atto di scortese e anche insultante diffidenza verso la suprema autorità ecclesiastica dell'archidiocesi il fargliene richiesta. Monsignore intanto chiamò il segretario Maffei, al quale notificò il nuovo pagamento delle tremila lire, e Buzzetti pressato e incerto finì con firmare la carta. Mentre poi il teologo Maffei apponeva la sua firma come testimonio, ecco entrare all'improvviso il canonico Chiuso che annunziava e introduceva subito alcuni forestieri dal nome francese. Monsignore Gastaldi trasse a sè la ricevuta e frettolosamente preso per un braccio Buzzetti lo fece uscire da una porticina segreta. Le ricevute parziali erano rimaste in suo potere.
Giosuè Buzzetti tornò a casa agitato e con la testa in ebullizione, presentendo un tradimento per il modo con cui era stato congedato. Raccontò il fatto al fratello Carlo, il quale, turbato da quell'annunzio, gli disse che aveva fatto male a fidarsi così ciecamente, e nel timore di perdere il [596] frutto delle sue fatiche e il danaro anticipato agli operai, spinse Giosuè a ritornare all'Arcivescovado per chiedere le ricevute parziali. Giosuè andò, ma non riuscì ad avere udienza.
Il 9 maggio 1878 Giosué Buzzetti ricevette per l'ultima volta dalle mani stesse di Monsignore lire diecimila. Si azzardò bene ad accennare alle duplici ricevute; ma Monsignore tergiversò ed egli si persuase che non voleva dargli nè annullare le ricevute parziali, Da quel punto non gli fu più possibile presentarsi a Monsignore per quante istanze facesse, poichè i segretari lo mandavano sempre all'ufficio dei canonico Chiuso. Questi ora in uno ora in altro modo, col pretesto che Monsignore era incomodato, non lo lasciò più entrare da lui, ripetendogli sempre che le ricevute parziali gliele avrebbe portate esso stesso sul lavoro a san Secondo. Ma giammai comparve. E si noti che prima di questo fatto il Buzzetti entrava liberamente da Monsignore; anzi, qualora Monsignore fosse impedito, non poteva più uscire di palazzo, perchè ve lo facevano attendere fino a che Monsignore fosse comodo.
Per circa due anni Giosuè si recò ogni quindici giorni da Chiuso e n'ebbe sempre la medesima risposta. Le ansietà dei costruttori erano grandi; ma cercavano di confortarsi col pensiero che tali personaggi non si sarebbero macchiati di atti sleali. Verso il 1881 Giosuè cercò indirettamente di scoprire le intenzioni di Monsignore. Gli scrisse dunque pregandolo di far un attestato delle somme generali che gli aveva pagate per poterlo consegnare all'ingegnere direttore dei lavori, volendosi liquidare ogni conto e verificare di quanto ancora fossero creditori i costruttori. Non ebbe risposta.
Monsignor Gastaldi morì nel 1883 e lasciò il canonico Chiuso erede universale di tutti i suoi beni, che superavano il milione, perchè quanto a lui pervenisse come ad Arcivescovo per eredità, per legati o in altro modo, tutto in faccia [597] alla legge era in suo capo come di semplice cittadino. Quindi Chiuso non doveva rendere ragione a nessuno di ciò che per legge compariva sua proprietà.
Giosuè Buzzetti non tardò a presentarsi al canonico Chiuso per ritirare quelle sciagurate ricevute parziali. Chiuso lo accolse come se ignorasse di avere obblighi verso di lui; ma temendo che Buzzetti potesse dare in furore, lo fece uscire bel bello dal suo ufficio e lo condusse in un'anticamera, dove per un'invetriata i segretari della Curia potevano dalla loro sala vedere quanto fosse per succedere. Quivi fece il nuovo, gli domandò che cosa volesse da lui, affermò che di nulla gli era debitore, e tratte fuori le ricevute parziali disse: - Se voi altri vi rivolgete a me per essere pagati, se voi mi cimentate, io adoprerò per pagarvi queste ricevute! Rivolgetevi al parroco di S. Secondo.
Era un vero ricatto. Si voleva che i Buzzetti riconoscessero per loro debitore il parroco di S. Secondo. Ma egli rispondeva che il contratto l'avevano stretto con Monsignore e non con altri e che non voleva per nulla rinunziare al suo diritto; pressioni in questo senso essere già state fatte a lui, vivente ancora Monsignore.
Il Buzzetti dunque rimase come fulminato a quell'intimazione. Avrebbe pianto, se avesse potuto. La testa gli ardeva. Non poteva parlare, tanto era fuori di sè. Si trovava di fronte a una truffa di ottantamila lire, e orditagli da un prete! Il povero uomo corse a sfogarsi, da Don Bosco, che era già informato della cosa. Il Beato gli disse: - Ho saputo che tu hai letta la vita[309] a Chiuso con i tuoi amici che t'interrogavano sull'accaduto. È una cosa che non va bene. Buzzetti gli rispose provar tanta ripugnanza verso Chiuso che, andando a S. Giovanni[310] per ascoltar la messa, se avesse visto all'altare Chiuso, egli ne sarebbe uscito. Don Bosco replicò: - Il prete è sempre prete all'altare... Sta' tranquillo… [598]
Tutto passerà; ma non ti perdere di coraggio, che se ti vedo abbattuto, ti tiro le orecchie. - E non proferì parola che sonasse dispregio per Chiuso, nè che si prestasse a confronti o ricordasse cose passate. Il Buzzetti ne fu ammirato.
Narriamo in breve l'epilogo. Il canonico Chiuso sosteneva di non conoscere alcun contratto di Monsignor Gastaldi con i fratelli Buzzetti per la costruzione della chiesa di S. Secondo; di non conoscere neppure se i fratelli Buzzetti esistessero; di non essere in nulla debitore verso di loro. I fratelli Buzzetti ricorsero in tribunale. Avevano il loro bravo libro mastro, il teologo Maffei si proferiva per essere testimonio, e non mancavano prove. Tuttavia rimaneva qualche difficoltà da sciogliere, atta a creare complicazioni.
Chiuso fu citato al tribunale di commercio. Nell'udienza prese a leggere in una carta la difesa preparatagli dall'avvocato. Ma il presidente, troncata la lettura, lo invitò a rispondere semplicemente un sì o un no alle sue domande. Esistette un contratto fra Gastaldi e i Buzzetti?... Conoscete voi i fratelli Buzzetti?... Di quale somma è debitore Gastaldi ai detti fratelli?... - Questa resolutezza costrinse Chiuso a rispondere, tanto più che dal tribunale di commercio si poteva passare al tribunale criminale. Si venne allora ad un accomodamento. Chiuso pagò la somma convenuta e consegnò le ricevute parziali.
Torniamo in più spirabil aere. La tanto ritardata funzione per il collocamento della pietra angolare fu compiuta la vigilia dell'Assunzione. Nella lettera d'invito a intervenirvi il Servo di Dio ne diede l'annunzio con sua “grande consolazione”[311]. Monsignor Arcivescovo portò al sacro rito tutta la solennità del pontificale romano. Vi assistette come priore il barone Giuseppe Ceriana banchiere, che sulla pietra benedetta pose la prima calce. Detta pietra venne [599] collocata, com'è prescritto, nel luogo del presbitero della futura chiesa e precisamente presso la colonna più vicina all'altar maggiore dal lato del Vangelo, nello zoccolo basato sul pavimento dell'edifizio. Un buon numero di sacerdoti, molti ragguardevoli signori e signore, un gruppo cospicuo di cooperatori e cooperatrici vollero con la loro presenza crescere lustro alla cerimonia. Prima che si passasse all'atto liturgico, il Beato Don Bosco lesse il verbale già preparato; finita la qual lettura, indirizzò agli astanti un breve discorso, che aveva pure scritto per unirlo al verbale. Parlò così.
In questo momento solenne io devo compiere un atto di vivissima riconoscenza, da cui è compreso il mio cuore verso di Voi, e verso tutti coloro, che colle loro preghiere, con mezzi materiali e morali hanno cooperato in favore di questo Monumento di riconoscenza e di amore al Grande Pio IX. Non potendo come desidero retribuire ognuno con debito contraccambio, prometto che per Voi qui presenti, per tutti quelli che concorsero o concorreranno al buon esito di questo edifizio, e sopratutto pei Cooperatori Salesiani, saranno fatte quotidiane preghiere a Dio nella Chiesa di Maria Ausiliatrice, e tra non molto in questa pur anche, che stiamo innalzando in onore dell'Apostolo prediletto del Divin Salvatore, ed a Memoria del Nono Pio, che ne portava il nome. Iddio pietoso a tutti conceda sanità stabile, vita lunga e felice, pace e concordia nelle famiglie, buon esito nelle imprese, e in ogni affare. Sia copioso il centuplo da Gesù Cristo promesso nella vita presente, e più abbondante ancora sia la mercede nella vita avvenire.
Voi intanto, Benefattori esimii, che avete dato mano alla pia impresa, e che ora la vedete già bene incominciata, deh! vogliatemi continuare il vostro appoggio, la carità vostra, ed essa senza fallo sarà condotta a termine pel bene della civile Società e della Religione, a vostra gloria ancora, a vostra consolazione imperocchè finchè pellegrinerete su questa terra vi accompagneranno le lodi e le benedizioni dei viventi, e i favori del Cielo. Ed ancora dopo la dipartita dal terrestre esilio i nostri posteri proseguiranno in questa Chiesa la prece della gratitudine per Voi, continueranno a benedire la vostra memoria. Anzi ammirando quest'Opera prenderanno a stimare ed amare vie maggiormente quella Religione, che ve l'ha ispirata. Voi da molti anni cogli spiriti beati farete già risuonare di melodiosi cantici le [600] sacre volte del Cielo, e questo tempio dalla vostra Carità innalzato echeggerà tuttora delle soavi ed armoniose voci dei vostri nipoti, e di altri che saranno dopo di noi, i quali cercheranno di emularvi nell'inneggiare il Santo dei Santi. Voi quali soldati di Gesù Cristo godrete già nell'eterna pace i frutti della vittoria, ed altri in questo luogo medesimo verranno ad infiammarsi alle battaglie del Signore, a cibarsi del Pane dei forti, a ritemprare le loro armi della preghiera e della pietà, onde come voi conseguire la palma ed il trionfo. Voi quali fortunati pellegrini vi troverete già nel riposo della patria beata, e vi vedrete ancor raggiunti da altre anime elette, le quali dopo Dio dovranno a quest'Opera la loro eterna salvezza. Così scorgendo l'immenso bene che in questa Chiesa e nell'Ospizio attiguo andrassi operando, a pro delle anime; a gloria di Dio, ad onore della Chiesa Cattolica, a giovamento della civile Società, a profitto della cara città di Torino, il vostro spirito in Cielo ne esulterà di purissima gioia, mentre di nuove gemme si abbellirà la vostra corona di gloria.
Terminate queste parole, il verbale vergato su pergamena venne sottoscritto dall'Arcivescovo, dal barone Ceriana, dal conte Reviglio[312], dall'ingegnere Spezia e da Don Bosco e poi riposto in un tubo di vetro con parecchi altri oggetti, cioè fotografie di persone benemerite, il prospetto della chiesa e dell'ospizio, una copia del Bollettino Salesiano di aprile, un elenco dei soci e delle case salesiane allora esistenti, varie monete e alcune medaglie di conio recente. Il tubo di vetro fu introdotto in altro di piombo e questo chiuso ermeticamente e il tutto collocato nel cavo della pietra fondamentale. Ciò fatto, l'Arcivescovo, toccando con la destra la pietra, dava principio alle preci della sacra liturgia. Dopo i canti, le benedizioni e le orazioni prescritte, anche Monsignore parlò, riandando le glorie di Torino cristiana, inneggiando al titolare della nuova chiesa e conchiudendo con queste espressioni di esultanza e di augurio: “Io adunque esulto che s'innalzi un tempio in questo luogo, e ad onore di un [601] Apostolo sì caro a Gesù Cristo, sì divoto a Maria, sì rispettoso alla Cattedra di Pietro[313]. Oh! la vista di questa chiesa ci riscaldi ognor più il cuore della divozione a Gesù in Sacramento e a Maria Santissima, e ci renda figliuoli ognor più affezionati e devoti al Papa; imperocchè sino a tanto che Torino professerà queste tre divozioni, che sono la sua gloria, non verrà in essa meno giammai la fede cattolica”.
Mercè la fortezza eroica e la costanza invitta del Servo di Dio si può a buon diritto asserire che il triplice voto del Presule torinese è stato largamente esaudito.
IN un frammento di minuta, senza data ma molto antico, il Servo di Dio tracciò brevissimamente quali egli intendeva che fossero lo scopo, i mezzi e i membri dell'Associazione dei Cooperatori. “Scopo di questa unione, dice, si è di riunire alcuni individui laici od ecclesiastici per occuparsi in quelle cose che saranno reputate di maggior gloria di Dio e vantaggio delle anime. I mezzi saranno lo zelo per la gloria di Dio e la carità operosa nell'usare tutti gli amminicoli spirituali e temporali che possano contribuire a tale scopo, senza mai aver di mira l'interesse temporale o la gloria del mondo. Niun ramo di scienza sarà trascurato, purchè possa contribuire allo scopo dell'unione. Ogni fedel cristiano può essere membro di questa unione, purchè sia deciso di occuparsi secondo lo scopo e mezzi summentovati”. Quelli “alcuni individui” e il non parlarsi di gioventù pericolante riportano il documento al tempo, in cui Don Bosco vagheggiava l'idea senz'abbracciarne ancora l'ampiezza degli sviluppi raggiunta nell'attuazione; ma lì è il germe da cui sbocciò il primo programma o regolamento del '74, ampliato successivamente nel '75 e nel '76. Durante il biennio che seguì a quest'ultima data il Beato si adoprò a tutt'uomo per consolidare e diffondere l'Associazione, di cui la sua mente presaga misurava ormai le provvidenziali propaggini nel mondo. [603] Per dare solidità a un'istituzione nulla è più indispensabile dell'unità di spirito in tutti coloro che ne fanno parte. Ora il Bollettino Salesiano, voluto da Don Bosco nonostante il contrario parere di vicini e di lontani e fatto finalmente da lui uscire nell'agosto del '77, aveva appunto per suo obbiettivo di mantenere fra i membri della pia unione la maggiore possibile identità di pensiero e armonia di azione per il raggiungimento del fine comune. Venne fin da principio spedito quale organo ufficiale a tutti i Cooperatori, senz'alcun obbligo di pagamento. Redatto con molta semplicità e in un tono quasi confidenziale, creò a poco a poco fra soci e soci e fra soci e Salesiani una cert'aria di famiglia, che favorì largamente l'accordo delle vedute.
Un'altra condizione indispensabile alla sicura stabilità dell'associazione era la perfetta intelligenza con le autorità ecclesiastiche. Per incuneare nelle diocesi un'organizzazione religiosa che ne varcava i confini e aveva una propria gerarchia, e per fissarvela in modo saldo e duraturo, faceva d'uopo presentarla in guisa che non solamente la sua utilità, ma anche la sua legittimità fosse ben manifesta. La cosa richiese tempo e pensieri. Pio IX nel Breve del 9 maggio 1876, concedendo all'Associazione alcuni favori spirituali chiesti da Don Bosco, ne aveva affermato l'esistenza canonica in qualche diocesi, la benediceva e le augurava sempre maggiori incrementi. Ma a Torino fu contrastato il valore del riconoscimento pontificio, perchè non constava di canoniche erezioni diocesane. Quest'atto colpì gravemente la pia unione. Il colpo fu ancor più grave, quando nel novembre del 1877 Monsignor Arcivescovo dichiarò “anormale” la pubblicazione che delle indulgenze pontificie si veniva facendo dal Bollettino Salesiano; egli minacciò allora di darne avviso a tutto il suo clero e ricorse due volte a Roma. Se non che intervenne un altro atto che mise fuori di ogni dubbio almeno un previo riconoscimento diocesano. Monsignor Magnasco, arcivescovo di Genova, già da tre anni aveva approvato [604] l'Associazione dei Cooperatori per la sua archidiocesi, ma il fatto non aveva avuto pubblicità. Allora invece, poichè il Bollettino Salesiano si pubblicava a Sampierdarena, egli si sentì chiamato in causa e non potè disinteressarsi della vertenza. Perciò il 15 dicembre 1877 con un suo decreto fece tre cose: confermò la realtà dell'approvazione anteriore al 9 maggio 1876, la rinnovò amplissimis verbis e assegnò all'associazione una sede centrale per il territorio della propria giurisdizione. Ecco l'importantissimo documento.
Per la grazia di Dio e della Sede Apostolica
Già fin dall'anno 1874 il sacerdote Giovanni Bosco ci presentò un progetto col titolo “Opera dei Cooperatori Salesiani” che aveva per fine principale di promuovere l'istruzione e la cristiana educazione specialmente della povera ed abbandonata gioventù. La santità dello scopo, il debito ossequio che il Regolamento organico racchiudeva verso l'Autorità Ecclesiastica ha fatto sì che di buon grado l'abbiamo approvato e commendato. Ora in vista del vantaggio che questa Pia Associazione procura per l'istruzione religiosa in questa nostra Archidiocesi particolarmente nell'Ospizio di S. Vincenzo eretto in San Pier d'Arena, e desiderosi che questa istruzione catechistica sia ognor più promossa e attivata, tenuta pure considerazione dei preziosi tesori spirituali di cui questa Pia Associazione fu dal Romano Pontefice arricchita, abbiamo determinato di approvarla per questa Archidiocesi, come colla presente dichiarazione intendiamo di approvarla stabilendone il centro nella Casa dei prefato Ospizio in San Pier d'Arena, a condizione però che essa si mantenga sempre sotto la nostra Ordinaria dipendenza.
Genova, dal Nostro Palazzo Arcivescovile
Venuta in luce questa ordinanza arcivescovile cessarono finalmente a Torino le controversie intorno al punto fino allora discusso. Ma poi l'udienza pontificia del 16 marzo 1878 [605] vi portò il colpo di grazia; essa infatti permise a Don Bosco di annunziare al mondo che i Cooperatori Salesiani avevano avuto la benedizione, l'encomio e l'incoraggiamento del nuovo Papa Leone XIII; il quale avvenimento, commentato dal Bollettino di aprile, si può considerare senz'ombra di esagerazione come una pietra miliare nella storia del glorioso sodalizio.
Una terza condizione perchè il sodalizio avesse la voluta consistenza, era di saldarlo fortemente alla Congregazione. Non è far torto agli aiutanti maggiori di Don Bosco il dire che in un primo tempo non si mostrarono tutti disposti a secondarne le mire nel voler dare la vita a un'organizzazione così vasta. C'era già tanta carne al fuoco! In questi casi Don Bosco non faceva vedere di aver fretta, ma senza scomporsi dava tempo al tempo e intanto agiva; adagio adagio la forza dei fatti smantellava le resistenze, finchè al momento da lui desiderato scoccava l'ora dell'unanime consenso e della volenterosa esecuzione. Per l'associazione dei Cooperatori un lavorio di tal natura dopo tre anni aveva portato i suoi frutti: nel Capitolo generale del '77 gli animi apparvero mutati: in quell'assemblea legislativa lo statuto fondamentale dell'Associazione venne incorporato nel codice della Congregazione: il nesso giuridico fra l'una e l'altra era stretto; la pia unione cominciò a essere dì diritto una pertinenza della pia Società.
Esaminiamo gli articoli ivi sanciti. Sono, soltanto otto, ma nulla vi manca di ciò che è essenziale[314]. Il primo la proclama “un'associazione per noi importantissima” e “braccio forte della nostra Congregazione”; nell'ultimo se ne “approva e commenda il Regolamento già stampato a parte”. Nel secondo sono definiti il fine e i mezzi: “I Cooperatori e le Cooperatrici Salesiane non sono altro che buoni cristiani, i quali vivendo in seno alle proprie famiglie, mantengono in mezzo al mondo lo spirito della Congregazione [606] di San Francesco di Sales e l'aiutano con mezzi morali e materiali, allo scopo di favorire specialmente la cristiana educazione della gioventù. Essi formano come un terz'ordine e si propongono l'esercizio di opere di carità verso il prossimo, soprattutto verso la gioventù pericolante”. Il terzo fissa le condizioni richieste per appartenervi: “Affinchè uno possa essere Cooperatore Salesiano si richiede: a) Che abbia l'età di 16 anni, e non sia stato inquisito dalle autorità giudiziarie. b) Non sia aggravato da debiti e si trovi in tali condizioni da poter prestare qualche aiuto morale o materiale alla Congregazione od alle opere che alla medesima si riferiscono. c) Osservi il Regolamento dell'Associazione”. Il quarto articolo assegna al Bollettino Salesiano l'ufficio che deve compiere in seno al sodalizio: “Vincolo di unione fra i Cooperatori è il Bollettino Salesiano. Quando qualche membro si rendesse immeritevole d'essere cooperatore, si cessa di mandargli il Bollettino senz'altra formalità”. Il quinto e il sesto risolvono due casi particolari. “Anche gli Istituti educativi possono far parte di questa Pia Associazione. Per tali Istituti basta che sia inscritto nel catalogo il superiore e il nome dell'Istituto; ma tutti i membri devono concorrere a qualche opera secondo il regolamento, affinchè possano partecipare ai favori spirituali. L'essere poi questa Pia Associazione sciolta da ogni vincolo di coscienza fa sì che anche i religiosi dei varii ordini possano prendervi parte. Tanto più lo possono i terziari Francescani e Domenicani”. Il settimo affida ai Salesiani il còmpito e determina il metodo della propaganda per l'incremento dell'Associazione: “I Direttori ed in generale tutti i Socii Salesiani si adoperino per accrescere il numero dei Cooperatori. A questo fine parlino sempre bene di questa Associazione, dicendo che il Santo Padre è il primo Cooperatore[315], che il suo scopo è affatto estraneo alla politica, e che solo [607] mirando a fare del bene alla società, specialmente coll'impedire la rovina dei giovani pericolanti, ne deriva che chiunque vi può prendere parte. Ma non se ne faccia mai proposta se non a persone già conosciute da noi o da altri di nostra fiducia per la loro pietà e probità”.
A rafforzare il legame dell'Associazione con la Congregazione dovevano contribuire anche i vincoli morali. Ve ne furono di vario genere. Vincolo morale era l'osservanza della prescrizione regolamentare che dice: “Sul fine di ogni anno ai soci saranno comunicate le opere che nel corso dell'anno successivo sembrano doversi di preferenza promuovere”. Di qui hanno avuto origine le circolari che in ogni capo d'anno il Rettor Maggiore prese a indirizzare ai Cooperatori. La prima è del gennaio 1879, e contiene pure uno sguardo retrospettivo all'operato nell'anno antecedente. Essa ha fissato per sempre la linea e il tono di tutte le altre che vennero di poi. Dato il suo carattere e il suo contenuto, è qui il luogo che le spetta, giacchè appartiene alla storia dei Cooperatori.
Io provo la più grande consolazione nel presentarmi a Voi, o benemeriti Cooperatori e benemerite Cooperatrici, e parlarvi delle cose che nel decorso dell'anno furono oggetto delle Vostre sollecitudini e della Vostra carità.
Prima di tutto debbo compiere un gran dovere, che è quello di ringraziarvi della bontà e zelo, con cui Vi siete prestati agli inviti fatti alla Vostra pietà, sia con offerte pecuniarie, sia con oblazioni di altro genere. Io credo che Voi sarete soddisfatti quando avrete udito l'esposizione dei frutti della Vostra beneficenza.
Due cose io farò colla presente: Primieramente una breve esposizione delle cose fatte: In secondo luogo la proposta delle Opere per l'anno prossimo. Ciò io debbo fare per adempiere quanto il nostro Regolamento prescrive all'art. 70, del capo V.
Mercè l'efficace Vostro appoggio abbiamo potuto compiere molte cose che speriamo giovevoli alla gloria di Dio, e vantaggiose al nostro [608] prossimo. Ventidue nuove Case[316] furono aperte in quest'anno a benefizio dei giovanetti pericolanti in Italia, in Francia, nell'America Meridionale, ossia nella Repubblica dell'Uruguay e Repubblica Argentina. Le Missioni poi in quelle lontane contrade si estesero in un assai vasto campo evangelico, che promette un'abbondantissima messe.
Le quali cose ci obbligarono ad una nuova spedizione di Salesiani e di Suore di Maria Ausiliatrice per aprire altri Ospizi, altre Case di educazione, e per sostenere quelle che già sono aperte. In tal guisa si aumentò il numero di quelli che furono tolti dalla mala via, restituiti all'onore di se stessi, al decoro della patria, a vantaggio della famiglia. Abbiamo pure avuto la grande consolazione d'aver ritirato non centinaia, ma più migliaia di giovanotti dai pericoli e possiamo dire dalle carceri, collocati per la buona strada, avviati sul sentiero della virtù, e resi abili ad un tempo a guadagnarsi onestamente il pane della vita.
Altra opera che eccitò la comune sollecitudine fu la Chiesa ed Istituto di S. Giovanni Evangelista. I lavori furono condotti fino al tetto, e speriamo di ripigliare l'impresa nella prossima primavera.
A sostenere tutte queste opere occorsero gravi sacrifizi personali e pecuniari. Ma l'aiuto della Divina Provvidenza per mezzo Vostro non ci mancò. E Voi dovete essere contenti pel santo fine cui fu diretta la Vostra beneficenza, e pei frutti morali e materiali che se ne ottennero in pro delle anime e della civile Società. Egli fu questo grande pensiero che mosse l'inesauribile carità del Sommo Pontefice Leone XIII, che Dio lungamente conservi sano e salvo, a venirci in soccorso. Essendo Egli stato informato delle nostre gravi strettezze, si compiacque di mandarci la generosa limosina di franchi duemila colla paterna e consolante lettera che troverete più sotto. Nulladimeno ci mancavano ancora diecimila lire per effettuare la novella spedizione dei Missionari, e questa somma ci venne provveduta dalla carità di un Cooperatore Salesiano. Questo generoso Cristiano volle conservare l'anonimo, ma nel piego della sua offerta acchiuse le seguenti parole:
“Ho letto come il Santo Padre nelle sue grandi strettezze ha mandato lire due mila per le varie opere di carità cui Ella sostiene. Mosso da così nobile esempio io offro a Lei specialmente per i bisogni dei suoi Missionari la somma di franchi 10.000. È questo il risparmio che mi sono procacciato coll'industria e col lavoro in tempo di mia gioventù, e lo offro di buon grado per mandarlo innanzi come lume che mi rischiari la via per l'eternità, cui mi trovo già assai vicino.
Un Cooperatore Salesiano” [609]
Benedica il Cielo l'eroismo del pio Oblatore, e gli conceda d'averne largo guiderdone nella vita presente e il premio dei giusti nella vita futura.
Con questi aiuti si potè effettuare la spedizione dei novelli Missionari, fornirli del corredo che loro era indispensabile, e fare alcune provvigioni necessarie a quelli che già esercitano il sacro Ministero in quelle remote regioni.
COSE CHE SI PROPONGONO PER VANNO 1879.
Nell'anno novello più cose sono a proporsi. La prima usare ogni mezzo materiale e morale, che sia in nostro potere, per promuovere i Catechismi parrocchiali e tutte le altre opere che sono dirette a vantaggio dei giovanetti abbandonati e pericolanti. Si tratta di liberarli dai pericoli che loro sono imminenti, dal mal fare, dalle medesime carceri; si tratta di renderli onesti Cittadini e buoni Cristiani.
Altra cosa da raccomandarsi è l'Opera di Maria SS. Ausiliatrice che ha per iscopo di coltivare tra gli adulti le vocazioni allo Stato ecclesiastico. La Casa principale è nell'Ospizio di S. Vincenzo in Sampierdarena. Si ebbero già frutti consolanti. Già un notabile numero deliberò intorno alla propria vocazione, e fece ritorno alle rispettive Diocesi, mentre alcuni scelsero lo stato religioso, ed altri le Missioni estere.
La Chiesa di S. Giovanni poi coll'Ospizio annesso, essendo un omaggio che i Cooperatori Salesiani rendono alla gloriosa memoria di Pio IX, deve animare ciascuno a sostenerlo, avendo piena fiducia che, nel corrente anno, almeno il tempio sarà condotto al suo termine.
Voi, o benemeriti Cooperatori e Cooperatrici, dimanderete dove si possono trovare tanti mezzi per sostenere simili opere di pubblica beneficenza. Io ripongo ogni mia fiducia nella Vostra carità. Dio ci aiutò nel passato in momenti assai difficili; Egli continuerà certamente ad ispirarvi generosi propositi, e farà in modo che abbiate onde eseguirli.
Siccome poi presentemente ci troviamo nel bisogno di preparare pane e vestito a molti ragazzi ricoverati nei nostri Ospizi, così coll'approvazione dell'Autorità civile fu ideata una piccola Lotteria, che sarà di alcuni dipinti ed oggetti d'arte antichi offerti a questo scopo benefico. Sarà spedita una piccola porzione di biglietti a ciascuno dei Cooperatori, e spero che li potrete tenere o per Voi, o almeno spacciarli presso qualche caritatevole parente od amico. Di ogni cosa si darà a suo tempo ragguaglio nel Bollettino.
Intanto, o venerati ed insigni Benefattori, vogliate gradire i più vivi ringraziamenti che io con tutti i Salesiani e giovani beneficati vi [610] tributiamo dal più profondo del cuore. Noi vi conserveremo incancellabile gratitudine, mentre Dio vi tiene preparata un'imperitura mercede.
Nella Chiesa di Maria SS. Ausiliatrice, in tutte le Chiese, in tutte le Case Salesiane sono mattina e sera innalzate al Cielo preghiere, affinchè Dio Vi conceda sanità stabile e vita felice, dia la concordia e la pace alle Vostre famiglie, la prosperità ai Vostri interessi, la fertilità alle Vostre campagne. Insomma le nostre preghiere sono indirizzate ad invocare le divine benedizioni sopra di Voi, affinchè dopo di aver passati giorni contenti e tranquilli su questa terra, abbiate tutti a godere il frutto della Vostra carità nel più alto dei Cieli.
In particolar modo poi si raccomanda alle comuni preghiere il Sommo Pontefice Leone XIII, nostro Capo Cooperatore; tutti quelli che lavorano pel bene di Santa Chiesa; quei Cooperatori che lungo l'anno furono chiamati da Dio all'altra vita. E infine raccomando anche l'anima mia alla carità delle Vostre preghiere assicurandovi che vi sarò sempre in G. C.
Queste relazioni che d'anno in anno mettevano i Cooperatori al corrente delle cose, ne cattivarono maggiormente le simpatie verso Don Bosco e la sua Congregazione. Un'altra bella usanza contribuì ad accrescere tali simpatie, e fu il sapersi dai Cooperatori che nella Congregazione si facevano preghiere abbondanti per i consoci defunti. La pietà verso di questi veniva eccitata dal Bollettino sia con ampie notizie necrologiche dei più ragguardevoli, sia con il necrologio nominale di tutti gli altri. Il primo elenco di Cooperatori defunti comparve nel numero di giugno del '78 con questo cappello: “Quantunque nelle Case Salesiane si facciano speciali preghiere pei Cooperatori e Cooperatrici defunti, non appena ci viene dato il tristo annunzio della loro morte, e si preghi per essi ogni mattina, tuttavia vogliamo nel presente numero pubblicare il nome, cognome e patria di coloro, che vennero chiamati all'eternità nei primi mesi dell'anno corrente, raccomandandone le anime alle orazioni di tutti i confratelli e consorelle sparsi nel mondo”. Sono in tutto cinquantatrè, appartenenti a diverse classi sociali: molti fra gli ecclesiastici di vario grado, primo il cardinal [611] Berardi. In terzo luogo, fra persone pie quali erano i Cooperatori, ebbe gran forza di attrazione la ricchezza di favori spirituali che essi potevano godere per partecipazione con i Salesiani. Ad un Cooperatore, che gli aveva manifestato il desiderio di farsi terziario francescano per acquistarne le copiose indulgenze: “Non occorre, gli rispose, farti terziario francescano, perchè tutte le indulgenze dì quell'ordine sono concesse ai Cooperatori Salesiani, cui tu appartieni. Pertanto leggi il libretto nostro, procura di aumentarne il numero e ne avrai il merito”[317]. A mantenerne vivo il ricordo l'ultima pagina del Bollettino, ripetuta sempre la serie d'indulgenze lucrabili in ogni tempo, metteva sott'occhio la nota cronologica di quelle speciali che, si potevano lucrare dai Cooperatori nel mese in corso. Quest'uso durò dall'agosto del 1877 fino all'aprile del 1883, fino a quando cioè Don Bosco ebbe la possibilità di tener dietro minutamente al periodico e ne curò la redazione chi da lui era avvezzo a prendere abitualmente le norme.
Detto dell'opera di assodamento, prima di venir a dire della diffusione dei Cooperatori promossa da Don Bosco nel biennio '77 e '78, è opportuno frapporre un'osservazione. Il Beato nella sua lettera circolare accenna ai “catechismi parrocchiali” e ad “altre opere dirette a vantaggio dei giovanetti pericolanti”. È stato sempre lontano dalla sua mente come dal suo programma che il cooperatore fosse da dirsi Salesiano perchè chiamato unicamente a sostenere la Congregazione Salesiana. Questa erronea opinione potè insinuarsi nell'animo di chi era male informato; ma non si troverà mai una parola del Beato, che autorizzi a restringere così il campo d'azione dei Cooperatori. Qual fosse il genuino pensiero di lui si scorge non solo dalla sua prima circolare, ma anche dal primissimo numero del Bollettino. Ivi, sotto il [612] titolo “Prime prove di alcuni Cooperatori” si offre agli associati un “saggio” di quella che doveva essere la loro attività. Il parroco di un villaggio poco distante da Torino si rammaricava dello scarso numero dei ragazzi, che frequentavano il catechismo. Mezzi ne aveva tentati molti per attirarne di più; ma era stato come fare un buco nell'acqua. Allora gli balenò un'idea. Vi erano in paese alcuni, come lui, Cooperatori salesiani. Li raduna nella casa parrocchiale, narra la cosa, spiega i tristi effetti dell'indifferenza religiosa nella gioventù e li prega dì aiutarlo. I Cooperatori ci si mettono: vanno per le case dei conoscenti e sotto colore di fare una visita o di trattare qualche negozio, entrano bel bello in argomento e non incontrano difficoltà serie a persuadere quella buona gente. Altri più coraggiosi entrano in case e officine di chi non conoscono. Insomma non passò gran tempo che i catechizzandi salirono a circa quattrocento. Ma allora cominciò un altro guaio: come trovare i catechisti per tante classi di ragazzi? Lo tolsero d'imbarazzo queglino stessi che avevano raccolto tanti allievi; poichè si diedero a coadiuvare il loro pastore chi mantenendo l'ordine, chi insegnando la dottrina per tutto il tempo della quaresima. Così un pugno di Coadiutori con un po' di buona volontà ed anche con qualche incomodo ottenne un frutto abbondante e durevole, secondochè scrisse poi il buon parroco. Ecco dunque un esempio di cooperazione salesiana che l'organo ufficiale fin dal suo esordire e sotto gli occhi di Don Bosco presentava ai soci della pia unione.
Consolidare l'associazione, non era tutto: bisognava anche provvedere alla sua espansione. L'idea per sè incontrava e in tutte le sfere.
“Quanti, scriveva un ex - allievo dell'Oratorio, si gloriano di essere stati nominati Cooperatori dei Salesiani!”[318]. Quel “nominati”dice il modo usato generalmente da Doti Bosco per acquistare all'Associazione [613] nuovi adepti. Nella gran maggioranza dei casi egli non aspettava che altri facesse domanda; ma sol che potesse supporre di non incontrare resistenza da parte di bravi laici o ecclesiastici, noti a lui anche semplicemente di nome, spediva senz'altro un diploma di nomina insieme con il regolamento. Tale diploma era così formulato: Il sottoscritto offre rispettosamente il diploma di Cooperatore Salesiano al... e lo prega a volerlo gradire. Se persone di sua conoscenza desiderassero di partecipare agli stessi lavori spirituali, non ha che a notificarle, e loro verrà tosto spedito. Prega Dio perchè gli conceda ogni bene e si professa con gratitudine Obb.mo Servitore Sacerdote GIOVANNI BOSCO”. Per questo sapeva profittare di qualsiasi occasione. Così nel '76, mandando a Don Rua una nota di ventitrè ragguardevoli persone torinesi, a cui portare l'omaggio della sua vendemmia, ingiungeva di portare loro insieme il “libretto dei Cooperatori”[319].
Per altro ad uomini altolocati porgeva l'invito con lettere personali. Come oralmente e con la semplicità dei Santi aveva supplicato Leone XIII di permettere che il suo augusto nome figurasse in capo alla falange dei Cooperatori Salesiani, così per iscritto rivolse umili preghiere a Vescovi e Cardinali, perchè volessero fare ivi nobile corona al Vicario di Gesù Cristo. Anche a personalità del gran mondo laico propose di concedergli che fregiasse dei loro nomi la Pia Unione. Singolare a questo riguardo è la lettera da lui inviata nel '78 al conte e alla contessa di Chambord, pretendenti al trono di Francia. Egli potè mettersi con essi in relazione per il tramite del loro segretario, intimo e frequentemente ospite della nobile famiglia de Maistre.
I principii cattolici che le sacre LL. Reali Maestà si fecero ognora un vanto di professare, non che l'esimia, religiosa pietà dell'animo loro, inspirarono all'umile scrivente di pregarle che vogliano permettergli [614] di fregiare del loro nome augusto la Pia Unione dei Cooperatori Salesiani, che, istituita ed arricchita di grazie spirituali dal glorioso Pio IX di Santa Memoria, fu promossa dal regnante Pontefice, che vi è pure ascritto.
Nella fiducia che LL. Maestà vorranno esaudire i miei voti, invio loro il qui unito relativo diploma e regolamento, mentre prego Iddio che le ricolmi di ogni più eletta benedizione.
Umil.mo Dev.mo ed aff.mo servitore
È poi graziosa la letterina, con cui il celebre storico Cesare Cantù, avuto il diploma, ne accusò ricevuta al Servo di Dio. “Epifania 1878. R. P. Ella ha scelto un ben meschino cooperatore. Io ammiro il suo zelo e l'inesauribile carità, ma non mi sento nè capacità nè forza per seguirla. Non posso che consolarmi di divenire partecipe alle loro orazioni, delle quali ho tanto bisogno. Gradisca questo tenue obolo e mi abbia per Suo osseq.mo C. CANTU'„.
Con il moltiplicarsi dei Cooperatori Don Bosco, da buon organizzatore, sentì la necessità di ordinare le schiere; quindi provvide a raggrupparli intorno a capi locali, che assistessero gli associati e fossero come i fiduciari del Rettor Maggiore dei Salesiani, dal quale tutti dipendevano. Ond'è che nei paesi e nelle città, dove non esistevano case salesiane, quando gli associati giungessero a una diecina, volle che avessero un capo col titolo di decurione, che poteva essere eccezionalmente anche un laico esemplare. Di direttori diocesani non si fa peranco menzione. Abbiamo trovato del '78 copia di lettera autografa di Don Bosco per la nomina di un decurione nella persona di un ignorato parroco; forse è l'originale di una circolare, di cui non si sono rinvenuti esemplari.
Mentre vo lieto di poter annoverare la S. V., e varii rispettabili individui di cotesta parrocchia, tra i Cooperatori Salesiani, Le fo umile preghiera che voglia avere la bontà di assumersi l'uffizio di Capo o Decurione dei medesimi, a norma dei Regolamento (cap. V). [615] Qualora però le sue occupazioni od altre circostanze, ciò non Le permettessero, sarei a pregarla che volesse degnarsi d'indicarmi qualche sacerdote od altro fra cotesti Cooperatori medesimi, che la S. V. credesse adatto al bisogno.
Nella fiducia di questo favore colgo la propizia occasione per augurarle ogni bene, e professarmi con tutta stima e gratitudine
Un altro mezzo di diffusione efficacissimo furono le due conferenze annue, prescritte dal Regolamento per il giorno di San Francesco di Sales e per la festa di Maria Ausiliatrice. Tali convegni servivano molto bene alla propaganda, sia perchè ne era libero l'ingresso, sia perchè poi ne dava particolareggiate notizie la stampa, sia anche perchè offrivano talora occasione a pubblicazioncelle che andavano per le mani di molti. Fino al '78 non s'erano tenute conferenze; Don Bosco ne diede allora l'esempio a Roma e a Torino.
La conferenza romana fu al 29 gennaio 1878. Don Bosco si prefisse di farla in modo che potesse servire di modello a tutte le altre, dovunque in seguito se ne facessero[320]; perciò vi premise un'adeguata preparazione. Scelse anzitutto un luogo graditissimo all'aristocrazia romana: la cappella delle nobili Oblati di Tor de' Specchi. Si procacciò poi l'intervento di nobili signori e signore, di prelati e altri ecclesiastici in buon numero. Ottenne che vi andasse a presiedere il cardinal vicario Monaco La Valletta, al quale si unì l'eminentissimo Sbarretti. Con l'invito mandò il programma a stampa preceduto da queste note illustrative.
CONFERENZA DEI COOPERATORI SALESIANI IN ROMA
Con l'autorizzazione e con l'intervento di S. E. Rev.ma il Sig. Cardinal Monaco La Valletta, Vicario di Sua Santità, avrà luogo la prima Conferenza dei Cooperatori Salesiani, come sta prescritto nel capo VI, articolo 4° del Regolamento. [616]
La radunanza sarà tenuta nella chiesa della Eccell.ma Casa delle Oblate di Santa Francesca Romana, nota sotto il nome di Torre de' Specchi.
Si entrerà per la porta maggiore dell'Istituto e si andrà direttamente in Cappella.
Tutti i Cooperatori sono rispettosamente invitati. Sua Santità con tratto di grande bontà concede indulgenza plenaria a tutti i Cooperatori che prenderanno parte a questa Conferenza.
Secondo la prescrizione delle regole sarà fatta una questua in favore dei Missionari Salesiani che sono in America, per altri che si preparano alla partenza, ed anche in favore di alcune case che si stanno attivando in paesi, in cui ve n'è massima urgenza.
Il concorso non poteva desiderarsi migliore nè per numero nè per qualità d'intervenuti Alle 3 pomeridiane un sacerdote Salesiano montò sul palco appositamente eretto secondo l'uso romano e lesse nella vita del Salesio scritta dal Galizia[321] il capitolo sull'Amore del Santo verso i poveri: lettura ascoltata dai presenti con viva attenzione. Indi una celebre cantatrice fece udire un bellissimo mottetto sulle parole Tu es Petrus, eseguito con accompagnamento d'organo. Infine Don Bosco in berretta e ferraiolo pronunziò un discorso durato tre quarti d'ora[322]. Cominciò così: “Eminenze Reverendissime, nobili e rispettabili signori. In questo bel giorno, dedicato a San Francesco di Sales, prima solennità che celebra la Santa Chiesa dacchè ne venne proclamato Dottore, ha luogo in Roma la prima conferenza dei Cooperatori salesiani, e a me è dato l'alto onore di parlare alla vostra presenza. Il Santo Padre ci manda la sua apostolica benedizione e ci concede il prezioso tesoro dell'indulgenza plenaria, mentre il Cardinal Vicario si degnò di venire ad [617] assistere e a presiedere questa adunanza. Fu scelta all'uopo questa chiesa delle nobili Oblate di santa Francesca, perchè questo istituto fu il primo che in questa calma Città abbia cominciato a beneficare i poveri ragazzi delle case salesiane. Io stesso, che avrei dovuto trovarmi altrove, ho dovuto per forti motivi trattenermi qua, e questo mi procaccia la dolce consolazione di prendere parte a questa prima conferenza. Sia dunque benedetto il Signore, siano sempre adorate le sue divine disposizioni. Intanto per secondare lo scopo di questa prima radunanza io non fo un discorso accademico, non una predica morale, ma un racconto storico intorno all'origine e progressi dei Cooperatori salesiani”.
Narrata la storia dei Cooperatori dagli inizi fino al momento in cui parlava, proruppe in una calda esortazione, perchè tutti coadiuvassero i Salesiani nell'opera di salvare la gioventù. “Illustri signori, disse, i protestanti, gl'increduli, i settari di ogni fatta niente lasciano d'intentato a danno dell'incauta gioventù e come lupi affamati si aggirano a fare scempio degli agnelli di Cristo. Stampe, fotografie, scuole, asili, collegi, sussidi, promesse, minacce, calunnie, tutto mettono in opera a fine di pervertire le tenere anime, strapparle dal seno materno della Chiesa, adescarle, tirarle a sè e gettarle in braccio a Satana. E quello che più addolora si è che maestri, istitutori, e persino certi genitori prestano la mano a quest'opera di desolazione. Ora, a spettacolo così straziante ce ne staremo noi indifferenti e freddi? Non sia mai, o anime cortesi; no, non si avveri che siano più accorti, più animosi nel fare il male i figli delle tenebre, che non nell'operare il bene i figli della luce. Laonde ciascuno di noi si faccia guida, maestro, salvatore di fanciulli. Alle arti ingannatrici della malignità contrapponiamo le industrie amorose della carità nostra, stampe a stampe, scuole a scuole, collegi a collegi; vigiliamo attenti sui bimbi delle nostre famiglie, parrocchie ed istituti; e poichè una turba immensa di poveri ragazzi e ragazze si trova in ogni luogo [618] esposta ai più grandi pericoli di pervertimento o per incuria di parenti o per estrema miseria, e noi secondo le forze e la posizione nostra facciamoci lor padri e nutrizi, mettendoli in luogo sicuro e al riparo dalle lusinghe del vizio e dagli attentati degli scandalosi. A stimolarci poi e a rinfrancarci ogni di più ad opera sì bella ricordiamoci sovente delle cure e amorevolezze prodigate dal Figliuolo di Dio ai pargoli durante la sua mortale carriera; rammentiamo anche l'alto premio da Lui promesso a chi con l'esempio, con la parola e con la mano farà del bene a un fanciullo. Il centuplo Egli ci assicurò in questa vita ed una corona eterna nell'altra”.
Don Bosco previde due difficoltà che gli potevano venir mosse da' suoi uditori. La prima riguardava i rapporti dei Salesiani con le autorità civili. A Roma specialmente, dove più che in altre parti d'Italia i cittadini sentivano la differenza delle condizioni religiose sotto il nuovo regime, pareva impossibile che l'opera salesiana non avesse a incontrare ostacoli insormontabili. “Non c'è pericolo, osservò Don Bosco. L'opera dei Salesiani e dei loro Cooperatori tende a giovare al buon costume, diminuendo il numero dei discoli che abbandonati a se stessi corrono rischio di andar a popolare le prigioni. Istruire costoro, avviarli al lavoro, provvederne i mezzi e, dove sia necessità, anche ricoverarli, nulla risparmiare per impedirne la rovina, anzi farne buoni cristiani ed onesti cittadini, sono opere che non possono non essere rispettate, anzi desiderate da qualsiasi governo, da qualsiasi politica. Certamente in tanta nequizia di tempi è d'uopo con la semplicità della colomba unire nel più alto grado la prudenza del serpente. Noi dal canto nostro useremo questa prudenza, mirando a salvare le anime, sostenendo inviolabilmente i buoni principii, ma risparmiando e rispettando le persone”.
L'altra difficoltà riguardava l'ampiezza del campo, a cui doveva già estendersi la carità dei Romani. C'eran tante [619] miserie da sollevare nella loro città; a che dunque disperdere le loro beneficenze in opere belle e buone, ma fuori di Roma? “I Romani, disse Don Bosco, che fecero sempre grande carità e fortemente aiutarono le opere dei Salesiani, devono consolarsi di aver fatto cosa utile ai Romani. In ogni tempo un numero considerevole di ragazzi fu inviato da questa città nelle case salesiane; molti vi si trovano presentemente, parecchi dimandano ora di esservi condotti e ricoverati. Del resto ognuno cooperi pure al benessere della gioventù di questa grande città; poichè i Salesiani stessi godono della speranza che Dio concederà loro di potersi presto unire a voi e a questo zelantissimo clero a pro della povera gioventù di Roma. Ma frattanto si rifletta che Roma è città cattolica, anzi il centro del Cattolicismo; perciò in ogni tempo la carità dei Romani si è estesa a tutti i paesi e a tutti i cattolici. Da Roma e col soccorso dei Romani partirono sempre drappelli di Missionari a propagare e a sostenere la religione in estere Contrade. Pertanto se voi aiutate i Salesiani che sono all'estero, se aiutate le opere che essi promuovono nei paesi nostri, voi lavorate per il Cattolicismo, voi lavorate per la Chiesa tutta, la quale avendo in Roma il suo Capo Supremo, è sparsa nei suoi figli per tutta la terra: Te per orbem terrarum sancta confitetur Ecclesia”.
Disceso Don Bosco dal palco, vi salì il Cardinal Vicario, che prese a dire: “Io non posso che lodare l'opera dei Cooperatori Salesiani, i quali, mentre hanno il sublime scopo di tutelare il buon costume e giovare alla civile società, non trascurano d'insinuare e propagare i seni principi di nostra santa cattolica religione. Coraggio adunque. Ma non dimenticate Roma, dove in questi momenti è gravemente sentito il bisogno dell'opera vostra. Qui voi dovete rivolgere le vostre mire; qui le vostre sollecitudini; qui fare in modo che quanto prima si apra una casa di Salesiani, i quali si uniscano al nostro clero per salvare tanti fanciulli pericolanti, cui sovrasta un tristo avvenire, se una mano benefica non [620] li raccoglie, non li sostiene, non li conduce al lavoro, alla religione, alla virtù”. Svolse poi il testo di San Paolo: Vos autem, fratres, nolite deficere benefacientes, esortando i Cooperatori a non rallentarsi nel ben fare. Tre disse essere gli ostacoli che per lo più s'incontrano nel fare il bene: la noia, la tristezza e il timore. Non si lasciassero vincere dalla noia, ma crescessero di giorno in giorno nel fervore; non si lasciassero abbattere dalla tristezza, quantunque a volte non si scorgesse il frutto delle nostre buone opere, ma si consolassero al pensiero essere il loro un buon seme che al certo avrebbe germogliato frutti salutari; non si lasciassero infine spaventare da pericoli e persecuzioni, ma da forti andassero costanti fino alla morte. Cantatosi quindi un altro mottetto Panis vivus, l'Eminentissimo Vicario impartì la benedizione col Santissimo Sacramento e l'adunanza si sciolse.
La sera stessa Don Bosco scrisse a Don Rua: “Oggi abbiamo avuto una conferenza presieduta dal Card. Vicario, che in fine fece uno stupendo discorsetto. Ne avrai i particolari. Farà epoca nella storia „. Vuol dire senza dubbio nella storia della Congregazione; ma e perchè non anche nella storia della Chiesa? Dopo il battesimo del 9 maggio 1876 questa conferenza, presieduta in Roma dal Vicario del Papa, fu quasi la confermazione per la pia unione dei Cooperatori. Quel giorno l'Opera fece il suo ingresso trionfale nel campo dell'attività cattolica. Il nuovo esercito, cresciuto a dismisura, spianò per ogni plaga le vie alla Congregazione, ne sostenne in ogni tempo l'azione e ne pigliò strenuamente le difese in ogni battaglia. Se pertanto negli annali ecclesiastici la Congregazione Salesiana ha conquistato un posto non trascurabile, l'Associazione dei Cooperatori, affermatasi allora in facie Ecclesiae, ha tutti i titoli per dividerne l'onore e il merito.
Non faccia dunque meraviglia se il diavolo tentò di mettervi la coda. Don Turchi, che aveva assistito alla conferenza, [621] ne fece due relazioni per giornali di Torino. Ne mandò una all'Emporio popolare, diretto dal Padre Vasco, gesuita; ma questi andato dall'Arcivescovo per averne la facoltà di stamparla, n'ebbe un diniego. Tutto quello che riguardava Don Bosco, c'era ordine che fosse prima presentato a Monsignore. L'Unità Cattolica invece pubblicò l'altra; ma si ritenne che il teologo Margotti non la passasse liscia. Anche monsignor Ighina, allora canonico e rettore dei seminari di Mondovì, non diede corso nel suo Apologista a un riassunto dell'articolo comparso su L'Unità per tema di disgustare l'Arcivescovo, il quale erasi lagnato che quel periodico avesse accordato ospitalità al Regolamento dei Cooperatori. Il motivo di tali opposizioni, e lo dichiarò Monsignore medesimo, stava in questo che egli giudicava diretti contro di lui gli scritti di simil genere. Per altro ci fa sapere l'Anfossi che l'articolo de L'Unità Cattolica “rallegrò i buoni, gli affezionati a Don Bosco, e avvilì i cattivi... Hanno inteso, soggiunse, che questo era un solenne schiaffo alla loro ribalderia. E Don Bosco è sempre ammirato per la sua energia e per l'amore al bene”[323].
Contro l'Arcivescovo spuntò veramente in quei mesi qualche cosa più che non fosse un innocuo articoletto di giornale, e fu un opuscolo di 86 pagine, edito dalla tipografia Bruno a Torino e intitolato: Strenna del Clero ossia Rivista sul calendario liturgico dell'Archidiocesi di Torino per l'anno 1878, scritta da un Cappellano. L'anonimo autore, sottoponendo a minuziosa disamina l'ultimo calendario diocesano, ne pigliava pretesto per motteggiare l'Arcivescovo; il che faceva con un brio indiavolato, rinfacciandogli un'infinità di pecche ortografiche, grammaticali, storiche, dogmatiche, liturgiche, ed anche parecchi suoi torti verso Don Bosco. Per esempio nell'Appendice fra una serie di ventiquattro “Si dice” tre si riferivano al Beato e uno di questi, il nono, [622] era così espresso: “Si dice che Monsignore proibisca al giornale L'Emporio Popolare di stampare qualunque cosa potesse far onore a Don Bosco, al punto che questo foglio cattolico, che a Don Bosco deve molto, ometterebbe di pubblicare atti e corrispondenze che tornerebbero ad onore a Don Bosco, alla Congregazione Salesiana, a Cardinali, al Papa stesso; sicchè detto giornale sarebbe impedito fino di pubblicare quei dati che onorerebbero l'Archidiocesi e dovrebbero servire alla storia, come partenze di Missionari, ecc.”.
Il libro fece gran rumore in città; i preti specialmente smaniavano di conoscerne l'autore. Si suppose che Don Bosco ne fosse informato; ma a quanti lo interrogarono, rispose di non saperne nulla. Piuttosto egli se ne mostrava con tutti spiacentissimo. Penetrò pure nell'Oratorio, dove non pochi lo lessero. A chi gli chiedeva se l'avesse letto, il Beato: - No, esclamò, nè l'ho letto nè lo leggerò. - Un giorno Don Barberis a tavola bonariamente si lasciò sfuggire di bocca che conveniva vederne il contenuto e che alla fin fine bisognava pure parlare in qualche modo e por termine a tanto disagio. Don Vespignani che era presente, attesta che il Servo di Dio lo redarguì. Il quale Don Barberis però nella sua cronaca, condotta ormai a saltelloni e prossima ad arrestarsi scrive sotto l'11 maggio: “Questo libro fa onore a Don Bosco dinanzi al clero; ma Don Bosco piange per il rovescio della pagina”. Della citazione ha valore per noi soltanto la seconda parte.
Se a Torino riusciva così difficile parlare della conferenza di Roma, nulla poteva impedire che, anche a Torino si tenesse una conferenza simile a quella di Roma; anzi dopo Roma nessun altro luogo era più indicato di Torino. Erano i mesi in cui sembrava spuntata l'iride di pace fra l'Arcivescovado e l'Oratorio. L'occasione di chiamar a raccolta i Cooperatori si presentò nella ricorrenza della festa di Maria Ausiliatrice. Il Beato li convocò per il 16 maggio [623] nella chiesa dedicata a S. Francesco di Sales. L'invito a stampa diceva così.
Benemeriti Sigg. Cooperatori e Cooperatrici,
Secondo le prescrizioni del nostro Regolamento (CAP. VI, ART. 4°) ogni anno devonsi tenere due Conferenze dove il numero dei Cooperatori lo comporta. Pel vivo desiderio che la prima Conferenza, che si tiene in Torino, abbia luogo sotto gli auspicii di Maria Ausiliatrice, si è scelto il giorno 16 di questo mese che è il secondo della Novena in preparazione alla Solennità della Santa Vergine Auxilium Christianorum, che sarà celebrata il giorno 24 con pompa speciale.
Prego pertanto tutti i Cooperatori e tutte le Cooperatrici a fare quanto possono per intervenirvi. Mentre li ringrazio di tutto cuore, prego Iddio che li colmi di sue celesti benedizioni, ed ho l'onore di professarmi
Veniva appresso l'“Ordine della Conferenza” con sette avvertimenti, di cui i due ultimi erano: “6. Il Sommo Pontefice concede Indulgenza Plenaria a tutti quelli che interverranno a questa Conferenza. 7. La questua sarà in favore della Chiesa di S. Giovanni Evangelista, e per soccorrere i Missionari Salesiani in America, che si trovano in bisogno”.
Alle 3 pomeridiane del giorno stabilito la chiesetta, graziosamente addobbata, accoglieva circa duecento cinquanta persone, con questo di speciale che l'assemblea non era formata, come a Roma, da un'eletta d'intervenuti, ma affratellava insieme rappresentanti di differenti classi sociali. Letto della vita di san Francesco il medesimo tratto che a Roma e cantatosi dai giovani un mottetto, Don Bosco dal pergamo rifece la storia dei Cooperatori sul teatro stesso della loro origine e della loro prima attività. Tanti di quelli [624] che da principio al “povero prete „ venuto là senza mezzi avevano prestato l'opera loro, sacrificando se stessi, erano presenti e confermavano il suo racconto e si compiacevano di udire i progressi che andava facendo l'opera ivi da loro iniziata. È utile per la storia che questo documento non perisca; i lettori frettolosi vadano pure alla conclusione del capo. Don Bosco parla proprio ex abundantia cordis.
Io non so, benemeriti cooperatori e cooperatrici, non so se io debba prima ringraziare voi, o invitarvi a ringraziare insieme con me il Signore, per averci radunati in un corpo compatta e messi nella posizione di poter fare del gran bene, e d'averci stassera condotti qui, a fare la prima conferenza che si tenga dai Cooperatori Salesiani in Torino.
Prima però di esporvi ciò che desidero, voglio raccontarvi un po' di storia, la quale ci farà conoscere che cosa hanno già fatto qui in Torino i cooperatori salesiani, prima ancora che portassero questo nome, e quale sia il loro compito in questi tempi. Ascoltate.
Trentacinque anni fa l'area che presentemente è occupata da questa chiesa serviva come di luogo di convegno a molti giovani discoli i quali venivano a fare battaglie, risse, ed a dire bestemmie. Qui accanto vi erano due case in cui si offendeva assai il Signore: una era una bettola in cui venivano gli ubbriaconi ed ogni genere di cattiva gente; l'altra posta qui nel luogo dov'è il pulpito ed allungantesi alla mia sinistra era una casa di scostumatezza e d'immoralità. Nel 1846 qui arrivava un prete povero affatto e prendeva a pigione a grandissimo prezzo due camere di questa seconda casa. Quel prete era accompagnato dalla sua madre. Lo scopo era di vedere modo di fare un po' di bene alla povera gente del vicinato. Tutto il loro patrimonio consisteva in un cestello che si portava al braccio, in cui vi erano varii oggetti. Ebbene, questo prete vide i giovani che si radunavano qui per malfare, potè avvicinarsi a loro, ed il Signore fece sì che la sua parola fosse ascoltata e compresa. Si era vista la necessità di una cappella da dedicarsi al divin culto. Partendo dalla parte dell'Epistola di questo altar maggiore e allontanandosi dalla destra di chi lo guarda, vi era una tettoia che serviva di rimessa. Si potè avere e si adattò a forma di chiesa, non trovandosi altro locale. Quei giovani discoli poco alla volta si lasciarono attirare e vennero in chiesa, ed in breve tempo il loro numero si accrebbe talmente, che non solo era piena zeppa la chiesa, ma nel piazzaletto stesso, che occupava quello spazio nel quale ora voi mi ascoltate, si faceva il catechismo. Quel prete era solo, Aveva bensì talora in suo aiuto quel zelantissimo Teologo Borel, che fece tanto del bene a Torino; ma egli, occupato come era alle carceri nell'assistere i condannati a morte, nelle opere del Cottolengo, [625] della marchesa Barolo ed altre, non poteva attendere che poco ai giovanetti, essendo tutta la sua vita altrove. Ma il Signore provvide quanto mancava.
Un poco alla volta vari benemeriti ecclesiastici si unirono al povero prete e prestavano l'opera loro, chi a confessare, chi a predicare, chi a fare i catechismi. E l'Oratorio era da questi ecclesiastici sostenuto. Essi però non bastavano. Crescendo i bisogni anche per le scuole serali e per le domenicali, alcuni preti erano poca cosa. Ed ecco che vari signori portarono anch'essi l'opera loro. Era proprio la Divina Provvidenza che li mandava e per loro mezzo il bene andò moltiplicandosi. Questi primi cooperatori salesiani, sia ecclesiastici, che secolari, non guardavano a disagi ed a fatiche, ma vedendo come proprio molti giovani discoli si riducessero nella via della virtù, sacrificavano se stessi per la salvezza degli altri. Molti io ne vidi lasciate da banda ogni comodità di loro case e venire non solo tutte le domeniche, ma ben anco tutti i giorni della quaresima e ad un'ora che li disagiava moltissimo, ma che era la più comoda per i ragazzi, per fare i catechismi.
Intanto si faceva vieppiù sentire il bisogno di aiutare anche materialmente questi fanciulli. Ve ne erano di coloro i cui calzoni e la giubbetta erano in brandelli, e ne pendevano i pezzi da ogni parte, anche a scapito della modestia. Ve ne erano di quelli che non potevano mai cambiarsi quello straccio di camicia che avevano indosso. Fu qui che incominciò a campeggiare la bontà e l'utilità che arrecavano le cooperatrici. Io vorrei ora a gloria delle signore torinesi raccontar ovunque come molte di esse, sebbene di famiglie cospicue e delicate; tuttavia non avessero a schifo prendere quelle giubbe, quei calzoni e colle loro mani aggiustarli, prendere quelle camicie già tutte lacere, e forse mai passate nell'acqua, prenderle esse stesse, dico, lavarle, rattopparle e consegnarle poi nuovamente ai poveri ragazzi, i quali attirati dal profumo della carità cristiana perseverarono nell'Oratorio e nella pratica delle virtù. Varie di queste benemerite signore mandavano vesti, danari, commestibili e quant'altro potevano. Alcune sono presentemente qui ad ascoltarmi e molte altre furono già chiamate dal Signore a ricevere il premio delle loro fatiche ed opere di carità.
Ecco adunque come col concorso di molte persone, cooperatori e cooperatrici, si poterono fare cose, che da ciascheduno separata mente giammai si sarebbero compiute. Coll'aiuto così potente di sacerdoti, di signori e di signore che avvenne? Migliaia di giovani vennero a prendere l'istruzione religiosa in quel medesimo luogo dove prima s'imparava a bestemmiare; vennero ad imparare la virtù in quello stesso luogo che era centro d'immoralità. Si poterono aprire scuole serali e domenicali ed i più poveri ed abbandonati tra quei giovanetti furono ritirati; il piccolo piazzale diventò questa chiesa nel 1852 e quella casa diventò l'ospizio dei poveri ragazzi. Tutto questo è opera vostra, o benemeriti cooperatori, o benemerite cooperatrici. [626] Ed i benefattori continuando i loro aiuti, ed altri ogni giorno aggiungendosi ai primi, si potè in due altri punti di questa città aprire due altri oratori: uno in Vanchiglia chiamato dell'Angelo Custode, che poi, eretta la chiesa parrocchiale di S. Giulia, si trasportò accanto a detta parrocchia; l'altro denominato da S. Luigi fu aperto a Porta Nuova. A fianco di questo si va ora erigendo la chiesa di S. Giovanni Evangelista.
Ma i bisogni sentiti in Torino incominciarono a sentirsi potentemente anche in altre città e paesi, e continuando sempre l'aiuto dei cooperatori, si poterono ordinare regolarmente le opere fondate ed estenderle fuori di Torino.
Era necessario che i cooperatori procurassero di provvedere alla grande deficienza di clero che lamentavasi per tutto il Piemonte e per altre provincie d'Italia. Come fare? La religione cattolica non guarda a luogo, a città, a persone; essa è universale e vuole che dovunque si faccia del bene e dove maggiore è il bisogno, quivi esige che maggiori siano gli sforzi della carità. Ed ecco che incomincia ad aprirsi una casa in Mirabello, poi una seconda a Lanzo, poi altre ed altre ancora. Ed ora sono cento e più tra chiese e case aperte ed oltre a 25.000 tra interni ed esterni che ricevono istruzione religiosa nelle nostre case. Chi fece tutte queste cose? Un prete? No! due, dieci, cinquanta? No! Neppure un numero maggiore avrebbe potuto fare tanto! Furono i tanti cooperatori e cooperatrici che in ogni parte, in ogni paese e città si unirono d'accordo ad aiutare questi pochi preti. Sì, sono essi! Ma non solamente essi! Bisogna, ah! bisogna riconoscere la mano di Dio che dal niente volle far sorgere tanta opera. Sì, è la Divina Provvidenza che mandò tanti mezzi onde salvare tante anime. Se non fosse stato proprio il Signore che voleva questo, io riputerei cosa impossibile a chiunque il poter fare tanto. Ma il bisogno era reale e grande ed il Signore ai grandi bisogni manda grandi aiuti. Queste necessità si fanno tutti i giorni più stringenti, Ci abbandonerà forse il Signore?
Ciò che io vi dico dell'accrescersi tutti i giorni di tante necessità spirituali e temporali, è una incontrastabile e dolorosa verità. Oh se voi vedeste quante domande da ogni parte del mondo vengono fatte, perchè si aprano case per poveri giovani abbandonati! Una volta, solo nelle grandi città, bisognava provvedere all'anima e al corpo di tanti poveri giovani, abbandonati, scandalizzati, vittime infelici del delitto, della miseria, dei vizio; ma ora in quanti altri luoghi anche piccoli bisogna provvedere alla gioventù pericolante, se si vuole salvare la società. Vi è da sbalordirsi, se si viene a conoscere una parte della realtà di tante miserie.
E poi per le Missioni quanto non cresce ora la necessità di zelo e di soccorsi! E notate che già più non si tratta di andare a cimentare la propria vita tra i selvaggi con pericolo di martirio o di grandi patimenti. Adesso sono i barbari stessi che cominciano a conoscere il [627] miserando loro stato e desiderano d'istruirsi. Sono essi, direi, che stendono le braccia verso di noi, chiamando che si vada ad incivilirli e ad insegnare loro quella religione senza della quale si accorgono che la loro vita è infelice. Da tutte parti vengono queste domande di missioni. Dalle Indie, dalla Cina, da S. Domingo, dal Brasile, dalla Repubblica Argentina ci si fanno accalorate domande, in modo che se io in questo momento in cui vi parlo avessi duemila Missionari, saprei dove collocarli sull'istante, sicuro dei frutto che apporterebbero. Ma anche nelle Missioni del bene se n'è già fatto coll'opera degli oratorii e speriamo che col sostegno e l'aiuto dei cooperatori e cooperatrici questo bene si possa a mille doppi aumentare a maggior gloria di Dio.
Vi è poi un'altra opera formata ed uscita da questi oratorii, opera che non desidero che sia pubblicata, ma che da voi è bene che sia conosciuta. Questa è di cercare giovani di buona volontà e mettere loro in mano i mezzi onde poter raggiungere la dignità sacerdotale. Il numero dei ministri dei Signore, lo vedete, ogni giorno diminuisce con una proporzione spaventosa. Si cercarono adunque per ogni dove giovani che dessero ferma speranza di vocazione ecclesiastica, si radunarono, si fecero studiare ed ecco che, benedicendo il Signore, per quest'opera uscirono già dalle nostre case centinaia e centinaia di preti. Volete che vi dica con tutta confidenza e secretezza il numero dei chierici che si vestirono l'anno scorso? Ascoltate! Fra tutte le nostre case sparse in Italia, in Francia, nell'Uruguay e nella Repubblica Argentina nel corso dell'anno passato si fecero 300 chierici. Questi in massima parte vanno nelle proprie diocesi e tanto per dirvi di una, vedete, nella diocesi di Casale di 42 chierici che sono in seminario, 34 uscirono dalle nostre case. Altri poi si fanno religiosi, altri vanno alle Missioni estere, od anche si fermano con noi ad aiutarci con ogni loro potere. Vedete dove approdano le vostre elemosine, i vostri aiuti, la vostra carità?
Altra opera non piccola si è mettere un argine all'eresia che minaccia invadere tante città e paesi. Essa fa strage nei paesi cattolici e va dilatandosi tanto più quanto più cresce la libertà nel mondo politico; poichè quando coi titolo di libertà si da campo aperto al male operare ed intanto s'incaglia e s'impedisce l'opera dei buoni, si avranno sempre delle conseguenze funeste. Si cercò adunque di opporre un argine all'eresia ed all'empietà, prima con libri bene ordinati a questo scopo, i quali con grande fatica e spesa si componevano e si diffondevano tra il popolo cattolico. Ma i libri non fanno tutto. Si vide il bisogno come di una sentinella che stesse alle vedette nei luoghi dove il nemico erasi attendato, si mise una squadra di soldati dove maggiore, continuo era il pericolo ed in luogo acconcio per paralizzare almeno l'azione del male. Ed ecco che qui in Torino, presso la chiesa dei protestanti, fino dal 1849 si aprì l'oratorio di S. Luigi ed ora dopo tanti studi e fatiche si riuscì nello stesso luogo a mettere le fondamenta della chiesa di S. Giovanni Evangelista che si sta costruendo. [628] A S. Pier d'Arena l'eresia era anche minacciante e quivi si pose un ospizio. In Nizza Mare proprio di fianco al tempio protestante s'innalzò il Patronato di S. Pietro. A Spezia l'eresia fece già progressi straordinari, quasi tutti i giovanetti andavano a scuola nel collegio magnifico dei protestanti, allettati da mille agevolezze, ma si fece uno sforzo ed ecco aperte le nostre scuole. Ma per non star qui a nominare cosa per cosa, racconterò quanto avvenne presso Ventimiglia. Quivi in pochi anni crescendo il numero degli abitanti si riempì di case una valle detta Valle - Crosia. Il numero degli abitanti crebbe a centinaia ed anche a migliaia. Essendo tutte case nuove, non si pensò e non si potè erigervi nessuna chiesa. I protestanti, vista la convenienza, vi eressero nel bel centro un grande edifizio, perchè servisse d'ospizio e di scuole; ed una loro chiesa. Gli abitanti di questa valle, non avendo altre scuole, furono attratti ad andare a queste e poi alcuni incominciarono ad andare alla loro chiesa. Il Vescovo non sapeva come fare; erigere una chiesa, dotarla come parrocchia sono cose che ai nostri giorni non si possono più fare da persona privata. Chiamati noi prestammo volentieri l'opera nostra. Non vi erano mezzi, ma la Provvidenza ci aiutò e non potendo fare di più, si affitta una casa, si aggiusta e pulisce un magazzino al piano terreno, vi si erge un altare ed ecco la chiesa fatta. Nelle camere a destra e al primo piano si aprono due scuole per i ragazzi; nelle camere a sinistra di questa piccola chiesa si chiamano le suore di Maria Ausiliatrice e si aprono scuole per le ragazze. Ed ecco mutazione! L'oratorio festivo attira piccoli e grandi e tutti gli abitanti del dintorno hanno comodità di udire la santa Messa; le scuole dei ragazzi sono subito frequentate, come pure quelle delle ragazze. Tutto ciò si fece con tanto impegno che le scuole dei protestanti rimasero deserte, non essendovi più neppure un fanciullo o, una fanciulla che vi vada ancora. Anche quelli che si erano indotti ad intervenire alla chiesa eretica, invitati ed attratti in bel modo ai sacramenti per la Pasqua, lasciarono abbandonato un sito che era per diventare centro dell'eresia in Liguria.
Tutte queste varie opere è impossibile che si facciano da uno isolato. È necessario avere dei cooperatori. I loro sussidi aiutano per potere andare nel luogo designato e fare i primi impianti: quando si è sul posto, si uniscono i nuovi cooperatori di quelle regioni e si procede avanti. Senza l'opera dei cooperatori, i Salesiani sarebbero ben incagliati e non potrebbero esercitare il loro zelo. È vero che delle difficoltà se ne incontrano sempre per condurre a compimento queste opere; ma il Signore dispose che sempre si potessero superare.
Quest'anno poi le difficoltà si moltiplicarono; tuttavia noi vediamo che la mano del Signore sempre ci sostiene. È morto in quest'anno l'incomparabile nostro benefattore Pio IX che approvò l'associazione dei cooperatori e l'arricchì di tante insigni indulgenze: quel Pio IX che volle essere ascritto pel primo tra i cooperatori salesiani; quel [629] Pio IX che non lasciava passare occasione che gli si presentasse propizia per beneficarci. Egli è morto, ma il Signore dispose che gli succedesse un Leone XIII. Io mi sono presentato a lui, gli ho parlato dei cooperatori salesiani e l'ho pregato a permettere che il suo augusto nome, come già il nome del suo antecessore di felice memoria, comparisse tra i cooperatori salesiani. Egli informatosi bene dello spirito di quest'opera, soggiunse: - Non solo cooperatore salesiano intendo essere, ma operatore. Il Papa non deve egli essere il primo a dare incremento alle opere di carità? - Ecco adunque come, perduto un padre, il Signore ce ne abbia procurato un altro non meno benevolo del primo. In questo medesimo anno morirono anche vari benemeriti signori tanto propensi a beneficare l'Oratorio; ma il Signore dispose che altri li surrogassero e la carità dei fedeli non ci lascia mancare quello che è necessario.
Ora dunque ecco quale dev'esser più direttamente lo scopo dei cooperatori salesiani: ecco in quale cosa debbono occuparsi. Bisogna continuare le opere cominciate, delle quali vi parlai; anzi queste opere bisogna centuplicarle. Per questo fine bisognano persone e mezzi. Noi sacrifichiamo le nostre persone: il Signore tutti i giorni ci manda personale pronto a qualunque sacrifizio, anche a dare la vita per la salute delle anime. Ma le persone non bastano: ci vogliono i mezzi materiali. I mezzi tocca a voi procurarli, o benemeriti cooperatori. Io incarico voi di provvedere questi mezzi materiali; sia vostro studio che non manchino. Notate bene come sia grande la grazia del Signore che vi mette in mano i mezzi per cooperare alla salute delle anime. Sì! In mano vostra sta la salute eterna di molte anime. Si è visto, coi fatti nostri che finora ho narrato, trovare molti la via smarrita del cielo per la cooperazione dei buoni.
Ora sarebbe il caso che io vi facessi i più sentiti ringraziamenti. Ma quali ringraziamenti? Io non posso farveli. Sarebbe troppo piccola ricompensa alle vostre opere buone il ringraziarvene io. Lascierò al Signore che vi ringrazi poi esso. Sì! Nostro Signore lo disse più volte che considera come fatto a lui quanto si fa pel prossimo: d'altra parte è certo che la carità non prettamente corporale, ma che ha uno scopo anche spirituale, ha un merito ancora maggiore. E vorrei dire, che non solo ha un pregio maggiore, ma ha del divino.
Volete fare una cosa buona? Educate la gioventù. Volete fare una cosa santa? Educate la gioventù. Volete fare cosa santissima? Educate la gioventù. Volete fare cosa divina? Educate la gioventù. Anzi questa tra le cose divine è divinissima. I santi Padri vanno d'accordo nel ripetere quel detto di S. Dionigi: Divinorum divinissimum est cooperari Deo in salutem animarum. E spiegando questo passo con S. Agostino, si dice che questa opera divina è un pegno assoluto della predestinazione propria: Animam salvasti, animam tuam praedestinasti. Oh! adunque voi col concorrere a fare questi grandi beni a cui [630] si accennò, voi potete stare sicuri di mettere in salvo l'anima vostra. Io tralascio perciò di farvi speciali ringraziamenti. Sappiate solo che nella chiesa di Maria Ausiliatrice mattino e sera, e posso dire tutto il giorno, si fanno speciali preghiere per voi, affinchè il Signore possa esso stesso farvi i ringraziamenti con quelle parole che vi dirà nel giorno del decisivo giudizio. Euge, serve bone et fidelis, quia in pauca fuisti fidelis, super multa te constituam. Intra in gaudium Domini tui. Voi fate dei sacrifizi, ma tenete a mente che Gesù Cristo fece di sè sacrifizio ben più grande, e non ci avvicineremo mai abbastanza al sacrifizio che esso fece per noi. Rallegriamoci! Coloro che si sforzano di imitarlo, che fanno quanto possono per salvare delle anime stiano tranquilli sulle loro sorti nell'eternità. Animam salvasti, animam tuam praedestinasti. E questa sentenza non è esagerata, e saranno certamente coronati coll'Intra in gaudium Domini tui che a tutti voi tanto ardentemente desidero e prego.
Terminato il discorso e data la benedizione, gli uditori uscirono nel cortiletto, dove circondarono Don Bosco e s'intrattennero circa un'ora. Dopo il 1878 simili convocazioni si fecero due volte all'anno dovunque vi fosse un nucleo di Cooperatori intorno a un capo. Il Bollettino nei numeri di gennaio e di maggio non tralasciò più di preavvisarne i lettori, dando poi pubblicità, ove fosse opportuno, alle cose dette e fatte in vari centri.
Il Servo di Dio Don Michele Rua, che vide con i propri occhi e aiutò da pari suo il sorgere dell'istituzione, nei Processi canonici espose gl'intendimenti del Beato Padre nel crearla e organizzarla. Tre cose disse aver egli avute di mira: di soddisfare anzitutto a un dovere di riconoscenza verso i benefattori delle sue opere, procurando loro la partecipazione a tutti i vantaggi spirituali della Pia Società Salesiana poi di animare tutti alla perseveranza nel beneficar le sue opere e di procurare sempre nuovi benefattori; infine di unire i suoi benefattori e le sue benefattrici, costituendoli come altrettanti ausiliari del proprio parroco e per mezzo di lui ausiliari del proprio Vescovo e quindi altrettanti figli devoti al supremo Capo della Chiesa[324]. Il triplice scopo è stato raggiunto, come il fatto luminosamente lo dimostra.
NUMEROSE furono durante questo biennio le proposte di fondazioni in Italia: si parlò di cento, ma noi non abbiamo assolutamente il modo di verificare quanto questa cifra si accosti alla realtà. Di tali proposte alcune rimasero semplici inviti, così da Bobbio un canonico offriva una casa per farne un collegio; da Brindisi il Vescovo, offerta una casa per formare a poco a poco un oratorio simile a quello di Torino, avrebbe desiderato che intanto due sacerdoti salesiani, andando a visitar il locale, predicassero gli esercizi al suo clero; per il seminario di Subiaco il Cardinal Vicario chiedeva un maestro elementare e un professore che insegnasse nel ginnasio superiore e nel liceo; il prevosto di Casorzo nel circondario di Casale Monferrato a nome di un ricco proprietario propose di acquistare a poco prezzo un grande caseggiato. Da Firenze un signor Rastrelli, socio delle conferenze di San Vincenzo, fece per Don Bosco una comunicazione confidenziale al confratello torinese signor Falconet, il quale rimise lo scritto al conte Cays: era la prima mossa per l'apertura di una casa nella città dei fiori. Persone zelantissime avevano in animo di trovare i mezzi per fondare colà un istituto, nel quale dar ricovero a giovanetti non ricevuti altrove, ma un istituto che fosse scuola professionale. “Per quanto so, diceva l'intermediario, questo progetto [632] sarebbe confacente alle belle aspirazioni di Don Bosco, tanto più avendo esso un eccellente personale e tutto munito del diploma voluto dalle vigenti leggi. Il progetto per se stesso non è di piccola importanza; ma per arrivare a far qualche cosa s'intenderebbe di cominciare adagio adagio, sotto umili auspizi, come ha fatto Don Bosco negli altri Istituti fondati da lui in così breve tempo, Istituti che non sono pochi in tutta l'Italia, fra i quali gli ultimi due aperti presso Roma”. Per allora le cose rimasero lì. Anche un pio desiderio dell'abate Pavarino può trovar luogo in questo punto. L'ardente sacerdote, già cappellano regio e allora membro della direzione di parecchi istituti cittadini, indirizzò a Don Bosco un letterone, in cui dopo aver descritta minutamente e a vivi colori l'immoralità spaventosa che attrista l'aria intorno alla casa di giuoco a Monaco[325], prorompeva ex abrupto in questa invocazione: “Signore Iddio, illuminate il vostro operoso servo, l'instancabile Don Bosco, l'Apostolo della gioventù, perchè trovi modo di schiantare questo tenebroso covo d'incauti, di tristi, di disperati; rivoltosi tutti contro la vostra santa legge, e confortatelo del vostro potentissimo aiuto, perchè su quelle rovine gli venga fatto d'innalzare una pia casa di lavoro, dove l'orfano ed il derelitto trovino ricetto, vitto, istruzione ed educazione; dove il Vostro Santo Nome sia onorato e benedetto, ora e per l'avvenire”
Si ricorreva a Don Bosco anche per altri motivi di bene. Dal vicino comune di San Francesco al Campo il prevosto Parigi e il maestro Novero gli fecero accettare la presidenza onoraria di un comitato formatosi ivi per i restauri della chiesa parrocchiale; e dal lontano comunello di Guamaggiore presso Cagliari il parroco Pittau e il sindaco Pisano Ruda supplicarono il Beato, perchè volesse aiutare quella povera popolazione a riedificare la propria chiesa in parte crollata. [633]
Altre proposte diedero luogo a trattative, che si arenarono per via; ma come le prime confermano il plebiscito di stima e di venerazione che si levava da ogni parte d'Italia intorno al nome di Don Bosco, così le seconde ci presentano atti e detti di lui, che ne arricchiscono la biografia e possono tracciare qualche norma ai suoi continuatori.
Cominciamo dal suo paese nativo. Quel Municipio avrebbe voluto che il suo illustre concittadino aprisse nella propria terra un ginnasio e che vi mandasse le Figlie di Maria Ausiliatrice per le scuole elementari femminili e per la direzione dell'asilo infantile. Il parroco Don Rossi tastò prima il terreno, facendogli conoscere in via confidenziale le intenzioni del Consiglio comunale e le sommarie condizioni. Don Bosco, che aspettava sempre l'occasione per fare qualche cosa a vantaggio della sua patria, affidò subito a Don Rua e a Don Cagliero castelnovese lo studio del progetto abbozzato dal parroco d'intesa con l'amministrazione del comune. I due incaricati, presi in esame quei preliminari, formarono con l'approvazione del Servo di Dio la seguente proposta per un collegio convitto.
I° Il municipio cede a D. Bosco la proprietà della casa di Pescarmona nello stato in cui si trova attualmente.
2° Offre il premio di lire 10 mila.
3° Qualora in detta casa D. Bosco non tenga aperto un collegio per le scuole elementari e ginnasiali per un decennio, il Municipio verrà rimborsato di una quota proporzionale agli anni mancanti al decennio compiuto.
4° Il Municipio cede a D. Bosco l'insegnamento delle scuole elementari maschili e di un corso elementare femminile mediante l'annua retribuzione di lire cinque mila. L'insegnamento della scuola femminile sarà affidato ad una delle suore che hanno la direzione dell'asilo infantile. Il Signor D. Bosco s'incaricherà di un corso delle scuole femminili nel solo caso che venisse affidato alle suore di Maria Ausiliatrice la direzione dell'asilo infantile. Qualora il Municipio non volesse [634] affidare questa scuola ad una suora di Maria Ausiliatrice non sarà diminuita la somma annua di lire cinque mila per l'insegnamento delle scuole elementari.
Questo insegnamento si intende fatto da maestri e maestre legali.
5° I figli del paese avran diritto di intervenire alle scuole sì elementari che ginnasiali che verranno aperte nella casa Pescarmona.
6° Il Municipio pendente l'anno 1879 diffiderà gli attuali insegnanti: qualora però questi intendano di prolungare l'insegnamento finchè sono dalla legge appoggiati, Don Bosco si servirà dei medesimi.
7° Quando D. Bosco darà principio a ridurre la casa Pescarmona ad uso collegio convitto, il Municipio farà il possibile per coadiuvarlo in segno di riconoscenza pel distinto favore che riconosce di ricevere da D. Bosco.
Quanto alle Suore, essendo questa la prima volta che una cosa di tal genere veniva affidata alle Figlie di Maria Ausiliatrice, il Beato fece presentare, affinchè servissero di norma a chi di ragione, le condizioni volute dall'Istituto di Sant’Anna per l'accettazione di una scuola o stabilimento analogo[326]. Ma il Municipio nicchiava e non faceva altro che accampare difficoltà. Da ultimo, per addivenire a un accordo, furono riprese le precedenti condizioni e furono riesaminate e modificate in questa forma.
Convenzione tra il Municipio di Castelnuovo d'Asti e il Sig. Don Giovanni Bosco.
Art. 1° Il. Municipio farà tutte le spese necessarie per adattare la casa Pescarmona in modo da servire per collegio e convitto per le scuole elementari e ginnasiali.
Il Municipio come proprietario del Collegio sosterrà le riparazioni e pagherà le imposte.
Art. 2° Offre al sig. D. Bosco il sussidio di lire 10 mila per le spese d'impianto del Collegio Convitto, senza rimborso passato il primo periodo della convenzione.
In questa spesa d'impianto non viene compreso il materiale necessario per le scuole elementari e ginnasiali, come banchi, cattedre, lavagne, carte geografiche, murali, ecc.
Art. 3° Offre l'annuo stipendio di lire cinquemila per i 4 corsi di scuola elementare sostenuti da insegnanti legali.
Art. 4° Il Signor D. Bosco terrà aperto il collegio per le scuole elementari e ginnasiali. [635]
Art. 5° I figli del paese avranno diritto di intervenire alle classi di ginnasio inferiore ed anche superiore se vi sarà aperto.
Art. 6° La convenzione tra il Municipio ed il Sig. D. Bosco s'intenderà fatta e duratura di 10 in 10 anni, con preavviso di anni cinque, qualora una delle parti volesse recedere.
Il Signor D. Bosco crede di dare un segno di affetto alla sua patria offrendosi di tenere aperto il ginnasio senza corrispettivo di sorta ed il cui assegno annuo secondo il regolamento scolastico dello Stato, ascendere dovrebbe a lire 10.500.
Fatiche al vento! Parve non essere compreso il benefizio che Don Bosco si apprestava a fare. Coloro che ebbero mano nella faccenda, si convinsero che i Castelnovesi volevano da Don Bosco quel vantaggio per il paese nè più nè meno che se egli vi fosse tenuto per dovere.
Passiamo ora ad un altro Castelnuovo molto più lontano. Il Vescovo di Massa Carrara, monsignor Tommasi, aveva bisogno di due professori titolati per il ginnasio superiore e inferiore nel suo seminario a Castelnuovo di Garfagnana, capoluogo di circondario non molto distante da Lucca. Il sacerdote diocesano Don Domenico Bonacossia, venuto a Torino nell'aprile del 1877, ne aveva parlato con Don Bosco, che si era mostrato disposto ad accogliere la domanda col nuovo anno scolastico, purchè il Ministro della Pubblica Istruzione avesse indetto esami straordinari di abilitazione, come sembrava voler fare. Gli esami vennero indetti e Don Bosco vi fece chiedere l'ammissione per una, dozzina di Salesiani; ma per esservi ammessi il decreto richiedeva condizioni precedentemente non mai pretese per casi simili, sicchè le domande dei nostri furono quasi tutte respinte. Sebbene venisse così a mancare il mezzo sperato da Don Bosco, tuttavia egli fece scrivere da Don Durando che nei limiti del possibile si sarebbe procurato di compiacere a Sua Eccellenza; il Beato se ne interessava, perchè sul piccolo [636] seminario pendeva la minaccia di chiusura da parte dell'autorità scolastica, se l'insegnamento non vi fosse impartito da professori legalmente approvati. Salesiani disponibili non si trovarono; sembra per altro che Don Durando v'inviasse due buoni laici, che facevano al caso.
Sempre da Castelnuovo di Garfagnana nel dicembre del 1878 monsignor Landi, segretario del cardinale Oreglia, caldeggiava l'acquisto di uno stabile grandioso e a condizioni favorevoli per aprirvi un ginnasio privato. Don Bosco, che generalmente di primo colpo non dava rifiuti, rispose con buone speranze, sebbene di non tanto prossimo avveramento. “In Garfagnana i suoi religiosi farebbero tanto bene! scrivevagli monsignor Zanotti, abate mitrato del luogo[327]. Certo vi troverebbero un terreno docile alla morale cultura e fertile quant'altro mai: qua verrebbero salutati e accolti a gloria”. Ci si mise di mezzo anche il Municipio; le cose si spinsero tant'oltre, che Don Bosco vi mandò a vedere Don Marenco, direttore della nuova casa di Lucca. Don Marenco trovò le autorità religiose e civili disposte a tutto, pur di ottenere il sospirato ginnasio; ma le pratiche si arrestarono qui, nè abbiamo potuto scoprire il perchè .
Più complesse si svolsero le trattative per il santuario della Mellea a Farigliano in quel di Mondovì. Don Bosco, che andava in cerca di un luogo, dove stabilire il noviziato e lo studentato de' suoi chierici, credette che là fosse il posto adatto. Il Municipio di Farigliano nel 1825 per atto di legale cessione era divenuto proprietario del convento minoritico e dell'annesso santuario sotto l'invocazione di Maria Santissima della Mellea. L'istrumento addossava al Municipio due oneri per il caso di una nuova soppressione, simile a quella [637] napoleonica. Il primo era di mantenere ivi un sacerdote che ufficiasse la chiesa. La nomina di questo sacerdote si doveva fare insieme dal Municipio e dal parroco pro tempore. Avvenuta di fatto la soppressione italiana, tenne l'ufficio di cappellano un religioso dei Minori Osservanti, che prima vi dimoravano; ma negli ultimi tempi col rinvigorirsi del vento anticlericale taluno aveva presentato ed energicamente sostenuto il disegno di alienate convento e santuario. Corsa la notizia, non mancarono buone offerte; la più lusinghiera veniva da una società d'industriali genovesi, che intendeva d'impiantare colà un grande cotonificio. Il timore della profanazione allarmò il parroco e gli elementi migliori del comune; onde si fece strada l'idea di offrire a Don Bosco l'uso del convento con l'obbligo di conservare in perpetuo al pubblico culto la chiesa. Don Bosco interpellato non ricusò di studiare la proposta; anzi nella seconda metà di aprile del 1877 andò a visitare il luogo. Questo gli piacque assai; vide che per la tranquillità del sito e per la salubrità dell'aria rispondeva ottimamente alla sua intenzione di collocarvi i novizi e gli studenti di filosofia. Inoltre poteva considerarsi come punto centrale per i suoi collegi del Piemonte e della Liguria, col vantaggio che la ferrovia passava a circa mezzo chilometro di distanza.
Ma ecco tosto spuntare i primi guai. Nella sua visita il Beato, ben conoscendo la natura di quegli edifizi, parlò delle proprie intenzioni anzitutto col religioso che là rappresentava il suo Ordine. Quegli turbato ne riferì immediatamente al Padre provinciale, che risiedeva a Saluzzo e che con eguale premura portò a conoscenza di Don Bosco la seconda clausola, a cui abbiamo accennato sopra. In virtù di essa, avvenendo una soppressione e una conseguente ripristinazione degli Ordini regolari, i Minori Osservanti dovevano rientrare senz'altro nell'antico possesso; onde il provinciale nella sua qualità di rappresentante dell'Ordine elevava formale protesta, richiamando per il tempo opportuno [638] all'osservanza dell'obbligazione anzidetta. Don Bosco si affrettò a rispondergli così.
Il P. Emanuele non ha esposto tutto il fatto. Invitato ripetutamente di recarmi a visitare quel locale, io ci andai e per primo ho cercato il P. Guardiano e lo pregai di partecipare al P. Provinciale. Che io non intendeva di acquistare, ma unicamente di conservare quella casa ai religiosi attuali. A qualunque momento essi fossero in grado di ritornare, io li avrei lasciati assoluti padroni. Con tale divisamento non si fece nè compra nè vendita, ma il Municipio si conservò la proprietà, cedendo l'uso al Sac. Bosco. Aggiunsi eziandio che trattandosi di fare opera vantaggiosa ai religiosi, io metteva per condizione con P. Emanuele che fosse nostro superiore, nostro amico in ogni cosa.
La cosa essendo così travisata, io desisto da ogni trattativa; mi rincresce solo che cessando io entra immediatamente una società che desidera di fare una fabbrica del convento e della chiesa.
Mi rincresce assai che per la prima volta che io desiderava di fare opera in favore dei religiosi Min. Oss. non sia stato inteso. Oggi stesso scrivo al Municipio che sospendano ogni proposta che essi intendessero di farmi.
In ogni cosa però La prego di credermi sempre in G. C.
Le spiegazioni di Don Bosco non valsero a tranquillare il padre Giovanni Pietro Monti provinciale, ma il Beato, che forse da poche ore aveva spedito al Municipio di Farigliano uno schema di convenzione, non giudicò ben fatto rompere bruscamente le trattative: ci sarebbe sempre stato tempo d'intendersi meglio o di lasciarle cadere. Il suo schema era formulato a questo modo.
Il Municipio di Farigliano nel desiderio di fare un atto che ritorni a beneficio pubblico del proprio paese ed anche dei paesi vicini cederebbe al Sac. Giov. Bosco e dopo di lui ai suoi eredi successori il Santuario della B. V. delle Grazie detto anche della Mellea colle seguenti condizioni:
I° Il Municipio cede in perpetuo l'usufrutto della Chiesa, dell'edificio [639] annesso, e del giardino e prato latistante al Sac. Giov. Bosco, riservandosi la sola proprietà parimenti in perpetuo.
2° Ma non intende di assumersi alcuna spesa fuori di quella che direttamente spetta al proprietario, limitata, all'imposta per gli edifizi e pel sito circostante.
3° Il Sac. Giov. Bosco dal canto suo si obbliga di tener aperto il Santuario, funzionarlo e provvedere quanto occorre pel culto, per le riparazioni della Chiesa, del fabbricato e dei terreni.
4° Siccome il Sac. Bosco intende di servirsi dell'edifizio per casa di studio, di scuola e di educazione e perciò si richiedono spese notabili, così tutte le spese occorrenti per le riparazioni, riattazioni, ampliazioni, per suppellettili e simili, saranno a conto del medesimo Sac. D. Bosco.
5° Avverandosi il caso (si spera che non sarà) che il Municipio per qualunque ragione volesse rivocare a sè questo usufrutto e quindi il Sac. Bosco dovesse abbandonare il Santuario, allora il Municipio lo renderà indenne col doppio delle spese incontrate nei fatti miglioramenti, nelle ampliazioni o costruzioni eseguite nel tempo che abitò il Santuario.
6° Se poi il Sac. Bosco volesse volontariamente allontanarsi non ha diritto di chiedere alcuna indennità, ma lasciare tutto nello stato in cui si trovava.
7° Qualora però intervenisse forza maggiore, una guerra od altra pubblica calamità, si rimetterà ogni cosa al giudizio del Sindaco ed all'Arciprete di Farigliano pro tempore; i quali stabiliranno quale delle parti possa avere diritto all'indennità.
8° Presentemente in vista delle molte spese che devono farsi per le attuali riparazioni e pel suppellettile dell'edifizio, il Sac. Bosco, senza metterlo per condizione, fa umile ma calda preghiera al Municipio affinchè gli assegni un sussidio non annuale, ma in una sola volta. Il Sac. Bosco procurerà che tale sussidio torni a intiero vantaggio del popolo di Farigliano.
Ogni cosa si rimette alla saviezza dei rispettabili Signori del Municipio.
Al Municipio non si dormiva. Nella seduta del 20 maggio il sindaco dottor Piacenza, autorizzato da un decreto della sottoprefettura, informò il Consiglio come “l'esimio, integro e generoso signor sacerdote Giovanni Bosco, reso consapevole della disponibilità dell'ampio locale annesso al già convento di Mellea” avesse “manifestato il filantropico ed umanitario proposito di erigervi una casa di studio, di scuola e di educazione a beneficio pubblico” di quello e dei limitrofi [640] paesi. Il Consiglio “ad unanimità di voti e per acclamazione” deliberò di concedere “a favore dell'egregio, dotto e filantropico sacerdote” e de' suoi successori in perpetuo l'usufrutto del già convento e sue adiacenze, e se ne determinarono le condizioni. Queste con gli opportuni cangiamenti di forma, riuscirono le stesse presentate da Don Bosco, più le due seguenti: “7. In compenso delle contribuzioni prediali sui fabbricati, il sacerdote Bosco accorderà un posto gratis ad un giovane del paese che gli verrà designato dal Municipio. 8. Saranno ammessi ed accettati come esteri alle scuole tutti gli abitanti del paese che vorranno frequentarle”. Il Beato, avuto il nuovo testo, tirò un frego sull'articolo settimo, come tuttora si può vedere, e modificò l'ottavo così: “Saranno ammessi ed accettati come esteri tutti gli abitanti del paese che vorranno frequentare il catechismo ed anche le scuole elementari, quando queste fossero stabilite”. All'articolo sesto fece aggiungere in fine: “eccettuate le cose mobili che saranno sempre di sua proprietà”. Riguardo alla preghiera espressa da Don Bosco nel suo articolo ottavo, il Consiglio comunale si dichiarava dolente che le strettezze finanziarie del comune non gli permettessero di “concorrere con qualche sussidio pecuniario destinato alla più sollecita realizzazione dell'ottimo e filantropico divisamento”.
Il più fervido propugnatore dell'opera salesiana era l'arciprete Don Luigi Mellonio. Quale compatrono del convento e del santuario, secondo l'atto di cessione, egli si adoperava con zelo a sciogliere l'opposizione dei Minori Osservanti. Don Bosco in margine a una di lui lettera del 12 luglio su tale argomento scrisse queste parole per Don Rua, incaricato di rispondere: “Si scriva a Roma che noi stiamo e staremo sempre mandatis S. Sedis”. Allora l'arciprete, con qualche appoggio del vescovo monsignor Placido Pozzi, inviò alla sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari una supplica, nella quale, esposto lo stato della questione e dichiarato che Don Bosco accettava l'uso e l'ufficiatura del santuario, restandone [641] la proprietà al Municipio, e che si sarebbe conformato interamente alle decisioni della Santa Sede, asseriva essere questo “l'unico mezzo, onde togliere ad una inevitabile profanazione e rovina sia il Convento che il Santuario sacro a Maria Santissima e ridonarlo nel tempo stesso al primitivo splendore e ridestare la primitiva frequenza alla Chiesa”. La risposta in data 11 dicembre 1877 a firma del Cardinal Ferrieri autorizzava il Vescovo a concedere pro suo arbitrio et conscientia, facendosi rilasciare le dichiarazioni consuete e vietando l'apertura di un collegio nel convento, ma solo accordando che vi dimorassero alumni Congregationis Salesianae unicamente (dumtaxat) per la custodia e l'officiatura della chiesa.
Era pochino, se ben si considera. Il Vescovo temeva che un istituto Salesiano fosse per danneggiare le sue scuole apostoliche. Alludendo a tali disposizioni di Sua Eccellenza l'arciprete aveva scritto a Don Bosco[328]: “Spero che Ella non vorrà abbandonarci solo perchè in questo intricato cammino ci arrestino triboli e spine, trattandosi di un'opera così buona e santa”. Taluno pensò che siffatte molestie si sarebbero troncate d'un colpo mediante la vendita[329]. Ma Don Bosco, visto l'andamento delle cose, si veniva raffreddando nell'impresa. L'arciprete invece non cedeva le armi. Nel luglio del 1878 provocò un secondo decreto dalla sacra Penitenzieria. Ne conosciamo vagamente il tenore attraverso questa lettera del Vescovo.
M'è stato presentato stamane dal Sig. Arcip.e di Farigliano un Rescritto della S. Penitenzieria 24 luglio P. P. con cui mi si concede facoltà indulgendi con V. S. iuxta petita, ch'Ella pienamente conosce.
Tengo anche presenti altre lettere di V. S. dell'anno passato nelle quali si compiaceva rassicurarmi sopra le intenzioni sue riguardo alla [642] suaccennata petizione. Ora per dispormi a secondare il disposto della S. Penitenzieria, io abbisognerei di due cose: 1° ch'Ella si compiacesse di comunicarmi il Rescritto che emanò nello scorso anno sulla stessa materia. Mi disse essere rimasto presso la S. V. 2° ch'Ella mi volesse dire in termini precisi quali stabilimenti Ella intenderebbe fare nel Convento della Mellea, e quale aiuto Ella mi darebbe nella deplorabile scarsità di sacerdoti che anch'io vo lamentando.
Fo una corsa a Biella per la consecrazione di Mons. Riccardi e al mio ritorno spero di trovare una gradita risposta di V. S. Car.ma.
Ieri ho visti e benedetti i suoi Chierici coi bravo loro Direttore. La Commissione è piuttosto facile e mi dicono che gli esami vanno bene per gli ecclesiastici. Deo gratias.
Mi raccomando alle sue orazioni e Le sono sempre di cuore.
Don Bosco dovette rispondere egli stesso al Vescovo.
Egli segnò sull'originale qual fosse il suo pensiero intorno ai singoli punti. Sopra il primo punto scrisse: “Non abbiamo”. Sopra la prima parte del secondo: “Studentato e noviziato per ora”, e per l'altra parte: “Quello che si può”. Dopo rimise il foglio così postillato a Don Rua, indicandogliene il motivo con questa frase scritta in capo: “A Don Rua, per sola memoria”. È evidente che per lui la partita era, se non abbandonata, almeno sospesa. Don Bosco in queste congiunture non forzava gli eventi. Qualche barlume di speranza balenò ancora agli amici fariglianesi negli anni successivi fino al 1885; ma erano focherelli di paglia: Don Bosco non vi fece più caso.
Volgiamoci ora a Cremona. Il canonico Manini, già prevosto di Soresina, aveva fondato in vari punti di quella città sette case, chiamate della Provvidenza, per fanciulli e fanciulle, per le giovani pericolanti, per suore e per altri. I cittadini, che vedevano bene le sue opere, gli erano larghi [643] di elemosine. Ogni casa però faceva corpo a sè. Egli passava ogni giorno dall'una all'altra per dirigere e per badare specialmente alla parte economica. Santo prete, che aveva consumato nella carità il suo patrimonio e preparate tante case per gli altri, non ne aveva una per sè, ma dormiva dovunque lo sorprendesse la notte e talora per isfamarsi picchiava alla porta del fratello. Riguardo alla direzione spirituale, disponeva solamente di un prete giovane, che andava a confessare quando poteva. La sua istituzione era stata riconosciuta dal Governo come Opera Pia. Don Sala, avendola visitata, ne descrisse l'andamento a Don Bosco, il quale sorrise e disse: - Vedi, quando nelle case si trascura la frequenza ai santi Sacramenti, queste non possono prosperare. - I fatti gli diedero poi ragione.
Orbene nel 1877, quand'egli era ancora prevosto di Soresina, monsignor Geremia Bonomelli; vescovo diocesano, lo raccomandò il 31 agosto al Beato, perchè volesse aiutarlo ad assicurare l'esistenza di una delle sue case, detta dei Derelitti, assumendone la direzione. “Credo, diceva l'inclito Presule, affatto inutile aggiungere preghiere, onde aiuti la santa impresa del Prevosto, giacchè lo zelo instancabile e la carità singolare, onde il Signore ha favorito la S. V. Rev.ma non han bisogno di stimoli, ma piuttosto sanno darne agli altri”. Il prevosto si recò a Torino l'ultima settimana di novembre per trattare personalmente col Servo di Dio. Parve che ci fosse la possibilità d'intendersi quindi è che il Vescovo scrisse a Don Bosco[330]: “Piaccia al Signore che abbia la consolazione di vedere in questa mia città i suoi figli e l'opera di benedizione che portano dovunque! Si ricordi V. S. Rev.ma che casa mia è casa sua. Sarà un favore che riceverò”. Ivi però le condizioni erano tali, che alla morte del fondatore i Salesiani potevano venir messi alla porta. Si suggerì bene, come renderli padroni; ma fu un dire [644] a sordo, e non se ne parlò più. Vanno dopo si affacciò la possibilità di stabilirsi a Cremona in casa propria; ce lo dice questa lettera del Vescovo a Don Bosco.
M. Rev.do e Illustre, Signore,
Il mio vivissimo desiderio, ch'ebbi a significarle altra volta, se piace a Dio, e se V. S. mi aiuta, sta per compirsi. Mercè l'opera di parecchie ottime persone si è acquistato un grandioso locale con apposite e spaziose ricreazioni e con chiesa annessa, in una delle migliori posizioni della città. In questo locale si vorrebbero aprire tre o quattro scuole elementari regolari pei fanciulli e l'oratorio festivo. Il locale verrebbe ceduto alla Congregazione fondata da V. S. Rev.ma con quei patti che si potranno stabilire di mutuo accordo. La cessione non potrebbe farsi che nell'aprile prossimo, atteso che gl'inquilini attuali hanno diritto di rimanervi fino a quell'epoca. V. S. non deve dirmi di no, ne La prego e ne La scongiuro. Questa sarebbe la prima casa di Lombardia: il Signore La benedirà. È troppo giusto che V. S. conosca bene ogni cosa prima di stringere un contratto; perciò voglia venire o mandare qui sul luogo, e se fosse possibile, tra il 15 e 22 del corrente mese. Il latore di questa potrà dare alcuni schiarimenti. Nuovamente La prego, mi esaudisca e voglia procurare a questa mia povera città tanto bene.
Gli fu risposto il 21 settembre che nella vegnente primavera qualcuno avrebbe visitato il locale e poi si sarebbero aperte le trattative. Ne vedremo a suo tempo lo svolgimento.
Scendiamo intanto nel cuore della Romagna, a Lugo. Ivi Don Francesco Grilli, zelante cooperatore, interpretando anche il desiderio di molti suoi concittadini, chiamò a raccolta i cooperatori lughesi e li invitò a prendere l'iniziativa di preparare una fondazione salesiana nella loro città. Venne costituita senza difficoltà una commissione di laici, [645] con l'incarico di studiare e proporre. Fattasene relazione a Don Bosco, il suo fedele interprete Don Rua rispose essersi esaminato il desiderio espresso; ringraziare della fiducia riposta nei Salesiani; aversi tutta la buona volontà di esaudire, ma per il momento mancare il personale e i mezzi; sperarsi tuttavia che per l'anno seguente avrebbero i Salesiani trovato il primo e i cooperatori di Lugo provveduti i secondi[331]. Non un anno però, ma quattordici dovettero trascorrere prima che i figli di Don Bosco andassero a Lugo.
Un fatto curioso ci chiama alla non lontana Bologna. Un prete forestiero, sul cadere di novembre del 1877, passando per caso avanti alla chiesa di Maria Ausiliatrice e fermatosi ad ammirarne la facciata e la cupola, entrò per farvi un po' di preghiera. Curioso si diede a osservare specialmente l'altar maggiore e poi chiese di chi fossero la chiesa e i fabbricati circostanti. Gli fu risposto che ogni cosa apparteneva a Don Bosco, il quale raccoglieva ed educava un gran numero di giovanetti. Quegli che da lungo tempo aveva desiderio di far ritirare un giovane in qualche pio istituto, entrò dal prefetto, assunse informazioni, prese gli accordi, pagò subito la retta, e il giovane fu accettato. Ciò fatto, domandò se fosse possibile vedere Don Bosco e parlargli un istante. Più volte aveva udito nominare Don Bosco, ma non lo conosceva e non aveva un'idea precisa delle sue case. Accompagnato dunque su da Don Bosco, appena gli fu dinanzi, con l'espansiva franchezza tutta propria de' suoi paesi vuotò il sacco, prendendo a dire: - Io sono certo Don Antonio Fusconi. Avrà ricevuto una mia circolare, in cui notificava che, con l'approvazione di Sua Eminenza il Cardinal Parocchi, mio Ordinario, e con la benedizione del [646] Santo Padre Leone XIII io ideava di aprire in Bologna una casa di correzione e di esercizi per i preti, che i Vescovi volessero assoggettare a questa punizione o per quelli che volessero ritirarvisi a far vita migliore Ora sono di passaggio per Torino ed il caso o meglio la divina Provvidenza, senza che io neppure ci pensassi, mi ha condotto vicino a questa chiesa e mi ha spinto ad entrare in questa casa. Ho domandato di poter parlare con Vostra Signoria, che so essere tanto illuminata. Che ne dice del mio progetto?
- E chi è, rispose subitamente Don Bosco, che le ha comunicato il progetto che da più anni io vengo studiando? Da un pezzo noi pratichiamo quest'opera di carità e con frutto; nelle nostre case sono disseminati alcuni di tali preti. Ma il progetto, com'è esposto nella sua circolare, non credo che si possa eseguire. Anzitutto, nessun prete vorrà andare nel suo istituto, essendochè l'andarvi sarebbe un dire: Io sono un prete... refrattario. E poi quando ve ne fossero, come occuparli? Faccia così: si fermi qualche tempo qui nell'Oratorio con noi; vedrà le cose nostre, ci metteremo d'accordo insieme e studieremo meglio il nostro disegno. Intanto ci potremo parlare anche di molte altre cose.
Don Fusconi ascoltò quelle parole come voci venute dal cielo. Si trattenne a pranzo. Discorrendo con Don Bosco venne alla conclusione esser meglio intendersi con lui ed anche farsi salesiano. Aveva fissato un alloggio in città per un certo tempo; dormiva quindi fuori, ma alle otto del mattino rientrava nell'Oratorio e vi restava fino alle otto di sera, lavorando. Un giorno si congratulò con Don Bosco, perchè il lavoro non gli era lasciato mancare. Realmente nell'Oratorio Don Rua trovava subito come occupare secondo la sua capacità chiunque vi capitasse; poichè era suo costume non lasciar mai nessuno in casa senza qualche cosa da fare, chiunque si fosse.
Alcuni giorni dopo andò a Novara, dove predicava l'avvento un tale Don Parracchini suo amico, e là combinarono [647] insieme di mettere ogni cosa in mano di Don Bosco. Ma avevano fatto, come si dice, i patti senza l'oste. Conferito che ebbero sull'opera, Don Paracchini scrisse al suo Arcivescovo Cardinal Parocchi quanto avevano concluso. Posti sott'occhio all'Eminentissimo i fondati timori di persecuzioni da parte del Governo e della piazza, mostrate le difficoltà di mantenere e occupare nella loro lunga dimora i preti traviati, gli narrava il fortuito incontro di Don Fusconi con Don Bosco e lo scambio d'idee avvenuto fra loro e circa il porre l'ideata opera sotto l'egida di una casa Salesiana. Si dichiarava egli pure del medesimo parere, ma che in tutto e per tutto si rimettevano alla saviezza di Sua Eminenza. Il Cardinale, che con i due sacerdoti aveva già trattato di quella buona iniziativa, rispose il 21 dicembre che egli intendeva di avere pienissima libertà di azione nel caso che essi due non si sentissero in grado di dar compimento all'impresa. “Una Congregazione religiosa, diceva, non può essere chiamata in diocesi che dall'Ordinario ed è un punto così delicato da non permettere a chicchessia l'iniziativa da sè, riservandola a me unicamente e come crederò opportuno”. I bravi ecclesiastici rimasero letteralmente atterriti e con la stessa semplicità con cui si erano imbarcati in quell'affare, se ne ritrassero senza far motto. Don Fusconi ritornò a Bologna, memore sempre della bontà di Don Bosco.
Don Bosco, informato dell'epilogo mentr'era a Marsiglia nel gennaio del 1879, dettò per Don Barberis i punti della risposta da dare a Don Fusconi in suo nome: “I° Dica a Sua Eminenza che Don Bosco non parlò, di aprir case in sua diocesi; ma propose soltanto, anzi offerse tutte le case salesiane, qualora avesse voluto inviare in esse qualche Ecclesiastico che avesse trascurato i suoi doveri e volesse riporsi per la retta via. Ve ne furono già e ve ne sono diversi nelle nostre case. 2° Se mai fra le moltissime domande di aprir case salesiane ve ne fosse alcuna per cui vi fosse convenienza nella diocesi di Bologna, prima di ogni progetto se ne esporrebbe [648] l'idea all'Ordinario diocesano, siccome sta scritto nelle nostre Costituzioni. 3° Don Fusconi poi è pienamente libero di scegliere uno stato più perfetto quale è quello delle Missioni estere, lasciando l'amministrazione dell'opera pei preti a colui o a coloro, cui tornasse di maggior gradimento all'Ordinario di Bologna. - Lo saluterai caramente nel Signore e pregherò Iddio che lo conservi sempre in buona salute”. Don Berberis condusse su questa traccia la sua lettera, e così l'episodio fu definitivamente chiuso.
Allorchè Don Bosco si trovava a Roma, era tornato in campo l'affare del collegio di Ceccano. Verso la metà di gennaio il cardinal Berardi, fatto chiamare Don Bosco, gli aveva detto che il Rettore scolopio non poteva più continuare; che a qualunque costo voleva per intanto un sacerdote salesiano: ma che per l'anno scolastico 1878 - 79 tutto doveva passare nelle mani di Don Bosco. “Tale accettazione, scrisse tosto il Beato a Don Rua, nel nostro stato attuale di cose sarebbe moralmente necessaria. Sarà possibile? Si potrebbe prendere Don Guidazio con un chierico e con un coadiutore e mandarli a reggere il collegio di Ceccano? In questo caso bisognerebbe che Don Durando si mettesse di nuovo alla carretta[332] che già ha tirato molti anni. In quel collegio presentemente vi sono 20 allievi interni, ed una decina di esterni. Corso tecnico e ginnasiale. I maestri ci sono tutti, ma vengono solamente a fare scuola dall'esterno. Parlatevi e poi ditemi se sia possibile. Io ho detto al Cardinale che scriverò a Torino e che avremo fatto quanto era possibile per compiacerlo”.
Quel “Parlatevi” ha la sua spiegazione nel primo periodo della lettera, dove Don Bosco dice: “Sarà bene che tu raccolga [649] il Capitolo Superiore con qualche altro e tratti l'affare del collegio Berardi”. Don Rua obbedì. Con un telegramma del 16 gennaio Don Bosco domandò se l'affare di Ceccano fosse effettuabile e in caso affermativo gli ordinava di far partire “tostamente” il personale per Roma. Don Rua telegraficamente rispose non essere cosa attuabile. Il Cardinale dovette a malincuore rassegnarsi; ma per l'autunno bisognava esser pronti.
Nell'autunno il povero Cardinale da parecchi mesi non era più al mondo. Il fratello però nell'estate rinnovò le istanze. Anche il Padre Tassinari, rettore dell'istituto, volle intercedere. Egli aveva ordine di lasciare il posto; ma gli rincresceva l'abbandono di un'opera destinata a far del bene. Perciò, scrivendo il 9 agosto a Don Bosco e rappresentandogli al vivo le miserie morali e religiose di certi luoghi di là da Roma, lo supplicava che, mentre spediva in lontane terre “i bravi e buoni della sua Società”, ne inviasse pure da quelle parti per assumere la direzione e l'istruzione del convitto. Don Bosco non poteva essere insensibile a sì caloroso appello; infatti diede incarico di trattare a Don Monateri, direttore di Albano. Quivi le cose non si assestavano come Don Bosco avrebbe voluto, perciò prendeva in lui consistenza il proposito di richiamarne i suoi e valersene per altre destinazioni. Scrisse dunque a Don Monateri:
Il March. Berardi vorrebbe affidarci il suo famoso collegio di Ceccano. Si è già trattato in passato, ma non si è concluso perchè non voleva io; ora non sarei alieno dal trattare.
Gli scrissi che tu passerai da lui, tratterai sopra due punti: I° Prenderlo noi a nostro rischio e pericolo. 2° O prendere soltanto l'amministrazione col debito stipendio di tutto il personale.
Ciò suppone che si lascierebbe Albano dove si trova, e buon giorno.
Devi però notare che questo Signore è ricchissimo, ma è valente speculatore. Quando tu avrai presi bene tutti i dati e trattata ogni cosa con riserva, partirai tosto per Torino per vedere che si possa conchiudere. [650] Le cose furono già da me scritte in questo senso al prelodato Signore. Ogni bene a te e a tutti i nostri cari confratelli e credimi tutto in G. C.
Ma al trar dei conti vi furono parole molte e nessuna conclusione. Il collegio venne più tardi pareggiato, il che gli diede un po' di vita; nella direzione stette provvisoriamente un padre scolopio della provincia toscana. Il marchese Berardi, vedendo che questi poteva da un momento all'altro essere richiamato da' suoi Superiori, carezzò ancora una volta l'illusione di poter avere i Salesiani a dirigere e a insegnare; Don Bosco però, che amava libertà di azione, allora che a ceppi amministrativi eransi aggiunte pastoie scolastiche, non prese nemmeno in considerazione le nuove insistenze.
Nel maremagno delle cure il Beato non perdette mai di vista Roma, dove anelava sempre di stabilirsi. Agiva presso il Governo, come abbiamo veduto, ma senza farsi soverchie illusioni; riponeva le migliori speranze nell'aiuto dell'autorità ecclesiastica. Prima di lasciar Roma nel marzo del 1878 egli aveva umiliato a Leone XIII una supplica, con la quale chiedeva licenza e mezzi per aprirvi un ospizio.
Il sac. Giovanni Bosco umilmente prostrato ai piedi di V. S. supplica a volergli permettere l'esposizione di un bisogno gravemente sentito in tutti i paesi, ma specialmente in Roma. Quest'alma città nei tempi normali era abbondantemente provveduta d'istituti educativi per ogni condizione di cittadini. Ora lo stato anormale delle cose, lo straordinario aumento di popolazione, i molti giovanetti che da lontano si recano qua in cerca di lavoro o di rifugio, rendono indispensabili alcuni provvedimenti per la bassa classe del popolo. Questo bisogno è reso dolorosamente palese dal gran numero di giovanetti [651] vagabondi, che, scorrazzando alcun tempo per le piazze e le vie, per lo più vanno a popolare le prigioni. Egli è per provvedere almeno in parte a questo bisogno che ogni anno non meno di cento fanciulli di questa città sono inviati negli ospizi salesiani di Genova e di Torino. Questi poverelli sono più abbandonati che perversi e pare che loro sarebbe un grande benefizio, se si potesse aprire un istituto, dove:
I° Nei giorni festivi si raccogliessero in appositi giardini, e fossero ivi trattenuti in amena ricreazione colla musica, colla ginnastica ed altri piacevoli trastulli, intanto che venissero istruiti nel catechismo e nelle pratiche di pietà.
2° Si attivassero scuole diurne e serali, pei poveri, cioè per quei giovanetti che essendo già alquanto discoli o cenciosi non sono accettati nelle pubbliche scuole.
3° Quelli poi, che fossero assolutamente poveri ed abbandonati, venissero ricoverati in apposito ospizio, dove colla religione imparassero un mestiere con cui a suo tempo guadagnarsi il pane della vita e vivere da buoni cristiani.
Con questi mezzi si darebbe cristiana educazione a non pochi poveri ragazzi, che sarebbero così avviati pel sentiero dell'onore e dell'onestà, con fondata speranza che non andrebbero più a popolare le prigioni, che loro già stavano aperte.
Per effettuare questo importante e difficile ministero, qualora piaccia alla S. V., l'umile esponente offre di tutto buon grado i religiosi Salesiani, che appunto hanno questo scopo e che col divino aiuto ottennero già altrove buoni risultati. Essi sarebbero veramente fortunati ogni volta che potranno eseguire non solo i comandi, ma i semplici desideri di V. S., ed unire i loro deboli sforzi a tanti sacerdoti che con zelo coltivano questa medesima messe. Una grave difficoltà si presenta nei mezzi materiali, con cui fondare e sostenere tale istituto; ma siccome la provvidenza del Signore non venne mai meno in simili casi, così con viva fiducia si spera che Dio pietoso o manderà i mezzi necessari od inspirerà a V. S. qualche dovizioso cattolico, il quale mosso dalla gravità del bisogno voglia venire in soccorso alla capitale del cristianesimo, liberando tanti fanciulli dalla rovina: materiale e morale, per ridonarli alla civile società buoni cristiani e buoni cittadini.
La S. V. si degni di benedire l'ideato progetto e l'umile esponente, che si prostra ai piedi di V. S. e si professa
probabile che questa istanza fosse girata al Cardinal Vicario, a cui direttamente spettava il provvedere ai bisogni spirituali della Città eterna; vedremo fra breve il fondamento [652] di questa probabilità. Quattro mesi dopo l'Unità Cattolica nel numero del 3 agosto faceva conoscere a Torino una istruzione indirizzata dal Cardinal Vicario per ordine del Papa ai parroci di Roma sui conati dell'eresia nella capitale del cattolicismo. “Sono veramente grandi, diceva Sua Eminenza, gli sforzi che fanno in Roma, fin da quando fu essa tolta al regime temporale della Santa Sede, gli eretici ed i settarii coll'oro che ricevono in gran copia da' paesi d'oltremare. Oltre a parecchi tempii e sale di conferenze cui eressero nelle vie più popolose quasi ad insulto, sono aperte ben dieci scuole maschili e femminili, nonchè alcuni convitti ed asili diretti da protestanti colla mira ben palese dì diffondere il veleno de' loro errori insieme col pane e cogli aiuti materiali, di cui son larghi a' loro uditori e scolari, abusando della miseria sempre crescente in mezzo a questa popolazione”. Questi lamenti strinsero viepiù il cuore a Don Bosco, che, impugnata la penna, scrisse al Cardinal Vicario una lettera molto positiva.
Alcuni mesi addietro quando aveva l'onore di parlare con V. E. Rev.ma, alla vista dei crescenti pericoli pei poveri giovanetti, Ella con paterna bontà mi animava a studiar modo di aprire un ospizio in Roma, affinchè i Salesiani portassero anche il loro umile contingente in difesa della capitale dei cattolici, assalita anzi invasa da tanti nemici.
Si notava eziandio la necessità di fare qualche cosa per mitigare le tristi conseguenze che derivano dalla dispersione degli Ordini Religiosi, e dallo sforzo che fanno i protestanti per assalire e combattere la religione là dove è il centro, dove è il Capo supremo della medesima.
Andava tuttora meditando sul modo di effettuare il vagheggiato progetto, quando l'aurea sua ultima circolare, mentre avvisava i Cattolici a vegliare sopra se stessi, rilevava il progresso che l'errore va facendo a danno della verità.
Questo stato di cose mi ha profondamente commosso e mi ha fatto deliberare di mettere alcuni Salesiani a piena disposizione della E. V. Non faranno grandi cose, ma mostreranno almeno il loro buon volere di lavorare, e ove ne sia d'uopo, di sacrificare tutto, anche la vita, in difesa di nostra santa cattolica religione. [653] Sottopongo pertanto alla illuminata saviezza della E. V. un mio divisamento.
I Salesiani che sono in Albano hanno una messe troppo limitata. Sono dodici maestri, muniti del loro diploma, ed hanno solamente trentacinque allievi tra Seminaristi ed esterni. Io pertanto metterci o tutto o in parte questo personale a disposizione dell'E. V. Ella se ne valga per l'insegnamento scolastico o pel sacro ministero, come giudicherà di maggior gloria di Dio e a vantaggio delle anime.
Ma dove abiteranno, di che vivranno? Coll'appoggio che la E. V. mi fa sperare andremo avanti, Con niente in altri paesi abbiamo aperte case da raccogliere, nutrire, educare ben 25.000 fanciulli, e non riusciremo ad aprite un Ospizio in Roma coll'appoggio di V. E. e coll'aiuto della divina Provvidenza, che non è mai venuta meno?
Sono inteso con Mons. Domenico Iacobini, che è a giorno delle cose nostre; egli passerà da V. E. per prendere il suo beneplacito e cominciare.
Siamo tutti animati di fare niente che non sia secondo il beneplacito di V. E. e nel tempo stesso darle disturbi meno possibili.
Io scrivo a V. E. colla confidenza di figlio a suo padre, ed Ella mi assista sempre co' suoi avvisi.
La Duchessa di Galliera è tuttora a Parigi; fui assicurato che sul finir del corrente mese verrà a Genova. A quell'epoca studierò modo di rimettere quelle carte in proprie di Lei mani, di poi darò comunicazione a Vostra Eminenza del risultato.
Mentre in carità dimando la sua santa benedizione sopra tutti i Salesiani, La prego di gradire gli umili omaggi della mia profonda gratitudine con cui ho l'onore di professarmi
Sua Eminenza con la massima sollecitudine gli rispose: “Ella comprenderà di leggeri quanto mi sia gradita l'offerta fattami per aprire qui in Roma un ospizio pei giovanetti, diretto dai Salesiani, e l'esibizione di dodici operai in questa diletta vigna del Signore. Mi pare però più prudente aspettare la risposta della Signora dì Galliera, giacchè Roma non è educata a mantenere opere pie e religiose colla carità privata, e qualche altro istituto che ha voluto fare la prova, [654] non trova modo di stare in piedi. Avuta la risposta di quella Signora, discuteremo il da farsi”[333].
Maria de Ferrari, Duchessa di Galliera, nata a Genova nel 1812 e morta a Parigi nel 1888, viveva abitualmente nella capitale francese. Disponendo di un'immensa fortuna, impiegò milioni e milioni in opere di beneficenza, fra le quali primeggia il maggiore ospedale di Genova. A lei, non sappiamo se direttamente o per mezzo di una terza persona, il Cardinal Vicario aveva presentato la supplica di Don Bosco al Papa, accompagnandola con questa lettera datata da Roma e firmata da chi ne fece la presentazione[334], ma composta da Don Bosco, che doveva poi consegnare il piego.
La condizione anormale in cui trovasi la cristiana educazione in questa Alma Città richiama l'attenzione di tutti i buoni Cattolici che la Divina Provvidenza abbia posto in grado di venire in soccorso.
A questo fine la S. di N. S. Papa Leone XIII mi autorizzò di pregare la E. V. a prendere in considerazione l'unito Promemoria che fu indirizzato alla medesima Santità Sua.
I Sacerdoti Giovanni Bosco e il Teologo Don Giacomo Margotti sono incaricati di portare questa lettera alla E. V., dare schiarimenti ove ne sia d'uopo, e prendere quella risposta che Dio inspirasse al caritatevole di Lei cuore per giovare a tanti poveri giovanetti, che provengono da vari paesi e da varie parti del mondo, ma che abbandonati a se stessi versano in grave rischio dell'onor loro e della stessa loro eterna salvezza.
Nella fiducia che si degni prendere in considerazione questa rispettosa ma urgente risposta, ho l'onore di professarmi colla dovuta considerazione
A Roma monsignor Iacobini, segretario dei Brevi, ed altre caritatevoli persone si occupavano con buona volontà [655] della fondazione di un collegio per artigianelli, da intitolarsi ospizio di San Giuseppe. Monsignore era stato a Valdocco forse in luglio per discorrere della casa e del terreno, dove stabilirlo. L'acquisto si poteva fare a eque condizioni. Fabbricato e suolo circostante misuravano ventimila metri quadrati fuori porta Cavalleggeri; l'area confinava da una parte col colonnato di San Pietro e dall'altra con la via del Sant’Ufficio, stendendosi fino alla Lungara e abbracciando nel perimetro una collina sulla quale sorgeva la casa. Parecchi signori e monsignori sembravano infervorati a cercar il danaro per la compera. Negli abboccamenti col Segretario dei Brevi il Beato vergò di suo pugno gli articoli che avrebbero dovuto costituire la base di una convenzione fra lui e la commissione da crearsi, presieduta da Monsignore e sostenuta specialmente dal nobile cavaliere Adolfo Silenzi. Ecco il testo del documento:
Mons. Iacobini ed il sig. cav. Silenzi commossi dal tristo avvenire che si va preparando ai giovanetti poveri ed abbandonati della città di Roma sopratutto in fatto di religione, desiderando di cooperare agli sforzi di S. S. il regnante Leone XIII per tenere lontani i figli del basso popolo dalle massime protestanti, hanno deliberato di aprire una casa, ossia un ospizio, cedendo la direzione e l'amministrazione interna ai soci Salesiani come quelli che sono di proposito consecrati al bene della pericolante gioventù.
Il sac. Bosco dal suo canto a nome della pia società salesiana di cui è superiore, ringrazia di tutto cuore la prelodata amministrazione che siasi degnata di rivolgersi all'umile sua società, promette l'opera sua e dei suoi dipendenti, ed affinchè l'istituto riesca stabilmente costituito ed ottenga i desiderati frutti, ed i Salesiani possano mantenere l'osservanza delle loro costituzioni e praticare vantaggiosamente il loro sistema educativo, si propongono i seguenti articoli che possono servire di base alle condizioni e modificazioni che saranno richieste dalle circostanze dei tempi, di luogo e delle persone.
Art. I° L'amministrazione esercita assoluta e piena autorità su tutti i fondi che costituiscono il patrimonio dell'ospizio.
Le compre, le vendite, le riparazioni ed ogni altra cosa riflettente a questi fondi appartengono esclusivamente alla prelodata Commissione.
Art. 2° La direzione e l'amministrazione interna è tutta affidata al sac. Bosco, il quale provvederà: [656] Un direttore responsabile di tutto il personale, delle provviste, della moralità, della disciplina e di quanto concerne l'autorità civile, scolastica ed ecclesiastica.
Un economo che avrà cura delle cose materiali e specialmente degli oggetti dì consumo: e. g. provviste di commestibili, abiti e simili, e farà in modo che non manchi il lavoro in ciascun laboratorio dell'istituto.
Il portinaio, un numero sufficiente di prefetti o sorveglianti, capi d'arte, maestri di scuola, il cuoco e gli altri servitori saranno scelti dal direttore, affinchè possa rendersi responsabile della disciplina e della moralità e del profitto personale degli allievi.
Art. 3° La Commissione a suo piacimento sceglierà 30 giovanetti per cui corrisponderà una diaria di 0, 80: più cent. 20 pel vestiario, biancheria, riparazioni di abiti. Con questa somma, che forma fr 30 al mese, quei giovani sono provveduti di vitto, vestito e di ogni altra cosa loro necessaria.
Il numero di 30 può aumentarsi a gradimento della prelodata commissione corrispondendo la diaria fissata per ciascun individuo.
Il direttore dal suo canto sempre che l'edificio il comporti, può accettare a conto proprio poveri fanciulli con quelle condizioni che i pericoli di moralità e di religione renderanno ragionevoli.
Per i capi d'arte e pel personale interno la commissione fisserà una somma o per ciascun individuo oppure complessivamente. Sopra di che non saranno difficoltà da parte del direttore.
NB. Gli stipendi personali per tali uffizi tra noi in Torino sono regolati come segue:
I capi d'arte nelle officine del nostro istituto sono da 24 a 28 fr. per settimana; ma si provvedono di vitto e vestito, alloggio a loro spesa.
Il portinaio, il cuoco, gli altri servitori, i prefetti o sorveglianti, i maestri di scuola, sogliono avere vitto e alloggio nell'interno dell'istituto in cui prestano servizio con una mesata di fr. 25 per le spese di abiti, bucato, calzamenta, riparazioni e simili.
Il numero di queste persone dovrà aumentarsi o diminuirsi in proporzione del numero degli allievi.
Qualora questi uffizi possano affidarsi a soci Salesiani si potranno fare notabili riduzioni sullo stipendio degli esterni.
Art. 4° Per le scuole elementari, diurne e serali, ed anche per le classi professionali saranno inviati maestri muniti dei loro titoli, ovvero patenti o diplomi, e ciò per non esporsi a disturbi da parte dell'autorità scolastica.
Art. 5° I giovanetti proposti dalla Commissione potranno essere accettati colle condizioni che più piaceranno, purchè siano di sana complessione ed abbiano l'età di dieci a sedici anni. Essa può anche licenziarli dall'istituto; ma nel tempo che dimoreranno in esso, dovranno seguire le regole e la disciplina comune agli altri allievi. [657]
Art. 6° Il sistema di educazione praticato dai Salesiani, detto preventivo, non facendo uso nè di castighi, nè di minaccie coercitive, richiede un legame tutto particolare da coloro che esercitano qualche uffizio nell'istituto; perciò sì fa rispettosa preghiera ai signori della Commissione che lascino liberamente praticare il regolamento interno adottato in tutte le case salesiane, d'Italia, di Francia e di America.
Art. 7° Si spera che tale istituto durerà dopo di noi; ciò nulladimeno si può fissare a dieci anni la durata di questa convenzione. Qualora avvenisse (certamente non succederà) che una delle parti volesse sciogliere tale convenzione, dovrà darne avviso all'altra parte cinque anni prima.
Art. 8° I Salesiani andando come congregazione religiosa nella città di Roma è inteso che preventivamente dovranno prendere i concerti e le condizioni che il Santo Padre o l'Em.mo card. Vicario giudicheranno opportuni per la maggior gloria di Dio e pel bene delle anime.
Art. 9° Questa convenzione comincerà ad avere effetto il giorno in sui sarà firmata da ambe le parti ed i Salesiani entreranno nei rispettivi loro uffizi.
NB. Ammesse le basi sopra descritte si potranno senza difficoltà stabilire tutte le altre cose concernenti alla pratica delle medesime.
Quando la Duchessa di Galliera tornò a Genova, il Servo di Dio a mezzo dell'agente di lei signor Angelo Ferrari le fece pervenire le lettere romane. Nel frattempo il proprietario dello stabile, signor Pascucci, pressato da altri acquirenti, aveva chiesto un compromesso con Don Bosco[335]. Il Beato ne riferì al Capitolo Superiore la sera del 27 dicembre. - Come si ha da rispondere? domandò ai Capitolari. Abbiamo necessità di una casa in Roma. Il locale è adatto e si può ingrandire; l'aria è certamente salubre; si spera di cavarcela colle sole spese di riattamento e di mobiglio. Buona cosa è l'essere vicino al Vaticano... - Il Capitolo diede voto favorevole; e in senso favorevole Don Bosco rispose a Roma.
Due cose congiurarono contro il buon successo dell'impresa. In quel la casa vi era una tipografia regia, la cui locazione scadeva alla fine del 1881. Sembrò bene che il conduttore [658] fosse disposto a sgombrare pel '79, essendo quell'ambiente troppo angusto; ma non ci consta che le difficoltà inerenti a tale trasloco siano state vinte. Un secondo contrattempo fu la risposta negativa della Duchessa, sulla cui generosità si faceva tanto assegnamento. Tale risposta arrivò sul cader di febbraio del 1879. Il porgitore delle lettere comunicava a Don Bosco essere la Duchessa spiacentissima di non poter concorrere alla fondazione dell'Istituto romano; ingenti impegni aver ella presi per l'erezione e il mantenimento a tutto suo carico di parecchi stabilimenti benefici, fra cui due grandiosi ospedali in Genova[336]. Il fatto è che quando nel marzo del 1879 Don Bosco andò a Roma, dell'immobile di fuori porta Cavalleggeri non si parlò più, ma le ricerche furono rivolte altrove. Si voleva adattare un convento: monsignor Iacobini e il cardinal Oreglia, d'accordo col Santo Padre, spingevano; Don Bosco andò dal Prefetto di Roma per le autorizzazioni necessarie. Compiute tutte le pratiche, i signori romani s'avvidero di non aver più bisogno di Don Bosco e di poter fare da sè. Avrebbero desiderato però che egli, dipendendo da loro, tenesse oltre la direzione spirituale quella interna sotto la loro sorveglianza. Don Bosco rifiutò; donde il principio della freddezza del cardinal Oreglia verso di lui.
Delle tante opere intraprese dal nostro Beato non ve ne fu neppur una che siasi dovuta abbandonare per manco di prudenza nell'assumerla. Quella prudenza che, secondo le Costituzioni da lui date alla Pia Società, dev'esser “massima” nel procedere all'apertura di nuove case, fu praticata sempre da lui in grado eminente. N'è prova anche la deliberazione presa dal Servo di Dio nel dicembre del 1878 di [659] mandare Don Cagliero e Don Durando nei luoghi, donde gli erano venute le proposte di maggior rilievo, per tutto osservare e riferire. La scelta cadde su di loro, perchè ad essi quell'anno egli aveva affidato l'incarico dì sbrigare le pratiche riferentisi all'accettazione di opere. Il divisato giro, nel quale fu compresa anche la Sicilia, si potè compiere nel febbraio del 1879. Nè il Beato Padre dispiegava tanta circospezione solo per le opere da affidare ai Salesiani. Fra l'estate e l'autunno Don Cagliero aveva accompagnato a Quargnento nel circondario di Alessandria Don Bosco, che volle de visu rendersi conto delle condizioni, in cui si sarebbero ivi trovate le Figlie di Maria Ausiliatrice, richieste per l'asilo infantile. Tre suore vi si recarono poi il 21 novembre, condotte e installate dallo stesso lor direttore generale Don Cagliero. Fu il primo pubblico asilo aperto dalle Figlie di Don Bosco.
Quanti rompicapi si sarebbe potuti risparmiare Don Bosco, se in moltissimi casi avesse preferito andare per le spicce, rispondendo o facendo rispondere di no a chi gli presentava proposte! Ma i procedimenti spicci sono propri degli scansafatiche, non dei Santi. La norma dì condotta ch'egli seguiva, è formulata in queste righe scritte a non sappiamo che Monsignore il 30 agosto 1877: “Ella sa che fo tutto quello che posso ed approfitto di ogni occasione. Si tratta di accettare o comperare? Faccia la pratica e mi dica come debbo farla progredire. Da mia parte non risparmierò niente per tentare di guadagnare qualche anima al Signore”.
OGNI nuova fondazione ha la sua storia, che viene ad aggiungere un nuovo filo alla trama della biografia di Don Bosco. Quello sfondo già così ricco e vario ne acquista sempre maggior ricchezza e varietà a gloria di Dio, che è mirabile ne suoi Santi, e a edificazione di chi legge.
Due tipografie in continuo sviluppo e attivissime fecero sentire al Beato la necessità di rendersi indipendente nel rifornimento della carta; oltre a ciò egli vagheggiava l'idea di giovare alla buona stampa, col fornire alle pubblicazioni periodiche dei cattolici italiani carta di buona qualità e a buon prezzo. Quel bisogno e questo disegno mossero il Servo di Dio a un'impresa un po' azzardata. A Mathi, comune situato sulla linea ferroviaria da Torino a Lanzo, era vendibile una cartiera, appartenente a una vedova Clotilde Varetto; Don Bosco la adocchiò, ne trattò con la proprietaria e decise di farne acquisto, tanto più che le condizioni gli erano favorevolissime. Con scrittura privata si obbligò a passare alla signora una rendita vitalizia di lire dodicimila, e il 26 aprile 1877 fu rogato l'atto di vendita, nel quale si supponevano versate antecedentemente centomila lire. A [661] tanta semplicità di contratto dovevano purtroppo succedere tosto complicazioni di esercizio.
Compiute tutte le formalità di legge, il Beato per non lasciare ferma la fabbrica si procurò un direttore tecnico, che gliela facesse andare. Era questi un tal Domenico Varetti[337], che esercitava a Genova il commercio con un negozio di maglie. Da gran tempo amico di Don Bosco, gli aveva già fin dall'anno innanzi espressa l'intenzione di abbandonare quel suo commercio, perchè diceva che gli affari non gli andavano più bene; sperava per altro che, trasferendo il suo domicilio a Torino, avrebbe potuto accudire meglio la fabbricazione delle maglie, che faceva fare a Bosco Marengo e a Lanzo: onde, assai prima che il Servo di Dio lo invitasse, egli ricercava un alloggio per la famiglia, nella città di Torino.
Alla chiamata di Don Bosco si arrese dunque molto volentieri, mostrando che desiderava di fermare con lui una convenzione di Società. Don Bosco vi acconsentì e lo pregò di formulare una proposta per iscritto. Quegli la formulò, ma per primo articolo ci mise: “Il Sig. Don Bosco per conto della Società fece acquisto di una cartiera in Mathi”. Poi tirava innanzi considerandosi socio non solo nell'esercizio, ma anche nella proprietà. Correva troppo il Genovese: l'acquisto era stato fatto da Don Bosco a conto proprio e non a conto della Società. Il Beato quindi gli contrappose questo altro progetto[338].
SOPRA UNA FABBRICA DA CARTA IN MATHI.
Colla presente privata scrittura, da potersi registrare a semplice richiesta di una delle parti, si è costituita una società avente per iscopo la fabbricazione di carta alle seguenti condizioni: [662]
I° Il sacerdote Gio. Bosco a suo conto e proprie spese fece acquisto di una cartiera dalla Signora Clotilde Varetto nel paese di Mathi. La casa rustica e civile, il giardino piccolo e grande, le macchine, il motore di acqua, con tutti gli oggetti entro stanti saranno portati in Società.
2° L'atto di acquisto, il rilievo ed ogni altra spesa fatta o da farsi relativamente alla fabbrica, agli edifizi o terreni annessi saranno in comune e verranno preservate sopra gli utili ricavandi.
3° Si farà un inventario dello stato e valore dei mobili ed immobili sopra cui è fondata la Società. In fine poi di ogni anno sarà rinnovato.
4° Sarà pure a comuni spese l'annualità di fr. 12 mila che ogni anno devonsi pagare alla Signora Clotilde Varetto sua vita natural durante.
5° Tanto la cassa, quanto la gestione del Magazzino che della fabbrica saranno stabiliti in Torino od altro sito da stabilirsi di consenso d'ambe le parti
6° Ciascuno dei soci avrà la firma della Società che procederà sotto al nome di ditta Varetto e Comp. Ma niuno dei soci potrà rilasciare o accettare cambiali o pagherò, nè fare operazioni bancarie o di simil genere senza il consenso dell'altro socio. Ciascun socio può a suo piacimento prendere visione della cassa, dei registri e dello stato attivo o passivo della Società.
7° Ad ogni socio sarà dato l'interesse annuo del 6 % sul capitale che egli avrà portato in Società. Prelevate le spese di manutenzione, di riparazione, pigioni, tutte le altre incontrate dalla Società, si diverrà alla divisione degli utili in parti eguali.
8° La Società durerà tre anni e si intende continuare se una parte non ne darà all'altra regolare preavviso di un anno.
9° In caso di decesso della Sig. Varetto o di uno dei soci la Società resta sciolta col termine di quell'anno.
10° Il Sig. Varetto si obbliga di stabilire il suo domicilio in Mathi e di rendersi responsabile della moralità, del lavoro e dei personale che nella fabbrica sarà applicato negli uffizi, o nei lavori materiali. Il medesimo avrà cura che i prati e il giardino annessi siano coltivati, e potrà liberamente servirsi di ogni sorta dei prodotti, frutti o di altro che fosse dai medesimi ricavato.
11° Ambedue i soci volendo fare un'opera speciale di beneficenza si offrono di somministrare la carta che occorre alla Tipografia dell'Oratorio di S. Francesco di Sales in Torino e di quella di S. Pierdarena al puro costo rinunciando ogni lucro a favore di questi Istituti di beneficenza.
Ma il Varetti fece orecchio da mercante, continuando ostinatamente a pretendere di essere comproprietario; donde ebbe origine un dissidio, che non si potè mai comporre. [663] Altro punto di divergenza fu che Don Bosco per risparmio di spese e per sapere ciò che si passava nella fabbrica, aveva ordinato che la contabilità fosse tenuta in casa sua a Valdocco e così pure il deposito o magazzino della carta. Il Varetti invece con grave dispendio per il fitto tenne prima in un sito e poi in un altro l'ufficio, la contabilità e il magazzino di deposito. Don Bosco gli aveva fatto mettere a disposizione due camere nell'Oratorio; ma dopo parecchi mesi, udendo che non se ne serviva, le destinò ad altro uso. Si noti che il Varetti faceva ritorno ogni sera a Torino, dove abitava la sua famiglia.
Intanto nella fabbrica il lavoro non soffriva indugi. Il signor Varetti, sebbene munito di semplice procura, la faceva da vero padrone, non firmando mai per procura, ma in nome proprio e riscotendo i crediti senza darne verun conto. Somministrando però carta all'Oratorio, presentava le fatture con indicazioni di prezzo superiore al comune; viceversa, ritirando ritagli dei legatori, li computava a molto meno dell'ordinario. Egli fece pure molte innovazioni e provviste assai costose e se di alcune parlò con Don Bosco, su di altre tacque. Meno male, se tutte o la maggior parte fossero state utili! Insomma agiva da padrone, talmente che nell'estate trasportò alla cartiera tutta la famiglia, assegnando alloggio e mantenimento anche a famiglie estranee, senza pure farne motto a Don Bosco.
Naturalmente a fronteggiare le spese occorrenti sia per provviste di materie prime sia per riparazioni ed innovazioni ci volevano grosse somme. Si sperava che il Varetti, pretendendola a comproprietario, vi avrebbe concorso per giusta metà od almeno in misura considerevole; ma egli propose di emettere dei pagherò. Così fu fatto; se non che le cambiali da lui firmate non avevano corso, se non avvallate da Don Bosco o da Don Rua. E il peggio si era che alla scadenza non avveniva mai che il Varetti ne pagasse pur una; laonde a costo di gravi sacrifizi Don Bosco dovette [664] sempre soddisfare da sè, sborsando in pochi mesi l'ingente somma di oltre settantamila lire.
Per questa via si correva al fallimento. Sul finire del 1877 Don Bosco, di fronte a tali uscite senza adeguati corrispettivi, si mostrò disgustato della cartiera; lo stesso Varetti disse a lui e ad altri che sarebbe stato un bel giorno, un giorno fortunato quello in cui fosse possibile disfarsene. A tale linguaggio Don Bosco, facesse sul serio o volesse studiare il suo uomo, pregò l'antica proprietaria di riprendersela o di aiutarlo a venderla, indennizandolo lei delle migliorie introdotte. Quando il Varetti vide che si procedeva così a una retrocessione o ad una vendita, si oppose risolutamente, nonostante l'assicurazione fattagli da Don Bosco che egli non avrebbe avuto a scapitare per l'opera sua; anzi, sentendo che la signora insisteva per riaverla o comunque rescindere il contratto, si disse pronto a sostenere qualunque lite ella fosse per intentare.
Le cose erano a questo punto, quando Don Bosco chiese un resoconto della gestione, per vedere se convenisse continuare o no. Bisognò aspettare oltre un mese per averlo: in febbraio alquanto inoltrato si ebbero i conti fino al 31 gennaio. Li esaminarono persone competenti, delegate da Don Bosco: affiorarono cose che richiedevano spiegazione. Più e più volte il Varetti, fu pregato di trovarsi a convegno per fornire schiarimenti; ma fu sempre, come dir al muro. Allora Don Bosco chiese di poter avere i registri per osservare come si navigasse; insistette nuovamente per avere in casa la contabilità. Si era già al maggio del 1878: dopo reiterate istanze, alla fine, il Varetti portò un solo registro contenente appena qualche contabilità e solo fino al 31 gennaio precedente, sicchè non si poteva rilevare lo stato vero delle cose, nè quali fossero i creditori e i debitori.
Don Bosco, che tuttavia trattava sempre amichevolmente il Varetti, in giugno per mezzo di amici lo pregò di consegnargli spontaneamente la fabbrica, assicurandolo che [665] poi sarebbe stato compensato di quanto fosse riconosciuto in credito e per l'opera da lui prestata. Non ci fu verso: pretendeva di essere anzitutto indennizzato di somme rilevantissime. Intanto le spese crescevano: proseguire così all'infinito sarebbe stata follia. Per consiglio di legali egli fu prevenuto che si voleva ritirargli la procura; andasse dunque egli stesso dal notaio a rinunziarvi per evitare passi disgustosi e pubblicità punto a lui onorevoli, S'incaponì a suo danno; poichè la si dovette revocare e se ne pubblicò la revocazione[339]. In seguito, visto che continuava a lavorare e non pensava alla consegna della cartiera, Don Bosco lo citò avanti al tribunale di commercio, dove fu condannato con sentenza del 30 agosto 1878, della quale ecco il tenore: “ Il Tribunale di Commercio di Torino... dichiara, previo regolare inventario a farsi dal perito infra nominato, tenuto il Varetto alla consegna al Don Bosco dello stabilimento a Cartiera di Mathi colle sue dipendenze, attrezzi, meccanismi e merci, inibendo il Varetto di più oltre ingerirsi in qualunque guisa nell'andamento della Cartiera medesima, mandando al Varetto stesso di consegnare al liquidatore Carlo Cereseto di questa città, che si nomina d'ufficio, tutti i libri e registri di contabilità tenuti dal Varetto, con incarico di formarne altresì il conto del rispettivo dare ed avere, dichiarando la presente esecutoria non ostante appello senza cauzione. Colle spese da accertarsi a carico del Varetto „.
Qui un comune amico s'interpose per finire la vertenza a mezzo di amichevole componimento. Di buon accordo pertanto fu pregato il signor Carlo Dovo geometra di compilare [666] l'inventario e i signori Manfredo Pansa negoziante e Michele Fumelli causidico di fare da arbitri, eleggendosi un terzo, che fu l'avvocato Armisoglio. In un autografo di Don Bosco si leggono per gli arbitri queste osservazioni: “In ogni cosa si ritenga che niuno dei danni reclamati dal sig. Varetto fu minimamente cagionato da Don Bosco; il quale anzi dopo la resa dei conti avrà dei gravi danni a reclamare, danni provenienti dalla direzione arbitraria della cartiera. Nel fissare poi lo stipendio al Direttore, devesi ritenere che il sig. Varetto non è mai stato direttore di Cartiera e fece tutto il suo tirocinio nell'amministrazione della Cartiera di Mathi”. Che egli non figurasse punto come Direttore, ne abbiamo una prova in questo, che le pratiche per lo smercio della carta furono quasi tutte fatte da Don Bosco con lettere firmate di proprio pugno. Abbiamo trovato questa copia di un modulo per, acquistare clienti, e con firma autografa.
Onorev.ma Direz.e dei Giornale “La Donna e la Famiglia”,
Il sottoscritto desideroso di prestare l'opera sua in favore della buona stampa, fece acquisto d'una cartiera, e sarebbe in grado di disimpegnare qualunque commissione di carta che dalla S. V. Ill.ma gli venisse conferita, assicurandole tutte le possibili facilitazioni nei prezzi.
Qualora pertanto credesse onorarmi dei suoi graditi comandi, sia compiacente indicarmi la qualità della carta, la misura del formato e la quantità che le potrebbe occorrere, e sarà mia cura fargliene tosto una piccola spedizione per campione coi relativi ristretti prezzi.
In tale lusinga, con viva stima ed amicizia mi raffermo
Dopo lunghe pratiche la sentenza arbitrale assegnò al Varetti:
Per onorari |
.L. 4.500 |
Per indennità |
„ 8.500 |
Per parte sociale negli utili |
„ 14.410 |
Totale |
L. 27.410 [667] |
Gli arbitri, tenuto conto di osservazioni presentate da Don Rua, ridussero poi questa somma a lire ventitremila. Andatosene una buona volta il Varetti, Don Bosco nominò un direttore e un capo - tecnico e notificò ai clienti il ritiro del primo con questa circolare, di cui possediamo la minuta autografa.
Ho l'onore di partecipare alla S. V. che essendosi ritirato dalla cartiera dì Mathi il Sig. Domenico Varetti, la Direzione e responsabilità diretta passa al Sig. Giuseppe Buzzetti che ne assume la Direzione e l'amministrazione. A partire pertanto dal giorno... per ogni vertenza e per ogni commercio relativo alla medesima si dovrà fare capo al novello direttore, via Cottolengo 32.
Speriamo di avere il piacere di poter continuare le nostre amichevoli corrispondenze e di servirla puntualmente nella spedizione e nella qualità della carta.
A capo tecnico assunse il signor Costantino Pancaldi, col quale fece patti chiari[340]; dirigente nominò il signor Andrea Pelazza, coadiutore Salesiano. A poco a poco si stabilì presso la cartiera una piccola comunità, con a capo un sacerdote, che fu Don Antonio Varaja. L'attività della fabbrica prese così un andamento normale.
Lo zelo che ardeva in petto al Servo di Dio gli fece intraprendere nel 1877 un'opera provvidenziale. Quella che oggi è la Spezia, allora s'incamminava a diventare un centro operaio di prim'ordine ma disgraziatamente in mezzo a tanta popolazione avventizia s'eran cacciati i protestanti, [668] spiegando un'attività proporzionata alla copia dei fondi messi a loro disposizione dall'estero. Vegliava però la Provvidenza. Il missionario apostolico Don Giuseppe Persi, predicando il mese mariano nella chiesa abbaziale e collegiata di Santa Maria Assunta, unica parrocchia allora del luogo, vide a fondo le miserrime condizioni di quella gente, per quanto si riferiva alla vita cristiana. Pochi i sacerdoti addetti al sacro ministero; più pochi quei che si occupassero di predicazione e di catechismo ai ragazzi. Gran parte dei giovani studenti frequentava le scuole gratuite dei protestanti. La popolazione spezina era scomparsa quasi del tutto, inghiottita dalla marea eterogenea di lombardi, piemontesi, liguri e meridionali: un amalgama di operai, imprenditori, negozianti e soldati. Don Persi rimase spaventato al considerare che cosa sarebbe stato di quella moltitudine in un non lontano avvenire. Ne ragionò con l'abate parroco Don Domenico Battolla, sacerdote ai esimia pietà e carità, ma gran buon uomo dei tempi, in cui la gente della Spezia andava da sè alla sua chiesa. Gli propose di aprire un oratorio salesiano, ma dove trovare i mezzi, se proprio in quei giorni per crisi bancarie mancava il denaro? Con quell'idea fitta in capo il missionario, recatosi qualche tempo dopo a Roma, se ne aperse con Pio IX, il quale, commosso a sì lagrimevoli condizioni, gli rispose: Oh, si, scriverò io... scriverò io a Don Giovanni... Siamo tanto amici![341]
Il Santo Padre non a Don Bosco direttamente scrisse, ma a monsignor Giuseppe Rosati, vescovo di Sarzana, da cui la Spezia dipendeva, e gli palesò la sua augusta intenzione di fare un assegno mensile in cinquecento lire non appena constasse di una casa religiosa adatta e disposta a occuparsi specialmente della gioventù spezina. Il Vescovo senza por tempo in mezzo scrisse a Don Bosco[342]: “Un Istituto come [669] il suo che avesse cura dei ragazzi e secondo la possibilità curasse ancora colla predicazione od istruzioni e coll'amministrazione dei Sacramenti la popolazione, sarebbe senza dubbio quello che ci vorrebbe per la Spezia e quando non potesse abbracciare tutto, farebbe sempre un gran bene”. Era un mettergli le ali ai piedi; poichè da un pezzo Don Bosco mirava alla Spezia, ed ora più che mai, sapendo che i protestanti vi stavano fabbricando una loro chiesa. Egli dunque tracciò a Don Rua la risposta con queste due frasi: “Accettato in massima. Il Vescovo compia la pratica e riferisca” .
Il Vescovo ne fu consolatissimo. Cercò premurosamente un locale; ma non veniva a capo di nulla. Don Battolla parve voler mettere a disposizione dei Salesiani il quartiere da lui abitato, dovendolo lasciare per passare nella nuova canonica che egli allora si costruiva, o addirittura la nuova canonica, se fosse necessario. C'era anche un altro casamento in costruzione; ma si dubitava che non potesse essere in ordine per novembre e poi ci sarebbe voluta un'esorbitante pigione. Il Vescovo stretto fra due dall'impazienza dì fare e dall'imbarazzo della scelta, tornò a scrivergli[343]: “Non volendo fissare nulla senza di Lei saputa nè prima di esserne con V. S. d'intelligenza, non vedrei in questo caso altro espediente che pregare la di Lei bontà a voler fare una corsa in persona fino a Spezia, per veder meglio da sè e scegliere, se si potrà, quello e quanto Le sembrerà più opportuno, e all'uopo più adatto, e in tale occasione potremmo anche abboccarci insieme (chè da Spezia a Sarzana è il tragitto di circa mezz'ora) ed esporle a voce lo stato delle cose, ed aprirle tutto il mio intendimento. Carissimo Don Bosco, Le parlo con tutta libertà: se Ella non fa questo piccolo sacrifizio di portarsi qua (a Spezia) da sè, mi avvedo che o si va assai per le lunghe o poco si concluderà; perciò La prego caldamente di questo favore. Compatisca, [670] La prego, al vivo mio desiderio che avrei di vedere quanto prima aperto un riparo in questo Paese al crescente pericolo di quella povera gioventù, ed opposto un argine al preponderante torrente della indifferenza e della incredulità”.
Don Bosco vi mandò Don Rua, che vide e da Torino riferì al Vescovo le sue osservazioni[344]. I locali visitati furono tre: la nuova canonica un piano in via Marsala e un nuovo fabbricato presso l'erigendo tempio protestantico. Il primo aveva diciassette membri e un cortiletto; il secondo otto camerette a lire 700 annue circa di fitto; il terzo era senza cortile, ma con ambiente per chiesa, scuole e alloggio, a lire 2.200 di fitto. Don Rua preferiva la canonica vicina alla parrocchia. Esponendo poi a Don Bosco le sue impressioni, egli osservò che troppe cose mancavano ancora e che anzi non vi era nulla di preparato. Trovavasi presente Don Giovanni Garino, che udì e attestò per iscritto. Il Servo di Dio domandò a Don Rua in piemontese: - Ma c'è un fuiòt (padellino) per cuocere due uova? Don Rua rispose di si. E Don Bosco: - Oh, allora si può andare e mettere la casa.
Il Vescovo scartava la canonica, perchè non poteva essere pronta prima di sei o sette mesi; egli propendeva invece per la casa dei fratelli Chiappetti, che era il terzo edifizio veduto da Don Rua e giudicato il più adatto. Il proprietario non avere difficoltà a fare durante i lavori tutte le modificazioni possibili: Don Rua mandasse dunque uno schizzo indicante la disposizione dei vani[345]. Don Rua mandò. Allora il vicario foraneo di Spezia, Don Angelo Bruschi, fissò per incarico del Vescovo la casa suddetta[346], sita in via Aranci, ma fino a che questa fosse abitabile, si rendeva necessario prendere a pigione un alloggio altrove, Non è a dire con quanto ardore si accelerassero i lavori: si voleva tutto pronto pei primi dì novembre[347]. [671]
Don Bosco aveva allora un occhio alla Spezia e l'altro a Vallecrosia, dove pure si fabbricava di lena per poter tenere in scacco i protestanti. Orbene, sul principio di ottobre, mandando una supplica al Papa per averne aiuti a favore di quest'ultima impresa, dopo aver detto che l'uno e l'altro luogo stava egualmente esposto alla minaccia dell'eresia, diceva della Spezia: “La carità di V. S. ha provveduto alla Spezia; già si lavora con alacrità per riattare un edificio e provvedere il necessario suppellettile per le scuole diurne, serali, domenicali ed aprire al pubblico una chiesa in vicinanza della chiesa e scuole protestanti. Credo poter assicurare V. S. che prima del termine di questo mese non meno di tre nostri maestri si recheranno colà per impiegarsi quanto è possibile in favore di quella povera e pericolante gioventù. Se non potranno distruggere intieramente l'errore, si uniranno almeno co' sacerdoti del luogo per fare tutto quello che si può per arrestarne i progressi”. Ma quanto al tempo i calcoli di Don Bosco non tornarono; poichè ai 25 di novembre i lavori erano ancora un po' indietro[348]. Finalmente il 10 dicembre Don Cagliero vi potè accompagnare lo stuolo esiguo dei pionieri: Don Angelo Rocca, Direttore; i chierici Carlo Pane, incaricato della prefettura, e Giuseppe Descalzi; Domenico Clara, coadiutore. Presero alloggio provvisorio in un appartamento, che dava sulla via Fazio ed era del cavaliere Pontremoli. Il giorno seguente Don Cagliero li presentò a Monsignore, che li abbracciò con trasporto e li colmò di gentilezze; dopo egli passò a Lucca, per prendervi gli ultimi accordi sopra una fondazione, della quale parleremo.
Don Bosco li visitò il 19 dicembre, interrompendo per due giorni il suo viaggio a Roma. Li vide ancora disorientati, incerti sul da farsi, timidi quasi e paurosi fra gente che sapevano avversa all'opera, a cui stavano per dar principio; [672] anche il locale loro destinato non li allettava per la ristrettezza specialmente delle aule scolastiche, per la mancanza di cortile e per altri incomodi. Il buon padre li confortava col ricordo dei primi tempi dell'Oratorio, dove le condizioni erano assai peggiori.
- Ed ora, signor Don Bosco, gli chiese il Direttore, quale santo Patrono assegna alla novella casa?
- Ci ho già pensato, gli rispose. Vi lascio sotto la speciale protezione di San Paolo Apostolo. Fate di studiarne la vita e le opere, e sia egli in tutto il vostro modello. Egli vi farà da capitano: non temete: ha la spada e saprà combattere e vincere i nemici di Dio.
Tenevano questi discorsi nel tornar dalla visita fatta alla casa, quando per istrada li raggiunse il canonico d'Isengard, che, chieste a Don Bosco parecchie informazioni su quanto i Salesiani avrebbero fatto alla Spezia, insisteva sulla necessità ed urgenza di un ospizio per giovani poveri ed abbandonati, così numerosi ivi in quel tempo. Il Beato, fermatosi un momento quasi a scrutare il futuro, rispose: - Sì, abbia pazienza; poco per volta. Siamo alla Spezia e ci resteremo. A suo tempo si vedrà che cosa è capace di fare anche qui la Madonna Ausiliatrice con l'appoggio e la cooperazione di caritatevoli persone, che certo non mancano in questa città. Si avrà un ospizio per studenti e artigiani e una bella chiesa che dedicheremo a Maria Santissima. La gasa di Spezia gareggerà con parecchie altre fra le più grandi e le più fiorenti della nostra Congregazione. - Queste parole, che si avverarono letteralmente, furono di gran conforto al Direttore e ai confratelli in mezzo alle difficoltà e contrarietà che li attendevano[349] dopo la sua partenza.
I signori Chiappetti non sembravano aver fretta di dare la casa. Soccorsi non ne arrivavano, e quei poverini avevano [673] portato seco appena un po' di biancheria e di vestiario: per il resto Don Rua li aveva rimessi alla bontà del Vescovo[350]. Peggio ancora: un empio giornale, portavoce della setta, scrisse: “I corvi sono arrivati; ma speriamo che non troveranno da cibarsi”. Nel teatro poi si rappresentavano drammi scelti dal mazzo per aizzare contro i Salesiani il pubblico; uno specialmente era annunziato così sui cartelloni: “Fra Paolo Sarpi assassinato dai Gesuiti, ossia i danni dell'istruzione religiosa”. I protestanti moltiplicavano gli sforzi per assicurarsi il terreno conquistato e allargare la conquista.
Ma i nostri non aspettarono di avere tutte le comodità per mettersi al lavoro. Di giorno facevano un po' di scuola ad alcuni giovanetti di buona volontà e alla sera preparavano ragazzi e giovanotti alla prima comunione. Il 14 febbraio del 1878 era terminata la cappella in via Aranci, dove poterono finalmente stabilirsi il I° marzo. Allora il Vescovo cominciò a sonare a campane doppie contro i protestanti, emanando provvedimenti severi contro i genitori che mandavano i figli alle loro scuole. Se ne vide immediato l'effetto: i giovani disertavano in massa quelle scuole, correndo dai Salesiani, Le funzioni del mese mariano fecero il resto, attirando non solo i piccoli, ma anche i grandi.
Mentre le cose andavano di bene in meglio, ecco che si fu a un pelo di dover chiudere le scuole. Per aprirle nessuno aveva chiesto l'autorizzazione del regio Provveditore agli studi, nemmeno si era pensato a tenere in pronto, i titoli legali. Il Direttore s'immaginava che da Torino avessero provveduto a tutto, mentre di là non si era fatto niente. Verso la metà di maggio ecco dunque entrare in casa l'Ispettore scolastico, il quale, verificato come si avessero ivi tre affollatissime classi elementari, mosse al Direttore acerbo rimprovero dell'abusiva apertura, minacciando di fargliele chiudere, se entro otto giorni non si mettesse in regola. [674]
Il Direttore scrisse, telegrafò, volo a Torino: per il qual viaggio precipitoso egli rammenta tuttora “una ben umiliante ramanzina” inflittagli da Don Rua. Ebbe due patenti, che bastarono a parare i fulmini ispettoriali.
Difettavano gli attrezzi scolastici e scarseggiava la mobilia. Don Bosco, avendo saputo dove stesse accatastata molta roba utile, indirizzò, mentre stava a Roma, questa supplica al Ministro della Marina.
Fra le città d'Italia in cui abbondano ragazzi abbandonati è certamente la Spezia. I cittadini sono quasi tutti operai dell'Arsenale che non possono averne la dovuta cura, mentre il numero degli abitanti in brevissimo tempo da cinque cresciuto a ventisette mila, non permise di provvedere istituti educativi che sarebbero: di assoluta necessità. Per questi motivi parecchi di questi venivano inviati ed accolti nell'Ospizio di Torino detto di S. Francesco di Sales e in quello di S. Vincenzo in S. Pier d'Arena presso Genova.
Ma a fine di provvedere a quel crescente bisogno in modo normale e più proporzionato avrei appunto aperto un ricovero per tali giovanetti collo scopo di procurare ai medesimi una educazione che valga a farli buoni cittadini atti col tempo a guadagnarsi onestamente il pane della vita, secondo lo scopo degli istituti sopra menzionati.
Ma non avendo altri mezzi fuori della carità cittadina, mi sono fatto ardire di ricorrere eziandio alla E. V. affinchè mi venga in aiuto con alcuni suppellettili vecchi posti fuori d'uso esistenti nei magazzini di quella Marina. Questi sarebbero oggetti di Chiesa, cassettoni, comò, canestri, materassi, lettiere, tavole e panche, credenze, soffà, pennoni, tavolini, lavagne per le scuole, lavamani, rami per cucina, diversi oggetti di tela di vestiario e calzamenta di qualunque forma e comunque già divenuti logori.
Con questa largizione la R. V. coopererebbe efficacemente ad attuare un'opera che torna ad esclusivo vantaggio dei più poveri figli del popolo, i quali, se loro non si provvede, camminano per una via che forse inevitabilmente, li condurrebbe a popolare le prigioni dello Stato.
Prego Dio che La renda felice, mentre ho l'alto onore di professarmi
Leone XIII continuava a mandare il sussidio mensile concesso dal suo predecessore; quindi, avvicinandosi le feste natalizie del 1878, Don Rocca per suggerimento di Don Bosco[351], a mezzo del cardinal Nina Segretario di Stato, umiliò al Santo Padre una relazione sull'andamento del nuovo anno scolastico. “I Salesiani, scriveva il Direttore, sono in numero di sette: gli alunni che ne frequentano le scuole son circa 300, dei quali più dì un centinaio furon strappati dalle scuole protestanti, e agli altri si impedì di cadervi. La cappella dedicata a S. Paolo Apostolo è frequentata alla festa dagli allievi e da molti fedeli della città. In essa si fa a pro della gioventù ciò che fanno i nostri Confratelli nelle altre Case Salesiane: catechismi, istruzioni, prediche, conferenze, amministrazione dei Sacramenti. Sarebbe però a desiderarsi una chiesa più ampia per dare maggior comodità agli adulti, ed un più ampio cortile a fine di intrattenere un maggior numero di giovanetti in onesti divertimenti, onde allontanarli dai pericolosi; cosa che non si può avere senza un dispendio, che ci sarebbe impossibile sostenere. Un'opera da molti dimandata ed indispensabile in questa città sarebbe un Ospizio per ritirarvi i giovanetti più poveri ed abbandonati, per insegnar loro un'arte o mestiere, e trarli così dalla mala via e renderli capaci a guadagnarsi un giorno onoratamente il pane della vita. Per questo sarebbe necessario che qualche persona della città ci porgesse generosa la mano; ma quantunque tutti i buoni veggano quest'opera con compiacenza e ci animino all'impresa, tuttavia finora non si potè ottenere nè sperare aiuto e senza qualche sovvenzione che ci manda ogni tanto il nostro Superiore, ci troveremmo a mancare delle cose più necessarie”. Il Cardinal Nina nella sua risposta diceva: “ [Sua Santità] mi ha incaricato di manifestarle nell'augusto suo Nome la viva e sincera [676] soddisfazione per i buoni risultati ottenuti finora, e di esprimerle insieme la ferma e sicura speranza in cui è che i buoni Salesiani vorranno da ciò stesso togliere motivo per proseguire sempre con maggior zelo ed impegno nella santa impresa, e molto giovare poco per volta all'infelice gioventù di cotesta città”[352].
Don Bosco voleva seriamente l'ospizio e la chiesa; quindi nell'ottobre del 1878 per atto di vendita da parte di due privati e per retrocessione da parte del Demanio era venuto in possesso di due terreni adiacenti, sul viale Militare, con la condizione ivi posta ed accettata che sopra quell'area si erigesse “sollecitamente un tempio con i suoi accessori dedicato a Nostra. Signora della Neve” e al tempio andasse unito “uno di quelli istituti di carità e morale educazione, ai quali il Rev. Don Bosco aveva dedicato tutta la sua vita e di cui mercè sua erano fornite moltissime città della Francia e dell'Italia”. Fece da intermediario efficace e generoso in questa pratica il cavaliere Giuseppe Bruschi, direttore delle regie Poste e amicissimo di Don Bosco. Questo grande cooperatore, fattosi salesiano sui settant'anni e ordinato sacerdote nel 1895, vide esaudito il voto del suo cuore che la Madonna della Neve[353], tanto venerata dagli Spezini, fosse trasferita nella nuova chiesa, alla cui consacrazione egli assistette il 27 aprile 1901. Come si vede, ci volle del tempo; ma le difficoltà insorte non impedirono che il disegno concepito e portato a buon punto da Don Bosco fosse condotto a compimento dal suo primo successore. I Salesiani che lavorano alla Spezia sono oggi una trentina; ma un ricordo è [677] sopravvissuto a rammentare l'umiltà delle origini: essi vengono tuttora designati col nome di i prevìn (i pretini), come il popolino li battezzò da principio per la loro impressionante giovinezza.
Dalla Spezia Don Cagliero nel dicembre del 1877 passò, dicevamo, a Lucca, dove l'andata dei Salesiani era ormai decisa. L'opera di Lucca attraversò fasi diverse; noi qui ci restringeremo alle origini. Le chiamate furono parecchie. Nel 1875 monsignor Eugenio Nannini, decano della Collegiata di San Michele, con argomenti e con preghiere s'era ingegnato d'indurre Don Bosco a mandar Salesiani per dirigervi il seminario “dal corso elementare fino alla teologia”; nel 1876 un giovane sacerdote, Don Alfonso Cristofanini, a nome di persone agiate, trattò per un convitto con scuole e laboratori. Il Beato, che di primo acchito non soleva dire di no, chiese spiegazioni di là e di qua, ma poi fu messo tutto in tacere. Da ultimo nel 1877 ecco affacciarsi una di quelle proposte che più arridevano a Don Bosco: aprire un oratorio festivo. Dalle corrispondenze antecedenti l'arcivescovo monsignor Nicolò Ghilardi aveva capito che Don Bosco desiderava poter fare del bene anche a Lucca, e perciò gli fece scrivere da Don Antonio Menesini che egli avrebbe volentieri trattato con lui di tale argomento. Nel frattempo passarono per Lucca Don Barberis e Don Lazzero, diretti a Roma e incaricati da Don Bosco di vedere, sentire e riferire, assicurando Sua Eccellenza delle buone disposizioni del Beato. Questo fatto incoraggiò Monsignore, che il 12 settembre si mise in relazione diretta col Servo di Dio, significandogli che almeno per dar principio i mezzi vi erano. Allora Don Bosco gli rispose:
Ho ricevuto con sentimento di sincera gratitudine la veneratissima lettera di V. Eccellenza Rev.ma, nella quale mi dà notizia che la Provvidenza [678] ha già preparato i mezzi per dar principio ad una casa di poveri artigianelli in cotesta città, essendo appunto questo lo scopo principale della nostra Congregazione.
Desideroso pertanto al sommo di estendere le nostre deboli fatiche pel bene di cotesti poveri fanciulli Lucchesi mi impegnerò a preparare l'occorrente personale il più presto che mi sarà possibile.
I molti Collegi a cui debbo provvedere il necessario personale pel prossimo ottobre mi tengono nella impossibilità di mandarle i sacerdoti che V. E. desidera pel prossimo Novembre: però in tal mese spero di poter io in persona o per mezzo di uno de' miei preti fare una gita costà per visitare il locale che sembrerà più opportuno e prendere i necessari concerti con V. E. su tale importantissimo scopo.
Tutta la Congregazione Salesiana si unisce meco a ringraziarla ben di cuore di aver portato sopra di noi i suoi provvidi e benevoli pensieri.
Preghiamo intanto Iddio che lungamente La conservi, implorando la sua santa benedizione, mentre a nome di tutti mi professo colla più distinta stima e venerazione
Don Cagliero fece in dicembre la gita qui promessa. Egli vide una casa decorosa per l'abitazione dei Salesiani e una bella chiesa dedicata alla santa Croce con un discreto cortile per l'oratorio festivo; ma il personale non potè prenderne possesso se non il 29 giugno dell'anno seguente. Erano Don Giovanni Marenco, il chierico Carlo Baratta e un coadiutore Filippo Cappellano. Don Cagliero li accompagnava.
I pacifici inviati di Don Bosco non furono pacificamente ricevuti; parve anzi che l'inferno si levasse a rumore. Il grido d'allarme partì dal Fulmine, pessimo giornale cittadino, nel numero del 30 con questo telegramma dell'ultima ora: “Gesuiti discacciati Europa, preso domicilio Lucca, via della Croce N. 1242. Aperta chiesa ieri 29. Autorità tollererà tale contagio? Firmato: DIAVOLO”. Questo comunicato dall'altro mondo produsse i suoi effetti. Brutti ceffi si vedevano aggirarsi intorno all'abitazione e alla chiesa; ma il dì della battaglia doveva essere la domenica 7 luglio. Sul mattino [679] dalla casa prospiciente piovvero sassi nel cortile, dove si trovavano alcuni ragazzi. Le donne del vicinato, accortesi e uscite nella strada, levarono tanti e tali clamori, che quando le guardie chiamate giunsero, la sassaiola era cessata. Verso mezzogiorno l'Ispettore di pubblica sicurezza, come allora si diceva, avvisò Don Cagliero e Don Marenco che si macchinava un colpo contro di loro: non temessero però di nulla: evitassero di affacciarsi alle finestre: nessun male verrebbe lor fatto. Fino a tarda sera i nostri attesero alle cose del sacro ministero. Verso le dieci finivano di cenare, quando si udì un improvviso correre di folla, che, dopo breve sosta davanti alla porta del cortile in via Santa Croce, al comando di una voce stentorea aveva dato volta, infilando la via del Biscione e fermandosi proprio sotto le finestre di casa. - Ci siamo! - esclamò Don Cagliero. Infatti ecco un primo urlo: - Abbasso i Gesuiti! - esploso da più centinaia di petti. L'anima timida e tranquilla di Baratta n'ebbe spavento sì forte che gli durò ancora il dì appresso, e quello fu l'unico inconveniente della giornata; gli altri dietro le persiane ascoltavano la musica infernale, durata appena un quarto d'ora. La turba del popolaccio vociava: - Abbasso i Gesuiti! Abbasso le scuole gesuitiche! Abbasso i Paolotti! Abbasso il Municipio! - Vi erano state da poco le elezioni comunali, in cui i cattolici avevano riportato vittoria. Quelle imprecazioni venivano intercalate da: - Viva Garibaldi! Viva Trento e Trieste! Viva la rep... - Questa parola non si finiva perchè altrimenti erano guai. Si udì pure sbraitare: - Fuori il petrolio, fuori! - Qui l'Ispettore si avanzò, fece dare gli squilli, e gli eroi si squagliarono. Fra dimostranti e curiosi ci potevano essere quattromila persone. Uno squadrone di cavalleria si teneva in armi nelle vicinanze; ma non vi fu bisogno del suo intervento. Il giorno dopo si assembrò un gruppo di sfaccendati al canto di una canzonaccia con cadenze sulla parola Gesuiti. Per un mese pattuglie di guardie perlustrarono e sorvegliarono nelle ore vespertine [680] quei paraggi, finchè il contegno del nostri disarmò i sospettosi e tolse ogni pretesto ai male intenzionati.
Fu notata ed encomiata in città la calma dei Salesiani. Essi tacquero sempre ed evitarono di esporsi; Don Cagliero, che aveva invitato a conferenza i cooperatori, disdisse l'invito per non aver aria di provocare. Moltissimi del clero e del laicato visitarono i nostri per incoraggiarli. Che più? Il Fulmine del 14 luglio battè per conto suo in ritirata con un articolo intitolato: “Noi non siamo Paolotti”; con il qual motto, ripetuto a guisa di ritornello nei punti più salienti, il giornale vantava i suoi allori anticlericali, per giustificare il mutato atteggiamento nei riguardi dei Salesiani[354]. “Noi non siamo Paolotti, diceva, nè difendiamo al certo i preti; ma al seguito della dimostrazione del 7 luglio da persona amica, da persone amanti del paese e che pel bene del paese si prestano, abbiamo raccolto queste notizie”. E le notizie portavano che quei preti non erano Gesuiti, ma Salesiani; che appartenevano ad una Congregazione piemontese benemerita del popolo; che un giovane lucchese era da pochi giorni tornato in famiglia perfettamente istruito da quei preti in un'arte che a Lucca da pochi si conosceva; niente di politica entrare nella loro istituzione; doversi dunque aspettare i fatti per giudicare.
Non così un altro foglio lucchese, denominato Il Progresso, che pigliando occasione dalla dimostrazione descritta e da corrispondenze comparse sulla Riforma dell'11 luglio e sul Telegrafo del 14, giurava ai suoi lettori che sì, che veramente “alcuni monaci della Compagnia di Gesù” erano venuti a cercare un ricetto nella loro città; ma che “sempre eguali a se stessi” nascondevano “la loro odiosa qualità sotto nomi di altre associazioni religiose”. “Noi però, continuava, non solo sappiamo da fonte certa, ma lo desumiamo [681] anche dal fatto che notissimi sanfedisti[355] sono quelli che li hanno chiamati fra noi e che li proteggono: che essi appartengono veramente a quell'ordine non religioso ma politico reazionario che meritò lo sfratto da ogni parte e che fino un Papa soppresse come cognito nemico d'ogni bene sociale e d'ogni civile progresso. All'ombra di quella libertà che giornalmente insultano, tentano oggi di qui insinuarsi adescando dei ragazzi, promettendo limosine ed aiuti, onde poter più tardi, giovandosi del dominio sulla gioventù e per mezzo di questa sulle famiglie, propalare le loro idee sovversive e cercare proseliti alla reazione...”. E via di questo passo per venire a conchiudere: “All'erta adunque, e pensi e provveda cui spetta”. In altra parte del medesimo numero s'inveiva contro l'Autorità perchè tollerasse un Gesuita che predicava “impunemente le dottrine sovversive” e che si permetteva “le più sconce allusioni ed invettive „ contro le istituzioni.
Simili articoli attizzavano il fuoco nella Società Mazziniana e facevano andare fuor dei gangheri il ministro protestante; nessuna meraviglia quindi che venisse promossa una sottoscrizione di protesta da inviarsi al Ministero dell'Interno. Emissari dell'una e dell'altro corsero la città a caccia di firme. L'esito fu meschino: un cinquecento nomi di uomini e donne, di persone reali e immaginarie, di gentarella e di gentaccia, come si seppe da poi. La Prefettura stimò bene d'intercettare la lista. Ma intanto i buoni non vollero essere da meno. Per consiglio del Vescovo promossero anch'essi la loro sottoscrizione, dandone incarico al giornale cattolico Il Fedele, che in brevissimo tempo raccolse circa ottomila adesioni. Non si conobbe mai che fine facessero; [682] ma un bel giorno arrivò al Direttore una nota ministeriale che in sostanza voleva dir questo: i Salesiani si uniformassero alle leggi, qualora aprissero scuole in Lucca, e per quanto stesse da loro, non dessero occasione a disordini. Istruzioni segrete però ingiungevano al Prefetto d'informarsi se nelle prediche ai ragazzi si fomentassero malumori contro il governo. Ed ecco una domenica mattina un questurino travestito introdursi nella chiesa, mentre si andava a principiare le funzioni. Per non farsi notare dai giovani dovette starsene in ginocchio durante le orazioni, la messa e la predica, che fu sul peccato. Uscire non poteva, essendo chiuse le porte; aprirle o farsele aprire non osava; terminato tutto, se la svignò in fretta e non si fece mai più vedere.
Oramai i Salesiani, così pochini e così giovani, erano padroni del campo. “Se i suoi Salesiani, scriveva Don Marenco a Don Bosco, facessero il bene in proporzione alla stima che se ne ha, farebbero miracoli”. Certo è che l'oratorio andava a gonfie vele; anche i fedeli accorrevano al confessionale del Direttore: ma ci volevano rinforzi. “Aiuto, caro Padre, supplicava Don Marenco, aiuto ai suoi figli, chè lo aspettano come il cibo gli affamati. È necessario che i giovani abbiano molta vigilanza, e perchè sono in numero tale che l'invigilarli è da più delle nostre forze, e perchè non abbiano a farei appunti sulla morale condotta dell'oratorio. È da sapere che i giovani qui sono assai più vivi e svegliati che non quelli dei nostri paesi... Ci vuole almeno almeno un sacerdote e un chierico ed un coadiutore”. Nè le persecuzioni facevano paura. Soggiungeva il Direttore: “Con tutte queste cose in aria, noi attendiamo alle cose nostre, alle nostre pratiche di pietà, alle nostre regole. Non ci sgomentano le urla dei malvagi, ci sgomenterebbe la disgrazia di Dio, al contrario il fremere dei cattivi non è segno d'una speciale protezione e benevolenza di Gesù e di Maria Ausiliatrice?”[356]. [683]
Tratti da curiosità, alcuni preti andavano a osservare e dicevano ai Salesiani di volerli aiutare; ma alla vista di quei ragazzi “scamiciati, senza scarpe, sudici e ineducati”, unus post alium abierunt, si ritirarono tutti. Lasciavano però detto ai Salesiani che si facessero stimare, e proferendo questo verbo tracciavano con la mano nell'aria l'atto di chi dispensa vergate. Più perseverante fu il già mentovato Don Cristofanini, che dimostrava buona volontà, ma aveva paura dei ragazzi[357]. Durante la settimana si preparavano alla prima comunione giovani più grandi, che avevano bisogno di essere istruiti a parte. L'Arcivescovo, informato del crescente lavoro, si diede a cercare un luogo più adatto per l'oratorio ed anche capace di scuole.
L'aiuto invocato e atteso da una domenica all'altra giunse verso la metà di agosto. Dato alle cose un regolare assetto, il Direttore in presenza dei parenti fece con solennità la formale accettazione degli oratoriani, che in quella prima infornata furono novanta. Alla sesta domenica si navigava in piena regola. Scrisse allora Don Marenco a Don Bosco[358]: “Dapprima ci dicevano che non si sarebbe potuto continuare e che non conoscevamo questi giovani. Ora i medesimi li veggono assistere con divozione alle funzioni, attendere al catechismo e alle istruzioni, e dicono: - Veramente i Salesiani hanno un altro metodo! - Desidererebbero che i giovani stessero lì in ricreazione come gatti di marmo senza correre, nè gridare, nèdivertirsi. Noi, secondo i suoi ammaestramenti, desideriamo l'opposto”.
Sulle prime un'altra difficoltà bisognò bellamente scansare. I parroci temettero che i Salesiani andassero a scompigliare la vita parrocchiale; ma Don Marenco tenne loro al cospetto dell'Arcivescovo una conferenza che li pacificò. Anche i vecchi religiosi avevano i loro timori. Un giorno Don Marenco e i suoi furono invitati a pranzo dai Francescani, [684] i quali con i loro novizi li festeggiarono assai. Ma un padre anziano se ne stava là silenzioso e mesto. Interrogato se quella festa gli rincrescesse: - Oh no, rispose tentennando il capo. Ma io penso che questi giovani Salesiani, così pieni di vita, siano destinati dalla Provvidenza a soppiantarci e a succederci nei nostri posti.
Indubbiamente Don Bosco additava col proprio esempio la via della salvezza a chi nel campo dell'apostolato non voleva essere tagliato fuori della vita. Di qui la sua cautela a scansare gli scogli della politica. L'Arcivescovo desiderava che Don Marenco accettasse la nomina ad Assistente Ecclesiastico del Circolo lucchese della Gioventù Cattolica. Debbo accettare? - scrisse questi a Don Bosco[359]. Non abbiamo rinvenuto la risposta; ma Don Nardi, che allora faceva parte della piccola comunità, dice di non essersi mai accorto che il Direttore esercitasse tale ufficio, mentre, se ciò fosse stato, la cosa non gli sarebbe punto sfuggita. È molto probabile che Don Bosco ne lo sconsigliasse. Infatti l'anno innanzi, temperando certi entusiasmi di Don Vespignani[360] per il medesimo oggetto, gli aveva osservato: Non è questo il nostro spirito. Noi cerchiamo solo che ci lascino lavorare in mezzo alla gioventù; quindi asteniamoci dalla politica. In altro che non fosse occuparci di fanciulli, noi saremmo fuori del nostro posto. - A ben intendere le quali parole, è da tener presente che allora, l'Azione Cattolica non aveva di mira soltanto la diffusione dei principii cristiani nella società con l'esemplarità della vita e con lo zelare gl'interessi religiosi; ma, poichè in Italia i pubblici poteri legiferavano apertamente contro la libertà della Chiesa e i diritti della Santa Sede, ne veniva di conseguenza che la Gioventù Cattolica si slanciasse anche nell'arena politica per la difesa della fede: era del resto un campo che in tanto battagliare di partiti nessuno poteva loro precludere. [685]
Don Bosco invece di politica non volle mai sapere. Dovunque potesse, accoglieva ben volentieri i soci della Gioventù Cattolica per funzioni e manifestazioni religiose, li animava a far del bene, senza però mai immischiarsi nella loro attività.
Questo suo obbiettivo di rimuovere impedimenti a fare il bene ci spiega anche qualche consiglio da lui dato nella stessa materia. Il torinese conte Vittorio Thaon di Revel, fratello di Paolo, Duca del Mare, aveva terminato il liceo nel collegio di Valsalice. Conseguita la licenza, chiese a Don Bosco se dovesse inscriversi nella Gioventù Cattolica, che sorgeva allora. Il Servo di Dio, fermatosi un po' a riflettere, bonariamente gli rispose: - No, non t'inscrivere. Data la condizione della tua famiglia e la tua intenzione di entrare in diplomazia, potrai fare del bene, avviandoti per tale carriera. Inscrivendoti, incontreresti degli inciampi. - Il conte, narrando il fatto a Don Filippo Rinaldi: - Come si scorge che Don Bosco aveva la vista lunga! esclamava. Se non l'avessi ascoltato, certamente non avrei fatto la mia carriera.
Un altro fatto ci pone in grado di comprendere sempre meglio quali direttive pratiche governassero la condotta di Don Bosco nel conflitto fra l'autorità politica e la religiosa. Nei giorni 11 e 12 dicembre del 1878 si tenne a Torino il primo congresso regionale piemontese, promosso da Leone XIII per la trattazione degli affari religiosi di maggior rilievo e per una coordinazione degli sforzi di tutti i cattolici italiani contro i continui soprusi settari. L'Oratorio non vi prese parte se non col mandare l'offerta di lire venti in segno di piena adesione. I convenuti si adunavano nella chiesa dell'Arcivescovado sotto la presidenza del conte di Castagnetto e di monsignor Gastaldi. Il Papa aveva destinato il duca Salviati ad assistervi e il cardinal Nina l'aveva munito d'una lettera di raccomandazione, ma Monsignore, richiesto per un eccesso di cortesia dal Duca se nulla avesse in contrario, disse ai vicini che non lo voleva, e a lui non diede alcuna risposta. Onde il nobile patrizio, che era già venuto [686] nel suo tenimento di Migliarino presso Pisa per trovarsi meno lontano, dovette ritornarsene deluso a Roma. Ora avvenne che, avendo monsignor Bodoira d'Ivrea fatto il nome di Don Bosco ed espressa la speranza che aprisse una casa a San Benigno Canavese, comune di quella diocesi, l'assemblea proruppe in un applauso istantaneo, unanime, e due volte risonò il grido: Viva Don Bosco! Ci si volle subito vedere una specie di riparazione; perchè l'Arcivescovo nel suo discorso, essendosi diffuso a parlare di Rosmini, de' suoi scritti e delle sue famiglie religiose, non aveva detto nemmeno una parola nè del Cottolengo nè di Don Bosco[361]. L'Unità Cattolica poi, dando relazione della prima seduta[362], enumerate le rappresentanze dei Vescovi assenti, senza menzionare alcun altro disse che il “Venerando fondatore della Congregazione Salesiana, Don Giovanni Bosco „, aveva mandato la preventiva adesione. Eran cose che tornavano a grande onore del Beato; pure egli ne rimase spiacente, perchè sapeva quanto i segugi del governo spiassero le istituzioni e le persone che pigliavano posizione di combattimento contro l'anticlericalismo dello Stato e che se egli fosse sospettato d'essere entrato in lizza, tutto quel mondo ufficiale che faceva la pioggia e il bel tempo si sarebbe scatenato contro le sue opere. Per altro gli ecclesiastici più illuminati comprendevano benissimo e apprezzavano altamente la prudenza della sua tattica; prova ne sia che durante quei giorni non cessò nell'Oratorio il viavai di Vescovi, di rappresentanti vescovili, di sacerdoti pubblicisti, d'influenti teologi che andavano a conferire con Don Bosco e a consultarlo.
Un collegio salesiano che ebbe principio nel 1878 e che fu sempre dei più fiorenti in Italia, è il Manfredini di Este. [687]
Non costò a Don Bosco nè lunga nè laboriosa preparazione: in pochi mesi tutto fu conchiuso e ben conchiuso. Il merito precipuo risale a un zelante sacerdote, a Don Agostino Perin, parroco di Santa Maria delle Grazie in Este. Angosciato per i danni che il laicismo scolastico arrecava alla gioventù, volle nel suo Veneto un grande collegio, dove s'impartisse un'educazione schiettamente cristiana. Egli pure sapeva che per questo l'uomo del giorno era Don Bosco. Dopo sommarie intese epistolari, venne in giugno a Torino, conferì col Servo di Dio e tornò a Este con una grande contentezza nel cuore: entro l'anno i figli di Don Bosco sarebbero andati là.
Don Perin aveva posto gli occhi sopra un palazzo monumentale, noto nella regione sotto il nome di Ca' Pesaro, dalla famiglia veneta che lo fece costrurre nel secolo XVIII. Bello per architettura, grandioso per dimensioni, comodo per ampiezza di membri, s'innalzava all'aperta campagna, in sito amenissimo, prospettando la catena dei colli Euganei, alle cui falde si adagiava, e quella dei monti Berici; lo cingevano prati e campi, trasformabili in cortili, orti e giardini. Quanto a locale, non si poteva desiderare di meglio. Destinato a offrire riposo e svago in tempo di villeggiatura a nobili signori, da anni i proprietari non vi tornavano più. Lavori di adattamento ce ne sarebbero voluti: ma non urgeva eseguirli tutti in una volta: intanto la casa c'era.
Il Beato, secondo il solito, volle anzitutto conoscere come la pensasse il Vescovo di Padova: Don Perin gli rese questo servizio. Di ritorno da Torino, egli l'andò a visitare, non senza timore di qualche opposizione per amore del seminario; invece n'ebbe pienissimo assenso con l'incarico di scrivere a Don Bosco che lo ringraziava tanto tanto di sì bella carità e che desiderava grandemente abbracciarlo e che gli mandava cento e cento benedizioni. Questo avveniva il 24 giugno; il 25 Don Perin stipulò il contratto del locale e il 26 pregò Don Bosco di andare a vederlo e a dare ordini opportuni per [688] il riattamento[363]. Non si correva dunque, ma si volava. Don Bosco mandò l'economo generale Don Sala, sulle cui indicazioni fu posta mano senz'altro all'opera, avendo i proprietari permesso di così fare anche prima che si redigesse l'istrumento.
Intanto la notizia si divulgava: tutti ne dicevano bene, compresi i liberali[364]. Il Vescovo in una sua lettera del 24 agosto scriveva a Don Bosco: “L'assicuro che con questa fondazione non solo reca piacere inesprimibile a me, ma eziandio al zelantissimo arciprete di Este mons. Agostino Zanderigo, il quale da me interrogato sul suo avviso circa il progetto mi rispose: "Se il progetto in parola va, come spero, effettuato, benedico di tutto cuore la divina Provvidenza, che al fianco del male suscita il bene. Io confesso ingenuamente alla P. V. Rev.ma che le scuole comunali reali e ginnasiali di Este mi pesano sul cuore. La mia pastorale influenza è in esse impenetrabile... In tale condizione di cose io ritengo una vera provvidenza il progetto in discorso per le famiglie che amano di far educare cattolicamente i loro figli"„.
L'istrumento venne redatto il 16 settembre nello studio del notaio Nazari di Este, fra Don Perin “per conto, nome ed interesse e coi denari” di Don Bosco, e i conti Gradenigo di Venezia proprietari, al prezzo di lire trentacinquemila, oltre le spese degli atti.
“Coi denari di Don Bosco „ dice l'atto notarile; noi diremo più esattamente coi denari della Provvidenza. Narreremo un solo episodio che lo dimostra. Viveva a Este il cavaliere Benedetto Pelà che da semplice bracciante si era creata con il lavoro, il risparmio e l'abilità una fortuna di parecchi milioni. Egli largheggiava coi poveri, non però quanto le sue sostanze avrebbero comportato, tanto più che non aveva eredi necessari. A due nipoti che andavano spose, aveva [689] assegnato in dote lire duecentomila per ciascuna. Allorchè Don Perin ottenne da Don Bosco la promessa di un collegio in Este e spingeva innanzi le pratiche per la compera di Ca' Pesaro, aveva bisogno di trovare una somma subito indispensabile. Si raccomandò a una delle suddette nipoti, la signora Bettina Legnaro, perchè lo aiutasse a espugnare lo zio. La brava donna non si fece pregare. Un mattino gli tenne questo discorso: - Guarda, zio, tu sai quanto io ti voglio bene. Come sei stato generoso nel darci una sì ricca dote! Ma, vedi, piuttostochè avesse a soffrirne l'anima tua, io sarei pronta a restituirtela e tornare povera come prima. Tu sei sempre stato un gran galantuomo; in tanti affari però, in tanti contratti non potrebbe darsi che qualche volta fosse rimasta lesa la giustizia? È tanto facile che così avvenga! Io dunque non vorrei che mio zio avesse qualche conto da rendere al Signore. Purchè tu sia felice in eterno, a me poco importa restituirti la mia dote, se questo deve servire alla tua salvezza.
Il signor Benedetto ascoltava, guardava, si sforzava d'indovinare a che mirasse quel discorso, ma non trovava il bandolo. Infine le chiese: - Ma insomma si può sapere che cosa vuoi che io faccia?
- Vorrei che tu facessi un'opera buona di più.
- Mi pare di farne abbastanza. Non soccorro l'ospedale, l'asilo infantile e altre opere pie?
- Ma, vedi, mio caro, ci sarebbe un'altra cosa da fare.
- Dimmi qual è, e farò quanto vuoi.
- Ascoltami. Tu sai come a Este la povera gioventù stia male in fatto d'istruzione. Il parroco Perin vuol far venire Don Bosco, anzi s'è già impegnato a comprargli una casa; ma egli non ha denari e Don Bosco è povero... Ci vorrebbero subito almeno diciottomila lire.
- E che intenderesti dire con ciò?
- Che tu, così ricco, facessi quest'opera di carità.
- Oh, solamente questo volevi? Potevi dirmelo subito. [690] Là c'è la cassa, qui ci sono le chiavi: prendi, apri, tira fuori l'occorrente e dallo al parroco.
La signora andò a prendere quella somma, che permise di conchiudere il contratto. Poco dopo, andato Don Sala a Este, il Pelà glie ne donò altre seimila. In seguito fu sempre tutto cuore per i Salesiani, tanto che nelle varie costruzioni fattesi successivamente profuse circa un milione.
Il primo Direttore di Este fu Don Giovanni Tamietti. Don Bosco l'aveva preconizzato da circa otto anni. Nel 1870 il signor Antonio Venturini, uno dei tanti cooperatori salesiani di fatto, aveva proposto al Beato di aprire in Este un collegio, acquistando con poco un convento di san Francesco con l'annessa chiesa. Proposta allora prematura; ma un giorno di quell'anno Don Bosco passeggiando con Don Tamietti sotto i portici dell'Oratorio, gli domandò a bruciapelo: - Andiamo a Este?
- Andiamo pure, rispose ridendo l'interrogato.
Vide ai 10 di ottobre del 1878, quando col maestro Giovanni Vota per compagno e con cinquecento bigliettini da due lire in tasca pose piede nella storica città. Don Perin che li attendeva a braccia aperte, li condusse in casa sua, diede loro da cena e li accompagnò in casa dei signori Mistrello, dove pernottarono. Li aveva preceduti di qualche giorno Don Sala. Con lui e col parroco s'incamminarono l'indomani verso il luogo della loro residenza. Sognavano una piccola reggia. Si era anche detto loro: - In Ca' Pesaro non manca nemmeno un chiodo. - Ma, ahi, delusione! Vi trovarono tutto sossopra; operai da ogni parte; non una finestra, non una porta che facesse bene il suo uffizio; vuote le camere e tuttora umide le pareti. Come abitarvi? La Provvidenza li soccorse. A cinque minuti di là abitava il signor Giacomo Grandis con la sua signora: non avevano figli e la loro casa era ampia. I nostri quattro gli fecero visita; egli li invitò a pranzo e, capito a volo il disagio dei nuovi venuti, [691] lasciò partire Don Sala e Don Perin e ritenne seco Don Tamietti e il maestro Vota, che stettero in quella dimora ospitale fino ai 18 di novembre, allorchè col prefetto Don Tommaso Calliano giunsero tre altri confratelli[365] e andarono tutti insieme a stabilirsi in quello che fu ed è il collegio Manfredini, così denominato in ossequio a monsignor Federico conte Manfredini, vescovo diocesano.
Don Bosco fece stampare il programma, eguale in tutto a quello degli altri nostri istituti allora esistenti, tranne che la retta era unica di lire venticinque e si concedeva un mese solo di vacanza, nel quale la retta continuava a decorrere.
Del primo anno scolastico Don Tamietti in una succinta cronaca lasciò scritto. “Dire come lo si passò è quasi impossibile. Ora lieti e fiduciosi, ora scorati; ora si parlava di un fiorente avvenire, ora si aveva quasi la certezza che quello fosse il primo e l'ultimo anno, poichè le difficoltà erano molte. Ogni giorno si sentiva la mancanza di qualche cosa, nè certo si sarebbe nemmeno potuto vivere un mese, se il sig. Agostino Pelà, fratello del sig. Benedetto, non ci avesse provveduto dal suo negozio di qualunque cosa abbisognassimo, a credito, per tutto l'anno. Di più una forte nevicata venne ad accrescere il freddo e l'umido di quell'inverno, mentre stufe non ve n'erano, e bisognava scaldarsi col passeggiare continuo. Tuttavia ci rimettemmo tosto in allegria; in generale, stemmo contenti così che, come quel primo anno, forse non si fu più. Si sentiva che Dio era con noi, ed avevamo sicurezza della sua assistenza”. Nonostante simili strettezze, il Direttore ebbe la soddisfazione di riportare all'Oratorio in tanti biglietti di banca da lire due le mille lire, quante e come gliene aveva date Don Rua il giorno della sua partenza per Este.
A Don Tamietti il Beato fece una profezia che si avverò [692] a puntino. Gli predisse che avrebbe lavorato fino ai 50 anni e che non avrebbe raggiunto i 72[366]. Nato nel 1848, fu nel ‘98 colpito da grave infezione tifoidea, che ne lese profondamente le facoltà mentali, obbligandolo, sanissimo di corpo, a condurre il resto de' suoi giorni nella più completa amnesia. Morì il 18 ottobre 1920, due mesi circa prima di compiere l'anno settantaduesimo. Anche ad un suo successore nella direzione del Manfredini il Servo di Dio aveva da tempo nell'Oratorio annunziato che sarebbe morto fuori della propria casa, andando attorno per affari. Recatosi il 14 maggio 1914 a Bologna per ottenere da quella direzione delle ferrovie una riduzione speciale ai giovani del suo collegio che dovevano fare un pellegrinaggio alla Madonna di Monte Berico, venne colpito da apoplessia mentre sedeva nel tram, e il 20 cessava di vivere tra i confratelli di colà. Alla luttuosa notizia una famiglia di Este rammentò che, invitato a pranzo, vi aveva egli stesso qualche tempo prima raccontato l'antico vaticinio.
Scendiamo ad opera assai minore. Non fu gran cosa l'andare un sol Salesiano a Montefiascone; ma la chiamata venne dall'alto. Per primo, ne, pregò Don Bosco il novello vescovo monsignor Luigi Rotelli, perugino, molto caro a Leone XIII, che doveva poi mandarlo Nunzio a Parigi ed elevarlo alla Porpora. Per volere del Papa egli studiava come ritornare il seminario diocesano alla fama di un tempo; a tal fine gli occorrevano professori titolati. Don Bosco, deluso nella sua speranza di poter aprire un collegio ad Albano, sperò di riuscirvi a Montefiascone; quindi al Vescovo rispose in modo più affermativo che negativo. Siccome però l'ultima parola tardava a venire, la preghiera gli fu rinnovata a nome di [693] Leone XIII dal suo segretario monsignor Gabriele Boccali. Tanto per cominciare bastava allora un Salesiano solo. “ Il soggetto, scriveva il segretario del Papa, che almeno per quest'anno occorrerebbe, dovrebbe essere patentato per la 4ª e 5ª ginnasiale ed averne il titolo, senza però essere obbligato a fare ambedue le classi e forse neppur una ”[367]. Col Papa non c'era da esitare. Il Beato promise formalmente e insieme fece un tentativo. Un prelato così vicino al Santo Padre non avrebbe potuto avanzare una prima parola col nuovo Papa sulla comunicazione dei privilegi? Tentar non nuoce. Nel rispondere a monsignor Boccali unì una supplica in tal senso per il Sommo Pontefice. Monsignore la consegnò a Sua Santità, avvertendo però il supplicante che il foglio sarebbe poi stato rimesso alla sacra Congregazione, a cui spettava il decidere di tali cose...[368]. Pazienza! dovette esclamare Don Bosco. Ma intanto ecco che egli non perdeva di vista quel grande oggetto e con destrezza afferrava tutte le occasioni, se non altro, per esplorare terreno nel nuovo Pontificato.
Per quella missione, chiamiamola così, il Beato prescelse Don Guidazio. Ebbe mano felice nella scelta, perchè Don Guidazio, si fece voler bene da tutti. Quattro mesi dopo che egli era giunto colà, il Vescovo scriveva a Don Bosco[369]: “ Questo sacerdote è irreprensibile, operoso, edificante, istruitissimo e oltre la benevolenza e la stima del Vescovo si è guadagnata una non ordinaria riputazione presso il Laicato e presso il Clero di questa città: e ciò Le dico, perchè Le sia di consolazione il sentire come questo suo allievo corrisponda alle paterne premure che Ella gli ha sempre prodigate ”. Ma all'infuori di queste simpatie personali Don Guidazio non poteva esercitare nessun influsso sull'andamento degli studi e dell'educazione; perciò vi stava proprio [694] a disagio. “ Io partirei di quest'anno 1878, aveva scritto a Don Bosco in dicembre[370], non potendo reggere ad una disciplina inesplicabile, per cui non si può fare la decima parte del bene che si farebbe, cosicchè mi riguardo un individuo sprecato. Qui i superiori mi amano, oso dire, teneramente, mi rispettano troppo; ma non bisogna intaccare una disciplina che vige da due secoli e che ridusse questo collegio ai minimi termini ”.
Don Bosco rese pure un altro servigio a Monsignore, mandandogli alcuni diplomi di professori salesiani da presentare al Provveditore, perchè autorizzasse a tenere aperto il ginnasio in quel più che seminario, vero collegio. Quando però vide sfumare ogni possibilità di aver tutto nelle proprie mani, il Servo di Dio ordinò a Don Guidazio di far capire al Vescovo e al Rettore che egli non intendeva nè di lasciarvi lui oltre quell'anno scolastico nè di mandarvi altri. Se non che il Vescovo, stimolato dal Papa, aveva mire ben diverse. Il fabbricato superava “ cinque volte Valsalice ”, quale vedevasi questo al tempo del nostro ingresso; ma era vuoto, nè con le disposizioni allora vigenti si sarebbe mai riusciti a popolarlo. Sua Eccellenza dunque chiese il personale necessario per aprire un liceo. Don Guidazio si affannò inutilmente a dimostrargli che Don Bosco non l'avrebbe potuto contentare; nemmeno il diniego venuto poi da Torino valse a temperare l'ardore del Vescovo, sia perchè contava sull'imposizione del Papa, sia perchè non aveva alcuna idea delle esigenze governative per istituti di tal fatta[371]. In agosto la missione di Don Guidazio si poteva considerare finita: recatosi a Torino per gli esercizi spirituali, ricevette altra destinazione. Il suo passaggio a Montefiascone fu utile, perchè, come ben presto si vide, servì a far aprire gli occhi sulla realtà delle cose. [695]
A Magliano Sabino le circostanze favorirono meglio il buon volere che Don Bosco aveva di aprire ivi un convitto, del quale fortemente si sentiva il bisogno, non essendoci che a Rieti da quelle parti un ginnasio. Quand'egli passò di là nel suo ritorno da Roma, sul finire di gennaio del 1877, scrisse al cardinal Bilio, vescovo di Sabina, manifestandogli il desiderio di creare nel seminario un convitto. Il Cardinale contento com'era di quei due Salesiani sì per l'esemplare condotta che tenevano e sì per l'eccellente istruzione che davano, nulla avrebbe voluto negare a Don Bosco; ma esitò alquanto a concedere la sua approvazione, perchè Don Bosco chiedeva pure il concorso del sindaco, trattandosi di opera che sarebbe ridondata a vantaggio di Magliano. Quel sindaco non ispirava fiducia; inoltre una recente circolare dell'onorevole Coppino, ministro della pubblica istruzione, metteva quasi in balla dei municipii gl'istituti che dai medesimi ricevessero qualche sussidio. Per queste ragioni Sua Eminenza indugiò circa quattro mesi a rispondere, volendo nel frattempo maturare meglio la cosa e sentire anche il parere dei deputati tridentini per il seminario. La deputazione, composta di tre egregi ecclesiastici, opinò che Don Bosco prendesse non solo la direzione degli studi in seminario, ma anche l'amministrazione delle rendite. Come al loro Vescovo, così scrissero pure a Don Bosco dicendogli fra l'altro: “ Essi [i deputati], in vista del notevole progresso riconosciuto nei giovani che frequentano le scuole degli amati suoi figli, in vista altresì dell'utile grande che può ridondarne a bene di questa Città e Diocesi Sabina, facendo propri i sentimenti di Sua Eminenza, si rivolgono a V. S. perchè voglia accettare e provvedere la direzione degli studi... nel modo più confacente al bene della gioventù studiosa ed a gloria di Dio più vantaggioso, che crederà nella sua sperimentata saggezza [696] e prudenza. È ben vero che i sottoscritti non avrebbero neanco osato farle simile proposta, se non fosse ad essi di già ben cognito il suo disinteresse e la nobile meta che si è prefissa nel dedicare tutto se stesso all'educazione della gioventù ”. Inteso il parere dei deputati, l'Eminentissimo raccomandò di spingere avanti le pratiche[372].
Don Bosco che mirava principalmente al collegio, aveva d'uopo di alcuni schiarimenti, che domandò al canonico Tondinelli, il primo dei deputati:
A suo tempo ho ricevuto la lettera che la S. V. Rev.ma e la Deputazione del Seminario Vescovile di Magliano m'inviavano il giorno 17 di questo mese. Essendo già alquanto assottigliate le file del personale disponibile per l'anno scolastico prossimo ho dovuto esaminare se mi riusciva ancora di provvedere e corrispondere all'onorevole proposta di assumere la direzione degli studi e l'amministrazione del Seminario di codesta Diocesi.
Col medesimo intendimento scrissemi S. E. il Card. Luigi Bilio. Ora sono lieto di poterle significare che sono in grado di accettare tale proposta, previe le debite intelligenze in tutto quello che può tornar vantaggioso a codesto venerando Seminario.
Sarà pertanto necessario che V. S. abbia la bontà di darmi quei migliori schiarimenti che giudica necessari e:
I° Quale sia lo stato attivo e passivo del Seminario nelle sue attuali finanze e quanto di netto gli rimanga da disporre e provvedere il personale insegnante, dirigente, inserviente.
2° Se si possono ricevere anche allievi convittori che vogliano venire a fare il loro corso, ma con obbligo di tenersi strettamente alla disciplina comune.
3° Se possono anche intervenire quelli della città come semplici allievi o come semiconvittori.
4° Se vi sono impegni duraturi coll'attuale personale e se ci si possa calcolare sull'opera sua oppure se si debba provvedere per intero con nuovo personale.
Quando io avrò ricevuto questi ed altri analoghi schiarimenti, mi studierò di redigere un capitolato che lasci intatta l'autorità della deputazione e conservi eziandio la nostra antica autonomia come Congregazione ecclesiastica. [697]
Sarà indispensabile che si trattino parecchie cose di presenza e a tal uopo procurerò di fare una gita a Roma entro breve tempo.
Ora debbo ringraziate la S. V. Ill.ma del modo benevolo che mi si degna di scrivermi ed assicurandola di tutto il mio impegno per cooperare alla sua carità e zelo ho l'alto onore di potermi professare
Gli schiarimenti vennero subito. Per gli allievi convittori, ossia, come si esprimeva il canonico, “ per giovani extradiocesani ” non si metteva ostacolo, purchè volessero non solo uniformarsi alla disciplina comune, ma anche indossare l'abito da chierici; quanto agli esterni maglianesi, si paventò che la loro ammissione potesse ledere i diritti del seminario: tuttavia a frequentare semplicemente le scuole si sarebbero accettati, se ne facessero domanda all'Eminentissimo Vescovo. Riguardo al personale, si contenterebbero nel primo anno dei soli professori per il ginnasio e dei maestri per la terza e quarta elementare: alle scuole superiori si sarebbe provvisto con insegnanti del seminario e altri del luogo[373]. Allora il Beato, lasciando per un momento da parte il collegio - convitto, compilò un disegno di convenzione, che mandò al Cardinale[374]. Sua Eminenza lo comunicò alla deputazione, che gliene sottopose uno proprio, trasformando addirittura in più punti il precedente. Ma il cardinal Bilio, prendendo per base quello di Don Bosco, vi fece su le sue modificazioni; infine dopo tocchi e ritocchi, lo firmarono definitivamente, Don Bosco il 21 agosto e l'Eminentissimo il 25. Si componeva di otto articoli.
I° Si affida la direzione degli studi e l'Amministrazione del Seminario al Prefato D. Bosco Sup. Gen della Cong. Sales. coi patti e condizioni infrascritti:
2° Fatto il Bilancio dei redditi del Seminario e detratti tutti gli oneri ed imposte; rimanendo nette ogni anno L. ital. 4939 circa, [698] queste si cedono al detto D. Giov. Bosco, in conto dei provvedimenti che occorrono pel Maestro di 3ª e 4ª elementare, per gli Insegnanti del Ginnasio e per un prof. di Filosofia ed uno di Teologia e per tutto il personale dirigente, assistente ed inserviente. E siccome il reddito, sovraesposto, per l'estinzione di alcune annuali passività, andrà aumentandosi, così si dichiara che siffatto aumento sarà a favore dell'Amministrazione. Nella consegna sarà redatto un inventario da ambe le parti.
3° Avverandosi il caso di rescissione o cessazione del presente concordato si dovranno rimettere le cose nel medesimo stato e valore in cui furono consegnate, in guisa che i miglioramenti o i deterioramenti siano a vantaggio o a danno del detto D. Bosco Sup. Gen. della Cong. Sales.
4° Dovendo far eseguire lavori straordinari di costruzione o riparazioni, l'Em. Card. Bilio Vescovo di Sabina coi Rev.mi Sig.ri Deputati ed il Rev.mo D. Bosco Sup. Gen., studieranno di comune accordo il modo di provvedere i mezzi a ciò necessari.
5° L'Em. Card. Vescovo di Sabina eserciterà la sua piena autorità sulla materia d'insegnamento e su tutto ciò che si riferisce alla Disciplina, Religione e Moralità degli Allievi a termine delle Costituzioni Apostoliche Romane.
6° Al principiar d'ogni anno scolastico il Sac. D. Giovanni Bosco presenterà a S. Fin. il Card. Vescovo di Sabina la nota del Personale dirigente, assistente ed inserviente.
7° Il programma degli studi, le Condizioni e Norme delle accettazioni degli Studenti saranno sempre sottoposti all'approvazione dell'Ordinario.
8° La Suddetta Convenzione comincierà ad avere effetto dal prossimo anno scolastico 1877 - 78 e durerà per anni cinque, e qualora una delle parti volesse recedere o sciogliersi da questo Concordato, dovrà darne avviso all'altra parte cinque anni prima.
La mescolanza che gli si era proposta di semiraristi aspiranti e non aspiranti al sacerdozio, sebbene “ conforme alle Costituzioni del Seminario ed all'uso praticato fin allora ”, non poteva piacere a Don Bosco; perciò, avuto in sua mano il seminario, pensò a un distinto collegio per giovani laici, prendendo in affitto una parte del vasto edifizio. Ne fu redatta sollecitamente scrittura, ma solo pro forma, affinchè, come dice una confidenziale di Don Rua, nessuno potesse “ mettervi le mani sopra ”; nè il fitto si doveva pagare, come soggiungeva la nota, e la casa sarebbe stata sempre a uso dei Salesiani. Questa faccenda fu sbrigata da un tal signor [699] Albino Donato di Saluggia, mandatovi appositamente da Don Bosco, che lo incaricò pure di far l'inventario e allestire l'abitazione dei convittori per il cominciamento dell'anno scolastico ormai alle porte.
Questo signor Donato era un ottimo padre di famiglia, che amava molto Don Bosco e godeva di potersi prestare per lui Il Beato ebbe sempre un certo numero di tali cooperatori laici, zelanti e fidati, pronti a rendergli servizio, ogni volta che ne li richiedesse, in affari civili. Sono ricordati per esempio, oltre al suddetto, il signor Vincenzo Provera, il fratello di Don Rua, il padre di Don Rota, il cavalier Ribaldone, il conte Cays non ancora Salesiano e tanti altri. Il Servo di Dio trattava questi uomini con molta confidenza, ammettendoli nell'intimità della vita Salesiana, del che si sentivano onorati, e invitandoli anche a fare gli esercizi spirituali con i confratelli.
Sorvoleremo qui sulle solite difficoltà mosse dal Prefetto di Perugia e dal Provveditore agli studi: Don Daghero ebbe i suoi fastidi, ma se la cavò d'incanto. Il seminario - convitto dell'Immacolata Concezione, come fu denominato, continuò per tre anni sotto la direzione dell'antico rettore Don Francesco Rebaudi; in realtà però il gran propulsore dì tutto e di tutti era il superiore dei Salesiani Don Giuseppe Daghero, dottor in lettere. Egli, pur di rimuovere da sè il pericolo di doversi, addossare la responsabilità intera, a cui protestava di non sentirsi idoneo, instava presso Don Bosco e Don Durando per essere mandato all'insegnamento nel collegio di Alassio. Se non che questo figlio dell'Oratorio era uomo troppo virtuoso, istruito e abile, perchè dovesse restare a lungo sotto il moggio: la direzione venne affidata a lui nell'anno scolastico 1881 - 82 ed ei saggiamente la esercitò fino al 1889. Durante queste pratiche e per tutto il tempo che visse, il cardinal Bilio diede prove straordinarie di benevolenza verso Don Bosco e i suoi figli[375]. [700]
Ci rimane a dire di un'opera inaugurata nel 1878 a Chieri. Quivi alcuni sacerdoti, animati dal padre Luigi Testa gesuita, tenevano un oratorio festivo, attendendo che Don Bosco avesse chi mandare a dirigerlo. Don Matteo Sona che n'era il factotum, così scriveva il 9 novembre 1877 al suddetto Padre: “ In quanto all'Oratorio ossia piuttosto Ricreatorio dei giovanetti, già si son raccolte notabili offerte e promesse di benefattori. E si spera poi coll'aiuto del Sacro Cuore di Gesù e di Don Bosco che per l'anno venturo la cosa possa essere di molto maggior importanza e frutto ”. Invece l'anno seguente l'opera subì una metamorfosi: Don Bosco aperse non un oratorio maschile, ma l'oratorio femminile di santa Teresa. Ed ecco in che modo e in quali circostanze[376].
Nel 1870 il signor Carlo Bertinetti di Chieri istituì Don Bosco erede di tutti i suoi beni. Il Servo di Dio avrebbe voluto convertire una casa del suo benefattore in un istituto di educazione; ma, viste certe opposizioni di Chieresi e specialmente del canonico Antonio Oddenino, curato del duomo, alienò i terreni e prese a vendere anche i fabbricati civili. Questo sollevò grave malcontento in città e persone benevoli pregarono Don Bosco di desistere da tale vendita. Egli allora ritenne l'edifizio principale, nell'attesa di un'occasione propizia per dare cominciamento a qualche opera di pubblica utilità. L'occasione si presentò: nel 1876 due signore legatarie del Bertinetti, preso consiglio da Don Bosco si accordarono con altre della città per raccogliere ogni festa dopo mezzodì alquante ragazze nel cortile della casa appartenente al Beato, intrattenerle in onesti divertimenti e mandarle al catechismo nella parrocchia. Era dunque una specie di oratorio festivo femminile. [701]
Con l'andare del tempo però le buone signore, vedendo che il frutto sarebbe stato maggiore, se si fosse potuto fare là anche il catechismo, interposero persone pie e influenti per ottenerne dal curato la licenza. Questi permise; anzi alla sera dei giorni festivi o andava egli stesso o mandava un altro sacerdote a fare un'istruzione alle ragazze, nè cessava di raccomandare la frequenza dell'Oratorio specialmente alle giovanette più grandi, a quelle, com'ei diceva, che si lasciavano tirare dal suono dell'organino; anzi per stimolarle aggiungeva che andare all'oratorio era come andare in parrocchia. Tuttavia l'opera santa stentava a camminare.
Don Bosco, che ne seguiva le vicende, risolvette nel 1878 di mandar ad abitare in quella sua casa le Figlie di Maria Ausiliatrice; onde scrisse questa supplica all'Arcivescovo.
Il Sac. Bosco nel desiderio di provvedere al bisogno morale delle povere fanciulle della città di Chieri, avrebbe preparato un edifizio ed una Cappella dedicata a S. Teresa nella casa già Bertinetti.
Ora supplica la E. V. a voler permettere che le Religiose dette Figlie di Maria Ausiliatrice possano recarsi ad abitare quel sito per prendersi cura di quelle ragazze, come fu concesso a quelle, che fanno già scuola accanto alla Chiesa di Valdocco.
In secondo luogo delegare una persona che verificata la cappella accennata, e trovatala convenientemente ornata e preparata, possa benedirla colle formole prescritte da S. Chiesa.
L'Arcivescovo scrisse a tergo della petizione: “ Si raccomanda di porre questa domanda in carta da protocollo per inserirla convenientemente negli atti della curia: e si risponderà con debito decreto ”. Il debito decreto porta la data dei 29 giugno[377]. Monsignore, lodato lo zelo e la pietà di [702] Don Bosco, gli concede tutte le necessarie facoltà, ma a condizione che tutto sempre si faccia con piena soddisfazione del superiore ecclesiastico locale. Il 20 luglio questo superiore ecclesiastico locale, che era il canonico Oddenino, benedisse per mandato dell'Ordinario la cappella di santa Teresa, fatta allestire da Don Bosco nella propria casa, e il 10 agosto l'Ordinario concedette la facoltà di darvi la benedizione col Santissimo Sacramento “ per un anno ”, purchè vi fosse il consenso del curato di Santa Maria della Scala. Autorizzazioni, limitazioni, consensi affatto fuor di luogo, perchè, come doveva essere noto, la Santa Sede con Breve speciale del 12 settembre 1876 aveva accordato simili facoltà in perpetuo per tutte le chiese e gli oratori pubblici appartenenti ai Salesiani[378]. Ma Don Bosco lasciò correre.
Le Suore erano entrate nella casa il 28 giugno. Don Sala con suor Elisa Roncallo del Capitolo Superiore aveva per ordine di Don Bosco provveduto al necessari racconciamenti. Alla direzione spirituale il Beato deputò Don Bonetti, disponendo che vi si recasse ogni sabato sera. Il buon Padre volle fare le cose in regola; perciò munì l'inviato della sua brava lettera di nomina. Era anche una maniera di affermare la parte di giurisdizione che canonicamente gli spettava.
Al Diletto figlio in G. G. Sac. Giovanni Bonetti
Oratorio di S. Francesco di Sales in Torino.
Il vivo desiderio di vie meglio propagare la gloria di Dio e la salute delle anime, specialmente il bisogno di promuovere il bene morale e religioso nelle zitelle della città di Chieri, oggidì esposte a gravi pericoli, ci hanno eccitato ad aprire in detta città a vantaggio delle medesime un oratorio festivo. Scopo di esso è di porgere loro tutta la comodità perchè possano adempire i loro doveri religiosi e tenersi lontane dai pericoli che circondano la loro inesperta età.
Ora il sacro Ministero che hai esercitato per oltre a quindici anni nei Collegi di Mirabello e di Borgo S. Martino nella Diocesi di Casale [703] ci muove ad affidarti la Direzione e l'amministrazione spirituale di quel pubblico Oratorio.
Pertanto colla presente t'incarichiamo di andarvi a compiere secondo i riti tutte quelle religiose funzioni e tutti quegli atti che possono tornare di gloria a Dio e di vantaggio alle anime.
Ti raccomandiamo di mostrarti in ogni cosa vero seguace di San Francesco di Sales. Dio ti benedica e ti aiuti a compiere santamente l'uffizio che ti viene affidato.
Le suore lavoravano di buona lena; Don Bonetti faceva fuoco e fiamme; le ragazze accorrevano numerose e assidue. Poteva il diavolo non metterci le corna? Parve al curato che quelle funzioni religiose nell'oratorio fossero un'infrazione delle leggi sinodali, massime perchè le si tenevano contemporaneamente alle funzioni del duomo. Le denunziò il 3 dicembre a Don Bosco quali “ contravvenzioni ” e “ abusi ”. Il Servo di Dio, travagliato allora da forte mal d'occhi, tardò a rispondere; perciò il curato fece pervenire le sue doglianze all'Arcivescovo, informando di questo nuovo passo il Beato. Questi incaricò Don Bonetti di giustificarsi. Don Bonetti osservò al curato due cose: che a Chieri si faceva come a Torino, dove, senza che l'autorità ecclesiastica avesse mai avuto nulla a ridire, le funzioni festive di tutti gli oratori coincidevano con quelle delle rispettive parrocchie; d'altra parte non potersi in Chieri per le giovanette trovare
Ma frattanto a Torino Don Rua veniva chiamato dal Vicario generale per udirsi comunicare d'ufficio le osservazioni del curato di Chieri; dopo la quale udienza il primo aiutante di Don Bosco inviò per iscritto all'Arcivescovo un minuto ragguaglio sul come s'impiegasse nell'oratorio femminile di Chieri la giornata festiva e fece vedere in termini assai persuasivi l'impossibilità di anticipare o di posticipare le pratiche vespertine. Il canonico Sona, che subodorava occulti maneggi per ottenere la chiusura dell'oratorio a lui [704] tanto caro, vivamente raccomandò alla carità e prudenza di Don Bonetti e “ molto più ancora alla carità e prudenza e magnanimità e fortezza del Reverendissimo Don Bosco ”, che non si perdessero d'animo nè togliessero ai Chieresi tanto benefizio sol per cagione di siffatte contrarietà, sollevate dal demonio; dava poi a Don Bonetti utili informazioni, esortandolo a conservare tutte le lettere che si erano scritte o si scriverebbero da ambe le parti in quella controversia per le possibilità future di questioni giuridiche. Un profeta non avrebbe meglio di così colto nel segno!
Don Bonetti il 21 dicembre, avuta una conferenza con l'Arcivescovo e prese intelligenze con Don Bosco, propose al canonico Lione, vicario foraneo in Chieri, un piano d'accordo, rendendogli pur note le facoltà pontificie, a cui non si poteva rinunziare[379]. Il piano era che, se le funzioni religiose si facevano nell'Oratorio contemporaneamente alle istruzioni parrocchiali, ne fossero escluse le fanciulle più grandi, mentre alle più piccole si lasciava libertà di assistervi dove loro gradisse. Questo piano fu respinto dal vicario; poi vicario e curato ingiunsero che fossero cacciate dall'Oratorio tutte le giovanette dai tredici anni in su. Ma non erano proprio le più grandi quelle che avevano maggior bisogno di ricevere conveniente istruzione e di essere tenute lontane dai pericoli dei giorni festivi? I due canonici a sì ovvie osservazioni risposero a Don Bonetti: - Se queste giovani andranno a far del male, non tocca a lei renderne conto. Con una logica simile non era possibile intendersi. Il seguito verrà a suo tempo. Qui i lettori debbono sapere due cose: che il canonico Oddenino, bravo sacerdote quanto a condotta, era intossicato dai principi giansenistici propinatigli durante la sua formazione ecclesiastica, e che a persistere nella lotta lo istigava il teologo Tamagnone, parroco di S. Giorgio Canavese, [705] il quale, come afferma Don Notario che lo conobbe, era un treppuntino ben noto in curia.
Col principio dell'anno scolastico 1878 - 79 la casa di Chieri, come quella di Nizza Monferrato, aperse le porte anche a uno stuolo di educande convittrici. Ne fu pubblicato il programma con l'avviso che le domande si potevano fare tanto alla Direttrice dell'educandato quanto a Don Bosco[380]. Alle vessazioni egli rispondeva così dando all'opera maggior efficienza.
Don Bosco avesse dovuto misurare la sua attività con le possibilità del bilancio, non avrebbe fatto la decima parte di quello che fece. Durante il 1878 oltre alle spese straordinarie imposte dalle opere novellamente intraprese, non mancarono gravi necessità di trovare somme per dare miglior assetto a opere già esistenti. Così fu per Valsalice. Nel dicembre del 1878 il Beato trattò col suo Capitolo di dare stabilità alla precaria condizione di quel collegio. Per esso si sborsavano annualmente lire cinquemila e cinquecento di fitto. I Fratelli delle Scuole Cristiane, che ne erano i proprietari, chiedevano per la vendita 230 mila Ere; poi si contentavano di 200 mila; poi scesero fino a 180; Don Bosco, fattolo stimare da periti, ne offerse 130. Dopo lunghe pratiche i Fratelli accettarono questa somma. Il Capitolo approvò tale contratto che fu conchiuso nel 1879.
Altri bisogni sorsero altrove, come ora si vedrà, e la beneficenza ordinaria era assorbita pressochè per intero dalle esigenze della vita quotidiana; ma Don Bosco riposava nella Provvidenza, e la Provvidenza non permise mai che il Servo di Dio fosse ridotto a mal termine. Questo per altro non lo dispensava dall'aguzzare l'ingegno per venire a capo di [707] soddisfare i suoi creditori. Il suo industriarsi a moltiplicar i cooperatori, gli aumentava sempre più il numero di quelli che lo comprendevano e mettevano mano alla borsa. Poi c'erano le sue invocazioni di soccorso. Prima di partire da Roma nel marzo del 1878 quattro suppliche in una indirizzò a Leone XIII.
Il sac. Giovanni Bosco prostrato ai piedi di V. S. umilmente espone che, coll'aiuto materiale e morale di Pio IX di felice memoria, la Congregazione Salesiana fra le altre opere potè dar principio alle seguenti:
I° Le missioni dell'America del Sud, nella repubblica dell'Uruguay e nella repubblica Argentina dove sono circa cento Salesiani che lavorano a benefizio degli adulti e specialmente per educare cristianamente la gioventù.
2° La chiesa ed ospizio di San Giovanni Evangelista in Torino in vicinanza del tempio, delle scuole, dell'asilo e dell'ospizio dei Protestanti. I lavori sono già alquanto inoltrati e la costruzione si alza di alcuni metri fuori di terra.
3° In Vallecrosia, presso Ventimiglia in pochi anni si formò una popolazione tra cui si fondarono chiesa, scuole, collegio per opera dei protestanti che divennero quasi assoluti padroni della educazione della gioventù e della istruzione degli adulti.
Al fine di porre qualche argine all'errore che ognor più si dilatava, coll'incoraggiamento e coll'aiuto materiale del santo Padre, si prese a fitto un locale in cui si iniziarono scuole pei fanciulli; ed in un altro locale scuole per le fanciulle; per gli adulti poi si aprì provvisoriamente una chiesa.
Quattro Salesiani e tre suore di Maria Ausiliatrice lavorano e la Dio mercè i loro sforzi furono fruttuosi in modo che i protestanti si videro costretti a cessare dalle loro scuole e dalle conferenze per mancanza assoluta di allievi e di altri accorrenti. Ora si è comprato un sito dove erigersi opportuni edifizi e così provvedere stabilmente e decentemente al culto cattolico.
4° Nella Spezia, città invasa dalla massoneria e dall'eresia, in breve tempo aumentò la popolazione a segno che da cinque giunse a venticinque mila anime, e per sopra più essendo state ridotte ad uso profano alcune chiese, e conventi, ne seguì la dolorosa deficienza di clero, di chiese cattoliche, onde quel campo evangelico rimase quasi tutto in preda dei nemico della fede. Venuta la cosa a notizia del Sommo Pontefice, invitò i Salesiani a fondare un istituto in favore della gioventù. Nel Novembre u. s. fu pigionato un edifizio che in parte serve di chiesa pubblica, l'altra ospizio per scuole di fanciulli [708] e dimora di quattro Salesiani. Per le missioni estere, per Ventimiglia, per l'ospizio e chiesa di S. Giovanni Evangelista in Torino, il santo Pontefice largiva dei sussidii nei più gravi bisogni, quando si faceva a lui ricorso. Per la Spezia aveva fissato cinquecento franchi mensili.
Queste opere dirette a sostenere i fedeli nella fede non hanno alcun mezzo fisso per sostenersi, perciò sono in vero pericolo di decadere e non più conseguire il loro fine, per la qual cosa io le raccomando umilmente alla carità di V. S. che è padre universale, e sostegno dei cattolici pericolanti.
Accennato così lo stato delle cose mi prostro ai piedi della S. V. e chiedo l'apostolica benedizione sopra questi novelli istituti e sopra coloro che ne hanno la direzione.
Dell'America diremo più avanti; di San Giovanni e della Spezia abbiamo detto. Per Vallecrosia aveva già esposto i bisogni e le difficoltà in una relazione dell'ottobre 1877 a Pio IX
Ma la città di Ventimiglia si trova in assai maggiore bisogno [che non quella di Spezia] dell'assistenza di V. S. A poca distanza da questa città in una amena pianura detta Vallecrosia in pochi anni si fabbricarono case ed opifici, sicchè ora si è formata una vera popolazione. I protestanti furono i primi ad andarsi a stabilire in quel centro; aprire scuole, erigere un tempio, attivare un ospizio furono cose effettuate in brevissimo tempo. A fine di porgere almeno qualche argine all'empietà, l'umil esponente d'accordo con mons. Biale di felice memoria, prese un locale in affitto; si collocarono tre suore di Maria SS. Ausiliatrice per le povere fanciulle, tre maestri pei poveri fanciulli, mentre un sacerdote si diè a fare le sacre funzioni in una parte di fabbricato ridotto a chiesa. Dio benedisse questi deboli sforzi ed in poche settimane si poterono raccogliere tutti i cattolici, al segno che gli eterodossi dovettero limitare le loro cure intorno ad alcuni sventurati giovanetti raccolti da lontani paesi.
Le cose procedevano colla massima consolazione quando il venerando mons. Biale fu da Dio chiamato alla vita eterna, e colla morte di lui mancò il più valido sostegno di quelle opere. Imperciocchè egli pagava il fitto di tutti quei locali e dava un sussidio mensile pei maestri e per le maestre. Ora frattanto mons. Reggio avendo fatto intendere che non può più assicurare tali sussidi, ed essendo questa opera tutta indirizzata al bene della chiesa ed a fare argine alla imperversante eresia, si osa supplicare umilmente V. S. a degnarsi di prendere questi istituti sotto alla patema protezione sua, e prestare quegli aiuti materiali che all'alta sua clemenza fossero benevisi. [709] Invocava soccorsi, ma insieme lavorava. A Vallecrosia si accingeva allora a costruire chiesa e scuole per un più ampio ed efficace apostolato. Nel 1877 comprò i terreni necessari; poi subito cominciò a fabbricare.
Forti passività gravavano sull'ospizio di Sampierdarena per recenti costruzioni e per l'impianto della scuola tipografica, avvenuto nel settembre del 1877. Qui per trovar danaro ricorse alla pubblica beneficenza con una lotteria. “Il fare ricorso alla pubblica beneficenza con lotterie, scrisse egli nella circolare di annunzio, è un mezzo divenuto così frequente, che noi non ci saremmo ad esso appigliati, se non fossimo in certo modo costretti da un bisogno, cui non si sa come altrimenti provvedere. Noi pertanto col solo accennare questi bisogni giudichiamo di fare abbastanza manifesto il motivo di questa lotteria. Ci parve questo mezzo il più opportuno, come quello che tende la mano alla grande e alla piccola beneficenza in qualunque misura, e ci apre la via a ricorrere eziandio con fiducia tanto ai benemeriti nostri concittadini, quanto alle persone agiate che dimorano nelle altre città o paesi della provincia”. Così parlava a nome della Commissione da lui formata, e presieduta dal marchese Cattaneo e dal marchese Marcello Durazzo; egli vi era rappresentato dal Direttore dell'ospizio Don Paolo Albera.
I premi donati raggiunsero la bella cifra di 1172. Ne fece stampare in apposito opuscolo l'elenco[381]: primeggiava fra tutti un simulacro dell'Immacolata Concezione scolpito in selce del Vesuvio, inviato da Pio IX. Il Prefetto di Genova aveva accordata l'approvazione legale nel luglio del 1877, ponendo il visto anche al regolamento compilato da Don Bosco in nove articoli del tenore seguente.
I° Sarà colla massima riconoscenza ricevuto qualunque oggetto d'arte, d'industria, cioè lavori di ricamo, di maglia, dipinti, fotografie, libri, drappi, tele, come pure lavori in oro, in argento, in bronzo, in cristallo, in porcellana, ecc. [710]
2° Nell'atto che si consegneranno gli oggetti sarà scritto sopra un catalogo la qualità del dono e il nome del donatore, a meno che questi ami di conservare l'anonimo.
3° I Membri della Commissione, i Promotori e le Promotrici sono tutti incaricati di ricevere i doni offerti per la Lotteria, e si fa loro preghiera di farli pervenire al luogo della pubblica esposizione nell'Ospizio di S. Vincenzo de' Paoli in S. Pier d'Arena.
4° Il numero dei biglietti sarà proporzionato al valore degli oggetti offerti.
5° Il prezzo di ciascun biglietto è fissato a L. 1. Chi ne prenderà dieci cioè un biglietto rosso, oltre l'eventualità su dieci numeri, avrà un piccolo premio assicurato che una pia persona offre oltre ai descritti nel catalogo per la pubblica esposizione.
6° I biglietti saranno spiccati da un foglio a matrice e muniti della firma di un membro della Commissione e del timbro della Prefettura.
7° L'estrazione si farà in quel luogo ed in quel modo che l'Autorità assegnerà. Si estrarranno tanti numeri quanti sono i premi a vincersi; il primo numero che si estrae dall'urna vincerà l'oggetto corrispondente segnato col N. 1, il secondo vincerà l'oggetto segnato col N. 2, e così successivamente.
8° I numeri vincitori saranno pubblicati dai giornali dodici giorni dopo l'estrazione, quindi si comincerà la distribuzione dei premi. I premi poi non ritirati due mesi dopo l'estrazione s'intenderanno caritatevolmente donati all'Ospizio stesso.
9° La sala dell'esposizione nell'Ospizio stesso sta aperta ogni giorno dalle 9 ant. alle 6 pomeridiane.
Il Beato s'interessò personalmente anche della diffusione dei biglietti. A noti cooperatori ne mandava un certo numero da distribuire, accompagnandoli con questa circolarina: “I poveri giovani ricoverati nell'ospizio di S. Vincenzo raccomandano lo spaccio di N ... biglietti alla carità di V. S. assicurando per Lei quotidiane preghiere”. L'altra circolare con cui notificava la data dell'estrazione, era un nuovo incitamento alla carità.
Con grande nostra consolazione possiamo finalmente partecipare a V. S. Benemerita che la Lotteria, raccomandata alla sua carità, volge al suo termine. I biglietti furono spacciati nella maggior parte e speriamo che saranno pure esitati quelli che ancor rimangono. [711] Volendo ora appagare la comune aspettazione, si è fissato per la pubblica estrazione dei numeri vincitori il giorno 2 del corrente maggio, secondo le norme prescritte dalla R. Prefettura di Genova, come sta notato nel Regolamento. Dopo le sarà tosto spedita la nota dei numeri estratti.
Malgrado però il buon esito della pia impresa, i bisogni di questo Ospizio continuano ad essere gravi assai. Quindi ci raccomandiamo caldamente alla S. V. affinchè ci continui la sua carità.
Se pertanto la S. V. o altre caritatevoli persone di sua conoscenza potranno venirci in aiuto con lo spaccio di altri biglietti, l'avremmo come un nuovo segnalato benefizio; e la preghiamo nel tempo stesso che Ella ci mandi quei biglietti che non avesse spacciato e non giudicasse di ritenere. Il costo dei biglietti è di lire una; e di lire dieci quelli con 10 numeri ad un premio assicurato. La distribuzione continuerà fino alla pubblicazione dei numeri vincitori; coloro poi che desiderassero l'Elenco dei doni della lotteria verrà loro spedito.
La gratitudine nostra e quella dei nostri giovanetti sarà certamente grande, e il nome della S. V. rimarrà notato nel catalogo di quei benefattori, per cui si faranno tutti i giorni mattino e sera comuni e private preghiere.
Iddio pietoso le conceda vita felice e l'abbondanza di sue benedizioni.
A nome della Commissione abbiamo l'alto onore di professarci
L'esito fu ottimo. Il provento servì anche a provvedere la chiesa pubblica di orchestra e di organo, opera quest'ultima dei fratelli Lingiardi di Pavia.
L'anno 1878 non doveva finire senza che Don Bosco lanciasse una nuova lotteria a benefizio dell'oratorio. Era quella annunziata da lui nella lettera ai Cooperatori, da noi riferita al capo diciannovesimo. Nemmeno all'Oratorio erano mancate spese fuor dell'ordinario. In maggio, per esempio, Don Bosco aveva fatto arrivare dalla Germania tre macchine tipografiche di ultimo modello. Dal frutto della stessa lotteria egli si riprometteva anche qualche aiuto per continuare la costruzione della chiesa di San Giovanni Evangelista.
Non si trattava però di una gran lotteria. La parte più [712] vistosa dei premi consisteva in dipinti d'autore e in oggetti antichi, provenutigli dall'eredità del barone Bianco. Ne chiese l'autorizzazione al Prefetto di Torino il 28 novembre, unendo alla domanda uno schema di regolamento, come voleva la legge. L'autorizzazione venne il 2 dicembre[382]. Le cose poi andarono in lungo, perchè, data la piccola entità, erasi fatto a meno di Commissione, di esposizione e d'ogni altro apparato. L'estrazione non si fece se non ai 30 di agosto 1879. I premi erano 501. Ne dovremo riparlare nel prossimo volume.
Intorno a questa lotteria abbiamo una interessante conversazione di Don Bosco. Il 2 dicembre egli aveva comunicato al Capitolo due documenti: la lettera del cardinal Nina che ringraziava a nome del Santo Padre per il dono del libro Il più bel fiore del Collegio apostolico, e la lettera prefettizia per l'autorizzazione della lotteria. Il Prefetto diceva sul finire che avrebbe accettato qualunque giorno ed ora una visita di Don Bosco e che sarebbe venuto volentieri a visitare l'Oratorio. Don Bosco prese a dire: - Con queste risposte ho ottenuto il mio intento. Al Santo Padre io aveva mandato quel libro perchè vedesse come noi lavoriamo alacremente e quale sia l'attaccamento nostro alla Cattedra di Pietro e gli sforzi che facciamo per infondere negli altri l'ossequio e l'amore verso il Vicario di Gesù Cristo. E ciò si ottenne. Riguardo alla Prefettura di Torino vi erano due cose da cercarsi. La prima riguardava la lotteria. Io temeva fondatamente che non ci concedessero di farla, perchè la nostra non è opera pia, ma possesso privato di Don Bosco; perciò feci un giuoco. Domandando di fare la lotteria, ho detto che altre volte ciò mi era stato concesso e che, più ancora, mi era stata concessa la franchigia postale e l'immunità dalle tasse. Io sapeva già che, questi due ultimi favori mi sarebbero stati negati; ma sperava che, mettendo sotto [713] gli occhi tutte le larghezze fattemi precedentemente dalle autorità, almeno per questa volta ci sarebbe stata concessa la sola licenza della lotteria. E questa si è ottenuta. Il secondo motivo, per cui io aveva fatto quella domanda, era per esplorare l'animo del nuovo Prefetto a nostro riguardo, se volesse cioè mantenersi nel contegno ostile de' suoi predecessori; poichè, con quelle malattie scoppiate fra noi, con quel male di occhi, con quelle Commissioni sanitarie e governative ci era stato non poco da dire e da ridire. Ma ora vedo che il Prefetto ci si mostra propizio, profferendosi di ricevermi in qualunque momento. L'avevo anche pregato di degnarci d'una sua visita, e mi risponde affermativamente. Questo sarebbe proprio a proposito. Se viene a farci una visita amichevole, c'è da sperare che le cose nostre per parte sua quest'anno andran bene. Anche qui dunque abbiamo ottenuto il nostro intento. Ecco sempre maggiori motivi di ringraziare molto la divina Provvidenza.
L’ANNO 1878 vide l'opera di Don Bosco assidersi come in naturale e fido terreno sul suolo francese: dilatata a Nizza, stabilita a Marsiglia, invocata a Parigi, diramata nelle campagne della Crau d'Hyères[383], in ogni parte riguardata con crescente interesse e simpatia. È innegabile che in Francia la stima e la venerazione per Don Bosco non istentarono fin da principio a farsi strada, rafforzandosi poi sempre più negli animi e perdurando anche dopo molti anni dalla sua morte, come abbiamo visto nella recente beatificazione. Aggiungeremo d'altro lato che il Servo di Dio professò ognora per la Francia cattolica una riconoscente ammirazione. Nelle sue conversazioni familiari ragionava volentieri delle cose francesi; pareva anzi che questo fosse uno degli argomenti a lui più graditi.
A Nizza il buon seme era caduto in terra buona: tre anni di vita erano stati per il Patronage Saint - Pierre un progressivo evolversi. Prima vi fu il passaggio dall'angusta filanda [715] alla spaziosa ed amena villa Gautier; poi cominciò l'ampliamento dei locali e lo sviluppo delle scuole, dei laboratori e dell'Oratorio; infine ecco aggiungersi le Figlie di Maria Ausiliatrice. Tre sole vennero inviate per le prime colà da Mornese nel settembre del 1877: una direttrice matura d'età e di senno, benchè recente di professione, e due suorine di fresco vestite. Madre Mazzarello fu a visitarle tre mesi dopo: sapendo della loro misera casetta, lasciò la compagna di viaggio ad Alassio e vi arrivò tutta sola. Si narra che fece ivi uso imperioso della sua autorità, perchè le sue figlie durante la notte non le impedissero di prender sonno a modo suo: dormì seduta sur una scranna e appoggiando il capo al tavolino. - Voi, disse, domani dovrete lavorare tutto il giorno; io invece non ho niente da fare. - Partì molto consolata, perchè vide le sue figlie nel più perfetto spirito di Mornese e sentì dal Direttore che non solo si era contenti di esse, ma che si preparava loro una migliore abitazione anche per il desiderio di averne altre. Col tempo, il Patronage Spinte Anastasie, da esse diretto, sarà centro di benefica azione a vantaggio di tanta gioventù femminile nizzarda.
Ora cinque lettere del Beato a Don Ronchail ci faranno conoscere alcun poco e le costanti sollecitudini di lui per la casa di Nizza e varie coserelle di que' suoi figliuoli
La prima lettera fu scritta da Don Bosco nel suo supposto compleanno, che, come di qui appare, dopo la semplicissima commemorazione del 1875, si continuò a ricordare con qualche solennità negli anni seguenti; si era anche all'indomani della festa per la posa della pietra angolare nella chiesa di San Giovanni Evangelista. Egli accenna a due suore terziarie francescane di Tolone; da Tolone dipendeva Saint - Cyr, dove era l'orfanatrofio che si voleva dare a Don Bosco, tenuto allora da certe terziarie di San Francesco sotto la direzione dell'abate Vincent. Nel contesto della lettera incontriamo una massima morale di grande importanza e nel proscritto una parolina all'orecchio del Direttore. [716]
Accetto assai volentieri le due suore terziarie di S. Francesco di Tolone, ma avrei bisogno che potessero venire almeno per un po' di tempo a Mornese. E potrebbero venire quando che sia. In quanto ai mezzi materiali fa' tu e prendi quello che possono portare seco.
Ieri fu benedetta la pietra angolare della Chiesa di S. Gio. Evangelista. Festa strepitosa quale vedrai riferita nel prossimo Bollettino.
Farò esaminare il caso delle Orsoline, che non esistendo più come ente legale, non so come possa far valere le sue ragioni. Farò esaminare e poi risponderò.
Credo che abbi avuto una lettera per D. Perret e sul modo di regolarti Quando il male va in cancrena, difficilissima ne è la guarigione.
Tutta la casa è in movimento pel compleanno e per la distribuzione dei premii per gli artigiani alle ore 6 di questa sera.
Un cordialissimo saluto a te e a tutti i nostri cari giovani. Pregate per me che vi sarò sempre in G. C.
PS. Non mai dimenticare che tu sei il padre di tutti e che devi fare in modo di condurre tutti a Gesù.
L'abate Antonio Cauvin, nominato in principio della seconda lettera, già parroco a New York, disponeva di una discreta fortuna, da cui attinse largamente per aiutare Don Bosco. Nel 1875 gli aveva imprestato cinquantamila franchi per la prima spedizione di Missionari, somma che poi gli condonò interamente[384]. Morì a Nizza nel 1902. Riguardo [717] all'autorizzazione legale, di cui qui è parola Don Bosco l'aveva chiesta al Prefetto di Nizza nel giugno precedente[385]; si vede che la domanda aveva bisogno di validi patroni per essere esaudita. Erano tempi difficili quelli per i religiosi in Francia!
I° Ti mando la lettera per l'Ab. Cauvin che leggerai per tua norma: di poi la piegherai bene e gliela farai pervenire, dicendogli che la casa di Nizza e le altre tutte pregheranno per lui.
2° Studia modo di trovare qualcuno che parli per te al sig. Prefetto, facendogli notare che noi siamo alieni dalla politica e che ci occupiamo di raccogliere quei ragazzi che si trovano in procinto di dare lagnanze alle pubbliche autorità e per lo più sono già nell'anticamera delle prigioni. Molti francesi sono ricoverati nelle nostre case in Italia e per diminuirne la venuta si aprono ospizii in Francia. Forse il deputato potrà giovarci. Nota anche che in ogni nazione avvi una casa madre che noi chiamiamo Ispettoria, etc.
3° Tienimi a giorno di ogni cosa, saluta il sig. Barone e gli altri amici e tutti i nostri amati giovani, specialmente l'Abbate Siro Davide. Che fa? Digli che mi scriva una bella lettera.
Dio ci benedica tutti e conservi a cento anni il Sig. Audoli.
Pregate tutti per me che vi sono in G. C.
Quanta riconoscenza nella terza lettera verso il cooperatore infermo! Gli manda una reliquia di Pio IX. Le reliquie del santo Pontefice erano molto ricercate. Don Taroni gli aveva scritto da Faenza il I° ottobre del medesimo anno: “Mi fu supposto che Ella possa aver qualche reliquia di Pio IX da darmi! Una memoria di Pio IX datami da Don Bosco! i due preti, che più amai ed amo! Che ventura! Che [1902]. [718] grazia!...” L'Unità Cattolica e il Bollettino Salesiano riferirono fatti prodigiosi attribuiti alla sua intercessione[386]; nel numero del 24 luglio il giornale suddetto pubblicò una lettera del cardinale Luigi di Canossa, vescovo di Verona, che narrava l'istantanea guarigione di un giovanetto da violenta epilessia[387], morbo da cui Pio IX fu affetto nella sua gioventù e liberato dalla Vergine Immacolata, quando quello avrebbe costituito per lui impedimento a ricevere gli ordini sacri.
Ho ricevuto notizie con vero rincrescimento che il nostro amico sig. Delpiano abbia peggiorato nella sua antica malattia. Io gli mando di tutto buon cuore la povera mia benedizione, e nel tempo stesso ho stabilito che all'altare di Maria Ausiliatrice si facciano mattino e sera speciali preghiere per lui. Anzi ti unisco una reliquia di Pio IX che tu gli porterai animandolo a confidare nella protezione di questo santo Pontefice. Fagli coraggio e assicura anche la sua Sig. moglie delle comuni nostre preghiere.
Per ora non posso recarmi personalmente a fargli visita, perchè sono tutto occupato della partenza dei nostri Missionarii. Appena compiti i preparativi più urgenti io volerà tosto a fargli una visita secondo il mio vivo desiderio.
Dirai al mio amico Siro Davide che la sua lettera mi piacque assai e che gli risponderò appena abbia un momento libero.
Saluta tutti i nostri cari confratelli e figli miei, specialmente il mio amicone sig. Audoli.
Dio ci benedica tutti e credimi in N. S. G. C.
Nella quarta lettera il “mezzo esercito di Don Ronchail „ è lo stuolo di confratelli inviatigli per Nizza, per Marsiglia e per la Navarra. Enrico e Giovanni erano due Ronchail, [719] fratello uno e cugino l'altro del Direttore. Questi fungeva da ispettore in Francia o meglio era colà il rappresentante di fiducia del Beato. Le case di Francia facevano ancora parte dell’Ispettoria ligure sotto Don Cerruti. La “pace” da dare alla Francia è un'altra facezia per significare la tranquillità da procurare alle nuove case francesi con l'invio di personale, che vi scarseggiava troppo.
Tra quelli che sono già teco e quelli che vanno, puoi già formare un mezzo esercito di Don Ronchail. Li vedremo in campo di battaglia. Per dare un po' di pace alla Francia sarà bene che mandi Enrico con D. Perrot e Gioanni con Don Bologna, o viceversa. Purchè ciò sia possibile.
Riceverai il quadro di Leone XIII se giungerà intiero.
Per Natale vi sono delle Ordinazioni? Io sarò a Nizza ai primi giorni di gennaio prossimo. Sarà caso di pensare a un sermon de Charité, o a qualche cosa per quella epoca?
D. Rua partì col Conte Cays per Parigi senza lasciarmi un soldo. Puoi tu mandarmene?
Fa' un carissimo e cordialissimo saluto ai nostri cari figli, sempre compresi i nostri benefattori. Dio vi benedica tutti e pregate per me che vi sarà sempre in G. C.
PS. Sono un po' in collera col sig. Audoli perchè mi dice più niente. Dunque mi mandi una lunga lettera o dieci mila franchi.
La parte più importante dell'ultima lettera è là dove il Beato istruisce il Direttore sul modo di ricevere la professione religiosa in suo nome da due chierici, somministrandogli perfino la traccia del discorsetto finale nè dimenticando l'esempio, opportunissimo perchè domestico e recente. Col dare pubblicità alla cerimonia il Servo di Dio mirava a far vedere che la Congregazione aveva soggetti francesi autentici (uno dei due veniva da Lucon) e che egli non aveva alcuna tendenza a tutto italianizzare o a tutto fare in Italia. “Ho bisogno di preti e chierici francesi, aveva scritto a Don [720] Ronchail[388]. Fammene un numero sterminato”. Il defunto signor Delpiano aveva, morendo, nominato Don Bosco suo legatario universale; ma, avendo egli lasciato l'usufrutto alla vedova con facoltà d'intaccare, ove occorresse, il capitale, non ne rimase più nulla, perchè la signora tutto lo impiegò in favore della propria famiglia. Degna di particolare menzione è la signora Visconti, che Don Bosco chiamava la Mamma della casa.
I° Dio riceva in cielo l'anima del compianto Delpiano. Era un buon Cristiano, pieno di fede viva. Abbiamo pregato e pregheremo per lui. Fate voi altrettanto. Saluta la sua Signora moglie; dille così che io la raccomando ogni giorno nella Santa Messa. Invitala a passare qualche giorno colle nostre suore al Patronage; forse le farà piacere.
2° Mi rincresce molto che la tua sanità sia cagionevole. Fa' quello che puoi e non di più; quindi ùsati quei riguardi che tu vedi necessarii in tutto.
3° Prepara pure per la emissione dei voti di Macheau e Pirro. Ne riceverai a suo tempo regolare delegazione. La funzione si faccia in famiglia; ma le persone di confidenza si possono invitare; Barone Héraud, Baronessa, D. Giovan[389], Damigella Amburg, Madame S. Michel, Conte e Contessa Pierlas, Mad. Visconti ed altri simili[390].
4° I giovani cantino in musica l'Ave Verum, il Sit nomen Domine Benedictum di D. Cagliero od altro simile; poi tu intonerai il Veni Creator etc. col resto che segue. In fine farai un sermoncino, trattando [721] le consolazioni di chi si dà a Dio in vita ed in morte. Bellissimo esempio di tuo cugino D. G. Batta. Le sue ultime parole furono: “Benedico Dio che mi ha chiamato ad essere Salesiano e lo ringrazio che mi concede di morire nelle mani di D. Bosco”. Io dico questo, tu poi fa' come vuoi e come giudichi meglio.
5° Fin dagli ultimi di ottobre ho scritto per la dispensa di età per Bianchi e Giordano. Essi possono ambidue essere ordinati a Natale. Anzi se Bianchi ne fosse preparato avrei l'extra tempus in qualunque momento. Vedrai tu il da farsi.
6° Farai cordialissimi augurii di salute al caro sig. Audoli, saluterai tutta la famiglia da parte mia.
Sappimi dire l'età precisa di D. Pirro, perchè desidero che sia prete al più presto.
Danne avviso a D. Giordano[391]; a suo tempo gli scriverai una lettera.
Dio ci benedica tutti e ci conservi nella sua santa grazia, Amen.
Don Ronchail nel 1877 trattò per una fondazione a Cannes, la graziosa cittadina marittima poco lontana da Nizza. Il parroco Barbe aveva ideato un'opera giovanile, già principiata da lui, ma che avrebbe voluto sviluppare per mezzo dei Salesiani. Don Bosco aveva fatto buon viso alla proposta. Il parroco, uomo ardente, intese la parola del Beato come una promessa di prossimo adempimento; quindi per l'anno scolastico 1877 - 78 licenziò i maestri laici che già teneva. Il Beato, sebbene avesse impegni pressanti col vescovo di Fréjus per la Navarre e Saint - Cyr, pure, spinto dalla sua carità, non lo volle lasciar così nell'imbarazzo; onde nell'ottobre del 1877 mandò a Cannes Don Pietro Perrot con i due chierici menzionati sopra nella lettera quarta e con un coadiutore, perchè si prendessero cura soltanto delle scuole parrocchiali. [722]
Ma Don Bosco non intendeva di dare un passo più oltre senza vederci ben chiaro; per questo richiese al parroco un regolamento dell'opera. Ne venne fuori un disegno di vaste proporzioni. Il programma, infatti divisava un istituto destinato a impartire tre specie d'insegnamento: insegnamento primario gratuito ai figli del popolo, massime ai più bisognosi d'assistenza morale; insegnamento del canto sacro e delle sacre cerimonie ad allievi scelti per il servizio liturgico nella chiesa parrocchiale; insegnamento professionale ad alunni che avessero età e capacità per riceverlo. L'amministrazione sarebbe affidata ad una commissione, di cui il Direttore delle scuole sarebbe un membro, sotto la presidenza del parroco. I fondi si speravano principalmente dalla pubblica beneficenza. Come Don Bosco abbia giudicato il regolamento, lo sappiamo da lui medesimo, che scrisse a Don Ronchail[392]: “Il Regolamento per la scuola di Cannes non è possibile. Bisogna fare patti chiari. Se non siamo assolutamente liberi e indipendenti, è meglio sospendere ogni cosa e noi ce ne andremo più in là, cioè fino a St - Cyr o a Marseille”.
Ma i patti chiari non accennavano punto a venire; si notava anzi nel buon parroco un'instabilità di propositi che non permetteva di abbandonarsi a rosee speranze[393]. Intanto i Salesiani stavano troppo a disagio. Abitavano in una stanza annessa a una cappella dedicata a Notre Dame de Bon Voyage, oggi matrice della città, e facevano scuola in un casotto di legno che dava da un lato sopra una gran piazza, piena sempre di movimento e di rumori, e dall'altro sul mare. Il sole vi batteva continuo, sicchè c'era da sudare anche d'inverno. Tutto dunque consigliava a ritirarsi; e così fu fatto, nell'attesa di condizioni migliori, che non si avverarono mai. [723]
Don Ronchail condusse pure a buon termine i preparativi per l'andata dei figli di Don Bosco alla Navarre e a Saint - Cyr. Dapprima il Beato gli fece fare pratiche per stipulare con l'abate Vincent proprietario due contratti in forma di donazione[394]; ma non ne fu nulla: onde nel 1879 entrerà in campo la Società Beaujour. A Saint - Cyr si andò più tardi; alla Navarre invece tutto era pronto per il 1878. Direttore fu Don Perrot, che abbiamo visto or ora a Cannes. Egli, giovane com'era, provò qualche sgomento, pensando alla difficoltà dell'impresa e alla propria inesperienza; ma Don Bosco lo scosse, lo incoraggiò e gli largì preziosi consigli con questa letterina.
So anch'io che sei ragazzo, e perciò avresti ancora bisogno di studio, di pratica sotto ad un valente maestro. Ma che? S. Timoteo chiamato a predicare G. C. sebbene giovanetto si mise tosto a predicare il regno di Dio agli ebrei ed ai gentili.
Tu adunque va in nome dei Signore; va non come Superiore, ma come amico, fratello e padre. Il tuo comando sia la carità, che si adopera di fare del bene a tutti, del male a nessuno.
Leggi, medita, pratica le nostre regole.
Dio ti benedica e con te benedica tutti quelli che teco andranno a Navarra e prega per me che ti sarò sempre in G. C.
Don Bosco ebbe l'accorgimento di far partire il personale non da Torino, ma da Nizza: eravi col Direttore un suddiacono, Don Lorenzo Giordano, come maestro, e un giovane coadiutore, Mario Gay, come assistente dei piccoli agricoltori. Per procurarsi il denaro del viaggio Don Perrot si dovette [724] obbligare alla celebrazione di trenta messe: la limosina bastò appena appena. Sulla casa gravavano ventisette mila franchi di debito. I Salesiani giunsero all'orfanatrofio verso le cinque e mezzo pomeridiane del 5 luglio 1878. I pochi rimasti nella casa li accolsero con gran giubilo e con segni di sincero affetto; i benefattori, trovatisi a dar foro il ben venuto, li salutarono quali restauratori e novelli fondatori, tanto la casa era materialmente e moralmente rovinata. Nessuno ancora sapeva quello che sappiamo noi, che cioè operava là il braccio della Provvidenza.
Spenta l'eco delle festose accoglienze, quando, pigliato come poterono il riposo della notte, si resero conto della situazione, sonò per essi l'ora dello sconforto. Un edifizio più che mezzo in sfacelo; vasti poderi diventati per l'abbandono tante grillaie; l'ombra minacciosa del grosso debito; il portafoglio vuoto; la prospettiva di un improbo lavoro e d'ingenti spese senza verun profitto immediato: non è da stupire se li assalisse lo scoraggiamento, ma è ben da stupire che dietro lo scoraggiamento non si affacciasse il proposito di disertare il posto. Prevalse invece la confidenza in Dio, in Maria Ausiliatrice e in Colui che era strumento delle divine misericordie. Nè le loro speranze andarono deluse; anzi se ne sperimentarono subito gli effetti. La semplicità e il buon volere, con cui silenziosamente si accinsero all'erculea fatica, produssero ottima impressione sui signori, sulle signore, sui parroci dei paesi circonvicini, che, tocchi delle loro disagiate condizioni, non tardarono a venire in aiuto. Don Bosco dal canto suo non fu sordo alle loro invocazioni di personale, perchè fosse possibile metter mano ai lavori campestri; infatti a brevi intervalli fece si che ben sei altri coadiutori fossero agli ordini di Don Perrot nei più urgenti bisogni dell'azienda.
Ma i Salesiani non erano andati alla Navarra per farsi conduttori di fondi; essi avevano la missione di dar vita a un'opera nuova per la Congregazione, ma che entrava [725] quant'altra mai nel programma di Don Bosco: istituire una colonia agricola, dove fossero ammaestrati a coltivare la terra e ricevessero un'educazione cristiana i poveri figli della gleba rimasti orfani od abbandonati. Perciò non appena il personale parve bastante, vennero accettati quanti giovanetti la casa poteva capire, una quarantina in tutto; e il più singolare si fu che cominciare le accettazioni e giungere provvidenziali sussidi per mantenerli e vestirli fu un punto solo. Grandi consolazioni i Salesiani ebbero tosto dalla condotta dei ricoverati, dalla visita del vescovo, dalla venuta di Don Bosco sul principio del 1879, e dal generale interessamento, con cui si guardava ai loro sacrifici. Non mancò per altro una spina ben dolorosa, nella morte di una virtuosa Figlia di Maria Ausiliatrice, Suor Marietta Gariglio.
Le Figlie di Maria Ausiliatrice seguirono alla Navarra i Salesiani. Don Bosco, presa la decisione d'inviarvele, aveva nel maggio del 1878 incaricato Don Ronchail di accompagnare sul posto Madre Mazzarello con una suora, perchè vedesse come le sue figlie ci si potessero convenientemente allogare. Le terziarie francescane, chiamatevi dall'abate Vincent, erano rimaste in poche e non se ne trovavano più che volessero andarvi; inoltre il tifo aveva fatto strage degli orfani: una suora sola ormai stava, a custodia della casa, e quella ricevette come potè meglio la Madre. Dalla Navarra Don Ronchail la condusse a Saint - Cyr. Ivi, a sei chilometri dalla città di questo nome, in riva al mare l'abate Vincent aveva fatto acquisto di un vasto edifizio, denominato il Castello, e vi aveva messo un orfanatrofio misto. Il fondatore vi dimorava tuttora; ma, non potendo più continuare per mancanza di personale e di risorse, aveva per mezzo del vescovo di Fréjus ceduto tutto a Don Bosco. Alla Madre naturalmente non piacque affatto quella mescolanza di fanciulli e fanciulle e propose che queste si lasciassero là e quelli passassero alla Navarra; sempre però subordinatamente [726] alle disposizioni che intenderebbe dare Don Bosco. Il quale Don Bosco si sa bene come la pensasse circa tali promiscuità. Scrisse di lui il padre Giovanni Giuseppe Franco[395]: “Il venerando Don Bosco, grande ingegno e grandissimo pedagogista pratico, accertava a chi scrive queste linee che il vizio vi si propagava serpeggiando come la scintilla elettrica sul quadro magnetico”. Si parlava appunto di scuole e di asili misti. Quando le Figlie di Maria Ausiliatrice si stabilirono nel 1880 a Saint - Cyr, le cose erano ordinate nel modo voluto da madre Mazzarello[396].
Alla Navarra le suore fecero il loro ingresso il 5 ottobre 1878. Per qualche tempo si accomodarono anch'esse come fu possibile in tanta penuria. Dormivano sotto un tetto, da cui cadevano talora calcinacci e per cui passava la pioggia. Il vento strideva fra le fessure delle pareti; topi e pipistrelli, sbucando fuori dai crepacci, la facevano da padroni per le stanzucce e per la scaletta sconquassata. Le poverine, mal riuscendo a liberarsi dal sudiciume e vedendo quei meschinelli di orfani tutti sbrandellati e con un appetito mai soddisfatto, piangevano e non osavano parlare, perchè i Salesiani tribolavano già abbastanza. Dio però benedisse i sacrifici degli uni e delle altre, accordando all'opera 25 anni d'invidiabile floridezza, fino cioè all'infausta legge di soppressione.
Ma fra le case salesiane della Francia, fondate e da fondarsi, il primo posto sarebbe spettato sempre a quella di Marsiglia. Il momento di aprirla s'approssimava. Noi sappiamo già quali motivi causassero indugi, quando l'apertura sembrava imminente, e come la pazienza del canonico Guiol ne fosse messa a dura prova. Eppure nel maggio del 1878] [727]
Don Rua fu costretto a scusare ancora una volta Don Bosco per il suo ritardo a rispondergli sulla convenzione formulata e proposta.
Il nostro caro D. Bosco, grazie a Dio, va migliorando, ma non è però ancora in grado di attendere alle sue occupazioni con quell'alacrità di cui avrebbe bisogno nella moltitudine degli affari che lo assediano. Speriamo pertanto che V. S. vorrà compatirlo, se neppure adesso può soddisfare al desiderio della S. V. di avere da lui una risposta definitiva sulla convenzione propostaci, non avendo proprio ancora potuto occuparsene seriamente. Giova per altro ritenere che fra non molto sarà in grado di scriverle e concertare ogni cosa.
Passando ad altro, La pregherei di un favore. Quando fummo costì uno de' suoi bravi Vicari da me pregato ci aveva provveduto una piccola biografia dell'attuale Pontefice Leone XIII, stampatasi, se non erro, a Lione. Se potesse ancor provvedercene due altre copie, ci farebbe molto piacere. Ben vedo che si accrescono i nostri debiti, ma ci tenga per buoni, e ci faccia credito; quando saremo costì, ci adopereremo a sdebitarci. Per ora preghiamo la Vergine Ausiliatrice, protettrice della Francia, a voler Essa stessa cominciare a compensarla di tanta bontà che V. S. usa a nostro riguardo.
Gradisca i rispetti cordialissimi di D. Bosco, dei colleghi e dello scrivente, e voglia ne' suoi santi Memento tener presente
Il Capitolo Superiore trattò l'affare pochi giorni dopo. Tutti i membri fecero plauso alla nuova fondazione, grati anche della fiducia che il canonico e la Società Beaujour riponevano nel loro amato Superiore e Padre e nella Congregazione Salesiana. Fattisi poi a esaminare il progetto di convenzione, lo approvarono, purchè venissero accolte alcune modificazioni importanti per iscansare litigi nell'avvenire. Si aveva piena fiducia nei proponenti, zelantissimi del bene e veri amici dei Salesiani; ma bisognava ridurre le cose al punto che, dicevano i Capitolari, non comparisse nè il noi nè il voi, bensì i successoti nostri e vostri, potendosi dare benissimo il caso, che succedessero altri uomini di spirito [728] diverso e punto disposti a riconoscere le buone intenzioni dei loro predecessori.
Don Rua comunicò queste osservazioni all'abate Guiol il 20 maggio, così terminando la sua lettera: “Premesso quanto sopra, ho il piacere di notificarle che già venne designato il Direttore ed il personale per la nuova Casa di Marsiglia, e se non insorgono difficoltà, come giova sperare, prima del 28 giugno potrà costì recarsi la piccola carovana Salesiana. E per sostenersi come faranno? Caro Sig. Curato, la sua bontà e generosità c'ispira fiducia. Le parole da Lei udite ci rassicurano che, finchè le cose non saranno avviate regolarmente, Ella non abbandonerà a se stessi i nostri Confratelli”.
Il testo della convenzione, ritoccato a Marsiglia e rimandato a Torino, il 13 giugno rimase definitivo[397]. Corsero tuttavia ancora tra le due parti osservazioni e spiegazioni incalzantisi a giro di posta, perchè si voleva guarentirsi da qualsiasi sorpresa nel futuro. La presenza di Don Ronchail a Marsiglia agevolò non poco l'intendersi.
I Salesiani erano dunque ormai sulle mosse alla volta di Marsiglia. Don Bosco ve li precedette con questa lettera al parroco di San Giuseppe.
Per dare qualche principio al nostro progetto io mando tosto Don Bologna che è prefetto o vice Rettore di questa casa. Egli è pratico di ospizio, di artigianelli e di Oratorii festivi, e spero che appagherà l'aspettazione.
Bisogna però ritenere che non potrà tosto fare miracoli e ci vorrà un po' di tempo prima che si possa vedere il frutto delle comuni sollecitudini. Ma col buon volere e coll'aiuto del Signore e coll'assistenza dei buoni consigli di V. S. car.ma spero che la casa di S. Leone non istarà indietro dalle altre che già producono buoni frutti. Per lettera non fu possibile intenderci bene, ma ciò farà D. Bologna di presenza. È necessario che si pensi a rendere stabile il nostro Istituto, e sarà stabile se la Congregazione Salesiana sarà indipendente. Ciò [729] è incagliato presentemente, perciocchè i Salesiani non possono nè correre nè saltare, ma stare a quello che c'è e non di più.
Ella ci pensi; è mio desiderio che la Maison Beaujour duri anni molti dopo di noi.
Presentemente vanno solo tre ecclesiastici ed un coadiutore.
Di mano in mano che vedrà necessario altro individuo, farò in modo di appagarlo.
I miei ossequi a Mons. Martin e al suo Victor e a tutti di sua famiglia; preghi per me che le sono sempre in G. C.
I “tre ecclesiastici” accennati nella lettera erano oltre il Direttore, Don Alessandro Porani catechista e Don Giuseppe Villanis consigliere; il coadiutore si chiamava Luigi Nasi, ancora ricordato con edificazione da chi lo conobbe. Tuttavia soltanto il primo e l'ultimo si trovarono là a prendere possesso. Don Bosco però mantenne la promessa di mandare, occorrendo, rinforzi; infatti oltre i quattro menzionati mandò a più riprese quattro chierici, fra cui Luigi Cartier, e altrettanti coadiutori, dei quali sopravvive Vittorio Borghi. Cosicchè nel catalogo del 1879 figurano a Marsiglia ben dodici persone a formare la comunità.
Nella sua lettera Don Bosco dà senza più alla casa il titolo di San Leone. Quando e come fu così denominata? Corrono in proposito due versioni. Una, abbarbicatasi nella tradizione, vorrebbe che ciò fosse perchè i Salesiani vi dovevano arrivare il 28 giugno, festa di san Leone II, sebbene non vi arrivassero. Ma sta il fatto che, se in un dato momento si parlò del 28 giugno per il mancato arrivo, ciò fu tardi e per mero caso; fatto sta che quel nome era già stato imposto da tempo. Infatti dal verbale della seduta che il consiglio della Beaujour tenne l'11 giugno, si rileva che Don Bosco aveva già proposta per l'Oratorio quella denominazione. L'altra ipotesi vorrebbe che il Beato intitolasse e la casa a San Leone in omaggio a Leone XIII. Noi [730] riteniamo che le due versioni si possano facilmente conciliare, completandosi a vicenda. Il pensiero di Don Bosco fu di onorare il Papa, dando all'Oratorio un patrono che ne ricordasse il nome e che appunto per questo nel contratto dovette fissare, come punto di partenza al computo degli anni, la vigilia di San Pietro, giorno in cui la Chiesa commemora san Leone II. Forse la prudenza consigliò a non battezzare l'oratorio col nome del regnante Pontefice. Dal 1880 i Salesiani di Marsiglia presero a festeggiare in san Leone II il loro patrono.
I due pionieri sarebbero dovuti giungere alla residenza il 26 giugno; ma questa cartolina di Don Rua al canonico Guiol, spedita da Torino il lunedì 25, avvertiva: “La prevengo che per inaspettati ostacoli i noti amici non potranno arrivare che giovedì”. Ma nemmeno in tal giorno poterono essere a Marsiglia. Tutto era pronto per riceverli quella sera del 28; un contrattempo invece li forzò a protrarre la loro permanenza a Nizza, dove celebrarono la solennità di San Pietro, partendone il I° luglio in compagnia di Don Ronchail.
Arrivarono a Marsiglia in un brutto giorno e in un più brutto momento. La città era in agitazione pro e contro la santa memoria del vescovo Belzunce, che dal 1720 al 1722 durante una fiera pestilenza era stato il Carlo Borromeo del suo gregge. Gli anticlericali ne volevano rimossa la statua dal fondo del corso, che da lui prendeva il nome. Gravi disordini scoppiarono il I° luglio: i nostri dovettero aprirsi il varco attraverso un comizio di fanatici, che rintronarono loro le orecchie con bestemmie infernali. Non che sbigottirsi, i nostri compresero abbastanza quanto fosse urgente la necessità di aprire l'oratorio e quanto i buoni si attendessero dal loro zelo. E l'oratorio fu aperto senz'alcuna formalità il giorno seguente, festa della Visitazione di Maria Santissima e data assai fausta per i natali della nuova opera di Don Bosco.
Don Bologna, che diventò poi Don Bologne, non aveva [731] nè un esteriore che lo raccomandasse, essendo bassotto di statura, nè gran facilità di parola; ma possedeva in grado eminente lo spirito del Beato Fondatore: bontà, dolcezza, allegria, prudenza, arte di guadagnar i cuori, non mediocre destrezza negli affari, zelo verace per l'incremento dell'opera affidatagli e, ciò che informava tutte queste doti, una pietà semplice e sentita. Possedeva anche bene la lingua francese. Venuto orfanello a Valdocco, vi aveva trascorsi vent'anni, da studente, da chierico, da prete e prefetto esterno: era dunque anche lui un figlio genuino dell'Oratorio. Prima di spiccar il volo dal caro nido assistette ancora alla festa di Don Bosco il 24 giugno; appena fu partito, il Beato gl'inviò a Nizza queste paterne righe di congedo:
Ti mando qui accluse tre lettere che dopo averle lette sigillerai e porterai a destinazione.
Va' pure in nomine Domini. Dove puoi risparmia; se hai bisogno, chiama e il papà farà in modo di provvederti.
Va' come padre dei confratelli, come rappresentante della Congregazione, come caro amico di D. Bosco.
Scrivi spesso bianco e nero[398]. Amami in G. C. Dio benedica te, i nostri confratelli, le opere tue e prega per me che ti sarò sempre.
PS. Se puoi ringrazia quelli che mi hanno scritto per S. Giovanni.
Il vescovo monsignor Place ebbe appena tempo di benedire l'oratorio, perchè il 15 luglio Leone XIII lo promosse alla sede arcivescovile di Rennes; monsignor Luigi Robert, suo successore, traslato nel settembre da Oran, si mostrò non meno benevolo verso i Salesiani, della cui attività, facendo l'ingresso nella diocesi, vide già frutti consolanti. Gl'inizi dell'opera furono assai modesti. Il Direttore, [732] bramoso dì fare, non potè ricevere più di otto interni, che mise a dormire in un granaio. Per estendere la carità bisognava fabbricare; per l'oratorio festivo poi il personale non era affatto sufficiente. Dalla seguente lettera di Don Rua apprendiamo cose notevoli su quei primordi.
Hai quasi ragione di lagnarti che non ti scriviamo; ma spero che saprai compatirci stante il poco da fare che ha lo scrivente e tutti gli altri insieme. Se non che parmi d'averti scritto e recapitato la lettera per mezzo di Pentore. In seguito poi aspettava sempre che si potesse radunare il Capitolo per concertare intorno alle tue varie dimande, e essendosi ier sera radunato, oggi mi metto all'opera di riscontrarti con una lunga lettera, che ne valga quattro. E I°: Tu, col Sig. Curato, dimandi ancora due preti almeno: e noi malgrado ogni buon volere non possiamo per ora inviarli; tuttavia terremo presente la dimanda e procureremo di soddisfarla al più presto che ci sarà possibile.
2° Riguardo al fare nuove costruzioni tutto il Capitolo non vide conveniente di farle adesso, ma tutti opinano che convenga cominciare ad occupare tutto il locale disponibile con giovani allievi ed in seguito cominciar a fabbricare quando la necessità ci spinga a dare mano a nuove costruzioni. Ciò per due motivi, primieramente perchè sai anche tu in quali strettezze ci troviamo, secondariamente perchè più volentieri la pubblica beneficenza verrà in nostro soccorso, quando si veda l'opera già avviata e la necessità di darvi maggiore sviluppo. Tu ci hai mandato un disegno della vostra casa abbastanza chiaro da potersi intendere. Ciò che non possiamo approvare si è la destinazione che fai di varii suoi membri: io ti manderò lo stesso disegno variando la destinazione suddetta e così spero che almeno una quarantina di letti potranno allogarvisi, e così cominciar la nostra impresa. A Nizza ne' principii erano assai più ristretti di voi, e andarono avanti per parecchi mesi.
3° Riguardo alla Convenzione non hai più inteso a dir niente?
4° Per ora cominciamo mandarti il giovane Borghi Vittorio falegname che già potrà aiutarvi in varie cose, specialmente nei lavori del suo mestiere Appena abbiate una trentina di giovani, vedremo di mandarvi qualche altro aiuto.
5° Fra pochi giorni scriverò anche al Sig. Curato, circa nello stesso senso, dove ora si trova[399].
6° La tua prima lettera ci divertì assai. Quando abbi notizie amene od importanti, fammele sapere e serviranno di pascolo comune. [733]
Per ora basta. Prega il Signore per noi e saluta tanto i tuoi compagni e quanti altri s'interessano per noi. D. Bosco sta bene e gli altri pure. Forse fra breve verrà Rossi Giuseppe a farvi una visita. Credimi sempre
La lettera al curato di San Giuseppe promessa qui da Don Rua ci pone, improvvisamente dinanzi a un elemento nuovo, che esige un po' di proemio. Non era per anco avviato l'oratorio di San Leone, che già il canonico Guiol sognava un noviziato francese a Marsiglia; e quel che è più singolare, Don Bosco non solo non se ne adombrò, ma gli fece dire essere quella pure la sua intenzione. Il curato, persuaso che la Provvidenza avesse destinato i Salesiani a fare gran bene in Francia, riteneva indispensabile che si preparassero adeguatamente alla magnifica missione, al che parevagli occorrere anzitutto il sicuro possesso della lingua. Onde faceva due proposte: di creare un noviziato per la Francia a Marsiglia e di mandare colà preti italiani che si applicassero seriamente allo studio del francese[400]. Don Rua gli rispose a nome di Don Bosco.
Il sig. D. Bosco avrebbe esso stesso voluto scrivere a V. S.; ma non potendolo fare per le sue continue occupazioni, lascia a me il gradito incarico di rispondere alla riv.ma sua lettera dell'11 c.te. Primieramente sono in dovere di attestare a V. S. i nostri più vivi sensi di gratitudine per la benevolenza già usata costì alla nostra piccola colonia e di quella espressaci di nuovo nella sua lettera, così che noi non desideriamo altro che di corrispondere in qualche modo alla fiducia che Ella mette nella nostra umile Congregazione. [734]
V. S. esorta il sig. D. Bosco a scegliere Marsiglia per centro d'un Noviziato Salesiano, e questa è pure l'intenzione del sig. D. Bosco: tuttavia bisogna che aspettiamo per difetto di personale; ma tosto che il Signore ci darà personale sufficiente, volentieri stabiliremo anche in Marsiglia un noviziato e contiamo appunto di mandarvi prima qualche sacerdote a studiarvi il Francese, cosa certamente più che necessaria, come lo riconosce V. S. medesima.
Oltre i primi inviati, già mandammo a Marsiglia un altro coadiutore, ma, come dissi, la grande scarsità di personale non ci permette ancora di mandare sacerdoti: lo faremo subito che si possa. Intanto fin d'ora invochiamo la carità dei Francesi, onde si preparino a provvedere i mezzi per superare le molte difficoltà e per fare fronte alle spese occorrenti per aumentare la fabbrica, non che i mezzi del necessario sostentamento.
Riguardo alla nostra Convenzione non abbiamo più nulla saputo; noi ci raccomandiamo a V. S. che voglia occuparsene facendo le due parti, così che si possa andar avanti e col divino aiuto far del bene.
Le presento ora i miei umili rispetti con quelli del Sig. D. Bosco e raccomandandomi alle sue preghiere godo professarmi con perfetta stima e riconoscenza.
Con la prima intenzione di aprire un noviziato francese erasi già nella mente di Don Bosco determinata anche la scelta del luogo; egli aveva pensato a Nizza. Ora però la pensava diversamente, come ce ne fa fede una sua lettera del 31 luglio al curato di San Giuseppe.
Ho ricevuto la sua lettera del 27 corrente e godo assai che andiamo d'accordo nei nostri modi di vedere.
Un noviziato in Francia è indispensabile, e in luogo di Nizza, dove se ne era già parlato, io sono assai contento di scegliere Marsiglia. Dunque facciamo così: cominciamo a consolidare l'Ospizio di S. Leone. Il laboratorio dei falegnami è stabilito; il capo sa il suo mestiere e fu già due anni in Francia. Quanto prima manderò un sarto e poi etc.
Mentre l'Ospizio si va consolidando, e bisogna consolidarlo col tempo e colla pazienza, ci occuperemo dell'opera del noviziato. È questa una impresa gigantesca, ma utilissima, perchè i nostri studenti [735] per oltre alla metà vanno poi chierici nelle rispettive diocesi; si avranno missionari ed anche buoni secolari. Questo anno nelle nostre case abbiamo circa trecento giovani che compiuto il ginnasio entrano nel chericato. Essi sono ripartiti così:
Salesiani |
80 |
Missionari. |
20 |
Ordini religiosi |
15 |
Ritornano in Diocesi presso i loro Vescovi |
185 |
|
________ |
Totale |
300 |
Avremo da faticare [per] portare le cose in Francia a questo punto; ma se Ella mi aiuta, ci giungeremo.
Avrei una serie di cose a trattare; ma le serberemo ad altra lettera e forse a qualche conferenza.
Dio le dia buona salute e preghi per me che le sono in G. C.
Ci voleva certo dell'ardire a prefiggersi l'erezione di un noviziato proprio là, dove in quel tempo la massoneria assaliva con tutte le armi le Congregazioni religiose, spingendo il Governo a sopprimerle è anche motivo di sorpresa per noi il vedere com'egli parlasse così di noviziato in terra francese, quando aveva potuto a stento mandare colà appena un terzo del personale indispensabile per le opere cominciate. Ma il noviziato sarà canonicamente eretto e fra non molto.
Nella lettera surriferita Don Bosco per la prima volta usa per la casa di Marsiglia il termine “Ospizio”, che non ha riscontro nel corrispondente vocabolo francese e che ci rivela come fosse suo divisamento fare del Patronage Saint - Léon un istituto simile a quello di Sampierdarena, modellato cioè sull'Oratorio di Torino.
Nel mese di settembre Don Bologna, recatosi a Torino per i suoi esercizi spirituali, conferì comodamente con Don Bosco sulle cose di Marsiglia, manifestandogli anche le intenzioni del canonico Guiol. Il Beato, che dopo Lanzo era passato a dirigere gli esercizi di Sampierdarena, scrisse di là questa lunga lettera al suo grande amico di Marsiglia. [736]
In mezzo alle interminabili faccende di questi giorni non ho potuto trattare e concludere le cose con D. Bologna, che forse partirà senza che lo possa rivedere. Esso è alquanto inquieto, perchè non può avere seco il desiderato personale. Poco alla volta.
Per norma di V. S. dirò che entro pochi giorni avrà con D. Bologna due altri preti ed un chierico presso alle ordinazioni. Poi si manderanno altri di mano in mano che saranno necessari e si farà posto. Ella poi si assicuri che ho compreso i suoi generosi pensieri che saranno effettuati per quanto dipenderà da me. Essendo però sul cominciamento dell'anno scolastico con quindici case di più degli altri [anni], ci troviamo in tafferuglio pel personale. Ma il personale c'è e la S.. V. sarà provveduta e voglio che sia contenta dei Salesiani, perchè Ella è uno dei rari cooperatori salesiani
In quanto a me non è possibile che io vada a Marsiglia se non ad autunno alquanto inoltrato; ma qualunque cosa tratterà e conchiuderà con D. Bologna, sarà ben conchiusa ed io l'approverò[401].
Vedo la necessità di ampliare l'attuale edifizio che si fa ogni giorno più stretto. Ma dove prendere danaro? Non ho somme disponibili, ma nell'anno prossimo, possiamo calcolare sulla somma di ventimila franchi da spendersi per l'Oratorio di S. Leone.
Forse D. Bologna avrà bisogno di qualche somma di quando in quando. Qualora ciò avvenga, l'aiuti anche con più migliaia di franchi, se Ella può, e poi me ne dia cenno, ed io farò in modo che entro pochi giorni le venga restituita, a meno di quel tanto che volesse darci per carità.
Fu con noi a Torino l'abate Roussel che vorrebbe assicurare l'esistenza del suo istituto dopo di lui mercè l'unione di esso alla Congregazione Salesiana. Sono cose effettuabili adagio adagio e pregando molto. Le dico questo perchè egli ritorna a Parigi Passando a Marsiglia e desidera di vedere il nostro Oratorio di S. Leone e parlare anche colla S. V.
Come vede, io parlo con V. S. come si fa col più caro e confidente amico. Ella faccia altrettanto con me. Approvi, disapprovi quel che io dico, io studierò di seguire i suoi savi consigli e farò liberamente quei riflessi che mi sembreranno tornare a maggior gloria di Dio.
Dio ci conservi tutti nella sua santa grazia e preghi per me che le sarò sempre in G. C.
Abbiamo esposti, come sapevamo meglio, gli umili principii dell'Oratorio di San Leone, dove la povertà regnò sovrana nei due primi anni; ma Dio suole così disporre nelle opere sue “per dar occasione agli uni di confidare nella sua divina Provvidenza, agli altri di farsi dei meriti colle opere di carità, a tutti di ammirare la sua Onnipotenza che dal nulla sa trarre il tutto”[402].
L'abate Roussel, raccomandato da Don Bosco nella sua lettera, aveva fondato a Parigi nel quartiere di Auteuil un grande orfanatrofio per artigianelli. Per provvedere alla stabilità dell'opera già due anni innanzi Pio IX gli aveva fatto il nome di Don Bosco, che allora trovavasi pure a Roma, e ne ragionarono insieme. Più tardi il Beato gli dimostrò tutto il suo buon volere, dicendogli con l'abituale festevolezza: - Ella ci chiami a Parigi, e noi in otto giorni saremo da lei. - Indubbiamente l'istituzione parigina rispondeva ai fini della Congregazione; donde un motivo di più a non negare il proprio intervento. Per conoscere da presso il metodo Salesiano l'abate Roussel visitò nel 1878 l'Oratorio di Valdocco, rimanendone talmente soddisfatto che col consenso del cardinal Guibert suo arcivescovo il 10 ottobre intavolò trattative.
La proposta, comunicata da Don Bosco al Capitolo Superiore, incontrò le simpatie di tutti i membri, che dopo matura discussione convennero su due esigenze: che nulla fosse colà d'impedimento all'applicazione del sistema preventivo e che si dessero garanzie tali da assicurare la tranquilla permanenza dei Salesiani a Parigi anche dopo la morte dei fondatori. Il conte Cays fu incaricato di redigere la corrispondenza in lingua francese durante le pratiche.
L'abate bramava che Don Bosco si recasse a Parigi, dove [738] gli pareva che fosse più facile intendersi. Don Bosco promise o di andarvi presto in persona o di mandare il suo rappresentante Don Rua in compagnia del Conte, entrambi già favorevolmente noti al benemerito sacerdote parigino. Essi partirono difatti il 6 novembre. Sul loro viaggio scarseggiano molto le notizie; qualche cosa apprendiamo dalla seguente lettera del Servo di Dio.
Con vero piacere ho ricevuta lettera dì D. Rua da Lione, e di poi la sua e la seconda di D. Rua da Parigi. Ho pregato il Signore perchè il loro viaggio fosse buono ed ora lo ringrazio che ci ha favoriti, pregando che ci voglia sempre assistere nelle cose che sono di sua maggior gloria
Io non dubitava che l'Abbé Roussel vi avrebbe fatta buona accoglienza. La pietà, la benevolenza e carità che ha usata e dimostrata verso di noi, ci davano ampia garanzia. Tutto pertanto fa sperare che si verrà ad una sistemazione dì cose chiare e durevoli come ha sempre palesato lo stesso Ab. Roussel.
Pertanto io rinnovo qui tutto quello che ho già scritto a questo nostro caro amico e detto a Lei e a D. Rua verbalmente; che vi do i pieni poteri per trattare e conchiudere tutte quelle cose che questo signore giudicherà tornare a maggiore gloria di Dio.
Se quindi fosse necessaria la dimora di qualche giorno di più a Parigi, non abbiano difficoltà di farlo. Si ritenga eziandio che sebbene in simili affari non si possa canonicamente conchiudere senza il consenso del capitolo superiore, tuttavia non si avranno difficoltà di sorta essendo individualmente tutti d'accordo. Tutti però sono d'accordo di dare ogni favore ed autorità all'Abb. Roussel, purchè sia fissata stabilmente la nostra dimora a Parigi.
In quanto poi al cominciare tosto il noviziato nella novella Istituzione, non avvi alcuna difficoltà, ma dobbiamo farne dimanda alla S. Sede che non porrà certamente alcuna difficoltà.
Per la fermata di qualcuno costà nemmeno avvi difficoltà! Ma io avrei bisogno di potermi trattenere almeno un paio di settimane con colui o coloro, che sarà scelto per questa impresa (sia pure il Conte Cays) e trattare personalmente sui punti principali che riguardano ad un noviziato di tale importanza. Mi furono poi di grande conforto il beneplacito che Sua Eminenza l'Arcivescovo e il suo Ausiliario hanno dato di buon animo al progetto.
Ma in questo momento ricevo due lettere da Marsiglia, che mi dicono [il noviziato] essere colà indispensabile, colà e non a Parigi, e forse a quest'ora si saranno già scritte a voi lettere in proposito. [739] Io però non ho dato nessuna parola e desidero perciò che si conchiuda la cosa, si vada avanti: a Marsiglia ci penseremo dopo.
Il Vescovo nuovo di quella città scrive che vuole affidarci assolutamente la Maitrise della cattedrale; procureremo che una cosa non guasti l'altra.
La prego di ringraziare il Sig. Direttore di questo ospizio e dirgli che coram Domino ora e sempre io lo considero come vero Salesiano, giacchè le sue opere lo proclamano come tale.
La grazia di N. S. G. C. ci assista in tutte le cose, e la benedizione del cielo vi accompagni in ogni luogo fino a che vi possa riabbracciare sani e salvi tra i nostri confratelli che fanno speciali preghiere per voi.
Ella poi mi creda sempre in G. C.
La lettera al Conte era acclusa in un'altra confidenziale a Don Rua. Questi gli aveva mandato un abbozzo di convenzione, per averne il parere.
La lettera del Conte Cays può mostrarsi ove occorra. Qui in particolare ti noto alcune cose:
I° Le basi stabilite vanno bene, si possono anche variare, purchè vi sia presso a poco il medesimo senso. Invece però di accennare dipendenza dal Capitolo Superiore, si metta di preferenza il Superiore Generale. È più inteso, più chiaro e per noi fa lo stesso.
2° È bene di conoscere se sopra questo stabile gravitano delle ipoteche, o debiti, che dovessero versarsi sopra di noi.
3° Inoltre se vi sono molti posti obbligatorii gratuiti, di cui siasi già consumato il danaro.
4° Sebbene abbiate pieni poteri, tuttavia procurate di non stabilire la nostra andata stabile a Parigi fino a che siano depurate le cose e noi possiamo avere una legale certezza che a certe eventualità non si debba fare il fagotto.
In generale poi dirò che in questi momenti una Casa in Parigi per noi giudico un gran vantaggio morale, religioso e politico.
Le Conferenze si faranno a Torino. Se occorre, prolunga pure la tua venuta. Quante case, quante cose troverai al tuo ritorno!
Abbiatevi gran cura della sanità. I Confratelli vi salutano e pregano per voi.
Per mettere al sicuro da ogni eventualità la sua vistosa opera, che non era riconosciuta dalla legge, l'abate proponeva due forme di società civile. Ecco la prima: mettere la proprietà come fondo sociale (egli la valutava a più di tre milioni), quindi emettere un certo numero di azioni, delle quali una terza parte avrebbe ritenuta per sè, un'altra terza parte data a Don Bosco e il rimanente distribuito a chi ne volesse acquistare, uomini o donne senza distinzione, badando solo che fossero persone oneste. La stabilità dell'opera sarebbe dipesa da questo, che nelle deliberazioni la prevalenza sarebbe toccata a chi avesse il maggior numero di azioni, essendo i voti tanti quante erano queste. Nè l'assemblea generale degli azionisti, che si sarebbe radunata ogni anno, poteva dar luogo ad apprensioni; poichè, essendo la gran maggioranza delle azioni in mano ai più interessati, c'era da star sicuri che tutto sarebbe riuscito sempre in lor favore. Con l'altro sistema si procedeva così: fatta sul principio una sola radunanza degli azionisti, si eleggeva una commissione di otto soci, che avessero facoltà di deliberare in tutti gli affari, nella scelta dei quali delegati chi disponeva della maggioranza, e qui l'abate Roussel e Don Bosco, era padrone del campo. Un consiglio di tal genere non moriva; poichè scomparso un membro, i superstiti ne eleggevano un altro. Tanto nel primo che nel secondo sistema si sfuggiva alla gravosa tassa di successione. L'abate Roussel avrebbe preferito il primo, come praticavano i Gesuiti e i Fratelli delle Scuole Cristiane. Quanto alla condizione in cui sarebbero venuti a trovarsi i Salesiani riguardo alla direzione e all'amministrazione dell'ente, Don Rua fece le sue proposte, e le sue pure gli contrappose l'abate, come vedremo; il Capitolo Superiore avrebbe poi su tutto discusso e deliberato.
I due viaggiatori furono di ritorno la sera del 30 novembre Don Bosco che, finita la sua cena, stava per salire in camera, si fermò e assistette alla cena loro, ragionando con essi fin oltre le undici. Subito la dimane si tenne capitolo. [741] Don Bosco sorridendo aperse così la seduta: - Quando Cristoforo Colombo ritornò dal suo viaggio di scoperta, si radunarono i grandi di corte e tutti i dotti in un col re, pieni di ammirazione e desiderosi di conoscere le meraviglie di quelle terre remote, e innanzi a loro Colombo fece il racconto delle sue avventure. Sentiamo anche noi qui radunati le cose che ha da narrarci Don Rua.
Esilarati da sì inaspettato esordio, i Capitolari ascoltarono la relazione. Non sollevò obbiezioni il sistema di società preferito dall'abate Roussel; ma assicurare la proprietà non era tutto. Una difficoltà capitalissima nasceva dall'insufficiente libertà d'azione per i Direttori della casa: certe circostanze li avrebbero potuti mettere in conflitto o col consiglio della società o con il loro superiore diretto, che per un religioso è sempre il suo Superiore Generale. Ora per Don Bosco era conditio sine qua non che la casa Salesiana di Parigi fosse come tutte le altre della Congregazione. Come infatti avrebb'egli potuto allora e poi rispondere di una comunità, della quale egli non fosse pienamente libero di disporre? Sussisteva sempre l'eventualità che la società mandasse a vuoto disposizioni giudicate necessarie dal Superiore della Congregazione; e i confratelli, avvezzi a simile indipendenza dal loro Superiore naturale, avrebbero preso la pessima abitudine di passar sopra alle regole della Congregazione. Il Capitolo dunque decise di nulla deliberare fino a che non fosse chiarito bene questo punto.
D'altro canto la società civile era l'unico mezzo per iscansare spese e pericoli nella successione. L'abate, informato di quanto precede, Conchiudeva così le sue riflessioni al riguardo: “Io credo che la sola cosa ragionevole e praticabile per cominciare sia di farvi miei ausiliari con futura successione”. Egli insisteva con questo sul modo di vedere da lui prospettato a Don Rua nei colloqui parigini. Indi proseguiva: “Mi vorrei ingannare: ma io credo di conoscere il carattere francese e so quanto un amor proprio, senza [742] dubbio fuor di luogo, ma non meno reale, lo renda suscettibile e scontroso in fatto dì nazionalità. Questa fu appunto la prima obbiezione fattami dai nostri due Arcivescovi, allorchè manifestai loro il desiderio di unirmi con Voi”[403]. Inoltre, come Don Rua aveva udito, sia l'abate che il Cardinale avrebbero voluto che i Salesiani non s'impegnassero subito a fondo, ma si contentassero di stare a Auteuil per un anno in prova.
A Parigi Don Bosco aveva desiderio di andare, ma con tutto il decoro della Congregazione, tanto più che la voce che egli fosse per istabilirvisi aveva già destato una discreta aspettazione. Non era peranco l'abate Roussel rivenuto da Torino con notizie favorevoli, che già il celebre editore Lethellieux aveva detto di essere pronto a cedere tutto il suo laboratorio e la sua stamperia a Don Bosco; intesa la qual cosa, il santo abate Faà di Bruno, che trovavasi nella metropoli francese per affari, incoraggiava il Servo di Dio ad andate[404]. Se non che l'andarvi subito, come persisteva a richiedere l'abate Roussel, importava il presentarsi con un personale non adeguato nè per numero nè per preparazione; in un Parigi i nostri maestri d'arte, così com'erano, sarebbero stati pesci fuor d'acqua, incapaci di star a paro con quelli dell'abate, che insegnavano salariati. Era dunque giocoforza soprassedere per qualche anno. E poi quell'esservi tenuti in prova non garbava punto a Don Bosco e per la cosa in sè e per il pericolo di doversi ritirare con poco onore. Inoltre, come tutti affermavano e come il cardinale Arcivescovo aveva insinuato a Don Rua, l'abate, troppo generoso, non badava più che tanto a caricarsi di debiti. È vero che mezzi non gliene mancavano, perchè, essendo la sua opera veduta [743] dai Francesi con entusiasmo, trovava denari quanti ne voleva; ma e se alla sua morte avesse lasciato da pagare debiti straordinari? Don Bosco dunque risolvette di formulare una convenzione, che riducendo sul principio l'attività dei Salesiani entro i limiti del possibile, consentisse graduali sviluppi fino ad abbracciare col tempo l'opera intera.
Per la metà di dicembre il progetto fu pronto e spedito a Parigi. In esso il Capitolo aveva pigliato per base le proposte fatte oralmente da Rua a Parigi: tagliato corto con la pregiudiziale della libera amministrazione di tutta l'opera interna davanti alla società civile e messa da parte l'idea di addossarsi ogni responsabilità morale e materiale, il disegno di Torino si limitava alla fondazione d'una casa di tirocinio entro la casa d'Auteuil allo scopo di formare soggetti Salesiani capaci di coadiuvarne e a poco a poco sostituire il personale ivi esistente. Parve che questo rispondesse pure a un'intenzione dell'abate Roussel di veder sorgere colà una “pépinière”, un vivaio per le case di Francia[405], sebbene egli mirasse con ciò a un vero e proprio noviziato. Naturalmente occorreva a tal fine una piccola comunità Salesiana, la quale, attendendo alla regolare formazione dei soggetti, avrebbe dovuto rispondere solo dei propri dipendenti, senza interessarsi di gestione e amministrazione generale, lasciata interamente al fondatore. Quanto ai mezzi di sussistenza per questi “ausiliari” dell'opera “con futura successione”, Don Bosco si sarebbe attenuto agli articoli del progetto che presentava[406]. Glielo inviò firmato, pregandolo di rimandargliene copia con la sua firma; dopo di che egli verso gli ultimi di gennaio del 1879 avrebbe mandato all'abate alcuni chierici e laici: il conte Cays doveva esserne il superiore.
La risposta si faceva aspettare. A Auteuil intanto i più zelanti collaboratori dell'abate Roussel affrettavano coi voti più sinceri l'arrivo dei Salesiani, che vi portassero lo [744] spirito dì Don Bosco, tanto più che quei poveri ragazzi in mano di mercenari venivano su poco bene[407]. L'abate Roussel tardò un mese a farsi vivo, perchè d'accordo con l'Arcivescovo aveva stabilito di recarsi a Torino per introdurre qualche modificazione nel capitolato di Don Bosco[408].
L'incontro, anzichè a Torino, avvenne a Marsiglia nella seconda metà di gennaio del 1879. La discussione fu molto breve, tanto il Roussel rimase impressionato dall'entusiasmo dei Marsigliesi per il Servo di Dio; onde sottoscrisse la convenzione[409]. Non andò guari che Don Bosco annunziò all'abate che il conte Cays si accingeva alla partenza con un prete, due chierici e due coadiutori[410]. Ch'ei desiderasse sinceramente di mantenere gl'impegni di Marsiglia, n'è prova anche l'istanza da lui inviata a Roma per ottenere la facoltà di aprire a Parigi un noviziato; sulla quale istanza fu rescritto dilata, perchè la Sacra Congregazione attendeva prima, da Don Bosco una relazione sullo stato della Società[411].
Come si vede, Don Bosco era arrivato all'estremo limite del possibile, aveva dunque diritto di aspettarsi, che si abbandonasse la malaugurata idea dell'anno di prova; ma l'Arcivescovo tenne duro.[412] In un anno com'era possibile impratichirsi dei luoghi, delle usanze, delle indoli, dell'ambiente insomma? L'abate per conto suo Voleva il noviziato; ma la Santa Sede non avrebbe mai concessa la facoltà di [745] aprirlo se non a titolo permanente. Messi per tal modo alle strette, i Capitolari studiarono la forma più cortese per levarsi onestamente d'impiccio disdicendo l'impegno. Si scrivesse dunque a Parigi che, avendo già la Congregazione dato prove sufficienti di quanto con l'aiuto del Signore fosse capace di fare, nè solo in Italia, ma anche in Francia a Nizza e a Marsiglia, non credersi nè giusto nè decoroso andar a Parigi così in prova; essendo poi fermo il Cardinale in volere la prova nè potendosi sperare che Roma autorizzasse a mettere un noviziato in condizioni così precarie, i Salesiani vedersi costretti a rompere le trattative; essere però desiderio loro di conservare buoni rapporti con l'abate Roussel e di tenersi pronti sempre ad andare a Parigi, purchè in modo definitivo, quando si fosse giudicato in Francia aver date essi prove bastevoli di abilità.
Questa comunicazione partì da Alassio il 9 febbraio 1879, stesa forse da Don Ronchail e firmata da Don Bosco, che si trovavano in quel collegio. La risposta, improntata a un dolore rassegnato e assai riguardosa, raggiunse Don Bosco a Roma[413]. Il Servo di Dio la rinviò al conte Cays, dettando queste istruzioni: “ Il conte Don Carlo Cays dica il nostro buon volere: non revocare noi la firma, ma come corporazione religiosa bisogna che la nostra dimora sia assoluta e di consenso dell'Ordinario, ecc. Lettera benevola, ecc. ”. Il Conte eseguì il suo mandato, usando un linguaggio e uno stile quali si riscontrano solo nei capolavori della gentilezza cristiana[414].
Animato da spirito veramente buono, l'abate Roussel anelava con tutta sincerità a fare del bene, e bene duraturo. [746]
Non si nascondeva per altro come col suo sistema i giovani nei laboratori non fossero abbastanza sorvegliati; cattivi non potevano dirsi i suoi assistenti e maestri, ma non ricevevano alcuna direzione, perchè di direzione egli stesso poco s'intendeva e ancor meno si occupava, essendo troppo assorbito dal periodico La France illustrée. Io non posso dirigere i giovani, aveva detto a Don Bosco; vengano i Salesiani e quando siano pratici e in grado di fare da sè, mio assoluto pensiero è di lasciare tutto nelle loro mani e ritirarmi a dirigere il mio giornale. - Il curato di San Giuseppe e altri personaggi presenti a questo discorso stupivano all'udire un abate Roussel, giudicato valente educatore della gioventù, indursi a quel passo, secondo loro, umiliante; più ancora stupivano che Don Bosco non accettasse un'offerta, che avrebbe cresciuto prestigio ai Salesiani anche in Italia. Per taluno, certo, la tentazione sarebbe stata forte. I teologi Margotti e Marengo l'avevano stimolato ad accettare. Ancorchè la Congregazione facesse poco, diceva il direttore de L'Unità Cattolica, la sola andata a Parigi sarebbe già una vera gloria non solo per i Salesiani, ma anche per la nostra nazione. - Era verissimo; ma Don Bosco non si lasciava frastornare da umane considerazioni: nelle sue imprese lo movevano soltanto fini superiori, e in tutti i suoi atti lo governavano i consigli di una lungimirante prudenza.
Intanto il nome del Beato cominciava già a insinuarsi nella letteratura francese. Lo scrittore bretone Giorgio Bastard narrando in un volume di trecento pagine un suo viaggio in Italia, ne dedicò tre all'Opera di Don Bosco: sono pagine smaglianti, nelle quali l'autore si mostra ben informato sulle origini e sui progressi della Congregazione, e vi mette un calore comunicativo, atto a produrre in chi legge sentimenti di viva simpatia[415].
DAL 23 aprile al 30 dicembre dei 1878 le principali ricorrenze religiose e scolastiche dell'Oratorio furono rallegrate dalla presenza dell'amatissimo Padre. Egli tornò dalla sua lunga peregrinazione proprio il giorno, nel quale cominciava il mese di Maria Ausiliatrice. A predicare la novena venne monsignor Schiaparelli, canonico del Corpus Domini. In un appunto di cronaca Don Lazzero nota: “Si sentiva poco ed era troppo sublime. Nella nostra chiesa ci vuole una buona voce ed un dire popolare”. Nel primo giorno Don Bosco tenne la prima adunanza capitolare del 1878, e volle aprire la seduta con elevare il pensiero degli astanti alla celeste Patrona della Congregazione, leggendo una lettera giuntagli allora allora da Bolsena. Una signora, rosa dal cancro, aveva dopo tre anni di malattia fatto una novena a Maria Ausiliatrice per ottenere la guarigione, ed ecco che ella medesima narrava come al nono giorno il tumore maligno fosse scomparso.
In questi stessi giorni il Beato sempre desideroso di stare e di mostrarsi unito al Vicario di Gesù Cristo, scrisse al cardinal Bartolini pregandolo di far gradire al Santo Padre, quale atto di ossequio, l'offerta che è indicata in queste [748] parole della risposta[416]: “Ho significato a S. S. quanto Ella mi ha scritto sull'offerta delle pratiche di pietà e delle cinque mila comunioni che saranno fatte venerdì prossimo nella festa Auxilium Christianorum per la prosperità del suo Pontificato. Il santo Padre è rimasto consolatissimo di si bella offerta, ed in pegno del suo gradimento manda la speciale benedizione ch'Ella desidera”.
La lettera di Sua Eminenza rispondeva pure a Don Bosco intorno ad un argomento di tutt'altra natura. Vacava ad Ivrea la sede vescovile per la morte di monsignor Moreno; il Beato, venuto a conoscere da certi maneggi che si sarebbe voluto rendere un cattivo servizio alla chiesa eporediese, facendovi innalzare chi fosse ligio a certi principii[417], aveva stimato suo dovere di carità proporre due ottimi sacerdoti, dei quali s'ignorano i nomi. Avremmo anche ignorato l'atto di Don Bosco, tanto era il suo riserbo in simili negozi di estrema delicatezza, se non fossero quest'altre parole del cardinal Bartolini a rendercene edotti: “Ho indicato ancora a S. S. i due personaggi che Ella stima degni per essere proposti alla sede vescovile d'Ivrea; egli mi ha ingiunto di passare i nomi di questi due ecclesiastici degnissimi all'em.mo Card. Segretario di Stato come preside della Commissione stabilita per la scelta dei Vescovi[418], onde metterli in nota”
Fu eletto monsignor Davide dei conti Riccardi, che doveva poi essere traslatato a Novara e di là promosso alla sede metropolitana di Torino dopo il cardinale Alimonda. Egli si mostrò sempre cordialmente amico di Don Bosco e del suo successore.
Per la solennità del 24 maggio il Beato sperava fondatamente di avere l'Arcivescovo a pontificare; ma, non avendo questi potuto accettare l'invito, lo pregò di permettergli che chiamasse un altro Vescovo. [749]
Giacchè la E. V. Rev.ma non può venire alla festa di Maria Ausiliatrice, la prego che permetta di poter invitar altro Vescovo come sarebbe quello di Alessandria. Esso ci verrebbe al certo volentieri, avendo tra noi molti suoi Diocesani.
Riguardo al giorno della Cresima, se può scegliere un giorno festivo ci accomoderebbe assai, perciocchè in simile occasione potrebbero pure approfittarne gli allievi della scuola serale, dell'Oratorio per gli esterni, ed anche le povere ragazze che intervengono alla scuola delle nostre Suore.
Le unisco pure una supplica per l'apertura della Chiesa e scuola di S. Teresa in Chieri che si dovrebbero attivare sul terminare del corrente mese.
Con somma venerazione e profonda gratitudine ho l'onore di potermi umilmente professare
Ci volevano anche i tradizionali priori della festa; offerse dunque tale onorevole ufficio al cavaliere Marco Gonella e alla sua degna consorte.
La mia assenza ha fatto che ci troviamo vicini alla festa di Maria Ausiliatrice senza priori. Io pertanto prego la S. V. Car.ma a voler accettare questo uffizio e Mad. sua Sig. Consorte ne sia la priora.
È già da molto tempo che Ella non è più comparso nelle nostre funzioni con questo titolo e mi fa veramente piacere se accetta.
Ella sa che le preghiere, le comunioni di quella giornata saranno, tutte secondo la pia intenzione del priore.
Io prego Dio che conservi Lei e tutta la sua famiglia in sanità e in grazia sua, e raccomandandomi alla carità delle sue preghiere ho il piacere di professarmi in G. C.
Il regolamento dei Cooperatori prescriveva una conferenza per la festa di Maria Ausiliatrice; la tenne Don Bosco [750] sul principiare della novena e fu la prima a Torino: ne abbiamo parlato nel capo diciannovesimo. Piaceva poi molto a Don Bosco che per il 24 i Cooperatori salesiani intervenissero numerosi anche da lontano; poichè egli considerava già quello come il giorno del loro solenne convegno appiè dell'Ausiliatrice. Onde a taluni dei più influenti porgeva invito personale; così invitò la marchesa Marianna Zambeccari, nata contessa Politi, di Bologna[419].
Stimabilissima Signora Marchesa,
Venerdì prossimo festa di Maria Ausiliatrice. Se mai nella novena o nella festa ci facesse una visita ne avrei gran piacere.
Certamente la Madonna la ricompenserebbe del viaggio. Comunque però possa fare, non manchiamo di pregare per la conservazione della sua sanità e perchè Dio la colmi di sue celesti benedizioni. Spero vorrà gradire un brano di benda appartenente al gran Pio IX. Sono cose assai ricercate in questi giorni.
Dio la benedica e preghi per me che le sarò sempre in G. C.
Nel corso della novena un tentativo di furto nel santuario andò fallito. La notte sul 19 un malandrino, appiattatosi nella chiesa e fattosi chiudere dentro, doveva in un momento convenuto aprire le porte ai complici; ma per isforzi che facessero dall'interno e dall'esterno onde scassinarle, non ci riuscirono, sicchè il topo, visto che non c'erano scappatoie, si dovette rassegnare a lasciarsi prendere in trappola.
Se già durante la novena, tanto più nel dì della festa fu grande il concorso dei fedeli. La celebrazione delle messe cominciò prima che sonassero le tre; se ne contarono settantadue. Alle dodici e mezzo si presentavano ancora divoti a chiedere di fare la santa comunione. Sei confessori sedettero in permanenza, surrogandosi di tempo in tempo. Alla messa cantata ed ai vespri pontificò non il Vescovo di [751] Alessandria, impedito quasi all'ultima ora, ma quello di Novara, monsignor Stanislao Eula.
La musica trionfò. Circa duecento cantori fra giovani e adulti eseguirono la messa di Don Cagliero a sei parti, detta di santa Cecilia. L'antifona Sancta Maria, succurre miseris dopo i vespri quest'anno fu cantata a tre cori non più divisi, ma tutti riuniti nell'orchestra, che era stata poc'anzi ingrandita e sistemata così come oggi la vediamo. Apparati e folla davano alle funzioni un aspetto imponentissimo, ma inspirando divozione.
Tutti i giovani di Lanzo scesero alla festa. Molti preti e signori forestieri vennero ospitati nell'Oratorio. “Noi, scrive il cronista, secondo il solito cedemmo le nostre camere, non essendo sufficienti quelle destinate ai forestieri ordinariamente”. Per la prima volta quest'anno si videro giungere nella vigilia interi pellegrinaggi dalla Lombardia e dal Novarese. Una gran moltitudine di gente assistette anche il 25 al servizio funebre per i confratelli e le consorelle dell'Arciconfraternita. Il movimento animato delle persone si protrasse fino a parecchie ore dopo mezzogiorno. Don Barberis in uno dei brevi sprazzi della sua cronaca ormai vicina a finire, sembra che ci tenga a ripetere cosa già detta e ridetta: “Si erano fatte varie conferenze antecedentemente per la bella riuscita e anno per anno si prendeva nota delle cose fatte e di quanto fu disordinato per rimediarvi in altri anni”. Sappiamo che nel 1878 si diceva non essersi mai vista sì grande affluenza e grandiosità; ma quant'altre volte si doveva ancora ripetere il medesimo ritornello che quasi quasi, a chi confronta un anno col precedente, vien sempre voglia di replicare anche adesso!
Il 2 giugno, secondo che aveva promesso, monsignor Gastaldi venne ad amministrare il sacramento della cresima nella chiesa di Maria Ausiliatrice. I cresimandi erano più di duecento fra alunni interni, giovani esterni, ragazze delle Suore e convittori di Lanzo. Don Bosco fece gli onori [752] all'Arcivescovo in sacrestia con tutti quei segni di sincera riverenza che ben possiamo immaginare; ma non ebbe motivo di andarne interamente lieto, poichè Sua Eccellenza, al dire di Don Nardi che per il servizio era là vicino, passò agitando in giro la destra, col gesto che si usa quando si voglia far intendere che di complimenti si fa volentieri a meno.
Quella sera gli studenti in un con gli ascritti cominciarono gli esercizi spirituali, predicati da monsignor Belasio, che ripetè la predicazione agli artigiani dal 7 in poi. Don Bosco, andato a parlare dopo le orazioni serali, fu accolto da applausi senza fine: era dal 29 novembre dell'anno innanzi che non lo udivano più a quell'ora. Disse così:
Una parola finalmente posso dire a voi dopo circa sei mesi! Vedete quanto tempo sono stato senza più venirvi a dare la buona sera! Ma se non venni personalmente, la mia mente si trovava sempre qui tra voi. E quando mi trovava a Roma e quando era per viaggio o a Nizza o a S. Pier d'Arena, alla mattina nella Santa Messa pensava a voi e pregava il Signore che vi desse il suo santo aiuto. Ma alla sera poi quando era solo, nel silenzio della mia camera, irresistibilmente il mio pensiero si portava fra voi; vi vedeva, vi parlava, mi compiaceva della vostra presenza, e vi augurava da lontano la buona notte e non poteva andarmi a coricare senza prima aver pregato per voi.
Adesso però non è più sola fantasia. Da qualche tempo mi trovo di nuovo qui e spero di non allontanarmene tanto presto. Noi siamo qui per procurare il vostro vantaggio spirituale ed anche temporale.
La cosa però che sono venuto per dirvi si è che domani a sera comincieranno gli esercizi spirituali per gli studenti e subito dopo per gli artigiani. Gli uni e gli altri cerchino di ordinare la propria coscienza. Tutte le cose che sono solito di raccomandare durante gli esercizi, si riducono ad una sola: stare attenti e mettere in pratica quello che si predica o si legge. E come metterlo in pratica? In tutte le prediche, in tutte le letture vi è sempre qualche cosa che fa per noi: ora sarà sull'esame mal fatto, o sul dolore o sul proponimento mancanti; ora sarà sui consigli del confessore dimenticati o trascurati ecc.
In questo tempo facciamo bene tutti i nostri conti. Pensiamo a ciò che fu, a ciò che è, a ciò che sarà: se abbiamo nulla a riprenderci delle nostre azioni passate, se le nostre confessioni furono sempre ben fatte e il frutto che ne abbiamo riportato; se le comunioni nostre recarono piacere a Gesù; come ci siamo regolati nell'adempimento dei nostri doveri e nella fuga delle cattive compagnie ecc. ecc.; a che punto siamo in questo momento, in quale stato si trova la nostra [753] coscienza, se ora camminiamo diritti per la via che ci addita Gesù Cristo: e che cosa dobbiamo fare per l'avvenire onde assicurarci la nostra eterna salute e a quale stato sarà meglio appigliarci pel maggior bene dell'anima nostra.
E perciò questo è il tempo più acconcio per pensare alla vostra vocazione, perchè sta scritto: Ducam eam in solitudinem, et loquar ad cor eius.È nella solitudine che parla il Signore e gli esercizi spirituali sono appunto giorni di ritiro e di solitudine.
Anche gli artigiani hanno da pensare alla loro vocazione, perchè alcuni debbono ponderare se Dio disponga che si fermino a lavorare qui in Congregazione e a farne parte; o se li chiami a far bene altrove.
Tutti poi hanno bisogno di cessare per qualche giorno dalle consuete occupazioni, per applicarsi esclusivamente alle cose dell'anima. Pensate che le grazie grandi non si ricevono tanto sovente e il potere fare gli esercizi spirituali è una grazia grande. Quanti vostri compagni, giovani, chierici, preti, erano qui ad udire forse le stesse parole ed ora sono già passati all'altra vita! Credo che tutti abbiano fatto bene gli esercizi dell'anno scorso; ma se non li avessero fatti bene, ne avrebbero ancora il tempo? Vorrei che l'anno venturo ci fossimo ancora qui tutti, ed io con voi, a fare i santi esercizi come spero dalla bontà del Signore; ma chi ci promette che un altro anno tutti noi che ci troviamo qui, potremo farli ancora? Io non posso assicurarvelo; Dio solo che potrebbe dircelo, nulla ci dice di preciso. Estote parati, quia, qua hora non putatis; Filius hominis veniet. State attenti, state attenti, perchè mentre meno ve lo aspettate io verrò a voi. E ci mostra coll'esperienza che anche da giovani si muore. Se è così, teniamoci sempre in ordine, perchè in qualunque ora venga la morte, possiamo presentarci tranquilli alle porte dell'eternità; per conseguenza ora che ne abbiamo comodità facciamo bene questi esercizi spirituali. E siccome il Signore ci dice: Ante orationem praepara animam tuam, così io dico a voi: Prima degli esercizi spirituali preparate l'anima vostra, cioè prima d'incominciarli abbiate desiderio di farne profitto, lasciando per quei giorni tutti gli altri negozi di studio o di lavoro.
Io poi se giorno e notte mi occupo continuamente di voi, in questi giorni degli esercizi mi consacrerò in modo speciale tutto e intieramente pel vostro vantaggio spirituale. Nella Messa farò sempre una preghiera speciale per questo fine che gli esercizi vadano bene. E tutto quello che dico di me intendo anche dirlo di quelli che hanno parte con me nel lavorare alla direzione dell'Oratorio, e di coloro che vengono per dettarvi gli esercizi, tutti consecrati pel vostro bene, attendendo a questo con tutte le forze.
In queste sere spero di potervi parlare anche altre volte, anche per aiutarvi a far bene la novena dello Spirito Santo che c'illumini; e per non tenervi più a lungo, possiamo mettere fine a queste poche parole con una bella conclusione. Il poter fare gli esercizi spirituali [754] è una grande grazia che non si ha sempre; perciò dobbiamo farli bene: e per farli bene metteremo in pratica quello che ascolteremo nelle prediche o nelle letture. E poi siccome tutti i favori ci vengono dal cielo, io per parte mia e voi per la vostra, pregheremo Iddio che ci conceda di ricavarne il maggior frutto possibile per le nostre anime. E buona notte.
Due carissime feste si susseguirono l'una all'altra dieci giorni dopo gli esercizi degli artigiani: san Luigi e l'onomastico di Don Bosco. Rientrando da una breve assenza, toccò al Beato la gradita sorpresa di trovare un biglietto dell'Arcivescovo che gli diceva: “Nella prossima festa di san Luigi io volentieri andrei a celebrare la santa Messa e distribuire la Comunione nella chiesa di Maria Ausiliatrice, purchè mi sia possibile il celebrarla assai di buon'ora, essendo io solito a salire all'altare verso le 6 del mattino; e mi si mandi una carrozza per tempo a ciò arrivato alla chiesa io possa compiere il dovuto apparecchio, prima d'incominciare la sacra funzione. Prego dunque V. S. a riscontrare la mia proposta”. Don Bosco prontamente riscontrò così:
Sono giunto oggi ad un'ora da Nizza Monferrato e trovo la venerata lettera di V. E. che dimostra la bontà somma pel giorno di San Luigi di venire a celebrare la S. Messa e fare la Comunione nella Chiesa di Maria Ausiliatrice.
L'ora fissata negli altri anni è quella delle feste; il giorno sarebbe la Domenica 23 corrente e manderei una vettura a tempo debito.
Qualora però tale ora fosse troppo tardi accetto l'ora delle 6 e stabiliremo un altro per la Messa della Comunione alle 7.
Vo studiando per la Chiesa e per la Casa di S. Michele. Ma quei danari ecc.
Ho incaricato il Can. Morozzo che cerchi i particolari e me ne parli[420]. [755]
La ringrazio di tutto cuore e la prego di permettermi di essere con gratitudine
Frattanto il 17 principiava la novena del Sacro Cuore; abbiamo una ragione speciale di rammentarlo, perchè allora per la prima volta gli ascritti presero a fare qualche pratica di pietà in comune a onore del Cuor di Gesù.
La sera del 23, terminate le funzioni per san Luigi, si passò subito alla festa di Don Bosco. Il programma è su per giù il solito che noi conosciamo; ma ogni anno l'affetto filiale che erompeva spontaneo e vivo dai cuori, faceva sembrare tutto cosa nuova. La pioggia costrinse a troncare la dimostrazione serale del 24 in cortile; onde si determinò di darle compimento nel giorno di San Pietro. Don Bosco, prima che si sospendesse il trattenimento, fece un discorsetto, in cui mostrò maggior piacere delle altre volte per la varietà delle cose lette in varie lingue, massime in quelle dei paesi, dove sorgevano case salesiane. Assistevano all’accademia con un'eletta di signori e benefattori torinesi anche il rappresentante della Repubblica Argentina presso la corte di Spagna e il predicatore monsignor Belasio. Questi, intenerito allo spettacolo del quale era stato testimonio, trovò modo di far entrare in un suo libro di prossima pubblicazione un ricordo affettuosissimo di quanto aveva ammirato in quella circostanza[421]. Dopo aver fatto vedere come coloro che combattono contro Dio, vadan vagolando nella Babele, e soggiunto che gli amanti di Dio sono invece nella Pentecoste, prosegue: “ Il miracolo della Pentecoste continua ancora per noi. Vi voglio partecipare una mia consolazione che provai proprio quest'anno nel dì di S. Giovanni in Torino. [756]
Nell'Oratorio dei Salesiani, come gli Apostoli nel Cenacolo, raccolti intorno a Mafia Ausiliatrice, quei buoni giovani per festeggiare il dì onomastico del loro pio Istitutore, accorrevano da tutte le parti a leggergli i più cari indirizzi, in tante lingue diverse, italiani, francesi, inglesi, irlandesi, scozzesi, tedeschi, polacchi, spagnuoli, americani e fin con gli accenti dei selvaggi, degli Indii, Pampas e Patagoni; allora io in uno scoppio di pianto esclamava - Ecco il miracolo della Pentecoste! - Ebbene, ebbene, udii allora Don Bosco, questo uomo provvidenziale, colle mani al cielo esclamare come il Salvatore: - Oh quanto è abbondante la messe! Preghiamo il padrone che ci mandi tanti operai, affinchè si possa dare pane di vita eterna agli uomini, nostri fratelli, di tutti i colori, che il Padre nostro invita al convito del Figliuol suo Gesù... - Ed io ripeteva singhiozzando - Oh gran Padre della misericordia, affrettatevi a far di tutti gli uomini come un solo ovile di pecorelle sotto il solo buon Pastore! -”.
Alle sei pomeridiane del sabato 29 la festa fu ripresa; allora Don Bosco potè manifestare la piena dei suoi sentimenti. Parlò adunque così:
Ho da confessarvi che in questo momento ebbi un sentimento di superbia, non già per i titoli e per le lodi che mi avete dato (perchè questo si fa tutto per quella figura rettorica che si chiama iperbole, e voi non avete fatto altro che descrivermi quale avete desiderio che io sia), ma per altra cagione. Io lessi ed ascoltai in questi giorni tutte le lettere che mi si mandarono e mi si lessero e vidi in tutte (fatta astrazione dall'eloquenza in chi non poteva far meglio) un buon cuore, un senso di gratitudine e di amore così ordinato, che non potei a meno di dire fra me: - Ma io ho dei bravi giovani! questi giovani si manterranno tali, perchè non è possibile che chi ha la gratitudine non abbia le altre virtù, e chi conosce le virtù non le pratichi! - Fu questo pensiero che mi suscitò quel senso di superbia. Di questo fui contento. Di un'altra cosa fui molto contento, ed è che in questo anno i giovani in generale sono più buoni. Io debbo quindi ringraziare tutti coloro che lavorarono per renderli tali. Debbo ancora ringraziare tutti coloro, che cantarono, suonarono, lessero, o fecero altro per questa occasione. [757] Lunedì avrei voluto darvi una notizia, se non avveniva quello sconcerto della pioggia che interruppe la festa. Quindi mi riservai a darvela questa sera,
Dì ciò che voglio dirvi si era già parlato, ma la cosa non era ancor pubblicata. È il fatto di due nostri Missionarii in America che partirono da Buenos Aires per la Patagonia. Abbiamo saputo della loro partenza, della burrasca che li assalì appena entrati nel grande Atlantico e poi non seppimo più nulla. Anzi avevamo ricevuta nuova che il bastimento era affondato. Potete immaginare se noi stessimo in apprensione per questa notizia. Ma il Signore ci consolò proprio alla vigilia di S. Giovanni; imperocchè ricevemmo lettera dall'Arcivescovo di Buenos Aires, in cui ci fa sapere che dopo tredici giorni di spaventosa tempesta, colla morte sotto agli occhi, i missionarii ritornarono a Buenos Aires colla nave sconquassata, tutti sfiniti, ma salve le vite di tutti. L'Arcivescovo Mons. Aneyros dopo la narrazione di questo ritorno, ci scrive com'egli tenga impressa nell'animo la ricordanza dell'anno scorso, in cui fu qui all'Oratorio in quest'epoca ed assistè alla nostra festa: dice che egli reputerebbe somma grazia e felicità il poter assistervi ancora una volta; dice ancora che egli assisterà alla nostra festa col pensiero; e tante altre cose in cui fa vedere la buona impressione riportata l'anno scorso da tutto ciò che vide nell'Oratorio in questa occasione.
Coraggio, coraggio, coraggio!!!
Chi vuole farsi missionario non ha che a dare il nome e partire e non ha solo innanzi i Pampas e la Patagonia, ma l'Uruguay e San Domingo, donde oggi si faceva proposta formale di metter su case dei Salesiani, poichè hanno scuole chiuse, seminario chiuso ed anche cattedrale chiusa. Per chi non avesse coraggio di andate nelle missioni estere, abbiamo case in Francia, a Roma, nella Liguria e nel Piemonte: qui costoro potranno fare il missionario. Ma non tutti sono chiamati a professare la Società di S. Francesco di Sales, e allora basta che se ne mantenga lo spirito che ciascuno sia ora missionario fra i suoi compagni; poi nelle proprie case, o dove abiterà, dando buoni esempi, buoni consigli e facendo del bene all'anima propria. Così quanti siete qui sarete altrettanti missionari, sarete altrettanti di coloro di cui dice Gesù Cristo: Saranno sale, saranno luce! Quanti siete qui sarete altrettanti cittadini del paradiso e allora vedrete quanto poco ci voleva per salvare un'anima e per essere missionario.
Eco lontana della festa di Don Bosco fu il convegno familiare degli ex - allievi, raccoltisi intorno al Padre il 4 agosto. Già gli avevano offerto per il solito dono onomastico un faldistorio e due coppie di dalmatiche, rosse e bianche. [758] Allora il professor Germano Candido lesse e distribuì un suo discorso, che era stato stampato. A tavola gli allegri commensali brindarono a Don Bosco su tutti i toni, ma il comicissimo Gastini la vinse su quanti avevano parlato prima dì lui. Seguì la colletta per il funerale in suffragio dei compagni defunti nell'anno antecedente; dopo di che il Servo di Dio volle dire la sua parola a quei cari figliuoli. Questa volta egli aveva da far loro una bella proposta. Della parlata di Don Bosco diamo qui il riassunto tramandatoci da Don Barberis in un foglio volante che egli scrisse e firmò.
È sempre grande la mia gioia quando mi vedo circondato dai miei amici e figliuoli. Oggi si accresce il mio contento nel vedervi in tanto numero e così allegri. Si costume sul finir dei pranzi far qualche brindisi; ma, da quanto si legge sui giornali, i brindisi che si fanno ai pranzi, in qualche modo simili a questo, sono tali che ordinariamente offendono le orecchie cristiane. Noi qui invece radunati fraternamente in vincolo di santa carità dobbiamo esporre qualche idea che possa far piacere a tutti. Lascerò da parte qualunque pensiero (e troppi mi si affacciano alla mente) che possa essere tenero e commovente, perchè temerei che mi avvenga come altre volte, che dovetti troncare a metà il mio discorso. Dirò una cosa sola: spero che molte volte ancora ci raduneremo, come oggi ci siamo radunati: ho già designato che l'anno venturo, per trovarci più al fresco e all'aria libera, sarà meglio apparecchiare le mense sotto i portici appositamente addobbati..
Quello che io vorrei s'iniziasse quest'anno e che in questo istante tutto mi occupa, si è che noi dobbiamo procurare di soccorrerci a vicenda, quanto ci è possibile. Ai nostri giorni tutti cercano unioni e casse o società di mutuo soccorso. Bisogna che cerchiamo di stabilirne qualcuna tra di noi. Finora questo non è che un mio progetto, non ancora studiato nei particolari, ma che mi pare, così in generale, assai bene eseguibile.
Voi tutti, quale più quale meno, vi trovate in posizione da poter fare qualche risparmio, affinchè, capitandovi qualche malattia o mancanza di lavoro, possiate fare fronte ai vostri affari. Ebbene, fate che questo vantaggio non si limiti solo a voi, ma si estenda a quei giovani di buona condotta che uscissero dall'Oratorio, od a quei compagni che già voi conoscete, od a tutti voi che siete radunati qui; e ciò specialmente per i casi eccezionali. Tutti gli anni si fa una piccola raccolta o questua per Don Bosco; ed io cedo volentieri questo tanto e desidero che piuttosto vada in pro di giovani che fossero nel bisogno. [759] Una società simile tra di voi quanto sarebbe preziosa! Ma io propongo una condizione: tutti quelli che prendono parte sia a queste nostre radunanze familiari, sia che vorranno essere membri della società di mutuo soccorso, siano di vita onesta e cristiana. Se qualcuno tenesse vita non conforme ai dettami della nostra santa religione, non solo non faccia parte di queste radunanze, ma nessuno dì voi si associ con lui. Non parlo di una disgrazia, di una mancanza, nella quale taluno possa cadere: ciò potrebbe succedere a Don Bosco e potrebbe succedere a chiunque: parlo di chi tenesse una vita poco onorata. Costui non sia invitato più a queste nostre radunanze.
Voi poi, senza eccezione alcuna, procurate di fare onore al nome che portate, alla casa dove foste educati, alla religione che vi conserva in seno e alla società di Cooperatori Salesiani a cui appartenete. Così facendo, sarà sempre in voi, finchè vivrete, una vera allegria.
Potremo ancora adunarci in queste feste di famiglia (e spero molte volte, non è vero?) e potremo poi formare una bella, compatta, numerosa famiglia tutti insieme in Paradiso, dandoci fin d'ora parola, facendo patto che nessuno vi mancherà, eh!?
Per la società di mutuo soccorso esisteva già uno statuto, compilato e messo in istampa da Don Bosco nel 1850, allorchè inaugurò un'identica istituzione fra i giovani operai che frequentavano l'oratorio festivo; sicchè Gastini, capo degli ex - allievi, attendendo all'attuazione del benefico disegno, non ebbe a far di meglio che richiamare in vigore quel vecchio regolamento.
Nella solennità dell'Assunta vi fu la distribuzione dei premi agli artigiani con discorso del professor Bacchialoni, della Regia Università. La festa si fece nel cortile degli artigiani, presente tutta la casa. Le parole dette da Don Bosco alla fine produssero la più grande impressione. Il cronista, anzichè trasmettercele testualmente, se la cavò più in breve, cominciando a osservare: “Il discorso mi piacque soprattutto perchè si vede sempre in Don Bosco il padre amoroso, il quale sa tollerare. Vuole che tutti facciano la propria fortuna ed aiuta tutti a farla. Se qualcuno lo contraddice in una cosa, egli lascia lì, non dice nulla, ne fa un'altra; o meglio, gira da un'altra parte per fare la stessa [760] cosa, sembrando farne un'altra: ma generalmente invece di rompere gli ostacoli vi gira attorno”. - La mia vita, disse in sentenza, sempre secondo il cronista, voglio che sia tutta per il bene di chi ora mi ascolta. Che ne abbia io a soffrire è nulla, ma che io possa formare la vostra felicità! Credetelo, la mia vita l'ho tutta consacrata a questo fine. Non sempre la moltiplicità delle cose mi permette di occuparmi direttamente di voi, ma il mio lavorare tende sempre a questo. Fatevi coraggio adunque. Chi è studente studii, chi è artigiano lavori; ma le nostre fatiche tendano allo scopo di farci del bene gli uni agli altri, di poter vivere onoratamente, di giovare alla società. Voi siete fortunati! Quanti giovani della vostra età e condizione lavorano più di voi, ma non hanno la consolazione di una buona parola, non hanno l'allegria che avete voi, non hanno chi si occupi di loro! Voi sappiate essere riconoscenti verso chiunque vi benefichi; sappiate col lavoro indefesso, con la buona condotta essere la consolazione dei vostri Superiori. - Riferite queste poche espressioni, Don Barberis nota come il Servo di Dio ne' suoi discorsi non ispirasse mai disprezzo e avversione per nessuno, nemmeno per i cattivi, nè insinuasse mai sfiducia nei tempi e negli uomini, nè parlasse mai in pubblico direttamente contro le istituzioni cattive. La sua vita era suggerire, fare, promuovere cose e istituzioni buone, senza perder tempo a lanciare biasimi su quelle che tali non fossero.
Da questo punto e per buon tratto le nostre fonti tacciono o dicono pochino, riguardo a ciò che forma argomento del presente capo. Faremo tesoro del poco.
Della premiazione agli studenti, fatta il I° settembre, sappiamo solo che in luogo di Don Bosco presiedette il Vicario Generale di Montevideo. Qualche cosa di più possiamo dire della festa del Rosario a Castelnuovo, celebratasi il 6 ottobre. Anche Don Bosco andò ai Becchi, dove lo aspettavano i giovani studenti rimasti nell'Oratorio. Don Bonetti aveva predicato la novena con gran concorso; Don Cagliero [761] fece la predica della solennità, parlando dalla porta della chiesuola a un popolo numeroso che gremiva per largo tratto il cortile e il declivio dell'altura. Dopo otto anni di assenza vi partecipò nuovamente la banda dell'Oratorio.
Nel 1870, pressochè alla dimane del 20 settembre, a Don Bosco era parso quanto mai inopportuno fare allegrezze, mentre il Padre universale dei fedeli stava in lutto; perciò aveva pigliati seco alcuni pochi cantori soltanto, senza la banda, confidando a Don Albera la ragione del suo operare. Dopo, lo stesso limitamento di manifestazioni esteriori in mezzo a quei buoni terrazzani durò fino al 1878.
Terminate le feste, i giovani, pranzato ai Becchi e fatta merenda a Castelnuovo in casa Bertagna, cenarono a Chieri, donde il treno li riportò al nido. Il Beato con Don Lazzero stette a Chieri altri tre giorni. Le particolari condizioni di quell'incipiente oratorio femminile ve lo dovettero trattenere così a lungo.
Della partenza per le vacanze e del ritorno, nessuna notizia quest'anno, se non fosse un sogno intorno agli effetti che le vacanze sogliono produrre. Don Bosco lo raccontò la sera del 24 ottobre. Appena, esordendo, ne diede l'annunzio, si videro manifestazioni universali di contentezza.
Io sono contento di rivedere il mio esercito di armati contra diabolum. Questa espressione, quantunque latina, è capita anche da Cottino[422]. Tante cose avrei a dirvi, essendo la prima volta che vi parlo dopo le vacanze; ma per ora vi voglio raccontare un sogno. Voi sapete che i sogni si fanno dormendo e che non bisogna prestarvi fede; ma se non c'è nessun male a non credere, talvolta non vi è male neppure a credere e possono anzi servirci di istruzione, come, per esempio, questo.
Io era a Lanzo alla prima muta d'esercizi e dormiva, quando, come dissi, feci un sogno. Io mi trovava in un luogo ove non potei conoscere quale regione fosse, ma era vicino ad un paese nel quale estendevasi un giardino, e vicino a questo giardino un vastissimo prato. Era in compagnia di alcuni amici che mi invitarono ad entrare nel giardino. Entro e vedo una gran quantità di agnellini che saltavano, [762] correvano, facevano capriole secondo il loro costume. Quando ecco si apre una porta che mette nel prato e quegli agnellini corrono fuori per andare a pascolare.
Molti però non si curano di uscire, ma si fermano nel giardino; e andavano qua e là brucando qualche filo d'erba e così si pascevano, quantunque non vi fosse erba in quell'abbondanza come fuori nel prato, ov'era accorso il più gran numero. - Voglio vedere che cosa fanno questi agnellini di fuori, - io dissi. Andammo nel prato e li vedemmo pascolare tranquillamente. Ed ecco quasi subito s'oscura il cielo, seguono lampi e tuoni e si approssima un temporale.
- Che cosa sarà di questi agnellini, se prendono la tempesta? andava io dicendo. Ritiriamoli in salvo. - E li andava chiamando. Poi io da una parte e quei miei compagni sparsi in diversi punti, cercavamo di spingerli verso l'uscio del giardino. Sennonchè essi non volevano saperne di entrare; caccia di qua, scappa di là, eh sì! gli agnellini avevano le gambe migliori delle nostre. Frattanto incominciarono a cadere spesse gocciole, poi veniva la pioggia ed io non riusciva a poter raccogliere quel gregge. Una o due pecorelle entrarono bensì nel giardino, ma tutte le altre, ed erano in gran quantità, continuarono a star nel prato. - Ebbene, io dissi, se non vogliono venire, peggio per loro! Intanto noi ritiriamoci - E andammo nel giardino.
Colà vi era una fontana su cui stava scritto a caratteri cubitali: Fons signatus, fontana sigillata. Essa era coperta, ed ecco che si apre; l'acqua sale in alto e si divide e forma un arcobaleno, ma a guisa di volta come questo porticato.
Frattanto si vedevano più frequenti i lampi, seguivano più rumorosi i tuoni e si mise a cader la grandine. Noi con tutti gli agnellini che erano nel giardino, ci ricoverammo e ci stringemmo là sotto quella volta meravigliosa e non vi penetrava l'acqua e la grandine.
- Ma che cosa è questo? io andava chiedendo agli amici. Che cosa sarà mai dei poveretti che stanno fuori?
- Vedrai! mi rispondevano. Osserva sulla fronte di questi agnelli; che cosa vi trovi? - Osservai e vidi che sulla fronte di ciascheduno di quegli animali stava scritto il nome di un giovane dell'Oratorio.
- Che cosa è questo? - chiesi.
Intanto io non poteva più trattenermi e volli uscire per vedere che cosa facessero quei poveri agnelli che erano rimasti fuori. - Raccoglierò quelli che furono uccisi e li spedirò all'Oratorio, - pensava io. Uscito di sotto a quell'arco, anch'io prendeva la pioggia; ed ho vedute quelle povere bestiole, stramazzate a terra, che muovendo le zampe cercavano di alzarsi e venire verso il giardino: ma non potevano camminare. Apersi l'uscio, alzai la voce; ma i loro sforzi erano inutili. La pioggia e la grandine le aveva così malconcie e continuava [763] a maltrattarle, che facevano pietà: una veniva percossa sulla testa, un'altra sulla mascella, questa in un occhio, quella in una zampa, altre in altre parti del corpo.
Dopo alcun tempo era cessata la tempesta. - Osserva, mi disse quegli che mi stava a fianco; osserva sulla fronte di questi agnelli.
Osservai e lessi in ciascuna fronte il nome di un giovane dell'Oratorio. - Mah! diss'io; conosco il giovane che ha questo nome e non mi pare un agnellino.
- Vedrai, vedrai, mi fu risposto. - Quindi mi venne presentato un vaso d'oro con un coperchio d'argento, dicendomi: - Tocca con la tua mano intinta di questo unguento, le ferite di queste bestiuole e subito subito guariranno.
Io mi metto a chiamarle: - Brrr, brrr! - Ed esse non si muovono. Ripeto la chiamata; niente: cerco di avvicinarmi a una ed essa si strascina via. - Non vuole? Peggio per lei! esclamo. Vado ad un'altra. E vado, ma anche questa mi scappa. A quante io mi avvicinava per ungerle e guarirle, altrettante mi fuggivano. Io le seguiva, ma ripeteva inutilmente questo giuoco. Alfine ne raggiunsi una che, poverina, aveva gli occhi fuori delle orbite, e così malconci che metteva compassione. Io glieli toccai colla mano ed essa guarì e saltellando se ne andò nel giardino.
Allora molte altre pecorelle, visto ciò, non ebbero più ripugnanza e si lasciarono toccare e guarire ed entrarono nel giardino. Ma ne restavano fuori molte e generalmente le più piagate, nè mi fu possibile avvicinarle.
- Se non vogliono guarire, peggio per loro! Ma non so come potrò farle rientrare in giardino.
- Lascia fare, mi disse uno degli amici che erano con me; verranno, verranno.
- Vedremo! - io dissi; e riposi l'aureo vaso là dove prima era e ritornai al giardino. Questo erasi tutto mutato e vi lessi sull'ingresso: Oratorio. Appena entrato, ecco che quegli agnelli che non volevano venire, si avvicinano, entrano di soppiatto e corrono a rimpiattarsi qua e là; e neppur allora potei avvicinarmi ad alcuno. Vi furono anche parecchi che non ricevendo volentieri l'unguento, questo si convertì per loro in veleno e invece di guarirli inaspriva le loro piaghe.
- Guarda! Vedi quello stendardo? - mi disse un amico.
Mi volsi e vidi sventolare un grande stendardo e vi si leggeva sopra a grossi caratteri questa parola: Vacanze. - Sì, lo vedo, risposi.
- Ecco, questo è l'effetto delle vacanze, mi spiegò uno che mi accompagnava, essendo io fuori di me pel dolore di quello spettacolo. I tuoi giovani escono dall'Oratorio per andare in vacanza, con buona volontà di pascolarsi della parola di Dio e di conservarsi buoni: ma poi sopravviene il temporale, che sono le tentazioni; poi la pioggia, che sono gli assalti del demonio; quindi cade la grandine ed è quando [764] i miseri cadono nella colpa. Alcuni risanano ancora con la confessione, ma altri non usano bene di questo sacramento, o non ne usano punto. Abbilo a mente e non stancarti mai di ripeterlo ai tuoi giovani, che le vacanze sono una gran tempesta per le loro anime.
Osservava io quegli agnelli e scorgeva in alcuni ferite mortali; andava cercando modo di guarirli, quando D. Scappini, che aveva fatto rumore alzandosi nella camera vicina, mi svegliò.
Questo è il sogno e quantunque sogno ha tuttavia un significato che non farà male a chi vi presterà fede. Posso anche dire che io notai alcuni nomi fra i molti degli agnelli del sogno, e confrontandoli coi giovani, vidi che questi si regolavano appunto come accadde nel sogno. Comunque sia la cosa, noi dobbiamo in questa novena dei Santi corrispondere alla bontà di Dio che ci vuole usar misericordia e con una buona confessione purgare le ferite della nostra coscienza. Dobbiamo poi metterci tutti d'accordo per combattere il demonio e coll'aiuto di Dio usciremo vincitori da questa pugna e andremo a ricevere il premio della vittoria in Paradiso.
Questo sogno dovette influire non poco sul buon avviamento del nuovo anno scolastico; infatti nella novena dell'Immacolata le cose procedevano già così bene, che Don Bosco manifestò la propria soddisfazione dicendo: - I giovani sono ora al punto, dove negli anni scorsi arrivavano appena in febbraio. - Nella festa dell'Immacolata essi videro rinnovarsi la bella funzione di congedo alla quarta spedizione di Missionari.
Durante la novena dell'Immacolata accadde nell'Oratorio la conversione di un giovane sedicenne. Sua madre, una signora Guglielminetti, benefattrice di Don Bosco, non sapeva proprio più a che santo raccomandarsi. Anni addietro l'aveva messo nel collegio di Lanzo; ma quel Direttore l'aveva dovuto allontanare. Nel 1878 lo mise nel convitto di Pinerolo, donde egli fuggì per andare nella marina. Condotto a casa dalle guardie, venne dalla madre accompagnato all'Oratorio con l'intenzione di presentarlo a Don Bosco e chiedergli consiglio. La povera donna era desolatissima. Don Bosco, preso il giovane a parte, gli parlò un momento e poi gli chiese forte: - Ti fermeresti volentieri tre giorni nell'Oratorio? Faresti un po' di ritiro spirituale, e intanto deciderai [765] che cosa vuoi fare in avvenire, se continuare gli studi o impiegarti in un negozio o avviarti per altra strada.
Il giovane si disse contento e fu consegnato a Don Barberis. Fece i suoi esercizi, si confessò e comunicò più volte e s'intratteneva volentieri con gli ascritti. Venuta la mamma a trovarlo, le chiese perdono e le domandò il permesso di fermarsi nell'Oratorio fin dopo la festa, il che ottenne facilmente. Intanto continuava a leggere libri di meditazione e si occupava nel fare da segretario a Don Barberis. Nel giorno dell'Immacolata si sentiva egli stesso così trasformato che disse: - Se sto ancora qualche giorno nell'Oratorio, non resisto alla voglia di vestirmi anch'io da chierico. La madre era fuori di sè dalla consolazione.
Anche la novena del santo Natale, predicata da Don Cagliero, rinfocolò nei giovani il fervore della pietà; al che contribuì pure la festa per la prima messa di due neosacerdoti dell'Oratorio, Don Secondo Amerio e Don Luigi Deppert, che la domenica 22 dicembre celebrarono fra canti e suoni e generale tripudio. Don Bosco quella sera, passeggiando e discorrendo dopo cena con Don Barberis e con alcuni altri suoi preti, fra cui Don Lemoyne, prese a dire della bontà di alcuni giovani e li assicurò, che non da gran tempo ne aveva visti due mentre si confessavano, staccarsi da terra e stare per qualche minuto sollevati in aria. Uno di essi, soggiunse, cominciò a prendere un po' di slancio verso di me e poi si sollevò da terra quasi a mezza altezza dell'inginocchiatoio. Finita la confessione, adagio adagio si riabbassò e s'inginocchiò a dire l'atto di contrizione. I compagni che lo attorniavano mi pare che non se ne siano accorti. Quand'io, passando per il cortile, m'imbatto in quei due, ne ho soggezione. Sono giovani vispi all'estremo e perfettamente in moto; i compagni li ritengono per buonissimi, ma nessuno s'immagina quanto siano buoni.
Nella festa del santo Natale Don Bosco al solito cantò la messa di mezzanotte, ma disse che era forse per l'ultima [766] volta; aveva stentato assai a cagione della vista, che gli si diminuiva in modo allarmante, sicchè vi era da temere che la perdesse del tutto. Il fulmine cadutogli da presso nel 1850 a Sant'Ignazio gli aveva causato un mal d'occhi, che erasi rinnovato Più volte e che lo tormentò specialmente nel 1864[423]; la conseguenza fu che l'occhio destro gli rimase quasi sempre alquanto offuscato. Nel 1878 sul finire dell'autunno, quando, accorciatesi le giornate, lavorava lunghe ore al lume della lucerna, questo male all'occhio destro crebbe talmente, che in dicembre da quello non ci vedeva più nulla. Lo visitò ripetutamente il Reimon, specialista di grido in oftalmia, e dichiarò che anche l'occhio sinistro già indebolito rischiava di offuscarsi fra breve; quindi gli prescrisse di non più leggere nè scrivere dopo il tramonto del sole.
Sparsasi in casa la brutta notizia, è indescrivibile il dolore che afflisse confratelli, ascritti e giovani. Anche questi ultimi s'imposero visite quotidiane al Santissimo Sacramento e formarono circoli di comunioni in modo che ogni mattina ve ne fosse un centinaio, alcuni vi furono che si votarono al Signore come vittime, affinchè Don Bosco non fosse costretto a cessare dal gran bene che faceva. Degli ascritti molti chiesero al Signore di restar essi ciechi, purchè Don Bosco andasse libero da tanta disgrazia. Giunta ben presto la voce nei collegi, vi si accesero nobili gare di preghiere e di sacrifizi per iscongiurare la paventata sciagura.
Per tutto dicembre le cose non andarono meglio, ma neppur peggiorarono; questo però non valse a impedire che due giorni innanzi allo spirare dell'anno 1878 il Beato rifacesse le valige per Genova, Marsiglia e Roma, dove lo ritroveremo nel prossimo volume. Prima di lasciare l'Oratorio, incaricò Don Rua di dare a tutti in suo nome la strenna per il nuovo anno. Doveva essere l'Unione. Unione dei giovani fra loro, [767] grande unione dei Superiori fra loro. Unione dei giovani con gli assistenti e i Superiori. Cercare i mezzi che potevano promuovere tale unione e cioè: I° La frequenza ai santi Sacramenti. 2° La condiscendenza nei Superiori. 3° La sottomissione nei sudditi. Cercare inoltre di evitare quanto potesse rompere detta unione con l'evitare ogni rissa o maldicenza e fuggire le amicizie particolari, ecc., ecc. Don Rua comunicò infine un'altra cosa confidatagli da Don Bosco: che egli al suo ritorno non avrebbe più trovati tutti i presenti, ma che qualcuno durante la sua assenza sarebbe partito per l'eternità.
CON la data di Torino 31 dicembre 1877 Don Bosco, che già da otto giorni stava a Roma, fece pervenire al cardinal Franchi, prefetto di Propaganda, un suo memoriale, che aveva per iscopo di ottenere l'istituzione di una prefettura e di un vicariato apostolico in due remoti territori della Repubblica Argentina. Le esperienze di due anni fatte da' suoi figli e da lui studiate con quel suo spirito pratico e organizzatore, gli additavano in tale provvedimento il gran mezzo, con cui svolgere un'attività ordinata, progressiva e proficua. A raggiungere l'intento compilò dunque un resoconto di quanto i Missionari salesiani avevano compiuto fino allora, ponendo bene in rilievo i metodi seguiti, i mezzi impiegati e i frutti ottenuti, sicchè balzasse agli occhi la necessità e l'importanza della Missione. È un'esposizione che con la massima semplicità ci mette innanzi intraprese non tanto semplici, producendo in chi legge il convincimento che molto si è già fatto, ma che molto più si farà ancora, purchè le possibilità siano aumentate.
Nei tempi calamitosi in cui viviamo, i buoni cattolici e specialmente le Congregazioni Religiose, devonsi piucchè mai stringersi compatti intorno alla grande Maestra di verità, la S. Sede; da quella prendere norma e consiglio a fine di agire con sicuro successo tanto nei paesi [769] civilizzati, quanto nelle missioni estere. A tal uopo, alcuni anni sono, io aveva l'alto onore di esporre alla E. V. il desiderio di molti Salesiani di consecrare le loro forze in favore delle missioni estere, dove ogni giorno più si fa sentire la penuria di evangelici operai.
La E. V. con paterno e savio consiglio mi diceva: prepariamo dei Missionari. E confortato dalle benedizioni del S. Padre mi accinsi a tale impresa, e appoggiato unicamente alla Divina Provvidenza, ho aperto per le missioni estere un collegio o seminario in Torino[424], quasi subito dopo un altro a Genova, e poi altrove. Dio benedisse questi deboli sforzi, ed in breve tempo ho potuto preparare un numero notabile di valenti capi d'arte e di chierici ansiosi di consacrarsi alle missioni. Allora mi presentai di nuovo alla E. V. perchè consigliasse ove fosse meglio fare la prima prova, cioè se nelle Indie, o nell'Australia o nell'America del Sud verso ai Pampas ed ai Patagoni. Parve opportuna l'ultima proposta, perchè più proporzionata ad una novella Congregazione. I successi ottenuti mi danno animo a pregare V. E. ad intervenire colla sua autorità a consolidare l'opera cominciata due anni sono, sotto a suoi auspizii. La prego pertanto di permettere che prima le esponga brevemente tre cose; necessità di questa missione; stato di essa riguardo al personale; e riguardo ai mezzi con cui finora si è sostenuta; dopodichè la E. V. giudicherà quali provvedimenti siano a prendersi per la maggior gloria di Dio.
È da premettersi che tra le terre dei selvaggi Pampas e dei Patagoni fino al di là delle terre del Fuoco, ossia al Capo Horn, avvi una estensione pressochè pari all'Europa, dove il Vangelo non ha ancora potuto penetrare. In diverse epoche alcuni coraggiosi ecclesiastici penetrarono in alcune parti tra quei selvaggi, ma loro ha sempre costato la vita, senza poter ottenere un successo stabile del loro sacrifizio. È vero che ai confini dei paesi degli Indi o dei selvaggi vi furono sempre alcuni missionari sopratutto Francescani o Lazzaristi, ma lo scarso numero e le distanze straordinarie con altre gravi difficoltà rendettero eziandio assai scarso il frutto del loro zelo. In questo generale bisogno preso ammaestramento dalla storia e facendo tesoro di quanto altri hanno detto o fatto, considerando lo stato attuale di que' paesi, si giudicò di venire ad un nuovo esperimento. Non più mandare missionarii in mezzo ai selvaggi, ma recarsi ai confini dei paesi civilizzati e colà fondare chiese, scuole ed ospizii, con due fini:
I° Cooperare a conservare nella fede quelli che l'avessero già ricevuta;
2° Istruire, ricoverare quegli Indi che la religione o la necessità avesse mossi a cercare asilo presso ai cristiani. Lo scopo era di [770] contrarre relazioni coi genitori per mezzo dei figli, affinchè i selvaggi diventassero evangelizzatori degli stessi selvaggi.
Per dare esecuzione a questo progetto giovò efficacemente il console Argentino residente in Savona, il quale richiesto dall'Arcivescovo della Repubblica Argentina e dal Missionario Modenese Mons. Ceccarelli, fece formale domanda all'umile esponente di venire in religioso aiuto, sia al paesi già costituiti, sia ai selvaggi. Poichè, si scriveva, questi miserabili si avanzano a turbe contro le truppe regolari per farne preda, mentre restano tutti sfracellati dalle mitraglie e dagli archibugi del governo.
Ultimate le pratiche, il 14 novembre 1875 partirono i primi Salesiani in numero di dieci; la seconda spedizione in numero di 24, un anno dopo; finalmente, venne eseguita l'ultima in numero di 27 nel testè scorso novembre. Altri quindici andranno a raggiungere i loro compagni nella prossima primavera.
I° Benedetti dal Vicario di G. C., e perciò benedetti sensibilmente dallo stesso Iddio, i missionarii Salesiani trovarono una messe copiosissima. Mons. Aneyros Arcivescovo di Buenos Aires ha una diocesi estesa assai, e da più lati è circondata dai Patagoni e dai Pampas. Molti paesi ed anche città passano degli anni senza vedere il Sacerdote Cattolico. Quell'Arcivescovo pertanto accolse colla massima benevolenza i nuovi inviati, e tosto loro affidò l'amministrazione della chiesa detta della Misericordia o de los Italianos, posta nel centro della città, allora abbandonata. 2° Aprirono di poi oratorii festivi, scuole serali, e quindi un ospizio pei fanciulli poveri ed abbandonati specialmente per coloro che provenissero dalle famiglie dei selvaggi. Questo ospizio contiene ottanta orfanelli, con pubblica chiesa accanto. 3° Divenuto questo insufficiente al gran bisogno coll'appoggio del governo ne fu aperto un altro per arti e mestieri nella medesima città dove sono raccolti trecento orfanelli con pubblica chiesa. 4° A fianco dell'orfanatrofio avvi un borgo detto La Bocca che presentemente ha circa 25 mila abitanti. D'accordo coll'Arcivescovo stabilirono una parrocchia, apersero scuole diurne e serali ed oratorii festivi. Ed ora si sta già costruendo, (e pressochè terminando) una chiesa pel parroco e pei suoi coadiutori.
5° Un collegio convitto, ed esternato a S. Nicolás de los Arroyos, ultima città della Repub. Argentina verso gli Indi Pampas. Vi sono circa 200 allievi.
6° In questa medesima città aprirono una chiesa pubblicamente funzionata.
7° Il Collegio Pio a Villa Colón non molto distante da Montevideo capitale dell'Uruguay.
8° In questa estesa Repubblica non vi è vescovo ma solo un Vicario ap. Mons. Vera, che non aveva alcun Seminario nè collegio [771] cattolico. In questo collegio Pio ora stanno raccolti circa i 50 allievi, unico vivaio da cui si possano sperare vocazioni ecclesiastiche per l'attuale Repubblica e per le missioni.
9° Accanto al Collegio si aprì al pubblico la chiesa di S. Rosa, dove intervengono gli abitanti delle terre e dei paesi vicini.
10° A poca distanza da Villa Colón un educandato ed un esternato femminile per le fanciulle povere ed abbandonate diretto dalle suore di Maria Ausiliatrice, che appartengono pure alla Congregazione Salesiana.
11° Sul fini del passato Novembre Mons. Vera propose ai Salesiani, e fu accettata la parrocchia di Las Piedras, città di circa 6000 anime senza preti e senza maestri di scuola.
Essa dista 20 chilometri da Villa Colón e ci mette in comunicazione colla parte occidentale di quella Repubblica tuttavia abitata dai selvaggi.
Queste sono le case e le chiese già aperte al pubblico nella R. Argentina e in quella dell'Uruguay, in favore della gioventù e degli adulti. Mentre però i Salesiani lavoravano per promuovere e conservare in esse lo spirito di Fede, non perdevano mai di vista lo studio di quanto avrebbe agevolato la via tra i selvaggi, che è la meta da loro costantemente vagheggiata.
A sostenere gli oratorii festivi, le scuole diurne e le scuole serali, gli ospizi di artigianelli, collegi e chiese era indispensabile molto personale. A tale uopo già 60 Salesiani partirono dall'Europa che ora sono occupati, ed amministrano le opere sopra mentovate.
È vero che in questo anno moriva uno dei più zelanti nostri missionari vittima, scrivono, dell'incessante suo lavoro. Ma ciò ben lungi dallo scoraggiare, eccitò in tutti i Salesiani un vero entusiasmo di partire per le missioni estere. Dai collegi e dalle scuole aperte uscirono già trenta giovani che animati per lo stato ecclesiastico si fecero Missionarii con animo di recarsi a portare il Vangelo al loro parenti ed amici, che sono tuttora immersi nella idolatria. Più di cento allievi hanno già manifestata la decisa volontà dì abbracciare lo stato ecclesiastico, dando segni chiari di vocazione.
Un regolare noviziato ed uno studentato vennero pure aperti nella capitale Argentina, previa autorizzazione di V. E. Rev.ma.
In Europa poi abbiamo molte case in cui si raccolgono giovani di varie condizioni, educati nella scienza e nella pietà, e per lo più si risolvono di farsi missionarii. Oltre a duecento con questo fine sono raccolti nella sola casa di S. Pierdarena, sotto al titolo di Opera di Maria Ausiliatrice.
Tutti questi elementi ci porgono fondata speranza che aiutandoci Iddio, potremo fare ogni anno la spedizione di missionarii all'estero, tra capi d'arte, catechisti e sacerdoti. [772]
Se vogliamo fare un bilancio preventivo, non si ha un soldo di reddito sicuro; ma sempre ed unicamente appoggiati nella Divina Provvidenza potemmo fondare, attivare, provvedere di suppellettili tante case e Chiese, preparare centinaia di Capi d'arte e Sacerdoti per farne spedizione col voluto corredo; e ciò si è fatto mentre si dà pane e cristiana educazione a ventimila fanciulli. A gloria di Dio, e dei popoli Americani è d'uopo dichiarare che i Salesiani giunti in paesi stranieri furono accolti con inaudita carità, a segno che loro non è mancata cosa alcuna necessaria per l'esercizio del sacro ministero, per attivare ospizi, chiese e scuole. Sicchè rigorosamente parlando i Salesiani non possedono cosa alcuna nè in Europa nè in America, ma loro non è mai mancato niente nelle opere intraprese.
L'unico benefattore fisso e stabile è il S. Padre il quale colla sua inesauribile carità ci venne più volte generosamente in soccorso. Presentemente si aggiunge la speranza riposta nella E. V. e nella pia opera della propagazione della fede, che, come da lettere scritte dal suo presidente, verrà in aiuto quando queste missioni vengano commendate dalla E. V.
Mentre i Missionari Salesiani davano opera alla amministrazione degli Istituti loro affidati dalla divina Provvidenza, spesso recavansi ora gli uni ora gli altri a dettare missioni nelle campagne, nelle colonie più avanzate tra gli Indi. Ivi catechizzavano gente di tutte le nazioni colà accorse per materiali interessi, ma che per lo più da anni ed anni non avevano più veduto il sacerdote cattolico nè udita la voce sua. Mercè queste evangeliche escursioni, scrive il D. Cagliero, capo dei Missionarii Salesiani, si poterono acquistare molte cognizioni intorno all'indole, carattere, lingue e costumi degli Indi ed iniziare con loro alcune relazioni che tornano utilissime per conoscere i siti più opportuni per le missioni e meno pericolosi pei missionarii.
Fra i molti luoghi dove sembra che possano stabilmente formarsi delle missioni sono Carhuè e Santa Cruz.
La Carhuè è un punto dove havvi una guarnigione di soldati a guisa di fortezza costrutta nel 1874 sulla frontiera nuovamente eretta dalla R. di Buenos Aires: quel governo avendo portato i suoi confini di oltre a mille chilometri verso ai Pampas deve a mano armata tener lontani i selvaggi che sotto apparenza di commercio fanno continue corse d'esterminio sugli Argentini.
Dal lato occidentale della Repub. Argentina il Carhuè è la parte più avanzata in mezzo agli Indi posta com'è al grado 37 di latitudine meridionale, e 5 di longitudine occidentale del Meridiano di Buenos Aires. È vero, come riferiscono i pubblici giornali che quest'anno (1877) ci furono gravi ostilità e massacri tra i Pampas e gli Argentini; [773] ma i missionarii essendo stati estranei a quegli avvenimenti, ne avvenne che essi sono benevolmente accolti, anzi desiderati da ambe le parti: vale a dire dai selvaggi e dagli Argentini, che del Carhuè fecero, o meglio improvvisarono una piazza forte ed un paese di commercio pei selvaggi coi civilizzati. Colà i Salesiani sono attesi, e l'Arcivescovo di Buenos Aires non aspetta che il loro arrivo, affinchè vadano colà a prendere cura degli adulti, e dei fanciulli Indi, i quali secondo il barbaro loro costume spesso abbandonano i loro figli in mezzo ai campi quando sono troppo numerosi, o cagionano qualche molestia. Qui si sta costruendo una chiesa con accanto un ospizio da affidarsi ai Salesiani.
Santa Cruz è una piccola colonia nella parte estrema della Patagonia, all'Oriente dello stretto Magellanico al grado 50 di latitudine. È sito di commercio pei Patagoni, che ivi sogliono radunarsi per iscambiare alcuni loro prodotti coi forestieri, che loro portano commestibili e bibite dai selvaggi di preferenza appetiti. Questa colonia ora prende grave importanza, perchè, come annunziano i giornali argentini, devono recarsi colà duecento famiglie russe per attendere al commercio ed alla agricoltura. Presentemente non avvi alcun provvedimento pel culto religioso. Se i cattolici precederanno, gli altri li troveranno stabiliti e in certo modo loro superiori. Ma se i Russi prenderanno la preminenza, tornerà assai difficile ai cattolici missionarii il potersi organizzare e stabilire. Un ospizio, una casa di missione a S. Cruz ed al Carhuè sembrano opportuni, sia per conservare la fede in quelli che l'avessero già ricevuta, sia per mettersi in relazione cogli indigeni, ricoverare, educare i loro figli, sempre col religioso fine di progredire nelle terre da loro abitate.
Dato così un cenno sulle missioni Salesiane, mi fo ardito di supplicare la R. V. di volermi venir ora in aiuto colla sua autorità e coi suoi savi consigli. A me pare che sia cosa opportuna ed efficace a consolidare così in modo stabile la esistenza e la diffusione del Vangelo.
I° Erigere in Prefettura apostolica la missione del Carhuè.
2° Erigere in Vicariato apostolico S. Cruz; come quello che è assai distante, e si può dire quasi nella impossibilità di avere un vescovo pei sacramenti, che lo richiedono. Ora non mi rimane che compiere un mio dovere da parte di tutta la Congregazione Salesiana, ringraziare la E. V. di tutta la carità usata ai Salesiani, e pregarla a continuare il tesoro della sua benevolenza e de' suoi consigli. Ho l'alto onore di potermi professare
Obblig.mo figlio della S. Sede
Questo scritto aperse a Don Bosco la via per esporre oralmente e più ampiamente al Cardinal Prefetto le proprie idee; la qual cosa per altro non avvenne tanto presto: cause ne furono prima il lento procedere dei dicasteri romani e poi il ristagno degli affari in morte di Pio IX. Il Servo di Dio conferì col Cardinale pressochè alla vigilia dell'udienza concessagli da Leone XIII il 16 marzo. Parlò egli allora al Papa anche di quest'argomento, indi ne diede subito contezza a Sua Eminenza e disse più ch'ei non abbia creduto bene di palesare in quel suo scritto sull'udienza, che era destinato a tutti e che i lettori conoscono. Dev'essere stato effetto del colloquio avuto col Cardinale l'aver egli ridotto il suo disegno primitivo, limitandosi a chiedere nell'udienza pontificia solamente un vicariato o una prefettura apostolica e in un punto diverso dai due già proposti.
I. Dopo i colloqui che ho avuto l'alto onore di tenere all'E. V. Rev.ma intorno alle missioni dell'America del Sud e delle Indie, mi sono tostamente recato dal santo Padre per esporgli quanto sembra potersi intraprendere pel buon andamento delle iniziate missioni. Ho notato in breve il successo ottenuto nelle case o meglio nel seminario, già attivato di S. Nicolás de Los Arroyos, ultima città della Repubblica Argentina limitrofa ai selvaggi; pare si manifesti il tempo di misericordia per quei popoli, che perciò possa tornare non infruttuoso un esperimento, nella medesima Patagonia dove i missionarii sarebbero invitati da due famosi Cacichi a recarsi nei loro paesi assicurando assistenza e protezione
2. Quindi sembrare opportuno un vicariato o prefettura apostolica in Carmen, detta anche Concezione o Patagónes, che è una piccola colonia sulle sponde nord del Rio Negro dove i selvaggi fanno qualche commercio coi forestieri. Stabilito qui un collegio per studenti ed un ospizio per artigianelli, con facilità uno può mettersi in relazione coi selvaggi e per mezzo dei figli farci strada a parlare di religione ai loro genitori. Il collegio di S. Nicolás ci porge un esempio in favore di questo argomento.
3. Ho pure in poche parole esposto come io potrei entro un anno preparare dieci sacerdoti e dieci catechisti pel vicariato apostolico di Mangalor nelle Indie, oppure per altra missione che V. E. avesse giudicato di preferire. [775] Sua Santità, colla solita sua bontà, ascoltata questa breve esposizione, degnavasi di lodare e benedire ambedue i progetti e mi diresse alla E. V. affinchè nella sua illuminata saviezza riferisse alla stessa Santità intorno alla convenienza e ai mezzi materiali e morali sopra cui si possa calcolare in tali contingenze. La stessa preghiera fu già alcuni mesi addietro presentata alla sacra Cong. dei Vesc. e Regol.; ed ora l'umile esponente rinnova la medesima preghiera affinchè sia concessa la grazia senza cui non può provvedere alle urgenti esigenze delle missioni estere, e delle case salesiane di Europa che reclamano provvedimenti indispensabili alla maggior gloria di Dio e al bene delle anime,
Con la copia di questa lettera abbiamo trovato un promemoria, nel quale Don Bosco notò varie cose da lui esposte o richieste al Cardinale in una conferenza col medesimo.
I. Le facoltà necessarie ai superiori delle case salesiane d'America da potersi comunicare ai loro dipendenti, specialmente quando vanno in mezzo ai selvaggi Pampas e Patagoni tra cui la gerarchia non è ancora costituita.
2. Una commendatizia presso l'Opera pia della propagazione della fede di Lione che la richiede per venire in aiuto delle dieci chiese di America, del collegio di S. Nicolás de los Arroyos, di un altro in Buenos Aires, un terzo in Villa Colón poco distante da Montevideo. In altro collegio seminario sono raccolti circa ottocento giovani, che fanno gli studi nel tempo che esaminano la vocazione e si preparano per le missioni estere.
3. Dimanda di sussidii pecuniarii, o almeno alcuni degli oggetti notati a parte.
4. Prendere in viva considerazione la missione dei Lazzaristi presso ai Pampas, che si va estinguendo e che offrono quella parte di vigna del Signore, come si trova, ai Salesiani.
5. Il Carruhuè presso ai Pampas dove i protestanti tentano di stabilirsi; Santa Cruz; colonia sulla estremità della Patagonia dove pur troppo si vanno a stabilire circa duecento famiglie Russe, come recano i giornali della Repubblica Argentina.
Gli “oggetti notati a parte” sono libri, paramenti sacri, utensili indispensabili ai Missionari sia per i loro studi che per l'esercizio del sacro ministero.
I. Breviarii, diurni, messali, piccoli messali da requie, cartelle per la benedizione del SS. Sacramento.
2. Antifonarii, vesperali, graduali tanto di forma grande, quanto di forma piccola. [776]
3. Dizionarii, grammatiche, libri ascetici, predicabili, o storici, in lingua spagnuola, portoghese, inglese, tedesca ed anche in lingua italiana sia ad uso dei missionarii, che dei fedeli cui si potrebbero utilmente distribuire.
4. Arredi e paramentali pel divin culto; calici, pissidi, ostensorii, lampade e simili.
Un altro resoconto sulle Missioni salesiane fu dal confratelli di America umiliato al novello Pontefice Leone XIII insieme con un indirizzo di devoto omaggio sottoscritto da quei superiori di case. Una seconda lettera di ossequio essi spedirono al Papa per la festa di san Gioachino, suo onomastico, riferendogli dei primi tentativi fatti per l'evangelizzazione dei selvaggi e modestamente esprimendo la loro opinione che fosse cosa di “somma necessità lo stabilire una casa centrale in Patagónes sulla foce del Rio Negro”. Questi atti di devozione e i ragguagli che li accompagnavano erano senz'alcun dubbio voluti da Don Bosco, affinchè il nuovo Papa venisse per diverse vie a conoscere sempre meglio l'operato dei Salesiani in quelle terre e fosse ognor più disposto ad accordare il suo sovrano favore a loro e di riverbero all'intera Congregazione.
Al primo documento il Papa rispose con un bellissimo Breve del 18 settembre[425], nel quale affettuosamente diceva: “Le cose da voi scritteci intorno alle opere della vostra Missione ci hanno riempiti di consolazione; abbiamo infatti potuto conoscere dalla vostra relazione che voi vi adoprate con zelo a promuovere la gloria di Dio e a procurare la salute delle anime e di cuore abbiamo ringraziato il Signore che vi dà forza e concede alle vostre fatiche i frutti da voi ricordati. Senza dubbio, o diletti figli, questa benignità del Signore v'infonderà coraggio, perchè, strettamente uniti all'Apostolica Sede, siate alacri e costanti nella missione intrapresa, affinchè crescano di merito e di numero in coteste terre i figli della luce. Essendo Nostro massimo [777] desiderio la gloria e l'estensione del Regno di Cristo, sarà per Noi cosa gratissima il dimostrarvi tutta la Nostra benevolenza e pregarvi ardentemente dal Cielo la pienezza di tutte le grazie, affinchè possiate essere sempre validi strumenti della divina gloria e della salvezza delle anime”.
Lo zelo di Don Bosco per le Missioni non si concentrava talmente in un luogo da fargli perdere di vista qualsiasi altro paese, dove fosse richiesto il suo apostolato: la sua carità avrebbe voluto abbracciare tutto il mondo. Il delegato apostolico di San Domingo, monsignor Rocco Cocchia, desiderava vivamente che una piccola schiera di Salesiani andasse almeno a prendere la direzione di quel seminario, impartendovi anche l'insegnamento letterario e scientifico agli alunni. Che desolazione in quella capitale e omonima repubblica! Il piccolo seminario chiuso per mancanza di Direttori e di maestri; chiuso quello grande per mancanza di chierici; chiusa la cattedrale per mancanza di chi vi facesse le funzioni; chiusa l'università per mancanza di professori e di studenti. Monsignor Cocchia era venuto all'Oratorio per supplicare Don Bosco che gli desse dei preti, dicendogli che voleva lasciare tutto tutto nelle sue mani. Don Bosco gli rispose promettendo di secondare si lodevoli desideri, subito che le circostanze gliel'avrebbero consentito; ma che sul momento non poteva. Il Vescovo, avuta questa promessa, rivolò a Roma, fece al cardinal Franchi un quadro desolante delle miserie spirituali di quella diocesi e insistette presso di lui perchè obbligasse Don Bosco ad accettare; ed ecco il cardinale a interporre i suoi buoni uffici, più, diceva, per far cosa grata al rappresentante pontificio, che perchè lo credesse necessario, sapendo bene che a muovere Don Bosco bastava il riflesso dell'utilità che ne veniva alla Chiesa e alle anime. Il Beato rispose che se i Salesiani sarebbero andati nell'anno a San Domingo e altri in avvenire; ma poneva una condizione: che il Cardinale perorasse in favore dei [778] Salesiani a fine di ottener loro la dispensa dalle testimoniali dei Vescovi, l'extra tempus e i rimanenti privilegi. L'eminentissimo Prefetto di Propaganda si affrettò a ringraziarlo; ma quanto al resto gli osservava: “Avendo Ella iniziato presso la S. Con.ne dei VV. e RR. le richieste al S. Padre, per le quali Ella desidera un mio ufficio, mi son dovuto limitare a farlo presso l'Em.mo Prefetto di detta S. Congregazione”[426].
Quindici giorni dopochè scrisse questa lettera, il cardinal Franchi morì. Il 2 agosto l'avvocato Leonori comunicò a Don Bosco: “L'Em.mo Oreglia dice che non accetti di andare a S. Domingo, se non gli (sic) accordano i privilegi chiesti; non si lasci lusingare dalle promesse, che gli verranno concessi poi, giacchè quando ha accettato diventa cosa finita”. Il Beato interessò tosto anche il cardinal Bilio, che promise in genere d'ingegnarsi, come sempre, per aiutarlo; ma, non appartenendo egli alla sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari, disse che nulla poteva fare riguardo ai privilegi. Gli suggerì invece di ricorrere al cardinal Oreglia, il quale forse non si sarebbe ricusato; poter egli molto giovargli sia perchè aveva più tempo di lui a occuparsene, sia perchè era membro della suddetta Congregazione; l'essere poi quasi compatriota di Don Bosco doverlo indurre a prendervi maggior impegno[427]. Ma il cardinal Oreglia, interpellato direttamente da Don Bosco, non gli nascose che a ciò il vento non soffiava favorevole[428]. Anche l'avvocato Leonori, mandando a Don Bosco i rescritti per due diaconi che chiedevano la dispensa di età e avvertendolo che erano stati concessi in forma graziosa, senza farli passare per le mani dell'Arcivescovo di Torino come, secondo il solito, sarebbesi dovuto fare, pur pigliando da ciò buon augurio, diceva: “Ringraziamo Iddio! Io spero che con la pazienza e prudenza [779] si riuscirà anche ad ottenere la comunicazione dei privilegi: per ora bisogna tacere”[429].
Ma Don Bosco, ora che c'era di mezzo l'affare di San Domingo, non credette di dover tacere. Confidando nella bontà del cardinal Bilio, mandò a lui una supplica da umiliarsi al Santo Padre per ottenere almeno la facoltà di accettare gli aspiranti non chierici senza testimoniali dei Vescovi, anche solo per un anno, anche solo per la prossima accettazione. Si vede che Don Bosco si contentava di poco, pur di creare un utile precedente. “Comprendo il suo desiderio, gli scrisse Sua Eminenza; ma sono dispiacente di doverle significare che in questo caso particolare non Le posso punto giovare. Di certa scienza e per fatto personale so che il S. Padre vuole che simiglianti dimande sien fatte unicamente per organo della S. Con.ne de' VV. e RR. e so di più che lo stesso S. Padre ha dato ordine alla stessa S. Con.ne che dimande di simil fatta non gli vengano neppur fatte... Da questo V. S. può rilevare che la mia mediazione non conseguirebbe il desiderato effetto”. Quasi a temperar l'amaro, il Cardinale, conscio di far a Don Bosco un grande piacere, soggiungeva che, avendo il diacono Biagio Giacomuzzi domandato da Magliano di ascendere al sacerdozio, egli stesso l'avrebbe ordinato quanto prima e che si sarebbe fatto accordare l'extratempora dal Santo Padre[430].
È evidente che se Don Bosco non cessava di chiedere certi privilegi, doveva averne ben donde. Così proprio allora gli occorrevano le testimoniali per un chierico proveniente dal seminario di Torino; ne scrisse pertanto all'Arcivescovo.
Il Chierico Baravalle Giovanni di Carmagnola si presentava alcuni giorni, anzi alcune settimane addietro con un certificato del Sig. Rettore del Seminario di Torino in cui si dichiarava la sufficienza negli [780] studi, ma di non avere mai esso dato alcun segno probabile di vocazione allo stato Ecclesiastico. Egli domandava d'entrare nella nostra Congregazione per recarsi nelle missioni. Io l'ho senz'altro rimandato. Alcuni giorni sono si presentò nuovamente con certificato del suo parroco e del Canonico Ariccio, che caldamente lo raccomandavano come chierico di ottima speranza per moralità e studio. Dietro tali raccomandazioni e più ancora dietro alle preghiere ed alle promesse del chierico stesso io sarei disposto a farne prova, semprechè tale cosa non dispiaccia alla R. V. e voglia al medesimo concedere le prescritte testimoniali.
Alcuni mi dissero che la E. V. sia per tenere ordinazioni extra tempus. Se ciò fosse la pregherei a volere anche fra gli ordinandi annoverare alcuni nostri chierici di cui avrei vero bisogno.
Prego Dio che conservi la E. V. in buona salute, e che dal sinodo di domani faccia ricavare molto frutto per la sua maggior gloria e per conforto delle fatiche di Lei, mentre con gratitudine e venerazione sincera ho l'onore di professarmi.
Questa lettera fu portata da Don Deppert all'Arcivescovo, che la lesse, la rimandò a Don Bosco senza nulla rispondere e solo mormorando fra i denti nell'atto di restituirla al porgitore: - Non ho bisogno de' suoi consigli. - Parole che si riferivano agli auguri del Beato per il buon esito del sinodo diocesano prossimo a cominciare. Nè si poteva asserire che Don Bosco avesse aspettato troppo a dar prova della sua docile sommissione sul punto delle testimoniali; poichè risaliva al 25 maggio quest'altra domanda.
Questa mattina si presentò da me il chierico Guanti proveniente da Chieri e mi diceva di essere inviato dal Rettore del Seminario allo scrivente appunto perchè voleva venire all'Oratorio come aspirante alla Congregazione. Io ho risposto che prima d'ogni altra cosa doveva scrivere all'Arcivescovo nostro, come ora desidero di fare, e dalla cui risposta dipendeva ogni cosa.
Io la prego pertanto a volermi far scrivere anche poche parole per mia norma cioè: Se questo chierico fu congedato dal Seminario [781] per motivi gravi, o se ciò non avvenne per mancanze che si riferiscono alla moralità.
Posta la buona condotta o almeno la speranza di acquistarla, se Ella non ha cosa in contrario che si ritenga qui per qualche tempo a far prova della sua vocazione. Io sono indifferente a deliberare in senso affermativo o negativo, e fo assai volentieri quanto Ella giudicherà meglio nel Signore.
Con profonda gratitudine e con pienezza di stima ho l'onore di potermi professare
Checchè sia di Torino, sembra che Don Bosco non abbia voluto darsi per vinto a Roma e che, nonostante gli avvisi in contrario, rinnovasse il tentativo di arrivare con una supplica fino al Papa, e questo poco dopo aver fatto a Leone XIII l'omaggio del suo Il più bel fiore del Collegio Apostolico. Lo argomentiamo da alcune frasi dell'avvocato Leonori in una lettera del 16 dicembre “So che ha mandato un'altra istanza per ottenere i privilegi; ma nel momento è inutile”. O inutile o no, il Servo di Dio non desisterà per altri sei anni dall'insistere opportune e importune, finchè con visibile intervento dei Cielo non abbia raggiunto il premio della sua decennale costanza.
Nè faccia specie il vedere come Don Bosco subordinasse l'accettazione dell'opera di San Domingo alla concessione dei privilegi. Questo, se mai, indica l'importanza che egli vi annetteva; e certo, volendosi che egli si sobbarcasse a nuove Missioni, era logico che gli si sbarazzasse il cammino da impacci, i quali si frapponevano alla moltiplicazione del suo personale.
Morto il cardinal Franchi, per San Domingo più nessuno fiatò; ma un nuovo invito gli venne ancor più dall'alto. Era stato all'Oratorio monsignor Innocenzo Yeregui, vicario generale della diocesi di Montevideo, principalmente per istrappare a Don Bosco il consenso all'invio di alcuni Salesiani [782] in quella capitale, ma, avendone riportate appena buone parole, rivolse al Sommo Pontefice una supplica, nella quale, esposto come i Salesiani avessero con grande vantaggio morale aperto presso Montevideo un collegio per la cristiana e scientifica educazione della gioventù benestante, proseguiva dicendo: “Ora, Beatissimo Padre, sarebbe nostro desiderio ardentissimo che questi virtuosi Sacerdoti stabilissero una casa d'arti e mestieri per i ragazzi poveri che trovansi tanto esposti a perdersi: e per conseguire tanto necessario beneficio, ci rivolgiamo supplichevoli alla S. V., affinchè si voglia degnare, con una parola diretta al Padre Bosco, ottenerne il conseguimento „. Il Santo Padre si degnò di scrivere in calce alla supplica queste righe: “Rimettiamo al Rev.do Don G. Bosco Superiore dei Salesiani in Torino la presente istanza, perchè i desideri dell'oratore sieno possibilmente appagati. Vaticano, 24 agosto 1878. LEONE P. P. XIII”. Ma il voto non potè essere soddisfatto se non dopo la morte del Servo di Dio.
Finalmente sul cadere dell'anno ecco venire la volta del Paraguay. Questo paese sia dalle guerre col Brasile e con la Repubblica Argentina: che dai rivolgimenti interni era stato ridotto in condizioni di vera anarchia. Pio IX nell'ottobre del 1876 aveva delegato monsignor Cesare Roncetti, nunzio apostolico presso l'imperatore del Brasile, a trattare col presidente Gian Battista Gill, il primo presidente un po' trattabile dopo tanti altri arrabbiati, per veder di rimediare a sì funesto stato di cose[431]. Il Paraguay formava allora un'unica diocesi, audacemente amministrata da un disgraziato che aveva ucciso il Vescovo. Le trattative s'incamminavano bene, quando il presidente Gill cadde vittima di un assassinio, al quale non fu estraneo il rinnegato ecclesiastico detto sopra. Perito colui presso il quale monsignor Roncetti era accreditato, anche la missione finì. Allora Pio IX [783] incaricò monsignor Di Pietro, delegato apostolico nell'Argentina, di recarsi nel Paraguay per mettere un po' d'ordine in quella povera Chiesa. Egli, affezionatissimo alla Congregazione, voleva colà i Salesiani; su di che sollecitò l'intervento della Santa Sede. Leone, XIII, preoccupato come il suo Predecessore del bene di tante anime, ordinò al Cardinale Segretario di Stato che ne trattasse con Don Bosco, il quale, vicino a partire per Roma, si vide giungere questa lettera.
La deplorevole condizione in cui versava la Repubblica del Paraguay, relativamente ai bisogni spirituali del popolo, commosse il paterno cuore della S.a M.a del Pontefice Pio IX, il quale poco prima di riposarsi nel Signore vi arrecò opportuni rimedii, inviando colà un Delegato Apostolico in compagnia di zelanti ecclesiastici, affinchè provvedessero alla salute di quelle anime presso che derelitte per la mancanza di idonei sacerdoti. Dalle notizie pervenute alla S. Sede si è rilevato con vera soddisfazione che il Signore si è degnato di benedire alle premure del compianto Pontefice, e fecondare l'opera di quegli operai evangelici, avendo solo a lamentarsi con dispiacere che gli inviati ecclesiastici sono insufficienti, mentre il bisogno di aiuto va tuttora crescendo per conservare in ispecie i frutti già raccolti.
Desiderando perciò l'attuale Pontefice, che è animato del più ardente zelo a vantaggio dei fedeli affidati all'universale sollecitudine che esercitar deve su tutte le chiese, non risparmiare qualunque mezzo che sia atto allo indicato scopo, mi ha indicato di rivolgermi alla S. V. Ill.ma affinchè Ella si compiaccia con qualche sollecitudine informarmi, in quale misura può venire in soccorso e della Diocesi del Paraguay e del Pontificio Delegato, sia inviando da costì un numero di Missionarii da lei diretti, sia facendoli partire da Buenos Aires, dove già hanno dato prova di intelligente zelo e di operosità veramente apostolica.
In attesa pertanto di conoscere se ed in qual modo la S. V. Ill.ma potrà prestarsi a secondare le intenzioni di Sua Santità, che si è degnata associarla con tale invito alle paterne sue cure, mi è grato confermarmi con sensi di distinta stima
Il Servo di Dio, al quale ogni desiderio del Papa era comando, rispose che metteva a disposizione del Pontefice dieci Salesiani e dieci Figlie di Maria Ausiliatrice; quindi scrisse a Don Bodratto che gli facesse conoscere quanti soggetti egli potesse destinare al Paraguay: i rimanenti vi sarebbero andati da Torino. Don Bodratto, d'intesa col suo capitolo e rassegnandosi a gravissimo sacrificio, mise a disposizione di Don Bosco tre sacerdoti. Monsignor Di Pietro voleva subito dai Salesiani un vicario generale, un rettore del seminario e un parroco per Villa Rica, la parrocchia più importante della repubblica. Intanto nel tempo pasquale del 1879 menò seco Don Allavena, perchè attendesse specialmente al ministero delle confessioni; e dell'opera sua fu così soddisfatto, che aveva in animo di nominare lui vicario generale. Se non che, visto che le cose andavano per le lunghe, insofferente d'indugi, l'Inviato pontificio si raccomandò ai Lazzaristi, che prontamente accettarono; onde per allora i Salesiani non varcarono le frontiere della repubblica paraguaiana.
Diamo ora uno sguardo alla feconda operosità dei figli di Don Bosco nell'Argentina e nell'Uruguay. Dicevamo sopra che la casa di arti e mestieri, aperta nell'aprile del 1877 in via Tucuari a Buenos Aires, era provvisoria; infatti la vera scuola professionale fu inaugurata il I° settembre 1878 in un quartiere della capitale argentina denominata Almagro. Fu risolto quel giorno un gran problema. Una città così popolosa, mentre per i figli di genitori agiati abbondava di fiorenti collegi, non aveva dove far impartire una sana educazione ai poveri figli del popolo, che brulicavano per le sue infinite strade e piazze. Il Governo aveva ben tentato di fondare un grandioso stabilimento con direzione, capi d'arte, maestri e laboratori; ma non riusciva a trovare persone disinteressate, che si dedicassero con amore a sì filantropica istituzione: anzi un inglese, ufficialmente incaricato di dar impulso all'opera, se n'era fuggito dopo [785] aver scialacquato quattrocento mila pesos. A quest'ultima delusione gli uomini del Governo finirono con buttar tutto all'aria. I Salesiani invece, coadiuvati dai soci delle Conferenze di San Vincenzo, sebbene con mezzi infinitamente minori, ma con grandissima confidenza in Dio si accinsero all'impresa e vi riuscirono.
Di progetti per dare forma stabile e locale adeguato alla scuola di arti e mestieri se n'erano discussi e scartati parecchi, finchè si presentò a Don Bodratto una commissione di cittadini che aveva otto anni addietro edificato una bella chiesa, dedicandola a san Carlo, nel sobborgo di Almagro e che vi aveva tenuto cappellano, sacrestano e maestro elementare ma senza ottenere mai che le cose andassero in modo soddisfacente. Scarsi di mezzi e carichi di debiti, gli amministratori venivano a offrirgli la chiesa, perchè i Salesiani prendessero a officiarla. Don Bodratto, che trovò sulle prime le condizioni alquanto gravose, temporeggiava, quando però s'interpose l'Arcivescovo e il dottor Carranza si profferse a concorrere con la compra di due terreni adiacenti, si decise a conchiudere il contratto.
I Salesiani si misero subito a fare belle funzioni nella chiesa e a costruire lì accanto. Da principio pochissima gente interveniva; ma le cerimonie della settimana santa svegliarono la pietà dei fedeli, che d'allora in poi frequentarono il tempio ogni giorno più, mostrandosi così contenti dei nuovi venuti, che supplicarono l'autorità ecclesiastica a erigere la chiesa in parrocchia. Il favore venne accordato nel mese di luglio, e Don Bourlot fu il parroco. Nello stesso mese Don Bodratto alle classi primarie che si facevano provvisoriamente in locali d'affitto, dov'eransi pure trasferiti gli artigiani, aggiunse un corso di latino, donde partì il germe di parecchie vocazioni; nell'agosto poi riunì ivi stesso un gruppo di ascritti, organizzando alla meglio il noviziato[432] sotto la vigilanza di Don Vespignani. [786]
Quanto all'edifizio per il collegio, la prima pietra fu collocata sul principio di marzo; indi i lavori procedettero così alacremente che dopo sei mesi una parte notevole era già abitabile, tanto abitabile che se ne fece l'inaugurazione il I° settembre. Ne presero possesso gli artigiani della vecchia casa, che vi trovarono abbastanza in ordine laboratori di sarti, calzolai, legatori e falegnami: le macchine per la tipografia non dovevano tardare molto ad arrivare. L'istituto fu denominato Escuela de Artes y Oficios e intitolato a Pio IX, del quale durava tuttor vivo il rimpianto nei cattolici argentini. La festa dell'inaugurazione suscitò nella cittadinanza e nella stampa un verace senso di simpatia, onde le personalità più cospicue del clero e del laicato, con a capo l'Arcivescovo e il Ministro della pubblica istruzione e culto, vollero parteciparvi e i giornali poi fecero la miglior propaganda che si potesse desiderare per la prosperità della nascente opera. Don Bodratto dinanzi all'assemblea diede conto delle spese incontrate fino a quel giorno, con che si acquistò credito di buon amministratore non solo, ma di giusto estimatore della carità bonariense: non c'era stato alcuno strepito di pubblicità, eppure nel giro di pochi mesi le offerte gli avevano apportato un milione di pesos, equivalenti allora a duecento mila lire.
Diversi oratori si levarono dopo di lui a parlare, mentre fra un discorso e l'altro gli alunni all'uso nostro declamarono poesie, cantarono pezzi a solo e a coro ed eseguirono varie sonate. Ultimo sorse il facondo monsignor Aneyros[433], che a un certo punto apostrofò così i Salesiani: “Sì, o reverendi Salesiani, voi vi siete formati ad una scuola di sacrifizio e di perfezione, che riempie il mondo della vostra fama. Non posso quindi, e non debbo, darvi consigli nè esortazioni di sorta, ma presentarvi le più sincere congratulazioni con l'attestato d'una vera e ben meritata riconoscenza, pregando il Sommo [787] Iddio perchè voglia continuare a benedirvi ed a moltiplicare la vostra famiglia come quella di Abramo. Come lui, vediate impavidi e tranquilli correre le umane vicissitudini, protetti sempre dalla divina Bontà nelle vostre persone, nei vostri discepoli, e nelle persone dei benefattori del vostro Istituto”.
Quel giorno così fausto non passò senza una prova tangibile della divina Bontà invocata dall'Arcivescovo. Un'ostinata tosse polmonare rompeva i fianchi al povero Don Vespignani, impedendogli anche la favella e facendo temere seriamente della sua vita, tanto più che trattavasi di ricaduta, la quale trovava l'organismo indebolito da recente assalto. Il direttore Don Bodratto, vista la mala parata, ebbe un'ispirazione. Possedevano là un magnifico rocchetto di Pio IX: glielo fece indossare durante la funzione religiosa, ed il paziente si sentì come per incanto libero dalla tormentosa infermità.
In ottobre i convittori erano 115, di cui sessanta studenti e cinquantacinque artigiani. Fra questi ultimi fu accolto il primo Indio della Patagonia, che fu catechizzato amorosamente da Don Vespignani e chiamato nel battesimo Vincenzo Diaz. Ve l'aveva condotto l'Arcivescovo. Imparato che ebbe a leggere e scrivere e messo a fare il calzolaio, divenne col tempo maestro di calzoleria a Patagònes[434].
Anche alla Bocca le cose andavano di bene in meglio. I Salesiani vi tenevano scuole proprie frequentatissime; inoltre il Consiglio Scolastico accordò loro la facoltà d'insegnare la dottrina cristiana nelle scuole dei comuni di Bocca e di Baracca. Lontano da Buenos Aires, a Ramallo, paese dalle parti di S. Nicolás, l'Arcivescovo istituì nel 1878 una nuova parrocchia, che affidò ai Salesiani; ma non essendo possibile fissarvi la dimora, Don Tomatis vi si recava ogni sabato sera dal collegio, percorrendo a cavallo diciotto miglia, per compiervi tutti gli uffici parrocchiali[435]. [788]
La rinomanza dei Salesiani con la notizia del bene che facevano si spargeva dall'Argentina e dall'Uruguay per altre repubbliche dell'America latina, destando nei Vescovi una vera gara per averli. Ma Don Bosco badava anzitutto allo sviluppo delle opere già avviate, il cui continuo incremento reclamava sempre maggior numero di personale. Scriveva Don Bodratto: “Vedo che le cose nostre in America vanno sviluppandosi quasi precipitosamente, ma se penso al personale che sarebbe necessario mi vien freddo. Qui non si tratta di chiacchiere: per aprir tante case ci vogliono preti, maestri, capi d'arte, catechisti, e noi non ne abbiamo neppur uno disponibile. Qui sparsi nei collegi, case e parrocchie siam già in sessanta e più, ma il lavoro è per più centinaia. Se pertanto Ella potesse immediatamente spedirci non meno d'una cinquantina di sani, virtuosi, zelanti evangelici operai, quanto bene si potrebbe fare, quante anime guadagnare e quanti selvaggi condurre all'ovile di Gesù Cristo!”[436]. Cinquanta da dove li faceva scaturire Don Bosco? Ma una metà fra Salesiani e Suore egli si apprestava a mandare in una quarta spedizione.
Per procacciare i mezzi necessari alla spedizione non occorreva più diramare circolari molto tempo innanzi alla partenza: il Bollettino aveva già così larga diffusione e veniva letto con tanto interessamento che bastava esso solo all'uopo. L'organo dei Cooperatori nel suo numero di novembre lanciò un appello, invitando a portar aiuto con danaro o con qualunque oggetto in tela, in panno, in arredi sacri. Non fu voce al deserto. Don Bosco riceveva lettere come queste. Una persona, inviandogli diciassette marenghi senza svelare Il proprio nome, gli scrisse: “Aveva raccolto queste poche monete per fare un viaggio all'estero; invece desidero che servano per i Salesiani che partono per l'America. Reverendo Don Bosco, preghi che io possa fare un buon viaggio [789] per l'eternità”. Da Borzonasca, provincia di Genova, circondario di Chiavari, un padre di famiglia letto l'articolo del Bollettino, confessò: “Fui intenerito e mi sentii ispirato a rubare uno scudo alla mia povera borsa e alla numerosa mia famiglia per consacrarlo ad una impresa così generosa e santa. Adunque, caro Don Bosco, accolga la mia tenue offerta. Essa è poca cosa, ma io la dò con un cuore grande. Lei non si sgomenti, se dissi d'aver rubato questo scudo alla mia famiglia, in pochi giorni io lo risparmierò, tralasciando qualche inutile spesa”. Un canonico di Tortona gli faceva tenere quattrocento lire con le seguenti parole: “È questo un tenuissimo tributo di ammirazione e di affetto, dai quali è compreso il mio spirito verso i figli del Salesio, divenuti, mercè di Lei, novelli apostoli delle genti”. Pochi giorni prima della partenza mancava il soprabito a un Missionario, quando da Mazzo di Valtellina giunse a Don Bosco per ferrovia un involto: un sacerdote, scarso di danaro, gl'inviava il suo soprabito d'inverno affatto nuovo, perchè lo desse a un Missionario. ““Intanto io, soggiungeva, porterò ancora quel vecchio, che a dir vero non, è poi sdruscito del tutto”. La seguente lettera di Don Bosco, indirizzata forse a Don Giuseppe Persi[437], ci documenta una rispettabile oblazione.
La sua lettera ha qualche cosa di provvidenziale. Stava cercando un mutuo per completare il corredo dei nostri missionarii e ieri stesso aveva fatte parecchie indagini infruttuose. Cercava diecimila franchi. Appunto sul compiere l'insuccesso della giornata mi giunge la sua [790] lettera che mi partecipa la Sua largizione di franchi 10.000 precisi e appunto per lo scopo delle Missioni.
Io pertanto accetto con gratitudine la sua offerta, ma a condizione che la V. S. trovandosene in bisogno possa chiedermene l'interesse annuo ed il capitale qualora tali cose giudicasse esserle necessarie.
In quanto poi al farsi definitivamente Salesiano non vi sono difficoltà: ma ogni cosa tratteremo di presenza o quando ci vedremo a Sampierdarena o a Torino.
Dio la benedica e le dia anche nella vita presente il centuplo, ma la vera mercede nel futuro. Ella mi dirà come si possa effettuare la sua largizione, mentre, con gratitudine e stima ho il piacere di professarmi
Il Servo di Dio non dimenticò nemmeno questa volta il Santo Padre. Un sussidio anche modico che ne avesse ricevuto, avrebbe dimostrato chiaramente che il Papa approvava le sue opere, e questo avrebbe mosso non pochi in suo favore. Grande perciò fu la sua gioia, quando potè far conoscere a' suoi figli e ai Cooperatori la lettera scrittagli dal Segretario di Stato a nome di Leone XIII.
Sa bene il Santo Padre a quante opere di carità cristiana presti Ella aiuto e quanto vada Ella facendo pel bene spirituale delle anime. Ed è per ciò stesso, che gli sarebbe sommamente a cuore di porgere benefica la sua mano a queste Istituzioni e di vederle aumentare in proporzione dei crescenti bisogni. Ma spogliato egli stesso di quel temporale dominio, che permetteva ai Romani Pontefici di farsi dovunque, ed in ogni tempo, autori e promotori di ogni opera di pubblica beneficenza e di cattolica educazione e costretto a vivere di quell'elemosina, che l'amore dei fedeli va deponendo a' suoi piedi, deve Egli porre un freno agli impulsi della Sua Pontificia generosità ed a' suoi desiderii.
Dolendosi pertanto, anche per questo rapporto, dell'attuale stato di cose, e però volendo annuire alla dimanda da Lei avanzatale, la S. Sua mi ha dato l'ordine di farle tenere a titolo di straordinario sussidio la somma di Lire due mila e di aggiungere contemporaneamente che la Benedizione Apostolica impartita a Lei ed alle opere [791] pie, cui ella presiede, è arra delle speciali grazie e della particolare protezione che su di essa invoca dalla misericordia divina.
Adempiuto il pontificio volere non mi resta che confermarle i sensi della mia distinta stima.
La conclusione fu che nulla mancò del necessario nè per i quattordici Salesiani nè per le dieci Suore che si apparecchiavano a passare l'Oceano; aggiungeremo anzi che il raccogliere mezzi pecuniari, indumenti, arredi di chiesa e altri oggetti a sufficienza fu affare di quindici giorni o poco più.
La sempre commovente funzione dell'addio si compiè per i Salesiani la sera dell'8 dicembre, solennità dell'Immacolata. In questa spedizione vi furono tre novità. Don Rua sostituì Don Bosco nel discorso di commiato; poi i Missionari terminata la cerimonia, non mossero verso la stazione, ma rientrarono nell'Oratorio per partire a più riprese; infine per risparmio di spese rinunziarono al viaggio di Roma. Alcuni dovettero ritardare la partenza per poter ricevere le sacre ordinazioni. Essi avevano bisogno di un extra tempus tale che permettesse loro di essere presentati in tre giorni festivi a brevissimi intervalli. Don Bosco aveva supplicato della grazia il Santo Padre; ma, l'aver egli omesso nella supplica di fare i nomi degli ordinandi causò un lungo indugio alla risposta[438].
Uno dei partenti era il chierico Carlo Peretto. Don Bosco gli disse: - Tu lavorerai molto. - Quindi, presa un'arancia, gliela diede Soggiungendo: - Prendila; te ne ricorderai quando sarai nel paese degli aranci. - Partito, andò nell'Uruguay, dove non vedeva di quelle piante, e diceva fra sè: - Questo non è il mio posto. - Finalmente, passato nel Brasile e viste piantagioni immense di aranci: - Ecco il mio [792] luogo! - esclamò. Infatti alla morte di monsignor Lasagna governò come Ispettore quelle case, lavorandovi per anni molti.
Don Bosco era nell'Oratorio durante l'accennata funzione; ma si riserbava di far udire la sua parola in altra sede. Sfollato il santuario e preso un po' di respiro, gli aspiranti, gli ascritti e i professi furono convocati nella chiesa di San Francesco, dove il Beato ricevette: la professione di quattordici confratelli, fra cui parecchi della spedizione, e poi tenne una conferenza. Esordì raccomandando di ringraziare molto la Provvidenza divina per tutto ciò che si era fatto in quel giorno. Indi fece dare lettura di un telegramma del cardinal Nina, non potutosi leggere dal pulpito, perchè giunto mentre Don Rua già parlava. Il telegramma diceva letteralmente così: “R. D. Giovanni Bosco, Torino. Il Santo Padre, lieto che sì numerosi Missionari Salesiani sono per recarsi all'Uruguay e alla Repubblica Argentina, invia loro dal fondo del cuore l'implorata benedizione”. Narrò poscia come l'Oratorio avesse avuto cominciamento nella festa dell'Immacolata; come Maria lo assistesse, quando frequentava le carceri; come nel medesimo giorno dell'Immacolata si fosse benedetta al Rifugio la prima cappella dell'Oratorio dedicata a san Francesco di Sales. Lasciò infine due ricordi: osservare la Regola, ma osservarla sempre, anche quando riesca difficile, e praticare l'obbedienza religiosa, prestandola con vero spirito. Il numero degli uditori toccava i duecento.
Le dieci Suore, destinate a Buenos Aires e a Montevideo, sebbene il grosso della comunità stesse già nella nuova Casa Madre di Nizza Monferrato, tuttavia partirono da Mornese il 30 dicembre. La sera della vigilia il Direttore Don Lemoyne in chiesa disse loro dall'altare belle parole di saluto, paragonandole alle dieci vergini del Vangelo, ma qui tutte prudenti. Dopo distribuì loro un'immaginetta di San Giuseppe con questi tre ricordi: “I° Obbedienza pronta alla volontà [793] di Dio significata; 2° Rassegnazione allegra alla volontà del divino beneplacito; 3° Indifferenza generosa per tutto ciò che non riguarda la volontà di Dio”. Avevano alla testa suor Maddalena Martini, prima Ispettrice d'America e dell'Istituto. A Torino sotto la guida del Direttore generale Don Cagliero avevano imparato un po' di spagnuolo, continuandone poi lo studio a Mornese. Giunte a Sampierdarena poterono ricevere l'ultima benedizione di Don Bosco, arrivato colà il giorno stesso. Accingendosi egli a benedirle, una gli disse: - Padre, ci benedica in modo che nessuna di noi abbia a morire in viaggio. - Il Beato, dopo un momento dì riflessione, rispose: - No, non accadranno disgrazie. Ma, quand'anche qualcuna dovesse finire nell'Oceano, mentre si reca in missione, sarebbe fortunata, perchè non toccherebbe il purgatorio. - Andarono a imbarcarsi la sera del 2 gennaio 1879 con Don Cipriano, Don Beauvoir e un coadiutore. Vedendo il gruppo allontanarsi, Don Bosco si commosse e tra il serio e il faceto disse: - D'ora in avanti bisogna che benedica i Missionari quindici giorni prima della loro partenza... -
Negli anni delle prime spedizioni la Patagonia era una parola che fra i nostri elettrizzava le immaginazioni giovanili. Il fortunato dramma di Don Lemoyne ritraeva insieme ed alimentava questo generale stato d'animo. Quanti allora sognavano avventure in mezzo a quei “figli di libera terra”! Tanti, chiedendo di essere mandati in America, s'immaginavano di dover correre ad avventurarsi fra le tribù degli Indi. Ma per prendere contatto con gli abitatori del deserto bisognò aspettare che maturassero i tempi e gli uomini. Don Costamagna, Don Fagnano, Don Lasagna da Buenos Aires, da San Nicolás, da Montevideo facevano scorrerie missionarie a molte leghe lontano dai centri, a colonie sperdute in quelle lande sconfinate, ma senza vedere faccia di selvaggio. Eppure Don Bosco voleva che si affrettasse l'ora della redenzione per tante anime giacenti nelle tenebre e nell'ombra [794] di morte. “Per la Patagonia, dice monsignor Costamagna[439], Don Bosco aveva scritto al Santo Padre Pio IX, e poi al Presidente della Repubblica Argentina, quindi all'Arcivescovo di Buenos Aires Mons. Aneyros, poi a Don Bodratto e poi a me. E vedendomi alquanto neghittoso in un affare di tanta importanza, mi tornava a scrivere rimproverandomi con queste parole: - Nè tu nè Don Bodratto mi comprendete. Noi dobbiamo andare alla Patagonia; il Santo Padre lo vuole: Dio lo vuole. Muoviti adunque; presentati al Governo Argentino; parla, insta, perchè ci si apra la via a quella Missione”.
Per secondare i desideri di Don Bosco, monsignor Aneyros stabilì che il suo segretario monsignor Espinosa e due Salesiani partissero per il Carhuè e la Patagonia a fare il primo tentativo di missione fra i selvaggi. Don Bodratto, che aveva il governo dei Salesiani dopo la partenza di Don Cagliero, aderì di buon grado e scelse Don Costamagna e Don Rabagliati. Portatisi il 7 marzo 1878 a Campana in riva al Paranà, s'imbarcarono sul vapore Santa Rosa, che doveva tragittarli a Bahia Blanca, donde si sarebbero inoltrati fino al Carhuè e a Patagónes. Un itinerario si fa presto a segnarlo sulla carta; ma quando si misero in viaggio, dovettero fare i conti con accidenti imprevisti.
Il primo contrattempo fu a S. Pedro, non lungi da S. Nicolás, dove un vento furioso scosse e quasi sconquassò il piroscafo. Passati dal Rio Paraná nel Rio della Plata e giunti di fronte all'isola Martin Garzia, un altro infortunio li incolse: la nave diede in un banco di sabbia e si arenò. Ci vollero tre giorni di sforzi erculei, perchè i marinai liberassero il bastimento, che, solcato il Canal del Inferno fra l'isola suddetta e il territorio orientale dell'Uruguay, entrò nell'Oceano Atlantico e fece rotta verso il Polo Antartico. Fu [795] una ben tragica navigazione: quanto di più brutto e di più terribile i poveri naviganti avevano letto in descrizioni di burrasche, tutto sperimentarono sotto gli assalti formidabili e prolungati del vento pampéro. Un giorno e una notte durò il massimo infuriare del turbine; ma, scemata un po' la violenza, si trovarono sobbalzati in alto mare e in balla delle onde sempre sconvolte, sopra un legno senza vele, senza parapetto, senza timone, a circa cento miglia, dalla costa di Capo Corrientes.
Uomini pratici dell'Oceano, interrogati, dicevano che ogni speranza di salvezza era perduta. I tre sacerdoti, chiusi nella loro cabina e sguazzanti nell'acqua, si confessarono a vicenda e, invocando Maria Ausiliatrice, aspettavano che da un istante all'altro il vapore si sfracellasse contro uno scoglio o si sfasciasse, e li abbandonasse al loro destino, non lasciavano però d'incoraggiarsi reciprocamente a fare il sacrifizio della vita per il bene della futura missione. Altri giorni e altre notti durò la lenta agonia. Parve infernale la notte del 15, tanto che si fecero la raccomandazione dell'anima.
Al mattino seguente la scena mutò: ecco il sole, ecco la calma del mare, ecco rinascere la speranza nei cuori. Per la quarta volta fu allestito alla meglio con travicelli un timone di salvezza, che appoggiato e incatenato a poppa, sospingeva il malconcio Santa Rosa verso Buenos Aires. Dopo tre giorni d'un siffatto navigare giunsero davanti al lido. Rimesso il piede a terra e riavutisi dallo stordimento, tutti il dì appresso dal capitano all'ultimo dell'equipaggio e tutti quanti i passeggeri, non esclusi certuni che nella bonaccia avevano ostentato incredulità, si riversarono in chiesa con le loro famiglie a cantare il Te Deum.
Monsignor Arcivescovo, uditi i particolari della tremenda procella, volò subito col pensiero a Don Bosco e dato di piglio alla penna gli scrisse una bella lettera, che riferiremo qui tradotta in italiano, [796]
Molto Rev. Amico, Carissimo D. Bosco,
Questa lettera arriverà nelle sue mani un anno dopo precisamente che noi insieme ci trattenemmo a Genova, a Roma, e specialmente a Torino, che io terrò sempre in grande memoria. La mia troppo breve dimora costì all'Oratorio Salesiano mi fu di sì gran gioia e di sì grande edificazione, che vorrei potere altra volta vedere ed abbracciare caramente tanti venerandi Sacerdoti, e tanti cari Alunni! Degnisi Vostra Signoria farlo per me.
Dopo sconfortanti dubbiezze, ieri finalmente ho avuto il grande piacere di veder ritornare il mio Segretario ed i Salesiani, ma fu pure grande il mio rammarico nel sapere che erano stati travagliati da una orribilissima tempesta, per cui, senza poter mettere piede nella Patagonia, dovettero ad una grazia speciale il non perder la vita fra le onde.
Ma sia lodato Dio Nostro Signore che anche da questo saprà cavare gran bene.
I nostri Missionari possono dire anch'essi con S. Paolo: Ter naufragium feci per la brama di salvare anime al Signore.
Noi per altro seguitiamo ciò nonostante a lavorare con isperanza.
Saluto caramente nel Signore V. S. e tutti gli altri della sua Casa e Le desidero felice il giorno 24 giugno, nel quale i suoi ragazzi festeggiano con entusiasmo il suo Onomastico. Mi creda
Don Costamagna che aveva tanto bisogno di riposo e di ristoro, aspettò altre ventiquattr’ore prima di mettersi al tavolino per dare al caro Padre ragguagli dell'accaduto. Buttò giù un letterone, a cui Don Bosco rispose brevemente, ma paternamente così:
La tua lettera sulla burrasca si è letta in tutte le parti del mondo. Benediciamo il Signore che ci ha salvati. È uno sperimento terribile, ma questo è un segno che dovrai riuscire. Il tuo nome e quello di Don Rabagliati divennero due celebrità europee ed americane con pericolo anche di una celebrità atlantica. Il tempo dirà quanto sia da farsi, noi qui preghiamo. Farai tanti e cari saluti a D. Rabagliati, cui scriverò per altro corriere, a D, Daniele, a D. Ghisalbertis, da cui [797] attendo lettera, al Ch. Botta Gio., Botta Pietro, a D. Cassinis, da cui attendo notizie.
Se avrai occasione di parlare col priore della Misericordia, e con altri confratelli, salutali tutti caramente nel Signore, di' loro che io prego ogni giorno per tutti, mi raccomando alle loro preghiere e a tutti dò l'appuntamento pel Paradiso. Guai a chi non si trova! Fu qui tuo fratello che condusse suo figlio, che sarà certamente un Salesiano. Stanno tutti bene.
Addio, caro mio figlio, coraggio, in terra lavoro, in cielo godimento eterno. Dio ti benedica e credimi sempre in G. C.
Era persuasione comune che lo scampo fosse dovuto alla Madonna; perciò lo scritto di Don Costamagna venne pubblicato nel fascicolo di maggio delle Letture Cattoliche, dove si narrano una cinquantina di grazie attribuite a Maria Ausiliatrice[440]. La lettera comincia a questo modo: “ Viva Maria SS. Ausiliatrice! Viva in eterno!! Oh caro Don Bosco! Richiami alla memoria il fatto del profeta Giona, che gettato in mare stette tre giorni nel ventre d'una balena, e poi fu da questa miracolosamente rigettato vivo e sano alla sponda, ed avrà la storia dei suoi Salesiani. Sì, le nostre avventure sono un quid simile di quelle: ma viva sempre Maria Ausiliatrice! „.
Potè certamente sembrare al demonio d'averla spuntata per sempre; ma per i nostri la partita fu semplicemente rinviata.
DISTRIBUIREMO con Ordine in quest'ultimo capo del presente volume alquante cose dispaiate che non hanno trovato luogo acconcio nei capi precedenti. Le chiamiamo intime, perchè sono cose dette in domestici colloqui dinanzi alla comunità intera o a pochi familiari; cose scritte in corrispondenze epistolari di carattere personale; episodi passati a tu per tu con qualcuno o arcani dell'anima con Dio. Cominceremo con una bella
È l'ultima di quelle conservateci per intero da Don Barberis. Fu tenuta nella chiesa di san Francesco a tutti i professi, ascritti e aspiranti dell'Oratorio, nel dì dell'Ascensione, dopochè cinque degli astanti avevano emesso i voti. Tale cerimonia allora si faceva precedere da una breve lettura spirituale nell'Imitazione di Cristo. “In queste circostanze, osserva il cronista, quanto bene producono le parole di Don Bosco e come sono atte a risvegliare lo spirito religioso! Si vedono sempre aspiranti irresoluti decidersi, ascritti prima dubbiosi o fiacchi chiedere di fare i voti, professi un po' rilassati [799] nel fervore rianimarsi o rallegrarsi vedendo crescere il numero dei compagni „. Don Bosco parlò così:
Io, o miei cari figliuoli, desiderava assai di parlare ai miei giovani dell'Oratorio e specialmente a quelli della nostra Congregazione tutti radunati, ed è da lungo tempo che non l'ho più potuto fare. È vero che dopo il mio arrivo con molti in privato ho già potuto parlare anche a lungo, ma non aveva ancora avuto il piacere di vedervi tutti insieme. Questa consolazione mi è data stasera in cui varii di voi altri si consacrarono a Dio coi voti perpetui. Con questa professione diamo un addio al mondo, ai suoi piaceri, alle sue lusinghe per meritarci in cielo il centuplo promesso dal Signore. Essendo oggi il giorno dell'Ascensione di N. S. G. C. avrei perciò desiderato d'intrattenervi sul distacco di noi medesimi dalle cose di questa terra, poichè la presente solennità ce ne presenterebbe l'argomento. Gesù Cristo è asceso al cielo e ci disse: Vado parare vobis regnum. Se abbiamo un regno preparato in cielo, dovremmo tener bene a vile le cose di questa terra. Che consolazione per ciascheduno di noi il poter dire: - Io ho già il mio posto preparato in paradiso! - Se tutti i cristiani possono dire così, quanto più noi religiosi, i quali in modo specialissimo ci siamo consecrati o siamo per consecrarci al suo divino servizio! Sì, rallegriamoci! L'avrai, o figliuolo, quel regno eterno che tu desideri; ma fatti coraggio: solleva oggi il tuo cuore dalle cose di questa terra e rivolgilo al cielo. Ibi nostra fixa sint corda, ubi vera sunt gaudia. Il nostro cuore non sia nelle cose create, non si infanghi nelle sozzure di questa terra, ma sia fisso al cielo.
Argomento bellissimo, come vi diceva, mi metterebbe tra mano a trattarsi l'odierna festività; ma siccome è troppo vasto, io voglio discendere a qualche cosa di più semplice, di più facile e diciamo anche, di più pratico. Essendosi emessi i voti, è bene che io esponga qualche cosa da praticarsi che renda più agevole l'osservanza dei voti stessi. Questo argomento fa per tutti, sia per quelli che già li emisero prima, sia per coloro che stasera li hanno emessi, ed anche serve a prepararsi per coloro che desiderano poi di emetterli. Prenderemo a maestro quel gran Santo di cui facemmo la festa sono pochi giorni, S. Filippo Neri. Interrogato egli quale fosse la virtù principale per un religioso, colla quale stessero collegate anche tutte le altre virtù, rispose: Conservare la castità. Questa conservata avrà per compagne tutte le altre; questa perduta, se ne andranno anche tutte le altre. Con questa virtù il religioso ottiene il suo scopo di essere tutto consacrato a Dio.
Ma come conservare la castità? S. Filippo era solito suggerire cinque mezzi: tre negativi e due positivi. Sono quelli che stassera io brevemente vi verrò sviluppando.
I° In primo luogo San Filippo diceva: - Fuggite le cattive [800] compagnie! - Ma come? Io qui in questo Oratorio vi avrò da dare il consiglio di fuggire le cattive compagnie? Forse che tra noi vi sono dei cattivi compagni? Non voglio neppur supporre che ve ne siano. Ma osservate. Si chiama cattivo compagno quello che in qualunque maniera può occasionare l'offesa di Dio. Molte volte avviene che anche coloro i quali in fondo al loro cuore non sono cattivi, diventino per un altro pericolo d'offesa a Dio: e questo non si può fare a meno di dirlo compagno pericoloso per quell'altro. Si vedono spesso certe amicizie particolari e certe affezioni geniali, le quali in sè non saranno cattive, cioè non ne avviene nessuna cosa gravemente peccaminosa; ma se uno dei due non è cattivo, è almeno rilassato: ma non si vuol distaccar più da questa affezione: ma ecco che tu ti accorgi che si comincia a raffreddare la pietà in loro, più poca divozione, meno frequenza ai santi Sacramenti, meno zelo nell'adempimento dei propri doveri, negligenza nell'osservanza di certe regole, maggior libertà nel discorrere; e poco alla volta a un compagno buono per aver frequentato molto un altro, questi diventa pietra d'inciampo; e si può dire che benchè buoni tutti e due uno diventa d'inciampo all'altro. Se i Superiori non prendessero qualche ripiego, entrambi sarebbero perduti. Queste amicizie particolari od affezioni geniali recano del danno, non fosse altro perchè sono contro l'obbedienza: per ciò solo non si possono dir buone. La disobbedienza poi priva della grazia speciale di Dio ed ecco il motivo per cui poco alla volta se ne riceve danno.
Qualcuno dirà per scusarsi: - Non vi sono compagni cattivi nella nostra casa! - Ma io vi dico che possono benissimo esservene. Il passato ci deve ammaestrare del presente. Il demonio ha dei servitori dappertutto. Molte volte si va avanti per lungo tempo e poi uno se ne accorge che quel tale era piuttosto un lupo rapace e ciò solamente dopo che la rovina dei gregge fu assai grande. Vari erano con noi gli anni scorsi, la cui apparenza era tutta buona ed ora sono Dio sa come. Questo vuol dire, o che essi non erano realmente buoni, oppure, se lo erano, vi fu chi poco alla volta fece loro del male. Questi, a dir vero, per grazia speciale di Dio, sono pochi, ma ve ne sono. Son tutti buoni! - taluni ripetono; ma l'esperienza e non il cuore deve ammaestrarci in ciò. E l'esperienza c'insegna che tra gli apostoli vi fu un Giuda e negli Ordini religiosi più santi vi fu sempre la scoria. E se sorgesse un po' di mezzo a noi un Giuda, come suol dirsi? Ah lontani, lontani dai compagni pericolosi! Si frequentino invece i buoni, quelli che volentieri vanno a far visita al Santissimo Sacramento, che incoraggiano al bene: e la nostra affezione tratti egualmente ogni compagno colla stessa carità: ma si fuggano i sussurroni, i mormoratori, quelli che cercano di esimersi dalle pratiche di pietà, quelli che vogliono essere esclusivi nelle loro amicizie.
Prendendo tutte queste precauzioni sarà difficilissimo, per non dire impossibile, al demonio il rubarci la virtù della castità. Ah! sì [801] che il demonio riderebbe per bene, se ora noi cadessimo nelle sue mani. - Tu hai dato un addio al inondo, ci direbbe schernendoci, hai rinunziato a me ed a tutte le mie lusinghe? Ora guarda qui di nuovo questo nostro religioso, che voleva farmi guerra, con tutti i suoi proponimenti è ricaduto nella trappola, senza che io facessi quasi nessuna fatica!
2° Altra cosa che S. Filippo Neri raccomandava perchè potessimo mettere in sicuro la virtù della castità, e non meno importante della fuga delle compagnie pericolose, si è la fuga dell'ozio. - Ozio e castità, diceva, non possono mai andare insieme. - L'ozio è vizio che tira sempre con sè molti altri vizi. È ozioso chi non lavora, chi pensa a cose non necessarie, chi dorme senza bisogno. Quando si vede un compagno ozioso, si ha da temere subito per lui: la sua virtù non è al sicuro. Vi è chi nello studio perde tempo, guarda in alto, nella scuola sbadiglia, in chiesa e nell'orazione cerca subito di appoggiarsi, in tempo di predica dorme, quando si finiscono le funzioni e le ore di studio, oh per lui è la cosa più desiderata; e talora non sono neanco amanti della ricreazione.
Non lavorate voi? Lavora il demonio! Il nemico delle anime gira sempre attorno tentando di farci del danno e se vede qualcuno disoccupato, approfitta subito di quell'occasione propizia per mandare ad effetto i suoi disegni. La vostra mente è lì ferma che non pensa a nulla; ebbene il demonio suscita subito immaginazioni di cose vedute, udite, lette, incontrate. Si continua a star neghittosi? Queste immaginazioni fanno presa nella mente, lavorano, lavorano, e non ci si resiste e la tentazione resta vincitrice. Anche più pericolo vi è quando uno riposa più del bisogno e specialmente ancora quando si ha il ticchio di riposare lungo il giorno. Io trovo pericolosissimo il riposo dopo il pranzo; è proprio quel demonio meridiano di cui parla la Sacra Scrittura che si insinua anche nelle anime più buone. Lo sa il povero Re David. È un momento quello in cui l'anima è meno preparata, invece il corpo sazio è in quel momento più preparato. Allora il demonio occupa l'immaginazione, poi l'intelletto quindi si fa strada alla volontà ed ecco che si deplorano miserevoli cadute.
Stiamo adunque molto occupati: è lecito non solamente leggere, studiare, ma cantare, ridere, saltare; ma per carità che il demonio ci trovi sempre occupati, poichè multam malitiam docuit otiositas. Lavoriamo con tutte le nostre forze nel campo del Signore, aiutiamoci l'un l'altro in questo lavoro, animiamoci con un santo entusiasmo nel servizio di Dio, armiamoci di un grande ardore nel promuovere la sua gloria, di un vivo zelo nel cercare ogni mezzo, nel sostenere ogni sacrifizio per la salute delle anime ed il demonio trovandoci sempre occupati non potrà recarci del danno. Anche in tempo di ricreazione prendiamoci ben guardia di stare disoccupati e in questo tempo fare il nostro dovere, se siamo assistenti, e invigilare i giovani, presiedere [802] ai loro giuochi e prendervi parte, osservare che nessuno si allontani dal cortile; e chi non è assistente faccia lo stesso per quanto può, ma anche per costui la ricreazione sia un vero sollievo della mente che dissipi ogni malinconia, preoccupazione, pensiero molesto o pericoloso.
- Ma il corpo è stanco! - Pazienza, sia stanco! Si procuri solo di non opprimerlo con soverchie fatiche in modo che abbia da ammalare: e del resto lavori, lavori pure, ma si conservi la più bella delle virtù.
3° Non nutrire delicatamente il corpo. Questo non vuol dire che non gli si dia il necessario, ma che non si cerchi nei cibi di contentare il suo gusto. S. Pietro Apostolo grida: Fratres, sobrii estote et vigilate. Mette il sobrii estote prima ancora del vigilate o del fortes in fide; Perchè chi non è sobrio non può vigilare, non può essere forte nella fede, non può vincere colui che circuit quaerens quem devoret. Invece chi è sobrio può vigilare e farsi forte e vincere il demonio. Fa contro questo consiglio chi si lagna degli apprestamenti di tavola: il pane per lui non è cotto, la minestra non abbastanza condita, il vino adacquato, la pietanza non abbastanza buona, il bollito o è magro o è grasso, o duro o molle, il cacio non ha gusto, il latte è battezzato, ecc. ecc. Chi si fa a desiderare buoni bocconi, chi in certe occasioni studia il modo di avere questa o quell'altra cosa, e peggio chi presso di sè tiene bibite, ghiottonerie per contentare la gola, vuoi nutrire troppo delicatamente il corpo. Ah! non cerchiamo delicatezze pel nostro corpo. Si mangi quanto vien messo in tavola, sia più o meno buono e senza lamentarsi. Solo è da farsi eccezione quando un dato cibo è realmente nocivo alla sanità. Non piacerà una pietanza? Eh! diremo, ve n'è ancora un'altra, mangerò di quella: facciamo una mortificazione per amore del Signore. La minestra è brodosa? Vi metterò del pane. È salata? Vi metterò dell'acqua. Non è abbastanza salata? Sulla tavola vi è la saliera. E se un cibo non piace, mangiamolo lo stesso; sarà cosa gradita al Signore. In questo modo vi sarà il sobrii dell'Apostolo, e terremo in freno il nostro corpo.
E a che fine cercare tanto di nutrire bene questo corpo? Dice lo Spirito Santo: Corpus quod corrumpitur aggravat animam. Diceva un santo direttore di anime, che il corpo deve aiutare l'anima a fare il bene e deve servirla. L'anima è la signora del corpo. Il nostro corpo ha da essere considerato come un somaro che deve portare l'anima, perchè al padrone tocca di andare a cavallo. Ma guai se questo padrone lascia troppa libertà a questo suo somaro! Quando si nutrisce troppo il corpo, allora vuole comandare esso e se lo contenta in ciò che domanda, l'anima resta sotto e sarebbe un voler obbligare il padrone a portare il somaro. Il corpo in questo caso non è più un aiuto, ma un impedimento. Non facciamo questa mostruosità. Ciascuna cosa tenga il suo posto stabilitole da Dio. [803] Guardiamoci dal troppo cibo e specialmente dal troppo bere. Molti giovani che erano qui specchi di santità perdettero la vocazione per non avere usato i debiti riguardi in questo, ed ora sono nel mondo pietra di scandalo al prossimo. Sappiamo adunque tenere non soddisfatto, mortificato questo misero corpo e non ricalcitrerà, e vivremo tranquilli e felici nella pace di Dio.
Le tre cose sopra accennate sono altrettanti mezzi negativi per conservare la castità; cioè sono cose che evitate ci tolgono dai pericoli di cadere in certi peccati. S. Filippo Neri aggiunge ancora due cose che sono i mezzi positivi, i quali praticati metteranno la bella virtù sopra una base soda; e sono l'orazione e i santi Sacramenti.
4° L'orazione. Con questa parola intendo ogni sorta di preghiera sia mentale che vocale, le giaculatorie, le prediche, le letture spirituali. Chi prega, vince sicuramente ogni tentazione per forte e gagliarda che sia; chi non prega, è in prossimo pericolo di cadere. L'orazione deve esserci una cosa tanto cara! Essa è come un'arma che dobbiamo sempre aver pronta per difenderci nel momento del pericolo. Io raccomando questa orazione specialmente alla sera quando si va a riposo. È questo uno dei tempi più pericolosi per la bella virtù. Quando non si può prendere subito riposo, il demonio suscita tante cattive immaginazioni; fa venire alla memoria le cose udite, vedute, fatte nel giorno. Per ovviare i pericoli di questo demonio notturno si incominci a fare silenzio alla sera, recitate le orazioni; si cessi di passeggiare sotto i portici od in cortile. Chi non si addormenta subito, reciti qualche preghiera, ripeta qualche giaculatoria: i preti dicano alcune di quelle bellissime orazioni dell'uffizio: - Salva nos, Domine, vigilantes, custodi nos dormientes, ut vigilemus cum Christo et requiescamus in Pace... Visita, quaesumus, Domine, habitationem istam et omnes insidias inimici ab ea longe repelle: si reciti il Miserere, il De profundis, o qualche altro salmo o le lìtanie della Madonna e così pregando ci addormenteremo nel Signore. E se siamo soliti addormentarci subito, tuttavia armiamoci preventivamente, facendoci il segno della santa Croce.
Vi è chi si sveglia di notte? Preghi, baci il crocifisso o la medaglia, specialmente quella di Maria Ausiliatrice che vi raccomando di portare al collo. In queste circostanze si vede costantemente che chi prega vince, e chi non prega, cade nel peccato. Credo che ciascheduno dovrà dire a se medesimo: finchè ho pregato, non son caduto; cominciai ad andar male, quando ho lasciato di pregare. Oh! facciamo anche noi la preghiera che Giuseppe, detto appunto il casto, fece, quando la moglie di Putifarre voleva spingerlo al male. - Come posso io fare questo male alla presenza del mio Dio? Noi sappiamo che Dio ci vede e come oseremo fare un peccato così grande al suo cospetto? - Giuseppe conosceva benissimo le gravi conseguenze che avrebbero tenuto dietro a quel rifiuto; prevedeva che sarebbe stato [804] messo in carcere e forse verrebbe condannato alla morte, perchè la potente ed iniqua donna lo avrebbe scelleratamente calunniato; ma il pensiero che Dio è presente, che Dio vede ogni nostra azione, non permise che deviasse dal sentiero della virtù. Facciamo, dico, anche noi questa preghiera, rinnoviamo con frequenza questo pensiero nella nostra mente e fuggirà da noi la voglia di peccare. Si pensi inoltre che noi siamo creature, immagini di Dio; che il Signore è il nostro padrone, che vede ogni azione, ogni pensiero; che noi siamo cristiani cattolici, ossia dichiarati seguaci di Gesù Cristo e che i Sacramenti hanno anche santificato il nostro corpo; che siamo religiosi e con ciò legati al Signore con doppio vincolo; che siamo suoi ministri e perciò addetti in modo specialissimo al suo santo ed immacolato servizio che richiede ogni santità. Pensiamo che Dio è nostro giudice, e, quando siamo tentati diciamo: - Come oserò io disgustare un Dio così buono che mi ha sempre beneficato e che mi giudicherà?
Oh sì! siamo pronti a mortificarci in ogni cosa anche lecita, piuttosto che offendere Dio. Una pratica che io consiglio in modo singolarissimo è di baciare la medaglia di Maria Ausiliatrice e ripetere la giaculatoria: Maria, Auxilium Christianorum, ora pro nobis; giaculatoria trovata in ogni circostanza tanto opportuna e tanto proficua. Da tutte parti si vedono effetti straordinari prodotti da questa confidenza in Maria Ausiliatrice. Ma state certi che se la Madonna aiuta tutti, ha poi cura di noi in modo peculiarissimo, come figli prediletti, ed invocata non mancherà certo di venirci in aiuto nei momenti opportuni.
5° L'ultima cosa che vi è da raccomandare tanto, è la frequenza dei santi Sacramenti. Qui non occorre parlarne a lungo, perchè le nostre regole già stabiliscono questa frequenza. Io solo raccomando che delle comunioni se ne facciano proprio molte e tutte assai fervorose, cioè con divozione e raccoglimento. In riguardo alla confessione però ho un suggerimento da darvi. La pianta si conosce dai frutti se è buona o no: così dal frutto riportato possiamo conoscere la natura delle nostre confessioni. Alcuni vanno a confessarsi sempre con le medesime mancanze. Ciò che cosa indica? Che la confessione non recando frutto, non è buona? Eh sì! Quando si fanno tali confessioni, se proprio non vi è miglioramento, c'è grandemente a temere che le confessioni non siano buone, che siano nulle. Ciò indica o che non venne fatto il proponimento, o che non si ebbe cura di metterlo in pratica. Si direbbe qualche volta che si va a confessarsi per cerimonia e che si vuole burlare il Signore.
Io dunque raccomando molto che ciascuno procuri nelle confessioni di eccitarsi ad un veramente grande dolore dei peccati commessi e poi di tanto in tanto si pensi un poco sui frutti delle confessioni passate. Facciamo proponimenti fermi, che non mutino più. Si pensi una volta sul serio ad essere moderati nel cibo, nelle bevande, nella [805] ricreazione, a diminuire le mormorazioni, ad essere sempre ben parchi nel parlare, a discorrere sempre di cose utili, ad essere più divoto in chiesa, ad essere più studioso, più puntuale alla levata; a mortificare un po' più gli sguardi sia nell'Oratorio, sia specialmente fuori dell'Oratorio; a mortificare la gola; insomma a far qualche sforzo per realmente migliorare la nostra condotta. Altrimenti si andrà sempre avanti colle medesime colpe e siccome qui spernit modica, paullatium decidet, così noi ci metteremo in evidente pericolo di dannarci, essendo per natura nostra già tanto proclivi al male. Se non si fanno veri sforzi, si diminuisce sempre di virtù, di animo, di preghiera, e di abborrimento al peccato.
Invece, vedete consolazione! Chi poco per volta approfitta sempre delle grazie del Signore, va sempre crescendo in virtù e quasi insensibilmente procede de virtute in virtutem, donec videbitur Deus Deorum in Sion. Tenete anche questo pensiero di S. Gregorio Magno che vale per tutti e per noi religiosi specialmente, che non progredi, regredi est. Il non progredire è già un dare indietro.
Non contentiamoci d'intervenire sempre alle ordinarie pratiche di pietà e di prendervi parte nel miglior modo possibile, ma raccomandiamoci ancora sovente lungo il giorno al Signore ed a Maria Santissima, Invochiamo Maria colla giaculatoria Auxilium Christianorum, ora pro nobis che in moltissimi casi si è trovata efficacissima. È così conserveremo la virtù della castità, la madre di tutte le virtù, la virtù angelica.
Ma basta. Io voleva stassera aprirvi il mio cuore. Io sono assai contento dell'andamento della Congregazione: sono contento dei professi, dei chierici, dei novizii. Vi è qualche eccezione, ma sono cose particolari e spero che anche questi scogli si andranno appianando. Abbiamo buone notizie da tutte le nostre case d'America, di Francia e delle varie parti d'Italia. Da ogni regione siamo chiamati ad aprire nuove case, e in molti luoghi sono già preparate e si aspetta solo che i Salesiani vadano ad abitarle. La messe che ci attende è abbondantissima. Ciò indica la benedizione di Dio sulle cose nostre. Avanti adunque. Mettiamoci a lavorare di buona volontà. Se Dio è con noi, chi sarà contro di noi? Stiamo fermi e con vivo impegno nel nostro scopo, cercando di salvare molte anime, perchè così facendo siamo sicuri di porre prima di quelle degli altri, in salvamento le nostre. È parola dei Santi Padri: Animam salvasti, animam tuam praedestinasti. Molte anime ci aspettano sia nei paesi vicini, come in quelli lontani. Nella stessa Patagonia in cui tanto ardentemente abbiamo desiderato di entrare, ora da vari punti i selvaggi stessi ci chiamano, affinchè andiamo a predicarvi la fede di Gesù Cristo. E vi sono già le case preparate. Manca solamente che mandiamo gli individui ad abitarle.
Su! Dio ci benedice! Ci benedica sempre più! La Vergine Santissima [806] non mancherà di fare la sua parte. Noi facciamoci coraggio per corrispondere a tante grazie! Animiamoci nel bene e non ci mancherà per certo quella felicità eterna che deve essere l'unica e costante nostra meta, il premio delle nostre fatiche.
Si è visto già più volte come Don Bosco, rivolgendo la parola a quei dell'Oratorio in conferenze o in "buone notti" fosse solito magnificare i progressi della Congregazione e rappresentare con qualche enfasi le benevoli accoglienze che essa riceveva e le lodi che le si tributavano da tante parti e da insigni personaggi. Ci si sente ancora l'intimo compiacimento che dovette avvivare le sue parole in quelle rassegne di case aperte o da aprire, in quelle descrizioni di opere intraprese fuori d'Italia, in quelle notizie particolareggiate sulle udienze del Santo Padre. Don Bosco non era uomo da infatuarsi parlando, nè apriva bocca se non mirando a buon fine. Il suo linguaggio colorito aveva per iscopo in tali circostanze di legare ognor più strettamente la stima e l'affetto degli uditori alla Congregazione, sicchè amassero la vita salesiana quanti già l'avevano abbracciata o se ne invaghissero coloro che sentivano in cuore qualche propensione verso di quella. Certo è che simili parlate infiammavano d'entusiasmo gli animi e facevano voler bene non solo a Don Bosco, ma e al suo Oratorio e al nome salesiano e a tutto ciò che i Salesiani operavano di bello e buono nel mondo; i quali sentimenti poi s'irradiavano fuori per molte vie, creando in lungo e in largo attorno alla pia Società un'atmosfera propizia al moltiplicarsi degli amici e dei benefattori.
Se la castità era uno degli argomenti prediletti di Don Bosco nelle sue esortazioni ai confratelli, un altro tema gli offriva materia inesauribile per i suoi sermoncini serali ai giovani, ne' suoi incontri con chi gli sembrasse potersi incamminare allo stato ecclesiastico o religioso, ne' suoi trattenimenti spirituali con gli ascritti, bisognosi sovente di essere messi in guardia contro le insidie del demonio o le seduzioni del mondo. Questo tema era [807]
Terminati da poco gli esercizi spirituali dei giovani, Don Bosco il 18 giugno, andato a dar la "buona notte ", sviluppò un concetto che nel ragionar di vocazione gli era familiare, nessuno cioè doversi far prete per guadagnar danari e per soccorrere i parenti. Toccò pure scultoriamente della castità necessaria al sacerdote.
Che cosa volete che io vi abbia a dire? Vi dico che sono contento di vedervi. Solo questo? Null'altro? Sarebbe troppo poco. Or bene qualche cosa bisognerà concretare per esporvela.
In tutte queste solennità che vi furono e vi sono ancora, della Madonna della Consolata, di S. Luigi (di S. Giovanni! si udivano suggerire i giovani) e di S. Giovanni e di S. Pietro ed altre che vi saranno prima del fine dell'anno, una cosa che sarebbe di grande importanza a farsi si è il deliberare sulla propria vocazione. Alcuni vi avranno già meditato e solo aspettavano dì settimana in settimana, di giorno in giorno per deliberare definitivamente. Perciò in tutti gli anni io era solito di concedere un tempo per chi volesse parlarmi su questo argomento ed anche quest'anno sono contento che i giovani della quinta e della quarta ginnasiale, ed anche gli altri che volessero deliberare sulla loro vocazione, vengano in mia camera in qualunque festa dopo i vespri.
Tuttavia qualche cosa in generale si può dire anche qui. Quando si conosce che si è chiamati allo stato ecclesiastico, è cosa ancora della maggiore importanza il vedere se sia meglio gettarsi nel secolo o ritirarsi in qualche religione. Chi poi vuole abbracciare lo stato ecclesiastico, deve avere un fine retto e santo, quello cioè di salvare l'anima propria.
E aiutare i parenti non si potrà?
È cosa giusta, santa, l'aiutare i parenti; e perciò potrete farvi negozianti, calzolai o quello che meglio volete, e quindi aiutare i parenti ed altri e disporre in tutto come vorrete e come vi piace dei vostri guadagni.
Ma un prete noti potrà far loro elemosina come a qualunque altro, qualora si trovassero a quel punto?
Sì, potrà sempre, ma non più in là, non per arricchirli o per far loro cambiar condizione. Ed a questo proposito si porta sempre la solita obbiezione. - Ma molti preti, il tale, il tale altro, hanno, fanno questo negozio, hanno comprati quei poderi, si sono fatti [808] ricchi, hanno arricchito le loro famiglie ecc. Dunque tutti questi fanno male?
Io non voglio giudicare nessuno: solamente osservo quello che dice il divin Salvatore colle parole e coll'esempio, e la santa Chiesa nei suoi canoni. L'Apostolo dice espressamente: Chi vuol darsi al ministero di Dio, non si occupi nei negozi temporali; anzi non dice solo, non se ne occupi, ma non implicet se, cioè a dire, non se ne impacci, non se ne immischi; non implicet se negotiis saecularibus. Le parole sono chiare. E un santo Padre soggiunge che ciò che possiede il sacerdote è patrimonio dei poveri: non è neppure, vedete, ciò che gli altri dicono suo, ma è dei poveri. Le sue fatiche sono per Dio, i mezzi per compiere la sua missione sono di Dio e quindi anche i guadagni devono essere di Dio e perciò dei poveri. Adunque il prete non deve tendere ad altro che alla salute delle anime. Ci vuole un fine in colui che brama essere sacerdote.
Quello ancora che vi posso dire si è, che colui il quale non si sente chiamato allo stato ecclesiastico, non pensi neppure a farsi prete; non ne ricaverebbe nulla di bene. Chi non si sentisse di conservare la virtù della castità, non è fatto pel sacerdozio: si rivolga ad altro stato; da prete non farebbe che del male a sè ed agli altri.
Vi dico queste cose adesso perchè abbiate tempo a pensarci e prendiate poi una determinazione che sia vantaggiosa alla vostra anima.
Il pensiero di Don Bosco intorno a quest'oggetto emerge pure da alcuni fatti, che appartengono al periodo di tempo, nel quale ci aggiriamo. Dopo gli esercizi di Lanzo erano stati accettati nell'Oratorio parecchi chierici venuti da seminari con l'intenzione di farsi Salesiani, ed anche varii alunni di nostri collegi, che, giunti in ritardo, domandavano di essere ascritti alla Congregazione. Nel capitolo tenutosi il 4 novembre per trattate della loro ammissione Don Cagliero profittò dell'opportunità per esprimere questa idea: La Congregazione non è fatta per chi venisse a piangere i suoi peccati; per questo vi sono gli Ordini contemplativi. Noi dobbiamo ricevere chi si trova in grado di slanciarsi in mezzo al mondo per lavorare alla salute delle anime. - Don Bosco lasciò dire e approvò.
Durante la medesima seduta si vide pure quanto Don Bosco zelasse sempre l'incremento delle vocazioni ecclesiastiche [809] nelle diocesi. Stavano in casa due seminaristi mantovani, che intendevano di fare il corso filosofico, ma vestiti in borghese. Non esistendo nell'Oratorio una categoria di studenti a cui aggregarli, i Superiori esitavano a risolvere se tenerli o no; ma Don Bosco voleva rendere quel servizio alla diocesi di Mantova tanto vessata. Il vescovo monsignor Rota era fatto segno a persecuzioni e tenuto fuori dall'episcopio; aveva per di più il seminario chiuso, sicchè per i suoi chierici non sapeva proprio come raccapezzarsi. Dargli una mano sarebbe stato un far cosa utile alla Chiesa. Perciò il Servo di Dio venne alla conclusione che si trovasse modo di ritenere quei due giovani nell'Oratorio, dovesse pur costare qualche disagio. E com'egli volle, così si fece.
Una terza questione fu ivi esaminata, questione spinosa e non mai decisamente affrontata prima d'allora, perchè su questo punto s'andava piuttosto alla buona. Non mancavano mai chierici di vocazione dubbia e per conseguenza di condotta men che mediocre; eppure con certa facilità si tolleravano in casa. Dov'è minor numero d'irregolari, le irregolarità vengono subito notate, il che costituisce già un ritegno; poi s'era in tempi che Don Bosco aveva maggior libertà di attendere ai suoi chierici, richiamando a tempo chi ne avesse bisogno e raddrizzando le teste. Ma allora i Superiori proposero e Don Bosco assentì che chierici cotali si dovessero licenziare, giudicandosi miglior partito sbarazzarsene subito che lasciar penetrare per causa loro la rilassatezza negli altri. Il provvedimento pesava a tutti; ma, data la necessità, fu preso.
Quanto Don Bosco si mostrava esigente nella morale condotta, altrettanto era di manica larga nei riguardi finanziari. Il giovane Attilio Vercellini, passato in casa dall'oratorio festivo, vi stette due anni e mezzo, finchè il padre lo ritirò, non potendo più pagare la pensione. Proseguiti gli studi nel ginnasio Cavour e conseguita la licenza, non aveva mezzi per continuare nè riusciva a trovare un impiego. Don Barberis che l'aveva avuto nell'oratorio festivo e non lo [810] perdeva d'occhio, vedendo in lui stoffa di prete, gli suggerì di scrivere a Don Bosco, perchè lo accettasse fra i chierici. Il Beato, seguace dall'omnia probate, quod bonum est tenete, gli disse: - Vieni a confessarti domattina; ti dirò poi se la tua vocazione sia per lo stato ecclesiastico. - Il giovane va, si confessa ed è consigliato a prendere l'abito chiericale. Rimase ben contento, ma fece notare che i suoi non potevano pagare nulla per lui e che anzi non avrebbero mai neppure saldati i debiti vecchi. Don Bosco lo accettò subito gratuitamente; soltanto lo mandò a prendere un po' di corredo personale. Ma i parenti lo rimandarono a mani vuote, non lasciandogli portar via neanche i suoi libri. Don Bosco non ne fece caso. “E questa, scrive Don Barberis nella cronaca, è la storia di due terzi dei nostri chierici”.
Ciò non impediva però che chiedessero di venire ascritti alla Società giovani di famiglie non solo ricche, ma anche nobili, come vedremo più innanzi. Qui diremo solo che la considerazione delle vocazioni ebbe gran peso per indurre Don Bosco a tenere il collegio di Valsalice, nonostante le difficoltà in contrario. Il 27 dicembre disse ai membri del Capitolo Superiore: - Io non ho nessuna propensione speciale a tenere un collegio per giovani di famiglie signorili. Il motivo che ce lo fece tenere finora si è che presentemente in Italia non si ha più nemmeno un collegio di civile condizione, dove i genitori possano mettere i loro figli con la sicurezza che ne sarà salva la moralità: e diciamo di più, dove si coltivino le vocazioni. - Infatti egli potè fare i nomi di cinque valsalicesi, che erano chierici in seminarlo ovvero nell'Oratorio. - Queste ragioni, conchiuse, furono le sole che ce l'han fatto conservare fino al presente, e sono le sole che ci debbono stare davanti agli occhi per farci decidere più in un senso che nell'altro.
Sotto la medesima data nei verbali del Capitolo Superiore ci sfilano dinanzi parecchi nomi di seminaristi, che aspettavano nell'Oratorio la loro sentenza, se fossero cioè ammessi [811] o no fra gli ascritti. La tendenza dei Capitolari piegava dalla parte del rigore, anche perchè non c'era modo di sottoporli a un periodo di prova separatamente dagli altri. Don Bosco intervenne con due osservazioni: - Bisognerebbe, disse, andare più rigorosi nell'accettare chierici o preti nella Congregazione; ma vi sono due cose da osservare. La prima è che conviene seguire la tattica di San Paolo: provare tutti e tenere solamente i buoni; perciò si usi larghezza nell'accettare. In secondo luogo non si accettino questi individui senza chiedere sicure informazioni a chi di ragione.
Sulle vocazioni Don Bosco il 13 dicembre, dopo pranzo, a Don Barberis e ad altri che lo attorniavano, aveva raccontato ridendo questo sogno: - Mi pareva di trovarmi ai Becchi davanti alla mia casa, quand'ecco mi fu presentato un grazioso paniere. Guardo e vedo che vi sono colombe, ma ancora piccole e implumi. Osservo ancora e di lì a poco mi accorgo che han già messo le penne e cambiato, per dir così, fisionomia. A tre di esse erano spuntate penne così nere che sembravan corvi. Meravigliato io dissi fra me: Qui c'è qualche stregoneria. E guardavo attorno come per vedere se vi fosse un fattucchiere. In quel mentre m'avveggo che le colombe sono volate via e le scorgo in aria che si allontanano. Se non che un tale, che era lì vicino, dà di piglio a un fucile, prende la mira e spara. Due colombelle cadono e la terza si dilegua. Io corsi dove le aveva viste cadere e le pigliai e le teneva così in mano e mi rincresceva di vederle morte. Sentivo grande malinconia e le lisciava dicendo: Poveri animaletti! Mentre stavo intento a guardarle, ecco che all'improvviso, non so come si mutano, e diventano due chierici. Strabigliato allora temo sempre più che sia l'opera di qualche fattucchiere e guardo, guardo da ogni lato. In quel punto non so bene se fosse il viceparroco di Buttigliera o di Castelnuovo, che mi toccò nel braccio e mi disse: Capisci? Di tre, due; dillo a Don Barberis. Nel cestello vi erano più di tre colombe; ma alle altre io non badai. Così [812] finì il sogno. Io voleva sempre narrartelo; ma me ne dimenticava quand'eri presente, e lo ricordava appena tu eri andato via. Adesso a te e a lor signori la spiegazione.
Fra gli altri si trovavano presenti monsignor Scotton, quel Don Antonio Fusconi di Bologna e il conte Cays. I commenti s'intrecciavano; ma Don Bosco tirò questa conclusione: - Il cestello con molte colombe implumi figura l'Oratorio. Fra quei che divengono chierici nel cestello, cioè nell'Oratorio, di tre perseverano due. Non c'è da illudersi: su tutti si spera, ma uno per malattia, l'altro per morte, questo per causa dei parenti, quello per vocazione perduta, sempre ne vengono a mancare, ed è assai se di tre ne riescono due a farsi preti in Congregazione.
Una perdita fatta allora dalla Congregazione, ma che non potrebbe giammai dirsi perdita nel senso volgare della parola, fu l'uscita di
Noi l'abbiamo incontrato già più volte nel corso di queste Memorie; ultimamente lo lasciammo a Trinità di Mondovì, direttore di quella casa. Prima ancora che terminasse il tempo de' suoi voti triennali, egli stava in dubbio, se dovesse o no continuare nella Congregazione. Lo signoreggiava sempre più l'idea di fondare un'opera diocesana, la quale prestasse caritatevole ed efficace assistenza agli esseri più derelitti della società. Finchè l'idea non ebbe presa forma un po' definita nel suo spirito, egli era come chi, agitato da un segreto impulso che non sa distinguere se venga dal cielo o dalla terra, vada in cerca di persone illuminate che l'aiutino a discernere il vero, e intanto si sforzi di condurre vita santa e vicina a Dio. Col tempo l'interno moto dell'animo s'era fatto ognor più pressante, nè egli nascondeva a Don Bosco la sua aspirazione. Si fu appunto dopo una tale apertura di coscienza che il Beato gli scrisse: [813]
Se si lascia portare dai pensieri che ogni giorno vengono nella mente potrà difficilmente conoscere la volontà del Signore. Non in commotione Dominus.
Uno che sia legato in religione, se non vuole burlare, bisogna che rinunzi ad ogni consigliere, ad ogni progetto, se non è secondo la materia dei voti, e sempre col beneplacito del Superiore. Facendo altrimenti si cominciano tante Congregazioni quanti son gli individui e il legame religioso resta senza effetto e talvolta dannoso.
Dunque adesso non si occupi, non parli, non scriva di altro fino a che sia terminato il suo triennio. In questo tempo parli con Gesù Crocifisso e lo preghi a fargli conoscere quello che lo accontenterà di più al punto della morte.
Questo è l'unico mezzo per non fallire la nostra via e per non rendere infruttuose le molte grazie che Dio ci ha concesso e che assai maggiori le tiene già preparate.
Caro D. Luigi, mi aiuti a salvare anime. L'Europa e l'America chiamano evangelici operai. Non mi abbandoni in battaglia, anzi combatta da forte ed avrà assicurata la corona di gloria.
D. Monti Defendente è a Nizza; si mostra assai contento; è impaziente di andare in Patagonia e ne sarà appagato.
Dio lo benedica e benedica tutti i nostri confratelli: preghi per me che le sarò sempre in G. C.
Allorchè poi Don Bosco ricevette da Roma l'invito a preparare alcuni Salesiani per la repubblica di S. Domingo, sperò di avere in Don Guanella l'uomo che ci voleva per il governo di quella difficile missione; onde gliene fece blandamente la proposta.
Ho ricevuto la sua lettera di augurio per S. Giovanni e quella che testè mi dà rendiconto dei cari nostri Confratelli di Trinità.
Ringrazio lei e con lei ringrazio gli altri miei cari Salesiani che sono con Lei. Sono contento. Faccia loro coraggio perchè siano perseveranti nei loro propositi e [nella volontà] di aiutare D. Bosco nell'immenso lavoro che la Provvidenza gli manda.
A tale proposito le dico che il Santo Padre ha dato ordine che per [814] questo anno si faccia una spedizione di Missionari a S. Domingo, dove si tratta di prendere la direzione del piccolo e del grande Seminario, della Cattedrale e della Università. Le sembrerebbe, caro D. Luigi, di far parte di questa nuova spedizione e missione di nuovo genere? La lingua è spagnola.
Credo che questa sia per Lei occasione provvidenziale. Io prego: Ella preghi altresì per lo stesso scopo.
Dio benedica Lei, le sue fatiche, i suoi colleghi e preghino per me che le sarò sempre in G. C.
Il sant'uomo si dibatteva allora in dura alternativa: da una parte la voce del Superiore abbastanza chiara, e dentro un'altra voce non ancora distinta appieno, ma imperiosa e insofferente d'indugi. Scrisse più tardi in una sua memoria: “Questa lettera mi fu ed è tuttora grave spina al cuore. Ma mi sentiva di potere e di dovere fare anzitutto con qualche istituzione un bene alla mia diocesi, ed or mi convinco più davvicino che proprio ci doveva ed ero chiamato a tornare”. Che cosa replicasse al Servo di Dio, non sappiamo; sappiamo invece che questi nuovamente gli scrisse così:
Ho ricevuto la sua lettera e i suoi quaderni. Si potranno dare benissimo alla tipografia, ma prima che vi sia luogo a dar principio al lavoro ci vorrà un po' di tempo, attese le molte opere già in corso di stampa. Riguardo alla sua posizione non dimentichi il detto: chi sta bene non si muove, e chi fa bene non cerchi meglio.
Molti furono illusi, e non badando a questa massima cercarono il meglio e non poterono nemmeno più fare il bene, perchè come dice un altro proverbio: Il meglio è nemico del bene.
Parlo col cuore alla mano, perchè le voglio bene e desidero la sua felicità e nel tempo e nella beata eternità.
Saluti, incoraggisca, aiuti i nostri cari confratelli di costà, e preghino per me che loro sarò sempre in G. C.
I quaderni accennati da Don Bosco nella lettera contenevano un lavoro, di cui diremo qui in breve. Monsignor Frapolla, vescovo di Foggia, che fino al 1860 aveva fatto dimora nel seminario di Como, diocesi di Don Guanella, era morto a Roma durante il Concilio Vaticano, lasciando inedite parecchie opere, fra cui una traduzione dei Salmi, corredata di note filologiche, storiche, ermeneutiche, letterarie, il tutto nell'intento di ammannire un manuale completo di studio e di pietà. Don Guanella, pregatone dagli eredi del defunto prelato, rivide il manoscritto e propose a Don Bosco di stamparlo nella tipografia dell'Oratorio. Don Bosco lo esaminò accuratamente; ma quanto a stamparlo fece osservare che per la leggerezza dei tempi, impreparati ad apprezzare un'opera così seria, l'edizione non avrebbe avuto spaccio; onde con suo rincrescimento non si sentiva di pubblicare per conto proprio il libro, che aspettò indarno un editore.
Don Guanella ritornò dunque a Como, dove gli toccarono dolorose vicende, finchè il Vescovo nel 1881 lo pose alla direzione di quella Piccola Casa della Divina Provvidenza dopo la morte del suo fondatore. Quello che poi fra duri contrasti egli riuscì a istituire, gli ha meritato, com'è noto, un posto assai distinto nella storia della Chiesa. Chiuderemo questi cenni con le parole da lui scritte nel 1891 al primo successore di Don Bosco: “D. LUIGI GUANELLA protesta il suo immenso attaccamento a Don Bosco. Certamente in separarsene non patì meno che alla separazione dei genitori diletti, quando a breve intervallo l'un dall'altro gli morirono fra le braccia”. Che diremo noi pertanto? Due cose ci sembra di poter osservare. La Provvidenza arcanamente dispose che Don Guanella compiesse alla scuola del Beato Don Bosco un tirocinio di vita religiosa e di caritatevole apostolato, che doveva tornargli di somma utilità; ma al nostro Beato non concesse Iddio lumi straordinari per divinare la missione a cui chiamava quel suo buon Servitore. [816] Pupilla de' suoi occhi erano sempre per Don Bosco le tenere pianticelle, che portavano sul fragile stelo le speranze della Congregazione; intendiamo dire
Li voleva allegri, sani, studiosi e buoni. A rallegrarli la sua semplice presenza e parola valevano più di qualsiasi altra cosa. Sul principio di maggio sali a visitare il collegio di Valsalice; ma la sera innanzi aveva concertata con Don Barberis un'improvvisata per gli ascritti. Disse al loro Maestro: - Domani conducili lassù a visitare il collegio e a trovarmi. - Il Maestro, venuto il momento, così fece e fu una vera festa. I più non avevano mai visto Valsalice; ma soprattutto c'era Don Bosco a riceverli. Con gli ascritti andò a pranzo nella novena dell'Immacolata. Che tripudio per quei giovani! Gli lessero alcune poesiole; poi egli parlò, rallegrandosi e rallegrandoli.
Agli ascritti nel 1878 potè procurare vere vacanze, che li rinfrancassero fisicamente e dessero loro con l'isolamento ogni comodità di prepararsi bene alla professione religiosa. Nulla si sarebbe potuto desiderare di meglio quanto al luogo. Fra gl'immobili lasciati dal barone Bianco vi era la sua magnifica villa di Sant’Anna presso Caselle: là Don Bosco disegnò di mandare i novizi. Perciò nella prima metà di maggio volle che Don Barberis andasse a visitare la casa, per disporre le cose in tempo. La gaia schiera vi prese possesso il 5 luglio, subitochè furono terminati gli esami finali. Li accompagnava Don Barberis, al quale Don Bosco mandò per iscritto le seguenti istruzioni circa i rapporti da serbare con l'arciprete locale.
Se da Caselle non siete regolarmente invitati a servire, nessun ci vada. Qualora ciò si verificasse, salutate, riverite in genere. Se mai [817] dimostrasse[441] piacere di visitare Sant'Anna, ricevetelo con tutta cortesia, esprimendo di poi rincrescimento non poterlo invitare a mensa per mancanza di quanto occorre per la tavola, essendo tutti colà provvisoriamente.
Allegria, virtù vi accompagnino.
Abbiamo pure rinvenuto una sua letterina al novizio Giovanni Battista Fabrici, che doveva, non ancora ventenne, fare a Dio il sacrifizio della vita nel 1880. Dalle espressioni del Beato si vede chè il chierico aveva l'animo in preda ad angustie di spirito.
Senza darti alcun pensiero va' avanti nella tua vocazione. Procura soltanto di studiare e praticare le nostre regole.
Ci parleremo quanto prima a Lanzo: poi potremo aprirci sinceramente il cuore.
Dio ti benedica e prega per me che ti sarò sempre in G. C.
Il buon Padre aveva promesso di andarli a trovare. Lo aspettavano come il Messia. Dopo circa venti giorni d'attesa ecco giungere la notizia che egli avrebbe con loto festeggiato Sant'Anna. Arrivò alla vigilia verso sera. Con che entusiasmo l'accolsero! E non i chierici soli, ma si mossero a incontrarlo anche i preti del paese, i parroci viciniori e alcune autorità civili. Per buona sorte una dolce pioggerella rinfrescava l'aria e “ questo fu un balsamo per Don Bosco „, dice la cronaca. Il caldo soffocante di Torino l'aveva grandemente abbattuto, sicchè di notte non chiudeva occhio e di giorno gli sforzi per lavorare lo sfibravano; onde si temeva che dovesse [818] mettersi in letto. Anche quel non uscire mai di casa contribuiva a prostrarlo; a chi gli parlava di allontanarsi un po' di tempo, rispondeva di dover sbrigare faccende che non soffrivano dilazioni. La gita a Sant'Anna e il fresco che vi trovò lo fecero rivivere. L'indomani confessò gli ascritti e visitò la villa la casa colonica e i Poderi. L'arciprete cantò la messa. Dopo il pranzo Don Bosco, prendendo il caffè sotto il pergolato con alcuni parroci, col pretore, col notaio e altre persone, tenne accesa un'amenissima conversazione. Per molto tempo a Caselle si fece un gran dire dei modi familiari e piacevoli, con cui egli sapeva intrattenere chiunque incontrasse.
A cominciare dalla domenica del Rosario fu un ripetersi di vestizioni chiericali. Così nella domenica della Maternità di Maria Santissima indossarono l'abito fra gli altri il vivente Don Giovanni Mellano e il marchese Silvestro Burlamacchi di Lucca. I genitori di quest'ultimo assistettero alla funzione, nella quale Don Bosco pronunziò un discorso di opportunità. La domenica seguente, festa della Purità di Maria, si vestirono i due fratelli Carlo e Pietro, figli dei conti Radicati: benedisse le vesti Don Rua. In quegli anni furono men rari che non si creda i casi di nobili giovani, che si ridussero a vivere la povera vita dell'Oratorio, ascrivendosi alla Congregazione. Parecchi di essi vi si spensero sul fiore dell'età e oggi se ne ricordano appena i nomi dai confratelli più anziani. Un grande fervor religioso li animava senza dubbio; ma l'attrattiva maggiore veniva da Don Bosco, la cui amabilità faceva loro porre in non cale privazioni materiali e manchevolezze di vario genere, che allora rendevano assai disagiata la vita dell'Oratorio.
Degli studi non ripeteremo il già detto altrove; tuttavia qualche particolarità non priva d'interesse c'è anche per quest'anno. Nel 1878 Don Bosco autorizzò solennemente il chierico Luigi Piscetta con due sacerdoti e un suddiacono ad addottorarsi in sacra teologia presso la pontificia facoltà [819] del seminario arcivescovile: poichè da cinque anni era stata soppressa nella Regia Università la facoltà teologica[442]. L'esito fu favorevolissimo per tutti, ma trionfale per il primo candidato, la cui padronanza della materia e sicurezza di sè contrastavano in singolar modo con l'esiguità della personcina.
Tutti quattro si erano preparati nell'Oratorio; eppure nel seminario si continuava a pensare che i chierici dell'Oratorio non meritassero riguardi. Don Vacchina andò a dare gli esami sul primo corso di teologia con parecchi compagni, tutti conosciuti come chierici di Don Bosco. Orbene mentr'egli stava sotto i ferri, il Rettore si avvicinò all'esaminatore e gli disse all'orecchio, ma non tanto piano che l'esaminando non udisse: - A quei di Don Bosco non daranno voto superiore a 13 o 14 ventesimi.
- Ma come? fece l'altro di scatto.
- Tale è l'ordine venuto dalla Curia.
L'esaminatore stupito e contrariato abbassò il capo. La votazione fu per tutti scadente. E si noti che altri chierici dei quali, perchè avevano fatto gruppo con quei del Cottolengo o degli Artigianelli, non erasi avvertita la provenienza, riportarono votazioni ottime. Alla lettura poi dei voti venne per i primi il resto del carlino. Nell'aula magna i seminaristi stavano schierati a dritta e a sinistra, e i chierici di Don Bosco presero posto in fondo dirimpetto alla cattedra. Sale il canonico Soldati, legge i voti dei seminaristi e poi dice: Quei di Don Bosco hanno voti bassi, e mi rincresce di uno, la cui votazione è così misera che ho vergogna a leggerla. Ma questo tale la fece bella! Si chiamava Matteo Grochow: era il primo polacco venuto nella Congregazione. Egli dunque, mortificato in quel modo, s'intese col chierico Vacchina, si fece da lui accompagnare in Curia, domandò che gli fossero assegnati due esaminatori sinodali col pretesto che non erasi [820] presentato in tempo agli esami e ottenne i pieni voti. Per questa gherminella i due chierici si buscarono dai Superiori dell'Oratorio una buona tiratina d'orecchi; ma oramai potevano anch'essi, se non dire, almen pensare: Cosa fatta capo ha.
Perchè si vegga una volta di più come dai chierici nell'Oratorio si studiasse, aggiungeremo quest'altra testimonianza. L'anno avanti, il quale fu l'ultimo della facoltà teologica universitaria, il teologo Banardi faceva parte della Commissione per gli esami di laurea. Don Bosco presentò quattro dell'Oratorio, fra cui Don Giuseppe Bertello. Riuscirono tutti così splendidamente, che: - I chierici di Don Bosco non istudiano? esclamò il detto professore. Sono i migliori di tutti! Lo dirò io a chi di ragione! - Lo disse infatti a monsignor Gastaldi, lo disse a Don Bosco, lo diceva in ogni occasione, lo ripetè ancora nel 1891 a Don Belmonte.
E qui esporremo un pensiero di Don Bosco. I suoi chierici, mentre attendevano allo studio della teologia, avevano generalmente anche qualche scuola da fare. È vero che questa occupazione sottraeva loro un tempo notevole; ma il Beato teneva per fermo che senza qualche cosa da fare si sarebbero applicati meno intensamente al proprio studio, mentre, incalzati da lavori estranei, imparavano a non perder tempo e profittavano più di tanti altri[443]. Ciò spiegherebbe una sua frase riferitaci da Don Borio. Questi, ancor chierico a Borgo S. Martino, disse un giorno al Servo di Dio: - Ma Don Bosco, noi abbiamo tanto da fare per i nostri doveri e uffici che poco tempo ci resta per attendere ai nostri studi! - A cui Don Bosco prontamente e in tono energico: - Ed è così che voglio! - Gli astanti ammutolirono, nè osarono chiedergli quale fosse il senso delle sue parole. Don Bosco voleva che i Salesiani studiassero lavorando, e non che studiassero per studiare. [821]
Quanto poi egli volesse che i suoi chierici fossero buoni, ce lo testifica per fatto personale il citato Don Vacchina. Facendo la classe di prima ginnasiale nell'Oratorio, egli, ogni volta che riceveva danaro dalla famiglia, lo distribuiva in certe circostanze di necessità o di feste a' suoi scolari più poveri. Un giorno per altro, punto da rimorso, si confessò colpevole d'aver tenuto danaro presso di sè contro il divieto della Regola. - E hai continuato a fare la santa comunione? gli chiese Don Bosco.
- Oh povero me! esclamò il chierico. Ho forse commesso sacrilegio?
- Non dico questo. Tu eri in buona fede: lo facevi per aiutare i giovani e avevi retta intenzione. Basta... basta... si vede che sei anche tu figlio di Don Bosco.
A quanto pare, egli volle dire: Si vede che fai anche tu come faccio io. Con quell'uscita corresse il difetto senza lasciare l'anima in pena.
Morirono nel 1878 quattro chierici professi. Il primo, Stefano Omodei, era uno di coloro che in gennaio avevano contratto l'infezione tifoidea. Venuto nell'ottobre del 1876 dopo aver fatto a Sondrio la quarta ginnasiale, fu assalito da forte nostalgia, che gli passò non appena ebbe avvicinato Don Bosco, scegliendolo per suo confessore. “Un luogo atto a perfezionarsi come qua entro, scrisse allora a sua sorella, non l'ho mai visto. Don Bosco, se lo vedessi, è proprio il padre di tutti”. Cessava di vivere pochi giorni dopo nel collegio di Lanzo il chierico Giovanni Arata ligure. La sua biografia[444] è ricca di fatti, che ne mettono in chiara luce la non ordinaria virtù. Una volta Don Bosco per vederlo andò appositamente a Sampierdarena, dov'egli finiva il ginnasio. Alla nuova della sua morte il Beato scrisse a Don Rua[445]: “Ho sentito molto la perdita dei nostri cari figli, [822] nominatamente del prezioso Arata”. Gli altri due chierici decedettero nel mese di luglio. Uno, Cesare Peloso di Chiavari, proveniva dal collegio di Lanzo. Avendo ivi conferito privatamente e a lungo con Don Bosco sulla sua vocazione, uscì dalla sua stanza con un proposito così risoluto di farsi Salesiano, che tutti gli sforzi messi in opera dai parenti per distornarlo non approdarono a nulla. Ammalatosi nel terzo anno di chiericato, andò per consiglio dei medici all'aria nativa; ma qui le sue condizioni si aggravarono seriamente. Don Bosco saputolo fece partire subito Don Barberis, che lo confortò e gli amministrò il santo Viatico. L'ultimo che morì si chiamava Paolo Salvo; del qual cognome si serviva Don Bosco per sollevarlo da certe sue pene di spirito; poichè dubbi di fede, scrupoli, spavento di andar dannato lo angustiavano talvolta dì e notte. La sua maggior consolazione era allora trovarsi vicino al padre dell'anima sua, il quale, conoscendone le ambasce, lo adocchiava in mezzo a tutti, lo guardava benignamente, gli poneva la mano sul capo e sorridendo diceva: - Oh, eccolo qui colui che è sempre Salvo! Anche facendo peccati, egli, alla barba del demonio, è sempre Salvo. Ricordati adunque che tu sei Salvo, sei Salvo a qualunque costo, e sarai Salvo per tutta l'eternità. Nessuno capiva la vera significazione dello scherzo; ma egli se ne sentiva rasserenato e per un poco dimenticava i suoi timori. Anelava di partire per la Patagonia; ma, caduto infermo, ebbe anche lui il consiglio di andare al nativo Garessio. Di là il 2 agosto 1877 scrisse a Don Bosco: “L'Oratorio, Lei, Don Bosco, tutti i superiori ed i confratelli mi stanno fissi in mente ed incancellabili”. Trascorse ancora qualche mese nel collegio di Varazze, donde, fatto ritorno in famiglia, si spense ivi nel 1878 la vigilia della Madonna del Carmine.
Di quest'anno abbiamo ancora alcune notizie che bisogna salvare dall'oblio, concernenti le relazioni corse fra Don Bosco e [823]
Oramai Don Bosco si vedeva circondato da un buon nucleo d'uomini, i quali, risoluti di stare sempre con lui e a lui legatisi con i voti religiosi, gli erano così affezionati e fedeli che egli li adoperava tranquillamente in affari anche delicati senza tema che la sua fiducia venisse tradita. Uno dei più in vista fu il provveditore generale Giuseppe Rossi. Dalla seguente dichiarazione rilasciatagli da Don Bosco si può scorgere in qual conto egli lo tenesse e come non esitasse a dargli carta bianca, poco meno che se si fosse trattato di Don Rua.
Il Sig. Giuseppe Rossi provveditore generale delle nostre case dovendosi recare in Francia ed in altri paesi, per fare provviste, stabilire corrispondenze, o per ispacciare prodotti industriali dei nostri allievi, noi lo raccomandiamo rispettosamente presso tutti i nostri amici, corrispondenti che avranno da trattare con lui. Esso è persona onesta che gode tutta la nostra fiducia, perciò lo autorizziamo a conchiudere qualunque contratto egli giudichi opportuno.
Qualora poi nei suoi viaggi gli occorresse denaro, lo accreditiamo presso qualunque Istituto commerciale, pubblico o privato, per la somma da uno fino a trentamila franchi.
Tali somme parziali o in totale saranno da noi riconosciute come fossero a noi personalmente somministrate, con tutte le garanzie prescritte dalle leggi civili e commerciali.
Il Rossi ebbe non sappiamo quali motivi di lagnarsi per cattive maniere usate da un fornitore; le cose dovevano essere arrivate a tal punto, che un provvedimento si rese necessario. Don Bosco fu di parere che convenisse scrivere a quel signore una lettera garbata, ma ferma, e di suo pugno la stese e gliela diede a copiare. L'autografo della minuta è nei nostri archivi, e dice così:
Alcuni uffizi proprii del tuo dovere mi obbligarono all'assenza di alcuni giorni senza accusare ricevuta della sua lettera in data 17 p. p.
Ora debbo dirle che la mia educazione non permettendo usare [824] parole plateali quali si convengono, penserò a quello che dovrò fare per salvar l'onor mio e quello della direzione, che ho l'onore di rappresentare, ed impedire che non siano rinnovate le scene, che solamente nel suo uffizio sono avvenute a me e ad altri di questa casa.
Seconderò il suo consiglio e non mi presenterò da Lei a fare pagamenti; perciò Ella invierà persona a me debitamente autorizzata, e non dubiti che userò quegli atti di urbanità che ad onesta persona si conviene.
Un fatto è indice della sua grande bontà verso i coadiutori. Gaetano Rizzaghi in un momento di malumore se n'era uscito dalla Congregazione; ma non trovava più pace. Spesso la nostalgia lo spingeva là presso la porta della male abbandonata casa, dove rimpiangeva il bene perduto. La sua assiduità richiamò l'attenzione dei Superiori, che gli permisero di fare gli esercizi spirituali. La meditazione sul figliuol prodigo gli spezzò il cuore. Appena fu finita, corse difilato da Don Bosco, gli si gettò ai piedi e con voce rotta dai singhiozzi gridava così forte da farsi udire per tutta la casa: - Oh Padre, neanch'io non sono più degno di essere chiamato suo figlio!
Don Bosco a tal scena lo prende per mano, lo rialza, lo consola, l'accompagna egli stesso dal Direttore, al quale dice: - Trattalo bene, sai? È un mio grande amico. - A queste parole il Rizzaghi ruppe di nuovo in lacrime, e: - Ora sono in paradiso! esclama. Oh, se potessi lavare quella macchia! - Da quel giorno al sentir nominare Don Bosco non poteva trattenersi che non si mettesse a piangere. Venuto poi a morte, benediceva il momento del suo ritorno.
Di un altro coadiutore che stava a Buenos Aires, Bartolomeo Scavini, era venuto all'orecchio del Beato che vacillava alquanto nella vocazione. Preoccupato della sua sorte, gli scrisse questo biglietto: “Mio caro Scavini. Venne a me la voce che tu sei tentato di abbandonare la Congregazione Salesiana. Non fare questo. Tu consacrato a Dio con voti perpetui, tu Salesiano Missionario, tu dei primi ad andare [825] in America, tu grande confidente di Don Bosco vorrai ora ritornare a quel secolo dove vi sono tanti pericoli di perversione? Io spero che non farai questo sproposito. Scrivi le ragioni che ti disturbano, ed io quale padre darò consigli all'amato mio figlio, che varranno a renderlo felice nel tempo e nell'eternità”. Scavini riebbe la calma e perseverò.
In America a San Nicolás nel febbraio del 1878 passò all'eternità il coadiutore Carlo Barberis, partito con la seconda spedizione. Figlio di agiati, agricoltori, si era fatto Salesiano a 21 anno, spinto da sincero desiderio di vita religiosa.
Prima di procedere oltre, c'indugeremo alquanto a osservare come Don Bosco si venisse formando il suo personale. È un caso che possiamo tratteggiare ne' suoi minuti particolari, utilizzando un documento conservato nei nostri archivi; è però un caso solo, utile bensì alla conoscenza dello spirito e dei metodi del Beato, ma da non doversi generalizzare, quasi che egli in tutti i casi agisse precisamente così. Abbiamo questo prezioso saggio nella
Il chierico Bernardo Vacchina, allievo dell'Oratorio, vestì l'abito sacro nell'autunno del 1876; Don Bosco gli permise di vestirlo in paese, sia per far piacere alla madre e al parroco, sia, com'egli disse, per dare buon esempio. Fermatosi pochi giorni a casa, il novello chierico andò a fare gli esercizi a Lanzo, dove assistette alla vestizione di una quarantina de' suoi compagni. Al termine degli esercizi questi rimasero ancora alcun tempo a Lanzo, mentre Vacchina fu mandato all'Oratorio per l'assistenza dei nuovi arrivati che sommavano a centosettanta. Non dovette fare tanto male la parte sua, se al cominciare del noviziato gli venne affidata l'assistenza regolare della prima ginnasiale superiore, sicchè divideva le ore della giornata fra questa [826] occupazione e la vita dei novizi. Così trascorse qualche po' dell'anno scolastico 1876 - 77, quando un giorno Don Bosco gli disse dopo la confessione: - Aspetta un poco. Ho pensato d'incaricarti della scuola di prima ginnasiale inferiore. Che ne dici?
- Oh, Don Bosco! esclamò il chierichetto tremando tutto. Io non sono che un ragazzo vestito da chierico. Non ne sono capace, creda!
- Le cose della prima ginnasiale non le sai?
- E se le sai, puoi anche insegnarle. Poi io stesso ti aiuterò o ti dirò a chi ti devi rivolgere per consiglio. In mia camera ti dirò il resto.
Il poverino si levò di là come uno che avesse la febbre. In camera Don Bosco gli disse: - Vedi, tolgo la scuola al chierico È perchè mena le mani ed è troppo amico del pensum. Figùrati che dà a copiare trenta volte le orazioni! Come devono fare quei poveri ragazzi? Ogni volta che ti trovi imbrogliato, vieni da me. Ogni mese portami un còmpito corretto, e fa' come hai visto fare.
Nella confessione settimanale non mancava quasi mai un avviso sul modo di comportarsi con la scolaresca, come di pregare per i suoi alunni, di dar loro buon esempio specialmente in chiesa, di narrare fatti edificanti, di formarsi idee chiare, di non parlar troppo lui, ma di far parlare essi, di prendersi cura dei meno intelligenti, di raccomandare che tutti si avvicinassero spesso ai superiori. Lo esortava anche a lavorare ora in espiazione dei propri peccati, ora per farsi dei meriti, ora per esercitare la carità verso il prossimo, ora per evitare le tentazioni. Una volta gli domandò se in classe vi fosse ordine. - Non sempre, - rispose. Vedi, gli osservò Don Bosco, se vuoi essere obbedito e rispettato, fatti voler bene. Ma non carezze, massime sulla faccia o prendendo per le mani!
Non tutti i suoi giorni si succedevano invariabilmente [827] sereni. Venivano pene, sopravvenivano scoraggiamenti, la stanchezza gli si faceva talora accasciante: erano venti ore di scuola settimanali, sessanta compiti quotidiani da correggere e varie assistenze. Quando non ne poteva più, andava da Don Bosco, che gli ripeteva: - Fede! Omnia possum in eo, qui me confortat. - Queste semplici parole, proferite com'egli sapeva fare, producevano un effetto magico sull'animo avvilito; certe mattine Vacchina, sorpreso allo svegliarsi dall'opprimente pensiero della scuola, balzava dal letto e sferrava un pugno formidabile sul tavolino, gridando: Omnia possum in eo, qui me confortat! Don Cipriano, suo vicino di soffitta, le prime volte trasaliva e gli chiedeva se ammattisse. - Poco ci manca - rispondeva l'altro; ma tosto la mente gli si rasserenava.
Fra le cose che aveva apprese da' suoi professori stava in prima linea il fervore, con cui si studiavano d'infondere la pietà negli scolari. Egli voleva imitarli. Un bel giorno fece intendere in classe che sarebbe ottima cosa e molto gradita a Don Bosco e al Signore, se ogni mattina parecchi si accostassero alla sacra mensa; scegliessero dunque ognuno il suo giorno nella settimana per fare la santa comunione. Nessuno si ricusò. Allora il solerte maestro, procuratosi un elegante foglio di carta con pizzo, fiori e dorature, vi scrisse i nomi degli allievi distribuiti in sette gruppi e corse tutto giulivo da Don Bosco, perchè approvasse e apponesse la sua firma. Il Beato lo guardò amorevolmente, ne encomiò lo zelo in promuovere la frequente comunione, ma:
- Io lì non metto firma, disse.
- Oh, perchè, signor Don Bosco, se è cosa tanto buona?
- Buona, buonissima; ma dev'essere spontanea. Ora, vedi, se io mettessi la firma, i tuoi scolari potrebbero supporre che Don Bosco comandi la comunione, e questo non è il nostro modo. Anche tu, se alcuno de' tuoi giovani non fa la comunione nel dì stabilito, non lo sgridare, anzi non ti far scorgere che li osservi. Esortare, esortare, e niente più. [828] Un giorno lo chiamò a sè senz'apparente motivo; ma Vacchina seppe più tardi il perchè: il prefetto interno aveva mosso lamenti sul suo conto. Il Beato dunque gli chiese minuti ragguagli intorno alle sue occupazioni e infine gli domandò se tutti i superiori fossero contenti di lui.
- Non tutti, rispose. Il prefetto mi ha sgridato, perchè trattavo male i musici, che in verità si credono privilegiati, e mi ha detto che m'avrebbe tolta la scuola.
- Bisogna avere pazienza, fece Don Bosco. Anche la musica serve a educare. Ma la scuola chi te la diede, mio caro Vacchina?
- Ebbene, chi te la diede, non te la toglie; fallo sapere a chi di ragione. Nonostante tutto, io sono contento di te. Continua a fare quello che puoi; Dio farà il resto.
L'anno scolastico, principiato il 15 ottobre, finì il 9 settembre. Il maestro della prima inferiore ebbe la soddisfazione di un buon esito de' suoi alunni negli esami, e, stanco, sospirava un po' di riposo nel paese nativo. - Don Bosco me lo concederà, pensava fra sè. Tutti gli altri novizi dal mese di luglio scorrazzano per le montagne di Lanzo; non mi dirà di no certamente. - Con questa fiducia gliene fece preghiera; ma Don Bosco non glielo permise. - Sta' tranquillo, gli disse, che io penso a te. - Trascorso un po' di tempo, Vacchina gli chiese che lo lasciasse andare a Sampierdarena. Là avrebbe visto il mare! E Don Bosco: - Tu le vacanze le farai con me. - Fare le vacanze con Don Bosco? Che voleva dire questo linguaggio? Intanto i giorni passavano; il chierico appena vedeva comparire Don Bosco, volava a baciargli la mano e lo guardava significativamente; ma ogni volta nulla di nulla! Finalmente, fattosi ardito, lo interrogò: - Signor Don Bosco, quando e dove faremo le vacanze?
- In paradiso! Non ti piace?... In paradiso insieme!
- Oh, ma da qui a quel tempo!... [829]
- E chi ti assicura tanto tempo?
Il poverino rimase interdetto, e più non fiatò.
Dalla chiusura delle scuole agli esercizi di Lanzo il tempo fu breve. Vacchina presentò la domanda dei voti perpetui. Nella confessione degli esercizi Don Bosco gli disse: - Poverino! Hai fatto quello che hai potuto; io ne sono contento. L'anno venturo ti daremo la prima ginnasiale superiore. Fatti coraggio! Non ti sei mai pentito di stare con Don Bosco?
- No, ma senta. Quando il prefetto minacciò di togliermi la scuola e anche Don Barberis mi fece la sua sgridata, dessi: “ Ecco, lavorare tutto il giorno, e poi ricevere strapazzate! In fin dei conti un pezzo di pane si può trovare anche altrove ”. Ma creda, signor Don Bosco, non lo dissi di cuore il mio posto è qui.
- Ti credo. Farai i voti, ma quali?
- Io crederci meglio di farli subito perpetui.
- Io te li concedo; ma sai bene che non sono solo, ci sono anche gli altri superiori.
- Li farò dunque triennali. In ogni modo il mio proposito non muta.
Fece i voti perpetui, poi per il nuovo anno ebbe la prima superiore, dove i registri d'allora ci schierano dinanzi una eletta di giovani, molti dei quali hanno poi grandemente onorato la nostra Congregazione. Le cose tuttavia non correvano liquide come l'anno avanti, anche perchè gli scolari passavano il centinaio. Sul principio gli capitò un caso d'insubordinazione. Un ragazzo destinato alla prima inferiore non ci volle andare e i superiori non intervenivano. Il maestro, esortatolo inutilmente a obbedire, gli si avvicinò, lo afferrò con le brusche e lo tirò fuori dal banco. Ma il bricconcello che da non molto tempo si trovava nell'Oratorio, alzò le mani in atto di percuoterlo. Vacchina allora lo ghermì al colletto e lo cacciò di scuola dicendogli: - Non rientrerai, se non domanderai perdono! - Il consigliere scolastico lo rinviò in classe, ma l'insegnante lo mise alla porta; il prefetto tornò [830] a mandarlo, ma quegli tornò a respingerlo; lo rimandò pure il Direttore, ma niente, il maestro tenne duro. Allora Don Bosco lo fece chiamare e gli domandò: - Perchè hai resistito ai Superiori? Questo non va bene mi capirai...
- Senta, signor Don Bosco. Questo ragazzo mi si rivoltò minaccioso in presenza di tutta la scolaresca, che ne rimase scandolezzata. Ho centodieci ragazzi e non c'è da scherzare, se voglio sostenermi. I Superiori sanno l'accaduto e conoscono la condizione, che non mi sembra ingiusta. Perchè non lo fanno obbedire?
- Ma tu gli hai messo le mani addosso, e chi mette le mani addosso, si pone dalla parte del torto.
- Ma se non avessi fatto così, non sarebbe uscito. Io non sento nessun rancore contro di lui, anzi gli voglio bene. Egli però deve riparare il male commesso e lo scandalo dato. Con una classe così numerosa, con discepoli anche più vecchi di me, non posso transigere.
- Ma se domanderà scusa, non lo mortificherai...
- No, signor Don Bosco. Io desidero che venga, e mi duole nell'anima tutto quello che ho fatto con i Superiori.
Il ragazzo, udite le esortazioni di Don Bosco, obbedì con buone maniere, fu ricevuto in classe e sempre dappoi si mostrò affezionatissimo al maestro.
Nell'anno scolastico, 1878 - 79 a Vacchina fu assegnata la seconda ginnasiale con centotrenta alunni abbastanza male assortiti; con i promossi dalla prima inferiore ve n'era un buon numero di non promossi, e della prima superiore c'erano soltanto quelli che non avevano attitudine a saltare la seconda, come si diceva nel gergo corrente. Una classe insomma che presentava serie difficoltà. Il maestro dopo le prime settimane non sapeva più a che santo votarsi. Un giorno, dopo pranzo, nello stesso refettorio, si accostò al Direttore per esporgli i propri guai; se non che, parendogli di non essere preso in considerazione, perdette la pazienza [831] e cominciò ad alzare la voce. Don Bosco guardava da lungi, stando in ascolto, ma senza intendere, e disse forte sì da farsi udire: - Che ha quel chierico che fa tanto il galletto? Due giorni dopo, fattolo chiamare, gli disse: - Ieri l'altro facevi il galletto col Direttore. Che c'è di nuovo?
- C'è che non ne posso più con la scuola. Ho centotrenta scolari, che dovrei dividere in parecchie sezioni, tanta è la disparità dagli uni agli altri. Io mi ammazzo, e non ne cavo nulla. È una scuola impossibile, lo vede bene anche Lei. Il signor Direttore mi dice di aver pazienza. Pazienza ne voglio avere, sì; ma anche con tutta la pazienza di questo mondo non riuscirò a far miracoli. Ci vuol altro!...
- Già, disse Don Bosco, non hai tutti i torti. Si provvederà. - Infatti dopo un paio di giorni gli si tolsero venticinque dei più scadenti, che furono mandati parte a casa loro e parte nella prima ginnasiale. Don Bosco, veduto Vacchina nel cortile, lo chiamò e gli chiese: - Ebbene, come va la tua scolaresca?
- Bene, te ne restano ancora da divertirti. Ma il Direttore è disgustato con te.
- Io non ci ho colpa. Desideravo che se n'andassero parecchi, e se ne sono andati; ma chi me li mandò, benchè non promossi?
Don Bosco, ascoltatolo paternamente, non aggiunse parola. Vacchina gli baciò con affetto la mano e suo primo pensiero dopo quel colloquio fu di rabbonirsi col Direttore.
Qui taluno potrebbe domandare: - Ma e gli studi? e la salute di questo chierico? - Quanto agli studi, ecco. Per la filosofia aveva un professore a parte, l'avvocato Fortis, che noi già conosciamo e che gli dava lezione in ore libere; per le altre materie egli s'ingegnava da sè, ricorrendo pure a confratelli di nota competenza. Tuttavia ogni tanto lo [832] sconforto lo assaliva. Una volta si sfogò con Don Bosco, che con grande bontà gli disse: - Bisogna aver pazienza! Fa' quello che puoi, e Dio farà il resto; Egli non ti lascerà negl'imbrogli, se lavori per Lui. Del resto in Congregazione vi sono molti uffici, e tutti per servire il Signore. Chi non può e non sa fare il direttore, il prefetto o simili farà il sacrestano, e guadagnerà la stessa mercede. Per altro anche l'insegnare ti aprirà la mente e la strada, vedrai! - Ed ebbe ragione. Vacchina quell'anno dovette fare il servizio militare nel corpo dei bersaglieri; ma non perdette il suo tempo, e in seguito percorse felicemente la sua via.
Della salute il chierico non si preoccupava gran fatto, sia perchè di sana e robusta costituzione, sia per un motivo tutto speciale. Nel ginnasio egli aveva sofferto una malattia grave, dalla quale entrato che fu in convalescenza, i Superiori per consiglio del medico avevano divisato di rinviarlo a casa; ma egli si presentò a Don Bosco e gli disse: - I Superiori mi vogliono mandare a casa, e io non ci voglio andare.
- Oh bella questa! Non ci vuoi andare ! E perchè ?
- Perchè Ella ha detto che uno di noi deve morire fra poco, e se tocca a me, voglio morire qui, assistito da Lei.
Don Bosco stava ritto sulla soglia della sua stanza. Guardò il giovane com'egli soleva fare, poi levò gli occhi al cielo e gli disse: - Va' pure a casa; tu non morrai ancora, ma vivrai lungamente. - Infatti, nonostante parecchie gravi malattie, Don Bernardo Vacchina, mentre di lui scriviamo, festeggia a Buenos Aires il suo giubileo sacerdotale.
Ed ora con un po' di pazienza, che sarà ben compensata dall'utilità, mettiamoci a sfogliare di seguito un bel pacco di
Buon numero di lettere scritte nel 1878 sono disseminate per il volume; altre saranno riunite e un po' illustrate nell'Appendice; qui verremo scorrendo le rimanenti, divise in [833] parecchi gruppi, vale a dire prima quelle indirizzate a persone secolari, donne o uomini, poi quelle a ecclesiastici, infine quelle a Salesiani, siano essi semplici Confratelli o Direttori o Missionari. In ogni gruppo le ordineremo cronologicamente.
1. Alla signora Teresa vedova Lyerre.
Madre dell'ex - allievo Carlo, menzionato nella lettera. Questi era stenografo alla Camera dei Deputati e purtroppo corrispondente di giornali cattivi.
La nostra vita è seminata di croci, ma Dio pietoso non manca di mandare consolazioni a suo tempo.
La S. V. partì da Roma con rincrescimento ed intanto trovò un santo Vescovo che la consiglia, un ottimo confessore che la dirige.
Dio sia sempre benedetto e riverisca da parte mia Mons. Galletti ed il Can.co Fassini cui porto grande stima ed affezione.
Scriva sovente al figlio Carlo, raccomandi sempre la fugacità della vita e la religione dei suoi genitori, e l'onore della famiglia. E ciò colla pratica della religione. Io non mancherò di fare quel che posso ogni volta potrò vederlo.
Dio benedica Lei, sua figlia Serafina, e preghino per me che loro sarò sempre in G. C.
È una letterina consolatoria, scritta dietro un'immagine dell'Ecce homo, cui circondavano fiori colti nel Giardino degli Olivi. L'8 marzo alla contessa era morto il marito, conte Federico, ed era morto con tutti i conforti della religione. Da Ministro egli aveva sottoscritte le leggi che bandivano i Gesuiti e le Dame del Sacro Cuore; ma poi se ne pentì e nel 1855, combattendo in senato la proposta del ministro [834] Rattazzi contro le Corporazioni religiose, rinnegò quel suo atto e confessò coraggiosamente d'aver ceduto alle “ pressioni della piazza ”. Non partecipò più alle sedute del senato dopo il trasporto della capitale a Roma. Trascorse gli ultimi anni della sua vita nella franca professione dei doveri religiosi. Insigne giureconsulto, scrisse molte opere. Fu grande amico di Don Bosco.
Alla nobil.ma Contessa Sclopis,
Voi, o fiori, che raccolti nel giardino delle olive, toccaste la tomba di S. Pietro; portate in vece mia copiosa benedizione a chi vi avrà tra mano. Fiori e spine faranno la gloriosa corona nella beata eternità.
3. Alla signora Annetta Fava Bertolotti.
Era di Torino; ma allora stava in campagna a Villa Sterpone, Borgo Ajé, presso Moncalieri.
Oggi suo onomastico, dopo aver celebrata la S. Messa per Lei e tutta la sua famiglia, riscontro alla sua lettera dell'8 luglio di cui sono in ritardo.
Credo sia stata regolata la spedizione delle Letture Cattoliche.
Qui le acchiudo una rimembranza di Pio IX mercè un pezzettino di veste da lui portata. Molte meraviglie si vanno operando da questo incomparabile Pontefice e fra le altre spero che annovereremo eziandio le grazie che la S. V. dimanda.
Buona campagna a Lei, al sig. Cavaliere, alla sua piccola ereditiera. Dio li benedica tutti. Ella preghi per questo poverello che le sarà sempre in G. C.
Giorno di S. Anna 1878, Villa di S. Anna presso Caselle
A questa benemerita Signora il Servo di Dio mandava di tanto in tanto qualche piccolo dono, accompagnandolo con alcune parole scritte di proprio pugno o dettate da lui [835] al segretario sopra suoi biglietti di visita. Eccone tre autografi, in anni diversi: I° “ SAC. GIOVANNI BOSCO. È una pera dura, ma che faremo cuocere nel santo timor di Dio. Cosa da ridere; ma la gradisca colla sua damigella ”. 2° “ Il SAC. GIOVANNI BOSCO alla Sig. Fava Bertolotti offre a Lei e alla damigella alcuni grappoli d'uva ”. 3° Per la festa di Maria Ausiliatrice la signora desiderava un coretto, donde assistere comodamente alle sacre funzioni. Don Bosco scrisse sopra un biglietto di visita: “ Per la signora Fava Annetta il SAC. GIOVANNI BOSCO raccomanda un posto riservato nel miglior modo possibile ”.
Questi altri tre furono dettati al segretario: I° “ Il SAC. GIOVANNI BOSCO si permette di offrire alla S. V. Benemerita alcuni grappoli d'uva maturata alla finestra della sua camera all'ombra del Santuario di Maria Ausiliatrice. Voglia gradirla come piccolo segno della più viva gratitudine e cogli augurii delle migliori benedizioni del cielo ”. 2° “ il SAC. GIOVANNI BOSCO per dare un minimo segno della propria gratitudine alla S. V. benemerita si permette offrirle alcuni grappoli d'uva cogli augurii d'ogni celeste benedizione ”. 3° “ Il SAC. GIOVANNI BOSCO prega V. S. Benemerita di gradire l'umile offerta di alcune ciliege del giardino di Maria Ausiliatrice cogli augurii d'ogni celeste benedizione ”.
4. Alla signora Giuseppa Maria Armelonghi.
Era di Lugagnano, forse zia del sacerdote Salesiano che portava quel cognome. Abbiamo qui le norme fondamentali per la direzione di anime travagliate da scrupoli.
Riguardo alla vostra coscienza ritenete:
I° Non mai cercare di rifare le confessioni passate.
2° I pensieri, i desideri ed ogni cosa interna non sia mai materia di confessione. [836]
3° Confessate soltanto le opere, i discorsi che il confessore giudicherà colpevoli e non altro.
4° Ubbidienza cieca al confessore. State tranquilla di coscienza e pregate per me che vi sarò sempre in G. C.
Questa piissima gentildonna veniva talvolta assalita da malinconie, che fortemente la angustiavano. Una cosa che giovava a rasserenarla era il ricevere notizie delle opere di Don Bosco. Il Beato, ciò sapendo, spesseggiava e si dilungava con lei nella sua corrispondenza più che non facesse con verun'altra signora.
Se le mie deboli preghiere innalzate a Dio per Lei, mia buona Mamma, fossero altrettante visite personali, sarei più volte al giorno a farle perdere non poco tempo a chiacchierare. Ed io era mortificato di non avere mai scritto, e farmi conoscere cattivo figliastro ad una madre cotanto buona, tanto più che ho molto bisogno di Lei.
D. Cagliero lavora energicamente per una prossima spedizione di suore e di Missionari in America, ma forse non potrà per questa volta partire col grosso dell'esercito. Mi assicura però che prima di partire non mancherà di fare il suo dovere sia che Ella dimori in Torino, sia che rimanga tuttora a Vignale.
Mi è dolorosa la notizia che mi dà dei nostri allievi Vignalesi. Io andai a Lanzo al principio di luglio e non trovai alcuno nella infermeria; ritornai al principio di questo mese, vi rimasi dieci giorni; ma in infermeria nessuno. Bisogna pertanto che tutti i malanni vadano a cadere sui cari miei di Vignale, specialmente sui giovanetti Ravizza che io aveva assai raccomandato a quel Direttore. Voglio pregare e far pregare tanto per loro, affinchè Dio li benedica e li ritorni a miglior salute. Stiamo un po' attendendo se saremo esauditi.
Pur troppo cresce ogni giorno più la penuria dei preti. Io lavoro con grandi sforzi per prepararne. Si fa qualche cosa e farei di più assai, se ne avessi i mezzi. Ma ciò non è che una goccia d'acqua in arsiccio terreno. Rogemus Dominum messis, ut mittat operarios in [837] messem suam. Tuttavia prima che termini la prossima settimana spero di poterle mandare un nostro professore che almeno per un po' di tempo le dia comodità della messa.
Continuo in Sampierdarena 16, 9, 1878.
In quanto alle nostre suore sono già tanto disperse che per ora non possono più andare, come desiderava, a prendere qualche lezione dalle ottime maestre del suo asilo.
Ciò nulla dimeno la ringrazio dell'invito e dell'ospitalità che promette alle medesime.
Spero pure di fare una gita a Vignale, ma non posso ancora fissare il tempo. Quello che è certo si è che ho bisogno di danaro. Questa mattina l'impresario Capo Maestro della Chiesa di S. Giovanni Evangelista tutto mortificato venne a dirmi che se non gli fo una notabile somministranza di danaro scaduto, egli è costretto di sospendere i lavori. Io ho letteralmente niente. Oh se mai Ella potesse venirmi in aiuto in onore di Pio IX! Sarebbe una gran risorsa! Ma chi sa come starà il suo ministro di finanze!
Ella dimanda notizia delle cose nostre, ed io le dico che moralmente e scientificamente vanno assai bene mercè la grazia del Signore. In quest'anno abbiamo 300 giovani che entrano nel Chiericato; non minore sarà il numero che si va preparando per un altro anno. È vero che si ripartirono in varie diocesi, ma sono sempre operai della vigna evangelica.
Qui in Sampierdarena abbiamo dugento giovani adulti detti Figli di Maria che aspirano allo stato ecclesiastico. Si possono dire un vero tesoro. Ma anche qui solita antifona. Il panattiere rifiuta il pane, perchè hanno una scadenza di f . undicimila da pagare.
Come vede, non sono senza fastidii; siamo però ricompensati dal buon esito della disciplina, moralità delle nostre rase. Da un anno a questa parte ne abbiamo aperte venti, di cui sei nell'Uruguay e nella Repubblica Argentina in vicinanza ai selvaggi.
Dio la benedica, o mia buona Mamma, e con Lei benedica tutta la sua famiglia, le sue figlie e le loro famiglie. Dio conceda a tutte santità e sanità in abbondanza. Preghi Ella per questo poverello che le sarà sempre in G. C.
P. S. Giovani che attualmente abitano nelle nostre case N. 27 mila.
Anche qui parla di venti case aperte nell'anno; vedremo più innanzi in che modo se ne facesse il còmputo. [838]
Più volte, signora Marchesa, senza nemmeno esserne richiesta, venne in nostro aiuto. Ora sono io stesso che dimando a nome del Signore e sono certo, ove Ella possa, ci aiuterà. Ascolti.
Lo sviluppo quasi irresistibile della nostra Congregazione, gli urgenti bisogni della Religione ci fecero aprire case con ispese superiori alle nostre forze. In un anno ne abbiamo aperte venti. Le missioni aperte in America, la molta messe che ci presentano quelle repubbliche e gli stessi selvaggi; la spedizione dei missionarii e di quelli che si preparano a partire; la chiesa di S. Giovanni Evangelista per fare un po' di argine ai protestanti, che hanno invaso uno dei più popolati quartieri di questa città: tutte queste imprese ci hanno stancati ed indebitati.
Se pertanto nella sua carità potesse venirci in soccorso, sarebbe un momento opportuno. Io so quello che ha già fatto per noi, che fa per altri. Perciò sono grato pei benefizi ricevuti, e solo le espongo il nostro bisogno confidando nella sua carità, nei limiti che può e come la inspirerà il Signore.
La prego però di accertarsi che comunque Ella faccia noi le siamo riconoscentissimi per la beneficenza già fatta, non mancheremo di pregare ogni giorno per i suoi cari che Dio ha già chiamati a sè, e pregheremo in modo speciale per Lei affinchè Dio la conservi in buona salute, le conceda il prezioso dono della perseveranza nel bene e il premio celeste nel regno della gloria.
Raccomando la povera anima mia alla carità delle sante sue preghiere, mentre ho l'onore di professarmi in Gesù C.
P. S. Le mando la lettera in Montemagno, dove spero possa leggerla con minore disturbo.
7. Alla signora Teresa Vallauri.
L'insigne cooperatrice, sorella di Don Pietro, già nota ai lettori. Soffriva di dolorosa malattia, che il 10 marzo 1879 la tolse di vita. Nei crudeli spasimi del male Dio le diede una pazienza eroica. Piena di carità e donna prudente, quando fece testamento, tenne in disparte una somma, che volle consegnare con le sue mani a Don Bosco per le Opere e Missioni Salesiane. [839]
L'ultima volta che ho avuto il piacere di vederla ne fui assai sconsolato; perchè ho potuto conoscere che il suo male è assai più grave di quanto mi pensava. I nostri giovani pregano per Lei mattino e sera, come ho promesso; ma io vorrei ancora aggiungere qualche cosa.
Io desidero che si faccia proprio una violenza al Signore purchè dimanda non sia contraria alla maggior gloria di Dio ed al bene dell'anima sua. Facciamo dunque così: Da domenica al giorno dell'Imm. Concezione i nostri giovani faranno la loro comunione per Lei, io celebrerò ogni mattino la santa messa per questo medesimo fine. Una scelta di nostri più fervorosi si porteranno in chiesa ogni giorno a fare preghiere a Gesù Sacramentato.
Ella poi si unisca con noi nello spirito del Signore e reciti la preghiera che altra volta ho suggerito ed offra a Dio tutte le sue sofferenze. Spero anche di passare qualche giorno verso sera a riverirla.
Dio la benedica, o Signora Teresa, la faccia guarire, la conservi ancora molti anni a vedere il frutto della sua carità. Preghi anche per questo povero orfanello che le sarà sempre in G. C.
Riparla del suo mal d'occhi. Ne guarirà solo nel febbraio del 1879 a Roma, in modo da taluni ritenuto prodigioso.
Ricevo sue notizie dal giardiniere Rizzoglio, che venne a fare le sue divozioni nella chiesa di Maria A. con sua moglie.
Qui noi stiamo bene in genere. Soltanto la mia vista va precipitosamente peggiorando. Dio vede bene così, perchè non me ne serviva come doveva.
Preghi per me e per le cose nostre. Dio benedica Lei, tutta la sua famiglia e li conservi tutti in buona sanità e santità in abbondanza. Amen.
Una delle tante suppliche del Beato per ottenere onorificenze a coloro che beneficavano le sue Opere. Qui chiede all'onorevole Francesco Crispi una decorazione cavalleresca per il dottor Albertotti, che dal 1872 prestava gratuitamente la sua assistenza medica all'Oratorio, come continuò a fare finchè visse. La domanda ebbe favorevole accoglienza, perchè fu deliberato di accordargli la croce di cavaliere; ma la deliberazione rimase senza effetto per la caduta del Ministero.
L'umile sottoscritto ha l'alto onore di segnalare alla E. V. un benemerito cittadino che sembra degno di qualche onorifica attestazione. È questi il dottore Gio. Battista Albertotti, professore di medicina.
Come accertano gli uniti documenti, egli esercitò onoratamente l'arte sua, mostrando grande zelo per gli ammalati specialmente poveri ed abbandonati per oltre 20 anni.
Nell'anno 1854 scoppiando furioso il colera nei paesi di Branda e Bassi egli non esitò di affrontare ogni genere di pericolo per assistere gli affetti dal morbo micidiale, ed ebbe il conforto di vedere i buoni risultati delle sue cure, come attestano gli annessi attestati.
Nel 1871 chiamato a prestare l'opera sua nelle difficili cure del manicomio di Torino, accondiscese di buon grado ed ebbe il conforto dì avere sempre meritata la stima di quell'amministrazione, come consta dall'unita dichiarazione.
Mentre poi lavorava nel manicomio, continuò sempre in qualità di professore a comunicare il frutto de' suoi studi e della sua esperienza agli allievi suoi della Università di Torino, e si prestava eziandio a favore di molte opere di pubblica beneficenza.
Da sei anni nel modo più paterno prese cura dei poveri giovanetti che in numero di circa novecento sono ricoverati nella casa di San Francesco di Sales in Torino. E tutto questo servizio l'ha sempre prestato gratuitamente.
Laonde per mostrare gratitudine da parte nostra pei motivi suaccennati [841] l'umile esponente prega la E. V. a voler concedere a questo illustre Dottore la decorazione dì quell'ordine che alla S. V. tornerebbe più beneviso.
Altra supplica della stessa natura in favore dell'impresario Felice Faja. Mancando nella nostra minuta la data, non sappiamo chi fosse il Ministro. Dal contesto risulta che non si è prima del 1877 e da quanto diremo si vedrà non potersi andar oltre il 1878.
Fra i cittadini benemeriti della civile Società credo di poter segnalare il Cav. Faja Felice di Asti ed ora residente in questa città di Torino, Via Cernaia, n. I.
Nella sua laboriosa carriera di pubblico impresario, tenne costantemente la vita del probo e dell'onesto cittadino.
Egli fu impresario dei canali demaniali sul Vercellese; dei fabbricati per la manutenzione dei tabacchi e della Cartiera al Regio Parco presso Torino.
Dietro intelligenza col Conte Cavour cooperò a molte pubbliche imprese, e a molte opere di beneficenza. In due volte largì 10.000 lire al collegio degli Artigianelli. Nella qualità di Direttore ed Ispettore delle Scuole Tecniche di S. Carlo comparticipò a comperare con fondi propri il terreno dove ora esiste l'edifizio a questo uso destinato.
Pagò lire 10.000 in favore dei poveri giovanetti dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, i quali avevano tale passività verso il prestinaio.
Egli fu decorato della Croce dell'Ordine di San Silvestro nel 19 gennaio 1877.
Ora come pubblico benefattore si chiede una decorazione dell'Ordine Mauriziano, e ciò servirà ad animarlo a compiere altre opere dì pubblica utilità cui mai non si rifiuta.
La raccomandazione di Don Bosco ottenne al signor Faja la croce di cavaliere. Per festeggiare l'evento, questi diede un gran pranzo, al quale invitò con Don Bosco alcuni preti salesiani, il dottor Fissore e altri. Durante il banchetto [842] uno dei commensali disse a Don Bosco: - Nella sua chiesa vi è una cosa che non va.
- Chè gli angeli sono più belli della Madonna. - Con questo egli voleva dire che gli angeli dei due campanili splendevano, per la loro indoratura, mentre sulla cupola la Madonna erasi fatta nera per essere scomparsa a causa delle intemperie la leggerissima foglia d'oro che la rivestiva. - Ha ragione, rispose Don Bosco al suo interlocutore; è uno sconcio a cui bisogna rimediare. - Quindi, alzando la voce, disse a tutti i convitati: - Ascoltino, signori, una osservazione fattami qui or ora. Gli angeli sono più belli di Maria Ausiliatrice. Bisogna procurare alla Madonna il decoro che le si conviene; mi rivolgo dunque a loro, perchè mi aiutino a farne indorare di nuovo la statua.
- Ma sì! ma sì! esclamarono tutti.
- Orbene, a lei, dottor Fissore che è professore di anatomia, l'incarico di distribuire a ognuno di questi Signori la parte da indorare a sue spese. Così un po' per ciascuno non fa male a nessuno.
Il dottor Fissore accettò e fece la distribuzione a uno la testa, all'altro un braccio, a chi metà del manto, a chi l'altra metà, e così via, assegnando a tutti la parte loro. Già si fissavano le singole somme, quando il Beato che fino a quel punto aveva, approvato tacendo e sorridendo, ruppe il silenzio e disse: - Ma e per lei, signor dottore, non si è riservato niente? Scoppiò una gran risata generale. Poi Don Bosco proseguì: - A lei, Dottore, lo stomaco. - Il Dottore accettò.
Nel programma per il 24 maggio del 1877 entrava già, come vedemmo l'annunzio che si voleva indorare la statua, e qualche offerta era venuta; ma troppo ancora vi mancava. Quel giorno fu tutto accomodato, sicchè nella festa del 1878 gli angeli dei campanili non facevano più sfigurare la Madonna sull'alto della cupola. [843]
Don Bosco dice il suo parere intorno a un partito di matrimonio, nel quale la sposa avrebbe portato in dote al marito solamente un buon corredo di virtù. Il destinatario apparteneva a nobile e storica famiglia, ma non molto ricca.
Oggi tuo onomastico riscontro alla tua lettera del 28 corrente. Niente è troppo poco. È vero che la virtù supera tutti i tesori, tuttavia si ha da vivere e da spendere. Quindi ad un mio fratello direi: Non precipitare. Tuttavia tenendo in gran pregio le rare doti della persona, la speranza di avere qualche cosa, se non subito, almeno più tardi, io rimetterei ogni cosa al consiglio della tua genitrice che è pia, prudente, e ti vuole bene.
In ogni modo io pregherò per te affinchè Dio benedica la tua futura compagna, e ad ambedue conceda quanto è meglio per lo spirituale e pel temporale.
Saluta i tuoi di casa e prega per me che ti sarò sempre in G. C.
12. Al barone Carlo Ricci Des Ferres.
Ho ricevuta la sua lettera colla limosina di f. 100. Le due messe sono già celebrate secondo la pia di Lei intenzione. Il Conte Cays ha fatto speciale memento pel benessere della sua figlia suora. Una speciale novena ora si sta facendo nell'Istituto di S. Pierdarena.
Io sono d'accordo con Lei che in questo genere di malattie bisogna calcolare assai più sull'aiuto del Signore che sopra l'arte umana. Preghiamo.
Qui si prega ogni mattino, ogni sera all'altare di M. A. Io spero assai.
Le acchiudo un brano di veste di Pio IX. Chi sa che fra le meraviglie di quel Pontefice possiamo annovare anche la guarigione di sua figlia?!
Dio benedica lei, Sig. Barone, tutta la sua famiglia e in modo particolare la buona religiosa malata. [844] La Santa Vergine Salus infirmorum ottenga dal suo divino Figlio Gesù la grazia che dimandiamo.
Preghi per me che le sono di tutto cuore in G. C.
13. Al signor Antonio Massara.
Era segretario comunale a Bianzè (Novara), quando nel 1891 comunicò questa e le due lettere seguenti a Don Rua. Nella sua gioventù era stato seminarista. Qui Don Bosco gli risponde su cose di coscienza.
La tua schiettezza nello scrivere dimostra il tuo buon volere e mi invita a parlare con tutta confidenza. Dio è grande, Dio è misericordioso. Talvolta non pensiamo a lui, ma egli pensa a noi, e vedendoci fuggire lontano ci dà una spalmata sulle spalle e ci arresta e ci fa tornare a lui. Non è vero? Sia adunque in ogni cosa benedetto il Signore e adorati i suoi decreti. Qualora la tua sanità adunque permettesse di ripigliare gli studi io non sarò alieno di consigliarti d'andare avanti eziandio sino al sacerdozio. Se tu amassi la vita ritirata in comune e volessi venire con me, io ti annovererei tra i miei cari ed amati figli.
Intanto la preghiera, il lavoro, la mortificazione colla frequente confessione e comunione ti renderanno vincitore contro a quell'antico nemico dell'anima tua. Le altre cose non si possono affidare alla carta. Addio, caro, Dio ti benedica. Prega per me che ti sarò sempre in G. C.
“Le altre cose non si possono affidare alla carta ”, aveva scritto Don Bosco. Il chierico, lette queste parole, gli riscrisse dicendogli che, se avesse qualche cosa da comunicargli, si sarebbe recato a Torino. Don Bosco gli rispose. [845] Car.mo in G. G.
Sono soltanto giunto or ora a Torino dopo molta assenza. Se giudichi a proposito, vieni pure a passare tutta o in parte la novena dei Santi con me.
Ci parleremo e concluderemo quanto a noi due sembrerà meglio nel Signore. Dio ci benedica tutti e credimi sempre in G. C.
Il Massara volò all'Oratorio; ma dovette aspettare tre giorni per avere udienza da Don Bosco. Uditone il nome, Don Bosco si ricordò di tutto. “ Mi fece mille gentili accoglienze, scrive quegli, trattandomi con tanta bontà che io ne ero commosso sino alle lacrime per l'interna consolazione. Mi ricorderò sempre che stando io in piedi davanti a Lui mentre sedeva ancora a tavola dopo cena, Egli mi disse di sedere, e che io tra per l'interna commozione ed anche perchè parlava alquanto piano, non intesi subito, e si levò da sedere il santo uomo e voleva far seder me sulla sua sedia nel bel mezzo della tavola. Non è neanco da dire che quando compresi, domandai scusa e mi rifiutai ad ogni costo. M'invitò a fermarmi costì dicendo per ischerzo a Don Cagliero che si era avvicinato, che io sarei stato il successore di Don Bonetti nella direzione del Bollettino Salesiano. Accettai l'invito, ed Egli mi fece assegnare la miglior stanza libera e mi affidò ad un compagno (certo Alessandro Mora di Milano) che mi tenesse allegro. Descrivere la gioia che provai nel trovarmi in un così santo luogo dopo d'essere vissuto in mezzo al mondo, mi è impossibile ”. La malferma salute non gli permise di resistere alla vita comune; un po' per questo, un po' perchè istigato da un suo parente, decise di ritornare al paese. Prima di rimpatriare, si recò a salutar Don Bosco, che lo trattò con la stessa affabilità; ma dall'insieme si scorgeva [846] non essere egli contento che il giovane partisse; gli fece anzi belle proposte, ma l'altro non ne accettò le graziose profferte. “ Per mia sciagura, prosegue il Massara, non tardai a pentirmene, perchè dopo alcun tempo sono tornato a Torino con intenzione di accettare le proposte fattemi alcuni mesi prima; ma Don Bosco disse che non poteva più ricevermi con tali condizioni. Lasciatolo con le lacrime agli occhi, ritornai a casa e per sfogare il mio dolore gli scrissi un'altra lettera, esprimendo il desiderio di ritornare a qualunque costo ”. Subito il Servo di Dio gli rispose:
Benedico il Signore che ti conserva nella buona volontà di essere buono, virtuoso e salvarti l'anima. Io non manco di raccomandarti ogni giorno al Signore. Lo stesso fanno i tuoi compagni. Qui noi tutti ti vogliamo sempre bene. In quanto al venire qui a Torino, è bene che ti assicuri dello stato regolare di tua sanità.
Per l'esame di metodo gioverà provvederti i programmi delle materie prescritte e cominciarle a rivedere.
Saluta i tuoi parenti da parte mia, e prega per me che ti sarò sempre in G. C.
16. Al barone Carlo Ricci Des Ferres.
Il “fanciullo Du Bourg infermo ” era nipote del barone Du Bourg, segretario particolare del conte di Chambord, che accompagnò Don Bosco a Frohsdorf, nel 1883. Fra i Ricci Des Ferres e i Du Bourg correvano vincoli di parentela.
Carissimo Sig. Barone Carlo Ricci,
Appena letta la venerata sua lettera ho subito ordinate preghiere pel giovanetto Del Bourg infermo. Spero che la Santa Vergine avrà ascoltato la nostre preghiere nel senso e nella misura che è di maggior gloria di Dio, di maggior vantaggio a tutta quella pia famiglia.
Le benedizioni del Cielo discendano copiose sopra di Lei, sopra [847] tutta la famiglia Fassati, e sopra la venerata famiglia De Maistre, mentre colla massima venerazione mi professo
Oratorio di S. Benigno Canav. 3 - 10 - 1878.
Sac. Gio. Bosco. P. S. Stento a scrivere.
17. All'ingegnere Francesco Bocca.
Questo Signore, che era di Pollone biellese, aveva al suo servizio una sorella di Giuseppe Sandrone, proto esterno della Tipografia Salesiana. Fra quest'ultimo e la sorella c'era del malumore per questioni d'interesse. L'ingegnere pregò Don Bosco di dire una buona parola per appianare la controversia. La lettera del Beato, che riferisce sulla sua mediazione, è un bel saggio della sua prudenza e carità.
Stimabilissimo Sig. Geom. Bocca,
Ho parlato più volte al Gius. Sandrone e tutti vennero esso e la moglie. Le darò un cenno di quanto si trattò. Il Giuseppe non mette minimamente in dubbio le cose che la sorella Maria fece per lui. Anzi assicura riconoscenza e sebbene egli assicuri che sarebbe contento di spendere fin l'ultimo quattrino per sua sorella qualora si trovasse in bisogno, tuttavia se desidera che l'interesse della sorella sia per iscritto, egli ne è prontissimo. Ella pertanto abbia la bontà di interpretare il pensiero della Maria, formolare uno scritto e poi me lo mandi, ed il Giuseppe ha impegnato or ora la sua parola che lo firmerà. Tutti due poi mi diedero formale incarico di pregare la sorella di venire sempre in casa loro tutte le volte che essa verrà a Torino sia per alloggio che per vitto. Se qualche cosa o meglio qualche parola del passato potè cagionare dispiacere, la pregano a volerla dimenticare, e che essi vogliono sempre considerarla come vera sorella padrona di casa loro.
Ho poi fatto indagini sullo stato delle finanze del Giuseppe e pare che faccia onore a' suoi affari, ma colla massima economia. È in principio della sua vita sociale. Il suppellettile domestico, fitto, attualmente la moglie in istato interessante sono cose che egli ha sempre davanti di sè. Siccome però egli ha una buona settimana e la moglie guadagna pure discretamente hanno già soddisfatto al passivo e vanno preparando qualche cosa per le spese eventuali future.
Eccole, rispettabile Signore, il sunto della mia missione. Ogni [848] cosa si mette nelle mani di Lei, affinchè colla sua carità e prudenza sia condotto a felice conclusione.
Sono però assai contento che questo affare mi abbia messo in relazione con Lei, di cui ho tante volte udito a parlare favorevolmente.
Mi farebbe un gran piacere una sua visita personale venendo a Torino.
Compatisca il mio brutto scrivere e gradisca che le auguri ogni bene dal Cielo e mi professi di V. S. Stimab.ma
18. Al cavalier Francesco Maria De Simone.
Da Acri (Cosenza) il signor De Simone aveva mandato a Don Bosco un'offerta, chiedendo preghiere per un suo fratello infermo.
Dio vi benedica, o caro amico in G. C., e con voi benedica tutta la vostra famiglia, e specialmente il fratello infermo. Vi ringrazio della carità di L. 25 che mi mandate. Il cielo vi conceda il centuplo per la vita presente e la vera mercede nella futura.
Vi mando una reliquia di Pio IX pei casi di qualche bisogno.
Vi raccomanderò ogni giorno nella S. Messa e voi pregate anche per me e per la mia famiglia (trenta mila ragazzi) e credetemi sempre nel Signore
19. A Don Faustino Confortòla.
Apparteneva al clero bresciano, essendo nativo di Ghedi. Venne più tardi a stare con Don Bosco. Fu primo direttore nella casa di Firenze, primo direttore e parroco in quella di Parma. Morì a Firenze nel 1913. [849]
L'offerta che mi fa dell'opera sua pel sacro ministero è per me cosa delle più gradite e consolanti.
La sua lettera, la schiettezza con cui scrive mi danno abbondante garanzia di Lei, perciò disponga pure delle cose sue che io l'accetterò di tutto buon grado tra i miei figli. Secondo la sua sanità, secondo le propensioni avrà di che lavorare.
Venga come fratello ed avrà molti fratelli con un padre che assai lo ameranno in G. C. Una lettera o certificato di moralità dal suo Vescovo o dalla Curia, è prescritto dai Sacri Canoni e mi basta per tutto.
In quanto alla parte materiale io dimando Lei e non altro.
Siccome però la Congregazione nostra vive di provvidenza, così se oltre all'aiuto spirituale, può anche portare qualche aiuto materiale, ci sarà certamente efficace per sostenere le milante opere di carità che ogni dì ci cadono tra le mani.
Io sono in Roma fino a tutta la seconda settimana di febbraio dove Ella mi può indirizzare qualunque suo scritto. Dopo a Torino. Se però volesse fare una gita a Torino per vederci e parlarci di presenza, oppure per rimanere definitivamente con noi, credo meglio dopo aver compiuto il suo mese mariano.
Dio la benedica e ci conceda la grazia preziosa dì lavorare a sua maggior gloria e a guadagnare qualche anima al cielo in mezzo al grande pericolo di naufragio di questa terra. Preghi anche per me, che le sarò sempre in G. C.
Benedettino di San Paolo fuori le mura in Roma. Nato a Piacenza il 3 aprile 1828, fratello del padre Domenico gesuita, fu dal 1877 al 1895 addetto all'Archivio Vaticano. Conobbe Don Bosco alcuni anni prima del 1878. Assistette sempre alle sue conferenze in Roma; gli fu anche più volte ospite nell'Oratorio e una volta a Lanzo. Morì il 19 gennaio 1918. [850]
Reverendissimo e carissimo in G. C.,
Ho ricevuto con gratitudine la offerta che Ella mi fa come cooperatore salesiano. La ringrazio e dell'offerta e più ancora del suo prezioso scritto con cui approva ed incoraggia le opere cominciate.
Dio benedica la sua carità e la faccia fruttare a maggior sua gloria e ad incremento dell'Ordine Benedettino, già per tanti secoli e per tanti titoli benemerito della Chiesa.
Ricordi che le case salesiane saranno assai gloriose ogni volta potranno rendere qualche servigio a V. S., oppure ai suoi religiosi.
Mi raccomando alla carità delle sante sue preghiere, mentre ho l'alto onore di potermi umilmente professare
di V. P. Reverendissima e carissima
21. A monsignor Edoardo Rosaz.
Vescovo eletto di Susa, dov'era canonico. Succedette a monsignor Federico Mascaretti, dimessosi per motivi di salute. Fu preconizzato nell'ultimo concistoro di Pio IX, il 31 dicembre 1877. Lasciò fama di abile e virtuoso prelato. Amava moltissimo Don Bosco.
A suo tempo ho ricevuto da Torino e poi dalla cara sua lettera come il gran Pontefice Pio IX portò il paterno suo pensiero sopra di Lei e lo proclamava Vescovo di Susa. Io sono stato non poco maravigliato perchè conosco quanto Ella senta basso di se stesso, e come dovrà prendere un atteggiamento nuovo verbo et opere. Ma ho tosto benedetto il Signore perchè ne era e ne sono convinto, che la chiesa acquistava un Vescovo secondo il cuore di Dio, e che Ella avrebbe fatto molto bene alla Diocesi di Susa.
Io ne godo assai e con tutto l'affetto del cuore le offro tutte le case della nostra Congregazione per qualunque servizio possano prestare alla rispettabile di lei persona o alla Diocesi che la Divina Provvidenza le ha affidato.
Io non pretendo farla da maestro, ma credo che Ella avrà presto nelle mani il cuore di tutti:
I° Se prenderà cura speciale degli ammalati, dei vecchi e dei poveri fanciulli. [851]
2° Andare molto adagio nel fare mutazioni nel personale già stabilito dal suo antecessore.
3° Pare quello che può per guadagnarsi la stima e l'affetto di alcuni che tenevano o tengono posti elevati in diocesi; i quali giudicano di essere stati trascurati e V. S. preferita.
4° Nel prendere misure severe contro a chi che sia del clero, vada cauto e per quanto si potrà ascolti l'imputato. Del resto spero che in marzo potremo parlarci personalmente.
Oggi circa alle 3½ p.[446] si estingueva il sommo ed incomparabile astio della Chiesa, Pio IX. I giornali le daranno i particolari. Roma è tutta in costernazione e credo lo stesso in tutto il mondo. Entro brevissimo tempo sarà certamente sugli altari.
Credo che V. S. mi permetterà di sempre scrivere colla confidenza del passato; e pregando Dio che la illumini e conservi in buona sanità, mi raccomando alla carità delle sante sue preghiere e mi professo colla massima venerazione.
Roma, 7 febb. 1878, Torre de' Specchi, 36.
Arciprete di Varzo novarese. Nella lettera stava inchiusa un'immagine di Maria Ausiliatrice con a tergo queste parole scritte da Don Bosco: “ Sig. Don Stoppani parr. Maria sit tibi et parochianis tuis auxilium in vita, subsidium, in periculis, levamen in morte, gaudium in coelo. Ioannes Bosco Sacerdos ”.
Il suo desiderio sarà appagato. In Torino ho un pezzo della veste del gran Pio IX e sarà conservato per Lei.
Per le altre cose ci parleremo a suo tempo, ma o venga, o mandi dei buoni Salesiani. Messis multa, multa, multa, operarii pauci in paragone del bisogno.
Dio ci benedica tutti. Ella preghi per me che le sarò sempre in G. C.
P. S. Entro pochi giorni parto alla volta di Torino, si Dominus dederit. [852]
Vicecurato alla Venaria Reale, già condiscepolo del Beato. La facoltà che dice ottenuta vivae vocis oraculo l'ebbe probabilmente per il tramite del cardinal Oreglia, che in quei giorni tanto si adoperava per lui, affinchè avesse udienza da Leone XIII.
Tu puoi leggere e tenere libri proibiti, quando ciò ravvisi utile al tuo ministero, o per verificare se sono cattivi o per confutarli: Vivae vocis oraculo die 7 martii 1878.
Quando sarai Salesiano intiero, non solo per metà?
Saluta da parte mia il Sig. Vicario, cui voglio portare un bel ritratto di Leone XIII.
Dio ti benedica e prega per me che ti sarò sempre in G. C.
Al medesimo scrisse pure questo laconico biglietto per un'altra facoltà: “ Carissimo. Un telegramma. Fa' pure la benedizione di medaglie, ecc. a tuo piacimento. A rivederci a Torino. Vivi felice e prega per me che ti sarò sempre in G. C. Roma, 14 marzo 1878. Aff.mo amico Sac. Gio. Bosco ”.
Don Palmieri nell'Archivio Vaticano rinvenne parecchie lettere inedite di san Francesco di Sales al Nunzio Apostolico in Torino, tutte scritte in italiano; le copiò e trasmise le copie a Don Bosco perchè le pubblicasse. Monsignor Rosi fece difficoltà per la pubblicazione integrale, proponendo parziali soppressioni. Don Palmieri le diede poi a monsignor Mermillod. Furono in seguito pubblicate integralmente dal signor Andrea Peraté dell'École de France di Roma, con [853] quattro altre lettere del Santo in francese, ritrovate pure da Don Palmieri presso il conte monsignor Morandi di Piacenza[447]. La trascrizione con le soppressioni è nella Biblioteca di S. Paolo, fra i manoscritti di Don Palmieri.
Carissimo Don Gregorio Palmieri,
A tempo debito ho ricevuto sue lettere, e con vero piacere. Ne la ringrazio ben di cuore.
La conclusione della pratica per la lettere di S. Francesco di Sales fu come segue. Mons. Rosi le ha lette, e trovò che non solo non racchiudevano importanza, ma che il Santo stesso non ne avrebbe avuto piacere, perchè private e relative a' privati.
Ho scritto di nuovo che, in vista dell'ansietà con cui si leggono gli scritti di questo gran Santo, io sarei pronto a stamparle, pronto però a rimettermi alla prudenza di lui. Non ho ancora ricevuta risposta a questa mia. La lettera di Mons. Rosi era tutta piena di cortesia.
Io spero che Ella sia bene in salute; perciò prego Dio che gliela conservi a molti anni. La prego poi di fare tanti ossequii da parte mia al P. Abate, ai suoi padri e confratelli, che mi usarono tanta carità nel passato inverno.
La prego poi di un favore: ed è di dire al P. Abate, ai suoi correligiosi, a Lei, di voler approfittare delle nostre case, capitando nei nostri paesi. Anzi qualora Ella potesse venire passare qualche settimana qui con noi, mi farebbe un gran piacere, e credo la sua salute ne avrebbe vantaggio.
Il mio segretario la ossequia, ed io prego Dio che la renda felice mentre mi raccomando alla carità delle sante sue preghiere e mi professo in G. C.
Con che calore Don Bosco invita lui e i suoi confratelli all'Oratorio! Visite di sacerdoti secolari e di religiosi erano frequenti. I visitatori non vi trovavano, si può dire, nulla di quelle agiatezze che vanno sotto il nome di comfort; eppure [854] è bello vedere le impressioni che ne riportavano. Nell'estate del 1877 stettero alcuni giorni nell'Oratorio il curato della cattedrale di Ventimiglia e due altri sacerdoti suoi amici; dopo di che il curato scrisse al Beato[448]: “ Io non so esprimerle la soddisfazione, la effusione di cuore che ho provato durante il nostro soggiorno in cotesto suo paradiso terrestre, in cui si respirano aure così pure di vera pace, di intima carità fraterna; in cui un'angelica serenità risplende sulle fronti, la dolce innocenza leggesi negli occhi di cotesti fortunati abitanti ”. L'avvocato Don Costantino Leonori, venuto a visitare il Beato nell'autunno del 1878, lo ringraziava scrivendo[449]: “ È vero dire partii da Torino col desiderio di tornarvi, e a Dio piacendo il farò. Le gentilezze e cordialità che mi usò Lei e i signori della direzione, in me son rimaste scolpite; ed appunto perchè cordiali, Le dico con ischiettezza, che mi faranno senza dubbio ritornare ”. Il padre Pio Saccheri domenicano, segretario della Sacra Congregazione dell'Indice, usava per lo stesso motivo queste espressioni[450]: “ Ritorno a rinnovarle le più sentite azioni di grazie per le tante amabilità da Lei usatemi a Torino e a Lanzo; io ne conservo cara e dolce memoria ”.
25. A Don Francesco Serenelli.
Rettore del seminario vescovile di Verona. Alla lettera andava unita un'immagine di Maria Ausiliatrice con queste righe pure di Don Bosco: “ D. Francisco Sacerdoti. Maria sit tibi et tuis auxilium in vita, levamen in periculis, solatium in morte, gaudium in coelo. Amen. Ioannes Bosco Sacerdos ”.
La grazia di N. S. G. e sia sempre con noi. La graziosa offerta e più ancora, la sua cristiana lettera mi obbligano a farle speciali [855] ringraziamenti. Ringraziamenti che fo' tanto più di cuore in vista delle eccezionali strettezze in cui versiamo per le milanta cose che abbiamo tra mano. Ella adunque è il nostro benefattore, padrone delle case Salesiane, e quando venisse a Torino vorrei dirle assai cose e farle non piccoli progetti. L'attendo. Scriverei di più, ma mi fa vergogna il carattere brutto con cui scrivo, che stenterà capirmi. Dio benedica tutti, e benedica ]Lei e tutte le sue opere e mi creda
Sacerdote di Mondovì, ex - alunno dell'Oratorio, che poi si fece filippino. I “ compagni di Francia, Spagna e di America ” erano ex - alunni dell'Oratorio, andati notoriamente in quei paesi a cercar fortuna.
Se non vuoi farti salesiano o missionario, ti consiglio a scegliere quella parrocchia che ti piace di più tra le quattro proposte.
Ti raccomando di pregare per i tuoi compagni di Francia, Spagna e di America. Attendo la tua visita con tua madre. Dio ti benedica.
Don Bosco risponde a una lettera del I° ottobre, nella quale Don Taroni, inviando a Don Bosco una limosina per Messe, gli parlava della recente visita fatta da Don Bretto a Lugo e a Faenza e di un suo seminarista bramoso di farsi salesiano. “ Due cose, scriveva Don Taroni, desidererebbe sapere il giovane, quale cioè sarebbe la spesa, ossia pensione, venendo costà; e quale la classe in cui lo metterebbero, giacchè egli avendo 17 anni, e vocazione, a suo parere, decisa, ed essendo avanti nella Retorica (è giovane d'ingegno e studioso) desidererebbe ardentemente di entrare in una classe [856] da poter tenere gli abiti clericali. Ci aiuti, Don Bosco, sia coll'orazione, sia col consiglio ”. Il Beato gli rispose:
Telegraficamente. Ricevuto lettera con f. 10. Le Messe saranno da me celebrate all'altare di M. A. Nostri allievi pregheranno e faranno comunioni. Pregherò anche per un santo Sacerdote caduto malato in Seminario, come dissemi D. Bretto[451]. Il chierico che vuole farsi Salesiano sarebbe lasciato coi chierici nostri e coll'abito. La condizione principale si è che egli venga. Il resto si aggiusta tutto. Ella quando verrà definitivamente con noi?
Riceva una reliquia di Pio IX. Gradisca i saluti de' suoi confratelli Salesiani. Auguri S. S. S.[452] a' suoi cari seminaristi. Mi raccomandi alle loro preghiere. Essi preghino per questo poverello che sarà sempre di loro e di lei
Il chierico si chiamava Enrico Foschini. La sua vocazione ebbe origine da una lettura. Un giorno di maggio del 1876, rimasto a casa dal passeggio per indisposizione, si mise a leggere un dramma intitolato: La vocazione di San Luigi Gonzaga. Di là partì la scintilla. Quando poi lesse la vita del Santo nel Giovane Provveduto, fu cosa fatta. Nel 1877 il suo direttore spirituale Don Taron, recatosi a Torino per la festa di Maria Ausiliatrice, ebbe da Don Bosco queste parole di commiato. - Pregherò per i suoi seminaristi, perchè si facciano tutti santi, e qualcheduno si faccia Salesiano, se è volontà di Dio. - Di lì a poco passarono per Faenza Don Barberis e Don Lazzero nel loro ritorno da Roma; nella qual occasione si stabilì una lega di preghiere tra i figli di Don Bosco e quei chierici, che si ascrissero tutti all'Arciconfraternita di Maria Ausiliatrice. Per Foschini la famiglia era contraria; ma la lettera di Don Bosco, mandata ai genitori, [857] ne strappò il consenso. Il loro figlio entrò nell'Oratorio il 13 novembre, antesignano a una bella schiera di seminaristi faentini che vennero alla Congregazione. Il Signore lo chiamò a sè dalla casa di Lucca, quando aveva appena un anno di sacerdozio. La frase di Don Bosco a Don Taroni “ Ella quando verrà definitivamente fra noi? ” va intesa puramente come espressione di vivo affetto e di grande stima; tutt'altra cosa gli aveva detto a voce[453].
Non so che siasi risposto al Chierico Rambelli, ma per abbreviare la pratica dica alla madre di lui che se suo figlio viene qui per essere Salesiano è accettato, purchè sia almeno nell'ultimo anno di ginnasio. Se poi non volesse farsi Salesiano, ma soltanto percorrere gli studi, potrebbe andare in Alassio dove avvi tutto il Ginnasio e Liceo.
Ella mi fece sperare una visita con un aspirante; quando verrà?
Tutti di casa La riveriscono ed io raccomandandomi alle sue preghiere e a quelle de' suoi santi Chierici, con fraterna affezione mi professo in G. C.
P. S. La Sig.ra Rambelli Elisabetta scrisse con una commendatizia del Sig. Cav. Magnacci Penitenziere.
Mi fu detto e lo sapeva già che in codesta sua parocchia avvi un malato, uomo onesto non avverso alla religione, ma che lusingato dalla speranza di aver tempo non si prepara come dovrebbe a comparire davanti al Signore.
Io l'ho raccomandato alle preghiere che si fanno nella chiesa di M. A e continueremo.
Ella poi per compiere il suo dovere si porti a casa dell'infermo, [858] gli dica, se siamo ancora in tempo, che è brevissimo il tempo che gli rimane da vivere. Dio lo vuole salvo, ma bisogna che faccia presto.
Potrebbe anche darsi che Dio, mosso dal pentimento e dalle preghiere del malato, lo ridoni a sanità. Questo sta nei decreti di Dio.
Io non conosco, nè mai ho veduto l'ammalato; ma Ella può facilmente discernere chi sia tra i suoi parrocchiani.
Dio ci benedica tutti e preghi per me che Le sono in G. C.
Io ricevuto la sua buona lettera e li fr. 18 entro la medesima. La ringrazio: Dio la rimeriti. È manna che cade in sollievo delle nostre strettezze. Ella poi stia tranquilla. Non parli d'esentarsi dalla Parrocchia. C'è da lavorare? Morrò nel campo del lavoro, sicut bonus miles Christi. Sono buono a poco? Omnia possum in eo qui me confortat. Ci sono spine? Con le spine cangiate in fiori gli Angeli tesseranno per lei una corona in cielo. I tempi sono difficili? Furono sempre così, ma Dio non mancò mai del suo aiuto. Christus heri et hodie. - Domanda un consiglio? Eccolo: prenda cura speciale dei fanciulli, dei vecchi e degli ammalati, e diverrà padrone del cuore di tutti.
Del resto quando venga a farmi una visita, ci parleremo più a lungo.
Di questa lettera abbiamo già riportato una parte notevole, che non ripeteremo[454].
Se tutte volte che penso a V. S, e prego per V. S. fossero altrettante visite, sarebbero quasi un disturbo continuo; ma almeno qualche lettera deve essere cosa di fatto. [859]
La ringrazio adunque delle notizie della preziosa morte del Conte Birago. Sia benedetto il Signore e il momento che V. S. lo visitò e gli parlò di me. Ho pregato e continuerò a pregare pel riposo eterno dell'anima di lui.
Il nuovo Re prende il nome di Umberto I e non Umbert[455]o IV. Chi sa perchè ? Il Sig. Barone Bianco lo sa ed ha un gran significato. Se mai va a fare una visita a questo caro amico, lo riverisca tanto da parte mia e gli dica che mi trovo in gran bisogno di preghiere.
Per sua norma le cose nostre vanno bene quanto noi potevamo desiderare, e spero che lo stesso Arcivescovo ne debba essere assai contento. Le dirò poi i particolari.
Vedrà certamente il Conte Luigi colla sua famiglia; li riverisca tutti da parte mia.
Riverisca pure i nostri commensali, specialmente l'Avv. Rossi e D. Barberis che mi si dice egrotante. Intanto dove può aiuti il povero D. Bonetti per le sue stampe che gli danno da fare non poco.
Dio ci benedica tutti e preghi per me che sarò sempre in G. C.
P. S. Per le sue ordinazioni ogni cosa sarà a suo tempo provveduta.
Perchè s'intendano le parole di color oscuro riguardo al barone Bianco, trascriviamo alcune righe dalle Memorie biografiche di Don Lemoyne[456], aggiungendovene alcune altre (manoscritte) del medesimo. “ Il Barone Bianco di Barbania, devoto come tutti i nobili piemontesi alla Casa Reale, disse a noi che scriviamo, nel 1875: - Io ebbi in mano la lettera di Don Bosco al Re. Lessi co' miei occhi quelle parole: Regi vita brevis, e da quell'istante in poi stetti sempre attendendo gli avvenimenti. Quando fu ceduta alla Francia la Savoia, culla e gloria della dinastia dei nostri Re; quando Vittorio Emanuele fu proclamato Re d'Italia, e si troncarono le antiche tradizioni, io dissi: Ecco avverata la profezia, Vittorio non è più Re in Savoia. Il Re di Savoia [860] è morto. - Del resto si consideri tutta la portata delle parole di Don Bosco nella sua lettera. Il Re Vittorio Emanuele moriva nel pieno vigore della sua virilità [a 57 anni e 10 mesi, essendo nato a Torino il 14 marzo 1820]; il povero Umberto I, spento da mano scellerata, mostrava interrotta col suo nome la serie cronologica dei principi dell'antica dinastia ”. Anche Don Bosco insinua qui che il troncarsi delle antiche tradizioni si fece ancor più manifesto nell'appellarsi il nuovo re Umberto I e non IV[457].
Nel 1872, udita a Lanzo una predica di Don Bosco sulla povertà religiosa, aveva rimesso la farmacia che teneva a Peveragno ed era venuto nell'Oratorio con l'intenzione di lavorare o in un ufficio o nell'infermeria. Don Bosco, vincendo la sua umile riluttanza, lo volle prete. Fu ordinato sacerdote nel settembre del 1877, in età di 43 anni. Visse nel nascondimento fino al 1914, pressochè sempre accanto a Don Rua.
Mi hai fatto piacere a scrivermi; fa' lo stesso quando ne hai qualche motivo. Io sono dello stesso tuo parere. Liquidare e dar tutto nelle mani del Signore, ossia per amore del Signore che è lo stesso. Sono tanti miserabili che danno in fine di vita ma per forza, e quindi il dono vale una scorza; altri prudenti secondo il Vangelo, fanno essi il dono e quindi [hanno] il centuplo assicurato.
Ringraziamo di tutto [il Signore] che ti aiutò a conoscere la vanità del mondo, a romperla con lui di fatto e non di parole. [861]
Questo fu sempre il mio pensiero: non possedere cosa alcuna.
Riguardo al terzo Ordine[458] ci penso assai, abbi un po' di pazienza ed aggiusteremo tutto. Dillo anche a Toselli.
Saluta Maccagno, Streri, Albinolo e Gallo Pietro.
Dio ti benedica; prega per me che ti sono in G. C.
Dirigeva allora il Bollettino Salesiano. D'indole battagliera, polemizzava volentieri ne' suoi scritti. Qui Don Bosco allude specialmente a un suo articolo intitolato: La Congregazione Salesiana e le vocazioni ecclesiastiche, comparso nel numero di febbraio. L'articolo su Pio IX, inviato a Don Bosco nell'originale o nelle bozze, uscì nel numero di marzo, dove si legge pure la relazione sulla conferenza romana ai Cooperatori.
Cessa di battagliare e scrivi parole pacifiche, come ti ho tante volte raccomandato. Ho soltanto letto di volo l'articolo sopra Pio IX; osserva che non ci siano sconnessioni. Aggiusta la materia della conferenza di Roma. Hai notati 600 preti usciti dalle nostre case, mentre dovevi metterne quattro volte tanti. Mi ricordo che quando D. Francesia faceva la 5ª in un anno solo sopra 84 allievi, 80 entrarono nel chiericato. In generale è meglio non toccare queste cifre per non urtare con certe suscettibilità civili ed ecclesiastiche. Non dimentichiamo mai che siamo sub hostili potestate.
Scrivi un quaderno[459] senza nemmeno parlare della tua sanità. Ti raccomando di usarti tutti i riguardi che tu useresti a D. Bosco.
Di' a chi di ragione che in questi giorni è tutto fermo[460]. Sabato vado a Magliano: nella prossima settimana verrò a salutare il nuovo Papa e poi partirò per le case nostre.
Ho bisogno che Ghione e Ghiglione si facciano veramente buoni. [862]
Veglia sulla sanità di D. Barberis. Tu poi sta buono, se vuoi ancora sanità.
Dio ci benedica tutti e prega pel tuo
P. S. Ricordati che non si deve spedire il Bollettino alla Contessa Veronica Macchi[461] se per caso fosse già nei registri.
Era il catechista degli artigiani nell'Oratorio. Di lui dovremo parlare quando verrà la volta della Spagna.
Sebbene mi manchi il tempo a scrivere, tuttavia non voglio differire ad esprimere il gran piacere che ho provato dalle lettere scrittemi, dalle preghiere e comunioni fatte per me e pei bisogni attuali della Chiesa.
Dimani spero di assistere alla incoronazione del S. Padre, martedì poi avrò l'udienza particolare e porterò la corona di Comunioni fatte dai nostri cari artigiani.
Dirai loro che sono molto contento della loro condotta e che appena giunto a Torino voglio dar loro una prova speciale della mia benevolenza. Saluta Ferraris libraio, Rossi Marcello portinaio, Cottini e Cipriano Audisio, miei speciali amici.
Dio vi benedica tutti, vi dia un buon carnevale, e vi scampi dalle disgrazie sovrastanti. Fiat, fiat.,
Continuate a pregare per me che vi sarò sempre in G. C.
I° Di' a Barale che mi mandi una decina di: La figlia cristiana bene legata, se ne ha; altrimenti li mandi come le altre. Dirai poi, se può, che ne mandi una copia ai soliti periodici, al Cav. Lanfranchi e avv. Durando per l'Unità Cattolica. [863]
2° La chiesa di S. Giovanni Evangelista è un'opera cominciata dal fondatore dei Cooperatori; e sarà opera loro il fare che si conduca a termine. Anche i cooperatori di lontano concorreranno, perciò prepara pure il tuo articolo e poi lasciamelo vedere[462].
3° Riguardo alla tua parte di prefetto del clero concerta col senato capitolare ed io ne sono contento delle misure a prendersi. Nota però che le cose nostre devono condursi allo scopo desiderato colla pazienza e colla carità.
4° Abbi molta pazienza col ch. Rossi Michele; quando puoi fa' con lui qualche passeggiata.
5° Niuna difficoltà di andare a Lu e procura di aggiustare le cose nel miglior modo possibile. Comunica ai signori Rota, Ribaldone, a tutti i cooperatori una benedizione speciale del S. Padre.
6° Ti mando qui delle lettere dei Missionari per tuo servizio. Procura che le parti confidenziali non vadano in mano altrui; concerta con D. Cagliero sulla convenienza di pubblicare certi brani di lettere.
7° Fa' tutto quello che puoi per non mettere paglia sul fuoco. Si taccia rigorosamente tutto ciò che è allusivo alle cose del Governo. L'Iscrizione Dedit mihi frontem duriorem etc. fu interpretata ostilmente. Pazienza, cautela somma.
8° Saluta D. Barberis, i preti, i chierici, e chiericandi.
9° Oggi alle 11 vado all'udienza particolare, dopo scriverò. Abbi cura della sanità tua e di D. Barberis. Va a dare una buona sera da parte mia agli artigiani. Pregate per me che vi sono in G. C.
La Figlia cristiana Provveduta per la pratica de' suoi doveri cristiani è l'adattamento del Giovane Provveduto alla gioventù femminile. Il 23 marzo se ne parlò con lode nel periodico Il Divin Salvatore, bisettimanale di Roma. L'Unità Cattolica nel numero del 24 marzo ne fece pure gli elogi, esordendo così: “ Il sacerdote Giovanni Bosco, con quel grande zelo pel bene morale della gioventù che è tutto suo proprio, dopo aver dato ai giovani un libro per le pratiche di pietà, il quale è dei libri di questo genere il più diffuso in tutta Italia, volle provvedere anche le ragazze nella guida delle pratiche religiose ”. [864]
Il titolo di Prefetto del clero compare per la prima volta sul catalogo del 1878 col nome di Don Bonetti, e vi è notato con quello del Maestro dei Novizi subito dopo i membri del Capitolo Superiore, ma con uno spazio che ne li distanzia. Data l'importanza che il Santuario assumeva di anno in anno, un semplice Prefetto di sacrestia, che pure continuò a sussistere, più non bastava, ma ci voleva anche una persona di autorità che potesse dar ordini ai sacerdoti. Allorchè sul finire del 1880 Don Bonetti venne eletto Consigliere del Capitolo Superiore, quella carica cessò.
L'iscrizione biblica[463] con ogni probabilità fu di quelle poste a ornamento del tumulo in qualcuno dei funerali celebratisi a Torino per Pio IX, “ cui piacque resistere ai forti ”, dice il De Cesare[464], che non temette di opporsi ai prepotenti, diremo meglio noi. Così, ad esempio, reagì fino all'ultimo della sua vita contro lo Czar delle Russie per l'oppressione della Polonia e contro il Cancelliere di ferro per le sue persecuzioni religiose[465]. Che i giornali politici abbiano visto in quel motto un'allusione alle cose d'Italia, noli deve far meraviglia.
L'udienza pontificia andò in fumo. Completeremo qui la narrazione del capo tredicesimo, servendoci di lettere scritte allora da Don Berto a Don Rua. Il martedì 5 marzo il cardinal Oreglia, andando all'udienza dì Sua Santità, condusse seco Don Bosco. Verso mezzogiorno questi e il [865] segretario si unirono a un gruppo di signori, che stavano schierati davanti all'appartamento del Segretario di Stato, quando Leone XIII si avanzò dall'appartamento di Pio IX e giunto a Don Bosco gli disse: - Ma lei sta a Roma?
- No, Santità, sto a Torino: adesso sto qui Desidererei un momento di udienza privata.
- Sì, venga verso l'Ave Maria stassera.
Verso le sei pomeridiane il Beato era in anticamera; ma monsignor Cataldi, che fungeva ancora da Maestro di Camera, gli disse: - Sua Santità mi ha detto: Se verrà Don Bosco, ditegli che questa sera sono tanto occupato; che venga domani alle undici antimeridiane.
Proprio in quel mentre il Papa dava udienza all'Arcivescovo di Torino, che s’intrattenne con lui dalle cinque e mezzo alle sette. Poco prima che Monsignore entrasse dal Papa, erano entrati pure due cardinali.
Don Bosco dunque andò in Vaticano la mattina del 6, alle ore undici. Monsignor Macchi, rientrato proprio quella mattina al possesso del suo ufficio col nuovo Papa, si avvicinò a Don Bosco e in tono piuttosto imperioso gli disse. Sua Santità mi lascia di dirle che questa mattina ha tanta gente, che non può riceverla. Io intanto le manderò l'avviso in casa forse per questa sera o per domani a sera, Dove sta?
Il cardinal Oreglia, sapendo che il Papa aveva desiderio di vedere Don Bosco, andò a parlare con monsignor Macchi, il quale si scusò e promise; ma il biglietto dell'udienza non arrivava mai. Allora il Cardinale, dovendo recarsi in Vaticano, prese con sè Don Bosco in forma di segretario; poichè i Cardinali si presentano in Vaticano accompagnati sempre da un loro prete. Il Cardinale entrò dal Papa dicendo a Don Bosco che avrebbe egli stesso chiesta l'udienza. Don Bosco restò in anticamera. Omettiamo per debiti riguardi il dialogo che si svolse, quando il Macchi vide là Don Bosco. All'uscire del Cardinale il Papa dava udienza pubblica, sicchè [866] non poteva intrattenersi col Beato. Sua Eminenza, udito l'incidente, rimase offeso, rimproverò il Maestro di Camera e lo minacciò degli effetti del suo sdegno, se continuasse a osteggiare in quel modo Don Bosco. Finalmente ai 16 di marzo, come abbiamo narrato, il Servo di Dio potè trovarsi per la prima volta da solo alla presenza di Leone XIII.
Il Conte, dopo la morte di Don Chiala, dirigeva le Letture Cattoliche e curava edizioni di opere religiose. Allora aveva tra mano la Fabiola, pubblicata la prima volta dalla Tipografia dell'Oratorio nel 1878. Questo è il racconto, per cui Don Bosco gli fa raccomandazioni.
A me pure pare già troppo lunga la mia assenza da Torino. Spero che la mia partenza avrà luogo fra pochi giorni.
So che ha molto da fare, ma so parimenti che Dio ha molti mezzi per ricompensarci, sopra tutto nel caso nostro che il lavoro è tutto della maggior gloria di Dio.
Per quel racconto storico del 3° secolo badiamo che ci sia niente da ledere la tenera e mobile mente della gioventù in morale; neppure la politica del giorno. Io rimetto tutto alla sua prudenza.
È vero che dovrà ritardare alquanto le sue ordinazioni, ma credo che per Pentecoste potrà essere ammesso al Sacerdozio.
Le nostre difficoltà si vanno appianando con grande nostro vantaggio e, giudico, a gloria di Dio?
O sig. Conte, quanto lavoro e quante anime da salvare in questo e nell'altro mondo, cioè in Europa e in America!
Mentre però noto il grande lavoro che la Divina Provvidenza ci va preparando, Le raccomando assai di aversi i più minuti riguardi nella sanità. Quanto fa per sè a questo uopo lo reputo fatto a me.
La prego di salutare da parte mia i Maestri Morganti, Marchisio, Vacchina e Luca, e l'amico Avv. Rossi Michele. Se può trattenersi qualche momento con lui mi fa piacere.
Raccomando infine la povera anima mia alla carità delle sue preghiere, e Le auguro dal cielo sanità e santità. Amen.
Non c'è data; ma dalla prima riga si vede che la lettera è dei 17 marzo.
Ieri cordiale, lunga, interessante udienza particolare dal S. Padre. Egli vuole essere cooperatore. Bisogna che Gastini[466] prepari un diploma Sic. Il resto lo scriverò. Manda una speciale benedizione ai nostri giovani, dicendo: - Scriva loro che siano forti nella fede, che procurino di praticarla senza umano rispetto.
Le cose nostre si fanno bene, ma poco alla volta. Se nuove cose non vengono ad impacciarmi, spero pel giorno indicato essere a Sampierdarena.
Va' a dire alla Signora Lorenzina Mazzè, Mad. Camp..., Clara, Mandillo, M...[467], che ho domandato per loro una speciale benedizione al S. Padre che si è fatto Salesiano e le benedice di cuore.
Del medesimo giorno è questo biglietto per Don Giovanni Battista Rinaldi, della casa di Albano: “ Il sottoscritto dichiara che il sacerdote Giovanni Rinaldi appartiene alla Congregazione di S. Francesco di Sales e lo raccomanda rispettosamente a chi può giovargli perchè possa soddisfare alla sua divozione e celebrare la S. Messa. Roma, 17 marzo, Torre de' Specchi, 36. Sac. Gio. Bosco ”. Il giorno dopo spedì alla contessa Corsi questo telegramma: “ Cordialissime felicitazioni. Santo Padre manda benedizione tutta famiglia ”.
38. Al giovane Pietro Radicati.
Figlio dei conti Radicati. Studiava nel collegio di Alassio ed era aspirante alla Congregazione. Nell'autunno vestì l'abito chiericale col fratello Carlo. [868]
Ho letto con piacere la tua lettera. Ti accetto con pari consolazione tra i miei figli Salesiani. Ci vuole scienza e virtù; ma coll'aiuto di Dio acquisterai l'una e l'altra. A suo tempo puoi anche, farti Missionario, ma ciò sarà concertato insieme.
Dio ti benedica, mio caro figlio, e prega per me che ti sono sempre in G. C.
39. Al chierico Tommaso Pentore.
Fu dei primi mandati da Don Bosco a Marsiglia; ma poco vi rimase, perchè il catalogo dell'anno scolastico 1879 - 80 lo segna ad Alassio. Divenne poi buon oratore sacro.
Ricordati che si dice vadano e non vadino bene.
Lo so che hai un buon cuore e molta affezione per D. Bosco, e per questo motivo io esitava farti la proposta di andare a Marsiglia. Però la nostra Congregazione dilatandosi in tutto il mondo, Marsiglia diventa un angolo della medesima. Non posso andare tanto presto a farti una visita, ma spero che ci parleremo agli esercizi.
Darai da parte mia un pizzicone a Bianchi, un saluto a Nasi, un cordiale bacio di mano a D. Bologna ed un altro al curato di S. Giuseppe, se è già ritornato.
Tu poi sta' allegro; ma non mancare l'esercizio della buona morte una volta al mese, esaminando quid sit addendum, quid corrigendum, quidne tollendum, ut sis bonus miles Christi.
Dio ti benedica, mio caro Pentore, e prega per me che ti sarò sempre in G. C.
40. Al chierico Carlo Baratta.
L'abbiamo trovato a Lucca, un po' sperso. La sua naturale timidezza d'allora non era fatta per lasciar pronosticare [869] quale Salesiano egli sarebbe diventato col tempo. Unì in grado eminente cultura e pietà.
Un po' di prova, ma coll'aiuto di Dio tutto si accomoderà. Scrivi a tua madre che sei a Lucca perchè è luogo molto salubre e dove puoi meglio esercitarti nello studio e nella musica. Disturberebbe tutto andando a casa; che tu preghi tanto per Lei e ci andrai in altro momento.
Io camminerò sulla stessa via. Coraggio, caro Baratta, o in un modo o in un altro, coll'aiuto di Dio, voglio assicurarti la via del Paradiso.
Dirai a D. Marenco, che il prete promesso cadde ammalato, ma che andrà questa settimana accompagnato.
Saluta caramente D. Cappellano mio amico cogli altri nostri amici e benefattori.
Amami in G. C. e credimi sempre
I° Se hai delle reliquie di Pio IX preparate mandamene alcune.
2° Cerca le carte che ho indirizzate al Santo Padre per una casa in Roma, colla lettera del Card. Vicario alle Duchessa di Galiera e mandamele che mi occorrono.
3° Se a Torino nell'Oratorio vi è qualche ascritto abbine cura speciale.
4° Se D. Bologna non è ancora partito digli che passi qua e mi porterà le carte richieste.
5° Sta' attento che niuna mano nemica non guasti i fagiuoli nascenti e rinati.
Dio ti benedica e prega sempre per me che ti sono sempre in G. C.
I “fagiuoli nascenti e rinati” erano i giovani o nuovi o tornati dalle vacanze, i quali appartenevano al “giardinetto”: un gruppo cioè di studenti che, invitati da Don Berto a nome di Don Bosco, ne frequentavano le anticamerette per innaffiare i fagiuoli e i fiori, che si coltivavano in vasi nella sua loggia, a fine di averne l'ombra e scacciare i cattivi odori d'estate
42. Al chierico Luigi Cartier.
Vestitosi chierico in età matura, fece a Marsiglia le sue prime prove in quella vita santamente operosa, che doveva poi continuate lungamente a Nizza Marittima.
La tua lettera mi ha fatto piacere. Rincrebbe anche a me di non averti più veduto prima della tua partenza per la Francia; godo però assai che sii contento della tua nuova destinazione. Io non mancherò di volerti bene e pregare per te.
Sono contento della tua condotta: continua, scrivimi sovente. Ritieni però che in terra lavoriamo pel cielo. Là saranno compensate degnamente le nostre fatiche: al cielo, al cielo! Pratica puntualmente le regole nostre e va' avanti. Saluta i nostri confratelli; di' a D. Porani che mi suoni una bella serenata. Dio vi benedica tutti e pregate per me che vi sarò sempre in G. C.
P. S. Niuna difficoltà per la tua ammissione ai voti.
43. A Don Giovanni Battista Francesia.
Direttore del collegio di Varazze. Le alte parole dell'esordio devono essere la risposta di Don Bosco a condoglianze di Don Francesia per le tribolazioni che allora mettevano a dura prova la pazienza del Servo di Dio. [871]
Le prove ci ammaestrano sul modo di dividere e separare l'oro dalla scoria. Noi siamo in continua prova; ma l'aiuto divino non ci mancò mai. Speriamo che non ce ne renderemo indegni per l'avvenire.
Sarà bene a S. Francesco che tu procuri di radunare quei pochi cooperatori che sono in Varazze e fare un po' di conferenza per consolidare sempre più le cose nostre.
Gli affari per cui sono in Roma vanno undequaque favorevolmente, ma sono un po' lunghi. Pazienza. Ti scriverò quanto prima sul tempo in cui potremo trovarci a Sampierdarena e poi a Varazze.
Mi raccomando di fare un cordialissimo saluto ai nostri cari confratelli e a tutti gli allievi del collegio. Di' loro che il Papa manda a tutti una speciale benedizione. Desidero poi che tu scelga un giorno per farli stare tutti allegri, ma che in quel mattino facciano tutti una santa comunione per me che ne ho vero bisogno.
A rivederci, caro D. Francesia, e prega per me che ti sarò sempre in G. C.
P. S. Ho incontrato Pardini e Pretruccio che ti salutano.
Direttore del collegio di Valsalice. La “ allegria generale ” accennata nel poscritto la portava Don Bosco ai suoi figli di Albano Laziale. Dimentico di sè e de' suoi dispiaceri, li esilarava, come dice Don Varvello che era presente, con amenità deliziose e specialmente raccontando a modo suo le Storielle di Cuneo.
Ho gradito assai i tuoi augurii e quelli de' tuoi e miei allievi. Mi rincresce che non posso rispondere a ciascuno una lunga lettera. Fanne tu le veci mie per ora. Spero di poterlo fare poi io stesso tra non molto tempo.
Il Card. Oreglia saluta tutta la famiglia di Valsalice, nominatamente i nipoti Pio, Giuseppe etc.
Il S. Padre va migliorando e manda a tutti una speciale e cordiale [872] benedizione. Io pregherò per tutti voi. Fate per me una santa Comunione. Dio ci benedica tutti. Di' il resto in vece mia. Amen.
I saluti da parte di D. Berto, dei sigg. Sigismondi e del tuo sempre in G. C.
PS. Sono ad Albano. Tutti bene. Allegria generale. Ti salutano.
Vice direttore dell'Oratorio. Il Beato è a Roma e in un mar d'affari; pure tiene dietro minutamente alle cose di Valdocco.
Da parte mia ringrazierai Ortiglia e tutti i confratelli della Compagnia di S. Giuseppe e per le preghiere fatte per me e per la buona memoria che conservano verso di chi li ama sinceramente in G. C. Giunto a Torino esprimerò poi coi fatti la mia contentezza.
In mezzo alle feste di questo mondo dobbiamo sempre mischiare le lagrime.
Gli scandali di G... vogliono riparazione e perciò procedi Pure come mi scrivi. Tu puoi dire a Buzzetti che come Capo dei laboratorii provveda un legatore capace e metta in libertà G...
Ciò però è bene che si faccia senza nominare me, perchè questa cosa è affidata totalmente a Buzzetti. Se però occorre, tu interverrai come il vero padrone.
Quante cose avrò da raccontare ai nostri cari giovani! Salutali da parte mia, di' loro che li ringrazio delle preghiere fatte per me: il Papa manda loro la Santa Benedizione; io li raccomando ogni giorno al Signore nella S. Messa. Fra breve sarò tra di loro.
Dirai a D. Rua che se niente viene a turbare i miei progetti, la sera del martedì, a Dio piacendo, sono a Sampierdarena.
Dirai a Pelazza che ho ricevuto con piacere la sua lettera, che stia allegro e mi saluti Barale, Buzzetti, Ferrari e Ghiglione. Riguardo a questo ultimo previeni solamente D. Rua e poi mettilo pure a nostra tavola. A V... dimanda se gli fa piacere d'andarvi, ma almeno che voglia essere fra gli aspiranti. Mi rincrescerebbe riceverlo un giorno a nostra tavola e che il giorno dopo ci abbandonasse. Come conchiuderai con D. Rua è ben fatto.
Dirai a D. Rua che disponga che il sig. Conte Cays, Bonora, Ameno possano andare a fare gli esercizii a Borgo S. Martino; ma si prevenga [873] il Vescovo di Casale, se può fare il favore a tenere ordinazioni il Sabato Santo per alcuni ordinandi di Borgo S. Martino, perciocchè essi devono considerarsi di quella casa, come di fatto li costituisco tali. Ciò ad evitanda guai.
Dio ci benedica tutti ed abbimi sempre in G. C.
Scrive da Crabbia, frazione del comune di Petenasco nella provincia di Novara sul lago d'Orta. È probabile che fosse andato a visitare la famiglia Fortis, solita a villeggiare colà.
Ti mando una lettera da portarsi al sig. Prefetto di Torino. Sarà prima posta in una busta e chiusa sic con sigillo di ceralacca e l'indirizzo:
Il Sig. Comm. Minghelli Vaini pref. della città e prov. di Torino.
Si porti da qualche rispettabile, attenda un momento se mai facesse risposta.
Sarà bene di aprire l'occhio sopra due cose importantissime.
I° Quando uno viene all'Oratorio aspirante alla Congregazione, specialmente se prete o professore, non si lasci inoperoso, ma se gli dia qualche cosa da fare.
2° Si faccia in modo che almeno i preti abbiano una camera da solo,
Dopo domani a sera alle 7, 25 spero di essere a Torino.
Dio ci benedica tutti e credimi sempre in G. C.
47. A Don Giovanni Battista Francesia.
Ordinariamente toccava a Don Rua sbrogliarsela con i creditori; essendo egli a Parigi, venivano ora a tempestare Don Bosco. [874]
Vediamo fin dove vada la tua celebrità. D. Rua andò a Parigi e mi lasciò letteralmente senza quibus con un mucchio di passività tutte urgenti. Tu adunque pel povero D. Bosco metti a parte tutti i quattrini disponibili; anzi se ne hai occasione fa anche un mutuo e poi lunedì o martedì mi porterai quanto puoi, ma non meno di 20 mila franchi.
Nota bene: se mi porti un buon marsupium, daremo un buon pranzo con parecchi amici. Vedrai. Parleremo anche dei nostri affari.
Dio ti benedica, o sempre caro D. Francesia, saluta tutti i nostri cari e prega per me che ti sarò sempre in G. C.
Direttore della casa di Vallecrosia. Eran molte le brighe per l'acquisto dell'arca necessaria alla costruzione della chiesa e dell'istituto.
Ti spedisco il ch. Allavena che alla visita militare si presenta con buona intenzione di esserne libero. Procura tu che le cose riescano bene. Dammi notizie della pratica Migone e dimmi se i signori padroni siano ritornati e se sia caso di scrivere qualche lettera in proposito. Che ne fu della trattativa Cabagni? Di quattrini come stai? Il terreno da voi vagheggiato basta al bisogno?
Un caro saluto a te, a tutti i nostri cari. Pregate per me che di te e di loro sarò sempre in G. C.
49. A Don Giovanni Battista Francesia.
Dopo una visita fatta al collegio di Varazze mandò al Direttore una serie di osservazioni, specialmente sui coadiutori della casa. [875]
I° Ogni giovedì od altro giorno dopo la visita del SS. Sacramento, o più tardi, il Prefetto faccia una breve conferenza se non a tutti i Salesiani, almeno ai coadiutori.
2° Si dice che vi siano coadiutori di più: se è vero, se ne mandino altrove.
3° Cantù[468] pare che eserciti troppa autorità, o almeno con eccessiva severità. Mangia e beve fuori di ora, anche in cantina, con altri. Si fa servire in camera meglio che il Direttore, dicono. Sarà necessario che vada a tavola coi Superiori.
4° Sarà opportuno che tutti i coadiutori professi triennali o perpetui abbiano tutti trattamento eguale, e se è possibile siano alla mensa dei preti. Così fanno i Gesuiti, gli Oblati, i Francescani etc.
5° Ogni mese il rendiconto specialmente dei coadiutori.
6° Non vi sia più d'una chiave per la cantina.
7° Il Direttore per sè o per altri, che riferiscano faccia almeno una volta la settimana la visita nello studio, nella prefettura, nella cucina, nella dispensa, e nella cantina.
8° Studiare modo che si abbia piena comodità di confessarsi tra gli allievi, quando ciò desiderano. 1878]
Fra gli autografi di Don Bosco abbiamo rinvenuto questi quattro gruppi di osservazioni, scritte da lui in tempi diversi per il Superiore che aveva la responsabilità diretta sull'andamento dell'Oratorio.
I° Quando vi è il piccolo clero, niuno esca dopo la Messa, se non quando siano terminate le comuni preghiere in chiesa.
2° Se si studia e pratica un mezzo di uso moderato del gaz, forse verrà risparmiato un terzo di spesa.
3° Si studi di togliere l'usanza da qualche tempo introdotta di suonare il campanello all'Agnus Dei della Messa, ossia al Domine, non sum dignus.
Don Lazzero per la conferenza prossima ricordi:
I° Si provveda che dopo le orazioni della sera fino al tempo della colazione vi sia assoluto silenzio. [876]
2° Dopo la preghiera della sera ognuno vada a riposo.
3° Ogni impiegato, prefetto, direttore, maestri, assistenti, catechisti ecc. si procurino il rispettivo regolamento e se ne procuri l'osservanza.
I° Avvisare che non si tralascino le letture, ma si trasportino.
2° Si faccia in modo di ottenere silenzio dalla sera dopo le orazioni fino dopo Messa.
3° Non si lascino giovani in cortile in tempo di scuola, di studio, di sacre funzioni, di levata.
4° Silenzio nell'andare dallo studio in Chiesa e viceversa.
5° Preghiere, canti precipitati.
D. D. Lazzero studii e si adoperi affinchè si metta in opera l'antico articolo del regolamento in forza di cui niuno può tenere presso di sè vino od altri liquori di sorta.
Si prendano i dovuti temperamenti pei commestibili: I° Chi adduce motivi di malattia, vada nell'infermeria, oppure a casa propria. 2° Ciò s'intende per gli allievi e non pei professi.
Esercitava ed esercitò per molti anni con zelo il sacro ministero come viceparroco nella parrocchia di San Giovanni Evangelista alla Bocca. Vive tuttora (1931).
Con piacere ho ricevuto la tua lettera, le notizie e gli auguri che mi fai. Prego Dio che te li moltiplichi e ti dia sanità, sapienza e santità da poter lavorare per dieci almeno fino alla metà dell'altro secolo.
So che hai molto lavoro; ma fa quello che puoi e non di più.
Tutte le cose in principio sono difficili e noi ci troviamo in questo caso. Però omnia possum in eo qui me confortat, come dice S. Paolo. Saluta Gioia, Scavini e gli altri nostri confratelli. Se Scavini mi scrive mi farà piacere. A Gioia dirai che non dubiti: gli voglio bene, prego per lui, e gli risponderò quanto prima. [877] Saluta pure i nostri cari allievi o meglio i giovanetti dell'ospizio e specialmente quelli che si sono fatti o dimostrano volontà di farsi Salesiani.
Mi raccomando alle preghiere di tutti; tu pure prega per me che ti sarò sempre in G. C.
Col consenso del destinatario pubblichiamo questa lettera confidenziale, non facendo il nome della persona.
Dio ti permette una grande prova, ma ne avrai grande guadagno. La preghiera supererà tutto. Lavoro, temperanza specialmente alla sera, non fare riposo lungo il giorno, non mai oltrepassare le sette ore in letto, sono cose utilissime.
Principiis obsta; perciò appena ti accorgi d'essere tentato mettiti a lavorare, se di giorno, a pregare se di notte, non sospendere la preghiera se non vinto dal sonno. Metti in pratica questi suggerimenti; io ti raccomanderò nella santa Messa, Dio farà il resto. Coraggio, caro Don, chiudi il cuore, spera nel Signore e va' avanti senza inquietarti.
Prega per me che ti sarò sempre in G. C.
A suo tempo ho ricevuto i tuoi scritti, e con grande piacere. Fatti coraggio. Dio vuole da te dei sacrifizi, ma tiene già preparata la dovuta ricompensa, che è grande assai. Abbi molta pazienza. Sopporta i difetti altrui, affinchè gli altri sopportino i tuoi. Noi qui ti vogliamo sempre bene; preghiamo per te, e Dio ti benedica.
54. A Don Giuseppe Vespignani.
Prefetto nella casa di Mater Misericordiae e poi nell'ospizio di Almagro a Buenos Aires e incaricato dei novizi. Don Bosco soleva dare del tu a' suoi figli, anche diventati Vescovi. Vece però qualche eccezione con Soci entrati in Congregazione già adulti, come col conte Cays, al quale diede sempre del lei. Don Vespignani, sentendosi trattare nello stesso modo, lo pregò di dare anche a lui del tu; ma il Beato gli rispose: - Le darò poi del tu, quando si faccia più buono. - E aspettò fino al 1880.
So che V. S. Car.ma sta abbastanza bene, data ragione alla sua complessione. So che lavora. Ma qui vada adagio; se vuole fare molto, lavori poco, cioè non più di quanto le sue forze permettono.
Desidero però di sapere notizie minute dell'Ospizio, dei Novizi, del Noviziato, dello studio ecc.
Il suo fratello chierico[469] sta bene, ha piena volontà di essere presto e tutto salesiano, e di andarle a fare una visita. Fa sperare bene di sè.
M saluti tanto e caramente D. Milanesio, cui scriverò quanto prima. Dio benedica Lei, suoi figli, confratelli, e ci aiuti a combattere le battaglie del Signore in terra per essere poi degni della corona in Cielo.
D. Nenci[470] è qui con noi. Ha migliorato assai di salute; è impaziente di recarsi in Patagonia.
Dio ci benedica tutti, e preghi per me che le sono in G. C.
Catechista nel collegio Pio a Villa Colón. Don Agostino Mazzarello, menzionato da Don Bosco, era il prefetto.[879]
La tua lettera mi ha fatto piacere. Godo della tua sanità, e del tuo buon volere. Dio te lo mantenga. Io prego ogni giorno per te. Dirai al mio caro Graziano che non lo dimentico nella S. Messa, e che gli scriverò una lettera alla partenza dei nostri confratelli.
Prendi per mano Don Mazzarello e tra tutti due accendete un gran fuoco di carità, le cui fiamme avvampino per tutto il collegio ed altrove.
Tu poi non dubitar della mia benevolenza, che è assai grande per te e per tutti i miei cari figli di America.
In quanto alle cose di coscienza continua come hai scritto. Dopo la tempesta verrà tempo sereno.
Dio ti benedica e prega per me che ti sarò sempre in G. C.
Direttore allora della casa Mater Misericordiae a Buenos Aires.
Carissimo D. Costamagna Giacomo,
Le tue lettere piacquero assai. Fu qui tuo fratello che mi diede buone notizie della tua famiglia. Il tuo nipotino è con noi all'Oratorio, si diporta bene, vuol farsi Salesiano per andare collo Zio in America.
Procura di farmi molti santi novizii, saluta tutti i nostri amici e confratelli, prega per me che ti sarò sempre in Gesù, Cristo.
P. S. Quando si parte per la Patagonia?
Primo Ispettore dei Salesiani nell'America e Direttore della casa di S. Carlos in Almagro.
Carissimo D. Bodratto Francesco,
A suo tempo ho ricevuto la tua lettera e quelle de' miei cari figli residenti in Buenos Aires. Procurerò di rispondere qualche parola [880] a ciascheduno. Tu poi farai la distribuzione delle lettere che riceverai per mano dei Confratelli o delle nostre consorelle.
Benediciamo il Signore che ci favorisce in modo cotanto sensibile.
Per tuo ricordo particolare ritieni.
I° Fare ogni sacrifizio per conservare la carità e l'unione coi confratelli.
2° Quando avrai da fare correzioni o dare consigli particolari non mai farlo in pubblico, ma sempre inter te et illum solum.
3° Quando hai fatto una correzione dimenticare il fallo e dimostrare la primiera benevolenza al delinquente.
Questo è il testamento del tuo amico e padre D. Bosco.
Altre notizie avrai dai nostri cari che vanno per prestare l'opera loro a vostro sollievo.
Fa' un caro saluto ai figli dell'Ospizio, dicendo che io li benedico e li amo molto nel Signore.
Dio benedica te, le opere tue e credimi tutto in G. C.
P. S. Umili ossequi ed augurii al Dottor Caranza ed al Priore della Misericordia.
Hai certamente ricevuta una mia lettera. Qui aggiungo solamente due parole per dirti che sono contento di te, ti amo assai in G. C., e ti raccomando ogni giorno al Signore.
Santifica gli altri santificando te stesso.
Prega per me che ti sarò sempre nel Signore.
Mi piacque assai la schiettezza con cui più volte mi hai scritto. Continua nel medesimo tenore. Ma ritieni per base alcuni avvisi che sono per te il mio testamento.
I) Sopportare i difetti altrui anche quando sono a nostro danno.
2) Cuoprire le macchie degli altri, non mai mettere in burla alcuno quando egli ne rimane offeso. [881]
3) Lavora, ma lavora per amor di Gesù; soffri tutto, ma non rompere la carità. Alter alterius onera portate et sic adimplebitis legem Christi.
Dio ti benedica, o caro D. Remotti; arrivederci in terra se così piace ai divini voleri; diversamente il Cielo ci sta preparato e la Misericordia divina ce lo concederà.
Prega per me che ora e sempre ti sarò in G. C.
Nelle tante lettere, in cui Don Bosco implora la carità o tende grazie per carità ricevuta, una nota che diremo obbligata suol essere l'assicurazione di preghiere sue, dei Salesiani, dei giovani, evidentemente il Servo di Dio ravvisava in questo tributo di orazioni un nobile vantaggio per i benefattori, atto a ricambiarne e a stimolarne la generosità. Orbene, così facendo, egli s'ispirava alle più genuine fonti del Cristianesimo; poichè San Paolo, là dove incita i Corinti alla beneficenza in pro dei bisognosi fratelli, tra i motivi addotti mette pure le preghiere dei beneficati per i loro soccorritori: in ipsorum obsecratione pro vobis[471].
Alcuni pensieri espressi da Don Bosco in questo periodo di tempo si possono agevolmente ricostruire attraverso a parecchi preziosi
Don Bosco fu sempre risolutamente avverso al fare e al permettere polemiche per le stampe. Abbiamo visto qui sopra com'egli esortasse Don Bonetti a smettere di “ battagliare ” sul Bollettino. Il 18 maggio, conversando con lui e con Don Barberis dopo pranzo, gli parlò in questo senso: - Tu ti credi d'aver fatto chi sa che, quando ti sei sfogato un poco. Dici che in certe cose bisognerebbe parlar più [882] chiaro e difenderci con la penna contro vessazioni esterne. Ma che cosa ci si guadagna? Non ottieni forse nulla dai buoni, i quali si lasciano più facilmente persuadere da una semplice asserzione che da un linguaggio veemente; non ottieni forse nulla da quanti non conoscono le cose a fondo; ma poi apri la via al malignare di molti, che desiderano queste invettive, per cogliere una parola imprudente, una frase ambigua, un pensiero esagerato e di lì pigliar motivo a tartassarci. Ma quello che più monta si è che dobbiamo persuaderci che si vive in tempi cattivi. Le autorità cercano appigli per dare addosso alle istituzioni religiose, e appigli ne hanno trovati quasi per tutte e han fatto man bassa su di loro. Noi fino adesso ci hanno lasciati in pace, e credi pure che generalmente fan così non perchè ci amino, ma perchè noi cerchiamo tutte le maniere per non urtare, studiandoci, direi, di passare fra goccia e goccia sotto il temporale senza bagnarci; fanno così anche perchè non abbiamo mai alzata la voce contro chi cominciava a darci molestia e perchè si usò sempre cautela e prudenza somma sia nel parlare che nello scrivere. Io, vedi, potei sempre avere in mano il filo delle cose e conoscere ogni rete che si andava ordendo; ma non permisi mai che si stampasse una riga, la quale ci potesse anche lontanamente compromettere. E andando avanti si terrà lo stesso sistema. Noi abbiamo un campo vastissimo per il Bollettino: c'è da far conoscere le opere da noi intraprese, senza impacciarci di questioni spinose. In questo modo le nostre idee si diffondono pacificamente, si fa gran bene e tutto procede a meraviglia. Mettiti invece a battagliare: domani vi sarà chi entra in polemica con te, ribattendo una tua proposizione con un articolo; posdomani un giornalista irritato per una tua espressione violenta scriverà roba da chiodi contro di noi; il giorno dopo un'autorità qualunque troverà modo di offendersi per un'osservazione forse non abbastanza considerata e fa rumore e riferisce al Ministero; allora da ogni parte si sbarrano gli occhi sopra [883] di noi, si dà l'allarme ed eccoci ridotti a non poter più far nulla ed anche ad essere direttamente perseguitati.
- Osserva le Letture Cattoliche. Oh, del bene se nè fatto con esse! Ora, non c'è forse periodico che esca da tanto tempo e non abbia avuto grandi molestie o non sia stato preso di mira. Parecchi vennero sospesi; ma le nostre Letture furono sempre tranquille nel loro cammino. Per ottenere questo io in più occasioni dovetti subire noie da autori, che volevano a qualunque costo far uscire alcuni libretti nelle nostre Letture; ebbi da superare gravi difficoltà con autorità ecclesiastiche, perchè in questi libretti volevano introdurre argomenti politici. A tutto ciò io sempre mi opposi, e così s'andò sempre bene. Una volta sola si fece un po' di rumore, e fu quando il Vescovo d'Ivrea di felice memoria, mi ordinò di stampare un fascicolo, che non ricordo più come fosse intitolato; ma fu cosa d'un momento. Credimi, se vuoi che facciamo del bene e che ne facciamo sempre, esponiamo le verità, raccontiamo i fatti, ma non entriamo in polemiche.
Il fascicolo che fece rumore, fu quello del gennaio 1854, secondo anno delle Letture Cattoliche; s'intitolava: Il Catechismo Cattolico sulle rivoluzioni. Non era lavoro inedito, ma riproduceva un'operetta anonima, che aveva già? avuto quattro edizioni. L'ordine di ristamparla venne a Don Bosco da monsignor Moreno, vescovo d'Ivrea, che allora esercitava una parte preponderante nell'amministrazione del periodico. Il Beato, conoscendo gli umori di certa gente, prevedeva che le polemiche ivi sollevate avrebbero irritato molti, e desiderava che non si stuzzicasse il vespaio; ma dovette cedere all'autorità del Prelato. Ben presto i fatti confermarono le sue previsioni; poichè egli n'ebbe chiamate e rimproveri da Autorità civili e altri disturbi di vario genere. Che se non vi furono conseguenze peggiori, il merito ne va ascritto alla sua grande prudenza.
Ora balziamo dal maggio al novembre; questo mese ci [884] offre gli appunti di tre conversazioni. La prima si aggirò intorno al quarto sinodo diocesano, che era stato chiuso il giorno innanzi. Assistevano al colloquio alcuni dei preti più autorevoli della casa. Si lamentava che Monsignore avesse parole troppo dure per i suoi preti e che invece d'incoraggiarli a lavorare li caricasse di rimproveri, quasi fossero essi la cagione per cui le cose della diocesi andavano male. Si conchiude dicendo: - Un incoraggiamento, una parola di fiducia, un riconoscimento che il clero faceva già molto bene per poi dimostrargli che bisognava fare molto di più, avrebbe infuso volontà, zelo, entusiasmo nei sacerdoti. Invece no: il suo discorso fu nel complesso una forte sgridata.
Dopo queste osservazioni Don Bosco si alzò e disse: Avanti, teologi e moralisti che siete tutti: un caso di morale da sciogliere. Questi discorsi che abbiamo fatto, saranno peccaminosi? O almeno si potrà dire che siano derivati da leggerezza di carattere o da imperfezione, della quale abbiamo bisogno di correggerci? - Tutti stettero un momento in silenzio; ma poi si misero a ridere. Ognuno disse il motivo, per cui quella conversazione gli pareva legittima. Uno tuttavia si manteneva pensoso e disse: - Qualche difetto c'è: sono parole oziose. - Don Bosco riprese: - Se non c'è stato malanimo da parte di qualcuno, non c'è stato neppure un peccato veniale. Nemmeno si può dire che siano state parole oziose. Ci troviamo in mezzo a gravi difficoltà: siamo come chi naviga in mezzo a scogli su fragile barchetta. Bisogna bene guardarci attorno per non fare naufragio... Si tratta di difenderci; è quindi necessario far vedere i pericoli, esaminare la natura del terreno, osservare quali armi adoperi chi ci assale...
La seconda conversazione di novembre toccò diversi punti di regime interno. Dopo il pranzo Don Bosco venne a dire con chi gli stava da presso, che urgeva stringere sempre più i vincoli di unione fra l'Oratorio e le singole case. - Temo, [885] disse, che questi vincoli si vadano rallentando. Finchè saran direttori dei collegi coloro che furono educati da Don Bosco stesso, le cose procederanno bene; ma, cominciandosi ora a far direttori individui che stettero poco tempo al fianco di Don Bosco, c'è pericolo di veder scemate le relazioni così cordiali fra gli uni e gli altri. Bisogna proprio che il Capitolo Superiore venga esonerato dalle faccende particolari dell'Oratorio e che si occupi attivamente di tutti i collegi. Conviene che ogni membro del Capitolo abbia tanti segretari quanti gli fanno d'uopo per isbrigare con sollecitudine le corrispondenze. Il sopraccarico delle occupazioni e la ristrettezza del personale oggi fanno sì che restino senza risposta le domande rivolteci dai collegi. Questo dà luogo non solo a inconvenienti, ma anche a freddezze. Poi sarà necessario anche stabilire visitatori, che osservino minutamente, come si vada in ciascuna casa, sicchè si possano prendere tutte le misure opportune. Vedete: se non si tiene corrispondenza personale e per lettera, accadranno col tempo scissure. Finora sè andato tanto alla buona, che, continuandosi di questo passo, un direttore che volesse fare scisma, quasi ne avrebbe la possibilità. Tuttavia al giorno d'oggi una tal cosa non può accadere, a motivo dell'affezione che tutti portano a Don Bosco.
C'era allora in aria un argomento scottante. Vedremo nel prossimo volume le vessazioni cominciate quest'anno da parte dell'autorità scolastica per l'insufficienza dei titoli legali d'insegnamento. La lingua batte dove il dente duole: la conversazione piegò Il sopra e durò, pare, a lungo. Briciole delle cose dette sono in questi appunti: - Finora, interloquì Don Bosco, i nostri collegi sono andati avanti passando illesi, quasi direi, fra goccia e goccia. Abbiamo mantenuto, finchè si poteva, la legalità e or in un modo or in un altro ce la siamo cavata; ma adesso la battaglia è dichiarata. Vorrebbero veder soppressi tutti i collegi tenuti dai Vescovi e dai religiosi; si aprono ogni di più malignamente [886] gli occhi sopra di noi: bisogna che ci premuniamo a tempo. E poi tutti gli anni ci sono nuovi collegi da aprire, e come si farà senza titoli legali? Finora c'era la scappatoia degli esami straordinari per coloro che aspiravano a essere professori di ginnasio; ma ecco che anche questa ci viene tolta. Per fortuna abbiamo parecchi che frequentano l'Università: Don Bertello, Don Bordone, Don Cinzano, Don Cagliero [Cesare], Don Piccono, il chierico Gallo [Besso] e vari altri; parecchi si preparano per esservi inscritti l'anno venturo: così speriamo di superare ogni molestia. Certo bisogna vigilare e premunirci, se non vogliamo fare bancarotta.
Egli aveva appena finito di proferire le ultime parole, quando giunse Don Deppert dalla Spezia, annunziando che Don Bosco era aspettato colà per decidere circa un ampliamento di quella casa; e che là si lamentavano, perchè Don Bosco di quella casa non si curava, quasi che non fosse sua; e che anche i buoni della città si mostravano scoraggiati, e che non sapevano spiegarsi come mai Don Bosco pensasse così poco a un bisogno così sentito. - Alla Spezia, rispose il Beato, intendo di procedere adagio e con precauzione, e piuttosto spingere gli altri a fare che non operare io stesso. Se però quel Direttore mi avesse mandato otto mesi fa a Roma la relazione chiestagli, con l'aiuto del Santo Padre e di alcuni Cardinali si sarebbe già potuto costrurre un edifizio più grande. - Abbozzò poi egli stesso una relazione, che spedì a Don Rocca, perchè su quel canovaccio preparasse uno scritto a modo da umiliarsi al Santo Padre[472].
La terza conversazione fu tenuta da Don Bosco il 27 del mese con il solo Don Barberis. Recatosi questi nella sua camera verso le cinque pomeridiane, il Beato passeggiò con lui per un'ora e mezzo nella galleria. Avvisi d'ufficio, andamento dell'Oratorio, progressi della Congregazione, confidenze personali fornirono il tema a quel lungo conversare. [887]
Le due conferenze settimanali che fai agli ascritti, disse, siano pure fra i tuoi doveri; ma vedi che una volta al mese ne sia incaricato Don Cagliero, come pure Don Bonetti. Così tu potrai avere un po' di sollievo, mentre vi sarà per gli altri Superiori un'occasione di parlare agli ascritti e di farsi da loro conoscere. Questo servirà a stringere con vincolo sempre più forte i fratelli minori ai fratelli maggiori. Ma il motivo principale è un altro: vi sono argomenti che vanno ribaditi cento volte; se parla sempre il medesimo conferenziere, finisce con rendersi noioso; se invece viene uno nuovo, tratta la cosa un po' diversamente, reca nuovi esempi, nuovi paragoni, nuovi argomenti, porta una forma e un ordine nuovo, e la verità s'imprime più gradevolmente negli animi. Vi sono poi avvisi, i quali non conviene che siano dati da te, e che farai dare da costoro, essendo molto opportuno che assegni tu l'argomento da trattare.
Ciò detto, fece un'importante osservazione di carattere generale. - Il nostro grande studio, soggiunse, sta appunto nel saper far lavorare gli altri. Quando s'incontra chi si sobbarca volentieri a certi lavori e li compie di buona voglia e bene, allora quel tale ci allevia la fatica. E quando uno non ci riesce, se ne cerca un altro. Nei tempi antichi dell'Oratorio lo studio più grande di Don Bosco fu sempre di trovar persone e modi per farsi aiutare.
Tornò poi alle osservazioni particolari. - Fa' sì, gli disse, che i nostri ascritti imparino a scriver bene le lettere. Non par vero come in questa parte si manchi anche da gente istruita e da preti. Eppure, massime per noi, è cosa importantissima. Una famiglia talvolta giudica non già di un individuo, ma del collegio intero ed anche di tutta quanta la Congregazione da una lettera che riceve da qualche confratello. Per lettere scritte malamente da un prefetto furono ritirati molti giovani da un collegio. Facciamo adunque così: dirai a tutti gli ascritti che nella prossima novena dell'Immacolata Concezione mi scrivano una lettera; ma siano avvisati che [888] la voglio scritta con tutte le regole che si debbono osservare perchè una lettera sia ben fatta. Io darò un premio ai due che riusciranno meglio. L’argomento della lettera sia lasciato a loro scelta. Mi raccontino qualche vicenda della loro vita o mi augurino buona festa o mi dicano tutto quello che vogliono dirmi, ma ciascuno scriva meglio che può. Per bene riuscirvi leggano l'appendice del Regolamento; anzi se ne faccia loro la spiegazione. Così otterremo il nostro intento.
Si venne quindi a esaminare se convenisse togliere da un ufficio un chierico dell'Oratorio che faceva molto bene, per mandarlo in un collegio, dove chi aveva lo stesso ufficio non ci riusciva guari. Don Bosco osservò: - Non guastiamo mai un posto per accomodarne un altro. - Di lì il discorso si portò sul gran bene che si opera in casa e generalmente dalla Congregazione. Don Bosco parlò così: - Disse bene ieri Don Cagliero: oh quanti giovani abbiamo che potrebbero benissimo fare ricreazione con san Luigi! Sì, quanti vi sono che conservarono l'innocenza battesimale e che qui nell'Oratorio, sebbene nell'età più pericolosa, continuano a conservarla! Quanti, e sono i più, già vinti parecchie volte dal demonio, appena venuti qui, hanno cambiato vita! Sembra proprio che entrino in un'altra atmosfera: dimenticano affatto le vecchie cattive inclinazioni e passano anni e anni in modo da poter dire con tutta verità che non han fatto nemmeno un peccato veniale deliberato! Questo ci deve consolare; questo è che mi ha spinto sempre a estenderci molto: perchè pare proprio che dove la Congregazione pianta le tende, ivi abbondi la grazia del Signore.
Un recente incontro con monsignor Ferré, vescovo di Casale, uomo dotto e buon osservatore, aveva dato occasione a un discorso simile. Il Vescovo, investigando il motivo per cui la Congregazione si estendeva tanto e i collegi salesiani progredivano così bene, aveva pronunciato in presenza di ragguardevoli persone due giudizi che Don Bosco dichiarò rispondenti a verità e ch'ei riferì quel giorno a Don Barberis. [889] Don Bosco, diceva monsignor Ferré, ha due grandi segreti, che sono la chiave di tutto il bene operato da' suoi. In primo luogo egli imbeve talmente i giovani delle pratiche di pietà che, quasi direi, li inebria. L'atmosfera stessa che li circonda, l'aria che respirano è impregnata di pratiche religiose. I giovani, così impressionati, non osano quasi più, anche volendo, fare il male; non hanno mezzi di farlo; devono assolutamente muovere contro la corrente per divenir cattivi; trascurando le pratiche di pietà, si troverebbero come pesci fuor d'acqua. Questo è che rende i giovani così docili, che li fa operare per convinzione e per coscienza, sicchè una ribellione non è neanche possibile immaginarla. Le cose vanno bene per forza irresistibile. Ma come fare a tenere tanti chierici e preti giovani, nel ministero più pericoloso, nell'età più critica, senza ch'eglino stessi cadano? Qui è il secondo segreto. Don Bosco accumula su ciascuno tante cose da fare, li carica tutti di tante faccende, di tanti pensieri e sollecitudini, che non han neppure il tempo di volgere la mente ad altro. Chi può appena respirare, pensate se può essere tratto al male! Vi sono a Borgo S. Martino due chierichetti che non sembrano ancora buoni a nulla; eppure studiano per sè, si preparano ad esami, fanno scuola, assistono. Come si fa a non camminare sicuri in materia di moralità, quando si lavora a questo modo?
Riferite queste osservazioni del Vescovo di Casale, il Beato commentò: - Mi pare che siano veramente due belle e buone verità. Quanto alle pratiche di pietà, si cerca di non opprimere i giovani, anzi di non istancarli mai; si fa che siano come l'aria, la quale non opprime, non istanca mai, sebbene noi ne portiamo sulle spalle una colonna pesantissima: la ragione è che interamente ci circonda, interamente c'investe dentro e fuori. Che poi si lavori molto... eh sì!... specialmente quest'anno! Conta un po', Don Barberis, quante case si sono aperte.
Don Barberis fece il calcolo, non solo includendovi le [890] case delle Suore, ma individuando le opere con qualche latitudine di criteri, e disse: - Sono venti le case aperte nel solo corso di quest'anno, e cioè in Italia a La Spezia, a Lucca, a Montefiascone, a Quargnento, a Lu, a Chieri, a Nizza Monferrato, a Este; in Francia poi vi è Marsiglia Ospizio, Marsiglia Matrice, Navarra Ospizio, Navarra Scuole, Navarra Suore; e poi in America, Colón Suore, Montevideo Ospizio, Montevideo Suore e Las Piedras; e a Buenos Aires, abbiamo San Carlo Chiesa, San Carlo Ospizio, la Bocca Suore, Ramallo parrocchia.
- Si fa presto a dire! ripigliò Don Bosco. Ma è una cosa strepitosa; e questo senza contare le case, per le quali sono in corso le trattative e che si apriranno poi. E che dire di quelle altre che ci fecero fare lunghe, complicate e noiose pratiche da doverci quasi perdere la testa, e poi tutto andò a monte? È la grazia del Signore che trionfa. Oh com'è grande questa grazia per chi ne travede il mistero e le vie! Ne sono effetti la bontà dei giovani e l'estendersi della Congregazione. Ma questi sono gli effetti esterni. Ben maggiori sono gli interni.
Qui il Servo di Dio facendo a confidenza con Don Barberis, di cui amava tanto l'innocente semplicità, toccò di cose più intime. - Oh se Don Bosco potesse parlare! Noi, per esempio, a ogni passo che facciamo, siam sicuri di riuscire a bene. Alcune volte si dice che Don Bosco manda un ragazzo a capo di una casa e la prudenza umana ci avverte che l'istituto non potrà affatto progredire nè essere ben regolato con quel tal individuo per superiore, del quale è nota la debolezza di carattere o altro difetto. Si critica anche Don Bosco. Ma egli va avanti con passo tranquillo e sicuro per il suo sentiero, e finora non abbiamo ancora dovuto retrocedere... Chi poi vede il lavorio misterioso che si opera nelle anime? Viene uno a confessarsi: dice le cose sue.
- Ma e la tal cosa e la tal altra che hai fatta in questa, in quella circostanza, con i tali mezzi?
- Ohimè! è vero; non ho mai osato dirlo.
- Viene un altro e finita un'enumerazione di colpe dice: Basta!
- Ma tu hai ancora qualche cosa.
- Ebbene io non ti posso dare l'assoluzione.
- Quel tale certe volte tace e va via; muta confessore e tace ancora; finalmente viene a gettarsi ai miei piedi, stimolato dal rimorso e dice: Sì, Don Bosco, io sono un sacrilego fino all'ultimo eccesso; non mi sono mai confessato bene; ora voglio mutar vita e le dirò tutto; ringrazio la misericordia di Dio che mi salva. E talora sono giovani avanti nell'età o negli studî, taluno anche prossimo agli ordini maggiori. Queste, sì, che sono grazie al tutto straordinarie! Ecco perchè si può camminare avanti con sicurezza.
- E questo estendersi tanto della Congregazione? Si può dire che tutti sono contro di noi e che noi dobbiamo lottare contro tutti. Il mondo legale ci è assolutamente avverso; anche certi Ordini religiosi, vedendo sè in decadenza e noi in continuo progredire, ci guardano così così. Il vento soffia contrario alla nostra navigazione nelle curie, nelle famiglie, nella società. Se non fosse proprio Iddio che lo vuole, sarebbe impossibile fare quanto si fa. Quello però che al presente ci fa ammirare ancor più la bontà della divina Provvidenza si è non solo andiamo avanti, ma abbiamo dinanzi agli occhi un orizzonte chiarissimo, sappiamo cioè dove si va, la nostra via è tracciata...
In quell'anno si era trepidato per la salute e per la vita di Don Bosco; dovette quindi riuscire di sommo conforto il sentirlo parlare in modo da potersi arguire che egli non si credesse così vicino al termine de' suoi giorni. Soggiunse infatti: - Se io avessi a morire in questo momento, lascerei [892] le cose della Congregazione non ben definite, anzi alquanto intricate. È vero che ora ci siete voi altri, e s'andrebbe avanti come vanno avanti le altre Congregazioni; ma adesso le cose non sono ancora portate al punto, a cui devono arrivare. Si debbono ancora fare passi, di cui adesso non c'è nemmen l'idea: li vede solo chi da tanto tempo tiene in mano le fila. Oltre a ciò restano da attuare vari disegni particolari. Io, per esempio, ho i miei progetti riguardo agli studi: bisogna che li insinui a poco a poco, ma oggi non se ne vede ancora nulla. Vi sarebbe il progetto per una storia della Chiesa su d'un piano tutto nuovo; per non dimenticarmene l'ho già esposto sommariamente a Don Bonetti. Consiste nel porre anzitutto bene in sodo la dottrina degli Apostoli e provare com'essi morirono tutti per attestare la verità di quanto avevano scritto e insegnato, la vita cioè e la dottrina di Gesù Cristo. Poi raccontare la storia dei tre primi secoli in modo che la narrazione converga a provare aver la Chiesa tenuta sempre la stessa dottrina predicata dagli Apostoli e suggellata col loro sangue, mostrando come i martiri dessero la vita per confermare precisamente quelle verità. Verrebbe quindi il terzo periodo, e qui la cosa si farebbe più chiara mediante la successione non interrotta dei Sommi Pontefici, dimostrandosi in pari tempo la dottrina tenuta per tutti i secoli essere sempre quella predicata e suggellata col sangue dagli Apostoli, quella per la quale morirono i martiri... - Qui la nostra guida ci abbandona, avvertendoci solo che “ di molte altre cose si discorse ”, ma che “ per carestia di tempo ” deve troncare i suoi appunti.
All'argomento degli studi si connette, com'è naturale, la cura della biblioteca. Don Bosco amava molto la biblioteca dell'Oratorio: ne abbiamo avuto prove nelle conferenze con i direttori. Il 2 dicembre, passeggiando e confabulando ivi con Don Barberis, esclamò: - Questa sala è piena di libri ed è abbastanza vasta; eppure bisognerà ingrandirla [893] per far posto ad altri volumi. Chi l'avrebbe detto?! Sono circa trentatrè anni, dacchè il povero Don Bosco veniva in questo luogo. Egli portava tutta la sua biblioteca in una cesta: vi erano i breviari, alcuni libri di predicazione, e tutto lì. Ora è avvenuto di questa come di tutte le altre cose. Vi è questo gran salone, vi è quell'altra camera vicina, e non bastano più, ma bisogna ampliare.
Don Barberis gli disse che si trattava di mettere una stufa nella sala grande e un riparo attorno alle scansie, per impedire di prendere libri senza il permesso del bibliotecario; e poi ivi sarebbero venuti a studiare i preti e i professori. Quando una cosa è necessaria, la si faccia pure, gli rispose Don Bosco; ma non si parli di stufe. Noi in seminario non abbiamo mai avuto stufe in nessun luogo, e nessuno si lamentava, e s'andava avanti benissimo. Ora in casa vi è proprio la smania di voler il fuoco, ed io mi debbo impazientire, perchè non si sprechi in questo il danaro. Quando in una camera che sia ben chiusa, si sta in parecchi, che bisogno c'è di fuoco? - Le cresciute agevolezze che sono proprie del vivere presente, raddoppiano in noi l'ammirazione per le austere abitudini dei nostri padri.
Carismi straordinari sono le accennate intuizioni delle coscienze; non meno tali devono dirsi le predizioni sulla vita e sulla morte altrui, registrate in altra parte del volume. È innegabile che albergava nel nostro Beato lo spirito di profezia. Una delle ultime volte che fu a Mornese, uscendo dal refettorio fra un chierico e un professore laico venuti dal collegio di Borgo S. Martino, pose una mano sulla spalla del secondo e accennando col capo al primo disse con voce intelligibile a entrambi: - Che ne sarà di questo chierico? L'interrogato rispose: - Un gran predicatore. - O un gran peccatore - soggiunse Don Bosco. Infatti, abbandonata [894] la Congregazione e ordinato prete, fece piangere la Chiesa tortonese[473]
Nel 1878 morì la madre di Don. Domenico Belmonte. Nel 1864, visitando il figlio chierico nell'Oratorio, aveva manifestato a Don Bosco il timore di non arrivar a vederlo prete. Don Bosco le disse: - Non solamente lo vedrà a dir Messa, ma si confesserà anche da lui. - Così avvenne. Colpita da carbonchio, si trovò rapidamente in fin di vita. Don Domenico accorse da Borgo S. Martino, dov'era direttore. La madre lo pregò di chiamarle il parroco, suo confessore; ma questi stava assente. Allora: - Confessami tu - disse al figlio. E il figlio la confessò.
Nel luglio del 1878 un Salesiano che stava nell’Oratorio, salì affannato da lui per dirgli che aveva la mamma moribonda a Caramagna. Il Servo di Dio gli rispose: - Sta' sicuro che tua madre non muore, ma vivrà ancora parecchi anni... Domani mattina, prima d'andar a casa, passerai in sacrestia alle sette e mezzo, e io ti darò la benedizione per tua mamma. - Quegli fu puntuale. Don Bosco, fattolo inginocchiare e dàtagli la benedizione, gli disse: - Io la mando a tua madre; e tu, giunto a casa, la troverai perfettamente guarita. - Sereno, ma impaziente di vedere come stessero le cose, partì. Arrivato a casa, ecco la buona genitrice farsi innanzi e dargli il benvenuto. Quella mattina, alle sette e mezzo precise, improvvisamente erasi sentita rivivere, parendole che una mano invisibile la tirasse fuori dal letto.
Ma in quest'argomento di doni soprannaturali un posto d'onore tocca alla storia di Don Garrone per un complesso di fatti straordinari, quali non si leggono se non nelle vite dei grandi Santi[474]. [895]
Evasio Garrone entrò come studente nell'Oratorio il 4 agosto 1878. Aveva diciott'anni e a casa sua faceva il negoziante. Erano le sette della sera. Giunto alla porta della sacrestia, vide una processione di giovani avviarsi là entro. Curioso seguì la corrente ed ecco ivi un prete che confessava, attorniato da molti ragazzi che si preparavano. S'inginocchiò con essi, ma pensando più a casa sua che non a' suoi peccati.
Venuto il suo turno, impreparato com'era, restò muto, nè riusciva a ricordarsi di un solo peccato. Allora quel prete gli disse: - Parlerò io. - E uno dopo l'altro per ordine di tempo e con le indicazioni dei luoghi gli snocciolò tutti i suoi peccati, indicandone il numero e le circostanze. Ciò fatto, gli diede alcuni avvisi con tanta unzione e con tanto affetto che ad ogni sua parola egli si sentiva sempre più confortato, e la contentezza del cuore gli crebbe a segno che gli sembrò di essere in paradiso. In ultimo il confessore disse al penitente: - Garrone, ringrazia la Madonna; dopo sei anni che tu sospiravi, ella ti ha esaudito. Stile sempre divoto, ed ella ti salverà ancora da tanti pericoli.
Dall'età appunto di dodici anni il giovane nutriva il segreto desiderio di farsi prete; ma, conoscendo essere impossibile per la sua famiglia mantenerlo alle scuole, non aveva manifestata ad anima viva quella sua inclinazione. A diciott'anni, sentito parlare di Don Bosco e ridestataglisi in cuore la speranza, si presentò al parroco e a lui per il primo svelò il suo pensiero, il parroco, ascoltatolo con bontà, gli ottenne di venir accettato nell'Oratorio. Ognuno pertanto immagini il suo stupore quando si udì precisare il tempo trascorso dacchè alla sua mente erasi affacciata l'idea di farsi prete, e poi si sentì chiamare per nome così subito nell'istante del suo ingresso, con tutto il resto che abbiamo narrato.
Finita la confessione, si ritrasse in un canto della sacrestia, si pose in ginocchio e con le mani dietro la schiena se [896] ne stava là da smemorato, contemplando quel misterioso confessore, che gli aveva scoperti tutti i suoi segreti. Diceva fra sè: - Che questo prete, il quale mi conosce così bene, sia del mio paese? Ma a Grana io non l'ho mai visto! Come fa dunque a conoscermi così ? - Pensava alla confessione, pensava alle belle parole udite, nè tra meravigliato e commosso sapeva, levarsi da quella posizione.
All'indomani, mentre stava in cortile, vide tutti i giovani correre verso un prete che allora si avanzava. Corse anche lui. Era proprio quel della confessione. Appena gli fu vicino, udì che diceva a un giovanetto: - Ti voglio far cuocere. Indi, rivolto a lui, soggiunse: - Anche qui Garrone lo voglio far cuocere. - Ma insomma, almanaccava fra sè Garrone, chi è questo prete che mi chiama per nome, che sa tutti i miei affari, che mi vuole far cuocere? - E senz'altro lo interrogò: - Dica, ma lei è del mio paese?
- Io no, rispose il prete. Mi conosci tu?
- Io non l'ho mai visto. - Ciò detto, chiese a un vicino chi fosse quel prete. Don Bosco, il Direttore dell'Oratorio...
- Sì, sono Don Bosco, replicò il prete sorridendo.
- Ma non è lei che mi ha mandato la lettera di accettazione!...
- Così io parlava, spiegò Don Garrone a Don Lemoyne, perchè era un giovane di grosse maniere e non sapeva quello che mi dicessi. Da quel punto però sentii per Don Bosco una profonda venerazione.
Non andò guari che fece conoscenza con alcuni giovani della compagnia del giardinetto - . Don Berto di lì a poco accettò anche lui nella compagnia. Un giorno che Don Bosco lo vide intento a innaffiar i fiori, gli disse: - Bene! lascia fare a me, ti farò mio giardiniere.
- Ma Don Bosco, io voglio farmi prete, gli rispose.
Garrone che non voleva farsi Salesiano, tacque per timore [897] di recargli dispiacere, e si affrettò a terminar il lavoro per fuggirsene dalla loggia.
Nell'inverno[475] fu testimonio di un prodigio. Con un suo compagno per nome Franchini serviva la Messa a Don Bosco nella cappelletta presso la sua camera, quando all'elevazione videro il celebrante estatico e con un'aria di paradiso sul volto: sembrava che rischiarasse tutta la cappellina. Quindi a poco a poco i suoi piedi si staccarono dalla predella ed egli rimase sospeso in aria per ben dieci minuti. I due servienti non arrivavano ad alzargli la pianeta. Garrone, fuor di sè dallo stupore, corse a chiamare Don Berto, ma non lo trovò; ritornando, arrivò mentre Don Bosco discendeva: ma nel luogo aleggiava un non so che di paradisiaco[476].
Terminata la Messa e terminato anche il lungo ringraziamento, Garrone, portandogli al solito il caffè, gli disse: Ma Don Bosco, che cosa aveva questa mattina nel tempo dell'elevazione? Come va che diventò così alto alto? - Don Bosco lo guardò un istante e poi gli disse: - Prendi un po' di caffè anche tu. - Garrone, accortosi che egli non amava di sentir parlare del fatto, sorbì in silenzio il suo caffè. Tre volte egli assistette a questa lievitazione di Don Bosco nel tempo della santa Messa.
Coi fiori i giovani del “giardinetto” coltivavano pure, come si è detto sopra, alcune piante di fagioli entro cassettine piene di terra e poste dinanzi alle finestre della loggia, perchè con le viti impedissero ai raggi del sole di penetrare nelle stanze di Don Bosco. Quando i fagioli erano maturi, glieli [898] facevano cuocere, ed egli li dava a mangiare ai giardinieri.
Farò cuocere anche voi altri soleva dire allora.
Nel 1879, radunati tutti i suoi fagioli, com'ei chiamava i giovani del "giardinetto " fece loro una conferenza e infine disse: - Alcuni di voi andranno a casa in vacanza; uno di costoro andrà a casa col desiderio di ritornare nell'Oratorio, ma, vinto dai parenti, andrà in seminario. Altri torneranno per mettere la veste da chierico e stare con Don Bosco. Uno morirà. Un altro, tornato per fare gli esercizi, non potrà andare a Lanzo, perchè dovrà assistere un suo compagno moribondo.
Tutto si avverò a puntino. Garrone, ritornato alla vigilia degli esercizi, voleva ripartire per Lanzo, quando gli fu detto: - Va' ad assistere Tavella Emilio che è gravemente ammalato. - Corse nell'infermeria, dove l'infermo visse ancora un giorno e una notte.
Nel 1881 Garrone, fatta l'ultima confessione sul finire dell'anno scolastico, si sentì dire da Don Bosco: - Per un po' di tempo, o Garrone, non ci rivedremo più. Tu andrai a fare il soldato, e ti manderanno molto lontano da Torino; ma ricordati sempre della tua guida, Maria Santissima Ausiliatrice: confida sempre in lei. Maria ti consolerà e ti salverà anche nella tua disgrazia. Ricordati sempre della promessa che hai fatto alla Madonna nella tua prima confessione qui all'Oratorio.
Garrone, piuttosto piccolo di statura e mingherlino, ruminava fra sè: - Questa volta Don Bosco la sbaglia. Com'è possibile che io sia fatto abile, se sono alto un palmo e grosso un dito? - L'inverosimiglianza della cosa saltava agli occhi di tutti, tanto che il direttore Don Lazzero, sentendogli dire con affettata serietà che l'avrebbero preso, gli diede uno scappellotto dicendo: - Va' là! Che cosa vuoi che faccia di te Re Umberto? - Fatto è che dopo tre mesi, estratto il numero e presentatosi alla visita, fu con sorpresa universale dichiarato abile. [899]
Il giorno dell'Epifania dell'anno seguente alle cinque pomeridiane partì per raggiungere il suo quartiere, lasciando la madre moribonda, che spirò di lì a un'ora. Per questa causa giunto in ritardo al distretto, fu messo in prigione e vi passò la notte. La mattina appresso, conosciutosi il motivo dell'indugio, venne messo in libertà. Destinato al 14° reggimento fanteria dovette andar giù fino a Catanzaro. Di là lo mandarono a Cotrone, donde ai 20 di maggio, non ne seppe mai il perchè, ricevette l'ordine di ritornare a Torino per prestare servizio nella compagnia di sanità agli infermi dell'ospedale militare.
Andò subito a trovare Don Bosco, che in confessione gli disse: - Sii caritatevole con gli ammalati e tieni prezioso il tempo. Studia e impara bene, e con quello che imparerai da soldato potrai fare molto bene. Questo è il tuo tempo per fare del bene. Attento però per quel poco che starai a Susa.
Egli non capiva le ultime parole; ma alcuni mesi dopo, passato caporale aiutante, fu destinato nell'infermeria del 5° reggimento Alpini a Susa, dove senza una grazia specialissima della Madonna si sarebbe rovinato e nell'anima e nel corpo. Recatosi a Torino, ebbe da Don Bosco un rimprovero, per essersi dimenticato di Colei che tanto lo proteggeva. Ma gli soggiunse: - Quello che hai incontrato ti servirà di esperienza per fate molto bene in mezzo ai giovani.
Ripensando al caso suo, domandò di ritornare a Torino, dove stette fino al congedo, e andava ogni sabato a confessarsi da Don Bosco. Una di quelle sere Don Bosco, uditane la confessione, gli disse: - Sta' attento a, quell'ammalato; procura che riceva tutto. - Dei suoi infermi Garrone non gli aveva detto nulla; ma, rientrato in quartiere, si avvicinò ad un protestante che era deciso di farsi cattolico. Vedendolo grave, cercò un prete per farlo battezzare, ma non ne trovò nessuno. Allora, presa l'acqua, lo battezzò sotto condizione egli stesso. L'infermo fu preso da tale gioia, che gli gettò le braccia al collo. Di lì a dieci minuti spirava. [900] Licenziato dall'esercito, non sapeva che fare, se cioè andar in seminario o rimanere con Don Bosco. A casa si fermò tre giorni; poi, il giorno che doveva recarsi a dar l'esame per essere ammesso nel seminario, venne, quasi senza sapere quel che si facesse, a Torino nell'Oratorio. Fu mandato a San Giovanni Evangelista tra i figli di Maria. Alla fine dell'anno, confessatosi da Don Bosco, si accusò d'aver perduto più volte la pazienza con un infermo che teneva il letto. - Dopo tre giorni non ti disturberà più gli rispose il Beato. Infatti dopo tre giorni il malato morì.
Garrone parti chierico per l'America nel 1889 con monsignor Cagliero. Mettendo a profitto le nozioni terapeutiche acquistate occasionalmente nelle infermerie, seppe anche provvedersi di un discreto corredo scientifico, sicchè giunse a possedere una non comune perizia nell'arte salutare ed ottenne la facoltà di esercitare la medicina nell'immenso territorio patagonico. A lui si deve il primo ospedale e la prima farmacia di Viedma. Durante un quarto di secolo, unendo alla maestria la carità e lo spirito di sacrifizio, divenne uno dei fattori più efficaci nell'evangelizzazione della Patagonia.
La fama di santità che accompagnò Don Bosco in tutto, si può dire, il corso della sua vita mortale, poggiava senza dubbio su solide basi. Questa fama noi vedremo dilatarsi e crescere straordinariamente d'anno in anno nell'ultimo decennio; ma nel punto a cui siamo arrivati con la nostra storia, essa aveva già il suffragio delle persone più illuminate e più esperte nelle vie di Dio. Sul principiare del 1879 Don Rua e Don Barberis predicarono gli esercizi spirituali alle Vincenzine della Piccola Casa, di cui era superiore il canonico Anglesio. Degnissimo successore del Cottolengo, egli da gran tempo conosceva, stimava e amava Don Bosco[477]. [901]
Ascoltata l'ultima predica di Don Barberis, andò in sacrestia per salutarlo e ringraziarlo. Don Barberis si credette in dovere di ringraziare lui, perchè faceva pregare la Comunità per la guarigione di Don Bosco dal suo mal d'occhi; poi soggiunse che tutti i Salesiani speravano d'aver presto la consolazione di vedere sugli altari il venerabile Cottolengo. Ciò udito, il sant'uomo, solito a non guardare mai in faccia nessuno, lo fissò in volto, gli pose, la mano sul braccio e premendolo due volte gli disse con accento quasi ispirato:
Sì, speriamo, speriamo, e, dopo Lui, Don Bosco. - La parola fece tosto il giro dell'Oratorio, dove fu ritenuta come profetica, massime da chi sapeva quanto l'Anglesio fosse misurato nel parlare. Gli eventi risposero all'augurio o pronostico o vaticinio, che si voglia chiamare.. Oggi poi la figura del Beato Don Bosco giganteggia sempre più sullo sfondo del passato e di fronte al presente; onde è universale e fervido il voto che presto la Chiesa ricinga della maggiore aureola il capo di questo suo figlio glorioso. [900
Lettera di Mons. Fiorani a Don Bosco.
Le invio fin da oggi lo scritto riguardante le modificazioni alle costituzioni dei Concettini secondo le basi principali combinate con lei nel congresso di ieri. Così esaminandolo a mente posata, potrà vedere se tutto risponde alle sue viste, ed ove occorresse, vi faccia pure le sue avvertenze. La prego di riportarlo domenica al fissato congresso in mia casa alle 3 ½ e così conchiuderemo tutto definitivamente.
E raccomandandomi alle sue orazioni, torno a salutarlo ed a dichiararmi con perfettissima stima
Riapro la presente per accusarle il ricevimento della sua lettera. Conoscevo il fatto accaduto al povero F. Gregorio, e per opera di chi. D. Scappini prenda pure il comando, poiché lo ritengo come istallato, e può agire. E’ necessaria la sua visita al Deputato, e se prima potesse passare da me, le dovrò suggerire qualche cosa. Per sua norma resterò in casa nella mattinata.
Visitatore Spirituale dei Concettini.
Extat in hac alma urbe pium Institutum Virorum, qui fratres hospitalarii sub invocatione Beatissimae Mariae Virginis sine labe originali conceptae, vulgo Concettini nuncupantur, erectum usque ab anno 1857 in Archiospitali S. Spiritus in Saxia, eum in finem, ut eius alumni christianae caritatis spiritu ducti aegrotantibus in nosocomiis [906] inservirent. Cum experentia compertum fuerit illud maxime fuisse aegrotantibus utilitati, hinc SS. D. N. pius P.P. IX, ipsum pium Institutum anno 1865 approbavit, eiusque Constitutiones sequiori tempore, anno scilicet 1875, per modum esperimenti ad quinquennium confirmativ, imo etiam pro sua paterna caritate ac munificentia, profusis conspicuis subsidiis, haud semel adiuvavit. Numc vero ad illius disciplinam iuxtia proprias constitutuines instaurandam ac observantiam promovedam et ad abusus contra easdem constitutiones, si qui forte irrepserint, elilinandos. In id deventi consilii, ut Apostolicam in eo visitationem institueret. Quarem eadem Sanctitas Sua in audentia habita ad infrascripto Cardinale Propraefecto huius Sacrae Congregationis negotiis et consultationibus Episcoprurum et Regularium prepositae die … haec sequuntur decrevit atque constituit.
I R.mus D. Ioannes Bosco, Superior Generalis Societatis Presbyterorum a S. Francisco Salesio nuncupatae, erti, quoa vixerti, Visitator Apostolicus in Spiritualibus tantum, ac eius in dicto munere successores, Visitatores aeque in Spiritualibus erunt ad nuntum S. Sedis enunciati pii Instituti Virorum, qui fratres Hospitalarii appellantur sub invocatione Beatissimae marie Virginis sine labe originali conceptae.
II. R. P. D. Aloysius Fiorani Archiospitalis S. Spiritus in Saxia Praeceptor et eiusdem pii istituti Protector eius Visitator Apostolicus erit in temporalibus, ac Praeceptores pro tempore praedicti Archiospitalis erunt Visitatores pariter in temporalibus ad nutum S. Sedis.
III. Suspensa interim remanebit Superioris eiusdem piae societati jurisdictio.
IV. Visitator in Spiritualibus probum et idoneum virum Ecclesiastidum ex sua Societate salesiana, et Visitator in temporalibus item probum et idoneum virum ex Clero sive Seculari sive Regulari subdelegari poterunt, qui eorum vices gerant.
V. Propeterea Vistator in Spiritualibus alios duos ex praelaudata Societate Salesiana viros assumat deputandos, alterum in Professorum spirituale regimen, alterum in Novitiorum ad norman Constitutionum eiusdem Pii Insituti Fratrum, vulgo Concettini, quae firmae remanere debent.
VI. Insuper poterit Visitator in temporalibus, de intelligentia Visitatoris in Spiritualibus, officia pii instituti, prout magis in Domino expedire judicaverit, renovare ac moderari pro recto Communitatos regimine, Postulantes ad habitatum, et Noviotios ad professionem, servatis decretis S. Congregationis super statu Regularium, admittere, ac Novitios giustizi ac rationalibus de causis e Novitiatus domo dimittere; servatis quoad dimissionem professorum propriss Constitutionibus aliisque de jure servandis. [907]
VII. Quolibet triennio de utraque visitatione apostolica, huic S. Congregationi ab eis ad quos spectat relatio exhibenda erit. In quorum exequutionem Sanctitas Sua hoc edi decretu et in acta huius S. Congregationis referre mandavit, contrariis quibuscumque minme obstantibus. Itaque SS. Mus D. N. confidit ut praelaudati Visitatores pro eo quo praestant zelo ac prudentia, allatis in munere quisquis suo obeundo consiliis et concordibus animis, in id latis viribus studia sua intendant, ut praefati pii Instituti sedulo dilignetrque Visitatoribus Apostolicis debitam obedientam praestent. Eosque qua par est reverentia et obsequio rposequantur ac propriae santificationi et caritatis erga aegrotantes officiis enixius incumbant. Datum ex Secreteria S. Congregationis EE. Et RR. ”
Lettera del Concettino Monti a Don Bosco.
Mi dispiace di non aver potuto scriverle subito come era mio dovere, motivo non altro che per mancanza di tempo. Nel mentre che mi trovava nella perfetta quiete nella mia residenza in Orte già da nove anni, ebbi un espresso invito dal nostro protettore, Sua Eccellenza Monsig. Fiorani, di portarmi in Roma, chè doveva parlarmi di cose riguardanti l’Istituto. Il contenuto di tale chiamata era che mi addossassi il peso di superiore dell’Istituto, già d’intesa con la Paternità Vostra Rev.ma. A tale proposta mi ricusai conoscendo la mia pochezza a tanta responsabilità: tanto più ch’io conosco fin dall’impianto dell’istituto, il difficile peso che deve portare il Superiore di questa famiglia. Ma l’Egregio suddetto nostro Protettore mi spianò ogni difficoltà, e chinai quindi il capo all’obbedienza, sicuro di fare la volontà di Dio, sottomettendomi alla volontà de’ miei Superiori. Quindi il dovere mi comanda di venire non solo per dover mio, ma a nome di tutti e i miei Confratelli, onde rendere alla Paternità Vostra Rev.ma omaggi per il tanto bene che presta a questo nostro Istituto, e quindi a noi poveri FF. Concettini. Noi certamente non abbiamo lingua abbastanza per ringraziare la Paternità Vostra Rev.ma dell’opera che presta onde migliorare la nostra condizione; e noi non abbiamo di poterla compensare : avrà però l’eterna retribuzione da Dio, e dall’immacolata Madre. Fin ora non ho avuto il bene di poterlo conoscere, ma ravviso il Padre dalle opere del Figlio. Tuttavia spero di avere il bene, in breve, di baciarle la Sacra mano e ricevere la di Lei Paterna benedizione, unitamente a’ miei Confratelli. [908] Intanto Ella riceverà i miei più sinceri ossequii; e nel baciare la sacra destra, chiedo per me e per tutti i miei Confratelli la Patema di lei benedizione: segnandomi con venerazione e stima
Frat. LUIGI M.a MONTI, da Milano
Lettera del medesimo al medesimo.
Mi perdonerà se mi prendo confidenza a manifestare alla Paternità V.ra le mie peripezie, facendole conoscere nel medesimo tempo i bisogni di noi PP. Ospitalieri Concettini: e perché qual amoroso Padre abbia ad aiutarci quanto può acciò possa risorgere e fiorire questo tribolato Istituto di Maria SS.ma Immacolata. Ella non può immaginarsi i trambusti e dispiaceri che mi tocca subire nella carica che mi hanno addossata di Superiore. Il dover estirpare la zizzania é costato molta fatica; in circa due mesi abbiamo dovuto licenziare dall'Istituto 8 fratelli, e circa un venti inservienti. Il disordine era intollerabile, e gli scandali si rendevano pubblici. Ora però con l'aiuto di Dio si gode un poco di pace, e l'ordine si comincia a vedere.
In mezzo a tanti sconcerti non ho di che mi abbia a rimproverare la coscienza, a motivo che non opero a mio capriccio non movendo una paglia senza il consiglio e l'intelligenza dell'ottimo nostro Direttore D. Giuseppe, e del Visitatore Sua Eccell.za Mons. Fiorani. Sì, Padre Rev.mo, ora possiamo ringraziare Iddio di esserci liberati dai membri infetti che impedivano il risorgimento dell'Istituto. Con tutto ciò vi é ancora degli intoppi che danno dei dispiaceri e sarebbero di tre o quattro fratelli, i quali hanno lega con persone fuori di nostra famiglia: e questi sotto l'aspetto di zelo, impediscono il tanto desiderato sviluppo dell'Istituto.
Mons. Fiorani é l'uomo di buona fede, e con facilità crede al suo servo, al Sig. Nicola Statuti e a qualche altro che gli presentano cose che alla lor testa credono di far bene, ma in sostanza sono inciampi, e danno forti dispiaceri a me e all'ottimo D. Giuseppe.
E a dire il vero, se io non avessi il nostro Direttore D. Giuseppe a sostenermi, non mi sarebbe possibile di resistere a portare il peso di superiore e a quest'ora sarei stato costretto di abbandonare ogni impresa. Con l'aiuto di Dio sono pronto a dare la vita per sostenere [909] l'Istituto, però, ogni qualvolta non si vedesse il frutto per la gloria di Dio, amo meglio godere la mia pace, e pensare al bene dell'anima mia.
Intanto devo gratitudine alla Paternità V.ra del bene che da Lei ricevo, e ricevono i miei Confratelli nella persona di D. Giuseppe nostro ottimo Direttore, e vera copia del Padre. In pari tempo a nome di tutti i buoni fratelli, la prego a non abbandonarci non solo, ma di fare quanto é possibile onde ristabilire in pieno ordine questo nostro Istituto, che oltre il merito che avrà da Dio e da Maria SS.ma, noi ne saremo grati in eterno.
Sulla speranza di poterla un giorno ossequiare in persona, le bacio la sacra mano, e domandando per me e per i miei confratelli la Paterna benedizione, mi segno di V.ra Paternità Rev.ma il di lei figlio in G. C.
Relazione di Don Bosco e Pio IX sui Concettini.
Le qualità di Visitatore Apostolico, di cui la S. V. degnava onorarmi per procurare il maggior bene all'Istituto dei RR. Concettini, mi impone ora il dovere di riferire alla V. S. quanto si é fatto e quanto paia doversi fare in vantaggio di questi religiosi. Fin da principio, affinché fossero tracciate le cose da farsi e venissero fedelmente eseguiti i sovrani voleri di V. S., con Venerato Rescritto, 14 novembre 1876, Ella stabiliva che fosse attivato un regolare Noviziato per introdurre l'osservanza religiosa e ridurre le costituzioni dei Concettini secondo lo spirito di quelle della Congregazione Salesiana, salvo sempre però lo scopo e il fine per cui é diretto. Lo scrivente glorioso di tale incarico si pose a studiare le Costituzioni dei mentovati Frat. Concettini, lo spirito, l'osservanza religiosa che esisteva tra loro, e trovò che lo scopo dell'istituto era assai commendevole sotto ad ogni rapporto, ma che appunto per mancanza di Noviziato, di professione religiosa e di vita comune, non potevasi formare quel legame, e quell'unità di spirito, senza cui le Congregazioni religiose difficilmente, giungono a conseguire il fine proposto. I Concettini poi volendo assolutamente conservare, dicevano, la loro autonomia e la loro indipendenza, rendevano difficile la progettata riforma. Per non urtar sul principio si pensò di proporre a V. S. una visita apostolica e così [910] studiare praticamente quanto sarebbesi dovuto operare per la maggior gloria di Dio.
Pertanto con Decreto febbraio 1877 si provvedeva temporariamente ai Concettini, costituendo il Sac. Bosco Giovanni Visitatore Apostolico nelle parti spirituali, e Visitatore Apostolico nella parte materiale S. Ecc. Monsig. Luigi Fiorani Comm. di S. Spirito, come colui che era ben informato dell'Amministrazione materiale e delle vicende cui quella soggiacque.
L'umile esponente non potendo stabilmente dimorare fra i Concettini, col gradimento di V. S. e dello stesso Mons. Fiorani, deputava il Sac. Scappini Giuseppe della Congregazione Salesiana, già esercitato nel sacro ministero e pratico di Comunità religiose. Coll'amorevolezza, colla fermezza, coll'assistenza, con istruzioni e con catechismi poté ristabilire la regolare meditazione, lettura spirituale, visite al SS. Sacramento, frequente Confessione e Comunione. Mentre si andava attivando l'osservanza religiosa, non pochi fratelli Concettini, scorgendo dubbia la loro vocazione. giudicarono meglio di allontanarsi dall'Istituto; potendo ciò fare liberamente, perché non istretti da alcun vincolo religioso. Così il loro numero, che era di circa settanta, in pochi mesi fu ridotto ad una trentina circa. Ma neppure in questi si poté stabilire la desiderata unità di disciplina e di osservanza religiosa.
Molte cause impedirono una stabile organizzazione dei Concettini che mi sembra possono essere:
1° La mancanza di un regolare Noviziato, in cui ogni religioso sia istruito nei proprii doveri e faccia prova se ha virtù e forza morale ed anche fisica per adempirli, e ciò appunto prima di recarsi negli ospedali, come appunto era ordinato nel prelodato Rescritto 17 novembre 1876. Ciò non si poté effettuare fin'ora pel numero insufficiente al grave lavoro che essi hanno da sostenere, specialmente nell'Ospedale di S. Spirito.
2° Essi sono persuasi di essere capaci di governarsi da sé, mentre mancano di istruzione e della pratica indispensabile al governo di una società religiosa.
3° La moltitudine di Superiori che danno ordini diversi, e talvolta contrarii, a segno, e spesso avviene, che si debbono trasgredire gli ordini di uno per adempiere quelli di un altro. Ciò si verifica specialmente nell'Ospedale di S. Spirito.
4° Niuno degli attuali fratelli é legato da voti e non si conosce chi sia in grado di emetterli. Di qui anche l'indifferenza con cui alcuni ad una contrarietà, ad un dissidio vengono a risse fra loro, né é [911] tanto raro il caso che minacciansi fra loro; rispondono allo stesso Superiore; si allontanano volontariamente dell'Istituto, o fannosi mandar via dai Superiori medesimi.
5° Presentemente si diedero gli Spirituali esercizi, e se ne ottenne frutto assai consolante. Ve ne sarebbero 17 che domandano di fare i voti. Ma a quale superiore fare questi voti? Sopra quali regole, se non si sono ancora praticate? L'attuale direttore fa molti elogi pel gran lavoro che i FF. Concettini sostengono ed anche per la buona loro condotta, ma invitato ad esprimere il suo parere su quelli che sarebbero da potersi ammettere alla professione religiosa, egli rispose che non si sente di proporne alcuno, che con tranquillità di coscienza possa essere ammesso ai voti. Questi diciassette potrebbero riuscire buoni Concettini, qualora potessero fare il dovuto Noviziato.
Lo stato materiale de' Concettini é migliorato assai per le grandi elargizioni di V. S. e per la solerte ed economica amministrazione di mons. Fiorani Comm. di S. Spirito. Atteso però l'improbo lavoro, cui devono sottostare giornalmente, pare conveniente un miglioramento anche nel vitto, nel vino, nel riposo e nel medesimo lavoro: altrimenti, la loro sanità non può durare. Lo stato morale e religioso fu migliorato assai. Si fa la meditazione, la lettura spirituale, sì frequentano i Sacramenti della Confessione e della Comunione, si fa regolare visita al SS. Sacramento ogni giorno. Più volte alla settimana il Direttore, od il suo collaboratore fanno ai Concettini un Catechismo, od una breve predica. In questo modo e massime, con amorevoli avvisi in privato, si ottenne ordine e moralità. Molti però non possono piegarsi a questa regolare osservanza delle loro regole, perciò i 30 Concettini cui sono al presente ridotti, n. 17, siccome si disse, vorrebbero fare i voti. Cinque devono essere allontanati, otto sono incerti della perseveranza nell'Istituto. In questo pensiero convengono i Sacerdoti direttori. il F. Superiore dei Concettini, ed i Sacerdoti Salesiani che testé dettarono gli spirituali esercizii, de' quali uno é il Teologo Barberis Giulio Direttore del noviziato Salesiano, l'altro D. Giuseppe Lazzero Direttore della casa madre di Torino.
Al punto in cui si trovano le cose é difficile un provvedimento efficace. E’ forza ricorrere ad un principio ed io non farei altra proposta se non quella che V. S. deliberava nel Venerato Rescritto del 17 novembre 1876. Ridurre le costituzioni dei Concettini secondo lo spirito di quelle della Congregazione Salesiana, lasciando lo scopo ed il fine dell'istituto degli Ospedalieri dell'Immacolata; perciò mi pare di interpretare i santi voleri di V. S. [912]
1° Attivando un noviziato indipendente dall'Ospedale di Santo Spirito, di modo che quella diventi una casa particolare dipendente dalla casa professa di Piazza Mastai. A questo scopo studiare il modo con cui i diciassette Concettini, che attualmente manifestano buon volere, vadano a fare il tempo di Noviziato, che il Direttore riputerà necessario. Né siano avviati al loro uffizio sino a tanto che abbiano praticamente conosciute le loro regole, e le abbiano professate.
2° La professione religiosa dei Concettini sia fatta sopra le Costituzioni Salesiane approvate dalla S. Sede, 4 aprile 1874. Ma il loro manuale pratico sia il libro delle stesse loro Costituzioni, modificando soltanto quelle poche cose che si riferiscono ad altro ordine religioso.
Il Noviziato dev'essere formato di postulanti nuovi od almeno che vogliano pienamente piegarsi al genere di vita che é stabilito nella casa del Noviziato. Ma niun novizio vada a prestar servizii negli Ospedali se non dopo essere sufficientemente educato, istruito nei suoi doveri, facendo palese la non ordinaria virtù che in lui si richiede. Il Direttore dei Novizii giudicherà quando un Novizio possa andare negli Ospedali a passare qualche tempo appo gli infermi, per fare esperimento della sua vocazione.
3° Non si accettino mai Ospedali in cui gli Ospidalieri devono dipendere, oppure avere comunanza di lavoro con persone di altro sesso. Si può soltanto fare eccezione quando le persone di altro sesso fossero di abitazione e di lavoro interamente e rigorosamente separate dai Concettini.
4° Prendendo la cura di qualche Ospedale procurare che siano in numero sufficiente a compiere quanto é prescritto, senza ricorrere a coadiutori secolari. Verificandosi la necessità di avere tali coadiutori, il Direttore provveda egli: stesso i servi stipendiati, ma di moralità conosciuta e sempre da lui dipendenti.
5° Unità assoluta di comando, perciò il superiore assoluto dei Concettini sia il Sommo Pontefice, come lo é di tutti gli istituti religiosi, e se nella sua alta ed inspirata saviezza giudica che il Superiore dei Salesiani possa in questo caso rendere qualche servizio al bene delle anime, di tutto buon cuore offre se stesso e tutti i suoi della Congregazione Salesiana. Secondo queste basi ogni Direttore delle case dei Concettini deve dipendere dal Direttore stabilito dal Superiore Generale dei Salesiani. Nei paesi dove i Concettini fossero in piccolo numero, e si potesse avere un sacerdote del luogo, il Direttore della casa Professa può servirsi di quello.
Sono questi i pensieri che l'umile esponente a scarico di coscienza espone alla S. V., affinché conosca appieno lo stato delle cose a lui affidate. La Santità Vostra poi modifichi ed anche cancelli quanto [913] giudicherà utile per la maggior gloria di Dio. Ma, qualunque deliberazione la S. V. sia per prendere intorno alle cose sopra esposte, i Salesiani umili figli di V. S. offrono di buon grado il debole loro servizio in tutte le cose che ora e in avvenire saranno di gradimento a V. S. insigne benefattore della Salesiana Congregazione.
Lettera del cardinal Simeoni a Don Bosco.
Dalla Segreteria di Stato, 20 giugno 1877.
Fra le tante opere di Benificenza, cui la inesauribile carità del S. Padre e la patema sua sollecitudine diè vita e grandemente s’interessa, deve annoverarsi quella, ch'Egli fondò nell'Ospedale di Santo Spirito in Sassia per l'assistenza dei poveri infermi, e che volle affidata ai Religiosi Concettini con dipendenza dai Preti Salesiani nella parte Spirituale, e nella parte temporale da Mons. Comm. di Santo Spirito.
Volendo pertanto la Santità di N. S. che tale istituzione raggiunga sempre più lo scopo pel quale fu stabilita, e non potendo per le molteplici, e gravissime sue cure istituire nei singoli casi un esame sugli accordi da prendersi fra le due Autorità anzidette, si é benignamente degnata di deputare a tal uopo il Sig. Cardinale L. Randi.
Tanto si partecipa al Sig. D. Giovanni Bosco per sua opportuna intelligenza e norma.
Quattro lettere del cardinal Randi per l'affare dei Concettini.
Come ben conoscerà la S. V. Rev.da, il Santo Padre ebbe la degnazione di deputarmi per la conciliazione di alcune difficoltà insorte nell'attuazione della Visita Apostolica conferita per lo spirituale alla S. V. Rev.da per la riforma e sistemazione dell'Istituto dei Concettini stabilito presso l'Ospedale di S. Spirito.
Avrei desiderato quindi di potere abboccarmi con la S. V. per conoscere e la natura e la estensione delle difficoltà che vi si frapponevano; ma trovandosi Ella assente da Roma, mi é stato di necessità [914] valermi per quanto era a conoscenza, tanto di Mons. Commendatore di S. Spirito, quanto del Sig. D. Giuseppe Scappini, da Lei deputato all'assistenza dei detti Religiosi.
Ed avendomi questo ultimo riferito che Ella in proposito aveva manifestato le difficoltà in uno esposto diretto all'E.mo Vicario, ho potuto da esso rilevare, avendone avuta la consegna dalle stesse mani di S. Santità, che mentre Ella si esprime colla maggior soggezione ai voleri della Santità sua, offrendo interamente l'opera propria per uno scopo così santo, d'altra parte desiderava come indispensabile, che le attribuzioni della Visita Spirituale di sua giurisdizione non trovassero ostacoli, ma fosse per se stessa indipendente, senza di che la Visita stessa poteva riuscire in molta parte inefficace.
Non poteva sfuggirmi l'importanza di tale osservazione, e per questo ne tenni parola al Comm. di S. Spirito, Visitatore Apostolico per la economia, dal quale come ebbi schiarimenti sul proposito, non disgiunti dall'assicurazione, che in fatto né aveva posto, né avrebbe mai in seguito affacciato difficoltà a quanto la S. V. avrebbe in ordine all'esercizio della Visita Spirituale richiesto, e anche desiderato; d'altra parte mi esibì il Decreto della S. Congregazione, 6 febbraio, a termini del quale era stabilita la visita nel temporale, ad esso affidata, e determinate le norme e le attribuzioni rispettive, decreto che la S. V. ben conosce, ed accettò senz'addurre veruna difficoltà, a quanto mi si assicura dal medesimo.
Non posso negare che le espressioni di esso decreto non contengono una chiara determinazione delle attribuzioni della S. V. e che ciò abbia potuto dare luogo a difficoltà che da principio non si erano previste. Sembrerebbe quindi, a mio avviso, opportuna una dichiarazione più esplicita che togliesse luogo a dubbi, e chiudesse la strada ad attriti che in processo di tempo non potrebbero mancare.
Conservando ferma la massima dei due Visitatori, uno dei quali s'incarica della moralità degli individui e della riforma spirituale dell'Istituto, con poteri indipendenti, quando essi non influiscano sulla economia dello stabilimento, sembrami che le cose possano chiarirsi in modo da soddisfare completamente il desiderio della S. V. e rendere proficua la intelligente opera sua, a p cui il S. Padre nella sua bontà ha fatto ricorso.
Io mi rivolgo perciò alla S. V. con questa osservazione, pregandola a manifestarmi sul proposito il di Lei pregevole sentimento, ed insieme ad indicarmi quelle ulteriori osservazioni che ella potrebbe addurre.
Siccome ella conterà senza dubbio d'inviare qui per rappresentare la S. V. il soggetto in surrogazione del Sig. D. Giuseppe Scappini per attendere all'Amministrazione Spirituale dei sovradetti Religiosi, così la prego di farmi avere per suo mezzo tutte le notizie necessarie sull'oggetto, per dare esecuzione nel modo migliore all'incarico [915] commessomi dal Santo Padre, trattandosi di una istituzione così santa e vantaggiosa, specialmente nelle circostanze in cui ci troviamo.
Sicuro di avere un riscontro, ho intanto il piacere di dichiararmi con tutta stima e devozione
Le sarà senza dubbio pervenuto il mio foglio delli 18 spirante mese, e siccome il S. Padre si degnò fin da principio dimostrare una certa premura di una sollecita sistemazione dell'oggetto; io non indugio di dirigermi nuovamente a Lei, perché conosca con quale ansietà io mi stia attendendo una sua risposta e le osservazioni che crede necessarie.
Come avrà appreso dal ripetuto mio foglio, io non fui alieno dal riconoscere il desiderio della S. V. di accordare alla visita Apostolica maggior latitudine di attribuzioni che non trovi ostacolo nel suo esercizio: però non credo inutile di accennarle che ove convenga, non trovasi difficoltà di modificare il Decreto 6 febbraio, anche variandone le massime per quanto lo esiga l'importanza dello scopo.
Stante ciò, ella ben vedrà quanto sia urgente per me di avere le sue definitive osservazioni, e quanto siami necessario di conoscere da Lei i dati e i limiti su cui condurre e contenere la nuova organizzazione della Visita conferita alla S. V. dallo stesso Santo Padre.
Del resto non le fuggirà la necessità d'inviare qui ad un tempo un suo Ecclesiastico dipendente che la rappresenti e che pel momento prosegua l'opera ch'ella ha intrapresa, quando non avesse già disposte le cose perché ritorni al suo posto il Sig. D. Giuseppe Scappini, momentaneamente allontanatosi per isfuggire i calori di questa Città.
Ed in questa fiducia le rinnovo i sensi della mia rispettosa stima, mentre mi dico
Appresi dal foglio della S. V. 7 corrente le osservazioni che trova necessarie di sottoporre per la efficace riuscita della Visita Apostolica dei Concettini, in aggiunta ed esplicazione di quelle, che la S. V. rimise allo E.mo Vicario. [916] Nel suo pensiero la contemporanea esistenza di due Visitatori, l'uno per lo spirituale, e l'altro pel temporale ed economico riesce di ostacolo al retto andamento delle cose, ed il Santo Padre si é degnato manifestare non esservi difficoltà a riformare in questo senso il Decreto 6 febbraio, ferma la regolare e distinta esistenza dell'Istituto, e la continuazione del servigio che prestano i fratelli nell'Ospedale di S. Spirito ed altri stabilimenti.
Se quindi la S. V. Ill.ma potesse condursi nuovamente a Roma per trattare e concludere l'oggetto in discorso, le sue vedute sul proposito sarebbero di molto vantaggio per una stabile sistemazione: che se per qualche impedimento ciò non potesse essere, é indispensabile in allora che il Religioso ch'Ella va a destinare per riprendere la direzione dei Religiosi, abbia da Lei tutte le istruzioni e facoltà necessarie.
Non so dirle poi quanto sia urgente la presenza all'ospedale del medesimo: abbandonati come sono i Fratelli, tutto rimane presso che trascurato; ed il Religioso nel momento incaricato, non rare volte é impedito, anche di celebrare la messa pei medesimi nelle domeniche.
D'altronde sarebbe grandemente desiderabile che col giorno 8 dicembre di quest'anno avesse luogo la emissione, di voti semplici per parte di quelli che ne sono conosciuti degni, e perciò la S. V. vedrà urgente il porre subito mano alla loro istruzione religiosa per preparare un atto tanto importante ed essenziale alla vita dell'istituto. Mentre quindi sto in attesa di un riscontro della S. V. sul proposito, tengo a non nasconderle la mia vera ansietà in cui mi trovo, di vedere finalmente sistemata per questa parte, ed assicurata la direzione spirituale, e la istruzione dei sopraddetti Religiosi.
Con sensi intanto di rispettosa stima, ho il bene di dirmi
Ho ritardato nel rispondere alla sua del 19 settembre p. p. tanto per alcune occupazioni nei passati giorni, quanto perché ciò che ella mi scrisse, se non mi riuscì nuovo, richiedeva per altro alcune necessarie ricerche.
Io non saprei dirle in proposito se non che il santo Padre nell'intento di conservare all'istituto una esistenza propria, ha dopo matura riflessione risoluto di affidare temporaneamente la riforma del medesimo ad ecclesiastici di questa capitale sotto la dipendenza dell'Em.mo Vicario, cui ha dato il relativo incarico.
Resta perciò sospeso qualunque altro provvedimento, e ciò fino a che si provi coll'esperienza se l'istituto possa reggere con esistenza [917] indipendente: fatta la quale prova, si prenderanno dalla S. S. le occorrenti risoluzioni anche per l’incarico dato in antecedenza.
Non è per questo che io approvi la partecipazione che ella ha avuto da altri, dacché io differiva dal comunicargliela fino a che avessi vedute le cose solidamente risolute, come lo sono presentemente.
Ella per altro ha agito prudentemente sospendendo la partenza del sig. Scappini nell’attuale condizione di cose: e manifestandole il mio rincrescimento perché non abbia potuto avere luogo il componimento di cui le detti un’idea nell’ultima mia, ho il bene frattanto di ripetermi colla dovuta stima e venerazione.
lettera dell’avv. Michel al can. Timon-David.
M. l’abbé Bosco na pas pu pour le moment se rendre à Nice, mais le Directeur de la maison d’ici s’est rendu à Turin: il a conféré ave lui, et lui a remis la lettre que vous m’aviez adressée le 21 mai dernier.
Tout bien pesé il en a reçu la réponse ci-incluse: comme elle est écrite en italien et que M: l’abbé Bosco est mauvais calligraphe, je l’ai traduite littéralement en français; je suis moi-meme mauvais calligraphe et mauvais traducteur, mais vuos pourrez quand meme bien saisir la pensée du Fondateur de la Congrégation de St-François de Sales, et j’espère que vous aimerez à vuos entendre pour créer à Marseille un foyer de bien de plus puor la classe si entéressante des enfants du peuple. Vous puovez, si vuos le vuole bien, correspondre directement avec lui, car j’ai mis son adresse au but de la traduction.
Je suis heureux de vuos envoyer cette lettre le jour meme où l’oevre de Nice s’installe définitivament, car c’est aujourd’hui qu’on signe le contrat d’achat u localo définitif.
Je lis en ce moment la 2e édition de votre Méthode des Oeuvres de Jeunesse, et je vuos félicite puor le grand service que vuos venez de rendre à tuos les directeurs d’Oeuvre en mettant à leur disposition les fruits de votre longue et sure expérience.
Agréez, Monsieur l’Abbé, les sentiments d’estime et consideration avec lesquels j’ai l’honneur d’etre.
Votre très humble et très dévoué serviteur
Autorizzazione per l'apertura del Patronage Saint Pierre.
PREFECTURE DES ALPESMARITIMES 3me DIVISION NICE
Vous m'avez demandé l'autorization de créer à Nice une oeuvre de Patronage pour les enfants pauvres ayant pour but principal de leur donner l'instruction religieuse, de les placer dans des ateliers recommandables et d'apprendre un métier à ceux qui sont abandonnés.
J'approuve cette création et je désire vivement que vos efforts soient couronnés de succés.
Vous aurez toutefois à vous conformer aux préscriptions des articles 3 et 9 de la loi du 19 mai 1874 sur le travail des enfants dans les manifactures pour que ceux qui seront employés dans les ateliers recoivent l'instruction élémentaire.
Agréez, Monsieur, l'assurance de ma considération trés distinguée.
M. l'abbé Bosco, rue Victor, 21, à Nice.
Il sistema preventivo nella educazione della gioventù.[478]
Più volte fui richiesto di esprimere verbalmente o per iscritto alcuni pensieri intorno al così detto Sistema Preventivo, che si suole usare nelle nostre Case. Per mancanza di tempo non ho potuto finora appagare questo desiderio, e presentemente [volendo stampar il Regolamento, che finora si é quasi sempre usato tradizionalmente, credo opportuno darne] ne do qui un cenno, che [però sarà] spero sia come l'indice di un'operetta [che vo preparando] appositamente preparata se Dio mi darà tanto di vita da poterlo [terminare] effettuare e ciò unicamente per giovare alla difficile arte della giovanile educazione. .Dirò adunque: In che cosa consista il Sistema Preventivo, e perché debbasi preferire; sua pratica applicazione, e suoi vantaggi. [919]
In che cosa consista il Sistema Preventivo e perché debbasi preferire.
Due sono i sistemi in ogni tempo usati nella educazione della gioventù: Preventivo e Repressivo. Il Sistema Repressivo consiste nel far conoscere la legge ai sudditi, poscia sorvegliare per conoscere i trasgressori ed infliggere, ove é [sia] d'uopo, il meritato castigo. Su questo sistema le parole e l'aspetto del Superiore debbono sempre essere severe, e piuttosto minaccevoli, ed egli stesso deve evitare ogni famigliarità coi dipendenti.
Il Direttore per accrescere valore alla sua autorità dovrà trovarsi di rado tra i suoi soggetti e per lo più [solo] quando si tratta di punire o di minacciare. Questo sistema é facile, meno faticoso e giova specialmente nella milizia e in generale tra le persone adulte ed assennate, che devono da se stesse essere in grado di sapere e ricordare ciò che é conforme alle leggi e alle [altre] prescrizioni.
Diverso, e direi, opposto é il Sistema Preventivo. Esso consiste nel far conoscere le prescrizioni e i regolamenti di un Istituto e poi sorvegliare in guisa, che gli allievi abbiano sempre sopra di loro l'occhio vigile del Direttore o degli assistenti, che come padri amorosi parlino, servano di guida ad ogni evenienza [evento], diano consigli ed amorevolmente correggano, che é quanto dire mettere gli allievi nell'impossibilità di commettere mancanze.
Questo sistema si appoggia tutto sopra la ragione, la religione, e sopra l'amorevolezza; perciò esclude ogni castigo violento e cerca di tenere lontano gli stessi leggeri castighi. Sembra che questo sia preferibile per le seguenti ragioni:'
I. L'allievo preventivamente avvisato non resta avvilito per le mancanze commesse, come avviene quando esse vengono deferite al Superiore. Né mai si adira per la correzione fatta o pel castigo minacciato oppure inflitto, perché in esso vi é sempre un avviso amichevole e preventivo che lo ragiona, e per lo più riesce a guadagnare il cuore, cosicché l'allievo conosce la necessità del castigo e quasi lo desidera.
Il. La ragione più essenziale é la mobilità giovanile, che in un momento dimentica le regole disciplinari, i castighi che quelle minacciano. Perciò spesso un fanciullo si rende colpevole e meritevole di una pena, cui egli non ha mai badato, che niente affatto ricordava nell'atto del fallo commesso e che avrebbe per certo evitato se una voce amica l'avesse ammonito.
III. Il Sistema Repressivo può impedire un disordine, ma difficilmente farà migliori i delinquenti; e si é osservato che i giovanetti non dimenticano i castighi subiti, e per lo più conservano amarezza [920] con desiderio di scuotere il giogo ed anche di farne vendetta. Sembra talora che non ci badino, ma chi tiene dietro ai loro andamenti conosce che sono terribili le reminiscenze della gioventù; e che dimenticano facilmente le punizioni dei genitori, ma assai difficilmente quelle degli educatori. Vi sono fatti di alcuni che in vecchiaia vendicarono bruttamente [brutalmente] certi castighi toccati giustamente in tempo di loro educazione. Al contrario il Sistema Preventivo rende amico l'allievo, che nell'assistente ravvisa un benefattore che lo avvisa, [avverte] vuol farlo buono, liberarlo dai dispiaceri, dai castighi, dal disonore.
IV. Il Sistema Preventivo rende affezionato [avvisato] l'allievo in modo che l'educatore potrà tuttora parlare col linguaggio del cuore sia in tempo della educazione, sia dopo di essa. L'educatore, guadagnato il cuore del suo protetto, potrà esercitare sopra di lui un grande impero, avvisarlo, consigliarlo ed anche correggerlo allora [eziandio] che si troverà negli impieghi, negli uffizi civili e nel commercio. Per queste e molte altre ragioni pare che il Sistema Preventivo debba preferirsi [prevalere] al Repressivo.
Applicazione del Sistema Preventivo.
La pratica di questo sistema é tutta appoggiata sopra le parole di S. Paolo che dice: Charitas patiens est, benigna est... Omnia suffert, omnia sperat, omnia sustinet. (I Cor., XIII, 4,7). La carità é benigna e paziente; soffre tutto, ma spera tutto e sostiene qualunque disturbo. Perciò soltanto il cristiano può con successo applicare il Sistema Preventivo. Ragione e Religione sono gli strumenti di cui deve costantemente far uso l'educatore, insegnarli egli stesso praticarli se vuol essere ubbidito ed ottenere il suo fine.
I. Il Direttore pertanto deve essere tutto consacrato a' suoi educandi, né mai assumersi impegni che lo allontanino dal suo uffizio, anzi trovarsi sempre co' suoi dipendenti [allievi] tutte le volte che non sono obbligatamente legati da qualche occupazione, eccetto che siano da altri debitamente assistiti.
II. I maestri, i capi d'arte, gli assistenti devono essere di moralità conosciuta: [Studino di evitare come la peste ogni sorta di affezione od amicizie particolari cogli allievi, e si ricordino che] il traviamento di un solo può compromettere un Istituto educativo. Si faccia in modo che gli allievi non siano mai soli. Per quanto é possibile gli assistenti li precedano nel sito dove devonsi raccogliere; si trattengano con loro fino a che siano da altri assistiti; non li lascino mai disoccupati.
III. Si dia ampia libertà di saltare, correre, schiamazzare a piacimento. La ginnastica, la musica, la declamazione, il teatrino, le [921] passeggiate sono mezzi efficacissimi per ottenere la disciplina, giovare alla moralità ed alla sanità. Si badi soltanto che la materia del trattenimento, le persone che intervengono, i discorsi che hanno luogo non siano biasimevoli. Fate tutto quello che volete, diceva il grande amico della gioventù S. Filippo Neri, a me basta che non facciate peccati.
IV. La frequente Confessione, la frequente Comunione, la messa quotidiana sono le colonne che devono reggere un edifizio educativo, da cui si vuole tener lontano la minaccia e la sferza. Non mai annoiare né obbligare i giovanetti alla frequenza dei santi Sacramenti, ma [soltanto incoraggiarli e] porgere loro la comodità di approfittarne. Nei casi poi di esercizi spirituali, tridui, novene, predicazioni, catechismi si faccia rilevare la bellezza, la grandezza, la santità di quella Religione che propone dei mezzi così facili, così utili alla civile società, alla tranquillità del cuore, alla salvezza dell'anima, come appunto sono i santi Sacramenti. In questa guisa i fanciulli restano spontaneamente invogliati a queste pratiche di pietà, vi si accosteranno volentieri [con piacere e con frutto][479].
V. Si usi la massima sorveglianza per impedire che nell'Istituto siano introdotti compagni, libri o persone che facciano cattivi discorsi. La scelta d'un buon portinaio é un tesoro per una casa di educazione.
VI. Ogni sera dopo le ordinarie preghiere, e prima che gli allievi vadano a riposo, il Direttore, o chi per esso, indirizzi alcune affettuose parole in pubblico dando qualche avviso o consiglio intorno a cose [922] da farsi o da evitarsi; e studii di ricavare le massime da fatti avvenuti in giornata nell'Istituto o fuori; ma il suo sermone non oltrepassi mai i due o tre minuti. Questa é la chiave della moralità, del buon andamento e del buon successo dell'educazione.
VII. Si tenga lontano come la peste l'opinione di taluno che vorrebbe differire la prima Comunione ad un'età troppo inoltrata, quando per lo più il demonio ha preso possesso del cuore di un giovanetto a danno incalcolabile della sua innocenza. Secondo la disciplina della Chiesa primitiva si solevano dare ai bambini le ostie consacrate che sopravanzavano nella Comunione pasquale. Questo serve a farci conoscere quanto la Chiesa ami che i fanciulli siano ammessi per tempo alla santa Comunione. Quando un giovanetto sa distinguere tra pane e pane, e palesa sufficiente istruzione, non si badi più all'età e venga il Sovrano Celeste a regnare in quell'anima benedetta.
VIII. I catechismi raccomandano la frequente Comunione; San Filippo Neri la consigliava ogni otto giorni ed anche più spesso. Il Concilio Tridentino dice chiaro che desidera sommamente che ogni fedele cristiano quando va ad ascoltare la santa Messa faccia eziando la Comunione. Ma questa Comunione sia non solo spirituale, ma bensì sacramentale, affinché si ricavi maggior frutto da questo augusto e divino sacrifizio. (Concilio Tridentino, sess. XXII, cap. VI).
Utilità del Sistema Preventivo.
Taluno dirà che questo sistema é difficile in pratica. Osservo che da parte degli allievi riesce assai più facile, più soddisfacente, più vantaggioso. Da parte poi degli educatori racchiude alcune difficoltà, che però restano diminuite, se l'educatore si mette con zelo all'opera sua. L'educatore é un individuo consacrato al bene de' suoi allievi, [perciò] deve essere pronto ad affrontare ogni disturbo, ogni fatica per conseguire il suo fine, che é la civile, morale, scientifica educazione dei suoi allievi.
Oltre ai vantaggi sopra esposti si aggiunge ancora qui che:
I. L'allievo sarà sempre amico del [pieno di rispetto verso] l'educatore e ricorderà ognor con piacere la direzione avuta, considerando tuttora quali padri e fratelli i suoi maestri e gli altri superiori. Dove vanno questi allievi per lo più sono la consolazione della famiglia, utili cittadini e buoni cristiani
II. Qualunque sia il carattere, l'indole, lo stato morale di un allievo all'epoca della sua accettazione, i parenti possono vivere sicuri, che il loro figlio non potrà peggiorare, e si può dare per certo che [si] otterrà sempre qualche miglioramento. Anzi certi fanciulli [923] che per molto tempo furono il flagello de' parenti e perfino rifiutati dalle case correzionali, coltivati secondo questi principii, cangiarono indole, carattere, si diedero ad una vita costumata, e presentemente occupano onorati uffizi nella società, divenuti così il sostegno della famiglia, decoro del paese in cui dimorano.
III. Gli allievi che per avventura entrassero in un Istituto con triste [tristi] abitudini non possono danneggiare i loro compagni. Né i giovanetti buoni potranno ricevere nocumento da costoro, perché non avvi né tempo né luogo, né opportunità, perciocchè l'assistente che supponiamo presente ci porrebbe tosto rimedio.
Che regola tenere nell'infliggere castighi? Dove é possibile, non si faccia mai uso dei castighi; dove Poi la necessità chiede[sse] repressione, si ritenga quanto segue:
I. L'educatore tra gli allievi cerchi di farsi amare, se vuole farsi temere. In questo caso la sottrazione di benevolenza é un castigo che eccita l'emulazione, dà coraggio e non avvilisce mai.
II. Presso ai giovanetti é castigo quello che si fa servire per castigo. Si è osservato che uno sguardo non amorevole sopra taluni produce maggior effetto che [non farebbe] uno schiaffo. La lode quando una cosa é ben fatta, il biasimo quando vi é trascuratezza, é già un premio od un castigo.
III. Eccettuati rarissimi casi, le correzioni, i castighi non si diano mai in pubblico, ma privatamente, lungi dai compagni, e si usi massima prudenza e pazienza per fare che l'allievo comprenda il suo torto colla ragione e colla religione.
[IV. Il percuotere in qualunque modo, il mettere in ginocchio con posizione dolorosa, il tirar le orecchie ed altri castighi simili debbonsi assolutamente evitare, perché sono proibiti dalle leggi civili, irritano grandemente i giovani ed avviliscono l'educatore].
IV. V Il Direttore faccia ben conoscere le regole, i premi ed i castighi stabiliti dalle leggi di disciplina, affinché l'allievo non si possa scusare dicendo: Non sapevo che ciò fosse comandato o proibito.
Gli Istituti che metteranno [Se nelle nostre Case si metterà] in pratica questo sistema, io credo che potranno [potremo] ottenere grandi vantaggi senza venire né alla sferza, né ad altri violenti castighi. Da circa quarant'anni tratto colla gioventù, e non mi ricordo d'aver usato castighi di sorta e coll'aiuto di Dio ho sempre ottenuto non solo quanto era di dovere, ma eziandio quello che semplicemente desiderava, e ciò da quegli stessi fanciulli, cui [pei quali] sembrava perduta la speranza di buona riuscita.
Saluto di Bon Bosco ai pellegrini francesi.
AUX PELERINS FRACAIS QUI A LEUR RETOUR DE ROME ONT VISITE’ L’ORATOIRE DE ST-FRANCOIS DE SALES.
Je vous salue, braves et vaillants Français, et vous exprime la plus vive reconnaissance pour la visite que vous daignez faire à cet humble istitut.
Par une pensée généreuse vous avez quitté la patrie, les parents, les amis at vuos vous etes dirigés vers Rome inspirés par l’amour de cette religion dont les enfants sont répandus sur toute la surface de la terre, mais qui tous reconnaissent pour chef le Pontife Souverain qui a son siège dans la ville éternelle.
A Rome vuos avez satisfait votre pieté, vous avez du le Vicaire de Jésus-Christ, avec étonnement vuos avez contemplé la merveille de ce siècle, la glorie de l’Englise, la fortune du monde, l’incomparable Pie IX.
En ce moment, vuos avez interrompu votre voyage, pour visiter la ville de Turin et vuos avez bien voulu honore de votre présence l’Hospice de St-François de Sales.
Je vuos offre un merci cordial, à vuos en particulier, élite de la Jeunesse Catholique et au nom de tous ceux qui demeurent dans cet institut, je suis heureux de vous dire merci.
Nous ne puovons pas vous accueillir comme nos coeurs auraient voulu le faire et comme nuos le meritez. Mais votre bonté charitable daignera nous excuser.
Vous allez retourner au sein de vos familles; nous demanderons à l’ange du Seigneur de vuos assister et de vuos counduire en vuos accordant un heureux voyage. Nous conserverons un inaltérable souvenir de vortre chère visite, au milieu de nous et quand vous serez arrivés dans vos foyers, vous direz, à tous ceux qui vous sont chers, qu’à Turin, vuos avez renvotré des amis qui ont pour vuos une vive affection, puisqu’ils sont les enfants du meme Père Céleste, qu’ils professent la meme Religion sur la terre et qu’ils soupirent après la meme récompense dans le Ciel.
Salut donc, o Vénérés frères, permettez-moi de vuos appeler de ce nom, salut. L’affection de notre coeur et nos humbles prières ne cesseront de vuos accompagner.
Vous unirez vos voeux aux notres at avec un seul coeur et une [925] seule áme, nous demanderons au dispensateur de tout don une seule grace, de pouvoir l'aimer et le servir fidélement sur la terre, afin qu'un jour, tous ensemble, nous puissions l'adorer et le bénir éternellement dans le Ciel.
Nella Prima facciata dello stampato si leggeva questa nota all'intestazione:
On appelle ORATORE DE ST FRANCAIS DE SALES un établissement de la ville de Turin où sont recueillis environ huit cents jeunes gens de tous pays. On les forme aux arts et métiers non moins qu'aux études primaires et secondaires, selon leurs dispositions et leurs aptitudes physiques et morales. Les ouvriers sont internes.
Discorso di Mons. Aneyros nell'Oratorio.
Signori, se ad uno straniero fosse permesso in questo ragguardevole consesso far uso della parola nell'idioma del suo paese, per certo mi tornerebbe cosa gradita dirvi le meraviglie che Iddio opera in tutti i tempi e presso tutte le genti e che manifestano l'amor suo verso di noi. Non vi é dubbio che le tendenze dei nostro secolo sono tutte rivolte al male, e con una persistenza tenace dai cattivi si lavora per corrompere i teneri cuori dei giovanetti, di coloro, dico, che vennero chiamati dal Redentore nostro al suo divino amplesso, come la porzione eletta della sua eredità. Ciò nulladimeno i tristi nascondono le loro prave intenzioni, annunziandosi a tutto il mondo per favoreggiatori del progresso, dell'istruzione, dell'educazione e della libertà.
A tale fine aprono scuole e collegi in ogni parte. Ma quale é l'istruzione che ivi si dà? Tremiamo per la generazione che si forma alla scuola dei maestri della falsa scienza; poiché la scienza scompagnata dalla virtù riempie d'orgoglio e fa tralignare anche i migliori ingegni, che senza l’ancora, della virtù sono travolti nelle onde dei mare infido di questa vita.
La virtù poi senza istruzione nei tempi procellosi che corrono, viene manomessa dai cattivi, e non può farsi strada quanto dovrebbe; poiché il mezzo per dilatarsi nelle attuali circostanze é da Dio soprattutto riposto nell'istruzione. Le arti ed i mestieri sono dai nemici di Dio fatti servire alle loro prave teorie tendenti a materializzare le classi proletarie, che sono le più numerose ed anche le più facili alla seduzione. Ma la Dio mercé furono fin dalla loro origine nobilitate e santificate dall'Uomo-Dio, e sono protette poscia da tutti i Papi, e da valorosi campioni del cattolicismo dirette alla virtù. Del che mi [926] fornisce splendida prova questo santo luogo, dove le arti cristiane hanno ricetto e sono acconciamente rivolte a sviluppare le forze fisiche del giovanetto e a far germogliare e rassodare in lui le virtù di cui abbisogna per essere buon cittadino ed ottimo cristiano. Che se mi fosse permesso di dare un consiglio, o meglio, di esprimere un desiderio dei mio cuore, direi che i reverendi Padri della Congregazione Salesiana, da Dio eletti a formare le generazioni che sorgono, continuino nel sistema intrapreso di educazione, e che giammai per mutar di tempo e luogo se ne separino, essendo esso l'ottimo fra i migliori, come quello che corrisponde alle esigenze dell'età presente, ed é il farmaco che sana le piaghe della falsa scienza, che per castigo di Dio si é introdotta per opera degli Enciclopedisti omai in tutto il mondo.
Signori, continuate nelle intraprese vostre opere, e Iddio vi benedirà nel tempo e nell'eternità.
Ritornando alle remote regioni del Rio della Plata, porterò con me il ricordo graditissimo di queste feste; e siate certi che giammai vi dimenticherò.
Vorrei pure manifestare al reverendo Superiore della Congregazione Salesiana la gratitudine ardente che gli professo, e dargli una prova della mia più illimitata osservanza; ma siccome non lo posso, essendo povero pellegrino, mi limiterò a raccomandare l'opera della Congregazione Salesiana alla carità ardente degli egregi cattolici di Torino, che debbono amarla come opera veramente divina, tanto più che nacque per favore speciale del Cielo fra di loro.
Prego la onnipotente Madre di Dio, venerata sotto il titolo di Maria Ausiliatrice, a benedire la fiorente opera sua e a propagarla in ogni parte.
Reverendi Salesiani, se non potrò ricevere ogni giorno notizie dei progressi della vostra Congregazione in Europa, fate che le riceva almeno ogni mese. Voi avrete ad un tempo le notizie più consolanti dei progressi che la vostra Congregazione va facendo in San Nicolás, Buenos Aires, Montevideo e nella Patagonia, che si apre all'ardente vostro zelo. Che Iddio benedetto ci conceda la sua grazia e la sua benedizione!
Discorso del medesimo ad Alassio.
Laudate, pueri, Dominum, laudate nomen Domini. Lodate, o giovani, il Signore e magnificatene la provvidenza, che é tanto grande e amorosa verso tutti da estendere le sue paterne cure anche su noi poveri abitatori del nuovo Continente. Che se é grande il numero dei vizi e dei delitti, che che contaminano la vecchia Europa, se la mancanza di rispetto alle autorità ecclesiastiche si fa ovunque sentire nell’antico [927] Continente; la giovine America desiderosa di libertà, propugnatrice sino alla follia del progresso, non é seconda all'Europa nelle nuove teorie sociali che scompaginano Chiesa e Stato, anima e materia, nazione e religione, mondo e Dio.
Ma voi, giovani dilettissimi, in questo santuario della scienza e della virtù ne siete immuni e cantate al Signore le sue lodi. Laudate Pueri, Dominum, laudate nomen Domini.
Che se per divina inspirazione Cristoforo Colombo scopriva al vecchio il nuovo mondo, lo fece anche, anzi soprattutto perché fosse istrutto nella religione cattolica a lui tanto cara e che professava con tutto il cuore e senza alcun rispetto umano. Più fortunati di Cristoforo Colombo sono i Salesiani, eletti a riprodurre i miracoli della carità di S. Vincenzo in questo secolo egoista, che evangelizzando i popoli che ancora dormono il sonno dell'ignoranza nelle regioni sterminate della Pampa e della Patagonia, salveranno le generazioni presenti, prepareranno le future a godere i beni della civiltà derivante dalla Fede Cattolica, e popoleranno un giorno il Cielo di beati comprensori.
Giovani cari, ve lo ripeto, Laudate, pueri. Dominum, laudate nomen Domini, per la generosità con la quale Iddio ha trattato me e i miei compagni nel pellegrinaggio, che abbiamo compiuto alla Città Eterna, ove la maraviglia di questo secolo, l'augusto Vegliardo del Vaticano, l'immortale Pio IX governa quella Chiesa, nella quale siam nati, viviamo e speriamo di morire, e nella quale sola possiamo ottenere la gloria eterna.
Lodate Iddio che é grande nelle sue maraviglie, tutte rivolte a mostrare l'amore suo ardentissimo verso di noi suoi figliuoli; ma lodatelo in modo speciale per essere educati dai Reverendi Padri Salesiani da Dio destinati alle più belle imprese ed alle più leggiadre opere nell'antico e nuovo Continente per la maggior gloria sua e per il bene delle anime.
Lettera dell'Arcivescovo di Buenos Aires a Don Bosco.
Muy R.do Padre y amigo veneradisimo,
No he tenido un momento, y deseara tener mucho tiempo para escribir largamente á V. R. La ruptura de la máquina á vapor en el Poitou no nos hizo más que demorar nuestra llegada hasta el viernes después de la Octava de la Asumpción de N.tra S.ra, que visiblemente nos favoreció. Hemos sidos recibidos con entusiasmo como aquello de Turín en el Colegio de Via Cottolengo cuyos inolvidables días he referido aquì y me obligan á una profunda gratitud á V. R., á sus queridos padres y amados discípulos y favorecidos. He sentido no encontrar [928] aquì al P. Calgiero à quien me harà la gracia de saludar por mi; no menos sentì la muerte de unos de los R. P. Ah - siendo tan pocos y llevarons la muerte uno! - Alabado sea Dios nuestro Senor! Mucho gusto tuve de ver ya luciendo el primer plantel de la Escuela de Arts.
El Senor lo benediga y V. P. también.
La extensiòn es tanta que sobrarà campo para muchos misioneros. Asì aun que lo misioneros de San Vincente se dirigen y establecen en la Patagonia, podràn los Salesianos hacer otro tanto. Hoy mismo podiran ir. Mas no tenemos recursos por el viaje y demàs. Hoy mismo nos aflige la dificultad para establecerlos de San Vincente. Procuraremos buscar pues los medios y cuando tuviese lo necesario avisaré à V. R. El Senor quiera facilitar las cosas.
Dìgnese V. R. saludar por mi à todos esos R. de los diversos colegios y a los Senores que tanto nos han favorecido. Muchos y muy expresivos carinos à esos amados jòvenes que tanto nos favorecieron.
Mil recuerdos de todos los cmpaneros.
Quedo con todo mi afecto à los Salesianos y esperando que me escriba diciéndome con toda confianza cuanto….? Mis afectos à todos y a V. R. el corazòn de S. R. S. y C.
Buenos Aires, septiembre 4 de 1877
FEDERICO Arzobispo de Buenos Aires.
E’ sempre per me una felicità ricevere le sue pagine e con vero piacere ho ricevuto la sua car.ma del 16 luglio.
Mons. Arcivescovo arrivò il 24 agosto e lo abbiamo ricevuto splendidamente. Come V. S. R.ma avrà letto nella pastorale pubblicata subito dopo il suo arrivo, quasi non parla d’altro che di V. S. e dei Salesiani.
Ancora ci duole la partenza di D. Cagliero; me lo saluti tanto.
I suoi Salesiani stanno bene; in queste tempora s’ordineranno due Sacerdoti.
Tante grazie per il Sacro Cuore ed i fiori. In mezzo ai tanti affari è per me una gran consolazione sapere che V. S. prega e fa pregare per me. La ringrazio di cuore e sono sempre
Buenos Aires, 5 settembre 1877
Lettera del giovane Migone a Don Bosco.
y dignisimo Superior de los Salesianos D. Juan Bosco.
Me apresuro à escribirle estas pocas palbras en contestaciòn de su amable carta que todos hemos recibido con mucha alegria agradecuéndole vivamente el carino que V. R. nos tiene del cual yo nunca me olvidaré, pués doy gracias à Dios por haberme guiado en este asilo seguro de salvaciòn que Vd. Se ha dignado fundar para ensenar à los jòvenes à saber amar y bendecir al que nos créo y que nos està a aprontando en los altos cielos nuestra dicha y nuestra felicidad si bien merecida la tenemos aquì an la tierra. No puede figurarse, querido padre, cuanto nos haya enternecido el don que se ha dignado pedir al sumo Pontefice Pio IX por nosotros y por nuestras familias; es un privilegio que apreciamos infinitamente, del cual no encuentro palabras para agradercele dignitamente.
Ah! Se V. S. supiera el deseo que tengo de verle! no hay dia que en algun momento no me acuerdo de Vd., sin embargo yo no creo imposible que pronto venga a hacerle una visita si Dios quiere muy larga, deseando y rogando de Dios la dichia fe guiarnos a su lado y al de todos mis condiscìpulos todo el tiempo de mi vida y concurriendo con mis esfuersos para que la congregatiòn Salesiana que yo tanto quiero siempre sea cada dìa màs floreciente y màs digna de los favores de nuestro Dios y del aprecio de les hombres.
V. R. al dia de S. Rosa se ha dignado celebrar una misa pidiendo a Dios nos mande su benediciòn desde el Cielo, làstima que la carta que nos ha escrito haya llegadi en el Colegio unos dias despuses, por eso no hemos podido en aquel dia hacer la Santa Comuniòn con la inteciòn que V. R. en su carta deseaba, pero la haremos otra vez y yo por mi parte le auguro que quantas veces comulgarà siempre me recordaré con ternura de V. R. que desde hoy quiero llamar con el dulce nombre de padre.
Es pues su hijo que le ama de todo corazòn deseàndole una larga felicidad a Vd. Y a todos los Salesianos de allì, que le pide una bendiciòn y que besandole sus manos se protesta
Villa Colòn, 20 agosto del 1877.
Due lettere di Don A. Yeregui a Don Cagliero.
Mi amigo: como sabrá por el P. Lasagna, ya ha sido necesario cerrar la matrícula de los alumnos del Colegio Pío de Villa Colón, pues no es posible alojar con comodidad un número mayor de alumnos que al matriculado hasta ahora.
Creo y espero que el Colegio marchará, sin embargo, animado del deseo que así sea, voy á hacerle un pedido que creo lo hallará justo y razonable.
Me parece que hay necesidad de aumentar ya el personal pues que cinco sujetos son muy pocos para ensenar y cuidar los ninios con el esmero con que los cuidan los que actualmente están en Colón.
Esa fatiga puede soportarse y llevarse cumplidamente por algunos días, pero no por un tiempo largo, por que tienen que perder la salud los sujetos que se hallan tan recargados, á no ser aliviados o en la ensenanza, o en el cuidado a los ninios.
Esta es no solo mi pobre opinión, sino la de vaxias personas muy sensatas y de algunos de los padres de familia que han colocado sus hijos en Colón.
Agregue á esos cuidados las tareas anexas al que cuida del movimiento general de la Casa, compras, gastos menudos, etc., todo lo que absorbe tiempo y da fatiga.
Si el P. Domingo hubiese permancido en el Colegio, creo que en parte se llenaba esa necesidad, y mucho más si el P. Cagliero no nos hubiese dejado; pero á falta de estos dos: no habría siquiera uno ó dos sugetos de la Congregaciòn que vinieran á compartir sus tareas con los excelentes que hoy están en Colón?
No crea que hago estas observaciones porque haya notado la más minima irregularidad en la marcha del Colegío, pero temo que la cosa no pueda marchar tan bien como se desea. Por otra parte, hasta que se diga que el personal del Colegio se reduce á 5 individuos, para que, por regla general, se forme la opinión de que o no podrán atender á todo, ó se sacrificarán en pocos meses. Esta es la opinión que he oído á varios, y de la que casi participo yo en la segunda parte.
Mi Amigo, disimule mi impertinencia, pero créame que le hablo con la sinceridad del mejor amigo del Colegio Pío de Villa Colón. Es necesario, es urgente aumentar el personal de individuos de la [931] Congregación. No vino un clérigo de los suyos destinado á Colon, y pasó para Buenos Ayres? Vea si le agrega otro y me lo manda.
A todas mis anteriores indicalciones debo agregax las dos siguientes: 1° Entre los alunmos de Colón hay algunos picarillos que aumentan el trabajo de vigilancia de los Padres; 2° Aun por la parte del bombo necesario en la época presente, se hace indispensable poder decir: el Colegio cuenta con 8 profesores (aun que en ese numero se cuente el de inglés).
Lea con paciencia esta mal hilvanada epístola y contésteme favorablemente á lo que pido.
Reciba los saludos de los de Casa y Amigos. Mande á SS. y Am°
Mi Amigo: aqui está el pobre del otro día.
Recíbí su carta en que me dice que aumentará el personal de Colón. Después hablé con el P. Lasagna y me dijo que había escrito á V. R. pidiéndole los sugetos que debía enviarle. Urge, urge muchísimo, mi amigo, qué Ud. aumente ese personal, no solo porque es de imprescindible necesidad para no sacrificar á los Padres de Colón, y para que los niníos sean bien atendidos, sino también por el efecto moral que hará ese aumento.
Mire, Amigo, que se está formando entre los mismos buenos padres de familia una mala atmosfera: todos dicen que el personal es deficiente, y por esta razón yo me he visto en la necesidad de decir á todos: Vienen dos Padres más, y viene el Dr. Cagliero a permanecer aquì, pero temo que voy á quedar por mentiroso, y lo que será peor, seguirá aumentando la mala atmosfera. El P. Lasagna me ha dicho que vendrán dos, pero se irá uno. Esto no es aumentar el personal con dos, sino con uno.
El P . Lasagna se desvive por organizarlo todo, pero no es posible que él atienda a todo, no es, posible que él sea Rector, Procurador del Colegio, Ministro, Prefecto de estudios, Catedrático, etc.
Que Jeremías este D. Rafael! dirá mi Amigo Cagliero; pero, Amigo, venga y verá como no son sólo lamentaciones sino que es necesario necessitate medii el aumento del personal, asì los profesores tendrán tiempo para estudiar, como lo necesitan, mientras los prefectos sólo tengan el cuidado de los ninos: asì las lecciones serán suficientemente largas, habrá en ellas la explicación indispensable, no se limitará á lecciones puramente a memoria.
Que majadero! dirá Ud. [932] Mi Amigo: venga, y palpará la necesidad urgentisima de aumentar el personal. Viniendo hablarán con Ud., con toda franqueza el buen Sr. Arocena y otros Senores que, tanto como. yo, se interesan en el bien del Colegio: su presencia es tanto más necesaría cuanto que actualmente se trata de construir algo, y conviene ver bien antes lo que se va a hacer, como se va a hacer, y con que elementos ciertos se cuenta.
Quiera disimular tanta majadería, y mande á SS. y am.o
Piense bien, mi Amigo, que en Colón están fijas las miradas de muchos. Todos exigen, y todos deseamos que aquel Colegio sea de primer orden; y Ud. sabe que las primeras impresiones sino son buenas dificilnente se cambian.
Corrispondenza fra Don Bosco e il signor Benitez.
Descendat gratia Domini N. I. C. tanquam suavis ros super Venerabilem Sacerdotem Ioannem B. Bosco, Salesianonun Patrem, Ducem et decorem.
Aurora nova et iucunda refulget ab Oriente flumínis Argentini, apud villam dietam Colon: Collegium,Pium ibi instituitur, sub benedictione Episcopi Megaricensis et Reipublicae Uruguaiae Praesulis patrocinio. Magno cum gaudio excipiuntur inde hospites taurinenses.
Non minori laetitia commoventur habitatores in San Nicolás de los Arroyos et in Convictorio Sancti Francisci Salesii supra littora amoena fluvii magni cursus, Paraná nominati ab indiis.
Ibi fratres nostri Cagliero et Tomatis audiuntur hortantes advenas sonoro et hispanico sermone, auspicantes continua Divinae Providentiae praesidia et munera excelsa.
Sie etiam et nos gratulamur, quod scimus anno: progrediente, mense proximo novos alumno sesse venturos et commodís habitiationibus collocandos.
Requiescamus omnes patres et filii huius religiosae familiae sub auspicio et protectione Auxiliatricis Beatae Mariae Virginis Deiparae Immaculatae.
A Civitate San Nicolàs, Janua, 17, 1877.
Obsequentissimus servus tuus et amicus fidelis
M. R. P. D. Juan Bautista Bosco,
Superior de la Congregación Salesiana.
Comienzo con esta invocación usual de nuestro Santo Patrono, implorando los favores celestiales para V. R., para sus hijos americanos y para los peregrinos que se dirigen desde Buenos Aires a Roma. Va que no podemos acompanarlos, personalmente, uniremos nuestras plegarias, a las de los demás fieles deseando ante todo cumplida salud a Nuestro Soberano Pontífice.
He tenido el gusto de conocer y tractar en las dos primeras semanas de pascua al dignísimo misionero D. Francisco Bodratto, Director de la escuela de artes y oficios en Buenos Aires. En esos mismos días partirá el Dr. Cagliero a visitar una colonia italiana en la provincia de Entre-Ríos; la cual carecía de auxilios espirituales por el espacio de muchos meses. De igual beneficio participa esta comaría por el infatigable celo de nuestros hermanos del Colegio San Nicolàs, quienes además de las continuas tareas de la ensenanza, llaman, predican, confiesan a los adultos y socorren a muchos moribundos,
De poco serve este cooperador con todas sus ínfulas de caballero y con el carinoso tratamiento del Papa; veremos si más adelante se presentan ocasiones en que sea más util. Al presente me encomiendo con toda cordialidad a las caritativas benediciones de V. R. rogando al Senor la conserve por muchos nos.
San Nicolds, 1°de mayo de 1877
c) Don Bosco al signor Benitez.
Dilecto amico et fratri Iosepho Francisco Benitez in D. S. P.
Quotiescumque epistolas tuas accipio, semper magno animi gaudio afficior. Etenim eloquia tua sunt undique verba amici benevolentissimi, Patris amantissimi, et perinsignis benefactoris, qui verbo et opere filiis Sancti Francisci eorumque Congregationi benefacere exoptas.
Perge itaque, vere amice mi; adiuva filios meos et per ipsos subsidium Catholicae Ecclesiae offeres. At memento caritatem tuam non esse tantum in presentiarum sed in futurum; hoc est donec humilis nostra societas filios habuerit.
Si tamen licet aliquid a te specialiter petere, confidenter dicam. Filii mei, qui Buenos Aires commorantur, ob pecuniae deficientiam in augustiis versantur; propterea Sacerdos Bodrato mihi scripsit nunc temporis pro se et pro suis non aliud habere vivendi adiumentum praeter Fidelium oblationes, quae in Ecclesia Matris Misericordiae de [934] die in diein deferuntur. Si commode aliquid poteris, grato animo, ut hos filios meos adiuves, tibi commendo. Utor verbo si poteris, eo quod satis mihi patefacta sunt beneficia quamplurima quae tu sive apud S.Nicolás de los Aroyos sive in urbe Buenos Aires quotidie repandis.
Interim ob tot cumulata beneficia volens te speciali benevolentia prosequi, tibique rem gratam peragere, statuam ab initio hujus mensis ut per singulos dies ad Beatae Mariae adiutricis altare una Missa celebretur, nostri Alumni sanctani Communionem cum aliis precibus pro te ad Deum fundant.
Vivito et vale, anima electa, amice fidelis: Deus te sospitem diutissime servet in annos plurimos. Ego vero donec vixero, rogabo Deum pro te; cum autem Factor rerum ad aeternam patriam me vocaverit, hoc idem facient filii mei in Europa, in Asia, in America per saecula, uti spero. Amen.
Tamquam munus pretiosum alias epistolas, si tibi placer, expecto. Interim roga Deum pro me, et collectis animi pugnemus viriliter ut coronemur feliciter.
Taurini, pridie Idus maii 1877.
Leffera di Mons. Espinosa a Don Bosco.[480]
Non è a dire quanto mi rincresce la partenza di D. Cagliero, e prego Iddio che gli affari d'Oriente prendano una piega tale che non possa
V. R.ma mandarlo nell'Asia e si veda obbligato a ritornare fra noi. Abbiam sentito tanto la morte di D. Vaccino, ch'è morto proprio da tanto laborare, ho paura che lo stesso accada anche a D. Bodrato che resta quasi solo a Buenos-Aires colla schola de gli arteggiani, la chiesa Mater Misericordiae, e la parrocchia della Boca. Così che bisognerebbe che V. R.ma gli mandasse un battaglione di Salesiani.
V. R.ma può confidare che la mia buona volontà non mancherà mai a i suoi, e che le servirò in tutto quando possano le mie deboli forze come se fossi Salesiano anch'io.
La ringrazio di tante gentilezze ussatte con Mons. Arcivescovo e pellegrini Argentini e la prego raccomandarmi assai al Signore nei suoi santi sacrifizzi ed orazioni.
di V. Re.ma aff.mo amico e de.mo servitore
Don Bosco e la Propagazione della Fede.
a) Relazione al Consiglio centrale della Propagazione della Fede.
Missioni Salesiane nell'America del Sud.
Scopo delle Missioni Salesiane si é di cooperare all'evangelizzazione della Patagonia, dei Pampas e di altri selvaggi dell’America del Sud.
Per evitare la perdita infruttuosa di operai evangelici, come pur troppo fu di tutti coloro che tentarono di portare il Vangelo nell'interno di quel paese, avuto il consenso e la benedizione del S. Padre Pio IX, coll'approvazione di Mons. Aneyros Arcivescovo di Buenos Aires si deliberò:
1° Di stabilire un centro nella capitale della Repubblica Argentina donde partisse il comando e la direzione delle missioni e delle cose che alle medesime si riferiscono.
2° Fondare collegi e case di educazione presso i selvaggi, ove si prendesse cura di coloro che avessero già ricevuta la fede: ricoverare i fanciulli più abbandonati, e intanto per mezzo dei figli mettere i Missionari in relazione coi genitori selvaggi, e coll'aiuto di Dio fare che gli Indi divenissero evangelizzatori di se stessi.
Chiese e case aperte nell'America dai Salesiani.
1° I Salesiani giunti a Buenos Aires assunsero la direzione e l'amministrazione della Chiesa detta della Misericordia con Ospizio annesso.
2° Nella stessa città si aprì un orfanotrofio per dar ricetto ai più poveri e pericolanti, specialmente agli Indi.
3° In Bocca, popolatissimo Borgo di Buenos Aires di recente formato da forestieri (circa 15.000 anime) i Salesiani sulla proposta dell'Ordinario Diocesano assunsero la direzione della Parrocchia, aprirono scuole diurne e serali, oratorii festivi, ecc.
4° In S. Nicolás de los Arroyos fu fondato un Seminario o Collegio per le Missioni. Ivi sono raccolti ed hanno cristiana educazione e letteraria istruzione circa 200 giovani.
5° In questa stessa città si funziona una Chiesa pubblica, si assiste e si dirige un piccolo ospedale in cui avvi grave bisogno di chi amministri i conforti di Nostra Santa Cattolica Religione.
6° Collegio Pio di Villa Colón presso Montevideo dove fanno gli studi circa 150 giovanetti, in cui si spera di preparare Missionari indigeni per aiutare l'evangelizzazione dei Pampas e degli Indi che tuttora esistono al Nord dell'Uruguay e del Paraguay. [936]
7° Presso la città di Montevideo si aprì la Chiesa di Santa Rosa funzionata a benefizio degli adulti.
8° Ora sono conchiuse le pratiche per aprire una casa nella città di Dolores, una a S. Cruz sullo stretto Magellanico ed una a Petropoli nel Brasile.
Queste prime prove diedero successi assai soddisfacenti. In varie missioni date nelle colonie confinanti coi selvaggi si ricondussero molti alla fede, si poté amministrare il battesimo ad alcuni Indi, e nel passato mese di aprile in una missione data dal Teol. Cagliero, con un compagno in Intra Ríos nella colonia Lìbertad parecchi Indii ricevettero il Battesimo e poterono eziandio prepararsi a fare la prima Comunione. Alcuni poi più abbandonati furono ricevuti nell'orfanatrofio di Buenos Aires.
Vi sono già oltre a cinquanta giovani che domandano di abbracciare lo stato ecclesiastico e manifestano segni di vocazione. Sedici si fecero Missionarii Salesiani e desiderano di andare a predicare tra i selvaggi Patagoni.
In generale le Chiese dei Salesiani sono frequentate, gli allievi porgono belle speranze di riuscita: e le missioni date finora tornano di grande consolazione, e speriamo che continueranno ad essere fruttuose per la salvezza delle anime. I Vescovi, i parrochi e le autorità locali sono in ottima relazione coi Salesiani, li accolsero benevolmente, li favoriscono, e li proteggono. Le più cordiali relazioni esistono con tutti gli ordini Religiosi e colle Congregazioni Ecclesiastiche.
Salesiani attualmente in America.
La prima partenza di Salesiani in America fu il 14 novembre 1875 in numero di 10; la seconda di 14 dello stesso mese 1876. La terza partenza fu da Bordeaux il 2 dicembre 1876 in numero di 10. In tutte e tre le spedizioni partirono 34. Si aggiunsero 16 indigeni[481]: perciò il numero dei Salesiani attualmente nell'America del Sud é di cinquanta.
Per sostenere queste missioni ci vogliono tre provvedimenti.
1° Aiuto materiale per sostenere i Collegi aperti per le Missioni in Torino, nella città di S. Pierdarena presso Genova e nella città di Nizza al Mare ed altrove..
2° Promuovere la fondazione di case di educazione e le missioni nelle Colonie che si avvicinano e si inoltrano in mezzo agli stessi selvaggi. [937]
3° Stabilire missioni speciali nella Patagonia, e soprattutto a S. Cruz, Baya Blanca, nella Pampa e nella Patagonia.
Tutto il peso di queste Missioni fu sostenuto dalla Congregazione Salesiana, la quale dovette ricorrere alla carità ed alla stessa inesauribile beneficenza del Sommo Pontefice. Ma difficilmente una Congregazione nascente può continuare queste religiose imprese, a meno che l’Opera della Propagazione della fese venga efficacemente in soccorso coi mezzi provvidenziali di cui può disporre. Con illimitata fiducia si fa umile preghiera e supplicazione all’Ill.mo Sig. Presidente di quest’Opera benemerita che ha sede in Lione, affinché si degni di prendere il sopra esposto in favorevole considerazione.
le Conseil central de l’Oeuvre de la Propagation de la Foi a reçu la lettre, que vous lui avez écrite sous la data du 30 septembre dernier, et l’a examinée avec tout l’intéret qu’elle mérite.
Le titre meme de notre Peuvre prouve assez combien l’établissement de Mision nouvelles lui est symphatique, et, à ce point de vue, l’annonce de la fondation d’un centre religieux dans la Patagonie rentre tout à fait dans le but que nous nous proponons.
Avant néanmoinns que nous puissions accueillir une demande de secours puor un tel objet deux choses sont indispensables:
1° L’établissement regulier par le Saint Siége de la mission en question.
2° Qu’en nous informant d’une maniére officielle de cet établissement, S. E. le Cardinal prèret de la Propagande nous fasse connaitre quel est celui, qui aura été désigné per l’Autorité du Souverain Pontife comme chef de la Mission nouvelle, et entre les mains duquel, conformément aux pricipes constitutifs de notre Oeuvre, devront etre remis les subsides, dont il nous sera possible de disposer.
Il nous a paru nécessaire, Monsieur le Supérieur, de vous indiquer la marche que nos règles exignet dans la circostance dont vuos nous entrenenez: en ettendant qu’elles puissez recevoir leus application nous vuos prions d’agréer l’hommage des sentiments de respect avec lesquels nous avons l’honneur d’etre, Monsieur le Supérieur,
Vos humbles et obligeants serviteur
Pour le Conseil central de Lyon
Le sécretaire de Conseil le président
Contratto per la compra dei convento
della Madonna delle Grazie a Nizza Monferrato.
I sottoscritti convengono sulla vendita e compra dello stabile esistente presso la città di Nizza Monferrato noto sotto al nome di Convento della Madonna delle Grazie alle seguenti condizioni:
I. La vendita si fa dalla Società Enologica Saviglianese rappresentata dal Sig. Lanzetti Stefano in favore del Sac. Giovanni Basco al prezzo di franchi trenta mila.
II. La vendita si fa colla cessione della fabbrica, terreni fruttanti come si trovano presentemente ad eccezione del suppellettile mobile, e dei vasi vinari che sono tuttora depositati nella cantina dell'edifizio.
III. Per gli attuali inquilini si seguiranno le intelligenze avute colla Società. Il medesimo é del vignaiuolo cui sono affidate le viti e la cura del terreno annesso.
IV. L'atto notarile sarà fatto al più tardi prima che siano scaduti tre mesi e si pagherà la maggior somma che si potrà, e se occorrono more se ne fisseranno gli interessi e le more relative.
Per la Società Enologica Saviglianese
Pratiche presso la Santa Sede per detto acquisto.
a) Supplica di Don Bosco al Sommo Pontefice.
Il Sacerdote Giovanni Bosco, commosso dall'orrida profanazione di un Convento e Chiesa appartenente ai RR. PP. Cappuccini in Nizza Monferrato, ed ora ridotto ad un pubblico magazzino di vino, col consenso dell'Ordinario Mons. Sciandra Vescovo di Acqui, desidera di fare acquisto di quelli edifizi, ritornare la Chiesa al culto religioso, e del Convento farne un Istituto religioso.
A tale uopo Le umilia un succinto ragguaglio delle vicissitudini cui questo Convento ebbe a subire dopo la forzata espulsione dei sullodati PP. Cappuccini. Venuto quel santo chiostro in mano del demanio per la soppressione del 1855, la Congregazione di carità di Nizza [939] ne fece acquisto con intendimento di farne un'Opera Pia: ma fece permuta di detto locale con altro stabile del Municipio di quella città, il quale pure non sapendo qual pro ritrarne cedette questo possedimento ad una Società Enologica, che da molti anni tiene questo Convento coll'annessa chiesa convertiti in usi profani, ed in magazzino di vino. Si crede che qualcuno di questi compratori abbia posseduto questo sacro luogo con dipendenza della S. Sede, quantunque non si vedano adempiute le condizioni imposte, ossia per morte di chi ne cercò venia, ossia per dispareri di quella Società in parte costituita di protestanti. Ora questi ultimi compratori pensano di cederlo a qualunque compratore loro si presenti; e perciò l'umilissimo supplicante d'accordo coll'Ordinario Diocesano sarebbe disposto colla benedizione della Santità Vostra di farne acquisto al suindicato scopo. Chiede adunque da Vostra Santità la facoltà di effettuare il contratto di compera di questo stabile, pronto da ubbidiente figliuolo ad accettare ogni condizione che le paresse conveniente di imporgli per rettitudine della giustizia e per la gloria di Dio.
In attesa pertanto delle sapienti disposizioni della S. V. l'umile supplicante si prostra al bacio del S. Piede, implorando per sé e pe' suoi figli l'Apostolica Benedizione.
Firmato: Sacerdote GIOVANNI BOSCO.
Ex audientia SS.mi habita ab infra D.no Secretario S. Congregationis Episcoporum et Regularium sub die 14 septembris 1877.
Sanctitas Sua, audita relatione Episcopi Aquensis, auditoque voto P. Procuratoris Generalis Ordinis Capuccinorum, benigne praefato Episcopo commisit, ut, veris existentibus narratis, petitam, pro suo arbitrio et conscientia indulgeat facultatem Oratori memoratas Aedes acquirendi ab actualibus possessoribus, ad effectum, de quo in precibus; ita tamen ut emittatur prius ab eodem Oratore declaratio in scriptis, in Curia Episcopali accurate asservanda, se easdem Aedes cum adnexa Ecclesia Ordini Religioso, ad quem antea pertinebant, fore redditurum, casu quo Religiosi in dicturn locum redire queant; recepto tamen prius pretio pro emptione persoluto.
Contrariis quibuscumque non obstantibus.
c) Dichiarazione di Don Bosco.
Il sottoscritto a fine di ritornare al divin culto una Chiesa e un Convento appartenente ai RR. PP. Cappuccini in Nizza Monferrato, ed ora ridotta ad un magazzino da vino, é pronto a farne acquisto, e [940] sottoporsi alle spese che occorrono per la compera, riattazione, e conservazione. In ossequio poi alle prescrizioni di S. Chiesa promette di cederlo nuovamente agli stessi Religiosi nel caso, Dio lo faccia, che essi possano colà ritornare. Si pone per l'unica condizione che il compratore sia fatto indenne delle spese, a tale uopo incontrate.
d) Decreto di Mons. Sciandra quale delegato della S. S.
Dei et S. Apostolicae Sedis gratia
Viso, et qua par est reverentia, excepto Rescripto S. C. Episcoporum et Regularium sub die 14 septembris 1877, praesenti decreto adnexo,
Quum Nobis constet de veritate narratorum quae laudatum Rescriptum praecedunt,
Visa item declaratione in scriptis emissa ab oratore D.no Sacerdote Joanne Bosco Congregationis Salesianae Rectore Generali, se redditurum Aedes, de quibus in precibus, cum adnexa Ecclesia, Ordini Religioso Capuccinorum, quo casu isti in dicturn locum redire valeant, recepto tamen prius pretio pro emptione ab Oratore persoluto,
Utentes Auctoritate Nobis benigne commissa facultatem damus D.no Sacerdoti Joanni Bosco Aedes acquirendi juxta preces ab ipso datas S. Sedi, ac servatis iis omnibus quae subsecuto Rescripto S. C. Episcoporum et Regularium praescripta fuere.
Datum septembrii die 27 septembris 1877.
Sac. FRANCISCUS BERTA Secretar.
Decreto di chiusura del primo Capitolo Generale.
Ad maiorem Dei gloriam et ad honorem Sancti Francisi Salesii.
I Direttori di tutte le case della Congregazione Salesiana coi membri del Capitolo Superiore, presieduti dal Rettor Maggiore Sac. Giovanni Bosco, si radunarono il giorno 5 settembre 1877 nel collegio di S. Filippo Neri in Lanzo Torinese pel primo Capitolo Generale. invocata [941] ore 7 se ne fece la formale apertura. Nei giorni susseguenti si tennero 26 conferenze, nelle quali molte cose si stabilirono e molte già prima stabilite si confermarono o meglio si dichiararono secondo lo spirito delle Regole della Congregazione, e il tutto fu esattamente raccolto e chiaramente scritto da due segretari.
Discussa ed approvata la materia proposta e così compiuto lo scopo per cui si era convocato questo capitolo, nel giorno 5 ottobre, essendo i direttori richiamati alle case loro affidate e molte cose rimanendo ancora ad ordinarsi, a chiarirsi e ad esprimersi più esattamente, prima di partire unanimi decretarono di lasciare ampia facoltà al Rettore Maggiore di cancellare, aggiungere o mutare quanto avrebbe creduto conveniente, secondo lo spirito della nostra Congregazione, che si cancelli, aggiunga o muti nelle due copie degli atti del medesimo Capitolo.
A questo fine tutti i superiori che vi presero parte, per autenticare la loro approvazione si sottoscrissero.
Lettera di presentazione delle cose più notevoli
deliberate nel primo Capitolo Generale.
Figli amatissimi in Gesù Cristo,
Appena la nostra Congregazione venne definitivamente approvata dalla clemenza del Sommo Pontefice, voi, amatissimi figliuoli, rendeste grazie alla misericordia del Signore per un benefizio così segnalato. Ma in tutti si palesò tosto un vivo desiderio di avere una spiegazione delle nostre Costituzioni. Questa spiegazione doveva essere come un regolamento inalterabile, una pratica interpretazione degli articoli organici tradotti in opera. A questo fine si era pubblicata una lettera, che si fece precedere alla prima pubblicazione delle nostre Regole in lingua italiana. Allo stesso fine si scrissero altre lettere e si tennero molte conferenze, che però erano piuttosto una esortazione all'osservanza delle nostre Costituzioni, che una spiegazione delle medesime. Ciò era riservato al primo Capitolo Generale tenuto nel settembre 1877.
I Direttori, i Prefetti ed altri delle nostre Case, che fossero in grado di dare consiglio o schiarimenti sulle materie proposte, vennero invitati; unanimi studiarono, conferirono insieme oltre un mese. Sebbene però in quel lasso di tempo siasi lavorato assai, tuttavia si dovette occupare oltre un anno, e neppure presentemente si possono dare le materie compiute e definite. Imperciocchè, trattandosi di [942] regolamento, che é quanto dire, dedurre dagli Articoli Organici le applicazioni da porsi in pratica ne' vari uffizi del Sacro Ministero, e della materiale amministrazione delle cose nostre pubbliche e private, dovevasi certamente impiegare serio studio e diligenza.
Per ora cominciate a ricevere quello che fu stabilito riguardo alla vita comune, alla moralità, all'economia, ed alle ispettorie, che sono le parti di maggior premura e di maggior rilievo. Le altre cose vi saranno eziandio fra non molto comunicate.
Per giovare di più alla intelligenza delle deliberazioni di questo Capitolo, il Direttore di ciascuna Casa é incaricato di leggerle e di spiegarle partitamente. Non meno poi di una volta al mese terrà a quest'uopo una Conferenza ai soci confratelli.
Intanto, amati figli, siate costanti nella osservanza delle nostre Regole; non sia invano l'approvazione largita dal Sommo Pontefice, ma pratichiamole secondo le norme ivi tracciate. Riteniamo fisso nella mente che la fedele corrispondenza ai benefizi ricevuti é mezzo efficacissimo per meritarci che siano continuate le celesti benedizioni sopra la nostra Congregazione. Le nostre case si moltiplicano, gli allievi crescono in numero, e diciamolo a maggior gloria di Dio, aumenta lo zelo nei Salesiani; poiché dalle varie notizie che abbiamo, siamo assicurati che in Europa ed in America eglino affrontano coraggiosi ogni sorta di pericolo, di fatiche e di stenti per lucrare anime a Gesù Cristo.
Il Nostro Signor Iddio ci continui la sua grazia ed infonda nei nostri cuori coraggio e costanza da praticare esemplarmente le nostre Costituzioni, tenendo fisso il nostro cuore là dove sta preparato un gran premio per tutti coloro che sono fedeli al divino servizio sopra la terra. Ibi nostra fixa sint corda, ubi vera sunt gaudia.
La grazia di N. S. G, C. sia sempre con noi e pregate per me che sono con paterno affetto.
Due lettere dal Ministero degli Esteri a Don Bosco.
Prima di rispondere alla pregiata lettera che la S. V. Rev.ma mi ha diretto il 24 ottobre scorso, ho voluto diligentemente esaminare se le condizioni del bilancio assegnato a questo Ministero mi permettessero anche in quest'anno di venire in aiuto alle opere di insigne [943] beneficenza che per iniziativa di Lei, hanno preso vita e incremento presso parecchie nostre colonie all'estero. Sfortunatamente ho dovuto convincermi che i fondi stanziati basteranno a mala pena per far fronte ai bisogni straordinari che i casi di Oriente hanno creato nei luoghi travagliati dalla guerra, ed anzi sarà pur troppo per accadere che non pochi Agenti nostri rimangano senza compenso alcuno dei molti disagi e dei gravi sacrifici patiti.
In tale stato di cose, certo la S. V. mi sarà indulgente se debbo rinviare a migliori condizioni di bilancio il soddisfacimento del desiderio da Lei espressomi. E mi valgo intanto della presente opportunità per offerirle, Reverendissimo Signore, gli atti della mia distintissima considerazione.
b) Lettera del segretario generale.
Vedrà dalla risposta del sig. Ministro Melegari, che questa volta ci è proprio riuscito impossibile di venire in aiuto della intrapresa da Lei iniziata. I casi di Oriente hanno assorbito tutte le risorse del nostro meschino bilancio; e non potremo neppure rimborsare integralmente le perdite eccezionali cui soggiacciono non pochi nostri agenti. Ciò devo dirle affinché Ella voglia essere persuasa della buona volontà dei Sig. Ministro, il quale avrebbe desiderato vivamente di poterle fare cosa grata.
Con le più alte considerazioni me le affermo
Lettera del Ministro francese degli Esteri a Don Bosco.
Ministére des affaires Etrangéres.
j'ai recu votre lettre que vous m'avez fait l'honneur de m'adresser le 26 octobre dernier, à l'effet d'obtenir le passage gratuit, en faveur de 40 Missionaires que vous vous proposez d'envoyer dans l'Uruguay et la Confedération Argentine.
J'aurais été heureux, Monsieur le Supérieur, de pouvoir répondre au désir que vous m'exprimez; mais le cahier de change annexé à la loi de concession de nos lignes transatlantiques, stipule, d'une maniére formelle, que le bénéfice de l'embarquement gratuit est exclusivement [944] réservé aux membres des ordres religieux jouissant de la qualité de français.
Je me vois, donc, à regret, dans l'impossibilité d'accueillir la demande que vous m'avez fait l'honneur de m'adresser.
Recevez, Monsieur le Supérieur, les assurances de ma considération distinguée.
Lettera di Don Bosco al Patriarca di Lisbona.
Iam duabus vicibus ad Sacerdotem Danielem Rademaker epistolam scripsi. At, qua de causa nescio, nullum responsum. accepi. Nunc rogo te, praestantissime praesul, ut rem audias et, si poteris, mihi auxlium praebeas.. Negotium de quo agitur, hoc est.
Quatuor missionarii Salesiani, qui ad humilem hanc Congregationem pertinent, ad portum Ulyssiponensem Lysbonensem navilium conscendere debent, Rempublicam platensem, petituri. Qua de re, duo charitatis officia mihi sunt necessaria, quae a te peto. Ut nempe mihi dicas:
1° Qua mensis die hunc portum pertingit naviilium anglicum, cui titulus est Male Real.
2° Si forte huiusmodi religiosi viri per diem aut noctem in hac tua urbe commorari deberent, in loco tuto hospitari possint; puta in Seminario, solventes quod solvenduni est.
Ne mireris, praestantissime praesul, si in hac prima vice, tanta confidentia ad te scribo. Scio enim quod charitas tua vere benigna et patients sit. Igitur habe me excusatum, et Dominus centuplum retribuat tibi pro oninibus, quae mihi retributurus es.
Benedictionem tuam supra me atque supra filios meos humiliter in Domino postulo. Vale.
Taurini, die 31 octobris 1877.
Lettera di Mons. Ceccarelli a Don Bosco.
PETRUS B. CECCARELLI PATRI SUO AMANTISSIMO JOANNI BOSCO
SALESIANAE FAMILIAE PRAEFECTO ET MODERATORI IN D. SALUTEM.
Nihil mihi iucundius nihilque utilius quam tuam paternain vocem audire eamque enixe sequi, prouti addictissimo filio expedit. [945] Epistolam Tuam nuper accepi, Reverendissime Pater, illamque, iterum atque iterum perlegi, quanique amore erga me flagrantem inveni! qua de re maximas Tibi gratias reddo easque eo animo excipe, quo Tuos Filios quotidie prosequeris. Vota Tua cor Tutun manifestum faciunt; consilia autem apprime milli necessaria amicitiam, bonitatem virtutemque Tuam ostendunt; illa quapropter, ut par est, recusare nequeo, haec vero exsequi, Deo favente, totis viribus tractabo, ut magis atque magis animae meae consulere possim.
Quid de Te, Pater mi, de Tuis operibus filiisque et filiabus[482] dicam? Ignorantiam fateor et oblnutesco. Omnigenae, prudentiae, caritatis, humilitatis ceterarumque animi dotum virtates nactus colluctantis daemonis caput conteris eiusque machinationes sus deques facis, luce nova filiam Tuam exornas et ad astra pergis. Nibilo secius factus es peripsema usque adhue[483]; noli timere viriliterque age, in Deo tantum spes Tua sit et citius victoria coronaberis.
Filii , Tui fratres mei sunt et eos ita diligo, ut pro eis ad omnia, etiam ad mortem paratus sim.
Si aliquid Tibi Familiaeque Salesianae vel utile vel gratum sit, eia, Pater, iube, ecce ego, mitte me.
Sit Jesu Christi Cor locus desideratissimus, in quo uterque simus, moveamur et alterutrum amemus. Vale, ut Dei magnum illud reparationis opus explere hic et ubique valeas. Benedictionem Tuam milli meisque haud deneges et semper me Tuum famulum et finum habe. Vale.
Sancti Petri ab arena prope Ienuam, die sexta supra decimam novembris anni C.ti 1877] 20.
Lettera di Mons. Lacerda a Don Bosco.
Nel giorno 8 di questo mese arrivai qui, ed invece di proseguire mi fermai: oggi dovrei partire per Rio di Janeiro, ma il vapore non è arrivato, e perciò soltanto domani sarà la partenza.
Non so come anderà il mio povero italiano, ma bisogna scrivere, dire sbagli ed spropositi di lingua, senza correzione, perché mancami il tempo[484]. Magna res agitur, come V. R. va vedere.
Eccomi l'apostolo dei Salesiani qui in Lisbona, o per parlare, più veramente ed umilmente , l'amico dei Salesiani e de' Portoghesi. [946]
Ho parlato qui sopra lei, i suoi figli ed i suoi stabilimenti, e tutti si son mostrati contenti e benedicono Iddio, che divide i suoi doni prout vult. Ancora ho fatto vedere che sarebbe gran cosa e gran bene di domandare a lei che mandasse qui alcuni dei suoi.
Oh! Portogallo fu una gran nazione cattolica, e di Lisboa uscivano i Xaveri per l'India, i Anchietta e Ignazi per il Brasile e tutti i Missionari dei paesi di Asia ed Africa. Quanti uomini e santi e dotti! Oggi Portogallo geme, come ha detto il Papa, sotto il più fero massonismo... il Governo o é massonico, o no può far niente di gran bene per opposizione dei liberi muratori. I Vescovi poco possono fare, perché alcuni hanno paura, altri sono legati, e la buona volontà episcopale trova serie difficoltà. Il popolo é guasto nelle città di Lisboa e Porto, almeno in gran parte, e quantunque molti abbiano buon cuore e fede, sono abbandonati. Il Clero... Vi sono buoni Preti, ma alcuni hanno paura e neppure la sottana portano, altri si vedono in serii imbrogli, altri sono cattivi, ed alcuni hanno apostatato e si son fatti Protestanti. L'antica nobiltà é buona, ottima, christiana, frequenta i Sacramenti, e hanno vita devota.
L'antica nobiltà, alcuni preti, molti signori fanno sforzi ammirabili per fare il bene e lo fanno. Anzi alcuni ordini Religiosi, come particolari, hanno collegi, fanno missioni, e non ostante tanti ostacoli, fanno meraviglie. In Portogallo si trovano Gesuiti, Francescani, Benedettini, lazaristi, Suore di Carità, monache, terziarie (come di San Domenico, S. Francesco Assis, S. Francesco di Sales etc.). Vi sono associazioni per alcune opere sante. Grazie a Dio, vi é ancora la fede attiva e santamente produttrice di frutti di salute eterna.
Anche vi sono scuole a spese di alcune associazioni, principalmente di donne nobili.
Vi sono moltissimi antichi Conventi, deserti, che il Governo vende, e che alcuni cattolici colla dovuta licenza e permissione apostolica hanno comperati.
Il Protestantesimo fa grandi sforzi per distruggere tutta l'antica fede; e così aprono i Protestanti scuole, e fanno grandi sforzi per ottenere l'apostasia dei Preti, dei quali alcuni hanno apostatato, e aperto scuole.
Signori e Signore hanno fatto e fanno sforzi grandi per conservare la fede, aprire scuole e opporsi al Protestantesimo. Ma quante difficoltà! quante spese!
Quando la scuola é diretta da persone di communità la cosa va meno male; ma quando da secolari, oh! quanti imbrogli!
Ad alcune signore ho detto: - E perché non domandano i Salesiani di Don Bosco? - Ed allora spiego loro che cosa sono tali Salesiani, chi é Don Bosco, e ciò che ho veduto in Torino.
Oggi sera due signore nobilissime vennero da me, e in conversazione mi dissero, che una loro parente aveva quattro o cinque scuole [947] in case affittate, con forse 500 ragazzi del popolo e poveri (molti) e scalzi (alcuni) i quali di notte stanno in casa loro, o solamente durante la giornata frequentano le scuole. Mi dissero anche quelle signore, di mia gran amicizia (e che fanno gran bene e hanno sotto la loro protezione le terziarie Domenicane Irlandesi), mi dissero che in quelle scuole la gran difficoltà era nei professori di quelle scuole, perché non sono sempre li stessi, né sempre tali quali vorrebbero in tutti i sensi e rapporti, quantunque scelti ed anche buoni. Allora io dissi loro: - Ah e perché non si domanderà a Don Bosco i suoi Salesiani? - Ed io promisi di scrivere a V. R. come sto facendo.
Ma veda Lei, che la cosa che piace molto é di sapersi che i suoi non soltanto insegnano lettere, ma a leggere e scrivere, e sopra tutto arti e mestieri, e musica. Ah! D. Bosco mio: arti e mestieri... gran cosa nei giorni nostri; arti e mestieri e la primaria istruzione per i figli del popolo... Per me sono questi punti dì gran importanza. Per l'instruzione superiore vi sono buoni collegi diretti da Comunità Religiose; ma per i ragazzi, per i figli del popolo, bisogna lavorarvi e molto; e chi meglio dei Salesiani?
Carissimo D. Bosco. non posso dir tutto, perché mi manca il tempo. Vi sono molte cose e persone buone in questo regno e in questa Lisboa; ma quanti mali!
Ecco dunque la conclusione: Molti vengono a passeggiare in Portogallo e a Lisboa: venga anche Lei stesso, non passeggiare, ma vedere e parlare e esplorare, o almeno mandi D. Cagliero, che sa lo spagnuolo (lingua somigliante al Porthoghese), ,
E Lei deve sappere che le Indie quasi tutte appartennero a Portogallo, e che anche oggi Portogallo ha colonie nelle Indie, e che anticamente si parlava portoghese in quasi tutto il littorale delle Indie.
Ho inteso dire che D. Cagliero dovrebbe andare alle Indie. Mi pare servizio di Dio, che D. Cagliero venga prima a Portogallo, si fermi qui, apra le prime Case, e doppo parta per le Indie. Sarà gran servizio di Dio. Le spese che i Salesiani faranno per venire e vedere saranno altrettante limosine spirituali in favore dei Porthoghesi, delle anime. Chi sa forse che i Salesiani faranno gran rivoluzione in favore della Chiesa.
Vittorio Emanuele ama D. Bosco e i Salesiani, e qui la regina é figlia di Vittorio ed anche essa Piemontese, e forse conoscerà D. Bosco e S. Maria Ausiliatrice... Qui gli Italiani non sono mal veduti (mi dissero) e anche da questa parte la cosa va bene.
Io so bene che i massoni hanno anticamente soppressi i Monasteri di Frati, e che in questi ultimi anni hanno cacciato tutte le Suore di carità. Ma e le suore e gli stessi frati, senza Parlare, né far parlare di loro, vanno entrando, si stabiliscono e fanno gran bene.
Niente di farsi proclamare, e avanti: ecco la regola che sì deve sempre seguitare. Niente di domandare protezione al Governo, né [948] di cominciare sgridando contro i cattivi, ma fare il bene adaggio e quasi in silenzio. Basta che i fatti, che il bene parli e il bene non ha perduto la sua eloquenza vincitrice.
Qui sta in Nunzio del S. Padre, Mgr. Domenico Sanguigni, Arcivescovo di Tarso, che fu Internunzio a Rio Janeiro. Egli abita una parte del palazzo della Contessa di Sarmento, santa Signora. la casa é nella Rua (via) das Quelhas (cuéglias si legge), N. 36.
In Lisboa si deve parlare alla Contessa di Rio Maiòr (ottima signora come l'altra Contessa di Sarmento). Per mezzo di queste Signore si conosceranno molte altre signore e signori di ottima volontà.
Venga Lei, o D. Cagliero. Qui l'inverno é mitissimo e perciò possono venire fra poco: soltanto il mare non sarà tanto buono nell'inverno. La distanza da Torino a Lisboa non é tanto grande. Lisboa sarà un punto di riposo per i Salesiani che andranno a Rio Janeiro e a Rio della Plata.
Un pensiero: mi pare che i Salesiani di Rio Janeiro e della Plata non debbono essere prima occupati in Portogallo. Bisogna venire, vedere, parlare, e dopo dire sì o no. Vi sono difficoltà che soltanto vedute possono sciogliersi. E tutto si potrà decidere in cinque giorni o una settimana
Devo avvertire che qui miseramente accadde che i preti, se portano la sottana, sono insultati... nondimeno la portano sempre i Lazaristi ed i Domenicani Irlandesi (sottana, non l'abito dell'Ordine).
Ho detto tutto, il rimanente lascio a D. Bosco e a Dio. Res Dei agitur.
Non so se V. R. potrà leggere questa povera mia lettera tanto mal scritta; ma che fare? Mancami il tempo per correggerla e le correzioni (mi pare) bisognerebbero di nuove correzioni in infinitum.
Domando una grazia ed é che V. R. mi risponda. In Rio di Janeiro aspetterò la risposta e piaccia a Dio che V. R. mi dica: Consummatum est. Cioè: I Salesiani stanno in Lisboa.
In ogni caso mi pare di aver fatto un'opera buona: che me ne dice Lei?
Questa lettera é riservata cioè non deve essere stampata di nessuna maniera.
Mi raccomando a tutti quanti dell'Oratorio di Torino, Lanzo e Valsalice.
I miei Preti salutano e V. R. e tutti gli altri Salesiani. [949] Io aveva già chiuso questa lettera, quando ebbi un pensiero. Mi pare che tutto che ho detto sia come una imprudenza perché nessuno mi ha incaricato di scrivere a V. R. né sanno che io abbia tanto presto scritto. Dunque perché tanta premura, essendo anche la cosa tanto dubbia nell'avvenire?
Ma non ho cuore di stracciare la lettera. Dunque:
1° Questa lettera é un pensiero mio.
2° Serve per dirgli che si pensa nei Salesiani.
3° Che forse un giorno si farà una domanda a Lei.
4° Serve perché V. R. mi scriva e vai dica francamente il pensiero suo ed i suoi sentimenti circa questa grande opera. Se Lei mi dirà: - Non é ancora tempo - io non perderò affatto il mio, perché ho dato una dimostrazione di affetto.
Il vapore arrivò e partirò in quest'oggi.
Estratti da giornali dopo la lettere anonima.
Dalla Gazzetta d'Italia di Firenze (27 dicembre, ediz. del mattino):
“Una strana ed ardente lotta ferve in Torino fra l'Arcivescovo Gastaldi e D. Bosco. Due concilii si sono radunati. Uno raccolto dall'Arcivescovo nelle persone dei suoi partigiani, i quali, fra parentesi, sono pochi, e quando dicono colle labbra di esserlo, non lo sono col cuore, essendo obbligati a schierarsi dalla parte sua dalla ineluttabile forza delle circostanze; l'altro raccolto e capitanato da un altro dignitario clericale, che indirettamente rappresenta D. Bosco e tutto il partito di questo finissimo ed astutissimo prete. A questo proposito corse per Torino una segreta circolare piena di vituperii e di gravissime accuse contro l'Arcivescovo, circolare che noi abbiamo letto, rimanendo pieni di meraviglia che due campioni del partito clericale abbiano perduto la bussola al punto di discendere ad invettive ed a lotte di tal sorta. Infine, tanto l'uno quanto l'altro, sono chiamati a Roma davanti ad un Consiglio di Vescovi ed Arcivescovi per le necessarie spiegazioni: e può essere benissimo che l'Arcivescovo sia obbligato ad abbandonare questa sede per emigrare ad un'altra ”.
Dalla Gazzetta Piemontese, (28 dic.): “ La firma di una circolare segreta. - Corre per Torino una segreta circolare a stampa di un tale che si sottoscrive: Un antico allievo dell'Oratorio, onorato di potersi [950] dire Cooperatore salesiano. Senza così lunga perifrasi, che significa niente, avrebbe fatto molto meglio questo tale a pubblicare il suo nome, e non, commettendo grave indelicatezza e indiscrezione, quello d'una terza persona, con iscapito della medesima, e ben vivo dolore di chi maggiormente per natura le porta affezione. Si tratta nella circolare di certe questioni e dissidii tra l'Arcivescovo Gastaldi e Don Bosco. Di ciò non ci occuperemmo, se non vi fosse stata intromessa la terza persona accennata, esposta così alle dicerie del pubblico e dei malevoli. Restino dunque avvertiti l'autore o gli autori di detta circolare, affinché in qualsivoglia altra occasione simile, presente o futura, vogliano usare maggior educazione e delicatezza, e mentre non osano essi stessi sottosegnare i proprii scritti. Non mascherino la loro responsabilità coi nomi altrui ”[485].
La Gazzetta del Popolo aveva già pubblicato ai 9 di dicembre un articolo contro l'Arcivescovo intitolato: Un peccato mortale Superlativo secondo il Catechismo Gastaldiano. Versava intorno alla questione rosminiana. Il 30 ne pubblicò un altro intitolato: Duetto inamabile tra Don Bosco e l'Arcivescovo di Torino. Detto brevemente del contenuto della lettera anonima, si diffondeva a descrivere le prime adunanze dei Canonici e dei Parroci. Diceva che l'indirizzo per i parroci l'aveva compilato non si sapeva chi. Si seppe invece: l'aveva preparato il cav. teol. Lanza (lettera di D. Anfossi a D. Bonetti, fra il 2 e il 5 gennaio 1878). Non riportiamo nulla dell'articolo, perché non ce lo permette il decoro.
Breve in favore dell'Arciconfraternita di M. A.
Expositurn Nobis est a dilecto filio Ioanne Bosco Presbytero, Piam clientium , B. Mariae Adiutricis Sodalitatem, Augustae Taurinorum in Aede ad honorem Deiparae Virginis Immaculatae, sub titulo Auxilium Christianorum institutam, anno MDCCCLXX in Archisodalitatem erectam esse, cum privilegio alia eiusdem nominis atque instituti Sodalitia in Taurinensi Dioecesi aggregandi. Modo autem ab eodem dilecto filio supplicatur, ut huiusmodi privilegium ad alias quoque Dioeceses in maiorem Dei gloriam, in augmentum pietatis erga praesentissimam Patronam Nostram. et in spirituale fidelitun bonum de Apostolica Indulgentia extendere velimus. Nos igitur [951] huiusmodi votis obsecundantes, omnesque et singulos, quibus Nostrae hae Literae favent, peculiari benevolentia prosequi volentes, et a quibusvis excommunicationis et interdicti, aliisque ecclesiasticis sententiis, censuris ac poenis, quovis modo vel quavis de causa latis, si quas forte incurrerint, huius tantum rei gratia absolventes et absolutos fore censentes, memoratae Archisodalitati cultorum Nostrae Dominae Auxiliatricis, in Taurinensi Ecelesia S. Mariae a Christianorum Auxilio constitutae, facultatem aggregandi sibi etiam in aliis quibuslibet Pedemontanae Ditionis Universae Dioecesibus alia eiusdem nominis atque instituti Sodalitia, dummodo sint canonice erecta, et forma Constitutionis fel. rec. Clementis PP. VIII, Praedecessoris Nostri, coeteraeque Ordinationes Apostolicae desuper editae accurate serventur, Apostolica Auctoritate Nostra, harum Literarum vi, perpetuum in modum concedimus atque indulgemus. Decernentes has Literas Nostras firmas, validas et efficaces existere ac. fore, suosque plenarios et integros effectus sortiri et obtinere, et illis, ad quos spectat, in omnibus et per omnia plenissime suffragari; sieque per quoscumque Iudices ordinarios et delegatos, etiam causarum Palatii Apostolici Auditores iudicari et definiri debere; atque irritum et inane si secus super his a quoquam quavis auctoritate scienter vel ignoranter contigerit attentari Non obstantibus Constitutionibus et Ordinationibus Apostolicis, et, quatenus opus sit, supradictae Archisodalitatis, uliisque quibusvis, etiam iuramento, confirmatione Apostolica, vel quavis firmitate alia roboratis statutis et consuetudinibus, privilegiis quoque indultis et Literis Apostolicis in contrarium praemissorum quomodolibet concessis, confirmatis et innovatis, quibus omnibus et singulis, illorum tenores praesentibus pro plene et sufficienter expressis, ac de verbo ad verbum insertis habentes, illis alias in suo robore permansuris, ad praemissorum effectum hac vice tantum specialiter et expresse derogamus, coeterisque contraxiis quibuscumque.
Datum Romae apud S. Petrum sub
Annulo Piscatoris, die II Martii MDCCCLXXVII,
Pontificatus Nostri Anno trigesimo primo.
Capitolato tra il Governo del Can.ton Ticino ed il Sac. D. Pollini Gaetano Parroco di Mendrisio col Sig. Pietro Guidazio Dottore di Belle Lettere, relativo al Collegio Cantonale del borgo di Mendrisio.
1° Il Sacerdote Gaetano Pollini e Pietro Guidazio Dott. in Belle Lettere si obbligano di provvedere il personale che occorre per [952] l’istruzione, assistenza e direzione del Collegio-Convitto Cantonale di Mendrisio tanto pei giovanetti cittadini, quanto per forestieri che ci volessero prender parte.
2° L'istruzione sarà fatta secondo la disciplina stabilita dai programmi pei Ginnasi Cantonali e per le scuole maggiori maschili del Canton Ticino.
Gli insegnanti dovranno essere idonei per la loro classe rispettiva ed in numero di sette.
3° Il Governo provvederà il suppellettile del Collegio con tutti gli oggetti necessari per la scuole e pel proficuo esercizio delle medesime, conservandone però la proprietà; niente potrà ripetere pel deterioramento subìto nell'uso che se ne avrà fatto.
4° Lo stesso Governo si obbliga di pagare agli assuntori pel primo quinquennio L. 8000, dopo si farà qualche riduzione. Ma non si assume alcuna responsabilità o spesa pel Convitto, fuorché quella delle imposte e riparazioni che le leggi addossano ai proprietari
5° Il Governo concede l'uso dell'edifizio del Collegio, della Chiesa, ed i frutti della terra e giardini annessi all'attuale fabbricato del Convitto.
6° Il presente contratto avrà la durata di cinque anni e s'intenderà rinnovato ove da una delle parti non sia stato disdetto cinque anni prima.
7° Nei provvedimenti che riguardano alla moralità ed alla istruzione religiosa, il Governo Cantonale si rimette alla prudenza delli assuntori.
8° Le scuole saranno aperte al principio dell'anno scolastico 1877-1878
9° Gli allievi esterni noti saranno tenuti ad alcun Minervale, ma sono obbligati ad osservare tutti i regolamenti disciplinari stabiliti pel Collegio tanto nei giorni festivi, quanto nei giorni feriali.
Lettera del Prof. G. Cattaneo a Don, Bosco.
Giungendo costì, poche settimane or fanno, nella sua bella Chiesa a Maria Ausiliatrice, pregai con tutto l'affetto dell'animo addolorato; pregai la Vergine benedetta perché porgesse aiuto alla gioventù del mio povero paese. Partendo poi portava meco con buono entusiasmo la speranza che la Provvidenza avrebbe scelto gli educatori che V. S. forma all'ombra del bel Tempio di Maria, per arrecare un gran bene ai miei giovani concittadini, vo' dire una buona educazione. Quanto a me riteneva che avrei prestato la debole opera mia come semplice [953] ausiliario, come gregario in una legione di veterani. Ma dopo parecchi giorni, mentre nel mio villaggio montano attendeva a ritemprare e il corpo e l'animo, un telegramma del Sig. Pedrazzini, Capo del Dip. di Pub. Educaz., mi comunicava che il Governo intendeva affidare a me la Direzione dell'Istituto di Mendrisio.
Recatomi a Locarno udii le gravi ragioni che fecero abbandonare il pensiero di chiamare a Mendrisio una Colonia Salesiana, e che queste ragioni fossero fondate, lo addimostrano i recenti gravissimi disordini di Lugano e di Chiasso dove la canaglia imperversò in modo da dover ristabilirsi l'ordine collà milizia federale. Ciò non mi distolse tuttavia dal por mano ad un'opera eminentemente patriottica; e abbenché io il sappia d'essere su un vulcano, pure lavoro alacremente e con animo tranquillo alla non facile bisogna, fidente che il Signore mi assisterà. Intanto Le dico candidamente che nei frangenti ricorrerò a Lei pure per consiglio e già fin d'ora, sentendo qual grave responsabilità mi pesi sulle spalle, io La supplico di voler raccomandarmi qualche volta alla infinita carità del Sacro Cuore di Gesù Salvatore e del Sacro Cuore di Maria Ausiliatrice, acciò io abbia quei lumi, e quella forza morale e fisica che si richieggono per far molto bene alla mia Patria tanto rovinata dall'immorale radicalismo. Accludo L. 50 italiane, ch'Ella vorrà accettare pei suoi orfanelli, la cui preghiera é preziosa nel cospetto del Signore.
L'altro ieri fu a trovarmi il molto Rev. D. Guanella[486]; mi disse che un grande equivoco, a parer suo, fu cagione che il bel progetto andò a monte, per ora. E certo vi fu anche un equivoco, per togliere il quale io era venuto espressamente a Torino come delegato governativo. Ma quel che noi chiamiamo equivoco, non sarebbe mai disposizione della Provvidenza che si vale bene spesso degli strumenti più meschini per operare prodigi? E volesse pure operarne uno grande per mezzo di me poveretto, anzi poverissimo: volesse che l'Istituto di Mendrisio contribuisca potentemente a formare una generazione nuova di uomini credenti, laboriosi, morigerati, degni di un popolo repubblicano e cattolico.
Chiudendo la riprego di voler raccomandare me ed il mio infelice paese a Maria Ausiliatrice, e baciandole coll'animo commosso le benedette mani mi sottoscrivo di V. S. R.
P. S. I miei ossequiosi saluti al M. R. Don Rua, e lo preghi, di grazia, a farmi limosina di un Ave. [954]
Convenzione con Tor de' Specchi.
tra il Sac. Giov. Bosco Sup. della Cong. Salesiana e la Sig. Marchesa Luigia Canonici Madre Presidente della Eccellentissima Casa delle Oblate di S. Francesca di Tor de' Specchi.
Si premette che la pia e caritatevole Signora Maddalena Galeffi, di santa memoria, fu Presidente dello stesso Istituto, animata dallo spirito di carità e da zelo per la gloria di Dio, dié opera alla diffusione di buoni libri, immagini, medaglie, corone, crocifissi e simili. Questi oggetti riceveva come in deposito dalla libreria Salesiana di Torino. Ora avvenne o per esazioni che quella caritatevole signora non abbia fatto nello spaccio al minuto, o per difetto di registrazione, o per troppa riduzione di prezzi, fatto sta che nella sistemazione dei conti si trovò una scadenza di circa venti mila franchi che non apparivano pagati sebbene le merci fossero state spedite.
Il Sac. Bosco non volendo che l'opera caritatevole della Sig. Galeffi tornasse a carico di Lei o della sua comunità; desiderando di conservare amichevoli relazioni verso di un Istituto da cui aveva ricevuti grandi benefizi, condonò qualsiasi obbligazione potesse provenire dallo spaccio delle cose mentovate. Egli era intimamente persuaso che quell'anima benedetta non aveva avuto alcun vantaggio di quello spaccio e che tutto era provenuto da mancanza di pratica di cose di commercio.
Tuttavia l'attuale Sig. Madre Presidente in ossequio alla buona memoria della compianta sua Superiora Mad. Galeffi, per pura delicatezza di coscienza e per assicurare ognor più che niente manchi a quell'anima per comparire pura agli occhi di Dio e così andare con sicurezza al possesso della eterna felicità;
Desiderosa eziandio di venire in aiuto alla nascente Congregazione Salesiana, e dare alla medesima un atto di benevolenza;
E soprattutto volendo manifestare la gratitudine grande che questa Comunità nutre verso alla SS. Vergine Ausiliatrice, da cui riconosce avere ricevuti segnalatissimi favori;
Per questi motivi a nome e col consenso di tutta la sua comunità, concede l'uso di un quartiere di sua proprietà di cinque o sei camere per lo spazio di trent'anni cominciando dal corrente 1878.
Si pone soltanto la condizione che tale edifizio debba esclusivamente servire pei Salesiani o per cose che riguardino la Congregazione Salesiana.
Il Sacerdote Bosco dal suo canto rinnovando il condono già fatto di ogni obbligazione che possa derivare a di lui favore accetta tale [955] donazione a maggior gloria di Dio, assicurando che i Salesiani faranno ogni giorno particolari preghiere per la conservazione ed incremento dell'Istituto delle Nobili di S. Francesca Romana.
Esso non mette alcuna condizione, ma si raccomanda solamente che nelle loro limosine vogliano anche continuare a beneficare l'umile Salesiana Congregazione come in passato e che tale concessione sia, per quanto si può, di un edifizio adattato a religiosi che devono tenere vita ritirata e segregata dalle persone del secolo.
Questa scrittura fu fatta e sottoscritta reciprocamente a nome proprio e dei dipendenti e successori rispettivi nelle cariche loro: fu firmata nel giorno 25 di marzo, 33 giorni dopo la elezione del Sommo Pontefice Leone XIII, giorno consacrato all'Annunciazione della B. V. M. cui sia onore e gloria per tutti i secoli. Amen.
sulla licenza per celebrare fuori di diocesi.
Mi sembra che sarebbe necessario far osservare a Roma, che la posizione fatta da Mons. Gastaldi ai Salesiani nella sua diocesi, intorno all'obbligo di presentare la sua licenza per celebrare fuori delle proprie Diocesi, é affatto eccezionale. Poiché:
1° Se esiste un tale decreto per tutti i Religiosi nel Calendario di quest'anno, in pratica non si osserva e sembra essere stato formato unicamente per molestare ed umiliare la Congregazione Salesiana.
2° Infatti per essa sola pare essersi diramata ultimamente l'ingiunzione di non ammetterne i membri a celebrare senza presentare una tale licenza; giacché furono per mancanza di essa respinti in molti luoghi: il che non é accaduto per nessun membro degli altri istituti religiosi
3° In questo decreto e nel modo con cui si fa eseguire, non si fa eccezione alcuna, non dei Superiore Generale, non dei conosciuti dai Rettori delle Chiese e residenti nella Diocesi, anzi nella stessa città Arcivescovile, il che sembra un eccessivo rigore.
4° Si osservi che una tale misura così inusitata non é nemmeno prescritta nella diocesi per i Sacerdoti esteri e pellegrini, ai quali si concede di celebrare per sette volte successive, colla sola presentazione delle testimoniali del proprio Ordinario. (Decreto XI dell'anno corrente).
5° Che una tale posizione eccezionale come altamente indecorosa [956] per la Congregazione non si può accettare: che anche accettandola non si farebbe cessare l'ammirazione che nasce spontaneamente da questo singolar modo di procedere.
6° Che v'è da temere che Mons. Arcivescovo esiga delle condizioni illegali per dare questa licenza, per esempio di presentare le testimoniali con cui uno fu ammesso al noviziato, la qual cosa non si può richiedere per diverse ragioni, ma anche perché in queste testimoniali si possono contenere delle cose nocive alla riputazione dell'individuo, e che non si possono manifestare senza peccato.
7° Che v'ha luogo a temere questa conseguenza, perché Monsignore esige già che si presentino queste testimoniali per ammettere un Salesiano all'esame per la Confessione.
8° Che assai fa temere l'esempio dato da Monsignor Moreno Vescovo d'Ivrea, che credendo essere in suo potere l'accordare o il non accordare la licenza di celebrare, non ammette assolutamente nessuno dei Salesiani a celebrare nella sua Diocesi.
9° Essere dunque necessario che se v'ha sopra ciò un decreto, questo sia assolutamente per tutti e si faccia osservare egualmente da tutti: con queste condizioni si potrà domandare la licenza di celebrare purché questa domanda si restringa a presentare. le testimoniali del proprio Superiore per essere giudicati idonei a celebrare nelle Chiese della Diocesi.
Formola per la benedizione di Maria Ausiliatrice.
Sacerdos, superpelliceo ac stola indutus, dicit:
Adiutorium nostrum in nomine Domini;
Sub tuum praesidium confugimus, Sancta Dei Genitrix, nostras deprecationes ne despicias in necessitatibus nostris, sed a periculis cunctis libera nos semper, Virgo gloriosa et benedicta.
Maria, Auxilium Christianorum,
Domine, exaudi orationem meam,
Omnipotens, sempiterne Deus, qui gloriosae Virginis Matris Mariae corpus et animam, ut dignum Filii tui habitaculum effici mereretur, Spiritu Sancto cooperante, praeparasti; da, ut cuius commemoratione laetamur, eius pia intercessione ab instantibus malis et a morte perpetua liberemur. Per eumdem Christum Dominum Nostrum.
Et personam benediandam aspergit aqua benedicta.
Circolare per le " Letture Cattoliche"
Alla vista del gran danno che reca in mezzo al popolo cristiano la cattiva lettura, il sottoscritto si adoperò di porvi qualche argine mediante la diffusione di libretti, che si stampano a modico prezzo in Torino col titolo di Letture Cattoliche.
Ma affinché i suoi sforzi non tornino inutili, di buon cuore egli si raccomanda a tutti coloro che amano la nostra Santa Religione e il bene delle anime che é pur quello della civile società.
Per la qual cosa raccomanda alla S. V. M. R. il Programma delle mentovate Letture, pregandola unitamente che voglia dargli quella maggior pubblicità che le sarà possibile per accrescere ognor più il numero degli associati e quello dei lettori. Che questi opuscoletti siano di grande utilità al popolo cristiano, la S. V. può vederlo dall'elogio che si degnò di farne il grande pontefice Pio IX di santa memoria, non che dalle testimonianze, possiam dire, di tutto l'Episcopato italiano.
L'esperienza di oltre ventisette anni ne é pure una prova solenne.
Pertanto nella speranza che la S. V. voglia prendere in benevola considerazione questa domanda, ne rendo i più sentiti ringraziamenti pregandole dal Signore ogni bene, mentre con tutto rispetto e gratitudine si professa. Di V. S. M. Rev.
Onorificenze pontificie ai signori Campanella e Frisetti.
Il sac. Giovanni Bosco prostrato ai piedi di V. S. col massimo rispetto espone che in data 29 scorso gennaio segnalava alla clemenza del compianto pontefice Pio IX due insigni benefattori dei nostri [958] fanciulli, e sono: l'ing. Emanuele Campanella genovese che gratuitamente fece disegni e diresse i lavori con molte spese per tutto l'istituto di S. Pier d'Arena dove sono ricoverati oltre a trecento poveri ragazzi, e dove intervengono pure in maggior numero gli esterni pericolanti.
L'altro é il cav. Giovanni Frisetti torinese ricco signore sostenitore delle opere nostre e promotore dell'obolo di s. Pietro.
Mentre si stava compiendo la pratica e S. S. era per onorarli della decorazione cavalleresca di san Gregorio Magno, ne succedette la gran perdita, per cui ogni cosa rimase sospesa.
Ora fa umile preghiera a V. S. che si voglia degnare mandar ad effetto questo atto di sovrana clemenza, il quale mentre sarà di grande consolazione e di emulazione a questi due buoni cattolici, tornerà eziandio di non leggero vantaggio ai nostri orfanelli, i quali versano in non leggere strettezze.
Che della grazia ecc. Sac. GIOVANNI BOSCO.
b) Promemoria al card. Franchi.
Prima di partire da Roma aveva l'alto onore di esporre a S. S, che due nostri benefattori. erano stati segnalati al compianto Pio IX per una onorificenza. Essi sono: Il cav. Frisetti ricco e buon cattolico di Torino, promotore del danaro di san Pietro e valido appoggio nei nostri bisogni.
L'ing. Emanuele Campanella genovese, che oltre a spese particolari fece gratuitamente i disegni e diresse i lavori per tre. anni nella costruzione dell'ospizio di S. Vincenzo in S. Pier d'Arena, dove presentemente sono ricoverati ben 300 orfanelli, mentre migliaia di esterni intervengono alle scuole ed alle sacre funzioni. Sul timore che la moltitudine degli affari abbiano fatto smarrire quel promemoria, mi fo ardito di rinnovarlo alla E. V. supplicandola a prendere in benevola considerazione l'implorato favore.
c) Risposta del card. Franchi.
Il santo Padre prendendo in benigna considerazione i meriti dei sigg. Giovanni Frisetti ed Emanuele Campanella, che la S. V. enunciava come insigni benefattori di opere pie, ed apprezzando altresì le raccomandazioni ch'ella faceva in proposito, si é degnato di annoverarli tra i cavalieri dell'ordine di s. Gregorio Magno. Le rimetto pertanto qui acclusi i relativi Brevi, commettendole l'incarico di farli tenere ai destinatarii. Corrisposto in tale guisa ai desiderii della S. V., e sicuro di farle cosa grata coll'affidarle tal cura, passo a confermarle i sensi della mia sincera stima
Lettere di Don Bosco a Don Rua da Roma.
Questa lettera fu dimenticata da Falco[487], perciò é in ritardo. Dillo ai nostri giovani. Sappimi dire il giorno in cui furono radunati i canonici della cattedrale, poi i parroci; quindi di nuovo i canonici, poi tutto il clero.
Il nostro silenzio e le preghiere faranno quanto sarà della maggior gloria di Dio. Io però non istò inoperoso. Benevolenza presso di tutti. Da fare immenso. Fu aggiunto un nuovo segretario[488].
Saluto omnes et singillatim Dio ci assista tutti.
1) Procura di far rinnovare il mio libretto[489] con quello di Rossi Giuseppe. Se non vi ricordate della pratica, dimmelo e la manderò di qui.
2) Dammi notizie di casa Clara e di casa Giusiana.
3) Mandami il nome di battesimo del Dott. Albertotti[490] e se trovi unisci anche alcune lettere scritte al med. pel servizio prestato ai colerosi; ed un certificato della Direzione del Manicomio[491].
4) Saluta Buzzetti, Ghiglione, Pelazza, Barale e loro amici. Dio ci benedica tutti e credimi in G. C.
Mi dicono che D. Barberis non é bene in sanità.
Desidero che si faccia quanto si può per sua sanità. Credo vantaggioso allontanarlo dalle sue ordinarie occupazioni: Mornese, Alassio, preferibilmente alla Spezia, d'onde si farebbe una passeggiata a Roma, sono località opportune. Parlane con lui e poi dimmi quello ti sembra a maggior gloria di Dio ed io approverò.
Credo che D. Meriggi e D. Guidazio potranno supplirlo.
Ho scritto alla Contessa Appiani per S.[492]; posdomani se ti porta qualche cosa la riceverai. Reclamane il bisogno specialmente pel pane. Si considerino come figli di Maria da inviarsi alle Miss. estere. Scriverò alla Contessa Bricherasio per la Chiesa di S. Gio.; ciò farò anche ad altri. Sappiti regolare.
1) Ben fatto per D. Barberis; fa' pure anche per Lucca[493].
2) Mando molte lettere per norma tua.
3) Non é ancora venuto niuno nuovo Salesiano dopo la mia partenza?
4) Ho scritto al Cav. Faia che ti dia del danaro; tu senza saper niente va a fargli una visita e digli che il S. Padre assicura preghiere e manda la Sua S. benedizione a lui e a sua figlia. Che nella casa avete pregato e pregherete per la sua sorella.
5) Mandami alcune letterine stampate con cui si accompagnano i diplomi dei Coop. Sales.
6) In Roma moltitudine immensa di gente; a Dio piacendo dimani andremo ad Albano.
7) Lunedì partirà un tale Palmieri Alessandro, fatto ginnasio, Hiro vel iro pauperior[494], ma che vuole farsi salesiano, e per le missioni. [961]
Si accetta alla prima prova. Se D. Luciano Rosa di Lonigo non é coop. Sal.; si faccia.
1) Ti scrivo da Albano, donde mandano cordiali saluti a te e a tutti i nostri confratelli di Torino; tanto qui quanto ad Ariccia le cose vanno con grande soddisfazione.
2) Questo anno fate pure S. Francesco il giorno in cui si trova. Io non mi posso trovare; non occorre invitare i Direttori, ti dirò il giorno in cui dovrai invitarli per trovarsi a S. Pierdarena.
3) Ti mando l'invito sacro: aggiungi pure Indulgenza plenaria e se si fanno difficoltà si porti il decreto a vedere.
4) Pelazza[495] porti alla Revisione Savio Domenico, dicendo che é la stessa edizione stampata: nascendo difficoltà si stampi coi nome di S. Pierdarena. Così sono inteso a Roma.
5) La conferenza pei Coop. Sal. in Torino si differisca al mio arrivo. Al giorno di S. Francesco ne faremo una per modello a Torre de' Specchi col permesso e coll'intervento del Card. Vicario e di molti altri Cardinali. Questa servirà di modello alle altre. Saprai tutto a suo tempo.
6) Sta attento a non firmare più alcuna cambiale pel sig. Varetto[496]; penseremo alla nostra o almeno ci adopereremo di provvedere.
7) Dirai al conte Cays che per le ordinazioni gli scriverò di qui a pochi giorni.
Ti scriverò altro quanto prima. Di' a D. Bonetti che aggiusti le lettere dei missionari. In compendio alla Unità Catt., compiute nel Bollettino.
Quella dell'Isola Flores merita preferenza. Ma si aggiusti con Don Cagliero, che studi quanto conviene pubblicare.
1) Prendo viva parte alle malattie che molestano la nostra casa di Valdocco. Noi benediremo sempre il Signore nelle cose prospere ed avverse. Tuttavia io farò ogni giorno un momento speciale nella S. Messa; facciano altrettanto i preti dell'Oratorio; i giovani tanto [962] artigiani quanto studenti facciano la S. Comunione, e dopo le orazioni si dica ogni sera da tutti una Salve Regina ed un Pater a Gesù Sac.to per due settimane. Dimanderò pure una speciale benedizione dal S. Padre, cui non potei ancora parlare, ma che spero avere udienza quanto prima.
2) Mandami nota dei cooperatori di Roma, cui fu inviato il diploma dopo la mia partenza da Torino. Vedrò se potrò ancora essere in tempo di invitarli pel 29.
3) Scriverò la lettera all'Avv. Alessio pel Sindaco di Cherasco. Mettila nella busta.
4) Fisserò poi il giorno in cui il Capitolo potrà trovarsi a S. Pierdarena pei nostri affari.
Dio ci benedica tutti e credimi sempre in G. C.
PS. Saluta Don Bonetti, fargli coraggio.
1) Se ti sembra che il Catalogo[497] si stampi senza borri[498], va' pure avanti senza mandarmi le bozze.
2) Terminati i nomi dei membri del Capitolo superiore credo si possa [mettere]:
Sac. GIOVANNI BONETTI, prefetto del Clero;
Sac. GIULIO BARBERIS, maestro degli Ascritti.
Quanto sarei contento se o tu o D. Cagliero o D. Bonetti, poteste mettervi nel filo telegrafico e venire a Roma alcuni giorni per aiutarmi un poco!
Martedì grande conferenza, prima dei Coop. Sal. presieduta dal Card. Vicario che parlerà in merito pubblicamente. Vedremo.
State allegri, pregate e sperate, l'aiuto di Dio non ci mancherà.
1) Dirai a Barale che i preti usciti dall'Oratorio sono oltre a due mila cinquecento: Oratorio e case annesse.
2) Oggi abbiamo avuto una conferenza presieduta dal Card. [963] Vicario, che in fine fece uno stupendo discorsetto. Ne avrai i particolari. Farà epoca nella storia.
3) Abbi cura di D. Bonetti, e comincia da parte mia a proibirgli la recita del Breviario fino a che gli dia il permesso di recitarlo di nuovo. Obbligalo al dovuto riposo, a fare moto, ma non faticose passeggiate. Se non può scaldarsi in sua camera, mandalo nella camera dell'Arciv. di Buenos Aires. Colà può passare tutto l'inverno ed oltre.
4) Sono contento che D. Barberis sia ritornato, ma veglia che si ripari dal freddo; riposi debitamente e fino a nuovo avviso sospenda la recita del Breviario ad eccezione del Vespro e compieta.
5) Dimmi altra volta il nome del Dottor Albertotti. Non trovo più la lettera su cui me lo avevi notato.
6) Se c'è ancora il T. Belasio gli dirai che se sta buono gli regalerò una bella immagine[499].
Tutti ne chiamano, tutti ne vogliono[500] Poco alla volta per carità, Prendi fr. 1300. Di poi vedremo.
Tutti bene. Dio conceda sanità e grazia a tutti i nostri cari giovani.
P. S. - D. Cagliero legga e provveda come può: hoc est, scriva.
D. Rua tratti coi cav. Pelazza[501] e faccia tutto ciò che giudica bene, affinché la nostra tipografia diventi la prima del mondo di Valdocco.
D. Bonetti poi esamini con D. Barale la convenienza di quello delle Rimembranze[502]. [964]
Abbiamo tanta carne al fuoco e per un mese e più non si potrebbe diffondere il Calendario del 1878[503].
Chi sa se non convenga mettere una o due pagine[504] nel Bollettino e così etc? Forse sarà nunc più opportuno rivolgere ogni sollecitudine al Bollettino che prende serie proporzioni, e a quei libri di cui furono esaurite le edizioni.
Questo tema sia studiato e tradotto in pratica da D. Barale, Don Bonetti, da p. Romovaldo Giuseppe[505], cui fo' saluti cordialissimi.
Il Sig. Prof. Giovannardi Corelli Francesco é portatore di questo biglietto. E’ desideroso di essere Salesiano e trattatelo come tale, somministrandogli tutto quello che gli potrà occorrere.
Dallo stesso e da me. a suo tempo si parlerà di presenza di tutte le altre cose accessorie.
Con vera affezione ti sono in G. C.
1) Non so se mi abbi mandato le fedi di nascita Franchini[506]: fatto sta che non le trovo.
Dunque o mandarmele o dirmi le precise espressioni con cui sono denominati i suoi genitori, senza di ciò non posso fare dimanda di dispensa
2) Barale chiede locale e credo potrai servirlo[507]. D. Cerruti ha due belle e spaziose, camere in Alassio di cui si può liberamente servire. [965]
3) Non so se in qualche sito si conservi ancora il tipo del terreno o sito Berardi, di cui si parlò l'anno scorso e che mi occorrerebbe per ripigliare la pratica. Il S. Padre ed il Vicario vogliono che abbiamo una casa od ospizio in Roma.
4) Pel conte Luigi Giriodi[508] scegliete un giovedì o altro giorno che accomodi e fate un funerale musicato, ma invitate i parenti e quelli che vi dirà il Cav. Carlo Giriodi.
5) Il Card. Ferrieri ripigliò le sue occupazioni e spero alla metà di questo mese partire da Roma con le cose aggiustate, almeno hic et nunc.
6) Quando D. Cagliero era in America mi scriveva due volte al mese, ora che é in Valdocco: Niente. Dagli un pizzicone, ma forte.
6) (sic) D. Berto m'aiuta a portare la croce grossa, ma ne aggiunge delle piccole. Ci vuole anche questo.
7) Ho mandato mille f. a D. Rocca[509], due mila a D. Daghero; manderò anche qualche cosa a te se sarai buono, ho scritto alla C.essa. Bricherasio che te ne porti specialmente per la Chiesa di S. Gio. Scriverò lo stesso al Marchese Passati.
8) Oggi vado a fare S. Agata[510] con Mons. Kirby al Collegio o Seminario Irlandese.
9) Ieri il Santo Padre cominciò a fare un po' di passeggio in camera. gran festa in Roma.
10) Dirai al Sig. Avv. Rossi[511] che ho letto con piacere la sua lettera e il suo sonetto, che lo ringrazio e se mi é possibile gli scriverò.
11) Dammi notizie del conte Cays. Digli che mi rincresce che non sia bene in sanità, e che pregherò per lui. Ma tu procura che niente gli manchi.
12) Barale e Rossi Gius. facciano una nota precisa del debito Galeffi[512], antico fino al 1874; di poi quello speciale per la madre Galeffi che Barale mi ha già fatto vedere che credo sia fino a tutto il 1875.
13) Saluta D. Cerruti[513] e Palestrino, il Sac.[rista] con tutti i conf. Dio ci benedica tutti.
Carissimo D. Ruota[514],
1) Gli affari e gli avvenimenti pubblici li saprete minutamente dai giornali. Le cose nostre rimangono in parte sospese. Martedì avrò comunicazione di qualche cosa speciale, da cui dipende la mia partenza o protrazione di essa da Roma.
2) Tutti i Generali di ordini religiosi sono d'accordo che non si diano certificati di frequenza di Confessione per coloro che presentano la patente di Confessione. Tu farai lo stesso. La Patente e niente altro[515].
3) Pare un temporale politico si vada preparando, ed oscuri nuvoloni si addensino.
4) Ho sentito molto la perdita dei nostri cari figli nominatamente del prezioso Arata. Preghiamo Dio che ci mandi operai nella nostra e sua vigna.
1) Sono a Magliano e vado aggiustando le cose.
2) Volevo partire alla volta di Genova, ma tutti mi consigliarono, specialmente i Cardinali papizzanti[516], di attendere fino all'elezione del nuovo Papa, che tutti attendono di questa settimana.
3) Bilio, Simeoni, Monaco sono in. predicato e si professano tutti nostri amici. [967]
4) Non mi sono trovato al letto del S. Padre, perché si conobbe contemporaneamente la malattia e la morte. L'ho però veduto cadavere e gli ho più volte baciato il piede.
5) Se Madama Varetto vuole che si venda la Cartiera, acconsento, ma di comune accordo e indennizzati di tutte le spese fatte. Se puoi parla con Lei e dille che io voglio a qualunque sacrifizio niuna questione con Lei[517].
6) Dimani vado a Roma e di là scriverò qualche cosa positiva.
7) In tutte le case si dimandano denari. Povero Crispino!
Dio ci benedica tutti in G. C.
P. S. Saluti a Rossi Giuseppe, Domenico, Marcello, Pietro ecc.
Si potrebbe fare un po' di capitolo a S. Pierdarena Lunedì, Martedì grasso e vedere di spicciare quel che si può del nostro Concilio Ecumenico?[518] La partenza sarebbe la sera del 3 marzo. Verresti tu, D. Cagliero, D. Bonetti, D. Barberis. Si avviserebbe anche D. Francesia, D. Cerruti. Io procurerei di trovarmi il due. Il punto sta se non avete impegni a Torino; e poi si prevengano gli altri e mi si scriva tosto.
Abbiamo Papa che si dice parente di Sisto V[519].Spero che sarà un vero padre che metterà le cose in uno stato normale.
Gli ho già scritto una lettera e spero di avere un momento di udienza prima di partire.
Dio ci benedica tutti e credimi in G. C.
(Senza firma e senza data). [968]
1) La mia partenza é differita per espresso volere dei S. Padre, che vuole trattare personalmente le cose nostre. Ci vuole bene e desidera essere egli stesso il nostro Protettore. Avvisa chi di ragione pel nostro capitolo, e appena potrò fissare la mia partenza, scriverò di nuovo. Sarà forse la prima settimana di quaresima.
2) Tratta con D. Cerruti per D. Cibrario e conchiuda quello che si può.
3) Non istupirti delle diserzioni di alcuni confratelli[520]. E’ cosa naturale nel gran numero, ma ciò servirà anche di norma a noi nell'accettare ed ammettere ai voti.
4) Oggi alle 2 pom. giunge l'Arcivescovo. Se ne sai la cagione scrivimi tosto. Parlare con D. Anfossi[521].
5) A D. Bonetti che prepari un articolo pel Bollettino sulla chiesa di S. Giov. dicendo: 1° Esser opera consigliata, benedetta, sussidiata da Pio IX. 2° Non potersi promuovere migliore monumento che condurre a termine un'opera da Pio IX cominciata, consacrata al suo nome, e che é secondo il suo ultimo ricordo: Abbiate cura della povera gioventù. 3° E’ un dovere dei Cooperatori condurre alla fine un'opera cominciata dal Fondatore dei Promotori salesiani.
6) A D. Bonetti che giunto a Torino ci parleremo delle cose sue, ma che ho bisogno di trovarlo proprio santificato.
Saluta tutti in nomine Domini e comunica a tutti i Salesiani, giovani, benefattori. Cooperatori la benedizione di Leone XIII.
Dammi delle notizie di Rossi Domenico, di Giulio, di Bonora, di Febbraro e di D. Ghiavarello ecc.
1) Sarà bene di promuovere il mutuo presso l'Opera di S. Paolo per togliere un poco l'appetito a Rossi Giuseppe[522].
2) Dirai a D. Tamietti che sono contento assai del suo miglioramento, faccia coraggio, fagli un saluto da parte mia.
3) Siamo in momenti assai difficili per la Chiesa: é tempo di pregare assai. Non posso dire di più, perché o per un motivo o per un altro mi aprono le lettere[523].
4) Mons. Cigolini[524] é stato fatto Cameriere segreto partecipante. Sarà bene che se gli scriva una lettera di cong.[ratulazione]; io lo feci già verbalmente.
5) Ieri alle 3 spirava nel Signore l'avv. Sertorio assistito dal fratello avvocato, dalla sorella, dal nipote arcip. ecc. Non ha fatto testamento, quindi difficoltà e forse questioni tra' suoi parenti[525].
6) Martedì tratterò le cose col S. Padre, dopo scriverò quando sarà possibile la mia partenza.
7) Tu farai un carissimo saluto ai nostri cari preti, cherici, studenti e a tutti quei giovani e vecchi i quali sono amici di D. Bosco e pregano per lui. Augura a tutti buon carnevale; e tu procura di farli stare tutti allegri. D. Lazzero é di buon umore? D. Riccardi si fa veramente buono? Attendo qualche miracolo.
Dio ci benedica tutti e ci conservi nella Sua S. Grazia. Amen.
P. S. Dirai a Nonna Teresa[526] che andando dal S. Padre, dimanderò una particolare bened. per Lei e per la sua sanità.
1) Non posso ancora partire, ma vado aggiustando le cose nostre. Credo però che tu possa disporre che, a Dio piacendo, mi troverò a [970] S. Pierdarena il giorno 25 e potremo passare intiero il 26-7-8 a trattare i nostri affari. Non ci sono difficoltà?
2) Mandami un catalogo della Congregazione.
3) Mandami un centinaio fotografie del S. Padre.
4) Da' corso alle lettere che ti unisco.
5) Prepara quelli che sembrano presentabili alle sacre Ordinazioni.
6) Ritieni che la sanità di D. Barberis e di D. Bonetti é precaria, perciò veglia, e non lasciarli digiunare e quando si sentano stanchi non pensino al Breviario.
7) Credo bene si mandi una fotografia del S. Padre ai principali nostri benefattori con queste parole: “ Prodotto dei nostri laboratorii ”, scritte sotto ad un mio biglietto di visita e con qualche tua parola.
8) Sarà bene che tu scriva o faccia scrivere da D. Cagliero agli Americani che trovandosi nelle strettezze si limitino alle spese strettamente necessarie; ma ciò con tutta dolcezza e carità. Si noti anche sperare meglio negli anni avvenire.
9) D. Durando che fa? Si dice che un Durando debba entrare al Ministero, é forse desso? Se ciò fosse, digli che si intenda bene con Cairoli[527].
10) D. Guidazio e D. Veronesi che fanno, come stanno? Di' a D. Barberis che faccia un cordialissimo saluto a' miei carissimi ascritti. Dimando loro che mi aiutino a salvare l'anima loro. Pregate il Signore per me ed abbimi sempre in G. C.
P. S. Se giudichi bene, vesti pure Guyot[528] da chierico.
1) Per le cose di Chieri andate avanti.
2) Forse non potrò giungere a S. Pierdarena prima delle ore pom. quattro e mezzo del 26; quindi il vero nostro lavoro sarà il 27-8-9.
3) Per lunedì mattino riceverai lettera precisa.
4) Forse venendo D. Durando si vuota troppo il gabinetto capitolare. Parlane con lui e fate.
5) L'udienza di Sabbato non poteva essere migliore; ne dissi per tutti, e di tutto parleremo.
(Senza firma e senza data). [971]
Lettera di Mons. Folicaldi a Don Bosco.
Le sono ben grato del bel dono che Ella ha voluto inviarmi, del bel libro cioè da Lei dato ultimamente alla luce: Il Più bel fiore del Collegio Apostolico, ossia la elezione di Leone XIII, nel quale ha fatto anche menzione della povera mia persona. Le sono pure gratissimo del diploma di cooperatore Salesiano che ho ricevuto, e ben volentieri accettato, fino dal giorno dedicato a San Giuseppe, e dei Bollettini Salesiani che mensilmente ricevo, e nei quali ammiro le opere realmente grandi che il Signore si degna operare per mezzo di questa sua nascente Congregazione. Procurerò per quanto posso di corrispondere a tanta sua cortesia, anche per lucrare le copiosissime indulgenze concesse a detti cooperatori. Desidererei ancora di poter mandare abbondanti elemosine per aiutare tante belle opere, ma ciò mi sarà un poco difficile, giacché io pure ho per le mani altra opera di grande gloria di Dio e questa é la continuazione del riscatto dei poveri moretti e morette schiavi nell'Egitto che cominciò il celebre Padre Olivieri. Legalmente la schiavitù é abolita in Egitto, ma in fatto esiste molto più che per il passato; anzi l'abolizione della schiavitù ben lungi dal migliorare la condizione di tali poveri infelici, l'ha maggiormente aggravata, giacché prima la vendita si faceva nei pubblici mercati ove godevano almeno il beneficio dell'aria; ora facendosi di nascosto si stipano i poveri schiavetti in luridi magazzeni ove aspettano un compratore. Al Cairo vi é un convento di terziarie francescane che fanno raccogliere elemosine per tutta Europa e quando hanno danaro sufficiente, comprano queste povere creature, le istruiscono, le battezzano; ed una gran parte di esse poco dopo muoiono, giacché per le grandi fatiche sostenute nel viaggio dal centro del l'Africa, giungono al Cairo mezzo morte; altre poi sopravvivono e vengono da quelle buone suore educate ed a suo tempo collocate.
Questa adunque é l'opera alla quale mi sono dedicato per quel poco che posso, cioè di raccogliere elemosine per fine così santo, ed a questa ho dedicato tutti quei risparmi che posso fare.
Mi raccomandi al Signore nelle sue orazioni e specialmente nel Santo Sacrifizio della Messa. Mi comandi ove valga a servirla in qualche cosa, che l'avrò per segnalato favore se potrò prestarle qualche servigio e mi creda sempre con tutto ossequio
D FRANCESCO FOLICALDI Arciv. di Efeso. [972]
Don Bosco al min. Zanardelli per il Dott. Albertotti.
Nel mese di febbraio ultimo decorso io aveva l'onore di segnalare al Sig. Ministro dell'Interno un benemerito cittadino nella persona del Dottore e professore in Medicina Sig. Gio. Albertotti. Fra i meriti di lui erano specialmente notevoli: La scienza conosciuta per le lezioni che dà alla R. Università, per libri stampati, per la cura del R. Manicomio. Da sei anni presta l'opera gratuita ai nostri poveri giovani che oltre ad ottocento sono ricoverati nell'Ospizio di S. Francesco di Sales.
In più paesi ed in tempi diversi lavorò gratuitamente in sollievo dei colerosi con lodevolissima abnegazione. Ogni cosa era corredata dai dovuti documenti.
Il Sig. Ministro dopo aver esaminato ogni cosa deliberava di dare al medesimo un segno di gradimento col fregiarlo della croce di cavaliere. Ma pel cangiamento di ministero quella provvidenza non poté effettuarsi.
Egli é a questo scopo che io rinnovo la stessa preghiera alla E. V. perciocchè con questo attestato al merito darebbe incoraggiamento a quel Sig. Dottore e farebbe una carità a questi nostri poverelli, che così vedrebbero compensato il loro benefattore con una pubblica onorificenza.
Prego Dio che conservi la E. V. a lunghi anni di vita felice, ed assicurandola della gratitudine imperitura, eziandio da parte dei medesimi giovinetti, ho l'alto onore di potermi professare
Lettere dell'avv. Leonori e Don Bosco.
Qui acclusa troverà una lettera della Congregazione con una copia di lettera scritta all'Arcivescovo di Torino che in quest'oggi stesso gli si spedisce.
Io nulla aggiungo su questa lettera della Congregazione relativa [973] alle vertenze e all'Arcivescovo, tranne che non mi soddisfano quelle decisioni; ma il Papa le ha approvate, e per ora La consiglio di obbedire ciecamente (scusi la mia arditezza); anzi opinerei che scrivesse all'E.mo Prefetto de' VV. e RR. accusando al medesimo ricevimento di quanto le invio, e dichiarando che come suddito della S. Chiesa obbedirà ciecamente ecc. La lettera la spedisca a me, onde io possa consegnarla.
Io più volte aveva di già parlato con Monsig. Bianchi, onde si sollecitasse la risoluzione, ed al medesimo avea risposto circa i privilegi concessi dal sommo Pio IX, ma esso mi aveva risposto come troverà scritto. Di ciò ho già informato l'E.mo Oreglia, cui ho il tutto partecipato.
Le accludo l'elenco de' suoi privilegi, onde ne faccia le copie prescritte. Faccia però espungere da quelle le parti che son cassate o cancellate da mons. segr.: a risparmio di posta ho tolto la copertina all'elenco dei privilegi.
Ho ricevuto la sua lettera da Nizza puntualmente. Io opinerei che in questo incontro, cioè nel parteciparsi a vicenda le disposizioni della S. Congregazione, Ella stessa parlasse all'Arcivescovo circa i preti sospesi; questo é il caso in cui mi pare bene appropriato: quid ultra debui facere et non feci? Se la sospensione perdurasse ancora, nella lettera che scriverà all'E.mo Prefetto, ne faccia quesito. Io farei così. Ella può prendere a calcolo questa mia opinione, e può anche non seguirla liberamente. Le accludo il Rescritto per il Chierico Franchini, il cui importo é di L. 6,50.
Preghi per me, e mi comandi sempre, e con venerazione e stima grande mi creda
Roma, 16 aprile 1878. Borgonuovo, N. 166.
Il Prefetto di Torino per le norme igieniche.
Nella visita eseguita in codesto Istituto dai sanitarii all'uopo delegati dalla Commissione di vigilanza incaricata da questo Consiglio Prov. Sanitario dell'ispezione delle scuole ed Istituti di questa città per proporre i provvedimenti indispensabili ad impedire ogni ulteriore diffusione della congiuntivite granulosa e curarne la distruzione, fu pur troppo riconosciuta una trascuranza di nettezza sia nel mobiglio, che nelle biancherie, la mancanza di luce e di aria in tutti i [974] locali, che hanno le pareti sucide e i pavimenti di mattoni polverosi e guasti, e sono del tutto angusti in relazione al numero degli allievi.
L'infermeria poi é del tutto disadatta sia per la capacità che per la sua orientazione e per di più in essa esiste un camino per la cucina dei inalati.
Tutte le norme d'igiene riguardante il mobiglio delle classi, l'illuminazione, il riscaldamento sono completamente trascurati; mancano i lavatoi, le sale di ginnastica e i cessi. Perciò fra 421 allievi che furono esaminati, si riconobbero 98 affetti da congiuntivite fra i quali 29 gravi e 69 meno gravi e così una proporzione di 29 per %.
Appare quindi che la malattia da due mesi ha fatto enorme progresso, posciaché nella prima visita la media era del 10, 8 per %.
E ciò nelle sole scuole, dacché gli individui addetti alle varie industrie non furono visitati.
Allo stato delle cose pertanto la Commissione visitatrice addita indispensabile ad arrestare la diffusione della malattia i provvedimenti che seguono:
1° L'immediato isolamento degli allievi malati dai sani, in modo che i malati abbiano un'entrata a parte, servizi, classi e dormitori in locali separati e distanti dagli allievi sani, e sia organizzato pei malati un conveniente servizio sanitario di cura, e pei sani un servizio d'ispezione.
2° La costruzione necessaria o l’adattamento di altri locali per dormitorio, studio, classi e infermeria, aggiungendo quelli mancanti, secondo le indispensabili norme d'igiene.
L'interesse sapremo della pubblica salute esige che le proposte della commissione sieno senza la menoma dilazione attuati, ed io a tenore delle disposizioni vigenti sulla materia potrei ordinarne l'eseguimento d'ufficio.
Però amo meglio rivolgermi alla S. V. persuaso che compenetrata della gravità della malattia e dell'urgenza di porvi efficace riparo vorrà senz'altro disporre per l'eseguimento delle prescrizioni suddette e metterà tutta la cura possibile perché esse siano esattamente osservate.
Io mi affido che l'interessamento dalla S. V. dimostrato pel pubblico bene non verrà meno in questa circostanza e sono persuaso che la Commissione in altra prossima visita non mancherà di rilevare i buoni effetti dei provvedimenti che vengono a Lei additati e che Ella avrà certamente attuato.
Soppressione di sussidio per scuole serali.
a) Don Bosco al Sindaco di Torino.
Benemerito e chiaris.mo sig. Commendatore,
Nella settimana testé decorsa mi sono recato alla tesoreria municipale per esigere il primo semestre di una annualità di fr. 300 che da molto tempo io percepiva a favore dì questo istituto detto Oratorio di s. Francesco di Sales, ma con mia sorpresa ebbi in risposta che quella somma era stata tolta dal bilancio. Io, andai dal sig. Cravosio pregandolo a darmene qualche ragione. Rispose in modo assai cortese che egli non mi sapeva dir niente; e che soltanto il sig. sindaco era in grado di appagarmi. Per questo motivo mi dirigo a V. S. Ill.ma e la prego di ascoltare la storia di questo sussidio. Fin dall'anno 1845 noi avevamo iniziate le scuole domenicali serali. Il sindaco di allora, credo fosse il cav. Nigra, ne provò contento, venne egli stesso a visitarle, di poi inviò una deputazione per osservare ogni cosa e riferire. Il comm. Dupré, il cavaliere Cappello detto Moncalvo, il cav. Rappolo componevano quella commissione. Quei signori si mostrarono assai soddisfatti nel vedere l'istruzione elementare portata alla più bassa classe del povero popolo; la loro relazione tornò di gradimento al Municipio, che ne diede prova sensibile segnando un premio di mille franchi allo scrivente, cm una annualità di 300 franchi per la spesa dei lumi necessarii nelle scuote serali. Tale sussidio si é sempre goduto fino al 1878. Ella, sig. sindaco, fu sempre a giorno delle cose nostre, e questa casa ha continuato costantemente il suo programma, che consiste nel somministrare l'istruzione ai poveri figli del popolo, educandoli al lavoro ed alla moralità, dando anche ricovero ai più poveri.
Il Municipio in ogni tempo applaudì ed incoraggiò lo scrivente, ed in ogni tempo i sindaci ci hanno onorato di loro presenza e ci inviarono ragazzi abbandonati per essere accolti nell'ospizio mentovato di s. Francesco di Sales. Nella sola invasione del cholera morbus nel 1855 quarantadue fanciulli, fatti orfani in questa calamità, vennero dal sindaco raccomandati allo scrivente che di buon grado tutti li ricoverò, e alcuni son eziandio presentemente nelle nostre case.
Ho accennato queste cose per far conoscere che questo istituto si é sempre prestato e si presta al pubblico bene, ed oggidì in Torino montano a più migliaia i ragazzi delle scuole diurne, serali e domenicali, i quali hanno il pane della moralità e della scienza.
Ora le fo umile preghiera di continuarmi quel sussidio non tanto per la rilevanza della somma, sibbene affinché non appaia, che un [976] istituto nato, cresciuto, consolidato dalla carità e dalla benevolenza dei Torinesi abbia ora pubblicamente demeritato.
Qualora poi non si giudicasse di continuare tale sussidio, le farei rispettosa ma calda preghiera di volermene almeno accennare la cagione, per sola mia norma e per soddisfazione dei miei collaboratori.
Appoggiato alla rettitudine dello scopo, che é beneficare la classe più bisognevole della civile società, e pieno di fiducia nella personale di lei onestà e benevolenza, prego Dio che le conceda vita felice mentre ho l'alto onore di potermi professare
b) Il Sindaco di Torino a Don Bosco.
La commissione del bilancio nel 1878 non ammise più le lire 300 per l'Oratorio di Valdocco; il Consiglio comunale deliberò nello stesso senso; non è quindi possibile né al sindaco né alla giunta di fare altrimenti.
Non si addusse ragione alcuna contraria a cotesto istituto; le lire 300 furono invece accresciute al collegio degli Artigianelli.
Senza disconoscere il vantaggio che cotesto istituto si propone di recare all'istruzione dei figli dei poveri popolani, non potrei avere in questo argomento altra opinione diversa da quella manifestata dalla rappresentanza del Comune.
Non le debbo dissimulare che, presiedendo la commissione speciale istituita per ovviare alla diffusione della oftalmia contagiosa, si é dovuto constatare che le regole dell'igiene sono troppo trascurate in cotesto istituto; anche facendo una parte alle condizioni speciali dell'istituto medesimo, se vi é, come vi deve essere, modo di togliere o di diminuire gl'inconvenienti notati, non dubito che ella sarà per ottemperare alle ingiunzioni avute dall'autorità prefettizia, come io non posso a meno di consigliarle, al fine di evitare le misure minacciategli, misure di rigore.
Lettera del can. Comino a Don Angelo Savio.
Ho letto, nel Bollettino Salesiano che degnossi inviarmi, i dissensi che vi regnano fra mons. Arcivescovo e il suo superiore D. Bosco. Mi rincresce nel fondo dell'animo per lo scandalo dei fedeli, senza però [977] stupirmene. Subito dopo la nomina di monsignore Arcivescovo a prelato di quest'arcidiocesi, un suo fratello professore diceva che gli rincresceva grandemente della nomina di suo fratello ad Arcivescovo, perché non avrebbe finito bene e lo diceva dappertutto e con tutti. Ed io nei diversi impieghi che ho occupato in diocesi come arciprete can. e vicario foraneo d'una delle principali chiese e vicarie della diocesi per lo spazio di 48 anni compiti, posso ben dirle che ebbi a soffrir più dalle imprudenze di monsignore che dai disgusti e falli, di tutto il clero da me dipendente. Io conservo lettere, scritti, provvidenze, l'una contro dell'altra da disgradarne il più placido e tranquillo. Egli é suo solito, dire e disdire, per niente alterarsi, volere quello che vuole, per niente adombrarsi. Povero monsignore, io gli ho sempre voluto bene, e l'amo, bisogna compatirlo, credo che non si ricorda e non conosce il suo naturale. Mi duole per la povera diocesi, perché ha colle sue improntitudini perduto la stima e credito appresso i canonici, parroci, e vicarii foranei: é una vera disgrazia.
Preghiamo per lui, come io prego tutti i giorni, affinché il Signore vi ponga rimedio.
Condizioni volute dall'Istituto di Sant'Anna della Provvidenza
per l'accettazione di una scuola o stabilimento.
1° La Direzione ed il comune si obbliga di corrispondere alle suore oltre l'alloggio mobigliato: 1. quattrocento lire annue da pagarsi a trimestri; 2. Le legna, il carbone e l'olio pel lume; il letto in ferro compito e colle cortine; 4. un sufficiente corredo di biancheria da letto, da tavola, e da cucina.
2° Sarà pure a carico dell'Amministrazione la manutenzione della biancheria, dei mobili di casa e degli utensili dì cucina, non che la spesa del primo viaggio ed il trasporto del bagaglio necessario.
3° In caso di malattia le suore saranno provviste del Medico o chirurgo e dei medicinali, notando però, che qualora si prevedesse una malattia alquanto grave la Superiora le richiamerà alla casa centrale per farle curare.
4° Toccherà similmente alla Direzione od Amministrazione stipendiare una donna che in qualità di serva presti l'opera sua per le varie commissioni di cui le suore potessero abbisognare.
5° La nomina delle maestre si fa dalla Superiora dell'Istituto, [978] la quale si riserba la facoltà di fare, per giusti motivi, quei cangiamenti che giudicherà necessarii nel personale.
6° Il contratto stipulato con una amministrazione, s'intenderà duraturo d'anno in anno e più non volendo le parti continuare, si dovranno a vicenda avvisare quattro mesi prima. In difetto di tale avviso s'intenderà rinnovata la convenzione per l'arino successivo.
Convenzione fra la Cartiera salesiana
ed il sig. Costantino Pancaldi Pasini.
Il Sig. Costantino Pancaldi Pasini entra nella prefata. Cartiera in qualità di Capo Tecnico e come tale assicura e si obbliga:
1) Eseguire colla massima esattezza qualunque qualità di carta dietro analizzazione dei tipi o campioni che gli saranno presentati, formandone gl'impasti in modo da poter vantaggiosamente sostenere la concorrenza nei prezzi, ed assicurando pure che dovendo ripetere lo stesso tipo questo riesca sempre di ugual forma, essendo questo il nostro principale bisogno assolutamente esigibile.
2) Introdurre nella fabbricazione quelle migliorie che crederà opportune anche studiando novità speciali che sotto l'aspetto economico pure danno prodotti da incontrare il favore del pubblico.
3) Sorvegliare seriamente per il buon andamento della Cartiera in generale ed in modo speciale evitando lo spreco delle materie prime, i guasti delle macchine e della carta.
4) Studiare il modo di evitare i difetti che si potrebbero incontrare nelle carte, sia che essi provengano dalla parte chimica, come dalla parte meccanica.
5) Assicura pure di conoscere perfettamente tutto il macchinario che serve alla fabbricazione della carta, cosa assolutamente necessaria per potere all'occorrenza recare un pronto e certo rimedio quando esso sia difettoso.
6) Si rende responsabile del servizio degli operai ed operaie (eccettuati gli addetti alla legatoria), facendosi coadiuvare dai sottocapi per l'assistenza; non potrà però diminuire od aumentare le paghe, accettarli o licenziarli senza il consenso della Direzione.
7) Cogli operai dello Stabilimento avrà massima cura sia nel trattare con loro famigliarmente, sia quando occorre rimproverarli, di accaparrarseli col buon esempio di cristiana carità sì nell'interno che nell'esterno della Cartiera.
8) Si conviene ad una prova di mesi sei a principiare dalla sua entrata in Cartiera, durante la quale dimostrando capacità e condotta [979] conveniente, verrà confermato per un periodo di tempo da stabilirsi di comune accordo.
9) La Cartiera si obbliga di corrispondergli lo stipendio di L. 400 mensili, riservandosi di aumentarlo o con gratificazioni fisse o proporzionali alla maggior produzione, quando ne abbia sperimentata la capacità e la buona condotta.
10) Le provviste, le vendite, la corrispondenza e le firme sono esclusivamente riservate alla Direzione della Cartiera, la quale nei casi a lui spettanti procurerà di sentirne il consiglio per coadiuvarlo in tutto quello che gli può occorrere per il buon andamento della fabbricazione.
11) Dando luogo a motivi per parte sua dal lato di poca capacità tecnica, come dalla parte morale, potrà essere licenziato mediante un preavviso di tre mesi; così dovrà fare Egli stesso qualora credesse abbandonare il suo Ufficio presso la nostra Cartiera, salvo casi eccezionali.
Due lettere di Don Guidazio a Don Bosco da Montefiascone.
Carissimo ed amatissimo S. D. Bosco,
Se secondassi il mio desiderio, senza tenere conto delle molte sue occupazioni, io le vorrei scrivere tutti i giorni a costo di meritarmi la taccia di indiscreto. Ora però, atteso la circostanza delle feste natalizie, non potrei dispensarmi dallo scriverle, fosse anche solo per augurarle buone feste e raccomandarmi alle sue orazioni, acciocché mi ottenga dal Bambino Gesù, che io sia tutto suo, non viva più che per Lui, come é mio desiderio, quantunque per mia pusillanimità non sempre vi corrispondano le azioni.
Ella ci aveva premesso di farei una visita, il tempo si avvicina e noi tutti lo attendiamo a braccia aperte. Le accerto che farà a tutti un piacere grandissimo. Noi verremo a prenderlo ad Orvieto od a Viterbo. Intanto credo bene di prevenirlo di alcune cose, che ho potuto a mio bell'agio osservare dacché mi trovo qui, e che mi hanno costretto a modificare il mio primiero giudizio. Non mi tratterrò sulla disciplina assurda ed inesplicabile, per cui i giovani sono costretti a starsene chiusi tutto il giorno nelle camerate, divisi quattro a quattro. Quello che é bene che Ella sappia, si é che mi pare molto difficile che Monsignore, malgrado l'espresso suo desiderio, riesca a rimettere questo collegio a D. Bosco. E ciò per due ragioni. La prima perché si dovrebbero licenziare tutti i superiori ed i servi, i quali tutti percepiscono uno stipendio, che assorbe tutta la rendita del collegio, [980] che é di 21.500 fr. senza contare la pensione dei convittori, e sostituirli con altrettanti salesiani, che farebbero quello che non si fa adesso, né si farà mai. L'altra ragione sta nei pregiudizi radicatissimi in fatto di educazione e di insegnamento. S. Girolamo e Sulpizio Severo ed anche il Lohomond, autori che io aveva suggeriti nelle varie classi, provocano il riso, si vuole Orazio e Cicerone, Cicerone ed Orazio anche per coloro che non intendono un iota di Cornelio. Aritmetica, Greco, Storia e Geografia le erano cose nuove, l'Italiano era talmente trascurato che, per compassione dei miei scolari me ne sono incaricato io, e lo insegno da quindici giorni insieme al Greco, Storia, Geografia nelle, due classi[529]. Riguardo all'educazione gli basti questo, che avendo una volta detto alla presenza del Vescovo, che nelle nostre Case tutti i Superiori passano la loro ricreazione coi giovani, non escluso il Direttore, e con essi giuocano e scherzano, ne fecero le più alte meraviglie, e Monsignore disse che Egli non permetterebbe mai una simile cosa, che farebbe perdere ogni rispetto al Superiore; cosicché io fui pentito d'aver parlato, temendo avere dato scandalo. Eppure nella scuola io scherzo e rido ed ottengo molto più di ogni altro. I giovani mi amano e rispettano e ciò é ben noto anche a Monsignore, il quale ebbe più volte a lodarsi di me in mia presenza al punto da farmi arrossire. Come le dissi, il collegio ha una rendita netta di 21.500 fr., che prima del 1870 saliva a 10.000 scudi. I convittori pagavano allora 45 scudi annui, ora ne pagano 70, ma atteso l'incredibile quantità e qualità del vitto non sarebbe di troppo 130 scudi.
Il reddito é così compartito: 17.500 fr. lasciati dal governo a titolo non so quale; 1.500 fr. pagati dal Municipio a titolo di sussidio, più 500 fr. donati dal Vescovo; inoltre i giovani esteri pagano tutti 8 fr. mensili. E queste cose le seppi dal Prof. Amati, Canonico penitenziere, Direttore spirituale del Collegio e mio. Malgrado una rendita così vistosa il collegio versa in grave necessità, perché, come le dissi, é assorbita dallo stipendio dei superiori e della servitù, che, malgrado la diminuzione dei giovani e del reddito, conservano lo stipendio antico, e nessuno é disposto a fare riduzione, o prestare l'opera sua in checchesia senza essere pagato. Ed avvenne di questi giorni che avendo io proposto, sull'esempio delle [981] nostre Case, di far cantare la Messa in musica pel S. Natale, l'economo, che è un canonico assai ricco e valentissimo nella musica, rispose francamente che, se gli assegnano 400 fr. di stipendio insegnerebbe musica, altrimenti no. Cosicché qui non si sa nemmeno che cosa sia musica, teatrino, o altri divertimenti, anzi si darebbe scandalo al solo parlarne.
Intanto il numero dei convittori é scarsissimo. Un solo chierico di Teologia, e 18 del Ginnasio. Nella rettorica nessuna vocazione. Io ho proposto di non obbligare i giovani di Ginnasio a vestire da chierico, compatire ai pregiudizi dei parenti, e coltivare in collegio la vocazione. Ma non avessi mai fatto tale proposta!
Da tutte queste cose e da altre, che non dico per non essere troppo lungo, mi sono convinto che é impossibile rialzare questo collegio, tranne per opera di D. Bosco. Ed Ella venendovi si persuaderà anche meglio, ed io le dirò il resto.
Ora mi perdoni l'indiscretezza, preghi per me e mi creda che sono tutto, tutto suo anima e corpo.
Le scrivo per ordine del Vescovo. Ieri mi fece chiamare per dirmi che é in trattative col Municipio per aprire il liceo. Spera di ottenere un sussidio di otto o dieci mila fr. Ma prima vorrebbe sapere se Don Bosco potrebbe provvedere quattro professori tutti patentati pel Liceo. Egli assegnerebbe lo stipendio a ciascuno e conveniente alloggio nel Seminario, del quale affiderebbe anche la direzione dopo tre o quattri anni a beneplacito dei preti di Montefiascone, ecc. Aggiungendo averne parlato col Santo Padre, e averne avuto lode ed incoraggiamento.
Io rimasi sorpreso di tanta novità ed indiscretezza e rispettosamente risposi, parermi cosa impossibile che D. Bosco potesse in ciò compiacere Sua Ecc. Potere a mala pena provvedere alle nostre Case, che in questi ultimi tempi sembrano essere prese di mira dall'autorità scolastica; una prova di questa scarsità é l'avere mandato me a Montefiascone, malgrado la mia malferma salute. Essere inoltre assai difficile ottenere l'autorizzazione di aprire il Liceo, essendovene uno a Viterbo, distante due ore. Potersi ciò fare quando in Seminario vi siano almeno 150 convittori, non ora che tra interni ed esterni non arrivano a 40. Conchiusi che se Sua Ecc. si risolvesse ad affidare la direzione e l'amministrazione del Seminario a D. Bosco, si potrebbe sperare col tempo, non ora, di fare qualche cosa in proposito, ché fintanto che dura questa triviale e sciocchissima disciplina, bisognerà [982] rinunziare non solo alle speranze di Liceo, ma chiudere il ginnasio per mancanza di studenti, poiché a mio credere, un giovane di cuore non si potrà mai rassegnare a questa reclusione o sepolcro.
Il Vescovo soggiunse che é suo ardente desiderio affidare il tutto ai Salesiani, ma essere cosa impossibile, atteso la avversione dei preti del paese, memore della rivoluzione avvenuta quando sotto un suo predecessore furono chiamati i Gesuiti, rivoluzione così violenta che a reprimerla si chiamarono i francesi che stavano qui di guarnigione. E si poté sedare colla partenza dei Gesuiti.
Ed a tutte le mie ragioni in contrario rispose che non intende rimoversi dal suo proposito, e se occorre, gli farà scrivere dal Santo Padre. Intanto Ella favorisca di rispondergli a questa prima domanda e gli risponda mille volte negative.
Non calcoli, Sig. D. Bosco, su di me più in nulla. Ho fatto pel passato tutto quello che ho potuto per la Congregazione, ora non potrei più servire ad altro che da assistente a Lanzo od a Valsalice.
Preghi per me. Non mi sento niente bene; non dico altro per non parere meticoloso.
Montefiascone, 22 aprile 1879.
Primo progetto di Don Bosco per Magliano Sabino.
1° La deputazione cede la direzione degli studi e l'amministrazione del Seminario al prefato sacerdote Bosco colle obbligazioni infra descritte.
2° Fatto un bilancio dei redditi del Seminario, detratti tutti gli oneri ed imposte, rimangono nette lire 4939 che si cedono al sac. Bosco in vista dei provvedimenti che occorrono pel maestro di 3° e 4° elementare, per gli insegnanti del Ginnasio, per un professore di Filosofia, uno di Teologia e provvedere tutto il personale dirigente, assistente ed insegnante. Siccome il reddito sopra esposto per la estinzione di alcune annuali passività andrà aumentando, così la deputazione cede ogni aumento a favore dell'amministrazione.
3° Sarà fatto un inventario sullo stato attivo e passivo per l'anno scolastico 1877-78. Avverandosi il caso, che si spera non sarà, che l'amministrazione del Seminario dovesse di nuovo ritornare nelle mani della ordinaria sua prima deputazione si dovranno rimetter le cose nel medesimo stato e valore in guisa che i miglioramenti e deterioramenti sono a vantaggio o danno del sac. Bosco. [983]
4° Dovendosi far eseguire lavori straordinari di riattazione, costruzione o riparazioni la E. S. il Card. Bilio, i Signori della deputazione ed il sac. Bosco di comune accordo studieranno il modo di provvedere i mezzi necessari per i lavori.
5° Il Superiore Ecclesiastico eserciterà la sua piena autorità sulle materie d'insegnamento e in tutto ciò che si riferisce alla disciplina, religione e moralità degli allievi a termini delle Costituzioni Sinodali ed Apostoliche. I trattati di Filosofia e di Teologia saranno sempre esaminati, proposti dall'E. S. e tanto il professore dì Filosofia quanto quello di Teologia dovranno sempre essere approvati dall'Ordinario. A lui pure appartiene l'esame e il giudicare sui chierici che dovessero promuoversi alle Sacre Ordinazioni.
6° Il sac. Bosco si obbliga nella sua qualità di Superiore Generale della Congregazione Salesiana per sé e suoi eredi, e l'Eminentissimo Card. Arcivescovo (sic) promette la sua protezione alla intera Congregazione, affinché possa conservare la sua autonomia in faccia la .Chiesa, e questo istituto nascente possa avere il suo incremento a maggior gloria di Dio e vantaggio delle anime.
7° Il programma degli studi, delle condizioni e norme di accettazione saranno sempre sottoposti all'approvazione dell'Ordinario.
8° La convenzione comincerà nel prossimo anno scolastico 1877-78 e durerà cinque anni e qualora una delle parti volesse recedere da questa convenzione dovrà darne avviso all'altra parte cinque anni prima.
Cinque lettere del Card. Bilio e Don Bosco.
Rispondo un poco tardi alla preg.ma sua scrittami da Magliano intorno al progetto d'un Convitto educativo in Seminario: cagione del ritardo fu il cambiamento di casa, la moltiplicità delle nuove occupazioni, e più il non sapermi decidere ad accettare un progetto, che pe' precedenti col Sindaco del luogo, ammetteva gravissime difficoltà. Credetti opportuno maturar meglio la cosa, sentirne i Deputati del Seminario, ed ora che so, che la stessa Deputazione ne ha scritto in proposito a V. S. pregandola direttamente colla mia annuenza a prendere non solo la direzione degli studi in Seminario, ma eziandio l'amministrazione delle rendite, di buon grado le dirigo la presente per aggiungere la mia raccomandazione, acciò che le pratiche incominciate possano riuscire a felice termine, senza punto contravvenire [984] alle disposizioni del S. Concilio di Trento intorno ai Seminari diocesani.
Per le ragioni dette di sopra non ebbi agio di ringraziare per lettera il rev. D. Oliviero Iozzi, che m'indirizzò alcune poesie manoscritte. Prego V. S. a far con esso le mie scuse, e ringraziarlo cordialmente da mia parte.
Ricevo sempre buone notizie de' due maestri D. Daghero e Giacomuzzi; son di essi veramente contento, sì per la esemplare condotta che tengono, e sì per la buona istruzione che danno.
Il Chier. Giacomuzzi attendeva Mons. Suffraganeo per la ordinazione: se Monsignore non torna adesso, avrò il piacere di ordinar io il Giacomuzzi quando mi reco in diocesi nell'autunno. E con sensi di vera stima mi soscrivo
L. Card. BILIO Vesc. di Sabina.
Tuttoché occupatissimo nei lavori delle Congregazioni e per altri carichi che mi furono addossati, non tralasciai di rimettere ai Delegati del Seminario il Progetto colle correzioni, perché osservassero se v'era nulla d'aggiungere che non si trovasse notato. Essi mi mandarono il Progetto copiato, ma in alcune parti quasi mutato nella sostanza. Ho creduto dunque di mandare a V. R. copia del Progetto come fu da me e da V. R. accettato, salvo che ho modificato un poco l'articolo sesto in guisa che con quelle variazioni ed aggiunte possa essere da V. R. accettato. Se nulla havvi più oltre in contrario V. R. ne faccia stender due copie per esser all'uopo, se nulla altro osta, definitivamente da ambe le parti sottoscritto.
Considerando poi che il Rettore Rebaudi già da circa 30 anni con tanto zelo e con tanta lode ha assistito il Seminario, e che se per questo fosse posto in disponibilità avrebbe diritto, com'è costume dopo sì lungo servizio, a qualche pensione, prego V. R. ad aver la bontà di presentarmi su tal proposito un qualche progetto, che riesca di gradimento del Rettore suddetto, pel quale ho la più grande premura.
R con sensi di vera stima godo ripetermi
L. Card. BILIO V. di Sabina. [985]
Ho ricevuto le due Copie originali del Concordato tra il Seminario Sabino e la Congregazione Salesiana, e sottoscritte entrambe ne rimetto una Copia a V. S. e l'altra alla mia Curia. Il Signore Iddio benedica sin dal primo incominciamento opera sì bella, da cui mi auguro buoni frutti per questa a me sì cara Diocesi. Piena benedizione anche da parte del S. Padre a chiunque vi ha concorso, a chi presiede, a chi insegna, a chi verrà ad apprendervi scienza e religione, a chi verrà a porgere l'opera sua. Io ne sono veramente contento, e come il Clero e diocesani.
Coraggio adunque e mano all'impresa in Nomine Domini.
L. Card. BILIO Vesc. di Sabina.
La ringrazio, proprio di cuore, della santa impresa di Magliano. Se la cosa riesce felicemente, come speriamo, il nome di D. Bosco e de' suoi buoni Salesiani sarà benedetto in tutta la Sabina, dove, fuor di Rieti, non vi sono altre scuole.
Questa mattina é giunto a Roma, per fare alcune provviste, il fratello[530] Albino Donato, mio ospite. Dopo domani partiremo insieme per Magliano, ma io non potrò restare colà lungamente, dovendo eseguir la visita pastorale della Diocesi.
Il Santo Padre é contento ch'io abbia chiamato i Salesiani a Magliano. Gli ho parlato anche delle altre tre fondazioni da Lei accennate; alle quali manda l'apostolica benedizione, specialmente a quella di Spezia. Mi raccomandi intanto al Signore e mi tenga sempre per
L. Card. BILIO Vesc. di Sabina.
E’ pressoché un mese che io mi trovo a Magliano, e in tutto questo tempo ho potuto conoscere più da vicino l'andamento e il progresso [986] del Seminario e Convitto sì nella pietà che negli studi. Io ne sono veramente contento; e ringrazio V. S. Rev.ma che ha procurato cotanto bene a questa mia diocesi in tempi sì difficili e calamitosi. I Maestri tanto sacerdoti che chierici da Lei mandati sono zelanti ed esemplari, e sotto la loro disciplina spero nel Signore che i giovani riusciranno addottrinati e dabbene. Intanto la buona fama si é diffusa nei paesi d'intorno e nella stessa Roma, tanto che il numero degli alunni é salito già sino a sessanta circa ed é per crescere ancora. Ciò si deve al buon concetto che meritatamente si ha del Rev.mo D. Bosco e de' suoi Salesiani. Ne sia gloria a Dio. Da mia parte non mancherò in contracambio di giovare dove posso al suo Istituto, e lodarmene allo stesso S. Padre. Giovedì prossimo 16 corr. farò la premiazione solenne nella Chiesa delle Grazie; e verso il 21 farò ritorno in Roma.
Accolga questo attestato di mia sincera gratitudine, e mi creda sempre con perfetta stima
Magliano Sabino, 14 ottobre 1879.
L. Card. BILIO Vesc. di Sabina.
L'Oratorio di Chieri.[531]
Si pose mano all'oratorio ruminino e si ricorse a V. R. Come sa, il Curato del duomo se ne impossessò in casa sua... Ella elesse tre come fondatrici, Braia, Ciceri, e la sorella di Don Sona, C.o. La Braia introdusse due maestre di canto che turbarono (a quel che mi dicono) il buon andamento dell'Oratorio. Procurai che fossero espulse, ma finora non riuscii; intanto la Ciceri si ritirò; ottenni intanto (sempre per via indiretta) che fossero almeno raffrenate; ottenni di più per mezzo di monsignore che l'oratorio non si tenesse nel tempo delle funzioni, perché, dissi, é proibito dal Papa. L'oratorio femminile (come mi consta dallo stesso Curato) non va bene, ma langue: spero però di poterlo tenere in piedi fino al tempo che dirò più sotto.
Ritornato in vacanza a Chieri e conosciuta bene ogni cosa, mi provvidi da Roma una speciale benedizione dal Papa, poi stesi un piccolo programma d'oratorio pei giovanetti e con esso mi presentai all'arcivescovo, il quale vedendo le mie istruzioni da Roma, confermò tutto parola per parola, anche il nuovo personale (il vecchio eletto e datomi dall'arcivescovo non aveva fatto altro che chiacchierare). Esso si [987] compone del can. Sona Direttore, di D. Cumino, educato da lei, Vice Direttore e Tesoriere e di Serra Cappellano maestro di canto.
Con questi soli e alcuni consiglieri pro forma si fondò l'opera. Volli che fosse sotto la parrocchia di S. Giorgio, per non avere imbrogli dal duomo e dal seminario. Però affittammo dal P. Almando Domenico un locale a caro prezzo ed invitato il parroco dì S. Giorgio e l'abbate Botto con altri assai, si aprì l'oratorio con 60 giovani, quanti potevano capire nella località. Colà lessi il programma a nome del Papa e lo commentai; dissi però che era consentito dall'Ordinario e dal parroco secondo i canoni; e di più che era stata avvisata l'autorità civile, la quale aveva promesso un sussidio dopo due mesi di durata. Si giuocò, si cantò da tutti un inno in musica in onore del Cuor di Gesù, a cui è dedicato l'oratorio e si distribuirono regalucci ai ragazzi. Finora va bene, ma il locale stretto non ci permette di ricevere i duecento e più giovani che domandano l'entrata, che si fa con appositi biglietti, dati volta per volta a quelli che osservano le regole stabilite.
Qualche dì dopo vidi il Curato del duomo, con cui ho spesso relazioni, come con tutti gli altri di ogni partito. Si lamentò meco che l'avessi aperto senza parlargliene. Io che son franco e non lo temo, risposi subito: - Mi meraviglio della sua osservazione. Ella sa che sono due anni che parliamo di ciò, e sa pure che non ho mai potuto ottenere da lei un aiuto efficace: fui adunque costretto di rivolgermi altrove.
- Ma, riprese; V. R. sa, che il parroco ha dovere e diritto di dar lui l'istruzione religiosa; passi per quei di S. Giorgio, ma per i miei tocca a me.
- Scusi, risposi; forse ella ignora che io sono fatto dottore in diritto canonico in Roma, e che quindi conosco i limiti dei diritti parrocchiali, meglio degli addottorati all'università di Torino, che non é in fama a Roma, per questa parte. Quindi le dico che lei ha diritto d'insegnare nella sua chiesa, e questo è vero ma i giovanetti della sua parrocchia hanno altresì diritto secondo il jus canonicum romanum d'andare a cantare i vespri e pigliare la benedizione (che certamente non sono di obbligo) e andarsi a divertire, secondo il genere d'oratorio promosso da Pio IX, dove meglio loro piaccia. Vorrebbe dunque pel suo diritto non bene inteso che si lasciassero i giovanetti in mezzo ai pericoli delle vie e piazze pubbliche? Pensi piuttosto all'obbligo sub gravi che ha, anche secondo le morali che ha meno tute, di trovare modo di opporsi all'ultima legge che cerca d'impedir l'istruzione religiosa: a questo si debbe badare. - Poi volgendo in ischerzo questa intemerata gli dissi: - Ha un altro obbligo stretto, ed é di danni da bere del suo buon vino, perché mi ha fatto stancare per più di un'ora. - Così bevuto e toccatogli la mano lo lasciai, togliendogli la voglia di fare mai più una simile prova,
Temei dal Teol. Boccardo e quindi dall'arcivescovo qualche cosa contro l'oratorio, per qualche espressione del Boccardo. A sventarla [988] gli scrissi una lettera assai pensata, ostensibile all'arcivescovo, dicendogli che inutilmente con lui ed altri aveva tentato l'anno scorso l'opera dell'oratorio; che però mi ero rivolto alla benedizione del Papa, e poi all'arcivescovo, ed in ultimo al parroco di S. Giorgio; che con nuovo personale si era aperto; che chi favorisce tali opere é benedetto da Dio e chi le attraversa é castigato severamente; e ne contai tre casi di ecclesiastici passati per le mie mani. Non osò rispondermi, ma trovatolo a caso, parve meravigliarsi del mio ricorso al Papa. Io ripresi: - Conosco il paese e l'aria, però l'ho fatto appositamente, e così farò sempre.
Queste sono le opere già compite... e gli altri devono sostenerle finché V. R. possa impiantare in Chieri una sua casa mascolina e femminina. Quando ciò si avveri é stato deciso da noi e dal R. P. Pellico nostro consigliere, che tutto l'oratorio femminile e maschile sia subito loro consegnato con tutti gli attrezzi provveduti. Questi se non sono ancora pagati colle offerte gratuite, dovranno essere comperati da loro, cioè dovranno pagare il debito che ora é di L. 300. Solamente é pregato di servirsi di D. Cumino Vice-Direttore, finché l'arcivescovo lo permetterà. Non é a sperare di piantare la casa loro in Chieri colle amichevoli, perché il Curato del duomo disse a me che vuole sì le monache di D. Bosco, ma non i Salesiani. Temo poi ancora per parte di altri e specialmente dall'arcivescovo. Però mi pare di fare così: si domanda al Papa un Breve di fondazione della casa di Chieri. In esso deve dirsi che basta darne copia all'arcivescovo, perché lo sappia. Sul numero di sei padri, si domanda la dispensa per tre, o almeno due; e si indica che specialmente vengono per aprire oratorii e scuole e dirigerle secondo il loro istituto. Così né l'arcivescovo né il Curato né altri potranno impedirli. Il P. Rostagno potrebbe stendere il Breve, o supplica colle forme canoniche: Ella poi dovrebbe andare a Roma per trattare direttamente... Preghi adunque, faccia pregare che viribus unitis tutti insieme salviamo da rovina la povera nostra patria e la fede dei padri nostri
Permetta che le baci umilmente le mani
Di V. S. Rev.ma Fondatore dei Salesiani
Decreto arcivescovile per la case di M. A. e Chieri.
Laurentius Gastaldi Dei et Apostolicae Sedis gratia Archiepiscopus Taurinensis, Doctor et magnus cancellarius Collegii Theologorum. SS. D. N. Pii Papae IX Praelatus domesticus et Pontificio Solio Assistens. [989] Dilecto nobis in Christo Reverendissimo Domino Joanni Bosco Superiori Congregationis Salesianae saluten in Domino.
Quum per subannexum memoriae a te nobis exhibitum acceperimus, in districtu parochialis Ecclesiae S. Marie de Scala Civitatis Cherii te domun, iisdem in precibus expressam, erexisse, ubi puellarum saluti aeternae pro viribus prospicias, tuum studium ac pietatem in Domino commendantes, Tibi per praesentes, auctoritate nostra ordinaria, concedimus legibus tum generalibus, tum Diocesanis conformia reperiantur, a Domino Curato Ecclesiae parochialis S. Mariae de Scala praedictae Civitatis, benedicendum erit.
Insuper tibi facultatem facimus aliquos ex tuis sacerdotibus depurandi, qui in hoc Oratorio sacra munia obeant, missae scilicet celebrent, confessiones excipiant, sermones habrant, atque catechesim doceant.
Tandem sit tibi pariter faculatas destinandi aliquos ex Religiosis, quae se devoverunt operibus pietatis et charitatis sub titulo Filiarum Mariae Auxiliatricis, ut illuc se conferant ad curam suscipiendam praedictae domus et puellarum, quae in scholas et Oratorium conveniunt Dum haec x animi nostri benevolentia concedimus totis viribus te in Domino hortamur, ut omnia semper fiant cum plena satisfactione superioris Ecclesiastici localis.
Mandamus decretum hoc nostrum cum precibus in Archiepiscopalis Curiae nostrae acta referri, eorum exemplar tradi ad affectum.
Datum Taurini die decima nona Mensis Junii anno 1878.
La vertenza per l’Oratorio di Chieri.
a) Il can. Oddenino a Don Bosco.
Nei primi giorni della scorsa settimana scriveva alla S. V. onorevole pregandola di una risposta riguardo alle funzioni religiose, che da alcuni mesi si fanno nell’Oratorio così detto di D. Bosco eretto nel distretto parrocchiale di questa città: Tale mia lettera era motivata dalle prescrizioni Sinodali non che dalle orali nostre intelligenze.
Non essendomi giunta la desiderata chiesta risposta, anzi vedendo e sapendo continuarsi gli stessi abusi, per iscarico di mia conoscenza, mi sento necessitato di prevenire Monsignore Arcivescovo di ogni cosa; e nel tempo stesso avvisare Lei pure della mia determinazione. [990] Certamente nello accondiscendere dietro il venerato consiglio di Monsignor Arcivescovo cui ebbi a manifestare le esplicite intenzioni della S. V. Onorevole allo scrivente esternate più volte, anzi nel sollecitare con entusiasmo l'apertura dell'Oratorio in discorso, affine di catechizzare meglio le fanciulle parrocchiane, loro procurando qualche onesto trattenimento, non mi sarei immaginato mai di averle a scrivere tale disgustosa lettera. Procedendo le cose in buona armonia ed all'unico scopo prefissoci, non mi sognava tampoco che quasi nel suo esordire avessi a lamentare contravvenzioni, abusi, prodotti da chi?... E perché? Ma pur troppo la sbagliai nelle mie persuasioni! ed ora ne gusto le amare conseguenze.
Sotto l'incubo del dolore, della costernazione di dover procedere nei termini soprannunziati, colgo l'occasione per raffermarmi colla massima stima e col profondo rispetto
Parrocchia Collegiata di S. Maria
Il Sig. D. Bosco mio Venerato Superiore non poté rispondere alla sua lettera perché colto dal mal d'occhi che lo obbliga ad assoluto riposo. Avendo ricevuto io stesso l'onorevole incarico, lo compio col significare alla S. V. che a mio avviso le funzioni che si celebrano nell'Oratorio di Santa Teresa non sono punto contrarie alle costituzioni Sinodali. In Torino siffatte funzioni hanno luogo in tutti gl'Oratori festivi contemporaneamente a quelle delle rispettive parrocchie. Adunque finché l'Autorità competente non ce le vieta, noi crediamo di trovarci in regola, e di non commettere alcun abuso, come Ella ne accusa. La S. V. vorrebbe, che siffatte funzioni non si tenessero contemporaneamente a quelle del Duomo; ma dica, di grazia, quando vorrebbe che noi le facessimo? Se prima, resterebbe troppo presto, e le ragazze, finite le funzioni, uscirebbero dall'Oratorio per recarsi a girovagare per la città, anzi le più grandicelle andrebbero sui balli come fanno molte di quelle, che non frequentano ancora l'Oratorio. Se dopo, porterebbe troppo tardi, e in questa stagione sino a notte. In questo caso come si farebbe a tenere in ordine un 400 ragazze?
E poi mandarle a casa di notte tempo sarebbe ella cosa ben fatta? La S. V. degnisi di riflettere, che lo scopo degl'Oratorii é doppio: l'uno d'istruire, e l'altro d'intrattenere la gioventù in divertimenti [991] onesti per allontanarla dai cattivi. Se facciamo come finora, si raccoglie il duplice frutto; se no, no, anzi si corre pericolo di distruggere l'opera. Con distinta stima.
Fui giorni sono chiamato da Mons. Vicario Generale per udire alcune osservazioni intorno all'Oratorio festivo femminile di Chieri, Ora per norma di V. E. Reverendissima stimo bene di darle breve relazione per iscritto riguardo al medesimo.
Le ragazze addette a quell'Oratorio sono circa 400 dai 7 ai 16 anni, divise in 12 classi. Al mattino della festa si dà comodità di confessarsi; alle ore 8 comincia la Messa, dopo la quale ha luogo una breve spiegazione del Vangelo loro adattata. Alle ore dieci un centocinquanta ritornano per la scuola festiva, sino a mezzodì, poiché la maggior parte di loro, essendo povere, appena sono capaci, vanno a lavorare nelle fabbriche di cotone e di tela, e così non frequentando neppure le scuole comunali sono pressoché analfabete.
Ad un'ora e mezzo pom. cominciano a raccogliersi nei tre diversi cortiletti secondo l'età loro, e fanno un poco di ricreazione sotto l'assistenza delle suore e delle giovani più adulte e più istruite, che fanno pure da catechiste in loro aiuto. Intorno alle 2 1/4 si ordinano in altrettante squadre nei proprii cortili, e si portano al catechismo accompagnate dalla rispettiva maestra. Terminato il catechismo si canta il Magnificat oppure una lode, poscia si tiene una breve e facile istruzione sui comandamenti, dopo la quale s'impartisce la benedizione. Uscite di Chiesa s'intrattengono nuovamente in varii trastulli sino verso notte e così s'impedisce che vadano a girovagare per le vie, e persino a portarsi in sui balli, che ogni festa si piantano nei principali punti della città, dove nel tempo delle sacre funzioni, per la noncuranza di molti genitori si veggono dolorosamente giovanetti e giovanette fin dai 12 anni insieme raccolti nel tristo divertimento.
Da quanto mi fu detto da Mons. Vicario taluno di Chieri vorrebbe che queste funzioni non si facessero contemporaneamente a quella del Duomo. Io farei osservare che per questo bisognerebbe appigliarsi o all'una o all'altra di queste due cose: o mandare via dall'Oratorio le ragazze intorno alle ore due o alle tre, e così metterle in pericolo di andare di qua e di là, per la città, poiché V. E. conosce assai bene in che tempi viviamo e quale libertà i genitori lasciano alla loro figliuolanza: oppure incominciare le nostre funzioni verso notte, e di notte mandare a casa le giovanette, giacché le funzioni del Duomo finiscono [992] circa le ore 5 di sera. Osservo eziandio che le funzioni dell'Oratorio non incagliano per nulla quelle del Duomo, perché le prime si fanno per una classe di persone, quali sono fanciulle dai 7 anni sino ai 16, le quali non prenderebbero parte alle seconde, oppure vi parteciperebbero con poco o niun profitto, non trovandovi il pane spezzato pei loro denti. Prima che andassimo noi a fare le funzioni in quell'Oratorio ci andava qualcuno della parrocchia, e noi abbiamo continuato a farle all'ora stessa.
E’ bene di tenere a mente che lo scopo degli Oratori festivi é duplice, come duplice é il frutto da raccogliere: Istruzione e allontanamento dai pericoli, i quali se sono grandi pei giovanetti non lo sono meno per le ragazze. Ora questo scopo e questo frutto si comincia ad ottenere nel detto Oratorio, così che molte persone della città e pur del Rev.mo Capitolo riguardano ormai quest'opera come una benedizione di Dio. Se V. R. volesse informarsi dal Canonico Cumino, o Calosso Francesco, o Sona, non tarderebbe a conoscere quale sia a questo riguardo l'opinione dei buoni chieresi.
Nel sottoporre alla saggezza della E. V. le accennate notizie ed osservazioni la prego a volerci favorire dei suoi alti consigli all'uopo, che riceveremo sempre con venerazione, e ove conoscessimo che l'opera nostra non tornasse gradita a Dio, noi la lasceremmo tosto. Non é certamente ad destructionem, ma ad aedificationem che noi manteniamo in quella casa le suore di Maria Ausiliatrice e vi mandiamo ogni sabato un sacerdote da Torino.
Colgo di buon grado questa propizia occasione per professarmi con alta stima e profonda venerazione
Umilissimo e Devotissimo servo
d) Il con. Sona a Don Bonetti.
Carissimo e M. Reverendo Signore,
Avendo sentito le notizie che riguardano le presenti contrarietà dell'Oratorio e Casa Salesiana stabilita in Chieri, e temendo che in questa settimana medesima, possano essere troppo gravi e funeste, per altra parte sperando col divino aiuto e protezione di Maria Vergine SS. Ausiliatrice e di S. Giuseppe, che possa mandarsi tutto in fumo, ho creduto necessario di dichiararle per iscritto il mio pensiero, pregandola a prendere bene ogni cosa e riferirla anche al Reverendissimo Superiore.
Per riguardo a quello che Ella scrisse e trattò verbalmente negli ultimi giorni fino a ieri e per quello che ebbe disposto cioè di mandare [993] alla chiesa parrocchiale le più piccole ragazze, non istà a me il giudicare queste cose, né indicarle le conseguenze che possano avere. Solamente raccomando alla S. V. M. Reverenda di tenere memoria e nota esatta di ogni cosa scritta o parlata e detta o adita dal Canonico Curato e dal Canonico Arciprete Vie. Foraneo come anche del Vicario Generale e dal Reverendissimo Arcivescovo. Insomma di tuttociò che si trattò e dispose e fece in questa occasione, come anche in occasione della Benedizione dell'Oratorio, e della licenza richiesta alla Reverendissima Curia per le sacre funzioni. Perché io sono moralmente certo che dovrà trattarsi ogni cosa, o presso Mons. Arcivescovo, o nella Curia Arcivescovile per parte del Curato medesimo, oppure per parte dell'Arciprete Vic. Foraneo Lione, facendosi relazioni probabilmente inesatte ed esagerate con animo deciso di far chiudere l'Oratorio, od impedirne in altro modo le tanto divote e necessarie funzioni e pratiche cristiane, e tutto ciò nei pochi giorni di questa settimana.
Caldissimamente adunque mi raccomando alla sua carità e prudenza, e molto più ancora alla carità e prudenza e magnanimità e fortezza del Reverendissimo D. Bosco a non perdersi d'animo, né toglierei questo sì gran beneficio dell'Oratorio e Casa Salesiana da Chieri per cagione di queste contrarietà.
Sì, sì, é il demonio che solleva queste contrarietà, come ne ha già sollevate tante altre negli anni passati in Chieri ogni volta che si trattava di fare dei bene alle anime. Dunque io prego caldamente la S. V. Reverenda, e per mezzo di lei il Reverendissimo Superiore a ponderare ogni cosa, e appoggiandosi all'aiuto di Dio ed alle facoltà e licenze ricevute dall'Autorità suprema della Santa Sede, a non lasciare prevalere il demonio con impedire il gran bene dell'Oratorio Salesiano in Chieri. Non istà a me il suggerire il modo prudenziale, ma credo che sia molto necessario il non discutere più niente affatto, né battere questa faccenda col Curato Oddenino, né col Vicario Foraneo Arciprete Lione.
In quanto a Mons. Arcivescovo io credo che se fosse informato bene, e da chi saprebbe informarlo molto bene, non porrebbe alcuna difficoltà né decreto contro all'Oratorio, poiché sappiamo bene quanto raccomandi a parroci ed ai Sacerdoti tutti questi Oratori festivi per la gioventù. Qui a Chieri poi é cosa di grandissima necessità anche per le giovani figlie: qui vi sono molti pericoli e scandali gravissimi anche per le fanciulle e giovani figlie. Pur troppo si danno spesso dei Pubblici balli nel tempo del carnevale, nelle leste della Madonna delle Grazie, nelle fiere annuali. E di più quasi ogni festa si danno balli pubblici alla porta della città di Chieri o nei cortili privati. Sì, pur troppo ogni anno le autorità civili nei loro registri pigliano anche nota di tante nascite illegittime, che sono frutti dì gravissimi scandali per queste figlie e ragazze più grandi ecc. ecc. Romanzi osceni, discorsi [994] osceni, amoreggiamenti ecc. ecc. E poi si dice da qualcheduno che le sue parrocchiane non ballano! E poi si vuole stabilire la pratica del non intervento dei Sacerdoti estranei!!
Stia bene attento che si farà pure un gran caso perché qualche fanciulla (che deve essere ben piccola) ha saltato colla corda in giro sulla piazza del Duomo nell'andare all'oratorio. Oh! che scandalo (oh! che scandalo). Se é vero che una ragazzetta dell'Oratorio abbia fatto questi salti sulla piazzetta del Duomo, sappia la S. V. Reverenda che impararono a saltare così anche nel corso dell'anno, quando i vicecurati dirigevano essi l'Oratorio, e sicuramente nessuno le mandò mai a saltare sulla piazzetta del Duomo.
Che se qualcheduno le dicesse che il Canonico Curato oppone tali difficoltà dopo averne parlato col Reverendissimo Capitolo, sappia che ciò non é vero, poiché non mai si parlò di queste cose in Capitolo Congregato: epperò non conviene discendere a cose particolari per non essere ingannati né a patti inutili e dannosi. E così spero che l'oratorio procederà sempre di bene in meglio coll'aiuto del Signore; anche il Reverendo Canonico Cumino spera bene, ma Ella si ricordi dei suoi autorevoli avvisi.
Sono il suo Chieri, 17 dicembre 1878.
e) Il Vicario foraneo di Chieri a Don Bonetti.
Molto Illustre e Reverendo Signore,
Anzitutto debbo farle le mie più umili scuse per non poterle più ritornare il suo memoriale[532] intatto siccome ne l'ho ricevuto: un imprevisto accidente ha fatto che nel trarlo di scarsella me ne restasse un pezzetto fra le dita e vi ho provveduto alla meglio.
Venendo poi alla questione di cui si tratta, Ella avrà osservato che in quel rescritto vi é una clausola: servatis servandis, et sine ullo jurium parochialium detrimento, ciò che é il perno della questione.
Il piano che la S. V. sommette pare sia quasi la conferma di quanto ha suscitato la questione medesima, né si potrebbe tanto facilmente consentire all'accettazione, stanteché le persone che (sic) non sarebbero escluse dall'Oratorio; sarebbe (sic) così indeterminato e vago e potrebbe comprendere un'infinità di persone, che si volessero addette al canto od alla cura delle ragazze; e la Dichiara che le giovani che si portano alla casa dell'Oratorio, si lascierebbero in libertà di assistere alle funzioni dove loro meglio aggrada, cioè a dire come per lo innanzi, come [995] già nella casa dell'Oratorio per la ricreazione, così possono restarvi per le funzioni del medesimo.
Da ultimo debbo notarle che avendo dovuto scrivere a Monsignore circa l'insorta pratica e rispondere sul temperamento preso nella conferenza della scorsa domenica, non avendo ancora avuta parola ancora d'attorno al punto questionato, non potrei accettare così semplicemente il piano dalla S. V.. offerto; dietro tali indicazioni ella saprà quale sia il suo dovere nell'emergenza presente.
Piccola lotteria e favore dell'Oratorio.
Il sottoscritto rispettosamente espone che alcuni caritatevoli cittadini, mossi dalle strettezze in cui versa questo istituto, offeriscono diversi dipinti ed oggetti d'arte antichi da utilizzarsi a favore dei giovanetti ivi ricoverati, per loro provvedere pane, vestito e biancheria, per l'imminente stagione invernale. Ma siccome la vendita di tali doni non potrebbe facilmente effettuarsi pel loro valore, supplica la S. V. a voler concedere che se ne faccia una piccola lotteria, il cui provento debba tutto cedere a favore dei poveri ragazzi soprannominati.
Nei tempi passati la Regia Prefettura ha sempre volentieri approvato questo mezzo di beneficenza, concedendo quegli appoggi e quei favori che sono compatibili colle vigenti leggi.
Unisce qui pertanto: 1. Un modello dei biglietti da spacciarsi.
3. Una nota degli oggetti descritti e stimati, su carta da bolle, colle cifre del prezzo in margine, ed altra copia in carta libera.
4. Il valore dei doni é stato giudicato di L ... ; i biglietti da spacciarsi sono di... a cui aggiungendo le spese di stampa e di altri accessorii, il numero dei biglietti sarebbe portato al numero di... Tale é la norma seguita nelle lotterie anteriormente concesse.
Che questa lotteria non ha altra pubblicità, se non quella del Bollettino Salesiano, che, é un piccolo periodico che si suole mandare mensilmente agli ordinari benefattori dei suddetti poveri giovani. Ai medesimi eziandio sarà esclusivamente affidato lo spaccio dei biglietti. [996] L'umile scrivente supplica la carità della S. V. Ill.ma a voler approvare quanto é sopra esposto, e a nome dei poveri giovani ricoverati le professa profonda gratitudine e le augura copiose le benedizioni del cielo.
1. Il frutto di questa piccola lotteria cederà a totale profitto dei giovani raccolti nella casa dell'Oratorio di S. Francesco di Sales. Siccome questo istituto divenne ristretto per le numerose domande di accettazione, così fu incominciata la chiesa ed ospizio di S. Giovanni lungo il corso Vittorio Emanuele destinato parimenti in favore dei poveri fanciulli. Egli é per ultimare questi lavori che sarà eziandio erogato in parte il frutto di questa lotteria.
2. Saranno con riconoscenza ricevuti quei dipinti ed oggetti d'arte che i caritatevoli nostri cooperatori volessero offerire.
3. Le offerte saranno inviate al direttore dell'Oratorio di S. Francesco di Sales in Torino per la posta o per quel mezzo sicuro che si giudicasse di maggior comodità.
4. Ogni biglietto avrà il bollo della Prefettura e il none di un delegato dalla medesima autorità.
S. Gli oggetti raccolti saranno descritti numericamente in un catalogo e previo estimo di un perito portati alla Prefettura.
6. Il numero dei biglietti sarà in ragione del valore dei doni offerti.
7. Ottenuto lo spaccio dei biglietti si diverrà alla estrazione in quel modo che la pubblica autorità sarà per istabilire.
8. I numeri estratti saranno pubblicati e se ne farà tenere copia a tutti coloro che si sono incaricati dello spaccio dei biglietti.
9. Coloro che non venissero a ritirare gli oggetti vinti due mesi dopo l'estrazione, s'intenderanno a benefizio dell'opera pia.
NB. Attesa la piccola entità della lotteria non si farà pubblica esposizione dei doni, ma chi desiderasse potrebbe a suo piacimento visitarli in una sala del mentovato Istituto di S. Francesco di Sales in via Cottolengo, N. 32, Piano terreno.
Prego umilmente V. S. Benemerita a volerne continuare la sua carità per la Piccola Lotteria, di cui si é già tenuta parola nel nostro Bollettino. Dal Regolamento che Le unisco vedrà quale ne sia lo scopo. Si tratta di vestire i nudi, albergare i pellegrini, dar da mangiare ai poveri affamati e cooperare alla salvezza delle anime.
Fiducioso pertanto nella sua carità, Le unisco biglietti N... che spero voglia ritenere per sé, o distribuire ad altre persone benevoli [997] di sua conoscenza. Se però al principio di Marzo possedesse ancora biglietti che non giudicasse di ritenere, Ella può con piena libertà rinviarmeli. Qualora poi giudicasse poter distribuire ancora altri biglietti, favorisca darmene cenno, che con animo riconoscente Le verranno tosto spediti.
Iddio misericordioso che promette larga mercede per un bicchiere d'acqua fresca dato in suo onore rimeriterà copiosamente l'opera sua benefica, mentre l'assicuro delle comuni preghiere di tutti i beneficati giovanetti e con profonda gratitudine ho l'onore di professarmi
Programma per L'orfanotrofio di Saint-Cyr.
1° Nell'Orphelinat di Saint-Cyr sono accettate le orfane ed anche quelle che hanno ancora dei loro parenti, ma che sono abbandonate ed hanno un'assoluta necessità di essere ritirate.
2° Sono esercitate in tutti i lavori donneschi utili ad una figlia ben educata: istruite a far maglia, a cucire, nelle f accende di casa ed anche nei lavori di orticultura e di campagna.
3° Sono accettate dall'età di 8 anni e, se la condotta é soddisfacente, si tengono finché vogliono stare, anche per sempre.
4° Nel caso in cui non potessero rimanere nell'Orphelinat per un motivo qualunque, é necessario che ogni ragazza abbia una persona che si obblighi a ritirarla.
5° Se non possono tenere una pensione, porteranno entrando almeno la somma di lire 200; se poi accade che la ragazza debba uscire, saranno dedotti 20 franchi per mese dal suo soggiorno ed il resto sarà consegnato.
6° Porteranno il loro piccolo corredo indicato nella nota che si include mandando la lettera di accettazione; saranno pure munite delle fedi di battesimo e di nascita civile.
7° Le ragazze per essere ammesse all'Orphelinat devono godere perfetta salute; non avere difetti ed abitudini che potrebbero nuocere alle altre.
Convenzione fra la Società " Beaujour " e Don Bosco.
Entre les Soussignés: Monsieur [Maison Beaujour] d'une part et Monsieur... d'autre part, il a été convenu et arrété ce qui suit:
Art. Ier Monsieur... donne à bail à loyer, pour dix-huit années consécutives, qui commenceront à courir le vingt huit juin mil huit [998] cent soixante dix-huit et finiront le vingt huit juin mil huit cent quatre-ving-t-seite; à Monsieur... qui accepte: Un immeuble sis à Marseille, rue Beaujour, portant sur la dite rue les n.08 7, 9, 11 et 13, dans l'étát où se trouve ledit immeuble, avec toutes ses dépendances, sans aucune exception ni réserve, d'après un état des lieux qui demeurera ci-annexé.
Art. 2. Il sera facultatif au preneur de proroger le présent bail d'une nouvelle période de dix-huit années, en prévenant les bailleurs un an avant l'expiration des dix-huit premières années.
Art. 3. Le présent bail est fait au clauses et conditions suivantes, que les preneurs s'obligent à exécuter, à peine de tous dommages et intéréts: 1° Ils supporteront, pendant toute la durée du bail, toutes les réparations locatives et foncières; 2° Il acquitteront exactement, pendant la durée du bail, les contributions personnelles et mobilières, de manière à ce qu’aucun recours ne puisse étre exercé contre les bailleurs, et ils rembourseront, chaque ánnée, ainsi q'ue les contributions des portes et fenétres de la maison louée, ainsi que le contributions foncières; 3° Il paieront les redevances des eaux du Canal, primes d'assurances contre l'incendie, vidanges des tinettes et autres charges;
Art. 4. Enfin, le présent bail est fait, moyennant un loyer annuel de quatre mille francs, que M... s'obligent et s'engagent de payer en deux termes égaux et distancés, le vingt-un... et vingt-un... de chaque amiée[533].
Art. 5. Comme condition du présent bail, Monsieur... confère a M... la faculté d'acquérir, si bon leur semble, pendant toute la durée du bail, la maison présentement donnée en location. En conséquence, M... promettent de vendre la dite maison à M.... s'il leur convient de l'acquérir, et de réaliser cette vente devant notaire, aussitot la demande qui leur en aura, été faite. Cette vente, si elle est demandée, aura lieu moyennant le prix de cent mille francs et áux clauses et conditions énoncées à l'act de vente.
Procura di Don Rua a Don Bologna.
Il sottoscritto colla presente scrittura affida al Rev. Sig. D. Giuseppe Bologna di Roburent l'incarico di fare le mie veci in tutti gli affari che riguardano lo stabile situato in Rue Beaujour N. 9 in Marsiglia che tengo in affitto dalla Onor.ma Società civile Beaujour. Pertanto lo autorizzo a compiere intorno allo stabile suddetto tutti gli [999] atti che secondo le leggi vigenti nella Repubblica Francese si potrebbero da me stesso compiere quale locatario di tale immobile, di guisa che ognuno può trattate e conchiudere con lui qualunque vertenza a quello relativa, sicuro di aver la mia ratifica ed approvazione. Siccome poi egli si reca in Marsiglia per dirigere un orfanatrofio nello scopo di raccogliere poveri ed abbandonati fanciulli e farne buoni cittadini, così lo raccomanda umilmente ma caldamente al Console Italiano residente in quella città ed alle autorità locali, affinché vogliano prestargli benevola protezione, ove ne sia d'uopo.
Lettera dell'abate Faà di Bruno a Don Bosco.
Le scrivo da Parigi, ove sono per varii affari. Casualmente venni a parlare di Lei col libraio Lethellieux, uno dei primi di Parigi, un gran e buon libraio come Marietti. Egli mi disse che se D. Bosco viene a piantarsi a Parigi, gli cederà tutto il suo atelier et son imprimerie.
Dunque coraggio, venga. Giacché sono piccino, e non posso arrivare a nulla, bramo che facciano gli altri e così benemeriti come Lei. Vedrà allora che grandi affari farà, ed in fatto di stamperia, succederà al celebre Abate Migne.
Preghi per tanti miei bisogni, e che il Signore benedica tanti bei propositi per cui qui venni.
Rue de Tournon Hótel du Sénat.
Progetto di convenzione tra Don Bosco e l'ab. Roussel[534].
Dans le désir de donner stabilité à son oeuvre de la Communion et des apprentis orphelins M. l'abbé Roussel appelle l'abbé Bosco à lui venir en aide avec sa Congrégation qui de son còté s'y prete de grand gré trés-heureux de coopérer à un oeuvre si utile, établie à Paris per le zéle de M. l'Abbé Roussel, d'ailleurs si sympathique pour le méme but qui l'anime, l'éducation des pauvres enfants abbandonnés du peuple. En conséquence ils ont adopté la suivante convention, [1000]
1° Mr. l'abbé Roussel conservera la direction de l’oeuvre, son administration, et la responsabilité de, la gestion, sa vie durante, ou jusqu'à ce qu'il ne voudra plus la retenir.
2° Tandis qu'il retient encore en son aide ceux de ses actuels Coadjuteurs qu'il croira convenable, il se servira des envoyés par D. Bosco soit dans la direction et administration de l’oeuvre, soit dans la sorveillance, enseignement et semblables offices qui par lui seront jugés nécessaires et qui leurs seront possibles en remplaçant peu à peu par des membres de la Congrégation ceux de ses actuels Coadjuteurs qui viendront à manquer.
3° Il est convenu que l'abbé Roussèl appelle D. Bosco comme son coadjuteur avec future succession, ainsi au cas échéant de quelque manière qu'il soit pour abandonner, ou se retirer de la Direction, il laissera à D. Bosco, ou à celui qui sera indiqué par le Supérieur de la Congrégation tous ses droits sur la propriété, direction, administration etc.
4° Les frais nécessaires à la vie des membres de la Congrégation Salésienne destinée à Auteuil pour la nourriture, vestiaire, voyages, correspondance etc. et de tout genre selon les usages des autres maisons de la Congrégation seront à charge de l'administration de l'oeuvre, qui devra s'en tenir à la simple demande spécifiée par le supérieur Salésien de cette maison et de qui dépendent les membres qui la composent.
En outre on assignera à la maison Salésienne demeurante a Auteuil une somme annuelle à combiner entre D. Bosco (pour le montant de cette somme D. Bosco se remet dés à présent à la bienveillance de M. l'Abbé Roussel) et M. l'abbé Roussel pour etre versée par elle au Supérieur Général de la Congrégation de S. Frangois de Sales à decharge des sacrifices que la dite Congrégations doit supporter pour cette nouvelle maison.
Lettera dell'abate Roussel a Don Bosco.
Après tant de démarches de part et d'autre, un contrat signé et une parole donnée, j'espérais que la fondation d'Auteuil ne prouverait plus d'obstacles ou de retard.
La lettreque vous m'avez fait l'honneur de m'écrire le 10 février dernier, me donne à penser, ainsi qu'à l'Archevéché, que je me suis trompé, et que vous désirez, au contraire, retrouver votre liberté et me rendre la mienne. [1001] Dans ce cas, veuillez me dire, Mon Très Rév. Père, que vous avez annulé votre coútrat et je détruirai le mien.
Je vous prie d'agréer, mon Très Rév. Père, avec mes profonds regrets la nouvelle expression de mes affectueux et bien dévoués sentiments en N. S.
P. S. Mes plus respectueuses amitiés à Dom Rua et à Dom Cays: leur souvenir ne s'effacera pàs de sitot à Auteuil. Je me recommande à leurs prières et encore vótres, Mon Rév. Père.
Lettera del conte Cays all'abate Roussel.
Le Rev.d D. Bosco me transmet de Rome votre honorée lettre du 2 courant, avec charge de Vous répondre au plus tót dans le sens ci-après.
Il serait très heureux de voir disparaitre la difficulté qui s'oppose à l'accomplissement de l'accord entendu entre Vous et Lui. Ce n'est pas la bonne volonté qui lui manque, et il n'entend nullement révoquer la validité ni la portée de sa signature. Il désire seulement que je Vous explique et il me charge de Vous l'écrire que pour l'établissement de notre congrégation à Auteuil il y a cette double nécessité:
1° Que comme congrégation religieuse sa demeure y soit assurée d'une manière permanente, c'est-à-dire sans la condition, que Vous lui avez indiquée comme venant de S. Em. le Cardinal Archevéque de Paris, que son installation ne se fit que comme un essai provisoire, ce qui ferait qu'il lui serait plus difficile d'y ouvrir une maison de probation.
2° Que cette installation aie lieu avec plein consentement et bon vouloir de l'Ordinaire.
Comme Vous voyez, le tout se réduit à obtenir l'assentiment de son Am. l'Archeveque à ce que les Salésiens puissent s'établir à Auteuil, non pas comme un essai provisoir, mais d'une manière plus stable, et avec l'encouragement du plein gré du Supérieur Ecclésiastiqué. Dès le commencement de notre correspondance qui m'a toujours été si chère, Vous m'écriviez justement que S. Eminence trouvait une certaine difficulté pour notre établissement à Paris dans la différence de nationalité. C'est précisément à cause de cette difficulté que nous avons plus que tout autre besoin de l’encouragement de Monseigneur le Cardinal qui comme Supérieur Ecclésiastique du diocèse peut [1002] seul nous donner cette force morale qui, est toujours si nécessaire dans les OEuvres de Dieu. Tel sont les voeux de notre Supérieur et tels aussi doivent étre ceux des Salésiens qui seront appelés à travailler dans le champ qui nous serait ouvert à Paris.
Veuillez, mon bon Abbé, si Vous en avez l'occasion, nous mettre tous aux pieds de S. Eminence et l'assurer de la parfaite soumission que nous tenons à lui témoigner.
Je Vous prie d'agréer les vives expressions de reconnaissance que nous gardons D. Rua et moi, pour toutes les preuves de bienveillance que Vous nous avez données, dans l'espoir de pouvoir Vous le prouver toutes fois que l'occasion s'en présentera.
En Vous renouvellant mes sentiments empressés j'ai l'honneur de me dire
Da "Cinquante jours en Italie" del Bastard.
Chapitre X. Turin. Oratoire Saint-Franfois de Sales.
... Une des plus belles et des plus nobles missions chrétiennes qu'on se soit imposées sur cette terre est sans contredit celle du Révérend Don Bosco, fondateur de la Congrégation de Saint François de Sales.
Le brave abbé a commencé en 1841, dans une salle attenante à l'Eglise de Saint-Prangois d'Assise, par un simple cours de catéchisme fait chaque jour de féte à quelques enfants abandonués. Le premier recueilli en a amené, un autre, et ainsi de suite jusqu'à huit cent pensionnaires que compte actuellement la créche. A mesure que l'établissement prospérait, une nécessité plus impérieuse d'agrandissement se faisait sentir davantage, et, en 1845, le Révérend Bosco choisissait in Valdocco, lieu suburbain et solitaire, l'emplacement qui convenait à son oratoire.
Le but principal de l'hospice a done été de fournir un refuge aux enfants pauvres, dont la vie se réduit à trainer leurs sur le pavé, à demander l'aumone à tout passant et à s'entretenir dans la pratique continuelle de ces vils expédients.
Par néglicence ou par dénúment, par vice ou par paresse, souvent par calcul, les parents les laissent mener cette existence infamante, en les y encourageant méme et en les y obligeant parfois.
Un enfant tien trop de place à la Maison.
C'est dans la rue qu'on le sème et qu'il pousse[535]. [1003]
Manquant de conseils salutaires et privés complètement de soins, ne trouvant autour d'eux qu'exemples malsains, misère affreuse, végétant dans le ruisseau et dans la boue, ils se fortifient inconsciemment aux plus immondes dépravations, et ils deviennent de petits misérables, des chenapans, avec le bagne ou l'échafaud au bont, comme apothéose de leur odyssée.
Au lieu de cela, ces bons pères les arrétent à temps sur la pente fatale où ils sont poussés malgré eux et invinciblement attirés par la contagion; ils leur ouvrent leurs portes toutes grandes... Le seuil franchi, le plus grand pas est déjà fait pour ces jeunes intelligences.
Désormais elles n'auront plus sous les yeux les mauvais entralnements de ce centre funeste, ni cette pauvreté qui a perdu tout fond d'honnéteté, ni cette saleté écceurante du bouge où le père ivre entre en trébuchant, pour prendre sa part à un repas dont il a bu le prix.
La femme, épouse vertueuse et mère prévoyant, a dú gagner la première bouchée.
Tout d'abord on leur apprend à reconnaitre le bien avec le mal et à éviter le dernier.
La nature de ces petits étres s'offre alors plus propice, comme un terrain bien préparé pour la semence, à profiter de l'éducation fondamentale, morale et religieuse, qui leur est donnée. L'instruction primaire et manuelle complète cette táche aride et difficile.
On les arrache ainsi à l'ignorance éternelle à laquelle ils semblaient voués, dès leur bas age, par leurs père et mère insoucieux. On leur inculque des idées d'exactitude, d'ordre et de travail, ils se livrent à un métier quelconque, subordonné à leurs tendances spéciales, à leurs capacités individuelles. Sous cette tutelle paternelle, ils grandissent à l'abri du besoin et dans les plus généreux sentiments de soumission, de droiture et de conduite. On les a pris faibles, chétifs, ignorants, paresseux, pervers; ils deviennent vigoureux par des exercices corporels, actifs et laborieux par l'habitude. On les rend à la societé hommes faits, intelligents, probes, utiles à leur patrie et capables de rendre service à leurs semblables.
Cette institution, primitivement localisée dans Turin, vient de prendre un premier essor en Italie: auprès de Génes à Sampierdarena, où il s'en est fondé de semblables ainsi que sur tout le littoral jusqu'à la Spezia, dans les Etats Romains, et en France: à Nice, Cannes, Saint-Cyr (Toulon).
Portée sur l'aile de la Providence, elle a dépassé les mers pour se fixer en Amérique et se développer dans les républiques Argentine et de l'Uruguay, où on en compte cinq.
Telle est l’oeuvre admirable, près de laquelle je n'ai pas voulu passer indifférent, sans relater sommairement les bienfaits inappréciables qu'elle va versant sans bruit, de par le monde, Ancien et Nouveau. [1004]
Breve di Leone XIII ai Salesiani d'America.
Dilecti Filii, Salutem et Apostoticam Bedictionem.
Excepimus una cum narratione rerum, quae ad vestram missionem pertinent, litteras vestras, quas, nuntio accepto electionis Nostrae, ad Nos dedistis, ut vestri filialis obsequii significationes Nobis, et huic Apostolicae Cathedrae exhiberetis. Gratissimum habuimus, dilecti Filii, hoc officium pietatis a vobis profectum, qui, evangelicae doctrinae annunciandae causa in dissitas terras advecti, ad omnes pro salute animarum suscipiendos labores vos paratos ostenditis, ac vobis omnibus sincerum testimonium dilectionis Nostrae hisce litteris praebere gaudemus.
Ea antem, quae de Missionis vestrac operibus scripsistis, animum Nostrum non levi consolatione affecerunt. Vidimus enim ex iis, quae narrastis, vos magno cum zelo ad gloriam Dei promovendam ad animarum salutem curandam incumbere, et Deo ex corde benedixiinus, qui vires vestras confortat, ac eos, quos memorastis, fructus vestris laboribus propitius largitur.
Non dubitamus, dilecti Filii, quin haec Dei benignitas vobis animos addat, ut Apostolicae Sedi firmiter adhaerentes, in suscepto cursu alacres perseveretis, et quaerentes quae sunt Jesu Christi fideliter curetis, ut lucis filii et merito et numero in istis regionibus augeantur.
Cum Nobis maxime in votis sit Regni Christi gloria et propagatio, nihil certe erit potius, quam vos benevolentia Nostra complecti, et a Deo vobis fervide adprecari omnium gratiarum plenitudinem, rut valida instrumenta gloriae Eius et salutis animarum constante esse valeatis.
Interea excipite, dilecti Filii, Apostolicam Benedictionem, quam Vobis singulis universis ex intimo corde depromptam, in auspicium superni praesidii, et in pignus paternae Nostrae charitatis, peramanter in Domino impertimus.
Datuin Romae apud S. Petrum die XVIII Septembris anno MDCCCLXXVIII, Pontificatus nostri anno primo.
Dilectis Filiis Presbytero Francisco Bodratto Praeposito, Aliisque Missionariis e Congregatione Salesiana.
Lettera di Don Bodratto a Don Bosco.
Il Dottor Carranza é un sant'uomo, ma é un avvocato, che la sa più lunga che noi, perciò non si meravigli se noi ci troviamo nel sacco. La Casa de Artes non sarà mai dei Salesiani ma della Società di San Vincenzo e i Salesiani saranno i servitori dei Vincentini. Adesso é presidente il Dott. Carranza, ma questi non può vivere in eterno; dopo di lui chi sarà? Forse sarà meglio di lui; ma se fosse peggio?
In questi giorni mi é accaduto di fare il contratto della Chiesa di S. Carlo, come le ho scritto; mi si offersero condizioni che io credeva bene di accettare. Mi consigliai con persone distinte e mi animarono a far detto contratto, dicendomi che sarebbe un colpo di stato per la Congregazione Salesiana. Ne parlai col Dottor Carranza: da principio si mostrò freddo e mi disse che non mi conveniva, però mi disse che facessi quel che credeva bene. Dopo alcuni giorni che si accorse che il contratto si faceva davvero, mi si oppose cori tutte le forze.
Io non capiva il mistero di questo cambiamento, e me lo spiegò egli stesso, il quale dopo essersi lamentato fortemente con me del mio procedere in questo contratto, si lasciò sfuggire queste precise parole alla presenza dì D. Ceccarelli: - Non so, disse volto a D. Ceccarelli, come P. Francisco abbia potuto dimenticare la Società di S. Vincenzo, mentre é quella che chiamò i Salesiani e gli pagò tutte le spese, la Società li ha mantenuti fino adesso, la Società ha loro provvisto tutto ciò che hanno. - E volgendosi a me disse: - Supponga un po' che io avessi taciuto; lei domani faceva il suo contratto, trasportava là a S. Carlo la nostra roba ed il pubblico avrebbe detto: la Casa de Artes non é più della Società di S. V., ma dei Salesiani, e risultando da un atto pubblico noi non potevamo smentire e in faccia al pubblico facevamo una trista figura. Ebbene, continuò, adesso é fatta, e voglio che vada innanzi, ma il contratto lo farà la Società di S. V. e lo pagherà coi denari che tiene al banco.
In questo chi non vede chiaro che noi siamo servitoti dei Vincentini? Ad ogni modo io ho pensato di fare così: Dirò loro che D. Bosco desidera che gli strumenti d'acquisto di stabili siano in testa ad un Salesiano giovine e dei più affezionati alla Congregazione al fine di impedire i pericoli d'un incameramento da parte del Governo e spese di trapasso. Per la qual cosa se vogliono fare l'atto d'acquisto in testa di D. Costamagna, bene; se no, io voglio aspettare la risposta di D. Bosco. Che gliene pare? Mi scriva a proposito. [1006] Intanto io La posso assicurare, o caro Padre, che non sono i Vincentini che ci hanno mantenuti fin qui, ma solo i nostri sudori e la Divina Provvidenza. Essi hanno pagato gli arnesi e attrezzi di casa e dei laboratori e ci hanno dato il legname per la mobiglia che fecero i nostri falegnami, e la Congregazione ha mantenuto con vitto, vestito ed alloggio 30 giovani accettati dal Dott. Carranza, impiegando in queste spese il capitale in oggetti portati da Torino e tutte le limosine delle messe, funerali, stipendi che percepivamo. Ai Vincentini la Casa de Artes costa 140 mila pesos ed al Salesiani, contando la roba portata da Torino, ne costa più di 180 mila. Eppure sono essi che ci hanno mantenuti. Almeno fosse vero.
Queste cose, caro Padre, mi addolorano un poco, non già per me, ma per la Congregazione, inquantoché resta quasi come schiava dei Vincentini. Mi spiego. Io ho fatto fare una casa di legno alla Bocca, come Le ho scritto, la quale verrà a costare circa 40 mila pesi. Ciò sapendo i Vincentini sospettarono che dei risparmi ricavati dalla casa de Artes, io avessi fatto quelle spese; onde fui costretto a far loro conoscere tutto quanto ci dà di profitto la Parrocchia, la quale paga da sé quella casa senza disturbare la Società. Ma intanto ogni volta che andava a cercar denaro, mi si faceva qualche gentile osservazione. Come vede, seguendo così non potremo mai operare liberamente.
Giorno per giorno io vado acquistando conoscenze e credito, onde se accetto io i giovani pel Collegio, domando ed ottengo qualche sussidio da coloro stessi che raccomandano i ragazzi, come si suol fare in tutte le nostre Case. Questo modo di procedere non piace ai Vincentini Essi vorrebbero accettare loro i giovani e le offerte, e se accetto io, vorrebbero che dessi conto delle offerte che fanno sempre, al fine di figurare essi in tutto.
Fin qui però ho sempre agito secondo il costume delle nostre case. Ho accettato i primi giovani che mi mandò il Dott. Carranza in principio e poi di mano in mano che si faceva luogo all'ammissione di qualcuno, lo accettava senza farne parola a loro, industriandomi a far pagare qualche cosa senza che i Vincentini lo sapessero. Però il Dott. Carranza mi sta sempre dietro dicendomi che lo avvisi quando si faccia luogo ad ammissioni, perché tiene impegni. Ultimamente ho saputo che un medico inglese ha raccomandato due giovani per la casa de Artes offrendosi di dare 500 pesi al mese alla Società di S. Vincenzo. Il Dr. Carranza mi disse questo fregandosi le mani di contentezza; ma io bellamente gli feci osservare che sarebbe bene che la casa de Artes fosse conosciuta per quello che é, e che i Salesiani che sudano tanto perché vada bene, potessero anche figurare un poco pel vantaggio morale della Congregazione.
Caro Padre, io faccio tutto ciò che posso, agisco colla massima prudenza [1007] per l'onore della Congregazione, mi toccano bocconi amari per le grandi promesse che furono fatte al Dott. Carranza quando si trattava la cosa nei suoi principii. Non se ne dimenticò una e all'uopo me le sento rinfacciare chiare e tonde, sebbene nel modo più gentile.
Io non faccio niente di rilievo senza prima consultare il Dott. Espinoza e l'Arcivescovo, e qualche altro Ecclesiastico: persone influenti e prudentissime. Il Dott. Espinoza é tutto nostro anima e corpo. L'Arcivescovo stava più dalla parte dei Vincentini che dalla nostra e questo lo faceva perché gli sembrava conveniente. Ma dopo due ore di conversazione che abbiamo tenuto assieme quindici giorni sono, nella quale gli feci conoscere fedelmente la mia posizione, si é voltato intieramente a nostro favore e mi disse queste precise parole: Padre, non tema niente; adesso conosco ciò che vuol dire. Ci vuole pazienza e maturare le cose adagio e con molto tempo. Io voleva offrire alla Società di S. Vincenzo il mio obolo in una quantità che tengo in serbo per questo fine; adesso sospendo e la riserberò pei Salesiani appena saranno per fare il contratto della Casa di S. Carlos.
Ieri fummo nella sua villa a Morón, che si trova di qui alla distanza di un'ora di ferrovia. Colà diede l'ordine del Presbiterato a Rizzo e Scagliola. Volle trattenerci con lui quasi tutto il giorno; ci fece vedere tutto il paese camminando con lui nella sua vettura e poi ci mostrò un territorio ampio con case dicendomi: - Adesso lavoro per ottenere questo grande terreno che é di un Signore che lo abbandonò perché gli é morta qui una ragazzina; e col tempo i Salesiani metteranno qui una colonia Agricola. un terreno stupendo.
Vi sono pure altri Signori che ci offrono terreni e case nei diversi paeselli che stanno formandosi nei dintorni di Buenos Aires, ove si contenterebbero per ora che si facesse una semplice scuola. In queste contingenze ho bisogno che Ella, caro Padre, m'istruisca, dicendomi se posso accettare o no. Ella sa più di me che sempre più ci dibattiamo, la Congregazione va crescendo nei suoi membri in Italia come qui, perché appena conoscono il nostro, Istituto lo amano e domandano di far parte di esso.
Mi perdoni la lungaggine di questa mia. Di salute tutti bene. M. dà poco buone speranze. Gli altri tutti buoni.
Ci benedica tutti e specialmente me povero omiciattolo che sono come un pulcino nella stoppa.
Sac. FRANCESCO BODRATTO. [1008]
Licenza di adottorarsi in teologia.
Dilectis nobis in Christo filiis Reverendis Sacerdotibus Francisco Paglia, Siro Meriggi, Subd. Stephano Febbraro et Aloysio Piscetta acolyto. De vestra assiduitate atque diligentia in excolendis studiis probe conscii, vobis libenter permittimus ac facultatem damus, pericula in venerando ac Pontificio Taurinensi Athenaeo subeundi ad gradus Doctoris in sacra Theologia consequendos.
Quapropter vos apud Reverendissimum ac Excellentissimum Archiepiscopum nostrum, Magnum huius Taurinensis Athenaei Cancellarium, commendamus, ut pro humilis nostrae Congregationis bono, ad supra dieta pericula subeunda vos admittere dignetur.
Augustae Taurinorum, die XXXI Octobris MDCCCLXXVIII.
Lettera del can. Anglesio a Don Bosco.
La buona fanciulla Felicita Bosco, la cui causa ebbe a perorare V. S. Car.ma, potrà venirsi a riparare sotto le ali della Divina Provvidenza nella imminente ottava sacra alla Natività di M. V. SS. I non mediocri meriti del Venerando Zio che già valsero alla nipotina per introdurla di preferenza nel cuor della P[iccola] C[asa] possano valere per ottener dalla stessa Divina Provvidenza sopra di entrambi e del sottoscritto una qualche parte di quella sì ricca Benedizione che degnasi il buon Dio di accordare al Fedel suo Servo ed ai tanto benemeriti suoi Oratori.
Sull'udienza di Pio IX al Tancredi canonico nel 1869.
Di questa famosa udienza ha narrato Don Lemoyne nel. vol. IX delle Memorie biografiche (c. XL, Pgg. 514-6), ora per cortesia del prof. Alessandro Favero, che possiede il diario del senatore, ne caviamo le notizie riferentisi ai precedenti dell'udienza stessa e alla parte avutavi da [1009] Don Bosco, omettendo le considerazioni non necessarie. Per ben intendere le cose che seguono, é necessario leggere le pagine di Don Lemoyne.
[Roma, 1869. Gennaio] 15... Andai alle 10 da mio cugino Pierotto Marietti: nol trovai alla Tipografia, e neppure a casa; era andato alla Ferrovia. Lo raggiunsi per istrada e mi disse essere allora arrivato Don Bosco, il quale alloggiava da lui. Gli chiesi se potrebbe, come mi aveva detto altra volta, ottenermi un'udienza privata dal S. P.: mi disse che sì, e stese egli stesso la domanda a monsignor Francesco Ricci, dicendomi che ciò sarebbe probabilmente per Giovedì[536], poiché é in tal giorno che suol dare udienza privata ai forastieri, quando non si tratta di affari...
17. Finora nessuna risposta. Oggi fui a pranzo da mio cugino e, cosa singolare! vi era pure il P. Candido, un cappuccino al quale aveva fatta la mia confessione generale per prepararmi a quest'azione di Roma quando la credeva imminente in giugno 1868. Andai ad Aracoeli per visitarvi il P. M. da Rignano; ma non vi é più perché fu fatto Vescovo di una diocesi della provincia di Napoli...
Visitai pure il signor Deshortiez, il cancelliere dell'Ambasciata Francese che trovai sulla via di Francia in ottobre 1867. Egli mi accolse con molta cortesia e cordialità, fu sensibile alla memoria che serbai di lui e m'insegnò come fare per giungere più facilmente ad ottenere l'udienza del S. Padre: recarmi cioè da Mons. Ricci e (nol trovando) dal suo segretario, dirgli che il mio congedo scade, che (non potendo farmi appoggiare da alcun rappresentante del mio governo), sono costretto a rappresentarmi da me stesso e che desiderando baciare i piedi del S. P. e riceverne la benedizione prima di partire, lo prego a perdonarmi se interesso la sua bontà perché voglia raccomandare a S. E. mons. Ricci la mia domanda.
19. Niuna risposta quanto all'udienza pontificia. Mio cugino però mi disse che sino a posdomani non vi é udienza, e che mi fece raccomandare presso Mons. Ricci da don Bosco che andava stamane da lui. Potrebbe darsi che avessi la risposta domani.
[Più tardi]. Vo da mio cugino e, nell'uscire, trovo don Bosco, il, quale mi dice che ha già parlato di me a mons. Ricci e mi consiglia d'andare da lui domani a suo nome; che sarà ricevuto. Cosa singolare! Don Bosco é partito da Torino lo stesso giorno di noi; arriva il giorno che Pierotto chiese l'udienza per me, alloggia a casa sua e si fa intermediario, per farmi ricevere dal Papa, presso mons. Ricci, il quale d'ordinario non riceve mai nessuno.
Pensando poi al come fare se, insistendo mons. Ricci sullo scopo della mia visita, ricusasse di farmi dare l'udienza, appena rinunzio ai miei progetti, che già, faceva, subito mi viene in mente che, se non [1010] sono ricevuto, l'intermediario per dare lo scritto é Don Bosco, il quale é tenuto in concetto di santità da Pio IX, vede il Papa quando vuole e, dimorando a Torino, potrebbe dirmi con sicurezza se lo scritto fu rimesso o no. Sia ringraziato il Signore!
20. Fui al Vaticano per parlare a mons. Ricci. Non c'era, e non veniva per oggi; ma parlai col segretario, il quale, udendo che il mio permesso é limitato, diedemi quasi promessa che sarei ricevuto venerdì o sabato mattina.
22... Giunto a casa trovo la lettera d'avviso che il Papa mi riceve in udienza domattina alle 11.
Nell'eventualità di dover affidare a Don Bosco l'incarico di cui sopra, Tancredi, Canonico aveva scritto la seguente accompagnatoria del messaggio di cui era depositario:
A Sua Santità il Papa Pio IX. Santo Padre, non avendo il Signore concesso ch'io mi presenti personalmente a Vostra Santità, mi permetto di trasmetterle per mezzo del rev.mo Don Bosco lo scritto qui unito, che sono incaricato di far pervenire nelle proprie mani di Vostra Santità. Nell'innalzare dal fondo dell'anima la povera, ma fervida mia preghiera al nostro Padre Celeste per la prosperità temporale ed eterna della Santità Vostra, le bacio umilmente i piedi e ne imploro l'apostolica Benedizione. Sono, con profonda venerazione e con affetto filiale di Vostra Santità.
Dev.mo ed umilissimo figliuolo e servitore
Riproduciamo dal seguito del Diario anche la relazione sull'udienza. Di qui si vede che l'udienza di Don Bosco non fu immediatamente dopo l'uscita del Tancredi, ma quando il Papa aveva già letto qualche poco dello scritto.
23. Fui dal S. Padre all'1 pom... Dissi al S. Padre: - Ringrazio V. S. che mi permette di compiere il desiderio che porto fin dalla prima mia giovinezza di baciare personalmente i piedi di V. S. e di poterle trasmettere io stesso questo scritto che, nel pregarla dell'apostolica Benedizione, il Sig. Towianski m'incarica di far pervenire nelle proprie mani di V. S.
- Ah! (disse) si é parlato molto di quest'uomo; ma aveva delle utopie; aveva delle idee non giuste e speriamo che il Signore lo avrà aiutato e che si sarà ricreduto. [1011]
- Santità, io ho ricevuto da quest'Uomo dei benefizi che non si cancellano più. Ho avuto una giovinezza angosciosa; io aveva smarrita la fede. La Provvidenza mi accostò a quest'Uomo: é per mezzo suo che l'ho ricuperata. Io ho ora una base alla vita; se ho la gioia, la fede nella Chiesa lo devo a Lui.
- Sono contento che dia delle buone massime; ma una volta non era così.
Qui aperse lo scritto, lesse la firma e disse: - Ah scrive da Zurigo! - Poi lesse le prime parole e disse: - Vedremo che cosa dice. E lo ripose, indi mi congedò benedicendo me e la mia famiglia. Mi porse l'anello da baciare, che baciai con sentimento, dicendogli: - Santità, le posso dire dal fondo del cuore che questo é il più bel giorno della mia vita. Io sono un povero peccatore, ma assicuro che pregherò sempre il Signore dal fondo del cuore pel vero bene di v. S.
Il Papa si mostrò commosso a queste parole, mi ringraziò e soggiunse: - E per la Chiesa dì G. Cristo.
- Oh sì, ripetei, per la Chiesa di G. Cristo. - Ed uscii.
Altre cose avrei detto che aveva sentito prima e sento ora, ma in quel momento non mi venne che quanto ho detto. Il suo aspetto mi lasciò un'impressione che non dimenticherò mai più. Giallo, floscio, mesto, aveva un sorriso mestissimo; si sentiva che sentiva il peso del proprio posto e la responsabilità di Capo della Chiesa. Il solo occhio conservava qualche vigore; ed é vero il dire che non ha il feroce di alcuni suoi ritratti. E’ sensibile all'affetto; due volte che gli toccai la corda del cuore, due volte si animò il suo sguardo, sorrise mestamente e s’intenerì.
Mi chiese se aveva famiglia, gli dissi: - Quattro figli; uno passò alla prima confessione al S. Natale. - Disse: - Benedico voi e la vostra famiglia.
Davanti a lui ogni altro sentimento cadeva; restava solo quello della pietà. Povero Vecchio! Che il Signore lo aiuti nella difficile sua posizione! Ho il sentimento che pochi mesi gli restano a vivere...
A misura che mi avvicinava al Papa, e vedeva nelle anticamere Cardinali e Prelati, tutto ciò che circonda la S. Sede, ed il Papa stesso diventa piccolo: solo si sente che vi é quivi il Pensiero di Dio, che può essere adempito o no, ma si sente che vi é.
Il Papa dovette credere che lo scritto presentatogli esprimesse pensieri di resipiscenza da parte del visionario; ma, trovatovi ben altro, provò quello sdegno di cui fu testimonio Don Bosco. L'invio di quello scritto fu preceduto e accompagnato da una specie di rito. Per avere un'idea del contenuto, basta leggere queste parole, che si trovano con tante altre in capo a questa parte del diario e appartengono a una serie d'istruzioni sui sentimenti necessari per condurre a termine la creduta missione d'illuminare il Papa: “ Non solo il S. P. non dà la direzione [1012] cristiana e l'appoggio spirituale che dovrebbe: ma mentre porta una scintilla superiore nell'anima ed una grande missione, ha rinnegato l'una e l'altra, piegando dapprima sotto la forza contraria e più tardi prendendo volontariamente le ispirazioni dal nemici della vita cristiana, appoggiandosi su di loro, perseguitando ed allontanando i migliori... Primo, ricevette la grazia per guidare la Chiesa secondo il Pensiero di Dio per questi tempi; primo, spiegò la bandiera dello Spirito, e poi la rinnegò. Napoleone III rinnegò le idee di libertà per mezzo di cui si era innalzato: Pio IX fece peggio, perché lo spirito elevato e manifestato da lui era infinitamente superiore e conforme al germe dell'anima sua... L'adorazione gli piace. E lo spirito attuale del Clero appoggia questo peccato; perché identifica l'uomo colla rivelazione e colla missione divina... Egli attutisce l'anima che si accosta a lui con fiducia... Dio è onnipotente: ma non bisogna illudersi. Abbiamo da fare con un forte nemico di G. Cristo...”.
[1] Positio super introductione causae. Summarium, Num. XVIII, § 77, pag. 851. Romae, Sch. typ. Sal. 1907
[2] Sap., XII, I
[3] Venga cioè sostituito nell'ufficio da Don Porta
[4] App., Doc I
[5] Lettera di Don Bosco a Don Giuseppe Fradelizio, rosminiano, 5 dicembre 1849 Allora il Beato non conosceva ancora personalmente l'abate Rosmini; scriveva così quattro mesi dopo che due noti opuscoli del Rosmini erano stati messi all'Indice
[6] Bosco. Storia d'Italia. Epoca IV, c. XLVII. Il padre G. B. Pagani, nella sua monografia Il Rosmini e gli uomini del suo tempo, pag. 257, n. 1, scrive: “sappiamo da fonte sicura che due religiosi recatisi a visitare Don Bosco cercarono di persuaderlo che dovesse togliere dalla sua Storia d'Italia quelle parole: ai quali il venerabile rispose che non poteva farlo, perchè erano la pura verità”
[7] Parole dette da Don Bosco negli ultimi anni della sua vita al signor Vincenzo Tasso, prete della Missione e poi vescovo di Aosta. (Lettera di Monsignor Tasso al padre Bernardino Balzari, Preposito generale dei Rosminiani, 2 febbraio 1909)
[8] Ved. per esempio Gazzetta del Popolo di Torino, 31 gennaio e 4 febbraio; La libertà di Roma, 2° edizione del 30 gennaio; e parecchi altri
[9] Lettera di Monsignor Menghini a Don Berto, 4 febbraio 1877
[10] Vincenzo Provera, fratello di Don Francesco e provvisioniere nel collegio di Borgo S. Martino. Il ch. Tommaso Laureri fu ispettore delle case di Liguria e viceprocuratore
[11] Cadeva all'8 di febbraio
[12] Dev'essere il Cattolico istruito, ristampato nelle Letture Cattoliche col titolo: Il Cattolico nel secolo.
[13] L'Unità Cattolica pubblicò nel numero del 28 gennaio una corrispondenza da Roma sull'affare dei Concettini.
[14] S'intende, da Torino
[15] Qui c'è un piemontesismo che in qualche parte dell'Italia meridionale non suona bene; in Piemonte vale “ciurlare nel manico, far corbellerie”
[16] Degiuli Giulio, scopatore
[17] Leggi Mangalore
[18] Ved. Vol. XII, pag. 264
[19] Monsignor Cesare Roncetti ripartì dal Brasile il 10 luglio 1878 per motivi di salute. Nell'adempimento della sua missione si era cattivato la stima e l'affetto universale
[20] L’originale della lettera del Menghini è in possesso del teologo Franchetti di Torino. Il corsivo della citazione è nostro. L’originale della lettera di Don Bosco a Monsignor Gastaldi trovasi presso gli eredi del Conte Carlo Cipolla, già professore di storia nella Regia Università di Torino
[21] Pio IX lo creò Cardinale nel’77, ma gli concesse di restare a Verona, dove morì nel 1900
[22] Cioè, mandami un tuo scritto
[23] L'indirizzo da umiliare al Papa
[24] Il chierico Carlo Peretto fece parte del primo gruppo di Salesiani mandati al Brasile nel 1883; ivi fu Ispettore e morì a Ouro Preto nel 1923
[25] Cfr. vol. XI, Pag. 114
[26] Cfr. vol. XII, pag. 494 sgg.
[27] App., Doc. 2
[28] Tanto asserisce Don Berto in una nota manoscritta che si conserva nei nostri archivi. Egli dice pure che si trovò presente alla compilazione
[29] Ved. Eco di S. Francesco d'Assisi, 28 febbraio 1877
[30] App., Doc. 3
[31] App., Doc. 4
[32] Lettera di Don Lazzero a Don Rua; Roma, 13 giugno 1877
[33] Lett da Roma, 8 giugno 1877
[34] App., Doc. 5
[35] App., Doc. 6
[36] App., Doc. 7, lett. A e B
[37] App., Doc. 7, lett. C
[38] App., Doc. 7, lett. D
[39] Rettore del Seminario era il canonico Francesco Rebaudi e direttore spirituale il canonico Antonio Pagani. Edificati dalla condotta di Don Daghero e di Don Giacomuzzi, avevano fatto domanda di entrare nella Congregazione
[40] Intende gli esami semestrali che solevano darsi nelle due ultime settimane di quaresima
[41] Cron di Don Barberis, 19 febbraio 1877
[42] Tanto si rileva da una letterina al Direttore Don Cibrario, unico preavviso che abbiamo potuto trovare del suo passaggio per le case.
Giovedì alle 12 meridiane, a Dio piacendo, sarò a Bordighera, al Torrione, da Monsignore. ecc. Invita Mons. Can. Viale che venga con noi, a pranzo e ci parleremo. Prepara il da farsi e da dirsi. Amen.
Nel calendario del 1877 il giovedì susseguente al 20 cadeva al 22.
[43] In un bigliettino del 28 a Don Barberis dice: “Parto in questo momento per Marsiglia, donde scriverò a D. Rua”.
[44] Siamo grati al nostro confratello Don Federico Rivière, che dei documenti marsigliesi, fortuitamente scoperti di fresco, ci ha favorito copie fotografate
[45] Cfr. vol. XI, pag. 422.
[46] Bulletin Salésien, 1896, pag. 6
[47] A Marsiglia non c'è Arcivescovo, ma Vescovo
[48] App., Doc. 8
[49] Infatti il primo incontro non fu incoraggiante. In un diario, di cui diremo fra breve, si legge: “5 mars. D. Bosco est allé rendre visite à Monseigneur pour en obtenir l'autorisation de se fixer à Marseille; l'Èvêque sur le point de partir pour Lyon, ne l'a écouté que d'une oreille distraite. C'est à recommencer”.
[50] Nel verbale di una seduta del Consiglio, tenutasi il 7 marzo 1877 si legge quanto segue: “...M. le Président rend compte de l'entretien qu'il a eu de concert avec MM. les Vices Présidents et le Trésorier avec M. l'abbé Bosco, Fondateur de Patronages à Turin, à Nice, et dans diverses villes d'Italie, où il a obtenu des résultats admirables. Le P. Bosco a acquis la certitude, par une longue expérience, que l'on ne peut obtenir de bons résultats en placant les apprentis dans les ateliers ou ils sont presque toujours gátés par le contact des ouvriers. Il est arrivé au contraire à d'excellents résultats en fondant lui - même des ateliers, et dans ce cas un très petit nombre n'ont pas répondu à ses bons soins. Il croit après avoir visité notre maison que l'on pourrait, sans beaucoup de frais, fonder un pareil établissement; il offre de nous aider en tout ce qui dépendra de lui, quand on jugera opportun d'établir des ateliers dans notre local”. Ringraziamo il nostro confratello Don Rivière che ci ha favorito questa comunicazione. Dobbiamo al medesimo anche questa nota del diario inedito dell'Œuvre de la Jeunesse: “4 mars 1877. Dimanche Oculi. Le T. R. P. Dom Bosco, cet homme si extraordinaire par la multiplication des vocations ecclésiastiques qui semblent éclore sous ses pas, vient rendre visite à Notre Père. Il aurait bien grand désir de traiter avec nous Pour établir dans l'Œuvre ses ateliers et une maison d'études ecclésiastiques, mais à la condition expresse que nous lui céderions la primauté, au détriment de notre autonomie. Impossible d'accepter un tel arrangement. Il ne nous reste pas moins la satisfaction de voir cet homme puissant en œuvres, qui, en 34 ans a fait 6000 prêtes!... La Providence, aidant la foi de cet homme, se plaît à lui envoyer toutes les ressources pour faire face à toutes les dépenses d'une pareille entreprise. Il n'en demeure pas moins difficile à expliquer comment tant de jeunes gena ont pu arriver à la prêtrise, dans une classe d'enfants ordinairement grossiers et à éducation première fort négligée. Peut - être que les éléments italiens prêtent plus à ce résultat que ceux de notre France dégénérée. Quoi qu'il en soit, à ne voir que l'extérieur de l'Œuvre Salésienne, il y a de quoi étre étonné de son succés”.
[51] Cronaca di Don Barberis, 6 aprile 1877
[52] Tracciando l'itinerario del ritorno scrive: “Lunedì prossimo partirò per Ventimiglia, Alassio, Noli, Varazze, S. Pierdarena, Torino, ecc. e dopo dimani per ogni lettera ad Alassio fino a nuovo avviso”. Partirà per Ventimiglia da Nizza; ma qual è il “lunedì prossimo”? Arrivato a Marsiglia il 28 febbraio, che era mercoledì, scrisse certo fra il lunedì seguente 5 marzo e l'altro lunedì 12, giorno dell'inaugurazione del Patronage St Pierre. Egli pensava di partire da Nizza la sera stessa della cerimonia; ma dev'essere partito il giorno 13. Cfr. lett. a Don Rua, Nizza 8 marzo 1877
[53] I Fratelli distribuiscono le menzioni onorevoli alla fine d'ogni mese. È molto probabile che il trattenimento sia stato tenuto la domenica 4 febbraio, onde la lettera sarebbe stata scritta il lunedì 5. Forse qui si trattava delle menzioni semestrali.
[54] Il venerando Don Cartier, l'unico al quale si possa oggi far capo per aver notizie sicure di quei primordi, ci scrive (lett. 11 febbraio 1831): “On peut conjecturer que le mémoire dont il est question dans cette lettre du Bienheureux concernait l'ouverture de l'école libre secondaire. En effet, après l'installation de l'œuvre dans la villa Gautier, aujourd'hui Patronage St. Pierre, Don Bosco se préoccupa d'ouvrir, en même temps que des ateliers d'internes, une école secondaire pour la culture des vocatións sacerdotales. Cette école a dû s'ouvrir probablement avec l'année scolaire 1877 - 78, car je suis passé par Nice en septembre 1879, et il y avait déjà quelques élèves de latin, entre autres D. Louis Ricardi, décédé à Paris en 1930. Don Bosco a dû sans doute présenter un mémoire pour l'ouverture du Patronage Saint Pierre tel qu'il fut, dès le début, dans les locaux de la villa Gautier, école professionelle et secondaire, comme il avait fait déjà lorsque l'œuvre fut fondée en 1875, à la rue Victor. En effet, le 30 décembre 1875, le Préfet lui accusaít réception de sa demande”. V. App., Doc. 9.
Chi poteva essere l'amico di Mac - Mahon, accennato nella lettera di Don Bosco? Don Cartier fa quest'ipotesi, che contiene se non altro una notizia non priva d'importanza per la storia di quella fondazione: “J'ai appris, par Mme Pruvot, qui a écrit plusieurs livres sous le nom de son père, Victor Favet, que son père, à l'époque Inspecteur d'Académie à Nice, avait dirigé Don Bosco dans la demande d'ouverture d'un établissement d'enseignement secondaire et professionel; qu'il avait lui - même rédígé les pièces, et que Don Bosco n'avait eu qu'à signer .”
[55] Il commendator Annibale Strambio, console italiano a Marsiglia e condiscepolo di Don Bosco.
[56] App., Doc. 10. Chiudiamo! vi tra parentesi quadre le aggiunte e le modificazioni posteriormente introdotte e stampiamo in corsivo le cose posteriormente omesse
[57] Cronaca di Don Barberis, 22 aprile 1877
[58] Bollettino Salesiano, luglio 1931, Pag. 203
[59] Opere religiose e sociali in Italia. Memoria del conte CARLO CONTESTABILE. Traduzione dal testo francese. Padova, Tipografia del Seminario, 1878. Pgg. 27 - 9
[60] Cfr. vol. XII, pag. 433
[61] Cfr. vol. XI, pag. 416
[62] Cfr. vol. XI, pag. 423
[63] Cfr. vol. XII, pag. 375
[64] Nella lettera del 24, sabato, diceva a Don Rua: “Ti farà sapere se giungerò martedì o mercoledì; qui c'è da fare non poco”. Don Barberis nella sua cronaca scrive che egli tornò il mercoledì santo 28; negli appunti di Don Lazzero si legge: “26 marzo. Arrivò D. Bosco”. La prima frase di questa lettera sembrerebbe non bene riferirsi al giorno, in cui scrive.
[65] Vi fu aggiunto in nota un cenno sul defunto e una lettera di Don Ronchail a Don Bosco sulla fine di lui.
[66] Sopra un'invenzione più o meno spiritosa si è formato in Piemonte il motto “ sapere il francese di Biella ”, per deridere chi pretende di conoscere la lingua francese, mentre non la conosce affatto
[67] Cfr. Bollettino Salesiano, giugno 1895.
[68] Fino allora si dava titolo di Venerabile a un Servo di Dio, quando la sua causa di beatificazione era stata introdotta ufficialmente a Roma; ora si dà dopo il decreto sull'eroicità delle virtù.
[69] Sostantivo piemontese: “omùncoli”. Cronaca di Don Barberis, 4 aprile 1877. In certe circostanze Don Bosco soleva trattare i suoi uomini come li aveva trattati nel tempo che erano ragazzi
[70] Lettera di Don Bosco a Don Cagliero, Torino, 31 marzo 1877
[71] L'Unità Cattolica, 13 maggio 1877
[72] App., Doc. II
[73] Lettera di D. Bosco a Mons. Gastaldi, Torino 31 maggio 1877
[74] Lettera di D. Giuseppe Rossi a D. Rua, Sampierdarena, 3 giugno 1877
[75] Questo signore era venuto con l'intenzione di faras salesiano; ma dopo qualche tempo si fece gesuita
[76] Tanto sembra risultare dalla lettera citata di Don Rossi
[77] Cronaca, sotto il 28 giugno 1877, ma riandando le cose di Roma
[78] Si tratta di un Giovanni Bodrato chierico, che dava segni di alienazione mentale
[79] Il cardinal Oreglia, in data 10 maggio, aveva scritto a Don Bosco: “L'altra sua domanda è stata accolta in massima, ma non sarà presa in considerazione che quando sarà chiusa l'esposizione, la quale non è ancora aperta. Affinchè poi la cosa possa riuscire meglio, converrebbe, a mio giudizio, che Ella mi scrivesse una lettera ostensibile, nella quale ringraziandomi di questa notizia o piuttosto manifestandomi la sua riconoscenza al S. P. per la buona disposizione a suo riguardo, accennasse i bisogni che ha e la piena fiducia nella generosità di S. S. ”.
[80] L'Ordine di Ancona, 12 febbraio 1925
[81] Sac. G. VESPIGNANI. Un anno alla scuola del B. Don Bosco, pag. 90
[82] Le parole di Monsignor Aneyros si leggono, voltate in italiano, nell'appendice di un discorso detto da Monsignor Ceccarelli nella solenne distribuzione dei premi agli studenti dell'Oratorio e pubblicato dalla Tipografia Salesiana nel 1877. Lo riportiamo nella nostra Appendice, Doc. 12
[83] Monsignor Brid, Vicario Generale di monsignor Aneyros
[84] Nell'occasione del suo onomastico
[85] Erano gli schemi delle cose da trattarsi prossimamente nel primo Capitolo Generale della Società
[86] Riportiamo le parole dall'appendice al discorso già citato. V. App., Doc. 13
[87] In un biglietto del 7 da Alassio diceva a Don Rua: “Io andrà probabilmente a Nizza e forse fino a Marsiglia; (questo) disturba un poco, ma non voglio abbandonare l'Arcivescovo fino all'imbarco”
[88] L'Unità Cattolica del 7 agosto, in quarta pagina, colonna terza, sotto la rubrica “Dispacci della notte” reca: “san Vincenzo, 3 agosto (ritardato). I passeggieri del Poitou, della società generale francese, giunto ieri con avaria all'elica, proseguiranno il viaggio col vapore inglese Mondego. Tutti stanno bene”.
[89] App., Doc. 14. “Alla pubblica luce” consegnò il ricordo dei giorni passati nell'Oratorio, perchè ne parlò nella lettera pastorale sul suo viaggio a Roma
[90] App., Doc. 15.
[91] Saracinare è imbrunare per la maturazione. Proprio dell'uva. Di quest'uva, cfr. vol. XII, pag. 375
[92] Di lire novemila. Doveva arrivare un mese prima
[93] Si tratta del famoso terreno; cfr. vol. XII, pag. 264
[94] Nel dialetto piemontese questo termine è di uso popolare per indicare persona o affare che sia causa di briga molto fastidiosa. Ha dunque lo stesso significato di aiassìn (Vol. XI, pag. 531). Quell'ô si pronunzia quasi come u.
[95] Lettera di D. Fagnano a Don Bosco, S. Nicolàs, 2 marzo 1877
[96] App., Doc. 16
[97] App., Doc. 17 (A, B)
[98] Lettera di D. Fagnano a D. Bosco, S. Nicolàs, 2 marzo 1877
[99] App., Doc. 18 (a, b, c)
[100] Se ne può leggere la descrizione nel I° numero del Bollettino Salesiano, agosto 1877, in due lettere di D. Cagliero.
[101] Cfr. vol. XII, pag. 266
[102] Bollettino Salesiano, ottobre 1877
[103] App., Doc. 19
[104] Lettera a D. Bosco, Montevideo, 5 agosto 1877
[105] Vol. XII, pgg. 341 e 539
[106] Sac. P. ALBERA. Mons. Luigi Lasagna, pag. 162. S. Benigno Canavese, 1900
[107] Era l'antico eremo Camaldolese sui colli di Torino. Il vecchio convento, fabbricato in gran parte dal venerabile P. Alessandro Ceva, fondatore del cenobio, e passato dopo la soppressione in mani laiche, era stato acquistato da Monsignor Gastaldi per allogarvi comodamente i chierici durante le vacanze. Tale villeggiatura fu inaugurata nel 1877
[108] Era l'antico eremo Camaldolese sui colli di Torino. Il vecchio convento, fabbricato in gran parte dal venerabile P. Alessandro Ceva, fondatore del cenobio, e passato dopo la soppressione in mani laiche, era stato acquistato da Monsignor Gastaldi per allogarvi comodamente i chierici durante le vacanze. Tale villeggiatura fu inaugurata nel 1877
[109] I signori Ambrogio Placido Lezica e Anacarsio Lanús, Soci del signor Fynn
[110] Vuol dire alcuni Argentini o residenti nell'Argentina, che lavoravano coi Salesiani o si preparavano a entrare nella Congregazione.
[111] App, DOC. 20 (a, b).
[112] App., Doc. 21
[113] App., Doc. 22 (a. b, c, d)
[114] Intende stampato
[115] Chi conobbe l'austerità dell'uomo, comprende quanto in questo parlare vi sia di faceto
[116] Num. di settembre 1878
[117] V. sopra, pgg. 115 e 116
[118] Registriamo qui a titolo d'onore i nomi di queste pioniere: 1° Suor Angela Vallese di Lu, Direttrice. - Suor Giovanna Borgna di Buenos Aires. - Suor Angela Cassulo di Castelletto d'Orba. 4° Suor Angela De Negri di Mornese. - 5° Suor Teresa Gedda di Pecco (Torino). - 6° Suor Teresina Mazzarello Baroni di Mornese
[119] Parola del dialetto piemontese italianizzata; spatùss è “esteriorità” che dia nell'occhio per pompa, spesa e rumore
[120] Ricordo delle feste giubilari, Nizza Monfer., Tip. Croce, 1904, Pag. 14.
[121] Una perquisizione, ossia le Franchigie costituzionali sotto il Ministero Ricasoli. Memoria del Conte Carlo Cays di Giletta e Casellette. Torino, Speirani, 1862
[122] Biografie dei Salesiani defunti nel 1882. Sampierdarena, Tipografia Salesiana, pgg. 11 - 12.
[123] L. C., pag. 87
[124] Il 19 settembre Don Bosco scrisse al teologo Margotti: “Ieri fu vestito da chierico il conte qui in Lanzo. Ne spero un modello di Salesiano. Ogni settimana studia un intero trattato”.
[125] Lett. 14 novembre 1877
[126] Lett. 25 giugno 1878
[127] Ignoriamo quando precisamente e in che modo il Servo di Dio abbia rinunziato ai servigi dell'avvocato Menghini per valersi dell'avvocato Leonori. Una ragione di delicatezza dovette senza dubbio intervenire a determinarvelo. Come abbiamo già visto, il canonico Menghini difendeva anche le cause di monsignor Gastaldi, la qual cosa non poteva non mettere in imbarazzi l'avvocato e l'uno o l'altro de' suoi clienti. Di lui non ricorre più alcuna menzione nella corrispondenza di Don Bosco.
[128] Nella lettera che accompagnava il Rescritto, l'avvocato scriveva: “Domani andrà dall'Eminentissimo Oreglia e gli racconterò tutto”. Queste parole lasciano ragionevolmente supporre che anche il Cardinale Oreglia la pensasse come Don Bosco
[129] Fratello minore di Alfonso
[130] Il professore, dopo gli esercizi, tornò a casa; ma poi andò a Valsalice per insegnare nel liceo o almeno far valere il suo titolo presso l'autorità scolastica. Vi stette per un anno come aspirante coadiutore, secondochè appare dal Catalogo del 1879. Ma, cagionevole di salute, fu costretto a rientrare in famiglia; entrato poi nei Gesuiti; vi divenne sacerdote. Lo ritroveremo altre volte. Don Bosco nell'ottobre seguente gli scrisse:
Mi sei scappato dagli Esercizi, ma spero non mi scapperai da Valsalice. Nel rigore dell'autorità scolastica e nella scarsità nostra di professori patentati tu sei stato annoverato nel Liceo per Filosofia e Lettere. In pratica farai quello che giudicherai più opportuno per la tua sanità.
Le classi sono già formate, gli allievi sono ansiosi di ascoltare le tue lezioni. Pertanto vieni appena potrai.
Papà e Mamma stanno bene? Riccardo si ricorda ancora di D. Bosco? Salutali tutti da parte mia e di' loro che nel memento della S. Messa io li ricordo ogni mattino. Dio vi benedica tutti, e prega per me che ti sarò sempre in G. C.
[131] Nei verbali questo particolare non è notato; ma noi l'abbiamo avuto da Don Vespignani, che a sua volta lo intese da Don Albera
[132] Cfr. Vol. XI, Pag. 36
[133] Cfr. vol. XI, Pag. 436
[134] App., Doc. 23
[135] App., Doc. 24
[136] Autore dell'articolo era il professore governativo torinese Vincenzo Lanfranchi. Ci sembra utile e opportuno trascrivere una testimonianza di monsignor Besson, Vescovo di Nimes. In una lettera aperta, indirizzata il 28 agosto 1878 all'allora abate Bougaud, Vicario generale di Orlèans, egli scriveva: “Nei primi anni del suo episcopato a Besan con [il cardinal Mathieu] non permetteva senza ripugnanza ai suoi preti di entrare nelle Congregazioni religiose o di andare alle Missioni estere. Gli pareva che fosse un improvvido spogliare se stesso e che a lui convenisse anzitutto assicurare l'avvenire del clero diocesano. Ma dopo alcuni anni di esperimento egli mutò parere e la diocesi mutò faccia. Quanto più permetteva partenze per le Missioni, tanto più Dio gli concedeva soggetti per la sua Chiesa. Per ogni missionario che aveva ottenuto il permesso di partire, si vedevano venir fuori dallo stesso villaggio due o tre seminaristi. La grande prosperità ecclesiastica della diocesi di Besan con data dal giorno in cui i suoi figli si diressero verso tutte le Missioni lontane per evangelizzare i popoli ancora sepolti nelle ombre della morte. Un documento del 1851 conta 45 Missionari; il Calendario del 1878 ne novera 70. Non si è data ancora la cifra esatta delle vocazioni religiose sorte in quella bella diocesi; forse non si hanno meno di 200 fra domenicani, cappuccini, gesuiti, oblati, maristi, fratelli di Maria, missionari religiosi d'ogni genere e nome, che le appartengono per nascita e per educazione. E nonostante questa legione che serve di fuori, la diocesi di Besan con è così ricca, che può somministrare alle altre diocesi, della Francia persone piene di merito, tanto è vero che quanto più si dà al Signore, tanto più il Signore si compiace di rendere”.
[137] Agli eminentissimi Cardinali della S. C. del Concilio. Esposizione del Sac. Giovanni Bosco. Sampierdarena, Tip. di S. Vincenzo de' Paoli, 1881
[138] L'autografo è presso il teologo Franchetti di Torino
[139] Nella sua lettera Don Bosco passava subito serenamente a dar notizia del Conte Cays e della sua vestizione chiericale (cfr. sopra, pag. 22 5), e con non minore serenità diceva nel poscritto: “Mons. Lacerda, vescovo di Rio Janeiro, nel partire, m'incaricò di portarle i suoi saluti e di pregarla a voler inserire le notizie quivi unite che fanno vedere esservi ancora un po' di fede in quell'impero. D. Francesia le volse dal portoghese in italiano e le ordinò. Ella però vedrà il da farsi”. L'articolo non comparve. Nelle parole “dovremo andare in paradiso insieme”, taluno volle vedere il presagio della loro fine, seguita a pochi mesi di distanza dall'uno all'altro. Don Margotti morì il 6 maggio 1887, a 63 anni d'età e in ottima salute
[140] Cfr sopra, Pag. 32
[141] Cfr. vol. XI, pag. 114 e 285
[142] L. c., pag. 104.
[143] L. c., pag. 112
[144] Lo raccontò poi di nuovo durante il Capitolo Generale, la sera del 28 settembre nel refettorio dopo cena, presenti parecchi Superiori, fra cui Don Lemoyne e Don Barberis, che subito dopo lo scrissero. Noi riferiamo la redazione di Don Lemoyne. In quella di Don Barberis si legge che Don Bosco domandò alla donna, “per la sua condizione ben vestita, con pulitezza e proprietà”, chi fosse, e che ella rispose: “Non fa bisogno di sapere chi io mi sia. Va', tieni a mente quanto hai udito, e poi non darti pensiero dalla bocca di chi sia uscito”. Parrebbe più naturale che riferissimo la relazione che ne fa pure Don Vespignani (L. c pag. 115 - 7); ma egli ha narrato a memoria dopo troppo lungo lasso di tempo. Tuttavia un particolare ci sembra da rilevare. Secondo lui, Don Picco avrebbe anche gridato: “Defezioni nell'Oratorio! persecuzioni contro L'Oratorio!”. Quindi l'autore commenta: “Noi che udimmo il racconto, fummo testimoni delle defezioni e persecuzioni succedutesi in quei giorni nell'Oratorio, e capimmo che il primo ad assaggiare le pastiglie della Madonna era stato il nostro padre Don Bosco”. Da Don Vespignani quella che per Don Lemoyne e Don Barberis è “una donna”, vien detta “una Signora”: egli poi ha l'impressione che fosse la Madonna. Ciò che dice delle persecuzioni, è verissimo; ne avremo una prova fra tante nel capo seguente.
[145] Lettera a Don Ronchail, Costigliole di Saluzzo, 26 ottobre 1877
[146] App., Doc. 25 (a, b)
[147] App., Doc. 26
[148] V. sopra, pag. 185
[149] Lettera, 5 dicembre 1877
[150] A far comprendere meglio le cose aggiungeremo che mons. Manacorda, vescovo di Possano, recatosi una sera fra le dieci e le undici dal Papa per fargli una relazione in gran segreto, si sentì dire da Pio IX: Parlate piano! Qui perfino le muraglie hanno le orecchie. - Tanto egli narrò parecchie volte a Salesiani, con cui aveva stretta familiarità.
[151] Lettera del sig. Gazzolo a Don Bosco, Savona, 21 ottobre 1877
[152] App., Doc. 27
[153] L. c., pag. 133
[154] D. PAOLO ALBERA. Lettere circolari ai Salesiani. Pag. 78 Torino, Soc. Edit. Internaz
[155] Don Vespignani (L. c., pag. 199) riprodusse questa lettera da una copia ricavatane allora, ma senza data. Quella supposta nel libro è certamente errata, almeno per il luogo
[156] Bollettino Salesiano, gennaio 1878
[157] App., Doc. 28
[158] Cfr. App., Doc. 2
[159] App., Doc. 29. Negli appunti di Don Lazzero, sotto il 13 luglio 1878 leggiamo: “ Fu all'Oratorio un signore portoghese. Dimostrò gran desiderio che D. Bosco mettesse una casa salesiana ne' suoi paesi ”.
[160] Lettera al card. Ferrieri, Torino, 19 settembre 1877
[161] Cfr. anche lettera del Superiore dei Fratelli delle Scuole Cristiane al Direttore di Valsalice, 2 settembre 1877
[162] Di tutta la corrispondenza qui citata e da citare, comprese le lettere dell'Arcivescovo al cardinal Ferrieri, possediamo gli originali nei nostri archivi. Ne ignoriamo la provenienza.
[163] “Nuova” per rapporto alla licenza tacita, per la quale già celebravano in chiese non proprie, quantunque nel Calendario di quell'anno il Decreto XII dicesse: Regulares omnes monemus, so non posse sine licentia Nostra, ne una quidem vice celebrare Missam in ulla ecclesia vel oratorio etsi privato, Nostrae Dioecesis, exceptis ecclesiis et oratoriis sui Ordinis
[164] Cfr., sopra pag. 175
[165] Don Lazzero invitava la Superiora a chiedere in Curia l'autorizzazione per un Salesiano di continuar a celebrare nella cappella dell'Istituto
[166] Riferì subito dopo la requisitoria al professor Anfossi, che aspettava fuori e che, messala prontamente in carta, la mandò a Don Bosco (Lett. 12 ottobre 1877). Passando su tutto il resto, dobbiamo non senza pena, ma nell'interesse della storia afferrare un punto. Disse Monsignore: “si vanta di avermi fatto nominare vescovo; anzi mi scrisse una lettera rinfacciandomi ciò; ma io l'ho inviata a Roma, affinchè vedano il bel santo, in cui coloro ripongono tanta fiducia”. È la lettera da noi pubblicata nel vol. XI a pag. 380. Il Servo di Dio ricorda ivi “le proposte e sollecitudini” sue perchè fossero “appianate le gravi difficoltà che si opponevano” tanto per Saluzzo che per Torino, ma lo fa unitamente per dimostrargli quali fossero le proprie disposizioni verso la persona di lui e come non fosse verosimile che dopo essersi adoperato tanto in suo favore gli si voltasse poi contro. Questo per la superbia. Diciamo una parola anche per il fatto in se stesso. Anzitutto risulta da documenti sicuri che Don Bosco agì efficacemente presso il Governo per l'exequatur e le temporalità. Quanto alla promozione a Torino, è stato detto che essa fu dovuta tutta a Pio IX e si è addotta la testimonianza del canonico Virginio Marchese, prevosto di Cardè nella diocesi di Saluzzo, uno degli stenografi al Concilio Vaticano. Tale testimonianza venne raccolta pure da La Civiltà Cattolica (anno 1915, vol. IV, pag. 627). A monsignor Marchese, nell'udienza di congedo, Pio IX, inteso che egli ritornava sotto il governo di monsignor Gastaldi, diede incarico di comunicare al suo Vescovo che il Santo Padre non avrebbe mai dimenticato i servizi da lui resi alla Chiesa nel Concilio. Ma questo non toglie: 1° che sorgessero poi “gravi difficoltà”; 2° che queste venissero “appianate” mercè “le proposte e sollecitudini” di Don Bosco. Del resto nè qui Monsignore mette in dubbio la cosa, nè Don Bosco gliel'avrebbe ricordata nella sua lettera del 1875, se non si fosse trattato di verità indiscutibile. Nè la cosa era nota soltanto a loro due, ma anche a Roma e altrove (Cfr. VOI. XI, pgg. 112 - 3; e sopra, pag. 23).
[167] Cfr. sopra, pag. 337
[168] Al cav. Occelletti fu rilasciato questo biglietto:
“Torino, li 25 agosto 1877. Il molto rev. signor D. Berto ha facoltà di celebrare la s. Messa, predicare ed ascoltare le confessioni sacramentali nell'oratorio del sig. commendatore Occelletti, e di celebrare la s. Messa in qualunque sia chiesa ed oratorio pubblico e privato di questa Archidiocesi, e ciò a nostro beneplacito.
[169] Altre varianti di minor conto sono le seguenti. Alla fine del 5° capoverso, invece di “per lo spazio di venti giorni” Don Bosco rettificò e completò: “per lo spazio di diciotto giorni e poi indefinitamente”. Sotto CONSEGUENZE il 1° capoverso fu modificato così: “Per evitare pubblicità e scandali fu tostamente inviata una lettera a tutte le chiese cui si prestava servizio, affinchè si munissero del voluto permesso, ed il sacerdote Perenchio non ha più celebrato nella chiesa della Congregazione, come più non celebrarono i Salesiani fuori delle loro chiese”. Nel 2° capoverso, il “poteva” del 2° periodo cedette il posto a “voleva”. Il capoverso che viene dopo l'aggiunta riportata qui sopra, ed è il 3° nella prima redazione, appare così trasformato: “Esposti questi fatti, l'umile esponente senza voler accusare alcuno supplica soltanto V. S. a degnarsi di volergli dare un consiglio intorno alla via da seguire per non fare cosa alcuna contro a quello che stabilisce la S. Sede nell'approvazione delle Congregazioni ecclesiastiche ed impedire che non abbiano a rinnovarsi tali spiacevoli e dannose vertenze”.
[170] La grafia delle postille è identica a quella con cui è steso un lungo comunicato del 12 marzo 1878 sui privilegi, proveniente da detta Congregazione e recante la firma del card. Ferrieri. Lo stile è rigidamente curiale. La nostra copia inoltre presenta nel corpo dello stampato 32 richiami a penna, che corrispondono ad altrettante osservazioni fattevi sopra da Don Bosco e mandate alla sacra Congregazione con questa premessa: “Qui trattasi di fatti che si fanno gravitare sopra una povera e nascente Congregazione; i quali fatti, se sono veri, la renderebbero indegna di esistenza. Quindi il superiore e per dovere verso ai suoi sudditi e per l'obbligo verso la Santa Sede, è tenuto a rettificare i fatti e spiegarli a quell'Autorità che li deve regolare”.
[171] Torino, 6 gennaio 1878
[172] Lettera di Don Rocca a Don Berto, Spezia, 29 dicembre 1877
[173] Cioè al Padre Rostagno d. C. d. G
[174] Questo “come già V. E. ha fatto” si deve mettere in rapporto con “prima di fare questo passo ecc.”. Il senso è stentato; ma per parlar chiaro, avrebbe dovuto spiattellargli un “come non ha fatto”. Insomma, Monsignore aveva fatto quel passo senza “ interrogarne persone assennate e prudenti ”così gli erano toccate le critiche degli avversari. Qui poi Don Bosco chiama impropriamente “ lettera ” una nota su Antonio Rosmini, pubblicata nel Calendarium liturgicum del 1877 a pp. XVIXVII; ne abbiamo fatto un cenno nel primo capo di questo volume. Sua Eccellenza il 23 novembre gli replicò in proposito: “ L'allusione che V. S. fa al mio Calendario, mostra che Ella versa in un errore, da cui avrebbe già dovuto uscire. Io non temo le critiche, ma solo l'orrore, e la Dio mercè ho dimostrato con iscritto a stampa a chi abbisognava, che quanto io scrissi nel Calendario è la verità, ed io aveva ragione ed obbligo di dire ”.
[175] VOI. XI, pgg. 449 - 455
[176] Questo giornale era diretto dal Padre Vasco gesuita
[177] Cfr. vol. XI, pag. 452.
[178] Lett. del prosegr. teol. Maffei a Don Rua, Torino, 9 novembre 1877. Ciò ha riscontro con la già riferita asserzione di Don Rocca che egli se n'era andato dal seminario ipso invito, cioè contro il volere del Vescovo
[179] Il M. Rev. D. Rocca, da noi interpellato sulle testimoniali, ci scrive
[180] Lettera di Don Rocca a Don Berto, Spezia, 29 dicembre 1877
[181] Questo “ pure ” va riferito alla frase “ ad uno di questa casa ”, che viene subito dopo
[182] L'opuscolo anonimo dell'Arcivescovo
[183] Questo infatti sembra potersi dedurre dal Poscritto seguente: “ stava per chiudere la presente, quando ricevetti un secondo opuscolo intitolato: L'Arcivescovo di Torino e la Congregazione di S. Francesco di Sales, ecc. La ringrazio ben di cuore, e quanto prima Le ne farò risposta ”
[184] Cfr. sopra, Pag. 330
[185] Fra coloro che ricevettero per la posta la lettera anonima vi fu Don Giacomelli. Egli si fece premura di portarla a Don Bosco disapprovandola; il Beato pure la disapprovò e ad un tale che la voleva difendere impose silenzio. (Positio super virt. Summ., n. V, § 496)
[186] Ecco la carta di visita:
LORENZO GASTALDI ARCIVESCOVO Di TORINO
presenta a S. E. il conte di Castagnetto, ministro di Stato, i suoi rispetti ed augurii.
[187] Lettera a Don Bosco, Torino, 20 gennaio 1878.
[188] Lettera di Don Rua a Don Bosco, Torino 6 gennaio 1878.
[189] App., Doc. 30
[190] Lettera di Don Anfossi a Don Berto, dicembre 1877
[191] Lettera cit. di Don Rua
[192] Lettera di Don Bonetti a Don Bosco, Torino 22 dicembre 1877
[193] Lettera a Don Berto, 2 gennaio 1878
[194] Per i “quattro opuscoli”, s'intendono quattro stampati, spediti da S. E. a Roma, dei quali Don Bosco dirà tra breve che tornavano piuttosto a difesa della Congregazione
[195] Lettera citata
[196] Lettera di Don Reviglio a Don Bosco, Torino, 2 gennaio 1878
[197] È la dichiarazione, che uscì a pag. 12 del Bollettino di gennaio 1878. Non si trova però in tutte le copie. Forse fu messa solo in quelle destinate a Torino e luoghi dell'Archidiocesi, per non allargare lo scandalo
[198] Chiudiamo tra virgolette queste parole, perchè Don Bosco le dice in persona dei suoi accusatori. Il “foglio anonimo”, è la lettera anonima
[199] Nella lettera anonima
[200] Don Rua, obbedientissimo in tutto, così fece con la lettera del 6 gennaio 1878, della quale abbiamo citato un passo a pag. 386
[201] Era un famiglio, scopatore
[202] L'elenco documentato dei favori e privilegi ottenuti dalla Santa Sede
[203] V. sopra, pag. 371, lett. dell'Arcivescovo 1° dicembre, 1877
[204] È questi il conte Cays, che per venir ordinato dovette allora costituirsi il patrimonio ecclesiastico presso la Curia
[205] L'avvocato Menghini il 6 novembre scrisse all'Arcivescovo: “ Lo stesso Cardinale Prefetto [Ferrieri] mi ha detto queste parole: - Mi pare che il S. Padre non sia bene informato, mentre lo favorisce troppo ”. L'originale di questa lettera è presso il teologo Franchetti di Torino
[206] SAN PAOLO, Lettera seconda ai Corinti, VI, 4 - 7
[207] Cfr. vol. XI, pag. 241
[208] Vicedirettore il primo dell'Oratorio, rispettivamente Direttore e Catechista a Lanzo gli altri due. Don Bonetti era conosciuto dai confratelli come zelante propagatore di buone iniziative; perciò il Beato si serve di lui per far giungere anche ad altri il proprio pensiero
[209] Cfr. LEMOYNE. Mem. Biogr., 11, 536; IV, 479 - 80; VII, 78. Con il suo noto lavoro L'Oratorio di Don Bosco, Don Giraudi ha attuato inconsciamente e ottimamente questo desiderio di Don Bosco
[210] VESPIGNANI, l. c., pag. 76
[211] App., Doc. 31
[212] La Civ. Catt., I° giugno 1929, pgg. 466 - 7.
[213] Priore della festa fu il cav geometra Giuseppe Casalegno (cfr. LEMOYNE Mem. autob., VII, 224). Il prof. Lanfranchi fece il discorso di apertura
[214] L. c., pag. 30
[215] I Figli di Maria
[216] L. c., pag. 47
[217] Ci ha narrato il fatto Don Caimo, testimonio auricolare
[218] Don Vespignani solo (l. c., pag. 60), che era il sacerdote celebrante nell'infermeria, ha serbato memoria di queste due predizioni, da lui stesso udite; i registri dei 1877 ci hanno somministrato le date e i nomi, confermandone la testimonianza.
[219] Il registro porta il verbale di questa seduta e copia dell'atto di notificazione e relativo congedo in data 3 maggio
[220] Lettera a Don Bosco, Lanzo, 15 febbraio 1877
[221] Nella sua lettera a Don Bosco il teologo gli diceva: “Cottino Eugenio sugli undici anni è un povero giovane che corre rischio di finir male. Sta a te il metterlo sulla buona via, massime che è svegliato di ingegno: te lo raccomando proprio di cuore”.
[222] Avvocato di Don Bosco a Torino
[223] Cfr. vol. XII, pag. 552
[224] App., Doc. 32
[225] Lettera del prof. Cattaneo a Don Bosco, Locarno, 7 settembre 1877, ultimo documento dei nostri archivi intorno a questo laborioso negozio. V. App., Doc. 33.
[226] Lettera 29 aprile 1857. Segnata G. Lanza
[227] Cfr. tav. VIII e XII in GIRAUDI, L'Oratorio di Don Bosco
[228] Cfr. l. c., tav. VII e XII
[229] Nella recente sistemazione della città quella casa è stata demolita
[230] App., Doc. 34.
[231] Di questo dottissimo amico Don Bosco aveva portato con sè un foglio, dove la questione più grossa era posta sotto il vero punto di vista, sicchè quei consigli potevano tornargli utili nel prospettare le cose dinanzi alle Congregazioni Romane. (App., Doc. 35).
[232] Dopo 22 anni che insegnava teologia morale nel Convitto Ecclesiastico, Don G. B. Bertagna ne fu esonerato improvvisamente nel settembre del 1876. Sopportò con eroica umiltà una tanta deminutio capitis. Se ne stette un paio d'anni appartato nel nativo Castelnuovo, finchè ivi ammalò a morte. In seguito Mons. Savio, vescovo di Asti, lo chiamò a sè nel 79 e lo fece suo vicario generale. Nello stesso anno il Convitto fu chiuso. D. Bertagna, avendo fatto scuola molti anni prima a S. Francesco e poi alla Consolata, era stato maestro di tutti i sacerdoti di Torino e di molti altri delle vicine diocesi: tutti lo riguardavano come un oracolo nell'arte di guidare le anime. Fu giustamente ritenuto come uno dei teologi moralisti più autorevoli del secolo scorso. Nel 1884 il card. Alimonda lo consacrò Vescovo ausiliare; poi lo fece rettore del seminario arcivescovile di Torino e di tutti quelli della diocesi. Ripigliò l'insegnamento della teologia morale in seminario e alla Consolata. Era vicario generale. Compiè la visita pastorale dell'archidiocesi. Morì nel 1905
[233] Questo nuovo segretario era Don Turchi, di Castelnuovo, insegnante a Roma, devotissimo a Don Bosco
[234] Il padre Tosa, dei Predicatori
[235] Lettera del can. Menghini a mons. Gastaldi, Roma, 29 dicembre 1877. L'originale è presso il teol. Franchetti di Torino
[236] Allude a una farsa per collegi, intitolata appunto “Funerali e danze”.
[237] Ne L'Osservatore Romano (11 gennaio 1878) fu pubblicata la nota seguente: “Non appena il Santo Padre potè conoscere la gravità della malattia del Re Vittorio Emanuele, si affrettò subito ad inviare un rispettabile ecclesiastico al Quirinale, non solo per informarsi dello stato della malattia, ma altresì per occuparsi dell'anima dell'infermo, affinchè, chiamato a comparire davanti a Dio, fosse fatto degno della sua misericordia. L'ecclesiastico non venne introdotto: ma sappiamo d'altronde che il Re ha ricevuto i santi Sacramenti, dichiarando di domandare perdono al Papa dei torti di cui si era reso responsabile”.
[238] Da una copia che Don Berto ritrasse a Roma dall'originale nell'ottobre del 1894
[239] Lettera di Don Bologna, 21 gennaio 1878
[240] Lettera 24 gennaio 1878
[241] Lettera di Don Bologna a Don Berto, 10 febbraio 1878
[242] Mem. Biogr., vol. VIII, pag. 586
[243] Il Della Rocca, segretario generale al Ministero degli interni, alle 3 pomeridiane del 7 mandò un bollettino ufficiale alle questure della Camera e del Senato, annunziando che il Santo Padre aveva cessato di vivere alle ore 2. L'agenzia Stefani partecipò all’Europa il falso annunzio governativo. Verso le 4 un secondo avviso affisso nell'atrio di Montecitorio diceva non essersi peranco avuto l'annuncio ufficiale della morte del Papa. Don Bosco scrisse certamente la lettera dopo aver conosciuto la falsa notizia.
[244] Monsignor Mercurelli, segretario dei Brevi ai Principi, nella sua forbitissima orazione latina De eligendo Pontifice, letta secondo il consueto dopo la Messa De Spiritu Sancto prima del conclave, toccò questo punto, rivolgendo il discorso all'anima beatissima del Pontefice: Tibi dedit Deus, ut no bilis victrix iniquorum temporum e terra discederes dedit virtuti tuae commune orbis studium, desiderium et praeconium, daturus fortasse etiam olim, ut tua memoria caelitum honoribus consecretur = Iddio ti ha concesso che ti dipartissi da questa terra, nobile vincitore di tempi iniqui; ha concesso alla tua virtù l'amore, il desiderio, il rimpianto e l'encomio di tutto il mondo; forse un giorno farà sì che la tua memoria sia consacrata con gli onori quaggiù riservati agli eroi del Cielo. L'Unità Cattolica nel numero 52 (1° marzo) scriveva: “Egli è un sentimento universale tra le anime buone, in cui regna lo spirito di Dio, che non dovrà passar molto tempo senza che sia promossa la causa di beatificazione del grande Pio IX”
[245] Nei Cardinali presenti in Curia predominava l'opinione che il Conclave si dovesse tenere fuori di Roma; infatti nella prima Congregazione cardinalizia, la sera dell'8 dovendosi decidere sul luogo del Conclave, di trentotto Porporati solo otto votarono per Roma. Lo stesso cardinale Pecci lesse un discorso piuttosto lungo a favore della partenza da Roma; non propose però dove bisognasse andare. Ma la sera del 9 nella seconda Congregazione, radunata per decidere sulla determinazione del luogo, gli animi erano mutati: votarono per Roma trentadue. Il cardinal Pecci prima opinò per Malta, ma poi concluse per Roma. (R. DE CESARE. Il Conclave di Leone XIII, pgg. 157 - 165. Città di Castello, Lapi, 1888). D'altra parte, in un primo tempo, Crispi, aggrappandosi all'articolo della legge delle Guarentigie, si attribuiva il diritto d'introdurre in Vaticano suoi ufficiali civili per invigilare il Conclave. L'articolo diceva: “Durante la vacanza della Sede Pontificia nessuna autorità giudiziaria o politica potrà per qualsiasi causa porre impedimento o limitazione alla libertà personale dei cardinali. Il Governo provvede a che le adunanze del Conclave e nei Concilii ecumenici non siano turbate da alcuna esterna violenza”. Ne lo dissuase l'energico intervento di Bismarck, a cui premeva per i suoi futuri disegni che dal Conclave uscisse eletto un Papa di canonica legittimità incontrastabile (La Civiltà Cattolica. Anno 34. Serie XVIII, vol. IX, 1903, quad. 1264, pag. 392)
[246] Sulle relazioni di Crispi con Don Bosco nel 1852, cfr. LEMOYNE, Mem. biogr., Vol. IV, Pag. 419
[247] Sac. G. Bosco. Il più bel fiore del Collegio Apostolico, pag. 57 - 8. Torino, Tip. Salesiana, 1878
[248] Qui il copista appose posteriormente la seguente nota: “Questo povero servo di Dio non è altri che D. Bosco, di cui è pure questo scritto, il quale, da me copiato, venne consegnato al Card. Bartolini per essere rimesso nelle mani del S. Padre poco dopo la sua elezione, trovandosi in quel tempo D. Bosco a Roma”
[249] App., Doc. 36
[250] Non possono riferirsi ad altro oggetto queste parole dell'avvocato Leonori (Lett. a Don Bosco, 19 dicembre): “Nell'andare ieri ai Riti... trovai un rescritto per la sua chiesa giacente in data 28 maggio 1878. Lo ritirai e per esso pagai lire 11 (undici) come troverà tassato”
[251] I due signori furono annoverati fra i cavalieri di san Gregorio Magno. I relativi Brevi gli furono rimessi dal card. Franchi, nuovo segretario di Stato, il 27 maggio. (App., Doc. 37).
[252] Vuol dire i nazionali dell'Argentina e dell'Uruguay, giovani o adulti, che aspiravano alla Società come chierici o coadiutori.
[253] Se non proprio tanto quant'egli si credeva andò perduto, se ne deve saper grado a Don Berto, che fin nel cestino raccoglieva i pezzettini di corrispondenze lacerate e con infinita pazienza li riordinava in modo da leggervi e copiarne il contenuto.
[254] The independence of the Holy See. Fleury S. Kins et Comp. London 1877
[255] Dei Conti di Villanova
[256] App., Doc. 38.
[257] Cfr. qui Sopra, pag. 23
[258] Lettera 29 dicembre 1877. L'originale è presso il teologo Franchetti. Nel '78 non troviamo più alcun indizio di relazioni personali o epistolari di Don Bosco con il Menghini; suo avvocato è Don Costantino Leonori. Il buon Fratejacci aveva cessato di vivere il 3 settembre 1877. “Pur troppo Dio Benedetto ci ha privati dell'ottimo amico Fratejacci”, gli scriveva (30 ottobre 1877), il card. Consolini in risposta a una lettera del 18. Si vede che in quella lettera d'affari Don Bosco aveva accennato alla perdita dell'affezionato Monsignore; ma non ne conosciamo il testo. In un elogio funebre che noi possediamo manoscritto, mons. Cani dice: “La di lui morte fu pianta da tutti, specialmente dai suoi amici, dagli oppressi, dagli orfani e dai poveri”.
[259] L'originale è presso il teologo Franchetti.
[260] Tenne questa carica meno di sei mesi, essendo morto il 31 luglio 1878. Gli succedette il cardinal Nina
[261] App., Doc. 38
[262] Quelle indirizzate a Don Rua sono in app., Doc. 39; altre si leggeranno nel capo ultimo
[263] Anche di due non intervenuti, perchè impediti uno da infermità, Goffredo Brossais St Marc, Arcivescovo di Rennes, morto poco dopo, e l'altro dalla distanza, Giovanni Mac - Closkey, Arcivescovo di New York.
[264] Cronaca di Don Barberis, 2 dicembre 1878
[265] Roma, 27 novembre 1878. Una lettera di monsignor Francesco Folicardi, arcivescovo di Efeso, a cui Don Bosco mandò il libro, ci sembra, nella parte che non riguarda il dono, tale un documento storico da non doversi lasciare obliato in un fondo d'archivio. Lo pubblichiamo nell'Appendice (Doc. 40.)
[266] Non abbiamo una lettera del 19 novembre, scritta da Don Bosco al Cardinale per questo oggetto. Il 26 ottobre mons. Boccali scriveva al Beato: “Ho consegnato al S. Padre la sua supplica per la comunicazione dei privilegi al suo Istituto”.
[267] Il tante volte nominato signor Audòli erasi ridotto a far vita comune con i Salesiani, presso i quali morì.
[268] Cfr. qui avanti, pag. 540, in nota
[269] Cfr. voi. XII, pag. 121
[270] D. Giovanni Battista Ronchail, cugino del Direttore è prefetto della casa.
[271] Scherzevolmente, per “capitolo generale”
[272] La lettera era del tenore seguente.
Monsieur l'Abbé et vénérable ami,
J'aurais été extrêmement heureux de faire ce que vous desìrez de moi; mais mon triste état de santé ne me le permet pas.
Je me trouve en ce moment à Hyères et je ne suis pas même en état de partir pour retourner à Orléans, comme je l'avais résolu.
Veuillez donc m'excuser et tout ce qu'il me sera possible de faire pour votre OEuvre, en dehors d'un sermon à prêcher, je serai heureux de le faire.
Croyez à tous mes plus dévoués et respectueux sentiments en J.N. S.
[273] Cfr. sopra, pag. 197
[274] Verbali della Società Beaujour, 17 agosto 1877, Noi utilizzeremo qui sotto lo spoglio che il nostro Don Riviére ha potuto fare del Registro contenente i verbali della Commissione amministrativa della Maison Beaujour, particolarmente sotto le date 4 e 11 agosto, 22 settembre e dal 6 al 2 7 novembre 1877.
[275] Lettera di Don Ronchail al parroco Guiol, Lanzo 19 settembre 1877: “Il y a une quinzaine de jours que tous les directeurs de nos maisons nous nous sommes réunis pour la retraite et pour le Chapitre Général. Nous avons à présent deux jours de relâche et Don Bosco me charge de vous écrire pour vous demander de vos nouvelles qu'il attend avec bien d'empressement. Il sait que vous deviez faire un voyage sur mer et il serait très heureux d'apprendre que ce voyage vous a fait du bien et qu'à présent vous jouissez d'une bonne santé”
[276] Così risulta dai verbali della commissione amministrativa sotto il 22 settembre; ma la lettera finora è stata irreperibile.
[277] Lettera 10 dicembre 1877: “Je regrette bien de vous avoir fait attendre ma réponse et de vous avoir fait attendre inutilement. J'avais demandé à Don Bosco qu'il me fixât à peu prés l'époque de son voyage à Nice, mais ses affaires ne le lui ont pas encore permis. J'espère cependant qu'il ne tardera pas de venir et à peine j'en saurai quelque chose je me ferai un devoir de vous en prévenir”
[278] Lettera di Don Ronchail all'abate Guiol, Nizza 4 gennaio 1978.
[279] Il 14 marzo Don Bosco ricevette il biglietto di udienza per il 16. Possiamo credere che egli tenesse per fermo di ottenere questa “speciale benedizione” e che quando il canonico ne parlasse a Monsignore sarebbe già cosa fatta.
[280] Nella Vita in due volumi, vol. 11, pag. 190, è detto che Don Bosco ebbe questa illustrazione durante gli esercizi, quando si teneva il Capitolo Generale a Lanzo, cioè in settembre. Ma la sua risposta al Vescovo di Fréjus è del 3 agosto, quando a Lanzo non c'erano esercizi e Don Bosco si trovava certamente nell'Oratorio. A Lanzo in settembre egli narrò il sogno: questo non si può mettere in dubbio, perchè attestato da Don Lemoyne che fu presente. Si può ritenere anche per certo aver egli sognato la notte innanzi all'arrivo della lettera di Monsignore. Ma quanto alla data del fatto occorse indubbiamente un malinteso
[281] Piemontesismo estraneo al dizionario italiano: “terreni incolti, non dissodali”
[282] A tergo di un biglietto da visita con “un saluto” a Don Bosco da parte del suo “devot.mo e obbl.mo Servo” barone Aimé Héraud, la stessa mano ha trascritto un decreto che sembra riferirsi a quanto qui si dice: « Standum est decreto generali 10 sept. 1703: propterea SODALITAS missas tam pro vivis quam pro defunctis per proprium Cappellanum canere licite potest, caetarasque functiones peragere quae in memorato decreto definiuntur, nulla praemissa licentia Parochi Cathedralis: atque enunciatae Constitutiones Synodales, in casu, nullam vim habent abrogandi sive derogandi superius citati decreti, atque ita decrevit die 30 martii 1878. Card. MARTINELLI. P. Ralli secr. Il card. Martinelli era succeduto al card. Bilio, fatto Penitenziere Maggiore al posto del card. Panebianco dimissionario.
[283] Don Giuseppe Lumello, che stava all'Oratorio, ma non era salesiano. Vi morì l'8 aprile.
[284] In piemontese bosk vuol dire “ legno ”.
[285] La data è segnata così in fondo a tutt'e due le lettere, dice: “Sono giunto ieri”
[286] Crispi resse il Ministero dal 26 dicembre 1877 al 23 marzo 1878. Nel nuovo Ministero, Cairoli ebbe la presidenza del Consiglio e Zanardelli il portafoglio degli Interni.
[287] Se ne dirà più avanti.
[288] APP., Doc. 41.
[289] App., Doc. 42.
[290] La lettera diceva in maniera determinata “dell'affare”; il che lascerebbe supporre che di questo si fosse trattato nell'udienza del 5
[291] Cfr. vol. XII, pag. 175.
[292] App., Doc. 43
[293] Cfr. vol. XII, Pag. 358. Per questo affare, si leggano le lettere scambiate fra Don Bosco e il Municipio, in App., Doc. 44.
[294] Lettera De Amicis, n. 150, a nome del Prefetto (31 ottobre).
[295] Lettera, come sopra, n. 156 (11 novembre)
[296] È molto probabile che alluda a legati testamentari.
[297] Pag. 34. Sampierdarena, Tip. di S. Vincenzo de' Paoli, 1881.
[298] Lettera di Don Anfossi a Don Berto, Torino, 10 febbraio 1878.
[299] Lettera di Don Anfossi a Don Berto, Torino 19 febbraio 1878.
[300] Roma, senza data, ma fra il 20 e il 25 febbraio.
[301] Allude all'ultima allocuzione di Pio IX, tenuta nel giorno della Purificazione di Maria SS.
[302] Cfr. vol. XI, pag. 84
[303] Qui si rimandava alla nota seguente: “Giova notare che per Cooperatori noi intendiamo i nostri benefattori non solamente di Torino, ma di vari altri paesi e città d'Italia, di Francia e ancora di America, dove furono aperte le nostre case a pro della pericolante gioventù. Non avendo noi alcun reddito fisso, per sostenere e compiere le opere che Dio ci affida, siamo soliti far sentire ai medesimi le nostre strettezze per invitarti a venirci in aiuto colla loro carità”
[304] App., Doc. 45.
[305] Col I° luglio del 1878 l'amministrazione ferroviaria dell'alta Italia doveva passare ad un'altra Società.
[306] Il Conte aveva militato fra i zuavi pontifici.
[307] Don Violino, d'animo nobile e imperterrito, quando Amedeo dovette trasportarsi a Roma con la famiglia, in bel modo si schermì dal seguirlo e si ritirò a Mondovì. Il Principe non solo non se ne adontò, ma continuò a passargli il suo onorario e, ritornato dopo qualche tempo a Torino, lo richiamò.
[308] Il Beato, che d'ordinario è così sbrigativo nel segnare le date, nelle ultime lettere a Monsignore abbiamo visto come non solo non le dimentichi, ma le scriva per disteso. L'osservazione non si fa da noi senza motivo. Nei Decreta et Monita del Calendario liturgico per il 1878 il titolo VI è De Die scriptis apponenda, e vi si legge e qui si traduce: “Molto riproviamo l'uso di alcuni, i quali nell'apporre la data nelle lettere e nei documenti indicano il mese non con lettere, ma con numeri, e l'anno solamente con gli ultimi due numeri, non con tutti; poichè questa usanza recentissima apre la via ad ambiguità, equivoci, adulterazioni ed errori”.
[309] Frase piemontese per “parlar male” di alcuno.
[310] S. Giovanni è la cattedrale di Torino.
[311] Circolare, 12 agosto 1878.
[312] Il conte Carlo Reviglio della Venaria, cattolico d'antico stampo e valoroso architetto, fu zelantissimo cooperatore salesiano. Se Don Bosco riuscì a vincere le tante difficoltà frappostesi all'erezione della chiesa di S. Giovanni Evangelista, alcune delle quali si ritenevano insormontabili, egli lo dovette al nobile patrizio torinese.
[313] Nel discorso aveva osservato che San Giovanni, al tempo di San Uno, San Cleto e San Clemente si sarebbe potuto presentare lui a reggere la barca di San Pietro, e tutti i cristiani l'avrebbero riconosciuto ben volentieri come loro Capo; invece riconobbe e riverì i successori del Principe degli Apostoli.
[314] Deliberazioni dei Capitolo Generale della P. S. S. Distinzione V, App., art. 3 - 10
[315] Questo era detto per il Santo Padre Pio IX; ma continuò a essere vero anche sotto Leone XIII.
[316] Vi sono comprese anche le case delle Figlie di Maria Ausiliatrice e le case succursali, così dette perchè formate da esiguo numero di soci, non che quelle aperte sullo scorcio del 1877.
[317] Lettera a Deppert, Torino, 28 maggio 1877. In tempi più recenti le indulgenze del terz'ordine francescano, fra cui quindi quella della Porziuncula, sono state ritolte; ma altre ne sono state concesse non meno preziose.
[318] Lettera di Don Anfossi a Don Bosco, 12 ottobre 1877.
[319] Vol. XII, pag. 675
[320] Lettera a Don Rua, Roma 23 gennaio 1878
[321] Can. PIER GIACINTO GALIZIA. Vita di S. Francesco di Sales. In 2 vol., Brescia 1856. Tip. vesc. del pio Istituto de' Figli di Maria. Libro VI, c. II, § 16, pag. 342.
[322] Ne riferirono L'Osservatore cattolico di Milano (num. 27), L'Unità cattolica (num. 30), Lo Spettatore (5 e 6 febbraio) e il Bollettino Salesiano (num. di marzo). Abbiamo in archivio gli appunti di Don Berto
[323] Lettere di Don Anfossi a Don Berto, Torino, 10 febbraio 1878 e a Don Turchi, Torino, 13 febbraio 1878.
[324] Positio super virtutibus. Summarium, num. III, §§ 652 - 3
[325] Lettera a Don Bosco, Torino, 30 marzo 1877.
[326] App., Doc. 46.
[327] Lettera, Castelnuovo di Garfagnana, 24 gennaio 1879
[328] Lettera, Farigliano, 18 settembre 1877
[329] Lettera del sig. Occelli a Don Durando, fariglianese. Farigliano, 18 gennaio 1878.
[330] Lettera, Cremona, 30 novembre 1877
[331] Lettera, 20 luglio 1878
[332] Cioè, ripigliasse la direzione degli studi nell'Oratorio
[333] Lettera, 9 agosto 1878
[334] In una lettera da Sampierdarena a Don Berto (19 settembre 1878), il Beato gli scrive che gli mandi “le carte... indirizzate al Santo Padre per una casa in Roma, colla lettera del Card. Vicario alla Duchessa di Galliera”. Sembra dunque che il Cardinale medesimo vi apponesse la firma.
[335] Lettera dell'avv. Ignazio Bertarelli, Roma 22 dicembre 1878
[336] Lettera di A. Ferraris a Don Bosco, Genova 27 febbraio 1879. Questo signore, alcuni anni dopo venne processato per aver dato fondo a più di dieci milioni.
[337] In documenti si legge spesso Varetto; ma egli si sottoscrive costantemente Varetti
[338] Sulla minuta autografa il segretario Don Berto scrisse: “Minuta di niuna importanza”. Segno evidente che nell'Oratorio le cose d'importanza non erano note se non a chi vi avesse parte; segno non meno evidente di istinto conservatore in Don Berto, che custodiva gelosamente anche scarabocchi di Don Bosco creduti inutili
[339] Supplemento al foglio periodico della R. Prefettura di Torino. Annunzi legali (5 luglio 1878, n. 62, pag. 719):
“Con atto ricevuto dal notaio Pietro Vittorio Pavesio di questa città, nel giorno 25 corrente mese, il sottoscritto sacerdote Giovanni Bosco del fu Francesco, nato a Castelnuovo d'Asti, residente in questa città, ha revocato la procura che, con precedente atto delli 5 luglio 1877, ricevuto dallo stesso notaio, che, aveva passato in capo al sig. Varetto Domenico del vivente Giacomo, negoziante, nato a Cambiano, residente a Torino.
[340] App., Doc. 47
[341] Nuovo tempio di Nostra Signora della Neve. Pensieri e ricordi del Vescovo di Lunisarzana e Brugnato, pag. 16 - 7. Sarzana, Tip. Civica di E Tellarini, 1901.
[342] Sarzana, 11uglio 1877.
[343] Sarzana, 16 agosto 1877
[344] Lettera, 27 agosto 1877
[345] Lettera a Don Rua, 3 settembre 1877
[346] Lettera del Vescovo a Don Rua, 10 settembre 1877
[347] Lettera del Vescovo a Don Bosco, 4 ottobre 1877
[348] Lettera di Don Bruschi a Don Rua, 25 novembre 1877
[349] Lettera di Don Rocca nel numero unico Il Beato Don Bosco, La Spezia, 17 giugno 1930, e articolo di Don Rua in altro numero unico I Salesiani alla Spezia, dicembre 1902
[350] Lettera di Don Rua al Vescovo, Torino, 3 settembre 1877
[351] Al suggerimento Don Bosco unì un ampio abbozzo per la relazione; lo attesta Don Rocca, che se ne valse, come lo rivelano anche certe espressioni familiari al Beato
[352] Bollettino Salesiano, marzo 1879, pag. 4 - 6
[353] Si venerava ab antico alla Spezia un'immagine di Nostra Signora della Neve, esposta al culto in una chiesuola non lungi dal mare. Demolita questa per far luogo alle costruzioni del nuovo arsenale, l'immagine fu collocata nella cappella detta di Santa Maria entro la chiesa abbaziale. Il popolo però avrebbe voluto vederla non quasi a pigione in casa altrui e nel centro della città, ma, come prima, in casa sua e dinanzi a più vasto orizzonte. Il desiderio della popolazione fu appagato quando il sacro dipinto venne trasferito nel santuario novellamente eretto dai Salesiani.
[354] Paolotti si chiamavano allora per dileggio i soci delle conferenze di san Vincenzo de' Paoli; ma quel termine era sinonimo di pinzocchero e clericale
[355] Durante la repubblica partenopea e dopo la sua caduta (1729) furon detti sanfedisti i soldati napoletani condotti dal cardinal Ruffo alla riconquista di Napoli; il nome derivò da santa fede, perchè si combatteva per la santa fede contro i principi rivoluzionari propugnati dai repubblicani. Poi si chiamarono così tutti i nemici della rivoluzione francese, della Carboneria e delle sette; infine tutti i nemici delle nuove idee di libertà e indipendenza italiana, in quanto queste avversavano la Chiesa
[356] Lettera, 16 luglio 1878
[357] Lettera di Don Marenco a Don Bosco, 22 luglio 1878
[358] Lettera, 27 agosto 1878
[359] Lettera. 4 novembre 1878
[360] G. VESPIGNANI. Un anno alla scuola del B. D. Bosco, Pag. 26
[361] Quel congresso cattolico di Torino non fu poi da chi di ragione registrato nel novero dei congressi cattolici
[362] L'Un. Catt., n. 290 del 12 dicembre 1878
[363] Lettera di Don Perin a Don Bosco, 26 giugno 1978
[364] Lettera di Don Perin a Don Bosco, 3 luglio 1878
[365] ) Il chierico Giovanni Bima e i coadiutori Pietro Enria e Amilcare Rossi
[366] Cfr. Lettera mortuaria, scritta dall'Ispettore Don Costa
[367] Lettera, Roma, 11 ottobre 1878
[368] Lettera, Roma, 26 ottobre 1878
[369] Lettera 23 marzo 1879
[370] Lettera sotto Natale 1878
[371] App., Doc. 48, A, B
[372] Lettere a Don Bosco di Don Daghero (5 maggio 1877), dei deputati (17 maggio) e del Cardinale (24 maggio)
[373] Lettera del can. Tondinelli, Magliano, 8 giugno 1877
[374] App., Doc. 49
[375] App., Doc. 50 (A - E).
[376] Sulle prime delle tante vicende toccate all'Oratorio di Chieri getta un po' di luce il padre Testa in una sua lettera a Don Bosco (App., Doc. 51)
[377] App., Doc. 52
[378] Cfr. vol. XII, pag. 676
[379] App, Doc. 53, A, B, C, D, E
[380] Bollettino Salesiano, settembre 1878
[381] Lotteria di doni diversi, ecc. Sampierdarena, Tip. sal., 1878
[382] App., Doc. 54, A, B, C.
[383] La Navarre che si trova in questa località, non è che una denominazione topografica, la quale interessi la geografia, ma designa soltanto una tenuta privata, come La Moglia nel contado torinese
[384] Don Bosco lo ringrazia di un'offerta con questa lettera di ottobre:
A suo tempo ho ricevuto la sua cortese lettera e La ringrazio di tutto cuore. Senza difficoltà ho esatta la somma richiesta dai fratelli Banchieri Nigra, e qui Le unisco la ricevuta. Se avvi qualche cosa a modificare non ha che dirmelo. Ella ci continui la sua protezione e la sua carità ed io metto di tutto buon grado l'intenzione che tutte le anime salvate dai nostri Salesiani in Europa o in America siano in modo tutto particolare secondo la pia di Lei intenzione e a vantaggio dell'anima sua.
Dio La benedica e La conservi e preghi anche per me che con profonda gratitudine Le sarò sempre in G. C.
[385] Lo sappiamo da questa dichiarazione del sindaco di Nizza. “Le Maire de la Ville di Nice déclare que le dossier relatif à la demande présentée par M. le Supérieur Général de la Congrégation de St - Francois de Sales, à l'effet d'obtenir la reconnaissance légale de la maison de cette oeuvre, fondée à Nice, a été adressé à M. le Préfet le 10 juin 1878. Nice, le 3 novembre 1880. Pour Maire signe: L'adjoint, BERMOND”. Los Salésiens de Don Bosco au Sénat, pag. 7. Nice Impr. de la Soc. industrielle
[386] L'Unità Cattolica, 9 aprile, 25 maggio, 21 agosto e 2 ottobre 1878; Bollettino Salesiano, maggio (dall'Echo de Fourvière), giugno e settembre 1878, novembre 1880
[387] Il fatto avvenne in Rovolone provincia di Verona. In agosto il sindaco gettò il dubbio sulla verità della cosa, scrivendo all'Arena una lettera sconsigliata. Gli fu risposto su Verona Fedele del 22 agosto con una Dichiarazione debitamente firmata e col racconto particolareggiato del prodigio. Cfr. anche L'Unità Cattolica, 25 agosto 1878.
[388] Lettera non datata, ma certamente da Roma tra il febbraio e il marzo del 1878
[389] Organista della cattedrale, grande amico di Don Bosco e di Don Ronchail; venne a Torino per la festa di Maria Ausiliatrice nel 1878
[390] Di queste benefattrici ecco quanto possiamo dire. La D'Amburg aveva due fratelli, di cui uno sacerdote: furono tutti generosi con Don Bosco. La contessa De St - Michel era di Borgogna, ma dimorava a Nizza da ottobre a maggio. La Visconti, di Bordeaux, nata Labat, aveva sposato a Nizza un ufficiale dell'esercito sardo. Vissuta in Piemonte finchè suo marito colonnello andò a riposo, si stabilì poscia con lui a Nizza. Di lei ci scrive Don Cartier: “Elle fut une des premières Dames qui s'occupérent de l'œuvre de D. Bosco, à Nice. Don Bosco la nomma Maman de la maison. Elle se considéra, depuis, comme la vraie maman de nos enfants, n'ayant jamais eu elle - même d'enfant. Elle fut dévouée à l'œuvre jusqu'à ses derniers moments. Elle mourut en janvier ou février 1891, à l'âge de 91 ou 92 ans”. Al medesimo Don Cartier rendiamo grazie delle altre notizie intorno alle persone menzionate nella lettera.
[391] Era alla Navarra prefetto
[392] Lettera citata
[393] Così all'incirca si espresse Don Bosco in una seduta capitolare del 15 maggio 1878
[394] Lettera da Castigliole di Saluzzo, 26 ottobre 1877
[395] La Civiltà Cattolica, 1895, vol. 1, pag. 171
[396] App., Doc. 55.
[397] App., Doc. 56
[398] Cioè il bello e il brutto
[399] Si trovava in luogo di cura a Controxeville (Vosges).
[400] Lettera, 11 luglio 1878. “Les Salésiens étant destinés par la Providence à faire un grand bien en France, il est indispensable qu'ils se préparent à cette magnifique mission. Pour cela il faut tout d'abord qu'ils apprennent le français. Ne serait - il pas possible de choisir Marseille pour être le centre d'un Noviciat pour la France? Ne pourra - t - on pas envoyer ici des jeunes gens pour le noviciat et avoir des prêtres, qui seraient exclusivement appliqués à l'étude du Français?”
[401] Don Rua l'aveva munito di ampia procura per la Francia (cfr. App., Doc. 57).
[402] Bollettino Salesiano, novembre 1878, pag. 7
[403] Lettera al conte Cays, Parigi, 7 dicembre 1878. “Je crois que la seule chose raisonnable et praticable pour commencer est de vous faire mes auxiliaires avec future succession... Je crois connaître le caractère Francais et combien un amour propre mal placé, sans doute, mais qui n'en existe pas moins, le rend susceptible et chatouilleux au point de vue de la nationalité. C'est du reste la première objection que nos deux Archevêques m'ont faite lorsque je leur ai témoigné le désir m'unir à Vous”.
[404] App., Doc. 58
[405] Lettera citata
[406] App., Doc. 59
[407] Lettera dell'abbate Polin al conte Cays, Parigi, 4 gennaio 1879
[408] Lettera dell'abate Polin al conte Cays. Parigi, 12 gennaio 1879.
[409] Lettera di Don Bosco al conte Cays, Marsiglia, 2o gennaio 1879
[410] Lettera dell'abate Polin al conte Cays, Parigi, 7 febbraio 1879
[411] Lettera dell'avv. Leonori a Don Bosco, Roma, 23 maggio 1879. Dilata, sott. sententia, è formola curiale, con cui si differisce la risoluzione di un dubbio o l'esaudimento di una supplica
[412] L'insigne storico P. Pisani, canonico di Notre - Dame a Parigi, che conobbe il cardinal Guibert, così lo ritrae (Lettera al salesiano Don Auffray, Asnières 4 agosto 1931): “C'était une figure d'un autre âge. Son caractère était le reflet de sa patrie proven gale et son âge le portait à voir avec quelque méfiance ce qu'il appelait des “nouveautés”. Je ne crois done pas qu'il ait eu besoin de subir l'influence d'un prélat étranger, pour se conduire envers Don Bosco, comme il l'a fait avec beaucoup d'autres parisiens ou provinciaux. Il était timide, prudent, presque méfiant et j'ai gardé le souvenir précis de l'opposition qu'il a faite, par exemple, à la fondation de l'hôpital St. Joseph”.
[413] App., Doc. 60
[414] App., Doc. 61. L'Unità Cattolica del 30 marzo 1879 aveva questa notizia di cronaca: “ I SALESIANI A PARIGI. - Leggiamo con piacere nella Civilisation che l'abate Roussel, direttore dell'Orfanatrofio di Auteuil, ha chiamato alcuni Salesiani a dirigere quella bella istituzione. Il giornale di Parigi rende in questa occasione omaggio alle opere apostoliche del nostro D. Bosco, fondatore della Congregazione salesiana e delle suore di Maria Ausiliatrice. E mentre un'istituzione italiana va a stabilirsi nella capitale della Francia, le Piccole Suore dei Poveri, tanto conosciute in quella nazione, fondano in Napoli la prima Casa della loro Congregazione in Italia ”.
[415] GEORGES BASTARD. Cinquante jours en Italie. Paris, E. Dentu, 1878 en 18. pp. XII 300. Chap. X, Turin. Oratoire Saint - François de Sales. Oggi il libro non è facilmente reperibile. Noi abbiamo dovuto ricorrere alla Biblioteca Nazionale di Parigi. Riproduciamo il passo in App., Doc. 62
[416] Lettera, 22 maggio 1878
[417] Una nota d'archivio, scritta da Don Berto, spiega il perchè e il per come: ma è cosa che non appartiene alla nostra storia
[418] Questa Commissione cardinalizia fu creata da Leone XIII poco dopo la sua esaltazione
[419] Cfr. sopra, Pag. 483
[420] Il due giugno monsignor Gastaldi aveva avvertito Don Bosco che quanto prima la chiesa di San Michele e il convento annesso in Torino, già dei Trinitari e allora della Maternità, stavano per essere venduti agli Israeliti, i quali avrebbero convertito la chiesa in sinagoga. “Se mai V. S., scriveva Monsignore, si sentisse ispirata e mossa a riscattare questa chiesa dalla prossima profanazione e dallo scandalo, sarebbe un grande merito apud Deum et homines”. La spesa del contratto superava le trecentomila lire.
[421] Dio ci liberi, che sapienti! Fascicolo di agosto 878 delle Letture Cattoliche, pgg. 110 - 111
[422] Bonomo di refettoriere, che si piccava di poeta
[423] Lemoyne, Mem. Biogr., vol. VI, pag. 513, e vol. VII, pag. 646
[424] Allude ai Figli di Maria, che nell'Oratorio facevano parte a sè.
[425] App., Doc. 63
[426] Lettere 2 e 16 luglio 1878
[427] Lettera a Don Bosco, 15 agosto 1878
[428] Lettera del card. Bilio a D. Bosco, Roma, 30 agosto 1878
[429] Lettera a Don Bosco, 19 agosto 1878
[430] Lettera, 30 agosto 1878
[431] Breve di Pio IX, 20 luglio 1876, al presidente Gill, e risposta del presidente, Asunción, 30 ottobre 1876
[432] Cfr. vol. XII, Pag. 269
[433] Il suo discorso si può leggere tradotto nel Bollettino Salesiano di novembre 1878
[434] La fondazione di S. Carlos Almagro diede origine a una controversia di cui non sono ancora finiti gli ultimi strascichi (App., Doc. 64).
[435] Lettera di mons. Espinosa a Don Cagliero. Buenos Aires, 5 marzo 1878 (pubblicata nel Boll. Sal. di maggio)
[436] Lettera a Don Bosco, B. A., 4 aprite 1878 (pubblicata nel Boll. Sal. di giugno)
[437] Sembra infatti che si riferiscano al medesimo oggetto queste parole dettate quattro giorni dopo (29 novembre) per Don Persi: “Omne bonum desursum, etc., quindi l'opera sua buona resta compiuta integralmente. Così piace a Lei, così piace maggiormente al Signore. Per agevolare ogni cosa, passi Ella stessa a prendere il danaro per portarlo a Torino, oppure prevenga chi di ragione ed io andrò o manderò a prenderlo. Mi servo del segretario, perchè alquanto incomodato negli occhi”. Don Persi, missionario apostolico, fece poi i voti privati in mano a Don Bosco, e tutto ciò che gli perveniva di danaro, lo destinava a soccorrere l'Oratorio. Aveva posto la sua dimora nell'Ospizio di Sampierdarena
[438] Lettera dell'avv. Leonori a D. Bosco, 24 nov. e 12 dic. 1878
[439] COSTAMAGNA. Lettere Confidenziali ai Direttori, pag. 202. Santiago (Chile), Escuela Tip. Sal. 1901
[440] LEMOYNE. L'Arca dell'alleanza, pag. 112. Sampierdarena, Tip. San Vincenzo de' Paoli, 1879. Comparve pure sul Boll. Sal. del luglio 1878.
[441] Il soggetto si deve ricavare dal precedente “servire”, che bisogna intendere di servizi religiosi nella chiesa parrocchiale; si tratta qui dunque del parroco
[442] Gli altri tre erano Don Paglia, Don Meriggi e Don Febbraro. (App. Doc. 65)
[443] Cronaca di Don Barberis, 19 febbraio 1876
[444] Sta, fuori di posto, in capo a una raccolta intitolata: Biografie di Salesiani defunti negli anni 1883 e 1884. Torino 1885
[445] Lettera, Roma, 10 febbraio 1878
[446] Cfr. sopra Pag. 478, n. 1
[447] ANDRÉ PERATÉ La mission de François de Sales dans le Chablais. Documents inédits tirés des Archives du Vatican. Extraìt des “ Mélanges ” d'Archéologie et d'histoire de l'École française de Rome, tome VI, Rome, Impr. Cuggioni, 1886.
[448] Lettera, Ventimiglia, 28 agosto 1877
[449] Lettera a Don Bosco, Roma, ottobre 1878
[450] Lettera a Don Bosco, Roma, 11 dicembre 1878
[451] Don Giovanni Spada, parroco di S. Potito. Ammalò gravissimamente in Seminario durante gli esercizi spirituali; ma poi guarì
[452] Sanità, Sapienza, Santità
[453] Cfr. sopra, Pag. 414
[454] Cfr. sopra, pag. 470
[455] Umberto Biancamano (1003 - 1056), stipite di Casa Savoia; Umberto II (1092 - 1103), detto il Rinforzato; Umberto 111, (1157 1188) il Beato.
[456] Vol. VI, pag. 325 - 6.
[457] Vittorio Imbriani, da non confondere col deputato Matteo Renato, nel gennaio del 1879 da Pomigliano d'Arco indirizzò alla regina Margherita un'ode, in cui diceva:
Primo e non quarto Umberto intitolandosi
Paterni esempi scarta e dinastiche
[458] Forse Lago era terziario Francescano
[459] Una lettera lunghissima
[460] Che cioè a Roma il corso di tutti gli affari è arrestato
[461] Madre del Maestro di Camera…
[462] L'articolo è nel Bollettino di aprile
[463] EZECH., III, 8: Ecce dedi faciem tuam valentiorem faciebus eorum et frontem tuam duriorem frontibus eorum. Dio promette al profeta ardimento per rinfacciate agli sfacciati le loro iniquità
[464] Op. Cit, pag. 47
[465] Monsignor Carlo Nocella nella sua orazione al Sacro Collegio pro - Pontifice defuncto toccò due volte dell'intrepida fermezza del Papa di fronte ai nemici della Chiesa. Verso il mezzo diceva: Cum autem tot nefariis ausibus Ecclesiae. et Apostolicae Sedis iura violata et conculcata fuere, frontem impavidam praeferens Apostolicam vocem extulit, hostibus sacerdotalis animi robore obstilit, vexatis quod potuit praesidium attulit, pro Christi hereditate tuenda sanguinem etiam profundere paratus fuit. E più innanzi: Nemo non suspexit firmam illam fiduciam qua nitebatur in Deo, ex qua ea constantia et fortitudo invicta manabat, qua frangi flectique nescius restitit semper Ecclesiae oppugnatoribus ac iniquas eorum spes labefactavit.
[466] Maestro dei legatori
[467] Scrittura illeggibile qui e poco sopra
[468] Giovanni Cantù, coadiutore, professo triennale
[469] Don Ernesto, morto in America, dove godette grande rinomanza come architetto.
[470] Prete di Lugo, venuto per farsi Salesiano. Cfr. VESPIGNANI. Un anno alla scuola del Beato Don Bosco, pag. 44
[471] II Cor., IX, 14
[472] Cfr. sopra, pag. 675.
[473] Lettera del prof. Attilio Caracciolo allo scrivente, Genova, 3 agosto 1931
[474] Caviamo il racconto da un memoriale autografo di Don Garrone e da appunti di Don Lemoyne, che ne completò la relazione con dati raccolti dalle sue labbra
[475] Don Garrone scrive: “ Nell'anno 1879 nel mese di gennaio ”. È un lapsus memoriae, essendo già passato del tempo quando così scriveva. Dal 30 dicembre del 1878 al principio della primavera Don Bosco fu assente dall'Oratorio. Il fatto dev'essere accaduto nel dicembre dei 1878: l'idea dell'inverno lo fece pensare al gennaio.
[476] L'altare del prodigio era andato a finire nell'istituto Santa Rosa delle Figlie di Maria Ausiliatrice in Moncrivello (Vercelli); la Madre Generale, Luisa Vaschetti, per appagare il desiderio dei Salesiani, dispose che fosse restituito alle camerette del Beato, dove oggi si trova. Cfr. GIRAUDI, L'Oratorio di Don Bosco, pag. 132
[477] App., Doc. 65
[478] Vedere la nota a pag. 112
[479] Non é gran tempo che un ministro della Regina d'Inghilterra visitando un Istituto di Torino fu condotto in una spaziosa sala dove facevano studio circa cinquecento giovanetti. Si meravigliò non poco al rimirare tale moltitudine di fanciulli in perfetto silenzio e senza assistenti. Crebbe ancora la sua meraviglia quando seppe che forse in tutto l'anno non avevasi a lamentare una parola di disturbo, non un motivo da infliggere o di minacciare un castigo. - Come é mai possibile di ottenere tanto silenzio e tanta disciplina? dimanda: ditemelo. E voi, aggiunse al suo segretario, scrivete quanto vi dice. - Signore, rispose il Direttore dello Stabilimento, il mezzo che si usa tra noi, non si può usare fra voi. - Perché? Perché sono arcani soltanto svelati ai cattolici. - Quali? - La frequente Confessione e Comunione e la Messa quotidiana ben ascoltata. - Avete proprio ragione, noi manchiamo di questi potenti mezzi di educazione. Non si può supplire con altri mezzi? Se non si usano questi elementi di religione, bisogna ricorrere alle minacce ed al bastone. Avete ragione! avete ragione! O religione, o bastone; voglio raccontarlo a Londra.
La tradizione individuò sempre questo ministro in Lord Palmerston. Il 20 dicembre 1880 Don Bosco, narrando questo episodio al marchese Vittorio Scati, cominciò così: “ Anni sono venne a trovarmi Lord Palmerston; arrivò alle 10 del mattino e si trattenne qua sino alle sei di sera, visitando minutamente ogni cosa e chiedendo conto di tutto, con quella precisione e quell'interesse che sono propri degli Inglesi.” (Relazione autografa, Torino, 24 aprile 1891; cfr. Boll. Sal., ottobre 1922, pag. 259)
[480] Gli errori ortografici sono nell'originale
[481] Vuol dire nazionali, aspiranti alla Congregazione come coadiutori e alcuni come chierici
[482] Monsignore aveva predicato gli esercizi alle Figlie di Maria Ausiliatrice a Mornese e a Torino
[483] Allude alle note vessazioni
[484] Lasceremo gli sbagli ortografici come sono nell’originale
[485] La “ terza persona ” dev'essere quella designata in questo passo della lettera anonima: “La damigella Mazzé, nipote di Monsignor Arcivescovo, è tuttora fra le insigni benefattrici salesiane ”.
[486] D. Guanella, Direttore della casa di Trinità, come si rileva da una sua lettera che é nell'incartamento, si trovava in diocesi per una visita ai parenti
[487] Coadiutore cuoco addetto alla casa di Albano. Don Bosco l'aveva chiamato a Tor de' Specchi per la cucina. La lettera che il coadiutore aveva dimenticato di spedire, era certamente quella della strenna, scritta il 27 dicembre 1877 e da noi pubblicata alla fine del capo XI. Infatti Don Rua scrive a Don Bosco il 6 gennaio: “ Ho ricevuta la carissima sua delli 27 dicembre; ma essendo stata spedita al 3 corr., quando mi pervenne, io aveva già dato ai giovani la strenna; tuttavia farà sentire a tutti questi suoi ricordi ”
[488] Don Giovanni Turchi, ex-allievo dell'Oratorio, dimorante allora in Roma
[489] D'abbonamento ferroviario
[490] Giovanni, medico della casa
[491] Voleva ottenergli un'onorificenza cavalleresca
[492] Forse vuol dire “ soldi ”. Pare che la Contessa avesse raccomandato giovanotti già grandi
[493] Il chierico Mario Lucca, aiutante di Don Barberis
[494] Motto proverbiale da Iro, mendicante di Itaca (v. Odissea). Come si dice “ un Creso ” per un riccone, si dice “ un Iro ” per un poveraccio. Il vero nome del Palmieri era Augusto. Lo aveva raccomandato il conte Agnelli, istitutore degli avvocati detti di San Pietro, soppressi da Pio X. Divenuto prete, uscì di Congregazione e ritornò a Roma
[495] Coadiutore, direttore della tipografia
[496] Il genovese, primo agente della Cartiera di Mathi, che abusò della fiducia di Don Bosco, come é narrato nel testo
[497] L'elenco generale della Società di S. Francesco di Sales
[498] Errori di ortografia
[499] Pensava di ottenergli la nomina a Prelato domestico di S. S. Sopra un biglietto di visita a Don Rua tornò a scrivere: “ D. Rua dica se il T. Belasio è ancora all'Oratorio e fino a quando si fermerà. Etenim dies festus e fastus illi est paraddus”.
[500] Intendi “ denari ”. Reminiscenza dei Barbiere di Siviglia
[501] Cav. Pelazza, come Don Barale, solite piacevolezze di Don Bosco. Il primo dirigeva la tipografia, il secondo la libreria
[502] Se convenisse cioè ristampare il volume così intitolato: (Rimembranza di una solennità in onore di M. A.) e pubblicato nel 1868 come ricordo della Consacrazione della chiesa di Maria Ausiliatrice, compiendosi allora il primo decennio dal fausto avvenimento
[503] Questo Calendario era il Galantuomo. Don Bosco temeva che non lo si potesse più continuare nella vecchia forma, utile anche alla pubblicità libraria. Aveva fin suggerito di non intitolarlo più così, ma Il nipote del Galantuomo, data la trasformazione.
[504] Per gli annunzi librari
[505] Cioè Buzzetti Giuseppe; anche questo per celia, come pure la grafia. Può darsi che lo chiamasse così a motivo della lunga barba.
[506] Chierico Alessandro Franchini. Per la dispensa dal difetto dei natali, a fine di poter essere accettato in Congregazione
[507] Chiedeva locale per mettere libri in magazzino. Quello che segue é una facezia, perché forse gli sembrava soverchio l'appartamento della direzione
[508] Patrizio torinese, insigne benefattore di Don Bosco. Fra morto in quei giorni.
[509] Angelo, allora Direttore. della casa di Spezia
[510] Addì 5 febbraio
[511] Aspirante salesiano
[512] Cfr. sopra, Pag. 464
[513] Cesare, detto comunemente “ il grosso ”, in antitesi a Don Francesco Direttore di Alassio, molto sottile
[514] Forma di diminutivo usata abitualmente da Don Bosco in certi cognomi. Si legge facendo tre sillabe (Ruota)
[515] Mons. Gastaldi l'8 gennaio 1878 pubblicò alcune Avvertenze per la conferma delle patenti di confessione. Il num. 8 diceva: “ I RR. SS. Superiori dei Regolari manderanno, secondo l'usato, direttamente alla Curia le patenti dei loro Confessori e Predicatori, avvertendo di metterle per ordine alfabetico e di uniformarsi al prescritto pei sacerdoti secolari in tutto quello, che li può riguardare, ed esplicitamente dichiarando se i loro sudditi si siano accostati frequentemente alla Confessione Sacramentale ”. Da una letterina del P. Rostagno S. I. e da un biglietto del P. Fassati dei Barnabiti di S. Dalmazzo si vede che Gesuiti e Barnabiti erano d'accordo “ a considerare l'art. 8 del Regolamento che riguarda le patenti come non avvenuto, e di non accompagnare l'invio delle patenti con qualsiasi scritto, risposta o spiegazione ”, di andare cioè “ avanti sic et simpliciter come gli anni precedenti ”. Anche presso gli altri Regolari di Torino i Superiori agirono nello stesso modo.
[516] Ne nomina qui appresso. Più comunemente si dice papabili
[517] La Cartiera fu acquistata da Don Bosco legalmente per una supposta somma; egli però con obbligazione privata si astrinse a pagare lire dodicimila annue alla padrona, signora Varetti. Costei, quando vide che le cose andavano di male in peggio, esigeva che la Cartiera fosse venduta, certo per tema di rimanere in asso, se succedesse un fallimento.
[518] Fissare cioè il testo delle deliberazioni prese nel Capitolo Generale
[519] L'Unità Cattolica del 2 marzo (sabato) in un articoletto intitolato
“ L'energia di Leone XIII ” diceva: “ Presso che tutti i giornali della rivoluzione scrivono articoli sull'energia del nuovo Papa Leone XIII, che dipingono come un uomo Il dai muscoli d'acciaio " e che non si farà menar pel naso da nessuno". Così il Rinnovamento riferito dalla Gazzetta del Popolo del io marzo (n. 60)”.
[520] Questo si può mettere in relazione con il sogno dei confetti (pag. 302)
[521] Il 3 marzo Don Anfossi scrisse una lunga lettera a Don Berto, cominciando così: “ Vengo ora dall'Oratorio, dove mi fu domandato da D. Rua, se sapevo la ragione per cui monsignore partì per Roma. No, non lo so ”. Poi fa delle congetture. Ma per noi é importante una notizia che riguarda un grande amico dei Salesiani in Sicilia, il padre Lombardi, dei Predicatori, che sul finire del secolo scorso ricostituì la provincia domenicana nell'isola. Scriveva Don Anfossi: “ Ieri sera giunse a S. Carlo il predicatore quaresimalista, che é un tale Lombardi P. Domenicano di Sicilia. Venendo si fermò a Napoli, a Foggia, ad Ancona, a Faenza e dice che dappertutto sentì disapprovare l'Arcivescovo e compiangere il santo D. Bosco ”.
[522] Come provveditore delle case salesiane, aveva bisogno di danari per far fronte ai creditori.
[523] Si trattava di trasferire altrove la dimora del nuovo Papa; il Governo stava alle vedette
[524] Custode generale dell'Arcadia. Il suo vero nome era Stefano Ciccolini
[525] Cfr. sopra, pag. 492
[526] Sembra che fosse parente di qualche Salesiano. Viveva con altre zitelle anziane presso le Suore, lavorando per l'Oratorio
[527] Benedetto Cairoli fu presidente dei Ministri dal 24 marzo al 19 dicembre del 1878. Giacomo Durando, fratello del generale Giovanni, già ministro degli esteri nel 1862, non entrò nel ministero Cairoli
[528] Guyot Giulio, ascritto
[529] Lett. a D. Durando, gennaio 1879: “ Qui si studia poco e si insegna meno; d'insegnamento governativo non si ha nemmeno l'idea. Non solo si ignora affatto il greco, la storia, la geografia: ma non é coltivato l'italiano, ed i miei scolari in questa parte fanno pietà. Nel latino sono assai inferiori a quello che mi credeva, e che D. Bosco suppone. Sanno bisticciare qualche frase, fare qualche distico; ma avendo dettato loro una mezza facciata di Machiavelli da tradurre in latino, li trovai inferiori d'assai agli antichi miei scolari di 50. Cosicché sgomentato da tale cosa, ho proposto meco stesso di prendere anche queste due ultime materie, tostoché mi sentirò in migliore stato di salute, onde evitare un completo insuccesso negli esami di licenza ”
[530] S. Em. credeva che il suddetto fosse coadiutore salesiano, (Cfr. 699).
[531] Da una lettera del P. Testa gesuita a Don Bosco, settembre 1877. un documento per conoscere gli umori che determinarono i fatti narrati.
[532] Era una copia del Breve pontificio, 12 settembre 1876
[533] Nota marginale all'art. 4: “ Il sera stipulé dans une contra-lettre que ce'prix de 4000 fr. ne pourra jamaìs étre exigé des preneurs auxquels il en eu bail. Donations par les bailleurs ”.
[534] L'originale é di mano del conte Cays
[535] Parodie de l'Assommoir
[536] Il 15 era venerdì
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