raccolte dal sacerdote salesiano Giovanni Battista Lemoyne
(Giovanni Battista LEMOYNE voll. I-IX, Angelo AMADEI vol. X, Eugenio CERIA voll. XI-XIX, Indice anonimo dei voll. I-VIII e Indice dei voll. I-XIX a cura di Ernesto FOGLIO)
Finalmente... ecco il X volume atteso con tanta avidità! Il caro Don Lemoyne volava al premio eterno il 14 settembre 1916, mentre era in corso di stampa il IX volume; e noi, che già gli eravamo al fianco per assisterlo nel suo lavoro monumentale, proseguimmo a curarne la pubblicazione, e il volume usciva nel 1917.
- Ma, diranno tanti, perchè il X viene alla luce dopo il XIX ?...
Lo diremo esattamente, dopo averne accennato il contenuto.
Questo volume illustra quattro anni, forse i più laboriosi e interessanti della vita del Santo; cioè tutte le sue sollecitudini per migliorare le relazioni dell'Italia con la Chiesa subito dopo che Roma venne dichiarata capitale, per raggiungere la piena approvazione canonica della Pia Società, per formare la seconda Famiglia, per iniziare la Terza ed allargare il campo dell'apostolato.
L'abbiam diviso in dieci parti; seguendo in alcune l'ordine cronologico, e radunando in altre tutto il lavoro del Santo per le imprese compiute in questo quadriennio.
La I parte è una raccolta delle memorie che ne illustrano la figura morale, sempre in intima unione con Dio e nella brama ardente di zelarne la gloria con la salvezza delle anime.
La II contiene quanto riguarda il 1871, un anno pieno di sante iniziative per dar incremento all'opera.
La III è la narrazione della malattia che lo colpì e, per le preghiere e gli olocausti dei suoi figli e benefattori ed ammiratori, per grazia di Dio superò a Varazze. [IV]
La IV espone quanto fece nel 1872, benchè fosse ancora sempre giù in salute.
La V illustra il compito ardito per alleviare le tristissime condizioni in cui ora la Chiesa in Italia, col promovere le nomine dei Vescovi, essendo più di cento le diocesi vacanti, e per ottenere ai nuovi eletti le temporalità: compito veramente ardito, che senza dubbio gli fu ispirato dall'Alto!
La VI è la narrazione del sorgere dell'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, di cui il Signore volle a capo la Beata Maria Domenica Mazzarello, che non ebbe altra brama se non seguire ed inculcare il programma tracciato dal Fondatore, ripetendo: - Guai a noi se non ci facciamo sante come il nostro Santo Padre Don Bosco!
La VII, che costò a noi pure non poca fatica, delinea il lungo e paziente lavoro per veder la Pia Società definitivamente stabilita coll'approvazione delle Costituzioni.
L'VIII è un'interessante raccolta di tutta la documentazione che illustra lo spirito dei Santo e la sua bontà e carità insuperabile; delle norme e consigli che, diede agli alunni, e particolarmente ai direttori e a tutti i confratelli, nelle conferenze generali ed autunnali, e negli esercizi spirituali; e delle Lettere Circolari.
La IX espone le gravi e non poche difficoltà e contrarietà che incontrò negli anni 1873 - 74.
La X finalmente, relativa al 1874, addita le sollecite sue premure, in vista dell'avvenire della Pia Società, per l'osservanza regolare dopo l'approvazione definitivo delle Costituzioni, per allargare il campo dell'apostolato in terre di missione e, in pari tempo, favorire nuove vocazioni e generosi cooperatori in ogni parte del mondo che, pur rimanendo nelle proprio famiglie, vivessero del suo spirito a vantaggio della Chiesa e della Civile Società.
Tutte queste Memorie, com'appare a prima vista, son molto interessanti, ed oltre altri documenti autografi, contengono più di 350 lettere del Santo.
Or ecco perchè venne ritardata la pubblicazione di questo volume.
Subito dopo la morte del Santo, il 7 febbraio 1888, il [V] venerato Don Rua leggeva al Capitolo Superiore i Decreti di Papa Urbano VIII sul modo di comportarsi allorchè muoiono alcuni in fama di santità, e, il dì appresso, comunicava che il Card. Parocchi, nostro Protettore, consigliava di fare le pratiche presso il Card. Alimonda, Arcivescovo di Torino, perchè implorasse dalla Santa Sede, che, nonostante le prescrizioni ecclesiastiche, si potessero intraprendere gli atti preparatori per la Causa di Beatificazione.
Le pratiche s'iniziarono senz'indugio, ma ci fu anche chi prese contemporaneamente e continuò con insistenza ad opporre delle difficoltà; e nel 1917 - 18 fu sospesa la pubblicazione delle Memorie Biografiche, appunto perchè le opposizioni si riferivano agli anni dei quali dovevamo occuparci.
Per grazia di Dio ogni opposizione fu pienamente confutata e respinta: e il lavoro particolare, che per ciò si dovette compiere, servì a porre in più fulgida luce l'eroismo delle virtù del Santo Fondatore, cosicchè, quando il 2 giugno 1929 fu elevato all'onore degli altari, si cantò l'inno della vittoria!
Così era caduto ogni ostacolo per continuare la pubblicazione dei volumi, e nel 1930 usciva l'XI, perchè noi avevamo l'incarico di raccogliere le memorie del 1° Successore di Don Bosco e di pubblicarne la vita. Moltissime furono le testimonianze che ci pervennero, da confratelli, dalle Figlie di Maria Ausiliatrice e da Cooperatori; quindi prima del 1931 non potemmo pubblicare il 1° volume, al quale seguirono il 2° e il 3° e il loro compendio nel 1933 e '34.Poi dovemmo occuparci della ristampa della vita di Don Bosco, in due volumi, del Lemoyne; e solo nel 1936 fummo liberi per compiere il lavoro del X volume che avevamo già incominciato. Ecco il perchè di tanto ritardo!
Ma perchè fare un volume così grosso?...
Il carissimo Don Lemoyne, al quale i Salesiani avranno sempre immensa gratitudine, diligentemente raccolse detti, fatti, lettere, scritti, documenti e memorie d'ogni genere, riguardanti tutta la vita del Santo Fondatore, disponendoli, in ordine cronologico, in 45 grossi volumi in bozze di stampa, dicendo: - È lo spirito, il cuore, il sistema educativo di Don Bosco, che sta racchiuso in questi volumi! - E siccome [VI] solo la seconda parte del volume XII, e il XIII, il XIV, e poche pagine del XLII e del XLIII, si riferivano al nostro quadriennio, non credevamo che saremmo stati costretti ad occupar tante pagine. Ma non potemmo far diversamente.
Benedica Iddio il paziente lavoro, ed accenda nel cuore dei confratelli sempre maggior affetto per il veneratissimo Fondatore e Padre, col fermo proposito di vivere esattamente del suo spirito!
Crediamo che tornerà gradita anche la serie d'illustrazioni che pubblichiamo, tratte da fotografie prese nell'Oratorio nel 1870 - 71, e tutte, tranne due, inedite - oltre quelle di Don Lemoyne, e di un dipinto rappresentante il Santo dopo la malattia fatta a Varazze, ed una delle primissime di quel collegio, - e un'altra del S. Padre Pio IX, che Don Bosco chiamava “il nostro Confondatore”.
Dal registro degli esami degli studenti risulta che nel 187 - - 71 questi erano 425: e precisamente 36 di filosofia, 30 di quinta ginnasiale, 45 di quarta, 94 di terza, 94 di seconda, e 126 di prima, che vennero poi divisi in due classi, prima superiore e prima inferiore.
Nel registro della condotta mensile degli artigiani si leggono i nomi di 36 tipografi, 73 legatori, 33 sarti, 39 calzolai, 22 falegnami, 14 fabbri - ferrai, 6 fonditori e 5 cappellai, cioè 228 alunni, senza contare i librai.
Evidentemente non tutti vennero fotografati, ma le incisioni che riportiamo sono ugualmente interessanti, perchè ci presentano, insieme con tanti allievi, molti antichi superiori e, più volte, anche Don Bosco nella sua posa piena di dignità ed amabilità paterna!
Il Sommo Pontefice Pio XI, che conobbe da vicino il nostro Fondatore e l'elevò all'onore degli altari, l'ascrisse al catalogo dei Santi e n'estese il culto alla Chiesa Universale, il 10 marzo 1929 nel riconoscere i miracoli proposti per la Beatificazione, faceva questa dichiarazione solenne:
“Nella Bolla di Canonizzazione di S. Tommaso d'Aquino è detto che, seppur nessun altro miracolo vi fosse stato, ogni articolo della sua Somma era un miracolo. Ed anche ora si può ben dire che ogni anno della vita di Don Bosco, ogni giorno, ogni momento di questa vita furono un miracolo, una serie di miracoli. Quando si pensi alla campagna solitaria dei Becchi, dove il povero fanciullo pasceva il gregge paterno, ai primi piccoli inizi dell'opera, ...e poi agli altri più gravi e pensosi di Valdocco... quando si pensi alle grandi opere a cui egli dava vita proprio dal niente... e poi si guardi allo sviluppo meraviglioso delle sue imprese, a quelle tre grandi famiglie, dei Salesiani propriamente detti, delle Suore di Maria Ausiliatrice, ed a quella mirabile legione di Cooperatori, ... non si potrà che [2] rimanere attoniti come davanti ad uno dei più straordinari miracoli...
“... Quando si osserva una così immensa messe di bene, viene da chiedersi: come mai tutto ciò è potuto avvenire? E la risposta non può essere che questa: è la grazia di Dio, è la mano di Dio Onnipotente che ha disposto tutto questo. Ma donde questo gran Servo di Dio ha attinto l'energia inesauribile per bastare a tanto cose? C'è il segreto ed egli stesso lo ha continuamente rivelato in un motto che assai spesso nelle opere salesiane ricorre; è la frase detta dal Venerabile Fondatore: DA MIHI ANIMAS, CETERA TOLLE, dammi le anime e prendi tutto il resto. Ecco il segreto del suo cuore, la forza l'ardore della sua carità, l'amore per le anime, l'amore vero, perchè era il riflesso dell'amore verso Nostro Signor Gesù Cristo e perchè le anime stesso egli vedeva nel Pensiero, nel Cuore, nel Sangue Prezioso di Nostro Signore; cosicchè non v'era sacrificio o impresa che non osasse affrontare per guadagnare le anime così intensamente amate”[1].
Or questo X Volume delle Memorie Biografiche che abbraccia quattro anni della vita del Santo - dal 1871 al 1874 - è un'ampia documentazione della solenne affermazione dell'Augusto Pontefice (che in perpetuo avrà da noi la più devota riconoscenza!), perchè in queste pagine vedremo l'amatissimo Padre, tra le più gravi difficoltà e le più aspre contraddizioni, con tutti i mezzi suggeriti dalla prudenza e dalla saggezza più sublime, proseguire calmo e fidente la missione affidatagli, fondare un nuovo Istituto a pro della gioventù femminile, dar forma canonicamente regolare alla Società Salesiana, ed abbozzare la Pia Unione dei Cooperatori per allargare il campo dell'apostolato in terre civili e selvagge, a gloria di Dio e per la salvezza delle anime.
Don Bosco ebbe una missione singolare, ed in tutta la vita altro non amò ed altro non zelò se non quello che Dio gli aveva tracciato. [3]
“Iddio ha suscitato in ogni tempo dei Santi adattati ai bisogni dell'epoca in cui vivevano. Senza parlare della immensa legione di martiri che lottarono nei tre primi secoli della Chiesa nascente contro il paganesimo, nè dei dottori della Chiesa che sorsero poscia per combattere le prime eresie, e per sostenere e illustrare i fondamenti della dottrina cristiana, voi vedete, dopo di essi, nei secoli di mezzo, sorgere San Francesco di Assisi e S. Domenico, i quali, in mezzo alla corruzione ed alle barbarie dei costumi, richiamano il mondo a vita austera e penitente; e, quando comincia a manifestarsi, col rinascente paganesimo, lo spirito di ribellione alla Chiesa colla falsa riforma di Lutero, tutta una grande fioritura, dirò così, di Santi e di Sante, sboccia nel giardino della Chiesa; e si fondano nuovi ordini religiosi, e sorge specialmente quella Compagnia di Gesù che fu ed è il martello dei Protestanti e la cittadella del Papato.
Più tardi agli errori di Giansenio Iddio oppone la dolce santità di S. Francesco di Sales e del Liguori; ed a mezzo il secolo XIX, quando le teorie rivoluzionarie spuntano nelle masse popolari e vi fanno germogliare quel socialismo che ora minaccia di sconvolgere tutto il corpo sociale, ecco sorgere un umile prete, figlio del popolo, il quale raduna a sè d’intorno tutto quello che la città ha di più vile e negletto - i cosidetti birichini dei sobborghi - e a poco a poco Egli li ammansa, poi se li attira, se li affeziona, se li assimila direi quasi, ed infonde loro il suo spirito. E così là, nelle basse di Dora, nasce il piccolo Oratorio di D. Bosco, il grano di senape che in pochi anni doveva diventare quel grande albero, all'ombra del quale ricorreranno i figli del popolo da tutte le parti del mondo...”[2].
Il fedelissimo Servo di Dio, prudente come il serpente e semplice come una colomba, compì la divina missione nel modo più conveniente, adattando al carattere del secolo, santificato dalla grazia di Dio, il programma del suo apostolato, tutto moto, attività, pubblicità, spirito d'associazione e sviluppo incessante dell'opera iniziata.
Apparve subito un genio creatore, deciso di compiere lavori colossali. Fino al 1860, cioè fin a quando non ebbe al [4] fianco i suoi primi sacerdoti, cercò di tener nascosto il programma che gli era stato tracciato dall'Alto; poi prese a dir nettamente ciò che voleva e doveva fare, e fu udito anche ripetere che l'opera da lui intrapresa per compiere la volontà di Dio, avrebbe assunto tale incremento, che, sebbene si potesse dir esagerato quanto affermava del suo avvenire, a lui pareva di non saper descrivere quanto sarebbe stato grande.
I primi bagliori di cotesto apostolato, e più ancora qualche accenno dell'espansione che avrebbe assunto, fecero nascere dei dubbi anche in quelli che sinceramente l'ammiravano, tant'è vero che due bravi ecclesiastici pietosamente cercarono di condurlo al manicomio, ed anche il Beato Cafasso, che lo riteneva e lo diceva ripieno dello Spirito di Dio, richiesto che pensasse di quel “povero prete, divenuto pazzo”, lo si udiva esclamare: - Mistero!... mistero!... Anch'io certe cose non le comprendo, ma sapendo che i Santi non vanno giudicati umanamente, m'accontento d'ammirare quanto fanno!
I punti oscuri eran costituiti dal suo modo di fare, che a taluno poteva parer fuori dell'ordinario.
Fedele imitatore di N. S. Gesù Cristo, che nel S. Vangelo si limitò a far conoscere soltanto gli atti esteriori che rivelavano la sua missione divina, e della sua vita privata non permise che si dicesse nulla fuor di quello che si riferiva al viver comune e ordinario, Don Bosco si limitò a mostrarsi un semplice buon ministro di Dio, senza nulla di singolare, tenendo abitualmente nascosto ogni atto di vita interiore.
Sobrio qual era alla povera mensa dell'Oratorio, tale era agli splendidi conviti in case signorili, dove si recava, fidente di ricevere qualche soccorso per le sue opere, o in segno di riconoscenza per soccorsi ricevuti, senz'esser d’impaccio agli altri con mostre d'austerità.
Ognor uguale a se stesso, era sempre lieto e sorridente, indifferente alle lodi come ai biasimi che riceveva, specialmente dai giornali, che s'interessavan di lui continuamente.
Innanzi a nobili personaggi, alle autorità ed alle moltitudini, franco, ardito e così sicuro di sè che talora si sarebbe [5] detto quasi temerario; e in privato, coi suoi figli, abitualmente riservato, quasi timido, e pieno di carità ineffabile.
Tranquillo e impavido nelle più aspre e gravi contraddizioni, nell'assoluta mancanza di mezzi materiali, e in ogni dura prova, era pieno di compassione per tutti i sofferenti, sentiva i dolori altrui come se fossero suoi, e lo si vedeva piangere al letto d'un chierico morente o alla notizia della morte di un alunno, e mostrarsi inquieto e preoccupato nello scorgere o nell'apprendere l'inosservanza di qualche articolo del Regolamento e più ancora nel venire a conoscere la cattiva condotta di qualcuno, e tutto rannuvolarsi allorchè udiva parlare di qualche scandaloso o bestemmiatore, per l'orrore che sentiva e il dolore che gli spezzava il cuore.
Cauto e prudente nel trattare e nel condurre a termine ogni affare, anche il più complicato e difficile, era paternamente espansivo con i suoi, e soleva fare ad essi, e talora anche agli alunni, comunicazioni strettamente confidenziali e delicate, ripetendo: - Con i miei figli non ho segreti!
Risoluto e tenace nel sostenere le proprie istituzioni e i diritti dei suoi, perchè ciò che faceva e che faceva fare gli era suggerito da Dio, taceva e perdonava sempre, quando riceveva offese personali.
Oppresso dalle lunghe ore che passava confessando, e dalle continue udienze, e dal disbrigo d'un'enorme corrispondenza, si sarebbe detto che non avesse un momento da dedicare alla preghiera, mentre pregava incessantemente, e la sua intima unione con Dio traluceva in ogni istante.
A qualunque cosa attendesse, anche delle più gravi, era sempre così semplice e quieto, che pareva quasi neppur occuparsene, perchè avendole risolte prima con Dio nell'orazione, con mirabile sapienza e prontezza le eseguiva poi abitualmente.
In breve, sempre unito con Dio, non rifiutava nessuna fatica, tollerava in silenzio ogni incomodo, ma non si lasciava mai sorprendere in atti di mortificazioni straordinarie.
Qualche particolare di cotesta vita esteriore poteva, a prima vista, esser da qualcuno male interpretato, anche da quelli abituati a scorgere in lui tante cose straordinarie, perchè [6] preso isolatamente e distaccato dal suo programma singolare, non veniva, e non poteva, venir compreso appieno. „La persuasione mia - deponeva nel Processo Informativo Don Francesco Cerruti - che Don Bosco fosse alcunchè di distinto, di particolare, oltre gli altri, era pur quella di tanti miei compagni che l'han conosciuto. Era insomma voce, opinione comune, che Don Bosco era un Santo. Qualche volta, non lo nego, me ne venne qualche dubbio. Vedendolo certe volte così preoccupato in affari esteriori, mi pareva anche che certi mezzi da lui adoperati fossero di prudenza troppo umana, che certi sfoghi di lamento e di amarezze non fossero di prudenza troppo affatto conforme a carità e rassegnazione. Ma il dubbio durava poco. Presto mi accorgevo, che quel che credevo e sentivo, era un'illusione mia, oppure effetto al più di quelle debolezze, da cui credo che anche i Santi, dal momento che sono uomini, non sono totalmente esenti; e mi confermava nella santità sua. E questa persuasione, cioè che Don Bosco fu un Santo, sento anche ora, viva, profonda, e senza esitazione alcuna”.
Al Santo nostro Fondatore possiamo applicare l'elogio che la Civiltà Cattolica[3] faceva di S. Anselmo d'Aosta, il più grande educatore del secolo XI:
“Fu quel mirabile misto di soavità e di forza, che fu tanto proprio di lui, cioè un nobile accordo di benignità e di rigore, di semplicità e di prudenza, di bonarietà e di accorgimento che conciliava l'autorità e la confidenza...”. A lui “non isfuggivano i problemi più complessi e più intimi; le crisi delle anime, segnatamente delle anime giovanili, ...”, cioè “i costumi, le inclinazioni... che egli intuiva e scrutava al lume della discrezione, arrivando a penetrare i più intimi segreti del cuore, ed insieme a scoprire le origini, i semi, e i progressi dei vizi e delle virtù...”. E „a forza di amare, di compatire, di tollerare... egli si acquistò il diritto di riprendere e di emendare. E l'usava liberamente con quella bontà insieme e longanimità affettuosa che gli aveva guadagnati gli animi, anche più avversi...”. Amava tutte le anime, „con [7] particolare affezione tuttavia si affaticava in aiuto della gioventù...”. E „questa speciale sollecitudine e vigilanza non aveva nulla di accigliato e di arcigno, nulla che valesse a stringere i cuori o a deprimere e impaurire le fantasie giovanili; era cosa tutta paterna, o per meglio dire tutta materna; tutta rivolta ad allargare gli animi e ad aprire le menti, penetrandovi quasi entro e in tutti i più intimi ripostigli per apportarvi, conforme al bisogno, la luce, la direzione, il rimedio”.
Don Bosco altro non fece ed altro non bramò che dar continuamente gloria a Dio, col zelare la salvezza delle anime: Dio e le anime furono i suoi amori in tutta la vita!
Verso il tramonto, a Roma, avvicinato con venerazione profonda da un giovane prete, gli domandò:
- Oh! sì, io l'amo, e molto!... - e si chinava a baciargli le mani.
- E sa in che modo amerà Don Bosco?... Amando molto i Salesiani!...
- E per amare i Salesiani, bisogna che ami molto le anime!
Così diceva a Don Raimondo Angelo Jara, poi Vescovo di S. Carlos d'Ancud e di La Serena.
Ed egli, per far del bene a tutti, non trascurava nessuna occasione, anche di dire una buona parola, o, nella forma più prudente, dare un ammonimento salutare.
Al Conte Cibrario era succeduto come Primo Segretario di Sua Maestà pel Gran Magistero Mauriziano e Cancelliere della Corona d'Italia, il Senatore Michelangelo Castelli, il quale, abbisognando d'un favore da Don Bosco, si recò a trovarlo promettendogli ogni sorta di protezione e d'aiuti. Il Santo potè accontentarlo pienamente e da quel giorno ebbe in lui, benchè di principii assai diversi, un amico di più, che l'invitò più volte a casa sua, ed egli vi andò soltanto una volta, e precisamente il giorno in cui una figliuola [8] del Senatore aveva fatto la prima Comunione. Questa fanciulla era adorata dal padre, e in verità splendeva in lei un'innocenza e una bontà senza pari. Don Bosco passò alcune ore in quella famiglia, e non si lasciò sfuggir l'occasione di dire una buona parola a vantaggio di quell'innocente.
- Questo bel giorno vuoi che si rinnovi ancora molte altre volte? - le chiedeva.
- Oh sì! rispondeva la piccina.
- Or bene, domanda qualche volta a papà questa licenza, così tu potrai pregare per papà, per mamma, ed il Signore li consolerà, conservandoti buona. Non è vero, signor Commendatore?
lo non ho nulla in contrario; volentieri!
La piccina corse dal padre, abbracciandolo e ringraziandolo; e il padre, profondamente commosso, aveva gli occhi pieni di lacrime.
Trovandosi in una città, fuori della provincia di Torino, Don Bosco venne a sapere che uno dei primari aiutanti del Vescovo era dì condotta irregolare, e senz'altro l'avvicinò e si fermò a lungo a parlar con lui sulla necessità di star attenti nell'ammettere i chierici alle sacre ordinazioni, specialmente se andassero soggetti a certe passioni, per le tristi conseguenze che ne verrebbero, con disonore del Sacerdozio e scandalo di tante anime; e continuò a dire come tali miserie non rimangono mai nascoste, ma presto trapelano, e tutti ne parlano, con danno del Clero, ... tenendosi sempre sulle generali, senz'alcun cenno alla persona del suo interlocutore, convinto che non avrebbe mancato di capire ove andava a battere il discorso.
Anche coi suoi, benchè, quasi ogni giorno, rivolgesse a tutti un'esortazione ispirata dalla liturgia, o suggerita da pubbliche o private circostanze, aveva abitualmente per ognuno una buona parola in particolare. Spesso, anche prima di vestire i sacri paramenti per andar a celebrare, chiamava qualche alunno che vedeva in sagrestia, e gli diceva pian pianino: - Che grazia vuoi che dimandi per te a Gesù nella S. Messa?
Anche in cortile, durante la ricreazione, si chinava [9] delicatamente all'orecchio di questo o quello, e gli dava un consiglio o un ammonimento. Di coteste parole, oltre quelle pubblicate nei volumi precedenti, Don Lemoyne raccolse quest'altre:
- Temi che Gesù sia sdegnato contro di le? Ricorri alla Vergine clemente. Essa è tua avvocata e patrocinerà la tua causa.
- Il paradiso non è fatto per i poltroni. Regnum coelorum vim patitur, et violenti rapiunt illud.
- Ti trovi in balia d'una tempesta? Invoca la stella del mare, invoca Maria.
- Pensi al giudizio di Dio e non temi? Sei tu forse più santo di un S. Gerolamo? Eppure esso tremava.
- Non fidarti troppo delle tue forze: cadde un S. Pietro.
- Voglio che la finiamo: se tu m'aiuti, voglio che rompiamo le corna al demonio.
- Vuoi diventar buono ed esser contento? Pensa a Dio. A Deo principium.
- Prega, prega bere, e certamente ti salverai.
- Se tu m'aiuti, voglio renderti felice in questo mondo e nell'altro.
- Se tu m'aiuti, voglio fare di te un S. Luigi.
- Chi persevera sino alla fine, sarà salvo. Praemium inchoantibus promittitur, perseverantibus dabitur.
Ai confratelli e agli stessi aspiranti alla Pia Società ripeteva sovente: - Lavoriamo continuamente in questa vita per salvar l'anima nostra e tante e tante altre; ci riposeremo nella beata eternità!
Dotato di doni particolari, come quello di leggere nell'intimo dei cuori, era naturale che i consigli e gli ammonimenti più opportuni, che movevano a compunzione quanti ne abbisognavano ed accendevano di santo fervore quelli già incamminati per le vie della perfezione, gli uscissero dal labbro nel confessare. Tanta era la fede che aveva dell'efficacia di questo sacramento, che ne parlava continuamente, ed ogni volta raccomandava di prendere sante e serie risoluzioni, attribuendo all'abituale mancanza di queste le facili e disastrose ricadute. [10]
“Se doveva - notava Don Rua nel Processo Apostolico - parlare due sere di seguito agli allievi in qualche collegio, almeno una sera parlava della Confessione, e se non aveva che da parlare una volta, non mancava anche allora di fare qualche cenno della confessione...
Coi penitenti si regolava in modo da acquistarne tutta la confidenza, della quale si serviva per animarli alla frequenza dei Sacramenti, e così ottenere la loro emendazione e il progresso nella virtù...
Il suo sistema era la dolcezza, senza tralasciare di far risaltare alla mente dei peccatori la bruttezza dei loro peccati.
Sapeva pure distinguere quelli che andavano a' suoi piedi con secondi fini e costoro in bel modo consigliava d'andare da altri, rifiutandosi di ascoltarli; il che appariva dal loro vedersi ritirare subito dall'inginocchiatoio”.
- Piuttosto che fare una confessione ed una comunione sacrilega, cambiate - diceva - anche ogni volta il confessore!
Noi stessi l'udimmo nel 1887, durante gli esercizi spirituali degli aspiranti alla Pia Società, a Valsalice, dire così:
- Don Bosco è vecchio e non può più confessare regolarmente. Al suo posto confessa Don Rua, e Don Rua confessa come confessava Don Bosco, andate quindi da Don Rua! Ma se qualcuno non si sentisse, cerchi un altro confessore. Ad esempio può fare così!... Voi sapete che Sandro [un vecchio famiglio che faceva il portinaio] ogni sera chiude la porta a chiave, ma lascia la chiave sulla porta... Voi, alzatevi verso la mezzanotte, scendete in porteria, aprite pian piano la porta, e andate al Monte dei Cappuccini, dove, a quel tempo, dicono il Matutino. Bussate alla porta del Convento, bussate forte, anche due o tre volte, e vi apriranno, e dite che volete confessarvi!... Confessatevi bene, e poi tornate a casa, entrate, chiudete la porta e tornate a letto!... - E sorrideva con amabilità affascinante.
Ma, naturalmente, dava tutta l'importanza all'avere un confessore stabile.
Trovandosi a Roma ed essendo in colloquio col Card. Patrizi, d'un tratto lo sentì esclamare: [11]
- Io da molto tempo vado meditando un pensiero che mi angustia. Vorrei esporlo a voi, perchè mi deste una risposta se vi parrà conveniente. Prima però è meglio che preghiamo il Signore acciocchè ci illumini.
Ed egli: - Se vuole espormi adesso la questione, sarei pronto a risponderle anche subito.
- No: mi piace che le cose si facciano con posatezza.
Don Bosco tornò dopo qualche giorno, e:
- Ecco, prese a dire il Cardinale, quale era la mia preoccupazione. Qui a Roma abbiamo con certa frequenza frati e preti che si distinguono per doni soprannaturali, ma, quasi mai, non abbiamo monache, e ve ne sono tante, le quali siano da Dio favorite di simili doni. Moltissime sono pie, sono sante finchè si vuole, ma nulla si vede in esse di straordinario. Don Bosco che cosa ne dice? Quale ne sarà la causa, e quale il rimedio?
- A presto trovata la causa ed anche il rimedio. A Roma in moltissimi conventi ogni monaca ha il proprio confessore, e talora eziandio un altro direttore di spirito a sua scelta. Si rimetta in vigore la regola che vige dappertutto fuori di Roma, cioè un confessore stabile ordinario per tutte, scelto dal superiore: lo straordinario ogni sei mesi, e in tempo degli esercizi spirituali ogni anno. Sia proibito che si confessino da chi vogliono, e allora si vedrà rifiorire in esse la santità straordinaria coi doni soprannaturali.
Il Cardinale stette un po' riflettendo e poi disse:
- Avete ragione: ma chi volesse introdurre questa riforma desterebbe un terribile vespaio, che darebbe molte noie e forse nessun frutto.
- Ma stia certa che la causa è questa!
Ed era, in pari tempo, d'una discrezione squisitamente patema. “Mentre ci raccomandava la temperanza - prosegue Don Rua - non voleva che i giovani specialmente si dèssero a digiuni ed austerità troppo rigorose, ben sapendo come il demonio stesso talvolta suggerisca pei suoi fini tali austerità. Quando qualcuno dei suoi giovani allievi, o giovani penitenti, gli dimandava il permesso di fare digiuni prolungati, oppure dormire sul nudo terreno, o praticare altre [12] mortificazioni penose, egli soleva commutarle in mortificazione degli occhi, della lingua, della volontà, e in esercizi di carità; o tutt'al più permetteva di lasciare la merenda o una parte della colazione”.
Nell'ammonire, poi, e nel consigliare, sempre nel modo più opportuno, era assai breve.
Le Clarisse d'Alassio, avendo sentito parlare della sua santità, concepirono tutte il desiderio di confessarsi una volta da lui. Erano buone e brave religiose, che nella vita umile e nascosta non bramavano altro che crescere nell'amor di Dio. Recatosi ad Alassio, Don Bosco venne a conoscere il loro desiderio, e benevolmente annuì, ma ad un patto, che nel confessarsi nessuna oltrepassasse i tre minuti. Le Suore accettarono; ed egli, avuta licenza dal Vescovo di Albenga, andò a confessarle. Certo la cosa non era tanto facile; scrupoli ed angustie di spirito si trovano anche nelle anime claustrali; eppure, passati tre minuti, appena egli disse: - Basta! - la prima tacque sull’istante. Così fecero la seconda, la terza, ... e tutte fino all'ultima. Taluna al basta! insisteva con un ma... poi subito anch'essa si quietava. Evidentemente anche in quella circostanza leggeva chiaro nelle coscienze, ed alla sua parola restavano tranquille, e tutte ne riportarono la più santa soddisfazione e la più cara letizia.
Nei viaggi, che fece in quegli anni a Roma, il Papa gli domandò:
- Voi confessate anche a Roma?
- Se Vostra Santità me ne dà il permesso, confesserò, rispose.
- Ebbene confessate anche me. - E si mise in ginocchio e si confessò. E così fece più volte.
Don Bosco, alcuni anni dopo, narrava il fatto a Don Berto, in forma confidenziale, rilevando l'istituzione divina del Sacramento per cui anche il Papa si confessa come ogni semplice cristiano.
Tra le Memorie, raccolte - da Don Lemoyne, e da lui posta tra quelle del 1871, v'è una splendida prova della risoluta carità di Don Bosco di confessare un giovane ventenne, [13] orfano di padre e di madre, che per qualche tempo era stato nel collegio di Lanzo, ed allora era studente di medicina; e che morì - come risulta dai registri municipali dell'Ufficio di Stato Civile (Anno 1869, N° 2566) - il 16 settembre 1869. Ora, essendo la narrazione inedita ed assai interessante, non possiamo lasciarla da parte.
Verso la fin d'agosto del 1869, Cesare Bardi, che abitava presso il tutore, “sul Ponte Mosca - Casa Crida - numero 6” poco lungi dalla chiesa parrocchiale dei Santi Simone e Giuda, era ormai alla fine, e non si pensava, anzi non si voleva chiamare il prete per amministrargli gli ultimi sacramenti, - per non diffondere tra i vicini, così si diceva, una notizia che sarebbe tornata indubbiamente sgradita ai gaudenti! - Eppure la voce della gravità del male del povero giovane s'era diffusa, e il parroco aveva già tentato due volte di poterlo avvicinare, ma l'una e l'altra volta era stato respinto. Per fortuna una brava, donna, venditrice di frutta nel vicino mercato, avendo appreso in farmacia lo stato dell'infermo, corse all'Oratorio per far sapere a Don Bosco che un suo ex - allievo di Lanzo, in casa tale, via tale, numero tale, era agli estremi e non si voleva chiamar il prete.
Don Bosco subito andò a picchiare alla porta, e il servo, che più volte l'aveva visto a Lanzo, subito lo - riconobbe e capì il motivo della visita, e pur facendogli cenno colla mano che l'affare era un po' difficile, lo fe' entrare, e chiamò il padrone. Questi si fece aspettare un poco; in fine comparve, e, con fredda urbanità, gli chiese il motivo della visita.
- Son venuto per vedere il giovane ammalato.
- Dorme, e non conviene destarlo!
La risposta non tornò gradita. Don Bosco se ne accorse, ma convinto che bisognava mostrarsi risoluto, non cangiò idea; ed allora il tutore gli disse che andava a vedere se Cesare dormiva, e lo lasciò tutto solo per più di un'ora. Finalmente comparve la signora a dirgli che Cesare dormiva ancora, per cui era inutile attendere, tanto più che i medici avevano proibito qualsiasi visita, perchè solamente un po' [14] di commozione, ed anche due sole parole, avrebbero potuto fargli del male.
Don Bosco allora parlò più chiaro ancora:
- Senta, disse, Cesare venne affidato a noi nel Collegio di Lanzo, che è sotto la mia direzione, ho dunque un po' di ragione di avvicinarlo, tanto più che tra Cesare e me corsero già relazioni intime e confidenziali, più di quello che ella possa immaginare; abbiamo affari importantissimi e certo vuol vedermi, ed è necessario che lo vegga un istante, e non posso andarmene senz'averlo veduto...
- Oh questo poi, a me sembra!...
- Ripeto... son certo che Cesare vuol vedermi, quindi devo attendere; e qualora ella me lo vietasse, potrei anche appellarmi alle autorità...
- E lei oserebbe commettere una simile prepotenza?
- lo non voglio commettere nessuna prepotenza; ma ella comprende bene che il suo rifiuto non rimarrebbe nascosto... se ne parlerebbe... si direbbe che Don Bosco andò a vedere un suo amico, un suo alunno morente, e gli fu vietato di poterlo avvicinare... e certo tale pubblicità non tornerebbe troppo onorevole alla loro famiglia.
- Ma è il medico che l'ha proibito!
- Ebbene mi permetta d'andarlo a cercare da me, se ella non può o non vuole condurmi!... girerò tanto da una stanza all'altra che lo troverò.
- Se è così, per non far scene... vado a vedere se s'è svegliato.
E se n'andò. Dopo aver parlato col marito, ed anche per le paure che loro mise in cuore il buon servo, che era un buon cristiano, tornò, ed invitò Don Bosco ad entrare nella stanza del malato, colla raccomandazione di non farlo parlare.
Il povero giovane, appena lo vide, s'alzò a sedere sul letto, e gli gettò le braccia al collo, e lo baciò più volte, esclamando:
- Grazie, Don Bosco, grazie!... grazie che è venuto a trovarmi... voglio confessarmi, io l'aspettavo!... voglio confessarmi! [15]
- Per favore, disse Don Bosco agli astanti, mi lascino solo un momento con lui, si ritirino un istante!...
Fu una scena tenerissima. Il giovane si confessò e divenne raggiante di gioia, e volle anche fissar al muro un'immagine della Madonna, che non finiva di riguardar con amore.
Don Bosco, quando uscì, fu accolto con ogni gentilezza; gli offersero anche un po' di vermout, ed egli l'accettò, come se nessuna contraddizione vi fosse stata, e nel congedarsi si fece promettere che gli avrebbero permesso di riveder il malato qualche altra volta, se fosse stato conveniente. E il giovane moriva di lì a due o tre settimane, sereno e tranquillo, sebbene i parenti non pensassero a fargli ricevere nè il S. Viatico, nè l'Olio Santo.
La vita del nostro Santo Fondatore fu un così ampio e continuo esercizio di opere di carità, che “sembrano scritte per lui - dichiarava il S. Padre Pio XI nell'affermare l'eroismo delle sue virtù - quelle parole che furon scritte per un altro eroe di santità: dedit ei Dominus latitudinem cordis, quasi arenam quae est in litore maris”.
“Chi vuole acquistar preferenze presso Dio, dice il Grisostomo, abbia cura delle anime a Dio tanto care, cerchi il loro vantaggio spirituale, provveda alla salvezza loro”, perchè “innanzi a Dio - osserva S. Gregorio Magno - nessun sacrifizio vale quanto lo zelo per le anime”.
Era quindi naturale che il Signore, che suol arricchire tutti i suoi Servi fedeli di doni particolari, dèsse anche a Don Bosco molti doni straordinari per compiere:un più ampio e più fruttuoso apostolato.
Tra gli altri, egli ebbe, quasi di continuo, quello di veder di lontano e di leggere i segreti delle coscienze come in un libro stampato, e di contemplare nettamente l'avvenire.
Il 18settembre 1870 entrava nell'Oratorio il giovane quindicenne Giuseppe Gamba, di S. Damiano d'Asti, che si fece sacerdote e poi fu Vicario Generale di quella diocesi, Vescovo di Biella e di Novara, e caro e venerato Arcivescovo [16] di Torino e Cardinale. Restò nell'Oratorio solo un anno, ma - scrive il Teol. Giuseppe Angrisani, che fu suo segretario - gli si piantò come un chiodo nella testa questo ricordo:
“Don Bosco - raccontava il Cardinale - era stato assente per molti giorni [il fatto avvenne quindi probabilmente in agosto, dopo le due settimane che fu a S. Ignazio par gli esercizi spirituali, e dopo i nove o dieci giorni che rimase a Nizza Monferrato]. Alla prima sera, dopo il suo arrivo, venne a direi le due paroline solite per la buona notte. Fu accolto da un subisso di acclamazioni, e ci volle del buono prima che potesse arrivare alla cattedra. Finalmente vi salì, e si fece un silenzio commovente. Egli sorrideva e ci disse:
- Sono stato via molto tempo, eh? Ma che volete! Voi mangiate tante pagnotte, e Don Bosco è obbligato a girare per trovare i soldi da pagarle. Però, durante la mia assenza, son tornato tra voi due volte.
Qui ci guardammo sorpresi, allargando occhi e orecchi.
- Sicuro! e in una di queste volte entrai in chiesa, durante la Messa grande, e vidi che mancava uno... Domani costui farà fagotto, perchè Don Bosco di questi ragazzi non ne vuole! Tenetelo bene a mente, figliuoli! Don Bosco, anche lontano, vi vede sempre!
La meraviglia cedeva alla commozione. Mentre egli scendeva fu assediato da noi che chiedevamo: - Chi è? chi è? - Ma lui, serio:
- Questo non devo dirlo a voi, Chi è, domani lo saprà.
E il giorno dopo si seppe che uno era tornato a casa sua.
Don Bosco, anche lontano, vi vede sempre!”[4].
Vedeva anche, quasi di continuo, l'intimo delle coscienze.
Un altro alunno, dello stesso nome e cognome di quello testè ricordato, Giuseppe Gamba, di Buttigliera d'Asti, poi salesiano e sacerdote, ed ispettore nell'Uruguay, entrava nell'Oratorio nell'estate del 1872, e la prima volta che andò a confessarsi da Don Bosco, lo sentì esclamare: - Vuoi avere tutta la confidenza in me?
- Ebbene, io t'interrogherò, e tu mi risponderai secondo verità.
E il colloquio si svolse così: - Questo l'hai fatto, non è [17] vero?... - Sissignore! - Questo non l'hai fatto?... - Nossignore! Tutte le interrogazioni, affermative e negative, quadravano a capello con la verità, cosicchè la confessione, incominciata con molta confusione nella mente del bravo giovinetto, che temeva di non farla bene, finì colla certezza d'aver detto tutto ciò che doveva dire, senz'alcuna omissione, e con una pace invidiabile di coscienza che non gli fu mai turbata in avvenire, avendo constatato che Don Bosco gli aveva letto nel cuore, come in un libro. E finchè rimase nell'Oratorio, sempre col pensiero che Don Bosco leggeva nelle coscienze, non solo non volle mai cangiar confessore, convinto che non avrebbe potuto trovarne uno migliore, ma cercò anche di non commettere mai mancanze, per non sentirsele palesare dal Santo.
Don Luigi Nai, leggendo le Memorie Biografiche e vedendo ricordati tanti piccoli fatterelli, si sentì spinto ad inviare egli pure, da Santiago del Cile, questa dichiarazione a Don Giulio Barberis:
“Era l'anno 1872, ed una sera, credo dell'ultimo giorno degli esercizi spirituali degli studenti, Don Bosco confessava nel coro dietro l'altar maggiore; io fui uno degli ultimi a confessarmi e, terminata la mia, confessione, Don Bosco mi disse queste testuali parole:
- In questo momento mi sta presente tutto il tuo avvenire! - e continuò, dicendomi quello che vedeva. Ricordo che nell'anima mia ho allora sperimentato una gioia di paradiso, e adesso potrei con giuramento asserire, che, tutto ciò che Don Bosco mi disse, si è verificato”.
E Don Lemoyne, a proposito di questo particolare, che Don Nai ripetè a tutti tante volte, e che noi abbiamo pubblicato nel Bollettino[5], annotava alcuni dettagli, evidentemente avuti confidenzialmente dall'interessato:
Il giovanetto Luigi N. una sera confessavasi da Don Bosco, il quale dopo l'assoluzione gli disse: - Vedo in quest'istante tutto il tuo avvenire. Veggo un orso ed un leone che ti vengono sopra, simbolo di prove alle quali sarai esposto: lotte di moralità e di [18] calunnia; ma vedo pure la tua buona volontà! Sta' tranquillo, e va' avanti! - E il giovane affermò poi con giuramento che incontrò queste prove, e le superò, e ne fu libero. In quanto alla calunnia un compagno minacciò di accusarlo presso Don Bosco di cose non vere, ed eseguì la sua minaccia. Egli venne a saperlo e si presentò per difendersi. Il Santo non permise che parlasse, e: - Buon uomo! non conosci dunque Don Bosco? - gli disse, cioè - Non temere! ti conosco.
Altra volta gli disse dopo la confessione: - Vuoi fare un contratto con Don Bosco?
- Pènsaci; te lo dirò un'altra volta.
Il giovane aspettò ansiosamente otto giorni per ritornare a confessarsi e farsi spiegare l'enigma. Andò; e chiese a Don Bosco per prima cosa: - Quale è il contratto?
- Va' da Don Rua! gli disse Don Bosco.
Sempre più curioso andò dal prefetto Don Rua, dicendogli:
- Per un contratto che egli vuol fare con me.
Don Rua riflettè, e poi gli rispose:
- Ah! sì, vieni domani alla conferenza che si fa nella chiesa piccola.
Era la conferenza dei Salesiani; egli andò e cominciò ad intendere.
Ed essendo già salesiano, sacerdote e prefetto a S. Benigno Canavese, un giorno interrogò Don Bosco, presente Don Carlo Viglietti:
- Quale fu la causa speciale che la determinò, quando ero ancora studente, a dirmi di voler fare un contratto un me?
- Vedi, quando io confessava, vedeva fiammelle distaccarsi dalle candele accese sull'altare di Maria Ausiliatrice, e, dopo vari giri, andarsi a posare sul capo di qualche fanciullo. Ed una di queste si posò sul tuo capo.
Queste fiammelle erano per lui un segno evidente della vocazione dei giovani alla Pia Società; e ciò gli occorse molte volte, come egli ci confidò nel 1885.
Anche Bernardo Vacchina, poi sacerdote e zelante missionario nella Patagonia, entrato nell'Oratorio nel 1873, esperimentò subito come Don Bosco leggesse chiaro nelle coscienze. Aveva fatto la sua confessione generale prima di recarsi all'Oratorio, poi l'aveva ripetuta a Don Cagliero, e si recò a farla per la terza volta a Don Bosco, il quale subito gli domandò: - Come ti chiami? - Vacchina. - Bene; [19] se non venivi, ti mandavo a chiamar io! - E il giovane cominciò la sua confessione particolareggiata. Di alcune cose Don Bosco gli disse: - Basta! - e com'ebbe finito gli chiese: - Hai più niente? - Ho detto tutto, tutto!... - E questo?... - e gli ricordò una cosa così lontana dalla faraggine di quelle da lui accennate, che, stupito e commosso, si mise a piangere, dicendo: - È vero! - e continuò a piangere per un po' di tempo.
Un altro zelante missionario, Don Maggiorino Borgatello, ci ha lasciato un'interessante narrazione del primo incontro con Don Bosco.
Nel 1873 egli entrava nel collegio di Varazze, senza alcun pensiero di farsi sacerdote, e meno ancora religioso e salesiano, perchè aveva dei pregiudizi su Don Bosco e sull'opera sua. Dopo poco tempo sentì dire che avrebbero avuto una sua visita, e la notizia non gli riuscì troppo gradita.
Io ero contento di poterlo conoscere, ma nello stesso tempo ero dispiacente, perchè temeva la sua vista. Quando entrò in collegio, tutti i convittori gli mossero incontro, facendogli mille feste, ed andavano a gara nel baciargli la mano; ed egli, sorridente, riceveva tutti con bontà e scherzava amichevolmente. Io pure, di nascosto, lo avvicinai di dietro e, prendendogli la mano, gliela baciai per poter dire di aver baciato la mano a Don Bosco. Egli fece mostra di non avermi veduto, torcendo altrove la testa e lo sguardo, ma mi afferrò per un dito, e tenendolo stretto insieme a dieci e più altre dita di altri giovani, mi obbligava a seguirlo per tutto il lungo corridoio del collegio. A misura che andava avanti, lasciava andare or questo or quello, finchè giunto a piè del grande scalone che mette al piano superiore, eravamo con lui due soli, Bielli Giovanni, mio intimo amico e compagno di studio, ora sacerdote, ed io. Prima parlò un poco con Bielli, e poi lo rimandò; quindi si volse a me. Fin allora non mi aveva ancora guardato, e mi pare che l'avesse fatto di proposito. Appena mi trovai solo con lui, dissi tra me: - Ah! ora ci sono!... che sarà di me?!... - Il sant'uomo mi gettò sopra uno sguardo tanto penetrante che mi scosse ogni fibra; nè potei continuare a guardarlo ed abbassai confuso gli occhi, pieno di santo timore. Conobbi, e ne son più che convinto che leggeva nell'intimo del mio cuore e vedeva non solo quel che ero ma pur quello che sarei diventato con la grazia di Dio e la sua cooperazione. Mai in vita mia mi era successa un cosa simile o somigliante. Con molta dolcezza mi domandò come mi chiamava, che intenzione aveva, se mi piaceva [20] stare in quel collegio, ecc. ecc.; e finì col dirmi: - Guarda bene, che io desidero d'essere tuo amico!.. - E poi nel lasciarmi soggiunse: - Domani io confesso in sagrestia; vieni a trovarmi; ci parleremo e vedrai che sarai contento.
Come restassi dopo tale abboccamento è più facile immaginarlo che descriverlo. Ero contento d'aver fatto la sua conoscenza e fin d'allora sentivo di volergli bene e mi erano svaniti tutti i pregiudizi che aveva concepito contro di lui. La dimane gli parlai in confessione; e ne rimasi contentissimo, come mi aveva predetto. Egli stesso mi rivelò lo stato della mia coscienza con tanta precisione e con tanta grazia che ne restai attonito e confuso, non sapendo se ammirare di più la sua santità nel leggere nella mia coscienza o la sua bontà e la delicata maniera nel rivelarmelo. Piansi di pura gioia nell'aver trovato un sì caro amico e padre, e d'allora in poi l'amai sempre con amore ognor crescente, nè più l'abbandonai. Sempre, quando poteva, mi confessava da lui, e ne restava sempre soddisfattissimo. Alle volte mi dava avvisi che non avevano nulla a che fare colla confessione; e, dopo breve riflessione, mi convincevo che egli aveva ragione. Solo chi leggeva nell'intimo d'un'anima, poteva parlare in tal modo. Mi predisse pure varie cose che si avverarono alla lettera.
Coteste illustrazioni singolari erano note a tutti nell'Oratorio, e vari, che, o non avevano la coscienza a posto, o temevano d'essere consigliati ad abbracciare lo stato ecclesiastico, non andavano a confessarsi da lui; ed egli, la sera dell'8 luglio 1873, teneva alla comunità questo sermoncino:
“Non voglio andarmi a confessare da Don Bosco, perchè egli mi dice di farmi prete e di fermarmi qui nella Casa! - Ed io vi dico, che solamente a coloro che conosco essere veramente da Dio chiamati ripeto di star tranquilli e di andar avanti con questa intenzione. Riguardo poi al fermarsi qui, eziandio se alcuni volessero starvi, non .ne sarei contento. Del resto è ben giusto, che a coloro che mi aprono tutto il loro cuore anche io apra il mio, e dica quel che mi pare meglio per la salute della loro anima. E poi, anche dicessi questo, è egli un gran male dire ad uno di fermarsi in un sito dove vien provvisto di vitto e vestito, dove può continuare gli studi anche superiori, essere libero dalla leva, ecc.?
Devo poi ancora notare che alcuni venivano a confessarsi dicendomi di voler fare la confessione generale, e intanto mi dicevano:
- Dica pure, dica pure lei! - Bisogna che ci intendiamo; siete voi che venite a confessarvi da me, non io da voi, perchè se io dico i peccati miei a voi, voi potete manifestarli agli altri, perchè non avete l'obbligo del segreto della confessione [una risata generale]. [21] Ad ogni modo in principio diceva tutto io, ma dopo il mio povero stomaco si trovava stanco e non potea più reggere. Quindi incominci ciascuno a dire quello che si ricorda: il confessore poi, se ne vuol di più, andrà a cercarsene.
Ma il fatto sta ed è, che in questi giorni io vedeva e leggeva così chiaro nella coscienza dei giovani le cose passate, presenti e future, che avrei potuto scrivere anche la loro vita futura. La vedeva tutta tracciata dinnanzi agli occhi miei, che non avrei avuto a far altro che scrivere, e sarei stato sicuro di non isbagliare. Perciò coloro che mi usarono confidenza nei passati giorni, possono essere tranquilli dei consigli ricevuti.
In ultimo conchiudo raccomandandovi di stare attenti ancora ad una cosa, che cioè, quando andate a confessarvi, mettiate in pratica i buoni proponimenti, imperocchè dai frutti si conoscerà se siansi fatte buone confessioni: ex fructibus eorum cognoscetis eos[6].
Predisse molte vocazioni, comprese alcune, che a giudizio di tutti, si sarebbero dette impossibili.
Un giorno, incontrando un giovane che non aveva alcuna idea di farsi prete: - Sì, sì, gli disse, tu sei chiamato, il Signore ti vuole; purchè tu deponga certe abitudini diverrai un buon prete. - E quel tale nel 1872 indossava l'abito ecclesiastico ed entrava in Seminario. Ma era svogliato, e nel 1876 tornò in famiglia per deporlo. Il padre lo sconsigliò, ed egli si mise a studiare il francese per darsi alla mercatura; poi si recò a consigliarsi col P. Pellico d. C. di G., il quale gli disse: - Vada avanti; lei è chiamato; stia al consiglio di Don Bosco, ed io verrò ad assistere alla sua prima Messa. - E andò avanti, ma sempre di mala voglia, senza corrispondere alla grazia del Signore. Finalmente, dopo anni, si mise in calma usando tutti i mezzi necessari, e, salito al Sacerdozio, potè esclamare: - Don Bosco aveva ragione; è proprio vero che il Signore mi chiamava, ed ora son felice! - “Questa [22] è la confidenza, annotava Don Lemoyne, che a noi venne fatta da un sacerdote titolato nella sua diocesi”.
Nel 1871 una signora di Genova con due figlie, accompagnando una loro cugina al monastero delle Adoratrici di Monza, volle passare per Torino per ricevere la benedizione di Don Bosco. Questi fece loro benevoli accoglienze, e, mentre si discorreva, si lasciò sfuggire, quasi con indifferenza, alcune parole profetiche, che ebbero pieno adempimento. Rivolto alla più giovane delle figliuole, disse: - Questa seguirà la cugina! - Difatti, circa due anni dopo, la giovinetta entrava a farsi monaca nello stesso istituto, sebbene in quel tempo la sua intenzione fosse ben diversa. E, vòltosi all'altra, soggiunse: - Questa sarà quella che vi darà più da penare! - Ed anche questo si avverò, perchè, per il carattere indeciso della ragazza, si dovette faticare assai prima di metterla a posto; e poi una serie di mali fisici e morali diede molto da pensare alla famiglia, e particolarmente alla madre, la quale riferiva a Don Rua le parole profetiche pronunciate da Don Bosco, e ne veniva estesa una breve narrazione, che si conserva, con la firma autentica della signora, nei nostri archivi.
Don Berto annotava quest'altro particolare:
Ieri mattina, 6 giugno 1873, ci venne un giovane alto di statura, per parlare a Don Bosco. Giunto nella sua camera si pose a discorrere or dell'una or dell'altra cosa. Don Bosco ascoltò un poco e poi gli disse:
- Ma ella vuol farsi prete, non è vero?.
- Sì, ma non sapevo come fare a dirglielo. Debbo però notarle, che mia madre si oppone.
E se ne andò contento, promettendo a Don Bosco di scrivergli. Don Bosco dal canto suo gli disse, che cominciasse subito nel suo paese e nel suo uffizio di ricevitore dei dazi a farla da missionario.
Leggeva abitualmente nei cuori.
Nel 1872, più volte nell'incontrare uno dei nostri chierici, che fu poi sacerdote e non tra gli ultimi della Pia Società, gli diceva: - Tu hai fatto questo!. - Tu hai pensato questo!... - Tu eri preoccupato da questo dubbio!... - Tu hai formato questo progetto... - Il chierico, un po' preoccupato, gli rispondeva: [23]
- Dunque come ha fatto a saperlo?
- Ti basti, che lo so con certezza.
- Ma, ripeto, come ha fatto a saperlo?
- E se le dicessi che non è vero ciò che mi dice?
- Tu puoi dire quel che ti piace, ma io non m'inganno. E con tutta calma scendeva ad esporgli i particolari di ciò che gli aveva accennato.
“E realmente era così; - dichiarava a Don Lemoyne questo nostro superiore - la parola di Don Bosco era perfettamente conforme alla verità”; ed egli a nessuno aveva svelato i suoi pensieri, e nessuno poteva conoscere quello che egli aveva fatto.
Molti altri fatti singolari accaddero quegli anni, dentro e fuori dell'Oratorio, predizioni che si avverarono a puntino, guarigioni ed altre meraviglie, che naturalmente non dobbiamo trascurare.
Nel giugno 1872 l'alunno Antonio Bruno di Rubiana trovavasi in infermeria spossato di forze; da una settimana non prendeva più nessun cibo, e il medico non aveva potuto ancor conoscere e determinare bene la malattia. Don Bosco, una sera sul tardi, passò a vederlo e lo benedisse, e gli impose di levarsi al mattino seguente. Antonio rispose che non avrebbe potuto farlo, perchè non poteva reggersi in piedi; e Don Bosco replicò: - Domani ti leverai, e andrai anche a passeggio, fuori di città. - Il giovane, ubbidiente, si levò e uscì a passeggio, e si recò a piedi fino alla Tesoriera, cioè un bel tratto fuori dell'antica cinta, senza soffrirne; anzi, ne ebbe subito sollievo, e gli tornarono le forze e l'appetito, e dopo poco tempo godeva di nuovo prospera salute. Presentatosi a Don Bosco per ringraziarlo, il buon padre, come se si trattasse di cose da nulla, gli ingiunse di ricorrere sempre a lui, nei bisogni tanto corporali, come spirituali.
Antonio Bruno aveva due fratelli che dimoravano in famiglia [24] con la madre, ed “uno - deponeva Don Berto, nativo egli pure di Rubiana - risolse d'andare a cercarsi fortuna in Francia, ma passò prima a Torino da lui. Egli lo condusse da Don Bosco, che tentò ogni via per dissuadernelo, ma non volle ascoltare. Non era ancor trascorso un mese, che fu ricevuta notizia di sua morte. L'altro fratello, più docile, rimasto in casa presso la madre, nel 1872 doveva partire per la milizia, lasciando la madre, vedova, sola in casa e senza aiuto, motivo per cui Antonio avrebbe dovuto lasciar l'Oratorio, a cui apparteneva già da qualche tempo e dove aveva posto tutto il suo cuore, per ritornare ad assistere sua madre. Di ciò impensierito, ricorse per consiglio a Don Bosco, che più volte l'assicurò di stare tranquillo, chè il fratello non sarebbe partito per la milizia, e frattanto l'esortava a raccomandarsi a S. Giuseppe ed alla Vergine Ausiliatrice, il che egli fece di buon grado. Umanamente parlando non v’era alcuna speranza che il fratello n'andasse esente; ma che? venuto il giorno della visita militare, egli parte, coi suoi compagni coscritti, alla sera precedente dal suo paese, camminando tutta la notte a piedi, per arrivare al mattino a Susa. Per istrada, non si sa come, gli si gonfiò un occhio in modo tanto deforme, che, appena presentatosi alla visita, solo per quello sconcio fu in sull'istante dichiarato inabile con meraviglia di tutti ì suoi compagni. Lieto adunque e giulivo se ne ritorna coi medesimi in patria, ma prima ancora che giungesse a casa, dello stesso giorno, l'occhio erasi interamente sgonfiato e guarito. Questo fatto [dichiarava Don Berto] mi venne ripetutamente assicurato dal fratello, ora zelante missionario laico a Paysandú, nella Repubblica dell'Uruguay...”.
“Verso la metà di marzo del 1874 - narrava nel 1892 il confratello Felice Gavarino a Don Secondo Marchisio - fui sorpreso da un fortissimo male di denti con infiammazione della gola e della lingua. Ali fermai quel mattino a letto fin verso le ore otto, e poi mi recai in chiesa per dire le orazioni. Il buon padre Don Bosco stava vestendosi per dire la Messa, e, vedendomi, mi fece cenno colla mano di avvicinarmi. Io non poteva parlare, ma feci capire gesticolando il mio male. [25]
Egli allora mi disse d'inginocchiarmi, e mi diede la benedizione. Oh prodigio! il male scomparve affatto e fui immantinente libero. Mi sorprese nuovamente il male due anni dopo, ed il Servo di Dio mi chiamò in camera, e mi disse: - Ti darò una benedizione che ne avrai per sempre! - E difatti... d'allora non sentì mai più questo male”. Così deponeva Don Marchisio nel Processo Informativo.
Il caro Rossi Marcello, di Rosignano Monferrato, entrato in Società nel 1871, nel 1873 cadeva gravemente malato ad Alassio; ne fu dato l'annunzio a Don Bosco, che gli mandò la benedizione, e guarì così prontamente che Don Bodrato lo chiamava il figlio del miracolo. Nel 1874 era assistente dei legatori nell'Oratorio, quando un giorno fu colto da vari sbocchi di sangue da riempirne tre scodelle. Recatosi nell’infermeria, per sei giorni ancora gli sbocchi si rinnovarono, e il medico dichiarava: - Questi è il più grave degli ammalati della casa! - Don Bosco, sul principio dell'anno aveva annunziato che cinque sarebbero morti; e difatti alcuni erano già partiti per l'eternità. Il buon Padre si recò a visitarlo e lo benedisse, e Marcello sospettò d'essere nel numero dei cinque; e lo pregava a dirgli apertamente, senza riguardi, se davvero egli fosse nel numero dei morituri, ché si sentiva di morire in pace. Don Bosco lo guardò amabilmente ed esclamò: - Sta' tranquillo; devi ancor aiutarmi a salvare tante anime! - E guarì, e gli veniva affidato l'ufficio di portinaio dell'Oratorio, che disimpegnò per oltre 48 anni, compiendo in pari tempo, tra l'ammirazione di tutti, un vero apostolato.
Nel medesimo anno il chierico Mosè Veronesi venne colto da gravissima malattia e si disperava di salvarlo. Don Rua, scrivendo a Don Bosco, che si trovava in Liguria, lo pregava a mandar una benedizione all'infermo; e Don Bosco, letta la lettera, esclamava: - Gli mando la benedizione, ma non il passaporto! - E Mosè guarì perfettamente; e in seguito parlando con Don Bosco della guarigione raggiunta, l'udì esclamare: - Tu vivrai oltre i 72 anni! - e Don Veronesi moriva il 3 febbraio 1930, in età di 79 anni. Probabilmente, nell'istante in cui faceva quest'affermazione, il Santo [26] aveva dinanzi alla mente che egli avrebbe raggiunto appena i 72!...
La fama, che con le sue benedizioni e con le sue preghiere si ottenevano tante grazie, era già diffusa in ogni parte.
A S. Pier d'Arena una povera donna, che aveva un fanciulletto paralitico, sapendo che si trovava nell'Ospizio di S. Vincenzo de' Paoli, prese il fanciullo in braccio e corse all'istituto per presentarglielo perchè lo benedicesse. C'eran tanti che volevano parlargli ed ella attese pazientemente, finchè le fu detto che Don Bosco partiva. Allora diede un urlo di disperazione, e Don Bosco, nell'uscire, l'avvicinò, e benedisse il figliuolo e gli fece fare col braccio destro infermo il segno della Croce. Era guarito sull'istante!... Così narrava a Don Lemoyne il genovese signor Bruzzo, di 80 anni, che l'aveva appreso da una nipote, che fa presente al prodigio.
“Il nostro caro Padre Don Bosco - scriveva Don Giuseppe Ronchail a Don Rua - quando fu in Alassio [dopo la malattia fatta a Varazze] venne invitato dal sig. Luigi Preve ad aver la bontà di recarsi in casa sua a dar la benedizione a sua moglie, che da parecchi mesi non era più capace di uscir di casa a fare una piccola passeggiata. Acconsentì l'amatissimo nostro Don Bosco, ed io l'accompagnai. Colà si trattenne alquanto a parlare di cose di famiglia e d'altro, poscia dopo aver esortato l'ammalata e la famiglia ad essere divoti di Maria SS., le diede la sua benedizione. Son due giorni che venne il signor Preve in collegio, ed incontratomi, pieno di gioia mi disse: - Faccia sapere al sig. Don Bosco che mia moglie, dopo aver ricevuto la sua Benedizione, migliorò, ed ora è perfettamente guarita, e stamane (giorno di fiera) uscì a passeggio con mio figlio maggiore”.
La signorina Giuseppina Monguzzi, nata in Mano sotto la parrocchia di S. Eustorgio, e poi direttrice del Collegio Femminile in Varese, con lettera del 19 marzo 1891 esponeva a Don Rua con giuramento che per circa 12 anni aveva sofferto continuamente acutissimi dolori per forte emicrania, residuo di una congestione cerebrale che le aveva durato circa due mesi, per cui era inabile a qualunque occupazione. [27] Ora avvenne che, dopo aver esperimentato inutilmente tutti i rimedi dell'arte, trovandosi ella a Milano presso una sorella, direttrice dell'Istituto dell'Immacolata, dietro suggerimento di un pio sacerdote, nel mese di maggio 1872 si presentò a Don Bosco, che in quei giorni trovavasi pure in quella città, e lo richiese di una speciale benedizione, per poter guarire dal suo malore, ribelle ad ogni cura medica. Il che egli fece di buon grado, non senza prima esortarla ad avere viva fede nella potenza della B. V. Maria. Le diede quindi una medaglia della Vergine Ausiliatrice e di S. Giuseppe, ingiungendole di baciarla ogni sera, prima di coricarsi e di recitar un Pater, Ave e Gloria fino alla Solennità dell'Assunta, e di aver fede che sarebbe guarita. Ma ciò avvenne sull'istante. Infatti ella asserisce che prima ancora di uscir dalla sala, dove trovavasi Don Bosco, il suo mal di capo scomparve affatto e che da quasi vent'anni si trovava libera ed in grado di poter attendere al suo ufficio di direttrice dell'Istituto di S. Giuseppe in Varese Lombardo. Così ella stessa scrisse e sottoscrisse la narrazione, e la confermava il sacerdote Don Benigno Zini, parroco di Biumo Inferiore, presso Varese.
Anche per lettera tanti ricorrevano a lui, ed erano consolati.
“Verso il 1872” Silvio Giannichini di Pascoso (nella provincia di Lucca) era militare a Piacenza, ove rimase per due anni, e fu costretto più volte ad andare all'ospedale per tonsillite, ed una volta per difterite, che lo ridusse quasi in fin di vita; ma coi medicamenti e le cure assidue del bravo dottore che lo curava potè superare la grave malattia. Senonchè il medico curante, vedendolo costretto a tornar tante volte all'ospedale per la solita malattia, gli suggerì di farsi fare un'operazione. Egli non aveva il coraggio di sottomettersi al consiglio, ma il medico insisteva. Allora scrisse al padre che sentisse il parere del medico di famiglia, e la risposta fu che poteva benissimo farsi operare, perchè d'ordinario, tali operazioni non hanno conseguenze fatali. La risposta del padre gli pervenne insieme con una lettera di un fratello sacerdote, il quale - così egli scrive - “compiangendo la mia [28] sorte mi consigliò a scrivere a Don Bosco a Torino, e chiedere al medesimo la benedizione per il mio male e in pari tempo di rivolgere alla Santissima Vergine Ausiliatrice poche preghiere per me. Ciò fatto che cosa accadde? Accadde che io guarii completamente, e durante il tempo che stetti militare non ebbi a soffrire di tale incommodo. Sono passati circa 50 anni da tale epoca, e mai più mi ha dato noia la gola; salvo, appena tornato in congedo, una semplice volta di poca conseguenza si ripresentò questo male, il che ritengo per il cambiamento del clima. Quindi ripeto e confermo che mai più ho avuto disturbi di gola, e perciò riconosco che la mia guarigione è dovuta alla benedizione di Don Bosco”. - Così dichiarava egli stesso il 31 agosto 1920.
Era ritenuto da tutti un gran Servo di Dio, un santo. Nel 1872 a Mathi Torinese v'era una certa Maria Sopetti, che soffriva per vessazioni diaboliche. Ne venne informato l'Arcivescovo Mons. Gastaldi, che suggerì di farla benedire da Don Bosco. La poveretta venne a Torino il 30 novembre, e verso le 9, 30 entrava nell'anticamera di Don Bosco. Attese fino alle 10, 30, collo sguardo torvo, senza proferir parola. Venuto il suo turno, s'alzò per entrare in camera e farsi benedire, ma ad ogni passo che cercava di fare, la si vedeva come respinta da una mano invisibile, quindi con gran violenza prese a gridare in tono arrabbiato e di protesta, dimenando il capo e scotendo tutta la persona, e: - No! No!… - continuò a gridare più di un centinaio di volte. Finalmente giunse ad entrare e, con mille sforzi, si riuscì a farla inginocchiare, mentre Don Berto, volendo conoscere se si trattava d'una vera ossessione, prese in disparte Don Bosco e gli disse all'orecchio, pian piano, in modo appena intelligibile: - Vado in sagrestia a prendere il rocchetto e la stola?... - Aveva finito appena queste parole che quella poveretta diede un urlo disperato, gridando: - No! no! – Don Bosco le diede la benedizione, ed ella nel frattempo portò le mani alle orecchie per non sentire, e prese a fare mille atti maniaci e mille smorfie, una più strana dell'altra, perchè si sentiva soffocare, finchè, come tutta aggomitolata, si gettò colla faccia a terra per nascondersi, continuando sempre a [29] gridare: - No! no! diau! diau! [diavolo! diavolo!] cuntacc!... - quindi cominciò a grugnire come un maiale, e a miagolare come un gatto; si sentiva soffocare dallo spirito maligno. Con incredibili sforzi si riuscì a farle baciare la medaglia, e, terminata la benedizione, tornò subito in calma.
Interrogata, disse che da tre anni era cosi tormentata che, ogni quindici giorni, se non andava a farsi benedire dal parroco, si sentiva soffocare; e - “la sola presenza di un sacerdote, continuò a dire, basta, anche senza vederlo, ad eccitare vessazioni... Pregare non posso. Quando muore qualcuno, anche senza saperlo mi sento quasi soffocare. Ma questi tormenti che provo adesso alla sua presenza per la sua benedizione, non li provo tanto violenti alla presenza di altri sacerdoti, ma solo quando voglio andarmi a confessare. E, se non dico queste parole e non faccio i gesti che ho fatto sinora, sebbene involontarii, mi sento soffocare...”.
Appena uscì dalla camera, fu vista tranquilla. Don Bosco l'assicurò che andando a Lanzo sarebbe passato a vederla a Mathi, o almeno avrebbe domandato di sue notizie. Le disse che baciasse la medaglia di Maria Ausiliatrice spesse volte e recitasse l'Ave Maria, che il Signore le dava con tali vessazioni un mezzo per farsi molti meriti. Questa povera donna continuò a venire di quando in quando a farsi benedire, e il 2 gennaio 1883 era quasi interamente libera dalla grave tribolazione; non provava più, almeno all'esterno, nessuna ripugnanza nè difficoltà nel presentarsi a Don Bosco e nel ricevere da lui la benedizione. Così narrava Don Berto che ne fu testimone.
Tanta era la stima e, diciam pure, la venerazione che godeva in Vaticano, che il Papa di quegli anni gli affidava un esame, di cui non si vedeva la fine.
Era stata spinta a recarsi a Roma una buona donna - che alcuni ecclesiastici ritenevano favorita da Dio di doni straordinari, per alcuni suoi scritti che sostenevano essere vere rivelazioni; e il Papa la mandò dal Card. Patrizi, perchè la facesse esaminare da Don Bosco, che si trovava egli pure a Roma. Il Cardinale senz'indugio seguì il suggerimento del S. Padre; e Don Bosco, letti gli scritti, parlò con la donna, [30] e rimase convinto che non v'era nulla di straordinario, nulla che potesse ritenersi come una rivelazione divina. E comunicò al S. Padre il suo parere, e Pio IX, soddisfatto, esclamò: - Ci vuole Don Bosco per queste cose; chi capita sotto il suo sguardo, viene scandagliato ben bene, e riconosciuto chi è!
Quella povera donna, nella quale vi poteva essere un po' d'illusione, ma nè superbia, nè frode, in fine pregò Don Bosco che le trovasse un po' di denaro per tornar tranquillamente a casa. Erano sei mesi che si trovava a Roma, dove non faceva altro che recarsi ora da questo, ora da quell'ecclesiastico, per accontentare coloro che ve l'avevano mandata, e non aveva quasi da vivere. Don Bosco le ottenne dal Card. Vicario quanto desiderava; ed ella, tornata in patria, gli scrisse più volte, piena di riconoscenza, sempre ringraziandolo.
“Pio IX, di santa memoria - dichiarava Don Rua nel Processo Apostolico - aveva il più gran concetto di Don Bosco; a voce e per iscritto lo consultava su vari punti riguardanti il governo della Chiesa in tempi difficilissimi che attraversava, interrogandolo [come vedremo] perfino sui futuri avvenimenti riguardanti la Chiesa. Ed una volta, presentatisi a lui due coniugi con un loro bambino di otto anni, privo di favella, per averne la papale benedizione, il Santo Padre, sapendo che allora trovavasi in Roma il Servo di Dio, disse loro: - Andate da Don Bosco. Il Signore per mezzo del suo Servo, vi esaudirà! - mostrando così in qual grande stima di spirito profetico e di uomo prodigioso tenesse il Venerabile” nostro Fondatore.
Ad una scuola, continuamente illuminata dal pensiero di Dio nella maniera più limpida ed attraente, perchè non è la virtù dall'aspetto accigliato e dal volto rigido e freddo, ma la virtù vera, gaia e giuliva, splendente della bontà naturale, che affascina e rapisce gli animi giovanili, fioriscono i santi entusiasmi e le vive aspirazioni ad un tenor di vita virtuosa e santa. Tale era la scuola di D. Bosco. [31]
“Tutto - rilevava Don Rua nel Processo Apostolico - serviva a sollevare la sua mente a Dio e a santi pensieri, qualunque cosa vedesse o sentisse; le erbe; i fiori, i frutti, gli uccelli, gli animali, le scoperte che si fecero e che si andavano facendo, lo portavano ad ammirare sempre più la .sapienza, la potenza di Dio, ad amare la sua Provvidenza, che a tempo e luogo provvede ai bisogni degli uomini. E questi sentimenti li manifestava con tanta spontaneità, che si vedeva che sgorgavano da una mente e da un cuore sempre immersi nella contemplazione di Dio e dei suoi attributi”.
In continua ed intima unione con Dio, era naturale che sentisse il bisogno di tener elevati a Dio anche la mente e il cuore degli alunni, per cui il ricordo di Dio e dei doveri che tutti abbiamo verso di Lui per meritarci la beata eternità, era sempre sul suo labbro, e lo voleva impresso negli alunni, specialmente coll'insegnamento regolare del catechismo. Per questo - rilevava Don Bonetti - “fece precetto a tutti i maestri nelle sue case di far studiare e ripetere per intiero ogni anno il catechismo della diocesi agli alunni. Dava grande importanza a questo studio, e voleva che due volte all'anno se ne dèsse l'esame con particolare solennità, e non si dèsse premio a qualsiasi che non si fosse distinto in questo esame, non ostante che si fosse segnalato in altre materie. Anche fuori degli esami ordinari proponeva e dava premi speciali a chi avesse recitato bene il catechismo da capo a fondo. Per meglio assicurarsi che questo studio non fosse trascurato, si faceva dare sovente dai maestri i registri e le decurie, settimanali e mensili, sopra cui era portato il voto di catechismo, meritato da ciascun giovane”[7].
“Trovandomi con lui ad Alassio - attestava il Servo di Dio Don Leonardo Murialdo - per qualche tempo ci trattenemmo in compagnia di un giovane, di cui non ricordo il nome. Don Bosco per ischerzo mi disse, che io ritornassi poi un giorno in Alassio per dettare una muta di esercizi [32] spirituali a detto giovane, soggiungendo: - Ma di quegli esercizi che lasciano profondamente impresso in mente e in cuore il QUOD AETERNEM NON EST, NIHIL EST! - Ma queste parole pronunziò con un aspetto e sentimento di tale penetrazione, che dava a divedere, com'egli fosse compreso di tale massima”.
Anche Don Garino, che fu il primo catechista ad Alassio, ricordava che Don Bosco gli aveva dato questa commissione per il Direttore: - Di' a Don Cerruti che non lasci di fare, ogni anno una o due prediche ai giovani sulla presenza di Dio.
Nei sermoncini della sera la raccomandazione più insistente per vivere in grazia di Dio era la divozione alla Madonna. “Ai suoi allievi - attesta Don Rua - si può dire che non sapeva parlare senza raccomandare la divozione a Maria Santissima, e specialmente per insegnar loro a conservare la purità, raccomandava vivamente la divozione a Lei”. Durante le novene in preparazione alle sue feste principali, e durante il mese di maggio, non mancava mai di dar anche un Fioretto.
E di questi Fioretti n'abbiam trovato una serie, messi sul labbro di Maria Santissima, che Don Lemoyne dice raccolti dalle parole di Don Bosco o da lui scritti. Noi li riportiamo ad litteram, dando loro un cert'ordine, e numerandoli per lo scopo che diremo.
1. Io son tua madre; lungo il giorno offrimi spesso il tuo cuore.
2. Quando senti suonar le ore, di', sotto voce o col pensiero: Ave, Maria, dolcezza e speranza mia!
3. Insiem col mio, invoca spesso il nome di Gesù, del Figlio mio!
4. Sovente, almeno al mattino ed alla sera, bacia la mia medaglia.
5. Per via saluta le mie immagini, vincendo ogni rispetto umano.
6. Provvèditi una mia bella immagine, e mirala e baciala spesso.
7. Salutami sovente, di cuore; ed avrai il mio amore!
8. Provvèditi e leggi qualche libro, che parli di me e del mio amore!
9. Scrivi sui tuoi libri e nel tuo cuore il mio nome!
10. Per amor mio sii umile, paziente, e pio.
11. Ubbidisci senza esitare; così faceva io in casa mia e nel tempio.
12. Occorrendo, cedi all'altrui parere, per farmi piacere.
13 Pregando, sta' sempre colle mani giunte innanzi al petto.
14. Accresci colla tua parola il numero dei miei divoti. [33]
15. Ogni sabato pratica ad onor mio qualche mortificazione.
16. Ogni sabato recita le mie litanie per ottenere una buona morte.
17 Ogni sabato procura di fare ad onor mio la Santa Comunione.
18. Fa' spesso la Santa Comunione, specialmente nelle mie feste.
19. Quando fai la Santa Comunione, raccomandami spesso i peccatori.
20. Quando fai la S. Comunione, raccomandati a me per ottener la purezza e la carità!
21. Ah! mio caro figlio, non commetter mai un peccato mortale!
22. Fin d'ora colla parola e coll'esempio proponiti d'impedir il male.
23. Se vuoi farmi un grati piacere, raccomandami spesso i peccatori.
24 Fuggi i compagni dissipati e poco divoti,
25. Se senti bestemmiare, di' tosto nel tuo cuore: Lodato sempre sia il nome di Gesù e di Maria!
26. Se qualcuno ti offende, non vendicarti; perdònagli per amor mio!
27. La mormorazione mi dispiace; e tu non farla e non ascoltarla.
28. Invece di lagnarti dei dispiaceri, sòffrili volentieri per me.
29. Nelle pene ed afflizioni volgi lo sguardo a me, tua madre!
30. Quando ti è imposta una cosa che ti spiace, di' tosto: - Sì, per amor di Maria!
31. Fuggi gli spettacoli del mondo, ed ama il ritiro.
32. Fa' di essere il pacificatore dei tuoi compagni.
33 Oh! quanto mi sarebbe caro, se tu ti confessassi bene ogni otto giorni.
34. Abbi molta confidenza nel tuo confessore ordinario, e non cangiarlo senza necessità.
35. Tieni bene a mente gli avvisi del confessore, e mèttili in pratica.
36. Nel tempo delle vacanze non lasciar passare i quindici giorni senza confessarti.
37. Durante le vacanze frequenta regolarmente la chiesa per dar buon esempio.
38. Ama e rispetta i sacerdoti; io pure amava e rispettava gli Apostoli.
39 Sii riconoscente e rispettoso verso chi ti benefica nell'anima e nel corpo.
40. Metti in serbo qualche coserella per darla ai poveri per amor mio.
41. Sei un mio giardino; coltiva i fiori più belli.
42. Colle tue virtù sii il paradiso del mio Divin Figlio!
43. La tua virtù prediletta sia la virtù angelica: la castità! [34]
44. Nelle brutte tentazioni di' subito: Mater purissima, ora pro Me!
45. Non dar mai cattive occhiate.
46. Non leggere mai libri pericolosi; e prima di leggere un libro che non conosci, pàrlane col confessore.
47. Usa grande modestia nello spogliarti e nel vestirti.
48. Non fare e non ascoltar mai discorsi scandalosi o mondani.
49. Non proferire, neppure per ischerzo, una parola che possa cagionare cattivi pensieri.
51. Non parlare con persone pericolose, se vuoi ch'io parli al tuo cuore.
51. Se vuoi essere mio beniamino, ama Gesù Bambino.
52. Amami tanto! ti voglio far santo!
Questi fioretti si possono esporre - ove si creda opportuno, anche insieme con altri, e tutti numerati, - in un quadro, come si faceva un tempo nelle nostre case, con accanto una cassetta contenente i numeri relativi dalla quale ogni alunno possa, durante le novene e il mese di maggio, estrarre ogni giorno un numero, osservarlo, e ripòstolo nella cassetta, leggere il fioretto corrispondente, e prenderlo come dato a lui in particolare.
Soleva anche ricordare gli esempi edificanti dei più virtuosi giovinetti vissuti nell'Oratorio, particolarmente di Domenico Savio, prendendo lo spunto dal narrare nuovi favori che si ottenevano mediante la loro intercessione.
Varie di coteste grazie, ottenute ad intercessione di Domenico Savio, le pubblicò anche in appendice a parecchi fascicoli delle Letture Cattoliche e nelle nuove edizioni della vita dell'angelico giovinetto, come la prodigiosa guarigione da catarro bronchiale del chierico G. B. Pellegrini del Seminario di Como, ottenuta nel 1871.
Altre, avvenute negli anni di cui stiamo scrivendo, son tuttora inedite.
Marianna Cumba da sei anni soffriva per fortissima palpitazione di cuore. Caso volle che le venisse tra le mani la vita di Domenico Savio. Piena di fiducia ne invocò l’intercessione, e guarì perfettamente.
Di due altri favori ottenuti da Giuseppina Derossi Don Bosco stesso stese la relazione, di cui ci resta il manoscritto. [35] Derossi Giuseppina da Racconigi, affetta da molti malanni, era immobile nel suo letto da oltre quindici giorni, quando udite le molte grazie che si ottenevano ad intercessione del santo giovanetto Savio Domenico, anche a lui si rivolse con questa preghiera:
- Tu, o Savio Domenico, che fosti modello di santità in vita e che ora dal cielo concedi tante grazie a chi ti invoca, ottienimi da Dio conforto ne' miei mali e liberami da queste pene!
Sull'istante fui presa come da dolce sonno e dopo breve riposo mi svegliai perfettamente guarita. Ciò avvenne l'anno 1869.
Una grave disgrazia mi colse l'anno corrente (maggio 1871) quando per una caduta mi contusi e mi spezzai un piede. I dolori prolungati ed acuti, la continuazione, anzi l'aumento del male, mi fecero ricordare dell'antico e celeste benefattore, Savio Domenico; gli recitai un Pater ed Ave con promessa di fare qualche cosa a suo onore e gloria. Anche questa seconda volta conobbi la potenza del Signore e restai sull'istante guarita in modo da poter camminare, e ripigliai le mie ordinarie occupazioni.
Ora compio la mia obbligazione visitando la chiesa di Maria A., di cui egli era tanto divoto quando viveva su questa terra.
La scuola di Don Bosco, nè più nè meno come il suo carattere, aveva un'impronta, una forma, un programma particolare:
“Il suo metodo educativo - il rilievo é di P. Giovanni Semeria - fu la morale più austera nella forma più gioconda, il metodo di S. Francesco di Sales e di S. Filippo Neri, la gioventù rispettata nei suoi istinti migliori, corretta risolutamente, energicamente nei suoi istinti più bassi”[8].
- Ciò che deve distinguere la nostra Società - soleva ripetere nettamente il Santo Fondatore - è la castità, come la povertà contraddistingue i figli di S. Francesco d'Assisi e l'obbedienza i figli di S. Ignazio.
La castità fu la virtù da lui prediletta.
“Le virtù morali - attestava Mons. Cagliero nel Processo Informativo - e specialmente la sua castità, ne adornarono e santificarono siffattamente la vita esteriore, da parerci non solo di un santo, ma di un angelo; tanto fu angelica la [36] modestia del suo corpo, il candore dell'anima sua e la purezza del suo cuore...
”Mi sovvengo che, consultato da nobile famiglia sopra un matrimonio del quale si voleva domandare lo scioglimento dalla S. Sede, perchè, dopo appena quindici giorni dalla celebrazione, il marito aveva abbandonato la moglie, il Servo di Dio, dovendo insinuare qualche domanda sopra la consumazione del matrimonio, e quindi dichiarare che non sarebbe stato possibile lo scioglimento del vincolo, non se ne sentì, il coraggio, e rimandò a me i consulenti., affinchè risolvessi il loro caso”.
A tutti apparve singolare nella pratica della virtù angelica. “Si rimaneva meravigliati - dichiarava Don Rua nel Processo Informativo - nell'osservare con quanta riservatezza trattasse colle persone di sesso diverso; e la Contessa Callori, fra le altre, mi fece notare come mai Don Bosco alzasse gli occhi per mirarla in volto, il che riusciva di grande edificazione. Cosi trattava anche con quelle che per divozione volevano farsi segnar la fronte col suo pollice o imporre sul capo la sua mano: sempre vi si rifiutava dicendo che a loro bastava la sacerdotale benedizione; e, se qualche volta mostrava quasi un po' di dispetto, era quando qualche indiscreta gli prendeva la mano per farsi toccare gli occhi infermi, o porsela sopra il capo. Co' suoi allievi poi usava tutti i riguardi per evitare ogni cosa che potesse essere di qualche pericolo, e lo stesso inculcava ai suoi chierici e ai suoi preti”.
Lo stesso Don Rua, interrogato nel Processo Apostolico se ritenesse che avesse avuto a vincere delle tentazioni contro questa virtù, rispondeva nettamente: “Riguardo a tentazioni contrarie a questa virtù penso che ne abbia sofferte, rilevandolo da qualche parola da lui udita allorchè ci raccomandava la temperanza nel bere... e ciò diceva affinchè ci guardassimo da bevande eccitanti. Penso pure che coll'attenzione che usava nell'evitare occasioni e nel tenersi sempre occupato alla gloria di Dio e al bene delle anime, tali tentazioni non fossero tanto frequenti e che le superasse vittoriosamente con grande vantaggio dell'anima sua. Tanto più in [37] questo mi convince la continua mortificazione che spiegava per tenere a freno le passioni. Sovente ripeteva le parole di S. Paolo: - Castigo corpus meum et in servitutem redigo - , raccomandando a' suoi figli la mortificazione dei sensi, di cui ci dava splendidi esempi; giacchè, sebbene non usasse patentemente austerità, come di lunghi digiuni, di cilizi, di flagellazioni, ecc., usava però una continua mortificazione dei sensi, ... imitando in questo l'esempio di S. Francesco di Sales, che si era tolto a modello e protettore delle sue opere”.
“Essendo in procinto di andare a predicare gli esercizi in un collegio - scriveva Mons. Costamagna - Don Bosco mi chiamò a sè e mi disse:
- Farai sapere a que' nostri carissimi figli, che di tante prediche che Don Bosco ha udito nel decorso della sua già lunga vita e di tanti libri ottimi che ha letto se n'è dimenticato ormai la massima parte; ma di una parola brutta, che un compagno cattivo mi disse all'età di sei o sette anni, io non me ne son potuto mai dimenticare. Il demonio si è preso l'incarico di tristamente ricordarmela! Dirai perciò a que' ragazzi: - Guai a chi insegna parole brutte e guai a chi dà scandalo!”.
Provava tale orrore quando sentiva parlare di scandalosi, che fu udito ripetere: - Se non fosse peccato, li strangolerei colle mie mani!
Ed insuperabili eran le sue cure per far regnare l'amore della castità in tutti!
“Tanto era l'amore per la castità in Don Bosco - notava nel Processo Informativo Don Giulio Barberis - che non contento di conservarla esso con perfezione, e di suggerire ai Salesiani i mezzi per conservarsi puri, metteva ancora tutte le sollecitudini, affinchè anche i giovinetti, che la Divina Provvidenza gli affidava, potessero conservare intemerato questo bel fiore di virtù. Il suo impegno principale consisteva nel toglierli dai pericoli; per questo motivo specialmente abbreviò le vacanze, andava guardingo straordinariamente nello stabilire gli assistenti ed i maestri, faceva tenere chiusi i dormitori, ed in generale tutti i nascondigli durante il giorno, voleva cortili ampi, ma che tutti i giovani potessero essere [38] sotto gli occhi degli assistenti, proibiva che i giovani andassero nelle camere degli altri, e dei medesimi superiori, esclusi quelli soli che tenevano ufficio, ad esempio il direttore ed il prefetto. Voleva che gli assistenti non abbandonassero mai i giovani, e che di notte tenessero aperte le cortine del loro letto, affinchè li potessero meglio sorvegliare. Ma, quel che è più, suggeriva tanti mezzi ai giovani medesimi, che praticandoli, si era sicuri di conservarli casti. Più che tutto suggeriva la frequenza ai Sacramenti e la devozione alla Madonna.
Per la natura della sua istituzione egli doveva ricoverare giovani già alcune volte stati vittime delle umane passioni. Ma erano tali e tante le precauzioni che egli prendeva perchè questi non fossero di danno agli altri, che quasi mai avveniva alcun inconveniente grave a questo riguardo. Oltrechè egli medesimo teneva molto d’occhio costoro, se sospettava che qualcuno potesse aver bisogno di una speciale sorveglianza, ne avvisava gli altri superiori affinchè stessero guardinghi, ma quel che è più, mettevagli accanto qualche compagno ben fermo nella virtù, con incarico che non lo perdesse mai di vista, che cercasse di farsi suo amico, e che anche in bel modo lo attirasse alle pratiche di pietà e specialmente alla frequenza dei SS. Sacramenti. Con tutti questi mezzi non è a stupire, se si ottenevano conversioni straordinarie e se non avvenissero mai gravi disordini”.
E non è da meravigliarsi che avvenissero anche dei fatti singolari, e diciamo pure straordinari, tra i giovinetti dell'Oratorio! Alla scuola di un Santo, e di un Santo come Don Bosco, fiorivano dei gigli e si formavano dei cari angioletti, di cui a volte Dio si serviva per parlare al suo fedelissimo Servo!
Nel 1871, mentre si trovava in cortile, circondato da molti alunni, i quali sapevano che presto si sarebbe recato a Roma, uno d'essi, alzandosi in punta di piedi, gli diceva nettamente all'orecchio: - Dica poi questo e questo al Papa! - Terminata la ricreazione, salì in camera e, fatto chiamare quel giovane, l'invitò a ripetere ciò che gli aveva detto poc'anzi, e lo sentì rispondere: - Ma io non le ho detto nulla!... [39] - Andò intanto a Roma e si dimenticò della commissione, ed appena fu di ritorno all'Oratorio, ecco avvicinarsi a lui il medesimo giovinetto e dirgli: - Don Bosco, le aveva detto di dir questo e questo al Papa!... la faccia davvero la mia commissione. - Il Santo lo chiamò di nuovo per interrogarlo come l'altra volta e lo sentì rispondere: - Io non le ho detto nulla! Io non so nulla! - e con tanta ingenuità, che più non insistette; ma, convinto che, per bocca di quel giovinetto, e l'una e l'altra volta gli aveva parlato il Signore, tornato a Roma, fece la commissione al Papa.
Non sappiamo chi fosse cotesto giovinetto, sappiamo solo che si fece salesiano, sacerdote e missionario.
Un altro giorno Don Bosco è sopra pensiero per un gravissimo affare e non sa qual decisione prendere. Va a dir Messa e nel momento dell'Elevazione gli s'affaccia alla mente un modo che sembrava sciogliere ogni difficoltà, e si sente tranquillo, e ringrazia il Signore. Finita la Messa, torna in sacrestia, e il giovane, che glie l'aveva servita, gli si avvicina e gli dice:
- Si appigli al partito che le si è affacciato in mente al tempo dell'Elevazione!
Resta stupito, e salito in camera chiama il giovane, l'interroga, e lo sente rispondere che... non ricordava d'avergli parlato!
Nè mancavano altri fatti straordinari a comprovare la santa vita di molti nell'Oratorio.
Una volta, nell'accompagnare un sacerdote forestiero a visitar l'altare di Maria Ausiliatrice, egli trovò un giovane, sollevato in aria, rapito in adorazione dietro l'altar maggiore, che al loro apparire rimase come interdetto, e volando come una piuma portata dal vento andò ad inginocchiarsi ai piedi del Santo, chiedendogli perdono.
- Sta' tranquillo, gli rispose, va' pure per i fatti tuoi, non è nulla!
E vòltosi al sacerdote si limitò ad osservare: - Si direbbero cose del medioevo e accadono oggi!
Un'altra volta, entrando nel Santuario dalla piazza, in un'ora in cui non c'era nessuno, vide un alunno sollevato [40] in aria davanti al gran quadro dell'altar maggiore; nè più, nè meno, come S. Giuseppe da Copertino, in un impeto d'amore s'era slanciato là per baciar l'effigie di Maria Ausiliatrice!
Don Bosco stesso narrò più volte questi fatti; e presente alla narrazione che ne fece anche ad Alassio, era Don Luigi Rocca, da cui li apprese Don Lemoyne.
Mons. Andrea Scotton l'udì raccontarne un altro, anch'esso straordinario, forse avvenuto dopo il 1874.
Un giovanetto, sui dodici o tredici anni di età, senza bussare alla porta, e senza chieder permessi, entra una mattina nella camera di Don Bosco, e con un certo tuono imperativo gli dice: - Don Bosco, scriva.
Don Bosco, che ben conosceva i doni soprannaturali, di cui il Signore aveva arricchito l'anima di quel caro Angioletto, prese la penna a scrivere.
La dettatura non fu che una lunga filza di nomi e di cognomi. Era il nome ed il cognome di alcuni giovani, venuti all'Oratorio specialmente dall'Emilia, e introdottivi furbescamente per opera della massoneria coll'incarico di guastare i loro giovani compagni e di affigliarli alla sètta. Avevano le loro matricole e le loro tessere convenzionali di riconoscimento; e quel caro giovanetto rivelò a Don Bosco per filo e per segno ogni cosa nelle sue più minute particolarità.
L'indagine era facilissima: e Don Bosco in breve ebbe tutto tra le sue mani.
Ma egli, prima di licenziare quel suo angelo, volle sapere in qual modo fosse venuto a capo di scoprire tutti quei segretumi; e dopo molte ritrosie ne ebbe in risposta, che da più giorni Nostro Signore gli aveva fatto vedere tutto ciò, come sopra uno specchio, perchè lo svelasse a Don Bosco, e che per non averlo ancora svelato ne era stato quella mattina rimproverato acremente da Nostro Signore dopo la santa Comunione.
Il Miles Christi, per chi desiderasse di saperlo, udì la storia del fatto dalle labbra stesse del ven. Servo di Dio[9].
Coteste comunicazioni soleva farle in modo confidenziale e terminarle dicendo:
- Don Bosco è un povero prete qualunque, ma ha molti santi giovinetti che gli attirano le simpatie degli onesti e le benedizioni di Dio! [41]
Appare nettamente dalla Sacra Scrittura e dalle vite dei Santi che il Signore si serve anche dei sogni per guidare i suoi Servi.
Don Bosco fu favorito di cotesto dono in modo singolare, a cominciar dalla fanciullezza quando gli fu additata la missione che avrebbe dovuto compiere, e poi in tutta la vita con la visione delle vie da seguire e dello sviluppo del suo apostolato e di tutti i mezzi più acconci per compierlo fruttuosamente.
Le sue cure paterne, e continuamente eroiche, eran rivolte a guidare i giovani per le vie della grazia coll’amor di Dio e la fuga del peccato, ed il Signore ora gli poneva dinanzi delle scene veramente singolari, che, colla semplice esposizione che egli ne faceva poi agli alunni, davano alla sua parola un'efficacia meravigliosa; ora gli additava nettamente lo stato delle loro coscienze; ora gli suggeriva i mezzi più acconci per animarli a confessarsi bene e ad accostarsi degnamente alla S. Comunione, o ad avere una vera devozione alla Madonna, o ad amare e coltivare la virtù della purezza, o a vivere sempre in modo da essere ognor preparati alla morte. E come gli suggeriva anche particolari norme di vita da inculcare e raccomandare ai suoi figli spirituali, a quando a quando gli mostrò anche quali sarebbero state le vie migliori da seguire in circostanze particolari, cosicchè si può dire che egli, anche nel sonno, era sempre tra i suoi e in unione con Dio.
Noi abbiamo già raccolte ed ordinate più di centoquaranta narrazioni dì coteste illustrazioni singolari, dodici delle quali si riferiscono agli anni di cui stiamo, scrivendo.
Varie di queste son forti inviti a prepararsi ad una santa morte e predizioni di morti; altre splendide e nette illustrazioni dello stato delle coscienze; altre contengono limpide e memorande illustrazioni catechistiche; una, il primo campo di Missione riservato ai Salesiani altre riguardano pubblici avvenimenti. [42] Prima di passare ad esporle, convien notare, che tranne tre, tutte sono un sunto delle narrazioni di Don Bosco, che spesso duravano più d'un'ora, per cui, facilmente possono contener qualche inesattezza; ma ciò non toglie che le dobbiamo ritenere preziose, perchè ci fanno ugualmente comprendere quanto e come fu favorito da Dio il Santo nostro Fondatore, ed insieme ci mettono sott'occhio tanti preziosi ammaestramenti.
La prima è un prezioso autografo di Don Bosco.
1) Una visita al Collegio di Lanzo: “Non fate cattivi discorsi; - frequentate la S. Comunione - siate devoti della Madonna - praticate i proponimenti che fate in confessione”[10].
Carissimi ed amatissimi figliuoli,
Desidero, o cari figli in G. C., desidero di venire a fare carnevale con voi. Cosa insolita poichè in questi giorni non sono solito allontanarmi dalla casa Torinese. Ma l'affezione che tante volte mi avete manifestata, le lettere scrittemi concorsero a tale risoluzione. Tuttavia un motivo che di gran lunga più mi spinge, si é una visita fattavi pochi giorni sono. Ascoltate che terribile e doloroso racconto. All'insaputa vostra e de' vostri superiori, vi feci una visita. Giunto sulla piazzetta davanti la Chiesa vidi un mostro veramente orribile. Gli occhi grossi e scintillanti, il naso grosso e curto, la bocca larga, mento acuto, orecchi come un cane, con due corna che a guisa di caprone gli sormontavano il capo. Esso rideva e scherzava con alcuni suoi compagni saltellando qua e là.
- Che fai tu qui, ghigno infernale? gli dissi spaventato.
- Mi trastullo, rispose; non so che fare.
- Come! non sai che fare? Hai tu forse stabilito di lasciar in pace questi miei cari giovanetti?
- Non occorre che io mi occupi, perciocchè ho dentro dei miei amici che fanno per eccellenza le mie veci. Una scelta di allievi che si arrolano e si mantengono fedeli al mio servizio. [43]
Tu mentisci, o padre della menzogna! Tante pratiche di pietà, letture, meditazioni, confessioni...
M guardò con un riso beffardo e accennandomi di seguirlo mi condusse in sagrestia e mi fece vedere il direttore che confessava: - Vedi, soggiunse; alcuni sono miei nemici, molti però mi servono anche qui e sono coloro che promettono e non attendono; confessano sempre le stesse cose, ed io godo assai delle loro confessioni.
Poi mi condusse in un dormitorio e mi fece osservare alcuni che durante la Messa pensano male e non pensano di andare in chiesa. Di poi mi notò uno dicendo: - Costui fu già al punto di morte e allora fece mille promesse al Creatore; ma quanto divenne peggiore di prima!
Mi condusse poi in altri siti della casa e mi fece vedere cose che mi parevano incredibili e che non voglio scrivere, ma racconterà a bocca. Allora mi ricondusse dentro il cortile, di poi co' suoi compagni davanti alla Chiesa e gli domandai: - Qual è la cosa che ti rende miglior servizio fra questi giovanetti?
- I discorsi, i discorsi, i discorsi! Tutto vien di lì. Ogni parola è un seme che produce meravigliosi frutti.
- Chi sono i tuoi più grandi nemici?
- Quelli che frequentano la Comunione.
- Che cosa che ti fa maggior pena?
- Due cose: la divozione a Maria... e qui tacque come se non volesse più proseguire.
Allora si conturbò; prese l'aspetto di un cane, di un gatto, di un orso, di un lupo. Aveva ora tre corna, ora cinque, ora dieci; tre teste, cinque, sette. E questo quasi nel tempo stesso. Io tremava, l'altro voleva fuggire; io voleva farlo parlare, finchè gli dissi: - Io voglio che tu assolutamente mi dica quale cosa temi più di tutte quelle che ivi si fanno. E questo te lo comando in nome di Dio Creatore, tuo e mio padrone a cui tutti dobbiamo obbedire.
In quel momento egli con tutti i suoi si contorsero, presero forme che non vorrei mai più vedere in vita mia; di poi fecero un rumore con urli orribili che terminarono con queste parole: - Ciò che ci cagiona maggior male, ciò che più di tutto temiamo si è l'osservanza dei proponimenti che si fanno in confessione!
Queste parole furono pronunciate con urli così spaventevoli e gagliardi, che tutti quei mostri scomparvero come fulmini ed io mi trovai seduto in mia camera al tavolino. Il resto ve lo dirò a voce e vi spiegherò tutto.
Dio ci benedica e credetemi vostro
2) Uno stendardo funebre. - Visita le camerate accompagnato dalla Madonna.
Ai primi di novembre 1871 avvisava che uno degli alunni dell'Oratorio sarebbe passato all'eternità prima della fin dell'anno. Interrogato, come avesse potuto fare quella dichiarazione, rispondeva:
“Mi parve, in sogno, di veder uno stendardo, portato da alcune persone, - mi pare da angioli, ma ben non ricordo, - che sventolava. Da una parte era dipinta la morte con la falce mietitrice, in atto di troncare lo stame della vita ad alcuno, dall'altra era scritto il nome d'un giovane. Nella parte inferiore dello stendardo stava scritto” 1871 - 72”, con ciò volendosi significare che quel giovane doveva passare all'altro mondo, prima che finisse l'anno”.
Anche Don Barberis prendeva alcune note delle morti predette in quegli anni da Don Bosco, rilevando che nella visita fatta alle camerate venne accompagnato dalla Madonna.
Nel 1871 la Vergine benedetta conduce Don Bosco a fare un giro per le camerate per indicargli che fra i giovani uno doveva presto morire, perchè lo preparasse al gran passaggio.
Sovente accadde questa visita alle camerate.
Talora alla testa di ciascuno stava un cartello nel quale era descritta lo stato di coscienza di ciascuno; talora sulla fronte stessa di ogni giovane stava il marchio che segnava la qualità della sua colpa; una volta vide una spada pendere sul capo di qualcheduno, legata per un filo sottilissimo al soffitto, e questo vicinissimo a spezzarsi. E il giovane sul letto si agitava angosciosamente, come chi è in preda di sogni paurosi. Talora vide anche i demoni in camerata in atto di circondare certi giovani; oppure un sol demonio che aspettava il permesso [dalla divina giustizia] di uccidere.
È chiaro che le note di Don Barberis accennano a vari sogni, che Don Bosco ebbe in quegli anni.
La predizione fatta ai primi di novembre si avverava esattamente colla morte del giovane Eugenio Lecchi di Felizzano. [45]
3) Il demonio in cortile: - nota le mancanze degli alunni con figure allegoriche e citazioni scritturali. - “Grazia ottenuta! “. - 22 Requiem.
Mentre era malato a Varazze (dicembre 1871 - gennaio 1872) sognò più volte gli alunni dell'Oratorio. Così attestano anche varie lettere del confratello Pietro Enria, che gli era sempre al fianco, e del direttore Don Giovanni Battista Francesia.
Tornato all'Oratorio, una sera, non sappiamo di preciso il giorno, ma nei primi di marzo, narrava agli alunni uno di quei sogni, di cui s'era già diffusa la voce, e che tutti desideravano udire dal suo labbro: e pochi giorni dopo, il 4 marzo, tornava ad esporne altri particolari.
Anche Don Berto n'estese, poi, una piccola narrazione, ma, per buona sorte, ce n'è pervenuta un'altra dettagliata, evidentemente scritta di quei giorni, non sappiamo da chi, ma assai interessante.
Qualche particolare, forse, è un po' scuro, cioè poteva essere esposto più nettamente; ma dall'insieme affiora in modo singolare l'importanza del documento.
Sogno di Don Bosco fatto al tempo della sua malattia in Varazze. - Da lui stesso raccontato ai giovani, e studenti ed artigiani insieme a ciò radunati.
Avevo parlato con qualcheduno di un sogno che aveva fatto; ed ora già vi furono più altri che mi dimandarono ch’io dicessi ciò che poteva significare. Qualcheduno anche delle altre case già mi scrisse per questo solo motivo. Ora ascoltate, io ve lo racconterò, così per ridere; perchè, si sa, quando si sogna, si dorme; e perciò diamogli solo quel peso che merita.
Io, anche nel tempo della mia malattia, sempre era qui in mezzo di voi col pensiero. Di là io parlava di voi, di giorno, di notte, in [46] qualunque tempo, perchè il mio cuore tutto era qui in mezzo a voi. Quindi, anche quando sognava, sognava voi e le cose dell'Oratorio. Venni, perciò, molte volte a farvi delle visite; e saprei raccontare le cose che riguardano a tanti individui, forse meglio che nol sappiano essi stessi.
È certo, che a far queste visite non veniva col corpo, perchè, se così fosse stato, m'avreste visto.
Appena addormentato, una notte, ecco che subito mi pare di essere qui in mezzo a voi. Pàrvemi di uscire dalla chiesa vecchia e, appena fuori, di vedere uno, qui, in quest'angolo del cortile [vicino al porticato, che congiungevasi col parlatorio].
Costui aveva in mano un quaderno in cui erano scritti tutti i nomi dei giovani. Egli mi guardava e subito scriveva. Lasciato quest'angolo, si portò nell'angolo delle antiche scuole, poi nel fondo della scala ove sono presentemente, e, in men ch'io nol dico girava per tutto il cortile, osservando e scrivendo senza perder tempo.
Desideroso sapere chi fosse e che scrivesse, gli teneva dietro; ma egli andava con tal celerità che dovea correr ben presto per tenergli dietro. Passò anche nel cortile degli artigiani, e con prestezza straordinaria osservava e scriveva. Mi venne voglia di saper che scrivesse. Me gli avvicinai ed ho visto che scriveva sulla riga in cui era scritto il nome di un giovane, poi su di un'altra. Mentre egli guardava qua e là, io mi avvicinai di più, voltai qua e là i fogli, e vidi che da una parte v'erano i nomi dei giovani e, dall'altra pagina del quaderno, di quando in quando v'erano delle figure di bestie. Ad alcuno v'era un maiale con scritto: Comparatus est iumentis insipientibus, et similis factus est illis. Ad altri v'era dipinta una lingua a due punte, con scritto: Sussurrones, detractores, ... digni sunt morte; et non solum qui ea faciunt sed etiam qui consentiunt facientibus. Ad altri v'erano due orecchie di asino ben lunghe che significavano i cattivi discorsi con scritto: Corrumpunt bonos mores colloquia prava. Ad altri era dipinto un gufo, e ad alcun altro qualche altro animale. Io voltava con molta sveltezza i fogli; e potei osservare anche come alcuni nomi si conosceva che erano scritti dai caratteri fatti sulla carta; ma non erano scritti con inchiostro, ed i nomi appena si poteano capire.
In questo mentre lo guardai bene quel tale, e vidi che aveva due orecchie lunghe e molto rosse; e gli scintillavano nella fronte due occhi che schizzavano sangue e fuoco, ed aveva il volto come se tutto fosse stato di fuoco. - Ah! ti riconosco adesso! - dissi tra me e me. Egli fe' due o tre altri giri pel cortile; e mentre, tutto intento al suo ufficio, guardava e scriveva, si suonò il campanello per andare in chiesa. Io mi avviai verso la medesima, e subito anche lui si portò vicino al cancello dove si dovea passare. Di là osservava i giovani che andavano in chiesa. Entrati tutti, entrò egli pure, e [47] andò a mettersi in mezzo alla chiesa, vicino al cancello della balaustra, e di lì osservava i giovani che ascoltavano la S. Messa. Io voleva veder tutto e, veduto che la prima porta della sagrestia era socchiusa, mi portai là e continuai ad osservarlo. Era Don Cibrario che celebrava la Messa. Giunto alla Elevazione, i giovani intonarono quei versicoli: Sia lodato e ringraziato ogni momento il Santissimo e Divinissimo Sacramento; e in questo mentre si sentì un rumore sì forte nella chiesa, come se fosse rovinata; scomparve l'individuo, e scomparve, in un fumo con alcuni pezzi di carta inceneriti, anche il quaderno che teneva nelle mani.
Ringraziai il Signore, che avesse voluto così vincere e cacciar via dalla sua chiesa il demonio. Conobbi anche che l'ascoltar la Santa Messa dissipa tutto il guadagno del demonio, e che massimamente gli istanti della Elevazione sono terribili pel demonio.
Finita la Messa, uscii, credendomi di non più trovar quell'individuo; ma ecco, che appena fuori della porta, veggo uno, tutto accovacciato, colla schiena contro all’angolo della chiesa. Aveva, in testa una berrettaccia rossa; guardai bene e vidi che da quella berrettaccia uscivano due lunghe corna. - Ah! sei ancor qui brutta bestia! - io gridai; e gridai con tanta forza da spaventar il povero Enria che stava, lì vicino sonnacchioso, e in questo mentre io mi svegliai.
Ecco, questo è il sogno che io ho fatto, e quantunque non sia altro che un sogno, tuttavia ho potuto conoscere una cosa, che mai mi era venuta in mente. Ed è come il demonio non si accontenti di scrivere nel suo libro il male che vede fare, perchè il Signore al giudizio non gli crederebbe; ma mette egli le parole della condanna, tratte dalla Scrittura e dalla legge del Signore; così egli stesso dà la sentenza.
Adesso vi saran molti che desiderano di sapere se avevano qualche cosa di scritto, che cosa avevano, e se i loro nomi erano scritti coll'inchiostro o no. Ma qui non conviene che veniamo a questo; in particolare poi si potrà rispondere a chi lo desidera.
Molte altre cose ho ancor veduto in questo sogno; vi sono molti altri episodi delle parole di sdegno che disse contro di me e contro qualchedun altro; ma questo sarebbe troppo lungo a raccontarsi; lo diremo poco per volta.
Particolarità del sogno di Don Bosco fatto a Varazze in tempo della sua malattia. - Le racconta egli stesso il 4 marzo, alla sera, ai giovani tutti, e studenti e artigiani.
Avrei questa, sera a dirvi molte cose, e passate e presenti; ma siccome ci son tanti che dimandano sempre qualche punto di quel [48] benedetto sogno, io stassera vi accennerò qualche cosa di particolare, ma in breve; perchè, a contarle tutte, sarebbe una cosa lunghissima.
Alcuno domandava se dopo che fu bruciato quel libro che avea quel tal galantuomo, non s'era veduto più niente. Ecco che cosa allora vidi. Appena fu incenerito quel libro e quel brutto ceffo scomparve, si alzò una specie di nuvola in mezzo alla quale si vide come una bandiera o stendardo, su cui era scritto: “Grazia ottenuta!” e vi erano anche altre cose che io non volea dirvi, perchè non aveste ad insuperbirvene un poco; ma diciamole, perchè siete tutti buoni, tutti virtuosi (così scherzando). Ho potuto vedere che le vostre coscienze nel tempo che io fui via, furono tutte in buono stato.
Io posso assicurarvi che avete ottenuto molte grazie per le anime vostre, e poi anche la grazia che voi dimandavate, cioè la mia guarigione.
Ma tutto non sta qui ciò che ho veduto nel sogno. Mentre io e qualchedun altro tenevam dietro a quel brutto ceffo, per veder che cosa facesse e che scrivesse, ho potuto vedere che vi era il nome di tutti i giovani; ma poi, a due o tre per pagina, seguitando la linea del nome su cui vi era '72 - '73 - '74 - '75 - '76 giunto a tal cifra invece del nome c'era poi Requiem aeternam; andava in altra pagina e Requiem aeternam era la scritta, mancandovi il nome di un altro individuo che era nella prima.
Ho solo potuto vedere fino al '76; ho contato i Requiem aeternam, ed erano 22, di cui 6 sotto il solo '72; ma andando fino al '76 eran 22.
Io mi sono messo ad interpretare questo, perchè sapete che i sogni bisogna interpretarli; e ho conosciuto che prima del '76 si sarebbero già dovuti cantare 22 Requiem aeternam. Esitai un poco a dar quest'interpretazione, parendomi cosa straordinaria che fra noi prima del '76 avessimo tanti a morire, essendo tutti sani e robusti; ma non ne seppi dar altra. Speriamo, però, che si possano cantare anche le altre parole che vengono dopo, cioè et lux perpetua luceat eis, e noi possiam rispondere che tal luce risplende agli occhi nostri.
Ora nè voglio, nè convien ch'io dica, nè quanti di voi, nè chi, avessero scritto il Requiem aeternam; lasciamo questo negli imperscrutabili segreti di Dio; noi pensiamo solo a tenerci in buono stato, affinchè, venendo il giorno nostro, possiamo tranquilli presentarci al' Divin Giudice.
Io poi, avendo ottenuto per il merito delle vostre preghiere la guarigione, comecchè non desiderassi tanto di guarire - pur tuttavia essendo la vita un dono di Dio, se egli ce la conserva, è sempre un dono che ci fa continuamente - procurerò di occuparla sempre nel suo servizio e pel vostro bene, essendo voi che mi avete ottenuto la guarigione, affinchè possiamo tutti un dì andar a goder nel cielo Iddio, che ci prodiga tanti benefizi in questa valle di pianto. [49] Dalle pazienti ricerche fatte nei registri della casa, tanto in quelli della prefettura, come in quelli delle scuole, nonchè dal Necrologio di Don Rua, risulta che i morti furono realmente 22, e precisamente 6 nel 1872, 7 nel '73, 4 nel '74, 5 nel '75.
Anche Don Berto prese appunti di questo sogno, ma posteriormente, per cui non deve farei meraviglia qualche inesattezza; e, attenendosi alle sue memorie, dichiarava anche nel Processo Informativo che Don Bosco aveva predetto 6 morti per il '72 e 21 per i tre anni seguenti, concludendo: “Avendo veduto coi miei occhi... esattamente avverata la predizione del primo anno 1872, non mi curai più di prendere nota degli altri, credendo di far cosa inutile, perchè, secondo il solito sarebbero certamente morti nel tempo predetto anche gli altri ventuno, come infatti, per quanto ricordo, avvenne”.
Nel computo noi abbiamo esclusi quelli che morirono fuori dell'Oratorio, come Cavazzoli a Lanzo, altri a Borgo S. Martino, all'Ospedale di S. Giovanni, e in famiglia, di modo che, tutti compresi, il numero verrebbe a raggiungere, e forse anche a superare, quello accennato da Don Berto. Ma ci asteniamo dal pubblicarne i nomi, non ritenendo conveniente, come si vedrà, il dire chi fossero alcuni.
4) “Siamo dieci... siamo dieci... che non abbiam fatto bene gli esercizi spirituaIi!”.
Dal 3 al 7 luglio 1872, nell'Oratorio vennero predicati gli esercizi spirituali agli alunni da Don Lemoyne e da Don Corsi, e Don Bosco, dopo aver pregato il Signore a fargli conoscere se tutti li avevano fatti bene, faceva questo sogno, che narrava poi alla comunità:
Mi parve di essere in un cortile assai più spazioso di quello dell'Oratorio, circondato tutto all'intorno di case, di piante e dì cespugli. Qui, sui rami degli alberi e tra le spine de' cespugli vi erano tratto tratto dei nidi, con entro i piccoli sul punto di prendere il volo per altre parti. Mentre mi dilettava di sentire il cinguettio ecco cadermi dinanzi un uccellino, che dal canto, conobbi che era un [50] usignuolo. - Oh, dissi, ci sei caduto, le ali non ti bastano al volo ancora, ed io ti potrò prendere; - ed in così dire muovo il passo ed allungo il braccio per raggiungere l'animaletto. Ma che? già lo tengo per le ali, già già lo prendo, quand'ecco l'augelletto fa uno sforzo e, prende a volare fino nel mezzo del cortile. - Povera bestia, dissi tra me, è inutile ogni sforzo, è inutile che tu fugga, e io ti correrò dietro e ti prenderò. - E ciò detto, mi metto a corrergli dietro; e già colle mani l'afferro, quand'ecco farmi il giuoco di prima, e raccolte tutte le forze volarsene lungi un buon tratto. - Oh la bestiolina, dissi tra me, vuoi giuocar di testa, ebbene vedremo chi la vincerà! - Ed eccomegli addosso per la terza volta. Ma quasi si fosse ostinato di minchionarmi, quando già lo stringo, ecco innalzarsi ad un tiro di schioppo e più ancora.
Io lo seguo collo sguardo, e mi meraviglio del suo ardire, quando tutto all'improvviso, miro piombare addosso a quell'usignolo un grosso sparviere, che afferratolo cogli adunchi suoi unghioni, via se lo porta per divorarlo. A quella vista mi sento gelare il sangue nelle vene, e deplorando la dappocaggine di quell’incauto, pur lo seguo collo sguardo. Diceva: - Io volevo salvarti, e tu non hai voluto lasciarti prendere, anzi mi hai burlato tre volte di seguito, e ora paghi il fio della tua caparbietà. - Allora l'usignuolo con flebile voce volgendomi la parola, mandò tre volte il grido: Siamo dieci.... siamo dieci... Tutto agitato mi sveglio e col pensiero naturalmente mi porto sul sogno, e sto meco stesso pensando a quelle misteriose parole, ma non mi fu possibile raccapezzarne un senso.
La notte appresso, eccoti il medesimo sogno. Mi pare di essere nello stesso cortile, attorniato come la notte innanzi, di case, di alberi e cespugli, ed il medesimo sparviere che, truce lo sguardo, sanguinosi gli occhi, mi vola lì dappresso. Maldicendo alla crudeltà da lui usata a quella bestiuola, alzo la mano in segno di minaccia: egli allora fugge impaurito, e fuggendo lascia cadere ai miei piedi un biglietto con sopra scritti 10 nomi. Ansioso lo raccolgo, lo divoro collo sguardo, e vi leggo 10 nomi di giovani qui presenti. Svegliatomi, senza troppo fantasticare sul significato di quello scritto, capii tosto il segreto, - che cioè quelli erano i giovani che non avevano voluto sapere di esercizi, non avevano aggiustati i conti della loro coscienza, e anziché darsi al Signore per mezzo di Don Bosco avevano bramato meglio darsi al Demonio.
M'inginocchiai, resi grazie a Maria Ausiliatrice che si fosse degnata di farmi noti, in un modo così singolare, quei figli che avevano disertato dalle file; e le promisi in pari tempo di non cessare mai, finché mi fosse possibile, di dare addietro alle smarrite pecorelle.
Il racconto è di Don Berto e ritoccato da Don Lemoyne; e Don Berto ne faceva relazione anche nel Processo [51] Informativo per la Causa di Beatificazione e Canonizzazione dell'amatissimo Padre, con questo rilievo:
“Ricordo che i detti giovani furono fatti avvisare dal Servo di Dio in privato, e che uno di quelli, non volendo mutar condotta, fu mandato via” dall'Oratorio.
5) Al ritorno dalle vacanze... - Minaccia di morte improvvisa.
Avvenne e fu narrato sul principio dell'anno scolastico 1872 - 73. La narrazione è di Don Evasio Rabagliati, allora chierico nell'Oratorio.
Mi parve di vedere ciò che ogni anno accade in questa stagione. Le vacanze erano al loro termine ed i giovani in gran folla correvano all'Oratorio. Ora avvenne per caso che mentre per certi miei affari usciva di casa m'incontrai con un cotale, che ritornava dalle vacanze. Io l'osservai un momento e visto che egli non mi salutava, lo chiamai per nome, e, avutolo a me, gli dissi:
- Ebbene, caro mio, come passasti le vacanze?
- Ma dimmi; ed i proponimenti che a me in sul partire dicesti di voler osservare, li hai osservati?
- Oh! mai più; era cosa troppo difficile; ecco i suoi ricordi e i miei proponimenti, li ho messi in questa cassetta.
E così dicendo mi mostrava una cassettina che aveva sotto il braccio.
- E perchè, io ripresi, hai mentito così, ed ingannato Don Bosco ed il Signore? Fosti ben disgraziato! Ah! almeno guarda adesso di aggiustar subito le cose dell'anima tua.
- Oh sì!... che anima! C'è tempo... e poi... poi... - Così dicendo s'incamminava altrove.
Ma io lo richiamai e gli dissi: - Ma perchè fai così? Dammi ascolto e ti troverai contento.
- Huf! - esclamò, dando una crollata di spalle per tutta risposta, e se ne andò. Io seguendolo con uno sguardo pieno di mestizia, dissi: - Povero ragazzo; tu fosti rovinato e non vedi la buca che ti sei scavata; - e così dicendo sento un forte colpo come di cannone e, svegliatomi tutto spaventato, mi trovai seduto sul letto.
Allora per buon tratto di tempo fantasticai sull'avvenuto e non potei darmi pace per ciò che aveva visto di quel giovane. Finalmente, ripreso sonno, ecco continuarsi l'interrotto sogno. [52] Mi parve di trovarmi solo nel mezzo dei cortile, ed essendo incamminato verso la portieria incontro due becchini che venivano innanzi. Fuor di me per la sorpresa mi avvicinai e loro domandai:
- Ma che cosa dite? qui non c'è alcun morto: avete sbagliata la porta.
- Oh questo poi no; non è questa la casa di Don Bosco?
- Ebbene fummo avvisati che un giovane di Don Bosco era morto e che si doveva farne la sepoltura.
Ma come va? io fantasticava; ma io so niente. - E intanto girava gli occhi cercando qualcuno. Il cortile era deserto. Continuava a ragionare fra me: - Ma come va che io non vedo nessuno? E tutti i miei figliuoli dove sono? Eppure è giorno!
Camminammo verso i portici e lì presso trovammo una cassa, su cui da una parte era scritto il nome del giovane morto, colla cifra dell'anno 1872. Dall'altra parte poi erano scritte queste terribili parole: Vitia eius cum pulvere dormient.
Volendo i becchini portarlo via, io mi opposi e diceva: - Non lascierò giammai che un mio figlio mi venga tolto, senza che io gli parli ancora una volta. - E mi posi intorno alla cassa cercando di romperla; ma non mi fu possibile, malgrado tutti i miei sforzi. E menando io le cose per le lunghe, ed i becchini essendosi ormai impazientiti si misero ad attaccare briga con me, ed uno nella furia diede un gran colpo sulla cassa, che rompendola, mi svegliò, lasciandomi per tutto il tempo restante della notte tristo e melanconico. Giunto il mattino, la prima cosa che feci si fu di chiedere se quel tale era già nell'Oratorio e seppi che si trastullava in ricreazione. E allora fu alquanto mitigato il mio dolore.
Quel disgraziato alunno, artigiano a quanto pare, fu proprio quello di cui anche Don Luigi Piscetta, che nell'anno scolastico 1872 - 73 compiva il ginnasio nell'Oratorio, fece cenno esplicito nel Processo Informativo.
Nel 1873 Don Bosco radunò una sera tutti i giovani artigiani e studenti, e nel sermoncino loro fatto, predisse, me presente, che sarebbe morto un giovane la cui morte doveva servire di lezione, ma non sarebbe da imitare. Un mese dopo morì il giovane quindicenne G... O.... completamente sano all'epoca della predizione.
Ammalatosi fu avvicinato da vari sacerdoti e caldamente esortato ad acconciarsi dell'anima; vi si rifiutò ostinatamente sotto vari pretesti. Perdette l'udito e la parola, e sebbene li riacquistasse in [53] qualche grado un po' prima di morire, non volle sapere di confessarsi, e mori così senza Sacramenti. Fu presente alla morte Giacomo Ceva, e furono testimoni della sua ostinazione Carlo Fontana e Michele Vigna.
Senza dubbio Don Bosco non mancò di fare quello che gli fu possibile per prepararlo al gran passo; ma poi, di quei giorni, dovette assentarsi dall'Oratorio. Il povero giovane, che stava assai bene di salute, subito si ammalò; e fu chiamato per confessarlo Don Cagliero, che colle maniere più soavi l'invitò a pensare all'anima sua; ma il giovinetto, appena quindicenne, gli disse ripetutamente che non era ancora il tempo, e non ne aveva voglia, e quindi lo lasciasse tranquillo. Don Cagliero l'avvicinò di nuovo, e prese a discorrere familiarmente di questo e di quello, quindi passò a fargli qualche domanda sulla vita privata, ma il poveretto, che gli aveva dato qualche risposta, accortosi dove sarebbe andato a finire, tacque e si voltò dall'altra parte. Don Cagliero andò egli pure dall'altra, e l'altro tornò a voltarsi silenziosamente, e cosi fece più volte, e moriva, senza ricevere i Sacramenti il giorno in cui Don Bosco rientrava nell'Oratorio.
L’impressione di terrore che fece tal morte nel pensiero e nel cuore degli alunni durò molto tempo!
6) Il primo campo evangelico destinato ai Missionari Salesiani: la Patagonia.
Ecco il sogno che decise Don Bosco ad iniziare l'apostolato missionario nella Patagonia.
Lo narrò per la prima volta a Pio IX nel marzo 1876. In seguito ne ripetè il racconto anche ad alcuni salesiani in privato. Il primo, ammesso a questa confidenziale narrazione, fu Don Francesco Bodrato, il 30 luglio dello stesso anno. E Don Bodrato, di quella sera medesima, lo raccontava a Don Giulio Barberis, a Lanzo, dov'era andato a passare alcuni giorni di svago con un gruppo di chierici novizi.
Tre giorni dopo Don Barberis si recava a Torino, e [54] trovandosi nella biblioteca in colloquio col Santo, passeggiando un po' con lui, ne udiva egli pure il racconto. Don Giulio si guardò dal dirgli che l'aveva già udito, lieto di sentirlo ripetere dal suo labbro, anche perchè Don Bosco, nel fare questi racconti, ogni volta aveva sempre qualche nuovo particolare interessante.
Anche Don Lemoyne l'apprese dal labbro di Don Bosco; e l'uno e l'altro, Don Barberis e Don Lemoyne, lo misero per iscritto. Don Bosco - dichiarava Don Lemoyne - disse loro che erano i primi a cui svelava dettagliatamente questa specie di visione, che rechiamo qui quasi colle sue stesse parole.
Mi parve di trovarmi in una regione selvaggia ed affatto sconosciuta. Era un'immensa pianura, tutta incolta, nella quale non scorgevansi nè colline nè monti. Nelle estremità lontanissime però tutta la profilavano scabrose montagne. Vidi in essa turbe di uomini che la percorrevano. Erano quasi nudi, di un'altezza e statura straordinaria, di un aspetto feroce, coi capelli ispidi e lunghi, di colore abbronzato e nerognolo, e solo vestiti di larghi mantelli di pelli di animali, che loro scendevano dalle spalle. Avevano per armi una specie di lunga lancia e la fionda (il lazo).
Queste turbe di uomini, sparse qua e là, offrivano allo spettatore scene diverse: questi correvano dando la caccia alle fiere; quelli andavano, portavano conficcati sulle punte delle lance pezzi di carne sanguinolenta. Da una parte gli uni si combattevano fra di loro: altri venivano alle mani con soldati vestiti all'europea, ed il terreno era sparso di cadaveri. Io fremeva a questo spettacolo: ed ecco spuntare all'estremità della pianura molti personaggi, i quali, dal vestito e dal modo di agire, conobbi Missionari di varii Ordini. Costoro si avvicinavano per predicare a quei barbari la religione di Gesù Cristo. Io li fissai ben bene, ma non ne conobbi alcuno. Andarono in mezzo a quei selvaggi; ma i barbari, appena li vedevano, con un furore diabolico, con una gioia infernale, loro erano sopra e tutti li uccidevano, con feroce strazio li squartavano, li tagliavano a pezzi, e ficcavano i brani di quelle carni sulla punta delle loro lunghe picche. Quindi si rinnovavano di tanto in tanto l'e scene delle precedenti scaramucce fra di loro e con i popoli vicini.
Dopo di essere stato ad osservare quegli orribili in macelli, dissi tra me: - Come fare a convertire questa gente così brutale? - Intanto vedo in lontananza un drappello d'altri missionari che si avvicinavano ai selvaggi con volto ilare, preceduti da una schiera di giovinetti. [55] Io tremava pensando: - Vengono a farsi uccidere. - E mi avvicinai a loro: erano chierici e preti. Li fissai con attenzione e li riconobbi per nostri Salesiani. I primi mi erano noti e sebbene non abbia potuto conoscere personalmente molti altri che seguivano i primi, mi accorsi essere anch'essi Missionari Salesiani, proprio dei nostri.
- Come mai va questo? - esclamava. Non avrei voluto lasciarli andare avanti ed era lì per fermarli. Mi aspettava da un momento all'altro che incorressero la stessa sorte degli antichi Missionari. Voleva farli tornare indietro, quando vidi che il loro comparire, mise in allegrezza tutte quelle turbe di barbari, le quali abbassarono le armi, deposero la loro ferocia ed accolsero i nostri Missionari con ogni segno di cortesia. Maravigliato di ciò diceva fra me: - Vediamo un po' come ciò andrà a finire! - E vidi che i nostri Missionari si avanzavano verso quelle orde di selvaggi; li istruivano ed essi ascoltavano volentieri la loro voce; insegnavano ed essi imparavano con premura; ammonivano, ed essi accettavano e mettevano in pratica le loro ammonizioni.
Stetti ad osservare, e mi accorsi che i Missionari recitavano il santo Rosario, mentre i selvaggi, correndo da tutte parti, facevano ala al loro passaggio e di buon accordo rispondevano a quella preghiera.
Dopo un poco i Salesiani andarono a porsi nel centro di quella folla che li circondò, e s'inginocchiarono. I selvaggi, deposte le armi per terra ai piedi dei Missionari, piegarono essi pure le ginocchia.
Ed ecco uno dei Salesiani intonare: Lodate Maria, o lingue fedeli, e quelle turbe, tutte ad una voce, continuare il canto di detta lode, così all'unisono e con tanta forza di voce, che io, quasi spaventato, mi svegliai.
Questo sogno l'ebbi quattro o cinque anni fa e fece molta impressione sul mio animo, ritenendo che fosse un avviso celeste. Tuttavia non ne capii bene il significato particolare. Intesi però che trattavasi di Missioni straniere, le quali prima d'ora avevano formato il mio più vivo desiderio.
Il sogno, adunque, avvenne verso il 1872. Dapprima Don Bosco credette che fossero i popoli dell'Etiopia, poi pensò ai dintorni di Hong - Kong, quindi alle genti dell'Australia e delle Indie; e solo nel 1874, quando ricevette, come vedremo, i più pressanti inviti di mandare i Salesiani all'Argentina, conobbe chiaramente, che i selvaggi veduti in sogno erano gli indigeni di quell'immensa regione, allora quasi sconosciuta, che era la Patagonia. [56]
7) Un monito solenne: - Perchè tanti vanno alla perdizione?... Perchè non fanno buoni propositi quando si confessano.
La sera del 31 maggio 1873, dopo le preghiere, nel dare la “buona notte” agli alunni, il Santo faceva quest'importante dichiarazione, dicendola “il risultato delle sue povere preghiere”, e “che veniva dal Signore!”.
In tutto il tempo della novena di Maria Ausiliatrice, anzi in tutto il mese di maggio, nella Messa e nelle altre mie preghiere ho sempre domandato, al Signore ed alla Madonna, la grazia che mi facessero un po' conoscere che cosa mai fosse che manda più gente all’Inferno.
Adesso non dico se questo venga o no dal Signore; solamente posso dire che quasi tutte le notti sognava che questa era la mancanza di fermo proponimento nelle Confessioni. Quindi mi pareva veder dei giovani che uscivano di chiesa venendo da confessarsi, . ed avevano due corna.
Come va questo? diceva tra me stesso. - Eh! questo proviene dall'inefficacia dei proponimenti fatti nella Confessione! E questo è il motivo per cui tanti vanno a confessarsi anche sovente, ma non si emendano mai, confessano sempre le medesime cose. Ci sono di quelli (adesso faccio dei casi ipotetici, non mi servo di nulla di confessione, perchè c'è il segreto), ci sono di quelli che al principio dell'anno avevano un voto scadente e adesso hanno il medesimo voto. Altri mormoravano in principio dell'anno e continuano sempre nelle medesime mancanze.
Io ho creduto bene di dirvi questo, perchè questo si è il risultato delle povere preghiere di Don Bosco; e viene dal Signore.
Di questo sogno non tracciò in pubblico altri dettagli, ma senza dubbio se ne servi privatamente per incoraggiare ed ammonire; e per noi anche quel poco che disse, e la forma colla quale lo disse, resta un grave ammonimento da ricordar di frequente ai giovinetti.
8 - 9) Illustrazioni singolari a vantaggio della Chiesa e delle Nazioni.
Per la brama ardente di far del bene a tutti, ebbe anche illustrazioni singolari, che gli servirono di direttiva per alleviare i mali della Chiesa e della Civile Società, [57] Il sogno profetico del 1870 non fu l'unica illustrazione che ebbe. Il 14 luglio 1873, ricercando delle carte sul suo tavolino, Don Berto ne trovava un'altra, recante la data “24 maggio 1873 - 24 giugno 1873”, che poi Don Bosco gli die' da copiare, insieme con un altro scritto, che faceva giungere, a mezzo di terza persona, a Francesco Giuseppe I, Imperatore d'Austria e Re di Ungheria e di Boemia.
Questi due ultimi scritti appartengono alla nostra narrazione, e noi li riferiamo insieme col primo, benchè già pubblicato, trascrivendoli tutti e tre da un esemplare, copiato da Don Berto e riveduto e pazientemente postillato da Don Bosco medesimo[11].
Il prezioso documento è una delle varie copie delle “Tre Profezie”, che Don Bosco gli fece fare nel 1874 per accontentare alcune pie persone.
Come ne avevano avuto notizia?
Per seguire le vie del Signore, egli doveva naturalmente comunicare ciò che gli veniva additato, a quanti riteneva conveniente. Nel 1870 esponeva al S. Padre la sostanza della prima visione nell'udienza che ebbe il 12 febbraio. Aveva con sè il foglio su cui n'aveva estesa la narrazione, ma non osò presentarlo, e si limitò a leggerne un tratto, che aveva scritto a parte, riguardante la sua Augusta Persona, che è precisamente quello che il lettore vedrà tra due stellette. Anche nell'ultima udienza che ebbe da Pio IX in quell'anno, tornò a parlargli dei futuri avvenimenti politici in forma così netta - e dettagliata, che il Papa gli troncò il discorso per il dolore e lo spavento che ne sentiva. Ma dopo la presa di Roma, ricordando i colloqui col Santo, a mezzo di un Cardinale - che noi riteniamo con certezza Giuseppe Berardi - gli mandava a dire di parlar chiaro, positivo e definitivo; e Don Bosco, che prima non aveva inserito nello scritto il tratto che gli aveva letto, ve l'aggiunse nella copia che ne fece far da Don Berto e la mandava al Papa per mezzo del Cardinale. Pio IX di s. m. conservò tra le sue carte [58] lo scritto, insieme colla lettera d'accompagnamento diretta al Cardinale.
Questa lettera era anonima. Perchè? Unicamente per tenersi ad ogni costo nel nascondimento. Ma in essa affermava nettamente che lo scritto veniva “da persona che dimostrò già altre volte dei lumi sopranaturali”, e che v'erano “altre cose che non si possono confidare alla carta e che si potranno dire verbalmente nella segretezza che la materia richiede”, e “se qualche cosa sembrerà oscura, vedrò se se ne potrà avere la dovuta spiegazione”, e in fine: “Ella se ne serva comunque, ma la prego soltanto di non accennare il mio nome in niuna maniera per motivo che Ella potrà supporre”.
Anche al segretario impose di tener tutto in segreto assoluto; e Don Berto, che conservò gelosamente l'originale della seconda profezia e il tratto della prima, scriveva sulla busta nella quale lo racchiuse: “Originale di un brano di profezia a complemento di quella del 12 febbraio 1870 mandata [non mandata, ma comunicata] al S. Padre, dove lasciavasi sottintendere il suddetto..., il quale venne poi esposto in altre copie a fine di appagare il desiderio di qualche pia persona. L'originale qui mancante, avendolo restituito dopo la prima copia a Don Bosco, egli lo distrusse, raccomandandomi un assoluto segreto, che io, lui vivo, non ho mai violato, malgrado le sollecitudini e le indiscrezioni di qualche pia persona (D. Rua)”.
Davvero?!... Don Berto in una lettera da lui stesso scritta a Don Rua, l'8 marzo 1874 da Roma, della quale abbiamo l'originale, dice così: “Res secundae. Orate. Deus est nobis propitius. Credo che terrà ancora presso di sè la profezia ecc. osservi un po' dove dice: Non passeranno due plenilunii del Mese dei Fiori prima che l'iride di pace ecc. Singolarità! In quest'anno il Mese di Fiori ha appunto 2 plenilunii, l'uno al 10, l'altro al 31 del detto mese. Appoggiati sopra questo, molti cominciano aprire il cuore alla speranza. Fiat”.
E allora? forse voleva accennare alle altre due profezie? Comunque, nel tempo che fu con Don Bosco a Roma, egli estese più copie delle tre profezie, che Don Bosco, tenendo [59] sempre celato che erano state scritte da lui, fece avere, come diremo, a Cardinali e a Prelati.
Ed ecco il prezioso documento, contenente:
in primo luogo la profezia del 1870, con molte note del Santo e una serie di Schiarimenti, da lui pure riveduta e ritoccata; quindi la profezia del 1873, con a fianco altre note di sua mano, seguita da una dichiarazione sull'autore di quelle “notizie”, riveduta pure da lui; in fine la lettera all'Imperatore d'Austria, seguita da un N. B., anch'esso riveduto e ritoccato dal Santo nostro Fondatore.
Venne comunicata il 12 febbraio 1870 al Santo Padre.
Dio solo può tutto; conosce tutto; vede tutto. Dio non ha nè passato, nè futuro; ma ogni cosa è a lui presente come in un punto solo. Davanti a Dio non v'è cosa nascosta, nè presso di lui àvvi distanza di luogo o di persona.
Egli solo nella sua infinita misericordia e per la sua gloria può manifestare le cose future agli uomini.
La vigilia dell'Epifania dell'anno corrente 1870 scomparvero tutti gli oggetti materiali della camera e mi trovai alla considerazione di cose sopranaturali. Fu cosa di brevi istanti, ma si vide molto.
Sebbene di forma, di apparenze sensibili, tuttavia non si possono se non con grande difficoltà comunicare ad altri con segni esterni e sensibili. Se ne ha un'idea da quanto segue. Ivi è la parola di Dio accomodata alla parola dell'uomo.
Dal Sud viene la guerra, dal Nord viene la pace.
Le leggi di Francia non riconoscono più il Creatore, ed il Creatore si farà conoscere e la visiterà tre volte colla verga del suo furore.
Nella 1a abbatterà la sua superbia, colle sconfitte, col saccheggio e colla strage dei raccolti, degli animali e degli uomini.
Nella 2a la Grande prostituta di Babilonia, quella che i buoni sospirando chiamano il postribolo d'Europa, sarà privata del capo in preda al disordine.
Parigi... Parigi!!... invece di armarti del nome del Signore, ti circondi di case d'immoralità. Esse saranno da te distrutte: l'idolo tuo, il Panteon, sarà incenerito, affinchè si avveri che mentita est iniquitas sibi. [60]
Il Guerriero coi suoi fece un profondo inchino e si strinsero la mano (Don Carlos e il'Pontefice). *Poi disse: La voce del Cielo è al Pastore dei pastori (A Pio IX). Tu sei nella grande conferenza (Concilio Vaticano).ed' tuoi assessori; ma il nemico del bene non istà un istante in quiete; egli studia e pratica tutte le arti contro.
di te. Seminerà la discordia fra i tuoi assessori; susciterà nemici tra i figli miei (Gravi dispiaceri ceri del C. Vaticano). Le potenze del secolo vomiteranno fuoco, e vorrebbero che le parole fossero soffocote nella gola ai custodi della mia legge. (Si compiè e si va compiendo specialmente in Prussia). Ciò non sarà. Faranno male, male a se stessi. Tu accelera; se non si sciolgono le difficoltà, siano troncate. Se sarai nelle angustie, non arrestarti, ma continua finchè non sia troncato il capo dell'idra dell'errore a. Questo colpo (colla definizione dell'Infallibilità Pont.) farà tremare la terra e l'inferno; ma il mondo sarà assicurato e tutti i buoni esulteranno.
Raccogli adunque intorno a te anche solo due assessori, ma ovunque tu vada, continua e termina (I), l'opera che ti fu affidata (il Concilio Vat.). I giorni corrono veloci, gli anni. tuoi si avanzano nel numero stabilito; ma la gran Regina sarà sempre il tuo aiuto, e come nei tempi passati così per l'avvenire sarà sempre magnum et singolare in Ecclesia praesidium.*
Ma tu, Italia, terra di benedizioni, chi ti ha immersa nella desolazione?
Non dire i nemici; ma gli amici tuoi. Don odi che i tuoi figli domandano il pane della fede e non trovano chi loro lo spezzi? [61] (Pare alludere alla deficenza di istruzione pel popolo). Che farò? Batterò i pastori, disperderò il gregge, affinchè i sedenti sulla cattedra di Mosè cerchino buoni pascoli e il gregge docilmente ascolti e si nutrisca.
Ma sopra il gregge e sopra i pastori peserà la mia mano; la carestia, la pestilenza, la guerra faranno sì che le madri dovranno piangere il sangue dei figli e dei mariti morti in terra nemica (Pare alludere alla carestia di questo anno. La pestilenza e la guerra segui ranno). E di te, o Roma, che sarà? Roma ingrata, Roma effeminata, Roma superba! Tu sei giunta a tale che non cerchi altro, nè altro ammiri nel tuo Sovrano, se non il lusso, dimenticando che la tua e sua gloria sta sul Golgota.
Ora egli è vecchio, cadente, inerme, spogliato; tuttavia colla schiava parola fa tremare tutto il mondo (Lo stato attuale di Pio IX.).
Roma!... io verrò quattro volte a te! Nella I a percuoterò le tue terre e gli abitanti di esse.
Nella 2ª porterò la strage e lo sterminio fino alle tue mura.
Verrò la 3a: abbatterò le difese e i difensori ed al comando del Padre sottentrerà il regno del terrore, dello spavento e della desolazione (Attuale stato di Roma). Ma i miei savii fuggono a; la mia legge è tuttora calpestata, perciò farò la quarta visita (Molti vivono lontani da Roma; molti costretti a disperdersi).
Guai a te se la mia legge sarà ancora un nome vano per te! Succederanno prevaricazioni nei dotti e negli ignoranti (Si verificò e si va veri ficando).
Il tuo sangue ed il sangue dei figli tuoi laveranno le macchie che tu fai alla legge del tuo Dio (Pare alludere ad un futuro disastro).
La guerra, la peste, la fame sono i flagelli con cui sarà percossa la superbia e la malizia degli uomini (Sono riepilogate le cose de te altrove).
Dove sono, o ricchi, le vostre magnificenze, le vostre ville, i vostri. palagi? (Vedremo)
Sono divenuti la spazzatura delle piazze e delle strade!
Ma voi, o sacerdoti, perchè non correte a Piangere tra il vestibolo e l'altare, invocando la sospensione dei flagelli? Perchè non prendete lo scudo della fede e non andate sopra i tetti, nelle case, nelle [62] vie, nelle piazze, in ogni luogo anche inaccessibile, a portare il seme della mia parola?
Ignorate che questa è la terribile spada a due tagli che abbatte i miei nemici e che rompe le ire di Dio e degli uomini?
Queste cose dovranno inesorabilmente venire l'una dopo l'altra.
Le cose succedonsi troppo lentamente.
Ma l'Augusta Regina del cielo è presente.
La potenza del Signore è nelle sue mani; disperde come nebbia i suoi nemici. Riveste il Venerando Vecchio di tutti i suoi antichi abiti.
Succederà ancora un violento uragano.
L’iniquità è consumata, il peccato avrà fine e, prima che trascorrano due plenilunii del mese dei fiori, l'iride di pace comparirà sulla terra.
Il gran Ministro vedrà la sposa del suo Re vestita a festa.
In tutto il mondo apparirà un sole così luminoso quale non fu mai dalle fiamme del Cenacolo fino ad oggi, nè più si vedrà fino all'ultimo dei giorni.
Dal Sud viene la guerra. - Dalla Francia che dichiarò guerra alla Prussia.
Dal Nord viene la pace. - Dal Nord della Spagna, ove cominciò la guerra attuale. Inoltre D. Carlos dimorava a Vienna che è al Nord dell'Italia.
Il Panteon sarà incenerito. - I giornali contemporanei dicevano che venne danneggiato da parecchie bombe. Ma gli avvenimenti di Francia non sono ancora interamente compiuti.
Ma ecco un Gran Guerriero. - D. Carlos[12].
Dal Nord porta uno stendardo. - Dal Nord della Spagna.
Una fiaccola ardentissima. - La fede in Dio che dirige e sostiene il gran Guerriero nelle sue imprese.
Allora lo stendardo di nero che era divenne bianco come la neve. - Cessò la strage: il color nero simbolo della morte, ovvero la persecuzione, cioè il Kulturkampf.
Nel mezzo dello stendardo in caratteri d'oro stava scritto il nome di chi tutto può. - Sullo stendardo di D. Carlos dicono i giornali vi sia dipinto il Cuore di Gesù da una parte e dall'altra l'Immacolata Concezione.
Ma ovunque tu vada. - Pare accennare all'esilio del Pontefice l'immortale Pio IX. Vedi profezia 2a. [63]
Le madri dovranno piangere il sangue dei figli morti in terra straniera nemica1. - Questo deve avvenire.
Farà la 4a visita. - La quarta visita a Roma ha ancor da succedere.
Succederà ancor un violento uragano. - Vedi la seguente profezia, si accenna al temporale ivi descritto in disteso.
E prima che trascorrano due plenilunii del mese dei fiori. - In quest'anno 1874 il mese di maggio ha due plenilunii. Uno il 10, l'altro al 31 del mese medesimo.
L'iride di pace. - Una speranza la quale pare cominci a vedersi nella Spagna oggidì 10 marzo 1874.
In tutto il mondo apparirà un sole così luminoso. - Trionfo e dilatazione del cristianesimo.
Sulla destra che lo regge sta scritto Irresistibile mano del Signore. - I giornali dicono che D. Carlos abbia incominciato le sue imprese con 14 uomini, sprovvisto di armi, di denaro e di vettovaglie, eppure oggidì 10 aprile 1874 ha un esercito di 100000 e più soldati. E non leggesi che finora perdesse una battaglia.
24 maggio 1873 - 24 giugno 1873.
Era una notte oscura, gli uomini non1 potevano più discernere quale fosse la via a tenersi per fare ritorno ai loro paesi, quando apparve in cielo una splendidissima luce che rischiarava i passi dei viagtenza.
giatori come nel mezzodì 2. In quel momento fu veduta una moltitudine di uomini, di donne, di fanciulli, di vecchi, di monaci, di monache e sacerdoti, con alla testa il Pontefice, uscire dal Vaticano schierandosi in forma di processione 3.
Ma ecco un furioso temporale; oscurando alquanto quella luce sembrava ingaggiarsi battaglia tra la luce e le tenebre. Intanto si giunse ad una piccola piazza coperta di morti e di feriti, di cui parecchi domandavano ad alta voce conforto. Le fila della processione si diradarono assai. Dopo aver camminato per uno spazio che corrisponde a dugento levate di sole, ognuno si accorse che non era più
(2) La fede in Dio e la sua potenza
(3) Pare alludere alle dispersioni dei conventi e dei collegi e delle scuole dopo cui il Pontefice
(4) Può darsi che questa battarglia sia tra l'errore e la verità, oppure anche una guerra sanguinosa
[64] in Roma. Lo sgomento invase l'animo di tutti, ed ognuno si raccolse intorno al Pontefice per tutelarne la persona ed assisterlo nei suoi bisogni.
In quel momento furono veduti due angioli che portando uno stendardo l'andarono a presentare al Pontefice dicendo: - Ricevi il vessillo di Colei che combatte e disperde i più forti eserciti della terra. I tuoi nemici sono scomparsi, i tuoi figli colle lagrime e coi sospiri invocano il tuo ritorno.
Portando poi lo sguardo nello stendardo vedevasi scritto da una parte: Regina sine labe concepta, e dall'altra: Auxilium Christianorum.
Il Pontefice prese con gioia lo stendardo, ma rimirando il piccolo numero di quelli che erano rimasti intorno a sè divenne afflittissimo.
I due Angioli soggiunsero: - Va' tosto a consolare i tuoi figli. Scrivi ai tuoi fratelli dispersi nelle vario parti del mondo, che è necessaria una riforma nei costumi degli uomini. Ciò non si può ottenere, se non spezzando ai Popoli il pane della divina parola. Catechizzate i fanciulli, predicate il distacco dalle cose della terra. A venuto il tempo, conchiusero i due angeli, che i popoli saranno evangelizzati dai popoli. I leviti saranno cercati tra la zappa, la vanga ed il martello, affinchè si compiano le parole di Davidde: “Ho sollevato il povero dalla terra, per collocarlo sul trono dei principi del suo popolo”.
Ciò udito il Pontefice si mosse e le file della processione cominciarono ad ingrossarsi. Quando poi pose piede nella Santa Città si mise a piangere per la desolazione in cui erano i cittadini, di cui molti non erano più. Rientrato poi in S. Pietro intuonò il Te Deum, cui rispose un coro di Angeli cantando: Gloria in excelsis Deo et in terra pax hominibus bonae voluntatis.
Terminato il canto, cessò affatto ogni oscurità e si manifestò un fulgidissimo sole.
Le città, i paesi, le campagne erano assai diminuite di popolazione; la terra era pesta come da un uragano, da un acquazzone e dalla grandine, e le genti andavano una verso dell'altra, dicendo: Est Deus in Israel.
Dal cominciamento dell'esiglio fino al canto del Te Deum il sole si levò dugento volte. Tutto il tempo che passò nel compiersi quelle cose corrisponde a quattrocento.
La persona che ha comunicate queste notizie è quella stessa che predisse gli avvenimenti di Francia un anno prima e che si avverarono letteralmente.
In molti luoghi si leggevano quelle predizioni che si avveravano giorno per giorno, come se fossero scritte in un giornate dopo i fatti.
Secondo la medesima persona la Francia, la Spagna, l'Austria ed una Potenza della Germania sarebbero scelte dalla Divina Provvidenza [65] ad impedire lo sfasciamento sociale e darebbero pace alla Chiesa da tanto tempo e in tanti modi combattuta. Gli avvenimenti incomincerebbero nella primavera del 1874 e si compirebbero nello spazio di un anno e qualche mese, purchè nuove iniquità con vengano ad opporsi ai divini voleri.
Questo dice il Signore all'Imperatore d'Austria: - Fatti animo; provvedi ai miei servi fedeli ed a te stesso. Il mio furore si versa su tutte le nazioni della terra, perchè si vuole far dimenticare la mia legge; portare in trionfo quelli che la profanano; opprimere quelli che la osservano. Vuoi tu essere la verga della mia potenza? Vuoi tu compiere gli arcani miei voleri e divenire il benefattore del mondo? Appòggiati sulle potenze del Nord, ma non sulla Prussia. Stringi relazione colla Russia, ma niuna alleanza. Assòciati colla Francia Cattolica; dopo la Francia avrai la Spagna. Fate un solo spirito, una sola azione[13].
Somma segretezza ai nemici del mio santo Nome. Colla prudenza e coll'energia diverrete invincibili. Non credere alle menzogne di chi .ti dicesse il contrario. Abborrisci i nemici del Crocifisso. Spera e confida in me che sono il donatore delle vittorie agli eserciti, il salvatore dei popoli e dei Sovrani.
N.B. Questa lettera fu rimessa all'Imperatore d'Austria nel mese di luglio 1873 per mezzo di una persona fida che gliele consegnò in proprie mani. Egli attentamente la lesse e mandò speciali ringraziamenti a chi gliela spediva dicendo che se ne sarebbe servito[14].
Qui legit, intelligat! Le postille, gli Schiarimenti, e le dichiarazioni che si trovano nel testo e nelle note ci dispensano da ogni commento; e noi ci limitiamo ad un rilievo, che ci pare assai interessante.
Nella prima profezia si leggono, dirette al Papa, le parole: “Ovunque tu vada...”. Era infatti voce comune che il Papa sarebbe uscito da Roma, e se non uscì fu proprio per il [66] consiglio comunicatogli da Don Bosco: “La sentinella, l'angelo d'Israele, si fermi al suo posto, e stia a guardia della rocca di Dio e dell'arca santa!” Il tono solenne di queste parole ci dice nettamente da chi venivano!
E non caddero più dalla mente del Papa! E mentre anche i cattolici continuavano a credere imminente la sua partenza da Roma, Don Bosco senz'indugio prese a difendere i diritti della Chiesa e del Sommo Pontefice con tanto ardire, che destò lo stupore universale, e riuscì ad ottenere che il Papa potesse procedere senz'impacci alla nomina dei Vescovi per più di cento diocesi italiane vacanti, e contemporaneamente iniziò le pratiche per ottenere ad essi le temporalità con l'approvazione del S. Padre. Ciò fece nei due viaggi fatti a Roma nel 1871, e, appena convalescente da grave malattia, da Varazze, tornava a scrivere al Ministro Lanza in data 12 febbraio, e l'8 aprile, lieto delle devote e cordiali accoglienze che nelle varie diocesi ricevevano i nuovi Pastori, anche di questo dava comunicazione al S. Padre, che in data io maggio gli rispondeva con lettera autografa, manifestandogli tutta la fiducia nella bontà di Dio e nella perenne protezione da lui promessa alla Chiesa.
Noi riteniamo, che anche in quei giorni, le comunicazioni confidenziali tra il Santo e Pio IX incoraggiarono il Papa a non uscir da Roma. Si legga questa pagina assai interessante della Civiltà Cattolica[15].
Nei primi tempi che seguirono il bombardamento e la presa di Roma, si disputò molto se non convenisse al Papa Pio IX allontanarsene, e così sfuggire al potere nemico che nel Vaticano lo assediava. A dir il vero, l’opinione dell'allontanamento in generale, prevaleva. Ed intorno a ciò, ... ci piace riportare una pagina di storia contemporanea, ignota ai più e per avventura dimenticata dai pochi sopravviventi, che la lessero anni indietro, pubblicata da noi. Fu distaccata da nostre private memorie, le quali, per autentiche, autenticissime le guarentiamo.
“In una frigidissima sera dell'inverno del 1872 (un diciotto mesi circa dopo l'invasione di Roma) ebbi in Firenze la inaspettata visita di Mons. Gasparre Mermillod, Vescovo allora di Ginevra e poi Cardinale. Egli era tutto ravvolto in una pelliccia. Lo rividi con piacere, [67] poichè da che il Concilio Vaticano si era sciolto, non ci eravamo più incontrati. Mostratogli meraviglia di quella sua apparizione notturna in tale stagione: - Passo, egli disse, incamminato a Roma, e, fra l'arrivo di un treno e la partenza di un altro, son voluto venire a salutarvi. Ho un negozio di grandissima importanza da trattare col Santo Padre, e mi è parso bene conferirne all'amichevole anche con voi, e sentirne un poco il giudizio vostro.
Qui mi narrò come nel corso delle vicende succedutesi fra il 1870 e il 1871, egli avesse viaggiato per l'Europa e si fosse abboccato con personaggi primarii di Chiesa e Stato: quindi si fosse tenuto ultimamente un segreto Congresso di eminenti cattolici di varii paesi in Ginevra, e si fosse risoluto di far conoscere al Papa Pio IX la convenienza, che egli lasciasse Roma ed accettasse l'ospitalità, la quale gli era graziosamente offerta dal Thiers, presidente della Repubblica francese, nel castello di Pau, vicino alla Spagna. Espose poi sommariamente le ragioni, che dovevano muovere il Santo Padre a rendersi alla proposta, ragioni che egli era mandato a rappresentargli.
Siccome io ascoltavo, sempre tacendo, egli soggiunse: - Or bene che ne dite voi? Pensate che il Papa valuterà il peso di queste ragioni?
- Che sia per valutarlo, gli risposi, non ne dubito punto. Pio IX è uomo avvedutissimo. Ma che sia per arrendersi e lasciare Roma non ardirei congetturarlo.
- Oh, il perchè? Ve ne sono molti dei perchè. Un primo perchè di ragione umana, è che egli sta in casa sua, e chi vi è entrato, lo ha fatto col mero diritto brutale della violenza. Melior est conditio possidentis, come voi m'insegnate: e questo, Monsignore, è un gran perchè, il quale, se poco sembra valere per ora, assai varrà pel futuro. Vi è poi un altro perchè di ragione divina, che il Papa unicamente ha la grazia di stato per conoscere. Su questo, nessuno, fuori di lui, può nulla dire. Voi, Monsignore, operate da quel devotissimo servo e figliuolo che siete di Pio IX, manifestandogli tutti i perchè, che siete incaricato di manifestargli, acciocchè si sottragga all'oppressione nemica, e lo farete con eloquenza degna di voi. Il resto me lo saprete dire, se vi piacerà al ritorno.
Poco più di una settimana dopo, Monsignor Mermillod tornò difatto, ed al suo passaggio per Firenze ci rivedemmo. - Torno contento, egli disse, di aver compiuto il mio dovere, fino allo scrupolo. Ah, che sant'uomo, che uomo di Dio è Pio IX! Subito egli mi ha concessa l'udienza, e mi ha accolto con bontà di padre. Tutto, con viva attenzione, ha ascoltato. Poi mi ha soggiunto essere le ragioni, che io gli esponeva, di gravità somma: bisognare dargli tempo di riflettere ed anche di consigliarsi: - Non vi movete da Roma, ha concluso. Fra qualche giorno vi chiamerò. [68]
E così è stato. Ad un suo cenno, ripresentatomi: - Caro Monsignore, mi ha detto, io di vero cuore vi ringrazio, che siate venuto apposta in Roma, per espormi, a nome di tanti cattolici e savii personaggi, le ragioni di politica e di sapiente prudenza, che debbono persuadere il Papa a lasciare la sua Sede. Le ho ponderate assai, ho pregato, le ho fatte considerare ad alcuni Cardinali di mia particolare fiducia. Il parer loro è stato che io mi risolvessi a partire. Ho pensato ancora sopra questo parere; nè, per verità, ho veduto nulla in contrario. Ammetto le ragioni: trovo giustissima la proposta. Però una sola ragione m'impedisce di aderirvi. Volete sapere qual è? Schiettamente ve la dico. Dinnanzi a Dio, non mi sento ispirato ad abbandonare Roma, come mi sentii ispirato nel novembre del 1848. Questa sola ragione mi trattiene.
Ecco, Monsignore, ripigliai, il perchè di ragione divina, che niuno poteva conoscere, dal Santo Padre in fuori. Contro ogni umana regola di prudenza e di politica, Dio vuole il Papa in Roma, come Daniele nella fossa dei leoni. Più tardi, se camperemo, vedremo che le vie del Signore non sono quelle degli uomini.
- Così è' - terminò esclamando Monsignor Mermillod. - Il Papa è guidato da Dio!”.
Già essendo noi campati fino a quest'anno venticinquesimo del prodigioso Pontificato di Leone XIII, successore di Pio IX, cose straordinarie abbiamo vedute e stiamo vedendo, le quali comprovano il detto dell'illustre Cardinale Mermillod, ora defunto: - Il Papa è guidato da Dio!.
La sentinella d'Israele restò alla custodia della rocca di Dio; e Don Bosco, sino al termine della vita continuò a sospirare e a zelare la conciliazione dell'Italia colla Chiesa. “Siamo tutti e due del medesimo anno - scriveva ad un coetaneo, sacerdote - cioè noi nascevamo quando l'Europa si metteva in pace dopo tanti anni di guerra... Possiamo sperare che l'ultimo di nostra vita mortale marchi la pace del mondo e il trionfo della Chiesa? Ah! se così fosse, potremmo intonare il Nunc dimittis! Ma sia fatta la volontà del Signore in tutte le cose! Il trionfo della Chiesa è certo; se non potremo assistervi quaggiù, vi assisteremo, spero, dal paradiso”.
E dal Paradiso vide il fatto compiuto cogli Accordi Lateranensi - che ridavano “Dio all'Italia e l'Italia a Dio” - proprio il mese prima che Pio XI proclamasse i miracoli proposti per elevarlo all'onore degli altari!
E il Santo Padre nel rilevare la “bella, delicata, significativa [69] coincidenza”, lo diceva un “grande, fedele e veramente sensato servo della Chiesa Romana, della Santa Sede, ... perchè egli tale fu sempre veramente”; e dichiarava d'aver appreso “da lui, dalle stesse sue labbra”, quanto “questa composizione del deplorevole dissidio stava veramente in cima ai suoi pensieri e agli affetti del suo cuore...”, e “in modo tale che innanzi tutto si assicurasse l'onore di Dio, l'onore della Chiesa, il bene delle anime”[16].
10) Una visita ai dormitori: - gli alunni hanno scritto in fronte i propri peccati, molti hanno la fronte e il volto candidi come la neve; - il canto del “Miserere".
La sera dell'11 novembre 1873, dopo le preghiere, dando la buona notte raccontava questo sogno, da lui fatto l'8 e il 10 dello stesso mese. La narrazione è di Don Berto.
Mi pareva di andare a visitare i dormitori ed i giovani erano tutti seduti sul letto, quand'ecco vidi comparire un uomo sconosciuto, che mi prende la lucerna di mano, dicendomi: - Vieni e vedrai!
Ed io lo seguitai. Egli allora si avvicinò al letto di ciascheduno e alzando la lucerna verso la loro fronte m'invitava ad osservare. Io guardava attentamente sulla fronte di ciascheduno e vedeva scritti tutti i loro peccati. Io sconosciuto allora mi disse di scrivere; ma io, credendo di potermi ricordare, andai avanti un poco senza prendermi nota di quelle cose che stavano scritte sul loro volto. Ma osservando che m'era impossibile ricordarmi di tutto, ritornai indietro e scrissi ogni cosa sul mio taccuino.
Cammin facendo per un lungo dormitorio, la mia guida mi condusse in un angolo, dove si trovava una quantità di giovani colla faccia e fronte bianca e nitida come la neve. Allora esternai il mio contento; ed egli seguitando avanti, me ne additò uno che aveva la faccia tutta coperta di macchie nere, e poi seguendo il cammino ne vidi altri e poi altri, e, prendendo nota di tutto e di tutti, diceva tra me: - Così potrò avvisarli. - Finalmente giunto al fine del corridoio, sento là in un angolo un gran rumore, quindi intonare forte il Miserere. Mi voltai al mio compagno domandandogli chi era morto, ed egli:
- È morto colui che hai osservato tutto coperto di macchie! [70]
Ma come? se ieri sera era ancor vivo; l'ho veduto passeggiare; e adesso è morto?!...
Egli prese un almanacco, lo aperse e poi disse: - Guarda qui la data. - Guardai e vidi scritto il di 5 dicembre 1873. - Insomma questo giovane deve morire prima dell'anno nuovo. - Dètto questo, egli si voltò da una parte, ed io mi voltai dall'altra, e rimasi svegliato nel mio letto.
È vero che questo è un sogno, ma già altre volte furono fatali questi sogni; quindi noi non badando nè a sogni, nè ad altro, badiamo alla sentenza del Divin Salvatore, il quale ci dice di star preparati.
Com'ebbe terminato di parlare, tutti, giovani, chierici e preti, gli si affollarono attorno, desiderosi di sapere che cosa avesse veduto sulla loro fronte; e un gran numero, tra cui anche dei chierici, non fu possibile mandarli a dormire prima d'avergli parlato confidenzialmente.
“Accompagnandolo in camera - annotava Don Berto, - dìssemi che la lucerna che aveva nel visitare i giovani era la sua che tiene in camera. Ed arrivato nella sua camera, passeggiando insieme dissemi:
- Quanto mai poco ci vuole per mettere in movimento i giovani; son sicuro che una predica non farebbe tanto. Bisogna che ne racconti di queste cose.
Ed io gli aggiunsi: - Oh si! farebbe gran bene. Domani vedrà che numerosa schiera avrà da confessare!
Ne sentii uno che disse così: - Questa sera non voglio domandargli [che cosa ha veduto sulla mia fronte] perchè domani non oserei più andarmi a confessare... - Difatti all'indomani lo vidi confessarsi.
Don Bosco riprese in seguito, parlando di quei della faccia assai sporca: - Ce ne venne già uno di questa sera... Egli mi domandò che gli dicessi [ciò che aveva veduto], ed io gli dissi due o tre cose; quindi m'interruppe dicendomi: - Basta, basta, ne sa troppe! - e al dimani lo vidi confessarsi”.
Il giovane che aveva tutta la faccia coperta di macchie nere il 4 dicembre giocava ancora in cortile, e verso le 5 pomeridiane fu colto dal grippe. Venne condotto in infermeria; nella notte si confessò e ricevette l'Olio Santo; e al mattino era alla fine. Vennero i parenti, e lo condussero in [71] carrozza all'Ospedale di S. Giovanni, e di quel giorno - precisamente il 5 dicembre - alle 11 pomeridiane passava all'eternità.
Don Bosco, nel frattempo, si trovava a Lanzo, e tornava all'Oratorio il 6, quando la zia del defunto, piangendo, recava la dolorosa notizia, che si diffuse in un baleno destando costernazione universale.
- Come? dicevano tutti gli alunni, è già morto?!.... E l'altro ieri andò ancora a passeggio!...
E Don Bosco, la sera dopo, dando la buona notte, li consolava dicendo che il morto, prima che si ammalasse, aveva già fatto la confessione generale.
Don Berto, che nei suoi quaderni prese nota anche dei nomi di chi interrogò Don Bosco subito dopo la buona notte e dopo poche parole l'interruppe, dell'altro che di quella sera non volle avvicinarlo e si confessò la mattina dopo, e del defunto, faceva questa deposizione nel Processo Informativo:
“La sera del 7 dicembre 1873, accompagnando il Servo di Dio a riposo, giunto in sua camera lo pregai a dirmi confidenzialmente come facesse a conoscere l'interno dei giovani, specialmente i loro peccati. Ed egli, colla solita sua bontà, dicevami: - Vedi, quasi tutte le notti io sogno, che vengono dei giovani a confessarsi, chiedono di fare la confessione generale e mi scoprono ogni loro pasticcio; quindi venendo poi veramente, al mattino, a confessarsi da me, si può dire che io non ho più da far altro che palesare loro tutti gli imbrogli che hanno sulla coscienza...
- Le scriva queste cose così utili, soggiungeva io.
- Oh questo non mai! Tali cose possono e debbono servire soltanto ad uno che trovasi nell'esercizio dei sacro ministero”..., e quando quest'uno è favorito da Dio di cotesti doni singolari!...
Anche nella visita che fece di quel mese a Lanzo Don Bosco narrò un sogno quasi uguale a quello che aveva narrato nell'Oratorio, una visita ai dormitori, il canto del Miserere e una morte imminente!
Un giovane emiliano, Giulio Cavazzoli di Fabbrico, diocesi [72] di Guastalla, raccomandato dal Prevosto di Campagnola, entrato nell'Oratorio nel 187o e poco dopo passato a Lanzo, nel 1871 tornava all'Oratorio, dove verso la fine del 1873 cadde malato e venne rimandato a Lanzo nella speranza che quell'aria avrebbe giovato a rimetterlo in salute. Ed era là, quando Don Bosco vi si recò e raccontò il sogno accennato, che rimase impresso nella mente degli alunni. Carlo Maria Baratta, entrato da pochi giorni in quel collegio, dopo molti anni ne ricordava i particolari al direttore Don Lemoyne, che prima non ne aveva preso nessun appunto, e li estendeva così:
Parve a Don Bosco che un giovane misterioso lo conducesse in una camerata del collegio. Tutti i giovani dormivano nei loro letti. La guida con una candela in mano proiettando la luce sul viso dei dormienti ne faceva conoscere le fisionomie a Don Bosco. I primi avevano la fronte candida, ad altri una riga nera solcava la fronte, ad altri due righe nere (peccati veniali); altri avevano la faccia oscura come nebbia o tenebre, altri il viso nero (peccati mortali). Don Bosco trasse fuori una carta e colla matita ne segnava i nomi e lo stato in cui si trovavano. Era giunto in fondo alla camerata, quando, all'altra estremità, ove erano quelli della faccia candida, udì all'improvviso cantarsi il Miserere.
- Che cosa è questo canto funebre? egli chiese al giovane misterioso che l'accompagnava. Ed ebbe per risposta: morto il tale dei tali, il giorno tale!
- Ma come, se poco fa il tale era vivo?
- Innanzi a Dio il futuro è come il presente.
Don Bosco concluse che ciò sarebbe avvenuto da lì a un mese, ma non pronunciò alcun nome. Nello stesso tempo ricordò a tutti di star preparati.
I giovani affermavano che Don Bosco aveva detto il nome al direttore.
Passarono quindici giorni e Cavazzoli cadeva ammalato e moriva...
Anche Don Giovanni Gresino, entrato nel collegio nel 1872, ci esponeva nettamente il fatto, affermando che Don Bosco aveva detto al direttore il nome del morituro.
E questi, giovane diciottenne (era nato nel gennaio 1855) quindici giorni dopo era alla fine. Venne “munito - come si legge nei registri parrocchiali - di Penitenza, Viatico, e Benedizione [73] Papale”, ma gli dispiaceva morire. Il direttore gli fece osservare che era una fortuna morir ben preparato, perchè chi poteva sapere se più tardi si sarebbe trovato così ben disposto?
- Ebbene, rispose il morente, se è così, voglio morire... ma come si fa a morire?...
Gli vennero suggerite le giaculatorie per ottener la buona morte, e le ripetè affettuosamente:
- Ah! caro ... Gesù, ... Giuseppe e Maria ... vi dono il cuore e l'anima mia! ... Gesù, Giuseppe e Maria, ... assistetemi nell'ultima agonia ... (aveva già il rantolo!) Gesù, ... Giuseppe... e Maria, ... spiri ... in pace... con Voi... l'anima... mia...
E spirava serenamente, il 21 dicembre, alle 10, 30.
A Lanzo - ricordava Don Gresino - Don Bosco disse che quel sogno l'aveva fatto la notte precedente, nè ciò deve far meraviglia, se egli stesso diceva che quasi tutte le notti sognava i suoi figli, ascoltandoli in confessione. Nella sua immensa carità paterna ben meritava che il Signore gli svelasse anche le morti imminenti per preparar i morituri al gran passo!...
II) La Potenza di Dio. “Invochiamo la misericordia di Dio”.
Il 29 novembre 1873, tornato dalla visita alle case di Sampierdarena, Varazze ed Alassio, dopo le preghiere della sera, Don Bosco narrava un altro sogno, di cui Don Berto scrisse brevi appunti e fece anche questa dettagliata esposizione:
Nei passati giorni, o miei cari giovani, in cui mi trovavo fuori di casa, ho fatto un sogno molto spaventoso. Una sera andai a letto, pensando alla natura di colui, che nel sogno narratovi alcune sere addietro, mi aveva accompagnato, colla lucerna in mano, a visitare i dormitorii, facendomi osservare sulla fronte dei giovani le nere macchie, di cui era imbrattata la loro coscienza, se cioè quell’individuo fosse un uomo come noi, ovvero uno spirito in forma umana. Con questo pensiero per la mente presi sonno.
Quand'ecco parmi d'essere trasportato all'Oratorio, ma, con mia sorpresa, vidi che non si trovava più in questo sito. Esso era posto [74] all'apertura di una grande e lunga valle, fiancheggiata da due monticelli in forma di due vaghe colline.
Io mi trovava in mezzo ai giovani quivi raccolti, ma nessuno di loro parlava. Erano tutti sopra pensiero. Quando ad un tratto vedo spuntare in cielo un sole così luminoso e brillante, che colla sua vividissima luce offuscava talmente la vista d'ognuno, che, per non rimanere accecati, eravamo costretti di tener abbassato a terra lo sguardo e il capo. Rimanemmo così colla faccia rivolta al suolo per qualche tempo, finchè la luce di questo sole, cotanto risplendente, cominciò a diminuire a poco a poco, fino ad estinguersi quasi del tutto, lasciandoci avvolti in una profonda oscurità, cosicchè i giovani, anche più vicini, potevano a stento vedersi e riconoscersi l'un l'altro.
Questo repentino passaggio da vivissima luce alle folte tenebre ci riempì tutti di grande terrore. Ma mentre io stava pensando circa il modo di toglierei da quella tetra oscurità, vedo comparire verso un angolo della valle una luce verdognola, che estendendosi a guisa di lunga striscia veniva a posarsi sopra la stessa valle, e, descrivendo un bellissimo arco, toccava leggermente colle due estremità le cime dei due monticelli. Allora in mezzo a tanta oscurità apparve un po' più di luce, anzi il detto arcobaleno, che era simile ai naturali, che compaiono dopo la pioggia, od un furioso temporale, ovvero come suole avvenire in tempo dell'aurora boreale, lasciava cader giù nella valle torrenti di luce d'ogni più leggiadro colore.
Mentre eravamo lì tutti intenti ad ammirare e godere di questo grazioso spettacolo, scorgo giù in fondo alla valle un nuovo portento, che fece scomparire il primo. Era un globo elettrico di straordinaria grandezza, sospeso in aria tra cielo e terra, il quale mandava da ogni parte sprazzi dì luce così vivi, che nessuno vi poteva tener fisso sopra lo sguardo, senza pericolo di cader tramortito al suolo. Questo globo veniva giù verso di noi, e rendeva la valletta assai più splendente di quello che non avrebbero fatto dieci dei nostri soli in pien meriggio. E, man mano che s'avvicinava, vedevansi qua e là i giovani cader bocconi a terra, abbarbagliati dal fulgore di quel globo non altrimenti che fossero stati colpiti dal fulmine.
A questa vista rimasi anch'io in sulle prime assai atterrito e incerto sul da farsi; ma di poi, ripreso animo, feci un grande sforzo, e mi posi a guardare fisso ed impavido quel globo, accompagnandolo collo sguardo in ogni sua mossa, fino a che, giunto sopra di noi, fermossi all'altezza di circa 300 metri da terra.
Allora dissi tra me: - Voglio un po' vedere che cosa sia questo meraviglioso ed inaudito fenomeno!
L'esaminai pertanto attentamente in ogni sua parte, e potei scorgervi, sebbene fosse così alto, che nella sommità terminava in forma di grossa palla, su cui stavano incise a grandi caratteri queste [75] parole: Colui che tutto può. Tutt'intorno era sormontato da vari ordini di balconi ripieni di un'immensa moltitudine di persone, d'ogni età e d'ogni sesso, ma tutte, gloriose e giubilanti, e adorne di vesti risplendenti per un'infinità di colori diversi e d'indescrivibile bellezza, che col loro sorriso ed atteggiamento amichevole parevano invitarci a prender parte al loro gaudio e trionfo.
Dal centro di quel celeste globo partiva una fitta pioggia di sprazzi e saette di luce così vivida, che venendo direttamente a colpire i giovani negli occhi, questi restavano sbalorditi, barcollavano per un momento, e quindi non potendo più reggersi in piedi, erano costretti a gettarsi colla faccia a terra. Io poi, non potendo più sostenere tanto splendore, mi posi ad esclamare: - Oh Signore, deh! vi prego, o fate cessare questo divino spettacolo, o fatemi morire, imperocchè io non posso resistere a così straordinaria bellezza! - Ciò - detto, sentendomi venir meno le forze, mi gettai anch'io per terra gridando:
- Invochiamo la misericordia di Dio!
Dopo qualche istante riavutomi, mi rialzai da terra, e feci un giro attorno, per la valle, onde vedere che ne fosse de' nostri giovani; e, con mia grande sorpresa e meraviglia, osservai che erano tutti prostrati e distesi al suolo, immobili, ed in atteggiamento di chi prega. Cominciai perciò, a fine d'assicurarmi se fossero vivi o morti, a toccar or l'uno or l'altro col piede, dicendogli: - Ehi! che cosa fai qui? sei vivo o morto? - Ed egli: - Invoco la misericordia di Dio! - e la stessa risposta mi davano tutti gli altri giacenti al suolo.
Ma, arrivato ad un certo punto della valle, ne vidi con dolore parecchi, che stavano ritti in piedi, in atto protervo, colla testa alta e volta al pallone, quasi volessero sfidare la maestà di Dio, e colla faccia divenuta nera come carbone. M'avvicinai loro, li chiamai per nome, ma essi non davano più alcun segno di vita. Erano rimasti freddi come ghiaccio, e fulminati dai raggi e dalle saette del pallone per la loro ostinazione in non volersi piegare ad invocare coi loro compagni la misericordia di Dio. Quello poi che mi recò anche maggior fastidio, fu, come dissi, il vedere che questi disgraziati non erano pochi.
Ma ecco, che in questo mentre vedo sbucar fuori dal fondo della valle un mostro, di straordinaria grossezza e d'indicibile deformità. Era più brutto e deforme di qualsiasi mostro terreno, che io abbia mai veduto. Esso veniva giù, a grandi passi, verso di noi. Allora feci alzare tutti i giovani in piedi, che, a quell'orrida vista, furono anch'essi sorpresi da grandissima paura. Io allora tutto affannato e ansante mi diedi attorno per vedere, se mai vi fosse colà qualche superiore, perchè m'aiutasse a far tosto salire i giovani sul monticello più vicino, per difenderci dalle zanne di quella feroce belva, qualora avesse tentato assalirci; ma non ne trovai alcuno.
Intanto il mostro s'appressava sempre più, e già era lì a poca [76] distanza da noi, quando quel globo luminoso, che fin allora era rimasto immobile in alto sopra il nostro capo, si mosse celermente, e, andando incontro al detto mostro, venne a porsi precisamente tra noi e il medesimo, quindi abbassossi quasi fino a terra per impedirgli di nuocerci. In quell'istante udissi per la valle a rimbombare, come uno scroscio di tuono, questa voce: - Nulla est conventio Christi cum Belial! - Niun accordo è possibile tra Cristo e Belial! tra i figli della luce e i figli delle tenebre... cioè tra i buoni ed i malvagi, che nella S. Scrittura sono appunto chiamati figli di Belial.
A quelle parole mi svegliai tutto tremante per lo sgomento provato, e quasi intirizzito dal freddo; e, sebbene fosse soltanto la mezzanotte, tuttavia non potei più riprender sonno, nè scaldarmi pel rimanente della medesima. Ma se da una parte provai molta consolazione nell'aver osservato la quasi totalità dei nostri giovani ad invocare con umiltà di cuore la misericordia di Dio, e corrispondere fedelmente ai divini favori, dall'altra debbo pur dirvi che mi cagionò non poco dolore il vedere il numero non tanto esiguo di quegli ingrati, che, per la loro caparbietà e durezza di cuore, resistendo a tutti gli inviti della grazia, erano stati colpiti dalla divina potenza e rimasti privi di vita.
Alcuni li ho fatti già chiamare ieri sera, ed altri quest'oggi, affinchè si mettano tosto in pace col Signore, cessino dì abusare più oltre della Divina Misericordia, e di essere pietra di scandalo ai loro compagni, imperocchè nessuna alleanza vi può esser tra i figli di Dio e i seguaci del demonio: Nulla est conventio Christi cum Belial. Questo è l'ultimo avviso che loro vien dato.
Come vedete, o cari giovani, quanto vi ho raccomandato non è che un sogno come tutti gli altri, tuttavia dobbiamo ringraziare il Signore, il quale si serve di questo mezzo per farci conoscere lo stato dell'anima nostra e quanto egli sia generoso dei suoi lumi e delle sue grazie verso coloro che invocano con umiltà di niente il suo aiuto e la sua assistenza nei bisogni dell'anima e del corpo, quia Deus superbis resistit, humilibus autem dat gratiam.
Don Bosco, scrive Don Berto, non diede altre spiegazioni dei particolari del sogno; ma è facile comprendere ciò che questo insegna.
Iddio, finchè siamo in hac lacrymarum valle, come al giorno alterna la notte, anche nella vita spirituale permette dei passaggi dalla luce alle tenebre; e chi sopporta con fede ed umiltà anche questi tempi oscuri e d'apparente abbandono, vede assai presto tornar più viva la luce e brillare uno splendido arcobaleno sull'orizzonte. E proseguendo a tener [77] fedelmente, nell'umiltà più profonda, il pensiero rivolto a Dio, arriva a comprendere sempre più nettamente la propria nullità, e la sublime maestà di Dio e la bellezza ineffabile del premio che ci tien preparato, e sente sempre il bisogno di stare ognor prostrato innanzi a Lui ad implorare la sua infinita misericordia.
Invece, chi pieno di sè, trascura la vita interiore, non pensando che alla vita terrena, nè d'altro preoccupandosi, muore presto alla grazia, e cade e ricade tra le zanne del mostro infernale, che è sempre in giro, come leone ruggente, per rapire le anime a Dio.
Mentre anche nelle prove più gravi chi vive unito abitualmente con Dio, resta nella sua grazia, perchè Dio lo difende a spada tratta, e gode del suo aiuto quaggiù, e si assicura il gran premio del paradiso.
L'umiltà, quindi, è la strada del paradiso. Dov'è umiltà, dice S. Agostino, ivi è grandezza, perchè l'umile è unito con Dio. E l'umiltà non consiste nell'apparir meschini nel vestire, nel fare, nel parlare; ma nello star prostrati, con tutta la mente, con tutto il cuore, con tutta l'anima, alla presenza di Dio, consci della nostra nullità, implorando di continuo la sua misericordia.
E Don Bosco, mentre combatteva a spada tratta ogni errore ed ogni peccato, aveva un concetto così alto della misericordia di Dio che fu udito esclamare di sperar che anche Voltaire abbia potuto nell'ultimo istante ottener perdono!... Tanto gli si mostrava orribile lo stato di chi muore in disgrazia di Dio!...
12) “Uno di noi... non farà più l'esercizio della Buona Morte”.
Il racconto è di Don Berto, e lo riferiamo tale quale si legge nel Processo Informativo.
Martedì, 17 novembre 1874, dopo le orazioni, il Servo di Dio venne ad annunciarci che all'indomani ci sarebbero state le confessioni per l'esercizio della Buona Morte da farsi nel giovedì prossimo dagli studenti. Ci esortò secondo il solito a farlo bene, dicendo: [78]
- Io non sono, nè voglio essere profeta, ma potrei dirvi che uno di noi, qui presente, non dico chi sia, non farà più un'altra volta questo pio esercizio.
Disceso dalla cattedra, come le altre volte che faceva simili predizioni, venne subito circondato dai giovani, essendo ognuno ansioso di sapere privatamente, dal Servo di Dio se toccava a lui questa volta la sorte di morire.
Bastarono queste poche parole, perchè all'indomani, mattino e sera, e giovedì mattina, il suo confessionale venisse circondato da una turba di giovinetti, tutti smaniosi di fare da lui la confessione generale, come seppi dagli stessi ragazzi.
Siccome io allora era quasi sempre presente a queste scene di pietà, così posso affermare che tali predizioni facevano più del bene ai nostri giovinetti, che non dieci mute di esercizi spirituali. E questo era anche l'unico scopo per cui il Servo di Dio s'induceva a fare tali predizioni, in pubblico specialmente. Raccomandavaci però sempre di non scriverle altrove, ma che rimanessero tra noi in confidenza.
Per poi assicurarmi maggiormente che dette predizioni del Servo di Dio non erano soltanto un suo pio ritrovato per far del belle ai giovanetti, la sera del giovedì 19 novembre 1874, trattenendomi con lui in sua camera, gli domandai in confidenza come facesse a prenunziare con tanta franchezza la morte di tanti giovanetti, mentre erano ancora sani e robusti e specialmente dell'ultimo annunziatoci due giorni prima, il quale non avrebbe più fatto certamente l'esercizio della Buona Morte. Ed egli con qualche ripugnanza rispondevami:
“Mi parve di vedere tutti i nostri giovani a fare una passeggiata verso un prato. Quivi osservai che ciascuno di loro camminava in un sentiero tracciato per lui solo, e per quello non poteva passare alcun altro. Questo sentiero davanti a qualcuno era assai lungo, e sul margine, di tratto in tratto, vi si leggeva il numero progressivo dell'anno della nostra Redenzione. Quello di altri era meno lungo; ed altri l'avevano anche più corto. Quello di alcuni andava avanti soltanto per breve tratto e poi troncava lì. Quindi il giovane che vi camminava dentro, giunto a quel punto cadeva morto a terra.
Ne vidi poi quelli che l'avevano tutto seminato di lacci e assai più corto.
Finalmente ho scorto uno che innanzi a sè non aveva più alcuna traccia di sentiero, finiva proprio sotto a' suoi piedi e vi si distingueva ancora, a mala pena, il numero 1875. Questo è quello che non farà più un'altra volta l'esercizio della Buona Morte, imperocchè morirà nel 1874 e forse vedrà appena il 1875, ma non potrà più fare un'altra volta il detto esercizio”.
Non occorre il dire che, per quanto mi ricordo, la predizione si [79] è avverata pienamente. Anzi debbo aggiungere che noi eravamo già assuefatti a vedere avverarsi tali predizioni, che ci avrebbe recato stupore, come di eccezione alla regola, il vederne alcuna non avverata secondo il solito.
Di questo sogno non abbiamo altri particolari.
Circa l'avverarsi delle singole predizioni di Don Bosco, a tempo e luogo, Don Lemoyne stendeva questi appunti:
Nel 1872, o 1873, o '74, annunziava che prima del finir dell'anno sarebbe morto un giovane. L'anno fini e nessuno era passato all'eternità. Vi era però un giovane infermo gravemente, il quale non voleva saperne di ricevere i SS. Sacramenti. Tutti s'erano adoperati intorno a lui per questo, ma invano. Si era fatto pregare al fine della sua conversione in tutti gli istituti di Torino. Finalmente (nel mese di gennaio ... ) egli moriva dopo essersi confessato da Don Bosco e aver ricevuto i Sacramenti.
I giovani gli fecero notare come la sua predizione non si fosse avverata. Essi non avevano piena cognizione di quanto era accaduto. Don Bosco rispose loro: - E voi volevate che io lo lasciassi morire senza che ricevesse i Sacramenti? Doveva permettere tale scandalo in questa casa?
(Ci fu dunque predizione - grazia di morte ritardata - e conversione. Era un giovane sui 24 anni, mandato, pare, dalla massoneria per i suoi fini in mezzo ai giovani dell'Oratorio).
Così narra Don Evasio Rabagliati, testimonio de visu.
Dalla lettura di queste poche narrazioni si comprende tutta l'importanza che dobbiam dare ai “sogni” di Don Bosco; e noi preghiamo il Signore che voglia, nella sua bontà, darci ancora un po' di tempo per poterne pubblicare tutta la raccolta, la quale, mentre formerà un documento caratteristico della santità del nostro amatissimo Padre, sarà anche una sorgente perenne di fatti e consigli e pensieri didattici, non solo per i salesiani, ma per tutti i sacerdoti.
Appena s'iniziarono gli scavi per le fondamenta del Santuario di Maria Ausiliatrice, - cominciò subito una gara sorprendente: da parte di Don Bosco col diffondere scritti, immagini e medaglie per animar tutti alla più illimitata fiducia nella potenza e nella bontà della Madonna, e da parte della [80] Madonna col concedere ogni sorta di grazie al suo fedelissimo Servo, umile sempre in tanta gloria!
“Quando qualcuno - osservava Don Rua nel Processo Apostolico - si meravigliava delle sue grandi imprese, non lo lasciava parlare, ma interrompendolo diceva: - A Dio, ed a Maria Santissima Ausiliatrice, si deve tutta la gloria e la buona riuscita! - Se qualcuno veniva a dirgli che dietro la sua benedizione o le sue preghiere aveva ottenuto qualche grazia singolare, era solito ripetere che ne ringraziassero il Signore, o la Beata Vergine, o qualche Santo a cui si era raccomandato. A sua confusione raccontava invece qualche aneddoto in cui appariva che non si erano ottenute le grazie che per mezzo di lui si erano chieste. Specialmente si compiaceva di raccontare come parecchi della Volvera [un paese vicino a Torino, tra Piossasco e None] si erano a lui raccomandati per ottenere diversi favori di guarigioni, di buone campagne, di aggiustamento di affari, . ecc. e che dopo qualche tempo vennero a trovarlo e gli dicevano, l'uno: - Quella persona ammalata che le ho raccomandato, è poi morta! - l'altro: - Non posso fare grande offerta, perchè la grandine non mi ha risparmiato! - l'altro: - Quella lite che le avevo raccomandato è ancora pendente! - facendo così comprendere con questi racconti che non si doveva confidare in lui, bensì nella bontà materna di Maria Ausiliatrice, e nella intercessione dei Santi.
Talora parlava di grazie anche straordinarie ottenute da chi aveva fatto ricorso a lui in persona, o per lettera; ma ciò faceva per dar sempre maggior gloria a Dio od a Maria Ausiliatrice, e infondere nei devoti ognora maggior fiducia nella preghiera, esortando ad aver viva fede, a cui attribuiva molte volte le grazie ottenute, dicendo che la fede dei divoti era quella che strappava le grazie”.
Ad onore di Maria Ausiliatrice pubblicò vari fascicoli nelle Letture Cattoliche, tra cui quello che uscì nel mese di maggio 1875, intitolato: Maria Ausiliatrice col racconto di alcune grazie ottenute nel primo settennio della chiesa a Lei dedicata in Torino: un fascicolo di 320 pagine, dove, premessi alcuni cenni storici sulla divozione a Maria Ausiliatrice e [81] sulla costruzione del Santuario, passava ad esporre centodieci relazioni di grazie ricevute ad intercessione di Lei, delle quali una ventina si riferiscono agli anni di cui ci stiamo occupando, e non mancheremo di riportarne qualcuna in ordine cronologico. Qui, intanto, dobbiamo rilevare come in nessuna v'è un accenno diretto alla sua persona, ed in alcune si trova semplicemente il generico rilievo di un sacerdote che imparte la benedizione, o del direttore dell'Oratorio. Di parecchie ci restano anche le relazioni originali, corrette dal Santo, sempre con Io stesso programma.
“Se grande è la bontà divina - scriveva di sua mano in capo ad una di esse, - quando concede qualche segnalato favore agli uomini, deve essere grande altresì la gratitudine di essi nel riconoscerlo, manifestarlo ed anche pubblicarlo, ove possa tornare a sua maggior gloria. In questi tempi è forza di proclamarlo, Dio vuole con molti eccelsi lavori glorificare l’Augusta sua Genitrice, invocata col titolo di Ausiliatrice”.
“Niuno - insisteva - deve dispensarsi dai doveri di gratitudine verso la sua celeste Benefattrice. Questi doveri si possono compiere in due modi: col raccontare ad altri la grazia ottenuta, o promuovere con altro mezzo la divozione verso di questa nostra Madre. Ciò servirà ad altri di eccitamento a fare ricorso a Maria nelle loro necessità, mentre apriranno per loro stessi la strada a conseguire nuovi lavori, grazie ancora più segnalate”.
E caldamente raccomandava di compiere le promesse fatte. “Le preghiere, le mortificazioni, le confessioni e le comunioni, le opere di carità promesse sieno puntualmente compiute: Displicet, dice lo Spirito Santo, Displicet enim Deo infidelis et stulta promissio; a Dio dispiace la stolta ed infedele promessa. Si è più volte verificato che la mancanza di fedeltà alle latte promesse tornò d'impedimento a conseguire la grazia sospirata, e talvolta fu rivocato il favore già ottenuto....”.
Come abbiam detto, una ventina delle centodieci relazioni inserite nel fascicolo si riferiscono a questo quadriennio, ed anche da esse affiora nettamente, insieme coll'ardente desiderio di propalare a tutta la terra la potenza e la bontà di Maria Ausiliatrice, la cura abituale di tener sè nascosto nel miglior modo possibile. [82] Ecco come narra la guarigione prodigiosa di una madre di famiglia:
Teresa Daniele vedova fu Giovanni di Castel - Rosso cadde ammalata di prostrazione, stentato respiro, convulsioni, acuti mali intestini, da cui fu ridotta all'estremo di vita.
Dopo essere vissuta sei mesi a chiari pan triti, ricevette tutti i conforti della religione, e si trovava all'ultimo respiro, quando fu inspirata di raccomandarsi a Maria Ausiliatrice, e a tale effetto mandò sua figlia Angela alla chiesa dedicata all'augusta Regina del cielo con questo titolo. Fece celebrar una messa, pregò, chiese il soccorso delle preghiere che ogni giorno si fanno all'altare di Lei, e, implorando la benedizione particolare per sua madre, piena di fiducia partì.
La meraviglia fu grande allorachè la figlia giungendo a casa trovò la genitrice fuori di pericolo e con tale miglioramento da potersi dire prodigiosamente portata dal punto di morte alla convalescenza. - Entro brevissimo tempo riacquistò le primitive forze e potè ripigliare le ordinarie occupazioni. - Si noti che l'ammalata trovasi nella rispettabile età di anni 62.
Tale è l'esposizione della madre e della figlia, che ambedue per gratitudine alla loro celeste Benefattrice vennero oggi a soddisfare la loro divozione, dando facoltà di pubblicare ogni cosa nel modo che potrà tornare a maggior gloria di Dio e di sua Madre SS. - Torino, 12 luglio 1874. - Daniele Teresa, Daniele Angela.
Il sottoscritto dichiara di avere semplicemente scritto quanto hanno dettato la madre e figlia Daniele, le quali si firmarono ambedue assicurando di aver semplicemente esposto la verità. - Sac. Gio. Bosco[17].
Nel 1871 il giorno della festa di Maria Ausiliatrice, tra quelli che si recavano a ringraziare la Madonna vi fu una signora, che, l'anno prima, aveva ottenuto questa grazia singolare:
Guarigione portentosa di un giovinetto. - Il giovanetto Gius. Moreno di Enrico e di Ida nata Andreis di Torino era per disgrazia caduto dal 3° al 2° piano rompendosi il femore superiore. La cura riuscì a male e la gamba rimase tre centimetri più corta dell'altra, quindi storpio col piede contorto. I parenti lo raccomandarono a Maria Ausiliatrice, promettendo preghiere ed offerte qualora avessesi ottenuta la grazia. I medici non sapevano più che fare; un dottor ortopedico proponeva macchine violente per tentare la guarigione. Ma la madre si rifiutò dicendo: Ciò che non possono gli uomini, lo farà Maria. Difatto il 26 maggio 1870, due giorni dopo che l'avevano [83] raccomandato caldamente nella chiesa di Maria Ausiliatrice, dove appunto se ne celebrava la solennità, il ragazzo cadde da una sedia e si spostò il femore rotto nel posto dove circa tre mesi prima erasi separato. In modo straordinario le ossa poterono riunirsi, guarì il femore e la gamba, ma la meraviglia fu che la gamba ritornò della sua primitiva lunghezza per modo, che attualmente non dà più indizio della sventura toccatagli. Sano, ritto, disposto d'ogni parte del suo corpo cammina, speditamente. Oggi ringrazia Iddio nel tempio a IM dedicato. Il figlio colla madre riconoscenti. - Torino, 24 Maggio 1871 - - Ida Moreno Andreis.[18].
La signora Ida Moreno Andreis era parente del Servo di Dio Don Leonardo Murialdo, che nel Processo Informativo depose il fatto prodigioso in questa forma.
È cosa nota in Torino che molte persone ricorsero e ricorrono al Servo di Dio per grazie straordinarie e che vennero esaudite. Tra queste posso citare il fatto della guarigione avvenuta in modo portentoso di un mio piccolo pronipote.
Questo bambino per una caduta dal terzo al secondo piano, erasi fratturata una gamba. Fattasi l'operazione per rimetterla al luogo, si scoprì più tardi che, non essendo stata bene rimessa al luogo, la gamba ferita erasi accorciata di cinque centimetri. I medici unanimemente dicevano, che per la guarigione sarebbe stato necessario ricorrere ad operazioni troppo dolorose, e che anzi per guarirla sarebbe stato indispensabile rompere nuovamente la gamba allo stesso posto, cosa che per altra parte sarebbe stata difficilissima ad eseguirsi. Allora la madre recò il bambino alla chiesa di Maria Ausiliatrice e, nella sacrestia della chiesa, chiese ed ottenne che Don Bosco lo benedicesse ed intanto la madre in un con la nonna, che l'avevano accompagnato, fecero promessa di un'offerta a Maria Ausiliatrice, se veniva la guarigione. Nella stessa sera, essendo a pranzo, il bambino cadde dalla sua piccola seggiola a terra, gettando un grido. Si chiama tosto il medico Dottor Gamba, credo, e questi, visitatolo, esclamò: - Miracolo! - essendo stata cosa veramente straordinaria e non naturale che la gamba si fosse rotta di nuovo alla giuntura precisa della prima rottura, cosa anzi che due dottori avevano asserito essere come impossibile. Allora gli rimisero a posto la gamba e guarì perfettamente, sicchè a suo tempo potè essere arruolato nei bersaglieri dell'esercito. La madre e la nonna adempirono la loro promessa. La madre, poi, dopo questa grazia ottenuta, pose una singolare fiducia nelle preghiere di Don Bosco, e specialmente dopo la sua morte affidò i suoi interessi così temporali come spirituali [84] nelle sue mani, attribuendo alla sua intercessione il felice esito de' suoi affari di famiglia, designando col nome di suo unico avvocato il Servo di Dio e consigliandolo ad altri. Anzi voleva far collocare in attestato di riconoscenza una lapide sulla strada pubblica nel muro di cinta del collegio di Valsalice, il che non venne concesso.
Che la seconda frattura sia avvenuta la stessa sera del 24 maggio o due giorni dopo, poco monta; l'importante è che avvenne dopo la benedizione impartita da Don Bosco, la quale - come a noi confermava, nel 1938, lo stesso graziato, prof. Giuseppe Moreno, egregio pittore - acquafortista - lasciò il più vivo ed entusiastico ricordo nella signora Ida Moreno Andreis per tutta la vita.
Un'altra guarigione portentosa! Un povero storpio, che da tempo non poteva più far un passo e da due mesi nemmeno servirsi delle mani, dopo la benedizione ricevuta da un “prete”, che aveva terminato di confessare, ... sull'istante guariva da ogni male e se ne andava speditamente!...
La mattina del 4 Giugno 1874, solennità dei Corpus Domini, all'aprirsi della chiesa di M. Ausiliatrice in questa città di Torino fu trovato un infelice sdraiato presso alla porta della medesima. Dimandato che desiderasse, rispose essere un poverello storpiato che veniva ad implorare la guarigione della santa Vergine Ausiliatrice e che a tale scopo chiedeva che gli fosse data la benedizione. Condotto o meglio trasportato in sacrestia ed essendo i sacerdoti tutti occupati nell'udire le confessioni ed in altri ministeri, aspettò con pazienza fino alle ore otto circa. Allora accorgendosi che un sacerdote era libero gli fe' cenno che gli si avvicinasse ed ebbe luogo questo discorso:
Forestiere: Io sono un infelice che domando pietà.
F. Dimando per carità che mi dia la benedizione di Maria Ausiliatrice, che sola può guarirmi i miei malanni.
F. Io sono tutto attratto nella persona. I reumatismi, una contrazione di nervi, un'affezione alla spina dorsale mi resero gobbo, storpio, da non potermi più servire di me stesso.
P. Come poteste venire fin qui?
F. Una persona caritatevole mi condusse questa notte sopra di una carrettella fino a questa chiesa, di poi col bastone e coll'aiuto di un amico ho potuto venire sino alla sacrestia.
P. E molto tempo che vi trovate in questo stato? [85]
F. Sì, è già molto tempo, ma da due mesi in qua, sono ridotto a non potermi nemmeno più servire delle mani.
F. I medici hanno fatto tutto quello che l'arte e la carità potè suggerire: ma ogni rimedio mi tornò inutile, ed ultimamente mi aggiunsero che non sanno più nè che fare nè che suggerire. I miei parenti, amici ed il mio parroco tutti mi dissero che per me non c'è più rimedio se non la benedizione di Maria A., da cui tanti riconoscono benefizi straordinarii.
Allora fu aiutato a porsi in ginocchioni, si pregò da lui, da alcuni astanti, se gli diede la benedizione, di poi il prete gli disse: - Se voi avete fede in Maria cominciate ad aprire la mano.
P. Sì che potete, cominciate ad allungare il pollice. - Si provò e ci riuscì. - Allungate il dito indice. - Io allungò, lo stesso fece del medio, dell'anulare, del mignolo e di tutta la mano. - Fate ora il segno della santa Croce. - Io fece con tutta speditezza. - Allora tutto commosso esclamò: - La Madonna mi ha fatta la grazia!
- Se la Madonna vi ha fatta la grazia, date gloria a Dio ed alzatevi in piedi. - Voleva egli ubbidire appoggiandosi sulle stampelle. - No, ripigliò il prete, voi dovete dare questo segno di fiducia in Maria ed alzatevi senza appoggiarvi o farvi reggere da alcuno.
Ubbidì prontamente. Cessano le storpiature della schiena, delle spalle, delle braccia e delle gambe, e si alza diritto sulla persona come se mai alcun male avesse sofferto: quindi si pose a camminare speditamente per la sacrestia.
- Amico, soggiunse il prete, giacchè la santa Vergine vi ha in modo così sensibile protetto, mostratele gratitudine usando immediatamente questo corpo a fare una genuflessione all'altare del SS. Sacramento senza appoggiarvi e reggendovi soltanto sulla vostra persona. Io fece con tutta disinvoltura.
- Mio Dio, esclamò il forestiere, che spettacolo, è tanto tempo che non mi fu più possibile di far quest'atto di religione, nè mi sarei immaginato di poterlo fare così presto! - Vergine Ausiliatrice, pregate per me.
- Caro amico, terminò il prete, in riconoscenza a Maria promettetele che per l'avvenire sarete un vero suo divoto, e vivrete da buon cristiano.
- Sì, sì: sarò un buon cristiano, e domenica, per prima cosa, andrò a fare la mia confessione e comunione.
Così dicendo, prese la stampella di cui poco prima si era servito, se la mise contro le spalle a foggia militare e come se avesse riportata una grande vittoria, e se ne partì senza nemmeno salutare alcuno degli astanti.
Ognuno si pensava che fosse per ritornare indietro, e così potergli [86] domandare il suo nome, ma non si vide più: forse ripasserà altro giorno almeno per ringraziare Colei, che dal cielo gli ottenne favore cotanto segnalato.
È questo uno dei molti favori che la santa Vergine ogni giorno concede a' suoi divoti, che la invocano col titolo di aiuto dei Cristiani: Auxilium Christianorum.
Tra gli altri erano presenti al fatto il sacerdote Gioachino Berto e il signor Musso Ermenegildo[19].
Un medico “incredulo e indifferente in fatto di religione”affetto da mal caduco, si presenta al “direttore dell'Oratorio di S. Francesco di Sales”, avendo sentito che guariva “da ogni genere di malattia”, e, invitato a recitare alcune preghiere, e a fare il segno della Santa Croce, che non faceva più da quarant'anni, e a confessarsi, fa il segno, prega, e si confessa, e subito si sente guarito, “nè mai più ebbe alcun assalto di epilessia”.
Un medico stimatissimo nell'arte sua, ma incredulo e indifferente in fatto di religione, si presenta un giorno dal direttore dell'Oratorio di S. Francesco di Sales e gli dice:
- Sento che lei guarisce da ogni genere di malattia.
- Eppure m'hanno assicurato, citandomi ancora il nome delle persone e il genere della malattia.
- L'hanno ingannata. Avviene bensì di frequente che si presentino da me persone per ottenere simili grazie per sè o per i loro conoscenti ad intercessione di Maria Ausiliatrice, facendo tridui o novene o preghiere con qualche promessa da compiersi per grazia ottenuta, ma in simili casi le guarigioni avvengono in grazia di Maria SS., non certo di me.
- Ebbene, guarisca anche me, ed io crederò a questi miracoli.
- E di qual malattia la S. V. è travagliata?
Il dottore prese qui a raccontare com'egli fosse affetto da mal caduco e che, massime da un anno a quella parte, erano così frequenti gli accessi, che più non si peritava ad uscire se non accompagnato. A nulla erano valse tutte le cure, ed egli, vedendosi deperire ogni giorno di più, era venuto da lui nella speranza di ottener esso pure, come tanti altri la guarigione.
- Ebbene, dissegli il direttore, faccia ella pure come gli altri, si metta qui in ginocchio, reciti con me alcune preghiere, si disponga [87] a rimondare la sua anima coi sacramenti della confessione e della comunione e vedrà che la Madonna la consolerà.
- Mi comandi altro, ma quel che mi dice nol posso fare.
- Perchè sarebbe da parte mia un'ipocrisia. Io non credo punto nè a Dio, nè a Madonna, nè a preghiere, nè a miracoli.
Il direttore ne rimase costernato, pure tanto disse che, aiutando la grazia di Dio, il dottore si pose in ginocchio e recitò alcune preghiere in unione col detto sacerdote. Fatto poi il segno della santa Croce, alzandosi disse:
Sono stupito di sapere ancor fare questo segno, sono quarant'anni che ho smesso l'uso di farlo!
Promise di più che si sarebbe disposto ad andarsi a confessare.
Mantenne infatti la parola. Appena confessato, si sentì come internamente guarito - nè mai più ebbe alcun assalto di epilessia - mentre a detta di quei di sua famiglia, quegli assalti erano in prima così frequenti e terribili da far temere sempre di un qualche accidente.
Qualche tempo dopo venne alla chiesa di Maria Ausiliatrice, si accostò ai SS. Sacramenti e dopo andò in sacrestia e disse a' parenti colà raccolti:
- Date gloria a Dio. La Vergine celeste mi ha ottenuto la sanità dell'anima e del corpo; e dall'incredulità mi condusse alla fede cristiana, in cui io aveva pressochè fatto naufragio[20].
Mentre Don Bosco usava ogni maniera per restar nascosto, la Vergine incoraggiava i devoti a ricorrete a lui. Risale precisamente a questi anni un sogno di Giuseppina Razzetti di Pino Torinese, che ne dava ragguaglio il 23 maggio 1877. Sulla fine di dicembre del 187o ella venne sorpresa da un violento mal di costa, che le cresceva ogni giorno più, e siccome il medico diceva che non v'era più rimedio, alla metà di gennaio del 1871 le vennero amministrati i Santi Sacramenti. Com'ebbe ricevuto anche la benedizione papale, s'addormentò placidamente, e nel sonno le parve di veder Don Bosco in atto di benedirla e raccomandarla alla bontà di Maria Ausiliatrice. Sull'istante, raggiante di gioia, si destò, e dopo otto giorni era fuori pericolo e si alzava guarita.
Un altro avvenimento significativo.
In una domenica dei maggio 1873, la signora Vaschetti Maria, non avendo potuto per i suoi incomodi portarsi in chiesa alle funzioni, [88] era rimasta sola in casa, pregando vicino al fuoco. Mentre se ne stava così seduta, una scintilla le volò sulle vesti, di cui ella non si accorse se non quando già erasi sviluppata la fiamma. Spaventata A quella vista, si mise a correre per le stanze, facendo così divampare sempre più la fiamma. Già questa la circondava tutto intorno ed essa si sentiva venir meno, quando drizzando gli occhi stralunati alla finestra, le si affacciò da quella la statua di Maria Ausiliatrice che torreggia sulla chiesa di Valdocco, vicino alla quale si trovava la sua abitazione. La povera signora in quel frangente, alzate le mani supplichevoli verso quella statua, così esclamò: “Ma vorrete voi permettere o Maria Ausiliatrice, che una vostra serva divota muoia in questa misera maniera”? (Era essa stata una delle pie benefattrici che avevano concorso alla edificazione di quella chiesa). Pronunciate appena quelle parole essa, quasi le si fosse versata sopra dell'acqua fresca, come diceva di poi, si trovò d'un tratto libera dalle fiamme e da ogni pericolo. Poco dopo giungeva il fratello, e vistala così abbattuta e domandatole il motivo, la pia signora gli raccontava di qual maniera per evidente miracolo di Maria Ausiliatrice si trovasse scampata da terribil morte. Venuta di poi a ringraziare nella chiesa la B. V. instava perchè si stampasse pur pubblicamente il fatto a sempre maggiore rendimento di grazie e ad esaltazione di Maria, onorata sotto il titolo di Aiuto dei Cristiani[21].
Ma specialmente coi prodigiosi effetti della benedizione che Don Bosco impartiva in nome [89] sagrestia attorniato dai molti divoti. A quanti gli domandavano preghiere, prometteva di pregare, e spesso non mancava di ripetere:
- Le grazie si ottengono non tanto dalle mie preghiere, ma dalle preghiere di quelli che le domandano e pregano con fede, e per le opere di carità che fanno a vantaggio dei poveri orfanelli!
Ma nulla poteva togliere dalla mente dei divoti che era lui, proprio lui, il favorito da Dio e dalla Madonna!
E a quanti volevano grazie dalla Madonna, imponeva sempre alcune condizioni.
La prima: che la grazia fosse loro di vantaggio anche spirituale.
Angela Piccardo fu Benedetto, residente a Mele, presso Voltri, gli chiedeva una visita per esser da lui benedetta ed egli le faceva pervenire questa risposta, scritta dietro un'immagine di Maria Ausiliatrice:
O Maria, fate voi medesima una visita speciale alla vostra figlia inferma ed ottenetele da Gesù, vostro figlio, tutta quella sanità che non è contraria al bene dell'anima sua.
Io co' miei orfanelli faremo preghiere per Lei.
Sul finir del 1874, un chierico ascritto alla Pia Società, colto da male agli occhi, “se non grave, fastidioso tanto, che non gli lasciava continuare gli studi”, non potendo reggere a legger dieci minuti senza soffrire, dopo aver pregato e continuando a pregare, scriveva a Don Bosco, che in vista delle tante guarigioni già ottenute dal Signore con una sua benedizione, aveva fiducia di presentarsi egli pure innanzi a lui “se non col corpo, almeno collo spirito” per ottenere una benedizione per ì suoi occhi. E Don Bosco gli faceva rispondere: “Dio vuole da lui: 1° Maggior fedeltà nel servirlo; 2° Distacco dalla terra; 3° Ubbidienza, Senza questo è inutile ogni benedizione”. Non sappiamo se quel poveretto guarì, ma usciva poco dopo dalla Società, forse senz'aver capito gli ammonimenti del Padre. [90] La seconda condizione: che si avesse piena fiducia nella potenza e nella bontà della Madonna, attribuendo a questa fede i soccorsi straordinari.
Un buon sacerdote gli raccomandava un altro sacerdote, ed egli, mentre prometteva preghiere, raccomandava anche di pregare: perchè “la fede è quella che fa tutto”.
Ben di cuore farò io, insieme coi giovani, speciali preghiere all'altare dì Maria Ausiliatrice pel Sacerdote suo raccomandato. Egli stesso faccia qualche preghiera alla SS. Vergine ed in onore del SS, Sacramento, ogni giorno fino ai Santi.
La fede è quella che fa tutto, se non è contrario alla maggior gloria di Dio, otterremo sicuramente la grazia.
Mi trovo in un mar di cose. Preghi per me; Dio ci benedica tutti e mi creda
La terza condizione, quando la riteneva possibile, era un'offerta per le Opere Salesiane, e, in certi casi, anche per altre opere pie ed istituti di beneficenza.
Su questo punto, dove altri si sarebbero mostrati timidi quasi temendo le critiche, era d'una franchezza meravigliosa; e tante, ma tante volte, proponeva l'offerta come condizione indispensabile, parlando in tono assoluto. Appariva nettamente quale rappresentante dell'Onnipotenza Divina, che, ai suoi cenni, avrebbe compiuti i favorì richiesti.
- Date quel che potete, diceva; fate quell'elemosina che vi permettono le vostre condizioni finanziarie; Dio vede la sincerità, l'amore, il sacrificio dei vostri cuori; ed otterrete quanto domandate.
Talora fissava egli stesso la somma:
- Voi dovete dare dieci, venti, trenta, quaranta mila lire!
Così diceva in casi disperati, nei quali, come si dice, bisognava proprio strappar la grazia; ad esempio, quando un ricco era già spedito dai medici, o in agoni, o passava gli ottant'anni! Era sua massima che Dio non si lascia vincere in generosità! [91] E mentre da alcuni esigeva una semplice promessa, da altri voleva che subito si facesse l'offerta:
- Dio non ha detto: Promittite et dabitur vobis, ma Date et dabitur vobis; quindi bisogna obbligare Iddio col far precedere l'opera buona. Dire a Dio: Se Voi fate, io farò, è una provocazione diffidente, e a Dio non vanno imposte condizioni. Chi si rimette pienamente a Dio, è impossibile che non venga esaudito!
Il signor Conte, padrone di una cascina a Sestri Ponente, si recò a chiedergli se avrebbe fatto fortuna coll'accettare, mediante lo sborso di 6o.ooo lire, la proposta di poter costrurre le nuove fornaci, brevettate Hofmann, con diritto di privativa per tutta la Liguria. Don Bosco pensò, pregò alquanto, poi gli rispose:
- Faccia pure il contratto, che le porterà fortuna, a condizione però che provveda tutta la calce necessaria per la costruzione di un nuovo edifizio che noi faremo a Sampierdarena!
Il Conte accettò; si era sulla fine del 1874, il 14 febbraio 1875 si poneva la prima pietra della nuova costruzione, ed egli inviava tutta la calce necessaria, e, col dovuto permesso, nei giorni festivi, una lunga serie di carri di sabbia - talora fino a venti - E quando fu preso da una specie di mania di persecuzione, Don Bosco gli scrisse assicurandolo, nel nome del Signore, che nulla gli sarebbe accaduto di sinistro in tutta la vita. Egli pose la lettera di Don Bosco nel portafogli, e la tenne sempre dalla parte del cuore, e divenne milionario. Il figlio, Teol. Luigi Carmelo Conte, avvocato della Sacra Romana Rota, narrava il fatto singolare, e lo confermava Don Albera, direttore a Sampierdarena.
Teresa Martinengo da Savona gli comunicava che un suo figliuolo, uscito di collegio nel 1874, dopo una ventina di giorni che era a casa, venne colpito da un dolore alla gamba, e che il male era divenuto così grave, che i migliori medici di Torino e di Genova non trovavano nessun rimedio efficace; per cui, mentre cominciava una novena a Maria Ausiliatrice, alla quale aveva ricorso altre volte, lo piegava d'unirsi alle sue preghiere, anche perchè la grazia avrebbe fatto del bene [92] spirituale ad un'altra persona della sua famiglia; e Don Bosco annotava in capo alla lettera il sunto della risposta: - Molte preghiere, molta fede, con qualche opera di carità.
Delle volte non prometteva la grazia, sapendo che non si sarebbe ottenuta; ma quando la prometteva, e il ricorrente non vi poneva ostacoli, o, avendoli posti, subito li rimoveva, la grazia era conseguita.
Altre volte, invece, che qualcuno se n'andava senza piegarsi alle sue condizioni, e poi, riconoscendo la convenienza, tornava a dichiarargli d'esser pronto a fare quanto gli aveva indicato, fu udito rispondere prontamente:
- Oggi io non posso più garantirvi la grazia, come poteva farlo ieri, perchè il momento è passato!...
Era Iddio che agiva così per mover quelli che potevano aiutarlo generosamente a non frapporre indugi!...
Altri particolari interessanti!
Col meraviglioso sviluppo che senz'esitazioni dava all'opera che il Signore gli aveva affidato, Don Bosco era sempre in gravi strettezze, e queste non le teneva nascoste, ma le faceva apertamente conoscere a tutti implorando soccorsi dalla privata e dalla pubblica carità, convinto di far del bene non solo a tanti poveri giovani, ma anche a molte ricche famiglie, spronandole a mettere in pratica ciò che dice il S. Vangelo:
- Quanto vi sopravanza, datelo in elemosina! - E Maria Ausiliatrice anche in questi casi l'aiutava in modo singolare.
“Tra la Madonna e Don Bosco - son parole di Don Lemoyne - doveva esservi un patto: e si può credere che spesse volte gli apparisse e che gli indicasse quello che doveva fare e come farlo.
Fra le altre cose notiamo qui come spesse volte trovandosi in gravissime strettezze, diceva:
- So che ci è in viaggio una somma ragguardevole, ma non so donde venga, se dall'Oriente o dall'Occidente o dal Settentrione...
Talora mandava espressamente un giovane alla posta per vedere se già vi fosse il plico aspettato contenente valori. E questi plichi, o erano giunti, o non tardavano ad arrivare, Chi gli aveva data questa novella?”, [93] E dal cuore dei caro Don Lemoyne usciva questo cantico:
- Con quale inno di ringraziamento potremo noi Salesiani celebrare le misericordie di questa Madre celeste? Fosti tu, o Madre santissima, la tesoriera, la benefattrice, la padrona, la Regina, la fondatrice dell'Oratorio di S. Francesco di Sales. Tu chiamasti noi all'onore d'essere tuoi figli: tu ci desti tetto, pane, vesti, istruzione; tu ci guidasti nelle varie parti del mondo, tu ci difendesti e ci facesti trionfatori in mezzo a mille paurosi combattimenti! Noi eravamo giovani, inesperti, senza prudenza, imprevidenti, e tu passo passo correggevi i nostri errori, tu la maestra, la consigliera, la vigile sentinella, tu perfino l'amministratrice di quegli stessi sussidii terreni che ci avevi donati. In quarant'anni il pensiero dell'avvenire mai ci preoccupò e tu sempre ci desti escam in tempore opportuno. Col crescere dei bisogni, delle imprese, dell'estendersi sulla faccia della terra della nostra Istituzione, crebbero sempre le largizioni della tua mano. Ogni settimana ci portava il necessario per migliaia e migliaia dei tuoi figli. Chiamavi in nostro soccorso Italia, Francia, Spagna, Inghilterra, Germania, Russia, Polonia, America del sud, America del nord, e tutte le nazioni porgevano a noi un non atteso continuo tributo. Persone a noi sconosciute avevano ricevute da te grazie singolari e a noi davano segno della gratitudine che nutrivano verso di te. E quando la nostra poca scienza amministrativa, o la malizia degli uomini, avrebbe inesorabilmente rovinata ogni più opulenta fortuna, non mancavano inaspettati quei sussidii straordinarii che rimettevano le cose nel pristino stato. Come adunque potremo noi ringraziarti degnamente, o dolcissima Madre, se non col rispondere pienamente al fine pel quale ci hai chiamati e prediletti?[22]. [94]
Don Bosco non lasciava nessun'occasione per accrescere nei suoi figli la più devota riconoscenza verso la Celeste Ausiliatrice colla pratica esemplare della povertà.
Per spronarli ad amare e praticare esemplarmente la povertà soleva raccontare, con visibile commozione, come anche i più poveri sentissero il dovere di fargli qualche offerta in segno di ringraziamento per grazie ottenute, mentre, comprendendo a fondo il non lieve sacrifizio che s'imponevano, era con loro di una discrezione pur commovente.
Un giorno che era uscito in città, rientrando nell'Oratorio, vide accanto alla portieria una povera madre che aveva in braccio un fanciullo di circa un anno, così pallido, macilento, smorto negli occhi, pieno di croste, immobile e senza voce, che sembrava un cadavere. Egli si fermò e mirando quel povero bambino disse alla madre:
- Dal momento della nascita fa sempre così.
- Non l'avete presentato ai medici?
- Sissignore, ma mi hanno detto che non c'è nulla a fare.
- E voi sareste contenta che guarisse?
- S'immagini! Oh il mio povero figliuolo! - E lo baciava; e il bambino stava immobile come un pezzo di legno.
- L'avete già raccomandato alla Madonna?
- Sì, ma non c'è nessun miglioramento.
- Credete voi che la Madonna possa guarire vostro figlio?
- Oh sì; ma non mi merito tanta grazia.
- E se la Madonna ve lo guarisse, che cosa fareste in suo onore?
- Le darei tutto ciò che ho di più caro fra le mie cose.
- Desiderate che gli dia la benedizione di Maria SS. Ausiliatrice?
- Or bene: procurate, quando potete, di andare a confessarvi e a comunicarvi; e per nove giorni recitate tre Pater Ave e Gloria in onore di Maria Ausiliatrice. Invitate eziandio vostro marito a recitarli, e la Madonna vi esaudirà.
Erano trascorsi quindici giorni ed ecco, una domenica, nella sagrestia del Santuario, fra la gente che cercava in folla di parlare a Don Bosco dopo le confessioni, una donna che aveva in braccio un fanciullo cogli occhi limpidi, vivacissimi, che non poteva star fermo un istante. Giunta alla presenza del Santo, tutta raggiante di gioia esclamò: - Ecco il mio figliuolo!
- Che cosa desiderate, buona donna?
- Che il Signore ve lo con servi sempre così sano: e che cosa domandate?
Don Bosco non ricordava più la benedizione data quindici giorni prima a quel fanciullo morente. La donna gli rammentò il fatto e gli narrò come il terzo o il quarto giorno della novena imposta il bambino fosse istantaneamente guarito! - Ed ora, continuò, sono venuta a compiere il mio dovere; - e così dicendo trasse fuori una scatola nella quale stavano alcuni ornamenti muliebri, d'oro, una collana, un paio di orecchini e un anello. Don Bosco li prese in mano:
- E questa è la vostra offerta?
- Sissignore: ho promesso alla Madonna che le avrei donate quelle cose che mi erano più care, e la prego a volerle accettare.
- Ma ditemi: avete qualche fortuna per campare la vita?
- Nossignore: viviamo giorno per giorno colla paga di mio marito che lavora alla fabbrica di ghisa. [96]
- Ma vostro marito sa che avete destinati questi oggetti alla Madonna?
- Sissignore, lo sa, e mi dà licenza ben volentieri.
- Ditemi ancora: avete messo da parte qualche risparmio?
- Quale risparmio vuole che facciamo con tre sole lire al giorno?
- E se vi spogliate di tutto, come farete se vi accadrà qualche disgrazia, qualche malattia?
- In quanto a questo non ci penso. Il Signore provvederà.
- Ma se conservate il vostro oro, potreste in certe circostanze ricavarne profitto, o vendendolo, o portandolo in pegno al monte di pietà.
- Il Signore vede che noi siamo poveretti ed io debbo dare quello che ho promesso.
Don Bosco era profondamente commosso: - Sentitemi, facciamo così. La Madonna non vuole da voi tanto sacrifizio. Siccome però è giusto che da parte vostra ci sia un segno sensibile di gratitudine io prenderò solo questo anello. La collana e gli orecchini riportateli a casa.
- Oh questo poi no! ho promesso tutto e voglio dar tutto.
- Fate come io vi dico, e basta.
- Ma la Madonna sarà poi contenta? Non voglio mancarle di parola, perchè temo che mi castighi.
- Io vi assicuro che la Madonna è contenta.
- State tranquilla, vi dico: ed io, in nome vostro, impiegherò ad onor di Maria la somma equivalente al valore della collana e degli orecchini.
- E in coscienza posso permetter questo?
La buona donna sembrava ancora indecisa, ma poi concluse: - Ebbene: sia così; faccia lei: ma se vuole tutto il mio oro, lo prenda pure. - Don Bosco replicò la sua proposta in modo risoluto, e la donna tutta contenta ritornò a casa. Quanto cuore e quanta fede!
“Verso il 1870” annotava Don Lemoyne estendendone la relazione, avveniva un altro fatto commovente, non ancora pubblicato. [97] Un mattino un pover'uomo, che viaggiando giorno e notte era venuto da Alba, e s'era poi confessato e comunicato, si presenta a Don Bosco per sciogliere un voto. Essendo caduto infermo, e, disperato dai medici, in fin di vita, aveva promesso di portare alla Madonna quanto possedeva in danaro ed all'istante era guarito. Don Bosco contemplava quell'uomo sciolto nei modi, ma poverissimo nel vestito, e pensava quale somma potesse possedere. Quegli, tratto fuori di saccoccia un pacco di carta straccia, cominciò a svolgerlo ed ecco comparire il danaro: una lira! e la porse a Don Bosco con solennità, dicendo: - Ecco quanto io posseggo: la prenda!
- Son tutte qui le vostre ricchezze?
- Al paese avete forse un po' di vigna?
- Sono un povero bracciante! vivo alla giornata.
- E come farete a tornare a casa?
- Oh bella! farò come ho fatto per venire; andrò a piedi. - E non siete stanco?
- Un po', perchè il viaggio fu abbastanza lungo.
- Certamente, perchè volevo fare la mia Comunione. Prima di mezzanotte però ho mangiato un pezzo di pane che aveva portato con me.
- E adesso per fare colazione che cosa avete?
- Facciamo dunque così. Oggi fermatevi con me: vi darò colazione, pranzerete, cenerete, stanotte dormirete qui, e domani, se così vi piace, ritornerete a casa vostra.
- Questa sarebbe bella! Portare una lira e poi mangiarne tre o quattro!... e il mio voto?
- Sentite: voi date il vostro obolo a Maria SS., ed io vi offro ospitalità a mie spese.
- Le dico di no. Crede lei che io non capisca che la borsa della Madonna e quella di D. Bosco sono una borsa sola? [98]
- Ma persuadetevi che la Madonna non avrà a male che v'accolga in casa.
- Non mi persuado e non voglio darle nessun incomodo.
- Ecco: io riparto a piedi: se avrò fame, chiederò elemosina; se sarò stanco, lungo la via ci sono dei paracarri; se mi prenderà il sonno, domanderò ospitalità nel pagliaio di qualche cascina, ma il mio voto voglio compierlo pienamente! La saluto e preghi per me. - E senz'altro partì.
Amante com'era della povertà, e pieno di delicatezze per i poveri, il nostro Santo Fondatore provava un accoramento, quando, nell'andare in cerca di mezzi per estinguere i debiti, vedeva un lusso sbalorditivo in certe case.
Il 19 settembre 1871, una marchesa, di 84 anni, benefattrice dell'Oratorio, abitante in Piazza Vittorio Emanuele, N° 13, cadeva gravemente ammalata, e mandava a chiamarlo per confessarsi. Si confessò, e poi gli domandò:
- Dunque sono al termine della mia vita?!
E lo fissava con lo sguardo smarrito. Il Santo le rispose che Dio solo conosce il termine della nostra vita, e noi dobbiamo riposar tranquilli nelle sue braccia, lasciando che disponga di noi come meglio a lui piace.
- Dunque, prese ella ad esclamare, agitata dalla febbre, dunque debbo lasciare questo mondo? le ricchezze della mia casa? e quanto posseggo mi sarà tolto?
Don Bosco le disse altre parole sui beni assai più grandi di quelli di questo povero mondo, che il Signore tien preparati per quelli che l'amano, a confronto dei quali tutti i beni di quaggiù son più vili del fango!
La poveretta non badava a quello che le diceva e tornò a sfogarsi:
- Dunque debbo lasciare questo palazzo, queste mie stanze, il mio bel salotto? A me pareva di star abbastanza bene in questo mondo, ed invece bisogna abbandonarlo...
E, così dicendo, fece chiamare alcuni servi, e comandò che la portassero nel salotto. Era una pazzia, eppure insistè tanto che anche Don Bosco credette bene che venisse accontentata, perchè il contraddirla avrebbe potuto cagionarle [99] un'esaltazione maggiore. E i servi presero il letto e la trasportarono nel salotto, pieno di mille cose preziose; e volle che la ponessero accanto a un tavolo, coperto da un prezioso tappeto persiano, e, prèsone un lembo tra le mani, lo palpava, lo lisciava, lo fissava con attenzione, esclamando ripetutamente:
- Quanto è bello! quanto è bello!... È dunque l'ultima volta che lo vedo?!... Sa, Don Bosco? mi costa 40.000 lire!... e non sarà più mio!
E si volgeva da una parte e dall'altra della ricchissima stanza, come per dar l'addio ad ogni cosa... E, poco dopo, Iì nel salotto, mandava l'ultimo respiro!
- Quanto è difficile ai ricchi, osservava Don Bosco narrando confidenzialmente il fatto - quanto è difficile distaccare il cuore dai beni di questa terra! e quanto è per loro doloroso tale distacco in punto di morte!...
Il Santo Fondatore in tutta la vita ebbe una piena fiducia nella Divina Provvidenza. “Quando gli veniva lasciata qualche eredità consistente in terreni o case, egli - dichiarava Don Rua nel Processo Informativo - mi sollecitava ad accelerare, quanto più si potesse, la vendita, sia per poter più presto pagare i debiti, sia per paura che il cuore di qualcuno vi si attaccasse... Ci diceva di quando in quando:
- Spogliamoci di questi beni temporali per attendere con maggior libertà a lavorare pel Signore; finchè ci abbandoniamo per tal guisa nelle braccia della Divina Provvidenza essa non ci lascierà mai mancare il necessario, e la Società nostra colle nostre case andrà sempre prosperando; ma so noi cominceremo a tesoreggiare, la Provvidenza ci volterà lo spalle.
Qualche volta mi avveniva che non trovando partiti convenienti per la vendita degli stabili lasciatici, ne differivo alquanto l'alienazione, e Don Bosco m'era ai panni sollecitando a far presto anche rinunziando a partiti migliori, che si potevano sperare in avvenire, e talvolta persino mi furava le mosse, vendendo egli stesso per far più presto...
Ad imitazione di S. Gaetano amava tanto che si vivesse proprio alla giornata, senza possedimenti ed impiegando il denaro a pagare i debiti con tutta sollecitudine a misura [100] che arrivava. Se sapeva che qualcuno ne tenesse in serbo, tosto gli era ai panni, insistendo affinchè venisse distribuito secondo le circostanze. Ed era solito dire che la nostra Congregazione sarebbe stata ognor fiorente, finchè si fosse mantenuta in perfetta povertà...”.
Così pure se qualche alunno, confessandosi, gli diceva che teneva del denaro presso di sè, contro il divieto del Regolamento dell'Istituto, ritenendo tal cosa un affronto alla Divina Provvidenza, l'ammoniva d'andar senz'indugio a consegnarlo al Prefetto, e, se non obbediva e continuava a confessare la stessa mancanza, minacciava di non dargli l'assoluzione.
“Amate la Povertà” fu la sua raccomandazione fondamentale “per conservare in buono stato le finanze della Congregazione”.
Quindi se “ciò che deve distinguere la nostra Società è la castità”, e l'amore e la pratica della povertà è “la raccomandazione fondamentale” del Santo Fondatore “a tutti i Salesiani”, mentre l'obbedienza, nella nostra vita di famiglia non manca ed è naturalmente piena, pronta, umile ed allegra, è chiaro che Don Bosco ci voleva esemplari nella pratica dei singoli voti religiosi!
Non dimentichiamo mai, che la nostra Pia Società sorse, dall'ammirazione e dalla riconoscenza per il Santo Fondatore, spontaneamente, quasi da sè, colla grazia di Dio. Le prime vocazioni salesiane fiorirono tutte, o quasi tutte, così. Un esempio.
Nel 1873 un alunno di seconda ginnasiale, svelto ma serio, che si trovava vicino a Don Bosco insieme con molti compagni sotto i portici, durante la ricreazione, pareva un po' inquieto e ansioso di parlargli. Il Santo se n'avvide e gli domandò:
- Tu vorresti dirmi qualche cosa, non è vero?
- Ma.... non vorrei che gli altri sentissero, - e tirò Don Bosco in disparte, e gli sussurrò sotto voce: - Vorrei farle un regalo che le farà piacere!
E che regalo vuoi farmi? [101]
- Ecco qua! - ed alzandosi quasi in punta di piedi, allungando le braccia e componendo il volto a serietà: - vorrei regalarle me stesso, affinchè d'ora in avanti faccia di me quello che vuole e mi tenga sempre con lei!
- Veramente, gli rispose Don Bosco, non potevi farmi un regalo più gradito. L'accetto, ma non per me, sibbene per offrirti e consacrarti al Signore!
Quel caro giovinetto era Francesco Picollo, di Pecetto Torinese, che si fece salesiano, salì al sacerdozio, e fu maestro di novizi, direttore ed ispettore.
Pari all'affetto che a Don Bosco portavano i figli, era già fin d'allora la stima, la venerazione, e l'ammirazione che gli veniva triburata da ogni sorta di persone, anche all'Estero, per le sue straordinarie virtù e per il suo apostolato, come vedremo.
Di quegli anni, un giovane alunno dell'Oratorio, venendo presentato alla Principessa Maria, Vittoria di Savoia - Carignano, la sentì esclamare:
- Te fortunato che sei con un Santo!
“Questo concetto della santità di Don Bosco - deponeva nel Processo Informativo Mons. Giovanni Cagliero - era radicato in ogni ceto di persone, nobili, ecclesiastici e laici, e, lungi dal scemare o diminuire, cresceva ogni anno sempre più per la fama che correva delle sue eminenti virtù e dei doni straordinari di cui Iddio l'aveva arricchito. Onde è che da vicino e da lontano moltissimi ricorrevano a lui, sia personalmente, che per lettera, raccomandandosi alle sue preghiere, come preghiere di un santo, per ottenere più facilmente grazie da Dio e dalla SS. Vergine. Ed ho visto io stesso, più volte, persone che domandavano la benedizione di Maria Ausiliatrice, ma la volevano da lui; davano limosine per la celebrazione di Messe, ma esigevano che le celebrasse il Servo di Dio. La sua Messa era poi assistita sempre da una grande folla di persone divote, le quali, o prima, o dopo, domandavano, inginocchiate, la sua benedizione, e tra queste molte venivano da lontani paesi, contenti, come essi dicevano, perchè avevano potuto sentire la Messa e ricevere la benedizione di un Santo”. [102]
Coteste scene avvenivano già dovunque. “Don Bosco dichiarava nello stesso Processo uno dei suoi più antichi allievi, Giovanni Bisio - fu sempre riguardato dalle intere popolazioni, presso cui si recava, come un vero Santo, specialmente quando andava nei piccoli paesi. Al suo passaggio non pochi s'inginocchiavano per prendere la sua benedizione; come pure si mettevano alle finestre e sulle porte per poterlo vedere; le madri gli presentavano i bambini per farli benedire; sembrava proprio il Nazzareno in mezzo ai fanciulli. Molti andavano a gara per poterlo avvicinare, toccargli la veste, baciargli la mano e poter avere qualche cosa da lui usata. Io fui testimonio oculare, avendolo accompagnato in qualche viaggio”.
Eppure, - notava Giovanni Villa - “era così umile che coloro che ne avevano udito a parlare di lontano, quando poi la prima volta si avvicinavano a lui e lo conoscevano di persona, al contemplare la sua umiltà e familiarità, ne restavano oltremodo sorpresi e maravigliati, poichè s'immaginavano un personaggio che dèsse importanza nel suo contegno esterno”.
Facciamo nostra l'umiltà, la familiarità e le altre virtù caratteristiche di Don Bosco, se vogliamo esser suoi degni figliuoli, e procuriamo di praticar nel miglior modo le sue più calde raccomandazioni:
- La nostra Congregazione ha davanti un lieto avvenire, preparato dalla Divina Provvidenza, e la sua gloria sarà duratura fin a quando si osserveranno le nostre Regole.
- Il fine della nostra Società è la santificazione di noi stessi, e la salvezza delle anime, coll'esercizio della carità.
- Vi raccomando la cristiana educazione della gioventù, le vocazioni allo stato ecclesiastico, le Missioni Estere, ma in modo speciale la cura dei giovani poveri ed abbandonati.
- Figliuoli miei, non vi raccomando penitenze e discipline, ma lavoro, lavoro, lavoro!
- Il lavoro e, la temperanza faranno fiorire la nostra Società.
SUL principio del 1871 cinque erano le case della nostra Pia Società: - la Casa - madre di Torino, il Piccolo Seminario di Borgo S. Martino, e i Collegi di Lanzo, di Cherasco e di Alassio. La Casa di Trofarello continuava ad essere semplice luogo di riposo e di svago, e quella di Mirabello era vuota ed affidata ad alcuni custodi.
I Soci sommavano a 77: 30 coi voti perpetui, 47 coi triennali. Gli ascritti a 69. Tra tutti, erano 146: 27 sacerdoti, 69 chierici, 34 coadiutori, e 16 ancor semplici studenti.
Non abbiam potuto rintracciare qual sia stata la strenna che Don Bosco diede in quell'anno, ma proprio dei primi giorni del 1871 - quando i prussiani stringevano d'assedio Parigi, che venne alla resa il 28 gennaio - abbiamo una lettera, quantunque senza data, scritta a Don Bonetti, di [104] rettore del Piccolo Seminario di Borgo S. Martino, - cui aveva affidato alcuni lavori intorno alla Storia Ecclesiastica, - a lui recata da un chierico poco adatto alla Pia Società, perchè manesco, che difatti poco dopo tornò a casa sua. Nella lettera si fa cenno della strenna, ma senza nessun particolare, mentre da essa affiora tutta la bontà patema, che pensava già d'allietare anche 0 alunni del Piccolo Seminario con una gita a Torino, nelle prossime feste di Maria Ausiliatrice.
Mandiamo Pellegrini che credo farà bene. Qui ha insegnato la 3a Ginnasiale e le cose andarono bene. Apparteneva alla tribù di Manasse, ma ora sembra che siasi affatto corretto.
La strenna non ti farà paura, ma non facciamoci illusioni: Dio ci vuole in un mondo migliore di questo; sta ai figli a mostrarsi degni, anzi migliori seguaci del padre.
Disponi di venire a S. Francesco e ci parleremo di più cose. La conferenza è al lunedì 30 corrente.
Puoi rinnovare ai nostri cari giovani la speranza, che finora tutto va bene per la loro venuta nella festa di Maria Ausiliatrice. Essi figureranno nel programma come segue: 23 maggio, sera: Musica degli allievi del piccolo Seminario di Borgo San Martino.
Pel vitto e viaggio credo non sianvi difficoltà. Vi è da pensare
pel dormire, ed a questo si provvederà. E poi se i Prussiani dormono intorno a Parigi per terra con dodici gradi di freddo, non saremo noi capaci di preparare o tende, o pagliericci, o tettoia ad hoc? Ad ogni modo voglio, dante Deo, che facciamo una bella festa e che stiamo molto allegri.
Pel vapore abbiamo già metà prezzo; spero che otterremo di più.
Dio ci benedica tutti e conservici per la via del cielo. Amen.
Nel Mansi, Acta Conciliorum, Tomo I, ci sono varie utili notizie sui Papi dei tre primi secoli.
Nella festa di S. Francesco di Sales, e precisamente il 30 gennaio, come s'era preso a fare dal 1865 si tenne la Conferenza Generale, alla quale presero parte, insieme con i direttori delle singole case, tutti i confratelli dell'Oratorio. In quella circostanza due fecero i voti triennali; quindi i direttori esposero l'andamento del proprio istituto, e Don [105] Bosco, constatando lo sviluppo e il miglioramento dei vari collegi, si congratulava per l'assiduo lavoro e passava a raccomandare: - l'economia, una riforma nel teatrino, la confidenza nella Divina Provvidenza che proteggeva la Pia Società in tempi così difficili, l'obbedienza e il lavoro[23].
Le quotidiane premure del Santo eran di sprone a tutti a far sempre meglio, chè tutti lo vedevano ognor intento a migliorare e dar incremento alle singole case; ed ecco, quali affiorano in ordine cronologico, coteste paterne sollecitudini.
Nel 1870 aveva comperato dietro l'Oratorio un bel tratto di terreno, e mentre si stavano ultimando la piazza innanzi al Santuario di Maria Ausiliatrice e il fabbricato lungo la via Cottolengo, rinnovava la domanda al Municipio di poterlo unire all'istituto con un muro di cinta, per farne una specie di colonia agricola.
Il Sottoscritto ravvisando opportuno avere inerente un'ortaglia abbastanza ampia per poter esercitarvi in questo ramo d'industria, poco ancora coltivato, una parte dei molti giovanetti ricoverati nel Collegio, invece di farne tanti artisti in vari rami già di troppa concorrenza, comperato a quest'oggetto l'occorrente terreno, ricorreva mesi sono alla S. S. Ill.ma per essere autorizzato a munire detto terreno di muro di cinta onde renderlo atto allo scopo.
Questa domanda venne respinta per la considerazione che colla proposta cinta vengono incluse aree destinate a vie pubbliche sul Piano d'ingrandimento della Città già approvato.
L'attivazione di queste vie del piano d'ingrandimento della Città, nella località di cui trattasi, prevedendosi ben lontana, e quando sia per effettuarsi, essendo un nulla la rimozione di piccole tratte di muri di cinta, non esistenti che in virtù di precario che si offre stipulare nella conformità voluta dal Municipio, mentre la privazione del Collegio del mezzo di potere fare anche dei detti allievi è presente e continuativa a danno anche sociale, confida il sottoscritto che per queste considerazioni sarà la S. S. Ill.ma per rinvenire sulla presa [106] deliberazione ed accordargli il permesso della proposta cinta in conformità ai relativi disegni che si ripresentano in doppio originale.
Com'ebbe il permesso, fece costrurre dall'impresario Carlo Buzzetti la cinta, la quale costò L. 5653, 70.
La domanda di Don Bosco in cui accennava di voler esercitare una parte degli alunni in lavori d'orticultura suggerì al Sindaco di affidargli la direzione d'uno stabilimento agricolo, che stava per aprirsi in Torino.
Il 27 febbraio 1869 moriva a Lione il cav. Carlo Alfonso Bonafous, già capo di un'importantissima casa commerciale in Piemonte, che lasciava erede di una gran parte dei suoi beni il Municipio di Torino, allo scopo di fondare un grande stabilimento agricolo per poveri giovani abbandonati e bisognosi di aiuto. La Giunta nominò un'apposita Commissione per compilare lo Statuto organico dell'Istituto, che fu discusso ed approvato nel 1870, e dopo che il Governo, nel marzo del 1871, ebbe riconosciuto com'ente morale la nuova Colonia Agricola, il Consiglio Municipale volse lo sguardo a Don Bosco, che tutti ammiravano per la sua abilità nell'educare tanti poveri giovinetti. E difatti vennero all'Oratorio alcuni membri della Commissione, accompagnati dall'assessore Comm. Ernesto Riccardi di Netro, e dopo aver ragionato alquanto sul modo di ritrarre sulla buona via tanti minorenni corrigendi, glie ne fecero la proposta. Don Bosco, quando si trattava di far il bene, non lasciava mai che venisse frustrato per sua colpa, e subito rispose che non sarebbe stato alieno dall'accettare un così onorevole incarico, ma a questa condizione:
- Intendo di aver libera mano nell'amministrazione e direzione interna, altrimenti non posso rendermi responsabile della buona educazione e della condotta dei í giovani...
Il Comm. Riccardi e gli altri della Commissione trovarono giusta la dichiarazione. E Don Bosco chiese quale sarebbe stato il reddito che verrebbe assegnato per le spese dello stabilimento, Gli fu risposto: - 70.000 lire all'anno! [107]
- Bene, datemi 70.000 lire ed io penserò a quanto è necessario per l'amministrazione interna: quanto all'amministrazione esterna non voglio e non debbo impacciarmi. Pensateci voi.
- E quanti giovani intende ricoverare ogni anno con questa somma?
- Quattro volte settanta, Cioè 280 giovani.
- Che dice? 280 giovani?! E come farà a mantenerli con settantamila lire?
E Don Bosco espose com'erano trattati i giovani nell'Oratorio circa il vitto, il lavoro, lo studio, la ricreazione, e il metodo educativo. La Commissione rimase ammirata, e lo diceva un uomo singolare, fatto proprio per la gioventù; e concluse che il partito da lui proposto era il più vantaggioso e il più economico che potesse immaginarsi. In fine gli dissero nettamente:
Stia pronto e tenga la cosa come fatta. Presenteremo la sua risposta al Municipio e sarà approvata senz'altro nella prima seduta. Chi potrebbe far opposizione ad una convenzione così conveniente?
E Don Bosco: - Loro credono la cosa bell'e fatta, io invece non la tengo neppur incominciata.
- Oh questo poi! Vedrà, da qui a qualche giorno ogni cosa sarà conclusa. Chi non accetterebbe quando lei ci garantisca di mantenere un numero così grande di giovani? Nessuno fuori di lei oserebbe assumersi simile impresa per 70.000 lire.
- Ebbene: vedranno quel che io dico: neppure se Don Bosco si offrisse di mantenere 500 giovani per 70.000 lire all'anno la proposta verrebbe accettata.
- Perchè questo progetto non favorisce chi vuol mangiare! quanti e quanti avran già fatto i conti d'aver un'ingerenza nell'insegnamento e negli uffici d'amministrazione!...
Si rise, si fecero mille esclamazioni, ma quei signori se ne andarono persuasi che tutto era combinato, mentre Don [108] Bosco aveva detto il vero; i più influenti del Consiglio Municipale ebbero elogi per lui, e infine... conclusero che non si poteva accettare quanto voleva, perchè, essendo in relazione coi Gesuiti e col Papa, egli era contrario ai loro sentimenti liberali.
Ma la vera ragione del rifiuto fu quella accennata da Don Bosco. I membri cui venne affidata la direzione furon tutti laici; nel giugno 1872 l'istituto si apriva con 70 giovanetti, e presto ebbe una crisi finanziaria, e subito si cercò di far nuove pratiche col nostro Fondatore, il quale credette inutile ogni discussione, perchè in fine si sarebbe venuti alle conclusioni della prima volta, tanto più che nel regolamento, approvato in data 19 luglio 1871, riguardo all'educazione religiosa si diceva che i coloni sarebbero stati educati “nell'esercizio di quegli atti di pietà che sono ritenuti necessari”, ma sarebbero andati a messa soltanto le domeniche, e “i coloni acattolici” sarebbero stati educati “secondo i consigli e le prescrizioni dei ministri della loro religione”.
A quei tempi dominava nel Municipio il partito liberale e, forse, anche qualche settario. Don Bosco s'era recato più volte al Palazzo di Città per raccomandare una persona notoriamente cattolica affinchè le fosse conferito un posto vacante, con cui campare onestamente la vita, e non potè mai aver udienza. L'ultima volta che salì le scale, insistette per dire una parola al Commendator Riccardi. Gli fu risposto che era in Consiglio. Ed egli:
- Ed io aspetterò finchè esca!...
Il Commendatore, avvisato dell'insistenza di Don Bosco, venne, e gli chiese alquanto risentito:
Don Bosco espose in due parole ciò che voleva, concludendo:
- Era questo che voleva dirle, e voleva parlarne direttamente a lei.
- Ebbene, gli rispose Riccardi, le dirò francamente essere impossibile accordarle ciò che domanda. Osservi là, nella sala, di quali persone è composto il Consiglio... Si è stabilito che nessuno avrà impieghi se non è dei loro! ha inteso?!... [109]
Altri lavori intanto veniva promovendo nell'Oratorio. Il 2 febbraio stipulava col capomastro Carlo Buzzetti la convenzione per la costruzione del coro del Santuario di Maria Ausiliatrice e delle due sacrestie laterali e del portico adiacente.
Nell'area ove doveva sorgere il coro s'innalzava il famoso gelso, che ombreggiava la porta primitiva dell'Oratorio, e sul quale erasi rifugiato il giovane Felice Reviglio[24]. Don Savio attese che Don Bosco si allontanasse per qualche giorno da casa e lo fece abbattere, perchè sapeva che avrebbe sofferto se avesse veduto fare quello sgombro; difatti quando tornò e più non vide quel vecchio albero restò muto e colle lacrime agli occhi per qualche istante, come se avesse perduto un amico. Quante care memorie dovettero riaffacciarglisi alla mente!
E subito cominciarono i lavori e presto sorsero le mura delle due sale per sagrestia a prolungamento e raddoppiamento di quelle costrutte nel 1867; e tra esse in un sol corpo di forma elittica, col cornicione sostenuto da colonne, sorse il coro, che venne messo in comunicazione coi tempio mercè un arco aperto nell'abside, contro cui fino al 1891, cioè fino a' primi restauri e alle prime decorazioni compiutesi ex voto da Don Rua, stette appeso il quadro di Maria Ausiliatrice.
Giuseppe Freilino, Cancelliere della Sezione del Tribunale di Pavia, allora allievo dell'Oratorio, ricordava un fatto avvenuto a quanto pare l'anno prima, perchè accenna al prolungamento di quel tratto dell'edifizio, che dall'antica porteria veniva su lungo la via Cottolengo verso la casa Coriasco, ed a vari compagni, tra cui Cirio Enrico, che dai registri risulta che tornò a casa nel gennaio del 1871, „domum petit”. Comunque, essendo un particolare interessante, e tuttora inedito, lo riferiamo qui volentieri, perchè tornerà gradito ai lettori.
Ecco la relazione, scritta in data 11 - 9 - 1912, che è davvero una conferma del dono che aveva Don Bosco [110] d'aver abitualmente davanti agli occhi ciò che avveniva nell'Oratorio, in premio della sua brama ardente d'impedire il male.
“Non debbo ulteriormente procrastinare di assolvere all'obbligo che sento verso la sant'anima di Don Bosco, chè quanto sono per narrare è una gemma della sua corona celeste - che vien scoperta a' suoi veneratori, e servirà forse a vieppiù rafforzare e a ingrandire gli argomenti per la sua beatificazione.
Premetto che fui allievo dell'Oratorio in Torino dall'anno 1868 al 1873, e che quivi ho compiuto il corso ginnasiale. Ero un ragazzo propriamente ragazzo, che mi lasciavo trascinare dai compagni, cosicchè non sempre davo ascolto ai paterni consigli di Don Bosco, che tuttavia sovente avvicinavo.
Ed ora ecco il fatto, che è una conferma della tradizione, allora vigente e raccontata a me e ad altri dal rev.do Don Racca, rèsosi defunto in quegli anni, che cioè Don Bosco avesse sempre presenti i suoi figli, ed, invisibile, li distoglieva dal far il male, talvolta in modo sensibile.
Si era nel 1870 - 71, e cioè in quell'anno in che si facevano le feste di carnevale con fiera di vini in Torino, per la quale la banda musicale dell'Oratorio, travestita in giallo, prestava servizio; nell'anno in che si stava allungando nell'Oratorio il fabbricato, confinante con via Cottolengo, fin contro una casupola [proprietà di Gio. Battista Coriasco] abitata da certo Brosio (avente un figlio nell'Oratorio), la quale si protraeva fino a tre o quattro metri verso il fianco della chiesa, e cioè circa fin dove ora è la portieria. Lo spazio tra il fianco della casa e quello della chiesa era chiuso da un assito interno e da altro esterno.
Il sabato ultimo di detto carnevale io, coi compagni Boeri, forse Camagna (o cognome simile) di Torino e Cirio Enrico, combinai di uscire dall'Oratorio durante il tempo delle confessioni serali, allo scopo di recarci a vedere le feste di carnevale. (Ero ragazzo e non pensavo alle conseguenze). Fu scelto, come via d'uscita, lo spazio accennato tra la casetta Brosio [Coriasco] e la chiesa. Passammo facilmente il primo steccato per il vano lasciato da un asse movibile. Già i miei due compagni avevano passato il secondo, ma a me non veniva fatto di salirlo, per quanto fosse facile. Nel medesimo tempo, non so come, mi trovai quasi in mezzo allo spazio, di fronte ad una finestra che dava nel sotto - chiesa, e sentivo cadere vicino a me numerosi sassi, che, battendo sul selciato, andavano in frantumi, dei quali peraltro nessuno mi toccò. Ai richiami dei compagni rispondevo, impaurito, che non potevo passare e che tiravano sassi. Non ho potuto sapere se anch'essi sentirono il cadere dei sassi, perché [111] non se ne parlò dippoi, ma certa cosa è che i medesimi ritornarono indietro e non si pensò più alla scappata.
Pensando a tale fatto, a maggior senno, esso ebbe sempre ed ha per me dello straordinario, tanto più in relazione a quanto avvenne dopo.
Nessuno sapeva del nostro progetto, nessuno ci aveva visti passare lo steccato, nessuno di noi (ne sono quasi certo) andò a confessarsi da Don Bosco, eppure il domani, mentre si andava a messa, avendo io avvicinato Don Bosco, che passava pel cortile degli esterni con gli allievi, egli, parlandomi all'orecchio, come soleva, paternamente mi domandò se era poi uscito. Risposi di no, ed egli mi lasciò.
Altro fatto con simile conferma in me che Don Bosco sorvegliava personalmente e perennemente i suoi figli (assurdo è il pensare che ciò fosse solo per me) e che li aveva sempre visibilmente presenti. Altra volta con altri, senza scopo preciso, avevo divisato di uscire per la chiesa durante la serata delle confessioni. Non si uscì, e non ricordo per qual motivo; ma la dimane, al mattino, Don Bosco mi domandò, se ero uscito.
Due volte nei cinque anni di mia permanenza nell'Oratorio ebbi la velleità di scappare a diporto, e tutte due le volte Don Bosco lo seppe. Come fece? A me non resta, vagliate tutte le circostanze, che pensare che Don Bosco mi vedeva, benchè non gli fossi fisicamente presente, e mi proteggeva”.
Il primo giorno di quaresima Don Bosco si recava a Varazze per trattare dell'accettazione di quel collegio; e il lunedì dopo s'iniziavano nell'Oratorio i catechismi quaresimali, che si facevan tutti i giorni, eccetto il sabato, fino alla Settimana Santa, a una gran turba di giovinetti dei dintorni. Preti e chierici ed anche alunni più adulti erano i catechisti. Così venivano preparati a far Pasqua anche i giovani degli Oratori di S. Luigi sul corso del Re e di S. Giuseppe a Borgo Nuovo.
Quell'anno l'Oratorio festivo di Valdocco rifioriva nella chiesa di S. Francesco di Sales, che era stata sgombrata, tranne lo spazio dell'altar maggiore. Fin dal 1870 Don Bosco ne aveva affidata la direzione a Don Giulio Barberis, il quale, ordinato sacerdote il 17 dicembre, vi celebrava la S. Messa, predicava e assisteva, coadiuvato da vari confratelli. Un cortile lungo più di 90 metri e largo 17, con attrezzi ginnastici serviva per la ricreazione. La porta d'ingresso era sulla piazza [112] a sinistra di quella del Santuario, in capo al cortile che era l'ultimo tratto di proprietà dell'Oratorio.
L'8 dicembre 1870, Pio IX, vedendo la Chiesa “dai suoi nemici dappertutto perseguitata e siffattamente oppressa”da far pensare agli empi “che oramai le porte dell'inferno avessero a prevalere su di lei”, accoglieva le suppliche dell'Episcopato del mondo intero e dichiarava S. Giuseppe Patrono della Chiesa Cattolica, „affine di affidare sè e tutti i fedeli al suo potentissimo patrocinio”, ed elevava la festa del 19 marzo a doppio di prima classe; e Don Bosco, disponeva che fin dal 1871 la solennità di S. Giuseppe venisse tra noi celebrata come di precetto.
Aveva pur deciso di dar principio alla costruzione della „Chiesa di S. Giovanni Evangelista con Ospizio e scuole per poveri fanciulli sul viale del Re in Torino”. La circolare stampata per raccomandare cotesta grande e santa impresa, con la data 12 ottobre 1870, e la “Raccomandazione di S. E. Rev.ma Monsignor Riccardi Alessandro, Arcivescovo di Torino, in favore del progetto sopra esposto” scritta d'ordine ed a nome di Sua Eccellenza Monsignor Arcivescovo da Giuseppe Zappata Vicario Generale, in data 13 ottobre 1870[25], venne spedita in ritardo, essendo Mons. Riccardi passato all'eternità il 16 ottobre. Questo è certo che Don Bosco ne mandò la prima copia alla Contessa Callori il 23 gennaio 1871.
Oggi, festa dello sposalizio della B. V., spedisco la prima lettera per la nuova chiesa che ha seco l'ultima raccomandazione del fu nostro Arcivescovo, e la indirizzo a Lei che fu la prima e la più potente oblatrice per la compra dei siti opportuni. Con aprile prossimo saranno cominciati regolarmente i lavori. Io so che Ella farà quello che potrà; tuttavia se nella sua carità volesse dirmi se in questi tre anni io possa calcolare sopra qualche somma determinata, sarebbemi di norma e di appoggio in queste miserabili annate. Come vede, io scrivo colla libertà di figlio. Ella dica e faccia ogni cosa colla franchezza di madre.
La nuova edizione della piccola Storia Ecclesiastica di quindici [113] mila copie, in meno di un mese fu esausta. Deo gratias. Prepariamo altra edizione. Ella ne goda nel Signore.
Domenica, 6, 30 di sera, gran teatro, entrata gratuita a Lei e a tutti i suoi inviati. Si degni pregare per me, che di tutto cuore le auguro ogni bene e mi professo con profonda gratitudine,
P.S. - Mando anche una circolare al sig. Conte di Lei marito. Se le verrà in mente qualche nome cui mi possa indirizzare, l'avrò come opera di carità se me lo dice.
Ed ecco un'altra lettera, in accompagnamento della suddetta circolare, indirizzata al Comm. Dupraz:
Le mando una circolare, che racchiude l'ultima commendatizia del compianto nostro Arcivescovo cui stava tanto a cuore l'impresa di cui parliamo. È opera ardita in questi tempi, ma è di assoluta necessità e perciò spero che la carità dei buoni cattolici e la speciale assistenza di Dio non verranno meno.
Godo molto che abbia accolto con bontà la mia proposta, questo mi dà molto coraggio e spero che apporterà anche speciali benedizioni sopra di Lei e sopra la pia di Lei consorte.
Dio li benedica ambedue, e loro conceda sanità stabile con lunghi anni di vita felice col prezioso dono della perseveranza nel bene.
Con verace gratitudine ho l'onore di potermi professare,
Per compiere la costruzione della chiesa di S. Giovanni Evangelista incontrò tante difficoltà, che fecero brillare la sua fortezza eroica. Avendone già acquistato a gran prezzo il terreno necessario, ne aveva affidato il disegno al Conte Edoardo Arborio Mella, che lo tracciava in stile romanico e in forma veramente artistica, ma che per essere realizzato esigeva ancora l'acquisto di una striscia di terreno, di proprietà di un certo Morglia. Si tentarono tutte le vie per poterla acquistare, anche pagandola oltre il valore reale, ma inutilmente [114]. Don Bosco allora venne consigliato di ricorrere all'autorizzazione sovrana, coll'ottenere, in base alla legge 25 giugno 1865, che l'opera da lui vagheggiata, cioè la costruzione della nuova chiesa con Ospizio e scuole, venisse dichiarata di pubblica utilità, per cui il Morglia sarebbe stato obbligato a vender la striscia; ed egli esponeva le sue intenzioni alla R. Prefettura, che in data 9 agosto 1871 le comunicava al Sindaco, „con preghiera di voler promuovere a suo tempo le deliberazioni del Consiglio Comunale sulla convenienza e regolarità della progettata erezione di detta chiesa, e se sia perciò il caso di promuovere la chiesta domanda di espropriazione forzata, quale stabilimento di pubblica carità”.
Giovanni Bisio, di Capriata d'Orba, che dopo aver fatto il servizio militare entrava nel 1864 nell'Oratorio, pieno d'ammirazione per Don Bosco, e vi rimaneva sette anni, e vi sarebbe rimasto per sempre se doveri di famiglia non glie l'avessero impedito, deponeva nel Processo Informativo: „Era tanta la paura del bene che Don Bosco poteva fare, come infatti si fa in questo luogo, che appena acquistò con molte difficoltà e spese il terreno, venne da me un ebreo e mi disse di fare quanto potevo presso Don Bosco, perchè lo rivendesse, assicurandomi qualsiasi somma. Io ne parlai con Don Bosco, così per informarlo, ma egli mi disse che era destinato per la chiesa e per l'ospizio”, che pensava già di dedicare a S. Giovanni Evangelista, in devoto omaggio al suo grande benefattore Pio IX.
Vedremo quante e quante pratiche dovette compiere in questi anni per ottenere che gli fosse concessa quella particella di terreno che gli era necessaria, cui poi seguirono le difficoltà mosse da Mons. Gastaldi, che „affine di ottenere maggiori oblazioni per la chiesa di S. Secondo, mise egli pure fuori l'idea di farne un monumento a Pio IX, e proibì a Don Bosco di più far parola della chiesa di S. Giovanni Evangelista come monumento allo stesso Pontefice. La cosa andò a Roma, ed io stesso - deponeva il Can. Giovanni Anfossi nel Processo Informativo - fui pregato di stendere una memoria, da presentare al Cardinale Antonelli nella quale [115] dimostrai quanto tempo prima Bosco avesse pensato di fare un monumento a Pio IX della sua chiesa, avendo io promesso a Don Bosco di provvedere la porta principale, sulla quale si sarebbero con bronzo ricordate le gesta del Pontificato di Pio IX”.
Fin dal 1867 alcuni proprietari, dimoranti nel Borgo detto dei Sagrin, poi di Garibaldi, quindi di S. Secondo, avevano formato un comitato per promuovere l’erezione d'una chiesa nei pressi della stazione di Porta Nuova a comodità della popolazione che andava ogni anno aumentando in quelle parti. Indissero un concorso per il disegno del nuovo tempio, cui presero parte vari architetti, e si scelse quello dell'Ing. Luigi Formento. Il Municipio approvò il disegno e il luogo ove si voleva eretto il tempio, e dava il permesso della costruzione in seduta del 2 gennaio 1868, assegnando gratuitamente il terreno col sussidio di 30.000 lire da erogarsi in tre rate, la prima quando l'edifizio fosse giunto al coperto, la seconda quando fosse terminato, la terza quando venisse consacrato al divin culto ed aperto al pubblico. Ma queste concessioni non bastavano per innalzare la chiesa, tanto più che era sorta una grave difficoltà; il Municipio voleva anche che la Commissione facesse un deposito di 100.000 lire a guarentigia dell'impresa. Era quindi necessario raccogliere denari e, più che tutto, trovar una persona che si fosse messa alla testa dell'opera. E i lavori rimasero sospesi, finchè nel 1871, facendosi sempre più urgente il bisogno di una chiesa parrocchiale in Borgo S. Secondo, il Comitato pensò d'intendersi con Don Bosco e d'affidarne a lui la costruzione; ed illustri personaggi del clero e del laicato lo supplicarono ad assumerla ritenendo lui solo capace di condurla a compimento.
Il Vicario Capitolare Mons. Zappata lo chiamò e senz'altro gli disse che lo riteneva obbligato in coscienza d'incaricarsi di quella costruzione, perchè altrimenti il progetto sarebbe fallito, e per sua colpa tanti cristiani non avrebbero potuto compiere i doveri religiosi per mancanza di un tempio.
Don Bosco chinò la fronte, fidente negli aiuti della Divina Provvidenza, e Don Antonio Nicco, amministratore [116] della parrocchia di S. Carlo, cui apparteneva il luogo scelto per la costruzione del sacro edifizio, insieme con Don Bosco e il Parroco della Crocetta inoltrava istanza al Sindaco perchè si affrettassero le pratiche per poter incominciar la costruzione. Il Sindaco chiese subito al Comitato provvisorio per la costruzione del nuovo tempio qual fosse il suo parere, e il Segretario, dopo opportuni abboccamenti con Don Bosco, rispondeva:
Inerentemente al contenuto nel venerato foglio di V. S. Ill.ma del 26 scorso marzo, No 170, ed alle intelligenze successivamente tenutesi in congresso colla S. V. prelodata, il Comitato pella erezione della Chiesa Parrocchiale sulla piazza 8. Secondo, si fece dovere di conferire col Sig. Sacerdote D. Bosco onde avvisare, colla fusione delle rispettive idee, al modo di costrurre la Chiesa predetta da servire intanto pell'Oratorio progettato dal predetto Sacerdote e pelle funzioni ecclesiastiche, salvo poi a convertirsi in progresso in Parrocchia, quando coll'intervento dell'Autorità ecclesiastica siasene fatta la delimitazione.
Ora ho l'onore di annunziare a V. S. Ill.ma, che il Sacerdote D. Bosco a cui diligenza verrebbe la Chiesa costrutta, mercè anche le oblazioni già dal Comitato raccolte e che ancora raccoglierebbe, adotterebbe il disegno redattosi dal Sig. Architetto Formento e già approvato dal Consiglio di Ornato; quindi nessuna difficoltà più riscontrasi alla erezione dell'edificio, massime che il Comitato promotore è ben lieto che un tanto peso venga dal prefato Signor Sacerdote assunto.
Il Comitato promotore adunque, coerentemente alle intenzioni già da V. S. III.ma a nome del Municipio manifestate nel citato foglio:
Supplica V. S. Ill.ma acciò si compiaccia di autorizzare il prefato Signor Sacerdote D. Bosco a dar cominciamento all'Opera.
Avuta l'accennata dichiarazione il Sindaco stesso, lietissimo che Don Bosco si fosse assunto tale incarico, rispondeva al. Rev. Signor D. Antonio Nicco, Amministratore della Parrocchia di S. Carlo, con preghiera di darne comunicazione anche ai Reverendi Sigg. Sacerdoti D. Bosco e il Parroco della Crocetta. [117]
A seconda della domanda contenuta nel foglio da V. S. sottoscritta unitamente alli Signori Reverendi Sacerdoti Don Bosco e Parroco della Crocetta per l'oggetto a margine ricordato, il Sindaco sottoscritto si fece un dovere di fare al riguardo le opportune pratiche col Comitato Proprio della nuova Chiesa parrocchiale di S. Secondo, ed avendo con somma sua soddisfazione raggiunto lo scopo desiderato, pregiasi ora comunicare per copia alle SS. LL. la lettera, ricevuta in proposito nella quale troveranno chiaramente espresse le buone disposizioni in loro favore del Comitato predetto.
Ma affinchè le SS. LL. possano godere dei vantaggi che l'Amministrazione civica è solita ad accordare in simili circostanze, come a cagione d'esempio la cessione del terreno, ed il concorso in denaro, è necessario anzitutto che Elleno ottemperino alle condizioni stabilite dall'Amministrazione civica e che già vennero comunicate al Comitato suddetto, cioè di far constare di essere il medesimo stato con apposito Reale Decreto costituito, e di avere disponibile un fondo per la costruzione del nuovo tempio di lire 100 m. almeno.
Non appena lo scrivente sarà favorito dei documenti necessari per giustificare quanto sopra all'Amministrazione, si farà debita premura di tosto promuovere al riguardo le opportune deliberazioni del Consiglio Comunale siccome affare di sua competenza.
Contemporaneamente chi scrive deve pure prevenire le SS. U. Rev.me che il disegno della Chiesa in seguito a varianti suggerite dalla Commissione d'Ornato, riesce indispensabile, prima si ponga mano all'esecuzione delle opere, che venga nuovamente rassegnato a questo Uffizio, modificato nel senso già indicato al Comitato primitivo per essere corredato della definitiva sua sanzione.
Frattanto chi scrive pregiasi dichiararsi
E Don Bosco, per togliere le difficoltà che potevano sorgere, scriveva al Sindaco che era disposto a metter mano [118] alla costruzione, prima ancora che si designasse la superficie territoriale della nuova parrocchia, a queste condizioni:
Il Sac. Gio. Bosco nel solo desiderio di provvedere ai bisogni morali che si fanno ognor più sentire nella parte di questa città, detta Borgo dei Sagrini, d'accordo col Vicario Generale Mons. Zappata, e con i parroci della Crocetta e di S. Carlo, col consenso ed a nome del Comitato istituito per promuovere la costruzione della Chiesa parrocchiale di S. Secondo, a fine di abbreviare il corso delle pratiche e togliere di mezzo le difficoltà che potrebbero insorgere propone alla S. V. Ill.ma:
1° - Soprassedere per ora dalla demarcazione dei terreni e delle case che dovrebbero stabilirsi per formare la summentovata parrocchia di S. Secondo e dare immediatamente principio alla costruzione della chiesa e casa annessa.
2° - Il Municipio concede l'area di terreno fissata per l'oggetto sopra indicato.
3° - Il Municipio concorrerà colla somma a questo scopo bilanciata con rate da pagarsi ad epoche ripartite nel modo che lo stesso Municipio giudicherà più opportuno.
4° - Sarà presentato di nuovo il disegno e si pregano gl'ingegneri municipali a voler fare le modificazioni e dare tutti quei suggerimenti che si ravviseranno opportuni, sia pel pubblico bisogno, sia pel migliore ornamento della nostra città.
Ciò posto lo scrivente darebbe tosto principio ai lavori senza obbligo che altri debba concorrervi: e appena l'edifizio il permetta si comincierà subito a raccogliervi i vaganti fanciulli, fare catechismi, quindi predicazioni anche per gli adulti con quanto concerne al culto religioso.
Mentre sarà per intanto soddisfatto al bisogno religioso e morale si appianeranno le difficoltà, e le autorità competenti potranno stabilire i limiti della futura parrocchia. Prima però d'ogni altra cosa si fa preghiera a V. S. a volergli con bontà significare se l'umile progetto è accettato, e in questo caso occorre almeno una lettera di autorizzazione dove si dia all'esponente la maggiore libertà di operare che si ravviserà necessaria in questa impresa eccezionale.
Discussa la domanda in seduta municipale, gli giungeva questa favorevolissima risposta:
Il Sindaco sottoscritto è lieto di annunziare a V. S. Reverend.ma che il Consiglio Comunale in sua seduta del 7 corrente mese, accolse con favore la proposta fattagli dalla Giunta Municipale, di concedere, per la Chiesa Parrocchiale che la S. V. R.da si propone di erigere nel borgo di S. Secondo a Porta Nuova, il terreno di proprietà municipale, e di assegnare per l'esecuzione dell'opera il concorso complessivo in denaro di lire 30/m.
Il terreno conceduto costituisce l'intiero isolato compreso fra le vie San Secondo, dell'Assietta, Gioberti e della Ginnastica, e sarà posto a disposizione di V. S. Rev.da appena che sia stipulato il contratto di cessione tra il Municipio e l'ente morale della Parrocchia.
La somma di L. 30/m. verrà pagata in tre rate eguali, cioè la prima dopo che sia posta la copertura dell'edifizio, la seconda allorchè questo sarà compiuto interamente, e la terza allorchè verrà aperto alle funzioni religiose.
Prima per altro che si addivenga alla cessione del terreno e che sia per conseguenza possibile l'intrapresa delle opere, è necessario che la S. V. Rev.ma presenti il disegno della Chiesa e dei locali annessi, per l'opportuna sua approvazione per parte del Municipio, e quindi nel mandarlo ad esecuzione osservi tutte le norme comuni stabilite dai vigenti regolamenti d'Ornato.
Il Municipio, nel prestare il suaccennato concorso per l'eseguimento di tale opera, stata riconosciuta necessaria per la cresciuta popolazione di quel distretto Parrocchiale, crede d'interpretare giustamente il voto dei cittadini e desidera per conseguenza che la S. V. Rev.ma ponga tutto l'impegno possibile per recare a compimento in breve termine il suo disegno.
Pertanto con quest'occasione pregiasi dichiararsi,
devotissimo, osseq.mo Servitore
Don Bosco, dopo averne fatto leggere la minuta a Don Savio e a Don Rua, perchè vi apponessero le modificazioni che ritenevano opportune, faceva al Sindaco questa risposta: [120]
Mi fo dovere di ringraziare V. S. Ill.ma e per mezzo di Lei ringrazio tutti i Signori del Municipio pel segno di benevolenza e stima che mi hanno dato coll'avermi affidato l'edificazione della Chiesa di S. Secondo. Io son disposto di secondare il comun desiderio e dare quanto prima cominciamento ai lavori. Fra pochi giorni sarà presentato un disegno modificato per la voluta approvazione degli edili.
Non potendosi per ora effettuare la cessione del terreno colla parrocchia che non si potrebbe subito erigere e costituire, credo si possa prendere questo temperamento.
Il Municipio cede al Sacerdote Bosco il terreno a condizione che serva per la costruzione di una chiesa, da erigersi in parrocchia appena le autorità competenti giudicheranno potersi tal cosa effettuare.
Tale cessione si potrebbe anche fare al Superiore Ecclesiastico.
Pertanto, nella piena fiducia che vorrà prendere, in dovuta considerazione queste umili osservazioni, mi dichiaro colla dovuta stima,
E il Municipio dava a Don Bosco un altro segno di somma fiducia, deliberando di non esigere da lui nessuna somma in deposito, perchè semplicemente il suo nome era la migliore garanzia.
L’11 febbraio scriveva al Direttore:
Lunedì, a Dio piacendo, nel mattino sarò a Lanzo. Leggi questa lettera ai giovani; io spiegherò poi tutto.
Nella lettera ai Carissimi ed amatissimi figliuoli, narrava come, all'insaputa loro e dei Superiori, aveva fatto, in sogno, una visita al collegio, accompagnato da un mostro orribile[26]. [121]
La visita fu indimenticabile. Con tal preavviso e la minuta spiegazione del sogno, destò nel cuore degli alunni i più generosi propositi.
Intanto urgeva riprendere, i lavori del nuovo edifizio. Il freddo crudo, che non finiva più in quell'anno, aveva danneggiato tutta la costruzione, specialmente quella parte che doveva collegarsi col vecchio fabbricato, e per poter riprendere i lavori in primavera, appena tornato a Torino, ricorreva a Biagio Foeri, un bravo signore, dimorante in Lanzo.
La spesa eccezionale cui vado incontro nella costruzione dell'edifizio annesso al Collegio di Lanzo mi sprona a ricorrere a fonti eccezionali per condurre a termine la cominciata impresa. Oggi desiderava di parlarle di un pensiero, o di un progetto che credo tutto consentaneo alla sua volontà di fare del bene, e che non le tornerà di suo grave incomodo. Il sig. D. Foeri potrà meglio spiegare a voce ogni cosa. Esso consiste nella speranza di un lascito da parte sua, quando Dio lo chiami al paradiso. Sopra questa speranza io troverei chi mi somministrerebbe il denaro in caso di necessità, e troverei anche benefattori che mi pagherebbero l'interesse per un tempo indeterminato.
Come Ella vede, io parlo con illimitata confidenza, il che si fa soltanto con persone che si conoscono amanti della nostra Santa Cattolica Religione e della pubblica moralità, come appunto ho sempre reputato la V. S. Carissima.
Dio la benedica, sig. Biagio, e le conceda copiose celesti benedizioni, lunghi anni di vita felice, mentre con gratitudine mi professo,
Dopo pochi giorni dava consigli al direttore:
Nei passati giorni non fu possibile di scrivere. Ora ti dirò che è meglio temporeggiare in queste cose. Se si vuole poi ottenere qualche cosa bisogna andare alla radice. Se i figliuoli si risolvono di darsi con senno alla religione, le cose incominciano tosto a migliorare. Rincresce che così buoni genitori siano corrisposti così scarsamente da alcuno della figliuolanza. Ma che vuoi? Un solo basta a tirar il [122] malanno su tutti. Però anche per essi non è lontana la stella di buon augurio. Preghiera e coraggio. Dio farà il resto.
È questo il tenore, o meglio la traccia da seguirsi.
Dio ci benedica tutti e credimi in G. C.
Don Lemoyne, riguardo a questa lettera da lui segnata come il 18° degli scritti a lui inviati da Don Bosco, non ci ha lasciato nessun commento. Ma dal contenuto e dal 19°, già riferito nel vol. IX[27], si può nettamente dedurre che era preoccupato per la condotta di qualche giovane, e Don Bosco lo consigliava a pregare e pazientare, fidente in un prossimo miglioramento.
Un particolare, interessante, dell'umiltà del nostro Fondatore. Il 2 ottobre 1870 aveva fatto accettare nel collegio di Lanzo il piccolo pronipote Giuseppe, figlio di Francesco, che ne pagava la pensione regolare. Non facendo troppo buona riuscita negli studi, nel 1873 l'accoglieva nell'Oratorio, e poi finiva col lasciarlo tornare a casa. Dopo molti anni, diceva schiettamente a Don Lemoyne:
- Io aveva mandato mio nipote nel tuo Collegio perchè ci eri tu, sicuro che come mio amicissimo ne avresti preso ogni cura. Sperava che avrebbe fatto buona riuscita. Ero tranquillo. Quando vidi l'esito degli esami, ne provai molto dolore, e andava dicendo fra me: “Ma quel direttore non ha pensato che il piccolino era mio nipote e che a lui specialmente lo aveva affidato? Perchè trascurarlo così? perchè tutti insieme quei del Collegio non si affaticarono a cercare che almeno raggiungesse la mediocrità? Perchè ebbero così poco riguardo a me?”. E assorto in questi pensieri, deliberai all'istante di metterlo in pensione presso un sacerdote mio amico, dalle parti di Bra, ove mi pareva che gli avrebbero usate tutte le cure possibili e che sarebbe riuscito. Senonchè a un tratto rinvenendo in me, dissi a me stesso: [123]
“Vedi come l'affetto ai tuoi parenti ti spinge a tale risoluzione! E sei tu che predichi agli altri il distacco dai parenti? Se non è riuscito, devi credere che il suo direttore e gli altri non abbiano fatto il loro dovere? Non pensiamo più oltre a questo! Lasciamo che le cose vadano come la Provvidenza le guida”. Avrei desiderato che rimanesse nella Congregazione uno che portasse il mio nome e mi appartenesse anche per vincoli di sangue. Non sarà così, perchè così forse non piace al Signore che sia. E misi il cuore in pace e lasciai che le cose andassero tranquillamente come l'acque per la loro china.
E il Signore dispose che entrassero nell'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice tre sorelle di Giuseppe, tra cui Eulalia, che fu poi Assistente Generale.
Il trasferimento del Piccolo Seminario a Borgo S. Martino era tornato tanto sgradito alla popolazione di Mirabello, che vari „fecero in modo da obbligarci ad una sopratassa di ricchezza mobile e farei [l'ultimo giorno del 1870[28]] pignorare tutto il mobiglio di Borgo S. Martino, e di venderlo all'asta, se fra dieci giorni non si pagavano duemila venticinque lire...”. E al direttore Don Bonetti giungeva questo comunicato:
Borgo S. Martino, 17 febbraio 1871.
Il Sig. Prefetto, Presidente del Collegio Provinciale Scolastico di Alessandria, al quale risulta che pel principio del corrente anno scolastico venne aperto in questo Comune un Istituto privato di istruzione secondaria, senza che la persona, cui ne è affidata la direzione, siasi curata dì uniformarsi al disposto dagli articoli 246 e 247 della legge 13 novembre 1859, affidò incarico, che si compie colla presente, [124] a chi scrive, di invitare a nome dell'Autorità Scolastica Provinciale il Sig. Direttore del Collegio privato di questo luogo, ad adempire senza ulteriore ritardo alle condizioni imposte a chi intende di aprire uno stabilimento d'istruzione secondaria dai sovraccennati articoli di legge.
Chi scrive nel mentre dal proprio canto aggiunge preghiera al prelodato Sig. Direttore, acciò ben voglia degnarsi di uniformarsi alle superiori disposizioni, spera dalla di lui gentilezza un cenno di ricevuta della presente per scarico d'ufficio.
Don Bonetti, immediatamente, inviava il comunicato all'Oratorio:
Borgo S. Martino, 18 - 2 - '71.
1° Cominciasi la persecuzione già fattasi nel tempo del tuo Direttorato? Leggi dunque il qui inchiuso comunicato, parlane con Don Bosco e D. Durando, e scrivimi immantinenti che debba fare e che rispondere.
2° Intanto mandami la legge 13 novembre 1859. Sappi dirmi se debba in questa vertenza comparire io, oppure mettere entro D. Bosco o il Vescovo. Io risponderci al Presidente del Consiglio Scolastico che noi altri non abbiamo fatto che trasferire il piccolo Seminario da Mirabello a Borgo S. Martino e perciò non ci credemmo tenuti ai citati articoli di legge. Che ve ne pare?
3° Della sera stessa rispondimi, e non indugiare.
L'interpellanza fu subito soddisfatta, e per il momento non si ebbero altre difficoltà.
Tuttavia Don Bosco ritenne conveniente di recarsi a fare una visita a Borgo S. Martino, e ne preavvisò il direttore; vi andò nella prima settimana di quaresima, di ritorno da Varazze.
Don Bonetti, felice del caro preannunzio, se ne servì per preparare gli alunni a riceverlo degnamente, narrando loro, e commentando per più sere, il sogno fatto da Don Bosco nel 1860 e da lui descritto agli alunni dell'Oratorio, dei tre ordini di mense, posti ad anfiteatro, dove i poveri figliuoli, [125] seduti nel più basso, mesti e luridi, che si cibavano di sozzure, eran coloro che si trovavano in peccato mortale; quelli che si trovavano nell'ordine medio, avvolti in candida luce e serviti con grande squisitezza in ricchi vasellami, eran quelli che s'erano rimessi in grazia di Dio con una buona confessione; e quelli assisi nell'ordine più alto, che godevano di un'imbandigione d'una finezza indescrivibile, immersi nella gioia più lieta, più belli a cento doppi dei secondi, e splendenti di raggi più luminosi di quelli del sole, erano gli innocenti. “Si trovavano allora nell'Oratorio 212 giovani - ricordava Don Bonetti - e 12 appena Don Bosco ne vide seduti alla mensa degli innocenti”. Ed illustrando il pregio e la bellezza delle anime che sanno mantener intatta la virtù dell'innocenza, esortava gli alunni a voler essere puri di mente e di corpo a costo di qualsiasi sacrifizio, e ad approfittare della visita di Don Bosco e delle buone parole che gli sarebbero uscite dal labbro, per fare e mantenere il santo proposito.
Le sue esortazioni, piene di carità e di fervore, ebbero il loro effetto, e commoventi furono le accoglienze che ebbe il Santo.
Questi il 2 marzo riceveva i voti triennali di un confratello, e, nel ritornare a Torino, ringraziava il Signore delle consolazioni che gli avevano dato quei giovinetti, come dichiarava al direttore:
Ho data alla tipografia la Storia Ecclesiastica, perciò posso lasciarti il Giovane Provveduto in questa settimana. Procura di aggiungere un breve capo sulla frequente Comunione e sulla divozione a S. Giuseppe. Pel primo, se non hai altro, si può dire come fatto quello del mese di Maria.
Ringraziamo Dio. Ho trovato ed ho lasciato le cose con grande mia soddisfazione. Saluta tutti nel Signore. Dirai a D. Lupano, che coltivi la messe che ha nel piccolo clero e ne raccoglierà molto frutto.
Di quell'anno Don Bosco aveva fatto accettare nel Collegio di Borgo S. Martino l'unico figlio del marchese Fassati, perchè con lezioni particolari venisse ben preparato a dar l'esame d'ammissione al liceo, ed usandogli speciali trattamenti potesse rinforzarsi in salute. Sulla fine dell'inverno era caduto malato, e i suoi l'avevano ripreso in famiglia, ma dopo Pasqua lo riconducevano in collegio, accompagnato da questa lettera di Don Bosco, che abbisognava di soldi per riscattar due chierici dalla leva:
Il nostro Emanuele fa ritorno al suo nido. Esso non è ancora totalmente ristabilito, tuttavia il medico gli dice che può applicarsi agli studi. Vedrai di usargli que' riguardi che si possono usare. Suo padre desiderebbe che egli facesse in modo di prendere almeno l'esame della parte razionale, cui, esso dice, è fra breve preparato. Tu vedrai quello che si può.
Dobbiamo riscattare due chierici dalla leva militare: la chiamata è pel primo di maggio prossimo. Se puoi avere danaro disponibile màndalo tutto quanto, del resto facciamo banca rotta. Meglio se tu lo porterai lunedì, chè così potremo parlarci di altre cose: per es. di Scappini, di Mazzarello, ecc.
A questo proposito non omettere il rendiconto mensile e di entrare in tutti i particolari che possano tornare utili all'individuo ed alla Società.
Se mi scrivi, dimmi se le fragole sono già fiorite, le grive [i tordi] fanno già la nidiata, e cose simili.
Dio ci benedica tutti e ci doni la sua grazia a fine di perseverare nel bene. Credimi
Anche per proseguire la costruzione del nuovo edifizio in Lanzo aveva bisogno di molti denari; ed avendo appreso che il Municipio di Mirabello era nella necessità di trovare o costrurre nuovi locali per le scuole, da Don Provera faceva scrivere al fratello Vincenzo, consigliere comunale, e all'ingegner Rogna, perchè studiassero il modo di far al Comune la proposta di comperare il vuoto nostro edifizio, e perchè senz'altro si facesse un estimo del fabbricato.
L'ingegner Rogna rispondeva prontamente: [127]
Appena ricevuta la tua lettera sono stato a visitare il Collegio coli tuo fratello Vincenzo. Come comprenderai facilmente, per addivenire ad un estimo di un simile fabbricato, non è il caso di adoperare il metro per determinare il valsente intrinseco, nè tampoco di procedere in base ad affittamenti per determinare il valsente estrinseco. Io tuttavia accetto volentieri l'incarico e prima di profferire un numero con qualche persona, io mi sarei rivolto al R. S. D. Bosco, come tu nella tua mi suggerisci. Non starò a dimostrarti come non avendo l'inten7ione di tornare tra noi con un Collegio, con moltissima difficoltà trovereste un compratore non essendo adatto, per la posizione e per la costruzione istessa, nè all'impianto di qualsiasi manifattura, nè ad uso privato. Per il Municipio non si potrebbe trovare di meglio, considerato che gli sta sempre alle calcagna il Provveditore agli studi per l'apertura di nuovi locali ad uso scuola, chè anzi a giorni si prenderà la deliberazione definitiva per la continuazione del fabbricato in piazza, tomba dei fondi comunali.
Io per quel che ho potuto, ho persuaso buona parte di questi Consiglieri, e quantunque sieno, in generale, tutta gente cui intimorisce un numero grosso e soverchio su una serie di numeri piccoli, ho potuto conoscere buona disposizione per tale contratto.
Visto e sentito di quali disposizioni sia il nostro Consiglio, io dirò una parola che più che un prezzo d'estimo considererei come una proposta da farsi a questi signori. Mi rincresce perfino profferirla per tema che non appaia ch'io voglia di troppo avvilire il nostro fabbricato. Ma tutto ben ponderato e per iniziare col Comune una pratica che non abbia da troncarsi in sul principio, io propongo di portare l'estimo sulle 35.000 lire. Ti parrà poco, ma io so che difficilmente il Comune vorrà contentarsi, essendo voce generale che, se D. Bosco dà il Collegio per 30.000 lire, il Comune dovrebbe comperarlo.
Rispondimi quindi subito e parlami chiaro, che di me puoi fidarti; io allora farò la mia relazione descrivendo tutte le parti dei Collegio e d'altra parte dimostrando come il Comune non abbia a sbilanciarsi ponendo in vendita le trabacche di cui è proprietario, farò quanto sta in me perchè la cosa possa avere buona riuscita. Animo adunque prima che si metta mano alla costruzione in piazza. Suggeriscimi come debbo regolarmi quando avrò fatto la relazione, e dimmi se sei contento della mia proposta.
Ringrazia D. Bosco d'essersi ricordato di me, trasmettigli i miei umili ossequi, e credimi
P. S. - Rispondi, se puoi, di questa sera. [128]
Don Provera, esposte le cose a Don Bosco, dopo due giorni, come risulta da una minuta, rispondeva in questi termini:
“Il R. S. D. Bosco, vista la tua lettera del 2 corrente, mi lasciò di scriverti che egli crederebbe opportuno che tu formulassi una breve relazione d'estimo, notando, secondo l'uso, tre prezzi: quello di costruzione, il medio o commerciale, ed U minimo, cioè il valore del puro materiale.
Il primo che fu di circa 112.000 lire, il fabbricato nuovo soltanto; il secondo potrebbe calcolarsi anche solo metà e sarebbe di circa 56.000; il terzo circa 35.000, neppure notando il terreno ed il fabbricato vecchio.
Fatta questa relazione, che potresti dire dietro invito fàttoti dal S. D. Bosco, la potresti rimettere a mio fratello Vincenzo, ed egli la presenterebbe al Sindaco. Così si comincerebbero le trattative. Avuta una qualche risposta, si procederà secondo convenienza”.
E l'ingegnere estendeva la seguente dichiarazione:
Incaricato io sottoscritto dal M. R. Sig. D. Bosco con lettera in data 2 Giugno, di procedere all'estimo del fabbricato situato in questo comune nella contrada Rovere e tenuto già ad uso di Collegio, ho proceduto ad una visita dei singoli membri e riferisco quanto segue.
Le condizioni eccezionali in cui si trova detto fabbricato, riguardo al pubblico mercato, mi fecero persuaso essere cosa superflua procedere all'estimo nei modi voluti dalla scienza del costruttore, che anzi essendo il fabbricato di nuova ed ottima costruzione, ho creduto bene di determinare il suo valore intrinseco in base al costo di costruzione, il quale, per informazioni assunte con mia lettera in data 2 corrente, mi risultò di L. 112.000 tutto compreso.
Il valsente estrinseco poi, per le cagioni citate, e per le condizioni sociali del paese in cui si trova, io non esito a considerarlo nullo, che tale è il reddito di esso quando anche in parte si affittasse, per le spese di manutenzione ecc.
Posti quindi questi due dati, che nei casi normali servono alla stima dei fabbricati, il prezzo di questo ascenderebbe a circa L. 56.000 media fra i due valsenti intrinseco ed estrinseco.
Ma questa stima, come sopra ho accennato, non è tale che possa tener conto di tutte le condizioni da cui il valore venale del fabbricato dipende, condizioni ch'io credo qui superfluo accennare; onde è ch'io credo potersi, in questo caso, determinare il prezzo venale [129] prendendo a calcolo approssimativo il prezzo dei puro materiale; e potersi detto fabbricato quale si trova, cinto da muro, per la maggior parte in ottima e nuova costruzione, mettere a calcolo per un prezzo le 35 e le 40 mila lire.
Ciò è quanto ho creduto bene di riferire pel disimpegno dell'incarico del M. R. D. Bosco affidatomi.
Ma le pratiche, purtroppo, vennero sospese.
Don Bosco tornava a Borgo. S. Martino in agosto, nuovamente preavvisando il direttore:
A Dio piacendo martedì prossimo alle 11 mattino sarò a Borgo S. Martino. Prepara pertanto un piatto di lamenti ed un taschino di denaro: io prenderò l'uno e l'altro.
Da' questo biglietto acchiuso a Carones. Saluta Caprioglio. Fàtti animo. Ricordati che in questo mondo non abbiamo tempo di pace, ma di continua guerra.
Avremo un dì la vera pace, se combatteremo da forti sopra la terra.
Sumamus ergo scutum fidei, ut adversus insidias diaboli certare possimus.
Dio ci benedica tutti, e credimi,
E restava nel Collegio S. Carlo dal 10 al 3 agosto, diffondendovi le benedizioni di Dio.
In una di queste gite a Borgo S. Martino avvenne, durante il viaggio, un curioso episodio. Nel medesimo scompartimento in cui si trovava Don Bosco v'erano due signori che presero a parlare di lui. Uno, entusiasmato delle sue opere, ne diceva tutto il bene possibile, l'altro invece, non solo mostrava di non averne alcuna stima, ma usciva in acerbe critiche sul suo apostolato. Viva si attaccò la disputa, e uno di essi per finirla, visto in un angolo, tutto raccolto un sacerdote, disse all'altro:
- Ebbene qui c'è un prete, rimettiamo a lui la decisione della questione; ciò che egli dirà, noi l'approveremo. [130]
- E io ci sto, rispose il secondo.
E il primo, voltosi a Don Bosco, continuò:
- E lei, reverendo, perdoni se lo facciamo entrare nella nostra questione, ma un prete n'è il vero giudice. Donde viene lei?
- Ed appartiene a quella diocesi? Anzi abito nella stessa Torino.
- Io conosco, e molto intimamente.
- Dunque dica imparzialmente: chi di noi due ha ragione?
- Ecco, rispose il Santo, lei ha detto troppo. Don Bosco non è un angelo; gli angeli non abitano sulla terra, ma stanno in cielo. Ma lei pure, proseguì volgendosi al secondo, ha esagerato. Don Bosco certamente non è così scellerato da essere un demonio.
- Don Bosco è un povero prete, che potrà sbagliate; ma, quel poco che fa, lo fa con buone intenzioni di recar vantaggio al prossimo.
Intanto il treno era giunto a Borgo. Don Bosco scese ed ecco corrergli attorno preti e chierici, esclamando festosamente:
Quel signore, che ne aveva parlato male, si riempi di confusione e scese egli pure di corsa per andargli a fare le sue scuse, e Don Bosco, col più amabile sorriso, gli disse graziosamente:
- Non fa bisogno, non fa bisogno! ma quando vuol criticare qualcuno, stia attento che questi non sia presente ed abbia a sentir quel che dice!...
Il Collegio aperto a Cherasco, con licenza della Santa Sede nella casa già dei Somaschi e con convenzione stipulata col Municipio, fin dal primo anno diede a Don Bosco gravi [131] disturbi. Febbri maligne colpivano molti convittori, e il corpo insegnante era scoraggiato. La causa di cotesti malanni veniva attribuita al taglio degli alberi sulle ripe della vicina Stura di Demonte, cosicchè, sul far della sera, per ordine del medico, si dovevano chiudere tutte le finestre.
Il Municipio negava che il locale fosse malsano, ma i fatti provavano il contrario. Dori Bosco aveva rilevato che bisognava riattare un lungo camerone a sud ovest del collegio e compiere altri lavori di risanamento, e gli venne promesso che tutto si sarebbe eseguito, ma non si fece nulla.
D'altra parte il Municipio, forse per trovar qualche motivo d'alzar esso pure la voce, prese a ripetere che i nostri dovevano procedere al pareggiamento delle classi ginnasiali, mentre non ne avevano nessun obbligo; e Don Bosco, non ritenendo conveniente rompere la convenzione su due piedi, si rassegnava a tener la direzione del collegio ancor per un anno, e, benchè non fosse affatto contrario al pareggiamento, pregava di lasciar sospese per il momento le pratiche, perchè un altr'anno, se le condizioni sanitarie non fossero migliorate, naturalmente avrebbe dovuto rompere la convenzione e si sarebbe ritirato. E lo scriveva al Sindaco.
il prefetto del Collegio di Cherasco mi ha comunicato che per motivi affatto indipendenti dal Municipio i nuovi lavori progettati non si poterono ancora cominciare. Ora per la stagione alquanto inoltrata non potendosi ciò effettuare prima dell'apertura delle Scuole, crederei bene di trasferire ogni cosa ad altro anno.
Ragione di questo mio suggerimento si è perchè non si intraprendano spese infruttuose, come forse sarebbero qualora lo stato di igiene non migliorasse l'anno venturo. Ella sa che le febbri in questo anno indussero, avuto consiglio dal medico, all'anticipazione di un mese e mezzo la chiusura delle Scuole. Sebbene i Superiori abbiano cercato ogni modo per diminuirne l'importanza, tuttavia parecchi allievi dimandano di essere altrove traslocati, e non poche delle nuove domande escludono Cherasco adducendo le febbri per unica ragione. Per la stessa ragione sarei di parere di soprassedere dalla pratica del pareggiamento. Dal mio canto però non ho difficoltà di presentare il personale stabilito dalla legge. Ciò sarebbesi già effettuato l'anno scorso scolastico, se non si fossero fatte eccezioni che [132] le Autorità scolastiche ammettono in generale negli stessi collegi governativi; ma si toglierebbero anche le cause di tali eccezioni.
Del resto, Sig. Sindaco, la prego a persuadersi che io sono animato di tutto buon volere pel buon andamento del Collegio di Cherasco, e con questa assicurazione ho l'onore di professarmi con pienezza di stima,
Durante il nuovo anno scolastico continuarono le insistenze da parte del Municipio perchè si procedesse al pareggiamento delle scuole gì1inasiali, sempre arbitrariamente basandosi sulla convenzione, e due lettere relative a tale questione giungevano al direttore. Don Francesia le rimetteva a Don Bosco, il quale, prontamente, rispondeva al Sindaco, esponendo nettamente come stessero le cose, e, dicendosi pronto anche ad iniziare le pratiche per il pareggiamento, chiedeva un appuntamento per trattarne a voce:
Il Sig. Direttore del Collegio Convitto di Cherasco mi dà comunicazione di due lettere cui mi trovo in dovere di dar pronta risposta.
Osservo anzitutto sembrarmi che queste lettere portino il nostro contratto fuori del senso della Convenzione. Ivi si dice:” Il contratto col Sac. Bosco esige che gli insegnanti siano patentati e tali da potersi ottenere il pareggiamento”. Per le Elementari sta così, ma pel Ginnasio io non trovo queste formole. Soltanto nell'art. 2° sta scritto: “Il Sac. Bosco provvederà pure insegnanti idonei ed in numero sufficiente per le cinque Classi Ginnasiali “. Qui non si parla nè di patenti nè di pareggiamento. L’art. 3° parla dell'istruzione e questa doversi dare secondo le leggi e la disciplina stabilite dal Ministero. Questa parte credo siasi adempiuta. Si aggiungono le parole: “Io credo che si abbia il diritto di ottenere per le Classi Ginnasiali il pareggiamento “. Queste parole sembrandomi dubbiose, ho voluto chiederne l'interpretazione di persona di molta autorità. Quella mi disse che vogliono essere intese in senso possibile, e che perciò si può pretendere che l'istruzione sia tale che gli allievi siano instruiti in modo da essere in grado di subire l'esame ne' collegi pareggiati.
Poichè, soggiunge, il solo personale dei Ginnasio di 3a categoria [133] costa oltre a dieci mila franchi; come adunque si possono oltre a questo esigere ancora cinque insegnanti per le Elementari muniti di legale patente con tutte le altre spese annesse e ciò soltanto per la somma descritta nell'articolo 6° di soli dieci mila franchi?”.
Qualora poi si volesse dare più largo senso alle mentovate parole e intendere che al Sac. Bosco e al Municipio compete il diritto di pareggiare il Collegio ai governativi, allora bisognerebbe stabilire altre basi possibili coll'uso di questo diritto, vale a dire coll'aumento dei numero dei maestri che dovrebbero essere tutti muniti di legali patenti. Per questo motivo si era talvolta invitato il Municipio a differire la pratica sul pareggiamento. Ma dal canto mio non ricuso di prestarmi a tale uopo quanto sarà necessario, previe le opportune intelligenze. E se mi si potrà fissare un giorno farò in modo di recarmi a Cherasco e forse di presenza saranno più facilmente appianate le difficoltà.
Noto per altro che fin da principio mi sono volontariamente addossati vari pesi per agevolare la pratica presso alla deputazione provinciale, che ho sempre fatto quanto si potè perchè la città fosse soddisfatta, e che sono di minima entità le modificazioni a farsi nell'attuale personale per renderlo pari a quello de' Collegi Governativi. Ciò sarebbesi certamente aggiustato se mi fosse stata fatta regolare risposta quando io proponevo la sospensione dei lavori di costruzione e della pratica pel pareggiamento per timore che lo stato di igiene avesse impedito la nostra continuazione nel Collegio Convitto dì Cherasco.
La prego di voler dare benevola interpretazione a quanto sopra, e dì credermi coi sentimenti di perfetta stima con cui ho l'onore di professarmi,
Il Sindaco gli fissava l'appuntamento per il 9 marzo, e Don Bosco prendeva parte alla seduta comunale, nella quale si discussero a lungo le due questioni, del pareggiamento e dell'igiene; e, tornato a Torino, due giorni dopo inviava, al Sindaco questa gentilissima dichiarazione:
Il sottoscritto per unico motivo di igiene, che l'anno scorso fu gravemente turbata e che presentemente è purtroppo minacciata, Sarebbe venuto nella spiacentissima deliberazione di ritirarsi dal [134] l'Amministrazione del Collegio Convitto che codesto rispettabile Municipio gli ha voluto benevolmente affidare.
Ciò sarebbe secondo l'art. 8 della convenzione relativa. Attese le osservazioni fatte nella seduta municipale fissatagli nel giorno 9 del corrente marzo, di buon grado accondiscende di sospendere la definitiva risoluzione, finchè si abbia fatto esperimento se nell'anno corrente lo stato sanitario venisse a migliorare, purchè tale dilazione non rechi danno al tempo utile pel diffidamento.
Tenute poi nel dovuto conto le lettere al medesimo dal Municipio indirizzate, notifica che qualora si volesse continuare la pratica del pareggiamento avrebbe il personale legale preparato; ma ciò soltanto per quest'anno, perciocchè negli anni successivi non potrebbe continuarlo per la ragione ch'ebbe l'onore di esporre nella onorevole seduta sumentovata.
In questa dolorosa occasione non può che porgere a nome suo e a nome di tutte le persone addette al Collegio i più ossequenti ringraziamenti per tutti i tratti di speciale benevolenza che i Signori del Municipio, e in generale tutti i cittadini di Cherasco, in più circostanze hanno voluto verso di loro prodigare, nell'atto che si professa,
Ma purtroppo le condizioni igieniche divennero subito peggiori dell'anno precedente, nonostante tutti i riguardi che si usavano agli alunni, venendo provvisti di pane sopraffino, vino di buona qualità, e cibi di carne quasi di continuo. Il Municipio tornava ad insistere perchè si venisse alle pratiche del pareggiamento, e Don Bosco, spiacentissimo di non poter fare altrimenti, tornava a confermare la disdetta, e lo pregava a provvedere alla continuazione delle scuole e del convitto nel modo più conveniente:
ho ricevuto la Sua lettera con cui mi comunica l'ordine del giorno di cotesto Municipio intorno al Collegio di Cherasco.
Avrei avuto bisogno del verbale per poterlo capire ed anche sapere se la mia lettera siasi letta o se ne sia comunicato soltanto il tenore. Perciocchè dal vedere e ripetere quanto riguarda ai maestri, pare che non siasi tenuto conto di quanto a tal uopo ho detto nel Consiglio, e di quanto aveva scritto.
Ad ogni modo io vorrei ben poter eliminare il motivo dell'igiene [135] della mia disdetta, ma purtroppo i fatti mi si oppongono. Senza altro accennare noto solamente che il giorno precedente alla data di sua lettera fu ordinato l'antifebbrile specifico a tre convittori colpiti dalle febbri; il giorno dopo il prefetto venne a Torino con un allievo da presentarsi all'esame di licenza. Giunti, furono ambedue colpiti da febbre, che li portò fuori di senno per più ore. Pertanto non posso recedere dalla disdetta, che ho già dato e che mio malgrado devo confermare, pregandola di voler provvedere alla continuazione delle scuole e convitto di Cherasco, nel modo migliore che la nota di lei prudenza troverà più opportuno.
Con vero rincrescimento dei fatto, professo a lei e a tutto codesto Municipio la più sentita riconoscenza per la benevolenza usatami in varie circostanze ed ho l'onore di professarmi,
Il Consiglio Comunale, fermo nel dichiarar senza fondamento le ragioni per cui Don Bosco si ritirava dalla direzione delle scuole e del convitto, il 2 settembre, in seduta straordinaria, deliberava all'unanimità “di evocare il prelodato Signor D. Giovanni Bosco nanti i Tribunali competenti affine di ottenere l'adempimento delle obbligazioni colla stipulata convenzione da esso assunta”.
La citazione fu fatta il 5 settembre, e l'udienza fissata per il 22; e non essendo Don Bosco comparso, venne rinviata al 28; e l'avvocato Giacinto Pipino, a nome e negli interessi di Don Bosco, opponeva:
1. Che il Municipio si era impegnato di adattare il camerone e di costrurre un pozzo e, per quante istanze si siano fatte, il Municipio non provvide mai a tali opere, nè prima nè dopo l'apertura del Collegio.
2. Che il Municipio di Cherasco e le autorità scolastiche superiori, si mostrarono nei due anni soddisfattissime dell'istruzione impartita in collegio, che tutti i giovani che si presentarono a sostenere gli esami nei ginnasi governativi o pareggiati di Alba, Cuneo e Asti, furono promossi con plauso.
3. Che D. Bosco, senza averne obbligo provvide ad aprire in Collegio scuole serali gratuite per i giovani di Cherasco per cui ebbe dal Municipio attestazioni di ringraziamento e lode.
4. Che negli anni 187o e '71 durò pertinace e invincibile in collegio 1Influsso delle febbri intermittenti, dovute allo stato in cui fu [136] consegnato il Collegio, da non presentare altro dormitorio che un lungo camerone a mezzanotte, verso il fiume Stura, con un unico pozzo pure a mezzanotte.
5. Che i genitori non volevano che i figli fossero posti a dormire in quel dormitorio, e dopo il primo anno li ritirarono.
6. Che nel 1° anno furono oltre venti i colpiti da febbre, oltre 35 nel 2°, a segno che talvolta non si poteva fare scuola.
Le dichiarazioni deposte dall'avvocato, assunto in difesa, non potevano essere più chiare e convincenti; tuttavia il Tribunale pronunziava il 17 ottobre questa sentenza:
“Non avere il Don Bosco diritto di sciogliere la Convenzione suddetta prima del tempo stabilito, ma essere tenuto ad osservarla per tutto il tempo nella medesima previsto.
Tenuto conseguentemente il medesimo a provvedere pel prossimo anno scolastico per le Scuole Elementari cinque distinti maestri muniti delle relative patenti e provvedere insegnanti idonei in numero sufficiente per le cinque classi ginnasiali in modo che si abbia il diritto di ottenere per le scuole ginnasiali il pareggiamento alle governative a pena dei danni;
Ed autorizza il Comune a provvedere alla continuazione del servizio dell’insegnamento del Collegio Convitto a di lui maggiori spese a carico del Sacerdote Bosco
Don Bosco ricorse in appello, e l'Avv. Pipino, come risulta dall'Atto, presentato in data 12 dicembre 1871, adduceva queste ragioni perchè fosse riformata la sentenza:
Il Municipio, in realtà, non aveva eseguito che poca parte delle obbligazioni assunte pro adattamenti ai locali, onde renderli idonei all'uso cui erano destinati.
Sul punto dell'igiene, il Municipio aveva tratto in inganno Don Bosco non solo, ma la pubblica autorità e i genitori di tanti paesi ai quali il Municipio aveva rivolto i suoi proclami. Fu il Municipio a far allestire il certificato di salubrità del locale, richiesto dall'autorità scolastica, esso a questa lo trasmise, esso predispose, pubblicò e largamente diffuse il programma in cui è celebrata l'amenità e salubrità del luogo.
Nei convegni in cui si predispose D. Bosco ad assumere la gerenza del Convitto, tanto il Sindaco quanto i membri della Giunta presenti e particolarmente il Delegato scolastico medico signor Lissone [137] sempre e con insistenza assicurarono D. Bosco perchè non avesse timori sul capitolo della salubrità del locale.
D. Bosco si propone di presentare testimoni attestanti che in tutto il tempo in cui tenne il Collegio fornì agli alunni ed insegnanti vitto di primissima qualità, pane sopraffino, vino di buona qualità, cibi di carne quasi del continuo, escluse quasi onninamente la verdura e la frutta; e ciò contro quanto la sentenza del Tribunale civile vuol far intravedere, che, cioè, l'infermità lamentata si deve ripetere, non da insalubrità del locale, ma dal difetto nella provvista del cibo e nel trattamento dei giovani.
La calamità era giunta a segno che i medici, non più sapendo come pararvi, affastellavano ingiunzioni, suggerimenti e consigli, che se potevano essere buoni in sè, non potevano aver subito effetto pratico nè addirsi con un collegio di giovani; quali ad esempio, di fare vasti piantamenti di alberi verso notte, tenere quasi del continuo chiuse le finestre, cioè, fino a mattina tarda ed appena appena sul far della sera, impedire ai giovani la ricreazione nel cortile, obbligarli a portare sempre lana sulla pelle, al mattino nel caffè mettere sempre china in infusione, perchè i giovani non avessero da accorgersene, e simili.
Le cose erano ridotte al punto che i medici si astenevano dal nominare il chinino nelle loro ricette, o parlando coi giovani, per non impaurirli, e usavano designare il rimedio colle parole „solito specifico”, e fecero in modo che il collegio ne facesse incetta all'ingrosso a Torino.
Mentre che il Municipio pretendeva che D. Bosco continuasse a tenere aperto quel collegio, non gli aveva ancora pagato l'ultima rata dello stipendio dovuto per l'arino 1871, per modo che D. Bosco attendeva ancora L. 3000 e più, delle quali il Municipio dimenticava di essere debitore.
Di fronte a queste dichiarazioni, le cose si portarono in lungo; e solo oltre due anni dopo, e precisamente il 13 febbraio 1874, la Corte d'Appello “riparando la sentenza del Tribunale Civile di Torino del 12 ottobre 1871” ammettendo „prima di ogni cosa gl'interrogatori e capitoli dedotti dal Sacerdote Bosco”, e poi quelli „dedotti dal Municipio di Cherasco alli N. 6 - 7 - 8 e 9, reietti i primi 5”, delegava „il Pretore di Bra per ricevere gli esami dei testimoni e le risposte del Municipio in persona dei suo Sindaco o di chi ne la le veci”.
La questione durò ancora; il Municipio pretendeva quello che non poteva pretendere, e Don Bosco non poteva assoggettarsi all'ingiusto. E le trattative proseguirono per [138] lungo tempo, anche in via di corrispondenza fra i patrocinanti, finchè nell'ottobre del 1877 si venne ad un tentativo di amichevole transazione, e, finalmente, ad un accomodamento!...
Sul finire del 1870[29], il Cav. Don Paolo Bonora, Prevosto di S. Ambrogio e Vicario Foraneo di Varazze, d'intesa col Sindaco Cav. Antonio Mombello, Regio Notaio, e con l'approvazione di Mons. Giovanni Battista Cerruti, Vescovo di Savona e Principe di Lodisio, aveva invitato Don Bosco ad assumersi la direzione di un Collegio - Convitto in Varazze, dove si stava costruendo un bell'edifizio per le scuole, nella parte più alta della città. La soddisfazione e il plauso di tutti per il Collegio aperto di quell'anno ad Alassio aveva fatto rivolgere il pensiero di quei di Varazze a Don Bosco.
Questi, nella santa brama d'allargare sempre più il campo di lavoro dei suoi figli, gradì la proposta, tanto più, come abbiam detto, che prevedeva di doversi ritirare da Cherasco; invitò il Prevosto a fare una visita all'Oratorio, e così s'iniziò un carteggio per fissar le basi di una convenzione. Egli assicurò il Prevosto che l'avrebbe compilata al più presto; e, nel frattempo, l'avvocato Bartolomeo Fazio, Delegato Scolastico Mandamentale, dopo averne parlato con Don Bonora, gettava per il primo le basi della convenzione, e consegnava lo scritto al Prevosto, il quale, confidenzialmente, lo comunicava a Don Bosco.
Appena ricevuta la car.ma sua con cui si compiace annunziarmi avrebbe presto mandato un progetto, mi occorse dover conversare con questo sig. Avvocato Fazio Delegato Scolastico Mandamentale intorno all'impianto di questo Collegio - Convitto, ed in seguito alle idee reciprocamente scambiatesi, mi ha ora egli mandato un suo piano generale, che qui Le compiego confidenzialmente nel caso [139] giungesse ancora in tempo, e la S. V. credesse valersene pel suo progetto, che attendo. Nel farmi la trasmissione del quale, siccome io dovrò comunicare ogni cosa al Sindaco, così la prego di non fare in alcuna maniera menzione di tale piano, onde ovviare qualsiasi suscettibilità potesse insorgere, ma piuttosto segnarmi in un foglio a parte quanto potesse meglio ravvisare al riguardo. Certo che il piano dell'Avvocato Fazio è il più corrispondente ai bisogni locali e generali della Liguria, ma ci vuole del tempo per attuarlo; come sarebbe desiderabile l'impianto del Ginnasio, che è nei desideri delle poche famiglie facoltose di qui, e di Mons. Vescovo. Quello che pare assolutamente indispensabile pel venturo anno scolastico sono le quattro Classi Elementari, e le Scuole corrispondenti agli tre anni del Corso Tecnico.
La ringrazio di tutto cuore della gentile sua offerta ed invito, dolente di non potere per ora profittarne, ma quod differtur non aufertur.
Io sto sempre in attesa de' suoi graziosissimi cenni, e di qui goderla, nell'atto che raccomandandomi alle sante di Lei orazioni e de' suoi alunni, godo ripetermi colla massima stima e riconoscenza,
Umil.mo Obbl.mo Dev.mo Servitore
L'accluso memoriale diceva così:
Mio Rev. sig. Cav. Bonora Paolo,
Can. Prev. dell'insigne Chiesa Matrice di S. Ambrogio di questa città,
Dalla conversazione ch'Ella ebbe la bontà di venire a farmi in mia casa in una di quest'ultime scorse sere mi sono convinto una volta di più, che V. S. è un buon amico dell'insegnamento popolare; ciò mi fu di vero conforto. Però è giuocoforza intenderci bene su tale punto, a scanso di equivoci.
L'istruzione popolare una volta poteva essere ben diversa da quel che é adesso, e adesso pure può variare da paese a paese. Ai valdostani p. e. poco importa conoscere in via principale della nautica e delle costruzioni navali; non così i Liguri, i quali tutta la loro esistenza l'hanno sul mare; ora dunque un Collegio agricolo o scientifico non potrebbe essere stabilito convenientemente in una città della Liguria, se se ne esclude Genova.
E per Varazze poi quali sarebbero le scuole meglio appropriate a lei?
Varazze, che non fu mai il Vicus Virginis dei Romani, come gratuitamente [140] piacquesi di asserire lo Spotorno (d'altronde eruditissimo uomo), e fu invece l'ad Navalia (avesse o non avesse innanzi il vocabolo Hasta, di greca ed alterata provenienza), non ismentì mai a se stessa, e fu sempre la città dei bastimenti, dei marinai, dei navigatori e dei commercianti; ed Ella può farmene testimonianza che qui si parla tuttavia dei viaggi d'America e degli Oceani, come a Genova dì fare una gita su per la Polcevera, ed a Torino di visitare Moncalieri, Superga o la Madonna del Pilone. Per Varazze adunque ci vuole un Collegio Commerciale - Nautico.
Con questo non voglio già dire che il Collegio varazzino non possa avere anche la parte classica; sarebbe mio vivissimo desiderio che potesse avere almeno il Ginnasio; ma il Municipio deve chiedere innanzitutto scuole commerciali e nautiche. E tale ritenga è il parere di questa Commissione scolastica, della quale ho l'onore di far parte.
Ella mi domanderà: ma che cosa intendete per Collegio Commerciale - Nautico?
La servo subito. A Varazze fa bisogno un insegnamento organizzato sulla base di quello che impartiscesi nel Collegio - Convitto di Nervi presso Genova, più, se possibile, il Ginnasio. Abbisognano per .conseguenza le scuole Elementari, le Tecniche, e dell'Istituto Tecnico la parte almeno che riguarda il Commercio, i Capitani di mare e le Costruzioni navali.
È naturale il dire che tutto ciò non fa adesso di bisogno; ci mancherebbero gli alunni del Comune; ma siccome è questione di organizzare, ci corre obbligo di organizzare in questo senso.
Ella, che conosce bene la Liguria, saprà meglio di me come tuttora difettiamo di un vero Collegio Commerciale: i nostri figli e fratelli che vogliono esercitare l'arte de' nostri padri e tutta nostra, il Commercio, per essere abilitati a raggiungere una patente, o, se le piace, un diploma, sono obbligati d'andare a Nizza, a Zurigo, a Londra per difetto di convenienti scuole, e ci vanno. Caro Lei; è inutile farsi illusione: la Società si trasforma, si è creata dei nuovi bisogni, e noi non possiamo contrariarla in tutto ciò che di giusto e vantaggioso vuole. È forse il Commercio ingiusto, avvilente o dannoso?
Cominciamo adunque a colmare questo vuoto. Fondiamo un Collegio Commerciale in modo da poterlo poi ampliare e farlo rispondere alle giuste brame dei nostri popoli e soddisfare le esigenze delle nostre famiglie; si persuada, ciò facendo, la Religione, la Famiglia, la Patria e l'Economia istessa ci saranno riconoscenti.
E con ciò ho manifestato le mie idee: Ella le apprezzi per quel che crede, ma nel giudicarle studi bene e senza illusioni la Società contemporanea.
Ho infine l'onore di protestarmi
Don Bosco, ricevuta la lettera del Can. Bonora e il memoriale del Delegato Scolastico, annuendo nella miglior maniera ai desideri in questo espressi, non tardava a compilarlo per suo conto e ad inviarlo al Prevosto.
Progetto per un Collegio Convitto nella città di Varazze.
1° - Il Sacerdote Giovanni Bosco si obbliga per sè e pe' suoi eredi di aprire un Collegio Convitto nella città di Varazze, e di somministrare l'istruzione Classica Ginnasiale ed Elementare tanto ai giovanetti cittadini quanto ai forestieri che ci volessero prendere parte.
2° - Il medesimo Sacerdote Bosco provvederà quattro maestri per le Classi Elementari muniti di patenti; e provvederà pure insegnanti idonei ed in numero sufficiente per le Classi Ginnasiali. Oltre di che provvederà al Corso Tecnico coll'insegnamento della Lingua Italiana, della Geografia e dell'Aritmetica, del Sistema Metrico Decimale e del Disegno in modo ripartito nelle classi Ginnasiali che corrisponda a quello che in tali rami scientifici vien dato nel Corso Tecnico e Classico, senza che il Sacerdote Bosco sia obbligato ad aggiungere altri Maestri oltre a quelli stabiliti per le Classi del Ginnasio.
3° - L'istruzione delle Classi Elementari e Ginnasiali sarà fatta secondo le leggi, e la disciplina stabilita dai programmi del Ministero per la pubblica istruzione.
4° - Tutte le spese del suppellettile pel Convitto saranno a carico del Sacerdote Bosco; il Municipio per altro come proprietario ed in conformità del prescritto dell'art. 1604 del Codice Civile Italiano si obbliga:
1° A tutte le riparazioni che sono necessarie all'uso ed alla conservazione dell'edifizio, e dei locali annessi.
2° A provvedere, e mantenere nelle scuole tanto elementari che Ginnasiali la suppellettile, e le altre cose necessarie delle quali conserverà la proprietà.
5° - Il Municipio si obbliga di pagare al Sacerdote Bosco Giovanni pel personale insegnante delle Scuole Elementari e di tutto il corso Classico Ginnasiale fino alle due Rettoriche inclusivamente lire dodicimila, oltre la cessione a di lui favore del provento Minervale di cui è cenno più sotto.
6° - Il Municipio si obbliga inoltre di corrispondere allo stesso Sacerdote Bosco un premio di lire dodicimila per le spese sì di primo impianto e successivo mantenimento del Convitto.
7° - Il presente contratto avrà la durata di anni cinque, e s'intenderà rinnovato ove da una parte non sia stata disdetto cinque anni prima. [142] Accadendo che per forza maggiore dovesse sciogliersi il contratto entro il primo quinquennio il Sac. Bosco rimborserà al Municipio la rata che corrisponde alla somma di franchi 12 mila, divisa in cinque rate, quali egli rimborserà in tante rate quanti saranno gli anni decorrendo fino al compimento del quinquennio.
8° - Verificandosi il caso che il Municipio di Varazze volesse completare i rami dell'insegnamento Tecnico, aggiungere il Corso Tecnico ed anche il Liceo, il Sac. Bosco aumenterà il numero degli insegnanti in ragione del bisogno e secondo il prescritto dalle leggi, previe però le debite intelligenze col Municipio intorno agli stipendii per gli insegnanti da aggiungersi.
9° - Il Municipio concede al Sacerdote Bosco l'uso del locale del Collegio per la Scuola, pel Convitto, col cortile e giardino annesso.
10° - Per le Classi Ginnasiali resta stabilito d'accordo delle parti un Minervale secondo le leggi sull'insegnamento da imporsi agli alunni, designato dal Sacerdote Bosco, cioè per le due Rettoriche il massimo non potrà eccedere le lire trenta, e per le Grammatiche le lire ventiquattro.
Gli alunni Varazzini poi godranno di una riduzione, cioè il massimo per le due Rettoriche si fissa in lire venti e per le Grammatiche in lire sedici. Gli alunni poveri, tali riconosciuti dalla Giunta Municipale, ne sono esenti.
Il Municipio ne procurerà l'esazione mediante apposito Ruolo per mezzo dell'Esattore.
I convittori del Collegio, e indistintamente tutti gli Allievi delle Classi Elementari e del Corso Tecnico, andranno esenti dal Minervale.
11° - Si dichiara lecito a tutti gli alunni esterni di frequentare i singoli rami di insegnamento che si darà ai Convittori con che si uniformino alla disciplina ed agli Orari in ciascuna Classe stabiliti.
12° - Nei provvedimenti che riguardano alla moralità ed all'istruzione religiosa il Municipio si rimette alla prudenza del Sacerdote Bosco, e del sig. Parroco del distretto in cui trovasi il Collegio.
13° - La Direzione e l'Amministrazione del Collegio - Convitto e delle Scuole è totalmente affidata al Sac. Bosco, ma colla dipendenza delle Autorità Scolastiche Governative e specialmente del Delegato Mandamentale secondo il prescritto delle vigenti leggi sulla pubblica istruzione. Egli però accetterà colla massima gratitudine qualunque avviso o consiglio che il Sindaco od i Signori del Municipio giudicassero necessari pel vantaggio scientifico morale e sanitario della località delle scuole, e degli allievi che ivi intervengono, delle quali cose parò si tratterà col Sacerdote Bosco o con chi lo rappresenta nel Collegio - Convitto di Varazze.
14° - Le scuole saranno aperte al principio dell'anno scolastico 1871 - 72, [143]
Il Prevosto consegnò il Progetto al Sindaco, e questi, l'8 febbraio, lo comunicava alla Giunta Municipale, la quale, in linea di massima, l'accoglieva favorevolmente, e di quel dì medesimo il Can. Bonora scriveva a Don Bosco:
Questo Sig. Sindaco è venuto all'istante ad annunziarmi che ha sottomesso oggi all'esame della Giunta Municipale il Progetto inviatomi dalla S. V. Stimat.ma, e che ove il programma degli studi, oltre l'elementare abbracci il corso ginnasiale e quello tecnico da darsi questo insieme al ginnasiale con tutte le materie prescritte, esso è stato in massima accettato. Aggiunse il prefato sig. Sindaco che rimangono alcune particolarità sulle quali è necessario discutere e concertare di presenza. Segnatamente mi disse che fece un po' viva impressione alla Giunta il pagamento di IL. 12.000, per le spese d'impianto dei Convitto alle condizioni nel Progetto annunziate. Ma io penso che colle spiegazioni che fornirà la S. V., e qualche agevolezza, occorrendo, si potrà sormontare questa difficoltà ed altre. Veda Ella pertanto che urge la di Lei qui venuta, ed io caldamente Le raccomando di effettuarla al più presto, tanto più che il fabbricato s'avvicina alla copertura del tetto, ed io avrei raccomandato l'aggiunta d'un piano, il che sicuramente si eseguirebbe, se la S. V. definitivamente s'intendesse col Municipio.
In attesa pertanto di presto ossequiarla di presenza Le rinnovo la mia debole servitù, nell'atto che ho il bene di raffermarmi con pienezza d'ossequio,
Umil.mo Dev.mo Obbl.mo Servitore
P. S. - Le sarò assai grato se vorrà avere la bontà di segnarmi il giorno e l'ora del suo arrivo. Saprà che per causa dell'interruzione della ferrovia tra Voltri e Prà, abbiamo momentaneamente qui due soli arrivi giornalieri da Sampierdarena, cioè l'uno verso il mezzogiorno, e l'altro verso le ore sei di sera.
Purtroppo non abbiamo sott'occhio nessun altro scritto di Don Bosco intorno a queste pratiche, ma dalla corrispondenza da lui conservata possiamo esattamente comprendere come agi in questa fondazione, e ci par doveroso e conveniente [144] intrattenerci ancora un po' su di essa, per conoscere sempre meglio l'attività e la prudenza dell'amatissimo Padre.
Il Prevosto tornava a scrivergli:
Mi fu di grande consolazione la gratissima sua con cui si compiace annunziarmi il di Lei arrivo, e suoi compagni, pel primo giorno della ventura quaresima. Non essendovi probabilità per ora che vengano attivate tutte le corse portate dall'Orario della ferrovia, perciò giusta quanto Ella mi dice, credo che giungerà qui dopo le ore sei pomeridiane, ed io sarò ad attenderli alla stazione.
Nella speranza che colla divina benedizione il tutto abbia a procedere colla corona di ottimo risultato, mi rinnovo colla massima cordialità,
P. S. - Le condizioni di Alassio essendo identiche alle nostre, parmi ben fatto che Ella porti con sè copia della Convenzione conclusa con quel Municipio.
Don Bosco non tardò a recarsi sul luogo, con l'economo Don Savio. Giunse a Varazze il primo giorno di quaresima, 22 febbraio, e il Prevosto che l'attendeva alla stazione, lo volle suo ospite insieme col compagno.
Dopo ripetuti colloqui col Sindaco sui particolari della convenzione, questi l'assicurò che l'accordo non sarebbe stato difficile. Don Savio, visitata la nuova costruzione, osservava che non s'era pensato alla cappella, e il Sindaco gli disse che ad essa verrebbe destinata un'ampia sala a pian terreno.
S'era chiesta ed ottenuta la dovuta licenza per fare la costruzione sul terreno che prima apparteneva al vicino Convento dei PP. Cappuccini; ma siccome il Sindaco faceva conto di servirsi della pubblica chiesa di quei religiosi per la congregazione festiva degli alunni esterni e fare cosi una specie di Oratorio festivo, Don Bosco fece una scappata a Genova per ossequiare il Padre Provinciale e sentir il suo parere sulla proposta. Il P. Provinciale era fuori di città, per cui, tornato a Varazze, ne parlò direttamente col P. Guardiano [145]; e siccome questi gli fe' capire che non ne sarebbero stati tanto contenti, disse chiaro al Sindaco che non avrebbe mai fatto cosa spiacevole a quei Religiosi.
Nella gita che fece a Genova, non ci consta se fu ospite del Can. Canale, o di Don Caprile, Prevosto della Parrocchia Gentilizia di S. Luca, presso i quali soleva sempre ospitare; ma sappiamo che tra le altre visite che fece, si recò a ringraziare la Marchesa Giulia Centurione, nata Marchesa Diario Sforza, per l'invito che gli aveva fatto il 28 dicembre 1870; e la buona signora divenne una delle sue devote benefattrici.
Tra le visite che ricevette è doveroso ricordare quella di due signori della Conferenza particolare di S. Vincenzo de' Paoli della Parrocchia dei Diecimila Crocifissi, il Presidente Giuseppe Prefumo e Domenico Varetti, i quali, ammirati del bene che il Santo compiva a Torino a pro' della povera gioventù, l'invitavano ad aprire allo stesso scopo un istituto in Genova.
Egli osservava che per compiere una simil opera, era necessario trovare i mezzi e un luogo adatto, e quei bravi signori gli promisero di adoperarsi volentieri all'uopo, quindi, dopo averli encomiati, li incoraggiò, assicurandoli che li avrebbe assecondati cordialmente.
Il mese dopo, il 23 marzo, il Consiglio Municipale di Varazze deliberava ad unanimità di aprire il Collegio sotto la direzione di Don Bosco; e il fratello stesso del Sindaco, Can. Domenico Mombello, glie ne dava la prima notizia.
Mi affretto a darle la buona nuova, che in questo momento finalmente venne deliberato da cotesto Consiglio Municipale ad unanimità l'impianto e direzione del Collegio a V. S. M. Ra. La consolazione che io provo in questi momenti non glie la posso esprimere. Il demonio per mezzo dei suoi ministri avea cercato di subornare, ma io ogni cosa aveva posto in mani della divina Provvidenza, il Signore sapea le mie intenzioni, e mi ha esaudito: anzi pregai caldamente S. Giuseppe, e nel decorso di sua novena, ed in modo speciale nel giorno della sua festa all'altare dove si venera sua divota imagine nel S. Sacrifizio della Messa con novello fervore gli avea raccomandato [146] questa pratica che conoscea di molta importanza; anzi se debbo dirle in verità ne temea assai.
Io di tutto cuore ne ringrazio il Signore Iddio, e prego in pari tempo la S. V. M. Ra a fare il possibile, perchè tutto quello che dipende da lei possa avere il suo compimento. Al momento non posso darle altro dettaglio particolare intorno alla pratica, ed è che il Consiglio ha annuito perfettamente a tutto quello che a voce Ella si era posto d'accordo con mio fratello, nell'ultima sera della sua dimora costì.
Mi rincrebbe assai di non aver più avuto il contento di vederla prima della sua partenza, come era mio desiderio, ma spero che non tarderà il momento che ci rivedremo. Non mi dilungo più perchè è l'ora della partenza postale; prego a far gradire i miei saluti al degnissimo di lei R.do Economo Generale, e nel parteciparle la buona novella passo a dirle, voglia ancor ella unirsi a noi assieme per ringraziare il Signore Iddio che per intercessione di S. Giuseppe si sia degnato concederci sì segnalato favore.
Sulla speranza pertanto di presto rivederla, con distinta stima, ed alta considerazione, mi dichiaro
Devot.mo ed Osseq.mo Servitore
Le pratiche procedettero a meraviglia.
Il 6 aprile il Sotto - Prefetto del Circondario di Savona rendeva esecutoria la deliberazione del Consiglio Comunale di Varazze; ed il Sindaco, immediatamente, in via ufficiosa, ne dava comunicazione a Don Bosco insieme con i particolari più interessanti che sarebbero stati inseriti nel Capitolato ufficiale, di cui veniva affidata la compilazione all'Avv. Commendatore Maurizio Giovanni.
Accettazione dei Collegio Convitto
Questo Comunale Consiglio in seduta 23 marzo ultimo scorso ha deliberato in via di massima quanto segue:
1° - Di affidarsi la direzione e l'esercizio del Collegio - Convitto al Sacerdote Signor Don Bosco Giovanni, coll'obbligo al medesimo di darvi gli insegnamenti delle scuole elementari maschili, del corso [147] tecnico completo, e del corso ginnasiale pure completo, il tutto a termini dei Regolamenti e programmi Governativi esistenti e che venissero stabiliti in seguito, nonchè sotto l'osservanza delle condizioni che saranno determinate in apposito Capitolato a deliberarsi dal Consiglio.
2° - Di accordarsi al Sacerdote Don Bosco l'annua somma di lire Dodicimila a titolo di stipendio del personale insegnante le scuole anzidette.
3° - Di accordarsi pure al detto Don Bosco il premio di lire Dodicimila per la provvista di mobili occorrenti al detto Collegio, la quale somma gli verrà pagata in due rate eguali, la prima all'epoca dell'apertura del Collegio, e la seconda nell'anno successivo, coll'obbligo però allo stesso Don Bosco di dover restituire al Municipio senza compenso alcuno, tanti mobili ad uso del detto Collegio che abbiano un valore di lire Seimila, da accertarsi mediante perizia ognora che, per qualunque circostanza prevista od imprevista alla scadenza del primo decennio, o prima, avesse a cessare il contratto che con lui verrà stipulato; e nel caso la cessazione del contratto si verificasse oltre il primo decennio, coll'obbligo invece di fare tale restituzione fino alla concorrenza soltanto di un valore di lire quattromila.
4° - Di stabilirsi che la durata del contratto a stipularsi col detto Don Bosco sarà di anni cinque, e che non seguendo disdetta quattro anni prima della scadenza, si intenderà tacitamente rinnovato per un altro quinquennio.
5° - Di incaricarsi la Giunta Municipale a formare il capitolato delle condizioni del contratto a stipularsi col summentovato Don Bosco, aggiungendo alle suaccennate tutte quelle che riconoscerà opportune; e di autorizzarsi la medesima a valersi dell'opera del Sig. Avv.to Commendatore Maurizio Giovanni per la compilazione di esso Capitolato, il quale dovrà quindi essere rassegnato al Comunale Consiglio per le sue deliberazioni.
La preaccennata deliberazione del Comunale Consiglio essendo stata resa esecutoria dal Signor Sotto Prefetto di questo Circondario il 6 corrente aprile, il sottoscritto si affretta di darne partecipazione al sullodato Don Bosco a sua opportuna norma; e gli significa in pari tempo essersi da questo Municipio già dato incarico al Commendatore Sig. Avv.to Giovanni Maurizio, di preparare al più presto possibile uno schema del suddetto capitolato, incarico che ben volentieri venne da lui accettato.
Vi è a sperare che tale schema sarà tra pochi giorni allestito, e si riserva lo scrivente, non appena perverrà a questo Municipio, di invitare il prefato Signor Don Bosco ad un'adunanza di questa Giunta Municipale per discuterlo, e mettersi d'accordo sul medesimo prima di rassegnarlo al Comunale Consiglio per le sue deliberazioni. [148] Pregiasi intanto lo scrivente di riaffermare al prefato Don Bosco i sensi della sua più distinta stima e considerazione.
Molto R.do Signor Don Bosco Giovanni, Torino.
Appena il Capitolato fu allestito, ne fu inviata copia a Don Bosco, con preghiera d'intervenire all'adunanza della Giunta Municipale, “per mettersi d'accordo sul medesimo prima di rassegnarlo al Comunale Consiglio per la sua deliberazione”.
Non sappiamo se Don Bosco sia tornato a Varazze, ma abbiamo una copia del capitolato (con varie correzioni ivi apposte dal Santo) e ne riportiamo esattamente l'originale:
Capitolato fra la Città di Varazze ed il Sacerdote Don Giovanni Bosco, proposto dalla detta Città al prelato Sac. Bosco in base alla Deliberazione del Consiglio Comunale del 23 marzo 1871.
1° Il Sacerdote Giovanni Bosco si obbliga di aprire un Collegio Convitto nella Città di Varazze e di somministrare l'istruzione classica, ginnasiale, tecnica ed elementare tanto ai giovanetti cittadini quanto ai forestieri che volessero approfittarne.
Nel caso di morte del Sacerdote Bosco gli eredi saranno obbligati ad osservare l'obbligazione assunta dal loro autore; però il Direttore che dovrà surrogare il detto Sac. Bosco dovrà essere di aggradimento del Consiglio Comunale di Varazze.
2° Il Sac. Giovanni Bosco provvederà i maestri in numero sufficiente per gli insegnamenti sopraindicati, i quali dovranno essere approvati dalle Autorità Scolastiche a termini dei vigenti Regolamenti.
3° L’istruzione sarà fatta secondo le leggi e le discipline in vigore ed a termini dei programmi ufficiali.
4° Sarà in facoltà del Municipio di Varazze di promuovere il pareggiamento delle scuole Ginnasiali e Tecniche, ed il D. Bosco si obbliga a stabilire dette scuole in condizione tale da poter ottenere il detto pareggiamento.
Ciò non esclude che il D. Bosco possa servirsi dei maestri stessi, tanto per un insegnamento che per l'altro, purchè non avvengano inconvenienti a detrimento dell'istruzione e della disciplina.
5° Tutte le spese di suppellettile per il Convitto saranno a carico del Sacerdote Bosco; il Municipio per altro, come proprietario ed in conformità del prescritto dell'Art. 1604 Codice Civile Italiano, si obbliga: [149]
A) a tutte le riparazioni che sono necessarie all'uso ed alla conservazione dell'edifizio e dei locali annessi, esclusa però quella parte destinata al Convitto ed abitazione dei maestri e dipendenti.
Per quanto riflette questa parte dell'edifizio le riparazioni di piccola manutenzione saranno a carico del D. Bosco, il quale avrà il diritto di farsi indennizzare da coloro che potessero aver dato causa alle stesse.
B) A provvedere e mantenere nelle scuole tanto elementari che ginnasiali la suppellettile e le altre cose necessarie, delle quali ne conserverà la proprietà.
6° Il Municipio si obbliga di pagare al Sac. D. Gio. Bosco:
A) La somma di lire italiane duemila cinquecento (L. 2500) per il personale delle scuole elementari.
B) La somma di lire italiane novemila cinquecento (L. 9500) per il personale delle scuole ginnasiali e tecniche.
Oltre la cessione a di lui favore del provento minervale di cui è cenno più sotto.
Il Municipio si riserva i sussidi che potesse ottenere tanto dalla Provincia che dal Governo, come da qualunque siasi altra istituzione pia, essendochè, se si è assunto di pagare la complessiva somma di lire italiane dodicimila, è in vista dei rimborsi che potrebbe in qualche parte ottenere col mezzo dei suindicati sussidi.
Resta però convenuto che ove per il pareggiamento delle scuole di già sopramentovato il Municipio venisse a conseguire maggiori sussidi, questi in allora cederanno per metà al D. Bosco.
7° Il Municipio si obbliga inoltre a corrispondere al Sac. Bosco un premio di lire dodicimila (L. it. 12 mila) per le spese di primo impianto che successivo mantenimento del Convitto.
Questa somma sarà pagata all'apertura del Convitto per metà, e nell'anno successivo per l'altra metà.
8° Il presente contratto avrà la durata d'anni cinque, e si intenderà rinnovato per altri anni cinque ove da parte del Municipio non sia data disdetta prima dello spirare del primo anno.
Accadendo che il contratto fosse sciolto, compiuto il decennio, il D. Bosco dovrà restituire la somma di lire italiane Seimila (L. it. 6000) in denari o mobilia ad uso di Convitto da accertarsi mediante perizia.
Se poi il contratto fosse sciolto prima che si compisse il primo decennio, allora il D. Bosco dovrà restituire in denari od in mobilia come sopra la detta somma di lire italiane dodicimila (L. 12000) divisa in dieci rate uguali, che rimborserà in altrettante rate quanto saranno gli anni decorrendi fino al compimento del decennio; e ciò sia che avvenga per forza maggiore che per altra causa qualsiasi.
9° Il Municipio concede al Sac. Bosco in senso di quanto si è già convenuto superiormente l'uso del locale così detto del Collegio [150] costrutto recentemente per le scuole e per il Convitto col cortile e giardino annesso.
10° Le Minervali non potranno essere maggiori di L. it. 30 per le due rettoriche e di L. it. 24 per le grammatiche.
In quanto alle scuole tecniche i contraenti si rimettono ai Regolamenti in proposito. Però gli alunni di Varazze godranno di una diminuzione del terzo.
Si riserva la Giunta Municipale di esentare gli alunni veramente poveri e che sieno di ottima condotta.
I Convittori del Collegio e tutti gli allievi delle Classi Elementari non potranno essere sottoposti a veruna minervale.
11° Sarà lecito a tutti gli alunni esterni di frequentare i singoli rami di insegnamento che si darà ai convittori.
12° Nei provvedimenti che riguardano la moralità si rimettono le parti ai vigenti regolamenti; in quanto poi alla istruzione religiosa il Municipio si rimette alla prudenza del Sac. Bosco.
13° La Direzione e l'Amministrazione del Collegio Convitto nonchè la Direzione delle Scuole tanto ginnasiali che tecniche come anche delle Elementari è affidata al Sac. Bosco, colla dipendenza però dalle Autorità Scolastiche secondo il prescritto delle vigenti leggi.
In quanto poi alle scuole Elementari nulla si intende derogato in quanto dispone la legge in ordine alle attribuzioni del Municipio.
14° Le scuole saranno aperte al principio dell'anno scolastico 1871 - 72, secondo il Calendario Scolastico.
15° Il Municipio si riserva di approvare l'orario delle scuole che dovrà essere proposto da Don Bosco.
Come pure di mandare un suo Commissario ad ispezionare le stesse e ad assistere agli esami finali del corso, nonchè agli annuali, quando ciò credesse conveniente.
Le correzioni del Santo furono queste:
Nel primo articolo, ove si diceva „Nel caso di morte del Sacerdote Bosco”, cancellò il periodo „il Direttore che dovrà surrogare il detto Sac. Bosco dovrà essere di gradimento del Consiglio Comunale di Varazze”.
Nel terzo articolo, ove si diceva che l'istruzione sarà fatta secondo la disciplina ed i termini dei programmi ufficiali, aggiunse „stabiliti dal Governo per le pubbliche scuole”.
Quindi aggiunse questa specificazione: „Il corso tecnico sarà fatto Presso a poco secondo il Progetto Governativo di fusione dei due corsi tecnico e ginnasiale, cioè: aritmetica, sistema metrico, geografia, lingua italiana, storia, siano li stessi come nel corso ginnasiale dimodochè saranno esauriti contemporaneamente [151] le materie anche del corso tecnico col corso ginnasiale. Per completare quello che è più essenziale nel corso tecnico vi saranno inoltre lezioni di francese e di disegno dimodochè nel quinquennio classico siano pure esaurite le materie spettanti a questi rami del corso tecnico”.
Soppresse la dichiarazione che gli era permesso di servirsi degli stessi maestri tanto per un insegnamento che per un altro, senza detrimento della istruzione e della disciplina come si leggeva nell'Articolo 4°.
Nell'Articolo 5° A radiò l'esclusione delle spese necessarie per l'uso e la conservazione degli edifizi, alla parte destinata al Convitto ed all'abitazione dei maestri e dei loro dipendenti, pur dichiarando di assoggettarsi alle piccole spese necessarie per le piccole riparazioni di tutta la parte destinata al Convitto.
All'Articolo 6° B, ove sono specificate le somme che il Municipio darà a Don Bosco, apponeva questa aggiunta: „Qualora per altro si volesse promuovere e si ottenesse il pareggiamento, il Municipio eleverebbe lo stipendio del personale nei tre corsi alla somma stabilita dalla tabella annessa alle leggi della Pubblica istruzione per la terza categoria delle scuole urbane”.
Quindi cancellava ed apponeva un punto interrogativo al tratto dell'Articolo 8°, ove si dice della restituzione di lire italiane 6000, qualora accadesse che il contratto si sciogliesse compiuto il decennio.
Nell'Articolo 10° circa la riserva fatta alla Giunta Municipale di esonerare dal minervale gli alunni veramente poveri e che sieno di ottima condotta, specificava: „gli alunni che riconoscansi veramente poveri e commendevoli per ingegno e buona condotta”.
In ossequio all'Autorità ecclesiastica locale modificava pure l'Articolo 12° così: „Nei Provvedimenti che riguardano la moralità e l'istruzione religiosa il Municipio si rimette alla Prudenza del Sac. Bosco ed al Sig. Vicario della Parrocchia nel cui distretto esiste il Collegio”.
Anche nell'Articolo seguente, relativo alla dipendenza del Collegio Convitto dalle autorità scolastiche, aggiungeva: „e [152] segnatamente del delegato scolastico mandamentale”, togliendo l'ultimo periodo.
Nell'ultimo Articolo modificava l'ultimo periodo ponendovi che il Municipio poteva „pure mandare un suo incaricato ad assistere agli esami mensili nonchè agli esami finali, quando ciò credesse conveniente”.
Le osservazioni e le correzioni di Don Bosco vennero quasi tutte ammesse nell'esemplare definitivo, che il 5 giugno venne approvato dal Consiglio Comunale, e il 12 luglio dal Consiglio Provinciale Scolastico.
E il Sindaco ne dava ragguaglio a Don Bosco, assicurandolo, che appena avrebbe avuto notizia ufficiale dell'approvazione, gli avrebbe inviato due copie dell'atto perchè le sottoscrivesse.
Il Sig. Commendatore Avv. Gio. Maurizio mi diede avviso che il Consiglio Comunale Provinciale Scolastico in seduta 12 corrente luglio approvò il Capitolato votato da questo Comunale Consiglio li 5 giugno n. s. in base del quale devesi stipulare fra questo Municipio e la S. V. Molto Rev.da il Contratto relativo alla direzione e all'esercizio a Lei affidato del Collegio - Convitto da aprirsi in questa città.
Mi affretto quindi colla più viva compiacenza dì parteciparle quanto sopra onde Ella possa frattanto prendere le sue disposizioni per l'apertura del Collegio - Convitto in principio del prossimo anno scolastico.
Mi riservo tosto che riceverò notizia ufficiale dell'approvazione suddetta di inviarle per la di Lei soscrizione due esemplari del Contratto, uno dei quali per rimanere nelle sue mani e l'altro da restituirsi a questo Municipio.
Pregiomi intanto di riaffermarmi co' sensi della più profonda stima e considerazione,
Anche il Prevosto, pieno di giubilo per la riuscita dell'affare, dandone notizia al Santo, l'invitava a recarsi a Varazze per la sottoscrizione dell'atto, ma a quanto pare Don Bosco non vi andò, essendo stato preavvisato dal Sindaco che gli verrebbe trasmesso l'Atto a Torino.
Questo Sig. Sindaco mi disse d'avere ragguagliato la S. V. C.ma che il Consiglio Provinciale Scolastico con Deliberazione in data 13 corrente ha pienamente approvato l'Ordinato Municipale di affidare il Neo - Collegio - Convitto alla savia direzione di V. S. Stimat.ma.
Rimane ora pertanto ch'Ella abbia la bontà di qui venire per la stipulazione ossia firma dell'atto, ed io sono a pregarla acciò voglia compiacersi ciò effettuare al più presto possibile. La prego altresì di far annunziare l'apertura del Collegio - Convitto in quel modo che giudicherà più conveniente, ed inviare alcuni stampati delle condizioni di ammissione al Convitto, essendo già state fatte varie domande.
E del Rev.do D. Savio cosa n'è? Mi aveva fatto fondatamente sperare che nel ritorno da Alassio, mi sarebbe stato concesso goderlo ancora qualche po', ed aveva dato preventivo avviso alla Sig.ra Marchesa Centurione d'una visita che gli avrebbe fatto in di Lei nome. Forse la ristrettezza del tempo non gli avrà consentito di qui fermarsi, ad ogni modo desidero conoscere sue buone notizie.
In attesa di ricevere le carissime di Lei nuove, e molto più la sospirata sua persona, mi creda sempre quale ho il bene di professarmi colla più distinta stima e profondo ossequio,
Ricevuta notizia ufficiale dell'approvazione dell'„Atto di convenzione stipulata fra la città di Varazze e il Sig. Cav. Prete Giovanni Bosco per la direzione e l'esercizio di un Collegio - Convitto in essa città”, il Sindaco, come aveva promesso, ne inviava al Santo due copie in carta da bollo, ambedue da lui firmate, con preghiera di firmarne una egli pure e di rinviargliela, mentre l'altra l'avrebbe ritenuta per sè, e difatti è nel nostro archivio, [154]
N° 1171 del Protocollo Generale-
Contratto per l'attuazione del
Compiendo alla riserva contenuta nella mia nota del 14 corrente Luglio, trasmetto alla S. V. Molto Rev.da due esemplari del Contratto che devesi stipulare fra Lei e questo Municipio relativamente alla Direzione ed all'esercizio che le viene affidato del Collegio - Convitto da aprirsi in questa città.
Tali due esemplari sono già da me sottoscritti; favorirà la S. V. dì rinviarmene uno munito della di Lei soscrizione, e l'altro lo terrà presso di sè.
Pregiomi intanto di riaffermarmi coi sensi della più distinta stima e rispetto,
ATTO di convenzione stipulata fra la Città di Varazze ed il Molto Reverendo Sig. Cav. Prete Gioanni BOSCO per la direzione e l'esercizio di un Collegio - Convitto in essa Città.
L'anno mille ottocento settantuno, addì ventidue del mese di luglio in Varazze.
Che il Comunale Consiglio della Città di Varazze con deliberazione cinque giugno mille ottocento settantuno determinò di affidarsi al Reverendo Sig. Prete Cav. Bosco Gioanni la direzione e l'esercizio del Collegio - Convitto da aprirsi in questa Città, sotto l'osservanza del Capitolato nella detta deliberazione contenuto, il quale esso Don Bosco si dichiarò disposto ad accettare; ed in pari tempo il Comunale Consiglio ha conferto incarico al Sig. Sindaco della Città di stipulare col prefato Don Bosco il relativo contratto.
Che la precitata deliberazione essendo stata approvata dal Consiglio Provinciale Scolastico di Genova li dodici corrente luglio ora puossi stipulare il contratto suddetto. [155] In dipendenza di quanto sopra la Città di Varazze rappresentata dal suo Sindaco Sig. Cav. Mombello Antonio fu Antonio e il prefato Don Giovanni Bosco per la presente privata scrittura convengono quanto segue:
1° Il Sacerdote Giovanni Bosco si obbliga d'aprire un Collegio - Convitto nella Città di Varazze e di somministrare l'istruzione Classica, Ginnasiale, Tecnica ed elementare tanto ai giovanetti cittadini quanto ai forestieri che volessero approfittarne.
Nel caso di morte del Sac. Bosco gli eredi saranno obbligati ad osservare l'obbligazione assunta dal loro autore.
2° Il Sac. Bosco provvederà i Maestri in numero sufficiente per gli insegnamenti sopra indicati, i quali dovranno essere approvati dalle Autorità scolastiche a termini dei vigenti Regolamenti.
3° L’istruzione sarà fatta secondo le discipline ed a termini dei programmi stabiliti dal Governo per le pubbliche scuole.
Il Corso tecnico sarà fatto secondo il progetto Governativo di fusione dei due Corsi Tecnico e Ginnasiale, cioè: Aritmetica, Sistema Metrico, Geografia, lingua italiana, storia, siano gli stessi come nel corso ginnasiale di modo che saranno esaurite anche dal Corso Tecnico col Corso Ginnasiale.
Per completare quello che è più essenziale nel Corso tecnico vi saranno inoltre lezioni di francese e di disegno, cosicchè nel quinquennio classico siano pure esaurite le materie spettanti a questi rami del corso tecnico per modo che gli alunni, sia del ginnasio che del corso tecnico, vengono abilitati a subire l'esame per essere ammessi ai corsi superiori.
Ciò non esclude che il Sac. Bosco possa servirsi dei Maestri stessi, tanto per un insegnamento che per l'altro, purchè non avvengano inconvenienti a detrimento dell'istruzione e della disciplina.
4° Tutte le spese di suppellettile per il Convitto saranno a carico del Sac. Bosco; il Municipio per altro come proprietario ed in conformità del prescritto dall'art. 1604 Codice Civile italiano si obbliga:
1° A tutte le riparazioni che sono necessarie all'uso ed alla conservazione dell'edificio e dei locali annessi. Per quanto però riflette le riparazioni di piccola manutenzione saranno a carico del Sac. Bosco per tutta la parte destinata al convitto.
2° A provvedere e mantenere nelle scuole tanto elementari che ginnasiali e tecniche la suppellettile e l'altre cose necessarie delle quali conserverà la proprietà.
5° Il Municipio si obbliga di pagare al Sac. Don Giovanni Bosco
1° La somma di lire italiane tre mila duecento (L. 3200) per il personale delle scuole elementari.
2° La somma di lire italiane otto mila ottocento (8800) per il personale delle scuole ginnasiali e tecniche, oltre la cessione a di lui favore del provento Minervale di cui è cenno qui sotto. [156] Tale somma di Lire dodicimila (12000) per parte del Sac. Bosco non sarà soggetta ad alcuna imposta o ritenuta Municipale, Provinciale o Governativa.
Il Municipio si riserva i sussidi che potesse ottenere tanto dalla Provincia che dal Governo come da qualunque siasi altra istituzione pia, essendochè se si è assunto di pagare la complessiva somma di lire italiane dodici mila, è in vista dei rimborsi che potrebbe in qualche parte ottenere col mezzo dei suindicati sussidi.
6° Il Municipio si obbliga inoltre a corrispondere al Sac. Bosco un premio di lire dodici mila (12000) per le spese sia di primo impianto che successivo mantenimento del Convitto.
Questa somma sarà pagata all'apertura del Convitto per metà, e nell'anno successivo per l'altra metà.
7° Il presente contratto avrà la durata di anni cinque, e si intenderà rinnovato per altri anni cinque, ove da una delle parti non sia data disdetta prima dello spirare del primo anno.
Se poi il contratto fosse sciolto sciolto prima che si compisse il primo decennio, il Sac. Bosco dovrà restituire in danari od in mobilia come sopra la detta somma di lire italiane dodici mila (l. 12000) divisa in dieci rate uguali, e ne rimborserà altrettante rate quanti saranno gli anni decorrendi fino al compimento del decennio; e ciò sia che avvenga per forza maggiore che per altra causa qualsiasi.
8° Il Municipio concede al Sac. Bosco, in senso di quanto si è già convenuto superiormente, l'uso del locale del così detto Collegio, costrutto recentemente per le scuole e per il convitto col cortile e giardino annesso.
9° Le Minervali non potranno essere maggiori di lire italiane trenta per le due rettoriche e di lire italiane ventiquattro per le grammatiche.
In quanto alle scuole tecniche i contraenti si rimettono ai Regolamenti in proposito.
Però gli alunni di Varazze godranno di una diminuzione del terzo.
Si riserva la Giunta Municipale di esentare gli alunni che conosconsi veramente poveri e commendevoli per ingegno e buona condotta.
I Convittori del Collegio e tutti gli allievi delle classi elementari non potranno essere sottoposti a veruna minervale.
10° Sarà lecito a tutti gli alunni esterni di frequentare i singoli rami d'insegnamento che si darà ai Convittori.
11° Nei provvedimenti che riguardano la moralità e all'istruzione religiosa il Municipio si rimette alla prudenza del Sac. Bosco.
12° La Direzione l'Amministrazione del Collegio - Convitto nonchè la Direzione delle scuole tanto ginnasiali quanto tecniche come anche elementari è affidata al Sac. Bosco, colla dipendenza però dalle Autorità scolastiche a norma di Legge. [157]
13° Le scuole saranno aperte al principio dell'anno scolastico 1871 - 72 secondo il Calendario scolastico.
14° Il Municipio si riserva di approvare l'orario delle scuole che dovrà essere proposto da Don Bosco, come pure di mandare un suo incaricato ad assistere agli Esami Mensili, nonchè agli Esami Finali, quando ciò credesse conveniente.
La presente convenzione, previa lettura fattane dai contraenti, viene dai medesimi sottoscritta.
Don Bosco firmava e rinviava al Sindaco una copia dell'Atto di convenzione; e così avendo accettato d'aprire il nuovo Collegio - Convitto di Varazze per il prossimo anno scolastico, nello stesso mese, il 29 luglio, come abbiam rilevato, dichiarava formalmente al Sindaco di Cherasco che lasciava quel collegio per motivi d'igiene, e senz'altro stabiliva che il personale ivi addetto sarebbe passato a Varazze, e, precisamente per questo, si disse tra noi che il collegio di Cherasco venne trasferito a Varazze.
Le assidue pratiche per l'apertura del nuovo Collegio di Varazze erano note a Genova, dove, come abbiamo accennato, si desiderava vivamente che Don Bosco aprisse un ospizio per poveri fanciulli. E la Divina Provvidenza veniva disponendo che fosse aperta di quell'anno anche quella Casa!
Nel 1871 ricorreva il III Centenario della vittoria di Lepanto, e fu solennemente celebrato nel Santuario di Maria Ausiliatrice.
“Questa festa - scriveva arditamente il Teol. Giacomo Margotti nell’Unità Cattolica del 14 maggio - fu istituita dal Sommo Pontefice Pio VII in ringraziamento a Maria della sua liberazione prodigiosa dalla cattività di Fontainebleau, in quel modo che S. Pio V già aveva introdotto presso i cristiani la divozione a Maria aiuto dei cristiani, in riconoscenza della celebre vittoria riportata a Lepanto [158] contro i Turchi, e dì cui in quest'anno appunto si celebra la terza centenaria ricorrenza.
È per ciò che tutti i cattolici, i quali gemono per le presenti calamità che affliggono la Chiesa e vedono Roma straziata dai rivoluzionari e dagli atei, non meno nemici del cattolicismo di quello che lo fossero i seguaci della Mezzaluna, e nel tempo stesso il Vicario di Gesù Cristo prigioniero in Vaticano, devono sentire più che mai il bisogno di ricorrere a Maria Ausiliatrice, così potente nel difendere e glorificare la Chiesa, affinchè voglia concederle un'altra volta la sospirata pace col trionfo dei buoni, colla conversione dei tristi. Maria Santissima ci esaudirà senza fallo, e presto; perchè le preghiere di tanti e tanti divoti, innalzate a Lei da ogni angolo della terra, non mancheranno di fare dolce violenza al suo cuore. Noi abbiamo dinanzi agli occhi un triste spettacolo di indifferenza e di empietà; ma nel tempo stesso un altro spettacolo, e consolantissimo, di preghiere, di elemosine, di penitenze e di pellegrinaggi; forse mai la lotta fu così viva e così diffusa; la vittoria non può essere dubbia; o Maria non è più la tesoriera delle grazie, e Dio manca alle sue promesse.
Per queste ragioni, nella chiesa di Maria Ausiliatrice in Torino, la festa del 24 si celebrerà con maggior pompa che negli anni decorsi...”.
Il programma, riboccante d'interessanti particolari, non solo venne affisso alle porte delle chiese, ma anche pubblicato nella copertina del fascicolo di maggio delle Letture Cattoliche, e largamente diffuso in foglietti volanti in tutta la città.
Oratorio di S. Francesco di Sales in Torino.
Centenario della Vittoria di Lepanto riportata dai Cristiani per intercessione di Maria Ausiliatrice contro ai Turchi l'anno 1571.
Indulgenza plenaria chi confessato e comunicato visiterà la Chiesa a Lei dedicata nel corso della Novena e della Festa. [159]
Orario delle Funzioni Religiose.
La Novena comincerà il 15 Maggio.
Ciascun giorno lungo il mattino fino a mezzodì celebrazione di Messe lette e comodità per chi desidera accostarsi ai sacramenti della Confessione e Comunione.
Alle ore 7 Comunione generale con particolari esercizi di pietà.
Ogni sera alle 7 canto di laudi sacre, Predica, Benedizione col SS. Sacramento.
Domenica 21. Mattino. - Alle ore 8, 30. - Amministrazione
Sera. - 3, 30 Vespri - Predica - Benedizione.
Solennità di Maria Aiuto dei Cristiani.
Mattino. - Alle ore 10 Messa Pontificale. Dagli allievi dell'Oratorio di S. Francesco di Sales verrà eseguita con scelta orchestra a 200 voci una nuova e grandiosa Messa del Sac. Cagliero Giovanni.
Sera. - Alle ore 6 Vespri solenni - Panegirico - Tantum ergo a 300 voci - Benedizione.
NB. L'Inno fra i Vespri solenni, Produzione del prelato Sac. Cagliero, a 300 voci con orchestra. L'autore ebbe di mira di rappresentare con note musicali la famosa battaglia ed il trionfo dei Cristiani a Lepanto coll'aiuto di Maria Ausiliatrice. Questa musica sarà eseguita dagli allievi di Torino, di Lanzo, di Cherasco, di Alassio, di Borgo San Martino e da molti Professori, maestri e distinti dilettanti della Città.
Chi desiderasse farsi ascrivere nell'Associazione di Maria Ausiliatrice si rechi in sacrestia, dove troverà persona appositamente incaricata.
La limosina che gli Aggregati od altri giudicheranno di fare in quest'anno servirà a pagare le spese fatte nella costruzione del coro e della sacristia che tuttora mancavano nella Chiesa dell'Associazione.
Nel giorno 21 la musica della sera sarà eseguita dagli allievi del Collegio - Convitto di Lanzo. [160] Nel giorno 22 dagli allievi del Collegio - Convitto di Cherasco e da quelli del Collegio di Alassio.
23 dagli allievi del Collegio di S. Carlo in Borgo S. Martino presso Casale.
Nei due ultimi giorni della Novena e nel giorno della Festa vi sarà nell'interno dello Stabilimento una piccola fiera a totale beneficio della Chiesa e del Pio Istituto. Si esporranno in vendita sopra banchi diversi:
1° Medaglie, litografie e fotografie religiose, libri ameni, musica per canti e per pianoforte, opere edite dall'Oratorio.
2° Giuocattoli ed oggetti diversi di divertimento pei ragazzi.
3° Gran padiglione della Ruota della Fortuna. Consiste questa in un'urna piena di Biglietti bianchi e scritti. Si distribuiscono tutti piegati: gli scritti vinceranno il dono che ivi è descritto. Ogni biglietto cent. 10. Chi ne acquista una decina avrà l'undecimo gratis.
4° Fuori del tempo delle sacre funzioni avranno luogo concerti musicali e trattenimenti di vario genere.
5° La direzione delle feste interne è affidata ai Direttori dell'Oratorio e ad un Comitato di nobili Signori che prestano con zelo l'opera loro a questo scopo di beneficenza.
La S. V. è pregata di intervenire e comunicare questo programma alle persone di sua conoscenza.
Don Bosco, che soleva invitar alla festa qualche insigne benefattore, scriveva con santa amabilità alla signora Uguccioni di Firenze:
Ogni mattina nel celebrare la santa Messa fò sempre un memento speciale per mia buona mamma, pel caro papà e famiglia; ma un rimorso mi turbava sempre, perchè di più frequente non le mando lettere. Ora me ne perdoni; le prometto la continuazione delle preghiere e la emendazione della negligenza. No: non voglio più rubare francobolli, e me ne voglio servire secondo lo scopo.
Ella si affligge nel timore che i due fratelli Montauto non possono continuare in una famiglia sola. Non sia così. Si affligga nel solo caso dell'offesa del Signore e non altrimenti. Ella sia mediatrice di pace mentre fanno una famiglia sola, nella divisione, e nelle due famiglie, qualora queste due ultime cose si avverassero. Abramo e Lot erano due santi e si divisero, per aver cura ciascuno della propria famiglia, dei loro pascoli e bestiami.
Godo molto che il nostro caro Sig.r Tomaso sia in buona salute. [161] Non potrebbero in quest'anno venirci a fare una visita alla solennità di Maria Ausiliatrice? Se ciò addivenisse, vorrei che il nostro campanaro facesse uno scampanìo dell'altro mondo. Veda un poco se può procurare una tale consolazione a questo suo figliolo. Esso è tuttora discolo, ma, se fa questa visita, le promette di farsi molto buono. Se mai vedesse la Sig.ra Enrichetta Nerli, la Contessa Digny, la Sig.ra Maria Gondi mi fa una grazia di salutarle da parte mia. Chi sa che non possa risolverle anche a farei una visita? Io scriverò più tardi una lettera per invitarle...
Ella poi preghi per la casa nostra. Tutto va bene per la moralità, sanità, etc., ma in brevissimo tempo abbiamo dovuto riscattare dieci chierici dalla leva militare colla enorme somma di franchi 32 mila. Vede che flagello! Ora però questo è fatto e ci prepariamo per altri disastri, se a Dio piacerà di mandarcene.
Dio benedica Lei, il Sig.re Tommaso, tutta la sua famiglia, preghi per la povera anima mia, e mi creda di V, S. B.,
Nel pomeriggio del 21 si raccoglievano nella chiesetta di San Francesco di Sales molti musicisti della città, per prender parte alla prova dell'esecuzione dell'inno Saepe dum Christi, splendida composizione di Don Cagliero, che aveva diramato quest'invito:
il giorno 24 maggio corrente nella Chiesa di Maria Ausiliatrice si celebrerà con grande solennità la festa titolare. Alle 6 pomeridiane vi si canteranno i vespri pontificali. L'inno Saepe dum Christi (ipotiposi della battaglia di Lepanto) verrà eseguito a grande orchestra con 300 voci. Vi prendono parte molti professori, maestri e distinti dilettanti della città. È per questo che prego pure la Vostra Signoria a voler prestare l'opera sua, affinchè riesca più splendida e decorosa la funzione.
Nella fiducia di essere esaudito, gliene anticipo i ringraziamenti,
N. B. - Il giorno 21 del corrente [domenica], alle ore 3, 30 pom., nella cappella interna dell'Oratorio vi sarà prova generale. V. S. è pregata a prendervi parte. [162] L'inno ebbe poi un'esecuzione imponente.
La sera del 21, al suono di festosi concenti, s'inauguravano anche la piccola fiera e la Ruota della fortuna a benefizio dell'Oratorio, e precisamente per le spese fatte nella costruzione del coro e della nuova sagrestia, di cui eran finiti i lavori di muratura.
Indescrivibile fu l'ammirazione incantevole che destò l'eletta schiera di giovinotti, appartenenti alle primarie famiglie della città, che presiedevano i banchi di vendita e le estrazioni dei biglietti della mota, con gentil gaiezza insuperabile.
Il programma dalla solennità, come bramava Don Bosco, si svolse nel massimo raccoglimento in chiesa e nella più schietta e gioconda letizia nei cortili.
Lo splendore dei sacri riti fu commovente; ed anche fuori del Santuario tutto procedette nell'ordine più perfetto, avendo i Superiori, in apposite conferenze, sotto la presidenza di Don Rua, preso gli opportuni provvedimenti perchè tutti i forestieri avessero libera entrata anche nei cortili senz'alcun danno alla disciplina dell'istituto, assegnando a vari confratelli una continua vigilanza in ogni parte.
È superfluo il dire quanto grande fu il concorso d'ogni sorta di persone, specialmente il 24. Migliaia di devoti si accostarono alla Sacra Mensa, e fin dalle prime ore del mattino tutti gli altari rimasero occupati da sacerdoti celebranti il Santo Sacrifizio.
A mezzodì tra sacerdoti, benefattori ed amici, confratelli ed alunni, accorsi anche dalle varie Case, furono, in nove refettori, mille e cinquecento i commensali, tutti largamente provvisti dalla Divina Provvidenza.
E la Madonna, anche quel giorno, mostrava nettamente quanto amasse il suo devotissimo Servo. Il racconto è di Don Lemoyne, che si trovava egli pure nell'Oratorio.
La signora Maria Rogattino entrava nella stanza del Santo tenendo per mano un suo bimbo cieco. Molte persone erano presenti; ed essa nel suo dolore si fece ardita e si buttò in ginocchio, e:
- Sono una madre desolata!, esclamò. Iddio dopo molte [163] preghiere mi ha donato questo figlio, ed ora me lo va privando della vista. Son due anni, che io lo veggo spasimare sotto le operazioni chirurgiche, e adesso i dottori mi dicono apertamente, non esservi più rimedio, che bisogna rassegnarsi alla volontà di Dio!... Signore! ho tentato a rassegnarmi, ma non posso riuscirvi; il sacrifizio mi par troppo grande. Non posso persuadermi che Iddio voglia permettere tanta disgrazia a danno di un bambino innocente... Io sono la donna più infelice della terra!...
Qui il pianto le tolse la parola, e non potè proseguire. Don Bosco le lasciò sfogare alquanto la pienezza del dolore, quindi con squisita carità le disse parole di conforto e di rassegnazione cristiana, concludendo:
- Avete voi già pregata la Madonna, perchè vi guarisca questo caro angioletto? E non sapete che Iddio può avere permessa la sua infermità, per vostra prova, per farlo soggetto delle sue misericordie e glorificare la sua madre Maria? Impegnate dunque in vostro favore Maria Ausiliatrice; e persuadetevi, che ciò che non possono fare i chirurgi, lo saprà far Ella. Non è con questo, che io vi consigli dal desistere di prodigare al vostro bimbo tutte le cure che si credono opportune, ma voglio che vi persuadiate che non riusciranno a nulla i conati degli uomini, se non vi rendete propizio Iddio, con qualche potentissima intercessione. Ora, tutte le grazie, al dire di San Bernardo, :passano per le mani di Maria! Non vi sia adunque discaro di rivolgervi a lei con qualche novena di preghiere, e con qualche sacrifizio. Io posso assicurarvi, che se è bene per l'anima del bimbo e per la vostra, Dio ve lo guarirà.
Detto questo, Don Bosco voleva accomiatarla, ma la povera madre insistè dicendo:
- Io non partirò, finchè ella non abbia benedetto il mio fanciullo. Una mia amica mi assicurò che, essendo essa ammalata, si sforzò di venir da lei a farsi benedire; e da quel punto che fu benedetta incominciò a guarire. E perchè io dubiterò che non avvenga altrettanto al mio bimbo? Se la sola ombra di S. Pietro bastava a guarire gli infermi più disperati, a raddrizzare gli storpi, a render la vista ai ciechi, [164] perchè io non spererò ugualmente nella benedizione di un altro ministro del Signore?
Il Santo la guardò un istante, meravigliato di così fiduciosa insistenza, e poi esclamò:
- Voi v'ingannate! Non è da me che dovete aspettarvi la benedizione, ma da Dio, mediante il potentissimo patrocinio di Maria Ausiliatrice. Io non sono che un debole strumento nelle mani del Signore!
Ma la buona donna tanto insistè che Don Bosco, fatto inginocchiare il bimbo, lo benedisse, lo regalò di una medaglia di Maria Ausiliatrice, e lo congedò, esortando la madre a confidare. Questa partiva quasi sicura di aver ottenuta la sospirata grazia, e non s'ingannava. Difatti tornò all'Oratorio, presentando il figlio guarito al Santo, il quale le disse:
- Procurate di dare una buona e santa educazione al vostro piccolino così segnalato dai favori del cielo; ecco la più bella prova di riconoscenza che da voi aspetta Maria Ausiliatrice! Vedete di farlo crescere timorato di Dio, riverente alla Chiesa e ai suoi ministri, e se mai Dio lo chiamasse a servirlo più da vicino, non tradite la sua vocazione, ma consacratelo a Lui!
Quell'anno la Santa Vergine concedeva a Don Bosco un'altra grazia segnalatissima, a vantaggio di tutta la Chiesa; la risoluzione d'iniziare a prò della gioventù femminile la seconda Famiglia Religiosa, alla quale aveva già preparato la pietra angolare nell'umile figlia dei campi, la Beata Maria Domenica Mazzarello di Mornese, incamminata per le vie della santità sotto la direzione del sacerdote salesiano Don Domenico Pestarino, di venerata memoria.
Dell'apostolato compiuto da questo degno ministro di Dio, segnatamente fra le giovinette, coll'istituzione della Compagnia delle Figlie di Maria dell'Immacolata, da cui uscirono, piene di filiale e generosa devozione per Don Bosco, le prime aspiranti al nuovo Istituto, del lavoro pazientissimo compiuto dal Santo per la loro formazione regolare, e delle virtù eroiche di Maria Mazzarello, eletta all'unanimità prima Superiora e poi Superiora Generale, diremo nella VI parte. [165] Il concorso dei divoti si rinnovò anche la domenica appresso, 28 maggio, solennità di Pentecoste; e il 1° giugno il drappello dei nobili giovani che avevano presieduti i banchi di beneficenza, si radunavano nell'Oratorio per dar conto a Don Bosco del lavoro compiuto. Non fu straordinaria la somma raccolta, ma considerevole, chè, dedotte le spese fatte per l'acquisto degli oggetti e dei libri e tutte le altre accessorie, fu di circa 4000 lire. E il giovane presidente, Carlo Diego Carrassi Marchese dei Villar, nel mettergliele in mano, gli leggeva questo indirizzo:
Quando al cominciare di erta salita io innalzo lo sguardo e titubante mi adagio ad osservarne l'altezza, parmi allor che inaudita fatica, stenti e pericoli si accrescano ognor.
Ma se un paterno consiglio mi vien porgendo aita, se una voce benigna mi dice: coraggio ch'io sono con te; oh! allor munito di insolito vigore mi accingo all'opera e raggiungo la mèta che poco prima erami un desio ancor. Miro di là altero le cime che stanmi ai piedi; scòrgo da lungi il mare che agitato da indomita tempesta par tutto travolga e si ribelli al Cielo: in mezzo a quello mia leggiera barchetta guidata da antico ma ben noto nocchiero, solca le acque infide, nè teme i flutti e le onde perverse, una buona stella le è guida; essa varca i mari e porta la luce là ove non risplende il sole, è messaggiera di pace, di gioia, d'amore: essa risplende di luce propria che invigorisce il cuor.
Ebben - tal era di noi. Quella voce benigna, o Reverendo Sacerdote, è la sua che inspira vigore e forza, questa ci chiama attorno a sè, ci vuole uniti sotto un'unica bandiera, ci dà consiglio e vita; e dirigendoci per la retta via ci addita il cammino per giungere alla vetta donde si scorge il mondo.
Il sentiero indicato è quello della virtù: sulla cima stavvi la Gloria, premio di chi lavora e pel bene s'adopra; Ella benigno degnossi rivolgere il suo sguardo a noi, fra i dubbi e pericoli d'un mondo fluttuante ci volle attorno a Lei chiamati. - Oh! sì, sia benedetto il cielo, benedetto quel felice momento in cui la sua parola, arra per noi sicura di pace, di gioia e di felicità, venne non solo ad esserci di sprone e stimolo, ma s'ebbe bensì la vigoria di legge.
Ella, affidandoci l'alta missione di cercare col dilettevole l'utile dell'Oratorio, ci volle porgere occasione di aprirle i nostri cuori, prestare l’opera nostra, offrire quanto stava in noi.
Ebbene ora io vo superbo nel dirle che noi adempimmo al compito nostro con quanta buona volontà potesse trovarsi. Il brio giovanile [166], l'ardore, l'entusiasmo erano padroni di noi; tutto adoprammo per la buona riuscita e circa L. 4000 rappresentano l'utile che ricavammo.
Ben è vero che alcune spese sonvi a dedurre quali sono quelle che hànnosi a pagare fuori dell'Oratorio: raggiungono queste circa le L. 700 e già vennero pagate mediante il concorso di nobili e generose offerte che in questi giorni ancora noi abbiamo avuto da illustri e benefiche persone.
Reverendo Sacerdote, altro per ora più non ci resta che presentarle un voto di ringraziamento che unanimi noi rivolgiamo a Lei, voto che partendo dal fondo del cuore è voto sincero di riconoscenza e di affetto. Nè dimenticheremo, dalla vetta alla quale giungemmo, di mandare un saluto al Venerando Settuagenario nocchiero che tocca ormai il 250 anno di viaggio sulla sua barchetta.
I mari che oggi sono in preda alle più terribili burrasche lo fan segno alle loro ire tremende. Si scatenino pure gli indomiti venti, Egli non tenie: ha fede nella sua stella e le parole: Portae inferi non praevalebunt gli rendono a ragione tutta la calma.
Ma intanto fra i triboli e le spine che un mondo perverso gli va ogni dì apparando non gli fia discaro di ricevere dal nostro Comitato, composto esclusivamente di giovani, un saluto figliale, ed unanimi le nostre voci echeggino al grido di
Viva Maria, Viva Pio IX, Viva D. Bosco!
Il Presidente M.se C. D. Carrassi del Villar.
Don Bosco bramava tanto d'aprir anche a Roma una Casa filiale. S'è detto dell'offerta fattagli della chiesa di S. Giovanni della Pigna, che poi andò a monte, e delle pratiche in corso per la chiesa del S. Sudario; e di quei mesi gli era comunicato che verrebbero affidate ai Salesiani le scuole di Palombara, nella diocesi suburbicaria di Sabina.
Mons. Manacorda, che premurosamente si adoperava per compiere presso le Sacre Congregazioni tutte le pratiche che gli affidava Don Bosco, il 30 aprile nel comunicare a Don Rua d'aver ottenuto un favore che si attendeva, aggiungeva queste notizie:
“Nella prossima settimana mi porterò a Palombara per [167] scegliere l'abitazione ai preti di Don Bosco. I parroci son molto contenti, e lo stesso scriveva il Sindaco. Appena sarò ritornato in Roma, scriverò ogni cosa minutamente a Don Bosco. È inteso che si comincerà la scuola nel prossimo ottobre, ma sarà bene l'andarci qualche mese prima...
Legga a Don Bosco ciò che appartiene alla casa di Palombara, mi raccomandi alle preghiere sue e di tutta la casa.
Il S. Padre benedice Don Bosco e tutti i suoi figli, e Lei benedica me, mi abbia per tutto suo in G. C. aff.mo servo Emiliano Manacorda”.
Senonchè le cose andarono diversamente, e il 10 maggio scriveva a Don Bosco:
“Nell'atto di chiudere con atto ufficiale e definitivo la pratica intorno alla casa di Palombara il diavolo (solo lui) venne a guastare tutto. L'Ispettore governativo delle scuole andò a Palombara e fece abbandonare ogni trattativa coi .preti, propose altri maestri e furono accettati dal Municipio. Le cose di Roma si cambiano: tutto sarà rimesso a posto, per ciò che si era conchiuso; se no, bisognerà aspettare...”.
E nella lettera Monsignore aggiungeva questa dichiarazione, che ci dice in tutta l'ampiezza e in tutta la generosità la carità del suo cuore:
“Preghi Per me e poi mi faccia la carità di ordinare speciali preghiere per una signora tormentata in modo orribile. Non mi appartiene, ma già più volte a pie' dell'altare ho offerto la mia vita a Gesù Cristo perchè liberi quell'anima da tale stato miserabilissimo; e lo dico, e ripeto di cuore, sarei contento di morire Per salvare quell'anima. Lei, Don Bosco, metta nell'impegno la Madonna, ora che si avvicina la sua lesta ed otterremo la, grazia”.
Il 1° giugno, tornando ad esprimere a Don Bosco la fiducia di veder aggiustate le pratiche per Palombara, e l'inopportunità, per il momento, di assumere l'ufficiatura della chiesa del S. Sudario, lo pregava di far scrivere alcune poesie per il Santo Padre, certo com'era, che anche l'Oratorio avrebbe fatto qualche cosa per la solenne celebrazione dei Giubileo Pontificale di Pio IX:
“Si tratta di presentare al Santo Padre pel suo 25° anno [168] pontificale un volume contenente sonetti delle principali città d'Italia, indicandone preventivamente di ciascuna il soggetto. Per Torino si raccomanda l'incarico a qualche professore di Don Bosco, ed il tema sarebbe: Pio IX salvato in S. Agnese fuori le mura. La prego quindi di affidare detto componimento a qualche suo poeta, il quale faccia presto e bene, e vi apponga il nome.
Se tiene in casa qualche Lombardo, capace di poesie, lo incarichi di farne una per Milano, o sonetto o poesia qualunque, ma breve e subito. Il tema per Milano è: Pio IX ed i martiri giapponesi coi molti Vescovi in Roma. Non dubito che la S. V. non mi lascierà nell'incertezza e che presto riceverò le desiderate poesie pel S. Padre.
Sarebbe pure opportuno che l'Oratorio di S. Francesco di Sales facesse qualche cosa per la mentovata ricorrenza. Un breve indirizzo per es. al S. Padre... Qui si teme che: o si abbia a perpetuare lo stato attuale, o si vada incontro ad una serie di sventure a modo di Parigi!
Il S. Padre gode ottima salute...
Per Palombara è tutto combinato pel momento che le cose saranno rimesse al loro posto, e l'antico Sindaco tornerà al potere.
Riguardo al Sudario, penso che quel Sig. Rettore già le abbia scritto; è tutt'altro che il momento da ciò. Il solo trattare di tale affare, sarebbe giudicato una colpa. Non se ne parli per ora in nessun modo ...”.
Perchè mai tale dichiarazione? ...
Ecco il perchè! L'assumere l'ufficiatura di una chiesa, già appartenente allo Stato Sardo, in Roma, da una Società Religiosa, avente la casa madre in Torino, sarebbe parso un atto di servile ossequio al Governo Italiano!...
Molti ecclesiastici la pensavano così.
Un altro particolare significativo. Il 2 aprile di quell'anno l'Unità Cattolica così annunciava un libretto stampato nell'Oratorio:
Un parroco comasco ha pubblicato in Torino (tipografia dell'Oratorio di San Francesco di Sales) un libro intitolato: Le due rose del paradiso; racconto dedicato a S. A. R. la Principessa di Piemonte. [169] Noi non abbiamo letto che il frontispizio, e ci parve fuori di stagione. Conveniva piuttosto scrivere, stampare, e piangere sulla corona di spine che tormenta il nostro Santo Padre Pio IX. Melius est ire ad domum luctus quam ad domum convivii. È meglio andare al Vaticano che al Quirinale.
Don Bosco, adunque, aveva stabilito di recarsi a Roma subito dopo la festa di S. Giovanni Battista, per rendere omaggio al S. Padre nel suo Giubileo Pontificale, passando per Firenze, deciso - come diremo[30] - di tentar qualche miglioramento alle dolorose condizioni in cui si trovava la Chiesa.
Aveva chiesto al Ministro Lanza un colloquio, ed avendo avuto un appuntamento anteriore alla data per cui l'aveva richiesto, anticipava la partenza, come scriveva al Cav. Uguccioni:
Domani mattina partirò alla volta di Roma. A Firenze mi fermerò soltanto le due ore d'aspetto dalle 7, 35 alle 10 di sera. Al mio ritorno mi fermerò a Dio piacendo un paio di giorni in cotesta sua città per così poterla ossequiare colla rispettabilissima sua famiglia. Non ometterò per altro di chiedere al S. Padre una speciale benedizione per tutte le persone che la riguardano.
Dio ci benedica tutti, e mi creda colla più profonda gratitudine,
A Firenze ebbe il desiderato colloquio, e subito proseguì per Roma, dove, dopo nuovi colloqui con Lanza e particolari udienze dal Santo Padre, raggiungeva la mèta che si era proposta, cioè che si venisse alla provvista delle tante diocesi vacanti, specialmente in Italia, chè, dopo la presa di Roma, non s'era più tenuto nessun Concistoro per tali nomine. E questo era il grande affare che interessava tutto il mondo, come scriveva a Don Rua, e come dichiarava egli stesso [170] nel 1872 alla festa di S. Giovanni Battista; il grande affare, al quale, per volere del Papa, egli cooperò alacremente anche colla scelta di molti eligendi all'episcopato.
Ho avuto due udienze dal Santo Padre ed ho trattato nel modo più soddisfacente ogni cosa. Stasera parto alla volta di Firenze, dove mi fermerò due giorni per raccogliere qualche quattrino, se sia possibile.
Di' a D. Savio che promuova la costruzione della Chiesa di S. Giov. Evang. Credo che potremo fissare la festa di S. Luigi pel giorno 16 del corrente.
Saluta i nostri cari giovani; di' loro che sono impaziente di vederli. Martedì [il 4 luglio] spero di essere con loro e loro parlerò di più cose; li ringrazio delle preghiere che hanno fatto per me; io li ho sempre raccomandati al Signore nella santa Messa. Ora trattasi di un affare che interessa tutto il mondo, il cui buon esito dipende dalle preghiere e dalla guerra al peccato. Coraggio adunque.
Da Firenze ti scriverò l'ora del mio arrivo; ma raccomanda a tutti che non mi facciano feste al mio ritorno: Non est conveniens luctibus ille color.
Salutami Goffi e Don Berto. Dio ci benedica tutti, ed abbimi tuo
P. S. - Si facciano le incombenze pel riscatto di Ambrogio Sala del I Regg. 3a Comp.
Va' a vedere, alla Sacra Famiglia di S. Donato, se fu ricevuta una ragazza, detta Avalle, per cui mi sono obbligato di pagare fr. 400, se fosse accettata. Avrei bisogno che me ne scrivessi a Firenze per mia norma. Ella è protetta dal Comm. Bona.
Al ritorno non volle nessuna dimostrazione di giubilo, ma in compenso, forse la domenica dopo, si festeggiò entusiasticamente il suo onomastico. L'inno, dato alle stampe, composto .da Don Lemoyne, nel quale parla del suo viaggio a Roma e della profezia fatta a Pio IX che avrebbe raggiunto e sorpassato gli anni di pontificato di S. Pietro, non ha la data dei festeggiamenti, ma questa dedica: “A Don Giovanni Bosco [171], celebrandosi dai giovani dell'Oratorio di S. Francesco di Sales il suo Onomastico, nell'occasione del suo ritorno da Roma”.
Gli venne offerta anche un'altra poesia stampata, degli alunni tipografi, qual „tenue saggio di fregi fiorati”, dichiarando: „Al tuo merto è poco; al nostro affetto è nulla”; anch'essa, a quanto pare, composta da Don Lemoyne[31].
Come sempre, fu una dimostrazione quanto mai cordiale e commovente. Molti furono i componimenti, in prosa e in poesia, letti o declamati o consegnati a mano, dagli allievi, tutti riboccanti di santi propositi di battere risolutamente la via della virtù. Uno gli diceva:
A Don Bosco, all'affezionatissimo Padre della gioventù, nel suo Onomastico. - 1871 -
Don Bosco amabile, - Pastor diletto, - Ti degna accogliere - del cor l'affetto.
È ver, è picciolo - codesto cuore - ma pur vuol vivere - per Te d'amore;
Vuol farti scorgere - che anch'egli T'ama, - vuol dirti, amabile, - quant'egli brama...
Che mai desideri? - Dillo, su via, - chè voglio battere - del ciel la via!...
Un altro, ringraziandolo per averlo sollevato dal fango ed accolto nell'Oratorio, esaltava la sua carità sublime:
Padre è per me colui, che dal mio ciglio dolor disperse, ed a' suoi figli accanto pòsemi dei Signor novello figlio.
Oh felice quel dì che in quest'ovile di pace solo e di superno amore m'accolse amor che in Te non siede umile!
Anche gli ex - allievi, che fin dall'anno avanti avevano cominciato a raccogliersi attorno a lui per esprimergli la loro riconoscenza, gli consegnavano un indirizzo, sottoscritto da 45, con a capo Don Giacomo Bellia. [172]
A Don Giovanni Bosco, nel giorno del suo onomastico, in segno di riconoscenza e di stima, i vecchi giovani già educati in questa casa, offrono. - 1871 -
Mentre salutasi con tanto giubilo da' tuoi figli questo giorno sacro alle glorie del gran Santo Giovanni il Battista, la voce della riconoscenza chiama anche noi già pure tuoi figli a presentarti un fiore, poichè da quel Salito Precursore togliesti il nome e lo spirito, e tutto intento a dar la scienza della salute, di tanto bene seminasti il sentiero dei nostri anni primieri.
Se nostra condizione ci lasciò fra un mondo guasto e corrotto, non fia mai che questo ci faccia obbliare i molteplici benefizi che abbiamo da Te ricevuti, ed i saggi avvertimenti, che quali gemme preziose abbiamo raccolti dal venerato tuo labbro.
Prendano Iddio e la gran Vergine Ausiliatrice a loro carico il grave debito che noi abbiamo verso di te, giacchè essi soli ponno degnamente soddisfarti.
Quanto a noi ci raccomandiamo caldamente alle tue fervide preci, acciò dietro le tue orme possiamo percorrere con piè fermo e costante la stretta via del Cielo, gloriandoci sempre di essere Tuoi Umil.mi ed Obbl.mi Figli...
Nel ringraziarli Don Bosco accennava le grandiose cordialissime feste celebratesi in Roma per il Giubileo Pontificale, e soggiungeva che un altr'anno avrebbe dato notizie assai più consolanti.
La devozione a Gesù Sacramentato, con la frequenza alla Mensa Eucaristica e le visite al S. Tabernacolo, spontaneamente compiute in tempo di ricreazione, era uno dei mezzi che Don Bosco non cessava d'inculcare nella forma più semplice e convincente per la buona educazione degli alunni. E tanta era l'efficacia della sua parola, che quando lo vedevano andar in chiesa a visitare il Santissimo Sacramento uno stuolo di giovani interrompeva i giuochi e lo seguiva rapidamente. Queste scene di fervore avvenivano particolarmente durante le Sante Quarantore, che in quell'anno si celebrarono dal 13 al 15 luglio[32]. [173]
Ormai l'anno scolastico volgeva alla fine, e Don Rua, fedele esecutore d'ogni consiglio e desiderio di Don Bosco, chiedeva ai direttori questo resoconto del proprio istituto:
- Quanti giovani entrarono nell'istituto dal principio dell'anno scolastico, e quanti ve in rimasero sino alla fine; - quanto pagarono mensilmente; - quanti e quali furono i confratelli addetti alla Casa, e quali uffici a ciascuno affidati; - a quanto salirono le spese per tutti insieme, e per ogni confratello in particolare; a quanto le entrate e le uscite ordinarie; - a quanto le entrate e le uscite straordinarie; - se v'è necessità di fare dei cambiamenti di personale; - e pregava a rimettergli i dati richiesti esattamente alla fine dell'anno, per prendere durante gli esercizi spirituali le deliberazioni necessarie o semplicemente opportune.
In quegli anni, come si leggeva nel Catalogo dei soci, Don Rua era prefetto della Pia Società e della Casa Maggiore, e sotto la sua direzione si tenevano mensilmente particolari conferenze al personale degli studenti e a quello degli artigiani, per esaminare se v'erano inconvenienti da togliere o da prevenire, od opportune deliberazioni da prendere; ed avendo del 1871 gli appunti di varie conferenze, tenute al personale degli artigiani, scritti da Don Lazzero, ci par bene riportarli nella loro semplicità, essendo anch'essi lezioni di esperienza.
Giugno. - Presiedeva alla conferenza il Molto Rev.do Sig. D. Rua Prefetto. - Si stabilì quanto segue:
1) Per ovviare inconvenienti di perdita di lingeria, Audisio dia sempre nota dei cambiamenti dei giovani che si fanno nelle camerate. Gli assistenti poi procurino per quanto possono di sorvegliare che non si sprechi malamente la roba.
2) Che i giovani non debbano mai gettarsi sul letto in tempo di pulizia; se avanza loro tempo potranno dormire, sedendosi sul baule o sovra una scranna accanto al letto ed appoggiarvi sopra la [174] testa; oppure, se hanno volontà, utilizzar quel po' di tempo nel leggere qualche libro ameno, etc.
3) Si parlò di dare il segno di campana, perchè riuscisse contemporanea la levata degli artigiani; tal difficoltà fu superata col mettere uno a chiamare gli assistenti che fosse puntuale, e quindi per ora non se ne parlò con D. Bosco.
4) Venne incaricato il ch.co Bourlot quale sorvegliatore in cortile alla Domenica mattina in tempo della levata.
Luglio. - Presiedeva alla conferenza il suddetto Sig. D. Rua.
1° La ritirata in dormitorio alla sera essendo piuttosto negligentata, e parendo che qualche visita all'improvviso avrebbe giovato, s'incaricò D. Sala di fare questa visita sera e mattino, di più si stabilì un sorvegliatore alla sera pel cortile, il qual ufficio venne affidato a D. Lazzero.
2° Nell'estiva stagione la passeggiata alle ore 11 antim. non può più portare ai giovani quel bene sanitario che si desidera, si parlò di anticiparla e metterla fra le due messe; D. Bosco però fu d'avviso di farla presto, cioè innanzi alla prima messa della comunità: tal disposizione venne eseguita senza inconvenienti. Uno degli assistenti in tempo di passeggiata raccoglieva e radunava in una scuola i giovani, che per qualche motivo non potevano recarsi al passeggio.
3° Al catechismo della Domenica a sera, affinchè tornasse un po' più utile, si determinò che nessuno fosse escluso, neanco i musici. Appena dato il segno della scuola, l'assistente sia il primo a trovarsi in scuola per impedire i disordini. La scuola non si apra prima del segno della campana. Non più lasciar i catechismi nelle mani dei giovani; ciascun assistente li terrà presso di sè, oppure si metteranno tutti nell'armadio che trovasi nella scuola (detta di Filosofia), e l'assistente che avrà i suoi giovani in quella scuola terrà la chiave e ne farà a tempo la distribuzione agli altri assistenti. Queste deliberazioni riguardo al catechismo non si effettueranno subito; essendo sul finir dell'anno scolastico, si trasportò l'esecuzione al ritorno delle vacanze dei giovani.
Agosto. - Presiedeva il M. R. S. D. Rua Pref.
1° Si esortarono gli assistenti ad essere tra loro uniti nel voler tutti una sola cosa, di amarsi e consigliarsi a vicenda sul modo di cattivarsi l'ubbidienza, amore e stima dei giovani.
2° Si stabilì che la ricreazione si faccia sempre con essi, e per quanto si può coi più bisognosi di assistenza.
3° Affinchè l'assistente possa conservare la sua autorità ed essere dai giovani rispettato, ubbidito, è necessario che non si abbassi mai ad atti troppo grossolani; nel giuocar coi giovani deve sempre tener un contegno da superiore, massime quando si tratta d'impedire [175] quei battibecchi e risse, un po' troppo calorose, che avvengono fra i giuochi.
4° Cinque minuti prima che suoni il campanello per radunarsi in chiesa, si facciano uscire i giovani dalla camerata, affinchè l'assistente possa trovarsi per tempo nel cortile per ordinare i giovani. Quest'ufficio, cioè di trovarsi gli assistenti nel cortile ogni volta che i giovani devono radunarsi in chiesa, si raccomanda caldamente che sia eseguito con rigore. Ciò contribuirà molto pel buon ordine.
Il 6 agosto, insieme col Teol. Felice Golzio, Rettore del Convitto Ecclesiastico, e suo confessore, saliva al Santuario di S. Ignazio, sopra Lanzo, dove s'iniziava il primo corso di esercizi spirituali per i secolari.
Prima di partire aveva estesa la minuta della domanda da inviarsi al R. Provveditore degli studi per ottenere la facoltà d'aprire il Collegio di Varazze, che venne spedita, insieme col programma del nuovo istituto, l'8 agosto, come risulta dalla data ivi apposta da Don Rua:
Secondo la convenzione stipulata tra il Municipio di Varazze e l'esponente, già approvata dal Consiglio scolastico, il sottoscritto fa rispettosa domanda a V. S. Ill.ma per l'opportuna facoltà di aprire il Collegio Convitto in conformità del programma di cui si unisce copia.
In quest'anno, probabilmente non avendosi allievi se non nel primo corso ginnasiale, presenta soltanto il personale per le quattro elementari e pel primo anno di ginnasio. Qualora occorra aumentare il numero delle classi, o modificare il personale, se ne darà preventivamente avviso, come si praticò per Alassio.
Questo personale è quello stesso che funziona da due anni nel Collegio - Convitto di Cherasco, i cui insegnanti ora sarebbero trasferiti a Varazze.
Occorrendo schiarimenti e altre formalità a compiersi si prega la cortesia del Sig. Provveditore a volerne dare avviso affinchè sia prontamente appagato.
Pianta del personale dirigente ed insegnante.
Direttore: Dottore in lettere Gio. B. Francesia Sacerdote.
Economo: Cuffia Francesco Sacerdote.
Professore di Religione: Sac. Giuseppe Cagliero. [176]
1a Ginnasiale: Tamietti Prof. di Ginnasio inferiore, studente del 3° anno di Lettere.
Disegno e aritmetica: Giovanni Turchi, geometra patentato.
4a Elementare: Martin Giuseppe.
Questi insegnanti sono tutti muniti della relativa patente, ed hanno già con buon successo pubblicamente somministrata l'istruzione elementare nelle stesse classi cui sono proposti.
A S. Ignazio restò due settimane per ascoltare le confessioni della maggior parte degli esercitandi, che vedevano in lui, oltre le doti di un eccellente direttore spirituale, qualche cosa di più che nei più pii e dotti sacerdoti. Nel dare ad es. norme e regole di vita cristiana, specie a quelli che aspiravano a maggior perfezione, sembrava un altro S. Filippo Neri.
Cesare Chiala, ispettore alle R. Poste e membro delle Conferenze di S. Vincenzo de' Paoli, che aveva tanta stima per lui, prendeva quell'anno queste risoluzioni:
Non spendere nemmeno un soldo senza necessità. Schivare le occasioni di spenderne inutilmente.
Studiar il catechismo e le rubriche della Messa e gli Oremus dei Santi Protettori.
Studiare la vita della Madonna.
Non omettere possibilmente la Comunione giornaliera.
Fare il segno della Croce prima di mangiare.
Procurare di andare a letto alle 10, per alzarmi alle 4, 30.
Spogliare l'alterigia nel trattare con chicchessia.
Mezz'ora di meditazione al mattino.
Levarmi il cappello davanti alle Chiese.
Non omettere al venerdì la visita al SS. Sacramento.
Procurare di non star mai in ozio.
Desiderar sempre di aumentare in grazia et amorem Tui solum!
Anche a S. Ignazio, nelle ore libere, il nostro buon Padre era sempre a tavolino a scrivere e a rispondere a tanti, ed a sbrigare i suoi affari. [177] Avendo appreso che i signori Prefumo e Varetti avevano trovato una casa pel vagheggiato Ospizio in Genova ove raccogliere poveri ragazzi, m'estendeva H programma e lo faceva ricopiare dal signor Bartolomeo Giuseppe Guanti, che poi si fece sacerdote, e che essendo cappellano a Buttigliera, dieci anni dopo la morte del Santo, ricordava ciò che gli era accaduto allora:
Nell'anno 1871, trovandomi a S. Ignazio presso Lanzo, pelli spirituali esercizi (tra li 9 e 20 agosto) ebbi la sorte di essere posto di stanza attigua al carissimo Don Bosco, il quale era incaricato di ripetere col campanello gli avvisi della campana pelle varie funzioni.
Mi ricordo benissimo come Esso fosse il più occupato fra i sacerdoti pelle confessioni, come non ebbi mai occasione di veder disfatto il suo letto, giacchè Esso riposava solo qualche ora la notte sopra di una comunissima poltrona dì stuoie.
Fin dal secondo giorno, mi pare, pregommi a volergli trascrivere regolamento ch'Esso avrebbe fatto stampare e stava correggendo per l'erigendo collegio di Marassi. Accettai con gioia l'incarico, ma nel trascrivere soventi mi succedeva di non poter decifrare e comprendere le sue correzioni, onde toccavami soventi portarmi a domandargli spiegazione. Il sant'uomo per più volte mi soddisfece; ma poi, vedendo che il mio frequente bussare alla sua porta lo disturbava dalle confessioni, mi disse: - Vedi, il tuo dover correre qui soventi fa perder tempo ad ambidue, perciò, d'or innanzi, quando t'imbatterai in qualche espressione oscura, che abbisogni di spiegazione, di' solamente „Maria, Auxilium Christianorum, ora pro nobis”, e vedrai.
E che cosa vidi? Vidi con grande mia meraviglia, che, al pronunciare la giaculatoria suggeritami, non ebbi più bisogno di correre a Lui, ma continuai e terminai l'incarico felicemente E questo è quanto io posso coscienziosamente deporre per quanto la memoria mi sostiene, certo che d'allora in poi s'accrebbe moltissimo la stima e l'affetto ch'io già nutriva per l'uomo delle meraviglie e pel suo meraviglioso istituto.
I lavori per la sistemazione del coro e della nuova sagrestia del Santuario di Valdocco non eran ancor finiti, ed avendo ricevuto dalla signora Eugenia Radice Vittadini un'offerta per la guarigione di una sua figliuola, Don Bosco la destinava a tale scopo, come appare dalla lettera di ringrazia [178] mento, datata da Torino, ma scritta a S. Ignazio, com'egli era solito fare quando scriveva a persone con le quali non era in corrispondenza continua:
A suo tempo ho ricevuto benemerita di Lei lettera con fr. 50 entro chiusi. Io la ringrazio in modo particolare, perchè avendo alcuni lavori in corso per ultimare il coro e la sacristia della novella Chiesa di Maria A., manchiamo affatto di mezzi per terminarli. Prego la Santa Vergine che la graziata bambina conservi sotto alla efficace di Lei protezione e la conservi lunghi anni a consolazione dei genitori.
Non mancherò di fare eziandio particolari preghiere secondo la pia di Lei intenzione. Dio benedica Lei, il Sig. suo Marito, e tutta la sua famiglia e li conservi tutti a lunghi anni di vita felice col prezioso dono della perseveranza nel bene.
Raccomando me e li miei poveri fanciulli alla carità delle sante sue preghiere, e mi professo, con profonda gratitudine,
Avvicinandosi la solennità dell'Assunta, il suo pensiero si portava all'insigne benefattrice Maria Marchesa Fassati, e non potendo recarsi a farle visita, nè inviarle alcun dono per il suo Onomastico, le prometteva di celebrar quel giorno la Santa Messa secondo la sua intenzione, riconoscentissimo dell'aiuto che gli aveva prestato per riscattare vari chierici dalla leva militare.
Martedì prossimo, giorno dedicato all'Assunzione di Maria al Cielo, credo che si celebri anche il suo giorno onomastico. Io non posso farle visita; nemmeno inviarle un bocchetto [un mazzetto di fiori] con cui dimostrare la gratitudine mia, di tutta fa Congregazione di S. Francesco di Sales, pei benefici che in quest'anno ci ha fatto. Procurerò almeno di celebrare in quel giorno la Santa Messa all'altare di S. Ignazio secondo la pia di Lei intenzione.
Ella sa, Signora Marchesa, che la Congregazione nostra è nascente ed ha bisogno di operai; ora Ella avendoci aiutato a riscattare chierici dalla leva militare, ci aiutò in certo modo a fondare viemeglio e sopra basi più stabili questo istituto e nel tempo stesso pose operai a lavorare nella vigna del Signore. [179] Spero che il Signore compenserà questa sua carità anche temporalmente, colla sanità in famiglia, colla prosperità negli interessi, e quello che è più, concedendo a tutti il dono della perseveranza nel bene.
Dio la benedica, Signora Marchesa, e la Santa Vergine conceda ogni bene a Lei, al Sig. Marchese e a tutta la sua famiglia, mentre mi raccomando alla carità delle sante sue preghiere e mi professo con profonda gratitudine
Da altre lettere di quei giorni, insieme col continuo lavoro, affiora la sua cura per compier bene ogni dovere.
Avviluppa una copia della mia piccola Storia Ecclesiastica in un foglio di carta e màndamela pel solito portatore, o per quello che a te si presenta.
Dio ci benedica tutti, e credimi tuo
Forse la sera dell'Assunta giungerà in Lanzo il T. Golzio sul tardi e verrebbe a dormire in collegio. Trattatelo bene, come uno che si merita molto da noi.
Avendone occasione, manda questo quaderno alla tipografia.
Dio vi benedica tutti, e prega per me che ti sono in G. C.
Pensa con D. Provera, con D. Cagliero, ecc., sul tempo da fissarsi pei nostri esercizii. Farai tu le meditazioni? Se mai ti aggravasse troppo, gettane il peso sopra D. Bonetti, o sopra D. Cagliero.
Va tutto bene. Dio ci benedica tutti e credimi,
Il 20 agosto tornava all'Oratorio, dove due Vescovi stranieri, di passaggio per recarsi a Roma, si recarono a salutarlo. Era ancora a pranzo, e furono fatti entrare in refettorio. Appena li vide, si alzò, andò loro incontro, e, ossequiatili, [180] li invitò a desinare, pregando uno di essi a mettersi al suo posto. Non vollero, assolutamente, e si sedettero uno alla sua destra, l'altro alla sinistra; e in fine, prima di partire, s'inginocchiarono chiedendogli la benedizione. Egli vi si rifiutava, ma in fine dovette accondiscendere. Così narrava Don Milanesio, che con altri confratelli fu presente al fatto.
Quel giorno, Aly Stefano, uno degli algerini ricoverati nell'Oratorio, richiamato da Mons. Lavigerie, ripartiva per Algeri. Era una cara primizia africana, che il battesimo aveva reso un eccellente cristiano. Fu un addio commovente. Il bravo giovinetto promise che non avrebbe mai dimenticato i consigli di chi gli aveva fatto da padre, e che nei suoi lontani paesi avrebbe sempre ricordato e benedetto il nido, dov'era divenuto figlio di Dio.
Il giorno dopo Don Bosco si recava a Nizza Monferrato per attendere al grande affare affidatogli dal Santo Padre.
La contessa Gabriella Corsi di Bosnasco, nata Pelletta di Cossombrato, l'aveva invitato più volte al suo Casino, dove avrebbe potuto attendere ai suoi lavori e godere in pari tempo un po' di sollievo; ed egli per la prima volta accettava il gentile invito, dichiarando che vi sarebbe rimasto quattro giorni. Appena giunto, la contessa, felice di riceverlo, gli disse subito che voleva si fermasse non quattro giorni, ma almeno una settimana; e Don Bosco osservò:
- Se io sto qui, chi andrà in cerca di pane per i miei ragazzi?
- In quanto a questo gli rispose la contessa, la Provvidenza ci penserà.
- Sì, ci pensa; ma Essa dice: - Aiutati che io ti aiuterò! e quindi conviene che faccia la parte mia in cerca di persone caritatevoli...
- E quanto ci vorrà per provvedere pane ai giovani in questi tre giorni?
- Se è così, gliele darò io, se acconsente di fermarsi.
- Con simile patto mi fermo senz'altro!
La contessa, piena di gioia, consegnò a Don Bosco la somma, e Don Bosco l'inviava subito a Torino. [181]
Riceverai da Branda diciotto cartelle, parte del debito della città di Torino, parte obbligazioni della Ferrovia di Cuneo.
Puoi andare dal Sig. Musso, oppure dal Cav. Duprè, oppure farle vendere da Rossi.
Del provento pagherai quanto è da spendersi pel riscatto di Sala; il rimanente spenderai per la casa, o per Lanzo.
I miei piedi oggi hanno trasgredito i loro doveri, perciò domani li metterò in punizione.
Se hai qualche cosa da mandarmi, consegnalo a Branda.
Nel recarsi a Nizza aveva smarrito il sacco da viaggio, contenente vari scritti, tra gli altri una minuta d'una lettera d'accompagnamento dei programmi dei vari collegi, e scriveva di nuovo a Don Rua:
Se è stato trovato il sacco smarrito, guardaci dentro e troverai una lettera da stamparsi e da unirsi coi programmi. Procura di accomodarla con quella che aggiustò D. Bonetti. Se non è ancora stampata, mandami la prova; avrei piacere di vederla.
Nello stesso sacco vi sono alcuni scritti, mandameli da D. Francesia che lunedì verrà qui: o con qualche altro mezzo.
I miei piedi si mostrano disubbidienti al loro servizio e il Dottor Fissore mi consigliò a fermarmi ancora qui alcuni giorni. A Dio piacendo sarò a Torino mercoledì, o al più giovedì; ti farò sapere l'ora. Porterò anche un po' di denaro per i nostri più urgenti affari. Questo è il principale motivo del mio ritardo.
Ho scritto a Lanzo che vi mandino una Messa per Domenica. D. Francesia potrà aiutarti a confessare. Insomma aggiùstati come puoi, io penserò ai quattrini.
Ho scritto a Genova per invitare il sig. Varetti a venire qui e non a Torino. Se hai lettere di rilievo mandamele.
Dio ci benedica tutti e credimi,
E il dì appresso tornava a scrivere:
Domenica mattina si presenterà all'Oratorio l'Ispettore Vigna. Avvisa in modo alla portieria che sia introdotto da te e dàgli la lettera chiusa e sigillata di cui qui, coll'indirizzo del cav. Blanchetti; e trattalo bene quanto puoi.
D. Cagliero è giunto e montò quasi tosto in pulpito. I miei piedi sembrano far senno. Vado rispondendo alle lettere inviatemi. Dio ci benedica tutti.
Varetti, com'ebbe l'invito, si recò subito a Nizza e gli comunicava che la casa assunta per l'ospizio era la villa del senatore Cataldi, all'oriente di Genova, a Marassi, sobborgo nella valle del Bisagno, a qualche chilometro dalle porte della città, in luogo ameno, sano e tranquillo, e che ú proprietario s'era contentato di 500 lire di fitto, che tosto gli erano state pagate. Don Bosco osservò che una villeggiatura privata e fuori centro era poco adatta per un ospizio d'arti e mestieri; tuttavia era contento di venir senz'altro alla fondazione, nella certezza che si sarebbe poi trovato un locale più adatto, sotto la protezione della Conferenza di S. Vincenzo de' Paoli.
Ritrovato il sacco smarrito, venne spedito a Don Bosco, che mandava quindi a Don Rua la circolare d'accompagnamento ai programmi, perchè la desse a stampare.
Invece della lettera di D. Bonetti credo più opportuna quella che unisco. Tanto più che colà vi è devotissimo servitore. Correggila, se lo giudichi, e dàlla tosto alla tipografia, e se ne stampino per ora tre mila copie e si conservi la composizione.
Ho ricevuto le altre carte, cui do corso di mano in mano che si può.
Abbi pazienza; io me la godo un poco; ma voglio poi mandare te e D. Berto a riposare un poco, non però ancora in paradiso.
Fu conchiusa la cosa per Genova, perciò D. Albera fàcciasi il fagotto. Di ogni cosa parleremo.
Dio ci benedica tutti ed abbimi, in G. C.,
Il 28 si recava a Nizza Don Francesia, ed aveva norme opportune per l'apertura del Collegio di Varazze.
Anche Don Cerruti andò ad esporgli il vivissimo desiderio di non poche famiglie che ad Alassio si aprisse anche il corso liceale.
Il Municipio prometteva ogni appoggio morale, ma non materiale. Don Bosco esitava a sobbarcarsi lì per lì ad un'istituzione assai dispendiosa, per il numero e il grado degli insegnanti, per il gabinetto di fisica e per altre spese necessarie; ma, esaminata bene la cosa, risolvette di proporre ai parenti degli alunni della città, che avevan terminato il corso ginnasiale, di pagar temporaneamente una qualsiasi percentuale della somma che avrebbero dovuto spendere col mettere i figli in pensione a Savona o a Genova per far il liceo.
In fine, in presenza della sua benefattrice, disse sorridendo a Don Cerruti:
- Tieni memoria che il liceo d'Alassio venne deliberato a Nizza, nel Casino della Contessa Gabriella Corsi!
I parenti accettarono la proposta. Tre famiglie promisero di pagare ciascuna 1500 lire, due altre 300, e una 200, per tre anni.
Grande, e diciam pure assillante, fu il lavoro che compi in quei giorni, che egli chiamava di riposo e di svago, specialmente nei primi per l'alto incarico, come diremo, della scelta degli eligendi alle diocesi vacanti; e benchè, nel frattempo, avesse sofferto un po' di male ai piedi ed alle gambe, ripartiva benedicendo Iddio.
Giunto a Torino, rispondeva alle lettere che intanto gli erano pervenute. Una gli era giunta a Nizza, scritta dal Parroco della Certosa di Rivarolo Ligure, Don Oggero, un vero pastor bonus, il quale, avendo udito parlare della prossima fondazione dell'Ospizio Salesiano a Marassi, bramava avere un colloquio con lui, per parlargli, precisamente, di tanta povera gioventù che si vedeva abbandonata nella vicina S. Pier d'Arena, e l'invitava a recarsi alla Certosa, a passarvi qualche giorno e aver cosi comodità di parlarne. Don Bosco prese la cosa a cuore, e gli promise di pregare e fargli una visita. [184]
Dio in ogni cosa sia benedetto. Egli solo può sollevarci dalle terribili angustie, che presentemente opprimono lo stato morale della povera umanità. Preghiamo, ed io farò anche fare qualche preghiera in onore ed all'altare di Maria Ausiliatrice per lo scopo che m'accenna.
Intanto nel corso dell'autunno, dovendo fare una gita a Genova, non mancherò di secondare il grazioso di Lei invito e fermarmi alquanto nella Certosa di Rivarolo, ove Ella è degnamente parroco.
Dio benedica Lei e l'aiuti a compiere i suoi buoni divisamenti; preghi per me e per i miei poveri giovanetti, e mi creda in G. C.,
La gita a Genova venne anticipata ai primi di settembre, per visitare il locale affittato a Marassi e cercar benefattori per quella fondazione. Non consta che siasi recato alla Certosa, ma molte furon le visite che fece e molti i colloqui che ebbe, con laici e con ecclesiastici.
Per via s'incontrò col P. Giuseppe Capecci, dei Romitani di S. Agostino, Prevosto di N. S. della Consolazione, nel sestiere di S. Vincenzo. Don Bosco gli fe' cenno dell'Opera che stava per iniziare a Marassi, e glie la raccomandò caldamente, essendo la sua parrocchia presso Porta Pila, poco lungi dal Bisagno. Il buon religioso gli disse che sarebbe stato conveniente, per non dire necessario, aprire qualche istituto, o almeno un Oratorio festivo anche in Alessandria, ov'egli andava sovente, e trovava turbe di giovinetti a zonzo per le strade, mentre alcuni Istituti religiosi femminili pensavano all'istruzione religiosa delle ragazze. Don Bosco gli fe' sperare che col tempo si sarebbe fatto anche quello. E qual non fu la meraviglia e la gioia dello zelante religioso, quando, eletto vescovo di Alessandria, vide nel medesimo anno aprirsi l'Oratorio Salesiano, e due anni dopo, il 30 aprile 1899, festeggiandosi l'inaugurazione dell'annesso istituto, scorgeva circa quattrocento giovanetti accostarsi alla Mensa [185] Eucaristica! Egli stesso, a tavola, ricordava commosso l'incontro avuto con Don Bosco ventott'anni prima!...
Il Santo cercò di parlare anche col march. Ignazio Pallavicini ed essendo assente gli rimise per iscritto l'annunzio della prossima fondazione di Marassi, raccomandandola caldamente alla sua generosità: e il nobile patrizio gli rispondeva:
Trovomi ancor debitore di riscontro all'ossequiatissimo foglio di V. S. M. R. che si compiacque di dirigermi per comunicarmi il suo progetto di fondare in questa città una delle sue case, epperciò prima di tutto chièggole benigno condono di aver tardato cotanto a compiere simile mio debito. In secondo luogo devo ringraziarla della memoria che conserva di me e della bella immagine che mi favorì di S. Giuseppe resa tanto più preziosa, perchè contenente lo scritto di proprio pugno e la firma del nostro Santo Padre.
Ella si degna di domandarmi il mio parere sull'ideata fondazione. Ma che posso io, mai dirle? Discutere sulla di lei utilità? Sarebbe lo stesso che il questionare se in giorno sereno a pieno meriggio risplenda il sole. Ciò posto che resta? Trovare i mezzi. E questo lo troverei un tantin difficile ai nostri tempi, ma anche questo a lei riesce agevole, e ne sian prova le tante case e chiese istituite e condotte a termine. In riguardo a me in particolare le offro un lire mille annue fisse su cui potrebbe contare, esistendo la casa.
La mia salute non è troppo buona, e però mi raccomando alle sue preghiere, e de' suoi, e per l'anima, e pel corpo, e per chi non è più.
Profitto di tal circostanza per rinnovarmi col massimo ossequio,
Il 6 settembre fu a Sestri Ponente a visitare la baronessa Luigia Cataldi, che divenne sua grande benefattrice, e di là scriveva all'Oratorio:
A Dio piacendo sarò a Torino domani per le 11, 20 al mattino. Credo bene che andiamo da Magna Felicita a pranzo per anticipare un po' di festa in onore della Madonna e intanto potremo discorrere un poco. [186] Se sono preparati i programmi di Varazze màndane subito un 300 copie al Sindaco, oppure al prevosto. Di poi prepara di mandarne uno con lettera a tutta la diocesi di Savona, di Genova e di Sarzana.
Dio ci benedica tutti e credimi,
Sestri Ponente, Villa Cataldi, 6 - 9 - 71.
Mentre si stavano ultimando i lavori per l'apertura del Collegio di Varazze, il Sindaco insisteva che non s'indugiasse a pubblicare il programma, e comunicava a Don Bosco che il 4 settembre, avendone parlato col R. Provveditore degli studi, questi l'aveva autorizzato a comunicargli che senz'altro lo ritenesse da lui approvato, tale e quale l'avesse redatto.
La lettera che voleva inviata ai parroci, insieme con i programmi di Marassi e di Varazze[33], era a favore delle vocazioni dello stato ecclesiastico:
Prego V. S. molto Rev.da a voler gradire i programmi che le invio e volerli far conoscere fra le famiglie presso cui giudicasse opportuno. Qualora poi conoscesse giovanetti la cui indole e attitudine allo studio presentasse qualche probabilità di vocazione allo stato ecclesiastico e ce li volesse indirizzare, l'assicuro che sarà usata viva sollecitudine, perchè siano coltivati nello studio e nella pietà e così le comuni speranze sieno appagate.
In ogni caso io le professo la più viva gratitudine pel favore che spero, ed augurandole ogni bene ho l'onore di professarmi,
Torino, li ... settembre 1871.
Il 7 era a Torino e pranzava insieme con Don Rua in casa di Magna Felicita, cioè della pia damigella Felicita Orselli, che coabitava con altre due pie donne, Magna Teresa e Cicchina Fusero, colle quali aveva comuni interessi. Con una piccola bottega era riuscita a formarsi un piccolo capitale [187] e n'aveva fatto un vitalizio con Don Bosco, ed era felicissima quando poteva preparargli qualche cosa da mangiare, allorchè si recava presso di lei, unicamente per sbrigare nel nascondimento qualche lavoro urgente, che non, avrebbe potuto compiere nell'Oratorio.
L'8 settembre, festa della Natività di Maria SS., ebbe luogo la distribuzione dei premi agli studenti. E di quell'anno si cominciò a dare i premi anche agli artigiani, alunni del corso di francese e delle classi elementari.
Subito dopo la premiazione, insieme con i direttori, saliva a Lanzo, dove l'11 si doveva cominciar il primo corso di esercizi spirituali per i confratelli, quando venne urgentemente chiamato dal Ministro Lanza a Firenze, e da Firenze proseguì per Roma per il grande affare che interessava tutto il mondo.
A Roma rimase appena tre giorni, ma gli bastarono per concludere quanto voleva, e il 15 era di nuovo a Firenze[34].
E da Firenze, avendo appreso dai PP. Cappuccini di Varazze che in città serpeggiava un vivo malumore per le voci sparse che egli avrebbe preso la chiesa dei Convento per radunarvi gli alunni esterni che avrebbero frequentato le scuole del Collegio, scriveva loro questa lettera, che si conserva nel loro archivio.
Stia sicuro che D. Bosco non cagionerà mai disturbi ai Cappuccini. Ho sempre fatto e fo tutt'ora quel che posso pei medesimi, sia coll'inviare postulanti, sia coll'accoglierli in casa. Dall'epoca dei disturbi sino a ora ne ho sempre avuti parecchi in casa e me li tengo cari e preziosi. Non ho mai dato carico ad alcuno di trattare cose spettanti la chiesa dei cappuccini di Varazze; o che chi riferì intese male, o che qualcuno si è fatto mio delegato in cose che certamente non mi passarono nemmeno per sogno. Quando si trattò di rispondere al Municipio che proponeva la mentovata chiesa per la congregazione festiva degli allievi studenti sono andato io stesso a Genova per parlare al Padre Provinciale per udirne il parere: esso non era in cotesta città; ed io mi recai a Varazze, parlai a lungo col P. Cristoforo definitore e col Padre Guardiano del convento, e conosciuto che erano di parere contrario, sono andato io stesso a dire al Sindaco, [188] discorso; a nome mio, che non intendevo di servirmi della chiesa in che pei convittori avrebbesi fatto uso di una camera, e che intanto il Municipio pensasse ad un locale per gli esterni. Ma tutto ciò ho fatto tutto io stesso senza avere nè consiglio nè proposta di altri e senza dare ad alcuno delegazioni. Siamo in tempi difficili, cerchiamo di aiutarci a fare del bene, ma non mai ad incagliarci. Ella ha fatto bene a scrivermi, così potè sapere le cose come sono per sua norma e a norma di altri; ma mi raccomando di andare molto adagio a ammettere cose che si fanno correre a mio conto e, quando ciò fosse, farmi la carità di significarmelo, che certamente, mi servirà di norma per evitare certe asserzioni e certe deliberazioni, che mentre da una parte raffreddano la carità, dall'altra mettono spesso impaccio nelle stesse cose spettanti alla gloria di Dio, che da ambe le parti si ricerca. Dio ci benedica tutti, e preghi per me, che le sono con perfetta stima,
P. S. - Sono momentaneamente a Firenze, ma domani sarò di ritorno a Torino.
Difatti, mentre la cappella per i convittori si fece in una sala, per gli esterni venne destinato l'oratorio dell'Assunta, vicinissimo al collegio.
Andava subito a Lanzo, dove si tennero gli esercizi spirituali; dal 18 al 23 il primo corso, dal 25 al 30 il secondo. Tornato a Torino, ripartiva per Castelnuovo per festeggiare la solennità del S. Rosario ai Becchi, e insieme per dare a tante cose che aveva tra mano un po' di ordine e riposare un tantino, essendo molto prostrato di forze. Così scriveva al Cav. Tommaso Uguccioni, che non aveva potuto avvicinare a Firenze.
Castelnuovo d'Asti, 2 Ott. '71
al capo dei monelli condoni, signor Tommaso, il ritardato riscontro alla car.ma sua ricevuta sull'istante che partivo da Roma, cui non fu possibile prima d'ora rispondere. Il ragazzo di otto anni è troppo giovane per Torino, dove ricevonsi per poco ed anche per niente. Ivi è l'età stabilita di dodici anni compiuti. Vi sarebbero i [189] collegi dove potrebbesi collocare fino a quella età, ma colà àvvi la pensione di f. 24 mensili. Bisogna aver dunque pazienza e provvedere in Firenze, o in questi nostri collegi al bisogno di questo ragazzo; all'età accennata lo riceverò ben di cuore a Torino a qualsiasi condizione.
In Firenze mi sono fermato soltanto nelle ore della giornata e passai a sua casa per osservare se a caso vi fosse stato qualcheduno, ma, come temevo, erano tutti in villeggiatura. La mia gita a Roma riuscì bene oltre mio credere; quando potremo parlarci avremo materia di discorrere.
Io era molto prostrato di forze e sopraccarico di cose. Per dare alle medesime un po' di ordine e riposare un tantino mi sono ritirato nella casa paterna in Castelnuovo d'Asti per alcuni giorni. Domenica sarò di nuovo, a Dio piacendo, a Torino.
Spero che la sua famiglia e soprattutto la signora Nonna, mia Mamma, saranno tutti in buona sanità. Questa è la dimanda che nella mia pochezza fò ogni mattina nella santa Messa per Lei, caro signor Tommaso, e per tutti quelli della sua famiglia.
Raccomando me e questi nostri affari innumerabili alla carità delle sue sante preghiere, mentre con gratitudine e figliale affetto mi professo, di V. S.,
Un'altra graziosissima lettera alla buona “mamma” ed insigne benefattrice, la contessa Callori di Vignale, ci dice che aveva proprio bisogno di riposar un po' la povera testa:
Eccellenza? Chiarissima? Benemerita? Mamma carissima?
Sapevo che Ella fu malata, ma ignorava che le cose fossero gravi al punto che andarono. Sia benedetto Dio che sembra averla ridonata se non alla primiera almeno a miglior salute. Desidero, sebbene un po' tardi, di andarle a fare una visita nella prossima settimana. A tale uopo la prego di farmi scrivere una parola: La Casa Fassati è a Montemagno o no. Nel primo caso passerei per Asti, nel secondo per Casale o per Felizzano.
Sono stato assalito da tale pigrizia che rimasi inetto ad ogni lavoro. Ora mi sono ritirato a Castelnuovo d'Asti, in casa paterna, in mezzo ai boschi con alcune decine di monelli. Qui si riposò alquanto la mia povera testa, la quale se non tornò poetica, potè almeno accozzare alcuni pensieri in prosa che espongo in questa lettera. [190] Dio la benedica, signora Contessa, e le conceda quella sanità che possa tenderla felice nel tempo e nell'eternità.
Umili ossequi al Signor Conte Marito, e a tutta la famiglia e mi creda colla più profonda gratitudine
Di V. S. Chiar.ma, Eccell.ma, Car.ma, Benemerita etc,
Obb.mo ed Aff.mo servo Figlio (scialacquatore)
Il suo riposo consisteva nel lavorare tranquillamente, nella quiete e nel silenzio, lontano da tante persone che ogni giorno solevano avvicinarlo.
Alla metà d'ottobre Don Francesia prendeva la direzione del nuovo Collegio di Varazze, trovando, pur troppo, freddezza nella popolazione.
Il 26 ottobre si radunavano nell'Oratorio vari illustri professori e letterati per trattar degli autori da pubblicarsi nell'associazione mensile di classici italiani, la Biblioteca della Gioventù; un simpatico convegno, che si teneva già dal 1869, cioè da quando erasi iniziata l'associazione.
E quel giorno partiva Don Albera, insieme con due chierici, per l'apertura della casa di Marassi.
Recatisi a salutare il Santo, per sentire ancora da lui una buona parola ed avere la sua benedizione, l'udirono esclamare:
- Dunque andate a Genova ad aprire un ospizio per i giovinetti più poveri ed abbandonati!...
- Ma con quali mezzi? osservò uno dei partenti.
- Non datevi pensiero di niente; il Santo Padre vi manda la sua benedizione, ponete tutta la vostra fiducia nel Signore; Egli provvederà. Al vostro arrivo troverete chi vi ha cercato l'alloggio, dove comincerete la vostra missione.
Don Albera, che era prefetto esterno nell'Oratorio, s'era messo da parte un po' di denaro per le prime necessità. Don Bosco gli chiese se avesse bisogno di qualche cosa.
- No signor Don Bosco, la ringrazio; ho già con me cinquecento lire.
- Oh, mio caro! non è mica necessario tanto denaro! Non vi sarà la Divina Provvidenza a Genova? Va' tranquillo, la Provvidenza penserà anche a te, non temere! [191] E tratte dal cassetto poche lire, il puro necessario per il viaggio, glie le diede, ritirando le cinquecento.
Lo stesso giorno Don Bosco ritoccava da capo a fondo la lettera circolare per l'apertura del liceo d'Alassio[35].
Don Albera partì con i due compagni recando in una sacca da viaggio tutto il suo e il loro corredo. A Genova li attendevano allo scalo alcuni signori della Conferenza di San Vincenzo de' Paoli della Parrocchia dei Diecimila Crocifissi, con a capo il presidente Giuseppe Prefumo e Domenico Varetti, i quali vollero che prendessero subito un po' di ristoro e poi li condussero alla villa del Senatore Giuseppe Cataldi affittata per loro dimora, a Marassi.
Non occorre dire che i primi giorni furono assai gravi per quei figli di Don Bosco, essendo sprovvisti di tutto: passarono più d'una notte su di una sedia di legno, non avendo ancora un letto su cui riposare. Era una prova che Dio voleva da loro per colmarli poi dei suoi benefizi!
Difatti, divulgatasi la notizia dell'apertura di quell'istituto di beneficenza, in cui i poveri giovani potevano trovar ricovero, ricevere una buona educazione ed insieme imparar un'arte od un mestiere con cui campare onoratamente la vita, non andò molto che vennero in loro aiuto vari benefattori generosi ed anche i buoni contadini di quelle parti andarono a gara a provvederli del necessario. Particolarmente il signor Prefumo si mostrò sempre il buon padre di quei poveretti, andando sovente a visitarli, specie nelle vigilie delle feste solenni, recando ogni volta; qualche regalo.
Tra l'Oratorio e il Vescovo di Mondovì, Mons. Giovanni Tommaso Ghilardi, dei Padri Predicatori, dal 1870 fin oltre il 1871 vi fu, per l'acquisto d'una tipografia, una vertenza condotta con tanta carità da ambe le parti, che torna edificante il farne un'esatta esposizione.
Mons. Ghilardi, volendo acquistare una tipografia, ne parlava col Cav. Federico Oreglia di S. Stefano, salesiano, che [192] fungeva da amministratore della tipografia dell'Oratorio, cui il Vescovo soleva affidare la stampa di varie operette. Le pratiche avvennero nel 1868, durante l'Ottavario della Consacrazione del Santuario di Maria Ausiliatrice, di cui anche Mons. Ghilardi, il 12 e il 13 giugno, si degnò rendere più solenni le sacre funzioni.
Pochi giorni prima (il 3 dello stesso mese) il aveva già acquistato per l'Oratorio, dall'avv. Domenico Fissore, una tipografia per sole 8.500 lire col farne immediatamente il versamento. Vari, messi a conoscenza della compera, subito gli proposero di rilevarla a un prezzo più elevato, fino anche a 18.000 lire, ma con pagamento a rate. Ed
la cedeva al Vescovo a lire 15.000, cioè al prezzo più basso che gli era stato offerto.
Due anni dopo, nel 1870, il Vescovo, venuto a conoscenza del divario tra la somma da lui pagata e quella pagata dal Cavaliere, si recò a Torino a parlarne con Don Bosco.
Bosco era assente, il Cavaliere aveva lasciato la nostra Società ed era entrato nella Compagnia di Gesù, ed egli ne parlò con Don Rua.
E Don Rua il 24 agosto 1870 gli scriveva:
Al nostro caro D. Bosco rincrebbe tanto di non aver potuto abboccarsi colla E. V. quel giorno che nella sua bontà degnavaci di una sua visita. Io però gli parlai dell'oggetto per cui V. E. erasi qua recata; ed egli, ben ponderata ogni cosa, m'incaricò di scriverle che non gli parrebbe conveniente ed equo che l'Oratorio avesse a scapitare nel contratto della tipografia e parimenti nella stampa delle opere di V. E. Il Cav. Oreglia sapeva che era posta in vendita la tipografia suddetta, e la prese con suo rischio e pericolo; in seguito senza darne pubblicità ne fece parola con diverse persone, esponendo come si trovavano le cose. In conseguenza alla notificazione nata ebbe tre profferte, una di L. Italiane 15.000, l'altra di16.000, ed una terza di 18.000. Si attenne alla prima che era quella a cui si acconciò l'E. V., e non badò più alle altre, trattandosi di rendere un servizio ad un Vescovo tanto benemerito della Chiesa e tanto benevolo a questo Oratorio. Così disse ancora quest'anno il Cav. Oreglia al sig. D. Bosco, allorchè andò a trovarlo a Roma. Don Bosco rispettosamente espone queste osservazioni alla nota saggezza dell'E. V. disposto a ricevere le considerazioni che avesse a fargli. [193]
Monsignore il 1° settembre rispondeva:
I sentimenti dell'ottimo e provvidenziale D. Bosco sono i miei in ordine alla consaputa pendenza, non volendo amendue altro che ciò che è giusto. Io quindi credo di poter ottenere il nostro comune intento coll'estendere il caso morale che ci occorre. La mia esposizione sarà mandata al Cav. Oreglia per la ratifica della medesima. Caduti d'accordo nella vera esposizione del fatto, assoggetteremo il caso alla decisione di due o tre Teologi da scegliersi d'accordo, e staremo ciecamente alla loro decisione. Io non dubito che questo mio progetto sarà gradito da Don Bosco medesimo, ravvisandolo io come il più ragionevole per terminare la pendenza con quiete di coscienza per entrambe le parti. Io ho già posto mano all'esposizione del fatto e farò di tutto per mandarla a Roma quanto prima, perchè confesso che mi preme togliermi dal cuore questa spina.
Desidero poi che si accerti il medesimo D. Bosco che, tenuto conto dello sbaglio conosciuto a Roma dal Cav. Oreglia di Lire 1000 in mio danno, perchè sono 16 mila ch'io sborsavo e non 15, come risulta da quitanze, il mio debito non giugnerebbe a Lire 5 mila tutto compreso, laddove l'errata corrige sul prezzo della tipografia sarebbe di lire 6.5oo a mio danno, salvo errore.
Monsignore aveva conto aperto coll'Oratorio per i lavori che faceva eseguire dalla tipografia e questi da vari anni non venivano pagati; quindi non deve far meraviglia, che non gli fosse stato fatto esplicito cenno che le mille lire sarebbero state assegnate a favore dei medesimi, mentre il Cavaliere Oreglia il 14 gennaio 1869 nella dichiarazione della terza quitanza scriveva così:
Ricevo dal Can. Ramorino le L. 3.000 che mi arrivano proprio utilissime e la ringrazio vivamente della bontà sua nel favorirmi. Farò ogni impegno per trovare il tempo e liquidare il conto suo che io pure desidero vedere chiarito.
Per sua norma io ho portata la vendita della tipografia e spese relative sul conto suo e perciò noto anche le esazioni sul suo credito e così quello che rimane sulla somma avuta sarà a scarico delle spese di stampa...
Prima della fin del mese il Vescovo tornava a scrivere:
Scrivendo ultimamente al car.o D. Rua gli diceva ch’io avrei disteso il factum dell'acquisto che feci della tipografia col mezzo del [194] Cav. Oreglia e che poi lo avrei mandato allo stesso sig. Cavaliere per le sue osservazioni. Dopo però d'averne scritto l'esposizione del fatto stesso, non avrei più il coraggio di ciò fare direttamente, perchè non dubito, che gli farebbe gran dispiacere il vedere come abbia potuto credere di potere coscienziosamente serbare meco il contegno che risulta dalla esposizione medesima. Credo quindi essere miglior partito quello a cui mi appiglio, di mandarlo a lei, affinchè, esaminato e ponderato il caso, decida come meglio stimerà nella sua probità e delicatezza che ben si merita il prefato sig. Cavaliere.
Se io non dovessi pensare a pagar debiti che ho fatti per l'impianto del Collegio delle Missioni e per la Tipografia, ora principalmente che devo aggiustare ogni cosa come dovessi da un giorno all'altro essere processato, fatto prigione, mandato in esilio e peggio, farei offerta anche più generosa all'Oratorio per finir ogni cosa; ma non posso assolutamente, e poichè l'Oratorio non dovrebbe sborsare somma alcuna per la restituzione di cui è caso, mi pare che Ella potrebbe finire ogni cosa senza nemmeno arrecare al buon Cavaliere quei dispiaceri che soffrirebbe sicuramente, qualora leggesse la mia coscienziosa esposizione del fatto in discorso.
Comunque poi Ella decida di fare, io mi occuperò ora del conto tipografico e librario, dal quale risulta che, accettandosi l'offerta ch'io faccio di lire 1.500 all'Oratorio sarebbe saldata ogni mia debitura coi medesimo, e, senza alcun versamento per parte dell'Oratorio, mi sarebbero riscontrate le lire 6.500 che avrei sborsate di più per la compra della Tipografia. Ma questo conto lo manderò a D. Rua.
Non entro nelle cose di Roma per non renovare a Lei ed a me infandum dolorem, ma io non potrò tacere le più amare verità, ed è perciò che aggiusto le cose mie, da poterle pronunciare con tutta franchezza.
Sono intanto in G. M. e G., ed a piè della +,
L'esposizione, firmata dal Vescovo, venne redatta dall'Economo Vescovile, Don Andrea Tonelli, il quale, non conoscendo appieno in qual modo s'erano svolte le pratiche e tenendo la parte del Vescovo, veniva ad una conclusione esagerata ed erronea.
Eccola ad litteram, quasi integralmente:
Esposizione dille trattative passato tra S. E. il Vescovo di Mondovì e l'Ill.mo Signor Cavaliere Federico Oreglia Direttore della Tipografia [195] dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, relativamente all'acquisto di una Tipografia.
1° Il Vescovo di Mondovì, desiderando di far acquisto di una Tipografia a prò del suo collegio per le Estere Missioni, si raccomandava al Cav. Oreglia, affinchè quale persona pratica ed amica lo coadiuvasse nel suo intento.
Ora nella circostanza che il predetto Vescovo trovavasi nel giugno 1867 [si legga 1868] presso Don Bosco, il sig. Cav. Oreglia gli disse esservi in vendita una tipografia, che la vendita volevasi fare in blocco ed al prezzo di Lire 15 mila. Osservatogli dal Vescovo che esso era solo disposto a spendere lire 12 mila, il Cavaliere sciolse la difficoltà proponendogli di far concorrere per le restanti Lire 3 mila la tipografia di Don Bosco, riservandosi, come di ragione, di prelevare per la sua tipografia tanto di materiali, per es. caratteri ed altri oggetti, quanto corrispondesse alla somma per cui concorreva. Il Vescovo accettò la profferta, ed autorizzò il Cavaliere a conchiudere il contratto, fissando fin d'allora le epoche del pagamento.
2° Restituitosi il Vescovo alla sua sede, ebbe dopo qualche tempo dal Cav. Oreglia avviso della definitiva conclusione del contratto, e mandò un suo prete, il rev. D. Fissore a Torino, incaricandolo di procedere alla separazione di tanti caratteri ed oggetti pel valore di Lire 3 mila, che dovevano secondo l'intelligenza restare alla Tipografia dell'Oratorio, e quindi provvedere al trasporto della Tipografia a Mondovì, e nello stesso tempo di sistemare ogni cosa riflettente il contratto. Avendo poi il D. Fissore fatto sentire al Vescovo che la separazione, di cui sovra, avrebbe richiesto lungo tempo, che d'altronde era evidente il vantaggio di avere la tipografia tal e quale era venuta a mani del Cav. Oreglia, acconsentì alla proposta di prenderla tutta intiera, e sborsò ancora prima della convenuta scadenza le Lire 15 mila.
3° Appena poi trasportata a Mondovì la Tipografia e messa al suo posto, il Vescovo ebbe ben tosto ad avvedersi che non era di quel valore che gli era stato dato a credere, perocchè si dovettero subito spendere vistose somme nell'acquisto di caratteri, senza dei quali non avrebbe potuto servire allo scopo per cui fu acquistata.
4° Volle intanto la Provvidenza che in questo frattempo capitasse alla Tipografia una persona peritissima, la quale, esaminandola minutamente parte per parte, ebbe a dire che il Vescovo aveva fatto un contratto magro assai, perocchè trattandosi di tipografie non più nuove si potea avere a prezzo molto minore. Tale giudizio di persona peritissima, disinteressata ed amica, accrebbe nel Vescovo il rammarico di essere andato, come si dice, troppo alla buona...
5° Avvenne ancora per altro tratto provvidenziale che un'altra persona, d'ogni eccezione maggiore, significasse a Mons. Vescovo come avesse inteso dal Cav. Oreglia che si compiaceva di avere goduto [196] il Vescovo di. Mondovì di più migliaia di franchi nel contratto della Tipografia, avendola ceduta al Vescovo a Lire 15 mila, mentre a Lui costava solo Lire 8500, e forse meno.
6° Quantunque il Vescovo abbia ciò sentito con grande sorpresa, tuttavia non cessa di riconoscere la probità incrollabile dell'ottimo Cavaliere, e si protesta che non gli passa nemmeno per la mente che abbia così operato per malizia, ma solo guidato da coscienza erronea.
E veniva a questa conclusione:
7° La presente esposizione essendo pura e schietta verità.... ne viene di conseguenza che, o il Cav. Oreglia, o per esso l'Oratorio di D. Bosco, siano tenuti a restituire a Mons. Vescovo Lire 6500 dal medesimo pagate in più del pregio, che fu realmente dal Cav. Oreglia sborsato per la Tipografia, restituzione che il prefato Vescovo reclama a titolo di giustizia, in forza delle ragioni addotte... che a maggior luce si compendiano.
A) Il Cav. Oreglia, non essendo mai stato conosciuto qual negoziante di tipografia, come non lo era di fatto, il Vescovo non poteva far capo a lui, nè trattar con lui come tale. Si affidò bensì a lui, e con intera confidenza, ma nella qualità di amico e mediatore, appoggiato alla di lui probità ed onestà; ed alle cognizioni tecniche che sapeva possedere in siffatta materia, e sotto questo aspetto accettò ad occhi chiusi la Tipografia che gli veniva dal Cavaliere proposta, senza nemmeno chiederne la provenienza, senza disamina, senza inventario, senza estimo, senza insomma nissuna di quelle forme e cautele che si usano comunemente in tutti i contratti di qualche entità, sulla semplice di lui parola ed assicurazione della convenienza. Condotta questa che prova ad evidenza che il Prelato considerava il Cav. Oreglia tutt'altro che proprietario della Tipografia, o negoziante per conto proprio, ma semplicemente come mediatore o mandatario, che facesse gli interessi del Vescovo...
B) È poi tanto vero che il Cav. Oreglia si assunse l'incarico di far acquisto di una Tipografia, non a nome proprio, ma bensì del Vescovo che lo incaricava, ossia nella sola qualità di mediatore, e non di negoziante, che volle assolutamente prima di conchiudere il contratto col possesso, volle dico una parola sicura sulla somma da spendere... Ora nella richiesta del Cav. Oreglia e nella prestazione per parte del Vescovo di una parola sicura si trova un argomento che il Cavaliere agiva per conto del Vescovo... come mandatario e mediatore incaricato dal Vescovo. Se dunque il Cavaliere non avea la proprietà della tipografia, se la acquistò come mandatario, può solo in coscienza ripetere dal Vescovo la somma, che ha speso e nulla più. Nè gli può suffragare per pretendere un prezzo maggiore il dire, che dopo l'acquisto gli è stata fatta da altri un'offerta maggiore di Lire 8.500. Infatti qual fu la causale del contratto? la parola (non [197] è vero?) data al Cavaliere dal Vescovo di tenerlo rilevato in qualunque modo, ed a qualunque prezzo, fino alla somma di Lire 15 mila, avesse fatto il contratto. Ora siccome il Vescovo con tale parola s'impegnava a sopportare tutto il danno qualora la tipografia non avesse avuto il valore del prezzo pattuito, così deve al Vescovo spettare ogni vantaggio, se ha un valore maggiore.
8° Così stando le cose, e poste le precedenti conclusioni che paiono tutt'affatto naturali, e sono pienamente favorevoli al Vescovo, non resterebbe più nulla a discutere: siccome però il benemerito ed egregio Capo dell'Oratorio, il M.o R.do D. Bosco, al quale già ne fu tenuta parola dal Vescovo, sembra non consentire con questi sentimenti, e d'altronde tanto l'uno quanto l'altro non vogliono menomamente offendere nè la giustizia nè la carità, da parte del Vescovo allo scopo di addivenire più facilmente ad una amichevole definizione si propone: - Mandarsi al Cav. Oreglia la presente esposizione, perchè vi unisca le sue osservazioni e ragioni, le quali avute, o l'Oratorio accondiscende a fare la restituzione di Lire 6.Soo, ed il Vescovo - aggiustati e definiti tutti i conti che sono aperti tra lui e l'Oratorio stesso - offre e promette a quest'ultimo un dono di lire 1.500, come gratificazione dell'opera prestata dal Cav. Oreglia nella compra della tipografia. Oppure incontra difficoltà per la reclamata restituzione, ed allora si eleggano due o tre giudici, siano Teologi o Canonisti, colla promessa reciproca di stare al loro giudizio. In questo modo potranno consolarsi di aver seguito il consiglio di Sant'Agostino: Lites aut nullas habeatis, aut quam celerrime finiatis.
Avuta e letta l'esposizione, Don Bosco, nonostante il timore di Monsignore, ritenne non solo conveniente ma doveroso comunicarla al Cav. Oreglia; il quale, due mesi dopo, il 30 novembre, essendo stato trasferito da Roma a Brixen, premesse le scuse per il prolungato ritardo, faceva queste nette ed esplicite dichiarazioni:
Venendo alla Esposizione del Rev.mo Mons. Vescovo di Mondovì io debbo confessare che in vari punti non sono della stessa sua opinione, e non tutte le circostanze da lui citate si combinano con quelle che io tengo presenti alla memoria. Io posso dire con tutta sincerità e certezza che ho comperato per Don Bosco una tipografia del Sig. Avv. Fissore, e che, se la pagai solo lire 8.500 si fu perchè egli voleva il denaro subito, che altrimenti egli aveva, e mi rimise le lettere, de' tipografi che dopo aver visitata tale tipografia gli offrivano chi 15, altri 16 e più mila franchi, purchè a scadenze lunghe. Ora io appoggiato a questi motivi mi decisi, e credo essere in coscienza, a chiedere lire 15 mila a Monsignore, e se mi tenni fermo a quel prezzo [198] egli era perchè io già teneva varie richieste... Il motivo che mi induceva a sollecitare Monsignore a darmi parola del contratto era perchè se Egli non si decideva, io avrei venduto a quelli e ad altri che si presentavano; che altrimenti perdutili e rilasciatami da Monsignore la Tipografia, avrei avuto il danno del non vendere e quello di trovare un locale per tanta roba, e ciò tanto più che anche le macchine eranmi ricercate. Nè io credo affatto, almeno non ho inteso, di mancare di schiettezza con Monsignore tacendogli che la Tipografia già era di D. Bosco, poichè infine dei conti io che trattava era affatto estraneo al contratto, per cui non faceva in quell'affare che l'intermediario senza averne, nè volerne, nè sperarne alcun utile per me da niuna delle parti; e qui mi cade comodo una parola di risposta a quella persona da cui dice Monsignore aver provvidenzialmente saputo che io mi compiaceva di aver goduto Monsignore di parecchi migliaia di lire. In verità, per quanto d'ogni eccezione maggiore sia questa persona, io mi trovo abbastanza tranquillo in coscienza dicendogli, che o egli ha frainteso, o veramente ha dato interpretazione ben diversa alle mie parole giacchè io so bene che per quanto ottima sia una persona non per questo è infallibile nel cogliere e tanto meno nel riportare un’espressione altrui. Comunque siasi, parmi che sia anzi una prova in, contrario il vedere come io non faceva, come non feci con alcuno, mistero dell'utile ricavato dalla vendita di tale Tipografia, e non l'avrei fatto nè anche con Monsignore se Egli avesse creduto aprirsi con me così chiaramente, come fece nella Esposizione che a Lei spediva. Ed ora passando alla persona peritissima che giudicò il contratto magro assai per Monsignore, vorrei sapere se questa persona si sentirebbe con 15 mila lire di montare una Tipografia in pieno come era quella; se si crede capace egli è per me evidente che non ha mai messo in piedi veruna Tipografia; sarà un ottimo Proto, o Compositore, o che altro, ma certo non ha speso mai denari in montare una Tipografia, dove tutte le altre spese di arredamento vanno al pareggio con l'acquisto del carattere.
L'avere Monsignore accettata la Tipografia senza inventario non può imputarsi ad alcuno poichè io lo pregai più volte ad inviare uno a tale uopo ed egli mandò il Teol. Fissore che diede bensì un'occhiata al complesso; ma non ebbe comodo di fermarsi, come io gli proposi per compiere esattamente l'inventario.
Risposto così sommariamente alla Esposizione di Monsignore io non entro nelle ragioni che tanto da una che dall'altra parte possono elevarsi per bonifiche: Mo parere si è che il contratto sia stato fatto in termini abbastanza precisi, perchè non vi sia a opporre eccezioni. Ciò non toglie che se tra loro si combinino diversamente, io non ne abbia ad essere contento, giacchè se tra loro che sono i contraenti si credono meglio vantaggiati mutando le condizioni, io sarò contentissimo del loro piacere... [199]
Le dichiarazioni del Cav. Oreglia non potevano essere più chiare e lampanti, nè più delicata la conclusione: - Se i contraenti si credono vantaggiati mutando le condizioni, io sarò contentissimo del loro piacere! - Tuttavia terminava col dire:
Vorrei più precisamente poter soddisfare alle esigenze di quest'affare; ma dopo un anno e mezzo che questo è stato conchiuso, e dopo un anno e mezzo di Noviziato, vede bene, caro D. Bosco, quanto sia difficile avere le idee chiare e sicure. Parmi però d'aver detto abbastanza per porre le cose in piena luce, e giustificare non tanto il mio operato, quanto le ragioni di ambe le parti...
P. S. - Di questa lettera Lei se ne giovi come meglio crederà, o comunicandola, o solo ripetendo quanto le ho scritto..
Ma di certo, come vedremo, gli sorse il dubbio d'aver esagerato un po' il prezzo, benchè dei vari che gli erano stati proposti avesse scelto il minore... nonché la brama vivissima .di veder finita la vertenza, senz'alcun danno nè all'una nè all'altra parte.
Il Vescovo e Don Bosco continuarono a studiar il modo di venir ad una conclusione; e Don Bosco diceva apertamente, a comprova che il Cavaliere aveva agito per conto dell'Oratorio, e non per conto proprio, come gli avesse consegnate le 6500 lire guadagnate nella rivendita della tipografia, soggiungendo che le aveva ognor presenti per venire ad un aggiustamento. E Monsignore, scrivendo a Don Rua, nel metterlo a parte di questo particolare, lo pregava di farsi ripeter bene la cosa, perchè i Teologi consultori l'avessero presente nel pronunciare il giudizio definitivo.
Ieri sera scrivendole con fretta eccessiva mi sono dimenticato di dirle, che l'ottimo Don Bosco mi riferiva costì in persona, qualmente il Cav. Oreglia avesse a sue mani depositato una somma (o rendita corrispondente) di Lire circa 6 mila, guadagno fatto sulla vendita della Tipografia al Vescovo di Mondovì. Mi sembra pure che dicesse che ove venisse deciso, non essere il Vescovo tenuto a sborsare somma maggiore di quella che aveva sborsato il prefato sig. Cavaliere nella compra della Tipografia, lo stabilimento avrebbe sempre avuto nelle [200] mani la somma suddetta depositata a mani di D. Bosco dal Sig. Cavaliere, per pagarsi dei lavori eseguiti pel Vescovo stesso.
Tanto le scrivo affinchè meglio si faccia spiegare la cosa da Don Bosco, ed affinchè i Teologi consultori sieno a giorno a che di ciò, per loro governo, nel pronunciare in merito della pendenza.
Disposto sempre stare al miglior giudizio di arbitri da scegliersi da ambe le parti, sònole in G. M. e G.,
. Fr. Gio. T.o Vescovo di Mondovì.
Monsignore aveva già scelto il suo arbitro nel Teol. Stanislao Eula, di cui ecco la dichiarazione:
Il sottoscritto avendo letto il quesito concernente la tipografia acquistata da Mons. Vescovo di Mondovì, non che la lettera del Sig. Cav. Oreglia in data 30 9bre 1870, non può a meno di trovare ragionevolissima la proposta di transazione fatta dallo stesso Mons. Vescovo, la quale si trova in fine del suddetto Quesito. È quindi d'avviso il sottoscritto che questa si abbia ad adottare.
Don Bosco fece studiare egli pure la vertenza, e ne scriveva al Teol. Golzio:
Ho bisogno che con sua comodità legga le unite carte riguardanti ad una piccola vertenza, tutta amichevole, col Vescovo di Mondovì. Dopo abbia la bontà di darla al T. Bertagna che spero vorrà anche dare alle medesime un'occhiata; quindi se potranno fissarmi un'ora:lungo la giornata mi troverò anch'io per intenderne il parere e vedere la risposta a farsi.
Per loro norma la relazione mia, di D. Durando, e di D. Cagliero, non furono vedute dal can. Eula.
Dio ci benedica tutti e ci aiuti a perseverare nel bene. Amen.
Dopo pochi giorni ebbe luogo il colloquio. Il Teol. Bertagna gli disse che avrebbe comunicato il suo parere al Teol. Eula, e Don Bosco scriveva al Vescovo: [201]
Rever.mo e Carissimo Monsignore,
Ieri ho portato le carte relative all'affare della Tipografia al T. Golzio e Bertagna. Fecero qualche difficoltà, giudicando presunzione di entrare giudici in cose che riguardano a V. E. Rev.ma.
Ma io feci loro osservare che si trattava soltanto di esporre il loro parere e poi comunicarlo semplicemente in modo tutto privato ad una delle due parti. Allora il T. Bertagna mi disse che avrebbe lette le carte, e studiata la questione; e poi avrebbe partecipato il suo modo di vedere al Canonico Eula, suo buon amico.
Io non desidero nemmeno di vederlo; quando l'abbia ricevuto ed Ella intenda darvi corso, io ci metto fin d'ora il mio nome in bianco.
Mi doni la sua S. Benedizione, e mi creda colla più profonda gratitudine,
Ma vennero a frapporsi nuove difficoltà per l'aggiustamento dei debiti contratti dal Vescovo coll'Oratorio con la stampa di vari opuscoli. Da cinque anni, dal 1865, non eransi più sistemati i conti, e la cosa era un po' complicata per la mancata registrazione di tutte le fatture. Don Bosco diede l'incarico di sbrigar quest'affare a Don Rua; e Don Rua mandava al Vescovo una nota dei debiti, che salivano a L. 5553, 96, insieme con una copia del contratto “stipulato fra Don Bosco e il sig. Avv. Domenico Fissore il 3 giugno 1868”, a comprova che il Cav. Oreglia aveva agito come rappresentante di Don Bosco e non per proprio conto.
E il Vescovo gli rispondeva l'8 agosto, con lettera da lui firmata, ma scritta da altra mano, evidentemente compilata dall'Economo Vescovile, nella quale in primo luogo si tornava a dichiarare di non aver avuto mai „intelligenza di sorta con Don Bosco per l'acquisto della nota tipografia”, mentre „dal contratto verbale fatto col Cavaliere in proposito e ratificato poi con sua lettera risulta che egli la faceva meco unicamente da mandatario”.
Quindi passando a rilevare la nota dei debiti, ivi detta di 5553 lire e 96 centesimi, dopo aver ricordato che se n'erano da lui già versate 1000, proseguiva: [202] Ciò posto la cifra di L. 5553, 96 si riduce a mille lire di meno; altra riduzione e non tanto piccola si dovrà fare delle medesime sul prezzo sproporzionato stanziato per le edizioni di opuscoli, de' quali si fecero quattro o cinque edizioni usando la stessa composizione, come credo.
Dovrà pure questa somma subire un difalco nei libri acquistati dalla mia tipografia avendo per errore aggiunto all'aggio del 30% quello della 13.ma gratis, per cui non rimane nemmen più quanto è necessario per soddisfare la spesa occorsa per la edizione eseguita dall'Oratorio stesso...
Questo è quanto posso rispondere di presente alla prefata sua lettera non senza farle notare: che se si pronunciasse a rigore de' sani principii di teologia, omnibus inspectis, risultando, che io avrei sborsate 6.500 lire di più di quello che costò la tipografia, e andando debitore verso l'Oratorio neanco di lire 4000, ella vede che le sarebbe tolta l'occasione di inquietudine sulla dilazione dell'assestamento di tale conto...
Ma non era quella la nota completa dei debiti. In un biglietto, che ci rimane, spedito o scritto il 5 agosto, si legge: „Mons. Vescovo di Mondovì deve per lavori fatti negli anni scorsi L. 5758. Per lavori fatti in quest'anno Lire 2137. Totale L. 7895. - 20 giugno, ricevuta a conto [in acconto] Lire 500. Rimane debito Lire 7395”. Restavano, dunque, a pagarsi 7395 lire. Ciò posto non v'era più nessun ostacolo per venire al giudizio dei due arbitri. E Don Rua, come si legge in una nota da lui posta in capo all'ultima lettera di Monsignore, comunicava „al Can. Eula. - Monsignore, interpellato di dare corso alla pratica, rispose aver tutto rimesso a V. S. e al Teologo Bertagna. Questi è in Torino attualmente e, urgendoci la cosa, facciamo umile ma calda preghiera di condurre la cosa a termine. Monsignore avrà dato cognizione che il contratto Fissore è dei 3 - 6 e la commissione fu data al Cavaliere nell'Ottavario, cioè dopo i 9 - 6”.
E finalmente si raggiunse la meta, grazie anche ad un atto di squisita bontà del Cav. Oreglia. Informato di tutto, e sempre nel pensiero d'aver forse esagerato un po' il prezzo, nè volendo che ora ne venisse a scapitare l'Oratorio, faceva giungere a Mons. Ghilardi Lire 3000 perchè se ne servisse a saldare i debiti ed a troncare amichevolmente ogni questione.
Difatti il 27 novembre si veniva alla transazione. [203] L'Ill.mo e Rev.mo Monsignor Vescovo di Mondovì Fr. Giovanni Tommaso Ghilardi si rendeva acquisitore dal Rev. Sig. D. Bosco Giovanni Fondatore dell'Oratorio di S. Francesco di Sales di un corpo di Tipografia in data 9 giugno. In seguito avvenne che nascessero discrepanze sull'intelligenza passata tra le parti per detto contratto che durano sino ad ora.
Volendo però dette parti terminare amichevolmente, come è di ragione, ogni differenza, sentito il parere di due arbitri eletti di comune accordo, convengono definitivamente, e transigono sopra ogni discrepanza, accettando la seguente condizione.
Monsignor Vescovo di Mondovì pagherà al Sig. D. Bosco prezzo di detto corpo di Tipografia la somma totale di lire undicimila settecento e cinquanta (11.750) sotto deduzione delle somme già pagate in conto per tale oggetto, entro lo spazio di tre mesi dalla data della presente. Aggiunte Lire trecento per spese accessorie.
Monsignore era debitore di 7395 lire. Ora col diffalco di 3250 dal prezzo della Tipografia, più le 1000 già versate e le 3000 ricevute dal Cav. Oreglia, non gli restavano che 145 lire di debito, e così, benchè, per parte dell'Economo Vescovile, si tentasse poi riprendere l'esame dei conti, finiva la lunga vertenza!
Prima di chiudere questa parte delle Memorie Biografiche del Santo Fondatore relative all'anno 1871, dobbiam fare alcuni rilievi sul suo lavoro come scrittore e pubblicista, sulla squisita carità con cui accontentava quanti ricorrevano a lui, e della particolare riconoscenza che aveva per i benefattori, e, in ultimo, delle morti edificanti che avvennero quell'anno nell'Oratorio.
Mentre era ai Becchi egli attese a preparare una raccolta di Fatti ameni ed edificanti della vita di Pio IX, che pubblicò nelle Letture Cattoliche, con questa prefazione:
Al lettore. - Crediamo fare cosa gradita ai nostri Lettori col pubblicare una raccolta di fatti ameni della vita dell'immortale [204] Pio IX. Mentre faranno in modo straordinario risplendere la bontà e la carità incomparabile del suo cuore, faranno eziandio ad evidenza conoscere come la nostra santa religione guidi l'uomo alla suprema felicità del cielo, e nel tempo stesso sia socievole, utile materialmente, nè vi abbia infortunio umano cui essa non intervenga per soccorrere l'infelice, consolare l'afflitto, illuminarlo nella dubbiezza della vita e sostenerlo nella sventura. Questa cosa noi ammireremo nei fatti che verremo esponendo. Essi vennero raccolti particolarmente dalle opere cui è titolo: Spirito e cuore di Pio IX del P. Hughet[36]; Roma e Pio IX del Balehidier; La parola di Pio IX, Roma nel 1848 - 49, e da altri accreditati autori o da rinomati periodici.
Se malgrado la diligenza usata nell'esporre le cose colla massima esattezza fosse sfuggita qualche parola non secondo la verità e non conforme ai principi di nostra santa cattolica religione o non abbastanza decorosa al supremo Gerarca della Chiesa, preghiamo il lettore a considerarlo come non detto e non scritto, pronti a rettificar qualunque cosa venisse suggerita parer tornar a maggior gloria di Dio e ad onore del padre comune dei credenti.
Dio ci conservi costanti in questa nostra santa religione, e ci conceda l'abbondanza delle sue grazie per poterla praticare con fedeltà fino agli ultimi respiri della vita, per andare di poi al possesso di quella immensa felicità che ci promette nel cielo, così sia.
Per la redazione, Sac. Giov. Bosco.
E l'Unità Cattolica del 12 gennaio 1872 ne faceva questa recensione:
Il vero carattere degli uomini grandi appare bene spesso più chiaramente da certi fatti che si riferiscono alla loro vita privata, che non dalla vita pubblica. Epperciò con molto accorgimento il venerando Don Bosco ha raccolto, nel volumetto che annunziamo, un bel numero di racconti, che ci pongono sott'occhio i vari casi della vita privata del presente Sommo Pontefice. E poichè il lettore potesse dare piena fede a queste narrazioni, egli ebbe cura di citare nella prefazione le tre opere alle quali attinse i Fatti ameni della Vita di Pio IX. Con questo libro i buoni cattolici, anche da certi fatti poco finora conosciuti, impareranno a conoscere principalmente quanto sia la bontà e la carità di un Pontefice, che la storia additerà agli avvenire come un perfetto modello di apostolica fermezza e di prudenza evangelica. [205]
Scrivere e diffondere buoni libri ad istruzione della gioventù e del popolo fu un lavoro continuo del Santo.
Sulla fine del 1870 aveva offerto agli abbonati alle Letture Cattoliche una nuova edizione della sua Storia Ecclesiastica, ed avendo ricevuto dal Conte Francesco di Viancino, al quale aveva affidato la compilazione di un leggendario popolare delle vite dei Santi, alcune osservazioni sul dizionario dei vocaboli geografici posto in fondo al volumetto di 464 pagine, gli rispondeva:
Desiderava di portarle in persona la nota della tipografia e libreria, che non ha nissun senso e che prego V. S. a volerla usare ad accendere un sigaro e nulla più. Segue l'altra della somma ricevuta per la nuova chiesa. Ho ricevuto i suoi riflessi sul dizionarietto e ne terrò conto per la nuova edizione che faremo forse prima della fine dell'anno. Se potesse fare altrettanto pel resto della storia, mi farebbe un vero favore. Di ogni cosa gratitudine incancellabile.
Il medico Gribaudo sarebbe disposto di assumersi il lavoro dell'ideato leggendario. Se pertanto Ella non può continuarlo, come desidererei vivamente, la prego di mettere insieme il lavoro già fatto coi libri analoghi, ed io passerò a prenderli qualche sera lungo la settimana, alle 5 1/2 di sera.
Dio benedica Lei, la Sig. Moglie; e raccomandandomi alle preghiere di ambidue ho l'onore di potermi con pienezza di stima professare,
E la nuova edizione della Storia Ecclesiastica, la definitiva, che venne anche affidata alla diligente revisione di Don Bonetti, usciva nel 1872.
Intanto aveva sempre in mente il pensiero di riuscir a pubblicare, coll'aiuto di persone competenti, una Storia Ecclesiastica più ampia, nella quale brillasse in piena luce l'apostolato compiuto dai Sommi Pontefici. Così appare da questa lettera autografa, che non sappiamo a chi fosse inviata. [206]
Ecco il piano e divisione di quella Storia Ecclesiastica che ho in votis mercè l'aiuto delle persone colte.
Prima parte: - Storia antica, che abbraccia li sei primi secoli fino all'Egira mussulmana 622, suddivisa in due periodi: 1° Dalla discesa dello Spirito Santo fino al 312; 2° Da tal punto fino al 622.
2a - Storia Media dal 622 fino al 1517, divisa pure in due periodi distinti e separati pel Concilio Lateranense IV, celebrato nel 1215.
3a - Storia Moderna dal 1517 fino ai nostri tempi, segnata altresì con due periodi; il primo dal 1517 fino alla morte di Pio VI; il secondo dalla morte di Pio VI fino ai nostri tempi.
Tale è la prima idea mia, che può anche cangiarsi per giusti riflessi che mi venissero fatti.
In fine di ciascun periodo desidererei che V. S. preparasse un capo da intitolarsi: Avvenimenti religiosi nel Piemonte.
Dall'Oratorio, 20 ottobre 1871.
I fascicoli pubblicati nelle Letture Cattoliche nel 187, furono i seguenti:
Gennaio. - Le vicende di S. Giuseppe, Sposo di M. V. Dramma sacro del padre Luciano Secco.
Febbraio. - Colomba e Giacomina o la Croce alleggerita. Racconto del sac. Gaetano Blandini.
Marzo. - Antonio ossia il ritorno di un soldato al patrio focolare pel sacerdote Celestino Faggiani.
Aprile. - L'infallibilità pontificia proposta ai fedeli. Istruzione del P. Secondo Pratico d. C. d. G.
Maggio. - Apparizione della Beata Vergine sulla montagna di La Salette, con altri fatti prodigiosi raccolti da pubblici documenti pel Sacerdote Giovanni Bosco.
Giugno. - Livia Ortalli, ossia l'amante del S. Cuore di Gesù. Memoria del P. A. M. Pagnone Barnabita.
Luglio. - Vita di S. Girolamo Miani pel sacerdote Pietro Bazetti.
Agosto. - La corona di verginità. - Perchè la Bibbia tradotta dal Diodati non è permessa, pel parroco Luigi Bruno.
Settembre - La giovinetta cristiana. Considerazioni e letture proposte alle giovani cristiane per cura di S. D. N. Z.
Ottobre. - Un grande amico. Divozione all'Angelo Custode. Riflessioni ed esempi di Vincenzo G. Berchialla Sac. Teol.
Novembre - Dicembre. - Fatti ameni della vita di Pio IX raccolti da pubblici documenti. [207]
Riguardo al fascicolo di maggio, „già molte operette - notava l'Unità Cattolica del 10 dello stesso mese - si sono stampate intorno a questo fatto prodigioso, e parecchi giornali francesi ed italiani ne parlarono. Il reverendo Don Bosco ha raccolto in questo libriccino quanto basta per provare la verità del miracoloso avvenimento”, e vi aggiunse „la narrazione di altri fatti prodigiosi, atti massimamente a ravvivare la fede nel popolo e promuovere la divozione verso la Gran Madre di Dio; cioè l'apparizione della Santa Vergine a Pontmain in Francia, la guarigione istantanea d'una giovane dopo vent'anni di terribile malattia nel Santuario di Oropa, ed altre grazie segnalate ottenute da Gesù Sacramentato, da Maria Ausiliatrice e da S. Giuseppe, con questa prefazione:
Un fatto certo e meraviglioso, attestato da migliaia di persone, e che tutti possono anche oggidì verificare, è l'apparizione della Beata Vergine, avvenuta il 19 settembre 1846…
Questa nostra pietosa Madre è apparsa in forma e figura di gran Signora a due pastorelli, cioè ad un fanciullo di 11 anni, e ad una villanella di 15 anni, là sopra una montagna della catena delle Alpi situata nella parrocchia di La Salette in Francia. Ed essa comparve, non pel bene soltanto della Francia, ma, come dice il Vescovo di Grenoble, pel bene di tutto il mondo, e ciò per avvertirci della gran collera del suo Divin Figlio, accesa specialmente pei tre peccati: la bestemmia, la profanazione delle feste, e il mangiar grasso nei giorni proibiti.
A questo tengono dietro altri fatti prodigiosi raccolti eziandio dai pubblici documenti, oppure attestati da persone, la cui fede esclude ogni dubbio intorno a quanto riferiscono.
Questi fatti valgano a confermare i buoni Della religione, a confutare quelli che forse per ignoranza vorrebbero porre un limite alla potenza e alla misericordia del Signore dicendo: - Non è più il tempo dei miracoli.
Gesù disse che nella sua Chiesa si sarebbero operati miracoli maggiori che Egli non operò; e non fissò nè tempo né numero, perciò finchè vi sarà la Chiesa, noi vedremo sempre la mano del Signore che farà manifesta la sua potenza con prodigiosi avvenimenti, perchè ieri ed oggi e sempre G. C. sarà quello che governa e assiste la sua Chiesa fino alla consumazione dei secoli.
Ma questi segni sensibili della Onnipotenza Divina sono sempre presagi di gravi avvenimenti, che manifestano la misericordia e la bontà del Signore, oppure la sua giustizia e il suo sdegno, ma in modo [208] che se ne tragga la sua maggior gloria e il maggior vantaggio delle anime.
Facciamo che per noi siano sorgenti di grazie e di benedizioni; servano di eccitamento alla fede viva; fede operosa, fede che ci muova a fare il bene e a fuggire il male, per renderci degni della sua infinita misericordia nel tempo e nella eternità.
I Santi son sempre guidati dalla fede! Chi non vede nelle parole di Don Bosco quasi un atto di nascondimento nel continuo succedersi di grazie segnalate quando impartiva la benedizione, attribuendo tutto unicamente alla potenza ed alla continua bontà del Signore?...
Un altro scritto, assai interessante, fu quello pubblicato nella prima parte del fascicolo d'agosto: La corona della verginità, composta di cinque fiori, cioè di cinque virtù, alle quali si associano tutte le altre: il giglio, ossia la verginità; la viola mammola, l'umiltà; la rosa vermiglia., la carità; il nobile girasole, la pazienza; il leggiadro mughetto, la vera fede. È una traduzione dal francese, e non si sa chi ne fu l'autore; pare sia stato scritto nel secolo decimoquinto; ma è un caro libretto che meriterebbe d'essere diffuso tra le comunità femminili. Don Bosco, nel pubblicarlo, dovette aver in mente il nuovo Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, perchè proprio in quel mese pregava e faceva pregare per conoscere se la nuova istituzione era voluta da Dio, e „ci consta - affermava Don Lemoyne - che più volte, predicando nei monasteri, egli parlò di questa bella corona”. Lo stesso pensiero ci vien suggerito dal fascicolo di settembre; semplice anch'esso e pratico, ed assai utile per le fanciulle e le giovinette.
Tanta era la stima che godeva e tale la fama della sua carità universale, che tutti ricorrevano a lui come a un amico ed a un padre.
Il giovane Barone Rodolfo Ric i lo pregava di celebrare una Santa Messa secondo la sua intenzione per esser promosso negli esami, ed egli, incoraggiandolo: [209]
La Madonna A., che l'ha già tante volte favorita in passato, spero che la favorirà anche nei presenti esami. Preghiamo, ed io celebrerò la Messa secondo l'intenzione per cui mi manda la limosina in f. 12.
Dio benedica Lei e le sue fatiche, e mi creda con profonda gratitudine,
P. S. - La prego di rimettere l'unito biglietto a Papà con rispettosi saluti alla Mamma e al Sig. Carlo.
L'avv. Cav. Carlo Canton, Capo Divisione al Ministero delle Finanze, suo grande amico, che lo favoriva in ogni caso nel miglior modo, lo pregava di fargli conoscere qualche buona famiglia residente in Roma, dove avrebbe dovuto tra breve trasferirsi; ed egli premurosamente:
Si assicuri, Sig. Cavaliere, che andando a Roma non mancherò di metterla in relazione con persone quali noi desideriamo. A tale uopo comincio ad incaricarlo di una commissione riguardante appunto a quella città come vedrà dal memoriale annesso. Il punto essenziale sta nel sapere a chi indirizzarci e poi raccomandarci. Ella vedrà e poi farà quel che potrà o almeno mi dirà quel che debbo fare.
La domanda per vestiario al Ministro della guerra tornò favorevole, ma al magazzeno delle merci qui in Torino poterono darmi soltanto la metà di quanto era concesso.
Ho in animo di fare una gita a Firenze, qualora io non possa andare le scriverà fra breve.
Dio benedica Lei e la sua famiglia e mi creda con profonda gratitudine,
Alla fin di settembre il cavaliere tornava a pregarlo di metterlo in relazione diretta con qualcuno che potesse dargli o trovargli dimora, e Don Bosco: [210]
Andando a Roma si presenti a mio nome dal Sig. Canori Focardi che ha due botteghe, Via Condotti 94, - Piazza Torre Sanguigna N° 4 - casa propria. Credo che esso l'aggiusterà con sè o presso di altra onesta famiglia. Nascendo difficoltà, si presenti anche a nome mio da una certa signora Giacinta, via della Sapienza N° 37, p. 1°. Qui troverà quello che occorre. È fervorosa cristiana e benefattrice di nostra casa. Occorrendo altro, mi scriva e aggiusteremo tutto.
Dio benedica Lei e la sua famiglia, preghi per me che sono con gratitudine,
Il 28 aprile riceveva la visita dell'avv. Comaschi di Milano, di cui più volte s'è fatto cenno nei volumi precedenti. Prima che facesse amicizia con Don Bosco, era d'idee un po' storte, ma dopo i ripetuti colloqui col Santo s'era nettamente ricreduto d'ogni pregiudizio. L'avvocato era venuto a Torino per aver un colloquio col cav. Luigi Giacosa, e domandò a Don Bosco un biglietto di presentazione; subito veniva accontentato:
Chi le presenta questo biglietto è il Sig. Avv. Comaschi di Milano, che desidera conferire un momento con Lei.
Desso è persona benefica per molti titoli benemerito della nostra casa; perciò mi fo lecito di raccomandarlo alla sua cortesia. È persona religiosa e prudente, perciò si può anche parlare con libertà ove occorra.
Dio le conceda ogni bene, compatisca il disturbo e preghi per me che sono con gratitudine,
Mentre a Parigi continuavano a dominare i Comunardi e fucilavano l'Arcivescovo e incendiavano parte della città, Don Bosco faceva fare speciali preghiere da tutta la comunità, perchè il Signore nella sua potenza e misericordia infinita [211] facesse tornar la calma nella capitale; e così scriveva a Madre Eudosia delle Fedeli Compagne di Gesù, che gli aveva comunicate le sue terribili ansietà circa la sorte della Casa madre:
Non può immaginarsi, signora Madre, con quanta apprensione io abbia tenuto dietro ai pericoli che sovrastavano alle religiose di 149 sorelle in Parigi. Fin dal primo apparire dei pericoli ho disposto che ogni sera si recitasse un Pater da tutti i nostri giovani alla Benedizione del S.S. Sacramento. Io ho sempre fatto un memento speciale nella S. Messa, ogni mattino. Quale ne sia stato il frutto, Ella potrà quanto prima saperlo; in ogni caso adoriamo la misericordia del Signore, che manda i suoi flagelli, perchè il mondo sappia che egli è il nostro Supremo Padrone.
Dio benedica Lei, Sig.a Madre Eudosia e con Lei benedica la Madre Sup. Generale, le sue religiose, le educande e a tutte le altre conceda la grazia di sopportare le spine del tempo per esser poi tutti, speriamo con fede, coronati di gloria nella beata eternità.
Preghi per me e per i miei poverelli e mi creda con gratitudine,
Le buone religiose furono visibilmente protette da Dio, e Don Bosco, avendone ricevuta la consolante notizia insieme con un'offerta in pegno dì riconoscenza, ne chiedeva una relazione particolare:
Ho ricevuto la sua lettera antecedente ed ora ricevo questa cui sono uniti fr. 600 coll'aggio che ne ricaveremo dall'oro. Deo gratias! giunsero in tempo di massimo bisogno. Ora la preghiera di un favore che mi sta sommamente a cuore. Dai tratti che Ella mi ha scritto, comprendo essere in modo sensibile intervenuta la mano del Signore alla preservazione delle loro case di Parigi. Ora io vorrei che queste memorie si conservassero e fossero come caparra di altre grazie che la S. Vergine certamente concederà a questo benemerito Istituto. Ella adunque a maggior gloria di Dio e dell'Augusta Sua Madre mi faccia una relazione la più lunga e minuta che Le sia possibile. Ed io la conserverò come monumento delle glorie di Maria ed occorrendo che se ne volesse dare stampa, non farò niente senza prima [212] parlarne con Lei. Credo che sia bene il notare che appena cominciarono i disastri di Francia e che i mali minacciavano Parigi, si cominciarono preghiere particolari dai nostri giovanetti all'altare di M. A. e si continuarono fino alla cessazione del pericolo, quando si cantò un solenne Te Deum in ringraziamento.
Di ogni cosa sia dunque ringraziato Iddio e la sua Madre Santissima, e le celesti benedizioni:discenderanno ognora sopra di Lei., sopra la Madre Generale e sopratutto l'Istituto, e mi creda con gratitudine di V. S. M. Rev. a,
P. S. - Se occorre qualche cosa per Roma me la domandi.
Il 25 agosto Madre Eudosia tornava a scrivergli: „Avevo domandato alla nostra Madre Generale la relazione che voi desiderate riguardante le nostre Case di Parigi. Ella mi ha risposto che trovandosi in Brettagna non le fu possibile di far redigere quella relazione; ma che se ne occuperà quando sarà di ritorno nella grande capitale. Ed ora, dopo una nuova e grande grazia ottenuta, Ella m'incarica di consegnarvi un'offerta di 200 franchi per la chiesa di Nostra Signora Ausiliatrice”.
Pari alla venerazione che godeva universalmente era la fiducia con cui anche le autorità ricorrevano a lui in ogni caso. Eccone alcune prove, spigolate da autentici documenti del 1871.
Il Sindaco Conte Rignon il 25 gennaio lo pregava d'accettare tre figli d'una povera vedova d'un calderaio dell'Arsenale; due, Antonio e Giacomo Fornara, il 30 gennaio erano già nell'Oratorio, e il più piccolo, Antonio, veniva mandato al collegio di Lanzo, e Don Bosco stesso gli pagava la pensione.
In marzo l'Ispettore di Questura in Borgo Nuovo si recava a raccomandargli altri tre poveri fanciulli; uno era subito accolto da lui, e gli altri due, dietro suo consiglio, essendo ancor piccini, venivano presentati al Padre della Piccola Casa della Divina Provvidenza, e subito erano anch'essi accettati; e l'Ispettore, il giorno dopo, gli scriveva ringraziandolo della sua carità e del suo consiglio, avendo trovato [213] „in quel Rev.o Padre Canonico Anglesio una persona al pari della S. V. Rev.ma oltremodo affabile, gentile e caritatevole”.
Il Commissario del Vaccino Dott. Carenzi gli mandava un povero giovane; e come seppe che era stato accettato, lo ringraziava premurosamente „per la caritatevole, generosa accoglienza fatta al suo raccomandato”, manifestandogli il desiderio „che gli venisse porta circostanza da potergliene esprimere la sua sincera gratitudine, con fatti e non con parole”.
Il Direttore Generale delle Ferrovie dell'Alta Italia gli esponeva le miserande condizioni di due orfani minorenni, Egisto e Giuseppe Franceschini; e Don Bosco rispondeva che se avevano l'età prescritta dal programma, senz'altro li avrebbe accettati, dicendosi in par tempo „pronto ad accoglierne anche altri in avvenire”.
Lo stesso Direttore Generale, poco dopo gli comunicava lo stato miserabile di due altri ragazzi, Francesco e Giuseppe Ellena, i quali avevan perduto il padre, che era ferroviere alla stazione di Busalla, nell'aprile di quell'anno, ed avevan la madre a letto da dieci mesi, ed egli caritatevolmente apriva anche ad essi le porte dell'Oratorio.
Un altro impiegato delle Ferrovie dell'Alta Italia, Capo Traffico a Milano, lo ragguagliava della morte di Giacinto Salvagno, che era stato ferroviere per 22 anni ed aveva lasciata, in misere condizioni, la moglie con molti figli, uno dei quali era alunno dell'Oratorio; ed immediatamente condonava al povero giovane la pensione.
Tutti ricorrevano a lui in ogni caso, ed erano accontentati. Il cav. Carlo Baccalario, Segretario Capo della Prefettura di Torino, dietro preghiera di un sacerdote, amico del Conte Radicati, gli rimetteva la lettera d'una povera donna, moglie di un ex - ufficiale del R. Esercito che si trovava in carcere sotto processo, la quale non aveva da dar da mangiare ai figliuoli...
Chi può dire quante richieste gli giungevano da ogni parte a favore di poveri ragazzi!... ed egli, vedendoli bisognosi di aiuto, li accoglieva tutti a braccia aperte!
Il 19 settembre 1871 scoppiava in Torino, a Borgo S. Salvario, un terribile incendio in un vasto opificio, che, bruciando [214] legnami e carrozzoni ferroviari, s'allargava in un attimo, invadendo e distruggendo anche quattro grandi caseggiati vicini, con danno incalcolabile di tante famiglie, che a stento riuscivano a salvare appena un po' di masserizie. Commosso a tale sciagura, pensò di ricoverare quei poveri figli che fossero rimasti nella miseria o nell'abbandono, e ne dava comunicazione al Sindaco; questi, il 25 dello stesso mese, gli rispondeva:
Rendo distinte grazie alla S. V. On.ma della generosa offerta fatta colla pregiata sua di ieri di dare gratuito ricetto a quei giovanetti che fossero caduti in abbandono in causa del disastro avvenuto in questa città nel Borgo S. Salvatore [sic].
Di tale offerta venne tosto consapevole la Commissione incaricata della distribuzione dei Sussidi ai più bisognosi fra i danneggiati dal grave incendio, perchè ove fosse il caso ne potesse approfittare.
Come ogni sventura gli toccava il cuore, ogni offerta che riceveva da anime generose l’accendeva della più viva riconoscenza, e non mancava di mostrarlo alle più insigni in ogni maniera.
Abbiamo dinanzi il contenuto di alcune parole scritte da lui sotto quelle stampate, in alcuni biglietti di visita, le più semplici e insieme le più espressive, in accompagnamento di piccoli doni.
Lo stampato dice così: „Il Sac. Giovanni Bosco la umili e cordiali auguri a V. S. e prega Dio a colmarla di sue celesti benedizioni con lunghi anni di vita felice”.
E in uno, scritte da lui, si leggono queste parole:
“All’Ill.mo Signor Conte di Pamparato, Casa propria, sotto i portici di Piazza S. Carlo - Torino... A lui ed alla Sig. Contessa di Lui Moglie, pregando gradire alcune primizie, broccoli del giardino di Alassio”.
“A S. E. la Sig. Marchesa Natta - Casa Propria - Piazza S. Carlo - Torino. ... la prega gradire alcuni piselli ed alcuni datteri da deserto di Sara in Arabia”.
“Alla sua caritatevole e buona Mamma con auguri di buone feste a Lei e a tutta la rispettabile famiglia, le primizie di Alassio, invitandosi a pranzo, il povero questuante Sac. G. Bosco”. [215]
Il regalo più caro e più ambito che soleva fare ai principali benefattori era la Messa che celebrava secondo la loro intenzione, con le sante Comunioni e le particolari preghiere che raccomandava ai suoi nelle principali solennità e in particolari ricorrenze.
Da Marassi scriveva alla signora Uguccioni:
Bisogna proprio fare una sgridata per muovere questo dissipatello a compiere il suo dovere verso alla migliore delle madri! Farò in modo di emendarmi e di non lasciar più passar tanto tempo senza scriverle.
Se però il pensiero e il pregare per Lei e tutta la sua famiglia equivalesse ad una visita, questa sarebbe forse in ogni ora ripetuta.
Si persuada adunque che ogni mattina nella santa Messa non manco mai di fare un memento speciale per tutte le persone che accenna.
Alla vigilia della festa dell'Immacolata Concezione ho disposto che all'altare di Maria sia celebrata la S. Messa colla Comunione e preghiere dei giovani secondo la di lei intenzione. È contenta? Aggiungeremo anche il Rosario. Le cose nostre, mia buona Mamma, vanno abbastanza bene. Questo anno abbiamo aperto due nuove case. Una nella città di Varazze; l'altra in Genova, donde scrivo questa lettera.
Abbiamo al presente cinquanta dimande per aprire novelle case in varie parti del mondo, compresa l'Australia. Sono tutte imprese gigantesche, per cui è nulla ogni forza umana; preghi per noi, affinchè, mentre facciamo questi sforzi per salvare anime, non mi accada di perdere la mia. Dio conceda ogni bene a Lei, al Sig.re Tommaso, mio buono e caro papà, a tutte le famiglie della famiglia principale. Maria Immacolata ci assista tutti dal cielo e mi creda in G. C.,
Nel 1871, in quattro mesi passavano all'eternità sette alunni, in novembre un ascritto, e in dicembre, come aveva preannunziato Don Bosco, un altro alunno. E tutti, per grazia di Dio dopo una vita esemplare, fecero una santa morte, come attestava Don Rua, degli alunni, nel suo necrologio [216] e, dell'ascritto, in fondo al catalogo della Pia Società dell'anno 1872.
Son profili veramente edificanti.
Giuseppe Baggini di Torre de' Conti, + il 15 marzo 1871 a 12 anni.
Fanciullo molto vispo, capace di far gran bene, se fosse vissuto, dandosi con alacrità alla virtù. Forse per toglierlo ai pericoli, a cui andava incontro, il Signore sel prese dopo breve malattia, munito dei SS. Sacramenti e di tutti i conforti della Religione.
Giovanni Broggi di Treviglio, + il 22 marzo a 18 anni.
Giovane che andò ognora migliorando nello studio e nella pietà. Assiduo ai SS. Sacramenti vi attingeva sempre novello fervore, tantochè negli ultimi mesi domandò ed ottenne di essere annoverato come aspirante nella Società di S. Francesco di Sales. Amorevole con tutti, usava famigliarità con pochi. Paziente, non mai si udiva muovere lagnanza di sorta. Predisse, mentre stava bene, la sua morte tre giorni prima. Morì per asma quasi repentinamente, munito dell'estrema unzione. Si era comunicato il giorno prima per sua fortuna.
Sebastiano Astigiani di Monticelli, + il 2 aprile a 23 anni.
Giovane di volontà ferma di progredire nella virtù e nello studio. Sebbene fornito di scarsi mezzi intellettuali, suppliva colla sua diligenza e non lasciava di avanzarsi al par degli altri. Nella breve sua malattia mostrò una piena rassegnazione ai divini voleri. Munito di tutti i conforti della religione morì nel bacio del Signore.
Luigi Trono di Mortara, + il 12 maggio a 13 anni.
Giovanetto di costumi i più illibati, vero imitatore di S. Luigi nell'innocenza, L'amor suo a Gesù Sacramentato lo portava a riceverlo sovente; ed il suo contegno prima e dopo la Comunione lo faceva sembrare un angioletto. Obbediente, affettuoso e semplice, si accaparrava il cuore di chiunque lo conosceva. Il Signore lo tolse per aggregarlo al coro degli spiriti beati che accompagnano l'Agnello Immacolato, cantando un inno cui nessun altro coro osa cantare.
Augusto Said di Algeri, il 30 maggio, uno degli algerini inviati nell'Oratorio da Mons. Lavigerie.
Giovane tranquillo e quieto. Nessuno forse ricevette mai da lui molestia. Amava le pratiche di pietà e sebben neofita era compreso d'amor per Gesù in Sacramento. Durante la lunga sua malattia dimostrò vivo desiderio di riceverlo parecchie volte e fu esaudito. Obbediente, pio e studioso, desiderava di venire buon missionario pei [217] suoi connazionali. Chiamato dal Signore al premio, non cesserà di pregare per la conversione dei poveri Africani.
Giuseppe Penati di Treviglio, + il 18 giugno, a 17 anni.
Giovane semplice e buono. Gli scarsi mezzi intellettuali e gli incomodi di salute l'impedirono di far notevoli progressi nello studio. Non lasciò però di avanzarsi nella virtù. Era infatti pio, obbediente ai superiori e servizievole verso i compagni. Aveva una piena confidenza nel suo Direttore Spirituale ed un vivo desiderio di tutto consacrarsi al Signore. La sua gracilità fu il solo ostacolo alla da lui tanto ambita aggregazione alla Società.
Franzero Michele di Torino, + il 18 giugno, a 11 anni.
Ragazzo rimesso all'Oratorio dalla Direzione del Regio Ospizio di Carità di Torino. Fra i suoi compagni venuti da detto Ospizio si distinse per buona condotta, sebbene non apparisse niente di straordinario. Fu però singolare e preziosa la sua morte; dopo ricevuti già i Sacramenti, domandò confessarsi l'ultimo mattino di sua vita. Il che compì piangendo dirottamente per compunzione. Morì un'ora dopo, tutto festoso, vedendo, come diceva, venirgli incontro gli Angeli e la Vergine Maria.
Della santa morte di questo ragazzetto Don Rua scrisse anche questa dettagliata narrazione.
Il giovane Franzero Michele nel tempo che dimorò nell'Oratorio si diportò sempre da buon giovane, sebbene non dimostrasse nel suo esterno niente di particolare nella via condotta. Si osservò però che i voti furono sempre abbastanza soddisfacenti.
Verso il 7 di giugno del 1871 fu incontrato da un Superiore, il quale vedendolo con colore alquanto smorto, l'interrogò, se non si sentisse bene. Rispose che sentivasi un po' indisposto, però non pensava per anco a consegnarsi infermo. Tastatogli il polso e riconosciutavi un po' di agitazione febbrile, fu, dal medesimo, fatto accompagnare all'infermeria e raccomandato alle cure dell'infermiere e del medico. Durò la malattia una decina di giorni, durante i quali non diede mai il minimo segno d'impazienza; anzi, a chi l'interrogava, rispondeva sempre di sentirsi meglio, e mostrava piacere quando gli si parlava dell'anima, oppure gli si diceva qualche cosa per fargli coraggio.
Alli 16 di detto mese dimandò e ricevette i SS. Sacramenti colle più belle disposizioni, sebbene credesse di non aver tanto male. Giunta la notte dalli 17 alli 18, il male si aggravò; ed egli, paziente, al solito, andava ripetendo le giaculatorie che gli venivano suggerite: e di [218] tratto in tratto volgevasi alla persona che lo assisteva e dicevagli: - Faccia il piacere, vada a chiamare il sacerdote; - e nominava quello che avevalo fatto accompagnare all'infermeria. Fattogli presenti che era tardi, che quel sacerdote aveva bisogno di riposare, acquietavasi; ma dopo qualche intervallo ripeteva la stessa domanda, finchè, al mattino, di buon'ora, si appagò il suo desiderio e si andò a chiamargli il detto sacerdote. Con aria grave, quando lo vide comparire: - Desidero, gli disse, di confessarmi. - Ti sei confessato solo pochi giorni fa, non hai neppure bisogno, gli rispose il sacerdote. - Oh sì, riprese l'infermo; io voglio confessarmi.
Il sacerdote si arrendette al suo desiderio, e lo confessò. Durante la confessione proruppe in dirotto pianto, e ad alta voce esclamava: - Ma? mi perdonerà ancora il Signore? mi perdonerà ancora? - Si, sta' tranquillo, gli diceva il sacerdote; confida nel Signore che molto ti ama. - A stento potè riuscire ad acquetarlo. Il sacerdote stesso, vedendo le sante disposizioni di quel buon ragazzo, sentivasi profondamente commosso; e commossi fino alle lacrime erano quelli che trovavansi nella stessa camera, che osservavano il suo pianto e sentivano le sue parole piene di compunzione. Avendo ricevuto il SS. Viatico solo due giorni prima, non si giudicò più necessario amministrarglielo nuovamente, tanto più, poi, chè non pareva neppure tanto aggravato.
Il sacerdote ritirossi per attendere alle varie sue urgenti occupazioni, promettendogli che l'avrebbe raccomandato alle preghiere dei suoi compagni; egli, intanto, procurasse di trattenersi alcun poco a pregare, anche solo col cuore, il Signore.
Verso le 7 e 1/2 antimeridiane, mentre i compagni insieme radunati in chiesa porgevano alla Vergine Ausiliatrice le loro preghiere per lui, l'infermo incominciò a fissare lo sguardo verso la volta dell'infermeria; poi si mise a ridere di gran contentezza. - Che hai? gli domandò qualcuno che gli stava dappresso. - Oh! non vedi? gli rispose: non vedi chi ci viene vicino a me? Ohi guarda, guarda, quanti angeli! Oh, come son belli! - Ridendo, guardava a destra e a sinistra, come per salutare i nuovi arrivati, i quali, però, non erano veduti da altri che da lui. Finalmente, alza di nuovo lo sguardo verso la volta: - Oh! anche la Madonna viene a trovarmi, viene a prendermi! Oh! che piacere! - Ciò detto tacque, e fisso cogli occhi al cielo e col volto tuttora ridente, rese la candida anima fra i cori degli angioli, nelle mani della Vergine Maria, come giova sperarlo, il giorno 18, domenica terza di giugno, in età di undici anni.
Il sacerdote cui accenna Don Rua era lui stesso, che nella sua umiltà tacque anche un altro particolare. Il nostro confratello Don Bartolomeo Molinari, che fu presente alla morte di Franzero, ci diceva che vi si trovò presente anche [219] Don Rua, e che questi, appena il pio ragazzo ebbe mandato l'ultimo respiro, alzò gli occhi al cielo, e, vòlto agli astanti, esclamò con voce commossa:
- Mi pare di aver visto l'anima sua volare al cielo, come una colomba!
Giuseppe Abrami di Brescia, + il 19 novembre a 16 anni.
Nato il 19 agosto 1855, dopo aver dati non dubbi segni di virtù, per consacrare al Signore il fiore di sua età e darsi tutto al divino servizio, si faceva ascrivere nella nostra Società. Ma Dio non aspettò le opere e volle compensare i suoi ardenti desiderii chiamandolo a goder il premio del sacrifizio fatto abbandonando patria, parenti ed amici. Munito di tutti i conforti della religione, compianto da' suoi compagni e da' suoi superiori, spirava l'anima il 19 novembre 1871 d'anni 16, mesi 6. Preghiamo pel riposo dell'anima di lui, se mai non fosse ancor stata accolta negli eterni tabernacoli.
Eugenio Lecchi di Folizzano, + il 18 dicembre a 15 anni.
Buon giovane, rispettoso coi superiori, affabile coi compagni, sebbene non parolaio. Era assiduo alle pratiche di pietà ed in chiesa teneva un contegno grave e divoto. Studioso e diligente, non che aperto, faceva negli studi una distinta riuscita: e quantunque solo da due anni avesse incominciato il ginnasio, tuttavia al principiar del terzo anno entrò in 2a retorica e si manteneva fra i primi.
Morì di trasporto di sangue al capo in men di due giorni di malattia.
Da queste brevissime note chi non ravvisa, e non ammira la vita esemplare che accanto a Don Bosco si viveva anche dai giovani dell'Oratorio? [220]
Lettera alla contessa Callori.
Benemerita Signora, ed anche EccelIenza,
Mi rincresce che abbiano mandato a Lei la piccola nota di libri chiesti a questa libreria. A proprio un cercare un granello di arena a chi ci dà la casa. Ma mi risposero che tale è suo desiderio, ed io accettando nell'utile me ne tacqui. Sono per altro contento, perchè con essa diedesi occasione a Lei di scrivermi una lettera piena d'augurii veramente cristiani. Ne ho veramente bisogno in questo momento di croci. Fra le altre àvvi tuttora quella dei Mirabellesi. Essi fecero in modo da obbligarci ad una sopratassa di ricchezza mobile e farei (sabato ultimo) pignorare tutto il mobiglio di Borgo S. Martino, di venderlo all'asta se fra 10 giorni non si pagano duemila venticinque lire. Questo è il buon capo d'anno che mi offrono quelli cui si fece e si voleva fare quanto bene era possibile. Dio pagherà meglio, non è vero?
Le mando i primi lavori fatti sul Cattolico Provveduto. Ella farà il resto. Avendone occasione spedisca l'unita Storia Ecclesiastica col libretto da tradursi alla damigella Gloria. Questa storia finora incontra bene. Appena cominciato lo spaccio, è quasi finita l'edizione di 15 mila copie. Se ne è tosto incominciato un'altra.
Lungo la settimana spero dì poterla riverire qualche sera alle 5 1/2
Per augurare buona continuazione dell'anno novello io farò ogni giorno un memento speciale per Lei e per la sua famiglia, affinchè Dio conceda a tutti sanità stabile, santo timor di Dio e la perseveranza nel bene; e che Dio ci serbi, dopo un terribile contrasto tra Cristo e Satana, di vedere la Chiesa ed il Santo Padre in pace.
Mi raccomando con tutto il cuore alle sue sante preghiere e mi professo
Di V. S. B., ma no, di V. Eccellenza,
PER LA FESTA DI S. GIOVANNI DEL 1871
N° 1 A DON GIOVANNI Bosco celebrandosi dai giovani dell'Oratorio, di S. Francesco di Sales'il suo Onomastico nell'occasione del suo ritorno dla Roma.
Canta, o fanciul; dell'anima |
Dicesti all'Infallibile, |
I lieti sensi esprimi, |
all'Immortale Pio: |
Coi dolci suoni sciolgansi |
“Di Pier gli anni tardissimi |
Canti d'amor sublimi, |
A te concede Iddio, |
tutt'intorno echeggino |
Ed a novel miracolo |
I plausi al Direttor, |
La terra applaudirà |
Al padre tenerissimo, |
E di novella aureola |
Al re dei nostri cuor. |
Tua fronte cingerà”. |
|
|
Ei ritornò, e il giubilo |
Sorrise il gran Pontefice |
Fe' insiem con lui ritorno: |
Ai detti di Giovanni; |
Ei ritornò; più fulgido |
Ma in cor nudrì fermissima |
A noi sembrò quel giorno, |
La speme, che gli affanni |
L'aer più puro, i zeffiri |
Del travagliato esiglio, |
Più soavi respirar |
Degli angosciati di, |
Quando il suo volto amabile |
Non 'vincerìan l'augurio |
Potemmo rimirar. |
Che dal tuo labbro usci. |
|
|
Roma ti vide: l'inclita |
Roma ti vide, e, memore |
Città del Sommo Piero, |
Della tua gran parola, |
A insolita letizia |
Rendè grazie a quell'Unico |
Compose il volto austero, |
Che affligge e che consola, |
Chè il tuo parlar fatidico |
Che prostra nella polvere, |
Allor si ricordò, |
Che pone sugli altar, |
E di stupore un cantico |
Che fissa immoto un termine |
Festoso al cielo alzò. |
Al tempestoso mar. |
Di Roma ai lieti cantici |
Eco facendo noi, |
Accetta, o dilettissimo |
Padre, dei figli tuoi |
I caldi voti, i teneri |
Sensi del nostro amor, |
I doni benchè poveri |
Ma che tributa il cor. [222] |
A DON GIOVANNI BOSCO quando festeggiavasi il suo ritorno da Roma e celebravasi il suo Onomastico, come a dolcissimo Padre tenerissimi figli, i giovani tipografi dell'Oratorio questo tenue saggio di fregi - florali offrivano. - Al tuo merito è poco; al - nostro affetto è nulla!
Si ridesti la gioia ne' petti, |
Fendan l'aure festosi concenti |
Si riaprano al gaudio le menti, |
Cui premevano tristi pensier. |
|
Quel che lidi lontan c'invidiaro, |
Quel che Roma per crescersi onore |
De' suoi figli strappava all'amore, |
Quel buon Padre possiam riveder. |
|
Come avviene per nube o per verno |
Che il sol nieghi il fiammante suo raggio |
Nel celeste segnato viaggio, |
E più bello di nuovo ci appar, |
|
Se squarciata la nube, o fugando |
Crudo il verno, sollevi la testa; |
Tale gioia, o D. Bosco, si desta |
Ne' tuoi figli in vederti tornar. |
|
Con ardenti desiri affrettaro |
Tutti i cuori esto dì venturoso, |
In cui lice la piena d'ascoso |
Caldo affetto versare e sfogar. |
|
Che t’amiamo tel dicon gli evviva; |
Te lo dicon l'intente pupille, |
Che d'affetto ferventi faville |
Eloquenti son più del parlar. |
|
Genuflessi dinnanzi all'Eterno |
Noi pregammo, che al tuo cammino |
Risplendesse quel raggio divino, |
Che fu scorta al ramingo Israel. |
|
Or che a' patrii tuoi lari tornasti, |
Uno solo è di tutti il desio, |
Una sola la prece che a Dio |
Innalziamo di cuore per te. [223] |
|
Volga lieta tua vita e serena; |
Nè mai nebbia luttuosa ed oscura |
Quella gioia t'offuschi che pura |
Gusti allor che le vie del ciel |
|
I tuoi figli correndo animosi, |
Non curando i travagli e le pene, |
Dio sol cercan, quell'unico Bene |
U' s'appunta tuo nobil desir. |
PRIMO PROGRAMMA DEL COLLEGIO DI VARAZZE.
Lungo il litorale tra Genova e Savona nella città di Varazze con approvazione dell'Autorità Scolastica è aperto un Collegio - Convitto a favore della studiosa Gioventù. L’edifizio è situato vicino alla Stazione della Ferrovia, nel luogo più salubre e più elevato e più ventilato della Città con dirimpetto l'amena vista del mare.
L'insegnamento è approvato, cioè gli insegnanti saranno patentati, le materie e le discipline scolastiche in tutti i rami d'istruzione saranno in analogia coi programmi e regolamenti governativi.
Si assicurano le più vive sollecitudini affinchè agli allievi nulla manchi di quanto può contribuire al loro profitto morale, sanitario e scientifico.
I° Ogni allievo nella sua entrata deve essere munito della fede di nascita e di battesimo, di vaccinazione o sofferto vaiuolo, di scuola, e di un certificato di moralità dal proprio Parroco.
2° Abbia l'età di circa otto anni e non sia stato espulso da altre case di educazione.
3° L’insegnamento abbraccia le quattro Elementari, il Tecnico e le cinque Ginnasiali.
L'insegnamento del corso Tecnico è ripartito come segue: Aritmetica, Sistema Metrico, Geografia, lingua italiana, Storia sono gli stessi come - nel corso Ginnasiale di modo che saranno esaurite contemporaneamente le materie anche del corso Tecnico col corso Ginnasiale [224]. Così pure nel quinquennio classico saranno esaurite le lezioni di Francese, e di disegno spettanti al corso Tecnico in modo che gli allievi saranno fatti idonei per presentarsi agli esami delle classi superiori.
4° Vi sono due gradi di pensione. Alla prima si corrispondono L. 35 mensili ed àvvi pane a volontà, vino, minestra, e due pietanze a pranzo; pane come sopra, minestra, vino ed una pietanza a cena; pane, caffè e latte o frutta a colazione; pane a merenda. Alla seconda pensione L. 24 al mese. In essa àvvi pane a colazione e merenda; pane a volontà, minestra, una pietanza e vino a pranzo; pane come sopra, minestra, vino, oppure frutta a cena. A chi desidera caffè e latte al mattino il Collegio lo fa amministrare a L. 3, 50 al mese.
5° La pensione si paga a trimestri anticipati. Si fa eziandio un deposito di danaro per le minute spese. A chi passa alcuni giorni nel collegio viene computata la metà del mese; e a chi oltrepassa la metà è calcolata l'intiera mensile pensione. Non si fa alcuna riduzione a chi rimane fuori del collegio meno di quattordici giorni,
6° Si esige puntualità nel pagamento per evitare inconvenienti. Gli alunni non possono tener denaro presso di sè. I parenti che vogliono lasciar danaro ad uso libero dei loro figliuoli possono consegnarlo al Prefetto, il quale con debito riguardo lo rimetterà e lo impiegherà secondo il loro desiderio.
7° Per la lettiera, pagliericcio, parrucchiere, inchiostro, lume si pagano f. 2o annui anticipati. Non si rimborsano ancorchè si rimanga nel Collegio una sola parte dell'anno.
8° Medicinali, bucato, soppressatura, rappezzatura di abiti, di scarpe, provviste di vestiario e di oggetti di scuola sono a carico dei parenti. Quelli che desiderano esonerarsi di questi lavori potrebbero affidarli al Collegio che li farà eseguire a loro conto. In quanto al bucato e soppressatura della biancheria, la spesa è di L. 2, 25 al mese.
9° Col pagamento regolare della pensione, oltre l'istruzione relativa a ciascuna classe, gli allievi avranno ancora scuola di canto Gregoriano e di musica vocale, a cui dovranno intervenire nelle ore stabilite. A pure fatta facoltà di prendere parte ai primi esercizi di declamazione ed anche alla ripetizione che suole farsi per coloro, cui il rispettivo Maestro ne ravvisa il bisogno.
1° Per uniformità il Collegio provvede a ciascuno per conto dei parenti un bonetto per la passeggiata, una calotta da tenersi in casa, e una blouse per l'estate. Si raccomanda però una muta di abiti neri [225] pei giorni festivi, per le passeggiate e per gli altri casi di uscita dal Collegio.
2° Ognuno deve portare quanto occorre pel vestiario e pel letto, ad eccezione della lettiera e del pagliericcio. Chi porta il materasso deve averlo della lunghezza di m. 1, 75 e della larghezza di m. 0, 75.
3° Il corredo ordinario sarà di 4 lenzuola, 8 camicie, 4 paia di mutande, 2 paia di scarpe, 6 paia calzette, 6 salviette, 6 asciugamani, pettini, una spazzola per gli abiti, due per le scarpe.
4° Per non perdere cosa alcuna si raccomanda che, fin dall'ingresso in Collegio, gli alunni abbiano gli oggetti di biancheria e vestiario, non esclusi quelli che indossano, come pure il materasso, guanciale, coperte, ecc. notati col numero distintivo fissato nell'atto di accettazione. Per la stessa ragione il Collegio provvederà a conto dei parenti una borsa o sacchetto di colore da tenere la roba sucida finchè non sia messa al bucato, o spedita a casa.
1° Gli allievi sono ritenuti in Collegio tutto l'anno. Tuttavia dopo gli esami finali nell'autunno si darà un mese di vacanza dalla metà di settembre alla metà di ottobre, se i parenti lo domandano.
2° Gli alunni che rimarranno in Collegio nel tempo di vacanza avranno ogni giorno alcune ore di scuola per meglio abilitarsi nelle rispettive classi.
3° Quelli che dalle vacanze fanno ritorno al Collegio devono presentare al Superiore un certificato di buona condotta morale e religiosa ottenuto dal rispettivo Parroco.
4° Per evitare la perdita di tempo e il disturbo della scuola cagionato dai ritardi è fissata l'entrata nel Collegio dal 15 al 18 ottobre. Col giorno 18 comincia a decorrere la spesa della pensione anche per coloro che vi ritornassero dopo.
5° Le domande si fanno al Cav. Bonora Can.co Prevosto Vicario Foraneo, oppure al Direttore locale del Collegio di Varazze Sac. Gioanni Francesia, Dottore in Lettere[37]. [226]
Circolare per il Liceo d’Alassio.
Ho l'onore di partecipare alla S. V. Ill.ma, che a compimento dei Corso Ginnasiale ed Elementare che già si insegna in questo Collegio - Convitto, diretto dal Sac. Bosco Giovanni, si aprirà nell'entrante anno scolastico 1871 - 72 un Liceo o Scuola Liceale, in cui le materie d'insegnamento saranno pienamente in conformità dei programmi e regolamenti governativi. In quest'anno però vi sarà soltanto il primo Corso con l'insegnamento delle materie ad esso corrispondenti. Le condizioni di accettazione sono conformi a quelle delle Classi Ginnasiali ed Elementari, di cui Le unisco il programma, eccettochè per gli alunni Liceali la pensione è la prima con l'aggiunta di lire 60 di minervale.
Se adunque le occorresse qualche allievo di tale classe e giudicasse inviarcelo le professeremo la più sentita gratitudine.
Gradisca intanto le assicurazioni di stima e di riconoscenza con cui le auguro ogni bene, mentre ho l'onore di professarmi,
SUL principio dell'anno scolastico 1871 - 72 Don Bosco aveva stabilito di visitare le nuove case di Marassi e di Varazze e il collegio di Alassio; ma siccome il nuovo Arcivescovo di Torino stabiliva, di quei giorni, di far l'ingresso in Archidiocesi, decise di non partire, se non dopo compiuta la cerimonia.
E così fece. Si recò prima a Genova, e poi a Varazze; e qui fu subito colpito da grave malattia, della quale si diffuse tosto la notizia, destando nei figli e negli ammiratori uno sgomento terribile.
Di quei giorni dolorosi abbiam raccolti e coordinati molti documenti, i quali, dal primo all'ultimo, sono una splendida prova della virtù e della santità del sofferente e del suo abbandono in Dio, e insieme del dolore dei figli e delle loro continue fervorose preghiere a Gesù Sacramentato ed a Maria SS. Ausiliatrice per implorare all'amatissimo Padre sollecita e piena guarigione. [228] Se dovessimo riferirli uno a uno, non la finiremmo più; tuttavia riteniamo conveniente e, diciam pure, doveroso, di farne una paziente e minuta esposizione, senz'affatto preoccuparci se la narrazione assumerà l'aspetto di un lungo diario. Quel che ci preme è di far comprendere quanto sofferse Don Bosco in quei cinquanta giorni, di vera angoscia, di timori e di speranze, e di preoccupazione universale; e quanto fecero i figli e gli ammiratori per vederlo sollevato e ottenerne da Dio la guarigione.
Protagonisti della narrazione sono Don Giovanni Francesia, direttore del Collegio di Varazze, uno dei più cari ed affezionati al Santo; - Pietro Enria, il fido, paziente e sollecito assistente ed infermiere; - e Giuseppe Buzzetti, uno dei primi giovani che accorsero ai catechismi iniziati da Don Bosco nella chiesa di S. Francesco d'Assisi, che non si staccò più dal suo fianco, a cui Enria trasmetteva quotidianamente le notizie della malattia.
Mons. Gastaldi si preparava a prender possesso dell'Archidiocesi di Torino, dove al partito anticlericale sarebbe tornato poco gradito. La Gazzetta del popolo aveva preso a combatterlo, appena preconizzato: „È stato scelto dal Vaticano - scriveva il 27 ottobre 1871 - proprio colla lanterna, e colla speranza che sia un Fransoni numero due”; ed eccitava il Municipio a non prender parte al suo ingresso.
Difatti Mons. Zappata, Vicario Capitolare, annunciava l'imminente ingresso del nuovo Arcivescovo al conte Felice Rignon, che era succeduto al conte Cesare Valperga di Caluso a capo della civica amministrazione, ed aveva in risposta, che la Giunta non riteneva opportuno farsi rappresentare al ricevimento “a fronte dei nuovi principii, che regolano attualmente i rapporti fra la Chiesa e lo Stato”.
Anche Mons. Gastaldi, in data 31 ottobre, preannunziava al Re la prossima presa di possesso, e non aveva una parola di riscontro. [229] Solo in Prefettura venne ben accolto il preannunzio, come Don Bosco scriveva all'Arcivescovo:
Ho passato due giorni qui in Passerano con casa Radicati, dove ho parlato a lungo col Viceprefetto dì Torino, che trovasi pure qui, sig. Cav. Avv. Bonino. Mi parlò assai bene della lettera scritta da Lei e della risposta fatta dal Prefetto; di poi esternò un vivo desiderio che Ella entrando nella novella diocesi facesse entrata solenne. - Restano a vedersi le disposizioni delle autorità civili, io risposi. - Non ne dubiti, soggiunse, non lascieranno niente a desiderare. - Potendoci poi parlare, le dirò le cose più particolarizzate.
Se non avesse ancora formato il pensiero sopra un provicario, credo poterle nominare il T. Bertagna. Pio, dotto, pratico, agiato. Forse accetterebbe. Questo è un solo mio pensiero, di cui Ella faccia o non faccia conto alcuno.
Dimando la sua santa benedizione, e mi creda con profonda gratitudine,
P.S. Per carità, curi la sua sanità; messis multa, ma avrà operai.
Comunque, Mons. Gastaldi stabiliva di far l'ingresso in forma solenne, la domenica 26 novembre; e dalla stazione di Porta Nuova si recava in forma privata alla chiesa di San Filippo, dove s'erano adunati, insieme col Clero e le Confraternite e le associazioni religiose, quanti l'avrebbero accompagnato processionalmente alla Metropolitana, quand'ecco d'un tratto si diffonde la voce che sta per scoppiare un tumulto popolare. Don Bosco, in quel mentre, era accanto a Monsignore: - Che cosa facciamo? - gli chiese - C'è dell'imbroglio - rispose l'Arcivescovo. Difatti anche l'apostata Don Ambrogio[38] andava a tal fine blaterando in mezzo alla folla. Il questore cav. Bignami l'avvicinò e l'afferrò per le spalle e gli disse: - Se non sta quieto, lo faccio legare [230] come un salame! - Vista la mala parata, Monsignore sali di nuovo in vettura, e andò subito al duomo.
- Dov'è? dov'è l'Arcivescovo?... - si cominciò a ripetere dagli adunati; e la folla a poco a poco si sciolse, ed il Clero e le Confraternite si avviarono processionalmente a S. Giovanni, dove Monsignore era entrato privatamente.
Don Bosco seguì la processione a fatica: sentiva un forte dolore alle spalle, ed una violenta e affannosa palpitazione gli rendeva pesante il cammino; erano i prodromi della malattia che l'avrebbe colpito.
Entrata la processione nella Metropolitana, l'Arcivescovo salì in pulpito, e tenne un'omelia, nella quale ripetè, quasi alla lettera, ciò che aveva pubblicato l'Unità Cattolica il 4 ottobre, dicendo la sua elezione un tratto inaspettato della Divina Provvidenza, al quale non aveva contribuito nessun favore umano, ma che era lo Spirito Santo che l'aveva posto a capo della Diocesi Torinese; e lo ripetè con tanta insistenza, che quanti sapevano com'erano andate le cose, non mancarono di dirsi a vicenda, come dichiarava a noi stessi il Can. Sorasio: - La va male per Don Bosco!... la va male!...
Don Bosco, dunque, pochi giorni dopo, il 2 dicembre, partì per Genova; e il 3, prima domenica dell'Avvento, lo trascorse a Marassi, dove s'intrattenne, con alcuni soci della Conferenza di S. Vincenzo de' Páoli, e col direttore Don Albera, sui bisogni di quella casa incipiente.
Il 4 proseguì per Varazze. Aveva scritto alla signora Susanna Prato vedova Saettone, nata a Celle Ligure, e domiciliata ad Albisola Marina, annunziandole che si sarebbe recato a visitarla, con preghiera di non preannunziare a nessuno la sua visita. Questa signora si era associata alle Letture Cattoliche fin dal 1853, e ne riceveva più di quaranta copie, che diffondeva tra il popolo; e tanta fu la gioia che provò nel ricevere la lettera di Don Bosco che non conosceva ancora personalmente, che non vedeva l'ora di potergli baciare la mano.
La pia Susanna meritava una visita del Santo; la sua vita era una serie continua di opere buone; non v'era un infelice che non trovasse nel suo cuore e nella sua generosità [231] l'aiuto migliore. Passata in seconde nozze al signor Saettone, agiato commerciante di Albisola Marina, lo ebbe, finchè visse, più che compagno, vero benefattore, e, morto, lo ricordava sempre con venerazione e riconoscenza; quando recitava l'Angelus, con chiunque si trovasse, non mancava mai d'aggiungere: - Ancora un De profundis per il padrone di casa! - Infatti per mezzo del secondo sposo potè moltiplicare i generosi impulsi del cuore. La sua casa era aperta a tutti i poverelli, che vi trovavano quanto loro abbisognava. Molte fanciulle, rimaste orfane, vennero da lei collocate al sicuro presso qualche buona famiglia, o in qualche istituto, assecondata generosamente in questo dalla Beata Maria Giuseppa Rossello, Fondatrice delle Figlie di N. S. della Misericordia[39]. Anche alcuni giovinetti poterono col suo aiuto avere una buona educazione in vari istituti, ed altri entrare in Seminario e consacrarsi al servizio di Dio. E come aiutava tutti i poverelli, non lasciava di soccorrere generosamente l'augusta povertà del Santo Padre, talchè Pio IX, leggendone il nome e sentendone celebrate le virtù e le opere, la diceva „una novella Tabita”; ed ella, pur ritenendosene indegna, non riusciva a celare la gioia che l'inondava nel sentirsi presente all'Augusto Pontefice, attribuendo al suo gran cuore tanta benevolenza ed il grazioso appellativo[40].
La mattina del 6 dicembre, accompagnato dal direttore Don Francesia, Don Bosco si recò al Castello d'Invrea, a celebrare presso la Marchesa Giulia Centurione; e, tornato a Varazze, saliva dopo pranzo in treno per recarsi ad Albisola. Non è possibile dir la gioia che provò la buona Susanna, che aveva già compiuti i 70 anni! Per lei, come ripetè tante volte, fu quello il giorno più bello della vita!
Don Bosco s'intrattenne con lei in lungo colloquio, anche perchè avendo ella molte conoscenze nella riviera di Ponente [232] e in Genova, e godendo di grande influenza presso tutte le autorità, prefettizie, comunali e giuridiche, avrebbe potuto contribuire assai a favorire, in particolari circostanze, il nuovo collegio di Varazze.
Quando il Santo fu alla stazione per tornate al collegio, il treno era già partito, ed alcuni impiegati gli dissero:
- Se deve aspettare l'altra corsa, vada dalla signora Susanna, dove vanno tutti i preti; può stare comodamente in casa sua sino all'ora della partenza.
Don Bosco seguì il consiglio, e, in fine, ripartì. Spirava un vento umido e forte; l'andare e il venire l'aveva affaticato assai, e il dolore alla spalla gli si era tanto acuito, che, sceso a Varazze, fu assalito da una specie di colpo apoplettico, e quelli che gli erano andati incontro alla stazione, dovettero quasi portarlo sulle braccia sino al collegio e in camera; e subito, scucendola in parte, gli tolsero la veste, e lo misero a letto.
Erano circa le sette pomeridiane. Fu chiamato di premura il dott. Gio. Battista Carattini, e l'impressione che n'ebbe - scriveva poi Don Francesia[41] - fu che si trattava di cosa piuttosto grave; „ma seppe dissimularla. Egli s'accorgeva che un travaso di sangue minacciava il cuore, e che bisognava fermarlo a qualunque costo. Mentre noi stavamo là per interpretare dal suo sguardo il carattere della malattia, egli tastava il polso, accostava l'orecchio, si sedeva, chiamava... Pareva che non osasse parlare. Finalmente con aria disinvolta così parlò a Don Bosco: - Mio buon signore, avrebbe piacere di un salasso? Raramente ora .si fa, ed io mi vi adatto: nel caso suo...
- Sono nelle sue mani, disse sorridendo Don Bosco; faccia di me ciò che Ella crede.
Tuttavia non sapeva ancora decidersi... Tanto gli pareva grave la risoluzione!
A mezzanotte si risolse di praticare il salasso. Il buon paziente ne risentì subito un po' di sollievo, e l'oppressione al cuore pareva diminuita. Malgrado questo, il Dottore, vedendo [233] che il male era grave, non si era mosso, ma accompagnava ogni momento il progresso della malattia. Due ore dopo, credette bene praticargli il secondo salasso, e Don Bosco gli disse: - Grazie, Dottore. Mi basta. - Solo verso le quattro egli andava a casa a riposare, per tornar presto presto, appena s'era fatta l'alba”.
In quel giorno Don Bosco era aspettato di ritorno a Torino, ed in sua vece giungeva all'Oratorio il primo dispaccio che annunziava la malattia: „7 - 12 - 1871 - Rua, Oratorio Francesco Sales, Torino. - Papà sospende ritorno; reuma inasprito; fatto salasso; niente allarmante. - Bosso”[42].
La notizia si diffuse subito anche in città, con dolore di quanti lo conoscevano. Il Municipio, nella seduta del 27 novembre, aveva stabilito di festeggiare pubblicamente l'apertura del collegio con un pranzo che, a quanto pare, avrebbe avuto luogo durante la visita di Don Bosco, e che, naturalmente, per il doloroso incidente non si tenne.
Il dì appresso il male si aggravò. Si recavano a visitarlo il Sindaco e il Prevosto di S. Ambrogio; ed egli raccomandava loro di pregar per lui, perchè potesse salvare l'anima sua.
Soffriva assai, e lo vedevan tutti a prima vista; ma egli non se ne lagnava con nessuno. A quanti gli dicevano: - Oh come deve soffrire! - rispondeva:
- Io sono un pigro, e sto godendomela a letto! Chi soffre sono quelli che devono assistermi!
- Il Signore ha sofferto tanto per noi; e noi, se soffriamo qualche cosa per lui, ne avremo poi il compenso in paradiso!
- Se Gesù ha sofferto tanto sino a morire sopra una dura croce, non dovrò io patir qualche cosa, io che sono un miserabile peccatore?...
Insieme con la sua santità, in quei giorni apparve chiaramente l'amor dei figli suoi.
Il ch. Pietro Guidazio, fin dalla prima notte, gli fu sempre accanto. Aveva durante il giorno più di sette ore di scuola, e ancor un'altra ne doveva fare dalle 8 alle 9 pomeridiane, a non [234] meno di cento giovinotti dal 25 ai 35 anni, e con tutto ciò si diceva felice d'assistere Don Bosco. Scriveva poi da Randazzo: „Lo sa Dio qual notte dolorosa fu quella per me. Don Bosco, sofferentissimo, non poteva muoversi. Ora mi pregava di aiutarlo a cangiar posizione, ora di alzarlo sulle braccia; ed ora di dargli aiuto per altre bisogna. Ed io solo, timido, incerto e pieno di freddo. Finalmente passò quella prima notte e sempre ricordo che Don Bosco mi comandò imperiosamente di andare a letto, e non fare quel giorno la scuola. Io conoscendo, che ciò avrebbe portato disordine nella casa, dopo aver assistito alla S. Messa, incominciai il mio lavoro ordinario e continuai sino al termine della scuola serale. Alle 9 ritornai presso Don Bosco, e così continuai a vegliare per otto notti, lavorando sempre indefessamente di giorno. Don Bosco al mattino mi mandava a dormire; e alla sera, quando entrava nella sua camera per assisterlo, mi chiedeva se lungo il giorno avessi dormito, ed io rispondeva affermativamente per non disgustarlo; sonnecchiava però talvolta tra una scuola e l'altra. Io mi sentiva venir meno di stanchezza, di studio e di sonno, specialmente la terza o quarta notte, al punto da temere una morte subitanea; ma era pronto a morire, se ciò poteva esser di vantaggio a Don Bosco”.
Di giorno si succedevano altri attorno al caro infermo; tra questi il ch. Giovanni Turco di Montafia d'Asti, il quale era entrato nell'Oratorio fin dal 1852, desiderando abbracciare lo stato ecclesiastico, e solo per difficoltà di famiglia aveva dovuto abbandonarlo, ma conservando sempre la vocazione nel 1871 aveva ottenuto di rientrarvi, e, vestito l'abito clericale, era stato inviato a Varazze ad insegnar matematica e storia naturale. Egli pure fu tanto buono e premuroso con Don Bosco, che questi soleva chiamarlo il valente suo ortopedico.
La malattia non era dunque cosa da poco, e nei primi giorni si viveva in grave timore di perderlo; per questo, prima a Varazze, poi anche a Torino, da quanti l'amavano si cominciò a temere che non fosse in buone mani, perchè il bravo dott. Carattini soltanto da poche settimane era a [235] Varazze. Don Francesia chiese perciò un consulto del dott. Giuseppe Fissore della R. Università di Torino; e Don Rua ottenne subito da questi, che conosceva ed ammirava tanto Don Bosco, che sarebbe andato a visitarlo; infatti vi andò, lo visitò, parlò a lungo col medico curante, e i nostri che trepidavano tanto, mandarono un respiro, quand'egli disse nettamente: - Don Bosco stia tranquillo nelle mani del dott. Carattini! Egli merita tutta la confidenza! - Il dottor Carattini pose il più grande affetto a Don Bosco, e lo continuò per un quarto di secolo a quanti di quel collegio abbisognarono dell'opera sua, con una premura commovente ed una carità veramente patema!
La signora Susanna Saettone, appena seppe che Don Bosco era caduto ammalato, malgrado la cruda stagione si recò a visitarlo e vi tornò più e più volte, sempre per dirgli che pregava e faceva pregare per la sua preziosa salute; e le visite della buona signora in quei giorni dolorosi furono assai consolanti anche per i salesiani, che presero a riguardarla come una madre, ed ella stessa ebbe la bontà di chiamarli suoi figli. Fu proprio una fortuna d'essere così stimati ed onorati da lei, perchè gli stessi Varazzini, quando la videro salire ripetutamente al collegio per visitare Don Bosco, compresero meglio che si trattava di un uomo raro e singolare, anzi proprio di un santo, e subito scomparvero le freddezze e le diffidenze che avevan da principio per i nostri, ci divennero amici, e non smentirono più il loro attaccamento cordiale.
Neppure Don Bosco dimenticava in quei giorni le anime generose che gli facevano continue elemosine pel bene dei suoi birichini, ed alle quali sapeva quanto stesse a cuore l'aver direttamente sue notizie. Il quarto giorno della malattia ne faceva giungere alla sua “Buona mamma “, la Contessa Callori, per mezzo di Don Francesia, che si sottoscriveva: „come degno della gran parentela, col massimo rispetto e riconoscenza, di sua signoria illustrissima, obbligatissimo servo e nipote...”.
Fra coloro che più insistettero per aver quotidiane notizie fu la contessa Gabriella Corsi, la quale si offerse di pagar [236] tutte le spese che si sarebbero incontrate, e quindi a lei venivano spediti direttamente molti telegrammi, che ella si affrettava a recare all'Oratorio. Ecco il primo:
“11 - 12 - 1871, Varazze. - Contessa Corsi - Torino.
Fissore conforta molto, notte tranquilla. Reuma diminuito. Malattia fa corso. Comunichi. - Francesia”.
E quel mattino, Don Cuffia, prefetto del Collegio, inviava ai Direttori delle singole case questa prima relazione:
“Il nostro veneratissimo Don Bosco desidera che sia dato esatto conto dell'andamento della sua malattia a tutti i Direttori delle case particolari, onde sia impetrata da Dio, per intercessione di Maria Ausiliatrice, la salute che gli è necessaria a poter continuare le sue fatiche in pro' della Congregazione e di tanta gioventù a lui dalla Divina Provvidenza affidata.
Come le fu annunziato, fu sorpreso qui in Varazze (il 6 - 12) da un forte reumatismo, che ora è nella sua felice crisi e si svolse in un'espulsione cutanea. Il professore Fissore, venuto appositamente da Torino, lo trovò in uno stato di miglioramento, lo disse affatto fuori di pericolo, benchè non ci negasse che sarebbe stata una cosa un po' lunga.
Il caro D. Bosco, mentre vuole che si espongano queste cose ai Direttori, raccomandasi alla loro prudenza, perchè non sia posto lo sgomento tra i cari confratelli della Congregazione e tra i giovani, ma si dica solo quanto è necessario per muoverli a pratiche particolari di divozione, onde ottenere da Dio un pronto ristabilimento della sua preziosa salute.
Con questa speranza, e per togliere ogni giusta inquietudine, Egli desidera che sia mandato più volte alla settimana ed anche tutti i giorni, se si crede opportuno, un'esatta relazione del processo della malattia ai medesimi Direttori”.
E a Don Rua inviava insieme questi particolari: „La notte scorsa Don Bosco l'ha passata poco bene. V'ha niente di particolare. La malattia s'è svolta in un'eruzione cutanea che pare ben avviata. Qualche accesso di febbre ogni cinque ore circa”. E in altra lettera dello stesso giorno gli diceva: [237]
“Siamo alle 4 pomeridiane e Don Bosco si trova un po' più sollevato dalla prostrazione di forze in cui si sentiva da un'ora dopo mezzanotte. V'ha nulla a temere; ma, se debbo dirle il mio sentimento, sono in qualche apprensione nel vederlo tanto abbattuto. Questo lo tenga per sè, perchè Don Bosco non vuole che se ne faccia rumore. A Lei scriverò sempre quello che sento, veggo e penso. Faccia pregare per questo, più che padre, angelo della Congregazione e di tanta gioventù”.
All'indomani veniva confermato ai Direttori che lo stato dell'infermo non era allarmante:
“Il nostro caro Padre Don Bosco continua a star meglio. Il reuma è quasi svanito, e la febbre diminuita assai. L'espulsione cutanea continua il suo regolare corso. Ci confermiamo sempre più che non sarà cosa pericolosa, ma un po' lunga. Lascia di riverirla unitamente a tutti i suoi giovani, mentre si raccomanda caldamente alle preghiere di tutti. Se accadrà qualche cosa di nuovo, le sarà scritto”.
Chiamato da Don Bosco, il 12 giungeva a Varazze, insieme coll'economo generale Don Angelo Savio e Don Albera, direttore a Marassi, il coadiutore Pietro Enria.
Questo buon confratello non dimenticò mai la fortuna d'aver assistito Don Bosco nella grave e lunga malattia; ed anche nella deposizione che fece nel Processo Informativo per la Causa di Beatificazione e Canonizzazione del dolcissimo Padre, la ricordava con trasporto:
“Vedendo che il male cresceva, e che Don Francesia e Don Guidazio, nel doverlo assistere, non potevano occuparsi dei loro doveri pel Collegio, Don Bosco fece telegrafare a Don Rua, perchè mi mandasse ad assisterlo. Io partii subito, ringraziando Iddio di aver esaudito il mio desiderio, manifestato anni ed anni prima, di poter assistere Don Bosco nelle sue malattie, pronto a dare la mia vita, perchè egli riavesse la salute”.
Appena giunto, volò al letto dell'infermo, che l'accolse [238] con trasporto di gioia; ma qual fu il dolore del buon confratello nel vederlo disteso in letto, con un reuma che gli impediva di muovere un braccio! Egli credeva che la malattia fosse cosa da poco, ed invece lo trovò aggravato per la terza eruzione cutanea di miliari, cioè di vescichette rosse e perlacee, grosse come un grano di miglio.
E subito, il dì appresso, il chierico Guidazio ed Enria si divisero l'assistenza: questi prese per sè tutta la giornata e la veglia sino alle due dopo la mezzanotte, ed il chierico continuò il suo servizio dalle due alle sei del mattino. Così fecero per circa un mese. Qualcun altro, in certe ore del giorno, continuava a sollevar un po' Enria.
L'andamento della malattia non sembrava allarmante.
Il 13, di buon mattino, Don Cuffia telegrafava alla Contessa Corsi: „Continua miglioramento in tutto. Se così, non più telegrammi”. Il messaggio, trasmesso all'Oratorio, destò in tutti un grande sollievo; ma nello stesso giorno Enria scriveva a Giuseppe Buzzetti: „Mercoledì, il giorno dopo il mio arrivo, Don Bosco passò un giorno ben triste; ebbe una grossa febbre che gli durò per più di venti ore”.
E Don Francesia, in via confidenziale, dava questi particolari a Don Rua:
“Scrissi stamattina un dispaccio color di rosa, e mi duole di non poterlo continuare. Appena dopo quello, il caro infermo fu sorpreso da nuova febbre, che lo tenne male tutto il giorno, ed ora non è per anco libero. Colla febbre ebbe anche il vomito che lo prostrò assai di forze. Oggi ci tenne in pena, mentre pareva dovess'essere tutto l'opposto. Spero che questa notte potrà riposare. Si raccomanda alle vostre preghiere. Qualche vantaggio l'abbiamo già ottenuto, perchè il dolore al braccio è di molto diminuito, ed oggi stesso volle adoperarlo e toglierlo dall'ozio, come egli diceva scherzando.
Stasera siamo stati muti per molto tempo nella camera attorno al suo letto, mentre egli soffriva, senza il coraggio di aprire la bocca.
Speriamo che anche il nostro dolore, offerto a Dio per la guarigione sollecita del povero nostro Padre, otterrà il [239] suo effetto. Qui pregano assai i nostri giovani, e l'amavano già tanto senza conoscerlo, e lo festeggiarono con tanta espansione quando ci visitava; ed ora sono tristissimi che sia caduto infermo a Varazze. Vorrebbero tutti andarlo a vedere, ma è prudenza tenerli lontani. Non abbiamo ancora osato togliere dalle pareti il bel motto: Viva D. Bosco! che qua e là si affisse alla sua venuta, che egli è già in tanta pena. Anche sulla porta della camera in cui è coricato sta scritto: Viva D. Bosco! Era augurio o timore di quello che ci doveva capitare?...
Ieri fu commovente l'arrivo di Don Savio, Don Albera, Don Ricchini ed Enria. Ci guardammo commossi senza articolar parola, ed anche Don Bosco rimase conturbato. Don Savio disse che costà si dubita sulla malattia di Don Bosco; oh se fosse un solo dubbio!
Io sperava stamane di poter andare ad aiutare Don Cagliero a Nizza, tanto Don Bosco pareva in buona condizione, ma stasera egli mi disse di non pensarci più. Povero Don Cagliero!
Scrivo le mie impressioni, scrivo ciò che temo sia, e ciò che vedo, senza però voler destare timori sull'avvenire. Che la malattia sia lunga è certo, pericolosa no, disse il dottor Fissore, e così dobbiamo dire anche noi. Intanto, però, dobbiam cercare di accelerare il giorno che egli possa ritornare al suo paese e consolare tutti i suoi figli.
Si raccomanda che gli si mandi pel primo che venga, o per la prima spedizione d'oggetti, quella scatola di mirra che tu stesso hai comperato.
Le notizie suesposte siano solo per te. Don Bosco mi si è raccomandato”.
Il 14 Enria scriveva a Buzzetti[43]: „Quest'oggi, giovedì, fu più tranquillo e la febbre gli concesse un po' di tregua. Questa sera, mentre scrivo, alle 11 e ½, è più spossato, e non può prender sonno. Sente bene il gusto delle bevande e delle minestrine, e non è mai andato in vaneggiamenti nel calore della febbre. [240]
È così rassegnato che soffre il male con una calma invidiabile. Mai un lamento, mai un gemito. Noi siamo i malinconici, ed egli è sempre di buon umore, e ci fa ridere. Egli non ha altro pensiero che de' suoi cari figli, e spesso nomina Don Rua e tutti indistintamente. Desidera che si preghi. Vuole notizie di Madama Rua, quindi prego a scrivermene...”.
La mamma di Don Rua, che dal 1856 aveva preso nell'Oratorio il posto di Mamma Margherita, era ammalata piuttosto gravemente.
Da Varazze continuavano a giungere, abbastanza buoni, i telegrammi. Il 14, alla Contessa Corsi: „Ieri alquanto agitato. Notte assai tranquilla. Tutto procede regolarmente. - Francesia”. E Don Cuffia a Don Rua: „Ammalato meglio; Cagliero chiama Francesia Nizza; impossibile; mandare Lazzero?”. Don Francesia aveva assunto l'impegno di predicar con Don Cagliero una Sacra Missione a Nizza Monferrato, nella parrocchia di S. Giovanni Battista, in preparazione al S. Natale; la predicazione era incominciata, e vi accorreva una folla enorme; era quindi necessario mandar uno a supplire Don Francesia, e Don Rua vi mandò Don Lazzero.
Le notizie intanto continuavano discrete, perchè così voleva Don Bosco, ed anche perchè il buon Padre, come attestava Enria, durante la malattia restò sempre calmo e tranquillo, sempre uguale a se stesso. „Era riconoscente al più piccolo servizio che io gli faceva e mi ringraziava con gran cuore. Alcune volte, dovendogli fare dei servizi un po' ributtanti: - Vedi mo', diceva Enria, a che stato sono ridotto! fa' questo per amor di Dio! - Ed io gli rispondeva: - Ma che cosa dice, sig. Don Bosco? A nulla quello che faccio io per contraccambiarlo di quello che ella ha fatto per me e per i miei compagni: ha cuciti i nostri abiti, ha fatto per noi quello che potevano fare le nostre madri, ed ancor più di esse; e non vuole che io le faccia questo servizio? Quanti dei miei compagni si chiamerebbero fortunati, se potessero essere al mio posto. Dunque, io che sono il fortunato, debbo assisterlo e servirlo a nome anche dei miei fratelli di Torino e di tutte le case! [241]
Guai a me, se non avessi prestato tutte le cure possibili a Don Bosco, mio padre. Tutti i miei confratelli e i giovani mi avrebbero lapidato; era tanto l'amore che portavano a Don Bosco”.
Ma il 16 dicembre, 1° giorno della Novena del S. Natale, Don Francesia telegrafava: „Quarta eruzione. Preghiamo. Consulto Fissore con altro”; e la mattina seguente giungeva a Don Rua questa lettera spedita da Don Francesia prima del telegramma:
“Ieri le cose erano di nuovo assai brutte. Don Bosco ebbe la febbre quasi tutto il giorno, e non ne fu libero che verso le otto. Il medico pare che non stimi vicino nè lontano alcun pericolo, ma dice che potrebbe anche la malattia fare qualche scherzo. Mi spaventa quello che mi vanno dicendo sui tanti che restarono per la medesima malattia due o tre anni fa in Savona. Il Sindaco, per la parte di responsabilità che dice avere, volle che formassi quel telegramma, che ad insaputa di Don Bosco spedii per un consulto. Anche il Prevosto era di tal sentenza.
Oggi pare svanito ogni pericolo, e, se continua in tal modo, possiamo essere certi che Don Bosco farebbe in piedi la festa di Natale, ma domani, ... mentre leggerai la presente, non mi stupirei dovessi ricevere un telegramma che annunziasse notte agitata e nuove eruzioni di migliari. Intanto Don Bosco si raccomanda che Don Berto veda, se rimase costà il quaderno del dizionarietto della Storia Ecclesiastica. Egli tenie averlo lasciato all'Oratorio.
Ho scritto a Roma e a Firenze per Don Bosco, e non abbiamo poco a fare per contentar tutti. Vorremmo aver cento mani per la corrispondenza ed evitare così la taccia di trascurati. Don Bosco poi vuole la sua parte, e molto tempo dobbiamo passare attorno al suo letto.
Dirai poi anche a Pelazza che Don Bosco non ha altre stampe. Mandi all'Arcivescovo anche il dizionarietto.
Don Bosco rimase molto intenerito della bontà dei Teologo Golzio e, se non fosse distante, lo pregherebbe a venirlo a visitare”.
Non sappiamo la parte presa dal Teol. Golzio alle sofferenze [242] del buon Padre, di cui era allora confessore; questo è certo, che la notizia della malattia s'era diffusa in ogni parte, destando serie preoccupazioni, e spronando a ricorrere alla bontà del Signore con ferventi preghiere.
Anche Enria confermava, che il male non era così leggero, come si credeva: „Si è spiegata la malattia di Don Bosco e non sono migliarine, ma vere migliari. È la quarta eruzione e la continua febbre ed il sudore copiosissimo lo stremano di forze.
Quest'oggi, 16, ha passata una giornata abbastanza tranquilla. La febbre lo lasciò libero solo verso sera, e poi lo travagliò dalle 7 alle 2 del mattino, ora nella quale si addormentò. Il reuma al braccio gli è quasi scomparso e lo può muovere, e con questo potè aiutarsi a tirarsi un po' su nel letto, mentre prima non poteva muoverlo...”.
Contemporaneamente in foglio a parte, pregava Don Lazzero d'invitar i soci della Compagnia di S. Giuseppe a fare particolari preghiere: „Domenica [17] facciano con divozione la santa Comunione per la guarigione del più affettuoso dei padri. Ti prego in special modo di dirlo ai miei cari musici, che facciano tutti la santa Comunione, musici effettivi e allievi, insomma tutti indistintamente; e preghino con tutto l'affetto del loro cuore: chè, se non fosse di Don Bosco, noi non saremmo musici...”.
Buzzetti gli rispondeva: „Caro Pietro, ti ringrazio di vero cuore del favore che mi hai fatto col mettermi al corrente della salute del caro nostro Don Bosco. Unisco alla presente alcuni francobolli, affinchè tutti i giorni possa avere notizie vere, e non alterate, come fanno certuni. Don Lazzero si trova a Nizza Monf. con Don Cagliero ed in vece sua diedi la lettera a Don Rua ed ebbe buon effetto; questa mattina s'accostarono tutti quanti ai SS. Sacramenti, cosicchè spero che tra le preghiere di casa e quelle che fanno i ritiri ed i benefattori, il Signore si moverà a compassione di noi e, se sarà a nostro vantaggio, ce lo conserverà ancora per molti anni. Ho ferma speranza che il Signore ci punisca col tenerci per qualche tempo infermo il caro nostro Don Bosco, perché [243] non lo amiamo come se lo merita; perciò preghiamo e promettiamo di vero cuore [di amarlo di più], che Dio ci esaudirà col rendercelo presto in salute.
Madama Rua sta meglio, questa mattina andò a messa”.
Don Rua spediva subito a Nizza il foglio inviato a Don Lazzero con queste parole: „Come vedi, le cose paiono farsi gravi. Il Dott. Fissore partirà martedì prossimo. Voglia Iddio che ci Porti migliori notizie. Questa sera farò comunicare una lettera di Enria agli artigiani e specialmente ai musici e a quelli della Compagnia di S. Giuseppe. Si incominciò la novena e va assai bene. Pregate anche voi e fate pregare pel caro Padre”.
In pari tempo aveva comunicato il telegramma della quarta eruzione a tutti i Direttori, implorando preghiere comuni e private; e la triste notizia suscitava generosi olocausti.
Di quei giorni (non sappiamo il dì preciso, perchè non se ne diede notizia, nè a Torino, nè alle altre case, per non destar gravi impressioni) Don Bosco, vedendosi egli pure in pericolo di passar presto all'eternità, volle confessarsi dal Prevosto di S. Ambrogio Don Paolo Mombello, che si recava di frequente a visitarlo; e „Don Francesia - deponeva Enria - gli portò il SS. Viatico nel giorno seguente. Io non son capace di descrivere quella giornata. Appena si fece giorno, Don Bosco mi chiamò e mi disse:
- Fammi il piacere di farti dare delle tovaglie, e prepara un bell'altarino, ove posare il Santissimo.
Mentre io preparavo l'occorrente, egli pregava e con che fede! Pareva un Santo che preparasse il cuor suo a ricevere degnamente il suo Gesù. Quando sentì il campanello, si scosse, e, vedendo Gesù ad entrare nella camera, fece un grande sforzo, e si sollevò quanto potè. La figura di Don Bosco si era accesa di grande desiderio di ricever presto Gesù; non pareva più di questo mondo; la sua fisonomia divenne serena, radiante; lo avresti detto un angelo in adorazione del SS. Sacramento. Io ero in ginocchio accanto al letto, e [244] notai tutto. In quel momento io pensava che quella Comunione di Don Bosco potesse essere l'ultima; e tanto era il dolore che provava, che rinnovai al Signore il sacrifizio della mia vita per quella del mio Padre. Passò quella giornata in ringraziamento”.
Il male era veramente grave; Don Bosco stesso riteneva d'essere alla fine, ed una di quelle sere diceva a Don Francesia di chiamargli un notaio, desiderando mettere a posto gli interessi della Pia Società. E ciò diceva sereno e tranquillo, disposto a qualunque evento. Don Francesia ruppe in lacrime, non proferì parola, e si allontanò dal letto; e la cosa finì lì, il notaio non fu chiamato.
La febbre, le eruzioni cutanee, il sudore copiosissimo, gli davano molto tormento; „ma - dichiarava Enria - egli non si lamentava mai; i suoi affanni erano sempre per noi che temevamo di perderlo e ci diceva sempre:
- Dio provvede agli uccelli dell'aria, perciò penserà pure ai poveri figli dell'Oratorio!
A quanti venivano a trovarlo diceva sempre una parola di conforto”.
Si recavano a visitarlo parecchi ecclesiastici, anche da Torino e da Genova, e rimanevano tutti edificati della sua pietà e della sua rassegnazione, perchè non parlava mai dei suoi mali, ma dei mali della Chiesa e della società, e del bisogno di lavorare per la gioventù, perchè non si guastasse.
- La malattia, diceva, che guasta il mondo è l'immoralità, l'incredulità, e il materialismo che cerca d'infiltrarsi nel cuore dei giovani. Per porre un argine a tanti mali è necessario avvicinarli, coltivarli, e dar loro una educazione veramente religiosa. Bisogna coltivare le vocazioni e formare dei buoni e santi sacerdoti, e religiosi, che si occupino in modo particolare ad istruire la gioventù. Io assicuro che in pochi anni le generazioni muteranno in meglio, e la Religione trionferà... Ma per raggiungere questa meta, ci vuole l'unione col Papa, che è il Vicario di Gesù Cristo; allora la gioventù diventerà di nuovo amante del bene, della fede, e della verità.
Il fido infermiere non tardò ad accorgersi che gli tornava [245] di sollievo il sentir parlare “dei primi tempi dell'Oratorio; ed io - depose Enria - sovente in tempo della malattia... glie ne parlava.
- Si ricorda, Don Bosco, quando sua madre lo sgridava, perchè accettava sempre nuovi ragazzi? Essa le diceva: - Tu accetti sempre nuovi ragazzi, ma come si fa a mantenerli, a vestirli? In casa non v'è nulla e comincia a far freddo!... Capitò a me di dover dormire parecchie notti sopra poche foglie con addosso null'altro che una piccola coperta. E alla sera, quando noi eravamo a letto, lei, Don Bosco, e la sua mamma ci aggiustavano i pantaloni e la giubba lacera, perchè n'avevamo una sola...
Don Bosco sorrideva al sentir questo, e diceva: - Quanto ha faticato la - mia buona madre!... santa donna!... ma la Provvidenza non c'è mai mancata!”[44].
La domenica 17 dicembre passò una giornata cattiva con febbre; ma poi la notte fu assai quieta, dormì fino al mattino. Alle 10 1/2 gli ritornò la febbre, ma molto mite, scriveva Enria a Buzzetti, che insisteva: „Màndami notizie tutti i giorni, perchè le tue son credute e quelle degli altri pochissimo”. Ciò avveniva perchè i dispacci parevano dissimulare la gravità del male, e, come abbiamo già accennato, era Don Bosco che li voleva così, per non mettere in giro notizie allarmanti, nè all'Oratorio, nè nell'altre case; nè permetteva che si spedissero senza la sua approvazione.
Don Rua stesso, seriamente preoccupato, voleva frequenti notizie e Don Cuffia gli rispondeva:
“Ella desidera e con ragione che le scriviamo spesso del nostro venerando infermo. La notte la passò (scrivo ai 17, ore 15) un po' agitato, benchè il medico stamane non lo trovasse male. Tutto ci muove a sperar bene. Nel momento che le scrivo pare si manifesti una nuova eruzione di migliare.
Ho ricevuto il suo vino e qualche bottiglia del 1825, stato regalato dalla signora Susanna d'Albisola: e qualche [246] bottiglia del Sindaco di Varazze. Tutti vanno a gara, perchè nulla manchi a Don Bosco, ed il buon vino gli è consigliato per tenersi in forza contro queste eruzioni che sono davvero un po' forti. Mamma Corsi ha pensato e pensa molto. Ecco il regime di D. Bosco: Brodo consumato e qualche goccia di vino stravecchio.
Martedì per quello delle sette del mattino parte per Varazze il dottor Fissore, non per pericolo, ma per assicurarci sempre più di quel che facciamo, e non per rimproverarci di non aver fatto abbastanza per un tanto padre che ha fatto tanto per noi.
Caro Don Rua, faccia pregare Maria Ausiliatrice che ci tenga lontana la maggiore delle disgrazie che possa capitarci. È tanto buona la Madonna”.
Il dott. Fissore aveva promesso di tornare a visitarlo.
La contessa Callori faceva giungere al Santo una generosa offerta, perchè potesse usarsi tutti quanti i riguardi; ed egli incaricava Don Francesia di farle devoti ringraziamenti, che le venivano inviati il 17 dicembre:
“Egregia signora Contessa, Don Bosco la ringrazia delle preghiere che fece per la sua salute, e, sebbene non possa a lungo pregare, tuttavia non lasciò al giorno 16 di fare una preghiera speciale per V. S. acciocchè facesse un viaggio buono. Riguardo poi alla caritatevole offerta che fece, Don Bosco mi incarica di dirle, che qui presentemente non gli manca nulla; solo a Torino per la sua inazione teme che gli affari s'ingarbuglino alquanto. Ma di ciò nè il figlio, nè la buona mamma, non devono per ora preoccuparsi.
La salute poi di Don Bosco ora è in uno stato migliore, ma ci furono istanti veramente inquieti. Non li scrivemmo, ma li sentivamo terribilmente nel cuore. Aveva il poveretto alcune volte la febbre violenta, con vomito dieci o dodici ore, in uno spasimo estremo, e, cessando la febbre, ecco l'eruzione di migliari. Ne fu visitato per 4 volte. Non le parlo della nostra costernazione; ci guardavamo muti e piangenti, nutrendo la nostra speranza di un avvenire lieto, che pareva non dovesse arrivare mai.
Da Torino, da Genova, da tante altre parti, appena seppero [247] che Don Bosco era qui, ci tempestavano d'inchieste, e noi non avevamo tempo a contentare che pochi, dovendo fare la scuola, assistere il Convitto, e stare attorno al letto dell'infermo. Ora, grazie a Dio, che possiamo dare notizie migliori, impiegheremo anche quattro mani per far correre la voce e ridare a tanti nostri benefattori e amici la bella nuova che Don Bosco sta discretamente bene. Il reuma al braccio è scomparso. Oggi per la prima volta lo potè adoperare agli usi consueti; ed esso si prestò volentieri e senza far dolore.
Ecco, ottima signora Contessa, quali sono le condizioni del caro nostro infermo, che speriamo non cambieranno che di bene in meglio. Qui in Varazze si pregò molto, e i buoni cittadini fecero vedere quanto amassero il nostro buon Papà e rispettoso suo figlio: e fu chi offrivasi in vittima in luogo di Don Bosco. È una processione continua e onorevole vicendevolmente, che si vede al Collegio, di persone che vengono a chiedere notizie del povero ammalato. Il Vescovo vuole esserne informato giorno per giorno; e chi manda vino, e chi melarance, e chi uova, e chi altro, con una espansione di amore e di rispetto che commuove”.
Ma le preoccupazioni e le speranze andavano alternandosi di continuo. Il 18 Don Francesia telegrafava: „Notte ottima. Reuma cessato. Febbre diminuita. Eruzione tende finire”; e poi scriveva:
“Caro Don Rua, le notizie di Don Bosco sono sempre indeterminate. Oggi sta bene, domani ha la febbre, che lo tormenta più o meno fortemente. Aveva comunicato quel telegramma Notte ottima, e sotto dettatura di Don Bosco, che sempre, tranne una sola volta, fu esso il compilatore; e poi del giorno stesso dovetti vederne una dolorosa smentita. Ebbe febbre, piccola bensì, ma continua e quasi sino alle tre del mattino; sicchè oggi che scrivo è in debolezza grande. Si teme una settima od ottava esplosione, ciò che forse produce la febbre. D'ora in avanti ad Alassio, Genova e S. Martino scriveremo di qui per evitare troppa commozione in quei collegi.
È senza misura l'interesse che tutti prendono per la [248] salute del caro Don Bosco, i cittadini di Varazze e tutte le case religiose vicine e lontane. Il nostro Collegio si fa anche famoso pel doloroso avvenimento.
Aspettiamo la Contessa Corsi che pel dottor Fissore protrasse la sua venuta, e speriamo che Don Bosco ne riceverà conforto, come volle esprimersi in un telegramma di ieri. Intanto al povero ammalato cresce la magrezza in un modo compassionevole e produce spasimo la schiena, per la troppo lunga positura e fregamento venuta logora e spelata. Ed anche in tale stato ha sempre la facezia che ci trattiene le lacrime, che vorrebbero uscire liberamente.
Don Bosco ringrazia tutti delle preghiere che fanno per la sua salute, e dice che in esse sole egli confida. Non c'è nulla di pericolo, ma prima che il poveretto possa prendere il vapore per rivedere Torino, ci dovranno, temiamo, passare molti giorni. Queste notizie che non sono tanto buone, ma neppure cattive, Don Bosco t'incarica di comunicarle a quei benevoli che s'interessano in suo favore.
Dirai a Don Savio che l'Arcivescovo di Firenze rispose a lui una bella lettera in risposta alla comunicazione fattagli della malattia di Don Bosco”.
Su per giù le stesse notizie, nello stesso giorno, erano inviate da Don Francesia alla contessa Corsi:
“Ieri ebbe nuovamente un po' di febbre, ma non più tanto forte nè accompagnata dal vomito. L'eruzione migliarica si calmò alquanto, ma lasciò il povero Don Bosco in molta stanchezza. La notte scorsa l'ebbe buona ancora, riposò qualche tempo e senza disturbo. Il braccio è senza dolore, e ormai ubbidisce come il destro, senza fare spasimare il padrone. Oggi fu quasi tutto il giorno con una febbre leggera, che forse fa temere una settima od ottava eruzione migliarica. Fu commosso a sentire il suo vivo desiderio di sapere di sue notizie, e gli duole di recare, anche senza colpa, tanti affanni alla più tenera Madre, che il Signore gli diede. Non sono io, sa, che invento, ma Don Bosco che suggerisce. Dunque malgrado le notizie non siano intieramente buone, non sono tuttavia cattive. Speriamo presto poterlo togliere dal letto doloroso. Impiegherò i francobolli a dar [249] le notizie ogni due giorni e, se facesse bisogno, anche più sovente”.
L'interessamento di conoscere l'andamento della malattia si faceva ovunque più vivo. Anche Mons. Angelo Vitelleschi, Segretario della S. Congregazione dei Vescovi e Regolari, il 18 telegrafava da Roma a Don Rua: „Si desiderano notizie di Don Bosco”.
Intanto la comunicazione, fatta alle Case, del telegramma della „quarta eruzione” aveva destato gare di amore e di fede.
Don Bonetti, direttore del Collegio di Borgo S. Martino, il 18 scriveva: “Caro Don Rua, il telegramma che mi comunicasti ci ha messo lo sgomento addosso. Per carità màndami un prete confessore in questi giorni, e lasciami volare accanto a Don Bosco. Ahi! che egli ci manca, e non potremo più vederlo!!! Ho riletto la lettera che egli l'anno scorso mi scriveva[45] il 26 dicembre, in cui parlando di mandarmi presto la strenna, diceva “Essa sarà il mio testamento”. Ti ricorderai che io ti interpellava su ciò, e tu rispondendomi lasciavi trasparire grave timore, e approvasti il progetto di fare tra i giovani quotidiane comunioni e preghiere per la sua salute. Il sig. Don Bosco stesso, accortosi del nostro timore, scriveva qui verso la metà di gennaio dell'anno corrente: - Non facciamoci illusioni. Dio ci vuole in un mondo migliore di questo. Sta ai figli mostrarsi degni, anzi migliori del padre. - Tu vedi che egli ci annunziò la sua partenza, fa ora un anno. Mio caro Don Rua, tu sei afflitto, ed io non trovo parole per consolarti. Oh! ci consoli Gesù Bambino, ci consoli Maria nostra buona Madre, nostra speranza, in queste sì gravi angustie! Màndami adunque un confessore...”.
Don Pestarino, mentre si affrettava a partecipare il dolore provato nell'apprendere che „l'amatissimo comune Padre”, trovavasi “più aggravato dal male”, „ieri sera - aggiungeva - feci l'adunanza di tutte le Figlie dell'Immacolata, feci avvisare e vennero tutte quelle del paese e notificai loro la dolorosa notizia, a cui mi risposero tutte di pregar [250] quanto potranno per ottenere la guarigione. Si concertò di principiare un triduo in parrocchia in onor di Maria Ausiliatrice, e fra tutte pagheranno la spesa; di fare tutte la Santa Comunione a tal fine; tutte quelle che sono in libertà promisero di fare una visita speciale al SS. Sacramento ogni giorno; ed ebbi la consolazione, nella tristezza, di sentirmi chiedere da una se le permetteva di fare l'olocausto al Signore della sua vita, per ottener la salute e la vita di Don Bosco; il che mi ripeterono altre, pronte a morire, perchè campi il Signore la vita a Don Bosco; e faranno tal olocausto nella S. Comunione; io volentieri aderii a tal proposta ed offerta; e non potei più parlare, chiusi l'adunanza. Tal esempio, bisogna il confessi, mi animò a far io lo stesso in tempo del Santo Sacrifizio”.
Chi non scorge Maria Mazzarello - prima d'ogni altra - dirsi pronta ad immolarsi per prolungar la vita al Santo?...
“Spériamo - proseguiva Don Pestarino - che il Signore esaudisca le preghiere e l'offerta di queste anime, che di propria volontà, senza suggerimento, si determinarono a tal offerta. Stamane [il 18] feci l'adunanza pure degli uomini e dei giovani, e raccomandai di pregare e di far la S. Comunione, ed anche a tutte le figlie e donne delle adunanze di Santa Teresa; io poi cantai Messa all'altare della Vergine, e chiusi colla Benedizione, e raccomandando a tutta la popolazione di pregare per Don Bosco e di far pregare nelle loro famiglie”. E chiudeva la lettera dicendo, che aveva scritto anche ad Acqui, all'Arciprete Olivieri perchè comunicasse ai parroci e sacerdoti, suoi conoscenti, ed alle Compagnie dell'Immacolata delle parrocchie vicine, la disgrazia della grave malattia, e pregassero e facessero pregare.
Anche in altri luoghi, specie nel Piemonte, si fecero private e pubbliche preghiere per la guarigione di Don Bosco, e tra coloro che si distinsero in questa dimostrazione di venerazione ed affetto fu il Vescovo di Alba, Mons. Eugenio Galletti. Com'ebbe la triste notizia della grave malattia, ne fu così atterrito, „non potendo reggere al pensiero che avesse a soccombere”, che „si gettò in ginocchio e cogli occhi gonfi di lacrime, colle mani levate al cielo, eruppe in queste parole: [251]
- Signore, se volete una vittima, eccola qui, ma per pietà risparmiate Don Bosco!”. E gli scriveva una lettera delle più commoventi, nella quale, dopo aver accennato al grande e provvidenziale suo apostolato: „Io - diceva - ho pregato e fatto pregare per lei; ho fatto sacrifizio della mia vita al Signore, Perchè risparmiasse Don Bosco pel bene di tanta gioventù e pel vantaggio di tutta la Chiesa”. E lo ripeteva a Don Cagliero, dicendo[46]: „La mia vita vale poco o nulla; ma quella di Don Bosco non è solo preziosa, ma utilissima al bene della Chiesa! La mia, a paragone di quella di Don Bosco, non ha valore; ma la sua è la vita di un Santo, e si sa che i Santi non istanno per niente in questo mondo!”.
Nell'Oratorio fu una gara insuperabile di devozione filiale. Alcuni alunni circondarono l'altare di Maria SS. Ausiliatrice, scongiurandola anch'essi a volerli subito prender tutti in paradiso, purchè Don Bosco venisse restituito sano e salvo ai suoi figli. Tra quei generosi era Luigi Gamarra di Lombriasco, il quale comunicò ad Enria l'offerta che avevano fatto per ottenere la guarigione dell'amatissimo Padre, ed Enria lesse la lettera a Don Bosco. E il Santo, piangendo di commozione, esclamava: - Buoni giovani! quanto amano questo povero Don Bosco! - ed incaricava Enria di ringraziarli ed esortarli a continuar a pregare, perchè le loro preghiere erano a Dio gradite.
A proposito di Luigi Gamarra, Enria faceva nel Processo Informativo questo rilievo: „Pare che Dio l'abbia esaudito, perchè morì pochi anni dopo [il 10 novembre 1878] nelle mie braccia, dopo solo un anno [neppur intero] di sacerdozio”.
Anche Don Pestarino volava al cielo appena due anni dopo il generoso olocausto, il 15 maggio 1874; e Mons. Galletti „dopo d'allora cominciò ad essere sorpreso da incomodi, poi assalito da paralisi, e in fine cadde nella tomba [il 5 Ottobre 1879] nell'ancor buona età di anni 63”, mentre Don Bosco, „malgrado i suoi 64 anni, le gravi occupazioni e gli immensi disturbi” tirava innanzi „in buona salute”[47]. [252]
Tanta generosità era frutto dell'insuperabile bontà dei Santo. Anche durante la malattia il suo pensiero era sempre ai suoi figli. Il 19, all'una dopo la mezzanotte, Enria scriveva a Don Lazzero:
“Con tutti i suoi dolori è sempre allegro e contento, e, vedendo che noi siamo melanconici, trova sempre qualche barzelletta per farei ridere.
Da tutte le parti Arcivescovi, Vescovi, Prelati, parroci gli scrivono lettere, attestandogli il loro profondo dolore, mandandogli la benedizione, e assicurandolo che pregano il Signore per la conservazione di una vita così preziosa pel bene della Chiesa Cattolica, di tante povere anime, e specialmente pei giovanetti.
Don Bosco ha saputo che all'Oratorio si è pregato e si prega tuttora; e che si sono fatte tante Comunioni per lui, e ne fu commosso. Egli disse che se incomincia a stare un po' meglio, lo deve alle preghiere che si fanno.
Don Bosco è sempre nell'Oratorio col cuore, collo spirito, e persino coi sogni. L'altro giorno sognò che scacciava
il demonio dalla porta dell'Oratorio, e, mentre imponeva a quel brutto ceffo di rispondere che cosa facesse in quell'istante, si svegliò e raccontò a me la cosa.
Sono ormai le ore 4 dopo mezzanotte e il nostro caro Padre è un po' agitato, e non riesce a prender sonno. In questo istante però incomincia a sonnecchiare alquanto; e da qualche tronca parola intendo come alluda ai grandi progetti della sua Congregazione e all'avvenire di essa...”.
L'instancabile suo assistente faceva pure questa deposizione: „Io stavo al tavolino scrivendo agli amici in Torino per dar di lui notizie, quando ad un tratto sento che manda un grido fortissimo. Balzo in piedi, corro al letto, lo guardo, e sento che dice affannoso: - Ah! cosa fai?... Chi ti ha dato il permesso... di entrare nell'Oratorio?... - Io lo stavo osservando, ed egli continuava a gridare altre parole simili. Si vedeva che tutte le sue facoltà erano in moto, i nervi [253] della sua bocca si movevano. Io a un tratto ebbi paura, guardai col lume sotto il letto, ma non vidi nulla. Pensai di smoverlo. Appena aperse gli occhi, esclamò: - Ah! sei tu? - Gli chiesi: - Si sente male? perchè gridare così forte? - Avevo ben ragione di gridare! Figùrati! Vi era il demonio che voleva a tutti i costi entrare nell'Oratorio; ed io gli diceva: - Va' via, te lo comando in nome di Dio; va' via, brutta bestia, non hai nulla a che fare lì dentro!...
Questo sogno lo stancò tanto, che dopo avermi dette quelle poche parole cadde in assopimento, con un respiro così affannoso e pesante che mi fece pena, e stetti ritto vicino al letto, finchè a poco a poco si calmò”.
A Varazze era attesa con ansia la nuova visita promessa dal dott. Fissore, che vi tornò il 20, mercoledì, insieme colla contessa Corsi, accompagnata dalla figliuola. „Subito vi fu una specie di consulto”, e „le conclusioni furono che Don Bosco sta per entrare in convalescenza. Il dottor Fissore dice che avremo ancora ad aspettare qualche giorno prima del suo ritorno. Ad ogni modo le cose vanno bene, ed il dott. Fissore sento che assicura che non è solo il principio della fine, ma che siamo veramente alla fine. Don Bosco poi sta proprio bene; ha un pochetto di febbre, ma senza nessuna gravità.
La visita dei buoni torinesi fece gran bene al povero Don Bosco. La condizione sua è in via di stabilirsi bene. Qui ormai è diventata la capitale provvisoria del nostro piccolo stato. Dove il re qui la capitale, e spero che lunedì [il giorno di Natale], o martedì, avremo anche uno dei primi ministri od il loro presidente...”.
Così Don Francesia a Don Rua, concludendo: “Ecco adunque come stanno le cose, e viviamo nella speranza che non muteranno che di bene in meglio”.
Anche la contessa Corsi telegrafava a Don Rua: „Stato buono, piacere grande reciproco, avvenire consolante...”; ed Enria scriveva a Buzzetti:
“La salute di Don Bosco va migliorando. Il dottor Fissore, arrivato oggi, trovò che le cose andavano molto bene. La febbre è leggerissima, l'espulsione delle migliari è cessata, [254] il gran sudore è diminuito. Prova un gran prurito in tutta la persona, sicchè non può stare fermo; ma i medici sono d'accordo nel dire che questo è un buon segno. Il dottor Fissore ha detto che a Natale gli si potrà dare qualche pezzettino di pollastro, o colombotto. Don Bosco fu così contento della visita di questo dottore, della Contessa Corsi e di sua figlia, che pareva non avesse più alcun male.
Gode anche tanto quando vede qualcheduno dell'Oratorio! Stette qui tutto il giorno Don Vota [Domenico, recatosi a visitarlo da Alassio], e Don Bosco mi disse: - Godo tanto quando vedo qualcheduno della casa, che mi pare di essere a Torino. - Egli collo spirito e col cuore è sempre nell'Oratorio in mezzo ai suoi figli e non tralascia un istante, come mi disse più volte, di pregare per loro. Anche nei sogni è sempre all'Oratorio...
Sono le 3 antimeridiane. Il suo sonno è agitato ed interrotto.
Egli provò gran piacere, quando gli narrai che all'Oratorio si prega molto per lui, che domenica si sono fatte tante Comunioni e specialmente dagli artigiani e dalla Compagnia di S. Giuseppe. Mi ha detto di ringraziare tutti da parte sua.
Falco è abilissimo nel preparargli il pan trito col brodo consumato.
Il Parroco di Varazze annunziò dal pulpito la nostra disgrazia, e tutto il paese ne rimase addolorato, e si fanno tridui e novene in particolare.
Continuano a giunger da tutte le parti lettere e dispacci. I Vescovi mandano a Don Bosco la loro benedizione, dicendo che pregano il Signore perchè si degni di conservare una vita così preziosa... Numerosissime persone di alta e bassa condizione condividono il nostro dolore”.
Il Santo, come si preoccupava dei figli anche durante la malattia, continuava pure ad occuparsi dei lavori che aveva tra mano. Era di quei giorni in corso di stampa una nuova edizione del Giovane Provveduto, e pregava Don Francesia di correggere le bozze di alcune pagine, poste in appendice, e poi d'inviarle al nuovo Arcivescovo di Torino per averne [255] l'approvazione; e pensava anche ad una nuova edizione della Storia Ecclesiastica.
Il dott. Fissore e la contessa e la contessina Corsi lasciavano Varazze la sera del 21, contenti del miglioramento, e convinti che, per il momento, non v'era da temere nessun pericolo.
La contessa, prima di partire, gli chiese che cosa avrebbe potuto provvedergli per rendere più comoda la sua camera in Torino, ad esempio un tappeto, che servisse a ripararlo dal freddo ai piedi, che poteva essergli causa anche di dolori al capo; e il Santo, che non poteva tollerar l'uso di tappeti nè sul pavimento, nè accanto al letto, le rispose (come ricordava Don Rua):
- Sì, buona signora, le sarò riconoscente se mi provvederà un bello strato di biglietti da due lire; servirà mirabilmente a liberarmi dal mal di capo, che probabilmente dovrò incontrare al mio arrivo all'Oratorio!
Don Francesia, scrivendo tosto a Don Rua, faceva cenno di un altro atto di beneficenza della contessa: “Trattando colla contessa Corsi sull'affare della rendita di lire 1000, tu - egli diceva - penserai soltanto per lire 300, al resto penserà la buona Mamàn. Non dico a parole l'impressione provata per la venuta della buona Contessa. Ma il piacere fu tolto dalla quasi improvvisa loro partenza. Quanto dolse a Don Bosco! Dirai alla buona Contessa, che Vittorino [così la Contessa chiamava il nipotino... Don Francesia] che ella lasciò a Varazze, l'accompagnò per tutta la via colle sue preghiere, pensieri e dolori. Oggi ne ebbi tanti! Ed ora, mentre scrivo, che essi ormai dovrebbero essere a Torino, li raccomando anche al buon angelo che li conservi... Non si mandino più qui le bozze per qualche tempo; è pienamente inutile. Don Bosco non può per nostra comune disgrazia; io non posso fermarmi un istante, specialmente adesso per il nuovo infortunio di Don Cuffia [caduto egli pure ammalato]”.
Ma lo sforzo, forse, fatto dal Santo per accogliere gentilmente il dottor Fissore e la contessa Corsi, e, più ancora, il corso stesso della malattia gli diedero un nuovo collasso. „Don Bosco sta un pochino meglio - scriveva, il 22, Don Francesia [256] alla contessa Callori - ma non ancora tanto da poter bastare a noi; tuttavia è già gran cosa che possiamo dire così. Spero che quest'oggi la signora Contessa Corsi le avrà fatte avere notizie del povero infermo. Ci pensai al desiderio suo e la pregai a volerlo fare. Oggi, anzi subito dopo la partenza di quei cortesi che Ella saprà, il povero Don Bosco cadde in grande prostrazione di forze ed in agitazione che lo disturbò tutta la notte.
... Ma stasera, quando parlai della sua lettera, delle preghiere, mi assicurò che in quell'ora stava meglio. Compatisce Don Bosco le sue pene, e la ringrazia delle sue sempre materne sollecitudini. Ma di quelle speciali si riserba al tempo di sua totale convalescenza; perchè allora certamente saranno più urgenti i bisogni e sarà ben lieto di non aver usato la pia carità materna.
Non mi ringrazii di quello che faccio, perchè se Ella ha bisogno di saper notizie di Don Bosco, io ho bisogno di dame di giorno e di notte per sollevare la mia povera mente, tante volte oppressa dal cumolo di tante vicende. Da volere o non volere ho un prepotente bisogno di sfogare il gran dolore con chi so che ama il povero Don Bosco.
Qui si fece un nuovo triduo per Don Bosco. L'assicuro che ne abbisogna. Mentre forse quest'oggi all'Unità Cattolica si faceva preghiera di avvisare i suoi lettori, che conoscenti di Don Bosco ne temevano la perdita, che era in totale miglioramento, egli qui aveva una novella esplosione di migliare che ci teneva tutti in pena attorno al suo letto. Oh se ci venisse Maman! come allora avrebbe a penare.
Mi rincresce che la posta parte, e non posso più continuare...
Don Bosco la riverisce e con quel nome sempre che Ella gradisce, e di cui si fa conoscere degnissima per la vivissima parte che prende nella presente malattia, che Dio gli manda per prova di tutti i suoi e aumento di grazia a Lui...”.
Don Bosco si sentiva assai male, e il 22, di nascosto, tornava a scrivere in un piccolo foglio il suo testamento!
Nello stesso giorno, Enria, mentre confermava a Buzzetti, la nuova eruzione, gli dava pure buone speranze: [257]
Ieri Don Bosco passò una giornata bellissima, ma oggi non tanto bene. Ebbe tutto il giorno la febbre ed un'altra espulsione di migliari. Tutto il giorno fu taciturno e sembrava molto malinconico, cosa tutta fuori del suo naturale.
Questa sera però è molto più sollevato. Da tutte le parti gli mandano regali, specialmente bottiglie di vino vecchio e di quelle del 1830, '40, '55, '61.
Ieri mattina venne a fargli visita una vecchia signora, che era partita da casa sua mezzo ammalata, solamente per vedere Don Bosco [la signora Susanna]. Se avesse visto che scena commovente, che prova d'affetto. Io, che era presente, non potei trattenere le lagrime.
Ogni giorno arrivano lettere di condoglianza da tutte le parti e visite d'ogni specie di persone anche da paesi lontani.
Don Bosco lo saluta tanto e si raccomanda alle sue preghiere. Sembra che debba passare felicemente la notte. In questo momento dorme...”.
E il buon Enria, “presso il letto dell'augusto infermo”alla mezzanotte del 23, scriveva affannato ai carissimi amici dell'Oratorio
“Con sommo mio dolore devo dare delle notizie non tanto buone della salute del nostro povero Padre. Oggi la febbre non lo abbandonò un istante. Le migliari fecero un'altra eruzione, ed è già la sesta o la settima. Tutto il giorno fu in un'acqua, tanto era sudato. Dal principio della sera fino a quest'ora non ha ancora potuto prendere sonno. Se - rimane per qualche momento assopito, fa subito dei sogni così agitati che lo fanno uscire in gemiti forti che mi ha tante volte spaventato, credendo che gli prendesse male, perchè, sognando, gemeva forte; io mi appressava al letto, ed egli mi diceva che non era nulla.
Ah! caro Buzzetti, io non ho più forza di scrivere, tanto è il dolore che sento; non si può resistere, bisogna sfogarsi in pianto, e un pianto che mi strazia l'anima dal dolore. Ma chi non si sentirebbe straziato il cuore al vedere un padre, così amoroso, a gemere a letto da tanto tempo, senza [258] poter avere un risultato sicuro della sua malattia! Un giorno bene, l'altro male; e sempre nuove eruzioni. Appena cessano queste eruzioni, le quali lo tengono inchiodato, il sudore e le febbri lo rendono così spossato che farebbe pietà ai còrsi! Siamo sicuri di vederlo presto convalescente e poi guarito perfettamente? Per carità, dica che si preghi, ma di vero cuore; e Gesù Bambino si moverà a compassione di noi, e ci renderà il nostro caro Padre Don Bosco sano e in perfetta salute, unico nostro pensiero. Dica al signor Don Dalmazzo che Don Bosco ha sentito con piacere quell'indirizzo della Compagnia del SS. Sacramento. Io fui commosso sino alle lacrime, al sentire così belle espressioni d'amore filiale non è che la Religione Cattolica che possa infondere nei cuori così bei sentimenti. Dica loro che seguitino a pregare; presto saremo esauditi.
Sono le 2 dopo mezzanotte; adesso pare che si sia un po' addormentato... Auguro a tutti buone feste... io le passerò col cuore addolorato presso il letto del mio e vostro Padre. Speriamo!... speriamo!... Dio ci aiuterà”.
Don Rua, benchè avesse la mamma sempre gravemente ammalata, aveva deciso di recarsi a Varazze nelle feste di Natale, al più tardi il giorno di S. Giovanni Evangelista. A lui venivano comunicate tutte le lettere di Enria, ed egli ogni sera, dopo le orazioni ne dava, o ne faceva dare, comunicazione agli allievi, „animandoli a pregare e a farsi buoni”, „fin tanto che - diceva Buzzetti - a Dio piacerà di percuotere il Pastore per i peccati delle sue pecore”.
Il giorno di Natale passò assai mesto, ma pieno di devozione nell'Oratorio. Confratelli ed alunni, benchè tutti dolenti nel non veder tra loro Don Bosco a cantar la Messa di mezzanotte, andarono a gara nell'innalzare le più fervorose preghiere per la sua guarigione. E quel giorno avveniva uno scambio di notizie quanto mai commovente.
“Non ho potuto terminar la lettura della tua delli 23 - scriveva Buzzetti ad Enria - pel gran dolore, dispiacere, [259] e per le lagrime che non potei contenere, al sentire che il caro Don Bosco soffre ogni giorno più.
Ho pregato e raccomando a tutti che preghino; ho perfin detto al Bambino Gesù che faccia soffrire a me tutti i mali che soffre Don Bosco ed anche la morte, purchè egli sia presto ristabilito in salute e viva per molti anni.
Quantunque vi sia Don Rua, seguita a scrivere, non aver paura di farmi dispiacere, anzi il dispiacere me lo faresti se tralasciassi un sol giorno senza tenerci al corrente della preziosa salute del caro Padre nostro. Don Savio ha dato ordine che spedissero da Chieri una grossa gabbia piena di colombotti vivi; quando saran giunti, procura di conservarli in vita, uccidendoli di mano in mano che n'avrai bisogno.
La funzione della notte e del giorno del SS. Natale andò bene. De - Vecchi saluta Don Bosco e prega che presto guarisca.
Bàciagli la sacra mano da parte mia e digli che mi benedica...”.
Prima ancora, e precisamente subito dopo la funzione di mezzanotte, Enria, presso il letto dell'infermo, scriveva, al carissimo suo Buzzetti e a tutti i suoi “amici e fratelli e figli di Don Bosco” dell'Oratorio, questa lettera tenerissima, che riportiamo integralmente, per far comprendere appieno la commozione che regnava nell'anima dello scrivente:
“Oh notte fortunata, nella quale Gesù Bambino scende dal cielo per venire a noi e fare del nostro povero cuore un tabernacolo di grazie e di amore!
Ah! perchè non mi è dato di poter ancor io, in compagnia del nostro amatissimo padre Don Bosco, prendere parte a questa notte fortunata per tutti, ma specialmente per noi, figli dell'Oratorio.
Vi assicuro che per noi è un gran dolore; i nostri pensieri sono con voi, o cari fratelli; al nostro amato Padre pare di essere nel suo confessionale a preparare in questa benedetta notte tante anime candide per Gesù Bambino, perchè tutto ieri non faceva altro che parlare di questa notte fortunata. Io pure m'immagino d'essere costì tra voi a quello [260] spettacolo commovente, a vedere tanti miei fratelli in Gesù e tanti benefattori ed amici alla Mensa celeste e ricevere Gesù Bambino nel proprio cuore.
Questa notte qui in Collegio non ci fu la Messa, i cantori sono andati in parrocchia, dove si cantò la Messa di Don Cagliero.
Noi pure questa mattina speriamo di godere del medesimo giubilo; il nostro amato Padre questa mattina riceverà la santa Comunione dal letto, non vi spaventate! chè non per viatico, ma per la sua grande devozione a Gesù Bambino, e per unire le sue preghiere a quelle de' suoi figli amati; e cosi, uniti in un cuor solo e un'anima sola, otterremo la divina grazia di poter vedere presto il nostro amoroso Don Bosco fra noi: e questa grazia sono sicuro che ce la farà, perchè ieri stette tutto il giorno bene e senza febbre.
Alle 11 ha preso un pan trito, e non prende più, nè cibo, nè bevanda, fin dopo la Comunione.
Dopo il pan trito prese un sonno saporitissimo, e, quando io sono tornato dalla parrocchia, non si era ancora svegliato, ed erano le 2. Che consolazione al vedere con che tranquillità egli dorme; pare il sonno di S. Giovanni Evangelista, quando dormiva sul petto di Gesù; tanto è tranquillo. Però non stanchiamoci di pregare, ma preghiamo con un cuor solo, e Gesù Bambino avrà compassione di noi.
Don Bosco ieri mattina (24 corr.) mi ha detto, che se non fosse delle grandi preghiere che si fanno da tutti i suoi figli e da tutte le parti, anche dai benefattori, a quest'ora non avrebbe potuto reggere più al gran male che aveva. Figuratevi, o cari fratelli, ha avuto la sesta o la settima eruzione di migliari, e con reuma al braccio sinistro che non poteva più muoverlo; e che in queste migliari, quando giungono alla terza eruzione, la contano già come una grazia. E noi sino adesso possiamo dire che è veramente una grazia, che il Signore ci ha fatto per amore delle nostre preghiere.
Preghiamo! e preghiamo di vero cuore, chè il Signore ci farà felici col renderci in perfetta salute il nostro buon Padre.
O cari fratelli, se sapeste con che giubilo ha ricevuto gli auguri di tutti i suoi amati figli; ne fu commosso alle lagrime [261] e mi disse: - Appena scriverai a Torino, dirai che io li ringrazio tutti, di vero cuore, dell'amore che mi portano e delle prove di tenerezza che mi dànno nel pregare per la mia prossima guarigione, se a Dio così piace. - Ha detto che si riserva poi quando sarà a Torino di ringraziare tutti in particolare; egli prega per tutti, facciamo noi lo stesso.”
Don Rua partì per Varazze dopo aver disposto che s'iniziasse da tutti una seconda novena a Maria SS. Ausiliatrice col maggior fervore; e la sua visita colmò di gioia Don Bosco: - Sono contento, sono proprio contento, ripeteva ad Enria, che sia venuto a trovarmi Don Rua!
Questi s'intrattenne con lui in lunghi colloqui confidenziali, e subito scriveva a Buzzetti: „Don Bosco oggi sta meglio; febbre piccola, testa più libera, l'eruzione gli dà poca molestia. Ma domani come sarà? Volesse il buon Dio che continuasse come oggi a migliorare. Arrivarono in gran tenuta i tuoi due inviati [due polli]. Quanto volentieri li vedrei mangiare da Don Bosco, ma temo di essere obbligato a mangiarli io; di modo che potrai pensare a mandarne altri per lui. Lasciando da parte lo scherzo, ciò che mette in pena è non tanto lo stato presente, come quell'alternarsi di meglio e di peggio che finisce per istancarlo ed indebolirlo
La visita di Don Rua gli fu proprio di sollievo.
“La notte passata, dalle due in giù, fu per lui molto buona, come pure la giornata d'oggi. Cominciò a prendere una piccola zuppa, un biscottino e un gocciolo di vino di barolo imbottigliato da venti anni, dono della Contessa Corsi.
Se domani, 27, non gli viene più la febbre, si potrà dire che è entrato in convalescenza. Dica a tutti che non tralascino di pregare. Il Signore ci esaudirà, ne sono certo.
Don Bosco mi ha di nuovo incaricato di ringraziarla tanto da parte sua degli auguri che gli ha mandato, delle prove d'amore e d'attaccamento sincero che gli ha dato nel passato e gli dà specialmente adesso che è infermo. Parla sempre di lei con tutto l'affetto di un padre verso il suo più amoroso figlio; e poi di tutti indistintamente.
È mezzanotte e dorme così tranquillo che è un piacere... [262]
Sono le 3 ant. e Don Bosco dorme tranquillamente. Speriamo che oggi passerà bene la festa di San Giovanni Evangelista, suo vero onomastico...”.
Don Lazzero, tornato da Nizza, inviava ad Enria una cara relazione del fervore con cui gli artigiani avevano fatto la novena di Natale per la guarigione dell'amorosissimo Padre, e del particolare e commovente interessamento dei soci della Compagnia di S. Giuseppe:
“Di' a Don Bosco che i giovani artigiani sono dolenti assai della malattia del carissimo loro Padre e fanno quel che possono per alleviare i suoi dolori col tener buona condotta e far preghiere speciali. Fatte pochissime eccezioni, e questi lo sa anche Don Bosco chi possono essere, tutti gli altri si accostarono nella Novena del SS. Natale chi due, chi tre volte ed anche tutti i giorni a far la S. Comunione per la guarigione del Padre Don Bosco, e ciò si seguita a far anche adesso dopo la festa del SS. Natale.
Dimostrarono in special modo affezione a Don Bosco quelli della Compagnia di S. Giuseppe. Sì, da S. Giuseppe noi speriamo che presto ci verrà dato l'amatissimo nostro Padre sano e salvo. Ci furono di quelli che fecero celebrar delle messe coi denari della loro mancia. Non si vede più in questi giorni, negli artigiani, quella dissipazione, quello spirito irrequieto, ma tutti calmi, e col loro mesto sembiante par che dicano: Abbiamo il padre ammalato! Quando mi trovo fra loro vogliono sempre notizie di Don Bosco; e tu puoi figurarti come sia per me consolante il poter dir loro tutto quel che so del nostro mai abbastanza amato Padre! Più volte trattenendomi a raccontare la sua malattia, mi cadeva qualche lagrima, ed allora procurava che i giovani non si accorgessero, divertendo il discorso in cose indifferenti, animandoli sempre però sempre a pregare con fede.
I musici, fecero la comunione per Don Bosco, eccettuati però quei tali etc. e fra questi i due che Don Bosco raccomandò di costì, ai quali già parlai.
Non ti dò notizie della bella festa del Natale, poichè Don Rua potrà dirti ogni cosa. Gli Artigianelli dove io vado a confessare, ed al Rifugio dove vado a dir messa, domandano [263] sempre notizie di Don Bosco e pregano ben di cuore per lui. Non fa bisogno che io esprima quali siano i miei desiderii, che Don Bosco sia presto libero dal suo malanno! Oh quanti voti ho già fatto e faccio tuttora! Spero tutto in Dio e Maria e S. Giuseppe”.
Enria mandava buone notizie all'Oratorio; e Don Lazzero ne trascriveva la lettera, e la sera la leggeva agli artigiani:
“Il nostro buon padre Don Bosco va via via migliorando la sua salute. Oggi stette assai bene; aveva bensì ancora un po' di febbre, ma leggera, sicchè il medico la diceva quasi nulla. Se domani non verrà più questa benedetta febbre, presto entrerà in convalescenza. Unica nostra speranza è di vederlo presto guarito, tutti i nostri voti presso il Signore sono per questo scopo. So che si è pregato tanto e si prega ancora. Don Bosco medesimo dice, che se non fosse delle preghiere che si fanno dai suoi figli e da tante altre persone pie, non avrebbe potuto reggere al gran male. Perciò si raccomanda che si continui a pregare, si facciano visite in chiesa innanzi al SS. Sacramento per ottenere da Dio questa grande grazia.
Il nostro buon padre Don Bosco ha sentito con piacere le preghiere e le Comunioni che si sono fatte da tutti gli artigiani indistintamente, ed in special modo da quelli della Compagnia di S. Giuseppe e dai musici, e ciò tutto per la sua guarigione. Oh! si, il nostro buon Padre, al sentir queste cose, provava una tenerezza che gli penetrava il cuore, e ne fu commosso fino alle lacrime.
Mi diceva: - Mi è cosa veramente consolante il sentire come i miei amati figli tanto preghino per me; in questo momento mi pare di non più sentire alcun male. Cari figliuoli! Essi mi amano tanto! e son sicuro che tutti prenderebbero sopra di sè il mio male per mandarmi presto fra loro; ma il Signore ha disposto che fosse toccato a me il soffrire. Cari figliuoli, voi mi volete bene, ma io pure vi amo tanto, e sono sempre con voi, se non col corpo materiale, colla mia mente e col cuore; sì, i miei pensieri sono sempre rivolti a voi, cari figli.
Mi ha detto di ringraziarvi tanto dell'amore che gli [264] portate e che continuiate a far delle sante Comunioni secondo la sua intenzione; questo è il più bel regalo che possiate fare. Ringrazia poi in modo speciale quelli della Compagnia di S. Giuseppe ed i musici, e li esorta a continuare a tenere buona condotta ed essere di buon esempio agli altri nel bene. Vorrei, mi diceva, poterli ringraziar tutti in particolare, ma questo lo farò quando sarò a Torino in mezzo di loro.
lo pure vi ringrazio, o cari fratelli, e non ho parole che bastino per poter esprimere la mia consolazione della gran premura che vi prendete colla vostra buona condotta e colle vostre preghiere per l'amato nostro Padre Don Bosco. Don Bosco mi ha detto che, se il Signore gli concederà la grazia di guarir presto, vuole che si faccia una gran festa in ringraziamento a Dio del segnalato favore ottenuto...
Sono le ore 2 ½ dopo mezzanotte. Don Bosco seguita a dormire placidamente. Speriamo che quest'oggi lo passerà bene”.
Appena fu di ritorno all'Oratorio, dove s'era cominciata la novena per Don Bosco, Don Cagliero si fece subito un dovere di promuovere particolari preghiere al Buon Pastore, al Rifugio, alle Maddalene, a S. Pietro, a Sant'Anna, in tutti gli istituti, dove andava spesso a predicare, a confessare, ed anche a far scuola di canto; e il 27 scriveva a Varazze:
“Caro Enria, salutami tanto il nostro caro Padre, e digli che tengo vivo il fuoco della carità e della preghiera in tutti i ritiri della città. Oh come si prega da queste buone e care anime!
Sono stato dall'Arcivescovo che è molto impensierito sullo stato suo, e prega anch'egli assai per la sua salute. Preghiamo e speriamo. Se vedessi un pericolo, fammelo sapere tu privatamente, che io partirei immantinente.
Sono sovente dalla sig. Contessa Corsi, nostra Nonna, a consolarla, e debbo reprimere il mio dolore per diminuirlo in Lei...”.
Mons. Gastaldi, vedendo il bene che faceva l'opera di Don Bosco, parve vagheggiare di quei giorni il disegno di renderla diocesana. Parlando con Don Cagliero gli domandò: [265]
- Quanti dei membri di questa Società siete fermi e risoluti nella vocazione?
- Tutti i direttori, rispose Don Cagliero.
- Più di centocinquanta sono fedeli alle loro promesse e tali resteranno.
- E se Don Bosco venisse a morire?
- E noi cercheremo un barba [uno zio], che gli succeda.
- Va bene, va bene, ma speriamo che Dio lo conserverà!
Parve a Don Cagliero che qualora Don Bosco fosse morto allora, Monsignore ritenesse che i Salesiani si sarebbero rivolti a lui per direzione, e non aggiunse parola. Uscito dall'Arcivescovado, s'incontrò col Can. Marengo, e gli narrò il dialogo avuto con Monsignore. Il Canonico, che conosceva le idee dell'Arcivescovo, commosso e contento:
- Lei benedetto, esclamò, la sua risposta ha impedito ogni profferta, che sarebbe stata dannosa per la Congregazione.
Don Bosco continuava in quei giorni a migliorare. „Quest'oggi - così Enria la sera del 27 dicembre - va di nuovo bene... Sia benedetto il Signore. Che malattia tremenda fu la sua! Tutta la sua pelle si scaglia e cade a pezzi, larghi cinque o sei centimetri. Sono le 11 pomeridiane. Che consolazione vederlo seduto sul letto, dopo aver preso un po' di pane trito, parlare volentieri con Don Rua delle cose dell'Oratorio. Da sei o sette giorni è arrivato qui suo nipote, Luigi Bosco”.
Uno di quei giorni il Santo diceva all'infermiere, sorridendo:
- Guarda come Don Bosco è cattivo. Muta perfino la pelle! Una grama [cattiva] pelle quella che ho! Vedi la pelle nuova? Vedremo se questa sarà più forte e capace di resistere più dell'altra alle bufere e alle tempeste, che ora imperversano nel mondo. Ho fiducia però che Dio la renderà abbastanza resistente per l'opera sua, a sua maggior gloria. Persuaditi, caro Enria, tutte le nostre facoltà e il nostro ingegno, tutti i nostri lavori, le nostre pene, le nostre umiliazioni, bisogna che abbiano di mira solamente la gloria di Dio. Se [266] noi fatichiamo pel nostro onore, non valgono nulla i nostri pensieri, i nostri trovati, le nostre invenzioni, le nostre opere. Guai a chi lavora aspettando le lodi del mondo; il mondo è un cattivo pagatore, e paga sempre coll'ingratitudine.
E dopo una pausa di qualche minuto, soggiungeva:
- Chi è Don Bosco? E un Povero figlio di contadini, che la misericordia di Dio elevò al grado di sacerdote senza alcun suo merito. Ma osserva quanto è grande la bontà del Signore! Egli si servì di un semplice Prete Per fare delle cose ammirabili in questo mondo; e tutto si fece, e si farà in avvenire, a maggior gloria di Dio e della sua Chiesa!...
Ai giorni di trepidazione erano succeduti giorni di liete speranze. La posta recava al Santo i saluti e gli auguri dei giovani per il nuovo anno; ed egli li ringraziava per mezzo di Enria. Da una parte si chiedevano preghiere, dall'altra si prometteva e si pregava fervidamente. Dall'Oratorio di continuo si domandavano notizie, e da Varazze si proseguiva a mandarne anche più volte al giorno. I benefattori andavano a gara per inviargli quanto si riteneva conveniente, ed anche dall'Oratorio si facevano spedizioni di generi alimentari, polli, piccioni, grissini, che si pensava sarebbero riusciti opportuni. Buzzetti gli mandò anche della tapioca, fècola d'una pianta americana, consigliata come alimento per gli stomachi deboli. E Don Bosco faceva giungere a tutti i ringraziamenti più cordiali, come si legge nella corrispondenza.
Tutti desideravano esser da lui ricordati in particolare. „Mi è dolce in mezzo alle mie occupazioni - scriveva Giuseppe Dogliani ad Enria - il consacrare alcuni istanti per lo scopo della presente. Ella mi ha inviato i suoi saluti in una delle sue ultime, ed io glieli ricambio di tutto cuore. E con questa mia intendo di augurarle un buon principio e buon capo d'anno. In un momento che il caro sig. Don Bosco non sia tanto travagliato dai suoi malori, voglia approfittare di quell'istante per augurargli un buon capo d'anno per parte mia, Gli dica che non voglia scordarsi di quella”volpe", [267] a cui egli ha già fatto tanto bene. Dica questo, perchè nella lettera che Ella ha scritto a Buzzetti di costà, vi erano i saluti del signor Don Bosco per tutti i miei colleghi nominati ad uno ad uno, e solo il nome del povero Dogliani era stato omesso (cosa mai succeduta pel passato). Non so se sia stato nella penna di chi scrisse o nella lingua di chi lesse, la cosa sta che ci pensai per tutto quel giorno ed ancora ci penso adesso. In altre fiate quando il signor Don Bosco ci scriveva da Roma io me ne andava sempre superbo per essere stato salutato subito dopo Barale, e di questa superbia non mi faceva scrupolo alcuno, perchè prodotta dal desiderio che un figlio ha di essere amato dal proprio padre; ma ora mi son veduto del tutto dimenticato; e neanco nel dopo scritto della lettera. Pazienza. Io però conosco il sig. Don Bosco ed egli conosce me; e ciò mi rende abbastanza pago. Con questo voglio poi dire che se fu omesso il mio nome in detta lettera, ciò fu una vera distrazione. Però desidero sapere qualche cosa in proposito da Lei.
Qui nell'Oratorio cessò quell'antica allegria e non ci ritornerà più in fino a tanto che non sia di ritorno l'oggetto principale di questa. A scena commovente vedere i giovani lasciare i divertimenti ed i giuochi per correre ai piedi del sacro altare per ottenere la grazia di rivederlo presto sano e salvo.
Tutte le persone che vengono in libreria chiedono notizie dell'ammalato. Si vedono i ragazzi più piccoli domandare notizie di Don Bosco. Quando sappiamo che è giunto qualche dispaccio, non vediamo più il momento di sentirlo leggere. L'altro ieri si è incominciata qui da noi una novena generale a Maria Ausiliatrice per la salute del nostro Padre. E noi speriamo che Colei, la quale volle ottenere tante guarigioni per questo mezzo, e per mezzo del sullodato nostro Padre, non vorrà certamente obliare una salute a tutti tanto importante. Io non cesserei più di parlare del signor Don Bosco. Tosto che sia guarito, ella venga qui prima di tutto, onde poter preparare un po' di fracasso da unirsi al Te Deum.
Non so se il signor Don Rua sarà ancora costì quando [268] le perverrà la presente; se ancora vi si troverà, voglia pure salutarlo per parte mia e per parte de' miei colleghi librai e musici.
Favorisca baciare per me la mano al signor Don Bosco, gli dica che anch'io oso pregare per lui e spero che egli non mi dimenticherà”.
Don Lazzero tornava a domandare: „Chissà se potremo sperare un buon fine e un buon capo d'anno al nostro amatissimo Don Bosco? Sì, lo speriamo ed è impossibile che sia il contrario, avuto riguardo alle molte e fervorose preghiere che si fanno per lui”.
“Non posso esprimere con parole il piacere che sento nel mio povero cuore nell'aver ricevuto la tua carissima del 26. Io ho pianto nel leggere quelle espressioni uscite da un cuore così amoroso, generoso, riconoscente, caritatevole come il tuo. La salute del nostro amato Padre migliora ogni di più: oggi stette bene tutto il giorno e cominciò a succhiare un po' di colombotto e con un gusto che era un piacere vederlo. Si mangiò pure due volte della nuova minestra, fatta con tapioca, spedita dal nostro caro Buzzetti, e gli piacque. Povero padre! Rise tutto il giorno per quel nome di tapioca. Il nostro amoroso padre fu commosso al sentire le tante cose che gli hai scritto degli artigiani, delle loro preghiere, e Comunioni giornaliere; della loro condotta e degli auguri che gli mandano. Siccome tu mi avevi scritto che io gli domandassi qualche parola da riferire ai tuoi artigiani, egli mi disse: - lo li ringrazio dì tutto cuore delle preghiere che fanno per me, tutti gli artigiani; ringrazio in modo particolare quelli della Compagnia di S. Giuseppe; se tutti gli altri mi sono carissimi, questi sono la pupilla del mio occhio. Continuate a pregare con fervore, a tenere un'ottima condotta: è questo il più bel regalo che mi possiate presentare quando sarò in mezzo a voi. Ringrazio poi in modo particolare Don Lazzero... - Ora ritorno all'oggetto principale. È un'ora dopo mezzanotte, e il nostro caro padre dorme saporitamente. Dio voglia che continui a migliorare sempre così...”.
Don Rua lasciava Varazze il 28, e dopo una breve ferma [269] ta a Genova - Marassi, il 29 era all'Oratorio; e Don Francesia gli confermava le buone notizie:
“Oggi [29] va tuttora bene, ad eccezione di un piccolo mal di capo, appena però sensibile. La febbre è quasi del tutto scomparsa. Ebbe una notte assai buona, dormì bene e stamane bevette la tapioca di Buzzetti con molto suo gusto e nostra soddisfazione. Mentre ti scrivo è sul letto, che è dietro a prendere una zuppetta che Falco gli ha preparata. Vedo che ci sono anche grissini ed è buon segno, perchè è la seconda volta che li vedo mangiare da Don Bosco durante la sua malattia. È vero che il suo miglioramento progredisce lentamente, ma giornate infelici come quella in cui giungesti tu, non ne abbiamo più avute. Il medico stamane diceva con tripudio e quasi trionfante: - Sono tre giorni che non abbiamo più avuta febbre nè sintomi di nuova eruzione! - A lui pareva già gran cosa, e la sarà se si considera il grave stato in cui si trovò alcune volte il povero infermo. Stanotte non ebbe più i sogni tanto agitati e lungo il giorno riposò pure profondamente. Così poco alla volta riacquista il tempo perduto. Spero potervi continuare a dar buone notizie, che, sebbene non ancora chiare, sono tuttavia già di qualche conforto”.
Il miglioramento era evidente, ma lento; non erano ancor del tutto scomparse le miliari, e queste gli davano ancora una febbricciattola, sebbene leggerissima, e qua e là gli si vedevano sulla pelle piccole pustolette in suppurazione, mentre tutte le altre andavano seccando.
“Non puoi immaginarti - scriveva Don Lazzero ad Enria - con qual gioia abbiano gli artigiani sentita la penultima lettera che mi hai spedita, nella quale eranvi notizie migliori riguardo alla salute del caro Don Bosco, nostro Padre amatissimo. Allorchè sentivano che Don Bosco li ringraziava di quanto avevano fatto per Lui e che alle loro preghiere attribuiva la sua guarigione, e' che Don Bosco, ancorchè aggravato dal male; era sempre in mezzo di loro col cuore, credimi, caro Enria, erano commossi, ed io appena potei trattenere le lacrime; finita la lettera, augurai la buona sera, senza aggiungere più parola. [270]
Fin da martedì p. p. s'incominciò una novena per la pronta guarigione di Don Bosco. Questa novena consiste nell'applicare a tal fine la Messa della Comunità e tutte le Comunioni, che dai giovani si fanno a detta Messa. Non esagero nel dire che ogni mattino vi è un numero di comunioni non inferiore a quello dei giorni festivi. Con mia grande consolazione vedo sempre una buona quantità di artigiani ad accostarsi ai SS. Sacramenti, oh in questi giorni non vi è più fra loro rispetto umano! Ne hanno ragione, poveri giovani, pregano Dio che voglia al più presto ridonar loro il migliore dei Padri.
Ieri [29] alcuni mi diedero denari, tolti dalla loro mancia, per far celebrare una messa all'altar maggiore, ed essi vogliono assistere a questa messa e fare la S. Comunione. Oggi mi presentano un indirizzo che ti spedisco con questa mia; insomma è una gara continua per implorare da Dio la pronta guarigione dell'amatissimo Don Bosco. Ed io che cosa faccio? ben poco! Se non che vado esortando gli altri a continuare facendo loro vedere, che non è mai troppo per Don Bosco, qualunque sia il bene che essi gli ottengano da Dio”.
La novena che si faceva nell'Oratorio veniva ottenendo il suo effetto; Don Bosco andava sempre migliorando, con giubilo dei lontani e dei vicini.
Il penultimo giorno dell'anno, Enria inviava queste notizie:
“Quale consolazione vedere il nostro caro Padre star meglio! Udirlo parlare con piacere e descrivere, come se lo vedesse, quel giorno nel quale ritorneremo all'Oratorio.
Nello stesso giorno nel quale incominciarono la novena a Maria Ausiliatrice, Don Bosco incominciò a stare un poco meglio, il miglioramento andò sempre crescendo, oggi passò veramente una bella giornata e abbiamo tutta la fiducia che al fine della novena possa discendere dal letto. Si faccia adunque bene questa novena e si preghi di cuore
E l'ultimo dell'anno scriveva a Don Rua:
“La sua venuta a Varazze mi riempì il cuore di gioia, e la sua partenza mi ha addolorato, poichè fu così breve la sua dimora. Avrei desiderato che si fosse fermato finchè il [271] nostro Padre fosse perfettamente guarito. Ma! povero signor Don Rua! Io divido il suo dolore: qui ha un padre amato, molto infermo, a Torino un'amorosa madre quasi moribonda. Come può il suo bel cuore non sentirsi strappar dal dolore a questo colpo inaspettato? Povera mamma! Nelle mie povere preghiere raccomando al Signore che voglia raddolcire i dolori della madre e del figlio...
Manca un quarto d'ora a mezzanotte, ed auguro di tutto cuore un buon fine a lei, alla sua buona mamma, e a tutti. Sospendo di scrivere per pregare il Signore che renda efficaci i miei auguri.
Sono le 12 e un quarto. In questo momento il nostro Padre si è svegliato ed io gli ho subito augurato un buon capo d'anno e per me fu consolazione essere il primo a felicitarlo. Egli ringrazia tutti di cuore delle premure che si prendono e delle preghiere che si fanno per la sua guarigione. Desidera che continuino le preghiere con fede e che si facciano a tutti gli auguri da parte sua. Don Bosco è sempre in mezzo ai suoi giovani collo spirito, col cuore e persino coi sogni Sognò che prendeva fuoco l'Oratorio, sognò dei casi di vari giovani, e talora gridava così forte da mettere spavento. Di giorno e di notte non ha altro in mente che i suoi figli...”.
Nella stessa notte, proprio nelle prime ore del nuovo anno, tornava a scrivere a Don Lazzero:
“Don Bosco fu commosso nell'udire quanto fanno per lui gli artigiani, e mi ha detto più volte che gli artigiani gli sono cari come le pupille degli occhi suoi. Egli ripete:
- lo li amo i miei figli, ogni mio pensiero è volto al loro bene e mi è dolce il sentire che corrispondono al mio amore!
Anche nei sogni è fra i suoi cari.
L'ho udito tante volte mentre dormiva gridar così forte, che in principio non sapendo che cosa fosse e credendo che gli venisse male gli domandava come si sentisse e se avesse bisogno di qualche cosa. Egli mi rispondeva: - Non ho bisogno di nulla; sognai che l'Oratorio prendeva fuoco! - O altre cose simili. [272]
In questo momento che scrivo mi sento chiamare: - Enria! Enria! - Corro. Ei dorme e sogna, e dormendo domanda: - Come sta quel giovane?
Gli rispondo: - Di qual giovane mi parla?
- Quel giovane ammalato come sta? - E così dicendo si svegliò.
Vi sarà un giovane che non si senta preso d'amore per un Padre così caro?
Quest'oggi disse: - Appena stia meglio per prima cosa scriverò di mio proprio pugno una lettera a tutti i miei cari figli dell'Oratorio, studenti ed artigiani, perchè tutti sono figli del mio affetto.
Gli ho letto l'indirizzo dei tipografi e fu sensibile a questa dimostrazione di cuore. Mi disse: - Scrivi loro che li ringrazio di tutto cuore e mi riservo a ringraziar tutti in particolare a Torino.
Gli ho eziandio presentato il buon capo d'anno di tutti gli artigiani e l'accettò ringraziando. La sua salute seguita a migliorare; alla notte dorme assai tranquillo, comincia a mangiare con appetito. L'ultima sera dell'anno fece la conferenza della Congregazione...
Preghiamo! La Madonna deve farei questa grazia. Io godo di una sanità di bronzo, benchè stia levato tutte le notti fino alle 5, o alle 6 del mattino, per assisterlo, e di giorno dormo ben poco. Ciò io l'attribuisco ad una grazia particolare”.
L'ultima sera dell'anno il Santo volle dare la “strenna” ai confratelli del collegio, adunati attorno al suo letto; e Don Cuffia ne faceva a Don Rua un primo ragguaglio:
“Don Bosco continua meglio ed ha fatti buoni passi nella sua convalescenza. L'ultimo giorno dell'anno ci ha tenuto conferenza. Ci spiegò ed inculcò questi due versicoli della Scrittura: Praebe te ipsum exemplum bonorum operum. La chiave del buon esempio è l'obbedienza, quindi: Oboedite praepositis vestris et subiacete eis, ipsi enim pervigilant quasi rationem pro animabus vestris reddituri”[48]. [273]
Anche da Torino la corrispondenza continuava regolarmente, ed Enria la comunicava a Don Bosco. „Ho letto - scriveva la notte del 1° gennaio al 2 gennaio a Buzzetti - la sua lettera al nostro amato Padre, e delle altre ho narrato il contenuto. Egli ascoltava con gran piacere quegli slanci di amor filiale, di attaccamento così sincero che è proprio dei cuori grandi. Prova un gran sollievo nel sentirsi così amato e nell'avere dei figli che darebbero la propria vita per la sua. Questi atti di eroico attaccamento lo commuovono fino alle lagrime.
La sua guarigione continua sempre bene, dorme tranquillo e mangia con bastante appetito. Il medico tutte le volte che viene lo trova sempre meglio e dice che non vi è nessun pericolo; ma siccome questa sorta di malattia è così cattiva che potrebbe tornare indietro, fa d'uopo perciò continuare le preghiere. Ed egli è obbedientissimo alle prescrizioni del medico. Talora, mentre gli si presenta qualche medicina, mi dice sorridendo: - È buona? - ed io rispondo: - Non mi sembra troppo gustosa. - Prendiamola dunque con buona intenzione, e farà del bene!...”.
Il 3 gennaio le condizioni dell'infermo sembravano nuovamente rivolgersi a destare apprensione. “Le notizie di Don Bosco - scriveva Don Francesia a Don Rua - sono sempre buone; ebbe però una vera invasione di foruncoli per tutta la vita che lo molestano e gli cagionarono un po' di febbre, con una notte alquanto inquieta. Il medico dice che è buon segno. Diffatti ha appetito, gusta e digerisce il cibo che prende. Ma del tornare in Torino vedo che si allontana di nuovo il giorno. Sperava nella settimana si potesse alzare, ma ora temo assai che il possa, a motivo di questa eruzione. Venne D. Pestarino e la sua visita (ieri 2) fu assai cara a Don Bosco. Oggi, o meglio stamattina, venne improvvisamente Mons. di Savona. Le accoglienze furono le più cortesi. Fe' conoscere il buon Vescovo quanto amasse Don Bosco. Nel paese ciò fece bell'impressione, e tutti ne parlano [274]. Ei va dicendo che Don Bosco è assai più di quello che si crede, e che è ben lieto di potergli prestare quegli atti che sa di benevolenza e di carità. Partì promettendo tosto un'altra visita.
Alla vista poi di questa lentezza troppo pertinace di progredire verso la guarigione, dovete raddoppiare gli sforzi presso Maria Ausiliatrice. Non v'ha parrocchia nel vicinato che non faccia o non abbia fatto un triduo per lui...”.
Anche Enria a Buzzetti: „La salute dell'amoroso nostro Padre migliora sempre, però adagio. Seguitano ad uscirgli dei piccoli foruncoli, i quali lo tormentano un poco e gli cagionano un po' di febbre.
Questa mattina [3] venne il Vescovo di Savona a fare visita a Don Bosco, il quale provò tanto piacere per questa improvvisa comparsa che ne fu tutto commosso.
Appena il Vescovo entrò nella stanza il suo volto si accese di contentezza. Monsignore lo abbracciò, baciò in volto, lo tenne stretto per qualche istante al suo seno e poi gli disse: - Figlio mio, sono venuto a salutarvi e vi dò la santa benedizione. - E lo benedisse e non poteva staccarsi da lui e lo baciò di nuovo. Rimasero soli a discorrere per quasi un'ora, quindi Monsignore uscì per visitare la casa e prendere un piccolo ristoro. Rientrato nella camera di Don Bosco parlò amorevolmente di varie cose e lo ribenedisse e lo baciò. Don Bosco baciò la mano a Monsignore con affetto e contentezza filiale.
Il Vescovo, benedicendo tutti, partì commosso e contento di aver trovato il caro infermo un po' meglio e insistette perchè gli si mandassero continue notizie.
Favorisca di dire a Don Dalmazzo che Doti Bosco dimostrò per lui un amore grande e ha incaricato Don Francesia di scrivergli: - Lo ringrazio con tutto l'affetto del mio cuore; gli voglio bene, tanto bene; non dimenticherò mai quello che fa, e fa fare per me e per la mia guarigione. Preghi per me che io mi ricordo sempre di lui”.
Da tutti si attendevano notizie sempre più consolanti, fidenti nella bontà di Maria Ausiliatrice. „Caro Pietro, - diceva Buzzetti ad Enria il 4 gennaio - stiamo aspettando [275] buone notizie. Ieri terminò la novena, perciò oggi, se Maria Ausiliatrice ci trova degni del suo amore, ci renderà sano il caro nostro Don Bosco; in caso contrario continueremo a seccarla finchè basti.
Devi sapere che fa un freddo della malora, tutti i giorni si trovano una quantità di brocche crepate pel gelo, e quella che avevi nella tua soffitta ha avuto la medesima sorte.
Mi raccomando che quando taglierai la barba al caro mio Padre di metterla tutta insieme e poi consegnarmela quando sarai di ritorno...”.
Finalmente una lettera di Don Francesia a Don Rua, scritta la mattina del 5, e spedita con un poscritto ed un'altra aggiunta la sera, dava di nuovo le più liete speranze: „Abbiamo avuta una decima o undicesima eruzione. Speravamo.... e poi fummo pienamente delusi.
Ieri ebbe più febbre e prima una notte affannosa con sogni paurosi, che lo facevano gridare, ed alla sera si manifestò l'eruzione copiosa, Ha la mano sinistra coperta quasi da foruncoli, tutta spelata e dice se la sente come se l'avesse immersa in una pentola bollente. Don Bosco si risente di questa alternativa.
Ieri abbiamo telegrafato a Roma per avere la benedizione dal Papa, il quale aveva già saputo dal nostro Vescovo che Don Bosco era ammalato. Ci fu ieri l'ingegnere Bianco, antico giovane dell'Oratorio, e Don Bosco ne fu assai contento. Queste visite gli producono soave emozione, e se fosse possibile rinnovarle di quando in quando, ne riceverebbe gran giovamento. Ma dei nostri giovani, non di signori!
A Don Bosco riuscì giocondissima una lettera che ricevette da Mondovì, indirizzatagli da quattro giovani, tra cui Battista Rosselli e Alasia il tipografo. Anche dal Collegio di quella città ricevette varie lettere di dolore e di preghiera. I varii biglietti di visita, che gli piovvero, da Torino specialmente e da Genova e da Firenze, da persone amiche, gli tornarono carissimi. Ma intanto non possiamo ancor dire: tutto è salvo! Chi sa quando si potrà dare la consolante notizia che Don Bosco finalmente ha lasciato il suo letto di dolore? E Don Cerruti gli scriveva ieri con trasporto di gioia sua e [276] d'altrui che sarebbe venuto lunedì a prenderlo per condurlo ad Alassio. Poveretto! Scrisse proprio a tempo. Era una musica lieta ad un funerale. L'ammalato intanto è spossato di forze, coperto di quell'incomodo per tutta la vita, che volesse Iddio fosse la sua salute”.
“P. S. - Il Cardinal Antonelli rispose ieri sera che il S. Padre dava all'infermo Don Bosco la implorata Benedizione Apostolica. A Don Bosco riuscì graditissima e assicura che non passò notte sì beata e sì buona come la scorsa, in cui il S. Padre l'aveva benedetto. Conserverò il dispaccio tutto inghirlandato a festa come ci venne comunicato dalla stazione ed a suo tempo bisogna che ne facciamo un bel quadro.
Don Bosco è molto tranquillo: l'eruzione è calma; la pelle secca e cade; i foruncoli non gli dànno più tanto pena. A pranzo prese con appetito la minestra con qualche altra piccola cosa. Continuasse in questo stato almeno 15 giorni e poi io credo che potrebbe andare a Torino. A proposito, Don Bosco desidera sapere se siete al caldo o al freddo. Qui perpetua primavera”.
La notizia corse di volo in ogni parte, mentre l'Unità Cattolica del 5 gennaio aveva già dato questo ragguaglio:
“La guarigione di Don Bosco. - Ci scrivono da Varazze che il rev. Don Bosco, dopo un'ultima eruzione di migliari, ora è entrato in piena convalescenza, e fa sperare che quanto prima potrà godere di perfetta salute. Riconoscente alle preghiere che si fecero per lui in diverse parti d'Italia, assicura che sarà suo dovere di raccomandare tutti al Signore, ricco in grazie e misericordia, perchè Egli li compensi della carità che gli usarono in questa sua malattia. Egli attribuisce la sua guarigione alle molte preghiere che senza posa quasi si fecero da molte pie persone e dai moltissimi suoi figliuoli, che temevano di perdere il loro padre e benefattore”.
Evidentemente la benedizione di Pio IX ebbe l'effetto più consolante.
La salute del nostro amatissimo Padre - così Enria a [277] Buzzetti - continua a migliorare. Sono tre giorni che sta veramente bene. La notte del 4 corrente, nella quale il Papa per mezzo del Cardinale Antonelli gli mandava l'Apostolica benedizione, rimase così tranquillo che dormì fino all'alba”.
Quando Don Francesia gli lesse quel dispaccio, provò tale contento che non si può descrivere: - Il Papa!, esclamò, si è degnato di pensare all'ultimo dei suoi figli! oh! grazie, grazie! Iddio lo rimeriti della consolazione che ha recato. La benedizione del Vicario di Gesù Cristo porta gran gioia al cuore e pace all'anima! - E per ricordare il fausto avvenimento ordinò a Don Francesia che facesse mettere il telegramma in una bella cornice col vetro, per poterlo conservare. Egli stesso „dice che il miglioramento lo deve tutto alle preghiere fatte per lui, ed alla benedizione del Papa. Io [così Enria il 7 gennaio] gli ho soggiunto che l'Oratorio aveva finita la novena a Maria Ausiliatrice, ma che si sarebbe continuato a pregare finchè egli non fosse ritornato a Torino. Don Bosco mi soggiunse di ringraziare tutti da parte sua e che Maria aveva ascoltato le preghiere de' suoi figli. Si raccomanda di dire a tutti che si continui a pregare, ma di cuore e con fede, affinchè la malattia non ritorni più indietro.
Ah caro amico! Se avesse veduta la scena commovente della quale io fui testimonio. Dodici capi di famiglia partirono da Mornese, e col brutto tempo, per venire a trovare Don Bosco a nome di tutto il paese. Arrivarono sabato sera [il 6] coll'ultimo convoglio e furono ospitati in collegio. Don Pestarino si trovava già qui da qualche giorno. Al mattino della domenica [il 7] dopo la messa furono introdotti nella camera del nostro amoroso Padre e si disposero in circolo, perchè Don Bosco potesse vederli tutti. Deposero davanti ai loro piedi il regalo che ciascuno aveva portato. Chi aveva un canestro pieno d'uva la più squisita, chi burro fresco, chi frutta, uova, miele, piccioni, una lepre, e mostarda. Uno aveva un bottiglione di vino moscato, altri due piccole botti di un quarto di brenta piene del vino più prezioso”.
Don Pestarino gli aveva presentato alcune bottiglie, che avevano più di 50 anni, ed altri altro; avevano recato il più bello, il più buono che avessero in paese. [278]
“Era veramente - diceva Enria - una cosa commovente; il nostro buon Padre era anch'esso commosso a quest'atto di amore e di riconoscenza; era una vera immagine dei Pastori, che andarono a visitare il nostro Signore Gesù Bambino, quand'era nella capanna di Betlemme, che gli presentarono tanti doni, chi una cosa e chi un'altra”.
Anche Don Bosco volse il pensiero alla solennità del dì precedente, ai Re Magi nella capanna di Betlemme, e, ringraziando i Mornesini:
- Sarete ben contenti, diceva, che offriamo tutti questi doni a Gesù Bambino, affinchè ci aiuti a farci santi?
E proseguì sorridendo: - Vi prego di compatirmi se non potrò farvi compagnia, come ho fatto in Mornese più volte. Iddio vi benedica. Pregate per me ed io pregherò per voi e per le vostre famiglie e perchè un giorno possiamo formare una famiglia in Paradiso... Ora mi sento stanco, ma, prima che partiate, spero dire a tutti una parola in particolare. - Così li congedò; e quegli uomini uscirono commossi, dicendo fra loro: - Come è buono ed affabile! Come ci accolse con carità! come s'interessa delle nostre famiglie! ah! è un santo! Non disse nulla delle sue sofferenze; anzi scherza sul suo male. Che pazienza deve avere e che rassegnazione!... - Erano entusiasmati. E il loro viaggio era stato lungo a piedi, fino a Serravalle, e poi costoso in vapore...
“Dopo la benedizione del S. Padre - lo stesso giorno Don Francesia confermava a Don Rua - le cose andarono sempre bene. Non ebbe sinora la più piccola febbriciattola, nè altri segni annunziatori tristissimi di nuove eruzioni. Don Bosco spera di poter presto levarsi da letto, forse nella corrente settimana. Oh come precorriamo sempre colla mente i giorni lieti! È questo il terzo dì che Don Bosco pare in vera convalescenza. Preghiamo e speriamo. Intanto ti raccomando gli si faccia un buon pastrano, ma bisogna che sia bene imbottito.
Se vedessi come la sua pelle si squaglia! fa pietà. Le ultime pustolette si essiccano e spogliandosi lasciano il povero corpo quasi scoperto al vivo.
Vennero da Mornese dodici uomini e riempirono la camera [279] di Don Bosco di mille doni. Sono sempre proprio espansivi questi Mornesini. Fecero stamane la loro Comunione e pareva che non si potessero stancare di stare in chiesa. A Don Bosco è stata assai cara questa visita.
Qui abbiamo ancora Don Pestarino e verrà Don Bodrato da Alassio, mentre si attende Don Bonetti da Borgo S. Martino. Ormai Varazze è la vera nostra capitale.
Don Bosco ha tutte le facoltà dell'altare privilegiato, sicchè potete provvedere perchè se ne possa servire al suo ritorno”.
Il 6 gennaio Buzzetti era tornato a scrivere: “Mi ha molto turbato il sentire i tanti dolori che soffre il caro nostro Padre. Ho però ferma speranza che presto sarà libero e ristabilito con una salute ferrea da poterci egli mandar noi tutti prima in paradiso a preparare una bella musica pel suo ingresso.
A proposito di musica potresti dire a Don Francesia che prepari un bell'inno, e che lo spedisca direttamente a De - Vecchi, acciocchè lo musichi per l'arrivo del caro nostro Don Bosco col suo servo fedele Enria Pietro”.
Il Santo il 7 gennaio cominciò a ringraziare i suoi benefattori.
“Abbiamo avuto nei giorni scorsi - scriveva Don Francesia alla contessa Callori - una piccola recrudescenza, ma ora dopo una benedizione del Santo Padre, le cose progrediscono proprio bene. Anzi il medico gli permise di sedersi già sul letto, mentre potrebbe anche uscirne; ma si teme che i foruncoli, di cui è piuttosto ricco, si inaspriscano. Così seduto patirà meno, ed anzi non avrà più il dolore di stare appoggiato colla schiena ai cuscini che gliela spelarono senza grazia.
Ringraziando dunque il Signore, ora possiamo, spero, credere che Don Bosco è in vera e buona convalescenza. Non oso più dire francamente è in convalescenza: altre volte il dissi, anche sotto dettatura dell'ammalato, e poi dovemmo con nostro dolore disingannarci. Ora speriamo e poniamo la nostra fiducia in chi dice che non saremo confusi.
Don Bosco la ringrazia dell'emme [un biglietto da mille] [280] mandato all'Oratorio, ove si nuota in un mar di debiti. Questo anche non è il minore de' suoi fastidii. Quando poi ci avvicineremo al giorno di ritornare a Torino, mi prenderò il dolce incarico di farnela consapevole. E perchè questa lettera abbia gran valore Don Bosco metterà qualche parola sotto e non oserò nemmeno più mettere il mio nome. La riverisco e mi creda suo riconoscente nipote...”.
Qui Don Francesia dava la penna al Santo, che “dal letto” aggiungeva alla lettera queste righe:
“Varazze, 7, '72. - Mia buona Mamma, due parole, e sono le prime: Deo gratias. Dio la rimuneri della sua bontà e della sua sollecitudine per me: e della carità che in questi ultimi giorni usò alla casa di Valdocco.
Dio benedica Lei, mia buona mamma, e conceda ogni bene a Lei, al Sig. Conte a tutta la sua famiglia. Continui a pregare per questo discolo affinchè si faccia buono e sia sempre verso di Lei aff.mo ed obbl.mo figlio Sac. G. Bosco”.
La notizia dell'ultima eruzione aveva, nel frattempo, destato nell'Oratorio un nuovo fervore di preghiere per ottenere al più presto la completa guarigione dell'amatissimo Padre; e Don Cagliero l'8 gennaio si recava a visitarlo, portando varie lettere. In una Buzzetti diceva ad Enria: „Questa mattina si è incominciata un'altra novena a Maria SS. ed al S. Cuore di Gesù, e speriamo di presto ricevere buone notizie. Mi raccomando alla tua sollecitudine di non stancarlo tanto con le udienze, di non lasciar entrare quelle persone noiose che invece di rallegrarlo lo aggravano”.
“In tutta fretta - scriveva Don Lazzero lo stesso giorno, in cui, a sua insaputa, era partito per Varazze Don Cagliero - ti faccio sapere quanto segue. Noi qui abbiamo cominciata questa mattina un'altra Novena per Don Bosco; e Don Cagliero ti spiegherà come. In tempo di ricreazione se fossi qui vedresti gli assistenti degli artigiani uno dopo l'altro con bellissima corona di giovani artigiani grandi e piccoli che vanno a far la visita al SS. Sacramento; cosa mai veduta per lo passato. Fa' sentire a Don Bosco che gli assistenti degli artigiani sono con me uniti, d'accordo, e fanno quel che possono intorno ai giovani perchè tutto vada bene. Se per mia parte sono [281] sempre addolorato pel male che deve soffrir l'amato mio padre Don Bosco, per l'altra parte mi sento alquanto sollevato dalla sollecitudine di questi assistenti nell'aiutarmi a guidare al bene questi giovani che ne hanno molto bisogno.
Tutti i giorni ricevo collette per far dire delle messe per Don Bosco, danari tolti dalla mancia dei giovani. Il giorno dell'Epifania la messa, della comunità fu applicata per Don Bosco con una elemosina abbondante offerta dagli artigiani. Ringrazia Don Bosco da parte degli artigiani per l'affezione che esso porta a loro ancorchè distante e sofferente. Don Lazzero, Rocca, Borio, Milanesio, Remotti, Farina Gius., mandano i saluti e fanno coraggio a Don Bosco. Sì, o caro Enria, di' tante cose da parte mia a Don Bosco.
Tanti saluti a Don Francesia e a tutti gli altri etc.
Ringrazia poi in modo particolare Don Cagliero Giovanni, che è venuto a trovar Don Bosco e non mi ha neanco detto crep... Basta, non ho più tempo a scrivere altro, se non che salutarti”.
Enria inviava a Buzzetti questi particolari: „La salute del nostro caro Padre è sempre in via di miglioramento. Mangia poco, ma con piacere, benchè provi molta difficoltà nel digerire. Tutti i giorni da un'ora pom. alle 5 ha sempre un po' di febbre, e questo basta per farlo andare tutto in sudore e indebolirlo in modo da impedirgli per ora di discendere da letto... Deve essere ben duro quel letto... Eppure in tutto il tempo della malattia non mosse mai un lamento e dice sempre di essere nelle mani di Dio, pronto a fare la sua volontà.
Ha sentito con molto piacere che si è incominciata un'altra novena. Dice che egli confida nelle nostre preghiere.
È stato molto contento che Don Cagliero sia venuto a visitarlo. Se non fosse per la distanza, egli avrebbe piacere di potervi veder tutti...”.
Don Francesia, finalmente, dava queste care notizie a Don Rua, che le comunicava a tutti i confratelli ed agli alunni dell'Oratorio: [282]
Non voglio più fidarmi degli altri, [e qui rileggendo la lettera, per darle la dovuta importanza, aggiungeva le parole] “fosse anche Don Rua” per comunicare notizie di Don Bosco a voi, che ne siete tanto sitibondi.
Ieri Don Bosco stette proprio bene; solo verso sera ebbe a lagnarsi di stanchezza allo stomaco, ed un leggero male al capo. Ma il poveretto ne sapeva benissimo la causa. V'erano ancora i mornesini, prudentissimi del resto, ma bisognosi di dirgli mille cose prima di partire. Anche Don Bosco ne aveva voglia, si sentiva forte e sfidò ogni pericolo. Fece annotazioni a un quaderno, fece scuola a Campi ed a Turchi, scrisse due letterine, e trattò varii negozi. Sicuramente lo pregavamo ad usarsi carità, ma la gioia di vederlo meglio, di poterlo udire a parlare, ci rese forse crudeli verso di lui. Alla sera perciò il medico gli trovò il polso più mosso e con un piccolo male al capo. Potè però dormire nella notte senza pena, e stamattina ritorna a stare bene, sebbene alquanto estenuato di forze. Sentì da Don Cagliero, arrivato qui ieri alle 8 1/2, e prima da Don Durando per lettera che costì si prega, e ne provò, come sempre, gran soddisfazione. Per ora speriamo che le cose possano continuare bene, e che se in tutta la settimana avremo giorni, come oggi, sereni e belli di vera primavera, sabato o domenica potrà levarsi. La gioconda novella, promessa e sperata da gran tempo, il Signore faccia che ve la possa presto dare.
Sebbene Don Bosco mangi ormai bene, e vada via divorando i grissini che riceve il Baron Enria, tuttavia si raccomanda che non se ne mandi più, chè tantosto devesi raccomandare a' suoi aiutanti di bocca per non lasciarli venir troppo raffermi. Forse da qui a quindici giorni o prima venendoci qualcuno a visitarlo si può caricarlo; ma per altre vie Don Bosco dice che non fa più bisogno. Ieri tentò, senza pensarci, d'incaricare de' soliti uffizi il braccio manco, che in altri tempi era tanto docile, ma il poveretto, non doveva poi far altro che aggiustare la berrettina sul capo, arrivato alla spalla si risentì tanto da doverlo abbassare in fretta. Egli raccontava piacevolmente il fatto, anche per persuadersi che le cose non sono ancora intieramente a posto, ma che ci avviciniamo “rapidi sì, ma rapidi con legge” verso alla desiderata guarigione.
I foruncoli fanno il loro corso regolare; molti sono già venuti in maturazione, ed altri sono lì che fanno capolino tra la pelle nuova e l'antica; e molti sono ormai come vulcani spenti in una squallida pianura. Mi fermo e mi compiaccio di queste particolarità, perchè il cielo oggi del povero ammalato è proprio sereno, e non minaccia per ora nessun cambiamento. Passassimo tanto tempo ancora così! [283] Finchè voi pregate, come Mosè sul monte, le cose progrediscono di bene in meglio; ma cessate, o finite la novena, ed ecco il povero infermo ricadere gravemente indietro. Fate adunque una centena!
Don Bosco è proprio commosso delle notizie della gran pietà che hanno i giovani di costà in questa luttuosa circostanza. Ne' suoi momenti di calma quasi ringrazia il Signore di averlo visitato così per avere poi fatto servire la sua malattia a salutare pensiero di tanti e tanti. Vorrebbe egli ringraziare quei molti che sa pregano per lui, quelli che fanno la S. Comunione per lui da tanto tempo e con tanta costanza; e chi sa che di questa settimana nol faccia?...
Noi tante volte ora andiamo a posarci intorno al suo letto, ormai sì doloroso, e a sentirlo a parlare ci pare che fosse così la pietosa corona che facevano i discepoli di S. Giovanni a lui già tanto inoltrato negli anni; ed altre, solo guardarlo in quella santa posizione, ci serve di una vera predica. E allora forte colui che può tenere le lacrime! Mentre però ti scrivo queste quasi liete e perseveranti notizie, il cuore mi trema per la paura che le debba mutare anche la decima e duodecima volta. Ora ci dovrebbe assicurare la benedizione del S. Padre.
Don Bosco a sua volta benedice Casa Fassati, a cui aveva già fatto scrivere a mia mano, e tutte quelle persone che pregano per lui.
Chi deve essere al colmo della gioia sarà la Cont. Callori, a cui di sua mano mandò ieri una lettera: fu proprio fortunata. È la seconda volta che scrive dal letto.
Oggi non finirci, se non mi fosse anzi tempo finita la lettera [il foglio della lettera]. Che io possa in altra ripetere il meglio ed il bene che a profusione scrissi oggi.
“... Io prego di cuore anche per lei nel corso della notte: allorquando sono stanco di scrivere e leggere mi metto a pregare. Non fa bisogno che le spieghi l'affetto che prova il mio povero cuore nel pregare vicino al letto del nostro amatissimo Padre. Ah! caro Giuseppe! Quando si ama un padre così amoroso come il nostro Don Bosco, non si può rattenere le lagrime nel vederlo da tanto tempo infermo. È vero che incomincia a migliorare, ma va così adagio. Egli .però non si turba e più volte mi disse: - Caro Enria, quantunque io sappia che la nostra Congregazione ha ancora bi [284] sogno di molte cose per esser ultimata, e anche in tutte le case vi siano deficienze alle quali si deve provvedere, sono rassegnatissimo. Metto tutto nelle mani di Dio e di Maria SS. Ausiliatrice, e se il Signore avesse stabilito che io muoia, dirò sempre: Sia fatta in tutto la sua santa volontà!
Ho fatto i suoi saluti a Don Bosco, e ne fu veramente contento. Gli ho detto che lei invidia la mia sorte, che vorrebbe essere al mio posto per poterlo assistere e dimostrargli il suo attaccamento, il suo amore. Fu così contento di queste espressioni, che mi rispose: - Mah!... se non fosse che ha tanto da lavorare, direi che venga a farmi una visita! - Si vede che il nostro buon Padre ha un'affezione particolare per lei. Mi incaricò di salutarla tanto, che la ringrazi delle preghiere che fa per lui, che continui a pregare, che presto ci rivedremo”.
Poco dopo, pel tramite di Don Lazzero, faceva un altro comunicato agli alunni artigiani dell'Oratorio: „Ho letto a Don Bosco la lettera che mi ha mandato il vostro Direttore. Il nostro caro Padre ne fu veramente commosso, al sentire i tanti sacrifizi che avete fatto col servirvi dei denari delle mance in deposito per far celebrare messe per la sua guarigione.
Ringrazia poi in modo particolare quelli che hanno presa la bella risoluzione di andare tutti i giorni a far visita al SS. Sacramento: e raccomanda a tutti che facciano questa visita, perchè è fonte di ogni speranza. Gode tutto quando parla di questa divozione, tanto è l'amore che egli nutre verso questo Divin Sacramento”.
E Don Lazzero, l’11, tornava a comunicare ad Enria il fervore crescente tra gli alunni, per ottenere da Dio piena e pronta guarigione a Don Bosco:
“Ti ringrazio della lettera che il giorno io mi scrivevi, ed ho ricevuto son pochi momenti. Sia ringraziato il Signore che il nostro Padre continua a migliorare. Noi continueremo col medesimo fervore, anzi il fervore nei giovani cresce sempre più.
Son già parecchi giorni che i giovani artigiani vanno quasi tutti a far la visita in chiesa per implorare dal SS. Cuore [285] di Gesù e di Maria la pronta guarigione dell'amatissimo padre Don Bosco. Dicono per vezzo, che a qualunque costo non vogliono più lasciar venire ammalato Don Bosco. Oltre a tutte le altre offerte, questa mattina ancora si ricevettero lire 9 per una novena di messe dalla Compagnia di S. Giuseppe; parimente lire 7 dal resto degli artigiani per la celebrazione di messe e tutto questo per la pronta guarigione di Don Bosco. Stasera rallegrerò un poco gli artigiani colla tua lettera, ed io ti faccio anticipati ringraziamenti da parte loro. Ringrazia Don Bosco da parte mia, e da parte degli assistenti degli artigiani, dei cordiali ed affettuosi saluti che si degnò mandarci per mezzo tuo. Oh quanto rallegrano il cuore quei saluti! La lettera, qui racchiusa, me l'hanno data gli allievi del corso di francese da dare nelle mani di Don Bosco, tu fa' come credi. Se chiamerà chi sia il loro maestro, dirai che è il ch. Martin.
Noi qui stiamo tutti bene e si aspetta Don Bosco con ansietà. Tanti rispetti a Don Bosco da parte di tutti e di me specialmente...”.
Le notizie si facevano sempre più consolanti. Lo stesso giorno da Varazze Don Cagliero scriveva a Don Rua: „Il signor Don Bosco migliora sempre, cioè non ha più quel caldi - freddi intermittenti come l'altro dì. La migliare traspare dalla cute appena ha mangiato. Il medico però di questo non fa gran caso, e per domenica gli permetterà di alzarsi, e passeggiare per la camera. Se veramente continua questo miglioramento, dico veramente continua, allora si è certi di cantare presto il Te Deum”.
La gioia santa che in tutti destò il miglioramento dell'amatissimo Padre, e più ancora un suo particolare saluto, fu indescrivibile. “Per ben due volte - scrivevano due assistenti degli artigiani, i chierici Luigi Rocca e Giuseppe Farina - abbiamo avuto l'onore di ricevere i saluti del nostro caro Padre Don Bosco; e fu viva la consolazione che provammo, allorchè abbiam saputo, che furono a lui gradevoli i nostri umili rispetti. Nè meno dobbiamo esser grati al nostro buon Enria della sollecitudine che prese per noi.
Il nostro cuore si vestì di novella letizia all'udire come [286] Iddio, mosso dalle instancabili preghiere di molti fedeli uniti in un sol cuore, e dalle possenti suppliche del suo Vicario in terra, abbia voluto ridonare al nostro amore un padre tanto caro.
Egli è commovente il vedere i nostri artigiani lasciare i divertimenti ed i giuochi per accorrere ai piedi del Sacro Altare, e con fervide preci implorare la grazia di presto riveder sano e salvo il nostro amatissimo padre.
Caro Enria, noi la preghiamo di voler offrire ossequiosi i nostri cuori al caro Padre, chè null'altro desideriamo, se non di gustare la dolce sua presenza e di ascoltare le sue consolanti parole”.
Don Cagliero tornava a Torino il giorno 12, e recava a Buzzetti queste righe, scritte da Enria alle due del mattino: „È vero che Don Cagliero vi porta notizie di Don Bosco, ma io non debbo lasciare sfuggire questa occasione per mandarvi un saluto da parte del nostro amato padre. Oggi egli sta un po' meglio. Ha voluto che colle forbici gli tagliassi la barba e si è lavato le mani e la faccia con acqua calda. Passò bene la giornata e ora dorme tranquillamente. Abbiamo ferma speranza di vederlo domenica uscire un poco dal letto. Una sua visita sarebbe un gran regalo per Don Bosco...”.
E di quella sera Enria tornava a scrivergli: “Caro Giuseppe, oggi il nostro amoroso Padre fu un poco più agitato. Ne è cagione il residuo dell'ultima eruzione di migliari, che si vedono ancora sparse qua e là sulla sua persona. Quelle che erano tra carne e pelle escono poco per volta mentre le altre disseccano. Il suo stato non è peggiore, ma ha migliorato ben poco. Quest'oggi è agitato per un sogno che fece nella notte scorsa...”.
Ma l'indomani Don Francesia inviava a Don Rua buone notizie: “Oggi Don Bosco sta ancor bene, passò una notte tranquilla come mai e neppure scossa dai soliti sogni, che lo agitavano e spaventavano gli altri. Ieri per esempio fu tutto il giorno colla paura di un sogno su Don Savio. Si era sognato che Don Savio a Chieri tirava acqua dal pozzo, avendo vicino Don Giacomelli. Tirando su, la corda trova intoppo, si fanno sforzi, si sente rumore, e rotola dentro [287] colla secchia chi la tirava fuori. Don Giacomelli, per tirarlo su, cala la corda una e due volte, e Don Savio non risale; ma salì la secchia vuota. Si mise allora a chiamarlo con alte grida. Don Bosco che era stato testimonio di tutto, sbalordito alla disgrazia, gridò sì forte che si svegliò, ed Enria che stava sonnecchiando seduto al tavolino, s'alzò in piedi spaventato, corse al letto a vedere e vide Don Bosco svegliato che ridendo gli raccontò il sogno del pozzo. Si ricordò bellamente la comare, pensò al buon Gastini e poi cercò di continuare il sonno interrotto. Ma non fu più possibile. Malgrado sapesse che era un sogno, tuttavia non aveva membro che tenesse fermo e tutto il giorno ebbe sempre molto ribrezzo e agitazione. Come vedi, Don Bosco fa sempre le sue scorrerie, or qua ed or là, e si trova però sempre in mezzo ai suoi.
Cominciamo a discorrere con qualche fondamento sul prossimo nostro ritorno a Torino. Oh che Te Deum avremo da cantare! Le migliari sono però sempre lì tra pelle e pelle, e non vogliono ancor seccare..”.
Il 14, finalmente, si levò dal letto per un po' di tempo, e Don Francesia ne dava comunicazione a Don Rua: „Don Bosco calò giù dal letto, e stette più di due ore levato. In principio era stanco; dopo si sentiva sempre più in forze. La letizia fra i nostri giovani fu immensa. Si misero a gridare: Viva Don Bosco! da tutte le parti, e poi presero d'assalto la sua camera e fu necessità lasciarli entrare. Don Bosco vestito di tutto punto, seduto sul seggiolone, ridendo e festoso ricevette tutti i nostri allievi. Era spettacolo da piangere. Siamo dunque a buon punto; ne sia ringraziato il Signore.
La contessa Callori ci caricò oggi di regali per Don Bosco convalescente [con tre biglietti da cento pel brodo].
Ricevette con piacere le lettere della scuola di 4a ginnasiale, con quella del loro maestro. Di tanto bel movimento laus Deo et Deiparae!”.
Ed Enria più ampiamente a Buzzetti: „Oh! gioia, o contento; Don Bosco va molto bene; passò tranquillissima la notte dal sabato alla domenica. Al mattino alle ore 6 ha preso la S. Comunione dalle mani di Don Francesia che era [288] molto commosso. Il volto di Don Bosco in questo istante prese una tale espressione che resta impossibile il descriverlo.
Alle 11 volle vestirsi e discendere da letto. Io temeva che non potesse resistere e gli venisse male, perchè non reggevasi sulle gambe. Erano sei settimane che non si era più alzato. Lo abbiamo fatto sedere, avviluppandolo nei suoi panni ben riscaldati, e quindi gli recammo da pranzo. Dopo fece quattro o cinque giri per la stanza sorretto da tre. Stette alzato sino alle 5. In questo tempo vennero in ordine ed in silenzio tutti i giovani del collegio a baciargli la mano. Non l'avevano mai veduto in tutto il tempo della malattia. Don Bosco non parlava per non stancarsi, ma era così contento che gli pareva di non aver più nessun male. Per ultimo venne la scuola del ch. [Francesco] Borgatello composta di circa quaranta giovani tra interni ed esterni, che gli portarono un bel regalo di confetti, con una piccola somma raccolta fra di loro. Era una cosa commovente vedere con che amore ed allegrezza portavano quel dono. Il nostro Padre lo accettò con piacere e, dopo averli ringraziati, distribuì un confetto a ciascheduno, che lo riceveva con rispetto e gli baciava la mano. Povero Padre era così contento! Rideva proprio di cuore!
Alle 5 rientrò nel suo letto, rifatto, e dormi tranquillo dalle 6 alle 7, e poi dalle 10 fino all'alba...”.
Gli alunni di Varazze avevano compreso anch'essi quanto erano amati dal Santo. Sovente egli aveva incaricato il direttore di salutarli da parte sua; più volte mandò a chiamare il maestro di musica (come narrava Don G. B. Urbano, allora allievo di quella scuola) per fargli correggere alcuni difetti nell'esercizio dei canti, che aveva udito eseguire. Mentre era più aggravato dal male sentì un ragazzo che piangeva in cortile sotto le sue finestre; non seppe resistere e disse subito ad Enria: - Fàmmi il piacere, va' subito a vedere che cosa ha fatto quel povero ragazzo. - Enria andò, ed apprese che piangeva perchè la madre, recatasi a trovarlo, era partita; e con buone parole e con qualche confetto l'acquietò. Il cuore di Don Bosco era così fatto da non poter sopportare che i giovani soffrissero. Se veniva a sapere che [289] un assistente ne avesse maltrattato qualcuno, lo riprendeva severamente. Un giorno, essendo festa in collegio, raccomandò al prefetto che li facesse stare allegri, dando loro qualche cosa di più a tavola.
Il 15 gennaio Enria scriveva a Buzzetti: “Amico carissimo. Ho ricevuto la tapioca, il vermouth, i grissini; grazie tante. Don Bosco mi domandò:
- Chi ha mandato tutta quella roba?
- Buzzetti, gli risposi, il quale la saluta con tutto l'affetto del suo cuore.
- Buzzetti, mi disse, mi manda sempre tapioca ed altro, e non è capace a venirmi a vedere, a farmi una visita. Mi farebbe tanto piacere.
- Ma veda, io gli feci osservare, a quest'ora sarebbe già venuto, ma la lontananza... la spesa... e poi sono tanti che desiderano di venire, che ha timore o di far eccezione o di dare la spinta a troppi colla sua venuta.
- Che m'importa di tutte queste ragioni? Una sua visita mi farebbe piacere. Scriviglielo.
Venga adunque, e lasci che gli altri dicano quello che vogliono. Parta subito. Io l'aspetto. Don Bosco lo desidera e quando vede qualcuno dell'Oratorio, gli pare che tutto il suo male se ne vada...”.
Nello stesso giorno veniva spedito a Buzzetti questo telegramma: “Ieri festa; Papà alzato; sua visita piacerebbe; oggi bene”. Le parole “Papà alzato” si diffusero in un baleno nell'Oratorio, sollevando una dimostrazione di gioia e di entusiasmo indescrivibile; si correva, si applaudiva, si benediceva la Madonna. La banda musicale si portò nel cortile, e lo fece risuonare di allegre sinfonie. In fine Don Rua invitò tutti a recarsi nel Santuario per render grazie al Signore dell'iniziata convalescenza del veneratissimo Padre.
La buona “mamma” Callori gl'inviava premurosamente una giubbetta di lana rossa, e il 16 Don Francesia la ringraziava così: “Ieri abbiamo ricevuto quanto la buona Mamma spediva al suo povero figlio ammalato e lontano. Don Bosco della stessa sera ebbe tra le mani la giubba, e stamattina la indossò. Sta bene e dice che sembra un gambero cotto. Questo [290] è il secondo giorno che si leva. Ieri volle star su cinque ore intiere, e quando coricossi il fece con rincrescimento, ed oggi volle levarsi un'ora prima. Le precauzioni che Ella consigliò a Doli Cagliero, e che questi ci lascia indovinare, cercheremo di praticarle a fine di non tornare indietro. Faremo anche uso dell'estratto di carne, che la sua carità provvide per Don Bosco. Quando egli toccò le cose sue, ripetè, ridendo: - Quante finezze, quanti riguardi pel povero Don Bosco! - Egli solo si crede di non meritarsele: forse da Lei, no; ma da noi?
Fece già alcuni giri per la camera, ed oggi speriamo che ne farà di più, e che entro la settimana potrà uscire dalla camera delle croci. Non tema che sia precoce l'uscita, che in questo clima di quasi perpetua primavera alletta bene una boccata d'aria libera, e non fa punto punto freddo. Sul mezzodì sembra d'essere costà nel mese di maggio, epperciò non c'è a temere. Speriamo adunque che il bollettino sanitario non faccia più bisogno. Scriveremo a Lei qualche volta, o meglio, spero che Don Bosco scriverà a ringraziarla di tutte le cose che fa a suo bene.
Il medico non teme più nessuna recrudescenza, e spera che il meglio vero, che abbiamo, continuerà lungo tempo. E ciò dopo la benedizione papale...”.
Il miglioramento proseguiva in modo consolante, e Don Francesia ne inviava dettagliato ragguaglio all'Oratorio:
Ieri Don Bosco volle fare il poeta e scrisse di vena una faceta poesia per la Contessa Callori, che il volle trattare tanto maternamente. Io la trascrissi, e servirà di bell'esempio a noi come mostrarci riconoscenti ai nostri benefattori.
Se fa poesie dunque sta bene, dirai. Questa volta possiamo quasi dire di sì. È vero che ogni due o tre giorni, appunto sul cader del giorno, viene tutto coperto di sudore, però senz'altro effetto. Il medico teme che sia ancora un po' di febbre, ma è così leggera che non conta. Da quattro giorni intanto si leva, legge da sè le lettere e non ha più bisogno di nessun segretario. I primi che ebbero questo favore sono quelli che scrissero lunedì, e mi pare che fossero due artigiani del medesimo laboratorio. [291] Passeggia per la camera, assistito sempre da qualcuno di noi. Gli abbiamo provveduto un bastoncello da appoggiarsi, ma poco assuefatto non ne riceve ancora quel benefizio che se ne desidera.
Nel corridoio superiore del collegio di Lanzo mi ricordo d'aver veduto, in uno dei quadri della storia di S. Filippo, questo santo già molto avanzato negli anni, colla barba lunga e bianca, attorniato dai suoi figliuoli spirituali, anch'esso col suo bastoncello onde sostenersi, e alla soave idea, alla somiglianza che mi pareva perfetta, ebbi molto a godere e a ringraziare il Signore che ci aveva riserbati a tanto.
Non è che siamo al caso che Don Bosco ne abbia sempre bisogno per sè, ma dice che ne avrà bisogno per iscacciare il demonio, che ora freme e si agita per i gravi colpi che riceve nell'Oratorio durante la sua malattia. Che strage allora!
Ieri ebbe la consolazione di veder Rossi Giuseppe, che al vederlo seduto sul canapè, colla barba piuttosto lunga, non però tanto sparuto, quanto coll'immaginazione se lo era figurato, non sapeva dire altro: - Oh Don Bosco! Oh Don Bosco! - E l'avrà detto un quindici volte senza esagerazione.
Il giorno prima il Cav. Lingiardi, che costruisce un organo in un paesello vicino, venne a vederlo. Quel buon signore, tanto grande, com'è, e vecchio, tuttavia entrato nella camera guardò Don Bosco estatico e commosso, e poi cadendogli ai piedi non fece che piangere e piangere... Venendo poi a parlare de' suoi interessi, lasciò che Don Bosco dicesse a Don Cagliero che gli mandasse quelle 1500 lire che ha, e poi farebbe quietanza di saldo. A Don Bosco sano forse non avrebbe ceduto, ma a Don Bosco indisposto non fu difficile a persuadersi. Ringraziamo la Divina Provvidenza che in tanti modi pensa a noi, e che si serve di ogni circostanza.
Sabato i pescatori vollero fare il loro presente au marotto [all'ammalato] e portarono quattro bellissime triglie...
E terminava trascrivendo la poesia inviata da Don Bosco alla contessa Callori:
Alla mia buona mamma che mi mandò un giubbetto rosso e un prezioso consumé:
Tanto è benefica |
Or ella màndami |
La mamma mia |
Un bel giubbetto |
Che a far buone opere |
Che servir possami |
Tutto darìa. |
Seduto in letto: |
|
|
Accenti deboli |
Di color rosso |
Solo dir posso, |
Me l'ha mandato, |
Perchè mi sento |
E che sia martire |
Tutto commosso. |
Il segno ha dato. [292] |
V'aggiunse un recipe |
Quando poi termini |
Di consumé, |
Cotesto esiglio, |
Buono e valevole |
Con voi chiamateli |
Per cento e tre. |
E madre e figlio. |
Madre santissima, |
La sua famiglia |
Per lei pregate, |
Sia là con lei, |
Di grazie un cumolo |
Tutti sian mero , |
Dal ciel versate. |
l i figli miei. |
Dàtele un secolo |
Là canteremo |
Di sanità, |
Dolce armonia, |
Abbia degli Angioli |
Per tutti i secoli, |
La santità. |
Viva Maria! |
Il Signore vi benedica e prosperi sempre più la salute del nostro povero Papà!...
A Buzzetti continuavano a giungere le più cordiali e diciam pure, le più vive insistenze, perchè si recasse a fare una visita a Don Bosco; ma non cangiò parere, ed offerse anche quella mortificazione a Dio per la salute del Padre. Tuttavia parve conveniente che i confratelli coadiutori avessero anch'essi un rappresentante in tale omaggio di devozione filiale, e si decise che andasse a visitarlo Rossi Giuseppe, che doveva recarsi a Genova per provviste.
Il Santo, quando vedeva qualcuno dei suoi, provava una contentezza che non si può esprimere. Gli domandava subito: - Hai fatto buon viaggio?... Hai già pranzato?... Ti occorre qualche cosa? Dìllo... Se sei stanco, diremo al Direttore che ti prepari subito una camera!... - E quasi non dava tempo a nessuno di chiedergli notizie della sua salute. Domandava informazioni della loro casa, come stessero i confratelli, gli alunni interni, gli esterni, i benefattori. E quando partivano, li ringraziava della visita, e li pregava di salutare i compagni e gli alunni, e di ringraziar anch'essi delle preghiere fatte per lui: - Li benedico tutti, diceva, e prego Dio che li tenga in salute in questo mondo, finchè non ci riunisca tutti in paradiso. Le cose di questa terra son passeggere, ma il paradiso è eterno! [293]
La visita di Rossi tornò particolarmente cara al dolcissimo Padre. „È arrivato Rossi Giuseppe, e ciò - ripeteva Enria a Buzzetti - ha fatto molto piacere a Don Bosco, il quale quando vede qualcuno dell'Oratorio prova una contentezza che non si può esprimere. La sua salute da domenica fino ad oggi va sempre migliorando. Nei giorni passati bisognava sempre sorreggerlo tra due; crescendo in forze, prese il bastone per appoggiarsi; ma oggi camminava senza alcun sostegno. Mangia con assai appetito.
Alla sera verso le cinque, lo prende sempre una febbre leggera che dura anche fino a mezzanotte. Ciò basta a non lasciargli prendere sonno sino all'1, o alle 2. Sono conseguenze dei foruncoli che seguitano ad uscire.
I visitatori, specialmente da Genova, si succedono tre o quattro volte alla settimana. È venuto il barone Cataldi e tanti altri signori. Oggi venne il sig. Canale, stasera il Parroco di Alassio con Don Cerruti Francesco, Direttore di quel Collegio. Don Bosco in mezzo a' suoi dolori prova grande consolazione nel rivedere i suoi cari.
Ho ricevuto la bellissima lettera del maestro De - Vecchi, e ne ho fatto parola a Don Bosco. Ha voluto vederla, lodò il carattere, poi la lesse da capo a fondo, e ne fu così contento che mi disse: - Ha un cuore veramente buono e cristiano: ringrazialo da parte mia delle preghiere che ha fatto per la mia guarigione”.
E Rossi, colmo di santa letizia, scriveva a Don Rua: “Ieri [16], alle due pomeridiane, con sommo mio piacere ho veduto il caro e sempre amatissimo nostro Padre, e quello che ha messo il colmo alla mia gioia si è di vederlo alzato da letto...
Mi domandò di tante cose dell'Oratorio ed in modo particolare della S. V. e di tutti i Superiori. È stato fuori del letto dalle 10 del mattino fino alle 5 ½ di sera.
Dopo cena mi portai nella sua camera per augurargli una buona notte, e mi ha trattenuto fino alle 10 e ½, interrogandomi or di una cosa ora dell'altra. Non tralascia mai di ringraziare i giovani per le preghiere che fanno per la sua guarigione. [294]
Oggi camminava per la camera e si reggeva senza bastone, e mi disse far esso rapidi progressi. Ha avuto la visita del sig. Canale di Genova, accompagnato da un altro signore. Stasera vennero Don Cerruti ed il Vicario di Alassio, accompagnati dal chierico Tricerri.
Alla sera però ha sempre un po' di febbre, che spero non sarà nulla. Mangia con appetito e digerisce facilmente.
Ringrazia tutti delle belle prove di affetto dimostrate durante la sua malattia. Sarei partito oggi per Genova, se non fosse di Don Bosco che mi ha detto di fermarmi”.
Il ch. Tricerri, che poi uscì dalla Pia Società per insistenze familiari, ma salì ugualmente al sacerdozio, nel 1899 tenendo il discorso ufficiale nell'adunata degli ex - allievi dell'Oratorio, ricordava questo particolare della visita, fatta al Santo a Varazze: „Passeggiando egli su e giù per la camera, appoggiato dolcemente alla mia spalla, ricordo sempre che mi disse: - Caro mio, tu fai scuola ed insegni storia. Bene, ricordati che generale è il lamento della permanente congiura contro il vero... Ami la letteratura? Deh! apri bene gli occhi! - Ed aveva ragione il sant'uomo, poichè il verismo ahi! quante volte bagna la penna nelle cloache”[49].
Continuando il miglioramento, Enria stette due o tre giorni senza mandar notizie, e Buzzetti, prima che giungesse l'ultima da noi riportata, il 19, gli scriveva: „Caro Pietro, sei ancor vivo? e se lo sei, come spero, perchè non attendi alla promessa... di non lasciar passar giorno senza darmi notizie del caro Don Bosco? Dunque, non minchionarmi!”.
“La salute di Don Bosco migliora sempre: le febbri che gli vengono alla sera sono diminuite, e non lo agitano più tanto. Quest'oggi volle pranzare in compagnia di Don Cerruti, Don Albera, Don Francesia. Ho preparato la tavola nella sua camera, così vennero a fargli compagnia. Era così [295] contento di potere dopo tanto tempo pranzare in compagnia, che mangiò con molto gusto. Dopo passeggiò per la camera ed uscito da questa per la prima volta, si recò in una stanza vicina per continuare un poco di moto.
Abbiamo ferma speranza di vederlo sempre migliorare, e, se a Dio piacerà, di qui a 20 giorni saremo all'Oratorio. Ah, caro Giuseppe, se sentisse il nostro buon Padre con che piacere parla di quel giorno, in cui gli sarà dato di ritornare a Torino, in mezzo ai diletti suoi figli, che esso ama più di se stesso. Alcune volte esce in questa esclamazione: - Ah quel giorno che entreremo nell'Oratorio!... - E poi resta commosso e assorto nel pensiero di tutto ciò che proverà il suo cuore nel rientrare in quella casa benedetta; e più non fa parola per lunghe ore.
Per noi pure il giorno più bello sarà quello del suo ritorno, perchè Dio ce lo ridona nella sua primiera salute. Se il Signore non si muoveva a pietà di noi, coll'esaudire le nostre molte preghiere, Don Bosco non avrebbe potuto reggere al gran male che soffriva. Di ciò posso io farne fede, che fui testimonio di tutta la sua malattia. Ebbe circa dodici eruzioni di migliari, più volte mutò la pelle, per sei intere settimane fu sempre tutto in un sudore copioso.
Adesso egli ha bisogno di una lunga convalescenza, tranquilla e senza disturbo di sorta. Questa notte dorme tranquillo e senza agitazione.
Sono le 3 ant. e continua placidamente.
Rossi Giuseppe è partito ieri da Varazze per far provvista di assi da lavoro...”.
E Don Francesia il 21 scriveva a Don Rua: “Don Bosco sta sempre bene. Speriamo che nella settimana calerà a dir messa. Farà epoca una tal cosa. Legge da sè ogni foglio che gli si manda e ieri sera volle confessare una parte dei nostri giovani. Il medico pare che metta incaglio a partire la settimana ultima di gennaio e prima di febbraio. Tuttavia, se preghiamo, abbiamo tutto a sperare che alli 2 del prossimo potremo avviarci a Torino. Lo desidero più di voi vivamente”.
Ormai le notizie erano sempre più consolanti. Il miglioramento [296] progrediva in forma regolare. Don Bosco si sentiva benino, e sembrava che si sentisse sempre meglio, quando poteva intrattenersi con qualcuno dei figli lontani, e parlar delle cose nostre e dell'andamento delle case.
Non erano ancor andati a visitarlo i direttori di Borgo S. Martino e di Lanzo. Don Bonetti differiva la visita da un giorno all'altro per bisogni particolari, ed era sempre atteso. Don Bosco fece scrivere a Don Lemoyne che voleva vederlo „perchè senza di lui non poteva star bene”, e diceva a Don Cuffia:
- Guarda, Don Lemoyne riceverà la lettera sabato (20 gennaio). Confessàti i giovani e fatta la predica domenica mattina e sera, partirà subito per Torino, ove pernotterà. Salirà sul I° convoglio diretto del lunedì, e giungerà a Varazze verso le 2 1/2 pomeridiane. Tu procura che qualcuno gli vada incontro per portargli il sacco da viaggio.
- Oh la cosa non andrà così, rispose Don Cuffia: Don Lemoyne da Sampierdarena andrà a Genova per vedere sua madre, e non sarà qui prima di martedì.
- Se tu parli così, dài a vedere che non conosci Don Lemoyne.
Don Bosco era così sicuro di questa previsione che ordinò si preparasse la tavola pel pranzo in camera sua verso le 3. Don Cuffia però non smise quell'ubbia, e non mandò nessuno alla stazione.
Lunedì arrivava Don Lemoyne e col sacco in mano entrava, nell'ora preveduta, nella stanza di Don Bosco, avendo fatto punto per punto com'egli aveva detto.
Appena lo vide: - E nessuno ti è venuto incontro? gli disse.
- E non sei stato a Genova a veder tua madre? soggiunse sorridendo.
- Deviare dalla mia strada, mentre sapevo che Don Bosco era ammalato e mi aspettava, dopo avermi invitato con tanto affetto? Mi perdoni, ma un po' di cuore e un po' di cervello l'ho ancora.
- E che cosa hai pensato, quando sapesti che io stavo così male? Temesti forse che io fossi per morire? [297]
- Io? Non ebbi mai nessuna paura di questo. Mi rincresceva che Don Bosco patisse, ma era sicuro che non sarebbe morto.
- Si ricorda il sogno delle dieci colline? Or bene. Lei giunse sull'ottava. Io calcolo 10 anni per collina. Dunque deve avvicinarsi agli 80 anni. Di più nel sogno era curvo della persona e senza denti, mentre ora non è ancora così.
- Ma qui a Varazze si aveva una gran paura che io morissi. Una sera che stavo malissimo pregai Don Francesia che mandasse a chiamare il notaio, essendo da uomo prudente far testamento, ma Don Francesia si mise a piangere e scappò via.
E prese a narrargli come Don Cuffia ritenesse per certo che egli non si sarebbe recato direttamente a Varazze.
Ed alle 3 pomeridiane, come aveva stabilito, egli pranzò in camera insieme con Don Lemoyne, Don Francesia, Don Cuffia ed il Capostazione: e passò la giornata così bene, come mai dopo la malattia. Stette levato dalle 10 del mattino alle 9 di sera, e:
- Questo è il primo giorno, diceva, in cui sento appetito, gli altri giorni mangiava per tenermi su.
Si sperava, se il miglioramento rimaneva progressivo, che avrebbe potuto esser a Torino per l'ultima domenica di carnevale.
Il 24 cominciò a discendere le scale: „dal secondo piano discese al primo e andò nel refettorio dei chierici a passeggiare”. Enria gli fece di nuovo la barba e gli scorciò i capelli. Ed aveva un bel colore, che sembrava non fosse stato ammalato per tanto tempo; i furuncoli erano completamente scomparsi, le miliari cessate del tutto.
Verso sera si recarono in collegio l'organista della chiesa di S. Ambrogio e vari signori della compagnia filarmonica a dare un concerto musicale nella camera di Don Bosco, sapendo quanto amasse anche la musica. Formavano una bella e buona orchestrina con tre violini, un violoncello, un flauto e un clarino. Eran presenti anche il Segretario Comunale, il Capostazione, il medico, il Sindaco, il Parroco, e [298] vari superiori del collegio. La stupenda esecuzione di varie melodie imparadisò Don Bosco, che non cessava di ringraziare quei bravi signori, e di applaudire dicendo: - Se si suona così bene qui in terra, che musica sarà quella del Paradiso! Auguro a voi tutti di far parte un giorno della grande orchestra celeste, e a noi di poter godere di quei dolci suoni che dureranno in eterno. Ringrazio tutti, particolarmente dal profondo del cuore i signori musici (e li nominò a uno a uno) che hanno voluto onorare il povero Don Bosco e procurargli un piacere così gradito! Ringrazio anche tutte le Pie Persone che colle loro preghiere ottennero finalmente la mia ormai completa guarigione. Ringrazio il sig. Parroco, il sig. Sindaco, e tutti i cittadini di Varazze della loro benevolenza e della carità che mi hanno usata...
La sera dopo tenne conferenza a tutti i confratelli, sacerdoti, chierici e coadiutori, dalle 9 alle 10, parlando della gratitudine che si ha da avere per quelli che ci hanno fatto o ci fanno del bene.
Il 26 andò a visitare la cappella, poi passeggiò circa un'ora in cortile in compagnia di Don Bonetti, direttore di Borgo S. Martino, che finalmente s'era portato egli pure a fargli visita a nome di tutto il collegio.
Ogni giorno andavano a visitarlo anche persone autorevoli di Varazze o dei dintorni, e tutte partivano edificate dalla sua santità. Vari furono uditi esclamare: - Credevamo di vedere un gran prelato, ed invece abbiamo trovato un umile prete! ma che semplicità, che bontà nei suoi modi! - Altri: - Sarei stato tutto il giorno in sua compagnia! - E, come sempre, egli diceva a tutti una buona parola adatta al bisogno ed alle condizioni spirituali di ciascuno.
Don Bonetti il 27 scriveva a Don Rua:
“Finalmente ho potuto recarmi a fare la sospirata visita al nostro carissimo sig. Don Bosco. L'ho trovato assai bene, e più ebbi la fortuna di accompagnarlo sino in cappella e nel cortile che visitò per la prima volta dopo la funesta malattia. Bisogna adunque preparare una bella festa in ringraziamento a Dio.
Mi lascia a dirti che lunedì [il 29] si recherà ad Alassio, [299] dove starà la settimana ventura, e quindi se avrai bisogno di lui rivolgiti colà.
E tua madre come sta? Salutala anche per parte di Don Bosco...[50].
P. S. Saluta Don [Francesco] Provera e tiragli le orecchie lunedì prossimo [il 29, suo onomastico]. Don Bosco progetterebbe di far ritorno costì il mercoledì o giovedì grasso... Però non si può accertare. Tu potrai scrivergli ad Alassio...”.
E Don Francesia postillava la lettera così: „Finisce l'uno e comincia l'altro... Di Don Bosco hai le notizie che ti dà Don Bonetti. Andrà ad Alassio a dispetto di molti ed anche del medico che crede intempestiva questa partenza. Io era e sono per il pronto ritorno a Torino. Don Bosco dice che io ci ho i miei motivi e timori, ma tutti individuali, e non crede di doverli accettare. Speriamo che i timori saranno ombre, e che tutto andrà a seconda dei nostri desideri. Ritornerà a Varazze o sabato o lunedì della settimana ventura...”.
Tutto, grazie a Dio, andava sempre meglio. La domenica 28 a Varazze si anticipò la festa di S. Francesco di Sales, e Don Bosco - scriveva Enria - „ha detto per la prima volta messa, che fu quella della Comunione, la quale però venne distribuita da un altro.
Si è fatta una gran festa. Venne il Prevosto con due canonici, il Sindaco, il sig. Prefumo venuto apposta da Genova, un altro signore ed il medico. Tutti pranzarono con Don Bosco. Quasi tutti quei del collegio fecero la santa Comunione [300]. Si cantò messa. Nei cortili era ripetuto il grido di „Viva Don Bosco!”. Tutti erano pieni d'allegrezza di poter rendere grazie a Dio per la sua guarigione. Dopo pranzo gli si fece un poco di festa, si cantò lo strambotto, e furono lette belle composizioni...”.
Il 30 gennaio partiva per Alassio. Fece un viaggio felicissimo, senza soffrire menomamente. „Giunto al collegio - scriveva Enria - fu accolto, con trasporto di amore e con mille applausi, dai superiori e dai giovinetti. Questa mattina [il 31] passeggiò per circa due ore nel giardino”.
Ed aggiungeva: “Gli ho detto che sarebbe meglio differire la sua partenza per Torino, poichè temo che il freddo gli faccia male, ed è ancora troppo debole. Don Rua potrebbe scrivergli in questo senso...”.
Anche Don Francesia inviava notizie della partenza per Alassio: “Spero che avrà fatto buon viaggio, chè glie lo augurai di tutto cuore. Il Prevosto ed io l'abbiam accompagnato fino a Savona. Di qui ad Alassio rimase col solo e fortunato Enria. Il paese nostro uscì fuori ad onorare e felicitare Don Bosco che era guarito. Lo crediamo guarito, ma si ha ancora molto bisogno che si preghi per lui. Qualche piccola eruzione compare sempre ad avvisarci di stare in guardia e di pregare il Signore a volerla far finita una volta. Speriamo che questi incomodi non avranno conseguenze, ma intanto ora non lo lasciano dormire e gli impediscono di lavorare. Mi lasciò adunque di raccomandare che si continui a pregare e che questo venerdì s'incominci la novena di S. Francesco. Ho mosso tutte le mie batterie perchè tal fosse alla Sessagesima e non potei riuscirci: era troppo desideroso di far prima una gita ad Alassio.
Sarà di ritorno a Varazze lunedì p. v. [il 5 febbraio], si fermerà un giorno o due e poi prenderà la via di Torino. Alla nostra partenza ti avviserò prontamente se sarà mercoledì o giovedì e con quale convoglio.
Voi gli preparate belle feste e noi gliele abbiamo già [301] fatte domenica u. s., in cui abbiamo voluto anticipare San Francesco per avere Don Bosco con noi. Fu oltre ogni dire allegra quella festicciola e Don Bosco con molti Varazzini ne furono soddisfatti assai. Si cantò lo strambotto di De - Vecchi con poesia, adattata ai casi nostri, e all'esecuzione si pianse e si rise. Nella sua camera si volle mettere la seguente iscrizione a capo del letto:
In questo letto - entro a questa camera - predicò co' suoi dolori - per lo spazio di giorni cinquanta - il nostro caro Padre Don Bosco. - Come ci parvero lunghi ed affannosi!
È impossibile che ora ti possa esprimere il dispiacere che provano con me tutti i nostri giovani di esserne privi. Tutti i nostri affanni tornarono colla sua partenza. Quando era qui ci dimenticavamo delle nostre pene, le raccontavamo a lui, ne prendevamo consiglio: lui era la nostra guida; ma ora andò a rallegrare altri. Non è che siamo invidiosi, ma accostumati a tanto sorriso di cielo, ora ne soffriamo troppo per la privazione. Purchè ad Alassio non sia visitato da altro malore e che al giorno fisso possiamo prendere la via di Torino. Egli lo spera e tutti gli altri con lui.
Per ora non so dirti altro: continuiamo a pregare; fate una solenne novena, per fare una solennissima festa, rallegrata da Don Bosco. Egli è salvo, ma con molti incomodi. Disse messa domenica, ma non potè più, nè sa se lo potrà ad Alassio e se dovrà privarsi di questo gran conforto sino al tempo che sarà a Torino. Se avete qualche cosa d'importante a dirgli, sino a lunedì in Alassio, poi a Varazze. Mi dicono che voi siete in primavera; noi in estate senza le sue molestie...”.
A Torino si faceva sempre più viva la gioia per il ritorno del Santo.
“De - Vecchi - scriveva Buzzetti ad Enria - prepara una bella polka fantastica con nuovi strumenti. Sento che forse verrete a casa senza darci avviso. Si dice che sabato sarete di nuovo a Varazze, domenica a Genova, lunedì ad Alessandria, e... e... e Torino. Guarda di non minchionare; tienmi al corrente di tutto, del resto guai a te. [302]
Si è preparato un bell'altarino, affinchè Don Bosco possa dir messa in camera, o nella biblioteca, senza discendere a prender freddo ecc.”.
Ed Enria a Buzzetti: “Don Bosco continua a star bene. Oggi [4 febbraio] celebrerà la S. Messa, che da domenica non aveva più potuto dirla. Abbiamo qui il Vescovo di Albenga che dirà la prima Messa della Comunità e farà la Comunione generale. Si fa una piccola festa di ringraziamento al Signore per la guarigione di Don Bosco.
Ieri Don Bosco andò a parlare ai giovani dopo le orazioni. Se avesse udito quei giovani! quali grida d'entusiasmo e di contento al vedere finalmente il sospirato padre e all'udire le sue dolci parole!
Se nulla succede che ponga contrattempo, martedì partiremo per Varazze ove ci fermeremo fino a venerdì [il 9 febbraio], nel qual giorno probabilmente ci metteremo in viaggio per Torino ove arriveremo a mezzogiorno...”.
Don Rua prudentemente insistè che si fermasse un po' in Liguria, perchè a Torino, nonostante il bel tempo, di notte e al mattino faceva un freddo indiavolato che gli avrebbe fatto male; e Don Cerruti, il 5, telegrafava a Don Rua: “Vostri riflessi trasportano solennità diciotto corrente. Papà con voi quindici”.
Il giorno dopo Enria confermava il rinvio: “La nostra partenza per Torino non sarà più il giovedì grasso. Probabilmente ci muoveremo il primo venerdì di quaresima. Così ha stabilito Don Bosco...”.
Don Francesia, che non sapeva nulla del rinvio, si recava ad Alassio insieme col Prevosto Don Mombello „per ricondurre - scriveva Enria - il caro Padre nel suo collegio, e quindi accompagnarlo a Torino, siccome era stato stabilito prima. Invece Don Bosco partirà per Varazze il [10] con gran dispiacere di Don Francesia, che non potrà più accompagnarlo, avendo il quaresimale in parrocchia.
Ha fatto bene Don Rua a scrivergli di fermarsi ancora qualche tempo in Liguria. Moltissime lettere di amici di Torino ed anche la Contessa Callori gli ripetono di non muoversi fino alla fine del mese, per lasciare che il freddo si calmi. [303]
Se Don Bosco partisse non prima almeno della seconda domenica di quaresima vi sarebbero due vantaggi: primo quello della salute del nostro amato Padre, e poi che la festa riuscirebbe più bella e più tranquilla, essendo in libertà il maestro di musica e tanti altri suonatori della guardia nazionale.
Don Bosco si rinforza sempre più. Da due o tre giorni ha cominciato a lasciare il bastone e ogni giorno passeggia per qualche ora nel giardino.
Domenica assistette per un'ora circa al teatrino ed era contento e rideva, che era un piacere a vederlo...”.
Gran conforto aveva ricevuto e riceveva il Santo dalle lettere che gli giungevano dalle varie Case, dove superiori ed alunni si avvicendavano di continuo in orazione avanti il SS. Sacramento e la Madonna, e facevano Comunioni per la sua salute. All'Oratorio gli artigiani gareggiarono con gli studenti nella forma più commovente. Il giovane artigiano Giovanni Battista Camisassa scriveva ad Enria: „Mi sono state tanto care le sue due lettere, perchè ho potuto avere anch'io notizie del nostro amato padre Don Bosco, e prove dell'affezione che egli mi porta. Mi rincresce che non ho potuto disimpegnare, come desiderava, l'incombenza da lei affidatami [non sappiamo qual fosse, forse si trattava certamente di qualche opera di apostolato a favore di qualche compagno]; ma ciò che ho potuto l'ho fatto volentieri; i musici in generale si sono portati bene con soddisfazione dei superiori e del maestro”.
Ma tutti, come sospiravano il giorno in cui l'avrebbero potuto rivedere, erano anche contenti che facesse ancor un po' di convalescenza lungi dal centro delle ordinarie occupazioni, che l'avrebbero assillato appena di ritorno. Anche la contessa Callori aveva insistito presso Don Francesia, perchè lo persuadesse ad usarsi tale riguardo, ma il Santo era già partito per Alassio. E Don Francesia, ringraziandola della „molta autorità, che ella credeva che potesse esercitare su Don Bosco”, le rispondeva che egli “era uscito dalla sua tutela”. Il Santo, come seppe la cosa, si fece un dovere di comunicare egli stesso alla Contessa il rinviato ritorno. [304]
Sebbene un po' discolo, stimo e tengo come tesoro i consigli della mia buona Mamma. Appunto per secondarli, invece di recarmi a Torino, come molti insistevano, sono venuto ad Alassio dove ho passato dodici giorni con molto vantaggio. Domani vado a Varazze, e sul finire della settimana spero di recarmi a Torino. La mia sanità trovasi in buono stato, e con qualche riguardo spero poter ripigliare le più premurose occupazioni.
Avrei ancor passata qualche settimana in questi ameni paesi, ma ci debbo rinunciare, perciocchè essendo tra noi il solo questuante Don Bosco, mancando esso da molto tempo, le finanze sono ridotte al dissesto. Noti però che ho consultati due medici, con cui conviene anche il medico Fissore, i quali mi dissero che, usandomi qualche riguardo, posso fare ritorno all'Oratorio.
Ella ebbe la bontà di chiedere tante volte di mie notizie e di usarmi bontà in tanti modi, ma non mi disse mai parola di sua sanità! Ciò mi fa supporre che le cose non vadano ancor tanto bene. Facciasi coraggio. Se le preghiere di questo povero figlio sono ascoltate da Dio, saranno ogni giorno innalzate per Lei al Signore.
Legga come può questa lettera. Dio benedica Lei, il Sig. Conte e tutta la famiglia e a tutti conceda sanità e perseveranza. Preghi per me e mi creda colla più profonda gratitudine,
Poco prima aveva scritto ad un'altra insigne benefattrice, la Contessa Luigia di Viancino.
La prima lettera che scrivo fuori del letto è quella che ora scrivo alla mia buona mamma, che so aver chiesto di me e aver pregato per questo discolo.
Grazie a Dio sono a buon punto, e nella prossima settimana spero di potermi restituire a Torino, all'Oratorio.
Spero che questa lettera troverà Lei ed il sig. Conte mio buon papà in buona salute, cosa che ogni giorno dimando a Dio nelle deboli mie preghiere.
Finora non so che cosa sia l'inverno; andrò a gustarlo a Torino, se farà ancor freddo. [305]
Dio benedica Lei e il sig. Conte di Lei marito, e conceda ad ambidue lunghi anni di vita felice; preghino anche per me, che con gratitudine mi professo in G. C.,
Nello stesso giorno dava l'annunzio ufficiale del ritorno, e delle modalità con le quali voleva essere accolto, con una tenerissima lettera a Don Rua.
La grazia di N. S. G. C. sia sempre con noi. È tempo, car.mo Don Rua, che ti scriva qualche cosa di positivo da partecipare ai nostri amati figli della Congregazione e dell'Oratorio. Grazie alle molte preghiere la mia sanità si trova in uno stato da poter cominciare a fare qualche cosa, con un po' di riguardo; perciò giovedì prossimo [il 15, secondo giorno di quaresima], a Dio piacendo, sarò a Torino. Mi sento un bisogno grave di andarvi. Io vivo qui col corpo, ma il mio cuore, i miei pensieri e fin le mie parole sono sempre all'Oratorio, in mezzo a voi. A questa una debolezza, ma non la posso vincere.
Io giungerei alle 12, 20 meridiane, ma desidero che non si facciano accoglienze, nè con acclamazioni, nè con musica, nè con baci di mano. Ciò mi potrebbe cagionare del male nello stato in cui mi trovo. Entrerei per la porta maggiore della chiesa per andar tosto a ringraziare Colei, cui debbo la mia guarigione; di poi, se posso, dirò una parola ai giovani, altrimenti la differisco e andrei in refettorio.
Mentre tu darai queste notizie ai nostri cari figli, dirai loro che li ringrazio tutti, ma di cuore, delle preghiere fatte per me; ringrazio tutti quelli che mi hanno scritto, e particolarmente coloro che fecero a Dio offerta della loro vita in vece mia. Ne so i nomi e non li dimenticherò. Quando sarò tra loro, spero di poter esporre una lunga serie di cose, che qui non posso esporre.
Dio vi benedica tutti, e vi conceda sanità stabile col prezioso dono della perseveranza nel bene. Ricevete i saluti di questi fratelli di Alassio, continuate a pregare per me, che, con pienezza di affetto, mi professo in G. C.
P.S. Dimmi se fa molto freddo, e se si fa domenica 18 la festa di S. Francesco di Sales. [306] Il giorno dopo incominciò il viaggio di ritorno. „Don Bosco - scriveva Enria - cammina senza bastone e discende le scale senza nessun sostegno. Oggi [il 10] alle nove e mezzo partiamo per Albenga e ci fermeremo qualche ora a casa del Vescovo, ove probabilmente pranzeremo. Dopo partiremo per Varazze, e giovedì o venerdì saremo a Torino...”.
Partì da Alassio, ossequiato dal Prevosto Della Valle e da alcuni notabili della città, e da tutti gli alunni, schierati in cortile; e scese ad Albenga, dove il Vescovo Mons. Anacleto Siboni l'accolse con giubilo, volle che restasse a pranzo, e s'intrattenne con lui lungamente. Verso sera riprese il viaggio per Varazze, dove, l'indomani, si fece una bella festa in chiesa e fuori; ed egli scriveva al Direttore di Borgo San Martino:
A Dio piacendo giovedì 15 faremo vela per Torino. Tu adunque puoi partire pel primo del mattino, o meglio per quello che ti mette in Alessandria alle 9, 30 circa, dove pel diretto ci troveremo anche noi. Prendere un intiero compartimento sarebbe costato troppo; prendi a S. Martino un biglietto di 2a fino a Torino; così facciamo anche noi.
Se poi ti rincresce tardare il tuo ritorno fino a lunedì, faremo la nostra conferenza della Società il venerdì a sera.
Procura soltanto di prendere teco tutto il danaro che puoi; da tutte parti ne domandano, ed io vado a Torino colle tasche vuote.
Ad ogni modo spero che faremo una bella festa. Dio benedica te, i tuoi e conservi tutti per la via del cielo. Amen.
La gioia, destata dall'annunzio del ritorno del Santo, insieme con colui che assiduamente aveva date notizie della malattia, fu insuperabile, indescrivibile. Don Giuseppe Bologna, nel suo stile bernesco, scriveva all'„Ill.mo signor Cavaliere Barone Enria: - L'impazienza di vederla arrivare è estrema. Si aspetta Don Bosco, ma si aspetta anche Lei. [307] Villanis [il campanaio] sta continuamente sul campanile col canocchiale per vedere quando partite per cominciar subito la baudetta (lo scampanio).
All'arrivo si ucciderà il più bel maiale che ancora esiste nell'Oratorio, perchè gli altri per mano del carnefice già videro la loro fine. Cagna [il cantiniere] battezzò già più bottiglie pel vostro arrivo. Gastini ha già preparate tutte le sue rime che tutte sono in is: amìs, barbìs, Ausiliatrìs, ecc. [amici, baffi, Ausiliatrice].
Martedì [ultimo giorno di carnevale] rottura delle pignatte e vasi, colla musica in tenuta, ma ahi! senza il generale!..
Buzzetti si raccomanda di portar su qualche saracca, e, a proposito, il pesce d'aprile per farne un regalo a Merlo, il pittore, che verrà a colorirci i tamburelli della nuova polka, che sono N° 12, la qual polka si suonerà all'arrivo di Enria. Il tappezziere sta tappezzando due magnifici seggioloni, uno per Don Bosco e quel che sarà alla sua destra per Enria...
Chiudiamo la lettera con una cesta di saluti di tutti i generi... Se vi sono nuove d'importanza, Buzzetti si raccomanda di darle quanto prima...
Ed Enria, il 12, inviava da Varazze le ultime notizie: “Oggi Don Bosco andò a Savona a far visita al Vescovo ed a pranzare con lui. Alle ore 4 era già di ritorno. La nostra partenza è fissata per giovedì 15 febbraio, alle ore 5 e 1/2 di mattino e salendo sul diretto a Sampierdarena. Alle 11 e 1/2 saremo a Torino...”.
Don Provera, intanto, comunicava ai direttori il “Programma delle feste per il ritorno di Don Bosco:
15 febbraio, giovedì, arrivo di Don Bosco.
16, venerdì, conferenza generale.
17, sabato, onoranze a Don Bosco, con un'accademia.
18, domenica, 1a di Quaresima, Festa di S. Francesco di Sales”.
Il 14 da Marassi si recava a Varazze Don Albera per accompagnare Don Bosco a Torino. S'era ottenuto dal Capostazione un compartimento riservato di seconda classe. Tutti i superiori e gli amici volevano che Don Bosco viaggiasse [308] in prima, ed egli aveva risposto che era già da signore la seconda, e che avrebbe potuto accontentarsi della terza.
Senza dubbio non ci son venute tra mano tutte le lettere che il Santo scrisse di quei giorni ai più cari benefattori per ringraziarli delle preghiere fatte e del particolare interessamento dimostratogli durante la lunga malattia. Ma ne abbiamo ancor una, scritta a Varazze, il giorno prima di ripartire per Torino, alla piissima e generosa contessa Uguccioni:
Prima di avviarmi alla volta di Torino voglio scrivere alla mia buona Mamma, sia per ringraziarla delle preghiere fatte per la mia guarigione, sia per indicarle il luogo della mia esistenza. Dimani, a Dio piacendo, sarò a Torino.
Sebbene non sia ancora in perfetta salute, tuttavia con qualche riguardo potrò cominciare a dar sesto agli affari di presente urgenza. Sono oltre a due mesi e mezzo che le cose vanno senza di me.
Spero che questa mia lettera troverà Lei, mia buona Mamma, il signore Tommaso mio buon papà, e tutta la famiglia in buona salute; e Dio voglia conservarli tutti a lunghi anni di vita felice col dono della perseveranza nel bene.
Se ha occasione, la prego di riverire la Sig. March. Nerli, Contessa Digny.
Preghi per me, che le sono con gratitudine,
Il 15 nei cuori di coloro che dovevan partire era un contrasto di affetti: eran contenti di rivedere presto i loro cari di Torino, e rincresceva loro d'abbandonare quei di Varazze, dove avevano provate tante emozioni ed avuto tante prove d'affetto. Si recarono ad augurar buon viaggio a Don Bosco il Prevosto, il Sindaco, altre autorità civili, e vari sacerdoti e signori, ed egli li ringraziò e si raccomandò di nuovo alle loro preghiere, assicurandoli che avrebbe pregato Maria Ausiliatrice per essi in modo particolare. Gli alunni erano schierati in bell'ordine, e Don Bosco passò in mezzo a loro, sorridente e commosso, mentre anch'essi lo salutavano commossi e dolenti della sua partenza. Molte persone l'aspettavano alla stazione e l'avvicinarono anch'esse per salutarlo, ed egli [309] ripeteva a tutti: - Dio vi benedica! Vi raccomanderò al Signore e a Maria SS. Ausiliatrice!
Il Capostazione volle aiutarlo egli stesso a salire in treno e gli baciò la mano; e Don Bosco, con viva riconoscenza per le cortesie da lui ricevute, lo pregava ad ossequiare la sua famiglia e a salutare tutto il personale di servizio.
L'accompagnavano, insieme con Don Francesia, che si fe' supplire per la predicazione quaresimale, Don Albera, Enria e il ch. Turco. Ad Alessandria si unì a loro Don Bonetti, il quale, come prima aveva fatto Don Francesia, prese a narrargli graziosi aneddoti per divagarlo un po' dalla profonda emozione che l'invadeva. Era il medico che aveva suggerito di fare così, temendo che per la commozione gli potesse venir male al cuore.
Alla stazione di Porta Nuova l'attendeva la carrozza della contessa Corsi, ove salirono con lui Don Francesia ed Enria. Gli altri montarono su d'un'altra vettura, inviata dall'Oratorio.
Giunti in piazza Maria Ausiliatrice, senza alcun ricevimento solenne, com'egli aveva voluto, e senza musica, entrò nel Santuario, per la porta maggiore, seguito dai superiori. Nel tempio l'attendevano gli alunni ed altre pie persone e molti benefattori. Appena mise piede nel presbitero, Buzzetti intonò il salmo Laudate, pueri, Dominum, - ed egli, inginocchiatosi ai piedi dell'altare di Maria Ausiliatrice, in mezzo ai superiori, col volto acceso di santo amore, pregò lungamente.
Quindi si alzò, e avvicinatosi alla balaustrata, in silenzio, per alcuni istanti fissò i suoi amati figliuoli con la più viva compiacenza; ed una commozione profonda invase il cuore di tutti. Anch'egli estremamente commosso, prese la parola, o meglio pronunziò poche parole, quasi interrotte; li ringraziò di quanto avevano fatto perchè il Signore gli conservasse la vita, si raccomandò perchè continuassero a pregare per lui, ed insieme ringraziassero Maria Ausiliatrice per i tanti favori concessi all'Oratorio... e tacque. Voleva aggiungere altre parole, ma non potè, il cuore non gli reggeva alla piena degli affetti; fece un cenno di saluto, e si ritirò.
Appena prese a parlare, gli alunni tutti nell'udir quella voce tanto desiderata ma fioca e un po' stentata, chinarono [310] gli occhi pieni di lacrime, e nessuno in quel momento fu visto rialzarli verso Don Bosco.
Uscito in cortile, anche i superiori l'accompagnavano silenziosi, ed egli, vedendo tanta commozione, volgendosi a Don Rua e a Don Bonetti, prese a dire sorridendo: - J’ l'hai già fam, e ti t'am das ancôra nen da mangé?... (Io ho già fame, e tu non mi dài ancora da mangiare? ... ).
Enria, come fuori di sè, era rimasto inginocchiato in presbiterio; e Buzzetti, presolo per un braccio, l'accompagnò in refettorio, ove Don Bosco, appena lo vide cogli occhi rossi:
- Perchè piangi?... gli domandò; non sei contento?
- Troppo contento, rispose Enria, e si mise a piangere, mentre anche gli occhi di Don Bosco si riempivano di lacrime.
Passata quell'emozione generale, indescrivibili furono le feste, riboccanti di santa letizia, che si succedettero in quei giorni, secondo il programma stabilito.
Il 16 ebbe luogo la conferenza generale per i Salesiani dell'Oratorio e i rappresentanti delle altre case, e Don Bosco ripetè con brevi parole i sentimenti della più viva riconoscenza ai suoi figliuoli. Poi i direttori fecero un breve rapporto dell'andamento delle loro case; ed anche Don Pestarino lesse un breve ragguaglio dell'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, che al Santo tornò gradito.
Il 17 si resero solenni grazie a Maria Ausiliatrice per il favore singolare, concesso all'amatissimo Padre. „A questa funzione, osservava il Can. Anfossi - intervenne anche Mons. Gastaldi Arcivescovo, il quale impartì la benedizione col SS. Sacramento. In seguito fu invitato a prendere un rinfresco. In questo frattempo sotto il porticato si fecero i preparativi per una breve accademia in onore dell'Arcivescovo e di Don Bosco. Io era tra i presenti, e vidi l'Arcivescovo discendere dalla scala con passo concitato, sicchè a stento Don Bosco gli teneva dietro. Nell'attraversare il porticato l'Arcivescovo fu accolto da grandi evviva dei giovanetti e al suono della banda dell'Oratorio. Fu invitato a prendere posto in un seggiolone in compagnia di Don Bosco e di altri ecclesiastici, che erano convenuti per rallegrarsi con Don Bosco della ricuperata salute. Ma l'Arcivescovo [311] ricusò, anzi non rispose all'invito; andò difilato alla carrozza senza più restituire il saluto a Don Bosco. Io allora mi avvicinai a lui, e gli dissi: - Don Bosco, non mi piacque questa partenza; la festa non è finita bene. C'è stata qualche cosa? - E Don Bosco mi rispose: - Che cosa vuoi mai! L'Arcivescovo vorrebbe egli essere a capo della Congregazione e questo non si può, ad ogni modo si vedrà...”.
Alla funzione religiosa seguì la festa familiare. Don Bosco sedette sul palco, e incominciò l'accademia. Si cantò l'inno “Don Bosco è salvo”, musicato da Don Cagliero e strumentato dal maestro De - Vecchi; e venne offerto al buon Padre un calice d'argento, comprato con una somma raggranellata con piccole offerte degli alunni. L'omaggio venne compiuto dal giovane Stefano Trione, che l'accompagnò leggendo, in tono declamatorio, questi versi composti in mattinata da Don Lemoyne:
Dai tuoi diletti alunni |
Oh Padre, allor rammèntati |
un dono, o Padre, accetta, |
che come cento e mille |
un dono che rammemori |
vive ed unite acchiudonsi |
la festa benedetta |
nel nappo sacre stille, |
del giorno in cui Tu reduce, |
così i cuor nostri formano |
salvo da rio malor, |
col tuo un solo cuor, |
mutasti in vivo giubilo |
così lo stesso accèndeli |
il nostro aspro do!or. |
spirto d'eterno amor. |
|
|
E' questo dono un calice |
E allora ché col palpito |
non ricco e non ornato, |
d'acceso serafino, |
perchè i tuoi figli poveri |
il labbro a quel santissimo |
non pònno al Padre amato |
transustanziato vino |
un dono offrir che il merito |
accosterai, deh supplica |
eguagli e la bontà |
fervente il Re dei re, |
di un cuor ché ognora palpita |
perchè”splenda più fulgida |
d'immensa carità. |
nei nostri cuor la fè. |
|
|
Tu allora che i Santissmi |
perchè inebriati al calice |
Misteri celebrando, |
di Cristo i cari figli |
starai sul sacro vertice |
crescano intorno candidi |
di Sion per noi pregando, |
come olezzanti gigli; |
e questo colmo calice |
crescan conforto e gloria |
del sangue di Gesù |
della tua tarda età, |
al Re di tutti i secoli |
tuo serto, onore e merito |
pietoso offrirai Tu: |
nell'alma eternità. [312] |
Molti e molti avevano preparato poesie, lettere e componimenti affettuosi in italiano, in latino, in piemontese, ma naturalmente non riuscirono a leggerli all'accademia. Fu una gara, come avveniva sempre nei suoi onomastici, nel correre davanti a lui, e solo i più svelti e coraggiosi si succedettero nella declamazione. Gli altri si avvicinarono, in fine, a baciargli la mano, e gli consegnavano i loro scritti. Fu un trionfo d'amore!
Dell'inno “Don Bosco è salvo” composto da Don Francesia e musicato dal Maestro De - Vecchi, non abbiam trovato copia.
Abbiamo invece un sonetto di Don Lemoyne, letto forse a tavola, che siam lieti di riportare:
Del guardo tuo, che rallegrò per tanti |
Anni del viver mio i dì beati, |
I rai d'amor celeste scintillanti, |
Eran da crudo morbo ormai velati. |
|
Nelle incerte pupille invano i santi |
Pensier legger volea dei tempi andati, |
Chè i figli tuoi per troppo lunghi istanti |
Del solito sorriso eran privati. |
|
Piansi, pregai la Vergine Maria; |
Ed essa sempre buona, sempre Madre, |
Esaudiva dal ciel la prece mia. |
|
Or son felice e sciolgo un canto anch'io; |
Perchè ora nel tuo sguardo, o caro Padre, |
Quanto Tu m'ami leggere poss'io! |
Anche il Santo Padre, come vedremo, si rallegrava con Don Bosco per la ricuperata salute; ed egli riprendeva, benedetto da Dio, il suo apostolato per la gioventù maschile e femminile, per la Chiesa e per la Patria!
Sul principio del 1872 la Pia Società contava 33 professi perpetui: 26 sacerdoti, 3 chierici e 4 coadiutori; 70 professi triennali: 8 sacerdoti, 45 chierici e 17 coadiutori; e 86 ascritti, i sacerdote, 33 chierici, 29 coadiutori e 23 semplici studenti; tra tutti 189: 35 sacerdoti, 81 chierici e 50 coadiutori, oltre i 23 studenti.
In fondo al catalogo, dopo l'accennato necrologio del chierico Abrami, Don Bosco pose questi ricordi:
“2° La nostra società nel 1871 aprì due case: una in Genova sotto al titolo di Ospizio di S. Vincenzo, l'altra in Varazze col nome di collegio convitto. Altre case sono proposte per l'anno 1872.
3° La nostra società prende grande sviluppo; noi Procuriamo di renderci degni dei divini lavori coll'esatto adempimento dei nostri doveri.
4° L'ubbidienza ai propri superiori, la carità vicendevole sono le virtù che in modo particolare si raccomandano perchè siano costantemente e da tutti raccomandate e praticate” [314]
Appena di ritorno, Don Bosco riprese le ordinarie occupazioni, sebbene i confratelli e gli amici lo pregassero d'usarsi qualche riguardo, giacchè la convalescenza non era per anco terminata, anzi durò parecchi mesi, avendogli la malattia lasciato parecchi incomodi. Al male di capo e di denti e di occhi si succedevano leggere eruzioni di miliari con febbriciattole, che, provocandogli copiosi sudori notturni, spesso gli facevano passare intere nottate senza chiuder occhio. Anche le gambe gli ritornarono così gonfie, da dargli non leggero fastidio, sicchè dovette ricorrere all'uso delle calze elastiche, che fu costretto a portare sino al termine della vita.
Al mattino era sempre pronto a scendere in chiesa per ascoltare le confessioni, e nel pomeriggio non s'indusse mai a buttarsi sul letto per un po' di riposo. Sorpreso dal sonno, sonnecchiava su d'una sedia per un quarto d'ora, o al più una mezz'ora, e subito tornava a lavorare.
Anche nel vitto non volle nulla di particolare. „Solo s'indusse - deponeva Don Rua nel Processo Apostolico - a prendere un po' di vermout chinato prima di pranzo, quando gli venne ordinato come rimedio contro una febbriciattola, che sovente lo sorprendeva dopo la grave malattia sofferta a Varazze nel 1871 - 72. A pasto poi soleva prendere un po' di vino, ma sempre molto annacquato. Dopo quella malattia, essendosi una buona signora [la duchessa di Laval - Montmorency] incaricata di fargli avere ogni mese dodici bottiglie di vino generoso per sostenere l'indebolita sua costituzione, non mai arrivò a consumarle tutte in un mese; e, sebbene ne facesse parte anche ai commensali, tutti i mesi ne sopravanzava un numero discreto, di modo che alla sua morte ne risultò un avanzo, che potè servire per parecchi anni nei casi di pranzi straordinari”.
Per circa tre mesi si adattò a celebrare la S. Messa su di un altarino privato, chiuso di giorno entro un armadio, nella sua anticamera, dove anche persone estranee si recavano [315] ad ascoltarla devotamente. Pochi giorni dopo il ritorno, la mattina del 23 febbraio, Amelia Giuseppa Crosa riceveva da lui la santa comunione, e, dopo messa, una copia dei Fatti ameni della vita di Pio IX, dove, di proprio pugno le aveva scritte queste parole: - Il mondo è ingannatore; solo Dio è buon pagatore. - Era un motto, che aveva spesso sul labbro per accender la carità nelle anime pie.
Grato a quanti gli avevano implorato la guarigione, sentì sempre più la brama di consacrar generosamente alla gloria di Dio ed al bene delle anime la vita che gli era stata prolungata.
Al chierico Angelo Rigoli, ex - allievo dell'Oratorio, nell'inviargli una medaglia e un'immagine di S. Giuseppe col facsimile della firma di Pio IX sotto le parole Ite ad Joseph, scriveva queste righe:
Caro Rigoli, grazie delle preghiere fatte per la mia guarigione. Ora prega perchè mi salvi l'anima. Ti mando la medaglia che domandi con un'immaginetta di S. Giuseppe. Belfanti [un altro ex - allievo] è con te? che fa? fa' molti abbonati alle Letture Cattoliche? Saluta i tuoi superiori da parte mia. Credimi in G. C.
Durante la sua malattia, erano giunte alla direzione dell'Oratorio due lettere del Prefetto della città, Comm. Avv. Senatore Vittorio Zoppi. La prima chiedeva a tutti i Presidenti delle Congregazioni di Carità ed Opere Pie il rapporto annuale circa l'andamento dell'opera, dietro urgente e perentoria prescrizione del Ministero dell'Interno; e Don Rua, come si legge in una sua minuta faceva, alli 10 gennaio circa, questa risposta:
Nell'assenza di D. Bosco notifichiamo che è istituto fondato e diretto dal sullodato Don Bosco, tutto di sua proprietà. È opera di beneficenza per l'educazione della gioventù povera, avviandola alle arti e mestieri; anche agli studi se vi hanno particolari attitudini. Finora non fu mai considerato come opera pia in senso legale; tuttavia si presta ad accogliere giovani raccomandati dalle autorità civili, prefettura, questura, ministeri. Il Governo già riconobbe i servizi resi con largizioni fatte di vestiario, lingeria, ecc. Disposti a dare ulteriori chiarimenti, se saranno d'uopo, mi professo ecc. [316]
L'altra domanda riguardava gli studi. Il Governo, per accertarsi del loro progresso, aveva chiesto ai Prefetti del Regno un quadro indicante: 1° il movimento degli scolari nell'ultimo decennio 1861 - 71 inclusivo, od almeno l'ultimo quinquennio; 2° l'esito degli esami di ciascun anno. E il Prefetto, per ottemperare all'ordine del Governo, pregava a volergli favorire colla maggiore esattezza e sollecitudine le notizie che gli erano state richieste, compiegando all'uopo un modulo da ritornare colle indicazioni in esso tracciate.
Non sappiamo quale sia stata la risposta.
Come s'è visto, durante la malattia di Don Bosco, esemplare e devota fu la condotta degli alunni dell'Oratorio, grazie anche all'assidua vigilanza dei Superiori. In febbraio si teneva una conferenza ai sacerdoti e ai chierici addetti agli alunni artigiani, di cui abbiamo un interessante ragguaglio, l'unico delle conferenze che si tennero nel 1872, scritto da Don Lazzero.
Presiedeva il M. R. Sig. D. Rua Pref,
1a Impegno nel fare la ricreazione che riesce a bene dei giovani, ed anche degli assistenti, Per venire a ciò bisogna trattenersi con loro, introdursi nei giuochi, nelle conversazioni loro; ma sempre in bel modo, caritatevole quanto si può. Accadrà certe volte che alcuno dei giovani, un po' insolente, farà le beffe, dirà anche qualche parola insolente all'assistente in presenza dei compagni; in tal caso non conviene subito rimproverare quel giovane, oppure allontanarsi, ma prendere poi a parte il colpevole, avvisarlo della sua mancanza ed inciviltà. Queste cose ripetute gioveranno assai a calmare lo spirito irrequieto dei giovani ed indurli al ben fare cogli altri.
2a Farsi amare insieme ed anche temere dai giovani. Questa è cosa facile. Allorchè i giovani vedono che un assistente è tutto sollecitudine pel loro bene, non possono fare a meno che amarlo. Quando vedono che l'assistente non lascia passare cosa alcuna, ben inteso cose che non vadano bene, ma di tutte le mancanze li avvisa, non possono fare a meno che aver di lui un certo timore, cioè quel timore riverenziale che si deve avere verso i superiori.
Di una cosa deve guardarsi bene l'assistente ed è quella di non abbassarsi tanto coi giovani medesimi, sia nei discorsi, come negli atti, e specialmente nei giuochi: deve prendere parte in tutto, ma nello stesso tempo tenere un'aria di gravità, far vedere col suo contegno d'essere loro superiore. Si credette bene di ricordare quest'ultimo [317] punto, quantunque fosse già stata raccomandata la medesima cosa in una conferenza dell'anno scorso.
3a Si domandò se fosse caso di dar sempre ragione ai giovani [se si dovesse dir sempre ai giovani „la ragione”, il perchè] quando si dànno voti scadenti. Si conchiuse essere bene che i giovani sappiano il motivo dei loro voti scadenti; ma i giovani debbono domandarlo con rispetto, non in presenza d'altri, e si conosca che lo domandano per potersi emendare. In tal caso l'assistente può dirlo a coloro che domandano con rispetto la scadenza del voto, e che siano da soli; non convien che lo dica quando dimandano con arroganza o in presenza d'altri: può rispondere con tono grave: te lo dirò poi!; oppure: Va' dal superiore, esso ti dirà tutto. Finchè l'assistente può far da sè, faccia pure; ma quando prevede che torna inutile per qualcheduno l'opera sua, è sempre bene andar dal superiore ed informarlo; la sua influenza ottiene sempre di più.
4a Non lasciarsi perdere di coraggio, quando riceviamo dai giovani dispiaceri anche gravi. Accade alcuna volta che vi sono dei giovani, i quali ne hanno già fatte di ogni colore; quel povero assistente non sa più che cosa fare e dice che non sa come si possa ancor tollerare quel tale, etc.... E tutto questo è giusto, ne avrà ragione; i superiori non prendono sull'istante alcuna deliberazione, perchè basterebbe ciò per allontanare i più generosi benefattori della casa, e soffrirne non solo il giovane cacciato, ma molti altri. Ciò non vuol dire che non si pensi a porvi rimedio. Si tratta solo di pazientare ancora per qualche poco, e tutto s'aggiusterà.
Di quei giorni la Contessa Callori, nel desiderio di serbar grata e religiosa memoria del suo figlio Giulio Cesare e di assicurargli, qualora ne avesse bisogno, particolari suffragi, deliberava di farne in perpetuo celebrare l'anniversario; e il pio legato, d'accordo colla contessa, venne poi trasferito alla chiesa di S. Giovanni Evangelista[51].
Il 1° marzo veniva accettata anche la costituzione di un posto gratuito nel Collegio di Alassio.
Il sacerdote Don Giuseppe Leonardo Avvocato Gazzani, già Visitatore delle R. Scuole e Membro della R. Commissione di revisione di libri e delle stampe, e allora Ispettore delle Scuole Secondarie in ritiro - che il 1833 a Chieri, aveva presieduto gli esami degli alunni di 3a ginnasiale, tra cui era anche Giovanni Bosco - „nel vivo desiderio di cooperare [318] all'educazione cristiana della gioventù, e specialmente di quei giovanetti che per moralità ed attitudine allo studio dèssero qualche speranza di abbracciare lo stato ecclesiastico”, costituiva, d'accordo con Don Bosco, un posto gratuito nel collegio di Alassio, a favore dei fanciulli o giovanetti di Moltedo Superiore, „cioè in quella porzione della parrocchia che appartiene agli antichi Stati Sardi”; e „in difetto di questo, tra i fanciulli di Moltedo Inferiore, cioè nell'altra porzione già appartenente al Ducato di Genova, in difetto di questi, tra i fanciulli di qualche parrocchia della diocesi di Albenga”. Ed affidava la scelta dell'allievo al Direttore del Collegio di Alassio e al Superiore Generale della Congregazione di S. Francesco di Sales, a pro di un fanciullo „i cui parenti non abbiano sufficienti facoltà per poterlo mantenere agli studi, e che per moralità ed attitudine allo studio dia qualche speranza di vocazione allo stato ecclesiastico, o almeno di riuscire un buon cristiano, terminati i corsi scolastici”; e „qualora il giovinetto nominato, dopo aver compiuti i corsi ginnasiali vestisse l'abito clericale per abbracciare lo stato ecclesiastico, potrà godere del medesimo posto gratuito fino all'Ordinazione, purchè egli continui gli studi superiori nel collegio sopra mentovato, o in qualche altra casa o collegio della medesima Congregazione”. E versava per la fondazione del posto 8000 lire.
E Don Bosco, “come superiore generale della Congregazione di S. Francesco di Sales”, accettava “per sè, e per i suoi eredi delle sostanze e successori nella stessa per carico tale donazione” allo scopo suddetto, promettendone “fedele e coscienzioso adempimento”.
Nove anni dopo, Don Gazzani, che si trovava a Torino nella Piccola Casa della Divina Provvidenza, esponeva il desiderio di aggiungere alle Tavole di Fondazione del posto gratuito due articoli per stabilire che all'allievo godente del posto gratuito non si permettesse di passare le vacanze autunnali o altre fuori di collegio, salvo per ragioni di salute, a meno che nell'esame di promozione avesse ottenuto 100/100 per lo studio e 10/10 per la condotta, nel qual caso, qualora lo desideri potrebbe ottenere di andare a passare un mese [319] co' suoi parenti; e che compiuto il corso teologico, potrà continuare a godere del posto gratuito ancora per un anno per abilitarsi a prendere l'esame di maestro elementare, e, dopo questo, ancor un anno per prendere l'esame di segretario municipale, e così rendere sempre più proficua al paese di Moltedo la fondazione.
Don Bosco, intanto, aveva estremo bisogno di mezzi per andare avanti.
A Lanzo si riprendevano i lavori per condurre a termine la costruzione del nuovo edifizio, e scriveva all'amico Biagio Foeri:
Nei casi eccezionali bisogna anche ricorrere a fonti eccezionali. Ella sa, Sig. Biagio, che il collegio di Lanzo non poteva più soddisfare ai comuni bisogni dei postulanti, e a tale uopo fu iniziato l'edifizio che si sta costruendo. Da principio sembrava poco, ma adesso andò al molto e i mezzi mi diminuiscono. Ho pertanto bisogno che mi porga la sua mano caritatevole e che in questo anno mi aiuti con quella carità che può. Qui si lavora per le anime, ed Ella ben sa che colui il quale salva un'anima mette in sicuro la propria, come dice S. Agostino.
Vi è pure un'altro mezzo, e questo sarebbe con qualche nota testamentaria, ma di questo, se me lo permetterà, ne parlerò di presenza dopo Pasqua quando a Dio piacendo andrò a Lanzo.
Ella dunque prenda in considerazione la gioventù Lancese, il povero D. Bosco, e tutto il collegio, e noi tutti pregheremo sempre per Lei.
La prego dei miei ossequi al Sig. D. Foeri e di credermi con gratitudine
Il 15 marzo l'economo Don Carlo Ghivarello firmava, a nome di Don Bosco, il contratto colla Ditta Fratelli Gramaglia „di provvedere e piazzare a sito sul campanile della Chiesa Maria Ausiliatrice di Torino”, un orologio orizzontale „con ruotismo del movimento in ottone e quello della suoneria [320] in ferro fuso”, che avrebbe suonato „l'ora ed i quarti”e durato in carica „otto giorni”, e verrebbe a posto entro due mesi, in modo di cominciar a funzionare e suonare nella novena di Maria Ausiliatrice; e veniva garantito per 5 anni, al prezzo di 1500 lire, da pagarsi 500 appena piazzato, 800 un anno dopo e 200 alla fine della garanzia.
Il lavoro tardò alcuni mesi; e Don Bosco, per coprir la spesa, faceva appello alla carità degli abitanti del borgo di Valdocco, annunziando il lavoro assunto:
Orologio sul campanile della Chiesa di Maria Ausiliatrice.
Un bisogno universalmente sentito in Valdocco è quello di un orologio che possa servire a pubblica utilità. Questo comune desiderio sarà quanto prima appagato mercè un orologio sul campanile della Chiesa di Maria Ausiliatrice. Esso noterà con precisione le ore, le mezze ore ed i quarti come quello del palazzo municipale. Nel corso del mese di settembre sarà collocato a posto. Costerà fr. 2000 oltre alle spese necessarie. Non essendovi reddito alcuno a tale scopo, debbo ricorrere alla beneficenza degli abitanti di questo vicinato. Le mando una scheda su cui è pregata di segnare la somma con cui ella intende di concorrere. Passerà poi persona incaricata a ritirare tale scheda; e a suo tempo si raccoglierà il denaro indicato. È questa la prima volta che ricorro per caso somigliante, e spero troverò benevola accoglienza, trattandosi di cosa che tornerà di pubblica e di privata soddisfazione.
Dio le conceda ogni bene e mi creda, Della S. V. Preg.ma,
Oblazioni per la formazione e collocamento di un orologio o meridiano sopra il campanile della Chiesa di Maria Ausiliatrice.
Il sottoscritto offre per una volta sola L. ...
In questo anno 1872, L. …, oppure per l'anno 1873 L. …
NB. Si prega di scrivere nome, cognome e domicilio. Fra pochi giorni passerà persona appositamente incaricata a ricevere le schede e sarà poi dato preventivo avviso dell'epoca in cui si passerà a riscuotere le oblazioni.
“L’incameramento dei Beni Ecclesiastici, il nessun rispetto per le ultime volontà degli Avi nostri, l'impossibilità [321] anche nell'epoca presente di disporre con sicurezza in perpetuo a favore della Chiesa e degli Istituti pii, ed infine la trascuranza crescente verso i poveri Ministri della nostra santa Religione, fecero nascere il bisogno e l'idea di fondare una Banca generale amministrata da persone benefiche e devote ai santi principii cattolici, la quale nell'atto che provvede a tutte quante le esigenze materiali in questione, serva altresì di vero modello di moralità in materia finanziaria e col proprio esempio valga a porre un argine all'odierna usura ed allo smodato guadagno di pochi a danno di molti”. Così esordiva un appello per la fondazione di una gran „Banca ecclesiastica, sotto il nome di Banca generale di depositi e di beneficenza”, che veniva inviato anche a Don Bosco. Egli pure aveva continuo bisogno dì mezzi, e continue eran le sue sollecitudini per trovarli, con piena fiducia in Dio.
E la Divina Provvidenza l'aiutava in modo singolare.
Non poche persone, senza famiglia, che col lavoro di tanti anni erano riuscite ad accumulare un peculio sufficiente per vivere col frutto delle loro economie, e non si fidavano d'impegnarlo nè presso i finanzieri che promettevano grossi interessi, nè in agenzie d'affari, nè in prestiti a privati, sentendo ogni giorno le storie dolorose di continui fallimenti dolosi che gettavan sul lastrico tanti che erano nell'agiatezza, e diremmo nell'opulenza, presero a chiedergli come avrebbero potuto valorizzare il loro capitale, ed egli rispondeva:
- I poveri sieno i vostri depositari, i vostri banchieri, e la Madonna si farà garante del vostro versamento. Portate i vostri interessi alla Banca della Madonna, e grande sarà il frutto che ne avrete!
Un primo documento che ci venne alle mani, scritto da Don Rua, in data 13 maggio 1872, e con la firma di Don Bosco e quelle di Don Rua e Don Cagliero come testimoni, dice così: [322] Ricevo dal Sig. Don Marcello Secondo di Antignano d'Asti ex - carmelitano Scalzo la rendita di lire 600 (seicento) del debito pubblico, obbligandomi per me e pei miei eredi di rimborsarlo annualmente nella medesima somma, sua vita naturale durante, con deduzione delle imposte e di altre passività sopra questo capitale.
Quando a Dio piaccia di chiamare questo sacerdote all'altra vita, mi obbligo di pagare la somma annua di duecento franchi (200) alla sua serva Clara Martinetto del fu Secondo, della villa di S. Secondo, purchè all'epoca del suo decesso sia tuttora al medesimo servizio.
Coll'obbligazione inoltre di far celebrare messe trecento (300) nel più breve termine possibile dopo il suo decesso in suffragio dell'anima dell'insigne benefattore.
Con questo atto intende di soddisfare ai suoi religiosi desideri e compiere qualunque legame potesse avere come appartenente ad un ordine religioso.
Coll'adempimento di queste condizioni si intende estinta ogni obbligazione proveniente dalla ricevuta rendita di franchi seicento sopra mentovati.
Ma cotesta formula di ricevuta non ebbe a ripetersi tante volte, perchè quanti venivano a deporre il loro avere all'Oratorio dicevano a Don Bosco o a Don Rua: - Mi pagheranno gli interessi finchè vivo, e poi serviranno pel riposo dell'anima mia! - Così non pochi continuarono ad assicurarsi una vita tranquilla, offrendo a Dio ed a Maria SS. Ausiliatrice ciò che avrebbero dovuto abbandonare morendo, senz'esigere nessuna carta di ricevuta, contenti che il loro credito venisse registrato. E mentre i loro denari venivano subito spesi per i bisogni dei ricoverati, la Madonna faceva onore alla sua banca, come la chiamava Don Bosco, perchè non dovette mai chiudere gli sportelli. Ogni volta che un creditore veniva a riscuotere i frutti del suo deposito, ed anche quand'uno veniva a ritirare il suo capitale, qualche altra straordinaria offerta permetteva di soddisfare gli impegni assunti.
Nella speranza di ottenere, in base ad una nuova legge, al chierico Giuseppe Boido, della diocesi di Acqui, l'esenzione dal servizio militare, Don Bosco scriveva al Vescovo Monsignor Sciandra: [323]
Fra i chierici che fanno qui i loro studi con animo di far parte della nostra congregazione àvvi il giovane Boido Giuseppe che per mezzo mio ricorre a V. S. Rev.ma per un certificato da presentare al comando militare onde avere l'esenzione dal servizio. Quelli della diocesi di Torino l'ebbero dal nostro Arcivescovo o dalla diocesi cui appartengono; questi lo dimanda dalla sua bontà.
Non so se abbia già potuto vedere questa nuova legge; per ciò che riguarda al caso presente è necessario che Ella dichiari N. N. essere della diocesi di Acqui, cattolico, far i suoi studi del I° corso di Filosofia nell'Oratorio di S. Francesco di Sales in Torino, avviato alla carriera ecclesiastica. Noi poi faremo confermare tale dichiarazione dal sindaco di Torino e la porteremo al comando militare.
Quante volte sono andato col pensiero a farle visita, ma non ho mai potuto andare di fatto. Ella poi non verrà ad onorarmi qualche volta di sua presenza e celebrare una sua santa messa nella chiesa di Maria A.? Noi l'aspettiamo e la desideriamo ardentemente.
Mentre noi preghiamo Dio che l'aiuti nell'ardua impresa del sacro pastorale Ministero, ci raccomandiamo tutti alla carità delle sante sue preghiere implorando la sua benedizione specialmente sopra chi nella sua pochezza ha l'onore di professarsi,
Quell'anno la Pasqua cadeva il 31 marzo, ed egli, memore della carità che riceveva da tante anime, come pregava sempre per loro, inviava di quei giorni alle più generose particolari auguri e prometteva speciali preghiere, come risulta da questa lettera, scritta il giovedì santo, alla signora Uguccioni.
In questi giorni abbiamo pregato per Lei, mia buona Mamma, e per tutta la sua famiglia; ma non voglio passare questi giorni senza augurarle felici giorni, assicurarla che nel giorno di Pasqua fra le altre cose celebreremo secondo la pia di Lei intenzione all'altare di Maria Ausiliatrice.
Poi avvicinandoci alla festa di Maria Ausiliatrice comincio per invitarla a volerci un po' in quest'anno col Sig. Tommaso farci una visita e così essere spettatori almeno di una delle nostre feste. [324]
Da fare immenso. Sei mila ragazzi sono ai nostri cenni; pochi hanno già fatto Pasqua, il resto si va preparando. Preghi per questi distruggitori di pagnottelle affinchè li possiamo fare tutti buoni cristiani ed onesti cittadini; preghi anche per la mia sanità che migliora ogni giorno, ma molto lentamente.
In questi giorni Ella mi farebbe un vero favore se volesse farsi mia interprete presso alle persone di nostra conoscenza, con cui Ella avesse occasione di parlare, di volerle riverire da parte mia, augurare buone feste e di assicurarle che specialmente in questi giorni li raccomando tutti al Signore.
Dio benedica Lei, il Sig. Tommaso, tutte le sue famiglie e raccomandando a tutti la povera anima mia mi professo con profonda gratitudine in G. C.,
E Maria Santissima continuava a benedire e consolare il suo devotissimo Servo in ogni maniera.
Il 22 marzo l'Unità Cattolica dava notizia di una solenne cerimonia compiutasi nella chiesa di Maria Ausiliatrice:
Domenica, 17, una famiglia ungherese, composta di sette persone, abiurava il luteranesimo, che aveva fino allora professato e si rendeva cattolica, in Torino, nella chiesa di Maria Ausiliatrice. Il padre chiamasi Simoni, e nel battesimo prese il nome di Domenico. Siccome in generale i protestanti dànno poca credenza al battesimo, e molti lo negano affatto o lo amministrano invalidamente, così venne a tutti amministrato questo Sacramento sotto condizione, eccetto il più piccolo, che, non essendo ancora stato battezzato nell'eresia, fu battezzato assolutamente. Il marchese Domenico Passati ne fu padrino, madrina la contessa Groppello. Faceva la funzione il sacerdote Rua Michele, appositamente delegato dall'Arcivescovo.
Il 14 maggio, primo giorno della novena di Maria Ausiliatrice, Don Bosco, per la prima volta dopo il ritorno da Varazze, scendeva a celebrare la Messa nel Santuario, e in sagrestia si presentava a lui una povera donna, sorda e d'età assai avanzata, a chiedergli la benedizione. La benedisse, e sull'istante riacquistava l'udito. La poveretta, piena di contentezza e colle lagrime agli occhi, non avendo di che fai dono a Colei che le aveva concessa la grazia, si tolse gli orecchini [325] e li offerse al Santo, dicendo che sarebbe tornata a fare un dono maggiore.
Poche settimane prima s'era presentata un'altra donna conducendo per mano un ragazzino di sei o sette anni, che fin allora era stato inabile a camminar da solo. Don Bosco lo benedisse, e il giorno dopo il ragazzo prese a camminare liberamente, con tutta facilità; e la madre tornava a ringraziar la Madonna per il favore singolare.
Quell'anno la festa di Maria Ausiliatrice coincideva coi venerdì delle tempora dopo Pentecoste e Don Bosco d'accordo colla Curia Arcivescovile aveva inoltrato al S. Padre questa supplica:
Il Sac. Gio. Bosco, col consenso del Superiore Ecclesiastico, si prostra ai piedi di Vostra Santità ed espone umilmente come la Festa di Maria Aiuto dei Cristiani fissata pel giorno 24 di Maggio, quest'anno cada quasi in fine di settimana, cioè nella feria settima dopo Pentecoste, giorno di digiuno ed infra l'ottava privilegiata.
Questa festa celebrandosi in Torino nella Chiesa detta appunto di Maria Ausiliatrice con molto concorso di Sacerdoti, e di fedeli specialmente forestieri, si supplica la Santità Vostra a concedere che tale festa si possa anticipare di un giorno, e celebrarsi nella feria quinta della stessa settimana, e con facoltà ai Sacerdoti di poter soltanto per quel giorno in tale Chiesa celebrare la Santa Messa di Maria SS. sotto il titolo di Auxilium Christianorum.
Questo favore tornando di molto vantaggio al Clero, ed ai numerosi fedeli che ivi intervengono, si spera che la Santità Vostra, nella sua grande e tante volte sperimentata clemenza, sia anche per accordare la grazia implorata.
Ed il Santo Padre benignamente annuiva[52].
Nel Santuario erano stati condotti a termine i lavori e l'arredamento del coro e della nuova sagrestia, nonchè varie decorazioni nel corpo del tempio.
Nel IX volume delle Memorie Biografiche s'è fatto cenno di tutti gli altari e dei quadri dei santi ai quali venivano dedicati[53], tranne quello della cappella a sinistra, che venne [326] poi dedicata al S. Cuore di Gesù, e nel Agi a S. Francesco di Sales; come la cappella di fronte, già di S. Anna, nel 1891 veniva dedicata ai Ss. Martiri Solutore, Avventore ed Ottavio, essendo quello il luogo preciso, dove subirono il martirio[54].
Nel 1872 la cappella del S. Cuore veniva ultimata, e Don Bosco stesso nel fascicolo: Maria Ausiliatrice col racconto di alcune grazie, ne faceva la descrizione.
Vi si ammirano sette dipinti, tutti affresco, dell'artista Giuseppe Rollini, già allievo dell'Oratorio di S. Francesco di Sales. Gli ornati in chiaroscuro furono eseguiti dal sig. Pelli Costantino.
Il soggetto dei dipinti è coordinato a rilevare con simboli, fatti e parabole del Vangelo, la bontà e la misericordia del Salvatore verso gli uomini.
Anzitutto nella vòlta campeggia una medaglia ottangolare di 20 metri quadrati di superficie, in cui è rappresentata l'adorazione del SS. Sacramento, composizione di 18 figure.
Nel centro della medaglia sta il mondo, su cui posa un ostensorio d'oro, splendente di viva luce. Si volle con ciò indicare la condizione felicissima degli uomini, che hanno fra di loro e possono non solo adorare, ma ricevere, sotto le specie sacramentali, il Dio dell'universo; condizione invidiata dagli angeli medesimi, di cui alcuni circondano riverenti il loro Signore, altri volano di lontano con l'ali bramose a porgere anch'essi omaggio al mistero dell'Eucaristia.
Nella parte superiore un gruppo di puttini tien sollevata una tenda di color purpureo, formando quasi un baldacchino al di sopra del raggio.
Più in basso l'angelo messaggero di Dio, bello di gioventù e forza, scaccia l'Eresia, gruppo di due figure; cioè 1a la Riforma in figura di donna, che al vedere gli angeli riverenti, i quali adorano il SS., fugge spaventata portando nell'una mano la bibbia adulterata e abbandonando dall'altra, quali armi spuntate, la maschera dell'ipocrisia e le monete corruttrici, con cui tenta di recar guerra al SS. Sacramento; 2a il Materialismo in figura d'uomo di forme atletiche, il quale stringendo una fiaccola accesa onde portare incendio e distruzione dovunque passa la Riforma, esso pure è rovesciato dall'angelo, [327] e rotolando dall'alto sembra si stacchi dalla vòlta per piombare a capofitto sul pavimento.
Le mezze lune poste immediatamente sotto la vòlta hanno ciascuna metri 4 di diametro. In quella di destra è dipinta l'apparizione del Redentore col suo cuore raggiante alla beata Margherita d'Alacoque; in quella di sinistra l'ultima cena di Gesù, rappresentata nel momento che in mezzo ai discepoli meravigliati Egli instituisce l'Eucaristia.
Sulla parete laterale a destra è dipinto Gesù in mezzo ai fanciulli in atto di prodigare ad essi consigli amorevoli e carezze affettuose.
Più in là v'è la Samaritana che ascolta le parole di vita che il Nazzareno le porge, scoprendole i misteri delle sue colpe passate. Sul volto della Samaritana trapela la maraviglia, il turbamento, la nuova determinazione di far bene, e su quello di Gesù la santa serietà del riprensore, ma riprensore clemente.
A sinistra presso all'altare è figurata l'Agonia di Gesù nel Getsemani, mentre sorretto dall'angelo riceve il calice. L'artista si sforzò di stampare su quel volto divino il dolore profondo che lo dovette investire al pensiero della vicina passione.
Nel dipinto a fianco viene raffigurato il buon pastore che ritrova la pecorella smarrita.
Bellamente vi è espresso lo stato infelice della pecora meschina caduta fra i rovi sull'orlo di un precipizio, e la cura amorosa del mistico Pastore, che inginocchiato sul ciglio del burrone si affanna a trarla di là illesa, mentre in distanza il gregge fedele è attruppato intorno all'ovile segnato da una croce luminosa.
Il dipinto principale del Sacro Cuore di Gesù, e di Maria, sono dell'artista torinese sig. Bonetti. L’arte, la naturalezza, la vivacità dei colori e della espressione vi brillano maestrevolmente.
Il quadro di S. Giuseppe era ancora in lavorazione e veniva, come vedremo, messo a posto solamente nel 1874, mentre i lavori del Santuario erano compiuti.
La novena in preparazione alla festa venne predicata dall'Abate Bardessono Don Massimiliano dei Conti di Rigras. Il 19, solennità di Pentecoste, alle sei di sera, dopo le funzioni religiose, venne inaugurato nel cortile grande dell'Oratorio il padiglione, detto la Ruota della Fortuna, con maestoso concerto musicale.
Lo spaccio dei biglietti e la piccola fiera a benefizio del Santuario e dell'Oratorio vennero affidati anche quell'anno a giovani di nobile famiglia, e Don Bosco scriveva al Cav. Saverio Provana di Collegno: [328]
Sta sera alle 7 1/2 si farà una radunanza del Comitato dell'anno scorso per organizzare la festa di Maria A. e desidererei che ci fossero presenti anche Luigi ed Emanuele. Se essi non hanno niente in contrario e che tale sia pure il volere di Lei, la prego a volerli invitare da parte mia e dar loro l'opportuno permesso. Non ho potuto andare in persona all'ora che desiderava, perciò auguro a tutti di cuore ogni celeste benedizione, mentre mi professo,
P. S. - Questa lettera, non avendola trovata a Torino, spero che la raggiungerà a Cumiana e che servirà di invito alla futura conferenza ad hoc.
In questo momento ricevo notizie del S. Padre che gode salute, e ciò è tutta la speranza di Roma.
Negli ultimi giorni presero parte alle sacre funzioni anche gli alunni dei Collegi di Lanzo, Borgo S. Martino ed Alassio. Il 13 pontificò Mons. Celestino Fissore, Arcivescovo di Vercelli. L'Abate Bardessono disse il panegirico; l'esecuzione dell'antifona „Sancta Maria, succurre miseris”, musicata da Don Cagliero, fu splendida. Il concorso dei fedeli fu così grande che molti non poterono neppur entrare nel tempio, e Don Bosco stabiliva e faceva annunziare dall'Unità Cattolica che le feste si sarebbero ripetute la domenica seguente, 26 maggio.
Il giorno di Maria Ausiliatrice l'Oratorio era tutto in festa e in santa letizia, e suoni e canti accrescevano la gioia di quel giorno, in cui gli alunni solevano spendere, in trastulli e nell'acquisto di buoni libretti, i pochi soldi guadagnati colle mance e colla buona condotta, o avuti in dono dai parenti. Tutti avevano il loro peculio da godere, perchè alcuni di quelli che n'erano ben forniti, con piccole offerte avevano pensato a farne parte a chi non ne aveva. Tra questi caritatevoli vi fu uno di quinta ginnasiale, Secondo Amerio, il quale, dopo aver fatta la sua offerta s'incamminava [329] allegro e contento a spendere, forse in qualche ricordo per la mamma, ciò che gli restava. Ma ecco, che accostandosi al banchetto dei libri, vede là accanto, come nascosto per vergogna, un compagno di classe, tutto melanconico, che pareva volesse piangere.
- Che hai, che sei così triste? caro Domenico?..., gli chiese Amerio.
- Non ho nemmeno un soldo da godere cogli amici; mia madre è povera, mio padre è morto; come posso star allegro?...
A queste parole Amerio dimenticò il dono e i libri che voleva comprare; tirò fuori le sei lire che ancora aveva, e mettendone tre in mano al povero Domenico:
- Prendi, gli disse, queste tre le manderai a tua madre; il resto lo godremo noi due.
E per tutto il giorno furono sempre insieme! Il buon Amerio, che aveva 16 anni, benchè studente di ginnasio, era già ascritto alla Pia Società, e nel '78 saliva al sacerdozio, e quattr'anni dopo volava al cielo!
Il giorno di Maria Ausiliatrice Don Bosco scriveva alla signora Luigia Radice Vittadini di Milano:
Ho ricevuto la limosina che mi ha mandato di fr. 100. Io la ringrazio di cuore; Dio le dia il centuplo. Ho già pregato e continueremo a pregare per la sua sanità perfetta, per la sua bambina e per la conservazione del Sig. Marito. Spero di poterli riverire di presenza fra non molto.
Dio benedica Lei e tutta la sua famiglia, e mi creda
P. S. - Stia certa che la Madonna l'ascolterà e l'esaudirà.
Quando si recava a Milano, soleva far visita anche a cotesta benefattrice, e di quel mese, non sappiamo per qual motivo, egli dovette, come s'è accennato, recarsi a Milano[55]. [330]
Pronto a dire una buona parola a tutti, egli era della più squisita cordialità con i benefattori. Scriveva al Conte di Viancino:
Ella ha pazienza con molti, l'abbia anche con D. Bosco; specialmente quando ha la bontà di venire qui ed io ho bisogno di parlarle e noi conducono da me. Ma se dice chi è, e che io sia in casa, stia sicuro che non solo è ricevuto, ma per me è una vera festa il solo vederla.
Lunedì poi andrò a far carnevale con Lei e così staremo veramente allegri.
Dio conceda ogni bene a Lei ed alla Sig. Contessa di Lei moglie, e ad ambidue conceda sanità stabile e giorni felici. Amen.
Con gratitudine mi raccomando alle loro preghiere e mi professo,
Anche i suoi amici, benefattori, ammiratori ed ex - allievi, eran felici di poterlo vedere e parlargli tutte le volte che era loro possibile, particolarmente nella ricorrenza del suo onomastico.
Quell'anno Don Rua inviava loro quest'invito:
Lunedì 24 del corrente celebrasi la festa di S. Giovanni Battista, onomastico dell'amato nostro Direttore e Padre don Bosco. Desiderano i suoi figli esprimergli la loro riconoscenza con canto, suono e letterarii componimenti, non che coll'offerta di qualche presente. A fine di rendere più bella la festa pregano la S. V. a voler nella sua bontà onorare colla sua presenza il loro trattenimento, che avrà luogo domenica e lunedì verso le 7 pomeridiane.
Colla massima stima e gratitudine godo professami
Come sempre, l'omaggio riuscì una dimostrazione così affettuosa e cordiale, che spronava ai più santi propositi e lasciava in tutti il più dolce ricordo! Il prof. Don Bertello [331] lesse l'inno[56]; quindi canti e suoni, mentre promesse d'imperitura riconoscenza, palpiti ardenti di tenerissimo amor filiale, franche dichiarazioni di seguire i suoi insegnamenti per tutta la vita, promesse di preghiere quotidiane perchè il Signore lo colmasse d'ogni benedizione, e insistenti richieste di paterno ricambio, eran sul labbro di tutti.
Quell'anno, come diremo nella V parte, verso la metà del mese, un lurido giornalucolo aveva tentato, con una serie di puntate d'uno schifoso romanzo, di denigrar la venerazione che Don Bosco godeva universalmente; e l'Ab. Bardessono dei Conti di Rigras, che aveva predicato la novena di Maria Ausiliatrice, prendeva le difese del Santo con un opuscolo[57]. Anche gli ex - allievi non si trattennero dal rilevare il massonico tentativo, nel devoto indirizzo che gli umiliavano con 45 firme, insieme con un obolo, „in segno di riconoscenza e di stima”.
O giorno beato, o fortunato instante in cui ci è dato di provare, di sentire in noi di bel nuovo gli affetti, i sentimenti tutti de' figli che circondano il loro amoroso Padre.
Ed ecco a te d'innanzi uno stuolo di figli tuoi che quantunque da te di abitazione divisa perchè sparsi pel mondo, non poterono tuttavia, perchè a te di cuore strettamente uniti, lasciar passare questo giorno di tanta esultanza senza essi pure venire a darti prova dell'affetto, del fervido amore che loro arde in petto per te, comune lor Padre.
Ed oh! come ci è dolce, come ci riesce consolante il rivedere in questo giorno il tuo volto lieto e giulivo, cui la grazia e la soavità intessono amorosa ghirlanda; il rivederti tramezzo a noi dopo che ci toccò per non poco tempo vivere angustiati ed afflitti da te lontani, perchè trattenuto tu da crudel morbo.
Oh il nostro cuore, siccome quello del navigante che dopo procellosa tempesta rivede la spiaggia desiata, è ricolmo di gaudio, perchè grazie a Maria aiuto dei Cristiani, nostro rifugio celeste, ci fu ridonato Don Bosco, fu restituito a' suoi figli il loro padre, agli amici l'amico, a Torino tutta la gioia e la pace!
Sempre fedeli al nostro passato, a te presentandoci in quest'anno, qual sarà il dono che ti offriremo, o Don Bosco? Eccolo a te d'innanzi, quantunque tenue, quantunque di poco rilievo; è un umil simbolo [332] del nostro affetto. Tu... accèttalo, e sia esso un pegno del nostro filiale affetto, un pegno del nostro attaccamento verso di te, o padre amoroso dei giovani, o pastore sollecito delle sue pecorelle; verso di te, iniziatore e sostenitore di questa nobilissima impresa di carità che guida tanti figli alla via della virtù e dell'onore, che addita la retta via ai buoni ed ai traviati. Sia esso un pegno di sincera congratulazione per le tue opere benefiche di cristiana pietà e civiltà che risplendono come un faro di luce di mezzo alle tenebre di questo secolo; un pegno di sincero applauso a te che sei lo strumento visibile della Provvidenza divina, che guidò a termine gli alti suoi destini sulla gioventù nascente; una testimonianza ed assieme una solenne protesta contro certi periodici seminatori d'immoralità e di calunnie, contro quel serpe micidiale, voglio dire, che sollevando la testa dal fango della materia, cerca di avvelenare colla bava di sue sconcezze ogni cuore ben nato, di detrarre alla fama dell'uomo della Provvidenza, della pubblica beneficenza, al benefattore dell'umanità intera.
Ma... unione, fratelli ed amici, unione, coraggio e costanza. „A D. Bosco, come a tutto le anime ben nate ed infaticabili, non mancano detrattori. Questa fu la storia di tutto il mondo intero, ed è il premio spesse volto toccato ai benefattori dell'umanità”[58]. Coraggio, sì, coraggio, unione e costanza; uomini di virtù e di sapere già sollevarono la loro voce in difesa del nostro padre, del nostro amato D. Bosco, e per certo si vincerà... Ecco, o caro D. Bosco, quali sono i nostri pensieri, i nostri desideri, i nostri voti. Avvalora tu colle tue preghiere questi nostri sentimenti di affetto, ed ottienci per grazia di conservarci sempre fedeli alla tua causa, che è la causa di Dio.
E su di te, o Giovanni, faccia il Signore piovere come rugiada mattutina il tesoro delle sue grazie; sì, ... avvalora, o Signore, col dono della tua grazia i generosi suoi propositi, conforta lo zelo del mite e benefico nostro padre e versa su di esso come pioggia benefica le tue più elette benedizioni.
Non possiamo riferire tutti i componimenti che vennero letti o declamati al dolcissimo Padre; ma non vogliamo tacere questi affettuosi rilievi del ch. Domenico Tomatis.
Ha caro il dì che reduce - fedele a sua bandiera - torna glorioso il milite - alla natia riviera; - ma a noi più caro ognor - è il giorno in cui ci accolsero - tra i figli del tuo cuor.
Scomparse alfin le tenebre - s'allieta il pellegrino - mirando il sol che splendere - ritorna in sul mattino; - ma son più lieti allor - che il volto tuo rimirano - i figli del tuo cuor. [333]
È dolce sull'oceano - se infuria la procella - al marinaio il raggio - di qualche amica stella; - ma assai più dolce ancor - è il giorno tuo onomastico - ai figli del tuo cuor.
Come colomba candida, - se sta nascosa al nido, - difesa è dagli artigli - dello sparviero infido - nè teme il cacciator, - securi in te riposano - i figli del tuo cuor.
Se lungi, ahi! tanti corrono - sopra il sentier del vizio - e vanno incauti a perdersi - in seno al precipizio, - come tra scelti fior - nel tuo giardin s'allevano - i figli del tuo cuor!
Se in noi non sono meriti, - non son ricchezze a noi, - troppo siam lieti d'essere - dei cari figli tuoi; - diletto Genitor! - amarti ognor promettono - i figli del tuo cuor.
Delle carezze memori - di tua paterna mano, - vogliamo esser tuoi figli con te, da te lontano; - sanno qual sia tesor - seguire i tuoi consigli i figli del tuo cuor.
Te più, te benedicano - lo stuol dei fortunati - che del tuo amor già figli - fratelli or Dio t'ha dati - ritolti ai folli error; - ai tuoi vessilli accorrano - i figli del tuo cuor.
E il buon Tomatis, che fu poi dei primi missionari, che nel 1875 partivano per la Repubblica Argentina, terminava con questo cordiale augurio:
Ovunque e presto stendasi - la santa tua bandiera, - non resti al mondo spiaggia - al nome tuo straniera!...
E gli ascrittì alla Compagnia di S. Luigi, dell'Oratorio festivo, ansiosi “di trovare qualche occasione in cui poter liberamente” manifestargli “i sensi della più alta stima e venerazione”, grati e riconoscenti a Dio, gli dicevano commossi:
Permetta che da questo giorno in poi lasciamo gli altri titoli e lo chiamiamo col dolce nome di Padre. Sì, noi d'ora avanti lo vogliamo considerare come nostro vero Padre ed Ella voglia compiacersi di tenerci quali cari figliuoli del suo cuore. Persuasi che Ella che è buono, non rigetterà questa nostra proposta, fin da questo momento noi Le promettiamo di volerci comportare da veri figliuoli e di essere in tutto e per tutto obbedienti in quelle cose che Ella vorrà aver la bontà di comandarci o di farci conoscere dal nostro Direttore. E siccome sappiamo che Le sta tanto a cuore la Compagnia di S. Luigi ch'Ella stessa con grande cura ha fondata nell'Oratorio, così noi Le promettiamo di osservarne sempre le regole per tutta la nostra vita, e di invitare anche degli altri compagni ad entrare in questa Compagnia, e di proporci di imitare questo gran Santo nelle sue virtù. [334] La sera del 24, Don Bosco rivolse, all'accolta di oltre 1500 persone, commoventi parole, ricordando come l'anno prima, dopo aver assistito all'affettuosa dimostrazione, li aveva assicurati che nel 1872 avrebbero potuto sentire le notizie più consolanti. Difatti egli diceva loro, come per grazia della Madonna, erano stati eletti i Vescovi di tante diocesi vacanti, tra cui le italiane, e tutti avevan preso possesso delle loro sedi. Poi, che essendo egli caduto gravemente infermo, e quasi senza speranza di guarigione, per grazia di Maria SS. Ausiliatrice era guarito. Inoltre che il S. Padre Pio IX, dopo aver prodigiosamente raggiunto e superato gli anni di tutti i suoi Predecessori, e dello stesso S. Pietro, continuava a godere ottima salute. E terminava dicendo che nel prossimo anno 1872 - 73 avrebbero avuto una lacrima od un sorriso.
Un sorriso, intanto, l'avevano già goduto anche quell'anno i cantori e i musici dell'Oratorio, subito dopo la festa di Maria Ausiliatrice, con una gita a Mondovì.
Abbiam accennato come la lunga vertenza tra il Vescovo di Mondovì e la direzione dell'Oratorio, sebbene finalmente definita, si sarebbe voluta riprendere per parte dell'Economo Vescovile; e difatti, nel mese di marzo, questi tornava a scrivere di voler di nuovo rivedere i conti; e Don Bosco e Don Rua, per venir meglio ad una soluzione definitiva, anch'essi ritennero conveniente d'affidare il disbrigo della faccenda a un loro dipendente, e precisamente al buon coadiutore Giuseppe Rossi, che era il provveditore dell'Oratorio. E perchè questi potesse esattamente esporre le cose come erano; Don Rua stesso gli estendeva da capo a fondo la risposta che doveva fare; e Buzzetti copiava e firmava la lettera che spediva a Monsignore.
Torino - Valdocco, 21 marzo 1872.
D. Bosco sebbene meglio in salute tuttavia non può ancora occuparsi in cose di amministrazione; D. Rua poi dovendo in sua vece sostenere la gestione di questa casa e di altre non può nemmeno occuparsene come vorrebbe. La cosa pertanto viene affidata a me [335] quasi unico che abbia cognizione delle cose, perciocchè in assenza del Cav. Oreglia era solito tenere il suo posto.
Comincio dunque per dirle che mi fa specie il vedere novello richiamo sopra i conti che io reputava assestati; perciocchè, se Ella ben si ricorda, nel suo partire alli 29 novembre si espresse con queste parole: d'oggi innanzi faremo conto nuovo, e la cosa si conchiudeva, che V. E. restava in debito di L. 440, 54, comprese le L. 300 aggiunte al diffalco fatto sulla Tipografia.
Se Ella accetta il conto allora sistemato ogni disturbo resta finito colla trasmissione delle L. 3000 di cui Ella dichiarasi depositario. Qualora per altro Ella volesse proprio richiamare le cose all'ultimo assestamento dei conti che va fino al 1866 dovrei dirle: 1° che le difficoltà insorte non vorrei che siano attribuite a codesta tipografia e libreria, perciocchè mandando ogni mese nota regolare del debito e credito, se si fossero subito assestati non sarebbero certamente nate difficoltà, perciocchè nei dubbi sarebbe stato facile uno schiarimento; ciò nulla meno si potrebbero stabilire alcune basi che potrebbero facilitare l'andamento delle cose; fra queste 2° la rimessione dei 3000 franchi del P. Oreglia che senz'altra condizione dovrebbero rimettersi a questa casa. (3° Dovendo richiamare i conti nel suo principio si dovrà anche ripigliare quello della tipografia, perciocchè quando D. Bosco rimise le cose al giudizio altrui si pensava che quella fosse l'unica difficoltà per venire ad un definitivo assestamento dei conti, come di fatti si è venuto. Ma se si ripigliano di nuovo le cose, dovrà di nuovo esaminarsi sopra quali ragioni si fondava la transazione fattasi in allora). 4° Un mezzo poi che io giudico facile per sistemare i conti, sarebbe che Ella volesse mandare scritte le sue osservazioni a ciascuno articolo, a cui io mi adoprerei nel miglior modo possibile di rispondere ricavando dai libri, unico documento di cui possiamo servirci.
Mentre io attendo categorica risposta a quanto sopra, la prego di persuadersi che questa casa nutre la più alta venerazione verso di Lei, ed io in particolare reputo sempre a grande onore ogniqualvolta mi potrò professare
È questo l'ultimo documento che abbiamo della vertenza[59].
Evidentemente la cosa finì lì; e non risultandoci che siasi fatto da parte di Monsignore il versamento dell'accennato piccolo residuo di debito, possiamo ritenere che le 440 lire e 54 centesimi siano state gratificate coll’invio delle 3000] [336] lire rimesse dal Cav. Oreglia. Quindi, se a questi si potrebbe attribuir la causa della lunga questione, si può anche assegnare lo scioglimento del bandolo dell'arruffata matassa, nata dal suo pensiero di procurare un onesto guadagno all'Oratorio, e finita mercè la sua delicatezza.
E Monsignore, per dar una prova della particolare affezione ed ammirazione che aveva per Don Bosco e per l'Opera sua, invitava i giovani cantori e la banda musicale dell'Oratorio a render più solenne la chiusura dei grandiosi festeggiamenti, da lui indetti in onore di S. Pio V, il Papa della vittoria di Lepanto e fulgida gloria del Piemonte e dell'Ordine Domenicano, che era stato Vescovo di Mondovì dal 27 marzo 1560 al 6 maggio 1566.
Quell'anno ricorreva il III Centenario della sua morte, essendo avvenuta il 1° maggio 1572, e il II Centenario della sua Beatificazione, essendo stato elevato all'onore degli altari da Clemente X il 27 aprile 1672; e i festeggiamenti si tennero nel mese di maggio, preceduti da una novena nella cattedrale, e vennero chiusi il 26 e il 27 maggio con solenni pontificali di Mons. Oreglia di S. Stefano, Arcivescovo di Damiata e Nunzio Apostolico presso la Corte di Portogallo, di Mons. Colli, Vescovo di Alessandria, e di Mons. Manacorda, Vescovo di Fossano, e con splendide illuminazioni, e fuochi artificiali, e concerti musicali.
I nostri musici e cantori che si recarono a Mondovì, furono un centinaio, e si fecero veramente onore, col devoto contegno in chiesa e la frequenza alla S. Comunione, e con le esecuzioni musicali, lasciando il più gradito ricordo, anche per l'allegria, nota caratteristica dell'Oratorio.
Alloggiati in seminario, una sera mentre facevano ricreazione, presenti il Rettore, i professori e gli altri superiori, a un tratto saltò in mezzo Gastini camuffato in modo che nemmeno i giovani lo riconobbero, e incominciò a cantare una scena di Crispino e la comare. Allora tutti i nostri lo riconobbero e si misero a ridere; ma i superiori, presi da stupore e credendolo un pazzo, eran già per dar ordine ai camerieri che lo cacciassero, quando, all'improvviso, Enria con voce da falsetto, nascosto tra gli altri, si mette a far la parte [337] della comare. I professori, che non s'erano ancor riavuti dal primo stupore: - Come! esclamavano, una donna in Seminario? anche di queste?... - ma la scena finì con un'allegria senza confini, che non s'era mai vista tra quelle mura! E, in fine, Gastini andò in giro a raccogliere l'elemosina, esclamando: - Per Don Bosco! Per Don Bosco!... - e raccolse circa 100 lire!
A Don Bosco, invece, non mancavan mai fastidi.
Il Provveditore di Alessandria non finiva di dar seccature al Direttore del Piccolo Seminario di Borgo S. Martino per la legalità degli insegnanti, e Don Bosco lo consigliava a mostrare i documenti comprovanti varie particolari concessioni fatte all'istituto, come Piccolo Seminario, perchè, in realtà, una gran parte degli alunni - i quali durante la sua malattia avevan tanto pregato per lui - si avviava alla carriera sacerdotale.
Credo bene che tu, soltanto da parte tua, interessi il Sig. Commendator Rho presso al Provveditore mostrandogli le lettere. Io farò di qui la parte mia.
Ti mando tre segnature della Storia Sacra, che tosto mi manderai di nuovo appena avrai letto coll'occhio tuo di linee, ed avrai ogni cosa accomodata con mano maestra.
Comunica la mia grande soddisfazione a tutti i preti, chierici e giovanetti pel modo con cui ognuno compie la parte sua, - e della bontà che mi hanno usata.
Dio ci benedica tutti e credimi in G. C.
Don Bonetti esortava gli alunni a fare una santa Comunione per ottenere la protezione celeste; e Don Bosco, mandandogli un'altra parte della Storia Sacra da rivedere prima di ristamparla, l'assicurava che per il momento ogni contrarietà era sparita.
Il temporale primo è scongiurato. Dì a' tuoi giovani che la grazia domandata dalla Comunione richiesta è ottenuta. Mille demonii [338] combattevano contro il Collegio S. Carlo. La Madonna li disperse tutti! Deo gratias. Ti mando tre quaderni Stor. Sacr. co' tuoi foglietti.
Dio ci benedica tutti. Credimi
L'ispettore scolastico della Provincia di Torino, un certo Rota, ex - prete, dopo aver visitato le classi elementari del Collegio di Lanzo, ne faceva una pessima relazione al Consiglio Scolastico, provocando rimproveri e minaccia di chiusura dell'istituto. E Don Bosco premurosamente scriveva al Prefetto, Sen. Vittorio Zoppi.
La casa di pubblica beneficenza, nota sotto il nome di S. Francesco di Sales, ha sempre trovato nell'autorità di V. S. Ill.ma un aiuto nei gravi bisogni e un appoggio nelle difficoltà insorte nell'andamento della medesima. Dal suo canto e nella sua pochezza questo stabilimento non mai si rifiutò di prestarsi ogni volta le autorità governative giudicarono di indirizzarsi al medesimo pel ricovero di poveri ed abbandonati fanciulli.
Con questi pensieri ricorro alla nota e provata bontà di V. S. Ill.ma, perchè colla sua autorità voglia appianare una difficoltà insorta nel Collegio convitto di Lanzo, la cui direzione e amministrazione fu da quel Municipio affidata ai maestri e direttori appartenenti a questo Oratorio che è come la casa centrale.
Fra gli insegnanti delle classi elementari ve ne sono due che hanno subito il loro regolare esame nelle vacanze dell'anno 1871; e poichè avevano già prima fatto più anni di tirocinio, nol fecero più dopo i loro esami. Perciò questi due maestri hanno subito i loro esami, hanno fatto il tirocinio prescritto dalle leggi sulla Pubblica Istruzione, soltanto; che invece di farlo dopo, lo fecero prima degli esami.
Pel passato non si fece una difficoltà a questo proposito, nè in questa, nè in altra Provincia dello Stato, dove sono Case o Collegi dello stesso genere. Ma il sig. Ispettore della Provincia di Torino, scorgendo in ciò una infrazione delle pubbliche leggi, vuole che tali Maestri cessino dal loro ufficio, e siano rimpiazzati da altri che abbiano compiuto il loro tirocinio in tempo legale.
Il Direttore locale unitamente allo scrivente, il Sindaco ed il Municipio approvano lo zelo dei maestri, il profitto degli allievi e la [339] disciplina che costantemente si conserva, e tutti unanimi notano che il cangiamento di maestri in questi ultimi mesi dell'anno scolastico tornerebbe dannoso agli allievi.
Ciò posto, prego la S. V. Ill.ma come Presidente del Consiglio scolastico, di voler permettere che questi maestri possano continuare il loro uffizio nelle rispettive classi per questi due ultimi mesi dell'anno scolastico.
Il Direttore locale, il Municipio di Lanzo, lo scrivente assicurano V. S. della idoneità dei maestri e del buon esito del loro insegnamento, ma affinchè ne abbia prova di fatto, la prego rispettosamente di voler invitare il Regio Provveditore agli studi a fare una visita ufficiale al Collegio.
Qualora considerati i motivi sopra esposti, ciò nulla di meno egli trovasse opportuno tale cangiamento di Maestri, od altre modificazioni nel personale insegnante, io mi uniformerò prontamente e senza osservazione di sorta.
Pieno di fiducia nella di Lei bontà reputo ad alto onore di potermi professare con gratitudine profonda,
Il Prefetto aderì prontamente alla domanda, e il Consiglio Scolastico elesse una commissione presieduta dal Regio Provveditore Garelli, perchè andasse a visitare quelle scuole e giudicasse. E il Provveditore Garelli, compiuto l'incarico, riferì che tutto andava assai bene, benchè l'ispettore si tenesse fermo nelle sue asserzioni; ma il Consiglio Scolastico cessò da ogni rimostranza, e le cose si composero con molta soddisfazione di Don Bosco. Il deputato Paolo Boselli, poi Ministro della Pubblica Istruzione, recatosi più tardi a visitar quelle scuole, disse chiaramente che potevano proporsi come modello a tutte quelle del Regno.
Un'impresa ardita, ma di grande utilità, che sarebbe stata precorritrice dei Seminari Regionali istituiti durante il Pontificato di Pio X, ebbe in mente Don Bosco. Vista la deficienza ognor crescente di vocazioni e gli incagli che il Governo metteva alle scuole rette da religiosi e da ecclesiastici, col [340] pretendere che tutte avessero maestri e professori diplomati, trovò il modo d'ovviare a così grave difficoltà col progettare la fondazione, in Torino o nei dintorni, d'un collegio o seminario interdiocesano per il Piemonte e per la Liguria, ed anche per la Lombardia, capace di raccogliere un cinquecento o seicento alunni, che vi sarebbero stati inviati dai vari Vescovi, e, raggiunto il sacerdozio, avrebbero fatto ritorno alle proprie diocesi. I Vescovi naturalmente avrebbero sostenuto coi loro mezzi, e col procurarle generosi benefattori, l'opera provvidenziale, perchè anche i poveri giovani, che avevano vocazione di farsi preti, vi sarebbero stati accolti, gratuitamente. Come ovviare, in modo migliore, alla grave difficoltà di trovar li per lì, come voleva il Governo, tanti insegnanti patentati?... mentre per il nuovo istituto, che avrebbe avuto la 3a, 4a e 5a ginnasiale e le classi di Filosofia e Teologia, facilmente si sarebbero trovati dei bravi professori, laici esemplari o sacerdoti, nonchè filosofi laureati e dotti teologi e canonisti. Così un solo Seminario avrebbe sciolta la difficoltà di trovar tanti professori per i singoli seminari.
Don Bosco comunicò il progetto ai Vescovi del Piemonte della Liguria e della Lombardia, che l'accolsero con entusiasmo. Gli Arcivescovi di Genova e di Vercelli e il Vescovo di Novara ne furono i più entusiasti; e tutti l'approvarono, a condizione che Don Bosco ne stesse a capo.
Ed egli, tornato da Varazze, andò a parlarne a Mons. Gastaldi. Questi nel primo colloquio sembrò approvare, ma poi non tardò a far capire che non gli piaceva che il Seminario stesse sotto la direzione di Don Bosco, ma in tutto e per tutto lo voleva sotto la sua giurisdizione; studii e pietà, dovevano essere regolati da lui; e i Vescovi, come seppero coteste dichiarazioni, si ritirarono, e così fallì il magnifico progetto.
Mons. Gastaldi, invece, aveva risoluto d'affidare a Don Bosco il Collegio che da pochi anni s'era aperto sulla strada di Valsalice, o, come si diceva allora, Val Salici o Valsalici.
Nel giugno 1863 la Gazzetta Ufficiale annunziava, che con decreto del Ministro Amari era stata intimata la chiusura [341] del Collegio di S. Primitivo, diretto in Torino dai benemeriti Fratelli delle Scuole Cristiane; e tanto fu il dolore che n'ebbero i buoni, che il mese dopo sorgeva una Società di Sacerdoti Torinesi, „al fine unico - così si legge nell'articolo 3° dello Statuto fondamentale, approvato dal Vicario Capit. Mons. Zappata, - di cooperare al bene della Religione e dello Stato, salvando la gioventù per mezzo di una educazione ed istruzione veramente religiosa”; e nel mese d'ottobre veniva aperto un collegio sull'antica strada di Valsalice, in un palazzo appartenente, fin dalla metà del secolo XIX, ai Fratelli delle Scuole Cristiane, e veniva chiamato Collegio Valsalici. Sette furono i soci fondatori, e benchè si cercasse d'aumentarne il numero, sette appena, cioè il numero minore richiesto dallo Statuto, rimasero fino al 1868, quando anche alcuni di questi si ritiravano, e la Società si sarebbe sciolta, se l'abate Michelotti e il Teol. Coll. Cav. Don Francesco Barone, che ne avevano l'alta direzione, non avessero tentato ogni via, non solo per rinnovarla, ma anche per ampliarla, vagheggiando il proposito d'estenderne il campo d'azione, oltre al funzionamento del Collegio Valsalici, a tutte quelle opere che possono giovare alla gioventù e a quanti abbisognano di cure morali, con „scuole d'ogni genere, diurne, serali, domenicali, Conferenze religiose per le persone colte e per la gioventù; Catechismi, preparazione alla 1a Comunione, ecc., Missioni, Scuole campestri, Patrimoni o Pensioni per gli studi a poveri giovani, o chierici, o laici, ecc. ecc.”, aumentando naturalmente il numero dei soci, coll'accogliere, oltre gli ecclesiastici, anche i migliori laici, „non solo di Torino, ma, se non di tutta l'Italia, almeno dell'intera provincia della Metropoli Torinese o meglio di tutto il Piemonte”, per impedire il trionfo dell'immoralità e dell'empietà a danno della società e della Chiesa. Così diceva un memoriale diretto nel marzo 1869 dal Teol. Barone all'Arcivescovo Mons. Riccardi di Netro.
Il progetto di cotesta caritatevole unione tra il Sacerdozio e il Laicato per il vantaggio morale e materiale delle popolazioni non raggiunse la mèta, ma servì a salvare il Collegio Valsalice, che tornò ad avere vita regolare ancor [342] per tre anni, quando, per la diminuzione del numero degli alunni e l'aumento dei debiti, la Società si vide nell'impossibilità di continuare a far fronte alle spese, e allora il Teol. Barone, appena Mons. Gastaldi, suo condiscepolo, ebbe fatto l'ingresso in diocesi, lo metteva al corrente della grave situazione, e glie ne consegnava anche un ragguaglio per iscritto, fidente che il nuovo Arcivescovo avrebbe indotto tutti i Vescovi del Piemonte a far parte della direzione della Società, e ad adoperarsi per trovare alla medesima nuovi soci in modo da darle forma stabile e sicura.
L'Arcivescovo, interpellato in proposito prima ancora che facesse il suo ingresso, aveva risposto che egli avrebbe dovuto provvedere al suo Seminario anzichè ad un collegio; ma spinto dalle insistenti preghiere, nell'esaminare il carteggio che gli era stato consegnato circa la crisi del 1869 e il miserabile stato in cui si trovava nuovamente il Collegio per i gravi debiti, gli balenò in mente di metterlo a posto coll'affidarne la direzione a Don Bosco, proprio quando Don Bosco si recava a parlargli del Seminario Interdiocesano.
Come abbiam detto, Monsignore parve dapprima approvare il progetto di Don Bosco, ma poi, passando subito ad esporgli lo stato miserando in cui si trovava il Collegio Valsalici e il bisogno urgente di salvar l'onore del Clero Torinese, l'invitava a volerne assumere la direzione.
Don Bosco osservò non esser quello il campo dell'opera salesiana fondata per i figli del popolo, ma l'Arcivescovo insistè tanto fin quasi a dichiarare che glie lo voleva imporre, che il Santo chinò il capo, soggiungendo che avrebbe chiesto il parere al suo Capitolo, e glie l'avrebbe poi comunicato.
Monsignore s'affrettò a riferire il colloquio al Teol. Barone, dicendogli d'andare a pregar Don Bosco che non dicesse di no all'Arcivescovo. Il Teologo obbedì e, colle lacrime agli occhi, si gettò anche in ginocchio ripetendo che solo il nome di Don Bosco avrebbe potuto ridar prestigio al Collegio.
Don Bosco radunò il Capitolo, e tutti diedero voto contrario, ripetendo esser fuori del nostro programma la cura [343] di giovani appartenenti a famiglie signorili. Comunicò il voto all'Arcivescovo, e questi di nuovo insistè in forma quasi perentoria; e Don Bosco radunò di nuovo il Capitolo, e dopo aver detto che ne aveva avuto quasi un comando e che a lui pareva conveniente d'evitare un urto col nuovo Superiore Ecclesiastico, pregò di tornar alla votazione; e i membri del Capitolo, ridendo, diedero tutti la palla bianca!
Ciò accadeva nel mese di marzo. Poco dopo, recatosi a Lanzo, Don Bosco narrava al Direttore l'offerta del Collegio Valsalici, invitandolo ad esporgli egli pure il suo parere.
- Rifiuti! rispose Don Lemoyne.
- Ma dunque anche tu sei contrario? tutti, tutti assolutamente respingono questo progetto!
- E questo deve far piacere a Don Bosco, perchè ciò dimostra che i suoi figli tengono a memoria le sue parole. Non ci ha detto e ripetuto che l'accettar collegi di nobili segnerebbe la decadenza della nostra Congregazione e che noi dobbiamo sempre tenerci ai poveri figli del popolo?.
- E vero, hai ragione; eppure debbo accettare il Collegio Valsalici, perchè l'Arcivescovo lo comanda.
- Se la cosa è così, non so che dire; Don Bosco faccia come crede, e noi ubbidiremo volentieri! Ma se per accettarlo volesse il mio voto, io lo darei sempre negativo.
Così gli avevano risposto anche altri confratelli da lui interrogati.
L'Arcivescovo, per facilitare le pratiche, chiedeva una particolare benedizione al S. Padre, e la rimetteva poi a Don Bosco:
In Torino esiste da circa dieci anni una Pia Società la quale, proponendosi di provvedere l'educazione cristiana e letteraria ai giovanetti delle classi civili, ha aperto, un Collegio Convitto a questo fine.
Questa Società per assicurarsi l'adempimento dei suoi desiderii, implora umilmente la benedizione dì Vostra Santità.
Lorenzo, Arcivescovo di Torino. [344]
Il Papa, di proprio pugno, apponeva sulla supplica queste parole:
Benedicat vos Deus et illuminet, ad dirigendos iuvenes in viam salutis aeternae.
E proprio in aprile si venne all'accettazione definitiva, con non piccoli sacrifizi, anche finanziari. Mons. Gastaldi scriveva ufficialmente a Don Bosco per avere una risposta precisa da comunicare agli amministratori del Collegio.
Seminario, Torino, 23 aprile 1872.
L'amministrazione attuale del Collegio Val Salici, eccettuato un solo membro, l'opposizione del quale non potrà tuttavia essere di ostacolo insuperabile, sarebbe decisa di mettere il Collegio Valsalici nelle mani di V. S. con le condizioni seguenti modificate alquanto da quelle già esposte:
1a Rilevare l'attuale affittamento della casa dai Fratelli delle scuole Cristiane.
2a Acquistare tutti i mobili e tutte le macchine di fisica che appartengono alla detta amministrazione, e dentro due mesi pagarne il valsente che potrà ammontare a lire 22, o 23 mila.
3a Obbligarsi a pagare lire 500 annue, interessi di L. 10000 imprestate al Collegio da persona ora anonima, le quali questa si obbliga di rilasciare al Collegio, avvenendo il suo decesso, col solo obbligo perpetuo di mantenere un giovane della sua parrocchia alla scuola.
V. S. esamini queste condizioni e mi risponda a voce od in iscritto.
Ho esaminato attentamente i punti di accordo pel collegio di Valsalice, ma veggo difficoltà per parte dell'interesse. Se avessi denaro, aggiusterei tutto, ma non mi è ciò possibile.
Io pertanto non potrei variare le basi già accennate a V. E. ed agli stessi Signori dell'Amministrazione, con cui ho avuto il piacere di parlare, e sono: [345]
1a Assumermi le spese di fitto del locale, rilevare il mobilio per quello che vale, cominciando dal giorno che ci andrà al possesso.
2a Non posso assumermi alcuna passività, nè certa, nè secondo il successo finanziario in avvenire del collegio.
Ciò che scoraggisce i miei compagni sono due cose: 1a Lo scopo nostro che è di tenerci alla classe media, e non la nobiltà. 2a Se personaggi così rispettabili, quali sono gli attuali amministratori, non possono andare avanti, ci caveremo noi, poveri pigmei?
Ciò non ostante sulle basi sopra accennate sarò disposto di trattare.
Ma in questa cosa, come nelle altre, mi voglia credere con la più profonda gratitudine e venerazione,
E sulla lettera dell'Arcivescovo, scriveva, tra le righe del N° 2, la nota „dietro perizia - a tutto ottobre -”; e, in margine al N° 3: „- Non accettato -”. E Don Rua, mettendo la lettera in archivio, vi poneva questo Nota bene esplicativo: - Ciò che è scritto regolarmente [cioè la lettera è la proposta. Ciò che è scritto nello spazio interlineare o in margine è la risposta.
In giugno si venne all'atto ufficiale; e l'antica amministrazione volle che si pagasse quanto v'era, nel collegio, di materiale mobile, e mentre gli oggetti più preziosi, furon tolti ed asportati, si dovette versare una forte somma.
Ormai il passo era fatto, e mentre Don Bosco, esteso il programma, lo presentava all'Arcivescovo perchè l'approvasse, l'Unità Cattolica del 3 luglio annunziava il passaggio della direzione del Collegio a Don Bosco.
Il Collegio di Valsalice. - Questo Collegio nel prossimo anno scolastico sarà aperto, come per lo addietro, alla studiosa gioventù. E, senza mutare scopo, passa sotto la direzione ed amministrazione del sacerdote Don Giovanni Bosco. Posto in ameno sito, presso la città di Torino, offre ai padri di famiglia piena sicurtà per la salute dei loro figliuoli. Il prezzo della pensione mensuale è, come per lo passato, di lire 90 per ogni allievo del corso elementare; di lire 100 pel corso ginnasiale; di lire 110 pel corso liceale. Nella predetta somma è compresa ogni spesa occorrente pel vitto, pel vestito, pei libri e per la istruzione. Le pruove, che i Collegi di Don Bosco hanno [346] fatto e fanno tuttavia in Piemonte e nella Liguria, dànno siffatta guarentigia, che i genitori possono ben affidare i loro figli al Collegio di Valsalice con animo tranquillo. Noi, certamente, crediamo di poter dire con tutta verità, che in questo Collegio niente è omesso di quanto può promuovere il vantaggio sanitario, morale e letterario degli alunni. E per quel che riguarda l'andamento degli studi, non vogliamo intralasciare di far conoscere al pubblico, che questi saranno diretti dal valoroso professore Don Celestino Durando, autore del Nuovo Donato (principii di grammatica latina). Le domande si indirizzino in Torino al sacerdote Don Giovanni Bosco, ovvero al professore Francesco Dalmazzo, direttore del Collegio di Valsalice.
E l'Arcivescovo scriveva sotto il programma[60] queste parole:
Tra le cose che devono maggiormente interessare il Nostro Cuore è certamente la educazione cristiana dei fanciulli e giovanetti affidati da Dio alle Nostre Cure pastorali. Avendo Noi ogni ragione di confidare, che questa educazione sia per darsi perfettamente nel Collegio Valsalice posto nel territorio di questa Nostra Città Arcivescovile, ora diretto dal molto Reverendo Sig. Don Giovanni Bosco, raccomandiamo caldissimamente questo Collegio a tutti i Genitori e Tutori e a tutte le altre persone a cui appartenga di provvedere all'educazione di fanciulli o giovanetti. Imperocchè Noi siamo persuasi, che in esso siano le Benedizioni di Dio, mercè delle quali gli alunni ivi educati cresceranno ottimamente nelle lettere e nelle scienze, e nel tempo stesso progrediranno in quella che supera infinitamente tutte le altre scienze, che è la Sapienza cristiana.
Per Don Bosco l'accettazione del Collegio Valsalice fu un vero sacrifizio. Non tralasciò nulla per rimetterlo in fiore. Il 3 ottobre il R. Provveditore Garelli gli annunziava che il Consiglio Scolastico ne approvava la riapertura; ma sorse subito una gara di lingue malediche, perchè chi aveva supplicato Don Bosco a salvar l'onore del Clero, prese a denigrare i suoi figli, nel timore che il buon successo della nuova direzione tornasse a disdoro della passata. Si accusava Don Bosco di presuntuoso nell'imprendere l'educazione dei figli nobili, si chiamavano ineducati coloro che furono destinati [347] ad assistenti, e con cento altre dicerie si ritraevano i signori dal porre a Valsalice i loro figliuoli. Povero Don Bosco! I primi anni non potè avere più di 20 giovani con un dispendio enorme, poichè il solo fitto ascendeva a 7000 lire annuali. Ma il Direttore Don Francesco Dalmazzo seppe così bene maneggiarsi, da poter contare finalmente un cento alunni circa. E Don Bosco comprò poi per 120.000 lire il Collegio, che nel 1887 veniva destinato per i chierici aspiranti alle Missioni Estere, e così il Signore disponeva che, pochi mesi dopo, ivi potesse esser sepolto il corpo del Santo, che vi restò fino al 1929, quando venne elevato all'onore degli altari.
La pratica iniziata per l'espropriazione della striscia di terreno del Morglia giaceva da mesi presso il Municipio. Il segretario capo della Prefettura, Cav. Carlo Baccalario, il 6 gennaio 1872 assicurava Don Bosco che fin dal mese di agosto era stata comunicata al Sindaco, che non aveva ancora fatto nulla; e un mese dopo, il 4 febbraio, il conte Carlo della Veneria scriveva all'economo Don Savio „aver la Città rimandata la pratica del Reverendo nostro Don Bosco, lavandosene le mani come Pilato, sotto pretesto che la Prefettura aveva invitato il Municipio ad esprimere il suo voto”.
Si tornò ad insistere presso la Prefettura, pregandola d'attenersi al disposto della legge, coll'ordinare al Municipio di far le pubblicazioni stabilite; e, il 10 aprile, il Municipio veniva ad una favorevole deliberazione:
Deliberazione della Giunta Municipale in seduta del 10 aprile 1872 N° 66, alla quale sono intervenuti, oltre il Sindaco, gli Assessori Ordinarii: Pateri - Rolle - Ricardi - Guadagnini e Noli coll'assistenza del segretario sottoscritto.
Il Sindaco riferisce che il Signor Cav.e Sacerdote Gio. Bosco domanda l'appoggio del Municipio onde ottenere dal Governo la [348] dichiarazione di pubblica utilità per la costruzione di un grande fabbricato, con annessavi chiesa, ad uso ospizio a favore della gioventù abbandonata che Egli intende erigere sul viale del Re nel terreno facente angolo colla via Madama Cristina, e presenta ad un tempo i disegni dimostrativi del progetto in discorso.
Il ricorrente accenna nella sua domanda come lo scopo per cui intende promuovere la dichiarazione di pubblica utilità, sia quello di potersi procurare la striscia di terreno propria del sig. Morglia, indicata nell'analoga pianta, e che gli è indispensabile per compiere la progettata opera, circa il quale terreno il richiedente ed il proprietario discordano grandemente nel prezzo, mentre per la molto maggiore superficie rimanente potè accordarsi in via amichevole coi rispettivi proprietari.
La Giunta, presa conoscenza del ricorso e visto il disegno delle costruzioni progettate, dichiara che essa vedrebbe con piacere eretto questo nuovo istituto di scuole, a vantaggio specialmente della gioventù povera del quartiere; ma non crede di esternare un voto esplicito, in favore della dichiarazione di utilità pubblica del progetto relativo, in quanto che questa può ottenersi anche pella sola istanza del ricorrente, specialmente in vista dello scopo che esso si propone coll'erezione del cennato stabilimento.
Sottoscritti all'Originale il Sindaco Rignon, l'Assessore anziano Pateri, il Segretario C. Fava.
Don Bosco scriveva e mandava alla Prefettura l'istanza da inviare a Sua Maestà il Re, per ottenere, alla chiesa da costruirsi con Ospizio e Scuole, la dichiarazione di opera d'utilità pubblica.
Nella città di Torino dalla piazza d'armi fino al Po havvi uno spazio popolatissimo della lunghezza di circa tre chilometri, senza che tra que' numerosi abitanti vi siano nè scuole per fanciulli nè chiese destinate al culto religioso.
Negli anni addietro il supplicante apriva in quella località l'Oratorio di S. Luigi con scuola e cortile di ricreazione pei fanciulli, ma quando venne eseguito il prolungamento della via dedicata a San Pio Quinto quell'edifizio venne diviso in due parti e non è più servibile al primitivo suo scopo.
Il sottoscritto Sacerdote Giovanni Bosco si è preoccupato della deplorevole condizione in cui si trovano i cittadini cattolici che abitano quella parte della città, e nello scopo di provvedere alla gravità del bisogno, coll'aiuto di caritatevoli e pie persone ha fatto acquisto di un terreno compreso tra la detta via di S. Pio Quinto e la via Madama [349] Cristina, con fronte sul viale del Re, coll'intendimento di edificare una chiesa dedicata a S. Giovanni Evangelista, che possa servire anche per gli adulti, avente annesso un grandioso fabbricato che sia destinato per scuole, ospizio e cortile dove si possano trattenere i ragazzi in ricreazione, particolarmente nei giorni festivi, preservarli per tale modo dai pericoli dell'immoralità, ed avviarli a qualche arte e mestiere.
Coll'appoggio della Divina Provvidenza i lavori sono iniziati, il muro di cinta è già terminato, e mentre il benemerito signor Conte Edoardo Arborio Mella ingegnere sta ultimando il disegno della chiesa e dell'annesso edifizio si stanno anche raccogliendo i materiali ed i fondi necessarii alla progettata costruzione.
Il progetto di massima, che si unisce alla presente domanda, addimostra come l'Opera che forma il soggetto ridondi incontestabilmente a benefizio della popolazione Cristiana che abita nella indicata località; ma per metterlo ad esecuzione occorrerebbe di procedere alla espropriazione della piccola striscia di terreno segnata nel detto progetto di massima colla linea gialla di spettanza del Signor L. Enrico Morglia, il quale si rifiuta di consentire alla relativa cessione.
Essendo riusciti infruttuosi tutti i tentativi fatti per indurre il Signor Morglia alla cessione di detta striscia di terreno, il sottoscritto trovasi nella necessità di ricorrere alla S. R. V. M. affinchè in applicazione della legge 25 giugno 1865 N. 2359 voglia degnarsi di dichiarare opera di Utilità Pubblica le progettate costruzioni ed il sottoscritto possa promuovere gli opportuni atti di esproprio della indicata particella di terreno.
Per ottenere cotesto suo scopo ricorre alla Vostra Sacra Reale Maestà, e supplica la medesima a volersi degnare di dichiarare in base alla citata legge del 25 giugno 1865 che le costruzioni segnate nel progetto di massima sottoscritto dal signor Ingegnere Cav. Trocelli e Sig. Conte della Veneria e nel piano annesso, sono di utilità pubblica, con emanare tutte quelle altre disposizioni legislative che riguardano la espropriazione del tratto di terreno ubicato nel detto progetto, onde possa il sottoscritto portare a termine l'opera da lui progettata a benefizio degli abitanti di Torino.
Ed all’istanza univa una dettagliata esposizione delle costruzioni che si volevano compiere, redatta dal conte Carlo Reviglio della Veneria, nella forma più netta e precisa, da far comprendere tutta la convenienza e la necessità della chiesta dichiarazione sovrana. [350]
Sul progetto dell'Ospizio e Scuote per poveri fanciulli che il Rdo. Sig. Don Bosco Giovanni desidera costrurre in Torino nell'isolato di S. Bernolfo N° 19 della Sezione S. Salvario con Chiesa pubblica dedicata a S. Giovanni Evangelista.
Il Reverendo Sig. Don Bosco Giovanni Fondatore del grande e popolatissimo Oratorio di San Francesco di Sales in Valdocco, e di altre pie Opere che questo benemerito Padre dei poveri creò non solo in Torino, ma ancora in varie provincie dello Stato, da due anni ideava di innalzare un nuovo stabilimento di pubblica utilità qui in Torino nell'isolato San Bernolfo N° 19 della Sezione San Salvario tra la via di S. Pio Quinto e quella di Madama Cristina con fronte sul viale del Re.
Sceglieva quella località perchè dalla piazza d'armi sino al Po mentre si misura una distanza di circa tre chilometri non vi si trova tra i numerosi abitanti che la popolano, nè una scuole pei fanciulli, nè una Chiesa pel Culto religioso, ed a tale scopo già da molti anni il Signor Don Bosco apriva il piccolo Oratorio di S. Luigi con scuole e cortile di ricreazione, ma nel prolungamento della via San Pio Quinto questa località veniva divisa in due parti e resa in tal modo inservibile al suo scopo.
Per provvedere alle ristrettezze del detto Istituto tutt'ora aperto, ma insufficientissimo, l'operoso Sig. D. Bosco è deciso di edificare una grandissima Chiesa che serva a quella popolazione, con fabbricato sufficiente per Scuole, Ospizio e cortile dove trattenere i ragazzi in ricreazione e particolarmente nei giorni festivi, preservandoli dai pericoli dell'immoralità, avviandola a qualche arte o mestiere, formandoli Cittadini obbedienti alle leggi.
Avendo sempre lavorato a questo utilissimo scopo, superando gravi difficoltà trovasi ora il Signor Don Bosco possessore di circa tremila cinquecento metri quadrati di terreno che ha comperato si può quasi dire palmo per palmo da parecchi proprietari pagandolo in proporzione dei fabbricati entrostanti che tutti però sono inservibili e da demolirsi.
In tali acquisti il Signor Don Bosco ha già speso l'ingente somma di franchi settanta mila, ed affidava la composizione dei disegni di questo suo grande progetto all'ottimo e carissimo mio amico il Conte Edoardo Arborio Mella di Vercelli, che è forse da noi il primo e più profondo conoscitore dell'architettura del medio evo, da lui studiata, con amore grandissimo, non solo in Italia ma per parecchi anni in Germania, Normandia ed Inghilterra; e sono abbastanza noti li detti studii da Lui pubblicati, i monumenti da lui eseguiti e le Basiliche ristorate per assicurarci che la nostra Torino acquisterebbe da questo maestro un monumento che servirà di lustro, decoro ed ornamento grandissimo ad uno dei quartieri più frequentati della Città.
Di Architettura Romanica sarebbe il monumento che ora sta [351] progettando il Conte Mella e del quale ho l'onore di presentare qui un piano di massima da me sottoscritto in data d'oggi per dimostrare l'impianto e la località che occuperebbe questo Edifizio, per il quale si riserva l'Autore di presentare fra non molto i dettagliati disegni all'approvazione dell'Autorità Municipale.
Sul centro dell'Isolato verso il Viale del Re si eleverebbe la facciata della Chiesa che avrebbe l'interno a tre navi che prese insieme misurano la larghezza di metri 21 cent. 20 essendo la lunghezza della nave maggiore metri 57 cent. 70, dimensioni queste indispensabili per servire all'Ospizio ed alla numerosa popolazione che abita quei dintorni, e specialmente alla folla dei fanciulli che in quella località affluiscono da varie parti della Città.
A destra della facciata del tempio sempre verso il viale del Re si costruirebbe l'Ospizio che potrebbe poi anche estendersi verso la via Madama Cristina, circondando il cortile che riescirebbe di sufficiente superficie per servire alla ricreazione dei poveri fanciulli.
L'ampio sotterraneo poi della Chiesa sollevato di sette gradini dal piano del viale del Re, servirà a varii usi dell'Ospizio, come di refettorio, magazzini etc., in egual modo che si pratica dallo stesso Signor D. Bosco sotto della sua Chiesa dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, qui in Torino, destinandone gran parte per scuole serali.
Questa giacitura è la sola trovata possibile per ottenere le necessarie dimensioni, con comunicazione nella via San Pio Quinto, conservando la facciata della chiesa e quella principale dell'Ospizio ad ornamento del gran Viale del Re e difatti per maggior euritmia riescirebbe la facciata della Chiesa nel bel mezzo dell'Isolato, che col tempo potrebbe quasi tutto diventar Ospizio se cadesse poi in vendita il piccolo fabbricato verso la via di Ormea.
Per eseguire questo grandiosissimo progetto, oltre ai tremila cinquecento metri quadrati già comprati dal Signor Don Bosco, e colle concessioni avute del Signor Fantini, proprietario della casa che fa angolo alla via Pio Quinto e Madama Cristina, manca però ancora a completare l'area ora necessaria una piccola striscia di terreno a levante che fa parte del deposito di pietre del Sig. L. Enrico Morglia.
Questa piccola parte sarebbe della superficie di trecentoventotto metri quadrati, pari a circa tavole 9 di antica misura piemontese, segnata nell'unito piano con linea gialla.
Essendo riusciti infruttuosi tutti i tentativi fatti dallo scrivente per indurre il Sig. Morglia alla cessione di detta striscia di terreno, quantunque tenesse dal Sig. Don Bosco facoltà di pagarlo oltre al suo reale valore, per non restringere e guastare il progetto che il distintissimo Architetto sta compilando, potrebbe il Sig. D. Bosco ricorrere a S. S. R. Maestà supplicandola affinchè in applicazione della legge 25 Giugno 1865 N° 2359 voglia degnarsi di considerare come opera di utilità pubblica le progettate costruzioni, mentreché il terreno [352] che si dovrebbe scorporare dal magazzino del Sig. Morglia servirebbe a regolarizzare le due proprietà con una linea perpendicolare al viale dei Re, e si renderebbe in tal modo effettuabile un progetto che dovrebbe altrimenti cambiarsi e che perderebbe della sua importanza e della grandiosità che si vuol dare a un Istituto di beneficenza e di ben pubblica utilità intorno al quale si spenderanno tra due anni ben oltre a trecentomila franchi e potrebbe il Sig. D. Bosco a guarentigia della domanda della piccola superficie di terreno che gli manca a compimento del vasto suo progetto assoggettare a legale ipoteca tutto il terreno già da lui sino ad ora comprato in quest'isolato e che gli costa franchi settanta mila.
Lo scrivente a compimento dell'onorevole incarico affidatogli, conchiude questa sua relazione, facendo voti, che possa essere secondata la pia intenzione del benemerito fondatore, mettendolo in posizione di poter, mediante i relativi compensi, ottenere la piccola parte di terreno necessario a compimento del progetto che sarebbe già in costruzione avanzata, se non si fosse incontrata la deficienza di una sì piccola parte di terreno necessarissimo.
Conte Carlo Reviglio della Veneria..
Per quanto possa essere richiesta la sua firma in rapporto col disposto dell'art. 3° della legge 25 Giugno 1865,
A schiarimento del piano di massima, unito all'istanza, si ritenne conveniente d'aggiungere un secondo foglio di disegni per dare un'idea più dettagliata della facciata e sezioni della chiesa e dell'annesso Oratorio, con la dichiarazione che gli stessi disegni verrebbero poi presentati in iscala maggiore, con tutti i relativi dettagli, all'autorità competente „a termini dell'art. 160 della legge 25 giugno 1865 e del vigente regolamento per l'ornato e la polizia edilizia della città di Torino”.
Ciò si fece alla fin di giugno; e il mese dopo veniva richiesta anche quest'esplicita dichiarazione:
Per la costruzione del proposto monumento di pubblica utilità, lo scrivente ne tiene già preparati i mezzi necessari e ne presenta ampia guarentigia sui vasti fabbricati da esso posseduti in questa città nel Borgo di Valdocco e sulle altre sue proprietà nella città di Lanzo, di Chieri, Casal Monferrato, Genova ed Alassio.
Mentre, or colla compera, or colla permuta, e sempre invano, si tentava ogni via per ottener dal Morglia quella striscia di terreno, Don Bosco non dimenticava l'erezione della Chiesa di S. Secondo; ed appena spuntata la primavera, pregava il Sindaco di mettere a sua disposizione il terreno ad essa destinato ed a concedere la formazione dello steccato necessario per intraprendere senz'indugio i lavori:
Il Consiglio Municipale in sua seduta del 7 luglio 1871 si compiacque di concedere al Sac. Bosco Giovanni un sussidio di lire trentamila per l'erezione della Chiesa Parrocchiale di S. Secondo, ed il terreno a tal fine destinato nel piano d'ingrandimento del Borgo S. Secondo a Porta Nuova. La Sig.ria Vostra Ill.ma con lettera del giorno 27 dello stesso mese nel comunicare la graziosa concessione soggiungeva che il Municipio col suaccennato concorso credeva di giustamente interpretare il voto dei cittadini che è di veder presto eretta quella Chiesa Parrocchiale, sollecitava perciò il Sac. Bosco perchè mettesse tutto l'impegno possibile per recare a compimento la progettata costruzione. Egli è per aderire al giusto desiderio del Municipio e per accorrere ai sempre crescenti bisogni della popolazione che il sottoscritto ora che la stagione è ritornata propizia ha deliberato di testè incominciare i lavori e mandar ad esecuzione il progetto già stato approvato, prega perciò V. S. Ill.ma a voler mettere a sua disposizione il terreno suddetto e concedere la formazione dello steccato alla distanza necessaria dalla linea della progettata ed approvata costruzione, che si calcola essere di metri cinque.
Il sottoscritto, nell'anticipare i ringraziamenti del favore che spera vorrà tosto concedere, le promette di mettere tutto l'impegno possibile perchè l'edificio sia con sollecitudine portato a compimento e riesca presto profittevole alla numerosa e crescente popolazione di questo rione e nello stesso tempo sia di ornamento a quella parte della Città.
Anche il Comitato promotore, presieduto dal Conte San Martino d'Agliè, inoltrava la stessa istanza.
E il Sindaco invitava Don Bosco a presentare all'Amministrazione Civica una dichiarazione, dalla quale risultasse che si obbligava ad eseguire il progetto dell'Ing. Formento, approvato dalla Giunta nella seduta del 2 gennaio 1868, sotto le condizioni in detta deliberazione indicate. [354] E Don Bosco rispondeva:
Il sottoscritto in apposito ricorso pregava V. S. Ill.ma a voler mettere a sua disposizione il terreno destinato all'erezione della Chiesa Parrocchiale di S. Secondo ed a voler accordare la costruzione dello steccato necessario, perchè si potesse tosto dar principio ai lavori secondo i disegni già stati approvati.
Ora nel rinnovare le stesse domande il sottoscritto dichiara che il progetto il quale intende eseguire è quello del Sig. Ing. Formento Luigi stato approvato dalla Giunta Municipale il giorno 2 gennaio 1868.
E il 6 maggio, il Capo dell'Ufficio di Polizia Urbana e Rurale, Luigi Prato, dichiarava “essere il Sac. Giov. Bosco autorizzato, con decreto del 3 - 5 - '72, a far eseguire sotto la direzione del Capomastro le opere seguenti: Cingere di steccato il terreno destinato a chiesa sulla piazza S. Secondo, tra le vie S. Secondo, Assietta, Gioberti e Ginnastica, alla distanza di metri 4 dalla fronte degli erigendi fabbricati e costrurre la chiesa stessa in conformità del progetto dell'ingegnere Luigi Formento, ... con che nell'esecuzione dei lavori si osservino le debite cautele e le disposizioni prescritte dai vigenti regolamenti”.
Contemporaneamente Don Bosco aveva pregato la direzione delle Ferrovie a concedergli una riduzione sulla tariffa del trasporto dei materiali, ed avuta risposta favorevole ringraziava il Direttore Generale.
Ill.mo Sign. Direttore Generale,
Il giorno 2 dello scorso aprile lo scrivente ricorreva a V. S. Ill.ma per ottenere trasporti gratuiti di materiali destinati a due edifizii di chiese e scuole vicini allo scalo di Porta nuova.
La S. V. Ill.ma il 19 dello stesso mese compiacevasi di rispondere che, in vista dei vantaggi che l'istituzione specialmente delle scuole avrebbe procurati alle famiglie di agenti ed operai della Società delle Ferrovie, avrebbe concesso qualche ribasso sui prezzi ordinarii di tariffe e che tale agevolezza sarebbesi poi specificata all'epoca in cui i trasporti dovessero incominciare. [355] Ora il sottoscritto si fa dovere di esternare alla S. V. Ill.ma i più sentiti atti di gratitudine pel favor che gli fa sperare; e nel tempo stesso ha l'onore di parteciparle che i lavori sono difatti cominciati da due settimane: e che sarebbe uopo incominciare i trasporti di materiali sulle ferrovie. Perciò le rinnova la preghiera di voler concedere che questi trasporti si possano fare con quella maggior riduzione di prezzo che nella sua grande carità giudicherà beneviso.
Dio conceda ogni bene alla S. V., e a tutti i signori della Direzione ed Amministrazione della Società delle Ferrovie dell'Alta Italia.
Senonchè il disegno dell'Ing. Formento aveva posto il sacro edifizio nel mezzo del terreno ad esso destinato, tra le quattro vie, con quattro frontali in piena euritmia, senza una camera per il parroco e i suoi coadiutori; e Don Bosco, che aveva accettata la costruzione del tempio con l'esplicita dichiarazione di provveder non solo ai bisogni della popolazione dei dintorni, ma anche a quelli particolari della gioventù, con un Oratorio festivo e scuole diurne e serali, faceva fare gli scavi della chiesa, d'accordo col Comitato Promotore e coll'Autorità Ecclesiastica, non nel mezzo dell'isolato, ma sul fianco a ponente, a filo della via Gioberti, affinchè a levante rimanesse lo spazio necessario per le scuole, cortile di ricreazione, e via dicendo; e ne affidava i lavori ai fratelli Carlo e Giosuè Buzzetti, diramando senz'indugio con firma autografa, questa circolare stampata:
Ai Signori Proprietari ed abitanti della nuova Parochia di S. Secondo in Torino.
La costruzione di una Chiesa nella parte nuova di Torino che è tra lo scalo della ferrovia a Porta Nuova e Piazza d'Armi è un bisogno di tale evidenza da essere sentito da quanti abitano in quelle vicinanze, o conoscono quella località. Infatti dalla chiesa parochiale di s. Carlo a quella di s. Maria delle Grazie, ossia della Crocetta, nel distretto delle quali è ora la suddetta parte della città, è uno spazio di circa due chilometri, dove gli edifizi sono pressochè continui e popolatissimi senza che in quel lungo e largo tratto esista luogo alcuno per l'esercizio della nostra s. Religione. Qualora poi si aspettasse ad incominciare colà un sacro edifizio solo quando si avessero tutti i mezzi necessarii, si metterebbe lo eseguimento di un'opera così necessaria ad un tempo troppo lontano. Dall'altra parte l'esperienza [356] di questi ultimi anni dimostra che in Torino quante Chiese furono incominciate, senza mezzi preventivi, altrettante furono compiute, la Divina Provvidenza avendo aiutato in modo singolare chi avea intrapreso di edificarle. Appoggiato ora al buon volere e alla carità dei proprietari e degli abitanti della nuova parochia, e confidando nell'assistenza di Dio, io mi sono accinto all'impresa. Il distretto di questa parochia dalle autorità competenti sarebbe fissato tra i seguenti limiti: cioè a levante la piazzetta s. Quintino e le vie Provvidenza, Sacchi e la strada di Stupinigi; a mezzodì la via Legnano, a ponente la Piazza d'Armi, a mezzanotte la via s. Quintino. Il numero degli abitanti presentemente è presso a diecimila, ma prima che l'edilizio sia terminato, saranno certamente oltre a dodici mila. Pertanto si giudicò opportuno di tenere piuttosto spaziosa la Chiesa, e regolare l'edifizio in modo che accanto alla Chiesa si formi un piccolo giardino per la ricreazione dei fanciulli, e sotto alla Chiesa si abbiano locali per le scuole serali e diurne sia nei giorni feriali sia nelle feste di precetto.
In vista del grave ed urgente bisogno il Municipio ci incoraggisce concedendoci il necessario terreno ed un sussidio di 30000 franchi da pagarsi parte quando i lavori siano fatti per metà, parte quando siano finiti. Un benemerito proprietario fa la generosa offerta di franchi 10000; ma la spesa totale è di circa franchi 300000, e per raggiugnere questa somma io mi raccomando caldamente a voi, Signori Proprietari ed Abitanti di questa nuova Parochia. Sarà essa intitolata al Martire s. Secondo, il quale dopo s. Giovanni Battista è il Patrono principale di Torino. I lavori sono già cominciati e col vostro aiuto ho piena fiducia di poterli continuare e condurre a termine. Il disegno è sostanzialmente quello stesso del signor ingegnere Formento già altra volta approvato.
Si spera che l'edifizio sarà terminato in tre anni; onde ciascuno è caldamente supplicato a voler estendere la sua beneficenza a questo santo scopo in quella maggior misura che in tale spazio di tempo gli sarà possibile. Unisco quivi una scheda, sulla quale ognuno può notare la somma con cui intende di concorrere in denaro o in materiali, per una volta sola o con offerte ripartite in questi tre anni[61]. [357]
Tutto ciò viene esposto col pieno consenso delle autorità competenti. Il misericordioso Iddio conceda copiose benedizioni spirituali e temporali a ciascuno dei contribuenti.
I lavori, iniziati nel mese di maggio, progredirono con tanta alacrità che in tre anni si sperava di condurli a termine, mentre, in due mesi, tra provviste per lo steccato, e costruzioni di preparazione, e scavi, le spese erano già salite a 27 mila lire, in maggior parte prese a prestito.
Nel mese di luglio Don Bosco tornava a scrivere alla direzione delle Ferrovie.
Ill.mo Sig. Direttore Generale.
A norma della lettera di V. S. Ill.ma, in data 9 corrente, ho l'onore di trasmetterle qui notati approssimativamente i materiali pel cui trasporto si chiedono agevolezze.
Le professo la più sentita gratitudine e Le auguro sanità e benedizioni celesti, mentre mi professo rispettosamente,
La nota dei materiali, „pezzi di pietra e pietre lavorate, marmi, mattoni, quadrettoni, tegole e calce”, provenienti dalle stazioni di Pinerolo, Avigliana, Meana, Arona, Ozzano, Varese, Chivasso, Settimo, Trofarello e Cambiano, sommava, approssimativamente, a 19 mila tonnellate.
E „circa eguale quantità di materiali - diceva - sarà impiegata nella costruzione della chiesa e scuole di S. Giovanni Evangelista a levante dello scalo della ferrovia, che tra breve sarà eziandio posta in costruzione”.
Ma lo spostamento della costruzione dal mezzo al fianco dell’isolato, suggerito, come si disse, dal trar profitto di tutto lo spazio per costrurre anche le scuole ed aver un cortile acconcio per le ricreazioni dei giovanetti che avrebbero frequentato l'Oratorio, mosse l'Ufficio di Polizia Municipale a notificare a Don Bosco, e per esso all'impresario capomastro Carlo Buzzetti, che veniva “imputata contravvenzione, perchè nello scavare il suolo, tra le vie S. Secondo, Gioberti, [358] Ginnastica ed Assietta, per la costruzione della nuova chiesa sotto il titolo di S. Secondo”, non si era seguita la località „indicata dal piano stato presentato ed approvato dal Municipio”; per cui, ove si volesse escludere ogni ulteriore procedimento, o Don Bosco o Buzzetti, entro dieci giorni, si presentassero all'Uffizio, altrimenti si darebbe corso al giudiziale procedimento avanti la Pretura Urbana.
Don Bosco, senz'indugio, comunicò la deliberazione all'Ing. Formento, il quale in data 21 luglio aderiva al suo desiderio e n'estendeva il progetto; ed egli, a nome del Comitato promotore, il 30 l'inviava al Sindaco con preghiera di venir autorizzato a variare la posizione e la planimetria della chiesa coll'aggiunta di un fabbricato nell'angolo sud - est dell'isolato, secondo il nuovo progetto dell'ingegnere; ma la Giunta Municipale, in seduta 3 agosto, dichiarava di non poter approvare la chiesta sostituzione; e il Sindaco glie ne dava comunicazione, invitandolo a sospendere immediata - mente gli scavi intrapresi per l'esecuzione del progetto respinto e a continuar quelli riferentisi al progetto approvato dalla stessa Giunta, in seduta 2 gennaio 1868, unendo alla lettera copia della deliberazione municipale.
Deliberazione della Giunta Municipale, in seduta del 3 agosto 1872 - N. 70.
Oggetto - Chiesa di S. Secondo. Modificazione del progetto.
§ 10° Il Sindaco riferisce, che il Signor Sacerdote Giovanni Bosco a nome del Comitato promotore per l'erezione della Chiesa parrocchiale di S. Secondo chiese di essere autorizzato a variare la posizione e la planimetria della Chiesa stessa coll'aggiunta d'un fabbricato nell'angolo sud - est dell'isolato secondo il progetto in data 21 Luglio p. p. dell'architetto Formento, in sostituzione di quello stato approvato dalla Giunta Municipale in seduta 2 gennaio 1868.
Il riferente aggiunge che tale domanda fu riferita alla Commissione d'Ornato nella seduta 26 luglio p. p. e la medesima ritenuto, che il progetto già stato come sopra approvato dalla Giunta portava con perfetta euritmia la Chiesa nel centro dell'isolato senza appendice di altro fabbricato qualsiasi, mentre il nuovo progetto porta invece la chiesa sopra un fianco dell'isolato stesso, e così in posizione non euritmica rispetto a questo, nel quale verrebbe ad inoltrarsi sopra altro lato ed in modo irregolare l'aggiunta predetta di fabbricato, e [359] che inoltre le quattro fronti della Chiesa mancherebbero alla loro volta della voluta euritmia, espresse il suo parere non potersi approvare la chiesta sostituzione.
Il riferente porge quindi lettura di osservazioni presentate dallo stesso Signor Sacerdote Bosco con lettera del 30 p. p. luglio, nella quale partendo dal supposto che la Commissione di Ornato abbia deliberato, che fosse cangiata la giacitura della chiesa, ed il disegno portando la fronte della medesima a levante in vece che era stata progettata a settentrione, insiste perchè sia approvato il nuovo progetto.
Ciò premesso il riferente invita la Giunta a deliberare;
Ed essa: Ritenute le gravi considerazioni, alle quali poggia il voto negativo della Commissione d'Ornato;
Ritenuto che lo stesso Signor Sacerdote Bosco, nella sua domanda del 28 aprile p. p. diretta ad ottenere il permesso d'incominciare gli scavi per la costruzione della Chiesa, avrebbe dichiarato di eseguire il progetto, stato approvato da essa Giunta il 2 gennaio 1868;
Ritenuto che il Consiglio Comunale, nel confermare in seduta 7 luglio 1871 a favore del ricorrente la concessione dell'area ed un sussidio di L. 30 m. già votato per la costruzione della Chiesa stessa, subordinò espressamente tale deliberazione alla preventiva approvazione dei disegni per parte della Commissione d'ornato e della Giunta;
Ritenuto essere inesatta l'interpretazione data dal prefato Sig. Sacerdote Bosco al parere della Commissione d'ornato, della quale altronde non eragli stata data fin ora ufficiale partecipazione, attenendosi a tal fine, che la Giunta avesse in merito al medesimo deliberato a termini del relativo regolamento;
Confermando le riferite conclusioni negative della stessa Commissione, quelle converte in sua deliberazione in risposta all'istanza presentata dal ricorrente.
Che fare? Come si legge in una minuta della risposta, Don Bosco osservava che non era stata ben compresa la sua proposta “di unire il progetto di un Oratorio dei fanciulli con quello di una chiesa parrocchiale per gli adulti”, mentre egli credeva “che la cessione del terreno, limitata alle sole ordinanze comuni delle regole edilizie, non racchiudesse altre obbligazioni se non la sicurezza e la regolarità esterna dell'edifizio”. “Ora, cangiandosi le cose sostanzialmente, e la deliberazione della Giunta rendendo impossibile un locale pei poveri fanciulli” rimaneva frustrato anche il suo scopo “che fu sempre di erigere un Oratorio ed un giardino di ricreazione pei ragazzi in modo di avere anche una chiesa parrocchiale per gli adulti”. [360] E allora?
“Ella mi dice - proseguiva - che il Regolamento d'Ornato stabilisce che delle deliberazioni della Giunta si può fare appello al Consiglio Municipale. Se la Giunta avesse giudicato d'iniziare essa stessa la nostra istanza, io ne sarei stato di pieno accordo, nè comparirei oppugnatore della mentovata deliberazione. Ma il fare io stesso quest'appello fa manifesto che io ho un urto e che la voglio vincere sopra questa autorità, che non solo ho sempre rispettato, ma a cui mi sono sempre raccomandato per lumi e consiglio, e colla quale, a costo di qualunque sacrifizio, intendo di continuare nella più sottomessa rispettosa sottomissione.
In questo stato di cose, non potendo conseguire il mio scopo principale, non mi resta altro che rinunciare all'impresa da tanto tempo vagheggiata, e di cui purtroppo n'è gravemente sentito il bisogno”.
E pregava il Sindaco a “voler fare avvertito il capo dell'Uffizio di Polizia a non voler procedere presso la Pretura Urbana per lo spianamento degli scavi e per lo sgombro dei materiali colà raccolti”, perchè, appena fosse stato possibile, egli stesso si sarebbe data la massima premura affinchè la superficie di quell'isolato venisse ridotta nello stato primiero; e, in ultimo, rilevando le gravi spese che in quei critici tempi aveva dovuto sostenere, senza movere alcuna pretesa si raccomandava alla sua protezione, perchè, come Sindaco, vedesse se poteva almeno alleggerirgli il danno che il desiderio del pubblico bene gli aveva cagionato.
Sospesi i lavori, da un giorno all'altro si sperava, in vista della ragionevolezza della sostituzione del progetto e dell'accondiscendenza favorevole di vari membri del Municipio, di venire ad un accomodamento; ma non si raggiunse, e, più avanti, vedremo qual ne fu la causa.
Dalla sera del 2 alla mattina del 6 luglio, predicati da Don Lemoyne e dal Missionario Apostolico Don Corsi, si tennero nell'Oratorio gli Esercizi spirituali per gli studenti, [361] e contemporaneamente si celebrarono nel Santuario le Quarant'Ore, per cui la Madonna aveva provvisto le candele
Poco prima s'era presentato a Don Bosco un prete, travagliato da grave tosse polmonare, che gli diceva:
- Mi suggerisca un mezzo sicuro per guarire!
- Eccolo, rispose il Santo: le dò la benedizione della Madonna, ed ella, se guarisce, darà alla Madonna le candele per le nostre prossime Quarant'Ore,
E il 1° luglio tornava a consegnargli quant'occorreva per, sodisfare la promessa, dichiarandosi completamente libero dall'incomodo.
Don Bosco invece, non sentendosi ancor pienamente in salute, accompagnato da Enria, il 6 luglio tornava in Riviera per passare alcuni giorni ad Alassio.
Durante il viaggio avvenne un curioso episodio.
Il 10 febbraio di quell'anno s'era tenuta a Roma, nella Sala Tiberina, una disputa sulla venuta e sulla dimora di San Pietro a Roma, negata dai protestanti e sostenuta dai cattolici. “Stavano per i protestanti - scriveva l'Unità Cattolica del 13 febbraio - Sciarelli, Ribetti e Gavazzi; pei cattolici Fabiani, Cipolla e Guidi... I protestanti avevano i loro stenografi, ... ed erano quelli della camera dei deputati, e ve lì avevano pure i cattolici, ed erano quelli del Concilio ecumenico. La relazione stenografata della disputa verrà resa di pubblica ragione...
Quanto a noi - proseguiva il giornale cattolico - saremmo pronti a dimostrare coi raziocinii del Ribetti e dello Sciarelli che Vittorio Emanuele il non fu mai a Roma. E vi sono minori prove dell'andata di Vittorio Emanuele II in Roma, che su quella del Principe degli Apostoli. Nè riusciremo mai più a capire, come mai si potesse ancora nel 1872 dai Ribetti e dai Sciarelli intavolare una disputa per provare che San Pietro non fu mai in Roma, se realmente non ci fosse stato e morto, secondo ciò che insegna non solo la Chiesa, ma riconosce tutta quanta la storia”.
La Capitale, l’11 e il 12 febbraio, pubblicava un sunto falsissimo della disputa, ma al primi di marzo veniva [362] dato alla stampa il „Resoconto autentico della disputa avvenuta in Roma la sera del 9 e 10 febbraio fra sacerdoti cattolici e ministri evangelici intorno alla venuta di San Pietro in Roma, a cura e spese della Società Primaria Romana per gli interessi cattolici”; e un conte ne spediva a Don Bosco una copia.
Non sappiamo chi glie l'abbia mandata, ma ecco la risposta del Santo, gelosamente conservata dal conte Scipione Benadoluci di Tolentino:
Premesse le mie scuse pel ritardo a riscontrare, le dico che a suo tempo ho ricevuta la cortesissima sua lettera coi giornali e colla relazione autentica della famosa disputa. Noi l'abbiamo letta in pubblico ed in privato, e, mentre lodiamo la verità trionfante, ci sentiamo vivamente indignati per l'audacia con cui i nemici della religione e della società osarono proporla e sostenerla con tante menzogne.
Di ogni cosa la ringrazio ben di cuore. Ella aggiunge la bontà squisita, offerendosi per quello che può occorrerci in Roma. Farò come dice, e fra breve sarò in caso di dover approfittar della graziosa offerta.
Dio la benedica, sig. Conte, e con Lei benedica le sue fatiche e tutta la sua famiglia. Preghi per me, che con profonda gratitudine mi professo,
Or accadde, che sul treno in cui viaggiava Don Bosco, e precisamente nel tratto da Savona ad Albenga, un giovane avvocato, d'aspetto bonario, prese a parlar calorosamente della disputa, sostenendo la parte dei protestanti.
Don Bosco lo lasciò dire un po', quindi interloquì cortesemente:
- Signore, ella afferma di conoscer bene la questione; ed io tengo opinioni contrarie alle sue. Vuol dunque obiettare, o preferisce che le esponga senz'altro ciò che è secondo verità? Dica quel che più le piace!
L'avvocato prese a fare obiezioni, e Don Bosco le sciolse tutte esponendo chiaramente il fatto della venuta di San [363] Pietro a Roma, recando le prove degli storici dei primi secoli del Cristianesimo, della costante tradizione sino ai giorni nostri, e dei monumenti che la ricordano nell'eterna città, di modo che l'avvocato si diede francamente per vinto, e gentilmente in fine gli domandò come si chiamava. Ed egli:
- Sono il sagrestano della chiesa di Maria Ausiliatrice di Torino!
A quella dichiarazione, una signora che aveva attentamente ascoltato tutto il colloquio, capì subito chi doveva essere, ed esclamò: - Lei è Don Bosco! - Egli le fece cenno di sì, e quella continuò: - Io sono già stata a veder la sua chiesa!
E l'avvocato, tutto sorridente, perchè lieto dell'incontro, gli diceva:
- Io ho studiato la sua Storia d'Italia!... e conosco anche la sua Storia Ecclesiastica, e la sua Storia Sacra!
Don Bosco aveva proprio bisogno di un po' di quiete: e forse anche il viaggio lo spossò tanto, che, giunto ad Alassio, per varie notti Enria dovette assisterlo continuamente.
Mentre era ad Alassio, gli venne comunicato che ormai tutto era pronto per l'acquisto della chiesa e del Convento di S. Gaetano di S. Pier d'Arena, dove avrebbe trasferito l'Ospizio aperto a Marassi; e il 16 luglio egli era a Genova.
Singolare fu l'aiuto che ebbe per far quell'atto, come si leggeva poi nell'Osservatore Romano (del 2 maggio 1876) in un articolo, compilato su notizie raccolte da vari signori genovesi: „San Pier d'Arena era la mèta delle comuni sollecitudini. Questa città si può dire di recente fabbricata; e da che fanno qui coincidenza le linee ferroviarie da tutte parti, divenne un emporio di cose, dì affari e di commercio. Molti speculatori vennero qui ad aprire negozi, officine, fabbriche e manifatture di ogni qualità. Gli antichi abitanti partecipavano dello spirito genovese, ed erano buoni e zelanti cristiani: ma dei forestieri non pochi erano Anglicani, Luterani, Calvinisti, altri increduli, o non curanti di religione. La Massoneria, poi, esercitava tutto il suo impero. Si aggiunga che la popolazione crebbe quasi di nove decimi, 25 mila anime, mentre la chiesa dell'unica parrocchia valeva a capirne appena [364] un migliaio, con un clero che invece di aumentare a proporzione del bisogno, si andava ognora assottigliando, pei sacerdoti che spesso la morte mieteva. Le cose erano ad un punto che quella città in fatto di religione era da noi, dicevano quei signori genovesi, comunemente appellata Piccola Ginevra. Come mai far penetrare una istituzione religiosa in questo paese? Lasciamo la cura a Don Bosco. Di pieno accordo col zelantissimo Arcivescovo di Genova, anzi da lui spalleggiato Don Bosco cercò di pigionare, via non trovò; di comperare, non rinvenne niente. In quel momento fu messa in vendita la chiesa dei Morti, o del Cimitero, con un piccolo edifizio annesso. Mille opposizioni, mille difficoltà attraversarono quel contratto. Ma, mercè i buoni uffizi di alcuni degni sacerdoti e di qualche secolare del paese, si riuscì finalmente a compiere la compra. Va ci voleva una vistosa somma da pagarsi a pronta cassa. Qui si palesò la carità dei Genovesi, che scorgendo quanto bene da quell'opera ne sarebbe ridondato alla religione ed alla civile società, volenterosi concorsero e lo stabile fu comperato e pagato”.
Ed ecco come andarono le pratiche. Per mezzo di Don Albera e dei bravi confratelli della Conferenza di S. Vincenzo, Don Bosco dapprima cercò di acquistare un'antica casa a poca distanza dell'attuale Ospizio, a metà circa della collina, ma invano; e allora si volse lo sguardo all'antico Convento e all'annessa chiesa di S. Gaetano, e nonostante l'impegno cordiale da parte del caritatevolissimo Principe Vittorio Centurione, anche questo tentativo non riuscì. S'iniziarono altre pratiche, ma tutte a vuoto. Era evidente che il demonio non si dava posa per opporsi ad ogni trasloco, prevedendo il bene che si sarebbe compiuto con la nuova fondazione.
Ma ecco poco dopo coronate le pazienti sollecitudini e l’illimitata fiducia del Santo e dei suoi amici nell'aiuto della Divina Provvidenza, con un successo così inaspettato da far conoscere chiaramente il suo intervento! Il Marchese Martorelli d'Efivaller, proprietario della chiesa di S. Gaetano e dell'attiguo Convento, essendogli stati chiesti quei locali per ridurli ad uso profano, si rivolse all'Arcivescovo [365] Monsignor Magnasco, proponendogli l'acquisto della chiesa, perchè venisse conservata al culto divino; e Don Giovanni Antola, che insieme con D. Ricchini, prestava ai nostri la più cordiale cooperazione in queste pratiche, venuto a conoscenza della proposta del Marchese, non ebbe più pace finchè non vide ceduti Chiesa e Convento a Don Bosco.
Questi inoltrò subito la proposta dell'acquisto a Monsignor Magnasco, che l'accettava ben volentieri, cosicchè non restava a fare che il contratto e trovar il denaro necessario.
Il Marchese Ignazio Pallavicini, che il 9 settembre 1871 gli aveva promesso l'offerta di 1000 lire annue, quando venisse fondata una casa salesiana in Genova, era morto; e Don Bosco si volgeva agli credi, pregandoli a voler secondare le intenzioni del generoso defunto, mentre questi non si credevano stretti da nessun obbligo e rispondevano francamente:
Già da parecchi giorni era mia intenzione di rispondere all'ultimo foglio della S. V. M. R. diretto a mia moglie. Alcune occupazioni me lo impedirono sino a questo momento, e le chieggo scusa del ritardo. Anzi tutto mi permetta che le esprima, anche a nome della suddetta, i nostri più sentiti ringraziamenti per la bontà che Ella ha di rammentarsi di noi nelle sue preghiere e si accerti che le siamo di ciò riconoscentissimi.
Riguardo al soccorso di fr. mille di cui trattasi nel pregiato suo foglio, parmi rilevare e non senza pena che Ella presti poca fede tanto ai discorsi fattigli a voce da mia moglie, quanto alla sua lettera. Io posso accertarla che mio suocero avrebbe data a lei la somma richiesta quando lo stabilimento fosse stato impiantato in Genova e non fuori della città, per cui qualunque somma che a Lei venisse rimessa da mia moglie sarebbe totalmente dono suo particolare e volontario.
Nel suo P. S.° Ella cita il testo che obbliga a dare il superfluo ai poveri e ciò tranquillizza perfettamente la nostra coscienza giacchè le ripeto per iscritto che dall'eredità del Mar.se Pallavicini non vi è superfluo, dovendo anzi toccare i capitali ed alienare beni per adempiere ai doveri di giustizia, come pagare gli operai, ecc. ecc.
Mi lusingo, che dopo così franche e sincere parole Ella ci terrà per iscusati se non possiamo far nulla a vantaggio del suo stabilimento, e con tutta stima me le professo,
Ma non si creda che i Marchesi Durazzo Pallavicini non fossero animati da cristiana e generosa carità, perchè pochi anni dopo, nel luglio 1889, cedevano ai nostri, ad un prezzo mitissimo, una proprietà confinante coll'Ospizio di San Pier d'Arena di modo che si ebbe un'area sufficiente per duplicarlo, insieme con una casa di campagna dove, nella gran sala, si fece la cappella per l'Oratorio Festivo.
Per l'acquisto della chiesa di S. Gaetano e dell'annesso Convento occorrevano oltre 36.000 lire da pagarsi a pronta cassa; e la Baronessa Cataldi, cognata del senatore Giuseppe Cataldi che ci aveva dato a pigione la villa di Marassi, avendo veduto il bene che si faceva nell'istituto, offerse generosamente le 30.000 lire richieste per l'acquisto, e l'Arcivescovo ne avrebbe versate 4000 occorrenti lì per lì per altre spese accessorie; e Don Bosco, informato della felice soluzione, da Alassio si recava a Genova per compiere l'atto e ringraziare l'Arcivescovo e i suoi benefattori, e visitare il locale acquistato.
La chiesa, dedicata a S. Giovanni Battista, per disposizione testamentaria del marchese Giov. Battista di Negro, genovese, era stata eretta dal marchese Cristoforo Centurione, suo cognato; e, siccome per due secoli, dal 1597 - quando venne aperta al divin culto, fino al 1796 - fu ufficiata dai PP. Teatini, fondati da S. Gaetano Tiene, benchè fosse dedicata a S. Giovanni Battista venne chiamata chiesa di S. Gaetano. E ritenne lo stesso nome anche dopo, quando, tra altre vicende, venne ceduta al governo francese, quindi al Re di Sardegna, che l'affidò ai Canonici Regolari Lateranensi di N. S. Incoronata e di S. Teodoro, e durante le guerre napoleoniche fu magazzino di polveri e caserma di soldati, e nel 1835 ospedale pei colerosi; ed anche dopo che, acquistata dal marchese Centurione, nel 1843 venne riaperta al culto, servì di tratto in tratto ad usi profani, e nel 1859 fu magazzino per le cose più preziose dell'esercito francese venuto in Italia, e nel 1866 - 67 lazzaretto pei colerosi.
Don Bosco, vista la grandiosità dell'edifizio e lo stato deplorevolissimo in cui si trovava, esclamò:
- Ecchè? lavoriamo tanto per costrurre chiese nuove, [367] e non dovremo curarci di conservare al sacro culto le già fabbricate?
Nella breve dimora che fece a Genova in questa circostanza, compì e ricevette varie visite. Tra gli altri si recò a visitarlo il canonico Ampugnani, che dimorava allora a Marassi e l'aveva aiutato nella compra del collegio di Alassio, per scusarsi che dapprima non voleva cederlo a Don Bosco, com'era stato stabilito nei patti segreti, essendone egli semplice compratore fiduciario, e Don Bosco, cambiando discorso, gli domandò:
- Come? si riposa? lei che è sano, che è ancor giovane?
- Ho lavorato molto in America, ed ora mi riposo.
- E non sa che il riposo del prete è il paradiso? e che renderemo a Dio strettissimo conto del non aver lavorato e del tempo perduto?
Il canonico rimase così colpito da quelle parole che non sapeva da qual parte voltarsi per uscire; e, il giorno dopo, tornava all'Ospizio, per dire a Don Albera che lo facesse suonare, far scuola di musica, predicare: - Perchè, esclamava, Don Bosco mi ha detto delle parole terribili!
S'incontrò col Generale dei Minimi di S. Francesco di Paola, uomo dottissimo, che era parroco in quel paese. Salutatolo rispettosamente:
- Padre, gli disse, lei avrà molto da fare come Generale dell'Ordine.
- Poco o nulla; siamo pochi sa! E quanti novizi hanno?
- E come? E lei non si dà attorno per impedire che cada un Ordine tanto benemerito della Chiesa, che ancora non ha compiuto il fine per cui lo eresse il suo fondatore e che possiede ancora tante profezie gloriose che devono compiersi?
- Ma non si trovano vocazioni! [368]
- E lei, se non trova vocazioni in Italia, vada in Francia, vada in Ispagna, in America, nell'Oceania, e trovi chi si associ a lei a perpetuare un Ordine così illustre come quello al quale appartiene! Lei ha una gravissima responsabilità, un conto grande da rendere a Dio! Quante fatiche, quanti dolori ha dovuto sopportare il suo Santo Fondatore, S. Francesco di Paola, per erigere il suo Ordine! E lei permetterà che riescano vane tante preghiere, tante fatiche, tante speranze?...
E nel parlare aveva preso un aspetto così imponente, imperioso, e un accento così vibrato, che il buon Padre Generale era come annichilito innanzi a lui, ... e promise che avrebbe fatto del meglio per trovar seguaci.
Indescrivibile fu l'amore che Don Bosco portava a tutti gli Ordini Religiosi!
A Torino l'attendevano le opposizioni, già riferite, per la costruzione della chiesa di S. Secondo; ed egli nel frattempo, insieme con un modulo di sottoscrizione, inviava una circolare per la fondazione di S. Pier d'Arena alle caritatevoli e facoltose persone del Genovesato, additando le spese per essa incontrate:
Le spese del primo acquisto sommano a circa trentasette mimi franchi, ma per adattare e ristorare il presente locale, provvedere il suppellettile necessario per la Chiesa, per l'Ospizio e per comprare ancora un po' di sito per un giardino di ricreazione, ove trattenere i ragazzi specialmente nei giorni festivi, ci vuole ancora una somma certamente non minore della prima.
Non essendoci mezzi di sorta per questo bisogno, si fa ricorso a tutti quelli che amano il bene di N. S. Cattolica Religione e desiderano di impedire la rovina dei poveri fanciulli per avviarli alla moralità e ad un mestiere con cui potersi a suo tempo guadagnare onestamente il pane della vita.
Avvi qui un modulo di sottoscrizione in cui ognuno può fissare quanto la carità del cuore inspira di offerire, o subito, o a quell'epoca che gli tornerà di minor disagio.
E poco dopo, da S. Ignazio, inviava “A Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Magnasco, Arcivescovo - .Genova” questa dichiarazione di ricevuta: [369]
L'anno del Signore 1872, alli 16 luglio, giorno sacro alla Santa Vergine del Carmelo, Sua Eccellenza Reverendissima Monsig. Magnasco Salvatore, Arcivescovo di Genova, metteva a disposizione dello scrivente la somma di lire quattromila ad oggetto di concorrere all'acquisto della Chiesa e convento di S. Gaetano in Sampierdarena, e così conservare il sacro edifizio al culto pubblico e il convento per impiantare un ospizio per poveri fanciulli.
Tale somma è semplicemente depositata e sarà alla medesima S. R. restituita a semplice richiesta col solo preavviso di mesi quattro.
Intanto si professa la più sentita gratitudine per quest'opera di carità e per tutte le sollecitudini e gravi disturbi per l'acquisto sopramentovato, e caldamente si raccomanda alla sua efficace protezione.
E l'Arcivescovo vi poneva queste note:
“Imprestito di Mons. Arciv. Magnasco al R. D. Bosco per la compra di S. Gaetano a Sampierdarena, L. 4000 - Avute da pie persone L. 1000. - Il resto si lascerà per quella pia opera. - Salvatore Arcivescovo”.
La sera del 4 agosto faceva una scappata a Mornese per le prime professioni delle Figlie di Maria Ausiliatrice, e, tornato all'Oratorio, il 6 saliva a S. Ignazio, dove, benchè occupatissimo nel sacro ministero, aveva ognor presenti le cose dell'Oratorio e i suoi benefattori, e, sempre a tavolino nelle ore libere, sbrigava vari lavori e scriveva molte lettere.
Eccoti la seconda parte per fare un po' di ricreazione. Il lavoro fatto va bene. La spiegazione dei nomi di città non occorre metterla. Se ti vien bene mettere il nome moderno corrispondente ad esse, mettilo pure. È una cosa già fatta; procura di avere una copia della Storia Sacra e meglio il quinternetto di essa sul mio tavolino; ed i vocaboli già esistenti si omettano. Dio ci benedica tutti. Di sanità sto meglio.
A Don Rua mandava alcune note da pagare, ripetendo che si sentiva un po' meglio in salute.
Ti mando alcuni conti da darvi corso. Quello di Mons. Siboni colla mia lettera si mandi in una busta al Comm. Bachelet, Direttore Generale del traffico. Se vi sono conti da Roma od altro, mandameli a Lanzo. Venerdì mi fermerò in Collegio; sabato mattina a Mathi; dopo mezzogiorno, Deo dante, a Torino.
La mia sanità sembra che abbia migliorato, e di già mi sono sbrigato di parecchie cose di antichissima data.
Vi saluto tutti nel Signore, pregate per me che sono
In giugno il giovane conte Cesare Balbo, nipote dello scrittore de Le Speranze d'Italia, e figlio del Conte Prospero - milite valoroso che veniva con un altro figlio a far scuola di matematica all'Oratorio, ed alla fine d'ogni mese faceva un'offerta a Don Bosco, dicendogli di... pagare il suo onorario! - aveva sposato la contessa Maria, figlia della Contessa Gabriella Corsi e ultima discendente dei Conti Billiani di Cantoira, che aiutava Don Bosco colla traduzione di qualche fascicolo per le Letture Cattoliche. E Don Bosco donava allo sposo una copia del Cattolico Provveduto con questa dedica:
Al Conte Cesare Balbo - con augurio cordiale - di fermezza nel Cattolicismo - di sanità stabile a Lui - ed alla novella sua Consorte - di perseveranza nel bene - ad ambidue - il 4 giugno 1872 - umilmente offre - l'Autore.
Ed ora tornava a fargli i più cordiali auguri, e, mentre gli accennava altre cose, gli parlava anche di un giornale popolare cattolico, che si voleva fondare.
A suo tempo ho ricevuto la venerata sua lettera e la ringrazio di tutto cuore. Veramente, come scriveva, il partire da Torino senza venire a fare una visita e prendere congedo da questa celeste Madre, Maria Ausiliatrice, è una grave mancanza di riguardo; ma questa Madre è buona e sa dare il peso alle ragioni per cui talvolta i suoi [371] figli non vanno a riverirla, specialmente riguardo a quelli cui EIla porta molto affetto.
Io però ho procurato di supplire raccomandando Lei, Sig. Conte, la sig. Contessa Maria, perchè ad ambidue ottenesse dal Figlio Gesù la grazia di un buon viaggio, buona campagna e a suo tempo buon ritorno, ma ho poi dimandato in modo particolare per Lei il prezioso dono della sanità e l'altra grazia ancora più preziosa di poter impiegare questa sanità tutta e sempre in cose che tornino a maggior gloria di Dio, e spero che la Madonna Santissima ci avrà ascoltati. Tanto più che avremo da sostenere non leggiere fatiche pel giornale di cui abbiamo parlato, e di cui verremo a conclusione, quando, a Dio piacendo, verrò al Casino.
Spero che la Contessa Maria godrà buona sanità e prego Dio che glie le conservi ottima a lunga serie di anni. Favorisca di farle i miei rispettosi ossequi, pregandola a non dimenticare il mio lavoro per le Letture Cattoliche. Mi trovo con mille gravi cose tra mano, ed ho bisogno di speciali lumi per poterle guidare nel modo che torneranno alla maggior gloria di Dio. Ella mi aiuti colle sante sue preghiere, e mi raccomandi anche a quelle delle buona Contessa Maria. Dio li benedica ambidue e li conservi a lunghi anni di vita felice colla grazia della perseveranza nel bene. Amen.
Con pienezza di stima e di affetto ho l'onore di potermi professare
E tornava a scrivere a Don Rua:
Ti mando questa lettera dell'avv. Maccia. 0 tu o D. Savio passate a parlargli; ma limitatevi ad ascoltare e mostrare il nostro buon volere per qualsiasi trattativa pacifica. Ma non venite ad alcuna conclusione prima che ci siamo parlati. Sappiamo di che si tratta.
Metti la lettera al prelodato indirizzata e fàlle l'indirizzo sopra una busta: - Avv. Raimondo Maccia - Via di Angennes, 26 - 3 - Scala a destra nel cortile.
Se hai qualche cosa da mandare a D. Cerruti, chiudilo nella stessa lettera con questo bigliettino.
Maria SS. ci conservi suoi e sempre suoi. Amen.
P. S. - Hai fatta la commissione a D. Savio?
E preavvisava il direttore del Collegio di Lanzo che il giorno dopo avrebbe pranzato in collegio con vari amici: [372]
Dimani sono teco a pranzo, e meco sono tre o quattro amici tra cui D. Begliati.
Procura di farei stare allegri.
Dio vi benedica tutti e credimi
Il 17, fatta una breve sosta a Mathi, era a Torino; e il 19 ripartiva per Nizza Monferrato, dove la Contessa Corsi, meritamente da lui chiamata col nome di mamma, l'aveva di nuovo insistentemente invitato. Per più anni continuò a recarsi a passar qualche giorno nel Casino, per riposare un po' in quella solitaria e fresca villeggiatura, con vantaggio della salute, e lavorando in pari tempo senz'essere disturbato. Gran festa gli fecero gli sposi, che d'ordinario abitavano colla Contessa Gabriella, benchè avessero un palazzo a Nizza. E di là subito scriveva a Don Rua:
Le cose vengono in mente dopo la partenza, perciò si deve scrivere.
A Lanzo si spingano i lavori quanto è possibile e si provveda quanto occorre, affinchè possano discretamente alloggiarsi Dott. Lanfranchi, D. Picco, il Sig. Canale Giuseppe, Teol. Pechenino, Teol. Roda, D. Ratti pievano di Staghiglione, se viene. È bene scrivere un biglietto al medesimo per sapere se viene, come desidero.
L'invito per la distribuzione dei premi col programma Valsalice si mandi anche al Sig. Conte e Contessa Viancino a Bricherasio. Conto di invitare il Sindaco, che probabilmente verrà o manderà. Se si potesse suonare la Notte e il giorno sarebbe ad hoc.
Quando D. Berto abbia terminato il suo lavoro, se puoi màndarmelo. Se non àvvi occasione, lo vedrò a Torino.
La mamma vi saluta; sta poco bene; pregate per lei.
Dio ci benedica tutti e credimi
P. S. - Fondi pubblici e privati in gran ribasso.
In queste gite che faceva a Nizza, il Conte Cesare ebbe campo d'ammirare sempre più le sue virtù singolari, tra cui l'intuizione di comprendere a prima vista il carattere di chiunque gli veniva presentato. [373]
“Un giorno - il racconto è del Marchese Filippo Crispolti - accompagnano presso il santo uomo, nella speranza di affidarglielo, un ragazzo che l'estrema miseria aveva reso quasi idiota. Don Bosco l'accarezza e gli domanda che cosa sa. Il ragazzo nelle risposte sconclusionate fa capire che non sa niente di nessuna cosa. Don Bosco replica: - Sai almeno giocare alla barra? - Gli occhi dell'infelice hanno un baleno di compiacenza. Allora il sacerdote, coll'aria di chi ha fatto un acquisto prezioso si volge agli astanti e dice seriamente: - Questo fa per me - e lo accetta. Passano parecchi anni, quando al Conte Balbo viene annunziata la visita di un salesiano dal nome a lui sconosciuto. Lo riceve, si vede davanti un prete di bella presenza, di conversazione vivace, d'aspetto pieno d'ingegno. Questi dice: - Lei non mi riconosce: io sono quel ragazzo che nelle tali e tali circostanze fu accettato da Don Bosco in casa loro a Nizza.
In breve, Don Bosco aveva letto bene nei lineamenti” del povero ragazzo “ed era riuscito a farne un uomo atto a reggere un collegio importantissimo”.
L'anno scolastico volgeva al termine, e di trentun allievi, che avevano compiuto la rettorica, cioè la quinta ginnasiale, e dato gli esami di Licenza al R. Ginnasio Monviso, cinque appena erano stati rimandati. Anche nell'Oratorio gli esaminatori si dissero assai soddisfatti della buona riuscita degli alunni.
La premiazione ebbe luogo l'8 settembre, dopo una Comunione veramente generale, uno speciale trattamento a tavola, e un'allocuzione paterna di Don Bosco. Peccato che nessuno abbia pensato a scrivere le parole da lui pronunciate in tali circostanze! Come sarebbero state care e vantaggiose anche a noi e a quanti verranno alla sua scuola!
La distribuzione dei premi venne rallegrata da una fantastica composizione del M° De - Vecchi, di cui ecco il sommario.
1° La notte. Il lento suono rappresenta la notte. Il giovanetto tutto occupato dal pensiero che al dimani partirà dal collegio per le vacanze, non può pigliar sonno, e mentre si ravvolta pel lettucciolo ode il lungo respirare de' compagni, che intorno a lui dormono tranquilli, e lontano il gracidar delle rane, il lamento dell'usignolo, il grido del gufo, sì bene espressi dal suono degli strumenti che sembra udirli [374]
2° L'Alba. Una breve melodia nè mesta nè affatto lieta, che ti dà l'imagine del lento risorgere del creato, quando i crepuscoli appaiono: e il canto dei galli, che s'ode tra i diversi suoni, dice chiaro che il giorno è vicino.
3° Sogni del mattino. Il giovanetto che tutta notte vegliò, ora sonnecchia alquanto, e tra il sonno ode il canticchiare dei vispi uccelli, che gli ricordano il cinguettio di quelli che fra breve udirà nel paese natio.
4° La Sveglia. Un suono improvviso di trombe è il segno della levata: succede un rumoroso frastuono del suono di tutti gli strumenti; sono i giovani che s'alzano, si preparano alla partenza, e salutano il sospirato giorno, che alfine giunse.
5° L’Ave Maria. A poco a poco ritorna la calma, l'Ave Maria suona, e un canto divoto, accompagnato dal suono degli strumenti, è la preghiera mattutina.
6° Il saluto ai compagni. Finita la preghiera, il giovanetto parte dal collegio, salutando i compagni col piemontese ciau, che i clarinetti tentano imitare. Mentre s'avvia alla stazione, ode una campanella; è il segnale della distribuzione dei biglietti. Subito segue un cupo suono de' bassi; è il chiaccherio dei viandanti, che si affollano a prendere i biglietti, entrano nelle sale, salgono sulle vetture della locomotiva.
7° La Partenza. La campanella suona il termine della distribuzione de' biglietti, il capo - stazione dà col fischio il segno della partenza, la macchina lo ripete, e lontano il guardavia rimanda agli altri l'avviso col corno; la locomotiva s'incammina. Il Maestro quivi tentò imitare perfino il rumore della locomotiva quando passa sotto i ponti e sopra le piattaforme. Fa d'uopo udire per conoscere quanto bene l'arte seppe imitare la natura.
8° L'Animo contento. Si incomincia una melodia lieta, che è imagine del contento dell'animo della madre, che riabbraccia il figlio uscito dalla stazione, e del figlio che rivede la madre.
9° La Festa. Qui finisce la fantastica suonata col rappresentare la festa del paese. Il suono festivo delle campane indica la festa religiosa, lo sparo dei mortaretti indica il consociarsi del Popolo colla Chiesa[62]. [375]
Naturalmente, finchè siamo in questo mondo, sunt bona mixta malis, e mentre gli alunni partivano, in buon numero, per le loro case a trascorrervi le brevi vacanze, a vari veniva comunicato che per avere, colla loro condotta, demeritata la carità che ricevevano nell'Oratorio, non vi sarebbero più stati accolti nel nuovo anno scolastico. Ecco il biglietto che veniva inviato ai parenti di costoro, firmato da Don Rua.
A nome della direzione di questo Oratorio debbo notificarle che da quanto si è potuto osservare riguardo al giovane pare che egli nonabbia intenzione di abbracciare la carriera ecclesiastica. Ora saprà la S. V. come questa casa abbia per iscopo di allevare giovani per tale stato; non sarà Per conseguenza più conveniente che ritorni tra i nostri allievi.
Speriamo che sarà per fare bene altrove, e noi preghiamo il Signore a tal uopo; mentre offrendo alla S. V. i nostri ossequi godo professarmi con distinta stima,
Don Bosco non s'era ancor pienamente ristabilito in salute. Qualche piccolo sfogo miliarico a quando a quando lo minacciava, sicchè per consiglio dei nostri e dei medici s'arrese a prendere un po' di sollievo; e subito dopo la distribuzione dei premi si recava a Vignale, presso la Contessa Callori, alla quale aveva scritto chiaramente:
Ogni mattina nella Santa Messa fo una visita alla mia buona Mamma con un memento speciale per Lei; e sono persuaso che nella sua carità Ella farà altrettanto per questo suo povero figlio.
Ma oltre a visite spirituali desidero sapere eziandio delle notizie sanitarie, vocabolo tecnico, di Lei e di tutta la sua famiglia. Bisogna che lo confessi da molto tempo che non ricevo più nè prediche, nè avvisi, nè consigli, perciò divengo molto dissipato. Se pertanto la settimana dopo la Natività di Maria Ella trovasi a Vignale, io andrei a farle una visita, che credo tornarmi utile all'anima e al corpo.
La mia sanità progredisce, ma gli antichi ospiti di Varazze non vogliono abbandonare un possesso che in modo poco garbato hanno acquistato ne' miei stati.
La prego di voler far gradire gli umili miei ossequi al sig. Conte [376] Federico e al resto della sua famiglia e augurando a tutti l'abbondanza delle celesti benedizioni mi raccomando alle sante di Lei preghiere e mi professo con verace gratitudine,
A Vignale ebbe ogni sorta di riguardi e di gentilezze, e nel ritorno fece una breve sosta a Borgo S. Martino, dove il caro Don Bonetti si trovava in altri fastidi.
Nel teatrino del Piccolo Seminario, il 25 luglio, gli alunni avevano rappresentato la tragedia „S. Eustachio”, tra gli applausi di molte distinte persone, accorse anche da Casale e dai paesi vicini; ma il giornale Il Casalese ne pubblicava un ragguaglio maligno e menzognero. Don Bonetti, in data 30 luglio, scriveva al gerente del giornale una lettera confutativa, che venne pubblicata con cinque note più bugiarde e più maligne ancora; ed egli, a mezzo della Questura, il 5 settembre mandava al giornale una dettagliata confutazione, perchè venisse anch'essa pubblicata integralmente.
Tra l'altro il Casalese aveva detto che la tragedia “San Eustachio” era immorale, e che sarebbe stato meglio il dare una commedia anzichè una tragedia; e Don Bonetti, dopo aver osservato e dimostrato che il dramma metteva sott'occhio „un cittadino che in pace ed in guerra è il sostegno del suo principe”, „un valoroso guerriero, che dannato ad ingiusto esilio, uditi appena i pericoli della Patria, dimentica tosto i passati insulti, corre ad impugnare il brando per debellarne le nemiche orde”, “un soldato” che prorompe in questi generosi accenti:
“Sire! Quanta virtù rimase in questo braccio, quanti in questo seno palpitano affetti, a te e alla patria son sacri. Sire! se il mio sangue abbisogna, eccolo, è pronto”; “un seguace di Cristo” che protesta:
“Il cristiano è fido alla sua patria ed al suo prence, come al suo Dio. Se l'empietà ne abborre, l'autorità ne inchina. Soffre e muore, ma non tradisce”; [377] concludeva:
... E non v'accorgete che nella condanna dell'Eustachio voi involgete tutte le tragedie dei mondo? Voi non volete scene di sangue, ma qual tragedia àvvi mai senza atti ferali? Eppure chi mai perciò solo bandì le tragedie dai teatri? Se le tragedie invece d'ingentilire, come voi dite, imbarbariscono gli animi, perchè mai si rappresentano nei più rinomati teatri del mondo, ove concorre il fiore della società, adulti e giovani, grandi e piccoli?...
Pel Casalese forse sarebbe cosa ragionevolissima il proporre od accettare un duello; cosa moralissima collocare il proprio onore sulla punta di una spada o nella palla di un revolver, come i cani mettono la difesa dei loro canini diritti sull'affilatura dei loro denti. Se è così, non deve far più maraviglia che egli stampi nelle sue colonne essere cosa assurda il rappresentare a giovani un padre cristiano, che si lascia ancidere i figli piuttosto che vederli vili e dannati apostati. Se è così, il Casalese si tenga pure la sua morale, e sia certo che nessun onesto gliela invidierà giammai.
Don Bonetti, colto e di gran cuore, fu in tante circostanze un valoroso polemista!
Di quei mesi l'Unità Cattolica raccomandava, uno per volta, tutti i collegi di Don Bosco, rilevandone gli ottimi risultati e l'amena posizione.
Il 6 settembre scriveva del „Collegio - Convitto Municipale di Alassio”:
Questo collegio diede, in pochi anni di vita, risultati felicissimi. Era naturale, giacchè vive sotto la direzione del tanto benemerito don Bosco. Cresciuto notevolmente di alunni, non crebbe meno nella soddisfazione dei parenti, lietissimi che, mentre vi si provvede interamente all'istruzione scientifica e letteraria, si coltivi in modo speciale la moralità e la religione. Lodevolissimo poi fu il risultato degli esami che vi sostennero gli alunni, specialmente del liceo, che per dare agio ai giovani di compiere quivi tutti i loro corsi, primarii e secondarii, fu aggiunto al ginnasio. Gli insegnanti sono tutti patentati, e le materie d'insegnamento conformi, in tutte le classi liceali, ginnasiali - tecniche, ed elementari, ai programmi e regolamenti governativi. Il clima saluberrimo, deliziosa la posizione, la ferrovia alle porte del collegio...
Il 28 settembre del „Collegio di Lanzo Torinese”:
I genitori che amano dare ai loro figli un'educazione sodamente religiosa, morale e letteraria, non hanno che a collocarli in questo [378] Collegio, che da parecchi anni in un paese dei più salubri, fa aperto dall'infaticabile Don Bosco, con molto vantaggio della gioventù in esso educata ed istruita. Il felice esito ottenuto ogni anno negli esami di licenza, ed il numero sempre crescente degli alunni, per cui si dovette costrurre un nuovo grandioso locale, che può ora contenerne oltre a trecento, fanno abbastanza conoscere come le speranze dei genitori, che al Collegio di Lanzo affidarono i loro figli, non furono mai deluse...
L'8 ottobre del „Collegio - Convitto di Varazze (Liguria)”.
Questo Collegio che conta ben cento alunni convittori fu aperto appena l'anno scorso sotto l'alta direzione del tanto benemerito sacerdote Don Bosco, il quale, coadiuvato da un'eletta schiera di giovani maestri e professori, informati al medesimo suo spirito, si adopera di instillare nel cuore della gioventù i principii di una cristiana educazione. Noi raccomandiamo caldamente questo Collegio ai padri di famiglia, i quali desiderano che i loro figliuoli coltivino la scienza non disgiunta dalla pietà. L’insegnamento abbraccia il corso elementare ed il corso tecnico - ginnasiale misto, impartito a norma dei programmi governativi... Il locale del Collegio è posto su di un piccolo rialto a pochi passi dalla ferrovia Genova - Savona. Gode a mezzodì della vista del mare, ed è cinto a settentrione da amenissime collinette d'aranci ed oliveti.
L'11 ottobre del „Piccolo Seminario di S. Carlo in Borgo S. Martino (Casale)”:
Da alcuni anni fu aperto questo piccolo Seminario in una posizione molto amena, e a pochi passi dalla stazione ferroviaria. Un locale ampio ed elegante, cortili spaziosi e ventilati, giardini ridenti per una viva vegetazione rendono quel soggiorno salubre ed allegro. Esso è sotto la dipendenza del sacerdote Don Bosco, e viene diretto ed amministrato dal sacerdote Don Giovanni Bonetti, professore, e da parecchi altri professori e maestri scelti dal sullodato Don Bosco...
Dal 16 al 28 settembre ebbero luogo a Lanzo due corsi di Esercizi Spirituali, presieduti e predicati da Don Bosco; che, poi, andava a Bricherasio, presso il Conte di Viancino:
Venerdì per quello che giunge alle 3, 45 màndami qualcheduno e gli darò il sacco per esser libero a fare qualche commissione per Torino.
Manda un programma di Lanzo al Sig. Cesano, Notaio e Segretario [379] di Bricherasio, il cui figlio è accettato per la pensione maggiore. Se àvvi nulla in contrario gli avrei fissato il N° 161.
Procura, si fieri potest, di tener un prete libero perchè domenica venga a dir messa dal Conte Viancino, domenica p. Tratteremo la cosa di presenza, e qualora se ne potesse fare a meno dirà la messa nella chiesa di M. A.
Dio vi benedica tutti, e credimi,
Il 4 era a Torino e ringraziava la Contessa Callori delle sue gentilezze e della sua carità.
Ho ricevuto a suo tempo la lettera della Contessa Balbo che mi scrive a nome di Lei, mia Buona Mamma, e le ringrazio ambedue della bontà che mi usano e benedico Iddio che l'abbia condotta e ricondotta nel suo viaggio a Brixen tanto faticoso colla sua sanità cagionevole che possedeva. Spero che Dio esaudirà le comuni nostre preghiere, e che Ella potrà riacquistare perfetta sanità di anima e di corpo.
La mia sanità continua a migliorare e le pillole di Vignale mi fanno assai bene; lo dica al caritatevole e cortese Dottore. Il biglietto giallognolo che mi ha dato non ha potuto ottenere lo scopo, cioè non potè essere impiegato in manicaretti, ma nel cuoprire alcuni pouf che non pativano dilazione; ma, mi creda, tenne un posto che migliore non si poteva desiderare.
Dica a D. Giacinto che il suo lavoro va benissimo. Appena stampato ne avrà tosto copia; per ora lo ringrazio di cuore.
Abbia la bontà di dire al Sig. Conte di Lei Marito che il vino è aumentato assai di prezzo e se non c'è compratore mel dica che gli manderò tosto persona pratica ed onesta. Rinnovi i miei più sentiti ringraziamenti per tutta la bontà e carità che usò e quando fui a Vignale e quando io sono partito e sempre.
Dio la ricompensi di tutto il bene che Ella fa a me ed a questi miei poveri giovanetti, e la Santa Vergine del Rosario faccia che ogni Ave Maria detta per lei, sia un bel fiore che si, aggiunga alla corona che gli Angeli le preparano in cielo. Così sia.
In quanto alla Superiora di cui si è parlato e scritto, procurerò di aggiustarmi altrimenti.
Preghi per me e per la mia famiglia e mi creda
Il giorno dopo mandava a Bricherasio Don Durando, che recava al Conte i suoi cordiali ringraziamenti;
Il professore D. Durando va a prendere il mio posto ed io approfitto della sua gita per rinnovarle i miei più vivi ringraziamenti e della bontà usata alla povera mia persona e della generosa limosina che mi ha dato per questa casa, che trovai, come prevedeva, affatto sprovvista di danaro. Per dare a Lei ed alla Sig. Contessa di Lei moglie un segno di gratitudine dimani indirizzo a Dio secondo la loro intenzione una Messa con tutte le Comunioni che dimani i nostri giovanetti faranno all'altare di Maria Ausiliatrice.
Mi sono trattenuto finora a Torino, se il tempo il permette partirò alle due pom. per Castelnuovo d'Asti; altrimenti farò come potrò.
Il Signore Iddio ricco in misericordia conceda copiose benedizioni a Lei ed alla Sig. Moglie, ed ambidue possano avere sanità stabile, vita felice col prezioso dono della perseveranza nel bene.
Nonostante il tempo, un po' incostante, quel giorno si recava ai Becchi per la solennità del Rosario.
Deciso di fare altre gite, per cercar denari e insieme per un po' di sollievo, prima di partire inviava alla Contessa Uguccioni una carissima e affettuosissima lettera.
Se il corpo volasse col pensiero, Ella avrebbe da questo suo discoletto almeno una visita al giorno; giacchè ogni mattina nella Santa Messa non ometto mai di fare speciale commemorazione per Lei, nominatamente, e per tutta la sua Famiglia e Famiglie. E spero che Dio nella sua grande misericordia mi ascolterà e che concederà a Lei sanità stabile e la farà una gran santa.
Ella insiste di sapere delle notizie mie e delle cose nostre, ed io voglio appagarla. La mia sanità è abbastanza buona. La malattia si può dire scomparsa, ma lasciò una rimembranza nella stanchezza che mi fa limitare assai le ordinarie occupazioni. Tuttavia ringrazio Dio di quanto mi concede.
Quest'anno apriamo tre nuove case, quindi nuovi lavori, nuovi fastidi, nuove spese. In generale abbiamo tutte le case piene di allievi, che tra tutti sommano a seimila e seicento. Ella è la nonna di tutti, non è vero? che messe copiosa! [381] Abbiamo quest'anno 110 candidati che entrano nello stato ecclesiastico; di cui undici da riscattarsi dalla leva militare, e qui nuovi fastidi e nuove spese. - Ciò nulla di meno abbiamo motivo di ringraziare il Signore, perchè per la parte morale abbiamo niente a desiderare.
I signorini Pistoi [dei primi allievi di Valsalice] cominciano ad abituarsi. Da prima era loro insopportabile la lontananza da Firenze; ma poco a poco si son quetati ed ora parlano già de' loro studi, di abituarsi al piano, prendere parte al teatrino e simili. Tutto ciò mi fa sperar bene di loro. Per quanto spetta alla parte morale e religiosa c'è niente a ridire, e prendono parte assai volentieri alle pratiche di pietà. Amano molto il loro direttore D. Dalmazzo, che si occupa di loro con molto zelo e pazienza. Partecipi queste notizie al mio buon Babbo Sig. Tommaso.
Dio la benedica, mia buona Mamma, e con Lei benedica tutta la sua famiglia, e le conceda di vedere i figli de' figli loro, fino alla quarta generazione, tutti virtuosi in terra, tutti raccolti con Lei in paradiso. Amen.
Se ha occasione di vedere la Sig. Nerli, o la Sig. Gondi, me le riverisca. Esse mi hanno fatto una cara visita, ma la mia Mamma...
Mi cerchi allievi buoni per Valsalice; preghi per me che le sono
La mattina dell'11 ottobre si rimetteva in viaggio per andar a Costigliole di Saluzzo, presso il conte Giriodi, e di là scriveva a Don Rua, consigliandolo ad uscir lui pure dall'Oratorio per prendere un po' di sollievo recandosi a passar qualche giorno a Nizza Monferrato presso la Contessa Corsi.
Se occorre inviarmi lettere o stampe si indirizzi tutto a Peveragno presso il Sig. D. Pietro Vallauri sua villa dei Paschi fino a martedì. La sera di quel giorno a Dio piacendo andrò a Mondovì, presso il Cav. Vallauri dove mi fermerò alla sera del venerdì. Se puoi, scrivimi due linee dicendomi se il Cav. Dupraz è alla Trinità e se Mad. Giusiana è a Torino o in sua campagna.
Tu faresti bene domenica a sera per quella delle 7 fare vela alla volta di Nizza e ti fermerai quanto potrai. Ciò nella persuasione che D. Provera sia bene di sanità e di finanze. [382] Questa mattina sono partito dall'Oratorio niente bene in salute; ma nel dopo mezzodì mi trovai molto meglio ed ora continuo. Deo gratias.
Dio ci benedica tutti e credimi
Ho dimenticata la cambiale: se occorre, si metta la marca da bollo e la data. Nel mio tavolino vicino alla finestra vi è lo scritto: Obblig. Besio. Fammelo copiare e mandamene la copia.
Non sappiamo di preciso che cosa riguardasse l'obbligazione Besio, ma da una memoria relativa a „Giuseppe Besio, dimorante a Mondovì”, circa i titoli che questi aveva alla pubblica benemerenza, crediamo di poter dire che si riferisse ad una promessa fàttagli, per una generosa elargizione all'Oratorio, di ottenergli il titolo di Cavaliere dei Ss. Maurizio e Lazzaro. Infatti, in fondo all'accennata memoria, iniziata nel 1870, si trovano queste aggiunte, e precisamente di mano di Don Bosco, che qui riportiamo letteralmente:
Concorse con mezzi propri alla costruzione della strada lungo il fiume Ellero dal piano della Valle al Borgasto. La qual cosa tolse grave incomodo e diede facile cammino ai viaggiatori, ai carri e alle carrozze di uso pubblico e privato.
Finalmente avendo saputo che per i giovanetti ricoverati lo stabilimento detto di S. Francesco di Sales si trovava in gravi strettezze per saldare alcune note scadenti e per provvedere ai medesimi pane di cui totalmente difettavano, mosso da vero spirito di carità fece la vistosa largizione di fr. cinque mila.
Per tutti questi titoli e pel buon uso che certamente continuerà a fare delle sue sostanze si fa umile ma calda preghiera a S. E. il Comm. Castelli onde sia al medesimo Sig. Besio Giuseppe concessa la decorazione de' Santi Maurizio e Lazzaro.
S'interessava di tutto e di tutti con sollecitudine più che paterna, ed anche nei giorni che fu ospite di Don Pietro Vallauri - che l'amava tanto e, morendo, lo lasciò erede del suo patrimonio - mentre sbrigò altre pratiche e compì alcune gite nei dintorni - non dimenticò mai i suoi figli e i suoi benefattori. [383] La contessa Callori che lo forniva anche di medicinali, gli aveva chiesto particolari preghiere per ottener una grazia, ed egli premurosamente:
Ho indirizzate le preghiere della Casa che si fanno ogni mattino e sera all'altare di Maria, per ottenere da Dio quella grazia che le sta tanto a cuore. Ella mi dice che è essenzialissima, senza dirmi quale, ma sono persuaso che sarà cosa spettante al bene dell'anima ed alla maggior gloria di Dio. Nella mia pochezza unirò un memento speciale nella Santa Messa.
Pel tempo che Mons. di Fossano passerà a Torino credo di essere in casa, ed essendo padrone di noi, e delle cose nostre, può venire direttamente dove si trova Don Bosco senza fare alcuna anticamera.
Le pillole durano ancora, perchè dovetti ometterle qualche giorno, perchè mi cagionavano grave bruciore alla gola. Il loro numero fu assai ridotto.
Dio conceda ogni bene a Lei, a tutta la nobile carovana e mi creda in G. C.
Torino, Peveragno, [sic], 15 - 10 - '72.
Don Rua gli aveva comunicato che non poteva moversi dall'Oratorio, essendo Don Provera assai giù in salute; ed egli, nell'affidargli l'incarico di compiere, nel miglior modo, le modificazioni di personale delle varie case pel nuovo anno scolastico, lo pregava d'usare al caro confratello, Consigliere del Capitolo, ogni riguardo.
Procedi pure alla modificazione del personale, ma fa' tutto quello che puoi, affinchè le cose si facciano sponte non coacte. Se nascono difficoltà, lasciale per me.
Domenica ci deve andare il Baron Carlo Ricci a fare il dejeuner all'Oratorio a mezzo giorno e lo farà cogli altri in refettorio. Ma la difficoltà si è che io non mi posso trovare.
Ho parecchie cose tra mano che sembrano utili e per la gloria di Dio e pel materiale di nostre case e non posso sbrigarle in fretta. Martedì prossimo spero di essere in Torino. Se Domenica ti mancano messe, puoi far venire qualcheduno da Lanzo e pregare anche il Teol. Pechenino.
La mia sanità ha fatto un passo indietro, ma adesso va di nuovo [384] assai bene. Casa Vallauri, Violino, Campana ecc. ti salutano. Dirai al caro Lago che se continuo così condurrò a Torino un mezzo esercito per la nostra armata.
Dio ci benedica tutti. Credimi
P. S. - Usa a D. Provera tutti i riguardi possibili, se giudica bene vada a Chieri o dove meglio giudicherà.
A Chieri i coniugi Carlo Bertinetti e Ottavia Debernardi gli avevan lasciato le loro sostanze, compresa una bella casa, che servì poi ad aprir l'Oratorio di Santa Teresa, nella quale egli, studente di ginnasio, aveva dato l'esame per la vestizione chiericale, e dove allora, occorrendo, mandava questo e quel confratello per un po' di riposo.
Aveva scritto che fino al 15 gli s'inviassero lettere e stampe a Peveragno, e che la sera di quel giorno sarebbe stato a Mondovì in casa del Cav. Dott. Tommaso Vallauri, della R. Università di Torino, presso cui si sarebbe fermato tre giorni, cioè fino alla sera del 18; mentre il 16 era ancora a Peveragno e il 19, da Mondovì, scriveva di nuovo a Don Rua, il quale gli aveva comunicato che una nobile benefattrice erasi ammalata, ripetendogli di far tranquillamente, nel modo migliore, tutte le modificazioni di personale che riteneva necessarie o convenienti.
Mi rincresce assai che la Contessa di Camburzano sia ammalata; prego e fo pregare per lei. Lunedì mattina spero farle una visita. Voglia Iddio conservarla ad multos annos. Aggiusta pure le cose spettanti al personale, come ti dissi, ma fa quanto puoi per contentare dirigenti ed insegnanti.
Da Possano ti scriverò, se sarò a Torino martedì o mercoledì.
Quei rettorici che tennero esemplare condotta l'anno scorso si ammettano anche per quest'anno. Non però quelli che furono eccettuati, come Farina Giacomo.
Sarebbe inteso che Turco Domenico, Como e Febbraro verrebbero per far prova, come essi dicono, della Società. Dio ci benedica tutti. La mia sanità continua. Vado preparando affari. Amen.
Da Mondovì, insieme col Dott. Vallauri - cui era unito da vera amicizia - si recò alla Chiusa di Pesio; e colà si portava un professore, che desiderava sentire il parere del celebre latinista sopra una sua biografia del Bodoni. Glie la lesse, infatti, presente Don Bosco, e in fine il Dott. Vallauri glie ne fece sperticati elogi. L'altro insisteva:
- Se c'è qualcosa che non va, me la facciano osservare.
- Se permette, farei un'osservazione... Veramente toccherebbe al sig. Dott. Vallauri, tanto più che io non sono un letterato; ma, poichè lo desidera, le dirò: non sarebbe meglio che della morte si parlasse in fine?
Tanto il Vallauri come il professore trovarono giusta l'osservazione. E Don Bosco continuò:
- Mi pare anche, che, mentre indugia a parlar di altri personaggi, si tralascino alcuni particolari della vita del Bodoni. Per esempio, non si potrebbe dire che si recò a Torino ed ivi morì, munito di tutti i Sacramenti?... e poi c'è una parola (e l'accennava) che non mi pare italiana…, e...
Il professore stava attento, prendeva nota d'ogni cosa lieto e riconoscente, quando tutt'a un tratto il Vallauri s'alza e scappa a passo di corsa.
Don Bosco gli domandò poi il perchè, ed egli:
- lo non potevo più resistere a tante osservazioni!
E la sua signora: - Vedi, prendi esempio da quel professore ad accondiscendere al giudizio altrui!...
E Don Bosco: - Signor Dottore, ella sa che io sono un orangutan di fronte a lei, e ripeto che toccava a lei far le osservazioni.
Aveva deciso d'esser di nuovo a Torino la domenica 20, ma il tempo cattivo glie l'impedì; e lo comunicava al Barone Carlo Ricci, al quale aveva promesso che quel giorno si sarebbe trovato all'Oratorio.
La pioggia continua guastò le strade da Mondovì a Possano in modo che mi sono indotto sospendere la mia ritornata a Torino.
Ho però scritto a D. Rua per quanto occorre per la messa ed attende la S. V. a mezzodì Domenica. [386] Raccomando alle sue preghiere la contessa di Camburzano gravemente ammalata. Lunedì mattina, se le vie sono praticabili, sono a farle visita. Dio conservi questa fervorosa cattolica.
Dio conceda ogni bene a Lei ed alla Sig. Consorte, e mi creda con gratitudine.
Di quei giorni fu anche a Cuneo, alla casa di campagna dei Baroni Ricci, alla Madonna dell'Olmo, dove trattenendosi in familiare colloquio, la Baronessa Azelia Fassati, sposa di Carlo, portò il discorso sul „Grigio”. Questo cane interessava tutti quelli che n'avevano udito parlare, e Don Bosco:
- Lasciamo stare ‘l Gris! È già da qualche tempo che non lo vedo più!
Erano due anni! perchè nel 1870 fu udito esclamare:
- Questo cane è veramente cosa notabile nella mia vita! Dire che sia un angelo, farebbe ridere; ma neppure si può dire che sia un cane ordinario, perchè l'ho visto ancora l'altro giorno!
Prima che tornasse a Torino aveva stabilito che Don Berto si recasse alla Madonna dell'Olmo per accontentare i Baroni, che desideravano un sacerdote per la S. Messa; e la Baronessa, ricordando il colloquio avuto con Don Bosco, diceva poi a Don Berto:
- È una cosa veramente meravigliosa! Don Bosco racconta questi fatti straordinari con tanta semplicità, che pare parli di cose avvenute ad altri e non a lui stesso!
E il Barone Feliciano aggiungeva che, essendo una notte entrati i ladri in casa sua, gli avevano rubato tutto il denaro che aveva, tranne tremila franchi che aveva in precedenza prestati a Don Bosco e che pochi dì prima gli erano stati restituiti!
Nel tornare a Torino, Don Bosco sostò a Fossano per visitare la Contessa di Camburzano, che poi guarì e visse ancora più di vent'anni, sempre beneficando le opere salesiane.
Rientrato nell'Oratorio, scriveva a Don Berto: [387]
La biografia del caro nostro Abrami si stamperà in un fascicolo delle Letture Cattoliche con un cenno sopra altri giovanetti. Così potremo ampliarla un poco, invece di abbreviarla. Di ciò ci parleremo.
Sono più cose che ti attendono quando avrai finita la tua cuccagna; vieni e troverai da divertirti. Non ci fu mai concorso tale nelle nostre case. Ti prego di salutare i sigg. Barone e Baronessa, assicurandoli che in questi giorni non mancheremo di far preghiere per loro.
Ma chi mi corre sempre per la mente è il Sig. Roberto. Se fossi imperatore delle Russie vorrei farlo generale in capo di tutte le truppe; e farebbe bene. Egli partì colla pioggia da casa, mi accompagnò o meglio mi portò a Peveragno, e sempre colla pioggia ritornò di notte oscura a casa.
Salutalo tanto da parte mia. Dio ci benedica tutti. Amen.
In quei giorni il Santo mandava a monte una macchinazione iniqua. Alcuni tipografi di Torino, decisi di ricorrere al Governo per far abolire le tipografie delle Opere di beneficenza, avevan pensato di unirsi in società per inoltrarne istanza formale. Don Bosco, informato del malevolo intento, scrisse ed inviò ad essi questo promemoria.
Osservazioni del Sac. Giovanni Bosco.
sopra alcune osservazioni dei Signori Vigliardi Libraio e Favale Tipografo, sopra due Tipografie di Torino, appartenenti ad istituti pii nella seduta 21 Ottobre del Comitato per inchiesta industriale, indirizzate al Sig.Presidente del Comitato.
Il Sig. Favale Tipografo e dopo lui il Signor Vigliardi libraio, parlando delle riforme da introdursi a miglioramento dell'arte tipografica, proporrebbe la soppressione delle tipografie appartenenti ad istituti pubblici e privati, e fra esse accenna a due di pii istituti di questa città, delle quali una senza dubbio è quella dell'Oratorio di S. Francesco di Sales. A corredare il suo argomento si adducono cose prive affatto di fondamento.
Si dice: 1. Che ivi si Possono fare agevolezze eccezionali, perchè non si hanno spese per gli operai. Essi forse ignorano che i capi d'arte tanto per la macchina, quanto per la composizione vengono dall'esterno, e per averli capaci di ammaestrare allievi bisogna che siano di moralità, attitudine e scienza non ordinaria, e perciò ben pagati. [388] Di più le spese di compra della materia prima, come sono inchiostro, carta, torchi, macchine, saranno cose che si diano gratuitamente?
2. Non vi è spesa per gli operai interni. Se i Signori opponenti potessero coi loro occhi mirare quale consumo, o meglio, quale distruzione di pagnottelle, e per conseguenza quale spesa per alimentare, istruire, vestire poveri fanciulli, per condurli a fare il compositore, e sostenerli in tutto il tempo del loro apprendimento, certamente direbbero l'opposto.
3. Si fanno lavori a vili prezzi. Crediamo che ogni tipografia sia libera di convenire i prezzi che meglio a lei convengono, nè sappiamo legge che obblighi i tipografi ad una mercede fissa cogli operai e cogli avventori. Noi intendiamo di lasciare a tutti piena libertà. Ma possiamo però assicurare che noi ci teniamo alle tariffe comunemente ammesse, a segno che ci consta, che lavori tra noi in trattative furono da altri tipografi eseguiti con notabile riduzione di prezzo. Quindi l'accusa dei lavori fatti a prezzo vile cade sopra di altri, ma non sopra a questo istituto.
4. Si dice che è troppo difficile la gestione di una tipografia ad un pio istituto. Avranno benemeriti cooperatori, avranno operai esterni stipendiati: non vogliamo entrare nella gestione ed amministrazione delle cose altrui, noi diciamo soltanto: Ci pensi il Direttore dello stabilimento. Se ha da faticare molto, avrà maggior diritto alla benemerenza in faccia a Dio ed in faccia agli uomini.
5. Questa tipografia, si dice, è contraria all'utilità pubblica. Strana osservazione! Sarà contro alla pubblica utilità accogliere poveri fanciulli, istruirli, impedire la loro rovina civile e morale, e quindi guidarli ad un'arte che li metta in grado di guadagnarsi a suo tempo onestamente il pane della vita? Sarà forse di maggior utilità pubblica che questi fanciulli rimangano in mezzo di una strada, facendo il vagabondo, il tiraborse, e col tempo andare a popolare le prigioni? Non occorre aggiungere altro a questo argomento.
6. Si aggiunge che i ragazzi colà ricoverati apprendono malamente i loro mestieri. Se ciò fosse vero, certamente essi non farebbero concorrenza ad alcuno. Perchè dunque tanto timore? Se sono costretti a fare altro mestiere, vi saranno altri tipografi che aumenteranno il loro lavoro. Ma si risponde direttamente, che questa è un'asserzione gratuita; poichè i nostri allievi non sono messi a fare il tipografo, se oltre alle classi elementari non hanno fatto il corso ginnasiale, e parecchi anche le classi liceali; quindi hanno sufficienti cognizioni di letteratura italiana, latina, greca, cui si aggiunge la lingua francese. In conferma di ciò invochiamo quegli allievi che attualmente sono alla Stamperia Reale ed in altre più accreditate tipografie di questa città.
7. È bene eziandio di notare che questa casa non è pio istituto, ma casa privata come qualunque altra tipografia, con questa sola [389] diversità che nella tipografia i guadagni sono ordinariamente a vantaggio del padrone, e qui tornerebbero a bene dei poveri artigiani medesimi.
Devesi ancora ritenere che nella tipografia di S. Francesco di Sales è pochissimo quello che si stampa a conto altrui; giacchè ivi si stampano quasi esclusivamente opere speciali, quali sarebbero Letture Cattoliche, Biblioteca dei classici italiani. Quindi non viene a togliersi gran fatto il lavoro ad altre tipografie.
8. Risposto così alle asserzioni di cui è parola, è bene di rilevare le pericolose conseguenze che ne avverrebbero dal principio propugnato dagli opponenti. Essi come tipografi reclamano la chiusura delle tipografie degli istituti pii e governativi; dimani altro comitato di legatori da libri, o di falegnami, o sarti, o calzolai dimanderanno la soppressione delle officine relative in tali siti esercitate e quindi si verrebbe ad una totale soppressione delle medesime. In questi casi le migliaia di fanciulli ricoverati dovrebbero marcire nell'ozio, o mettersi in mezzo delle vie, abbandonati ai pericoli del vagabondaggio e della immoralità.
9. Non abbiasi poi alcun timore che l'arte tipografica venga a patirne per le concorrenze degli istituti privati e governativi. Anzi noi non crediamo allontanarci dal vero, asserendo, appoggiati alla storia, che tali istituti produssero ottimi proti e compositori, cui mercè si pubblicarono opere che la storia imparziale ha sempre commendato; opere che contribuirono efficacemente ad elevare l'arte di Guttemberg da tenui principi a quella perfezione, cui oggi con meraviglia la vediamo giunta.
10. Sono pertanto caldamente pregati i Signori del Comitato summentovato a prendere in benevola considerazione tanti poveri ed abbandonati giovanetti, appoggiare e raccomandare quelle arti o mestieri che possono giovare a renderli onesti ed onorati cittadini. Sarebbe poi opera crudele, se colui, che non sentesi propenso a beneficarli, si adoperasse per far loro del male.
Il sottoscritto ha piena fiducia nella illuminata saviezza del Sig. Presidente del Comitato, che si degnava di farsi benevolo protettore di questi poveri figli del popolo, mentre ha l'onore di potersi professare,
Le ragioni addotte erano le stesse che, in adunanza, aveva esposte poco prima il giovane nostro ex - allievo, Giuseppe Sandrone, allora impiegato alla Stamperia Reale. Erano ragioni lampanti, e non v'era stata nessuna intelligenza [390] tra Don Bosco e Sandrone, tant'è vero che l'assemblea, letto il pro - memoria, non ostante l'insistenza degli avversarii, finiva per cedere e dar ragione a Don Bosco.
La fama del suo apostolato era già diffusa in ogni parte, e tutti ammiravano il bene che compiva con gli Oratori Festivi. Il Foglietto di Vicenza la domenica 20 ottobre ne faceva queste lodi:
... Al Vangelo il sacerdote si volta e in dialetto piemontese affinchè sia da tutti ben inteso, fa un discorsetto, in cui spiega utilmente la Vita di Gesù Cristo, o il Vangelo della domenica secondo l'intelligenza degli uditori, o la Storia Sacra del Vecchio Testamento, udito sempre con piacere dai fanciulli. Qual commozione non prova un'anima cristiana nel vedere giovanotti di bassissima condizione stare con tal raccoglimento in chiesa a pendere a bocca aperta dal labbro dei sacerdote che loro spezza il pane della Divina parola, quale difficilissimamente si troverebbe in ragazzi d'alto lignaggio istruiti ed educati come si usa, purtroppo!, ai giorni nostri! Io stesso, sì, io stesso, sono stato spettatore di questo edificante contegno, ed ho detto in quell'istante col cuore: Volesse il cielo che in ogni parrocchia di tutte le città Italiane si istituissero simili opere e moltiplicassero a vantaggio di tanta misera gioventù, gettata per tempo in bocca al diavolo dagli innumerevoli incentivi al male, che con dolore si veggono nei nostri giorni di malintesa libertà...
Ma mi sembra udire qualcuno che così mi domanda: Come può un prete sacrificarsi tutta la festa per sorvegliare tanti giovani? Si potrà egli pretendere che abbia l'attitudine di trattenere allegramente tanti giovani in giuochi, in passeggiate, in simili trastulli?...
Questa non è opera in cui possa concorrere il solo prete, a questa può cooperare efficacemente qualunque laico che sentesi in cuore il desiderio di fare un po' di bene. E appunto a Torino la sorveglianza principale è affidata ai laici[63]. Il prete attende a ciò che è religione e pratiche cristiane, ma in ogni Oratorio c'è un Direttore laico col suo segretario e i suoi assistenti che successivamente sorvegliano i giovani e facendosi piccoli con essi ne dirigono i giuochi e ne sono l'anima nelle ricreazioni. E questi sono per ordinario persone colte e signorili che sottoponendo ogni umano rispetto si sacrificano volentieri pel bene de' loro simili. Ognuno adunque animati di sentimenti di carità, ma in particolare i membri della Società della Gioventù Cattolica, possono coadiuvare a quest’opera veramente Cristiana e filantropica, e s’acertino che le prestazioni saranno coronate da un esito il più confortante. [391]
Tutto va bene, tutto è buono, ma senza spendere non si fa niente; chi dunque si sobbarcherà alle varie spese necessarie per l'impianto e il mantenimento dell'Oratorio? Torino, che per ciò che concerne la pubblica carità può andar superba di aver la precedenza fra molte città d'Italia, Torino, dico, provvede con offerte de' suoi privati cittadini al mantenimento degli Oratorii, con tal generosità che si giunse perfino col ricavato a vestire gran parte dei giovani che mostravansi assidui e morigerati; e ciò che si ottiene a Torino perchè non si potrà ottenere a Vicenza, a Padova, a Treviso e in molte città d'Italia? Non vi sono forse dovunque cristiani doviziosi e di buon cuore, che amano incoraggire ed assistere simili opere? Nulla altro occorre che anime generose e pie che assieme col rispettivo parroco stabiliscano di dar principio a queste opere e la Provvidenza di Dio, sempre pronta ad assistere chi cerca e vuole il bene, non vorrà per fermo abbandonare chi si sobbarca a sacrificar se stesso per opere così care a Sua Divina Maestà...
E già, da ogni parte, giungevano a Don Bosco domande di nuove fondazioni salesiane.
Il Sindaco di Cogoleto gli scriveva:
M.to R.do Sig. Bosco Giovanni,
Questo Municipio avendo inteso i felici risultati delle Istituzioni della S. V. molto Rev.da avrebbe incaricato il sottoscritto di offrirle la prima e seconda scuola elementare di questo paese pel prossimo venturo anno scolastico, colla speranza che vorrà accogliere favorevolmente questa offerta che lo scrivente ha l'onore di presentarle.
Avendo conosciuto inoltre che il Collegio Convitto di Varazze potrebbe aver bisogno di una Succursale, sarebbe pure disposto di mettere a disposizione della S. V. un ampio locale che potrebbe servire all'oggetto, e furono incaricati gli esibitori della presente di farle meglio a voce conoscere le intenzioni del Municipio stesso.
Voglia intanto gradire i rispetti del di Lei
Don Bosco accettava la proposta, ma poi dovette rimandarne l'apertura all'anno seguente; e questa era la terza casa, oltre il Convitto Femminile di Mornese e l'Ospizio di San Pier d'Arena che aveva deciso d'aprire nel 1872. [392] Poco dopo il ritorno da Varazze gli era giunta una proposta consimile per il paese di Villalvernia, nella diocesi di Tortona, ma non potè accoglierla:
La ringrazio di tutto cuore delle preghiere fatte a mio pro e dei cristiani sentimenti che esprime per la guarigione della miserabile mia persona. Dio sia benedetto: Egli mi ridonò la sanità, Lo preghi che mi aiuti a servirmene in bene.
In quanto all'affare di Villavernia non ci posso aspirare: manca danaro, personale ad hoc, e sopra più la mia povera testa divenuta stanca manca affatto di energia intraprendente.
Non mancherò di pregare affinchè Dio inspiri di far quello che è la sua maggior gloria.
Dio le conceda ogni bene, e, se la posso in qualche cosa servire, sarà sempre gran piacere, quando mi posso professare
L'Arciprete Don Giuseppe Da Col il 6 agosto gli scriveva che a Possagno „patria dell'insigne Canova, colle sostanze del Canova stesso, e secondo le benefiche disposizioni del fratello, che fu il Vescovo Mons. Sartori - Canova”, in novembre si voleva aprire un Collegio - Convitto per fanciulli delle classi elementari; e Don Bosco chiedeva schiarimenti, ed incaricava Don Dalmazzo di mandare all'Arciprete i programmi delle nostre case.
Anche Mons. Domenico Villa, il 21 ottobre, “con tante cose del cuore”, gli rinnovava “vivissime preghiere” di non dimenticar “Parma e il suo vescovo, disposto a fare il possibile per l'attuazione del progetto” di una fondazione salesiana in quella città:, per iniziativa della Marchesa Marianna Zambeccari - Politi, col titolo di Ospizio S. Giovanni per i poveri fanciulli della città e provincia.
E Mons. Domenico Agostini, Vescovo di Chioggia, il 9 novembre, gli dichiarava che avrebbe ritenuto “come una benedizione del Signore” se avesse potuto avere una casa „della pia Congregazione fondata meravigliosamente dal veneratissimo signor Don Bosco; pur troppo manca tutto, ma [393] gli uomini di Dio, qual è il rev.mo e venerat.mo Don Bosco trovano tutto”; ed „una sua visita potrebbe destare il fuoco sacro ed operare prodigi”.
Naturalmente non era possibile accontentar ogni richiesta per mancanza di personale e perchè grandi erano già le spese che s'incontravano, mentre ovunque si facevano ognor più gravi le strettezze finanziarie.
Egli, intanto, come non cessava di fare tutto il bene che gli era possibile a vantaggio della gioventù ed anche delle popolazioni, non trascurava alcun mezzo per trovar sussidi.
I benefattori li aveva tutti nel cuore, rallegrandosi delle loro gioie e prendendo parte alle loro amarezze.
Scriveva alla Contessa Uguccioni:
Ho ritardato a scrivere, ma noi si pregava per Lei e per il compianto di Lei fratello. Piangiamone la perdita temporale, ma ringraziamo Dio che abbia concesso una grazia così segnalata di fare una morte cotanto preziosa agli occhi della fede. Ella sa quanti sospiri siansi fatti, quante preghiere siansi inalzate a Dio, perchè la religione che a lui fu sempre in cuore, divenisse una realtà pratica. E per quel lato non si poteva desiderare di più.
Ringraziamo pertanto la misericordia del Signore e preghiamo ogni giorno pel riposo eterno dell'anima sua, se mai non fosse ancora stata accolta nei celesti tabernacoli.
Non mancherò poi di fare particolari preghiere a Maria per la Sig.ra sua figlia che spero vada ogni giorno migliorando. Ma quante preghiere non dovrò fare per Lei, mia buona Mamma, la cui sanità, santità mi stanno cotanto a cuore. Quanto dico a Lei intendo dirlo al Signor Tommaso, che in questi momenti avrà pure patito assai.
Dio li benedica ambedue, e con loro benedica tutta la piccola e la grande famiglia; preghi anche per me che nuoto in un mare di difficoltà. Mi creda con profonda gratitudine tutto suo in G. C.
E faceva sempre dei piccoli regali. Scriveva al Conte Eugenio De Maistre: [394]
Ho ricevuto la sua letterina colla limosina di quindici messe. Parte di esse furono già celebrate, le altre si celebreranno quanto prima. Per mezzo di D. Rua le mando una cassettina di datteri che prego a voler distribuire alla sua piccola famiglia. Ci furono spediti da Alassio, ma senza anapesti.
Car.mo Sig. Eugenio, facciamoci coraggio, abbiamo un periodo di tempo assai tristo. Speriamo che la misericordia del Signore ce lo abbrevierà. Intanto io la ringrazio di tutto cuore della carità che ci ha fatto più volte. È una Congregazione nascente che ha bisogno di tutti e di tutto. Colla sua carità aiutandoci ad impiantarla avrà certamente diritto a tutto quel bene che i suoi membri faranno finchè durerà la medesima Congregazione.
Dio benedica Lei, caro Conte, e con Lei benedica la Sig. zia Duchessa, moglie e famiglia, e a tutti conceda sanità e grazia di una vita felice; e nel raccomandarmi alla carità delle sue sante preghiere mi professo
Quell'anno aveva dato ampio sviluppo alle scuole elementari, aperte per fanciulli esterni, presso la chiesa di Maria Ausiliatrice, nell'Oratorio festivo, e chiedeva al Sindaco un sussidio.
Fra le parti assai popolate della città di Torino e rigurgitanti di ragazzi è certamente Valdocco. Non pochi vanno alle scuole di Santa Barbara, che per altro sono a non piccola distanza.
Ma un numero stragrande sia per incuria dei parenti, sia perchè male abbigliati o per propria dissipazione rimanevano vaganti la intiera giornata, con danno di loro stessi e con disturbo delle autorità di pubblica sicurezza. Per tentare di provvedere a questi poveri fanciulli, oltre alle scuole serali, ho aperto anche alcune scuole diurne. In questo anno potendosi avere un po' più di locale, il numero degli allievi crebbe notabilmente, ed al presente il loro numero effettivo oltrepassa i trecento. A questi allievi bisogna gratuitamente somministrare l'istruzione: a non pochi gli stessi oggetti di scuola, libri, carta, e [395] penne, eccetera, a taluni anche vestiario e pane. Questi sono sforzi di un privato che non possono durare senza speciale sussidio.
A tale oggetto fo ricorso a V. S. Ill.ma pregandola a voler prendere questo bisogno nella più viva considerazione e concedere all'uopo quel sussidio che si giudicherà opportuno.
Se mai Ella giudicasse di mandare qualcheduno a visitare queste scuole, che sono tuttora aperte nel locale dietro alla Chiesa di Maria Ausiliatrice, sarà accolto con tutto il riguardo dovuto alla persona inviata e a colui che la manda.
Vi sono le quattro elementari, alcune classi pel loro numero sono divise in due sezioni.
Mi voglia credere colla solita gratitudine,
Il Sindaco gli rispondeva che avrebbe comunicata la domanda alla Commissione permanente d'istruzione pubblica, appena avrebbe ripreso le sue sedute.
Tornava a chiedere al Ministero della Guerra oggetti usati di vesti, calzature, coperte di qualsiasi qualità e comunque logore per i suoi poveri orfanelli.
Coi sentimenti della più viva gratitudine per favori concessi ai poveri giovinetti ricoverati in questo stabilimento detto Oratorio di S. Francesco di Sales, mi fo animo di rinnovare la medesima preghiera. Il caro dei commestibili, la sensibilissima diminuzione delle elemosine, la moltitudine di fanciulli abbandonati mi mettono in quest'anno nelle massime strettezze.
Supplico pertanto affinchè la E. V. si degni concedere quella maggior quantità di vestiario, di calzamenti, di coperte di qualsiasi qualità e comunque logore per questi poverelli. Ogni cencio serve a sollevare la loro miseria, a ripararli dalle intemperie e dai rigori della stagione.
I ricoverati in questo ospizio sono circa 830: un numero assai maggiore trovasi nelle case esistenti in Genova, in Casale, in Albenga, in Savona, e in Lanzo. Questi giovanetti in parte assai considerevole sono stati inviati dalle Autorità governative, dalle varie province dello Stato.
La S. V. venendo in aiuto di questi poverelli, oltre la loro incancellabile riconoscenza verso chi ha contribuito a porli in grado di guadagnarsi onestamente il pane della vita, si uniranno meco ad [396] invocare le benedizioni del cielo sopra tutti i loro benefattori, ed in modo particolare sopra l'E. V. di cui ho l'alto onore di potermi professare,
Il Comm. Lerici, Direttore Generale dei Servizi amministrativi, mentre gli rispondeva che per il mutato sistema di amministrazione, d'allora in poi sarebbe stato impossibile, per la mancanza di oggetti usati, fare tali elargizioni, per cui il Ministero credeva opportuno di avvertirlo di voler „per l'avvenire astenersi dall'inoltrare tali domande per consimili elargizioni, alle quali esso con suo dispiacere troverebbesi costretto a rispondere negativamente”, gli faceva pervenire 192 coperte di lana da campo e 37 berretti bianchi di cotone a maglia.
E tutti ricorrevano a lui! Il Provveditore agli studi Vincenzo Garelli gli raccomandava poveri giovani, ed egli li accettava senz'altro, perchè raccomandati da questo suo schietto amico, il quale, avvicinandosi il tempo degli esami magistrali, per più settimane veniva all'Oratorio verso le 6 del mattino a dar lezioni ai chierici e prepararli agli esami per ottenere la patente.
La Direzione delle Ferrovie e la Questura gli presentavano di continuo dei ragazzetti soli o abbandonati, ed egli, se avevano l'età prescritta dal regolamento, “o almeno la corporatura suppliva alquanto all'età mancante” - sono sue parole - li accoglieva nell'istituto.
Anche Mons. Biale, Vescovo di Ventimiglia, e Mons. Fissore, Arcivescovo di Vercelli, gli facevano particolari raccomandazioni, ed egli annuiva rispettosamente.
Nel 1872 veniva istituita in Roma l'Opera delle feste allo scopo “di promuovere coll'esempio e colla persuasione l'osservanza dei giorni festivi”; il 9 aprile con apposito Breve il Santo Padre l'approvava; e il 14 dello stesso mese [397] veniva inaugurata nella Basilica di Santa Maria sopra Minerva, con una messa solenne, la lettura del Breve Pontificio ed una fervente allocuzione del P. Gaudenzi, Domenicano. L'Unità Cattolica il 18 aprile pubblicava il Breve Pontificio, destando lo zelo di molti per impedir lo scandalo di veder disprezzata da tanti la legge di Dio; ed anche in Torino sorgeva un'associazione al medesimo scopo, sotto la direzione del Conte di Castagneto, Presidente, di Bosco Giovanni Sacerdote, Vice - Presidente, di Faà di Bruno Cavaliere, Segretario, e se ne faceva stampare il programma che veniva diffuso in tutta la città.
Don Bosco aveva sempre zelato la santificazione delle feste, e, probabilmente in qualche adunanza del Consiglio dell'Opera, ebbe a manifestare anche il pensiero di fondare un giornale cattolico popolare, di cui poi faceva cenno al Conte Balbo. E il Conte Francesco Saverio di Collegno il 21 novembre gli scriveva: „Mi venne riferito che V. S. Rev. pensa e si occupa di provvedere alla fondazione di un giornale popolare cattolico. Desiderando vivamente di cooperare ad un'opera così lodevole e necessaria, ed avendone più volte conferito col Rev. Padre Vasco, il quale lavora pure per lo stesso scopo, bramerei assai di dare allo stesso P. Vasco un'occasione per poter conferire con V. S. Rev. intorno ad una tale santa impresa. Pregherei quindi V. S. Rev. a volersi degnare di venire un giorno a pranzo da me e di volermene indicare il giorno, anche solo nel mattino medesimo, acciò io possa partecipare la cosa al Rev. P. Vasco”.
E poco dopo sorgevano vari periodici cattolici.
Egli, intanto, proseguiva fervorosamente il suo apostolato in mezzo al popolo colle Letture Cattoliche.
A S. Marzano Oliveto, nella diocesi d'Acqui un gruppo di abitanti aveva fondato una sètta evangelica, e il Parroco indiceva una missione, durante la quale i predicatori confutarono tutti gli errori, sfidando anche il Ministro, così detto Evangelico, che non osò comparire. Ma ecco giungere ad uno dei predicatori, a Don Marco Mallarini, Parroco e Vicario Foraneo di Canelli, della Congregazione dei Missionari della diocesi, uno scritto di un certo Imerito Giuseppe, [398] nel quale si accusava la Chiesa Cattolica di contradire in otto punti l'insegnamento della S. Bibbia, citandone erroneamente i versicoli, senz'accennare ai capi dai quali erano stati tolti, anzi assegnandoli a capi inventati. E Don Mallarini scriveva un opuscoletto confutativo e lo mandava a Don Bosco, il quale lo lesse e rilesse, e ne corresse anche le bozze, ma solo in parte, perchè appunto allora cadde ammalato a Varazze; ed affidava ad altri l'incarico d'ultimarne la revisione, e il fascicolo usciva nelle Letture Cattoliche, nel mese di gennaio.
Ed ecco l'indice dei fascicoli pubblicati nel 1872:
Gennaio. - Soluzione sulle obbiezioni dell'Evangelico Imerito Giuseppe contro la religione cattolica pel sacerdote Marco Mallarini Parroco e Vicario Foraneo di Canelli, Membro della Congregazione dei Missionari della diocesi d'Acqui.
Febbraio. - Memorie storiche del Padre Vittorio Frigiolini sacerdote della Congregazione delle scuole di Carità, fondata in Venezia dai venerandi sacerdoti Conti de' Cavanis, scritte nel 1853 da un Sacerdote della stessa Congregazione.
Marzo. - Compendio della vita del venerabile servo di Dio Giovanni Giovenale Ancina Prete dell'Oratorio di S. Filippo, poi Vescovo di Saluzzo, scritto da un sacerdote torinese.
Aprile. - Il segno della Croce del P. Carlo Filippo da Poirino Sacerdote cappuccino.
Maggio. - La strada ferrata, ossia la figlia del cieco. Racconto ameno.
Giugno. - Il mese di giugno consacrato al Sacro Cuore di Gesù. Dal manuale del P. Secondo Franco d. C. d. G.
Luglio. - La Santissima Comunione per Monsignor de Segur.
Agosto - Settembre. - Il Centenario decimoquinto di S. Eusebio il grande e le Chiese dell'Italia occidentale.
Ottobre. - Conversione di Daniele Martin, già ministro calvinista nel Bearn, avvenuta nel secolo decimosettimo e da lui medesimo narrata.
Novembre - Dicembre. - Il Generale Drouot, esempio al soldato cristiano, pel sac. prof. Minella Vincenzo.
I fascicoli di agosto e settembre illustranti il XV Centenario di S. Eusebio avevano questa prefazione:
A' devoti lettori il sacerdote Giovanni Bosco.
“Non so io veramente se sia più a stupire o lamentare che così santo e gran personaggio, come Eusebio di Vercelli, il quale empiè [399] de' suoi fatti e della sua fama l'occidente e l'oriente, e, come uno de' più strenui atleti di Gesù Cristo, fu decantato a gara con sì gloriosi preconii dalle lingue de' latini e de' greci padri e dottori, ed è ad un tempo dell'Italia nostra sì grande ornamento e lustro sì chiaro, sembri esser caduto così dalla memoria di tutti che non vi sia chi sorga a dettarne degnamente la vita”.
Così diceva or sono tre secoli Giovanni Stefano Ferrero de' Principi di Masserano, Vescovo di Vercelli e nunzio famoso alle corti di Germania e del Settentrione di Clemente VIII e Paolo V, nel dedicare una vita del santo assai erudita e scritta in buon latino a Carlo Emanuele I.
Nè è solo il nostro glorioso padre fra i grandi santi italiani, che manchi di chiaro scrittore; e tal mancanza è tanto più increscevole oggi, che sono in tanto amore gli storici studi e sì grande è la sollecitudine dell'altre nazioni d'illustrare e rendere popolari i lor santi e i lor grandi.
Il vicino centenario del gran santo varrà certo a rinfrescarne la memoria; e così tal solennità ed una consimile che sta pure per celebrarsi ispirar potessero per lui e per Sant'Ambrogio qualche valente scrittore! Che se a noi pure e a' tempi nostri si potessero ripetere in tutto gli uditi lamenti, sarebbe, diremo francamente, tra vergognoso e stupendo non sappiamo qual più.
Noi, servendo a' bisogni del popolo, a lui cominceremo ad offrire questi umili ricordi. Possano essi ridestare popolar divozione al grande nostro Padre! Possano ravvivare la memoria di un Santo a cui tanto deve l'Italia e specialmente l'occidentale; ad un Santo, che, al dir di sant'Ambrogio, „ci fu padre nella fede”; ad un Santo che al dir di San Massimo, tanto fece in prò nostro, che „quanto di virtù e di bene può esser tra noi, da lui, quasi da lucidissimo fonte, tutto provenne”.
E l'Unità Cattolica del 9 agosto ne faceva breve recensione:
È un grazioso ed erudito opuscoletto regalatoci dal ch. D. Giovanni Bosco all'occasione che Vercelli celebra il XV centenario del santo suo protettore. Con uno stile chiaro e forbito ci dà a conoscere compendiosamente non solo la vita del Santo, ma anche la storia dell'età in cui visse.
Nello stesso anno Don Bosco stampava una nuova edizione della sua Storia Ecclesiastica, e l'Unità Cattolica del 25 aprile ne faceva un bell'elogio.
Se il rapido spaccio di un'opera è sovente una pruova del pregio in cui è tenuta dagli intelligenti, nessuno certamente vorrà negare [400] una lode singolarissima a questo libro del venerando Don Bosco del quale si fecero in breve tempo quattro edizioni di parecchie migliaia di esemplari. Questa quinta edizione poi vuole essere in particolar modo lodata per essere stata notabilmente migliorata dall'autore, e approvata e raccomandata dal dotto Arcivescovo di Torino. Certamente non si poteva ristampare altro libro più utile per questi tempi, in cui l'empietà e la impudente ignoranza pare si sieno collegate a danno della Chiesa di Cristo. Per la qual cosa noi preghiamo caldamente i parrochi, i rettori de' Collegi, i maestri, e tutti coloro che hanno a cuore l'educazione cristiana della gioventù, a voler far conoscere e spargere nel popolo questo Compendio della storia ecclesiastica, il quale per la sanità della dottrina sarà di efficace antidoto contro i velenosi libri, che si vanno seminando da tenebrose sètte, e per essere scritto con bellissimo ordine e con istile chiaro e semplice, riuscirà utile ad ogni genere di persone. Si vende in Torino dalla Libreria dell'Oratorio di S. Francesco di Sales al prezzo di cent. 80.
Ed ecco l'approvazione dell'Arcivescovo:
Avendo Noi attentamente letto ed esaminato il Compendio di Storia Ecclesiastica scritto dal molto Rev. Sig. D. Giovanni Bosco, Fondatore della Congregazione dell'Oratorio di san Francesco di Sales, ed avendolo trovato molto opportuno ed atto a dare cognizioni sufficienti di una cosa così necessaria, come è oggidì la Storia della Chiesa di Gesù Cristo, a tutti quelli, che per qualche causa non possono applicarsi ad uno studio più profondo e più vasto della medesima, non solo lo approviamo, ma lo raccomandiamo caldamente a tutti quelli che sentono zelo per la nostra santa Religione, e specialmente a tutti i maestri di scuola, ed a tutti coloro a cui sta a cuore l'educazione cristiana della Gioventù.
Torino, Seminario, festa di S. Giuseppe 1872.
Prima della fin dell'anno Don Bosco faceva una visita alle Case di Lanzo e di S. Pier d'Arena; e a Don Lemoyne ne dava questo preavviso.
Mercoledì p. mattino spero di essere teco a Lanzo. Se mi mandassi nota dei merli che hanno specialmente bisogno di essere spennati, mi servirebbe di norma di mano in mano che avrò occasione d'incontrarli in collegio. [401] Un cordialissimo saluto a te e a tutti i nostri figli di S. Filippo Neri e credimi tutto tuo,
La sera del 29 era a Lanzo, e prima di cena, mentre tutti gli allievi - e quelli da spennare e quelli che non avevan bisogno d'essere spennati - lo circondavano festanti, ecco un fenomeno singolare, una pioggia di meteore luminose, mai più vista in Piemonte, che durò fin dopo la mezzanotte! Trentatremila e quattrocento meteore - scriveva il Padre Denza - furon contate in sei ore e mezzo da quattro osservatori!
A quella scena, molti alunni rimasero spaventati, ma uno, pronto d'ingegno, li rallegrò tutti, gridando:
- Sono gli angeli che tirano le fusütte (i razzi... artificiali!) per l'arrivo di Don Bosco!
Tutti si misero a ridere gridando: - Evviva Don Bosco! Evviva Don Bosco!
A San Pier d'Arena si recò nella prima settimana di dicembre. L'Ospizio v’era stato trasferito l’11 novembre, e fu assai contento nel vedere come andava prosperando.
La chiesa e l'annesso Convento erano in pessimo stato. Tetti, pavimenti, porte e finestre avevano bisogno d'essere rifatte e per allora si fecero le riparazioni più necessarie. Il Convento aveva due piani superiori con sei stanze allineate in ogni piano, alle quali dava accesso un corridoio abbastanza comodo, che aveva le finestre verso il cimitero, dove da poco non si facevano più tumulazioni. In casa non v'era mobilia sufficiente: la cucina era troppo piccola per i bisogni della comunità. Non v'era un cortile, e i quaranta e più alunni per fare un po' di ricreazione dovevano accontentarsi della piazzetta che stava innanzi alla chiesa. Quando pioveva non avevano altro rifugio che un androne, largo pochi metri e lungo come la chiesa, che dava alla scala del convento.
Nonostante tante angustie l'allegria regnava sovrana. Talvolta mancava il pane, e Don Albera colle lacrime agli occhi andava in giro per Genova, cercando elemosina, non [402] reggendogli il cuore di rimettere in mezzo alla strada quei giovinetti, che si raccoglievano anch'essi attorno all'altare chiedendo il pane quotidiano; e il Signore provvide sempre quant'era necessario.
La chiesa prese ad essere ufficiata regolarmente, nei giorni feriali e festivi, con gioia della popolazione.
“Io - lasciò scritto Don Lemoyne - quante volte ancor ragazzetto passai davanti alla chiesa di S. Gaetano e chiedeva a mio padre: - È sempre chiusa quella chiesa? - E mio padre me ne raccontava la storia e mi narrava come i quadri classici di questa chiesa nel tempo della soppressione Napoleonica fossero stati trasportati nella sacrestia di San Siro, chiesa essa pure stata tolta ai Teatini. E mi descriveva la campana della Provvidenza che suonava all'ora del refettorio per invitare i fedeli a portar vitto ai religiosi, e come questi mai mancassero di nulla mentre nulla possedevano.
Io era smanioso di veder la chiesa di S. Gaetano, e mai mi riuscì d'entrare. Vi era una sola Messa alla domenica ed al mattino prestissimo, e tutto era finito.
Chi mi avrebbe detto allora che sarebbe sorta una novella Congregazione religiosa, la quale avrebbe comprata e aperta quella chiesa, che quindi, essendo divenuta mia, vi sarai entrato le tante volte e vi avrei celebrato io stesso la S. Messa! Quanto è buono il Signore!”.
Don Bosco fu assai contento nel vedere com'era ben avviata ogni cosa, e disponeva che si cominciassero, senza timore, i restauri più urgenti, che vennero pienamente intrapresi nel 1875 e compiuti poi col porre questa lapide commemorativa, nell'interno della chiesa, sotto l'orchestra:
HOC . TEMPLUM . ET . ADJACENS . COENOBIUM
Tornato a Torino, così parlava ai giovani la sera del 9 dicembre:
La settimana passata fui a Genova, a Sampierdarena. Ho veduto il nuovo collegio che abbiamo stabilito colà. Vi si vedono cose meravigliose. Sampierdarena è un borgo che avrà quasi un 20 mila anime, contuttociò quando si doveva in chiesa dar la benedizione, non v'erano quasi mai le 12 persone necessarie per esporre il SS. Sacramento. Speriamo ora che le cose andranno meglio. Là nella nostra chiesa nelle feste alle 5 del mattino c'è messa e istruzione del Vangelo, qualche ora più tardi altra messa e istruzione, e funzioni alla sera, e sempre la chiesa è piena. Don Albera faceva il catechismo, ne aveva un quarantina intorno a sè, ma sapevan niente di catechismo. Ora sono molti di più e imparano volentieri.
La medesima sera, si rallegrò anche con gli alunni dell'Oratorio per un curioso fatterello, di cui Don Berto prese nota:
“Sabato, 7 dicembre [1872], vigilia dell'Immacolata Concezione Don Bosco confessava nella sua camera, circondato da una moltitudine di giovinetti, così stretti fra loro, che i confessati per venir via dovevano fare un grande sforzo onde aprirsi la strada. Un piccolino, credo di nome Prato, di Ia ginnasiale, con un giubbetto corto, dopo essersi confessato, si volge per passare, cerca di farsi far largo colle mani e coi gomiti. Ma non potendo uscire da quella calca, punta i piedi all'inginocchiatoio e spingendo si getta avanti col corpo, ma gli altri invece di aprirsi si restringono di più ed egli, il poverino, preso in mezzo, sgambetta, si dimena, intanto [gli] si stracciano le bertelle dei pantaloni, e dovette ritornar via, vittorioso, ma coi pantaloni in mano. Don Bosco che, anche senza volerlo, dovette essere spettatore di questa scena, dice che per non ridere dovette farsi non poca violenza, invece tra tutti quei giovani neppur uno diede un sorriso, dimodochè Don Bosco ne rimase edificato e se ne rallegrò coi giovani, quando il lunedì a sera, addì 9 dicembre, raccontava loro questo fatterello”.
L'Oratorio aveva anche allora molti giovani di virtù singolare, e il loro contegno in chiesa, il modo di pregare, e la devozione con cui si accostavano alla Santa Comunione, erano [404] alle persone esterne di tanta edificazione, che, di frequente, vari che s'erano allontanati dalla pratica della vita cristiana ne rimanevano commossi e spinti a tornare sul buon sentiero.
Sempre più gravi, intanto, si facevano le condizioni finanziarie, e Don Bosco andava avanti tranquillo tra le braccia della Provvidenza. Non lasciò mai di riscattare i suoi chierici dalla leva militare, con tutta prudenza. Scriveva al Barone Carlo Ricci des Ferres.
l'anno scorso V. S. Car.ma in certa occasione mi prometteva di riscattarmi un chierico dalla leva militare in onore di Maria Ausiliatrice, se avesse avuto buon risultato un affare che allora era in vertenza. Ora si è compiuto nel senso desiderato.
Io voleva già farle preghiera lo scorso autunno, quando dovemmo fare alcuni di tali riscatti, ma, essendo ammalato lontano da Torino, i miei rappresentanti fecero un mutuo ad hoc, che io dovrei ora estinguere.
Ed ecco lo scopo di questa lettera.
Supplicarla se può in tutto o in parte darmi questo denaro che è di f. 2500.
La libertà con cui dimando dà a lei uguale libertà a rispondermi. Giacchè, trattandosi di opere dì carità, uno può farla quando è nella misura che ciascuno giudica compatibile a sè e di maggior gloria di Dio.
Il Signore benedica Lei e la sua signora sposa e di ambidue faccia due esseri felici nella vita presente e li coroni di eterna gloria a suo tempo in paradiso. Amen.
Raccomando la povera anima mia alla carità delle sante sue preghiere, e mi professo,
La prudenza, che usava nel riscattare i chierici dalla leva, consisteva nell'obbligarli a fare questa dichiarazione formale, in carta da bollo.
Io sottoscritto mi obbligo di rimborsare il sig. Don Bosco, od il suo erede universale, della somma che deve spendere per esentarmi dalla milizia, qualora non continuassi ad essere aggregato alla Società di S. Francesco di Sales da lui fondata.
[La data]…...................... [e la firma]….............. [405]
Di coteste dichiarazioni, imposte come ritegno a non agire contro coscienza, ce ne restano varie, tra cui una, con la data „Cherasco, 24 aprile 1871”, in carta da bollo, da un chierico che, fatti i voti triennali, salì al sacerdozio e nel 1874 usciva dalla Pia Società. Ma non ci consta che Don Bosco abbia, in questi casi, ricorso ad azione legale per essere rimborsato; il suo interesse prima d'ogni altra cosa era il bene dei discepoli.
Le strettezze finanziarie, che andavan di giorno in giorno aggravandosi, gli suggerirono di ricorrere ad un mezzo singolare per poter tirare avanti, che venne poi ritenuto come un'ispirazione celeste.
Una sera, dando la buona notte, diceva agli alunni: - Ho un progetto, che ridonda tutto a vostro vantaggio; pregate e, se riesce, ve lo dirò.
Il progetto consisteva in una specie di questua con biglietti numerati, da acquistarsi dai benefattori a 10 lire l'uno, a titolo di elemosina, con premio, mediante estrazione, di un quadro della Madonna di Foligno. E, radunati Don Rua. Don Sala, Don Provera, espose loro le sue idee su questa specie di lotteria.
- Ma come? gli fu risposto; non vede che son tutti stufi di lotterie? è un mezzo usato continuamente, che ha perduto la sua efficacia.
- Eppure, mancando di danaro e non sapendo dove prenderne...
- E a qual prezzo metteremo i biglietti?...
- Cinquanta centesimi? - disse uno.
- O una lira? - disse un altro.
- Una lira sembra troppo! - ripetè il primo.
- E noi fisseremo il prezzo d'ogni biglietto a 10 lire! - dichiarava Don Bosco
- Dieci lire?! esclamarono tutti maravigliati.
E Don Provera, facendo frettolosamente girar la berretta che teneva in mano:
- Dieci lire al biglietto?! Nessuno li prenderà; è impossibile!
Tutti eran contrari, e non approvavano quella proposta, ma egli concluse: [406]
- Se il prezzo fosse più basso, prenderebbe l'aspetto d'una vera lotteria, e bisognerebbe aspettar molto tempo per aver l'approvazione del Governo, e pagare la tassa; mentre vedete che dobbiam provvedere, e presto, ai bisogni in cui ci troviamo, di pane e di vestimenta!
Contemporaneamente dai direttori dei vari collegi faceva giungere ai parenti degli alunni questa deliberazione:
L'aumento dei prezzi in ogni specie di commestibili ha messo questa direzione nella necessità, di fare un piccolo aumento nella pensione fissata dal programma. O questa si dovrebbe aumentare, oppure modificare il trattamento della mensa. Desiderando assolutamente di non variare, anzi amando piuttosto, per quanto è possibile, migliorare quanto riguarda al vitto, si è presa la deliberazione d'introdurre un piccolo aumento di fr. 5 mensili, cominciando dal prossimo gennaio 1873. Questa variazione è temporanea ed appena i commestibili prendano prezzi più normali si ridurrà tosto ogni cosa come prima.
Si spera che V. S. vorrà accogliere in buona parte questa deliberazione, che si giudicò indispensabile per poter continuare ad usare que' riguardi che la sanità, la moralità, il progresso scientifico dei nostri allievi richiedono.
Per la direzione ha l'onore di potersi professare
Andava avanti, cercando sempre e chiedendo aiuti ad ogni sorta di persone, come se dovesse far tutto da sè, ma con tanta tranquillità e col più fiducioso abbandono nella Divina Provvidenza, come se sapesse che, in ogni caso, Essa avrebbe presto provveduto! [407]
Anniversario perpetuo pel fu Giulio Cesare Primogenito del signor Conte Federico Callori Provana Balliani di Vignale.
La signora Contessa Carlotta Callori Sambuy nel vivo desiderio di conservare grata e religiosa memoria del compianto suo figlio Cesare, ha deliberato di fondare un servizio religioso anniversario da compiersi ogni anno nella Chiesa dedicata a Maria Ausiliatrice di questa città nel giorno del suo decesso ed in suffragio dell'anima dell'amato figlio se mai ne avesse ancora bisogno prima di essere ricevuto negli eterni gaudi del cielo.
A tal fine convenne col sacerdote Bosco Giovanni direttore di questa chiesa che:
1° Questo funerale o servizio religioso debba compiersi ogni anno nel giorno del suo decesso, il 5 marzo. Se il rito della Chiesa non lo permettesse si farebbe nel primo giorno successivo non impedito.
2° Vi sarà messa cantata solenne con diacono, suddiacono e chierici; i giovanetti dell'Oratorio di S. Francesco di Sales faranno la loro comunione, reciteranno il Rosario colle altre preghiere che essi sogliono fare in simili sacre funzioni.
3° Dodici messe lette in quel giorno si celebreranno in suffragio dell'anima del defunto.
4° Per le spese occorrenti nel funerale, nella messa solenne, celebrazione delle messe, comunioni, preghiere, la Contessa offre la somma di lire 2000 (due mila) per una sola volta, il cui frutto intende che debba servire in perpetuo al pio scopo. Tale somma fu in data di oggi ricevuta dal sottoscritto.
Il Sac. Giovanni Bosco, come Superiore della Congregazione di S. Francesco di Sales e Direttore della Chiesa, accetta tale proposta e si obbliga per sè e suoi eredi successori nella Congregazione di compiere questo servizio religioso nel giorno e nel modo sopraindicato e ne farà tenere apposita tabella affissa nella sacrestia della Chiesa che ricordi in perpetuo l'obbligazione assunta verso il defunto Giulio Cesare Callori che Dio rapiva all'affezione de' suoi genitori il 5 marzo 1870.
Dato in Torino, 25 febbraio 1872.
Novena e Solennità in onore di Maria Ausiliatrice nella Chiesa dell'Arciconfraternita a Lei dedicata in Valdocco in Torino.
Il giorno stabilito dalla Chiesa per la festa di Maria Ausiliatrice è il 24 maggio; ma in quest'anno cadendo nell'ottava privilegiata di Pentecoste, nel venerdì delle tempora, in cui ogni altra festa è trasferita, S. S. il Sommo Pontefice Papa Pio IX con rescritto dell'8 aprile 1872, fece facoltà:
1° Di celebrare questa solennità nel giorno 23, giovedì della stessa settimana.
2° Ogni sacerdote può in quel giorno ed in questa chiesa celebrare la santa Messa di Maria Auxilium Christianorum colla commemorazione dell'ottava di Pentecoste.
Indulgenza plenaria a chi confessato e comunicato visiterà questa chiesa nel corso della novena o nel giorno della festa.
Orario delle funzioni religiose.
La novena incomincierà il martedì 14 maggio.
Ciascun giorno lungo il mattino fino a mezzodì celebrazione di messe lette e comodità per chi desidera accostarsi ai santi sacramenti della Confessione e Comunione.
Alle ore 7 comunione generale con particolari esercizii di pietà.
Ogni sera, alle 7, canto di laudi sacre, predica, benedizione col SS. Sacramento, con scelta musica.
Giorno 19, solennità di Pentecoste.
Mattino, alle ore 10 e 1/2, Messa solenne: composizione del M° De - Vecchi.
Sera, ” 3 1/2, Vespri, predica, Benedizione.
Solennità di Maria Aiuto dei Cristiani.
Mattino. - Alle ore 10, messa Pontificale. Dagli allievi dell'Oratorio di S. Francesco di Sales verrà eseguita con scelta orchestra a 300 voci una nuova e grandiosa messa a 6 parti del Sac. Cagliero Giovanni.
Sera. - Alle ore 6, vespri solenni e Panegirico, Tantum ergo a 400 voci. Benedizione.
NB. - In fine dei Vespri sarà cantata l'antifona “Sancta Maria, succurre miseris” dello stesso autore. Grandioso concerto a tre cori [409] distinti, come il Tu es Petrus cantato a Roma nel 1867; il quale concerto verrà eseguito dagli allievi dell'Oratorio e da molti professori, maestri e distinti dilettanti della città.
Chi desidera farsi scrivere nell'Arciconfraternita di Maria Ausiliatrice troverà persona appositamente incaricata nella sacrestia della chiesa.
La lemosina che gli aggregati od altri giudicheranno di fare in quest'anno servirà a pagare le spese fatte nella costruzione del coro e della sacristia, i cui lavori furono testè terminati.
Nel giorno 19 la musica sarà eseguita dagli allievi dell'Oratorio di S. Francesco di Sales.
Nel giorno 20 alla sera dagli allievi del Collegio convitto di Lanzo.
” 21 Dagli allievi del collegio convitto di Varazze e da quelli del Collegio di Alassio.
” 22 Dagli allievi del Collegio di S. Carlo in Borgo S. Martino presso Casale.
Nel giorno 19 (Pentecoste) alle 6 di sera, nell'interno dello stabilimento, dopo le sacre funzioni sarà inaugurato il gran padiglione detto la Ruota della fortuna con maestoso concerto musicale. Consiste questo trattenimento in un'urna piena di biglietti bianchi e scritti. Si distribuiscono tutti piegati: gli scritti vinceranno il premio che ivi è descritto. Ogni biglietto centesimi 10. Chi ne acquista una decina avrà l'undecimo gratis.
Nei tre giorni seguenti della novena e nel giorno della festa continuerà il trattenimento della Ruota della fortuna con una piccola fiera a totale benefizio della chiesa e del pio Istituto. Si porranno in vendita sopra banchi diversi:
1° Medaglie, litografie, e fotografie religiose, libri ameni, musica per canto e per pianoforte, opere edite dall'Oratorio (Libri e musica vendibili a totale beneficio della chiesa e del Pio Istituto. Tutti i libri di D. Bosco. Musica D. Cagliero).
2° Giuocatoli ed oggetti diversi di divertimento pei ragazzi.
3° Fuori del tempo delle sacre funzioni avranno luogo concerti musicali e trattenimenti di vario genere.
4° La direzione delle feste interne è affidata ai Direttori dell'Oratorio e ad un comitato di nobili Signori che prestano con zelo l'opera loro caritatevole a questo scopo di beneficenza.
La S. V. è pregata d'intervenire e di comunicare questo programma alle persone di sua conoscenza. [410]
LETTERA, INEDITA, AL VESCOVO DI MONDOVÌ[64].
Rev.mo e Carissimo Monsignore,
Ieri aveva veramente divisato di fare una gita a Mondovì, ma lo schiamazzare continuo degli operai in isciopero intorno a questa casa, mi hanno fatto persuaso di non allontanarmi, atteso il panico che regna nei giovanetti e negli stessi superiori. Oggi continua. Poveri operai, a che li spinge la fame! Nella prossima settimana non potrò più allontanarmi; dopo Pasqua s'ella vede necessaria una gita a Mondovì, io ci vado senza esitazione. Se però possiamo fare cogli scritti, oppure differire fino ai 20 del corrente, quando Ella venga a Torino, sarebbe vantaggioso pei miei denti che da qualche giorno non vogliono più prestar servizio. Ho letto il programma e il progetto della Biblioteca ecclesiastica, l'impresa è ardua e gigantesca; se però si possono avere collaboratori e farsi conoscere come si merita, dal canto mio ci sarò totis viribus.
Doni a me ed ai miei fanciulli la sua santa benedizione e mi creda con profonda gratitudine di V. S. Rev.ma
A D. Durando avrà scritto pel giovane raccomandato.
INNO PER LA FIESTA DI S. GIOVANNI DEL 1872
composto da Don Giuseppe Bertello.
A D. Giovanni Bosco, nel suo giorno onomastico, i giovani dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, come a tenerissimo padre, offrono.
Balzati da rio turbine |
Ali! quante volte al vespero |
In tempestosi liti, |
D'un giorno pien d'affanni |
Fummo in un mar di lagrime |
A Dio chiedemmo supplici; |
Di amaro fiel nutriti. |
Troncasse il corso agli anni, |
Mesti allo sguardo aprivnnsi |
E dopo lunghe tenebre |
Del cielo i campi, e il cor |
Udimmo risuonar |
Mai non s'udia ripetere |
Più fieri in cielo i turbini, |
Da voce amica: Amor. |
Mugghiare irato il mar. [411] |
Un dì che rotto l'albero, |
E da quel dì nell'anima |
Infrante antenne e vele, |
Godo ineffabil pace, |
Facea suonar le spiaggie |
Grazie a quel divin Angiolo |
Di pianti,e di querele, |
Ch'ora mi ascolta e tace; |
Ecco per l'aer torbido |
E quanti qui s'accolgono |
Un Angiol mi appari, |
Riuniti in un pensier |
Che amico il volto e il ciglio |
In ciò con me concordano, |
In questi accenti uscì:, |
Se voglion dire il ver. |
|
|
“Folle chi nella polvere |
O dolce Padre, estinguesi |
Confida e guarda il cielo! |
Del mio cantar la lena |
Mortai, qual ria caligine |
Quando mi sforzo esprimere |
Vi fa alla mente un velo? |
Del cuor l'interna piena; |
Nelle magioni eteree |
Cinto di verde foglia, |
Ha pace ogni desir. |
Pieno d'amor, di fè, |
Segui i miei passi, o figlio, |
Tutti concordi e unanimi |
Spera nell'avvenir”. |
Te lo poniamo ai piè. |
|
|
Io lo seguii, e al sorgere |
Tu che annunziasti il GAUDIO |
Della novella aurora, |
DEI GIUSTI in Israello, |
Ancor dubbioso e trepido |
Odi le preci e i gemiti |
Scorsi questa dimora; |
Di questo pio drappello: |
Venni, toccai le soglie, |
Tien la tua man benefica |
Il ciel si serenò, |
Sui capo al Direttor, |
Gustai la vita, incognito |
Per molti lustri incolume |
Un gaudio mi innondò. |
Lo serba al nostro amor. |
|
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Il programma del Collegio Valsalice.
Corso Elementare, Ginnasiale e Liceale.
Questo collegio è situato in Valsalice, da cui s'intitola, luogo molto salubre ed ameno. Dista dieci minuti dal ponte in ferro sul Po e pochi passi dalla cinta daziaria con via comodissima. Il fabbricato è amplissimo ed appositamente costrutto, ha lunghi porticati, vasti ed ombreggiati cortili e quanto occorre per gli esercizi di ginnastica. In ogni ramo d'istruzione si seguono i programmi proposti dal Governo, e i professori sono patentati. I genitori sono assicurati che nulla si omette di quanto possa contribuire alla sanità, al profitto morale e letterario degli allievi. [412]
1° Ogni allievo nella sua entrata dev'essere munito della fede di nascita e di battesimo, di vaccinazione o sofferto vaiuolo, della classe percorsa e di un certificato di buona condotta per chi è già stato in altro collegio.
2° Sono ammessi giovanetti di nobile o civile condizione, che abbiano età non minore di sette anni e non maggiore di dodici. Per un allievo che oltrepassi i dodici anni si prenderanno col Direttore particolari intelligenze.
3° L'insegnamento abbraccia il corso elementare, ginnasiale, liceale, il disegno e la lingua francese. Per l'affinità di questi studi con altri, che potrebbero essere necessari agli allievi, si nota che l'aritmetica, il sistema metrico, la geografia, storia, letteratura italiana, lingua francese e il disegno sono compartiti in modo, che, mentre corrispondono ai programmi delle classi ginnasiali e liceali, compiono i medesimi rami d'insegnamento pel corso tecnico, per l'ammessione all'accademia militare e allo studio di marina. Così quando un allievo compie il liceo con pochi mesi di studio può eziandio completare quanto è richiesto dai programmi governativi per gli esami sopra accennati.
Oltre a questi rami d'insegnamento vi sarà pure scuola di declamazione, ginnastica, musica.
4° La pensione è fissata a L. 90 mensili. Oltre la pensione mensile ogni allievo deve pagare L. 80 di entrata.
Per gli allievi del corso ginnasiale e liceale è stabilito un minervale di L. 60.
5° La pensione comincia a decorrere dal giorno fissato per l'entrata in collegio, e si paga a semestri anticipati al Prefetto ossia Economo del collegio.
6° I convittori sono tenuti in collegio tutto l'anno. A richiesta però dei parenti possono passare tutto od in parte il mese delle vacanze autunnali dal 15 settembre al 15 ottobre. Fuori di questo tempo non si permette mai l'uscita particolare dal collegio coi parenti o con altre persone di conoscenza tranne per motivo di salute.
7° Gli allievi hanno quattro refezioni al giorno; a colazione caffè e latte o frutta; a pranzo minestra, due pietanze, vino, frutta o cacio; a merenda pane; a cena minestra, pietanza, vino, frutta o cacio.
8° Oltre il vitto il collegio provvede a ciascun allievo lettiera in ferro, pagliericcio elastico, materasso e gli altri oggetti di camera, [413] vestiario d'uniforme e quello d'uso ordinario, il bucato, la soppressatura e le piccole rimendature della biancheria, lucido e saponette, le cure ordinarie in caso di malattia, pel medico, pel dentista, pel parrucchiere, gli oggetti di cancelleria e la prima copia dei libri di testo, eccettuati i vocabolarii.
9° Gli oggetti provveduti dal Collegio rimarranno al medesimo quando gli allievi faranno ritorno alle rispettive famiglie.
10° Sono a carico dei parenti i guasti volontari, le spese degli insegnamenti liberi, come sarebbero quelli della musica strumentale, della lingua tedesca, inglese, ecc., e quelle dei consulti medici o di altre cure straordinarie in caso di malattie gravi.
Ogni allievo deve recare con sè il seguente corredo.
I° Posata e bicchiere d'ar - 11° Fazzoletti . …. .. N° 12 gento o di cristophle.# 12° Calzette paia . . . 12 |
2° Lenzuola paia … No 3 13° Mutande . . .….. „ 4 |
3° Coperta di lana (cata - 14° Corpetti di lana per logna) ................” 1 l'inverno . .... . . . 3 |
4° Coltrone (traponta) 1 15° Flanelle . ……. . . 2 |
5° Camicie . … . . . 8 16° Guanti . ……. . . .” 4 |
6° Idem da notte . .” „4 17° Cravatte . . . . ……” 4 |
7° Stivaletti paia …” „3 18° Mantello conforme al modello |
8° Asciugamani . …” 6 19° Gli oggetti di toeletta, cioè spazzole, pettine, |
9° Tovaglie (salviette) 6 pettinetta ed apposita scatola lunga m. 0, 25, |
10° Tovaglia lunga m. 2, 50, larga m. 0, 18. larga m. 1, 50 . .” 1 |
NB. - Il rinnovamento del corredo rimane a carico dei parenti.
Gli oggetti dagli allievi portati in collegio si restituiscono nell'uscire, tranne la tovaglia indicata al No 10
I° Ciascun oggetto del corredo dev'essere notato col numero assegnato nell'atto dell'accettazione.
2° Entrando l'allievo in collegio consegna all'Economo la nota del corredo che porta seco. Il collegio però non si tien responsabile degli oggetti minuti, guanti, cravatte, fazzoletti ecc.
3° Ai genitori è aperto il parlatorio due volte la settimana, cioè al giovedì ed alla domenica, all'ora che verrà indicata con apposito specchietto. In caso di malattia in qualunque ora di ogni giorno. [414]
4° Non si concede ad alcuno di visitare gli allievi senza uno speciale permesso dei genitori. Le lettere che si spediscono o si ricevono passeranno prima per le mani del Direttore.
5° Gli allievi non possono tener danaro presso di sè, e qualora ne ricevessero per minuti piaceri dovranno depositarlo presso all'Economo o Prefetto che ne farà regolata distribuzione.
6° Le domande di accettazione si fanno al Sac. Prof. Francesco Dalmazzo Direttore del collegio, oppure al Sac. Giovanni Bosco.
NB. - Prima della metà di agosto del corrente anno le lettere di domanda s'indirizzino all'Oratorio di S. Francesco di Sales. Dopo tale tempo si possono indirizzare al Collegio Valsalice.
Nota. - Qui seguivano le „Parole di S. Eccellenza Reverendissima Mons. Lorenzo Gastaldi, Arcivescovo di Torino sul Collegio Valsalice”, già riportate.
Sono pagine, per Don Bosco veramente gloriose, queste che ci accingiamo a scrivere intorno alle pratiche da lui compiute, dal 1871 al 1874, per conciliare il Regno d'Italia colla Chiesa! Furon tante e così gravi le fatiche che ebbe a sostenere, che la sua figura ne acquista una luce ed un'attrattiva singolare.
È un fatto così straordinario il veder un semplice prete, unico mediatore, ardito e intrepido, nella “Questione Romana”, che ci tien fisso il pensiero che egli si accingesse all'opera, non tanto per semplice sua iniziativa, ma per ispirazione divina.
Nell'immensa sua carità egli abbracciava tutti i popoli della terra! Era quindi naturale che sentisse e coltivasse amore per l'Italia, ma, insieme col più schietto ed operoso [416] amor per la Patria, egli, qual santo ministro di Dio, aveva la più profonda e feconda venerazione e devozione per la Chiesa e per il Papa, per Cui riteniamo che fu davvero guidato da Dio!
Nè si obietti che poi, al termine delle lunghe e faticose trattative, egli dicesse, che non si sarebbe più accinto a tale impresa!... Fu una dichiarazione di profonda umiltà, a lui abituale.
Anche nel 1884, quando, dopo dieci anni di fatiche, vide coronata la Società Salesiana con i particolari privilegi soliti a concedersi a tutte le corporazioni religiose, definitivamente approvate dalla Santa Sede, fu udito esclamare:
- Se avessi saputo prima quanti dolori, fatiche, opposizioni e contradizioni costi il fondare una Società religiosa, forse non avrei avuto il coraggio di accingermi all'opera!...
Comunque, veniamo all’esposizione della missione da lui compiuta nella “Questione Romana”, con tutti i documenti che abbiam potuto raccogliere; e chi ci segue, non potrà non ammirare con noi l'arduo e paziente lavoro compiuto dal nostro santo Fondatore!
Si avvicinava il giorno in cui Pio IX avrebbe felicemente compiuti venticinque anni di Pontificato, e la Società della Gioventù Cattolica Italiana diramava, in ogni angolo della terra, un invito a festeggiare la solennissima data, che fu accolto con consenso unanime. I Vescovi pubblicavano affettuose pastorali e da per tutto s'indissero entusiastiche adunanze, nelle quali vennero stabilite particolari cerimonie religiose, con predicazioni straordinarie e processioni solenni, ed anche feste civili con accademie, luminarie e fuochi e spari. Un entusiasmo universale! In ogni parte d'Europa e delle Americhe, e nell'Africa, specialmente nell'Abissinia e nel Senegal, nell'India, nella Cina, nel Giappone, negli scali d'Oriente e nelle Isole Oceaniche e nell'Australia, si organizzarono pellegrinaggi a Roma, per umiliare all'Augusto Pontefice, gli omaggi più devoti e un gran numero di doni preziosi [417], tra cui circa 3 milioni per l'Obolo di S. Pietro, ed anche vari disegni di monumenti da erigersi in memoria del singolare avvenimento.
A destare tanto entusiasmo contribuiva anche la figura personale di Pio IX. Creato Papa in quarantotto ore di Conclave, colmò subito di perdono i ribelli di Stato, riformò le leggi e tentò nuovi ordini più graditi al secolo; prese e continuò a proteggere regalmente scienze, lettere, arti, studi, biblioteche, accademie ed istituzioni civili; innumerevoli monumenti edificò ed antichi ritornò in fiore; strinse concordati con otto Stati e rese eternamente venerando il suo nome nel campo apostolico, rialzando l'ecclesiastica gerarchia in Olanda e in Inghilterra, moltiplicando in ogni parte le sedi metropolitane, arcivescovili e vescovili, i vicariati e le prefetture apostoliche, decretando a San Giuseppe il patronato universale della Chiesa Cattolica, e ponendo in capo alla Madre di Dio la più eccelsa corona. Per il gran Pontefice, anche se non avesse ornata la sua fronte con altre gemme, oltre l'aver governato la Chiesa per un quarto di secolo, bersagliato com'era dall'odio settario ma venerato dai fedeli, avrebbero bastato a rendere veneranda la sua figura la definizione dell'Immacolata Concezione di Maria Santissima, il Sillabo, e il Concilio Vaticano.
Giustamente, quindi, il mondo si commosse all'avvicinarsi della data singolare; era il primo dei 255 antecessori che raggiungeva gli anni di Pontificato di San Pietro; ed a noi è facile comprendere quanto ne godesse anche Don Bosco, il quale dispose che il dì solenne venisse festeggiato in tutte le case salesiane col programma tracciato in questa cara letterina, da lui diretta al direttore del Piccolo Seminario di Borgo S. Martino.
Venerdì [il 16] giorno solenne, gran festa. Al mattino Comunione generale pel Papa. A pranzo una pietanza in più. Tutto il giorno vacanza. La sera predica di opportunità, benedizione, e, se si può, un poco d'illuminazione. [418] Un cordiale saluto a te, agli altri superiori ed a tutti i cari abitanti del collegio. Io vi raccomanderò tutti nella S. Messa; voi pregate per la povera anima di colui che prova sempre la massima consolazione, quando si può professare di voi tutti
P. S. - Se giudichi a proposito, in quel giorno richiama a te o manda a Torino il supplicante Cattaneo.
In omaggio al Papa, come appare dal poscritto, graziava anche un alunno.
Nell'Oratorio volle che la fausta data venisse festeggiata nel modo migliore. Solenni funzioni nel Santuario, come nelle maggiori solennità; tutti i cortili imbandierati; e a notte una splendida luminaria, e sparo di mortaletti. A nome del Santo, Don Giovanni Cagliero ne aveva chiesto il permesso alla Regia Questura, „Per solennizzare la ricorrenza del XXV anniversario del Pontificato di Pio IX”[65].
Ah! che tempi eran quelli! I giornali anticlericali pubblicavano che un ministro dello Stato aveva ingiunto alle autorità governative di mantenere la libertà alle manifestazioni di fede dei cattolici, ma la realtà era ben diversa; mentre il Re stesso, prevedendo la singolare affluenza di pellegrini a Roma vagheggiava il pensiero che la Legge delle guarentigie mostrasse al pubblico il valore delle concessioni fatte al Papa, e dèsse prova della lealtà del Decreto. Lo schema della legge era stato presentato al Parlamento il 9 dicembre 1870, ed il 23 gennaio 1871 se ne intraprendeva la discussione generale, il 21 marzo riceveva l'approvazione della Camera dei Deputati, il 2 maggio del Senato, e il 13 maggio (genetliaco di Pio IX) veniva, in Torino, sanzionato dal Re.
La legge era divisa in due titoli: - Prerogative del Sommo Pontefice, e Relazioni dello Stato colla Chiesa. - Il primo aveva articoli di questo tenore:
“La persona del Sommo Pontefice è sacra e inviolabile. - L'attentato contro la Persona del Sommo Pontefice e la provocazione [419] a commetterlo sono puniti colle stesse pene stabilite per l'attentato e per la Provocazione a commetterlo contro la Persona del Re. Le offese e le ingiurie pubbliche commesse direttamente contro la persona del Pontefice con discorso, con fatti, o coi mezzi indicati nell'articolo I° della legge sulla stampa, sono puniti colle pene stabilite all'articolo 19 della legge stessa. I detti reati sono d'azione pubblica e della competenza della Corte d'Assise. - Il Governo Italiano rende al Sommo Pontefice nel territorio del Regno d'Italia gli onori sovrani, e gli mantiene le preminenze dei Sovrani Cattolici...”.
Vittorio Emanuele adunque, l'11 giugno, a mezzo del Conte Aghemo, da Torino faceva giungere al Ministro Lanza queste riflessioni: „Eccellenza, poichè le franchigie approvate in Senato ed alla Camera rappresentano ormai una legge dello Stato, e che in conseguenza di esse venne attribuita alla persona del Sommo Pontefice la qualità Sovrana, S. M. il Re ravviserebbe atto veramente politico che nel giorno 16 del corrente mese, mentre tutto il mondo cattolico prepàrasi a festeggiare il 25° anno dell'esaltamento di Pio IX, venisse dato ordine dal Governo di far inalberare il vessillo nazionale in Roma ed ordinasse le solite salve di artiglieria. Il Re mi disse di soggiungere a V. E. che l'impressione di ciò sarebbe ottima e che le migliaia di forestieri che in tale occasione si troveranno in Roma, testimoni di questo grande atto del Governo, non mancherebbero di applaudire...”[66].
Coloro, invece, che comandavano, avvinghiati e dominati dai settari, non riuscirono a condividere il parere del Re; anzi permisero che prevalesse l'opinione contraria, ed avvennero cose che si direbbero incredibili.
In molti luoghi fu negato il permesso d'illuminare le case, vennero minacciati i predicatori qualora avessero esagerato nel fare i discorsi, ed intentati processi a sacerdoti che raccoglievano firme per gli indirizzi da umiliare al Santo Padre, e malmenati i volumi stessi delle sottoscrizioni. A Bologna la questura minacciò di carcerare i primari della cittadinanza. A Padova una cinquantina d'armati invase il [420] tempio stipato di gente, e con urla frenetiche coprì la voce del predicatore, e violentemente scacciò i fedeli. A Parma misero in tumulto la chiesa di S. Giovanni, gridando: „Abbasso il Papa! Morte ai cattolici! Viva la Comune!”. A Firenze venne fatto esplodere un petardo nella Metropolitana, vari sacerdoti restarono feriti per via, e un'orda di cannibali invelenita per gli applausi del popolo al suo amato Arcivescovo Umberti, proruppe in grida, ed assalì - fortunatamente invano perchè il popolo sorse in difesa - la carrozza e il palazzo arcivescovile. A Genova, a Pistoia, e in tanti altri luoghi la plebaglia ruppe i vetri delle case che avevano fatto l'illuminazione. Anche a Torino per lunghe ore piovve la sassaiola contro le finestre del Marchese Fassati e del generale Adolfo Campana[67].
Naturalmente il Governo non osò vietare l'entrata dei pellegrini diretti a Roma, ma vietò alle ferrovie di abbonare una parte del nolo, e popolò la capitale di carabinieri, di poliziotti e di guardie municipali con la rivoltella al fianco, e di pattuglie di cavalleria e della guardia nazionale. Venne pure assoldata una falange di gente perversa, e le fu data libertà di tutto osare in quei giorni. I pellegrini, infatti, venivano accolti alla Stazione di Termini con vili insulti al Papa ed ai suoi figli devoti, e talora anche con sputi. Nessuna comitiva poteva girare per la città senz'incontrare villanie, fischiate, e sassaiole. Al Gesù, briganti armati imperversarono contro la folla accolta alla predica. Anche all'entrata delle Basiliche Maggiori si ripetevano dileggi e oltraggi, e parole oscene contro le signore; e lo stesso accadde anche al portone del Vaticano, ove stanziava un'orda di canaglia che un giorno assalì a colpi di accetta e di pistola un gruppo di giovani cattolici disarmati. Con futili pretesti si violarono anche domicilii privati, s'infransero vetri, e i colpevoli di tali infamie ne andavano franchi, mentre, in mezzo ai conseguenti tumulti, i poliziotti arrestavano gli innocenti e li [421] conducevano in carcere, „per salvarli, dicevano, dall'ira del popolo”, e a quelli che si lamentavano di tali oppressioni, si rispondeva: - L'avete provocato voi![68].
Tuttavia, divisi in gruppi silenziosi, i pellegrini continuarono a visitare i luoghi santi e a recarsi al Vaticano, dove le udienze pontificie si succedettero ininterrotte per dodici giorni. Il 21 giugno, anniversario della sua Incoronazione, il Santo Padre, presenti presso a poco cento comitati di città italiane, non senza lacrime diceva:
“Se da ogni parte dell'orbe cattolico mi giungono preziose queste prove d'affetto, e queste grazie che si rendono a Dio, perchè ha conservato questo povero ed inutile suo Vicario, molto più care mi giungono da questa nobile scelta d'italiani, essendo italiano ancor io. Questa parola ha trovato in altri tempi una perfida interpretazione. Quando dalla reggia del Quirinale, che ora dicono non essere più mio, io benedicea all'Italia, quelle parole furono travisate come se io avessi benedetto la rivoluzione... Ma... io benedissi, e benedico di nuovo l'Italia per le opere buone che da per tutto in essa si fanno, per gli slanci d'un amore che non è forse di questa nostra terra, e per quello che gli ottimi cattolici d'Italia soffersero e soffrono...”.
E proseguiva, facendo anche questo rilievo: „Ogni Parte d'Italia mi diede testimonianze preziose di attaccamento, ma non vi rincresca che in questa circostanza collochi prima Torino. Di là procedettero le prime offese e quei mali che poi si diffusero per tutta l'Italia. Ma donde venne il male venne anche il bene, e vive furono le prove di pietà e d'affezione che di là mi giunsero. Ivi i buoni, che festeggiarono quest'anniversario, ebbero l'onore di vedere rotti coi sassi i loro vetri...”.
Di quei giorni erano ammesse alla presenza del Santo Padre anche più di cento signorine cattoliche, la maggior parte piemontesi, sotto la presidenza della signorina Mazè de la Roche. Don Bosco aveva promesso di prender parte all'adunata che tennero in casa della contessa Balbo, il dì stesso della data solenne, per organizzare il pellegrinaggio; ma in quel giorno di festa e con alcuni gravi ammalati in casa, [422] tra cui il pio giovane Michele Franzero, che volò al cielo due giorni dopo, non aveva tempo da buttar via, e per mantener la promessa faceva ricorso alla gentilezza della contessa, con questa letterina:
Resta inteso che le Signorine dell'album si raccoglieranno in casa sua alle quattro. Io procurerò anche di venire; ma per necessità di godere tempo la pregherei, o che padronanza!, di mandarmi un legno che mi tolga alle quattro e porti diritto a casa sua. Non posso poi fermarmi pel pranzo, perchè dopo ho alcuni ammalati da assistere, cui stassera debbonsi amministrare gli ultimi sacramenti.
Compatisca la libertà con cui scrivo. Dio ci benedica tutti, e mi creda,
Le signorine partirono da Torino il 23 giugno, guidate dalla Contessa Corsi, nata Peletta di Cossombrato e dalla Marchesa De - Ovado. Accolte in forma solenne, con altre quindici deputazioni di diversi paesi, offersero a Sua Santità, l'obolo di 10.000 franchi con un indirizzo, letto dalla Presidente, cui il Pontefice rispose con parole così commoventi, che strapparono alle pie signorine le lacrime. Ed anch'esse raccolsero qualche complimento per le vie!...
In questo stato di cose chi avrebbe mai pensato, e tanto meno tentato, di poter migliorare le condizioni della Chiesa in Italia? Eppure Don Bosco intuì esser quello il momento di provvedere alle numerose diocesi vacanti.
Come fare? pensò di rivolgersi direttamente al Papa, perchè, fra tanti trambusti, nessun di quelli che circondavano il Pontefice, sognava di poter trovare un modo col quale, salvi i diritti della Santa Sede, si potessero eleggere nuovi Vescovi in Italia. Più di 100 diocesi mancavano di Pastori con danno immenso delle anime, della ecclesiastica [423] disciplina, e delle nuove vocazioni, per l'indifferenza religiosa che andava infiltrandosi sempre più tra le popolazioni. Molti Prelati erano convinti che la tempesta sarebbe stata passeggera, e giudicavano, in forma assoluta, che non si doveva desistere neppure apparentemente da quell'inflessibilità di contegno che si teneva, pur da un lato necessaria e commendevole, attesa la malignità dei nemici della Chiesa. Don Bosco gemeva in quello stato di cose, e, come aveva fatto nel 1867, dopo aver pregato e studiato come rimediare, almeno in parte, a tanti mali, senz'umani appoggi si accinse all'ardua impresa.
Stese un memoriale, nel quale, dopo un'esposizione dello stato miserando di tante e tante diocesi, diceva chiaro esser sua opinione che le sorti di Roma non sarebbero cangiate così presto, e quindi d'esser disposto, non già come incaricato officioso e neppure confidenziale, ma come individuo privato, e col permesso del Santo Padre, ad esplorare le intenzioni del Governo, senza che il Papa dovesse, in alcun modo, mettersi in relazione con esso.
Per mezzo di un messo fidatissimo il memoriale pervenne al S. Padre, che non solo approvò il pensiero del Santo, ma gli comandava di agire come aveva esposto. Senza dubbio, alla mente di Pio IX si riaffacciò il vaticinio del 5 gennaio 1870, ed aveva intuito da chi era stato scritto.
Avuto l'imperioso consenso, Don Bosco si rivolse al Governo Italiano, il quale, benchè sicuro che per allora nessuna potenza era disposta a contrastargli l'ultima conquista, tuttavia, nel suo orizzonte color di rosa, scorgeva dei punti neri.
La Francia, ad esempio, non riteneva cessata la famosa convenzione del 14 settembre, che Napoleone aveva stretta coll'Italia, con la quale si garantiva al Papa la sua indipendenza. Era una cambiale in bianco. Thiers, presidente della Repubblica, nelle feste del Giubileo Pontificio, aveva inviato a Roma un ambasciatore straordinario; ed i giornali francesi avevan protestato contro l'annessione dello Stato Pontificio ai dominii di Vittorio Emanuele; e vive interpellanze si erano fatte a Versailles sulla questione di Roma. Tanto [424] è vero che il 25 luglio 1871 Michelangelo Castelli da Moncalieri scriveva al Ministro Lanza:
“Non posso trattenermi dallo scriverti due righe sull'interpellanza di Versailles riguardo alla questione di Roma. Quel che dico lo so per un mezzo che ho ragioni mie particolari di giudicare sicuro. Ne avevo già scritto ad Artom prima, ed egli mi rispose che le mie informazioni corrispondevano alle loro. In Francia non abbiamo che nemici, i quali frenano a stento la loro passione. La sola cosa che li trattiene è la speranza di trascinarci a un giorno dato, contro la Prussia, ben sapendo che, coll'Italia dubbia, sarebbe per loro impossibile rivendicare Strasburgo e Metz, ci metterebbero allora il partito di essere con loro, o di vederli per vendetta rivoltarsi sulla causa del Papa e su Roma. Thiers e la parte politica vogliono tenerci in bilico per le eventualità prossime e future; i clericali vogliono rimetterci sotto il predominio passato, ed a furia di millanterie impedirci di assodarci in Roma”[69].
L'Austria non aveva fatto alcuna protesta per politica, ma, come altre potenze, neppur essa vedeva di buon occhio la presa di Roma; e il Governo Italiano, evidentemente per palliare lo stato delle cose, aveva promulgato la Legge delle Guarentigie. Ma la maschera era caduta in occasione del Giubileo di Pio IX, quando si permise di oltraggiare la sua dignità sovrana, e i pellegrini, molti dei quali di nobilissime famiglie, ne portavano la notizia in ogni parte. Era dunque probabile qualche reclamo politico.
Don Bosco giudicò esser quello il momento opportuno d'esporre al Governo alcuni riflessi: - Dopo l'occupazione di Roma essere necessario dare una soddisfazione a tutti i cattolici, ed attenuarne l'indignazione, e calmarne i timori. - Dimostrare coi fatti la legge delle guarentigie non esser lettera morta, e che il Governo intende che il Papa sia pienamente libero nell'esercizio della sua autorità spirituale. - Appartenere essenzialmente all'Autorità spirituale del Sommo Pontefice l'eleggere i Vescovi, l'assegnar loro il governo delle [425] diocesi. Esser interesse del Governo non opporsi, nè mettere gravose condizioni alla loro nomina, qualora il Papa volesse procedervi; e concedere ai nuovi eletti le temporalità, il che sarebbe un atto di buona politica.
Con queste idee scrisse al Ministro dell'Interno, Giovanni Lanza, Presidente del Consiglio dei Ministri, che subito accettò di studiare la proposta, bramando egli pure di mostrare all'Italia ed alle altre nazioni come non fosse impossibile una conciliazione con la Santa Sede.
Don Bosco aveva già deciso recarsi a Roma, per ossequiare il S. Padre in occasione del suo Giubileo Pontificale, passando per Firenze per parlare col Ministro Lanza, e il 20 giugno riceveva dal Ministro l'invito di trovarsi due giorni dopo infallantemente a Firenze; ed egli partiva la mattina del 22, essendogli stato fissato il colloquio per la sera di quel giorno.
Giunse alle 19, 35, e subito si recò dal Ministro. Ovunque si presentasse, era sempre accolto con deferenza, anche dalle persone più autorevoli, perchè il suo contegno, che non aveva nulla di affettato, inspirava subito riverenza, e, schietto e limpido nel parlare, sapeva conciliare la semplicità del tratto e delle parole col dovuto rispetto alla loro dignità, ma senza cortigianeria; anzi talvolta diceva anche ad esse la verità con tanta franchezza, che, secondo l'umana prudenza si sarebbe detta temerità, eppure ciò che diceva era sempre ben accolto.
Da tempo Lanza conosceva Don Bosco, e l'aspettava con piacere.
Memore di aver trattato con lui nel 1865, non aveva mai dimenticato una sua risposta, che più d'una volta ripetè ai colleghi, eccitando il riso di tutti: - Ho domandato a Don Bosco, diceva, come facesse ad andare avanti, senza mezzi, con tanti giovani che aveva preso a mantenere; ed egli mi rispose che andava avanti come il vapore, facendo pouf, pouf, ossia debiti. Ed io soggiunsi che anche noi andiamo avanti così; ed egli fu contento che l'avessi paragonato col regno d'Italia!
Il Ministro, appena gli fu annunziato che Don Bosco era [426] in sala d'aspetto, premurosamente gli mosse incontro, lo fe' entrare nel gabinetto, e l'invitò a sedersi. Il Santo, prima di accomodarsi, si fermò in mezzo alla sala, e gli disse:
- Eccellenza, la ringrazio di avermi accordato quest'udienza. Avrà inteso il motivo che a lei mi conduce. Io desidero il bene della Chiesa e dello Stato; ma credo che V. E. conosca chi è Don Bosco, perciò saprà che prima di tutto io sono cattolico.
- Oh! lo sappiamo, gentilmente rispose il Ministro, che Don Bosco è più cattolico del Papa!
E s'iniziò il colloquio delle trattative sui Vescovi e sulle diocesi vacanti. Si parlò della convenzione italo - franca, e degli ultimi avvenimenti in Roma, e il Ministro esclamò: - Veda, Don Bosco! se non vi fossimo andati noi, la città andava tutta in fiamme! - Oh! questo no! - rispose il Santo con franchezza; - creda, Eccellenza, che anch'io conosco Roma, e posso assicurarla che non v'era alcun pericolo, neppur remoto, di quanto ella mi ha detto; quindi cerchiamo di attenuare l'impressione che quei fatti han prodotto in tutto il mondo cattolico.
- Abbiamo la Legge delle Guarentigie, e non deve essere una burla. Bisogna che i Vescovi possano esser liberamente eletti dal Papa e sieno dal Governo favoriti nelle temporalità, salvando così il decoro della Chiesa e lasciando intatti i suoi diritti. D'altra parte qui non c'entra nessuna questione, nessun interesse politico...
Il Ministro parve convenire, anzi si mostrò premuroso di entrare nelle sue viste, e lo assicurò che da parte sua non avrebbe fatte opposizioni. Don Bosco l'esortò anche a procurare che si desistesse dai voler sopprimere parecchie diocesi, siccome si vociferava che si voleva venir all'odioso provvedimento, che sarebbe stato un ostacolo di più al buon esito dell'affare. Egli, intanto, avrebbe procurato d'interporre i suoi buoni uffici presso la Santa Sede, qualora fosse possibile venir ad un accomodamento.
Nel frattempo venne chiamato il Ministro; erasi radunato per gravi affari il Consiglio dei Ministri, presieduto dal Re [427] stesso in persona; e Don Bosco restò solo, nella sala, per più d'un'ora.
Finalmente Lanza tornò, e gli comunicava come il Consiglio dei Ministri non aveva nulla in contrario alle elezioni dei Vescovi, ma prima si voleva trattare delle circoscrizioni di varie diocesi, essendo alcune assai piccole. Evidentemente allo scopo d'incamerarne i beni.
Il Santo rispose nettamente: che, mai e poi mai, egli avrebbe trattato d'affari di simil genere, e, se si volevano tali precedenti, avrebbe lasciato d'interessarsi anche delle elezioni dei Vescovi; non esser egli un ambasciatore straordinario, e tanto meno spettar a lui il dar consigli al Santo Padre! Egli s'interessava delle nomine vescovili, per il bene di tante popolazioni, prive di Pastori; d'altronde, non era onorifico, neppur pel Governo, intromettersi in tali intrighi, che avrebbero mostrato al mondo intero che non teneva in nessun conto le leggi, nè i trattati; quindi, se il Consiglio era fermo nel suo parere, egli rinunciava ad ogni tentativo.
Il Ministro lo pregò di attendere, e tornò in Consiglio, che deliberò di metter da parte il progetto dell'abolizione di alcuni vescovati, e d'iniziar le pratiche per le diocesi vacanti, mediante Don Bosco.
Ma, proprio di quei giorni, si veniva ad intricar la questione. Quanto abbiam narrato avveniva la sera del 22 giugno, e, tre giorni dopo, Re Vittorio Emanuele firmava, a Firenze, il decreto, col quale veniva disposto che “tutte le Bolle, Decreti, Brevi, Rescritti e Provvisioni della Santa Sede, e parimente tutte le Bolle, Decreti o Provvisioni degli Ordinari Diocesani concernenti destinazione di beni ecclesiastici o collazioni di Benefizi maggiori o minori, eccetto della città di Roma e delle Sedi Suburbicarie, per avere esecuzione” dovevano “essere muniti i primi di Regio Exequatur e i secondi di Regio Placet”. Così nel primo articolo del Regolamento in esecuzione al R. Decreto del 25 giugno 1871 sul R. Exequatur, pubblicato nella Gazzetta ufficiale (N° 189) il 13 luglio, firmato dal Ministro di grazia, giustizia e culti, Giovanni De Falco..., mentre il 18 marzo era stato dichiarato alla Camera che si sarebbe „mantenuta l'esclusione di ogni ingerenza [428] governativa nell'esercizio di tutti i culti professati nello Stato”.
Don Bosco non sapeva che si sarebbe sancito di quei giorni tale decreto, benchè prevedesse molti e gravi ostacoli alla santa impresa, perchè il Governo - e questo era noto a tutti - dopo d'essersi dichiarato favorevole all'abolizione d'ogni ingerenza governativa nell'esercizio del culto, poi, simulando ripugnanza, aveva recesso quasi vi fosse costretto dal Parlamento. Comunque, fermo com'era nel far i passi nel modo più conveniente, cercando di mantenersi libero da ogni accalappiamento, con la sovrana prudenza del linguaggio, egli avrebbe apertamente dichiarato a tutti che non si sarebbe arreso mai a transazioni, neppur le più leggere, e, non ottenendo il più, avrebbe accettato il meno, anche momentaneamente, per il bene della Chiesa.
Lanza in fine gli disse: - Don Bosco, partiamo per Roma? - Partiamo - rispose.
E Lanza in carrozza con alcuni signori, e Don Bosco, a piedi e da solo, si avviarono alla stazione, dove i primi salirono in un vagone di prima classe, egli in uno di seconda, e partirono. Fino a quei giorni, anche dopo il trasporto della capitale, i Ministri, da Roma a Firenze, andavano e venivano continuamente.
Tra le carte che aveva portato con sè, aveva una lettera di Don Domenico Berti, Beneficiato Liberiano, il quale: „Mi raccomando, gli diceva, ai suoi valevolissimi uffici, per la conservazione dei beni ed ogni altra cosa dell'istorica casa di S. Francesca Romana, tenuta dalle nobili Figlie di questa Santa, le Oblate, così dette, di Tor de' Specchi. Veda di slacciarle dalle unghie rapaci della giunta liquidatrice, senza andare tanto per le lunghe con una lite presso il Tribunale”.
Giunto a Roma, prese alloggio presso il conte Vimercati, in S. Pietro in Vincoli, dove ora stanno i Canonici Regolari Lateranensi; e il Ministro Lanza non tardò ad invitarlo per un altro colloquio.
Il Decreto del 25 giugno esigeva dai Vescovi la presentazione delle Bolle Pontificie al Governo: „Chiunque - diceva l'articolo secondo del Regolamento - intenda far uso di [429] una provvisione della Santa Sede, ... dovrà presentarla al Ministero di grazia e giustizia e dei culti, e chiedere con apposito ricorso in carta da bollo la concessione del R. Exequatur”. Don Bosco propose che i nuovi eletti dèssero semplice avviso della loro elezione. Il Ministro non poteva agir da sè, perchè vari colleghi, intransigenti, erano fissi nel credere che, negando le temporalità, non avrebbero più avuto luogo le elezioni vescovili; Lanza tuttavia gli promise il suo appoggio, sicuro che anche Don Bosco avrebbe potuto influir tanto sull'animo del Papa, da indurlo a qualche arrendevolezza, e in fine esclamò:
- Veda, Don Bosco; i cattolici credono che io sia anticattolico; tutt'altro!
E Don Bosco, presa la palla al balzo:
- Eccellenza, io avrei da domandarle qualche favore!
- Di salvarmi le case religiose di Tor de' Specchi, delle Suore della Carità della Bocca della Verità, e quelle di Trinità dei Monti.
Ed espose anche particolari ragioni della domanda, cioè: le prime religiose avrebbero potuto rivendicare i loro diritti in tribunale, le seconde prestavano servizi negli ospedali, le terze erano di nazionalità francese. Il Ministro riflettè alquanto, ne prese nota, e l'assicurò che quelle case sarebbero andate esenti dall'incameramento, e la promessa fu mantenuta.
I colloqui tra il Santo ed il Ministro rimasero segretissimi; ma il Papa aveva già appreso l'arrivo del Servo fedele. Il 27 giugno la contessa Matilde di Romelley, nata di Robbiano, dimorante nel Belgio, ricevuta in udienza dal Santo Padre, si sentì fare questa domanda:
- L'avete veduto il tesoro d'Italia?
La signora rispose che non sapeva dove fosse questo tesoro, ma faceva conto di visitare il Tesoro Vaticano nei giorni seguenti.
- È il tesoro d'Italia, che voi dovete visitare.... insistè. Se domani verrete qui, voi lo vedrete... Questo tesoro è il nostro Don Bosco!... [430]
Il 28 giugno, vigilia della solennità dei Santi Apostoli, Don Bosco si recava al Vaticano, essendogli stato comunicato che il Santo Padre l'attendeva in privata udienza. Era una prova lampante di benevolenza ed interessamento particolare, perchè immenso in quei giorni era il lavoro del Papa per le pubbliche udienze ai numerosissimi pellegrinaggi e per le private alle più alte personalità.
Invitato ad entrare, come pose il piede sulla soglia, l'Augusto Pontefice, fissandolo amabilmente, esclamò:
- Ebbene, Don Bosco, l'Ospizio di S. Michele a Ripa è poi caduto!
Questo vasto istituto di beneficenza, che sorgeva sulla sponda del Tevere, detta la Ripa grande, era particolarmente caro al Papa, perchè ne aveva avuto la direzione e l'amministrazione nella sua giovinezza, e l'aveva rimesso in fiore, saldandone tutti i debiti e perfezionandone anche la scuola di arti e mestieri. Tra l'altro, per risvegliare nei giovani artigiani maggior impegno al lavoro, nel suo gran cuore, vi aveva introdotto - come poi fece anche Don Bosco nell'Oratorio - un mezzo assai vantaggioso e semplicissimo, quello di mettere gli alunni a parte del ricavato del loro lavoro. Cosi ogni giovinetto poteva, un po' alla volta, farsi un bel gruzzoletto, che gli tornava vantaggioso allorchè usciva dall'istituto, venendogli consegnato a compiuto tirocinio.
Ma qui convien fare un passo indietro.
Il Papa, con quell'esclamazione, voleva ricordare a Don Bosco non tanto la sua cooperazione al proposito di rimettere l'Ospizio in pieno scopo di fondazione, ma più ancora il frutto dell'ispezione da lui compiuta[70]. L'ultima volta che era stato a Roma - nel gennaio e febbraio 1870 - non aveva avuto le entusiastiche accoglienze degli anni precedenti, ed ecco, in breve, il perchè.
Nel 1867, nel timore di un'azione rivoluzionaria su Roma, egli aveva detto chiaramente: „Non entreranno! È più facile [431] che le pietre dei selciati di Roma sorgano per battersi l'una contro l'altra, che la rivoluzione entri ora in Roma”. Le sue parole riguardavano però soltanto i tentativi d'invasione che si compirono allora, chè ben altre erano le sue previsioni per gli anni seguenti. Fin dal 19 ottobre del medesimo anno, scusandosi colla Contessa Callori del ritardo frapposto alla stampa di un libro[71]: „Stia tranquilla - le diceva - che avanti sia compiuta l'unità italiana (ciò sarà presto), il libro sarà ultimato”. E non diede più alcuna assicurazione della tranquillità di Roma: ma, con prudenti parole, cominciò a far comprendere la possibilità di un'occupazione. Ora, quanti la credevano impossibile, e, fiduciosi nel veto e nelle armi di varie potenze si lusingavano anche nella speranza di qualche portentoso intervento celeste, udivano di mal animo quelle parole e, tenaci nelle loro idee, incominciarono a guardarlo con diffidenza. Ed egli, vedendosi considerato come profeta di malaugurio, non rispose più direttamente a certe domande, e, per quanto potè, si astenne dal comparire in pubblico.
Le cose erano cangiate. Più d'uno dei suoi amici e confidenti desiderava conoscere le future sorti di Roma, e di Pio IX e del potere temporale, ed egli senz'ambagi aveva detto che il Sommo Pontefice avrebbe celebrato il suo Giubileo Papale e assicurò che avrebbe oltrepassati gli anni di S. Pietro. Interrogato sugli avvenimenti politici, si schermì dal rispondere direttamente, ma accennò come Napoleone avrebbe abbandonato Roma ritirandone il presidio francese, e disse pure chiaramente che vi sarebbero entrati gli italiani.
La voce si sparse, e servì a far sorgere falsi giudizi.
Neppur tutti i Prelati di Curia gli eran favorevoli e lo guardavan di buon occhio. Si parlava di grazie singolari ottenute colle sue benedizioni, e di tanta gente che gli si affollava attorno come a un taumaturgo: ed alcuni non volevano prestar fede a quelle maraviglie, altri ritenevano fuor di luogo quelle scene in Roma, e ci fu anche chi, non avendo mai dimenticato la sua ispezione all'Ospizio di S. Michele [432] e le naturali conseguenze, tentò di farlo comparire innanzi al S. Uffizio, forse per parlar di nuovo del suo libretto sul Centenario di S. Pietro, che nel 1867 s'era tentato di mettere all'Indice; e fu scelto uno degli Ufficiali della S. Congregazione, a lui benevolo, nella fiducia che avrebbe meglio ottenuto lo scopo, per andarlo ad invitare. Il buon Prelato vi andò una e due volte, per compier bene il delicato affare; e il Santo, l'una e l'altra volta, rispose che non avrebbe avuto difficoltà di presentarsi al S. Ufficio qualora glie ne pervenisse invito formale, con l'esposizione del motivo della chiamata. La risposta si ritenne giusta; e si pensava a preparare ed inviare l'invito, quand'egli, che aveva capito di che si trattava, partiva da Roma.
Quella mattina era atteso a celebrare, nel tempio di San Pietro in Vincoli, da un gran numero di fedeli, i quali appena seppero che non vi sarebbe andato e che sarebbe partito, corsero alla stazione, ove giunsero prima del Santo. Questi, appena arrivò e vide tanta gente che l'attendeva, s'avviò difilato al treno. Tutti gli corsero dietro in massa e con tanta ressa che ruppero la cancellata e si riversarono sui binari, volendo una sua benedizione.
Egli voleva schermirsene, ma fu costretto ad annuire; e quando si udì il fischio della locomotiva che annunziava la partenza, tutti si misero di nuovo in ginocchio, ed egli dovette di nuovo benedirli. Vari, intanto, in fretta salirono anch'essi in treno, desiderando parlargli, e mentre alcuni discesero poi alle stazioni più vicine, ed altri ad altre più lontane, parecchi lo accompagnarono sino a Firenze.
Dopo quell'esclamazione, senza tornare sull'argomento e sorridendo, il Papa l'invitò a seder accanto a lui, e prese ad interrogarlo sullo scabroso negozio, al quale s'era accinto.
Don Bosco cominciò a narrargli, per filo e per segno, i colloqui già avuti col Ministro dell'Interno, le sue disposizioni non ostili, la promessa d'impedire la soppressione di alcuni monasteri, e il suo appoggio per le pratiche relative alle nomine dei Vescovi, nella fiducia di qualche arrendevolezza da parte della Santa Sede, e com'egli avesse proposto al Governo che si accontentasse che gli eletti, invece dell'invio [433] della Bolla, dèssero partecipazione della loro nomina, ma la proposta era stata rifiutata, perchè la maggioranza del Consiglio non voleva permettere che venisse annullata la legge; e concluse col dire di non aver buone speranze, ma che, comunque andassero le trattative, egli le aveva fatte ufficiosamente, in nome proprio, senza compromettere in alcuna maniera quello del Sommo Pontefice.
Il Papa approvò la maniera colla quale aveva agito, e passò a parlare dello stato desolante di tante diocesi senza pastore, e pianse, e in fine esclamava:
- Io son risoluto; non scenderò a concessioni... si vuole schiava la Chiesa!... eppure bisogna assolutamente provvedere alla salvezza delle anime; oh! sì, faremo anche a meno delle temporalità!...
- Santo Padre, è ciò che volevo proporre a Vostra Santità! - disse Don Bosco.
- Va bene, vedete se vi è possibile di continuare le pratiche iniziate, cercando di rendere un po' più tollerabile una situazione così penosa... E voi, caro Don Bosco, che cosa desiderate da me?
Il Santo, come risulta da un suo promemoria, prima di tutto gli presentava un album in omaggio augurale per i compiuti 25 anni di Pontificato, con le firme di tutti i salesiani e di tutti gli alunni dei Collegi di Lanzo, di Borgo S. Martino, di Cherasco, d'Alassio, dell'Oratorio di Valdocco, interni ed esterni, e degli Oratori di S. Luigi, dell'Angelo Custode e di S. Giuseppe.
Quindi passò ad implorare, com'era solito, speciali favori e particolari indulgenze e benedizioni per vari benefattori e per gli alunni gli partecipò la decisione di costrurre in Torino le chiese di S. Giovanni Evangelista e di S. Secondo, le trattative per la fondazione di un collegio a Varazze, per aprire una casa a Trecate e lo pregò ad indicargli in qual parte ritenesse più conveniente iniziare nuovi istituti, avendo molte domande di nuove fondazioni, in Italia, nella Svizzera, in Algeria, in Egitto, e perfino nelle Indie e in California.
In quell'udienza parlò anche del bene che facevano per la gioventù femminile varie case religiose aperte in Torino, [434] e gli manifestava il pensiero di fondar un istituto che compisse tra le figlie del popolo lo stesso apostolato che esercitavano i Salesiani tra i giovinetti, e ne implorava da Sua Santità l'approvazione. Il Papa gli rispondeva che ci avrebbe pensato e in un'altra udienza gli avrebbe detto il suo parere, che fu pienamente favorevole.
Sul termine dell'udienza il S. Padre tornò a ripetergli il pensiero di provvedere ad ogni costo alle diocesi varanti, quasi segretamente, per evitare che qualche nuovo regio decreto venisse a disturbarle o ad impedirle, riservandosi di pubblicarle allorchè le circostanze lo consigliassero, per dar così al mondo testimonianza della sovrana sua autorità spirituale, che non può ammettere alcuna restrizione.
Quindi bisognava provvedere alla scelta; e per mettere Don Bosco al corrente di ciò che si pensava di fare, fece chiamare vari prelati, che dissero di aver deciso che conveniva incaricare alcuni personaggi, giusti estimatori del Clero italiano, i quali, o da sè, o coll'aiuto di altri, potessero formare liste di sacerdoti, che per scienza, prudenza ed esemplarità di vita, fossero ritenuti abili a reggere questa o quella data diocesi, e queste liste sarebbero state segretamente comunicate alla Santa Sede.
Don Bosco prese la parola, osservando:
- Se si sta a questa risoluzione, di voler determinati i titolari delle singole diocesi, a me pare che le cose andranno troppo per le lunghe. Non sarebbe meglio che si scegliessero, senz'altro, quelli che sembrano degni della carica, e che il Santo Padre li destinasse poi a questa o a quell'altra diocesi, come crederà meglio?
Il Papa approvò il pensiero di Don Bosco e, rimasto solo con lui, dopo aver meditato alcuni istanti gli disse risoluto:
- Ebbene io incarico voi di fare, per le vostre parti, questa scelta; datemi la lista bell'e fatta, ed io l'approverò.
In ultimo il Santo passò a parlare di un'altra cosa, espose cioè il dispiacere che non si fosse tenuto nessun conto [435] di una sua proposta relativa alle scuole ed agli insegnanti di Roma sotto il Governo Pontificio. Già nel 1867 vari Monsignori s'erano scandalizzati nell'apprendere che egli mandava i suoi preti e i suoi chierici a laurearsi in belle lettere, in filosofia e in matematica alla Regia Università, per dedicarli poi all'insegnamento; ed egli, esposte le ragioni per cui riteneva necessario di procedere a quel modo, li aveva esortati a fare altrettanto, per veder abilitati all'insegnamento il maggior numero di ecclesiastici, e così non costringere tutta la gioventù a frequentare le pubbliche scuole. Ora accadeva questo in Roma: il Governo aveva offerto alla Curia Romana la proposta di concedere le patenti di maestro e le lauree di professore agli insegnanti dell'antico regime, senza condizione di esami, purchè ne fosse fatta richiesta. Si discusse la cosa, ed alcuni, ritenendo che il nuovo Governo non sarebbe durato più di qualche anno, non volevano annuire alla insistenza di Don Bosco, il quale ripeteva a tutti che il nuovo Governo non sarebbe stato temporaneo e di breve durata, ma un governo regolare, che non avrebbe cessato presto di esistere, e quindi conveniva accogliere l'offerta per impedir maggiori danni a tanta gioventù.
Il Papa non tardò a condividere il pensiero di Don Bosco, e propendeva per accettarlo; ma il Card. Segretario di Stato ed altri Prelati, ritenendolo un riconoscimento formale del nuovo stato di cose, e quasi un atto di adesione e di conciliazione, furono di parer contrario, e l'offerta fu respinta. Era stato concesso un anno per tale iscrizione, e nessuno si presentò.
Così gli antichi insegnanti dello Stato Pontificio perdettero tutti il diritto d'insegnare, e precisamente era questo il desiderio della sètta.
Il 30 giugno il ministro Lanza, con quasi tutti i Ministri, abbandonava Firenze, alla volta di Roma; ed il 2 luglio Vittorio Emanuele vi faceva l'ingresso solenne.
Don Bosco ebbe ancora un colloquio col Ministro dopo le udienze pontificie, nel quale espose nettamente i suoi pensieri riguardo alle trattative, osservando che non essendo il Papa disposto a concessioni che sarebbero tornate umilianti [436] alla sua dignità, era un atto di buona politica il non metter alcun ostacolo all'esercizio dell'autorità spirituale.
Il Ministro prese a fare le sue osservazioni, ma Don Bosco, che era assai stanco - chi sa quanto lavoro aveva compiuto in quei giorni, in cui non ebbe nessun segretario al fianco! - s'addormentò; e il Ministro tacque e lo lasciò riposare tranquillamente. Appena fu desto, dopo un po' di risa per l'accaduto, si ripresero i ragionamenti, e Don Bosco non tardò a vedere che s'andava in cerca d'ogni pretesto per tirar le cose in lungo.
Mentre usciva dall'udienza, entrava Buscaglione, il grande Oriente della Massoneria, il fabbricante di dispacci dell'agenzia Stefani, e Lanza gli domandò:
- Sa chi era quel prete uscito di qui or ora?
- L'ho visto, ma non l'ho guardato!
- Don Bosco? Oh lo conosco da un pezzo.
E il Ministro gli raccontò com'egli si fosse addormentato sul seggiolone.
In una delle accennate udienze, non sappiamo se a Firenze o a Roma, Lanza gli chiese notizie dell'Oratorio di Valdocco e gli proponeva di aprir una casa di correzione per giovani discoli e abbandonati, in questa o quella casa religiosa.
- Ma bisogna scacciare i frati o le monache, osservò Don Bosco.
- Ma lei può facilmente accomodarsi con la Santa Sede!
- Ma perchè, Eccellenza, non mi dice che per fondar questo stabilimento v'è la caserma tale, in via tale, numero tale, oppure la tal altra, sulla tal piazza?...
Il Ministro dètte in una gran risata, esclamando che per i suoi meriti gli avrebbe dato volentieri una croce da cavaliere; ed egli:
- Eccellenza, la ringrazio della gentile proposta, ma di croci Don Bosco ne ha già troppe, e poi, colla croce sul petto, non sarebbe più il povero Don Bosco, e non oserebbe più andar a chiedere l'elemosina per i suoi ragazzi!
Ritornato a Torino iniziò subito il grave e difficile compito che gli era stato affidato. Da persone degne e capaci [437] prese ad assumere informazioni particolareggiate e precise su ecclesiastici che presentavan sicure guarentigie di venir promossi alla dignità episcopale, tutte le volte che gli si presentava l'occasione, ed anche con la più laboriosa corrispondenza. Ma vide che ciò non bastava; d'altronde come fare? Mettersi a girar qua e là non gli era possibile, nè conveniente, chè, senza dubbio, avrebbe destato sospetti in chi poteva aver interesse di porre ostacoli alle intenzioni del Papa. Manifestò l'incarico ricevuto alla contessa Gabriella Corsi, e combinò che nell'ultima decade di agosto si sarebbe recato per alcuni giorni alla sua villa, detta il Casino, ne' pressi di Nizza Monferrato, dove avrebbe invitati alcuni ecclesiastici per conferire insieme. La contessa accettò volentieri la proposta, e il 12 agosto Don Bosco le scriveva dal Santuario di S. Ignazio, sopra Lanzo:
La gratitudine, sig. Contessa, è quella che mi fa ricordare di Lei in questo Santuario; molti e troppo grandi sono i benefizi fatti, perchè io li possa dimenticare. Coll'averci aiutati a riscattare un buon numero di chierici, Ella ha fatto un bene assai più grande che forse Ella non si pensava. La nascente nostra Congregazione per aprire case, fare scuole, catechismi, predicazioni, ha bisogno di soggetti idonei, e una parte di questi soggetti sono quelli riscattati dalla leva militare. Onde Ella ci aiutò potentemente a fondare la nostra Congregazione, e siccome in essa si fanno ogni giorno particolari preghiere pei benefattori in generale, così Ella ne avrà una parte principale, finchè questa Salesiana Congregazione esisterà. Ciò mi trovo in dovere di dirle, perchè oltre a quello che ha fatto, si è offerta di continuarci la sua carità per l'avvenire.
Per darle adunque un segno esterno in modo a Lei gradevole ho disposto che martedì prossimo, giorno dell'Assunzione di Maria al Cielo, sarà celebrata una Messa all'altare di Maria Ausiliatrice; mentre i nostri giovanetti faranno la loro Comunione con altre particolari preghiere secondo la pia di Lei intenzione.
E per la Damigella Maria, che è la sua festa? Due cose, una spirituale, l'altra temporale. Spirituale: celebrerò per Lei la Messa in questo Santuario e dimanderò al Signore tre grossi S: cioè che sia sempre sana, sapiente e santa. Temporale: La mamma procurerà di farla stare allegra a tavola, al passeggio, nel giardino, etc.
E a Nizza quando sì andrà? Se niente sopraggiungerà a guastare [438] i nostri progetti, il giorno 20 per quello che parte da Torino alle 7, 40 per Alessandria io, a Dio piacendo, partirò per andare a fare carnevale a Nizza.
Ma intendiamoci. Io sono povero mendicante, e voglio che mi tratti in questo senso per la camera, per la mensa e per tutto, e quel pane e minestra che mi darà sia tutto per amore del Signore. Io posso fermarmi fino a venerdì a sera.
Questa sarebbe la campagna più lunga che io faccia da tempo immemorabile. Il Can. Nasi è qui, sta bene di sanità, ma io temo che gli angioli se lo portino al cielo. Tanto è il fervore che manifesta. Al contrario di me che cammino come le talpe. Sempre per terra. Voglia un po' raccomandarmi al Signore.
Dio benedica Lei, la sua Maria, sua Suocera, e tutta la sua famiglia, e li conservi tutti per la via del Paradiso. Amen.
Con perfetta stima mi professo,
La contessa, gentilmente, gli accusava ricevuta della lettera, e lieta com'era di poter ospitare per qualche giorno il Santo nella sua villa - era la prima volta che vi andava - l'assicurava che la domenica 20 agosto l'avrebbe accolto con gioia.
E Don Bosco tornava a scriverle, rettificando la data dell'arrivo, e ricordando in bel modo com'ella avrebbe dovuto comportarsi con quanti avrebbero cercato di avvicinarlo in quei giorni, perchè, ovunque andava, difficilmente il suo arrivo restava nascosto.
Dalla sua lettera conosco che ho preso un equivoco. In luogo di giungere al 20 Domenica, giungerò a Dio piacendo lunedì 21 del corrente all'ora già intesa. Ho stimato bene di notarle questo, perchè alle volte si dèsse qualche fastidio, o calcolasse per qualche cosa sulla mia povera persona in quella giornata.
Credo che avremo tempo a soddisfare tutti. Ella si tenga su queste basi. Quelli che vengono per portare denari o trattare di cose che riguardino al bene delle anime, vengano qualunque ora e qualunque giorno, che saranno sempre con gran piacere accolti. Chi viene per complimenti, si ringrazi e si dispensi.
La ringrazio della bella e cristiana lettera che mi ha scritto, e, pregando Dio a benedirci tutti, mi professo in fretta.
La sera del 21 Don Bosco era a Nizza, e fin dall'indomani cominciarono ad affluire distintissimi sacerdoti, da lui invitati, dal Piemonte, dalla Lombardia, dalla Liguria e fin dalla Sardegna e da altre regioni. In un sol giorno si trovarono insieme a pranzo diciotto Vicari generali e capitolari.
Mentre attendeva pazientemente al grave lavoro, non trascurava alcun mezzo perchè avesse un buon risultato, e ad alcuni raccomandava anche d'insistere presso la Santa Sede per le nomine. Sui primi di settembre scriveva al Canonico De Gaudenzi di Vercelli:
In questo momento sarebbe cosa utilissima che Ella pregasse il Vicario Generale, e, qualora non giudicasse di mettersi alla testa anche solo unirsi agli altri colla firma, e fare una petizione al Santo Padre perchè voglia mandare un Vescovo nella Cattedrale di Vercelli. Possono farlo senza toccare la politica, si noti solamente il bisogno e il bene delle anime costì. Poi si spedisca immediatamente al Card. Antonelli con preghiera di appoggiarla al Santo Padre. Se vi sono altri Parroci o Rettori, che vogliono unire il loro nome a quello dei Canonici, meglio ancora. Non posso andare in persona, nemmeno posso dire di più colla carta. È peraltro della massima importanza e della massima premura.
Dio benedica tutti e preghi per me che godo professarmi,
Dopo una breve gita in Liguria, a Varazze, a Genova, a Sestri Ponente, tornato a Torino, l'8 settembre presiedeva la distribuzione dei premi agli studenti dell'Oratorio; quindi si recava a Lanzo insieme coi superiori del Capitolo per trattare di affari della Pia Società, ed iniziare il giorno 11 il primo corso di esercizi spirituali. Intanto giungeva al Prefetto di Torino un telegramma confidenziale:
“Se Sacerdote Don Bosco si trova costì, lo chiami a sè e lo preghi recarsi al più presto Firenze per conferire con me sopra affare a lui noto. Attendo risposta. G. LANZA”.
Il Prefetto, comm. Vittorio Zoppi, che appena sulla fin di luglio aveva assunto la carica e non conosceva Don Bosco [440], si affrettò ad inviare un usciere all'Oratorio con una lettera per il Santo, nella quale gli chiedeva un abboccamento, scusandosi se non erasi recato egli stesso a parlargli. Egli non sapeva ancora nemmeno in qual parte della città si trovasse la regione di Valdocco, ed era meravigliato che il Ministro potesse avere relazioni, che avevano l'apparenza di grandi segreti, con un sacerdote, ritenuto da alcuni come un nemico della nuova Italia.
La lettera venne comunicata a Don Bosco a Lanzo, e il Santo scese subito a Torino, e insieme con Don Cerruti, direttore del Collegio di Alassio, si recò dal Prefetto. Venne introdotto, e chiese che cosa si desiderava da lui.
- Cose delicate! rispose il Prefetto; io non so, nè chiedo di che si tratti, e gli consegnò il dispaccio.
Don Bosco, che subito comprese che gli avrebbe fatto piacere, gli manifestò, in linea generale, il segreto cui alludeva l'invito, certo che quella confidenza avrebbe servito a meglio disporlo ad appoggiare le sue proposte, perchè senza dubbio il Ministro gli avrebbe poi chiesto informazioni sui vari soggetti piemontesi promossi alle sedi episcopali.
Il Prefetto fu arcicontento della sua familiare gentilezza e volle presentarlo alla sua signora; e Don Bosco a lei pure accennò il motivo che l'aveva là condotto. Ed anch'essa si disse onorata della gentile comunicazione, e si unì al marito nel lodare l'impresa alla quale s'era accinto.
Nello scender le scale avvenne un episodio che ci piace esporre con la dichiarazione fatta dallo stesso Don Cerruti nel Processo Informativo per la Causa di Beatificazione e Canonizzazione. „L'umiltà di Don Bosco non appariva meno nelle lodi, che molto spesso riceveva. Si sarebbe detto che queste lodi non lo riguardassero punto, tanta era la calma ed indifferenza che mostrava. Talvolta però si commoveva, e lo vidi pure a piangere. Ricordo che nel settembre 1871, quando appunto l'aveva accompagnato dal Prefetto di Torino, il quale l'aveva invitato per incarico del Ministero ad andare da lui (per incarico del Presidente del Ministero, Lanza), relativamente alle trattative delle nomine dei Vescovi, al discendere gli andò incontro la moglie del portinaio, [441] gli chiese la benedizione, ed esclamò: - O mio Dio, mi par di vedere Nostro Signore! - Don Bosco si accese tosto in volto, gli vennero le lacrime agli occhi, e disse: - Preghi per me e per la povera anima mia”.
Nel tornare all'Oratorio disse anche a Don Cerruti:
- Sai di che si tratta? Il presidente del Ministero, Lanza, per mezzo del Prefetto di Torino, mi chiama a Firenze per trattare delle nomine dei Vescovi nelle diocesi vacanti d'Italia...
E Don Cerruti, che poco o nulla era informato di tali trattative, gli rispondeva:
- Oh! è una cosa che si tratta già da parecchi mesi; ed io ho già dovuto lavorare e scrivere molto per questo. Il Governo in questo momento vi si mostra arrendevole per mire politiche. Pio IX mi ha espressamente comandato di trattarne ed anche di preparargli una lista dei soggetti ritenuti opportuni alla nomina.
Non possiam precisare se il colloquio col Prefetto Zoppi avvenne la sera del 9, o la mattina del 10 settembre; questo è certo che Don Bosco avvisò subito i direttori delle case che gli esercizi erano rinviati di una settimana, e tornò a Lanzo, ove, adunati i Superiori del Capitolo nell'anticamera della prefettura, mise essi pure al corrente della cosa, non senza manifestare un po' di rincrescimento per il rinvio degli esercizi, ed anche perchè egli era un po' giù in salute:
- Mi trovo, a dir la verità, un po' stanco; ma il bene della Chiesa va messo innanzi a tutto, anche a quello della nostra Congregazione. Partirò stassera col treno delle sette, viaggerò tutta la notte, e domani mi troverò avanti il Ministro... e poi forse a Roma.
Aveva deciso di recarsi a Roma dopo i due corsi di esercizi, ma ora prevedeva che era meglio anticipar il viaggio, dal momento che andava a Firenze: e disse pure ai Superiori che; se qualcuno avesse chiesto perchè fosse tornato a Roma, rispondessero che era stato chiamato „ad assistere un infermo grave; e questo, tra parentesi, era il regno d'Italia!”.
L’11 adunque era a Firenze, e dopo aver trattato col Ministro, telegrafava a Don Rua: „Prefetto Oratorio San Francesco [442] di Sales, Torino: Continuo viaggio. Ritorno Prolungato. Scriverò nuovamente. Tutto bene. Bosco”.
Giunto a Roma, si presentò subito al Santo Padre, il quale lesse attentamente la lista degli ecclesiastici da lui proposti per essere promossi all'episcopato e l'approvò tale quale; tanta era la fiducia che aveva in lui. Quindi chiese il suo parere sulla loro destinazione a sedi determinate; e Don Bosco ne fissò 18, come attestava Mons. Manacorda, e il Papa approvò. Fra essi fu destinato alla Cattedrale di Acqui Mons. Giuseppe Maria Sciandra di Mondovì, Arcidiacono della Cattedrale e Rettore del Seminario e Vicario Capitolare della Diocesi di Susa.
- E per Genova? Gli chiese il Papa.
Don Bosco trasse fuori due fasci di carte, e nel porgerne uno al Santo Padre disse: - Qui vi è Mons. Magnasco, cui si fanno grandi elogi per il suo zelo, mentre i tristi scrissero contro di lui molte lettere, accusandolo di non approvare lo stato attuale delle cose in Italia e dicendolo troppo ligio al Papa ed alla Chiesa.
Quindi gli porse l'altro fascio, e proseguì: - Qui v'è il tale dei tali (e ne fece il nome), in favore di cui scrissero molti altri, anche vari del Governo, dicendo che è degno della mitra e che da tutti i genovesi è universalmente amato; mentre a me fu detto che... probabilmente è ascritto alla massoneria!...
.Qualcuno della Corte Pontificia, ingannato dalle false relazioni, aveva creduto di dover preferire la nomina del secondo; e Pio IX, chiamato uno dei segretari, gli disse: - Andate dal card. Antonelli, e ditegli se può scendere da me.
Il segretario andò, e riferì che il Cardinale aveva un'udienza pressante.
- Ritornate da lui, replicò il Papa, e ditegli se può venire almeno per un istante.
La risposta fu che il Card. Segretario di Stato in quel momento non poteva venire, mentre il Papa avrebbe voluto che udisse il giudizio di Don Bosco, che di quel personaggio, avendo attinte informazioni anche al Ministero, era venuto a conoscere quegli intrighi, ed anche ad aver copia [443] delle lettere spedite al governo per la sua promozione. Il Papa, udita la risposta del Card. Segretario, senz'altro fece chiamare un Prelato che stava in anticamera, e gli disse:
- Scrivete: Mons. Magnasco, Arcivescovo di Genova!
Quando si trattò di sostituire il Vescovo di Alessandria, Mons. Antonio Colli, per gravi dispiaceri sofferti assai malandato in salute, Mons. Manacorda diceva a Don Bosco: - Faccia promovere Mons. Colli all'archidiocesi di Torino, e noi lo salviamo! - Ma Don Bosco aveva deciso di proporre per Torino Mons. Gastaldi, Vescovo di Saluzzo, e non mutò parere, e per l'affetto che gli portava e per il bene che aveva da lui ricevuto, ed anche perchè per governare l'archidiocesi ci voleva un prelato di buona salute; e chiese al Papa la promozione di Mons. Gastaldi. Pio IX che ricordava con ammirazione la parte presa dal Vescovo di Saluzzo nelle sedute del Concilio Vaticano a favore della definizione dell'infallibilità pontificia, e che forse vagheggiava di chiamarlo a Roma, non voleva acconsentire; ma Don Bosco insistette tanto, che il Papa accolse la proposta dicendogli: - Voi lo volete, ed io ve lo do! - e soggiunse: - Vi lascio l'incarico di far sapere a Mons. Gastaldi, che adesso lo faccio arcivescovo di Torino, e fra un paio d'anni lo farò qualche cosa di più! - chiaramente alludendo all'elevazione alla sacra porpora.
Don Bosco telegrafò senz'indugio a Mons. Gastaldi: - Eccellenza ho l'onore di Parteciparle per il primo che sarà nominato arcivescovo di Torino. - Gastaldi, letto il dispaccio, andò fuori di sè per la gioia, e gridò al Teol. Chiuso, suo segretario: - Chiuso, Chiuso, andiamo a Torino!
Il Papa affidò a Don Bosco anche l'incarico di recarsi dal Ministro degli Interni per investigare le attuali intenzioni del Governo, ben inteso in via ufficiosa e come di sua iniziativa personale. Don Bosco ebbe l'ora dell'abboccamento, e trovò Lanza che l'attendeva insieme con altri Ministri: e cominciò il colloquio così:
- Se il Papa eleggesse nuovi Vescovi, il Governo che cosa farebbe?
- Non può eleggerli, rispose uno dei presenti: noi non possiamo permetterlo. [444]
- Eccellenza, rispose il Santo, anche la legge delle guarentigie riconosce nel Papa questo diritto; esso appartiene alla sua giurisdizione spirituale.
- E se li eleggesse, noi saremmo costretti a negar loro le temporalità, col negar l'Exequatur...
- Ma perchè non si sta a ciò che venne sancito nella legge delle guarentigie? e perchè non si studia una formola di richiesta accettabile dai Vescovi e dalla Santa Sede?
E su questi punti incominciò una disputa, lunga e cortese, senza venire a una conclusione. Le ragioni che adduceva Don Bosco erano convincenti, e i Ministri non sapevan che pesci prendere o qual nuovo ripiego trovare, per protrarre le pratiche, incominciate col loro consenso. A dir vero, essi avrebbero voluto far pompa di tolleranza, ma dovevano fare i conti colle sètte. Don Bosco presentò loro anche la lista dei futuri Vescovi che il Santo Padre aveva approvata.
Letto il nome di Gastaldi, Arcivescovo di Torino, mossero mille difficoltà, perchè - dicevano - non sarebbe stato troppo accetto alla Corte; ma Don Bosco mise in rilievo le sue belle qualità, il suo ingegno, la sua dottrina, l'essere stato allievo della R. Università dove aveva conseguito la laurea in Sacra Teologia, l'apostolato compiuto per vari anni in Inghilterra, anche a vantaggio di migliaia d'italiani, emigrati in quelle terre...
Giunto al nome di Mons. Magnasco, dissero che eran pervenute al Ministero lettere dalla Prefettura e dal Municipio di Genova, che lo dicevano... tutto Papista...
Il Governo avrebbe voluto modificar a modo suo quella lista, pur illudendosi che la questione dell'Exequatur e delle temporalità avrebbe mandato a monte le elezioni; e Don Bosco comunicò la decisione del Papa: - Io nulla muterò di quanto ho stabilito! - e fu egli pure irremovibile.
Il Santo, sbrigati gli affari nella forma più sollecita, con soddisfazione di tutti e rendendoseli sempre più deferenti, come aveva promesso, il 13 annunziava il suo ritorno all'Oratorio: [445]
Sabato, alle 11 matt., a Dio piacendo sarò a Torino. Di' a Magna Felicita che ci prepari un po' di minestra per mezzodì, quindi farò un po' di riposo, o là, o a casa.
Da' movimento: 1° Per calcolare a quanto ascenderà il macinato per tutte le nostre case presuntivamente. - 2° Quanti giovani abbiamo parimenti in tutte le case, che siano stati inviati da autorità governative e figli d'impiegati, esistenti od abbiano esistito nelle nostre case.
Ogni cosa finora non poteva desiderarsi meglio. Continuiamo a pregare. Preparate tutto per lunedì. Dio vi benedica tutti e credimi,
La parte che Don Bosco ebbe in queste nomine subito si divulgò, perchè i giornali ne fecero parola. Ad esempio il Fanfulla del 16 ottobre scriveva: „Il Concistoro è fissato pel giorno 27. Pio IX terrà allocuzione ai venerabili fratelli, nella quale deplorerà la persecuzione che la religione ed i buoni soffrono nella Città Santa; condannerà i sacrileghi attentati contro i claustrali e le spose del Signore. Le sedi fino a ieri provvedute erano 59 [mentre furono appena 41 i vescovi per le diocesi italiane, e 2 quelli in partibus infidelium]. Per quelle delle vecchie provincie si è deferito alle proposte di Don Bosco di Torino, chiamato espressamente in Roma”.
Il Ministro, già pieno di ammirazione per Don Bosco, dopo gli ultimi colloqui avuti a Firenze e a Roma, si senti sempre più disposto a favorirlo in ogni cosa; e, il mese dopo, così rispondeva ad una sua domanda preparata da Don Rua.
Circa la domanda espressa nel suo foglio del corrente, mi occorre innanzi tutto di osservare che non è in facoltà di alcuna autorità governativa di condonare a chicchessia il pagamento delle imposte, onde sotto questo punto di vista la domanda suaccennata non può essere assecondata. [446] In considerazione però di quanto Ella ha esposto col foglio succitato sulle condizioni di cotesto asilo dei poveri fanciulli, noto sotto il nome di Oratorio di S. Francesco di Sales, ed in contemplazione delle note benemerenze di esso Pio Istituto, ho disposto che venga al medesimo inviato un sussidio di lire 2000, sui fondi di questo Ministero.
Nel darne partecipazione alla S. V. in riscontro al succitato suo foglio, mi è grato esprimerle i sensi della mia perfetta stima e considerazione.
L'accortezza diplomatica del Santo aveva adunque tutelato l'indipendenza del Papa e provvisto alla salute di tante anime, e, come si può dedurre dallo svolgersi degli avvenimenti, era arrivata a stabilire una segreta intesa col Ministro. Come sempre, la sua maniera di fare era guidata e benedetta da Dio. Ottenuto il suo scopo con paziente lavoro, andò a congedarsi dal Papa, il quale gli disse:
- Ebbene, mio caro Don Bosco, voi avete tante volte domandato e ottenuto per gli altri onori e cariche distinte, e per voi che cosa domandate?
- Santo Padre! Che continui sempre la sua benevolenza verso il povero Don Bosco!
- Oh! questa l'avete tutta! E d'altro? Null'altro che la sua benevolenza!
Il Santo arrivava a Torino la mattina del 16 settembre, atteso da Don Rua alla stazione di Porta Nuova, e con lui si recava a pranzo presso l'accennata benefattrice.
Era stato comunicato a Mons. Gastaldi che Don Bosco sarebbe rientrato nell'Oratorio in quel pomeriggio, e Monsignore s'affrettò a venire per abboccarsi con lui, appena fosse in casa, ove lo prevenne. I chierici e i preti corsero a salutare l'amico del loro Superiore; e i giovani applaudivano il Vescovo, che parecchie volte aveva pontificato nella chiesa di Maria Ausiliatrice. Monsignore, incontrato Don Lemoyne, l'abbracciò e salì con lui sul piccolo terrazzo che si estendeva di fianco alla chiesa di San Francesco. Non poteva star fermo. Era in preda ad una viva impazienza. Ed ecco comparir Don Bosco dalla porteria, in fondo al cortile. Tutti i giovani gli si stringono attorno a baciargli la mano, ed egli procede [447] lentamente. - E non viene, e non viene, ... - va ripetendo sottovoce Monsignore: e, dopo un po' di tempo, messa la mano alla bocca, grida con quanta voce ha in gola:
- Don Bosco, Don Bosco!... Faccia presto!
Don Bosco alza il capo, vede Monsignore, e si affretta ad avanzarsi. Il Vescovo scende dal terrazzo, lo prende per mano, lo accompagna in camera, e rimane a lungo con lui in intimo colloquio. Sul finire Don Bosco gli comunicò le parole del Papa: - Ora Arcivescovo, e di qui a due anni qualche cosa di più! - E Monsignore: - Lasciamo fare alla Divina Provvidenza!
Di quella sera Don Bosco annunziava alla comunità la promozione di Mons. Castaldi all'archidiocesi di Torino, e, la invitava a rallegrarsene come di un lieto avvenimento, perchè il nuovo Arcivescovo si era sempre mostrato assai favorevole all'Oratorio e tenuto in amichevoli relazioni con Don Bosco.
Il giorno dopo, domenica, il Santo impiegò lunghe ore a confessare i giovinetti, che andavano a gara per avvicinarlo, e il 18 si recava a Lanzo per iniziare il primo corso degli esercizi per i confratelli.
I preti e i chierici l'aspettavano curiosi di apprendere a qual punto fossero le trattative per le nomine vescovili, e gli fecero mille domande:
- Don Bosco ha fatto la lista, ma come andrà la cosa?... Il Papa come farà a mettere i Vescovi nelle loro sedi?... Il Governo li accetterà? ... E i Vescovi dovranno chiedere il permesso al Governo? ... dovranno riconoscerlo, assoggettandosi a chiedere il R. Exequatur?
- Quante difficoltà andate affastellando! Gesù Cristo chiese forse licenza a qualcheduno, quando mandò gli Apostoli a predicare? Disse loro solo queste parole: - Andate!... - e andarono.
Da questa risposta subito si comprese quale fosse stata la base delle trattative per tutelare la dignità del Pontefice. Il Papa avrebbe agito di sua autorità, e Don Bosco, facendosi forte della Legge delle Guarentigie, aveva ottenuto che [448] il Governo non avrebbe posto ostacoli. Il più importante era che le diocesi vacanti avessero i loro Pastori; poco importava, per il momento, che il Governo avesse dato o negato loro i beni temporali. Con ciò Don Bosco veniva a far proclamare l'indipendenza della Chiesa dallo Stato.
E che tale fosse stato il suo parere, si vide chiaramente dall'allocuzione che il Papa tenne il 27 ottobre, nella quale ripetè, quasi ad litteram, le parole dette da Don Bosco a Lanzo, che cioè per la sola autorità ricevuta da Dio, senza riguardi o licenze umane, destinava alle loro chiese i nuovi Pastori.
Don Bosco disse pure nettamente:
- Il Papa mi aveva detto: fate la lista e presentatemela! E ciò che fece Don Bosco, fu ben fatto.
E concluse umilmente: - Non so se in avvenire vi saranno altri della nostra Congregazione, che siano per trovarsi in simile circostanza di eleggere tanti Vescovi con pieno arbitrio di scelta, come accadde quest'anno...
I confratelli, che lo ascoltavano silenziosi, rimasero stupiti che non aggiungesse al periodo finale il complemento specificativo “a me!” - , e non poterono non ammirare la causa dell'omissione, che risplendeva nel suo contegno umile e riservato.
Raccontò poi a Don Cerruti le fatiche e i dispiaceri, che aveva provato in quell'impresa: - L'ho fatto Per obbedire al Papa, pel bene della Chiesa! Ma quanto, son più tranquillo co' miei figliuoli! - E ripeteva quelle parole, che era solito dire quando alcuno si lasciava un po' abbattere da contrarietà, o difficoltà, o contradizioni di qualunque genere: - Principale rimedio è la tranquillità e la carità. Vince in bono malum, e poi stiamo allegri e uniti con Dio!
I giornali intanto annunziavano la nomina di Monsignor Gastaldi, prima ancora che il Papa l'avesse preconizzato; e l'Unità Cattolica, il 4 ottobre, pubblicava un articolo, evidentemente comunicato, nel quale, mentre s'inneggiava al nuovo [449] Arcivescovo, si mutilava la storia delle elezioni dei Vescovi fatte nel 1867, nè si faceva alcun cenno di ciò che Don Bosco aveva fatto nell'anno in corso, evidentemente allo scopo d'escludere l'intervento, o, diciam meglio, la parte compiuta da lui. Non diciamo di più! Fu il primo lampo della terribile ed imprevista tempesta che quanto prima si sarebbe scatenata sul fedelissimo Servo di Dio.
“Il nuovo Arcivescovo di Torino. - Monsignor Lorenzo Gastaldi il 23 settembre riceveva da Roma l'avviso officiale che dalla sede vescovile di Saluzzo verrebbe trasferito alla nostra arcivescovile di Torino. È una notizia consolantissima pei Torinesi, i quali, non solo veggono cessare la vedovanza dell'archidiocesi, ma ottengono dal Santo Padre un Pastore pio, religioso, zelantissimo, che riunisce in sè le più belle virtù de' nostri ultimi Arcivescovi, e, fermo ed energico come monsignor Fransoni, è in pari tempo mite e dolcissimo come monsignor Riccardi. Poichè fra breve non dovremo far altro che inchinarci ossequiosi a monsignor Gastaldi, e riceverne ed eseguirne in tutto e per tutto i venerati comandi, affrettiamoci a scrivere qualche parola di lui, ed a far conoscere il bel dono che Pio IX sta per fare alla sua prediletta Torino.
Lorenzo Gastaldi, nato in Torino ai 18 di marzo del 1815, fu canonico di S. Lorenzo, e teologo collegiato nella nostra Università. Ma, spinto da vivo zelo per la gloria di Dio, abbandonava gli agi e gli onori andando ad evangelizzare l'Inghilterra [cioè si faceva Rosminiano, e veniva inviato in Inghilterra]. Fornito di singolare ingegno, addomesticossi facilmente colla lingua inglese, e visse parecchi anni predicando il cattolicismo a tanti Anglicani, che solo l'odiavano per non averlo ancora conosciuto. In queste sue missioni potè fare studi profondi sulle presenti condizioni del protestantesimo, sulla strettissima parentela della rivoluzione coll'eresia, sull'indole dei tempi presenti e sui mali morali che affliggono la moderna società.
Amantissimo della patria, monsignor Gastaldi non dimenticò il suo Piemonte, e seguì sempre gli avvenimenti che ne mettevano a repentaglio l'avita fede. Nè mai si commise attentato contro la Chiesa ch'egli non levasse alta la voce per protestare; e noi abbiamo avuto l'onore di pubblicare le sue proteste coraggiosamente sottoscritte col proprio nome e cognome. L'ultima protesta apparve nell'Unità Cattolica del 4 luglio 1865, numero 153.
A quei dì era andata fallita la missione a Roma di Saverio Vegezzi per provvedere di Vescovi molte diocesi vacanti in Italia. Il 28 di giugno noi proponevamo un indirizzo a Pio IX, che fosse dapprima un atto di ringraziamento per aversi preso tanto a cuore [450] la miseranda condizione delle popolazioni italiane prive dei propri Pastori: e poi un atto di protesta contro quei ministri che avevano mandato a vuoto i negoziati, pretendendo che il Romano Pontefice venisse meno a' suoi doveri.
Il canonico Lorenzo Gastaldi era dei primi ad accettare la nostra proposta, e il 3 di luglio ci scriveva:
- Ill.mo Signor Direttore, approvo pienamente e lodo la proposta dell'Unità Cattolica di un indirizzo dei cattolici italiani al Santo Padre, per lo che le mando di tutto cuore la mia offerta di lire 20 sottoscrivendomi Canonico Lorenzo Gastaldi, Teol. Collegiato nell'Università di Torino.
Dio benedisse quel disegno, e si raccolsero in Italia dodici grossi volumi di firme che stanno oggidì nella Biblioteca Pontificia del Vaticano, e lire 355.003, 50 deposte ai piedi del Santo Padre ed annunziate dal Giornale di Roma del 9 dicembre 1865.
Una protesta così solenne produsse ottimo effetto ed il Ministero presieduto dal barone Bettino Ricasoli, chiese al Papa di poter ripigliare le trattative interrotte, ed ottenutolo assai facilmente, mandò a Roma il Commendatore Michelangelo Tonello, che in brevissimo tempo le condusse a termine.
Come si vede, il canonico Gastaldi aveva fatto tutto quanto era in poter suo per non restare compreso nella lista dei nuovi Vescovi, giacchè, dovendosi questi eleggere col consenso dei ministri, pareva naturale ch'essi escludessero chi tra' primi aveva protestato per le trattative precedentemente interrotte, mostrando tanto coraggio e tanto affetto e devozione a Pio IX. Ma, o sia che non avessero badato a quella protesta, o più tardi la dimenticassero, il Gastaldi fu eletto e preconizzato Vescovo di Saluzzo li 17 marzo del 1867.
Nella quale diocesi si adoperò con zelo ammirabile pel bene della Chiesa, e appena quei fedeli il conobbero, sentirono per lui il più filiale e rispettoso affetto. Ed oggidì sono così dolenti di perderlo, come Torino è lietissima di acquistarlo. Certo, quando l'Unità Cattolica il 4 luglio pubblicava la protesta del canonico Gastaldi, nessuno sarebbesi aspettato che nel 1871 egli dovesse essere Arcivescovo di Torino.
E ciò prova sempre più che non sono gli uomini che creano i Vescovi, ma lo Spirito Santo che li elegge per reggere la sua Chiesa, uscita dal costato di Gesù Cristo. Gli uomini, le circostanze, le occasioni servono di mezzo alla Provvidenza Divina che non suole operare per via di miracoli, ma dispone le cose secondo l'ordine naturale; e poi lo Spirito Santo, valendosi del Romano Pontefice, fa l'elezione e corona l'opera”.
Don Bosco lesse e comprese l'articolo, senza perdere l'abituale tranquillità. [451] Il 27 ottobre il Papa tenne concistoro, lasciando da parte le solennità consuete, per preconizzare i nuovi Vescovi. Nell'allocuzione con la quale inaugurò la cerimonia, esordiva con le parole del Profeta, per esprimere il dolore che gli straziava il cuore: „Vidi iniquitatem et contradictionem in civitate; die et nocte circumdabit eam super muros eius iniquitas, et labor in medio eius et iniustitia”, e dichiarava solennemente: „Protestiamo in faccia a tutta la Chiesa, che noi ripudiamo affatto le così dette guarentigie, come nell'Enciclica nostra dei 15 maggio di quest'anno abbiamo abbondantemente fatto palese, e dichiariamo apertamente che, nell'esercitare questa gravissima parte del nostro apostolico ministero ci serviamo della potestà concessaci da Colui che è Principe dei Pastori e Vescovo delle nostre anime, della potestà, cioè, dataci da Gesù Cristo Signor Nostro, nella persona del beatissimo Pietro, da cui, come dice S. Innocenzo, Nostro Predecessore, derivò lo stesso Episcopato e tutta l'autorità di questo nome”[72].
Ed imposto il rocchetto a 15 degli eletti, presenti in Roma: „Provo - diceva - una grande consolazione, fratelli dilettissimi, in vedermi circondato da voi in questo giorno, sebbene la gioia mia sia temperata da una cotale mestizia. Come un dì il nostro Divino Salvatore mandava gli Apostoli, così io mando voi alle infelici diocesi d'Italia, da tanto tempo vedovate dei loro Pastori. Forse, vorrei non dirlo, mitto vos sicut agnos in medio luporum. Non so se potrete andare alle vostre residenze; non so se ci avrete da vivere. Non temete; quantunque nelle Privazioni alle quali m'hanno ridotto, la carità tuttavia non mi lasciò mancar del necessario. Così accadrà a voi. Andate!...”.
Non appena si diffuse la notizia che il Sommo Pontefice aveva deciso di procedere a tali nomine, il Governo restò confuso, e tacque, non potendo fare alcuna opposizione senza violar apertamente la legge delle guarentigie, e senza svelare le lotte massoniche contro il supremo potere della Chiesa.
Il 27 novembre, nel Palazzo di Montecitorio s'inaugurava il Parlamento Italiano, e il Papa, nello stesso mese, fidente nella Divina Provvidenza, preconizzava altri 14 vescovi ed [452] arcivescovi per l'Italia, tra gli altri Mons. Emiliano Manacorda, amico intrinseco di Don Bosco, per la diocesi di Fossano; e diceva loro:
“Non vi può essere missione più santa di quella che Iddio vi ha data, di pascere il suo gregge e condurlo per le vie della carità, e della giustizia e della religione, guardandolo dai mali, che più che in ogni altro tempo allagano la superficie della terra. Desidero che abbiate ogni consolazione. Che se l'ingordigia di certi uomini vi torrà forse i modi di poter mantenere con decoro la dignità vostra, la misericordia del Signore non mancherà di venire in vostro soccorso.
Andate alle vostre sedi, voi saprete esercitare il vostro santo ministero con quell'energia, alla quale anche daemones oboediunt. Voi conforterete i buoni, richiamerete i cattivi, insegnerete ai pentiti a lavare le colpe colle lacrime della penitenza. Confidate nel Signore, che vi ha scelti a quest'ufficio, e che vi darà il potere di oprar dei prodigi, assai più grandi di quelli di richiamare i morti alla vita: i prodigi cioè di convertire i malvagi al bene...”.
Il 2 dicembre tenne un terzo concistoro, preconizzando altri 18 vescovi per l'Italia, e, rispondendo agli auguri che gli venivano pòrti dal Card. Decano, per il trionfo della Chiesa e della Santa Sede: “E sì - diceva - che speriamo un lieto avvenire, e che il Signore voglia usare misericordia a questa povera Italia. Quando, infatti, Iddio vuole castigare un popolo, lo priva dei Pastori e di quei doni sovrabbondanti, che lo guidano nel sentiero difficile della vita a raggiungere la beata eternità, come appunto è avvenuto per tanti anni a questa povera Italia. Al contrario, quando vuole usare misericordia ad un popolo, il Signore lo provvede di tutti quegli aiuti spirituali e temporali che ne facilitano la salvazione, e, primo fra questi, lo provvede di Pastori, secondo il suo cuore, che gli sieno di luce e di guida. Il permettere quindi che la Iddio in questi momenti, che noi mandiamo i Vescovi alle vedovate Sedi, è una prova di una misericordia e dì un bene attuale, ma di più di un avvenire migliore che ci riserva...”.
Ai nuovi eletti venivan date dal Card. Segretario di Stato queste norme: - Essere intenzione del Santo Padre che [453] prendano al più presto possesso delle loro diocesi, senza dimandare, nè direttamente, nè per altro mezzo, il R. Exequatur; al Governo dieno soltanto partecipazione della loro nomina, e, ove questo ricusi le temporalità, senz'altro esercitino il loro ministero.
Ora, da una statistica ufficiale governativa, del 26 maggio 1872, risulta che negli ultimi concistori, a partire dal 27 ottobre 1871, erano stati proclamati 107 vescovi, dei quali 91 “parteciparono la loro nomina con semplice lettera”, e il Governo diede loro una semplice risposta; 14 “non si curarono menomamente del Regno d'Italia”, e 2 soli “il cui atto di nomina fu comunicato”, non direttamente, ma per terza persona, con un sunto della Bolla Pontificia, avevano ottenuto l'Exequatur.
E gli altri? presero alloggio nei seminari, ed alcuni, trovando sbarrati anche questi, si accomodarono in abitazioni private, vivendo di sussidi somministrati dal Papa, benchè poi pur questi venissero dimezzati dalle tasse fiscali governative.
Ma il Papa, vedendo le feste con cui erano accolti dovunque dalle popolazioni, e constatando come la Chiesa, benchè impoverita, avesse potuto, dopo molti secoli, sottrarsi alle ingerenze governative in questo delicatissimo mandato, n'ebbe conforto; e il 23 febbraio 1872 diceva ai nuovi eletti:
“Spero, anzi son certo, che anche di voi sentirò quello che da tutte le altre parti d'Italia mi fanno sapere i nuovi Vescovi. Cioè che ognuno è contento d'essere giunto alla sua diocesi, perchè tutti sono stati accolti dai rispettivi Popoli coi maggiori segni di alletto e di venerazione, ed incontrati con grandi feste ed allegrezze.
Certo giusta cagione di conforto sono le benedizioni dei Popoli. Io però direi: In hoc nolite gaudere. Godete piuttosto che i nomi vostri siano segnati in cielo: Gaudete autem quod, nomina vestra scripta sint in coelis. Godete e rallegratevi che i vostri nomi sieno scritti nel libro della vita, onde siate fatti degni dell'eterna felicità. Le benedizioni dei popoli e la loro buona volontà sono un conforto ed un aiuto per voi nella impresa alla quale consecrate la vita; ma non mancano le contradizioni dei tristi; non manca lo scandalo dei peccatori. Ma tutto questo formerà l'esercizio delle vostre virtù a conseguire [454] la felicità che poc'anzi vi diceva. E così ad imitazione di tanti altri santi Pastori, fatti anche voi forma gregis, con l'esempio delle vostre virtù, con la pazienza, con la carità, possiate indirizzare e confortare tutti al bene e all'eterna santificazione. I buoni cattolici si trovano in mezzo a tutti; ed anch'essi, come già sappiamo che fanno, vi aiuteranno col loro concorso e col loro zelo che hanno per la causa del Signore...”.
In Roma intanto si accentuava sempre più l'opera anticlericale. Fin dal marzo 1871 erano stati incamerati otto conventi, altri sedici in agosto, e sempre avanti, col pretesto della necessità di locali per scuole, sedi di ministeri, caserme, magazzini, tribunali, scuderie, ed anche per allevar razze di cavalli (a questo scopo veniva destinato il Convento di Santa Croce in Gerusalemme!), di modo che nel giugno 1872 erano già stati occupati trenta dei più grandiosi conventi e delle case religiose di Roma; ed anche quella di Tor de' Specchi delle Nobili Oblate di Santa Francesca Romana veniva assegnata a scuole municipali.
Don Bosco gemeva in questo stato di cose mentre avrebbe voluto trovare un rimedio. Già nel novembre 1871 scriveva alla contessa Callori:
“Sarà già nota la novella che Mons. Manacorda fu eletto definitivamente a Fossano. La città è tutta in festa per l'annunzio di un Vescovo cotanto sospirato. Credo che farà bene. Ma finora non si diede a Nissuno la chiave del palazzo vescovile; tanto meno denari.
Poveri Vescovi! Dove alloggeranno? Dove e che mangeranno? Il mobiglio, gli abiti, ecc. ecc.? Pure il Santo Padre intende che ognuno vada alla sua sede al più presto possibile! È tempo di pregare”[73].
Anche dopo la grave malattia subìta, e ancora appena convalescente, sempre fisso col pensiero al modo di migliorare lo stato della Chiesa, scriveva da Varazze al Ministro Lanza: [455]
Prima di ora avrei dovuto dare schiarimenti intorno alla temporalità dei vescovi ultimamente preconizzati; ma una malattia me lo ha finora impedito. Ora la prego a volermi tollerare un momento in questo scritto.
Quando io aveva l'onore di parlare alla E. V. il nove passato settembre[74], parmi che siavi stato pieno accordo che il Governo lasciava libera la scelta dei vescovi al Papa, nè il Governo avrebbe opposta difficoltà pel conseguimento della temporalità. Ciò comunicai al S. Padre, e quando da parte del medesimo due giorni dopo esprimeva i ringraziamenti con altri pensieri della stessa S. S., la Eccellenza Vostra compiacevasi di confermare le medesime cose.
Ora mi si dimanda ed io dovrei rispondere se le cose furono veramente espresse in questo senso, e se qualche ragione abbia dato motivo a modificazione. Se la E. V. nella sua nota bontà giudicasse farmi dire una parola da comunicare, toglierebbe da me un grave imbarazzo, e le intenzioni del Governo sarebbero nel suo vero senso conosciute.
Credo bene qui di significarle come le nomine dei vescovi testè proclamate tornarono ai buoni di gradimento universale, ed alle popolazioni di soddisfazione che andò all'entusiasmo. Da tutte le parti si facevano al Governo encomi i più lusinghieri per la libertà lasciata al Pontefice ed ai Vescovi nell'esercizio del loro ministero. Ma quando si rividero i Vescovi obbligati ad andare gli uni nei seminari diocesani, gli altri a casa propria, o in pensione, o a pigione, non è a dire quanto siasi cambiato il giudizio e l'opinione pubblica.
Io sono persuaso che se la E. V. avesse occasione di ascoltare le cose dette e che ogni giorno si vanno vieppiù dicendo a questo riguardo, io sono persuaso che Ella prenderebbe misura efficace, affinchè ogni difficoltà venga appianata, e sembra potersi appianare senza scapito delle parti interessate.
Io scrivo con confidenza, e l'assicuro che, mentre mi professo sacerdote cattolico ed affezionato al Capo della Cattolica Religione, mi sono pur sempre mostrato affezionatissimo al Governo, per i sudditi del quale ho costantemente dedicate le deboli mie sostanze e le forze e la vita.
Se Ella crede che la possa servire in qualche cosa vantaggiosa al Governo ed alla Religione, non ha che accennarmene il modo. Conceda Iddio ogni bene all'E. V., e mi voglia colla più profonda gratitudine
P.S. - Dopo il giorno 13 del corrente sarò a Torino. [456]
Ed univa alla lettera questo memoriale:
Pensieri di un Sacerdote piemontese sulla quistione vigente fra il Ministero, dei Culti ed i nuovi Vescovi eletti da Sua Beatitudine nel 1871.
1. - Che nel 1867 i nuovi Vescovi non furono obbligati a presentare le loro bolle al R. Exequatur, sebbene in quel tempo vigesse la formalità del R. Exequatur in tutta la sua estensione, anche giusta gli antichi Concordati colla Real Casa di Savoia, e con tutti i Governi antichi d'Italia, essendosi contentato il R. Governo di conoscere prima le Persone che venivano nominate ai Vescovati da Sua Santità. Nè, giusta le leggi di quell'epoca, poteasi affacciare la dispensa ragionata, dal lato dei convegni prima presi col signor commendatore Tonello, deputato dal R. Governo alle trattative, giacchè anche sotto il regime dei Governi precedenti e dell'Augusto Re Carlo Alberto, quantunque presentati i Candidati ai Vescovati dal Re, e confermati dal Papa, pure le Bolle Pontificie si presentavano al R. Exequatur, che concedevasi con grande solennità dal Senato, e chiamavasi il Magnum Exequatur.
2. - Che in oggi a seguito della Legge 13 maggio 1871 sulle Guarentigie Pontificali essendo ristretto il R. Exequatur alla pura concessione delle temporalità, quando consti al R. Governo di fatto che Tizio fu nominato Vescovo dal S. Padre, sembra inutile la presentazione delle rispettive Bolle, giacchè cessano gli antichi motivi per cui i Governi le volevano vedere, come provvidenze, a detta dei loro canonisti, emanate da un principe estero. Ora tale non dovrebbesi più considerare, nè la Chiesa, nè il suo Capo, la cui autorità è proclamata libera ed indipendente nel Regno d'Italia nell'esercizio del suo Ministero secondo la legge 13 maggio p. p.; anzi gli Atti concistoriali dovrebbonsi considerare come atti pubblici uffiziali, senza essere sottoposti ad altra confermazione.
3. - Ciononostante i Vescovi giusta le istruzioni Pontificie, avendo notificato la loro nomina, e pacifico possesso preso nelle rispettive loro sedi dietro presentazione delle loro Bolle ai Capitoli, sembra che ciò basterebbe per ottenere le temporalità senza obbligarli a presentare altro titolo di nomina che non saprebbero rinvenire.
Inoltre la presentazione delle Bolle per le temporalità non cambia punto la giurisdizione ottenuta in forza delle medesime, che liberamente può esercitarsi a termine degli articoli 15 e 16 della predetta legge, e frustranee sarebbero queste disposizioni se gl'investiti non avessero a godere della Dote che forma i Benefizi vescovili, pel noto principio antichissimo in giurisprudenza „Beneficium propter officium”.
4. - Il voler la presentazione delle Bolle prima che un Vescovo possa conseguire la temporalità renderebbe pressochè inutile la preconizzazione [457] del medesimo; perciocchè Esso nella Società civile sarebbe nella condizione di vero mendicante. Gli stessi Cardinali, gli stessi Pontefici, dopo la loro elezione non potrebbero prendere possesso, nè del Vaticano, nè di altro edifizio che appartenesse alla mensa Pontificia o Cardinalizia, senza prima presentare i titoli della loro proclamazione, che è quanto dire senza che la loro elezione venga prima confermata dal Governo.
5. - Sarebbe inoltre desiderabile, che il R. Governo provvedesse coi fondi dei R. Economati che godettero le rendite delle diverse Mense Vescovili, a far mobiliare i rispettivi Episcopii in modo decoroso e stabile, come già si pratica per gli appartamenti destinati ai pubblici uffizii delle Prefetture e Sottoprefetture; imperciocchè vedesi a malincuore dai popoli la piena evacuazione della mobilia dei medesimi all'evenienza di vacanze di sedi.
Questa disposizione sarebbe anche conveniente al dì d'oggi, che, per effetto delle vigenti leggi finanziarie, debbono i Beneficiati pagare in continuazione la tassa di manomorta, e quelle del trapasso di successione, che in addietro non esistevano.
Non sappiamo se il Ministro Lanza abbia inviato, o fatto inviare qualche risposta, ma sembra di no; sta di fatto che Don Bosco, tre mesi dopo, tornava a scrivergli, proponendo, per ottenere la concessione del R. Exequatur ai Vescovi, l'invio diretto da parte della S. Sede di una nota autentica dei singoli preconizzati nel tal Concistoro per le tali diocesi, specificando il nome e il cognome di ciascuno e la sede a lui assegnata.
L'affare delle temporalità dei Vescovi ultimamente preconizzati deve in qualche modo aggiustarsi. Troppe sono le dicerie che si vanno spargendo a sfavore della Chiesa, del Governo, e a vantaggio di nessuno.
Qualche tempo fa io scrivevo all'E. V. come sembravami non tanto difficile di venire ad un avvicinamento e lasciar intatti i principii che il Governo da una parte e la Santa Sede dall'altra intendono di conservare.
Sebbene io sia estraneo affatto alla politica ed alle cose pubbliche, nè abbia incarico di sorta a questo scopo, tuttavia credo che il Governo possa essere soddisfatto con una nota autentica della Santa Sede, con cui si dichiari allo stesso Governo che nel Concistoro tenuto in data n. n. vennero preconizzati vescovi alle sedi vacanti [458]
Qualora poi l'E. V. scorgesse possibile questo progetto o qualche altro che a lei sembrasse più facile, e volesse servirsi di me per comunicarlo a chi di ragione, io mi stimerei fortunato di avere prestato qualche servizio al mio Governo e portato qualche vantaggio alla Chiesa. Quale persona privata, ignota al mondo politico, non darei alcun motivo ai giornali di parlare nè pro nè contro, siccome si potè osservare in casi somiglianti.
In ogni caso io la supplico a voler dare benigno compatimento alla rinnovazione di questo disturbo e di volermi credere con profonda stima e con profonda gratitudine,
Nel frattempo si teneva in rapporto anche col Papa, al quale dava notizie delle festose accoglienze che avevano ricevuto i nuovi Pastori e della sua ricuperata salute, e, a quanto pare, anche delle pratiche che aveva in corso per ottenere la concessione della temporalità in modo accettabile. Ed il Santo Padre gli rispondeva con questa carissima lettera autografa[75]:
Diletto Figlio, salute ed Apostolica Benedizione.
Con piacere, dalla tua lettera dell'8 aprile, abbiamo appreso come i Vescovi da Noi mandati a reggere le diocesi d'Italia che n'erano prive, sieno stati accolti con devozione ed ossequio, e che nella città, dove tu dimori, l'amore per la Religione vada ognor più crescendo. Ci tornò pure gradita la notizia della ricuperata tua salute, che a lungo confidiamo, sarà da Dio conservata incolume. In quanto poi a quello che ci scrivi come ti sia diligentemente adoperato perchè venissero concesse le temporalità vescovili a coloro cui spettano, lodiamo il premuroso tuo zelo; ma vedi come stanno le cose, quindi sarà più utile elevar preci a Dio che può movere i cuori degli uomini, ed avendo promesso perenne protezione alla Chiesa non può mancare.
Fidenti per questo nel suo potente aiuto, molto amorevolmente [459] impartiamo a te, ai tuoi cooperatori, ed ai pii giovinetti affidati alle tue cure, in pegno di paterno affetto, l'Apostolica Benedizione.
Da Roma, Presso S. Pietro, il 10 maggio 1872, del Nostro Pontificato anno XXVI.
Al diletto Figlio Sac. Giovanni Bosco - Torino.
Lo stato in cui venivano a trovarsi i nuovi Pastori era davvero penoso. Anche il Papa, benchè commosso nel veder le cordiali accoglienze che ricevevano, soffriva per le condizioni in cui si trovavano: tuttavia non voleva, a nessun costo, che dimandassero, nè direttamente, nè in altro modo, il R. Exequatur: si limitassero... a dar partecipazione al Governo della loro nomina, e senz'altro prendessero ad esercitare il sacro ministero. Il Governo invece esigeva la presentazione formale della Bolla e la relativa domanda dell'Exequatur.
Le cose durarono così per qualche tempo, finchè qualcuno con atto, detto dal Cardinal Antonelli „veramente inconsiderato, senza prendere consiglio, nè interpellare l'autorità legittima, senza attendere alle speciali istruzioni comunicate dalla S. Sede ai novelli Prelati”, comunicava al Governo le Bolle Pontificie; e la S. Sede naturalmente ammoniva chi faceva quel passo.
Era proprio un affare spinoso, e si bramava raggiungere un accomodamento da tutti. Nel marzo del 1873 lo stesso Ministero invitava il Ministro Guardasigilli a studiar la maniera di venire ad una soluzione. Prima si voleva l'invio assoluto della Bolla; ora De Falco proponeva di scrivere al Card. Antonelli, Segretario di Stato, una lettera per chiedergli „la lista dei Vescovi preconizzati nei diversi Concistori dalla Santità di Pio IX alle diocesi vacanti in Italia, affine di poter promuovere le necessarie disposizioni, perchè ciascuno dei Vescovi preconizzati venga tosto immesso nel Possesso delle temporalità”; ma la proposta non venne accolta. In seguito si dichiarava che, qualora venisse data comunicazione dell'atto di nomina, almeno con qualche documento legale, nel quale [460] fosse trascritta per lo meno la parte dispositiva della Bolla ed investitura, verrebbe concesso l'Exequatur.
Ma come fare?... Era una faccenda seria. Nè dal Papa, nè dal Governo non si voleva accondiscendere a un atto di dipendenza, quindi era assai difficile trovar un modo accettabile da ambe le parti.
Don Bosco non mancava, senza dubbio, di mettere in pratica le parole del S. Padre, che in ogni affare “è più utile elevar preci a Dio che può movere i cuori degli uomini”; ma, solito com'era a far anche la parte sua, perchè “Chi s'aiuta, Dio l'aiuta”, e “Aiùtati, che t'aiuto; dice Dio”, proseguì ad occuparsene con ugual fervore.
Non abbiamo nessuna risposta nemmeno all'ultima lettera da lui inviata al Presidente dei Ministri, ma la voce delle insistenti sue sollecitudini conciliative erasi diffusa, attirandogli addosso la rabbia dei massoni e degli anticlericali, che decisero di metterlo alla berlina.
E, in giugno, Il Ficcanaso, piccolo “giornale critico - satirico importuno con caricature” di Torino, prendeva a pubblicare, in foglietti a parte di otto paginette quotidiane, un romanzo intitolato “Don Broschi”, nel quale, dopo aver descritto un seminario il più disordinato che si può immaginare, con superiori ed allievi ipocriti e malvagi, a capo di tutti, come il più furbo e maligno, metteva il chierico Broschi. Subito tutti capirono chi si voleva colpire, e ne furono nauseati: gli stessi operai, che leggevano quelle paginette, come ebbe a sentirli Don Lemoyne sulla ferrovia di Torino - Ciriè, esclamavano:
- Non sono ancor finite queste sciocchezze? Le opere di Don Bosco si vedono! Se si fa dare denari dai ricchi, noi vediamo che con questi mantiene centinaia di giovani levandoli dalle strade. Chi scrive, faccia, se è capace, altrettanto!
Il Ficcanaso era un giornalaccio che svelava i segreti più sporchi di certe famiglie e si faceva pagare il silenzio con grosse somme, fino a decine di migliaia di lire. Il direttore era un certo Onetti, di Lu Monferrato, che, nonostante i molti denari così iniquamente raccolti, andò in rovina. Non gli rimase più che una casa ipotecata nel suo paese, ed anche il fienile di questa andò in fiamme!... [461] In difesa di Don Bosco sorse il giovane Abate Don Massimiliano Bardessono dei Conti di Rigras, valente oratore, che ogni settimana, e sovente ogni dì, e in certe occasioni più volte al dì, fulminava dal pulpito l'incredulità e il vizio, ed innamorava gli uditori alla fede ed alla virtù, svelandone da egregio maestro la bellezza celestiale. In lui i poveri avevano un padre che teneramente li amava, gli afflitti un angelo consolatore, la gioventù una guida sicura, le anime pie un saggio direttore, le pecorelle smarrite il pastore più amoroso; e l'Oratorio e l'Opera Salesiana un amico sincero, un benefattore insigne, un patrocinatore imperterrito.
Il caro Abate (che volava al cielo, compiuti appena i 40 anni, il 10 gennaio 1879), come vide la lurida pubblicazione del Ficcanaso, scrisse e fece pubblicare dalla tipografia e litografia Foà un opuscoletto col titolo: D. Giovanni Bosco. - cenni biografici, recante sulla copertina un bel ritratto del Santo; e per mezzo degli strilloni dei giornali ne diffuse in città migliaia di copie. Non si poteva tessere un più giusto elogio[76]. Ne riferiamo qui alcuni tratti:
“Il nome di D. Bosco rappresenta alla mente non solo l'idea della venerazione, della santità, della beneficenza, dell'operosità, della provvidenza, ma ancora quanto possa una ferma volontà di operare, malgrado infiniti ostacoli, e peripezie, quando guidata da santo scopo, e dal bene del prossimo, fermamente il voglia.
Quante caritatevoli imprese non mandò ad effetto, dove non parevano che sogni di riscaldata fantasia; e quante opere compiette quell'anima oramai onnipossente, laddove appunto ostavano insormontabili difficoltà? E tutto questo sempre e solo pel desiderio di giovare cristianamente al suo prossimo, e sempre in nome di Dio, senza ambire neppure l'ombra di ciò che forma oggigiorno il sogno di tanti: onori, titoli, ricchezze; nulla di tutto questo lo spronava, ma il solo bene umanitario, la sola carità evangelica.
Egli venne al contatto col ricco e col povero, col potente e col mendìco, accesse allo splendido ostello ed alle umili capanne [462], fedele al detto di Salomone (Proverbi): Vedeste l'uomo solerte nel suo compito, egli divenne familiare coi prìncipi.
... Chi è quel santo sacerdote, che ai figli del popolo procura ... utili passatempi, iniziandoli nello stesso tempo alle pratiche di pietà, e soccorrendoli ancora ne' loro bisogni e delle loro povere famiglie, che s'informa delle loro sciagure, che prevede tutto ed a tutto provvede, come padre amoroso, come pastore sollecito delle sue pecorelle? Egli è D. Bosco.
Questo nome suona dappertutto: nelle strade, nelle officine, nelle famiglie.... ed ogni anno che passa la fama ingrandisce ed il numero di questi derelitti consolati aumenta...
A Don Bosco come a tutte le anime ben nate ed infaticabili non mancano detrattori. Questa fu la storia continua di tutto il mondo; è il premio spesse volle toccato ai benefattori dell'umanità. Ma niuna guerra valse, nè varrebbe a combattere e vincere tale personaggio, il quale, altrettanto umile quanto venerando, procede senza posa nell'opera sua cristiana e civilizzatrice.
È stella che rifulge nel presente secolo, in cui esistono pur troppo molti elementi di dissoluzione della società, e che addita la retta via ai buoni ed ai traviati.
Il nome suo, come ora è sulla bocca di tutti, non morrà Per volgere di tempo. Di lui rimarranno incrollabili i monumenti ad attestare la sua integerrima vita, tutta dedicata a Pro del Prossimo ed in servizio della religione”.
L'opuscolo dell'abate Bardessono ebbe il miglior effetto; il Ficcanaso troncò la pubblicazione del romanzo, fors'anche per paura d'una querela per diffamazione; ma il Santo non fece alcun passo, e lasciò correre; era troppo evidente che si trattava di un romanzo, e per di più nauseante, e inventato da capo a fondo.
Il 17 giugno 1872 Pio IX si rallegrava di nuovo delle nomine vescovili, “specialmente in questa misera Italia, che, abbisogna di assistenza, consiglio, protezione”, e diceva al Sacro Collegio: „È stato un conforto vedere quasi tutte le [463] Sedi vescovili provvedute di Pastori, e così animato sempre più questo popolo italiano; ed è stato per me e per tutti i cattolici di vera consolazione il vedere come la fede è ancora così grande, così potente in questa penisola, forse perchè qui risiede il successore di San Pietro, il Vicario di Gesù Cristo”.
Urgeva quindi sempre più venir ad un accomodamento per ottenere ai nuovi Vescovi il R. Exequatur; e Don Bosco riprendeva coraggiosamente le pratiche. Io stato di salute, sempre un po' debole dopo la grave malattia sofferta, ed il molto lavoro che ebbe quotidianamente tra mano, gli impedirono di movere altri passi in quell'anno; ma sul principio del 1873 decise di andar nuovamente a Roma, non solo per spacciar i biglietti di una lotteria a favore dell'Oratorio, e per chiedere l'approvazione definitiva delle Costituzioni della Società Salesiana, ma anche per trattar di nuovo col Presidente dei Ministri delle temporalità vescovili.
Nell'amore che portava all'Arcivescovo, prima di partire, il 17 febbraio, volle avere un colloquio con lui, indubbiamente per assicurarlo che avrebbe fatto quanto poteva in suo favore.
E partiva l'indomani mattina con Don Berto. Era la prima volta che questo confratello, a lui affezionatissimo, gli faceva compagnia in un lungo viaggio; e mentre erano in vettura per recarsi alla stazione di Porta Nuova, d'un tratto fu visto turbarsi tutto: temeva di aver lasciato i biglietti di mezza tariffa e il denaro occorrente a casa, e Don Bosco: - Niente ti turbi; non sai ancora che cosa vuol dire viaggiare!
Prima di giungere alla stazione i biglietti vennero ritrovati, ma non tutto il denaro.
Si era combinato che sarebbe stato loro compagno di viaggio, fino a Bologna, il P. Franco della Compagnia di Gesù, che andava a predicarvi il quaresimale; ma alla stazione non l'incontrarono. Giunti ad Alessandria e scesi per cangiar convoglio, Don Bosco condusse Don Berto, che aveva un po' di tosse, a prender una tazza di latte caldo, mentr'egli non prese nulla; là incontrarono il P. Franco, e insieme risalirono [464] in treno e si fecero buona compagnia fino a Piacenza, parlando di tante cose, ed anche dello stato della Chiesa in Italia.
Di questo viaggio abbiam le molte lettere inviate da Don Berto a Don Rua ed ai giovani dell'Oratorio, ed altri suoi appunti posteriori; ma se dovessimo riferir tutto integralmente non finiremmo più, e l'esposizione riuscirebbe, forse, troppo pesante per tante piccole notizie, che riguardano più lo scrittore che il Santo. Don Rua stesso ne compendiava le più interessanti in due circolari che spediva alle Case, e noi pure cercheremo di farne, nel modo più esatto, un ampio riassunto sostanziale.
Giunti a Piacenza, Padre Franco pregò Don Bosco di scendere, e lo condusse in vettura al Borgo della Morte, dove vivevano privatamente alcuni suoi confratelli, e lo volle con loro fino a sera, trattato fraternamente, nel modo più cortese e cordiale. Durante il pranzo, al quale intervenne anche un canonico della città, il ragionamento s'aggirò sulle questioni del giorno, politiche e religiose, e si deplorava da tutti lo stato miserando della Chiesa, del quale non solo non si prevedeva la fine, ma si riteneva che sarebbe divenuto ancor più funesto.
- Non vi pare, diceva, un vero trionfo della Chiesa l'essersi potuta svincolare dai trattati con i Governi, che pretendevano di eleggere non solo i Vescovi per le varie diocesi, ma anche i Parroci per le singole parrocchie? Adesso è più libera di prima. Si son rotti i concordati che ne inceppavano la libertà, specialmente nelle elezioni dei Vescovi; il Papa può fare la scelta senz'aspettare una proposta, o un'adesione, o un beneplacito; ed attualmente tutte le diocesi d'Italia sono provvedute. E l'aver dovuto i Vescovi prendere stanza nei Seminari, perchè non riconosciuti dall'autorità civile, è un male, è vero, perchè non hanno le temporalità; ma intanto dal male ne viene un bene... perchè possono avvicinarsi ai chierici e intrattenersi con loro, mentre prima, si può dire, non v'era tra loro relazione e, tanto meno, confidenza. [465] Di quella stessa sera risalì in treno con Don Berto alle 7 1/2, e proseguì per Parma. Quivi scesero e furono ospiti dei Fratelli delle Scuole Cristiane, nel Borgo delle Colonne, e dormirono là presso, in casa di un buon sacerdote, il Can. Monsignor Giacomo Battei. All'indomani Don Bosco celebrò la Messa della Comunità, e fece un sermoncino che piacque tanto per l'ammirabile semplicità.
Pranzò in Seminario, e, per accontentare i Superiori, narrò un po' di storia degli inizi dell'Oratorio: come nei giorni festivi andasse coi suoi birichini da un luogo all'altro in attesa di un posto stabile; come per un po' di tempo avesse fatto catechismo, cantato i vespri e confessato, ed insegnato a cantar lodi sacre in un prato; e in fine, come alcuni amici, credendolo impazzito, s'eran messi d'accordo di andarlo a prendere, e vi andarono, per condurlo in carrozza al manicomio, ed egli, per ridere, vi avesse mandati loro. Non è a dire l'ilarità, che destò tra gli alunni e i superiori questo racconto.
La sera avanti e gran parte del giorno 20 fu col Vescovo Mons. Villa, che era assai malandato in salute. „È tanto il sollievo che prova” nell'intrattenersi con Don Bosco, che „ieri - scriveva Don Berto - lo volle quasi tutto il giorno presso di sè, motivo per cui abbiamo rimandata la partenza”. Aveva deciso di partire il 19, invece pernottò di nuovo a Parma, e il giorno dopo, insieme col Vescovo, andò a far visita ad un locale al di là del torrente Parma, detto l'Antica Parma, forse per mettervi un collegio”[77]. Lungo la giornata, si recò a visitare anche il Marchese Pallavicino, „che il mandò più volte a chiamare. Molti sacerdoti parmigiani vennero a visitarlo, e, se non partissimo, la folla e la calca comincerebbero ad assediarlo non altrimenti che a Torino”.
La mattina del 20 Don Bosco celebrò dalle Orsoline, e tornò in Seminario, donde, dopo aver fatto un po' di pranzo alle 10 ½, partì ed alla stazione rivide il P. Franco, e insieme a lui proseguì per Bologna, ove stette fino al 22, ospite del Parroco di S. Martino.
“Appena arrivati - così Don Berto - già il Card. Morichini [466], autore della Petreide[78] ed Arcivescovo di detta città, aveva dato ordine di dire a Don Bosco che l'avrebbe sospeso da tutte le facoltà ecclesiastiche, se non fosse andato subito a trovarlo. Ci siamo perciò andati tutti e due, e il giorno dopo ci volle seco a pranzo, dopo di che ci condusse in tutti gli angoli della sua abitazione e del suo seminario, trattandoci con un'ammirabile bontà.
“Quivi visitai parecchie Basiliche, tutte ricche di marmi i più preziosi e di quadri di autori classici, così che mi pareva proprio d'entrare in tante pinacoteche. Siamo pur andati a dir la Messa nella chiesa di Santa Caterina da Bologna, dove conservasi il suo corpo; ancora intatto, pieghevole, morbido, sta in qualunque posizione si metta, dopo 400 e più anni dalla sua morte. Questo fatto è un miracolo permanente, che mette in confusione gli increduli”.
Alle 10 ½ del 22 proseguì per Firenze.
Giunto il convoglio sul punto più alto degli Appennini, dove si apriva un orribile precipizio, poco mancò che Don Bosco e tutti quelli che gli erano compagni nel viaggio, non facessero un tremendo capitombolo.
Fortuna che la mano del Signore accompagnava Don Bosco; se no, chi sa quale disastro! Causa dell'incidente fu l'essersi rotta e l'essere uscita una vite della ruota maggiore della macchina. Davanti, poco lungi, stava una lunga e pericolosa galleria, e a destra s'inabissava un orrendo e profondo burrone...
Ripresa la corsa, ecco, poco dopo, fermarsi di nuovo il convoglio! Un altro pericolo ancor più grave!... Presso l'imboccatura della galleria s'era spostata una rotaia, e tutti i viaggiatori si sarebbero sfracellati, se a tempo non fosse stato [467] fermato il treno e non si fossero eseguite le necessarie riparazioni. Un panico straordinario invase tutti i viandanti; molti uscirono dai carrozzoni; e Don Bosco, sorridendo, e quasi scherzando con quelli che gli erano accanto: - Siamo qui due preti - diceva - e in caso che facciamo un capitombolo, prima ci diamo l'assoluzione noi, e poi la diamo agli altri!
Nel frattempo si sparse la voce che tra i viaggiatori c'era anche Don Bosco, e la notizia, come diremo, tornò a molti di conforto.
Giunse a Firenze verso le 6 1/2 pomeridiane. Alla stazione l'attendevano il segretario dell'Arcivescovo e la vettura della Marchesa Nervi, che lo portò in via dei Servi, n. 11, dove fu accolto colla massima gentilezza. Visitò poi la famiglia Uguccioni, e la mattina andò a celebrare nella cappella privata di quella nobile famiglia. In compagnia di Don Berto, visitò quindi altre famiglie, e si recò ad ossequiare l'Arcivescovo Mons. Gioachino Limberti.
Il 24 si rimise in viaggio, ed ecco, come venne compendiata da Don Rua, nella prima circolare inviata alle case, la lunga descrizione della splendida traversata della Toscana, dell'Umbria e del Lazio, fatta da Don Berto in una lettera inviata ai giovani dell'Oratorio:
“Uscito Don Bosco colla guida fuor di Firenze, loro si presentò allo sguardo la bella e verdeggiante campagna, chiamata Valle d’Arno superiore. Non da lungi si vedevano fiancheggiate dagli alti Appennini, sui quali si posano le sacre altitudini di Vallombrosa, di Camaldoli e di Alvernia, tanto celebri nella storia del Medio Evo. Passarono per Arezzo, una delle prime e più antiche città dell'Etruria, patria del grande Mecenate, di Guido l'inventore delle note musicali moderne, del Vasari, del Redi... Furono anche a Cortona, posta sopra un alto colle, dove in una maestosa cappella riposano le sacre ceneri di quella gran peccatrice, ma poi convertita, Santa Margherita da Cortona. Fiancheggiando il lago Trasimeno, celebre per la sconfitta toccata ai Romani quando erano alle prese coi Cartaginesi, giunsero a Perugia, patria dell'insigne Pietro Vannucci, maestro del celebre Raffaello. In seguito, dopo due ore di cammino, giunsero nella [468] città di Assisi, posta sopra un alto colle, dove si venera il corpo del serafico S. Francesco, e dove ebbe i natali il celebre Metastasio.
“Passando per Spoleto, Terni e Narni, patria dell'imperatore Nerva, giunsero nel tratto di paese, che gli antichi chiamavano Lazio, dove, fiancheggiando buon tratto il Tevere, giunsero sui confini della Metropoli del mondo. Le case diroccate, i frantumi dei caduti monumenti, denotavano fin dove s'estendeva l'antica Roma”.
Giunti a Roma sull'imbrunire, trovarono alla stazione la vettura di Mons. Manacorda, che, in un momento, passando davanti al Quirinale li condusse in casa Colonna, spedizioniere apostolico, in via S. Chiara, N. 49.
Il giorno appresso Don Bosco celebrò in casa, poi si recò a visitare il Card. Berardi, suo grande ammiratore e, diciam pure, vero protettore, che s'interessava di tutto quello che domandava alla S. Sede, facendosene patrocinatore diretto presso il Sommo Pontefice.
E senz'indugio si mise all'opera. Il Papa gli confermò il permesso di trattar col Governo come la prima volta: la S. Sede non doveva comparire affatto in questi tentativi di accomodamento, ed egli avrebbe agito per suo conto, attenendosi alla Legge delle Guarentigie.
- I Vescovi come avrebbero potuto chiedere le temporalità, senza che la domanda sembrasse un atto di riconoscimento del Regno d'Italia?
Molti del Vaticano erano così contrari alla cosa, che non avrebbero neppur voluto che se ne iniziassero le trattative. Ci voleva quindi un coraggio straordinario.
Don Bosco, nella singolar prudenza che sempre usava in ogni affare, aveva chiesto consiglio a varie persone di stima e competenza sotto ogni punto di vista, anche perchè, parlandone poi esse in privati colloqui, avrebbero dichiarato d'essere dalla sua parte. [469] Tra gli altri che consultò fu l'illustre P. Sebastiano Sanguinetti, della Compagnia di Gesù, che gli preparava un memoriale, e glie lo faceva avere, o a Torino prima che partisse, o appena giunto a Roma.
Il prezioso documento tratta egregiamente di due cose: delle elezioni politiche, alle quali fin d'allora non si voleva che partecipassero i deputati del partito clericale, e della domanda del R. Exequatur; ed attesa la sua particolare importanza, lo riportiamo integralmente.
Nel mettere in iscritto, come V. S. Ill.ma me ne ha mostrato il desiderio, alcuni appunti intorno a quelle questioni che furono il tema dell'ultimo nostro colloquio, premetto di bel nuovo quella sincerissima protesta di sottomettere pienamente ogni mio giudizio alle autorità della Sede Apostolica, gloriandomi, come deve fare ogni buon figliuolo della Chiesa, di seguire in tutto il Vicario di G. Cristo.
Propongo quindi modestamente alcuni dubbi e nulla più.
Per quanto mi sia sforzato di leggere senza passione, anzi studiandomi qualche volta di avere prevenzione favorevole, quanto si è scritto in Italia di più importante contro il partecipar de' cattolici alle elezioni politiche, confesso candidamente che non ho trovato nulla che veramente provasse non essere esse nè lecite nè opportune.
Riguardo all'essere lecite, mi pare assai ovvio il notare:
1° Che il deputato anche secondo il meccanismo costituzionale rappresenta la nazione non il governo, e non la rappresenta indeterminatamente, ma in un modo al tutto determinato, cioè nel diritto essenziale ed inalienabile che essa ha di sussistere, il che non può farsi se non è retta da leggi.
2° Che quindi il giuramento non implica per assoluta necessità se non il riconoscimento dell'autorità sociale di fatto la quale non è fonte di poteri, ma solamente condizione, sine qua non, dell'esistenza materiale della Società medesima.
3° Che dunque il deputato ha il potere legislativo della sola società, che ha il dovere ed il diritto di conservarsi. Cade con ciò la speciosa obbiezione che si usurpano i diritti della legittima autorità.
4° Che coll'iniziativa parlamentare, qualunque deputato ha diritto di proporre, e quanto da lui dipende, di promovere l'abolizione di qualunque legge esistente, che alla sua coscienza appaia lesiva della religione, della morale, come pure del bene economico amministrativo ecc. della nazione. [470]
5° Segue da ciò che il giurare che fa l'osservanza delle leggi dello stato ha nel deputato essenzialmente connessa una seconda affermazione, che è questa: „riservandomi il diritto di proporre e promovere l'abolizione di quelle che nella mia coscienza crederò ingiuste o dannose”. Parmi che ciò stabilisca un'essenziale differenza fra il giuramento di un deputato e quello di un ufficiale dello stato.
6° Che finalmente colla libertà del voto, può, quanto a lui appartiene, impedire efficacemente ogni legge malvagia.
Ora mi sembra che nel membro di un'assemblea deliberante, non si possano considerare che le sei cose accennate, e da niuna di esse nè da tutte insieme risulti ombra di cosa illecita e peccaminosa. Dunque ecc. Risponderò fra poco all'obbiezione dello scandalo che si darebbe ai buoni.
Riguardo all'opportunità, mi pare che si possano far osservare le cose seguenti:
1° I risultati finora ottenuti in Italia coll'astensione, si riducono a questo solo di aver resa possibile ed eziandio agevole l'attuazione di qualsiasi misura anche più vessatoria ed ingiusta contro la Chiesa. So che si vanta essersi con ciò ottenuto che il Regno d'Italia non si consolidasse, non venisse falsato il senso morale della nazione ed altrettali cose. Quanto questo sia vero apparirà da quello che subito soggiungerò. I risultati adunque positivi dell'astensione sono stati, a dir poco, nulli per la buona causa.
2° Vengo alle grandi ragioni testè accennate. Primieramente il dire che non si può nè si dee consolidare l'ingiustizia e l'iniquità, che non bisogna falsare ne' popoli il giudizio sul giusto e l'ingiusto, togliendo la differenza dell'uno e dell'altro ecc. è vero in sè, ma è male applicato. Quando anche si voglia ammettere che ne' primi momenti una provvisoria astensione sia una dignitosa protesta contro l'ingiustizia, mi pare che ogni uomo ragionevole dee capire che se la Società non può rinunziare al diritto di esistere non può altresì rinunziare ai mezzi essenzialmente necessari a tal uopo, e prima di ogni altro a buone leggi. Questo se vale sopratutto per le religiose e morali, non esclude le politiche, amministrative, finanziarie, militari, giacchè da tutte quando sian buone risulta il progresso morale. Quindi ogni uomo ragionevole dee capire che il partecipare al potere legislativo con coscienza cattolica è cosa che è ordinata di per sè al bene sociale e che quando anche ne seguisse il consolidamento e il successivo legittimarsi del governo di fatto, ciò avviene per indiretto, ed in ogni caso sarà sempre minor male del disordine e dell'anarchia. Chi si prende scandalo di ciò, o è persona istruita ed ha torto, o è volgare e sia ammaestrato dall'autorità. Scompare con ciò il fantasma del pervertimento del senso morale.
3° Parmi inoltre non dispregevole un argomento di fatto. Io domando, se nello stato presente (giacchè non amo vagolare nelle [471] astrazioni) delle idee sociali, l'anarchia cioè la pessima forma delle rivolture politiche, essendo per la sua natura medesima violenta e turbinosa, temporaria, abbia per conseguenza, ove si riguardi il fatto, la così detta ristorazione, non dirò religiosa morale intellettuale, ma la tanto vagheggiata ristorazione politica, ossia la ricostituzione degli ordinamenti pubblici preesistenti. Il fatto fino ad ora mostra tutto altrimenti. Basta il solo esempio della Francia. Dunque il grande principio: „lasciamo ir tutto a precipizio che innaffiati dal petrolio sbocceranno più rigogliosi i gigli delle legittimità, e succederà all'anarchia la beatitudine dell'assolutismo”, non ha alcun ragionevole fondamento. Coll'astensione de' buoni si spinge la Società ad un male certo, l'anarchia, per un ottimismo incerto che forse non si avvererà giammai.
4° A questo si aggiunge l'esempio delle altre nazioni. Non ignoro che da coloro che hanno contraria opinione, si dice che noi Italiani siamo in un caso speciale. Si dice, ma non si prova. Tutto sta in quell'equivoco che il deputato cattolico colla sua partecipazione al potere legislativo approvi tutto quello che ha prodotto l'ordine politico esistente; non lo approva, ma lo prende come un fatto, e in forza di un altro principio, cioè, della conservazione sociale, si avvale di quel potere che ha in mano per impedire efficacemente il male ed operare il bene. Ora in ciò non v'ha differenza fra nazione e nazione. Sotto questo aspetto, anche quando siano state sacrilegamente invase le ragioni della Chiesa, lo stato delle cose non muta, giacchè anche allora la Società tende alla propria conservazione.
5° A dar maggior risalto a questo argomento giova un'altra osservazione che sembrami importantissima, mostrando chiaramente che non si può paragonare in ciò la Società presente colle passate. Se nei cangiamenti di governo che ora accadono sì frequenti, non vi fosse che una differenza in forma e intatti rimanessero i più essenziali diritti sociali, l'astensione potrebbe avere per suo motivo l'abbominio per un governo usurpatore, e d'altra parte non correrebbe pericolo per essa la società. Ma ora il non far nulla è lo stesso che affrettare la dissoluzione sociale. Ogni disordine è più o meno prossimamente sociale e ad ogni disordine sociale ognuno ha se non il dovere almeno il diritto di opporsi e co' mezzi legali, che sono in sua mano. Risulta da ciò che sarebbe ora un'ingiustizia manifesta, se ritornando per caso il legittimo principe egli volesse puniti coloro i quali avessero partecipato all'organismo legislativo del governo di fatto, a solo fine d'impedire il disordine e l'anarchia, il che si dee sempre supporre in chi caldeggiò sempre leggi eque e vantaggiose alla nazione. Parlo qui solo dell'organismo legislativo, tale essendo l'obbietto del mio discorso, ma con ciò non intendo di escludere altre specie di non colpevole partecipazione. Ma la Dio mercè su questo punto sono talmente radicate le idee moderne che non vi ha pericolo dell'opposto. [472] Dal che eziandio si fa chiaro che nel diverso apprezzamento de' delitti politici a fronte de' comuni vi ha qualche cosa di vero, in quella guisa medesima che ne' concetti di libertà, progresso, eguaglianza, tolleranza, fautori così influenti nel moderno incivilimento, il vero è frammisto al falso, nè tutto in essi può abbracciarsi o rigettarsi senza discernimento di sorta.
6° Da un siffatto diritto di opporsi al disordine sociale, non voglio già dire che nasca in chi s'astiene dall'usarne una vera imputabilità di quel male che avvenga nel corpo sociale, ma parmi non possa negarsi, che se i cattolici si valgano di quei mezzi che soli sono legalmente efficaci, molto più apertamente manifesteranno con ciò a tutti non aver essi alcuna colpa o parte ancorchè negativa, ne' mali che si commettessero. Di guisa che quando anche fosse vero quello che ci si canta da alcuni zelanti su tutti i toni “che andando alle elezioni ed anche riuscendo alcuni de' nostri ad entrare nel Parlamento, non faremmo nulla, non approderemmo a nulla” (tutti futuri contingenti per noi miseri mortali assai incerti), i cattolici nel parlamento farebbero o potrebbero far sempre almeno due cose, difendere la verità, la giustizia, il bene sociale, e col loro voto opporsi col solo mezzo veramente efficace, quanto è da loro, all'iniquità. E gli elettori coll'eleggerli e gli eletti col corrispondere alle intenzioni di chi li prescelse, darebbero chiaramente a divedere che essi hanno fatto tutto quello che potevano pel bene sociale. Tuttavia vi sarebbe molto molto da dire intorno a questa inutilità che con sì balda fidanza si afferma come cosa certissima ed è ben lungi dall'esserlo. Ma, e se gli eletti fossero della mala genia de' cattolici liberali? Non essendo ora uopo di entrare in quel labirinto d'equivoci che si racchiude nell'uso che si fa da molti e più nell'abuso di questa appellazione “cattolico - liberale”, mi contento di rispondere che “Deputato cattolico” non vuol dire cattolico liberale e che è antico il detto “adducere inconveniens non est solvere argumentum”.
7° Appoggiato a quanto son venuto sin qui dicendo, credo non incorrer la taccia di ardito, se affermo che la polemica sostenuta da parecchi giornali e periodici conservatori contro il diritto elettorale dei cattolici e i suoi propugnatori, è stata, a dir poco, soverchia, ossia che si sono spinte le cose ad un tale eccesso di esagerazione, che si è voluto dimostrare, l'esercizio del diritto elettorale per parte de' cattolici italiani essere un attentato sacrilego contro la religione, la morale cristiana, la giustizia, anzi perfino contro la stessa naturale equità. Un tal vezzo di tutto maledire tutto inasprire, ha per sua naturalissima conseguenza il sostituire il desiderio del trionfo delle proprie opinioni al puro e sincero desiderio del solo trionfo della verità. Da un tal modo di discutere le quistioni, proviene in quelli che con tutta la buona fede hanno un'opinione contraria, l'indispettirsi vedendosi attribuire intendimenti proprii solo de' settarii, de' nemici di [473] Dio e della Chiesa, intendimenti che essi hanno l'intima e coscienziosa convinzione di abbominare con tutta l'anima, e molte volte col cuore esacerbato per quell'ingiustissima intolleranza si trascorre a dir cose riprovevoli, che non si sarebbero dette, se ne' contradditori avesse avuto più dominio la ragione, e meno il pregiudizio e la passione. Potrei citare esempii molto ovvii e contemporanei, ma V. E li conosce meglio di me, ed io qui solo accenno alcuni punti importanti intorno a questa quistione delle Elezioni politiche.
8° Una siffatta polemica intollerante e soverchia è tanto più fuor di ragione nei cattolici, quanto più saggia, avveduta, benigna è stata l'economia adottata dalla Sede Apostolica in questa controversia. Se noi la riguardiamo nelle sue pubbliche manifestazioni, essa fu dapprima una concessione, ristretta con alcune condizioni riguardo alla formola del giuramento, in forza della qual concessione, o dichiarazione, era ai cattolici lecito e libero l'accettare il mandato di deputato e quindi altresì di conferirlo, poi compiuti gli ultimi fatti a danno della città stessa di Roma, venne risposto a chi chiedeva, con una misura di prudenza di “non expedire” indicandosi così una convenienza che ogni cattolico dovea riverire con ossequio, ma che era ben lungi sia dallo sciogliere la controversia intorno alla intrinseca natura della cosa, sia dallo stabilire una norma pratica costante e perpetua di azione. Ma tutt'altra è l'interpretazione arbitraria data da una certa scuola, a cotali prudenti, saggie e riservatissime risposte della S. Sede. Si volle in esse vedere una condanna aperta, formale, perentoria, di chiunque tenga la sentenza che qui io difendo, e da certi scrittori, siamo stati tutti, quanti opiniamo esser le elezioni politiche lecite ed opportune almeno in se stesse, prescindendo da una momentanea proibizione, messi in un fascio, e bollati in fronte col marchio di cattolici liberali, termine, come dissi, ambiguo, che il più delle volte è un insulto, spessissimo una calunnia, e tenuti in conto di gente che tradisce la verità, patteggia coll'ingiustizia, incensa il delitto fortunato!
9° Finalmente non mi pare che la quistione sia essenzialmente cangiata per l'occupazione di Roma. I principii di cui mi son servito a dimostrare il mio assunto ammettono anche questa ipotesi. Tolto quindi un positivo volere del S. Padre, che solo basta per ogni buon cattolico, le ragioni recate in mezzo da alcuni per mostrare tale differenza, dico francamente che mi paiono argomenti speciosi, estetici se si vuole, ma poco concludenti. La cosa quindi anche adesso rimane la medesima.
Rimetto a V. S. III.ma queste mie rispettose e insieme libere osservazioni intorno alla controversia delle elezioni politiche. Mi sono esteso più che cominciando non avea in animo di fare, ma questa è per me la cosa più importante. Intorno agli altri punti mi terrò pago, a tutto rigor di termini, a soli cenni. [474]
Intorno a questa controversia dell'Exequatur richiesto dal Governo Italiano a norma della legge delle guarentigie dai Vescovi nominati liberamente dal Papa, mi pare possano stabilirsi le cose seguenti:
È prima d'ogni altra cosa, da aversi come principio fondamentale, che se il presentare le Bolle di nomina al regio exequatur, in qualunque modo si faccia, ha per sua conseguenza un riconoscimento qualsiasi anche implicito dell'attuale ordine politico e segnatamente della legge delle guarentigie, da parte della S. Sede, non può neppur muoversi la quistione, se vi sia un qualche modo di aggiustar questo affare. Ma non mi sembra che ciò sia vero. Ecco come io ragiono.
Che la richiesta dell'exequatur sia fuori di ogni diritto della Civile Società, ingiusta e tirannica soprattutto nel regime di libertà, è cosa tanto manifesta che non ha bisogno di prova.
Tuttavia non è cosa intrinsecamente cattiva, nel senso rigoroso di tal frase, e così potè la S. Sede tollerarla in vari Concordati.
Parimente è indubitato che il Vescovo nominato dal Papa ha con ciò solo, in diritto, la pienezza di tutti i poteri che spiritualmente e temporalmente eziandio gli competono e quindi è ingiusto sottoporli ad altre condizioni.
Senonchè essendo il Vescovo altresì cittadino, e come tale soggetto alle leggi dello Stato, non si vede perchè non possa SUBIRE una legge anche vessatoria ed ingiusta, ma che non lo obbliga ad un atto intrinsecamente cattivo, adempiendo le prescrizioni di quella, nella stessa guisa come si sottopone alle leggi, p. e. ipotecarie, di successione ecc. Una tale soggezione è atto dell'individuo nominato non della Sede Apostolica.
A togliere lo scandalo de' pusilli basterebbe che in qualunque modo (p. e. con una lettera del S. Padre al Card. Segretario di Stato o altro qualsiasi più familiare, non convenendo adoperare forme più solenni) basterebbe dico che si facesse ben rilevare questa relazione individuale che come cittadino il Vescovo nominato ha verso lo Stato, e che quindi la presentazione delle Bolle è atto non della S. Sede, nè propriamente del Vescovo, ma del cittadino il quale per le leggi vigenti dee sottoporsi a tal vessazione se vuol entrare in possesso di tutti i suoi diritti.
Un tale atto non comprometterebbe dunque per nulla la S. Sede la quale dichiarerebbe anzi apertamente, che come il Papa non nomina in forza della legge delle guarentigie, ma per il potere ricevuto da Dio, così una volta fatta la nomina tutto è fatto per parte della S. Sede.
Da parte del vescovo nominato non vi è, se ben si riguarda, se non il riconoscimento di fatto di un potere vessatorio ed ingiusto, al quale tuttavia non può sottrarsi se vuole entrare nel pieno dominio de' suoi diritti.
Il subire questa vessazione è una dolorosa necessità, per la strana [475] interpretazione (a dir poco) data dal Ministero Italiano della parola “temporalità” in forza della quale i Vescovi che non hanno l'Exequatur si trovano in gravissimi imbarazzi, non tanto pel loro sostentamento, quanto per l'esercizio delle più gelose funzioni del loro apostolico ministero.
Che se ciò non fu fatto sino al presente a titolo di protesta, e per vedere se cessasse l'ingiusta pretesa troppo ripugnante all'indole medesima della legge delle guarentigie, opera del Governo Italiano, e che tutta lui solo riguarda, si può con eguale sapienza e prudenza, or che quella protesta è a tutti palese, dichiarare, come dissi, che “i Vescovi possono come individui e cittadini sottomettersi se il credono conveniente a quelle condizioni che secondo le leggi vigenti son necessarie”, senza le quali non possono fruire del libero esercizio de' loro diritti.
Sarebbe poi un'aperta ingiustizia (sebbene non impossibile) se il Governo Italiano rifiutasse l'Exequatur a qualcuno de' nominati, giacchè allora sarebbe annullata la pretesa guarentigia della libera nomina dei Vescovi.
Questo così di volo per un Promemoria; V. S. Ill.ma saprà dire più e meglio di me.
Don Bosco subito intraprese le pratiche per giungere ad una soluzione dello spinoso affare. Anche il Card. Antonelli era contrario a qualsiasi accomodamento, e non avrebbe mai tollerato alcun tentativo; ma sapendo che il S. Padre aveva dato a Don Bosco ogni facoltà nel modo indicato, ed avendo egli pure per lui la più profonda e schietta ammirazione, lo lasciava fare, limitandosi a tenersi al corrente della santa e scabrosa impresa.
Il 26 Don Bosco si recava a fargli visita. Venne subito ricevuto, e il colloquio durò due ore. „Il soggetto dominante dell'abboccamento - scriveva Don Berto - furono le temporalità dei Vescovi, cioè si raggirò intorno al modo di poterle ottenere dal Governo senza lesione dei diritti della Santa Sede”.
L'Eminentissimo fu molto contento della visita. Aveva per lui tanta stima che l'intrattenne a parlare anche di altri importanti affari, e l'esortò a visitarlo presto un'altra volta. [476] Anche Don Berto potè baciargli la mano, e si sentì incoraggiato a dirgli alcune parole; ed egli: - Pregate, gli diceva, pregate il Signore, che ci dia forza a sostenere queste gravi tribolazioni!
Nel tornare a casa, Don Bosco confidava a Don Berto:
- Il Card. Antonelli ha con me la più grande confidenza, e mi dice le cose anche più segrete.
Di quel giorno chiese pure udienza al Santo Padre, e nel pomeriggio del 27 gli giungeva la comunicazione che era atteso di quella medesima sera, alle 18, 15. All'ora fissata si trovò in Vaticano. Entrato nelle sale delle pubbliche udienze, dopo i primi istanti, appena: seppero il suo nome, vari Prelati lo circondarono, congratulandosi con lui e dicendosi lieti di vederlo.
“Erano le 6 ½ e Don Bosco entrava dal Papa, dove, dopo un'udienza di ore 1 ½ - così Don Rua nella prima circolare - venne ammesso anche il suo segretario, ed attesta che fu tanta la riverenza che lo colse nel vederlo, che non potè a meno di gettarglisi ai piedi ed implorare la sua benedizione.
Oh quanta benevolenza ed affabilità ha il S. Padre! Don Berto, facendosi animo e volgendo la parola a Sua Santità, gli disse: - Quanto è mai grande la mia fortuna! ora se dovrò morire, morrò contento! - e Pio IX, interrompendolo, con un sorriso angelico e benigno disse: - Cantiamo dunque ora il Num dimittis servum tuum in pace? - Dettogli poscia del numero stragrande di giovinetti che Don Bosco aveva per figli, Sua Santità ne rimase come stupefatto ed ebbro pel contento; ed avendogli Don Bosco chiesto un consiglio per tutti i suoi figli e la sua benedizione, Pio IX rispose:
“- Sì, sì, concedo tutto, benedico tutti; e che altro posso io mai lasciare a quei giovanetti, che di perseverare nel bene? Adolescens iuxta viam suam, etiam cum senuerit, non recedet ab ea... Adesso, riprese, lasciatemi passare, vado a prendere una medaglia per ciascuno dei vostri figli; a Don Bosco la più grossa, non è vero?
Ricevuta poscia la benedizione papale, ritornarono a casa consolati...”.
Era già notte avanzata, e Don Bosco strada facendo diceva a Don Berto:
- Abbiamo fatte molte cose; avevo messo in ordine tutto quello che dovevo dire e chiedere, di modo che anche il Santo Padre ne fu contento e mi diceva: - Se facciamo così, sbrigheremo molti affari. - E gli concesse anche i titoli di Monsignore per Don Masnini segretario del Vescovo di Casalmonferrato, e per il Teol. Appendini, che era stato suo professore in Seminario ed allora era Prevosto di Villastellone.
E gli confidava anche, come avesse umiliato all'Augusto Pontefice l'offerta di 1000 lire in marenghi del Marchese Fossati ed altre offerte di pie persone, ed avesse ottenuto varie decorazioni dell'Ordine di S. Silvestro e di S. Gregorio Magno, per il sig. Occelletti, per il prof. Lanfranchi, per l'avv. Alessio, e per Marcello Arnaldi, „mentre, osservava, il Santo Padre dimostra un po' di fastidio, quando altri gli domandano tali favori”.
Giunse a casa assai tardi, ma felice della bontà dimostratagli dal Sommo Pontefice.
Altra visita d'importanza fu quella al Palazzo Braschi. Lo stesso Giovanni Lanza, Presidente dei Ministri e Ministro dell'Interno, il 4 marzo gli scriveva d'urgenza, fissandogli l'udienza per quel giorno, alle due pomeridiane. Appena entrò nella sala d'aspetto, gli impiegati s'alzarono in piedi, e l'accolsero con ossequio e si fecero in quattro per introdurlo dal Ministro. Questi aveva altri affari urgenti da sbrigare, e lo pregarono d'attendere un momento, non già nella sala comune, ma in salotto interno, insieme con Don Berto.
Verso le 3 venne introdotto e, dopo d'aver parlato, proposto, discusso per un'ora, trattandosi di concludere qualche cosa, vennero chiamati il Ministro della guerra e quello di grazia e giustizia coi loro segretari, ed il colloquio si protrasse ancora per due ore cosicchè Don Bosco, che aveva dovuto rispondere a tutte le difficoltà ed alle interrogazioni incessanti dell'uno e dell'altro, sempre attento a coglier il destro [478] per esporre qualche ragione favorevole alla Chiesa, ne uscì ridendo, tutto sudato e rosso in faccia; e la prima cosa che, disse a Don Berto, appena fu solo con lui, fu questa: - Io non ne posso più; non vedo più neppure dove vada!
Don Berto prese a sorreggerlo al fianco, e nello scendere lentamente le scale, egli continuava sorridendo:
- Se qualcuno si fosse trovato presente, avrebbe detto:
“Don Bosco, lasci quella canaglia!”. E in mezzo a quella canaglia io mi trovavo come un pulcino; ne avevo sei d'attorno, e tutti cercavano d'imbrogliarmi a forza di sofismi. Povero Lanza! Ma piacque loro il parlare di Don Bosco, perchè io non faccio tanto uso del raziocinio, ma preferisco esporre le contraddizioni e le tristi conseguenze che ne verrebbero, posto quel principio.
La sera del 6 marzo ebbe un nuovo abboccamento col Card. Antonelli, che durò oltre due ore. Ne ebbe altri anche col Ministro, ma non possiam dire il giorno preciso in cui avvennero. Don Berto, occupatissimo nello spaccio dei biglietti della lotteria, non poteva seguir Don Bosco ad ogni passo; ma il 12 marzo scriveva al direttore di Lanzo, Don Lemoyne:
“Don Bosco tenne già una conferenza col Ministro dell'Interno (e due col Cardinal Antonelli) per le note temporalità, e il Ministro par molto disposto ad ottenere e concedere ai Vescovi che prendano possesso dei loro Episcopi. La visita di Don Bosco lo dispose pure ad opporsi alla soppressione dei generalati. Anzi pare risoluto di dare piuttosto le dimissioni, che permettere questo; preghiamo!
Qui in Roma c'è uno scoraggiamento universale dalla parte dei buoni nel fare il bene, dimodochè la presenza di Don Bosco torna di non poco vantaggio. Siamo attesi in molti siti, parecchi ci offrono abitazione, si offrono a prestarci servizi. Di questa settimana rivedremo il S. Padre...”.
Don Bosco ebbe altri colloqui col Ministro, come risulta dalle note di Don Berto. „Altra volta - egli scrive - Don Bosco, andando al Ministero verso le due, s'intrattenne un poco con gl'impiegati, qualcuno già suo conoscente ed altri attirati dal suo parlar grazioso. Ed uno di loro gli disse: [479]
- Venga a metter anche qui in Roma una casa. Lanza Le vuol bene; non mancherà di proteggerla.
E Don Bosco: - Vorrei dirvi una cosa, ma non mi azzardo.
- Voi altri parlando così, o giudicate me un minchione, o minchioni siete voi, che credete che un prete possa venir qui a mettersi sotto gli auspici del Governo. Che direbbero tutti gli altri sacerdoti e il Papa?...”.
L’ardua impresa, alla quale s'era accinto, era sempre malvista da molti del Clero, perchè ritenevano che egli, da buon buzzurro (era il nome che davano ai piemontesi invasori) più che ad altro mirasse a favorire e a metter in buona luce il Governo.
Invece era riuscito a far qualche cosa. La questione si era aggirata sul modo di poter concedere la temporalità ai Vescovi nominandi, ed egli stesso ci dice nettamente, in un promemoria, come il Ministero avesse proposti e il Consiglio di Stato approvati alcuni modus vivendi per venire ad una conclusione.
“I quattro modus vivendi, come dicono, proposti dal Ministero ed approvati dal Consiglio di Stato erano:
1° I Vescovi diano commissione e presentino la Bolla di loro preconizzazione.
2° Il Capitolo o la Curia od altra autorità competente presentino un sunto della Bolla, dichiarando che nulla fu aggiunto alle formole solite ad usarsi in tali scritti.
3° Si presenti una Bolla qualunque e si dichiari che nella spedizione di quella spedita per N. N. nulla fu cangiato.
4° Una dichiarazione del Segretario del Concistoro, che dichiari singillatim nome, tempo, diocesi, con dichiarazione che nulla fu modificato nella spedizione della Bolla.
In generale sembra che si temano consigli segreti annessi od inseriti nella Bolla da spedirsi. Questo timore fu tolto, e se ne mostrarono contenti.
Si trattò a lungo sopra ciascuno, intorno a cui il Ministero si mostrò propenso a modificare quei vocaboli, che potessero sembrare indecorosi alla S. Sede. [480]
Il modus vivendi più conforme ai principi della S. Sede sarebbe l'articolo 2° modificato come segue:
Il Capitolo, la Curia, od altra autorità competente mandino dichiarazioni al Procuratore del Re o ad altra autorità governativa, che nel Concistoro tenuto nel giorno….. il Sacerdote….. fu preconizzato Vescovo di….. e ne fu spedita la Bolla colle forme solite, oppure semplicemente la solita Bolla.
Questa formola ultima sarebbe adottata, ma il Ministero desidera di metterla in esecuzione o nelle ferie pasquali, se hanno luogo, o meglio in quelle di giugno, quando il Ministero libero dalle interpellanze potrà senza timore effettuare il suo desiderio.
Lanza e De Falco [Ministro di Grazia e Giustizia] assicurano ambidue, che se nella pratica di quanto sopra sarà necessaria qualche modificazione di parole, si troverà la massima condiscendenza.
Lanza inoltre assicurò che Proteggerà a tutta possa i Generalati, che in caso contrario cesserà dal Ministero; che studierà di ricompensare i Vescovi della dilazione, cagionata dalla necessità, per mettere i Vescovi in possesso delle temporalità”.
Il primo modus vivendi venne dal Vaticano assolutamente respinto; degli altri tre si vagheggiava di poter raggiungere il primo. Dunque, se non aveva raggiunto la mèta, aveva già fatto un passo di non poca importanza.
Don Rua, nelle circolari ai direttori, non fece alcun cenno esplicito di cotesto lavoro compiuto in quei giorni dal Santo, ma chiaramente alludeva ad esso nelle parole con le quali chiudeva la prima circolare, raccomandando particolari preghiere perchè il Signore accompagnasse il suo fedelissimo Servo nella santa impresa.
“A noi, in quanto che siamo fortunati figli di un tanto Padre, non spetta che di pregare, affinchè godendo sempre di quella sanità che tanto gli è necessaria, possa, mercè le nostre preghiere, tutto ottenere, sia a nostro pro, sia a pro di tante anime, che aspettano nient'altro che la carità di Don Bosco le vada a sollevare...
Forse nella prossima settimana avremo il piacere di rivedere il caro Don Bosco, il quale desidera che si faccia [481] a S. Giuseppe una bella festa. Ti noto che adesso specialmente ha bisogno di preghiere e Comunioni”.
Le due circolari di Don Rua, delle quali ci restano le minute e la copia inviata al Direttore del Collegio di Lanzo, sono senza data; ma dal contenuto appare chiaro che la prima venne spedita nella prima settimana di marzo, e la seconda al principio della terza settimana; e a questa, anzichè spigolar noi dalle lettere di Don Berto, diamo la preferenza, riferendola integralmente:
“W. G. G. M. - Car.mo Venendo a Voi, amati fratelli, per la 2a volta con notizie del nostro Padre Don Bosco, devo dapprima farvi noto lo stato della sua salute in questa sua assenza, e godo di potervela annunziare sempre discretamente buona, e prospera, e questo mercè le vostre continue preghiere. Continuate.
In Roma è movimento generale per Don Bosco. Tutti vogliono vederlo, dirgli una parola; dal mattino per tempo sino ad ora tarda della sera non ha mai un momento di libertà, sempre attorniato da mille che lo vogliono vedere, e, se possono, parlargli.
Abbiamo da una lettera del 13 - 3 che alle ore 9 del 12 - 3 si è sentita in Roma una terribile scossa di terremoto che durò cinque minuti primi; e rendono grazie al Cielo che non sia più a lungo durata, chè, se due minuti di più fosse durata, Roma sarebbe andata in rovina. Si teme che ciò si rinnovi per lo stato presente del cielo. In conseguenze di ciò si aprirono nell'agro romano varie voragini; non si ebbe però a deplorare disastro grande; solo abbiamo che in Roma si ebbe una terribile paura; ed in vero il sentire all'improvviso suonare campane e campanelli, il vedersi piegare addosso le muraglie, il sentirsi mancare il pavimento di sotto i piedi, questo sarebbe bastato per incutere timore a qualsiasi uomo coraggioso.
Il 13 - 3 Don Bosco ebbe la visita di una deputazione inglese, la quale, venuta a Roma per parlare al S. Padre Pio IX, e informata che Don Bosco ivi pure trovavasi, andò a vederlo, e si adoperò a tutt'uomo per cavargli di bocca l'impiantamento di un collegio anche in Inghilterra. Come se la sia cavata Don Bosco, non lo sappiamo. [482] Per conoscere quanta sia la stima che i Romani, non solo, ma i Bolognesi anche, i Parmigiani ecc., hanno verso Don Bosco, sentite. Nel convoglio, che già dicemmo essere stato in gran pericolo per il mancamento di una vite della ruota maggiore, e per lo spostamento delle ruotaie, erano molte altre persone, tra le quali una di casato distinto. Or bene, quando già si credeva di tombolare dagli Appennini, le pervenne all'orecchio che nello stesso convoglio eravi Don Bosco, ed ebbe tanto sollievo al pronunciarsi di questo nome, che subito disse: - Oh se c'è Egli con noi, non c'è nulla a temere; chè, se anche dovessimo tombolare al fondo, non ci faremmo alcun male; - e questo episodio venne riferito a Roma allo stesso Don Bosco.
Singolare poi è l'amore che apertamente gli manifestano i Romani, i quali, anche dei più ricchi, si reputano felici, se possono da Lui ottenere una visita, una Messa, od almeno una Parola.
È meraviglia come Don Bosco così lontano, immerso in tanti affari, non si dimentichi de' suoi figli, eppure Egli non parla che de' suoi figli, sia che operi, sia che scriva, tutto la per i suoi figli.
E noi? Oh procuriamo almeno di compensarlo colla nostra buona condotta, affinchè, chiedendo di nostre notizie, possa averle consolanti, che lo compensino di tante fatiche, che Egli la per noi.
Fra non molto avremo in Torino una carovana di giovinetti romani, fra cui uno, che serve da chierico nella Basilica di S. Pietro in Vaticano.
Un giorno, mentre Don Bosco si recava alla sua dimora, percorrendo le vie di Roma, gli passarono a fianco alcune squadre di bersaglieri, quand'ecco uno di questi si spicca dalle file, e corre a baciargli la mano; esso Poi gli dimandò chi fosse, ed intese che era un certo Ferrero Luigi di Carignano.
Varie persone parlando con Don Bosco, ed interrogandolo sugli affari presenti e futuri della Chiesa, ebbero in risposta che per tutto il '73 non vi sarebbe alcun segno di tranquillità alla Chiesa, e che questa pace non sarebbe alla Chiesa se non col finire del 1878. Già sin dal 1847, interrogato su ciò, rispondeva la stessa cosa; ne vedremo l'esito. [483] Una sera, trovavasi Don Bosco col suo segretario, e dietro a loro venivano due personaggi di alto affare. Questi non conoscevano Don Bosco di persona, e, discorrendo fra loro con voce piuttosto alta, dicevano che gli affari presenti vi sarebbe Don Bosco solo che potrebbe aggiustarli, e superare tutte le difficoltà. E Don Bosco, a due passi da loro, rideva, pensando al proverbio: Lupus in fabula.
Richiesto Don Bosco di andare a benedire un giovinetto paralitico, vi andò subito, e lo benedisse, e poscia assicurò i parenti che per Pasqua sarebbe interamente guarito.
Ebbe già un abboccamento col Ministro Lanza, e spera di averne altri ancora. Le parole di Don Bosco sono accolte benevolmente dai Ministri, e, speriamo, che facciano anche breccia nei loro cuori.
In vista di tanti atti di amore, che gli Italiani non solo ma gli stranieri professano a Don Bosco, della confidenza illimitata che pongono in Lui, noi che gli siamo figli, quanto maggiormente dovremmo amarlo, quanta confidenza dovremmo avere in Lui!
Sì, quello che non abbiamo fatto pel passato, facciamolo pel futuro; amiamo tanto il nostro Padre, per Lui preghiamo, affinchè possa Egli come buon capitano condurci all'acquisto del Regno dei Cieli.
Addio, addio. Speriamo che Don Bosco arriverà nella corrente settimana. - Tuo aff.mo Don Rua”.
A Roma nel 1873 si riteneva da tutti che in quell'anno si sarebbe veduto il trionfo della Chiesa; il Papa, i Cardinali, i preti, i frati, i monaci, i fedeli, tutti s'erano cullati in questa speranza. E Don Bosco rideva.
Già nel passare a Firenze, e precisamente nella visita che fece a Mons. Limberti:
- Mi ricordo, gli diceva l'Arcivescovo, che otto anni fa, qui, nello stesso sito ove ora ci troviamo, interrogato da me se gli Italiani sarebbero andati a Roma, mi rispose: “Sì, ci andranno”. Ed io non poteva credere. Ora mi dica adunque: - Quando saremo liberi?
- Ah! Monsignore, rispose Don Bosco, siamo in mano di gente capace d'ogni eccesso, e prima che ne siamo liberi ci vuole ancora del tempo. Ma non sarà troppo lungo. [484] L'Arcivescovo allora chiamò il suo segretario Don Giustini e gli disse: - Vi ricordate che Don Bosco tanti anni fa ci diceva che Roma sarebbe stata presa? Or bene, scrivete che Don Bosco il 23 febbraio 1873 affermò che fra non molto tempo saremo liberi. Che fino tutto il 1875 Roma non sarà lasciata libera dagli occupatori.
A Roma gli si ripetè due volte la stessa domanda, ed egli dava la stessa risposta.
Il 10 marzo era in casa del Canonico Ghiselini, e, presenti la Contessa Malvasia, il Vescovo di Neocesarea, e un capitano delle truppe pontificie, che era stato prigioniero di guerra ad Alessandria, in Piemonte, il discorso cadde sullo stesso argomento, ed egli ripeteva:
- Fino al 1875 non incomincierà il miglioramento delle cose attuali e neppure fino a tutto il '76, '77, '78; e, più tardi ancora, sarà ristabilito l'ordine pubblico.
Un'altra sera si trovava in casa della signora Mercurelli, Coronaria Apostolica in Piazza Santa Chiara, quand'ecco entrare il Maestro Generale dell'Ordine di S. Domenico, il quale, sedutosi presso Don Bosco, incominciò a deplorare lo stato della Chiesa, e dopo aver enumerati mille motivi di dolore, per consolarsi uscì in queste parole:
- Speriamo che quest'anno sarà l'ultimo: le profezie parlano chiaro; tutti dicono così: “Sarà l'anno del trionfo!”.
- Oh no! signore; se vogliamo farci delle illusioni, possiamo supporre che Don Carlos salga al trono di Spagna, e che, guidata da Enrico V, conte di Chambord, divenuto re, la Francia si unisca alla Spagna: e che Don Carlos ed Enrico V si uniscano e vengano a ristabilire il Pontefice ne' suoi diritti. Ma per ora, umanamente parlando, non c'è speranza alcuna. Certamente se il Signore volesse, potrebbe in un momento; ma fino al 1875 non ci sarà miglioramento, e l'ordine non sarà pienamente ristabilito che fino tutto il '76, il '77 e parte del '78, ed anche più tardi...
La medesima cosa egli disse e ridisse a Tor de' Specchi, ai Canonici Regolari di S. Pietro in Vincoli, e in altri luoghi; [485] e il P. Generale dei Domenicani al sentirlo parlare con tanta franchezza delle cose future, esclamava con meraviglia:
- Oh! poveri noi! se dobbiamo aspettare ancora due o tre anni, ci pelano vivi; ci cacceranno via tutti!
Anche nel viaggio di ritorno, a Modena, ospite in casa del Conte Tarabini, presenti il conte, la signora, e due figli, già soldati pontifici, dopo aver deplorato le tristi condizioni del tempo, tutti presero a dire:
- Quest'anno sarà il trionfo della Chiesa e di Pio IX!
- Non ancora; fino al 1875 non ci sarà nulla da sperare.
- Tutti dicono così... Ella poi, signor Don Bosco, conoscerà la profezia di quel Sacerdote Torinese, la quale dice che dopo tre anni lo stemma del Papa sarà raccolto e rimessogli sul capo da un angelo.
Il figlio più giovane allora esclamò: - Queste son tutte fole.
Ed un altro chiedeva a Don Bosco: - Ella non crede alle profezie?
- Altro è credere alle profezie, ed altro è determinarne il tempo.
- Ma su che cosa Ella si fonda nel dire, che fino al '75 non ci sarà nulla di miglioramento?
Ed egli ripeteva: - È dal 1848 che dico questo, che fino al 1875 non dobbiamo aspettarci nulla. Sarà una mia idea, una mia opinione; sarà una fola come dice lei, ma fino al '75, al '76, al '77, al '78, l'ordine non sarà ristabilito nel mondo. Che le cose poi ritornino tutte quali erano, non so se sia pur da desiderarsi; per me non lo desidero. Ad esempio, non vedevano che le cose di religione in Toscana andavano male? la Chiesa era soggetta al Governo! non si potevano prendere le Ordinazioni Sacre senza permesso dell'autorità governativa! se si doveva eleggere un Parroco, doveva essere eletto dal Governo, e via dicendo. La Chiesa era schiava dello Stato.
Venne pure interrogato intorno al modo in cui Roma sarebbe stata salva. Ed egli: [486]
- Io credo che il Signore si servirà di un monarca Pio, il quale per la prima cosa ristabilirà il Pontefice nei suoi diritti.
Si abbia presente che questi colloqui avvennero prima che egli avesse quell'illustrazione (24 maggio - 24 giugno 1873) sul ristabilimento della pace in Europa, quando scrisse in proposito anche a Francesco Giuseppe I, Imperatore d'Austria; e che, dopo d'allora, prese a dire che Dio si serve di certe comunicazioni per dare un suggerimento, per fare un invito, a seguire le linee indicate, ma se queste non si seguono, le cose restano come prima.
Don Bosco partiva da Roma il 22, deciso di fare alcune tappe a Firenze, a Modena, a Bologna, e, a quante, pare, anche a Milano.
In treno diceva a Don Berto: - Sai perchè Don Bosco gode tanta stima e confidenza? perchè nel parlare è senza misteri, è sempre chiaro, e poi il Signore gli ha dato una certa qual unzione, ... per cui le persone vedono che non è un minchione, e sanno ciò che Don Bosco vuole.
Aveva proprio il dono di conquistare tutti i cuori! Mai che un avversario o nemico in buona fede delle cose nostre, lo avvicinasse e non ne divenisse, dopo essersi intrattenuto con lui, l'amico, o il protettore, o il benefattore, o almeno non cessasse di contrariarlo. Quanti l'avvicinavano, finivano con dire:
- Se tutti i preti fossero come lei, le cose andrebbero meglio!
Così furono uditi ripetere anche vari ministri del Regno, ed altri autorevoli personaggi.
A Bologna, sedendo a pranzo in casa del conte Sassatelli, questi gli disse: - Ci furono dei fogli, che parlarono di lei e come sia stato chiamato a Roma per sentire il suo parere intorno ad alcuni Vescovi da eleggersi. Non è vero?
- Veda, sig. Conte, rispose Don Bosco: il S. Padre non stima tanto Don Bosco nè per la scienza, nè per la virtù, ma perchè egli dice le cose schiettamente, e chiama senza misteri le cose pel loro nome. Da una parte si richiede troppo e dall'altra non si vuol concedere nulla [487] Il Conte gli disse pure che a Milano qualche giornale aveva parlato di lui, chiamandolo il piccolo Papa del Piemonte.
Il 27 era ancor a Modena, e il 29, o il 30 marzo rientrava a Torino.
Ormai erasi deciso di venire alla soppressione di tutte le case religiose esistenti in Roma e nella Provincia, le quali, secondo le statistiche pubblicate dal Governo Italiano nel novembre 1872, sommavano a 311 case maschili con 4326 religiosi e 165 case femminili con 3825 religiose. Il 2 giugno i Generali dei vari Ordini inviavano una protesta con 82 firme al Re Vittorio Emanuele, e al Presidente del Consiglio dei Ministri e della Camera dei Deputati; e il 15 giugno venivano ricevuti dal Papa, che diceva loro:
“Donde viene, se non dal Principe delle tenebre e da quelli che si ispirano da lui, questa smania crudele di assalire persone innocue che vivono tranquille nella solitudine dei loro chiostri per pregare, studiare ed abbellire la Chiesa, che con questi aiuti e difensori si presenta circumdata varietate?
Donde quell'odio che spinge i medesimi a privare questa Santa Sede di validi appoggi, il popol fedele di buoni amministratori di Sacramenti e sacri dispensatori della divina parola, se non dallo stesso Satana e dai suoi satelliti in carne umana, che vorrebbero sradicata la fede e distrutto, se fosse possibile, il cattolicismo?
Ciononostante due riflessioni si presentano al pensiero, e servono di conforto in tanta desolazione. La prima è quella che le anime care a Dio debbono essere Provate colla tribolazione: quia acceptus eras Deo, necesse fuit ut tentatio probaret te. Così spiegava l'angelo a Tobia il mistero dei suoi dolori. Così anche adesso, purgata la Chiesa colle tribolazioni, sorgerà più vigorosa, e gli stessi Ordini regolari potranno sempre meglio combattere le battaglie del Signore, dopo aver superati gli attuali sforzi d'inferno, che tendono alla distruzione di tutto quello che si Presenta sotto l'aspetto di religione e di Chiesa.
L'altra ragione di conforto e di speranza è per me lo spirito [488] di preghiera che si desta e ferve dovunque. Non vi è angolo della terra, ove sia giunto il nome di Gesù Cristo, nel quale non si preghi per i travagli della Chiesa. E questo spirito è un segno evidente di non lontane misericordie...”.
Intanto il 25 giugno veniva dalla Gazzetta Ufficiale pubblicato il decreto - legge di soppressione. Quale disastro!… Non parliamo di tanti poveretti e poverette, che dovettero di quei giorni andar a mendicar il pane di porta in porta! Le case raccomandate da Don Bosco andarono immuni. Alcune dovettero far le loro ragioni in tribunale, ma riportarono vittoria.
Intanto dell'affare delle Temporalità non si fece parola, come si era stabilito, nè nelle ferie pasquali, nè in quelle di giugno; e il 9 luglio... cadeva il Ministero Lanza.
Costituito il nuovo Consiglio, tra cui Vigliani Ministro di Grazia e Giustizia e dei Culti, Don Bosco metteva al corrente delle pratiche, che aveva in corso col Ministero caduto, il Presidente Marco Minghetti, Ministro delle Finanze, e ne riceveva questo riscontro:
Ricevo la sua 14, e mentre voglio di ciò assicurarla, fra alcuni giorni le risponderò in proposito.
In attesa della risposta, pel tramite di Mons. Tortone comunicava al Card. Antonelli che avrebbe ripreso le pratiche delle temporalità, se non v'era nulla in contrario, e lo scriveva direttamente anche all'Eminentissimo, che di proprio pugno gli rispondeva:
Monsignor Tortone, cui V. S. Ill.ma aveva fatto conoscere che a Minghetti rinnovava la dimanda se si possa trattare intorno all’affare delle temporalità sulle basi poste nel passato marzo, Le avrà già partecipata la mia risposta, cioè che non vi è alcuna difficoltà [489] a che Ella continui a parlare nei termini che Le furono da me indicati qui in Roma. Ora essendomi giunto il foglio da Lei direttomi sullo stesso argomento il 3 del corrente, Le ripeto che non vedo alcun inconveniente nella prosecuzione di tali trattative. A scanso però di qualsiasi possibile equivoco Le addito esplicitamente i limiti di esse, oltre i quali non dovrà Ella ripromettere cooperazione o acquiescenza per parte della S. Sede. Questi termini sono i seguenti:
“Chiedendosi a Monsignor Segretario della S. C. Concistoriale che si desidera conoscere l'epoca, i nomi dei Vescovi, e le Diocesi loro affidate nei vari Conciatori, non s'incontrerà difficoltà di rispondere indicando i nomi, tempo, e Diocesi, cui ciascun Vescovo fu destinato, e dichiarando che a ciascuno furono spedite le solite Bolle”.
Nudro fiducia ch'Ella, attenendosi a tali istruzioni, potrà giungere allo scopo desiderato, ed intanto con sensi di stima mi ripeto,
La formula, la maniera proposta dal Card. Segretario di Stato non tornava gradita al Governo, e Don Bosco insistè per continuar le pratiche col proporre la presentazione della Bolla o di un sunto della medesima, dal Capitolo o dalla Curia o da altra autorità competente; ma il Cardinale non cangiava parere:
Ho portato la mia attenzione al contenuto del foglio direttomi da V. S. Ill.ma il 25 del p. p. mese; ed avendo preso in considerazione ogni cosa, devo significarle che non posso dipartirmi dalle istruzioni e dalla formola che le indicai nella mia lettera del 6 del mese stesso. A tali istruzioni adunque Ella si attenga strettamente, tanto più che giusta il suo modo di vedere la formola già da me precisata sarebbe più facilmente ricevuta.
Attendo di conoscere la promessale risposta, e grato alle preghiere che costì si fanno per la mia salute ho il piacere di confermarmi con distinta stima,
La fermezza del Card. Segretario di Stato non lo turbò, e decise di rivolgersi al Ministro Vigliani, di cui era notoria la propensione a sciogliere ogni difficoltà. Già, nella tornata [490] del 29 aprile 1871, discutendosi la Legge delle Guarentigie, egli aveva dichiarato in Parlamento:
“Il voler riserbare anche temporaneamente il diritto di Exequatur e di Placet per le provviste beneficiarie è cosa, o signori, che, a mio parere, evidentemente contrasta colle promesse che l’Italia ha fatto, ripetutamente, di concedere la libertà alla Chiesa; contrasta colla caduta del potere temporale e la cessazione di ogni ingerenza dei chierici nelle cose civili; peggiora la condizione attuale così rispetto alla Chiesa come rispetto allo Stato; mantiene una istituzione che sarà d'imbarazzo al Governo, e che non può essere conciliata col genio dell'età nostra e coi principii d'un Governo libero e rappresentativo...”. Ed esposte altre belle ragioni, faceva quest'interrogazione: „Noi andremo ad introdurre il Placet e l'Exequatur nella provincia romana, come un simbolo, come un attestato della libertà della Chiesa"? Questa è più che una contradizione, e credo che la Santa Sede lo potrebbe a ragione prendere per un insulto”.
Don Bosco adunque scrisse a Vigliani:
La fiducia grande che la E. V. gode pubblicamente è quella che mi muove a farle parola di un affare riflettente il bene della Religione ed anche dello Stato. Espongo le cose brevemente.
Nel marzo di quest'anno io aveva l'onore di parlare col Ministro Lanza, e con incarico ufficioso trattai intorno alla vertenza della temporalità dei Vescovi. Egli mi presentò tre modus vivendi proposti dal Consiglio di Stato. Se ne scelse uno che sembrava avvicinarsi di più ai termini (limiti), voluti da ambe le parti. Fatte alcune modificazioni piuttosto di forma che di sostanza, sarebbesi ammesso quello indicato in foglio a parte alla lettera A.
Le discussioni, che in quel tempo dovevano avere luogo nella camera dei Deputati, consigliavano differire l'esecuzione di quella proposta sino al termine di quella sessione parlamentare. Se non che il cangiamento di Ministro venne a cagionare gran incaglio.
Circa la metà di luglio, io faceva relazione di queste cose a S. E. Minghetti, che il 16 dello stesso mese con bontà accusava ricevuta mia lettera, aggiungendo mi avrebbe quanto prima fatto categorica risposta. La gravità e la moltitudine delle cose pubbliche, cui egli dovette prendere parte, avranno fatto certamente forse ritardare o [491] forse dimenticare l'oggetto in discorso. Per questo motivo mi sono fatto ardito di rivolgermi all'E. V., che appunto tiene il Ministero, cui tali affari si riferiscono.
In quell'occasione, però, s'è soltanto parlato del modus vivendi da applicarsi ai Vescovi nominandi, ma per quelli nominati, se ne era proposto un altro segnato nel foglio colla lettera B. Di esso allora non si ragionò, nè fecesi riflesso di sorta riservando ciò ad epoca più opportuna.
Come prete io amo la religione, come cittadino desidero di fare quanto posso pel governo, e prendendo qui le parti di questo, parmi che il modus vivendi B sia più d'ogni altro consentaneo alle viste governative; perciocchè con esso il Governo:
1° Si mette in relazione diretta colla Santa Sede.
2° La Santa Sede risponderebbe ufficialmente al Governo.
3° Il Governo poi, avuta comunicazione dei vescovi preconizzati, potrebbe liberamente, ove ne fosse il caso, fare le sue eccezioni prima di concedere le temporalità.
4° Anzi ammettendo questo principio parmi che il Governo avrebbe un vero exequatur, giacchè potrebbe concedere o non concedere le temporalità, ed anche mettere condizioni, quando ciò l'avvisasse opportuno.
Ho creduto bene manifestare questi riflessi pratici, perchè la cosa possa di leggieri comprendersi nel suo vero aspetto.
Qualora poi nella pratica esecuzione di quanto sopra si dovesse modificare qualche espressione, credo che la S. Sede sia per accondiscendere, p. e. dove dicesi: Chiedendosi a Monsignor ecc.; questa richiesta, se si volesse, potrebbesi fare anche verbalmente da una persona incaricata: si potrebbe indirizzare egualmente al S. Padre, o al suo primo Segretario.
Siccome io sono affatto estraneo alla politica ed alle cose pubbliche, così se la R. V. giudicasse di servirsi in qualche cosa della povera mia persona, non vi sarebbe alcun timore di pubblicità inopportuna.
Esposte queste cose, debbo compiere un grave mio dovere, chiedendo benigno compatimento per la confidenza forse eccessiva con cui ho scritto; e contento di poterle augurare ogni celeste benedizione, colla stima, reputo ad alto onore di professarmi,
Non abbiamo nemmeno una copia del foglio annesso alla lettera, contenente le note A e B; ma è chiaro che l'A era il primo dei tre modus vivendi non respinti dal Vaticano, a favore dei vescovi nominandi, leggermente modificato, come si è detto; e il B quello ripetutamente esposto dal Card. [492] Antonelli, a favore dei Vescovi eletti: „Chiedendosi a Mons. Segretario della S. C. Concistoriale che si desidera conoscere l'epoca, i nomi dei Vescovi, e le diocesi loro affidate nei vari Concistori, ecc.”.
Il Ministro gli rispondeva immediatamente con squisita gentilezza:
La delicata comunicazione che V. S. M. Rev. si compiaceva di farmi colla riverita sua del 12 corrente circa la deplorabile condizione dei Vescovi non muniti del R.° Exequatur e dei parroci da essi nominati, è del tutto conforme ad altra ch'ella indirizzò al Presidente del Consiglio dei Ministri poco dopo la costituzione dell'attuale Ministero e che mi venne tosto partecipata. Le fu allora risposto che si sarebbe fatta ricerca dei presenti ai quali la sua lettera accennava, e quindi si sarebbe maturato lo studio della pratica officiosa. Sono state vane finora le fatte ricerche, non essendosi trovata presso il Ministro dell'Interno alcuna carta relativa a tale affare. Mi rivolgerò all'ottimo mio amico il Comm. Lanza, per avere da lui medesimo precisa contezza di quanto si è passato sotto la sua amministrazione. Nessuno è animato da migliore volontà della mia e di quella del Presidente del Consiglio per trovare un modo accettevole di far cessare od almeno attenuare le cattive condizioni in cui versa l'Episcopato italiano. Conviene però che da una parte e dall'altra si faccia prova di buon volere e di cristiana tolleranza per arrivare ad un accomodamento che salvi tutte le convenienze. A Lei, che è ottimo Sacerdote e buono cittadino, mi sia permesso di rivolgere una calda preghiera, perchè voglia adoperare i suoi più efficaci offici a persuadere la Santa Sede a fornire al Governo i mezzi che sono indispensabili a conciliare l'osservanza della legge, superiore alla volontà di tutti i Ministri, con tutte le agevolezze possibili per la concessione del R. Exequatur. Ella saprà che ai Vescovi di Alessandria, di Saluzzo e di Aosta è stato con molta indulgenza concesso l'Exequatur; e perchè il loro buono esempio non sarà seguito dai loro confratelli? Perchè tutti i nuovi Vescovi non troveranno modo di far pervenire un transunto almeno delle loro Bolle col mezzo dei loro Capitoli, o dei Sindaci locali, o di altra persona di loro fiducia, senza assumere la veste di postulanti? Io non so davvero vedere in siffatta condotta nulla, proprio nulla, che offenda la santa nostra Religione.
A V. S. confido questi miei sentimenti, e confido nella sua alleanza per fare del bene.
La proposta di esporre la Bolla o il trasunto della medesima e di permettere a chiunque, anche da un pubblico notaio, di prenderne copia, per comunicarla poi al Governo, veniva, a poco a poco, accolta anche in Vaticano.
Monsignor Sciandra, eletto vescovo d'Acqui, consigliato da Don Bosco, ne scrisse in proposito a Monsignor Giovanni Balma, Arcivescovo di Cagliari, il quale ne aveva avuto il consenso direttamente dal Santo Padre, come dichiarava, nella risposta che gli faceva da Torino:
Oggi soltanto e proveniente da Cagliari mi fu consegnata la sua lettera del 28 p. p. Non voglio quindi farle aspettare la risposta ed entro subito in argomento.
Trovandomi in Roma nello scorso mese per la visita ad limina esposi al Cardinale Antonelli la domanda fattami dal Sindaco di Cagliari d'una copia autentica della Bolla al popolo della città e diocesi ecc. affine di ottenere con tal mezzo la mia ricognizione dal Governo ecc.
Il Cardinale m'animò a parlarne con Sua Santità, assicurandomi ch'egli stesso l'avrebbe premunito. Infatti, nella 2a udienza che ebbi dal S. Padre, Egli stesso pel primo entrò in materia e mi disse: “Per iscritto non le dò chiara istruzione, ma di viva voce la autorizzo ad esporre in qualche luogo patente della sacristia della Cattedrale la Bolla ad populum civitatis et Dioecesis, e, siccome essa è ai più inintelligibile, le dò facoltà d'esporre, se vuole, il Transunto della medesima Bolla e permettere a chiunque il voglia, di prenderne copia, anche per mano di pubblico notaio, senza punto ingerirsi nell'uso che di detta copia si voglia fare”.
Eccole in compendio ciò che di viva voce mi disse il S. Padre. A quest'ora la predetta Bolla dee già essere esposta nella sacrestia della Metropolitana di Cagliari. Qual ne sarà l'esito, lo ignoro. Ma se un tal ripiego riesce a buon termine, son persuaso che V. S. Ill.ma e Rev.ma o qualsiasi altro Vescovo in pari Condizione potrà, ricorrendo al S. Padre, ottenere di viva voce di fare altrettanto.
Godo che le sia toccata in sorte una buona diocesi, e con lei di cuore me ne congratulo.
Ancor io potrei di ciò consolarmi, se la grandissima penuria di Clero e lo stato miserando in cui trovai il seminario non mi tenessero dì e notte nella più profonda afflizione. [494] Preghi Ella per me e per la mia poverissima Archidiocesi, e mi creda sempre con tutto l'animo,
Balma Giovanni, Arcivescovo di Cagliari.
P. S. Non mi duole che il M. Roberti abbia communicata la notizia al venerato suo maestro, il Vicario di cotesta Diocesi, ma mi rincrescerebbe assai che essa si divulgasse prima di sapere qual ne sia l'esito.
Mons. Sciandra, per procedere con maggior sicurezza, ne faceva domanda anche a un Prelato di Curia, a Mons. Peirano, e ne riceveva la conferma:
Intorno alla domanda, se la Bolla ad populum riguardante la sua promozione a cotesto Vescovado possa affiggersi in sagrestia, od altro luogo della chiesa, acciocchè ciascuno possa vederla e prenderne anche copia autentica per mano di notaro, la risposta è affermativa. E, la ragione si è, perchè un tempo tale Bolla veniva affissa alle porte della Cattedrale, acciocchè il popolo, cui è diretta, ne prendesse notizia.
A non fare però una cosa, che si ritiene per inutile, conviene informarsi del risultato prodotto in Cagliari, dove, com' Ella riferisce, si è tentata la prova.
E questo è quanto posso notificarle, nel mentre che baciandole il s. Anello con ogni ossequio e venerazione mi confermo,
Mons. Sciandra consegnò a Don Bosco le due lettere, e Don Bosco le comunicava al Card. Antonelli, per ottenere di poter continuare le pratiche su quella base. Ma il Cardinale non cedette, e tornò a ripetergli di attenersi alla maniera che gli aveva già più volte indicata, cioè che il Governo chiedesse al Segretario della S. Congregazione Concistoriale, l'epoca, i nomi dei nuovi Vescovi e le diocesi loro affidate:
Ho ricevuto il foglio di V. S. Ill.ma del 20 p. p. mese col relativo inserto. Avendolo percorso mi è d'uopo significarle che per l'oggetto [495] di cui trattasi l'unico modo da potersi seguire è quello da me già indicatole. Del resto non saprei dirle se la sua venuta in Roma potrebbe esser utile, non sembrandomi che il Governo sia disposto a far nulla di bene. Comunque si riguardi questa mia opinione, Ella è nella piena libertà di appigliarsi a quel partito che stimerà più opportuno.
Con sensi di distinta stima mi confermo,
Stando così le cose, e dovendo tornare a Roma per spingere le pratiche dell'approvazione definitiva delle Costituzioni Salesiane, Don Bosco cercò di sbrigare gli affari che aveva tra mano, e decise di anticipare, subito dopo le feste di Natale, la partenza.
Ed eccoci a spigolare dall'ampio diario di Don Berto che gli fu compagno di viaggio anche questa volta.
“Il giorno 29 dicembre 1873 alle ore 5 e un quarto antim. partimmo dall'Oratorio e discendemmo verso le 5 e 50 pom. alla stazione di Firenze, dove già ci attendeva una persona di servizio del Comm. Tommaso Uguccioni. Fummo assai bene ricevuti ed albergati dalla religiosa famiglia Uguccioni. Dopo pranzo della stessa sera ci venne a far visita la sig.ra Marchesa Nerli Michelagnoli.
All'indomani io andai a dir Messa a S. Maria Novella, dopo servii quella di Don Bosco nell'Oratorio privato di casa Uguccioni, dove la signora Mamma, ossia Marchesa Gerolama, fece con molta edificazione la S. Comunione per le mani di Don Bosco.
La sera precedente fu pure a visitarci il Segretario di Mons. Arcivescovo di Firenze, il quale ci disse che Monsignore stava in Roma, in casa Colonna Stefano, Spedizioniere Apostolico.
Verso le otto e ¼, accompagnati da un servitore andammo alla stazione, provveduti di cibo in abbondanza per la strada, con buon vino. E questo tratto di strada che da [496] Firenze mena a Roma non fu meno felice di quello già percorso da Torino a Firenze; non ci fu il minimo inconveniente: tutto andò bene. Ci trovammo sempre con persone pie ed oneste che Don Bosco rallegrò assai colle sue lepidezze. In questo viaggio egli corresse tutto quel fascicoletto delle Letture Cattoliche, intitolato: Disputa tra un Avvocato ed un ministro protestante.
Giunti a Roma 30 dicembre, verso le ore 6 ¾, ci attendevano già alla stazione il sig. Sigismondi con Mons. Masnini, licenziatosi da Segretario del Vescovo di Casale. Montati in una vettura, il signor Sigismondi ci condusse in casa sua [in via Sistina n. 104, al 4° piano] ove abbiamo trovato una camera, per tutti due, con tutto l'occorrente”.
Il dì appresso, ultimo dell'anno, Don Bosco si recò a celebrare a Tor de' Specchi, accolto con venerazione dalla Presidente Madre Galeffi, dalla nipote del Santo Padre, Beppina Mastai, dalla Marchesa Villarios, e dal Conte Antonelli, fratello del Cardinale.
“Quivi la signora Baronessa Capelletti venne ad offrire a Don Bosco la somma di L. 500 per la grazia ottenuta della conversione di un suo figlio, il quale, non solamente per l'aiuto di Maria Ausiliatrice si fece buono, ma finì col farsi Gesuita. Altra persona venne ad annunziare a Don Bosco la guarigione di una figlia che pativa di epilessia; e che avendo l'anno scorso ricevuta la benedizione di Don Bosco non andò più soggetta a tal malore.
Partiti da Torre de' Specchi passammo da Mons. Vitelleschi, e nol trovammo; quindi dal Cardinale Berardi, che parimenti era fuori di casa. Venimmo a pranzo, e quindi verso le ore quattro andammo dal Vigliani, Ministro di Grazia e Giustizia e dei Culti.
Appena giunti, un cameriere, chiamandolo per nome, senza indugio lo introdusse all'udienza, che fu di un'ora. Dopo, il Ministro stesso ne lo accompagnò fin fuori della camera, facendogli inchini e mille ossequii, mentre io nell'anticamera recitava il mio breviario. Quel cameriere era un piemontese e fu molto lieto di trattenersi un po' con Don Bosco. [497]
Usciti di là, prendemmo una carrozza e fummo dal Card. Antonelli. Dopo un'ora e mezzo circa d'udienza discesi dal Vaticano siamo andati a visitare il Card. Berardi. Quindi a cena, in Via Sistina”.
Come si vede, Don Bosco non perdè un minuto per riprendere le pratiche delle temporalità vescovili; e di quel giorno inviava una lettera a Mons. Gastaldi, il quale avrebbe voluto per conto suo raggiungere la mèta, senz'attenersi a quello che gli era stato consigliato.
Oggi ho parlato assai colla nota persona che manifesta molto buon volere. Portò il discorso sopra la pratica da Lei iniziata presso di lui. Disse: Non voglio che dimandi l'Exequatur, ma soltanto le temporalità. Ma questa seconda dimanda non si vuole ammettere da altro più autorevole personaggio [dal Card. Antonelli]. Temporeggi, e fra pochi giorni le scriverò di nuovo. Àvvi una massima generale, che forse sarà accettata da ambe le parti.
Se venissi a sapere che qualche persona di confidenza da Roma si recasse a Torino, scriverò lettera apposita.
Si degni di credermi con profonda gratitudine,
Ultimo del 1873, Roma, Via Sistina, 104,
La sera del 1° gennaio - annotava Don Berto - „accompagnai di nuovo Don Bosco dal Card. Antonelli, perchè la sera precedente il suo colloquio era stato un po' disturbato da Mons. Randi. Lo scopo di queste visite ad Antonelli ed a Vigliani riguardava l'affare delle temporalità dei Vescovi”.
I Ministri del Regno ormai lasciavano nelle sue mani la soluzione di coteste intricate divergenze colla Chiesa, e „sembravano fidarsi pienamente in lui. Il Papa e vari Cardinali per parte loro gli accordavano piena fiducia. Egli tutto il giorno non faceva che correre su e giù dal Papa ai Ministri. Arrivava in Vaticano, e nessuno gli chiedeva se aveva il permesso o perchè venisse, passava liberamente per tutte le sale, entrava dal Papa, sbrigava e accomodava gli affari. [498] Arrivavano Cardinali, prelati, altri dignitari e si diceva loro: - Abbiano pazienza: aspettino: dal Papa v'è Don Bosco! - E si aspettava.
Usciva dal Papa e difilato andava dal Ministro Vigliani. Talvolta l'anticamera era piena di gente, ma Don Bosco non attendeva. Gli uscieri e i camerieri gli andavano incontro, gli toglievano dalle spalle il mantello, e gli domandavano: - Può aspettare? - Don Bosco, per lo più diceva di no, ed entrava subito dal Ministro, col quale s'intratteneva delle ore intiere, trattato come un familiare, o, meglio, come un superiore. Se la questione fosse stata solamente politica, o di ambizione di principi, si sarebbe certamente venuti ad un accomodamento, ma era l'odio satanico delle sètte, contro Dio e il suo Vicario, che poneva ostacoli insormontabili alla pace religiosa”.
La mattina del 2 gennaio Don Berto portò una lettera di Don Bosco al Ministro di Grazia e Giustizia, Palazzo Piazza Firenze. La consegnò al segretario generale, il quale, domandandogli l'indirizzo, rassicurò che gli avrebbe fatta la risposta. Ritornato, gli disse: - Il Ministro è in udienza da sua Maestà: non so fino a che ora ci starà: ma appena giunto, gliela consegnerò. Intanto faccia i miei ossequi a Don Bosco. - Da principio lo trattarono un po' freddamente, ma appena riconobbero che era il compagno di Don Bosco, gli usarono tutte le cortesie.
Della stessa sera Don Bosco ritornò dal Ministro. Ci stette un'ora e mezzo e più, e ne usci molto stanco. Quasi non poteva più reggersi in piedi. “Mentre Don Bosco stava in conferenza - scrive Don Berto - nell'anticamera io ebbi comodità di recitare il Breviario. Senonchè di quando in quando ne ero disturbato dalle scampanellate e dal continuo andare e venire di segretari e camerieri per commissioni. Chi produceva tutto quel disturbo era Don Bosco che metteva in impiccio il Ministro di Grazia e Giustizia, il quale perciò chiamava or l'uno or l'altro, mandando a vedere nel tale e tal altro codice.
Uscito fuori, io lo accompagnai sotto braccetto. Egli mi diceva: - Sono stanco. - Infine dissi al ministro: - Veda, [499] sig. Ministro, io non son uso a trattar di questi affari; adesso sono stanco. - Ed egli: - Sono stanco anch'io. - Ho anche detto, che il fine per cui avevo anticipato la mia venuta a Roma, fu per poter trattare quest'affare prima delle sedute dei Ministri nelle Camere: perchè, forse, dopo non si avrebbe più avuto tempo. - Per Don Bosco, disse Vigliani, son disposto a lasciare Ministero e Camera e tutto: venga pure quando vuole. - E qualche volta si metteva a lodarmi, ed io: - Non mi lodi, perchè io le domando subito qualche favore. - Domandi pure. - Faccia il piacere, mandi le temporalità al parroco d'Incisa Belbo Inferiore. - Sì, rispose. - E tosto spedì il decreto”.
Il parroco, com'ebbe il decreto, telegrafava a Torino, e Don Rua inviava il telegramma a Don Bosco, con questa postilla: „Il Parroco d'Incisa avverte Don Bosco di non più inquietarsi, perchè il Ministro Vigliani gli ha già mandato l'Exequatur”. Così pronto fu l'invio del decreto, che nemmeno Don Rua pensò che l'aveva ottenuto Don Bosco!
Il 5 gennaio ebbe udienza dal S. Padre. La vertenza delle temporalità era a questo punto. Il Governo preferiva le seguenti modalità, come risulta da un manoscritto di Don Bosco:
“In seguito alla Preconizzazione di un Vescovo in Italia, il Segr. Gen. della S. Congr. Concistoriale trasmetterà al Ministero di Grazia e Giustizia e dei Culti in Roma una dichiarazione del tenore seguente:
(Come quella dei Vescovi già nominati).
Il Ministero ricevuta la detta dichiarazione e notificazione, significherà al medesimo Segretario se da parte sua esiste qualche ostacolo a concedere al Vescovo nominato le temporalità della sua mensa.
Quando non esista verun ostacolo, il Vescovo nominato darà partecipazione del suo ingresso in Diocesi al suddetto Ministero, il quale disporrà per la concessione del R. Exequatur, epperciò delle temporalità della mensa vescovile”
Ma diverso era il parere della Curia Romana:
“Il modus vivendi più conforme ai principii della Santa Sede sarebbe il seguente colle annesse modificazioni. [500]
Il capitolo o la curia od altra autorità competente presentino un sunto della Bolla, dichiarando che nulla fu aggiunto alle formole solite ad usarsi in tali scritti.
Il capitolo o la curia od altra autorità competente mandino dichiarazione al Procuratore del Re o ad altra autorità Governativa che nel concistoro tenuto nel giorno….. il Sacerdote….. fu preconizzato vescovo di….. e ne fu spedita la solita Bolla colle forme solite: oppure semplicemente, la solita Bolla”.
Si era anche scelto un modo col quale i Vescovi, senza offendere la loro coscienza, avrebbero potuto chiedere al Governo i beni delle loro mense, e di questo modo, che venne seguito da alcuni, Don Bosco scrisse questa memoria:
“Senza ingerirsi personalmente il Vescovo faccia esporre la Bolla ad Capitulum (ed anche quella ad Episcopum) nella Sacrestia della sua Collegiata, oppure altrove, e permetta, che se ne faccia copia autentica da chi che sia, anche da un Pubblico notaio. Quella copia, per mezzo del Sindaco o del Prefetto o del Procuratore del Re, si mandi al ministro di Grazia e Giustizia. Esso scriverà o farà scrivere al Vescovo se con quel fatto esso, il Vescovo, intende chiedere la sua temporalità. Il Vescovo può rispondere, che per allontanare gli ostacoli che si frappongono al libero esercizio del suo pastorale Ministero, con quell'atto intende di chiedere la temporalità spettante alla sua mensa e prega siano rimossi gli ostacoli che possono frapporsi al conseguimento della medesima. Dopo di che il Ministro di G. e G. ha dato ed assicura di dare a ciascun vescovo il libero possesso delle sue temporalità e per conseguenza il riconoscimento legale del Vescovo e delle sue firme”.
Il 6 Don Bosco inviava una lettera al Ministro Vigliani ed aveva una nuova udienza dal Card. Antonelli. Uscendo diceva a Don Berto:
- Vogliono discorrere con Don Bosco, domandano come se Don Bosco sapesse tutto, presente, passato, e futuro... Il Santo Padre riguardo al formolario delle temporalità disse ad Antonelli: - Don Bosco ha trattato così bene queste cose che nessuno dei nostri Cardinali avrebbe potuto far meglio. Andò avanti fin dove si potè andare e poi si fermò; la fece proprio da maestro. [501]
Senonchè la Gazzetta di Torino, nella rubrica “Lettere Romane” dell'8, metteva in giro queste notizie:
“Trovasi a Roma il celebre Don Bosco della vostra Torino. Egli gode le grandi entrate al Vaticano, e il Papa lo vede assai bene. Però non desta più l'entusiasmo che destò la prima volta che venne qui. È un pochino in decadenza.
Anche presso il Governo egli ha larghezza d'entratura.
Non so cosa faccia, ma certo ei tratta di cose gravi”
Madre Galeffi, Superiora delle Oblate, nel pomeriggio del 9, lo mandava a prendere con un legno, perchè si recasse in Piazza di Tor de' Specchi a visitare un pover'omo, infermo da due anni, e padre di dieci figli; e Don Bosco, dopo averlo rallegrato con belle parole e santi pensieri, gli diede la benedizione, dicendogli d'aver fede e di pregare; che egli ed i giovanetti dell'Oratorio avrebbero pregato anche per lui ed il Signore gli avrebbe concessa la grazia, ma a poco a poco; che bisognava proprio disputar la guarigione a forza di preghiere e che sarebbe ritornato a vederlo, ed egli l'avrebbe accolto in piedi, mentre allora, malgrado ogni sforzo, non poteva starvi neppur un istante.
“Di lì - scrive Don Berto - passammo dalla Madre Galeffi, che mandò a chiamare l'Avv. Patrocinatore della causa di Tor de' Specchi... Don Bosco l'ascoltò attentamente. Si fece spiegar bene lo stato della causa, come era stata condotta, e poi si pose egli stesso ad istruirlo intorno al modo di condurre a buon termine la questione e in modo tale che l'avvocato stesso ne fu stupito. In fine lo consigliò, che se mai avesse veduto la causa volgere a male o allungarsi di troppo, di scrivere ad un certo Cutica, impiegato a Firenze, da cui dipendono interamente queste cose. - Costui, diceva Don Bosco, mi conosce non solo, ma ci trattiamo da veri amici, ... ed anche nel caso della perdita della causa, ... ci tratterà con bontà e c'indicherà la via per essere vittoriosi, o ci proporrà un aggiustamento. E [502] dopo questo bisognerà pensare ad assicurare la casa e le sostanze di Tor de' Specchi in modo che il governo non possa più avere appiglio. - Stia certo, soggiunse l'avvocato, eseguiremo fedelmente i suoi consigli”.
Le pratiche intanto sembravano prender buona piega; pareva giunto il momento per venire ad una conclusione. Il io gennaio anche l'Unità Cattolica faceva questi rilievi:
“Pare che i sindaci stessi, testimoni del modo con cui i Vescovi nuovi vennero accolti dalle popolazioni e del bene grandissimo che fanno, vogliano prestarsi a conciliare la disposizione della legge coll'osservanza della giustizia. Imperocchè i sindaci od hanno o possono facilmente avere cognizione delle Bolle rilasciate a' Vescovi, giacchè una di queste è indirizzata al popolo, e nel trasunto officiale si contiene anche la sostanza delle altre Bolle. Ora egli è chiaro che il popolo può conoscere lo scritto indirizzato a lui stesso dal Romano Pontefice, e, se non andiamo errati, in alcuna diocesi il trasunto venne esposto nelle sacristie, come si fa per le Pastorali vescovili. Qualche sindaco ha trasmesso copia autentica di quel trasunto al Ministro di grazia e giustizia, e questi non tarderà a mandare l'Exequatur”.
Probabilmente cotesti rilievi erano stati suggeriti da Mons. Gastaldi. Don Bosco l'11 gli scriveva:
Mi affretto di comunicare alla E. V. che la pratica sul noto affare progredisce bene. Il formolario adottato dalla S. Sede venne già approvato da Vigliani, di poi dal Consiglio dei Ministri. Nel corso della prossima settimana sarà pure presentato al Consiglio di Stato, che si spera parimenti favorevole. Dopo, se il demonio non ci mette la coda, ci si darà immediatamente esecuzione.
Vigliani disse ripetutamente con me, che si contentava della Bolla al popolo purchè Ella indicasse, che ciò facevasi ad oggetto di ottenere le temporalità. Si trattò un caso identico per le Bolle ad Clerum, oppure ad Capitulum, ma il S. Padre non acconsentì. Ella pertanto temporeggi fino alla prossima settimana. Dopo le comunicherò le cose, e se il progetto intanto non riuscisse, sentirei ciò che il Cardinale Antonelli sarà per dire sulla pubblicazione in sacristia della Bolla ad Clerum; ma finora non si volle permettere alcun passo che per parte dei Vescovi sembrasse diretto a chiedere od accettare l'Exequatur. [503]
... Mi raccomando alla carità delle sue preghiere e mi professo con massima stima,
Roma, 11 - '74, Via Sistina 104,
Ma il diavolo, dove non può metter la testa, mette la coda!
Quelle quattro righe della Gazzetta di Torino avevan fatto spiacevole impressione nelle alte sfere governative; e il Fanfulla, giornale di Corte, l’11 recava questa dichiarazione:
“Da qualche giorno circolano strane voci di pretesi sforzi di una conciliazione che si vorrebbe effettuare fra la Chiesa e lo Stato, e si accenna perfino alla missione bene avviata di un distinto prelato piemontese.
Secondo queste voci, il Santo Padre avrebbe già assicurato che come primo passo non si sarebbe mostrato contrario di accettare, sotto una forma che guarentisse la sua dignità, l'assegno votato dal Parlamento italiano.
Il Santo Padre non ha mai, per quanto sappiamo, fatto opposizione a che l'assegno votato dal Parlamento fosse riscosso dal Tesoro pontificio, alle medesime condizioni in cui fu riscossa in settembre del 1870 la somma dovuta per il primo mese... Se dopo quel primo pagamento la Santa Sede ricusò l'assegno, si fu semplicemente perchè l'amministrazione della finanza reclamava certa forma di ricevuta, che la Santa Sede non ha creduto del proprio decoro rilasciare.
In quanto però alle voci di trattative di conciliazione crediamo non andare errati, assicurando che se taluno vi lavora intorno alle persone della Corte pontificia, il Governo del Re, come la Santa Sede, vi sono assolutamente estranei”.
Non si trattava, in realtà, di una diretta conciliazione, ma si era per la via!...
Il giorno dopo, lunedì 12, La Libertà di Roma diceva chiaro che quel “distinto prelato piemontese” era Don Bosco:
“Il Fanfulla di ieri sera accenna alle voci di tentativi di conciliazione fra lo Stato e la Chiesa che si stanno facendo in questo momento. [504]
Questi tentativi devono essere attribuiti a Don Bosco, pietoso e rispettabile prete piemontese. Egli è qui da qualche tempo, ha parlato e parla con molti: e si dice che abbia avuto incarico di far questo da altri prelati dell'Alta Italia; ma nei circoli bene informati così della Chiesa come del Governo non si dà nessuna importanza a questo tentativo dell'onesto sacerdote. Da una parte e dall'altra si comprende abbastanza bene ch'è inutile occuparsi di cosa per la quale non è ancora venuto il tempo, e non pare che verrà tanto presto”.
Le dichiarazioni del Fanfulla e della Libertà erano seguite da un articolo maligno e inventato di sana pianta, della Gazzetta d'Italia del 13 gennaio, che ci fa capire che giorni eran quelli!
“Cronaca Vaticana. - Roma, 11 gennaio. - Don Bosco ebbe dal Papa un'udienza segreta lunghissima. Pio IX lo ricevè nella sua camera da letto e rimase solo a solo con lui per circa due ore. Il mistero di questo colloquio tra il Sommo Pontefice e il taumaturgo torinese non ha trapelato.
Si sapeva che Don Bosco era stato chiamato per profetizzare al Santo Padre, e bisogna sperare che egli abbia saputo conciliare due parti per solito inconciliabili, quella di profeta e di cortigiano...
Lo fece in modo da soddisfare il sospettoso ed irritabile Pontefice? Nessuno lo sa: ma Don Bosco stesso ne avrebbe potuto dubitare ricevendo un invito abbastanza inaspettato e strano. Era un graziosissimo biglietto con cui il Commissario della Santa e Romana ed Universale Inquisizione de haereticorum pravitate lo pregava a volersi un momento recare al suo ufficio. In altri tempi un simile invito vi creava di botto il candidato alla tortura ed al rogo, ed il riceverlo era anche per un profeta l'annunzio di una rovina immensa, incalcolabile, suprema... Chi cadeva nelle granfie del Sant'Uffizio, se pure ne usciva vivo, tornava canuto... Simili beatitudini non sono più fortunatamente dei nostri tempi, e l'ottimo padre Leone Sallua, dell'Ordine di San Domenico, non avrebbe il cuore di bruciare neppure uno di quei gesuiti che egli tanto cordialmente detesta - neppure l'eminentissimo Tarquini, il cui libro sui concordati, come lo di [505] mostra ottimamente il can. De Angelis, puzza d'eresia bell'e buona.
Il commissario del Sant'Uffizio fece osservare a Don Bosco che era appunto il caso suo. Un profeta eretico è senza dubbio una cosa insolita e spaventosa... Ma il caso quantunque grave non era disperato. Il padre Sallua dichiarò a don Bosco col maggiore garbo che il suo libro il quale tratta del principe degli apostoli, San Pietro, meritava una condanna éclatante quanto le opere di Gioberti e di Rosmini, ma che il supremo tribunale dell'Inquisizione poteva risparmiare questo amaro boccone alle sue virtù ed alla sua straordinaria fama di santità. Perciò l'autore, per non vedere la sua opera all'Indice e per non incorrere esso stesso nella scomunica, maggiore e non trovarsi in seguito in stretti rapporti col sullodato supremo tribunale, doveva affrettarsi a ritirare la sua opera e ad emendarla.
Non dubitiamo che il colloquio del commissario del Sant'Uffizio con don Bosco diverrà per quest'ultimo un'eccellente réclame. Tutti vorranno leggere lo scritto prima che venga ritirato e lacerato dall'unghia terribile del tetro tribunale; tutti vorranno scoprirvi le pagine colle quali si sarebbe potuto accendere un auto - da - fè... L'interesse del pubblico crescerà pensando che l'autore è considerato come taumaturgo e profeta dell'infallibile Pontefice. Ma il Sant'Uffizio dopo il gabinetto del Papa, che ne dite? Quante emozioni in un sol giorno. È vero che sopra una delle vette del Campidoglio s'incoronavano i trionfatori e sull'altra sorgeva la Rupe Tarpea. Il Gabinetto del commissario del Sant'Uffizio è la Rupe Tarpea del Vaticano”.
Vili bugiarderie, che sembrano impossibili! Don Bosco era stato dal Commissario del S. Uffizio il 9 gennaio: e “Questo Padre Domenicano scriveva Don Berto - ricevette Don Bosco con espansione di cuore”. Vi tornò altra volta, ed era assente; e Don Bosco stesso osservava: - Ma non so come abbia fatto la Gazzetta d'Italia a sapere la visita che ho fatto al Padre Sallua, poichè era di notte. Quel che racconta è niente vero, ma la visita sì; e non ho parlato che al cameriere del P. Sallua. [506] Quanti lo conoscevano, di qualunque partito, tutti lo trattavano amabilmente e l'avevano in venerazione. Il 13 - scrive Don Berto “l'accompagnai dal Conte Visone, il quale il giorno avanti mi diede una lettera e mi disse a voce: - Dica a Don Bosco, che venga pure domani mattina alle 10 o prima o dopo: oppure alla sera alle 4; o meglio se desidera che io passi là, ci andrò io stesso volentieri. - Don Bosco ci stette circa un'ora e mezzo, e mi disse dopo che lo trattò e lo ricevette molto bene, e come fu lui che intercedette presso il Re, affinchè non si prendesse possesso delle Sacramentine. La cosa andò così. La moglie del Ministro della Casa del Re, il sig. Deputato e Senatore Visone, che andava lì alla Messa, raccontò al marito il pericolo in cui stava la casa e chiesa delle Sacramentine, di diventare una scuderia di cavalli. Allora il Conte andò da S. Maestà e dalla moglie di Umberto, Principessa Margherita, e disse e fece tanto che ne ottenne la grazia. Risparmiò pure tutte le altre case che sapeva preventivamente che sarebbero cadute in possesso della Casa Reale, e per questo l'altro giorno andò a rischio di dar le dimissioni; ma poi si intromise l'Ex - Ministro Menabrea, e si aggiustò ogni cosa”.
Nel pomeriggio andò a far visita al Card. Monaco, al palazzo Altemps, in piazza Navona, e vi si fermò circa un'ora e mezzo, e, tra l'altro ottenne gratuitamente due brevi per l'Oratorio privato delle signore Vicini e Ghiglini. La mattina dopo Don Berto si recò a ritirarli alla Cancelleria, e il Prelato, che glie li consegnò, gli disse cortesemente:
- È tutto gratis, il Santo Padre volle così!
Il 14 fu a pranzo in casa dello spedizioniere apostolico Stefano Colonna, ove, tra gli altri - annotava Don Berto - v'erano questi invitati: “Mons. Limberti, Arcivescovo di Firenze, e il suo Segretario; altro sacerdote che ha un Istituto di ragazzi in Firenze; ed un sacerdote fiorentino (Monsignor Cecconi, poi Arcivescovo di Firenze, che venne chiamato da Pio IX al cominciar del Concilio Vaticano e ne scrive la storia ... ); Mons. Franchi, di fresco eletto Cardinale; Monsignor Gianelli, che sarà tosto preconizzato Cardinale; ed altri prelati e sacerdoti. Don Bosco parlò poco, ma con molta [507] sodezza; verso la fine del pranzo poi fu invitato a parlare della nostra casa e delle difficoltà che si dovettero superare; ed egli disse che dovette sostenere 12 perquisizioni; ma in modo così semplice, chiaro e lepido, che terminato il pranzo l'Em.mo Franchi prese seco Don Bosco e parlarono insieme per circa mezz'ora. Ci venne pure in seguito un altro nuovo Cardinale, l'Em.mo Martinelli, il quale, prima di partire, disse: - Don Bosco, i miei rispetti! - con modi che indicavano quelle parole venir proprio dal cuore”.
La stampa intanto continuava a strombazzarne d'ogni colore. L'Italie di Roma quel giorno smentiva che Don Bosco stesse lavorando per arrivare ad una conciliazione.
“Il est inexact que don Bosco soit venu à Rome pour se faire le négociateur d'une réconciliation entre le gouvernement et le Vatican.
D'après nos renseignements, don Bosco ne s'occuperait que de faire jouir de leur mense les évêques récemment nommés et de mettre chacun d'eux en possession du palais épiscopal, de façon à ce qu'ils ne soient pas obligés d'aller demeurer dans des maisons privées ou dans des séminaires”.
Ma Il Secolo di Milano, nello stesso giorno, con due corrispondenze giudicava ben diversamente la cosa.
“Lettere Romane. - Nostra corrispondenza. - Roma, 13 gennaio.
(F) Il Clero piemontese, presso il quale le idee moderne hanno notoriamente fatto maggiore strada che altrove, si è venuto da alcun tempo agitando nel senso di escogitare una riconciliazione tra il papato e l'Italia. Si comprende facilmente che il desiderio dei preti subalpini, sebbene onesto, non potrebbe risolversi, realizzato, se non in danno della libertà, mentre l'Italia dovrebbe per rimettersi nelle grazie della chiesa cedere a non poche delle esigenze del Vaticano; pur tuttavia giova tener conto di queste buone disposizioni [508] le quali se non altro sono un sintomo di attendibili resipiscenze. Nell'esercito delle chieriche comincia a manifestarsi la persuasione che il firmare un trattato di pace coi fautori delle idee moderne e mettersi d'accordo col mondo che cammina a fine di muoversi con esso, anzichè ostinarsi in una immobilità la quale non può non avere altra conseguenza che l'isolamento, sarebbe profittevole anche alla chiesa. Questo non è molto, ma è pure qualche cosa; e, per venire ai fatti, eccovi quello che si dice intorno a questi tentativi di riconciliazione dei quali primo a tener parola è stato un giornale semiserio (Fanfulla), che si dà l'aria di portavoce del ministero, e forse lo è.
La Prelatura Piemontese sarebbe venuta nella determinazione di mandare a Roma coll'incarico di gettar le basi dell'accordo da lei desiderato, un tale Don Bosco, sacerdote conosciuto per ampiezza di dottrine, di costumi specchiatissimi, e sommamente zelatore degli interessi chiesastici.
Un tale uomo sarebbe stato abilmente scelto, in quanto, mentre da una parte non può destare sospetti al Vaticano, dall'altra deve essere cortesemente accolto dalle rappresentanze più o meno ufficiali del Governo Italiano. Don Bosco è dunque qui da diversi giorni e pare abbia cominciato l'opera sua ottenendo colloqui con Cardinali, con prelati di alto conto, e con uomini politici da lui creduti influenti presso i membri del Gabinetto.
Quali siano le basi dell'accordo che egli propone nessuno sa, mentre finora non ne è trapelato nulla; ma che egli parli ed agisca con grande zelo è cosa indubitata.
Se le mie informazioni sono esatte, egli avrebbe trovato favorevolissima accoglienza ed anche promesse di appoggio da quel meschino gruppo parlamentare di neocattolici, in mezzo al quale l'onor. Emilio Broglio si atteggia in maniera anzichenò ridevole a capitano.
La stampa officiosa frattanto si affanna a far sapere che il Governo non dà importanza alcuna alla cosa, perchè è convinto non essere peranche venuto il tempo per trattative tra la Chiesa e lo Stato le quali possano approdare a qualche conclusione, ma, ritenetelo bene, i Minghetti, i Finali [509] e compagnia bella, dottrinari per la pelle, vedono col massimo piacere gli sforzi di Don Bosco, e parrebbe loro di aver toccato il cielo col dito il giorno in cui venisse loro recata qualche proposta accettevole da parte del Vaticano.
Tutto ciò è assai grave e gli amici della libertà debbono tenersi in guardia e vigilare perchè nell'edificio innalzato con tanti sacrifici dall'intero paese, non venga ammesso un nemico, il quale, una volta dentro, non potrebbe che adoperarsi a demolirlo pietra per pietra. Come l'acqua ed il fuoco non possono stare insieme senza distruggersi, così è incompatibile ogni accordo fra le dottrine del Vaticano e quelle della libertà.
Ma poichè sono a parlarvi del Vaticano, non voglio tacere di altre voci messe in giro, questi giorni le quali vanno pigliando sempre maggiore consistenza. Gli alti papaveri della Chiesa sentono bisogno di denaro. L'obolo non rende più quello che dava una volta e le risorse più grosse si vanno una ad una esaurendo. In tale stato di cose il Cardinale Antonelli si sarebbe adoperato a persuadere il papa della convenienza di intascare una buona volta i milioni che il regno d'Italia tiene per lui in serbo a titolo di donazione.
Il papa da sua parte si sarebbe dapprincipio mostrato avversissimo ad una risoluzione che, secondo lui, umilierebbe la Sacra Romana Curia ed equivarrebbe ad una rinuncia quantunque indiretta dei più preziosi diritti; ma poi l'Antonelli avendo insistito con quelle ragioni convincentissime che gli erano messe in bocca dal bisogno ineluttabile di pecunia, Pio IX sarebbe venuto a consigli più miti ed avrebbe consentito a far porre il quesito ai dottori della Chiesa, affidando ai medesimi anche l'incarico di trovare un modo per salvare la capra e i cavoli. Monsignor Audisio, prelato piemontese che abita in Trastevere e che gode fama di grande casista, mentre vi scrivo, sta occupandosi nello studio del grave e delicato argomento.
A quest'ora avrete avuto sotto gli occhi la bolla pontificia abrogatrice delle norme stabilite per la elezione del pontefice e tendente a facilitare la cosa, in vista del mare burrascoso che la mistica navicella di Pietro sta ora attraversando. - Avvi ogni ragione di credere che il testo di [510] quella bolla, pubblicata dalla Kölnische Zeitung di Colonia sia autentico ed esatto. - Morto Pio IX, il successore verrà eletto a Monaco, oppure a Malta, o fors'anche in una città della Francia, avendo il governo del maresciallo Mac - Mahon fino d'ora dichiarato che non riconoscerebbe un papa eletto a Roma.
Frattanto la Germania pare abbia fatto sapere in via officiosa che non riconoscerebbe un papa eletto fuori di Roma”.
Si voleva, in tutti i modi, accrescere in mezzo al popolo quel senso di ostilità per la Chiesa, che era venuto dilagando dopo la presa di Roma; ed anche dell'accenno della Bolla, inventata di sana pianta, si fece tanto chiasso, che il Cardinal Antonelli, il 17 gennaio inviava ai Rappresentanti della S. Sede una circolare, di poche parole, che venne poi pubblicata, e bastò per ridurre al silenzio i tristi ed a svergognare gli impostori.
Il secondo articolo del Secolo di Milano, che si leggeva nello stesso numero, aveva notizie meno aspre, ma evidentemente pessimiste e menzognere, circa le accoglienze fatte a Don Bosco in Vaticano.
“Lettere Romane. - Nostra corrispondenza. - Roma, 14 gennaio.
(C) I ridicoli tentativi di conciliazione tra la Curia romana e il governo, tentativi iniziati da Don Bosco per mandato di una frazione abbastanza numerosa dei nostri cosidetti uomini politici, hanno abortito. Ogni uomo di buon senso lo prevedeva fin da quando ne corse la prima voce; ma pare che ormai il buon senso non sia più un requisito indispensabile per gli uomini politici. Di Don Bosco, non è a meravigliarsi, il desiderio vivo e sincero di una conciliazione glie l'ha fatta intravedere possibile, mentre non era che un sogno dell'esaltata fantasia di pochi illusi. D'altronde buon numero di vescovi del Piemonte gli avevano affidato l'onorevole missione ed egli ha voluto adempirla con tutta quella diligenza che gli veniva dettata dalla coscienza del proprio dovere. [511]
V'ha di più. Nel suo viaggio di Torino a Roma, Don Bosco ebbe occasione di fermarsi per qualche giorno in Genova, ospitato nella casa patrizia del senatore Lorenzo Ghiglini, uno dei membri più operosi ed intelligenti di quel partito che mette capo a Cesare Cantù. Il povero senatore affranto dagli anni e da un morbo crudele venne a soccombere per l'appunto in quel tempo in cui Don Bosco abitava presso di lui; e fu Don Bosco quegli che ne confortò gli estremi momenti e ne intese le ultime volontà. Orbene si narra che il Ghiglini chiedesse al suo antico amico per ultima grazia di adoperarsi con ogni mezzo per far trionfare in Vaticano quei principii conciliativi ch'egli andava predicando da tanto tempo in libri ed in scritture, ma senza avvicinarsi di quando in quando fosse pur d'un solo millimetro alla mèta sospirata.
È infatti alle premure del Ghiglini che si debbe se fu permesso ai cattolici puri di prender parte alle elezioni amministrative e politiche, rigettando l'antica formola nè eletti nè elettori. E sperava il buon vecchio di ottenere dell'altro ancora; e lui, d'animo retto ed onesto non si sapeva rendere ragione della oscura ed abbietta politica del Vaticano, e non osava romperla definitivamente con esso, sognando sempre un tardo ma sincero ravvedimento. Con tali speranze e con tali sogni morì, e a Don Bosco sarebbe parso venir meno alla promessa fattagli in punto di morte, se non avesse posto in opera ogni mezzo per conciliare la Chiesa collo Stato, anche a costo di spiacere all'uno ed all'altro[79].
E tale è stato di fatto il risultato dei suoi tentativi. Al Vaticano io credo si sarebbe accolto meglio un generale [512] dell'usurpatore, di quello non si accogliesse il povero Don Bosco. Gli si disse che l'opera sua era funesta ai veri interessi della Chiesa, la quale non può scendere a patti con chi l'ha vilipesa e spogliata, e mostra di voler far peggio per l'avvenire, e che ogni preliminare di conciliazione sarebbe stato infruttuoso senza la restituzione in pristinum dello stato delle cose quale era prima del 1870. Pretese, come vedete, belle e buone, e che un vincitore stenterebbe a, dettare al vinto.
E qui è il caso inverso, si tratta di un vinto che fa il viso dell'armi al vincitore e vuol dettargli le condizioni. A meraviglia! La gita di Don Bosco ha avuto poi un altro scopo, quello di cercare ogni possibile mezzo perchè i vescovi eletti alla Santa Sede potessero avere l'Exequatur del Governo Italiano.
Il Vaticano ha proibito a codesti signori di presentare al Governo le bolle originali; soltanto concesse loro, in via eccezionale, di poter mostrare al ministro Guardasigilli un estratto di essa bolla, una specie di certificato rilasciato dalla cancelleria apostolica. Il Ministro retto allora dal Lanza si rifiutò di ricevere un simile estratto, e disse ch'egli non avrebbe mai concesso l'exequatur se non a coloro che, a norma di legge, presentassero la bolla originale. Ciò mise in agitazione, com'era naturale, la più parte dei vescovi recentemente eletti, i quali si trovavano cosi fra l'incudine e il martello, fra la disubbidienza alla Santa Sede, e l'acquisto non ispregievole delle temporalità.
Allora vennero in Roma appositamente parecchi vescovi, fra cui anche l'arcivescovo di Torino; uomini politici del partito conservatore s'interposero presso il Lanza, ma questi (mirabile dictu) tenne duro, trincerandosi nelle disposizioni dell'antica legge sugli exequatur. I vescovi se ne tornarono mogi mogi alle loro sedi, rifiutandosi la più parte di ottemperare alle prescrizioni del Governo. Oggi, mutato il Ministero, essi son tornati alla carica, sperando di trovare in Minghetti ed in Vigliani uomini più arrendevoli di quello non fossero Lanza e Falco. Io non so quanto la loro speranza sia fondata. Questo so che Don Bosco interpose i suoi valevoli [513] uffici al Palazzo di Firenze ed al Vaticano, tentando una specie di transazione fra le pretese della santa sede e quelle del Ministero”.
I giornali continuarono a strombazzare ai quattro venti mille fandonie, e noi non ci fermiamo a confutarle. Chi legge, comprende; d'altronde cotesto clamore non spaventava, nè arrestava Don Bosco.
Il 15 gennaio tornò a parlare al Ministro di Grazia e Giustizia, accompagnato da Don Berto, che annotò questo particolari. “Giunti al Ministero, gli uscieri si alzarono subito a salutar Don Bosco. Appena fummo nell'anticamera lo fecero entrare dal Ministro e ci stette almeno un'ora e 1/2. Uscito, per istrada gli domandai se il consiglio dei Ministri si era già tenuto e rispose di sì. Andammo a piedi al Vaticano dal Cardinale Antonelli.
Tra le cose che mi disse fu questa: - Il Ministro mi aspettava già. Io gli dissi: - Credeva che vi fosse qualche ruggine. - Ed egli: - Anzi attendeva che venisse! - Questa sera ho consegnato la supplica dell'avv. Bertinelli a Vittorio Emmanuele, e mi assicurò che se ne sarebbe occupato. Poi gliene dissi di quelle secche, tra le quali: - È una vergogna che nella Città Santa si lavori di festa.
Ed egli: - Eccole: alcuni lo fanno per principio, altri per interesse. Ma me ne occuperò. Intanto comincio ad assicurarla che per quanto spetta al Governo si tralascierà niente per impedire questo sconcio: ma il resto dipende dal Municipio. - Ma io risposi: - Ella, se vuole, può impedirlo. - Allora ne prese nota, dicendomi che ne avrebbe avvisato il Municipio.
Le altre volte che andavamo dal Cardinale Antonelli le guardie ci facevano mille difficoltà; invece questa volta si levarono tutte in piedi, e si tolsero il berretto, inchinando Don Bosco. Tra gli altri uno gli disse: - Ella è il Padre Bosco... Vada sopra subito. - Giunto là, ebbe appena tempo a deporre il pastrano, che già il Cardinale lo attendeva. Vi stette un'ora e più...”.
Nello scender le scale disse a Don Berto: - Dovremo [514] farle ancor molte volte! - E Don Berto, nell'andare a casa, gli chiedeva se l'Arcivescovo di Torino aveva già ottenute le temporalità, ed egli: - Sarà uno dei primi ad averle!...
Quella sera, dopo cena, prese a parlare della sua missione a Roma, come i giornali non ne sapessero nulla, e che non avendo altro di che occuparsi, si occupavano di lui. Disse anche, presenti i coniugi Sigismondi: “Qui siamo solamente noi. Ecco il motivo, per cui io faccio queste visite al Ministero ed al Card. Antonelli: per trattare le Temporalità dei Vescovi d'Italia. Ed ora preghiamo: a Torino i nostri fanciulli sono più giorni che pregano per questo. La cosa è conchiusa. Lunedì si comincerà a spedire una dichiarazione ai Vescovi, se il demonio non viene a mettere impedimento. Vedano un poco come io divento un gran personaggio, disse ridendo e scherzando.
- Vedano, continuava - si sono messi a trattare quest'affare molti personaggi dotti, altolocati, ma non fecero altro che esacerbare ed inasprire di più! Un povero prete che viene da Torino!... Si vede che il Signore scherza cogli uomini: si serve di questo povero prete come di uno strumento ignoto per trattare gli affari più gravi della Chiesa. Io stesso non so darmi ragione. Di qui a qualche sera dirò un'altra cosa particolare, per cui son venuto a Roma. Io ho voluto trattar questa cosa perchè un framassone di grande autorità, che aveva un giovane nelle nostre case, mi aveva dato un progetto di legge già preparato, per cui si voleva venire ad aperta persecuzione della Chiesa, come nella Prussia. Ne ho parlato al Santo Padre e ad Antonelli, che ne parlò pure al Santo Padre; e assicuratosi, che io aveva questo progetto, mi disse: - Andate pure avanti! - Ora sarebbe conchiusa ogni cosa, e nessuno se lo pensa. E se qualcuno andasse a dire ai giornali: - Quanto mi date ed io vi dico quanto fa Don Bosco a Roma, credo che se domandasse 1000 franchi glieli darebbero”.
“- Vedano un po', ci sono di quelli che da mesi ed anni desiderano di parlare a Visone e non possono. Io invece vado là, e mi fa entrar subito, e ci sto due ore di seguito [515]. Non so poi come vada che nei giornali si diceva che Don Bosco entrò dal Papa e vi stette due ore. È vero che ci stetti due ore, ma una ad aspettare. Coloro che riferiscono sono certamente persone di servizio...”.
E i giornali continuavano ad occuparsi di Don Bosco. La Gazzetta Piemontese il 15 gennaio riportava ciò che aveva pubblicato il Fanfulla, rilevandolo da La Libertà.
La Gazzetta dell'Emilia, di Bologna, nel n° 15 confermava le sciocchezze della Gazzetta d'Italia con un senso evidente di ribrezzo, e diciam pure di spavento, solo al pensiero di venire ad una conciliazione.
“In questi giorni si è ancora avuto il coraggio di parlare di rinnovellati tentativi di riconciliazione fra il Quirinale ed il Vaticano, a proposito della venuta del celebre Don Bosco di Torino. Giornali rispettabili si sono lasciati andare a prendere sul serio la missione, che dicevasi questi si fosse assunta di conciliare l'inconciliabile, il Papa col Re... Inconciliabile Per certo, finchè sia papa Pio IX.
Ora quel povero Don Bosco non si è poi sognato di diventare in questo modo un personaggio politico di tanta importanza. Il vero è che egli è autore di una certa opera sopra San Pietro, la quale non è andata a versi, in certe parti, al S. Uffizio di Roma. Quindi egli fu chiamato qui e invitato a provvedere ad ampie rettifiche, se non voleva vedere messo all'Indice il suo libro. Figurarsi, messa all'indice un'opera di un sacerdote che non meno per il suo grande zelo, per la beneficenza, che per la purezza dei dogmi religiosi professati, fu tenuto sempre il beneviso al Vaticano! Pure in quel libro veramente certi dogmi si trovano un po' lesi. Questo è affare che non ci riguarda; ma questa è la sola ragione della venuta del celebre filantropo e religioso torinese nella capitale”.
La Libertà di Roma, del 16, aborrendo anch'essa una conciliazione, dava un monito al Ministero:
“Ci vien riferito che Don Bosco è stato ricevuto dal Consiglio di Stato. Tutte le famose pratiche per la conciliazione si ridurrebbero, come abbiamo già in parte supposto, ad un tentativo [516] per far sì che fossero assegnate le temporalità ai Vescovi, che non hanno presentato, nè vogliono presentare la bolla di nomina.
Don Bosco avrebbe immaginato un sistema di espedienti e di compromessi, ed ha voluto esporli al Consiglio di Stato. Vuolsi che egli abbia trovato lodi e compiacenze non lievi in quel consesso; e alcuni affermano che anche l'on. Ministro di Grazia e Giustizia sarebbe disposto a favorire le idee del reverendo sacerdote. A questo poi non vogliamo prestare fede alcuna; giacchè ci sembra del tutto impossibile, che, o l'on. Vigliani, o il Consiglio di Stato, vogliano mutare la legislazione dello Stato in una materia delicatissima senza l'intervento del Parlamento”.
Nello stesso giorno l'Unità Cattolica di Torino, che non era mai entrata in argomento, dava ragguaglio delle dicerie dei giornali, in forma assai umoristica, in un articolo, intitolato:
“La Conciliazione col Papa e i biricchini di Don Bosco.
“Una persona è venuta in Roma colla buona intenzione di togliere di mezzo gli ostacoli principali che si oppongono ad un modus vivendi. Questa persona è don Bosco, egregio sacerdote torinese, uomo di molta pietà e dottrina. I giornali clericali sono completamente muti sopra questo incidente”. Perseveranza dei 14 di gennaio 1874.
Da una settimana i diarii della rivoluzione, grandi e piccoli, ci parlavano dei negoziati aperti in Roma per conciliare ciò che prima il Vangelo e poi il Sillabo di Pio Nono hanno dichiarato inconciliabile come la luce colle tenebre e Cristo con Belial. Noi abbiamo letto quelle ciancie, e, sorridendo di compassione, passammo oltre. Ma quei giornali proseguivano sullo stesso argomento, aggiungendo alle loro prime notizie quest'altra, che uno de' più illustri Prelati dell'alta Italia era andato a Roma per promuovere la conciliazione famosa. E noi ridemmo di bel nuovo, ben sapendo che nessuno de' nostri Prelati si era mosso dalla propria sede, e tutti applaudirono ed applaudono all'Allocuzione dei 18 marzo 1861, che incomincia Iamdudum cernimus. [517]
Finalmente l'illustre Prelato, andato a Roma, si convertì in un sacerdote piemontese, che va spesso a cercare la carità per gli ottocento e più giovanetti, o, com'egli li chiama, biricchini, raccolti in Torino, nel suo Oratorio di San Francesco di Sales. Talvolta non ha pane da dar loro, e dee pagare la tassa della ricchezza mobile alle finanze del Regno d'Italia! Avendo tempo fa messo in giro dei biglietti per procacciarsi qualche soldo di elemosina, gli sequestrarono e biglietti e denaro, girandogli anche un processo. Nel 1860 gli facevano una perquisizione come fosse un capo di cospiratori; ed ora lo spacciano quale capo di conciliatori. Ossia, dopo d'averlo accusato di cospirazione contro lo Stato, lo accusano oggi di cospirare contro la Chiesa! Ecco le parole della Perseveranza, scritte da Roma il 12, e stampate in Milano il 14:
Altri giornali si occupano oggi di quelle voci di conciliazione, di cui vi ho parlato abbastanza lungamente nella mia lettera di ieri sera; e, secondo le migliori informazioni, risulta che, se tentativo vi è, o vi è stato, esso si è verificato all'infuori di ogni iniziativa ufficiale, così per parte del Governo, come per parte della Santa Sede. Anzi aggiungerò che la fiducia nella riuscita di questi sforzi, per quanto rispettabili, non esiste affatto. Ognuno comprende, ed il Governo italiano per il primo, che, nelle condizioni attuali, non è presumibile che si giunga ad alcun risultato, ed attende perciò, colla più perfetta calma, che i tempi maturino. Poichè un altro giornale l'ha svelato, non credi vi sia nulla di compromettente riferendo il nome della persona che, incoraggiata anche da molti suoi aderenti, è venuta in Roma colla buona intenzione di togliere di mezzo gli ostacoli principali che si oppongono ad un modus vivendi. Questa persona è Don Bosco, egregio sacerdote torinese, uomo di molta pietà e dottrina, ed al quale si deve augurare che questo tentativo presto o tardi non gli costi troppo caro. I giornali clericali sono completamente muti sopra questo incidente.
Come non essere muti quando vengono a dirci che Don Bosco è andato a Roma per conciliare Pio IX col Regno d'Italia e viceversa? Don Bosco ha un mezzo solo per questa conciliazione, è pronto ad usarlo, e Pio Nono forse gli permetterà che lo tenti. Eccolo. Bisognerebbe che tutti i ministri italiani si adagiassero a venire con lui in Torino e a rinchiudersi sotto la sua disciplina almeno per dieci anni, [518] nell'Oratorio di San Francesco di Sales. Dicono che Don Bosco già riuscisse ad ammansare giovani discoli, che erano il tormento e la desolazione del proprio padre e della propria madre. Chi sa che colla sua pazienza non fosse anche capace di rimpastare la testa ed il cuore a Marco Minghetti e compagnia! Certo, l'operazione non è facile, ma il buon sacerdote col suo zelo opera miracoli.
Quando in dieci anni (e non ci vorrebbe minor spazio di tempo) i ministri italiani avessero imparato nella chiesa di Don Bosco il Catechismo e tutti, dal primo all'ultimo, i precetti del Decalogo, assaggiando anche nel suo refettorio i primi rudimenti dell'economia politica, allora potrebbero ritornare con lui a Roma, e prima li condurrebbe dal penitenziere maggiore, e quindi a' piedi del Santo Padre, che, trovandoli migliorati davvero, li riconcilierebbe con Dio e poi con se stesso. A nessun'altra conciliazione ha mai pensato Don Bosco, nè può pensarvi, appunto perchè egli è, come dice la Perseveranza,” uomo di molta pietà e dottrina “Tuttavia veggiamo con piacere che questa volta la conciliazione della nuova Italia col Papa si aspetta da chi s'è consacrato da tanto tempo a custodire i monelli e guarire i biricchini. Siamo sulla buona strada”.
Ormai si era per raggiungere un modus vivendi, approvato dal Consiglio dei Ministri e dal Consiglio di Stato, al quale avrebbe dato l'assenso anche il Vaticano, e Don Bosco lo preannunziava a Mons. Gastaldi:
Roma, 16 - '74, Via Sistina, 104.
Con gran piacere le partecipo che il noto affare è ultimato. Un formolario è accettato da ambe le parti. Lunedì sarà inviata a V. E. una copia autentica del medesimo con modello di lettera, e con quello deve essere da ciascuno trasmesso al Ministro di Grazia e Giustizia. Occorrendo dubbio mi scriva tosto.
La prima di queste lettere sarà indirizzata all'Arcivescovo di Torino. [519] Se posso avere persona che di qui vada costà, scriverò altro.
Sono incaricato di pregare V. E. a voler innalzare preghiere a Dio e impegnare anche le anime buone al medesimo scopo per ottenere da Dio che si tengano lontane le zampe di Satana ecc.
Difatti, il 19 gennaio, il Card. Antonelli inviava a Mons. Gastaldi, insieme con la dichiarazione del Segretario della Concistoriale circa la sua preconizzazione all'Arcivescovado di Torino, queste istruzioni: “La S. Sede, preoccupata altamente dello stato anormale in cui si trovano i Vescovi italiani nominati dal Santo Padre, specialmente per gli ostacoli che incontrano nell'esercizio del loro ministero pastorale, nulla avrebbe più a cuore, che vedere rimossi questi ostacoli. Essendosi ora potuto conoscere che il Governo Italiano sarebbe disposto a regolarizzare la loro situazione dietro la presentazione di una dichiarazione del Segretario della Congregazione Concistoriale, dalla quale risultasse la seguita preconizzazione alle rispettive Sedi vescovili, e la spedizione delle solite Bolle, non si è veduto nessun inconveniente a far rilasciare una simile dichiarazione al Ministro Guardasigilli direttamente e non per terza persona”, e ciò per compiere le pratiche senz'alcuna pubblicità.
Mons. Gastaldi, invece, trovandosi in ottimi rapporti col Procuratore Generale del Re, al quale aveva già comunicato la notizia avuta da Don Bosco, dava a lui l'incarico di rimettere al Ministro Guardasigilli la dichiarazione della S. Congregazione, e subito si venne a sapere da tutti.
Il 29 gennaio il Fischietto scriveva:
“Volete sapere quale fu il primo dei Vescovi a fare uso del felice temperamento [dell'accordo tra la Chiesa e il Governo]?
Precisamente il nostro amenissimo Don Revalenta [così chiamava l'Arcivescovo].”
“Nel mattino del 22 corrente, monsignore Gastaldi ha presentato al Procuratore generale della Corte d'Appello di Torino, una dichiarazione fornita del bollo della S. Congregazione [520], la quale testifica ch'egli è stato trasferito dalla sede vescovile di Saluzzo all'arcivescovile di Torino, ed ora ne è l'investito.
Egli pregò inoltre di trasmettere il documento al Ministro guardasigilli, aggiungendo che, giusta la presa intelligenza, tale formalità era sufficiente per far luogo alla concessione delle temporalità...
Che appetito, sor Arcivescovo, che appetito!
Se la va di questo passo, ben presto arriverete a dar dei punti a quell'altra buona lana di Dominus Lignus, che il cielo confonda, e credo non abbia l’eguale in tutto il mondo per beccar testamenti e divorare eredità!”.
Le pratiche per giungere ad un accomodamento, per quanto venissero compiute da Don Bosco colla massima prudenza, non potevano restar del tutto nascoste, e i giornali anticlericali, che ne venivano a subdorar qualche cosa, proseguivano a screditarle ed a combatterle.
La Libertà del 17 gennaio ne aveva dato una smentita:
“Da fonte autorevole riceviamo notizie non esser punto vero che Don Bosco sia stato udito dal Consiglio di Stato o ch'egli possa aver fatto speciali proposte all'on. ministro di Grazia e Giustizia, che abbiamo ragione di credere non punto disposto ad accoglierle.
Siamo lieti di aver ricevuto questa smentita, giacchè le voci da noi riferite, correvano eziandio fra persone autorevoli, e certo suscitavano qualche inquietudine. È bene dunque che si sappia che non hanno fondamento, e che il Governo del Re, consapevole dei suoi doveri, non è punto disposto a transigere in cosa alcuna che riguardi l'attuazione della legge sulle Guarentigie.
Terminiamo esprimendo la speranza, che non vi sia più motivo di parlare, nè di Don Bosco, nè di altri chichessia, nè di tentativo alcuno di conciliazione, che per ora è del tutto impossibile”.
Il giorno dopo La Capitale confermava il lavoro di Don Bosco... per la conciliazione:
“Le pratiche per la conciliazione. - Tutti i giorni la Capitale vede confermati i suoi giudizi. Dicemmo che i consorti [521] non pensano che a far lega coi preti, e infatti ieri il famoso Don Bosco, il prete Piemontese, fu ammesso nientemeno che al consiglio di Stato per proporre il modo di conciliarsi.
I ministri, massime il Vigliani, dicono l'abbiano ascoltato a bocca aperta, pronto a far tutto quel ch'ei vuole.
Ognun s'immagini quanto debbano essere utili alla libertà e alla civiltà d'Italia le proposte d'un Prete Bosco, clericale famoso!
È inutile: siamo ancora ai tempi di Barbarossa: il povero Arnaldo, cioè la libertà, verrà consegnata in mano al Papa che la porrà sul rogo”.
Il 19, la Gazzetta di Genova, in forma moderata, esponeva lo stato della questione, negando le pratiche della conciliazione, ed ammettendo la necessità del lavoro di Don Bosco affine di superare le difficoltà che incontravano i Vescovi per ottenere l'Exequatur.
“I giornali hanno parlato a lungo dell'arrivo di Don Bosco a Roma, e vi hanno fatto sopra i più strani commenti. Qualcuno ha sparso la voce che quel sacerdote fosse qui venuto a farsi intermediario di conciliazione tra il Papa e l'Italia; altri che volesse soltanto proporre al governo un qualche mezzo termine affinchè i vescovi nominati dalla Santa Sede, e che rifiutarono di presentare le Bolle, potessero andare al possesso delle loro temporalità. La prima di queste versioni è assolutamente falsa, e credo invece assai più esatta la seconda. È certo che i vescovi si trovano fra l’incudine e il martello, tra la Curia romana che vieta loro di presentare le Bolle, e il governo italiano, il quale, finchè non presentano quelle Bolle, nega loro le temporalità. Qualcuno di quei Vescovi trovasi in condizioni molto critiche, e ridotto quasi in miseria. E adunque probabile che si siano rivolti a Don Bosco, pregando di farsi loro intercessore presso il governo. Don Bosco ha qui avuto colloquio con parecchie persone autorevoli, ma è falso che egli sia stato ammesso a presentare le sue proposte in una riunione del Consiglio di Stato. Il governo è dispostissimo a togliere quei vescovi dallo stato precario in cui si trovano e, per vero dire, senza loro colpa. Ma d'altro canto, non può dipartirsi da quelle formalità che sono [522] consacrate dalla legge, non può menar buono un divieto della Santa Sede, il quale in fin de' conti non ha altro fine, tranne quello di non riconoscere l'autorità del governo nazionale”.
Il 19 Don Berto prendeva questi appunti: “Alcuni riferirono a Don Bosco aver detto il Ministro Vigliani: - Io starei tutto il giorno a parlare con Don Bosco. - Don Bosco a pranzo disse: - Adesso ho una impresa, e spero di riuscirvi, e si è di impedire il ballo al Colosseo. Ho già parlato con qualcheduno. - Ritornando dal Card. Berardi raggiunsi Don Bosco in via Sistina, accompagnato da un granatiere. Gli domandai chi era. - È uno dei nostri primi giovani dell'Oratorio, chiamato Viano. Ha saputo ch'io era a Roma, ed erano tre giorni che mi cercava. - Finalmente, dissemi, questa mattina l'ho veduto passare, e lo tenni d'occhio, finchè dissi tra me: È proprio lui! - Egli ha il grado di luogotenente, ma spera di passar presto in grado più alto.
A pranzo raccontò un episodio della conversione da lui fatta di un framassone; e come presentemente suo figlio trovasi in uno dei nostri collegi. Disse pure il metodo che egli tiene con costoro; di non mai rispondere ai giornali che gli scrivono qualcosa contro...”.
Per istrada incontrò Mons. Simeoni, della Sacra Congregazione di Propaganda, il quale gli propose di accettare una Missione.
Giunto al Vaticano, apprese che il Card. Antonelli era a letto con febbre.
Il 20, con Don Berto tornava in Vaticano “a prendere alcune carte”, e nel pomeriggio dal Ministro Vigliani. “Dovemmo, scriveva Don Berto, aspettare un quarto d'ora o venti minuti circa, perchè c'era dentro l'ambasciator d'Italia nella Spagna, certo Conte Baral. In questo frattempo venne l'ambasciatore del Belgio, ma andò via subito. Don Bosco entrò dal Ministro, ci stette una mezz'ora e gli consegnò una Bolla da parte del Card. Antonelli. Uscitone, Don Bosco [523] mi disse che Vigliani è un po' adirato coll'Arcivescovo di Torino. Il perchè si è questo: Don Bosco aveva scritto in segreto all'Arcivescovo che cessasse dalle pratiche col Procuratore del Re, poichè già era vicino un accomodamento per tale affare tra il Ministro di Grazia e Giustizia col Vaticano. L'Arcivescovo scrisse allora al Procuratore del Re e ad Antonelli affermando che si faceva una conciliazione ecc. ecc. Vigliani perciò aveva detto a Don Bosco: - Scrivete e ditegli da parte mia che è imprudente. - Di qui si vede che se l'affare delle temporalità andò a monte fu in parte per le imprudenti rivelazioni e pubblicità di Mons. Gastaldi”.
Il 21 Don Bosco scrisse una lettera al Card. Antonelli, e il 22 andò a fargli visita, quindi tornò dal Ministro Vigliani; e “ci stette dalle 11 e ¼ fino all'una, malgrado vi fossero a far anticamera due deputati e il Ministro della Pubblica Istruzione, il sig. Comm. Scialoia”.
Il 24 “andai - prosegue Don Berto - a portare al Segretario del Card. Antonelli una lettera di Don Bosco da consegnare a Sua Eminenza; di poi, preso un legno, portai una formola di Bolle Pontificie al Ministro di Grazia e Giustizia. Il Ministro mi chiamò in camera sua, e mi disse: - Dica a Don Bosco che quest'oggi all'una, o alle 2, o alle 3, alle 4, passi qui da me”; e Don Bosco vi andò, “entrò subito, e vi stette circa due ore”.
Tornato a casa, Don Bosco scriveva a Mons. Gastaldi:
Sembrava tutto conchiuso; oggi un incaglio. Il Ministro di Grazia e Giustizia cominciò ad essere di cattivo umore quando l'Avv. Generale Eula scrisse che da V. E. aveva appreso essere conchiuso un accomodamento sulle temporalità. Oggi poi, quasi contemporaneamente alla sua, giunse pure altra lettera dello stesso avvocato che manifestava avere ricevuto invito di far pervenire quella dichiarazione Concistoriale al Minist. e che tutto era terminato. Si dimandavano spiegazioni. Si aggiunse che un giornale pubblicò letteralmente ogni cosa. Oggi il Consiglio di Stato era sconcertato, e fece nuove proposte, che dimani saranno riferite.
Ma tutti mi dissero di raccomandare caldamente a V. E. di tenere il più stretto segreto sopra tutto questo affare, ed occorrendo scriva esclusivamente al Card. Antonelli oppure al Comm. Vigliani. [524] Alcuni Deputati sono già venuti al Ministero per dimandare schiarimenti su quanto alcuni giornali hanno pubblicato.
Insomma il demonio ci ha messo la zampa. Appena vi sia qualche cosa di positivo, ma conchiuso, lo saprà tosto o da me o dal Card. Antonelli.
Raccomandiamo, dice il S. Padre, ogni cosa al Signore, affinchè si possa ottenere non tanto le temporalità, ma siano allontanati gli impacci che si frappongono ai Vescovi nell'esercizio del pastorale loro ministero.
Colla più profonda venerazione e con pienezza di stima ho l'onore di potermi professare,
Anche in mezzo a tante fandonie che la stampa spargeva a suo riguardo, tutti avevan per lui una deferenza speciale, e molti lo volevan anche a desinare almeno una volta a casa loro. Il 25, il marchese Cavalletti, già governatore di Roma sotto lo Stato Pontificio, l'invitava a pranzo per il 27; e quella sera Don Bosco si recava in via Ripetta n° 66, in casa del cav. Francesco Gilardini, genero del Cav. Balbo, e Referendario del Consiglio di Stato, il quale - nota Don Berto - gli ripeteva “che se voleva giovarsene, sapesse che il Consiglio di Stato aveva stabilito riguardo alle Temporalità dei Vescovi, che per andarne uno al possesso bastava lasciar vedere al Sindaco una delle tre Bolle, che si mandano dal Pontefice, quando si elegge un Vescovo. Attaccò pure quistione con Don Bosco dicendo che la Temporalità non era necessaria al Papa. Don Bosco gli turò la bocca ad ogni parola, e lo convinse su tutto”.
Il 26 il Card. Antonelli gli esprimeva, con forti parole, il dispiacere, che l'Arcivescovo di Torino, invece d'inviare la dichiarazione della Concistoriale al Ministro di Grazia e Giustizia, l'aveva rimessa al Comm. Lorenzo Eula, Procuratore Generale del Re. .
E Don Bosco, rilevando che lo scopo primario, per cui si era recato a Roma, era l'approvazione delle Costituzioni Salesiane: - Io son contento, ripeteva quella sera, che i giornali abbiano parlato della pretesa Conciliazione, perché [525] così almeno nessuno penetra il vero motivo per cui io sono a Roma. Io son contento di andare a casa colle nostre Costituzioni approvate!
Il 30, l'Osservatore Romano, evidentemente per compensarlo un po' di tante strampalerie attribuitegli dai giornali, faceva un bell'elogio di vari libri editi dalla Tipografia dell'Oratorio, nella rubrica Bibliografia.
“Abbiamo più volte - diceva - fatto cenno delle opere d'indole religiosa, che veggono la luce in Torino, edite dalla Tipografia e Libreria dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, istituto fondato e diretto da quel miracolo di carità e di modestia che è il sacerdote Giovanni Bosco.
In questo momento ci giungono da quel solerte stabilimento altre quattro opere, una delle quali di gran mole intitolata: La Madre Chiesa nelle sue relazioni con Dio e coi suoi figliuoli nella Santa Messa, ossia spiegazione storica, critica, morale della Santa Messa, pel Teol. Prol. e Miss. Apostolico Belasio Antonio Maria da Sartirana, Direttore spirituale del Seminario di Vigevano”[80].
La seconda era un opuscoletto dello stesso autore, intitolato: “Della vera scuola per ravviare la Società”, “piccolo di mole, ma che vale cento volumi, specialmente se si mette a riscontro colle pessime teorie d'insegnamento che oggi corrono per le mani dell'universale, inspirate tutt'altro che all'amore della vera istruzione e della vera civiltà”.
La terza, “un caro libriccino di 100 pagine, col titolo Geoponica di Stefano - Francesco Sertorio, nel quale è delineato un completo trattato di Agricoltura. E perchè non si perda di mira la mano Onnipotente che tutto informa, è in esso frequentemente citata la divina parola, per dimostrare [526] come le sacre carte sieno pur sempre le sole maestre e fattrici di civiltà e di benessere in tutte le cose.
Finalmente - così terminava l'articolo - diremo della prima tra le pubblicazioni di quest'anno, edita dalle Letture Cattoliche di Torino, e che ha per titolo: - Massimino, ossia incontro di un giovinetto con un ministro protestante sul Campidoglio. - Ne è autore quell'instancabile operaio nelle vigne del Signore, che è il Sacerdote Giovanni Bosco. Tutti gli errori che i nemici della Religione nostra santissima vanno spargendo per traviare i semplici e gl'ignoranti, specialmente per ciò che riguarda la venerata Sede del Capo della Chiesa, vi sono confutati con uno stile chiaro, persuasivo, e adattato alla intelligenza di tutte le persone. Noi lo raccomandiamo caldamente ai nostri benevoli lettori. Sparso in mano al popolo, esso non può produrre se non frutti ubertosissimi di religione e di morale”.
L'elogio del libretto di Don Bosco e del suo zelo per la diffusione della buona stampa, pubblicato nell'Osservatore Romano, fece arricciare il naso e perdere, il cervello ad un prelato, a Mons. Nardi, Uditore della Sacra Rota per l'Austria, e redattore della Voce della Verità. Ad alcuni dei più influenti del Vaticano pareva che Don Bosco, non solo avesse l'ardire d'intromettersi nelle cose della Chiesa, ma fosse giunto al punto di dar consigli al Papa! E Monsignor Nardi, il 10 febbraio, osava pubblicare nella Voce della Verità quest'articolo contro di lui, dicendolo venuto a Roma ad insegnare al Sommo Pontefice!
“I Conciliatori. - Son bravissima gente, tutto carità, tutto pace, che gemono sui mali della Chiesa, e (nol dicono) sulla ostinazione del Papa. Santo Dio! Con una parola si potrebbe aggiustar tutto, ridonar la pace allo Stato, alla Chiesa, alle coscienze agitate; non vi sarebbe più da Susa a Marsala che un cuor solo e un'anima sola.
Ci dispiace, signori, ma questa parola non può dirsi: questa pace non può farsi. Che cosa volete? Quel Nostro Signore fu anch'esso un gran litigoso. L'avea sempre col mondo e particolarmente con quegli ottimi Farisei. Battea sempre e poi sempre [527] quel chiodo, e non la finì neppure nel pretorio. Capisco che a voi premerebbe di conservar tranquillamente la preda. Quando uno ha fatto un grosso affare, a dispetto del settimo comandamento, si mette i guanti, si aggiusta la cravatta, e assai volentieri s'imbranca cogli onorati, che mai non rubano un soldo. Ma questi gli voltan le spalle, ed eccolo furioso. Che cosa domanda infine? Una parola, una stretta di mano, ed esser creduto onesto, e questo proprio non si può fare.
Prendiamo la cosa scherzevolmente, perchè avrebbe un altro lato. Se fosse vero quel che van dicendo certi fogli del Governo, che persin alcun uomo di chiesa vorrebbe dar mano al famoso ponte, e impegnare il Papa a mutare quel modo, che rende il suo nome da un capo all'altro del mondo così glorioso: se ci fosse stato o ci fosse taluno che venisse da lontano a soffiargli all'orecchio simili consigli, non esiteremmo, qualunque abito porti, a dargli il posto che gli compete nell'Evangelio della prima Domenica di Quaresima.
Noi non crediamo simili cose, perchè troppo alta è la stima che abbiamo del nostro clero italiano. Ammesso, per assurdo, che ci fosse, gli diremmo: amico, torna alla patria, qui perdi il tuo tempo. Pio Nono è un nobile e santo uomo, e con lui non si la nulla. Tu hai capito; se poi non bastasse, guarda che parlerem più chiaro, ma non te lo consigliamo. X.
Quest'articolo in Vaticano spiacque assai. Pio IX fece chiamar Monsignore e, fattogli un solenne rimprovero, gli ordinò di riparare in qualche modo all'offesa fatta a Don Bosco. Mons. Nardi ritenne di compiere l'obbedienza con quattro righe che pubblicava, il 6 febbraio, in lode del citato libretto del Belasio: „Cenni Bibliografici. - Della vera scuola per ravviare la Società pel prof. teol. Antonio Maria Belasio, direttore spirituale del Seminario di Vigevano.
“La tipografia e libreria dell'oratorio di S. Francesco di Sales in Torino, tanto benemerita per la stampa di opere belle, dotte ed essenzialmente buone, ha testè fatto stampare l'operetta suddetta, che è un vero gioiello ed atta in questi tempi calamitosi, contra gli errori infiniti che si cerca spargere nei giovani. Sono parole che toccano il cuore, e l'autore ha reso un gran benefizio alla società [528] Ma poi., ripetutamente come vedremo, tornava a criticarlo...
Il 2 febbraio, festa della Purificazione di Maria SS.ma, accompagnato dal segretario, Don Bosco andava in Vaticano per chiedere un'udienza per sè, e per altre nove persone; quindi salì dal Card. Antonelli. Quella mattina „si faceva l'offerta delle candele o ceri al Santo Padre; e - scrive Don Berto - vi era un continuo andirivieni di sacerdoti, frati, secolari ecc. ecc. Il Card. Antonelli era occupato anche lui a ricevere le candele. Finito che ebbe, ci passò davanti, ed io gli potei baciare la mano. Fece entrare subito Don Bosco e ci stette un 3/4 d'ora. Mentre discendevamo dalle scale del Vaticano, Don Bosco mi disse: - Adesso sai il perchè il nostro Governo non vuole accondiscendere nel dare l'Exequatur ai Vescovi? Ecco, ricevette da Bismarck una nota, in cui si proibisce ogni aggiustamento. - Prendemmo l'omnibus e andammo a pranzo da Bertarelli; quindi a casa. Alla sera... io andai a portare alcune lettere alla posta e altre a mano, fra cui una pel Duca d'Aosta, Principe Amedeo, ex - re di Spagna”.
Mons. Gastaldi, in risposta alla lettera di Don Bosco del 24 gennaio, nella quale gli aveva raccomandato di tener il più stretto silenzio circa l'affare delle temporalità, e se mai ne avesse bisogno, si rivolgesse direttamente, o al Card. Antonelli, o al Ministro Vigliani, e a nessun altro, il 3 febbraio, scrivendogli per un altro affare - la costruzione della chiesa di S. Secondo - gli faceva questa dichiarazione:
Riguardo alle temporalità, io non dissi mai nulla fino a che ricevetti una lettera dal Card. Antonelli, accompagnata dalla dichiarazione del Patriarca Antici. Allora parvemi si potesse parlare alquanto; però ho impedito che la cosa fosse pubblicata nell'Unità. Mandai immantinente al Procuratore del Re la dichiarazione del Patriarca, perchè fosse presentata al Ministero, accompagnandola con una lettera simile a quella già scritta al Ministero dopo la mia promozione a questo Arcivescovado. Finora nessuna risposta.
Per me solo che la mia amministrazione non avesse incagli nel fare il bene, me ne starei volentieri dove sono...
Nello stesso giorno l'Emporio Popolare di Torino, nuovo giornale “quotidiano universale”, in una corrispondenza da [529] Roma, dava di Don Bosco un giudizio troppo bonario ed inesatto:
“Come corrispondente è mio obbligo dirvi la verità, singolarmente in quei fatti che vengono dalla pubblica stampa travisati con sinistre conseguenze. Vi ho scritto, contro le asserzioni di molti giornali, che in questi ultimi tempi non si era iniziata alcuna trattativa per ottenere le temporalità dovute dal Governo italiano ai Vescovi.
Vi diceva non esser vero che il Reverendo Don Bosco avesse avuto dai Vescovi e molto meno dalla Santa Sede l'incarico di trattare una tale questione, essendo egli venuto a Roma, come da vari anni suole nel gennaio, per affari della sua Congregazione.
Così certamente stavano allora le cose; ma in seguito, a quanto vengo assicurato, pare che Don Bosco, mosso certamente da buon fine, abbia fatto qualche passo in proposito.
E vi è chi teme che egli, ingannato dalla sua soverchia bontà, si sia lasciato trarre ad una iniziativa, alla quale l'autorità ecclesiastica rimane estranea...”.
Non deve far meraviglia che, pur compiendo il grave mandato col massimo riserbo, Don Bosco venisse giudicato male nel suo operato, e che, da una parte e dall'altra, dal clero e dal laicato, gli piovessero addosso delle critiche. Lavorando per ottenere le temporalità dei Vescovi, veniva trattando una specie di conciliazione; e in quei giorni la conciliazione era il sospiro dei buoni e lo spavento degli anticlericali, e ciascuno ne parlava a modo suo; basti il dire che si fecero anche delle pratiche per far toccar con mano ai Ministri che nulla poteva garantire la libertà del Papa, se non tornava libero padrone, almeno di Roma.
Don Bosco, fermo nel suo disegno, andava e veniva da Vigliani ad Antonelli: e perfin due volte al giorno dall'uno e dall'altro. Quei del Governo parevano animati dalle più buone intenzioni. Ciò forse in vista della Monarchia, che appariva ogni dì più sminuita di dignità. Più volte Don Bosco ne parlò anche col Papa, il quale vedeva chiaramente come l'occupazione di Roma non sarebbe finita [530] così presto, con danno incalcolabile delle anime; perciò, buono com'era, egli si sarebbe acconciato anche a disposizioni transitorie, purchè fossero interamente salvi i diritti della S. Sede. Gli disse pure nettamente: - che il Re Vittorio Emmanuele fosse Vicario del Papa nelle cose temporali, ma il supremo dominio rimanesse nel Pontefice, con podestà di restringere il potere al Re, qualora così avesse giudicato: e ciò riguardo anche agli stati pontificii; - in sostanza egli pure si mostrava disposto di venire ad una conciliazione.
Don Bosco andava e veniva; si parlava, si obiettava, si discuteva: sempre in modo però che neppur alla lontana apparisse che il Papa entrava in quelle trattative.
Alcune volte venne introdotto ove stavano radunati tutti i ministri con vari deputati, oltre a diciotto persone; ed egli era stanco di testa e di stomaco dal gran pensare e parlare. Un deputato un giorno esclamò: - Don Bosco da solo vale tutti noi: peccato che non si sia messo nella carriera di Ministro di Stato: egli noli si sgomenta mai. Si fractus illabatur orbis, impavidum ferient ruinae.
Finalmente Pio IX gli disse: - Ebbene: veniamo alla conclusione: giacchè il Governo del Re accetta tutte le condizioni poste, dite che dia una garanzia duratura ed io acconsento.
Don Bosco ripetè queste parole a Vigliani, il quale osservò: - Qui sta il busillis. Come dare garanzia duratura? Siamo in governo parlamentare. Oggi o domani può cambiare Ministero e Camera, e tutto va in aria!
Il 6 febbraio, l'articolo della Voce della Verità veniva criticato come si meritava dall'Italie di Roma:
Il a paru, samedi dernier, dans la Voce della Verità un article intitulé: “I conciliatori”, qui a produit une grande impression dans le monde même qui fréquente, le Vatican et va y chercher ses inspirations. Cet article n'est qu'une diatribe violente contre l'abbé don Bosco, qui est accusé, par les pieux écrivains de la Voce, d'être un fauteur de conciliation, et dénoncé par eux au monde catholique comme un pharisien.
C'est là un véritable scandale. Tout le monde sait que don Bosco est un prêtre exemplaire, qui a bâti des églises, fondé des écoles et [531] des instituts, et obtenu des résultats auxquels Mgr Nardi lui - même n'aurait pas pu atteindre.
Comment se fait - il donc qu'on vient injurier et insulter publiquement un pareil prêtre, et que ces insultes partent précisément des bureaux de la Voce, l'organe des jésuites? Nous sommes allés aúx informations, et nous avons appris que les insultes dirigées contre don Bosco n'étaient que l'expression des sentiments personnels de la Vore, et que le Vatican, ainsi que tous ceux qui ont une certaine dose d'éducation et de charité, les ont sévèrement condamnées.
Nous n'avons pas pour mission de défendre don Bosco; notre défense lui ferait peut - être plus de mal que de bien; mais nous tenons uniquement à faire remarquer que le Vatican, au moins d'après ce que nous savons, ne partage pas les antipathies des inspirateurs de la Voce contre l'excellent prêtre de Turin, qui, d'accord avec ses supérieurs légitimes, s'est mis courageusement à l'œuvre pour aplanir les difficultés relatives à l'exequatur.
Anche la Gazzetta di Torino (N° 37, seconda edizione) si burlava dell'articolo di Mons. Nardi su Don Bosco... caduto in sospetto di liberalismo e di giacobinismo!...
A proposito di gesuiti; ve n'è una ancor più bella.
Don Bosco è ancora qui; e voi sapete che lavora a vantaggio dell'episcopato, onde i vescovi potessero trovare la mensa imbandita senza presentare la bolla e che so io. Ma egli cadde in sospetto... sì, in sospetto di liberalismo e di giacobinismo, perchè volendo giovare ai vescovi, fu costretto ad avvicinare Vigliani, il quale ama assai il corteggiamento dei prelati. E il sospetto fu denunziato pubblicamente; la Voce della Verità scrisse contro di lui un articolo violentissimo e villanissimo, in cui gli si dava anche del fariseo, e lo si minacciava se non partiva subito.
Fu una bomba a ciel sereno. L'articolo fece scandalo, e l'articolo era scritto da monsignor Nardi. Ma chi lo aveva inspirato? Il Vaticano o i gesuiti?
Si dice l'ispirazione venga dall'ultramontanismo gesuitico, il quale vuole che i vescovi siano suoi schiavi.
D'altra parte si voleva abbassare Don Bosco, che è ben visto dal Papa, e siccome il fine giustifica i mezzi, così si è ricorso alla calunnia e alla virulenza di piazza contro un sacerdote che dal punto di vista della santa bottega, è tutt'altro che dispregievole; chè anzi è noto come uno dei più laboriosi nella vigna del Signore. Ma che importa ai gesuiti la vigna del Signore? Essi vogliono dominare e speculano sulla sventura della Chiesa, come essi dicono, per vieppiù abusare del fanatismo dei fedeloni.
La morale della favola è questa: che pei gesuiti Don Bosco è [532] un giacobino, e che i preti tra loro non si possono vedere e si detestano cordialmente, e si trattano con sanguinose ingiurie quando la gelosia li spinge.
Lo scandalo è incominciato, ma non è ancora terminato; essendo impossibile che Don Bosco non abbia un partito che lo difenda dagli attacchi violentissimi di monsignor Nardi.
Don Bosco giacobino! Chi lo avrebbe detto? Stando al mondo se ne vedono delle belle!
Oggi numerose comitive tornarono al Colosseo per l'affare della Via Crucis. Ora basterebbe. Se la dimostrazione continua, c'è pericolo di vederla finire a suon di bastoni e di sassi. - M. M.
La domenica, 8 febbraio, Don Bosco ebbe un'udienza pontificia, insieme con Don Berto, per i coniugi Sigismondi, loro ospiti, il cav. Occelletti, il sig. Testore, e il Cav. Balbo con la consorte e la nipote, sposa del cav. Girardini, referendario del Consiglio di Stato, ed un'altra signora piemontese; fra tutti dieci persone. Don Bosco l'aveva domandata per accontentare quei benefattori.
“Aspettammo - scrive il segretario - una mezz'oretta o 3/4 d'ora all'incirca. Quand'ecco compare il Papa, vestito col cappello, mantello rosso e veste bianca, tenendo un bastoncino in mano. Venne avanti a noi: eravamo tutti inginocchiati. Prese Don Bosco per la mano e lo alzò. Quindi Don Bosco lo accompagnò di fianco, facendogli conoscere le persone che erano con noi. Tra quelli che lo accompagnavano era Mons. Negrotti; ma noi restammo tutti collo sguardo fisso al Papa, senza parlare. Allora Don Bosco stesso domandò al Papa ciò che avevano bisogno di dirgli quelle persone. Tra le cose che il Santo Padre disse a Don Bosco sono queste: - Non faremo nulla! Visconti Venosta scrisse una lettera l'altro giorno, in cui diceva che la Chiesa gode piena libertà, e poi, ieri l'altro, alcune signore entrarono nel Colosseo a pregare davanti l'ultima stazione della Via Crucis che rimaneva ancora alla venerazione, e vennero condotte in prigione. Eh sì, sono un po' cattivelli.
Poi rivoltosi alla moglie del Cav. Balbo, travagliata dal mal di denti: - Ci vuole la medichessa; ed io ho questa [533] medichessa che viene a curarmi una volta alla settimana. Sapete qual è? Ditemi un po' voi, Don Bosco? - È la pazienza, rispose Don Bosco. - Il Papa gli soggiunse: - Ho poi una parola da dirvi.
Discesi dal Vaticano nel cortile interno entrammo in una vettura chiusa, e discendemmo vicino all'Oratorio di S. Marcello in via dell'Umiltà dal Marchese Augusto di Baviera, Direttore dell'Osservatore Romano e pranzammo da lui. Si dissero tante cose... Egli domandò a Don Bosco licenza di scrivere qualche cosa in suo favore per combattere la Voce della Verità, che aveva parlato più volte in modo che fece poco buona sensazione...
Verso notte venne a salutarci prima di partire il sig. cav. Occelletti con Testore: Occelletti era così commosso dalla visita al Santo Padre che pianse più volte per consolazione”.
E Don Bosco gli consegnava questa lettera da rimettere personalmente in mano a Mons. Gastaldi, in maniera al tutto confidenziale:
Approfitto del sig. Cav. Occelletti per darle qualche notizia che non si può affidare alla carta.
Quando era tutto conchiuso, e che il Ministro di Grazia e Giustizia aveva di proprio pugno scritto un formolario, che accettato dalla Santa Sede era stato inviato alla E. V. Rev.ma, non erano più a temersi difficoltà. Così pareva. Ma invece fui chiamato in fretta e mi furono esposte molte osservazioni all'Arcivescovo di Torino perchè aveva dato pubblicità alle cose, che i giornali se ne erano impossessati; deputati aver minacciato interpellanze, il Consiglio di Stato di parere incerto ecc. ecc.
Ma tutto ciò era un pallio per coprire la realtà. Il fatto vero sta che il giorno prima si era ricevuta una virolenta lettera di Bismarck protestando contro alle voci di conciliazione, e specialmente contro ai Vescovi che ecc. La pratica non è rotta, ma è sospesa. Prima che termini la settimana spero poterle scrivere altro.
Mi raccomando alla carità delle sue preghiere; faccia in pezzi questa lettera.
La pubblicità data ai tentativi che si stavano facendo e l'intervento di Bismarck altro non fecero, per il momento, che consigliare di continuarli in silenzio e segreto assoluto. Don Bosco stesso, come appare dal diario di Don Berto, cessò di farne parola anche nell'intimità familiare; ma le pratiche vennero proseguite colla speranza di arrivare ad una soluzione.
I giornali, però, tanto clericali come anticlericali e massonici, non cessavano di parlarne.
L'8 febbraio il Journal de Florence (anno IV, N° 31) in prima pagina e nell'articolo di fondo, esponeva i motivi che avevano condotto a Roma Don Bosco, e due giorni dopo l'Emporio Popolare di Torino lo pubblicava in italiano:
“Torino, 9 febbraio. - La questione delle Temporalità dei Vescovi. - Siccome in questi ultimi giorni anche i giornali tedeschi e singolarmente l'Augsburger Allgemeine Zeitung si sono occupati della missione di D. Bosco a Roma, dei nuovi Vescovi, della presentazione delle bolle, delle loro temporalità e della Conciliazione, così crediamo opportuno recare tradotto il seguente articolo del Journal de Florence che ne parla con chiarezza e, crediamo, con conoscenza di causa:
La questione dell'exequatur per le bolle di preconizzazione dei Vescovi italiani è tornata a galla. Prima la Libertà, poi l'Opinione aveano dato la sveglia annunziando che il Reverendo Don Bosco sacerdote Torinese, si trovava a Roma, dove serviva d'intermediario fra la Santa Sede ed il Governo italiano per indurre questo a rinunziare alla pretesa dell'exequatur ed a riconoscere i Vescovi nominati dal Sommo Pontefice. Noi abbiamo creduto prudente conservare finora il silenzio sopra un argomento di così alta gravità; perchè, trattandolo, avremmo dovuto mostrare che, se in questo affare qualcuno cedeva, era il Governo italiano e non la Santa Sede, ed evidentemente questa rivelazione non poteva che nuocere al buon risultato dei negoziati.
Ma giacchè gli agenti ufficiosi hanno comunicata la notizia ai giornali stranieri, affermando che “i Vescovi debbono domandare al Governo del Re il loro exequatur per godere della loro mensa”, così noi vogliamo ristabilire la verità e ciò tanto più in quanto che essendo falliti i negoziati per causa del mal volere del Governo italiano, nessuna considerazione si oppone a che noi tocchiamo recisamente la questione. [535]
E, prima di tutto, bisogna distinguere fra la questione romana propriamente detta e le questioni molteplici che si riferiscono all'esercizio del potere spirituale del Papato.
La questione romana non ha più bisogno di spiegazioni, perchè la Santa Sede è convinta ed i fatti hanno sovrabbondantemente provato che la coesistenza a Roma del Capo supremo del Cattolicismo e di quello della rivoluzione italiana è sommamente nociva alla Chiesa. Il R. D. Bosco non poteva dunque proporre un accomodamento su questa questione; la sua vita esemplare come l'accoglienza benevola che ha ricevuto durante il suo soggiorno a Roma da parte dei più alti dignitari ecclesiastici, erano guarentigie per togliere ogni sospetto malevolo sulla saviezza del suo procedere. L'illustre prete torinese si proponeva semplicemente, sulla istanza del suo proprio Arcivescovo[81] di ottenere dal Governo italiano la rinunzia all'exequatur e il riconoscimento dei Vescovi nominati dal Sommo Pontefice; questo risultato non poteva essere che utilissimo alla vera libertà della Chiesa in Italia.
Di fatto dopochè il Governo volle arrogarsi il preteso diritto di exequatur, diritto che la Chiesa non riconosce in alcuna autorità secolare, i Vescovi italiani sono privati delle loro mense ed i loro atti sono considerati dal Governo come nulli. Da ciò venne una quantità di difficoltà nell'amministrazione delle diocesi e nella nomina dei parrochi.
Fino al 1870 il Governo concorreva alla nomina dei Vescovi in questo senso che fra lui e la Santa Sede vi era una anteriore intelligenza sulla scelta dei titolari ai vescovati vacanti. Così l'exequatur non aveva verun significato, per la semplicissima ragione che il governo non poteva ricusare di riconoscere come Vescovi gli uomini scelti dalla Santa Sede in comune accordo col Governo stesso. Dopo la invasione di Roma il Governo ha rinunziato egli stesso coll'articolo 15 della legge detta delle guarentigie, al privilegio della proposizione dei titolari; ma nel tempo stesso si è riservato coll'articolo 16 il diritto dell'exequatur, cioè non prendendo parte ad alcuna nomina di Vescovi, pretende godere del diritto di accettare o di respingere i soggetti preconizzati dal Sommo Pontefice. Quindi si concepisce il rifiuto dei Vescovi di sottomettere le bolle della loro nomina all'exequatur regio, e si spiega la persecuzione alla quale sono in preda.
Intanto per togliere ogni pretesto alle esigenze del governo italiano, il Sommo Pontefice autorizzò i nuovi Vescovi fino dalla prima provvisione di chiese che ebbe luogo dopo il 20 settembre a partecipare per iscritto la loro nomina al Governo. Il Governo non se ne contentò ed i Vescovi furono privati del godimento dei loro benefizi e di ogni riconoscimento ufficiale.[536]
Lo stesso governo italiano capì come questa condizione di cose fosse irregolare, come fosse intollerabile per le popolazioni cattoliche della penisola, e quindi il primo ha fatto passi per mettervi termine. Il R. D. Bosco, non avendo in mira che il bene della Chiesa, non ha esitato ad incaricarsi anche quest'anno dei negoziati, quantunque fossero falliti nell'anno scorso. Col beneplacito della Santa Sede ha proposto al Governo di fargli ricevere partecipazione della nomina dei Vescovi per mezzo di una lettera della Congregazione concistoriale. Questa lettera, constatante la nomina dei titolari e munita del sigillo della Congregazione, sarebbe stata rimessa ai Vescovi che alla loro volta la avrebbero trasmessa al Governo. Le bolle sarebbero restate nelle mani dei Vescovi e con ciò stesso il Governo avrebbe rinunciato all'exequatur.
La proposizione di D. Bosco, interamente conforme allo spirito della Santa Sede e sufficiente per condurre il Governo a riconoscere ufficialmente i Vescovi per poco che fosse animato da buona volontà, fu rigettata dal Consiglio di Stato al quale era stata sottoposta. Si dice ancora che il ministro dei culti signor Vigliani ha lasciato comprendere in questa circostanza lo scopo settario che aveva indotto il Governo italiano a sollecitare un accomodamento. Egli avrebbe dichiarato a D. Bosco che voleva sì riconoscere i Vescovi e rimetterli in possesso delle loro mense, ma a condizione che il Papa avesse accettato alla sua volta i tre milioni che gli offre la legge delle guarentigie. L'insidia era perfida, e il R. D. Bosco non ha potuto che ripetere ai tentatori il non possumus di Pio IX”.
Il 9 - scrive Don Berto - “incontrammo in via Minerva il Maggiordomo del Re di Napoli, che fece mille inchini a Don Bosco, ricordandogli ancora quando una volta, essendo andato dal Re a celebrargli la S. Messa nel 1869, egli aveala servita... In piazza S. Chiara, incontrammo il Direttore del Giornale di Firenze ed il corrispondente dell'Univers di Parigi, che pregarono Don Bosco a permetter loro di stampare qualche cosa sulle temporalità; ma egli disse di no, che non era ancora il tempo”,
L'11 tornò dal Ministro di Grazia e Giustizia, e, mentre era in colloquio col Ministro, “vennero tre Deputati: Ricotti, Mamiani, e Crispi. Aspettarono un quarto d'ora e dopo se ne andarono via. Vigliani fece loro rispondere che stava occupato.
Don Bosco mi disse uscendo: - Vigliani mi interrogò: - È al corrente delle cose?
- Veda questo giornale (era La Voce della Verità), veda un po' se con questa gente si può trattare qualche cosa.
Ci stette 3/4 d'ora e più. Vigliani domandò a Don Bosco se non leggeva giornali. Ed egli: - Nessuno.
- Come, non è associato ad alcun giornale? Almeno all'Unità Cattolica di Torino?
- Questo non lo sapeva, son contento di saperlo. E pareva che tutto ciò che si scriveva fosse suggerito da lei”.
Il 13 febbraio Mons. Nardi nell'Osservatore Cattolico di Milano, “Corrispondenza da Roma, 10 febbraio”, dopo aver detto di grandi dolori della Chiesa, amaramente affliggenti il Santo Padre, che non vive se non per essa, tornava alla carica, col dire:
“Ma vi hanno degli altri più acerbi, e son quelli che, se non erro, pongono da più giorni un velo di tristezza su quell'augusto volto, abitualmente così sereno. Si sparsero delle voci che alcuni Vescovi dell'antiche provincie sarde abbiano chiesto l'exequatur, chi direttamente, chi per mezzi indiretti. Benchè l'Opinione e i fogli ufficiali affermino i fatti, e altri fogli cattolici ripetano le parole dell'Opinione senza contraddirle, e altri affermino che l'exequatur non fu domandato, benchè non neghino che venisse concesso, noi continuiamo a credere impossibili questi fatti. La S. Sede non ha cambiato la sua linea di condotta, e gli sforzi fatti dal governo per rimoverla non approdarono a nulla. I Vescovi Italiani sapran rimaner fedeli al loro dovere; se fosse altrimenti, ne morremmo di dolore”.
La domenica 15 febbraio Don Bosco andò a pranzo da Mons. Fratejacci. “Ci tenevano compagnia il Presidente dell'Arcadia, un sacerdote capo delle Missioni della campagna di Roma, il medico di Mons. Fratejacci, ed uno studente del paese del medesimo Monsignore. Dopo il pranzo nell'atto di prendere il caffè, il Presidente degli Accademici Arcadici, Mons. Ciccolini, e Mons. Fratejacci presentarono a Don Bosco il diploma col quale veniva annoverato fra i membri di questa celebre ed antica Accademia. Don Bosco tra le altre parole di ringraziamento disse: - Mi fu presentata tante volte la [538] Croce di Cavaliere e di Commendatore, mitre ed anche qualche cosa di più; ma ho sempre rifiutato tutto, perchè queste cose mi porterebbero via dal mio centro: ma questa onorificenza qui l'accetto volentieri”[82]. Il giorno dopo, di sua iniziativa, Don Berto portava alla posta questa lettera:
Se V. S. sapesse mai il male grande arrecato coll'articolo da Lei formolato il 1° Febbraio 1874, N. 26 nella Voce della Verità, non l'avrebbe certamente scritto.
Quello che è fatto pazienza; vi ponga rimedio per quanto è ancora possibile: ma per l'avvenire guardi di pensare e pesar meglio le parole e ciò che scrive.
E passava a comprar due copie del numero contenente l'articolo infamante, ed una dell'altro che aveva quel trafiletto elogistico del libretto del Belasio. E notava:
“Dopo pranzo verso le 5 ½, uscimmo un po' a passeggiare verso la villa Ludovisi, vicino alla chiesa dei Cappuccini. Passa un signore e saluta Don Bosco. Don Bosco lo risaluta e si volta verso di lui. L'altro, preso coraggio, ritorna indietro e viene a ringraziare Don Bosco, dicendo che in casa Vimercati l'anno 1867 era stato condotto a lui per ricevere una benedizione: - Io allora ero pazzo, ma mi ricordo quando mi portarono da lei, ed ella mi disse che non temessi di nulla. Ebbene d'allora in poi io fui guarito. L'ho già veduta altre volte, ma non osava avvicinarmi per rispetto.
Don Bosco, fra le altre cose mi disse pure: - I giornali parlarono tanto, e noi abbiamo ottenuto ugualmente. Vigliani disse: - Che i parroci andassero pure a prendere possesso delle loro temporalità. Riguardo ai Vescovi si prese un mezzo termine. Adesso scriveremo a tutti come debbono fare per avere le Temporalità. [539]
“Il Papa aveva detto a Don Bosco: - Voi avete fatto tutto ciò che si potè fare; tutto ciò che avrebbe potuto fare una compagnia di teologi. Mi rincresce che qualche giornale vi abbia trattato così male, ma abbiate pazienza”.
L'Osservatore Cattolico di Milano, nel suo numero 39 (giovedì 19 febbraio) pubblicava un secondo articolo, narrando un fatto vero, ma concludendo con giudizi che indirettamente volevano ferire Don Bosco.
Le Temporalità a Monsignor Balma
L'Unità Cattolica d'oggi ci narra come sia avvenuto che a monsignor Balma, arcivescovo di Cagliari, siano state date le temporalità negate tuttora agli altri vescovi eletti come mons. Balma, dopo le guarentigie. Mons. Balma sarebbe ricorso ad uno strattagemma, il quale, a suo credere, riusciva a salvar tutto, il diritto ed il danaro. L'Unità Cattolica asserisce che l'Arcivescovo ebbe istruzione da chi solo poteva e aveva ogni diritto di dargliele; ond'è a desiderare, che ciò che si ritiene fatto legalmente per uno, lo si possa estendere a tutti gli altri che si trovano nelle medesime di lui condizioni. Ecco la narrazione dell'Unità Cattolica:
“È da premettere che la città di Cagliari ha un ottimo sindaco, personaggio di molto ingegno e di molta religione, il quale apprezza in generale i vantaggi sociali che arreca un vescovo, ed in ispecie vide quanto bene avesse fatto mons. Balma alla sua archidiocesi, e quanto maggiore potesse farne, se il governo lo avesse riconosciuto. Per lo che il Sindaco di Cagliari si diè a cercare un mezzo per ottenere l'Exequatur al suo Arcivescovo.
Ma monsignor Balma, persona di molta prudenza e della Santa Sede devotissimo fino allo scrupolo, innanzi tutto volle chiedere istruzioni a chi solo poteva ed aveva ogni diritto di dargliele: e dopo di queste, fece esporre in un luogo patente della sagrestia della sua chiesa metropolitana la Bolla Ad populum, ecc., riguardante la sua nomina ad Arcivescovo di Cagliari con facoltà a chiunque il volesse di prenderne copia. E siccome la Bolla originale scritta con caratteri teutonici non è intelligibile che a pochissime persone, così l'Arcivescovo ordinò che si lasciasse visibile anche il transunto autentico della medesima Bolla.
Il Sindaco di Cagliari, saputo che questa Bolla diretta al popolo calaritano era esposta nella detta Sacrestia, mandò un pubblico notaio a prenderne copia. E poichè al transunto della Bolla Ad populum va unito il transunto delle altre Bolle, cioè al Capitolo ed all'Arcivescovo, il notaio trascrisse i tre transunti e li trasmise al sindaco [540], il quale li mandò in Roma al Ministro guardasigilli. E vuolsi ben avvertire che la copia delle tre Bolle non venne autenticata da nessuna persona ecclesiastica, ma fu semplicemente autenticata, come abbiamo detto, da un pubblico notaio.
Quando il guardasigilli Vigliani ebbe sotto gli occhi questi documenti, volle ancora sapere se monsignor Balma desiderasse di essere riconosciuto dal Governo quale Arcivescovo di Cagliari. E Monsignore rispose a viva voce, dichiarando “ch'egli non poteva e non voleva prendere nessuna parte a presentazione di Bolle di sua nomina ad Arcivescovo di Cagliari per ottenere il regio Exequatur; ma che, pel bene dell'Archidiocesi, desiderava d'essere riconosciuto come tale, protestandosi grato a chiunque, salva la coscienza, si adoperasse per ottenergli siffatto riconoscimento “. E non ebbe nessuna difficoltà di scrivere questo suo desiderio al procuratore generale del Re a Cagliari il quale trasmise al guardasigilli questa dichiarazione, ed in seguito l'Arcivescovo ottenne l'Exequatur”.
I nostri lettori capiranno quali gravi motivi ci impongano di astenerci da qualunque commento su questo fatto isolato: d'altra parte essi hanno avuto dai precedenti nostri articoli in questa materia, sufficienti argomenti per pronunciarsi in proposito.
Il 20 - scrive Don Berto - “incontrammo il Segretario di Mons. Ricci il quale disse a Don Bosco: - Che cosa debbo fare quest'oggi, c'è il Popolo Romano che ne dice tante contro di me: e cose non vere! Dice che io faceva dei biglietti e poi andava a portarli qua e là per 10 fr. l'uno. Alcuni mi dicono di rispondere. Ella Don Bosco mi consigli.
Ed egli: - Veda, facciamo come dice Dante: Non ragioniam di lor, ma guarda e passa. Laetari et benefacere, e lasciar cantar le passere.
Intanto s'era diffusa la voce che Don Bosco era a Roma anche per l'approvazione delle Regole della Società da lui fondata. „È stata nominata una Congregazione Cardinalizia - scriveva il 21 febbraio il Popolo Romano - che dovrà esaminare la domanda presentata dal sacerdote Bosco di Torino per istituire in Roma, sotto la protezione della Santa Sede, un collegio convitto ad imitazione di quelli dei Carissimi.
L'opposizione che si fa ai progetti del sacerdote Bosco è fortissima, tanto da parte dei gesuiti, come dai frati francesi addetti all'insegnamento. [541]
Sembra che Pio IX sia in qualche maniera propenso al suddetto Don Bosco: ma non così il collegio dei Cardinali, eccetto Berardi ed un altro solo”.
Lo stesso giorno l'Osservatore Cattolico di Milano tornava a sparlare delle pratiche compiute per l'Exequatur:
“Le temporalità ai Vescovi e gli stratagemmi per ottenerle. - La questione delle Temporalità ai Vescovi eletti dopo la promulgazione delle guarentigie è passata dai giornali italiani ai fogli stranieri, i quali ne discorrono con molta passione, come di cosa che li interessi direttamente. Infatti, quanto ai giornali cattolici e che esprimono i sentimenti dei cattolici di qualunque parte del mondo, sono nel loro pieno diritto; essi addolorano come noi italiani e come i nostri Vescovi addolorano; essi chieggono un sollievo, una tregua alle ingiustizie, come i nostri Vescovi li chieggono, più da Dio però che dal governo.
Come avviene però sovente, la grossa questione al di là dell'Alpi non è interamente compresa. Abbiamo sotto gli occhi la Décentralisation, ad esempio, che parla dell'Exequatur come di un atto, che il Pontefice esiga dal governo. Ora nulla è più falso di questo concetto. Noi abbiamo discretamente trattenuto i nostri lettori intorno a questo argomento, nè ci pare conveniente il ripeterci; pure alcune parole che servano di schiarimento a quello che avviene in questi stessi momenti in alcune diocesi, non le crediamo superflue.
La S. Sede non esige menomamente che il governo conceda l'Exequatur ai Vescovi; questa esigenza sarebbe pienamente contraria a tutta la pratica della Chiesa ed alla sua dottrina. La S. Sede non riconosce alcun diritto nel governo di rivedere le nomine, che il Papa di sua piena ed assoluta autorità compie in mezzo alla sua corte; questa autorità può essere stata impedita per alcun tempo dalla violenza degli Stati, il Papa può essere venuto a mutue intelligenze con questi Stati, ai quali premeva di regolare le relazioni colla Chiesa, ma non mai nè colla pratica, nè colla teoria, ha giustificato le pretensioni dello Stato. Come dunque può dirsi che la S. Sede aspetta, che il governo conceda ai Vescovi l'Exequatur? [542]
Quello che la S. Sede attende dal governo si è che mantenendosi in stretta coerenza colle sue promesse e colle sue leggi, non abbia a frapporre ostacolo all'esercizio pieno del diritto episcopale, ma lasci che questo diritto, il quale sorge dalla nomina pontificia, nomine che anche il governo riconosce legittime, diffonda liberamente nei fedeli quel benefico influsso, pel quale i Vescovi furono posti a reggere la Chiesa di Dio.
Risulta pertanto che la S. Sede non vuole un atto positivo dal governo, ma semplicemente un atto negativo; non vuole la collazione dell'Exequatur, ma vuole la rimozione d'un impedimento ingiusto, che nega al vescovo la sua posizione giuridica in faccia alle leggi ed ai cittadini cattolici.
Quei giornali stranieri che abbiamo citato più sopra, sono indotti nella confusione che ci adoperiamo a far rilevare, dalle diverse relazioni dei loro governi colla S. Sede, e non s'avvedono che nessuna norma stabilita, nè possibile per ora a stabilirsi, guida tra noi lo Stato e la Chiesa nelle relazioni loro.
Ecco pertanto il grande punto di discordia; i Vescovi, i quali non vogliono precisamente l'Exequatur, non presentano le Bolle, che varrebbe quanto chiederlo; il governo che vuol conferire l'exequatur, esige le Bolle di nomina. Come intendersi?
Dalle relazioni che abbiamo avuto da Roma intorno alla missione del sacerdote Bosco di Torino, abbiamo avuto questa persuasione, che la S. Sede, desiosa di appianare tante difficoltà, concludeva che i vescovi avrebbero presentato al governo un certificato, in cui la S. Congregazione dei Vescovi regolari attestasse che la data persona è veramente investita della dignità vescovile e destinata alla data diocesi. A questa maniera la S. Sede annuiva ai desiderii del governo, di constatare la identità della persona, alla quale avrebbe conferito la temporalità, e nello stesso tempo salvava i diritti della Chiesa non costringendo i Vescovi alla presentazione delle Bolle, presentazione che avrebbe indotto un nuovo e feroce gius politico - ecclesiastico, arma potente in mano dello Stato.
Noi abbiamo applaudito a questo ritrovato della S. Sede, ed ammiravamo insieme la sua fermezza e la sua sapienza. [543]
Ma il governo rifiutò; egli pretese la presentazione delle Bolle, e la S. Sede lasciò che rimanesse colle sue pretese: potius mori quam foedari. Don Bosco se ne tornò a Torino.
Ecco nondimeno qua e là in questi giorni notizie di vescovi che hanno ricevuto dal governo l'exequatur. Come è ciò avvenuto? Ha ceduto il governo da quelle pretese, che la S. Sede non riconobbe legittime? Si è accontentato del certificato proposto dalla S. Sede?
Nulla di tutto questo. Noi abbiamo riferito dall'Unità Cattolica lo strattagemma usato dall'Arcivescovo di Cagliari, e non abbiamo osato farvi commenti, perchè anzitutto ci ricordiamo di essere semplici discepoli in faccia ai Vescovi; quello strattagemma per altro possiamo considerarlo in rapporto a quello che la S. Sede ha fatto per tutelare i proprii diritti, e veggiamo che non bastò all'Arcivescovo di Cagliari la presentazione di un semplice certificato, nè il governo si limitò a togliere gli ostacoli che impedivano all'Arcivescovo l'esercizio dei proprii diritti, ma solennemente gli rilasciò l'exequatur: vediamo che la esposizione delle Bolle in luogo pubblico deve essere accompagnata da una nuova espressione di desiderio d'essere riconosciuto quale Arcivescovo, diretta al Procuratore del Re. Noi non diciamo fin dove queste note siano più o meno decorose, più o meno conformi alla condotta della S. Sede e degli altri Vescovi, certo non partecipiamo in tutto ai sentimenti che ha espresso in argomento l'egregia Unità Cattolica.
In fine non possiamo tralasciare un'osservazione che non deve essere presa in cattivo senso; una maggiore facilità di scendere a questi compromessi, si manifesta nel Piemonte; è di là che un'aura lene e conciliante viene ad accarezzare con poco gusto le guancie dei Cattolici dal Lago Maggiore all'Etna; non vorremmo che dove è incominciata tanta rovina d'Italia, là anche la si consumasse, e molto più non vorremmo che un malinteso interesse religioso facesse le spese di queste pratiche che non qualifichiamo”.
“Don Bosco se ne tornò a Torino!”. La peregrina notizia fu subito creduta, e, il 25 febbraio, la Sentinella di Cuneo dava la notizia che era poi tornato a Roma! [544]
“Roma. - Don Bosco è ritornato ieri in Roma, reduce dal Piemonte, dove si era recato per conferire coi Vescovi, che lo avevano mandato qua per la faccenda dell'exequatur.
A Torino Don Bosco aveva avuto anticipatamente notizia dell'interpellanza dell'onorevole Miceli, ed era venuto in Roma subito, credendo la si svolgesse ieri. Invece è rimasto deluso. Nonostante per non perdere il suo tempo ha chiesto oggi di parlare al ministro degli esteri, non avendo potuto parlare al Vigliani, il quale è realmente malato alla gola”.
In realtà il 24 febbraio Don Bosco rientrava in Roma, tornando…, non da Torino, ... ma da Ceccano!...
Era partito alle 9 ½ . „Il Conte Filippo Berardi [fratello del Card. Berardi], narra Don Berto, aveva stabilito di condurci a Ceccano, sua patria. Alle 9 ½ venne colla sua vettura a prenderci. Montammo dentro col suo Segretario e fummo alla stazione. Ci fece subito entrare dentro, senza passare per la porta ordinaria, ma per il suo grande caffè. Passeggiammo alquanto, osservando la stazione molto vasta. Anzi il Conte Berardi ci disse che è la più spaziosa d'Europa. Montammo nel vagone di sua proprietà dietro a tutti... Arrivammo a Ceccano dopo mezzogiorno.
Alla stazione già ci attendevano colla vettura diverse persone, tra cui due Canonici, uno cugino del Conte Berardi. Tutti i principali del paese e tutti gli altri erano fuori ad osservarci. Il pranzo era già pronto, quindi, dopo visitata la sua casa, ci mettemmo a tavola; fra tutti nove o dieci. Dopo pranzo visitammo il Collegio, accompagnati, si può dire, da tutto il paese. Dopo andammo in vettura a visitare l'Arciprete; indi l'Ospedale, dove trovammo una Suora di Carità torinese. Di poi la Madonna del Fiume, e finalmente a casa. Alla sera, montati in vettura, fummo alla stazione. Arrivammo a Roma alle 9 ½ . Il Conte Berardi disse tra le altre cose a Don Bosco: - A Roma metteremo la Casa Madre: qui a Ceccano la Casa secondaria.
A Ceccano il cugino del Conte Berardi ci aveva detto: - In questi giorni un giornale scrisse che s'era radunata una Congregazione di Cardinali per mettere un Istituto di Don [545] Bosco a Roma; ma solamente due furono favorevoli al progetto, tra cui il Card. Berardi ed un altro col S. Padre”.
Da varie sere, notava ancora Don Berto, dopo cena, in casa Sigismondi, Don Bosco racconta qualche cosa curiosa. „Fra le altre, interrogato intorno al cambiamento delle cose, al trionfo della Chiesa, disse più volte: - Fino al '75 non ci sarà nulla. Si comincerà a vedere un poco di luce prima, ma proprio la ristorazione delle cose non sarà che nel 1878, e più tardi ancora, se qualcosa viene a porre ostacolo alla volontà del Signore. Interrogato poi riguardo al senso di quella profezia che dice: non passeranno due plenilunii nel mese dei fiori prima che l'iride di pace compaia sulla terra; il sig. Don Bosco disse: - Bisogna vedere quando si trovano due plenilunii nel mese di maggio. - Il sig. Alessandro allora andò a vedere nell'almanacco, e (lo vidi anch'io) nel mese di maggio di questo anno accadono proprio due plenilunii”.
Il 28 „incontrammo per istrada Mons. Antici Segretario della Concistoriale. Salutato da Don Bosco, si scambiarono alcune parole, ma senza che Monsignore conoscesse Don Bosco, finchè gli domandò chi fosse.
Monsignore allora si tirò indietro due o tre passi e fecesi il segno della S. Croce. - Come, lei Don Bosco? che fa dei miracoli?
- Sì, sì, son Don Bosco, il Conciliatore.
E allora Monsignore gli disse: - Come andò poi a finire la faccenda?
Don Bosco: - Se mi permette una parola? - E allora ritornammo indietro. Don Bosco si mise a parlare con Monsignore ed io col suo Segretario e ci accompagnarono fino a casa. Ma prima di separarsi Monsignore disse a Don Bosco: - Coraggio, coraggio...”.
Il 1° marzo, presso le Suore della Carità in Piazza della Bocca della Verità, parlando colla Superiora, „tra le altre cose Don Bosco raccontò che il Conte Servanzi, Guardia Nobile di S. S., accompagnò D. Carlos a Torino e ciò prima di andare a mettersi in campagna nella Spagna. [546]
Usciti di là e saliti in una vettura andammo dal Cardinal Antonelli...
Ritornando Don Bosco mi disse: - Il Card. Antonelli mi diede 500 fr. per i nostri ragazzi. Riguardo ai giornali sa tutto. Ed io gli dissi: - Sa V. E. quale interpretazione si dà alle pratiche delle Temporalità dei Vescovi?
- Pur troppo; e non sarebbe il caso di dir qualche cosa?
- Che vuole mai, se si dice qualche cosa qui, la stampano altrove.
Egli, il Card. Antonelli sa il nome di chi scrive queste cose. Nella Voce della Verità è Mons. Nardi; ed anche nell'Osservatore Cattolico di Milano.
Don Bosco disse più volte: - Questi giornali cattolici fanno più male di quanto ne potrebbero fare tutti i cattivi insieme; poichè facendo così, biasimano la S. Sede. Si è mandato ai Vescovi ciò ch'io scrissi sotto il dettato del S. Padre, e niente più”.
Il 2 si recò a visitarlo il missionario Don Bertazzi, che gli propose la fondazione di varie case in America.
Il 3 Don Bosco diceva: „Questa mattina sono stato da Vigliani il quale era molto melanconico. Don Bosco gli disse: Che cosa ha V. E., non è forse bene in salute?
- Sì, sì; ma va male; non legge i giornali?
- No, io non leggo nessun giornale.
- Ah povera Spagna! si fanno degli orrendi massacri.
Don Bosco gli parlò poi ancora della chiesa del SS. Sudario, ed il Ministro gli disse che il Re era contento; ma che ci voleva una condizione, di dar cioè un conto preventivo delle spese; ma in questo modo diventerebbe stipendiata dal Governo, perciò non conviene”.
La sera del 5 marzo (come fecero altre volte) uscirono „a passeggio per la via del Pincio. Don Bosco parlò di profezie. Tra le altre cose disse: - Quella lettera spedita all'Imperatore d'Austria, Sua Maestà l'ebbe proprio nelle mani. Segretamente la lesse, e poi lasciò detto di ringraziare quella persona che gliela aveva mandata dicendo: che se ne sarebbe servito. Vu mandata nel mese di luglio 1873. [547]
Difatti i giornali dissero che l'Imperatore d'Austria agli 11 febbraio 1874 andò a trovare l'Imperatore delle Russie. I giornali liberali dichiaravano che andava per affari di commercio, ma i cattolici dicevano che era per qualche cosa di più.
Io domandai a Don Bosco come faceva a sapere queste cose future. Ed egli: - Coll'Otis, botis, pia, tutis! - ridendo rispose. Ma io intendeva che me lo dicesse. Egli allora, preso un aspetto serio:
- Ah no! in queste cose non convien insistere; non si può... e non si deve”.
Il 6 insieme col missionario Don Bertazzi si recò dal Segretario della Sacra Congregazione di Propaganda Fide, poi da Monsignor Peirano, „il quale gli disse che il Card. Antonelli aveva revocato ciò che il S. Padre aveva detto a Don Bosco: cioè di scrivere ai vescovi per ottenere le temporalità. Sua Santità aveva a questo proposito dettate a Don Bosco le parole stesse del modo di regolarsi”.
Come si vede, le pratiche, e da una parte, e dall'altra, volgevano al tramonto.
Alla sera „uscimmo per andare un po' a passeggio, ma incontrammo Mons. Antici, il quale ci fermò e rientrammo in casa. Don Bosco gli diede una copia delle Profezie che egli richiese”.
Il 7, „dopo pranzo andammo un po' a passeggio in Piazza Mignanelli. Parlammo dell'Arcivescovo. Come alla sua elezione all'Arcivescovado di Torino, il Papa lasciò a Don Bosco che gli dicesse: - Che adesso lo faceva Arcivescovo di Torino e poi dopo due anni qualche cosa di più. - Don Bosco gli fece la commissione, e l'Arcivescovo rispose allora: - Lasciamo fare alla divina Provvidenza.
- Adesso si fanno di nuovo le elezioni dei Cardinali e l'Arciv. di Torino ci sarà nel numero? - domandai io a Don Bosco.
- Oh tutt'altro! Ed io andando poi a trovarlo gli dirò: - Si sono fatte le elezioni dei Cardinali; ma io non ho osato innoltrare domanda per lei, in questo tempo che ella combatte a spada tratta la mia Congregazione, ed anche perchè non sarei stato creduto ed ascoltato”. [548] Come si vede, intorno alle pratiche per le temporalità vescovili, silenzio assoluto!
14 marzo... Al mattino portai una lettera al conte Visone”.
Nello stesso giorno Don Bosco tornava a proporre a Mons. Gastaldi un accomodamento, di cui non abbiamo l'esemplare:
Credo che a quest'ora la E. V. sarà già annoiata delle molte cose che si dissero e si proposero per appianare le difficoltà di cui è cenno nell'unito foglietto. La pratica ivi tracciata è quella che si può usare. Dal Ministro di G. e G. fu altro tempo proposta, pare che quello di Susa non abbia fatto di più. Ella faccia come suggerisce la sua prudenza. Spero fra breve poterle esporre ogni cosa di presenza.
Mi voglia sempre credere in tutto quello che la posso servire,
Sac. G. Bosco[83]
E Bismarck continuava a protestare, deciso di opporsi ad ogni accomodamento, in modo assoluto!
Purtroppo tutto andò a monte, soprattutto per colpa della stampa, ed anche della stampa clericale!
Le cose fino a un certo punto procedettero bene, ma quando la Voce della Verità e poi l'Osservatore Cattolico di Milano accusarono Don Bosco di essere partigiano della conciliazione, fu assai difficile continuare i buoni uffici e le pratiche ben avviate. Il Gabinetto Prussiano, che incominciava allora la sua guerra accanita contro la Chiesa Cattolica, subito si oppose; e Bismarck scriveva al Ministro Vigliani lettere fulminanti.
Un giorno Don Bosco secondo il solito si reca dal Ministro, e lo vede tutto sconcertato. - Vedete, egli dice a Don Bosco; navighiamo in brutte acque. Voi avete insistito di concedere le temporalità all'Arcivescovo di Torino, ed egli [549] imprudentissimo ne scrisse ad alcuni dignitari, la cosa si pubblicò dapertutto, si sa l'accaduto anche fuori di Stato, e Bismarck mi scrive che si meraviglia, come colle iniziative già così bene avviate seco lui per unire Italia e Prussia in uno stesso interesse, ora si facciano tali concessioni. Io mi trovo nei pasticci.
Don Bosco chiese al Ministro alcune ore di tempo per riflettere sulla situazione, e ritornò la sera stessa e dopo lunghi colloquii si convenne di aggiustar l'imbroglio, adoperando un'estrema circospezione. Ci volle tempo però per ravviare le pratiche.
Finalmente parve si potesse venire ad una conclusione. Don Bosco si trovava nelle sale attigue all'aula del parlamento aspettando l'ultima risposta del Ministro Vigliani. Varii deputati, fra i quali Crispi, udendo che c'era Don Bosco si affollarono curiosamente intorno a lui per conoscere, come Don Bosco stesso diceva, che razza di bestia mai fosse! Crispi pensò giovarsi di quell'occasione per indurlo a volere ottenere dal Papa la licenza di poter far celebrare la messa, e quindi il privilegio di cappella ed altare, nel palazzo del Quirinale, nella brama di soddisfare al desiderio, espresso dalla Principessa Margherita, di poter alla domenica ascoltare la messa in casa. Con ciò Crispi voleva entrar nelle grazie della Corte. Don Bosco gli rispose non essere di sua spettanza, come inferiore, presentare al Papa una domanda che mirasse a togliere l'effetto ad una sua sentenza precedente: l'interdetto.
- Ma lei, replicò Crispi, che sa cavarsi da tanti impicci, non potrebbe trovare un mezzo per riuscire nell'intento che si possa di nuovo far celebrare la messa nel palazzo del Quirinale?
- Un mezzo ci sarebbe, ma è l'unico!...
- E quale? quale? esclamarono vari deputati ad una voce.
- lo, miei signori, non oso proporlo.
- Parli, parli; crede che forse noi non siamo capaci di andare ad udir messa?
- Vedano; Don Bosco è franco, ed ama chiamar le cose col loro nome, ed io ho paura d'offenderli.
- No!... no!... non tema d'offenderci: noi pure siamo tutti franchi, ed abbiamo stima della franchezza.
- Or bene: loro son tutte persone ben educate e distinte chi per una qualità, chi per un'altra: quindi, incoraggiato da lor signori, posso parlare in piena confidenza!... Vogliono che si possa dir la s. Messa nel Quirinale?... c'è un solo mezzo!
- Che prima ne escano loro!...
Si guardarono in faccia, e poi: - Don Bosco l'ha detta veramente grossa, esclamarono: non c'è male... questo si chiama parlare con franchezza!
- lo, proseguì Don Bosco, non avrei detta simil cosa, se loro non mi sforzavano a dirla. Ma loro forse vedono qualche altro mezzo?
- Don Bosco ha ragione! conclusero.
Mentre si era in questi ragionamenti, e Vigliani, sopraggiunto, vi prendeva parte, ecco un usciere entrare e chiamare il Ministro. Era giunto il segretario dell'Ambasciatore Prussiano con un lungo dispaccio urgentissimo.
E il Ministro, poco dopo, diceva a Don Bosco e agli altri:
- Signori, le pratiche per le temporalità sono a monte! Bismarck ha telegrafato in proposito: ecco il dispaccio: non si vuole nessuna tregua nella guerra al Papa.
Nel telegramma Bismarck maravigliavasi che il governo venisse a trattative con un prete, mentre egli si sforzava di sostener vigorosamente l'Italia: diceva l'imperatore suo sovrano essere altamente sdegnato; finiva con minacce, se si fossero proseguiti i tentativi di conciliazione.
- Cosa fare? concluse Vigliani: la Prussia ha nelle sue mani le nostre sorti.
Il Fischietto, giornale umoristico di Torino, disegnò una caricatura: Vigliani nell'atto che sta a bocca aperta pendente dalle labbra di Don Bosco; Bismarck che con un calcio apre la porta del gabinetto ed entra per afferrare Vigliani; Don Bosco, che colla destra fa il gesto di chi parla pacatamente [551] e colla sinistra, maneggiando l'aspersorio, getta acqua benedetta su Bismarck.
Così finivano quelle lunghe pratiche, le quali, se fossero riuscite, avrebber dato ai Vescovi le temporalità e sollevato il Papa da gravissime spese, perchè egli dava regolarmente ad ogni vescovo un po' di danaro per vivere; nè vi sarebbe stato da parte della Chiesa nessun accordo coi suoi nemici, nessun avvicinamento del Papa coi rivoluzionari.
Ma il lavoro di Don Bosco non fu vano. Vari Vescovi avevano già ottenuto le temporalità, altri le ottennero poi; e più ancora tutte le diocesi furono provviste di sacri Pastori, e molti parroci, con una semplice dichiarazione dei Vicari Foranei, nelle diocesi rette da Vescovi che non avevano l'Exequatur, ebbero il R. Placet!...
Ma quante fatiche, quante umiliazioni, e quanti scherni ed insulti ebbe a soffrire per ciò che sembrava un insuccesso!
- Ho faticato e sofferto tanto - fu udito esclamare - che non mi accingerò mai più a simili lavori! Mi ritirerò a lavorare per i miei giovani, e non penserò ad altro!...
I giornali intanto annunziavano a tutto il mondo l'approvazione della Pia Società di S. Francesco di Sales.
Il 10 aprile, La Riforma, nel suo N° 99 diceva: „Ieri sera il noto sacerdote Don Bosco è stato ammesso all'udienza di Pio IX al quale ha sottoposto il suo regolamento per un nuovo grande Istituto monastico da surrogare le soppresse corporazioni. La Congregazione Cardinalizia lo ha approvato e il Pontefice sanzionato”.
La Capitale stampava questo maligno trafiletto: „Mentre il Governo italiano sopprime le corporazioni religiose, “in ombra”, il Papa ne crea delle nuove. Don Bosco fece la visita di congedo a Pio IX, ripartendo presto per Torino, con la soddisfazione di vedersi approvato dalla Congregazione il nuovo ordine monastico ch'esso aveva proposto. Pio IX si dichiarerà il fondatore, così il governo italiano si troverà lietissimo del veder rispettata la sua legge”.
Nello stesso giorno l'ottimo Journal de Florence, pigliando lo spunto delle dicerie de La Nazione, pigliava le difese di Don Bosco: [552]
“CHRONIQUE DE FLORENCE - La Nazione de ce matin publie une longue correspondance romaine, sur la mission à Rome de notre vénéré ami le Rév. Don Bosco. Cette correspondance n'est qu'un tissu de fausses suppositions et de fausses affirmations; mais ce tissu est assez léger pour ne pas cacher entièrement la vérité à 1'œil du lecteur intelligent.
Le correspondant est dans la vérité lorsqu'il avoue que Don Bosco n'a jamais travaillé pour une conciliation entre le Vatican et le Quirinal qu'il a déclarée loyalement lui - même impossible. Il est également dans la vérité, lorsqu'il rapporte comme conclusion de son récit, qu'après quatre mots de démarches, le Pape a déclaré que Minghetti et ses acolytes n'étaient que des Francs - Macons ennemis jurés du catholicisme et de l'Eglise.
Don Bosco a voulu prouver à la Maçonnerie que rien ne pouvait lasser son angélique patience. Ce but, qui était peut - être le seul qu'il se proposât est atteint, et c'est à ce seul point de vue que nous avons accordé tout notre respect à une mission dont il était aisé de prévoir le résultat.
Le digne ecclésiastique de Turin a pu dans son apostolat de charité arracher au vice et au danger du pervertissement une vingtaine de mille petits mauvais sujets abandonnés de leurs parents qu'il ramassait dans les rues; mais il ne pourra jamais obtenir qu'un sectaire vienne - non pas à une conciliation avec la vérité que Don Bosco lui - même, repousse de toutes ses forces - mais simplement à remplir un acte de justice, si petit qu'il soit envers l'Eglise. Nos ministres, liés à la secte, n'ont plus aucune liberté de faire le bien. Ils peuvent l'entrevoir, même le désirer au fond de leur coeur, mais Satan ne leur laisse plus qu'un seul pouvoir, celui de faire le mal. .
C'est une loi à laquelle on ne contrevient pas. Jésus - Christ lui - même venu au monde pour nous racheter de son sang précieux, a bien marqué la prédestination de la secte, représentée de son temps par les pharisiens en ne prononçant contre elle que des paroles d'horreur et de malédiction. Pour étaler sa toute - puissance, et prouver au monde que c'est bien lui qui commande aux puissances infernales il lui a arraché un de ses chefs Saul, mais il ne l'a converti ni par sa prédication, ni par ses miracles. La secte n'a jamais été jugée digne de comprendre les paroles de vie, ou de reconnaître les prodiges du Rédempteur. C'est après son ascension au ciel, et par l'effet d'un coup de tonnerre que Saül a été changé en saint Paul.
Attendons le coup de tonnerre; sans cela il n'y a rien à espérer ni de Minghetti, ni de ses acolytes.
Due giorni dopo, domenica 12 aprile, La Capitale annunziava la partenza di Don Bosco, e tornava a parlare in tono [553] canzonatorio del fine che l'aveva condotto a Roma... nè più nè meno per trattare la conciliazione tra il Papa e il governo!
“Don Bosco è partito per Torino... Non è il famoso, prestigiatore, ma nella sua qualità qualche cosa di prestidigitazione fu fatto.
Era venuto a Roma per trattare la conciliazione tra il Papa e il governo; non è riuscito se non ad ottenere dal Papa la facoltà di stabilire una missione in Asia, e di far approvare il suo nuovo ordine monastico, del quale però Pio IX vuole riservarsi il diritto di proprietà di fondazione. Ha veduto e parlato più volte col Minghetti, col Visconti e col Vigliani. Costoro eran disposti a molte concessioni, ma il Papa ne voleva tante altre.
Alcuni giornali dissero che i ministri italiani sono stati molto riservati con Don Bosco e non gli hanno fatto sperar nulla. Le vere notizie sono ben diverse. Le concessioni sarebbero state parecchie, purchè il Papa accusasse ricevuta dei nove milioni che sono a sua disposizione.
Ad ogni modo Don Bosco se ne è andato, lasciando così il tempo che ha trovato, ma con un nuovo filo per discorrere fra Vaticano e Quirinale”.
Don Bosco era ancora a Roma, e i giornalisti, non vedendolo più andare e venire dai Ministri, credettero che fosse partito, e il 12, anche la Voce della Verità, prendendo lo spunto da un articolo della Nazione, dichiarava „frottole enormi” le dicerie della parte presa nelle trattative dai personaggi del Vaticano, e faceva i rilievi più schifosi delle pratiche compiute da Don Bosco.
La conciliazione - Non vogliono ancora essere persuasi questi signori, che la è cosa impossibile; e di tratto in tratto questa parola torna loro sulle labbra, cioè nelle colonne dei giornali moderati, che credono possibile la coesistenza a Roma di due popoli, di due Re, di due Corti, di due diplomazie, l'una delle quali soffierà caldo e l'altra freddo.
Il corrispondente L. (l’ebreo Levi) da Roma alla Nazione di Firenze del 9 aprile scrive una lettera di quattro fitte colonne per rimpiangere un altro saggio, dice lui, di conciliazione inutilmente tentata da un buon prete piemontese.
Affrettiamoci subito a dichiarare che quel Corrispondente racconta [554] frottole enormi di quelle trattative per quanto riguarda la parte, che egli vuole attribuire ai personaggi del Vaticano.
È veramente spettacolo che fa pietà quel cumulo di colossali carote, che il Corrispondente della Nazione spaccia come sue informazioni. A Roma la Nazione è poco letta; ma quei pochi che la leggono ne han fatte risate immortali.
Preferiamo credere invece che non sia così male informato il corrispondente ebreo per la parte che riguarda il Governo italiano. Prendiamo quindi per moneta buona queste informazioni, le quali se non esprimono esattamente il linguaggio tenuto dai ministri che ora sono al potere, sono però senza dubbio l'espressione delle idee e dei desiderii del partito liberale moderato, al quale i ministri appartengono. Citiamo dunque dalla lettera di questo corrispondente:
“... D. Bosco credè giunto il momento di rivolgersi al Governo del Re, ed ebbe ripetute e lunghe conferenze con Minghetti, Vigliani, e Visconti Venosta. I Ministri italiani si tennero nel maggior riserbo, rifiutando perfino di dare ai proprii discorsi valore o colore di trattativa. Dissero che erano dolentissimi del conflitto fra la Chiesa e lo Stato; ma che lo Stato non aveva nulla a rimproverarsi contro la Chiesa; mentre la S. Sede non si rimaneva dall'osteggiare e dall'insidiare l'Italia all'interno e all'esterno. Il Governo del Re insomma aveva tre punti fissi: il potere temporale irremissibilmente perduto; la capitale del Regno immobile in Roma; tutte le libertà nazionali sacre ed inviolabili; se la S. Sede avesse trovato di potersi acconciare a questa triplice necessità, l'Italia non poteva avere nessuna difficoltà a trattare per un modus vivendi, che consisterebbe nel ritenere tutto con la intenzione dichiarata di non restituir nulla senza facoltà allo spogliato di pur muovere il più lieve lamento”.
Citiamo ancora, e si vedrà che non abbiamo per nulla esagerato. Il corrispondente continua:
“.... Vigliani non nascondeva a D. Bosco che la situazione attuale pei nuovi Vescovi è dolorosa e precaria; ma disposto a cedere nella forma finchè lo consentisse la legge, rifiutava di passare oltre di una linea, non ammettendo nemmeno la possibilità di presentare una legge nuova e diversa.
D. Bosco insistè vivamente su questo punto: e avendo avute cattive carte da Minghetti e da Vigliani, si provò con Visconti Venosta. Ma ebbe giuoco peggiore; e sapete perchè? Perchè Visconti Venosta fini per persuadere D. Bosco che era assurdo pensare oggi a modificare la legge sulle guarentigie. Il ragionamento del Ministro degli esteri fu di una semplicità desolante: quella legge fu fatta per una situazione: questa situazione è rimasta inalterata come causa: dunque chi può sul serio proporre di variarne l'effetto? Le relazioni della Chiesa con lo Stato possono durare sempre così? No; lo stesso presidente del Consiglio, come deputato, proclamò la necessità di [555] una nuova legge per regolarle diversamente: ma dia la Santa Sede il primo esempio di muoversi, e l'Italia non tarderà a seguirlo. Don Bosco non ebbe che ripetere.
Non migliore accoglienza ebbe la dimanda circa la libertà dell'insegnamento. Lo Stato ha leggi, che regolano l'istruzione; il Governo non può rinunziare alla sorveglianza delle scuole ecclesiastiche solo perchè ecclesiastiche, e mentre disgraziatamente appunto come ecclesiastiche mostrarono fin qui bisogno di un sindacato attivo ed efficace.
Infine, per la nuova legge sul matrimonio civile, il Guardasigilli si mostrava dolente di essere stato costretto a presentarla: non diceva a D. Bosco su chi pesasse la responsabilità di questo urgente bisogno. La Chiesa, che pur troppo aveva fomentato o tollerato l'abuso, doveva mostrarsi d'iniziativa propria deliberata a reprimerlo ed a impedirne la rinnovazione: in questo caso il Governo e il Parlamento avrebbero - tutto al più - potuto vedere, se convenisse dare alla legge un valore transitorio, limitato ad un numero determinato di anni.
Questi furono i risultati delle pratiche lunghissime di D. Bosco coi nostri Ministri”.
Noi crediamo che il Corrispondente della Nazione abbia un po' calunniato l'ottimo Sacerdote torinese, e lasciamo a lui la responsabilità della esattezza di questi colloquii; ma l'abbiamo raccolti, lo ripetiamo, come la manifestazione delle idee di certi conciliatori; e abbiam creduto doverli additare a quei pochi cattolici che sognano ancora la possibilità della conciliazione.
E se questi buoni argomenti non bastassero, un altro di diversa specie, ma non meno concludente, ce ne ha voluto somministrare or ora la Memoria del Signor d'Arnim, che pubblicammo nel foglio di ieri.
Il diplomatico prussiano scriveva, pare, ad un tedesco:
“Vista la finezza di spirito e l'istinto pratico degli Italiani, tutta questa lotta (pel domma della infallibilità pontificia) è una lotta pro domo, che si sostiene per usufruttare ancora nel proprio interesse la Chiesa romana, inventata soltanto a pro dei prelati Italiani Gli Italiani d'ogni classe d'ogni religione e d'ogni razza hanno soprattutto di mira il successo. Ciò che s'è continuato a chiamare gesuitismo, non è altro che la riduzione a sistema della vecchia pratica nazionale degl'Italiani”.
Or voi, vagheggiatori ingenui di conciliazione, supponete per un momento che il sogno diventi realtà, che il Re d'Italia ed il Pontefice della Chiesa universale vivano nello stesso territorio, nella stessa città, quasi nella medesima casa in quella bella armonia di vita e propositi che cotanto vi arride nella candida mente. Al sorgere d'ogni più piccola questione internazionale ecclesiastica o politica, nella [556] quale siano involti l'Italia ed il Papa, chi potrà assicurare ai cattolici di questo o quel paese che „vista la finezza di spirito e l'istinto pratico degli italiani” come dice il tedesco Arnim, e visto l'accordo bellissimo dei Re d'Italia col Papa, suo cappellano maggiore, non cospirino insieme questi due alti personaggi „per usufruttare nel proprio comune interesse la Chiesa Romana, inventata soltanto a pro... degli italiani?”.
Questo linguaggio, nel caso della avvenuta conciliazione sarebbe di una giustezza inappuntabile.
Allora bisognerebbe pensare ad un altro modus vivendi con le diverse nazioni cattoliche, o che hanno una parte di cittadini Cattolici, modus vivendi che andrebbe fino alla creazione di Chiese Nazionali, cioè alla distruzione della Chiesa Cattolica. Allora voi per far la conciliazione a vantaggio del regno d'Italia, vi accorgereste di aver lavorato per la rovina della Chiesa a vantaggio del diavolo. - W.
Don Bosco lasciava Roma il 14, e lo stesso giorno il Fischietto di Torino, dicendolo già rientrato in città, gli dava il ben tornato con frasi beffarde e maligne, che ci fan comprendere la venerazione in cui era tenuto da tutti gli onesti!
Dominus Lignus - Il grande taumaturgo è ritornato.
Don Bosco, sive Dominus Lignus, che se non va confuso col famoso giuocatore di bussolotti Bosco, potrebbe dargli però molti punti in fatto di abilità e nell'escamoter le eredità ai fedeli gonzi, ha terminato la sua missione.
La quale missione consisteva nel dover trattare, egli stesso in persona prima, nientemeno che la conciliazione tra il Governo Italiano e l'ostinato Prigioniero.
Figuratevi che razza birbacciona d'un conciliatore sono andati a scegliere i nostri omenoni!
È oramai noto lippis et tonsoribus che Don Bosco gode fama, specialmente a Roma, di essere un grande operatore di miracoli.
E noi tutti pure sappiamo di qual genere siano i miracoli operati dal sant'uomo. Infatti, la sua più miracolosa abilità consiste nel conoscere il segreto di espillare quattrini ai minchioni. Egli conosce tutte le vie, tutti i mezzi diretti od indiretti, tutti gli spedimenti, tutti gli arcani per far danaro ad ogni costo. Come un alchimista dei passati tempi, si direbbe ch'egli sia riuscito a formarsi una bacchetta magica, col tocco della quale sa dove si tien nascosto l'oro, e quando ci si mette daddovero, è capace d'andarlo a stanare, fosse anche sepolto dieci o venti chilometri sottoterra!
Questa sua facilità nell'ammucchiar tesori sopra tesori è veramente prodigiosa. Pochi anni fa, non era che un pretoccolo, più povero di Don Vincenzo, il quale, come narra la cronaca, suona a messa [557] cogli embrici. Al giorno d'oggi può disporre liberamente di milioni e milioni, è un vero Creso, il Rothschild della Santa Baracca, e le sue numerose ricchezze talvolta fanno diventar verde per l'invidia perfino il teologo polemista - quattrinaio dell'Umidità Cattolica, che è pure ricchissimo.
Ora, per quale magìa, per quale sortilegio si potè egli procacciare in così pochi anni una così favolosa fortuna? Giuocando al lotto forse? Non è così grullo. Facendo il banchiere, l'industriale governativo, il Ministro? Niente di tutto ciò; la carità dei fedeli lo ha fatto quel che è.
Ecco il più spettacoloso; il più incredibile miracolo di Dominus Lignus.
E, sotto questo punto di vista, la sua fama di gran taumaturgo presso i Monsignori di Roma, non può dirsi usurpata.
Niente di più naturale quindi che colà, dove sopra ogni cosa al mondo si adora il vitello d'oro, cotesto insuperabile cacciatore di lasciti e di tesori nascosti, sia considerato come un essere miracoloso, venerato come un santo.
Ma i nostri Macchiavelli, che pur dovrebbero conoscere il pollo, non sapevano proprio trovar altro di meglio per trattare di quella certa conciliazione, se davvero la credevano necessaria?...
Basta; il fatto sta che Dominus Lignus se n'è tornato a Torino, per quanto si narra, lasciando a Roma il tempo che ha trovato.
Ma chi pagò le spese di questo viaggio?
Diamine! I Santi della stoffa di Dominus Lignus non fanno nulla per nulla; e da una parte e dall'altra vogliono mordere, e grosso.
Attenti al Bilancio: non diciamo altro.
Con certi operatori di miracoli in ballo, non ci sarebbe da far punto le meraviglie che un dì o l'altro tutte le risorse dello Stato restassero ipotecate alla Santa Causa.
Son così furbi i nostri giganti politici!
Fidarsi di Dominus Lignus? Ma gli è far peggio di Gribouja, il quale nascondeva i propri danari nelle tasche altrui!
Il 14 aprile, alle 8, 50 del mattino Don Bosco partiva per Firenze. Una giornata piovosa. L'accompagnò alla stazione il signor Alessandro Sigismondi, felicissimo di averlo avuto ospite per tre mesi e mezzo! „Arrivammo a notte - scriveva Don Berto - ed un servitore di casa Uguccioni ci aspettava alla stazione e ci condusse in via degli Avelli. La cena era preparata. La signora Gerolama ed il Commendatore Tommaso Uguccioni, che ci tenevano compagnia, mi fecero portare [558] la Gazzetta d'Italia che parlava in modo assai benevolo di Don Bosco. Alla signora Gerolama rincrebbe molto l'articolo della Voce della Verità...”.
Il 15 celebrò in casa, quindi fece visita al Direttore del Journal de Florence. „Gli abbiamo portato - prosegue Don Berto - una memoria per formulare un articolo. Il sig. Direttore, prima di partire, colla sua moglie e figli s'inginocchiò per prendere la benedizione da Don Bosco. E fra le altre cose gli disse: - Da lei aspettiamo qualcos'altro di meglio della conciliazione!”.
Nella Gazzetta d'Italia, del 14 aprile, si leggeva:
“Nei giorni scorsi si prese occasione dalla partenza da Roma di Don Bosco per dare soverchia importanza alla sua temporanea permanenza alla capitale. Il sacerdote Don Bosco, come fa un mese ebbi a scrivervi, tentò di farsi intermediario tra il governo del Re e la Santa Sede per vedere il modo di facilitare ai nuovi Vescovi Italiani il conseguimento del regio exequatur. Da questo tentativo a quello di conciliazione tra lo stato e la chiesa attribuitogli assai ci corre. Il vero è che lo stesso modesto tentativo, che fece d'iniziativa propria, andò fallito più per la resistenza del Governo che per l'opposizione che ebbe nelle alte sfere del Vaticano. Il sacerdote Don Bosco si ritrasse presto da questo campo una volta che si avvide contro quali scogli doveva urtare e si trattenne ancora in Roma per ottenere l'approvazione Pontificia alla nuova corporazione religiosa da lui fondata. Da questo canto fu più felice e riuscì nel suo intento, malgrado che in certi circoli ecclesiastici non spirasse aria troppo favorevole alla sua domanda. Anche in questa occasione Don Bosco ebbe una prova della illimitata benevolenza che il Santo Padre ha verso di lui”.
Ed ecco l'articolo del Journal de Florence, pubblicato il 17 aprile, riportato in parte dall'Osservatore Romano del 22, e tradotto per intero nell'Emporio Popolare di Torino la domenica 19.
“Torino, 18 aprile. - Don Bosco a Roma - Noi abbiamo sempre tenuto in gran conto l'egregio Journal de Florence per ogni riguardo ma sopratutto per le notizie di Roma, le quali egli ha da fonti [559] così sincere che ben gli conviene quel titolo del quale meritamente si gloria di Eco di Roma. Ora nel suo numero del 17 aprile leggiamo un importante articolo intorno al soggiorno in Roma del R.mo Don Bosco, col quale si riducono a niente tutte le dicerie inventate da molti giornali.
Noi siamo ben lieti di far nostro questo articolo pubblicandolo a bene de' nostri lettori, ed insieme di aver sempre creduto intorno a tale materia quello di cui ora il riputatissimo giornale ci somministra piena certezza.
“Noi ci siam studiosamente astenuti fin qui dal dire tutto quello che sapevamo intorno al viaggio del Reverendo D. Bosco a Roma. Noi vedemmo protrarsi il soggiorno del degno ecclesiastico in quella città molto al di là di quello che egli stesso aveva preveduto; non ci era ignoto in quali delicatissimi negoziati avesse la mano, ed insieme conoscevamo quale spirito di devozione alla Chiesa lo guidasse nel maneggiarli. Credemmo un dovere strettissimo per noi, il non porre ostacoli con imprudenti manifestazioni, a un'opera già per se stessa difficile, quella cioè di rivendicare un atto di giustizia presso coloro che da gran pezza hanno smarrito l'uso di renderla.
Ma al presente, la pretesa missione di D. Bosco ha fatto tanto parlare di sè, e tanto è divenuta soggetto di menzogneri racconti, che noi non possiamo più omettere di darne la vera ed unicamente esatta relazione, autentica in modo che non potrà essere smentita.
Il viaggio del nostro venerato amico a Roma sul cominciare di quest'inverno, aveva più fini, che ora distintamente esporremo. Il primo era quello di ricorrere all'inesauribile carità dei romani a sostegno di quelle opere molteplici a bene del pubblico ch'egli ha create; il secondo quello di ottenere dal Santo Padre l'approvazione definitiva della Congregazione fondata da lui in Torino, la quale conta già oltre trecento membri; il terzo di ottenere parimenti la facoltà di stabilire delle succursali della Congregazione medesima in Cina, e a Savannah nell'America, dove migliaia di poveri ragazzi mancano d'ogni istruzione religiosa e morale.
Il solo scopo, che nel partir da Torino D. Bosco non aveva in mira, è appunto quello che gli venne attribuito, di adoperarsi cioè ad ottenere una conciliazione dissennata ed impossibile fra il Vaticano e il Quirinale.
Ma i prodigi che Dio opera tutto giorno per mezzo del suo servo, il quale, povero e spoglio di ogni bene, strappa al vizio ed al pericolo della perdizione da ormai quarant'anni migliaia e migliaia di poveri ragazzi abbandonati, per farli cristiani e buoni cittadini, non poterono a meno di ispirare una certa riverenza per la persona di lui anche ai nemici di Gesù Cristo e sopratutto a coloro che subiscono piuttosto la legge imposta dalla sètta di quello che le portino amore. [560] Il ministro della Giustizia e dei culti, il signor Vigliani, non potea non essere profondamente commosso dal doloroso spettacolo, che dà al mondo l'episcopato italiano: tutti i vescovi nominati in questi ultimi tempi dal Santo Padre son ridotti allo spogliamento più assoluto, e ciò che è ancora più da deplorarsi, trovano ad ogni passo degli ostacoli nell'esercizio del loro spirituale potere, giacchè il Governo rifiuta di riconoscerli, e considera il loro vescovato, di cui prende le rendite, come se fosse vacante. Il ministro ha profittato dell'essere D. Bosco in Roma per entrar con lui su tale materia e rintracciare i mezzi di appianare le difficoltà.
I passi, fatti dal Vigliani, ebbero per risultato una formola di dichiarazione, formola concepita ed ammessa dopo lunghe discussioni, col pieno gradimento ed assenso delle due autorità ecclesiastica e civile, colla quale non era per nulla derogato nè alle pretese degli uni nè ai diritti degli altri.
Tutto era aggiustato; tutto andò a male, colpa di inopportune rivelazioni. La sètta, la quale non avrebbe forse potuto disfare un aggiustamento che era in via d'esecuzione, messa in tempo sull'avviso ha potuto rompere tutti i negoziati. Essi sono sospesi, e il reverendo D. Bosco ha abbandonato Roma.
Ecco la pura verità. A ciò solo si riducono i decantati progetti di conciliazione, dei quali la sètta ha fatto uno spauracchio pei buoni e pei cattivi, per impedire quel poco di bene che D. Bosco sarebbe riuscito ad ottenere, se tutti avessero, come lui, ben posto mente, che anche quel poco di bene non potea conseguirsi se non colla massima riservatezza”.
È evidente, che se la stampa cattolica fosse stata solidale, il paziente lavoro avrebbe avuto un frutto maggiore. Invece!...
Don Bosco stesso, quando Mons. Nardi venne poi a visitarlo nell'Oratorio, disse chiaramente:
- Il suo fu un vero assassinio!
Monsignore tentò scusarsi dicendo d'aver scritto quegli articoli per sostenere il principio; ma Don Bosco gli fece intendere come non fosse scusabile quel modo di scrivere, perchè non il principio cattolico, ma il principio d'amor proprio personale aveva ispirate certe frasi e certe intempestive rivelazioni.
Venne nell'Oratorio anche il Teol. Enrico Massara, redattore dell'Osservatore Cattolico di Milano. Don Bosco stava in quel mentre confessando, e Don Sala lo condusse a visitare alcuni laboratori; e quando lo riaccompagnava in chiesa, [561] Don Bosco era in cortile in mezzo ad un gruppo di giovani, e Don Sala, presentandogli il sacerdote, disse: - Ecco Don Massara, scrittore dell'Osservatore Cattolico di Milano che desidererebbe di salutarla. - Don Bosco, sorridendo, si mise la mano sulle ciglia formando come una visiera, e fissandolo col suo sguardo penetrante, disse: - Massara! ah! è quel signore che nel suo giornale ha trattato Don Bosco coi fiocchi!...
Don Massara colpito, imbrogliato, da così franche parole, rispose quasi balbettando: - Lasci un po'... sa bene... mi rincrebbe... non fui io, ma Monsignor Nardi che mandò quell'articolo, e noi l'abbiamo pubblicato.
- Capisco, replicò Don Bosco; son cose che s'intendono; son giornalisti, vedono le cose sotto un punto di vista…, e le opinioni contrarie... Ma dica: quando è giunto a Torino? - E, a poco a poco, deviato graziosamente il discorso, passò a parlar d'altro in modo cordiale.
Don Bosco non tacque mai ciò che credeva un dovere manifestare!
Rientrava a Torino la mattina del 16 aprile, e il giorno dopo la Gazzetta del Popolo gli dava il bentornato con questa corrispondenza banale:
“Roma. - Ci scrivono: - I discorsi dei deputati nella sala di, lettura si aggirano ancora intorno ai nuovi tentativi di conciliazione col Vaticano fatti dai ministri durante le ferie parlamentari; tentativi insensati e funesti, che per fortuna or sembrano riusciti a vuoto; ma su cui è bene tener desta l'opinione pubblica, perchè potrebbero quando che sia essere ripresi. È una vera mania nei consorti di volere ad ogni costo conciliare ciò che v'è al mondo di più inconciliabile: il papismo e la civiltà.
Ricordo che tempo fa io fui il primo ad annunciarvi l'arrivo in Roma di Don Bosco, che ebbi occasione di veder co' miei stessi occhi passare le lunghe ore della giornata presso il ministro dei culti, colla speranza di riuscire a trovar modo di far entrare nelle casse del papa i molti milioni decretatigli colla legge delle guarentigie, senza costringerlo perciò a riconoscere il nuovo regno d'Italia.
Quella mia lettera non fu pubblicata, non so, se perchè [562] smarritasi per via, o perchè giuntavi in un momento in cui lo spazio vi mancasse.
Quei tentativi allora andarono falliti, ma Don Bosco non si è dato per vinto, e tornò in questi ultimi tempi all'assalto.
Per guadagnare al governo le buone grazie del Papa egli chiedeva: 1° che si pagassero a lui i milioni della lista civile compresi gli arretrati senza obbligo di rilasciar ricevuta; 2° che si pagassero i beneficii delle mense, sempre cogli arretrati, a tutti quei vescovi furibondi di reazione che avevano dovuto allontanarsi dalle loro diocesi al momento della liberazione d'Italia e che solo vi aveano fatto ritorno nel 1866 per fatale condiscendenza del Ricasoli; 3° che lo Stato rinunziasse al diritto dell'exequatur e dei placet; 4° che al clero fosse lasciata la più ampia libertà d'insegnamento; 5° che fosse ritirata la legge - Vigliani sul matrimonio civile.
Le pretenzioni del Vaticano, come vedete, erano di una esorbitanza veramente scandalosa, tanto più che in ricambio il Papa si obbligava a nulla.
Il ministero non osò quindi prendere alcun impegno e le sue tresche col Vaticano furono rotte ancora una volta. Ma, ripeto, conviene che la stampa liberale tenga sempre gli occhi aperti, perchè abbiamo a fare con gente scaltra e tenace.
A proposito del Ricasoli, tra i pochi deputati oggi presenti, c'era anche lui dopo forse un anno di assenza”.
Il dì innanzi anche Il Cittadino di Genova aveva pubblicato questi strani apprezzamenti sul motivo che aveva indotto Don Bosco a recarsi e a rimanere a Roma tanto tempo!
“Roma, 14 aprile, 1874. - La missione di Don Bosco. - Io fui sempre restìo a parlare di questa pretesa missione, e non ne avrei parlato se il silenzio non avesse potuto condurre i lettori a qualche equivoco. Non farò che genuinamente raccontarvi i fatti che diedero luogo ad una polemica, che, sopita un momento, ora si fa più vivace, in grazia della fervida immaginazione di un corrispondente di Roma alla Nazione di Firenze; ed accennerò alla causa che condusse e che fino a ieri tenne a Roma il sacerdote torinese. [563]
La natura dei diversi stabilimenti che il Don Bosco possiede e presiede, gli creano una necessità di avere a che fare, ora coi ministri per appianare qualche difficoltà, o per ottenere qualche concessione, ora con deputati o senatori con cui ha delle relazioni, onde ottenere delle raccomandazioni e degli appoggi ai suoi fini filantropici. Venuto a Roma, però, con un diverso scopo, approfittò dell'occasione per attendere ai suddetti interessi. In Roma, veder un prete nelle anticamere di un ministro. Non ci volle altro. I novellieri fecero presto a fabbricare le più strane congetture.
Forse la condotta stessa del Don Bosco che non si curò di dissipare le voci che correvano sul suo conto e sulla sua pretesa missione, autorizzarono persone a credere, in buona fede, che egli avesse una missione. Alcune parole sfuggitegli, in luogo meno opportuno, ma che non esprimevano altro che una sua opinione personale, bastarono perchè la piccola scintilla suscitasse un grande incendio. Avea egli, anche direttamente, qualche mandato? No, assolutamente no. Ciò era entrato nella convinzione di tutti e più a nessuno veniva in mente di risuscitare un morto. Senonchè certo Levi (ebreo di religione), il quale è celebre per le sue immaginarie invenzioni, sentendo dire che il Don Bosco stava per lasciare Roma, e non sapendo che dire su questa partenza, inventò una storiella che trovò eco nei varii giornali rivoluzionarii. E qui sta tutto.
Ecco ora la vera causa che condusse il Don Bosco a Roma. A più riprese, e da più anni egli agogna il riconoscimento e l'indipendenza della sua Congregazione, cosa sempre negatagli dalla Congregazione dei Vescovi e Regolari.
Il sacerdote Bosco, con una perseveranza che l'onora, non si perdette mai d'animo, ad ogni occasione tornò all'assalto. Ultimamente credette aver trovato sufficienti motivi per sostenere la sua causa, ripetè la sua domanda e venne di persona a sostenerla, richiesto anche per dare tutte quelle spiegazioni e schiarimenti di cui fosse d'uopo. Egli ha esposto che se gli vengano tolti i preti che, per cura sua, abbracciano la carriera, gli è tolto il più potente mezzo alla prosecuzione dell'opera caritatevole che egli si è assunto, inquantochè gli [564] mancherebbero i soggetti adatti nei suoi diversi oratori, specialmente delle campagne, per l'educazione ed istruzione dei giovani ricoverati. Quindi egli chiede che i sacerdoti tirati su da lui rimangano e siano sotto la sua giurisdizione. I vescovi (giacchè questi giovani provengono da tutte le Diocesi) non vogliono, ed hanno ragione, rinunziare di esercitate la loro giurisdizione sopra i rispettivi soggetti, massime in questi tempi in cui v'è penuria di preti.
La Congregazione dei Vescovi e Regolari dopo studi profondi ha trovato un mezzo termine, che pur non ledendo le giuste osservazioni dei Vescovi, concede al Don Bosco una sufficiente facoltà sui preti della sua Congregazione nella misura dei bisogni delle istituzioni da lui fondate o da fondarsi.
Dopo avervi detto ciò, vi racconterò ancora un fatto. Un giorno il Don Bosco andato per un suo affare da un alto personaggio del governo, questi tratto dalla natura del discorso ebbe a ripetere a parole, ciò che non fu mai mantenuto dai fatti, che cioè il governo aveva verso la Santa Sede la maggior deferenza, un grande rispetto verso il Papa, e non volere invadere i poteri della Chiesa, insomma un mondo di belle parole, e che perciò non comprendeva come il Papa volesse ostinarsi (sic) a non voler fare un passo verso uno stato di cose che ormai non si poteva (!!!) più mutare. L'ottimo sacerdote riferì altrove queste parole, ma non si azzardò di aggiungere nemmeno una sua parola. Se queste parole avessero potuto valer qualche cosa, erano però sempre ben lungi d'una missione che il Don Bosco si sarebbe guardato di assumere.
Mentre la stampa spargeva ai quattro venti tutte queste sciocchezze e Don Bosco era tornato a Torino, in Roma vivevano le più care rimembranze in quanti l'avevano avvicinato.
In Vaticano la sua fama di santità era sempre maggiore. Poco dopo che era salito al cielo, il 14 marzo 1888, il prof. Giovanni Lorini inviava a Don Rua questa dichiarazione:
“Nell'aprile 1874 trovandomi in Roma, per mezzo del [565] mio illustre amico il Marchese Augusto di Baviera, ebbi l'alto onore di essere particolarmente presentato a S. S. Pio IX e al Cardinale Antonelli. Ora quella sera d'aprile, mentre stavo in segreto colloquio col Cardinal Antonelli, si venne a discorrere di molti prelati Lombardi e Piemontesi. Naturalmente il nostro ragionare cadde intorno a quell'umile e grande sacerdote che tutto il mondo magnificava, intorno a Don Bosco, alle sue miracolose opere, ed al gran bene che andava facendo all'umanità. Io mi ricordo che quella sera appunto mi peritai di domandare a sua Eminenza:
- Dite, Eminenza: perchè non lo avete ancora fatto Cardinale quel sant'uomo di Don Bosco?
E Antonelli con un sorriso, a mezza voce, mi rispose: - Eh... caro mio! Molte volte gli abbiamo già scritto e saremmo felici di averlo fra di noi in Concistoro... ma sì... Don Bosco non ne ha mai voluto sapere di accettare.
Ora, il 27 aprile dello stesso anno, mentre tornavo a Tortona, luogo allora di mia residenza, mi toccò fortuna d'incontrare alla stazione di Alessandria il venerando Don Bosco. Egli era là in un angolo della sala d'aspetto, modesto al solito, sfuggevole alle dimostrazioni ed ai complimenti mondani. Io corsi subito pieno di riverenza ed esultante ad inchinarmi dinanzi a lui: e dopo molti discorsi, essendomi caduto in acconcio di ripetergli il mio colloquio avuto col Cardinale Antonelli, gli dissi del gran desiderio che si aveva a Roma di averlo nel collegio dei Cardinali.
Don Bosco a quelle mie parole, con quella affabilità tutta sua, tra il grave ed il faceto, mi rispose: - Eh... caro professore... e quando fossi cardinale, che cosa sarei io? Più nulla. Invece come semplice prete, veda, posso fare ancora un po' di bene.
Così dicendo mi strinse affettuosamente la mano, ringraziandomi dell'interesse che mi ero preso per lui. Egli sali sul treno poco dopo, lasciandomi la sua benedizione, e spariva avvolto in una nuvola di polvere e di fumo.
A me però è sempre rimasto impresso quel momento; a me sono rimaste nel cuore quelle sue parole, nell'anima quel suo ultimo sorriso”. [566]
Anche nel campo liberale la stima per lui non poteva esser maggiore. Di quell'anno continuò ad interessarsi a favore di questo e di quel vescovo per ottenergli ugualmente le Temporalità; e le sue istanze avevano buon effetto. Nell'estate inoltrò vive preghiere al Ministro Vigliani perchè le concedesse a Mons. De Gaudenzi, Vescovo di Vigevano, e a Mons. Villa, Vescovo di Parma; ed il Ministro gli rispondeva, di sua mano:
In questi giorni è giunta al Ministero una domanda del Vescovo di Pavia[84] per ottenere l'Exequatur della sua nomina. Ho veduto con molto piacere questo primo atto di ossequio alla legge da parte di uno dei nuovi Vescovi. Ora perchè non seguono questo esempio i Vescovi di Parma e di Vigevano che Ella mi raccomanda? La legge civile e la legge eccles.a non è una per tutti? La coscienza del Vescovo di Pavia è forse diversa da quella degli altri suoi confratelli in Cristo? Io non lo posso e non lo debbo credere. Li esorti dunque a seguire il lodevole esempio, e il Governo compirà il suo dovere concedendo l'Exequatur a chiunque non ne risulti affatto immeritevole. E in questa disgustosa condizione spiacemi doverle dire che si trova il Vescovo di Mantova condannato testè per una delle molte sue improntitudini, per non dire peggio, alla pena del carcere che dovrà presto scontare. Per quanto mi affligga il triste spettacolo di un vescovo chiuso nelle carceri come delinquente, sento tuttavia il dovere di mantenere rispetto e forza alle leggi dello Stato. Mons.re Rota sarà una calamità per la Diocesi di Mantova che alfine sarà costretto di lasciare, se pure non muta il suo contegno ostile al Governo ed alle sue leggi[85].
Non è stato possibile di far grazia all'Avv. Bertinelli da Lei raccomandato. Troppo grave è il suo delitto e troppo lieve è la pena che gli fu inflitta e che finora egli ha scansata colla latitanza. Si sottometta alla condanna, vada docilmente in prigione e dopo che avrà scontata una buona parte della pena si vedrà se non sia il caso di condonargliene l'altra parte. È cosa singolare che un ladro di grossa somma a danno di religiosi che avevano riposta in lui tutta [567] la loro fiducia, abbia trovato tanti intercessori fra i Prelati Romani e sia perfino riuscito a scroccare i buoni offici dell'ottimo D. Bosco.
Ella ben conosce quanto sia il mio desiderio di migliorare le relazioni tra il Clero e lo Stato e fin dove io fossi disposto a spingere le agevolezze, entro i limiti della legge, pur rispettando certi divieti e certi scrupoli che non poteva riconoscere ragionevoli nè innanzi a Dio, nè innanzi agli uomini. Ma pur troppo sono stato assai male corrisposto, ed ora mi trovo costretto dall'inesplicabile resistenza dell'Alto Clero a mettere da banda ogni indulgenza che possa aver sembianza di debolezza o ancor peggio di timida soggezione. Se tutto il Clero fosse animato dai prudenti e moderati di Lei sentimenti, in tutto degni di un virtuoso Sacerdote e di un buon suddito, Ella ed io saremmo ben presto consolati da buoni frutti di reciproca condiscendenza nelle cose della Chiesa in relazione collo Stato. Faccia Ella dunque una savia propaganda e operi quel miracolo che alcuni forse troppo diffidenti proclamano impossibile.
Il cielo continui a benedire e prosperare le molte di Lei opere di carità e La conservi al bene della Chiesa ed anche dello Stato.
Godo di dirmi con verace stima
Cessate le pratiche, non cessò la buona volontà, per parte del Ministro, di venire ad una soluzione, e nel maggio del 1875 se ne trattò anche in Parlamento, ma sempre con disapprovazioni del partito anticlericale. E Il Fischietto, trattando di cose parlamentari, sempre pieno com'era di caricature, sotto una di queste che non stiamo a descrivere, scriveva: - Dunque i Vescovi non andranno più a portar le loro Bolle di soppiatto a qualche sindaco schiavo del governo reazionario, ma le porteranno invece a quel liberalone, che è l'onorevole Lazzaro [il prof. Giuseppe Lazzaro, deputato di Conversano], il quale appartiene al partito che vuole la politica prussiana. Ah! se Bismarck sapesse d'avere dei fidi che lo servono così bene!!”.
Nello stesso mese, sotto due pagine illustrative, sempre con caricature, dei risultati delle votazioni della camera, scriveva: „Libera Chiesa in Libero Stato”; e, a destra, „Libera la Chiesa di ficcare il naso nella Cucina dello Stato e di anche avvelenarne gli intingoli”; a sinistra: „Libero lo Stato di... prendersi gli schiaffi dalla Chiesa, senza protestare, quando egli volesse a sua volta ficcare il naso nei suoi pasticci...” [568]
Il 18 marzo 1876 cadeva il Ministero Minghetti, e il 25 dello stesso mese veniva eletto il Ministero Depretis. Come Ministro di Grazia e Giustizia e dei Culti a Vigliani succedeva Mancini, che si affrettò a stringere sempre più la questione del R. Placet e del R. Exequatur.
Infatti il Ministro Mancini il 22 ottobre inviava una circolare ai Procuratori del Re, nella quale, dopo aver ricordato „la solenne discussione che ebbe luogo nella Camera dei Deputati ai primi giorni del maggio 1876 sull'indirizzo della politica ecclesiastica”, e come non avessero „i Procuratori Generali facoltà di provvedere sulle dimande di Placet”, ordinava di „astenersi affatto dall'accettare o placitare le provvisioni dei Vescovi che non abbiano avuto il civile riconoscimento, semprechè le medesime appartengano alla competenza dei Procuratori Generali”, giusta il Decreto del 25 maggio 1871 - Che fare? I poveri Vescovi, che avevano sopportato ogni disagio personale, non poterono restar tranquilli ora che il bene spirituale di tutto il gregge correva grave pericolo, e ricorrevano alla Suprema Congregazione della Santa Universale Inquisizione Romana, dicendo:
“... Oggidì le nuove disposizioni del Governo, che hanno un carattere sempre più ostile alla Chiesa di Gesù Cristo, e tendono direttamente ad impedire la libera e vitale azione del ministero episcopale, sono causa di tali difficoltà, che certamente ne proverrà un grandissimo danno per i fedeli confidati alle loro cure.
Egli è perciò che i Vescovi sottoscritti ricorrono alla Suprema Congregazione della Santa ed Universale Inquisizione Romana, implorando le istruzioni necessarie affine di sapere se, in considerazione delle circostanze sovra esposte e dei mali considerevoli che si ha ragione di temere, essi possano rassegnarsi a presentare le Bolle della loro nomina al rispettivo Vescovato, affinchè il potere governativo vi apponga il Regio Exequatur”.
E la Sacra Congregazione, in data 29 novembre 1876, rispondeva, che ciò poteva esser tollerato, “tolerari posse” in vista delle specialissime circostanze...
Così finiva la questione del R. Exequatur! [569]
Per il XXV di Pontificato di Pio IX.
Vista la domanda del Sig. D. Giovanni Cagliero, prefetto nell'Oratorio di S. Francesco di Sales di proprietà del sacerdote Don Giovanni Bosco, via Cottolengo, colla quale chiede di poter far sparare stassera mortaletti nel recinto di detto Oratorio per solennizzare la ricorrenza del XXV anniversario del pontificato di Pio IX.
Visto l'articolo 90 della vigente legge di Pa Sa, si accorda al sunominato Sacerdote Cagliero di potere stassera sparare mortaletti sul luogo e recinto di cui sopra, sotto l'osservanza delle disposizioni, e cautele in sifatta materia vigenti.
Prima di tutto debbo consegnarmi colpevole perchè non ho scritto prima per ringraziarla, come ora intendo di fare, di tutti i tratti di bontà, cortesia e carità, che furono prodigati da Lei, mia buona e car.ma mamma, e da tutta la famiglia. A Dio la gloria, a Lei la più viva gratitudine. Ho ricevuto a suo tempo il biglietto che riguardava ad un candidato per una Sede Vescovile, e ne feci il conto dovuto: per questo lato ognuno può stare tranquillo.
Il ragazzo Coppo, dalla sua carità raccomandato, fu accettato, e sembra promettere molto bene.
[Qui segue il tratto riportato].
I fatti ameni della vita di Pio IX vanno avanti: il volume passa già le trecento cinquanta pagine. [570] Spero che sarà di pubblico gradimento e che a fatti faranno amare e rispettare chi li ha compiuti.
Noi qui godiamo salute: Ella quando verrà a Torino?
Noi le auguriamo ogni bene. Preghi per noi, e specialmente pel povero discolo, ma sempre
Lettera autografa del S. Padre Pio IX
Dilecte fili, salutem et Apostolicam Benedictionem.
Libenter comperimus ex litteris tuis die octava aprilis datis, devoto et obsequenti animo exceptos fuisse a fidelibus Antistites quos ad regendas Italiae dioeceses Pastoribus viduatas misimus, et religionis studium in ista quam incolis civitate magis magisque florere. Iucundum pariter nobis accidit nuncium recuperatae a Te valetudinis, quam diu incolumem a Deo servatum iri confidinus. Quod porro scribis Te sedulam navasse operam, ut bona mensarum Episcopalium iis traderentur ad quos pertinent, zelum et sollicitudinem tuam laudamus; verum quo loco res sint vides; quare satius erit preces ad Deum convertere qui hominum corda movere potest, et patrocinium perenne Ecclesiae suae pollicitus fidem fallere nequit. Eius itaque potenti confisi praesidio Apostolicam Benedictionem paternae dilectionis testem tibi, cooperatoribus tuis, et piis adolescentibus tuae curationi demandatis peramanter impertimus.
Datum Romae, apud sanctum Petrum, die I Maji 1872, Pontificatus Nostri Vigesimosexto.
Il nome di D. Bosco rappresenta alla mente non solo l'idea della venerazione, della santità, della beneficenza, dell'operosità, della provvidenza, ma ancora quanto possa una ferma volontà operare, malgrado infiniti ostacoli, e peripezie, quando guidata da santo scopo, e dal bene del prossimo, fermamente il voglia.
Volere è potere. [571] In umile casetta di contadini della borgata di Murialdo su quel di Castelnuovo d'Asti, da Francesco Bosco e Margherita Occhiena sortiva i suoi natali nel 1815 il nostro sant'uomo, cui fu posto ben a ragione il nome di Giovanni, che suona dono del Signore.
Infatti, uscito appena dalla prima infanzia, e sotto la guida esemplare de' religiosissimi genitori, diede le più sublimi prove della sua pietà e dell'ardente brama d'istruirsi in ogni cosa che alla religione ed allo studio s'attenesse, non curando nè i disagi, nè la lontananza nel portarsi ogni giorno al villaggio distante tre miglia dal tetto paterno. Nulla valeva ad arrestare quel genio, avido di imparare, ed imbevuto delle massime della più sana morale.
Fatti i primi studi elementari nel paesello di Castelnuovo per progredire in quelli si portò nel Collegio di Chieri, dove seguitando a dar prove del suo ingegno e della sua pietà, si palesò in lui decisa la vocazione del sacerdozio.
Perlocchè entrato nel Seminario della stessa città, non tardò ad essere il più distinto non solo nello studio e nella religione, ma ancora il più amato, il più stimato per le sue belle qualità dai professori e dai colleghi, ai quali seppe non ispirare invidia, ma emulazione ed affetto.
In quell'età in cui la fervida immaginazione della nostra gioventù è inspirata da una musa che le detta versi, ahi! pur troppo spesse volte dedicati a frivolezze umane, a passioni volgari, a Giovanni invece inspirava carmi morali e religiosi non comuni, senza essere scompagnati da quel brio che ben si addice anche alle più severe discipline, di modo che presto si acquistò dai compagni il nome di poeta estemporaneo del Seminario.
Sono appena scorsi tre lustri, ed eccolo nel Convitto di San Francesco d'Assisi in Torino, a perfezionarsi in quegli studi che tanto gli stavano a cuore, di teologia e morale.
Sua guida in questi fu il teologo Guala, ed il professore Bosco, distintissimo maestro anche dell'Accademia Militare. Con questi mentori, e colla continua perseveranza, non andò guari che venne a conseguire l'idoneità al Sacerdozio e toccare il giorno che ei lungamente agognava, e che soleva chiamare il più bello di sua vita, il giorno in cui celebrò la sua prima messa[86].
Da quest'epoca in poi, il narrare le vicende ed i fatti della sua continua operosità, sarebbe cosa assai difficile e superiore alle forze di chi scrive.
Quante caritatevoli imprese non mandò ad effetto, dove non parevano che sogni di riscaldata fantasia, e quante opere compiette quell'anima oramai onnipossente, laddove appuntò ostavano insormontabili difficoltà? E tutto questo sempre e solo pel desiderio di giovare cristianamente al suo prossimo, e sempre in nome di Dio, [572] senza ambire neppure l'ombra di ciò che forma oggigiorno il sogno di tanti: onori, titoli, ricchezze; nulla di tutto questo lo spronava, ma il solo bene umanitario, la sola carità evangelica.
Egli venne al contatto col ricco e col povero, col potente e col mendico, accesse allo splendido ostello ed alle umili capanne, fedele al detto di Salomone (Proverbi): „Vedeste l'uomo solerte nel suo còmpito, egli divenne famigliare coi principi”.
Veniamo al 1848, epoca di rivoluzione e di grandi avvenimenti. In tanto commovimento degli animi, in tanta confusione di cose, àvvi ancora chi tiene accesa la fiaccola della fede, e fa opera di sublime abnegazione chiamando a sè col motto del Nazzareno: venite ad me pueri.
In una straduccia del borgo detto Valdocco, che ora mal si potrebbe raccapezzare, evvi un umile casolare con annessa una piccola cappella dedicata a S. Francesco di Sales. Stanno nei dì festivi laddentro raccolti dei giovanetti che innalzano preci a Dio, che saranno esaudite di certo; giovanetti vispi ed allegri, ma figli del popolo che senza quegli esercizi e giuochi infantili innocenti che là trovano modo di esercitare, sarebbersi dati all'ozio ed al vizio, compagno inseparabile pur troppo della miseria. Chi è quel santo sacerdote che loro procura sì utili passatempi, iniziandoli nello stesso tempo alle pratiche di pietà, e soccorrendoli ancora ne' loro bisogni e delle loro povere famiglie, che s'informa delle loro sciagure, che prevede tutto, ed a tutto provvede, come padre amoroso, come pastore sollecito delle sue pecorelle? Egli è D. Bosco.
Questo nome suona dappertutto: nelle strade, nelle officine, nelle famiglie, ognuno va a gara di essere ammesso in quel trattenimento, ed ogni anno che passa la fama ingrandisce ed il numero di questi derelitti consolati si aumenta.
Questo umile casolare, posto a poca distanza dalla località dove un quarto di secolo prima il teologo Cottolengo aveva già dato prova di quanto possa la carità, e che doveva diventarne onorevole corollario, era stato prima affittato, poi acquistato dal sacerdote Bosco co' suoi risparmi e con largizioni ottenute da chi era conscio del santo scopo del suo fondatore; - meschino ricetto destinato a diventare a poco a poco un emporio di beneficenza, di arti e di industrie, sempre rischiarato dalla face della religione.
Ora chi visiti quell'Istituto ed ammiri la bella mole del nuovo tempio rimane meravigliato nel vedere come nel giro di pochi anni abbia potuto un tale assieme svolgersi si può dire dal nulla. Là, oltre ad un corso d'istruzione che arriva fino alla quinta ginnasiale, vi sono grandi laboratorii di sarti, calzolai, legatori da libri, falegnami, fabbri - ferrai ecc. A compimento di tutto questo il solerte sacerdote vi aggiunse da pochi anni una tipografia, dove si stampano libri di ascetica e di istruzione, non solo per commissione altrui, ma ancora [573] scritti dall'infaticabile educatore; poichè giova qui dirlo, D. Bosco è anche scrittore, e scrittore forbito ed eruditissimo. Cosa inesplicabile che un uomo in mezzo a tante cure, a tante imprese, abbia ancora trovato tempo di rendersi utile alla letteratura ed alla storia. Eppure ne fanno prova di ciò varii suoi scritti, fra i quali uno di grande importanza: la Storia d'Italia raccontata alla gioventù, assai commendata dal celebre Tommaseo, il quale visita spesso D. Bosco.
La bella chiesa che torreggia superba a compimento di sì utile edificio è dedicata a Maria Ausiliatrice, la cui statua, in bronzo dorato s'eleva in cima alla bella cupola.
Lo stile è d'ordine composito, partecipando del corinzio, dell'ionio e del dorico. L'architetto Antonio Spezia ne dava il disegno, rinunciando ad ogni compenso, e cominciata nel 1864 in meno di quattro anni e mercè le cure del grande iniziatore e delle sollecitazioni alla pubblica beneficenza, vide la sua solenne inaugurazione.
Il mantenimento e l'istruzione degli alunni dell'Oratorio di San Francesco di Sales, il cui numero giunge oggi a ben ottocento, è per quasi tutti gratuito, non facendo eccezione che per una categoria di giovanetti di famiglie agiate che vogliono far educare là entro i loro figliuoli, e pei quali il direttore stabilisce delle modiche pensioni da lire 10 a 24 mensili, a seconda delle circostanze.
Questa sola opera basterebbe ad immortalare D. Bosco. Ma stupirebbe il lettore se non sapesse di già che questa non è la sola di cui si abbia ad essere grati ad un tant'uomo, il quale colla sua equità, e con lo squisito tatto seppe anche circondarsi di persone benemerite e zelanti, che lo secondassero nel suo santo scopo.
Già altri Oratori ed Istituti sorgono in questa stessa città sotto il suo patrocinio e sorveglianza. Un Istituto in via Pio V presso il viale del re, è disposto già per le scuole, per cui si spesero oltre a settanta mila lire, e porterà i suoi benefici frutti ai giovanetti abitanti in quei quartieri; esso porta il nome di Oratorio di S. Luigi.
Altri due, di S. Giuseppe e dell'Angelo Custode in Vanchiglia provvedono alle funzioni religiose e procurano ai giovani l'attitudine alle arti od il collocamento presso distinte famiglie.
La chiesa parrocchiale in costruzione nel borgo S. Secondo, da or quindici anni per iniziativa di un comitato, trovandosi in gravi difficoltà pel suo compimento, fu da D. Bosco, mercè le preghiere di eminenti personaggi ecclesiastici e civili, assunta orinai a sue proprie spese, sormontando tutte le difficoltà che si frapponevano al suo compimento.
Un altro Istituto che potrà contenere 300 giovani è sorto in Lanzo sotto gli auspici di D. Giovanni; e nel mentre che se ne va compiendo or ora la fabbricazione, già alimenta 150 persone, apportando i suoi benefici frutti a quelle misere valli.
Importantissimo è pure quello di Borgo S. Martino, istituto nato [574] dall'essersi là trasportato quello di Mirabello, perchè in questo locale non vi era bastante sfogo per la gioventù che ha bisogno di svilupparsi, ma che pur tuttora tiene aperto[87]; questo costò i 150 mila lire di fabbricazione. Il nuovo di S. Martino ne costa 120 circa.
Altri due istituti in Alassio ed in Varazze nella Liguria alimentano ciascuno 100 giovani oltre al personale insegnante.
In Marassi presso Genova va sorgendo pure l'Istituto degli Artigianelli sotto il nome di S. Vincenzo, il quale raccoglie giovani bisognosi ed abbandonati, cui imparte istruzione e lavoro sotto la direzione del degnissimo e reverendo D. Albero [D. Albera], il quale si può dire altro D. Bosco, per la pietà ed operosità. Ora nel suo inizio conta già 50 alunni, tutti mantenuti a spese del nostro venerando Sacerdote di Torino.
In gran parte di questi Stabilimenti, oltre all'impartirsi le massime che abbiamo ripetuto di religione, e le pratiche delle arti e delle industrie, vi si coltiva caldamente il ramo importantissimo dell'agricoltura, del quale si contano già preziosi frutti, creando degli abili coltivatori ed orticoltori.
Al riguardare questo grande numero di opere, che abbiamo menzionate, e di cui forse qualcuna abbiamo ommesso, non si è tentati da esclamare che tanta operosità, tante benefiche istituzioni sorte per opera di un uomo solo siano effetto di un miracolo?
A D. Bosco, come a tutte le anime ben nate ed infaticabili non mancano detrattori. Questa fu la storia continuo, di tutto il mondo; è il premio spesso volte toccato ai benefattori dell'umanità. Ma niuna guerra valse, nè varrebbe a combattere e vincere il pio personaggio, il quale, altrettanto umile quanto venerando, procede senza posa nell'opera sua cristiana e civilizzatrice.
È stella che rifulge nel presente secolo, in cui esistono pur troppo molti elementi di dissoluzione della società, e che addita la retta via ai buoni ed ai traviati.
Il nome suo, come ora è sulla bocca di tutti, non morrà per volgere di tempo. Di lui rimarranno incrollabili i monumenti ad attestare la sua integerrima vita tutta dedicata a pro del prossimo ed in servizio della religione.
Torino, 1872. - Tip. e lit. Foa.
Gli anni del Santo che stiamo illustrando, 1871 - 1874, formano il periodo più interessante della sua vita, perchè in essi non solo raggiunse la definitiva approvazione della Pia Società, ma anche iniziò regolarmente la seconda Famiglia, a vantaggio della gioventù femminile in ogni parte della terra.
È quindi doveroso, che ci tratteniamo un po' sugli inizi dell'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, per conoscere sempre meglio le vie del Signore nel guidare ogni passo del suo fedelissimo Servo.
Nel 1837, mentre Giovanni Bosco, alunno del Seminario di Chieri, compiva il second'anno di filosofia, e sentiva sempre più viva la fiamma dell'apostolato che aveva visto profilarglisi in sogni particolareggiati, nei quali eran protagonisti [576] Gesù e Maria, Iddio creava le due anime che al nuovo Padre e Maestro della gioventù avrebbero dato il maggior aiuto: - Maria Mazzarello e Michele Rua - Maria il 9 maggio, quasi dono della Vergine nel mese a Lei sacro; Michele il 9 giugno, quasi dono del Cuore Sacratissimo di Gesù - Maria nella frazione dei Mazzarelli, presso Mornese, nel Monferrato, ove Don Bosco avrebbe fatto lunghe gite autunnali con le allegre ed edificanti schiere dei figliuoli, Michele in Torino, poco lungi dai prati di Valdocco, dove avrebbe iniziato l'Opera Salesiana.
In Maria l'umiltà dei natali parve accentuare la singolarità del carattere. Intelligenza aperta e vivace, volontà retta e risoluta, amore e fervore per le pratiche religiose, furono i primi raggi luminosi che venne irradiando tra l'ammirazione dei compaesani, mentre cresceva nella conoscenza delle cose celesti e di quanto è difetto o virtù, come raramente avviene nella prima età. Prese subito a mortificar la gola, a fuggire le vanità del vestito, a combattere l'amor proprio, ad ascoltar con frutto la parola di Dio ed a frequentare il catechismo, con tanto profitto da segnalarsi anche tra i ragazzi, riportando sempre il “punto d'onore” Col fermo proposito di fuggire il male e di praticare il bene, si preparò alla prima Comunione; e, dal giorno che ricevette Gesù nel cuore, crebbe tanto nel suo amore da sentir presto il bisogno di accostarsi ogni giorno alla Mensa Eucaristica; ed a quindici anni, spontaneamente, prometteva a Dio di conservare in tutta la vita la purezza verginale.
Passata ad abitare sulla collina di fronte ai Mazzarelli, e precisamente nella cascina, detta la Valponasca, che i genitori avevano in affitto dai Marchesi Doria, per recarsi in parrocchia doveva compiere quasi un'ora di cammino, se vi andava per la strada comunale, e non meno di mezz'ora, se prendeva l'accorciatoia; per cui era altamente edificante il veder quest'umile figlia dei campi, recarsi assai per tempo, ogni mattina, ad ascoltar la Messa e ad accostarsi alla S. Comunione. Nè la stanchezza del dì innanzi - era una lavoratrice tenace - nè il cattivo tempo, nè l'afa d'estate, nè il freddo d'inverno, riuscivano a trattenerla. Per svegliarsi di [577] buon'ora, talora dormiva vestita per terra, o si cingeva strettamente i fianchi, e, appena desta, se era bel tempo, chiamava una sorella, e se il tempo era cattivo, partiva sola, bramosa d'arrivare alla chiesa per la prima e di dare a Gesù il primo saluto. Solo per questo partiva sempre per tempo, e quando trovava il tempio ancor chiuso, il che accadeva di frequente, s'inginocchiava sui gradini come Domenico Savio, e adorava e pregava, finchè la porta non si apriva. Le accadde più volte di arrivare alla parrocchia verso le due e mezzo ed anche le due dopo mezzanotte; ed allora, dopo di aver pregato a lungo, si sedeva e prendeva un po' di riposo, umile e semplice come una colomba!...
Ascoltata la Messa e fatta la S. Comunione, tornava a casa e sollecita iniziava il lavoro con attività insuperabile.
Durante il giorno le sarebbe stato caro poter rientrare nel luogo santo, ma la lontananza non glie lo permetteva; se però, per qualche motivo, doveva tornare in paese, non mancava di rientrarvi e sostarvi a lungo, pregando fervorosamente, con lo sguardo sempre fisso al Tabernacolo! A Gesù Sacramentato volgeva il pensiero e spesso lo sguardo anche lungo il giorno e immancabilmente poi la sera, nel tempo in cui si raccoglievano in parrocchia molte anime pie, attirate dallo zelo del piissimo sacerdote Domenico Pestarino, per fare un po' di meditazione o lettura spirituale, seguita dalla recita del Rosario e dalla visita al SS. Sacramento. A quell'ora, quando si accendevan le candele sull'altare e, per felicissimo effetto di ubicazione, le invetriate dell'abside del tempio s'irradiavano di vivi riflessi che si vedevan anche dalla cascina Valponasca, Maria soleva appartarsi dai suoi e porsi accanto alla finestra da cui si scorgeva quel chiarore; e là, con lo sguardo fisso alla chiesa, pregava e pregava con tanto fervore, come se fosse innanzi all'altare! I familiari non tardarono ad avvedersene, e presero anch'essi a radunarsi accanto a lei, padre, madre, tre fratelli e tre sorelle a lei inferiori di età, per recitar insieme le preghiere serali.
Nei paeselli del Piemonte, a quei tempi, non v’erano scuole per le fanciulle, e Maria, desiderosa di avanzare nel [578] bene, mediante la conoscenza della Religione e dei propri doveri, imparò privatamente a leggere e cominciò a meditar libri devoti, come la Pratica di amar Gesù Cristo, le Massime eterne di S. Alfonso, il Diario spirituale, traendone slanci e pratiche direttive per viver unita con Dio.
Era un'anima bella, e tutti lo comprendevano anche dalle frasi scultorie che le uscivano, quando, secondo il suo solito, diceva una buona parola ai conoscenti.
Abituata a quei percorsi mattutini, nell'ardente scintillìo del firmamento: - Vedete, diceva, quante stelle e come splendenti! un giorno saranno sotto i nostri piedi, perchè saremo molto più in alto di loro!
Le vie del Signore nel preparare la prima Superiora delle Figlie di Maria Ausiliatrice furono così meravigliose che ci pare di poter applicare a lei le parole scritturali: - Io l'ho suscitata per la giustizia, per educare alla pratica dell'onestà e della religione anche le giovinette, ed io guiderò tutti i suoi passi[88].
A quel tempo, in Mornese, aveva iniziato un fecondo apostolato il piissimo Don Domenico Pestarino, la cui memoria resterà imperitura. Compiuti gli studi nel Seminario di Genova dove aveva stretto amicizia col Can. Alimonda, poi Cardinale di S. Chiesa ed Arcivescovo di Torino, e col Servo di Dio il Teol. Giuseppe Frassinetti, ordinato sacerdote tornò a Mornese, dov'era nato; e là, dove prima faceva meraviglia il veder qualcuno accostarsi alla Mensa Eucaristica durante la settimana, grazie all'ardente suo zelo si vide, in pochi anni, la maggior parte dei parrocchiani, donne e uomini, accostarvisi quotidianamente, tanto che il Vescovo Mons. Contratto, recatosi a far la visita pastorale, ebbe a dire: - Mornese è il giardino della mia diocesi!... - E Maria era, e doveva apparire a tutti, di Mornese il più bel fiore!
Ma quest'umile e virtuosa figliola come avrebbe potuto mettersi su due piedi alla testa di un ampio verginale drappello aspirante alla vita religiosa regolare, e d'un, tratto [579] far suo lo spirito del Fondatore, anche avendo le stesse aspirazioni, se non le avesse precedentemente coltivate ?
Il Signore anche a questo la venne preparando in modo meraviglioso. In un libretto del Teol. Frassinetti, intitolato: Regola della Pia Unione delle nuove Orsoline, Figlie di Santa Maria Immacolata, sotto la protezione di S. Orsola e di Sant'Angela Merici[89], troviamo alcuni particolari:
Verso il 1850, a Mornese, una piissima giovane, Angelina Maccagno, al 18° anno di età, determinò di darsi interamente a Dio, senza abbracciare la vita religiosa, rimanendo nel secolo; e comunicò dapprima quest'intenzione ad una cugina, che si mostrò pronta a secondare il progetto; poi ne parlò col suo direttore spirituale, Don Pestarino, il quale, posatamente ponderata la cosa, le diede il suo assenso; ed allora, di concerto con lui, pensò a dettare una Regola che servisse di norma alle fanciulle già radunate e a quelle che si sarebbero decise di unirsi a loro al medesimo intento. Non conosceva affatto la Compagnia di S. Orsola, fondata da S. Angela Merici, e approvata da Paolo III nel 1544.
Ma, forse, riteniamo, la pia giovane aveva letto un libro stampato a Genova: Dei diversi stati che le donzelle possono abbracciare, e principalmente del celibato, de' motivi di appigliarvisi e del modo di vivervi santamente, anche in mezzo alla società, scritti da una nobile donzella. Traduzione libera, dal francese, coll'aggiunta di un discorso del B. Alfonso de' Liguori[90].
In quelle pagine di S. Alfonso, tratte dalla Selva di materie predicabili, tra altri spunti interessanti, si leggono queste parole: „La santità non consiste già nello stare nel monistero, o tutto il giorno alla chiesa, ma in far l'orazione, e la Comunione quando puoi, e in ubbidire, in servire la casa, star ritirata, e sopportare le fatiche e i disprezzi. E se andassi al monistero, che cosa pensi che faresti? star sempre nel coro, o nella cella, e poi andare al refettorio, e stare a spasso? Nel monistero vi è bensì il tempo assegnato all'orazione, alla Messa e alla Comunione; ma nell'altro tempo le monache hanno anche da servire il monistero, e specialmente [580] le laiche, le quali, perchè non vanno al coro, sono assegnate alla fatica, e perciò hanno men tempo di fare orazione. Tutti dicono: - Monistero, monistero! - Oh! quanto hanno più comodo di far orazione e di farsi sante le zitelle divote che sono povere nelle case loro, che nel monistero! Quante di costoro, come io so, si son pentite di essere entrate nel monistero, specialmente se il monistero è numeroso, dove alle povere laiche appena in certe parti si dà tempo per dire il Rosario!...”. Qual consiglio migliore per le giovani pie, che non possono lasciar la famiglia, o mancano dell'istruzione necessaria, e vorrebbero farsi suore?
Sta il fatto, che la buona Angelina Maccagno scrisse nel 1851 la Regola e Don Pestarino la mandò a Don Frassinetti, perchè la ordinasse e vi facesse quelle varianti ed aggiunte che avesse creduto opportune. Il piissimo Don Frassinetti, distratto da altre occupazioni, ed anche dubbioso della possibilità della riuscita di quel progetto, rimandò ad altro tempo il lavoro, e finì ... col perdere quegli appunti! Dopo un anno e più, Don Pestarino rinnovò l'istanza, rinviando l'abbozzo; ma il Frassinetti differì ancora, e solo dopo ancor due anni, nell'autunno del 1855, consultate persone intelligenti e sperimentate nelle cose di spirito, compilò la Regola, attenendosi fedelmente alla traccia somministratagli, niente aggiungendo - son sue parole - e niente mutando di sostanziale[91].
Avuta la Regola, la sopraddetta zitella radunò le compagne, in numero di cinque, tra cui Maria Mazzarello, che aveva compiuto i 18 anni; e queste diedero cominciamento alla Pia Unione, nella domenica dopo la SS. Concezione dello stesso anno 1855[92]. E due anni dopo il Vescovo diocesano [581] Mons. Modesto Contratto, recatosi a Mornese a festeggiare la chiusura del mese mariano, „radunò in pubblica chiesa le zitelle, ricevette da esse una specie di professione e di sua mano le decorò della medaglia di Maria SS. Immacolata, la quale è richiesta dalla Regola”, che egli, di quel mese, erasi degnato di approvare1.
Delle ascritte alla Pia Unione, Maria era la più giovane e la più fervente; ed il saggio e pio Don Pestarino avrebbe voluto „affidarle il governo della novella istituzione; ma il Signore che l'aveva destinata ad opere grandi, la volle simile a Lui nelle contraddizioni”, quindi permise che la sua nomina non andasse a genio ad alcuni del paese, forse perchè era... una semplice campagnola; e la Pia Unione ebbe a direttrice la piissima giovine che l'aveva ideata. Così si legge nella prima, breve ma interessante biografia della Serva di Dio, apparsa nel Bollettino Salesiano, subito dopo la sua morte[93].
“Non per questo - prosegue il Bollettino - la nostra Maria cessò dall'impegnarsi per la buona riuscita della novella Congregazione, che anzi la promosse a tutta sua possa, sia col buon esempio, sia coll'osservarne esattamente le Regole. Era tale il suo desiderio d'uniformare la sua volontà a quella della sua Superiora, che a costo di molti sacrifizi volea dipendere da lei pur anco nelle cose di minor rilievo, come ... il comprarsi una veste, un grembiale, un fazzoletto, e simili ...”. [582]
Così, se non l'aveva già fatto nel 1855, fin dal 1857 ella prese a vivere, regolarmente si può dire, vita religiosa. Infatti si legge nel Regolamento:
“Questa Pia Unione si forma di zitelle desiderose di farsi sante, non solo coll'esatto adempimento della legge di Dio, ma anche colla pratica dei consigli evangelici”, e precisamente “di quelle che propongono di evitare ogni peccato, non solo mortale, ma anche veniale avvertito”; - “di osservare la castità perfetta per tutto il tempo della loro vita”; - “di sottomettersi pienamente all'ubbidienza del loro direttore spirituale per le cose riguardanti la coscienza e della loro superiora per le cose riguardanti questa regola” - e “di praticare la virtù della povertà, procurando di vivere staccate da quanto possiedono in questo mondo e di servirsi delle proprie sostanze, quanto meglio possono, per la gloria di Dio, e pel bene dei loro prossimi”[94].
Tra i particolari doveri delle Figlie dell'Immacolata vi vi erano pur questi: - di “esercitarsi nelle opere di misericordia...” e “nello zelo della gloria di Dio e della salute delle anime”; - di „occuparsi della coltura delle fanciulle trascurate dai genitori; e far che frequentino i SS. Sacramenti e la Dottrina Cristiana; anzi, potendo, la insegneranno alle medesime secondo il bisogno”; - e di “coltivare lo spirito delle più grandicelle, perchè s'innamorino delle cose sante e si diano ad una vita divota”[95]; gli stessi doveri, possiam dire, che Don Bosco aveva assegnato ai Salesiani ed avrebbe assegnato alle sue Figlie.
Ed ecco altre circostanze, che ci fan meglio comprendere come fu veramente il Signore che guidò la pia e forte sua Serva ad essere la prima Superiora della seconda Famiglia religiosa che Don Bosco avrebbe fondata.
Vivendo lontana dal paese ed occupata tutto il giorno in lavori di campagna, ella non poteva totalmente dedicarsi, come avrebbe voluto, all'apostolato tracciato dalla Regola. E Iddio, che anche dal male suol trarre il bene, non tardò a rimovere ogni ostacolo. [583]
Nel 1858, un furto alla Valponasca induce il padre a comprar una casetta in paese e a trasferirsi colà. Due anni dopo scoppia il tifo e Maria, dietro consiglio di Don Pestarino, si dedica all'assistenza dei parenti malati, con tanto zelo che sembrava „una suora di carità”; finchè, colta ella pure dal male, pare che sia proprio alla fine. Guarisce, invece, ma non può continuare il lavoro dei campi. Ha compiuti 23 anni, e sentendo sempre più viva la brama di dedicarsi tutta al bene delle fanciulle, pensa d'imparare a far la sarta, per raccogliere poi attorno a sè le ragazze ed insegnar loro, insieme col mestiere, la fuga dal peccato e la pratica della virtù.
Una scena singolare, diciam pure preternaturale, perchè umanamente inesplicabile, cui ella aveva assistito, la consigliò ad apprendere quel mestiere?
Questo è certo, che ella un giorno, passando sull'altura di Borgo Alto - dove sorse poi l'edifizio, cui resterà fisso in perpetuo lo sguardo delle Figlie di Maria Ausiliatrice - ... vede un gran caseggiato con entro numerose fanciulle intente a divertirsi... Resta incantata, le par di sognare .... eppure, è sveglia, in piedi, all'aperto e in pieno giorno! ... Guarda, guarda, sempre più meravigliata, e infine esclama: - Ma che cosa è questo? Non c'è mai stato questo palazzo; io non l'ho visto mai!... chissà che cosa voglia dire? - E narra il fatto a Don Pestarino, che non le presta fede, anzi le proibisce di pensare a quella... visione ...; mentr'era proprio un preavviso singolare.
Ella, infatti, più che ad insegnare il mestiere di sarta si sente tratta a far del bene alle fanciulle, e ne parla con un'amica, Petronilla Mazzarello... e combinano, col consenso dei genitori e di Don Pestarino, d'apprendere quel mestiere, e tra la meraviglia del paese, per sei mesi vanno ad imparare il cucito; poi, senz'indugio, prendono a lavorare e ad accogliere attorno a sè alcune fanciulle, alle quali Maria, per prima cosa, dà questo programma: di metter l'intenzione che ogni punto sia un atto d'amor di Dio!
Ciò avveniva nel 1861 - 62. D'allora in poi le vie della Provvidenza presero a delinearsi ancor più nettamente. Pe - [584] tronilla perde il padre e rinnova l'impegno di star sempre con Maria e coadiuvarla assiduamente. Come si vede, le due giovani iniziano un apostolato che si distacca alquanto dal programma della Pia Unione, o, meglio, si estende ad un più largo campo. Cominciano a lavorare in casa di Teresa Pampuro, un'altra Figlia dell'Immacolata; e, dopo aver più volte cambiato residenza, randage come Don Bosco all'inizio dell'Oratorio, si stabiliscono in casa Maccagno, quindi affittano un'altra cameretta, poi un'altra, e accolgono due piccole orfane, poi due altre, ed iniziano anche un piccolo ospizio per le fanciulle abbandonate... Non basta! Accanto al piccolo laboratorio v'era un cortiletto, e, col permesso di Don Pestarino e del proprietario, Maria non tarda a trasformarlo in Oratorio festivo.
Non possiamo non ammirare anche in Don Pestarino l'uomo provvidenziale. Egli pure, prima ancora di conoscere Don Bosco, aveva vivo in cuore l'apostolato a pro della gioventù, e, per i giovani, un trasporto speciale. Basti accennare alle industrie che usava negli ultimi giorni di carnevale per allontanarli dai disordini e dai pericoli. Li radunava in casa sua, preparava a sue spese quant'occorreva per tenerli allegri con giuochi onesti, con un po' di canto, e con qualche rappresentazione morale; e poi bottiglie, confetti, e quanto poteva favorire la più cordiale allegria! Ad un'ora discreta, li accompagnava alla chiesa parrocchiale per recitar le preghiere, quindi li mandava a casa, dopo averli invitati a recarsi la mattina seguente alla Santa Messa, per recitare insieme il Rosario ed accostarsi ai Santi Sacramenti. Tutto questo, prima che incontrasse Don Bosco.
Figlio di agiati campagnoli, prima ancora che perdesse il padre, andava sognando di aver a sua disposizione un tratto di terreno, che faceva parte dell'asse paterno, proprio sull'altura di Borgo Alto. Quando perdè il padre, non palesò a nessuno il suo desiderio, ma ecco che quel terreno venne assegnato proprio a lui, il quale - come lasciò scritto - da molti anni maturava il pensiero (se mai il Signore avesse disposto che quel luogo fosse nella divisione coi fratelli toccato [585] in sua parte) di aggiustarvi una casa con una cappella e dieci o dodici camere... pel bene della gioventù, per radunarvi i fanciulli del paese, massime alle feste, e trattenerli con onesti divertimenti, poi raccoglierli in cappella, istruirli ed animarli al bene dell'anima, all'amor di Dio, e al rispetto e alla vera sottomissione ed amore ai parenti e superiori tutti. Aveva già nell'anima lo spirito salesiano. Non avrà egli incoraggiato Maria a dedicarsi allo stesso apostolato a pro' delle fanciulle?
Nel 1862 egli incontrò Don Bosco ed ebbe con lui un intimo colloquio, viaggiando in treno da Acqui ad Alessandria. Il bravo prete di Mornese gli parla della Pia Unione delle Figlie dell'Immacolata e del bene che va facendo; e Don Bosco gli dice chiaro ch'egli pure ha in mente, e da tempo, il pensiero d'iniziare un istituto religioso che si prenda cura della gioventù femminile, con lo stesso programma che i Salesiani hanno cominciato a svolgere in mezzo ai giovani, avendo ricevuto in proposito vive istanze da Prelati e da Vescovi; e nulla più, mentre avrebbe potuto dire tante altre cose!... Il colloquio, ad ogni modo, non poteva essere più interessante, e finì coll'invito del Santo a Don Pestarino, di recarsi a visitare l'Oratorio di Valdocco.
Indubbiamente Don Bosco avrebbe potuto dire di più!... perchè il Signore, in ripetuti sogni o visioni, gli aveva nettamente indicato ciò che voleva da lui, e come, e quando ...; e noi riteniamo che fin dalla prima scena, che gli si ripetè più volte e in cui vide infinite schiere di agnelli e di pecorelle attorno a sè, gli venisse indicato che, insieme con i fanciulli, anche le fanciulle erano raccomandate alla sua carità. Nella sua umiltà il Santo andò sempre adagio nel credere ai sogni, e più adagio ancora nel parlarne, perchè quanto poteva tornar a sua lode non gli uscì mai nè dal labbro nè dal cuore. Ma in alcune sue narrazioni emergono vari particolari, che ci fan credere essergli stato pur indicato che la sua missione avrebbe dovuto abbracciare, oltrecchè i fanciulli, anche le fanciulle. È vero che, giovane garzone alla cascina Moglia, mentre si occupava assiduamente del piccolo Giorgio e dei ragazzi di Moncucco, non volle mai [586] aver a che fare con le ragazze; ma è vero ancora, che, insieme con cotesta altissima linea di condotta, egli sentiva così alto l'ardore della carità, che non si sarebbe mai permesso di sottrarsi a un'opera, che Dio gli avesse additata necessaria per la salvezza di altre anime. Tant'è vero che nel 1862 in uno dei suoi sogni aveva dichiarato alla marchesa di Barolo: Nostro Signore è venuto al mondo solo per redimere i giovanetti o non anche le ragazze?... Ebbene, io debbo procurare che il suo sangue non sia sparso inutilmente, tanto per i giovani, quanto per le fanciulle. E l'anno dopo diceva a Carolina Provera, che si voleva far suora, ed entrò e morì tra le Fedeli Compagne di Gesù, fondate dalla Serva di Dio, Maria Maddalena Vittoria de Bengy, Viscontessa de Bonnault d'Houet: - Se volete aspettare un po' di tempo, anche Don Bosco avrà le suore salesiane, come ora ha i suoi chierici e i suoi preti[96].
Don Pestarino non tardò a recarsi all'Oratorio, e restò così ammirato dello zelo e della carità del Santo, che strinse con lui amicizia e diede il nome alla Società Salesiana, e subito avrebbe voluto restare nell'Oratorio accanto a lui; ma Don Bosco, in vista del bene che operava in paese, volle continuasse a rimanere in patria; e gli diede due medaglie, e, in un'altra visita, un biglietto, non per la Maccagno e per la Pampuro, ma per Maria e per Petronilla Mazzarello. Nel biglietto diceva: - Pregate pure, ma fate del bene più che potete alla gioventù; fate il possibile per impedire anche solo un peccato veniale.
Preghiera e lavoro era già il programma anche del piccolo laboratorio e del piccolo ospizio di Mornese. Quell'opera nascente mancava solo della cappella, ma era vicina alla parrocchia; ed ogni cuore, sull'esempio di Maria Mazzarello e grazie alle sue continue esortazioni, era un altare. Ogni fanciulla entrava in laboratorio dicendo: - Buon giorno! Sia lodato Gesù Cristo! - quindi si faceva il segno di croce, e, davanti ad un'immagine della Madonna, recitava l'Ave Maria e la giaculatoria: - A Voi dono il mio cuore, Madre [587] del mio Gesù, Madre d'amore! - Ad ogni batter d'ora una Figlia dell'Immacolata faceva recitare l'Ave, e Maria, spesso, aggiungeva questa riflessione: - Un'ora di meno in questo mondo, un'ora più vicine al Paradiso!
Per il suo zelo il minuscolo cortile, come si è detto, si trasformava in un piccolo Oratorio festivo, dove accorrevano volentieri le ragazze „per svagarsi e sollazzarsi - come si legge nel Decreto dell'introduzione della Causa di Beatificazione della Serva di Dio[97] - intercalando qualche esercizio di pietà e qualche lettura o racconto ameno, specie di vite di Santi e particolarmente di S. Luigi Gonzaga, e prendere parte alle sacre funzioni della parrocchia ed accostarsi ai Santi Sacramenti, con modestia e pietà, o nella chiesa parrocchiale o nella cappella rurale di S. Silvestro, distante un quarto d'ora dal paese”.
D'inverno, finite le funzioni, le ragazze passavano ancora alcuni istanti nel cortiletto per scambiarsi qualche intesa per la domenica seguente; nelle altre stagioni invece ritornavano a S. Silvestro, dove riprendevano i canti e i giuochi e i discorsi ameni ed edificanti fino a sera; e prima che tornassero a casa, Maria dava un fioretto o un buon consiglio, e diceva a tutte una buona parola perchè passassero bene la settimana. Evidentemente veniva sempre più acquistando e praticando lo spirito che Don Bosco inculcava ai Salesiani e che ella avrebbe inculcato alle Figlie di Maria Ausiliatrice.
Quel piccolo Oratorio, infatti, fece un bene singolare. “Dopo alcun tempo si vide la gioventù femminile della parrocchia più divota in chiesa e frequente ai Santi Sacramenti, più obbediente e docile ai genitori, più ritirata alla sera, più lontana dai divertimenti mondani, e soprattutto schiva dalle pericolose conversazioni e dal ballo, dal quale molte giovinette riconoscono il principio dei loro morali disordini. Il vantaggio fu così segnalato, che alcuni parenti consegnarono le loro fanciulle alle Figlie (così chiamavano per eccellenza quei buoni terrazzani le Figlie di Maria), perchè loro insegnassero [588] a cucire, ed insieme col lavoro dell'ago impartissero un po' d'istruzione religiosa, e le addestrassero ad una vita soda e sinceramente cristiana.
Ed ecco cominciata da questo punto una specie di comunità, composta di quattro Figlie dell'Immacolata e parecchie fanciulle; comunità, che, basata sull'umiltà e nella povertà, senz'altro fondo di quello della confidenza nella bontà di Dio, vedremo ... aumentarsi di numero, erigersi in Congregazione religiosa ... Che se nel secolo la nostra giovane Maria seppe elevarsi cosi in alto nella perfezione cristiana e nello zelo della salute delle anime, che non farà allorquando il Signore, in premio della fedeltà alle sue grazie, le aprirà una nuova strada e le consegnerà un più vasto campo da coltivare?”[98].
Nel 1864 Don Bosco fece l'ultima passeggiata autunnale con i suoi birichini; e, godendo di speciali facilitazioni ferroviarie, fattili salire in treno a Villanova d'Asti, li recò a Genova e a Pegli, e, nel ritorno, da Serravalle Scrivia li condusse a Mornese, per accondiscendere al desiderio di Don Pestarino, che tanto aveva insistito per aver quella visita.
Maria cercò d'avvicinare più che potè il Santo, ascoltò con intima gioia la conferenza che egli tenne alle Figlie dell'Immacolata, e nei cinque giorni che rimase a Mornese, ogni sera si avvicinava anche al drappello dei giovani, quando il buon Padre dava loro la buona notte, e non finiva di ripetere:
- Don Bosco è un santo, è un santo, io lo sento!
Anche Don Bosco restò commosso della festosa accoglienza e della bontà della popolazione, e in data 9 ottobre scriveva alla Marchesa Fassati: „Io mi trovo in Mornese, diocesi d'Acqui; dove sono testimone di un paese che per pietà, carità e zelo sembra un vero chiostro di persone consacrate a Dio. Questa mattina ho fatto [ho amministrato] la Comunione, e nella sola mia Messa ho comunicato un mille fedeli”[99].
Altre coincidenze provvidenziali!... [589]
L'anno dopo, il 27 aprile si poneva a Torino la prima pietra del Santuario di Maria Ausiliatrice, e il 13 giugno, a Mornese, d'accordo col Santo, e proprio su Borgo Alto, si poneva la prima pietra di un ampio edifizio per una futura casa salesiana;... e contemporaneamente si veniva delineando un nuovo indirizzo nell'Unione delle Figlie di Maria Immacolata. Come s'è detto, alcune avevano preso a far vita comune; altre, invece, tra cui Angelina Maccagno che ebbe la prima idea della Pia Unione, preferivano restare in famiglia; e Don Pestarino, certo dopo essersi consigliato con Don Bosco, cercò di accontentare le une e le altre, dando alle prime una dimora più acconcia in una casa sua, accanto alla parrocchia, dove continuarono a chiamarsi le “Figlie dell'Immacolata” ed anche la loro dimora fu detta la”Casa dell'Immacolata”, mentre le altre presero il nome di Nuove Orsoline, essendosi venuto a conoscere che la Pia Unione fondata a Mornese era, nè più nè meno, una delle Compagnie di Sant'Orsola, fondata da Sant'Angela Merici[100].
Intanto si veniva continuando la costruzione del collegio su Borgo Alto, col concorso di tutto il paese, mercè prestazioni gratuite di mano d'opera ed offerte di materiali. Nel 1867 era condotta a compimento l'annessa cappella, e in dicembre Don Bosco si recava a celebrarvi, per il primo, l'augusto Sacrificio, „invocando - come si legge in un'epigrafe ivi scolpita - sul collegio nascente e sul popolo di Mornese le benedizioni di Dio”.
In quella circostanza il Santo si fermò a Mornese quattro giorni, predicò nella chiesa parrocchiale, visitò infermi, diede [590] molte udienze, e tenne pure una conferenza particolare al piccolo drappello della Casa dell'Immacolata, dove si preparavano coloro, che, per le prime, avrebbero dato il nome all'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice!
La divozione alla Madonna sotto il titolo di Auxilium Christianorum, non era nuova nel Piemonte, ma da anni s'era venuta diffondendo, mediante associazioni omonime, aggregate all'Arciconfraternita di Monaco di Baviera; e, qua e là, si dipingevano, o si esponevano, immagini della Madonna sotto questo titolo.
Anche per Maria Mazzarello era dolce consuetudine salutar la Vergine come Ausiliatrice dei Cristiani. Aveva appena sei anni, quando, a 120 metri dalla casetta dov'era nata, veniva benedetta una cappella a Maria Auxilium Christianorum: e chi sa quante volte la pia fanciulla, accompagnata dalla mamma, o da sola, avrà portato a Lei i fiori dei campi con quelli del vergine cuore!
Passata a Mornese, - su di una casa quasi di fronte a quella in cui prese ad abitare, - era dipinta un'altra immagine con la scritta Auxilium Christianorum, cui ogni sabato veniva accesa una lampada: e la domenica sera, a cominciare dal mese di maggio e per tutta la buona stagione, innanzi ad essa si radunavano le popolane del vicinato a recitare il Rosario e a cantare le Litanie... e chi sa quante volte anche Maria avrà letto e ripetuto quel saluto Auxilium Christianorum, e con quanta devozione l'avrà cantato!...
Così la Vergine, mentre con ogni sorta di grazie e di favori faceva giungere a Don Bosco i mezzi necessari per la costruzione del Santuario di Valdocco, veniva anche preparando colei che dal Santo sarebbe stata posta alla direzione del nuovo Religioso Istituto, che da tempo pensava di fondare; ed insieme con l'anima della prima Superiora si veniva preparando la casa che presto avrebbe accolte le prime religiose.
Questa poteva in gran parte divenire, quanto prima, abitabile, ma si andava adagio, anche perchè ad alcuni ecclesiastici non pareva opportuno che Don Bosco vi fondasse un istituto di scuole elementari e ginnasiali, per giovani [591] aspiranti al sacerdozio, con danno del Piccolo Seminario, aperto in Acqui dal vescovo Mons. Contratto. Questi era passato all'eternità, e la diocesi era da tempo vacante; tuttavia il Santo non ritenne conveniente di attendere che fosse eletto il nuovo Pastore, col quale intendersi amichevolmente e venire ad un accordo.
Le vie del Signore ormai si erano chiaramente delineate; ed era giunto il tempo in cui Don Bosco doveva por mano alla formazione della seconda Famiglia, per compiere anche tra la gioventù femminile un ampio apostolato. Urgeva quindi trovare e preparare le prime anime disposte a farne parte, ed insieme ultimare la fabbrica del Collegio dove avrebbe potuto stabilire il nuovo Istituto.
Con questi pensieri, nel marzo del 1869, egli faceva avere a Maria e Petronilla Mazzarello un quadernetto, scritto di sua mano, contenente un orario e un piccolo regolamento, che ritenne adattato a loro ed alle ragazze, per iniziare una vita più regolare.
Nel maggio del 1870 il Santo si recava a Mornese insieme con Don Costamagna, e vi rimaneva tre giorni, per festeggiar la prima Messa del nipote di Don Pestarino, Don Giuseppe Pestarino. Vi si portò anche per un po' di sollievo fisico; ma, abituato com'era a non restar mai in ozio, in quei giorni certo non mancò d'osservare la vita delle Figlie viventi in comunità, e d'esaminare come e con qual frutto ponessero in pratica quanto egli aveva loro suggerito nell'accennato quadernetto.
Il prezioso documento non esiste più, e, purtroppo, non se n'ha nemmeno una copia. Chi sa quante volte l'avranno tutte avuto tra mano! e quante volte Maria Mazzarello l'avrà letto e riletto anche alle compagne...
Ma, per fortuna, possiam farcene un'idea esatta dai ricordi di Madre Petronilla, che soleva tracciarne, con sicurezza, questo riassunto:
Nella parte, ove era segnato l'orario da seguirsi dalla [592] comunità, si diceva di assistere ogni giorno alla S. Messa celebrata per tempo nella parrocchia; - che in chiesa pregassero tutte individualmente e non in comune, e vi restassero da una mezz'ora ai tre quarti e non di più; - inoltre lavoro e refezione in comune, nelle ore stabilite, con intermezzo di un po' di ricreazione; - nel pomeriggio lettura spirituale e, verso sera, recita del Rosario senza interruzione dal lavoro, e, durante questo, a quando a quando, canto di sacre lodi; - alla sera preghiere del buon cristiano in parrocchia, d'ordinario colla popolazione; - e in fine, accanto al letto, sette Ave, in onore della Vergine Addolorata.
Nella parte regolamentare, o direttiva, si davano questi consigli: - procurare di vivere abitualmente alla presenza di Dio; - far uso di frequenti giaculatorie; - avere un fare dolce, paziente ed amabile; - vegliare attentamente sulle ragazze, tenerle sempre occupate, e crescerle ad una vita di pietà, semplice, schietta e spontanea.
A questo spirito, semplice e caro, il Santo voleva informate le buone Figlie di Mornese, le quali, dopo la sua visita, certo sentirono più viva la brama di praticare i suoi consigli.
Nel 1871 Don Pestarino si recava all'Oratorio per la festa di S. Francesco di Sales, e la sera del 30 gennaio prendeva parte alla conferenza tenuta da Don Bosco ai direttori, ed egli pure “fu... invitato a dir qualche cosa dell'andamento del paese”, come si legge nel resoconto dell'adunanza. Era voce comune che Don Bosco l'aveva lasciato a Mornese perchè continuasse ad esercitarvi quell'apostolato che vi aveva sempre compiuto; ma nessuno pensava che il Santo se ne sarebbe servito soprattutto per la fondazione della seconda famiglia. E Don Pestarino, prosegue il racconto, „sbrigatosi in breve, facendo sol notare l'impegno che aveva per far del bene specialmente in questi giorni di carnevale, parlò della casa che si stava costruendo in Mornese, lasciando speranza che non si sarebbe tardato molto a terminarla interamente”.
Lungo invece dev'essere stato il privato colloquio, che ebbe in quella circostanza con Don Bosco. Un mese dopo, [593] il 28 febbraio, egli ne faceva questo cenno al nipote Don Giuseppe: „Sono stato a Torino e si decise assolutamente l'apertura del collegio in un senso grandissimo. Don Bosco ha pensieri molto larghi, e bisognerà ancor fabbricare da quanto ho saputo; manca solo lo stradale; ci siamo dietro; ma cosa farei?...”.
Quale il tema del colloquio? Che il collegio in costruzione avrebbe servito a fare un gran bene, a compiere un grande apostolato, è evidente; ma Don Bosco gli avrà detto nettamente, già in quel giorno, che il nuovo edifizio avrebbe servito per la nuova istituzione?... Tutt'al più in confidenza assoluta, e, diciam pure, in segreto, come affiora da quel “ma cosa farci?” e da quanto siamo per esporre.
Per compiere il piano stabilito, conveniva far acquisto di una casa che sorgeva poco lungi dal Castello Doria, ultima del paese da quel lato, appartenente ad un certo Carante, dimorante a Gavi, e tenuta in pigione da alcuni inglesi, impiegati nelle miniere d'oro in quelle parti. La casa era a due piani, con sette od otto stanze, ed una parte rustica che poteva adattarsi ad abitazione, ed aveva in faccia un fianco del collegio senza finestre e nell'intermezzo un giardinetto, a piano inclinato verso il collegio, dove poi si fece una porta per andare alla cappella. Due terzi del terreno appartenevano al Carante, e un terzo a Don Pestarino; e le due proprietà eran divise da un muro abbastanza alto, per cui si sarebbe detto che la vicinanza non avrebbe dato alcuna soggezione al collegio... Ma dalle finestre?... Era quindi conveniente farne acquisto, e Don Bosco decise di comperarla, dandone l'incarico a Don Pestarino.
Le trattative furono facili e veloci.
Il 31 marzo Don Pestarino comunicava a Don Bosco d'aver fatto la compera a suo nome, con tutte le prescrizioni legali; che la notizia s'era subito diffusa in paese, con piacere, ed il sindaco specialmente n'era rimasto contento; per aiuti non chiesti ed insperati le spese erano tutte coperte; e Don Bosco, se lo credeva opportuno, poteva mandare al notaio Traverso ed al perito Contino - che avevan prestato gratuitamente l'opera loro - un libro in segno di [594] riconoscenza; il resto l'avrebbe fatto lui con alcune bottiglie di buon vino. La casa sarebbe libera alla fine di giugno; il fitto correva già in favore di Don Bosco; e se questi voleva mandar qualcuno a fare un sopraluogo, per vedere come sistemare la parte rustica, gli avrebbe fatto piacere; egli intanto, avrebbe cercato di fare ciò che gli pareva conveniente e di pregare[101].
Anche Don Bosco, di quei giorni, implorava lumi dall'Alto. Fin dal 1869 s'era stabilito che il mese mariano nel Santuario di Maria Ausiliatrice si sarebbe iniziato il 24 aprile per coronarlo con la solennità titolare; e nel 1871, prima che gli si dèsse principio, il Santo convocava tutti i membri del Capitolo dell'Oratorio, Don Rua, Don Cagliero, Don Savio, Don Ghivarello, Don Durando e Don Albera; e dopo d'aver detto che li aveva radunati per cosa di grande importanza: „Molte persone - proseguiva - ripetutamente mi hanno esortato a fare anche per le giovinette quel po' di bene che per la grazia di Dio noi andiamo facendo pei giovani - Se dovessi badare alla mia inclinazione, non mi sobbarcherei a questo genere di apostolato; ma siccome le istanze mi sono tante volte ripetute e da persone degne di ogni stima, temerei di contrariare un disegno della Provvidenza, se non prendessi la cosa in seria considerazione. La propongo quindi a voi, invitandovi a riflettervi dinanzi al Signore; a pesare il pro e il contro, per poter poi prendere quella deliberazione che sarà di maggior gloria di Dio e di maggior vantaggio alle anime. Perciò, durante questo mese, le nostre preghiere comuni e private siano indirizzate a questo fine: - ad ottenere dal Signore i lumi necessari in quest'importante affare”.
Gli adunati si ritirarono profondamente impressionati.
Di quei giorni, cioè sulla fin d'aprile, egli stesso si recava a Mornese per veder l'acquisto fatto, e la vita che conducevano le buone Figlie dell'Immacolata, alle quali indubbiamente tenne una conferenza, e la sua visita apportava frutti salutari. [595]
La vita, che si viveva in quella piccola comunità, non poteva essere più edificante; ecco come la descrisse la sorella di Maria, Felicina Mazzarello, che si fece anch'essa Figlia di Maria Ausiliatrice:
“Quando... fu dato a Maria Mazzarello di appagare l'ardente suo desiderio, quello cioè di riunire alcune buone figlie ed insieme convivere per meglio servire il Signore, la sua gioia fu al colmo. Coraggiosamente abbandonò padre, madre, fratelli, sorelle, insomma l'intiera famiglia, nel pianto e nella desolazione.
In questo nuovo genere di vita, ella diede prova d'un coraggio eroico. Nella nuova casa [delle Figlie dell'Immacolata] trovò la vera povertà di Gesù Cristo. Tante volte mancava alla piccola comunità il necessario sostentamento, mancava talora persino la farina per fare la polenta, e spesso, quando si aveva questa, mancava il legno per farla cuocere!
Che faceva essa allora? Usciva in campagna con alcuna delle Figlie, ed ora in qualche bosco, o della famiglia, o di un conoscente, o del Comune, faceva un fascio di legna secche, e con quello in ispalla, come Santa Francesca Romana, ritornava a casa a preparare il cibo. Fatta la polenta, la portava poscia nel cortile, e depòstala col piatto sul nudo terreno invitava le compagne al lauto pranzo. Mancavano i tondi, mancavano le posate, ma non l'appetito. Quando mancava eziandio un po' di pietanza, mia sorella la somministrava colle amene e sante sue parole. Difatto pareva che i suoi discorsi sapessero dare tale condimento al povero cibo, da renderlo più saporito d'ogni squisita vivanda. Erano povere, ma contente di quella contentezza, che proviene dalla grazia di Dio e dal desiderio d'imitare Gesù Cristo e la Santissima Vergine nella casa di Nazaret”[102].
Nella visita di Don Bosco a Mornese, la Vergine Ausiliatrice volle dar un segno di predilezione al suo devotissimo Servo. Trascriviamo la narrazione del fatto veramente singolare, scritta da Don Lemoyne alla presenza dei testimoni che a lui l'avevano esposta, tale quale venne da loro firmata. [596]
“Bianchi Gerolamo di Mornese aveva un fanciulletto di soli cinque giorni al quale venne rotto un braccio nel fasciarlo. Il braccio gonfio, venne in suppurazione da ambe le parti del gomito. I medici in sulle prime dilazionarono di fare l'operazione sperando che la natura avrebbe fatto uscir fuori i frammenti di osso, lasciandolo però storpio. Continuando il male a farsi maggiore, i medici giudicarono che venisse in cancrena e dicevano non v'era altro rimedio che tagliare il braccio. Non operarono, perchè la madre si oppose, preferendo vederlo morire piuttosto che monco. Per sei mesi il fanciulletto non faceva che piangere.
Don Bosco venne a Mornese negli ultimi giorni d'aprile. La madre gli portò a benedire il fanciullo, e mentre faceva una generosa offerta (i suoi ori di sposa) lo pregò a dirgli in qual giorno sarebbe guarito. Don Bosco sorridendo rispose:
- Giacchè voi siete generosa colla Madonna, credo fermamente che sarete esaudita, e che alla fine di maggio il figlio sarà guarito. Intanto pregate.
La malattia durò nella stessa gravezza non solo tutto il mese di maggio, ma la stessa mattina della festa di chiusura del mese il braccio suppurava come prima, senza nessun miglioramento. La famiglia era andata in parrocchia a Messa grande. In casa erano rimasti la madre e il suocero, padre del Girolamo. A un tratto, suonando le campane di mezzo giorno, il ragazzetto si mise a muovere, a sbattersi tutto allegro, e col braccio infermo, che prima non aveva mai mosso, tentava togliere il velo che copriva la culla. Corse il padre di Girolamo a chiamare la nuora e questa venne e fuori di sè per lo stupore vide che il braccio era perfettamente guarito, senza nessuna traccia della apertura delle piaghe, coll'osso intiero, sano e senza difetti.
Visse ancora due anni sanissimo, snello, e un'apertura d'intelletto superiore alla sua età. La madre lo chiamava il “figlio della Madonna”, e morì di flusso, ossia d'infiammazione intestinale”.
Bianchi Gerolamo e suo figlio Giuseppe, sacerdote, si dichiaravano pronti ad affermare il fatto con giuramento.
Terminato il mese di Maria Ausiliatrice, Don Bosco radunò [597] nuovamente i Capitolari, e li richiese, uno per uno, del proprio parere, cominciando da Don Rua; e tutti furono unanimi nel giudicar opportunissimo il provvedere alla cristiana educazione della gioventù femminile, come si era fatto per la maschile.
- Ebbene, concluse Don Bosco, ora possiamo tenere come certo esser volontà di Dio che ci occupiamo anche delle fanciulle. E, per venire a qualcosa di concreto, propongo che sia destinata a quest'opera la casa che Don Pestarino sta ultimando in Mornese.
E “verso la metà di giugno” comunicava a Don Pestarino quanto si era deciso, come risulta da due memorie autografe del buon salesiano, una un po' più lunga e con dati più precisi, che riportiamo letteralmente:
“Nel mille ottocento settantuno verso la metà di giugno, il benemerito R.do Sacerdote D. Giovanni Bosco esponeva a D. Domenico Pestarino di Mornese in conferenza privata, tenuta collo stesso all'Oratorio di Torino, il suo desiderio di pensare per l'educazione cristiana delle fanciulle del popolo, e dichiarava che Mornese sarebbe stato il luogo che conosceva più adatto per tale istituto, per la salubrità dell'aria, per lo spirito religioso che vi regna, perchè essendovi iniziata già da varii anni la Congregazione di Figlie sotto il nome dell'Immacolata e delle nuove Orsoline, potevansi facilmente scegliere tra queste quelle che fossero più disposte e chiamate a far vita in tutto comune e ritirata dal mondo, perchè, avendo già qualche idea di vita più regolata e di spirito di pietà, potrebbesi facilmente iniziare l'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, che giovasse collo spirito, coll'esempio e colla istruzione salutare a coltivare grandicelle e piccole, e promovere, ad esempio degli Oratorii che lo stesso Don Bosco istituì nella città di Torino e dei collegi dei giovanetti che già sotto la sua direzione trovansi in varie parti, fatte quelle poche eccezioni e variazioni indispensabili al loro sesso, il bene e l'istruzione cristiana in tante povere fanciulle del popolo; e dopo tale esposizione chiese a Don Pestarino cosa gli pareva, che dicesse chiaro il suo cuore.
D. Pestarino, senza nulla esitare, rispose: [598]
- Se Don Bosco ne accetta la direzione e protezione, io son nelle sue mani, pronto a fare in ogni modo quel poco che potrò.
- Bene, replicò Don Bosco, per ora basta, preghiamo, pensiamo, riflettiamo, e spero nel Signore la cosa riuscirà a maggior gloria di Dio”.
E dopo alcune altre osservazioni e riflessioni sulla scelta delle figlie e riguardo alle Regole fondamentali, che avrebbe pensato di formolare, D. Pestarino si congedò per quel momento dalla camera di Don Bosco.
Bisogna osservare che due delle stesse Figlie dell'Immacolata, Mazzarello Maria di Giuseppe, e Petronilla, col consenso di Don Bosco e senza nulla prevedere l'idea di Don Bosco, da quattro o cinque anni avevano cominciato a tenere vita in tutto comune col guadagnare il pane della vita col lavoro delle loro mani. A queste si unirono, di mano in mano, Teresa Pampuro, Caterina Mazzarello, Felicina Mazzarello, Giovannina Ferrettino, e le giovinette Rosina Mazzarello Baroni, Maria Grosso, Corinna Arrigotti...
Il quale, sebbene pienamente convinto che Don Bosco era guidato da Dio, pure scorgeva, in quell'impresa, delle difficoltà che gli parevano insormontabili. Le Figlie dell'Immacolata, per quanto pie e virtuose, eran esse disposte a farsi suore? Le vedeva contente del loro stato, e nessuna mai gli aveva detto di volersi fare religiosa! Egli pure, anzichè incamminarle per questa via, le aveva continuamente esortate a rimaner quali erano, a vantaggio del paese.
Gravi difficoltà adunque si affacciarono alla mente del pio sacerdote, e questa più d'ogni altra: - Che dirà il paese a questo cambiamento?... - Tuttavia, confortato dalla parola del Santo, che gli assicurava esser quella la volontà di Dio, si dispose a compierla, nonostante il malumore che avrebbe prodotto in paese e fuori, e domandò a Don Bosco:
- E come farò a conoscere quali, tra quelle figlie, hanno la vocazione?
Quelle, gli rispose il Santo, che sono ubbidienti anche [599] nelle cose più piccole, che non si offendono per le correzioni ricevute, e che mostrano spirito di mortificazione.
Non sappiam di preciso quando disse a Don Pestanino, che avrebbe destinato al nuovo Istituto religioso - che aveva deciso di fondare - il collegio eretto in Borgo Alto; ma questo è certo, che il buon sacerdote mornesino ne restò molto impressionato.
Quella volta le Figlie dell'Immacolata restaron sorprese di non veder sul volto del loro direttore quell'aria di santa letizia che di solito gli splendeva dopo aver fatto una visita a Don Bosco. „Le altre volte tornava a casa come imparadisato (ricordava Suor Petronilla Mazzarello) e questa volta invece si mostrava pensieroso, turbato, afflitto. A noi fece tale impressione che osammo chiedergliene il motivo. Ed egli, dopo essere stato alquanto perplesso, ci rispose: - Vi sono grandi novità, figliuole; niente meno Don Bosco non vuole più mettere al collegio i giovani, ma vuol mettere delle figlie! - Noi non sapevamo neppure che cosa dire, tanto eravam lontane dal pensare quello che seguì. Che si parlasse di noi e che un giorno saremmo state suore, neppure lo sognavamo! Sapevamo però comprendere che un tal fatto avrebbe messo il paese sossopra e cagionato non poche pene al povero Don Pestarino”.
In giugno Don Bosco andò a Roma, e in „una privata udienza che ebbe dal Santo Padre, Pio IX, di gloriosa memoria, gli manifestò il pensiero di stabilire un istituto di religiose e lo supplicò di un opportuno consiglio sulla convenienza o non convenienza di un tale divisamento. Il Vicario di Gesù Cristo ascoltò tutto, e poi gli rispose:
- Vi penserò sopra e in un'altra udienza vi dirò il mio parere.
Dopo alcuni giorni Don Bosco ritornò dal Santo Padre, il quale per prima cosa gli disse:
- Ho pensato sul vostro disegno di fondare una congregazione di religiose, e mi è parso della maggior gloria di Dio e di vantaggio delle anime. Il mio avviso adunque si è che abbiano esse per iscopo principale di fare per la istruzione e per la educazione delle fanciulle, quello che i membri [600] della Società di San Francesco di Sales fanno a pro dei giovanetti. In quanto poi alla dipendenza, dipendano esse da voi e dai vostri successori a quella guisa che le Figlie della Carità di S. Vincenzo de' Paoli dipendono dai Lazzaristi. In questo senso formulate le loro Costituzioni e cominciate la prova. Il resto verrà in appresso”[103].
Il Santo si affrettò a comunicare a Don Pestarino l'approvazione del Sommo Pontefice, ed a rimettergli le Regole, abbozzate, per le aspiranti al nuovo Istituto, al quale dava il nome di Figlie di Maria Ausiliatrice.
Don Cerruti, direttore ad Alassio, come seppe quanto si era deciso, chiese a Don Bosco:
- Dunque ella vuol fondare una congregazione di suore?...
- Vedi, gli rispose il Santo, la rivoluzione si servì delle donne per fare un gran male, e noi per mezzo loro faremo un gran bene!
Ed aggiungeva che avrebbero avuto il nome di Figlie di Maria Ausiliatrice, perchè voleva che il nuovo Istituto fosse anch'esso un monumento di perenne riconoscenza per i singolari favori ottenuti da sì buona Madre.
Evidentemente dinanzi allo sguardo del Santo il Signore aveva posto netta la visione dell'avvenire grandioso della nuova Famiglia; ed egli sentiva il bisogno di pregare e far pregare e d'impedire sempre più alacremente l'offesa di Dio, per ottener gli aiuti necessari a compiere l'alta missione.
Quali furono le prime Costituzioni delle future religiose?... Interessa conoscerle esattamente.
Le prime Regole o Costituzioni delle Figlie di Maria Ausiliatrice, date alla stampa, son quelle pubblicate dalla tipografia dell'Oratorio di Valdocco nel 1878; mentre noi, per fortuna, oltre una copia esatta dell'esemplare presentato a Mons. Vescovo d'Acqui sul finire del 1875, o sul principio [601] del 1876, per l'approvazione, ne abbiamo altri sei esemplari, manoscritti, d'importanza singolare.
Il primissimo è intitolato: - „Costituzioni e Regole delle Figlie di Maria Ausiliatrice, sotto la protezione di...”; e, di mano di Don Pestarino, venne poi corretto così:
“Costituzioni e Regole dell'Istituto delle Figlie dell'Immacolata e di Maria Ausiliatrice. Sotto la Protezione di S. Giuseppe, di S. Francesco di Sales, di Santa Teresa”.
Ecco il motivo. Quando venne comunicato alle Figlie dell'Immacolata ed anche alle Nuove Orsoline il disegno di Don Bosco, sorse subito in queste un senso di disgusto e di opposizione, decise com'erano di serbare intatto il carattere della loro Unione primitiva. Don Pestarino, senza dubbio d'accordo col Santo, ritenne prudente di fare un passo alla volta; e, momentaneamente appose, in matita, l'accennata modificazione, nella speranza di venire ad appianare le opposizioni. E, in matita, introdusse la modificazione anche nel testo, ove si vedono anche vari suoi punti interrogativi, evidentemente apposti per chiedere a Don Bosco opportuni chiarimenti.
Il secondo esemplare è una copia del primo, con vari ritocchi di Don Pestarino ed alcune correzioni ed aggiunte del Santo; anch'esso anteriore alle prime professioni.
Il terzo, con alcune piccole modificazioni, è una copia del secondo, in nitidi caratteri, senza alcuna correzione, da assegnarsi al tempo delle prime professioni, ed è intitolato nettamente: „Costituzioni e Regole dell'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice”.
Il quarto è una copia del terzo, con qualche nuova modificazione, e ricco, da capo a fondo, di correzioni, eseguite dal Santo in Ovada, nel 1875, durante i festeggiamenti in onore di S. Paolo della Croce, avendo deciso di presentar l'esemplare al Vescovo d'Acqui per l'approvazione.
Il quinto è una trascrizione del quarto, con tutte le correzioni, ed alcune aggiunte introdotte nel capo delle Regole generali, di mano di Don Rua, nel sesto esemplare.
Il sesto, pur esso una trascrizione del quarto, con nuove [602] correzioni del Santo e le accennate aggiunte anteriori di Don Rua, è quello che si ebbe in mano in preparazione alla stampa, compiutasi, come s'è detto, nel 1878[104].
Ci parrebbero sufficienti questi particolari per dimostrare quanto il Santo abbia lavorato per la redazione definitiva delle Regole delle Figlie di Maria Ausiliatrice; ma ecco come venne composto il primo esemplare.
Don Bosco, essendo stato per circa due anni al Rifugio, conosceva non solo le Regole delle Suore Giuseppine, ma anche quelle delle Suore di Sant'Anna fondate dalla piissima nobildonna Giulia Falletti, nata Colbert, Marchesa di Barolo, nel 1834. Le regole di quest'ultime vennero definitivamente redatte nel 1845, cioè quando Don Bosco era direttore dell'Ospedaletto di Santa. Filomena, fondato pur esso dalla stessa nobildonna. Ora niente di più facile che egli abbia collaborato non solo alla redazione definitiva di quelle Regole, che ebbero l'approvazione della S. Congregazione dei Vescovi e Regolari l'8 marzo 1846, confermata da Papa Gregorio XVI il 3 aprile dello stesso anno, ma anche alla correzione delle bozze di stampa, essendo state immediatamente pubblicate in Torino, dagli Eredi Botta, tipografi Arcivescovili, in un volumetto di 276 pagine, col titolo: „Costituzioni e Regole dell'Istituzione delle Suore di Sant'Anna”. Certo egli non mancò di consultare anche le Regole di altri [603] Istituti, tanto è vero che di alcuni ce ne son rimaste le copie, ma si basò specialmente sulle Costituzioni delle Suore di Sant'Anna, attenendosi quasi esclusivamente alla prima parte, ove sono esposte le Regole fondamentali.
Ora il primo esemplare delle Regole delle Figlie di Maria Ausiliatrice contiene questi capi:
Titolo 1° - Scopo dell'Istituto.
Titolo 2° - Sistema generale dell'Istituto.
Titolo 3° - Della Superiora e delle Assistenti.
Titolo 4° - Dell'Economa e della Maestra delle Novizie.
Titolo 5° - Capitolo della Casa Centrale e Consiglio.
Titolo 6° - Condizioni per l'accettazione delle Figlie nell'Istituto.
Titolo 7° - Gradi alla professione.
Titolo 8° - Virtù principali proposte allo studio delle Novizie ed alla pratica delle Professe.
Titolo 9° Distribuzione del tempo e delle ore del giorno.
Titolo 11° - Del voto di Castità.
Titolo 12° - Del voto di Obbedienza.
Titolo 13° - Del voto di Povertà.
Titolo 14° - Regole comuni a tutte le Suore.
Titolo 15° - Breve dichiarazione dell'obbligo delle Figlie dell'Immacolata sotto la protezione di Maria Ausiliatrice all'osservanza di queste Regole.
Questi quindici titoli vennero compilati così.
Don Bosco prese una copia delle Costituzioni Salesiane ed un'altra delle Suore di Sant'Anna, ne estrasse i passi che riteneva acconci, vi appose delle modificazioni e delle aggiunte, e li coordinò e divise nei quindici capi, o Titoli accennati (come vengono chiamati nelle Regole delle Suore di S. Anna); così venne formulato il nuovo esemplare. Basta leggerne il 1° articolo per veder brillare lo spirito di Don Bosco:
“Lo scopo dell'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice è di attendere alla propria perfezione, e di coadiuvare alla salute ancora del prossimo, specialmente col dare alle fanciulle del popolo un'educazione morale, religiosa”: così nel primo esemplare. [604]
“Lo scopo dell'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice è di attendere alla Propria perfezione, e di coadiuvare alla salute del prossimo, specialmente col dare alle fanciulle del popolo una cristiana educazione”; così nel primo esemplare stampato.
Questo, infatti, fu il programma del Santo nel suo apostolato; anche ai Salesiani non si stancò mai di ripetere: „La santificazione di noi stessi e la salvezza delle anime coll'esercizio della carità, ecco il fine della nostra Società”.
Ora, come gli articoli del 1° e del 2° Titolo, nella sostanza ed anche nei particolari, sono di redazione del Santo - nel 2° Titolo egli si servì letteralmente di vari articoli delle Costituzioni Salesiane, quali si leggevano nel capo: Della forma di questa Società; ed anche quelli del 3°, del 4° e del 5° Titolo, delineanti la forma e le basi del governo interiore, vennero da lui abbozzati in modo sufficiente agli inizi, e nel quarto esemplare riordinati in vista dello sviluppo dell'opera. Ad es. il Capitolo o Consiglio della Casa Centrale, dapprima composto dalla Superiora, da due assistenti (la prima delle quali era chiamata Vicaria), dall'Economa e dalla Maestra delle Novizie, venne dopo stabilito così: Superiora, Vicaria, Economa, e due Assistenti, esclusa la Maestra delle Novizie.
Tutti gli articoli poi dei Titoli 6°, 7°, 8°, 9°, 10°, e 14°, vennero tolti, non tanto sostanzialmente, ma spesso letteralmente, dalle Regole delle Suore di Sant'Anna. Ad esempio l'intero Titolo 8° concorda ad litteram con queste.
In fine i tre Titoli dei voti religiosi - l'11°, il 12°, il 13° - vennero tratti dalle Regole della Società Salesiana.
Così pure la breve dichiarazione dell'obbligo delle Figlie dell'Immacolata sotto la protezione di Maria Ausiliatrice all'osservanza di queste Regole, è quasi, ad litteram, quale si leggeva nelle Costituzioni Salesiane.
Anche Don Rua, nell'apporre le aggiunte accennate, fu ispirato dalle Regole delle Suore di Sant'Anna; e forse anche il quadernetto, contenente l'orario quotidiano e il breve regolamento, consegnato nel marzo del 1869 alle Figlie dell'Immacolata, venne compilato su quanto si legge nelle Regole di quelle Suore, nei Titoli della distribuzione del tempo e delle ore del giorno e delle Regole comuni a tutte le Suore. [605]
Don Bosco adunque, pazientemente, redasse il lavoro da capo a fondo, e lo consegnò a Don Pestarino, perchè lo copiasse o lo facesse copiare; e Don Pestarino, servendosi di una buona figlia per amanuense, dettò il lavoro del Santo; e così si ebbe il primo esemplare delle Costituzioni delle Figlie di Maria Ausiliatrice. In esso, in prima pagina, sotto l'intestazione, Don Domenico appose poi la data “24 maggio 1871”, a perpetuo ricordo dell'unanime assenso dei membri del Consiglio Superiore Salesiano per iniziar regolarmente il nuovo Istituto, dopo il mese di preghiere a Maria Ausiliatrice; e sotto apponeva quest'altra nota: „1872, 29 gennaio. Si cominciò a formare il Capitolo”, come vedremo.
Il primo esemplare delle Regole delle Figlie di Maria Ausiliatrice è di 47 paginette, divise in due quaderni, 20 nel primo, 27 nel secondo. Perchè cotesta divisione? per consegnarne più presto una parte alle Figlie?... in attesa di qualche dubbio da chiarire?...
Nella pagina ventesima si era giunti al Titolo 9°: Distribuzione delle ore del giorno, ove negli ultimi articoli si diceva così:
“Non vi è regola che prescriva alle Suore digiuni ed astinenze particolari, oltre quelli ordinati dalla Santa Chiesa, nè in ciò potrà alcuna seguire il proprio arbitrio, ma ubbidirà al Confessore ed alla Superiora. Così pure non faranno la più leggera penitenza corporale senza chiederne prima la licenza.
Tuttavia, se la Superiora lo giudica, potranno uniformarsi alla lodevole consuetudine di digiunare ogni sabbato ad onore di Maria SS. Immacolata: e, se il sabbato cade in giorno festivo, potrebbero digiunare il venerdì, in onore della Santissima Passione di Gesù e di Maria SS. Addolorata. Il che potrebbero fare anche nel giorno precedente la loro S. Vestizione e Professione, e questi digiuni unirli in ispirito al rigoroso digiuno di Gesù Cristo e tanti Santi.
La disciplina si potrà pur fare (da tutta la comunità) ogni venerdì. In questo esercizio procurino le Suore di meditar bene il rigore della flagellazione di Gesù Cristo, che n'ebbe tutto il corpo piagato e livido dalle sanguinose ferite”. [606] Nè più nè meno, come si legge nelle Regole delle Suore di Sant'Anna, al Titolo 12° della parte seconda, alla pagina 105.
Ora dal testo risulta chiarissimo che, tanto per il digiuno come per la disciplina, si rimetteva l'osservanza al beneplacito della superiora: “se la Superiora lo giudica...”, „la disciplina si potrà pur fare...”, cioè si potrà fare, se la Superiora lo giudica. Ma le buone Figlie di Mornese, non sapendo in che cosa consistesse questa disciplina, nè che le Suore di Sant'Anna solevano farla adunate tutte insieme, dopo le preghiere della sera, a lumi spenti, perchè ognuna potesse compierla nel modo che per sè riteneva più conveniente, la credettero superiore a tutta la loro buona volontà, e senz'altro mostrarono il desiderio che quell’ articolo venisse tolto; e difatti nel terzo esemplare, da noi assegnato al tempo delle prime vestizioni e professioni religiose, esso venne soppresso.
Il Titolo seguente trattava della Clausura, e, giunta al sesto articolo, la trascrizione si arrestò, e vennero cancellati cinque articoli, con queste noterelle giustificative: „Questo Titolo decimo è inutile, cioè non va.... perchè...”; „Questa pagina non va...”. Pareva, in quei primissimi giorni, cosa impossibile ad osservarsi. Anche questa difficoltà venne certo comunicata a Don Bosco, il quale non cangiò parere; le cose si sarebbero fatte poco alla volta; e nel quaderno si riprese la trascrizione dell'intero Titolo, che venne ripetuto in tutti gli esemplari, anche in quello dato alla stampa.
In questo, i Titoli o Capitoli dell'esemplare primitivo, con le correzioni ed aggiunte poste dal Santo nel quarto esemplare, vennero portati a sedici:
Titolo 1° - Scopo dell'Istituto.
Titolo 2° - Sistema generale dell'Istituto.
Titolo 3° - Regime interno dell'Istituto.
Titolo 4° - Elezione della Superiora Generale, della Vicaria, Economa, e delle due Assistenti.
Titolo 5° - Elezione della Direttrice delle Case particolari e rispettivo Capitolo. - Capitolo Generale.
Titolo 6° - Della Maestra delle Novizie.
Titolo 7° - Condizioni di accettazione. [607]
Titolo 8° - Della vestizione e della Professione.
Titolo 9° - Virtù principali proposte allo studio delle novizie ed alla Pratica delle Professe.
Titolo 10° - Distribuzione del tempo.
Titolo 11° - Particolari pratiche di pietà.
Titolo 13° - Del voto di Castità.
Titolo 14° - Del voto di Obbedienza.
Titolo 15° - Del voto di Povertà.
Uno studio del contenuto delle prime Costituzioni, quali vennero tracciate dal Santo, potrà tornar di grande utilità, ed alle Figlie di Maria Ausiliatrice, e, più ancora, a chi dovesse tener loro conferenze e dettare esercizi spirituali. Volevamo farlo anche noi, ma ci avrebbe occupate molte pagine.
Don Bosco, nel consegnare a Don Pestarino il lavoro compiuto per le nuove Costituzioni, gli diceva di farle conoscere anche alle Nuove Orsoline, e queste, come abbiam accennato, n'ebbero subito un senso di preoccupazione. Esse pure, come diremo, presero parte alla prima elezione delle superiore; ma poi, nel vedere come le antiche compagne si avanzavano nella via regolare di un nuovo Istituto, che sotto la guida di Don Bosco non avrebbe tardato a prendere grande sviluppo, concepirono il disegno di dare anch'esse alla loro Unione quell'incremento, tracciato dal Servo di Dio Don Giuseppe Frassinetti nella rifusione della loro Regola primitiva col titolo: Regola della Pia Unione delle Nuove Orsoline Figlie di Santa Maria Immacolata sotto la protezione di Sant'Orsola e di Sant'Angela Merici, approvata dal Vescovo di Novara Mons. Gentile, edita nel 1863, e ristampata nel 1867, dalla Tipografia della gioventù di Genova, dove si parlava di un „Direttore Generale” e di un “Superiore Generale” in ogni diocesi. Abbozzarono infatti una “Regola della Casa Madre delle Figlie dell'Istituto di Sant'Angela Merici, Figlie di Santa Maria Immacolata e di Maria Ausiliatrice”, nella quale si diceva:
“La Casa Madre sarà presieduta da un Direttore Generale e da una Superiora parimente Generale”. [608]
“Il Direttore generale è il Rev.mo Sacerdote Don Bosco; ed in sua assenza resterà uno dei suoi successori, cioè il medesimo che dirigerà i suoi collegi. Esso assegnerà ossia provvederà alla Casa Madre un Direttore locale, il quale ne abbia tutta la cura possibile. Sarà anche suo impegno che questi sia aiutato da uno o più sacerdoti secondo il bisogno.
E si parlava di direttori locali alla dipendenza del Direttore Generale, e di superiore diocesane dipendenti dalla Superiora Generale; era insomma una centrale riorganizzazione della forma della Regola primitiva, allo scopo „di allevare figlie intente soltanto alla propria santificazione ed a coadiuvare con tutto il loro impegno al bene del prossimo”, „pronte ad esser mandate qua e là nei paesi, borghi, città e contrade, come maestre elementari, private, da sarte, da ricamo, da bottegaie, ecc. però... non mai sole, ma a due a due ed anche più secondo si crederà meglio...”.
Don Bosco naturalmente sorrise e non accettò di mettersi a capo di questo nuovo progetto, ma conservò il manoscritto. Però la loro idea non cadde; tanto è vero che nel 1873, diligentemente riveduta, la Regola, già approvata da Monsignor Gentile, veniva ristampata in Acqui nel 1873 col titolo: „Regola della Pia Unione delle Figlie di Santa Maria Immacolata sotto la protezione di Sant'Orsola e di Sant'Angela Merici coll'approvazione di S. E. Reverendissima Monsignor Giuseppe Maria Sciandra, Vescovo di Acqui”, allo scopo - sono parole del Vescovo - - di „sollecitare lo zelo dei Venerandi Nostri Cooperatori a stabilire tal Pia Unione nelle loro parrocchie, potendo Noi assicurarli, che, dovunque è in atto, se ne raccogliono abbondanti e consolantissimo frutti”.
Le aspiranti al nuovo Istituto ebbero dunque le Regole nel 1871. Nell'Epifania del 1872 alcuni Mornesini si recarono a Varazze, per visitar il Santo che cominciava a riaversi dalla gravissima malattia. Don Pestarino li aveva preceduti; e Don Bosco in un momento in cui, accanto a sè, aveva solo Don Pestarino, gli domandò come andassero le cose a Mornese [609], di quale spirito fossero le Figlie dell'Immacolata, e se fra quelle poche che da vari anni avevano preso a far vita comune, ve ne fossero alcune che gli sembrassero adatte al nuovo Istituto. Don Pestarino - così scrive egli stesso in una sua memoria - rispose che delle poche che vivevano in comune si faceva egli garante che sarebbero state „pronte all'ubbidienza e a fare qualunque sacrifizio per il bene delle loro anime e per aiutare le loro simili.
- Dunque, riprese Don Bosco, si potrebbe dar principio a ciò di che parlammo quest'estate a Torino, e, se credete, andando a Mornese, radunatele e fate che dieno il loro voto per formare il Capitolo, Superiora, Assistenti, ecc., secondo le Regole [delle quali aveva dato la prima traccia] e chiamate pure tutte, anche quelle che sono nel paese, della Compagnia dell'Immacolata. Dite loro che preghino, che si facciano coraggio. Tutto si faccia a gloria di Dio e della Vergine, e io pregherò il Signore e la Vergine, qui dal mio letto, per loro e perchè vogliano benedire il nuovo Istituto”.
Lo zelante sacerdote annuì. Non era ancor stabilita la forma dell'abito che avrebbero indossato le nuove religiose. Nel primo esemplare delle Costituzioni si legge: „Tutto il vestiario sarà uniforme, modesto ed umile, quale conviene a povere religiose. Il colore del medesimo sarà ..., la forma sarà quale verrà stabilita”. Anche nell'esemplare corretto dal Santo si legge: „Il colore e la forma saranno quali verranno stabiliti”; e Don Pestarino lo cancellò a matita, senz'apporvi alcuna specificazione, la quale comparve solo nella prima edizione data alla stampa, come l'aveva scritta Don Rua nel 6° esemplare: „L'abito sarà nero, le maniche lunghe fino alla nocca delle dita e larghe 46 centimetri, la mantellina sarà lunga fino alla cintura”. Don Bosco l'avrebbe voluto, a un dipresso, come quello che soglion portare le pie donne secolari di media condizione, uguale per tutte di colore e di forma, di color castagno chiaro, con una mantellina sopra la veste, ed una piccola guarnitura di velluto nero nelle maniche. In capo, andando in chiesa o a passeggio, un velo, a fazzoletto, di color celeste. [610] Don Pestarino aveva con sè un modello, cucito da Maria, e lo presentò al Santo, che lo guardò un poco, e poi disse:
- Ma per vederne la forma, e la figura, bisognerebbe che qualcuno lo indossasse!...
- Come si fa? rispose Don Pestarino.
- Mèttilo tu, disse... Così vedrò la bella figura che farai vestito in quella foggia!
Enria obbedì, e, come l'ebbe indossato, Don Bosco si mise a ridere esclamando: - Fai una bella figura, sì, fai una bella figura!.. - e lo trovò abbastanza ben fatto, ma disse che lo voleva di colore un po' più scuro.
Ed anche quella volta continuò a parlare dell'Istituto e dei suoi bisogni; “dissero ancora tante cose” ricordava Enria; ma, attesa la grande povertà, le Figlie di Maria Ausiliatrice non vennero alla forma comune dell'abito, che hanno tuttora, se non dopo vari anni.
Tornato a Mornese Don Pestarino eseguiva ciò che Don Bosco gli aveva suggerito. Era “il bel giorno di S. Francesco di Sales”, il 29 gennaio 1872. Ventisette furono le giovani che si adunarono. Il direttore espose loro quanto Don Bosco gli aveva suggerito, e, recitato il Veni, Creator Spiritus, dinanzi al Crocifisso collocato su di un tavolino tra due candele accese, le invitò all'elezione della Superiora; ed ebbe la maggioranza assoluta dei voti, 21 su 27, in primo scrutinio, Maria Mazzarello. Nell'udire quel risultato, la pia giovane, nella sua umiltà, si levò a pregare le compagne di dispensarla, dicendo che le ringraziava, ma non si credeva capace di reggere un tal peso. Tutte insistevano perchè accettasse; ed ella protestava che non l'avrebbe fatto mai, a meno che non vi fosse stata costretta dall'ubbidienza. E poichè Don Pestarino si limitò a dichiarare che, per parte sua, non si pronunziava in nessun senso prima di sentire Don Bosco, a Maria venne un lampo di luce, ed umilmente suggerì di lasciar al Santo la scelta della Superiora, osservando che sarebbe stato bene sotto tutti gli aspetti. Acconsentirono le compagne, ma vollero che ella accettasse la carica di prima assistente, col nome di Vicaria. [611] Si passò alla votazione per la seconda Assistente, e venne eletta Petronilla Mazzarello, con 19 voti.
Ritiratesi, non sappiamo perchè, Maria e Petronilla, si proseguirono le elezioni, e riuscirono elette: Maestra delle Novizie, Felicina Mazzarello, sorella di Maria; Economa, Giovannina Ferrettino; Vicaria per le Figlie che vivevano in paese, la maestra Angelina Maccagno.
Così si legge nel pro - memoria di Don Pestarino, per la relazione che fece sul “principio dell'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice” nella conferenza tenutasi nell'Oratorio di Valdocco, in occasione della festa di S. Francesco di Sales, dopo il ritorno di Don Bosco da Varazze, ove poi aggiunse queste righe:
“Nel mese di febbraio Don Bosco, ritornato da Varazze ristabilito dalla sua malattia, nella pubblica adunanza di tutti i Direttori e Confratelli di S. Francesco di Sales, udì con piacere la relazione suddetta”.
Non sappiamo, se Don Bosco si sia recato di quei giorni a Mornese, ov'era atteso con ansia; ma riteniamo di sì, perchè Don Pestarino fece musicare un bell'inno da Don Costamagna, maestro nel collegio di Lanzo[105], per quella visita. Un'altra prova, ci sembra, l'abbiamo negli appunti, scritti da lui stesso in una pagina del primo esemplare delle Costituzioni, a metà del primo quaderno, che riportiamo letteralmente:
Qual avviso o consiglio lasciò Don Bosco?
Che abbiam bisogno di persone che ubbidiscano e non comandino, chè a comandare siamo abbastanza, e non mostrino malcontento, ma buon viso, quando alcuna è avvisata, ammonita di qualche difetto o mancanza.
Dove consiste la stima e venerazione che si deve avere dei Superiori?
Se fanno a modo nostro e van dietro ai nostri capricci?, oppure se cercano il nostro bene, dell'anima, l'ordine, e lo spirito di G. C.; nella mortificazione, nell'insegnarci l'amore, non apparente, esterno, di buoni complimenti mondani, ma [612] sacrificarsi per noi in ogni modo, nel pensare a noi, pregare per noi, consigliarci e sacrificar la sua vita e tutto il fatto suo per nostro bene!
Cosa si deve osservare e star in massima guardia nell'Istituto nuovo?
R. Di far che conoscano ed eseguiscano le Regole, abbiano lo spirito di annegazione e mortificazione, d'ubbidire e non comandare, di unirsi coi superiori che sono quelli che hanno nel cuore di promovere il bene nell'Istituto, che hanno cognizione di Comunità e di altri Istituti; mentre tutte poco o nulla sapete di comunità e se si vede una cosa con difetto che pare a voi, a quello facciamo molto caso e molto peso; alle cose essenziali del buon andamento, esecuzione di tutte le Regole; quello spirito di subordinazione e di unione alla superiora per cose da nulla; la superiora mancherà alle volte nel modo, e noi le manchiamo di rispetto e di ubbidienza e vogliamo accomodar le Regole al nostro genio, dar peso alla frangia e non far caso se il fondo del drappo è buono e roba sincera”.
È chiaro che quest'allocuzione è da assegnarsi al tempo della formazione delle prime aspiranti, e per la sostanza del contenuto, e per il particolare di far conoscere ed eseguire le Regole, consegnate.
Comunque ormai il primo passo era fatto, ed urgeva farne un altro, importante: dare al drappello delle aspiranti una dimora conveniente. V'era la casa Carante, che avrebbe potuto servire a qualche cosa, ma troppo piccola. D'altronde come farle entrare nel nuovo fabbricato senza destare il malcontento in paese?
Ecco altre disposizioni della Provvidenza! La casa del parroco minacciava rovina e non era più capace di riparazioni, e bisognava provvedergli d'urgenza una dimora provvisoria. Se ne trattò in Consiglio Comunale l'8 maggio di quell'anno, e, come si legge nel verbale della seduta, si decise di atterrare la casa vecchia e di rifarla; ed uno dei Consiglieri pregava Don Pestarino (che faceva egli pure parte del Consiglio), a voler affittare al Comune la casa che possedeva vicino alla parrocchia, dove il parroco nel frattempo [613] avrebbe potuto dimorare. Don Pestarino dichiarò che non gli era possibile, perchè occupata „da povere figlie, che attendevano al lavoro e a rendersi utili al paese”; ma l'altro insistè, osservando che avrebbe potuto traslocare le Figlie a Borgo Alto, nell'edifizio nuovo quasi ultimato, ed ancor vuoto. Il buon Don Pestarino vide in quell'invito una disposizione della Divina Provvidenza, ed accettò, e si convenne che avrebbe dovuto consegnar al Comune le chiavi della sua casa il 25 dello stesso mese di maggio.
Ma quando avvenne il trasloco? Lasciando da parte le varie date che cercarono di rinvenire nella memoria le più anziane dell'Istituto, noi siamo d'avviso che si compì la vigilia o la festa di Maria Ausiliatrice; e siccome nel collegio v'eran solamente alcune stanze abitabili, già occupate da Don Pestarino e dai suoi familiari, la Comunità si aggiustò alla meglio, un po' in casa Carante, un po' nel pian terreno del Collegio; e si fe' presto a trasportarvi le misere e poche masserizie. Ma vi portarono anche i bachi da seta, che eran solite di coltivare per fare un pochin di guadagno, sebbene con molto timore che non avrebbero fatto più i bozzoli, mentre il Signore premiò la pronta ubbidienza, perchè ne raccolsero poi undici miriagrammi, che servirono assai bene per le prime spese.
In casa Carante - come diceva e come lasciò scritto Don Giuseppe Pestarino - non ebbero mai nè fissa nè esclusiva dimora, ma l'occuparono solo di passaggio, perchè man mano che riusciva possibile, si venivano aggiustando nel nuovo fabbricato, dove, a quanto pare, sul principio del nuovo anno s'erano pienamente stabilite.
Naturalmente, sulle prime, il trasloco non destò alcuna meraviglia; ma quando si venne a sapere e presto se ne sparse la voce, che quelle figlie, alle quali se ne venivano aggiungendo delle altre, venivano formando, anzi avevano già formato un nuovo Istituto religioso, fu un brontolìo e un lamento generale, e solo per la riverenza, che tutti avevano per Don Bosco, non s'ebbero a lamentar dimostrazioni di sdegno contro Don Pestarino.
Chi può comprendere invece quale dev'essere stata la [614] commozione di Maria Mazzarello nel metter piede lassù dove aveva visto, prima che sorgesse, l'edifizio pieno di fanciulle!... Ella e le compagne, benchè ancora in abito secolaresco, eran già accese di così viva brama di raggiungere l'osservanza del tenor di vita loro tracciato da Don Bosco, da potersi dire non solo vere novizie, ma religiose, e delle più ferventi!
“Posto che vi ebbero piede - scriveva Suor Felicina Mazzarello - il paese non tardò a sparger la voce che non l'avrebbero durata a lungo. E umanamente parlando, e stante la mancanza di molte cose, avrebbe dovuto essere così. Ma la coraggiosa figlia [Maria Mazzarello] non si sgomentò delle prime difficoltà e, tenendo la mente e il cuore fissi in Dio, da lui solo aspettava l'opportuno soccorso.
Colà essa continuò la sua vita di fatica e di sacrifizio. Non essendo ancora terminata la fabbrica, era tutto il giorno occupata ad accumulare pietre. E con qual ardore persisteva in tale faticosissimo lavoro! Come animava le altre colla parola e coll'esempio! E il bucato? Oh! anch'esso serviva ad esercitare nella virtù e la mia sorella e le degne sue compagne. Il fiume, detto [Ro]verno, si trova alquanto lungi dal paese. Venuto il giorno destinato pel lavare, essa punto non esimevasi da quell'uffizio; ma preso un po' di pane, od anche solo alcune fette di polenta, si portava con varie altre al fiume, e vi durava sino alla fine del lavoro.
In simili occasioni non si vedea sul volto di alcuna nè tristezza, nè scoraggiamento, che anzi erano quelli i giorni più cari per tutte. L'amata sorella colla sua allegria e nuovi patimenti col suo esempio sapeva condire i più duri sacrifizii in dolci e soavi diletti; sicchè lasciava in tutte il desiderio di sempre
Ritornata a casa stanca ed anche bagnata, ella non si occupava di sè, ma era tutta sollecita per far cambiare le altre, per preparar loro qualcosa di caldo e simili. Era insomma, come le madri amorose, sempre intenta a preferire ai proprii i comodi delle sue figliuole”[106]. [615]
In questa povertà e santità si vennero preparando alla religiosa vestizione e professione le prime Figlie di Maria Ausiliatrice.
Don Bosco, dopo d'essersi inteso con Mons. Sciandra, nuovo Vescovo di Acqui, per il compimento della bramata cerimonia, fissava un corso di esercizi spirituali in preparazione, dal 31 luglio all'8 agosto, che sarebbero stati predicati da Don Raimondo Olivieri, Canonico Arciprete della Cattedrale di Acqui, e da Don Marco Mallarini, Vicario Foraneo di Canelli; e prometteva che egli pure si sarebbe trovato alla chiusura:
- Dite a quelle buone nostre figlie che io verrò, e firmeremo insieme la gran promessa di vivere e morire per il Signore e sotto la protezione e col bel nome di Maria Ausiliatrice!
Il Vescovo, che aveva fatto l'ingresso in diocesi all'Epifania di quell'anno, dopo la processione del Corpus Domini era caduto malato; e, non avendo ancora le temporalità, ed abbisognando di far un po' di cura all'aria buona, aveva accettato ben volentieri di passare un po' di tempo nella nuova casa delle Figlie di Maria Ausiliatrice; e gli fu preparato l'alloggio in alcune stanze al secondo piano, dove aveva preso ad abitare Don Pestarino, fin da quando aveva ceduto la sua casa, vicina alla parrocchia, alle Figlie dell'Immacolata, e fu lietissimo di poter assistere all'inizio regolare del nuovo Istituto.
Cominciati gli esercizi, ogni giorno egli celebrava la Santa Messa alla piccola comunità; ed ai primi di agosto, pregato da Don Bosco, accettava di far la funzione delle prime vestizioni e professioni.
Con quell'invito parve al Santo, non solo di aver compiuto un atto di piena deferenza verso il Pastore della Diocesi, ma, stanco com'era di un viaggio compiuto allora in Liguria, e poco bene in salute, si ritenne anche dispensato dal recarsi come aveva promesso alla chiusura degli esercizi; tanto più che di quei giorni aveva un giovane confratello, [616] Giovanni Battista Camisassa, gravemente infermo nell'Oratorio - e difatti morì il 3 agosto, - e poco dopo doveva, come sempre, salire al Santuario di S. Ignazio per gli esercizi spirituali; quindi, ringraziando il Vescovo, gli disse chiaro che non vi sarebbe più intervenuto.
Le buone Figlie e Don Pestarino non seppero rassegnarsi, e pregarono il Vescovo ad insistere perchè Don Bosco non mancasse; e Monsignore inviava all'Oratorio il segretario, Don Francesco Berta, per indurlo a compiere quel sacrifizio.
Don Bosco, come narrava Don Berta a Don Lemoyne, si arrese subito ai desideri del Vescovo; e il 4 agosto, a sera avanzata, giungeva a Mornese in vettura con lui, che sapendo come avesse sofferto di recente per un po' di pleurite e sentisse assai il fresco della notte, alla meglio gli aveva avvolte le spalle colla sua mantellina. Giunti a Borgo Alto, Monsignore lo accolse a braccia aperte, e subito si combinò che non potendo trattenersi più di un giorno, la funzione solenne si sarebbe compiuta all'indomani, sacro alla Madonna della Neve, sebbene gli esercizi si sarebbero continuati sino all'8.
Di quella sera stessa il Santo tenne una conferenza a quelle che dovevano far anche la professione, esortandole a vivere da vere religiose ed a tenere costantemente un contegno edificante, non solo in chiesa, ma dappertutto, assicurandole che con la compostezza della persona, anche senza parlare, potevano far un gran bene a chi le osservava: “Sia il vostro passo, diceva, nè troppo affrettato, nè troppo lento; il vostro portamento modesto e raccolto, sereno e disinvolto, gli occhi bassi ma non la testa; fate che tutto il vostro contegno vi mostri religiose, cioè consacrate a Dio...”.
A questo punto il buon Padre si alzò da sedere, e, siccome la stanza ove si trovavano era grande, prese a camminare dicendo: - Ecco come dovete camminare! - A quell'atto rimasero tutte ammirate e commosse della sua carità.
Raccomandò anche d'esser moderate nel parlare e nel ridere: „Ridere e scherzare sì, ma con moderazione e senza chiasso”.
Alle 9 del giorno dopo si andò in cappella, ove Monsignor [617] Sciandra benedisse l'abito che quindici di quelle figliuole portavano piegato sul braccio, e che da loro venne indossato tra la commozione generale.
Undici di esse fecero anche i voti triennali, e tra queste Maria Mazzarello.
Il Santo, che vestito di cotta assisteva alla pia funzione, avendo le novizie incominciato a leggere la formola dei voti tutt'insieme, le invitò a leggerla a una a una; e così fecero... Ed alle professe venne appeso al collo un Crocifisso ed alle novizie la medaglia di Maria Ausiliatrice.
Ve ne fu una che aveva fatto domanda di fare la vestizione, ma per consiglio del Santo non fu ammessa. Preferiva le sue divozioni particolari a quelle della comunità, e Don Bosco, cui fu esposta la cosa, rispose che la si facesse attendere, perchè probabilmente non avrebbe perseverato; infatti dopo qualche tempo tornò in famiglia .
Compiuta la cerimonia, egli tenne un breve discorso, nel quale disse tra l'altro:
“Voi siete in pena ed io lo veggo cogli occhi miei, perchè tutti vi perseguitano e vi deridono, e i vostri parenti stessi vi voltano le spalle; non vi dovete stupire. Mi stupisco anzi che non facciano di peggio. Il padre di San Francesco d'Assisi fece assai di più contro il suo santo figliuolo... E voi vi farete sante, e col tempo potrete far del bene a tante altre anime, se vi manterrete umili. Fra le piante molto basse, e di cui parla la S. Scrittura, molto sovente c'è il nardo. Voi leggete nell'ufficio della Madonna: Nardus mea dedit odorem suavitatis; il mio nardo ha mandato un soave profumo. Ma sapete quando ciò avviene? il nardo manda odore, quando è ben pesto... Non vi rincresca, mie care figliuole, di essere così maltrattate, adesso, nel mondo. Fatevi coraggio e consolatevi, perchè solo in questa maniera voi diverrete capaci di far qualche cosa nella nuova missione. Il mondo è pieno di lacci; non si può fare un passo senza incontrare dei pericoli; ma se voi vivrete degne della nuova vostra condizione, passerete incolumi e potrete fare un gran bene alle anime vostre e a quelle del vostro prossimo”.
E il paese non tardò a godere del buon esempio che da [618] vano le nuove religiose, e quindi ad aver per loro la più alta ammirazione.
Don Bosco non lasciò di ricordare che da quel giorno si sarebbero chiamate semplicemente “Figlie di Maria Ausiliatrice”.
Indescrivibile fu la gioia, diciam meglio, la santa letizia, che inondò il cuore delle nuove religiose; la casa risuonò tutto il giorno d'inni sacri a Maria Santissima.
E qui conviene riferire il giudizio che Don Pestarino fece della Vicaria in un memoriale, ove prese nota delle prime Figlie di Maria Ausiliatrice che avevan fatto vestizione e professione, dando inizio regolare all'Istituto. Il manoscritto non esiste più, ma nel Bollettino Salesiano del 1881 ne troviamo la trascrizione:
“Maria Mazzarello mostrò sempre buono spirito, ed un cuore molto inclinato alla pietà. Frequentava molto i santi Sacramenti della Confessione e Comunione, ed era assai divota di Maria Vergine. Accettò volentieri di entrare nel nuovo Istituto, e fu pur sempre tra le più impegnate nel bene, e sottomesse ai Superiori. Era d'indole schietta ed ardente, e di cuore molto sensibile. Mostravasi sempre disposta a ricevere qualunque avviso dai Superiori, e pronta a dar loro prova di umile sommissione e rispetto. Fu sempre conforme di volontà e di giudizio e così unita di spirito coi medesimi, che si protestava pronta a dar la vita ed a sacrificare ogni cosa, per obbedirli e promovere il bene. Tenendo luogo di Superiora, era fervente nel proporre e sostenere la parte, che le pareva ragionevole; però finiva sempre coll'umiliarsi e pregare le compagne d'avvisarla quando mancava”[107].
Don Bosco ripartiva di quella sera per recarsi a S. Ignazio, ma prima volle da Don Pestarino le più minute informazioni della cara Comunità, e gli raccomandò anche di limitare l'opera sua alla direzione spirituale, lasciando che le suore, quanto al resto, facessero da sè; egli fosse soltanto il loro consigliere e protettore. Ed approvò che Suor Maria Mazzarello [619] continuasse ad esercitare l'ufficio di superiora col nome di Vicaria, e le altre capitolari, elette in gennaio, rimanessero nel loro ufficio.
Suor Maria lo pregò di mandar presto un'altra al suo posto, dichiarandosi sempre inetta a quell'ufficio, e Don Bosco le rispose: - State tranquilla, il Signore provvederà!
Anche questa cara visita del Santo a Mornese fu segnalata da un'altra grazia singolare di Maria Ausiliatrice. Eccone la narrazione, quale venne dettata da chi la ricevette, Bianchi Gerolamo di Mornese, che l'anno prima aveva visto guarito da cancrena un suo figliuolo.
Nel 1872 egli “era affetto da sciatica, che di quando in quando lo costringeva a stare sette o otto giorni a letto e senza poter mangiare. Il male giunse al punto che talora egli credette di morire, e durò sette mesi circa. Trovandosi Don Bosco in Mornese si trascinò al collegio poco lontano, provando sfitte atroci nel camminare. Come fu alla presenza di Don Bosco, gli domandò di essere guarito. Don Bosco gli consigliò alcune preghiere, lo benedisse, soggiungendo che se avesse fede nella Madonna sarebbe infallibilmente guarito. Il Bianchi, non contento ancora, gli domandò quando sarebbe guarito. Don Bosco rispose:
- Il male comincerà a diminuire fin da questo punto, ma fatevi coraggio... Il male vi darà ancora di quando in quando fastidio, ma non perdete la pazienza, confidando in Maria Ausiliatrice.
Rispose: - Il giorno dei Santi sarete perfettamente guarito, e potrete saltare a vostro piacimento.
Si era nel mese di agosto. E infatti la cosa andò così, e il giorno dei Santi, 1° novembre, era perfettamente guarito. Quattro giorni prima sentiva ancora qualche piccola molestia. Tre giorni prima cessava ogni molestia e rimaneva come sulla guarigione.
Il benessere durò 10 anni perfettamente. Compiuti questi, si rinnovarono i dolori, benchè non forti come prima, e il Bianchi ritornò a Torino nel mese di gennaio, la vigilia della festa di San Francesco di Sales. Don Bosco lo bene [620] disse nuovamente, suggerendogli una preghiera e soggiungendo: - Nel mese di marzo di quest'anno mi scriverete che sarete guarito. Infatti, partito, si addormentò in vapore tranquillo e contento, perchè dopo la benedizione di Don Bosco aveva sentito scemare i dolori. Nel mese di marzo era perfettamente guarito. Così attestano, pronti a giurare, Bianchi Gerolamo e il Sac. Bianchi Giuseppe suo figlio”.
Il manoscritto ha pure questo particolare:
“Notare: i medici valenti, suoi amici, nel tempo di queste due malattie lo avevano visitato più volte al giorno; e benchè adoperassero scosse elettriche, iniezioni di morfina, fregagioni di camomilla, non gli avevano recato nessun giovamento. E dopo le due benedizioni non usò più nessunissima medicina, respingendola. Esso diceva che la Madonna e non altri doveva guarirlo”.
L'affrettata partenza di Don Bosco lasciò un po' di nostalgia nelle Suore, sebbene avesse detto che non si rattristassero, perchè, a Dio piacendo, sarebbe tornato tra loro altre volte, ed anche di lontano non le avrebbe dimenticate.
Gli esercizi proseguirono nel raccoglimento più devoto sino all'8 agosto, giorno in cui si fece la funzione di chiusura, ed il Vescovo Mons. Sciandra, di quel dì medesimo, faceva redigere e firmava il verbale di quanto si era compiuto[108].
Intanto la Vergine Ausiliatrice prendeva a spargere ogni sorta di grazie sul nuovo Istituto. La vita che vi si faceva, nel fervore angelico, che brillava sul volto delle religiose, e nella povertà più impressionante, non poteva non esser cara a Dio.
Fin da quell'anno si presero ad accettare alcune ragazze, bramose di avere una buona educazione; e Don Bosco, desideroso d'infondere nelle sue figlie, in tutta la pienezza, , lo spirito delle comunità religiose, nel gennaio 1873 si recava presso le Suore di Sant'Anna in Torino per chiedere alla Superiora Generale due consorelle che avessero la bontà di recarsi [621] a Mornese, e di rimanervi qualche tempo, per istruire le sue figlie spirituali negli obblighi propri della loro vocazione.
La Serva di Dio Suor Maria Enrichetta Dominici, Superiora Generale, annuì alla domanda, anche in segno di riconoscenza per i favori elargiti dal Santo all'Istituto delle Suore di Sant'Anna nei suoi primordi; e durante la quaresima si recava ella stessa a Mornese e vi restava alcuni giorni, insieme con la segretaria Suor Francesca Garelli, seconda Assistente Generale; e, tornata a Torino per Pasqua, passate le feste, vi rinviava la segretaria con Suor Angela Alloa.
“L'ultima domenica del mese di gennaio - così si legge negli Annali e Cronache dell'Istituto, vol. I, pag. 103 - 104, anno 1873 - ci fu dato di ascoltare la predica del Rev.mo Sig. Don Bosco Giovanni, Fondatore e Superiore della Congregazione Salesiana, il quale venne a domandare alla venerata nostra Madre Generale la cooperazione del nostro Istituto per la fondazione [cioè per la formazione] delle Figlie di Maria Ausiliatrice, dipendenti dallo stesso sig. Don Bosco.
Essendo questa occasione propizia per rendere altrui la carità ricevuta dal nostro caro Istituto ne' primordi di sua esistenza, l'amatissima Madre Generale col parer del suo Consiglio annuì alla domanda, e mandò a Mornese la rev. Suor Francesca [Garelli], attuale sua segretaria e 2a Assistente Generale, dandole per compagna della sua importante missione la buona Suor Angela [Alloa]”.
Le Figlie di Maria Ausiliatrice ne furono assai contente, e più di tutte Suor Maria Mazzarello, bramose com'erano di avanzare nella perfezione. E fu “una vera e santa gara - attestava il Card. Cagliero - da parte delle buone Figlie di Sant'Anna di ammirare le virtù e la santità della Mazzarello, e da parte di questa di encomiare la bontà e la santa direzione delle sue maestre”. Non poteva scegliersi un provvedimento migliore.
Avvicinandosi il tempo in cui Mons. Vescovo d'Acqui, come aveva promesso, sarebbe ritornato a passare un po' di tempo a Mornese, anche Don Bosco, ai primi di luglio, vi tornava a predisporre che la dimora per il Vescovo venisse convenientemente preparata in Casa Carante; e rimase [622] così ammirato della vita fervorosa che si conduceva nel nuovo Istituto, che, in una letterina, scritta di là per vari affari a Don Rua, uscì in un'affermazione così espressiva, che non si può dimenticare:
Vedrai dalla lettera per il Can.co Mottura come sia conveniente che Don Savio vada a Chieri. Si ricordi di sigillare la lettera. Manda a dire alla Sig. Vicino, che sabato [l'indomani] andrai da lei a pranzo con Don Bosco.
Qui si gode molto fresco, sebbene vi sia molto fuoco di amor di Dio.
Tutti ti salutano ed io ti sono in G. C.,
Anche il mese dopo tornò a Mornese, accompagnato da Don Cagliero, per ossequiare il Vescovo e dir una buona parola alle religiose che stavano attendendo agli esercizi spirituali, che dovevan aver termine con nuove vestizioni e professioni il 5 agosto. Giunto alla casa Carante, fece per inginocchiarsi davanti al Vescovo; ma questi subito lo trattenne e l'abbracciò affettuosamente.
Raccolte nel pio ritiro, oltre le undici Professe e le tre Novizie che si preparavano ai santi voti, v'erano pure nove postulanti che avrebbero ricevuto il santo abito ed una diecina di signore esterne, ammesse per desiderio di Don Bosco. Accolto con gioia da tutte, rivolse loro una buona parola, lieto di veder tra le sue figlie le brave Suore di Sant'Anna.
Nemmeno questa volta egli potè fermarsi sino al termine degli esercizi, chè gravi affari lo richiamavano subito a Torino, ma volle veder tutto, rendersi conto di tutto, e nel comunicare alle religiose che la predica dei Ricordi l'avrebbe fatta Monsignore, dava loro questi consigli:
- Di non lasciarsi mai abbattere da nessuna difficoltà; il mondo è pieno di lacci, e per non venir mai accalappiati da essi, usare questi quattro mezzi: Osservare le Costituzioni, pregare con fede, amarsi scambievolmente, ed esser umili.
Suor Maria Mazzarello gli presenta una giovane mornesina, Teresina Mazzarello, appena quindicenne e un po' de - [623] bole di salute che vuol fare la vestizione... Don Bosco la guarda, l'interroga un po', chiede particolari informazioni, e in fine esclama:
- Lasciategliela fare, lasciategliela fare; se dovesse anche morire tra poco, andrà più in alto in paradiso!
Il 4 agosto tornava con Don Cagliero a Torino.
Il 5, anniversario delle prime vestizioni e professioni, si rinnovò la sacra cerimonia, ed anche di essa Mons. Sciandra faceva redigere un verbale, da cui togliamo questi particolari:
“Il giorno cinque del corrente mese dopo i Santi Spirituali Esercizi, dettati dai M.to R.di Mons. Andrea Scotton e Padre Luigi Portaluri S. J., fecero professione religiosa in detta casa, con voti a tre anni, le novizie Mazzarello Rosa di Stefano, nata in Mornese, Maria Grosso di Giambattista, nata in S. Stefano di Parodi, e Corinna Arrigotti di Pietro, nata in Tonco; e vestirono l'abito della Congregazione Magone Virginia fu Giovanni, Bodrato Maria di Giuseppe, Mazzarello Teresa di Antonio, Pestarino Carlotta di Francesco, tutte nate in Mornese, Maria Gastaldi di Domenico, nata in S. Stefano Parodi, Deambrogio Angela fu Basilio, nata in Cinzano, Emilia Mosca di Alessandro, nata in Ivrea, Angela Peretto di Francesco, nata in Castelletto d'Orba, Enrichetta Sorbone di Costantino, nata in Rosignano.
”S. E. Rev. Mons. Giuseppe Maria Sciandra, Vescovo d'Acqui, che anche in quest'anno degnossi onorare questa casa scegliendola per sua dimora estiva, dopo aver nel mattino di detto giorno celebrata la S. Messa e distribuito la S. Comunione alla religiosa Famiglia, volle compiere la solenne funzione ricevendo i voti triennali delle professe e vestendo dell'abito sacro le aspiranti”.
“Si cominciò la funzione - spigoliamo da un'altra memoria di quei tempi - alle 9 antimeridiane... Dall'orchestra s'intonò il Veni, sponsa Christi, accompagnato dall'harmonium, che faceva soave melodia col canto di modo che pareva un paradiso in terra. Le spose... vestite dell'uniforme... parevano tre angeli. S'avanzavano lentamente cogli occhi a terra, con un contegno composto e divoto, col sorriso che loro fioriva sulle labbra, segno della pace e della gioia che [624] inondava il loro cuore in quel dì memorando. Tutti gli occhi stavan rivolti su di loro... Giunte queste alla balaustra, Mons. Sciandra Maria Giuseppe (che aveva cominciato la funzione, dando il S. Abito alle prime), si volse con in mano tre Crocifissi, quelli appunto che portiamo appesi al collo, segno distintivo delle professe; e mettendoli loro al collo disse queste parole: - Prendete, mie buone figlie, il ritratto del vostro diletto Gesù, lo stendardo della nostra Redenzione; Esso vi sarà di dolce conforto nelle avversità che incontrerete nel cammin della vita. - Indi prese tre ghirlande di rose rosse e bianche, e loro replicò: - Ecco, o mie care, la corona che v'ha preparato il vostro caro Sposo Gesù; - e con mano tremante, piangendo come un bambino per la gran consolazione, pose loro sul capo la corona che loro aggiunse maggior grazia e bellezza. Si terminò poscia la sacra funzione con un sermoncino fatto dal Vescovo suddetto, il quale le paragonò a quel fatto del Vangelo... [dove si parla del contegno di Maria e di Marta accanto a Gesù] dando loro la parte di Maria che era la migliore, e lasciando alle figlie del mondo la parte di Marta. E per tutto quel giorno le spose di Gesù restarono incoronate. Di quando in quando faceva eco un Viva Gesù!, ora anche Viva Maria!, ed anche Viva le Spose! in segno di esultanza a cui prendeva parte tutta la Comunità...”.
Alla sera poi, dopo le preghiere che si fanno prima di andare al riposo, le nuove professe si fermarono in cappella colla Madre Vicaria, e andarono a prostrarsi ai piedi dell'altare. Suor Maria tolse loro la corona, che tanto avevano desiderato e non avrebbero voluto mai più deporre; ed esse l'offersero alla Vergine Ausiliatrice, pregandola di volerla ella stessa donare a Gesù e supplicarla, in compenso, di ornare il loro cuore di tutte le virtù necessarie per essere sue vere spose e apparecchiare poi, a ciascuna, una corona di quelle rose che fioriscono solo in paradiso, e meritare d'esserne adornate da Gesù medesimo, quando a Lui piacerà di chiamarle a stringere le nozze eterne in cielo!...
Il 19 agosto, Mons. Sciandra, dopo aver compiuto la visita pastorale in paese, con apposito decreto concedeva [625] speciali facoltà per sacre funzioni da celebrarsi nella cappella dell'Istituto, „avendo rilevato con somma... consolazione, che l'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, stato fondato, nell'anno ora trascorso, dallo zelo del benemerito signor Sacerdote Giovanni Bosco, fu benedetto da Dio, e che va largamente prosperando”.
Sul principio di settembre si degnava anche di assistere e prender parte agli esami delle educande i quali riuscivano così bene, che l'Unità Cattolica ne dava il mese dopo (il 1° ottobre), questo lusinghiero ragguaglio:
“Un buon Istituto per le ragazze. - In Mornese, saluberrimo paese della diocesi di Acqui, fu aperto l'anno scorso dalla grande carità del sacerdote Gio. Bosco un Istituto nel quale potessero essere accolte e cristianamente educate quelle ragazze che per ristrettezza di mezzi di fortuna non possono entrare in altre case di signorile educazione. I frutti che si raccolsero superarono la comune aspettazione; e ne fecero solenne testimonianza i Professori che da Torino si recarono in sul principio di questo mese [di settembre] a dar l'esame a quelle allieve. Mons. Sciandra, vescovo di Acqui, volle onorare di sua visita questo Istituto, esaminare le allieve nella lingua francese ed assistere alla distribuzione dei premi, la quale fu rallegrata da poesie, canti e suoni che diedero anche ottima prova del progresso fatto da quelle ragazze nella musica. Anche nel tempo delle vacanze resta aperto l'Istituto di Mornese. La mensile pensione è di lire 20. Per maggiori schiarimenti rivolgansi le domande al direttore Don Pestarino in Mornese (Acqui)”.
Don Bosco intanto stampava il programma dell'educandato e ne faceva larga diffusione, tra i parroci e i sacerdoti, accompagnandolo con questa letterina:
Mi prendo la libertà di presentare a Vostra Sig. Molto Rev.da il programma dell'educandato femminile stabilitosi or fa un anno in Mornese. Ella capirà che lo scopo di questo Istituto è di allevare nella religione e nella moralità le fanciulle cristiane; perciò spero molto nella sua bontà, e la prego rispettosamente a far conoscere il presente programma e così procurare qualche allieva alla novella casa. [626] Pieno di fiducia nel suo appoggio, le anticipo i miei più vivi ringraziamenti e le auguro dal Signore ogni celeste benedizione, mentre con perfetta stima ho l'onore di professarmi,
Durante quelle vacanze le Suore di Sant'Anna ritennero di aver compiuto il loro mandato e lasciavano l'Istituto accompagnate dalla riconoscenza delle religiose e di Don Bosco, il quale le stimava tanto, che, alcuni anni prima, a Monsignor G. M. Barbero, Vicario Apostolico di Hyderabad in India, che cercava alcune suore per quelle terre di missione, aveva suggerito le Suore di Sant'Anna: e questi, suo grande amico, lo ringraziava cordialmente, nell'agosto del 1871, con una lettera che giunse al Santo a Lanzo, durante gli esercizi spirituali, e lo colmò di gioia.
“Carissimo e molto Rev. mio Don Bosco, io le sono proprio grato e riconoscente che mi abbia fatto conoscere le Suore di Sant'Anna, e veggo che sono proprio fatte per la mia missione, possedendo esse tutte e quante le qualità che si ricercano per monache che vogliono dedicarsi al bene delle missioni fra gli infedeli”[109].
E il Santo continuò sempre ad averle in alta stima ed anche a favorirle di nuove vocazioni.
Ci narrava Suor Maria Pierina Saccaggi, di Casalmonferrato, che ella, giovinetta di dodici anni, un po' vispa e pronta a scherzare, trovandosi in casa della Contessa Callori a Vignale, venne presentata a Don Bosco perchè le dèsse una benedizione che le ottenesse dal Signore la grazia di una buona formazione. Il Santo la guardò, ed elevando lo sguardo al cielo, le pose la mano sul capo esclamando:
- Ah! questa... la faremo... Suora di Sant'Anna!
La ragazza non aveva mai pensato di farsi religiosa, ma poi entrò in quell'Istituto.
Partite le due brave religiose, Suor Maria Mazzarello tornava a supplicare che venisse eletta una superiora; ma Don Bosco volle che ella continuasse a fare quello che aveva [627] fatto fino allora; e per non lasciarla sola inviava a Mornese una signora di Torino, la vedova Maria Blengini, cresciuta sotto la direzione spirituale del B. Cafasso, perchè ella pure, osservando come andavano le cose, dèsse, all'occorrenza, quei consigli e suggerimenti che avrebbe ritenuti opportuni. La pia signora restò a Mornese solo due o tre mesi, e sebbene, tra l'altro, non approvasse la somma povertà che vi regnava, pure non mancò di compiere la missione che Don Bosco le aveva affidata, con qualche vantaggio, perchè, da chiunque venga, un buon consiglio è sempre vantaggioso a chi lo riceve. Ma sul finire del 1873 ella veniva a Torino, decisa di non tornar più a Mornese, e ne dava comunicazione al Santo, il quale avrebbe preferito che vi restasse ancora un poco, anche perchè egli sarebbe rimasto ancor a lungo a Roma, donde scriveva a Don Rua:
“Se madama Blengini non è ancora andata a Mornese, dille che stia tranquilla, chè, poco per volta, le cose si aggiusteranno. Ho già scritto in proposito; una lettera l'attende colà”[110].
Il 29 gennaio era passata all'eternità una delle prime professe, Suor Maria Poggio, che si faceva tutta a tutte per aiutar le consorelle in ogni bisogno e sollevarle nelle sofferenze; e l'umilissima Maria Mazzarello insisteva che venisse eletta una superiora, dicendosi sempre incapace di compiere il grave ufficio.
Don Bosco avrebbe voluto che la Blengini fosse rimasta colà finchè non si fosse proceduto all'elezione della Superiora, il che pensava di fare al più presto, e intanto, non volendo lasciar sole, nella vita che conducevano, le nuove religiose, cominciò a metter in pratica ciò che già si leggeva nel primo esemplare delle loro Costituzioni, che il Superiore Generale della Società Salesiana, sotto la cui dipendenza era il nuovo Istituto, poteva “farsi rappresentare da un sacerdote, che egli delegherà sotto il titolo di superiore o direttore delle Suore”, ed inviava, a far le sue veci, Don Giovanni Cagliero, naturalmente senza dargli nè il titolo nè l'ufficio di loro direttore [628] generale, essendo l'Istituto ancor limitato alla sola casa di Mornese. Infatti solo nella copia delle Regole, presentata al Vescovo d'Acqui per l'approvazione, si legge: „Direttore generale sarà un membro del Capitolo Superiore della Società Salesiana; Direttore particolare o locale sarà quello cui è affidata la direzione di qualche casa o istituto”.
E Don Cagliero, durante la quaresima, si recava a Mornese a predicare un breve corso di esercizi spirituali, come si usava nelle case salesiane; Don Pestarino lo presentava alla comunità come “luogotenente di Don Bosco stesso”; e il futuro direttore generale dell'Istituto restava ammirato della vita che vi conducevano quelle anime pie e virtuose.
Don Pestarino intanto, in attesa che Don Bosco tornasse da Roma e radunasse, come di solito, i direttori per il rendiconto delle loro case, annotava gli appunti dell'esposizione che egli avrebbe fatto, e fece difatti dopo la metà di aprile, in detta circostanza. È un documento prezioso, perchè ci addita esattamente a qual punto il novello Istituto era giunto nella via del perfezionamento, e qual fervore regnava in coloro che lo componevano, e in quanta stima era ormai tenuto da tutti, anche nel paese, per cui lo riferiamo ad litteram, nella sua semplicità autentica:
“Nella casa delle Figlie di Maria Ausiliatrice in Mornese vi sono N. 13 Professe: erano 14, una mancò e passò alla beata vita, speriamo fondatamente, al Paradiso; 8 Novizie, 8 Postulanti, 17 educande. In tutte non trovo motivo che di benedire e ringraziare il Signore.
”Nelle Suore, Professe e Novizie, è per me una vera consolazione lo scorgere proprio in tutte, secondo la loro capacità, il vero spirito del Signore ed istudiare d'impegno per formarsi lo spirito delle Regole e secondo i santi ricordi mandati dal grande Pio Nono per mezzo del Superiore Maggiore Don Bosco; l'uniformità nel vestire, nel cibo, nel riposo, nei lavori, nei permessi e nel non cercare da solo le eccezioni; ma non sono molte settimane che la Vicaria, avendo chiesto consiglio se credevo passasse un po' di latte e caffè, essendo che alcune postulanti erano assuefatte ed alle volte ne soffrissero, pensava per non scrupoloso potesse passar a tutte ed almeno un po' di [629] latte caldo. Io aderii, e trovandomi in conferenza ne fece la proposta, ed io feci capire che non era per nulla contrario, che anzi era cosa che già mi era venuta in pensiero Più d'una volta, e che la vedevo bene. Cominciarono le maestre eppoi tutte a farmi conoscere si aspettasse ancora un poco, che esse conoscevano di star bene in salute; sentir piuttosto troppo appetito che poco; che alla colazione non avanzavano bricciolo di pane; e passassi pure piuttosto la polenta e castagne cotte, che è la cosa da tutte più desiderata e che sentivano le faceva bene. Io non risposi molte parole; dissi poi alla M. Vicaria sospendesse per ora; meglio si sarebbe osservato, se conveniva o no.
Ciò che più poi si conosceva con soddisfazione è la vera unione di spirito, di carità, armonia piena di santa letizia fra tutte in ricreazione, ove si divertono fraternamente unite; sempre tutte assieme, godono di tenersi unite anche in quello.
Nella pietà sono edificanti a me stesso, sia nel raccoglimento, nell'accostarsi ai S. Sacramenti, nella recita del D. Ufficio ed altre orazioni e funzioni, e fu cosa commovente nell'accompagnamento che fecero al Cimitero per la loro Consorella defunta; molti della popolazione piangevano, gli stessi giovanotti mi dissero che era cosa proprio commovente vedere la compostezza, la modestia senza affettazione, a segno che le figlie del paese andavano dicendo: - Vogliamo andar tutte nel collegio!
Si conosce in tutte vero distacco dal mondo, dai parenti e da se stesse Per quanto l'umana fragilità comporta.
Assidue e direi attente nei loro lavori che mai ho dovuto sentire un piccolo lamento di una che le rincresca, ed anzi prendono parte agli interessi della Casa.
Bisogna dire che di gran buon esempio sono pur le maestre benchè vi sia una esterna per F[rancese] e M[atematica] per allevar quelle per l'esame; esemplare, umile, rispettosa a tutti, di trasporto per la pietà; e pare decisa di restar tra le Figlie di Maria asserendo chiaro che, dove in altri monasteri dove è restata, se avesse voluto la volontà di farsi monaca le sarebbe fuggita, qui invece, venuta senza alcuna idea e di starvi poco, sente sempre più forte l'idea di rimanervi e farsi monaca. Di salute stanno tutte bene, benchè avvenne la disgrazia. [630]
Anche le educande non vi è da lamentarsi; tutte obbedienti e rispettose, ed alcune già si spiegano molto per la pietà e potersi fare Figlie di Maria Ausiliatrice; io bisogna che ripeta che pel loro affare sono soddisfatto e contento; ed è un gran conforto il vederle così di rispetto ed allegre, e vedere come sospirano sempre che vadi in conferenza a dirle qualche cosa. Le piccole stesse, se alle volte se ne accorgono, non vogliono andare a dormire per desiderio di sentir il Direttore dirle qualche cosa.
Si vede chiaro i frutti delle benedizioni del Signore, della B. V. M., e del Superiore; una cosa sola desiderano: una visita del Superiore.
La cosa sola che non va tanto bene si è riguardo alle finanze, sono poco le educande epperciò siano in deficit, e per questo vivono proprio semplicemente, benchè di cibi sani; pare abbiano piuttosto debiti che crediti. Speriamo nel Signore, anche per questa parte ci aiuterà e per mezzo di Don Bosco e di Don Rua... e degli altri Collegi coi quali, o poco o tanto, siamo in molta relazione per debiti contratti...”
La solennità dell'Ascensione ebbe un nuovo carattere festevole. Don Cagliero aveva esortato la Vicaria a far insegnare anche un po' di canto fermo e di musica, e quel giorno la nuova scuola eseguiva così delicatamente la Messa della Santa Infanzia dello stesso Don Cagliero, che Don Pestarino ne fu profondamente commosso, e nella predica che poi fece gli venne spontaneo accennare al celere incremento dell'Istituto, ed elogiando le Figlie e le figliette dell'impegno che tutte avevano nel compiere il proprio dovere, esclamava con accento commosso: - Flores apparuerunt in terra nostra! - applicando il passo scritturale specialmente alle suore, dicendo che sarebbero state “i fiori della sua immortale corona”... E tosto gli si spense la voce in un singulto, troncò la predica, e andò ad inginocchiarsi ai piedi dell'altare.
Il dì appresso, com'era solito, scese di buon mattino alla [631] parrocchia per confessare e comunicare; e, tornato al collegio, celebrò la Messa della comunità, quindi lesse egli stesso, come soleva fare nelle solennità, la breve meditazione del Mese di maggio di Don Bosco, che trattava della morte mostrandosi assai impressionato nel leggere queste parole: „... Può essere che la morte mi sorprenda nel mio letto, sul lavoro, per istrada od altrove. Una malattia, una febbre, un accidente, sono tutte cose che tolsero a tanti la vita e possono torla ugualmente a me. Ciò può essere di qui a un anno, di qui a un mese, a una settimana, a un giorno, a un'ora, e forse appena finita la lettura della presente considerazione...”. A questo punto venne interrotto da un improvviso scoppio di pianto! Calmatosi, e data la benedizione con la reliquia della Madonna, intraprese le ordinarie occupazioni, quand'ecco verso le 11, mentre parlava col salesiano coadiutore Scavini e con Vigna, che attendevano ad allestire i mobili necessari per l'Istituto, d'un tratto, colto da apoplessia cerebrale, cadde tra le loro braccia, e malgrado ogni cura, tributatagli dal fratello medico e dal medico del paese, verso le tre pomeridiane volava al cielo! Aveva 57 anni...
Quale costernazione e qual dolore per tutto l'Istituto! Il degno ministro del Signore - togliamo letteralmente questi cenni biografici dal necrologio che ne pubblicava Don Bosco in calce al catalogo della Pia Società del 1875 - era nato „da parenti agiati e ricchi di sostanze temporali ed ancor più ricchi del santo timor di Dio... Suo desiderio era di stabilire qualche buona istituzione che ricordasse ai cari patrioti, anche dopo la sua morte, quanto affetto avesse per loro, e d'accordo colle autorità locali e col consenso di Don Bosco, pose le fondamenta ad un edifizio da destinarsi al pubblico vantaggio”, la futura casa delle Figlie di Maria Ausiliatrice. „Per reggere a tante opere di carità, D. Pestarino aveva già venduto la maggior parte delle sue sostanze; così che quando cominciò il novello Istituto ricorse all'aiuto altrui, specialmente alla Congregazione Salesiana”. Così „vedeva appagati i suoi desideri, e, „sempre animato dallo stesso zelo sacerdotale, consacrò al novello istituto tutte le sue fatiche e quel poco di vita che il Signore ancora gli concesse [632]
... Egli era ricco, e per amor del Signore si era fatto povero, ed il Signore, che suole premiare le virtù e non le ricchezze, lo ha certamente fatto ricco di eterna gloria.
Impariamo anche noi a non far conto delle ricchezze e delle comodità della vita; ma amiamo la povertà e fatichiamo per la gloria di Dio. Nelle sue prediche e ne' suoi familiari discorsi, D. Pestarino ripeteva spesso le parole del Salvatore: Quod superest, date pauperibus. Date il superfluo ai poveri, e colle ricchezze, se ne possedete, fatevi degli amici che non vi manchino più. Beato lui! giacchè in esso si sono verificate le altre parole del Salvatore quando disse: Quelli che si fanno poveri per amor del Signore, si assicurano il possesso delle ricchezze eterne del cielo: Beati pauperes spiritu, quoniam ipsorum est regnum coelorum”.
Il degno ministro del Signore era da tutti tenuto in grande stima e venerazione! Attesta Suor Marietta Sorbone, Figlia di Maria Ausiliatrice, entrata da pochi giorni nell'istituto, che le si erano gonfiati gli occhi in modo che pareva le volessero uscir dall'orbita. Erano rossi, infiammati, tanto da renderle intollerabile la vista della luce, e, per questo, doveva star chiusa in una camera all'oscuro. “Nel giorno in cui morì Don Pestarino - ella scrive - mi vidi prendere per mano da Madre Mazzarello e: “Andiamo da Don Pestarino, che ti guarisca!” dìssemi; e mi condusse presso la salma di lui... Piangendo e pregando mi fece passare sugli occhi la mano del defunto... All'istante mi si abbassò la gonfiezza e poi scomparve; poi, per tutta la giornata mi fece tenere sugli occhi panni sporchi del sangue di lui ...: al domani ero guarita”.
Il giorno appresso, mandato da Don Bosco, giungeva Don Francesco Bodrato, già maestro del paese ed amico del caro Don Pestarino, e dava le disposizioni per i funerali, e il 17, accompagnato da Don Lazzero e da Carlo Gastini, arrivava Don Cagliero per il canto della Messa funebre.
I funerali ebbero luogo la mattina del 18, con intervento di tutti i compaesani e di molte altre persone accorse dai vicini paesi e di numerosi sacerdoti.
Ed ecco, la settimana dopo, l'angelo della morte scendere [633] nuovamente tra le mura dell'Istituto, e portar seco un'educanda, Emilia Chiara, nipote della signora Blengini!...
Don Bosco intanto scriveva al Vescovo diocesano Mons. Sciandra;
La perdita inaspettata del povero nostro Don Pestarino mi ha veramente sconcertato. Ho immediatamente mandato Don Bodrato come persona del paese e pratico di tutti gli affari del compianto defunto. Ora avrei divisato stabilire colà Don Cagliero Giuseppe, attualmente Direttore spirituale nel collegio di Varazze. È persona sicura per la moralità e scienza, ed ha attitudine alla predicazione. Ma prima di tutto desidero il santo di Lei parere.
Resta poi inteso che la casa di Mornese è sempre a sua disposizione ogni volta Ella desideri andare a fare un po' di campagna; anzi la prego di voler continuare verso di quella casa quella benevolenza e quella autorità paterna che finora si degnò usare.
Spero poter fare colà una gita fra non molto tempo.
Ci raccomandiamo tutti alla carità delle sante sue preghiere e mi professo con profonda gratitudine,
Il 23 giungeva da Varazze il nuovo direttore Don Giuseppe Cagliero, cugino di Don Giovanni; ma le prove dolorose, nelle vie imperscrutabili della Divina Provvidenza, non erano finite.
Il 5 giugno, vittima anche dei molti dolori patiti per i contrasti avuti nel seguire la vocazione, partiva per l'eternità Suor Corinna Arrigotti, la prima maestra di musica, amata ed ammirata da tutti, per la bontà del carattere, per quanto aveva sofferto, e per le sue virtù singolari.
In mezzo a tante prove Don Bosco stabiliva di dar formazione regolare all'Istituto; e verso la metà di giugno si recava a Mornese, in compagnia di Don Giovanni Cagliero. La mestizia regnava sovrana in ogni cuore; sul portone del collegio si leggeva questa iscrizione: „Entra, o Padre, in [634] queste mura, le tue Figlie ti aspettano come sole dopo terribile procella!”. Il Santo la lesse commosso, e mesto chinando lo sguardo disse sottovoce a quelli che gli erano accanto:
- Che c'è ancor di bello in questa casa?
Ma l'accoglienza che ebbe non poteva essere più devota e cordiale. Si fece avanti prima di tutte una suora, che gli lesse un filiale saluto, a nome delle consorelle e delle novizie:
“Ecco finalmente arrivato questo giorno avventuroso...È arrivato il nostro Superiore, è giunto il nostro Padre! Oh! sorelle, consoliamoci, rallegriamoci, diciamo qualche cosa al nostro buon Padre, ringraziamolo di aver appagato questa nostra ardente brama. Sì, diciamogli tante cose! Ma il nostro labbro è muto, la nostra mente diventa arida; non una sola parola atta ad esprimere la piena della nostra gioia ci è data proferire...
Oh!... buon per noi tutte che abbiamo il Sommo Iddio e la nostra cara Madre Maria SS., che faran per noi; corriamo ai loro piedi, o sorelle, scongiuriamoli ad accettare le nostre preghiere e versare sopra di sì buon Padre tutti quei beni, di cui Egli è ben degno.
Oh! sì, preghiamo il buon Gesù e la B. Vergine che vogliano spargere a piene mani le grazie più eccelse sopra la rev.da Sua persona, a concederle la più fiorita salute, e serbarla in vita per lunghi e lunghi anni ancora, pel bene di noi tutte e di tutti i figli suoi, coll'adempimento d'ogni suo desiderio. Li pregheremo a far sì che noi tutte sempre corrispondiamo alle sue amorose cure, e ci concedano un vero spirito religioso, ed una profonda umiltà, acciocchè non ci rendiamo indegne della grazia che Iddio ci fece, malgrado la nostra indegnità, accogliendoci in questa santa casa, dove non abbiamo che a seguire gli esempi che ci dànno i nostri buoni Superiori per camminare nel sentiero della virtù...”.
Quindi anche una delle postulanti gli confermava tutta la gioia sua e delle compagne:
“Il nostro cuore in questo giorno sente in tutta la sua pienezza che voglia dire felicità.
Nell'avvicendarsi degli anni che passammo finora, trascorsero, è vero, per noi giorni meno tristi degli altri; pur [635] è solo quest'oggi che noi comprendiamo le gioie purissime che è dato godere quaggiù.
E il motivo di questa nostra insolita gioia, è il desiato suo arrivo, o R.do Padre.
La commozione, che tutte ci invade e padroneggia, ci rende inabili a potere con sufficienti espressioni far nostra la foga dei diversi affetti, de' quali sovrabbonda il cuor nostro; e le nostre labbra altra parola non possono pronunciare che questa: Riconoscenza. Sì, riconoscenza, è la cara virtù che in questo momento dobbiamo maggiormente a Lei professare. Oh! cara e bella virtù! Tu nobiliti gli animi, e di piccoli e rozzi li rendi nobili e grandi. Ma siccome grande è la miseria nostra, e giammai potremo farle nota la nostra riconoscenza e gratitudine, con insolito fervore ci prostreremo, in questo dì, dinanzi all'altare della Vergine, e La pregheremo a voler fare le nostre veci.
Voglia questa buona Madre esaudirci, e far sì che le deboli nostre preci dalle sue sante mani s'innalzino fino al trono dell'Onnipotente, e che gli Angeli del Paradiso scendano a spargere a mille a mille le celesti benedizioni sovra del nostro Reverendo buon Padre... mentre noi prostrate ai piedi dell'ara, dedicata alla Madre nostra comune, con tutto il fervore dello spirito innalziamo unanimi le nostre preghiere:
Oh! inclita Vergine, e nostra Madre Maria, una corona di gigli eterni posa su questo capo benedetto, acciò viva lunghi anni di vita in piena felicità, all'amore ed al bene di tutte noi, che umilmente ci professiamo... vere figlie in nostro Signore, le Postulanti”.
Alla dimostrazione di riconoscenza filiale non seppero restar estranee le educande; ed una piccina lesse anch'essa un componimentino:
“Che giorno è questo? qual insolito contento! perchè tanta letizia, perchè tanto giubilo? Una non mai gustata gioia sentiamo nei nostri cuori... Tutto si para a festa! perchè?...
Oh! giubilo, o contento! è dunque arrivato il Padre che da sì lungo tempo attendiamo... È giunto il di, in cui palesare [636] potremo la gratitudine e l'amor che sentono i nostri cuori verso il nostro Benefattore, verso il nostro amato Superiore. Sì, Ella è apportatore di gaudio e di giocondità per tutte.
Vorremmo dire tante cose, e il labbro nostro non sa esprimere ciò che gli detta il cuore; ma Ella saprà interpretare i nostri sentimenti e li gradirà!... Ci condoni, e ci permetta di poterle baciare la mano e d'implorare da lei la sua santa patema benedizione”.
Don Bosco ringraziò cordialmente, e disse che appunto s'era recato tra loro per dire a tutte una parola di conforto ed assistere ai funerali di trigesima in suffragio del compianto Don Pestarino; e per tenere a quelle che dovevano fare la vestizione o la professione, un piccolo corso d'istruzioni allo scopo di ben prepararle, e, in fine, per dar forma regolare al loro Capitolo Superiore, perchè presto si sarebbe dovuto iniziare l'invio di alcune di loro in vari luoghi onde accontentare tanti che le domandavano per la fondazione di asili, d'istituti e di oratorii, a vantaggio delle figlie del popolo.
Le nuove postulanti che ricevettero l'abito religioso dalle mani del Santo furono tredici, e nove le novizie ammesse ai santi voti, due delle quali dovevano essere di grande aiuto alla nuova famiglia: Suor Emilia Mosca, nipote dell'ing. Carlo Bernardino Mosca (che nel 1830 aveva ultimato a Torino l'ardito ponte sulla Dora, per cui ebbe il titolo di conte da Re Carlo Alberto) discendente, per parte di madre, dei Conti di Bellegarde di St - Lary; giovane colta ed esemplare, che fu per 25 anni assistente generale dell'Istituto; e Suor Enrichetta Sorbone di Rosignano Monferrato, che era entrata a Mornese nel 1872, e nel 1880 veniva eletta Assistente e nel 1881 Vicaria Generale, e, per grazia di Dio, da 58 anni copre questa carica.
Il 15 giugno, il Santo assistè al solenne rito di trigesima in suffragio di Don Pestarino; quindi radunava le Suore e le invitava a procedere all'elezione della Superiora. Nella sala, in cui si tenne l'adunanza, venne posto un Crocifisso tra due candele accese, e recitato il Veni, Creator Spiritus, [637] a una a una presero le presenti ad avvicinarsi a Don Bosco, e a dirgli sottovoce il nome di colei che ritenevano eligenda, ed egli lo scriveva. A pieni voti assoluti venne eletta Maria Mazzarello!
Compiuta l'elezione della Superiora, che venne accolta con immenso giubilo, si procedette alle altre elezioni nella forma accennata, e riuscirono elette: Vicaria, Suor Petronilla Mazzarello; Economa, Suor Giovanna Ferrettino; Assistente, Suor Felicina Mazzarello, sorella della Superiora; Maestra delle Novizie, Suor Maria Grosso.
Il Santo col suo sorriso abituale disse in fine poche parole:
- Mi compiaccio con voi che siete state così concordi nell'elezione della vostra Superiora. Io non potrei essere più contento...
Ed approvava che le dèssero il nome di Madre, come avevano preso a chiamarla dopo la partenza della Blengini, e che lo dèssero anche alle altre superiore.
La cerimonia si chiuse col canto del Te Deum.
Nel pomeriggio il Santo radunò le nuove elette, le incoraggiò a non sgomentarsi delle perdite avute, ma a riguardarle quali prove del Signore e fonti di future benedizioni; si disse contento di vedere in tutte gran volontà di farsi sante, e diede loro alcuni avvisi, particolarmente su questo:
“Vi esorto a secondare il più possibile l'inclinazione delle Novizie e delle Suore, per quanto riguarda le loro occupazioni. Alle volte si pensa che sia virtù il far rinnegare la volontà con questo o quest'altro ufficio, contrario al gusto individuale, mentre ne deriva danno alla Suora ed anche alla Congregazione. Piuttosto sia vostro impegno d'insegnar loro a mortificarsi, ed a santificare e spiritualizzare queste inclinazioni, avendo in tutto di mira la gloria di Dio”.
E tornava a dichiarare che, non potendo egli tener dietro ai singoli bisogni della loro comunità, la quale avrebbe preso un grande sviluppo, aveva stabilito Don Giovanni Cagliero come suo rappresentante.
E qui conviene riferire due esplicite dichiarazioni, fatte da Mons. Cagliero, nel Processo Informativo per la Causa di Beatificazione e Canonizzazione del Santo Fondatore: [638]
“Don Bosco ritenne sempre esser sua missione speciale la gioventù; quindi si occupava difficilmente delle confessioni e della direzione spirituale delle donne. Anzi spinse la sua delicatezza sino all'estremo di non prendersi diretta cura dell'Istituto da lui fondato delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Per il qual fine delegò sempre per la loro direzione spirituale e materiale qualcuno de' suoi sacerdoti in qualità di Direttore generale...”.
“La stessa delicatezza e lo stesso riserbo usava Don Bosco anche nella sua età avanzata, non trattando mai con familiarità nè dando mai del tu a fanciulla alcuna, eccettochè fosse una bambina di pochi anni; ed anche in questo caso posso assicurare che non la guardava, ma, rivoltele alcune sante raccomandazioni, la benediceva insieme co' propri genitori”.
Tutto cotesto complesso di circostanze singolari, da noi ora accennate, che accompagnarono Don Bosco nella fondazione dell'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, non ha veramente dello straordinario, e non ci mostra come Iddio l'abbia guidato nella fondazione di quest'opera provvidenziale? Egli stesso restò meravigliato dello sviluppo che prese: „Ricordo - attestava il Can. Giovanni Anfossi - di aver inteso Don Bosco esprimere sentimenti di meraviglia per il rapido sviluppo di questa Istituzione, dicendo che, senza dubbio, non era opera sua, ma una speciale disposizione della Provvidenza”.
Ma l'interessamento del Fondatore perchè l'opera potesse raggiungere quell'incremento che Dio voleva darle, non poteva essere più assiduo. Da Mornese scriveva alla damigella Francesca Pastore di Valenza:
La grazia di N. S. G. C. sia sempre con noi.
lo sono a Mornese, e cerco di riempire il vuoto lasciato dal compianto D. Pestarino; ma è difficile assai. Un solo faceva molto, ed ora molti stanno a fare poco. Confidiamo in Dio. [639] Àvvi però grande fervore nelle professe, nelle provande e nelle stesse educande; e questo ci fa sperar bene. Direttore attuale è uno de' miei preti di ottime qualità, di nome D. Cagliero Giuseppe. Era da due anni Direttore spirituale nel nostro Collegio di Varazze, e tutti se ne mostrano soddisfatti.
Avrei molto bisogno di parlare con Lei; se mai per qualche motivo dovesse recarsi a Torino, mel dica; io mi troverei a casa; altrimenti dovremo rimandare ogni cosa agli esercizi spirituali, cui spero voglia anch'ella intervenire, non è vero?
Sono impegnato in questa opera, e coll'aiuto del Signore ho fiducia di poterla portar ad uno stato regolare; ma ho assai bisogno del suo appoggio materiale e morale, e specialmente delle sante sue preghiere.
Dio la benedica e le conceda sanità e grazia di giorni felici, e mi creda sempre con verace stima e gratitudine,
Ieri ci furono tredici vestizioni e nove professioni.
La visita di Don Bosco lasciò in tutte una gioia profonda e, pochi giorni dopo, per iscritto, gli giungevano dalle professe, dalle novizie, dalle postulanti, dalle educande, ed anche dalla Madre in particolare, le più care espressioni di devota riconoscenza per il suo onomastico[111].
“Se tutti i giorni son belli - scrivevano le Suore - per noi che ci siam consacrate a Dio sotto il manto di Maria Ausiliatrice, quanto più lieto sarà questo che è l'onomastico di Colui che ci collocò sotto la protezione di sì gran Madre, e con una regola tutta santa e dolce ci addita la via più piana per arrivare a quella perfezione, alla quale non saremmo mai giunte vivendo in mezzo al mondo? [640]
Sì, o rev.mo Superiore Maggiore, noi sentiamo nei nostri cuori i più vivi sentimenti di gioia e di riconoscenza verso della S. V., che qual buon padre consacra la sua vita e le sue fatiche per nostro vantaggio. Ma quali espressioni adopereremo per dimostrarle tali sentimenti? Le belle parole sappiamo che d'ordinario non sono le interpreti del cuore, e d'altronde noi non sappiamo dirle. Che faremo adunque? Ci rivolgeremo con tutto il fervore possibile al glorioso S. Giovanni (al quale, essendo stato suo prossimo parente, Gesù, non vorrà negar niente), e Lo pregheremo perchè voglia esaudire tutti i desideri di V. S. Rev.ma, e conservarla ancora per molti e molti anni all'affetto di tanti suoi figli, ma particolarmente alle Figlie di Maria Ausiliatrice che, essendo esse al principio del loro cammino, hanno maggior bisogno delle sue cure...
Se le nostre preghiere verranno esaudite, Ella... avrà ben presto la dolce consolazione di vedere la Casa di Maria Ausiliatrice, di molto accresciuta, portare tutti quei frutti per i quali venne fondata. Questo è il nostro più vivo desiderio, epperciò ci raccomandiamo alle efficaci sue preghiere, per ottenere da Dio un vero spirito di umiltà, la fedeltà nel mantenere i voti che abbiamo fatto, ed un’esatta osservanza delle Regole, affinchè possiamo santificare le anime nostre, dare alle nostre sorelle buon esempio, e fare tutto ciò che Iddio vorrà da noi...”.
E al devoto indirizzo univano un lavoretto, fatto da loro.
Anche le novizie, lietissime di poter anch'esse indirizzargli “poche parole, povere sì, ma... proprio dall'intimo del cuore”, gli esprimevano tutto il loro contento e la loro riconoscenza per aver avuto “il tanto desiderato abito delle Figlie di Maria Ausiliatrice”, e lo pregavano a ricordarle nelle preghiere affinchè il Signore si degnasse loro concedere „un vero spirito religioso e la perseveranza nella vocazione”.
Le postulanti gli dicevano che, se „tutti coloro che hanno l'onore di poter apprezzare le sue grandi virtù”, andranno a gara in sì bel giorno a presentargli le più fervorose felicitazioni, esse, sue figlie, e debitrici a lui della loro felicità, esse „che [641] nella sua veneranda persona” avevano “un Padre il più amorevole”, sarebbero state felici, se avessero potuto di presenza offrirgli i loro omaggi: „Sebbene in ogni tempo siamo tenute a pregare per la S. V. R., pur nonostante sarà oggi che le deboli nostre preci più veloci del solito passeranno i cieli, e quale incenso odoroso giungeranno al trono del Dator d'ogni bene, impetrando sopra la S. V. R. le celesti benedizioni”.
Anche le educande, “benchè fanciulle”, non vollero lasciar passare quel giorno, senza dargli un attestato del loro affetto e della loro riconoscenza, non “con sublimi espressioni”non essendo ancora capaci, ma con poche parole che partono da cuori veramente affezionati”, e con i più lieti auguri perchè il Signore volesse conservarlo ancora per molti anni, e colmarlo di tutte quelle grazie e benedizioni, che meritavano le sue virtù e il suo nobile cuore; e si raccomandavano anch'esse alle sue efficaci orazioni, perchè potessero dargli quelle consolazioni che da loro attendeva, cioè „di non mancare ai loro doveri”.
Ecco un saggio reale dello spirito che regnava già nel nuovo Istituto!
Fin dal 1872, come s'è detto, annuente Don Bosco, venivano ammesse agli esercizi delle suore anche alcune signore, ma nel 1874 s'incominciò a dettar per queste un corso a parte, indetto con una circolare del Santo, dalla quale affiora a prima vista la sua umiltà e il vivo desiderio che esse potessero intervenirvi facilmente.
La dolorosa perdita del Rev.do Sig. D. Domenico Pestarino disturbò alquanto la pratica da alcuni anni introdotta nella Casa di Maria Ausiliatrice in Mornese di dettare una muta di esercizi spirituali per le Signore. Nel desiderio però di continuare la pia usanza di quel venerando sacerdote, mi pregio di significare a V. S. che in quest'anno pure avranno luogo tali esercizi e l'epoca ne è fissata pel 20 fino al 29 del prossimo agosto. Siccome poi molte domandano quanto sarebbe da corrispondere per quei dieci giorni, così fu stabilita la somma da f. 20 a 25. Non si può precisare la cifra perchè si desidera che non si paghi altro se non quello che per la mensa si desidera, che possa soddisfare chiunque sia per intervenire.
Chi desiderasse approfittarne è pregato darne avviso qualche [642] tempo prima, o allo scrivente, o al Sac. D. Giuseppe Cagliero, attuale direttore di quell'Istituto.
Le vie ordinarie ed anche carrozzabili per intervenire sono Novi, Castelletto [d'Orba], Mornese, oppure Serravalle, Gavi, Mornese.
Dio ci benedica tutti, e mi creda in G. C.
Insieme con nuovi conforti il Signore preparava alla pia comunità nuove prove. Nell'agosto cadeva gravemente malato il nuovo direttore; e Don Bosco scriveva da S. Ignazio a Don Rua:
Procura di mandare qualcuno per assistere Don Cagliero; e, se è espediente e che si possa, manda l'attuale infermiere.
Procura di far correre le lettere, tanto per gli esercizi delle Signore, quanto pei maestri di scuola.
È tempo di pregare e pregare assai.
Dio ci benedica tutti, e a rivederci venerdì, si Dominus dederit.
Di quei giorni giungeva al Sindaco di Mornese questa richiesta:
STAZIONE DI CASTELLETTO D'ORBA
Castelletto d'Orba, 12 agosto 1874.
Si prega la compiacenza della S. V. di volere somministrare a questo Comando delle informazioni sull'Istituto femminile e religioso, stanziato in cotesto Comune, tenuto da Don Bosco di Torino. La interesso di sapermi dire a che spese venne fabbricato quel locale, da quanto tempo l'Istituto funziona, se qualche medico venga nell'occorrenza chiamato per visitare e curare le ammalate, come pure se nessun Ispettore Scolastico siasi recato mai a visitare le scuole, come si pratica per gli altri Istituti di educazione.
Mi dica pure se il D. Bosco si reca sovente in Mornese ed in qual concetto esso è tenuto nel paese.
STAMARI CIRO Brig. a piedi. [643]
La notizia che a Mornese si sarebbero radunate non poche signore nella casa delle Figlie di Maria Ausiliatrice, nella quale era gravemente ammalato il direttore e di quell'anno erano già avvenuti quattro decessi, senza dubbio fu la causa dell'inchiesta. Il Sindaco rispose immediatamente con poche parole, non sappiamo quali, ma benevole e tranquillanti, che dissiparono ogni preoccupazione.
Dal 22 al 29 si svolse, in modo edificante, il corso degli esercizi spirituali per le signore, predicati da Don Giovanni Cagliero e da Don Mallarini, Vicario di Canelli.
Il 5 settembre spirava nel bacio del Signore Don Giuseppe Cagliero, nella fresca età di 27 anni. Amante della quiete e della ritiratezza, nella dimora di Mornese, lontano dai frastuoni mondani, parevagli di aver trovato il paradiso in terra. La sua malattia durò oltre un mese e la sopportò con ammirabile rassegnazione. Non vi fu cura di medico, nè di assistenza, nè di rimedio che non fosse messa in opera, a segno che egli si lagnava dicendo: - Se mi usano tanti riguardi, dove andrà la povertà del prete? - Il padre, quando fu a visitarlo, l'invitò a recarsi a casa ed egli:
- In nessun luogo potrò essere meglio assistito di quel che sono qui. Nemmeno un principe può avere miglior assistenza!
La sua inattesa scomparsa lasciò una dolorosa impressione nella nostra Società; Don Bosco stesso ne fu assai addolorato e scriveva al fratello, il chierico Cesare, in questi termini:
Comprendo di leggeri la costernazione tua e dei tuoi parenti per la immatura morte di tuo fratello Giuseppe. Ciò argomento dalla dolorosissima sensazione cagionata indistintamente in noi tutti della Congr. e della casa. È una delle prove cui ci volle Dio sottoporre. Così piacque a Dio, così fu fatto, e noi da volere a non volere dobbiamo adorare i santi decreti del Signore.
Deve però consolarci la sua santa morte, premio di una santa vita. Di' pure a tuo padre che nel figlio Giuseppe ha un protettore [644] in cielo; che fra breve tempo lo vedremo in uno stato migliore che non era quello della vita presente.
Non mancherò di pregare per te e pe' tuoi parenti; pregate anche voi per me, e nella speranza di passare la prossima settimana a Lanzo, ti auguro ogni bene e mi professo,
E disponeva, senz'indugio, che temporaneamente si recasse a Mornese Don Giovanni Cagliero, cugino del defunto; e poi v'inviava Don Giacomo Costamagna, anima ardente della perfetta osservanza, che sentì subito la più alta ammirazione per le singolari virtù della Beata Mazzarello.
Davvero, quanti la conobbero da vicino, n'ebbero tutti la stessa convinzione.
“Le sue virtù - scriveva Don Lemoyne su due pezzetti di carta destinati ad esser collocati a questo luogo e che noi riferiamo tali quali vennero da lui abbozzati - le sue virtù e le sue opere per tale la inducevano. Era di un'indole ardente, mortificata dalla dolcezza e dalla carità. Aveva acquistato un gran dominio sovra se stessa, ed era giunta a saper vivere di continuo alla presenza di Dio e ad essere attentissima per non mancare in nulla, nè in parole, nè in atti. Splendeva in lei un gran buon senso, santificato dall'amore soprannaturale per le anime. Aborriva ogni singolarità nelle divozioni. Aveva maturità di senno, precisione di vedute, prontezza di giudizio, energia di volontà. Era franca e schietta nel dire il suo parere e sapeva sostenerlo, ma sottomettevasi alle decisioni di Don Pestarino. Di cuore sensibilissimo, era imparziale con tutti. Il suo fare, disinvolto e spiritoso, ma sempre composto; e il suo portamento, naturale e nobile.
Era poco istruita, non essendovi in Mornese scuola per le fanciulle. Sapeva leggere, ma non scrivere[112]. Aveva però ingegno sveglio e memoria tenace. Era meravigliosa nel far conti complicati sulle dita e con maggior prestezza di altri che li facesse colla penna. [645]
Fin da ragazza era sempre stata la prima nel sapere il catechismo e ritenere le spiegazioni del parroco; e interrogata era stata sempre pronta a rispondere. Attentissima alle spiegazioni del Vangelo ed alle istruzioni domenicali, le riteneva con chiarezza. Oltre a ciò la sua lettura continua era nelle opere spirituali di S. Alfonso e qualche opuscolo del Frassinetti...”.
Era un'umile figlia dei campi, ma di grande ingegno e di criterio e discernimento singolare, e in pari tempo umilissima. „Quale candelabro splendidissimo, mostrava a ciascuna la luce delle sue buone opere... Attentissima era soprattutto ad esigere l'osservanza della Regola, e a non lasciare introdurre abusi, nè grandi nè piccoli, i quali paragonava ai fori di una barca, che, riempiendosi a poco a poco di acqua, mette a pericolo la vita di quelli che vi si trovano dentro...”[113].
Mons. Costamagna, che per tre anni fu direttore spirituale del nuovo Istituto, pieno di ammirazione per la vita esemplarissima che vi si conduceva, dichiarava: „Quella casa era veramente santa... perchè vi era alla testa una santa, Suor Maria Mazzarello. Virtutes eius quis enarrabit? Chi potrà dirne convenientemente le lodi?”.
Tra “i molti particolari di santità dell'eletta figura” di questa grande Serva di Dio, lo stesso Sommo Pontefice Pio XI, nell'illustrare il Decreto delle sue eroiche virtù, si soffermava a rilevarne “l'umiltà”. „È veramente questa, l'umiltà, la nota caratteristica della vita della Venerabile. Una grande umiltà fu la sua; si direbbe proprio una piena coscienza, e il continuo pratico ricordo dell'umile sua origine, dell'umile sua condizione, dell'umile suo lavoro... La sua umiltà! fu così grande da invitare noi a domandarci che cosa vede Iddio benedetto in un'anima umile, veramente umile, profondamente umile, che, appunto per l'umiltà, tanto, si direbbe, lo seduce, e gli fa fare fino alle più alte meraviglie per mezzo di essa...
Questa piccola, semplice, povera contadinella, che aveva soltanto una formazione rudimentale, dimostra ben presto [646] quel che si dice un talento, uno dei più grandi talenti: il talento del governo. Grandissima cosa questa; ed Ella dimostra di possederla e la possiede a tal punto che un uomo come San Giovanni Bosco, il famoso Don Bosco, così profondo conoscitore degli uomini, e così intelligente ed esperto nel governo di uomini e di cose, scorge subito quel raro e prezioso talento, e se ne vale ...; e l'opportunità e l'efficacia di tale scelta venne dimostrata non solo dal fondarsi stabile, sicuro della nuova Famiglia di Maria Ausiliatrice, ma anche dal rapido, meraviglioso ingrandirsi e propagarsi del fiorente Istituto...”[114].
Base della santità di Maria Mazzarello, dal giorno che si consacrò a Maria Ausiliatrice, fu d'imitare gli esempi e d'attenersi ai semplici desideri di Don Bosco.
- Viviamo, viviamo, ripeteva, alla presenza di Dio e di Don Bosco... - Così vuole Don Bosco! Egli ci parla in nome di Dio e noi dobbiamo farlo.
E proprio questo fu il segreto del maraviglioso sviluppo dell'Istituto: seguir fedelmente, in tutto, le norme e i consigli del Santo Fondatore!
Il 1874 veniva coronato coll'apertura della prima casa filiale a Borgo S. Martino, e dall'ingresso nell'Istituto della postulante Caterina Daghero di Cumiana, la quale, avendo appreso dal cugino Don Giuseppe Daghero, salesiano, la fondazione della nuova Famiglia di Don Bosco, vinte non poche titubanze si consacrava ad essa con tanta esemplarità e generosità, che nel 1881 veniva eletta a succedere a Maria Mazzarello, e per 43 anni governò saggiamente l'Istituto.
Vivente ancor Don Bosco entravano a far parte dell'Istituto anche tre sue pronipoti: Rosina, Clementina ed Eulalia, figlie di Francesco ed Angela Bosco, le prime passate al premio eterno in ancor giovine età nel 1892, mentre la terza fu per molti anni Direttrice, Ispettrice, Economa, e Consigliera Generalizia.
L’Istituto, alla morte di Maria Mazzarello, aveva 26 case, 139 professe e 50 novizie; alla morte di Don Bosco, 50 case, [647] 390 professe e 99 novizie; alla morte di Don Rua, 294 case, 2666 professe, e 255 novizie; e presentemente (31 dicembre 1938) ha 799 case, 8244 professe e 738 novizie!
E vivono ancora più di cento Figlie di Maria Ausiliatrice che conobbero il Santo Fondatore, e tutte, per tradizione familiare, ne hanno vivi i più cari ricordi.
Anche per le Figlie di Maria Ausiliatrice egli ebbe le più delicate attenzioni e sollecitudini squisitamente paterne, e ci par conveniente, anzi doveroso, il coronare questa parte delle sue Memorie, coll'esporre alcuni aneddoti, semplici ma significativi, che torneranno graditi e salutari anche ai futuri.
Per Don Bosco la vocazione era una grazia singolare, e diceva alle sue religiose:
- “Suora!” Oh! questa è una grazia grande di Maria Ausiliatrice, e perciò voi avete dei grandi debiti verso sì buona Madre.
- Siate osservanti delle Costituzioni, anche nelle piccole cose. Fate del bene! Fate bene ogni cosa! Pregate bene, con divozione, e compite bene anche tutti i doveri materiali, in cucina, in laboratorio!...
- Fate che ogni punto della Santa Regola sia un mio ricordo. Lavorate, lavorate e non aspettate d'essere pagate dalle creature di quaggiù, - e la paga che Dio vi darà, sarà immensamente più grande dei vostri meriti!
- Lavorate, lavorate, ed avrete una bella quindicina al termine della vostra vita!
Per tutte, anche per quelle intente ai lavori più umili, aveva sempre la buona parola. Ad alcune, addette alla cucina nel collegio di Borgo S. Martino, che gli avevano chiesto, per ricordo, un buon pensiero:
- Voi che siete qui, diceva, non lamentatevi mai nè del freddo nè del caldo. Non farete male a dir talvolta: “Oh! che caldo!... Oh! che freddo!”...ma fate di tutto per non dirlo mai in tono di lamento. Ricordatelo: questo è il pensiero che vi lascia Don Bosco. [648] Una volta fu udito esclamare:
- Voglio insegnarvi la superbia santa. Sì, la superbia santa! dite ciascuna così: - “Io voglio essere la più buona di tutte!” - però senza credere di esserlo! ditelo solo con tutta la buona volontà! Dite: -“Non voglio mai abbassarmi a commettere un peccato; e voglio morir sul lavoro!” - Avete capito? Ciascuna procuri di divenir la più buona di tutte, coll'evitare ogni colpa deliberata, e coll'essere lieta di morir sul lavoro per la gloria del Signore!...
- Siete tutte allegre?... Vi raccomando santità, sanità, scienza... ed allegria! Fatevi tutte sante Terese! e ricordatevi che il demonio ha paura della gente allegra; egli vi tenterà di scoraggiamento per il molto lavoro che avete; e voi [parlava in un laboratorio], aggiustando le calzette dei nostri birichini, dite: - Quelle gambette salteranno poi in paradiso!... E così per i piatti che lavate, e per tutti i lavori che fate, avrete tante anime salvate!...
Naturalmente in questa vita, tutti, qualunque sia lo stato in cui ci troviamo, abbiam da soffrire; ma se siamo cristiani e vogliamo esser degni di raggiungere un giorno la felicità eterna, dobbiamo imitar Gesù Cristo anche nel soffrire; e Don Bosco ripeteva:
- Tutti dobbiamo portare la croce come Gesù, e la nostra croce sono le sofferenze che tutti incontriamo nella vita!
- So che alcune di voi soffrono molto, ma si ricordino che in questa vita abbiamo le spine e nell'altra le rose!
Ammaestrava ed ammoniva sempre con grazia singolare.
- Fate conto delle cose piccole! Guardate un sacco di riso! finchè è in buono stato, sta ritto, ma se viene ad avere un bucherello, a poco a poco comincia a perdere i grani, e poi il buco s'allarga, e il sacco finisce per cadere a terra.... Così noi, se non stiamo attenti nelle piccole cose, a poco a poco cadiamo nelle grandi!...
Un giorno, mentre una suora addetta alla cucina, nel movere una pentola, lui presente, n'ebbe il modestino macchiato di alcune gocce di brodo, osservò che quelle macchioline le avevano guastato il modestino, e: [649]
- Così, soggiungeva, è dell'anima, che, se in morte ha anche solo una piccola macchia, non viene ammessa alla gloria celeste, ma prima deve purificarsi nel purgatorio.
In un collegio avevano comprato un po' di mele fresche e belle, e ne avevano collocato il canestrino accanto la finestra della dispensa; ed ecco, d'un tratto, tutte le mele scomparse!... La direttrice vede Don Bosco, l'avvicina e gli dice:
- Sa', Padre, che cosa ci han fatto i giovani questa mattina? Avevamo provveduto un po' di belle mele per il pranzo dei forestieri [era un giorno di festa per il collegio], e ce le hanno rubate tutte!...
Ed egli, colla calma abituale:
- Il torto non è dei giovani, ma vostro. Chiamate il prefetto, e ditegli che Don Bosco ha detto di far subito apporre un'inferriata a quella finestra... Ricordatevi di non mettere mai i giovani in occasione di poter commettere una mancanza; ecco il sistema preventivo di Don Bosco!
Era in ogni caso il buon padre ed il maestro esemplare!
Amava tanto la povertà, ma voleva anche fossero usati i dovuti riguardi a coloro che ne abbisognavano. V’era una suora cagionevole di salute, che voleva tornare in famiglia; ed egli, dopo aver raccomandato alla comunità di lavorare per il Signore con energia, con amore, con generosità, e di pregar con fede e con fervore:
- Il Signore, proseguiva, non ci ha mai lasciato mancare il necessario, nè per i sani, nè per i malati. Se v'è prescritto dal dottore di darvi dei polli, la Congregazione li provvede. Aiutatemi a far andare avanti la baracca!
Ma egli cercava sempre d'evitare ogni eccezione!
Una mattina, dopo aver confessato a lungo, venendogli offerto un bicchier d'acqua con un po' di ribes, esclamò con aria sorridente: - Don Bosco non ha sete, e, se avesse sete, gli basterebbe un bicchier d'acqua fresca!
Un altro giorno gli venne offerto, a colazione, un uovo battuto, con caffè e latte; ed egli l'accettò e prese a mettervi lo zucchero.
- Padre, gli disse nella sua ingenuità la suora, ve l'ho già messo lo zucchero! [650] Ed egli, sempre affabile e sorridente, le rispose:
- Non sapete che Don Bosco deve copiare la dolcezza di S. Francesco di Sales?!...
A Lanzo una mattina venne portata la colazione a lui e al direttore, e la sua tazza conteneva un uovo battuto, quella del direttore no. Che fece? prese la sua tazza, e, fissandola, l'offerse al direttore dicendo: - Questa prèndila tu! perchè Don Bosco deve dare buon esempio; e poi è cosa superflua. - Il direttore insistette, ed egli la prese, per obbedienza, come un bambino.
Un altro fatterello ancor più carino, tale quale è narrato da Mons. Costamagna:
“Sul finir del 1874 si era trapiantato nel collegio di Borgo S. Martino il primo germoglio della Pianta - Madre di Mornese. Pochi mesi dopo l'impianto di quella casa, Don Bosco fu a visitarla. Ed èccogli davanti la Direttrice Suor Felicita Mazzarello (sorella della Superiora Generale), la quale, tutta corrucciata, gli dice:
- Che difficoltà avete, mia buona figlia? le rispose Don Bosco.
- Il Direttore, continuò Suor Mazzarello, vuole assolutamente che a pranzo siano serviti anche a noi due piatti; perchè, dice, se non ci alimentiamo un po’ di più, non la potremo durare a lungo in questo collegio, dove c'è tanto da lavorare. Ma intanto là a Mornese, nella Casa Madre, a pranzo non hanno che una pietanza sola, e sono sempre tutte allegre e contente. Ci dica adunque, come faremo? dobbiamo ascoltare il Direttore, o seguir l'usanza della Casa Madre?
- L'affare è grave davvero, rispose con finta serietà Don Bosco; è d'uopo riflettervi ben bene prima di dare una risposta decisiva. Il Direttore, già si sa, bisogna obbedirlo; - d'altra parte le usanze di Mornese è pur necessario rispettarle. E... dico anch'io, come faremo?... ma prima di decidere, portatemi qua, se vi piace, le vostre due pietanze.
Gliele portarono sull'istante, perchè era imminente l'ora del pranzo. Allora Don Bosco, versando in un solo piatto [651] vuoto quanto contenevano gli altri due, e porgendolo alla Direttrice:
- Ecco, disse, ecco tolto ogni scrupolo; qui avete due pietanze in un solo piatto ad un tempo, e così nè il Direttore, nè quei di Mornese potranno chiamarsi malcontenti di voi”[115].
Non la finiremmo più, se volessimo ricordare tutti i fatterelli che ricordavano e ricordano ancora le Figlie di Maria Ausiliatrice che conobbero Don Bosco; e, nella certezza che verranno raccolti in un volumetto per serbarne in perpetuo la memoria, noi ci limitiamo a riferir ancora queste dichiarazioni singolari.
Il Santo aveva la delicatezza di ricordare e raccomandare anche alle Suore, che scrivendo ai loro genitori, non mancassero di salutarli da sua parte, e più d'una volta fu udito dire così:
- Quando scrivete ai vostri genitori, dite loro che Don Bosco prega per loro, e salutateli sempre da parte mia. La Madonna benedice quelle famiglie che dànno le proprie figlie a questa Congregazione...
Quando scrivete ai vostri parenti, dite che Don Bosco li saluta e che tutti quelli che hanno dei Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice saranno tutti salvi fino alla terza e alla quarta generazione!
Fu udito anche ripetere: - Se i Salesiani e le Figlie di Maria Ausiliatrice corrisponderanno fedelmente alla loro vocazione, vedrete le meraviglie che Maria SS. Ausiliatrice opererà per mezzo loro!
Ma insieme con la promessa delle benedizioni più copiose, gli usciva dal cuore anche il guai terribile, qualora deviassero dalla via tracciata:
“Finchè i Salesiani e le Figlie di Maria Ausiliatrice - l'udì ripetere il Card. Cagliero - si consacreranno alla preghiera e al lavoro, praticheranno la temperanza, e coltiveranno lo spirito di povertà, le due Congregazioni faranno del gran bene, - ma se per disgrazia rallentano il fervore, e rifuggono [652] dalla fatica, e amano le comodità della vita, esse avranno fatto il loro tempo, incomincerà per loro la parabola discendente, sbatteranno a terra, e si sfasceranno”[116].
È superfluo aggiungere una sillaba! Chi legge, comprende l'ammonimento del Santo Fondatore in tutta la sua bellezza e in tutta la sua gravità!...[653]
SULLA COMPERA DELLA CASA CARANTE.
Rev.mo e Car.mo Signor Superiore,
Giunto a casa trovai una lettera del sig. Traverso, dove mi diceva che quel Signore era già stato a casa sua varie volte, chiedendogli se aveva avuto risposta per il contratto, perchè nel giorno 30 scadevagli il tempo utile per riscattar una terra in cui avrebbe perduto duemila franchi; e se avevo risposta da Torino, facessi il piacere notificarglielo, perchè il tempo era ristretto.
Mi portai dal sig. Notaio, e gli comunicai l'assenso di V. S. Car.ma, ma che avrei avuto desiderio prima spedir a Torino in iscritto tutte le condizioni ecc.; ma il tempo urgeva; volevano far aspettar i creditori del sig. Carante, e non vollero; perciò pensato bene e fatte alcune sedute col signor Traverso del modo di chiudere e spiegar l'atto, esaminata la minuta con tutte le condizioni a noi più convenienti, e sapendo V. S. Car.ma esser contenta si faccia purchè sia conveniente ed utile, si conchiuse di fare; ed il giorno 30 si fece l'istromento d'acquisto (come presto le spedirò copia) per diecimila e trecento, compreso il sito verso Casaleggio; sborsate tre mila e queste assicurate anche dalla moglie del signor Carante in crediti extradotali, e presa ipoteca sulla terra riscattata in tre mila fr. sborsati, e li altri non pagabili se non dopo dichiarato e provato libero il caseggiato da ogni ipoteca e gravame ecc.
All'istromento comparve il signor Contino impresario, che comprò a nome di persona da dichiararsi dopo l'atto entro 24 ore, e così sborsò le tre mila avute dalla stessa da dichiararsi il nome. [654] Il giorno 31 fece la dichiarazione al signor Notaio in nome del M.to Rev.do Don Bosco Giovanni residente nella città di Torino. Di tutto questo spedirò poi copia; e come parve a tutti l'atto fu formolato bene.
Il Signor Traverso nulla volle del Rogito e si contentò della somma dovuta al Governo per l'insinuazione che si spedisse entro tre giorni per scansar maggior tassa. Così il Signor Contino nulla volle d'aver fatto la perizia. Se crederà bene farli scrivere ad ambedue una lettera di ringraziamento, oltre le loro parti, del resto fatte, e dell'impegno mostrato in segreto, e spedirli un libro che credesse V. S. M. R. per attestato di riconoscenza; il resto farò in bottiglie. I mille franchi che mi mancavano li trovai da persone confidenti senza dover pagare interesse; e per l'insinuazione mi capitò un debitore che mi doveva 500 franchi, senza cercarlo; sicchè per ora tutto è pagato senza disturbo alcuno.
Oggi appena si seppe nel paese che Don Bosco comprò la casa suddetta e lasciò a mia disposizione una somma, e tutti sono contenti, e mostrano gran soddisfazione; il Sindaco quando li dissi la cosa, rispose: - Benissimo... - non vorrei aver guadagnato cento franchi; bene bene; è un sito che sta troppo bene, così nessuno può più disturbarli.
La casa sarà libera entro tre mesi, alla fine cioè di giugno; così conchiusero, e la parte che avevano gli inglesi, già avevano mandato le chiavi mesi fa, e non volle accettarle, ora si vedrà, ma nel caso parlerò io; ma ad ogni modo corre il fitto dal cominciar domani a nostro vantaggio; se crederà mandar alcuno per veder il da farsi riguardo a tutto il rustico mi farà piacere; come crederà; benchè mi assicurò il sig. Traverso che vi sarà tempo a pagare, dovendo far il trasporto della dote della moglie in altre terre, e son cose che vanno alla lunga. Ad ogni modo se mi dirà il suo sentimento a qualunque riguardo, sarà per me sempre il più bel conforto. Io non lascerò di pensare e mirar il da farsi per provveder intanto i denari, e se vi sarà tempo per qui, li spedirò o porterò a Torino a V. S. Car.ma. La saluto di cuore e raccomandandomi alle sue orazioni mi protesto sempre,
Sac.te Pestarino Domenico. [655]
MAESTRO DI MUSICA NEL COLLEGIO DI LANZO”.
AL SACERDOTE GIOVANNI BOSCO PER LA RICUPERATA SALUTE
Padre mio, chi può ridire |
Il tapino, l'orfanella, |
il dofor de' figli tuoi, |
il patrizio, e l'infulato, |
allorchè s'intese a dire |
nel silenzio della cella |
che un rio morbo Ti colpi? |
voti al ciel per Te innalzò; |
ogni lingua in mezzo a noi |
Ah! il Signor sia ringraziato |
ogni labbro ammutolì. |
che all'Italia ti serbò! |
Eran nostri, o buon Giovanni, |
Anche il dolce, il Sommo Pio, |
il tuo mal, la tua sciagura, |
dalla stretta sua magione |
eran nostri i duri affanni |
un pensier rivolse a Dio |
che straziavan il tuo cuor; |
pel suo suddito fedel, |
Tu vedevi in queste mura |
e dall'alta sua regione |
pinta un'aria di dolor. |
Gli sorrise il Re del Ciel. |
Alla voce repentina |
Oh potente la preghiera |
tutta Italia si commosse, |
fu del giusto e dell'eletto! |
Ogni pian, ogni collina, |
E' passata la bufera, |
ogni lido si- turbò; |
più ridente splende il sol, |
ogni cuor, qualunque fosse, |
ritornò all'antico tetto |
sui tuoi giorni trepidò: |
il buon Padre; or cessi il duol. |
Cessi il duolo e una voce di gioia |
da noi tutti alle stelle si levi; |
dal suo cuor è fuggita la noia, |
i suoi di si son fatti men grevi; |
benedetto il Signore d'Abramo |
che il buon Padre ai suoi figli lasciò; |
umiliati il suo nome invochiamo, |
Ei la voce de' figli ascoltò. [656] |
Ah Signor, se la prece non sdegni |
che sincera ne sgorga dal petto, |
fa' che qui lungo tempo Egli regni, |
il Tuo Servo, il Tuo figlio diletto, |
qui le stanche sue membra riposi, |
e accasciar le sue forze non osi, |
o Signore, il rigor dell'età! |
Da cantarsi dalle Figlie del nuovo Istituto di Mornese sotto il titolo dell'Immacolata e di Maria Ausiliatrice.
Con mille saluti e ringraziamenti anticipati.
[P. S.]. Qualche strofa in musica di qualche lode pel tempo della S. Comunione.
Tutte facili, armoniose, adattate a Figlie principianti.
VERBALE DELLE PRIME VESTIZIONI E PROFESSIONI
DELL’ISTITUTO DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICE.
Già da molto tempo il M. Rev. Giovanni Bosco, Fondatore e Direttore Generale di molti collegi per la cristiana e civile educazione dei giovanetti, desiderava di aprire una casa che fosse il principio di un Istituto per cui si estendessero uguali benefici alle zitelle, precipuamente della classe del popolo, e finalmente un tale suo voto veniva appagato.
Il giorno 5 del corrente mese nella cappella di questa casa vestivano l'abito della nuova Congregazione: - Maria Mazzarello di Giuseppe, di Mornese; Petronilla Mazzarello fu Francesco, di Mornese; Felicita Mazzarello di Giuseppe, di Mornese; Giovanna Ferrettino fu Giuseppe, di Mornese; Teresa Pampuro fu Lorenzo, di Mornese; Felicita Arrecco di Giov. Ant., di Mornese; Rosa Mazzarello di Stefano, di Mornese; Caterina Mazzarello fu Giuseppe, di Mornese; Angela Jandet di Luigi, di Torino; Maria Poggio fu Gaspare, da Acqui; Assunta Gaino di Antonio, da Cartosio, Maria Grosso di Francesco, da S. Stefano Parodi; Corinna Arrigotti di Pietro, da Tonco; Clara Spagliardi di Lorenzo, da Mirabello; delle quali le prime undici fecero professione religiosa con voti a tre anni, emessi in mano di Sua [657] Ecc. Rev.ma Monsignor Giuseppe M. Sciandra, Vescovo di questa Diocesi, il quale poco prima aveva loro indossato l'abito religioso, imponendo alle novizie la medaglia di N. Signora Ausiliatrice ed alle professe il Crocifisso.
La funzione religiosa fu commoventissima e vi intervenne, per grazia speciale del Signore, il prefato Molto Rev.do Giovanni Bosco, che più non si aspettava per sua malferma salute, e le novelle religiose ebbero la consolazione di ricevere da lui i più importanti avvertimenti per corrispondere alla grazia della vocazione nell'Istituto religioso da esse abbracciato. Vi è un cumulo di circostanze che dimostrano una speciale provvidenza del Signore per questo nuovo istituto.
Già il maggior numero delle succitate zitelle aveva ricevuto in Mornese la medaglia di Maria SS. Immacolata dalle mani di Monsignor Modesto Contratto, di venerata memoria; e Mons. Sciandra suo immediato Successore, essendosi degnato di accettare l'ospitalità in questa Casa a lui offerta, unicamente perchè in quest'aria salubre si riavesse da una sofferta malattia, compiva l'opera con presiedere egli medesimo alla funzione sunnotata. Questa si doveva fare al termine dei santi esercizi dettati dal rev. Sig. D. Raimondo Olivieri Can. Arciprete della Cattedrale di Acqui e dal rev. Sig. Don Marco Mallarini Vicario Foraneo di Canelli, cominciati alla sera del 31 luglio p. p., ma attesa la presenza del M. Rev. D. Bosco che doveva tosto ripartire per Torino, si anticipò, tanto più che il giorno 5 era sacro a Maria SS. della Neve. Gli esercizi finivano quest'oggi giorno 8 e Monsignor Vescovo, il quale nel corso di essi aveva tutte le mattine celebrata la S. Messa alla religiosa famiglia e loro aveva distribuita la SS. Eucaristia, in modo più solenne assisteva alla chiusura, cui coronava con alcune parole d'incoraggiamento e salutari ricordi a queste nuove sue figliuole in G. Cristo, e loro impartiva con tutta l'effusione del cuore la sua pastorale benedizione.
E perchè consti di quanto sopra, fu redatto il presente Verbale, copia del quale verrà deposto per ordine di Mons. Vescovo nell'Archivio Parrocchiale di Mornese, ed altra copia nella Curia Vescovile di Acqui.
+ SCIANDRA GIUSEPPE M., Vescovo.
Sac. Domenico Pestarino, Direttore dell'Istituto.
Sac. Olivieri Raimondo, Can. Arciprete Cattedrale, Acqui.
Sac. Marco Mallarini, Priore Vicario Foraneo di Canelli.
Sac. Carlo Valle, Prevosto di Mornese.
Sac. Pestarino Giuseppe. Sac. Ferraris Tommaso.
Sac. Francesco Berta, Segretario Vesc. [658]
LETTERA DEL VICARIO APOSTOLICO DI HYDERABAD.
VICARIATO APOSTOLICO DI HYDERABAD
Secunderabad, 13 agosto 1871] Carissimo e Molto Rev. signor D. Bosco,
È ormai tempo che mantenga la promessa fattale, di scriverle cioè da questa mia Missione e così darle nuove di questo paese, di queste buone suore di S. Anna che Lei ben conosce, e anche del mio nulla che Lei tanto ama.
Qui noi grazie a Dio godiamo pace, tranquillità, e piena libertà nell'esercizio del nostro Santo Ministero. Siamo rispettati e da pagani e da musulmani e da protestanti, e venerati ed amati dai nostri poveri Cristiani. La nostra povera missione va avanti per grazia di Dio assai bene e in quest'anno vi furono, la Dio mercè, più di cento battesimi di pagani, dei quali settantanove adulti, compresivi però diciannove protestanti, ribattezzati sotto condizione. È davvero poca cosa fra tanti milioni di pagani che abbiamo d'intorno a noi, che vivono nelle tenebre di morte, ma pure è qualche cosa considerato il piccolo numero di missionarii che sono qui, e già tutti occupatissimi nell'attendere ai Cristiani che sono dispersi in grande lontananza. Preghi per me, carissimo D. Bosco, e per questa mia povera missione e faccia pregare anche cotesta sua buona comunità per la conversione dei poveri infedeli.
Le sei suore di S. Anna che sono qui mi lasciano di riverirla tanto tanto. Godono esse tutte ottima salute. Sono tutte allegre e contente d'essere state da Dio prescelte per queste Indie. Hanno già esse fatto tanto progresso nella lingua inglese da poterla non solo parlare, ma d'insegnarla anche nelle nostre scuole femminili.
Mi ricordo bene di quel giorno, in cui trovandoci assieme a pranzo in casa Zina, la S. V. Molto Rev. mi disse queste parole: - Le suore che farebbero bene per la sua missione sarebbero le Suore di Sant'Anna della Provvidenza. - Carissimo e molto Rev. mio D. Bosco, io le sono proprio grato e riconoscente che mi abbia fatto conoscere le suore di Sant'Anna e veggo che sono proprio fatte per la mia missione, possedendo esse tutte e quante le qualità che si ricercano per monache, che vogliono dedicarsi al bene delle missioni fra gli infedeli. Deo gratias et Mariae.
Gradisca, Molto Rev. Sig. D. Bosco, i miei umili ossequii, estensibili a tutti codesti suoi buoni confratelli e mi creda qual sono e sarò sempre
LETTERA DI DON BOSCO A DON RUA[117].
Se Mad. Blengini non è ancora andata a Mornese, dìlle che stia tranquilla, che poco per volta le cose si aggiusteranno. Ho già scritto in proposito; una lettera l'attende colà.
Per risparmiare spesa al nostro Peire, aveva tentato una nuova via, che non è riuscita. Ora che sono finite le ferie si farà corso ad ogni cosa ma bisogna pagare, non avendo potuto ottenere altrimenti. Avrà quanto prima il rescritto.
D. Bonetti mi scrisse; parmi quieto.
Se D. Cerruti ha danaro fermo, ve lo mandi. Se avete danaro oltre all'attuale bisogno, cominciate a pagare, tutto o in parte, la successione Belletrutti.
LETTERA DELLA BEATA MARIA MAZZARELLO.
Permetta che ai tanti auguri che da ogni parte s'innalzano al cielo per la sua conservazione e prosperità, io unisca anche i miei, i quali, benchè non siano espressi con sublimi parole, non sono però meno fervidi e veraci.
Vorrei poterle dimostrare in qualche modo la riconoscenza ch'io sento verso la S. V. per tutto il bene che ella fa continuamente non solo a me ma anche a tutta questa Comunità.
Non essendo capace a dirle tutto ciò che sente l'animo mio, pregherò col maggior fervore possibile il suo grande protettore perchè voglia supplire alla mia incapacità, coll'ottenerle tutte quelle grazie ch'ella maggiormente desidera.
Lo pregherò ancora affinchè voglia ottenere speciali benedizioni sopra tutte le opere sue, cosicchè ella possa godere, fin da questa vita, il premio dovuto alle tante sue virtù col vedere coronate le sue fatiche e portar esse in abbondanza quei frutti per ottenere i quali ella tanto lavora. [660]
Permetta, Rev.mo Superiore Maggiore, ch'io mi raccomandi alle sue preghiere acciò possa adempiere con esattezza tutti i doveri che la mia carica m'impone e possa corrispondere ai tanti benefizi fattimi dal Signore ed alle aspettazioni della S. V.; dica una di quelle efficaci parole a Maria SS. perchè voglia aiutarmi a praticare ciò che debbo insegnare alle altre e possano così ricevere tutte da me quegli esempi che il mio grado m'obbliga di dar loro. Nel giorno del suo onomastico dirò a tutte di fare la S. Comunione per V. S.; ella si ricordi di me e di tutta la Comunità.
Voglia perdonare alla mia incapacità che non sa esprimersi e voglia interpretare in queste poche e mal connesse parole tutto ciò che il mio cuore vorrebbe dirle, e compartendomi una sua particolar benedizione mi creda quale mi protesto col dovuto rispetto,
Casa di M. A., 22 giugno 1874,
La nostra Società cominciò in realtà - come diceva Don Bosco - nel 1841.
“Questa Pia Società - scriveva nel 1874 - conta già 33 anni di esistenza. Nacque e si consolidò in tempi e luoghi burrascosi, in cui si voleva abbattere ogni principio, ogni autorità religiosa, specialmente quella del Sommo Pontefice. In tempi e luoghi in cui furono dispersi tutti gli Ordini religiosi e le pie Congregazioni dell'uno e dell'altro sesso, furono soppresse le Collegiate, incamerati i beni dei Seminari, delle mense vescovili. Tempi, in cui erano, si può dire, annullate le vocazioni religiose ed ecclesiastiche... Nel 1852 ebbe l'approvazione dell'Arcivescovo diocesano Mons. Fransoni; nel 1858 il Regnante Pio IX, profondo conoscitore del modo con cui devonsi educare cristianamente i giovanetti, ne tracciava le basi e le regole”. [662]
Evidentemente egli ravvisava i primordi della Pia Società nell'immediata e cordiale cooperazione di laici ed ecclesiastici al suo apostolato a pro' della gioventù, imitati poco dopo da vari degli stessi allievi, i quali, mossi dalla più affettuosa riconoscenza, generosamente si proposero di rimaner sempre accanto a lui e di consacrar a Dio tutta la vita.
Ma quante sollecitudini e quante fatiche costò a Don Bosco il dare alla nuova istituzione una forma regolare! E quante pene ebbe a soffrire per essa anche dopo averne ottenuto dalla Santa Sede l'approvazione definitiva! Basta richiamare alla mente la sua dichiarazione:
- Se avessi saputo prima quanti dolori, fatiche, opposizioni e contradizioni costi il fondare una Società religiosa, forse non avrei avuto il coraggio di accingermi all'opera!
Sorta spontaneamente, come abbiamo ricordato, Don Bosco aveva deciso di farne un'istituzione compatibile coi tempi d'allora, composta di sacerdoti e di laici esemplari, uniti da semplici promesse; ma il Sommo Pontefice Pio IX, chiamato da lui stesso „Confondatore della Pia Società”, gli faceva osservare che per conservar l'unità di spirito e d'azione bisognava farne una Congregazione regolare, sia pure con regole miti e di facile osservanza ma col vincolo dei voti religiosi, alla quale poteva dare il titolo semplice di Società, e l'invitava a modificare in tal forma le Regole già abbozzate. Don Bosco annuì, e in un'altra udienza umiliava al S. Padre le ritoccate Costituzioni.
Noi non possiam dire con precisione quali sieno state. Nel V volume delle Memorie biografiche ne venne pubblicato un esemplare col titolo: - Regole Primitive della Pia Società di S. Francesco di Sales, presentate da Don Bosco a Pio IX nel 1858[118] - che, indubbiamente, è il più antico che ci rimane; ma non sarà una copia posteriore? Tornato a Torino, Don Bosco lesse e corresse molte volte la copia presentata [663] al Papa, e ripetè ancora, diligentemente, lo stesso lavoro, tant'è vero che noi abbiam potuto raccogliere ed ordinare più d'una dozzina di esemplari diversi, tutti manoscritti ed anteriori alla prima copia in latino, stampata nel 1867 nell’Oratorio.
Nel compiere cotesto lavoro il Santo ebbe tra mano le regole di altri Istituti religiosi, non solo antichi, ma anche moderni, come quelle della Congregazione delle Scuole di Carità (Istituto Cavanis), dei Rosminiani e degli Oblati di Maria Vergine fondati dal Servo di Dio don Brunone Lanteri a Carignano.
Nel capo 1° delle Regole degli Oblati, approvate da Papa Leone XII nel 1826, si legge come anche questi ecclesiastici, legati dai tre voti semplici di povertà, castità ed ubbidienza, da principio, benchè tutti lo desiderassero, non ritenevano „opportuno il farli in quei tempi ancora calamitosi”, ma poi li ammisero „essendo divenuti in certo modo necessarii, sia pel maggior bene spirituale di ciascun Oblato, sia per procurare una maggior stabilità alla Congregazione”.
Nelle stesse Regole è anche dichiarato che “la Congregazione ammette degli Aggregati esterni, quegli Ecclesiastici, cioè, che vivono nelle proprie case” e si sentono pronti a coadiuvare gli interni nell'esercizio del sacro ministero. Ed anche Don Bosco, come vedremo, pose ed insistè tanto per conservare nelle nostre Costituzioni il capo Degli Esterni, disposti a cooperare, secondo la propria capacità, al nostro apostolato, senza vincolo di voti, obbedienti alle disposizioni suggerite dal Rettor Maggiore.
Ora per comprendere appieno lo spirito del nostro Fondatore, conviene, prima di tutto, che ci fermiamo un po' a rilevare il lavoro che gli costò l'estensione delle Costituzioni.
L'esemplare pubblicato nel V volume delle Memorie biografiche, il più vecchio che ci rimane, scritto di mano del chierico Carlo Ghivarello, con molti ritocchi ed aggiunte di Don Bosco, che seguendo il consiglio di Pio IX per prima cosa cangiò il titolo di Congregazione in Società, è diviso in 11 capi: [664]
Governo interno della Congregazione.
Ed ecco come nel capo terzo era già nettamente delineato lo scopo dell'Istituto:
1. Lo scopo di questa Società si è di riunire insieme i suoi membri ecclesiastici, ed anche laici, al fine di perfezionare sè medesimi imitando le virtù del nostro Divin Salvatore, specialmente nella carità verso i giovani poveri.
2. Gesù Cristo cominciò a fare ed insegnare, così i congregati comincieranno a perfezionare se stessi colla pratica delle interne ed esterne virtù, coll'acquisto della scienza, di poi si adopreranno a benefizio del prossimo.
3. Il primo esercizio di carità sarà di raccogliere giovani poveri ed abbandonati per istruirli nella santa cattolica religione, particolarmente nei giorni festivi come ora si pratica in questa città di Torino nei tre Oratori di S. Francesco di Sales, di S. Luigi Gonzaga, ed in quello del Santo Angelo Custode.
4. Si incontrano poi alcuni giovani talmente abbandonati che per loro riesce inutile ogni cura se non sono ricoverati; a tale uopo per quanto sarà possibile si apriranno case di ricovero ove coi mezzi, che la Divina Provvidenza porrà fra le mani, verrà loro somministrato alloggio, vitto e vestito. Mentre poi verranno istruiti nelle verità della fede saranno eziandio avviati a qualche arte o mestiere, come attualmente si fa nella casa annessa all'Oratorio di S. Francesco di Sales in questa città.
5. In vista poi de' gravi pericoli che corre la gioventù desiderosa d'abbracciare lo stato ecclesiastico questa Congregazione si darà cura di coltivare nella pietà e nella vocazione coloro che mostrano speciale attitudine allo studio ed eminente disposizione alla pietà. Trattandosi di ricoverare giovani per studio saranno di preferenza accolti i più poveri, perchè mancanti di mezzi onde fare altrove i loro studi.
6. Il bisogno di sostenere la religione cattolica si fa grandemente sentire anche fra gli adulti del basso popolo, e specialmente nei paesi [665] di campagna, perciò i congregati si adopreranno di dettare esercizi spirituali, diffondere buoni libri, usando tutti quei mezzi che suggerirà la carità, affinchè e colla voce e cogli scritti si ponga un argine all'empietà, all'eresia, che in tante guise tenta d'insinuarsi tra i rozzi e gl'ignoranti; ciò al presente si fa col dettare di quando in quando qualche muta di esercizi spirituali e colla pubblicazione delle Letture Cattoliche.
Nello stesso esemplare, tra le aggiunte apposte da Don Bosco, si hanno questi articoli:
Nel capo: Forma di questa Società:
5. La Società provvederà a ciascheduno tutto quello che è necessario al vitto, agli abiti e a quanto può occorrere nelle varie vicende della vita, sia nello stato di sanità, sia in caso di malattia. Anzi occorrendo ragionevole motivo, il Superiore può mettere a disposizione di qualche socio quel denaro o quegli oggetti che egli giudicherà bene impiegati a maggior gloria di Dio.
5. Affinchè un socio possa essere ricevuto nella Società, oltre le qualità morali nel grado richiesto dalle regole, deve pure confermare la sua condotta anteriore con un certificato di nascita e Battesimo; 2° di stato libero; 3° sciolto da debiti; 4° non essere mai stato processato; 5° nè avere alcun impedimento che lo allontani o lo renda irregolare nello stato ecclesiastico; 6° approvazione dei parenti prima che faccia i voti.
6. Lo stato di sanità sia tale che almeno nell'anno di prova possa osservare tutte le regole della Società senza fare eccezioni di sorta.
7. Ogni socio se è destinato allo studio, entrando dovrà portare con sè: 1° corredo di vestiario almeno pari a quello che è prescritto pei giovani della casa; 2° cinquecento franchi nell'entrata, che serviranno a sopperire le spese che occorreranno nel vitto e vestito nell'anno di prova; 3° franchi 300 in fine dell'anno di prova, prima di fare i voti.
8. I fratelli coadiutori porteranno soltanto il corredo e fr 300 nella loro entrata senza ulteriori obbligazioni.
9. Il Rettore potrà dispensare dalle condizioni poste nell'articolo 7, qualora intervengano motivi ragionevoli per cui egli giudichi di fare eccezioni più o meno ristrette.
10. La comunità, appoggiata nella Divina Provvidenza, che non manca mai di venire in aiuto a chi in lei confida, si dà carico di, provvedere quanto occorrerà a ciascun socio, sia che egli trovisi in sanità, sia che cada in qualche malattia. La comunità però si obbliga solo in questo caso riguardo a que' soci che hanno già fatto i voti. [666]
11. A tutti si raccomandano caldamente due cose: di guardarsi attentamente dal contrarre abitudini di qualsiasi genere, anche di cose indifferenti; procurare la nettezza e la decenza degli abiti, del letto, e della camera, ma farsi un grande studio per evitare la ricercatezza e l'ambizione. L'abito più pregevole per un religioso è la santità della vita, congiunta con un edificante contegno in tutte le nostre operazioni.
12. Ognuno sia disposto di soffrire caldo e freddo, sete, fame, stenti e disprezzo, ogni volta tali cose contribuiscano a promovere la gloria di Dio, la salute dell'anima propria.
Un altro esemplare, scritto anch'esso dal chierico Ghivarello, è una bella copia del precedente, con nuovi ritocchi ed aggiunte del Santo, ed altre, posteriori, di Don Rua, e in fine tre nuovi capi:
Nel capo Dell'abito, tutto di mano di Don Bosco, si legge così:
1. L'abito della nostra Società sarà secondo l'uso dei paesi in cui i soci dovranno stabilire la lor dimora.
2. I sacerdoti porteranno regolarmente la sottana lunga, eccettochè la ragione di viaggio od altro motivo persuadano diversamente.
3. I coadiutori, per quanto è possibile, andranno vestiti di nero. Il fracco dovrà almeno giungere fin sotto il ginocchio.
E nell'art. 1° Delle pratiche di Pietà pose quest'aggiunta:
Ciascun socio ogni settimana si accosterà al Sacramento della penitenza dal confessore stabilito dal Rettore. I chierici ed i fratelli coadiutori procureranno di fare la Comunione almeno ogni giorno festivo ed al giovedì di ciascuna settimana.
Le aggiunte di mano di Don Rua:
Forma di questa Società: art. 14°: Il Direttore di ciascuna casa particolare dovrà almeno una volta all'anno rendere conto della sua amministrazione spirituale e temporale al Superiore generale o ad altra persona dal medesimo a tal uopo delegata.
Governo interno della Società: art. 1°: Riguardo al pubblico esercizio del sacro ministero i soci riconosceranno per loro superiore il Vescovo della Diocesi ove esiste la casa a cui appartengono. [667] Art. 3°: Non potrà... nè comprare stabili, nemmeno far contratti la cui materia ecceda il valore di 1000 franchi, senza il parere del Capitolo.
Degli altri Superiori: art. 9°: I consiglieri prenderanno parte a tutte quelle deliberazioni che riguardano anche „ai contratti di compra o vendita di stabili ed ai contratti di una somma che ecceda i 1000 franchi”, e „se non havvi almeno la maggioranza de' voti il Rettore deve sospendere le deliberazioni sopra l'oggetto proposto”[119].
Un altro esemplare - posteriore a quello inviato nel 1860 all'Arcivescovo Mons. Fransoni, esule a Lione, dove già era stato introdotto il capo: Delle case particolari - ha molti ritocchi e il nuovo capo: Elezione del Rettor Maggiore.
Quindi vien quello inviato a Roma nel 1864, con cui si ottenne il Decretum laudis - accompagnato dalle tredici Animadversiones, che suggerivano modificazioni ed aggiunte - nel quale si era già posto il capo: Governo religioso della Società, cosicchè si ebbero i 17 capi, che vennero conservati fino al 1873:
[2] Origine di questa Società.
[8] Governo religioso della Società.
[9] Governo interno della Società.
[10] Elezione del Rettor Maggiore.
[17] Professione e formola dei voti. [668]
Seguono due altri esemplari, anch'essi in italiano, posteriori al Decretum laudis:
uno con vari ritocchi, anche di Don Rua, e, di mano del Santo, il capo dell'Elezione del Rettor Maggiore interamente rifatto;
l'altro, che è una bella copia del primo, senz'alcuna delle correzioni suggerite dalle 13 Animadversiones.
Finalmente abbiamo tre copie, tutte manoscritte e in lingua latina:
una con molte correzioni di Don Francesco Cerruti, e alcune di Don Bosco e, tutta di sua mano, la traduzione del capo: De Rectoris Maioris electione;
un'altra, che è una trascrizione della precedente con tutte le correzioni, riveduta di nuovo da Don Bosco e da Don Cerruti, e con molte correzioni di lingua del Prof. Vincenzo Lanfranchi;
una terza, la trascrizione pulita della seconda, quasi uguale alla prima edizione stampata nel 1867 dalla Tipografia dell'Oratorio.
Dopo il Decretum laudis cominciarono subito le difficoltà per le sacre ordinazioni.
“Fino allora - dichiarava Don Bosco - le sacre ordinazioni si davano ai nostri soci da ciascun Vescovo secondo le regole generali de' sacri canoni, e ciascun Vescovo richiesto rimetteva volentieri alle nostre case il prete ordinato, perciocchè lo regalavano a quella casa, che inviava ogni anno parecchi chierici nel proprio seminario. Ma dopo quel decreto (il Decretum laudis) non fu più così. Laonde ognuno dimandava se dovevasi dare l'ordinazione a nome della Congregazione o dell'Ordinario. Non a nome della Congregazione che non poteva dare le dimissorie; non dell'Ordinario, perchè, si diceva, l'ordinando appartenere ad una famiglia religiosa...”.
Come fare? Non c'era altra via, per toglier ogni difficoltà, che inoltrare alla S. Sede la domanda della definitiva approvazione: e difatti, dopo aver trascorso cinque anni “sempre [669] tra le incertezze e le difficoltà”, il Santo, munito delle Commendatizie di ventiquattro Vescovi, nel 1869 si recava a Roma, ed insieme coll'esemplare delle Costituzioni in lingua latina, edito nel 1867, inoltrava l'istanza ed otteneva l'approvazione definitiva della Pia Società, mentre quella delle Costituzioni veniva differita. Tuttavia, come si leggeva nel Decreto del 1° marzo 1869, il Santo Padre, „benignamente annuendo alle preghiere del sacerdote Giovanni Bosco, concesse al medesimo, come a Superiore Generale della Pia Congregazione, la facoltà, valevole soltanto per tutto il decennio prossimo venturo, di rilasciare le Lettere Dimissoriali per ricevere la Tonsura e gli Ordini tanto Minori, quanto Maggiori, agli alunni che avanti i quattordici anni furono accolti in qualche collegio o convitto della medesima Congregazione, o vi saranno accolti in avvenire, e che a suo tempo diedero il nome alla prefata Pia Congregazione, o lo daranno in appresso...”.
Evidentemente, fu questo un favore singolare! Ma per coloro che erano entrati od entravano nelle nostre case dopo i quattordici anni?... Purtroppo le difficoltà continuavano, e, atteso il numero crescente dei soci, andavano crescendo; e Don Bosco, non solo per ovviarle ma anche nella brama di prevenirle, prese a ricorrere alla S. Sede pel tramite di Monsignor Manacorda, il futuro Vescovo di Fossano, il quale, sapendo come il Card. Giuseppe Berardi - l’“alto e benemerito personaggio” che aveva dato a Don Bosco „formale consiglio” d'inoltrar l'istanza per l'approvazione della Pia Società - avesse facile entrata e grand'influenza presso Pio IX, soleva affidare all'Eminentissimo il buon esito di ogni domanda.
Nel 1871 Don Bosco chiedeva un indulto per le dimissorie a vari, entrati in Società dopo i 14 anni, e Pio IX annuiva in forma singolare:
Tostochè Mons. Manacorda mi consegnò la supplica da lei trasmessagli, non tralasciai di tener subito proposito di quanto ivi si chiedeva col S. Padre e la Santità Sua degnossi di accondiscendervi, autorizzandomi in via straordinaria a redigerne e mandarle il relativo [670] rescritto. Lo troverà Ella dunque qui annesso; e lieto io intanto di essermi potuto prestare con effetto al desiderato intento, lo ringrazio della notizia, che si compiacque parteciparmi colla precedente sua gentilissima lettera. La prego poi a non dimenticarmi nelle sue orazioni, e nella fiducia che vorrà comunicarmi qualche altra importante nuova, appena ne ha, e ad interessare la nota persona, affinchè col mezzo di lei mi faccia sapere, ove sia possibile, se, e quale nelle attuali tristissime vicende sarà per essere la mia sorte, e se avrò io la grazia e la consolazione di assistere al sospiratissimo trionfo della Chiesa e della S. Sede, passo con sensi di particolare attaccamento e stima al piacere di dichiararmi,
Recatosi poco dopo a Roma, durante le feste giubilari pel XXV del Pontificato di Pio IX, ebbe ripetuti colloqui col Cardinale sullo stato e sull'avvenire della Chiesa in Italia. E in luglio tornava ad inoltrare particolare istanza per avere in anticipo la facoltà di dare le dimissorie ad altri dieci, entrati o che fossero per entrare in Società, e il Cardinale gli faceva capire che l'aveva ottenuto con difficoltà:
Da Mons. Manacorda, incaricato all'uopo da me, deve Ella aver già appreso, come si passassero col Santo Padre le cose relative alla consaputa domanda; e tralascio perciò di dargliene ulteriore contezza. Mi limiterò quindi ad inviarle qui accluso il rescritto, con cui le si accordano le facoltà di dare le dimissorie ad altri dieci giovani, i quali fossero per entrare nella sua Congregazione dopo i quattordici anni, e son sicuro che in tal guisa potrà Ella andare innanzi per qualche tempo senza avere angustia per tal rispetto. Allorchè poi accadrà che se ne abbia nuovamente bisogno, si vedrà il quid agendum. Per ora è indispensabile che si contenti di quello, che a grave stento si è potuto ottenere.
Torno intanto a raccomandarmele, perchè non cessi di avermi presente nelle sue sante orazioni, e nella fiducia che presto sia Ella per comunicarmi qualche consolante ma sicura notizia rapporto a ciò che le significai in voce, passo con sensi di distinta stima al piacere di dichiararmi,
A Roma i cattolici speravano di veder quanto prima ristabilito lo Stato Pontificio; e Don Bosco, che in quegli anni ripetutamente fece giungere notizie confidenziali al S. Padre, d'ordinario curava che ne fosse posto al corrente anche il Card. Berardi.
Con la facoltà di dar le dimissorie, sia pure in numero limitato, anche a confratelli entrati nelle case della Società dopo i 14 anni si poteva, pel momento, ritener allontanata ogni difficoltà.
Tornato da Varazze, Don Bosco affidava le pratiche per le ordinazioni al catechista Don Cagliero, il quale proseguì a goder della bontà di Mons. Manacorda, anche quando questi lasciò Roma e andò a Fossano.
Da principio gli accadeva d'incorrere in più d'una inesattezza nell'invio delle carte necessarie, ed anche nella stesura delle dimissorie, e Mons. Manacorda l'ammoniva graziosamente, ed egli prendeva allegramente ogni osservazione. Il 21 maggio 1872 rispondeva a Monsignore così:
Il sig. Don Bosco fu tolto in parte da grave dispiacere avendo V. S. ordinato i nostri chierici. Quanto alle inesattezze credo benissimo che sono accadute. Succederanno finchè il cancelliere dell'Oratorio, che sono io, non abbia l'esperienza dell'errando discitur. Le dirò ciò non ostante, che a riguardo del ch. Paglià non ho accennato alla speciale facoltà avuta di spedire le sue dimissorie, non potendo datare il Rescritto Pontificio, per la ragione che qui in Curia Arcivescovile me lo hanno perduto, e non è possibile trovarlo più. Quanto al bollo credeva che bastasse a secco quello che sta in capite delle dimissorie. Non abbiamo ancora un bollo speciale della Congregazione, ma si sta facendo. E non fu ancora provvisto, perchè sotto una sorveglianza troppo curiosa del Governo, che vuole distrutte le Congregazioni...
Per le dimissorie mi faccia pure avvertire delle inesattezze e le rimedieremo: basterà che avverta il Vescovo ordinante della facoltà speciale avuta da Roma per staccare le dimissorie a chi è entrato nelle nostre case dopo gli anni 14, per mezzo di un foglio a parte, o è necessario inserirla nelle dimissorie et in corpore? In tal caso fateor imbecillitatem meam, e non so come ficcarla. Fin ora si mostrava la facoltà semplicemente ad cautelam; e si ommetteva „ante annum 14 apud nos receptum”.
Mi perdoni, mi sgridi, e mi corregga... [672] Cotesta festevole schiettezza abituale tra vari dignitari ecclesiastici e vari nostri confratelli, prese ad ecclissarsi sul volto di chi l'aveva avuta fin allora nel modo più familiare, cioè di Mons. Gastaldi. Finchè fu vescovo di Saluzzo continuò a trattar i nostri con tutta amabilità fraterna: Arcivescovo di Torino, parve subito un altro.
Il primo a constatarlo fu Don Giacomo Costamagna, recatosi, durante la Pasqua del 1872, a predicar gli esercizi spirituali agli alunni della Generala. L'ultimo giorno vi andò l'Arcivescovo a celebrare la S. Messa e a dar la Cresima; e, dopo la funzione, presenti il cappellano, il direttore ed altri, Don Costamagna si avanzò per salutarlo e con quella stessa familiarità, con la quale soleva parlargli quand'era canonico e poi Vescovo di Saluzzo, si mise a chiedergli notizie della sua salute, della sorella, della nipote e tante altre cose. Monsignore non gli rispose una parola e lo guardava serio e dignitoso. Sorpreso, Don Costamagna tacque, ed allora l'Arcivescovo, quasi in tono di rimprovero:
Accortosi d'aver errato, Don Costamagna si limitò a rispondere:
- Sono Don Costamagna, che a Lanzo suonava e cantava, quando Vostra Eccellenza si degnava farci una visita.
Monsignore non aggiunse parola, ma dopo avergli detto con uno sguardo autocratico: - Ricòrdati chi son io, e vedrai la distanza che c'è tra me e te! - si pose a conversare con gli altri.
Anche Don Cagliero aveva sperimentato il cambiamento dell'Arcivescovo. Solito a recarsi da lui per commissioni di Don Bosco, un giorno sentì dirsi da chi aveva annunziato a Monsignore la sua visita, che entrasse pure, che Sua Eccellenza lo riceveva, come Don Cagliero, non come Salesiano. Ed egli, prontamente e in modo che l'udirono i presenti, rispose: - Don Cagliero non salesiano non esiste! - ed ossequiando se n'andò.
Venuto a Torino, egli non era più l'amico e il confidente dei nostri, ma l'Ordinario, l'Arcivescovo, e quindi il loro [673] Superiore Ecclesiastico diretto, che aveva preso a vagheggiar l'idea di tenere la Società Salesiana sotto la piena sua giurisdizione.
In ripetuti colloqui, Don Bosco non mancò d'esporgli la brama d'iniziar le pratiche per ottenere dalla S. Sede la definitiva approvazione delle Costituzioni, e Monsignore non lasciò mai d'accennargli a quali condizioni; tuttavia pieno d'ammirazione per il Santo Fondatore, e intimamente convinto che nell'Opera Salesiana, come aveva ripetutamente e solennemente dichiarato, si scorgeva a prima vista la mano di Dio, l'assicurava che l'avrebbe aiutato assai volentieri, come aveva fatto fin allora, fermo però nell'idea di poterla ritenere, nella forma più concreta, sotto la sua dipendenza.
Urgeva procedere, e Don Bosco scriveva al benemerito Card. Berardi pregandolo a conferire col S. Padre per sentire se credeva opportuno che s'iniziassero regolarmente le pratiche per ottener l'approvazione, e riceveva una consolante risposta:
Recandomi ieri secondo il solito presso il S. Padre non omisi di parlargli di ciò, che da lei si desiderava; e mi è grato il parteciparle, che la Santità Sua nel benedirla di tutto cuore si compiacque significarmi non esservi difficoltà, perchè possa Ella dar nelle vie consuete e regolari libero corso alla domanda indicatami. Questo dunque potrà favorirla di nuovo: ed io nel confidarmi, che i voti comuni sian per riuscire appagati, la ringrazio vivamente delle preghiere, che porge e fa porgere per me al Signore. Raccomandandomele poi, affinchè voglia Ella fare in modo, che sian esse continuate, nutro fiducia, che mi comunicherà, ove l'abbia, qualche consolante, ma sicura notizia; e pieno di distinta stima passo al piacere di dichiararmi,
PS. La precedente sua lettera mi giunse regolarmente, e ne le rendo i dovuti ringraziamenti. [674] E senz'indugio prese a ritoccare le Costituzioni sull'esemplare, stampato nel 1867 ed inviato a Roma nel 1869, quando fece la prima istanza per l'approvazione definitiva e il rev.mo Consultore, per mezzo del Segretario della S. Congregazione Mons. Stanislao Svegliati, senza nuove osservazioni, insisteva per la piena osservanza delle tredici Animadversiones, comunicate nel 1864.
Or ecco un cenno, molto interessante, del paziente lavoro del Santo, che, insieme con tutte le modificazioni ritenute doverose ed opportune in ossequio alle tredici Animadversiones, appose nel nuovo esemplare anche le specificazioni che esigeva lo sviluppo della Pia Società, delineando gli uffici particolari di ciascun membro del Capitolo Superiore, nonchè del Capitolo delle Case[120].
Il titolo lo lasciò qual era: Regulae Societatis S. Francisci Salesii (Regole della Società di S. Francesco di Sales); - e al primo capo, che non l'aveva, pose quello di Prooemium [Introduzione], contenendo una breve esposizione della necessità di provvedere all'educazione cristiana della gioventù.
Nel capo II: Origine di questa Società (prima Ejusdem Societatis origo, ora De ejusdem Societatis primordiis) e nel III: Dello scopo di questa Società (Hujus Societatis finis) aggiornò tutti gli spunti relativi al suo sviluppo; mentre nell'art. 2° del capo III, evidentemente per errore di stampa, restò soppresso l'accenno che i soci debbono attendere alla pratica delle virtù, anche interiori (atque internarum).
Nel capo IV, Della forma di questa Società (Hujus Societatis forma) soppresse gli articoli 7° ed 8°, nei quali si specificava che la Società avrebbe fornito ai soci tutto il necessario, riguardo il vitto, il vestito e ogni altra cosa occorrente, non escluso, per giusta causa, anche il danaro; e che se un socio morisse senza far testamento a lui sarebbe succeduto chi secondo le leggi civili avesse diritto di esserne erede; nell'articolo 2° specificò il particolare della paga delle tasse e delle imposte secondo la prescrizione delle leggi civili dal socio che conserva beni particolari, nonchè della facoltà [675] a lui concessa di lecitamente comprare e vendere, senz'apporvi - come voleva l'Osservazione 5a - che per far ciò si richiedeva il beneplacito della Santa Sede, non sembrandogli opportuno l'introdurvi tale dichiarazione per il fatto, che dovendosi allora ottenere il Regio Placet per i Rescritti Pontifici riguardanti il foro esterno, la Società avrebbe preso l'aspetto di un istituto legale sotto la tutela e la dipendenza delle autorità e delle leggi civili; mentre avrebbe implorato che fosse concesso al Rettor Maggiore ed al suo Capitolo di trattare simili affari, come Gregorio XVI il 21 giugno 1836 aveva concesso alla Congregazione delle Scuole della Carità; nell'art. 6° appose l'obbligo a tutti i soci di consegnare al Superiore qualunque dono venissero a ricevere, salvo i legati e le eredità che potevan ritenere in proprietà, secondo gli articoli 4° e 5°; nell'art. 11° chiariva l'accenno che taluno, uscendo dalla Società, aveva diritto di ricuperare i propri beni, immobili e mobili, qualora ne avesse ritenuta la proprietà; in fine, in un nuovo articolo (il 10°) dichiarava che chi entrasse in Società portando denaro, mobili e qualunque altra cosa, deciso di conservarne la proprietà, doveva consegnarne un elenco al Superiore, e se poi volesse ricuperar cose che coll'uso si consumano, le riprenderebbe come sono, senza alcun compenso.
Nel capo V: Del voto d'obbedienza (De voto oboedientiae), in ossequio all'Osservazione 13a tolse dall'art. 3° il particolare che l'osservanza di detto voto obbliga sotto colpa anche quando il Superiore dà un ordine dicendo: - Lo comando in virtù di santa obbedienza!
Nel capo VI: Del voto di povertà (De voto paupertatis) nell'art. 1° aggiunse il rilievo che l'osservanza del voto presso di noi non riguarda il possesso, ma l'amministrazione; e in fondo al capo trasportò la nota che si trovava nel precedente, nella quale diceva che i due capi Della forma della Società e Del voto di povertà erano stati tolti, quasi ad litteram, dalle Costituzioni della Congregazione delle Scuole della Carità.
Nel capo VII: Del voto di castità (De voto castitatis), “virtù [676] assai cara al Figliuol di Dio” come si legge nelle Regole degli Oblati di Maria, e “virtù angelica, virtù più di tutte cara al Figliuolo di Dio”, nelle nostre, non appose nessuna variante.
Molte, invece, furono quelle che dovette apporre nei capi seguenti.
Nel capo VIII: Del governo religioso della Società (Religiosum Societatis regimen):
prepose il 3° articolo al 2°, accentuandovi la sudditanza che i soci debbono avere al Vescovo della Diocesi nell'esercizio del sacro ministero coll'aggiungervi l'avverbio stricte (rigorosamente); e, nonostante l'Osservazione 4a, lasciò l'articolo 4°, riguardante le Sacre Ordinazioni, tale quale, nella fiducia d'ottenere dalla S. Sede la facoltà delle Dimissorie in forma assoluta, come Leone XII aveva concesso agli Oblati di Maria Vergine, Gregorio XVI alla Congregazione delle Scuole della Carità, e, più recentemente ancora, Pio IX ai Preti della Missione.
I quattro Capi seguenti vennero quasi interamente rifatti, in vista dello sviluppo della Pia Società.
Nel capo IX: Del governo interno della Società (Internum Societatis regimen): nell'art. 1° specificò essere tutta la Società soggetta al Capitolo Superiore, mentre prima si diceva al Capitolo della Casa Madre; nell'art. 2° delineava più nettamente l'ufficio del Rettor Maggiore, cui spetta il governo dell'intera Società, quindi uffici, persone, beni mobili ed immobili, cose spirituali e temporali, dipendono interamente da lui, che può compiere il suo ufficio, anche per mezzo di un delegato; nell'art. 3°, relativo alla corrispondenza, aggiunse essere in facoltà dei soci d'inviare lettere od altri scritti al Superiore Generale, senza permesso dei superiori locali, ed esser vietato a questi di prenderne visione.
A proposito dell'art. 4° l'Osservazione 1a voleva che insieme con la durata in carica (del Rettor Maggiore) “per dodici anni” si apponesse la dichiarazione, che venendo egli [677] rieletto occorreva la conferma della S. Sede; e questo secondo appunto non venne apposto, evidentemente per errore di stampa o per dimenticanza, perchè Don Bosco dichiarava di aver accolta l'Osservazione.
Inoltre, in un nuovo articolo (il 10°) venne trasportato e modificato ciò che si leggeva nell'art. 4° e nel 5°: - che se il Rettor Maggiore gravemente trascurasse i suoi doveri, il Prefetto o qualunque altro membro del Capitolo Superiore, d'accordo cogli altri, potrebbe convocare i direttori delle case per ammonirlo; e, qualora ciò non bastasse, darne comunicazione alla S. Congregazione dei Vescovi e Regolari, e - come indicava l'Osservazione 6a - ricevuto l'assenso della S. Congregazione, si potrebbe procedere alla deposizione del Rettore; e per l'elezione del nuovo Rettore si seguirebbero le norme accennate più avanti nel caso che il Rettor Maggior morisse senz'aver nominato il Vicario temporaneo.
Nel capo X: Dell'elezione del Rettor Maggiore (De Rectoris Maioris electione) benchè interamente rifatto, conservò, anzi accentuò, quei particolari che davano alla nostra Società il carattere d'una vera famiglia.
Nell'art. 1° aggiunse che l'eligendo, oltre le condizioni già indicate, dev'essere professo perpetuo; nell'art. 3° che, scadendo di carica, assegni speciali esercizi di pietà per implorare i lumi celesti, ed ammonisca chiaramente tutti i soci dello stretto obbligo di dar il voto a chi giudichino più atto a promuovere la gloria di Dio e il bene delle anime; e in due nuovi articoli (il 5° e il 6°) delineava la forma dell'elezione in modo un po' diverso da quello che si leggeva nell'ultima parte dell'articolo 4°: - cioè ad essa prenderanno parte tutti i professi perpetui, per cui in ogni casa si terrà lo scrutinio, e il Direttore e due scrutatori raccoglieranno i voti, e, firmato l'indice di essi, l'invieranno al Capitolo Superiore; ed allo scrutinio generale prenderanno parte, oltre il Capitolo Superiore, i singoli direttori con il loro delegato, e tutti i professi perpetui della casa in cui si compie l'elezione; che se taluno degli elettori è assente, l'elezione sarà ugualmente lecita e valida; e chi riporterà la pluralità [678] dei voti, sarà il nuovo Superiore Generale, e caso mai il Rettor Maggiore morisse senz'aver stabilito il Vicario temporaneo, questi verrà eletto dal Capitolo Superiore.
Nel capo XI: Degli altri Superiori (De caeteris Superioribus) anzittutto tracciò il modo di procedere alla loro elezione in sette nuovi articoli:
1) Il Prefetto e il Direttore Spirituale saranno nominati dal Rettore. L'Economo e i tre Consiglieri dai professi perpetui;
2) per il bene della Società (pro Societatis utilitate) la loro elezione, durando in carica quattro anni, si farà così: il primo anno verrà eletto l’Economo; quindi, anno per anno, uno dei tre Consiglieri;
3) l'elezione avrà luogo presso la festa di S. Francesco di Sales, quando sogliono adunarsi tutti i Direttori; ed il Rettore, tre mesi prima, notificherà il membro del Capitolo che termina il suo ufficio e stabilirà il giorno in cui in tutte le case si farà l'elezione;
4) nelle case il voto sarà dato, da tutti i professi perpetui, al professo perpetuo che ciascuno riterrà più adatto;
5) altrettanto farà il Capitolo Superiore;
6) in ogni casa lo scrutinio si farà dai Direttori e da due soci, come per l'elezione del Rettor Maggiore; e, fatte due copie dell'indice dei voti, una sarà conservata nella casa, l'altra, sottoscritta dal direttore e dai due scrutatori, verrà inviata al Capitolo Superiore;
7) nel giorno stabilito, adunatosi il Capitolo Superiore con i direttori e tutti i soci della casa in cui viene convocato il Capitolo, raccolti tutti i risultati delle altre case, se ne farà pubblico scrutinio, eletti a tal fine tre scrutatori e due segretari. Chi avrà la pluralità dei voti sarà l'eletto; se due o tre avranno lo stesso numero di voti, i soci presenti daranno il voto a chi di essi riterranno preferibile.
Inoltre appose vari ritocchi agli articoli relativi agli uffici di ciascun membro:
Il Direttore Spirituale (art. 9°) avrà cura particolare dei novizi; e (art. 11°) vigilerà attentamente sulla condotta morale dei soci, col tenersi, per corrispondenza o personalmente [679] in relazione con tutti i direttori, per provvedere, d'accordo col Rettor Maggiore, a tutto ciò che riguarda in linea generale o particolare il vantaggio spirituale; e delle cose di grande importanza darà ragguaglio al Rettore, e si atterrà al suo consiglio.
Il Prefetto (art. 12°), assente il Rettore, ne farà le veci in tutto ciò che concerne il governo ordinario della Società ed in quello di cui avrà ricevuto dal Rettor Maggiore speciale incarico, e (art. 14°) almeno una volta all'anno a lui darà conto della sua amministrazione.
L'Economo (art. 15°), essendo a lui affidato l'andamento materiale della Società, curerà le compere, le vendite, le costruzioni e tutte le cose affini, nonchè le cause civili, e procurerà che ogni casa sia provveduta del necessario.
I Consiglieri (art. 16°) daranno il voto anche per le ammissioni dei soci alla professione, per l'apertura di nuove case, e per l'elezione del direttore.
Tutti i membri poi del Capitolo Superiore, tranne il Rettore, (art.18°), dureranno in carica quattro anni, e se taluno, o per morte o per altra causa, venisse a mancar prima della fine del quadriennio, il Rettore eleggerà chi riterrà in Domino a supplirlo fino al termine del quadriennio.
In ultimo (art. 19°) il Rettor Maggiore, col consenso del Capitolo Superiore, può, ove occorra, stabilire Visitatori ed affidare ad essi la cura particolare di un dato numero di case, qualora la distanza e il numero lo richiedessero; e tali Visitatori, o ispettori, terranno le veci del Rettor Maggiore nelle case e nelle cose loro affidate.
Anche nel capo XII: Delle singole Case (De singulis domibus) copiose furono le aggiunte e le modificazioni per delineare gli uffici di ciascun membro del Capitolo locale.
Anzitutto in un nuovo articolo (il 2°) sanciva d'usare la massima attenzione perchè, nel compiere nuove fondazioni e nell'assumere amministrazioni di qualunque genere, nulla si faccia contro le leggi ecclesiastiche e civili.
L'Osservazione 7a esigeva che per l'apertura di seminari si dichiarasse esser necessario nei singoli casi il permesso della S. Sede; e Don Bosco per agevolarne le pratiche e non [680] essere obbligato ad attendere il R. Placet, ritenne sufficiente di limitarsi (cfr. art. 3°) al pieno accordo col Vescovo del luogo.
Quindi, (nell'art. 5°), appose che il Rettore può compiere la visita annuale alle singole case, o per sè o per mezzo di un visitatore:
e (nell'art. 8°) che il Capitolo d'ogni casa sarà eletto dal Capitolo Superiore e dal Direttore della casa; e precisamente (art. 9°) il Catechista in primo luogo, quindi il Prefetto e, se occorre, anche l'Economo, in fine i Consiglieri che si ritengano necessari.
Il Catechista (art. 12°) avrà la cura spirituale dei soci e di tutti coloro che appartengono alla Casa.
Il Prefetto (art. 13°) farà le veci del Direttore, e primo suo ufficio sarà amministrare le cose temporali, aver cura dei coadiutori, vegliare attentamente sulla disciplina degli alunni, secondo il regolamento delle case, ed il beneplacito del direttore; al quale si terrà preparato di render conto della sua gestione ogni volta che verrà richiesto.
L'Economo (art. 14°), ove occorra, aiuterà il Prefetto, particolarmente nel disbrigo degli affari materiali.
I Consiglieri poi (art. 15°) prenderanno parte alle deliberazioni d'importanza ed aiuteranno il Direttore nelle cose scolastiche e in tutte le altre che loro verranno assegnate.
In fine (art. 16°) ogni Direttore annualmente darà conto dell'andamento spirituale e materiale della propria casa al Rettor Maggiore.
Anche nel capo XIII: Dell'accettazione (De acceptione) fece varie aggiunte (ved. l'esemplare del 1873):
Nell'art. 1°: - che, inoltrando taluno la domanda d'entrare in Società, il Direttore deve trasmetterla al Rettor Maggiore perchè possa essere ammesso al noviziato, e il Rettore agirà nel modo migliore;
nell'art. 2°: - che dopo l'anno di prova il Capitolo locale tratterà dell'ammissione alla professione religiosa; e se il novizio avrà la maggioranza dei voti, ne verrà dato ragguaglio al Rettor Maggiore, il quale, udito il parere del Capitolo Superiore, l'ammetterà ai voti, o direttamente, o per delegazione [681]; e l'atto delegativo con le indicazioni opportune sarà rinviato al Rettor Maggiore, affinchè il nuovo professo venga inscritto nel catalogo della Società; nell'art. 3°: - che il Rettor Maggiore può accettare in Società, ammettere ai voti ed anche licenziare dalla Società, in ogni casa col voto del Capitolo locale, se vi fosse qualche giusto motivo; e che il Direttore della casa, ove si compie l'accettazione o il licenziamento, ne darà comunicazione al Capitolo Superiore affinchè il socio venga inscritto, o cancellato, nel catalogo della Società; e, circa i voti, nell'art. 5° pose così - I voti si faranno per tre anni, e, passati i tre anni, ognuno, previo il consenso del Capitolo, può rinnovarli per un altro triennio, o farli perpetui: ma nessuno potrà essere ammesso alle Sacre Ordinazioni, titulo Congregationis, se non ha fatto i voti perpetui.
Parecchie furono le modificazioni anche nel capo XIV: Delle pratiche di pietà (Pietatis exercitia).
L'Osservazione 8a voleva che si apponesse per i soci più d'un'ora quotidiana d'orazione vocale e mentale, plusquam unius horae spatium, e dieci giorni d'esercizi spirituali ogni anno; e Don Bosco, nell'art. 3°, riguardo all'orazione quotidiana lasciò le parole che aveva apposte nella prima edizione delle Regole in latino, non minus unius horae spatio; e riguardo agli esercizi spirituali ritenne conveniente di aggiungere (art. 7°) alla specificazione per decem ferme dies, che si leggeva già nell'edizione suddetta, il temperamento: vel saltem sex.
Anche nell'art. 6°, ove si diceva di attendere l'ultimo giorno d'ogni mese ad un ritiro spirituale, a temporalibus curis remotus, apponeva le parole quantum fieri poterit, cioè di lasciar da parte le cure temporali per quanto è possibile.
Nell'art. 9°, ove si leggeva che i soci di tutta la Congregazione avrebbero celebrato la S. Messa e fatto la S. Comunione in morte d'ogni confratello, atteso l'incremento che veniva già prendendo la Pia Società, limitava il tributo dei suddetti suffragi ai soci della casa del defunto: omnes socii illius domus; e nell'art. 10° sanciva gli stessi suffragi per il padre e la madre d'ogni confratello; e nell'11° che tutti i soci li avrebbero compiuti in morte del Rettor Maggiore, [682] mentre prima, atteso il loro piccolo numero, era stabilito che per lui li avrebbero compiuti due volte: bis suffragabuntur.
E in un nuovo articolo, il 12°, stabiliva che il giorno dopo la festa di S. Francesco di Sales, tutti i sacerdoti avrebbero celebrato la S. Messa e gli altri avrebbero fatto la S. Comunione e recitato la terza parte del S. Rosario e le altre preghiere, in suffragio dei confratelli defunti.
Nel capo XV: Dell'abito (De vestimento) al particolare che il soprabito dei coadiutori doveva arrivare fin sotto le ginocchia, sostituì questa dichiarazione: „ed ognuno procurerà d'evitare tutte le novità dei secolari”.
In ultimo, nella Formola dei voti (Formula votorum), accanto al nome del Rettore pose quello del suo delegato “vel qui vices gerit ex ejus delegatione”; al particolare “talari habitu et stola indutus” aggiunse “superpelliceo”; ed all'accenno diretto del nome e cognome del superiore „Tibique N. N., mi Superior”, sostituì l'accenno generico „et nostrae Societatis Superiori”.
E, pel momento, lasciò il capo Degli esterni (De externis) in appendice.
Com'ognun vede, non fu un lavoro da poco; e non fu neppure l'ultimo!
Mentre Don Bosco lavorava assiduamente vagheggiando la mèta, anche l'Arcivescovo proseguiva la via che aveva intrapreso. Difatti con una gentilissima lettera, dapprima l'assicurava ch'era sempre pronto ad assisterlo per poter “riuscire ad ottenere dal Vicario di Gesù Cristo una piena approvazione”, quindi lo pregava a disporre che fossero inviati alla Curia i documenti comprovanti la validità delle dimissorie ai soci che si dicevano entrati nell'Oratorio prima dei 114 anni, e a disporre che tutti gli ordinandi si presentassero “a subire l'esame almeno di due trattati intieri di Teologia... per ogni ordinazione sempre diversi”, mentre per i religiosi comunemente si ritenevano bastanti le dimissorie, godendo del privilegio di tale esenzione. [683]
Seminario - Torino, addì 24 ottobre 1872.
Molto Rev.do Signor mio car.mo,
V. S. conosce da lunga esperienza quanto io sia affezionato alla Congregazione fondata da lei, la quale avendo io veduto venir fuori come dal grano di senapa, non mancai di promuoverla, secondo che le circostanze me ne diedero il potere, perchè io la giudicavo, come la giudico, opera ispirata da Dio: ed ella sa ancora la protezione che come Vescovo di Saluzzo io diedi a questa Congregazione affine di ottenerle l'assistenza e la sanzione della Santa Sede Apostolica: ed ora che la Provvidenza mi ha posto sulla cattedra arcivescovile di Torino, sono ben lieto di proseguire ad assisterla, acciò possa riuscire ad ottenere dal Vicario di Gesù Cristo una piena approvazione. Però io non posso mancare al mio dovere in nessun modo, anche quando trattasi di promuovere il bene: che anzi, memore che il bene deve farsi bene, e che bonum ex integra causa, malum ex quocumque defectu, io non posso altro che tenermi alle regole prescritte, anche a costo di ripugnare alle affezioni del cuore. Ora il Decreto della Congregazione dei Vescovi e Regolari delli 9 marzo 1869 dà a V. S. la facoltà delle lettere Dimissoriali, ma solo per i giovani, i quali prima delli 14 anni entrarono nell'Oratorio: e perciò è cosa al tutto necessaria, che si diano alla mia Curia le notizie che mettono in chiaro questo fatto. Inoltre sia il Concilio di Trento alla sess. 23 cap. XII, sia il Pontificale Romano De Ord. Conf., prescrive che Regulares non sine diligenti Episcopi examine ordinentur.
Poste queste cose, io prego V. S. di dare gli ordini opportuni, acciò tutti gli alunni aggregati alla Sua Congregazione, i quali desiderano di ricevere la tonsura, oppure gli Ordini minori o maggiori, si presentino personalmente da me, almeno 40 giorni prima del giorno dell'Ordinazione, e che porgano un attestato sottoscritto da V. S., o da chi la rappresenta, in cui sia indicato il nome e cognome dell'alunno, il nome di suo padre, il luogo della nascita e la diocesi in cui nacque ed a cui appartiene per qualche ragione, l'età precisa che ha, in che anno entrò nell'Oratorio di S. Francesco di Sales, fondato da V. S., ed ivi quanti anni attese allo studio della latinità e delle belle lettere, quanti allo studio della Teologia, ed in qual luogo abbia atteso a tali studi, ed in che anno e giorno abbia emesso i voti triennali, o li abbia rinnovati. Quindi ognuno di questi alunni si presenti a subire l'esame almeno di due trattati intieri di Teologia, i quali per ogni nuova ordinazione siano sempre diversi, e su tutto ciò che riguarda l'ordine da riceversi; vale a dire per la Tonsura ed i Quattro minori, tutto ciò che la Teologia insegna di essi, per il Suddiaconato, quanto riguarda questo ordine e il celibato ecclesiastico, le ore canoniche e il titolo ecclesiastico. Pel Diaconato quanto spetta a questo Ordine, e inoltre il sacrifizio della S. Messa.
Potrei esigere che i suoi alunni frequentassero le scuole del mio [684] Seminario, siccome consta dalla lettera della Congregazione dei Vescovi e Regolari 3 marzo 1869; ma voglio confidare che nell'esame daranno prove tali di studio e profitto nelle discipline teologiche, da non essere necessario di obbligarli all'osservanza di quella prescrizione. Augurandole ogni prosperità e benedizione di Dio nella sua santa opera, sono con la massima stima e considerazione,
devot.mo affezionatissimo in G. G.
La risposta di Don Bosco dovette riboccare d'angoscia; ma Monsignore, persuaso di compiere il proprio dovere, in giornata tornava a scrivergli gentilmente, in forma recisa:
Riscontro ad una lettera delli 9 novembre 1872 concernente la Congregazione religiosa di San Francesco di Sales di Torino.
Seminario - Torino, addì 9 9bre 1872.
Molto Rev. Sig. mio carissimo,
Mi duole all'anima, che V. S. si senta così amareggiata da non trovare nè, riposo, nè sollievo. Ella certamente non vuole altro che l'adempimento dei voleri di Dio; e chi non cerca altra cosa che questa, comunque accadono gli affari che ha per mano, e qualunque contrasto avvenga, non si conturba mai, sì rimane tranquillo a contemplare gli eventi; sollecito solo di togliere ogni offesa di Dio, di cui esso possa essere colpevole. Essa desidera il consolidamento della sua Congregazione; ed il suo desiderio si adempirà, chè il Signore dà indizi chiari di volerla consolidare; ma appunto per riescire a questo ottimo intento bisogna adoperarvi i mezzi convenienti, e non ricorrere ad altri, i quali riuscirebbero al fine opposto. La considerazione e il mantenimento e il fiorire della Congregazione di S. Francesco di Sales instituita da lei dipende in primis et ante omnia da un buon Noviziato, nel quale i membri si formino ad ogni virtù, come i gioielli si formano sotto lo scalpello e il martello e la lima dell'artefice. Se mancherà un tale Noviziato, se questo non si avvicinerà, almeno in gran parte, a quello della Compagnia di Gesù, la Congregazione di V. S. non avrà stabilità: ecco in che senso, quando ne sarà il caso, esporrò il mio pensiero alla S. Sede. Ora questo Noviziato manca presentemente in questa Congregazione; e perciò i membri di essa, fatte rarissime eccezioni, non sono nè il Fondatore della medesima, nè formati da esso, od almeno non formati se non in una menoma parte: e troppo sovente si ode ripetersi la lagnanza che molti di questi membri non [685] presentino tutte le virtù, e fra queste l'umiltà, che ognuno dei fedeli si aspetta di vedere in tutti i religiosi degni di questo nome: e mi duole il dover dire che questa lagnanza non mi pare senza fondamento. Un buon religioso è un essere che non si può avere se non con una lunga e diligentissima coltura; e quindi si richiede un buon Noviziato, lo che parmi non sia ancora nella Congregazione di S. Francesco, e quindi non potrò promuovere l'approvazione Pontificia di questa Congregazione, se non a patto espresso, che si stabilisca un tale Noviziato. Inoltre, mentre io riconosco la convenienza che agli Ordini religiosi si dia tanto di esenzione dall'autorità vescovile, quanto è necessario alla loro esistenza e prosperità, sono però nemico delle esenzioni non necessarie e specialmente se dannose, come a mio giudizio è quella, che si vorrebbe mantenere, che il Vescovo non esamini diligentemente gli Ordinandi, mentre il Concilio di Trento e il Pontificale de' Vescovi ne fanno a questi il comando. Purtroppo che su ciò si lasciarono a poco a poco introdurre abusi, i quali ora si vorrebbero erigere in privilegi, ma la sperienza funesta dei molti religiosi presentemente sbandati, ai quali manca la dottrina e virtù necessaria per farne buoni ministri della Chiesa, dimostra chiaro, che si è proceduto in ciò alquanto alla carlona, e che è tempo, si adempia appuntino quanto la sapienza dei Padri Tridentini ha prescritto.
V. S. pertanto si persuada, essere mia intenzione di edificare e non distrurre, cooperare al bene e non impedirlo, e quindi si metta di buon umore e prosegua allegramente nel fare ciò a cui sèntesi chiamato dal Signore. Se si muovono lagnanze non si conturbi, ma piuttosto esamini se in esse siavi alcun che di vero, e ponga mano a correggere; se incontra qualche specie di contrasto o di umiliazione, non se ne risenta, almeno esternamente; nè permetta ad alcuno de' suoi di mostrarne risentimento; ma si persuadano tutti che per loro il modo efficace di vincere e trionfare è di avere pazienza, pregare ed umiliarsi coram Deo et hominibus. Così fecero i Santi fondatori di Ordini religiosi, e così è necessario che facciano quanti li vogliono seguire in simili fondazioni.
Questo è quanto io penso di avere a scrivere per riscontro dell'ultima sua lettera, mentre pregando Iddio a benedire lei e la sua Congregazione e tutte le opere sue, passo a dirmi con tutta la stima dovuta,
L'esplicita dichiarazione di non voler promovere l'approvazione definitiva delle Costituzioni finchè non fosse regolarmente stabilito un buon noviziato diede da pensare al Santo, avendo ognor presente la convenienza di stabilire la [686] nuova Società in modo che non potesse essere incagliata dalle autorità governative. „Abbiamo il Noviziato, egli dichiarava, ma le pubbliche leggi, i luoghi dove viviamo non permettono di avere una casa separata, che serva esclusivamente a questo scopo”. D'altronde il Noviziato, chiamato presso di noi tempo di prova, si faceva in un tratto della casamadre di Valdocco; e contemporaneamente i Novizi, occorrendo, erano occupati a fare il catechismo, ad assistere gli alunni, ed anche a far qualche scuola diurna o serale, ed a preparare i giovani meno istruiti alla Cresima, alla Comunione, ed a servire la S. Messa.
Ponderata bene ogni cosa, due settimane dopo Don Bosco rispondeva a Monsignore:
Ringrazio di tutto cuore V. E. Reverend.ma per la lettera che con grande sua bontà si degnò di scrivermi, e sebbene essa non mitighi le mie pene tuttavia mi palesa alcuna ragione del contegno che da qualche tempo Ella tiene verso la povera mia persona e verso tutti i soci della Società di S. Francesco di Sales. Ella riduce le cose a due punti. Alla mancanza di un buon noviziato e dello spirito religioso, ovvero ecclesiastico, ne' suoi membri. Queste due cose dimandano schiarimento e per me e per V. E. Abbia dunque la bontà di leggere.
Prima di venire la Santa Sede all'approvazione di questa Congregazione, ho avuto lungo colloquio prima con Mons. Svegliati e col Card. Quaglia, e di poi col Santo Padre. Questi una sera mi fece a lungo esporre le ragioni per cui, secondo me, giudicava essere volontà di Dio questa novella istituzione, cui diedi tutte le risposte volute. Di poi mi dimandò se una Congregazione fosse possibile in tempi, in luoghi, in mezzo a persone che ne vogliono la soppressione. - Come avere una casa di studio e di Noviziato? soggiungeva. - Risposi a lui quello che alcuni mesi prima aveva risposto all'E. V., vale a dire, che io non intendo di fondare un Ordine religioso, dove si possono accogliere penitenti o convertiti che abbiano bisogno di essere formati al buon costume ed alla pietà; ma la mia intenzione si è di raccogliere giovanetti ed anche adulti di moralità assicurata, moralità provata per più anni, prima di essere accolti nella nostra Congregazione.
- Come ciò ottenere? interruppe il S. Padre.
- Ciò finora ho ottenuto, soggiunsi, e spero di continuare così, per la classe dei soci che si ricevono a far parte della Società. [687] Noi ci limitiamo a giovani educati, istruiti nelle nostre case; giovani già scelti ordinariamente dai parroci che, vedendoli ordinariamente risplendere nella virtù fra la mazza e la zappa, li raccomandano alle nostre case. Due terzi di questi inviati sono restituiti alle loro case. I ritenuti sono per quattro, cinque od anche sette anni esercitati nello studio e nella pietà, e di questi pochi soltanto sono ammessi alla prova, anche dopo questo lungo tirocinio. Per esempio in quest'anno centoventi compierono Retorica nelle nostre case; di questi centodieci entrarono nel chiericato; ma venti soltanto rimasero nella Congregazione, gli altri indirizzati ai rispettivi Ordinari Diocesani.
Ammessi così alla prova devono fare due anni qui in Torino dove hanno ogni giorno lettura spirituale, meditazione, visita al Sacramento, esame di coscienza, ed ogni sera un breve sermoncino fatto da me, raramente da altri, e ciò a tutti in comune pegli aspiranti. Due volte per settimana si fa una Conferenza espressamente per gli aspiranti, una volta per tutti quelli della Società. -
Quando il Santo Padre ebbe udite queste cose si mostrò molto soddisfatto e ripigliò: - Dio vi benedica, figliuol mio, mettete in pratica le cose nel modo che mi accennate e la vostra Congregazione otterrà il suo scopo, e, trovando difficoltà, fatemele sapere e studieremo il modo di superarle.
Dopo di ciò si venne al Decreto di approvazione che Ella ha veduto. E noi abbiamo fatto quanto si è detto.
Da quanto esposi Ella potrà facilmente capire che, parmi, il Noviziato se non vi è di nome, vi è di fatti.
Ella aggiunge che latte rarissime eccezioni niun membro della Congregazione Salesiana presenta le necessarie virtù e si notano privi specialmente dell'umiltà. Io farei umile e rispettosa preghiera alla E. V. di volermi indicare non in genere, ma nominatamente tali individui e poi, l'assicuro, sarebbero severamente corretti ed una volta sola. Perciocchè tal cosa sarebbe un nascondiglio da svelarsi; nascondiglio ignoto a me fino al giorno d'oggi, nascondiglio ignoto alla E. V. fino al mese di aprile dell'anno corrente. Fino a quell'epoca Ella vide, udì, lesse e, possiamo dire, amministrò quanto di più importante di questa casa. Fino a quel tempo sia cogli scritti, sia colla voce pubblica e privata ha sempre proclamata questa casa come arca di salvezza per la gioventù, dove si apprende la vera pietà e simili. Qui avrei più cose da dire che non voglio affidare alla carta, e che spero, quando Ella possa ascoltarmi, esporle a viva voce.
La ringrazio delle benevoli espressioni usate nella sua lettera, e questo è l'unico conforto che io posso avere, mentre colla più profonda gratitudine ho l'onore di professarmi,
Com'ebbe preparata questa risposta, dopo le preghiere della sera passeggiando in camera con Don Berto, che annotava il particolare:
“- Hai veduto [gli diceva] e letto quella lettera che si deve mandare all'Arcivescovo?
- Guarda un po'. Son io che l'ho fatto fare prima Vescovo di Saluzzo, di poi Arciv. di Torino. Mi sono adoperato in tutti i modi e presso la Santa Sede ed anche presso il Governo, il quale non lo voleva in nessun modo. E adesso come mi tratta! che lettere mi scrive... Fino a tanto che fu Vescovo di Saluzzo andò bene; dopo mutò tono. È circondato da consiglieri che ci sono nemici, come D. Soldati. Come gli uomini sono mai mutabili. Ma passerà anche questo! A Roma stiamo bene...
lo cercava di consolarlo per queste vessazioni; ma egli: - Se fosse un mio nemico che mi osteggiasse, sarebbe nulla; ma un mio amico che mi punge è cosa dolorosa. - E portò qualche versetto della Bibbia a questo proposito: Si inimicus meus maledixisset mihi, sustinuissem utique... tu vero, homo unanimis, dux meus et notus meus...”.
È chiaro lampante che nessuno si sarebbe immaginato che Mons. Gastaldi avrebbe agito così, come per altro è evidente che non voleva combatterlo, nè contrariarlo, ma riteneva doveroso di agire a quel modo!...
Infatti pochi giorni dopo l'invitava a far parte dell'Accademia di Storia Ecclesiastica che pensava già di fondare, e Don Bosco accettava umilmente.
Si immagini V. E. R.ma con quanto piacere io prenda parte ad una accademia per promuovere, lo studio intorno alla Storia Ecclesiastica!
È vero che ho poco tempo, ho fatto studi non profondi in questa scienza; ma essendo cosa costantemente desiderata in tutta la mia [689] vita, dedicherò assai di buon grado que' momenti che mi saranno disponibili a questo scopo.
La ringrazio della Sua bontà, e mi creda colla più profonda venerazione,
P.S. Credo di prima importanza che i soci di questa progettata accademia siano in modo eccezionale conosciuti per la loro illimitata venerazione ed attaccamento alla S. Sede.
E nel 1874 venne ascritto tra i membri dell'Accademia, ed annumerato tra i soci fondatori!... senonchè il relativo diploma non gli pervenne che dopo la morte dell'Arcivescovo[121].
Una carezza ed uno schiaffo!... uno schiaffo ed una carezza!...
Ai primi di dicembre l'Arcivescovo diramava una lettera pastorale Per il Santissimo Natale, insieme con vari Avvisi, nel primo dei quali diceva:
Affine di evitare i disordini, che facilmente accadono nel centro della notte, ove si fa troppa agglomerazione di persone, proibiamo severamente sotto le pene ecclesiastiche da incorrersi immediatamente, sia di amministrare la Santa Comunione, sia di celebrare le tre messe nella notte del S. Natale in qualunque sia delle chiese, in cui si celebra la Messa a porte aperte e dando accesso al pubblico; nè facciamo eccezione per alcuna chiesa, osservando che la facoltà data dal Sommo Pontefice a certe chiese su questo riguardo, è data a condizione che vi sia il consenso dell'Arcivescovo: e questo consenso, per la suddetta ragione, Noi lo neghiamo, e se già fosse stato dato, lo ritiriamo. Vi proibiamo pure ogni musica istrumentale.
Don Bosco che fin dal 1862 godeva del privilegio, ottenuto dalla S. Sede ad septennium, di poter nella notte del S. Natale celebrar le tre Messe e dispensare la S. Comunione, - che nel 1869 gli veniva concesso in perpetuum per tutte le case della Pia Società - ne dava ragguaglio all'Arcivescovo, chiedendogli anche se nelle prossime quattro tempora avrebbe potuto ordinare un chierico; e l'Arcivescovo gli rispondeva gentilmente ma seccamente: [690]
Seminario - Torino, addì 19 dicembre 1872.
Concedo di buon grado, che si usi nell'Oratorio di V. S. in Torino e in altri luoghi della Archidiocesi la facoltà concessa di amministrare la S. Comunione nella Messa della notte del S. Natale, purchè questa si canti o legga januis clausis al pubblico: ma non do il mio consenso che si celebrino le 3 Messe nella notte, quantunque si celebrassero ianuis clausis; perchè mi spiace che si voglia andare a ritroso di ciò che la Chiesa ab immemorabili ha ordinato, cioè che siavi una Messa nella notte, l'altra nell'aurora, e l'altra più tardi; e desidero che la nuova Congregazione Religiosa di V. S. sia tenace delle antiche usanze della Chiesa.
Riguardo al Chierico Bruna, prego V. S. di avvertirlo a presentarsi a me domattina dalle 9 alle 10.
Prima che gli giungesse questa risposta, urgendogli sapere se teneva ordinazioni, Don Bosco tornava a scrivergli:
Se nella sua bontà potesse dare una sola parola di risposta in proposito del chierico Bruna, mi farebbe veramente piacere, perciocchè io non gli ho ancora detto niente, e dovrei, se occorre, cercare altrove un vescovo ordinante.
In caso negativo abbia altro tratto di bontà col fare il non dissentio pel medesimo.
Mi voglia credere con profonda gratitudine,
E subito, anche l'Arcivescovo, dopo aver riflettuto un po' sul privilegio dì poter celebrare le tre Messe nella notte del S. Natale, tornava a rispondergli:
Seminario - Torino, addì 21 dicembre 1872.
Avendo meglio esaminato la cosa non ho difficoltà di permettere, che in qualunque delle chiese della dipendenza di V. S. nella notte del Santo Natale si celebrino 3 messe purchè januis clausis. [691] Quest'oggi mandi alcuno al Seminario e le saranno restituite le candele degli ordinandi di stamane.
Don Bosco comunicò ai superiori la disposizione dell'Arcivescovo, e Don Lazzero gli domandò:
- Come faremo ad entrare in chiesa a porte chiuse?
- Scenderemo in chiesa dalla scala del campanile!...
Ed inviava ai benefattori ed agli amici quest'invito:
“Nella prossima solennità del S. Natale nella chiesa di Maria Ausiliatrice si celebreranno secondo il solito le tre messe di mezzanotte, con facoltà di fare la Santa Comunione e con l'indulgenza plenaria.
”Ma in ossequio alle disposizioni del nostro Arcivescovo le funzioni si faranno a porte chiuse, e perciò chi desiderasse intervenire è invitato di passare per la porta dello stabilimento, donde àvvi libera entrata in chiesa”.
Intanto aveva già fatto comporre il nuovo esemplare delle Costituzioni con un breve ragguaglio sullo stato della Pia Società, che avrebbe presentato al S. Padre insieme coll'istanza per la definitiva approvazione, e, come d'intesa, in ripetuti colloqui, anche di questo inviava le bozze all'Arcivescovo con i più cordiali auguri di tutti i confratelli e di tutti gli alunni per le imminenti feste natalizie.
Secondo il suggerimento che ebbe la bontà di darmi le mando le bozze del Brevis notitia che intendo inviare stampato in più copie a tutti i membri della Congregazione dei Vescovi e Regolari per comodità di chi legge. Sarà unita una copia delle Costituzioni, di cui pure manderò a V. E. le bozze, sebbene le abbia già vedute. Se desidera che nella Brevis notitia si stampi la sua commendatizia, sarà una grande facilitazione perchè possa leggersi con maggior facilità; ma bisognerebbe che la mandasse. Troverà qualche errore di ortografia nelle bozze unite, ma queste saranno ancora ben rivedute.
Tutti i soci della Congregazione di S. Francesco di Sales, unitamente [692] ai giovanetti loro affidati, augurano unanimi buone feste natalizie, supplicando la Divina Maestà a concederle la sanità stabile, mentre con profonda gratitudine a nome di tutti mi professo,
L'Arcivescovo non aveva ancor esteso la Commendatizia, e non ritenne che fosse apposta nell'opuscolo illustrativo.
La Brevis notitia era una ristampa della Notitia brevis Societatis Sancti Francisci Salesii et nonnulla decreta ad eamdem spectantia, edita nel 1868 e già presentata alla S. Congregazione dei VV. e RR.[122], con vari ritocchi nell'esposizione dello stato della Pia Società, imposti dal suo incremento, e, in fine, queste dichiarazioni:
Finalmente il favorevolissimo nostro Arcivescovo di Torino, bramoso d'aggiungere qualche nuovo segno di benevolenza ai molti e grandi già dati antecedentemente, commendò con amplissime dichiarazioni la Società Salesiana ed arricchì la casa - madre e l'annesso Tempio dedicato a Maria Ausiliatrice dei diritti parrocchiali, ed in pari tempo confermò ed ampliò i privilegi concessi dai suoi predecessori, con decreto dei 25 dicembre 1872.
Ed ora il nostro Arcivescovo e tutti i Vescovi della Provincia Ecclesiastica di Torino, insieme con moltissimi altri, domandano l'approvazione definitiva della Società Salesiana[123].
Lette le bozze, l'Arcivescovo le restituì, dicendo apertamente a Don Bosco che era risoluto di ritener la Pia Società sotto la giurisdizione dell'Ordinario, ed in questo senso aveva già fatto la Commendatizia, e glie ne porgeva una copia. Don Bosco rimase stupito nel veder in essa, dopo le lodi più entusiaste, apposte quattro condizioni, colle quali dava norme tassative alla S. Congregazione dei Vescovi e Regolari. Ma non si perdè di coraggio.
E l'Arcivescovo, fermo nel suo disegno, ne studiò un'altra. Nella fiducia di persuader altri Vescovi a mettersi dalla sua parte, spediva a quelli del Piemonte ed agli altri che avevano [693] una casa salesiana nella loro diocesi, una lettera privata, che in realtà poteva dirsi una circolare, nella quale ripeteva, sostanzialmente, le condizioni alle quali avrebbero dovuto attenersi nel formulare la Commendatizia, qualora ne fossero richiesti, per l'approvazione delle Costituzioni della Società di S. Francesco di Sales.
Mons. De Gaudenzi, Vescovo di Vigevano, ne informava Don Bosco, dicendo apertamente che non condivideva il parere dell'Arcivescovo. E Don Bosco lo pregava ad inviargliene copia, mentre scriveva a Mons. Manacorda, che si trovava a Roma.
ORATORIO DI S. FRANCESCO DI SALES
Via Cottolengo, n. 32] 25 - '73.
lo non potrò essere a Roma che tra il 12 ed il 15 del prossimo febbraio. Siccome la precaria mia sanità non comporta di andare solo, così Ella mi aggiusti con qualcheduno dove io abbia una camera più un camerino pel mio D. Berto, che probabilmente sarà il mio angelo custode. Il sig. Avv. Bertarelli mi offre una camera cogli accessorii; la Sig. Rosa Mercurelli ha già una camera a mia disposizione. L'Abate Fava mi offre pure alloggio, senza parlare del cortesissimo amico Colonna.
Ella pertanto ci pensi e scelga dove giudica meglio; ma noti che non intendo di aggravare alcuno, farò altre economie, ma a Roma voglio farla da signore. Mi capisce?
Il nostro Arcivescovo dopo il 3 del p. febbraio fa pure una gita a Roma, non so con quale scopo. Ci ha fatto la commendatizia con espressioni le più lusinghiere, ma in fine mette quattro condizioni con cui dà regola alla Congregazione dei Vescovi e Regolari [come] debba approvarci. Le vedrà a parte.
Egli ha scritto una parola a tutti i Vescovi del Piemonte, e credo che l'abbia pure indirizzata a Lei, dove raccomanda più cose, qualora Don Bosco dimandasse commendatizie presso al Santo Padre. Monsignor di Vigevano mi scrisse dicendo che non approva tale circolare; non posso averne il tenore, avutolo lo farò tosto pervenire.
Il suo maggiordomo è qui fino a tanto che Ella darà altri ordini.
Faccia i più affettuosi ossequi al Sig. Colonna, a Beppino e tutta la famiglia; e, se può, faccia pervenire l'unita lettera a Mons. Vitelleschi.
Ci benedica tutti, e mi creda in G. C.
Il Vescovo di Vigevano gli mandava copia della lettera di Mons. Gastaldi, che qui riferiamo:
Il Molto Rev. Sig. Don Giovanni Bosco, mio diocesano, desiderando di ottenere dalla S. Sede un'approvazione definitiva della sua congregazione, ricorse a me, perchè appoggiassi la sua dimanda al Sommo Pontefice con una mia raccomandazione allo scopo suaccennato ponendovi dentro le seguenti osservazioni:
1. Che cioè, a mio giudizio, nessuno dei membri della detta Congregazione possa essere promosso agli ordini Sacri, prima che abbia emesso i Voti perpetui. Altrimenti, dopo gli ordini potendo uscire dalla Congregazione senza patrimonio, epperò senza titolo ecclesiastico, molti potrebbero ricorrere alla Congregazione e farvi i voti triennali, solo per avere una via facile e senza spese di compiere gli studi chiericali e ricevervi gli Ordini, per poi terminati i voti ritornarsene in patria ed offerirsi al Vescovo che li vorrà ricevere.
2. Le Regole che riguardano il Noviziato siano tali da fare dei religiosi radicati nelle virtù, come avviene nella Compagnia di Gesù.
3. Tutti i membri della Congregazione quante volte hanno a ricevere gli Ordini, o Maggiori o Minori, si sottomettano ciascuno al prescritto del Concilio di Trento sess. XXIII cap. 12: Regulares quoque, nec in minori aetate, nec sine diligenti examine ordinentur: privilegiis quibuscumque quoad hoc penitus exclusis.
Lo che si ripete nel Pontificale Episcoporum De Ordinibus conferendis, e non pretendano al diritto di essere ordinati, senza prima esser esaminati dal Vescovo o dai suoi delegati.
Il Vescovo abbia diritto di visitare le chiese e gli Oratorii della Congregazione ed esaminare se in questi tutto sia secondo le leggi ecclesiastiche, e si adempiano in esse i legati pii.
Espongo a V. E. queste cose, perchè supponendo che anch'ella sia invitata a fare una simile raccomandazione se le paresse bene, vi ripetesse le istesse cose, le quali mi sembrano troppo necessarie, per mantenere in seguito la buona armonia tra i Vescovi rispettivi e le Case di questa Congregazione, quando questa, come lo spero, sarà approvata.
Colla più alta stima e considerazione, sono di V. E. Rev.ma,
Devot.mo ed Umilis.mo servitore
Stante cotesto contrasto, Don Bosco era quasi deciso di sospender le pratiche per ottenere l'approvazione definitiva, e tornava a scrivere a Mons. Manacorda: [695]
Ecco la circolare scritta dal nostro Arcivescovo ai Vescovi Subalpini intorno alla nostra Congregazione. Un'approvazione in questo modo distrugge tutto quello che ha già fatto la Santa Sede. Se non avesse scritto agli altri Vescovi, io potrei sperare sopra le commendatizie altrui, ma questa circolare, certamente da me non richiesta, dimostra che egli ne è avverso, e che probabilmente dirà assai più in senso contrario verbalmente, ora che è a Roma.
Ora io La pregherei di procurarsi un'udienza dall'eminentissimo Berardi, interpellandolo se forse non sia caso di differire ogni cosa; tanto più che la nostra Congregazione è definitivamente approvata, e per dieci anni il Superiore può dare le dimissorie; le altre cose si dimanderanno alla Santa Sede di mano in mano ne sarà bisogno. Se poi sua Eminenza, veduta la commendatizia del nostro Arcivescovo e la sua circolare agli altri Vescovi, dice di andare avanti, io mi recherò tosto a Roma.
Una cosa altamente mi rincresce. Appena fu eletto Arcivescovo di Torino, si offerì subito di promuovere la definitiva approvazione della nostra Congregazione. Nell'anno scorso volendo effettuare il suo pensiero, chiesi se giudicava dare principio alla pratica: disse di sì, e che ci avrebbe dato l'appoggio, come aveva fatto quando era Vescovo di Saluzzo. Non si fecero nè si posero condizioni di sorta, nemmeno ha esternato di dare norma alla Santa Sede sul modo di simile approvazione, come ora pretende.
Fu allora che pregai l'eminentissimo Berardi ad interpellare in modo confidenziale il Santo Padre, se avrebbe veduto bene una dimanda per una definitiva ed illimitata approvazione della nostra Congregazione. E il Santo Padre accolse con benevolenza il divisamento, suggerendo di mettere in corso regolare la relativa supplicazione.
Ora colle apposte condizioni mette ogni progetto in dubbio, e metterebbe la novella istituzione in uno stato assai peggiore di quello che sarebbe presentemente.
Chi sa che non sia caso di non presentare nuove commendatizie nella progettata dimanda? Vi Sono 24 commendatizie di vari Vescovi presso la Congregazione dei Vescovi e Regolari, aggiugnervi quelle nuove che non propongono di disfare il già fatto? Che ne dice?
In questo affare ho bisogno di consiglio; e se qualcheduno, o V. S., oppure l'Eminentissimo benemerito Cardinale, giudicassero di farne parola al Santo Padre, sarebbe per me un vero tesoro. Poichè desidero di studiar tutte le vie possibili per non aggiugnere fastidi nè a me, che ne ho molti, nè ad altri.
Appena ricevuto questo piego, favorisca di scrivermi una parola per mia tranquillità. [696] Egli anticipò la sua partenza per Roma; non se ne sa la cagione.
Gradisca i saluti di tutta la casa, preghi per noi e specialmente pel suo povero, ma sempre
La risposta fu d'andar avanti senza paura. Tuttavia, per prudenza, sospese la stampa delle nuove Costituzioni, in attesa del ritorno dell'Arcivescovo, per aver ancora un colloquio, e intanto inoltrava istanza ai Vescovi di Cassale, di Albenga, di Genova, e di Savona ed all'Arcivescovo di Genova, che avevano case salesiane nelle loro diocesi, ed anche al suo caro Mons. De Gaudenzi, Vescovo di Vigevano, per una Commendatizia da unire all'istanza che avrebbe presentato alla S. Sede per la definitiva approvazione.
Quando Mons. Gastaldi fu di ritorno, scriveva al Teologo Chiuso.
Fammi il piacere di dire a Mons. Arcivescovo che dimani mattina parto per Roma, e se lo possa servire in qualche cosa, prepari qualunque commissione.
Se poi oggi, o dopo il pranzo, o verso notte, può darmi un momento di udienza, l'avrò come favore.
Credimi con gratitudine, nel Signore,
Andò, fu accolto, e prima di tutto ripetè a Monsignore che andando a Roma, se poteva servirlo in qualche cosa, l'avrebbe fatto con piacere; e l'Arcivescovo gli porgeva copia della Commendatizia che aveva già direttamente inoltrato alla S. Congregazione per l'approvazione della Pia Società[124].
Egli la lesse e ne restò assai impressionato, contenendo altre condizioni oltre quelle che si leggevano nell'esemplare che gli aveva già presentato.
In essa, infatti, dopo aver ripetuto le dichiarazioni fatte allorchè era Vescovo di Saluzzo, cioè com'avesse co' suoi occhi veduto e ammirato l'inizio e l'incremento della nostra [697] Società, e dopo aver rilevato lo stato fiorente dell'Oratorio di Valdocco, riboccante di più di 800 alunni, e degli altri istituti aperti a Lanzo e nelle diocesi di Casale, di Genova, di Savona e di Albenga, nonchè del Santuario di Maria Ausiliatrice, sorto in modo quasi prodigioso, e dei quattro Oratori festivi fiorenti in Torino, per cui vedevasi nettamente esser l'Opera di Don Bosco ben ordinata e quindi degna dell'approvazione della S. Sede, passava ad esporre, non più quattro, ma sei esplicite condizioni, alle quali la voleva sottoposta, l'ultima delle quali incredibile:
1) Il Fondatore presenti le Regole definitive.
2) In queste sia ben delineato il regolamento del Noviziato.
3) Nessun socio sia ammesso agli Ordini sacri prima d'aver fatto i voti perpetui.
4) In conformità delle prescrizioni del Concilio di Trento gli ordinandi sieno prima esaminati dal Vescovo ordinante.
5) Il Vescovo abbia il diritto di visitare tutte le chiese e gli Oratori per constatare se in tutto si osservano i Sacri Canoni e le leggi ecclesiastiche, e si eseguiscono esattamente i legati pii.
6) Alla nuova Congregazione venga concesso quel tanto appena d'esenzione dalla giurisdizione vescovile, che è necessario per mantenersi e nulla più; e nel resto rimangano in vigore permanente tutti i diritti e i doveri vescovili.
Don Bosco ne fu così impressionato che gli fe' comprendere che avrebbe forse lasciato il pensiero d'inoltrar l'istanza per l'approvazione, e partiva per Roma, dove, dopo aver fatto varie tappe a Parma, Piacenza, Bologna e Firenze, era prevenuto da un'altra lettera dell'Arcivescovo, inviata nientemeno al Card. Caterini, Prefetto della S. Congregazione del Concilio.
Seminario, Torino, addì 19 febbraio 1873.
Il molto Rev. Don Giovanni Bosco da Castelnuovo, mio diocesano, fondatore di una Congregazione di ecclesiastici, la quale ottenne già un'approvazione provvisoria dalla S. Sede, mi domandò una [698] commendatizia che appoggiasse la domanda che intendeva presentare al Sommo Pontefice, acciò la sua Congregazione ottenesse un'approvazione definitiva. Io accondiscesi al desiderio espressomi e gli diedi la commendatizia, di cui quindi unisco una copia originale, cioè da me sottoscritta; esponendo infine le cose che io giudico sarebbero necessarie pel buon esito della Congregazione e la tranquillità a mantenersi col clero delle Diocesi, ove questa Congregazione sarà per istendersi.
Queste condizioni non piacquero al fondatore della Congregazione, epperciò esso mi disse che per ora lascia le cose come sono, e non presenterà la sua domanda. Siccome a Roma si conosceva la intenzione del detto fondatore, ed ora mutandosi questa, se ne cercherà probabilmente il perchè, per questo comunico a V. E. la detta Commendatizia, affinchè Ella esamini e proferisca il suo giudizio.
Certamente io reputo che in questa Congregazione:
1. È necessario un Noviziato in regola, altrimenti non si formeranno uomini capaci di tenerla in essere od in fiore per l'avvenire.
2. Sono necessarii studii filosofici e teologici ed altri simili, assai più sodi e serii di quelli che generalmente si fecero finora.
3. Che non si ammettesse alcuno agli Ordini Sacri prima che avesse fatto i voti perpetui, semplici però, e dispensabili dal Superiore in nome del Sommo Pontefice. In caso diverso, cioè ammettendosi, come si ammettono ora, i membri di detta Congregazione agli Ordini Sacri coi soli voti triennali, è cosa chiara che molti entrano in questa Congregazione, non con intenzione di rimanervi, ma di esservi fatti Sacerdoti senza costo di spesa, e terminato il triennio, il quale talvolta termina subito dopo ricevuto il presbiterato, se ne usciranno, e i Vescovi bisognerà che li ricevano come sono senza essere stati educati da loro, e forse con opinioni dissonanti da quelle del rimanente Clero diocesano. Io penso pertanto che per ora si potrebbero lasciare le cose come sono, proseguendo a mantenere il Sig. Don Bosco la facoltà di dare le Dimissorie a quelli fra i suoi discepoli i quali prima di 14 anni entrarono nel suo Oratorio, perchè vengano promossi agli Ordini Sacri; ma sarebbe bene lo aggiungere che non si promovessero agli ordini sacri se non quelli che avranno emessi i voti perpetui.
Sono colla massima osservanza e baciandole la sacra porpora,
Ma il Signore era col suo Servo, e questi, vivendo in continua unione con Lui, raccoglieva con ugual serenità le rose e le spine! [699]
Appena fu a Roma, scriveva Don Berto, subito si destò attorno al Santo „l'entusiasmo del '67”, quando ve l'aveva accompagnato Don Francesia.
“Tutti cercano Don Bosco e si credono fortunati di baciargli la mano una volta, beati se possono averlo seco loro una volta a pranzo. Egli consola tutti, di modo che dappertutto dove va, fa rinascere la speranza e la vita. In queste presenti turbolenze di cose, qui in Roma si vive dai più in una continua agitazione di timori e di spavento, specialmente dai religiosi e dalle monache; ma, appena parlano con Don Bosco, riprendono forza e coraggio.
Sono impegnatissimi tanto il Papa come i Cardinali e tutti gli altri superiori ecclesiastici, affinchè la nostra Congregazione possa presto dilatarsi e provvedere ai presenti bisogni della società”.
Tutti, infatti, incoraggiarono Don Bosco a continuar le pratiche per l'approvazione delle Costituzioni. Il 27 febbraio, anche il S. Padre, in una prima udienza che gli concesse, d'oltre un'ora e un quarto, gli disse d'andar avanti senza paura.
- Se stesse solamente da Lui, diceva poi Don Bosco a Don Berto, sarebbe subito aggiustata ogni cosa!
E scrivevano a Don Rua che sollecitasse l'invio delle nuove Costituzioni, delle quali aveva ordinato la stampa.
Chi l'aiutò cordialmente a preparar l'istanza da umiliare al S. Padre, con gli allegati richiesti, fu lo stesso Segretario della S. Congregazione dei Vescovi e Regolari, Mons. Salvatore Nobili Vitelleschi.
Nella supplica, in lingua latina, si legge, benchè il Santo fosse a Roma, la data „Torino, 10 marzo 1873”.
La Società Salesiana, che Voi, Beatissimo Padre, coll'opera e col consiglio, avete fondata, diretta e rassodata, implora dalla Vostra grande benignità nuovi lavori; poichè l'esistenza [700] e la pratica di quasi trent'anni delle Costituzioni di questa Società, le difficoltà e i gravi pericoli superati, ed”il meraviglioso suo incremento sono altrettante prove, che ci fanno vedere il dito di Dio, come affermano anche i Vescovi nelle loro Commendatizie.
Or dunque, a compimento dell'opera, si desiderano soprattutto due cose: l'approvazione definitiva delle Costituzioni e piena facoltà di rilasciare le Dimissorie.
Son questi i due lavori che imploro con umilissime ed insistenti preghiere.
E perchè si scorga a colpo d'occhio lo stato della Congregazione si aggiungono questi allegati:
1) Una breve notizia o raccolta di documenti relativi a questa Congregazione.
2) Varie copie delle Costituzioni dell'ultima edizione.
3) Alcune dichiarazioni sopra varie piccole varianti che l'esperienza mostrò assai utili allo sviluppo e al consolidamento della Congregazione.
La Vostra bontà e benignità degnisi aggiungere tutto ciò che manca.
E mentre poniamo fiduciosi questo nostro grande affare nelle mani del Signore, tutti i soci della Congregazione, che tutti si gloriano d'esser Vostri figliuoli, cordialmente e intimamente preghiamo Iddio a compiere egli stesso e a suggerirVi quanto è meglio agli occhi suoi.
Intanto, prostrato ai piedi di Vostra Santità, più felice di tutti, mi sottoscrivo supplicando,
Societas Salesiana, quam tu, Beatissime Pater, opere et consilio fundasti, direxisti, consolidasti, nova beneficia a magna clementia tua postulat. Etenim huius Congregationis constitutionum. existentia et praxis ferme triginta annorum, difficultates et gravia pericula [701] superata, admirabile eius incrementum, sunt totidem argumenta, quae Dei digitum ostendunt quaemadmodum ipsi episcopi in eorum litteris commendatitiis asserunt.
Nune vero ad Huius operis complementum duo summopere adhuc desiderantur: absoluta Constitutionum approbatio, et facultas dimissoriales litteras relaxandi absque exceptione.
Haec sunt duo beneficia quae humillimis et enixis precibus exopto.
Ut autem, uno oculorum ictu, Congregationis status dignoscatur hic adnectuntur:
1° Brevis notitia sive collectio documentorum ad hanc Congregationem spectantium;
2° Nonnulla exemplaria Constitutionum de ultima editione.
3° Declarationes supra aliquas parvi momenti mutationes, quas experientia ad processum et soliditatem Congregationis perutiles ostendit.
Caetera, quae desunt, addere dignetur Bonitas et Clementia Tua.
Dum autem hoc magnum negotium nostrum in manus Domini commendamus, omnes Salesianae Congregationes Socii, qui omnea filios tuos esse gloriantur, corde et animo Deum deprecamur, ut, quidquid in oculis Domini melius sit, ipse perficiat, tibique suggerat.
Interim ad Tuae Sanctitatis pedes provolutus, caeteris felicior suppliciter subscribo,
Della Brevis notitia e della nuova edizione delle Costituzioni abbiam già detto.
Nelle Declarationes (De Regulis Societatis Salesianae aliqua declaratio) Don Bosco annotava com'erano state accolte le tredici Animadversiones ricevute nel 1864; cioè:
- sei (la 1a, la 2a, la 6a, la 10a, la 12a e la 13a) in forma assoluta; .
- due (l'8a e la 9a) sostanzialmente;
- tre (la 5a, la 7a e l'11a) accolte, ma senza farne cenno nelle Regole;
- una (la 3a), che era già stata ammessa, soppressa per consiglio di Mons. Gastaldi;
- un'altra (la 4a) lasciata in discussione.
L'8a suggeriva d'apporre che i soci ogni giorno avrebbero atteso più d'un'ora (plusquam unius horae spatium) all'orazione [702] mentale e vocale, e che ogni anno avrebbero atteso per dieci giorni (per decem dies) agli Esercizi spirituali; ed egli, come s'è detto, mise „non meno d'un'ora d'orazione”ogni giorno, ed ogni anno „dieci o almeno sei giorni” di esercizi.
La 9a voleva soppresso il capo Degli esterni, ed egli l'aveva tolto dal testo delle Costituzioni, e posto in appendice, ove, diceva, l'avrebbe lasciato, se la S. Sede fosse del parere.
La 5a che esigeva il beneplacito della S. Sede per fare alienazioni e contrarre debiti, la 7a che voleva lo stesso beneplacito per la fondazione di nuove case e per accettare la direzione di Seminari, e l’11a circa la relazione sullo stato dell'Istituto da inviarsi ogni triennio alla S. Congregazione, le diceva accolte e già osservate e che verrebbero sempre osservate, senza inserirle unicamente per motivi di prudenza richiesta in quei tempi, nelle Costituzioni.
La 3a, riguardava la dispensa dai voti. Nell'esemplare del 1864 si diceva: “I voti obbligano l'individuo finchè dimora in Congregazione. Se alcuno, o per ragionevole motivo o dietro prudente consiglio dei Superiori, dovesse partire dalla Congregazione, egli può essere sciolto dai voti dal Superiore Generale della Casa Maestra”. E Don Bosco, in ossequio all'Osservazione, già nella prima edizione delle Regole in latino aveva posto che il Superiore poteva dispensare soltanto dai voti triennali e per la dispensa dai voti perpetui era necessaria la dispensa dalla S. Sede; ma nell'ultima edizione, mentre si dichiarava pronto ad accogliere, qualunque fosse per essere, il volere della S. Congregazione, era tornato ad apporvi essere in facoltà del Superiore Generale il dispensare anche dai voti perpetui, e ciò per consiglio dell'Arcivescovo di Torino, il quale, a voce e per iscritto, gli aveva ripetutamente dichiarato che era in facoltà del Superiore Generale, come in tutte le Congregazioni congeneri... Anche da questo particolare traluce l'attenzione dell'Arcivescovo per tener lontana, più che gli era possibile, la Pia Società dalla diretta dipendenza della S. Sede.
La 4a, riguardante le Dimissorie per le Sacre Ordinazioni, [703] fu lasciata in discussione nella fiducia d'ottenere dalla Santa Sede piena facoltà di concederle direttamente[125].
Nella supplica Don Bosco non fece alcun cenno di nuove Commendatizie; ma non tardò ad aver quelle che aveva richieste, e man mano che gli giungevano le rimetteva a Monsignor Vitelleschi.
Le prime furon quelle dei Vescovi di Casale e di Savona, pienamente favorevoli e senza condizioni o restrizioni di nessuna specie.
Quella di Mons. De Gaudenzi, Vescovo di Vigevano, non poteva essere più ampia e più cordiale. Dopo aver rilevato come “il nome del sacerdote Don Giovanni Bosco da vari lustri” risuonasse “grato e venerato principalmente in Piemonte”, essendo „comune e somma l'ammirazione per il bene da lui operato”, diceva „non necessaria” la sua Commendatizia “perchè le opere del santo Sacerdote parlano da sè”, tuttavia tornargli „cosa assai grata rendere questa testimonianza dell'ammirazione e gratitudine” che professava „per un Sacerdote che” aveva „apprezzato costantemente, ed in cui fino dagli esordii delle sante sue imprese” aveva „ammirato un uomo suscitato dal Signore a gloria del Cattolico Sacerdozio, a bene dell'umanità”.
Anche Mons. Siboni, Vescovo d'Albenga, l'inviava favorevolissima. Di lui abbiamo anche la risposta alla circolare di Mons. Gastaldi, in cui pareva convenire alle condizioni suggerite, senza però celare l'ammirazione che aveva per Don Bosco e per l'Opera Salesiana, quindi passava ad altro, esponendogli le preoccupazioni che quei giorni angustiavano l'Episcopato[126].
Solo l'Arcivescovo di Genova annuiva in parte alle insistenze di Mons. Gastaldi pur rilevando i benefici frutti dell'Ospizio di S. Pier d'Arena[127].
Don Bosco pregò Monsignor Manacorda, mentre era a Roma, a fargli egli pure due righe di raccomandazione, e questi, per i tanti affari, non avendo mai un momento tranquillo [704], approfittò di un giorno che dovette recarsi ad Assisi, e, mentre tornava a Roma prese la matita e la scrisse; poi subito la copiò e la diede a Don Bosco, in data 11 marzo, e il Santo la rimise senz'indugio a Mons. Vitelleschi, dicendogli che non ne avrebbe avuto nessun'altra.
Il Segretario della S. Congregazione le presentò tutte insieme al S. Padre, il quale lesse il nome di coloro che le avevano scritte, e, presa quella di Mons. Manacorda, glie la porse dicendo: - Leggètela! - e seguì la lettura con attenzione, e ne rimase così contento, che non volle neppur vedere le altre, ed esclamava:
- Dunque accontentatemi Don Bosco!
La Commendatizia di Mons. Manacorda fu veramente la più bella, e quasi, oseremmo dire, un'anteriore proclamazione della divina missione del Santo!...
Fin dall'anno 1844 sorgeva in Piemonte una Società sotto il titolo di S. Francesco di Sales, per cura dell'egregio sacerdote Giovanni Bosco, della diocesi di Torino, che fin dalla fanciullezza, con onesti passatempi, con buone parole e col buon esempio ammaestrava i fanciulli nelle cose divine. La giovialità e l'amabilità singolare che in lui splendeva, senza che egli vi pensasse e neppur lo sognasse, gli aveva guadagnato dappertutto così buon nome, da attirare a sè i fanciulli come con forza, velata dalla carità. Non ricevendo invano la grazia dell'eterna luce, egli crebbe in età e in grazia innanzi a Dio ed innanzi agli uomini; e, non attratta con altri mezzi che con quelli della perfetta carità, sempre più numerosa si strinse attorno a lui una corona di fratelli con giubilo dei Torinesi e dei paesi e delle città vicine. Così noi sappiamo esser nata la Società Salesiana, la quale, nel 1869, dietro istanze di molti Vescovi, fu approvata e confermata dalla Santa Sede come Società di voti semplici, sotto il regime del Superiore Generale, il sullodato Giovanni Bosco, differendosene tuttavia l'approvazione delle Costituzioni. Ora, avendoci chiesto il sullodato sacerdote una lettera commendatizia per ottener più facilmente dall'Apostolica Sede la definitiva approvazione, Noi, in coscienza ed avanti il Signore, attestiamo quello che abbiam veduto coi nostri occhi e udito colle nostre orecchie, affinchè la suddetta Società, assicurata e rafforzata dell'autorità della Sede Apostolica, apporti, com'è adatta, buoni frutti anche ai posteri.
Essa è veramente il grano di senapa, che mentre è il più piccolo [705] dei semi, diventa il più grande degli erbaggi, ed estende i lunghi rami all'ombra dei quali si rifugiano gli uccelli dell'aria; così la Società, da umili inizi, fecondata dalla rugiada della grazia divina, per non dire quasi per miracolo della Provvidenza, crebbe in breve, tra l'ammirazione universale, come un grand'albero, nei cui rami i poverelli specialmente trovano ospitalità paterna, e, ciò che è più di tutto, son nutriti di cibo divino. Tutti son unanimi nell'affermare il bene compiuto e che quotidianamente compie l'Istituto, che lancia, come un faro acceso, i suoi raggi in ogni parte, onde non è da meravigliarsi che i poveri giovani corrano da ogni parte a rifugiarsi nell'Oratorio Salesiano, attratti dall'odore degli unguenti che scaturiscono dalle fonti della cristiana carità. Ivi, infatti, le anime si arricchiscono di virtù; ivi la fede retta, la speranza ferma, la carità non finta. Ivi i fanciulli son allevati nella scienza e nella pietà, con longanimità, con pazienza, con dolcezza, e con l'insegnamento del vero tutti vengon educati con schiettezza cordiale.
Quelli d'ingegno son coltivati negli studi, gli altri nei vari mestieri secondo la propria indole, non esclusa la musica, non tanto per inclinazione, ma pure per un onesto guadagno, cioè per aver di che vivere all'uscita dall'Istituto. Ancor di più per le tristi condizioni dei tempi. Dovunque, infatti, sorgono piccoli Oratori, ove i fanciulli raccolti sotto il patrocinio di un Santo, sono educati alla pietà, col catechismo, colla S. Messa, con pie esortazioni, colla frequenza dei Sacramenti, ed anche con onesti trastulli, de' quali l'età tenerella a stento può restar priva.
Gli ottimi sacerdoti della medesima Società, preposti alle scuole, ciò che gratuitamente ricevettero, gratuitamente rifondono amabilmente colle parole, con gli scritti e coll'esempio. Sale è indubbiamente la Società Salesiana, da cui vengono conditi i tempi tristi; è luce che illumina quelli che han gli occhi e non vedono, e siedono nell'ombra della più oscura ignoranza; è voce di chi grida per le vie e per le piazze, e libera tutti i poveri giovani dal cattivo lievito, ed insegna loro i divini comandamenti. Nè si ha da tacere ciò che da tutti si dichiara utilissimo, lo stabilimento tipografico, da cui vennero già pubblicati molti libri, mercè lo studio e le gravi fatiche dei membri della stessa Società.
Questi ed altri frutti si devono all'ottimo Istituto, nel quale durante il Noviziato con quotidiane allocuzioni ed altri spirituali esercizi vengono coltivati dal Rettore, ed all'alacrità con cui attendono agli studi per il bene comune. Abbiam detto Noviziato, aggiungiamo meno palese degli altri, ma vero noviziato, qual si conviene ed esige il bene dell'Istituto e delle anime. Poichè non v'è chi non vegga che il farlo apertamente, e quasi con pompa esteriore, sotto gli occhi dei distruggitori degli Ordini monastici, non sarebbe possibile senza metterne in pericolo l'esistenza. Per questo, noi, pazientemente, [706] quanto ancora di più perfetto si desidererebbe, lo rimettiamo nelle mani di Dio il quale, ridonata la pace alla Chiesa, fornirà tutti quei mezzi che son necessari alla totale perfezione dell'Opera sua. Del resto che i Soci Salesiani sieno egregiamente educati nello stesso noviziato, senza ripetere altre ragioni esposte, lo comprova il fatto che dalle loro scuole ogni anno prendono la via del sacerdozio non meno di cento alunni, venendo a formare non la minima parte dei giovani che crescono alle speranze della Chiesa nei Seminari del Piemonte, da ammirarsi non tanto per il numero, ma ancor più per la pietà e per la loro formazione.
Noi, pertanto, alle supplichevoli istanze del Sacerdote Giovanni Bosco uniamo per l'effetto indicato le nostre. La Sede Suprema, cui promettiamo la massima ubbidienza e venerazione fino alla morte, sorretta dalla sapienza divina, giudicherà ciò che è bene.
Queste Commendatizie fecero un'ottima impressione e, senz'indugio, veniva deciso che al più presto verrebbe affidato l'esame delle Costituzioni a qualche Consultore, perchè dèsse il suo voto, sebbene le dichiarazioni di Mons. Gastaldi, fatte anche verbalmente, rimanessero un punto interrogativo.
“Le pratiche della nostra Congregazione - scriveva il 12 marzo Don Berto a Don Lemoyne - sono in corso, e speriamo felice esito”; mentre prendeva nota anche dei seguenti particolari.
In una visita a Monsignor Fratejacci il discorso cadde sulle trattative per l'approvazione definitiva delle Costituzioni della Pia Società, e Monsignore diceva a Don Bosco:
- Credo che l'Arcivescovo di Torino farà molto!
- Come? è lei che l'ha proposto a Vescovo di Saluzzo e poi ad Arcivescovo di Torino!...
- Ecco, Monsignore, io dico come la madre di Coriolano: Se non avessi avuto un figlio, ora non sarei schiava! Così io, se non l'avessi fatto vescovo, ci sarebbe un imbroglio di meno. [707]
- Non ho mai saputo fino adesso che fosse contrario alle corporazioni religiose.
- È vero che c'è del guasto, si riformi quel che c'è da riformare, ma non si distrugga.
E Monsignore soggiunse: - Bisognerebbe correggerlo.
- Si è già fatto; il Santo Padre l'ha corretto. Egli sospendeva a destra e a sinistra per cose da nulla, ed ora a Torino continua a fare lo stesso. Veda, ci costringe a portare alla revisione aritmetiche, almanacchi, ecc. e li tiene là fermi, e noi dobbiamo sospendere i lavori.
- Oh questo mi fa veramente stupire! Già l'ho osservato al Concilio, che il giorno della seduta metteva una talare un po' più lunga del solito, e questo mi ha fatto stare sopra pensiero. C'è pericolo che simile sorta d'individui vada poi al Giansenismo. Oh! mi rincresce! Mi ricordo ancora quando Ella mi faceva osservare i Vescovi da lei proposti e diceva: - Questo è il più santo fra tutti i Vescovi che ho proposto!... ed era Mons. Galletti. Ma questo è il più dotto di tutti!... ed era Mons. Gastaldi. Povero Don Bosco! come mi rincresce!
Infatti la strada, che doveva percorrere il Santo, era ancor lunga, e tutta scoscesa e piena di ciottoli e di spine!
Il 22 marzo partiva da Roma, il 30 rientrava nell'Oratorio, e Don Cagliero gli faceva questo racconto.
Durante la sua assenza egli era andato dall'Arcivescovo per combinare alcune ordinazioni, e, dopo un po' di colloquio alla familiare:
- A proposito, gli disse l'Arcivescovo, il rettore Don Soldati mi ha detto che uno dei vostri preti andò in Seminario, parlando ad alta voce mancando così di rispetto ai superiori con scandalo dei seminaristi.
- Scusi, Eccellenza, esclamò Don Cagliero; io non so la faccenda, ma so che il mandato era Don Bologna, il quale ha la voce forte e sempre parla forte anche nell'Oratorio. È uno che viene dalla montagna e non ha dismesso l'usanza di vociare.
- A tutti i modi avvertitelo, perchè non è cosa che vada bene. [708]
- Eccellenza, stia tranquilla che lo avvertirò. Tuttavia non so perchè Don Soldati, che fu mio compagno di scuola, per cosa da nulla vada subito a disturbare Monsignore. Avrebbe potuto dirlo a me; e avremmo rimediato ad ogni inconveniente!
Non l'avesse mai detto! L'Arcivescovo gettò a terra la lista degli ordinandi che teneva in mano, e diede la stura ad una filza d'invettive per più d'un'ora.
Come finì, Don Cagliero raccolse in silenzio le carte, s'inchinò, e si ritirò dolente; e da quel giorno si vide nella necessità di tenere un contegno diplomatico, che non piaceva a Mons. Gastaldi, il quale, in fondo, aveva molta stima per lui.
Anche Don Bosco lo vide esagerato in altre circostanze. Un giorno, entrato appena nella sua stanza, mentre stava scrivendo, lo sentì esclamare:
- Oh! Don Bosco!... Son qua che ho per le mani un affare molto serio.
- lo credo che tutto ciò che fa l'Arcivescovo sia sempre cosa seria!
- Ma qui si tratta di un caso eccezionale! Son dietro a firmare una carta che riguarda un canonico.
- Per promoverlo?: è la sospensione a Divinis!
- La prego a ponderare attentamente la cosa...
- La cosa è grave, e le informazioni avute sono esatte.
- E si potrebbe sapere chi è questo canonico?
- Monsignore, pensi che questo canonico ha una fama di condotta integerrima. Tutta Chieri lo conosce e lo ama. Sarebbe uno scandalo! ne perderebbe di stima l'autorità Ecclesiastica.
- Eppure, eppure, bisogna fare così, esclamò l'Arcivescovo risolutamente.
E così fece. Si trattava di questioni per una cappella. Il canonico era un po' cocciuto; e quando gli giunse la sospensione, non aspettandosi quella finale, andò fuori di sè, [709] poi corse da Don Bosco, pregandolo di volerlo ricoverate in una delle sue case, per toglierlo dalla confusione in cui si trovava; e Don Bosco lo mandò ad Alassio, non senza disgusto dell'Arcivescovo.
Quanti conoscevano a fondo Mons. Gastaldi, vedevano in lui due persone: la persona pubblica, autoritaria, inflessibile; la persona privata, d'un cuor d'oro, generoso, amorevole. Amava tanto e zelava la salute delle anime e lo splendore della virtù nel Clero, che s'inginocchiò dinanzi a un disgraziato, che aveva dimesso l'abito ecclesiastico e da tempo conviveva con una donna, supplicandolo a tornar sul buon sentiero, promettendogli di procurargli il necessario da vivere e di non lasciar senza soccorsi la disgraziata famiglia; non vi riuscì, ma ripetuti furono i suoi sforzi per salvare quell'anima.
La fama che Don Bosco godeva, l'autorità che naturalmente aveva in tutte le case salesiane, ed anche la particolar confidenza che gli dava il Papa, parevano all'Arcivescovo tante diminuzioni dell'autorità arcivescovile; e fermo nel tutelare i suoi diritti, esagerava di continuo nelle disposizioni; e il Signore lo permetteva perchè Don Bosco potesse avanzare ognor più, con passo da gigante, per le vie della perfezione, e in pari tempo dèsse alla nostra Società un ordinamento sempre migliore.
Aveva chiesto all'Arcivescovo la dichiarazione che non teneva le Sacre Ordinazioni il sabato Sitientes, per inviare i diaconi Luigi Lasagna e Giovanni Battista Baccino, due dei futuri primi missionari, a ricevere il presbiterato in un'altra diocesi, e gli giungeva, senza firma, ma tutta di mano dell'Arcivescovo, questa risposta, per mezzo del suo segretario:
“Tutte le volte che alcuno degli Ascritti alla Congregazione dell'Oratorio di S. Francesco di Sales si presenta alla Curia Arcivescovile di Torino per essere promosso agli Ordini, o per ottenere la Dichiarazione richiesta per ricevere gli Ordini in altra Diocesi, deve presentare [710] un attestato in cui il Superiore di detta Congregazione, o chi ne fa le veci, esponga il cognome, nome, età dell'Ordinando, il luogo nativo e la Diocesi, ed attesti:
1° Che esso è entrato nella Congregazione dell'Oratorio prima degli anni 14;
2° Che presentemente ha fatto i voti triennali e ne è ancora legato;
3° Che ha subito lodevolmente l'esame;
4° Il perchè non si presentò all'Ordinazione quando questa era amministrata dall'Arcivescovo.
Un tale attestato si presenti pei due diaconi Lasagna Luigi e Baccino Giovanni”.
Mons. Arcivescovo m'incarica di scrivere alla S. V. molto Rev. che esso non può dir nulla, eccetto che ella attesti che i due ordinandi accennati qui sopra subirono l'esame pel rispettivo ordine a cui sarebbero da promuoversi nel prossimo Sabato Santo, lo subirono dico, nella Curia Arcivescovile di Torino, e lo subirono lodevolmente.
Con profonda venerazione sono di V. S. molto Rev.
L'Arcivescovo non poteva pretendere detto esame sulla scienza teologica, essendo questo, dal Concilio di Trento, assegnato al Vescovo Ordinante. Ma siccome il voler ordinati alcuni dei nostri in altre diocesi nel giorno in cui egli non teneva Ordinazioni gli pareva una scappatoia, mentre per la Pia Società urgeva aver qualche nuovo sacerdote, gli si disse che si sarebbero presentati all'esame; ed egli, ormai deciso a mettere i bastoni tra le rote, dichiarava che dovevasi far la domanda quaranta giorni prima!
Non essendo più possibile, fu nuovamente pregato a dichiarare che non teneva Ordinazioni il Sabato Santo, ma nè li volle ammettere all'esame, nè fece la chiesta dichiarazione.
Poco dopo rinnovava le pretese, e ripeteva che l’Ordinando doveva presentarsi a lui quaranta giorni prima per essere interrogato del nome, cognome, patria, e del luogo in cui compì gli studi prima d'entrare in Congregazione, degli anni in essa vissuti, se avesse i voti triennali o perpetui e [711] da quanto tempo; qual cosa lo mosse ad entrare in Congregazione, se era contento del suo stato, perchè lasciò la diocesi, ecc. ecc.; entrando con questo minuto esame nell'interno della Congregazione, come se fosse davvero un'istituzione semplicemente diocesana!
Cotesto modo di procedere cagionò, in alcuni, inquietudini e turbamenti di coscienza, e ad altri fece anche perder la vocazione. Tuttavia, pro bono pacis, si ritenne conveniente di accondiscendere, sebbene un tal esame fosse contrario alle discipline ecclesiastiche.
Il suo lamento continuo era che Don Bosco coltivava le vocazioni per sè e non per la diocesi; e un giorno parlando con vari nel Convitto Ecclesiastico del bisogno di vocazioni, crollando il capo esclamava:
- Avvi un luogo, dove i giovani si educano per tutt'altro scopo che per aiutare la diocesi!
Tutti capirono dove andava a colpire l'accenno; e Don Savio Ascanio, ripetitore di morale, preso l'elenco dei sacerdoti che si trovavano nel Convitto, gli faceva osservare che quattro appena non erano stati educati nell'Oratorio di Don Bosco.
E l'Arcivescovo: - Lei ne ha sempre delle nuove!
- E Lei pure, Eccellenza! - rispose sorridendo Don Savio.
Nello stesso mese per impedire che si venisse all'approvazione definitiva delle nostre Costituzioni, di cui aveva appreso esser la pratica in corso, tornava a scrivere al Cardinale Bizzarri, Prefetto della S. Congregazione, una filza di lamentii e di pretese.
Torino - Seminario, 20 aprile 1873
Stimo esser mio gravissimo dovere lo esporre a Vostra Eminenza R.ma e per essa alla S. Congregazione dei Vescovi e Regolari lo stato delle cose della Congregazione di S. Francesco di Sales, istituita dal Molto Rev. Sacerdote Gio. Battista Bosco, mio diocesano; riguardo alla quale mi premerebbe assai di intendere da Vostra Eminenza, se debba riguardarsi come già approvata dalla S. Sede e perciò già ammessa a godere dei diritti e privilegi dei Regolari: oppure debba essere [712] considerata come una Congregazione che solo gode della benevolenza della S. Sede, e quel tanto de' privilegi che già le fu concesso debbe aversi solo in conto di cosa provvisoria ad experimentum, e non mai da estendersi in generale ai privilegi dei Regolari.
Questa Congregazione si formò col consenso dell'Arcivescovo di Torino Mons. Luigi Fransoni: proseguì col consenso del suo Successore Mons. Alessandro Riccardi: ed ha il mio consenso; che anzi desidero di tutto cuore che essa prosperi e duri al bene dell'istruzione ed educazione cristiana della gioventù; ma le sue Regole finora non furono approvate nè da me, al quale non fu chiesta tale approvazione, nè da alcuno de' miei Predecessori. Che anzi io non mi sentirei di approvare queste Regole quali esse sono presentemente, e quali furono date alle stampe nel presente anno dalla Tipografia di detta Congregazione. Imperocchè quivi mancano le Regole necessarie per lui buon Noviziato, senza del quale non vi saranno mai di regola ordinaria dei buoni religiosi, e conseguentemente la Congregazione non presenterà mai dei motivi da sperarne solidità e prosperità per l'avvenire.
Su questo punto del Noviziato il Sig. Don Bosco, a mio giudizio, la sbaglia assai. A me pare, che i soggetti i quali intendono poi fare i voti nella Congregazione debbono essere appositamente esercitati per due anni nell'umiltà ed annegazione di sè medesimi, e per riuscire alla totale indifferenza di se stessi, che è il sostanziale del Religioso, debbano essere applicati ad esercizi di ascetica speciale, come si fa negli Ordini religiosi, e specialmente nella Compagnia di Gesù; al contrario al Sig. Don Bosco sembra, che ammettendo ai voti solo dei giovani i quali entrarono nelle sue scuole da giovanetti e che per 7 od 8 anni od anche più furono ogni dì attentamente osservati, e furono sempre e sono ora trovati modesti, pii, casti, docili, mortificati, ciò debba bastare per giudicarli atti ai voti. Ma questo, a mio giudizio, è un errore, perchè l’esperienza di quel lungo tempo dimostrerà belle che questi giovani sono ottimi cristiani, ma non già che sieno formati a quello spirito di sacrifizio ed a quella costanza di annegazione ed indifferenza, senza cui i soggetti non potranno mai perseverare nella religione[128].
Quindi per mancanza di noviziato sono già usciti taluni i quali avevano pur fatto voti perpetui e che parevano fermissimi nella loro vocazione. E questi interrogati da me perchè fossero usciti, risposero appunto: perchè non avendo percorso un buon noviziato non avevano potuto formarsi lo spirito sufficientemente religioso.
Frattanto questa Congregazione, senza averne per nulla la intenzione [713], reca un disturbo non piccolo alla disciplina ecclesiastica in questa Diocesi, ed io temo che lo recherà pure nelle Diocesi in cui sarà per stabilirsi: ed eccone il come. Il Superiore di essa ha la facoltà di presentare all'Ordinazione i giovani, i quali sieno entrati prima, dei 14 anni nelle sue Scuole, ancorchè manchino di patrimonio, purchè abbiano fatti i voti triennali. Se terminati questi voti, gli Ordinati li rinnovassero e quindi rimanessero al servizio della Congregazione, tutto potrebbe andar bene. Ma troppo sovente avviene, che certi giovani, i quali mancano di mezzi per pagare la pensione nel Seminario, entrino in questa Congregazione, ove gratuitamente percorrono i loro corsi e vengono ordinati titulo Mensae communis; poi compiti i voti triennali, se ne escono, e si presentano al Vescovo, perchè l'incorpori nella sua Diocesi. Ma frattanto manca il patrimonio; e quale educazione, quale istruzione si è ricevuta? È questa in armonia con quella che si dà nella Diocesi? Fosse almeno stato il Sig. Don Bosco, il quale esaminò, e prima di esaminare formò quei soggetti; ma no, furono altri in cui non è nè la mente, nè l'occhio, nè lo spirito di Don Bosco. Quand'io era a Saluzzo, un mio diocesano fu ordinato in questa Congregazione, il quale brevissimo tempo dopo fu cacciato via, perchè scoperto infetto di intemperanza nel bere; e tale esso è ancora presentemente. Quindi io penso che la facoltà di presentare all'Ordinazione giovani legati coi soli voti triennali, offra una via troppo facile a tutti i giovani i quali non hanno alcuna intenzione di rendersi religiosi e che nel Santuario non cercano altro che pane, ed i quali, senza un centesimo di spesa recandosi alla Congregazione di Don Bosco, trovano il mezzo di essere ordinati, e poi cessato il triennio dei voti, si presentano dal Vescovo, che loro cerchi una pensione ecclesiastica ed un impiego: e il Vescovo per riguardo al carattere sacerdotale bisogna che loro provveda anche dopo averli respinti sulle prime quando si presentarono a chiedergli l'abito ecclesiastico.
La cosa diventa assai più grave e seria in seguito all'altra facoltà che il Sig. Don Bosco dice di avere di presentare all'Ordinazione giovani entrati nella sua Congregazione anche dopo i 14, anzi anche dopo i 20 anni. Qualche Chierico dimesso dal Seminario si presenta a Don Bosco, e questi lo riceve anche senza il consenso esplicito del Vescovo, lo manda a fare da maestro in un suo collegio posto in una Diocesi lontana, per es. da Torino lo manda a Varazze nella Diocesi di Savona, o ad Alassio nella Diocesi di Albenga; questo giovane, mentre fa il maestro, studia la Teologia; e poi a tempo debito viene presentato da Don Bosco a quel Vescovo; il quale senza altra informazione me lo ordina; e il giovane Ordinato, tosto compiti i suoi tre anni de' voti, ritorna a casa, ed è Sacerdote senza che il suo Vescovo diocesano siavi entrato per nulla, anzi l'avesse giudicato inabile.
Finalmente in questa Congregazione non si possono formare ecclesiastici [714] bene istruiti nella Filosofia razionale e nelle altre scienze sacre: perchè la massima parte attendono a questi studi mentre fanno la scuola di latinità o di altra arte o scienza: e mentre per contro la S. Sede aveva prescritto che tutti gli studenti di Teologia che sono in Torino appartenenti a questa Congregazione frequentassero le scuole del Seminario Arcivescovile, si trovò modo di ottenere da questa prescrizione una dispensa.
Venendo a una conclusione pratica io proporrei, che:
1. Le regole di questa Congregazione sieno tosto esaminate dall'Arcivescovo di Torino e ne ottengano l'approvazione. Se l'Arcivescovo ricusa di approvarle, esponga le sue ragioni ai Vescovi di Casale, Savona, Albenga e all'Arcivescovo di Genova, ove il Signor Don Bosco ha presentemente delle case, e fra tutti si venga ad un'approvazione.
2. Il Sig. Don Bosco non possa presentare mai giovane alcuno all'Ordinazione, se questi non è entrato nelle sue scuole almeno prima dei sedici anni e dal suo ingresso vi sia sempre rimasto e non siane più uscito.
3. Esso non possa presentare per l'Ordinazione del Suddiaconato se non quelli che essendo nella condizione del n. 2° abbiano emesso i voti perpetui di rimanere nella Congregazione, dispensabili però dal Sommo Pontefice.
4. Tutti gli studenti di Teologia debbano almeno per quattro anni frequentare le scuole del Seminario della città ove trovasi la loro casa; e quindi nelle case della Congregazione dei luoghi, ove non sono Seminari, non si tengano soggetti, i quali percorrano lo studio di questa scienza.
5. Tutti gli ordinandi presentati dal Sig. Don Bosco debbano prima d'ogni ordinazione presentarsi al Vescovo del luogo, e coi dovuti attestati fargli constare, che essi entrarono nelle Scuole della Congregazione prima dei 16 anni, e vi rimasero sempre, che fecero i Voti perpetui (se trattasi d'Ordini maggiori), frequentarono le scuole del Seminario: e quindi essere dal Vescovo sottomessi al diligente esame prescritto dal Concilio di Trento Sess., 23, c. 12.
Sottomettendo tutte queste cose alla sapienza della S. Congregazione ed in primo luogo di Vostra Eminenza R.ma, io finisco con dire, essere in me un grave timore che, se non si dànno pronte provvidenze, questa Congregazione per mancanza di bene intesa disciplina e di soda istruzione teologica, e quindi per mancanza di soggetti ben formati non potrà sostenersi, ma tutt'al più si reggerà finchè è in vita il suo fondatore: ma venuto questo a cessare di vivere, cadrà, e saranno deluse le speranze dei molti benefattori i quali fecero grandi sacrifizi per cooperare alla sua formazione.
lo penso di essere nel numero di questi; perchè avendola veduta nascere e crescere sotto gli occhi miei, vi ho cooperato col mio ministero [715] e come sacerdote e come Professore e come Vescovo, e col mio denaro. Ho sempre fatto animo al fondatore, sostenendolo con le lodi e le approvazioni, e non parlando mai dei difetti che vedeva, per non iscoraggiarlo, e perchè allora io non aveva giurisdizione su quest'opera; e stante la tristezza dei tempi, mi pareva, si potesse chiudere un occhio sulle deficienze in vista dei bene immediato che ne veniva, sperando che la Provvidenza avrebbe apportati i necessari rimedi. Ma ora che questa Congregazione fa parte della mia Diocesi, e che sento il dovere che mi corre di esaminare le cose quali sono, e che mi accorgo che l'opera, per quanto sembri ingrandita, è lungi dall'avere la solidità che sarebbe desiderabile, giudico sia mio stretto obbligo di esporre la cosa a questa Sacra Congregazione come allo strumento di cui Iddio si servirà certamente per ordinare nell'Opera suddetta quanto sarà da ordinarsi per renderla solida e di durata.
Inchinandomi al bacio della sacra Porpora, col massimo ossequio mi pregio di essere,
di V. Eminenza Reverendissima,
+ LORENZO, Arcivescovo di Torino.
Non occorre confutare alcune asserzioni di Monsignore, perchè chiunque legge, andando avanti, le riconoscerà esagerate e non vere. Basti l'accenno al suo diocesano, ordinato sacerdote, quand'era Vescovo di Saluzzo, il quale non appartenne mai alla Congregazione Salesiana, e venne ordinato da lui stesso, contro il parere di Don Bosco, con regolare titolo ecclesiastico.
Quanto all'affermazione dell'assoluta mancanza di noviziato, giova notare che praticamente si compiva nel miglior modo possibile a quei tempi negli inizi dell'Opera, avviando gli aspiranti alla Società a lavorare a pro della gioventù, col vivere in mezzo agli alunni nella sala di studio, in camerata, in chiesa, in cortile, a passeggio, e col sobbarcarsi ad ogni sacrifizio, facendo anche scuola diurna o serale, ed attendendo in pari tempo ai propri studi. A quei tempi non si poteva fare in altra maniera, mentre le pratiche di pietà si potevano dire continue. Mons. Ghilardi, Vescovo di Mondovì, che conosceva la vita dell'Oratorio, essendosi Don Durando recato presso di lui per fare gli esercizi spirituali in preparazione alle Ordinazioni, lo volle più volte a passeggio con sè: - E gli esercizi? osservava rispettosamente il bravo [716] Confratello. - Che esercizi?! gli rispondeva Monsignore; voi dell'Oratorio li fate tutti i giorni, dal primo all'ultimo dell'anno! - In breve, anche in questo Don Bosco si mostrava convinto che è meglio far oggi il bene nel miglior modo che si può, anzichè rimandarlo a domani nella speranza di poterlo far meglio, perchè l'ottimo, soleva ripetere, è nemico del bene!
Ciò che preoccupava l'Arcivescovo era il pensiero che Don Bosco potesse raggiungere piena facoltà per le dimissorie, e per questo proponeva che potesse darle esclusivamente a quelli che fossero entrati nelle case salesiane prima d'aver compiuti, invece dei 14, anche i 16 anni, ma senza alcun indulto per gli altri.
Un'altra cosa che lo disgustava era il veder alcuni chierici uscire dal Seminario Arcivescovile ed essere accolti in case salesiane. Alcuni abbandonavano il Seminario, sentendosi chiamati alla vita religiosa; ed altri se ne andavano a causa del carattere, un po' strano, del Rettore Don Soldati. Questi, ad esempio (ci diceva Don Amossi) non dava ai seminaristi del tu, perchè non erano suoi familiari; non dava del voi, perchè, diceva, il voi si dà alle persone di servizio; e tanto meno dava loro del lei, perchè non erano suoi superiori; dava del lui!... Lui parla sempre in tempo di silenzio!... Lui tratta male i compagni!... Questa mattina durante la S. Messa Lui era sempre distratto!...
Di quei giorni erano usciti dal Seminario due chierici, un certo Borel o Borelli, e Angelo Rocca; il primo Don Bosco l'aveva accolto perchè potesse attendere per qualche giorno agli esercizi spirituali e decidere sulla sua vocazione, e questi la settimana dopo svestiva l'abito salesiano, e Don Bosco lo mandava a Lanzo a provar se gli piaceva la nostra vita. L'Arcivescovo venne a saperlo e, subito, gli faceva scrivere:
Monsignore Rev.mo nostro Arcivescovo mi incarica di scrivere a V. S. per esporgli essere stato detto che i giovani Borel e Rocca, già chierici in questa diocesi, si trovano ora nelle case di V. S., quello a Varazze o a S. Pier d'Arena, questo a Lanzo. Duole vivamente a [717] Monsignore che V. S. li abbia ricevuti presso di sè come chierici, mentre il Borel riconobbe esso stesso di non essere chiamato allo stato ecclesiastico e il Rocca non ha dato prove sufficienti di vocazione. Quindi Monsignore, quando questi giovani nell'Oratorio di V. S. vogliano ascendere agli Ordini Sacri non vi darà mai il suo consenso, e aspetta che V. S. gli manifesti le sue intenzioni.
Non sappiamo qual fu la risposta, ma certo non riuscì a calmar l'Arcivescovo, che veniva a quest'esplicita dichiarazione:
S. E. Rev.ma Mons. Arcivescovo mi incarica di avvertire V. S. che esso con suo vivo dispiacere non può ammettere all'Ordinazione alcuno dei membri della Congregazione dell'Oratorio di S. Francesco di Sales insino a che ella attesti che i giovani Borelli e Rocca non sono più in alcuna delle case della Congregazione e vi sia una promessa che non saranno più ricevuti nè questi nè altri giovani già appartenenti al Clero della Diocesi di Torino senza il consenso per iscritto della Curia Arcivescovile.
Sono colla debita riverenza di V. S. Ill.ma
Don Bosco - dichiarava Mons. Bertagna nel Processo Informativo - „se le offese toccavano la sua persona, è vero che non ne faceva caso e le obliava con sacrificio ammirabile; ma se veniva osteggiato nel suo disegno d'istituire la sua Congregazione, non sempre dimostrò la stessa facilità a dimenticarle o soffocarle nel silenzio”. Naturalmente, talvolta, non poteva far a meno di parlarne con pii e dotti ecclesiastici per consiglio; „però - deponeva Don Rua - era così riservato che non ne parlava se non con chi era necessario ed io stesso, e vari miei confratelli, che eravamo sempre al suo lato, ben raramente lo sentivamo discorrere di questi affari, limitandosi egli di parlarne con quei suoi figli che dovevano aiutarlo nel disbrigo di tali disgustosi affari, come segretari e copisti”. [718] Quella volta fu tanto impressionato della dichiarazione dell'Arcivescovo, che, prima di rispondere, si recò a passar tre giorni in ritiro spirituale a Borgo S. Martino, quindi gli esponeva il suo modo di vedere, come se fosse dinanzi al tribunale del Signore:
Borgo S. Martino, 14 maggio 1873.
Le lettere fattemi scrivere dal Sig. Segr. Chiuso, specialmente l'ultima, mi hanno dato assai da pensare e per non fare a quest'ultima una risposta precipitata mi sono recato nella casa di Borgo S. Martino per fare tre giorni di ritiro spirituale, dopo cui, come dovessi presentarmi al tribunale del Signore, manifesto il mio pensiero a questo uopo.
Ella mi fa dire che non ammetterà più alcun nostro chierico alle sacre ordinazioni, se non sono allontanati dalle nostre case il chierico Borelli, che da due settimane non è più tra noi, ed il chierico Rocca. Più una formale promessa di non più ricevere in alcuna casa della nostra Congregazione alcuno che abbia appartenuto al Clero Torinese.
Non dandomi alcuna ragione io credo poterle fare alcuni riflessi.
Se questi chierici sono stati espulsi dal Seminario, che importa che vadano a rifugiarsi in qualche casa per riflettere sopra la loro sorte, o per prepararsi a qualche esame, apprendere qualche mestiere con cui potersi guadagnare in qualche modo un tozzo di pane? Dovranno dunque questi chierici, perchè hanno perduta la loro vocazione, andare profughi e darsi in preda ad un tristo avvenire?
Sembrami meglio aiutarli a collocarsi in qualche sito, dove possano fare e provvedere ai casi loro. Così hanno fatto e fanno tuttora i Vescovi, coi quali siamo in relazione. Forse potrà dirsi che domandino permesso; e così resta sciolta ogni difficoltà. Si può rispondere che l'obbligo di chiedere permesso è un grave peso per loro e per la Congregazione, o casa cui fanno richiesta; condizione che non essendo stata apposta nella sua approvazione, il superiore non è autorizzato di aggiungerla. Tanto più che questo permesso fu chiesto più volte, e finora non si è ottenuto. Ella in questi casi deve piuttosto considerare che se a questi chierici così espulsi dal seminario, si dice che per ordine dell'Arcivescovo non possono riceversi in alcuna casa, oppure ricevuti debbono cacciarsi, Ella, sembrami, si fa altrettanti avversarii quanti sono gli amici o parenti di essi.
Tanto più che alcuni di essi avrebbero già fatto un corso di studio, e taluno già cominciato ad imparare un mestiere.
Questa dichiarazione, che credo non esser autorizzato a fare, porrebbe un muro di divisione tra la Congregazione Salesiana e il [719] Clero di cotesta Diocesi, pel cui bene è specialmente consacrata, e da oltre a trent'anni lavora.
Se per altro a questo riguardo ci fosse qualche prescrizione della Chiesa, che io ignoro, io mi sottometterci prontamente e totalmente.
Pei chierici poi tutti, presentatisi per l'ordinazione, osservo che Ella deve rifiutarla se in essi trova demeriti; ma se ne sono degni, si vorrà forse per rappresaglia, e per motivi affatto estranei ai medesimi, rimandarli, privando così la Congregazione, la Chiesa, e la sua stessa diocesi di Sacerdoti, di cui si ha tanta penuria?
Parmi che questa Congregazione, che senza interesse di sorta lavora per cotesta Diocesi, e che dal 1848 a questo tempo ha somministrato non meno di due terzi del Clero diocesano, si meriti qualche riguardo. Tanto più che se qualche chierico, od anche ecclesiastico viene nell'Oratorio non fa altro che cangiare dimora, ma lavorerebbe sempre nella diocesi e per la diocesi di Torino.
Di fatto nelle tre volte che V. E. non giudicò di ammettere alcuni nostri chierici all'Ordinazione, Ella non fece altro che diminuire il numero dei Sacerdoti che lavorano in cotesta diocesi.
Ciò posto io vorrei che V. E. fosse vivamente persuasa che Ella ed io abbiamo chi ci sta attorno, ed in modo subdolo vorrebbeci carpire di che pubblicare e dire: l'Arcivescovo l'ha anche rotta col povero don Bosco. A quest'uopo Ella sa che ho fatto, ed anche pochi giorni sono, non piccoli sacrifizi per impedire la pubblicità di certi articoli infamanti.
Desidero ancora che Ella sia informata come certe note, chiuse nei gabinetti del governo per opera di taluno, si fanno correre per Torino. Da queste note consta che se il canonico Gastaldi fu vescovo di Saluzzo, lo fu a proposta di Don Bosco. Se il vescovo divenne Arcivescovo di Torino è pure sulla proposta di Don Bosco. Si ha fino memoria delle difficoltà che a questo capo si dovettero superare. Quivi pure sono notate le ragioni per cui io parteggiava per Lei, tra le altre il gran bene che avea fatto alla nostra casa, alla nostra Congregazione.
Comunemente si sa il bene grande che possiamo farci l'un l'altro con un comune accordo, ed i malevoli godrebbero grandemente delle nostre scissure.
Ora V. E. dirà: ma che cosa vuole Don Bosco?
Piena sommissione, pieno accordo col mio superiore ecclesiastico. Non altro dimando se non quello che più volte disse il S. Padre, e che più volte V. E. ha ripetuto quando era vescovo di Saluzzo: cioè: nei tempi difficili in cui ci troviamo una Congregazione nascente ha bisogno di tutta la indulgenza compatibile coll'autorità degli Ordinarii, e quando nascessero difficoltà aiutarla coll'opera e col consiglio per quanto loro è possibile. - Ho scritto questa lettera col solo desiderio [720] di dirle ciò che può tornare di norma ad ambidue ed utile per la gloria di Dio; tuttavia se mai mi fosse sfuggita qualche parola inopportuna, io dimando umile scusa, mentre con profonda venerazione mi professo,
L'Arcivescovo restò fermo nell'esigergli una dichiarazione che, senza il consenso della Curia Arcivescovile, non avrebbe più accolto in Congregazione come chierico chiunque fosse stato nei Seminari diocesani, e consigliava il Can. Marengo a persuaderlo; e Don Bosco annuiva.
Il sottoscritto sempre lieto di poter secondare i desiderii di S. E. Rev.ma l'Arcivescovo nostro di Torino di buon grado dichiara:
1° Che non riceverà mai nelle case della Congregazione Salesiana come chierico alcuno allievo che abbia appartenuto ai chierici Seminaristi di questa nostra archidiocesi; eccetto che fossero già stati accolti nelle case di detta Congregazione prima dei 14 anni, secondo il decreto Pontificio io Marzo 1869; oppure chiedessero di venirvi per imparare qualche arte o mestiere.
2° Che tale è la pratica seguita finora; e non si farà alcuna eccezione di sorta senza il permesso o consenso della Curia Arcivescovile.
3° Persuaso eziandio di interpretare fedelmente i voleri della prelodata S. R. Rev.ma intende che questa dichiarazione sia fatta colle riserve e limiti prescritti dai Sacri Canoni stabiliti per tutelare la libertà delle vocazioni religiose.
4° Occorrendo ulteriori schiarimenti saranno dati colla massima prestezza ad un semplice cenno del Superiore ecclesiastico, i cui consigli saranno sempre un tesoro per lo scrivente
La riserva apposta al N° 3 non piacque all'Arcivescovo, che respinse la dichiarazione, e proseguì a cercar ogni via per ostacolare l'approvazione delle Costituzioni, tornando ad insistere presso i Vescovi suffraganei che aderissero alle condizioni da lui apposte nella Commendatizia, e Mons. Formica, Vescovo di Cuneo, si schermiva con disinvoltura: [721]
Premessi i miei più vivi ringraziamenti all'Eccellenza Vostra Rev.ma per la favoritami comunicazione sulla Congregazione religiosa dell'egregio Signor Don Giovanni Bosco, Le apro il mio cuore in Domino.
Io non esiterei punto a fare, farei anzi di tutto buon grado atto di pienissima adesione alla Commendatizia, rilasciata dall'E. V. a quel Sacerdote cotanto benemerito ed a me caro.
Ma se il medesimo mi chiedesse una Commendatizia particolare, incontrerei due difficoltà a compiacerlo. La prima è, che, sebbene la fama celebri gl'Istituti di Don Bosco, a me mancano affatto quelle notizie della Congregazione, che mi occorrerebbero all'uopo e mi aprirebbero la via ad inserirvi i saviissimi consigli dell'E. V. L'altra è, che, non esistendo nella mia Diocesi veruna casa della Congregazione, e non conoscendosi a Roma l'accordo fra Lei e me in proposito, potrebbe la mia intromissione essere considerata come irregolare. E per nulla tacerle Le dirò che nell'anno 1868 essendo io stato richiesto di simile Commendatizia, credetti per queste considerazioni stesse dovermene con vivissimo rincrescimento astenere.
Ora sottomettendo con ogni rispetto all'alta saviezza dell'E. V. l'umile mio modo di vedere, La prego di quelle ulteriori direzioni, che Ella sarà per istimare ad maiorem Dei gloriam.
Nei SS. Cuori di G. M. G. mi raccomando alle sante Sue preghiere e, baciandole le mani, ho l'onore di professarmi colla massima venerazione,
Umil.mo, Obb.mo, Aff.mo servitore
Tutte queste difficoltà, benchè, come appare, suggerite dalla convinzione di compiere il proprio dovere, erano evidentemente autoritarie ed audaci, e quindi tante spine acute nel cuore di Don Bosco!
Di quell'anno usciva la 33a edizione del Giovane Provveduto con “importanti aggiunte”, tra cui - notava l'Unità Cattolica[129] - „le cose che il pio e dotto autore, in maniera di dialogo, discorre in quindici capitoli intorno ai fondamenti della cattolica religione”, e naturalmente di tutte le aggiunte si mandavano le bozze in Curia per l'approvazione, e Monsignore [722] voleva vederle lui. Or avvenne una volta, che essendosi presentata una poesia di S. Alfonso, l'Arcivescovo ne cancellò una strofa, dicendo che era ereticale, e a nulla valse l'osservare che quei versi erano di S. Alfonso Dottore di Santa Chiesa. - Mons. Gastaldi è Arcivescovo, mentre S. Alfonso era solamente Vescovo! - rispose a Don Bosco il segretario.
Era quindi naturale che il Santo, sebbene abitualmente sereno e tranquillo tra le più gravi tribolazioni, ne soffrisse e, talora, glie n'uscisse dal labbro qualche lamento. Anche N. S. G. Cristo, quando cacciò colla frusta i profanatori dal Tempio, fu udito ripetere contro di loro le più gravi parole!
Il 9 giugno, D. Berto passeggiando insieme con D. Bosco nella biblioteca, verso l'ora della benedizione, gli diceva:
“- Pare incredibile che così affezionato com'era l'Arcivescovo all'Oratorio, adesso da un anno circa non abbia più portato il piede qui tra noi. Come gli uomini si dimenticano facilmente, quando non hanno più bisogno dei loro benefattori! Chi sa se la sig.ra Mazè non sappia queste cose?
- Altro che le sa! Quando va là, domanda informazioni dell'Oratorio, delle più piccole cose. Vedi, è proprio come dice la Scrittura: Filios enutrivi et exaltavi, ipsi autem spreverunt me.
- Cognovit bos possessorem suum et asinus praesepe Domini sui, Israel autem me non cognovit!
Don Bosco si pose a ridere. Poi gli domandai, quando si darebbe la Cresima.
- Questo non si può stabilire sino a tanto che non si sia stabilito un modus vivendi coll'Arcivescovo. Mi fanno ridere quando dicono: - Se è volontà del Signore, le cose si faranno senza pensarci tanto. - Ma bisogna che io cerchi il modo di far intendere agli uomini questa sua volontà per farla ad essi capire. Adesso andiamo avanti; col tempo tutto si farà.
E ciò diceva così giulivo, ridente, come uno che sa già tutto quello che deve avvenire, ed è certo dell'esito glorioso di un'impresa”.
Il 2 luglio, nota pure Don Berto, passeggiando alquando [723] „prima di andare a riposo, con Don Bosco, nella sua camera”, il discorso cadde di nuovo „sul contegno strano dell'Arcivescovo inverso di noi. E Don Bosco ad un tratto rasserena la fronte e come chi cammina con sicurezza che nulla teme, perchè ne prevede l'avvenire, così esclamò:
- Anche questo passerà: da principio questa lotta mi faceva pena, non sapendo il perchè di un tal contegno: ma ora il Papa mi ha fatto un programma sul modo di regolarmi. Io lo lascio fare e non dico nulla. Egli s'informa di tutte le cose nostre, e quindi se ne serve per farei del male. Don Bosco gli fa ombra. Egli tenta tutte le strade per porre degli impedimenti e per chiuderei la via. Noi taceremo e non intraprenderemo mai nulla contro di lui. Se giungesse poi a tal punto di venirci a comandare nella nostra chiesa, allora gli diremmo: - Se vuol venire a predicare o a dir la messa, è padrone; ma in quanto al resto vada pei fatti suoi”.
Anche il Signore, com'al solito, gli fece coraggio, mostrandogli come sarebbero finite quelle contradizioni. Mons. Gastaldi, torniamo a ripetere chiaramente, nel trattar Don Bosco in tal maniera, non pensava, nè credeva di fargli del male, ma di comportarsi come riteneva doveroso in base ai suoi diritti e a tutela della sua autorità vescovile: agiva in pontificalibus. Don, Bosco, infatti, lo vide ripetutamente in sogno, in quell'aspetto.
Gli era parso di dover uscire dall'Oratorio per affari urgenti, benchè piovesse dirottamente. Passando avanti all'Arcivescovado s'imbattè in Mons. Gastaldi, il quale vestito dei suoi più belli abiti pontificali, colla mitra in capo e col bastone pastorale in mano, voleva uscire dal suo palazzo con quella pioggia che imperversava ed essendo piene di fango tutte le vie.
Don Bosco gli si fece incontro e amorevolmente lo avvertì che per carità si ritirasse mentre era in tempo, perchè altrimenti si sarebbe tutto lordato. Monsignore si volse a lui con uno sguardo di scherno, non gli rispose parola e si mise in via. Don Bosco non si diede per vinto, gli tenne dietro e lo pregava istantemente perchè volesse ascoltarlo. Monsignore gli rispose allora: - Lei badi ai fatti suoi! - Senonchè mentre così diceva, sdrucciolò, cadde per terra e s'imbrattò tutto di fango.
Don Bosco lo aiutò a rialzarsi ed insisteva perchè ritornasse indietro. Ma l'Arcivescovo gli rispose: - Ella faccia la sua strada; [724] io farò la mia. - E non gli diede retta. Don Bosco piangendo lo seguitava ad una certa distanza e continuava a supplicarlo, perchè volesse togliersi da quella via. Ed ecco l'Arcivescovo cader miseramente la seconda e la terza volta, sempre più inzaccherandosi. Si rialzò a stento.
Cadde la quarta per non più rialzarsi. I suoi preziosi vestiti erano talmente imbrattati che su tutto il suo corpo più altro non vedevasi che uno spesso strato di fango. Si dibatteva invano per rialzarsi. Dovette soccombere.
Questo sogno lo fece „appena cominciarono le dissensioni con Sua Eccellenza”, e lo narrò confidenzialmente ad alcuni confratelli, tra cui Don Bonora, solo nel 1884, cioè un anno dopo la morte di Monsignore[130].
Il 13 maggio Pio IX compiva ottantun anno, e Don Bosco umiliava al venerato Pontefice, insieme con un Album ove i confratelli e gli alunni di tutte le case avevano apposto il loro nome, ed un piccolo obolo di cento lire, una devotissima lettera, implorando col massimo rispetto l'approvazione definitiva delle Costituzioni con quella maggior copia di lavori [725] spirituali che ritenesse vantaggioso di concedere. Ecco il documento, quale, da una minuta, fu trascritto da Don Berto:
Dopo dimani (13 di questo mese 1873), Beatissimo Padre, è giorno di festa grande per tutti i Cattolici. Vostra Santità compie l'anno 81° e comincia l'82° della sua età. I figli di S. Francesco Salesio vorrebbero tutti essere in Roma ai piedi di V. S.; ma il piccolo campo evangelico che ciascuno deve coltivare, ne lo impedisce. Tutti però in quel giorno pregheranno per Lei.
I trecento membri che compongono attualmente la Società Salesiana; molti altri Sacerdoti, Parroci, Coadiutori, Canonici, Maestri; un gran numero di Nobili Signori che prestano l'opera loro nelle varie incumbenze degli Oratorii; uno stuolo di oltre 6600 fanciulli dalla Divina Provvidenza a noi affidati; tutti in questo giorno offrono al cielo speciali preghiere per implorarle da Dio una lunga vita felice.
Tutti sono contenti di offrire sanità, sostanze, e la medesima vita per V. S., qualora ne fosse caso. Se poi all'umile scrivente fosse dato di chiedere al più buono dei Padri quanto sta maggiormente a cuore a' suoi figli, Le chiederebbe col massimo rispetto: - L'approvazione definitiva della nostra Società con quella maggior copia di favori spirituali che la S. V. giudica tornare a maggior gloria di Dio ed a vantaggio delle anime. - Ciascuno offrì il suo tenue obolo negli Album, cui scrissero il loro nome; - qui offriamo l'obolo del povero in franchi 100, e chiediamo prostrati la Santa ed Apostolica Benedizione, mentre io, più fortunato, posso a nome di tutti sottoscrivermi,
Superiore della Congregaz. Salesiana.
Il Santo Padre accoglieva con commozione „il duplice omaggio di filiale affetto e di tenera divozione”; e senza dubbio non mancava di spingere le pratiche per veder accontentato il suo affezionatissimo... figlio.
L'obolo del povero, frutto di privazioni e di straordinario lavoro, riesce al S. Padre più di ogni altro gradito. Ed ebbi a vederlo nel rassegnare ai suoi piedi SS.mi la somma da V. S. Ill.ma trasmessami col foglio ultimo, e gl'indirizzi ond'essa veniva accompagnata.
La Santità Sua con animo commosso, accoglieva il duplice omaggio di figliale affetto e di tenera divozione, e mentre pregava l'Altissimo a tenere nella sua santa grazia un Istituto di Beneficenza, in [726] cui si manifestano sentimenti così vivi di fede e di pietà, ne benediceva di cuore i Direttori e gli allievi invocando sugli uni e gli altri ogni più estesa prosperità.
Di ciò mi piace far sicura S. V. Ill.ma alla quale conferma in pari tempo i sensi della mia più distinta stima.
Ma purtroppo di quei giorni giungeva la notizia che i Consultori (cioè il P. Bianchi, dell'Ordine dei Predicatori, Procuratore Generale alla Minerva) avevano consegnato alla S. Congregazione il voto per iscritto sulle Costituzioni ultimamente presentate, non troppo favorevole:
I Consultori hanno dato il parere in iscritto sul Progetto suo delle Costituzioni, proponendo molte modificazioni: questo parere mi fu rimesso uno o due giorni innanzi che mi giungesse la sua lettera. Ora me ne sto occupando io direttamente per poterne dar conto, quando sarà il progetto sottoposto all'approvazione degli Eminentissimi Cardinali della Congregazione. Non tema però, che io nulla presenterò ai detti Eminentissimi prima che abbia a lei comunicato tutto quello che si propone di modificazioni. Mi convinco che bisogna andar piano per non dare di fronte ad ostacoli insuperabili. Quando avrò potuto redigere un compendio delle osservazioni fatte, glie le rimetterò costì, perchè le ponderi e mi dica cosa penserà di esse. Ciò che intanto posso accennarle è che l'affare delle dimissorie è contrariato quasi da tutte le parti. Tanto per il momento gli comunico con la debita riserva. Per ora non occorre che Ella o alcuno per sua commissione venga a Roma per conferirne a voce; ma quando sarà il tempo, in cui la S. Congregazione dovrà deliberare, potrà essere opportuno di sentirsi verbalmente. Prima però aspetti costà le mie comunicazioni.
La salute del S. Padre è migliore degli andati giorni, ma non è ristabilita: nella grave di Lui età è sempre un pensiero che rattrista. Iddio però lo sosterrà, speriamolo con viva fiducia: raddoppiamo a tale effetto le preghiere ed Ella ne faccia, e ne faccia fare in ispecie da quelle anime che sono più care al Signore.
Mi raccomandi assai a Maria Santissima Ausiliatrice per tanti miei bisogni; riceva i saluti dei miei di famiglia e mi abbia con stima e rispetto,
S. Vitelleschi, Arciv. di Seleucia. [727]
Il rev.mo P. Bianchi aveva inserite nel suo voto nientemeno che 38 Osservazioni!
Dopo aver accennate le condizioni proposte da Mons. Arcivescovo di Genova e “massimamente” da Mons. Arcivescovo di Torino, „Ordinario della Casa Madre”, dichiarava anzi tutto come nel verificare il modo nel quale erano state eseguite le correzioni - le tredici Animadversiones - ingiunte dalla S. Sede, gli aveva „recato non poca sorpresa lo scorgere... la maggior parte di esse... omesse, o escluse sotto pretesti più o meno speciosi, allegati dal Superiore Generale in una così detta Dichiarazione delle Regole, annessa alla supplica”, e precisamente:
1) la 3a circa la dispensa dei voti;
2) la 4a relativa alle Dimissorie;
3) la 5a circa il Beneplacito della S. Sede per l'alienazione dei beni e la contrazione dei debiti;
4) la 7a per lo stesso Beneplacito della S. Sede, oltre quello degli Ordinarii, per fondare nuove case ed accettare la direzione de' Seminari;
5) l'8a che suggeriva più d'un'ora d'orazione vocale e mentale ogni giorno, e dieci giorni d'esercizi spirituali ogni anno;
6) la 9a che voleva espunto il capo Degli esterni;
7) la 10a che prescriveva d'aggiungere il nome del Rettore innanzi a cui si emette la professione;
8) l’11a che ingiungeva d'inviare, ogni tre anni, alla S. Congregazione dei VV. e RR., un ragguaglio sullo stato dell'Istituto.
Dopo tali premesse, passava ad esporre altre trenta Osservazioni, e nell'ultima, la 38a, diceva chiaro che il suo “sottomesso parere sarebbe che prima di essere presentate all'approvazione della S. Sede, queste Costituzioni fossero diligentemente corrette a norma sì delle già comunicate animadversioni, che di quante le precedenti [le sue] Sua Santità giudicherà di comunicare; e forse sarebbe anche opportuno che prima di essere approvate, fossero già da qualche tempo messe ad esecuzione, principalmente nella parte concernente il Noviziato e gli studi”[131]. [728]
Evidentemente il voto non era troppo favorevole; tuttavia Mons. Vitelleschi, che aveva tanta stima per Don Bosco e sapeva quanto stesse a cuore al S. Padre di vederlo accontentato, intraprese senz'indugio il compendio che gli aveva promesso. E il 26 luglio lo rimetteva a Don Bosco, ridotto a 28 Animadversioni, riguardanti la maggior parte le massime stabilite per i nuovi Istituti Religiosi, col suggerimento d'accoglierle senza difficoltà:
Secondo le assicurazioni da me dategli, trasmetto a Lei qui unite in compendio le animadversioni sul progetto delle Costituzioni del suo Istituto; come rileverà sono molte; dovrebbero quindi a forma di quelle essere le stesse Costituzioni corrette prima che si potesse sperare l'approvazione della Santa Sede. Io sono di avviso ch'Ella dovesse accettarle senza difficoltà, inserirle nelle costituzioni, e poi nuovamente rimandare queste alla S. Congr. Sono nella maggior loro parte quelle animadversioni l'applicazione delle massime stabilite da Roma per i nuovi Istituti: io mi avveggo che quanto si vuole per i Noviziati e per gli Studii e per le Ordinazioni è ciò che da Lei si desidererebbe o modificato o eliminato; ma d'altra parte è precisamente tutto questo su cui gli Ordinarii hanno sempre insistito, e la S. Sede ha tenuto per fermo ed inconcusso. Le Costituzioni sono la base fondamentale d'ogni Istituto e badano alla perpetuità e stabilità della sua esistenza. Gli uomini passano e se una legge fondamentale non rassicuri bene la conservazione di una fondazione, può questa venir meno al passare del suo Autore. Nel caso in concreto la S. Sede deve provvedere alla esistenza e durazione del suo Istituto, quando Ella sarà traslocata a ricevere la corona immarcescibile nel Paradiso; non può a meno pertanto di gittarne le necessarie fondamenta.
Ecco quanto io aggiungo perchè amo di veder condotta a termine ogni cosa che riguarda la benefica Sua Congregazione. Attenderò poi quanto Ella con suo comodo sarà per dirmi in proposito, e che spero potrà mettere in grado di procedere innanzi in quest'affare dell'approvazione delle Costituzioni del suo Istituto.
Mi raccomandi sempre al Signore, e mi creda con vero rispetto suo,
S. Vitelleschi, Arciv. di Seleucia. [729]
L'Arcivescovo, dal canto suo, proprio nello stesso giorno, tornava a scrivere al Card. Prefetto, per saper di positivo se la nostra Società godeva dei Privilegi dei Regolari e quindi era immune dalla giurisdizione vescovile.
Torino - Seminario, 26 luglio 1873.
Prego caldamente V. E. R.ma e per mezzo di lei la S. Congregazione dei Vescovi e Regolari ad espormi, se la Congregazione degli Ecclesiastici fondata e diretta dal Sacerdote Don Giovanni Bosco in Torino sia una Congregazione godente dei Privilegi dei Regolari, soggetta direttamente alla S. Sede, ed immune dalla giurisdizione Vescovile.
A me pare di no: perchè per quanto mi consti, finora non è uscito un Rescritto Papale che dia tali privilegi e diritti a questa Congregazione. Ma però i membri di questa Congregazione si conducono come se realmente godessero di tali privilegi; e perciò non si sottomettono agli ordinamenti generali che io stabilisco per tutto il Clero della Diocesi. E ciò porta varii inconvenienti; poichè ciò è in cotal modo uno scandalo per gli Ecclesiastici della Diocesi, i quali giudicano quella Congregazione ancora soggetta al Vescovo; poi nasce il dubbio grave, se essi incorrano sì o no nelle pene stabilite a iure o dal Decreto vescovile contro i disobbedienti, e finalmente io resto incerto sul mio dovere; se cioè sia mio obbligo l'astringerli sì o no ad osservare quanto esigo dagli altri.
Per lo che è per me, per la mia coscienza, per la condotta mia e del mio Clero, cosa necessaria ed urgente il sapere rispondere precisamente a questa domanda: La Congregazione di S. Francesco di Sales, fondata e retta da Don Giovanni Bosco, è soggetta direttamente alla S. Sede ed è immune dalla Giurisdizione del Vescovo, sì o no? Prego vivamente la S. Congregazione dei VV. e RR. a darmi questa risposta: se la detta Congregazione non è più soggetta al Vescovo, io allora mi condurrò con essa come mi conduco coi PP. Domenicani, coi Cappuccini, coi Gesuiti ecc.
Se la detta Congregazione è ancora soggetta al Vescovo come il rimanente del Clero della Diocesi, eccettuati quei pochi punti che formano l'oggetto d'un Rescritto Pontificio concesso a soli dieci anni, cinque dei quali scaduti già, allora prego la Sacra Congregazione dei VV. e RR. e Vostra Eminenza R.ma ad avere la bontà di avvertire il detto Sig.r Don Bosco, e per esso tutta la Comunità, acciò diano l'ossequio di obbedienza agli Ordini Vescovili che si debbono dare dal Clero.
Frattanto, inchinandomi al bacio della Sacra Porpora, passo a dirmi colla massima osservanza di Vostra Eminenza Reverendissima,
Il Card. Bizzarri, in data 18 agosto, gli comunicava il seguente rescritto:
Ex aud. SS. die 8 Augusti 1873.
Scribatur Archiepisc. iuxta mentem: mens est. - Questa S. C. dei VV. e RR. preso ad esame il dubbio proposto dalla S. V. intorno alla Congregazione del Sacerdote Bosco, in questi termini, se cioè: - La Congregazione di S. Francesco di Sales fondata e retta da Don Giovanni Bosco è soggetta direttamente alla S. Sede ed è immune dalla giurisdizione del Vescovo; - il tutto ben ponderato è in grado di significarle che la detta Congregazione di S. Francesco di S. Francesco di Sales non è che un istituto di voti semplici; e che tali istituti non sono esenti dalla giurisdizione vescovile, salvo le Costituzioni quando sono state approvate dalla S. Sede, ed i privilegi particolari dalla medesima ottenuti.
Quindi è che sebbene le Costituzioni di detta Congregazione si stiano esaminando per essere sottoposte all'approvazione della Santa Sede, pur tuttavia non è a dissimularsi che più d'un privilegio particolare ha il Sacerdote Bosco ottenuto da Sua Santità circa le dimissorie da rilasciarsi ad un certo numero di alunni; ed ultimamente nell'Udienza dell'8 corrente Agosto ne ha ottenuto un altro simile per sei alunni.
Le opposizioni di Mons. Gastaldi, forse ripetute da qualche altro Ordinario, eran davvero una grave difficoltà per accontentar Don Bosco, com'osservava il Caid. Berardi:
Analogamente a ciò che le accennava nella mia precedente, le trasmetto qui annesso il Rescritto, con cui le si accorda la richiesta grazia per altri sei casi. Non posso nasconderle, che a causa dell'opposizione di varii di cotesti Ordinarii si è dovuto faticar non poco per ottenerlo, ma fortunatamente vi si è riuscito, e ne sia ringraziato il Signore. Come poi sarà Ella qui, ci sentirem meglio in voce.
Nel desiderio intanto di rivederla fra pochi giorni, tomo a pregarla per le consuete orazioni, e pieno di particolare attaccamento e stima mi pregio di essere,
La decisa contrarietà dell'Arcivescovo all'approvazione delle nostre Costituzioni era nota al Vescovo di Vigevano, [731] che era in intima relazione con Don Bosco; e questi, nel ringraziarlo di una lettera di conforto e di un'elemosina, gli comunicava che stava studiando il modo di superare le difficoltà che incontravano i Vescovi per gli insegnanti delle scuole medie nei Seminari, ed avrebbe avuto caro un colloquio particolare con lui.
Reverendissimo e Carissimo Monsignore,
La sua lettera mi fu di conforto e La ringrazio della parte che prende delle cose nostre, come pure della limosina di f. 50 che manda in soccorso delle nostre miserie. Dio la rimeriti.
I nostri disturbi scolastici sono sospesi, ma io spingo le cose avanti affinchè siano conosciuti gli abusi di potere e, come Ella dice, possano avere una nomina coloro che si trovano in identica posizione.
Ora io studio e fo' studiare la questione accuratamente, di poi se ne stamperà un opuscolo a parte che verrà spedito a tutti i Vescovi. Essi potranno legalmente liberarsi da molte vessazioni da parte dei Provveditori.
Il solito P[relato] tiene il broncio anche con me. Le nostre relazioni sono strettamente ufficiali. Pazienza. Spero, in un modo o in altro, poterla riverire di presenza e quindi parlare tranquillamente di questi e di molti altri affari. È però impossibile che questa diocesi possa continuare nello stato attuale di cose.
Io mi raccomando che voglia sempre considerare le nostre case come sue e perciò valersene a piacimento, in tutto quello che noi La potessimo servire.
Dimando per tutti la sua santa Benedizione, mentre ho l'onore e il gran piacere di potermi professare,
umile servitore e aff.mo amico
Non sappiamo se il colloquio ebbe luogo, ma il buon Vescovo si senti spinto a prendere a cuore la causa di Don Bosco; e mentre cercava di trovargli aiuto anche presso altre persone influenti, scriveva direttamente a Mons. Gastaldi, esponendogli nettamente i lamentii uditi per il suo modo di fare e pregandolo umilmente a prendere un'altra via.
L'Arcivescovo andò in furia, e da Genova gli faceva una burbera risposta, che Mons. De Gaudenzi s'affrettava a comunicare a Don Bosco. [732]
ieri ricevetti rescritto da M. Arcivescovo. - Ella lo esaminerà. Non àvvi nulla da sperare contuttociò pensai di rspondergli, e le mando pure copia della mia risposta.
Non àvvi a mio avviso alcun mezzo che la preghiera. - Ne parlai con M. Garga, egli pure ne è addolorato, domenica mi troverò coll'Arcivescovo di Vercelli e ne farò parola; se ne farà nulla da quanto intesi da V. S. - Voglio però tentare.
Quanto la compatisco! Il Signore le doni forza, et dabit his quoque malis finem. Mi scusi e mi comandi in ciò che valgo, se pur valgo, a consolarla. Preghi per me.
Se Monsignor di Torino mi risponderà, le farò nota la risposta. Però io non l'attendo benchè in bei modi io la chiami.
L'Arcivescovo Gastaldi aveva risposto a Mons. De Gaudenzi:
Genova, Collegio Brignole Sale, 3 ag. 1873.
L'ultima lettera di V. S. è una nuova spina e nient'altro che una nuova spina (non arrecando essa bene di sorta) aggiunta alle molte che mi trafiggono: e tanto più dura ed acuta e penetrante in quanto conficcatami da chi comincia col dire che mi ama e mi venera. Essa è scritta sotto l'influenza di notizie in cui è nulla di vero; e mi duole e mi meraviglio che il Vescovo di Vigevano nell'accettarle per vere e nel farsene eco in quella lettere diretta al Superiore Ecclesiastico degli individue da cui esso ebbe quelle indegne e travisate notizie, siasi dimenticato dell'ordine gerarchico, il quale esige che quando Ecclesiastici sparlano del loro Vescovo, si debba supporre il torto piuttosto dalla parte di quelli che non di questo, e si tenga questo stesso parlare, fosse anche fondato, come indizio di virtù ben mediocre, anzi molto manchevole; perocchè i Santi non sparlarono mai dei loro Superiori, e non eccitarono mai scandali a loro riguardo.
A che cosa mirasse la lettera di V. S. non sapre indovinarlo, ma se con essa ella intendeva fare del bene, bisognava prevedere che con essa potevasi fare assai più facilmente l'opposto che non produrre alcun vantaggio: mentre a chiarire la cosa a cui la lettera allude, ed apporre rimedio, se pure si può porre, quando trattasi di persone che si ficcano chiodi in capo, e ricusano sconficcarli, benchè [733] pregati dall'Arcivescovo per mezzo d'uno de' suoi Canonici metropolitani, non ci vogliono scritti, ma ragionamenti lunghi e conferenze amichevoli.
Vorrei bene avere l'opportunità di simile conferenza con V. E. confidando, che ella sarebbe per intendere le ragioni, ed avrebbe anche l'efficacia necessaria di farle intendere a chi ne ha più bisogno.
Frattanto, benchè mi sia cosa molto penosa, il mio stretto dovere ricerca, che io prosegua a tenere la condotta che tengo riguardo al mantenimento della disciplina ecclesiastica, aspettando con pazienza il dì, nel quale la Sapienza e la Giustizia di Dio metterà in nudo tutte le ragioni e tutti i torti: et tunc laus erit unicuique a Deo.
Sono colla massima stima e considerazione, di V. E. Rev.ma,
Il Canonico di cui si fa cenno era il Teol. Francesco Marengo, che aveva avuto l'incarico di consigliar Don Bosco a far la dichiarazione che non avrebbe più accettato alcun chierico ex - seminarista senza il consenso della Curia.
Ed ecco l'umile controrisposta di Mons. De Gaudenzi:
Spiacemi l'aver addolorato il di lei cuore, che amerei fosse sempre consolato; fui in forse per più giorni se avessi a scriverle. Prevalse il sì solo per il desiderio di sollevare il di lei animo, perchè, lo ripeto, io l'amo e l'ammiro. So che siffatti contrasti non possono a meno che turbare l'animo ed il cuore di chicchessia, per quantunque possa egli essere forte ed intrepido. Non mancai, credami, di far conoscere l'incongruenza e tutto il male che àvvi nell'opporsi ai desiderii del Superiore Ecclesiastico e massime di V. E. che tutti conoscono di quale zelo sia inspirata e quale sia la sua dottrina.
Venni accertato che mai si troverebbe nel noto Personaggio opposizione, od anche solo ripugnanza, nell'assecondare i voti di V. Eccellenza, ma che il bene dell'Istituto richiedeva si giovasse di quei favori che aveva implorati dalla S. Sede. Non da un solo, ma da più Ecclesiastici, da ragguardevoli personaggi e da un caro Prelato venni informato di queste divergenze. - Io ne era al buio. - V. Eccell. mi dice che amerebbe fare con me una conferenza. Io sono e mi riconosco affatto inetto pressochè ad ogni opera buona, però se l’Eccell. Vostra crede che ciò possa giovare, sono affatto a' suoi cenni; avessi anche a fare il viaggio a piedi, verrei tosto. Sono certo che il Sig. Don [734] Bosco è disposto a tutto, anzichè mancare di ossequio e di riverenza al suo Arciv. che so quanto veneri e stimi.
Abbia, Eccellenza, questa mia, proprio come un argomento di mia venerazione ed ossequio. Voglia continuarmi la sua benevolenza e mi creda quale, baciandole la sacra mano, mi rinnovo,
Don Bosco restò addolorato nel leggere la lettera dell'Arcivescovo e da S. Ignazio, dove si trovava per confessare i bravi professionisti che facevan gli esercizi spirituali, tornava a fargli queste limpide dichiarazioni:
Il Vescovo di Vigevano mi dà comunicazione di una sua lettera a mio riguardo colla risposta di V. E. Se non fosse scritta ad un vescovo, direi che fu scritta per celia. Ma invece è sul serio. Mi spiace e mi rincresce che Ella abbia spine, ma che queste spine le siano piantate da Don Bosco, è cosa che non posso ammettere. Ho fatto sempre per diminuirle i fastidi, e lo so io con quali sacrifizi. La mia volontà fu sempre buona. Non ho mai richiesto altro se non che mi dicesse ciò che le spiace in me, e non potei mai sapere cosa positiva. Mi accenna alla mediazione del C.co della Metropolitana. Parmi di avere accondisceso a tutto quanto mi ha richiesto. Si desiderava che le facessi una dichiarazione di non accettare chierici senza permesso. L'ho fatta. Mi parlò di Borelli, che non fu nelle nostre case se non momentaneamente per fare gli esercizi spirituali; dopo cui depose l'abito chiericale. Si parlò di Rocca, e si conchiuse che mandarlo via subito sarebbe accrescere gli sparlatori; ciò sarebbe fatto appena giunte le vacanze. Il T. Marengo ne convenne, e le cose sono decise in questo senso. Al quattro del prossimo settembre compie l'anno scolastico in Lanzo, dopo cui quel chierico se ne andrà coi suoi. Se fossi stato io al posto di V. Ecc. avrei dato il permesso di rimanere dove si trova, sia per lasciare un chierico a D. Bosco che ogni anno ne manda parecchi al Seminario diocesano, sia per far credere che quando un chierico venisse a perdere la sua vocazione non è abbandonato dal suo Superiore, che lo favorisce in quello che può. Ma comunque ciò sia, se non ottiene il permesso che mi dice aver più volte domandato, terminato l'anno scolastico, se ne andrà a casa.
In quanto ad altre cose che ivi dice, posso affermare che nella mia vita avrò delle colpe da rendere conto al Signore, ma niuna conosco [735] per riguardo di V. Ecc. Ciò che ho fatto e detto in pubblico ed in privato credo che provino quanto dico. Sono sedici mesi che io chiedo quello che Ella ha col povero D. Bosco e fin ora più di cose vaghe non potei sapere. Se ci è qualche cosa che io ignori, me la dica e fin d'ora ne domando umile perdono. Ma non aggiungiamoci spine a spine. So che Ella cura la maggior gloria di Dio, io fo quanto posso pel medesimo oggetto; perchè dunque non potremo andare d'accordo? provi a dirmi quel che vuole da me.
Non cesso di pregare e far pregare per la conservazione di sua sanità, mentre ho l'onore di professarmi,
A S. Ignazio, nelle ore libere, compose anche un Cenno storico sulla Congregazione, che pensava di stampare e distribuire a Roma a quanti avrebbero potuto aiutarlo a raggiunger più facilmente la mèta, ed espose anche le dichiarazioni che riteneva di fare sulle ultime Osservazioni, ed affidava a Don Berto il lavoro di ricopiar le sue pagine:
Ti dò un lavoro che ti farà fare parecchi atti di contrizione, ma càvati come puoi.
1° Copia del Cenno intorno alla Congregazione ecc., le cui pagine sono numerate.
2° Copia delle Osservazioni come segue: Si tralascia la lettera di Mons. Vitelleschi, e si comincia a mettere tutto quello che è notato a numero uno colle mie aggiunte. Dov'è “sta scritto” ecc. tu completerai e lo scriverai in disteso.
Ho già mandato un lavoro quasi complicato come questo a Don Rua, perciò non dirmi che non ho lavorato.
Coraggio nel Signore ed abbimi sempre,
Mentre continuava a preparare quanto riteneva necessario per spinger, tornando a Roma, le pratiche per l'approvazione delle Costituzioni, anche l'Arcivescovo continuava a mettergli bastoni tra le rote.
Il 22 agosto Don Cagliero proponeva per le Ordinazioni di settembre il suddiacono Domenico Milanesio, di Settimo [736] Torinese, del quale già per le ordinazioni di primavera erano stati presentati alla Curia tutti i requisiti richiesti da lettere particolari del 24 ottobre 1872, e riceveva questa dichiarazione dell'Arcivescovo:
S. S. Pio V con sua bolla 1568 proibisce di ordinare titulo paupertatis o mensae communis quelli che non hanno emessi voti perpetui in qualche ordine religioso.
Perciò l'Arcivescovo di Torino non pensa di poter conferire gli ordini ad individui sprovveduti di patrimonio ecclesiastico o patrimonio privato, se questi non portano l'attestato di avere emessi i voti perpetui religiosi innanzi ad un Sacerdote il quale abbia e mostri un rescritto Pontificio che lo autorizza ad accettare tali voti.
Era come dire che non si tenevano in nessun conto, nè i decreti della S. Sede del 23 luglio 1864 e del 1° marzo 1869, coi quali era stata approvata la Congregazione Salesiana e Don Bosco veniva stabilito Superiore Generale, sua vita durante, con facoltà di dar le dimissorie per gli Ordini minori e maggiori ai chierici della Congregazione entrati nelle varie Case prima d'aver compiuto i 14 anni, nè i particolari indulti, di cui si muniva preventivamente per concedere le dimissorie anche agli altri.
In settembre un chierico del Seminario, della parrocchia di Santa Giulia, domandava d'entrare in Congregazione, ma non potè avere nè il consenso, nè il non dissenso, dell'Arcivescovo come a Don Bosco scriveva il parroco:
Torno or ora da Mons. l'Arcivescovo ove corsi per domandare il non dissenso, che V. S. R.ma mi domandava pel povero ecc. Chierico Depretis, e Monsignore mi disse che a Lui poco importava che venisse o che non venisse, e che egli non dà nessun consenso e nemmeno il non dissenso, perchè lo crede inetto allo stato ecclesiastico, e non crede mettere il carattere sacerdotale sopra un giovane che non può portarlo con sufficiente decoro, perchè mancante di capacità.
Io l'ho esortato a deporre l'abito ecclesiastico: crede meglio raccogliersi nella casa di V. S. R.ma ed esaminare ancora la sua vocazione, e andare avanti se V. S. R.ma lo giudicherà, oppure impiegarsi nella casa secondo la sua capacità ed il giudizio di V. S. [737] Come mio parrocchiano io lo raccomando caldamente a V. S. Cariss. affinchè lo impieghi come crederà in uno dei tanti uffizii che ha nella casa. Credo che suo padre è pronto a pagare le trenta lire mensili e provvederlo di libri e vestiario. Se lo accetta, me lo faccia dire ed io ne parlerò con lui.
Accetti i sensi della mia riconoscenza per tanto bene che fa ai miei poveri parrocchiani, e raccomandandomi alle sue preghiere mi raffermo ex corde di V. S. R.ma,
Il Ch. Rocca Angelo, invece, ottenne di ascriversi alla Pia Società, fece i voti perpetui, nel 1876 salì al sacerdozio, e l'anno dopo veniva inviato a dirigere la nuova casa della Spezia.
Per non più incontrare tante difficoltà, bisognava uscir dal pelago alla riva, coll'approvazione definitiva delle Costituzioni; e Don Bosco preparava il nuovo esemplare che avrebbe presentato alla S. Congregazione, deciso di recarsi a Roma prima della fin dell'anno.
Intanto, per ottener più copiose le benedizioni celesti sulla Pia Società, sul principio del nuovo anno scolastico, il 15 novembre 1873, inviava alle Case una circolare Sulla disciplina, nella quale, dopo aver inculcato l'osservanza delle Regole generati della Congregazione e quelle particolari del proprio ufficio, tracciava egli stesso il programma del direttore, del prefetto, del catechista, dei maestri e degli assistenti, e raccomandava caldamente a tutti “di comunicare col direttore tutte le cose che possono servire di norma a promuovere il bene ed impedire le offese del Signore”[132].
La sera del penultimo giorno del 1873 era di nuovo a Roma, insieme con Don Berto, il quale in questi viaggi, vedendo qua e là dei particolari bisogni, gli suggeriva di provvedere, ed egli: [738]
- Guarda, gli rispondeva, nei pochi anni che mi rimangono ancora di vita, io non sento più nessun'altra inclinazione, fuor di quella d'occuparmi nel sistemare in forma assoluta gli affari della nostra Congregazione. Tolto questo, tutto quanto il resto non ha più per me nessuna attrattiva.
Era il pensiero dominante nella mente del Santo!
Giunto a Roma, per prima cosa, cercò d'aver un colloquio con Mons. Vitelleschi; e il dì appresso gli scriveva una lettera, e faceva visite al Card. Antonelli e al Card. Berardi.
Anche nei dì seguenti, benchè occupatissimo per le trattative relative alle mense vescovili, non lasciò mai d'interessarsi per l'approvazione delle Costituzioni, tenendo un colloquio col Segretario della S. Congregazione dei Vescovi e Regolari, ed ottenendo un'udienza dal S. Padre la vigilia dell'Epifania.
Quella mattina aveva promesso di fare una visita a Mons. Dell'Aquila, Abbreviatore Apostolico di S. S., ma non potendo mantener la promessa, gli scriveva:
Oggi mane sono per l'udienza dal S. Padre alle 11 e non posso trovarmi con lei e col sig. D. Luigi all'ora fissata.
Veda se può a comodità di ambidue avere altro giorno disponibile ad hoc.
Dio conceda ogni bene a Lei e al suo collega, preghino per questo miserabile ma che sono sempre in G. C.
Nell'udienza avuta dal S. Padre esponeva lo stato della Pia Società e il desiderio di vederla regolarmente stabilita, ed insieme con varie offerte, anche minime, di persone devote, umiliava a Sua Santità alcune nuove pubblicazioni, tra cui il nuovo dizionario latino di Don Celestino Durando, stampato nell'Oratorio, ed implorava per alcuni benefattori [739] particolari favori, e un'indulgenza plenaria per tutti gli alunni e per le Figlie di Maria Ausiliatrice[133].
La gioia, che provò nel lungo colloquio che ebbe col Sommo Pontefice, fu pari alla brama che aveva di vedere, con l'approvazione delle Costituzioni, definitivamente stabilita l'Opera Salesiana. Così affiora dalle lettere, scritte o dettate, e tutte firmate di sua mano, che inviava ai Direttori, nelle quali, insieme col voto ardente di veder progredire nella virtù i suoi figli, e colla certezza dei buoni effetti delle loro preghiere, brilla in modo commovente il suo affetto paterno.
Quella sera scriveva a quei di Lanzo e dell'Oratorio:
Carissimo D. Lemoyne e voi tutti, o cari figli di Lanzo,
Le prime parole che da Roma scrivo alle nostre case le indirizzo a voi, o miei cari ed amati figliuoli di Lanzo. Io fo a voi questa preferenza, perchè so che mi portate molta affezione, siccome avete sempre dimostrato ogni volta che mi sono recato tra voi. Molte cose mi [740] riserbo a dirvi, quando potrò in persona tenervi discorso: qui comincio a scrivervi qualche cosa che direttamente riguarda al vostro bene. Questa mattina alle 11 sono stato ammesso all'udienza del Santo Padre, che ho trovato amorevole, generoso e accondiscendente in tutto quello che ci è occorso. Egli parlò molto delle cose nostre, della Congregazione, dei preti, dei chierici, dei giovani e in fine tenne anche speciale discorso sul collegio di Lanzo, di cui avevo altra volta già fatto parola. Infine volendo dare un segno di speciale benevolenza incaricò me di comunicarvi la sua Santa ed Apostolica Benedizione con Indulgenza plenaria in quel giorno in cui farete la vostra confessione e comunione.
Io ringraziai da parte vostra la bontà del Santo Padre, e lo assicurai che oltre alla Comunione fatta per lucrare l'indulgenza plenaria, ciascuno sarebbesi data cura di farne un'altra secondo l'intenzione di sua Santità.
- Anche per questa Comunione, disse con vivacità il Santo Padre, concedo l'indulgenza plenaria.
Ora, o miei cari figliuoli, ammirate la benevolenza del Vicario di Gesù Cristo, e nel tempo stesso ammirate la bontà del Signore, che ci porge tanti mezzi atti ad assicurarci la eterna nostra salvezza.
Intanto, o miei amici, avete incominciato bene l'arino? Godete tutti buona sanità? Avete tutti volontà di farvi buoni, di farvi santi, di essere sempre la mia consolazione? Odo la voce che viene dal vostro cuore e che mi assicura che tutti voi dite sinceramente sì, sì.
Posta la sincerità di questa promessa vi dò un consiglio che vi tornerà utile assai, ed è quello stesso che vi ha già dato il vostro direttore, concepito in questi termini: - Se volete essere felici nel tempo, ed essere fortunati poi nella beata eternità, procurate di fuggire lo scandalo e frequentate la santa Comunione.
Tu, o caro D. Lemoyne, che so voler tanto bene ai tuoi allievi, procura di spiegare in modo chiaro e pratico questo mio consiglio, e procurerai loro un grande tesoro, ed a me una vera consolazione.
Io ho molto bisogno di preghiere in questo momento, e mentre vi assicuro di raccomandarvi in modo particolare nella santa Messa, vi chiedo per carità una santa Comunione secondo la mia intenzione e con vostra comodità.
La grazia di Nostro Signor G. Cristo sia sempre con noi.
Raccomanda a tutti, ma specialmente ai Sacerdoti, di pregare assai, affinchè siano condotti a buon termine i molti e gravi affari che ho tra mano. Da’ l'unita lettera a D. Costamagna e il tenore di essa non esca fuori di voi due per ora.
e cari tutti voi che abitate nell'Oratorio di Torino,
poco tempo che mi sono separato da voi, o Figli miei amatissimi, ed ho molte cose a dirvi, molte a scrivervi.
Ve ne parlerà a lungo quando sarò tra voi in Torino; qualche cosa vi esporrò in questa lettera.
Vi dirò adunque, che io vi porto grande affezione e dovunque io sia non cesso di domandare a Dio il vostro benessere spirituale e temporale.
Il mio viaggio fu ottimo, ed abito in una casa dove non potrei ricevere maggiori segni di affezione dai medesimi genitori.
Oggi alle 11 antimerid., in compagnia di Don Berto ho avuto l'udienza del Santo Padre, che si trattenne assai volentieri a discorrere della Congregazione di S. Francesco di Sales, dei socii che la compongono, dei preti, dei chierici, degli studenti, degli artigiani, di Hong Kong, e di molte altre cose ancora.
Ho di poi presentato l'indirizzo del dizionario di Don Durando. Egli ne dimostrò gran piacere; io gli manifestai lo scopo di quel dizionario, notai che l'autore era dell'Oratorio, tipografia, e stereotipia, fonderia, legatoria tutto dell'Oratorio. Cose tutte che egli ascoltava con molta bontà.
Lesse quindi l'indirizzo di Don Durando da capo a fondo, e poi disse: - A un'impresa degna di un sacerdote cristiano, mi fa piacere, lo benedica Iddio come io lo benedico. - Ciò detto prese la penna e scrisse le parole che sono in fondo al mentovato indirizzo, scritte e sottoscritte dalla propria mano del Santo Padre[134].
Volle eziandio concedere altri favori e fra gli altri concedette la sua apostolica benedizione con una Indulgenza Plenaria in quel giorno in cui farete la vostra santa Confessione e Comunione.
lo poi mi trovo in grande bisogno di voi, ho bisogno che preghiate per me, affinchè io possa riuscire in molti e gravi affari che presentemente ho tra mano. Fate per me una Santa Comunione, io pregherò anche per voi. Quanto prima vi scriverò altre lettere. La grazia di Nostro Signor Gesù Cristo sia sempre con noi, ci liberi dal peccato e ci aiuti a perseverare nel bene. [742]
Caro Don Rua, finora non ho ricevuto notizie, nè lettere da Torino. Fa freddo? ha nevicato? vi sono ammalati? Il liceo vicino al giardino come va? Le questioni di San Biagio? L'affare Vicino?
Caro Don Provera, ho dimandato per te una benedizione speciale al Santo Padre; abbi fede e speriamo nella bontà del Signore.
Amami in Gesù e Maria, e credimi,
Il dì appresso scriveva ai Salesiani ed agli alunni dei Collegi di Borgo S. Martino e di Torino - Valsalice:
e voi tutti miei cari figli di S. Martino,
Da Roma, dalla Capitale del Cattolicismo, dalla sede del Vicario di Gesù Cristo voglio scrivere qualche cosa a voi, miei cari ed amati figliuoli. Ciò vi persuada che eziandio di lontano io penso a voi, mi ricordo di voi.
Ieri adunque sono stato in udienza particolare dal Santo Padre, che mi accolse colla massima bontà. Mi favorì in tutto quello che occorreva, di poi parlò molto, in generale, dei giovanetti e in fine fu portato il discorso sopra di voi, o amati figli di S. Martino. Mi chiese molte particolarità, quali studi si facevano, se ce ne erano dei molto buoni, se frequentavano la Santa Comunione, se ce ne era qualcuno che potesse mettersi a pari con Savio Domenico. Io procurai di soddisfarlo nel modo certamente a voi più favorevole.
Avendomi poi lasciato libero di chiedere qualche cosa a vostro riguardo, egli mi diede incarico di manifestarvi la piena soddisfazione per le buone speranze che date di una vita cristiana in mezzo al mondo contaminato di tanti vizii; e conchiuse:
- Scrivete loro che di tutto cuore mando l'apostolica benedizione colla indulgenza plenaria in quel giorno che si accosteranno alla Santa Confessione e Comunione.
Il resto ve lo dirò poi di presenza, quando avrò il piacere di trovarmi tra voi.
Intanto io sono anche per dimandarvi un gran favore, che ritornerà a grande vantaggio delle vostre anime: che tutti vi adoperiate per impedire ed allontanare i cattivi discorsi. A tale scopo prego il sig. Direttore che vi faccia qualche istruzione apposita sul male che fanno i cattivi discorsi e sulle terribili conseguenze dello scandalo. Siccome poi ho parecchi affari gravi tra mano, così mi raccomando alle vostre preghiere, specialmente di fare una S. Comunione secondo la mia intenzione. Io poi andrò a celebrare una volta la S. Messa sulla tomba di S. Pietro pel vostro maggior bene, [743]
Tu vero, o D. Bonetti, praedica verbum opportune, importune, argue, obsecra, increpa in omni patientia et doctrina. Dic sociis nostris multa nobis parata esse.
Messis multa, ideo multi operarii sunt comparandi.
Quam cito veniam ad te per epistolam meam. Interea, socii laborum meorum, vos, gaudium meum et corona mea, orate pro me, et pro magnis negotiis quae nunc temporis mihi sunt pertractanda.
La grazia di N. S. G. C. sia sempre con noi. Vale et valedic.
Roma, 6 - 1874, Via Sistina 104.
e car.mi allievi del Collegio Valsalice,
Non posso scrivere molto, ma voglio scrivere io stesso. Sono in Roma. Ieri ebbi udienza particolare dal S. Padre, che si mostrò molto benevolo verso di noi. Parlò assai volentieri dei nostri allievi di Valsalice e ascoltò la buona volontà che ivi regna per progredire nella virtù.
Mi diede poi incarico di comunicarvi la sua apostolica benedizione con indulgenza plenaria in quel giorno che vi accosterete alla santa confessione e comunione.
Ho poi dimandato un pensiero particolare da scrivervi a suo nome. Egli guardò il Crocifisso e poi rispose: - Dite loro che io li benedico di cuore e che non dimentichino mai che il mondo è ingannatore. Dio soltanto è un fedele amico che non ci abbandonerà giammai. Amino questo buon Dio che non li abbandonerà giammai.
Spero di potervi scrivere di nuovo quanto prima. Mi raccomando alle vostre preghiere; voi pregate anche per me.
La grazia di nostro Signore G. C. sia sempre con voi; vi liberi dai pericoli del tempo, e vi renda tutti un giorno felici nella beata eternità. Amen.
Tu poi, o Don Dalmazzo, saluta in modo particolare i socii Salesiani, e di' loro che un campo di messe copiosissimo si va dalla Divina Provvidenza preparando. Prega e fa' pregare. Credimi in G. C.
Roma, 6 - 1874, Via Sistina, 104,
Senza dubbio non dimenticò quei d'Alassio, di Varazze e di San Pier d'Arena; ma le lettere non ci son pervenute.
Nello stesso giorno scriveva anche al Vescovo di Vigevano per un delicato affare: [744]
Fu ottima cosa che mi abbia scritto la spiacente storia di Zinasco. Il Ministro ascoltò tutto e si volle egli stesso trar copia della sua lettera. Osservando che in quella nulla eravi di compromettente, accondiscesi, notandogli soltanto che quelle erano lettere confidenziali, e nulla più.
Se il demonio non ci mette la coda, fra pochi giorni le scriverò di altro, ma di gran rilievo. Preghi ed inviti le anime buone a pregare pel buon esito di questo affare.
Ieri ho parlato a lungo col S. Padre, che gode ottima sanità e per mezzo mio Le manda la sua Apostolica Benedizione, cioè mi ha incaricato di comunicargliela. Tanto Esso quanto il Card. Antonelli sono informati dell'affare di Zinasco. Mi doni la sua benedizione e mi creda povero suo
Straordinario, come abbiam detto, fu il lavoro che compì, durante questa permanenza a Roma, a favore delle temporalità dei Vescovi d'Italia; ma ancor più intenso fu quello che dovette sostenere per veder la Pia Società definitivamente stabilita.
Per farcene un'idea, basterebbe un semplice accenno di tutte le visite, che ritenne doverose o convenienti, a Cardinali e a Prelati!
Il 3 gennaio parlò con Mons. Vitelleschi e la sera dell'Epifania aveva con lui un altro lungo colloquio, come il dì innanzi erasi lungamente intrattenuto col Card. Berardi; e subito si diceva lieto d'essersi pienamente inteso col Santo Padre, col Segretario della S. Congregazione dei Vescovi e Regolari e col Cardinale suo grande amico. In realtà, dopo il Papa, il Card. Berardi e Mons. Vitelleschi furon quelli che l'aiutarono senza posa, finchè non raggiunse la mèta.
L'8 gennaio si recò dal Card. Costantino Patrizi, avendo appreso da Sua Santità che nella Congregazione Particolare, o speciale Commissione Cardinalizia, che verrebbe formata per l'approvazione delle Costituzioni, forse ci sarebbe stato il Card. Vicario, e il Papa stesso l'avrebbe informato che l'Arcivescovo di Torino era di parere contrario. Il Cardinale [745] l'accolse festosamente e gli diceva, chiaro e netto, che neppur lui andava d'accordo con Mons. Gastaldi.
Il 9 andò al S. Uffizio per pregare il Commissario, Monsignor Sallua dei PP. Predicatori, a dire una buona parola al suo confratello P. Bianchi, Consultore della S. Congregazione, che aveva estese le 38 Animadversiones; ed anche il bravo Monsignore, piemontese, della diocesi di Mondovì, che conosceva l'opera di Don Bosco, l'accolse e trattò nella maniera più cordiale.
Mons. Vitelleschi, intanto, gli dava la cara notizia che il S. Padre aveva già deciso di formare la Congregazione Particolare, della quale probabilmente avrebbero fatto parte il Card. Vicario, il Card. Berardi, ed uno dei dodici Cardinali creati nel Concistoro del 22 dicembre 1873, forse il Card. Tarquini S. J., o il Card. Oreglia di S. Stefano.
Ed egli, senz'indugio, si recava a far visita al Card. Oreglia, fratello del Cav. Federico, che per vari anni aveva fatto parte della nostra Società; e due giorni dopo si portava al Palazzo Altemps, presso Piazza Navona, a parlare anche al Card. Monaco Lavalletta. Questi, di carattere serio e dignitoso, ed insieme umile e caritatevole, l'accolse affettuosamente, e lo trattenne in amabile colloquio per circa un'ora e mezzo; e, insieme con altri favori, gli concedeva gratuitamente due Brevi per l'Oratorio privato, a favore delle signore Vicino e Ghiglini; cosicchè, nel tornare a casa, Don Bosco non potè tener nascosta la gioia che sentiva in cuore, e diceva a Don Berto:
- Bisogna proprio far delle visite! Talvolta un saluto, un ossequio, basta per guadagnare una persona. Così fu del Card. Monaco, che era a noi il meno favorevole!
Il 14 lo spedizioniere apostolico Stefano Colonna lo volle a pranzo insieme con vari prelati, tra cui il nuovo Cardinale Alessandro Franchi. Durante il banchetto egli parlò pochissimo; ma, verso la fine, invitato a raccontar qualche cosa dell'Oratorio e delle difficoltà che ebbe a superare, cominciò a narrare come aveva dovuto sostener dodici perquisizioni; e fece tale racconto con tanta grazia e tanta disinvoltura, da conquistarsi le simpatie di tutti, sicchè finito il pranzo, [746] il Card. Franchi lo prese in disparte e l'intrattenne in colloquio confidenziale circa un'ora e mezzo, fino a che giunse un altro Porporato, il Card. Martinelli, il quale, prima di partire, lo salutò egli pure nel modo più cordiale.
Il 16 si fece coraggio e si recò dal Prefetto della S. Congregazione dei VV. e RR.; ed anche il Card. Bizzarri, benchè di carattere severo e quasi scrupoloso, l’accolse così benevolmente e lo consigliò in tante cose, che ritenne d'aver guadagnato anche il suo appoggio.
Il 23 fu ad ossequiare il Card. Camillo Tarquini, della C. d. G., per cui aveva anche una commissione del P. Secondo Franco, e lo trovò pienamente favorevole; senonchè il nuovo Porporato, che probabilmente, si diceva, avrebbe fatto parte della Congregazione Particolare, dopo pochi giorni cadeva malato e moriva la mattina del 15 febbraio.
Nel frattempo Don Bosco affidava la stampa del nuovo esemplare delle Costituzioni alla Tipografia di Propaganda.
In esso, come dichiarava poi per iscritto, aveva “accettata la massima parte delle 28 Osservazioni” che gli erano state ultimamente comunicate; - “relativamente ad alcune” vi aveva „introdotto dei temperanti”, - ed “alcuni articoli” li aveva sostenuti “unicamente per salvare come da un naufragio dal rigore delle leggi civili il suo Istituto”, attenendosi anche ai consigli ed ai suggerimenti ricevuti in quei giorni.
Ed ecco - non possiam far a meno di esporla - una sintetica illustrazione dei nuovo lavoro, da lui pazientemente compiuto con la diligenza abituale[135].
La 1a OSSERVAZIONE voleva soppressi il capo I, Prooemium, e il II, De ejusdem Societatis Primordiis, non essendo solita la S. Sede approvare nelle Costituzioni i cenni storici dell'Istituto; ed egli li tolse dal testo, e li appose in capo ad esso, in carattere corsivo, a mo' di prefazione.
La 2a e la 7a, la 19a, la 20a e la 22a suggerivano anch'esse, qua e là, varie soppressioni, e, in base alle medesime, sopprimeva: [747] il rilievo della pubblicazione delle Letture Cattoliche e della Biblioteca della Gioventù; la maniera di fare il rendiconto, che si permetteva tutt'al più limitato all'osservanza delle Costituzioni ed al progresso nelle virtù; la dichiarazione del consenso dei genitori per l'ammissione alla Congregazione; la prescrizione per quelli che avrebbero atteso agli studi di portare, all'ingresso in noviziato, il corredo e 500 lire di pensione, ed altre 300 prima di fare i voti; e per i coadiutori 300 lire all'ingresso; l'accenno allo stato di salute dell'aspirante, che si diceva dover essere da poter osservare le Regole, senz'alcuna eccezione, almeno durante il noviziato[136].
La 3a OSSERVAZIONE, voleva espulse le ripetute menzioni dei diritti civili dei laici e della sottomissione alle leggi civili, e Don Bosco l'accolse parzialmente, lasciando nell'art. 2° del capo De singulis domibus appena l'accenno generico di non far mai nulla contro leges ecclesiasticas et civiles, e nel 2° del capo Hujus Societatis forma il semplice accenno ai diritti civili con queste parole: „Chiunque entra nella Società non perde, nemmeno dopo fatti i voti, i diritti civili, per cui può validamente e lecitamente acquistare, vendere, far testamento ed ereditare; ma finchè starà nella Società, non può amministrare i suoi beni, se non nella maniera e nella misura che in Domino il Rettor Maggiore riterrà conveniente”, basandosi sulle Costituzioni di altri Istituti Religiosi approvati. Ritenendo l'essenza della povertà religiosa, non nella conservazione del dominio radicale di beni particolari, ma nella completa rinunzia dell'amministrazione, egli preferiva una tal forma, con la quale, mentre in faccia alla Chiesa si era legati dal voto di povertà e se ne praticava l'osservanza, in faccia alla legge si godevano tutti i diritti civili.
La 4a esigeva una norma più chiara e precisa circa il voto di povertà, e precisamente quella contenuta nella Collectanea [748] S. C. Episcoporum et Regularium, N° 859[137], ed egli, fermo nell'intento d'evitare alla Società qualsiasi molestia per parte del Governo, e ravvisandone nel possesso privato dei soci la miglior garanzia, non appose alcuna variante nel capo De voto paupertatis, ripetendo in nota che tanto il capo De forma Societatis, come quello De voto Paupertatis li aveva tolti, quasi alla lettera, dalle Costituzioni della Congregazione delle Scuole della Carità, approvate da Gregorio XVI.
Anche la 5a OSSERVAZIONE, non giudicando conforme allo spirito d'un istituto religioso che i chierici e i sacerdoti possano conservare i benefizi semplici, come leggevasi negli articoli 4° e 5° del capo Hujus Societatis forma, esigeva che se ne dichiarassero decaduti dopo emessi i voti perpetui, eccettuati i benefizi propri o di famiglia; e Don Bosco non ritenne necessario di cangiare neppure i suddetti articoli, perchè i soci, pur conservando, anche dopo la professione, tanto i benefizi di famiglia come i benefizi semplici senz'averne l'amministrazione, non venivano a mancare contro la pratica del voto di povertà, nè contro la forma propria d'ogni Istituto Religioso.
SETTE OSSERVAZIONI (la 6a, la 14a, la 18a, la 21a, la 23a, la 25a, e la 26a) suggerivano aggiunte e ritocchi in armonia alla forma comune a tutti gli Istituti religiosi, e precisamente: l’invio alla S. Sede delle deliberazioni dei Capitoli Generali, perchè abbiano forza deliberativa; per aprir nuove case richiedersi non meno di tre soci, dei quali due almeno sacerdoti; che l'esercizio del sacro ministero deve compiersi, non tanto prout regulae Societatis patientur, ma iuxta Sacrorum Canonum praescripta; un aspirante, prima d'essere ascritto alla Società, deve fare dieci giorni di esercizi spirituali; [749] in ogni casa, per maggior libertà dei soci, vari devono essere i confessori (e non uno soltanto); per far cause civili, dèvesi chieder licenza alla S. Sede; ogni tre anni dev'essere convocato il Capitolo Generale per trattare degli affari più importanti dell'Istituto, e gli atti devono esser inviati alla S. Congregazione dei VV. e RR. per l'esame e per l'approvazione; e Don Bosco le accoglieva tutte: - le prime cinque nei luoghi indicati dal Consultore[138]. - la penultima nell'art. 13° del capo De caeteris Superioribus, relativo all'Economo Generale, - e l'ultima in un nuovo articolo (il 2°) del capo Religiosum Societatis regimen.
La 24a consigliava d'aggiungere nell'art. 2° del capo De singulis domibus che i confessori a Rectore constitutos fossero anche ab Ordinario adprobatos; ma Don Bosco, senza voler punto menomare la giurisdizione vescovile, non ritenne doverosa tal dichiarazione, perchè, secondo l'uso delle Congregazioni Religiose, per udir le confessioni di quanti vivono nell'interno di un istituto religioso era sufficiente l'autorizzazione del Superiore.
La 27a voleva soppresso il particolare che si leggeva nell'art. 8° del capo Pietatis exercitia, cioè poter il Superiore Generale dispensare dagli esercizi spirituali e da altre pratiche di pietà; e Don Bosco, che, a quei tempi, atteso il piccolo numero dei soci e il molto lavoro, più volte si vedeva nella necessità di doverlo fare, per sua tranquillità s'astenne dall'accogliere la soppressione.
ALTRE OSSERVAZIONI riguardavano le modalità dell'elezione del Rettor Maggiore e del Capitolo Superiore e la forma del governo della Società, e precisamente l'8a, la 9a, la 10a, l’11a, la 12a, la 13a e la 15a.
L’8a osservava che l'età canonica dell'eligendo a Superiore Generale dev'essere d'anni 40, quella dei Consiglieri Generali d'anni 35 e di 5 almeno di professione, e quella del Maestro dei novizi d'anni 35 e 10 almeno di professione. [750] E Don Bosco nel 1° articolo del capo De Rectoris Majoris electione poneva che l'eligendo doveva essere professo da 10 anni almeno ed avere 35 anni d'età; e riguardo agli altri membri del Capitolo Superiore e al Maestro dei Novizi non mise nulla, essendo allora quasi tutti i confratelli molto giovani, per cui quasi tutti gli eletti a far parte del Capitolo avrebbero avuto il difetto d'età; e dichiarava, a parte, d'esser pronto ad accogliere l'osservazione in massima generale, ove, in via eccezionale, gli fosse concesso di poter sciogliere l'accennata difficoltà col beneplacito della S. Sede, aggiungendo alla dichiarazione le parole: Haec vero aetas minui aliquando poterit interveniente S. Sedis consensu.
La 9a esigeva che l'elezione del Rettor Maggiore e del suo Capitolo venisse compiuta dai componenti il Capitolo Generale, a maggioranza assoluta dei voti, e non altrimenti ed egli negli articoli 5° e 6° del capo De Rectoris Majoris electione e in un nuovo articolo apponeva che ad eleggere il Rettor Maggiore avrebbero dato il voto, insieme coi membri del Capitolo Superiore, tutti i direttori col loro delegato, eletto dai professi in ogni casa; e, nell'art. 10 del capo Degli altri Superiori, che nella stessa forma si sarebbe compiuta l'elezione dei membri del Capitolo.
La 10a voleva che il Capitolo Generale fosse composto, come di solito negli altri Istituti, senz'esservi ammessi tutti i professi perpetui della casa dove si fa l'elezione, giacchè se ne querelerebbero i professi perpetui delle altre case; ed egli, avendo già, come s'è detto, apposto la convocazione del Capitolo Generale ogni tre anni, e delineato come doveva essere convocato per l'elezione del Rettor Maggiore, non ritenne necessario aggiungere altri rilievi circa la convocazione del Capitolo Generale.
L'11a esigeva che tutti i membri del Capitolo Superiore (compresi il Prefetto e il Direttore Spirituale) venissero eletti dal Capitolo Generale e risiedessero accanto al Rettor Maggiore; ma il Santo Fondatore, evidentemente nella brama di conservar a lato del Rettor Maggiore due aiutanti di sua piena fiducia pel miglior disimpegno degli affari della Congregazione [751], s'astenne dall'apporre quella variante, e non vi appose neppur l'obbligo di comune residenza.
La 12a voleva soppresso, nel capo Internum Societatis regimen, l'accenno che il Rettor Maggiore doveva prenotare e tener sigillato e segreto il nome di chi, alla sua morte, avrebbe assunto e tenuto il governo dell'Istituto fino al Capitolo elettivo; ed egli soppresse integralmente l'articolo; e negli altri luoghi dove si accennava il Vicario temporaneo, pose il nome del Prefetto.
La 13a nei tre primi articoli del capo De acceptione riteneva disposizioni contrarie alle consuetudini della S. Sede dicendo esser ivi attribuite al solo Superiore Generale „l'ammissione e la dimissione dei Novizi e dei Professi, nonchè la nomina dei Superiori locali e dei principali officiali dell'Istituto [i Visitatori]”, mentre nell'art. 16° del capo De caeteris Superioribus si leggeva chiaramente che erano riservate alle deliberazioni del Capitolo Superiore. Tuttavia Don Bosco l'ammise anche nell'accennato 1° articolo; e nel 3° (il 2° non aveva nulla in proposito) ritenne conveniente specificare che, qualora il Capitolo Superiore fosse assente e vi fosse qualche giusta causa, il Rettor Maggiore poteva accettare in Società ed ammettere ai voti e fare licenziamenti, in qualsiasi casa, col consenso del Capitolo locale, evidentemente per la pronta soluzione di casi facili a sorgere.
La 15a, nel rilevare che al Maestro dei Novizi non dev'essere affidato altro ufficio che la loro formazione, per cui non può compierlo il Direttore Spirituale o Catechista, avendo questi molte altre mansioni, citava anche (fuor di luogo) l'art. 12° del capo De singulis domibus (essendo in questo indicate le mansioni dei Catechisti locali e non del Catechista generale); e Don Bosco, dopo aver specificato nell'art. 9° del capo De caeteris Superioribus che al Direttore Spirituale è particolarmente affidata la cura dei Novizi “insieme col loro Maestro”, si preparava ad aggiungere il nuovo capo De Novitiorum Magistro eorumque regimine.
Le modificazioni, infatti, o, diciam meglio, le aggiunte più importanti vennero imposte dalle OSSERVAZIONI 16a e 17a, accolte tutt'e due nel modo ritenuto il più conveniente. [752] La 16a, rilevando la mancanza del Noviziato, lo voleva prescritto in conformità della Costituzione Regularis disciplinae di Clemente VIII e delle altre disposizioni canoniche, cioè in modo che i novizi stessero nelle case di noviziato in completa separazione dai professi ed avessero per unica occupazione i loro esercizi spirituali, senz'attendere a nessun'opera dell'Istituto. E Don Bosco estendeva il capo XIV: Del Maestro dei Novizi e della loro direzione (DE NOVITIORUM MAGISTRO EORUMQUE REGIMINE) in questa forma, che ci fa comprendere sempre più esattamente il suo spirito.
1. Ogni socio, prima d'essere definitivamente accolto nella Società, deve fare tre prove.
Il tempo della prima prova deve precedere il noviziato, e chiamasi aspirandato, la seconda è il Noviziato propriamente detto, la terza è il tempo dei voti triennali.
2. Quindi oltre le condizioni d'accettazione stabilite [nel capo XI] il Maestro dei Novizi deve esaminare attentamente se la condotta del postulante sia tale, a giudizio dei superiori, che si possa dire, dinanzi al Signore, che egli sarà per dare maggior gloria a Dio e vantaggio alla Società.
3. In linea generale la prima prova sarà ritenuta bastante, se il postulante ha passato alcuni anni in qualche casa della Società, o frequentato le scuole della Congregazione, ed in quel tempo siasi distinto per virtù ed ingegno.
4. E se qualche adulto dimanderà d'essere ascritto a questo pio Istituto, e verrà ammesso alla prima prova, farà subito gli esercizi spirituali, quindi, almeno per qualche mese, verrà esercitato nei vari uffici della Congregazione, perchè conosca e pratichi quella forma di vita che intende abbracciare. Nello stesso tempo il Maestro dei Novizi e gli altri Superiori osservino se il postulante sia atto per la Congregazione Salesiana.
5. Durante il tempo della prima prova il Maestro dei Novizi e gli altri Superiori devono osservare attentamente e palesare al Capitolo Superiore quello che dinanzi al Signore riterranno conveniente.
6. Compiuta felicemente la prima prova e ricevuto il Socio nella Congregazione, subito il Maestro dei Novizi a lui volga le sue cure, e nulla tralasci di quanto può giovare all'osservanza delle Regole e delle Costituzioni.
7. Il Maestro dei Novizi deve quindi con massima cura procurare: 1) di mostrarsi amabile, mansueto e di cuore pieno di bontà, perchè i soci gli aprano l'animo su tutto quanto può giovare ad avanzare nella perfezione; 2) di dirigerli ed ammaestrarli nelle Regole in generale, e [753] specialmente in quelle che si riferiscono al voto di castità, povertà ed obbedienza; 3) affinchè tutti compiano e pratichino in modo pienamente esemplare tutto ciò che riguarda gli esercizi di pietà del nostro Istituto; 4) inoltre ogni settimana tenga regolarmente una conferenza morale; 5) ed almeno una volta al mese con tutta amorevolezza chiami ciascuno a fare il rendiconto spirituale.
8. Siccome lo scopo della nostra Congregazione è d'ammaestrare i giovani, specialmente i più poveri, nella scienza e nella religione, e fra i pericoli del mondo guidarli per la via della salute, nel tempo di questa seconda prova verranno tutti seriamente esercitati nello studio, nel far scuole diurne e serali, nel catechizzare i fanciulli ed anche nell'assisterli nei casi più gravi. E se il Socio avrà mostrato in tutte queste cose di dar maggior gloria a Dio e vantaggio alla Congregazione, ed insieme coll'adempimento delle pratiche di pietà sarà stato esemplare anche con l'esercizio di opere buone, dovrà ritenersi compiuto l'anno della seconda prova; in caso contrario questo verrà prolungato di qualche mese ed anche d'un anno.
9. Compiuto il Noviziato ed accettato il Socio in Congregazione, avuto il parere del Maestro dei Novizi, il Capitolo Superiore può ammetterlo a fare i voti triennali. La pratica dei voti triennali forma la terza Prova.
10. Durante questo tempo il Socio può esser inviato in qualunque casa della Congregazione e compiervi tutti gli uffici che gli verranno affidati; e il Direttore di quella casa avrà cura del nuovo Socio come il Maestro del Noviziato.
11. Durante tutto il tempo di coteste prove il Maestro dei Novizi procurerà di raccomandare e dolcemente infondere la mortificazione dei sensi esterni; particolarmente la sobrietà. Ma in ciò si deve procedere con somma prudenza, perchè non s'indeboliscano troppo le forze fisiche e i soci divengano meno atti a compiere gli uffici del nostro Istituto.
12. Compiute lodevolmente queste tre prove, se il Socio avrà davvero nell'animo il proposito di restar per sempre nella Congregazione, potrà essere appagato ed ammesso dal Capitolo Superiore ai voti perpetui.
La 17a OSSERVAZIONE, rilevando la mancanza d'un programma degli studi, lo voleva apposto colla dichiarazione esplicita che tutti gli aspiranti al sacerdozio fossero applicati per quattro anni agli studi teologici, o in un collegio particolare dell'Istituto, o in qualche Seminario, senz'essere nel frattempo applicati alle opere dell'Istituto. E Don Bosco, mentre tracciava il capo De studio, dichiarava di non esser alieno di stabilire il tempo di quattro anni, ma pel momento non avrebbe potuto aprir una casa di studio, separata [754] dagli altri collegi, senza sottoporla alle leggi del Ministero della Pubblica Istruzione; d'altronde non si poteva dire nè ritenere incompatibile che i chierici studenti potessero far scuola di catechismo e prestarsi ad assistere gli alunni e compiere in pari tempo il corso dei loro studi, dando così un saggio della loro capacità coll'esercitarsi in opere proprie dell'Istituto.
Ed ecco il breve capo XII, DEGLI STUDI (De studio).
1. I sacerdoti e tutti i soci che aspirano alla carriera sacerdotale attenderanno seriamente agli studi ecclesiastici.
2. Il loro studio principale sarà diretto con tutto l'impegno alla Bibbia, alla Storia Ecclesiastica, alla Teologia dommatica, speculativa, morale, nonchè a quei libri e trattati che parlano di proposito del modo d'istruire la gioventù nella religione.
3. Il nostro Maestro sarà S. Tommaso e gli autori che nelle istruzioni catechistiche e nelle spiegazioni della dottrina cattolica sono comunemente più celebri.
4. Ogni Socio, oltre le conferenze quotidiane, procuri di scrivere un corso di meditazioni e d'istruzioni, dapprima adatte per la gioventù, quindi per tutti i fedeli.
L'OSSERVAZIONE più grave di tutte, la 28a, riguardava la facoltà di concedere le Dimissorie per le sacre Ordinazioni.
Nell'articolo 4° del capo Religiosum Societatis regimen si diceva che i soci verrebbero ordinati dal Vescovo della diocesi, secondo la consuetudine delle altre Congregazioni aventi varie case in diverse diocesi, e ciò in virtù dei privilegi concessi alle Congregazioni ritenute come Ordini Regolari, e tale dichiarazione si diceva insufficiente, tant'è vero che essendo già stata chiesta dal Superiore Generale la facoltà di concedere le lettere dimissoriali non gli era stata concessa. E Don Bosco, mentre dichiarava che non gli era stata concessa perchè nel 1869 si trattò soltanto dell'approvazione generica della Società e non delle sue Costituzioni, e tuttavia l'aveva ottenuta ad decennium a favore di coloro che entrati nelle case della Società prima dei quattordici anni, avevano poi abbracciato l'Istituto, ed anche per gli altri aveva chiesti ed ottenuti ripetutamente indulti speciali, ora circonscriveva la domanda alla concessione delle dimissorie ad Episcopum [755] Dioecesanum, apponendo nel citato articolo che i soci avrebbero ricevuto gli Ordini sacri dal Vescovo della diocesi, iuxta Decretum Clementis VIII, die 3 martii 1596, e in nota riportava le parole del Decreto.
In fine, il capo De Externis, non essendogli stata rinnovata nessun'osservazione al riguardo, lo lasciò dopo la Formola dei voti, come in appendice.
Il 3 febbraio Mons. Vitelleschi gli dava l'annunzio che la Congregazione Particolare era stata composta con i Cardinali Patrizi, De Luca, Bizzarri, e Martinelli.
COSTANTINO PATRIZI, Vicario Generale di Sua Santità, Prefetto della S. Congregazione dei Riti e Decano del S. Collegio;
ANTONINO DE LUCA, di Bronte (Catania), Prefetto della S. Congregazione dell'Indice e già dei Presidenti del Concilio Vaticano;
GIUSEPPE BIZZARRI, Prefetto della S. Congregazione dei Vescovi e Regolari;
TOMMASO M. MARTINELLI, degli Eremitani di S. Agostino, già Segretario ed Assistente Generale dell'Ordine e Teologo del Concilio Vaticano, elevato alla Porpora nell'ultimo Concistoro, ... che poi fu Pro - Prefetto della S. Congregazione degli Studi, quindi Prefetto della S. Congregazione dei Riti e, in fine, dell'Indice; quattro Principi di Santa Chiesa, sotto ogni aspetto eminentissimi.
Stando così le cose e ritenendo vicino il giorno in cui la Congregazione si sarebbe adunata, “dopo aver pregato nella Santa Messa, invocati i lumi dello Spirito Santo, chiesta una speciale benedizione dal Supremo Gerarca della Chiesa”, il 5 febbraio Don Bosco inviava ai „cari figli Salesiani” delle singole Case un'altra circolare sopra “uno de' più importanti argomenti: Del modo di promuovere e conservare la moralità fra' giovanetti che la Divina Provvidenza si compiace di affidarci”.
Ogni istituto religioso ha la propria caratteristica, e Don [756] Bosco soleva ripetere che la nostra Pia Società deve attirare lo sguardo di tutti con lo splendore della virtù angelica!
“Noi ci troviamo, diceva, nel momento più importante della nostra Congregazione”, quindi: „Aiutatemi colla preghiera, aiutatemi colla esatta osservanza delle Regole, ... i nostri sforzi siano coronati di buon successo a maggior gloria di Dio, a vantaggio delle anime nostre e dei nostri allievi, che formeranno mai sempre la gloria della Salesiana Società”[139].
Urgeva, dunque, preparare la Positio, o la Consultazione, cioè tutta la documentazione da presentarsi agli Eminentissimi, componenti la Congregazione Particolare per l'esame; e il lavoro venne affidato al Prof. Avv. Carlo Menghini, Sommista della S. Congregazione, che non tardò a veder la convenienza e la necessità d'aver qualche colloquio col Fondatore. E Mons. Vitelleschi, il 17 febbraio, dava a Don Bosco un biglietto di presentazione all'avvocato, che prese subito a trattarlo con tutta cordialità e confidenza, e il 21 gli mostrava alcune lettere scritte dall'Arcivescovo di Torino al Card. Bizzarri Prefetto della S. Congregazione dei Vescovi e Regolari, e precisamente quelle del 26 luglio 1873, ove domandava se la Congregazione di S. Francesco di Sales era direttamente soggetta alla S. Sede ed immune dalla giurisdizione vescovile, e un'altra, ancor più grave, scritta il 9 gennaio di quell'anno, mentre Don Bosco era in Roma, nella quale, pur dichiarando d'ammirare “le qualità e le virtù non ordinarie” del Fondatore, e di rallegrarsi che riuscisse „a dare esistenza stabile ad un corpo di Ecclesiastici, i quali si applichino in modo speciale ad un'opera sì importante quale è l'educazione della gioventù”, tornava ad insistere sulla necessità d'imporre al nuovo Istituto un noviziato regolare “di due anni”, perchè se Don Bosco “ha un talento speciale per allevare i giovani secolari”, „non pare possegga compitamente questo talento per educare giovani ecclesiastici, o per lo meno in ciò non è assistito a sufficienza dai Soci ai quali affida la formazione dei chierici”.
Ed ecco la lettera in parola: [757]
V. Eminenza qualche mese fa mi scrisse che la S. Congregazione dei Vescovi e Regolari sta esaminando le regole della Congregazione di S. Francesco di Sales fondata dal Signor D. Giovanni Bosco in Torino; e parmi, dal contenuto della lettera, che questa Congregazione fosse per ottenere quanto prima la sanzione della S. Sede.
Io ammiro le qualità e le virtù non ordinarie del detto Don Bosco, godo assai pel bene che ha fatto e che fa a vantaggio della gioventù, mi rallegro che riesca a dare esistenza stabile ad un corpo di Ecclesiastici i quali si applichino in modo speciale ad un'opera sì importante quale è l'educazione cristiana della gioventù; ma stimo essere mio dovere gravissimo il rappresentare alla suddetta Sacra Congregazione, così degnamente presieduta da V. Eminenza, il bisogno che àvvi di provvedere a che nella Congregazione di S. Francesco di Sales si renda obbligatorio un Noviziato di due anni nel quale i giovani chierici sieno esercitati non a comandare come avviene ora troppo frequentemente, perchè sono posti a fare da maestri nelle varie scuole; sì ad obbedire, come si è sempre f atto e si fa nei Noviziati delle altre religioni, specialmente della Compagnia di Gesù. Il signor Don Bosco ha un talento speciale per allevare i giovani secolari, ma non pare possegga compitamente questo talento per educare giovani Ecclesiastici, o per lo meno in ciò non è assistito a sufficienza da tutti gli altri Ecclesiastici, ai quali egli affida la sorveglianza dei giovani chierici. Alcuni fatti deplorabilissimi provano ad evidenza questa mia affermazione.
Già sette chierici usciti dalla scuola del sig. Don Bosco furono ammessi a maestri od assistenti nella casa di sordomuti di questa città; e di nessuno fu contenta l'amministrazione presieduta da un Personaggio secolare distinto per la pietà, l'attacco alla Religione, la riverenza del Clero; e si lamentò in questi chierici la mancanza di umiltà e di sottomissione.
La stessa lagnanza si muove, in altri istituti ed in certi Seminari, di chierici che hanno compito i loro studi letterarii, o filosofici, o teologici, nell'accennata Congregazione di S. Francesco di Sales. Quand'io era a Saluzzo, lasciai che un chierico mio diocesano percorresse tutto lo studio chiericale in questa Congregazione, mi affidai agli attestati di moralità e di vocazione che mi si diedero dal sig. Don Bosco. Ma un mese dopo di essere stato ordinato sacerdote questo individuo venne fuori, e fu riconosciuto abituato all'intemperanza: e disgraziatamente lo è anche presentemente, e non si sa in quale uffizio impiegarlo, perchè oltre ad essere intemperante si è pure ignorante ed incivile.
Un altro Ecclesiastico mi pone ora in una terribile apprensione. [758] Questi dal 1862 al 1867 percorse la sua carriera chiericale nella Congregazione di S. Francesco di Sales, rimanendo in essa come convittore. La Curia Arcivescovile di Torino nel 1868 affidandosi alle testimonianze di moralità date dai Superiori della detta Congregazione, lo promosse al Presbiterato. Due anni dopo esso fu mandato a compiere l'uffizio di Vicecurato in una parrocchia di questa diocesi e quindi questo disgraziato tenne una condotta sì immorale che sono contro di esso 39 deposizioni di cose assai sconce; ed il misero temendo di essere incriminato dalla podestà civile andò fuori di Stato. Ma siccome trattasi di delitti pei quali è la estradizione, non sarebbe impossibile che l'Autorità Civile venisse a conoscere il luogo del suo rifugio, e quindi il facesse condurre a Torino; nel quale caso avrei uno scandalo, di cui non posso misurare l'estensione e la enormezza a danno del Clero e della Religione.
Chi potrebbe dare notizie esatte sul Noviziato che si fa in quella Congregazione, sarebbe il Padre Oreglia di S. Stefano, della Compagnia di Gesù, il quale fu per molti anni in quella Congregazione, e che era nel Collegio Romano nello scorso anno.
Quindi io prego vivamente la Eminenza V. R.ma, e per essa la S. Congregazione dei VV. e RR., che si renda obbligatorio il detto Noviziato in tutta regola per la Congregazione di S. Francesco di Sales; e sembrami che avuto riguardo alle circostanze delicatissime in cui versa l'Arcidiocesi di Torino e si trovano tutte le diocesi subalpine, si dèsse dalla S. Sede ed all'Arcivescovo di Torino ed agli altri Vescovi, nelle cui diocesi fossero membri della detta Congregazione da promuovere agli ordini sacri, la facoltà di ingerirsi in questa promozione, sicchè nessuno dei detti membri potesse esservi promosso senza l'assenso positivo ed esplicito del Vescovo Diocesano, mentre ora a mia insaputa si trova modo di farsi ordinare altrove. Nè sembrami, sarebbe fuori luogo, che si dèsse all'Arcivescovo ed agli altri Vescovi la facoltà di esaminare i detti membri prima di ammetterli ai voti perpetui.
Del resto, avendo soddisfatto al mio debito di coscienza, sono sempre disposto a venerare ogni giudizio che la Sacra Congregazione sarà per emanare.
Inchinandomi al bacio della sacra porpora passo a dirmi colla più profonda osservanza,
+ LORENZO, Arcivescovo di Torino.
Il Santo rimase sopra pensiero nel leggere la prima lettera e, più ancora, la seconda. Le fece copiar da Don Berto e ne parlò col Card. Berardi, dal quale, crediamo, o da qualche altro eminente personaggio, venne consigliato di confutarla [759] direttamente. E come? Decise di servirsi di qualche ex - allievo; e difatti la confutazione perentoria, da rimettere alla Congregazione Particolare, l'ebbe, anonima ma copiata probabilmente da Don Anfossi, che era uno degli accusati nel „famoso documento”. Diciamo copiata da Don Anfossi, perchè in archivio abbiam l'originale, scritto dallo stesso Don Bosco[140].
A mali estremi estremi rimedi! Ecco la lettera.
Mentre a Roma V. S. si occupa con grande sollecitudine per ottenere al nostro Arcivescovo la temporalità della sua mensa, Esso l'ha servito proprio di barba e di parrucca. Come le aveva già significato l'anno scorso, sotto aspetto di voler chiedere alla Congregazione di VV. e RR. se la Cong. di S Francesco di Sales fosse esente dalla giurisdizione dell'Ordinario, si fece dare i motivi per cui aveva inoltrata tale domanda. Gli scandali, le insubordinazioni degli Oratoriani e il timore che essi fossero sin caduti nelle censure della Chiesa, l'avevano mosso a questo dovere di coscienza (in realtà assai delicata!) a scrivere quella lettera. Ciò fa a pugni con quanto disse le mille volte con me, cioè che il clero dell'Oratorio era da proporsi per modello a tutti gli amatori del bene.
Ora poi, avendo per inteso che a Roma si trattava della definitiva approvazione della sua Congreg. senza esserne richiesto da alcuno, motu proprio, studia coprirla tutta di nera infamia. Non so precisamente la data di questo famoso documento, ma fu inviato a Roma poco dopo la sua partenza per quella capitale vale a dire nei primi giorni del passato gennaio.
Egli adunque supponendo che quei della Sacra Congreg. dei Vescovi e RR. siano altrettanti bambini e che sappiano nemmeno un po' di latino, si fa a proporre le condizioni da imporsi; e volendo dare ragioni di quanto dice, biasima gli studi che si fanno nelle sue case (è l'uomo di questo mondo che si azzardò a tanto): si lagna che i suoi mancano di umiltà e di moralità. E volendo con fatti corroborare quanto asserisce, dichiara che sette de' suoi furono in un istituto di sordomuti, ma di tutti si ebbe a lamentare la loro superbia e l'insubordinazione. Cita poi il fatto di Don Chiapale di Saluzzo; che nell'Oratorio non imparò che l’ubbriachezza, l'ignoranza e l'arroganza [760]. Cita pur un altro suo allievo, che uscito dall'Oratorio andò vice - parroco e adesso è sotto processo per cose turpi e perciò guai alla Diocesi di Torino, guai alle Diocesi Subalpine, se la sua Congreg. sarà approvata o almeno non porranno le sue condizioni.
Io che sono stato per sei anni in sua casa, e che conosco Lei, la Casa e i fatti cui si accenna mi sento mosso a sdegno; perchè sono un accozzamento di malignità. Tutti quelli di cui qui parla furono chierici o preti del Seminario Vescovile; perciò la responsabilità cade sopra di Lui e non sopra di altro. Chiapale poi fece i suoi studi nell'Oratorio, tenne sempre buona condotta ed è di svegliato ingegno. Sa la musica, conosce il piano e l'organo, predica assai bene. Essendo stato mio compagno di scuola l'ho potuto conoscere assai. Ma non era possibile conoscere se uno fosse o no dato al vino, perchè agli allievi non se ne dà, ai preti se ne dà una misura assai limitata, che, mi perdonerà l'espressione, si può piuttosto chiamare acqua vinata, che vino adacquato. So pure che Chiapale non fu mai membro della sua Congreg. come egli stesso ebbe più volte a dirmi.
Io le comunico queste cose, ella se ne valga a suo vantaggio; ma io le confesso che non so darmi ragione di tale procedere. Ho fatto più volte dimanda a taluno, donde mai provenisse che l'Arcivescovo dicesse ad ogni momento bianco e nero dell'Oratorio. Taluno pensa ciò poter derivare da che essendo Don Bosco colui che lo tolse dalla polvere, gli ha dato lavoro e nome, gli stampò i suoi libri, e si adoperò perchè avesse il posto che ora ha, non può a meno di non considerarlo qualche cosa degna del suo rispetto. Altri mi dicono, e lo disse anche il Vescovo con me, che egli teme che il clero di Don Bosco offuschi quello della Diocesi, tanto più che i suoi vogliono uscire di Seminario per andare con Don Bosco, dove si sta meglio. Teme insomma di vedersi una Diocesi nella Diocesi a suo detrimento. Ma facendosi ogni giorno nuovi impacci, io non so dove andrà a terminare.
Mentre l'Avv. Menghini stava ultimando la raccolta dei documenti da inserire nella Positio, Don Bosco presentò le bozze del Cenno storico. In esso, dopo aver accennato gli inizi della Pia Società, il consiglio ricevuto dal S. Padre, che fosse „una società di voti semplici, perchè senza voti non vi sarebbero gli opportuni legami tra soci e soci e tra superiori e inferiori”, il Decretum laudis, e le difficoltà che s'incontravano per le sacre Ordinazioni, passava ad esporre, in forma dialogica, “le cose che riguardano allo studio, al Noviziato [761] ed all'osservanza pratica delle regole”, e tornava a rilevare la difficoltà delle dimissorie che son „parte fondamentale delle Congregazioni Ecclesiastiche”. Quindi accennava l'approvazione del 10 marzo 1869 e la facoltà ad decennium delle dimissorie per quelli „che entrati nei nostri collegi ed ospizi prima dei quattordici anni a suo tempo avessero abbracciata la Congregazione”, e per gli altri il consiglio di fare „dimanda speciale per un numero determinato ogni volta ne fosse mestieri”, e difatti l'aveva chiesta ed ottenuta una prima volta per sette, una seconda volta per dieci, e ultimamente per sei; e terminava col rilevare di aver presentato „copia delle Costituzioni con una relazione e documenti analoghi alla Sacra Congregazione de' Vescovi e Regolari”, affinchè si venisse alla loro approvazione definitiva, avendo in esse inserito la „maggior parte” delle ultime ventotto Osservazioni, e quanto alle Dimissorie implorava la facoltà assoluta „non ad quemcumque Episcopum, ma solamente in conformità del Decreto di Clemente VIII”[141].
L'avvocato trovò assai interessante l'esposizione, ma troppo lunga per inserirla nella Positio; d'altronde, essendo stata composta nel formato delle Costituzioni, assai più piccolo di quello che suol darsi alla documentazione ufficiale delle Sacre Congregazioni, lo consigliò di rifarla in forma più breve e più dettagliata; e Don Bosco si mise tranquillo all'opera, ed assistito dal Sommista estese un rapido e completo riassunto dello Stato della Pia Società, dei suoi rapporti colla Santa Sede e delle relazioni coi Vescovi, delle sue Costituzioni, del suo aspetto in faccia alla Società Civile, e dello stato già da essa raggiunto.
Cotesto lavoro gli costò tanta fatica, per le molte altre cose cui doveva attendere - il 24 aveva dovuto recarsi a Ceccano col conte Filippo Berardi - che la mattina del 26, urgendo consegnar quelle pagine alla tipografia, non gli fu possibile celebrar la S. Messa!
In quel riassunto, che si trova nella Positio, si legge questa dichiarazione solenne, in lettere maiuscole; [762] “Scopo fondamentale della Congregazione... fin dal suo principio fu costantemente: Sostenere e difendere l’autorità del Capo della società e particolarmente nella gioventù pericolante. Ved. Regole, cap. I e VI”.
Il 27 febbraio recò al Card. Berardi una copia del “famoso documento” e della relativa confutazione, e l'Eminentissimo gli diceva che l'avrebbe fatta correte nelle mani dei componenti la Congregazione Particolare e finir in quella di Mons. Vitelleschi.
Don Bosco anche da questi era appoggiato nel modo migliore. Solito, com'era, nei frequenti colloqui - Don Berto ne prese nota di una ventina! - ad interrogarlo se vi fosse ancor qualcosa che potesse ostacolar l'approvazione, lo sentì ripetere: - Stia tranquillo, stia tranquillo! Se vi fosse qualcosa, pensi se non glie la direi; stia tranquillo! tutto passa per le mie mani! - e l'udì pure esclamare: - Le lettere dell'Arcivescovo e le condizioni da lui poste non fanno nè caldo nè freddo!
Il 4 marzo il nuovo esemplare delle Costituzioni era stampato e Don Berto ne portava delle copie a Monsignore e all'Avv. Menghini, ed il 7 marzo venivan presentate, insieme con la Positio, agli Eminentissima componenti la Congregazione Particolare.
La Positio “sopra l'approvazione delle Costituzioni della Società Salesiana, Relatore l’Ill.mo e Rev.mo Mons. Nobili Vitelleschi, Arcivescovo di Selencia, Segretario”, conteneva la Consultazione e i documenti relativi: - cioè la Supplica per implorare dal Papa la definitiva approvazione; il Decretum laudis del 13 luglio 1864 e le 13 Animadversiones sopra le Costituzioni allora esibite; il Decreto di definitiva approvazione dell'Istituto colla limitata concessione delle Dimissorie, in data 1 marzo 1869; l'Informazione (la Commendatizia condizionata) di Mons. Gastaldi del 10 febbraio, e la sua lettera particolare del 23 aprile 1873; le Commendatizie dei Vescovi di Casale, Savona, Vigevano, Albenga, Fossano, e dell'Arcivescovo di Genova; il Voto del Rev.mo Consultore P. R. Bianchi de' Predicatori, e il Riassunto delle relative Osservazioni, trasmesso a Don Bosco da Mons. Vitelleschi, [763] e in fine la sommaria esposizione, in 12 pagine, dello stato della Pia Società, firmata dal Santo Fondatore[142].
Questi non mancò d'umiliare di presenza, o d'inviar direttamente, agli Eminentissimi componenti la Congregazione Particolare anche il Cenno storico, che fece stampar per suo conto; e l’11 marzo gli veniva annunziato che il 24 del mese, cioè nel giorno da noi oggi mensilmente consacrato a Maria Ausiliatrice, si sarebbe adunata la Congregazione.
E il 16, lieto e commosso, tornava ad inviare un'altra circolare a tutte le case per dare ai soci ed agli allievi la cara notizia, invitandoli a fare “un cuor solo e un'anima sola per implorare i lumi dello Spirito Santo sopra gli Eminentissimi Porporati”, che avrebbero dato il loro parere sopra un argomento „che è dei più importanti pel nostro bene presente e futuro”, „con un triduo di preghiere e di esercizii di cristiana pietà”. E stabiliva che tutti i salesiani, per tre giorni, dal 21 al 23, facessero „rigoroso digiuno” (e „chi per ragionevole motivo non potesse”, recitasse alcune preghiere particolari e compisse „quelle mortificazioni che giudicherà compatibili colle sue forze e coi doveri del proprio stato”), ed invitassero „gli amati nostri allievi ad accostarsi colla maggior frequenza possibile ai Sacramenti della Confessione e Comunione”, e si facessero da tutti speciali preghiere. “Lungo la giornata tutti i soci passino il tempo loro possibile avanti il Santissimo Sacramento”, recitando il Breviario e compiendo tutte le pratiche di pietà in chiesa; e anche il Piccolo Clero e gli ascritti alle compagnie di S. Luigi, del SS. Sacramento, dell'Immacolata Concezione e di S. Giuseppe „siano eccitati a fare altrettanto”. E nei giorni 25, 26, e 27 si continuassero, mattina e sera, “le stesse pratiche di pietà pei presenti bisogni di Santa Chiesa e secondo l'intenzione del Sommo Pontefice”[143].
Nell'inviare a Don Rua la copia della circolare univa una lettera particolare, dalla quale traspare la sua speranza di toccar la mèta il 24 e d'esser di nuovo all'Oratorio verso [764] la fin del mese; ed insieme con altri incarichi gli dava quello d'inviare al Card. Berardi un telegramma augurale pel suo onomastico.
1° Avrei bisogno che procurassi di dire a Don Savio che faccia quanto [può] per mandare le carte di S. Giovanni con qualunque parere positivo o negativo. Importa niente, purchè si mandino al Consiglio di Stato.
2° Dalla lettera circolare comprenderai a che punto si trovino le cose nostre. Fa' in modo idi tenerti preparato per martedì santo; forse ti scriverò di trovarti ad Alessandria; ma ne avrai avviso.
3° Al giorno di S. Giuseppe alle ore nove circa manda un telegramma al Card. Berardi, come segue: Cardinale Berardi Giuseppe, Roma: Preti, chierici, allievi salesiani nel suo onomastico riconoscenti pregano, fanno vivissime felicitazioni. - Rua.
4° In quanto alle bozze delle vite di S. Girolamo è inteso che l'ultima veduta delle bozze sarà fatta dal cav. Vallauri; così mi ha promesso; qualora non potesse, allora al prof. cav. Lanfranchi.
5° Saluta Don Barberis, Don Ghivarello, il sig. Vitt. Pavesio.
Raccomanda che le cose descritte nella lettera unita non escano fuori di casa.
Spero fra breve potremo ritrovarci co' miei amati figli, inter quos tu quoque. Dio ci benedica tutti e credimi in G. C.
P. S. Forse più chiaro: - Cardinale Berardi, Roma. Onomastico San Giuseppe, preti, chierici, allievi salesiani pregano, fanno cordialissime felicitazioni. - Rua.
Al Direttore di Borgo S. Martino spediva con la circolare queste righe:
Dalla lettera ivi unita comprenderai lo stato delle cose nostre. Probabilmente io sarò di ritorno ai primi giorni della Sett. S. Tienti preparato, forse ti scriverò di trovarti ad Alessandria per fare un po' di strada fino a Torino insieme.
Saluta D. Bodrato, D. Tamietti, D. Chicco con tutti gli altri nostri cari figli di costà.
Anche al Direttore di Lanzo giungeva, insieme con la circolare, questa letterina:
Dalla lettera unita conosci il punto in cui sono le nostre cose.
Forse ti scriverò di trovarti martedì santo mattino ad Alessandria. Tienti preparato. Te ne darò regolare avviso.
Un caro saluto a tutti; segreto e viva fede nella bontà del Signore, e credimi tutto tuo
PS. Io vado avanti spiantato di quattrini. Se ne hai, me ne porterai.
A Don Lemoyne aveva scritto un'altra lettera per alcuni affari, il mese prima:
Ricevi e fa' tua questa lettera, e procura che sia posta in pratica.
Le tue osservazioni furono tenute nella dovuta considerazione e ne vedrai gli effetti. Non posso ancora fissare il giorno del mio ritorno, ma lo saprai qualche tempo prima.
Le nostre cose vanno tutte bene finora. Di' a Don Scaravelli che faccia in modo particolare pregare i suoi piccoli santi per me; ma avrei veramente bisogno dei retorici. Di' adunque a Don Lasagna che ho domandato al S. Padre una benedizione speciale pei suoi allievi con un'indulgenza plenaria per quel giorno in cui faranno la Santa Comunione. Insomma ho molto bisogno di preghiere.
Saluta Don Costamagna, e Fiorenzo; Dio vi benedica tutti, te, i tuoi, le opere tue. Amen.
Anche nel tempo che restò a Roma, insieme con i confratelli e gli alunni delle varie case e le nuove Figlie di Maria Ausiliatrice, ebbe ognor presenti tutte le persone che meritavano il suo interessamento, come appare dalla corrispondenza che ci è pervenuta. Chi sa quante lettere scrisse e spedì in ogni parte! ma bastan le poche che ci rimangono [766] per comprender appieno come avesse tutto e tutti presenti nella mente e nel cuore.
Molte sono indirizzate a Don Rua. Le prime due, recanti la stessa data (forse la prima fu scritta dopo la mezzanotte dal 10 all'11 gennaio!), insieme col suo interessamento per i benefattori e le strettezze finanziarie dell'Oratorio, e il vivo desiderio che si dèsse principio alla costruzione della nuova portieria, ci dicono come sentisse sempre il bisogno di speciali preghiere e quanta fiducia avesse nei buoni effetti di quelle degli alunni ascritti alle varie Compagnie religiose.
Aveva già scritto alla Sig. Vicino che l'Oratorio privato era ultimato, nè altro rimaneva se non compiere le formalità degli uffici per poterle mandare il rescritto.
Ringraziamo il Signore di ogni cosa.
Riguardo alle cartelle 1) vèndine in numero da poter pagare tutti i debiti scaduti; 2) riserba quelle che corrispondono alle cedole avute da Magna Felicita; 3) conserva il resto fino al mio arrivo. In tutto quanto àvvi di rendita?
Procura di preparare che col 1° di marzo si possa cominciare il lavoro nella casa Coriasco e terminarlo a vapore. In generale si procuri avere molte celle, cioè il piano soffitto sia di tutte celle.
Di' a quelli della Compagnia del SS. Sacramento che preghino e facciano la santa comunione secondo la mia intenzione. Saluta Don Barberis e figli che le indulgenze concesse dal Papa sono anche estensibili a' suoi e a tutti gli esterni.
Di' ai preti che preghino in modo particolare.
Dio ci benedica tutti e credimi in G. C.
1) Ieri scriveva che si vendessero soltanto le cartelle necessarie per pagare i nostri debiti, ora credo opportuno che si vendano tutte ad eccezione di quanto occorre per magna Felicita ed altri di tal genere.
2) Fa' pure per Del Grosso come vedi meglio nel Signore.
3) Pel fu C. Fissore osserva che ne fu inteso e per quant'anni si deve ancora celebrare.
4) Scrivi pure a Don Cerruti che cominci lasciar fare dal Municipio e dal delegato scolastico. [767]
5) Di' a Don Savio che si prepari a farsi santo per andare a santificar quelli di Hong - Kong. Pel danaro dato: se è al 6% in forma di vitalizio si accetti; aliter non.
6) Non dimenticate la costruzione Coriasco e S. Giov. Evangelista.
7) Si radunino quelli della Compagnia di S.1uigi. Si raccomandi loro che preghino, ma con fervore, ne ho assai bisogno. Dio ci benedica tutti.
A Cesare Chiala, che gli prestava, di frequente e con tutta diligenza, il servizio di copista dei suoi scritti o di vari documenti, scriveva:
Ho bisogno che tu mi faccia una commissione come segue.
Va dal sig. D. Tomatis, che abita casa propria a destra dello Scalo di Porta Nuova, e prègalo a dirti, se nelle Regole degli Oblati, che ci imprestò e che tu hai trascritto, dopo il paragrafo Immunitas locorum, dove parla dei privilegi, ha la continuazione di questo lavoro fino al termine.
Se dice sì, prègalo da parte mia ad imprestartelo; lo copierai e me lo manderai.
Se poi non ne ha più oltre, tu lo ringrazierai da parte mia, e gli dirai che oltre alla mia gratitudine farò anche preghiere particolari per lui.
Io aveva già mandata la tua lettera a Mamà con altra mia nel senso indicato.
Di' a Besson che preparo per lui un campo vastissimo; perciò sia fortis in fide. Amen.
Di quelle inviate a benefattori, nel mese di gennaio, ce ne restan due: la prima alla signora Luigia Radice Ved. Vittadini di Milano:
Ho differito alquanto a rispondere per attendere qui l'andamento dell'inverno, che già in Roma in quest'anno è alquanto freddo. Qui non àvvi comodità di locali caldi, mancando ordinariamente le camere di camino; e gli usci e le finestre lasciano passare il vento con tutta libertà. [768] Ben ponderata la difficoltà che Ella avrebbe per usarsi i debiti riguardi, io la consiglierei a differire, o fin dopo la metà del prossimo mese, oppure al prossimo novembre, in cui a Dio piacendo mi troverò di nuovo a Roma.
Fui dal S. Padre ed ho chiesta per Lei una speciale benedizione, che concesse assai di buon grado, e mi diede espresso incarico di comunicarla a Lei e a tutta la sua famiglia con una particolare Indulgenza Plenaria a tutti in quel giorno che si vorranno accostare alla SS. Comunione. La stessa indulgenza e benedizione ho ottenuta per la famiglia del sig. P. Angelo Rossi, per quella della sig. Marietti Villa e della sua cognata Radice. Ella abbia la bontà di voler comunicare questi favori spirituali alle persone cui sono indirizzate.
A rivederla passando per Milano.
La grazia di N. S. G. C. sia sempre con noi, e preghi per me che sono
La seconda alla contessa Callori:
Ho la consolazione di parteciparle, che, avendo avuto una udienza dal S. Padre, ho potuto con tranquillità discorrere di Lei e della sua famiglia ed ho mormorato a piacimento. In fine ho domandato due speciali benedizioni: una per la Contessa Medolago, affinchè Dio la conservi in buona sanità e l'assista.
L'altra benedizione pel Sig. Contino Emanuele.
Qui il santo Padre mi interruppe e disse: - Io lo benedico assai di cuore affinchè sia sempre un nobile cristiano.
In fine aggiunse: - Vi dò carico di comunicare alle famiglie accennate l'apostolica mia benedizione coll'indulgenza plenaria in quel giorno che loro più piacerà d'acquistarla.
Mille ossequi a Lei e a tutta la sua famiglia. Preghi per questo suo povero ma in G. C. sempre
Roma, 21 - '74, Via Sistina 104,
A Don Bosco stava particolarmente a cuore il profitto di tutti gli allievi.
Ed ecco un prezioso documento che illustra l'educatore, il maestro, il padre, il santo! [769]
Sebbene io abbia scritto una lettera per tutti i miei amati figli dell'Oratorio, tuttavia essendo gli artigiani come la pupilla dell'occhio mio, e di più avendo chiesto per loro una speciale benedizione dal S. Padre, così credo farvi piacere soddisfacendo al mio cuore con una lettera.
Che io vi porti molta affezione, non occorre che ve lo dica, ve ne ho date chiare prove. Che poi voi mi vogliate bene, non ho bisogno che lo diciate, perchè me lo avete costantemente dimostrato. Ma questa nostra reciproca affezione sopra quale cosa è fondata? Sopra la borsa? non sopra la mia, perchè la spendo per voi; non sopra la vostra, perchè, non offendetevi, non ne avete.
Dunque la mia affezione è fondata sul desiderio che ho di salvare le vostre anime, che furono tutte redente dal Sangue prezioso di G. C., e voi mi amate perchè cerco di condurvi per la strada della salvezza eterna. Dunque il bene delle anime nostre è il fondamento della nostra affezione.
Ma, miei cari figliuoli, ciascuno di noi tiene veramente una condotta che tenda a salvar l'anima o piuttosto a perderla? Se il nostro Divin Salvatore in questo momento ci chiamasse al suo divin tribunale per essere giudicati, ci troverebbe tutti preparati? Proponimenti fatti e non mantenuti, scandali dati e non riparati, discorsi che insegnarono il male ad altri, sono cose intorno a cui noi dobbiamo temere di essere rimproverati.
Mentre però G. C. potrebbe a ragione farci questi rimproveri, sono persuaso che se ne presenterebbero non pochi colla coscienza pulita e coi conti dell'anima ben aggiustati; e questa è la mia consolazione.
Ad ogni modo, o miei cari amici, fatevi coraggio; io non cesserò di pregare per voi, adoperarmi per voi, pensare per voi, e voi datemi questo aiuto col vostro buon volere. Mettete in pratica le parole di S. Paolo che qui vi traduco:
Esorta i giovanetti che siano sobrii, nè mai dimentichino che è stabilito a tutti di morire, e che dopo la morte dovremo tutti presentarci al tribunale di Gesù. Chi non patisce con G. C. in terra, non può con lui essere coronato di gloria in cielo. Fuggite il peccato come il più grande vostro nemico, e fuggite la sorgente dei peccati, cioè i cattivi discorsi che sono la rovina dei costumi. Datevi buon esempio l'un l'altro nelle opere e nei discorsi etc. etc. Don Lazzero vi dirà il resto.
Intanto, o miei cari, mi raccomando alla vostra carità, che preghiate in modo particolare per me, e quelli della Compagnia di [770] S. Giuseppe, che sono i più fervorosi, facciano una Santa Comunione per me.
La grazia di N. S. G. C. sia sempre con noi, e ci aiuti a perseverare nel bene fino alla morte. Amen.
Non è il caso di preporre ad ogni lettera un sunto dettagliato, andremmo troppo per le lunghe; tanto più che di alcuni particolari non sapremmo dare l'illustrazione precisa, mentre della maggior parte traspare nettamente da sè.
Aveva già scritto una risposta in vari quesiti; il foglio disparve e nol trovo più. Ora studio di raccapezzare le cose:
1) Parla con Duffy e se manifesta volontà di andare a Milano dàgli il consenso.
2) Don Casolino vada pure in America. È quel Casolino di Alessandria?
3) Io propendo che il fabbricato sopra la casa Coriasco si congiunga con la chiesa. Stimo però quello che osserva Don Savio, perciò Don Ghivarello faccia in modo che la facciata della nuova fabbrica non deturpi quella della chiesa.
4) Sarà bene di conservare un mille franchi di rendita in tutto. Se però fu già liquidato lascia le cose come sono.
5) Il fascicolo delle Letture Cattoliche è in ritardo nella spedizione.
6) Di' a Chiala Cesare che voglio dimandare per lui un pezzo di benedizione, che lo faccia santo da volere o non volere. Salutalo caramente da parte del suo amico Don Bosco.
7) Nelle comuni preghiere indirizzate una intenzione speciale ad una nipotina del cardinale Berardi graviter infirma e pel cardinale Antonelli assai incomodato dalla podagra.
8) La Marchesa Villarios, Mons. Dell'Aquila, casa Vitelleschi, la sig. Rosa, Colonna, i nostri ospitalieri mandano saluti a te e a chi li conosce.
9) Forse prima che termini la settimana avrò occasione di farti avere una lettera per mano privata.
10) Facciolati e Baracchi sono sempre buoni? o meglio si fanno santi? che fanno di strepitoso?
11) Oggi qui 16 gradi di caldo, e lì?
12) Crescono le cose e crescono i bisogni, raddoppiate le preghiere, nella prossima settimana comincerete a sapere qualche cosa. [771]
13) Ridi: Questa notte ho fatto un sogno, è un sogno, ed ho sognato che tua madre entrò in mia camera, aprì il comò dove sono le mie calzette, le tirò fuori tutte e ne trovò parecchie guaste dal tarlo. Vergogna a Cassini, disse, lasciar così guastare la roba di lana che costa tanto!
Dio ci benedica tutti, e credimi in G. C.
Quanta familiarità con Don Rua! Nulla di straordinario in quel sogno, ma caro l'accenno a chi proseguiva nell'Oratorio le cure materne di Mamma Margherita!
Don Rua lo teneva al corrente di tutto, ed egli lo guidava in ogni cosa, e gli affidava ogni incarico, conoscendo la prontezza e la puntualità sua abituale.
La seguente veniva spedita insieme con la Circolare sulla moralità.
1) Riguardo a Cesare Chiala hai i pieni poteri per la sua vestizione.
2) Dimmi il nome di battesimo del Dott. Fissore.
3) Mandami un catalogo dei nostri soci e la distribuzione nelle varie case.
4) Dal Cav. Occelletti o dall'amico Testore riceverai una lettera.
5) Che fanno Don Cibrario, Don Cuffia e i suoi allievi? Salutali.
6) Riceverai una lettera ai nostri fratelli che procurerai di leggere e dove occorre anche spiegare.
7) Di' a Chiala che va bene quanto ha fatto. Si faccia coraggio e se vi sono difficoltà mi scriva.
8) Saluta Streri, Besson, Lago e Dell'Antonio e Tosello e di' loro che stiano allegri e che mi scrivano. Amami nel Signore e credimi
Il 14 febbraio, prima di recarsi al Vaticano, scriveva di nuovo all'Oratorio, comunicando, tra l'altro, che avrebbe chiesto una speciale benedizione al S. Padre pel caro Don Provera, gravemente infermo.
1) Per ora non possiamo impegnarci di Porta; a meno che si potesse aprire una casa regolare. Si possono raccogliere i dati; ma da pensarci sopra. [772]
2) Non credo opportuno che Chiala mandi l'annunzio di sua vestizione; può scrivere lettere e farlo sapere a chi giudica conveniente.
3) Riguardo a Rho ci sono difficoltà, per cui è bene che possiamo parlarci.
4) Le cose nostre continuano tutte assai bene. Sta sera vado all'udienza del S. Padre e dimanderò una speciale benedizione pel nostro caro Don Provera.
5) Di' a Buffa ed a Garino che io penso molto a loro, ma che essi pensino anche un po' a me. Veronesi che fa?
Continuate a pregare e state tranquilli, ma silenzio.
Nella nuova udienza che ebbe dal S. Padre chiedeva una benedizione particolare anche pel Comm. Tommaso Vallauri, ed incaricava Don Durando di recar la cara notizia al dotto latinista:
Hai fatto bene a scrivermi; così ho potuto avere delle tue e delle altrui notizie.
Fa' il piacere di fare un passo dal Comm. Vallauri e dirgli che ho provato vivo rincrescimento quando seppi essere ammalato. Tanto io quanto Don Berto abbiamo pregato per lui alla tomba di S. Pietro, e per più giorni ho celebrato per lui la Santa Messa. M sono eziandio recato dal S. Padre che parlò molto volentieri di lui; l'attende a fargli la promessa visita; màndagli l'apostolica benedizione con indulgenza plenaria a lui ed alla sig. sua Moglie in quel giorno che faranno la loro confessione e comunione.
Saluta Gaia e Macone Cherico, e di' a Guidazio che si prepari a cantare un bel prefazio.
Prega e fa' pregare assai per me, che ti sono in G. C.,
La stessa benedizione con Indulgenza plenaria per Mad. Giusiana co' miei saluti.
Il 14 febbraio la Corte d'Appello di Torino trattava della causa tra il Municipio di Cherasco e Don Bosco, dando a questi sentenza favorevole, sebbene non definitiva; ed egli, come ne fu informato, scriveva, senz'apporvi la data: [773]
1) Benedizione e saluti alla Dam. Cinzano. Speriamo.
2) Ottima la sentenza di Cherasco.
3) Attendo le carte di cui dice Don Savio.
4) Saluta, digli che attendo da lui dei miracoli. A chi cedette la barba?
5) Saluta il caro Don Provera: usategli tutti i riguardi possibili: noi pure pregheremo per lui. Non pensi nè al digiuno, nè al grasso o magro, nè al Breviario.
6) Saluta Don Boverio; vada pure a Sampierdarena.
7) Pazienza il furto nella lavanderia; ma bada che il demonio non rubi le anime.
8) Le cose qui vanno bene. Forse nella pross. sett. ti scriverò altro. Molto da fare, pregate; Dio ci protegge.
Ogni bene a te e a tutti, a Don Ghivarello, e a Gaia. Così sia.
Don Rua, abbiamo detto, ricorreva a lui in ogni affare, e Don Bosco gli dava pieni poteri in tutto.
Colla perdita di alcune lettere andò pure smarrita la risposta a diverse cose, che adesso non potrei ricordare; pazienza.
2) Hai i pieni poteri in tutto.
3) Se non hai danari, pènsaci. Io non te ne dimando.
4) Ricevo altre lettere da Genova. La cosa si dà per ultimata; dipende soltanto dalla nostra accettazione.
5) Le cose nostre continuano bene: saprai poi tutto.
Perchè Don Cibrario fa il broncio?
Di' a Gaia e a Bruna cuoco che stiano allegri, e che preghino assai.
Saluta Belmonte e dàmmene notizie. Da' pure il biglietto a Rossi, ma digli che io temo che colla cessione del Gran Kan comprometta la Missione di Hong - Kong che appartiene al suo impero.
Dio ci benedica tutti e credimi
Di quei giorni nell'Oratorio di Valdocco accadevano due fatti che fecero sempre più manifesta la particolar assistenza celeste.
Sul principio del mese in preparazione alla festa di S. Giuseppe [774], a notte avanzata, uno strano rumore si sentì dalla parte dell'orto, e Don Rua insieme con Buzzetti corse a vedere che fosse successo. S'era sprofondato un tratto della vòlta del pozzo nero; e Buzzetti, scorgendo come una macchia nera al suolo, trattenne Don Rua dall'avanzarsi; ed ecco, subito dopo, sprofondare il resto della vòlta sul quale si erano fermati per un istante! Il pozzo era pieno fino all'orlo e profondo tre metri, e tutti attribuirono ad un grazia particolare di S. Giuseppe lo scampo di Don Rua e di Buzzetti da una caduta fatale.
Il giorno di San Giuseppe avveniva un altro fatto ancor più singolare. Alle nove e mezzo le campane suonavano a festa la Messa solenne, quando d'un tratto il grosso battaglio del campanone si staccò, e, precipitando sul piccolo terrazzo che stava vicino al campanile, ne ruppe la vòlta e, facendo un gran salto, andò a piombare in cortile. I giovani facevano ricreazione. Il chierico Anacleto Ghione che giocava proprio lì sotto, sentendo d'un tratto un mutamento di suono nella grossa campana, si fermò e, levati gli occhi in alto, vide la caduta del battaglio e fuggì gridando: - Via, via, via!
Quasi ogni festa, a quell'ora, sul terrazzo ove piombò il battaglio, alcuni giovani, benchè fosse vietato, facevano colazione per goder il sole, e nel cortile tutti giuocavano, e quella mattina erano proprio nel più forte delle partite, specialmente il grosso gruppo che giocava a tingolo. Nel luogo poi ove piombò il battaglio, stavano, pochi istanti prima, vari dei più grandi conversando, quand'ecco un d'essi, senza proprio saperne il perchè, disse ai compagni: - Moviamoci, andiamo via di qua, perchè potrebbe accaderci qualche male, caderci qualche cosa sull'orecchie!
Don Lazzero, che si trovava egli pure nel primo cortile, al fracasso improvviso si voltò tutto spaventato, e vide il ch. Ghione che si chinava a raccogliere il battaglio e se lo metteva sulle spalle. Don Ghivarello, presente egli pure alla scena, assicurava che quell'enorme manganello, nel piombare, aveva l'impeto d'una palla da cannone.
Don Bosco, com'apprese la rovina del pozzo nero, scriveva a Don Rua: [775]
1) Ti unisco una lettera per Turco Giovanni, procura di farla pervenire dove si trova.
2) L'essere sprofondato il pozzo nero, pare se ne sia fatta qualcheduna ben grossa! Ringraziamo però Iddio che i danni furono soltanto materiali con un po' di spavento.
3) Dimmi se l'Arcivescovo ha detto qualche cosa a Buzzetti Carlo intorno alla chiesa di S. Secondo e se gli chiedesse quanto siasi già speso intorno a quell'opera, dimandi un po' di tempo per fare un calcolo preciso e intanto mi si scriva tosto. Egli mi ha scritto che il Municipio, avendo già ceduto l'area a Don Bosco, non [può] concederla a lui senza il mio consenso ecc.
4) Ritornando all'idea di costrurre dietro la casa, va bene; ma io vorrei che fosse veramente più distante dalla casa, più spaziosa, ma è da pensarvi se più verso casa Bellezza oppure verso casa Tensi. Pènsaci e poi fate un piccolo disegno da portare al Municipio. Senza di ciò siamo tosto alle contravvenzioni. Probabilmente prima che si possa cominciare sarò anch'io a Torino.
5) Per Don Costamagna a Lanzo si può concertar con Don Lemoyne; se però si può lasciar le cose, come sono adesso sino alla fine dell'anno pare opportuno. Intendetevi.
6) Il demonio vuole darci gli ultimi calci. Continuate a pregare. Di questa settimana prossima avrai notizie positive.
7) Non posso dimenticare lo spavento dei convittori di Gaia [Gaia era il cuoco, e i convittori i suini ... ] quando sentirono crollare e minacciare il loro palazzo!
8) Dàmmi poi delle notizie di D. Ghivarello; se è buono, se fa ricreazione, ecc. ecc.
Procura anche di parlare con il sig. Pavesio; salutalo e digli mi farebbe assai piacere sapere delle notizie sue, di suo fratello, e della sua scuola.
Nella lettera acclusa faceva le sue condoglianze al rev.do signore, il sig. Diac. Turco Giovanni, per la morte del padre:
Don Rua mi scrive essere morto tuo padre; ne provai vivo rincrescimento perchè l'amava assai. Doni Iddio il paradiso all'anima sua. Ho pregato ed anche fatto pregare per lui e continuerò.
Mi ha recato vera consolazione quando seppi che ti trovavi accanto al suo letto. Avrà tal cosa accresciuto il dolore a te, ma sarà tornata a lui di grande conforto. [776] Ora spero che l'anima sua sarà volata al cielo dove attenderà te ed attenderà me. Faccia Dio che possiamo un giorno raggiungerlo in quel regno che non si perderà mai più. Ora, per tua tranquillità, se hai qualche cosa da fare, da disporre di premura, tràttalo con Don Rua che ha i pieni poteri in ogni cosa.
Giunto poi a casa, ci parleremo del rimanente, e studieremo le cose in modo da piacere a Dio e, per quanto è possibile, piacere anche agli uomini.
Mio caro Giovanni, prega anche per me, che in questo momento ne ho tanto bisogno; saluta i principali amici del luogo dove ti trovi.
Dio ci benedica tutti e ci conservi per la via della nostra eterna salvezza.
Come s'interessava di tutti e di tutto, rispondeva a tutti per ogni motivo. Il chierico Cesare Cagliero, insegnante nell'Oratorio, gli aveva chiesto il permesso di frequentare la R. Università ed egli aveva annuito. La comunicazione andò smarrita; il chierico tornò a ripetergli la domanda, e il buon padre amabilmente tornava a dichiarargli l'assenso:
Mi rincresce che sia andata smarrita la mia lettera. Diceva che permetteva di andare all'Università purchè fossi sempre stato mio amico e fossi divenuto il modello dei nostri chierici, il più zelante dei nostri maestri. Me lo concedi? chi ne dubita!
Fa' un caro saluto ai tuoi allievi e miei cari figliuoli. Di' loro che ho molto bisogno che preghino per me, e che io pregherò per loro.
E Cesare Cagliero prendeva la laurea in belle lettere, e fu bravo insegnante, e poi direttore, ispettore e Procuratore Generale della Pia Società, tenuto da tutti in alta stima.
Il dott. Angelo Lago, già Salesiano coadiutore, gli chiedeva consiglio circa la sistemazione dei suoi averi: [777]
Mi hai fatto piacere a scrivermi; fa' lo stesso quando ne hai qualche motivo. Io sono dello stesso tuo parere; liquidare e dare tutto nelle mani del Signore, ossia per amore del Signore che è lo stesso. Sono tanti miserabili che dànno in fin di vita, ma per forza, e quindi il dono vale una scorza; altri, prudenti secondo il Vangelo, fanno essi il dono e quindi han il centuplo assicurato.
Ringraziamo di tutto cuore chi ti aiutò a conoscere le vanità del mondo e romperla con lui di fatto e non di parole.
Questo fu sempre mio pensiero: non possedere cosa alcuna.
Riguardo al terzo ordine, ci penso assai; abbi un po' di pazienza ed aggiusteremo tutto. Dillo anche a Toselli.
Saluta Maccagno, Streri, Albinolo e Gallo Pietro.
Dio ti benedica; prega per me che ti sono sempre in G. C.
Vari alunni gli avevano inviata una lettera particolare, ed egli li ringraziava cordialmente:
A' miei cari giovani Beoletti, Calvi, Cugiani, Gerini, Mantelli, Perona, Ratazzi, Varvello.
Ho ricevuto la vostra lettera, e vi ringrazio di tutto cuore. Sperò di essere presto con voi; ma intanto pregate assai per me, e fate la S. Comunione una volta secondo la mia intenzione.
Salutate da parte mia il vostro Maestro.
Dio vi benedica tutti e credetemi sempre in G. C.
P.S. Salutate da parte mia Facciolati, Baracchi e Cottini il poeta.
Il chierico ascritto Luigi Piscetta, che amava tanto il latino, gli aveva inviato, firmata da vari compagni, una lettera in detta lingua; ed anche Don Bosco gli rispondeva in latino, predicendogli nettamente la carriera che avrebbe fatto con gran vantaggio di molti ministri del Signore e di tante e tante anime: [778]
Al diletto Figlio Piscetta salute e Pace nel Signore.
Ricevetti con grato animo la lettera che mi hai mandato insieme con i tuoi amici. Continua, figlio mio, nella vocazione con la quale Iddio ti ha chiamato a cose più alte. Ora sei piccolo, prendi quindi dei pesciolini, chè ce ne son molti presso noi! Quando sarai divenuto grande, il Signore ti farà pescatore di uomini.
Cerca Vittorio Pavesio tuo professore, e digli che io ho pregato molto per lui, ed ho chiesto al Sommo Pontefice una benedizione particolare per lui e per suo fratello.
Ti saluto nel Signore, e tu prega per me.
Sac. Giovanni Bosco[144].
Infatti Luigi Piscetta, poi Dottore Collegiato in Sacra Teologia ed illustre professore di Morale nel Seminario Arcivescovile di Torino, fu un vero pescatore d'anime. La sua figura esteriore e la sua modestia erano in pieno contrasto coll'ingegno e col cuore. Nel 1888 prese parte al pellegrinaggio del Clero Italiano a Roma in occasione del Giubileo Sacerdotale di Leone XIII; e il Card. Alimonda, nell'udienza pontificia, gli ottenne una sedia sulla quale lo fece salire, perchè, piccolo com'era di statura, potesse egli pure veder qualche cosa; e il Papa, quando gli fu dinanzi e ne udì dal Cardinale il più brillante elogio, lo fissò a lungo amabilmente e poi esclamò: - Tantillus et tantus?!
Un ascritto coadiutore, calzolaio, assicurava Don Bosco della buona condotta degli alunni, ed egli:
Godo assai che tu ed i giovani a te affidati, siate tutti buoni, come mi scrivi. Continuate, ma non colle parole ma coi fatti. [779] Io prego Dio per tutti voi, e voi datemi un segno di vera affezione facendo tu e i tuoi e miei figli del laboratorio una Santa Comunione secondo la mia intenzione. Da te poi attendo un gran regalo, che spero non mi vorrai rifiutare. Saluta Cantù e D. Cibrario da parte mia.
Le lettere particolari del Santo tornavano carissime anche agli alunni, e il chierico Giovanni Cinzano, assistente degli studenti, bramoso d'averne una particolare per essi, come Don Lazzero l'aveva avuta per gli artigiani, li pregava a tener tutti ottima condotta per due settimane e, dàtone ragguaglio a Don Bosco riceveva questa risposta:
e car.mi tutti gli studenti tuoi,
Ottima proposta facesti, quando impegnasti i tuoi allievi a regalarmi due settimane di ottima condotta. Lodevole fu il pensiero, lodevolissima ne fu la riuscita. Tu non mi parli di te stesso, ma dicendo che per due settimane riportarono tutti optime, credo che in questa parola sarà anche compresa la tua reverenda persona, non vero?
Ringrazio adunque te e ringrazio tutti gli studenti del dono che mi avete fatto; io dimostrerò la mia gratitudine, giunto che sarò a casa. Un bicchiere di quello puro ecc. ecc. sarà il segno di sodisfazione che darò a ciascuno.
Tra breve io sarò di nuovo con voi; con voi che siete l'oggetto de' miei pensieri e delle mie sollecitudini, con voi che siete i padroni del mio cuore, e che, come dice S. Paolo, dovunque io vada, voi siete sempre gaudium meum et corona mea.
So che avete pregato per me, e ve ne ringrazio; vi racconterò poi il frutto delle vostre preghiere.
Ma, miei cari figli, motus in fine velocior, ho bisogno che ora raddoppiate le preghiere ed il fervore; e che continuiate nella vostra buona condotta. É poco quello che posso fare per voi, ma è molto grande la mercede che vi tiene preparata Iddio.
Io pregherò anche per voi, vi benedico tutti di cuore, e voi fate per me una volta la S. Comunione con un Pater ed Ave a S. Giuseppe. La grazia di N. S. G. C. sia sempre con voi. Amen.
Tu vero, Cinzano, fili mi, age viriliter ut coroneris feliciter, perge in exemplum bonorum operum. Argue, obsecra, increpa in omni patientia [780] et doctrina. Spera in Domino: ipse enim dabit tibi velle et posse. Cura ut coniuges Viancino visites, eosque verbis meis saluta; eisque nomine meo omnia fausta precare. Vale in Domino.
Romae, Nonis Martii MDCCCLXXIV.
Ci restano anche alcune lettere delle tante che soleva scrivere ai benefattori, per ringraziarli e comunicar loro particolari favori e benedizioni del S. Padre, avendoli sempre presenti nella mente e nel cuore.
Alla marchesa Bianca Malvezzi di Bologna:
La preg.ma sua lettera mi venne a raggiungere a Roma dove mi trovo da due mesi. La ringrazio di tutta la carità che ci ha usato e che ci continua colla oblazione di fr. 50 testè ricevuti. Come pegno della mia gratitudine riceva una speciale benedizione del S. Padre con indulgenza plenaria a Lei e a tutta la sua famiglia in quel giorno che la vorrà lucrare accostandosi alla Santa Comunione. Dopo la metà di questo mese a Dio piacendo sarò di ritorno a Torino e spero di fare breve fermata a Bologna e quindi poterla ossequiare di presenza.
Dio la benedica, signora Bianca, e conceda ogni bene a Lei e a tutta la sua famiglia: preghi anche per me che con profonda gratitudine ho l'onore di professarmi
Roma, 3 - 3 - '74, Via Sistina 104,
Alla nipote di Mons. Gastaldi, che s'interessava tanto della gioventù femminile e della raccolta dell'Obolo di San Pietro:
Le carte affidatemi furono tutte messe in proprie mani del S. Pa-dre che le ritenne, e mi disse che a suo comodo avrebbe tutto letto e dato provvedimenti. Non ne so di più.
Tu come stai? ti fai veramente buona? La pazienza ti scappa?
Se mi dài notizie di Maman mi farai piacere. Salutala tanto da parte mia.
Per ambedue il S. Padre manda una benedizione particolare.
Pregate per me che vi sono in G. C.
Alla contessa Carlotta Callori di Vignale:
Se non biasima questo figliastro è tratto della straordinaria sua bontà; altrimenti mi merito una strillata.
Star fuori di casa, abbandonar gli affari, la famiglia, la Mamma, ne ho una sola tanto buona, e godersela qui a Roma allegramente con quello che avrà letto nei giornali. Ha ragione: dirò poi a Torino qualche pretesto che può alleggerire un poco la mia sbadataggine, e ciò spero poter fare circa al 25 del corrente.
Tuttavia non ho mai dimenticato Lei e la sua famiglia. Ed ultimamente ho dimandato una benedizione speciale per la sua sanità, per quella del Sig. Conte e in modo speciale poi tre S al Sig. Emanuele, cioè che sia Sano, Sapiente, Santo.
Non iscrivo di più per non farmi sgridare, le dico solo che prego sempre Iddio che la renda veramente felice in questo mondo e nell'altro.
Questa settimana è di molta importanza.
Preghi assai per me, e mi creda in G. C.
Roma, 8 - 3 - '74, Via Sistina 104,
Alla signora Uguccioni, che l'aveva generosamente provvisto dell'occorrente per ristorarsi durante il viaggio da Firenze a Roma, aveva già inviato, con questa letterina, postillata da Don Berto, cordiali ringraziamenti:
Nostro viaggio stupendo, pollastro ottimo, ha fatto servizio stupendo. Vino eccellente. Bottiglia restata interamente vuota. Nostro indirizzo: Torre de' Specchi, oppure Via Sistina 104, presso il Signor Sigismondi.
Scopo della presente si è pregarla a darmi con sua comodità notizie del Sig. Tommaso, che ho lasciato molto incomodato.
Dio conceda ad ambedue la grazia di molti anni di vita felice.
Preghi per questo povero ma sempre in G. C.
Colgo anch'io l'occasione per rinnovarle i miei sentimenti di riconoscenza, prima per la generosa ospitalità concessaci, e per ringraziarla molto del vitto scelto somministratoci per la via; l'assicuro che abbiamo fatto un buon desiné. [782] Tanto Don Bosco come il povero scrivente mangiarono con appetito. Grazie a Dio stiamo bene, ma chi ci sta a cuore è il Sig. Commendatore Tommaso. Speriamo che coll'aiuto del Signore e usandosi quei riguardi voluti per tal indisposizione di ritrovarlo al nostro ritorno in prospera salute...
Ed ora tornava a scriverle, a quanto pare su un foglio con una sacra immagine, sotto la quale poneva queste parole:
Portate la nostra benedizione ai coniugi Uguccioni.
Facciamo cessare le mormorazioni e facciamo il nostro dovere. Nei giorni passati non ho scritto, ma non ho mai dimenticato nè Lei, nè il Sig. Tommaso nelle preghiere e nel dimandare la benedizione al Santo Padre. Dimani poi, cominciando la novena di S. Giuseppe, voglio assicurarli ambedue che in tutto il corso di essa farò una preghiera ed un memento speciale nella Santa Messa. Va bene?
Non posso ancora fissare il giorno del mio ritorno, ma probabilmente sarà circa al 25 corrente. Lo parteciperò appena stabilito.
Nei giorni passati ho avuto molto da fare, ora mi trovo verso al termine dei miei affari, ma nel punto più delicato e più importante; per cui ho gran bisogno delle preghiere loro e di quelle delle anime buone di sua speciale conoscenza.
Don Berto mi fa sempre da Angelo Custode, e mi dice che egli pure non mancherà di pregherà per Lei e per tutta la sua piccola e grande famiglia, e le umilia i suoi saluti. Dio li benedica tutti e persuaso che questa mia lettera troverà il Sig. Tommaso in migliore salute, che non era quando lo vidi, ho l'onore di potermi professare di Lei, mia buona Mamma,
Obbl.mo Servitore e figlio discolo
A Vittorio Pavesio, un bravo insegnante, che si recava all'Oratorio a far scuola nel ginnasio superiore:
Mio carissimo Pavesio Vittorio,
Ho più volte saputo di tue notizie, e so che sei stato più volte incomodato della sanità. Me ne rincresce assai e ti ho più volte raccomandato al Signore.
Non ci fu e neppure c'è pericolo che per ora te ne vada al paradiso: ciò si rimanda a tempo opportuno. Cioè dopo che noi avremo fatto ed eseguito i nostri progetti.
Tu hai una grazia da dimandarmi; te la concedo qualunque sia, [783] purchè non si riferisca al desistere di fare la tua scuola. Ad ogni modo ci parleremo e ci intenderemo. Saluta tuo fratello se è ancora a Torino; tu prega per me. Dio ti benedica e credimi in G. C.
Don Bosco aveva tanta stima del buon Pavesio, che sarebbe stato lieto di vederlo vestir l'abito chiericale, come gli disse apertamente più volte, a voce ed anche per iscritto.
Un canonico della diocesi di Bagnorea, che forse l'aveva incontrato in Roma, gli domandava due righe di presentazione alla Principessa d'Aosta (Maria Vittoria Carlotta Enrichetta Giovanna Dal Pozzo della Cisterna) consorte del Principe Amedeo Ferdinando Maria, Duca d'Aosta, e Don Bosco gli rispondeva:
Ricordo benissimo la sua persona e le care relazioni che tra noi furono; nè mai ho mancato nella mia pochezza di pregare per Lei.
In quanto all'oggetto del Centenario di S. Bonaventura, debbo dirle che io non ho alcuna relazione colla citata Principessa di Aosta, sebbene io sappia essere pia e caritatevole assai. Avvi però un mezzo che riuscirà probabilmente.
La S. V. esponga le cose e poi faccia aggiungere breve commendatizia dal suo Ordinario, faccia eziandio mettere sopra la busta del piego il timbro: Vescovo di Bagnorea. Mandi il piego per la posta e va direttamente nelle mani di Lei. Gli altri mezzi sono incerti e terminano senza successo.
Se la potrò in qualche cosa servire, mi comandi senza riserbo.
Le mando per la posta il Catalogo di alcune nostre Associazioni e libri, e ne raccomando la diffusione al suo zelo. Se taluno volesse compensare libri ed associazioni con celebrazione di Messe, ne abbiamo da poter somministrare. Per questo mese sono a Roma, di poi a Torino.
La prego di far gradire gli umili miei ossequii al rispettabile suo Vescovo, e di raccomandarmi al Signore, mentre mi professo,
Nel mese di marzo Don Bosco ebbe un'altra udienza dal S. Padre, di cui ci resta solo il pro - memoria[145].
Ed avendo già insistenti domande di nuove fondazioni, alcune anche in terre di missione, chiedeva a Sua Santità il consenso per poterle attuare:
Il Sac. Giovanni Bosco, Superiore della Congregazione di S. Francesco di Sales, prostrato ai piedi di V. B. espone umilmente che avrebbe presso che conchiuse le trattative per aprire:
1. Una casa per poveri fanciulli cattolici dell'isola di Hong - Kong nella China.
2. Un Ospizio con scuole in Savannah nell'America.
3. L'amministrazione e direzione di un istituto di carità nella città di Genova col nome di Orfanotrofio dei Putti.
4. Un collegio per l'educazione cristiana e scientifica per giovanetti appartenenti alla classe meno agiata della Società, per coltivare specialmente quelli che manifestassero principii di vocazione, nel paese di Ceccano.
Sebbene le intelligenze finora tenute abbiano avuto luogo direttamente coi rispettivi Ordinari diocesani, tuttavia secondo le Costituzioni Salesiane non potendosi nè aprire, nè assumere l'amministrazione di nuove case senza il consenso della S. Sede, umilmente ricorre a V. B. implorando le opportune facoltà.
Era sorta intanto un'altra difficoltà, probabilmente per parte del Consultore P. Bianchi, che non voleva il capo Degli esterni nemmeno in appendice; e Don Bosco rinviava le Regulae alla tipografia (probabilmente ne aveva fatto conservare [785] la composizione) perchè se ne facesse subito un'altra edizione con la soppressione del capo suddetto, e con tre minime correzioni e l'aggiunta, nel capo VII Del governo della Società, che la rielezione del Rettor Maggiore dev'essere riconfermata dalla S. Sede, e, nella Formola dei voti, l'accenno al nome del Rettor Maggiore in forma diretta[146].
L'Avv. Menghini, infatti, confidava a Don Berto che il Rev.mo Consultore erasi recato dal Card. Bizzarri per indisporlo contro la nostra Congregazione.
E Don Bosco, sempre all'erta per dissipare ogni difficoltà, pregava Mons. Sallua a dire una buona parola a P. Bianchi, ed il Commissario Generale del S. Officio, con tutta carità, gli rispondeva immediatamente:
Per non perder tempo io prevengo subito il R.mo P. Consultore dei VV. e RR. Bianchi, anzi gli partecipo la stessa sua lettera. Ella dunque vada dal lod. P. Bianchi, e sia certo che sarà cortesemente ricevuto. Gli apra pure tutta la sua mente sullo scopo del suo Istituto e sia certo che sarà coadiuvato e confortato tanto tanto!
Io mi trovo continuamente impiegato in varie Congregazioni ed in altri impieghi di predicazione ecc. per cui il poterci combinare riuscirebbe non facile. Coraggio, mio D. Bosco, Maria SS. e S. Giuseppe la proteggeranno! Grazie delle SS. Immagini! Preghi per me e che il Signore mi conceda uno spirito umile e di carità.
E proprio di quel giorno Don Bosco veniva consigliato, per respingere più facilmente ogni dubbio e superare ogni difficoltà a fare una breve esposizione delle ragioni che lo movevano ad insistere per l'approvazione definitiva delle Costituzioni, e il giorno dopo inviava questi Pensieri ai Cardinali componenti la Congregazione Particolare, al Cardinal Berardi, a Mons. Vitelleschi ed anche al S. Padre. [786]
Alcuni pensieri che muovono il Sac. Giov. Bosco a supplicare umilmente per la Definitiva Approvazione delle Costituzioni della Società Salesiana.
1° La Congregazione ebbe la sua assoluta Approvazione con Decreto 10 Marzo 1869.
L'esperimento fatto delle Costituzioni per trentatré anni, in cui si poterono modificare, aggiugnere o togliere le cose ravvisate utili al buon andamento pratico dell'Istituto.
2° Le Commendatizie di quarantaquattro vescovi[147], i quali fanno voti pel medesimo favore. E considerando essi il modo, il tempo, i mezzi con cui quella si è fondata, ed i frutti spirituali, che per la misericordia del Signore si riportarono, riconoscono in quest'Opera la mano di Dio.
3° Se si ottennero frutti di benedizione colle semplici Regole, si ha ragione di sperarli più copiosi dopo le osservazioni fatte dalla Santa Sede ed annesse nelle Costituzioni.
4° Sedici Case aperte in Diocesi diverse richiedono relazioni stabili e determinate coi rispettivi Ordinarii, siccome essi medesimi ogni giorno reclamano.
5° Il numero dei Congregati che è di circa 330, e dei fanciulli (circa 7000) loro affidati; le trattative pressochè ultimate di aprire Case nell'America, nell'Africa, e nella China rendono necessaria una regola che escluda l'incertezza in cui vivrebbero i Congregati pel timore di eventuali modificazioni della medesima. All'opposto sarebbe della massima consolazione, e inspirerebbe in tutti grande fiducia e coraggio quando fossero assicurati che le loro Costituzioni sono definitivamente approvate e per conseguenza che essi sono con legami stabili uniti al Vicario di G. C.
6° La necessità di un Direttorio pratico delle Costituzioni sia per la parte morale, sia per la parte materiale. È questo un lavoro sommamente necessario, che il Sac. Bosco desidera ardentemente poter compiere prima della sua morte.
7° Tanto più che scorgendosi il bisogno di modificare qualche articolo delle Costituzioni, ciò si potrà fare nel rendiconto che ogni tre anni si presenterà alla S. Sede intorno allo stato morale, religioso e materiale dell'Istituto; oppure nei Capitoli Generali che si tengono ogni tre anni. In essi possono modificarsi ed anche aggiugnersi articoli alle Costituzioni, che però non hanno forza di obbligare fino a tanto che ne abbiano ottenuta l'approvazione della S. Sede. V. Regulae, cap. 6, n. 2, e cap. 7, n. 6.
8° Il vivo desiderio che questo grande atto, il più importante per una Congregazione Ecclesiastica, si compia dagli Attuali Pii, Dotti e Caritatevoli Eminentissimi Cardinali, che l'alta Clemenza del [787] Pontefice ha scelto per dare sopra questa materia il Loro Illuminato Parere.
9° Finalmente affinchè Quel Santo e Maraviglioso Pontefice, che spiritualmente e materialmente Qual Padre Amoroso si degnò di benedire, proteggere ed approvare questa Congregazione, sia Quello stesso che alle Costituzioni della medesima dia definitiva Approvazione a maggior gloria di Dio, e della santa Cattolica Religione, a vantaggio delle anime, e a decoro della Salesiana Società.
Le delicate premure del Santo per arrivare alla mèta furon continue; e di quei giorni tornò ad ossequiare, anche più volte, i membri della Commissione particolare.
Col Card. Martinelli ebbe un colloquio di tre ore, che lasciò l'Eminentissimo stupefatto per averlo sentito sciogliere ogni difficoltà, tanto più che prima egli aveva di Don Bosco una meschina opinione.
Al Card. Bizzarri offerse due immagini della Madonna, e il Cardinale le rifiutò. Gli presentò allora una copia della Circolare spedita alle Case, dove aveva indette particolari preghiere per i componenti la Congregazione Particolare, ma, al leggere quelle righe, il Cardinale esclamò: No, no! per carità, che non sia un patto! - E il Santo: Ma almeno per gratitudine! - Neppure! - e gli disse che per la definitiva approvazione non c'era più bisogno di niente, avendogli detto il S. Padre di lasciar gli scrupoli ed aprir la mano!
Il Card. Vicario lo trattenne circa un'ora e mezzo, e per prima cosa gli dichiarava che, ancor prima di leggere la Positio, egli era convinto che il nuovo Istituto era opera di Dio; quindi prese a rilevare questa e quell'affermazione di Monsignor Gastaldi, e Don Bosco espose così nettamente come stavan le cose, che in fine il Cardinale esclamò: - Eh! tutt'al più si farà qualche osservazione, e nient'altro! - Allora Don Bosco gli narrò ciò che gli era capitato la sera innanzi nella visita fatta al Card. Bizzarri; il Card. Vicario si mise a ridere, e lo pregò cordialmente che facesse pregar molto e molto per lui, giacchè egli n'era assai contento.
Anche il Card. De Luca l'accolse con piena cordialità, e, pregato in fine di dargli qualche consiglio che verrebbe accolto con somma riconoscenza, lo prese per mano, e fissandolo [788] serio per alcuni istanti, in fine esclamò: - Si guardi bene dall'Arcivescovo di Torino! - E Don Bosco: - Non dubiti, Eminenza, ne farò profitto; ma basta su quest'argomento!
In queste visite, faceva a tutti, anche ai familiari ed alle persone di servizio, qualche piccolo dono. Era nel suo programma.
Una sera, trovandosi con Don Berto in una via poco frequentata, venne avvicinato da un poverello, che gli domandò un'elemosina. Non avendo nulla in tasca, chiese qualcosa a Don Berto; anche questi non aveva nulla. Pazienza!
Continuando la strada, Don Berto gli fece osservare che era così grande il numero dei poveri che chiedevano l'elemosina, che se avesse voluto dar qualche soldo a tutti, gli sarebbe occorsa una bella somma. E Don Bosco:
- Non sai che sta scritto: Date et dabitur vobis?...
Avrebbe voluto soccorrere i poveri di tutto il mondo!
Pari a tanta carità era la riconoscenza che aveva verso quelli che gli prestavan aiuto. Da Roma aveva fatto pervenire un dono al Prefetto della Provincia di Torino, ... e gli era giunta questa risposta:
Sono oltremodo riconoscente alla Sig. V. Ill.ma della sua cortesia; ma Ella vorrà perdonarmi se fedele al principio di non ammettere regali da chiunque, debbo pregarla di voler permettere che io le ritorni il lepre che ha voluto mandarmi. Creda però che le sono riconoscente come sé lo avessi accettato.
Gradisca gli atti del mio ossequio,
Ma, d'ordinario, anche i suoi piccoli regali erano graditissimi. A Roma, a tanti, insieme con alcune immagini della Madonna, offriva una copia della sua Storia d'Italia, ristampata in quell'anno, o il Giovane Provveduto.
Al Card. Berardi fece avere alcune bottiglie di Bordeaux e di Macon. Altre ne mandò al Marchese Angelo Vitelleschi, inviava alla Marchesa Clotilde un piatto di confetti e una scatola di fichi secchi a Monsignore. [789] Ospite in casa Sigismondi, il 14 marzo, onomastico della signora Matilde, scriveva una poesia, che faceva copiare da Don Berto, e a tavola la leggeva e l'offriva alla signora, insieme con un quadro di Santa Matilde.
dell'ottima Signora MATILDE SIGISMONDI
pensieri di due Pellegrini riconoscenti.
Siam pellegrini erranti |
Noi qui mangiam festanti |
tra il vento e la procella, |
pietanze, maccheroni, |
quando propizia stella, |
vin scelti con bomboni, |
Matilde, a te guidò. |
doni che il Ciel ci diè. |
|
|
Stanchi ambidue, famelici, |
Ma questo è un ben fugace |
col volto dimagrito: |
che passa come il vento, ' |
Abbiam grande appetito, |
nè lascia alcun contento |
lor voce risuonò. |
al nostro afflitto cuor. |
|
|
E tu, qual Madre tenera, |
Al Ciel dunque s'innalzino |
col tuo Alessandro amato: |
opre, pensier, désio: |
Il pranzo è preparato, |
diremo un dì con Dio |
dicesti, e ben vista. |
tua fè, tua speme, amor. |
|
|
Arrosto, alesso, intingoli, |
E tu, Alessandro amabile, |
bottiglie con bicchieri |
esempio di bontade, |
vin bianchi, vini neri, |
che tanta caritade |
tutto per voi sarà. |
a noi largisti ognor? |
|
|
Allor comincia il giubilo; |
Su te dal Ciel ne scenda |
non più pensier di debiti, |
il centuplo ogni giorno, |
nemmen pensier pei crediti |
finchè, di gloria adorno, |
recocci ,alcun timor. |
ten voli al tuo Signor. |
|
|
Così la gran cuccagna |
Ma che per la domestica, |
dura pel terzo mese, |
la buona Maddalena, |
nè mai fèmmo palese |
che affanno, stento e pena |
il grato nostro cuor. |
tanta per noi si diè? |
|
|
Oggi affidiamo il debito |
A Lei che l'opre unisce |
a Lui che tutto può; |
di Maxta e di Maria, |
Egli che ci mandò |
un di largito sia |
paghi coi suoi tesor. |
il premio' di sua fè. |
|
|
E mentre la tua Santa, |
Ora, Alessandro, un brindisi |
sedendo appo il Signore, |
facciamo a tua Consorte |
trono d'eterno amore |
che abbiamo un dì la sorte |
prepara ancor per te, |
trovarci tutti in ciel! |
Sac. Gio. Bosco e suo compagno. [790]
Al Card. Vicario, al Card. Berardi e a qualche altro, offrì anche una copia delle “tre profezie” che abbiam riportate; e non occorre ripetere che lo fece con tutti confidenzialmente, senza dire che erano state scritte da lui, anzi dichiarando che egli non dava a tali narrazioni altro valore oltre quello di semplici ispirazioni od illuminazioni, ricevute dall’Alto, per cui il loro adempimento dipendeva dalla buona volontà umana coll'attenersi alle vie delineate in tali comunicazioni.
Anche il 23, cioè il dì innanzi a quello fissato per la discussione dell'approvazione delle Costituzioni, tornò a far visita al Card. Martinelli, che lo congedava dicendo: - Eccole il mio voto, AFFIRMATIVE colle osservazioni! - Le sue osservazioni riguardavano minime cose.
L’Avv. Menghini, tutto giubilante, diceva a lui e a Don Berto che era stato dal Card. Vicario e l'aveva trovato favorevolissimo e gli aveva detto: - Provai a fare interrogazioni a Don Bosco intorno alle difficoltà dell'Arcivescovo e mi rispose trionfalmente. Dinanzi a Don Bosco le difficoltà spariscono: egli non trova nulla DI DIFFICILE. Tutto è facile, ogni difficoltà scompare!
Il Card. De Luca gli aveva detto che avrebbe dato il suo voto iuxta modum, cioè secondo la domanda.
Ed egli inviava quel giorno un'altra lettera a Mons. Vitelleschi, e Don Berto dava una lira al sagrestano della chiesa di S. Andrea delle Fratte perchè il dì appresso, al mattino accendesse due candele all'altare della Madonna del Miracolo, e le lasciasse accese tutto il giorno.
Il 24 Marzo, vigilia dell'Annunciazione, alle 10, presso il Card. Vicario si radunò la Congregazione Particolare, che si svolse, nonostante le molte varianti ed aggiunte all'esemplare delle Costituzioni, in modo assai favorevole; ma le lettere di Mons. Gastaldi, specialmente quella del 20 aprile 1873, protrassero la discussione, e gli Eminentissimi, all'una e mezzo pomeridiana, stabilivano di radunarsi nuovamente l'ultimo del mese.
Don Bosco sperava che la domanda sarebbe stata favorevolmente ammessa quel giorno, e restò un po’ impensierito. [791] La notizia non restò nascosta, e il Popolo Romano del 25 marzo pubblicava queste fanfaluche:
“Ieri si discusse nella Commissione Cardinalizia, presieduta dal Card. Vicario, la domanda del Sacerdote Bosco di Torino, che vuole essere autorizzato ad introdurre in Roma la sua Congregazione ed aprirvi due collegi: uno presso la chiesa del Sudario di patronato regio ed un secondo a Ceccano, nella proprietà dei signori Berardi.
Credesi che il decreto della Commissione sia stato contrario, essendo che i gesuiti si sforzano per eliminare la rivalità di Don Bosco”.
E questo, come abbiam visto, non fu l'unico accenno della stampa, che di quei giorni s'era tanto interessata e continuava ad interessarsi dell'ardita impresa a favore delle Temporalità Vescovili!
Il 25, Don Berto faceva celebrare una Messa all'altare della Madonna del Miracolo a S. Andrea delle Fratte, e comunicava ai Direttori queste parole del Santo:
Parole di Don Bosco agli amati suoi figli Salesiani della Casa...
“Favete linguis atque os claudatur ad ora. La prima Congregazione del 24 riuscì bene. La seconda ed ultima sarà il 31 di questo mese. Se ne spera eziandio esito felice. Continuate a pregare, state allegri e attendete con pazienza quanto il Signore disporrà di noi. Presto vi scriveremo altro. Dio ci benedica tutti”.
Gradisca con quelli dell'amatissimo nostro Padre anche i miei umili affettuosi saluti, mentre mi dico sempre,
Roma, giorno dell'Annunziazione 1874,
Don Bosco si recò subito dal Card. Berardi, che tornò ad esprimergli la sua gioia per il dispaccio avuto dall'Oratorio in occasione del suo onomastico; e, dopo un affabile colloquio, l'accompagnò fin sulla porta, dicendogli di star tranquillo e lasciar ogni cosa sopra di lui che avrebbe pensato a tutto, e finì con queste parole: [792]
- Noi conosciamo abbastanza Don Bosco da non prestar nessuna fede all'Arcivescovo di Torino!
Le correzioni, volute dalla Commissione Cardinalizia, furon tante che Mons. Vitelleschi chiedeva altre 4 copie delle Regole, e Don Bosco glie ne mandava 6, colla correzione di un N maiuscola... suggerita dal Card. Martinelli.
Questa iniziale era forse la prima del N...oviziato, di cui venne chiesto a Don Bosco un regolamento, o direttorio particolare, senza il quale la Commissione Cardinalizia non avrebbe potuto radunarsi di nuovo per venire alla conclusione.
Che fare? Don Bosco si procurò, senza tardare, le Regole di qualche altro Istituto Religioso, le lesse, le rilesse, ponderò le comunicazioni avute da Mons. Vitelleschi e da altri Prelati; e la sera del 27, dopo cena, invece d'andar a riposo, dopo aver fatto due passi con Don Berto in Piazza Barberini, si metteva a tavolino e vi restava fino alle 2 dopo mezzanotte; quindi chiamava Don Berto, che in attesa non si era coricato, gli dava da copiar le pagine che aveva scritte, e il mattino le rimetteva al Segretario della S. Congregazione.
Il 28 si recò dal Card. De Luca e gli mostrò la lettera anonima, nella quale erano confutate le accuse dell'Arcivescovo.
- Questo è un tesoro, esclamò l'Eminentissimo; ne mandi una copia a tutti i Cardinali, ed anche a me.
- Che segreto, quando torna a vantaggio di un terzo?!... Faccia, faccia pure!
La lettera anonima, che abbiam già riportato, era la confutazione di quella inviata al Card. Bizzarri il 9 gennaio di quell'anno; ma di quei giorni era stata comunicata alla Commissione Cardinalizia quella, ancor più autoritaria, inviata da Mons. Gastaldi al Card. Caterini, Prefetto della S. Congregazione del Concilio, il 20 aprile 1873. Anche Don Bosco ne fu messo al corrente e venne consigliato di farne una confutazione diretta; la fece, e nei giorni 29 e 30 marzo ne mandava copia firmata, al Card. Vicario, al Card. Martinelli, al Card. De Luca e a Mons. Vitelleschi. [793] Promemoria sopra una lettera dell'Arcivescovo di Torino intorno alla Congregazione Salesiana.
Si deve premettere che Mons. Gastaldi attualmente Arcivescovo di Torino fino al 10 febbraio 1873 si professò costantemente caldo promotore ed indefesso collaboratore dell'Istituto Salesiano. In quel tempo (10 febbraio 1873) con parole di vivo incoraggiamento inviava il Sac. Bosco a Roma munito di una commendatizia latina, in cui dichiarava aver riconosciuto il dito di Dio nella esistenza e conservazione di questo istituto, e fa eccessivi elogi del gran bene che ha fatto e fa questo Istituto encomiando a cielo il povero fondatore.
1° Le regole, ivi dice, non furono mai approvate da' suoi antecessori.
R. Nei documenti presentati alla Congregazione di Vescovi e Regolari àvvi il decreto di Mons. Fransoni (il 31 marzo 1852) con cui è approvato l'istituto degli Oratorii, costituisce capo il sac. Bosco e se gli concede tutte le facoltà necessarie od opportune pel buon andamento del medesimo.
2° Non fu chiesta mai alcuna approvazione all'Arcivescovo Riccardi nè a lui.
R. Quando un istituto è approvato da un Ordinario Diocesano non si sa se debba da ogni nuovo vescovo avere novella approvazione; tuttavia è di fatto che il Sac. Bosco dirigeva una supplica a Mons. Riccardi con cui chiedeva la conferma di quanto sopra. Egli rispondeva come più volte di poi rispose Mons. Gastaldi, che quando un istituto è approvato dalla S. Sede non ha più bisogno dell'approvazione diocesana.
Volendo poi cooperare alla stabilità di questo istituto, di moto proprio con apposito decreto confermò tutti i privilegi e le facoltà concesse dai suoi Antecessori, e ne aggiunse parecchi nuovi e fra gli altri i diritti parrocchiali (Decr. 25 dicembre 1872).
3° Il Noviziato di due anni, occupazione esclusivamente ascetica.
R. Questo poteva praticarsi in altri tempi, ma non più ne' nostri paesi presentemente, chè anzi si distruggerebbe l'Istituto Salesiano, perciocchè l'autorità civile avvedendosi dell'esistenza di un noviziato, lo scioglierebbe sull'istante disperdendone i novizii. Inoltre questo Noviziato non potrebbe accomodarsi alle Costituzioni Salesiane che hanno per base la vita attiva dei Socii, riserbando di ascetica soltanto le pratiche necessarie a formare e conservare lo spirito di un buon Ecclesiastico; nemmeno tale noviziato farebbe per noi, giacchè i novizii non potrebbero mettere in pratica le Costituzioni secondo lo scopo della Congregazione.
4° Sono già usciti dei professi perpetui che diedero lagnanze ecc.
R. Finora un solo uscì ed è il Padre Federico Oreglia. Egli apparteneva alla nostra Congregazione come Laico e ne uscì per entrare [794] nella Compagnia di Gesù e percorrere la carriera degli studi come entrò difatti ed ora lavora lodevolmente nel sacro Ministero.
5° Questa Congregazione reca non piccolo disturbo alla disciplina Ecclesiastica della Diocesi.
R. Assersione gratuita. - L'Ordinario di Torino finora non può addurre un solo fatto in proposito.
6° Troppo sovente alcuni dopo i voti triennali ricevono gli Ordini sacri titulo mensae communis e poi escono ecc.
R. Asserzione gratuita. - Niuno di costoro finora uscì dalla Salesiana Congregazione.
7° Un suo diocesano di Saluzzo, appena ordinato in questa Congr. uscì ecc.
R. Non ombra di fondamento. Il sacerdote cui si allude anche in altre lettere successive e che si vorrebbe addurre per esempio non appartenne mai alla Congr. Salesiana. Fu ordinato da Mons. Gastaldi con regolare titolo Ecclesiastico e fu ordinato senza Commendatizia e contro il parere del Sac. Bosco cui era stato inviato dal suo Ordinario e nella cui casa aveva caritatevolmente fatto gli studi.
8° Chierici dimessi dal Seminario, accettati nella Congr. Salesiana, inviati in altra casa e diocesi, colà ordinati, vennero di poi in diocesi.
R. Nissunissimo di questi fatti, e qualora succedessero in avvenire è sempre facoltativo all'Ordinario di riceverli o rifiutarli in sua diocesi siccome può fare di qualunque individuo che esca da altro istituto religioso.
9° È poi bene di notare che se si ammettessero le condizioni apposte la Congregazione Salesiana priva di mezzi materiali com'è dovrebbe chiudere le sue case, sospendere i suoi catechismi, perchè non avrebbe più nè catechisti, nè maestri, anzi cadendo come ente morale sotto all'occhio dell'autorità civile sarebbero immediatamente dispersi i socii, quindi finita la Società.
10° Si noti eziandio che l'attuale Arcivescovo non ha mai mosso la minima lagnanza nè fatto osservazione ai Socii o al Superiore della Società Salesiana. Anzi quando Egli voleva segnalare un chierico di scienza e di speciale virtù soleva sempre additare gli allievi Salesiani.
11° Ciò che si asserisce nella lettera 20 aprile 1873 è stato ripetuto con frasi diverse in tre altre segrete lettere posteriori, alla stessa Congr. di Vescovi e Regolari; ma sempre alludendo a fatti vaghi che non hanno che fare coi membri della Società Salesiana.
12° A rettificazione di quella lettera e ad onore della verità si crede cosa veramente opportuna che questo promemoria debba unirsi alla medesima.
Il 31 Don Berto tornò a S. Andrea delle Fratte a far accendere due candele all'altare della Madonna del Miracolo. Alle 9 tornava a radunarsi la Congregazione Particolare per l'approvazione delle nostre Costituzioni; stette raccolta fino all'una e mezzo pomeridiana; e al dubbio proposto: - Se, e come debbano approvarsi le recenti Costituzioni della Società Salesiana nel caso? - rispondeva: - AFFIRMATIVE ET AD MENTEM.
Diebus 24 et 31 mensis Martii 1874 habitae sunt peculiares Congregationes Em.orum S. R. E. Cardinalium Patrizi, De Luca, Bizzarri et Martinelli, ut superius deputatorum, qui proposito dubio ita respondendum esse censuerunt.
Mens est: - Che s'introducano nelle Costituzioni le animadversioni fatte dal Consultore Padre Bianchi nel suo voto del 9 maggio 1873, le quali non sono state inserite nello schema proposto, salve quelle contenute sotto i numeri 2, 4, 14, a pag. 29, 30, 31 del Sommario, limitando in quanto a quella sotto il N. 4 la ingiunzione del beneplacito della S. Sede al solo caso dell'accettazione della direzione dei Seminarii. Che si faccia menzione in dette Costituzioni dei due noti Decreti della S. Congregazione super statu Regularium del 25 gennaio 1848 Romani Pontifices e Regularis Disciplinae, e s'inseriscano tutte quelle altre modificazioni ed emende notate da Mons.Segretario a margine dell'unita copia dello schema, e gli articoli aggiunti in un foglio separato relativi principalmente al Capo XIV De Novitiorum magistro eorumque regimine, ed al Capo IV De voto paupertatis. Che in quanto alla osservazione N. 2 del Consultore P. Bianchi sulla facoltà di concedere le dimissorie per le ordinazioni, s'implori dal S. Padre questo Privilegio per un decennio a forma del Decreto di Clemente PP. VIII 15 marzo 1596, Impositis Nobis, con le consuete clausole di sospensione, finchè non siano provveduti di Sacro Patrimonio, per quei sacerdoti che uscissero dalla Congregazione Salesiana; che siffatto privilegio, se verrà accordato da Sua Santità non sia inserito nelle Costituzioni, ma sia il soggetto di un Rescritto separato.
Che si possa supplicare il Santo Padre per l'approvazione delle proposte Costituzioni così emendate ed estese, la quale approvazione tre degli Em.mi Padri opinarono concedere definitiva e perpetua, ed uno ad esperimento e temporanea.
S. Arcivescovo di Seleucia. [796]
Evidentemente anche il lavoro della Congregazione Particolare fu grave, e per grazia di Dio e di Maria SS. Ausiliatrice pienamente favorevole.
Non si poteva desiderar di più!... Dapprima gli Eminentissimi pensavano di limitare l'approvazione ad experimentum per un decennio, cioè d'esigere un decennio di prova all'approvazione definitiva; ma poi, attese le ripetute e insistenti preghiere di Don Bosco, i buoni uffici del Card. Berardi, e le nette e favorevoli dichiarazioni del S. Padre, vennero alla votazione per l'approvazione definitiva, e tre Eminentissimi diedero il voto favorevole, uno ad decennium.
Monsignor Segretario chiese una particolare udienza al S. Padre, che glie la fissò per il pomeriggio del venerdì santo, 3 aprile, ascoltò attentamente la relazione, e quando sentì che mancava un voto per l'approvazione assoluta, sorridendo esclamò:
- Ebbene, questo voto ce lo metto io!
E Monsignore apponeva al resoconto della Congregazione Particolare la seguente dichiarazione:
Facta de praemissis relatione SS.mo D. N. in audientia habita die 3 aprilis 1874, feria VI in Parasceve, Sanctitas Sua benigne confirmavit et approbavit, nec non expediri Decretum pro definitiva Constitutionum approbatione, ac separatum indultum ad Decennium pro facultates relaxandi litteras dimissoriales pro promovendis ad omnes etiam sacros et Presbiteratus ordines, cum conditionibus in mente Patrum expositis et cum aliis solitis cautelis favore tantum Sociorum qui vota perpetua emiserunt, mandavit.
Alle 6 pom. Mons. Vitelleschi era ancora in udienza, e di quella medesima sera Don Bosco si recava da lui a prender notizia della conclusione. Monsignore s'era seduto in quel momento a tavola e stava mangiando la minestra. Dopo alcuni istanti fe' entrar in sala Don Bosco, e, appena lo vide, esclamò:
- Don Bosco, metta i lanternoni! Le Costituzioni della sua Congregazione definitivamente approvate: e Dimissorie assolute AD DECENNIUM. [797]
E il Santo nostro Fondatore, pieno di giubilo, per tutta risposta, con semplicità infantile gli porse un grosso confetto di zucchero candito, ricevuto dalla signora Monti, dicendo:
Il colloquio si protrasse fin verso le dieci.
Il sabato santo Don Bosco cominciò subito le visite di ringraziamento.
Il Card. Vicario non era in casa, essendosi recato a S. Giovanni in Laterano per dar le Ordinazioni, ed egli consegnò al segretario una copia delle „Tre Profezie” per Sua Eminenza.
Quindi andò dal Card. Martinelli, e nel congedarsi lo pregò a dargli la benedizione: e il Cardinale:
- Buon Servo di Dio, esclamava, ho bisogno che lei benedica me!
Andò pure dal Card. Bizzarri, ma non lo trovò: era in Vaticano, in udienza dal Papa.
1) Riceverai biglietto per la Sig. Marchisio.
2) Dirai che il piego del Professor Papa l'ho messo nelle mani del S. Padre, che lesse e ritenne tutto indicando volere egli stesso rispondere.
3) Di' a Don Bertazzi che Dio ci prepara molta messe, che perciò ci prepari molti operai. Pel suo ch. raccomandato tratta e aggiustatevi. Ho risposta alla sua lettera a Brescia; se mi è possibile, gli risponderò a questa ultima.
. 4) Abbi tutte le cure possibili a Don Provera. Fàgli coraggio e digli che io lo raccomando ogni giorno nella santa Messa.
5) Le nostre Costituzioni furono definitivamente approvate colle facoltà delle dimissorie senza eccezione. Quando saprai tutto, dirai che fu veramente frutto delle preghiere. La concessione fu fatta ieri dal S. Padre alle 7 di sera. Non fate però alcun rumore, adesso ultimo le cose accessorie; sul finire della entrante settimana, a Dio piacendo, sarà co' nostri cari amati e desiderati figli. Salùtali tutti da parte mia.
6) La lettera indirizzata ai nostri padroni di casa piacque assai e volevano eglino stessi scrivere per ringraziare; io dissi non occorrere e che avrei fatto io la vece loro.
7) Graditissimo fu il telegramma al Card. Berardi. Volle tosto [798] rispondere con altro telegramma al Superiore dei Salesiani Torino. Non so se vi sia pervenuto.
Prima di partire ti scriverò l'ora dell'arrivo.
Dio ci benedica tutti e credimi in G. C.
PS. Spero trovare ultimata la casa sopra quella di Coriasco. Non è vero?
Il dì di Pasqua si recò dal Card. De Luca, che l'accolse con amabilità insuperabile, e gli disse apertamente che nessuno dei membri della Congregazione Particolare avrebbe mai creduto che il Papa fosse a lui così deferente, e che anche il Card. Vicario aveva detto più volte: - Voglio che terminiamo questa faccenda!... aiutiamo un povero prete che si sacrifica tutto per le anime! .. - In fine il Cardinale gli disse:
- Adesso domando io un favore a lei; venga a pranzo da me mercoledì, ed inviterò anche alcuni amici.
Don Bosco accettò; e con i suoi racconti tenne allegri tutti i commensali e fece rider tanto anche il Cardinale, sebbene di carattere serio, che questi ebbe a dire di non aver mai riso tanto in vita sua!
Era l'8 aprile; quella mattina Don Bosco erasi recato ad ossequiare il Card. Vicario; e l'Eminentissimo gli ripetè che si doveva tutto al Papa: il Papa gli aveva detto che dovevasi concedere l'approvazione, il Papa aveva voluto che si concedesse.
E quella sera, circa alle 7, 30, egli tornava in Vaticano, col suo promemoria, per essere ricevuto dal Sommo Pontefice. Dovette attendere quasi un'ora, e, appena entrato, lo sentì esclamare:
- Questa volta si è finito!...
- Sì, Santo Padre, e ne sono contentissimo!
- E anch'io!, soggiunse il Papa.
Allora Don Bosco, con quella semplicità che gli era abituale, offerse a S. S. una copia della Storia d'Italia. Pio IX la guardò, ne lesse qualche tratto, e poi esclamò tre o quattro volte di seguito: - Evviva Don Bosco!.. - aggiungendo in fine: - Conosco lo spirito da cui siete animato! [799] E gli concesse altri favori, tra cui la facoltà d'affidare ai chierici, anche durante l'anno del noviziato, le stesse occupazioni accennate nelle Costituzioni per il tempo della prima prova, qualora lo ritenesse a maggior gloria di Dio.
- Anzi, soggiunse Pio IX, non metteteli in sagrestia, perchè diventano oziosi; ma occupateli a lavorare, a lavorare!
Il Santo lo ringraziò di tutto l'interessamento avuto per l'approvazione definitiva, e il Papa, sorridendo, gli rispose:
- Ma adesso non domandatemi più nulla!
- Eppure, Santo Padre, c'è ancora una cosa che debbo domandare.
- E allora tutta l'approvazione delle Regole non mi gioverà.
- E quale sarebbe la vostra domanda?
- La dispensa dell'età per i Consiglieri del Capitolo della nostra Congregazione. L'età richiesta delle Costituzioni per essere eletti è di 35 anni. Ora quasi nessuno de' miei figli ha raggiunta quest'età.
- Il tempo porrà rimedio a questo sconcio!...
E soggiunse che per il momento si lasciassero le cose com'erano; in seguito, quando qualche nuovo consigliere mancasse dell'età voluta, si scrivesse alla Santa Sede.
Trattò ancora di alcune dispense[148], e infine suonò il campanello e fece chiamar Don Berto, che gli ripetè i più umili ringraziamenti per la bontà che aveva dimostrato, e gli chiese una particolare benedizione per i suoi genitori e per tutti gli alunni dell'Oratorio componenti le Compagnie [800] di S. Luigi, dell'Immacolata, di S. Giuseppe, del SS. Sacramento e del Piccolo Clero.
Mentre scendevano le scale, Don Bosco veniva salutato da Mons. Negrotto e da Mons. Demerod, che gli domandò se tutto era conchiuso.
- Sì, Monsignore, rispose il Santo, non ci manca altro che V. E. ci prepari una tettoia per raccogliere ragazzi, e poi verremo a stabilire una casa anche qui in Roma!
Mons. Vitelleschi aveva affidato a Don Berto l'incarico di far una bella copia delle Regole con le correzioni stabilite dagli Eminentissimi, e il 9, insieme con lui, leggeva la copia ultimata e lo pregava di farne una seconda, perchè una sarebbe rimasta presso la S. Congregazione e l'altra l'avrebbe data a Don Bosco. L’11 anche la seconda copia era finita, e Monsignore si faceva promettere da Don Berto che la sera dopo, domenica 12 aprile, avrebbe accompagnato Don Bosco a pranzo in casa sua.
Mentre Don Berto attendeva all'accennato lavoro e compiva qualche altro incarico di Don Bosco, questi continuò a far molte visite.
Dal Card. Antonelli seppe che il Papa aveva fatto avere a lui pure una copia della Positio, ed egli l'aveva letta attentamente, comunicando al S. Padre le sue favorevoli impressioni.
Il Card. Bizzarri, appena lo vide, gli domandò: - Ebbene, è stato contento? - Contentissimo, Eminenza! - E l'Eminentissimo: - I Cardinali non andarono tanto avanti!... è stato il Papa!... - Don Bosco ringraziò lui pure; e - Che ringraziamenti! rispose il Cardinale, ho fatto il mio dovere. - Noi pregheremo per lei e la terremo sempre per padre! - Che padre!.... - Anche nel parlare era adombrato dagli scrupoli che lo tormentavano, e Don Bosco n'aveva compassione.
Quella sera si recò a pranzo in casa Vitelleschi, e fu allora che fece omaggio alla Marchesa Clotilde di un vassoio di confetti per una ventina di persone.
Non era la prima volta che la famiglia Vitelleschi l'aveva a pranzo; ed anche il Card. Berardi, Mons. Frateiacci, il Seminario Irlandese, il Cav. Balbo, la Marchesa di Villarios, la signora Giacinta Serafica, ed altri ebbero quel piacere. [801] Mons. Vitelleschi disse a Don Berto di recarsi la mattina dopo alla Cancelleria, alle 11 antimeridiane, a ritirare il Decreto d'approvazione e il Rescritto delle Dimissorie. E Don Bosco confidava a Monsignore, come nell'udienza avuta dal S. Padre, tra l'altre cose, l'avesse udito esclamare:
- Che cosa avete fatto nel proporlo ad Arcivescovo di Torino?! Ci sono delle cose gravi sul suo conto. L'avete voluto! Ben vi sta! Ora cavatevi come potete!
- Santo Padre, gli rispose Don Bosco, purtroppo ne faccio la penitenza!
- Sapete bene, continuò Pio IX, come nel Vangelo si legge che il Signore disse ai suoi discepoli: “Quando siete perseguitati in una città, fuggite in un'altra!...”. State attento! guardatevi!...
Evidentemente il Papa, che l'amava tanto, avrebbe voluto ripetergli di fissare la sua residenza presso la S. Sede ma non andò avanti.
Nel tempo che restò a Roma, Don Bosco celebrò d'ordinario a S. Giuseppe a Capo le Case, dove tenne anche il panegirico il 19 marzo, e a Tor de' Specchi, presso le Nobili Oblate, e al SS. Sudario dei Savoiardi; ed altre volte ai Santi Cosma e Damiano, alle Monache a Capo le Case, ai Ss. Giovanni e Paolo, a Villa Caserta presso i Liguorini, nonchè in vari Oratori privati, ed anche alla SS. Trinità dei Monti, al Monastero delle Sacramentine presso il Quirinale, alle Suore della Carità presso piazza della Bocca della Verità, e a S. Andrea della Valle, dove il 2 aprile, giovedì santo, fece la S. Comunione.
Per via venne più volte fermato e salutato da persone amiche ed anche da ex - allievi. Uno di questi, il luogotenente Viano, dei primissimi che frequentò l'Oratorio fin da quando era all'Ospedaletto di Santa Filomena, lo volle a pranzo a casa sua. Un altro l'avvicinava presso S. Andrea delle Fratte e Don Bosco l'esortava a far Pasqua. Quel giorno (12 aprile) domandava al capo - stenografo della Camera dei Deputati:
- - Non so come fare; sono scrittore di giornali liberali e non mi dànno l'assoluzione. [802] E Don Bosco s'intratteneva a parlare un po' con lui confidenzialmente.
Il 13 aprile celebrò a Tor de' Specchi, poi andò presso le Suore della Carità alla Bocca della Verità, e fece ancor visita a Mons. Vitelleschi, a Mons. Frateiacci, che l'amava tanto, e al Card. Berardi, mentre Don Berto era andato a ritirare e gli recava la copia delle Regole approvate, col relativo Decreto e col Rescritto delle Dimissorie:
Sanctissimus Dominus Noster Pius Papa Nonus, in Audientia habita ab infrascripto D. Secretario S. Congregationis Episcoporum et Regularium, sub die 3 Aprilis 1874, Feria VI in Parasceve, attentis Litteris Commendatitiis Antistitum Locorum, in quibus Piae Societatis, Presbyterorum a S. Francisco Salesio nuncupatae Domus extant, uberibusque fructibus quos ipsa in Vinea Domini protulit, suprascriptas Constitutiones, prout in hoc exemplari continentur, cuius Autographum in Archivio huius S. Congregationis asservatur, approbavit et confirmavit, prout praesentis Decreti tenore, approbat atque confirmat, salva Ordinariorum iurisdictione, ad praescriptum Sacrorum Canonum, et Apostolicarum Constitutionum.
Datum Romae, ex Secretaria memoratae S. Congregationis Episcoporum et Regularium, die 13 Aprilis 1874.
S. Archiep. Seleucien. Secret.
La Santità di Nostro Signore Pio Papa IX, nell'Udienza avuta dal sottoscritto Mons. Segretario della Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari, in data 3 Aprile 1874, Feria sesta in Parasceve, osservate attentamente le Lettere Commendatizie dei Vescovi dei Luoghi, in cui esistono Case della Pia Società detta dei Preti di San Francesco di Sales, e gli abbondanti frutti che la medesima produsse nella Vigna del Signore, le soprascritte Costituzioni, come si contengono in questo esemplare, di cui l'Autografo si conserva nell'Archivio di questa Sacra Congregazione, approvò e confermò, come col tenore [803] del presente Decreto le approva e le conferma, salva la giurisdizione degli Ordinarii, secondo il prescritto dei Sacri Canoni e delle Apostoliche Costituzioni.
Dato a Roma, dalla Segreteria della ricordata S. Congregazione dei Vescovi e Regolari, il 13 Aprite 1874.
S. Arciv. di Seleucia Segretario.
Il 3 aprile Mons. Vitelleschi aveva esposto al S. Padre anche la decisione della Congregazione Particolare di concedere a Don Bosco la facoltà delle Dimissorie ad decennium, ed il S. Padre aveva annuito; e Monsignore, per compiere regolarmente le pratiche, estendeva egli stesso l'istanza relativa (nella quale si accenna l'estensione della Pia Società in non meno di sette diocesi, mentre erano appena sei: Torino, Casale, Genova, Savona, Albenga ed Acqui, dove si trovavano le Figlie di Maria Ausiliatrice).
Il sacerdote Giovanni Bosco Superiore Generale della Pia Società di S. Francesco di Sales, dopo aver ottenuto dalla benignità della Santità Vostra l'approvazione delle Costituzioni del suo Istituto, animato ora da precedenti concessioni già fattegli da Vostra Beatitudine, si presenta umilmente al Suo apostolico trono, esponendole come tornerebbe a maggiore incremento e vantaggio della sua Congregazione, se le venisse conceduto il privilegio, attribuito dalla S. Sede Apostolica agli Ordini Regolari, di rilasciare le Lettere Dimissoriali per le promozioni ai Minori e Maggiori Ordini, inclusivamente al Presbiterato, a forma del Decreto, del Pontefice Clemente VIII, dei 15 Marzo 1596.
Essendo già la Pia Società Salesiana estesa in non meno di sette Diocesi, e non potendo i Soci tenere una stabile e costante dimora in certe e determinate Case, ma invece occorrendo loro di essere trasferiti di luogo in luogo, si frappongono da ciò non pochi ostacoli perchè i rispettivi Ordinarii possano avere quella sicura conoscenza dei promovendi per ammetterli alle Ordinazioni, quando pure già siano dotati dei debiti requisiti.
Oltre a ciò la concessione che s'implora, meglio conduce a quella unità di regime, che è un elemento indispensabile alla conservazione dello spirito e dello scopo di un Istituto.
Supplica quindi vivamente l'Oratore la Santità Vostra perchè, a somiglianza eziandio di qualche altro consimile Istituto, si degni [804] accordare al Superiore Generale pro tempore della Società Salesiana la facoltà di rilasciare le Lettere Dimissoriali in favore dei Soci di Essa promovendi ai Minori e Maggiori Ordini, i quali abbiano già emesso i voti semplici perpetui, estendendogli cioè quel privilegio medesimo di cui godono i Regolari propriamente detti in forza del surrichiamato Decreto di PP. Clemente VIII.
Ed alla supplica univa il relativo rescritto:
Ex Audientia SS. habita ab infrascripto Domino Secretario S. Congregationis Episcoporum et Regularium sub die 3 Aprilis 1875, feria VI in Parasceve, Sanctitas Sua, attentis expositis, benigne facultatem tribuit Rectori Generali Oratori, ad decennium duraturam, relaxandi Literas Dimissoriales favore Sociorum suae Congregationis, qui eidem perpetuo votorum simplicium nexu devincti sunt, ut ad omnes etiam Sacros et Presbitoratus Ordines, tituto Mensae Communis, servatis servandis, promoveri possint, ad instar Privilegii pro Regularibus iuxta Decretum Clementis VIII die 15 Martii 1596; firmis tamen manentibus legibus in Apostolicis Constitutionibus, praesertim S. M. Benedicti PP. XIV de Ordinationibus Regularium, quae incipiunt Impositi, Nobis, latis: ita tamen, ut si contingat aliquos ad Sacros Ordines iam promotos tituto huiusmodi Mensae Communis, ab eadem Congregatione legitime discedere aut dimitti, a susceptis Ordinibus exercendis suspensi maneant, donec, de sufficienti Sacro Patrimonio provisi, benevolum Episcopum receptorem inveniant.
S. Archiep. Seleucien. Secret.
Nell'Udienza di Sua Santità avuta dal sottoscritto Mons. Segretario della S. Congregazione de' Vescovi e Regolari in data 3 Aprile 1874, feria sesta in Parasceve, la Santità Sua, considerate le cose esposte, benignamente concedette al Supplicante, Rettore Generale, la facoltà di rilasciare le Lettere Dimissoriali, valevole per un decennio, in favore dei Soci della sua Congregazione, che alla medesima sono legati col vincolo perpetuo dei voti semplici, affinchè, osservate le cose da osservarsi, possano essere promossi a tutti gli Ordini eziandio Sacri e del Presbiterato col titolo della Mensa Comune; a guisa di Privilegio pei Regolari, secondo il Decreto di Clemente VIII del giorno 15 Marzo 1596, rimanendo tuttavia in vigore le leggi riportate nelle Apostoliche Costituzioni, specialmente quelle della Santa Memoria di Benedetto XIV intorno alle Ordinazioni dei Regolari, che incominciano Impositi, Nobis. In modo però che, se avvenga che alcuni già promossi ai Sacri Ordini, col titolo di detta Mensa Comune, [805] escano dalla medesima Congregazione legittimamente, o ne vengano licenziati, rimangano sospesi dall'esercizio degli Ordini ricevuti, finchè provvedutisi di sufficiente Sacro Patrimonio non trovino un Vescovo che benevolmente li accolga.
S. Arciv. di Seleucia Segretario.
Com'ebbe in mano il Decreto dell'approvazione delle Costituzioni, Don Bosco si fece un dovere di darne subito la notizia a Mons. Gastaldi, e vedremo come fu accolta!
Nel medesimo giorno, d'intesa col Card. Patrizi, Prefetto della S. Congregazione dei Riti, inoltrava umile istanza, consegnandola al segretario Mons. Bartolini, perchè nel Santuario di Valdocco si potesse anticipare o trasportare la festa titolare del 24 maggio, e il 16 aprile gli veniva concesso l'implorato favore colle condizioni solite ad apporsi a tali richieste[149].
Vedendo ormai felicemente compiuta ogni cosa, preavvisava la marchesa Uguccioni, che nel tornare a Torino avrebbe fatto una piccola sosta a Firenze:
Il nostro ritorno fu veramente ritardato oltre l'aspettazione, ma adesso i nostri affari furono felicemente terminati. A Dio piacendo martedì mattina noi partiremo di qui e saremo a Firenze; la sera del mercoledì quindi ce ne voleremo in mezzo ai nostri affari, che abbiamo tanto tempo abbandonati.
Rincrescemi assai che il Sig. Tommaso sia tuttora disturbato nella sua sanità. Io prego per lui ed Ella gli usi ogni riguardo per la campagna. Non pensi alla mia dimora, giacchè noi possiamo con tutta libertà prendere l'alloggio dall'Arcivescovo.
Ho sempre pregato e continuo a pregare per Lei, Sig.ra Girolama, pel Sig. Tommaso e per tutta la piccola e grande loro famiglia. Dio ci benedica tutti e mi creda in Gesù Cristo,
Prima di partire gli giunse telegraficamente l'annunzio che Don Provera era agli estremi; ed egli la mattina seguente, [806] dopo aver celebrato nel nuovo Oratorio privato in casa Sigismondi, prima d'andare alla stazione scriveva a Don Rua:
Credo che a quest'ora il nostro caro D. Provera sarà già in seno al Creatore. Mi preparava da lungo tempo a questa amara perdita, ma tuttavia mi è sensibilissima. La Società perde uno de' migliori suoi soci. Così piacque al Signore.
Il vostro padre, il vostro fratello, l'amico dell'anima vostra dopo tre mesi e mezzo di assenza parte oggi, (14) da Roma, passa la notte col mercoledì a Firenze e spera di essere con voi giovedì alle 8 mattino. Non occorrono nè feste, nè musica, nè accoglienze. Io vado in chiesa e a Dio piacendo celebrerò la santa Messa pel nostro caro e sempre amato D. Provera.
Voglio contentarvi tutti; ed il modo con cui ciò farò ve lo esporrò verbalmente dalla cattedra. Dio vi benedica tutti, e credetemi sempre in G. C.,
Alla stazione di Firenze l'attendeva un servo di casa Uguccioni, dove fu ospite e la mattina dopo celebrò la Santa Messa. La sera del 15 ripartiva, e, viaggiando tutta la notte, il 16, giovedì, alle 8 ½ giungeva alla stazione di Porta Nuova.
Nessuno era ad attenderlo, perchè la lettera non era ancor arrivata, e si credeva che sarebbe giunto la sera.
I giovani erano usciti a passeggio. Tuttavia, appena fu all'Oratorio, vari gli corsero attorno, ed egli andò subito in chiesa, e celebrò la S. Messa in suffragio di Don Provera, che era mancato il 14. Com'ebbe finito il ringraziamento, gli fu offerto un po' di caffè nella sagrestia, mentre gli alunni, tornati a casa, si disponevano in doppia fila per fargli le più festose accoglienze, dopo un'assenza d'oltre tre mesi e mezzo!
Una dimostrazione indimenticabile, resa più solenne da un fatto veramente singolare! [807] Quando Don Bosco fu sulla porta della sagrestia per scendere in cortile, vide sopra l'Oratorio, e specialmente sopra la sua camera, uno splendido alone, in forma d'un'aureola di martire, di luce bianca, come un'iride incantevole, che con l'arco più vasto giungeva quasi al sole e racchiudeva un altro alone, in ugual forma, di vari colori
Vide, ma non disse nulla, e volse subito lo sguardo agli alunni ed ai confratelli, che, con un gran battimani, gridando: - Evviva Don Bosco! Evviva Don Bosco! - gli corsero attorno, andando a gara per avvicinarlo e baciargli le mani. Ma appena fu in camera, venne pregato d'affacciarsi sul ballatoio per veder quello spettacolo, mentre tutti avevano gli occhi volti al cielo, che era in quel momento perfettamente sereno, tranne un velo, quasi un fumo leggerissimo, attorno a quell'iride, che stava a mezz'aria, proprio sopra la sua camera, e che era divenuta più luminosa e più grande. Appena comparve, tutti, ad una voce, tornarono a gridare: - Evviva Don Bosco!... Evviva Don Bosco! - e la banda si mise a suonare, tra il gaudio universale.
Dopo pranzo vi fu un po' di concerto sotto i portici, e comparve di nuovo l'iride bianca, vicino al sole, e di tale ampiezza che pareva volesse racchiudere tutto l'Oratorio col Santuario di Maria Ausiliatrice!...
Interrogato che cosa ne pensasse, il Santo rispose:
- Forse il Signore con questo segno ha voluto darci un simbolo della vittoria riportata contro tutti i nostri nemici colla approvazione assoluta della Società di S. Francesco di Sales; oppure ravvivare la nostra fede e consolarci col Pensiero che Don Provera sia già stato coronato di gloria in cielo!...
Presenti erano anche i Direttori delle varie Case, ai quali tenne particolari conferenze nei giorni seguenti.
Il 18, nel pomeriggio, si recò ad ossequiare l'Arcivescovo, che non gli chiese nè gli disse neppur una parola circa l'approvazione delle Costituzioni, ma lo trattenne unicamente sulle temporalità vescovili, e in fine s'offerse a recarsi il giorno dopo all'Oratorio per celebrare la Messa della comunità.
Don Bosco gli aveva scritto così: [808]
Ritiro in questo momento il decreto dell'approvazione definitiva delle nostre regole colla data appunto di quest'oggi. Ella che ci ha in ogni tempo raccomandati, desidero sia il primo ad averne notizia. Prima che termini la settimana spero di essere a Torino e poterla ossequiare di presenza e di parlarle d'altro.
Mi creda con profonda gratitudine
Monsignore lesse, e certamente rilesse la lettera, e la conservò nel suo archivio, dopo aver posto, dietro il foglio piegato, in alto, questa nota, sottolineando le ultime parole.
“1874 - 13 aprile - Don Bosco - notizia dell'approvazione definitiva del suo Istituto, CHE PERÒ NON È DEFINITIVA”.
Come si spiega cotesto contegno?
Un altro particolare curioso. Il 28 gennaio di quell'anno 1874 egli fondava l'Academia Historiae Ecclesiasticae Subalpinae, e poneva Don Bosco, non solo tra i soci, ma anche tra i fondatori della medesima, ... ma di quell'onore, come abbiam accennato, nessuno dei nostri ne seppe nulla fino al 1885, quando l'abate Don Scolari, avendoli ritrovati tra le carte del defunto Segretario dell'Accademia, Don Paolo Capello, rimetteva a Don Rua i relativi diplomi, firmati e timbrati dall'Arcivescovo[150].
Comunque, il 19 aprile, II Domenica dopo Pasqua e, come notava Don Berto nel suo diario, “Festa solenne propter adventum D. N. Joannis Bosco ab urbe Roma”, Mons. Gastaldi celebrava la Messa della Comunità e dispensava la S. Comunione nel Santuario di Maria Ausiliatrice.
Alle 101/2 vi fu Messa cantata; e poco dopo entrava nell'anticamera di Don Bosco un uomo di bassa statura, che chiedeva di poterlo vedere, dovendo consegnargli un pacchetto e dirgli una parola. Venne ammesso, e, appena entrato, depose sul tavolino il pacchetto, dicendo che l'offriva per grazia ricevuta, e senza voler dichiarare chi era, [809] o da parte di chi veniva, se n'andò... Il pacchetto conteneva tanti biglietti di banca per la somma di 2000 lire!
A pranzo, insieme con i membri del Capitolo e i Direttori, Don Bosco volle alcuni benefattori, tra cui il Cav. Bacchialoni e il Cav. Lanfranchi, e coglieva l'occasione per presentare la Croce di cavaliere al sig. Balocco; quindi scese sotto i portici, dove alcuni alunni gli lessero cordiali composizioni in prosa e in poesia e vennero suonati vari pezzi di musica, con tanta gioia sul volto di tutti, che egli, nel dire in fine brevi parole di ringraziamento, dovette fare ogni sforzo per contener la commozione.
Quindi andò in chiesa, dove, dopo il canto del Te Deum, impartì la benedizione; e la memoranda giornata si chiuse con la recita del dramma:
Nelle conferenze che tenne ai Direttori, indubbiamente non mancò d'accennare quanto gli era costato il raggiungere l'approvazione delle Costituzioni, delle quali fece leggere l'esemplare; ma non ci resta nessuna memoria relativa a ciò che non deve aver mancato di notare riguardo alle aggiunte, alle soppressioni ed alle più importanti modificazioni, ivi apposte ed imposte dalla Congregazione Particolare, particolarmente per il Noviziato. Quindi è più che mai conveniente, e diciam pure doveroso, il fare un confronto della seconda edizione delle Costituzioni della tipografia di Propaganda, coll'esemplare definitivamente approvato.
Senza fermarci su minime correzioni di lingua e, talora, anche di sostanza, ma poco importanti, èccone una breve esposizione[151].
Prima di tutto venne cangiato il titolo: invece di Regulae Societatis S. Francisci Salesii, si pose CONSTITUTIONES Societatis etc.; e le prime pagine, stampate a mo' di prefazione in carattere corsivo, contenenti il Prooemium e il cenno De eiusdem Societatis primordiis, furono soppresse. [810]
Nel capo I, Huius Societatis finis, nell'art. 2° venne aggiunta la dichiarazione dell'esercizio delle virtù anche interiore, „praeter internas virtutes”, che, evidentemente per error di stampa, era rimasta soppressa nell'edizione del 1873; e negli articoli 3°, 4° e 6° vennero cancellati gli accenni particolareggiati agli Oratori festivi ed alle Scuole professionali già fiorenti, perchè quanto prima sarebbero divenuti frammentari, e quello della tipografia fondata nell'Oratorio fu sostituito con quello generico della diffusione della buona stampa.
Nel capo II, Huius Societatis forma, si fecero molte correzioni e modificazioni circa la conservazione e l'amministrazione dei beni particolari, mobili ed immobili, ed ecco le principali: vennero soppressi gli articoli 2° e 3°, dove si diceva che i soci, anche dopo fatti i voti, conservavano i diritti civili e potevano comprare, vendere, far testamento, ma finchè rimanevano in Società non potevano amministrarli se non nella forma permessa dal Rettor Maggiore, mentre i frutti dei loro beni sarebbero andati a vantaggio della Società, ma potevano, sempre col permesso del Rettor Maggiore, in parte ed anche integralmente, erogare ai parenti quei beni che si possedevano fuori di Congregazione; nell'art. 7° venne specificato che nessuno può esser sciolto dai voti, tanto temporanei come perpetui, se non colla dispensa della S. Sede, o per licenziamento della Società.
Nel capo III, De voto oboedientiae, furon tolti gli articoli 2° e 3° sul valore e sull'estensione del voto, e nell'art. 4° fu soppressa la dichiarazione: „Oboedientia nos certos reddit Dei voluntatem adimplere”; nell'art. 6° venne delineata la maniera di far di quando in quando il rendiconto della vita esteriore, particolarmente ai Superiori primari; e nell'art. 7° venne specificato che si deve obbedire senza niuna resistenza, nè di parole nè di fatti, „per non privarsi del merito dell'obbedienza”.
Nel capo IV, De voto paupertatis, fu interamente rifuso l'art. 1°, circa l'essenza del voto, riguardante tra noi l'amministrazione [811], non già il possesso; per cui, mentre è permesso di ritenere il dominio, così detto radicale, dei propri beni, n'è vietata l'amministrazione, nonchè il disporne a piacimento e l'uso; quindi, prima di fare i voti, bisogna cederne l'amministrazione, l'uso e l'usufrutto a chi si vuole, anche alla Società, sia pure a condizione di poter revocare tale cessione, quando si creda, ma sempre col consenso della S. Sede; e venivano imposte le stesse norme anche nei casi che un socio avesse qualche eredità, dopo aver fatto i voti; quindi furono soppressi gli art. 4° e 5° con la nota relativa; e in quattro nuovi articoli (il 2°, il 3°, il 4° e il 7°) venne dichiarato: - poter i Soci col permesso del Rettor Maggiore, disporre dei propri beni per atti tra vivi, - e collo stesso permesso compiere anche quegli atti di proprietà prescritti dalle leggi, - mentre qualunque cosa vengano ad acquistare, o colla propria industria, o in vista della Società, devono rifonderla a comune utilità della medesima; - e tutti devon vivere distaccati dalle cose terrene, il che procureranno di fare con una vita interamente comune, sia riguardo al vitto, come riguardo al vestito, e col non ritener nulla per sè, senza particolar permesso del Superiore.
Nel capo V, De voto castitatis, nell'art. 4°, ove si diceva d'evitare conversazioni pericolose con persone d'altro sesso e cogli stessi secolari, venne aggiunto l'avverbio maxime circa i colloqui con persone d'altro sesso.
Il capo VI, Religiosum Societatis regimen fu quasi interamente rifatto.
Dopo il 1° articolo se n'aggiunse un nuovo circa l'invio, da farsi ogni tre anni dal Rettor Maggiore alla S. Congregazione dei Vescovi e Regolari, di un ragguaglio relativo al numero delle case e dei soci, all'osservanza delle Costituzioni, ed allo stato economico della Società.
Il 2°, riguardante la convocazione del Capitolo Generale ogni tre anni, venne diviso in due articoli, ed in essi specificato lo scopo: cioè di trattare non solo degli affari più importanti, ma anche delle sollecitudini da usarsi che i bisogni della Società e i tempi e i luoghi richiedono. [812] E, tra i due articoli, ora accennati, venne trasportato l'art. 6° del capo VII, modificato alquanto, circa la facoltà concessa al Capitolo Generale di deliberare mutamenti ed aggiunte alle Costituzioni, purchè „omnino respondeant” allo spirito ed alla forma per cui furono approvate, e „si vera necessitas exigat”, qualora proprio la necessità l’imponga (gravi parole, sulle quali è doveroso riflettere!); e tali mutamenti e modificazioni, per i quali è richiesta la maggioranza assoluta di voti, non avranno forza deliberativa, finchè non abbiano l'approvazione della S. Sede.
L'art. 3° (6° nell'esemplare approvato), relativo all’esercizio del sacro ministero da parte dei Soci in piena sudditanza col Vescovo della Diocesi dove dimorano, venne ritoccato, ed espresso più nettamente cosi: „iuxta Sacrorum Canonum Praescripta, salvo Societatis Instituto, sive iis de quibus loquuntur Constitutiones ab Apostolica Sede approbatae”, evidentemente per interessamento di Mons. Vitelleschi, che sperava, così, di liberar la Pia Società dalle esagerate ingerenze di... qualche Vescovo!
Anche l'art. 4° (7° nell'esemplare approvato), venne ritoccato per dire, a quanto pare, che i Soci si sarebber anche adoperati con sollecita cura per aiutare il Vescovo locale, difenderne i diritti ecclesiastici, e promovere il bene della sua diocesi nel miglior modo ad essi possibile.
Diciamo a quanto pare, perchè le due copie manoscritte delle Regole approvate, tanto quella consegnata a Don Bosco, come quella ritenuta dalla S. Congregazione, evidentemente hanno qui un errore, leggendosi in esse „Episcopo Dioecesis auxilium praebeant, ac quantum licebit, Societatis iura, illius bonum sedulo promoveant...”[152].
In fine fu soppresso l'art. 5°, che riguardava le sacre Ordinazioni, essendosi deciso di concedere al Rettor Maggiore [813] la facoltà, ad decennium, di rilasciare le Dimissorie per tutti i professi perpetui.
Nel capo VII, Internum Societatis regimen, anzitutto venne aggiunto un articolo circa l'osservanza delle prescrizioni canoniche nell'alienare beni della Società e nel contrarre debiti; nell'art. 3° s'aggiunse che i Soci possono, „inconsultis Superioribus loci”, inviare lettere e scritti, oltre al Rettor Maggiore, anche alla S. Sede; fu tolto l'art. 5°, relativo alle Conferenze generali, che si tenevano ogni anno nella festa di S. Francesco di Sales, essendo stato prescritto il Capitolo Generale ogni tre anni; l'art. 6°, come abbiam detto, venne trasferito al capo precedente; e l'art. 8° ebbe alcuni ritocchi di forma, ma non di sostanza.
I capi seguenti, invece, ebbero tutti molti ritocchi importantissimi.
Nel capo VIII, De Rectoris Maioris electione, nell'art. 1° venne specificato che l'eligendo dev'essere dotato anche „di destrezza e prudenza nel disbrigo degli affari della Società”; nel 5° che gli elettori devono „tutti essere professi perpetui”; e nel 6° che resterà eletto, chi avrà ottenuto assoluta pluralità di voti.
Nel capo IX, De caeteris Superioribus, si fecero varie modificazioni:
a) tutti i membri del Capitolo Superiore (anche il Prefetto e il Catechista) verranno eletti, con pluralità assoluta di voti, come il Rettor Maggiore, purchè abbiano vissuto cinque anni nella Società, compiuti 35 anni d'età, ed emessi i voti perpetui; e, perchè possano compiere appieno il proprio ufficio, risiederanno d'ordinario insieme col Rettor Maggiore;
b) la loro elezione si farà ogni sei anni;
c) venne specificato che per le loro deliberazioni si richiede la maggioranza dei voti, quando queste hanno forza deliberativa: „quae vim deliberationis habent”;
d) e l'art. 9°, riguardante l'ufficio del Direttore Spirituale, venne sintetizzato. [814] Nel capo X, De singulis domibus, insieme con minime correzioni (come molte iniziali minuscole cangiate in maiuscole): venne soppressa, nell'art. 2°, ove si dice di non far nulla contro le leggi, la specificazione “ecclesiasticas aut civiles”; nell'art. 3° venne limitata la piena dipendenza al Superiore Ecclesiastico, cioè all'Ordinario, circa l'insegnamento, la disciplina e l'amministrazione temporale nelle nuove case d'educazione per giovinetti laici o per chierici già avanti negli anni „si... sit aperienda domus pro educatione puerorum laicorum vel clericorum, qui grandiori sint aetate”[153]; e in un nuovo articolo (il 4° dell'esemplare approvato) venne specificato che la „Società non può incaricarsi della direzione dei Seminari, senz'espresso permesso, nei singoli casi, della S. Sede”.
Nel capo XI, De acceptione vennero soppressi gli articoli 6° e 7°, dov'erano elencate le condizioni richieste per essere ascritti alla Pia Società, le quali in parte vennero apposte nel 1° articolo, e in parte in due nuovi (il 2° e il 5°), in questa sostanza: nel 1°: - gli aspiranti alla Società devono presentare le lettere testimoniali degli Ordinari prescritte dal Decreto della S. Congregazione dei VV. e RR. „Romani Pontifices” del 25 gennaio 1848, ed essere di tale sanità da poter osservare tutte le Costituzioni senz'eccezioni; e i laici, oltre le altre cose (praeter alia) che sappiano almeno il catechismo (saltem fidei rudimenta calleant); nel 2°: - per ammettere novizi aspiranti allo stato ecclesiastico, qualora abbiano qualche irregolarità, è necessaria la dispensa della S. Sede; nel 5°: - tanto nelle accettazioni di aspiranti alla Società, come nelle ammissioni alla professione, si osservino tutte le prescrizioni del Decreto “Regulari disciplinae” del 25 gennaio 1848.
Nel capo XII, De studio, l'articolo 1° venne rifatto così: [815] “I sacerdoti, e tutti i soci, che aspirano allo stato clericale, devono attendere seriamente almeno per due anni agli studi filosofici e per quattro anni a quelli ecclesiastici.
E si aggiunsero due articoli, il 4° e il 6° dell'esemplare approvato:
“Ad insegnare le scienze, tanto filosofiche, come ecclesiastiche, si scelgano di preferenza quei professori, soci o esterni, che primeggiano per condotta, per ingegno e per dottrina”:
“È da evitarsi diligentemente che i soci, finchè attendono agli studi prescritti dalle Costituzioni, non si applichino a quelle opere di carità proprie della Società Salesiana, ove non lo costringa la necessità, ciò non potendosi fare se non con grave danno degli studi”.
Nel capo XIII, Pietatis exercitia, con vari piccoli ritocchi, si fecero queste apposizioni: nell'art. 2° - dove venne soppresso il particolare che i sacerdoti “quando per affari non possano celebrare la S. Messa, procurino almeno d'ascoltarla”, e venne lasciato “la celebreranno ogni giorno”, - fu aggiunto che i chierici e i coadiutori procurino di ascoltare la S. Messa ogni giorno; e che i soci si confessino ogni settimana dai confessori „approvati dall'Ordinario e che compiono quell'ufficio per i soci con licenza del Rettor Maggiore”; nel 3°, invece di „non meno d'un'ora d'orazione vocale e mentale”, si mise „almeno mezz'ora di meditazione, oltre le preghiere vocali”; nel 7°, che non solo prima d'essere ammessi alla Pia Società, ma anche prima di fare i voti, si deve attendere per dieci giorni agli esercizi spirituali; inoltre venne soppresso l'art. 8°, nel quale si dava al Rettor Maggiore esplicita facoltà di dispensare, per un certo tempo, qualche socio dalle pratiche di pietà, qualora in Domino credesse di farlo; nell'articolo seguente veniva stabilito che alla morte d'ogni socio, laico, chierico o sacerdote, si celebrassero, dai nostri, dieci messe in suffragio dell'anima sua; e, in nuovo articolo, che alla morte del padre o della madre [816] di un confratello, tutti i sacerdoti di quella casa celebrassero in suo suffragio, e gli altri si accostassero, allo stesso scopo, una volta alla S. Comunione.
Il capo XIV, De Novitiorum Magistro eorumque regimine, fu il più corretto. Non sappiamo se la forma, in cui venne approvato, corrisponda pienamente a quella in cui venne rifatto da Don Bosco. Comunque venne approvato così:
Oltre la soppressione dell'art. 2° e dell'ultima parte dell’ 8°, e i ritocchi di lingua al 7° ed altri altrove, ebbe l'aggiunta di questi nuovi articoli, che riportiamo, seguendo la numerazione dell'esemplare approvato.
7. Il Rettor Maggiore, col consenso degli altri Superiori, esaminerà in quali case siano da stabilire i noviziati. Ma non potrà mai erigerli senza licenza della S. Congregazione dei Vescovi e Regolari.
8. Il luogo di ciascun noviziato sia separato da quella parte della casa ove dimorano i professi, ed abbia tante cellette per il riposo quanti sono i novizi, oppure un dormitorio così spazioso, ove si possano comodamente collocare i letti di ciascuno, ed in esso vi sia anche una celletta o un luogo speciale per il Maestro.
9. A Maestro dei Novizi sia eletto nel Capitolo Generale chi sia professo perpetuo, abbia compiuti trentacinque anni d'età e vissuto dieci anni nella Società. Se morrà durante il suo ufficio, col consenso del Capitolo Superiore il Rettor Maggiore ne eleggerà un altro fino alla convocazione del Capitolo Generale.
11. Nell'accettazione dei novizi si osservino esattamente tutte le cose stabilite negli articoli 1° e 5° del precedente Capo XI.
12. Nel tempo della seconda prova, ossia durante l'anno del noviziato, i novizi non attendano a nessuna delle opere proprie del nostro Istituto, affinchè possano applicarsi unicamente all'avanzamento nella virtù ed a perfezionare lo spirito secondo la vocazione, alla quale da Dio furono chiamati. Tuttavia, nei giorni festivi, potranno nella casa dove dimorano istruire i fanciulli nel catechismo, sotto la dipendenza e la vigilanza del Maestro.
13. Trascorso l'anno del noviziato, se il socio avrà mostrato [817] che in ogni cosa saprà zelare la gloria di Dio e il bene della Congregazione, ed avrà dato, insieme coll'adempimento delle pratiche di pietà, esempio di buone opere, l'anno della seconda prova si potrà ritener compiuto; altrimenti si prolunghi di alcuni mesi ed ancor di un anno.
In fine si precisava che il socio, durante il tempo della terza prova, cioè durante la pratica dei voti triennali, poteva esser inviato in qualsiasi casa della Congregazione, purchè vi si compiano gli studi.
Il Santo ebbe da Pio IX la facoltà di poter fare qualunque modificazione alle Costituzioni, qualora la ritenesse necessaria o conveniente al bene delle anime e quindi a maggior gloria di Dio, e già nella 1a edizione delle Regulae seu Constitutiones Societatis S. Francisci Salesii, approvate, nel capo XIV: De tyronum, sea novitiorum magistro, eorumque regimine, all'art. 12° (cfr. pag. 45) apponeva questa nota: “Pius Papa IX benigne annuit tyrones, tempore secundae probationis, experimentum facere posse de iis, quae in prima probatione sunt adnotata, quoties ad maiorem Dei gloriam id conferre iudicabitur. Vivae vocis oraculo, die 8 aprilis 1874”. E nella prima edizione in italiano, stampata nel 1875, in base a tale facoltà, poneva appena 7 dei 17 articoli del capo XIV, e precisamente i primi 3 e gli ultimi 4, così tradotti:
Degli ascritti ossia dei novizi.
1. Qualunque socio prima di essere ricevuto in Congregazione deve fare tre prove. La prima deve precedere il noviziato e dicesi la prova degli aspiranti; la seconda è quella appunto del noviziato, la terza è il tempo dei voti triennali.
2. Per la prima prova basterà che il postulante abbia passato qualche tempo in una casa della Congregazione, oppure abbia frequentato le nostre Scuole, mostrandosi costantemente fornito di buoni costumi e d'ingegno.
3. Se qualche adulto poi vorrà essere ascritto alla nostra Società e sarà ammesso alla prima prova, innanzi di ogni altra cosa farà alcuni giorni di esercizi spirituali, quindi almeno per qualche mese verrà impiegato nei vari uffizi della Congregazione, tanto che conosca e pratichi quella maniera di vita che desidera abbracciare.
4. Compito il noviziato ed accettato il socio nella Congregazione, [818] col parere del maestro dei novizi il Capitolo superiore può ammetterlo a fare i voti triennali. La pratica dei voti triennali costituirà la terza prova.
5. Nello spazio di tre anni, in cui sarà legato dai voti triennali, il socio può essere mandato in qualunque casa della Congregazione, purchè vi si facciano gli studi. E in questo tempo il Direttore di quella casa avrà cura del nuovo socio, come maestro dei novizi.
6. Durante tutto questo tempo di prove il maestro dei novizi, o il direttore della casa si studino di raccomandare e di ispirare dolcemente ai nuovi soci la mortificazione dei sensi esterni, e specialmente la sobrietà. Ma in tutto questo bisogna usare prudenza, perchè non indeboliscano di soverchio le forze dei soci, quindi non riescano meno atti a compiere i doveri della nostra Congregazione.
7. Terminate in modo lodevole queste tre prove, se il socio vorrà realmente perdurare in Congregazione coi voti perpetui, può essere ammesso dal Capitolo Superiore ad emetterli.
In fine nel paragrafo della Formola dei voti (Formula votorum) si tornò a ripetere che il novizio, prima di compiere la professione, deve attendere agli esercizi spirituali per dieci giorni (per decem dies); si soppresse l'esordio e in suo luogo si posero le parole: „In nomine Sanctae et individuae Trinitatis, Patris et Filii et Spiritus Sancti”; l'accenno al nome del Rettor Maggiore venne posto in forma diretta, e accanto, in forma indiretta, venne apposto quello del suo delegato: „et Tibi, N. N., Nostrae Societatis Superior, vel Tibi Eiusdem Societatis vices Gerens”; e, soppressi i tre ultimi periodi - che contenevano un generoso abbandono nelle braccia del Superiore, un'umile offerta a Dio del sacrifizio compiuto, e una preghiera alla Vergine Immacolata, a S. Francesco di Sales e a tutti i Santi del cielo per ottener la grazia di amare e servire in questa vita solamente Iddio e salire poi per sempre al Paradiso - la Formola venne chiusa con queste parole „secondo le Costituzioni della Società di S. Francesco di Sales”.
E veniva aggiunta la finale (Conclusio): „A tranquillità delle anime la Società dichiara che le presenti regole per sè non obbligano sotto pena di peccato, nè mortale, nè veniale: perciò se qualcheduno trascurandole sarà reo innanzi a Dio, ciò proviene non dalle regole direttamente, ma o dai comandamenti [819] di Dio e della Chiesa, o dai voti fatti, o finalmente dalle circostanze che accompagnano la violazione delle Regole, come il cattivo esempio, il disprezzo delle cose sacre e simili”.
Come abbiam visto, le varianti e le aggiunte suggerite e volute dalla Congregazione Particolare furono molte, ma per la premura e la squisita bontà del Segretario Mons. Vitelleschi, a tali condizioni si ottenne immediatamente l'approvazione del S. Padre, e in pochi giorni il lavoro fu compiuto. Ed ecco come Don Bosco ringraziava Monsignore, ponendolo fra „i più insigni nostri benefattori”.
È pervenuta tra noi la notizia della dolorosa catastrofe avvenuta intorno al computista di S. Pietro in Vaticano, di cui V. E. era tesoriere. Io ne ho provato il più gran dispiacere, pensando ai gravi disgusti e disturbi che tal fatto avrà certamente cagionato alla E. V. Reverendissima. Non possiamo fare altro che mandarle parole di rincrescimento ed assicurarla che abbiamo pregato e preghiamo tuttora la bontà del Signore che le conceda pazienza e rassegnazione ai divini voleri. Io son giunto a casa due giorni dopo la mia partenza da Roma, e giunsi inaspettato perchè, come più volte, le lettere spedite molto tempo prima giungono assai dopo il mio arrivo.
Ho trovato in questo Ospizio bona mixta malis. Il Sac. Provera, la cui malattia gravissima erami stata comunicata per telegrafo, non esiste più tra i vivi. Questa fu per me una grave perdita, sebbene l'attendessi da più anni stante il germe di malore che lo consumava. Ciò cagionò in tutti gran dolore; ma al mio arrivo” C'è Don Bosco!” fu una voce che mise tutti in movimento. Si dimenticò il morto e non si pensò più che a festeggiare il povero pellegrino. Sono però rimasto colmo di consolazione, quando parlai coi Direttori di tutte le case e trovai ogni cosa in uno stato così normale come se in quel giorno stesso fossi partito alla volta di Roma. Si lessero le Regole o meglio le Costituzioni approvate, e tutti benedirono il Signore, la Clemenza del Sovrano Pontefice, che con questo atto ci metteva in grado di promuovere senza impaccio la maggior gloria di Dio e il bene delle anime.
Fu allora che ho reso giustizia al merito e raccontai chiaramente, che se la nostra pratica potè condursi a così felice conclusione, noi siamo debitori a Mons. Vitelleschi, il quale dobbiamo scrivere fra i più insigni nostri benefattori, e fare ogni giorno particolari preghiere per la di Lei conservazione. Ora faremo stampare il testo delle Costituzioni [820], e appena sarà terminata la stampa, gliene manderò subito alcune copie per quell'uso che meglio crederà.
Ella mi farà un favore speciale, se darà di nostre notizie a quei di sua famiglia e farà a tutti gradire i sentimenti della mia più viva gratitudine, per la grande cortesia e benevolenza usatami nel tempo che fui a Roma.
Col cuore pieno di gratitudine dimando la sua santa benedizione, nell'atto che mi professo ora e sempre,
Abbia la bontà di dare compatimento alla povera mia vista: ho preso il foglio al rovescio, e senza badare, o meglio senza accorgermi, che era un mezzo foglio.
Della prima edizione delle Regulae seu Constitutiones Societatis S. Francisci Salesii, iuxta Approbationis Decretum die 3 aprilis 1874, abbiamo anche le prime e le seconde bozze, gelosamente conservate dal tipografo compositore Mario Baldacconi, che ce le consegnò poco prima di morire: le prime con moltissime correzioni dei professori Vincenzo Lanfranchi e Tommaso Vallauri, tutte di lingua e di stile, e varie anche di Don Bosco: le seconde, lette anche dal P. Innocenzo Gobio, Barnabita.
In Appendice (cfr. Num. VII e Num. VIII), riportiamo pagina per pagina, a sinistra l'esemplare approvato - che poi venne fatto stampare da Don Rua nel 1900 - a destra l'edizione che se ne fece nel 1874, mettendo in corsivo tutte le correzioni che vi furono poste, correzioni di lingua e stile, accettate da Don Bosco, col permesso di Pio IX, che gli aveva concesso ogni facoltà vivae vocis oraculo.
Abbiamo anche uno dei primi esemplari stampati, con molte preziose postille ivi apposte dal S. Fondatore, evidentemente nello spiegar le Regole ai Confratelli, e le riportiamo in Appendice[154] limitandoci qui a trascrivere le prime due, che illustrano il primo e il secondo articolo del capo I: Salesianae Societatis finis:
“Sanctificatio sui ipsius, salus animarum per exercitium [821] caritatis, en finis nostrae Societatis. Qua in re summopere cavendum est ne unquam in officiis erga alios fungendis praeponantur nisi illi, qui virtutibus vel scientia calleant quas alios docere satagunt. Melior est magistri deficientia, quam ineptitudo”.
“Itaque si faciunt aliter quam alios doceant, illis dicitur: Medice, cura te ipsum”.
- La nostra Società ha per fine la santità di quanti la compongono e la salvezza delle anime coll'esercizio della carità. Qualunque ufficio abbiano, i Salesiani debbono insegnare la via della virtù; quindi è sempre meglio un maestro anche da poco, che uno inetto, perchè chi non facesse quello che insegna, si sentirebbe dir da tutti: - Cura te stesso!
In sostanza, è un commento delle parole che rivolgeva spesso ai confratelli: - Salve, salvando, sàlvati!
In modo veramente straordinario la mèta era dunque raggiunta, ma le opposizioni e le difficoltà che Don Bosco doveva ancor incontrare, come Rettor Maggiore della Pia Società definitivamente approvata, erano appena sul principio.
Ai primi di maggio mandava Don Rua a presentare all'Arcivescovo il Rescritto delle Dimissorie assolute ed a pregarlo d'ordinare i chierici Cesare Chiala e Matteo Ottonello. Il Teol. Chiuso portò il Rescritto a Monsignore che voleva ritenerlo; Don Rua osservò che aveva l'incarico di farlo semplicemente vedere, e l'Arcivescovo non gli diede udienza. Don Bosco gli scriveva:
Don Rua mi comunicò da parte della E. V. R.ma che prima di profferire il suo parere intorno all'ammissione agli Ordini Minori dei miei due proposti vuole che del Decreto di concessione per le dimissorie esista atto autentico nella Curia Arcivescovile.
A questo riguardo io ho avuto a Roma istruzioni verbali del tenore seguente. [822] Se l'Arcivescovo di Torino, cogli altri Vescovi non fu mai difficoltà a questo riguardo, vuole vedere l'originale del Decreto, ne dia visione semplicemente, ma non lo lasci in mano di altri. Riguardo poi alle costituzioni, se ne vuole copia gliela faccia tenere appena siano stampate. Se poi vuole che tale copia sia autenticata si mandi alla Congregazione de' Vescovi e Regolari, dove confrontata col vero originale che qua si conserva, si autenticherà e gli sarà inviata.
Io mi raccomando che ci aiutiamo per diminuire i dispiaceri che ne abbiamo già ambedue assai altronde senza accrescerne di nuovi.
La prego rispettosamente di fare una sola parola di risposta al medesimo Don Rua e di persuadersi che mi sono sempre adoperato di farle del bene mentre ho l'onore di professarmi,
PS. Sarei volentieri passato in persona ma alcuni impegni mi chiamano a Genova.
Don Rua tornò in Arcivescovado recando la lettera, e vi riandò ancora due volte, sempre chiedendo udienza e mai ottenendola; e le Ordinazioni restarono sospese. E Don Bosco lo comunicava a Mons. Vitelleschi, come risulta da una sua minuta:
Il timore della continuazione delle difficoltà presso al nostro Arcivescovado, specialmente per le ordinazioni dei Chierici si è purtroppo verificato. Dico coll’Arcivescovo di Torino, giacchè con quarantaquattro altri vescovi con cui siamo in relazione abbiamo da tutti benevolenza ed appoggio. Affinchè V. E. possa avere giusto concetto delle cose, credo opportuno di notare come Mons. Gastaldi finchè fu canonico prima e dopo l’uscita dai Rosminiani si professò zelante collaboratore de’ nostri oratori maschili. Fatto Vescovo di Saluzzo ci protesse con tutto zelo. Creato Arcivescovo di Torino continuò per qualche tempo a dimostrarsi assai benevolo, e come tutti gli altri Ordinarii ammise più volte i nostri chierici alle ordinazioni. Ma dieci mesi dopo cangiò contegno.
Tralascio molti fatti che ad altra materia si riferiscono: qui parlo soltanto delle ordinazioni. Cominciò a dire che non intendeva ammettere alcun nostro Chierico alle ordinazioni, se prima no si sottoponessero agli esami di Teologia da una commissione da lui delegata. È questa una novità nei nostri paesi; giacchè i Vescovi sono soliti rimettere gli ordinandi all’esame dei rispettivi superiori. [823] Ciò non ostante ho tosto aderito ed inviati i miei Chierici ai voluti esami: allora l'Arcivescovo soggiunse voler egli stesso quaranta giorni prima esaminare la vocazione; l'epoca della loro entrata in Congregazione; quali voti avessero fatti; dove avessero percorsi i loro studi inferiori, dove i superiori; per qual motivo volevano abbandonare la diocesi per aggregarsi ad una Congregazione, etc. etc.
Era questa cosa insolita che disturbava non poco le vocazioni dei nostri allievi.
Tuttavia mi sono sottomesso, e, facendo venire assai di lontano gli ordinandi, li presentai allo scrutinio voluto. Si professò soddisfatto di tutti, ma non si vollero più ammettere altri alle Ordinazioni. - Queste cose, egli diceva, bastano per gli allievi, ma non pel superiore. Io voglio che il superiore dichiari in modo formale che per l'avvenire in niuna delle sue case sia per accettare alcun Chierico o Sacerdote che abbia appartenuto al clero Torinese.
A tale domanda, sebbene oltre il diritto, volli accondiscendere, ma nella dichiarazione specificai che questa dichiarazione s'intendeva fatta in modo che in niuna cosa offendesse le prescrizioni dei sacri Canoni emanati per tutelar la libertà delle vocazioni religiose.
Dispiacque questa clausola, e non volle saperne di ammettere i candidati alle ordinazioni.
Fatte altre simili domande rispose che egli disapprovava i voti triennali, non riconosceva alcuna autorità nel Superiore della Congregazione Salesiana.
Fu provato che le dimande fatte erano in conformità del decreto di approvazione 1 Marzo 1869, la cui copia esisteva presso la Curia Arcivescovile, e altra copia colle Costituzioni era stata rimessa in proprie sue mani Egli soggiunse che di niente si ricordava; e che perciò gliene fossero mandate altre copie. Fu nuovamente supplicato: ma non mai rispose. Intanto passarono due anni senza voler, con grave disturbo e danno della Congregazione, ammettere alcuno alle ordinazioni. Dopo la definitiva approvazione delle Costituzioni gli venne ogni cosa partecipata, dipoi rinnovata la dimanda per le ordinazioni. Rispose non volersi piegare fino a che non avesse veduto il decreto di concessione delle dimissorie. Glielo presentai; lo lesse e poi soggiunse non volersi pronunciare nè pel sì, nè pel no, fino a che di quel decreto, portato in Curia Arcivescovile, ne fosse fatta copia autentica.
Fu osservato allora tal cosa essere contro a ciò che suole farsi negli ordini religiosi e nelle congregazioni ecclesiastiche, dover bastare darne visione a chi di ragione; tanto più che due rescritti di questa specie essere già stati presentati, secondo le fatte richieste, alla Curia Eccles., ed andarono smarriti con nostro vero disturbo, senza mai più poterne avere notizia di sorta.
Stando egli sempre sulla negativa, ho giudicato bene di dirgli [824] che io era autorizzato a dare visione a chi di mestieri, ma non di darne copia ad alcuno. Stette egli sempre sulla negativa.
Lo pregai, lo supplicai a non aumentare i dispiaceri in mezzo ai molti che ambidue abbiamo da altre parti. Non modificò la sua risoluzione.
La E. V. può di leggieri comprendere di quanto danno e scoraggiamento sia un tale contegno per una Congregazione povera e nascente. Almeno se ne sapesse la cagione. Ma niuno la potè sapere.
Questa è la semplice esposizione dei fatti che qui ho brevemente scritto dopo essermi messo alla presenza di Dio e cogli occhi rivolti al Crocifisso.
Ora fo umile preghiera alla E. V. di voler comunicare questa mia posizione al S. Padre o a chi ella giudicherà e a darmi una norma e consiglio da seguire. Non sarebbe troppo ardita la dimanda delle dimissorie ad quemcumque episcopum?
Si degni di compatire il gran disturbo che le cagiono e di credermi colla più profonda gratitudine etc.
Ho letto e ponderato la sua lettera, e dovendo, come Ella mi chiede, dare un mio parere sul da fare, io crederei che per ora l'unica cosa da farsi sarebbe il consegnare a Mons. Arcivescovo come documento da conservarsi in Curia, un esemplare autentico del Rescritto ottenuto dalla S. Congr. VV. RR di poter lasciare le dimissorie per un decennio a favore dei socii del suo istituto, onde essere promossi alle ordinazioni. S'ella si attiene a tale partito non avrà che a far domandare alla Segreteria della detta S. Congr. un duplicato per passarlo all'Arcivescovo. Forse Ella dirà tra se medesimo che di tale guisa s'aderisce a ciò che quel Prelato vuole. Non v'è dubbio che è così, ma io ritengo che abbia diritto d'esigere tale documento; e difatti se l'Ordinario ha da ricevere le dimissorie del Superiore Ecclesiastico della Congr. Salesiana e quindi ammettere i presentati adesso ed in futuro, servatis servandis, bisogna che a lui consti in modo legale e canonico che l'Istituto suo ha ottenuto dalla Santa Sede privilegio siffatto. Ed in quale modo può a lui canonicamente constare se non esibendo e depositando nella Curia la concessione autentica fatta dalla S. Sede per mezzo del succhiamato rescritto? Dopo la quale esibita nessun Ordinario può allegare ignoranza di quel privilegio, nè disconoscere il diritto del Superiore Generale a rilasciare le dimissorie di cui si tratta. Sono sicuro che fatto ciò cesserà ogni [825] ragionevole opposizione della Curia Torinese su tale articolo; se poi ne farà taluna irragionevole, la S. Congregazione è sempre per sostenere le grazie ed i diritti conceduti dalla S. Sede.
Ecco tutto ciò che m'affrettavo di replicargli a riscontro della ultima sua lettera, dopo di che con l'usata stima mi ripeto
+ VITELLESCHI, Arciv. di Seleucia.
Ossequente, Don Bosco chiese senz'indugio il duplicato del Rescritto, e mentre lo stava attendendo per inviarlo all'Arcivescovo riceveva un monito senz'alcun fondamento:
S. E Rev. Monsignor Arcivescovo mi incarica di scrivere a V. S. che essendo informato, come ella stia pubblicando con le stampe certe lettere di esso Monsignore, questi è altamente maravigliato che si faccia tale pubblicazione senza averne prima domandato ed ottenuto il suo permesso. Esso Mons. nello scrivere lettere a V. S. o riguardo a V. S. non ebbe mai l'intenzione che queste fossero esposte al pubblico per la stampa, e quindi non potrà a meno di farne gravissima lagnanza se V. S. non si trattiene da tale pubblicazione, senza che esso Mons. conoscendo di quale lettera si tratti, dia per iscritto il suo positivo consenso.
Sono sempre con perfetta stima
E il Santo, avendo ricevuto il duplicato del Rescritto, lo mandava all'Arcivescovo insieme con quest'esplicita dichiarazione
Non so chi abbia mai immaginato che io abbia stampato o stia stampando lettere di Mons. nostro Arcivescovo. Ti prego di volerlo da parte mia assicurare che è rigorosamente proibita ogni stampa senza revisione Ecclesiastica, tanto più se trattasi di lettere dell'Arcivescovo. Niente perciò a questo proposito fu stampato che abbia relazione con quanto sopra.
Secondo la prescrizione della S. C. dei Vescovi e Regolari fu fatto un duplicato autentico delle nostre dimissorie, che prego pure a voler trasmettere al medesimo, oppure alla Curia Arcivescovile. [826] Quando puoi travedere qualche cosa, abbimi la carità di dirmelo che così potrò dare schiarimenti e impedire male intelligenze, come pur troppo è già tante volte avvenuto.
Dio ci conceda la sua grazia e credimi con perfetta stima,
Sac. Gio. Bosco[155].
Ma l'Arcivescovo, mentre dicevasi soddisfatto della dichiarazione e affermava aver letto con piacere il Rescritto, tornava a protestare:
Ho comunicato a S. E. Rev.ma Mons. Arcivescovo la lettera della S. V. ed esso si mostrò soddisfatto del suo contenuto, e lesse con piacere lo scritto della S. Congregazione dei VV. e RR. riguardante la S. V. Nulladimeno Monsignore seppe da persona degna di fede, che qualche scritto suo posto in mano di V. S. è già dato od è per darsi alle stampe. Ora esso Mons. nuovamente dichiara, che non diede mai a V. S. nè mai pose in mano di altri qualche scritto che la riguardi, qualunque possa essere la forma di tale scritto, con intenzione che esso scritto o parte di esso fosse pubblicato per mezzo della stampa.
Perciò Monsignore spera che V. S. osserverà rigorosamente le sue intenzioni su questo punto; che altrimenti ne proverebbe gravissimo dispiacere, e ne muoverebbe alta lagnanza. Mi rinnovo coi sensi di piena considerazione, e raccomandandomi alle sue orazioni,
Don Bosco, apponendo anche su questa lettera la postilla: “Fu risposto la seconda volta non aver mai sognato tale stampa”, tornava a ripetere pazientemente:
Mi cagionò viva sorpresa la tua lettera in cui mi si conferma constare a S. E. Rev.ma che io stia pubblicando lettere da lui scritte.
Bisogna che abbia dati ben sicuri di non ammettere le mie asserzioni. Io dico adunque che non ho mai nè pensato, nè sognato di [827] dare alle stampe alcuni scritti di tal genere. Credo una delle solite cose che non hanno altro appoggio che la mala intelligenza. Desidero avere un solo argomento che provi il contrario; ma questo niuno il potrà certamente produrre.
Abbi pazienza, caro Teologo, e se giudichi opportuno, assicura S. E nel senso che ti scrivo e prègalo da parte mia a dirmi le cose per suo nome, e ciò sarà per me una vera carità, mentre con gratitudine mi professo,
A quanto pare la cosa andò così. Mons. Galletti, Vescovo d'Alba, ebbe un colloquio con Don Bosco dopo l'approvazione delle Costituzioni, nel quale questi gli fece vedere anche la Positio, cioè la Consultazione per la Commissione Cardinalizia che ne compì l'esame, ove, come s'è detto, si leggevano, due lettere di Mons. Gastaldi; e il Vescovo d'Alba, che venerava e amava tanto Don Bosco, rimase stupito nel veder le condizioni poste dall'Arcivescovo per l'approvazione e ritenne conveniente di farne a Sua Eccellenza un accenno alla lontana per cercar di mitigarlo e renderlo favorevole, prendendo lo spunto... dal tenore di certe lettere stampate!...
Il prudente tentativo non servì a nulla; anzi fu causa indiretta di nuove seccature.
Nello stesso mese venivan presentate all'Arcivescovo le bozze dell'inno composto da Don Lemoyne, per la festa del 24 giugno, un'ode allegorica, di gusto biblico, nella quale il nostro S. Fondatore, qual novello Mosè, sale il Sion dove scende dal cielo un angiol di Dio, Pio IX, che gli consegna la nuova legge, ... le Regole per la Società Salesiana; e l'Arcivescovo rinviava le bozze all'Oratorio con questa dichiarazione, scritta di sua mano:
“Non se ne impedisce la stampa, ma se ne biasimano le esagerazioni, che non potranno mai riuscire ad alcun bene”[156]. [828]
In agosto, per mezzo di Don Rua, Don Bosco pregava l'Arcivescovo ad ammettere uno dei nostri all'esame per le sacre Ordinazioni, da conferirsi in settembre, cioè di lì a quaranta giorni, e giungeva all'Oratorio questa risposta:
S. E. R.a martedì mattino attende il giovane ordinando munito di attestato dei voti perpetui fatti, degli studii compiti, degli ordini già ricevuti, e dichiarazione della Diocesi a cui appartiene (questa fatta solo da te).
PS. - Tante grazie della commissione fatta ieri.
Ciò voleva dire che il chierico si presentasse per l'accennato esame di vocazione.
Di quel mese sorgeva un altro contrasto. Per accontentare alcuni bravi professori e maestri ed aiutar altri a riformare la loro condotta, Don Bosco stabiliva di tener per loro un corso di esercizi spirituali nel collegio di Lanzo, nella prima metà di settembre, e stampava e spediva a quanti riteneva potesse tornar ben accetto, quasi tutti ex - allievi, quest'invito:
pei Signori Professori e Maestri di scuola.
Non pochi rispettabili professori e maestri di scuola hanno più volte manifestato desiderio di fare alcuni giorni di Spirituali Esercizi, ma ciò non poterono effettuare a motivo del laborioso e continuo loro uffizio d'insegnanti, che lungo l'anno li tiene occupati. Fu pertanto giudicato opportuno di scegliere il tempo delle vacanze per soddisfare a questo sentito bisogno con apposita muta di Spirituali Esercizi nel Collegio Convitto di Lanzo. Lo spazioso edifizio, la salubrità del clima fanno sperare che a tutti tornerà amena questa dimora. Comincieranno al 7 e termineranno il 12 del Settembre. Chi volesse prendervi parte ed approfittare della Ferrovia Torino - Ciriè avrebbe qualche agevolezza e la partenza sarebbe pel convoglio delle 8, 30 mattino di quel giorno. [829] Coloro che desiderassero corrispondere a questo invito sono pregati di trasmettere Nome, Cognome e dimora con lettera al sottoscritto, affinché per tempo si possano dare gli opportuni provvedimenti.
Uno di questi inviti andò a finire in mano del Teol. Margotti, e il 23 agosto l'Unità Cattolica annunziava il sacro ritiro per secolari:
Un po' di ritiro per i secolari. - Nel collegio - convitto di Lanzo, per cura dell'infaticabile Don Bosco, si darà una muta di esercizi spirituali, dal 7 al 12 prossimo venturo settembre, onde aderire al desiderio di non pochi professori e maestri, di scuola, ai quali non resta altro tempo che questo delle vacanze per un po' di ritiro. Chi desiderasse prendervi parte, si rivolga per lettera al sacerdote Giovanni Bosco, a Torino. Partendo con la ferrovia Torino - Ciriè si avrà qualche agevolezza sui prezzi.
E l'Arcivescovo immediatamente ammoniva Don Bosco che quegli esercizi non si potevan tenere senza il consenso dell'Autorità Ecclesiastica; per cui, sebbene egli fosse pronto a concedere tale facoltà, riteneva suo stretto dovere l'esigere che non venissero pubblicati tali inviti senza il suo permesso, e in pari tempo chiedeva il nome dei predicatori.
Don Bosco, per troncar la questione, essendo ancor minimo il numero di coloro che gli avevano dichiarato di prender parte al sacro ritiro, faceva noto a questi che non si sarebbe più tenuto, e comunicava la decisione all'Arcivescovo, senza far cenno del nome dei predicatori, dal momento che gli esercizi non verrebbero più predicati.
Monsignore non si quietò, e continuò a cercar notizie a destra e a sinistra, non cessando di ripetere che quella disposizione era un'insubordinazione all'autorità vescovile, tanto più che quasi tutti i maestri delle scuole elementari erano sacerdoti!..., e l'eco di coteste dichiarazioni giunse all'orecchio di Don Bosco, il quale, pregandolo di lasciarlo parlar un momento “col linguaggio del cuore”, lo supplicava a desistere da tanti cavilli: [830] Eccellenza Reverendissima,
L'oculatezza, con cui la S. V. R.ma veglia sull'andamento della povera nostra Congregazione, dimostra che vuole esatta osservanza delle regole della medesima, e delle prescrizioni Ecclesiastiche, e ciò non può farci che del bene, e tenerci veglianti sui nostri doveri, della quale cosa La ringraziamo di tutto cuore. Vi sono però certe cose ch'io non so ben capire se siano secondo lo spirito della Chiesa, e se possono tornare ad altri di qualche vantaggio.
Non parlo delle frequenti lettere private scritte a nostro conto; non della insistenza con cui mi rimproverava la stampa, di alcune lettere di V. S., cosa che non mi è mai passata nella immaginazione; parlo soltanto della lettera che mi faceva scrivere il 23 scorso agosto intorno agli esercizi spirituali progettati e da farsi nel nostro collegio di Lanzo, per la sola ragione che la publicazione fu fatta a mia insaputa senza alcuna mia ingerenza, ed in epoca che era deciso che quegli esercizi non avrebbero più avuto luogo; pare ciò basti a togliere ogni idea di opposizione all'autorità Ecclesiastica. Fra le altre cose ivi dice: Tali esercizi non si possono fare se non col consenso dell'Autorità Ecclesiastica. Non so dove si trovi somigliante prescrizione. Conosco le disposizioni del Concilio Tridentino (sess. V, C. 2), e quelle della Sacra Congr. dei Vescovi e Regolari secondo le quali i predicatori Religiosi non approvati per la predicazione devono in certi casi chiedere la licenza, in altri chiedere la Benedizione dell'Ordinario. Non ignoro quanto prescrivono le Costituzioni Sinodali pubblicate per cura della S. V.; ma tutte queste ordinazioni riguardano alle chiese pubbliche, e in questi casi mi sarei certamente uniformato; anzi prima di cominciare la predicazione non avrei mancato di fare quanto la sola convenienza richiedeva.
Ma nel nostro caso si tratta soltanto di alcuni maestri che desiderano raccogliersi in un collegio, e colà invece di trattenersi in altro, occupare una settimana negli esercizi spirituali. È pur vero si noti, che i nostri preti sono approvati dalla E. V. Rev.ma per la predicazione. Che fin dai primi tempi dell'Oratorio l'Autorità Ecclesiastica concedeva la facoltà di fare a piacimento tridui, novene, esercizi spirituali nelle chiese o cappelle degli Oratorii. Nel marzo 1852 con apposito Decreto si concedevano tutte le facoltà necessarie ed opportune a questa istituzione. Di queste cose esiste l'originale in Curia; una copia l'ho portata io stesso in mano dell'E. V. - Monsignor Riccardi confermava tutte queste facoltà, e la E. V. nel concedere alcuni diritti parrocchiali alla chiesa di Maria Aus. assicurava che con quelle concessioni non intendeva derogare a cosa alcuna di quanto era già stato concesso da' suoi antecessori.
Per queste ragioni più volte all'anno si diedero spirituali esercizi a Torino, a Moncalieri, a Giaveno ed a Lanzo senza mai ricorrere [831] all'Autorità Ecclesiastica. La stessa V. R., quando era soltanto Canonico, li ha più volte con zelo predicati qui in Valdocco e a Troffarello, ma nè V. S. nè io non dimandammo alcun permesso. E facendo ora quanto si suole fare da tanti anni, io era intimamente persuaso di non intraprendere cosa che potesse essere contraria alle canoniche prescrizioni e agli Ordini sempre rispettabili della E. V.
Prima che ricevessi la sua lettera, da varie fonti mi si andava amplificando il risentimento mostrato da Lei cogli uni e poi cogli altri, ma sempre con cattiva interpretazione quasi voglia incagliare il bene dei fedeli. Molte cose che si riferiscono a me ed a V. E., sono esagerate e stortamente interpretate dalla pubblica opinione, ossia da chi vive denigrando la vita altrui. Ora io la prego di lasciarmi parlare un momento col linguaggio del cuore. Mi pare che al tribunale del Signore la E. V. ed io, che vi sono assai più vicino, saremmo molto più contenti, se lasciando a parte le sollecitudini del meglio, ci mettessimo a combattere il male e promuovere il bene e facessimo ritornare quei tempi in cui ogni idea del povero Don Bosco era per Lei un progetto da mettersi in esecuzione. Non si scrivessero lettere or qua or là con cui altro non si fa che aumentare i dispiaceri, e somministrare appiglio di biasimo e di scherno ai nemici della Religione. Non sarebbe meglio che Ella scrivesse non vagamente, ma in modo concreto e specificato, quello che desidera da questa povera Congregazione, i cui soci lavorano con ogni sforzo pel bene della Diocesi a Lei affidata dalla Divina Provvidenza? Ed inoltre si lasciasse per sempre sepolto il pensiero che taluno follemente vorrebbe in Don Bosco supporre, cioè ch'egli voglia dominare in casa altrui? Ho scritto con intenzione, nè di offendere, nè di recare dispiaceri alla S. V., ma se mai qualche involontaria espressione potesse tornarle sgradita, Le ne domando umile scusa.
In questa casa abbiamo sempre pregato e continuiamo a pregare per la conservazione della preziosa di Lei sanità; e pieno di fiducia che conosca il povero scrivente, l'assicuro quale fu e sarà sempre,
L'Arcivescovo restò ancor più disgustato, e continuando a ripetere a tutti questo e quel motivo per cui aveva da Don Bosco tanti dispiaceri, anche nello scrivere a Mons. Galletti per affari, in foglio a parte, esponeva il disgusto provato per le lettere stampate e per gli esercizi spirituali indetti senza suo permesso; e il caro Vescovo d'Alba gli faceva questa bella, schietta e dettagliata risposta. [832]
Tutto per Gesù, Maria, Giuseppe!
Monsignor Arcivescovo mio Vener.mo e Carissimo,
Non il primo foglio della tua pregiatissima lettera, che mi recò tanto piacere e lume, ma il secondo, che vi annettesti sulle tue relazioni col Sig. Don Bosco, fècemi penosa impressione, e per 2 motivi capitali: 1° perchè sembra che da esso trapeli un qualche tuo dubbio intorno all'animo mio, quasicchè io sappia che il Sig. Don Bosco parli male di te; ed anzi io tolleri colloquii suoi avversi a te, od anche solo meno rispettosi; e quindi, io mi sia dichiarato più per la parte di lui, che non per quella del mio amatissimo Arcivescovo; 2° perchè, purtroppo, si raccoglie da quelle pagine che mi scrivi, che non sono ancora migliorate per nulla le relazioni della Diocesi e di chi con tanto zelo la regge, con quelle del pio Instituto di Don Bosco; talchè la infelice differenza, ed il poco edificante screzio, sussiste tuttora.
Quanto al 1° oso affermarti una cosa sola in mia difesa; ed è che forse non hai nè Prelato, nè Vescovo, nè prete, nè laico al mondo, che tanto ti rispetti, ti ammiri, ti veneri, ti ami e goda d'inspirarsi alle tue tracce, ed abbia in ogni tempo fatto, detto, scritto e caldeggiato tutto ciò che era in suo potere, per ingenerare all'orecchio e all'animo altrui i profondi indelebili sentimenti che professa verso di te. Quanto al secondo ti osservo in Domino, che egli è appunto per il vivo, grande, ossequiosissimo amore che ti porto, che avrei voluto e vorrei conoscere modo da poter cessare da te ogni disturbo, ogni urto, ogni strazio del cuore, qual mi dici soffrire a fronte dello spirito d'indipendenza, cui ti pare di discoprire e dover far giusto appunto nell'Opera, nell'andamento della Congregazione nascente di Don Bosco, ed in lui segnatamente, suo Fondatore e Capo attuale. Ed è questo unico fine (intorno a cui in 1° luogo, di proposito, m'interpelli) che mi guidò ed incoraggiò nella ultima personale mia visita a dirti alcune parole sul vero stato presente della prefata Congregazione: quello, cioè, di metterti al chiaro, da una parte, di alcuni documenti esaminati da me nella camera di Don Bosco, e dall'altra, di ben afferrare, se mi fosse stato possibile, le varie cause di tua disapprovazione dello spirito dell'Instituto e di offerire e prestare l'opera mia perchè fossero tolte di mezzo. A me pare che non vi ebbi neppure per sogno altro fine meno retto e meno amichevole.
Venendo poi alla seconda tua interpellanza, ti rispondo che non ho veduto veruno scritto tuo in atto di stamparsi dalla tipografia di Don Bosco; sibbene ho veduto in mano di Don Bosco di tue scritte a lui pervenute da Roma, stampate coi tipi della Congregazione de' [833] Vescovi e de' Regolari (se non m'inganno), nelle quali tu opponi per disteso le tue osservazioni contro certi punti delle Costituzioni vitali dell'Instituto suo; p. es. quella dove tu dici di non saper approvare il difetto, in quella casa, di un tempo e luogo apposito per il Noviziato, mentre i figli di S. Vincenzo, di S. Ignazio lo hanno, ecc.; così quella in cui vorresti emendati certi articoli, che ti sembrano ledere qualche poco, od intralciare la giurisdizione del Capo dell'Archidiocesi; ed intanto metti innanzi, se ben mi ricordo, quali dovrebbero essere, a tuo giudizio, le essenziali ed organiche forme de' nuovi Instituti del giorno perchè rechino stabile vantaggio alle Chiese presso cui sono fondati e vi si propagano.
Queste lettere stampate, io m'immagino che abbiano dovuto formare parte degli atti della Causa e del processo verbale che si fece presso quella S. R. Congregazione affin di giudicare del prò e contro de' disegni di Don Bosco, e del suo motivato ricorso alla S. Sede per ottenere la generale e speciale approvazione dell'Instituto suo. Perciò furono fatte di pubblica ragione. Ma sembra ora fuori di ogni dubbio, che la conclusione finale, la sentenza decretoria sia spiccata in favore di Don Bosco, essendomi pur passato sotto agli occhi, ed avendo letto, come parmi ti avessi accennato nella mia visita, un Decreto illimitato del Santo Padre, in poche parole sì, ma in formole chiare di piena approvazione. Ed ecco il perchè, da buon amico, io mi prometteva di dirti che tu facessi attenzione e ti guardassi dal non approvare insomma quello che ora sarebbe già dalla S. Sede benedetto e approvato.
Se non chè avverti bene: io sono privo ormai di memoria; e ieri l'altro per mancanza di questa mi ebbi a togliere gran motivo di indelebile confusione in Cherasco, su di un palco della Madonna del popolo, festeggiata colà da oltre 300 anni, sul quale volli dire due parole al cospetto di tutto il clero cittadino e di straordinaria moltitudine di ogni ordine di laici. Deo gratias! Non far caso adunque dei miei particolari cenni, sovra esposti, così a mira del naso.
È un fatto incontrastabile, che Pio IX vede molto di buon occhio l'Instituto di Don Bosco e il suo Fondatore; e non è nuovo, no, a certe eccezioni ad essolui favorevoli e non le isgradisce, se pur egli medesimo non si degnò di suggerirle motu proprio.
È un fatto che malgrado i biasimi dell'Instituto, che gli si fanno e gli si possono giustamente fare come ad opera umana, ottiene un meraviglioso attecchimento, ed il generale suffragio, e le copiose benedizioni dei popoli e di molta parte eletta del clero; è pur di fatto che per quello si operò già un gran bene ne' borghi, nelle città e nelle famiglie, e che se ne può sperare almeno altrettanto per l'avvenire.
Per altra banda niuno contesta, tutti sanno e plaudiscono che tu abbia prodigato all'Instituto ogni maniera di favori, da semplice Sacerdote, da Vescovo di Saluzzo, e tanto più da Arcivescovo di Torino. [834] Nemmeno li ignora o li nega il Don Bosco; chè, anzi, me ne fece già più volte gratissimo vivo cenno.
Dunque, non si vada più per le lunghe in questo stato di cose anormale e spiacente, inoltrando pietre a percuotere frasi, o fatti particolari dell'uno o dell'altro, che forse talvolta sono scusati da innocenti cause a noi per avventura ignote, ovvero, prima di pervenire a noi, si alterano più o meno, e ci compaiono, senz'addarcene, travisati. Armati piuttosto di tutta la benignità e tolleranza di un S. Francesco di Sales; manda a chiamare Don Bosco; prègalo a farti palese ogni volontà Pontificia a riguardo del suo Instituto; esamina ogni cosa con la tua illuminata saviezza e pacatezza; rassicuralo che quale il Papa su tutte le sue Case aperte già in varie Diocesi, tale vuoi esser tu per quelle che sussistono nella tua Archidiocesi, cioè, pronto a benedirle vieppiù, a proteggerle, a favorirle del meglio che potrai, senza pregiudizio però de' inviolabili doveri e diritti che essenzialmente ti spettano, e del bene della tua greggia. Fàgli pure, con santo vigore, tutte le tue rimostranze (per es.: quella recentissima sul suo inesplicabile silenzio intorno ai predicatori degli Esercizi esteri di Lanzo), contro il suo apparente spirito d'indipendenza; ma per amore di Dio, non gli negare, in charitate Dei et patientia Xti, che ti esponga col suo lento fare e parlare in tutta la loro ragionevolezza i motivi speciali onde a lui pare di poter scusare i fatti suoi. Nè tammeno converrà rinfacciargli che egli siasi vantato di aver cooperato a farti Arcivescovo, e tanto peggio, che esso pretenda di farla da Arcivescovo nero. Scusami, caro, ma io non esito asseverare che in quel genuino senso, che hanno siffatte letterali espressioni, mi rendo io mallevadore, che non furono mai, nè in bocca, nè in animo del Sig. Don Bosco. Al più, io gli rappresenterei ordinatamente per iscritto (ad evitare il naturale difetto delle parole e risposte estemporanee) tutti i capitoli de' miei desideri, o meglio, delle indispensabili ed intangibili esigenze dell'Autorità Pastorale.
Lo pregherei di leggerli, rileggerli ed esaminarli attentamente, e di corrispondermene altresì per iscritto due sue parole di pieno assenso; oppure le sue osservazioni analoghe, tanto più se queste risultassero da privilegi impetrati, ottenuti ed approvati già dalla S. Sede; ben inteso che ove tali privilegi mi si presentassero chiari, parmi che m'inchinerei di tutto peso a sottostarvi, ed alle loro logiche conseguenze, eziandio a costo di qualsiasi ferita sui miei ordinarii diritti. Per tal guisa metterei qualunque pegno, che finirà per riuscirne finalmente un ravvicinamento reciproco, ed una pacifica cessazione di ogni urto e di ogni spiacente collisione.
Credilo, esimio e caro Arcivescovo, il Don Bosco non desidera altro se non tre cose: la 1a di capire bene quanto tu vuoi dal suo Instituto; la 2a di essere pure capito bene intorno a ciò che gli pare siagli consentito (extra ordinem comunem) dalla S. Sede e dalle condizioni [835] veramente eccezionali della sua Casa ed Opera; la 3a che, quando appuntato allega qualche ragione o documento per sua difesa, sia pure creduta, apprezzata e tenuta in qualche conto tale sua difesa.
Del resto, persuaditene, suo pensiero, suo voto, sua consolazione è quella di fare del bene in ogni angolo della terra, ma di rendersi principalissimamente utile alla patria sua, all'Archidiocesi nativa, d'onde ebbe tutto quello che è e che ha; e dove, per ispirazione e grazia del Signore, gettò le prime fondamenta del suo Instituto.
Condònami, di grazia, tutta la mia lunga tiritera di pagine e di parole, perdònami ogni espressione forse troppo avanzata od ardita; e senza più làsciami la dolce speranza di vedere o di sapere quanto prima distrutto ogni malinteso, superata ogni difficoltà, appianato ogni urto, e la tua soddisfazione dell'Instituto essere portata a tal segno da poterti gloriare d'aver Don Bosco e suoi Figli fra i Sacerdoti modello di obbedienza, e da poter perfino desiderare, che sorga propizia occasione da testimoniarne al pubblico il tuo paterno perfetto aggradimento con la degnazione di una tua visita all'Oratorio e con la celebrazione della tua Messa in quella loro chiesa.
Ti riverisco e saluto con cordialissimo rispetto ed affetto, mentre godo professarmi nei Cuori SS.mi di Gesù e di Maria
Tuo Dev.mo ed Obb.mo Servitore ed Amico
Mons. Gastaldi tornò a scrivergli, comunicandogli l'ultima lettera di Don Bosco, e Mons. Galletti rispondeva:
Tutto per Gesù, Maria e Giuseppe
Veneratissimo e carissimo mio Arcivescovo,
Ti ringrazio della comunicazione fattami della qui unita lettera del Sig. Don Bosco.
La verità è una sola - io non posso approvare il modo un po' sostenuto con cui è formolato tale scritto - ed a tempo e luogo sono prontissimo a fare al Sig. Don Bosco le mie schiette e vive osservazioni, che non dubito punto, ch'esso prenderà in buona parte. - Alla fin della rappresentanza sentì pur già il medesimo di apporre una parola di scusa; ma spero che te ne farà pervenire ancora un'altra più opportuna e soddisfacente.
Deh! non perdere la Carità di Dio, e la pazienza di Gesù Cristo! [836] Non ti dico di più, perchè siamo noi qui in tempo di Sacro Ritiro, ed ancor io miseramente faccio i Santi Spirituali Esercizi.
Ti bacio la mano in Domino e mi ti professo,
Deciso di non darsi per vinto, l'Arcivescovo continuava a spiar ogni passo di Don Bosco, ed avendo appreso che egli erasi recato a Lanzo per i nostri esercizi spirituali, chiedeva premurosamente al Vicario Teol. Albert nuove informazioni:
Prego V. S. di sapermi esporre riguardo al Collegio di Lanzo:
1. Se quivi si diano esercizi spirituali, o si tengono conferenze a' maestri estranei alla Congregazione, Ecclesiastici o secolari.
2. Se Ecclesiastici, procurarsene e darmene il nome, cognome, uffizio di ciascuno di essi.
3. Chi siano i Predicatori o Conferenzisti, loro Cognome e Nome.
4. L'ordine di tutte le funzioni.
La risposta che ebbe dal Vicario non gli parve piena e precisa, ed insisteva in forma dettagliata e perentoria:
Chieggo di nuovo, in modo più esplicato, e quindi una risposta esplicita: Negli Esercizî che si dànno attualmente nel Collegio di Lanzo sono persone estranee alla Congregazione di S. Francesco di Sales, le quali cioè non siano nè professi, nè Novizi della Congregazione, nè alunni, nè inservienti del Collegio?
Se vi sono tali persone, sono essi tutti secolari, o vi sono Sacerdoti e chierici di questa mia Archidiocesi?
Se vi sono di questi, intendo avere l'elenco e di questi Sacerdoti e di questi Chierici. Ed in questo caso V. S. non avrebbe dovuto mai dar mano ad un'opera buona in se stessa ed ottima, e di grande aggradimento all'Arcivescovo, ma viziata dallo spirito di insubordinazione [837] per cui non si fece all'Arcivescovo parola alcuna di quest'opera, che anzi gli scrissero parole irriverenti, perchè Egli ricordi (e non fece altro che ricordare) a chi la promoveva il suo dovere. La prego quindi di star attento un'altra volta e guardarsi dal cooperare a ciò che non è secondo l'ordine gerarchico stabilito da Dio.
La prego poi ad informarsi se nella prossima settimana siano persone non professi, nè Novizi della Congregazione, nè alunni od inservienti del Collegio.
In questo caso La prego di ricordare in mio nome, e come Vicario Foraneo, al Sig. Don Bosco lo stretto dovere che ha di chiedere il mio Beneplacito.
Se lo chiede, autorizzo V. S. di concederglielo ed in iscritto, e la prego d'avvertirmi se l'abbia sì o no richiesto. Se non lo chiede, V. S. e nessuno de' suoi Sacerdoti porrà piede nel Collegio, durante la muta degli Esercizi, mentre io provvederò a che l'Autorità Arcivescovile non sia menomata da chi dovrebbe dare agli altri esempio di riverenza alla medesima. Con tutta la stima
Di V. S. Illustr.ma Molto Rev.,
E il Vicario, in giornata, gli rimetteva questa dichiarazione formale:
Sono in grado di assicurare l'E. V. Rev.ma che tutti quelli i quali fanno i Santi Spirituali Esercizi al Collegio sono membri della Congregazione di San Francesco. Non vi è alcuno o secolare, o chierico, o Sacerdote che non appartenga alla famiglia di Don Bosco, in fuori, come già le scrissi, del Sac. Don Longo Parroco di Pessinetto.
Comunicai la lettera dell'E. V. al Sac. Bosco, dolente di essere stato tratto, a mia insaputa, a far cosa spiacente al mio Superiore Ecclesiastico, cui voglio portar ossequio ed ubbidienza per la vita. Egli si mostrò colpito alla parola Insubordinazione, e mi disse che facessi il possibile per difenderlo da questa taccia che non vuole certo avere presso di Lei.
Gli dissi: „Mi assicuri per scritto che fra gli esercitandi non siavi alcuno estraneo, e mi accerti che occorrendo il caso che alcuno estraneo domandi di farne parte, Ella in ricognizione dell'Autorità Diocesana domanderà il beneplacito”, ed ebbi la risposta che io le acchiudo:
“S'accerti Monsignore che io voglio ubbidirlo ed esattissimamente, come vorrei che tutti Lui ubbidissero.
Se potrò conoscere i desiderii suoi riguardo al povero Don Bosco sarà mio dovere il far di tutto perchè siane soddisfatto e pienissimamente”. [838] Nella speranza di poter assecondare i suoi desideri e nella persuasione che l'E. V. Rev.ma sia certa del mio nessun concorso a quanto possa esserle di disgusto, mi professo col massimo ossequio
Continuando sempre ad investigare, l'Arcivescovo venne a sapere che Don Bosco, il quale l'aveva nettamente e ripetutamente assicurato che non avrebbe più tenuto quel corso d'esercizi per i maestri, aveva stampato una circolare per gli esercizi... che si facevano a Lanzo, e il Teol. Chiuso graziosamente scriveva a Don Rua:
Mons. Rev. nostro Arcivescovo mi incarica di pregarti a rimettere immediatamente a mani del latore di questa mia una copia della circolare con cui il Sig. Don Bosco invitò agli esercizi che si dànno a Lanzo. Nella certezza che corrisponderai alle intenzioni di S. E. Rev.ma ti saluto di cuore e mi dico sempre
E contemporaneamente, in tono solenne, chiedeva anche a Don Lazzero, Prefetto (Catechista) dell'Oratorio, una copia della circolare, diramata non solo ai maestri, ma anche a tutti i Parroci della diocesi!..,
La mancanza di rispetto e di ossequio commessa dalla Congregazione di S. Francesco di Sales, verso di Mons. Arcivescovo col non avergli dato copia della lettera o Circolare relativa agli esercizi spirituali nel Collegio di Lanzo, che pure fu mandata a tutti i Parroci della Diocesi, e ciò dopo avere ripetutamente assicurato Monsignor Arcivescovo e in iscritto e a parole che non avrebbero avuto luogo i detti esercizi, è così grave, che Monsignor Arcivescovo si trova nella penosa necessità di dover provvedere al decoro della sua dignità. Perciò in nome di Monsignor Arcivescovo, avverto la S. V. che se [839] di questa sera non gli si manda una copia di detta Circolare, si avverta il chierico Ottonello che domani mattina non si presenti alla S. Ordinazione. Nel caso che non esista più alcuna copia stampata si potrà mandare il manoscritto od alcuna delle bozze.
Con la dovuta osservanza mi dico,
Se l'invito fosse stato inviato a tutti i Parroci, subito avrebbe potuto trovarne non una, ma cento copie!... mentre all'Oratorio, lì per lì, non se n'ebbe una alle mani, e per obbedire ne venne inviata all'Arcivescovo una semplice bozza, presa in tipografia, insieme con la dichiarazione che la stampa era stata eseguita molto prima che ne venisse data la notizia dall'Unità Cattolica.
E l'Arcivescovo tornava a scrivere al Vicario di Lanzo:
Ho ricevuto l'ultima lettera di V. S. riguardo agli Esercizi del Collegio di Lanzo, la quale mi consolò in quanto mi espone le sante disposizioni del cuore di Lei, già d'altronde a me conosciute.
Vorrei bene che il Rettore della Congregazione di S. Francesco di Sales potesse mostrarsi immune da ogni mancanza. Quanto ne sarei contento! Ma purtroppo egli a mia totale insaputa dirama una circolare a stampa col suo Nome e Cognome in fine, diretta ai Professori e Maestri di scuola, senza accennare se Ecclesiastici o puramente secolari, mentre appunto la massima parte di essi sono miei Sacerdoti, e manda questa circolare ai Parroci senza comunicarne alcuna copia all'Arcivescovo; e ciò nell'atto che io sono occupato a far dare 3 mute successive di Esercizi per gli Ecclesiastici in Bra.
Come qualificare questa condotta? L'Unità Cattolica pubblica gli Esercizi annunziati nella circolare, e solo allora io ne vengo in cognizione. Faccio avvertire il detto Rettore che io sono contento e dò piena licenza e volentieri degli esercizi, ma che un'altra volta me ne faccia prima parola, e mi dica i nomi dei Predicatori. Ed esso fra pochi giorni mi fa scrivere che gli esercizi annunziati non si daranno più. Perchè lasciare il bene in conseguenza di quell'avvertimento? Non era mio stretto dovere di ammonirlo? Poteva io ammonirlo con più carità? L'autorità che ho non è forse un deposito che sono obbligato a conservare nella sua integrità? Frattanto come ha fatto esso ad avvertire i Professori e Maestri, che gli Esercizi non si davano [840] più? Bisogna bene che abbia scritto un'altra circolare: se V. S. ne ha una copia, La prego a mandarmela: anzi La prego a mandarmi quanto ha di stampato riguardo a questi benedetti Esercizi.
Lo stesso Rettore facendomi sapere che questi non si sarebbero dati, avrebbe pur dovuto rendermi avvertito, che si sarebbero date due mute, ma solo per i suoi, non per altri: nè avrebbe dovuto scrivermi una lunga lettera piena di parole irriverenti: così che mi fu difficile il capire come un Ecclesiastico che si prepara a dettare Esercizi Spirituali a' suoi figli, cominciasse dal mancare del dovuto rispetto al suo Arcivescovo.
V. S. come Vicario Foraneo potrebbe parlargli in mio nome, ed avvertirlo, che questo non è il modo di trarre sopra di sè e della sua Congregazione le benedizioni di Dio. Legga le maledizioni terribili che il Vescovo consacrante nell'atto della consecrazione invoca dall'alto su chi osa mancare di rispetto verso il Vescovo consecrato. Ho conosciuto una famiglia religiosa che offese Mons. Fransoni. Da quel giorno quella famiglia divenne inaridita e si disperse.
lo auguro al detto Ecclesiastico ogni bene, e desidero che prosperi: ma è mio dovere il richiedere, che mentre promuove il bene da una parte, non disturbi dall'altra la mia amministrazione. Su di ciò il Giudice immediato è l'Arcivescovo, e non esso Ecclesiastico; se esso si reputa leso, ricorra al Papa, ma non giudichi da se stesso.
Di V. S. III.ma e Molto Rev.ma,
Don Bosco in quei giorni era ancora a Lanzo per gli esercizi che si tennero dal 14 al 19 e dal 21 al 26 settembre; e il Teol. Albert, che predicava insieme con lui l'uno e l'altro corso, riferiva all'Arcivescovo queste sue nette e limpide dichiarazioni:
Questa mia è per rendere consapevole l'E. V. ch'io fui richiesto dal Sac. Bosco a prendere parte anche alla seconda muta de' suoi Esercizi, predicando di nuovo con lui, e la parte medesima nei primi Esercizi a me affidata. Non credetti essere intenzione dell'E. V. Rev.ma ch'io mi rifiutassi a questo secondo invito; mentre debbo dire la verità il predetto Rettore dimostrò grande volontà che io mi occupassi per ristabilirlo in armonia con Lei, Monsignore, e desidera darle quella soddisfazione che può essere di suo maggior gradimento. Prega in primo luogo l'E. V. di credere che se diramò una Circolare ai Professori e Maestri di scuola fu a solo scopo di far del bene avendo di mira specialmente i secolari, e non pensò, avendo un permesso [841] generale anche dall'E. V. di far Tridui, Novene, Esercizi, che questo sarebbe stato a Lei di disgusto. Per l'avvenire occorrendo simili predicazioni, fuori del personale stretto di sua casa, volentieri si presterà ai suoi giusti desideri.
Riguardo alla pubblicazione degli Esercizi fattasi nell'Unità Cattolica, prega pure l'E. V. di credere alle sue parole, che si fece non per suo ordine, anzi a sua insaputa da chi ebbe una sua circolare e credette farle dare maggior pubblicità.
Vorrebbe pure che l'E. V. si persuadesse che se si lasciarono quelli Esercizi non fu per far dispetto a Lei: ma solo, non credendoli benevisi ed essendo pochi quelli che avevano risposto all'invito, si pensò di sopprimerli avvisando solo privatamente gli interessati: e mi assicurò che nessuna circolare veniva scritta per questo, nè si usarono espressioni nella disdetta, che potessero appuntarsi all'E. V.
Riguardo alle parole Irriverenti di cui fa cenno l'ultima sua, Egli domanda umile scusa se gli sono sfuggite, e prega l'E. V. di interpretarle solo nel senso in cui egli voleva che fossero intese e mi disse più e più volte: „Può essere che io mi sia espresso in modo non da farmi intendere, ma non mai ebbi nè posso avere intenzioni da offendere Monsignore. Vorrei persuaderlo che sempre ebbi ed ho tutto il rispetto per la sua Sacra Persona e specialissima Dignità: Lo assicuri per me”. Da ultimo mi disse ed insistette: “Scriva a Monsignore che mi esprima in modo esplicito i suoi desideri. Cosa vuole da me perchè possa dirsi e pienamente contento di me; essendo cosa possibile, godrò nel dargli questa dimostrazione della mia particolare devozione”.
Io spero che l'E. V. vorrà onorarmi col farmi interprete de' suoi voti, e prego e ben di cuore il Signore che benedica le sue sante intenzioni, col far sì che quanto da Lei sarà fatto conoscere essere suo desiderio, si faccia.
Ma neppur coteste nette e limpide dichiarazioni riuscirono a calmar Monsignore, che, senz'indugio, inviava al Segretario della S. Congregazione dei VV. e RR. una filza di domande esplicative sull'applicazione delle nostre Costituzioni, chiedendo, prima di tutto, se queste erano davvero „definitivamente approvate dalla S. Sede Apostolica”. Convien notare che del Decreto d'approvazione egli non aveva ancor una copia autenticata, quindi non ritenendo sufficente la comunicazione fattagli da Don Bosco il dì stesso in cui era stato redatto e firmato il Decreto, si credeva in diritto di poter dire di non saper se era stato sancito! [842]
Mentre io mi occupo di procurare alla S. Congregazione dei VV. e RR. le informazioni necessarie riguardo a Don Melica, Parroco investito di Rocca - Corio nella mia Archidiocesi, mi preme e mi è necessario il veder chiare e precise le cose che riguardano la Congregazione di S. Francesco di Sales fondata e retta dal Sac. Gioanni Bosco nella mia Diocesi. E perciò ricorro a V. E. che abbia la bontà di espormi le dette cose quali sono al cospetto della S. Sede, perchè io possa regolarmi come è uopo.
Ed in prima debbo esporre a V. E. che nello scorso anno 1873 io presentai alla S. C. dei VV. e RR. il seguente dubbio: „Se la Congregazione di S. Francesco di Sales fondata e retta da Don Gioanni Bosco, è soggetta direttamente alla S. Sede e sia immune dalla giurisdizione del Vescovo; e con lettera 18 agosto 1873 portante il numero 22362/ 10 sottoscritta A. Card. Bizzarri Pref., mi si rispose: „La suddetta Congregazione di S. Francesco di Sales non è che un Istituto di voti semplici; e tali Istituti non sono esenti dalla Giurisdizione Vescovile, salve le Costituzioni quando sono approvate dalla S. Sede, ed i privilegi particolari dalla medesima ottenuti. Quindi è che sebbene le Costituzioni di detta Congregazione si stieno esaminando per essere sottoposte all'approvazione della S. Sede, pur tuttavia non è a dissimularsi che più di un privilegio particolare ha il Sac. Bosco ottenuto da S. Santità circa le dimissorie da rilasciarsi ad un certo numero di alunni per la Sacra Ordinazione”.
D'allora in poi per quanto io sappia, il detto Sacerdote non ottenne altro favore dalla S. Sede che quello delli 3 aprile 1874 del quale mi si diede comunicazione autentica contenuta in una nota della S. Congregazione dei VV. e RR. sottoscritta dal prefato Cardinale e così concepita: „Sanctitas Sua benigne facultatem tribuit Rectori Generali Oratori ad decennium duraturam relaxandi litteras dimissoriales favore sociorum suae Congregationis, qui eidem perpetuo votorum simplicium nexu devicti sunt, ut ad omnes etiam sacros et presbiteratus ordines, titulo mensae communis, servatis servandis, promoveri possint ad instar privilegii pro Regularibus juxta Decret. Clementis PP. VIII diei 15 martii 1596. Firmis tamen manentibus legibus in Apostolicis Constitutionibus praes. S. M. Benedicti PP. XIV de Ordinationibus Regularium: Impositi Nobis...”.
Ciò posto io prego caldamente V. E. di procurarmi dalla S. Congregazione dei VV. e RR. una risposta ai seguenti quesiti:
1° Le Costituzioni della Congregazione di S. Francesco di Sales fondata e retta da Don Giovanni Bosco, diocesano di Torino, sono ora definitivamente approvate dalla S. Sede Apostolica?
2° Questa Congregazione è ora posta dalla S. Sede nella classe [843] degli Ordini Religiosi? Ne gode essa tutti i privilegi? E perciò è essa soggetta immediatamente alla S. Sede ed è immune dalla giurisdizione Vescovile?
3° È perciò tolta sì o no al Vescovo la facoltà di visitare le chiese e le case di questa Congregazione?
4° È lecito al Rettore di essa di accettare nelle sue case o come novizii e quindi ammetterli alla professione, od accettare semplicemente come Maestri, assistenti, ecc. i chierici della Diocesi che sono cioè sul catalogo dei Chierici Diocesani, senza il previo beneplacito ed anche contro il dissenso del Vescovo che come suoi diocesani loro ha dato l'abito, e li tiene nei suoi Seminari?
5° È lecito al detto Rettore il ricevere nella sua Congregazione i Chierici ai quali il Vescovo ha dato l'ordine di deporre l'abito chiericale, perchè da esso giudicati inabili al Sacro Ministero e ciò senza il beneplacito e contro il dissenso del Vescovo?
Se V. E. mi procura una risposta ai quesiti suddetti dalla Sacra Congregazione dei VV. e RR. mi farà un gran favore, perchè il detto Rettore afferma appunto di avere il diritto accennato nei due ultimi quesiti, e con ciò mi reca un grave disturbo nella formazione del giovane Clero. Imperocchè nella Congregazione suddetta non si fa Noviziato[157], ma il Chierico che vi entra è posto immediatamente a fare scuola[158]. E molti chierici preferiscono di farla da maestri che non portare ogni giorno la disciplina del Seminario, in cui essi non sono altro che scuolari[159].
Colla massima venerazione godo di essere,
Monsignore aveva già alcune cause in corso contro vari sacerdoti, per cui poco prima aveva scritto un'altra lettera a Mons. Vitelleschi, ed ora gli giungeva questa risposta:
Nello affollamento degli affari che si cumulano in questi giorni precedenti alle ferie, oggi incominciate per le Sagre Congregazioni, non avevo avuto un largo per accusare ricevimento delle due sue lettere del 9 e 23 caduto settembre. Mentre ora adempio a ciò, gli soggiungo categoricamente alla prima, che avverta in quanto allo [844] incarto che sta formando sul Sacerdote Melica, pel quale è stato solamente dispensato dalla osservanza di quelle forme Canoniche le quali attualmente non sono praticabili, di contestarlo al Melica, sentirlo, e ricevere quelle allegazioni e deposizioni che a sua difesa egli deducesse, e dopo fatto tutto ciò di mandarlo alla S. Congregazione con la sua sommaria sentenza, che vi pronunzierà come Ordinario. Se non giungesse in Roma l'incarto così completato non potrebbe all'uopo attendersi; a Lei che è pure Maestro in Israele non debbo certo ricordare, che nemo damnandus nisi comprobatus nisi discussus.
In quanto poi all'oggetto della succitata sua seconda lettera, provocherò, dopo le Ferie, la risposta della S. Congregazione. Intanto però posso dirgli che, se il Sac. Don Bosco, come ho luogo a ritenere, gli avrà dato comunicazione del Decreto della S. Sede, in data 3 aprile ultimo, di approvazione delle Costituzioni della sua Congregazione, vi potrà facilmente rilevare la chiara risposta al primo dei quesiti che Ella ha formulato. Per gli effetti poi che seco porta la definitiva approvazione delle Costituzioni, torno a ripetere che provocherò a novembre la risposta ch'Ella desidera, ma facilmente fino da ora potrà prenderne notizia da tanti altri Istituti di voti semplici, che sia in Italia, ma molto più in Francia e in Belgio, hanno ricevuto simili approvazioni, ed hanno pressochè un'uguale natura.
Tanto per ora mi dò cura di ragguagliarlo anche per non apparire muto o scortese dopo l'una e l'altra lettera che si compiacque indirizzarmi, e confermandogli i sensi della mia distinta e rispettosa stima, mi pregio rassegnarmi,
In quel frattempo l'Arcivescovo moveva un'altra lagnanza, avendo Don Bosco pregato un parroco dell'archidiocesi a porre l'abito, chiericale ad un giovane parrocchiano, deciso d'entrare nella nostra Società.
S. E. Rev. Mons. Arcivescovo mi ordina di avvertire la S. V., che questa mane gli fu comunicata una sua lettera in cui ella prega un parroco di questa Diocesi di porre l'abito chiericale ad un giovane per associarlo alla sua Congregazione. Ciò è contrario alla costante usanza finora osservata in questa Diocesi, e vi è per lo meno grave ragione a dubitare della validità e liceità della cosa.
Pertanto è intenzione esplicita di S. E. rev.ma che V. S. imponga [845] l'abito della Congregazione solo per mezzo dei Sacerdoti della medesima, e non dia mai più tale incarico ad alcuno dei Sacerdoti di questa diocesi, che non sia membro della detta Congregazione.
Con tutta la riverenza sono di V. S. molto Rev.
E Don Bosco, con piena deferenza al Superiore Ecclesiastico, rispondeva:
Ho ricevuto la lettera con cui mi comunichi la disapprovazione di S. E. Rev. Mons. Arciv. sulla preghiera da me fatta ad un parroco affinchè vestisse da chierico un nostro allievo. Ecco il fatto:
Una caritatevole persona era disposta di vestire da chierico tale allievo, ma desiderava di vederlo a vestire. A tale scopo, a nome del parroco, venne il padre col figlio a chiedere che invece dell'Oratorio si potesse fare in patria sua. Accondiscesi, ma appoggiato a quanto erami stato concesso colla patente (Marzo 1852) con cui mi erano concesse tutte le facoltà necessarie od opportune a questa istituzione dell'Oratorio. Ho interpellato il Vicario Generale Ravina, di felice memoria, ed il Provicario Can. Fissore, ora Arciv. di Vercelli, se con quella concessione avrei anche potuto vestire chierici. Mi risposero ambidue affermativamente a condizione che questi Chierici, qualora volessero farsi inscrivere nell'Albo Clericorum della Diocesi, dovessero sottomettersi agli opportuni esami prescritti per coloro che dimandano vestire l'abito e l'ammessione al Clero Diocesano.
Con questa spiegazione da oltre 22 anni ho sempre vestito e fatto vestire giovanetti da Chierici.
Così il Sac. Felice Reviglio fu vestito dal Canonico Ortalda, il Sac. Giuseppe Rocchietti, parroco di S. Egidio, fu vestito dal Prev. Vic. Foraneo di Castelnuovo d'Asti, e molti altri, i quali a suo tempo subirono i regolari esami, prima di essere ammessi al seminario.
Nota bene che la mentovata patente non dice deleghiamo ma concediamo. Tuttavia, sebbene io sia persuaso di non aver ecceduta la fattami concessione sul fatto accennato, per l'avvenire me ne asterrò assolutamente, poichè tale cosa è di gradimento al Superiore Ecclesiastico.
Ti prego di comunicare questi miei pensieri a S. E. Rev. in risposta della lettera scrittami a suo nome, mentre colla massima stima mi professo di cuore
Le suddette dichiarazioni non approdarono a nulla: e, in forma più dettagliata, l'Arcivescovo gli faceva ripetere che non aveva più la facoltà di dar l'abito chiericale ai giovani che intendono incorporarsi nella diocesi, e che quello, cui aveva fatto dar l'abito chiericale, non aveva intenzione di rimaner in Congregazione.
Ho comunicato, come era mio dovere, la lettera di V. S. m. rev.da in risposta alla mia ultima, a S. E. R. Mons. Arcivescovo, il quale mentre è lieto della promessa da lei fatta, mi incarica di esporle la differenza grandissima, che passa tra i tempi dei Vic. Generali Ravina e Fissore, e il tempo presente riguardo alle facoltà che furono da questa Curia Arciv. concesse a V. S., sul punto di dare l'abito chiericale ai giovani di questa Arcidiocesi. Allora la casa di Don Bosco in Torino era meritamente riguardata come un Seminario diocesano di cui V. S. era il Rettore; perciò i giovani, quivi educati nella carriera clericale, erano tutti incorporati a questa Arcidiocesi; quindi era cosa naturale che V. S. fosse delegato dalla Curia Arciv. a dare l'abito ai giovani di detta casa, che se ne mostravano degni.
Ma dal giorno in cui V. S. ottenne la facoltà di far ordinare i suoi chierici, per tenerseli incorporati nella sua Congregazione e mandarli fuori diocesi come e quando lo giudica conveniente, la detta casa ha cessato pienamente di essere Seminario Diocesano, e perciò venne a mancare di sua natura nella S. V. la facoltà di dare l'abito chiericale ai giovani che intendono incorporarsi in questa diocesi; e riguardo ai giovani della sua Congregazione, è cosa manifesta che ella non poteva avere tale facoltà dai Vicarii Ravina e Fissore, mentre essa in quel tempo non godeva ancora i privilegi di cui fu investito poscia dalla Santa Sede.
Del resto la stessa misura che S. E. tiene in ciò con V. S. la tiene pure colle scuole apostoliche di questa città, imperocchè Monsignore per il buon ordine del suo Clero, non riconosce altro Seminario se non quelli che sono sotto la sua dipendenza. Mons. R.mo poi è in grado di assicurare V. S. che il giovane pel quale ella avea pregato quel parroco di dargli l'abito, non ha intenzione di legarsi in perpetuo alla Congregazione di S. Francesco di Sales, ma solo di farvi gli studi ecclesiastici gratuitamente e poi andarsene.
Nell'atto di compiere l'incarico del mio rev.mo Superiore passo a protestarle la mia profonda riverenza e mi dico di V. S. molto Rev.
Fermo nel ritenere di agire in conformità delle prescrizioni dei Sacri Canoni, e che Don Bosco, per sistema e contro ogni ammonimento li violasse di frequente oltrepassando il limite delle concessioni ottenute dalla S. Sede, Monsignore si appellava direttamente al Sommo Pontefice.
Da questa lunga esposizione comprenderemo nettamente il suo modo di agire, col quale, pur non avendo “altro fine che di dar gloria a Dio...”, e „di seguitare le orme di S. Carlo nella direzione del suo Clero e di tutto il suo gregge”, era in continua e sistematica opposizione con Don Bosco.
Confido non sarà discaro a V. Santità, che io le esponga le cose che sto per iscriverle.
Ritornato dal luogo detto S. Margherita Ligure, donde le scrissi quella mia lunga lettera, e ciò li 29 luglio ultimo, la prima cosa, chiamai il Can. Luigi Anglesio, successore del Can.co Giuseppe Cottolengo nel reggere il celebre Istituto da questo fondato in Torino, personaggio, come le scrissi, di singolare santità, ai consigli del quale io sono uso di ricorrere e lo pregai caldamente di esaminare la mia condotta, ed espormi cordialmente coram Domino che cosa egli vi potesse trovare appuntabile, dicendogli che prendesse il tempo che giudicherebbe necessario a un tale esame. Dopo un certo lasso di tempo egli si presentò a me, e dissemi, che nella mia condotta come Arcivescovo non sapeva che cosa riprovare, che anzi non poteva a meno che approvare tutte le misure e provvidenze da me prese nel governo di questa Archidiocesi.
Con tutto ciò io non pretendo di sostenere di essere immune da censura; e sarei ben contento che V. Santità dèsse commissione a qualche Vescovo, bene informato delle cose, di esaminare quello che io ho fatto, ed il mio sistema di Governo.
Chi potrebbe proferire su ciò un giudizio secondo la verità, sarebbe l'Arcivescovo di Vercelli. Egli, nato e cresciuto nel seno della Diocesi di Torino, laureato in Teologia ed in utroque iure, stato Provicario, poi canonico della Metropolitana, poi Vicario Generale per varii anni, esso che è un uomo pieno dello spirito di Dio, prudente, accorto, avvezzo a considerare le cose in tutti i loro rispetti, non solo in uno o due, come si fa per lo più; esso conoscitore del mio clero e degli affari che ho per le mani, egli più di ogni altro può proferire una sentenza giusta sul mio modo di governare questa Diocesi.
Anche i Vescovi d'Asti, di Alba e di Pinerolo potrebbero giudicare [848] con verità; quello d'Asti specialmente, il quale dal 1835 incirca insino al 1867, cioè per 32 anni, essendo stato uno dei primi maestri di Teologia e di Storia Ecclesiastica in Torino, conosce uno per uno la massima parte del Clero di questa diocesi e quindi vede le cose chiare, vede quello che sarebbe da farsi, e quello che si fa da me, e perciò è in caso di giudicare con piena cognizione di causa. Però a qualunque Vescovo o Commissione di Vescovi V. S. voglia dare il carico suddetto, io sono pronto ad esporre pienamente tutte le ragioni che mi guidarono in ciascuna delle cose che ho fatte finora, e nel sistema che ho abbracciato nel governo della Diocesi.
Quello che frattanto possa assicurare a V. Santità, è che io non ebbi, e non ho altro fine che di dare gloria a Dio e promuovere la religione; e che per quanto posso intendo di seguitare le orme di San Carlo nella direzione del mio clero e di tutto il mio gregge.
Ed è per me una delle pene più vive che mi abbia ferito il cuore di dover ancor io come S. Carlo dolermi di un disturbo venuto da chi non è colpevole di malizia, ma tuttavia pensando un po' esclusivamente agli interessi del corpo alla cui testa esso si trova, impedisce il benessere nell'amministrazione della Diocesi, nel cui seno quel corpo esiste. S. Carlo dopo avere posto il suo Seminario dei Chierici di Arona in mano ai Gesuiti, non tardò a dolersi che essi gli rapivano i migliori chierici per collocarli nella Compagnia; e quindi li rimosse dalla direzione di quel suo Istituto. Con ciò egli non mostrò per nulla di essere meno amico dei Gesuiti; che anzi proseguì a proteggerli ed averli in grande stima. Altrettanto avviene a me riguardo alla Congregazione di S. Francesco di Sales, fondata e governata dal Sig. Don Gioanni Bosco. Questa aveva cominciato, senza che se ne avesse alcuna intenzione, a disturbare, ed assai, la formazione del mio giovane clero, e potrebbe proseguire a disturbarla quando Vostra Beatitudine non proferisse una parola decisiva, siccome io vivamente, umilmente, ferventemente ne la prego.
Il molto rev.do Don Bosco fece opera santissima a prendere nuove provvidenze per la educazione cristiana dei giovani. Iddio ne lo benedisse largamente; e V. Santità meritamente lo ha favorito. La sua opera da principio era solo Diocesana ed allora non vi fu, perchè non poteva essere, alcun urto coll'Arcivescovo di Torino; il quale anzi la riguardava come un suo Seminario altrettanto più utile, in quanto il Seminario di Torino dovette rimanere chiuso dal 1848 al 1863.
Ma quest'opera, prendendo un incremento al di là dell'aspettazione ed estendendosi in altre Diocesi, Don Bosco pensò di darle la forma di una Congregazione regolare, la quale, su ciò che riflette la destinazione dei membri, dipendesse solo dal Rettore e fosse indipendente dall'Autorità Vescovile; e domandò il mio parere, il quale io diedi favorevolmente e quindi scrissi varie lettere in favore di questa Congregazione, che furono esaminate dalla S. Congregazione dei Vescovi [849] e Regolari. Però mai non ho desistito dal raccomandare che in essa si dovesse fare un Noviziato, durante il quale gli aspiranti non si impiegassero nell'ufficio di maestri ed assistenti dei giovani, ma si esercitassero solo nella pietà e nella mortificazione e negli studi dell'ascetica come si pratica nei Noviziati di tutte le Congregazioni religiose. Altrimenti, diceva io: 1° Mancherà nei membri la costanza necessaria per la solidità della Congregazione; 2° Molti giovani vi entreranno con leggerezza; anzi allettati dal modo di vita poco contrario all'amor proprio; ma quindi non persevereranno; e frattanto usciranno dal Seminario diocesano con non lieve disturbo del giovane Clero della Diocesi.
Inoltre io pensava e sperava che i giovani, i quali chiederebbero di entrare nella nuova Congregazione, uscirebbero tutti dalla massa di quelli che Don Bosco raccoglie nelle sue Case, e quivi istruisce ed educa alla religione ed alle lettere; lo che non avrebbe per nulla disturbato il Seminario Diocesano e la disciplina da osservarsi nella formazione del Clero.
Ma Don Bosco non volle mai istituire un Noviziato, che abbia alcunchè di simile a quanto è stabilito per tutte le altre Congregazioni; ed ancora presentemente i suoi Novizii sono tutti o maestri di scuola, o ripetitori, od assistenti, nel quale ufficio hanno da faticare, è vero, ma non da combattere l'amor proprio, sì piuttosto da blandire il prurito giovanile della autorità, nè hanno da esercitarsi troppo nello studio di cose ascetiche o teologiche.
Inoltre egli tiene aperte le porte delle sue case per ricevervi dentro qualunque de' miei chierici vi voglia andare, anche a mia totale insaputa, e contro il mio beneplacito, o per ricevervi i chierici che io dopo molte prove ho giudicati inetti al Ministero Sacerdotale. Lo che non torna per nulla a decoro dell'Autorità Arcivescovile.. Io ne lo pregai che desistesse da questo modo di agire. Gli mandai un Canonico della Metropolitana ad esporgli la inconvenienza della cosa; lo feci avvertire da Mons. di Vigevano; ultimamente anche per mezzo del Professore Menghini, Sommista della Sacra Congregazione dei VV. e RR., venuto da Roma a Torino nella settimana scorsa. Ma nulla giova. Egli risponde che i Canoni gli dànno diritto di accettare chiunque vuole entrare nella sua Congregazione e che avendo preso Consiglio a Roma (non so da Chi) gli fu detto, esso non dover impedire le vocazioni, non badando che il più de' miei chierici, anzi tutti quelli che entrano nella sua Congregazione senza il mio beneplacito a fermarvisi dentro alcuni anni, finchè loro ne torna un qualche utile, non è già per vocazione allo stato religioso; ma o perchè trovano la disciplina di Don Bosco meno severa; o preferiscono di farla da Maestri ed assistenti nella sua Congregazione, che non da scolari nel mio Seminario, o per motivi pecuniarii, od anche per un cotale disprezzo dell'Autorità che dirige il Seminario. [850] Per esempio un certo giovane Torrazza stato chierico parecchi anni nel mio Seminario, ma avvertito più volte che la sua condotta non era quale si conviene a chi vuole riuscire un buon Sacerdote, non essendosi mai emendato, nelle scorse vacanze ebbe da me l'avvertimento di deporre l'abito. Esso invece di arrendersi al giudizio del suo Pastore, va da Don Bosco, il quale senza dirmene una parola sola lo riceve nella sua casa presso Casale; ed io quest'oggi venni a saperlo a caso. Questo modo di fare evidentemente dà ansa ai Chierici indocili di imbaldanzire contro il Rettore del Seminario e contro l'Arcivescovo. Chè gli indocili, quando sono corretti e minacciati, dicono ai loro compagni ed anche a Superiori: Io so dove andare, in caso che sia rimandato dal Seminario; Don Bosco è la per ricevermi; e a dispetto di Monsignor Arcivescovo mi vedrete all'altare, nel confessionale e sul pergamo. Questo è quanto esplicitamente ed implicitamente diceva il Ch. Torrazza suddetto, e che due anni fa diceva il Ch. Rocca, uscito a metà dell'anno dal mio Seminario, insalutato hospite, e ricevuto immediatamente da Don Bosco. Così pure due anni fa il Chierico Milano, mentre era nel mio Seminario riceve una lettera dal Rettore di una delle case di Don Bosco, in cui lo invitava di recarsi là a farvi da maestro. Esso, senza dire parola ad alcuno, sfornito di attestati, va là, a mia insaputa, e vi è ricevuto; e dopo due anni ne esce perchè si rifiuta a farvi i voti; e torna da me pretendendo che io gli tenga per buoni quei due anni che esso ha passato facendo il maestro, e non già ascoltando lezioni di Filosofia o Teologia.
Eppure questi non sono che esempi di ciò che sarebbe avvenuto ogni dì nel mio Seminario, quando io non avessi opposto la resistenza che giudicava e giudico fosse mio grave dovere di opporre.
Ora, Santità, permettami che io stabilisca alcuni principii che mi sembrano evidenti e quindi ne tragga le conclusioni pratiche, le quali logicamente ne discendono.
1°. Il primo e più importante bisogno della Chiesa è che vi siano in tutte le parrocchie dei parroci pieni dello spirito di Dio e forniti della dottrina necessaria al loro posto; chè oggidì i luoghi, anche più remoti e una volta solitarii, sono in mille modi messi al contatto coi trambusti del mondo: e che questi Parroci siano coadiuvati da un numero sufficente di Sacerdoti santi e dotti.
2. Se i Parroci e i loro Coadiutori non fossero tali, a un difetto sì grave non apporterebbero sufficiente rimedio i Regolari per quanto dotti e santi e numerosi, perchè l'opera loro non può essere ristretta che a pochi luoghi; e il loro comparire a quando a quando nelle singole parrocchie non può rassomigliare che a un acquazzone, il quale riempie i fossi di acque ed allaga le campagne per breve tempo; ma non già alla pioggia lenta nè alla rugiada che in tutto il corso dell'anno innaffia il terreno, e lo rende fertile e fruttuoso.
3. Adunque il primo lavoro, il primo studio, il primo desiderio [851] di un Vescovo deve essere di provvedere a tutte le singole Parrocchie della sua diocesi Parroci e Coadiutori, ma Parroci e Coadiutori dotti, santi, operosi, pronti a ogni sacrificio.
4. Per ottenere un fine così santo, così importante, così necessario, alla mancanza del quale non si supplirà giammai con altri mezzi, bisogna usare il mezzo che si mostra ed è riconosciuto dalla Chiesa nel Concilio di Trento come necessario, e quasi il solo pienamente efficace: cioè istituire, mantenere, promuovere e formare convenientemente i Seminarii diocesani.
5. I Seminari, acciò ottengano il loro scopo, debbono essere ordinati con una disciplina savia e ripiena dello spirito di Dio, ed anche avere i mezzi pecuniarii.
6. Quanto ai mezzi pecuniarii, le leggi attuali hanno portato via dai Seminarii della mia Diocesi oltre a lire 40/m. di reddito annuo; quindi non mi è possibile di mantenerli, se i miei chierici studenti di Filosofia e Teologia (in circa 150) non corrispondono l'uno su l'altro, in media, almeno franchi 16 ogni mese. Chi mi disturbasse su questo punto, commetterebbe un attentato contro la esistenza e conservazione di questi sacri Istituti.
7. La disciplina deve essere tale, che il Seminario abbia tutto l'aspetto di casa religiosa, sia come una riproduzione della casa in cui Nostro Signore formava i suoi primi apostoli, e i chierici vi crescano a tutte le virtù necessarie a ciò, che quando saranno Sacerdoti sieno anch'essi come altrettanti religiosi nella sostanza della cosa, se non in tutte le sue forme. Ma una tale disciplina di cui S. Carlo nelle sue Costituzioni dei Seminarii ha presentato un magnifico tipo, fu sempre, è, e sarà sempre avversata non poco dalle passioni umane, che anche nei giovani chierici sono vive.
8. Quindi un Chierico, il quale vegga aperta una porta per una casa o più case, ove esso può proseguire gli studii clericali senza spendere danaro, facilmente si sentirà mosso a lasciare il Seminario ancorchè ivi non paghi altro che l. 16 al mese. E se un certo numero seguirà il suo esempio, il Seminario sarà disturbato non poco nelle sue entrate finanziarie; chè molti altri seguirebbero un tal esempio, quando loro non si diminuisse ancora quel poco di pensione che pagano, riducendone l'importo quasi a nulla. Quando è il caso di un chierico assolutamente povero, si trovano sempre persone che vengano in suo soccorso, ed io stesso pago la metà della pensione.
9. Più ancora, un Chierico che non ami la disciplina del Seminario, che sia sovente meritevole di correzioni, a cui rincresca lo esporre ogni dì nella scuola o nella ripetizione la sua lezione; e vegga che entrando nella casa di Don Bosco sarà posto immediatamente a fare non più lo scuolare, ma il Maestro e l'Assistente, e non avrà più il peso quotidiano della sua lezione; e vi si vegga ricevuto senza l'assenso, anzi contro il dissenso del suo Arcivescovo, vi andrà facilmente sotto [852] il pretesto della vocazione. E se il suo esempio sarà imitato, come lo sarà certissimamente da molti, se l'Arcivescovo non trovi modo di arrestarlo, è cosa evidente che si disturberà notabilmente il Seminario; e bisognerà chiudere troppo spesso gli occhi, e scemare le ammonizioni e correzioni, e allargare la disciplina con grave danno dell'educazione chiericale, per non vedere il Seminario abbandonato da molti chierici, i quali andranno da Don Bosco a cercarvi non aumento di pietà, di fervore, di lavoro, ma piuttosto meno severità e più facilità in tutto.
10. Vi è ancora un altro allettamento nelle case di Don Bosco, ed è l'essere ordinato titulo mensae communis. È vero che non sono ammessi agli ordini, se non quelli che sono legati perpetuo votorum nexu; ma è anche vero che questi sono dispensabili da Don Bosco; e che purtroppo questa facilità di dispensare è cagione che i voti solenni si facciano troppo sovente con una certa leggerezza. Nel mio Seminario non si è mai posto ostacolo ad un chierico il quale manifestasse la vocazione alla vita religiosa, e taluno andò Gesuita, altri andò Cappuccino, altri Missionario di S. Vincenzo de' Paoli. Ma il genere di Noviziato che devesi fare in questi ed altri simili ordini è tale che il giovane non vi può essere tratto da alcuna considerazione umana. Quindi questi chierici prima di decidersi a lasciare il Seminario per entrare in questi ordini, si consigliarono coi Superiori, pregarono lungamente, esaminarono le cose; e finalmente presero una risoluzione che l'Arcivescovo non potè a meno di approvare.
Ma il modo di Noviziato che si fa nelle case di Don Bosco ha varii allettamenti umani come dimostrai. E di tutti i chierici che usciti dal mio Seminario entrarono nelle case di Don Bosco (e tutti a mia insaputa, e sforniti di attestati) o vi entrarono dopo dimessi per mio ordine dal Seminario con epresso comando o invito di deporre l'abito ecclesiastico, neppure uno domandò consiglio, neppure uno mostrò di andarvi per desiderio di perfezione in un ordine religioso, ma senza eccezione tutti fecero conoscere che vi andavano o per motivi di interesse, o perchè attediati dalla disciplina del Seminario, o perchè ostinati a voler farsi sacerdoti contro il giudizio del loro Arcivescovo.
Pur troppo nella mia Diocesi insieme col molto bene è assai del male; e nel clero insieme coi santi vi ha di molti e proprio molti, i quali, flens dico, sono per ogni riguardo indegni del carattere sacerdotale, dediti all'ubbriachezza, alla lussuria, senza orma di spirito di Dio.
D'altra parte di anno in anno non si fa più un quarto dei sacerdoti di una volta e quei pochi che si fanno appena appena bastano al bisogno.
Adunque è cosa di necessità assoluta che questi pochi sieno tutti buoni ed anche ottimi.
Per questo ho bisogno di tenere il mio Seminario ordinato il [853] meglio che so; e ciò forma appunto il mio lavoro continuo e il mio studio d'ogni dì.
Perciò mi è uopo il non essere disturbato in nessun punto della mia amministrazione, ma specialmente in questo della formazione del mio giovane Clero.
Ma il modo di fare del sig. Don Bosco, che ho esposto finora, evidentemente mi disturba e assai. Perciò, e questa è la parola decisiva che io invoco da V. Santità, io la prego di proibire esplicitamente al Rettore della Congregazione di S. Francesco di Sales in Torino, di ricevere, in qualunque sia delle sue Case alcuno dei miei chierici, nè come Novizio, nè come studente, nè in qualsivoglia altra qualità, senza il mio consenso dato per iscritto: e neppure ricevere alcuno de' miei chierici a cui io abbia dato ordine di deporre l'abito Ecclesiastico, senza il mio consenso. E ciò quanto più presto sarà possibile.
Il Sig. Don Bosco raccolga il maggior numero di giovani che può nelle sue case: li educhi, e da essi tragga liberamente il maggior numero che può di membri della sua Congregazione e li promuova agli Ordini. Io sono per aiutarlo in ciò con tutte le mie forze.
Introduca nella sua Congregazione il maggior numero che può laici miei diocesani, e li faccia sacerdoti: purchè subiscano da me gli esami prescritti dal Concilio di Trento, io esulto di gioia e dò tutto mio appoggio. Ma non disturbi il mio Seminario: non riceva in alcuna delle sue Case i miei Chierici, e i Chierici miei diocesani che io giudico inetti al sacerdozio. Se tra miei Chierici alcuno mostrerà vera vocazione per la Congregazione suddetta, non sarà impedito di andarvi; ma sembrami cosa troppo giusta che io stesso esamini una tale vocazione e proferisca su essa il mio giudizio.
Penso essere ancora conveniente il comunicare a V. Santità una copia fedele di una lettera scrittami da Don Bosco il 10 ultimo scorso 7.bre.
Per intendere il contenuto V. S. sappia che questo ecclesiastico diramò fra i Parroci della mia diocesi invito stampato invitando i Maestri Comunali agli esercizii spirituali, che esso darebbe nella sua casa di Lanzo. Questo invito fu mandato ai miei Parroci senza che me se ne dicesse parola e senza mandarne a me pure una copia. Ed è da osservare che la massima parte dei Maestri Comunali sono sacerdoti dipendenti da me, cioè miei diocesani e per nulla dipendenti da Don Bosco. Io informato di ciò gli feci scrivere una letterina dal mio segretario, in cui lo avvertiva che prima di fare un tale invito avrebbe dovuto chiedere la mia licenza, la quale però presentemente assai volentieri gli accordava; solo richiedendo che mi significasse il nome dei Predicatori degli esercizi; ma un'altra volta prima me ne facesse parola. Imperocchè bisogna osservare che contemporaneamente io faceva dare 3 mute consecutive di esercizii ai miei Ecclesiastici. [854] Il Don Bosco mi scrisse la detta lettera in risposta; che il mio Vicario Generale trovò in varii punti, tuttochè riverente verso un Vescovo e specialmente verso il proprio Vescovo. Ma io ne lascio il giudizio a V. Santità alla cui sapienza ed autorità sottometto ogni cosa che mi appartiene e che ho detto e fatto.
Baciandole umilmente i sacri piedi, e invocando per me e la mia vasta Diocesi, e specialmente pel mio Clero la sua benedizione, passo a dirmi col più profondo ossequio,
+ LORENZO, Arcivescovo di Torino.
Alla lettera di Don Bosco del 10 settembre, compiegata con cotesta esposizione, aveva apposte tre osservazioni:
1) che la pubblicazione dell'invito, mandato ai parroci, senza inviarne una copia all'Arcivescovo, fatta dall'Unità Cattolica, non erasi compiuta ad insaputa di Don Bosco;
2) che tutte le predicazioni e tutti gli esercizi di cui si fa cenno nella lettera riguardavano solamente i membri della Congregazione e dei giovani educati nelle sue case, e non persone estranee pubblicamente invitate;
3) quindi essere la lettera irriverente.
Il Vicario Generale, Mons. Zappata, che aveva detto esser la lettera „in vari punti tuttochè riverente”, non mancò di ammonire Don Bosco per iscritto; e questi, insieme con due copie stampate delle Costituzioni approvate, rispondeva a lui nettamente:
Rev.mo Mons. Vicario Generale,
Le osservazioni che V. S. Rev.ma si compiacque di farmi sulla nota lettera scritta a Mons. Arcivescovo mi hanno persuaso che avrei dovuto usare altre parole ed altro stile nello esprimere i miei pensieri, che non erano certamente esternati con animo di offendere alcuno, tanto meno il mio Superiore Ecclesiastico.
Ella pertanto abbia la bontà di assicurare Sua Eccellenza che mia intenzione era unicamente di parlare con quella confidenza e schiettezza come sono sempre stato solito di fare in passato, e che dimando umile compatimento di qualunque espressione abbia potuto cagionare qualche dispiacere a S. E.
La prego inoltre di assicurarla che ben lungi dal volergli recar [855] disgusti, io mi sono costantemente adoperato per diminuirli e vi sono più volte riuscito, non con leggieri sacrifizi.
Che io desidero di essere in pieno accordo con Mons. Arcivescovo e con tutte le sue disposizioni diocesane, come appunto mi trovo con tutti gli altri Vescovi, specialmente con quelli nelle cui diocesi esistono case della Congregazione di S. Francesco, salva sempre l'osservanza delle medesime.
Che finora di quelli che appartennero alla Congregazione Salesiana non àvvi alcuno che abbia dato motivo di lamento colla biasimevole sua condotta, e spero che ciò non sarà giammai. Anzi in numero di circa cinquanta lavorano con tutte le loro forze nella Diocesi Torinese.
Che quanto ho finora detto e fatto, fui sempre persuaso dirlo e farlo nei limiti delle concessioni fatte dall'Autorità diocesana; che qualora Mons. Arcivescovo volesse tenere questa congregazione, che è definitivamente approvata, nel livello delle altre Congregazioni, vedrebbe che non ci allontaneremmo da' nostri doveri, contenti tutti i membri della medesima di essere avvisati in ogni mancamento.
Che io ho bisogno di promuovere l'osservanza delle Regole quali furono approvate, e che ho dovere di consacrare que' pochi giorni che Dio misericordioso mi vorrà ancora concedere, a perfezioni innumerevoli che la qualità dell'Istituto e i tempi che corrono rendono assai malagevoli, e perciò necessita di avere dagli Ordinarii tutta quella indulgenza che è compatibile colla propria loro autorità.
Ho spedito alcuni giorni sono a Roma una copia stampata delle nostre regole affinchè si osservi se concordano coll'originale. Non ho ancora ricevuto risposta, tuttavia ne mando una copia a Lei, che prego di voler gradire, e di volerne far gradire una copia a S. E. In caso di qualche inesattezza coll'originale, mi farò premura di darne avviso.
La ringrazio di tutti i benefizii fatti a questa casa e raccomandandomi alla carità delle sante sue preghiere ho l'onore di professarmi
PS. La prego di compatirmi se ho scritto male; non ho voluto servirmi di altri, e la mia vista mi serve pochissimo ecc.
In mezzo a tanti fastidi, scrivendo a Mons. Vitelleschi per altro, non mancava di fargliene cenno, e con un po' di ritardo aveva questa risposta:
Cosa avrà mai detto di me che ho lasciato senza riscontro due sue lettere indirizzatemi da qualche tempo? Ma creda pure che non arrivo a corrispondere ad ogni cosa, tanta è la moltiplicità degli [856] affari reclamati dal mio Ufficio. Oggi però primo giovedì di ottobre, e primo delle vacanze autunnali compio a quanto gli doveva. Vidi e conobbi con molto piacere il Direttore di Valsalice ed alcuno dei giovani che erano con Lui: fu una idea molto felice quella che Ella ebbe di concedergli per premio, la gita di Roma, ed il porli ai piedi del S. Padre. Passai già a Sigismondi l'elenco di quelle grazie spirituali da Lei pel suo Istituto richieste, e che si accordano dalla Segreteria dei Brevi, ma non so se prima delle Ferie avrà potuto ottenerle. Come va la esecuzione delle sue Costituzioni? Riservatissimamente le dico che Mons. Arcivescovo ha inoltrato una serie di quesiti o meglio spiegazioni che chiede sull'applicazione delle predette Costituzioni. A novembre gli si replicherà, ma parmi che gli sorgano i dubbi ove meno n'esistano.
La interesso a fare orazioni ed a farle fare da questi suoi buoni Preti e Laici a Maria Ausiliatrice pel mio nipote Beppe ch'Ella ben conosce; il quale da qualche tempo è preso da alcuni accessi convulsi di cui non si sa indagare la causa: mi dànno però pensiero tanto a me che ai suoi genitori perchè le convulsioni son sempre brutte cose. Preghi dunque e faccia pregare la nostra buona Madre perchè presto gli ridoni la salute e lo faccia crescere sano per potersi dedicare, come io spero, ed in anima ed in corpo, al servizio di Dio giacchè è un figliuolo di molta pietà e di ottimo cuore.
Non dimentichi me nelle sue preghiere e mi creda con la massima stima suo
S. VITELLESCHI, Arciv. di Seleucia.
Stando così le cose, e soprattutto per la riservatissima comunicazione avuta che l'Arcivescovo aveva inoltrato una serie di quesiti o meglio di spiegazioni sull'applicazione delle Costituzioni - evidentemente il S. Padre aveva parlato con Mons. Vitelleschi o col Card. Bizzarri del memoriale inoltrato da Mons. Gastaldi - Don Bosco ritenne opportuno e necessario di far egli pure, e precisamente in data 12 ottobre, al Card. Bizzarri, Prefetto della S. Congregazione dei VV. e R.R., un'esposizione delle difficoltà che incontrava.
La Pia Società di S. Francesco di Sales, che in tante occasioni provò gli effetti della bontà della E. Vostra, trovò sempre massima benevolenza presso i Vescovi con cui si ebbero relazioni. Soltanto coll'Arcivescovo di Torino nacquero dubbi intorno alla pratica di alcuni punti delle costituzioni. Io espongo i fatti su cui cadono questi dubbi, pregando la carità della E. V, a volermi consigliare. [857] I fatti sono i seguenti:
1. L'Arcivescovo di Torino prima di ammettere un salesiano alle sacre ordinazioni vuole che quaranta giorni prima l'ordinando si presenti a Lui per essere interrogato del nome, cognome, patria, luogo in cui ha fatti gli studi primari e secondari prima di entrare in Congregazione; anni di religione; se ha fatto voti triennali o perpetui, e da quanto tempo; che cosa lo mosse ad entrare in Congregazione, e se è contento del suo stato: perchè abbandonò la propria diocesi ecc.
Questo severo esame a religiosi, che da molti anni vivevano tranquilli di loro vocazione, cagionò in alcuni non leggere turbazioni ed inquietudini di coscienza. Tuttavia pro bono pacis si giudicò bene accondiscendere.
2. Allora l'Arcivescovo fece scrivere, ch'egli non ammetterebbe alcun dei nostri alle ordinazioni, se io non prometto per iscritto di non accettare nella congregazione salesiana alcun chierico, che abbia appartenuto al suo Seminario.
È da tenersi, che secondo la dichiarazione di Benedetto XIV, quella della sacra Congr. de' Vescovi e Regolari nella vertenza tra il Vescovo di Pinerolo e gli Oblati, 1837 (Collectanea, pag. 474 usque 480); e secondo la dichiarazione del 1859 (Collectanea, pag. 724 - 5), sembra che l'Ordinario non possa impedire ai chierici e preti diocesani che, avendone la vocazione, entrino in Religione perchè stato più perfetto. Tuttavia si compiacque l'Arcivescovo, e si fece la chiesta dichiarazione, aggiungendo però, che con quella dichiarazione io intendeva salve le prescrizioni della Chiesa dirette a tutelare la libertà delle vocazioni religiose. Dispiacque questa clausola, non tenne per buona quella dichiarazione.
Da ciò nacquero freddure e scoraggiamenti tra i Soci Salesiani, ed alcuni vedendosi, almeno in apparenza, osteggiati e respinti dalle ordinazioni, deliberarono di abbandonare la Congregazione.
3. Altro fatto si riferisce agli esercizi spirituali, che da oltre 26 anni si sogliono dettare a quei secolari, ed ecclesiastici, che avessero desiderato di farli. A chiarezza delle cose è bene di premettere, come fin dal 1844 l'Arcivescovo Fransoni, di chiara e gloriosa memoria, concedeva in modo formale di poter fare nelle nostre chiese tridui, novene, esercizi spirituali, senza limiti di età o di persone. Questa facoltà confermarono Monsignor Riccardi, e l'attuale Arcivescovo il quale venne più volte egli stesso in persona a predicarli. Nè mai si fece lamento di sorta, anzi ne fummo sempre incoraggiati, reputandosi tale pratica qual mezzo efficacissimo pel bene delle anime dei fedeli, siccome soglion fare le case religiose dei nostri paesi.
In quest'anno avendo l'Arcivescovo saputo che nel principio di settembre noi avevamo in animo di dettare i soliti esercizi nel nostro collegio di Lanzo, in modo affatto privato, senza adito al pubblico [858] fece tosto scrivere che: Tali esercizi non si possono dare senza il permesso dell'autorità Ecclesiastica.
Si ubbidì e fu tosto abbandonato il progetto di quegli esercizi. Ma al 15 dello stesso mese i religiosi Salesiani essendosi raccolti nel mentovato Collegio di Lanzo pei loro soliti annuali esercizi, l'Arcivescovo scrisse una lettera al Vicario Foraneo di Lanzo da comunicarsi all'esponente, in cui dimandava nome e cognome di quelli che fossero colà raccolti senza appartenere alla nostra Congregazione, nome e cognome dei predicatori e confessori di quegli esercizi.
Il Vicario di Lanzo, persona pia, dotta e prudente, fece la cosa con tutta carità, e cercò di appagare l'Arciv., notandogli che i predicatori e confessori erano Egli stesso e Don Bosco e nessun altro, nè esservi alcuno fra gli esercitandi che fosse estraneo alla congregazione.
Non si acquietò, ma scrisse altre e poi altre lettere, chiedendo le stesse cose con altre esigenze minacciando fra le altre cose di respingere un nostro chierico dalle ordinazioni, cui dopo due anni era stato ammesso. Dalle lettere che le unisco, Ella può di leggieri comprendere quale disturbo, quale scoraggiamento abbia cagionato ai predicatori, ai confessori, a quelli che in numero di oltre 300 dalle varie case nostre eransi raccolti per fare pacificamente i loro spirituali esercizi.
Esposti così questi fatti ne seguono i dubbi, intorno a cui supplico V. E. a volermi consigliare.
1. Dubbio: Se l'Ordinario abbia l'autorità di dare minuto esame di vocazione ai religiosi professi che da più anni vivono in Congregazione.
(NB. Non è qui parola dell'esame intorno alle materie teologiche, cui i nostri soci si sono sempre sottomessi, e di buon grado si sottomettono).
2. Se l'Arcivescovo possa proibire che il Superiore di una Congr. Ecclesiastica accetti quei chierici o preti, che ne fanno dimanda.
3. Se questo superiore debba, direi se possa, fare la dichiarazione di non accettare chierici nel senso richiesto.
4. Se il superiore di una Congregazione, osservando quanto prescrive il Concilio Tridentino (sess. V, cap. 2) e quanto fu dichiarato dalla Sacra Congr. dei Vescovi e Regolari (Collectanea, pag. 257 - 313 - 303 - 430) abbia l'autorità di raccogliere in una sua casa o collegio e trattenere in Conferenze morali o spirituali esercizi quei maestri o secolari, che desiderano intervenire.
5. Se in tempo degli esercizi spirituali dei religiosi, l'Ordinario possa introdursi per sè o per altri e fare indovini sui predicatori, sui confessori, e su chi è non è appartenente alla Congregazione.
Qualunque cosa Ella sia per rispondere o consigliarmi sui dubbi sovra esposti, l'assicuro che i Salesiani faranno tesoro de' suoi consigli e li terranno come norma sicura da seguirsi fedelmente. Giacchè se da un lato desidero prestare inalterabile ossequio alla Santa Sede [859] colla esatta osservanza delle Costituzioni dalla medesima approvate, dall'altro intendo che i salesiani abbiano tutta la possibile accondiscendenza agli Ordinarii Diocesani, al cui aiuto eglino sono consacrati.
Si degni infine di dare benigno compatimento al disturbo che le cagiono e di gradire i sentimenti della più profonda gratitudine e del massimo rispetto, con cui ho l'alto onore di potermi professare,
Pochi giorni dopo il S. Padre rimetteva alla S. Congregazione l'esposizione di Mons. Gastaldi; e Mons. Vitelleschi, dopo aver letto i due memoriali, quello dell'Arcivescovo e quello di Don Bosco, prendeva alcuni appunti per la discussione che ne avrebbe fatto la S. Congregazione, cominciando coll'osservare: “Vedi combinazione! 5 casi da una parte e 5 dall'altra”[160].
Di cotesti disaccordi, o, meglio, di coteste vessazioni, era al corrente anche l'ottimo Card. Berardi, che sulla fine d'ottobre assicurava Don Bosco d'aver suggerito - a chi si doveva - il modo di porre termine a siffatte spiacevoli ostilità.
La dimora di circa tre mesi fatta da me in Ceccano per causa di salute, che ora grazie a Dio ho bastantemente ricuperato, mi ha fatto perdere l'occasione di conoscere il Prof. da Lei direttomi e di ricevere quanto mi aveva Ella inviato. Mi duole per verità un siffatto incidente, ma mi confido che si daranno altre congiunture per poter supplire all'una ed all'altra cosa.
Se da un canto mi consolo immensamente nell'apprendere che la benemerita sua Congregazione procede egregiamente sotto tutti i rapporti, mi affliggo dall'altra non poco nel sapere che vi ha chi fa ad essa una guerra sorda. Confidenzialmente anzi, e sotto riserva le parteciperò essermi noto, che il nominatomi Prelato scrive spessissimo per attaccarla or sotto un pretesto, or sotto un altro, e che si lamenta principalmente coll’asserire, che Ella va sottraendo dei giovani dal suo Seminario e dalla sua giurisdizione con danno enorme dell'Archidiocesi. Ho già suggerito a chi si doveva il modo, che a mio avviso dovrebbe tenersi per porre un termine a siffatte spiacevoli ostilità, e faccio voti perchè il Signore voglia benedire siffatta mia pratica, e sia perciò per conseguirsi il desiderato intento. [860]
Veggo ancor io che umanamente parlando non v'ha nel mondo alcunchè di consolante e che tutto anzi fa prevedere doversi sempre andare di male in peggio, ma nudro nondimeno fiducia, che l'Onnipotente mosso dalle preghiere di tanti buoni sia alfin per consolarci col dare un trionfo completo alla Chiesa, alla Religione, ed alla Santa Sede. La ringrazio poi di tutto cuore per le particolari preghiere, che per suo ordine si fanno per me, e se le farà continuare le sarò tenutissimo. Come tornerà in Roma mio fratello, eseguirò volentieri la graziosa sua commissione, ed anticipandolene intanto le dovute grazie in nome di lui, desidero dal Dator di ogni bene a Lei, ed alla suddetta sua Congregazione, la più eletta ed estesa copia di celesti benedizioni, e pieno della più distinta stima passo al piacere di dichiararmi,
Il mese dopo, Don Bosco, insieme con una succinta esposizione delle difficoltà che incontrava, mandava anche al suo grande amico un promemoria „sulla cagione dei dispiaceri verso Mons. Arcivescovo”, per metterlo esattamente al corrente dello stato della vertenza.
Con somma gratitudine ho ricevuto la lettera che V. E Rev.ma si è degnata d'inviarmi e ne la ringrazio di tutto cuore specialmente per le cose che in essa mi accenna. Affinchè poi Ella possa avere un'idea giusta intorno al timore che io voglia sottrarre preti o chierici dalla giurisdizione dell'Ordinario, credo opportuno alcuni schiarimenti.
Primieramente io mi sono sempre tenuto alle disposizioni di Benedetto XIV ed alle decisioni dell'autorevole Congregazione dei Vescovi e Regolari intorno all'accettazione dei Novizi. Ma l'Arcivescovo volle assolutamente una dichiarazione con cui l'assicurassi di non ricevere alcun suo chierico in nostra Congregazione, altrimenti non avrebbe più ammesso alcuno de' nostri alle sacre ordinazioni. Pro bono pacis accondiscesi, aggiungendo però: salve le prescrizioni della Chiesa dirette a tutelare la libertà delle vocazioni religiose. Gli dispiacque questa condizione e le cose continuarono come prima.
Molti nostri allievi vanno in seminario, ed alcuni non potendo dare nel genio al giovane Rettore, malgrado ogni loro merito sono mandati via e cancellati dai chierici diocesani. Questi poverini fanno ritorno alla casa nostra per coltivare gli studi o imparare un mestiere con cui potersi in qualche modo a suo tempo guadagnare il pane [861] della vita. L'Ordinario non vuole assolutamente che di costoro si prenda cura alcuna. Mi sembra crudeltà abbandonare in mezzo ad una strada un giovane a cui già si prodigarono tante sollecitudini. Oggi ho accolto uno di costoro. Prima di uscire dal Seminario si presentò supplichevole alla Curia Eccl.ca per avere la sua testimoniale. Gli fu fatta, ma l'Arcivescovo volle che andasse a prenderla da lui. Richiesto il povero chierico dove voleva andare, si schermì finchè potè. - Se non mel dici, non te la dò. - Se è così, soggiunse il buon chierico, le dirò che vado con Don Bosco. - Se vai là, non te la darò mai, conchiuse l'altro. Va' dove vuoi, ma con Don Bosco no. - Le stesse cose disse ad altri, e ad alcuni sacerdoti che furono pure in questa nostra casa educati.
Assicuro poi V. E. che noi continuiamo a pregare per la preziosa conservazione dei giorni di lei, e pregandola di compatire questo mio povero carattere, raccomando me e questa casa alla carità delle sante sue preghiere, e mi professo colla più profonda gratitudine,
PS. Rimetto il memoriale ivi unito per quell'uso che meglio crederà, consegnandolo a Monsig. Vitelleschi, o al Card. Bizzarri, o anche annullandolo, se così giudicasse.
Credo bene unirle un promemoria sulla cagione dei dispiaceri verso Mons. Arcivescovo. A parer mio le notizie infondate che taluno al medesimo fa pervenire. Noterò solo alcuni fatti:
1° Si volle persuadere Monsig. che D. Chiapale e D. Pignolo siano stati aggregati a questa congregazione. Nè l'uno, nè l'altro non ci hanno mai appartenuto.
2° Parecchi come assistenti o maestri andarono all'Istituto dei Sordomuti e si fecero poco onore, anzi si disonorarono. Non entro a giudicare alcuno; ma è certo che quelli non furono mai salesiani.
3° Molti usciti da questa Congr. diedero gravi disturbi nelle diocesi, dove andarono. Posso assicurare che fino al 1874 niuno di nostra congr. se ne è allontanato. Un solo professo, e fu il cav. Oreglia, ora p. Federico Oreglia, il quale era come laico, e giudicò bene di uscire e ritirarsi coi gesuiti e fare i suoi studi.
4° Si volle far credere a Monsignore che io stava stampando o aveva stampato lettere particolari di Monsignore stesso, che fece scrivere più lettere. Ciò non mi è mai passato per la mente.
5° Ho scritto un semplice invito pei soliti esercizi spirituali, e si volle comunicare a Mons. Arciv. che era una circolare indirizzata a tutti i parroci. Nè io nè altri a mio ordine mandò tali inviti ad alcun parroco. [862]
6° Ho scritto per persuadere Monsignore che questi esercizi che dovevansi dettare dal 7 al 13 settembre passato p. non avevano più luogo; ed ecco subito riferire al Medesimo che Don Bosco a dispetto del suo Superiore ecclesiastico aveva iniziati i simulati esercizi e si facevano in Lanzo,
7° Il Vicario di Lanzo lo assicura, che colà non vi son altri che quelli della nostra congreg.; ma subito àvvi chi si adopera di far credere il contrario all'Arcivescovo; quindi gravissimi disturbi per chi faceva gli esercizi, e dispiaceri da ambe le parti.
Potrei riferire lunga serie di simili fatti. Ora chi tira conseguenze da questi fatti, quali cose potrà conchiudere?
Mi duole l'animo il dover lottare colle altre gravi difficoltà; e sostener gli effetti di queste relazioni.
Occorrendo dirmi qualche cosa, La prego differire fino all'altra settimana; giacchè oggi parto in cerca di quattrini, trovandomi al verde. Sarò fuori 8 giorni.
Le difficoltà continuavano senza tregua.
Ai primi di novembre si presentava in Curia il Sac. Francesco Paglia colla seguente dichiarazione:
Il Sottoscritto dichiara che il Sac. Paglia Francesco appartenente alla Congregazione di S. Francesco di Sales, ha compiuto il corso di morale frequentando oltre a due anni le conferenze del Convitto Ecclesiastico.
Nel desiderio che si renda utile al bene dei fedeli col ricevere le Sacramentali Confessioni, il sottoscritto lo raccomanda a S. E. Rev. Mons. Arciv. perchè lo voglia ammettere all'opportuno esame.
Ma l'Arcivescovo non volle ammetterlo, adducendo per ragione che non aveva ancor emessi i voti perpetui, mentre Don Bosco aveva, dal Santo Padre la facoltà di concedere tale indulto.
Don Rua andava a pregar l'Arcivescovo di voler ordinare alcuni chierici nelle Tempora d'Avvento, e lo sentiva ripetere che non avrebbe ordinato nessuno, finchè s'accoglievano in case salesiane chierici usciti dal Seminario.
Don Bosco tornava a scrivergli: [863]
Mi fu comunicata la risposta di V. E. Rev. sulla negativa ammissione dei nostri chierici alla prossima ordinazione del S. Natale. Ella sa quanto sia stretto il dovere di un superiore di provvedere al bene dei suoi religiosi, che è pur quello della Chiesa, e sa pure certamente quali debbano essere i casi in cui un Ordinario possa rifiutare tali ordinazioni. Prima però di chiedere a Roma come io debba regolarmi stimo bene di esporle alcuni miei riflessi, e ciò unicamente per non aumentarle disturbi e dispiaceri che ho sempre studiato di poterle diminuire, checchè se ne voglia dire.
Ho chiesto se io doveva o poteva fare la dichiarazione di non ricevere chierici del seminario, secondo il tenore che ho avuto l'onore di presentare alla E. V. e ne fui non leggermente biasimato. In fine si diceva: „Vada a leggere la Costituzione di Benedetto XIV che comincia Ex quo dilectus; consulti le dichiarazioni della Congr. de' Vescovi e Regolari Super ingressum Clericorum Secularium in Regulares 20 dicembre 1859; consulti eziandio le risposte fatte al Vescovo di Pinerolo 3 maggio 1839 e avrà norme per suo governo”.
Ciò non ostante io la prego di voler credere che dei chierici espulsi dal Seminario di Torino finora non àvvene alcuno che appartenga alla nostra Congregazione nè come professo, nè come novizio. Per lo più vennero alcuni momentaneamente, perchè trovavansi in abbandono, ma appena poterono altrove collocarsi, se ne andarono; altri poi vennero per fare gli esercizi spirituali per disporsi a deporre l'abito, come ha fatto il chierico Borelli. Tutti però furono inviati a chiedere il consenso a V. E., il quale consenso essendo rifiutato, venne parimente rifiutata la loro accettazione.
Abbia pure la bontà di credermi che se mi sono risolto ad accettare momentaneamente que' chierici, era per mitigare l'acrimonia dei parenti e degli amici di codesti chierici che non finivano di vomitare plagas contro di Lei, quasi volesse che essi venissero da tutti abbandonati.
Ciò posto io prego V. E. a voler ammettere i nostri chierici alle Sacre Ordinazioni, come ne fo umile domanda. Qualora però giudicasse assolutamente di continuare nel rifiuto, la pregherei almeno di farmi scrivere quali ne siano le ragioni per mia norma.
Comunque sia per fare, e qualunque cosa taluno voglia asserire di me, io la posso assicurare che mi sono sempre adoperato per fare del bene secondo le mie forze al mio Superiore Ecclesiastico ed alla Diocesi dalla Divina Provvidenza al medesimo affidata: e nella speranza di poter continuare tutta la mia vita ho l'onore di potermi professare
Anche Don Rua tornava ad insistere, dichiarando che Don Bosco era disposto ad annuire a quanto voleva l'Arcivescovo:
So che dopo la conferenza, che io ebbi l'onore di tenere coll'E. V., il nostro amato Superiore Don Bosco Le indirizzò una lettera; io facendo seguito a quella debbo annunziarle che Don Bosco è pienamente disposto a non accogliere più nessun chierico de' venerandi suoi Seminari senza il suo consenso, ed infatti dopo d'allora già se ne presentò uno e più non lo accolse; ed inoltre è pur disposto a far deporre l'abito a quelli a cui ha già dato ricovero. Di modo che se questa sola difficoltà vi fosse per ammettere i nostri chierici alle Ordinazioni, potrebbe l'E. V. ammetterli chè non avrà più in avvenire a notare niente in questo proposito.
Permetta intanto che Le baci rispettosamente la Sacra Mano, da cui attende benedizione tutto l'Oratorio e specialmente chi ha il piacere di professarsi coi sensi di vivo affetto e venerazione,
Ad evitare ogni difficoltà circa le Sacre Ordinazioni non c'era altra via che ottenere dalla S. Sede la facoltà di rilasciar le Dimissorie ad quemcumque Episcopum, e Don Bosco si rivolgeva al Card. Berardi:
Siamo sempre nella difficoltà, e il nostro Arcivescovo mi dà sempre non leggeri fastidi senza mai dire che abbia con questi poveri salesiani. Sono circa tre anni da che non ha più voluto dare l'ordinazione ai nostri soci, uno eccettuato, cui conferì il sudd. a settembre con mille premesse e con mille difficoltà.
Ho domandato testè che ammettesse all'esame di confessione un nostro prete. Rispose no, perchè aveva i voti triennali. Ho detto che le nostre Costituzioni erano state approvate in questo senso. Questo è male, rispose; e intanto, nel generale bisogno di confessori, bisogna che taluno se ne stia inoperoso, malgrado scienza e buon volere. [865] Ho fatto domanda per l'ordinazione di tre nostri chierici pel prossimo S. Natale. Rispose no, perchè io accettava i suoi chierici nostra Congregazione. Soggiunsi che finora niuno de' suoi chierici fu accolto in nostra Congregazione. Non volle credere e stette fermo nel no.
Urtar maggiormente non voglio. Io credo che se l’E.V. potesse ottenermi dal S. Padre che io possa mandare questi chierici ad essere ordinati da altro vescovo nella cui diocesi àvvi alcuna delle nostre case, io potrei provvedere ad un gran bisogno nostro. Gli altri Ordini e Congregazioni praticano tutte così; ma io non oso farlo, perchè il nostro Arcivescovo minaccia molte pene ai Vescovi che a ciò si prestassero. Vi sarebbe altra via; la facoltà delle dimissorie ad quemcumque episcopum, come ottennero parecchi Ordini religiosi, e come il medesimo S. Padre concedette alla Congregazione detta dei Lazzaristi.
Ma io non oso tanto. Rimetto però tutto nelle sue mani e nella sua prudenza. Monsig. Vitelleschi ci è in tutto assai benevolo e favorevole, ma egli può soltanto esporre le cose, mentre la R. V. può parlare e ragionare con il Santo Padre.
Nel decorso dell'inverno spero poter fare una gita a Roma e poterla di presenza ossequiare e ringraziare di tutta la carità che usa ai poveri Salesiani. Per ora ci limitiamo di fare ogni giorno particolari preghiere, perchè la conservi Dio in sanità con lunghi anni di vita felice.
Dimando la sua santa benedizione, mentre con profonda gratitudine ho l'onore di potermi professare,
E alla lettera univa una supplica per implorare l'accennata facoltà delle Dimissorie ad quemcumque Episcopum.[161]
Ai primi di dicembre, essendo venuto a sapere che un sacerdote della diocesi di Como, Don Luigi Guanella, voleva farsi salesiano, Mons. Gastaldi scriveva al Vescovo dicendogli: „Si prevenga il D. Guanella che venendo in questa Archidiocesi non potrà mai ottenere il maneat e molto meno la facoltà di ascoltare le Confessioni Sacramentali”; e il Vicario Generale di Como scriveva all'Arciprete di Prosto. [866]
Per ordine di Mons. Vescovo Le riferisco quanto segue e faccio preghiera di darne avviso al M. R. Don Luigi Guanella. S. E. Rev. Arciv. di Torino scrisse a Mons. Vescovo di Como, che egli per ragioni che è inutile addurre e che riguardano l'interno governamento di sua Diocesi non darà il Maneat e molto meno la facoltà di ascoltare le Confessioni sacramentali al Sacerdote amministratore della parrocchia di Savogno che intende recarsi a Torino.
Don Luigi Guanella non dee darsi pensiero di questa decisione di S. E. Mons. Arciv., giacchè i motivi da cui fu indotto a questo sono affatto estranei alla persona di Don Luigi Guanella.
L'economo spirituale di Savogno adunque stia di buon animo, deponga il pensiero di lasciare la sua popolazione per ora, giacchè colla presente gli si revoca la concessione già fattagli, e adoperi tutto il suo zelo e la sua energia colla prudenza necessaria ad evangelizzare il popolo che Dio gli ha affidato.
Evidentemente spiaceva alla Curia di Como che il piissimo e zelante Economo Spirituale di Savogno, il futuro Fondatore dei Servi della Carità e delle Figlie di Santa Maria della Provvidenza, abbandonasse la diocesi; ma l'incaglio spiacque ancor più a Don Guanella, che scriveva a Don Bosco:
Ricevo testè la qui acchiusa e Le confesso di essere non poco maravigliato. Forse ordini così severi saranno stati provocati dalla polizia di qui. Non saprei immaginar altro in questo momento. Ed Ella sa come io sia sotto la sorveglianza della polizia dopo che venne alla luce quel mio libretto Ammonimenti etc. - Io mi raccomando a Lei e prego il Signore che faccia scomparire questo buio procelloso, e così presto la possa raggiungere. Ho scritto a Don Sala, e telegrafo che sospenda spedir le sue robe, ma oggi stesso scriverei a Mons. Vescovo che accolgo pure il suddetto Sacerdote a mio luogo perchè chi sa che io se non in Torino possa essere accettato in qualche altro suo Collegio? È un mistero il decreto di Monsignor Arcivescovo. Che c'entravo io con Lui? lo non sarei dipeso dalla sua giurisdizione... Preghi il Signore che io possa essere rassegnato a tutto. La riverisco con alto ossequio e Le sono,
Prosto di Chiavenna, 4 - 12 - '74
Il 24 dicembre, vigilia di Natale, Mons. Gastaldi faceva un altro passo... comunicando a Don Bosco un decreto, da lui firmato in data 17 dicembre 1874, col quale venivan [867] tolte tutte le facoltà, e i favori e i privilegi concessi dai suoi predecessori e da lui medesimo, all'Opera Salesiana!
È lampante che cotesto modo di fare, sempre più autoritario, era di grave ostacolo all'incremento della Pia Società, che abbisognava di anime generose per compiere il suo apostolato; e Don Bosco, prima della fin dell'anno si vide costretto a far una nuova esposizione al Santo Padre delle difficoltà che gli parevano „incagliare la maggior gloria di Dio”.
Il 3 aprile dell'anno spirante la S. V. degnavasi di dare la definitiva approvazione alla Pia Società Salesiana. Con tale atto di Sovrana Clemenza dava a conoscere che tutta la Congregazione Salesiana e tutti i membri della medesima erano posti sotto l'alta protezione e tutela della S. Sede. Dopo di che al Superiore di essa s'inculcava di promuovere l'esatta osservanza delle Costituzioni, il rispetto all'autorità degli Ordinarii e nei tristi tempi che viviamo e nella generale penuria di preti prestarci con tutte le forze in aiuto di quelli.
I Vescovi con cui si ebbero relazioni si professarono costantemente nostri protettori ed i Salesiani dal loro canto si adoperarono con un cuore solo ed un'anima sola per coadiuvarli nel ministero della predicazione, dei catechismi, nell'ascoltare le confessioni dei fedeli, nella celebrazione della S. Messa, in fare scuola e simili.
Solamente con S. E. l'Arcivescovo di Torino si ebbero ad incontrare difficoltà che paiono incagliare la maggior gloria di Dio.
1° Vorrebbe sottoporre i nostri Ordinandi non solo all'esame intorno alle scienze teologiche, al che si è sempre di buon grado accondisceso, ma di più esaminarli sulla vocazione allo stato religioso. In ciò fu appagato, ma di poi pretese che si dichiarasse per iscritto che nella nostra Società non si sarebbe mai accettato alcuno uscito dal Seminario diocesano: la qual cosa pare direttamente contraria alle prescrizioni Pontificie. E si accondiscese mettendo però la clausola, salvi i sacri canoni, diretti a tutelare le vocazioni religiose. Continuò non pertanto a lamentarsi perchè noi riceviamo i suoi chierici, mentre finora nessuno de' suoi seminaristi fa parte della nostra Congregazione.
2° Senza che se ne conosca la cagione, da tre anni si rifiuta di conferire le Sacre Ordinazioni ai nostri chierici, se ne eccettuiamo uno con grave stento ordinato nelle sacre tempora del passato autunno. Per queste ragioni ai singoli casi delle Ordinazioni dobbiamo provvedere con grande nostro incomodo e spesa. Da ciò ne deriva che noi dobbiamo vedere nel campo evangelico gli operai inoperosi per mancanza di ordinazioni.
3° Non volle assolutamente che alcun prete di questa diocesi entri in nostra Congregazione. Ciò si è specialmente verificato nel [868] Sacerdote Savio Ascanio ed Olivero Giovanni, ambidue nostri antichi allievi. Anzi per quanto sta in lui si oppone anche a quelli di altre diocesi. Un mese fa venuto a sapere che un parroco Lombardo di nome Guanella Luigi aveva deliberato di entrare nella Società Salesiana, egli per mezzo del Vescovo di Como fece tosto scrivere al Don Guanella, intimandogli che nella sua Diocesi non gli avrebbe mai concesso il maneat, ossia la facoltà, nè di celebrare messa, nè di confessar in sua diocesi.
4° Oppone difficoltà nell'ammettere i nostri Sacerdoti a subire l'esame di confessione, per es. il Sacerdote Francesco Paglia, sebbene percorra l'ottavo anno di Teologia, non potè ancora esservi ammesso. Dapprima addusse che non avea frequentate le conferenze del suo convitto; poco dopo aggiunse perchè non aveva subiti gli esami annuali; poi che non poteva occuparsene. Quando poi si trovarono infondate tali asserzioni addusse che non avendo emessi i voti perpetui non poteva essere ammesso. Ma se le nostre costituzioni sono state approvate in questo senso, se niun altro Ordinario muove su ciò difficoltà di sorta? D'altronde la S. V. non ha stabilito che tutti gli Ordini religiosi, prima dei solenni e perpetui, facciano i voti semplici e temporanei?
5° Gli Ordinarii delle case della Congregazione concedono assai volentieri tutte quelle facoltà che possono tornare a vantaggio delle anime. Così pure fecero gli Arcivescovi Torinesi, compreso Mons. Gastaldi: oltre l'approvazione diocesana accordarono eziandio parecchi privilegi, per es. di portare il Viatico, amministrare l'Estrema Unzione, fare funerali, esequie mortuarie a quelli che abitano nelle nostre case; predicare tridui, novene, esercizii spirituali, dare la benedizione col Venerabile, l'adorazione delle Quarantore e simili. Ma queste facoltà che giovano efficacemente al bene delle anime si vorrebbero ora revocate col decreto 17 corrente mese, come si può vedere nella copia che si unisce e nelle lettere dirette allo esponente nello scorso agosto e settembre.
6° Per la diminuzione di preti, cagionata dal rifiuto delle ordinazioni, per la diminuzione di confessori perchè non ammessi agli esami, per la revoca dei favori comuni che sono grandemente utili, specialmente per una Congregazione nascente noi non potemmo aprire alcune case di educazione ed istruzione in paesi dove ne eravamo stati richiesti e scarsamente possiamo darci all'esercizio del sacro ministero, cui siamo ad ogni momento invitati, sopratutto in favore dei fanciulli poveri e abbandonati.
Esposti questi fatti non per muovere accuse o lagnanze, ma unicamente per rimuovere gli impacci alla maggior gloria di Dio, umilmente supplico V. S. a voler conservare i Socii Salesiani sotto la paterna sua protezione e dare quei consigli che giudicherà opportuni pel bene delle anime. [869] Glorioso di potersi prostrare ai piedi di V. S. implora l'apostolica benedizione sopra tutti i Salesiani ed in modo particolare sopra il povero esponente che colla più profonda gratitudine ha l'alto onore di potersi sottoscrivere di V. S.
Chiudiamo la nostra narrazione con due rilievi:
Il primo è di Don Rua, quale si legge nel Processo Informativo: „Si vedeva che il Servo di Dio soffriva, e qualche volta l'ho visto piangere per la pena che provava nel trovarsi in urto col suo Superiore, con cui avrebbe desiderato conservare la più perfetta armonia, aiutandosi a vicenda a lavorare per la maggior gloria di Dio. Talvolta lo sentii pure esclamare: - Ci sarebbe tanto bene da fare, e resto così disturbato da non poterlo fare!”.
Il secondo è di Don Bosco. Interrogato da qualcuno dei nostri, come mai avesse suggerito la promozione di Mons. Gastaldi ad Arcivescovo di Torino, - naturalmente l'aveva fatto, ritenendo quel passo vantaggioso, sapendo quanto Monsignore amasse e favorisse l'Opera sua - fu udito rispondere umilmente:
- Per aver posto più confidenza negli uomini che in Dio!.
E noi, dopo aver seguito il lungo e paziente lavoro compiuto dal Santo per raggiungere l'approvazione definitiva delle Costituzioni, qual cosa possiam proporci che torni a lui più gradita?...
- Rileggere attentamente, a quando a quando, l'esemplare approvato dalla Santa Sede, per comprendere esattamente il suo spirito e viverlo esemplarmente!
Non dimentichiamo le sue insistenti raccomandazioni:
“Abborrisci - scriveva ad ogni direttore prima di raggiungere la mèta desiderata[162] - abborrisci come veleno le modificazioni delle Regole. L'esatta osservanza di esse è migliore di qualunque variazione. Il meglio è nemico del bene”
“Adopriamoci - diceva poi, nel presentar le Regole approvate, a tutti i Confratelli - adopriamoci di osservare [870] le nostre Regole senza darci pensiero di migliorarle o riformarle. “Se i Salesiani, disse il nostro grande benefattore Pio IX, senza pretendere di migliorare le loro costituzioni, studieranno di osservarle puntualmente, la loro Congregazione sarà ognor più fiorente“”[163].
Questa fu la continua raccomandazione del veneratissimo Padre fino al termine dei suoi giorni. Anche nel 1884, il 16 agosto, da Pinerolo scriveva al caro Don Bonetti, Consigliere del Capitolo e poi Catechista Generale della Società:
“Nel corso della tua vita predicherai sempre: non riformare le Regole nostre, ma praticarle. Chi cerca la riforma, deforma la sua maniera di vivere. Raccomanda costantemente l'osservanza esatta delle nostre Costituzioni. Ritieni che QUI TIMET DEUM NIHIL NEGLEGIT, ET QUI SPERNIT MODICA, PAULATIM DECIDET ...”.
Così la nostra Pia Società continuerà fedelmente il suo scopo, con „la perfezione cristiana dei suoi membri” ed “ogni opera di carità spirituale verso dei giovani specialmente poveri”, ed il nostro primo esercizio di carità sarà sempre „di raccogliere giovanetti poveri ed abbandonati per istruirli nella santa Cattolica Religione, particolarmente ne' giorni festivi”; e, „per quanto è possibile”, per i più abbandonati „si apriranno case nelle quali coi mezzi che la divina Provvidenza ci porrà tra le mani, verrà loro somministrato ricovero, vitto e vestito, e mentre si instruiranno nelle verità della Cattolica Fede, saranno eziandio avviati a qualche arte o mestiere”; e in pari tempo „verranno coltivati nella pietà quelli che mostrassero speciale attitudine allo studio e fossero commendevoli per buoni costumi”, dando sempre la „preferenza ai più poveri, perchè appunto non potrebbero compiere i loro studi altrove, purchè diano qualche speranza di vocazione allo stato Ecclesiastico...”.
Abbiamo ognor presente, che procurare alla Chiesa nuovi ministri del Signore, tanto per le terre civili come per le terre selvagge, fu il sospiro e il lavoro incessante del Santo nostro Fondatore in tutta la vita! [871]
LE REGOLE PRESENTATE NEL 1873] REGULAE
SOCIETATIS S. FRANCISCI SALESII SOCIETAS
Catholicae religionis ministris persuasum semper fuit in adolescentulis bene instituendis maximam esse sollicitudinem adhibendam. Etenim, iuventute malis 'aut bonis moribus imbuta, bona aut inala ipsa hominum societas fiet. Ipse Christus Dominùs huius rei veritatis nobis clarum exemplum suppeditavit, praesertim quum parvulis ad se advocatis divinis manibus benediceret, atquē clamaret: Sinite parvulos venire ad me.
Episcopi, quibus Spiritus Sanctus regendam dedit Ecclesiam Dei, praesertim vero Pontifices Maximi, Servatoris nostri vestigia secuti, cuius vices gerunt in terris, verbis atque operibus instituta ad iuventutem christiane erudiendam spectantia alacri animo, peculiarique sollicitudine commendarunt atque eisdem sunt suffragati. Pius autem IX Pont. Max., quem diutissime Deus ad Ecclesiae *[164] gloriam in 1 [* pag. 4] columēm ac sospitem servet, praeter indefessos labores pro adolescentulis periclitantibus perlatos, omnimodis subsfdiis illas institutiones fovit, quae ad huiusmodi sacri ministerii partem spectarent.
Nostris vero temporibus longe maior urget necessitas. Naim incuria multorum parentum, abusus artis guttembergiaé, haereticorum atquē schismaticorum conatus ad coacervandos sibi sectatores, necessitatēm ingesserunt simul coniungendi vires ad proelianda proelia [872] Domini sub Vexillo Vicarii Domini nostri Iesu Christi, ad tuendam fidem et tutandos bonos mores praesertim adolescentulorum, quos prae inopia deficiunt praesidia ad christianam doctrinam assequendam. Hic est finis Societatis sive Congregationis Sancti Francisci Salesii.
DE EIUSDEM SOCIETATIS PRIMORDIIS.
Iam inde ab anno millesimo octingentesimo primo et quadragesimo Ioannes Bosco sacerdos una cum aliis ecclesiasticis viris operam dabat, ut simul in unum locum Augustae Taurinorum adolescentulos
derelietos et pauperes colligeret, eosque ludis exhilararet, eodem vero tempore panem divini verbi iis distribueret. Quae quidem omnia auctoritatis ecclesiasticae consensu fiebant.
Quum autem Deus exiguis hisce initiis benēdiceret, mírum quantus adolescentium numerus hue libenter convenirēt! Quibus quidem omnibus perpensis, anno MDCCCXLIV Aloysius Fransonius, fe- *licis [ * pag. 5 ] recordationis, Taurineusis Dioecesis Archiēpiscopus, passus est aedificium in formam Ecclesiae divari[165], ibique sacra omnia peragi, quae necessaria sunt ad rite colendos dies festos atque adolescentulos instituendos, qui frequentiores in diem adventabant. Hue saepius Archiepiscopus ipse se contulit, ut Sacramenturn Confirmationis administraret. Anno MDCCCXLVI decrevit, ut omnes, qui buie instituto interessent, ibi possent ad Sanctum Eucharistiae Sacramentum admitti, praeceptum Paschatis adimplere; ut sacerdotibus liceret ibi sacrum solemne facere, et triduanas vel novendiales preces indi-cere quoties ipsis videretur. Haec omnia in Asceterio s. Francisci Salesii fatta sunt usque ad annum MDCCCXLVII Hoc autem anno quum numerus adolescentulorum augeretur, ideoque aedes iam nequiret omnes capere, adnuente auctoritate ecclesiastica, in alia urbis regione, ad Portam Novam, alterum Asceterium adapertum fuit sub titulo s. Aloysii Gonzagae.
Quum vero et haec duo, labente tempore, satis non essent, tertium anno MDCCCXLIX in Vanchilia, eiusdem etiam urbis regione, instituebatur sub titulo Sancti Angeli Custodis.
Irrumpentibus autem iís temporum difficultatibus, quaē religioni summopere adversarentur, vir amplissimus, cui dioeceseos cura erat demandata, * motu proprio regulas huiusmodi Asceteriorum pro
[ * pag. 6 ] bavit, et Ioannem Bosco sacerdotem eorumdem Rectorem constituit, quacumque facultate donatum, quae ad id necessaria atque [873] opportdna videretur. Complures Episcopi eudem regulas exceperunt, atque nituntur, ut In suis quoque dioecesibus huius generis Asceteria fioreant. ,
At praeter opinionem alia,gravis extitit necessitas. Nonnulli adolescentes, grandiori iam aetate, nequibant satis institui christiana doctrina solis diebus festis, ac propterea oportuit scholas aperire, ubi horis tum diurnis, tum nocturnis, per hebdomadam, christjâna institutione excolereutur. Quin imo ex iis complures derelieti et dura paupertate conflictati in peculiarem domùm recepti sunt, ut ibi ~peyricu?is erepti religionem docerentur, et in aliquo opificio exercerentur. Quod quidem etiam nunc (anno MDccci,XxIII) fit praesertim Augustaé Taurinorum in aedibus quae suit ad hospitium Asceterii sancti Francisci Salesii, ubi -octingenti et ultra numerantur. Anno mDcecrxin alia quoque domus Mirabelli, qui pagus est in agro Montis Ferrati, adaperta fuit, cui titulus: Parvum Sancti Caroli Seminarium. Nunc autem hoc collegium seú parvum Seminarium ad Parum Saneti Martiui in eodem territorio Casalensi translatum fuit. Anno vero MDCccixiv apud Lanceū n in agro Taurinensi nova,domus in collegii formam eretta fuit. Itidem abbine paucis annis aliae domus adspertae sunt et quidem:
Anno MDCCCLxx collegium Beatae Virginis Mariae ab Angelis Alaxii,.quae urbs est dioecesis Albingaunensis; [*pag-7] Anno MDCCCr,xxI aliud municipale ephebeum Varagine, dioecesis Savonensis;
Eodem anno MDccc£xxl Hospitium Sancti Vincentii in urbe S. Petri ab Arena, in Genuensi dioecesi, pro adolescentulis derelictis; Tandem exeunte anno MDeceLxxil ēphebeum adapertum fuit prope urbem Tauriuensem in regione vulgo Valsalice, dicta. Domibus antedictis quingenti circiter supra duo millia adolescentuli scientia et religione instttubntur (MDCCCL=II).
Iatu vero quum adolescentuli frequentes Asceterium diebus festis adirent, scholae diumae et vespertinae haberentur, ac in~ in modum exceptorum numerus in dies augescerēt, copiosa nimis messis Domini fatta est. Quapropter ut probatae iam disciplinae unitas servaretur, a qua uberrimus fructus provenire consuevit, iam inde ab anno MDcccxr~iv nonnulli viri ecclesiastici se se simul collegerunt ut genus quoddam societatis vèl congregationis constituerent, alius
W alium exemplo atque institutione invicern adiuvantes. Nullo se voto adstrinxerunt, 'tanturaque polliciti sunt se strenuam iis. operam daturos, quae ad maiorem Dei gloriam suaeque animae utilitatem con Serre viderentur. Ioannēm Bosco Sacerdotem ultro sibi Praefectum adlegerunt. .
Licet autem nulla vota proferrentur, actu tamen esdem ferme observabautur, quae hic exponuntur. [ * pag. 8 *] [874]
1. Huc spectat huius Congregationis finis, ut socii simul ad per- fectionem christianam nitentes, quaeque charitatis opera t'um spiritualia, tum corporalia erga adolescentes, praesertim si pauperiores sint,
exerceant, et in ipsam iuniorum cleriedrum educationem incombant. Haec autem societas constat ex ecclesiasticis, clerïcis atque laicis.
2. Iesus Christus coepit facere et dovere, ita etiam socii incipient externarum virtutum exercitio, et scientiarum studio se ipsos perficere; deinde -aliorum beneficio strenuam operam dabunt.
3. Primum charitatis exercitium in”hoc versabitur, ut pauperiores ac derelicti adolescentuli excipiantur, et sanctam catholicam religionem doceantur, praesertim vero diebus festîs, quemadmodum Au
gustae fiaurinorum fit in quatuor Asceteriis s. Francisci Salesii, s. Aloysii Gonzagae, s. Angeli Custodis nunc Sanctae Iuliae, et s. Iosephi (anno MDCCCLXXIII).
4. Saepe autem contingit, ut adolescentuli inveniantur adeo derelicti; ut, nesi in alequod hospitium recipiantur, quaecumque cura frustra iis Dmnino impendatur. Quod ut fiat, maiori qua licebit solli
citudine, domm aperientur, in quibus Divina opitulante Providentia, receptaculum, victus et vestimentum iis subministrabuntur. Fodem vero tempore, quo fidei veritatibus instituentur, operam quoque alicui arti navabunt; quemadmodum nunc * fit in aedibus quae [ * pag. 9 ] Asceterio s. Francisci Salesii adiunguntur in hac urbe, et in- Hospitio Sancti Vincentii de' Paoli prope urbem Genuensem.
5. Quum vero gravissimis periculis subiiciantur adolescentes, qui ecclesiastico ministerio initiari cupiunt, maximae curae huic societati erit eos in pietate et vocatione colere, qui se studio et pietate spe
cialiter commendabiles ostendant. In adolescentibus autem studiorum causa excipiendis ii praeferentur, qui pauperiores sint, qui ideo curriculum studiorum alibi nequeunt explere; dummodo aliquam spem voeationis ad ecclesiasticam militiam praebeaut.
6. Quum autem necessitas catholicae religionis tutandae gravior etiam urgeat inter christianos populos, praesertim in pages, propterea sócii strenue adlaborabunt, ut homines, qui potioris vitae amore per statos aliquot dies secedunt; ad peetatem confirment erígantque; ut bonos libros in valgus spargant, omnibusque rationibus utantur, quae a sedula charitate proficiscuntur; verbis denique et scriptes impietati adversentur, et haeresi, quse omnia tentat, ut in rudes ac idiotas pērvadat. Rue spectant sacrae conciones, quae identidem habentur; hue triduanae et novendiales supplicationes; hue demum libri 'evulgati per officinam librariam ab anno Mncccl xli institutam in Aseeterio Taurinensi, qui inscribuntur Letture Cattoliche et Biblioteca delta Gioventù aliique libri quam plurimi. [* pag. I0 ] [1073]
1. Socii omnes vitam communem agunt, uno fraternae charitatia votorumque simplicium vinculo constricti, quod eos ita constringit, ut unom cor, unamque ammara efficiant ad Deum amandum, eique serviendum virtute obedientiae, paupertatis, monun sanctimonia, et accurata christiana vivendi ratione.
2. Quicumque societatem ingressus fuerit civilia iura, etiam editis votis, non amittit, Ideoque rertun suarum proprietatem servat, idemque ex legum civilium praescripto publica tributa solvet, valide et licite potest emere, vendere, testamentum conficere, atque in aliena bona succedere: Sed quamdiu in societate permanserit, nequit facultates suas administrare, nisi ea ratione et mensura qua Rector Maior in Domino bene iudicaverit.
3. Ournis fructus rerum sive mobilium, sive immobilium, quas societatem ingrediendo quis secum attulit, quo tempore vitam in ipsa egerit, ad eamdem pertinebit. Poterit tamen vel partim, vel etiam omnino parentibm erogare quae extra congregationem possideat; at semper obtento Rectoris consensu.
4. Clerici et Sacerdotes, etiam postquam vota emiserint, patrimonia vel simplicia beneficia retinebunt, sed neque administrare, neque iis perfrui poterunt nisi ad Rectoris voluntatèm. [* pag. 11]
5. Administratio patrimoniorum, beneficiorum et omnium, quae in societatem inferantur, ad Soperiorem Generalem pertinet, qui vel [ ipse vel per alios ea administrabit; et donec quisquam in congregatione fuerit, annuos eorum fruvtus idem Supêroor percipiet.
6. Eidem Superiori omnes sacerdotes missarum etiam eleemosynam tradent. Omnes vero, tum sacerdotes, tum clerici, vel laici, omnum pecuniam, quodcumque domini quibusque titulis ad eos pérr veniant, eidem commettent. Legata vero atque haereditates ad eosdem pertinebunt secundum legum civilium praescripta, sed modo in articules 4 et 5 adsegnato.
7. Unusquisque votis tenetur, donec in societate permanserit. Si quis vel insta de causa, vel prudenti superiorum iudicio, a societate discedat, a votis-poterit a Superiore Generali exsolvi:
8. Unosquisque maneat in vocatione, ad goam vocatus est, usque ad vitae exitum. In mentem quotidie sibi revocet gravissima illa Domini Servatoris verba: Nemo mittens manum ad aratrum, et respiciens retro, aptus est regno Dei.
9. Verumtamen, si guis a societate egrediatur, nihil sibi ob temipus, quod in ea transegit, poterit adrogare, neque aliud secum ferre, quam quod Generalis Superior opportunius iudicabit. Recuperabit autem plenum ius de rebus emmobilibus atque etiam de mobilibus [876] quarum proprietatem ab ingressu in societatem servaverit. At nullum fructum, neque eorum administrationis rationem exposcere poterit pro tempore quo in societate per- * manserit, nisi cum Rectore ma [ * pag. 12 ] iore aliquod peculiare pactum intercesserit.
10. Qui affert pecuniam, mobilia, vel alia cuiuscumque generis in societatem animo proprietatem servandi, debet indicem eorumdem Superiori tradere, qui, rebus omnibus recognitis, ei chartam receptio nis dabit. Cuir autem'velit socius ces recuperare, quae usu consumuntur, eas recipíet eo statu, in quo tunc temporis erunt, quin possit compensationem repetere.
1. Propheta David Deum enixe orabat, ut illum doceret eius voluntati obsequi. Servator Dominus certos nos fecit se hue in terras descendisse, non ut faceret voluntatem suam, sed voluntatem Patris sui, qui in coelis est. Huc spectat obedientiae votum, scilicēt, ut certiores ēfficiamur nos sanctae Dei voluntati obtemperaturos.
2. Obedientiae votum socius ita devincit, ut iis tantum operam havent, quae Superior fore iudicabit ad maiorem Dei gloriam, et animae suae proximique utilitatem, secundum ea, quae hisce constitutionibus praescribuntur.
3. Huiusce voti observantia sub culpa non obligat, nisi in iis, quae mandatis Dei Sanctaeque Matris Ecclesiae adversentur.
4. Obedientia nos certos reddit Dei voluntatem adimplere. Quapropter unusquisque proprio Superiori obediat, illumque in omnibus veluti patrem * peramantem habeat, eique pareat integre, prompte, [ * pag. 13 ] hilari animo et demisse; ēa animi persuasione ductus, in re praescripta ipsam Dei voluntatem-patefieri.
5. Nemo anxietate petendi vel recusandi afficiatur. Si quis autem cognosceret quidpiam sibi vel uocere; vel necessarium esse, reverenter id Superiori exponat, cui maximae erit curae eius necessitatibus consulere.
6. Maxima unicuique fiducia in superiore sit, neque ullum cordis secretum quisquam illum celet. Quoties ab eo postuletur, vel ipse necessitatem agnoscat, etiam conscientiam suam, ei adaperiat, quotiescumque hoc ad maiorem Dei gloriam, animaeque suae utilitatem conferre iudicaverit,
7. Nemo resistendo pareat, neque verbis, neque factis, neque corde. Quo magis aliquid repugnat facienti, eo maiori merito erit in conspectu Dēi si illud perficitur.
1. Votum paupertatis apud nos respicit cuiuscumque rei administrationem, non possessionem. Eiusmodi auteur voti observantia [877] in hoc praecipue consistit, ut animum ab omnibus terrestribus alie-num quisque habeat; quod nos vita quoquoversum communi relate ad victum Et vestimentum consequi curabimus, nec quidpiam nisi peculiari Superioris permissione pro nobis retinentes.
2. Unusquisque hoc voto tenetur cellulam suam * maxima sim[ * pag. 14 ] plicitate habere, et summopere niti, ut cor virtute, non corpus vel aedium parietes exornentur.
3. Nemo, sive intra sive extra congregationem, pecuniam apud se aut apud alios habeat quacumque de causa.
4. Si quis iter sit ingressurns, vel a Superiore mittendus ad aperiendam, vel administrandam aliquam domum, vel explendam aliquant sacri ministerii partem, vel alia necessitas adsit, tum Superior ea statuet, quae temporum, locorum et sociorum adiuncta postulabunt.
5, Mutuum dare, accipere, vel ea, quae sunt apud se aut in societatē, elargiri, contractus inire cuiuslibet generis, absque Superioris licentia non tantum cum externis, sed etiam cum sociis congregationis vetitum est (I).
I. Qui vitam in derelictis adolescentulis sublevandis impendit, certe totis viribus niti debet, ut omnibus virtutibus exornetur. At virtus summopere colenda, atque quotidie prae oculis habenda, virtus angelica, virtus prae caeteris cara Filio Dei, virtus est castitatis.
2. Qui firmam spem non habet, se, Deo adiu- * vante, virtutem [ * pag. 15 ] castitatis, tum dictis, tum factis, tum etiam cogitationibus posse servare, in hac societate non profiteatur; iii, periculo enim saepenumero versabitur.
3. Verba, oculorum obtutus, licet indifferentes, perverse interdum ab adolescentulis excipiuntur, qui humanis cupiditatibus iam fuerunt subacti. Quapropter maxima cura est adhibenda, quoties sermo cum adolescentulis instituitur cuiuslibet aetatis, aut conditionis, vel quidpiam cum illis agitur.
4. Conversationes defugiantur, si hae sint cum personis alterius . sexus, vel etiam cum ipsis secularibus, ubi haec virtus periclitari videatur.
5. Nemo se conferat domum apud notos, vel amicos, absque cousensu Superioris, qui, quoties fieri possit, comitem ei adiunget. 6. Ut castitatis virtus diligentissime custodiatur, haec potissimum. sunt agenda. Scilicet ut quisque sancte ad Poeuitentiae et Eu
i) Caput de forma societatis et caput de voto paupertatis fece ad verbum excerpta fuerunt a constitutionibus Congregationis scholarum charitatis, quam approbavit Gregorius Papa XVI die 21 Iunii MDCCCXXXVI. [878] charistiae Sacramenta sa epe accedat; consilia confessarii sedulo exequatur; otium defugiat; omnes corporis sensus coerceat, et moderetur; frequenter Iesum in Sacramento invisendum adeat; crebras iaculatorias preces fundat ad Mariam SS,, Sanctum Franciscum Salesium, Sancturn Aloysium Gonzagam, qui sunt huius Societatis praecipui patroni.
I. Socii arbitrum et Supremum Superiorem habebunt Poutificem Maximum, cui omnibus in lotis, temporibus et' dispositionibus suis humiliter * et reverenter subiicientur. Quin imo praecipua erit eu [ * pag. 16 ] iusque socii sollicitudo totis viribus promovendi ac defendendi auctoritatem et observantiam $cclesiae Catholicae legum, eiusque Supremi Antistitis, et hic in terris legislatoris et Iesu Christi Vicarii.
2. Quod ad Sacramentorum administrationem ac praedicationem et ad ea omnia, quae ad publicum.sacri ministerii munus attinent, stricte subiicientur Episcopo illius Dioecesis, in qua domus est ad quam pertinent, prout regulae Societatis patientur.
3. Omnes Socii strenuam operam dabunt, ut episcopo propriae dioecesis auxilium praebeant, ac, quantum licebit, religionis iura omnimode tueautur, illius bonum sedulo promoveant, praesertim si agatur de pauperioribus adolescentulis instituendis:
4. Quod vero ad sacros didines spectat, socii ab Episcopo Dioecesis eos accipient, a quo sunt ordinandi iuxia consuetudinem aliarum Congregationum, domorum communionem habentium: videlicet ex pxivilegiis congregationum, quae tanquam Ordines Regulares habentur[166]. [ * pag. 17 ]
I. Quod ad internum attinet, tota Societas Capitulo Superiori subiicitur, quod ex Rectore, Praefecto, Oeconomo, spirituali Direttore seu Catechista, et tribus consiliariis constat.
2. Rector maior totius societatis moderator est; omnia quae respiciunt officia, personas, res mobiles aut immobiles, spiritualia vel temporalia ei subiiciuntur. Proinde Rectoris munus est socios in societatem admittere vel non; unicuique adsignare quae spectant [879] sive ad spiritualia, sive ad temporalia, quae per se aut per delegationem praestare poterit. Nulla tamen, quod ad res immobiles spectat emendi, vel vendendi ei erit facultas absque Superioris Capituli consensu., . 3. Nemo, exceptis, Capitulo Superiori et domorum directoribus, potest epistolas scribere vel accipere sine Superioris permissione vel alterius socii ab eodem ad hoc specialiter delegati.
Omnes tamen socii possunt epistolas vel alia scripta ad Superiorem Generalem mittere inconsultis superioribus loci in quo ipsi commoràntur. Iisdem autem superioribus talia scripta invisere minime licebit.
4. Rector maior in munere suo ad duodecim annos manebit, et iterum eligi poterit.
5. Idem Rector Capitulum et D0muum Directores singulis annis convocet, ut, societatis neces- * sitatibus cognitis, iis eonsulatur [ * pag. 18 ] eaegue sollicitudines adhibeantur, quas tempora et loca exposcent.
6. Capitulum ita convocatum poterit etiam eos articulos regulis , addere, quos opportunos ad societatis utilitatem iudicabit, at semper
eo sensu et ratione, quibus regulae iam probatae sunt. Quoties dubium exoriatur circa modum, quo aliquis articulus intelligi debeat, Rector Maior potest eumdem interpretari quemadmodum spiritui Societatis magis consentaneum iudicaverit.
7. Ut autem casui mortis suae Rector Maior provideat, Vicarium sibi eliget ex Congregationis sociis, eiusque praenomen et nomen notabit in chartaē obsignatae plagula sub clave et omnibus occulte habitis. Faseiculo haee inseribantur: Rector temporarius.
8. Mortuo, Rectore, Vicarius illius vicem geret, donec successor ei creatus sit; at nullam poterit neque disciplinae, neque administra tioni mutationem afferre, quo tempore societatem reget.. g. Mortuo Rettore, statim Vicarius illius mortem annuntiet omnium Domuum sociis, ut ita unusquisque maximam sollicitudinem . adhibeat in iis spiritualibus auxiliis ei praebendis, quae regulae prae scribunt. Deinde omnes earumdem Directores invitet ut successoris electioni interesse satagant.
10. At si forte contingat, quod Deus avertat, ut Rector Maior gravissime officia sua negligat, praefectus vel quisque de superiori capitulo, una cum aliis membris eiusdem Capituli, poterit domuum directores-convocare, ut Rectorem efficaciter admoneant. Quod si non sufficiat, Capitulum certiorem * de hac re faciat sacram Episco- * pag. 19 ] porum et Regularium Congregationem, cuius consilio et responsione accepta, Rector Maior deponi potest.
Qua in re servanda sunt ea quae inferius praescribuntur in casu quo Superior Generalis decederet quin prius Vicarium Temporarium nominaverit. [880]
DE RECTORIS MAIORIS ELECTIONE.
I. Ut quis Rector Maior sen generalis Superior eligi possit, opor-tet ut saltem octo annos in societate transegerit, trigesimum suae aetatis expleverit, sociis vitae sanctimonia praefulserit, et in perpetuum professus sit.
2. Duplici ex causa Rectoris Maioris electio fieri continget, videlicet vel ob finitum duodecim annorum munus, aut ob Rectoris mortem.
3. Si Rector maior eligendus est, eo quod duodecim annos In munere transegerit, electio sic est facienda. Ipsemet Rectox Maior, tres menses antequam sui officii tempus labatur, Capitulum Superius
convocabit, eique sui muneris finem imminere palam faciet. Huius rei notitiam transmittet Directoribus cuiusque Domus, cisque sociis Qmnibus, qui secundum constitutiones suffragium dare poterunt. Dum autem finis sui muneris diem significabit, aliam statuet diem ad sui successoris electionem perficiendam. Eodem tempore pietatis opera assignabit ad superna lumina obtinenda, clare et distincte omnes commonens de stricta * singulorum obligatidue suum dandi [ * pag. 20 ] suffragium illi, quem ad Dei gloriam utilitatemque animarum in societate promovendam magis idoneum, in Domino iudicaverint. Tempus vero electtonns peragendae, si fieri potest, quindecim dierum spatium a fine muneris sui excedere non debebit.
4. A die, quo suum munus ex plebit, usque ad peractam eiusdem successoris electionem, Reetor Maior Vicarii temporarii nomen et auctoritatem habebit; pergetque in societatis regimine et administratione donec eius successor in monere suo reapse sit constitutus.
5. In electione novi Rectoris suffragia ferent omnes socii, qui iam vota perpetua emiserint. Directores vero cuiusque domus publice cum duobus scrutatoribus vota , colligent, eaque in indice a se
et duobus praedictis scrutatoribus obsignato tuto modo per se vel per delegatum ad Capitulum Superius transmittenda curabunt; huius autem indicis exemplar in eadeur domo servabitur.
6. Ad scrutinium generale intererunt Vicarius temporarius, Capitulum Superius, Directores vel eorum delegati atque omnes socii iam in perpetuum professi in illa domo degentes, in qua fit electio.
Si qui ex quacumque causa proprium suffragium praestare non poterunt, ab aliis licite et valide electio fiet.
7. Maioris Rectoris electio sic fiet: Omnes elections, flexis genibus ante imaginem Domini nostri Iesu Christi crucifiai, divinum auxilium invoeabunt persolventes hymnum Veni, Creator Spi- * rites etc. [ * pag. 21 ] Quo finito, Rector tempora rius fratribus una simul collectis causam patefaciet propter quam eos. advocavit. PoStea qui suffragium nondum dederunt, idest socii degentes in ea domo, in [881] qua fit electio, scribent nomen illius, in cuius favorem suffragium edere intendunt, et schedulam sic exaratam ponent in vasculo ad hoc parato et in quo iam reposita fuerunt aliarum domorum suffragia. Hisce peractis, secreto modo ab omnibus praesentibus eliguntur tres scrutatores cum duobus secretariis. Qui votorum pluralitatem consecutus fuerit, exit Novus Rector, seu Superior Generalis. Si forte duo vel tres eumdem- suffragiorum numerum obtinuerint, iterum fiet electio inter eos, qui paritatem habuerunt, sed tantum ab electoribus qui praesentes sunt.
8. Si autem ob Superioris Generalis mortem electio esset facienda, haec regola et ordo teneantur: Mortuo Rectore Maiore, Vicarius temporarius illius mortis notitiam ad omnes Domorum Directores per scriptum transmittet, ut spiritualia suffragia secundum constitutiones quam citissime pro defuncti anima fiant. Electio huiusmodi non ante tres, nec serius sex mensibus a Rectoris morte erit facienda. Ad hune finem Vicarius temporarius Capitulum Superius congregabit, eiusdemque consenso opportuniorem statuet diem ad convocandos eos, qui electione interesse debebt, admonens de iis omnibus quae art. 3° dicta sunt.
Suffragium auteur. ii dabunt, qui hoc iure polleant in electione Rectoris facienda sicut in articulo 7° huius capitis dictum est. [ * pag. 22 ]
9. Qui pluralitatem votorum assecutus fuerit, erit novus Superior Generalis, cui omnes societatis sodales obedire tenentur.
Peracta electione, Vicarius temporarius, ut novus Rector Maior citius omnibus Societatis sociis innotescat, operam dabit. Quo facto, omnes Vicarii temporarii auctoritas finem habet.
10. Si forte Rector maior decederet, quin prius Vicarium temporarium nominasset, tune Capitulum Superius ipsum eligat. Vicarius sic electus usque ad peractam electionem Societatem reget, eaque faciet quae ad Vicarii temporarii munus spectant.
I. Praefectus et spiritualis Director creantur a Rectore. Oeconomus vero et tres consiliarii suffragiis eligentur a sociis, qui iam vota, perpetua emiserunt.
2. Pro societatis utilitate electio ita flet: primo anno occonomus, deinde unoquoque anno unus ex consiliariis eligatur.
3. Electio exit facienda prope solemnitatem s. Francisci -Salesii occasione qua domorum directores convocare solent. Tribus mensibus ante dictam solemnitatem Rector maior notum faciet omnibus domibus quisnam 'de Capitolo Superiori tempus proprie muneris courpleverit, diem assignans, qua omnes domus debent electionem per agere. [882] Sufragium autem dabitur in quaque domo ab omnibus sociis in ptrpetuum professis, secreto * et in conventu omnium sociorum [ * pag. 23 ] cuiusque domus. Huiusmodi tamen suffragium ils tantum dari debet qui iam in congregatione perpetua vota emiserint,. quique magns apti illi officio censentur.
5. Etiam Capitulum Superius suos candidatos praebebit iuxta regulam cuiusque domus.
6. In quaque domo scrutinium publice fiet a Directore et a duobus sociis. In duplici indice sclibentur omnes qui aliquod suffragium obtinuerunt et simul notabitur suffragiorum numerus, quem qusque
consecutus fuerit. Ex hisce indicibus unus servabitur in eadtm domo, alter autem obsignatus a tribus scrutatoribus transmittetur ad superius Capitulum.
7. Die praefixa Capitulum Superius cum directoribus et omnibus sociis illius domus, in qua idem capitulum convocatur, col lectis omnibus indicibus publice fiet scrutinium. Ad hoc eliguntur tres scrutatores cura duobus secretariis. Qui suffragiorum pluralitatem obtinuerit, novu erit =embrum Superioris Capituli. Quod si duo vel plures cumdem suffragiorum numerum consecuti fuerint, inter hos a praesentibus sociis nova electio fiat.
8. Officia cuiusque membri nbri Superioris Capituli Rector,, prout feret necessitas,, distribuet.
9. Directori tamen spirituali novitiorum cura est specialiter demandata. Ipse enim strenuam operam dabit, ut ips1 illum charitatis et sollicitudinis spiritum condiscant, actuque perficiant, quo inflammari debet, qui omnem vitam suam ad animarum lucrum optat impendere.
10. Directoris quoque spiritualis est Rectore * reverenter ad [ * pag. 24 ] montre, quoties gravem negligentiam perspiciat in rtgulis Congregationis exsequendis, vel earum observantiam in aliis promovendam neglexerit.
11. Praecipuum vero Directoris spiritualis officinm in eo praesertim versatur, ut, in morali omnium sociorum vitae ratione sedulo attenteque invigilet. Quapropter ipse vel per epistolas vel de praesentia cum omnibus domorum. Directoribus, frequentem relationem habebit, ut, quidquid generatim vel singillatim, ad spiritualem utilitatem conferre cognoscit, iuxta Rectoris voluntatem provideat, atque res magni momenti Rectori patefaciat, ab eodemque consilium petat.
12. Praefectus, Rtctore absente, illius vicem- gerit in'iis omnibus quae ad consuetum societatis processum spectant, vel peculiariter ilii fuerunt demandata.
13. Ipse rationem habebit exceptae et erpensae pecuniae; notabit legata, alicuius momenti donationes in quamcumque domum collatas et earum destinatianem. Ómnis venditio, emptiq; omnesque mobilium et imobilium facultatum fructus sub Praefecti custodia et responsione erunt. [883] Praefectus igitur est veluti centrum a quo totius societatis administratio proficisci et ad quod referri debet. Praefectus vero Rectori subiicitur, eique facti saltem semel in anno rationem reddet.
15. Oeconomus materialem totius societatis processum procurabit et diriget. Ipse enim executioni mandabit emptiones, venditionis, aedificationes et alia similia. Eius muneris item erit de causis ci [ * pag. 25 ] vilibus et iudicialibus societatem respicientibus curam gerere, et consulere ut unicuique domui, quae necessaria suret, suppeditentur.
16. Consiliarii omnibus deliberationibus intersunt, quae ad acceptionem vel remotionem vel votorum admissionem alicuius socii pertinent. Si agatur de aperienda nova domo; de alicuius domus
Directore eligendo; de contractibus rerum immobilium emptionis aut venditionis; denique de rebus maioris momenti, quae ad rectum Societatis generale= processum spectant. Si in suffragiorum emissione maior pars favorabillum non habetur omnes de re agenda deliberationes Rector protrahet.
17. Unus de consiliariis ex délegatione Rectoris cura= aget de rebus scholasticis totius Societatis. Alii duo pro opportunitate vices gerent alicuius membri de Capitulo Superiori, qui vel ob infirmitatem vel aliam causa= munere suo fungi nequeat.
18. Unusquisque ex superioribus, Rectore excepto, quatuor annos in munere suo manebit, ac iterum eligi poterit. Si quis auteur ex Capitulo Superiori morte vel quacumque causa cessaverit a proprio officio antequam quadriennium adimpleverit, Rector Maior eius munus tradet cui melius in Domino iudicaverit, sed tantum usque ad finem quadriennii iam incepti a socio cessante.
I9. Si opus fuerit, Rector Maior cum Capituli Superioris consensu, constituet visitatores, eisdemque curam quamdam demandabit de certo domorum numero, quum earum distantia et * numerus id postu[ * pag. 26 ] layerit. Huiusmodi visitatores sive inspectores Rectoris Maioris vices gerent in domibus et negotiis eisdem demandatis.
I. Siquando singulari divinae Providentiae favore aliqua domus sit aperienda, ante omnia Superior Generalis, quod ad spiritualia attinet, conveniet cum Episcopo Dioecesis, in qua domus aperienda est, eique in omnibus sacri ministerii partibus subiicietur, quas regu- larum societatis observantia patiatur.
2. Sed hac in re cautissime incedendum est, ne in domibus aperiendis, vel in administrationibus cuiuscumque generis suscipiendis aliquid statuatur vel agatur contra leges ecclesiasticas et civiles.
3. Si autem domus aperienda sit iuniorum seminarium, vel seminarium [884] clericorum, qui grandiori iam sint aetate, tune non solum quod ad sacrum ministerium spectat, sed omnis etiam Superiori Ecclesiastico submissio praebebitur; in eligenda materia, quae tradi debeat, in libris adhibendis, in disciplina atque etiam in temporali administratione iis tenebitur, quae Rector Maior cum Ordinario loci constituet.
4. Socii ad novam domum adlecti minus duobus non sint, ex quibus unus saltem Sacerdos esse debet. Superior cuiusque domus a Capitulo Superiori eligitur et Directoris nomea assumet. Quaeque
domus bona administrabit; quae vel dono * data, vel in societatēm [ * pag. 27 ] illata sunt, ut peculiari illi domui inserviant; at semper ratione a Superiore Generali descripta.
5. Peculiares domos saltem semel in anno inviset Rector per se vel per visitatorem, ut diligenter inquirat, an officia espleantur, quae regulae societatis praescribunt; simulque animadvertat, an spiritua lium et temporalium administratio ad propositum finem reapse spectet, ut scilicet Dei gloria et animarum salus promoveantur.
6. Ad Directorem autem quod attinet, ita se in cunctis gerat, ut omni temporis momento eorum possit rationem reddere Deo et Superiori Rectori.
7. Praecipua est eiusdem Rectors cura in recenti quaque domo capitulum constituere, quod numero sociorum in ea habitantium congruat.
8. Ad hoc autem capitulum constituendum convenient Capitulum Superius et novae domus Director.
9. Inter eligendos primus est Catechista, deinde Praefectus, et si opus fuerit etiam Oeconomus, tertio demum singuli Consiliarii, iusta Sociorum numerum et ea quae in illa domo agenda sunt.
10. Quod si distantia, tempora et loca suadeant quaedam esse escipienda in capitolo constituendo, vel in muneribus assignandis, omni ad id auctoritate Rector maior pollet, consentiente tamen Capitolo Superiori.
11. Director neque emere, neque vendere immobilia, neque nova aedificia erigere vel aedificata demoliri poterit, neque innovationes magni momenti perficere, nisi adsit Rectōris Maioris con- * sensus.
[ * pag. 28 ] In administratione omnis processus spiritualis; scholasticus, materialis ad cum pertinet; at in iis, quae maioris momenti sint, consultius erit capitulum suum convocare, nec quidpiam deliberare nisi illius consensus habeatur.
12. Cathechista spiritualia quaeque illius domus procurabit, sive relate ad socios, sive relate ad caeteros qui ad congregationem non pertinent, ac quoties opus erit, Directorem admonebit.
13. Praefectus Directoris vices gerit et praecipuum ipsius munus erit res temporales administrare, coadiutorum coram gerere, supra alumnorum disciplinam attento oculo vigilare iusta regulas uniuscuiusque [885] domus et consensum Directoris. Ipse paratus esse debet ad rationem de sua gestione reddendam Directooi suo, quoties ab eo expostulabitur. '
14. Oeconomus, ubi necessarius sit, Praefectum adiuvabit in suis officiis, praesertim in esecutione temporalium negotiorum.
15. Consiliarii autem intersunt deliberationibus alicuius momenti et Directorem adiuvabt in re scholastica et in iis omnibus quae eis demandata erunt.
16. Unusquisque Director quotannis Rectori Maiori spiritualis et temporalis administrationis suae domus rationem reddēre debet.
1. Vix quispiam societatem ingredi petierit, Director illius domus, in qua facta est petitio, necessariam postulantis notitiam assequetur, quam Reetori tradet; ut in probationem escipiatur. [ * pag. 29 ]
Rector autem maior eum ad acceptionem admittet, vel non, prout in Domino melius iudicaverit.
2. Post annum probationis res erit apud capitulum eiusdem domus. Si saltem maiorem suffragiorum partem obtinuerit de illo referetur Rectori Maiori, qui, habita Superioris Capituli sententia, eum ad vota admittet vel per se vel per delegationem. Haec autem delegatio iterum remittenda erit Rcctori Maiori cum opportunis indicationibus,, ut novos socius in cathalogo societatis inscribatur.
3. Rcctor maior potest in societatem rēcipere et ad vota admit- tere vel etiam dimittere ex societate in unaquaque domo absque interventu Superioris Capituli; at hoc fieri poterit suffragante et praesente domus illius Capitulo, rationali causa interveniente. Hoc autem in casu Director illius domus, in qua, acceptio vel dimissio facta est, rem nunciabit Capitulo Superiori cum opportunis ïndicationibus, ut socius vel inscribatur in societatis cathalogo, vel ab eo espungatur.
4. Ut quisquam ad vota emittenda admittatur, necesse ērit ut in arnum tirocinium exercuerit. At nemo ad votorum emissionem admittendus est, nisi sesdecim aetatis annos fuerit praetergressus.
5. Haec autem vota per triennium emittuntur. Tribus autem annis transactis, praevio Capituli consensu, cuilibet facultas dabitur ea ad aliud triennium repetendi, vel perpetua faciendi, se videlicet per omnem vitam votis obligandi. Nemo tamen ad sacros ordines titulo congregationis erit admittendus, nisi vota perpetua iam emiserit.
6. Ut socius Congregationi possit adscribi praeter virtutes, quae [886] regulis praescribuntur, debet etiam anteactam vitae rationem testi-morio comprobare, ex quo constet:
I. Status illius liber atque bonis moribus praestans vita per declarationem ab eiusdem Ordinario exaratam;
II. Illius nativitas et baptismus;
III. Aere alieno non esse gravatum; -
IV. Nunquam in illum crimine inquisitum fuisse;
V. Nullo neque physico, neque morali impedimento detineri, quo irregularis fiat ad Sacerdotium ineundum;
VI. Parentum consensus, saltem antequam votis se adstringat. 7. Quod ad valetudinem attinet, talis sit, ut saltem tirocinii anno omnes Societatis regulas absque exceptione possit observare >are. 8. Si quis studiorum causa societatem ingrediatur secum ferre debebit: I. Vestimenti supellectilem congruentem; 2. Quingentas libellas quibus dispendia suppleantur, quae pro victu et vestitu necessaria erunt anno tirocinii; 3. Tercentas libellas, tirocinio peracto, antequam vota edantur.
9. Socii adiutores supellectilem tantum et tercentas libellas ingressuri conferant, quin alia obligatione devinciantur.
10. Ubi insta ratio adsit, Rector aliquem poterit a conditionibus antedictis esimere, et quaedam plus minusve late escipere. [ * pag. 31 ]
11. Societas Divina Providentia innixa, quae iis nunquam deest, qui sperant in ipsa, omnia providebit, quae cuique necessaria sunt, sive florente valetudine, sive premente morbo. Tamen erga illos tantum Societas devincitur, qui iam votis se obligarunt. -
12. Omnibus autem duo potissimum sordi habenda sunt: I. Attente cavent unusquisque, ne se habitudinibus cuiuscumque generis, rerum etiam indifferentium, devinciri patiatur: 2. Cuiusque vestis, lectus et cellula munda sint et decentia; at omnes summopere studeant affectationem et ambitionem devitare. Nihil' magis sodalem religiosum exornat quam vitae sanctimonia, qua caeteris in omnibus praeluceat.
13. Quisque paratus sit, ubi opus erit, aestum, frigora, sitim, famem, labores et contemptum tolerare, quoties haec conferant ad maiorem Dei gloriam, spiritualem aliorum utilitatem, suaeque animae salutem.
1. Vita activa, ad quam potissimum haec Congregatio spectat, efficit, ut socii nequeant compluribus pietatis exercitiis simul collecti operam dare. Quae quidem omnia socii suppleant bonis esemplis sibi
invicem praelucendo et perfecte generalia christiani officia adimplendo. 2. Singulis hebdomadas socii ad poenitentiae Sacramentum accedant [887] apud Confessarium a Re- * ctore constitutum. Sacerdotes [ * pag. 32 ] quotidie Sacrtun faciant: quoties autem per negotia non liceat, curent, ut sacrificio saltem intersint. Clerici et sodales adiutores faciant, ut saltem singulis 'diebus festis, et quaque feria V ad Sanctum Eucharistiae Sacramentum accedant. Compositus corporis habitus, clara, religiosa èt distincta pronuntiatio verborum quae in divinis officiis continentur; modestia, domi forisque in verbis, adspectu et incessu, ita in sociis nostris praefulgere debebt, ut his potissimum a caeteris distinguantur.
3. Singulis diebus unusquisque non minus unius horae spatio orationi vocali et mentali vacabit, nisi quisquam impediatur ob esercitium sacri ministerii; tunc maiori, qua fieri poterit, frequentia eas per iaculatorias preces supplebit, maiorique affectus vehementia Deo offeret operà, quibus a constitutis pietatis exercitiis arcetur.
4. Quoque die Deiparae Immaculatae tertia Rosarii pars 'recitabitur, et in spirituali lectione aliquantum operae navabitur.
5. Cuiusque hebdomadae feria VI ieiunium erit in honorem Passionis D. N. I. C.
6. Ultimo omnium mensium die, a temporalibus curis remotus, quantum fieri poterit, se gnisque spiritu in se recipiet, et esercitio vacabit, quod ad bene moriendum fieri solet, spiritualia et temporalia componens, Tamquam mundus illi esset relinquendus, et aeternitatis via adeunda.
7. Unusquisque quotannis per dies ferme decem vel saltem sès - secedat ut pietati unice operam det; quibus transactis, criminum annuali con- * fessione se rite abluet. Omnes, antequam in societa[ * pag. 33 ] tem cooptentur, aliquot dies in exercitiis spiritualibus impendent, seque generali confessione purgabunt.
8. Licebit autem Rectori statuere, ut ab bis pietatis exercitiis abstineatm certo- quodam tempore et a certis sociis prout opportunius in Domino iudicabit.
9. Quoties Divina Providentia socium, sive laicum, sive sācerdotem ad vitam aeternam vocaverit,. omnes illius domus Socii Sacrum faciant, ut anima mortui suffragiis adiuvetur. Qui sacerdotes non sunt, semel saltem ad id Eucharistiam accipiant.
10. Idem pietatis officium esercebitur, quoties alicuius socii pater aut mater moriatur.
11. Mortuo Rectori suffragabuntur omnes congregationis socii, idque: I. Tnmquam grati animi pignus ob curas et lnbores, quos in regenda societate sustinuit; 2. Ut a-poenis Purgatorii liberetur, quae illi forsitan ob nostram causam perferendae erunt.
12. Singulis annis die immediata post festum sancti Francisci Salesii omnes congregationis sacerdotes pro sòciis defunctis missam celebrabunt. Caeteri ad Sacrum Sinaxim accedant, tertiam B. M. V. Rosarii partem una cum aliis precibus persolventes. [888] [ * pag. 34 *].
I. Vestimentum, quo utuntur socie, varium erit, prout variae erunt regiones, in quibus illi commorantur
2. Sacerdotes longam vestem induent, visi iter, vel alfa insta ratio aliter poscat.
3. Socii adiutores nigro vestimento, quantum fieri poterit, induentur. At saecularium novitates evitare unusquisque contendat.
Antequam socius vota proferat, exercitiis spiritualibus vaeabit, quae huc praesertim spectabunt, ut quisque, quo Deus illum vocet, attente consideret, simulque materiam votorum edoceatur, quae pro
ferre velit, ubi certe cognoscat hanc esse Dei voluntatem. Pèractis spiritualibus exercitiis, capitulum habebitur, ac, si fieri potest, omnes illius domus socie convocabuntur.
Rettor vel qui vices gerit ex eius delegatione superpelliceo et stola indutus una cum socus omnibus genua submittet. Deinde omnes simul Spiritus Sancte lumina invocabunt alterna voce recitantes hymnum Veni, Creatovi Spiritus etc.
v. Emitte Spiritum etc. R. Et renovabis etc.
Litaniae Beatae Virginis cum versiculis Ora pro nobis etc. et cum Oremus: Concede nos etc.
IN HONOREM S. FRANCISCI SALESII.
V. Ora pro nobis, beate Franciste. R. Ut degni e efficiamur etc.
Deus, qui ad animarum salutem etc.
Deinde socius, ac si plures sint, singuli, flexis genibus coram Rettore inter duos professos positi, clava et intelligibili voce hanc votorum formulam proferet:
“Fragilitate et instabilitate voluntatis meae omnino cognita; cupiens in posterum ea constanti animo perficere, quae ad maiorem Dei gloriam et animarum salutem conferve possint, ego N. N. coram te, omnipotens et sempiterne Deus, ac licet conspectu tuo indignus, tamen tuae bonitati et infinitae misericordiae confisus,
Appendice - Ì) Le Regole Presentate nel 1873 [889] “desiderio unice permotus te amandi, tibique serveende, coram Beatissima Virgine Maria sine. labe concepta, Sancto Francisco Salesio, omnibusque sanctis coelorum, ex Societatis Sancti Francisci Salesii regulass facio votum castitatis, paupertatis, et obedeentiae Deo, et nostrae Societatis Superiori, ad tres annos, vel etc.
Quapropter ipsum enixe deprecor, ut secundum nostrae Societatis constitutiones ea mihr velit praecipere, quae sibi videantur ad maiorem Dei gloriam, maioremque animarum utilitatem conferre.
Interea, tu, Deus bonitatis, per irmnensam clementiam tuam, propter Iesu Christi Sanguinem pro nobis effusum, oro, ut hoc sacrificium excipias, quo gratiae agantur pro multis beneficiis ln me collatis, et pro meis peccatis expiandis. Tu in me desiderium inspirasti hoc votnm emittendi, tu gnoque fac, ut possim illud adimplere.
Sancta Maria, Virgo Immaculata, Sancte Francisce Salesi, omnes Sancte et Sanctae Dei intercedete pro me, ut Deum menm diligens, eique soli in hoc mundo serviens, ad āeterna praemia merear pervenire”.
Omnes respondent: Amen. Deinde novus socius nomen suum in libro notabit, ubi hanc schedulam subscribet:
«Ego infrascriptus N. N., legi ac intellexi Societatis Sancte Fran« cisci Salesii regulas, et pxomitto me secundum votorum formulam «nunc prolatam eas constanti animo observaturum ».
“Augustae Taurinorum vel etc. anno etc. N. N...”.
Hisce peractis, recitabitur Te Deum alternis vocibus; quo finito, si Rector ad rem existimabit, brevem ad id moralem exhortationem habebit, quibus omnibus finem afferet psalmus: Laudate Dominum, omnes gentes etc.
I. Quicumque, licet in saeculo vivat, in domo sua, in sinu familiae suae ad hanc Societatem potest pertinere.
2. Hie nullo voto se adstringit, sed strenuam operam dabit, ut eas regulas, quae ipsius aetati ac conditioni congruant, actu perficiat.
3. Ūt autem bonorum spiritualibm societatis particeps fiat, oportet, ut saltem Rettori promittat se eam vivendi rationem servaturum, quam idem Rettor ad maiorem Dei gloriam conferve censebit.
4. Si quis tamen factae'promissioni desit, nulla, ne veniali qui- dem, culpa gravatur.
Augustae Taurinorum an. MDCCCLXXIII - Ex officina Asceterii Salesiani. [890]
DE SOCIETATE S. FRANCISCI SALIESII
ET NONNULLA DECRETA AD EAMDEM SPECTANTIA
Jam inde ab anno millesimo octingentesimo primo et quadragesimo Joannes Bosco Sacerdos una cum aliis ecclesiasticis viris operam dabat, ut simul in unum locum Augustae Taurinorum adolescentulos derelictos et pauperes colligeret, cos ludis exhilararet, eodemque tempore panem divini verbi eis distribueret.
Anno vero 1844 aedicula penes locum, quod Refugium nuncupatur, divino cultui dicata fuit.
Anno 1846 Archiepiscopus Taurinensis facultates quas jam antea dederat, amplians decrevit ut omnes, qui huic instituto interessent, ad Eucharistiae sacramentum admitti, praeceptum Paschatis ibidem adimplere, et triduanas vel novendiales preces indici posent.
Cum autem numerus adolescentulorum magis magisque in dies cresceret, annuente Ordinario, duo alia asceteria dedicata sunt; unum anno 1848, alterum 1849.
Plures peculiares facultates jam antea fuerant concesae, quae quidem omnes confirmatae et adauctae sunt decreto sponte dato die 31 martii anno 1852. Duo praesertim Archiepiscopus tune in animo
,habuit; omnes facultates ad asceteria administranda concedere, atque Superiorem generalem horum asceteriorum Joannem Bosco istituere.
Hoc autem decretum italicis verbis sic exprimitur:
PATENTE a Direttore Capo degli Oratorii di S. Francesco di Sales, del s. Angelo Custode e di s. Luigi in Torino in favore del Signor Don GIOVANNI Bosco.
LUIGI DE' MARCHESI FRANSONI etc. etc.
[Come si legge nelle Memorie Biografiche, vol. IV, pas. 378]
Interim complures Episcopi easdem, regulas exceperunt, atque nisi sunt et nituntur ut in suis quoque Dioecesibus hujus generis asceteria instituantur.
Necesse visum est ut nonnulli adolescentuli grandiori aetate, derelicti et pauperiores, maxima diligentia a mala via amoverentur. Quod quidem factum est in hospitio S. Francesci Salesii adaperto anno 1846. Numerus hinc receptorum adeo crevit, ut octingenti in praesens sint qui vel artibus vel studiis dant operam.
Archiepiscopus Taurinensis, cui asceteriorum fructus, spiritus et disciplinae unitas summopere cordi erant, Ioanni Bosco Pontificem [891] Maximum adeundi consilium desit, quo lumina et regulae haberentur de ecclesiastica Congregatione ad hune' cm instituenda. Itaque anno - 1858 idem Ioannes Bosco SacerdOS ab Ordinario suo per litteris commendatus Romam petiit, atque ab admirabili Ecclesiae adsertore Pio IX Pontifice Maximo benigne exceptus,est, qui opus plurimis verbis commendavit. Paterna deinceps bonitate innuit hujusmodi Societatem instituendam esse tamquam Congregationem votorum simplicium adeo ut soeii coram Ecclesia vinculo religionis de facto essent devincti, dum coram seculari soeietate integra jurium civilium libertate fuerentur.
Hisce positis et admissis, Constitutiones Salesianae coordinatae et conscriptae sunt, atque per sex annos ad praxim traductae. Tandem post experimentum viginti duorum annorum de opere, de disciplina et de regulis ad Sxlesianam Soeietatem spectantibus, habitis commendatitiis litteris praesertim ab Episcopis ecclesiasticae Provinciae Taurinensis, labente anno 1863, ad sxcram Congregationem Episcoporum et Rcgularium postulatio allata est, ut hxec Soeietas sanctae Romanae Eeclesiae suffragium, consilium, et tutamentum haberet. Caetera enim parvi imo nihili habentur si Ecclesiae desit approbatio.
Praeter spem sacra Congregatio Episcoporum et Regularium supplicationem eximia benevolentia excepit atque ex audientia diei primi Julii 1864, Sanetitas Sua, opus, quod quodammodo ipse inceperat, amplisimis verbis laudare atque commendare dignatus est ad instar Congregationis votorum simplicium, dilata tamen ad opportunius i tempus Constitutionum approbatione.
Attentis vero peculiaribus circumstantiis regularem existentiam huic Societati concedere optimum visum fuit, et Superiorem praesentem generalem ad vitam, ejus autèm successorem ad duodecim annos in munere permansurum esse instituit.
Hoc decretum hisce verbis conscriptum fuit:
Pauperiorum adolescentulorum miserans conditionem sacerdos Ioannes Bosco etc. etc. [Come si legge nelle Memorie Biografiche, vol. VII, pag. 706].
F Huic decreto tredecim animadversiones adnectebantur, quae libenti animo fuerunt admissae atque in Corestitutionibus accomodatae - prout finis et rcgulae Societatis patiuntur. Episcopus vero Casalensis veluti dioccesanam Congregationem adprobavit hoc decreto:
NOS PRTRUS MARIA FERRE etc. etc.
[Come si legge nelle Memorie Biografiche, vol. IX, pas. 65].
Addidit peculiares facultates alio novo decreto ut sequitur. [892]
NOS PETRUS MARIA FERRE etc. etc.
[Cfr. Memorie Biografiche, vol. IX, pax. I19].
Facta tandem postulazione pro absoluta hujus societatis approbatione, Summus Pontifex àliis multis benevolentiae signis novum addere volens, pro bono Ecclesiae et pro utilitate ejusdem Congregationis sub die I martii 1869 hoc decretum benigne concessit.
S. CONGREGATIONIS EPISCOPORUM ET REGULARIUM
pro Oratorio S. Francisci Salesii.
Salus animarum etc. etc. [Cfr. Memorie Biografiche, vol. IX, pag. 558).
Ita ab originali huic Curiae Archiepiscopali exhibito et restituto. Datum Taurini, die 17 aprilis 1871.
Cum vero saepe saepius Canditati, qui huic societati, expleto anno aetatis decimo quarto, nomen dederunt, ad ordines essent promovendi, ne in singulis casibus ad Sanctam Sedem esset recurrendum,
Sanctitas Sua anno 1870 pontificio rescripto benigne indulsit, ut septem hujusmodi alumnis, arbitrio Superioris eligendis, - idem superior litteras dimissoriales relaxare possit. Eadem cogente necessitate, pro aliis decem alumnis idem beneficium concessit pontificio rescripto sub die 14 iulii 1871. '
Subscripto ab EM. CARDINALE A. QUAGLIA Praef.
SALESIANAE SOCIETATIS PRESENS CONDITIO.
Praesens conditio Salesianae Societatis haec est:
Quatuor asceteria pro adolescentibus periclitantibus in quatuor praecipuis regionibus Taurinensis civitatis: Hoc est:
I. Asceterium s. Francisci Salesii in paroecia SS. Simonis et Iudae.
2. S. Aloysii Gonzagae in paroecia s. Maximi Ep.
3. S. Josephi in paroecia s. Petri et Pauli.
4. S.- Angeli Custodis in paroecia s. Iuliae.
5. Cura spirituali etiam geritur in bospitio pro mulieribus e carcere exeuntibus sub titulo: Famiglia di S. Pietro.
6. Item in opificio S. Iosephi pro puellis derelietis. [893] Extant similiter septem domus communionem habentes. Hoc est: I. Augustae Taurin Taurinorum Domus principalis de qua supra dictum est: Inter alia opificia hic existentia habetur typographia, qua libri de religione et de moribus tractantes eduntur, inter quos singulis mensibus tipis mandantur: Letture, Cattoliche et Biblioteca dei classici italiani emendati a beneficio della studiosa gioventù.
2. Apud Lanceum Collegio di s. Filippo Neri in dioecesi Taurinensi.
3. In eadem dioecesi collegium sub titulo: Ginnasio _ e Liceo Valsalice; parum ab hac urbe dissitum.
4. In Burgo s. Martini in dioecesi Casalensi sub titulo: Piccolo seminario e collegio di s. Carlo.
5. Apud Varaginem sub titulo Collegio civico di s. Giovanni in dioecesi Savonensi.
6. Apud Alaxium in dioecesi Albingaunensi sub titulo Collegio Municipale di s. Maria degli Angeli.
7. Hospitium et ecclesia cum asceterio festivo in dioecesi Genuensi apud s. Petrum ab Arena sub titulo Ospizio di s. Vincenzo. Adolescentuli Divina Providentia Salesianae. Societati commissi sexcenti supra sex millia circiter adnumerantur. Ex. ipsis pars artes `' diversas exercent, maior pars scientia et pietate imbuuntur et qui in sortem Domini vocati censentur, ad curriculum ecclesiasticum ç deducuntur; at omnès cura speciali catholicam religionem edocentur. Socii huius congregationi salesianae circiter 300 adnumerantur, qui omnes eiusdem regulas profitentur et observant. Ad operis com-plementum nihil aliud deest, quam apostolica constitutionum ultima approbatio. Hanc singuli socii humillime sed toto corde coram Deo et hominibus exoptant, atque a supremo ecclesiae antistite enixe deprecantur; hanc quatuor supra viginti Episcopi, qui eamdem societatem norunt per litteras commendatitias postulant, inter quos eminentissimi
PHILIPPUS DEANGELIS, Card. Archiep. Firmanus, Camerlingus etc.
IOANNES MARIA ANTONUCCI, Card. Archiepiscopus Anconitanus.
COSIMUS CORSI, Card. Archiep. Pisanus felicis recordationis.
Tandem vero benevolentissimus Archiepiscopus noster Taurinen sis, multis ac magnis benevolentiae signis iam pridem datis aliud novum addere cupiens, amplissimis verbis Salesianam societatem commendavit, atque domum principalem ecclesiamque adnexam sub titulo Mariae Auxilii Christianorum iuribus Parochialibus ditavit, nec non suorum praecessorum privilegia confirmavit, et ampliavit decreto sub die 25 decembris 1872.
Nunc Archiepiscopus noster ceteri etiam ecclesiasticae provinciae taurinensis episcopi, una cum aliis plurimis, “Salesianae societatis” . absolutam approbationem postulant. [894]
DE REGULIS SOCIETATIS SALESIANAE
Haec humilis Societas inter magnas hujus saeculi tempestates exorta sive quoad sociorum et domorum numerum, sive quoad sacri ministerii officia magnum incrèmentum accessit. Ideo nonnulla in Regulis modificare necesse fuit sicuti breviter hic adnotantur.
I. Prima Constitutionum traditi"ó aliquantulum modificata fuit quum in eisdem accomodarentur animadversiones quae Decreto Laudationis et Commendationis fuerunt adnexae. Quae Constitutiones
in paucis iterum variatae fuerunt post approbationis Decretum juxta concilia spectatissimae Episcoporum et Regularium Congregationis et ad menteur fallinescii Pontificis Pii Papae IX.
II. Praecipue adnotandum est auctoritatem supremam primitus sitam esse in Capitulo Domus principales, notae sub titulo Asceterii Salesiani. Nuper vero multitudo negotiorum ad eamdem Societatem spectāntia suasit Capitulum Superius esse constituendum; sicuti reapsé constitutum fuit. Hujusmodi Capitulum omnes Societatis domus tamquam particulares dijudicans, totum Congregationis p proces-sum gerit atque administrat. Hinc nonnullae translationes et Mutationes ut Reatoris Majoris et Superioris Capitule officia -ilare ac tute constituerentur. Hoc enim factum est in hai tertia, quae est ultima Constitutionum editio. ,
III. In adiumentum benevoli lectoris et Relatoris adnotatur animadversiones adnexas Decreto Laudationis fuisse in Constitutionibus accomodatas prout Regularum praxis passa est, ut sequitur.
ia Ad integrum admissa fuit uti vedere est in Constitutionibus cap. 9. art. 4.
2ª Fuit executioni undequaque mandata.
3s Fuit executioni mandata in praecedente regularum editione. Sed Archiepiscopus Taurinensis verbis et scriptes repetita vice optavit vota perpetua esse Superiori. Generali tantum reservata sicut, ait elle, mores est in caeteris ejusdem generis Congregationibus.
Ego vero aequo et libenti animo sequar quidquid Sancta Sedes in Domino melius judicaverit.
4ª Servata fuit usque ad approbationis decretum, quod eamdem modificavit. Difficillimam imo fere dicam impassibilem existentiara Congregationis, quae in pluribus Dioecesibus habeat domus communionem habentes. Etenim unusquisque Episcoporum, cum voluerit poterit presbyteros et clericos suite Dioecesis ad se revocare, et sic Societas solveretur. Ideoque cum Congregatio haec jam sit [895] fermiter constïtuta et adprobata, humillime, sed toto corde, expostulatur ut facultas.litteris dimissoriales relaxandi absolute conce
Hoc eodem privilegio generatim gaudent Ordines Religiosi et Regularium Congre tiones. Hujusmodi sunt Oblati B. M. Virginis juxta Decretum Etsa Dei filius datum a S. Memoria I,eonis Papae XII, mense septembris I828.
Hoc idem dicatur de Instituto Charitatis adprobato a felici recordatione Gregorii XVI.
Congregâtio autem Presbiterorum Missionis adprobata a S. P. Urbano VIII per Bullaur Salvatoris Nostri, die duodécima Januarii I632. Tandem ipse S. P. Pius Papa IX (quem diutissime Deus sospitem servet) per Breve: Religiosas familias, die decima tertia maji I859, praeter facultatem jam primitus concessam Litteras dimissoriales genératim concedendi, addit, ut sequitur:
“Clericis Congregationis Missionis, dummodo necessariis praediti sint requisitis, suorumque Superiorum litteris dimissorialibus extra tempora a canonibus instituta a quocumque catholico Episcopo gratiam et communionem Apostolicae Sedis habente ordines suscipere libere et licite, servatis servandis, possunt et valent”.
Itaque supramemoratis rationibus perpensis quae ad tempora, loca, atque ad constitutionexn peculiarem huiusce societatis spectant, humilleme exposcitur, ut pro litteris dimissòrialibus ipsa quoque communi privilegio fruatur, quo, gaudent Congregationes atque ordines regulares habentes domorum Communionem.
5a Servanda erit juxta generalia Ecclesiae praescripta. Nam si, in Regulis exprimeretur non leves defficultates saepe essent metuendae apud civiles potestates, quae difficultates difficillime superaren-
6ª Fuit in Constitutionibus accomodata, uti videre est cap. 9, art. 10.
'Ìa Usque huc servata fuit et in posterum servabitur. 8a Observata, uti videre est cap. I4.
9a Quod ad externos attinet veluti appendix in finem Regularum translata fuit. Si haec admitteretur magnum Societatis et Relitionis lucrum haberi censetur. Veruntamen libenter a Constitutionibus expungetur, si hoc ad majorem Dei gloriam conferre Sancta Sedes judicaverit.
10a Executioni mandata, uti nunc assuescit.
11a De facto observatur; sed humillime supplicatio fit ne in Regulis inseratur.
In `his enim civilis potestas Ens morale, uti dicunt, agnosceret; ifide omnia temporalia in saecul manus inciderent.
I3ª Executioni mandata uti videre est cap. 5, art, 3. [896]
REGULAE SOCIETATIS S. FRANCISCI SALESII
ROMAE - TYPIS S. C. DE PROPAGANDA FIDE
Cum approbatione Auctoritatis Ecclesiasticae
Catholicae religionis ministris persuasum semper fuit in adolescentulis bene instituendis maximam esse sollicitudinem adhibendam. Etenim, iuventute malis aut bonis moribus imbuta, bona aut mala ipsa hominum societas fiet. Ipse Christus Dominus huius rei veritatis nobis clarum exemplum suppeditavit, praesertim quum parvulis ad se advocatis divinis manibus benediceret, atque clam'àret: Sinite parvulos venire ad me.
Episcopi, quibus Spiritus Sanctus régendam dedit Ecclesiam Dei, praesertim vero Ponti fices Maximi, Servatoris nostri vestigia secuti, cuius vices gerunt in terris,,verbis atque operibus instituta ad iuventutem christiane erudiendam spectantia alacri animo, peculiariqué sollicitudine commendarunt atque eisdem sunt suffragati. Pius autem IX Pont. Max., quem diutissime Deus ad Ecclesiae gloriam incolumem ac sospitem servet, praeter indefessos labores pro adolescentulis pericli= tantibus perlatos, omnimodis subsidiis illas institutiones fovit, quae ad huiusmodi sacri ministerii partem spectarent.
Nostris vero temporibus longe maior uyget necessitas. Nam incuria multorum parentúm, abusus artis guttembergiae, haereticorum atque schismaticorum conatus, ad coacervando sibi sectatores, necessitatem
ingesserunt simul coniungendi vires ad proelianda proelia Domini sub Vexillo Vicarii Domini nostri Iesu Christi, ad tuendam fidem et tutan-dos bonis mores praesertim adolescentulorum, quos prae inopia deficiunt praesidia ad christianam doctrinum assequendam. Hic est finis Socie. tatis sive Congregatiònis Sancti Francisci Salesü.
Appendice - IV) Le Regole presentate ' er l'appróv. defin. [897]
DE EIUSDEM SOCIETATIS PRIMORDIIS.
Iam inde ab anno millesimo octingentesimo primo et qúadcagesimo Ioannes Bosco sacerdos una cum aliis ecclesiasticis vires operam dabat, ut simul in unum locum Augustae Taurinorum adolescentulos derel ctos et pauperes colliger^ eosque lud%s exhilararet, eidem vero tempore panem divini verbi iis distribueret. Quae quidem omnia auctoritatïs ecclesiasticae consensu fiebant.
Quum autem Deus exiguis hisce initiis benediceret, mirum quantus adolescentium numerus huc libenter conveniret! Quibus quidem omnibus perpensis, anno MDCCCXLÍV Aloysius Fransonius, felicis recordationis, Taurinensis Dioecesis Acchiepiscopus, passus est aedi ficium in formam Ecclesiae dicari[167], ibique sacra omnia peragi, quae necessaria sunt ad rite colendos dies lestos, atque adolescentulos instituendos, qui frequentiores in diem adventabant. Huc saepius Acchiepiscopus ipse se contulit, ut Sacramentum Con firmationis administraret. Anno MDCCCXLVI decrevit, ut omnes, qui huic instituto interessent, ibi possent ad Sanctum Eucharistiae Sacramentum admitti, praeceptum Paschatis adimplere; ut sacerdotibus liceret ibi sacrum solemne lacere, et triduanas vel novendiales preces indicere quoties ipsis videretur. Haec omnia in Asceterio s. Francisci Salesii factà sunt usque ad annum MDCCCXLVII. Hoc autem anno quum numerus adolescentulorum .
augeretur, ideoque aedes iam nequiret omnes capere, adnuente auctoritate ecclesiastica, in alia urbis regione, ad Poctam Novam, alterum Asceterium adapertum fuit sub titulo s. Aloysii Gonzagae.
Quum vero et haee duo, labente tempore, satis non essent, tertiúm anno MDCCCXLIX in Vanchilia,' eiusdem etiam urbis regione, instituebatur sub titulo Sancti Angeli Custodis.
Irrumpentibus autem iis temporum difficultatibus; quae religioni summòpere adversarentur, . vir amplissimus, cui. dioeceseos cura erat demandata, motu proprio regulas huiusmodi Asceteriorum probavit, et Ibannem Bosco âacerdotem eorumdem Rectdrem constituit, quaeumque fâcultate donatum, quae ad id necessaria atque opportuna videretur. Complures Episcopi easdem regulas exceperunt; atque nituntur, ut in suis quoque dioecesibus huius-generts Asceteria floreant.
At praeter opinionem alia gravis extitit necessitas. Nonnulli adolescentes, grandiosi iam , aetate, nequibant satis institui christiana doctrina solis diebus festis, ac propterea oportuit scholas aperire, ubi horis tum diurnis, tum nocturnis, per hebdomadam, christiana institutione excolerentur. Quin imo ex iis complures derelitti et dura paupertate conflictati in peculiarem domum. recepti sunt, ut ibi periculis erepti. veligionem docerentur, et in aliquo opificio exercerentur. Quod quidem [898] etiam nunc (anno MDCCCLXXIII) fit praesertim Augustae Taurinorum in 'aedibus quae sunt ad hospitium Asceterii s. Francisci Salesii, ubi octingenti et ultra numerantur. Anno MDCCCLXXI alia quoque domus Mirabelli, qui pagus est in agro Montis Ferrati, adaperta fuit, cui titulus: Parvum Sancti Caroli Seminarium. Nunc auteur hoc collegium seu parvum Seminarium ad Pagum Sancti Martini in eodem territorio Casalensi translatum fuit. Anno vero MDCCCLXXV apud Lanceum-in agro Taurinensi nova domus in collegii formam eretta fuit. Itidem abhinc paucis annis aliae domus adapertae sunt et quidem:
Anno MDCCCLXX collegium Beatae Virginis Mariae ab Angelis Alaxii, quae urbs est dioecesis Albingaunensis;
Anno MDCCCLXXI aliud municipale ephebeum Varagine, dioecesis Savonensis;
Eodem anno MDCCCLXXI Hospitium Sancti Vincentii in urbe S. Petri ab Arena, in Genuensi dioecesi, pro adolescentulis derelictis; Anno prepterea MDCCCLXXII ephebeum adapertum fuit prope urbem Taurinensem in regione volgo Valsalice dicta. Tandem exeunte anno MDCCCLXXIII in pago Cogoleti dioecesis Savonensis, nova domus adaperta fuit, qua sacrum ministerium publice exercetur una cum administratione scholarum pro adolescentulis totius loti. Domibus antedictis quingenti circiter septem mille adolescentuli scientia et religione instituuntur (MDCCCLXXIV). '
Iam vero quum adolescentuli frequentes Asceterium diebus festis adirent, scholae diurnae et vespertinae haberentur, ac mirum in modum exceptorum numerus in dies augesceret, copiosa nimis messis Domini fatta est. Quapropter ut probatae iam disciplinae unitas servaretur, a qua uberrimus fructus provenire consuevit, iam inde ab anno. MD MDCCCXLIV V nonnulli viri ecclesiastici se se simul collegerunt, ut genus quoddam societatis vel congregatonis constituerent, alius al alium exemplo atque institutione invicem adiuvantes. Nullo se voto adstrinxerunt, tantumque polliciti sunt se strenuam iis operam daturos, quae ad maiorem Dei gloriam suaeque animae utilitatem conferve viderentur. Ioannem Bosco Sacerdotem altro sibi Praefectum adlegerunt.
Licet auteur nulla vota proferrentur, acta tamen eadem ferme observabantur, quae hic exponuntur.
I. Huc spectat Salesianae Congregationis finis, ut socii simul ad perfectionem christianam nitentes, quaeque charitatis opera tura spiritualia, turc corporalia erga adolescentes, praesertim si pauperiores sint, exerceant, et in ipsam iuniorum clericorum educationem incombant. Haec autem societas constat ex ecclesiasticis, clericis atque laicis.
2. Iesus Christus coepit facere et docere, ita etiam socii incipient externarum virtutum exercitio, et scientiarum studio se ipsos perficere; deinde aliorum beneficio strenuam operam dabunt. [899]
3. Primum charitatis exercitium in hoc versabitur, ut pauperiores ac derelitti adolescentuli excipiantur, et sanctam catholicam religionem doceantur, praesertim vero diebus festis, quemadmodum Augustae Taurinorum fit in quatuor Asceteriis s. Francisci Salesii, s. Aloysii Couzagae, s. Angeli Custodis, nunc Sanctae Iuliae, et s. Iosephi (anno MDCCCLXIV).
4. Saepe autem contingit, ut adolescentuli inveniantur adeo der relicti, ut, nisi in aliquod hospitium recipiantur, quaecumque cura frustra iis omnino impendatur. Quod ut fiat, maiori qua licebit sollicitudine, domus aperientur, in quibus Divina opitulante Providentia, '
receptaculum, victus et vestimentum iis subministrabùntur. Eodem vero tempore, quo fide1 veritatibus instituentur, operam quoque alicui arti navabunt, quemadmodum nunc fit in aedibus quae Asceterio s. Francisci Salesii adiunguntur in hac urbe, et in Hopitio Sancti Vincentii de Pauli prope urbem Genuensem.
5. Qoum vero gravissimis periculis subiiciantur adolescentes, qui ecclesiastico ministerio initiari cupiunt, max imae curae huic societati erit eos in pietate et vocatione colere, qui se studio et pietate specia- liter commendabiles ostendant. In adolescentibus autem stùdiorum causa excipiendis ii praeferentor, qui pauperiores sint, qui ideo curriculum studiorum alibi, nequeunt . explere, , dummodo aliquam spem vocationis ad ecclesiasticam militiam praebeant.
6. Quum autem necessitas catholicae religionis tutandae gravior etiam urgeat inter christianos populos, praesertim in pagis, propterea socii strenue adlaborabunt, ut homines, qui potioris vitae amore per statos aliquot dies secedun, ad pietatem confirment erigantque; ut bonos libros in valgus spargant, omnibusque rationibus utantur, quae a sedula charitate proficiscuntur; verbis denique et scriptis impietati adversentur, ét haeresi, quae omnia tentat, ut in rudes ac idiotas pgrvadat. Hue spectant sacrae conciones, quae identidem habentur; hue triduanae et novendiales supplicationes; hue demum libri evulgati per officinam librariam ab anno MDCCCLXII institutam aliique quam plurimi.
I. Socii omnes vitam communem agent, uno fraternae charitatis votorumque simplicium vincolo constricti, quod eos ita constringit, ut unum cor, unamque animam efficiant ad Deum amandum, eique
serviendum virtute obedientiae, paupertatis, morum sanctimonia, et accurata christiana vivendi ratione.
2. Quicumque societatern ingressus fuerit civilia iura, etiam editis ` votis, non amittit. Ideo valide et licite potest emere, vendere, testa
mentum conficere, atque in aliena bona süccedere. Sed quamdiu in societate permanserit, nequit facultates suas administrare, nisi ea ratione et mensura qua Rector Maior in Domino bene iudicaverit. [900]
3. Omnis fructus rerum sive mobilium, sive immobilium, quas societatem ingrediendo cuis secum attulit, quo tempore vitam in ipsa egerit, ad eamdem pertinebit. Poterit tamen nel partim, vel etiam omnino parentibus erogare quae extra congregationem possideat; at semper obtento Rectoris consensu.
4. Clerici et Sacerdotes, etiam postquam vota emiserint, patrimonia vel simplicia beneficia retinebunt, sed neque administrare, neque Es perfrui poterunt nisi ad Rectoris voluntatem.
5. Administratio patrimoniorum, beneficiorum et 'omnium, quae in societatem inferantur, ad Superiorem Generalem pertinet, qui vel ipse vel per alios ea administrabit; et donec quisquam in congregatione fuerit, annuoss eorum fructus idem Superior percipiet.
6. $idem Superiori omnes sacerdotes missarum etiam eleemosynam tradent. Omnes vero, tura sacerdotes, turc clerici, vel laici, omnem pecuniam, quodcumque donum quibusque titulis ad eos perve' niant, eidem committent.
7. Unusquisque votis tenetur, donec in societate permanserit. Si quis vel fusta de causa, vel prudenti superiorum iudicio, a societate discedat, a votis poterit a Superiore Generali exsolvi.
8. Unusquisque maneat in vocations, ad quam vocatus est, usque ad vitae exitum. In menteur quotidie sibi revocet gravissima illa Domini Servatoris verba: Nemo mittens manum ad aratrum, et respiciens vetro, aptus est regno Dei.
9. Veruintamen, si quis a societate egrediatur, nihil sibi ob tempus, quod in ea transegit, poterit adrogare, neque aliud secum ferre, quam quod Generalis Superior opportunius iudicabit. Recuperabit autem plenum ius de rebus immobilibus atque etiam de mobilibus, quarum proprietatem ab ingressu in societatem servaverit. At nullum fructum, neque eorum administrationis rationem exposcere poterit pro tempore quo in societate permanserit, nisi cum Rectore maiore aliquod peculiare pactum intercesserit.
10. Qui affert pecuniam, mobilia, vel alfa cuiuscumque generis in societatem animo proprietatem servandi, debet indicem eorumdem Superiori tradere, qui, rebus omnibus recognitis, ei chàrtam receptionis dabit. Cum autem velit socius res recuperare, quae usu cousumuntur, sas recipiet eo statu, in quo tune temporis erùnt, quin possit compensationem repetere.
I. Propheta David Deum enixe orabat, ut illum doceret eius voluntati obsequi. Servator Dominus certos nos fecit se hue in terras descendisse, non ut faceret voluntatem suam, sed voluntatem Patris sui, qui in coelis est. Hue spectat obedientiae votum, scilicet, ut certiores efficiamur nos sanctae Dei voluntati obtemperaturos. [901]
2. Obedientiae votum socios ita devincit, ut iis tantum operai. navent, quae Superior fore iudicabit ad maiorem Dei gloriam, et animas suae proximique utilitatem, secundum ea, quae hisce constitutionibus praescribuntur.
3. Huiusce voti observantia sub culpa non obligat, nisi in iis, quae mandatis Dei, Sanctaeque Matris Ecclesiae adversentur.
4. Obedientia nos certos reddit Dei voluntatem adimplere. Quapropter unusquisque proprio Superiori obediat, illumque in omnibus velúti patrem peramantem habeat, eique pareat integre, prompte,
hilari animo et demisse; ea animi persuasione ductus, in re praescripta ipsam Dei, voluntatem patefieri.
5. Nemo anxietate petendi vel recusandi afficiatur. Si quis autem cognosceret quidpiam cibi vel nocere, vel necessarium esse, reverenter id Superiori exponat, cui maximae erit curas eius necessitatibus consulere.
6. Maxima unicuique fiducia in superiore sit, neque ullum cordis secretum quisquam illum celet.
7. Nemo resistendo pareat, neque verbis, neque factis, neque corde. Quo magis aliquid repugnat facienti, eo malori merito erit in conspectu Dei si illud perficitur.
I. Votum paupertatis apud nos respicit cuiuscumque rei administrationem, non possessionem. Eiusmodi auteur voti observantia in hoc praecipue consistit, ut animum ab omnibus terrestribus alienum quisque habeat; quod nos vita quoquoversum communi relate ad victum et vestimentum consegui curabimus, nec quidpiam nisi peculiari Súperioris permissione pro nobis retinentes.
2. Unusquisque hoc voto tenetur cellulam suam maxima simplicitate habere, et summopere niti, ut cor virtute, non corpus vel aedium pàrietes exornentur.
3. Nemo, sive intra sive extra congregationem, pecuniam apud se aut apud alios habeat quacumque de causa.
4. Si quis iter sit ingressurus, vel a Superiore mittendus ad aperiendam, vel administrandam aliquam domum, vel explendam ali quam sacri ministerii partem, vel alfa nécessitas adsit, turc Superior ea statuet, quae temporum, locorum et sociorum adiuncta postulabunt.
5. Mutuum dare, accipere, vel ea, quae sunt apud se aut in societate, elargiri, contractus inire cuiuslibet generis, absque Superioris licentia non tantum cum externis, sed etiam cum sociis congregationis omnino vetitum est[168]. [902]
1. Qui vitam in derelictis adolescentulis sublevandis impendit, certe totis viribus niti debet, ut omnibus virtutibus exornetur. At virtus summopere colenda, atque quotidie prae oculis habenda, virtus angelica, virtus prae caeteris cara Filio Dei, virtus est castitatis.
2. Qui firmam spem non habet, se, Deo adiuvante, virtutem eastitatis, tum dictis, tum factis, tum etiam cogitationibus posse servare, in hac societate non profiteatur; in periculo enim saepenumero versabitur.
3. Verba, oculorum obtutus, licet indifferentes perverse internum ab adolescentulis excipiuntur, qui humanis cupiditatibus iam fuerunt subacti. Quapropter maxima cura est adhibenda, quoties sermo cum adolescentulis instituitur cuiuslibet aetatis, aut conditionis, vel quidpiam cum. illis agitur.
4. Conversationes defugiantur, si hae sint cum personas alterius sexus, vel etiam cum ipsis secularibus, ubi haec virtus periclitari videatur.
5. Nemo se conferat domum apud notos, vel amicos absque consensu Superioris, qui, quoties fieri possit, comitem ei adiúnget,
6. Ut castitatis virtus diligentissime custodiatur, haec potissimum sunt agenda. Scilicet ut quisque sancte ad Poenitentiae et Eucharistiae Sacramenta saepe accedat; consilia confessarii sedulo exequatur; otium défugiat; omnes corporis sensus coerceat, et moderetur; frequenter Iesum in Sacramento invisendum adeat; crebras iaculatorias preces fundàt ad Mariam SS., Sanctum Franciscum Salesium, Sanctum Aloysium Gonzagam, qui sunt huius Societatis praecipui patroni.
I. Socii arbitrum et Supremum Superiorem habebunt Pontificem Maximum, cui omnibus in locis, temporibus et dispositionibus suis humiliter et reverenter subiicientur. Quin imo praecipua erit cuiusque socií sollicitudo totis viribus prom'ovendi ac defendendi auctoritatem et observantiam Ecclesiae Catholicae legum, eiusque Supremi Antistitis, et hie in terris legislatoris et Iesu Christi Vicarii.
2. Ouoquo triennio elapso Capitulum Generale habebitur ad pertractandas res maioris momenti 'et ad societatem spectantes. Huiusmodi acta ad sacram Episcoporurn et Regularium Congregationem erunt mittenda et approbanda.
3. Quod ad Sacramentorum administrationem ac praedicationem et ad ea omnia, quae ad publicum sacri ministerii munus attinent, stricte subiicientur Episcopo illius Dioecesis, in qua demus est ad quam pertinent iuxta sacrorum canonum praescripta. [903]
4- Omnes Socii strenuam operam dabunt, ut episcopo propriae dioecesis auxilium praebeant, ac, quantum licebit, religionis iura omnimode tueantur, illius bonum sedulo promoveant, praesertim si agatur de pauperioribus adolescentulis instituendis.
5. Quod vero ad sacros ordines spectant, socii ab Episcopo Dioecesis eos accipient, à quo sunt ordinandi iuxta decretum Clementis Papae VIII die IS Martii 1596[169].
I. Quod ad internum attinet, tota Societas Capitulo Superiori subiicitur, quod ex Rectore, Praefecto, Oeconomo, spirituali Directore seu Catechista, et tribus consiliariis constat.
2. Rector maior totius societatis moderator est; ipse in quacumque Societatis domo domicilium eligere potest. Omnia quae respiciunt officia, personas, res mobiles aut immobiles, spiritualia vel tempo
ralia ei subiiciuntur. Proinde Rectoris munus est socios in societatem admittere vel non; unicuique adsignare gùae spectant sive ad spiritualia, sive ad temporalia, quae per se aut per delegationem praestare poterit. Nulla tamen, quod ad res immobiles spectat, emendi, vel vendendi ei erit facultas absque Superioris Capituli consensu.
3. Nemo, exceptis Capitulo Superiore et domorum directoribus, potest epistolas scribere vel accipere sine Superioris permissione vel alterius socii ab eodem ad boe specialiter delegati.
Omnes tamen socii possunt epistolas vel alla scripta ad Superiorem Generalem mittere inconsultis superioribus loci, in quo ipsi commorantur. Iisdem autem superioribus talia scripta invisere minime licebit.
4. Rector maior in munere suo ad duodecim annos os manebit, et iterum eligi poterit.
S. Idem Rector Capitulum et Domuum Directores singulis annis convocet, ut, societatis necessitatibus cognitis,'iis consulatur, eaegùe sollicitudines adhibeantur, quas tempora et loca exposcent.
6. Capitulum ita convocatum poterit etiam eos articulos regulis addere, quos opportunos ad societatis utilitatem iudicabit, at semper ' eo sensu et ratione, quibus,regulae iam probatae sunt. Huiusmodi tamen articuli vim obligandi non habebunt, nisi Sanctae Sedis consensum prius obtinuerint. Quoties dubium exoriatur circa modum, [904] quo aliquis articulus intelligi debeat, Rector Maior potest eumdem interpretari quemadmodum spiritui Societatis magis consentaneum iudicaverit.
7. Mortuo Rectore, Praefectus illius vicem geret, donec successor ee âreatus sit; at nullam poterit neque disciplinae, neque administrationi mutationem afferre, quo tempore societatem reget.
8. Moxtuo Rectore, statim Praefectus. illius mortem annuntiet omnium Domuum sociis, ut ita unusquisque maximam sollicitudinem adhibeat in Es spiritualibus auxiliis ei praebendis, quae regulae praescribunt. Deinde omnes earumdem Directores invitet ut successoris electione interesse satagant.
9. At si forte contingat, quod Deus avertat, ut Rector Maior gravissime officia sua negligat, Praefectus vel quisque de superiore capitulo,, una cum aliis membris eeusdem Capituli, poterit domuum directores convocare, ut Rectorem efficaciter admoneant Quod si non sufficiat, Capitulum certiorem de hac re faciat sa cram $piscoporum et Regularium Congregationem, cuius consilio et responsione accepta, Rettor Maior deponi potest.
DE RECTORIS MAIORIS ELECTIONE.
I. Ut quis Rettor Maior sen generalis Superior eligi possit, oportet ut saltem decem annos in societate transegerit, trigesimum quintum suae aetatis expleverit, sociis vitae sanctimonia praefulserit, et in perpetuum profesis sit.
2. Duplici ex causa Rectoris Maioris electio fieri continget, videlecet vel ob finitum duodecim annorum munus, aut ob Rectoris mortem.
3. Si Rector maior eligendus est, eo quod duodecim annos in munere transegerit, electio sic est facienda. Ipsemet Rector Maior, tres menses antequam sui officii tempus labatur, Capitulum Superius convocabit, eique sui muneris finem. imminere palam faciet. Huius ree notitiam transmittet Directoribus cuiusque Domus, eisque sociis. omnibus, qui secundum constitutiones suffragium dare poterunt. Dum autern finis sui muneris diem significabit, aliam statuet diem ad sui successoris electionem perficiendam. Dodem tempore pietatis opera assignabit ad superna lumina obtinenda, clare et distencte omnes , commonens de stricta singulorum obligatione suum dandis suffragium illi, quem ad Dei gloriam utilitatemque animarum in societate promovendam magis idoneum in Domino iudicaverint. Tempus vero elect onis peragendae, si fieri potest, quindecim dierum spatium a fine muneris sui excedere non debebit.
4. A die, quo suum munus explevit, usque ad, peractam eiusdem successoris electionem, Rector Maior veluti Praefectus perget in societatis regimine et adm.inistratione eadem auctoritate qua pollet [905] Praefectus in morte Rectoris, donec eius successor in munere suo reapse sit constitutus.
5. In electione Rectoris Maioris suffragium dabunt capitulum, superius, Directores cuiusque Dormis una cum socio a professis eiusdem dubsus eletto.
Si quis ex quacumque causa proprium suffragium praestare non poterit, ab Iliis licite et valide electio flet.
6. Maioris Rectoris electio sic fiet: Omnes electores, flexis genibus ante imaginem Domini nostri Iesu Christi crucifixi, divinum auxilium invocabunt persolventes hymnum Veni, Creator Spiritus etc. Quo finito, Praefectus fratribus una simul collectes causam patefaciet propter quam eos advocavit. Postea omnes socie professi atque praesentes scribent nomen illius, in cuius favorem suffragium edere intendunt, et schedulam sic exaratam ponent in vasculo ad hoc parato. Hisce peractis, secreta modo ab omnibus praesentibus eliguntur tres scrutatores cum duobus secretariis. Qui votorum pluralitatem consecutus fuerit, erit Novus Rector, seu Superior Generalis. Si forte duo vel tres eumdem suffragiorum numerum obtinuerint, iterum flet electio inter eos, qui paritatem habuerunt.
7. Si autem ob Superioris Generalis mortem electio esset facienda, haec regula et ordo teneantur: Mortuo Rettore Maiore, Praefectus illius mortis notitiam ad omnes Domorum Directores per scriptum transmittet, ut spiritualia suffragia secundum constitutiones quam citissime pro defuncti anima fiant. Electio huiusmodi non ante tres, nec serins sex mensibus a Rectoris morte exit facienda. Ad hune finem Praefectus Capitulum Superius congregabit, eiusdemque consensu opportuniorem statuet diem ad convocandos eos, qui electione interesse debent, admonens de iis omnibus quae art. 3° dicta sunt.
8. Suffragium autem ii dabunt, qui hoc iure polleant in electione Rectoris facienda sicut in articulo 5° huiius capitis dictum est.
9. Qui pluralitatem votorum assecutus fuerit, erit novus Superior Generalis, cul omnes societatis sodales obedire tenentur.
Peracta electione, Praefectus, ut novus Rector Maior citius omnibus congregationis sociis innotescat, operam dabit. Quo facto, omnis superioris generalis auctoritas in Praefecto finem habet..
I. Praefectus et spiritualis Director creantur a Rectore. Oecono- mus vero et tres consiliarii suffragiis eligentur a sociis, qui cum iam vota .perpetua emiserint ad Rectoris Maioris electionem partem habere poterunt.
2. Pro societatis utilitate electio ita flet: primo anno oeconomus, , deinde unoquoque anno unus ex consiliariis eligatur.
3. Electio exit facienda prope solemnitatem s. Francisci Salesii [906] occasione qua domorum directores convocari solent. Tribus mensibus ante dictam solemnitatem Rector maior novum faciet omnibus domibus quisnam de Capitulo Superiori tempus proprii muneris compleverit, diem assignans, qua omnes domus debent electionem peragere.
4, Itaque omnes Directores suae domus in perpetuum professos colligent, et cum socio ab ipsis eletto ad futuram electionem venient. 5. Die praefixa Capitulum Superms cum directoribus et omnibus sociis secum deductis suffragium et scrutinium publice facient. Ad hoc eliguntur tres scrutatores cum duobus secretariis. Qui suffragiorum pluralitatem obtinuerit, novum erit membrum Superioris Capitoli. Quod si duo vel plures eumdem suffragiorum numerum consecuti fuerint, inter hos a praesentibus sociis nova electio fiat.
Si vero alicuius domus Director aut socius eius ob nimiam distantiam, vel alfa rationabili causa ad huiusmodi electionem pervenire non potuerit, electio valida et perfetta erit habenda.
6. Officia cuiusque membri Superioris Capituli Rector, prout feret necessitas, distribuet.
7. Direttori tamen spirituali novitiorum cura est specialiter demandata. Ipse enim una cum novitiorum magistro strenuam operam dabit, ut ipsi illum charitatis et sollicitudinis spiritum condiscant, actuque perficiant, quo infiammari debet, qui omnem vitam suam ad animarmi' lucrum optat impendere.
8. Directoris quoque spiritualis est Rectorem reverenter admonere, quoties graveur negligentiam perspiciat in regulis Congregationis exsequendis, vel earum observantiam in aliis promovendam neglexerit.
9. Praecipuum vero Directoris spiritualis officium in eo praesertim versatur, ut in morali omnium sociorum vitae ratione sedulo attenteque invigilet. Quapropter ipse vel per epistolas vel de praesentia cum omnibus domorum Directoribus frequentem relationem habebit; ut, quidquid generatim vel singillatim ad spiritualem utilitatem conferre cognoscit, iuxta Rectoris voluntatem provideat, atque res magni momenti Rettori patefaciat, ab eodemque consilium petat.
10. Pràefectus, Rettore absente, illius vicem gerit in iis omnibus quae ad consuetum societatis processum spectant, vel quae peculiariter illi fuerunt demandata.
Ix. 'Ipse rationem habebit exceptae et expensae pecuniae; notabit legata, alicuius momenti donationes in quamcumque domum collatas et earum destinationem. Omnis venditio, emptio, omnesque mobilium et immobilium facultatum fructus sub Praefecti custodia et responsione erunt.
I2. Praefectus igitur est veluti centrum a quo totius societatis administratio proficisci et ad quod referri debet. Praefectus vero Rettori subiicitur, eique fatti saltem semel in anno rationem reddet.
13. Oeconomus materialem totins societatis processum procurabit et diriget. Ipse enim executioni mandabit emptiones, venditiones, [907] aedificationes et alia similia. Sed in causis civilibus et iudicialibus agere non poterit absque Sanctae Sedis consensu. Itidem Oeconomi muneris est consulere ut unicuique domui, quae necessaria sunt, suppeditentur.
14. Consiliarii omnibus deliberationibus intersunt, quae ad acceptionem vel' remotionem vel votorum admissionem alicuius socii pertinent. Si agatur de aperienda nova domo; de alicuius domus Directore eligendo; de.contractibus rerum immobilium emptionis aut venditionis; denique de rebus maioris momenti, quae ad rectum Societatis generatim processum spectant. Si in suffragiorum emissione maior pars favorabilium nom habetur omnes de re agenda deliberationes Rector protrahet.
15. Unus de consiliariis ex delegatione Rectoris coram aget de rebus scholasticis totius Societatis. Alii duo pro opportunitate vices gerent alicuius membri de Capitulò Superiore, qui vel ob infirmitatem vel aliam causam munere suo fungi nequeat.
16. Unusquisque ex superioribus,' Rettore egcepto, quatuor annos in munere suo manebit, ac iterum eligi poterit. Si guis autem e$ Capitulo Superiori morte vel quacumque causa cessaverit a proprio officio antequam quadriennium adimpleverit, Rector Maior eius munus tradet coi melius in Domino iudicaverit, sed tantum usque ad finem quadriennii iam incepti a socio cessante.
17. Si opus fuerit, Rector Maior cum Capituli Superioris consensu constituet visitatores, eodemque coram quamdam demandabit de certo domorum numero, quum earum distantia et numerus id posta laverit. Huiusmodi' visitatores sive inspectores Rectoris Maioris vices gerent in domibus et negotiis eisdem demandatis.
1. S1quando singulari divinae Providentiae favore aliqua domus sit aperienda, ante omnia Superior Generalis, quod ad spiritualia attinet, conveniet cum $piscopo Dioecesis, in qua domus aperienda est, eique in omnibus sacri ministerii partibus subiicietur, quas regularum societatis observantia patiatur.
2. Sed bac in re cautissime incedendum est, ne in domibus aperiendis, vel in administrationibus cuiuscumque generis suscipiendis aliquid statuatur vel agatur contra leges ecclesiasticas aut civiles.
3. Si autem domus aperienda sit iuniorum seminarium, vel seminarium clericorum, qui grand iori iam sint aetate, tune non solum quod ad sacrum ministerium spectat, sed omnis etiam Superiori Ecclesiastico submissio praebebitur. In eligenda materia, quae tradi
debeat, in libris adhibendis, in disciplina atque etiam in temporali administratione iis tenebitur, quae Rettor Maior cum Qrdinario loci cónstituet. [908]
4. Socii ad novam domúm adlecti minus tribus non sint, ex quibus duo saltem Sacerdotes esse debent. Superior cuiusque domus a Capitulo Superiore eligitur et Directoris nomen assumet. Quaeque domus bona administrabit, quae vel dono data, vel in sòcietatem illata- sunt, ut peculiari illi domui inserviant; at semper ratione a Superiore Generali descripta.
5. Peculiares domos saltem semel in anno invìset Rector per se vel per visitatorem, ut diligenter inquirat, an officia expleantur, quae regulae societatis praescribunt; simúlque animadvertat, an spiritúalium et temporalium administratio ad pxopositum finem reapse spectet, ut scilicet Dei gloria et. animarum salus promoveantur.
6. Ad Directorem autem quod attinet, ita se in cunctis gerat, ut omni temporis momento eorum possit rationem reddere Deo et Superiori Rectori.
7. Praecipua est eiusdem Rectoris cura in recente quaque domo capitulum constituere, quod numero sociorum in ea habitantium congruat.
8. Ad boe autem capitulum constituendum convenient Capitulum Snperius et novae domus Director.
g. Inter eligendos primus est Catechista, deinde Praefectus, et si opus fuerit etiam Oeconomus, tertio demum singuli Consiliarii, iuxta Sociorum numerum et ea quae in illa domo agenda sunt.
10. Quod si distantia, tempora et loca suadent quaedam esse excipienda in capitulo constituendo, vel in muneribus assignandis, omni ad id auctoritate Rector maior pollet, consentiente' tamen Capitulo Superiore.
11. Director neque emere, neque vendere immobilia, neque nova aedificia erigere vel aedificata demoliri poterit, neque innovationes magni momenti perficere, nisi. adsit Rectoris Maioris consensus. In administratione omnis processus spiritualis, scholasticus, materialis ad cum pertinet; at in iis, quae maioris momenti sint, consultius erit capitulum suum convocare, nec quidpiam deliberare nisi illius consensus'habeatur.
12. Catechista spiritualia quaeque illius domus procurabit, sive relate ad socius, sive relate ad caeteros qui ad congregationem non pertinent, ac, quoties opus erit, Directorem admonebit.
13. Praefectus Directoris vices gerit et praecipuum ipsius munus erit res temporales administrare, - coadiutorum curam gerere, supra alumuorum disciplinam attento oculo vigilare iuxta regulas uniuscuiusque domus et consensum Directoris. Ipse paratus esse debet ad rationem de sua gestione reddendam Directori suo, quoties ab eo expostulabitur.
14. Oeconomus, ubi necesse sit, Praefectum adiuvabit in suis officiis, praesertim in executione temporalium negotiorum.
15. Consiliarii autem intersunt deliberationìbus alicuius momenti [909] et Directorem adiuvant in re scholastica et in iis omnibus, quae eis 'demandata erúnt.
16. Unusquisque Director gúotannis Rectori Maiori spiritualis et temporales administrationis suae domus rationem reddere debet.
I. Vix quispiam societatem ingredi petierit, Director illius domus, in qua facta est petitio, necessariam postulantis'notitiam assequetur, quam Rectori tradet; ut in probationem excipiatur.
Rector autem maior eum ad acceptionem admittet, si a capitulo superiori suffragiorum plúralitatem postulans consecutus fuerit.
2. Post tempus probationis res erit apud capitulum eiusdem domus. Si saltem maiorem suffragiorum partem obtinuerit de illo referetur Rectori Maióri, qui, habita Superioris Capituli sententia, eum ad vota admittet vel perse vel per delegationem. Haec autem delegatio iterum remittenda erit Rectori Maiori cum opportunis indicationibus, ut novús socius in catalogo societatis inscribatur.
3. In abseutia Capituli Superioris ipse Rector Maior, rationabili causa interveniente, potest in societatem recipere et ad vota admittere vel etiam dimittere ex societate in uasaquaque domo; at hoc fieri poterit suffragante et praesente domus illius Capitulo. Hoc autem in casu Director illius domus, in qua acceptio vel dimissio facta est, rem nunciabit Capitulo Superiori cum opportunis indicationibus, ut sociùs vel inscribatur in societatis catalogo, vel ab eo expungatur.
4. Ut quisquam ad vota emittenda admittatur, necesse erit ut primae et secundae probationis tirocinium exercuerit. At nemo ad votorum emissionem admittendus est, nisi sexdecim aetatis annos fuerit praetergressus.
5. Haec autem vota per triennium emittuntur. Tribus autem annis transactis, praevio Capituli consensu, cuilibet facultas dabitur ea ad aliud triennium repetendi, vel perpetua faciendi, se videlicet per omnem vitam votis obligandi. Nemo tamen ad sacros ordines titulo eongregationis erit admittendus, nisi vota perpetua iam emiserit,'
6. Ut socius Congregationi possit adscríbi praeter virtutes, quae regulis praescribuntur, debet etiam anteactam vitac rationem testimonio comprobare, ex quo constet:
I. Status illius liber atque bonis moribus praestans vita per declarationem ab eiusdem Ordinario exaratam;
II. Illius nativitas et baptismus; III. Aere alieno non esse gravatum; IV. Numquam in illum crimine inquisitum fuisse;
7. Nullo neque physico, neque morali impedimento detineri, quo irregularis fiat ad Sacerdotium ineundum. [910] Quod àd valetudinem attinet, talis sit, ut omnes Societatis regulas absque exceptione possit observare.
8. Ubi iusta ratio adsit, Rector aliquem poterit a conditionibus antedictis eximere, et quaedam plus minusve late excipere.
9. Societas Divina Providentia innixa, quae nunquanl deest sperantibus in ea, omnia cuique necessaria providebit, - sive florente valetudine sive premente morbo. Tamen erga illos tantum Societas devincitur, qui iam votis se obligarunt.
10. Omnibus autem duo potissimum. cordi habenda sunt: I. Attente caveat unusquisque, ne se habitudinibus cuiuscumque generis, rerum etiam indifferentium, devinciri patiatur; 2. Cuiusque vestis, lectus et cellula munda sint et decentia; at omnes summopere studeant affectationem et ambitionem devitare. Nihil magis sodalem religiosum exornat, quam vitae sanctimonia, qua caeteris in omnibus praeluceat.
11. Quisque pàratus sit, ubi opus erit, aestum, frigora, sitim, famem, labores et contemptum tolerare, quoties haec conferant ad maiorem Dei gloriam, spiritualem aliorum utilitatem, suaeque ani- mae salutem.
I. Sacerdotes, omnesque socii, qui clericalem militiam petunt, studiis Ecclesiasticis strenuam operam dabunt.a:
2. Praecipuum eorum studium totis viribus, dirigetur ad Biblia Sacra, ad Historiam E cclesiasticam, ad Theologiam dogmat cam, speculativam, moralem, necnon ad libros, vel tractationes, *
quae de iuventute 'in religione instituenda ex professo pertractant.
3. Noster Magister erit divus Thomas, et alii auctores qui in Catechesi et in doctrina Catholica interpretanda eelebriores commu-niter cēnsentur.
4. Praeter quotidianas collationes quisque socus contexere sataget seriem meditationum, atque instructionum primitus pro adolescentulis, deinde pro omnibus Christi fidelibus accommodatam.
I. Vita activa, ad quam potissimum, haec Congr'egatio spectat, efficit, ut socii nequeant compluribus pietatis exercitiis simul collecti operam dare. Quae quidem omnia socii suppléant bonis 'exemplis sibi invicem praelucendo, et perfecte generalia christiani officia adimplendo.
2. Singulis hebdomadis socii ad poenitentiae Sacramentum accedant [911] apud Confessarios a Rectore constitutos. Sacerdotes quotidie Sacrum facient: quoties autem per negotia non liccat, curent, ut sacrificio saltem intersint. Clerici et sodaems adiutores faciant, ut saltem singulis diebus festis, et quaque feria V ad sanctum Eucharistiae Sacramentum accedant. Compositus çorporis habitus, clara, religiosa et distincta pronuntiatio verborum quae in divinis officiis continentur; modestia, domi forisque in verbis, adspectu et incessu, ita In sociis nostris praefulgere debent, ut his potissimum a caeteris distinguantur.
3. Singulis diebus unusquisque non minus unius horae spatio orationi vocali et mentali vacabit, nisi quisquam impediatur ob exercitium sacri ministerii; tune maiori, quae fieri poterit, frequēntia eas per iaculatorias preces supplebit, maiorique affectus vehemēntia Deo offeret opera, quibus a constitutis pietatis exercitiis arcetur.
4. Quoque die Deiparae Immaculataē tertia Rosarii pars recitabitur, et in spirituali lectione aliquantulum operae navabitur.
5. Cuiusque hebdomadae feria VI ieiunium erit in honorem Passionis D. N. I. C.
6. Ultimo omnium mensium die, a temporalibus curas remotus, quantum fieri poterit, se quisque 'spiritu in se recipiet, et exercitio vacabit, quod ad bene moriendum fieri solet. spiritualia et temporalia
componens, tamquam mundus illi esset relinquendus, et aeternitatis via adeunda.
7. Unusquisque quotannis per dies ferme decem vel saltem sex secedat ut pietati unice operam det; quibus transactis, criminum . annuali confessione se rite abluet. Omnes, antequam in societatem cooptentur, per decem dies in exercitiis spiritualibus impendent, seque generali confessione purgabunt.
8. I,icebit autem Rectori statuere, ut al) bis pietatis operibus abstineatur certo quodam tempore et a certis sociis prout opportunius in Domino iudicabit.
9. Quoties Divina Providentia soçium, sive laicum, sive sacerdotem ad vitam aeternam vocaverit, omnes illius domus Socii Sacrum facient, ut anima mortui suffragiis adiuvetur. Qui sacerdotes non sunt, semel saltem ad id Eucaristiam accipiant.
10. Idem pietatis officium exercebitur, quoties alicuius socii pater aut mater moriatur.
Mortuo Rectori suffragabuntur omnes congregationis socii, ic e: x. Tamquam grati animi pignus ob curas et labores, quos in regenda so ietate sustinuit; 2. Ut a poenis Purgatorü liberetur, quae illi forsitan ob` nostram causam perferendae erunt.
12. Singulis annis die immediata post festum sancti Prancisci Salesii omnes congregationis sacerdotes pro sociis defunctis missam celebrabunt. Caeteri ad Sacrum Synaxim accedant, tertiam $. M. V. Rosarii partem una cum aiis precibus persolventes. [912]
DE NOVITIORUM MAGISTRO EORUMQUE REGIMINE
1. Socius quicumque tria probationis stadia facturus est, antequam absolute in societatem recipiatur.
Primum probationis stadium novitiatum prâecedere debet, et appellatur aspirantium; secundum est Novitiatus proprie diçtus ter, tium est tempus votorum triennalium.
2. Itaque praeter acceptionis conditiones statutas (capite ' XI) Magister Novitiorum diligenter animadvertere debet si postulântis vivendi ratio ex Superiorum iudicio talis sit, ut ipsùm maioreni Dei gloriam bonumque Societatis coltaturum esse in Domino iudicari ,possit.
3. Geueratim prima probatio sufficiens censetur, quando postu- lans aliquot annos in aliqua ex Societatis domo transegerit, vel publicas Congregationis scholas frequentaverit; ac eo temporis spato sanctimonia et iugenio refulserit.
4. Si vero aliquis iam grandioris aetatis huic pio instituto adscribi postulaverit, et ad primam probationem fuerit receptus, statm 'spiritualibus exercitiis vacet, postea saltem per aliquos menses in variis Congregationis officiis exerceatur; adeo ut cognoscat atque ad praxim traducat illud vivendi genus, quod amplecti desiderat. Eodem tempore Novitiorum Magister, caeterique Superiores advertant, an postulans aptus sit ad Salesianam Congregationem.
5. Tempore primae probationis novitiorum magister, caeterique Superiores diligenter observare debent et quidquid in Domino bonum iudicaverint Superiori Capitulo referant, atque patefaciant.
6. Prima probatione feliciter peracta, atque Socio in Congregationem recepto, statm novitiorum magister anirnum ïntendat, nihilque de ed obmittat quod ad regularum et constitutionum observantam conferre possit.
7. Hinc Novitiorum magister maximo studio incumbere debet ut I. se amabilem, mansuetum, corde bonitatis pleno exhibeat, ut Socii animum ci aperiant in omnibus, quae ad perfebtibnis. incre-mentum prodesse possint; 2. dinigat, instruat eos in re~ gene-ratim et specialiter in iis quae ad votum castitats, paupertatis et obedientiae referuntur; 3. Omnes ratione undequaque exemplari quid- dquid ad Nostri Instituti pietatis exercitia pertinet, compleant atque perficiant; 4: Singulis praeterea hebdomadis ex professo collationem de rebus moralibus tèneat; 5. Saltem semel in mensem unumquemque ad reddeudam conscientiae rationem peramanter advocet.
8. Quoniam vero Nostrae Congregationis finis est iúvenes praesertim pauperiores scientam et, religionem edocere, eosdemque inter saeculi pericula in viam saluti salutis dirigere; ideo omnes huius secundae probationis tempore non leve experimentum facturi súnt de'studio, de scholis diurnis et vespertinis, de catechesi pueris facienda, atque [913] de assistentia in difficilioribus 'casibus praestanda. Si Socius in his omnibus maiorem Dei gloriam bonùmque Congregationis se obtenturum ostenderit, atque inter pietatis exercitia bonorum operum exemplum seipsum praebuerit, annus secundae probationis expletus erit censendus; aliter in aliquot menses vel etiam in aunum differatur.
9. Novitiatu expleto, atque ocio in Congregatione recepto, habito Magistri Novitioruin iudicio, Mains Capitulum ad vota triennalia emittenda socium admittere potest. Praxis triennalium votorum tertiam. probationem constituit.
10. Hoc temporis spatio Socius mitti potest in quamcumque Congregationis domum, atque omnia adimplere officia, quibus fungi ei contingit. Tune temporis Director illius domus de novo socio curam geret veluti Novitiatus Magister.
11. Toto huiusmodi experimentorum tempore Novitiorum Magister sensuum externorum mortificationem, praecipue sobrietatem, instanter commendare atque dulciter inserere curabit. Qua tamen in re summa prudentia incedendum est, ne corporis vires nimium debilitentur, et ad Nostri instituti ministeria Minus apti Socii reddantur.
12. Tribus his probationibus laudabiliter expletis, si Socius perpetuo in Congregatione permansurum in animo reapse habuerit, compos fieri atque a Superiore Capitulo ad vota perpetua admitti poterit.
1. Vestimentum, quo utuntur sòcii, varium erit, prout variae erunt regiones, in quibus illi commorantur.
2. Sacerdotes longam vestem induent; nisi iter, vel alia iusta ratio aliter poscat.
3. Socii adiutores nigro vestimento, quantum fieri poterit, induentur. At saecularium novitates evitare unusquisque contendat.
Autequam socius vota proferat, exercitiis spiritualibus vacabit, quae hue praesertim spectabunt, ut quisque, quo Deus illum vocet, attente consideret, simulque materiam votorùm edoceatur, quae proferre velit, ubi certe cognoscat hane esse Dei voluntatem. Peractis spiritualibus exercitiis, capitulum habebitur, ac, si fieri potest, omnes, illius domus soeii convocabuntur.
Rector vel qui vices gerit ex eius delegatione superpelliceo et stola indutus una cum sociis omnibus genua submittet. Deinde omnes simul Spiritus Sancti lumina invocabunt alterna voce recitantes hymnum Veni, Creator Spiritus etc.
Emitte Spiyitum etc.. Et renovabis etc. [914]
Litaniae Beatae Virginis cum versiculis Ora pro nobis etc.et cum Oremus: Concede nos etc.
IN HONOREM S. FRANCISCI SALESII,
Ora pro nobis, beate Franciste. R. Ut digni efciamur etc.
Deus qui ad animarum salutem etc.
Deinde socius, ac si plures sint, singuli, flexis genibus coram Rettore inter duos professos positi, Clara et intelligibili voce hanc votorum formulam proferet:
“Fragilitate et instabilitate voluntatis meae omnino cognita, cupiens in posterum ea constanti animo perficere, quae ad maiorem Dei gloriam et animarum salutem conferre possint, ego N. N. coram te, omnipotens et sempiterne Deus, ac licet conspectu tuo indignus, tamen tuae bonitati et infinitae misericordiae confisus, desiderio unite permotus te amandi, tibique serviendi, coram Beatissima Virgine Maria sine labe concepta, Sancto Francisco Salesio, omnibasque sanctis caelorum, ex Societatis Sancti Francssci Salesii regulis facio votum castitatis, paupertatis, et obedientiae Deo, et nostrae Societatis Superiori, ad tres annos, vel etc.
Quapropter ipsum enixe deprecor, ut secundum nostrae Societatis constitutiones ea mihi velit praecipere, quae sibi videantur ad maiorem Dei gloriam, maioremque animarum utilitatem conferre.
Interea, te, Deus bonitatis, per immensam clementiam tuam, propter Iesu Christi Sanguinem pro nobis effusum, oro, ut hoc sacrificium excipias, quo gratiae agantur pro multis beneficiis in mecollatis, et pro meis peccatis expiandis. Tu in me desiderium inspirasti hoc votum emittendi, tu quoque fat, ut possim illud adimplere. Sancta Maria, Virgo Immaculata, Sancte Franciste Salesi; ome nes Sancti et Sanctae Dei intercedite pro me, ut Deum meum diligens, eique soli in hoc mundo serviens, ad aeterna praemia merear pervenire”.
Omnes respondent: Amen. Deinde novas socius nomen suum in libro notabit, ubi Nane schedulam subscribet: Ego infrascriptus N. N., legi ac intellexi Societatis Sancti Francisti Salesii regulas, et promitto me secundum votorum formulam nunc prolatam eas constanti animo observaturum. Augustae Taurinorum vel etc. anno etc. N. N..... . [915] Hisce peractis, recitabitur Te Deum alternis vocibus; quo finito, si Rector ad rem existimabit, brevem ad id moralem exhortationem habebit, quibus omnibus finem afferet psalmus: Laudate Dominum Omnes gentes etc.
REGULAE SOCIETATIS S. FRANCISCI SALESII
Romae, Typis S. C. de Propaganda Fide - MDCCCLXXIV
Non occorre riportarla, perchè oltre la soppressione del paragrafo De externis, non aveva che queste semplici correzioni nei paragrafi VII e XII e nella formola della professione.
1) Al paragrafo VII Internum Societatis regimen, art. 2, verso la fine nella prima si leggeva: Nulla tamen, quod ad res immobiles spectat, e nella seconda si mise: At nulla, quod ad res immobiles spectat.
2) Ivi, nella seconda parte dell'art. 3, prima si diceva: Omnes tamen socii, e poi si mise: Veruntamen omnes socii.
3) Ivi, all'art. 4, relativo alla rielezione del Rettor Maggiore, si aggiunsero le parole: Sed haec reelectio erit semper a Sancta Sede confirmanda.
4) Ivi, sulla fine dell'art. 9 si leggeva: Quod si non sufficiat, Capitulum certiorem faciat da hac re sacram Episcoporum et Regularium Congregationem, cuius consilio, ecc.; e si mise: Quod si non sufficiat, Capitulum da hac re sacram Episcoporum et Regularium Congregationem certiorem faciat, cuius consilio ecc.
5) Nell'art. 2 del paragrafo XII incorse quest'errore di stampa: ad Bibliam Sacram, mentre nella prima si leggeva ad Biblia Sacra.
6) Nella formola della professione, nella prima edizione le parole riferentisi al Superiore erano in forma indiretta: Et nostrae Societatis Superiori... Quapropter ipsum... quae sibi videantur; e nella seconda si posero in forma diretta: et tibi, nostrae Societatis superior... Quapropter te ipsum... quae tibi, ecc.
NB. - Torniamo a ripetere, evidentemente il motivo principale della ristampa dovette essere la soppressione del paragrafo De externis, che, sebbene posto in fine, come fuori testo, si voleva soppresso in forma assoluta. [916]
O CONSULTAZIONE PER LA CONGREGAZIONE PARTICOLARE.
composta degli E.mi e R.mi signori Cardinali
PATRIZI - DE LUCA - BIZZARRI - MARTINELLI
Sopra l'approvazione delle Costituzioni
Relatore Ill.mo e R.mo Monsignore Nobili Vitelleschi
Arcivescovo di Seleucia Segretario
Roma - Tipografia Poliglotta della S. C. di Propaganda - 1874.
Indice Dei Documenti [riportati nel Sommario].
I. Supplica del Sac. Bosco a Sua Santità, per implorare la definitiva approvazione della Società Salesiana. Somm. n. 1.
II. Decreto di lode sopra la medesima concesso dalla S. Sede nel giorno 13 luglio 1864.
III. Animavversioni sopra le Costituzioni esibite in quell'epoca.
IV. Decreto di definitiva approvazione dell'Istituto, e concessione limitata delle Dimissorie in data 1 Marzo 1869.
V. Informazione dell'Arcivescovo di Torino.
VI. Lettera particolare del Medesimo.
VII. Commendatizia del Vescovo di Casale.
VIII. Idem del Vescovo di Savona.
IX. Idem del Vescovo di Vigevano.
X. Idem del Vescovo di Albenga.
XI. Idem del Vescovo di Fossano.
XII. Idem dell'Arcivescovo di Genova.
XIII. Voto del R.mo Consultore sopra le regole stampate nel 1873.
XIV. Riassunto delle Osservazioni trasmesso al Superiore.
XV. Attuale condizione morale ed economica della stessa Società.
NB. - Si esibiscono in opuscoli separati le regole del 1873 le modificate Costituzioni coi tipi di Propaganda. [917] 20442
SACRA CONGREGAZIONE DÈ VESCOVI E REGOLARI
Consultazione per una Congregazione particolare
TAURINEN. - Super approbatione Constitutionum
Societatis S. Francisci Salesii.
La carità cristiana è tanto feconda nella sua benefica influenza, che mentre le si chiudono le vie con la soppressione degli ordini religiosi, nondimeno con animo invitto superando qualunque ostacolo, suscita con prodigioso ingegno nuovi Istituti a soccorso spirituale e temporale degli infelici, per conservare la fede ed il buon costume, quale appunto si è quello fondato dal Sac. D. Giovanni Bosco, che è stato encomiato, ed approvato da due solenni Decreti della S. Sede.
Infatti ogni ceto di persone ricorda con sentita gratitudine, come fino dall'anno 1841 l'encomiato sacerdote si unisse ad altri Ecclesiastici per accogliere in appositi locali i giovani più abbandonati della città di Torino a fine d'intrattenerli con onesti sollazzi e somministrare ai medesimi il pascolo della Divina parola. L'autorità Ecclesiastica animò tale pietoso esercizio, e la Divina Provvidenza con singolare protezione lo favorì in guisa, che nel 1844 il concorso dei giovani divenne assai numeroso. Si fu per questo aumento che l'Arcivescovo di quel tempo Monsignor Fransoni concedeva di ridurre in forma di piccola chiesa due camere destinate ad altra opera pia, e così fu costituita una cappella con giardino contiguo dedicata a S. Francesco di Sales nel centro della regione Valdocco, e l'Arcivescovo stesso concesse molti favori e facoltà di sua spirituale giurisdizione ai giovani, che frequentavano la pietosa Adunanza, e nel 1846 cominciarono le scuole serali e domenicali pei più grandicelli, ed oltre Settecento fra questi più poveri e pericolanti furono eziandio ricoverati in una casa annessa all'Oratorio, che è l'attuale Ospizio di carità. Dal 1847 in poi crebbero in guisa gli Aggregati, che col consenso dell'Autorità Vescovile fu necessario aprire in altro angolo della città un secondo Oratorio sotto il titolo di S. Luigi Gonzaga, e successivamente nell'anno 1849 fu aperto il terzo in altra contrada sotto il titolo del S. Angelo Custode col medesimo scopo degli antecedenti. L'Ordinario di moto proprio approvava il Regolamento di questi Oratori, e ne costituiva Direttore capo il Sacerdote Bosco, concedendogli tutte quelle facoltà, che potessero tornare necessarie ed opportune a questo scopo. Con tali auspicii e benedizioni altri Vescovi adottarono il medesimo piano di regolamento, e si adoperarono d’introdurre nelle loro diocesi cotali Oratorii festivi. Che anzi [918] in Mirabello nel 1863 fu istituito un piccolo Seminario di S. Carlo e la casa dove nel 1870 si alimentavano circa Duecento giovani è di proprietà della Società, non altrimenti che quella di Torino, ed al presente è stata trasferita nel villaggio di S. Martino, territorio della Diocesi di Casale. Nel 1864 fu stabilito in Lanzo, paese dell’Archidiocesi di Torino, un Collegio convitto di S. Filippo Neri, per raccogliervi giovanetti, che non potevano più essere accolti in altri ricoveri. Successivamente in breve giro di tempo furono aperte varie altre case, fra le quali nel 1870 il collegio della Madonna degli Angeli in Alassio, Città [della Diocesi] di Albenga. Nel 1871 un Convitto in Varazze, Diocesi di Savona, nonchè un Ospizio di S. Vincenzo nella città di San Pier d'Arena presso Genova a pro de' fanciulli abbandonati. Finalmente nel borgo di Cogoleto, Diocesi di Savona fu aperta una nuova casa, dove si esercita il Sacro Ministero con pubbliche scuole. Laonde per conservare l'unità di disciplina in tanto grandi e numerose case fino dal 1844 alcuni Ecclesiastici si riunirono insieme per costituire una specie di Società, o Congregazione, non astringendosi a vincolo di voti, ma bensì promettendo di porre in esecuzione ogni opera, la quale ridondasse alla maggiore di Dio, nonchè alla salute delle anime.
Tale promessa s'ebbe regolare forma di voti semplici nel 1858 e molto influì l'impulso di autorevoli Personaggi. Imperocchè in quell'epoca appunto l'Arcivescovo di Torino consigliò di provvedere in modo stabile all'avvenire di molti ragazzi, che erano raccolti negli Ospizii, o frequentavano gli Oratorii nei giorni festivi, e per tale scopo gli rilasciò una lettera commendatizia, colla quale potesse presentarsi al Supremo Pontefice Pio IX, che Dio ci conservi per molti altri anni. Ottenuta benignamente l'udienza, il Bosco espose al S. Padre il motivo, e lo scopo della sua venuta, e n'ebbe confortante incoraggiamento, e prudenti consigli, i quali sono riprodotti in un opuscolo stampato qui in Roma coi tipi di propaganda. Qualunque sia l'appreziazione di tali privati colloqui, è indubitato che il Fondatore si adoperò a stabilire, e riformare le Regole del suo Istituto; accogliendo perciò di buon grado i consigli avuti, aggiunse alle medesime con tre distinti paragrafi i tre voti di castità, povertà ed obbedienza, per fondare così una Società di voti semplici, perchè senza voti non vi sarebbero gli opportuni legami tra soci e soci e tra superiori e inferiori. Tali norme furono poste in esecuzione in via di sperimento per lo spazio di circa sei anni, decorsi i quali in vista del crescente progresso di operai in palpabili beneficenze a pro de' miseri, il zelante Sacerdote con le Commendatizie di molti Vescovi si ricondusse in Roma per ottenere nella sua qualifica di Fondatore e Superiore generale la conferma Apostolica della sua Società. Accolse Sua Santità benignamente le preci e degnossi commettere l'esame di questa benefica Società nonchè delle Regole, che in quel tempo erano scritte in volgare idioma a questa S. Congregazione. [919] L'una e le altre furono maturamente discusse, e fattane relazione all'Oracolo Santissimo nel giorno primo di Luglio 1864, come suole praticarsi conforme alle norme esposte nella prima Appendice della Collettanea dell'Em.mo Bizzarri, si devenne ad un formale Decreto di lode, dove il S. Padre, memoratam Societatem attentis litteris commendatitiis praedictorum Antistitum uti Congregationem votorum simplicium, sub regimine Moderatoris Generalis, salva Ordinariorum iurisdictione ad praescriptum sacrorum canonum et Apostolicarum Constitutionum, amplissimis verbis laudavit, et commendavit, prout praesentis Decreti tenore laudat, atque commendat, dilata ad opportunius tempus Constitutionum approbatione. E per esprimere il Sovrano gradimento, concesse che l'attuale Moderatore, ossia Rettor Maggiore, in suo munere quoad vixerit permaneat (Sommario n. 2). A tale decreto furono annesse tredici animavversioni per riformare le Regole (Sommario n. 3), le quali senza indugio vennero in parte ammesse nelle Costituzioni composte in latino e quindi stampate in Torino coi tipi della stessa Società Salesiana nel 1867. Per cui dopo un quinquennio di esperimento si condusse il Superiore Generale in Roma allegando dei riflessi, pei quali si era deciso a modificarne alcune, come lo comportava lo scopo del novello Istituto, e tralasciare delle altre per non comprometterne l'esistenza innanzi al rigore delle leggi Civili. Tali Regole furono trasmesse alla S. Sede con una memoria, in cui il prelodato Fondatore domandava l'approvazione dell'Istituto, e delle Regole, nonchè la facoltà di concedere le dimissorie a quei suoi allievi, che erano chiamati allo stato Ecclesiastico. Tale memoria veniva accompagnata da lettere Commendatizie di ventiquattro Vescovi, i quali tutti attestavano la prodigiosa utilità che la Chiesa, e la Società, traeva dal novello Istituto. Fra queste si leggono quelle di due E.mi Porporati, cioè dell'E.mo Cardinale De Angelis, Arcivescovo di Fermo, il quale attesta, di aver veduto coi proprii occhi il bel numero di giovanetti quivi educati, ritolti all'ozio e alla miseria dalla feconda carità del degno sacerdote che n'è Capo e Direttore Supremo, lo zelo vivo e indefesso per crescerli nella pietà, così ne' mestieri conformi al loro genio e alla loro condizione, e il frutto da ultimo non comune, che si scorge ne' stessi giovanetti e le speranze che debbono concepirsi nell'avvenire; e quelle dell'E.mo Cardinale Antonucci, il quale nel commendare l'Istituto e le Regole dichiarò di essere mosso dal desiderio della gloria di Dio e della salute delle anime, come anche per gratitudine di animo inverso questa Pia Società, quae modo non paucos huius Civitatis et Dioecesis infortunatos adolescentes, complures orphanos propter ultimam cholera - morbi tristissimam invasionem, liberaliter, ac peramanter alit, et instituit.
Si manifestarono allora per parte del postulante alcune difficoltà che sarebbero occorse nella esecuzione delle tredici animavversioni, segnatamente sulla quarta relativa alla concessione delle dimissorie, nonchè sopra la quinta colla quale richiedevasi il Beneplacito Apostolico [920] pro alienationibus ac debitis contrahendis. Senonchè la Santa Sede tutto ponderato, e procedendo a grado a grado secondo l'accennata norma nel 1 marzo 1869 emise il Decreto di approvazione e conferma dell'Istituto in genere, differendo a più opportuna circostanza di sanzionare le Costituzioni, dopo che sarebbero state emendate: „attentis litteris commendatitiis plurimorum Antistitum enuntiatam piam Congregationem, uti societatem votorum simplicium sub regimine Moderatoris Generalis, salva Ordinariorum iurisdictione ad formam Sacrorum Canonum et Apostolicarum Constitutionum: [dilata ad opportunius tempus approbatione Constitutionum], quae emendandae erunt iuxta animadversiones. Peraltro il Santo Padre relativamente alle lettere dimissoriali benignamente concesse che il Superiore Generale avesse la facoltà di rilasciarle agli alunni che aveano dato il nome alla pia Società prima di compiere l'anno quattordicesimo, ita tamen ut, si a pia Congregatione quavis de causa dimittantur, suspensi maneant ab exercitio susceptorum Ordinum, donec de sufficienti patrimonio sacro provisi, si in Sacris Ordinibus sint constituti, benevolum Episcopum receptorem inveniant (Som n 4). Ottenute tali concessioni avvenne che un allievo originario d'Ivrea, di età adulta, mentre alimentato a tutte spese della Società, era per compiere il quarto anno di Teologia, desiderava di essere promosso agli ordini sacri; ed in questa circostanza con rescritto SS.mo in data 13 agosto 1869, fu rilasciata l'implorata facoltà, benchè l'ordinando fosse stato ricevuto dalla Società dopo il quattordicesimo anno, la quale grazia poco dopo fu estesa per la Ordinazione di sette individui. Crescendo successivamente il numero degli aspiranti agli Ordini sacri il Superiore Generale domandava nel 1871 di essere facoltizzato a concederle indistintamente senza ricorrere volta per volta anche a pro' degli individui che erano stati ammessi nell'Istituto dopo i 14 anni almeno per un settennio. Peraltro la S. Sede non reputò in allora espediente concedere l'implorato indulto, ma bensì limitò la facoltà soltanto per dieci individui, de speciali gratia annuit pro extentione enunciatae facultatis favore dumtaxat decem, servatis in reliquis omnibus de iure servandis. E recentemente degnossi il Santo Padre nella Udienza dell'8 Agosto 1873 di concederla limitando il numero a sei individui.
Nello stesso anno decorso il Superiore Generale per uscire dal provvisorio, ed appianare le gravi difficoltà che incontrava nella amministrazione delle case aperte in diverse diocesi e che tratta di aprire nella China, America, ed Africa, umiliava una memoria, nella quale prega la S. Sede a concedergli dopo la esperienza di cinque anni trascorsi dalla conferma dello statuto, la definitiva approvazione delle Costituzioni stampate nel 1873, unitamente alla facoltà assoluta di rilasciare le dimissorie (Som. n. 1); e per dimostrare lo sviluppo crescente e prosperevole della sua Società, ha compilato l'ultimo stato della medesima (Som. n. 15). Tale ultima dimanda è raccomandata dagli Ordinari che hanno nelle loro Diocesi case dell’Istituto [921] o che ne hanno conoscenza (Som. n. 5 al n. 12). Però taluni di questi appongono delle condizioni e vorrebbero inserito nelle Costituzioni il Capo 12, Sess. XXIII del Concilio di Trento sull'esame riservato ai Vescovi, riguardo ai presentati per l'Ordinazione (Som. n. 5 al n. 12). Per tal fine la Sagra Congregazione procedendo con le solite cautele ne affidava l'onorevole incarico ad uno dei R.mi Consultori, perchè ne esternasse il suo parere. Questi attenendosi alle tracciate regole e principi già stabiliti e tenendo a calcolo i rimarchi d'una lettera privata che si riporta nel Som. n. 6, dopo alcuni mesi espose sue osservazioni (Som. n. 13), le quali furono dalla S. Congregazione ristrette e riepilogate al numero di ventotto, perchè in modo semplice, e senza trasmettere l'intero voto del R.mo Consultore fossero cognite al supplicante (Som. n. 14). Avuta tale comunicazione questi per sollecitare il disbrigo della definitiva approvazione si die' premura di riformare le Costituzioni già esibite nell'anno testè decorso, e così riformarne, come realmente ha eseguito, una nuova dizione. Questa è di recente data, giacchè fu consegnata alle stampe coi tipi di Propaganda nel mese di Gennaio del corrente anno 1874.
Infatti come risulta dalle dichiarazioni manoscritte esistenti negli atti il R.mo D. Giovanni Bosco espone:
1° di avere accettata la massima parte delle ventotto osservazioni che furono al medesimo comunicate,
2° relativamente ad alcune di avervi introdotto dei temperamenti,
3° sostenere alcuni articoli unicamente per salvare come da un naufragio dal rigore delle leggi civili il suo Istituto.
Non è luogo di passare in rassegna quelle osservazioni che sono state senza condizione integralmente ricevute. I punti poi sopra cui facevano delle eccezioni nel medesimo manoscritto, si restringevano alla quarta, ottava, sedicesima, decimasettima, ventiquattresima, venticinquesima, e ventesima ottava. Peraltro talune delle medesime verrebbero leggermente modificate nelle recenti Costituzioni, sulle quali sono pregate l’EE. LL. R.me di emettere il prudentissimo loro giudizio avuto riguardo eziandio a tutte le Animavversioni che già in più riprese sono state notate sulle penultime Costituzioni. Infatti relativamente all'ottava in cui si prescrive che il Superiore Generale [l'età del Superiore Generale] deve essere di anni quaranta, e quella dei Consiglieri Generali di anni 35, ed almeno cinque di professione, quella del maestro dei novizii di anni 33, ma di dieci almeno di professione, - il Supplicante dichiara di averla accettata per massima generale nel § 8, n. 1 p. 19. Per altro nel riflesso che potrebbe avvenire il difetto di età in coloro, i quali avessero compiuto i cinque, dieci anni di professione, per questo in via eccezionale vorrebbe prevedere tale ipotesi col premunirsi del Beneplacito Apostolico segnatamente per scegliere taluno idoneo alla carica di Superiore Generale, benché non abbia compiuto i quarant’anni, perciò propone [922] d'inserire nel citato § 8 la seguente clausola: haec vero aetas minui aliquando poterit, interveniente S. Sedis consensu.
Relativamente all’osservazione decima settima, nella quale si prescrive la costituzione degli studii, ed in ispecie della scienza Teologica pel corso di quattro anni, il Superiore vi avrebbe già provveduto con particolare disposizione nel § 12 pag. 30, apponendovi il particolare titolo De Studio, e non si mostra alieno di determinarvi il tempo di quattro anni. Pertanto fa riflettere che non si può avere una casa di studio separata dagli altri collegi per non essere sottoposti alle leggi della pubblica Istruzione, od altrimenti essere costretti a chiudere la casa stessa. Non essere poi cosa incompatibile con la condizione di studenti, se questi insegnino il catechismo, e si prestino ad assistere gli alunni, mentre ciò si eseguisce in modo che possano compire il corso degli studi, ed insieme così offrono una prova, e si esercitano in opere cui tende lo scopo dell'Istituto. Reputo superfluo riprodurre le Istruzioni, e dichiarazioni che si trovano riunite in appendice della Collectanea dell'Emo Bizzarri p. 898 e seg. e di conoscere l'applicazione, tanto più che l'E.mo Prefetto forma parte di questa speciale Congregazione.
Per ciò che riguarda l'osservazione 24, dove si avverte che sarebbe opportuno prescrivere che i confessori, sia degli alunni, sia dei socii, debbano essere approvati dall'Ordinario. Su tale proposito dichiara di rimettersi alle prescrizioni de' sacri canoni, e propone di aggiungere al § 13, n. 2, pag. 31, questa formola: „Confessarios a Rectore constitutos et ab Ordinario approbatos”. In questo luogo è da avvertirsi che le penultime Costituzioni sono già in questo parzialmente corrette, mentre in quelle nel § 13, n. 2 si stabiliva un confessore, ed in queste è stato già stampato Confessarios a Rectore constitutos, il che potrebbe riferirsi soltanto alla fiducia della persona, e non già a menomare la giurisdizione Vescovile. Veggano però gli EE.mi Padri, se sia espediente lasciare tale espressione. Finalmente accetta la osservazione 25, che richiede il consenso della S. Sede per promuovere liti innanzi ai tribunali civili. Ciò risulta dalle Costituzioni § XI, n. 15, p. 24, concepito in questi termini: Ipse (oeconomus) executioni mandabit emptiones venditiones, aedificationes et alia similia. Sed in causis civilibus et iudicialibus agere non poterit absque Sanctae Sedis consensu. Per facilitare il suo scopo, volentieri ha eseguito tale modificazione, quantunque non dissimuli che in pratica potrebbe cagionare non lievi imbarazzi, e continui incomodi perchè gli amministratori della società potrebbero ad ogni momento essere tradotti innanzi al tribunali Civili.
Esposti i capi che offrono leggiere difficoltà, si richiamano alla considerazione quelle osservazioni sulle quali il Consultore si mostra tenace inerendo alle massime già stabilite, mentre dall'altro lato il Superiore implora dalla S. Sede speciali provvidenze. Queste si riducono alla conservazione dei diritti civili, al noviziato e lettere Dimissoriali. [923] Si avvertiva infatti nell'osservazione quarta che si sopprimessero le ripetute menzioni dei diritti civili e della sottomissione alle leggi civili. Sopra tal punto dichiara di aver tolto tutto ciò che riguarda alla sottomissione de' socii alle leggi civili. L'articolo per altro che prega di conservare si è il seguente § II, n. 2. “Quicumque societatem ingressus fuerit civilia iura etiam editis votis non amittit. Ideo valide et licite potest emere, vendere, testamentum conficere, atque in aliena bona succedere, sed quandiu in societatem permanserit, nequit facultates suas administrare, nisi ea ratione et mensura qua Rector Maior in Domino bene iudicaverit”. Lo scopo di cotale disposizione secondo il postulante si è che ogni socio goda in faccia alla legge tutti i diritti civili, mentre l'individuo in faccia alla Chiesa è veramente religioso, legato in coscienza dai tre voti di povertà, castità, ed obbedienza. Soggiunge che questa distinzione è l'unico mezzo di conservare l'Istituto a fronte delle attuali leggi. In questo caso il voto di povertà si estende non già alla proprietà ma soltanto all'amministrazione ed usufrutto, mentre l'individuo rimane povero.
È vero che a rigore ciò non sarebbe conforme ai principî a norma dei quali generalmente si reggono gli ordini religiosi, secondo il noto ditterio, che „quidquid Monachus acquirit, monasterio acquirit”, per cui gli individui nequeunt in particulari neque de licentia ac dispensatione Superioris habere peculium seu aliquid proprium (Ferraris voc. Regulares n. 15). Pur nondimeno iusta concurrente causa può concedersi dalla Santa Sede che taluni regolari Istituti ritengano il dominio radicale, ciò che non implica la sostanza del voto di povertà. Ed invero S. Alfonso de' Liguori, Theol. Mor., lib. IV, n. 14 de statu religioso, ne adduce questa definizione: - Religiosus ex voto paupertatis obligatur ut nihil habeat proprium. Nomine proprii autem intelliguntur bona temporalia praetio aestimabilia, quorum dominium VEL certe facultatem disponendi LIBERAM et INDIPENDENTEM in perpetuum abdicavit. E con tale parte disgiuntiva sostiene nel cit. num. che i RR. Padri Gesuiti dopo avere emessi i voti possono ritenere il dominio non godendo però la libera amministrazione del medesimo: (ivi) post emissa vota retinent, et acquirere possunt dominium radicale bonorum temporalium, non tamen habent ius actuale de iis pro suo arbitrio disponendi vel utendi in cuius ABDICATIONE ESSENTIA religiosae paupertatis consistit.
L'Oratore reputa che ammesso tale dominio la sua società non avrà a soffrire molestie per parte del Governo, mentre ciò che maggiormente la garantisce in faccia alla Società civile è il possesso de' soci, altrimenti resterebbe un ente morale non riconosciuto ed in conseguenza immediatamente colpito dalla legge. Difatto i moderni Tribunali più volte hanno dichiarato di non estendere la legge di soppressione agli enti morali, benchè aventi un fine ed uno scopo religioso, non ostante gli individui conservino la propria persona ed il loro peculio particolare o privato (Corte d’Appello di Ancona, 11 [924] gennaio 1869, tra il Demanio e le Maestre pie Venerini). Ritenuto e concesso tale radicale dominio, sarebbe composto quanto richiedono il R.mo Consultore, nonchè l'osservazione n. 4 per la conservazione del voto con la norma contenuta nella Collettanea S. Cong. Episcoporum et Regularium, pag. 859. Tale norma fu apposta nel giorno 15 giugno 1860 ed inserita nelle Costituzioni della Società dei Maristi: “Professi in hoc instituto dominium radicale, uti aiunt, suorum bonorum retinere poterunt, sed eis omnino interdicta est eorum administratio et reddituum erogatio atque usus. Debent propterea ante professionem cedere etiam private administrationem, usumfructum et usum quibus eis placuerit, ac etiam suo Instituto si ita pro eorum libitu existimaverint; huic vero concessioni apponi poterit conditio quod sit quandocumque revocabilis; sed professus hoc iure revocandi in conscientia uti minime poterit, [nisi] accedente Apostolicae Sedis placito. Quod etiam dicendum erit de bonis quae post professionem titulo haereditario eis obvenerint. Poterunt vero de dominio, sive per testamentum, sive de licentia tamen Superioris Generalis per actus inter vivos libere disponere, quo ultimo eveniente casu, cessabit concessio ab eis facta quoad administrationem, usumfructum et usum; nisi eam concessionem tempore eis beneviso firmam voluerint, non obstante cessionem dominii. Professis autem vetitum non est ea proprietatis acta peragere, de licentia Superioris, quae a legibus praescribuntur. - Quidquid professi sua industria, vel intuitu societatis acquisierint non sibi adscribere aut reservare poterunt; sed haec omnia inter communitatis bona referenda sunt ad communem societatis utilitatem”.
Invece il Superiore nel § IV, p. 1, ha inserito una formola più concisa; ma se comprende tutti i casi e condizioni contemplate nella precedente formola lo giudicheranno gli E.mi Padri.
Si proponeva pertanto nel num. 5 delle osservazioni che i Chierici, o Sacerdoti dopo avere emessi i voti perpetui non potessero conservare i benefizii Ecclesiastici. Però tale ingiunzione non sarebbe stata eseguita nel § 11, n. 4, dove si legge: patrimonia vel simplicia beneficia retinebunt, sed neque administrare, neque iis perfrui poterunt, nisi ad Rectoris voluntatem. D'altronde tranne il principio che i benefizii secolari noti devono concedersi ai regolari, non avendone l'amministrazione rimarrebbe in sostanza il voto della povertà per cui potrebbe tollerarsi la ritenzione del semplice dominio, perchè se taluno dei soci ottenesse l'indulto della secolarizzazione nella penuria di provviste Ecclesiastiche, non rimanesse sfornito di mezzi per sostentarsi, tanto più che è ben diversa la natura di un semplice benefizio, dai benefizii residenziali, od aventi cura di anime.
Siegue la osservazione num. 16 sul noviziato. Benchè il fondatore avesse dichiarato di evitare tale nome per non essere molestato, nondimeno nella recente edizione vi ha compilato l'intiero § XIV con dodici articoli. È nota a questa Congregazione la rigorosa disciplina inculcata dai Sacri Canoni, segnatamente da Clemente VIII [925] nella sua Costituzione Cum ad Regularem disciplinam, dove fra le altre prescrizioni si ordina la completa separazione dei novizii dai professi, nonchè la loro unica occupazione nei soli esercizi spirituali; veggasi la Collettanea nel testè citato luogo. Se il Superiore ha provvisto al Noviziato in genere, sembra che non abbia eseguita l'accennata occupazione nei soli esercizi spirituali, mentre nel n. 8 v'inserisce alcuni altri officii espressi in questi termini: non leve experimentum facturi sunt, de studio, de scholis diurnis et vespertinis, de catechesi pueris facienda, atque de assistentia in difficilioribus casibus praestanda. Su tale punto implora una deroga al diritto comune in grazia del fine che si è proposto nel fondare l'Istituto, giacchè gli enunciati esercizi esibiscono la prova per conoscere se gli aspiranti hanno attitudine ad assistere ed istruire la gioventù.
Finalmente in quanto alla facoltà assoluta di rilasciare le Dimissorie, si osserva nella osservazione 28 che la medesima fu già negata, e che qualche deroga parziale non potrebbe invocarsi come un precedente, molto più che la concessione verrebbe avversata dagli Ordinari.
Sopra questi riflessi furono sempre contrapposte diverse risposte e nella posizione sembrava che si domandassero le Dimissorie ad quemcumque Episcopum. Peraltro si domandavano in genere per conservare l'unità ed amministrazione di regime segnatamente se un socio venisse dal respettivo Ordinario distaccato dalla Società, e deputato ad altro officio. D'altronde se in virtù dell'obbedienza, voto riservato alla S. Sede, doveva obbedire al proprio Superiore, simultaneamente non poteva essere soggetto e suddito del rispettivo Vescovo. Ciò nondimeno la facoltà assoluta di rilasciare le dimissorie non è stata giammai concessa al Superiore. Per contrario questi nei recenti suoi scritti risponde che la detta facoltà non gli è stata assolutamente concessa, perchè nel 1869 si trattò dell'approvazione della Società in genere, e non già delle costituzioni, quantunque rammenti che nell'istesso Decreto gli fosse concessa la facoltà delle dimissorie ad decennium a pro' di tutti quelli che entrati nei suoi collegi ed ospizii prima dei quattordici anni, avessero a suo tempo abbracciato l'Istituto; e per gli adulti ne ha implorato ed ottenuto all'uopo speciale indulto. Al presente circoscrive la sua petizione alla concessione delle dimissorie ad Episcopum Dioecesanum, e non intende di volere godere uno speciale privilegio di rilasciarle ad quemcumque Episcopum, privilegio che dopo il Concilio Tridentino deve nominatim et directo concedersi. Adduce a tale proposito un Decreto della Sacra Congregazione del Concilio, diretto a tutti i Superiori degli Ordini regolari del tenore seguente: Congregatio Concilii censuit Superiores regulares posse suo subdito, itidem regulari, qui praeditus qualitatibus requisitis ordines suscipere voluerit, litteras dimissorias concedere ad Episcopum tamen Dioecesanum, nempe illius monasterii, in cuius familia, ab iis ad quos pertinet, Regularis positus esset. Tale disposizione sembrerebbe [926] adattarsi al caso, in grazia di un Istituto con voti semplici e comuni regole, quindi il Fondatore al § 6, n. 5 così propone tale articolo: Quod vero ad sacros ordines spectat, socii ab Episcopo dioecesis eos accipient a quo sunt ordinandi, iuxta decretum Clementis VIII die 15 Martii 1596.
Questo riepilogo mi sembra sufficiente in una indagine sopra la quale le informazioni degli Ordinarii e gli opuscoli stampati offrono molti schiarimenti. D'altronde le osservazioni formano la base per confrontare le modificazioni, senza entrare in discussioni, le quali richiederebbero un lungo e superfluo lavoro. Del resto Sua Eccellenza Reverendissima Mons. Segretario di cotesta Congregazione, che come risulta dagli atti ha impiegato uno speciale lavoro sopra le Costituzioni, potrà fornire nella sua relazione agli E.mi Padri più precisi dettagli e raffrontare subito le eseguite mutazioni nella ultima edizione. Finalmente il Sacerdote Bosco con iterate suppliche dimanda l'assoluta approvazione dopo varii anni di trattative, e per tale scopo espressamente dichiara, che terrà eziandio conto di ogni correzione, modificazione, consiglio che nella Loro alta ed illuminata saviezza, si degnassero proporre, o semplicemente consigliare a maggior gloria di Dio, ed a vantaggio delle anime; così spera di porsi in regola coi rispettivi Ordinarii e proseguire pacificamente le sue trattative a pro delle Missioni straniere. Considerato ciò si concepisce una larga formola nel proporre il dubbio, perchè l'EE. LL, . R.me nell'alto senno e sperimentata prudenza di cui sono adorne, possano apporre se lo crederanno necessario, tutti quei provvedimenti temporanei o definitivi, nonchè tutte quelle condizioni che reputeranno inserirvi.
Se, e come debbano approvarsi le recenti Costituzioni della Società Salesiana nel caso?
Societas Salesiana, quam Tu, Beatissime Pater, consilio et opere et consilio fundasti, ecc. ecc.
(Già riportata alla pag. 700).
Pauperum adolescentulorum miserans conditionem Sacerdos Ioannes Bosco, ecc. ecc.
(Ved. Memorie Biografiche, vol. VII, pag. 706). [927]
Animadversiones in Constitutiones Sociorum sub titulo S. Francisci Salesii in Dioecesi Taurinensi, quae adnectebantur Decreto diei 23.Jul. 1864
(Ved. Memorie Biografiche, vol. VII, pag 707).
Salus animarum, quarum curam a Principe Pastorum accepit SS.D. Noster Pius Papa IX, ecc. ecc.
(Ved. Memorie Biografiche, vol. IX, pag. 558).
Informazione dell'Arcivescovo di Torino.
Quum admodum Reverendus Sacerdos Ioannes Bosco a Castronovo, Archidioecesis Nostrae, exoptet ut a S. Sede Apostolica Suprema Sanctione donetur Congregatio sub titulo S. Francisci Salesii quam ipse instituit, quaeque iam a S. Sede praedicta aliqualem approbationem promeruit; et ad hunc finem idem Sacerdos a Nobis Litteras postulaverit, quibùs apud S. Seoem Apostolicam desiderium Suum commendetur, Nos, votis Nostris, preces quas ipse Summo Pontifici est oblaturus, libentissime comitamur.
Id enim testamur quod, in Nostra commendatione dictae S. Sedi Apostolicâe exhibenda testati sumus quum Episcopi Salutiarum munere fungeremur, scilicet Nos, huius Congregationis exordia et progressus sub oculos habuisse, atque mira incrementa de die in diem vidisse, atque coactos fuisse profiteri digitum Dei ibi esse. Innumeri pueri atque adolescentes ad dictum sacerdotem eiusque in opere Socios confugerunt ut in Catholica Catechesi instituerentur, atque Sacramenta reciperent; et innumeri Fideles tum- Ecclesiastici tum Laici opem et auxilium huic operi praebuerunt, eo quod perspicerent quantum boni illis pueris et adolescentibus non solum in ordine spirituali sed etiam temporali accederet. Hinc collegium coepit erigi Augustae Taurinorum, in quo nunc ultra quam'octingenti adolescentes sub eodem tecto simul vivunt atque institunutur, maior pars in litteris ut deinde Clerici fiant, alii in artibus, dmnes in religione et pietate. Ex his plures ingrediuntur dictam Congregationem, et post .probationis tempus ad vota temporalia admittuntur; intereaque stu. diis Philosophiae et Theologiae applicantur, atque ad Sacros Ordines promoventur; ita ut Congregatio guinquaginta circiter Sacerdotes in suo sinu jam enumeret.
Brevissimo tempore Collegia in aliis locis erecta sunt, aliud scilicet in loco Lancei huius Nostrae Archidioecesis, aliud in Dioecesi [928] Casalensi, Genuensi, Savonensi, et Alloingaunensi; in quilous locis aliud de his Collegiis auditur, praeterquam generalis satisfactio '° laus de profectu in litteris et in Religione, qui fit ab adoleseentib sub regimine Sacerdotum et Clericorum dictae Congregationis gationis. Augustae vero Taurinorum praeter dictum Collegium extat mâ'': gnifica et valde ampla Ecclesia in honorem B.ae M.ae Virginis sub titulo Auxilium Christianorum paucis ab hinc annis erecta, qu , modo quasi prodigioso surréxit, quum ejús Auctor pecuniis omnino destitutus ci erigendae manum admoverit, sola spe divinae opis innixus; in qua quidem Ecclesia quotidie et praesertim diebus f festis, cum magno animarum lucro verbum Dei explicatur, Confessiones excipiuntur, Sacramenta administrantur, Missae celebrantur et altae functiones religiosae solemniter exercentur.
In hac sola urbe extant etiain quatuor Oratoria festiva, in qui Sacerdotes huius Congregationis mira châritate pueros ét adolescen- . tes edocent in Catechesi et Sacramenta eis administrant, atque ad quasvis virtutes efformant. Proptereaque quum hapc Congregatio jam a vigiritiquinque circiter annis tot fructus religiouis .et pietatis"' produxerit, praesertim pro pueris, adolescentibus et juventuus recte instituendis in fide Catholica, Christianisque moribus, argumentum praebet se in suo interno statu satis dispositam ët ordinatam, et ideo dignam quae Sanctae Sedis Apostolicae protectione muniatur quae omnia dum laeto animo exponimus, addimus;
I. Exhibendas esse a Fundatore Regulas quibus haec Congregatio regi debet.
2. Quae respiciunt regulas servandas in Ntivitiatu, huiusmodi esse debere, út per eas efformandis optimis mémbris, huius Congregationis in, perpetuum consulatur, et quantum fieri potest, ea similia fieri quae servantur in Novitiatu Societatis Jesu.
3. Nullum ex Membris huius Congregationis promovendum esse âd Ordines Sacros antequam vota perpetua emiserit.
4. Qui promovendi sunt ad Ordines tum Majores tum Minores, juxta praescriptum Concilii Tridentini sèss. XXIII cap. 12 subiiciendos esse diligenti examini Episcopi a quo sunt ordinandi.
5. Episcopo ius servandum esse visitandi Ecclesias publicas atque Oratoria huius Congregationis, ut omnia quae ad eadem pertinent semper sint juxta Canones et leges Ecclesiast cas, et Legata pia recte adimpleantur.
6. Tantum concedendum esse huic Congregationi exemptionis a iurisdictione Episcoporum, quantum sufiìcit ad eius conservationem, nihilque amplius; proptereaque in coeteris plena remanere debere Episcoporum iura et munera.
Augustae Taurinorum, die decima mensis Februarii, anno millesimo octingentesimo septuagesimo tertio.
+ LAURENTIUS Archiepiscopus. [929]
Lettera riservata dell'Arcivescovo di Torino.
Torino, Seminario, 20 aprile 1873
Stimo essere mio gravissimo dovere l'esporre a Vostra Eminenza R.ma, ecc. ecc.
(Già riportata alla pag. 711).
Informazione del Vescovo di Casale.
Informazione del Vescovo di Savona.
Cum advocaverimus in nostram Dioecesim Societatem S. Francisci Salesii Augustae Taurinorum institutam ab admodum Rev. D. D. Io. Baptista Bosco, ad regendum Collegium Municipale civitatis Varaginis, bona spe freti, ut a spiritu timoris Dei institutio puerorum optimum initium accipiat, cumque nobis innotuerit laudatum sacerdotem approbationem absolutam ejusdem Congregationis a S. A. Sede esse petiturum, ideo adherentes votis commendationibus Archiepiscopi [930] Taurinensis ceterorumque ecelesiasticae illius provinciae Episcoporum, petitionem ejus pariter et nos demisse pro gratia commendamus.
Datum ex Epis. Savonae, die 16 Februarii 1873.
Informazione del Vescovo di Vigevano.
Vigevano, il 21 febbraio 1873.
Il nome del Sacerdote D. Giovanni Bosco da varii lustri risuona grato e venerato principalmente in Piemonte. È comune e somma l'ammirazione per il bene da lui operato, sia col raccogliere in varii Oratorii la gioventù, sia cogli scritti popolari che si leggono anche dalle persone colte con grande frutto e diletto, e coll'educazione di giovani Chierici al Sacerdozio. I suoi Collegi Ecclesiastici, aperti con immense sollecitudini in molti luoghi della Liguria e del Piemonte, ove co' buoni studi vi fiorisce la disciplina, ne sono una prova luminosissima. Molte Diocesi, e la mia segnatamente, ebbero dai Collegi del S. D. Bosco ottimi Sacerdoti.
Non era necessaria questa Nostra testimonianza, perchè le opere del D. Bosco parlano da sè: Ci riesce però cosa assai grata rendere questa testimonianza dell'ammirazione e gratitudine, che professiamo per un Sacerdote che abbiamo apprezzato costantemente, ed in cui fino dagli esordii delle sante sue imprese abbiamo ammirato un uomo suscitato dal Signore a gloria del Cattolico Sacerdozio a bene dell'umanità.
Noi crediamo tornerà di vero vantaggio alla Religione ed alla società secondarlo ne' suoi voti di dare più ferma esistenza alla sua Congregazione, benedetta replicatamente dal maraviglioso Pontefice Pio IX.
Informazione del Vescovo di Albenga.
Dei et Apostolicas Sedis gratia Episcopus Albinganensis.
Cum Vicarii primum Generalis, exinde Capitularis partes hac in Albinganensi Dioecesi adimpleremus, speciale putabamus Miserentis Dei beneficium admodum Rev.mum D. Sacerdotem Bosco Joannem [931]
Informazione del Vescovo di Fossano.
Dei et Apostolicae Sedis gratia Episcopus Fossanensis.
Ab anno Redemptoris Domini 1844 Societas quaedam in Subalpinis regionibus apparuit sub titulo et protectione S. Francisci Salesii, optimo Sacerdote Joanne Bosco curante, Taurinensis dioecesis qui a pueritia pauperes pueros honestis oblectamentis, verbo sano [931] Archidioecesis Taurinensis, Congregàtionis Salesianae Fundatorem, ei oblatam illico arripuisse occasionem ad domom filialem Congregationis praedictae, nuncupatam « Collegio Municipale di Senta Maria degli Angeli » Alaxii constabiliendam.
Piorum namqùe Virorum relationibus in. antecessum habitis, at- testationibusque multorum Antistitum freti, non dubitabamus quin adolescentuli illius populdsae urbis a Clericis et Sacerdotibus, praefatae Congregationi addictis, spiritu pietatis et intelligentiae, imbuerentur, uberesque inde piae fundationis fructus in ifla gregis hujus portione producerentur.
Commendatitias eapropter litteras in favorem huiusce filialis domus hac in dioecesi constabiliendae S. Sedi dabamus, quas benigne receptas esinde gratulabamur praesertim cum Episcopatus onere ac ipsa in Dioeeesi Apostolica benignitate gravati. non parum auxilii ad hoc ferendum, plebemque nobis commissam contra spiritum erroris et impietatis, pestiferos suos virus quaque ex perte in joventute praesertim effundentem defendendum, a Moderatoribus et Magistris praelaudatae Congregationes Alagii degentibus, percipere sentieba- . ' mus.
Viam sternere consequenter animosque parare ad hanc eamdem societatem alia quoque in civitate hujús Dioecesis recipiendam curabamus. irrito tamen hucusque conatu ob causas certe varias. sed praesertim quia eius sociorum nunquam intermissi labores ad omnes populi Christiani indigentia's quaquaversus irrumpentes satisfaciendas impares sunt.
Ardenter itaque in Domino cupimus praedictam Congregationem, adeo bene de vinea Domini meritam vires potiores assumere. crescere. ramosque suos nostra in Dioecesi estendere. et ad hune finem a S. Sede Apostolica definitivam approbationem, favoresque obtinere ad sui conservationem, . dilatationem et perfectionem opportunes. et ideo eam quantum in Domino possumus et in Nobis est SS.mo humillime commendamus.
Datum Albinganae, ab Episcopali Curia, die 22 Februarii 1873.
Informazione del Vescovo di Fossano,
Dei et Apostolicae Sedis gratia Episcopus Fossanensis.
Ab , anno Redemptoris Domini 1844 Societas quaedam in Subal- pinis regionibus apparuit sub titulo et protectione S. Francisci Salesii, optimo Sacerdote Joanne Bosco curante. Taurinensis dioecesis, qui a pueritia pauperes pueros honestis oblectamentis, verbo sano [932] et esemplo, in, lis quae sunt ad Deum, erudiebat. Mira quae in illo elucebat comitas āc morum suavitas, nihil tale cogitanti ac ne suspicanti quidem boni nominis undique famam illi conciliaverat, adeo ut adolescentulos vi quadam abscondita charitatis velamine traheret. Aeterni luminis gratiam in vacuum non recipiens crescebat aeate et merito coram Deo et hominibus, neque artibus aliis quam suavissimae charitatis nihil perperam āgentis, attracta major in dies, se illi. adjunxit corona fratrum, laetantibus Augustae Taurinorum civibus, oppidisque finitimis et civitatibus. Hinc ortum habuisse novimus Salesianum Sodalitium quod labente anno MDCCCLXIX plue rimis ins.antibus sacris Antistitibus, uti societatem votorum simplicium sub regimine generalis Moderatoris laudati Joannis Bosco, Su-, prema Sedes approbavit et. confirmavit, dilatamen Constitutionum approbatione. Cum vero a Nobis expostularit idem Sacerdos coinmendatitias litteras, quibus facilius posset ab Apostolica Sede definitivam obtinere approbationem, libenti animo, quod oculis vidimus et auribus audivirnus, pro conscientia in Domino testamur, totis viribus exoptantes; ut laudata Societas Apostolicae Sedis Auctoritate fulcta ac roborata, sicuti par est, posteris quoque bonos afferat fructus.
Vere ipsa est granum sinapis, quod omnibus quidem seminibus, minimum, majus fit omnibus oleribus, ramosque magnos entendit, quorum sub umbra avec habitant cogli: ita Societas a parvis initiis foecundata rore Divinae Gratiae, ne dixerimus Providentiae miraculo, brevi omnibus admirantibus crevit quasi arbor ingens; cujus in ramis praesertim, pauperes paternum inveniunt hospitium, . ac maximum quod est, divino pabulo nutriuntur. Bonum opus operatum ac in die operari hoc Sodalitium fatentur omnes, et quaquaversum suos evibrare radios ardentis instar lucernae, ut mirum non sit, undeèumque juvenes et pauperes ad Salesianum Asceterium confugere in odorem currentis unguentorum, quae de fontibus christianae charitatis fluunt. Ibi reapse virtutibus pinguescunt anirnae, ibi fides recta, spes firma, . charitas non ficta. In scientia et pietate aluntur pueri, in longanimitaté, suavitate, .patientea ac in verbo veritatis educantur omnes cordis simplicitate.
Qui ingenio pollent apto, doctrinis imbuuntur, caeteri artibus variis indole sua quisque haud exclusa arte musyca, non animi solum causa, sed honesti etiam lucri, ad vitam scilicet sustentandam, quum ex ephebis excesserint. Amplius pro temporum calamitatibus. Ubique enim parva surgunt oratoria, in quibus parvuli in alicuius Sancti tutelam recepti Christiana catechesi, augustissimo Missāe sacrificio, plis adhortationibus, Sacramentorum susceptione ad pietatem informantur, honestis etiam additis recreationibus, quibus aetas tenella carere vix potest. ,
Sapienti charitate Sacerdotes optimi ejusdem Societatis scholis praefecti, id quod gratis acceperunt, gratis amabiliter verbis; scriptis [933] et esemplo refundunt. Profecto sol est Societas Salesiana, qua infatuata condiuntur tempora mala; lus illuminans eos qui videntes non vident, atque in tenebricosae ignorantiae umbra sedent; vos clamaittis per viculos et platèas, pauperes juvenes omnes a malo fermento retrahit, dpcetque servare mandata. Haud insuper praetereundum, quod perutile universi proclamant, typographeum inquam, ex quo innumera jam prodierunt volumina studio et labore magno edita ab ejusdem Societatis sodalibus:
Hi et alii fructus dèbentur optimae institutioni, qua tirocinii tempore quotidianis allocutionibus, aliisque spiritualibus esercita tionibus excoluutur a Moderatore, et alacritati qua, Novitiatu per-acta; studiis pro communi bono incumbunt. Novitiatum diximus; addemus minus coeteris apparens, sed vere Novitiatumn, prout decet atque exposcit sodalitii animarumque bonum. Palam enim atque per pompam quasi formae peragi sub ordines monasticos destruentium oculis, non sine suae existentiae praejudicio passe, nemo est qui non videata Qūapropter patienter quod perfectius amplius desideratur, expectāmus a Domino, qui Ecclesiae pace donata, quae suret . ad omnimodam perfectionem sui operis media suppeditabit. Ceterum Sodales Salesianos optime institui in ipso Novitiatu, ut alia, quae jam recensuimus omittamus, illud argumentum esse potest, quod ex eorum scholis singulis annis minimum çenteni discipuli clericali militiae dent nomen, non minima certe pars adolescentium qui in Sūbalpinis Seminariis in spem Ecclesiae succrescunt, nec magis numero quām pietate et bona institutione spectando.
Supplicibus itaque Sacerdotis Joannis Bosco precibus Nostras addimus ad expositum effectum. Suprema Sedes, cui ad mortem: usque obedientiam et reverentiam maximam profitemur, divina sapientia freta, quod bonum est, judicabit.
Datum Romae, die II martii, anno MDCCCLXXIII.
Informazione dell'Arcivescovo di Genova.
Dum inimicus homo in agro Domini pravarum doctrinarum zizania plenis manibus seminare satagit, eaque magno animi nostri moerore, ubique excrescere videmus, nihil sane magis commendatione dignum eorum coelestis Patrisfamilias servorum opera, qui bonum semen spargere student et illud in primis in puerorum et adolescentium animi inserere et alere solerti cura adlaborant.
Ad laudabile eiusmodi finem egregii nominis Sacerdos Joannes [934] Bosco Congregationem instituit a plurimis Episcopis ef ab ista Apostolica Sede amplissimis verbis jam laudatam et commendatam et tamquam Congregationem votorum simplicium a SS. D. N. Papa adprobatam et privilegiis auctam, cujus ipse Fundator perpeuus, Modera-tor et Superior est constitutus.
Nos itaque qui ejusdem Congregationis utilitatem in hac. januensi Dioecesi experti sumus et experimur praesertim in proxima civitate S. Petri Arenarii, ubi Ecclesiam et Domum obtinet, aliorum sacrorum Antistitum Commendatiis litteris hasce nostras addimus, humillime Supremum Ecclesiae Moderatorem, Pontificem Maximum obsecrantes ut ejusdem Congregationis Constitutionibus definitivam adprobationem concedere benigne dignetur, his tamen positis conditionibus ab aliis Episcopis jam propositis, si Sanctitati suae placuerit.
I° Societatis alumni ad sacros ordines non promoveantur antequam perpetua vota emiserint, ne periculum sit ut facile Societatem deserentes et patrimonio destituti suspensi remaneant cum fide-lium scandalo et non levi Ordinariorum incommodo.
2° Liberum sit Episcopis Congregationis alumnos, qui a suis Superioribus ad Sacros Ordines praesentati fuerint, examinare per se ipsos vel suol delegatos. Etsi enim id Sacrorum canonum praescriptis ac praesertim Concilii Tridentini sess. XXIII c. 12 cautum est, utile tamen videtur ut id espresse in Constitutionibus exprimatur.
3° Facultas etiam sit Episcopis Congregationis Ecclesias et Oratoria visitandi ut videant an omnia rite se habeant.
Datum Genuae, die 6 Martii 1873.
Humillimus, Obsequentissimus Servus
Questo Pio Istituto, il quale ha per iscopo speciale l'educazione dei giovani poveri, fu già approvato come Istituto di voti semplici dalla S. Sede con Decreto del 1 Marzo 1869, rimanendo però riservata a tempo più opportuno l'approvazione delle Costituzioni; ed insieme con questo Decreto furono trasmesse 13 animadversioni sopra le medesime.
Ora il Superiore Generale supplica la S. Sede per ottenere l'approvazione delle stesse Costituzioni, nelle quali (esso dice in un memoriale a stampa annesso pag. 9) sono state accomodate le suddette animadversioni prout finis et regulae societatis patiuntur.
Questa supplica è appoggiata da parecchie lettere di Vescovi, con alcune riserve però per parte di alcuni; per es. di Mons. Arcivescovo [935] di Genova, e massime di Mons. Arcivescovo di Torino, Ordinario della Casa Madre.
Avendo esaminato il detto Libro di Costituzioni, ho dovuto prima verificare il modo nel quale sono state eseguite le correzioni ingiunte dalla S. Sede. Ora mi ha recato non poca sorpresa, lo scorgere che la maggior parte di esse sono state omesse, o eluse sotto pretesti più o meno speciosi allegati dal Superiore generale in una così detta dichiarazione delle Regole annessa alla supplica.
1. Si era dichiarato (Animad. 3) che i voti emessi nell'Istituto erano riservati alla S. Sede, e comandato che si togliesse dalle Costituzioni la facoltà per il Superiore Generale di dispensarne. - Ora non se n'è tenuto verun conto, come si può vedere p. 11, n. 7 - Il pretesto allegato (Dichiarazione cit.) che la consuetudine sarebbe tale in altri simili Istituti, non ha sufficiente fondamento. Che se alcuni Istituti avranno ottenuta qualche simile facoltà a titolo di derogazione alla legge generale, non può essere che per eccezione, da non allegarsi in esempio.
2. Non si permetteva al Superiore generale di concedere le dimissoriali per le ordinazioni e si prescriveva di levare anche questo dalle Costituzioni. Ora si è bensì cambiata la lettera delle costituzioni; ma vi è stato sostituito un articolo il quale in sostanza contiene implicitamente lo stesso, anzi aggiunge qualche cosa di più. Cioè che riceveranno l'ordinazione dagli Ordinarli secondo la consuetudine degli altri istituti (p. 16, N° 4) videlicet ex privilegiis Congregationum quae tanquam Ordines regulares habentur: e si citano in conferma le Costituzioni degli Oblati di Maria SS.ma, dei Sacerdoti della Missione, e dei Rosminiani, ai quali fu concessa questa facoltà. Il Superiore Generale dell'Istituto, del quale ora si tratta, ebbe già dalla S. Sede qualche indulto per dare le dimissoriali ad un numero limitato di ordinandi: ma non sembra opportuno che questa licenza venga iscritta a titolo di facoltà generale nelle Costituzioni. Oltre la licenza accordata ad altri Istituti in derogazione alla legge generale, non può essere invocata come precedente ed in esempio, vi è fortissima opposizione per parte di alcuni Ordinarii, e segnatamente per parte di Monsig. Arcivescovo di Torino, Ordinario della Casa Madre, fondata sopra motivi da tenersi in conto come si vedrà meglio in fine. Onde si opìna doversi mantenere l'animadversione 4a come fu già comunicata.
3. Si prescriveva di riservare il Beneplacito della S. Sede, a norma dei SS. Canoni per l'alienazione dei beni e la contrazione dei debiti. Ora questa riserva non si legge punto nelle Costituzioni. Il Superiore dice che esso l'osserverà, ma non vuole farne menzione nelle Costituzioni, allegando il timore di qualche difficoltà per parte dell'Autorità civile. Ora un tal motivo non sembra sufficiente. Oltrechè lo potrebbero invocare tanti altri Istituti esistenti in Italia ed in altri [936] paesi, dove i Governi civili non vogliono riconoscere le Comunità religiose; non vi è nessun obbligo di stampare le Costituzioni, nè di comunicarle integralmente al governo.
4 Si era prescritto (Animadvers. 7a il medesimo Beneplacito della S. Sede, oltre quello degli Ordinarii, per fondare nuove case, ed accettare la direzione de' Seminarii. Ora la necessità di questo beneplacito non si legge, il Superiore generale fa l'istessa risposta, ed invoca lo stesso timore della potestà civile. Al che si crede di rispondere come sopra, cioè non essere sussistente questo motivo e doversi mantenere l'animadversione 7a a norma delle Costituzioni Apostoliche.
5. Si era detto (Animadvers. 8a) essere desiderabile che i soci attendessero all'orazione mentale più di un'ora ciascun giorno e facessero gli esercizi spirituali dieci giorni ogni anno. Ora si legge che essi faranno l'orazione almeno un'ora, e gli esercizii almeno sei giorni (Pag. 32, N.3).
6. Si era dichiarato (Animadvers. 9a) non potersi approvare che persone estranee all'Istituto vi fossero ascritte per così detta affigliazione. Ora tiene il Superiore Generale che sarebbe cosa assai profittevole, sì all'Istituto, che alla stessa religione, se questa affigliazione fosse conservata (Dichiarazione citata). Aggiunge però che è pronto a ritirarla, se così lo giudicherà opportuno la S. Sede. - Non essendovi nessun motivo nuovo di modificare l'accennata animadversione, si opina che detta affigliazione si tolga del tutto dalle Costituzioni dove è stata collocata in appendice.
7. La formola di professione (Pag. 35) non è stata modificata a tenore dell'animadversione 10a, in quanto si prescriveva di aggiungere il nome del Rettore innanzi al quale si emette la professione.
8. Si prescriveva (Animadvers. 11a) che il Superiore generale manderebbe ogni triennio alla S. Congregazione dei VV. e RR. una relazione dello stato del suo Istituto. Neppure questo punto è stato inserito allegando il Superiore generale, al solito, il timore della potestà civile! ...
Sarebbe forse il mio dovere di non andare più oltre, e prima di fare di queste Costituzioni un esame più particolare, di aspettare che il Superiore abbia inserite tutte le correzioni prescritte. Però affinchè esso possa presentare di nuovo all'esame ed approvazione della S. Sede una compilazione meno difettosa, ho creduto di esaminare diligentemente la presente redazione e di fare sopra di essa le seguenti altre animadversioni.
9. I statuti si chiamano dapertutto Regole. Vi si dovrebbe sostituire secondo il solito la parola Costituzioni, quella di Regole non dovendosi applicare agli Istituti moderni.
10. La S. Sede non è solita di approvare i proemi nelle Costituzioni. - Si opinerebbe di levare da queste il proemio e l'elogio storico dell'Istituto che seguita (pag. 3 ad 7) [937]
11. Si crederebbe anche di levare (pag. 9) la menzione fatta tra i buoni libri da diffondersi delle Letture Cattoliche, della Biblioteca della gioventù, ed altri molti usciti dalla Stamperia dell'Istituto. Oltre l’essere questo troppo simile ad un avviso di Libraro, sarebbe una specie di approvazione implicita ed anche anticipata dei libri già stampati e da stamparsi, i quali non sono stati esaminati ed approvati dalla S. Sede.
12. Si propone di sopprimere la menzione più volte ripetuta dei diritti civili che i soci dovranno conservare e della sottomissione alle leggi civili (pag. 10, N. 2; pag. 11, N. 6; pag. 26, N. 2).
13 La norma indicata per l'osservanza del voto di povertà non è chiara nè precisa; anzi in più punti è contraria alle leggi stabilite dalla S. Sede per gli Istituti di voti semplici, a tal segno che l'amministrazione del patrimonio dei socii e la percezione dei frutti sta in mano del Superiore Generale (pag. 11, N. 5). Si opinerebbe di sostituirvi la formola tante volte trasmessa a simili Istituti e segnatamente a’ PP. Maristi (Collectanea pag. 859).
14 Si stabilisce (pag. 10, N. 4; pag. 11, N. 5), che i Chierici e Sacerdoti conserveranno i loro Benefici semplici, dei quali però l'amministrazione e la percezione dei frutti rimarranno ugualmente in arbitrio del Superiore Generale. Ora, ancorchè non si tratti di un Ordine regolare, si può nondimeno per analogia considerare questo punto come contrario almeno allo spirito di SS. Canoni, i quali considerano l'ingresso nello stato religioso come una rinunzia tacita. Si opinerebbe che i Chierici o Sacerdoti provveduti di benefizii semplici ne fossero decaduti almeno dopo la professione dei voti perpetui, eccetto quei beneficii i quali potessero appartenere alla propria famiglia.
15. Si attribuisce (pag. 18, N. 6) al Capitolo dell'Istituto la facoltà di modificare le Costituzioni. - Si deve riservare l'approvazione della S. Sede.
16. Si prescrive (pag. 13, N. 6) la manifestazione di coscienza in modo assai stretto e rigoroso, a tal segno che i soci non devono celare al Superiore nessun segreto del loro cuore e della loro coscienza. Si propone di restringerla tutt'al più all'osservanza esterna delle Costituzioni ed al progresso nelle virtù; ed anche questo facoltativamente.
17. Hanno fissata l'età del Superiore Generale a soli 30 anni, invece di 40, secondo le leggi Canoniche.
18. Non è fissata l'età dei Consiglieri Generali, nè quella del Maestro dei Novizi. Essi devono avere 35 anni di età, con cinque anni di professione per i primi e dieci anni per quest'ultimo.
19. L'elezione del Superiore Generale si fa in modo assai anticanonico. Cioè per lettere, a pluralità dei suffragi, e con iscrutinio, di ballottaggio, al quale partecipano i soli pochi elettori presenti [938] nella casa dove si fa l'elezione. Si opìna di prescrivere che l'elezione tanto del Superiore Generale, quanto dei Consiglieri si faccia dai soli elettori presenti a maggioranza assoluta dei voti nella forma prescritta dal S. Concilio di Trento.
20. Il Capitolo Generale si compone di tutti i Rettori e di tutti i professi perpetui della casa dove si fa l'elezione. Non si vede nessuna ragione per questa preferenza della quale si potrebbero giustamente lagnare i professi perpetui delle altre case; onde sarebbe forse opportuno che il Capitolo generale venisse composto secondo il solito: del Superiore generale, del Consiglio generale, dei Rettori delle case particolari e di un Deputato di ciascuna di queste case da eleggersi a scrutinio secreto e maggioranza assoluta dai professi delle medesime.
21. Il Capitolo Superiore (così si chiama impropriamente e con nome ambiguo il Consiglio generale) sembra che si componga di sette membri, dei quali tre soli vengono chiamati consiglieri, gli altri tre oltre il Rettore, ossia Superiore Generale, si chiamano Prefetto, Economo, e Direttore Spirituale ossia Catechista. Tutti hanno parte al Governo dell'Istituto, ma non si dice se tutti intervengono ai Consigli con voto deliberativo. Quattro di essi sono nominati dall'Istituto e i due altri dal solo Rettore e per un solo anno. Si opìna che qualunque sia il numero dei Consiglieri intervenienti nel Consiglio con voto deliberativo, tutti devono essere eletti dal Capitolo generale elettivo come si è detto sopra, chiamarsi tutti Consiglieri, e risiedere tutti nella Casa Madre presso il Superiore Generale. Niente impedisce però che il Superiore Generale in Consiglio possa scegliere tra i medesimi Consiglieri i sopraccennati officiali dell'Istituto.
22. È cosa insolita che il Superiore Generale possa designare il Vicario, il quale in caso di morte del medesimo governi l'Istituto fino al Capitolo elettivo. È anzi solito che questo ufficio sia ammesso ad una delle principali cariche dell'Istituto, per es. che sia esercitato dal più anziano, o dal precipuo membro del Consiglio, se vi è qualche altro ordine di quello di anzianità.
23. Si attribuisce al solo Superiore generale l'ammissione al Noviziato ed alla Professione e la dimissione dei Novizii; però si dice che potrà se vuole, consultare i professi della casa Madre (pag. 28 e 29) ma senza l'intervento del Consiglio Generale (pag. 29, N. 3). Nomina anche solo i Rettori delle case particolari e generalmente l'autorità del medesimo è troppo indipendente.
Ora la Santa Sede è solita di riservare alla deliberazione del Consiglio generale l'ammissione al Noviziato ed alla professione, la dimissione dei Novizi e professi, la nomina dei Superiori delle Case particolari, e dei principali officiali dell'Istituto.
24. Possono stabilire case di due soli religiosi, purchè uno dei due sia sacerdote (pag. 26, N. 4). Questo numero sembra troppo [939] scarso, dimostrando l'esperienza essere simili case assai pericolose. Si opinerebbe che per lo meno fossero 3, o 4, dei quali due almeno siano sacerdoti.
25. Si stabilisce per maestro de' Novizi il Direttore Spirituale ossia Catechista, il quale oltre l'essere Consigliere generale (pag. 17, N. 1) è ancora incaricato della cura spirituale (pag. 28, 12) non solamente dei Soci, ma ancora delle persone le quali non fanno parte dell'Istituto. - Si opìna di significare che il Maestro dei Novizi non deve esercitare verun altro impiego od officio, nè fare parte del Consiglio, al quale però deve intervenire col solo voto consultativo, quando si tratta del Noviziato e dei Novizi.
26. Manca totalmente la Costituzione dei Noviziati. Sarebbe opportuno di prescrivere l'osservanza della Costituzione Regularis diciplinae di Clemente VIII e delle altre leggi Canoniche su questa materia importantissima, segnatamente la riunione dei Novizi nella casa di Noviziato, la loro completa separazione tanto dalle persone estranee all'Istituto, quanto dai stessi professi, e la loro occupazione in soli esercizii spirituali, senza che possano in verun modo essere, prima della professione, mandati nelle case particolari, od applicati alle opere dell'Istituto.
27. Manca ugualmente la Costituzione degli studi per gli aspiranti al Sacerdozio. Secondo che riferiscono alcuni Ordinari, i quali hanno esaminati candidati ai sagri Ordini, gli studi ecclesiastici in questo Istituto sarebbero assai male ordinati e debolissimi il che non deve recare meraviglia, quando si sa che i chierici, nello stesso tempo degli studi, vengono applicati alla cura dei giovani alunni. Si opinerebbe di prescrivere che i chierici dell'Istituto dopo due anni di Filosofia fossero tutti applicati almeno per quattro anni agli studi Teologici, o in qualche Collegio speciale dell'Istituto, o in qualche Seminario senza che possano esserne distratti per essere applicati alle opere dell'Istituto; che non siano promossi agli Ordini Sacri se non dopo i voti perpetui, e che sia libero ai Vescovi di esaminarli prima di ammetterli alla Sagra Ordinazione.
28. Si legge (pag. 16, N. 2) che essi saranno sottomessi agli Ordinari per ciò che riguarda l'amministrazione dei sagramenti, la predicazione e tutto ciò che è del pubblico sagro ministero prout regulae societatis patientur. Si opìna di levare queste parole le quali potrebbero essere sorgenti di difficoltà e di conflitto tra l'Istituto e gli Ordinari, e di sostituire loro queste altre: Secondo le leggi canoniche.
29. Si dovrebbe levare dalle Costituzioni la menzione del consenso dei genitori per l'ingresso nell'Istituto, ancorchè per ragioni di prudenza si possa ora tollerare nella pratica (pag. 30, N. 6, VI).
30. Oltre il vestiario e la pensione alimentaria per il tempo del Noviziato, si esige dai Novizi una somma di trecento lire da pagarsi dopo il noviziato e avanti la professione. - Si dovrebbe forse togliere [940] questo ultimo punto, il quale sembra affatto contrario alle leggi canoniche circa gli Istituti di uomini (pag. 30, N. 8).
31. Le medesime leggi canoniche vogliono che i candidati prima della vestizione ed i novizii prima della professione facciano dieci giorni di esercizi spirituali e non solo alcuni giorni (pag. 33).
32. Non esigono dai candidati se non quella salute necessaria per osservare le Costituzioni nel tempo del Noviziato. - Si dovrebbe forse aggiungere anche la speranza fondata che essi le potranno osservare anche dopo la professione, allorchè essi vi saranno più strettamente obbligati (p. 30. N. 7).
33. Si legge (p. 31, N. 2) che i Soci si dovranno confessare dal sacerdote designato dal Rettore. Per dare maggior libertà alle coscienze, si prescrive ordinariamente che vi siano più Confessori, almeno due o tre per ciascuna casa, non computato il Rettore.
34. Sarebbe forse opportuno di esprimere che i confessori anche per la confessione degli alunni e degli stessi Soci dovranno essere stati approvati dall'Ordinario.
35. Per promuovere liti innanzi ai tribunali civili (pag. 24, N. 15) è necessaria la licenza della S. Sede.
36. Oltre il Capitolo Generale elettivo, il quale non ha luogo se non ogni dodici anni, la S. Sede suole esigere che ogni triennio si tenga un Capitolo Generale per gli affari più rilevanti dell'Istituto, e che gli atti di tutti i Capitoli elettivi o di affari siano trasmessi alla S. Congregazione dei Vescovi e Regolari per essere esaminati ed approvati.
37 Non sembra opportuno di lasciare nelle Costituzioni la facoltà ivi concessa al Superiore Generale (pag. 33, N. 8) di dispensare generalmente quando lo giudica utile, ed a tempo indefinito, dagli esercizi spirituali prescritti dalle Costituzioni, tanto più che questa facoltà comprende anche gli esercizi spirituali annuali e quei da premettersi alla vestizione e alla professione (P. 32, e 33, N. 7 e 8).
38. In fine, il mio sottomesso parere sarebbe che prima di essere presentate all'approvazione della Santa Sede, queste Costituzioni fossero diligentemente corrette a norma sì delle già comunicate animadversioni, che di quante fra le precedenti Sua Santità giudicherà di comunicare; e forse sarebbe anche opportuno che prima dì essere approvate, fossero già da qualche tempo messe ad esecuzione, principalmente nella parte concernente il Noviziato e gli Studi.
Fr. R. BIANCHI de' Predicatori
NB. - A sostenere il suo assunto il R.mo Consultore riproduce alcuni brani in appendice d'una lettera dell'Arcivescovo di Torino stampata per intero nel N. 5. [941]
Riassunto delle precedenti osservazioni trasmesso al Sac. D. Giovanni Bosco sopra le Costituzioni esibite nell'anno 1873] Le tredici animadversioni comunicategli nel Marzo 1869 sono state nella maggior parte omesse nel nuovo progetto di Costituzioni. Si vuole che d'esse ne sia tenuto assolutamente conto. L'allegato timore di qualche difficoltà per parte dell'autorità civile che si adduce per motivo di non fare menzione nelle Costituzioni d'alcune animadversioni, non si è reputato come motivo giustificante della omissione, perchè in tanti altri Istituti esistenti in Italia sono state inserite nelle loro Costituzioni le stesse massime, perchè non v'è alcuna necessità di stampare le Costituzioni, nè di comunicarle integralmente al Governo.
1. Non essendo solito che la S. Sede approvi nelle Costituzioni il Proemio e l'elogio storico dell'Istituto, dovrebbero entrambi togliersi.
2. Si dovrebbe levare a pag. 9 la menzione speciale fatta di quei libri buoni che sembrerebbe un'implicita ed anticipata approvazione di libri stampati e da stamparsi che non sono stati esaminati dalla S. Sede.
3. Si sopprimano le ripetute menzioni dei diritti civili dei laici e della sottomissione alle leggi civili (p. 10 N. 2, p. 11 N. 6, p. 26 N. 2).
4. Si dovrà costituire altra norma più chiara e più precisa per la osservanza del voto di povertà, e questa sarà quella contenuta nella Collectanea S. C. Episcoporum et Regularium N. 859.
5. Che i Chierici e Sacerdoti conservino i Benefici semplici (p. 10 N. 4, p. 11 N. 5) non è analogo allo spirito d'un Istituto Religioso. Sì porrà che ne decadino dopo emessi i voti perpetui, meno quei benefici che fossero propri della famiglia.
6. La facoltà di modificare le Costituzioni, di cui a pag. 18, N. 6, deve essere condizionata all'approvazione riservata alla S. Sede delle modificazioni stesse.
7. Le manifestazione di coscienza (p. 13, N. 6) prescritta non si ammette, tutt'al più può ammettersi facoltativa ma ristretta soltanto all'esterna osservanza delle Costituzioni ed al progresso nelle virtù.
8. L'età canonica del Superiore Generale deve essere di anni quaranta e quella dei Consiglieri Generali di anni 35 ed almeno di cinque di professione, e quella del Maestro di Novizi di anni 35 ma di dieci anni almeno di professione.
9. L'elezione del Superiore Generale e dei Consiglieri Generali si faccia dai soli elettori presenti, ed a maggioranza assoluta di voti, e non altrimenti.
10. Il Capitolo Generale si comporrà, come è solito negli altri Istituti; non può ammettersi che venga formato dei Professi perpetui [942] della casa dove si fa l'elezione, giacchè se ne querelerebbero i professi perpetui delle altre case.
11. I Consiglieri del Capitolo Superiore devono essere eletti tutti dal Capitolo generale, e risiedere presso il Superiore Generale.
12. È insolito che il Superiore Generale designi chi nella sua morte governi l'Istituto fino al Capitolo elettivo. È invece solito che supplisca uno dei principali Dignitari dell'Istituto.
13. La S. Sede è solita di riservare alle deliberazioni del Consiglio generale l'ammissione e la dimissione dei Novizi, e dei Professi, la nomina dei Superiori locali e dei principali Officiali dello Istituto. Contro tale consuetudine viene disposto a pag. 28 e 29 ai N. 1, 2, 3.
14. Sono pochi due individui per aprire una Casa (p. 26, N. 4), dovranno essere almeno tre o quattro, dei quali due per lo meno siano Sacerdoti.
15. Il Maestro dei Novizi non deve esercitare altro officio e però non può esserlo il Direttore Spirituale o Catechista che ha annessi più offici (p. 17 N. 1, p. 28 N. 12).
16. Manca affatto la Costituzione dei Noviziati; dovrebbe prescriversi in quelli la osservanza della Costituzione Regularis disciplinae di Clemente VIII e delle altre Leggi Canoniche, giacchè in maniera singolare interessa la riunione dei Novizi nella Casa di Noviziato, la loro completa separazione dai professi, la loro unica occupazione nei soli esercizi spirituali senza che possano essere applicati alle opere dell'Istituto.
17. Similmente manca la Costituzione degli studi. Quelli che aspirassero al Sacerdozio dovrebbero essere tutti applicati per quattro anni agli studi Teologici o in un Collegio speciale dell'Istituto, o in qualche Seminario, senza applicarli intanto alle opere dell'Istituto.
18. Ove si legge a p. 16, N. 2 prout regulae societatis patientur si sostituiscano le parole juxta praescripta SS. Canonum, o altre consimili.
19. Il consenso dei Genitori per l'ingresso nello Istituto (di cui a p. 30, N. VI) se per prudenza può in pratica tollerarsi, non può ammettersi nelle Costituzioni come condizione.
20. Il pagamento di cui a p. 30, N. 8 è una cosa nuova per gl'Istituti d'uomini; sarebbe preferibile di levarlo.
21 A pag. 33 § 7 invece di aliquot dies si dica per decem dies.
22. Perchè dire a p. 30, N. 7 intorno alla salute che si esige quella necessaria al tempo del Noviziato? e dopo?
23. Si prescrive ordinariamente per maggiore libertà che siano due o tre i Confessori in ogni Casa; si tolga l'uno di cui a pag. 31, N. 2.
24. Sarebbe opportuno prescrivere che i Confessori sia degli Alunni, sia dei soci, debbano essere approvati dall'Ordinario. [943]
25. Si richiede la licenza della S. Sede per promuovere liti innanzi ai Tribunali Civili. Si avverte ciò a p. 24, N. 15.
26. Ogni tre anni si tenga un capitolo generale degli affari più rilevanti dell'Istituto oltre il Capitolo elettivo di ogni dodicennio. Gli atti di quelli e di questi devono trasmettersi alla S. C. dei VV. e RR. per l'esame ed approvazione.
27. Non si riconosce opportuno di lasciare al Superiore generale la facoltà di dispensare dagli esercizi spirituali (P. 33, N. 8).
28. Quanto è detto a pag. 16, N. 4 sulla Ordinazione in quelle parole videlicet ex privilegiis Congregationum quae tamquam Ordines regulares habentur include implicitamente la facoltà al Superiore Generale di concedere le dimissoriali, facoltà che fu già negata. La concessione anzidetta verrebbe avversata dagli ordinari, formerebbe una deroga alla legge generale. Qualche rara deroga accordata dalla S. Sede non potrebbe invocarsi come precedente, ad esempio, in specie poi se non venisse favorita da tutti gli Ordinari. Mancando poi un regolare Noviziato, ed un regolare corso di studi, l'uno e l'altro difetto formerebbero un ostacolo a simili deroghe.
Riassunto della Pia Società di S. Francesco di Sales nel 23 Febbraio 1874.
Questa Pia Società conta 33 anni di esistenza. Nacque e si consolidò in tempi e luoghi burrascosi, in cui si voleva abbattere ogni principio ogni autorità religiosa specialmente quella del Sommo Pontefice. In tempi e luoghi in cui furono dispersi tutti gli ordini religiosi e le pie Congregazioni dell'uno e dell'altro sesso; furono soppresse le Collegiate, incamerati i beni dei seminari, delle mense vescovili. Tempi, in cui erano, si può dire, annullate le vocazioni religiose ed ecclesiastiche.
I membri che la compongono presentemente sono trecento trenta tra sacerdoti, chierici e laici.
Suoi rapporti coll'Autorità Ecclesiastica.
In faccia alla Chiesa la sua posizione è come segue:
Non si è mai fatto cosa alcuna senza il consenso e l'espressa approvazione dell'autorità ecclesiastica.
Nè mai, per quanto si sappia, da alcuna Autorità Ecclesiastica o Civile fu mosso lamento o contro ai soci o contro l'andamento della Congregazione[170]. [944] Nel 1852 ebbe l'approvazione dell'Arcivescovo diocesano di Torino Mons. Fransoni; nel 1858 il Regnante Pio IX, profondo conoscitore del modo con cui devonsi educare cristianamente i giovanetti, ne tracciava le basi e le regole.
Nel 1864 la Congregazione de' Vescovi e Regolari con apposito Decreto lodava tale Società, e ne costituiva il Superiore a vita.
A quel Decreto erano annesse tredici animadversioni, che vennero accomodate nelle Costituzioni.
Nel 1869 col consenso del S. Padre fu inoltrata preghiera per l'approvazione definitiva. Il Consultore non fece animadversioni, ma per mezzo del Segretario, Monsignor Svegliati, richiamò l'osservanza di quelle del 1864. Quindi il 1 Marzo di quell'anno si emanava un Decreto di approvazione definitiva della Pia Società. Per le dimissorie si concedeva di poterle rilasciare a tutti quelli che fossero entrati nelle nostre case prima dei quattordici anni; pegli altri di maggior età si faceva dimanda per un numero determinato, cosa che fu ognora concessa.
Per dare una forma stabile alla nascente ma crescente Congregazione nel 1873 fu fatta nuova preghiera per la definitiva approvazione delle Costituzioni. Contro l'aspettazione il Consultore trovò opportuno di fare altre 28 animadversioni sebbene non se ne fosse fatta alcuna, quando venne emesso l'antecedente Decreto. Tuttavia si fece quanto si potè per inserire nelle Regole tutte quelle animadversioni, modificandone soltanto alcune in modo che non si allontanassero dallo scopo fondamentale della Congregazione, quelle specialmente che riguardano lo studio e il Noviziato; le Dimissorie vennero tutte ammesse in conformità del Decreto di Clemente VIII. [945]
Le Costituzioni di questa Pia Società sebbene in massima siano sempre state constantemente osservate, tuttavia furono modificate in parecchie cose suggerite dalla esperienza e proposte dalla Sacra Congregazione de' Vescovi e Regolari.
L'edizione fatta testè dalla tipografia di Propaganda Fide è l'ultima ed in essa vennero inserte le modificazioni proposte in diversi tempi, eccettuate alcune pochissime che soltanto si accomodarono per non allontanare le Regole dal loro scopo.
Finora non consta che alcun Vescovo sia stato avverso a questa Congregazione. Quarantaquattro furono richiesti di fare la loro commendatizia, e quarantaquattro la fecero assai di buon grado e con espressioni di massima soddisfazione. Un solo, l'Arcivescovo attuale di Torino, giudicò di suggerire alcune modificazioni alla Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari. Queste modificazioni furono parimente accolte e se ne tenne conto nell'ultima edizione delle Regole. Ma con tutti si ebbero sempre cordialissime relazioni; ed abbiamo presentemente oltre a cinquanta richieste di aprire case in diverse Diocesi, tanto in Italia, quanto nell'Asia, nell'Africa e nell'America.
Ogni anno vi sono circa cento quindici dei nostri allievi che entrano nello stato ecclesiastico e che sono inviati ai Vescovi delle rispettive Diocesi. Ciò torna a quegli Ordinari di grande conforto, attesa la scarsità di vocazioni allo stato ecclesiastico nelle loro Diocesi. Circa tre quarti dell'attuale Clero Torinese e degli insegnanti ne' Seminari di quell'Archidiocesi furono nostri allievi. Lo stesso può dirsi di altre Diocesi.
Sono poi oltre a cinquanta i Sacerdoti Salesiani i quali lavorano continuamente a dare esercizi spirituali, missioni, tridui, novene, a confessare negli ospedali, negli Istituti di beneficenza, nelle carceri e nei paesi e città delle varie diocesi. Altri si occupano a comporre, stampare libri, o Dizionari, a purgare i classici italiani, greci e latini. Ciò appare dalle varie opere pubblicate in vari tempi, e colle Letture Cattoliche, che corrono il 22° anno[171]: la Biblioteca dei Classici che si pubblica da sei anni. [946] Ma tanto nella composizione e stampa di questi libri, quanto nella diffusione di molti altri, come pure nella predicazione e nei catechismi si ebbe sempre di mira lo scopo fondamentale della Congregazione che fin dal suo principio fu constantemente: SOSTENERE E DIFENDERE L'AUTORITÀ DEL CAPO SUPREMO DELLA CHIESA NELLA CLASSE MENO AGIATA DELLA SOCIETÀ E PARTICOLARMENTE DELLA GIOVENTÙ PERICOLANTE. V. Regole, cap. I e VI.
In faccia alla civile società.
In faccia alla civile società siamo sempre stati tranquilli perchè fummo ognora considerati come pacifici cittadini; e per soddisfare alle esigenze delle autorità scolastiche, procuriamo, ognora di coprire le nostre classi con insegnanti muniti delle volute patenti o diplomi.
Tutti poi vedono di buon occhio una società, che ha per iscopo di raccogliere ragazzi pericolanti, istruirli, avviarli alla scienza, ad un'arte o mestiere con cui potersi poi guadagnare onestamente il pane della vita, che è quanto dire: torli dai pericoli dei ladroneggio e delle carceri per farne degli onesti cittadini che meglio noi diremo: farne dei buoni cristiani.
Le chiese, le Case di educazione ed Ospizi sono in numero di sedici.
1°. La più antica è quella di Torino col titolo di Oratorio di San Francesco di Sales, composta di Interni ed Esterni: Gl'interni o convittori sono circa 850 tra artigiani e studenti. Àvvi tutto il corso Elementare, Ginnasiale, liceale o Filosofico, e Teologico. Tutti gli insegnanti appartengono alla Congregazione Salesiana. Gli artigiani in varii laboratorii dello Stabilimento esercitano il mestiere di calzolaio, sarto, ferraio, falegname, ebanista, pristinaio, libraio, legatore, compositore, tipografo, cappellaio, musica, disegno, fonditore di caratteri, stereotipista, calcografo e litografo.
Si aggiunge il corso intero della Banda militare per allettamento tanto degli interni quanto degli esterni; si insegna il Pianoforte, la fisarmonica, armonium, organo, tutti gli strumenti musicali in legno, in metallo e a corda. Un numero di circa 600 vengono alla scuola ed alle sacre funzioni come esterni. Costoro appartengono ai più discoli della città, i quali per lo più non sono accolti nelle pubbliche scuole. Oltre ad 800 vengono alla scuola serale, in cui è insegnato il canto gregoriano, la musica vocale, musica istrumentale, catechismo, lettura, scrittura, grammatica italiana, latina, greca, francese, aritmetica, sistema metrico con tutti gli altri studi, che si reputano necessari per chi vuole darsi al commercio e vivere da buon cristiano.
2° Vi è la chiesa di S. Francesco di Sales, quella di Maria Ausiliatrice, dove intervengono oltre ad un migliaio di giovanetti. [947]
3. Quello di S. Francesco di Sales nella Parrocchia di S. Simone e Giuda con allievi 600.
4. Quello di S. Giuseppe nella Parrocchia di S. Pietro e Paolo con allievi 700
5. Quello di S. Luigi Gonzaga nella Parrocchia di S. Massimo con allievi 700.
6. Del S. Angelo Custode nella Parrocchia di Santa Giulia con allievi 200.
7. Si ha pure cura spirituale della casa detta: Famiglia di S. Pietro, ove sono raccolte le donne che escono dalle carceri; sono in numero di 60.
8. Del Laboratorio di S. Giuseppe, che ha lo scopo di dare lavoro e religione alle fanciulle pericolanti; sono in numero di 100.
9. Nuovo Collegio convitto di Valsalice pe' giovani di civile condizione: sono in numero di 60.
10. In Lanzo, paese della Diocesi di Torino, si tiene eziandio Collegio - convitto con 200 allievi interni, 300 esterni.
11. In Borgo S. Martino presso Casale col nome di Collegio di S. Carlo destinato a supplire il piccolo Seminario di quella Diocesi, che ne è priva da oltre 25 anni, giacchè il locale destinato a quell'uopo fu occupato dal Governo: allievi 200.
12. In Sampierdarena presso Genova sotto il nome di Ospizio di S. Vincenzo, sono raccolti 100 poveri fanciulli da avviarsi a diversi mestieri, come a Torino. Àvvi qui eziandio una scuola diurna e serale per gli esterni, ed una chiesa spaziosa, dove spesso sono raccolte più migliaia di persone.
13. Nella città di Varazze, diocesi di Savona, àvvi Collegio convitto ove tra esterni e convittori sommano ad oltre 700.
14. In Cogoleto, nella stessa diocesi, si amministrano le pubbliche scuole con circa 200 fanciulli e si aiuta il Parroco per le cose del culto religioso.
15. In Alassio, diocesi di Albenga, Collegio Municipale con 200 convittori e 400 esterni.
16. Come appendice e dipendentemente dalla Congregazione Salesiana è la Casa di Maria Ausiliatrice, fondata con approvazione dell'Autorità Ecclesiastica in Mornese, diocesi d'Acqui. - Lo scopo si è di fare per le povere fanciulle quanto i Salesiani fanno pei ragazzi. Le religiose sono già in numero di quaranta ed hanno cura di 200 fanciulle.
Al presente sono conchiuse le trattative per aprire case pei ragazzi cattolici dell'isola di Hong - kong nella China, e per un orfanotrofio nella città di Genova. [948] In tutte le Chiese e case sopra mentovate oltre l'istruzione scientifica e religiosa dei giorni feriali, si fa pure nei giorni festivi sia per i fanciulli, sia per gli adulti, quanto segue: Al mattino comodità di confessarsi e comunicarsi, messa, mattutino della B. Vergine, spiegazione del Vangelo, scuole e trattenimenti per la ricreazione.
Dopo mezzodì: musica, ginnastica, trastulli diversi; di poi catechismo in classe; Vespri, istruzione dal Pulpito, benedizione col SS. Sacramento, scuole e ameni trattenimenti fino a notte.
Il numero di coloro cui si comparte cristiana istruzione ed educazione non è minore di SETTEMILA; ma noti di rado oltrepassano i DIECI, DODICI MILA. Nella sola chiesa di Maria Ausiliatrice si videro talvolta raccolti SINO A DIECIMILA uditori.
CONFRONTO del Riassunto presentato alla Sacra Congregazione de' Vescovi e Regolari il 20 Gennaio 1870 con quello del 23 Febbr. 1874.
Il Collegio di Cherasco a motivo dell'insalubrità del sito fu nel 1871 trasferito nella città di Varazze, diocesi di Savona.
Il Piccolo Seminario di S. Carlo col consenso del Vescovo venne trasferito a Borgo S. Martino nella stessa diocesi per la comodità della Ferrovia, che colà ha la sua stazione.
La casa sanitaria di Trofarello venne alienata per condurre a termine altro edifizio in Lanzo che per salubrità corrisponde meglio allo scopo.
Nel 1871 fu fondata la Casa delle Figlie di Maria Ausiliatrice in Mornese.
Nel 1872 si aprì il Collegio di Valsalice, e si fondò l'Ospizio con pubblica Chiesa in Sampierdarena.
Nel 1873 venne assunta l'amministrazione delle pubbliche scuole di Cogoleto vicino a Varazze.
Nel 20 Gennaio 1870 i Soci Salesiani erano 124.
Nel 23 febbraio 1874 i Soci Salesiani sono N. 330.
Allievi loro affidati circa 7000.
Dal che risulta la Congregazione avere aumentato quasi due terzi il numero de' Soci, di 2300 gli allievi loro affidati.
Al presente, come nel 1870, non si hanno mezzi finanziari preventivi, ma non ci sono debiti.
Quella Divina Provvidenza che in modo veramente straordinario ci aiutò finora, speriamo che non sarà per mancarci in avvenire se noi corrisponderemo alle sue grazie e ci adopreremo di compiere i santi e adorabili suoi voleri.
CENNO ISTORICO SULLA CONGREGAZIONE DI S. FRANCESCO DI SALES
ROMA - TIPOGRAFIA POLIGLOTTA DELLA S. C. DI PROPAGANDA
Con approvazione dell'Autorità Ecclesiastica
Primordi di questa congregazione.
Dal 1841 al 1848 si praticavano già alcune regole secondo lo spirito di questa Congregazione, ma non vi era vita comune.
In quell'anno (1848) uno spirito di vertigine si levò contro agli ordini religiosi, e contro alle Congregazioni Ecclesiastiche; di poi in generale contro al clero e a tutte le autorità della Chiesa. Questo grido di furore e di disprezzo per la religione traeva seco la conseguenza di allontanare la gioventù dalla moralità, dalla pietà; quindi dalla vocazione allo stato ecclesiastico. Perciò niuna vocazione religiosa e quasi nissuna per lo stato ecclesiastico. Mentre gli istituti religiosi si andavano così disperdendo; i preti erano vilipesi, taluni messi in prigione, altri mandati a domicilio coatto, come mai umanamente parlando era possibile coltivare lo spirito di vocazione?
In quel tempo Dio fece in maniera chiara conoscere un nuovo genere di milizia, che egli si voleva scegliere; non già fra le famiglie agiate, perchè esse per lo più mandando la loro figliuolanza alle scuole pubbliche o ne' grandi collegi, ogni idea, ogni tendenza a questo stato veniva presto soffocata.
Quelli che maneggiavano la zappa od il martello dovevano essere scelti a prendere posto glorioso tra quelli da avviarsi allo stato sacerdotale. Ma dove trovar mezzi per gli opportuni locali, per lo studio, pel vestito, vitto, titolo ecclesiastico e più tardi pel riscatto dalla leva militare? L'uomo è misero istrumento della Divina Provvidenza, che nelle mani di Dio, e col suo santo aiuto fa quello che a lui piace. [950] Ho pertanto cominciato a raccogliere alcuni contadini dalle campagne: a questi associai alcuni artigianelli dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, commendevoli per moralità ed attitudine allo studio. A fine poi di risparmiare qualche spesa e ricordare ognora ai novelli allievi la loro bassa condizione, mentre frequentavano le scuole, prestavano assistenza ai loro compagni, facevano scuola serale e catechismi ne' varii oratorii festivi già aperti nella città di Torino. A questi primi se ne aggiunsero altri e poi altri. Difficilmente si possono capire le fatiche, gli stenti, e le altre difficoltà che si dovettero allora sostenere in faccia a tutte le autorità civili e scolastiche. Tuttavia, benedicendo Iddio l'opera sua, nel 1852 si era già riuscito a formare un nucleo di parecchi giovanetti, che in pubblico ed in privato prestandosi a molte opere di carità erano ben veduti da ogni classe di persone. In quell'anno (1852) l'Arcivescovo di Torino desiderando che si conservasse lo spirito di questa novella istituzione l'approvò costituendo capo il sacerdote Gio. Bosco, conferendogli tutte le facoltà necessarie od opportune a quello scopo.
Vivendo inosservati in mezzo al mondo, si istituivano oratorii festivi nei vari quartieri di questa città; aprivansi scuole, ospizi di carità e mandavansi ogni anno, parecchi chierici ne' seminarii delle varie diocesi, mentre alcuni, che ne, avevano la vocazione, fermavansi ad accrescere il numero della nascente Congregazione. Nell'anno 1858 si numeravano parecchi sacerdoti, chierici e alcuni laici, che tenendo vita comune in massima osservavano le regole della Società Salesiana.
Pensieri del S. Padre intorno a questa pia società.
Allora (1858) l'Arcivescovo Fransoni, sempre di cara memoria, mi consigliò di provvedere in modo stabile all'avvenire dei molti ragazzi, che erano raccolti negli Ospizii o frequentavano gli Oratorii domenicali. Munito di una sua lettera, mi inviava al Sommo Gerarca della Chiesa al Grande Pio IX. Questo incomparabile Pontefice mi accolse nel modo più benevolo; mi fece minutamente esporre i primordi di questa istituzione, e ciò che mi aveva mosso a cominciarla, che si faceva e come si faceva. Dipoi soggiunse - Mio caro, avete messo molte cose in movimento; ma voi siete uomo e se Dio vi chiamasse, dove ogni uomo deve andare, queste vostre imprese dove andranno a finire?
- Beatissimo Padre, risposi, è questo lo scopo della mia venuta a' Vostri Piedi, è questo il soggetto della lettera del mio Arcivescovo. Supplicare V. S. a volermi dare le basi di una Istituzione che sia compatibile nei tempi e nei luoghi, in cui viviamo.
- L'impresa non è tanto facile. Si tratta di vivere nel mondo [951] senza essere conosciuti dal mondo. Se però in quest'opera àvvi il volere di Dio, esso ci illuminerà. Andate, pregate, e dopo, alcuni giorni ritornate e vi dirò il mio pensiero.
Passata una settimana, ritornai dal S. Padre, che in vedendomi tosto prese a parlare così: “Il vostro progetto può procacciare assai bene alla povera gioventù. Una Associazione, una Società, o Congregazione religiosa sembra necessaria in mezzo a questi tempi luttuosi. Essa deve fondarsi sopra queste basi: Una società di voti semplici, perchè senza voti non vi sarebbero gli opportuni legami tra soci e soci e tra superiori ed inferiori.
La foggia di vestire, le pratiche di pietà non la facciano segnalare in mezzo al secolo. Le regole siano miti e di facile osservanza. Si studi il modo che ogni membro in faccia alla Chiesa sia un religioso e nella civile società sia un libero cittadino. Forse sarebbe meglio chiamarla Società anzi che Congregazione; perchè sotto a questo nome esisterebbe meno osservata. Procurate di adattare le vostre regole sopra questi principii, e compiuto il lavoro datelo al Cardinal Gaudi; esso a suo tempo me ne parlerà”.
Appoggiato sopra le basi suggerite dal S. Padre, avutane speciale benedizione, ho tosto dato mano ad uniformare le costituzioni scritte e da parecchi anni praticate in Torino con quello che mi era stato proposto.
Il Cardinale Gaudi lesse tutto con molta bontà; e facendo io tesoro de' savi di lui riflessi e consigli, avuta di nuovo la benedizione e l'incoraggiamento del S. Padre ritornai a Torino in seno alla famiglia di Valdocco.
Il decreto di Commendazione del 1864.
Le costituzioni così modificate furono messe in pratica per sei anni notando e modificando quelle cose, che parevano tornare alla maggior gloria di Dio.
L'anno 1864 colle Commendatizie di parecchi Vescovi presentava le regole al S. Padre, che le accolse colla solita bontà, mostrando speciale premura per le medesime. Con Decreto della Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari in data luglio 1864 esprimeva la sua soddisfazione intorno alle cose, che i congregati Salesiani facevano. Dopo aver commendata e lodata la Congregazione in genere, differiva a tempo più opportuno l'approvazione delle Costituzioni. Attese però le speciali circostanze de' tempi e de' luoghi costituiva lo scrivente Superiore Generale a vita fissando a dodici anni la durata in officio del suo successore.
Al prelodato Decreto erano annesse tredici animadversioni, sopra [952] cui io era invitato a fare le mie osservazioni intorno al modo e alla possibilità di inserirle al posto opportuno.
Con lettera firmata da Monsignor Svegliati si aggiugneva che, alcune di esse, segnatamente la quarta che spettava alle dimissorie, si erano fatte, perchè la Congregazione Salesiana non era ancora definitivamente approvata.
Difficoltà per le Sacre Ordinazioni.
Fino allora le sacre ordinazioni si davano ai nostri soci da ciascun Vescovo secondo le regole generali de' sacri canoni, e ciascun Vescovo richiesto rimetteva volentieri alle nostre case il prete ordinato, perciocchè lo regalavano a quella casa, che inviava ogni anno parecchi chierici nel proprio seminario. Ma dopo quel Decreto non fu più così. Nella nomina del Superiore, e nelle norme pel suo successore i Vescovi ravvisavano la costituzione di un corpo morale. Laonde ognuno dimandava se dovevasi dare l'ordinazione a nome della Congregazione o dell'Ordinario. Non a nome della Congregazione, che non poteva dare le dimissorie; non dell'Ordinario, perchè, si diceva, l'ordinando pareva appartenere ad una famiglia religiosa. In que' casi io faceva una dichiarazione, che spedita all'Ordinario de' miei cherici, per lo più li ammetteva agli ordini sacri.
Allora i Vescovi, come di comune accordo, mi consigliarono di umiliare alla Santa Sede la dimanda per la definitiva approvazione. Anzi un alto e benemerito personaggio ne diede formale consiglio.
L'approvazione del 1° Marzo 1869.
Passarono circa cinque anni dal Decreto di Commendazione sempre tra le incertezze e le difficoltà. Finalmente munito delle Commendatizie di ventiquattro Vescovi mi recai a Roma. Ciascuno di essi raccomandava l'approvazione della Congregazione e delle regole tali quali erano presentate, e con ciò si richiedeva indirettamente la facoltà anche delle dimissorie. Ho procurato di accomodare le animadversioni alle Costituzioni, e faceva un'esposizione di quelle che erano state inserte, di altre modificate, e si supplicava di sospenderne alcune, che sembravano doversi soltanto osservare fino a che la Congregazione non fosse definitivamente approvata.
Questa Società nella sua costituzione presentando basi alquanto diverse da quelle delle Congregazioni già esistenti, sono stato richiesto a dare molti schiarimenti a Monsig. Svegliati, al Card. Quaglia, allo stesso Santo Padre ed al benemerito Cardinale Berardi. Gli schiarimenti [953], le osservazioni essendo state quasi identiche presso di ognuno, le espongo qui in forma di dialogo per maggior chiarezza del lettore.
D. In questa Società cercate il bene del prossimo o quello de' Soci?
(NB. - Il dialogo venne già letteralmente riportato nel Vol. IX delle Memorie Biografiche, - ved. pag. 507 - 508).
D. Che regola tenete nello studio?
R. Niuno è accettato ecc. ecc.
(Anche questo paragrafo si legge per intero nel volume suddetto; ved. pag. 508 - 510).
Esposte così letteralmente le cose che riguardavano allo studio, al Noviziato ed all'osservanza pratica delle regole, ognuno dei prelodati personaggi si mostrò soddisfatto. Nacque però la difficoltà delle dimissorie, che è parte fondamentale delle Congregazioni Ecclesiastiche. Eccettuate le Congregazioni Diocesane le altre che hanno comunione di case in diverse Diocesi tra noi godono tutte di questa facoltà. I Vescovi desideravano di cooperare al consolidamento della Società Salesiana e favorirla in quello, che giudicavano utile e conveniente. Ma siccome la facoltà delle dimissorie sarebbe stata inclusa nell'approvazione delle Costituzioni, e per allora trattavasi soltanto dell'approvazione della società in genere e non delle Costituzioni, così fu preso il temperamento di concedere, non in forza delle Costituzioni, ma al superiore della Congregazione la facoltà delle dimissorie ad decennium a tutti quelli che entrati nei nostri collegi od ospizi prima dei quattordici anni a suo tempo avessero abbracciata la Congregazione. Per gli altri di maggior età si farebbe dimanda speciale per un numero determinato ogni volta ne fosse mestieri.
Il Santo Padre gradì la proposta, e mi lasciò con queste consolanti parole: - Facciamo un passo per volta, chi va piano, va sano. Quando le cose vanno bene la Santa Sede suole aggiugnere e non mai togliere. - Di fatto fu chiesto alla Sacra Congregazione de' Vescovi e Regolari la facoltà di dare le dimissorie una volta a sette, l'altra a dieci, ultimamente a sei, da scegliersi dal Superiore della Congregazione di mano in mano il bisogno lo avesse richiesto. Con questo mezzo si appianò la difficoltà delle Ordinazioni, e d'allora in poi non vi fu più vertenza di sorta a questo riguardo. Sempre col consiglio di quell'alto [954] personaggio, senza attendere il fine del decennio, ho presentato le medesime Costituzioni per la definitiva approvazione delle medesime.
A tale uopo ho presentato copia delle Costituzioni con una relazione e documenti analoghi alla Sacra Congr. de' Vescovi e Regolari, affinchè dèsse corso alla pratica.
Io credeva che alle osservazioni fatte non se ne aggiungessero altre; ma ora ne osservo altre in numero di ventotto.
Non appongo minima difficoltà, anzi ringrazio il benevolo Consultore, che si è degnato di farle. Nella maggior parte furono inserite nelle Costituzioni. Ho aggiunto alle regole il capo dello studio, l'altro del noviziato siccome è stabilito, usato nel direttorio, ma non ancora inserito nelle Costituzioni. Prego soltanto che non si cangino sostanzialmente le parti che riguardano alla conservazione dei diritti civili, del possesso anche emessi i voti, e di lasciare il tempo di prova e di studio, come si fa presentemente.
In quanto alle dimissorie supplico che me ne sia concessa facoltà assoluta non ad quemcumque Episcopum, ma solamente in conformità del Decreto di Clemente VIII in virtù di cui ogni religioso può avere dal suo superiore le dimissorie per gli ordini sacri, ma al Vescovo della Diocesi in cui la casa religiosa esiste. 15 Martii 1596. Questo privilegio godono gli Oblati di Maria approvati nel 1826; e l'Istituto della Carità approvato nel 1839.
Congregatio Concilii, ivi si dice, censuit superiores regulares posse suo subdito, itidem regulari, qui praeditus qualitatibus requisitis, ordines suscipere voluerit, litteras dimissorias concedere, ad Episcopum tamen dioecesanum, nempe illius monasterii, in cuius familia ab iis ad quos pertinet Regularis, positus fuerit, et, si dioecesanus abfuerit, vel non esset habiturus ordinationes, ad quemcumque alium Episcopum etc. V. Bened. XIV in Constit. De regularium ordinatione.
I fanciulli di cui hanno cura i Soci Salesiani sommano oltre a sette mila.
I membri poi di questa Congregazione sono circa trecento trenta. Di essi parecchi esercitano il loro ministero della confessione e della predicazione con tridui, novene, esercizi spirituali, nelle case di educazione, negli ospedali, nelle carceri, e ne' paesi di campagna, secondo il bisogno delle diocesi, che ne fanno richiesta.
Ora si sta trattando colla Sacra Congregazione di Propaganda Fide di aprire case e scuole cristiane pei fanciulli dell'isola di Hong - Kong nella China e si verrà alla definitiva conclusione appena, che la Clemenza del benemerito Sommo Pontefice avrà concesso il sospirato favore della definitiva approvazione di questa pia Società Salesiana.
Seguono i N. VII e VIII, contenenti i due esemplari delle Costituzioni approvate: il VII quale venne rimesso alla S. Congregazione dei Vescovi e Regolari; l'VIII quale venne stampato dalla tipografia dell'Oratorio nel 1874.
Conviene ricordare che il S. Padre Pio IX, di venerata memoria, amava e stimava tanto il nostro Santo Fondatore, che ripetutamente gli concesse, vivo vocis oraculo, piena facoltà di far senz'altro, prudentemente, qualsiasi cosa per cui avrebbe dovuto implorare esplicita autorizzazione dalla Santa Sede, ogni volta che la ritenesse utile o conveniente a promuovere la maggior gloria di Dio e la salvezza delle anime.
Per questo, anche dopo l'approvazione delle Costituzioni, egli continuò quasi sempre ad ammettere ai voti perpetui dispensando dai triennali, ed anche a rilasciare le dimissorie per gli Ordini Maggiori, compreso il Presbiterato, a vari confratelli prima che avessero emessi i voti perpetui.
Ora, amante com'era di far tutto nel miglior modo possibile, fece anche leggere e correggere le bozze delle Costituzioni definitivamente approvate da vari dei nostri e da altri valorosi latinisti, per dar ad esse una forma migliore. Molte furono le correzioni, ma tutte di lingua e di stile.
E noi, perchè il lettore possa più facilmente riscontrarle, poniamo progressivamente di fronte le pagine dei due esemplari: a sinistra quelle dell'esemplare approvato, a destra quelle dell'esemplare corretto, ponendo in questo le correzioni e le varianti in carattere corsivo; e riportiamo anche il facsimile d'un foglio delle prime bozze della prima edizione (cfr. pag. 968 - 69) e il brano d'un altro (cfr. pag. 984 - 85) con molte correzioni anche del Santo. [956]
I. Huc spectat Salesianaé Congregationis finis, ut socii simul ad perfectionem christianam nitentes, quaeque charitatis opéra tura. spiritualia, tum, corporalia erga adolescentes, praesertim si pauperiores sint, exerceant, et in ipsam juniorum clericorum educationem incumbant. Haec autem Societas constat ex presbyteris, clericis atque laicis.
2. Jesus Christus coepit facere et docere; ita etiam socii, praeter interna virtutes, incipient -egternarum virtutum egercitio, et scientiarum studio se ipsos perficere; deinde aliis juvandis strenuam operam dabunt.
3. Primum charitatis exercitium in hoc versabitur, ut pauperiores ac derelicti adolescentuli excipiantur, et sanctam Catholicam Religionem doceantur, praesertim vero diebus festis.
4. Cum autēnì saepe c6ntingat, ut adolescentuli inveniantur adeo derelicti, ut, nisi in aliquod hospitium recipiantur, quaecumque cura frustra ils omnino impendatur; idcirco, majori qua licebit sollicitudine, domus aperientur, in quibus, Divina opitulante Providentia, receptaculum, victus et vestirentum iis subministrabuntur. Fodem vero tempore, quo fidei veritatibus instituentur, opéram quoqué alicui arti navabunt.
5. Quur vero. gravissimis periculis subjiciantur adolescentes, qui ecclesiastico ministerio initiari cupiunt, maxime curae huic Societati erit eos in pietate et vocatione colere, qui se studio et pietate specialiter còmmendabiles ostendant. In adolescentibus autem studiorum causa excipiendis ü pxaeferantur, qui pauperiores sint, qui ideo curriculum studiorum alibi nequeunt explere, dummodo aliquam spem vocatiouis ad Ecclesiasticam militiam praebeant.
6. Quum autem necessitas Catholicae religionis tutandae gravior etiam urgeat inter christianos populos, praesertim in pagis, 'propterea socii strenue adlaborabunt, ut homines, qui potioris vitae amore per statos aliquot dies secedunt, ad pietatem confirment erigantque; ii- [957]
LA Ia EDIZIONE DELLE COSTITUZIONI APPROVATE
I. Huc omnino spectat Salesiana. Congregatio, ut socii simul ad perfectionem christianàm nitentes, quaeque charitatis opera cum spiritualia, tum corporalia, erga adolescentes, praesertim si pau
periores sint, exerceant, et in ipsam iuniorum clericorum educationem-incumbant. Haec autem societas constat ex presbyteris, clericis atque laicis.
2. Iesus Christus coepit faceré et docere, ita etiam socii praeter internas virtutes incipient externarum virtutum egercitio, et scientiarum studio se ipsos perficere; deinde aliis iuvandis strenuam operam dabunt.
3, Primum charitatis exercitium hoc erit ut pauperrimi in primis et derelicti adolescentuli excipiantur, et sanctam catholicam religionem doceantur, praesertim vero dièbús festis.
4. Cum autem saepe contingat, ut adolescentuli inveniantur adeo derelicti, ut, nisi in aliquod hospitium recipiantur, quaecmnque cura frustra iis omnino impendatur, ,idcirco; maiori qua licèbit sollicitudine, domus aperientur, in quibus, Divina opitulante Providentia, recéptaculum, victus et vestis iis suppeditabuntur. Eodem vero tempore, quo Catholicae fidei veritatibus imbuentúr, operam quoque alicui arti navabunt.
5. Quur vero gravissimis periculis sint obnoxii adolescentes, qui ecclesiasticae -militiae nomen dare cupiunt, maximae cuae huic societati erit eos pietate Povere, qui studio et bonis moribus speciatim se com-mendabunt. In adolescentibus autem studiorum causa excipiendis, ii praeferantur, qui pauperiores sint, quique idcirco curriculum studiorum alibi nequeant explere, dummodo aliquam -spem vocationis ad ecclesiastieam militiam praebeant.
6. Catholicae religionis tutandae gravior etiam urget necessitas inter Christianos populos, praesertim in paxis; propterea socii strenue adlaborabunt, ut hominēs, qui melioris vitae amore per statos aliquot dies secedunt, ad pietater confirment, erigantque. [970]
3. Si Rector Maior eligendus est, eo quod duodecim annos in xnunere transegerit, electio sic est facienda. Ipsemet Rector Maior, tres menses antequam sui officia tempus labatur, Capitulum Superius convocabit, eique sui muneris finem imminere palam faciet. Huius rei notitiam transmittet Directoribus cuiusque domus, eisque sociis omnibus, qui secundum Constitutiones suffragium dare poterunt. Dum auteur finis sui munerfs diem significabit, aliam statuet diem ad sui successōris eleçtionem perficiendam. Eodem tempore pietatis opera assignabit ad superna lumina obtinenda, Ilare et distincte omnes commonens de stricta singulorum obligatione suum dardi suffragium illi, quem ad Dei gloriam utilitatemque animarum in Societate promovendam magis idoneumm in Domino judicaverint. Tempus vero electtonns peragendae, quindecim dierum spatium a fine muneris sui excedere non debebit.
4. A die quo suum munus explevit, usque ad peractam eiusdem successoria eleçtionem, Rector Major, veluti Praefectus perget in Societatis regimine et administratione eadem auctoritate qua pollet Praefectus in morte Rectoris, dōnec ejus successor in munere suo reapse sit constitutus.
5. In electione Rectoris Majoris suffragium dabunt Capitulum Superius, Direetores cuiusque domus una cum socio a professis eiusdem domus electo, quatenus singuli vota perpetua jam emiserint.
Si quis ex quacumque causa proprium suffragium praestare non poterit, ab aliis licite et valide electio fiet.
6. Majoris Rectoris electio sic fiet: omnes electoons, flexis genibus acte imaginem Domini Nostri Jesu Christi Crucifixi, divinum au, xilium invocabunt persolventes hymnurn Veni, Creator Spiritus etc.
Quo finito, Praefectus, fratribus una simul collectas, causam patefaciet propter quam eos advocavit. Postea omnes socia professi. atque praesentes scribent nomen illius, in cuius favorem suffragium edere intendunt, et schedulam sic exaratam ponent in vasculo ad hoc - parata. Hisce peractis, secreto modo ab omnibus praesentibus aliguntur tres scrutatores cum duobus secretariis. Qui votorum pluralitatem absolutam consecutus fuerit, erit novus Rector, seu Superior Generalis.
7. Si auteur ob Superioris Generalis mortem electio esset facienda, haec regula et ordo teneantur: mortuo Rectore Majore, Praefectus illius mortis notitiam ad omnes do domorum Direetores per scriptum transmittet, ut spiritualia suffragia secundum Constitutiones quam citissime pro defungiti anima fiant. Electio hujusmodi non ante tres, nec serius sex mensibus a Rectoris morte erit facienda. Ad hune finem Praefectus Capitulum Superius congregabit, ejusdemque consensu opportuniorem statuet diem ad convocandos eos, qui electioni interesse debent admonens de fis omnibus quae art. 3° dicta sunt. [971] 3. Si Rector Maior eligendus sit, eo quod duodecim annos in munere obeundo transegerit, electio in hune modum est facienda. . Ipsemet Rector Maior, tres menses antequam sui officia tempus effluxerit, Collegium seu Capitulum Superius convocabit, eique sui muneris finem imminere palam faciet. Huius rei notitiam transmittet Directoribus cuiusque domus, eisque sōciis omnibus, qui secundum constitutiones suffragium dare poterunt. Dum auteur diem significa, bit, qui finem suo muneri imponet, aliam statuet diem ad sui success soris electionem perficiendam. $odeur tempore pietatis sollemnia assignabit ad superna lumina obtinenda; Ilare et distincte omnes cour monens de maxima singulorum obligatione suum dandi suffragium illi, quem ad Dei gloriam utilitatemque animarum in societate promovendam magis idoneum [...] iudicaverint. Tempus vero electionis peragendae quindecim dierum spatium a fine muneris sui excedere non debebit.
4. A die, quo suum munus explevit, usque 'ad peractam eiusdem successoris eleçtionem, Rector maiora [...] perget in societatis regimine et administratione eadem auctoritate pollere qua Baudet Praefectus in morte Rectoris, donec eius successor in munere suo reapse sit constitutus.
5. In electione Rectoris Maioris suffragium dabunt Capitulum superius, Direetores cuiusque domus, et una cum socio a professis eiusdem domus electo, dummodo [...] vota perpetua iam emiserint. Si quis quacumque ex causa proprium suffragium conferve non poterit, ab aliis iure et valide electio flet.
6. Maioris Rectoris electio in hune modum est facienda: Omnes electores, flexis genibus ante imaginem Domini nostri Iesu Christi crucifixi, divinum auxilium invocabunt persolventes hymnum Veni Creator Spiritus etc. Quo finito, Praefectus fratribus in unum collectas causam aperiet, propter quam eos convocaverint. Quo facto omnes socia professi atque adstantes in chartula scribent nomen illius, in' euius favorem suffragium edere excupiunt, et schedulam ab iis exaratam ponent in vasculo ad hoc parato. Hisce peractis, secreto modo ab omnibus praesentibus eliguntur tres scrutatores et duo scribae. Qui absolutam votorum pluralitatem consecutus fuerit, erit novus Rector, seu Superior Generalis.
7. Si autem ob Superioris Generalis mortem electio sit facienda, haec regola et ordo teneatur: Mortuo Rectore Maiore, Praefectus illius mortis notitiam ad omnes domorum Direetores per latteras transmittet, ut ad labes abolendas eius animae secundum constitutiones quam citissime pro defuncti anima fiant. Electio hujusmodi non ante tres, neque post sex menses, quam Rector vita sit functus, erit facienda. Ob hanc causam Praefectus Capitulum Superius convocabit, eiusdemque consen su opportuniorem statuet diem ad eos cogendos, qui electioni interesse , debebt, quemque admonens de iis omnibus quae art. 3° dicta sunt, [972]
8. Suffragium autem ii dabunt, qui hoc jure polleant in electione Rectoris facienda sicut in articulo 5 huius capitis dictum est.
9. Qui pluralitatem absolutam votorum assecutus fuerit, erit novus Superior Generalis, cul omnes Societatis sodales obedire tenentur... Peracta electìone, Praefectus, ut novas Rector Major citius omnibus Congregationis sociis innotescat, operam dabit. Quo facto, omnis Superioris Generalis auctoritas in Praefecto finem habet.
1. Praefectus, Spiritualis Director, Oeconomus et tres Consiliarii suffragiis eligentur a Rectore Majore et a sociis, qui cum jam vota perpetua emiserint ad Rectoris Majoris electionem pārtem habère poterunt. Ut eligi possint requiritur ut saltem quinque annos unusquisque in Societate permanserit, triginta quinque aetatis annos expleverit et vota perpetua, emiserit.
Ne officium ipsis creditum detrimentum patiatur, extra domum in qua Rector Maior commoratur residere ordinarie non poterunt. 2. Quolibet sexennio fiet electio tum Praefecti, Spiritualis Directoris, et Oeconomi, tum trium Consiliariorum.
3. Electio erit facienda prope solemnitatem S. Francisci Salesii, occasione, qua domorum. Directores convoeari soient. Tribus mensibus 'ante dictam solemnitatem Rector Major notum faciet omnibus domibus diem, qua omnes domus debent electionem peragere.
4. Itaque omnes Directores suae domus in perpetuum professos colligent, et eum socio ab ipsis electo ad faturam electionem venient.
5. Die praefixa Capitulum Superius cum. Directoribus et omnibus sociis secum deductis suffragium et scrutinium publice faciēnt. Ad hoc eliguntur tres scrutatores cum. duobus secretariis. Qui suffragiorum pluralitatem absolutamn obtinuerit, novum erit membrúm Superioris Capituli.
Si vero alicujus domus Director aut socius ejus ob nimiam distantiam, vel alia rationabili causa ad hajusmodi electionem pervenire non pótuerit, electio valida et perfecta erit habenda.
6. Officia cujusque membri Superíoris Capituli, Rector prout feret necessitas, distribuet.
7. Directori- tamen Spirituali novitiorum cara est specialiter demandata. Ipse enim una cum novitiorum Magistro strenuam operam dabit, ut ipsi illum charitatis et sollicitudinis spiritum condiscant,
actuque perficiant, quo inflammari debet, qui omnem -vitam suam ad animarum lucrum optat impendere,
8. Directoris quoque Spiritualis est Rectorem reverenter admouere, quoties gravem ne negligentiam perspiciat in Constitutionibus [973] 8. Sùffragium autem ii dabunt, qui hoc iure polleant eligendi Rectoris, quemadmodum in articulo g haius capitis dictum est.
9. Qui pluralitatem absolutam votorum assecutus fuerit, novus Superior Generalis esto, cul omnes; societatis sodales obedire tenentur. Io. Peracta electione, Praefectus operam dabit, ut novus Rector Maior quam citissime omnibus Congregatonis sociis innotescat. Quo facto, omnis superioris Generalis auctoritas in Praefecto finem habet.
1. Prāefectus, spiritualis Director, Oeconomus et tres Consiliarii, quos supra memoravimus, per su suffragia eligentur a Rectore Mai ore et a sociis, qui iam cum votis perpetuus se obstrinxerint ad Rectoris
Maioris electionem pārtem habere poterunt. Ut eligi possint requiritur ut saltem quinquennium unusquisque'in Societate permanserit, quinque et triginta annos expleverit et vota perpetua emiserit. Ne officium ipsis creditum detrimentum aliquod patiatur, extra domum, in .qua Rector Maior commbratur, residere ordinarie non poterunt.
2. Sexto quoquo anna flet electio tum Praefecti, spiritualis Directo-ris, et Oeconomi, tum trium consiliariorum.
3. Electio erit faeienda ad solemnitatem in honorem s. Prancisci Salesii, quo tempore domorum Directores convoeari solent. Tribus mensibus ante dicta solemnia sacra Rector Maior notum faciet omnibus domibus diem, quo omnes domus debent electionem peragere.
4. Raque omnes Directores suae domus in perpetuum professos convocabunt, et cum socio ab ipsis delecto ad futùram electionem venient.
5. Die constituto Capitulum Superius cum directoribus et omnibus sociis secum deductis suffragium ferent, et scrutinium publice facient. Ad hoc eliguntur tres scrutatores et duo scribae. Qui suffragiorum pluràlitatem [:..] obtinuerit, novum erit membrum Superioris Capituli.
Si vero alicuius domus director aut socius ob nimiam distantiam, vel alia iusta de. causa ad hujusmodi electionem pervenire non potuerit, electio tamen rata et perfecta erit habenda.
6. Officia cuiusque membri superioris Capituli Rector, prout feret ' necessitas, distribuet.
q. Directori tamen spirituali tyronum seu novitiorum cura est presertim demandata. Ipse enim una cum novitiorum magistro strenuanì operam dabit, ut ipsi illum charitatis et sollicitudinia spiritum condiscant, actuque perficiant, quo inflammari debet, qui omnem vitam suam ad ammarum lucrum faciendum optet impendere.
8. Directoris quoque spiritualis est Rectorem reverenter admonere, quotiescumque gravem negligentiam in eo perspiciat in constitu [974] Congregationis exsequendis, vel earum observantiam in aliis promovendam neglexerit.
9. Praècipuum vero Directoris Spiritualis officium in eo praesertim versatur, ut quidquid ad bonum spirituale conferre cognoscit, Rectori patefaciat, qui prout magis in Domino expedire judicaverit, providere curabit.
10. P'raefectus, Rcctore absente, illius vicem gerit in iis omnibus quae ad consuetum Societatis regimén spectant, vel quae peculiariter illi fuerunt demandata.
11. Ipse rationem habebit exceptae et expensae pecuniae; notabit legata, alicujus momenti donationes in quamcumque domum collatas et earum destinationem. Mobilium et immobilium façultatum fructus sub Praefecti custodia et responsione erunt. .
12. Praefectus igitur est veluti cenerum a quo totius Societatis administratio proficisci et ad quod referri debet. Praefectus vero Rectori subjicitur eique facti saltem semel in anno rationem reddet.
13. Oéconomus matérialem totius Societatis statum diriget. Ipse enim executioni mandabit emptiones, venditiones, aedificationes et alia similia. Sed in causis judicialibus agere non poterit absque Sanctae
Sedis consensu. Itidem Oeconomi muneris est consulere ut unicuique domui; quae necessaria sunt, suppeditentur.
14. Consiliarii omnibus deliberationibus intersunt, quae ad acceptionem, vél dimissionem vel votorum admissionem alicujus socii pertinent. Si agatur de aperienda nova domo; de alicuius domus
Directore eligendo; de contractibus rerum immobilium emptionis aut venditiones; denique de rebus majoris momenti, quae ad rectum Societatis generalem processum spectant. Si in suffragiorum secretorum numero, quae vim deliberationis habent, major pars favorabilium non habetur, omnes .de re agenda deliberationes Rector protrahet.
15. Unus de Consiliariis ex delegatione Rectoris curam aget de rebus scholasticis totius Societatis Alii duo pro opportunitate vices gerent alicuius membri de Capitulo Superiore, quod vel ob infirmitatem vel aliam. causam munere suo fungi nequeat.
16. Unusquisque ex Superioribus, Rectore excepto, sex annos in munere suo manebit, ac iterum eligi-poterit. Si quis autem ex Capitulo Superiore morte vel quaeumque causa cessaverit a proprio officio antequam sexennium adimpleverit, Rector Major eius munus tradet cui melius in Domino judicaverit, sed tantum usque ad finem sexennii jam incoepti a socio cessante.
17- Si opus fuerit, Rcctor Major cum Capituli Superioris consensu constituet Visitatores, eisdemque curam quamdam demandabit de certo domorum numero, quum earum distantia et numerus id postu laverit. Hujusmodi Visitatores sive Inspectores Rectoris Majoris vices gerent in domibus et ncgotiis eisdem demandatis. [975] tionibus Congregationis exsequendis, vel senserit eum earrum observantiam in aliis segniter fovere.
9. Praccipuum vero Dircctoris spiritualis officium in hoc praesertim versatúr, ut quidquid ad bonum spirituale conferre cognoscit, Rectori patefaciat, qui prout magis in Domino expedire iudicaverit providere curabit.
I0. Praefectus, Rectore absente, illius vicem gerit in iis omnibus, quae ad consuetum Societatis regimen spectant, vel quae peculiariter illi fuerunt demandata.
11. Ipse rationem habebit exceptae et expensae pecuniae; in tabutas referet legata, alicuius momenti donaitiones in quamcumque domum collatas et earum destinationem. Mobilium et immobilium rerum fructus sub Praefecti custodia et rcsponsione erunt.
12. Praefectus igitur est veluti centrum a quo totius Societatis administratio proficisci et ad quod referri debet. Praeféctus vero Rectori subjicitur, eique gestionis suae saltem seinel in anno rationem reddet.
13. Oeconomus materialem totius societatis statum diriget. Ipse enim exequetur emptiones, venditiones, aedificationes et alia id genus. Sed in causis iudicialibus agere non poterit absque sanctae Sedis cònsensu. Item Oeconomi muneris est consulere, ut unicuique domui, quae necessaria sunt, suppeditentur.
14. Consiliarii omnibus deliberationibus intersunt, quae ad ac- ceptionem in tyrocinium sociorum vel dimissionem a societate vel votorum admissionem alicuius socii pertinent. Si agatur de aperienda nova domo; de alicuius domus Directore . eligendo; de contractibus rerum immobilium; de emptionibús aut venditionibus; denique de rebus maioris momenti, quae ad rectum Societatis generalem processum spectant. Si in numero recognoscendo secretorum suffragiorum, quae vim deliberationis habent, major pars favorabilis non habetur, omnes de re agenda deliberationes Rector protrahet.
15. Unus de consiliariis ex delegatione Rectoris curam aget de rebus scholasticis totius Societatis. Alii duo pro opportunitate vices, gerent adlectorum in Capitulum Superius, si forte ob valetudinem vel aliam ob causam munere suo fungi nequeant.
16. Unusquisque ex superioribus, Rectore excppao, sex annos in munere suo manebit ac iterum eligi poterit. Si quis autem de Capitula Superiori vel morte vel quacumque causa cessaverit a proprio officio - antequam sexennium adimpleverit, Rcctor Maior ei muneri praeponet quem melius in Domino iudicaverit; qui in officio solum stabit ad finem sexennii, iam a socio cessante inchoati.
17. Si opus fuerit, Rector Maior, Capitulo Superiore adprobante, constituet visitatoies, eisdemque curam quamdam demandabit cer- tum domorum numerum inspiciendi, ubi earum distantia et numerus id postulaverit. Huiusmodi visitatores, sive Cognitores, Réctoris Maioris vices gerent in domibus et in negotiis eisdem demandatis.[976]
1. Si quando singulari Divinae Providentiae favore aliqùa domus sit aperienda, ante omnia Superior Generàlis consensum obtineat ab Episcopo Dioecesis, in qua domus aperienda sit.
2. Sed hac in re cautissime incedendum est, ne in domibus aperiendis, vel in administrationibus cuiuscumque generis súscipiendis aliquid statuatur vel agatur contra leges.
3. Si autem in Societate aperienda sit domus pro educatione puerorum laicorum vel clericorum, qui grandiori jam sint aetate, tune non solum quod ad sacrum ministerium spectat, sed omnis .
etiam Superiori Ecclesiastico submissio praebebitur. In eligenda materia, quae tradi débeat, in libris adhibendis, in disciplina atque etiam in temporali administratione iis tenebitur, quae Rector Major cum Ordinario loci constituet.
4. Seminariorum directio a Societate accipi nequit sine expressa in sin~ casilius Apostolicae Sedis venia.
5. Numerus sociorum in novis domibus erigendis non sit minus sex. Superior cujuscumque domus a Capntulo Superiore eligitur et Directoris nomen assumet. Quaeque domus bona administrabit, quae
vel dona data, vel in Societatem illata sunt, ut peculiari illi domui inserviant; at semper ratione a Superiori Generali descripta.
6. Peculiares domus saltem semel in anno inviset Reetor per se vel per Visitatorem, ut diligenter inquirat, an officia expleantur, quae Constitutiones Societatis praescribunt; simúlque animadvertat, an spiritualium et temporalium administratio ad propos'tum finem reapse spectet, ut scilicet Dei gloria et animarum salus promoveantur.
7. Ad Directorem autem quod attinét, ita se in cunctis gerat, ut omni temporis momento eorum possit rationem reddere Deo et Superiori Rectooi.
8. Praecipua est eiusdem Rectoris cara in recente quaque domo Capitulum constituere, quod. numero sociorum in ea habitantium congruat.
9. Ad hoc autem Capitulum constituendum convenient Capitului Superius et novae domus Director.
Io. Inter eligendos primas est Catechista, deinde Praefectus, et si opus fuerit etiam Oeconomus, tertio demum singuli Consiliarii, juxta sociorum numerum et ea quae in illa domo agenda sunt.
11. Quod si distantia, tempora et loca suadeant quaedam esse . excipienda in Capitulo constituendo, vel in muneribus assignandis, omni ad id auctoritate Reetor Major pollet, consentiente tamen Capitulo Superiore.
12. Director neque emere, neque vendere immobilia, neque nova aedificia erigere vel aedificata demoliri poterit, neque innovationes [977]
1. Siquando singulari divinae Providentiae favore. aliqua Domus sit aperienda, ante omnia Superior Generalis consensum obtineat Episcopi Dioecesis; in qua domus aperienda sit.
2. Sed hae in re cautissime incedendum est, ne in dómibus aperiendis, vel in administrationibus cuiuscùmque generis suscipiendis aliquid statuatur ve! agatur contra leges.
3. Si autem in Societate apetienda sit domus instituendis pueris laicìs, vel sacrovum alumnis, qui grandiori iam sint aetate, tune non solum in iis quae sacrum ministerium respiciunt, sed omnis etiam in disciplinis tradendis Superiori Ecclesiastico. obedientia praebebitur. In eligenda materia, quae tradi debeat, in libris usurpandis, in disciplina atque etiam in temporali administratione iis standum, quae Reetor Maior cum Ordinario locí constituet.
4. Seminariorum directio a Societate suscipi nequit sine expressa in snngulis casibus Apostolicae Sedis venia.
5. Numerus sociorum in novis domibus erigendis non sit minus sex. Superior, cuiusque domus a Capntulo Superiore eligitur et Directoris nomen assumet. Quaeque domus bona administratit, quae vel dono data, vel in societatem illata sunt, ut peculiari illi domui inserviant; al ea semper catione quae a superiore Generali sit descripta.
6. Peculiares domos saltem semel' in anno inviset Reetor vel per se vel per visitatorem, ut diligenter inquirat, an officia expleantur, quae constitutionès Societatis praescribunt; simulque animadvertat, an spiritualium et temporalium rerum administratio ad propositùm finem reapse spectet, ut scilicet Dei gloria et animarum salus promoveantur.
7. Ad directorem autem quod attinet, ita se in cunctis gerat, ut omni temporis momento suae administrationis possit rationem reddere Deo et Superiori Rectooi.
8. Praecipua est eiusdem Rectoris cara in recenti quaque domo capitulum constituere, quod numero sociorum in ea habitantium congruat.
9. Ad hoc autem. capitulum constituendum convenient Capitulum Superius et novae domus Director.
10. Inter eligendos primus est Catechista, tum Praefectus, et si opus fuerit etiam Oeconomus, [...] demum singuli Consiliarii, iuxta sociorum numerum et ea quae in illa domo agenda sunt.
11. Quod si distantia, tempora et loca suadeant quaedam esse excipienda in capitúlo constituendo, vel in muneribus assignandis, omni ad id auctoritate Reetor Maior pollet, conséntiente tamen Capitulo Superiore. '
12. Director neque emere, neque vendere immobilia, neque nova aedificia extruere vel aedificata demoliri poterit, neque res novas [978] magni momenti perficere, nisi adsit Rectoris Majoris consensus. In administratione omnis processus spiritualis, scholasticus, materialis ad eum pertinet; at in Es, quae majoris momenti sint, consultius erit Capitulum suum convocare, nec quidpiam deliberare nisi illius consensus habeatur.
13.. Catechista spiritualia quaeque illius domus. procurabit, sive relate ad socios, sive relate ad caeteros qui ad Congregationem non pertinent, ac quoties opus erit, Directorem admonebit.
14. Praefectus Directoris vices gerit, et praecipuum ipsius munus erit res temporales administrare, coadiutorum curam gerere, supra alumnorum disciplinam . attento oculo vigilare juxta regulas unius-cuiusque domus et consensum Directoris. Ipse paratus esse debet ad rationem de sua gestione reddendam Directori suo, quoties ab eo expostulabitur.
15. Oeconomus, ubi necesse sit, Praefectum adiuvabit in suis officiis, praesertim in executione temporalium negotiorum.
16. Consiliarii autem intersunt deliberationibus alicuius momenti et Directorem adiuvant in re scholastica et in iis omnibus, quae eis demandata erunt.
17-. Unusquisque Director quotannis Rectori Majori spiritualis et temporalis administrationis suae domus rationem reddere debet.
1. Vix quispiam Societatem ingredi petierit, requirantur de eo testimoniales litterae Ordinariorum juxta decretum 25 Januarii 1848 incipiens « Romanii Pontifices a a Sacra Congregatione super statu Regularium editum.
Quod ad valetudinem attinet, talis sit, ut omnes Societatis Constitutiones absque exceptione possit observare.
Ut laici in Societatem recipi possint, praeter alia, saltem fidei rudimenta calleant.
Rector autem Major postulantem ad accegtionem admittet, si a Capitulo Superiori suffragiorum pluralitatem consecutus fuerit.
2. Pro admittendis Novitiis qui statum clericalem suscipere debent, si aliqua irregularitate detineantur, requiritur Apostolicae Sedis dispensatio.
3. Post tempus probationis res erit apud Capitulum eiusdem domus. Si saltem, majorem suffragiorum partem obtinuērit, de illo referetur Rectori Majori, qui, habita Superioris Capituli sententia, eum ad vota admittet vel per se vel per delegationem. Haec autem delegatio iterum remittenda erit Rectori Majori cum opportunis indicationibus, ut novus socius in catalogo Societatis inscribatur. [979] magni momenti pērficere, nisi adsit Rectoris Maioris consensus. In administratione omnis processus spiritualis, scholasticus, materialis ad eum pertinet; at in iis, quae maioris momenti sint, consultius erit capitulum suum convocare, nec quidpiam deliberare nisi illius consensus habeatur.
13. Catechista spiritualia quaeque illius domus procurabit, sive illa respiciant socios, sive ad caeteros, qui ad congregationem non pertinent, et si opus fuerit, Directorem de iis rebus admonebït.
14. Praefectus Directoris vices gerit; et praecipuum ipsius munus erit res profanas seu temporales administraxe, coadiutorum curam gerere, supra alumnorum disciplinam attento oculo vigilare iuxta
çonstitutiones uniuscuiusque domus et consensum Directoris. Ipse paratus esse debet ad rationem de sua gestione reddendarn Directori suo, quoties ab eo expostulabitur.
15. Oeconomus, ubi necessitas ingruat, Praefectum adiuvabit in suis officiis, praesertim in negotiis profanas perficiendis.
16. Consiliarii autem intersunt deliberationibus alicuius momenti et D1rēctorem adiuvant in re scholastica et in iis omnibus, quae eis demandata erunt.
17. Unusquisque Director qúotannis Rectori Maiori sacae et temporalis administrationis suae domus rationem reddere debet.
I. Vix quispiam societatem ingredi petierit, requirantur de eo testimoniales litterae ordinariorum iuxta Decretnm 25 Ianuarii 1848 incipiens Romani Pontifices etc. a sacra congregatione super statu Regularium editum. Quod ad valetudinem attinet, ea talis- sit, ut omnes Societatis constitutiones absque exceptione possit observare.
Ut laici in Societatem recipi possint, praeter alia, saltem fidei catholicae rudimenta calleant.
Rector autem Maior postulantem ad acceptionem admittet, si a capitulo superiori suffragiorum pluralitatem consecutus fuerit.
2. Pro admittendis tyronibús seu novitiis, qui militiae sacae nomen dare debnt, si aliqua irregularite detineantur, requiritur agostolicae sedis venia.
3. Post tempus secundae probaiionis res erit apud capitulum eius domus, in qua socius a superioribus positus est. Tertia grobatione expleta, de Rectoris maioris consensu, a superioribus eiusdem domus ad votorum renovationem admitti poterit. Si saltem maiorem suffragiorum partem obtinuerit, de illo referetur Rectori Maiori, qui habita Superioris Capituli sentēntia, huiusmodi admissionem confirmabit vel non grout melius in Domino iudicaverit. [980]
4. In absentia Capitúli Superioris ipse Rector Major, rationabili causa interveniente, potest in Societatem recipere et ad vota admitbere, vel etiam dimittere ex Societate in unsquaque domo; at hoc fieri poterit suffragante et prsesente domus illius Capitulo. Hoc autem in casu Director illius domus, in qua acceptio ve! dimissio facta est, rem uúnciabil: Capitolo Superiori cum opportunis indicationibus; ut socius vel inscribatur in Societatis catalogo, vel ab eo expungatur.
5. Quosd acceptionem sociorum eorumque professionem serventur omnia a Decreto 25 isnuarii 1848 « Regulari Disciplinae s Sacrae Congregationis super Statu Regúlarium praescripta.
6. Ut quisquam ad vota emittenda admittatur, necesse erit ut primae et secundae probationis tirocinium exercuerit. At neuro ad votorum emissionem, admittendus est, nisi sexdecim aetatis annos fuerit praetergressus.
7. Haec autem vota per triennium emittuntur. Tribus autem annis transactis, praevio Çapituli consensu, cuilibet-,facultas dabitur ea ad aliud triennium repetendi, vel perpetua faciendi, se videlicet per omnem vitam votis obligandi. Nemo tamen ad sacros ordines titulo Congregationis erit admittendus, nisi vota perpetua jam emiserit.
8. Societas Divina Providentia innixa, gúae numquam deest sperantibus in ea, omnia cuique necessaria providebit, sive fiorente valetudine, sive premente morbo. Tamen erga illos tantum Societas devincitúr, qui jam votis sive temporaneis, sive perpetuis, se obligarunt.
9. Ómnibus autem duo potissimum cordi habenda sunt: Io Attente caveat unusquisque; ne se habitudinibus cujuscumque genéris, rerum etiam indifferentium, devinciri patiatur; 2° Cuiusque vestìs, lectus et cellula munda sint et decentia; at omnes summopere studeant affectationem et ambitionem devitare. Nihil magis sodalem religiosum exornat, quam vitae sanctimonia, qua caetetis in omnibus praeluceat.
10. Quisgue paratus sit, ubi opus erit, aestum, frigora, sitim, famem, labores et contemptum tolerare, quoties Haec conferant ad majorem Dei gloriam, spiritualem aliorum utilitatem, suaeque animae salutem.
I. Presbyteri, onmesque socii, qui clericalem militiam petunt, stúdiis Philosophicis per biennium, Ecclesiasticis vero saltem per quatriennium strenuam operam dabunt.
2. Praecipuum eorum studium totis viribus dirigetur ad Biblia Sacra, ad Historiam Ecclesiasticam, ad Theologiam dogmaticam, speculativam, moralem, necnon ad libros, vel tractationes, quae de juventute in religione instituenda ex professo pertractant. [981]
4. Absente Capitulo Superiore, ipse Rector Maior, si iusto causa interveniat, potest in societatem recipere et ad vota admittere vel etiam dimittere quem putaverit ex societate cuiusque domus; at boe fieri poterit suffragante et prsesente domus illius Capitúlo. Hoc autem in casu Director illius domus, in qua acceptio vel dimissio facta est, rem nunciabit Capitulo Superiori cum opportunis indicationibus, ut socius vel inscribatur in societatis elencho, vel ab eo expungatur. 5. Quod ad acceptionem sociorum, eorumque professionem votorum simplicium attinet serventur omnia a Decreto 25 Ianuarii 'an. 1848 Regulari disciplinae s. Congregationis,super statu Regularium praescripta.
6. Ut quisquam ad vola núncupanda admittatur, necesse erit ut primae et sècundaé probationis tyrocinium exercuerit. At neuro ad votorum nuncupationem admittendus est, nisi sexdecim aetatis annos fuerit praetergressus.
7. Hsec autem vota ad triennium nuncupantur. Tribus autem annis transactis, praesente Capituli consensu, cuilibet facultas dabitur ea ad aliud triennium iterandi, vel perpetua faciendi, si voluerit per omnm vitam votis se obstringere. Nemo tamen ad saeros ordines titulo Congregationis erit admittendus, nisi vota perpetua iam pronunciaverit.
8. Soeietas Divinae Próvidentiae innixa, quae numquam deest sperantibus in ea, omnia cuique necessaria providebit, sive fiorente valetudine sive premente morbo. Tamen erga illos tantum societas devincitur, qui iam votis sive temporariis sive perpetuis se obligarunt1.
1. Presbyteri, onmesque socii, qui clericalem militiam petunt, studiis Philosophicis per biennium, Ecclesiasticis vero saltem per quatriennium strenuam operam dabunt.
2, Praecipuum eorum studium totis viribus dirigetur ad Biblia Sacra, [...] Historiam Ecclesiasticam, ad Theologiam dogmaticam, speculativam, moralem, nec non ad libros, vel tractationes, quae de iuvenibus ad res religiosas instruendis dedita opera disserunt. [982] 3. Noster Magister erit Divus Thomas et alii auctores qui in Catechesi et in doctrina catholica interpretanda celebriorés communiter censentur.
4. Ad scientias tradendas tum Philosophicas, tum Ecclesiasticas ii Institutores prae caeteris eligantur, sive soci i sint sive externi, qui vitae probitate, ingenio, ac doctrinae praestantia aliis praeeellunt.
g. Praeter quotidianas collationes quisque socus contesere sataget seriem meditationum, atque instructionum primitus pro adolescentulis, deinde pro omnibus Christi fidelibus accommodatam.
6. Cavendum sedulo est, ne socii quandiu in studia incumbunt a Constitutionibus praescripta iis charitatis operibus, quae ad Societatem Salesianam spectant nisi necessitas esigat, operam navent, quum id nonnisi cum magna studiorum jactura fieri possit.
1. Vita activa, ad quam potissimum haec Congregatio spectat efficit, ut socii nequeant compluribus píetatis exercitiis simul collecti operam dare. Quae quidem omnia socii suppleant bonis esemplis sibi invicem praelucendo,`et perfecte generalia christiani officia adimplendo.
2. Singulis hebdomadis socii ad poenitentiae Sacramentum accedant apud Confessarios, qui sint ab Ordinario approbati et munus illud erga socios exerceant cum Rectoris licencia. Presbyteri quotidie Sacrum. facient; clerici vero et so dales adiutorés curent ut eiden Sacrificio quotidie intersint et sdltem singulis diebus festis, 'et quaque feria V ad Sanctum Eucharistiae Sacramentum accedant. Compositus corporis habitus, clara, religiosa et distincta pronuntiatio verborum, quae in divinis officiis continentur; modestia domi forisque in verbir, adspectu et incessu, ita in sociis nostris praefulgere debent, ut his potissimum a caeteris distinguantur.
3. Singulis diebus unusquisque praeter orationes vocales saltem per dimidium horae orationi mentali vacabit, nisi quisquam impediatur ób esercitium sacri ministerii; tune maiori, qua fieri poterit, frequentia eas per iaculatorias preces supplebit, majorique affectus vehementia Deo offeret opera, quibus a constitutis pietatis exercitiis arcetur.
4. Quoque die Dei parae Immaculatae tertia Rosarii pars recitabitur, et spirituali lectioni per aliquod temporis spatium vacabitur. ' g. Cujusque hebdomadae feria VI jeiunium erit in honorem Passionis D. N. J. C..
6. Ultima omnium mensium die, a temporalibus curis remotus, quantum fieri poterit, se quisque spiritu in se recipiet, et esercitio [983] 3. Noster Magister erit sanctus Thomas, caeterique auctores, qui in Catechesi et in doctrina catholica interpretanda celebriores communiter censentur. '
4. Ad disciplinas tradendas cum philosophicas, tum Ecclesiasticas, ii doctores prâe caeteris deligantur, sive Socii sint sive esterni, qui vitae probitate, ingenio, ac doctrinae praestantia aliis praecellunt.
g. Prdeter quotidianas morales collationes quisquis socus contesere sataget seriem sacrarum concionum acque meditationum, primum in usum adolescentulorum, deinde ad captum omnium Christi fidelium accommodatam.
6. Cdvendum sedulo est ne socii, quamdiu in studia incumbunt, a Constitutionibus praescripta, iis charitatis operibus, quae ad societatem Salesianam speetant,, nisi necessitate cogente, operam navent; haec enim magnam plerumque studiorum iacturam adferre consueverunt.
1. Vita actuosa, ad quam potissimum haec Congregatio spectat, efficit, ut socii nequeant compluribus pietatis exercitationibus simul collecti operam dare. Quae quidem omnia socii suppleant bonis esemplis sibi invicem praelucendo, et perfecte generalia christiani hominis officia adimplendo.
2. Simgulis hebdomadis socii ad poenitentiae sacramentum aceedant, iis conscientiae moderatoribus usi, qui sint ab ordinario adprobati, et mumus illud erga socis eserceant permissu Rectoris. Presbyteri quotidie sacrum facient: clerici vero et sodales adiutores curabunt, ut eiden sacrificio quotidie intersint et saltem singulis diebus festis, et qudque feria quinta Corpus Christi sumant. Coin positus corporis habitus; claxa, religiosa et distincta pronuntiatio verborum, quae in divinis offieiis continentur; modestia sermonis domi forisque, incessus ipse in sociis nostris praefulgere debent, plane ut his rebus potissimum a caeteris, distinguantur.
3. Singulis diëbus unusquisque praeter orationes vocales saltem per dimidium home orationi mentali vacabit, nisi quisquam forte ob sacri officia ministerii. impediatur. Tunc auíem maiori, qua fieri poterit, frequentia eas res per iaculatorias preces supplebit, malorique affectus vehementia Deo offeret illa opera, quae a constitutis pietatis exercitationibus illinc prohibent.
4, Quoque die Deiparae Immaculatae tertia sacri Rosarii pars recitabitur, et piis lectionibus per aliquod temporis spatium vacabitur. g. Cujusque hebdomadae feria VI ieiunium erit ob memoriam Passionis D. N. I. C.
6. Ultimo omnium mensium die, a pro f anis curis remotus, quoad eius fieri poterit, se qúisquc spiritu in se recipiet, et exercitio vacabit, [984] vacabit, quod ad bene moriendum fieri solet, spiritualia et temporalia componens, tamquam mundus illi esset relinquendus, et aeternitatis via adeunda.
7. Unusquisque quotannis per dies ferme decem vel saltem sex secedat ut pietati unice operam det; quibus transactis, criminum annuali confessione se rite abluet. Omnes, antequam in Societatem cooptentur, et priusquam vota emittant, per decem dies in exercitiis spiritualibus impendent, seque generali confessione purgabunt.
8. Quoties Divina Providentia socium, sive laicum, sive clericum, sive presbyterum ad vitam aeternam vocaverit; decem Missae celebrentur a sociis, ut anima mortui suffragiis adiuvetur. Qui presbyteri non sunt, semel saltem ad id Eucharistiam accipiant.
9. Quoties vero alicuius socii pater aut mater moriatur, tunc omnes presbyteri domus illius socii Sacrum facient unius aut alterius animae expiandae; aliique qui sacerdoals non sunt semel ad Sacrum Synaxim accedent.
10. Mortuo Rectori suffragabuntur omnes Congregationis socii, idque; 1° tamquam grati animi pignus ob.curas et labores, quos in [985] quod ad bene moriendum animas solet praeparare, spiritualia et temporalia componens, perinde ac - si ex his terris ei esset migrandum, et', aeternitatis via adeunda.
7. Unusquisque quotannis per dies ferme decem vel saltem sex seéedet, ut ad pietatis officia operam impendat; quibus rite f unctis, se purgabit confessione criminum quae per annum deliquerit. Qmnes, anteqúam in"societatem cooptentur, et priusquam vota nuncupent, per decem dies religioni operam dabunt sub magistris pietatis, seque generali admissorum confessione purgabunt.
8. Quoties Divina Providentia socium, sivé laicum, sive clericum, sive Presbyterum ad vitâm aeternam vocaverit, statim cura superioris domus, in qua socius moabtur, decem missae peragantur ad socii defuncti labes abolendas. Caeteri vero, qui sacerdotali dignitate cavent, semel saltem ad epulum Eucaristicum accedant, ut coelestia solatia defuncti animae implorent
9. Quoties vero alîeuius socii parentes moriantur, Sacerdotes domus illius socii decem itidem °celebrabunt ad eorum labes abolendas;. qui vero sacris non sunt initiati semel ad sacram Synaxim accedent.
10. Mortuo Rectore, pro anima illius sacra lacient omnes eongregationis socii, idque 1. Tamquain grati animi pignus ob curas et la [986] regenda Soeietate sustinuit; 2° ut a poenis Purgatorü liberetur, quae illi forsitan ob nostram causam perferendae erunt.
11. Singulis annis die immediata post festum Sancti Francisci Salesii omnes Congregationis presbyteri pro sociis defunctis missam celebrabunt. Caeteri ad Sàtram Synaxim accedant, tertiam B. M. V. Ròsarif partem una cuin aliis precibus persolventes1.
DE NOVITIORUM MAGISTRO EORUMQUE REGIMINE.
I. Socius quicumque tria probationis stadia facturus est, antequam absolute in Societatem recipiatur.
Primum probationis stadium novitiorum praecedere debet, et appellatur aspirantium; secundum est novitiatus proprie dictus; tertium est tempus votorum triennalium.
2. Gereeratim prima probatio sufficiens censetur quando postu- lans aliquot annos in aliqua Societatis domo transegerit, vel publicas Congregationis scholas frequentaverit; ac eo temporis spatio sanctimonia et ingenio refulserit.
3. Si vero aliquis jam grandioris aetatis huic pio Instituto adscribi postulaverit, et ad primam probationem fuerit receptus, statini spiritualibus exercitiis vacet, postea saltem per aliquot menses invariis Congregationis officiis exerceatur; adeo ut cognoscat atque ad praxim traducat illud vivendi genus, quod amplecti desiderat. Fodem tempore novitiorum Magister; caeterique Superiores advertant, an postulans aptus sit ad Salesianam Congregationem.
4. Tempore primae probationis novitiorum Magister caeterique superiores diligenter observàre debent, et goidquid in Domino bonum judícaverint Superiori Capitulo referant atque patefaciant.
5. Quoniam vero nostrae Congregationis finis est juvenes praesertim pauperiores scientiam et réligionem edocere, eosdemque inter saeculi pericola in viam salutis dirigere; ideo omnes hùjus primae probationis tempore non leve experimentum fatturi sunt de studio, [987] bores, quae in regenda societate sustinuit; 2. Ut a poenis Purgatorii liberetur, - quae illi fortasse ob nostram causam perferendae erunt.
11. Singulis annis statim postridie féstum sancti Frarecisci Salesii, omnes Congregationis Presbyteri pro sociis defunctis sacrum facient. Caeteri omnes ad sacram Synaxim accedant, tertiamque B. M. V. Rosarii partem una cum aliis precibus persolvant.
12. Omnibus autem haec duo potissimum, cordi habenda sunt: 1° Attente caveat unusquisque, ne se habitudinibus cuiuscumque generis sint, rerum vel indifferentium, devinciri patiatur; 2° Cuiusque vestis, lectus et cellula munda sint et decentia; et omnes summopere studeant putidam affectationem et ambitionem devitare. Nihil magis sodalem religiosum.exornat, quam vitae sanctimonia, qua caeteris in omnibus praeluceat.
13. Quisquis paratus sit; ubi necessitas id postulet, aestum, frigora, sitim, famem, labores et contemptum tolerare, quoties haec conferre videantur ad maiorem Dei gloriam, ad spiritualem aliorum utilitatem, suique ammae salutem.
DE TVRONUM, SEU NOVITIORUM MAGISTRO, EORUMQUE REGIMINE.
1. Soeius quisque tria probationis stadia facturus est, antequam [...], in societatem recipiatur. Primum probationis stadium tyrocinii tempus seu novitiorum praecedere debet, et appellatur aspirantium; secundum est tyrocinium ipsum, seu Novitiatus poprie dictus; tertium est tempus votorum triennalium.
2. Gereefatim prima probatio sufficiens censebitur, quando postulans aliquot iam annos in aliqua societatis domo transegerit, vel publicas Congregationis scholas frequentaverit; ac eo temporis spatio sanctis moribus et iregenio refulserit.
3. Si quis vero iam grandioris aetatis ad hoc pium sodalitium adscribi voluerit, et ad primam probationem fuerit reteptus, statim piis exercitationibus, secedens, vacet, deinde saltem per aliquot menses in variis Congregationis officiis exerceatur; adeo ut cognoscat atque actu exequatur illam vivendi rationem, quam amplecti cupit. Eodem tempore Novitiorum Magister, caeterique superiores animadvertant an postulans aptus sit ad Salesianam Congregationem.
4. Tempore primae probationis novitiorum magister, caeterique superiores diligenter tyronum agendi rationem observare debent ut quidquid in Domino ex' re iudicaverint superiori Capitulo referànt atque patefaciant.
g. Qooniam vero Nostrae Congregationis finis est praecipuus iuvenes praesertim pauperiores scientiam et religionem edocere, eosdemque inter saeculi pericola in viam salutis dirigere; idéo omnes primae huius probationis tempore non leve experimentum fatturi sunt de [988] de scholis diurnis et vespertini s, de catechesi pueris facienda, atque de assistentia in difficilioribus casibus praestanda.
6. Prima probatione feliciter peracta, atque socio in Congregationem recepto, statim novitiorum Magister animum intendat, nihilque de eó omittat quod ad Constitutionum observantiam conferre possit.
7. Rector Major de consensu caeterorum Superiorum perquiret quibus in doraibus nôvitiatus sint instituendi. Illos autem erigere nunquam poterit absque licentia S. Congregationis Episcoporum et Regularium
8. Locus uniuscuiusque novitiatus segregatus sit ab ea domi parte in qua degunt professi, habeatque tot cellulas ad dórmiendum separatas quot erunt numero novitii, vel dormitorium ita capax ut prosingulis lectuli commode sterni possint, in quo. cellula vel locus determinatus xeperiatur pro Magistto.
9: Novitiorum Magister eligatur in Capitulo Generali, qui jam vota perpetua emiserit, quique aetatem annorum triginta quinque expleverit, et per dee cm annos in Societatem permanserit. Si vitam obierit perdurante munere, Rector Major de consensu Capituli Superioris alium sufficiet usque ad futuri Capituli Generalis celebrationem.
10. Novitiorum Magister maximo studio adeo se amabilem, mansuetum, corde bonitatis pleno exhibeat, ut socii animum ei aperiant in omnibus, quae ad perfectionis incrementum prodesse possint: dirigat, instruat eos in Constitutionibus generatim et specialiter in iis quae ad votum castitatis, paupertatis et obedientiae spectant. Similiter cos tatione undequaque exemplari quidquid ad nostri Instituti pietatis exercitia pertinet, complere atqùe perficere satagat. Singulis praeterea hebdomadis collationem de catechesi et de iis quae ad Institutum referuntur teneat. Saltem semel in mense singulos novitios peramanter advocet ad aperiendum aninium suum ut monita salutaria recipiant.
11. In receptione novitiorum omnia fideliter serventur quae statuuntur ab art. r et 5 praecedentis cap. XI.
12. Secundae probationis tempore, sive novitiatus anno, nullis operibus omnino novitii vacent quae propria sunt nostri Instituti, ut uniçe intendant in virtutum profectum, ac animi perfectionem pro vocatione qua sunt 'vocati a Deo. Poterunt tamen festis diebus in propria domo de catechesi pueros instruere, sub magistei dependentia ac vigilantia.
13. Elapso novitiatus anno, si socius in omnibus majorem Dei [989] studio, de rebus ad scholas diurnas et vespertinas pertinentibus, de catechesi pueros facienda, atque de auxilio in di difficilioriubus cilioribus casibus praestando.
6. Prima probatione feliciter peracta, atque Socio in Congregationern recepto, statim novitiorum magister animum intendat, nihilque eorum praetermittat, quae ad Constitutionum observantiam conferre possint.
7. Rector Maior de consensu caeterorum Superiorum perquiret quibus in doraibus tyrocinia, seu Novitiatus sint instituenda; quae tamen erigere nunquam poterit absque permissu s. Congregationis Episcoporum et Regularium.
8. Locus uniuscuiusque Novitiatus ab ea domi parte disterminetur, in qua degunt professi, habeatque tbt eellulas cubicularias seiunctas, quot erunt Novitii; vel dormitorium ita capax, ut pro singulis lectuli commode sterni possint, atque cellula vel locus idoneus reperiatur pro Magistro.
9. Novitiorum magister eligatur in Capitulo Generali, ex iis qui iam vota perpetua nuncupaverint, [...] aetatem annorum triginta quinque expleverint, et iara decem annos in Societate permanserint. Sei annos ipse in officio suo manebit; si autem vitam obierit nondum muneris sui tempore expleto, Rector Maior de consensu Capituli superioris alium ci sufficiet, usqùe ad futuri Capituli Generalis celebrationem.
10. Novitiorum Magister maximo studio adeo se facilem, mitem, corde bonitatis pleno exhibeat, ut tyrones animum ei aperiant in omnibus, quae ad perfectionis incrementum prodesse possint: dirigat, in struat eos in Constitutionibus generatim adimplendis, et specialiter in iis quae ad votum Castitatis, paupertatis et obedientiae referuntur. Idem eis exempli instar sit, ut quidquid ad nostri Instituti pietatis exercitationes pertinet, compleant atque perficiant. Singulis` praeterea hebdomadis collationem de catechesi et de iis, quae ad Institutum referuntur, teneat. Saltem semel in mense singulos novitios peramanter ad se vocatos hortetur, ut tuto sibi fidere velint, quo monita eius salubria utilius recipiant.
11. In receptione Novitiorum omnia adamussim serventur quae sunt constituta ab art. i et 5 praecedentis cap. XI.
12. Secundae probationis tempore, id est Novitiatus anno, nullis rebus omnino novitii vacent, quae propriae sunt nostri Instituti, ut unice intendant in virtutum prbfectum, ac animi perfectionem ad vocationem qua sunt vocati a Deo. Poterunt tamen festis diebus in propria domo de catechesi pueros instruere sub magistei arbitrio et vigilantia[172].
13. Elapso novitiatus anno, si socius in omnibus maioreni Dei. [990] gloriam bonumque Congregationis -se coraturum ostenderit, atque inter pietatis exercitia bonorum operum exemplum seipsum praebuerit, annus secundae probationis expletus erit censendus; aliter in aliquot menses vel etiam in annom differatur.
14. Novitiatu expleto atque socio in Congregatfone recepto, habito Magistri novitiorum judicio, Majus Capitulum ad vota triennalia emittenda socium admittere potest. Praxis triennalium votorum ter. tiam probationem constituit. -
15. Hoc temporis spatio socius mitti potest in goamcumque Congregationis domum, dummodo inibi studia vigeant. Tune temporis Director illius domus de novo socio curam geret veluti novitiatus Magister.
16. Toto hujusmodi experimentorum tempore novitiorum Magister vel respective Director domus sensuum externorum mortificationem, praecipue sobrietatem, instanter commendare atque dulciter inserere curabit. Qua tamen in re summa prudentia incedendum est, ne corporfs vires nimium debilitentur et ad nostri Instituti ministeria minus apti socii reddantur.
17. Tribus his probationibus laudabiliter expletis, si socfus perpetuo in Congregatione permansurum in animo reapse habuerit, compos fieri atque a Superiore Capitulo ad vota 'perpetua admitti ' poterit.
1. Vestfmentum, quo utuntur socii, varium erit, prout variae erunt regiones, in goibus illi commorantur.
2. Sacerdotes longam vestem induent, nisi iter, vel alia justa ratio aliter' poscat.
3. Socfi adiutores nigro vestimento, quantum fieri poterit, induentur. At saecularium novitates evitare unusquisque contendat.
Antequam socius vota proferat, exercitiis spiritualibus per decem dies vacabit, quae hue praesertim spectabunt, ut goisque, quo Deus illum vocet, attente consideret, simulque materiam votorum edoceatur, quae proferre velit, ubi certe cognoscat hanc esse Dei voluntatem. Peractis spiritualibus exercitiis, Capitulum habebitur, ac, si fieri potest, omnes illius domus socii convocabuntur. Rector, vel qui vices gerit ex efus delegatione, superpelliceo et stola indutus una cum sociis omnibus genua submittet. mittet. Deinde omnes simul Spiritus Sancti lumina invocabunt alterna voce recitantes -hymnum Veni, Creator. Spiritus, etc.
R. Et renovabis, etc. [991] gloriam, bonumque Congregationis se curaturum ostendat, atque inter pietatis exercitationes bonorum operum exemplar seipsum praebùerit, annum secundae probationis ille explevisse censebitur; alioquin in ali quot menses vel etiam in annum differatur.
14. Novitiatu per f ecto, atque socio in cangregationem recepto, habita Magistri Novitiorum sententia Maius Capitulum ad vota triennalia nuncupanda socium admittere potest. Votorum praxis praxis ad tres annos tertiam probationem constituet.
15. Hoc temporis spatio socius admitti potest in quamcumque Congregationis domum, dummodo inibi studia vigeant. Tune tempo- ris Director illius domus de novo socio curam geret tamquam novitiatus magister.
16. Toto huiusmodi experimentorum tempore novitiorum magister, vel [...] Director domus, sensuum externorum coërcitionem, praesertim vero sobrietatem, etiam atque etiam commendare atque leniter in tyrones insesere curabit. Qua tamen in re somma prudentia incedendum est ne corporis vires nimium debilitentnr, et ad nostri Instituti ministeria obeunda minus apti socii reddantur.
17. Tribus his probationibus laudabiliter exactis, si socius per- petuo in congregatione permanere in animo reapse habuerit, voti compos fieri atque a Superiore Capitulo ad vota perpetua nuncupanda admitti poterit.
1. Vestimentum, quo utuntur socii, variurn erit, pro regionum varietate, in goibus illi commorantur.
2. Sacerdotes talarem vestem induent, nisi iter, vel alia iusta ratio aliter poscat.
3. Socfi adiutores nigro vestimento; quo ad eius fieri possit, induentur. At procul saecularium novitates habendas unusquisque existimabit. PORMUI,A VOTORUM.
Antequam socius vota nuncupet, secedens, pietatis ezercitationibus per decem dies vacabit, quae hue praesertim spectabunt, ut quisque, quó Deus illum vocet, attente consideret, simulque votorum materiam edoceatur, quae nuncupare velit, ubi certo cognoscat hanc esse Dei voluntatem. Peractis exercitationibus, capitulum habebitur, acque si fieri potest, omnes illius domus socii convocabuntur.
Rector, vel qui alius ab eo delegatus vicem Rectoris sustineat, superpelliceo et stola indutus una cum sociis omnibus genua flexa submittet. Deinde omnes simul Spiritus Sancti lumina invocabunt alterna voce recitantes hymnum Veni, Creator Spiritus etc.
Litaniae Beatae Virginis cum versiculis Ora pro nobis etc. et cum Oremus, Concede nos etc.
In honorem S, Francisci Salesii Patey, Ave, Gloria. Ora pro nobis, Beate Franciste.
Deus, qui ad animarum salutem, etc.
Deinde socius, ac si plures sint, singuli, flegis genibus coram Rectore vel domus Direttore ab eo delegando inter duos professos positi, clara et intelligibili voce hanc votorum formulam proferet:
“In Nomine Sanctae et individuae Trinitatis Patris, Filii et Spiritus Sancti. Ego N. N. coram Te, Omnipotens et Sempiterne Deus, +Í licet conspectu Tuo indignus, tamen Summae Tuae Bonitati, et Infivitae Misericordiae confisus, coram Beatissima Virgine Maria sinelabe originali concepta, Sancto Francisco Salesio, omnibusque Sanctis coelorum, facio votum Paupertatis, Castitatis et Obedientiae Deo, et Tibi N. N. Nostrae Societatis Superior, vel Tibi Eiusdem Superioris vices Gerens, ad tres annos (vel in perpetuum) iuxta Constitutiones Societatis S. Francisci Salesii”.
Omnes respondent: Amen. Deinde novus socius nomen suum in libro notabit, ubi hanc schedulam subscribet:
“Ego infrascriptus N. N., legi ac intellexi Societatis Sancti Francisti Salesii Constitutiones, et promitto me secundum votorum formulam nunc prolatam cas constanti animo observaturum.
Augustae Taurinorum vel etc. Anno etc. N. N.....”.
Hisce peractis, recitabitur Te Deum alternis vocibus; quo finito, si Rector ad rem existimabit, brevem ad id moralem exhortationem habebit; quibus omnibus finem afferet psalmus:
Laudate Dominúm omnes gentes, etc.
Praesentes hasce Constitutiones declarat Societas pro animarum quiete non obligare per se sub peccato nec mortali nec veniali; ideoque si quis illas transgrediendo sit reus coram Deo, id non ex ipsis Constitutionibus directe provenire, sed, vel ex praeceptis Dei aut Ecclesiae; vel ex votis, vel denique circumstantiis quae huit violationi adiungerentur, scilicet. scandalo, contemptu, et similibus. [993]
Subsequuntur Litaniae Beatae Virginis cum versiculis Ora pro nobis etc. et cum Oremus: Concede nos etc.
Tum precatio in honorem s. Francisci Sàlesii Pater, Ave, Gloria. Ora pro nobis, beate Franciste. -
Deus, qui ad animarum salutem etc.
Deinde socius, ac si plures sint, singuli, flexis genibus coram Reetore vel domus direttore ipsi delegando medius inter duos professos clara et intelligibili voce hanc votorum formulam proferet:
“In Nomine Sanctae et Individuae Trinitatis Patris, Filii et Spiritus Sancti. - Ego N... N... coram te, Omnipotens et Sempiterne Deus, licet conspectu tuo indignus, summae tamen tuae bonitati, et Infinitae Misericordiae confisus, coram Beatissima Virgine Maria sine labe originali concepta, Sancto Francisco Salesio, omnibusque beatis caelestibus votum facio Paupertatis, Castitatis et obedientiae Deo, et tibi N... N... Nostrae Societatis Superior (vel tibi, eiusdem Superioris vices gerenti), ad tres annos (vel in perpetuum), iuxta constitutiones societatis Sancti Francisci Salesii”.
Omnes respondent: Amen.. Deinde novus socius nomen suum in libro notabit, hanc schedulam complendo, quae sic se habet:
“Ego infrascriptus N... N..., legi ac plane intellexi societatis Sancti Francisci Salesii constitutiones, ac proinde promitto me secundum votorum formulam in praesens mihi prolatam cas constanti animo observaturum”.
Augustae Taurinorum vel, etc. anno etc. N... N...
Hisce peractis, recitabitur Te Deum alternis vocibus; postea vero, si Rector ad rem existimabit, brevem ad id moralem exhortationem habebit, quibus omnibus finem afferet psalmus: Laudate Dominum omnes gentes etc.
Praesentes hasce Constitutiones declarat societas 'pro animarmi quiete non obligare per se sub peccato nec mortali nec veniali, ideoque si quis illas perfringendo sit reus coram Deo, id non iam ex ipsis Constitutionibus directo provenire, sed vel ex praeceptis Dei aut Ecclesiae, vel ex votis nuncupatis, vel denique -ex rerum adiunctis quae Constitutionum violationem comitantur, cuiusmodi sunt malum exemplum, contemptus rerum sacrarum, aliaque id genus. [994]
PREZIOSE POSTILLE DEL SANTO FONDATORE
1° Sanctificatio sui ipsius, salus animarum per exercitium caritatis, en finis nostrae Societatis.
Qua in re summopere cavendum est ne unquam in officiis erga alios fungendis praeponantur nisi illi, qui virtutibus vel scientia calleant, quas alios docere satagunt. Melior est magistri deficientia, quam ineptitudo.
2° Itaque si faciunt aliter quam alios doceant, illis dicitur: Medice, cura te ipsum.
3° Caritas benigna est, patiens est, omnia suffert, omnia aperat, omnia sustinet.
4° Egenos vagosque indue in domum tuam, et carnem tuam ne despexeris.
Hospes eram, et collegistis me, nudus eram et cooperuistis me.
5°+ In exercitiis spiritualibus, in missionibus, in hospitiis, in convictibus atque collegiis, animum ad . illos advertamus, qui morum probitate commendantur, et si in Domino bonum judicatum fuerit, invitentur, atque ad studiorum curriculum faciendum deligantur.
6° In sacro ministerio excolendo summopere cavendum est: 1) Ne illa suscipiantur quae a proprio officio remotionem exigunt. 2) Si aliquando, cogente necessitate, a domo, vel ab officio recedendam sit, seduto eligatur atque praefigatur qui absentis vires gerat. 7° Hac in re caute incedendum: 1) Res civiles neque in libris, neque in concionibus pertractentur; 2) cum sermo- est de male agentibus, de haereticis, et de eorum erroribus, neglectus personarum devitetur; imo caritas Christi omnes et omnia urgeat.
1° Itaque quaerere quae sunt Jesu Christi et quae sua sunt postponere Salesianae Societatis officium est.
5° Duplici itaque modo votorum dispensatio fieri contingit; vel per S. Pontificia volontatem, vel per Superioris Generalis dimissiones a Societate. [995]
RELIGIOSUM SOCIETATIS REGIMEN.
2° Haec autem narratio extenditur tantum ad bona, communia. Haec expositio ad S. Sedem extenditur tantum ad bona quae in communi Societas possideret, non autem ad possessiones sociorum. Ideo, stricte loquendo, donec Societas in ens morale constituta per Iegem civilem possidere queat, ab hujusmodi obligatione nullo modo devincitur.
2° Subintellige semper de possessionibus quae Societatis bona constituant, vel hujusmodi considerantur. Itaque possessiones personales excipiuntur, non illae quae in Societatem conferuntur et tamquam bona communia habentur.
3° Haec sunt sancita pro casibus, quibus nostra Societas bona communia haberet. Hinc unuscquisque Superioris permissu poterit mutuari et accipere, aere alieno se gravare abque S. Sedia consultatione.
1° Omnes Capituli Superioris socii qui in munere erant constituti tempore absolutae appr. 3 apr, 1874, in officio permaneant, licet 35 aetatis annos nondum expleverint. Pius IX vivere votis oracolo 8 aprilis 1874.
5° Ut Rectoris M. electio valida sit requiritur pluralitas votorum absoluta; hoc est ultra dimidia suffragiorum pars. In electione autem muneri capitolari sufficit pluralitas relativa, hoc. est ut candidatus vota numerum excedant uniuscuiusque concurrentium.
13° [a metà articolo, dopo le parole « sed in causis iudicialibus non poterit absque sanciae Sedia consenso »]. Hoc semper intelligendam est de bonis Societatis, non vero de bonis quae personaliter ad socios spectant.
15° Unum ex praecipuis officiis quibus primus consiliarius animam vertere debet, est scriptis typographiae mandandis consulere. Nemo enim sociorum. quaeque scripta in publicum tradere potest abaque alterutrius consiliarii consilio et revisione.
16° [a metà articolo] Superior Generalis reeligi nequit absque Sanctae Sedia consenso; qui consensus nullomodo requiritur ad coeteros capitali superioris eligendos.
17° Qui in aliis Inatitutis procuratores aut provinciales, aut . commissarii nuncupantur, apud nos visitatores appellantur. [906]
4° Cura Seminariorum alicui Instituto absque apostolica facultate non est committenda (Collectanea, pag. 845).
6° In huiusmodi visitatione inter alia adnotentur: 1) Si vigeat Societas SS. Sacramenti, Immaculatae M. V., S. Aloysii; S. Joseph ibi opifices hospitantur. 2) Si ita dictus Parvus Clerus colatur, an negligatur. 3) Si aere alieno illa domus gravata sit, et quomodo se se gerit in expensis faciendis, in libris memorialibus tenendis, sive quoad alumnos, sive quoad pecuniam. 4) Si Director singulis mensibus ad mensilem rationem advocet. 5) Si forte inutiles egpensae locum habeant in itineribus, in aedibus ornandìs, in mensa etc.
5° Morales collationes intellige de ils qui theo'.ogicum studium adhuc percurrunt. Conciones vero de presbrteris etc.
2° [nel primo periodo] Requiritur ut confessarius approbatus sit ab Ordinario pro eius dioecési et a Superiore Salesiano permissum consequatur ad sociorum confessiones excipiendas. Etenim comprobatur magnum de vocatione detrimentum accipere qui modo huc modo illuc vagantes ad confessarium accedunt.
RISPOSTA DEL VESCOVO DI ALBENGA
Convengo pienamente nei sentimenti di V. E. Rev.ma circa la commendatizia da rilasciarsi a favore della Congregazione dell'ottimo e venerando Don Bosco, e vi convengo edotto dall'esperienza, [997] perchè qualche candidato della Messa a me raccomandato nel 1871 e ‘72 per la S. Ordinazione, e che io dispensai dall'esame in ossequio al suo Capo, tanto da me stimato, mi risultò dappoi molto ignorante in Teologia e persino nell'intelligenza della lingua latina. Ciò le segno in tutta confidenza.
Persuaso impertanto dell'importanza specialmente dell'esame degli ordinandi di tale Congregazione, ben volentieri seguirò nella Commendazione, che mi verrà richiesta certamente, le di Lei pedate, e se vorrà ella aver la bontà di comunicarmi copia della Sua già rilasciata, io mi ci atterrò strettamente et praecisis verbis. Vado superbo d'aver in Alassio una casa diretta dal prelodato Sig. Don Bosco, che fiorisce assai per la buona e religiosa educazione dei giovani allievi, e dei fanciulli di quella Città, ma sarebbe desiderabile che i sacerdoti deputati all'insegnamento proseguissero lo studio almeno della Teologia Morale.
L'E. V. Rev.ma potrà con destrezza all'uopo ciò far sentire al medesimo Don Bosco.
Sono stato nel decorso dicembre molestato per le scuole del mio seminario come il Vescovo di Vigevano e così lo fu Mons. Arcivescovo di Genova, ma grazie a Dio la tempesta è passata, avendo fatto dimostrare dal Rettore al Sig. Prefetto, che le scuole qui sono antichissime che il nuovo Vescovo... nihil innovavit. Ho perduto il Canonicato, che possedevo da trent'anni in questa Cattedrale, e che per forza fu ridotto alla mano Regia, e così avvenne ai Rev.mi Arcivescovi di Genova e Vercelli, i quali intendono far liti nanti i Tribunali per sostenere il loro rispettivo diritto di pacifico possesso; io invece, stanco delle ingratitudini grandi, che già soffriamo pella mancanza del R. Exequatur, ho stimato opportuno di farne la mia rinunzia al S. Padre e chiederne la provvista. Ora ricevei l'avviso della sottrazione della franchigia postale con tutte le autorità civili, come Vescovo senza R. Placito, e stimai prudente nulla rispondere e fare come meglio potrò.
Siccome a Lei occorrerà lo stesso divieto, qualora credesse opportuno fare qualche ricorso ragionato, io vedrò d'imitarlo.
Queste traversie in sè non sono ancora tanto gravi, ma temo forte, che maggiori incagli e disturbi ci vengano ancora avverati in seguito, avendo inteso da un Deputato che al Parlamento nel 1872 v’era un partito assai forte della sinistra, che voleva l'inibizione assoluta a tutti i nuovi Vescovi di esercitare il proprio Ministero, se prima non hanno ottenuto il R. Exequatur alle rispettive loro Bolle Pontificie. Iddio così permette, e la Sua SS. volontà sia sempre fatta in omnibus et per omnia.
Allorchè studiavamo teologia alla Regia Università di Torino, Mons. mio veneratissimo, vivevamo ben più tranquilli e lieti; oh dolce memoria di que' tempi!!! [998] Aggradisca ella i sensi della mia più alta stima e profonda venerazione, con cui ho l'ambito onore di raffermarmi,
Umil.mo Dev.mo Servitore ed affez.
PS. Ho letto con viva compiacenza la Sua bella lettera sull'Educazione del Clero e Seminari; ne la ringrazio. Fra breve le spedirò la mia per l'apertura della S. Visita. [2.
MEMORIALE DEL SAC. G. B. ANFOSSI.
“Già sette chierici usciti dalla scuola del sig. Don Bosco furono ammessi a maestri od assistenti nella casa dei Sordomuti di questa città; e di nessuno di questi fu contenta l'amministrazione presieduta da un Personaggio secolare distinto per la pietà, l'attacco alla religione, la riverenza del Clero; e si lamentò in questi chierici la mancanza di umiltà e di sottomissione”.
Qui si vede che Monsignor Arcivescovo nell'intento di dimostrare che Don Bosco non è capace di educare i Chierici, asserisce, dietro relazione di persona degna di fede, che ben sette chierici usciti dall’Oratorio di S. Francesco di Sales diedero nel R. Istituto de' sordomuti di Torino prova di superbia e di insubordinazione.
Si risponde 1° che questo fatto, supposto vero, non prova l'assunto di Monsignore, perchè questi chierici sarebbero pur sempre sette solamente; laddove Don Bosco diede già alla Chiesa non meno di un migliaio di chierici. E un fatto particolare non prova una sentenza generale. Sentenzierebbe erroneamente colui il quale, perchè alcuni parroci lamentansi di certi Vicecurati, stati educati nel seminario arcivescovile di Torino, conchiudesse che ai chierici vi s'impartisse una cattiva educazione.
2° Ammesso ancora il fatto, si hanno piuttosto da incolpare que' chierici, che non Don Bosco, perchè questi non avrebbe più avuto sopra di loro alcuna padronanza o influenza.
3° Ma si nega assolutamente, che nel Regio Istituto de' Sordomuti vi siano stati sette chierici usciti dall'Oratorio di Don Bosco; anzi si può affermare che non ve ne ebbe neppur uno.
4° Vi furono bensì quattro sacerdoti, i quali avevano compiuti gli studi ginnasiali, e due anche gli studi filosofici e teologici nell'Oratorio; e sono Don Giambattista Anfossi, Don Turletti, Don Turchi ed il teologo Giuseppe Antonio Tresso. Sarebbero pertanto questi quattro sacerdoti, e non i sognati sette chierici, che diedero prova di superbia e di insubordinazione. Vi ha qualche fatto? No. Monsignore asserisce ciò, poggiandosi sulla testimonianza di persona degna di fede. [999]
5° Il sacerdote Giambattista Anfossi presenta documenti i quali attestano come egli nei nove anni che passò in quell'istituto, si regolò in guisa da meritarsi encomii speciali dalla Direzione.
Il Sacerdote Don Giovanni Turchi si fermò poco coi Sordomuti, ma n'uscì dopo un anno, perchè tale occupazione non secondava l’indole sua, e perchè non vedeva tanto presto effettuarsi la promessa avuta dall'amministrazione d'esserne nominato Rettore.
Il sacerdote Don Turletti dovette dopo pochi mesi abbandonare i sordomuti, costrettovi da un malore che a quando a quando colpivalo di notte principalmente, cagionato forse dalla vita troppo sedentaria.
Il Teologo Giuseppe Antonio Tresso uscì dall'istituto, quando l’amministrazione aveva preso la deliberazione di tener stipendiato fuori dell'istituto tutto il personale, eccetto il Rettore, gli assistenti e le persone di servizio.
6° In questo frangente vi succedette un fatto, il quale forse diede origine all'affermazione suindicata, che cioè i pretesi sette chierici avessero dato prova di superbia e di insubordinazione. Ed eccolo: Il Teologo Tresso fu avvertito di prepararsi alloggio e pensione fuori dell’istituto, essendo l'anno scolastico a metà. Lo stipendio che gli si accordava (Lire 1000 annue) non sarebbegli stato sufficiente per vivere. Epperò egli prese la determinazione di abbandonare affatto l’istituto; tuttavia chiedeva all'amministrazione riparazione del danno che soffriva, non potendo tosto trovare come occuparsi altrimenti, ed essendo questa la pragmatica presso tutti i collegi, che si accordi stipendio intiero al docente, quando debba intralasciare l'insegnamento per cagione indipendente dalla volontà sua. Ricusava l'amministrazione; egli perciò ricorse in tribunale: lo consigliò a fare questo passo il Reverendo Canonico Caviassi Pro - cancelliere Curiale, ed ora defunto. L'amministrazione se l'ebbe a male; e può darsi che uno di questi signori che la compongono, tutti borghesi, ne abbia riferito a Monsignor Arcivescovo.
7° Ma l'Arcivescovo, non conoscendo bene i fatti, e cionondimeno osando asserirli a danno di persona tanto benemerita, come è Don Bosco, della Diocesi Torinese, riuscì a condannare se stesso. Ed ecco come: I due sacerdoti Antonio Tresso ed il Turletti, compiuto il corso latinità e di filosofia presso Don Bosco, passarono l'uno nel seminario di Torino, l'altro in quello di Giaveno, ambedue dipendenti da Monsignor Arcivescovo, ed ivi compierono il corso teologico, che è quanto dire, diedero prova di spirito ecclesiastico, epperò furono ammessi alle ordinazioni. Pertanto l'educazione in questi due sacerdoti accepta est referenda al seminario, non all'Oratorio.
8° Ma ora di più. Il teologo Antonio Tresso uscito, come si è esposto, dall’Istituto de’ Sordomuti, attese per due anni alla cura d’anime, come Vicecurato nella Parrocchia della SS. Annunziata; trascorsi i [1000] quali, con meraviglia e sorpresa di tutto il Clero (non perchè manchi di capacità e di attitudine, ma per l'età sua ancor giovanile) fu nominato da Monsignore stesso suo Vicario Arcivescovile e Foraneo a Lanzo, che è tra le più cospicue parrocchie della diocesi. Or bene si potrebbe battere alla coscienza di Monsignor Arcivescovo, e dire: o Monsignore credeva sul serio che il Teologo Tresso, uno dei sette chierici pretesi, era stato educato malamente da Don Bosco, e che mancava dello spirito di umiltà e sottomissione (richiesto principalmente in chi vuolsi porre sopra il candelliere) 0 no. Nel primo caso, con qual coscienza Monsignore nominò il Teologo Tresso Vicario'suo, nella insigne parrocchia di Lanzo? Nel secondo caso come Osò Monsignore affermare un fatto che non esiste, che perciò non conosceva, a danno di una Congregazione religiosa fiorentissima e al cospetto di un tribunale così eccelso?
9° In ultimo sarà conveniente ricordare qui l'impiego che coprono oggidì gli altri tre sacerdoti sopra ricordati, avendo ora detto del, Teologo Tresso. Il sac. Turletti è Vicecurato nella Parrocchia di
S. Simone e Giuda in Torino; il sac. Don Turchi trovasi professore in Roma, in un collegio protetto da S. Santità; il sac. Don Giambattista Anfossi ingegna belle lettere nel collegio di S. Giuseppe in Torino. Tutti questi quattro sacerdoti godono la stima dello stesso Arcivescovo, il quale, non conoscendoli, li colpì di così grave biasimo, col solo intento di infamare chi li avviò a fare il bene che ora fanno.
FACOI,TA DI' TRASFERIRE LA FESTA DI MARIA SS. AUSILIATRICE.
Decretum in favorem Congregationis Salesianae:
R. D. Ioannes Bosco, Institutor Congregationia Salesianae nuncupatae, a Sanctissimo Domino Nostro Pio Papa IX supplicibus votis postulavit ut in Ecclesia, Domui Taurinensi eiusdem Societatis adnexa, Festum Beatae Mariae Virginis Christianorum Auxiliatricis praefatae Ecclesiae Titularis, valeat ad utilitatem Fidelium vel anticipari vel transferri a die pro eodem Festo celebrando statuta, nempe die XXIV Maii. Sanctitas porro Sua, referente subscripto Sacrorum Rituum Congregationis Secretario, de speciali gratia ita precibus benigne annuere digitata est, ut, retento Officio et Missa die XXIV Mali sùb ritu Titularibus competenti, posteriori aliqua die, non tamen _tra mensem Iulii, in qua non occurrat aliquod ipsius ' Deiparae Festum, nec Duplex Primae aut Secundae Classis, Vigilia vel Octava privilegiata, in supradicta Ecclesia Missae omnes celebrari valeant propriae ut in Appendice Missalis Romani die XXIV Maji, haud tamen omissa Parochiali vel Conventuali Missa Officio dici respondente si et quatenus illius celebrandae onus adsit: servatis [1001] Rubricis, ac praesenti Decreto exhibito ante executionem suam in Cancellarla Curiae Ecclesiasticae Taurinensis. Contrariis non obstantibus quibusçumque.
G. Episcopus Ostien et Velitern. Card. PATRIZI
D. BARTOLINI S. R.C. Secretarius.
DELL'ACCADEMIA DI STORIA ECCLESIASTICA SUBALPINA.
HISTORIAE ECCLESIASTICAE SUBALPINAE
Praeside Archiepiscopo Taurinensi.
Academia rite colletta die XXVIII mensis Januarii anni MDCCCLXXIV in munerum Sodalium Fundatorum cooptavit SAC. Bosco JOAN. Fund. et Rect. Congr. Salesianae[173].
Ego Praeses infrascriptus cooptatum adprobavi. In cuius rei fidem hoc diploma remitto.
Augustae Taurinorum, Die 29 Januarii 1 874.
+ LAURENTIUS GASTALDI Archiepiscopus.
MANOSCRITTO DI MONS. VITELLESCHI.
Vedi, combinazione! 5 casi da una parte e 5 dall'altra.
Quesiti di Don Bosco. |
Quesiti dell'Arciv. Taurinense. |
Con lettera 12 8bre 1874 Don |
Con lett. 23 7bre 1874 Mons. |
Bosco dimanda: |
Arciv.o di Torino dopo conosciuto il privilegio dato ad 10.ium al Rettore G.le di dare le Dimissorie promuove i seguenti quesiti: |
1° Se l'Arcivescovo possa proibire che il Superiore di una Con- |
1’ Le Costituzioni della Congr.e fondata da Don Bosco sono [1002] |
|
|
(1°)…gregazione Eccl.ca accetti quei dalla Chierici e Preti che ne fanno domanda (in rapporto sta il presente quesito con l'altro dell'Arcivescovo; N° 4).
(1°’)…definitivamente approvate dalla S. Sede?
2° Se l'Ordinario abbia autorità di dar minuto esame di vocazione ai Socii professi che vivono da più anni in Congregazione (non si intende qui di esame teologico).
2°’ Questa Cong.ne è posta nella classe degli Ordini Religiosi? è quindi soggetta immediatamente alla S. Sede ed esente dalla giurisdizione dei Vescovi?
3°. Se il Superiore di una Congregazione Eccl.ca debba o possa fare la dichiarazione di non ac cettare Chierici nel senso richie sto dall'Arcivescovo.
3°’. E' tolta al Vescovo la facoltà di visitare le chiese e le Case di tale Cong.ne?
4°. Se il Superiore osservando il Conc. di Trento, Sess. V - C. 2 e le dichiarazioni dei VV. e RR. Collectan. 257-313-303-430 abbia autorità di raccogliere in una sua Casa o Collegio in esercizi spirituali, o conferenze morali que maestri, o secolari che volessero intervenirvi.
4°’ E’ lecito al Rettore di accettare, far vestire e professare o anche accettare semplicemente come maestri, assistenti, ecc. i Chierici della Diocesi senza previo beneplacito, ed anche col dissenso del Vescovo?
5° Se in tenpo degli esercizi spirituali de' Religiosi possa l'Ordinario introdursi per sè o per altri a fare indagini sui Predicatori, Confessori, e su chi non è appartenente alla Congr.ne.
5°’ E' lecito al Sud. ricevere nella Cong.nei chierici cui il Vescovo ha fatto deporre l'abito, perchè l'ha giudicati inabili al Sacro Ministero e ciò senza consenso, ed anche col dissenso del Vescovo?
Monsig. Arciv. di Torino dopo promossi quei quesiti, scriveva ai 4 ottobre al S. Padre querelandosi che Don Bosco riceveva nella sua Congtegaz. i Chierici Diocesani a sua insaputa e contro la sua volontà,
e quelli ch'egli aveva giudicati inetti al Ministero Sacerdotale; che glielo aveva avvertito perchè non lo facesse, ma che egli si credeva in diritto di poterlo fare. Tale sistema impediva all'Arciv. di educare' il Clero, perchè facilmente i giovani che non volevano stare sotto la sua disciplina, se n'entravano nell'Istituto Salesiano che... e ne portava alcuni esempi. Ripete che, non fanno neppure bene il Noviziato, e così non si' formano buoni ed istruiti Sacerdoti. Per cui supplica il S. P. a proibire espressamente al Rettore Salesiano di ricevere alcuno dei di lui Chierici, senza il di lui consenso scritto, molto più se fosse un Chierico che per ordine dell'Ordinario avesse dovuto deporre d'abito [1003] Se un Chierico avrà vera vocazione, egli non, lo impedirà, ma vuole egli esaminare . una tale vocazione, e proferire il suo giudizio. Vedasi Collect., pag. 724 che avversa tale dimanda.
NB. Bened. XIV nelle sue Costituz. Ex quo Dilectus lascia libero l'ingresso de' Chierici nei Regolari Istituti.
Poi racconta il fatto dell'invito agli Esercizi fatto da Don Bosco di cui tratta lo stesso Don Bosco nella sua lettera dei 12 8bre. Notisi che furono contramandati, e che un invito di tale natura non mi pare che attenti ai diritti dell'Ordinario. Ciò si discuterà nella condizione dei dubbi 4 e 5 di Don Bosco.
PER LE DIMISSORIE ad quemcumque Episcopum.
Joannes Bosco Sacerdos ad pedes Sanctitatis Tuae provolutus suppliciter exponit Salesianam Congregationem relaxandi litteras dimissorias a Bonitate Tua facultate donatam fuisse juxta Clementis VIII Decretum, in quo haec leguntur: o Superiores Regulares litteras dimissorias ad Episcopum Dioecesanum nempe illius monasterii in cujus familia.regularis ab iis ad quos pertinet positus fuerit » - Die 15 Martii 1595.
Ex his verbis videtur aliquod tempus requiri, ut ordinandus alicujus dioecesis dici possit. Proposito inde dubio: per quantum temporis Regulares commorari debeant; ut dici possint ad hujusmodi familiam spectare, Sacra Congregatio respondit: - Providebitur in casibus particularibus proponendis - Die 8 Augusti 1692.
Rebus sic stantibus circa Episcopum regularis ordinandi, nonnullae di difficultates exortae sunt, quae omnes eliminatae censerentur si Sanctitas Tua indulgere dignetur ut Salesianae Congregationis Superior litteras dimissoriales suis subditis concedere valeret ad quemcumque Episcopum, in cujus Dioecesi aliqua Salesiana domus extet.
Hoc enim singulare beneficium praecipue quatuor ob rationes postulatur.
I° Ut dubium tollatur circa moram in dioecesi Episcopi ordinan20 Ut sociis nostris facilior via aperiatur ad ordines suscipiendos eo quod plures domus in diversis dioecesibus habeantur.
3° Eo magis nunc temporis cum agatur de domibus atque missionibus quae in dissitis atque externis regionibus sunt aperiendae.
4° Ut tandem tollantur nonnulla diffièultates propter quas Ordinarius [1004] quidam tribus ab hinc annis Salesianos ad Ordines admittere recusai.
Supplex Apostolicam Benedictionem petit super omnes Salesianos, dum nomine omnium humiliter me subscribo,
Taurini, die 18 novembris 1874,
PER LE TESTIMONIALI DEI PARROCI ANZICHE' DEGLI ORDINARI.
Ioannes Bosco Sacerdos, ad Sanctitatis tuae pedes provolutus,. filiali supplicatione exponit pro Salesiana Societate, quam absoluta approbatione, magno bonitatis tuae argumento, ditare dignatus es die 3 aprilis hoc currente anno 1874:
Ut sodales ad novitiatum récipi possint, praescribuntur litterne testimoniales Ordinarii originis, vel domiciliai, in cuius dioecesi post decimum quintum aetatis annum tyro per annum commoratus fuerit.
Haec acceptionis perutilis et quoquo versum laudabilis conditio aliquas non leves difcultates apud nos ingerit:
I° E iusmodi praxis in nostris regionibus ignoratur, ideo ab Ordinariis aliud quam id, quod petitur, declaratur..
2° Alii vero, cum postulantis vivendi rationem penitus ignorent, litteras testimoniales relaxare recusant.
3° Nonnulla tandem, moti penuria clericorum, testimoniales latteras recusant, permissum religaonem ingredi denegant, atque enixis verbis alumnos in saeculo retinere satagunt.
4° Additur alia potior ratio pro Salesiana Societate. Etenim qui ipsam ingredi petunt, fere omnes ante praedictam aetatem et jam a pluribus annis in nostris collegis aut convictibus commorantur; ita ut eorum vivendi ratio ab episcopis omnino ignoratur.
Hisce pensatis et humillime expositis, petitur a Summa Bonitate Tua ut istae litterae testimoniales non ab Ordinario, sed a proprio Parocho relaxari possint, a quo certe parochianorum vita et mores vel cognoscuntur, vel cognosci facillime possunt.
Hoc enim jam a Sanctitate Tua latius concessum est Passionistis, qui propterea absque testimonialibus Ordinariorum sodales ad novitiatum admittere possuni, vivo vocis oraculo sub die 6 Martai 1848.
Luigia Cataldi nata Parodi, essendo stata sgraziatamente colpita da cecità in ambi gli occhi, venne ridotta a passare i suoi giorni in una sua villa campestre nel paese di Sestri Ponente, diocesi di Genova. Per suo grande conforto aveva ottenuto da V. B. la grazia di conservare il SS. Sacramento in una sua chiesa pubblica, dove si celebra ogni giorno la S. Messa da un Sacerdote che dimora in alcune camere annesse alla stessa chiesa.
Ma essendo spirato il tempo fissato a godere di quel favore si prostra umilmente ai piedi di V. B. supplicandola a volere alla medesima rinnovare il concesso favore a maggior gloria di Dio e a sollievo dei molti mali, con cui Dio pietoso giudicò di visitarla.
Per ciò che riguarda alla convenienza e decoro della chiesa si rimette intieramente a quanto sarà per ordinare o semplicemente consigliare l'Arcivescovo diocesano.
Invocando l'Apostolica benedizione, si prostra sperando la grazia.
Il Cav. Giuseppe Fissore, dottore e professore di medicina e chirurgia nell'Università di Torino è un piissimo cristiano che impiega l’arte e le sue vistose sostanze in prò della cattolica religione. La sua famiglia ed egli in modo particolare coll'opera loro e colla limosina hanno in molte occasioni beneficato l'Oratorio di S. Francesco di Sales.
Ha tre fratelli che lavorano con zelo nel sacro ministero; uno di essi è l'Arcivescovo di Vercelli.
Sarebbe a tutti della massima consolazione se la Santità Vostra si degnasse di graziarlo del titolo di Commendatore di S. Gregorio Magno o di qualunque altro titolo che a V. S. fosse beneviso.
Chiede la grazia e si prostra,
Alessandro Sigismondi, Maggiordomo della Casa di Torre de' Specchi e del Card, De Silvestris, espone rispettosamente a V. S., avere da molti anni sua moglie Matilde di sanità cagionevole a segno [1006] che spesso non può, se non con grave incomodo, recarsi in chiesa, e talvolta con grande sua afflizione trovarsi nella impossibilità di soddisfare a' suoi religiosi doveri.
Supplica pertanto V. S. di volerlo graziare dell'Oratorio privato in favore di lui, di sua moglie e della sua domestica, con facoltà anche di fare quivi la Santa Comunione.
La camera e l'altare saranno preparati con quel decoro che l'autorità ecclesiastica richiede. Che della grazia...
Suor Maria del SS. Sacramento, Superiora del Monastero dell'adorazione perpetua in Torino, espone umilmente a V. B. come fra i molti disastri materiali e morali cui andò esposta questa religiosa famiglia, àvvi pur quello di non poter più fare nè vestizioni, nè professioni nella chiesa di cui si sono finora serviti.
Nella grave miseria in cui versano, supplicano V. B. a concedere loro almeno il conforto spirituale e accordare loro il favore dell'Oratorio privato colla facoltà di conservare il SS. Sacramento e fare la S. Comunione tanto per quelle che sono in sanità quanto per quelle che fossero ammalate.
Si osserverebbe tutto quello che è prescritto per la convenienza e decoro del luogo e dell'altare e sarebbe tosto cerziorato il Superiore Ecclesiastico del favore ottenuto.
Colle sue religiose prostrata ai piedi di V. B. implora l'apostolica benedizione e spera la grazia.
Chi ben studia la vita di Don Bosco per conoscerne a fondo le virtù caratteristiche, in questa parte del volume X delle Memorie Biografiche, intitolata “Maestro e Padre” troverà quanto può giovargli a comprenderne meglio la saggezza singolare e la bontà paterna.
Qui, infatti, oltre vari episodi espressivi e molte care esortazioni che ognora gli uscivan dal cuore, con tutti, per tutti e in ogni circostanza, specialmente nelle visite alle Case, verremo pubblicando una lunga serie di documenti, che non solo illustrano, come nei volumi precedenti, lo zelo suo amoroso e indefesso nell'educare alla pietà ed alla virtù i giovinetti, con le “Buone notti”, le “Strenne” e i “Ricordi per le vacanze”, ma ci additano nettamente anche [1008] l'intenso e saggio lavoro, da lui compiuto dal 1871 al 1874, per incoraggiare i suoi figli spirituali a percorrere esattamente la via della vita religiosa.
Anche in questo ritenne conveniente di andar adagio e fare un passo alla volta, perchè, come dice il proverbio, il troppo stroppia, e l'ottimo, o il meglio, com'egli soleva ripetere, è nemico del bene. „Se Don Bosco, fu udito tante volte affermare il Card. Cagliero, ci avesse detto subito nettamente che ci voleva far religiosi, forse nessuno di noi si sarebbe fermato nell'Oratorio per farsi salesiano!”; ed anche negli anni, in cui tanto lavorò per raggiungere l'approvazione definitiva delle Costituzioni Salesiane, procedette sempre con la massima discrezione.
Qui, adunque, esporremo anche i Ricordi confidenziali che nel 1871 inviava e, in seguito, tornava due o tre volte ad inviare ai Direttori, affinchè in tutte le Case si vivesse quella cara e santa vita di famiglia che si viveva nell'Oratorio; - quindi gli importanti resoconti delle Conferenze Generali, che si tenevano una e più volte all'anno; - poi copiose ed interessanti memorie del santo apostolato, che compiva a Lanzo, durante gli Esercizi spirituali, dove predicava, confessava e dava particolari udienze a tutti i confratelli; - e in fine sette, semplici, e splendide Lettere Circolari, nelle quali tracciò il programma di vita ai Salesiani.
Siamo ad un tratto assai interessante della vita del Santo Fondatore, che tornerà caro e vantaggioso a quanti devono vivere del suo spirito, e specialmente a quelli che hanno da insegnare agli altri a seguire le sue orme.
In ogni istante, in ogni luogo, in ogni circostanza, la bontà di Don Bosco era singolare.
Verso il 1871 prendeva a frequentare l'Oratorio festivo di Valdocco un giovane operaio, Francesco Alemanno, nativo di Villa Miroglio nel Monferrato, che insieme con la famiglia s'era trasferito a Torino. Il padre era sagrestano della chiesa dell'Immacolata in Borgo San Donato, ed egli [1009] si recava a servir Messa ogni mattina all'Istituto del Buon Pastore. Invitato a recarsi all'Oratorio, il primo giorno che vi andò conobbe Don Bosco. Era il giorno dei premi, e il Santo ne fece la distribuzione. Dopo le funzioni, vi fu anche una piccola lotteria, ed Alemanno vinceva una cravattina, che si mise subito al collo, mentre Don Bosco gli domandava:
- Vieni da molto all'Oratorio?
- Conosco il prete che vien tutte le mattine a dir Messa al Buon Pastore.
Il piccolo titubò alquanto, poi alzò timidamente gli occhi, e disse: - Don Bosco è lei!
- Tu conoscerai bene Don Bosco, se ti lascierai far del bene all'anima!
- Ed è appunto quello che cerco, un amico che si prenda cura di me.
- Ecco, conchiuse Don Bosco, stasera hai guadagnato una cravatta, ed io con questa ti legherò all'Oratorio in modo che non ti allontanerai più!
Il giovane Alemanno, infatti, continuò a frequentar assiduamente l'Oratorio, si ascrisse alla Pia Società, fece subito i voti perpetui, e moriva il 5 settembre 1885; e Don Francesia nel 1893 ne pubblicava la biografia in un fascicolo delle Letture Cattoliche, illustrando particolarmente la sua giovinezza.
Nel 1871 veniva accolto come studente Paolo Perrona, di Valperga Canavese, che aveva 11 anni. Timidetto anzi che no, e non conoscendo nessuno, se ne stava sempre solitario, cercando, nell'osservare la ricreazione degli altri, un sollievo a se stesso. Una mattina dopo la Santa Messa, durante la colazione, mentre se ne stava tutto solo, appoggiato [1010] come soleva ad un pilastro dei portici, vede uscir dalla chiesa un prete, che è subito attorniato da molti giovani che corrono a lui da ogni parte, ed egli li saluta sorridendo e li interroga di mille cose; ha una parola per tutti.
- Chi sarà costui? dice Perrona tra sè.
E l'avvicina e l'ode spiegare ad un altro nuovo arrivato l'a + b - c...[174].
“- Se vuoi essere amico di Don Bosco, guarda di essere a, più b, meno c; e sai tu che cosa significa?... Te lo dirò io, seguitava Don Bosco, siate tutti a, cioè allegri, più b, cioè più buoni, meno c, cioè meno cattivi. Ecco la ricetta per esser amici di Don Bosco. - Il piccolo Perrona disse tra sè: - Che sia egli Don Bosco? - Ma non ebbe tempo di dire di più, perchè Don Bosco si rivolse a lui con affetto: - Chi sei, mio caro? Come ti chiami? Quando è che sei venuto? - Io, gli rispose subito, mi chiamo Paolo Perrona di Valperga, venuto qui da due o tre giorni.
- Vuoi essere anche tu l'amico di D. Bosco?
- Già che lo vorrei; ma non so ancora chi sia Don Bosco.
A questa sua ingenua risposta, tutti i compagni risero, e gli andavano ripetendo sotto voce, e punzecchiandolo, che Don Bosco era quel prete medesimo che gli parlava.
Allora si scoperse il capo, ed aprendoglisi il cuore alla confidenza, si direbbe quasi alla gioia, disse che desiderava assai di diventar amico di Don Bosco, e che, venendo dal paese, non aveva avuto altro di mira; che anzi il suo parroco glielo aveva raccomandato con l'incarico di riverirlo da parte sua.
- Bene, gli soggiunse Don Bosco, son contento di ciò che mi dici. Adesso sai chi è D. Bosco?
- Sai che cosa desidera da' suoi figli?
- Che siamo tutti a, più b, meno c...
- Bravo! - conchiuse Don Bosco, - se farai così, faremo una bella amicizia fra noi due. [1011]”
Gli avrebbe forse ancor detto altre cose, ma venne in quel momento una persona per parlargli, e Don Bosco, soggiungendo queste parole: “Domanda a costoro come hai da fare per parlare a Don Bosco „si mise con quel signore; prese la scala in faccia ai portici e la saliva su lentamente. Egli l'accompagnò ancora con l'occhio sorridente, con l'anima già consolata, quasi come un raggio di sole dopo una lunghissima pioggia.
Ma andato via Don Bosco, egli scorse vicino a sè un giovanetto, che gli tenne compagnia e lo interrogò chi fosse, da quanto tempo si trovasse all'Oratorio, e di altre simili cose”; ed egli “facendosi coraggio, gli domandò se sapeva condurlo a trovar Don Bosco”. Il compagno „lo guardò sorridendo, e poi, prendendolo per mano, gli disse: - Se vuoi venire, io ti conduco subito. - Lo condusse in sacristia, e, segnandogli un bel seggiolone, sotto un grosso crocifisso, con due lunghi inginocchiatoi ai fianchi, gli disse che colà soleva Don Bosco confessare, e che appunto per tal fine lo avrebbe aspettato.
Ne lo ringraziò con animo riconoscente, e da quell'ora volle prepararsi a parlare a Don Bosco, com'erano stati intesi. Di fatto venuta la mattina, che egli cominciò a chiamare la prima fortuna della sua vita all'Oratorio, egli si avvicinò a Don Bosco e per la prima volta egli si confessò con lui, che doveva essere il suo benefattore, il suo padre, il suo amico, il suo tutto, per guidarlo a Dio”.
Francesco Picollo, di Pecetto Torinese, entrava nell'Oratorio ai primi di agosto 1872, mentre Don Bosco era assente, e nel frattempo faceva amicizia col confratello Don Pietro Racca, il quale, al ritorno del Santo, si avvicinò a lui col nuovo arrivato, per presentarglielo. Franceschino, quasi vergognoso di farsi vedere, stava nascosto dietro le spalle di Don Racca, e Don Bosco sorridendo esclamò: - Senti, mio caro, hai timore di Don Bosco? Sta' pure con Don Racca; chè io sono ben contento! - Don Racca veniva poi destinato a casa di Sampierdarena, e siccome Picollo ne restò così addolorato che non finiva di piangere, Don Bosco gli fece dire, che se voleva andar con Don Racca, egli era contento. Subito [1012] si quietò, dicendosi felice di rimaner con Don Bosco, ed ebbe a toccar con mano la sua bontà, l'anno che faceva la seconda ginnasiale.
“Un giorno - egli narra - venne a trovarmi la mia buona madre. Mi parlò durante la ricreazione del dopo pranzo, e tra le altre cose mi confidò la sua pena per aver pregato Don Bologna, prefetto esterno, a pazientare per quel poco di pensione che si doveva pagare, promettendo di fare il suo dovere alla vendita del vino, ma che Don Bologna le aveva risposto: - Se non pagate, vostro figlio ve lo manderò via. - Essa piangeva per questa minaccia e io, dovendo andar a scuola, la lasciai in pianto. Dopo scuola con mia meraviglia mi sentii richiamare dal portinaio; mia madre non era ancor partita, e voleva rivedermi. Corsi in portieria, e trovai la mamma tutta allegra e trionfante, come chi ha riportato una vittoria, e voleva rivedermi, e mi disse: - Senti, Cecchino, io ora non piango più e tu sta' pure allegro, perchè io sono andata da Don Bosco, e Don Bosco mi ha risposto: - Sentite, buona donna, non piangete, dite a vostro figlio che se Don Bologna lo manda via dalla porteria, rientri dalla chiesa; Don Bosco non lo manderà via mai!”.
Altrettanto avveniva di quell'anno ad un altro alunno, che poi si fece egli pure salesiano, Eusebio Calvi di Palestro. Era questi mesto e preoccupato, perchè i parenti per gravi dissesti familiari non potevano più pagargli la pensione, e il prefetto Don Bologna, attenendosi alle direttive di Don Bosco, non vedendo giungere la piccola somma, aveva loro scritto, che se non pagavano quanto si era stabilito, venissero a ritirare il figliuolo. Eusebio sapeva che solo Don Bosco poteva aggiustar la cosa, condonandogli quel debito, com'era solito fare quand'era conveniente; ma non aveva il coraggio di presentarsi a lui. Un giorno il Santo l'incontrò, e vedendolo triste ed abbattuto, subito gli chiese:
- Ah! Don Bosco... i miei non possono più pagare la pensione ed il prefetto ha scritto ai parenti...
- Sono costretto ad interrompere gli studi. [1013]
- Dunque la cosa si accomoda facilmente; scrivi a tuo padre che del passato non si prenda fastidio, e per l'avvenire paghi quello che può.
- Ma mio padre non rimarrà soddisfatto di una condizione generica; vorrebbe poter pagare, e sarebbe contento che gli fosse fissata l'obbligazione...
- Ebbene, scrivigli che fissiamo la pensione a cinque lire al mese... e che le pagherà, se potrà...
A tali parole Calvi proruppe in lacrime di consolazione. Ebbe poi da Don Bosco un biglietto da presentare a Don Rua per accomodar la faccenda, e così potè continuare gli studi, e si fece salesiano e sacerdote.
Quante migliaia di alunni ricevettero consimili segni di paterno affetto!
Con tutti, anche con i semplici aspiranti alla Pia Società, era di una carità squisita. Nell'autunno del 1872, quando fu a Peveragno per alcuni giorni, venne avvicinato dal farmacista Angelo Lago, il quale restò così avvinto dal fascino che spirava della sua persona, che deliberò di rimettere la farmacia, e farsi salesiano, e portar a Don Bosco, che accettava nell'Oratorio anche un giovinetto da lui raccomandato, tutto il denaro che avrebbe potuto raccogliere. Il Santo in quei giorni aveva gran bisogno di mezzi per andare avanti, e siccome il buon farmacista lo teneva al corrente dei passi che faceva, egli così lo consigliava a comportarsi con prudenza e discrezione:
Carissimo Angelo Lago[175],
Lodo il modo della divisione e della vendita della farmacia. In queste cose bisogna fare grandi sacrifizi per conservare la carità cristiana e farei vedere disinteressati.
Mena pur teco il giovinetto Maccagno; abbiamo la casa e la [1014] [nuova] sacristia piena; ma studieremo di aggiustare anche questo. Coi Peveragnesi fo' tutte le eccezioni possibili. Abbia soltanto seco l'ordinario corredo. Pel resto Dio provvederà.
Credo ben fatto una procura per vendere ed amministrare le cose tue per non doverti ad ogni momento disturbare; ma cerca una colomba che non diventi sparviere. Sia persona da te ben conosciuta.
Quante cose si presentano da farsi in questa casa. Il danaro che percepisci, spèndilo se ne hai bisogno, altrimenti pòrtalo teco. Forse con questo danaro non dovremo più fare un imprestito specialmente pel riscatto di alcuni chierici della Congregazione, inscritti nella leva militare di quest'anno.
Fa' tanti saluti al Sig. Prevosto D. Schez, al caro D. Luigi, al Sig. Campana, e di a tutti che, un'altra volta che ritorni costà, mi guarderò dal Girò, che con facilità fa girare la testa ad un galantuomo.
Dio ci benedica tutti; prega per me, che ti sono con fraterna affezione in G. C.,
Il farmacista Angelo Lago venne nell'Oratorio di quell'anno e si ascrisse alla Pia Società; poi per consiglio di Don Bosco intraprese gli studi teologici; a 43 anni saliva al sacerdozio, e fu un santo ministro di Dio. Pieno di fede e di umiltà, sia che celebrasse la S. Messa o recitasse il breviario, sia che assistesse alle sacre funzioni od ascoltasse la parola di Dio, pareva sempre un angelo, ed anche fuori di chiesa spirava dal contegno e dal modo di fare la pienezza d'ogni virtù.
Addetto all'ufficio di Don Rua, quando era prefetto della Pia Società, poi Vicario di Don Bosco e suo 1° Successore, fu di un'operosità e di una prudenza più uniche che rare; mai che si prendesse uno svago, mai che proferisse una parola di più; sempre saggio, sempre sereno, sempre intento al lavoro più assiduo, al quale consacrava anche molte ore della notte. Nonostante tanta fatica, era mortificatissimo anche nel cibo, sebbene di costituzione assai delicata. L'unico suo sollievo era quello di passeggiare modestamente per pochi momenti, con qualche confratello, dopo pranzo e dopo cena, premessa immancabilmente una visita al SS. Sacramento. E mentre era così austero con sè, aveva per [1015] gli altri una bontà continua, ricca dei più delicati riguardi. Accoglieva tutti con amabilità squisita.
Alla sua morte, avvenuta per marasma senile il 14 marzo 1914, una fu la voce di quanti lo conobbero: „È morto un Santo! Se non è subito andato in paradiso Don Lago, chi potrà andarvi?...”.
Il chierico Giuseppe Giulitto di Solero (Alessandria), dopo aver emessi i voti triennali, desiderava far una visita ai parenti, e Don Bosco gli scriveva amabilmente:
Ti permetto di andare in vacanza per una settimana, purchè tu parta, studi, ritorni buono, che ti occupi a cercar qualche buon allievo e a santificare i tuoi parenti ed amici. Saluta i tuoi parenti e specialmente quel canonico che t'ha raccomandato alla casa di Valdocco.
Dio ti benedica; prega per me che ti sono,
Il chierico Giuseppe Ronchail, che era ad Alassio, e, benchè avesse ricevuto solo gli Ordini minori, faceva già parte del Capitolo della casa, alla vigilia del suddiaconato temeva di far quel passo arditamente, e tornava a comunicare le sue ansietà a Don Bosco. Questi gli ripeteva di andar avanti in Domino:
Non darti fastidio per la cosa di cui scrivi. Il demonio avendo perduta la partita vorrebbe rifarsi altrimenti, ma tu non ci badare e va' avanti tranquillo nelle ordinazioni, come ti ho già detto verbalmente.
Ti raccomanderà al Signore. Saluta il Direttore, prega per me che con affetto ti sono,
E il 16 dello stesso mese il chierico Ronchail riceveva il suddiaconato, in maggio il diaconato, in settembre il presbiterato, in ottobre veniva costituito prefetto del collegio. [1016] Don Giovanni Garino, catechista ad Alassio, che aveva fatto i voti triennali il 5 aprile 1869, era dubbioso se dovesse farli perpetui; e Don Bosco:
Siccome non hai difficoltà nè pensieri contrarii alla tua vocazione, tu puoi con tutta tranquillità fare i voti perpetui. Continua a pregare per me, per la mia salute corporale, ma assai per la salute dell'anima.
Saluta il Direttore cogli altri nostri confratelli e credimi tutto
E il mese dopo Don Garino faceva i voti perpetui.
“Egli è certo che se tutti i Salesiani che vissero con Don Bosco - notava Mons. Costamagna - volessero pubblicare tutte le cure tenerissime che egli ha loro prodigate, se ne dovrebbero scrivere molti volumi in folio. Egli, come il Divin Redentore, pertransiit bene faciendo[176]. Egli faceva caso dei nostri affanni e delle nostre sofferenze, tanto fisiche che morali, come se gli appartenessero esclusivamente, quand'anche conoscesse che talvolta eran cose più immaginarie che reali. Ci concedeva sempre tutto quello che non fosse di nocumento materiale e spirituale nostro e della Comunità. Il sì egli lo dava sempre volentieri, fino al termine del conveniente; il no non ce lo faceva sentire subito, per non affliggerci tanto, ma quando era tempo ce lo dava senza andirivieni. Sapeva benissimo che la indecisione e le stiracchiature tormentano e Superiori e sudditi.
Egli studiava il modo di alleggerirci il peso della vita di studio e di lavoro con feste religiose, passeggiate, teatrini ed altre ricreazioni, sempre svariate ma innocenti. Voleva stèssimo ben attenti a non perdere la sanità, la quale non è proprietà nostra, ma della Congregazione; che perciò evitassimo le correnti d'aria, l'umidità, lo star fermi al sole - specie nei mesi dell'erre: mensibus erratis, ci diceva, in sole ne sedeatis[177] - ; il passar da un luogo caldo al freddo senza [1017] gli opportuni ripari; il fermarsi al freddo quando si è sudati; il mangiar e bere troppo, o troppo poco; il fare inutile spreco di voce, insegnando, predicando, ecc.; l'applicarsi ad occupazioni mentali subito dopo la refezione; il non dormire sufficientemente (septem horas dormivisse, ci andava ripetendo, satis juveni senique; ma lasciava ai Direttori una latitudine di un'ora di più o di meno, secondo le circostanze); l'abbandonarsi alla melanconia, lima sorda d'ogni più florida salute, e in fine l'avere una cura esagerata della propria salute, andando avanti a forza di droghe e di rimedii, che finiscono per rovinarcela affatto, giusta il proverbio che dice: qui medice vivit, modice (oppure miserrime) vivit”[178].
Dal cuore e dal labbro del Santo uscivano i più saggi avvisi in ogni circostanza, ma particolarmente nelle private udienze e nelle conferenze che teneva ai confratelli nelle visite frequenti alle singole case. Non è facile additare, sia pur di volo, l'ampio apostolato che compiva in queste visite, le quali presero ad accrescere enormemente le sue fatiche ed insieme la sua carità, perchè, come l'abbiam veduto ammirabile nelle fondazioni, ora lo vedremo il dolcissimo e premurosissimo padre di tutti i suoi figliuoli, che sentiva il bisogno d'allietare e incoraggiare di presenza.
Benchè all'arrivo, non volesse, nè accademie, nè teatrini, nè inviti a forestieri, “per non perder tempo” diceva, volendo veder tutto, esaminar tutto e parlare alla familiare con tutti, superiori ed alunni, tutti l'accoglievano con giubilo insuperabile.
Appena metteva il piede in casa “la sua prima domanda - deponeva Don Luigi Piscetta - era se vi fossero ammalati, e recavasi subito a visitarli. Per essi nutriva una carità veramente materna, ed osservava se fossero provvisti di ogni cosa necessaria. Così pure passava ad esaminare come fossero [1018] trattati gli infermicci ed anche i sani. - Economia sì, diceva, ma anche gran carità. Si abbia tutta la cura di loro nel cibo, nel vestito, insomma in tutto quello di che abbisognano”.
La prima sera, con le più semplici e care parole, salutava nuovamente la comunità dopo le orazioni.
A Lanzo una volta esordì così: - Sono stato a visitare il collegio di Borgo S. Martino ed abbiamo parlato molto di voi, ed abbiam dette tante cose belle, che non è necessario qui ripetere. Tra l'altre, quei giovani mi hanno dimandato: - A Lanzo voglion bene a Don Bosco come glie ne vogliamo noi? Pregano essi per Don Bosco come preghiamo noi? fanno anch'essi quello che possono per consolarlo, come facciamo noi? - E con questo esordio entrava in argomento, ascoltato con la massima attenzione e devozione, per dire ciò che più gli premeva, cioè che si risolvessero anch'essi a vivere in grazia di Dio.
E la mattina dopo, dovunque, sia che si facesse l'esercizio della buona morte, o che si celebrasse qualche festa speciale, si vedeva il suo confessionale assiepato, chè tutti volevan confessarsi da lui.
Dopo le orazioni, radunava i confratelli in particolare conferenza, mentre ad un chierico dei più anziani ed avveduti veniva affidato l’incarico di sorvegliar le camerate; e in queste conferenze, oltre che illustrare qualche argomento di particolare importanza, da per tutto, dava a tutti avvisi così pratici che è doveroso ricordare.
A quei tempi nelle poche case la maggior parte dei confratelli erano semplici chierici che, mentre compivano gli studi per conto proprio, facevano assistenza e scuola agli alunni; ed egli faceva loro queste raccomandazioni:
“I chierici insegnino ai giovani il rispetto ai superiori con la loro riverenza esteriore, col saluto, e colla confidenza.
I superiori non si adombrino mai per cose da nulla. Siano calmi, temporeggino, aspettino, esaminino, prima di dare importanza a questa o a quella cosa.
I maestri si ricordino che la scuola non è che un mezzo per fare del bene: essi sono come parroci nella loro parroc- [1019] chia, missionari nel campo del loro apostolato; quindi di quando in quando debbono far risaltare le verità cristiane, parlare dei doveri verso Dio, dei Sacramenti, della devozione alla Madonna; insomma le loro lezioni siano cristiane; e siano franchi ed amorevoli nell'esortare gli alunni ad esser buoni cristiani. È questo il gran segreto per affezionarsi la gioventù ed acquistarne tutta la confidenza. Chi ha vergogna di esortare alla pietà, è indegno d'essere maestro; e i giovani lo disprezzano, ed egli non riuscirà che a guastar i cuori che la Divina Provvidenza gli ha affidati.
Nessun confratello si permetta parole di disprezzo o di disapprovazione a carico di un altro confratello, specialmente innanzi agli alunni; altrimenti regnum divisum desolabitur. Si coprano i difetti, si difendano; e non si prenda mai quell'aria di popolarità che non frutta altro che disinganni.
Nessuno critichi il vitto e le disposizioni dei superiori in faccia ai giovani, perchè anch'essi imparerebbero presto a mormorare, e dalla mormorazione viene l'immoralità, quindi la rovina delle anime; ed allora qual conto da render a Dio! E poi, che esempio daremmo di obbedienza, di carità e di mortificazione?...
Puntualità ed esattezza nell'assistenza in chiesa, nella sala di studio, e quando gli alunni vanno in fila, e in camerata, e a passeggio, ed in ricreazione.
In chiesa si trovino tutti, chierici e sacerdoti, senza alcun pretesto. I sacerdoti dicano la messa o prima o dopo quella della comunità; intanto quelli che l'hanno detta, facciano il ringraziamento, e gli altri la preparazione, o recitino il breviario. È questo uno strettissimo dovere per loro, e perchè i giovani si comportino e preghino bene. Nessuno farà meglio di un maestro. Nel rendiconto mensile si faccia di ciò speciale menzione.
Assistenza nello studio. Non è il solo silenzio che si deve cercare, ma più di tutto la moralità. Più centinaia di giovani come possono esser sorvegliati da un solo? Quindi anche i vicecapi sono tenuti a non abbandonare il loro posto, e così debbon fare quanti sono obbligati allo studio. I nostri pretesti [1020] saranno poi giudicati da Dio! Quanto male può avvenire nella sala di studio, se manca l'assistenza!...
Assistenza nelle file. Uno si trovi sempre alla testa e un altro alla coda. Tutti quelli che sono in libertà, come quelli che prendono parte all'assistenza, in quel tempo osservino il silenzio per i primi, altrimenti i giovani prendon baldanza, e si mettono anch'essi a parlare sotto voce, e chi sa di che cosa...
Assistenza in camerata. Nessun assistente abbia una cella grande per tenervi i suoi libri e farvi studio. La camerata non è luogo di studio, e si farebbe un consumo esagerato di lumi. Si stia alle nostre regole, altrimenti guai alla moralità! Si faccia osservar diligentemente il silenzio, e mai non si lascino soli gli alunni in camerata.
Assistenza a passeggio. Per quanto si può, gli alunni vadano in fila a quattro a quattro, così uno darà soggezione all'altro. Non si permettano mai compere di frutta, o di altri commestibili, o d'altro; ne verrebbe che terrebbero danaro presso di sè, e farebbero contratti e furti, e spedirebbero lettere anche poco buone. Non si lascino mai allontanare dalle file, se non talvolta da soli per qualche necessità. Quanti peccati si commetterebbero, quanti discorsi scandalosi, e perfino colloqui con persone femminili!... Dunque non si permettano mai compere di vino e di liquori, e nemmeno di fumare: il fumo infiamma gli intestini.
Al giovedì, tranne coloro che hanno da accompagnare le file degli alunni, nessuno esca di casa, senza licenza o del direttore o del prefetto, e non si vada mai alle osterie o in case private. Il direttore può aver bisogno di un aiuto e non saprebbe dove trovarlo. E poi l'obbedienza deve santificar tutto.
Assistenza in ricreazione. Osservare i crocchi ed in bel modo mettersi in mezzo, e scioglierli prudentemente; con questo o con quel pretesto si possono dividerli facilmente; ad esempio si può mandar uno a fare una commissione, un altro a cercare un libro, ecc. Nemmeno i chierici si fermino troppo a far capannelli fra loro. Di che voglion tanto discorrere?... saran sempre mormorazioni.” [1021] Assistenza in classe. Si facciano tener sempre tener mani sul banco; non si lascino mai soli; e quando uno ha finita la lezione, se chi deve succedergli non è pronto, abbia pazienza e non abbandoni la classe”.
Se tutti i direttori avessero, come fece Don Lemoyne, preso memoria degli avvisi che dava il nostro incomparabile Maestro e Padre, avremmo avuta tra mano la più bella ed autentica illustrazione didascalica del suo sistema educativo!
Ma ecco altri insegnamenti da non dimenticar giammai, sul modo di punire, sulla fuga delle mormorazioni, e sulla prudente riservatezza da usarsi in certi casi:
“Gli assistenti non diano mai castighi, ma facciano rapporti ai superiori. Così eviteranno odiosità, e non faranno sbagli. Non si castighino mai quelli che nella scuola mancano verso l'assistente, senza farne prima parola coll'insegnante. Le mancanze commesse fuori di scuola sono di sola competenza del Prefetto. Però le mancanze di rispetto all'assistente sieno punite con severità.
Se un giovane per qualche grave mancanza è mandato fuor di scuola, il Prefetto o il Consigliere scolastico persuada il maestro a volerlo riaccettare, e, fatte le debite ammonizioni ai cattivelli, si provveda per la sua riammissione.
Non si facciano mai critiche o mormorazioni di questo o quello, tanto di confratelli come di alunni, in presenza di altri alunni; ogni parola sia improntata di carità e chi deve far una correzione non manchi di farla in privato.
Non si palesino mai agli alunni disposizioni confidenziali prese dai superiori.
Non si parli mai con loro, nè con le persone di servizio, di qualche disordine accaduto in un altro collegio; nè con gli alunni di una classe di un disordine avvenuto in un'altra.
Non s'interroghino mai su cose di coscienza, nè s'investighi se uno si confessa o no, se va o non va alla S. Comunione: questo è ufficio del prudente catechista.
In classe i maestri, rimproverando i negligenti, non accennino mai alla loro frequenza ai Santi Sacramenti, come in contrasto colla loro condotta.
Si tenga rigoroso segreto sul nome di chi avesse scoperta [1022] e svelata qualche grave mancanza, avvenuta nella casa; ma si può avvisare la comunità che v'è chi osserva e può riferire...
Non si lodi mai un giovane in presenza di altri confratelli, perchè queste lodi son poi ripetute e possono divenir causa di superbia e di amicizie particolari.
Benchè sia proibito agli alunni di mettersi le mani addosso, non si abbia scrupolo quando ciò facessero alla sfuggita, presenti gli assistenti, giocando a tingolo o a trincea”[179].
Nei giorni che passava nelle varie case aveva sempre una buona parola per tutti quelli che incontrava.
Ad un prefetto faceva questa raccomandazione: - Ricorda che, anche in faccia agli alunni, chi deve figurare per primo nella casa è il direttore, quindi tu règolati sempre come suo rappresentante.
Insisteva che non si omettesse mai la lezione settimanale di galateo; che all'ingresso degli alunni si prendesse nota in apposito registro dei loro oggetti di vestiario, di biancheria e di arredamento del letto; che si avessero cure speciali perchè anche i più piccini andassero puliti, e da qualche chierico, o coadiutore, od anche da qualche brava donna attempata, venissero pettinati.
Ad un assistente diceva: - Si vis amari, esto amabilis. Le prime impressioni nel cuore dei giovani sono quelle dell'educazione. Per carità non s'irritino mai coi castighi e con maltrattamenti, perchè non maledicano le vesti nere. È già troppo l'aborrimento che hanno alcuni verso il prete.
A Lanzo incontrando l'assistente generale dello studio, ove si raccoglievano in silenzio duecento alunni: - Abbi sempre l'occhio aperto, gli diceva, aperto e lungo. Benchè il Signore ci abbia mandati buoni figliuoli, è bene che tu alle volte stia in sospetto. Guarda, domanda, provvedi, ed abbi per grande ogni piccola mancanza che potrebbe esser causa di gravi disordini e di offesa a Dio. Vìgila specialmente sui libri che leggono, pur mostrando sempre buona stima di tutti e senza mai scoraggiar nessuno; ma non stancarti di [1023] vigilare, d'osservare, di comprendere, di soccorrere, di compatire. Làsciati guidar sempre dalla ragione, e non dalla passione.
Un pomeriggio, intrattenendosi coi maestri delle prime classi elementari, dava questi suggerimenti: - Sul principio dell'anno scolastico rendete dilettevole la scuola, tralasciando le teorie dell'aritmetica e della grammatica. Quanto all'aritmetica, interrogando fate ripetere qualche operazione a memoria, proponendola talora sotto forma di raccontino. Per la grammatica fate pronunciare dai vostri alunni proposizioni semplici. Dite loro ad esempio: “Dio!”... ditemi un attributo di Dio ... ... Vi risponderanno: “Eterno!” - Dunque Dio è eterno! ... ... - Così insegnerete loro praticamente a fare le proposizioni. Poi andate avanti nelle proposizioni composte, e spiegate bene che cosa è il soggetto, che cosa l'attributo, e via via; e i vostri alunni impareranno a far bene i periodi. In fine assegnate loro una piccola composizione, un racconto, una letterina, che voi avete già in qualche libro. Quando vi consegnano i compiti, leggeteli tutti con attenzione, e correggèteli; poi dettate il testo, e fàtelo studiare a memoria.
Richiesto come si dovesse predicare ai fanciulli per esser ascoltati volentieri e con frutto, rispondeva: - Dopo aver illustrato, in forma semplice e chiara, l'argomento che volete trattare, non lasciate mai di concludere con qualche fatto storico od un semplice episodio illustrativo, quindi interrogateli su quello che avete esposto; e, qualora nessuno prenda la parola, date voi stessi le risposte che volete. - Egli pure faceva spesso così. Una volta, dopo aver fatto ai giovani di un Oratorio il panegirico di S. Luigi, in fine prese a dire:
- Ora voi andate a casa vostra, cari figliuoli, ed i vostri buoni parenti vi chiederanno:”Che cosa avete fatto all'Oratorio?". Voi risponderete:”Abbiamo celebrato la festa di San Luigi".”E in qual modo? Che cosa ci fu?“.”Confessioni, Comunioni, musiche, lotteria, teatrino e venne anche Don Bosco a farci la predica...”. “E che cosa vi ha detto?...” “Ci ha raccomandato d'imitare S. Luigi nell'obbedienza ai genitori, di star lontani dai cattivi compagni, e di continuare a frequentare l'Oratorio ... “. E proseguì ad imprimere così [1024] bene nella loro mente la predica, che poi molti ne ripeterono i particolari ai parenti con piacere.
Nelle visite ai collegi regolari di Lanzo, Borgo San Martino, Cherasco e poi Varazze, Alassio, e Valsalice, consigliava sempre che si avvisassero i parenti morosi nel pagar la pensione, e se dopo otto giorni non avessero dato alcuna risposta, si tornasse a scrivere invitandoli con bel garbo a fissar essi il tempo in cui avrebbero fatto il pagamento; e qualora non approdasse a nulla nemmeno questa domanda, si dèssero dieci giorni per il saldo e per l'anticipazione regolare della quota mensile o bimestrale o trimestrale, avvisando che, se non veniva adempiuto quanto si comunicava, si sarebbe rinviato a casa l'alunno. Ma anche suggeriva sempre eccezioni convenienti, ad esempio se si trattava di figli di parenti notoriamente benestanti che avrebbero in fine compiuto il loro dovere, o di inviati o raccomandati da parroci.
Nelle stesse case voleva anche che s'insistesse presso i parenti perchè ogni alunno fosse provveduto di abiti convenienti; e se per disgrazie familiari, di taluno non potesse più pagarsi la pensione, sul finir dell'anno scolastico si consigliasse a chiederne il trasferimento nell'Oratorio di Valdocco, ben inteso accompagnando la dimanda con una dichiarazione del direttore sulla condotta del raccomandato e sul suo profitto negli studi.
Ai direttori diceva: - Preghi tu per i tuoi alunni?... Vuoi che ti suggerisca un premio molto gradito agli alunni? Di' talora ad un bravo giovinetto: “Sono contento di te, e lo scriverò ai tuoi parenti!”. Vedrai qual effetto produrranno queste parole nei cuori ben fatti! Alla sera procura di parlar tu regolarmente dopo le orazioni.
Mentre la brama del Santo era d'incoraggiare tutti in modo che gli manifestassero, a uno a uno, i propri bisogni ed anche gli stessi desideri, e mentre osservava attentamente come venissero praticate le Costituzioni e il Regolamento del personale dirigente e degli stessi alunni, e come procedesse l'amministrazione materiale, le sue cure più amorevoli erano rivolte ad attutire ed annullare gli screzi che fossero sorti tra questo e quello, non giudicando nè prendendo mai alcuna [1025] misura nè pro nè contro l'uno, senza aver pazientemente ascoltato e ponderate le ragioni addotte dall'altro.
Le stesse norme prescriveva a tutti i superiori, perchè, diceva, così facendo, si viene spesso a scoprire che certe cose che sembran travi, non son altro che paglie.
Nello stesso modo regolavasi in qualche eventuale disaccordo tra un inferiore e un superiore, e se il torto era dalla parte di questi, trovava sempre rimedio al male, salvando, senza detrimento dell'autorità, i diritti dell'innocente.
Insisteva sempre che si usasse la massima prudenza nel prender gravi provvedimenti; ed in certi casi egli stesso ricorreva al consiglio altrui.
“Spesso - attestava Mons. Cagliero - ricorreva al parere di noi sacerdoti più anziani della Congregazione. Rammento che una volta, dovendo prendere una decisione severa contro un colpevole, mi mandò a chiamare nella sua stanza e mi disse: - Il mio dovere mi obbliga a venire in questa determinazione; ma siccome la cosa è grave, ho voluto sentir il tuo parere. - Il mio parere, risposi io, è che Don Bosco sia ancor questa volta padre con lui; egli non dà al suo fallo l'importanza che diamo noi, ma, passato un po' di tempo, glie la darà egli pure, si emenderà e sarà un buon soggetto per la Congregazione. - Il Servo di Dio si acquietò, e quel nostro confratello si emendò e bene, e rende, tuttora, grandi servizi alla Pia Società”.
In alcuni casi - per fortuna rarissimi - dovette prendere energiche risoluzioni, traslocando taluno da questo a quell’ufficio, e da un luogo a un altro, ma lo faceva con tanta delicatezza da non destar in altri il minimo sospetto, e così salvava l'onore del rimosso e del traslocato, al quale per qualche tempo dava anche un'occupazione equivalente ed onorifica, perchè non s'avvilisse, ma prendesse animo a fare il suo dovere per la gloria di Dio e il bene delle anime.
“Ricordo sempre - narrava Don Francesco Cerruti - che un anno mandò ad Alassio un tale che aveva gravemente mancato, e per cui certo, umanamente parlando, non sarebbe stato troppo castigo un'espulsione. Ei me lo consegnò, dicendomi chiaramente la mancanza da quel tale commessa, [1026] e dicendo pure apertamente a lui come di questa avesse informato il nuovo Direttore. Ma nello stesso tempo mi raccomandò, che gli usassero tutti i riguardi esterni, affinchè quello che era occulto non divenisse pubblico, e che il colpevole avesse tutti i mezzi per rialzarsi. Quel tale fu veramente colpito da tanta carità e delicata prudenza di Don Bosco, e: - Lo so, mi disse un giorno, che Don Bosco mi vuole bene e mi vuol salvare! - E si rimise a posto, a poco a poco, e fu salvo”.
Era della più delicata e squisita bontà nel dar comandi, a chiunque, anche al più umile confratello! Mai che lo facesse con tono autoritario, ma sempre come se chiedesse un favore; e anche di questo particolare del suo carattere abbiamo alcune testimonianze che non possiamo trascurare.
Erminio Borio, giovane d’ingegno e di forte volontà, com’ebbe vestito l’abito chiericale, venne mandato a far scuola a Borgo S. Martino, ma vi si trovava a disagio; e Don Bosco, vista la convenienza del richiamo, glie lo comunicava senz’indugio così:
per bisogno di darti qui qualche occupazione, ed anche perchè tu abbi maggior tranquillità e comodità di studiare, credo bene che tu venga qui nella tua antica gabbia e col tuo inalterabile amico Don Bosco.
Vieni quando che sia; il tuo letto è preparato.
PS. Saluta il sig. Direttore e comunicagli la dimanda. Arrivederci.
La paternità del Santo conquistava nel 1872 una cara vocazione salesiana. Giovanni Tamietti, entrato nell’Oratorio nel 1860, nel 1863 aveva vestito l’abito chiericale, e due [1027] anni dopo fatti i voti triennali, ma, compiuto il triennio, che aveva trascorso nel far scuola con molta abilità, non si sentiva più di restare in Congregazione, e lo comunicava ripetutamente a Don Bosco pregandolo di trovargli un altro luogo dove potesse continuare a far scuola; e il buon Padre gli rispondeva ogni volta di lasciare a lui ogni pensiero sul suo avvenire e di star tranquillo.
Nel 1871, verso il mese di giugno, si presentò nuovamente al Santo, dicendogli nettamente che era giunto il momento di uscir dalle nostre case, e perciò avesse la bontà di trovargli un posto d'insegnante in qualche istituto, come gli aveva promesso. Don Bosco lo guardò fisso, poi esclamò:
- Ma lei sa bene, insistè Tamietti, che io non l'ho mai ingannata su questo punto, quindi credo di non recarle offesa colla mia dichiarazione.
- Ebbene, replicò Don Bosco, lascia fare a me!
Il Santo era convinto che non l'avrebbe abbandonato; tuttavia, come gli aveva promesso, gli trovò un posto nel Collegio di Valsalice, non ancor affidato alla Pia Società, interessandone il prof. Lace, che ve lo fe' subito accettare, dicendolo non solo conveniente, ma necessario. Vennero intanto le vacanze, e alcuni insegnanti abbandonavano le nostre case per desiderio di libertà e di lucro, e Don Bosco era in angustie non sapendo come surrogarli, quand'ecco presentarglisi Tamietti, che gli dice:
- Senta, Don Bosco, io avevo fatto conto di uscire e andare a Valsalice: ma allora Don Bosco di professori ne aveva abbastanza; ora so che ne ha bisogno; non sia mai detto che io, potendolo, non tolga Don Bosco di pena. Mi fermerò con lei ancor un anno.
- Per un anno solo? gli rispose il Santo un po' commosso. Oh l'ho sempre detto che Tamietti era un mio amico! Intanto ti dico che Valsalice sarà nostro l'anno venturo...
E nel nuovo anno scolastico, il chierico Tamietti si fermò ad insegnare nell'Oratorio. In primavera, colto da un indebolimento di salute, dovette recarsi a respirar l'aria nativa, [1028] ma nel frattempo assicurava Don Bosco della sua buona volontà e gli manifestava il proposito di farsi e rimaner per sempre salesiano.
La tua lettera mi toglie una spina dal cuore, che mi impedì di farti quel bene che finora non ti ho potuto fare.
Tu sei nelle braccia di D. Bosco, ed esso saprà come servirsi di te per la maggior gloria di Dio e il bene dell'anima tua. Giunto che sarai qui, tratteremo il da farsi. Ma in tutti i casi:
1° Desidero che tu compia il corso di lettere.
2° Tu rimanga a casa quanto vuole la tua sanità. Più presto verrai, più presto sarai con chi ti ama molto.
3° Si provvederà per tua sorella: ma sàppimi poi dire se entrerebbe in un monastero, oppure se debbo cercarle qualche buona famiglia, etc.
Dio ti benedica, mio caro, saluta i tuoi parenti e il tuo parroco, prega per me, che ti sono in G. C.
Nel nuovo anno scolastico, avendo assunta la direzione del Collegio di Valsalice, Don Bosco v'inviava come insegnante anche il chierico Tamietti, che nel settembre aveva rinnovati i voti triennali; e siccome questi non vi si trovava contento, gli scriveva:
Non voglio che tu stia a Valsalice per forza, d'altronde ho bisogno di provare la tua ubbidienza, specialmente prima delle sacre Ordinazioni.
Pertanto io ti destino per Alassio e di là richiamerò qualcuno che venga costì a fare la parte tua.
Prendi le opportune intelligenze con Don Dalmazzo; procura di terminare con buona grazia.
Dio ti conceda l'umiltà e la santa virtù dell'ubbidienza, e credimi tuo
E in fine gli concedeva di rimanere all'Oratorio, e nel 1873 Don Tamietti riceveva gli ordini sacri e saliva al sacerdozio, nel 1874 faceva i voti perpetui, nel 1878 veniva inviato a fondare la casa di Este, e terminava la vita dopo di aver reso altri segnalati servizi alla Pia Società come ispettore delle case salesiane della Liguria.
Con la sua grazia abituale Don Bosco rapiva i cuori, ed egli stesso se ne avvedeva; infatti una delle sue raccomandazioni od ammonizioni più frequenti era che non si obbedisse alla sua persona, ma alla volontà di Dio e per amor di Dio.
A questo proposito scriveva Mons. Costamagna, pieno di entusiasmo: „Don Bosco sì che la sapeva maneggiare maestrevolmente la santa Obbedienza! Egli dapprima aveva cura di secondare le naturali nostre inclinazioni; epperciò, per quanto da lui dipendeva, ci incaricava sempre di quegli uffizii e lavori che fossero di nostro gradimento. Quando poi a cosa, che doveva comandare, era ardua e difficile assai, egli sapeva servirsi di sante industrie per ottenere l'intento.
Cominciava ad aspettare a parlarcene dopo che avessimo fatto la S. Comunione, perchè quello era il tempo propizio per sottoporci alla Croce; quindi ci veniva all'incontro sorridendo, e, prendendoci per mano:
- Ho bisogno di te, diceva; mi faresti la tal cosa? non avresti nessun inconveniente per sobbarcarti a questo o a quest'altro incarico? ti pare di aver sanità, preparazione per disimpegnare questa scuola, quest'assistenza? per andare a fungere da economo, da prefetto, da maestro, ecc., in quella nuova casa salesiana? - oppure: - guarda, ho una cosa molto importante fra le mani, che non vorrei addossarti, perchè difficile, ma pure non ho altri che al par di te mi possa levar d'imbarazzo: avresti tempo, sanità, forza sufficiente?
Metodo veramente ammirabile si era questo del nostro caro Padre... Vero è che Don Bosco cominciò a trattarci a questo modo quand'eravamo ancora giovinetti inesperti, senza un'idea al mondo di ciò che fosse voto religioso, e vincolati soltanto dall'amore e dalla gratitudine verso di lui, che col suo sembiante angelico e col suo fare da santo, ci rappresentava al vivo la persona di N. S. Gesù Cristo fra i [1030] suoi apostoli (epperciò la nostra obbedienza non lasciava d'essere soprannaturale, riguardando noi i comandi di Don Bosco quali comandi dello stesso Iddio); ma per altro anche più tardi, quando la Congregazione Salesiana fu stabilita, e noi correvamo volenterosi a lui, per lasciarci tagliar la testa e crocifiggerci coi tre chiodi dei santi voti, egli, nel comandare, continuò ad usare la stessa tattica di prima. Mai che ci ordinasse nulla in virtù di S. Obbedienza (come da taluni per ignoranza o per isfogo di passione si usa con troppa facilità, senza motivo sufficiente, anzi talvolta senza diritto di farlo); egli si contentava di chiamarci a sè in speciale riunione, e là ci diceva senz'altro: - Chi di voi vorrebbe fare un piacere a Don Bosco? - Io, io, si rispondeva da tutti come da un sol uomo; e così per ardua che fosse l'obbedienza, che egli desiderava ingiungerci, si era pronti ad eseguirla. Don Bosco sapeva benissimo che la linea più breve per guadagnare un cuore non è la linea retta del comando severo, terminante cioè assoluto, irrevocabile], ma piuttosto la curva della persuasione, della prudenza, della pazienza e del santo amore.
Accadeva, è vero, qualche rara volta, che alcuno di noi si dimostrasse un po' ritroso nell'obbedienza, ma allora Don Bosco, invece di ricorrere alle minacce e di usare la già menzionata rovente frase: in virtù di S. Obbedienza, si contentava di tacere, e mandava tosto a chiamare un altro più docile, perchè eseguisse quell'obbedienza stessa. Il disobbediente intanto rimaneva là tutto mortificato; e, avvicinandosi trepidante a Don Bosco: - Sa'? signor Don Bosco (dicevagli), io sono poi pronto a farla l'obbedienza; ci ho pensato su un po' meglio, e... le ripeto che sono pronto; mi comandi pure qualunque cosa! - Sì?... un'altra volta, soggiungeva Don Bosco; vedremo domani. - Ma questo domani non veniva sì presto. Quel poveretto si presentava tutto corrucciato a Don Bosco altre e altre volte, e solamente dopo non pochi giorni di prova, Don Bosco dimostravagli ancora la confidenza di prima (era sempre Padre!) e lo incaricava di qualche speciale commissione”[180]. [1031]
Tante sollecitudini e tante delicatezze ispirategli dall'eroica carità ottenevano meraviglie e il suo spirito si radicava in tutte le case con splendidi risultati. Fin d'allora „parecchi Vescovi - deponeva il Can. Gio. B. Anfossi - coi quali ebbi l'onore di parlare, tra questi Mons. Apollonio, Vescovo di Adria, notavano con meraviglia il fatto che lo spirito ed il metodo di educazione di Don Bosco, propagandosi così repentinamente e per mezzo di tanti suoi alunni sacerdoti, non venisse meno, anzi si conservasse vivo e con tutto vigore ed assennatezza in sacerdoti anche di giovine età”.
Ed ora passiamo ad esporre ordinatamente l'ampia raccolta di documenti che ci restano a comprova della saggezza e bontà paterna nel guidare gli alunni e i confratelli per la via della virtù: il programma di vita cristiana che dava ai primi, le “buone notti” e le “Strenne”; i Ricordi confidenziali ai Direttori; i resoconti e le deliberazioni delle Conferenze Generali che si tenevano ogni anno; l'apostolato che compiva durante gli Esercizi Spirituali; il suo pensiero sullo stato religioso; ed altre preziose memorie, tra cui, in fine, le Lettere circolari, alcune delle quali rimasero fin ad ora inedite.
Fin dai primi anni del suo apostolato prese a dare agli alunni dell'Oratorio, poi anche a quelli di Mirabello e di Lanzo, particolari ricordi per le vacanze, e nel 1873 ne faceva stampare all'uopo un foglietto, e lo diramava alle varie case, perchè se ne dèsse copia ad ogni allievo.
Era una limpida norma di vita cristiana, un programma semplice e perfetto, che ogni giovane può e dovrebbe far proprio, e quindi con frutto può esser dettagliatamente commentato dai direttori nelle “Buone notti” agli alunni, all'avvicinarsi delle vacanze.
“RICORDI PER UN GIOVINETTO che desidera passar bene le vacanze”.
IN OGNI TEMPO fuggi i cattivi libri, i cattivi compagni, i cattivi discorsi.
L'ozio è il più grande nemico che devi costantemente combattere.
Senza il timor di Dio la scienza diventa stoltezza.
COLLA MAGGIOR FREQUENZA accòstati ai SS. Sacramenti della Confessione e Comunione.
S. Filippo Neri consigliava di accostarvisi ogni otto giorni.
OGNI DOMENICA ascolta la parola di Dio ed assisti alle altre sacre funzioni.
OGNI GIORNO ascolta, e, se puoi, servi la santa Messa e fa' un po' di lettura spirituale.
MATTINO E SERA recita divotamente le tue preghiere.
OGNI MATTINO fa' una breve meditazione su qualche verità della fede.
In terza pagina, di fronte alle suddette raccomandazioni, questa serie di auree sentenze scritturali, che possono essere facilmente comprese, e quindi meditate, anche da semplici studenti di ginnasio:
Multi illorum qui fuerant curiosa sectati, attulerunt libros et combusserunt coram omnibus (Act. Ap., c. 19).
Cum bonis bonus eris, cum perverso perverteris (Ps. 17). Corrumpunt bonis mores colloquia prava (S. Paolo, Ep. I ad Cor., c. I s).
Fili, conserva tempus, et tempus conservabit te (Eccli., 4). Omnem malitiam docuit otiositas (Eccli., 33),
Initium sapientiae timor Domini (Ps. iio).
Initium omnis peccati superbia scribitur (Ecclì., Io).
Vani sunt omnes homines, quibus non subesi scientia Dei (Sap. I3).
Qui manducat meam carnem et bibit meum sanguinem, habet vitam aeternam (IOANN., c. 6).
Beati qui audiunt verbum Dei et custodiuni illud (Luc., c. II). Absque Missae sacrificio tamquam Sodoma et Ghomorra fuissemus a Deo exterminati (RODRIGUEZ).
Ita libenter devotos et simplices libros legere debemus, sicut altos et profundos (KEMP., de imit. Christi).
Deus, Deus meus, ad te de luce vigilo (Ps. 62)..
Vespertina oratio ascendat ad te, Domine, et descendat super nos misericordia tua (Eccl. in suis precibus).
Desolatione desolata est omnis terra, quia nullus est qui recogitet -: corde (Ier., c. 12).
In meditazione mea exardescet ignis (Ps. 38). [1033]
In quarta pagina si leggeva quest'aggiunta di Don Rua nelle copie per gli alunni dell'Oratorio:
NB. Ogni allievo al ritorno dalle vacanze dovrà presentare al Direttore degli Studi il certificato di buona condotta del proprio Parroco.
Oltre i pochi appunti presi da Don Berto, e da noi trascritti qua e là, a tempo e luogo, ci resta appena un piccol numero dei cari discorsini che Don Bosco soleva rivolgere agli alunni dopo le preghiere della sera, con tanto profitto delle loro anime. Solo dopo che fu regolarmente costituito il Noviziato, che per cinque anni rimase nell'Oratorio, si presero ad annotarne tanti particolari, e precisamente dai chierici Giacomo Gresino, Emanuele Dompè, Cesare Peloso, Francesco Ghigliotto, che ne riempirono molti quaderni, ed anche dallo stesso Maestro dei Novizi Don Giulio Barberis.
L'efficacia della parola, che il Santo aveva chiesto a Dio come grazia particolare quando fu ordinato sacerdote, si ammirava da tutti in quei momenti. Molti degli ex - allievi, tuttora viventi, lo ricordano con commozione.
Salito sulla piccola cattedra, o, come scriveva il professor Alessandro Fabre, „talora sopra una panca od una sedia”, dapprima pubblicava gli oggetti che erano stati trovati qua e là nella giornata: - „una matita, un temperino, un giocattolo, una sciarpetta, un berretto smarriti, e poi dava gli ordini eventuali pel giorno appresso; poi un consiglio o un avvertimento spesso ricavato da qualche fatto eccezionale, da una disgrazia letta in un giornale, da un episodio della vita del santo del giorno stesso o del domani - e così via via. Questo sempre colla massima sincerità e il colore dell'espressione per la opportuna applicazione alla morale pratica della vita”.
Ma ecco le poche memorie che ci restano, scritte dal piissimo Cesare Chiala, il quale, dopo essere stato per oltre due lustri direttore delle R. Poste, nel 1872, a 35 anni, entrava nell'Oratorio e si ascriveva, alla Pia Società, ed avendo da [1034] giovane conseguito la licenza ginnasiale e studiato filosofia, prendeva subito a studiar teologia; nel '73 faceva i voti; nel '74 vestiva l'abito clericale e riceveva gli Ordini sacri, e il 4 ottobre saliva al sacerdozio; quindi per due anni fu catechista degli artigiani e, l'ultim'anno, anche prefetto interno dell'Oratorio, e il 28 giugno 1876, ricco di meriti, passava alla vita eterna.
5 novembre. - Incoraggiare i nuovi alunni.
Quando qualche giovane viene di fuori ed entra in questo collegio, al veder tanti giovani resta sbalordito; l'allegrezza degli altri gli aumenta la malinconia di trovarsi solo, senza conoscere alcuno. Quando vi avviene di scorgere qualcuno di questi tali, appressatevi a lui, usategli qualche cortesia, domandategli di dove venga, che scuola fa, se sa già andare allo studio, al refettorio, se conosce qualche gioco... Basta talvolta uno di questi amorevoli colloqui per infonder la gioia nel nuovo venuto, farsene un amico, e talvolta fermarlo nel bel meglio che si studia di tornarsene a casa.
7 novembre 1872. - Due espulsi, uno per cattiva condotta, l'altro per non aver obbedito all'ingiunzione di non tener denaro presso di sè.
Due giovani furono allontanati dal collegio: uno perchè tenne cattivi discorsi, l'altro per indisciplina in occasione di una passeggiata.
Il primo era già mal notato, fin dal passato anno scolastico; si vede che nelle vacanze non ha migliorato, quindi per impedirgli di rovinar compagni fu mandato ad lares.
L'altro deve l’egual castigo al non aver obbedito all'ingiunzione di consegnare i danari appena giunto nell'Oratorio. La prima volta che si fece una passeggiata, uscì dalle file, conducendo seco dei compagni, andarono all'osteria, non comparvero a pranzo e si lasciarono vedere soltanto a cena.
Non par vero come si stenti ad eseguir questa prescrizione del consegnar danari. Un giovane, che si sapeva averne, interrogato, negò; perquisito, negava; gli si aperse il baule, gli si trovarono i danari, negava ancora protestando che quelli erano nel baule e non indosso a lui. Altri li consegnavano a persone fuori dell'Oratorio; due altri si combinarono fra di loro, uno teneva i danari dell'altro, sicchè, còlti, potessero dire che quei danari non eran propri. Sotterfugi questi che terminano sempre per iscoprirsi e che i giovani devono soprammodo evitare. [1035] Saran due soldi, sembrerà vergogna il consegnarli, ebbene sarà poco, ma molta l'ubbidienza; così pure quando si trova qualche cosa, foss'anche un pennino rotto, un bottone, lo si consegni. Alcuni pur troppo cominciano ad esercitare l'arte di sanrafael sui libri dei compagni[181]; guai, guai a chi comincia cosi! Finirà come un tale di questa casa che cominciò dai libri e poi, via via, divenne un ladro matricolato, finchè, colto sul fallo, fu cacciato ignominiosamente. Chi vuol comprar libri, si abboni alle Letture Cattoliche, alla Biblioteca della gioventù; pei giovani della casa, le prime costano 30, la seconda 4 franchi.
10 novembre. - Quand'occorre, bisogna gridare al lupo!... non è un far la spia; è carità!
Se voi foste su di una collina e nella pianura sottostante vedeste avanzarsi un viaggiatore per una strada, allo svolto della quale vi fosse un fiero lupo, quanto non gridereste a quel viaggiatore, perchè schivasse quell'incontro! Non altrimenti voi dovete far qui, o miei cari figliuoli, quando v'accorgerete che vi sono dei lupi, vale a dire dei compagni che fanno cattivi discorsi, o che vorrebbero trarvi a mal fare. Allora è carità per voi, per il prossimo, ed anche per quello sciagurato, di avvertirne i superiori. So bene quel che si oppone, che ciò è un far la spia. Ma che direste d'un tale, il quale vi avvisasse che un ladro cerca di entrarvi in casa, e quindi di stare in guardia? Che diritto avrebbe il ladro di prendersela con costui che fa la spia?... Oltrecchè non informando i superiori, sempre avviene che questo lupo, tosto o tardi, si rivela da sè, ed allora non v'è più mezzo di risparmiargli il castigo meritato e di sottoporlo a una semplice prova di emendazione...
Quel giorno si compiva la cerimonia della vestizione chiericale di alcuni aspiranti alla Società, e Don Bosco, alla sera, faceva questo riflesso:
Un alto personaggio mi domandava quale fosse il distintivo di un vero prete; io gli diceva questa o quella dote...
- No, no, il vero prete è solo colui al quale si può applicare il detto: Beati mortui qui in Domino moriuntur...
Il prete deve morire al mondo, a tutti i divertimenti, seguire G. C. sulla via dei travagli e delle tribolazioni. [1036]
20 dicembre 1872. - In occasione del prossimo Natale.
Vi fu raccomandato di scrivere in questa occasione del Natale ai vostri parenti e benefattori. Io desidero, intendo che ciò si faccia. Vi fu data vacanza giovedì? [Grida spontanee di sì! e no!]. Ebbene domani sabato, in quelle scuole, cui non s'è ancor dato vacanza, non si dia lavoro per domenica, si dia invece per lavoro questa lettera, i maestri ne diano la traccia. Scrivendo ai benefattori non dimenticate di mettervi queste precise parole:
“Io ringrazio la S. V. ... di tutte le cure e bontà che mi usò, e io non mancherò nel prossimo Natale di pregare il Signore Iddio, perchè versi su di lei le sue benedizioni, le dia sanità e prosperità ne' suoi interessi temporali, e soprattutto le dia poi l'eterna beatitudine in Cielo”.
Assicuratevi, figliuoli miei, che queste parole fanno sempre una gran buona impressione in chi le riceve, perchè esse dicono: “Ecco che questi, non sapendo che cosa fare per me, col suo buon cuore, mi augura tutto ciò che di meglio io posso o devo desiderare”...
In queste feste stiamo pure allegri; saltate, ridete, ma pensate anche al gran mistero che si sta compiendo. “Un Dio che si fa uomo!... bisogna pure che la nostra anima sia qualcosa di grande, chè i Cieli e la terra si commuovono, e un Dio viene a farsi bambino proprio per me”, deve dire ciascun di noi. Non ci rincresca pertanto di far qualche piccola mortificazione per Lui...
Il 31 dicembre 1871 Don Bosco era a Varazze, malato; da qualche giorno non aveva più febbre, ma era sempre a letto; tuttavia, alla sera, volle radunati i confratelli della casa attorno a sè, e dava loro la “Strenna”, che volle poi comunicata anche a quelli delle altre case: - Buon esempio ed ubbidienza[182] - con queste care parole:
Ringrazio primieramente Iddio di avermi conservato in vita, poscia ringrazio tutti voi delle cure che mi avete usato nel corso di questa malattia, assistendomi di giorno e di notte ed usandomi veramente i riguardi di figli affettuosi verso il Padre loro. Tutti gli anni scorsi in questa sera era solito a parlare ai giovani e dar loro qualche salutare ricordo. Oggi ho pensato radunare voi e nella persona [1037] vostra tutti i miei cari figliuoli, sparsi nelle diverse case di Torino, Borgo S. Martino, Lanzo, Alassio, e Marassi, per darvi la mia strenna, ed augurarvi il buon capo d'anno.
Buon esempio, vi dirò: Praebe te ipsum exemplum bonorum operum, dirò a ciascuno di voi. Oh! sì, quanti siete qui, siete tutti maestri; chi non lo è di scienze lo deve essere di moralità; e quindi non avvenga mai che si inculchi negli altri la pratica di una virtù, l’adempimento di un dovere, senza che siate i primi a praticarlo. Il Divin Maestro coepit facere et docere, e fate che non avvenga mai che un giovane vi superi nella virtù, perchè sarebbe cosa vergognosa per lo stato di perfezione che avete abbracciato.
E quale sarà la chiave del buon esempio per noi? Sono le regole della Congregazione e specialmente l'ubbidienza. Datemi uno osservante delle regole ed ubbidiente e lo vedrete modello in tutto. Ubbidienza, ma non ubbidienza che discute ed esamina le cose che le sono imposte, ma vera ubbidienza, cioè quella che ci fa abbracciare con volto ilare le cose che ci sono comandate e le abbracciamo come buone perchè ci vengono imposte dal Signore. Non l'inferiore deve giudicare le cose dell'ubbidienza, ma il Superiore che deve rendere conto di tutto e di tutti, specialmente dell'anima di ciascheduno cui fu dalla Divina Provvidenza preposto a comandare. Obedite praepositis vestris et subiacete eis, ipsi enim pervigilant quasi rationem pro animabus vestris reddituri.
Ed ora che parlo di obbedienza ai Superiori intendo anche di parlare di quell'umile dipendenza l'un dall'altro, della correzione fraterna e dell'obbligo che ha ciascuno di prendere in buona parte qualunque avviso gli venga dal compagno e anche dall'inferiore. E non avvengano mai tra di noi le critiche e le mormorazioni; colui che critica in qualunque modo un suo fratello è un traditore!
Ubbidienza! E questa ubbidienza alle regole ed ai Superiori non solo, ci rende il buon esempio degli altri, in modo che chi ci vede glorifichi Patrem nostrum qui in coelis est, ma renderà contento il nostro cuore, in fin di vita sarà l'unica consolazione che noi possiamo avere. Io ne fui sempre persuaso, ma lo provai specialmente in questa mia passata malattia. La consolazione più grande che io provassi era al pensiero che colla grazia di Dio aveva fatto qualche cosa per la sua maggior gloria.
Coraggio adunque, cari figliuoli, coraggio a tutti ed a voi in particolare. Vi debbo proprio dire che sono molto consolato dell'andamento di questa casa e ringraziamone il Signore e Maria SS. e ne sia gloria ed onore al suo santo nome. Ora colla buona notte vi dò la benedizione. Adiutorium nostrum in nomine Domine etc. Copiosa benedictio Dei omnipotentis descendat super nos et super opera nostra in nomine Patris etc. [1038] Nel 1872, prima della fine dell'anno, inviava una buona parola a tutti i suoi cari figliuoli di Lanzo: al Direttore e poi ai preti, ai maestri, agli assistenti, agli allievi, e a questi raccomandava „illimitata confidenza col Direttore”.
Ai miei cari figliuoli del Collegio convitto di Lanzo.
Ho ricevuto i vostri augurii colla più grande mia consolazione. Ve ne ringrazio di tutto cuore e ne serberò grata memoria. Dio vi ricompensi la benevolenza che mi avete mostrato.
Il Sig. Direttore non differisca mai i buoni consigli ed i salutari avvisi quando vi è occasione di darli.
I preti siano solidarii gli uni degli altri in tutto ciò che spetta all'eterna salvezza loro propria e dei giovani del collegio.
I maestri interroghino nella classe e portino il pensiero sopra i più deboli.
Gli assistenti facciano ogni sforzo per impedire i cattivi discorsi. I preti e i chierici si ricordino che sono sal terrae et lux mundi.
Gli allievi amino le virtù della modestia e della sobrietà.
A tutti raccomando illimitata confidenza col Direttore.
Dio vi benedica tutti e tutti vi faccia ricchi della vera ricchezza che è il santo timor di Dio.
Voi siete la mia consolazione; nessuno mi trafigga il cuore colle spine della cattiva condotta. In tutto l'anno vi prometto ogni mattino un memento speciale nella Santa Messa. Voi raccomandate anche a Dio la povera anima mia e supplicate la misericordia del Signore affinchè non mi accada la irreparabile disgrazia di perderla.
La grazia di N. S. G. C. sia sempre con noi. Amen.
Anche all'Oratorio, dal pulpito della chiesa di S. Francesco, dava un pensiero particolare ai prefetti e viceprefetti, ai maestri e capi d'arte, agli assistenti, preti, chierici, a tutti i professi ed agli ascritti, e in fine una bellissima “strenna” a tutti. Ecco la memoria che ci resta, scritta da Don Berto:
L’anno scorso in questi giorni io non mi trovava in mezzo a voi; era gravemente infermo a Varazze, in pericolo della vita; ed ora grazie a Dio mi trovo di nuovo qui con voi.
In quest'anno guardando l'ordine delle cose, senza riflettere mi [1039] vengono due pensieri, e sono: che si avrà a patir di fame e di sanità, cioè vi sarà carestia e mortalità.
Io vorrei dare la Strenna in particolare a ciascuno di voi, se fosse possibile: ma per ora la darò in generale. E per primo, venendo a D. Bosco, che cosa dare per strenna a D. Bosco? Che preghiate il Signore per me, affinchè mentre penso a salvare le anime vostre non dimentichi la mia.
Ai prefetti, viceprefetti che si servano sempre della loro autorità per procurare il bene spirituale e temporale dei loro subalterni.
Ai maestri, capi d'arte, che abbiano cura di quelli che nella loro scuola sono più indietro, o per lo studio o pel mestiere.
Agli assistenti, preti, chierici, che siano luce, si mostrino esemplari in tutte le loro azioni a tutti i secolari, e non permettano mai che vi siano dei secolari che li superino nella pietà.
A quei della congregazione, tanto i professi, come gli ascritti, che osservino le regole della medesima.
A tutti poi un esempio d'imitare, una guida da prendere, un protettore, e sia S. Luigi; a tutti un amico da onorare, Gesù Sacramentato; una madre da invocare, e sia Maria Ausiliatrice.
Qualche tempo fa aveva detto che prima che terminasse l'anno 1872 uno sarebbe andato all'eternità, adesso alcuni vanno dicendo: Come va che non è ancora morto? Il perchè ve lo dirò altra volta. Il Signore vuole aspettare in caso che non fosse ancora nella Sua grazia; e noi dobbiamo pregare che si prepari bene.
Nel 1873 Don Bosco era assente dall'Oratorio, essendo partito per Roma il 29 dicembre; e non siam riusciti a trovare qual pensiero abbia lasciato o inviato per il nuovo anno.
Nel 1874 in questa lettera a Don Bonetti forse scriveva i pensieri che rivolse poi anche ai suoi figli dell'Oratorio:
A te: Fa' in modo che tutti quelli cui parli diventino tuoi amici.
Al Prefetto: Tesaurizzi tesori pel tempo e per l'eternità.
Ai maestri, assistenti: “In patientia vestra possidebitis animas vestras”
Ai giovani: La frequente comunione.
A tutti: Esattezza nei proprii doveri. Dio vi benedica tutti e vi conceda il prezioso dono della perseveranza nel bene. Amen.
direttori e norme di spiegazione e di complemento.
Uno dei più antichi ed espressivi documenti del sistema tenuto e raccomandato da Don Bosco nell'educare, è il memoriale che consegnava a Don Rua [e che Don Rua tenne sempre esposto alla parete della sua stanza dopo la morte del Santo] nel 1863, quando l'inviava direttore della prima filiale a Mirabello Monferrato.
Dello stesso abbiamo tre esemplari, uno riveduto da Don Rua, e due con ritocchi ed aggiunte di Don Bosco, anteriori al 1871, quando, in data 31 gennaio, ne rimetteva copia al direttore della Casa Madre ed altre ne inviava ai Direttori delle quattro filiali di Borgo S. Martino, Lanzo, Cherasco Alassio.
La copia consegnata a Don Rua nel 1871, quattro anni dopo, trascritta, venne di nuovo ritoccata da Don Bosco e rimessa al suo fedelissimo “alter ego” con questa nota: - Don Rua procuri di leggere attentamente e poi dia alla tipografia - e difatti ne vennero riprodotte delle copie in litografia, con la data „Vigilia del SS. Natale 1875”, e vennero inviate ai direttori.
La stessa copia fu, poco dopo, riempita di nuove correzioni ed aggiunte dal Santo, con la data „Giorno di S. Giuseppe, 1876”, e se ne fece, a quanto pare, un nuovo invio ai direttori; e nel 1886 se ne riprodussero e diramarono nuovi esemplari in litografia.
Tanto ebbe a cuore Don Bosco la comunicazione di cotesti ricordi! Noi, dopo diligente esame, riportiamo qui la copia, che si conserva intatta, inviata al Direttore di Lanzo nel 1871; e nelle note apponiamo le varianti e le aggiunte che si leggono nell'ultima edizione, perchè chi legge possa comprendere a prima vista tutta l'importanza che bisogna dare a questo documento.
Il titolo di “Ricordi confidenziali al Direttore della Casa di...” nell'edizione del 1886 venne cangiato in “Strenna Natalizia [1041], ossia Ricordi Confidenziali ecc.”, perchè, venendo spedita nella “Festa dell'Immacolata Concezione di Maria SS., 45° anniversario della fondazione dell'Oratorio”, giungeva anche alla maggior parte delle Case di America per le feste del S. Natale. Ecco dunque il prezioso documento, detto allora confidenziale, ma oggi noto a tutti, e che deve esser letto e riletto attentamente da quanti vogliono ben comprendere il pensiero di Don Bosco Fondatore ed Educatore.
2° Evita le austerità nel cibo. Le tue mortificazioni siano nella diligenza a' tuoi doveri e nel sopportare le molestie altrui. In ciascuna notte farai sette ore di riposo. È stabilita un'ora di latitudine in più o in meno per te e per gli altri, quando v'interverrà qualche ragionevole causa. Questo è utile per la sanità tua e per quella de' tuoi dipendenti.
3° Celebra la Santa Messa e recita il Breviario pie, devote, attente[183]. Ciò sia per te e per i tuoi dipendenti.
4° Non mai omettere ogni mattina la meditazione, lungo il giorno una visita al SS. Sacramento. Il rimanente come è disposto dalle Regole della Società.
5° Studia di farti amare prima di farti temere[184]. La carità e la pazienza ti accompagnino costantemente nel comandare nel correggere, e fa' in modo che ognuno da' tuoi fatti e dalle tue parole conosca che tu cerchi il bene delle anime. Tollera qualunque cosa quando trattasi d'impedire il peccato. Le tue sollecitudini siano dirette al bene spirituale, sanitario, scientifico dei giovanetti dalla Divina Provvidenza a te affidati.
6° Nelle cose di maggior importanza fa' sempre breve elevazione di cuore a Dio prima di deliberare. Quando ti è fatta qualche relazione, ascolta tutto, ma procura di rischiarare bene i fatti prima di giudicare[185]. Non di rado certe cose a primo annunzio sembrano travi e non sono che paglie.
1° Procura che ai Maestri nulla manchi di quanto loro è necessario pel vitto e pel vestito. Tien conto delle loro fatiche, ed essendo [1042] ammalati o semplicemente incomodati, manda tosto un supplente nella loro classe.
2° Parla spesso con loro separatamente o simultaneamente; osserva se non hanno troppe occupazioni; se loro mancano abiti, libri se hanno qualche pena fisica o morale; oppure se in loro classe abbiano allievi bisognosi di correzione o di special riguardo nella disciplina, nel modo e nel grado dell'insegnamento. Conosciuto qualche bisogno, fa' quanto puoi per provvedervi.
3° In conferenza apposita raccomanda che interroghino indistintamente tutti gli allievi della classe; leggano per turno qualche lavoro di ognuno. Fuggano le amicizie particolari e le parzialità, nè mai introducano alcuno in camera loro[186].
4° Dovendo dare incombenze od avvisi agli allievi, si servano di una sala o camera stabilita a questo scopo.
5° Quando occorrono solennità, novena o festa in onore di Maria SS.; di qualche Santo nel paese, nel Collegio, o qualche Mistero di Nostra S. Religione, ne diano annunzio con brevi parole, ma non si omettano mai.
6° Si vegli affinchè i Maestri non espellano mai allievi dalla classe, nè mai percuotano i negligenti o delinquenti[187]. Succedendo cose gravi, se ne dia tosto avviso al Direttore degli Studi o al Superiore della Casa.
7° I maestri fuori della scuola non esercitino alcuna autorità[188] si limitino ai consigli, avvisi, o al più alle correzioni che permette e suggerisce la carità ben intesa.
COGLI ASSISTENTI E CAPI DI DORMITORIO.
1° Quanto si è detto dei Maestri si può in gran parte applicare agli Assistenti ed ai Capi di Dormitorio.
2° Procura che abbiano tempo e comodità di studiare per quanto è compatibile coi loro doveri[189].
3° Trattienti volentieri con essi per udire il loro parere intorno alla condotta dei giovani ai medesimi affidati. La parte più importante dei loro doveri sta nel trovarsi puntuali al luogo ove si raccolgono i giovani pel riposo, scuola, lavoro, ricreazione, ecc.
4° Accorgendoti che taluno di essi contragga amicizia particolare con qualche allievo, oppure che l'uffizio affidatogli, o la moralità di lui sia in pericolo, con tutta prudenza lo cangerai d'impiego; che se continua il pericolo, ne darai tosto avviso al tuo superiore. [1043]
5° Raduna qualche volta i Maestri, gli Assistenti, i Capi di Dormitorio e a tutti dirai che si sforzino per impedire i cattivi discorsi, allontanare ogni libro, scritto, immagini, pitture, hic scientia est, e qualsiasi cosa che metta in pericolo la regina delle virtù, la purità. Diano buoni consigli, usino carità con tutti.
6° Si faccia oggetto di comune sollecitudine per iscoprire allievi pericolosi, e scoperti inculca che ti siano svelati.
COI COADIUTORI E COLLE PERSONE DI SERVIZIO.
1° Non abbiano famigliarità coi giovani, e fa' in modo che ogni mattina[190] possano ascoltare la S. Messa ed accostarsi ai SS. Sacramenti secondo le regole della Congregazione, Le persone di, servizio si esortino alla Confessione ogni quindici giorni od una volta al mese.
2° Usa grande carità nel comandare, facendo conoscere colle parole e coi fatti che tu desideri il bene delle anime loro; veglia specialmente che non contraggano famigliarità coi giovani o con persone esterne.
3° Non mai permettere che entrino donne nei dormitorii od in cucina, nè trattino con alcuno della casa se non per cose di carità o di assoluta necessità. Questo articolo è della massima importanza.
4° Nascendo dissensioni o contese tra le persone di servizio, tra gli assistenti, tra i giovani allievi od altri, ascolta ognuno con bontà, ma per via ordinaria dirai separatamente il parer tuo in modo che uno non oda quanto si dice dell'altro.
5° Alle persone di servizio sia stabilito per capo un coadiutore di probità conosciuta, che vegli sui loro lavori e sulla loro moralità, affinchè non succedano furti nè facciansi cattivi discorsi; ma si adoperi costantemente per impedire che alcuno si assuma commissioni, affari riguardanti i parenti, od altri esteri, chiunque siano.
1° Non accetterai mai allievi che siano stati espulsi da altri Collegi, oppure ti consti altrimenti esser di mali costumi. Se malgrado la debita cautela, accadrà di accettarne alcuno di questo genere, fissagli subito un compagno sicuro che lo assista e non lo perda mai di vista. Qualora egli manchi in cose lubriche, si avvisi appena una volta, e se ricade, sia immediatamente inviato a casa sua.
2° Passa coi giovani tutto il tempo possibile e procura di dire all'orecchio qualche affettuosa parola[191], che tu ben sai, di mano in mano che ne scorgerai il bisogno. Questo è il gran segreto che ti renderà padrone del loro cuore. [1044]
3° Dimanderai: Quali sono queste parole? Quelle stesse che un tempo per lo più furono dette a te. P. E. Come stai? Bene. - E di anima? - Così, così. - Tu dovresti aiutarmi in una grande impresa; mi aiuterai? - Sì, ma in che cosa? - A farti buono. - Oppure: A salvarti l'anima; oppure: A farti il più buono dei nostri giovani. - Coi più dissipati: - Quando vuoi cominciare? - Che cosa? - Ad essere la mia consolazione; - A tenere la condotta di San Luigi. - A quelli che sono un po' restii ai Santi Sacramenti: - Quando vuoi che rompiamo le corna al Demonio? - In che modo? - Con una buona confessione. - Quando vuole. - Al più presto possibile. Altre volte: - Quando faremo un buon bucato? - Oppure: Ti senti di aiutarmi a rompere le corna al Demonio? Vuoi che siamo due amici per gli affari dell'anima? Haec aut similia.
4° Nelle nostre Case il Direttore è il Confessore ordinario, perciò fa' vedere che ascolti volentieri ognuno in Confessione, ma da' loro libertà di confessarsi da altri se lo desiderano[192]. Fa' ben conoscere che nelle votazioni sulla condotta morale tu non ci prendi parte e studia di allontanare sin l'ombra di sospetto che tu abbia a servirti, oppure anche ricordarti di quanto fu detto in Confessione. Neppure apparisca il minimo segno di parzialità verso chi si confessasse da uno a preferenza degli altri.
5° Il piccolo clero, la Compagnia di S. Luigi, del SS. Sacramento, dell'Immacolata Concezione, siano raccomandate e promosse. Ma tu ne sarai soltanto promotore, non direttore[193]; considera tali cose come opere dei giovani, la cui direzione è affidata al catechista, ossia al Direttore Spirituale[194].
1° Prestiamo volentieri l'opera nostra pel servizio religioso, per la predicazione, celebrare Messe, ascoltare le confessioni[195], tutte le [1045] volte che la carità e i doveri del proprio stato lo permettono, specialmente a favore della parrocchia nei cui limiti trovasi la nostra casa. Ma non assumetevi mai impieghi o altro che importi assenza dallo stabilimento o possa impedire gli uffizi a ciascuno affidati.
2° Per cortesia siano invitati Sacerdoti esterni per le predicazioni[196], od altro in occasione di solennità o di trattenimenti musicali o di altro genere. Lo stesso invito si faccia alle autorità civili e a qualsiasi altra persona benevola o benemerita per favori usati o che sia in grado di usarne.
3° La carità e la cortesia siano le note caratteristiche di un Direttore verso gli interni quanto verso gli esterni.
4° In caso di questioni di cose materiali accondiscendi in tutto quello che puoi, anche con qualche danno purchè si tenga lontano ogni appiglio di liti, o di altra questione che possa far perdere la carità.
5° Se trattasi di cose spirituali, le questioni risolvansi sempre come possono tornare a maggior gloria di Dio. Impegni, puntigli, spirito di vendetta, amor proprio, ragioni, pretensioni ed anche l'onore, tutto deve sacrificarsi per evitare il peccato.
6° Se per altro la cosa fosse di grave importanza è bene di chiamare tempo per pregare e dimandare consiglio a qualche pia e prudenta persona.
1° L'esatta osservanza delle Regole, e specialmente dell'ubbidienza, sono la base di tutto. Ma se vuoi che gli altri obbediscano a te, sii tu obbediente a chi di ragione[197]. Niuno è idoneo a comandare, se non è capace di ubbidire.
2° Procura di ripartire le cose in modo che niuno sia troppo carico d'incombenze, ma fa' che ciascuno adempia fedelmente quelle che gli sono affidate.
3° Niuno della Congregazione faccia contratti, riceva danaro, faccia mutui o impresti ai parenti, agli amici o ad altri. Nè alcuno conservi danaro od amministrazione di cose temporali senza esserne direttamente autorizzato dal Superiore. L'osservanza di questo articolo terrà lontano la peste più fatale alle Congregazioni religiose.
4° Abborrisci come veleno le modificazioni delle Regole. L'esatta osservanza di esse è migliore di qualunque variazione. Il meglio è nemico del bene.
5° Lo studio, il tempo, l'esperienza mi hanno fatto con mano toccare che la gola, l'interesse, la vanagloria, furono la rovina di floridissime [1046] Congregazioni e di rispettabili Ordini Religiosi. Gli anni ti faranno conoscere delle verità che forse ora ti sembreranno incredibili[198].
1° Procura di non mai comandare cose superiori alle forze dei subalterni. Nè mai si diano comandi ripugnanti; anzi abbi massima cura di secondare le inclinazioni di ciascuno affidando di preferenza le cose che si conoscono di maggior gradimento[199].
2° Non mai comandare cose dannose alla sanità o che impediscano il necessario riposo o vengano in urto con altre incombenze o con ordini di altro superiore.
3° Nel comandare si usino sempre modi e parole di carità e di mansuetudine. Le minacce, le ire, tanto meno le violenze, siano sempre lungi dalle tue parole e dalle tue azioni.
4° In caso di dover comandare cose difficili o ripugnanti al subalterno si dica p. es.: Potresti fare questa o quell'altra cosa? Oppure: Ho cosa importante, che non vorrei addossarti, perchè difficile, ma non ho chi al pari di te possa compierla. Avresti tempo, sanità; non ti impedisce altra occupazione? L'esperienza ha fatto conoscere che simili modi, usati a tempo, hanno molta efficacia.
5° Si faccia economia in tutto, ma si faccia in modo che agli ammalati nulla manchi[200]. Si faccia per altro a tutti notare che abbiamo fatto voto di povertà, perciò non dobbiamo cercare nemmeno desiderare agiatezze in cosa alcuna. Dobbiamo amare la povertà ed i compagni della povertà. Quindi evitare ogni spesa non assolutamente necessaria negli abiti, nei libri, nel mobiglio, nei viaggi, ecc.
Questo è come testamento che indirizzo ai Direttori delle case particolari. Se questi avvisi saranno messi in pratica, io muoio tranquillo, perchè sono sicuro che la nostra Società sarà certamente benedetta dal Signore e ognor più fiorente conseguirà il suo scopo, che è la maggior gloria di Dio e la salvezza delle anime[201]. [1047] Come dimenticare cotesti sapientissimi insegnamenti? La pratica di questo Testamento paterno è l'unico mezzo per far fiorire nelle nostre case il suo spirito e vivere quella vita di famiglia che voleva in esse caratteristica...
... Studia di farti amare piuttosto che farti temere.
… Fa' sempre breve elevazione di cuore a Dio prima di deliberare.
… La carità e la cortesia sieno le tue caratteristiche tanto con gli interni quanto con gli esterni.
… Procura di farti conoscere dagli allievi e di conoscere essi passando con loro tutto il tempo disponibile.
... Le parti odiose e disciplinari sieno affidate ad altri.
... Abbi massima cura di assecondare le inclinazioni di ciascuno affidando di preferenza quegli uffici che a taluno si conoscono di maggior gradimento.
... Quando ti è fatta qualche relazione, ascolta tutto, ma procura di rischiarare i fatti, e di ascoltare anche le parti prima di giudicare.
… Si faccia economia in tutto, ma assolutamente in modo che agli ammalati nulla manchi.
… Aborrisci come veleno le modificazioni delle Regole. Il meglio è nemico del bene...
Con questo programma ogni comunità religiosa formerà un cuor solo e un'anima sola col proprio superiore!
A spiegazione e complemento dei Ricordi si compilarono alcune Norme, raccolte nelle Conferenze generali, man mano che venivano suggerite, come si hanno in un primo manoscritto e quindi coordinate nuovamente, e corrette di mano di Don Rua, come risulta dalla copia che si trova in un suo quaderno, dalla quale devono essere stati trascritti gli esemplari inviati ai direttori, insieme con una nuova copia dei Ricordi, il „giorno di S. Giuseppe, anno 1876”.
Norme private per Direttori, che possono servire di spiegazione e complemento ai Ricordi confidenziali.
1° I Superiori di ciascuna casa si diano grande premura per bene avviare e formarsi il proprio personale insegnante, assistente, inserviente, ecc. Ciò specialmente in questi anni in cui siamo in penuria di persone ed il personale, che abbiamo, è quasi tutto in giovanile età. [1048]
2° I Direttori usino molta benignità e condiscendenza verso i subalterni, e per quanto loro è possibile non trattino cose odiose. Se è materia di disciplina facciasi eseguire dal prefetto. Se poi sono cose d'importanza spettanti a qualche confratello, se ne scriva al Superiore generale. Quanto alle notizie da darsi ai parenti riguardo alla condotta degli allievi, per regola generale, le dia il Direttore; ove esso non possa o non convenga perchè vi fossero misure a prendersi un po' severe, dia al prefetto od a qualcun altro le norme da tenersi per disimpegnare tale uffizio.
3° I Direttori s'avvicinino sovente ai più bisognosi per incoraggiarli e migliorare la loro condotta e per conoscere i loro particolari bisogni e provvedervi.
4° Si usino speciali riguardi ai membri che hanno meriti particolari, tanto nei viaggi, quanto nelle varie circostanze della vita, e segnatamente in occasione di malattia.
5° In tutti i Collegi si tengano in ispecialissima considerazione i professi, sì chierici che coadiutori; si usi loro molta confidenza e loro si affidino, sebbene meno abili che altri, le cose più delicate e confidenziali, anche dicendolo loro, o facendo in modo che se ne accorgano che si dà loro quell'incarico, piuttosto che ad altri, perchè professi e considerati quali veri fratelli.
6° Ciascun Direttore si prenda molto a cuore la scuola di Teologia, procuri che si faccia con impegno e non si tralasci mai.
7° Ciascun Direttore abbia cura di parlare o scrivere a tempo al Rettor Maggiore intorno a coloro che sono riputati degni delle sacre ordinazioni. Prima però ne parli nel proprio Capitolo e mandi il parere. Si ricordi di rinviare la delegazione colle indicazioni necessarie.
8° Si dia comodità ai preti novellamente ordinati di studiare la Morale.
9° Non si tralasci mai dai Direttori di fare due Conferenze mensuali, nell'una delle quali si leggano e si spieghino le Regole, nell'altra si tratti di qualche punto morale. Accadendo che il Direttore ne sia impedito si faccia almeno qualche lettura spirituale che le supplisca; ma questo poco non si tralasci mai.
10° Non siano mai dimenticati i rendiconti mensili e si facciano posatamente e con impegno. Ogni Direttore interroghi specialmente sopra questi due punti: 1) Nel vostro uffizio trovate qualche cosa che vi sia ripugnante, e che possa impedire la vostra vocazione? Dall'altro rendiconto a questo vi pare d'aver fatto qualche profitto spirituale? 2) A voi consta qualche cosa che possa farsi o impedirsi per allontanare l'offesa di Dio, o togliere disordine o qualche scandalo? Per lo più si scoprono cose, cui noi non penseremmo mai, e che essi molte volte credono che noi già le sappiamo, o che le teniamo in, poco conto. Quando dai rendiconti si conosce qualche cosa che possa essere sorgente di male, di disordini per un confratello, se ne [1049] tenga nota e quando venga il turno di quel tale si facciano interrogazioni allusive, o si domandi apertamente questo o quello, secondo i casi. Così potremo riparare a pericoli anche gravi ed in modo che nessuno resti offeso, ed impedire scandali senza che alcuno se ne accorga. Si noti però attentamente nei rendiconti di non entrare in cose di coscienza.
11° Rendiconto e Confessione devono essere cose al tutto separate; il rendiconto si aggiri su cose esterne, perchè noi del rendiconto abbiamo bisogno di servircene in ogni caso, il che non si potrebbe fare se si entrasse in materia di coscienza, senza pericolo di confondere queste con cose di Confessione.
12° In tutti i nostri Collegi il Direttore badi che il Catechista abbia cura speciale dei chierici, giovando loro a disimpegnare esattamente i loro doveri, li ammonisca amorevolmente in ciò che mancano e ne dia avviso al Direttore, ove tema alcun disordine; e però se ne faccia render conto con frequenza.
13° I Direttori, o per sè o per mezzo del Catechista, veglino sulla celebrazione della Messa dei loro preti e diano opportune ammonizioni, perchè si eseguiscano bene le cerimonie, portino all'altare molta divozione, non siano troppo brevi, nè troppo lunghi quando celebrano in pubblico.
14° I preti o chierici mandati a dir Messa od a servire fuori dei nostri collegi siano dei più divoti ed instruiti nelle sacre cerimonie. Se costoro non sono in libertà, piuttosto non se ne accetti l'invito. Questo pel decoro della Congregazione e della Casa da cui sono inviati.
15° I Direttori badino a non lasciar contrarre relazioni cogli esterni, sia dai professori che dagli altri Superiori subalterni, specialmente che non si vadano a far visite domiciliari.
16° Per l'insegnamento si prendano sempre meno che sia possibile dei professori esterni, sia per l'ingente spesa che occorre, sia perchè essi per lo più non si curano della parte morale che deve essere inalterabilmente il primo fine ed ultimo delle nostre azioni. Quando si può semplificare le cose, mettendo due corsi insieme con minor numero di personale, si faccia sempre; per es., per la Storia si studii sempre da tutti un anno il Medio Evo; l'anno dopo da tutti l'Età moderna; di Filosofia un anno da tutti la Logica, un altro anno da tutti l'Etica. E, quando occorre bisogno di un professore esterno, prima di sceglierlo il Direttore prenda permesso e consiglio dal Rettor Maggiore.
17° In ciascun trimestre diano rendiconto sull'andamento igienico, economico, scolastico e specialmente morale del proprio collegio, notando le particolarità sulla condotta dei soci, sia in bene sia in male, e ciò per norma del Rettor Maggiore per conoscere i membri della Congregazione.
18° Per l'amministrazione generale dei Direttore si abbia una [1050] specie di registro (contatore), in cui egli registri le entrate di qualsiasi genere, anche di tutto il denaro, che gli viene rimesso dal prefetto settimanalmente, ed in cui pure registri tutte le uscite di questo denaro, eziandio quelle che rimette al prefetto per le spese ordinarie e straordinarie, procurando di classificare tutte le entrate e le uscite. Che se gli occorresse di fare spese particolari secrete, potrà notarle su apposito libretto da presentarsi al Superiore Generale, e che dovrà servire per rendiconto particolare del Direttore, da farsi al termine di ogni anno scolastico ed in qualunque momento ne fosse richiesto dal Superiore.
19° Non siano mai introdotte variazioni nella contabilità od in altro, senza averne speciale intelligenza col Rettore Maggiore.
20° Si raccomanda di eseguire per quanto si può i Decreti di Roma 1848, senza per ora darsi pena di ciò che non si può ancora eseguire.
21° Riguardo agli esaminatori da quelli richiesti, i membri dei Capitoli delle singole Case eserciteranno le funzioni di esaminatori provinciali e i membri del Capitolo Superiore saranno esaminatori generali. Questa determinazione non è che provvisoria.
22° Regolarmente la carica di Direttore in un collegio duri sei anni, come quella dei membri del Capitolo Superiore, fatta però facoltà al Superiore Generale di cambiarli anche prima, ove siavi il bisogno, o di confermarli, ove lo richiedesse la maggior gloria di Dio.
23° Una cosa poi a cui debbono mirare tutti i Direttori coi membri del Capitolo Superiore si è di unificare la direzione generale della Congregazione, e perciò studiare il modo di emancipare il Capitolo Superiore dalla direzione dell'Oratorio[202].
NB. Nelle Conferenze autunnali del 1875 riguardo alla scuola serale si determinò di provare nei singoli collegi fuori dell'Oratorio a farla prima di cena, per vedere se siavi maggior convenienza, senza però mutare l'ora delle orazioni che dev'essere alle nove.
L'intima unione familiare mediante la più assidua e caritatevole vigilanza paterna, la cura di tutti per vivere vita esemplare, e lo spirito di povertà nella vita comune, erano le raccomandazioni che uscivano continuamente dal cuore del Santo Fondatore.
Il Santo non lasciava di ammonire i singoli Direttori, quando lo giudicava anche solo conveniente, durante gli [1051] esercizi spirituali e nelle visite alle Case, a voce e per iscritto; e i devotissimi figli accoglievano e conservavano le parole del Padre con devozione.
Difatti quattro autografi del Santo illuminano nettamente la sua franchezza e le sue sollecitudini paterne, insieme con l'umiltà e la devozione di coloro che li ricevettero e li vollero a noi tramandati, senza preoccuparsi che avrebbero potuto servire a far conoscere ai posteri qualche loro difetto o debolezza, avendo più di tutto a cuore il conservare ciò che avrebbe servito ad illustrare la santità, la saggezza e la paternità del dolcissimo Padre.
Il primo e il terzo li riproduciamo integralmente.
Il secondo non reca il nome del destinatario neppure nell'originale, tuttavia vi sopprimiamo tre parole, apponendo al loro posto dei puntini, per non dire ... a chi venne inviato.
Così facciamo anche nel quarto, che reca nettamente la data: „Vigilia dell'Assunzione 1874”.
Son consigli ed ammonimenti, che, pur oggi o domani, possono tornare ad altri opportuni e vantaggiosi.
1° Non mai omettere il rendiconto mensile, le due istruzioni, una sulle regole, altra sovra argomento ascetico.
2° Occupa il tempo: studia bene le tue prediche e promuovi lo spirito di pietà fra i tuoi allievi.
3° Non allontanarti senza necessità e in questi casi procura di provvedere all'ordine, alla moralità del collegio.
1° Una predica sullo spirito di carità e di unione fraterna. Un solo Dio, un solo padrone, un solo superiore, una sola congregazione.
2° Il rendiconto mensile; convocare il capitolo; fare e raccomandar caldamente la meditazione pratica. P. e.: Non si conservi danaro a proprio uso; nè si facciano spese senza il consenso del capitolo.
3° Non mai biasimare ciò che si faceva prima nelle scuole e fuori [1052] di scuola in... [città]. Non vantare in pubblico od in privato quello che si fa o che si è fatto.
4° Evitar le conversazioni, le visite, e le relazioni non necessarie, fuggire la famigliarità colle persone di diverso sesso. Qualcuno mi notò la tua troppo lunga dimora a...
5° Rispettare e temere molto il Clero... [locale], perciò lodarlo; non mai biasimarlo, o vantarsi in qualche cosa sopra gli altri nel pulpito o altrimenti.
6° Pare il bene che si può senza comparire. La violetta sta nascosta, ma si conosce e si trova all'odore.
Leggi, pratica, e ce ne parleremo. Accetta tutto dal tuo aff.mo in G. C.
Io non credo che non si possano impedire i disordini, se non mettonsi in pratica le norme fondamentali delle nostre rase. Fa' la prova:
1° Rendiconto mensile, in cui si batta sul dovere che il Superiore ha di parlare schietto ed in ogni cosa al suo suddito; e questi dal canto suo dica le cose e, se non si dicono, se le richiamino a memoria.
2° In questo rendiconto osservare se si è migliorato o no; se si tenne conto dei consigli dati, ed insistere sulla esecuzione dei medesimi.
3° Non mai omettere le due conferenze mensili, una ascetica, l'altra spiegativa delle regole.
4° Radunare il Capitolo, e qualche volta tutti gli insegnanti, per istudiare i mezzi che ciascuno giudica opportuni per rimediare il da rimediarsi.
5° Ricordati che il Direttore non deve fare molto, ma adoperarsi che gli altri facciano, vegliando che ciascuno compia i proprii doveri.
6° Leggi anche le norme che ho date scritte a ciascun direttore delle nostre case.
Non ti chiedo altro che l'osservanza di questi articoli, e poi la grazia del Signore avrà la via aperta nel cuore di tutti. Gli esercizii spirituali prepareranno terreno. Nella prima quindicina di maggio prossimo andrò a farvi visita, e tu mi saprai dire il risultato di quello che ti raccomando. D'altronde: mundus in maligno positus est totus, e non possiamo cangiarlo.
Dio ci benedica tutti, e, credimi
Nel corso di questi esercizi ho parlato con vari esercitandi dei nostri Collegi, e notai quello che mi sembrò degno di seria osservazione in ... [cotesta casa].
Chiama pertanto il Prefetto e leggete insieme:
1° Non dimenticate quello che vi ho caldamente raccomandato quando mi avete accompagnato a…
2° E l'uno e l'altro vi allontanate troppo facilmente dal Collegio, andate a casa dei giovani o dei privati.
3° Gravi lamenti sulla nettezza personale degli abiti, e dei luoghi ove si dimora; gravi lamenti intorno alla disciplina: sono due cose fondamentali. A chi sono affidate? Il Direttore ed il Prefetto fanno la parte loro? Preferiscono queste ad ogni altra esterna occupazione?
4° Molti parenti si lagnano a motivo dell'amministrazione; molti giovani troppo malcontenti; altri troppo accarezzati, ecc. ecc.
Dio ci aiuti: lavorate per le anime e specialmente per le vostre. Amen.
La nostra Società otteneva il Decretum laudis il 25 luglio 1864, „venendo differita a tempo più opportuno l'approvazione delle Costituzioni”; ma siccome in queste si leggeva: „Il Rettore... convochi una volta l'anno il Capitolo ed i Direttori delle case particolari per conoscere e provvedere ai bisogni della Società, dare quelle provvidenze che secondo i tempi, i luoghi e le persone si giudicheranno opportune”[203], fin dal 1865 si prese a compiere con una certa solennità la prescrizione del citato articolo, con apposite Conferenze Generali nella festa di San Francesco di Sales, alle quali, insieme con i Direttori, prendevan parte tutti i confratelli dell'Oratorio.
Se accadeva che sulla fin di gennaio Don Bosco fosse assente, allora la festa del Santo Titolare si trasferiva, insieme con le dette conferenze, al suo ritorno; e di queste [1054] abbiamo alcuni resoconti, in fogli vaganti. Non possiamo dir con certezza da chi vennero estesi; ma evidentemente il lavoro venne compiuto volta per volta per incarico del Santo, per cui anch'essi son da tenersi in gran conto, essendo tante pagine genuine della storia della nostra Società, della quale ci additano lo sviluppo progressivo, insieme con lo zelo del Fondatore per promovere tra i suoi l'osservanza delle Costituzioni.
1) NEL 1871 - LA CONFERENZA GENERALE ebbe luogo il 30 gennaio; ed insieme con i confratelli dell'Oratorio, furono ad essa „presenti i Direttori tutti dei subalterni collegi”, cioè di Borgo S. Martino, Lanzo, Cherasco, Alassio, ed anche Don Pestarino.
“Emessi i voti triennali da due confratelli[204], Don Bosco invitò per ordine i Direttori dei Collegi ad esporre l'andamento delle Case loro affidate. Parlò pel primo il Direttore del collegio di Borgo S. Martino, poi il Direttore del Collegio di Lanzo, cui tennero dietro i Direttori dei Collegi di Cherasco e di Alassio. Fatte poche eccezioni e di cose poco rilevanti, tutti si mostrarono soddisfatti dell'andamento dei loro subalterni, facendo ciascheduno più sentire le sue consolazioni, che le sue spine. Fu parimente invitato a dir qualche cosa dell'andamento del paese il signor D. Pestarino, e sbrigatosi in breve facendo sol vedere l'impegno che aveva per far del bene specialmente in questi giorni di carnevale, parlò della casa che si stava costruendo in Mornese, lasciando speranza che non si sarebbe tardato molto a terminarla interamente.
In fine così Don Bosco prese a parlare:
Riepilogando quanto abbiamo udito intorno all'andamento delle nostre case, noi dobbiamo ringraziare il Signore che così ci benedica. Vediamo che la nostra Congregazione dall'anno scorso è cresciuta in buona volontà, in unità, ed in amore al lavoro. E non solo abbiamo già un bel numero di giovani accolti in prova, ma ve ne sono molti che dimandano di potervi entrare, e son giovani di buona volontà. [1055]
Dacchè si è parlato di tutte le Case particolari, io, se devo anche dire qualche cosa della Casa dell'Oratorio che è la madre, la casa centrale, io devo anche esprimere la mia consolazione, nel vedere che in quest’anno abbiamo avuto un miglioramento notabile. Vedo che si va maggiormente sistemando l'ordine in tutte le cose. Sono anche contento del gran miglioramento introdottosi negli artigiani, che gli altri anni erano per indisciplina vero flagello per la casa. Non è che tutti siano ora farina da far ostie, ma un miglioramento c'è e ve ne sono diversi che domandano di potere entrare nella Congregazione. Veggo anche, che fra gli stessi Confratelli si è accresciuto l'impegno per far del bene, ed anche l'unione che è fra noi tanto necessaria.
Ho veduto che nelle case particolari si lavora molto e moltissimo. Quelli che fanno scuola sono i medesimi che assistono in dormitorio, al passeggio, in ricreazione, sono i medesimi che fanno la ripetizione, che assistono in refettorio, e trovano ancor tempo a leggere, a studiare, ed a prepararsi per far la scuola. Questo, anzichè addolorarmi, mi fa grande piacere, perchè dove si lavora indefessamente, il demonio non può regnare. Si lavora molto nelle case particolari, ma si lavora molto anche qui. È vero che siamo molti, ma molte sono anche le occupazioni, e quantunque non compariscano tante, richiedono nondimeno molto personale. Io prima non mi credeva che fossimo tutti così occupati; ma avendo un giorno bisogno di farmi copiare due pagine di scritto, mando a chiamar uno, e: “Avresti tempo, gli dico, di scrivermi due pagine?”.”Sì, mi risponde, ma devo lasciar la tal cosa". Chiamo un altro e mi risponde lo stesso. Faccio passar tutti, e non ne trovo uno che abbia un'ora disponibile. Io, anzichè rattristarmi, mi rallegro e prego il Signore che voglia sempre mandarci lavoro, perchè guai a noi se schiveremo fatica, se non avremo onde occuparci. Le rovine delle Congregazioni, credetelo pure, provengono tutte dall'oziosità, dall'inerzia, perchè l'ozio è il padre di tutti i vizi. Quindi tremiamo al solo pensiero che questo mostro si insinui fra noi.
Poi ho bisogno che ciascheduno si metta a far danaro. [1056] Le spese sono grandi, le imprese che abbiamo fra mano sono enormi, importano per lo meno la somma di 200.000 franchi.
- Come? qualcheduno dirà: Don Bosco ci dice sempre di essere distaccati dalle terrene ricchezze, di non tenere o maneggiar danaro, e poi ci esorta a far danaro?
- E sì, rispondo io; noi dobbiamo far danaro, ed abbiamo un mezzo efficacissimo, e questo è di risparmiare tutto ciò che si può, tutto ciò che è oltre il bisogno! Dobbiam procurare di risparmiare quanto si può tanto nei viaggi, come nel vestire. Non è che questi piccoli risparmi bastino per le grandi spese che abbiamo; ma se noi facciamo questo, la Provvidenza ci manda tutto il resto, e possiamo esserne certi qualunque sia il bisogno.
Del resto non dobbiamo darci pensiero, perchè, rettificato il fine, i mezzi ce li manda la Provvidenza. Ora, per esempio, noi abbiamo fra le mani delle vistosissime imprese. Abbiamo qui, innanzi la chiesa, la piazza che si incomincierà quanto prima. C'è molto da lavorare, e da spendere. Abbiamo la chiesa vicino a quella de' protestanti da incominciare, e speriamo d’incominciarla questa primavera. Si fabbrica a Lanzo, si è dovuto aggiustare a Borgo S. Martino, ad Alassio, ed io non ho un soldo; e tuttavia fisso già le mie epoche; faccio i miei patti coi provveditori di pagarli a tempo in contanti, e son certo che il Signore ce li manderà.
Quello che ho anche veduto si è, che allorquando possediamo qualche pezzo di stabile o di terreno, la Provvidenza cessa dal mandarci i suoi soccorsi: e finchè vi è quel campo, niente arriva, e bisogna disfarcene; perciò dobbiamo dismettere ogni pensiero di aver tenimenti, perchè non sono che ostacoli.
Noi, qui nella casa di Valdocco, non possiamo anche avere quell'ordine d'unità che si ha nelle altre Case, perchè, oltre all'esservi in numero maggiore, abbiamo ancor sempre un numero di individui che non appartengono alla Congregazione, ma che, per convenienza, o per rispetto a qualcheduno, si tollerano. Speriamo però che col tempo potremo ridurci anche ai soli della Congregazione.
Di più v'è ancora una cosa che lasciava a dire pel risparmio del denaro. Adesso incominciamo ad avere un grande [1057] flagello, ed è quello della leva. Un giovane, prima che si possa mettere al lavoro, costa immensamente, prima per gli studi, pel mantenimento, pel vestire, e poi per esentarlo dalla coscrizione.
Una cosa poi, che si deve prendere in considerazione e rimediare, sono anche i teatri e le recite che si fanno. Io l'ho sempre tollerato e ancora lo tollero questo: ma intendo che sia teatrino fatto unicamente pei giovani e non per quei che vengono dal di fuori. In ogni Casa di educazione, o bene o male, bisogna che si reciti, perchè questo è anche un mezzo per imparare a declamare, per imparare a leggere con senso, e poi se non c'è questo, par che non si possa vivere. Veggo però che qui fra noi non è più come dovrebbe essere, e come era nei primi tempi. Non è più teatrino, ma è un vero teatro. Pertanto io intendo che i teatrini abbiano questo per base: di divertire e di istruire; e non s'abbiano a vedere di quelle scene che indurir possono il cuor dei giovani o far cattiva impressione sui delicati lor sensi. Si diano pure commedie, ma cose semplici, che abbiano una moralità. Si canti, perchè questo, oltre che ricrea, è anche una parte di istruzione in questi tempi tanto voluta. Si declamino brani di poesia tolti da qualche buon autore; e, se vi sarà qualche invitato, sia dei benefattori, i quali saranno contenti di vedere che tutto concorre a far del bene alla gioventù, per cui ci siamo consacrati noi e per cui i benefattori si adoperano. Non s'abbiano neppur più a vedere sul palco di quelle vestimenta così indecenti all'occhio di chi non può sapere esser di tal colore, e non s'abbia mai ad offendere la virtù della modestia. Si diano quelle cose che dànno nuove cognizioni come un viaggio nei luoghi santi, qualche fatto della Storia Sacra e simili, chè così otterremo lo scopo che ci siamo prefissi. Nè io intendo che i nostri teatrini diventino spettacoli pubblici, in modo da far arrabbiare quelli che non possono venire, e da cercare in ogni modo di aver dei biglietti di entrata. Di più ho veduto anche assistere a queste rappresentazioni persone che non so come potessero esservi, perchè vestite in modo nient'affatto decente, e che se non fosse stato per non usare sgarbatezza, avrei fatto immediatamente partire [1058]. Neppure si possono tollerare certe parole che si proferirono dal palco, come maledetto questo, maledetto quello. Se si invita qualcheduno, intendo che sia qualche benefattore, e non altri.
È vero che queste cose le avrei dovute dire ai Direttori particolari di questo, ma ho voluto dirle qui, affinchè tutti sappiano come devono essere le cose, e nessuno cerchi di introdurre ciò che non conviene.
Del resto non abbiamo che ad animarci nel lavoro perchè, quantunque il numero dei Confratelli cresca, in proporzione delle domande che abbiamo di aprir case messis quidem est multa, operarii autem pauci. L'ammirabile incremento di questa nostra Società è un vero miracolo, attesa la malignità dei tempi, i grandi sconvolgimenti e l'accanita guerra che si fa ai buoni. In questo tempo in cui tutti gli Ordini vengono dalle leggi civili soppressi, neppur le monache possono più esser tranquille nei loro chiostri, più non si possono veder frati, noi ci raduniamo, e sulla barba di tutti i nostri nemici aumentiamo, fondiamo case, facciamo quel bene che si può. Qui si vede che vi è il dito di Dio, che vi è la protezione della Madonna. Le leggi più non tollerano i frati; ebbene, noi cambiamo abito, e vestiti da preti facciamo lo stesso. Non tollereranno più l'abito del prete? Ebbene, che importa? Vestiremo come gli altri, non cesseremo di far del bene lo stesso: porteremo la barba, se è necessario, chè questo non è ciò che impedisca di far del bene. Abbiamo contro di noi tutta la framassoneria, tutti ci odiano, ci perseguitano; e pure noi siamo in pace, noi siamo tranquilli, noi abbiamo l'assistenza di Dio. Abbiamo contro un gran numero di giornalisti; e malgrado questo le nostre Case acquistano sempre maggior credito presso la gente, e sempre abbiamo delle raccomandazioni di giovani più di quelle che possiamo accettare.
Io voglio stasera terminare colla raccomandazione di quella virtù che abbraccia tutte le altre, voglio dire l'ubbidienza. Credete pure, che se farete in tutto la volontà di chi è stabilito per comandare, non la sbaglierete, perchè il Signore assiste e inspira chi comanda; e chi cerca di far osservazioni [1059] e far cambiare di parere il superiore la sbaglia, perchè io ho conosciuto dall'esperienza che tutte le volte che ho mutato pensiero per seguire il parere di un altro, l'ho sbagliata. Di più vi so dire che in una Congregazione l'ubbidienza è tutto; se manca l'ubbidienza, sarà un disordine, ed andrà in rovina.
Inoltre raccomando a tutti di star alla regola di non far eccezioni, perchè pur troppo verrà il tempo in cui sarà indispensabile il far queste eccezioni, ed io tremo a questo solo pensiero. Con questo non voglio dire che quando vi è un bisogno, uno non adoperi i mezzi necessari per ovviarvi; ma se qualche cosa si fa fuori di ordine, sia per pura necessità.
Non cesso ancora di esortarvi al lavoro: io dal canto mio spenderò la parte della vita che mi resta pel bene dei giovani unicamente; poichè ognun di voi sa, come io men dovessi andare all'eternità di cinquant'anni, ma una combriccola di giovani hanno pregato e mi hanno fatto prolungare il mio passaggio. Io ringrazio il Signore di questa grazia, ed impiegherò questa vita a vantaggio di coloro che me l'hanno ottenuta da Dio. Voi fate altrettanto, perchè messis quidem multa, operarii autem pauci”.
Il Santo parlò minutamente anche del teatrino, e non occorre aggiungere neppur una sillaba, per illustrare i suoi ammonimenti, chiari ed espliciti, anche perchè, proprio di quell'anno, egli pubblicava e diramava alle case, in un piccolo foglio di quattro paginette, queste
REGOLE PEL TEATRINO[205].
1. Scopo del Teatrino è di rallegrare, educare, istruire i giovani più che si può, moralmente.
2. È stabilito un Capo del Teatrino che deve tener informato volta per volta il Direttore della Casa di ciò che si vuol rappresentare, del giorno da stabilirsi e convenire col medesimo sia nella scelta delle recite, sia dei giovani che devono andare in scena.
3. Tra i giovani da destinarsi a recitare si preferiscano i più [1060] buoni di condotta, che, per comune incoraggiamento, di quando in quando saranno surrogati da altri compagni.
4. Quelli che sono già occupati nel canto o nel suono procurino di tenersi estranei alla recitazione; potranno però declamare qualche brano di poesia, o d'altro negli intervalli.
5. Per quanto è possibile siano lasciati liberi dalla recita i Capi d'arte.
6. Procuri che le composizioni siano amene ed atte a ricreare e divertire, ma sempre istruttive, morali, e brevi. La troppa lunghezza, oltre al maggior disturbo nelle prove, generalmente stanca gli uditori, e fa perdere il pregio della rappresentazione, e cagiona noia anche nelle cose stimabili.
7. Eviti quelle composizioni che rappresentano fatti atroci. Qualche scena un po' seria è tollerata, siano però tolte di mezzo le espressioni, poco cristiane, e quei vocaboli, che detti altrove sarebbero incivili e troppo plateali.
8. Il Capo si trovi sempre presente alle prove, e quando si fanno di sera non sieno protratte oltre alle ore 10. Finite le prove, invigili, che in silenzio, ciascuno vada immediatamente a riposo senza trattenersi in chiacchiere, che sono per lo più dannose, e cagionano disturbo a quelli che già fossero in riposo.
9. Il Capo abbia cura di far preparare il palco nel giorno prima della recita, in modo che non abbiasi a lavorare nel giorno festivo.
10. Sia rigoroso nel provvedere vestiari decenti e di poco costo.
11. Ad ogni trattenimento vada inteso col Capo del suono e del canto intorno ai pezzi da eseguirsi in musica.
12. Senza giusto motivo non permetta l'entrata sul palco, meno ancora nel camerino degli attori, e su questi invigili che, durante la recita, non si trattengano qua e là in colloqui particolari. Invigili pure che sia osservata la maggior decenza possibile.
13. Disponga in modo che il Teatro non disturbi l'orario solito; occorrendo la necessità di cambiare, ne parli prima col Superiore della Casa.
14. Nessuno vada a cena a parte; non si diano premi o saggi di stima o lode a coloro che fossero da Dio forniti di attitudine speciale nel recitare, cantare, o suonare. Essi sono già premiati dal tempo che loro si lascia libero, o dalle lezioni che si compartono in loro favore.
15. Nell'apparecchiare e sparecchiare il palco impedisca per quanto è possibile le rotture, i guasti nei vestiari, e negli attrezzi del Teatrino.
16. Conservi diligentemente nella piccola biblioteca teatrale i drammi, e le rappresentazioni ridotte ed adattate ad uso dei nostri collegi.
17. Non potendo il Capo disimpegnare da sè solo quanto prescrive [1061] questo regolamento, gli sarà stabilito un aiutante, che è il così detto Suggeritore.
18. Raccomandi agli attori un portamento di voce non affettato, pronunzia chiara, gesto disinvolto, deciso; ciò si otterrà facilmente se si studieranno bene le parti.
19. Si ritenga che il bello e la specialità dei nostri Teatrini consiste nell'abbreviare gli intervalli tra un atto e l'altro e nella declamazione di composizioni preparate e ricavate da buoni autori.
NB. In caso di bisogno il Capo potrebbe affidare ad un maestro fra gli studenti, ad un assistente fra gli artigiani, che esercitassero i loro allievi a studiare, e declamare qualche farsa o piccolo dramma.
2) NEL 1872 - LA CONFERENZA GENERALE si tenne al ritorno di Don Bosco da Varazze dopo la lunga e grave malattia, e vi presero parte, con i Direttori delle case, tutti i confratelli dell'Oratorio; ma non ne abbiam alcun documento, se non l'accenno che ne fa Don Pestarino nel memoriale da lui letto a quell'adunanza, sugli inizi del novello Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, che Don Bosco „udì con piacere”.
3) NEL 1873 - prima della festa di S. Francesco, e precisamente il 12 gennaio, si tenne una conferenza „allo scopo di rielegger un economo e tre consiglieri al luogo degli antichi che scadevano di carica” e vennero rieletti Don Savio, Don Provera, Don Durando e Don Ghivarello. In quella circostanza Don Bosco proferiva memorande e profetiche parole:
“Io vedo - esordiva - con piacere grandissimo che la nostra Congregazione va di giorno in giorno aumentando, dimodochè il Capitolo che noi abbiamo questa sera rieletto per poco ancora sarà Capitolo particolare e privato di questa casa. Esso verrà costituito sopra tutte le nostre case, separato, egualmente dall'una e dall'altra...”.
E, destando l'ilarità universale, proseguiva:
“E se fosse possibile mi piacerebbe fare in mezzo al cortile una söpanta [una baracca, una povera tettoia], dove il Capitolo potesse stare separato da tutti gli altri mortali. [1062] Ma posciachè i membri di esso hanno diritto ancora di stare su questa terra, così potranno stare ora qui, ora là, nelle diverse case, secondochè parrà meglio. In loro vece poi sarà eletto un altro capitolo, che sia particolare di questa casa, come è di tutte le altre, che ne hanno uno particolare e privato. Questo ci suggerisce il numero ognor crescente de' confratelli; nel che io vedo manifesta la protezione del cielo, prima col suggerire a molti l'idea di entrarvi, abbandonando parenti, e ricchezze, e speranze di onori, e cariche lucrose e piene di gloria. E vi sono anche di tali che donano alla casa il loro avere, adempiendo così perfettamente quel precetto del divin Maestro: Chi vuol seguirmi, abbandoni padre, madre, fratelli e sorelle, e venda il suo e lo dia ai poveri. Il Signore ci protegge poi ancora, facendo sì che coloro, i quali odiano e perseguitano le altre società religiose, quei medesimi ci incoraggino coll'opra e ci procaccino anche de' mezzi ed armi, per cosi dire, contro di loro stessi.
”Ma se è mio grandissimo desiderio che questa nostra Congregazione cresca e moltiplichi i figli degli Apostoli, è pure mio grandissimo e maggior desiderio che questi membri siano zelanti ministri di essa, figli degni di S. Francesco di Sales, come già i Gesuiti, degni figli del valoroso S. Ignazio di Loyola. Il mondo intero e più di tutti i malvagi, che per odio satanico vorrebbero spento questo seme santissimo, stupiscono. Le persecuzioni, le stragi più orrende non muovono questi magnanimi. Son divisi per modo che uno non sa più dell'altro: eppure in sì gran distanza dell'uno dall'altro adempiono perfettamente alle regole dettate dal loro primo Superiore, non altrimenti che se fossero in comunità. Là dove è un gesuita, là, dico, è un modello di virtù, un esemplare di santità: là si predica, là si confessa, là si annunzia la parola di Dio. Che più? Quando i cattivi credono di averli spenti, egli è appunto allora che più si moltiplicano, è allora che il frutto delle anime è maggiore.
Così sia di noi, figliuoli miei; pensate seriamente allo stato al quale Dio vi chiama, pensate e pregate; ed entrando in questa nostra Congregazione specchiatevi in cotesti magnanimi figli di Cristo, e così operate. Sia che voi abbracciate [1063] lo stato ecclesiastico, sia che rimaniate laici, e a qualsivoglia uffizio vi diate, serbate sempre esatta osservanza delle regole. La vostra dimora sarà qui, sarà a Lanzo, in una delle altre case esistenti, oppure in Francia, in Africa o in America, o siate soli o più insieme, sempre abbiate presente lo scopo di questa Congregazione, di istruire la gioventù, e in generale il nostro prossimo, nelle arti e nelle scienze e più nella religione, cioè, in una parola, la salvezza delle anime. E s'io dovessi esprimere quello che presentemente mi passa per la mente, vi descriverei un numero grande di Oratori sparsi su questa terra, quale in Francia, quale in Ispagna, quale in Africa, quale in America e in tanti altri luoghi, dove lavorano indefessi la vigna di Gesù Cristo i nostri Confratelli. Questo ora è una semplice mia idea, ma mi pare di poterlo già asserire come cosa storica.
Ma poichè il S. Padre Pio IX ci esortò a prendere per ora a campo de' nostri lavori l'Italia sola, la quale, come dice egli, ha di ciò estremo bisogno, i nostri sforzi li faremo qui in Italia.
Ma comunque voglia il Cielo disporre, ricordatevi sempre dello scopo della Congregazione, a cui vi ascrivete o a cui già siete ascritti. Incoraggiamoci l'un l’altro, e lavoriamo concordi e indefessamente, per giungere poi un giorno in compagnia di quell'anime che avremo a Dio guadagnate, a godere in cielo insieme la beatifica vista di Dio per tutta l'eternità”.
Alla festa di S. Francesco di Sales si ripeterono le Conferenze Generali per esaminare i bisogni delle case e provvedere al loro buon andamento; e, come si legge in un breve ragguaglio che ci è pervenuto:
“Si ebbe a rilevare da questa conferenza generale che in ogni Casa vi fu un aumento nel numero degli allievi. Le Case in generale apparvero ben avviate. Si notò l'apertura del Collegio Valsalice; l'ampliamento di quel di Lanzo e di Alassio ed il traslocamento dell'Ospizio di S. Vincenzo da Marassi a S. Pier d'Arena. Infine Don Bosco esortò caldamente ad adoperarsi in tutto per dar buon esempio e ad essere esatti nell'osservanza de' Regolamenti”.
Ma eccone una particolareggiata relazione:
“Fatta secondo il solito l'invocazione dello Spirito Santo, si aperse la seduta. Il sig. Don Bosco era in mezzo dell'adunanza [1064] sopra di una cattedra: a destra ed a sinistra gli stavano i Direttori delle diverse case.
Il sig. Don Bosco, apertasi la seduta, disse a Don Rua che leggesse il Capitolo superiore, o meglio i nomi dei membri che componevano quello, quindi i nomi dei membri che componevano il Capitolo dell'Oratorio, che prima era retto dal Capitolo Superiore stesso. Disse perciò che d'ora in avanti il Capitolo Superiore rimarrebbe alienato dalla direzione di case particolari, ma che si sarebbe occupato delle case in generale. Che tuttavia non potendosi sostituire membri nuovi a quelli che già componevano il Capitolo della Casa madre e presentemente divenivano del Capitolo Superiore, così alcuni membri di questo facevan ancora parte del Capitolo particolare dell'Oratorio.
”Dopo ciò si passò al rendiconto delle varie case, e per prima quella di Borgo S. Martino, come la più anziana. Ma di questa mancava il Direttore, e però non si ebbero tante notizie, tuttavia furon sufficienti; che cioè le cose in genere ivi procedevano assai bene, ed in ispecial modo quelle di spirito.
Dopo di essa si venne a quella di Lanzo. Il Direttore Don Lemoyne, alzatosi, disse che, con grande sua soddisfazione, le cose tanto spirituali che materiali andavano bene, grazie a Dio ed all'opera dei collaboratori, e finiva la sua parlata col raccomandare detta casa alle preghiere di tutta la Società.
Dopo di lui s'alzò a parlare Don Francesia, Direttore della casa eretta in Varazze. Questi disse come nell'anno antecedente aveva avuto a soffrire moltissimi dispiaceri nella direzione di quella casa, massime a cagione di due collaboratori, che non avevano vocazione ecclesiastica. Nulladimeno conchiuse dicendo che, grazie a Dio, nel corrente anno le cose andavano meglio con sua soddisfazione; e anch'egli terminò raccomandandosi alle preghiere di tutti.
In seguito parlò Don Cerruti, Direttore della Casa stabilita in Alassio. Dopo aver detto come le cose e scolastiche e morali e sanitarie camminavano bene, aggiunse che ivi il numero degli alunni cresceva tanto di numero, che sembrava [1065] già minacciasse deficenza di locale; e pose termine al suo dire colla solita raccomandazione alle comuni preci.
Poscia Don Albera, Direttore dell'Oratorio di S. Vincenzo de' Paoli in S. Pier d'Arena, accennato l'estremo bisogno che v'era in quella città di una Casa, fe' vedere come, grazie a Dio, vi si poteva fare moltissimo bene istruendo quegli abitanti assai ignoranti specialmente nelle cose di religione. Disse infine che anche là quanto al materiale facevano come meglio potevano; che per altro, a motivo del numero ognora crescente dei ricoverati, il locale diveniva poco ampio.
Quindi Don Dalmazzo, Direttore del Collegio dei nobili in Valsalice, disse come l'opposto avveniva nella casa da lui retta: come ivi il numero dei giovani era piccolissimo, non essendo che di 22, ed il locale invece vastissimo. Per altro che sebbene il terreno sembrasse arido, perchè non ancora conosciuto, pure si era già potuto ottenere qualche cosa, e già si avevano consolazioni. Egli pure terminò raccomandandosi alle preghiere di tutti.
Per ultimo parlò Don Pestarino, direttore delle cosi dette Figlie di Maria Ausiliatrice, e disse come anche là le cose andavano assai bene; solo mancavano di una superiora, che non s'era ancora eletta, e finì colla solita raccomandazione, che abbisognava egli pure delle preghiere dei fratelli.
Ascoltato il rendiconto delle singole case, il sig. Don Bosco, cosi prese a dire:
Che cosa ci dirà adesso Don Bosco, direte voi? Oh! avrei tante cose da dirvi, ed avrei tanto piacere a dirvele, che starei a parlarvi sino a domani a sera. Ma altre occupazioni non me lo permettono, e poi non vorrei farvi perdere la cena. Miei cari, la nostra Società fiorisce; ma noi siamo in tempi criticissimi, specialmente per i viveri. Perciò io mi raccomando tanto tanto, che si abbia cura di non guastare nulla, e di fare economia in tutto. Io non dico con questo che si abbia a stare mesi e mesi senza mangiare o non abbastanza, no no; e neppure che si faccia alcun cangiamento nelle solite vivande. Quello che desidero è che ciascuno mangi quanto si sente e non di più, e che non si guasti nulla. E quel che dico circa i viveri intendo di dirlo di qualunque altra cosa. [1066] E però io prego tanto tanto tutti, che si sorvegli nelle case che non si guasti niente negli abiti, nulla si sprechi ne' viaggi, insomma che si faccia economia in tutto che si può. Mi raccomando.
Qual sarà poi la cosa più importante che Don Bosco vorrà raccomandarci per la nostra Società? Voi ve lo potete pensare. È l'osservanza esatta delle regole. Sì, l’osservanza esatta delle regole. Se noi queste regole le osserveremo bene, piaceremo a Dio (chè niuno deve far bene per piacere a me o ad altri), ed indurremo altri a seguitarci; poichè si verba movent, exempla trahunt. Che al contrario se non le osserveremo, e ci lasceremo tirar dalla gola, specialmente nel vino, o staremo in chiesa guardando qua e là, massime dopo aver fatta la S. Comunione, qual concetto prenderanno gli altri della nostra Società? Vedete qual cosa produce in altri una smoderatezza, una golosità. Conobbi io un giovane, il quale per altro buono, diceva non voler farsi prete, per un motivo segreto, che non mi volle mai palesare. Un bel dì uscì meco a passeggio, ed io tanto feci e tanto dissi, che al fine l'indussi a palesarmelo.
- Se lo vuol proprio sapere, mi disse, senta. Un dì andai con mio padre in un caffè per prendere una bibita, e vidi sa che? un prete ubbriaco in manica di camicia! A quella vista tanto n'ebbi vergogna io stesso, che dissi: “La morte voglio piuttosto, che farmi prete e poi fare tale figura, dar tanto scandalo! - . Vedete, miei cari, che cosa fa il cattivo esempio!
Io dopo gli chiesi: - Ma con chi hai fatta tale promessa? - Ed egli: - Con nessuno. - Allora io per dissuaderlo da quel proposito gli dissi: - Tu non sei per niente tenuto a mantener tale promessa, tanto più che hai detto di non volerti far prete come quello che vedesti; e questo non t'impedisce di farti prete, anzi serve a farti un vero prete. Ei sembrava allora convinto, ma dopo alcuni anni seppi ch'era passato all'altra vita.
Miei cari, ora io sono come un capitano che ha d'intorno il suo stato maggiore, e dinanzi un'eletta schiera, pronti tutti a patire qualunque cosa, per piacere non a me, che non [1067] sarei un buon pagatore, ma a Dio. Guardiamo adunque di regolarci in modo che gli altri restino edificati, e tutto questo per la maggior gloria di Dio”.
E si presero varie deliberazioni, delle quali ci resta l'esemplare, da cui vennero tratte le copie inviate alle case:
Deliberazioni prese nelle Conferenze generali di S. Francesco di Sales.
1. Nella necessità di provvedere professori pei Corsi ginnasiali, si faranno domande per vedere se si può anche quest'anno essere ammessi agli esami di patente pel Ginnasio. Le dimande si cominceranno a fare da Alassio, poi da Borgo S. Martino, e in seguito una settimana dopo l'altra da Varazze, da Lanzo, da Torino, da S. Pier d'Arena e da Valsalice.
2. Si raccomandò ad ogni Direttore di vedere, se può, o con allievi proprii, o con altri provvedere di alunni il Collegio di Valsalice, purchè siano di condizione piuttosto civile, e possano pagare almeno buona parte della pensione.
3. Si inculcò vivamente ai Direttori di far mensilmente un rendiconto sull'andamento igienico, economico, scolastico, e specialmente morale del proprio Collegio, facendo notare le particolarità sulla condotta del personale, sia in bene, sia in male; affinchè ciò serva di norma al Capitolo Superiore per conoscere i membri della Congregazione.
4. Siccome non si può aver sempre persone interamente adatte a coprire gli uffizi che rimangono vacanti in ogni Collegio, così i Superiori di ciascuna Casa si diano grande sollecitudine per formarsi il personale insegnante, assistente, inserviente, ecc. e per quanto si può, non rimandino gli individui, se non vi sono gravi motivi, come sarebbero mancanze contro la moralità, la fedeltà, ecc.
5. Si rinnovò la raccomandazione di fare in ciascuna casa due conferenze al mese coi membri della Società, delle quali una sia sempre sul regolamento della medesima.
6. Si osservi in tutte le case uniformità ne' libri che si adoprano nelle scuole; e a tal uopo si progettò di fare, in ogni anno nell'autunno, nelle conferenze, una specie di programma intorno all'insegnamento da darsi, coi libri da usarsi. Intanto, venendo al particolare, Don Bosco, facendo notare che la Storia d'Italia è adottata in molti collegi, raccomandò di farla pure usare nelle scuole nostre; e per letture amene esortò di raccomandare le Letture Cattoliche, la Biblioteca della Gioventù, e specialmente quei volumi che furono commentati da qualcuno della Congregazione, lasciando i romanzi e i libri che possono essere pericolosi, e non permettendo che si diffondano [1068] nelle nostre Case libri, che non hanno avuto un'approvazione dalla Congregazione.
7. Ogni trimestre si mandino le note dei debiti, e ciascuna casa paghi le medesime alle varie aziende dell'Oratorio ed alle varie nostre Case, indicando qual nota intendesi di soddisfare; il versamento però facciasi ai rispettivi prefetti; ciò che vi sarà di sopravanzo si versi presto al Prefetto del Capitolo Superiore.
8. Si osservi uniformità nell'orario e nei regolamenti, per quanto si può; e quando occorre il bisogno di introdurre qualche modificazione, se ne parli a Don Bosco, o chi per esso, per quanto è possibile.
9. Ciascun Direttore abbia cura di parlare o scrivere a tempo intorno a coloro che hanno da prendere le ordinazioni, un mese e mezzo o due mesi prima, dopo averne già parlato nel proprio Capitolo e averne inteso il parere.
10. Dar comodità, per quanto si può, ai preti per istudiare la morale, ed ogni anno dar loro un esame.
11. Si usino speciali riguardi ai membri che hanno meriti speciali, tanto nei viaggi, quanto nelle varie circostanze della vita, e particolarmente in occasione di malattie. Qualora abbisognino di portarsi in seno alla propria famiglia, per quanto si può, si procuri che non le riescano di troppo aggravio, tanto più se la famiglia trovasi in istrettezze; e però di concerto col Rettor Maggiore o Capitolo Superiore si facciano avere quei sussidi che si ravviseranno necessarii.
12. In ogni Casa il Prefetto o l'Economo è incaricato della moralità delle persone di servizio e della sorveglianza sul disimpegno dei loro uffizi; e però faccia quanto può per accudirli, affinchè compiano i doveri di Religione ed ogni loro incombenza.
13. Si concentrino le notificazioni intorno alla condotta dei giovani al Direttore; e gli altri diano i voti, d'accordo col Direttore, per mezzo del registro de' voti.
14. I Direttori si avvicineranno sovente ai più bisognosi, per incoraggiarli a migliorare la loro condotta, e per conoscere i loro particolari bisogni e provvedervi.
In fine seguiva questa nota, aggiunta da Don Rua:
Progetti da ponderarsi e decidersi in altra Conferenza:
1. Non sarà opportuno di fare ogni anno qualche conferenza per formulare una specie di programma per le nostre scuole, e ciò nell'autunno?
2. Non sarà conveniente fare un Catalogo dei libri usabili nelle nostre Scuole? [1069]
4) NELLO STESSO ANNO VENNERO INDETTE ALTRE CONFERENZE, per il 9 settembre, nell'Oratorio, prima degli esercizi spirituali, con intervento dei Direttori e dei Prefetti[206]. Fervevano le pratiche per ottenere l'approvazione delle Costituzioni e conveniva inculcarne l'osservanza esemplare, ed in pari tempo pensare e studiare se non fosse conveniente apporre ad esse qualche variante o modificazione, prima di proporle all'approvazione definitiva.
E si tornava ad inviare alle case le deliberazioni prese, redatte da Don Rua, ed approvate da Don Bosco: circa l'esame preventivo degli scritti dei confratelli, prima di darli alle stampe; circa le relazioni dei medesimi con gli esterni; perchè i direttori restassero esonerati dal far parti poco gradevoli; perchè fosse loro riservato il dar notizie degli allievi ai parenti; ed alcune norme dettagliate per l'osservanza dei voto di povertà.
Deliberazioni prese nelle Conferenze autunnali dai Direttori e dai Prefetti della Congregazione di S. Francesco di Sales.
1° Non si farà stampare niente dai membri della Congregazione, senza che sia passato alla revisione del Capitolo Superiore ciò che si vuol stampare, e se ne abbia ottenuto il permesso.
2° I Direttori badino a non lasciar contrarre relazioni cogli esteri nè dai Professori, nè dagli altri Superiori o subalterni; specialmente guardino che non si vada a far visite domiciliari.
3° Quanto alle notizie da darsi ai parenti intorno alla condotta degli allievi, per regola generale le dia il Direttore; che se esso non può, come potrà accadere assai sovente, dia a qualcun altro, specialmente al Prefetto, le norme da tenersi nel disimpegnare tale ufficio.
4° Si pregò il Sig. D. Bosco a provvedere una casa di regolare noviziato.
5° Si guardi sempre di sostenere l'autorità del Direttore, e perciò, per quanto si può, si assumano i Prefetti il contenzioso, riserbando il concedere favori e le cose onorevoli al Direttore.
6° Non si permetta ai Capi - laboratori di consegnar roba o far eseguir lavori per quei della Congregazione, senza il permesso del Direttore o Prefetto della Casa a cui questi sono aggregati.
7° Occorrendo di dover provvedere abiti nuovi, si procuri che vengano fatti colla stessa stoffa per tutti i preti e chierici; con una [1070] stessa stoffa a loro adattata per tutti i coadiutori; così pure se occorrerà provvedere abiti nuovi pei servi, si procuri di farli fare per quelli che ne abbisognano con una sola sorta di stoffa proporzionata alla loro condizione, per evitare le gare che facilmente potrebbero nascere. Quanto alla scelta della stoffa e alla forma degli abiti, si terrà il campione e modello somministrato dal Capitolo Superiore.
8° Ciascuno potrà ritenere presso di sè solamente due paia di scarpe e due mute di abiti, perciò occorrendo di farne fare dei nuovi si dovrà restituire il penultimo paia di scarpe che ebbe, e così degli abiti.
9° Si dovranno timbrare col timbro del Collegio i libri scolastici che si somministrano agli addetti di ciascuna Casa, così anche quelli che si imprestano per poter ritirare gli uni e gli altri a tempo debito. Tutti gli altri libri si addebiteranno a chi li riceve.
10° Accettandosi qualche persona di servizio, si dovrà far l'inventario di tutto ciò che portano nella Casa, quindi timbrare le vesti che loro si provvedono col timbro del rispettivo Collegio.
11° Diasi ragguaglio al più presto possibile al Capitolo Superiore del metodo che ciascun Prefetto tiene per riguardo alla dispensa.
12° Il Prefetto specialmente diasi la massima sollecitudine per procurare ogni possibile pulitezza nelle camerate, nelle vesti e nelle persone degli alunni.
13° Per semplificare la contabilità ciascuna Casa tenga i suoi conti assestati trimestralmente colle altre Case della Congregazione, ed occorrendo a qualcuna di non poter far fronte a tutti i debiti, si rivolga al Capitolo Superiore.
14° Nelle cose in cui può esservi qualche vantaggio, si procuri di servirsi dell'Oratorio.
Il Santo vi apponeva di sua mano questa dichiarazione:
Si approvano le deliberazioni dei Prefetti e dei Direttori sopra descritte, e riputandole della maggior gloria di Dio, se ne mandi copia al Prefetto e Direttore di ciascuna Casa, affinché si adoperino per farle mettere in esecuzione.
Torino, primo giorno della novena di G. B. 1873.
5) NEL 1874 LE CONFERENZE GENERALI si tennero al ritorno di Don Bosco da Roma, com'ebbe ottenuta l'approvazione definitiva delle Costituzioni, e precisamente il 17 e il 18 aprile.
Ed una memoria, trascritta da Don Lemoyne, è un'esposizione dei pensieri più salienti che uscirono dal labbro del [1071] Santo, pieno di riconoscenza a Dio per aver ottenuto l'approvazione regolare. Sante e care raccomandazioni che non si devono mai dimenticare!
- Ora che le regole sono approvate; è necessario che da qui avanti procediamo con un ordine preciso.
- Bisogna che il Superiore possa disporre a suo piacere degli individui, specialmente nel sacro ministero.
- Rinunziamo alle propensioni individuali e facciamo uno sforzo per formare un corpo solo.
- Ciascuno non si rifiuti al lavoro comandato, quand'anche questo riuscisse faticoso o di controgenio.
- Non solo si stia uniti al Direttore, ma si faccia la vera obbedienza: e invece di interpretare la regola nel senso di potersi esimere dal fare, s'interpreti in favore della convenienza del lavoro e si faccia con prontezza ed allegria.
- Rispettare la Congregazione non in generale, ma nei singoli suoi membri. Nostro Padre è Dio, madre la Congregazione: quindi amarla, difenderne la riputazione, non far cosa che a lei torni di disonore, faticare pel suo incremento e per la sua prosperità.
- Attenti all'amore dei parenti. Chi ama suo padre e sua madre più di me, ha detto Gesù, non est me dignus. Per noi le case proprie e padre e madre e fratelli è come se non esistessero. Pregheremo, consiglieremo, daremo anche qualche aiuto se ne avessero di bisogno, ma non di più. Gesù era soggetto a Maria SS. e a S. Giuseppe, ma nelle cose che riguardavano la gloria del suo Padre Celeste voleva essere perfettamente libero. Noi dobbiamo dare ai parenti, che ci invitano ad andare qualche giorno a casa, la risposta che diede Gesù nel tempio allorchè aveva 12 anni: la stessa risposta dobbiamo eziandio dare in altre simili circostanze.
- Stiamo fermi nelle nostre deliberazioni. Non dire: Oggi mi metto; e poi domani, mutato consiglio, ripetere: Mi tolgo. Nessuno si volga indietro, ma andiamo avanti liberamente e coraggiosamente. Si osservino non solo le Regole, ma le particolari prescrizioni che si sono stabilite.
E dopo aver parlato degli esami, del tenere il registro dei voti ottenuti nelle promozioni, delle esenzioni dalla leva e del noviziato da ordinarsi a poco a poco, concludeva:
- Nemo quaerat quae sua sunt, sed quae Jesu Christi.
- Si tengano frequenti conferenze, nelle quali, o si legga il Rodriguez, o verbalmente tratti il Direttore della materia dei voti, della virtù dell'obbedienza, del distacco dalle cose della terra, della [1072] castità e del modo di conservarla; e del modo col quale diportarci coi parenti.
- Una volta alla settimana si tenga una conferenza, e un capitolo ogni quindici giorni.
- I ragazzi poveri, la diffusione dei buoni libri, la predicazione, ecco tre vasti campi per esercitare le nostre forze.
6) NELL'AUTUNNO si tennero altre Conferenze Generali, che in sostanza furono un Capitolo Generale, ed altre particolari dei Prefetti.
Nelle Conferenze Generali, (tanta era l'umiltà del Santo! ... ), oltre la revisione della traduzione delle Costituzioni e del regolamento dell'Associazione Salesiana, ossia della Pia Unione dei Cooperatori, che pensava già di fondare, si trattò di curar l'economia anche coll'usare una stoffa uguale per gli abiti ecclesiastici; della contabilità privata dei direttori, e della loro durata in carica; dell'orario delle scuole serali di canto e di musica; della maniera di pregare; di provvedere un archivio per le memorie della Pia Società, e di altre proposte che si ritenevano convenienti, come d'iniziar più presto le vacanze, e di stabilire una casa di campagna e di convalescenza, ad esempio a Chieri, in quella lasciata a Don Bosco dai coniugi Bertinetti, dove il Santo, compiuti gli studi ginnasiali, aveva dato l'esame per la vestizione clericale, e che si ritiene facesse parte dell'antico palazzo della nobile famiglia Tana, da cui fu discendente Donna Marta Tana, marchesa di Castiglione, madre di S. Luigi Gonzaga, il quale pare vi facesse soggiorno[207], ... ovvero nella villa, di recente ereditata dal conte Filippo Belletrutti di S. Biagio, a Strambino.
E di ciò Don Rua estendeva di sua mano questo riassunto, che veniva inviato alle Case:
DELLE CONFERENZE AUTUNNALI DEL CAPITOLO GENERALI
1° Si cominciarono le conferenze dall'ultima questione trattata nello scorso anno, se cioè convenisse adottare una sola stoffa per gli abiti degli ecclesiastici per tutte le nostre case e per ogni stagione [1073], o se convenisse determinarne una sorta per quelli che abitano ne' paesi caldi ed un'altra per quelli che dimorano ne' paesi meno caldi; e fu risoluto di scegliere per tutti i paesi e per ogni stagione una sola stoffa; e fra vari campioni si fece la scelta di una che sembra forte e da mezza stagione: bene inteso a che quelli che avranno assolutamente bisogno di qualche stoffa più leggiera nell'estate, si provvederà.
Trattandosi tale questione qualcuno fece reclamo sulle provviste di carta e quaderni che si fanno dal magazzino dell'Oratorio e del panno che da quello viene somministrato. Riguardo al primo oggetto si lamentava la qualità scadente, riguardo al secondo si lamentava la carezza nel prezzo. A fine di mettervi rimedio si diede avviso al capo del magazzino, il quale mostrò desiderio che le doglianze sieno anche esposte a lui, che forse potrebbe rendere ragione del suo operare e capacitare i reclamanti a provvedere il rimedio.
2° Si trattò se convenisse far subire da qualcuno l'esame di professore di calligrafia; e si convenne che in qualche collegio ve n'è bisogno. Pertanto si prese la determinazione di assumere tutte le opportune informazioni sul tempo e sul luogo di tale esame non che sul programma del medesimo, per preparare qualcuno della casa a subirlo quest'anno, se sarà possibile, o almeno l'anno venturo.
3° Si parlò della necessità che vi sarebbe di una casa di campagna e di convalescenza per quelli della Società, e si conchiude: 1° che si può determinare a tal uopo la casa di Chieri; 2° che specialmente pel tempo delle vacanze si potrà stabilire che vi vadano alternativamente i professori, assistenti e gli altri che ne avessero bisogno, cominciando dal mese di luglio sino a tutto settembre; 3° che in quei tre mesi siavi uno che faccia da Direttore di quella casa; questi però, in caso di necessità, potrà anche cambiarsi; o che si cominci mandarvi in luglio quelli che avranno da supplire gli altri nel corso delle vacanze sia nel far scuola, sia nell'assistenza. Don Bosco udita la cosa disse che spera potrà servire all'uopo la casa di Strambino, o altra, su cui ha qualche speranza.
4° Si propose da parte del Sig. Don Bosco che i Direttori si tengano notate su apposito loro registro le spese loro particolari, oltre quelle pel vitto e vestito; registro che si potesse poi presentare qualunque momento al Superior Generale, o al Capitolo Superiore, e che dovesse servire pel rendiconto particolare del Direttore da farsi al finire dell'anno scolastico, cioè sul finire delle vacanze. Per l'amministrazione generale del Direttore si adottò una specie di contatore, in cui il Direttore registri tutte le entrate di qualsiasi genere, anche tutto il denaro che gli viene rimesso dal Prefetto settimanalmente, ed in cui pure registri tutte le uscite di questo danaro, eziandio quello che rimette al Prefetto per le spese ordinarie e straordinarie, procurando di classificare tutte le entrate e le uscite. [1074]
5° Si propose la quistione se fosse conveniente fissare un periodo determinato di anni per la carica di Direttore in un medesimo collegio; e si trovò che veramente conviene ciò fare. Pertanto si determinò che regolarmente la carica di Direttore in un collegio duri sei anni come quella dei membri del Capitolo superiore; fatta però facoltà al Capitolo Superiore di cambiarli anche prima ove siavi il bisogno e di riconfermarveli ove la necessità lo richiedesse.
6° Qualcuno propose di stabilire la scuola serale di canto e d'altro genere qualunque per gl'interni prima di cena; e la cosa era già stata universalmente approvata, sia perchè pare che giovi meglio alla salute, sia perchè più facilmente si potrebbero avere i maestri. Il Sig. D. Bosco però stabilì per quest'anno di farne prova in tutte quelle case, in cui pare possibile, eccetto nell'Oratorio di S. Francesco di Sales, dove si vedrà un altr'anno se si abbia ad adottare il cambiamento. Ben inteso che dove si fa detta scuola prima di cena si dovrà abbreviare la ricreazione dopo, in modo che si possano recitare le orazioni all'ora consueta, cioè alle 9.
7° A proposito delle orazioni si lamentò che in varie case si recitano troppo frettolosamente; e si propose di adoperarci in tutte le case nostre per introdurre un modo di recitare le orazioni grave e divoto.
8° Qualcuno propose si chiedesse a D. Bosco di cominciare più presto le vacanze in tutte le case. In vista però della difficoltà che tale domanda avrebbe incontrato presso D. Bosco e della convenienza che le vacanze siano brevi quanto è possibile si conchiuse che per quei collegi in cui si scorgesse speciale bisogno di cominciarle più presto, se ne facesse anno per anno la dimanda.
9° La maggior parte delle conferenze poi fu impiegata nel correggere la traduzione italiana delle Regole della Congregazione e quelle della Associazione Salesiana.
10° Dietro proposta del Sig. D. Bosco si stabilì di provvedere un archivio della Congregazione per conservarvi le carte più importanti, di stabilirlo nella sua camera o anticamera, affidandone la cura al Sig. D. Berto Gioachino già suo Segretario.
11° Oltre tutto questo si stabilì il personale dei vari collegi per l'anno venturo.
Oltre a questo riassunto abbiamo un altro importantissimo manoscritto, redatto in parte da Don Barberis e da lui intitolato: “Deliberazioni prese nelle Conferenze Generali della Società di S. Francesco di Sales, o Note spiegative delle nostre Regole”, con correzioni di Don Bosco e di Don Rua. In alto, a sinistra in prima pagina, vi fu apposto da Don Brunazzo, segretario di Don Lemoyne, l'anno cui devesi riferire,” 1874”; [1075] mentre a noi pare che sia da assegnarsi all'anno 1875... Comunque, data l'importanza del documento, che fu un primo abbozzo delle Deliberazioni a commento delle Regole, quali si presero poi, a cominciare dal 1877, nel 1° Capitolo Generale, di cui dette conferenze furono una preparazione, anzichè farne una semplice sintesi, lo riportiamo integralmente in appendice, con i nuovi ritocchi di Don Rua, quali si trovano nel manoscritto suddetto[208].
Nelle conferenze dei Prefetti si trattò della pratica della povertà, dell'uguaglianza negli abiti, della pratica delle regole di buona creanza, della mezz'ora di meditazione da farsi da tutti, del buon andamento degli esercizi spirituali senza dar fastidi all'Oratorio, e di varie altre cosette, come risulta dalla relazione, scritta anch'essa da Don Rua:
DELLE CONFERENZE DEI PREFETTI.
1° Si osservò che molti giovani passano facilmente, dall'uno all'altro dei nostri collegi ed essendosi in quasi tutti i collegi stabilita una divisa si riconobbe conveniente che le varie divise dei collegi di giovani di egual condizione sieno quasi interamente eguali, per non cagionare troppo gravi spese ai parenti. La distinzione potrebbe solo consistere nella cifra della cintura e del berretto. Si è stabilito pure il panno per le divise, ma si lascia libero ai parenti di farla con altra stoffa, purchè dello stesso colore e forma.
2° Si fece la proposta di adottare un pastrano leggero per gli ecclesiastici della Congregazione, invece della mantellina, per l'estate; e si determinò di farne la prova anche noi, se si vedrà che l'uso sia generalizzato presso agli ecclesiastici secolari.
3° Si stabilì che per quanto si può la festa di San Francesco di Sales si faccia solenne in tutte le case della Congregazione. A Torino nell'Oratorio di San Francesco di Sales il giorno in cui occorre, nelle altre case la domenica seguente.
4° Si pensò di provvedere che i soci, specialmente i chierici, possano imparare le regole di buona creanza. A tal fine si suggerì di farle insegnare nell'anno di noviziato; e di fissare un assistente, se si può, per ogni tavola in refettorio e nelle camere, affinchè avvisi o faccia avvisare in pubblico o in privato sulle cose che avranno bisogno di essere emendate e praticate.
5° Si stabilì che per quanto si può si faccia da tutti una mezz'ora [1076] di meditazione quotidianamente, o molti insieme, o separatamente, come parrà meglio secondo le circostanze delle varie nostre case, somministrando i Superiori i libri all'uopo.
6° A fine di evitare dispiaceri ed inconvenienti si concertò che solo i Superiori possono dare disposizioni od ordini in cucina; e quando occorra bisogno di particolarità in favore di qualche individuo, converrà che questi sia munito di biglietto dai Superiori, od essi ne diano avviso in cucina.
7° Si parlò anche sulla convenienza di fare segnar tutte le biancherie della Congregazione di S. Francesco di Sales in C. S. F. per distinguerle dalle altre e impedire le perdite di biancheria che di quando in quando avvengono.
8° Per ottenere maggior ordine negli esercizi si pensò di stabilire, qualche settimana prima che comincino, colui che avrà da dirigerli, affinchè si porti sul luogo dove si dovranno dettare e faccia per tempo le provviste e preparativi di biancheria, di letti, di commestibili che potranno occorrere, durante le varie mute che avranno luogo.
9° Si pensò di fare in modo che gli esercizii durino almeno sei giorni per ciascuna muta.
10° Finalmente per ovviare ai gravi disturbi che vi sono all'Oratorio nell'arrivo e partenza degli esercitandi, specialmente per preparare i letti, ed anche per maggior comodità dei medesimi, a cui potrebbe accadere di dover passare qualche notte insonne, si è deliberato che dai collegi, per quanto si può, si dispongano le partenze in modo che a Torino siavi solo da fermarsi per il pranzo, andando della stessa sera a dormire a Lanzo; e da Lanzo dopo gli esercizii partire al lunedì mattino in modo da potere dello stesso giorno recarsi ai propri collegi,
Anche delle Conferenze dei Prefetti abbiamo un ragguaglio particolareggiato di quattro di esse, e lo riportiamo in appendice[209].
Dalla documentazione esposta si delinea sempre più nettamente l'ampiezza del lavoro compiuto da Don Bosco per la sistemazione regolare della Società Salesiana!
Allora gli Esercizi Spirituali s'iniziavano il lunedì sera e si chiudevano la mattina del sabbato, non essendo possibile, durante la domenica, lasciar prive le case dei pochi sacerdoti, senza danno della parrocchia o di altre chiese locali. [1077] La cerimonia delle professioni si compiva il venerdì, per non ritardare al sabato mattina la chiusura ed impedire a quelli che avevan preso parte al sacro ritiro di far ritorno alla loro dimora in giornata.
All'Oratorio, quindi, quelli delle altre case erano appena di passaggio, arrivandovi e ripartendone in giornata, sia nell'andare come nel tornare da Lanzo, ove si tenevano regolarmente i due corsi; a meno che alcuno avesse bisogno di fermarvisi.
1) NEL 1871 GLI ESERCIZI si tennero dopo il ritorno di Don Bosco da Roma: il primo corso dal 18 al 23, il secondo dal 25 al 30 settembre, e delle prediche fatte dal Santo abbiamo alcuni appunti di Don Rua, e due o tre noterelle di altri confratelli, che le udirono, come sempre, con diletto e con frutto.
Come Iddio chiamò Abramo fuori della casa paterna, così chiama noi fuori del mondo, per farci sentire la sua voce.
Ia Istruzione. - Sulla Confessione.
Un po' di polemica contro i protestanti sulla divina istituzione della Confessione.
Confidenza che si ha da avere nel confessore.
Doveri del confessore verso il penitente.
Cose notabili: il confessore ordinario nelle nostre case è il Direttore affinchè si conservi unità di spirito; affinchè possa giudicare intorno a quelli che son chiamati allo stato ecclesiastico ed alla Società; perciò il direttore deve studiare di procacciarsi la confidenza e per conseguenza astenersi dal dare i voti con gli altri Superiori ai giovani, dall'infliggere castighi; ma, occorrendone il bisogno, incaricarne il prefetto.
Confessore straordinario il Rettor generale, a cui, mentre va a visitare le case, prima di tutto conviene parlare dell'anima, e poi del resto.
2a Istruzione. - Sulla Preghiera.
Accennò la regola della Congregazione che vuole almeno un'ora di preghiera. [1078] Tre sorta di preghiere:
- Vocale; orazioni che si dicono insieme; modo di dirle.
- Mentale: meditazione, modo di farla.
- Mista, cioè giaculatorie in ogni tempo, specialmente nelle tentazioni.
3a Istruzione. - Sulla mortificazione.
Cominciò col portar l'esempio del Salvatore, di S. Giovanni Battista, di San Paolo, degli altri Santi, per farci conoscerne la necessità...
Modo di mortificarsi negli occhi, negli abiti, nel mangiare e bere: Abstrahe ligna foco, si vis extinguere flammas; si motus carnis, otia, vina, dapes.
Cose notabili: la gola fu causa della distruzione di molte istituzioni religiose.
Le altre noterelle rilevavano:
1) La responsabilità, che Don Bosco dava a chi presiede, della condotta dei confratelli:
Ogni direttore deve rendere conto a Dio dell'anima di ciascuno de' suoi confratelli che dallo stesso Iddio furono collocati sotto la sua speciale direzione. In qualcuno si troverà resistenza; ma l'affetto paterno, la carità e la preghiera vincono i caratteri più difficili e, colla grazia, detta dello stato, si riesce a fare di certi confratelli, dei buoni, anzi dei santi servi di Dio.
E nell'esortare tutti all'adempimento dei propri doveri fu udito esclamare: - O salesiani santi, o non salesiani!
2) La riconoscenza che dobbiamo a Maria SS. Ausiliatrice:
Don Bosco così parlò: - Solo in cielo noi potremo, stupefatti, conoscere ciò che ha fatto Maria Santissima per noi, e le volte che ci ha campati dall'inferno; e ne la ringrazieremo per tutti i secoli eterni... Ah se tanto io, come voi, o cari figliuoli, avessimo avuto più fede, più confidenza in Dio e in Maria SS. Ausiliatrice, migliaia di più sarebbero state le anime da noi salvate!
3) L'invito, che si può dire abituale, di pregar per la salvezza dell'anima sua:
Le prediche di Don Bosco commovevano sempre i cuori, perchè toccavano sempre l'argomento della bontà di Dio. La sua fiducia [1079] nella misericordia del Signore era straordinaria, ne parlava nelle prediche, nelle confessioni, e nei sermoni della sera, specialmente in occasione di esercizi spirituali. Nella chiusura di questi è solito ad esortarci a pregare per lui, perchè possa salvare la sua anima.
Il 29 settembre tre confratelli facevano i voti triennali, e Don Domenico Belmonte e Don Giuseppe Monateri i voti perpetui.
Durante quegli esercizi Don Bosco diede prova della sua pazienza singolare. Per incuria del sagrestano dovette confessare per tutto il tempo, seduto su di una sedia sgangherata, posta accanto ad un vecchio inginocchiatoio, grosso e malfatto, che tornava oltre ogni dire incomodo, specialmente per lui che teneva abitualmente un contegno compostissimo, edificante, sempre ritto sulla persona. Al termine dell'ultimo corso, fece chiamare il direttore spirituale Don Giovanni Cagliero, e sorridendo gli disse:
- Osserva quest'inginocchiatoio!... potrebbe servir di modello!, .. e tu fànne prendere il disegno!...
E tutto finì lì con una risata.
2) NEL 1872 I DUE CORSI DI ESERCIZI si tennero dal 16 al 21 e dal 23 al 28 settembre; e Don Bosco, oltre all'essere il confessore prescelto da tutti, dava, come sempre, udienze particolari agli esercitandi; dopo le preghiere della sera teneva un discorsetto sempre caro ed adatto; presiedeva le adunanze capitolari per la designazione dei confratelli alle varie case, e per altre importanti deliberazioni; e predicava le istruzioni dell'uno e dell'altro corso.
Mentre ammaestrava e guidava gli altri, era sempre fisso nella contemplazione dell'eternità, e parlava spesso della sua morte. Don Berto un giorno gli fece osservare come tanti e tanti non avrebbero potuto sopportare in pace una tal perdita: ed egli:
- Oh! guarda, rispose con tranquillità, se io morissi, la brava gente mi compiangerebbe un poco e poi tutto sarebbe finito, ma il demonio farebbe festa, perchè avrebbe perduto un nemico!
Il 18 settembre, passeggiando con Don Berto, parlava del suo stato di salute, e il buon confratello gli faceva osservare [1080] che ormai doveva imporsi alcuni riguardi e prendere un po' di riposo; ed egli:
- Ecco! il termine della mia vita era fissato ai cinquant'anni. Si è pregato e si prega per me, ed ora tutto quello che ho di più, è d'elemosina, cosicchè quanto più abbondante è l'elemosina, tanto più grande dev'essere il buon uso che deve farne chi la riceve.
La sua prudenza brillava nelle adunanze capitolari, quando si trattava della designazione del personale per il nuovo anno. Egli voleva che, non solo i direttori, ma tutti quelli che facevan parte dei vari capitoli, fossero esatti nell'osservanza delle Costituzioni e pieni di buona volontà nel farle praticare anche dagli altri, e ciò per non gravare la loro coscienza dei falli altrui, perchè, diceva, il decadimento delle comunità religiose deve attribuirsi ai superiori che non sono esatti nell'osservanza e, per far piacere ai confratelli e farsi ben volere, lascian correre le cose a modo loro.
Talora pareva che assegnasse ad alcuno una carica superiore alle sue forze; ma presto si vedeva che faceva ottima riuscita oltre ogni aspettazione.
E ciò si doveva soprattutto alle sue preghiere ed ai suoi consigli. Esortava anche i prescelti a pregare e, inviandoli al posto affidato, diceva loro: - È Dio che vuol fare, e noi dobbiam pregarlo che abbia la bontà di servirsi di noi per le sue sante imprese!
Un tale, che da tempo tentava di riuscire in un affare, gli disse: - Finalmente ci sono riuscito! Se non c'era io, tutto sarebbe andato a monte!. - E Don Bosco, nella sua umiltà, si limitava a rispondergli d'esserne riconoscente a Dio, ma nella stessa sera diceva in confidenza ad un suo intimo: - Quel poveretto non sa che da due mesi Don Bosco pregava e lavorava perchè riuscisse in quell'impegno!
Anche nel 1872 raccolse i direttori in particolari conferenze per provvedere ai bisogni delle case, e, tra l'altre paterne esortazioni, illustrava l'utilità e la necessità: di radunare tutte le settimane il Capitolo per provvedere al buon andamento del collegio; [1081] d'interrogare sovente gli insegnanti sulla condotta e sul profitto degli allievi; di non leggere mai giornali in pubblico, e di non parlar mai di politica, nè con i confratelli, nè con gli alunni.
Egli stesso non leggeva mai nessun giornale, e si limitava ad ascoltare la succinta relazione dei fatti del giorno che gli faceva Don Savio, quando gli era necessario conoscere le vicende della Chiesa e della Patria. Tuttavia permetteva ai confratelli un buon giornale - uno solo - per ogni casa, purchè non uscisse dalla sala di studio dei chierici e dei sacerdoti.
Trattò anche della corrispondenza epistolare, o meglio del modo di scriver lettere, esponendo tutte quelle norme, che nel 1877 volle apposte, in appendice, al Regolamento per le Case.
Quindi raccomandò d'inculcar ai confratelli d'insegnare agli alunni le regole della buona creanza colla parola e coll'esempio: quindi anch'essi ogni mattina rifacessero il letto, o se, per qualsiasi motivo, non potessero, almeno mettessero a posto le lenzuola e le coperte, per non far cattiva impressione anche a chi lungo il giorno venisse condotto a visitare i dormitori; non si mettessero mai le mani addosso; non ridessero mai sgangheratamente; stando seduti, stessero sempre ritti sulla persona, non sputassero mai per terra, o sul moccichino tenuto a certa distanza, ma lo portassero vicino alle labbra per pulirsi poi la bocca; e lepidamente egli stesso rilevava i modi sconvenienti di taluni. Nè mancò d'insistere sulla nettezza della persona, degli abiti, e delle camerate; e su questo, lungo l'anno, intratteneva anche gli alunni.
Accennò pure come conviene correggere chi manca di buona creanza:
- Se un fanciullo, passandovi innanzi, non vi saluta, forse perchè nessuno glie l'ha insegnato, o perchè per sbadataggine non ci pensa, salutatelo voi per il primo; sarà la miglior lezione. Chi invece pretendesse d'insegnar l'urbanità ad un ragazzetto, sberrettandolo con uno scappellotto, non sa che voglia dire urbanità, nè conosce punto il modo di guadagnar il cuore dei giovani. E poi non sono essi i predi - [1082] letti nobilissimi figli del Re dei re? e chi ha un po' di fede e di carità oserà trattarli aspramente e con disprezzo?
Il 20 settembre ebbe luogo la cerimonia delle professioni: ventinove ascritti pronunciavano i voti triennali ed uno, professo da tre anni, li faceva perpetui.
Il 27 settembre si ripeteva la cerimonia: dodici confratelli fecero i voti triennali; tre, tra cui il chierico Domenico Milanesio, i perpetui.
Il 28 si chiudevano gli esercizi e gli adunati tornavano alle loro case. Il giorno dopo nel Collegio di Borgo San Martino moriva il confratello chierico Francesco Carones di Frassineto Po, in età di 19 anni. Il 3 agosto se n'era spento un altro nell'Oratorio: Giovanni Battista Camisassa, di 26 anni; e Don Bosco illustrava la loro virtù, in calce al catalogo della Pia Società, con queste preziose parole:
“Piacque al misericordioso Iddio di chiamare a sè due cari e virtuosi nostri confratelli in Gesù Cristo, ambidue professi coi voti perpetui...
La vita esemplare che essi hanno tenuto in tutto il tempo che vissero tra noi; il loro vivo desiderio di lavorare per la maggior gloria di Dio; la pazienza e rassegnazione dimostrata, specialmente nell'ultima lunga malattia; il fervore con cui ricevettero i santi Sacramenti e tutti gli altri conforti di nostra santa religione ci dànno fondata speranza, che ora già riposino nella pace del Signore. Tuttavia siccome Dio trova delle macchie negli angeli stessi, così noi dobbiamo raccomandarli nelle private e comuni nostre preghiere, affinchè loro siano cancellati quei debiti che essi per avventura avessero ancora colla Divina Giustizia; quindi vengano presto ammessi al godimento della gloria celeste.
”Procuriamo intanto d'imitarli nel loro distacco dalle cose della terra e nella preziosissima virtù dell'ubbidienza; facciamo quanto possiamo per osservare fedelmente le regole della nostra Congregazione, e così tenerci pronti a questa grande chiamata, che Dio nella sua infinita misericordia giudicasse in quest'anno di fare a qualcheduno di noi”.
3) NEL 1873 GLI ESERCIZI si tennero dal 15 al 20 e dal 22 al 27 settembre, e nel primo corso 21 fecero i voti triennali [1083] ed uno i perpetui; nel secondo, 10 i triennali ed uno i perpetui. E per buona sorte ci restano vari preziosi riassunti delle istruzioni predicate da Don Bosco, che riporteremo più avanti.
4) DEGLI ESERCIZI DEL 1874 non ci resta, o meglio da noi non venne rintracciato alcun ricordo. Ebbero luogo dal 14 al 19 e dal 21 al 26 settembre, a Lanzo; ed al primo corso 26 confratelli fecero i voti triennali, 7 i perpetui; al secondo 13 i triennali ed 8 i perpetui, tra cui Don Luigi Lasagna.
Come abbiam detto, degli Esercizi del 1873 abbiamo alcuni riassunti delle istruzioni predicate dal Santo, estesi da Cesare Chiala (che in quell'anno, benchè non si legga il suo nome nel catalogo della Società, compì il noviziato); e precisamente sulla necessità degli esercizi, dei voti, della povertà, dei vantaggi dello stato religioso, insieme con tre brevi appunti sul fine dell'uomo, sull'eccellenza della vita religiosa, e su l'esempio.
E poichè dello stesso Cesare Chiala abbiamo anche quattro riassunti delle conferenze tenute da Don Bosco agli ascritti, e precisamente il 29 ottobre 1872, sullo Scopo della Società, - il 2 dicembre, sul voto dell'obbedienza, - il 16 giugno 1873, su la castità, - e il 1° settembre, sull'Eccellenza dei voti, crediamo di far cosa gradita ai lettori col riportarli qui, ordinatamente, ad litteram. Ne risulta un'illustrazione, come quelle già pubblicate nei volumi precedenti, del pensiero del Santo sulla vita religiosa, e, diciam pure, sul modo che la voleva vissuta dai Salesiani.
Agli otto schemi accennati poniamo, com'introduzione, un altro riassunto scritto anch'esso da Don Chiala, d'una delle quattro istruzioni predicate da Don Bosco negli Esercizi del 1875 (che furono dettati da Don Francesia e da Don Rua), di tre delle quali vennero pubblicati larghi riassunti di Don Barberis. [1084]
Il regno dei cieli è simile ad un negoziante che cerca pietre preziose, ecc. Nel mondo ce ne son delle pietre, ma non tutte preziose; alcune lo son più o meno, altre son finte, altre poi, come la pietra infernale, son fatali.
Lo stesso avviene delle nostre azioni, ve ne son delle buone, delle men buone, delle cattive, delle ottime. E ci vuole un studio per trovar queste ultime, perchè con queste si compra il regno dei cieli.
E come fra molte gemme, tutte di gran valore, ve ne son talune che valgon tutte le altre (come sarebbe la Stella del Nord... il Solitario... cercar la storia dei diamanti più preziosi) così anche vi son virtù che più dì tutte hanno valore, perchè, acquistate le medesime, si hanno tutte le altre. Esse sono la povertà, ubbidienza, e castità.
Esaminarci se finora abbiam cercato e trovato queste perle preziose; se non queste almen delle altre di buona lega; e, se per caso ne avessimo delle finte o delle pregiudizievoli, pensare a come sbarazzarcene.
A che cosa servono gli Esercizi?... Noi siamo in continui esercizi di virtù... I Santi desideravano appartarsi, fuggire nei deserti; lèggasi la vita del Curato d'Ars...
A che cosa servono gli esercizi militari? quelle finte mosse, parate, fughe, assalti? eppure non si credono bastanti al giorno d'oggi i soli esercizi militari nei campi fissi di S. Morizio di Somma, si fanno le manovre generali. Dunque esercizi di piazza d'armi, esercizi dei campi militari, esercitazioni o manovre generali; finalmente battaglia e guerra in regola.
Così anche noi siam soldati: militia est vita hominis super terram; abbiam le nostre prime manovre, e queste sono il maneggio delle armi - e le armi si cambiano sempre; ora c'è un fucile ad uso, ora c'è una nuova strategia; poi vi sono i campi militari, gli oratori; poi le manovre generali, quando pesa su noi il governo e l'andamento di una casa; finalmente battaglia campale contro il nemico comune, e si ha, o visibilmente nelle persecuzioni del mondo, o in certi assalti interni che Dio sostituisce agli esterni, per mettere a prova il nostro valore. Nemo coronabitur, nisi legitime certaverit.
Niuno può cansare le battaglie; tutti dunque devono tenersi preparati a questa battaglia. Per alcuni eroi la battaglia dura tutta la vita, per altri non vien che tardi, per altri in punto di morte come a S. Ilarione; tutti però devono passare lì, non c'è via di mezzo.
Figura degli esercizi sono le manovre di mare; son movimenti che in pace significano nulla, in guerra decidono della sconfitta o della vittoria. [1085]
2) Vantaggi dello stato religioso.
Sembra che in religione s'abbiano maggiori pesi che nello stato laicale, ma non è vero. L'osservanza dei consigli evangelici non fa che agevolare l'osservanza dei precetti di Dio e della Chiesa...
Quei giovani, che son là sulla piazza, sembrano a prima giunta più fortunati, più liberi e invidiabili di quegli altri scortati da un pedagogo... Ma ecco che tra quelli sorge una baruffa; od alcuno prende a bestemmiare, od alcuno insegna a rubacchiare; si guastano, finiscono nelle carceri o nelle galere... Ben diversamente gli altri scortati dal pedagogo: ricevono una buona educazione, intraprendono una carriera, fanno felici sè e la società…
Anche le ruote del carro, anche le ali degli uccelli sono un peso; eppur togliete l'une o l'altre, e il carro e gli uccelli non potranno più che trascinarsi a stento.
Anche lo scudo degli antichi guerrieri era un peso gravissimo, eppure vedete che importanza vi annettevano...
Spaventa il veder le corazze delle navi, non par vero che con quel grave pondo esse possano ancor camminare e muoversi: ma venite qua dove si prova la loro solidità... Vedete quella com'è forata da parte a parte... e tosto vi persuaderete della necessità di armarne le navi...
Ciò che importa è di non trasgredire il poco per non trascorrere a inosservare il molto.
Fabio Massimo per sconfiggere Annibale non lo assaliva mai di fronte, ma alla spicciolata, piombando nei drappelli che restavano addietro e si allontanavano dal grosso dell'armata. Così fa anche il demonio coi religiosi...
sì è di salvare la nostra anima e poi anche di salvar quelle degli altri, specialmente dei giovani.
Sbaglierebbe lo scopo chi entrasse in Congregazione pensando:
1° che avrà poi una miglior mensa, migliori trattamenti;
2° che si assicura un pane per tutta la vita, sia che resti sano, sia che cada ammalato;
3° che si potrà più facilmente imparar arte o mestiere o diventar professore, o aver qualche supremazia nella casa, farvi affari che gli dian credito, o scriver libri e acquistar fama;
4° che, essendo Don Bosco in conoscenza con conti e marchesi, si potrà anche noi un giorno goder di tali compagnie, esservi trattati con distinzione, godervi dei buoni pranzi.
Nostro scopo è di salvar noi e le anime altrui. Che nobile scopo! G. C., il figliuolo di Dio, non è venuto per altro scopo su questa terra [1086] che per facere salvum quod perierat, ed ai suoi apostoli e discepoli, che tanto amava, il più bel regalo ed onore che fece loro si fu di mandarli ad evangelizzare il mondo: notando però che la prima volta li mandò in Israele, la seconda pel mundum universum; il che vuol dire che dobbiamo cominciare dal poco, da chi ci è più vicino.
E il miglior mezzo per salvar la nostra anima e le altrui è di cominciare col perfezionar noi stessi mediante l'esempio; far tutto bene, nel modo che a Ginevra si fan gli orologi; facendo cioè a perfezione quell'ordigno, quella incombenza che nella Congregazione ci è affidata.
Qualcuno degli artigiani potrà dire: - Sta bene che nella Congregazione vi sia lo scopo di salvar le anime, ma questo assunto lo potrà disimpegnare un prete, un predicatore, ma noi...
In nessun posto, come in una Congregazione, si verifica la verità della Comunione dei Santi, in cui tutto ciò che fa uno va anche a profitto dell'altro. E infatti chi predica, chi confessa, dopo un certo tempo ha bisogno di mangiare, come farebbe se non ci fosse il cuoco; il dotto professore ha pur bisogno di vestirsi, di calzarsi, che farebbe se non ci fosse il sarto, il calzolaio? Gli è come nel corpo, la testa val più della gamba, l'occhio più del piede, ma sì l'uno che l'altro son necessari al corpo: basta che una spina penetri nel piede, perchè tosto occhi, mano, testa si mettano in moto per sollevare il povero piede.
Anche qui cade in acconcio il paragone della fabbrica degli orologi; tutti gli ordigni, fatti con giustezza e precisione, si combinano insieme e ne riesce un orologio perfettissimo: è vero che alcune delle parti son più delicate e necessarie; ma provatevi a levarne qualcuna delle meno appariscenti, il vostro orologio perde il suo valore.
Chi poi è in un posto elevato per autorità o per ingegno, pensi a ciò che diceva Davide nel colmo della sua gloria: exaltatus, humiliatus sum. Chi è più in auge, tanto più ha bisogno di umiltà. È come la scala dei pompieri; più si ascende in alto, più bisogna umiliarsi e tenersi bene stretto alla scala, senza di che viene il capogiro, e si precipita tanto più spaventevolmente, quanto più si cade dall'alto.
Iddio in fin di vita ci chiederà conto del patrimonio, del modo che lo abbiamo amministrato, del superfluo dato o non dato ai poveri.... ma se noi già ce ne siamo spogliati, potremo poi rispondere: - Signore, è da tempo che io l'ho dato a voi, che ne ho fatto padrone voi, io non c'entro più per nulla.
Il Signore ha detto: - Tu ti spogli per amor mio del poco e io ti darò molto: tu dài tutto e tu acquisti il diritto a tutto quello che ti ho preparato nel cielo...
Vedete ciò che G. C. rispose a Pietro, quando gli chiese che cosa sarebbe stato di loro: Ecce nos reliquimus omnia... Più reciso è il taglio [1087] che noi facciamo, più assicurato il nostro premio; sarà l'affetto d'una persona, di una cosa, di un capriccio che ne tien legati ancora alla materia; facciamo il taglio, ed è assicurata la nostra fortuna.
D'altronde, lasciando i beni di questo mondo, che cosa facciamo se non restituire a Dio ciò che egli ci aveva imprestato?
Un santo vergognavasi di dire: Dio mio, io vi amo sopra ogni cosa! poichè gli pareva fosse lo stesso che dire: - Signore, io vi amo più che un po' di terra, un po' di carne, un po' di marciume!...
Il voto è la promessa di un maggior bene fatta a Dio, con animo deliberato ad eseguirlo. Uno è ammalato; promette a Dio, se risana, di regalar alla Chiesa 1000 franchi. Se guarisce, questa somma è votata a Dio, cioè a lui appartiene. Col voto della povertà noi regaliamo a Dio tutte le nostre sostanze, col voto di castità gli consacriamo il nostro corpo, i nostri sensi; col voto di ubbidienza gli consacriamo la nostra anima, specialmente la volontà che è la potenza dominante.
E questo legarsi, votarsi a Dio è cosa a lui gradita?... Più gradita non se ne potrebbe trovare. Egli stesso, a chi cercava di più appressarglisi e vivere con lui, diceva che vendessero tutto e lo seguissero; perciò dettò le beatitudini evangeliche... In un'apparizione a S. Francesco d'Assisi, G. C. gli chiese che gli regalasse qualcosa, e siccome il Santo diceva di non aver nulla, G. C. gli disse di metter la mano in seno e ne ritirava una splendida e preziosa moneta d'oro. Lo stesso gli comandò di fare, ed ei fece, due altre volte, sempre ritirandone una moneta d'oro.... dopo di che per luce soprannaturale comprese esser quelle tre monete il simbolo dei tre voti fatti in religione.
E v'è differenza tra il fare il bene e il legarsi con voto a farlo?... Immensa!... Frate Egidio, compagno di S. Francesco d'Assisi, diceva che egli preferiva un grado di grazia in religione che dieci fuori di religione, per la maggior difficoltà che in religione si ha di perdere la grazia. Di più, se uno promette di darvi ogni anno i frutti d'un suo albero e un altro ve ne fa addirittura padrone, chi dei due vi obbliga maggiormente? non forse quest'ultimo?...
Alcuni paragonano il merito dei voti allo stesso merito del martirio, perchè se nel martirio uno si spossessa di ogni cosa del mondo, incontra la morte fra i tormenti; chi fa i voti, compie un identico atto di carità, pronto a bevere a sorsi questi tormenti... Chi fa i voti, riacquista la stola dell'innocenza battesimale. Es. di S. Antonio, portato in cielo dagli Angeli.
Però, se tanto è il guadagno spirituale, tremendo è pure il castigo se, fatti i voti, non si osservano. Ne porge esempio la Scrittura in Anania e Zaffira.
Un religioso, che passò anche qui nell'Oratorio, colla scusa del [1088] padre vecchio, chiese d'uscire da un chiostro; non avendolo ottenuto, se ne andò. Giunto a casa, lo stesso primo giorno viene ad alterco col padre e lo caccia via di casa; poi vive da semplice prete, di giorno in giorno peggiora, si rende apostata, va in Inghilterra, un giorno vi muore di pugnale. Fosse rimasto nel chiostro!...
Accettando la povertà dobbiamo accettare anche i compagni e le conseguenze della povertà; badare a noi e interrogarci: son povero o no?... SI. E allora perchè lamentarmi?
Obbiezioni: - Toccano sempre a me gli affari più rognosi ... E quegli ha la camicia più bella... si lascia andar meglio vestito ... A me mai libertà; se esco al passeggio, devo badare agli altri... Tutti i lavori crescono su me, gli altri fanno quel che vogliono... A tavola se v'è qualcosa di meno, o di schifoso, sempre a me...
S. Giovanni Crisostomo parla di un giovane, che a casa sua aveva nulla e, fatto chierico, più non gli bastavan la sèmola e i confetti... Chi era ricco, ricordi che entrando in religione vi entrò povero.
G. C. coepit facere, e in fatto di povertà ci diede le più grandi lezioni, nella sua nascita, vita e morte. Praticò e insegnò il distacco dai parenti. Qual premio per quelli che fanno il generoso sacrifizio! Beati pauperes, quoniam ipsorum est regnum coelorum. Dice est, non erit, e la ragione è chiara. Altrove egli non solo promette, ma assicura a costoro il centuplo in questo mondo e la vita eterna... ecco perchè dice est, perchè ci vien quasi di diritto.
... Il riso è lungo mezzo centimetro, - si lasciò sgarrare il vino... a casa mia mangiava, è vero, un pezzo di pane, ma almeno sapevo che cosa mangiava; qui, invece, pasticci di pietanze, di minestre, e talvolta pane che è tutto carbone... San Tommaso di Villanova portò un cappello 40 anni; S. Ilarione non cambiò mai la sua veste.
Pauperes spiritu; bisogna anche intenderlo nel senso, che la nostra povertà non è piena; siamo ancor lungi dal raggiungere l'ideale della povertà monastica e quella di G. C. Convien dunque che almeno la teniam davanti al pensiero. Allora sì che ci moriranno sul labbro tutti i lamenti. Contempliamo adunque la povertà in quelli che l'ebbero veramente.
S. Filippo per amor di povertà beveva in bicchiere zoppo di un piede, che ora si venera come una reliquia a Colonia... Quando adunque a tavola mi si porrà dinanzi un bicchiere difettoso o guasto, rammenterò il bicchiere di Filippo e dirò: - Vo' esser povero come Filippo!
La castità è l'armamento del cristiano; l'ubbidienza e la povertà sono necessarie per chi entra in religione, la castità è la corona, l'abbellimento. [1089] Quanto sia necessaria questa virtù l'abbiamo da San Paolo. Haec est voluntas Dei, egli dice, sanctificatio vestra. Spiegando poi come dev'essere questa santificazione dimostra che è il mostrarci puri e casti come lo fu G. C.
Quanto Dio apprezzi questa virtù l'abbiamo da nostro Signor G. C., che non permise mai su di sè un minimo sospetto a questo riguardo. Volendo venire in questo mondo scelse per madre Maria Vergine, per padre putativo San Giuseppe; il suo discepolo prediletto era tale per la sua purità, a lui affidò sua madre morendo, e alla madre diè lui per figlio, perchè almeno avesse su chi riposare gli sguardi.
Quanti segni di predilezione non diede a Giovanni! lo lasciò riposare sul proprio petto, lo rapì nelle più alte contemplazioni... E che rosa vide Giovanni in cielo attorno a Cristo?... una turba di giovani puri e vergini che cantavano un cantico che nissun altro poteva imparare.
Per questa virtù noi ci rendiamo simili agli angeli, e, come G. C. ci dice, noi lo saremo un giorno: anzi S. Giovanni Crisostomo dice che superiamo gli angeli, perchè Essi, privi come sono di corpo, non sono soggetti alle tentazioni cui noi siamo esposti.
Tre mezzi si hanno per conservare questa preziosa virtù; custodia dei sensi, orazione e Sacramenti, custodia del cuore.
[1] Custodia degli occhi: foedus pepigi cum oculis meis, ne quidem cogitarem... dice Giobbe. Che han da fare gli occhi coi pensiero? basta un'occhiata per infiammarsi di mille voglie (il ponte dei sospiri, ragazzi che vedono un balocco). Custodia della lingua, noi specialmente che abbiamo a trattar con giovani; una parola equivoca può bastare a creare mali immensi nell'anima loro. Custodia delle orecchie; non ascoltare discorsi cattivi, adoperarsi anche perchè non ne ascoltino le orecchie altrui. Custodia del tatto; non mai le mani sulla persona altrui. Custodia del gusto: in vino luxuria, epa piena...
[2] Orazione. Dice il Savio che capì che non poteva essere casto se non mercè di Dio, a nulla valgono i nostri sforzi: Nisi Dominus custodierit civitatem… Il nostro cuore è come una cittadella, i sensi altrettanti nemici.
Sacramenti: la Comunione è vinum germinans virgines; nella confessione si hanno quegli avvisi che più specialmente possono fare pel caso nostro. Al confessore diciamo tutto che si riferisce a simile materia; ben inteso, colle debite precauzioni, accenniamo anche le tentazioni; tutto è sdrucciolevole su questo terreno; in generale non vi è parvità di materia in colpe commesse contro la purità.
[3] Custodia del cuore, preservandolo dalle affezioni smodate anche a compagni buoni; si schivi la troppa familiarità, essa è assai pericolosa...
Ma non si potrà essere un po' più larghi, non esser tanto ritenuti? No, gli è come chi si trovi sul pendio d'un precipizio; scendendo [1090] piano piano pel pendio a cogliere un fiore sull'orlo del precipizio può darsi che rimonti ancor su, ma quanto pericolo non gli scivoli un piede, non gli prenda un capogiro! Raccomandiamoci a S. Luigi.
La più gran cosa in questo mondo è di fare la volontà del Signore.
Ma per farla convien conoscerla, per non crederci di seguire la volontà del Signore, mentre poi non seguiam che la nostra. A questo fine sempre teniam a mente la bella preghiera di David: Doce me facere voluntatem tuam; rendiamola nostra giaculatoria.
L'obbedienza è quella che sostiene le religioni.
Ma quest'obbedienza dev'essere intera; cioè non fare le cose a metà, o farne una sola parte.
Ilare, cioè non dobbiam mostrar l'uggia nostra nell'obbedire in certe cose che non ci vanno perfettamente a genio. Alle volte il Superiore sapendo d'incontrar il broncio del soggetto, finisce per nemmen comandargli quel che gli voleva comandare, benchè ne venga anche un danno alla Congregazione e una minor gloria a Dio.
Pronta, vale a dire quando si è sentita la voce del Superiore, o questa si manifesta per un mezzo qualunque, suoni un campanello, ubbidir subito. S. Luigi lasciava a mezzo la parola incominciata, appena sentiva il campanello.
Umile, cioè non pensarci che il Superiore ci abbia ordinato una stravaganza, che meglio avrebbe fatto a dire od ordinare così e così... Il Superiore è nel suo stato assistito da Dio: può forse aver avuto in mente le stesse idee che vi vengono ora a voi e non averle giudicate convenienti.
Parimente poi è segno di ubbidienza il non esser solleciti nel domandare e nel ricusare.
Taluni, avendo bisogno, o credendo di aver bisogno di qualche cosa, si recano dal Superiore e lo assediano di tanta insistenza, che egli, sebben contro genio, è obbligato ad accordar loro quello che vogliono. Uno vorrà andar in vacanza, il Superiore vede che il contatto dei parenti, degli amici, potrebbe essergli fatale, si oppone; l'altro insiste, gli si dà licenza... questo è un forzar la volontà altrui.
Nemmeno ricusare. Il Superiore ordinerà ad uno che è stanco di una giornata di lavoro: - Domani riposerai fino alle sette. - L'altro vorrebbe invece alzarsi alle 6 per poter fare la Comunione; ma ubbidisce, ebbene ei s'ha il merito della Comunione che avrebbe voluto fare, ha per giunta il merito dell'obbedienza. Il Superiore dirà: - Tu farai la tale scuola. - Ei non si crede capace, ricusa; contravviene a questa massima di non esser sollecito nel ricusare. [1091] S. Francesco di Sales, in punto di morte, lasciava per ultimo ricordo alle monache della Visitazione „di non esser sollecite nel domandare nè nel ricusare”. Noi, che lo abbiam pure per nostro Patrono, dobbiamo altamente fissarci nel cuore questa massima[210].
Son quattro appunti, autografi, evidentemente di conferenze o d'istruzioni tenute dal Santo negli Esercizi, senz'indicazione dell'anno; un altro autografo, su gli „Argomenti pei Predicatori dei nostri S. Esercizi”; - in ultimo, una memoria di Don Lemoyne.
Scopo dei militari che fanno esercizi colle armi. Così noi. Ci esercitiamo a combattere il nemico delle anime.
Fare come il giardiniere che trova sempre qualche nuovo lavoro che lo occupa intorno alle sue piante, ai suoi erbaggi e ai suoi fiori.
La pianta, che da tre anni non faceva frutti, visitata dal Divin Salvatore ...
Quali frutti abbiamo raccolti dalla povertà, dalla castità, dall'obbedienza?
Persuasione di aver bisogno di un attento esame.
3° Virtù religiosa e come per i Salesiani.
5° Lo consola nei lavori della vita.
7° È il fondamento e la conservazione delle altre virtù.
8° È il sostegno degli Ordini Religiosi.
9° La disubbidienza ne è lo sfasciamento e la rovina.
10° Come deve praticarsi dai Salesiani.
11° Gli ubbidienti sono benedetti sulla terra e sono grandemente premiati in cielo.
NB. - Il Segneri ha un libro sulla virtù dell'obbedienza. - Il Rodriguez un trattato.
V. anche Scaramelli - S. Alfonso - Da Ponte e Magnum Theatrum vitae humanae: Art. Oboedientia.
Si racconta che Pitagora, celebre filosofo dell'antichità, prima di ricevere un allievo nella sua scuola, esigeva che gli facesse una minuta esposizione delle azioni sue, buone o ree, di tutta la vita. Quando era divenuto allievo di fatto, voleva che gli tenesse il cuore aperto in ogni cosa, perchè, diceva, se io non conosco il loro interno, mi riesce impossibile far loro il bene, che io desidero e di cui eglino abbisognano.
Il nostro Divin Salvatore elevo tale massima a verità evangelica, quando disse ai suoi Apostoli: Habete fiduciam: abbiate in me piena confidenza. Difatti per dare regole di vita e consigli secondo il bisogno di un confratello, è necessario che i bisogni di lui siano conosciuti.
quaerenti bonas margaritas, inventa autem etc. (MATT., C. 13).
Quelli che desiderano il regno dei cieli, sono simili ad un negoziante che cerca perle preziose.
1) Molti cercano ricchezze, scienza, onori, impieghi, arte, mestieri e simili; ma non sono vere perle, perchè ecc.; vere perle sono le virtù cristiane; e le Teologali: fede, speranza, carità; perla poi inestimabile è G. C., intorno a cui si rannodano tutte le altre virtù. Come faceva S. Paolo.
2) Queste virtù si cercano colla meditazione, colla preghiera, colle giaculatorie. David: Unam petii etc.; colle opere buone, operemur bonum. Come i Santi trovarono queste perle. Gli Apostoli; i Santi; S. Antonio, quando andò in chiesa.
3) Perla preziosa è la vita religiosa, con cui vogliamo vender [1093] tutto, rinunziare a tutto, per trovare la gran perla della nostra eterna salvezza.
4) Ora esaminiamo la bontà delle perle, cioè delle nostre opere, come la povertà, la castità, ubbidienza, etc. Via le perle false, e se ne acquistino delle buone, a qualunque sacrifizio, etc.
5) Urbs fortitudinis nostrae Sion salvator, ponetur in ea murus et ante murale (ISAIA, 26 - 1).
Difficile est quod homo praecepta servet, quibus intratur in regnum, nisi sequens consilia divitias relinquat (S. Tom. d'Aq.).
Le regole della Società sono le ali con cui si vola, le ruote con cui si conduce il carro (S. Ag.).
La minuta dei Santo, intitolata: „Argomenti pei Predicatori dei nostri S. Esercizi”, ha questa nota di Don Rua: „Don Barberis ne dispensi copia a tutti i Predicatori dei nostri S. Esercizi”. Indubbiamente è posteriore anche al 1874; tuttavia ci pare, che, qui inserita, sia una bella conclusione di quanto abbiamo esposto.
Argomenti pei Predicatori dei nostri S. Esercizi.
1° Pazienza nel sopportare i difetti dei Confratelli; avvisarli, correggerli con carità, ma prontamente.
2° Evitare le critiche, il biasimo, difenderci a vicenda, aiutare materialmente e spiritualmente.
3° Non mai lagnarci nelle cose comandate, nei rifiuti, o negli apprestamenti di tavola, di abiti, nella scelta dei lavori, nei malori della vita, nella qualità degli impieghi.
4° Somma cura nel fuggire e far fuggire qualunque opera, parola scandalosa o che possa interpretarsi come tale.
5° Non mai il Salesiano ricordi qualche ingiuria ricevuta per farne rimprovero o vendicarla.
6° Le cose passate e già quasi generalmente dimenticate non vengano più richiamate per farne biasimo.
7° Sollecitudine e sforzo generale per rendere i Salesiani capaci a compiere esemplarmente i doveri del proprio stato.
Un altro importantissimo documento.
Il caro Don Lemoyne, durante gli Esercizi del 1873, raccoglieva alcuni consigli, dati da Don Bosco in varie circostanze, sulle relazioni spirituali tra i Direttori delle Case e i loro dipendenti, sulle visite, del Rettor Maggiore, sullo studio [1094] delle cose riguardanti il Sacramento della Confessione, ecc. ecc., che dobbiamo aver presenti.
È vero che a quei tempi i Direttori erano i confessori regolari delle case, per cui ora, coll'inibizione assoluta d'ascoltare le confessioni dei propri sudditi, le raccomandazioni e i consigli del Santo sembrerebbero aver perduto l'antico valore; ma il loro scopo era: di formar di tutte le case salesiane altrettante famiglie, nelle quali il Direttore fosse „un padre, il quale non può che amare e compatire i suoi figli”, e questi altrettanti fratelli, formando tutti un cuor solo e un'anima sola. Dopo il Decreto della Suprema del 1901, purtroppo cotesto spirito di famiglia, vagheggiato dal nostro Fondatore, qua e là è andato affievolendosi. Per farlo di nuovo fiorire e serbarlo vivo in perpetuo, gioverà infallibilmente praticare le care esortazioni paterne che affiorano dai passi, che riproduciamo in carattere corsivo, nella trascrizione letterale del prezioso documento.
“1. Il Direttore è il confessore nato di quelli che appartengono alla Congregazione. Esso ha da Dio l'incarico di aiutarli nella vocazione. Anche per i giovani esso è il confessore ordinario, per conoscere le vocazioni e per dar loro, se è possibile, lo spirito della casa. Si lasci piena libertà nella scelta del confessore, ma a lui si indirizzino tutti coloro nei quali si manifestano indizi di vocazione. Se costoro dicessero che non osano, se questo non osare fosse effetto di gravi colpe, di cattiva condotta, sarebbe un indizio contrario alla loro vocazione.
Nessuno tema di confessarsi al Direttore. Esso è un padre, il quale non può che amare e compatire i suoi figli.
2. Il Rettor Maggiore è il confessore straordinario. Quando fa visita ad una casa, prima il Direttore e poi gli altri membri della Pia Società gli espongano lo stato della propria coscienza: quindi ciò facciano i giovani. Però siano sempre i primi quelli che appartengono alla Pia Società. Lo spirito della casa deve trasfondersi dal Rettore nei Direttori [oggi avrebbe detto dal Rettor Maggiore negli Ispettori, dagli Ispettori nei direttori] e da questi negli altri. Il Rettor Maggiore in queste visite restringa sempre i vincoli d'unione dei membri della Casa col Direttore. Quindi parli con tutti e tolga le ombre, le diffidenze, i rancori, che con tanta facilità nascono e durano poi lungo tempo, se la carità non pone rimedio.
3. I Direttori non castighino, non rimproverino, non minaccino mai i giovani. Essi colle viscere piene di carità rappresentino la bontà di Dio. I castighi ed i rimproveri appartengono all'ufficio del Prefetto. [1095] È un momento perdere, e per sempre, la confidenza di un giovane. I Direttori non entrino nei voti di condotta, e i giovani lo sappiano. Essi potranno però cambiare qualche voto, quando si tratta che la condotta di qualche individuo sia tale, da doversi giudicare ingiusto tale voto, o per un rapporto provato sincero, o perchè tale è il giudizio che ne fanno tutti quelli della casa.
4. Il Direttore tutti i giorni nella Santa Messa si ricordi dei suoi penitenti [ora diciamo dipendenti] passati, presenti, futuri. I penitenti [i dipendenti] poi, nell'ascoltare la Santa Messa e nella comunione, non si dimentichino mai del Confessore [Direttore].
5. Ogni anno facciano tutti la confessione annuale e nel tempo dell'esercizio della buona morte la confessione mensile. All'entrare nella Società Salesiana, si faccia la confessione generale.
6. Ciascun membro della Pia Società studii attentamente ciò che riguarda il Sacramento della Confessione. La parte teorica per rispondere alle obbiezioni; la parte pratica, ossia il modo di confessarsi bene; e lo esponga ai giovani nel modo più popolare, lasciando da arte le dotte trattazioni. A questo scopo serve il fascicolo delle Letture Cattoliche: - Conversazioni tra un avvocato ed un Curato di campagna sul Sacramento della Confessione.
7. Appartiene al Direttore e non ad altri avvertire i chierici e le altre persone della Società. Non deve rimetterle al Prefetto quando si meritano rimproveri, ma esso stesso consigliarli colle buone sul da farsi, procedendo sempre secondo carità”.
La raccolta delle Circolari inviate da Don Bosco alle Case, pubblicata nel 1896 a cura di Don Paolo Albera, Direttore Spirituale della Società, per mancanza di coordinazione dei documenti d'archivio risultò mancante di quelle anteriori al 1876[211].
Due di queste vennero già inserite, a suo luogo, nei volumi precedenti delle Memorie Biografiche, nell'8° quella in data „9 giugno 1867, giorno di Pentecoste: Sul fine che si deve avere per entrare in Società[212]; e nel 9°, l'altra in data „Solenne giorno dell'Assunzione di Maria Santissima”: Sulla confidenza che si deve avere col Superiore[213].
Le inedite, le riportiamo qui ordinatamente. [1096] Riflettendo com'esse furono scritte dal Santo negli anni in cui ebbe tanto a lavorare per ottenere l'approvazione definitiva delle Costituzioni, possiamo ritenere, senza punto esagerare, che nel suo spirito, come allora, così ora e sempre, regnano e regneranno sovrani questi suoi ardenti desideri:
- Che nella Società splenda sempre l'unità di spirito e d'amministrazione, mediante l'osservanza d'ogni articolo delle Costituzioni;
- che da tutti si pratichi economia in ogni cosa, facendo tutti quei risparmi che si possono fare;
- che ogni confratello, perchè regni la disciplina tra gli allievi, osservi esattamente, al pari delle Costituzioni, anche il Regolamento Particolare dell'ufficio che gli è affidato;
- che si Promuova costantemente e con ogni mezzo opportuno la moralità tra i giovinetti, che la Divina Provvidenza ha la bontà di affidarci;
- che in tutte le case si osservino pur fedelmente quei particolari consigli dati per il loro buon andamento;
- che si procuri, a costo di qualunque sacrifizio, che la Società Salesiana abbia sacerdoti, che sieno sale colla pietà e colla scienza per indirizzare le anime al bene ed alla virtù, e luce col buon esempio!
Questi sono gli argomenti, di cui tratta il Santo Fondatore nelle Circolari che qui pubblichiamo.
1a - Unità di spirito e d'amministrazione, mediante l'osservanza d'ogni articolo delle Costituzioni.
Non possiamo dire se e quando questa lettera venne inviata alle Case. Noi la riproduciamo, anche con certe parentesi, tale quale risulta dal manoscritto del Santo che si conserva nell'Archivio della Pia Società.
Nei quaderni delle Circolari raccolte da Don Rua non si trova inserita; la prima che in essi si legge, è quella della solennità dell'Assunzione dell'anno 1869. Anche dal cenno che si fa in essa degli esercizi che avrebbero avuto luogo a Trofarello, sembra anteriore a quell'epoca, essendosi, fin dal 1870, tenuti gli esercizi nel Collegio di Lanzo. [1097] Comunque è un documento prezioso, tutto di mano del Santo, ed inedito; e per la grande importanza dell'argomento sarà sempre, per i Salesiani, un tema gradito di studio e di riflessione.
Ai miei cari Figliuoli e Confratelli della Società di San Francesco di Sales.
Il mese di maggio che noi siamo soliti consacrare a Maria sta per incominciare ed io stimo di approfittate di questa occasione per parlare a' miei cari figliuoli e confratelli ed esporre loro alcune cose che non ho potuto dire nelle conferenze di S. Francesco di Sales.
Io sono persuaso che voi abbiate tutti ferma volontà di essere perseveranti nella Società, e quindi adoperarvi con tutte le vostre forze a guadagnare anime a Dio e per prima salvare l'anima propria. Per riuscire in questa grande impresa dobbiamo per base generale usare la massima sollecitudine per mettere in pratica le regole della Società. Perchè a nulla gioverebbero le nostre costituzioni, se fossero come una lettera morta da lasciarsi nello scrittoio e non di più. Se vogliamo che la nostra Società vada avanti colla benedizione del Signore, è indispensabile che ogni articolo delle costituzioni sia norma nell'operare. Tuttavia vi sono alcune cose pratiche e assai efficaci per conseguire lo scopo proposto, e fra queste vi noto l'unità di spirito e l'unità d'amministrazione.
Per unità di spirito io intendo una deliberazione ferma, costante, di volere o non volere quelle cose che il Superiore giudica tornare o no a maggior gloria di Dio. Questa deliberazione non si rallenta mai, comunque gravi siano gli ostacoli che si oppongono al bene spirituale ed eterno, secondo la dottrina di S. Paolo: Charitas omnia suffert, omnia sustinet. Questa deliberazione induce il confratello ad essere puntuale ne' suoi doveri, non solo pel comando che gli è fatto, ma per la gloria di Dio che egli intende promuovere. Da ciò ne deriva la prontezza nel fare all'ora stabilita la meditazione, la preghiera, la visita al SS. Sacramento, l'esame di coscienza, la lettura spirituale. È vero che queste cose sono prescritte dalle regole, ma se non si procura di eccitarsi ad osservarle per un motivo soprannaturale, le nostre regole cadono in dimenticanza.
Quello che potentemente contribuisce a conservare questa unità di spirito si è la frequenza dei Santi Sacramenti. I sacerdoti facciano quanto possono per celebrare con regolarità e divotamente la Santa Messa: coloro poi che non sono in tale stato procurino di frequentare la Comunione il più spesso possibile. Ma il punto fondamentale sta nella frequente Confessione. Ognuno procuri di osservare quanto le regole prescrivono a questo riguardo. Una confidenza speciale è poi assolutamente necessaria col Superiore di quella casa dove ciascuno dimora. Il gran difetto consiste in ciò che molti cercano d'interpretare [1098] stortamente certe disposizioni de' Superiori, oppure le giudicano di poca importanza, e intanto rallentano l'osservanza delle regole con danno di se stessi, con dispiaceri dei Superiori, o con omissione o almeno trascuranza di quelle cose che avrebbero potentemente contribuito al bene delle anime. Ognuno adunque si spogli della propria volontà e rinunzi al pensiero del proprio vantaggio; si accerti solamente che quello che deve [fare] torni a maggior gloria di Dio e poi vada avanti.
Qui per altro nasce la seguente difficoltà: Nella pratica si incontrano casi in cui sembra [sia] meglio fare diversamente da quanto era stato comandato. Non è vero. Il meglio è sempre fare l'ubbidienza, non mai cangiando lo spirito delle regole interpretato dal rispettivo Superiore. Laonde ciascuno studi sempre di interpretare, praticare, raccomandare l'osservanza delle regole fra' suoi confratelli; e mettere in esecuzione verso il prossimo tutte quelle cose che il Superiore giudicasse tornare a maggior gloria di Dio e a bene delle anime. Questa conclusione io la reputo la base fondamentale di religiosa Società.
All'unità di spirito deve andare congiunta l’unità d'amministrazione. Un religioso si propone di mettere in pratica il detto del Salvatore, vale a dire di rinunziare a quanto egli ha, o possa avere nel mondo per la speranza di miglior ricompensa in cielo. Padre, madre, fratelli, sorelle, casa, sostanze di qualunque genere e tutto offerir all'amor di Dio. Se non che avendo egli ancor l'anima unita al corpo, ha tuttora bisogno di mezzi materiali per nutrirsi, coprirsi ed operare. Perciò egli, mentre rinuncia a tutto quanto aveva, cerca di aggregarsi in una società in cui possa provvedere alla necessità della vita senza punto avere il peso dell'amministrazione temporale. Come adunque egli deve regolarsi in Società in quanto alle cose temporali? Le regole della Società provvedono a tutto; dunque praticando le regole rimane soddisfatto ogni bisogno. Una veste, un tozzo di pane, devono bastare ad un religioso. Quando occorresse di più, ne dia un cenno al Superiore e ne sarà provveduto. Ma qui deve concentrarsi lo sforzo di ciascuno. Chi può procurare un vantaggio alla Società il faccia, ma non faccia mai centro da sè. Si sforzi per fare sì che vi sia una sola borsa, come deve esservi una sola volontà. Chi cercasse di vendere, comperare, cambiar o conservare danaro per utilità propria... chi ciò facesse sarebbe come un contadino che mentre i trebbiatori ammucchiano il grano, egli lo disperde e lo getta in mezzo alla sabbia. A questo riguardo io debbo raccomandare di nemmeno conservar danaro sotto allo specioso pretesto di ricavarne utile per la Società. La cosa più utile per la Società è l'osservanza delle regole.
Gli abiti, la camera, gli arredi di essa siano lontani dalla ricercatezza. Il religioso deve essere preparato ad ogni momento a partir dalla sua cella e a comparire davanti al suo creatore senza alcuna [1099] cosa che lo affligga nell'abbandonarla e senza che tomi di motivo al giudice di [rimproverarlo].
(Ogni cosa proceda adunque colla guida dell'obbedienza, ma umile e confidente. Nulla si celi al Superiore, nulla gli si nasconda. Ognuno gli si apra come un figlio ad un padre con schietta sincerità). Così il Superiore stesso sarà in grado di conoscere lo stato dei suoi confratelli, provvedere ai loro bisogni e prendere quelle decisioni che concorrono a facilitare l'osservanza delle regole e il vantaggio della intiera Società.
Molte cose dovrebbero dirsi a questo riguardo. Ciò si farà con un'altra lettera, con apposite conferenze e specialmente nei prossimi esercizi di Trofarello, se Iddio nella sua grande misericordia ci conserverà, come spero, e ci aiuterà a poterci nel prossimo mese di settembre tutti colà raccogliere.
La grazia di N. S. G. C. sia sempre con noi e ci conceda lo spirito dei fervore ed il prezioso dono della perseveranza nella Società, Amen.
2a - ECONOMIA IN TUTTO, ma non esagerata, facendo tutti quei risparmi che si possono fare.
Questa circolare venne inviata alle Case, mentre si stavano per iniziare le ultime pratiche per l'approvazione definitiva delle Costituzioni. Quindi questa lettera, e le due seguenti, contengono le tre più grandi raccomandazioni del Santo.
Agli amati figli di S. Francesco di Sales dimoranti in Torino - Valdocco.
L’esperienza, o figliuoli amatissimi, è un gran maestro, Ma se da questa si impara quanto può tornare a comune o privato vantaggio nelle famiglie, sarà certamente di maggiore utilità nelle famiglie religiose, in cui non devesi avere altra mira, che conoscere il bene affine di praticarlo, conoscere il male per poterlo fuggire.
Per questo motivo giudico bene di esporvi alcune cose osservate nella visita testè fatta alle nostre case, e ciò per vantaggio dei soci in particolare ed in generale di tutta la nostra Congregazione. Alcune di esse riguardano l'interesse materiale; altre la morale e la disciplina. Questo formerà la materia di tre distinte lettere.
Il materiale andamento delle nostre case deve in questo momento formare l'oggetto delle nostre sollecitudini, perciocchè l'acquisto. La costruzione, la riattazione, e l'impianto di nuove case furono causa [1100] di assai grave dispendio; l'aumento poi di ogni genere di commestibili fa sì che l'uscita mensile sia di gran lunga superiore alle entrate. Dobbiamo pertanto seriamente pensare a qualche economia e studiare insieme quelle cose pratiche, da cui possiamo ottenere qualche risparmio.
1° Che in quest'anno non si intraprenda alcuna costruzione, se non è strettamente necessaria. Si compiano soltanto quelle riattazioni, che si ravvisano indispensabili. In questi casi notisi quello che si reputa necessario a farsi colla spesa approssimativa e poi si trasmetta preventivamente al Capitolo Superiore.
2° Non si facciano viaggi se non per bisogni nostri, e per quanto è possibile si evitino gli impegni, le commissioni od incombenze, per cui dovessimo assumerci spese o perdita di tempo. Quelli poi che sono in grado di potersi fare tali spese da sè, o per mezzo di altri, sappiano prudentemente approfittarne.
3° Si richiami l'osservanza degli articoli 2, 3, 4, 5, 6 del Capitolo IV delle nostre regole; siano praticamente spiegati dai Direttori; se occorre, ne parlino in particolare, oppure deferiscano la cosa al Superiore. Questi articoli sono la base della vita religiosa e portano di sua natura al distacco delle cose terrene, dalle persone e da se stesso, e fanno sì che le comuni sollecitudini saranno rivolte all'adempimento dei propri doveri, al maggior vantaggio della Congregazione[214].
4° Si limiti al puro necessario la compra di libri, di abiti, di biancheria, calzamenta, di suppellettili e di oggetti di uso; per quanto permetterà il decoro si facciano riparare le cose che già si possiedono.
5° Eziandio ne' commestibili si può introdurre qualche economia; aver cura delle cose che possono conservarsi; fare compre all'ingrosso, parsimonia nei generi più cari, come la carne ed il vino; la regolarità e la qualità dei condimenti: curare che non si sciupi nè pane, nè pietanze, nè vino, nè lumi, nè legna; fare soltanto inviti in caso di stretta convenienza, ed in questi stessi inviti non dimenticare mai che viviamo di Provvidenza, nè abbiamo alcun reddito, e che lo spirito di povertà deve informare ogni casa nostra. Questi sono altrettanti punti da tenersi in considerazione.
6° Stabilire corrispondenze di una casa colle altre per giovarci nelle compre e nelle somministranze di quei generi, che, nei rispettivi paesi, possono aver vere agevolezze ne' prezzi.
Con questi ricordi però non intendo di introdurre una economia troppo esagerata; ma solo raccomandare risparmi dove si possono fare; ma è mia intenzione, che niente si ometta di quello che può contribuire alla sanità corporale e al mantenimento della moralità [1101] tanto fra gli amati figli della Congregazione, quanto fra gli allievi che la Divina Provvidenza affida alle nostre sollecitudini.
Altre cose di non minor rilievo spero potervi scrivere fra breve. Intanto ogni Direttore legga e spieghi quanto ivi fu esposto; ne conferisca col prefetto della Casa, e dopo qualche settimana riferisca ciò che si è fatto, e ciò che si giudica da farsi per conseguirne lo scopo.
In generale poi io sono stato assai contento della moralità, della sanità e del profitto scientifico che si va diffondendo nelle nostre case; e di ciò rendiamone grazie a Dio Creatore e Datore di ogni bene, cui sia onore e gloria per tutti i secoli. Amen.
La grazia di N. S. G. C. sia sempre con noi e dal Cielo Iddio benedica e sostenga tutte le opere nostre. Pregate per me che con paterno affetto vi sono ne' Sacri Cuori di Gesù e di Maria
3a - SULLA DISCIPLINA, o sull'esatta osservanza di tutte le regole, tanto delle Costituzioni, come delle particolari per i vari uffici che vengono assegnati.
È un'autentica illustrazione del Santo sul modo di vivere conforme alle nostre Regole ed alle nostre costumanze, con avvisi particolari ai direttori, ai prefetti, ai catechisti, ai maestri, agli assistenti, a tutti i confratelli, per far „trionfare la disciplina nelle nostre case”, e veder “i nostri allievi crescere di virtù in virtù e camminare sicuri per la strada della eterna loro salvezza”.
Ai miei cari Figli della Casa di [... Torino].
Nel cominciare quest'anno scolastico, o miei amati figli, è bene che io compia la fatta promessa di parlarvi cioè del fondamento della moralità e dello studio, che è la disciplina fra gli allievi.
Non pretendo di presentarvi un trattato di precetti morali o civili che alla disciplina si riferiscono; io voglio soltanto esporvi i mezzi che l'esperienza d'anni 45[215] trovò fecondi di buoni risultati. Queste prove, questi risultati spero potranno servire anche a voi di ammaestramento nei varii uffizi che vi possono essere affidati.
Per disciplina non intendo la correzione, il castigo, o la sferza, cose tra noi da non mai parlarne, nemmeno l'artifizio o la maestria [1102] di una cosa qualunque; per disciplina io intendo un modo di vivere conforme, alle regole e costumanze di un istituto. Laonde per ottenere buoni effetti dalla disciplina prima di tutto è mestieri che le regole siano tutte e da tutti osservate. Datemi una famiglia in cui siano molti a raccogliere, e un solo a disperdere; un edifizio in cui siano molti a fabbricare ed un solo a distruggere; noi vedremo la famiglia andare in rovina, e l'edifizio sfasciarsi e ridursi ad un mucchio di rottami.
Questa osservanza devesi considerare ne' socii della Congregazione e ne' giovanetti dalla divina Provvidenza alle nostre cure affidati; quindi la disciplina rimarrà senza effetto se non si osservano le regole della Società e del Collegio.
Credetelo, o miei cari, da questa osservanza dipende il profitto morale e scientifico degli allievi, oppure la loro rovina.
A questo punto voi mi dimanderete: Quali sono queste regole pratiche, che ci possono giovare all'acquisto di tanto prezioso tesoro? Due cose: Una generale, l'altra particolare. In generale osservate le regole della Congregazione e la disciplina trionferà. Niuno ignori le regole proprie al suo uffizio, le osservi e le faccia osservare da' suoi dipendenti. Se chi presiede agli altri non è osservante, non può pretendere che i suoi dipendenti facciano quello che egli trascura, altrimenti gli si direbbe: medice, cura teipsum. Tuttavia per venire ad alcuni casi pratici io accennerò le cose che in particolare a ciascheduno si riferiscono.
1. Il Direttore. - Esso deve essere istruito intorno ai doveri tanto dei Soci come congregati, quanto dei Soci addetti a qualche uffizio. Non occorre che egli lavori molto, ma vegli che ciascuno compia la parte che lo riguarda. Le nostre case si possono paragonare ad un giardino. Non fa bisogno che il capo giardiniere lavori molto, basta che egli si cerchi degli operai pratici, li istruisca intorno all'orticoltura, li assista, li avvisi a suo tempo e nelle cose più importanti si trovi eziandio presente per giovare chi fosse imbarazzato nelle cose di maggior momento. Questo giardiniere è il Direttore; le tenere pianticelle sono gli allievi, tutto il personale sono i coltivatori dipendenti dal padrone, ossia dal direttore che ha la responsabilità delle azioni di tutti.
Il Direttore poi guadagnerà molto se non si allontanerà dalla casa affidatagli, se non per ragionevoli e gravi motivi; e, qualora intervenissero questi gravi motivi, non mai si allontani senza aver prima stabilito chi lo supplisca nelle cose che possono occorrere.
Con tutta carità visiti sovente, o almeno domandi conto dei dormitori, della cucina, dell'infermeria, delle scuole e dello studio. Egli sia costantemente qual padre amoroso che desidera di sapere tutto per fare del bene a tutti, del male a nessuno.
2. Prefetto. - Il Prefetto o censore della disciplina deve darsi [1103] cura dell'osservanza dell'orario della casa; impedire quanto è possibile le relazioni degli interni cogli esterni; fare in modo che gli assistenti e in generale quelli che sono in qualche autorità, si trovino in mezzo ai giovani in tempo di ricreazione, si adoperi che le passeggiate non abbiano stazioni, vale a dire non vi siano fermate in cui interrompendo la camminata gli allievi possano allontanarsi dall'occhio degli assistenti. Niuno si allontani dalle file, niuno vada in caffè, in alberghi; niuno si associ cogli esterni, nè introduca libri, giornali, lettere, che non passino per le mani dei Superiori.
3. Catechista. - Il Catechista si ricordi che lo spirito e il profitto morale delle nostre case dipende dal promuovere il piccolo Clero, la Compagnia dell'Immacolata Concezione, del SS. Sacramento e di S. Luigi. Abbia cura che tutti, specialmente i coadiutori, abbiano comodità di frequentare la Confessione e la Comunione. Se mai fra le persone applicate ai lavori domestici àvvene alcuno bisognoso d'istruzione, faccia in modo che nulla gli manchi per ricevere la comunione, la Cresima, servire la S. Messa e simili. Parli alquanto tempo prima delle Solennità da celebrarsi, e con brevi sermoncini o con qualche esempio analogo prepari gli allievi con quel decoro e con quella pompa maggiore che si potrà.
4. Maestri. - I Maestri siano i primi ad entrare nella scuola e gli ultimi ad uscire. Amino tutti egualmente i loro allievi; incoraggiscano tutti, disprezzino nessuno. Compatiscano i più ignoranti della classe, abbiano grande cura di essi, li interroghino sovente, e se occorre parlino con chi di dovere perchè siano anche aiutati fuori di scuola. Ogni insegnante non deve dimenticare che è un maestro cristiano, perciò quando la materia scolastica o l'opportunità delle feste dà occasione di suggerire una massima, un consiglio, un avviso ai suoi allievi, non mai lo trascuri.
5. Gli assistenti. - Tutti quelli che esercitano qualche autorità nelle scuole, nei dormitorii, in cucina, in portieria e in qualunque altra parte della casa siano puntuali ai loro doveri, pratichino le regole della Società, soprattutto le pratiche religiose, ma si adoperino colla massima sollecitudine per impedire le mormorazioni contro ai Superiori, contro all'andamento della Casa, e specialmente insistano, raccomandino, e nulla risparmino per impedire i cattivi discorsi,
6. A tutti poi è caldamente raccomandato di comunicare al Direttore tutte le cose che possono servire di norma a promuovere il bene ed impedire le offese del Signore.
Il Signore disse un giorno ad un suo discepolo: Hoc fac et vives. Fa' questo, cioè osserva i miei precetti, e avrai la vita eterna. Così dico a voi, miei cari figliuoli, adoperatevi di mettere in pratica quel tanto che vi ha esposto questo vostro affezionatissimo Padre, e voi avrete la benedizione del Signore, godrete la pace nel cuore, la disciplina trionferà nelle nostre case, e vedremo i nostri allievi crescere [1104] di virtù in virtù e camminare sicuri per la strada della eterna loro salvezza.
La grazia di N. S. Gesù Cristo sia sempre con me e con voi, affinchè tutti il possiamo costantemente amare e servire in questa vita per andare tutti un giorno a lodarlo e benedirlo eternamente in Cielo. Così sia.
4a - SUL MODO DI PROMOVERE E CONSERVARE LA MORALITÀ FRA I GIOVINETTI, che la Divina Provvidenza ha la bontà di affidarci.
“O castità, o castità, tu sei una grande virtù! Fino a tanto che tu risplenderai fra noi, finchè i Figli di S. Francesco di Sales Ti pregeranno praticando la ritiratezza, la modestia, la temperanza, e quanto abbiamo con voto promesso a Dio, sempre tra noi avrà posto glorioso la moralità, e la santità dei costumi come fiaccola ardente risplenderà in tutte le case che da noi dipendono”.
È superfluo ogni commento!... Nullum par elogium!
Ai miei Figli Salesiani della casa di [... Torino].
Mentre tratto cose di nostra Congregazione in questa Città eterna, città consacrata dal sangue dei due principi degli apostoli Pietro e Paolo, dopo aver pregato nella santa Messa, invocati i lumi dello Spirito Santo, chiesta una speciale benedizione dal Supremo Gerarca della Chiesa, vi scrivo di uno de' più importanti argomenti: Del modo di promuovere e conservare la moralità fra' giovanetti che la Divina Provvidenza si compiace di affidarci. Per non trattare questa materia troppo brevemente, credo bene dividerla in due parti. 1° Necessità della moralità nei soci Salesiani. 2° Mezzi per diffonderla e sostenerla ne' nostri allievi.
Si può pertanto stabilire come principio invariabile, che la moralità degli allievi dipende da chi li ammaestra, li assiste, li dirige. Chi non ha, non può dare; dice il proverbio. Un sacco vuoto non può dar frumento, nè un fiasco pieno di feccia può mettere buon vino. Laonde prima di proporci maestri agli altri, è indispensabile che noi possediamo quello che agli altri vogliamo insegnare. Sono chiare le parole del Divin Maestro: Voi, egli dice, siete la luce del mondo; questa luce, ossia il buon esempio, deve risplendere in faccia a tutti gli uomini, affinchè vedendosi da tutti le opere vostre buone, siano in certo modo tratti anch'essi a seguirvi e cosi glorificare il Padre [1105] Comune che è nei Cieli. S. Girolamo dice che sarebbe un cattivo medico colui, il quale volesse guarire gli altri e non fosse capace di guarire se stesso. Gli sarebbe certamente risposto colle parole del Vangelo: Medice, cura teipsum. Se pertanto noi vogliamo promuovere la moralità e la virtù ne' nostri allievi, dobbiamo possederla noi, praticarla noi, e farla risplendere nelle nostre opere, ne' nostri discorsi, nè mai pretendere dai nostri dipendenti, che esercitino un atto di virtù da noi trascurato.
Di fatto come noi potremo pretendere che gli allievi siano esemplari e religiosi, se in noi vedono negligenza nelle cose di chiesa, nella levata, nella meditazione, nell'accostarci alla Confessione, alla Comunione o nel celebrare la Santa Messa? Come può pretendere ubbidienza quel Direttore, quel maestro, quell'assistente, mentre eglino per frivoli pretesti si esimono dalle loro obbligazioni, e per lo più senza permesso escono di casa, e si occupano di cose che non hanno alcuna relazione co' proprii doveri? Come ottenere dagli altri carità, pazienza, rispetto, se chi comanda va in furia con tutti, percuote, censura le disposizioni dei Superiori, critica gli orari e gli stessi trattamenti di tavola e chi ne ha la cura? Noi siamo certamente tutti d'accordo nel dire a costoro: Medice, cura teipsum.
Non è gran tempo che un giovanetto rimproverato perchè leggeva un libro cattivo, con tutta semplicità rispose: - Non mi credeva di far male leggendo un libro che più volte vidi leggere dal mio maestro.
Altra volta fu chiesto ad altro, perchè avesse scritta una lettera in cui censurava l'andamento della casa. Egli rispose che non aveva scritto se non le parole più volte udite dal suo assistente.
Dunque, o miei cari figli, se vogliamo promuovere il buon costume nelle nostre case, dobbiamo esserne maestri col nostro buon esempio. Proporre ad altri una cosa buona, mentre noi facciamo il contrario, è come colui, che nell'oscurità della notte volesse far lume con una lucerna spenta, oppure volesse trar vino da un vaso vuoto. Anzi parmi che si possa paragonare a chi cercasse di condire gli alimenti con sostanze velenose; perciocchè in simile guisa non solamente non si promuove il buon costume, ma si dà occasione di far male, si dà scandalo. E allora noi diventiamo miserabile sale infatuato, sale guasto, che ad altro più non serve, che ad essere gittato nella spazzatura: Vos estis sal terrae, ci dice Cristo, quod si sal evanuerit, in quo salietur? Ad nihilum valet ultra, nisi ut mittatur foras et conculcetur ab hominibus.
La voce pubblica spesso lamenta fatti immorali succeduti con rovina dei costumi e scandali orribili.
È un male grande, è un disastro, ed io prego il Signore a fare in modo che le nostre case siano tutte chiuse prima che in esse succedano somiglianti disgrazie. [1106] Non vi voglio per altro nascondere che viviamo in tempi calamitosi. Il mondo attuale è come ce lo descrive il Salvatore: mundus in maligno positus est totus. Esso tutto vuole vedere, tutto giudicare. Oltre poi ai giudizi perversi che fa delle cose di Dio, spesso ingrandisce le cose, spessissimo ne inventa a danno altrui.
Ma se per avventura riesce ad appoggiare il suo giudizio sopra la realtà, immaginatevi che rumore, che strombazzare!... Tuttavia se con animo imparziale cerchiamo la cagione di questi mali, per lo più troviamo che il sale divenne infatuato, che la lucerna fu spenta; cioè che la cessazione di santità in chi comandava diè cagione ai disastri avvenuti nei loro dipendenti.
Oh castità, castità, tu sei una grande virtù! Fino a tanto che tu risplenderai fra noi, vale a dire, finchè i Figli di S. Francesco di Sales ti pregieranno praticando la ritiratezza, la modestia, la temperanza, e quanto abbiamo con voto promesso a Dio, sempre tra noi avrà posto glorioso la moralità, e la santità dei costumi come fiaccola ardente risplenderà in tutte le case, che da noi dipendono.
Se Dio mi darà vita, spero fra non molto potervi scrivere di nuovo intorno ad alcune industrie, che a me paiono poter giovare efficacemente a promuovere e conservare il buon costume fra' nostri allievi.
Intanto per riportare qualche frutto da quanto vi scrisse quest'amico delle anime vostre, vi prego di quanto segue:
1° Che si facciano tre distinte Conferenze, o meglio tre esami pratici, in cui siano lette e spiegate le cose da praticarsi e le cose da fuggirsi intorno al voto di Povertà, Castità ed Ubbidienza. Di poi ciascuno applichi a se stesso il tenore di vita descritto in que' tre capi, e stabilisca fermamente di correggere quello che trova difettoso nelle sue parole, ne' suoi fatti, nella povertà, castità e nell'ubbidienza.
2° Si legga eziandio il capo che tratta delle pratiche di pietà; e poi ginocchioni a' piè di Gesù Crocifisso, risolviamo, io di qui lo farò col pensiero con voi, di volerle tutte compiere esemplarmente a costo di qualunque sacrifizio.
Miei cari figli, noi ci troviamo nel momento più importante della nostra Congregazione. Aiutatemi colla preghiera, aiutatemi colla esatta osservanza delle regole, e Dio farà sì che i nostri sforzi siano coronati di buon successo a maggior gloria di Dio, a vantaggio delle anime nostre e dei nostri allievi, che formeranno mai sempre la gloria della Salesiana Società.
La grazia di Nostro Signor G. C. sia sempre con noi e ci conservi tutti costantemente per la via del cielo. Amen.
5a - TRIDUO DI PREGHIERE E DI ESERCIZI DI CRISTIANA PIETÀ per implorare i lumi dello Spirito Santo sopra la Commissione Cardinalizia, incaricata del voto per l'approvazione delle Costituzioni della Pia Società.
Venne inviata anche alla Casa - Madre delle Figlie di Maria Ausiliatrice in Mornese, perchè anch'esse si associassero alle preghiere ed ai tre giorni di rigoroso digiuno indetto ai Salesiani.
Il giorno 24 di questo mese sarà assai memorabile per la nostra Pia Società.
Voi ricorderete certamente come Essa sia stata definitivamente approvata con Decreto del 10 Marzo 1869: ora si tratta della definitiva approvazione delle Costituzioni.
A quest'uopo dal S. Padre venne scelta una Congregazione di Cardinali che dovranno proferire il loro parere intorno a questo argomento che è dei più importanti pel nostro bene presente e futuro.
Le preghiere finora spesso raccomandate erano dirizzate a questo fine. Dobbiamo quindi raddoppiare le nostre suppliche presso al Divin Trono, affinchè Dio Pietoso disponga che ogni cosa si compia secondo la sua maggior gloria e il nostro particolare vantaggio spirituale. Uniamoci pertanto nello spirito di viva fede, e tutti i Congregati Salesiani cogli allievi dalla Divina Provvidenza loro affidati facciano un cuor solo ed un'anima sola per implorare i lumi dello Spirito Santo sopra gli Eminentissimi Porporati con un Triduo di preghiere e di esercizii di cristiana pietà.
Affinchè vi sia conformità nelle nostre suppliche alla Misericordia Divina si stabilisce:
1° Cominciando il 21 di questo mese per tre giorni si farà rigoroso digiuno da tutti i Soci Salesiani. Chi per motivo ragionevole non potesse digiunare reciti il Miserere con tre Salve Regina alla B. V. Ausiliatrice col versetto: Maria, Auxilium Christianorum, ora pro nobis.
Ciascuno aggiunga quelle preghiere e quelle mortificazioni che giudicherà compatibili colle sue forze e coi doveri del proprio stato.
2° Si invitino gli amati nostri allievi ad accostarsi colla maggior frequenza possibile ai Sacramenti della Confessione e Comunione.
Al mattino si cominci col canto del Veni, Creator Spiritus etc. Emitte Spiritum tuum etc., coll'Oremus: Deus qui corda fidelium etc.
Le preghiere, il Rosario, la Messa, la Meditazione siano indirizzate a questo bisogno.
3° Lungo la giornata tutti i Soci Salesiani passino il tempo [1108] loro possibile avanti al Santissimo Sacramento. La recita del Breviario, lettura spirituale, tutte le preghiere ordinarie, siano fatte in chiesa.
Il Piccolo Clero, gli ascritti alla compagnia di S. Luigi, del SS. Sacramento, dell'Immacolata Concezione, di S. Giuseppe, siano eccitati a fare altrettanto.
4° La sera poi all'ora più comoda ciascuno si raccoglierà in chiesa, e colla massima divozione recitato il Veni Creator, come al mattino, si farà la solita pratica in riparazione degli oltraggi che Gesù riceve nel SS. Sacramento; cantata quindi l’Ave maris Stella, si darà la benedizione col SS. Sacramento.
Queste nostre umili istanze alla bontà del Signore comincieranno il 21 e continueranno fino al mattino del 24 di questo mese inclusivamente.
La Grazia di N. S. G. C. sia sempre con noi. Amen.
NB. Il Direttore di ciascuna casa leggerà e spiegherà la presente ai nostri Confratelli, e ne darà pure comunicazione agli allievi in quel modo e con quelle parole che si giudicheranno più opportune.
Nei giorni poi 25 - 26 - 27 continueranno mattina e sera le stesse pratiche di pietà pei presenti bisogni di Santa Chiesa e secondo l'intenzione del Sommo Pontefice[216].
6a - RACCOMANDAZIONI PER IL BUON ANDAMENTO DELLE CASE.
a decoro di Nostra Santa Religione,
a vantaggio della Società Salesiana,
il [Capitolo Superiore ed il Capitolo della Casa di Torino] sono invitati a prendere in considerazione e promuovere:
1° La Compagnia della SS. Vergine Immacolata, di cui debbono specialmente far parte gli aspiranti Salesiani.
2° Il piccolo Clero, servizio della S. Messa, la Compagnia di S. Luigi, del SS. Sacramento, e di S. Giuseppe per gli Artigiani.
3° Mettere in opera i mezzi efficaci per impedire le critiche e le mormorazioni sull'andamento dell'Oratorio e sulle disposizioni dei Superiori.
4° Cura speciale per Soci ammalati.
5° A pranzo in via ordinaria una sola pietanza di carne; a cena pietanza mista.
6° Ogni giorno il Direttore degli studi passi un'ora nelle cose [1109] di scuola *. Il Prefetto ne passi almeno due visitando la cucina, i dormitori e le altre parti della casa *. Al Catechista è affidata in modo speciale la cura della moralità e degli ammalati.
7° Si ricordi spesso che abbiamo fatto il voto di povertà.
*NB. Intellige visitare, avvisare, consigliare, dirigendo il personale insegnante, assistenti o lavoranti.
Non si dimentichi il rendiconto mensile e la conferenza ebdomadaria ai Soci radunati.
Collegio di Lanzo, 27 settembre 1874.
Sac. Gio. Bosco[217].
7a - PER LO STUDIO DELLA SACRA TEOLOGIA.
Fu redatta, o scritta sotto dettato, da Don Giovanni Cagliero, quindi corretta minutamente, da capo a fondo, dal Santo.
Ai miei Amatissimi Figliuoli V. Direttore e Chierici della Società Salesiana dimoranti... [nell'Oratorio di S. Francesco].
Il nostro Divin Redentore ai suoi cari Discepoli disse che dovevano essere sale della terra e luce del mondo. Vos estis sal terrae et [1110] lux mundi. Sale colla pietà e colla scienza per indirizzare le anime al bene ed alla virtù: luce col buon esempio.
E se in ogni tempo ho raccomandato la pietà, ora raccomando lo studio della Sacra Teologia; e lo raccomando caldamente a tutti i Chierici della nostra Salesiana Congregazione. Questo studio vivamente inculcava pure l'Apostolo S. Paolo al suo discepolo Timoteo, dicendogli di attendere a provvedersi non solo delle virtù, ma anche a procacciarsi la scienza necessaria al pastorale suo ministero; e che ciò facendo avrebbe salvato se stesso e quelli che l’ascolterebbero. Attende tibi et doctrinae: Insta in illis. Hoc enim faciens, et teipsum salvum facies, et eos qui te audiunt (I ad Caput IV - 16).
Per la qual cosa il Direttore è di tutto cuore pregato di vegliare a procurare che in ogni settimana vi sia nella Teologia impiegato tutto quel tempo che sarà compatibile colle altre occupazioni.
A fine poi di agevolare questo studio, che è la scienza delle scienze:
1° Ogni anno avranno luogo tre esami e sopra tre Trattati diversi: l'uno in marzo, l'altro in luglio, ed il terzo al principio di novembre.
2° I trattati sono per quest'anno: De Gratia, de Ordine, de Matrimonio, e, potendo, anche De Virtute Religionis e De Praeceptis Decalogi.
3° Gli esami saranno dati nel tempo sopra stabilito dagli esaminatori all'uopo delegati dal Superiore.
Dio vi benedica tutti e i lumi dello Spirito Santo ci rischiarino a conoscere l'errore in mezzo alle tenebre e seguire costantemente la verità per cammina con sicurezza per la via del Cielo. Amen.
La presente è da riporsi in apposito archivio.
Qui terminano i documenti che abbiam potuto raccogliere. Che dire a conclusione di tanti cari esempi e preziosi ammaestramenti? Pratichiamo i consigli che dal cielo ci ripete, ad ogni istante, il nostro Santo Maestro e Padre:
“Figlio mio, non dimenticare i miei insegnamenti[218] ... Il tuo cuore ritenga le mie parole, osserva i miei precetti e vivrai[219] ... Io t'ho additato il cammino della sapienza, ti ho avviato pei sentieri della rettitudine ... Tienti alla regola e non rilassarti; osservala, perchè è la tua vita”[220]. [1111]
Comunicato dell'Economo Generale.
L'esperienza ha mostrato il tempo degli esercizi spirituali essere insufficiente per far passare a rassegna le cose di ciascuna delle nostre Case e provvedere ad ogni bisogno per l'anno nuovo. Perciò l'amantissimo Rettore il Sig. D. Bosco d'accordo coi membri del Capitolo Superiore invita colla presente il Direttore d'ogni Casa a dar esecuzione ai seguenti articoli:
1° Il giorno 9 di settembre ciascun Direttore procuri di recarsi all'Oratorio per le conferenze che si terranno prima degli esercizi; intanto prepari le domande per variazione di personale ed anche le proposte credute opportune al buon andamento della Società.
2° Se occorre faccia nota di coloro che (ascritti o professi) sembrassero doversi licenziare dalla Congregazione.
3° Nei primi esercizi si mettano quelli che devono o domandano fare i voti.
4° Si avvisi affinchè ciascuno porti seco il berretto se ha bisogno servirsene in tempo degli esercizi.
5° Coloro che han bisogno provvedersi libri od oggetti di vestiario all'Oratorio ne faccian domanda al proprio Superiore, che darà nota degl'individui e delle cose da provvedersi a ciascuno.
6° A chi va in vacanza si fissi il tempo del ritorno, affinchè non venga a mancare il personale necessario.
7° Chi andasse alla casa patema per soddisfazione dei parenti, se è possibile si procuri dai medesimi il danaro pel viaggio.
PRESE NELLE CONFERENZE GENERALI DELLA SOCIETÀ DI S. FRANCESCO DI SALES.
NOTE SPIEGATIVE DELLE NOSTRE REGOLE.
1° Si incominci, dove non è ancora in uso, ad eseguire quell'articolo del nostro Regolamento [cioè delle nostre Regole] che dice di non scriver lettere, nè riceverle senza il permesso del Superiore, ad eccezione di quelle inviate al Papa ed al Rettor Maggiore. Perciò le lettere missive in ogni collegio o casa si consegnino dissuggellate al Direttore, o a persona da lui deputata. Il Direttore dissuggelli tutte le lettere che si ricevono e le consegni dissuggellate a coloro, cui sono indirizzate; ma ciò si eseguisca con molta prudenza e carità.
2° Domandandosi da alcuno dei soci il permesso di uscire al Direttore, gli dica anche sempre il motivo dell'uscita, il luogo in cui andrà, ed approssimativamente il tempo, che deve impiegare pel ritorno.
3° Recandosi, per qualunque motivo, uno dei nostri da una casa ad un'altra, anche per poco tempo, per prima cosa consegni al Direttore di quella casa la lettera d'accompagnamento. Con questo atto s'intende posto sotto la sua dipendenza, come prima dipendeva dal suo Superiore ordinario.
4° Quando un socio per qualunque motivo (o di malattia, o di vacanza od altro) si trova fuori delle nostre case, non intraprenda viaggi o cosa alcuna di rilievo senza previa intelligenza col suo Direttore, o coi Superiori.
5° Ogni socio abbia una copia delle nostre regole, affinchè possa con sua comodità leggerle, meditarle, per poter meglio a suo tempo eseguirle.
6° L'obbedienza non sia personale, ma religiosa. Non si obbedisca mai perchè è il tale che comanda, o perchè comanda in bel modo, ma si obbedisca perchè in quel comando si è certi di fare la volontà di Dio.
7° Per l'esercizio della buona morte ciascuno si scelga il giorno più comodo. Ma questo giorno sia noto ai Superiori, affinchè in quel tempo sian sospese tutte le occupazioni non assolutamente necessarie. [1113] Se uno per es. deve attendere a fare scuola, faccia, per quanto è possibile, unicamente la scuola, e non studii o corregga; e nel tempo libero attenda alle pratiche di pietà secondo che la regola vuol che si faccia in detto giorno.
8° Specialmente nel tempo degli esercizi spirituali ci sia impegno di tutti i preti di rivedere le rubriche e di farsi osservare da qualcuno dei sacerdoti più accurati se si manca in qualche cerimonia nella celebrazione del Sacrosanto Sacrifizio.
9° I Superiori provvedano ed ogni socio si adoperi perchè in tutte le case nostre nel recitare le orazioni si introduca e si mantenga un modo uniforme, grave e divoto, senza precipitazione e pronunziando intiere le parole.
10° Pel buon andamento e secondo le regole della Congregazione, per conservare l'unità di spirito e seguire l'esempio degli altri istituti religiosi è fissato un Direttore o confessore stabile per quelli che appartengono alla Società. In qualunque casa, ove si trovi il Rettore Maggiore, esso è confessore ordinario di quella casa. In Torino lo supplisce presentemente D. Michele Rua. Nelle altre case il Direttore di ciascuna di esse è confessore ordinario; in sua assenza chi sarà designato.
11° Sosteniamoci molto l'un l'altro, specialmente in faccia ai subalterni, e dimostriamoci vicendevole stima ed affezione. Apparisca in ogni casa grande accordo tra i Superiori. Ciascuno sostenga sempre la riputazione della Congregazione, prestando e facendo prestare ossequio alle deliberazioni ed ordinazioni, che da quella venissero, e parlandone sempre con rispetto e venerazione.
1° Si leggano a mensa nei tempi stabiliti i due decreti emanati a Roma dalla Congregazione sullo stato dei Regolari l'anno 1848. Il primo, che riguarda le lettere testimoniali, si ha da leggere al primo di gennaio. Il secondo, che riguarda l'accettazione al noviziato e alla professione si deve similmente leggere al 1° gennaio, ed una seconda volta nella prima domenica di luglio.
2° In tutte le case si tengano con cura negli archivii le circolari tutte che si spediscono dal Rettor Maggiore ai singoli Collegi. Quando siano in numero conveniente si leghino insieme, ed ove sia d'uopo si facciano poi stampare per intiero o le loro decisioni sommariamente.
3° Si procuri di eseguire quell'articolo del Regolamento (c. 5, art. 5) il quale dice: - Se si può, il Superiore assegni il compagno di uscita quando qualcuno deve andar fuori di casa.
4° Quando un socio deve recarsi da una casa ad un'altra il rispettivo Direttore lo munisca d'una lettera, indirizzata al Direttore [1114] della casa in cui deve recarsi, nella quale si accenni il motivo del viaggio, il tempo che dovrà fermarsi, con altre indicazioni necessarie od opportune. Detta lettera sia stampata con formolario uguale, lasciandosi in bianco solo alcune linee per indicare il vario motivo, ed il tempo per cui si manda. Abbia sulla busta il bollo del Collegio da cui il socio è partito.
5° Si promuova l'osservanza del silenzio dalle orazioni della sera fino al mattino, ora di colezione.
6° In ogni collegio l'epoca del cominciamento delle vacanze autunnali sia circa alla Natività di M. V. 8 settembre. Quando in qualche collegio si avesse bisogno speciale di cominciarle prima, il Direttore di esso ne faccia anno per anno la domanda al Rettor Maggiore.
7° I Direttori locali non han facoltà di lasciar andare i soci loro subalterni in vacanza. Le dimande si facciano al Superiore Generale.
8° Gli esercizi spirituali degli ascritti in preparazione ai voti si tengano, quanto si può, separati da quelli dei Professi, e siano di 10 giorni secondo le nostre Regole.
9° Per evitare ogni disordine negli esercizi spirituali di Lanzo si stabilì che alcune settimane prima del loro cominciamento ne sia mandato il direttore sul luogo, affinchè faccia per tempo le provviste ed i preparativi opportuni, e così nulla manchi di biancheria, di letti, di commestibili e di quanto potrà occorrere durante le varie mute che avranno luogo.
10° Per ovviare gravi inconvenienti riguardo all'arrivo e partenza per tali esercizi, in ogni Collegio si dispongano le partenze in modo che non vi sia bisogno di fermarsi all'Oratorio per dormire; ma solo per il pranzo od altra refezione.
11° Si procuri che il teatro non sia causa di protrarre l'ora del riposo, nè di fare dopo d'esso la cena dei comici.
11° bis. Non si farà stampar niente dai membri della Congregazione senza che sia passato alla revisione del Rettor Maggiore o da un suo delegato tutto ciò che si vuol stampare, e se n'abbia ottenuto il permesso.
11° ter. Dei libri stampati a conto della nostra tipografia se ne mandino due copie a ciascun collegio, una, per mettersi nella biblioteca, l'altra da farsi correre tra i socii.
12° Non conviene che i preti novelli vadano al paese nativo a dir qualcuna delle prime messe. Vi sono troppe cose distraenti in quei giorni, e quelle messe, che dovrebbero essere le più divote, per lo più sono assai disturbate. Qualora ve ne fosse la convenienza, vadano poi più tardi.
13° Per quanto si può, procuriamo di tenere oratorio festivo in tutti i luoghi dove abbiamo un collegio. In questo solo modo si riuscirà a fare un bene radicale alla popolazione d'un paese. [1115]
14° I giovani esterni che frequentano le nostre scuole si obblighino assolutamente a venire a messa tutte le domeniche e feste di precetto. Se si può, questo si faccia anche pei giorni feriali. Si procuri eziandio che si accostino ai SS. Sacramenti della Confessione e Comunione una volta al mese.
15° In tutte le case, per quanto si può, si osservi uniformità nell'orario, e nei Regolamenti, e quando occorre il bisogno d'introdurre qualche modificazione se ne scriva al R. M.
16° Si concentrino le notificazioni intorno alla condotta dei giovani al Direttore; e gli altri le diano d'accordo col Direttore per mezzo del registro dei voti.
17° Pel tempo di vacanza o per casi di lunga convalescenza dei soci si procurerà che vi sia una casa di campagna. Si stabilirà ogni anno un Direttore, il quale all'uopo si possa cambiare; dopo l'esame annuale dei chierici, si comincino ad inviare quelli che avranno a supplire gli altri nel corso delle vacanze, o nel fare scuola, o nell'assistenza. Poi andranno alternativamente i professori ordinari, gli assistenti e coloro che ne avessero bisogno. Questa casa può tenersi aperta fino alla metà di ottobre.
18° La festa di S. Francesco di Sales si faccia in tutte le case della Congregazione il più solennemente che si può. A Torino, nell'Oratorio, per lo più si farà il giorno in cui occorre; nelle altre case nelle domeniche seguenti.
19° Procurino che i socii, specialmente chierici, conoscano e pratichino le regole di buona creanza; a tal fine si facciano imparare nell'anno di noviziato; si fissi un assistente, se si può, per ogni tavola in refettorio, e nelle camere, affinchè avvisi e faccia avvisare in pubblico od in privato sulle cose, che avranno bisogno d'essere emendate o praticate.
20° Il solo Superiore, e chi fu da lui incaricato può dare disposizioni ed ordini in cucina, e, quando occorrano particolarità in favore di qualche individuo, converrà che il Superiore ne dia avviso a voce, o con biglietto.
21° Ogni anno, dopo gli esercizi spirituali, si indichi, a voce o per mezzo di una lettera stampata appositamente, a ciascun individuo la sua destinazione.
22° Ogni anno pel mese di gennaio si stampi un catalogo dei soci divisi secondo i Collegi, a cui ciascuno è addetto al cominciar dell'anno nuovo. In fine si porrà una breve biografia dei soci chiamati in quell'anno all'altra vita.
23° In ogni casa, fuori del Direttore, niuno può associarsi a giornali di qualsiasi genere. Esso poi si associ solo ai buoni, e questi non siano mai indirizzati al Collegio, od al Direttore, o alla Direzione, od a qualche casa, che indichi un vero abbonamento ufficiale del Collegio; ma ad un nome qualunque delle persone della Casa. Per [1116] quanto si può non si entri mai in discorsi politici; nè si leggano giornali in presenza dei giovani.
24° Le lettere da mandarsi al Capitolo Superiore dai varii Collegi siano indirizzate al Rett. M.
25° Nei Collegi dove si trovano libri appartenenti alla Biblioteca dell'Oratorio si rimandino al più presto; e coloro che d'or avanti se ne fanno imprestare si diano cura della restituzione. Nè se ne portino altrove senza permesso del R. M., e senza aver prima avvisato il Bibliotecario per le opportune registrazioni.
Regole Economiche (o dei prefetti).
1° Si diminuiscano al possibile le spese accessorie.
2° Non si permetta ai capi di laboratorio di consegnar roba o far eseguire lavori per chiunque, benchè della Congregazione, senza il permesso del direttore della casa a cui questi sono aggregati.
3° Ciascuno potrà tenere presso di sè non più di due paia di scarpe, e due mute di abiti; perciò occorrendo di farne fare dei nuovi, converrà restituire il penultimo paio di scarpe che ebbe, e così degli abiti.
4° Si dovranno timbrare col timbro del collegio i libri scolastici, che si somministrano agli addetti di ciascuna casa; così anche quelli che si imprestano per poter ritirare gli uni e gli altri a tempo debito. Tutti gli altri libri si addebiteranno a chi li riceve.
5° Per semplificare la contabilità ciascuna casa tenga i suoi conti assestati trimestralmente colle altre case della Congregazione ed occorrendo a qualcuna di non poter far fronte a tutti i debiti ricorra al Capitolo Superiore.
6° Ogni trimestre ciascuna casa mandi alle altre case le note dei crediti che si ha verso di loro. Ricevuta questa nota, la casa debitrice procuri di soddisfarvi al più presto. S'invii il danaro al prefetto di quel collegio a cui si soddisfa, indicando qual nota s'intenda coprire; ciò che sopravanza a ciascuna casa, pagate le note, s'invii al prefetto del Capitolo Superiore.
7° Siano stampati registri appositi per ogni ramo d'amministrazione, uguali per tutti i collegi. Ciascun direttore e prefetto procuri d'uniformarvisi intieramente.
8° Le divise dei vari collegi, di giovani d'ugual condizione, siano quasi intieramente uguali, per non cagionar troppo gravi spese ai parenti qualora il giovane di un collegio andasse in un altro. La distinzione potrebbe anche solo consistere nei bottoni, nella cifra della cintura e del berretto. [1117]
9° Si lasci libero ai parenti dei giovani di far presso loro la divisa, anche con istoffa diversa, purchè sia dello stesso colore e forma.
10° Tutte le biancherie della Congregazione si facciano segnare colle iniziali della Congreg. di S. Francesco di Sales in C. S. F. per distinguerle dalle altre ed impedirne al possibile le perdite.
11° In ogni collegio si tenga conto della carta scritta o dei ritagli di carta, la quale si può dividere in 4 categorie: 1) I mezzi fogli di carta intieramente bianchi, come delle lettere che si ricevono, o simili, servano in collegio per prendersi memorie, far ricevute, quietanze, ricordi; o, se ce n'avanza, si mandi a Torino; - 2) la carta scritta da una sola parte e bianca dall'altra, come ordinariamente le pagine dei lavori e sempre le pagine d'esame, si mandi a Torino indirizzandola alla tipografia, dove tanto ce n'è bisogno per le bozze o prime stampe[221]; - 3) la cartaccia d'imballaggio, i giornali o fogliacci grossi di qualunque colore, se non se ne abbisogna altrimenti, si mandino anche a Torino, quando si deve spedir altro e s'indirizzi alla libreria od al magazzeno; - 4) la carta tutta scritta, ma in buono stato, [al pari d'ogni altro ritaglio] di carta raccolta negli studii e nelle scuole, o di lettere e corrispondenze stracciate a pezzi, non trovando modo di venderla nei paesi, si spedisca anche questa all'Oratorio.
12° Si procuri per quanto si può di non mandar via le persone di casa, se non per mancanze di grave importanza, come sarebbe la moralità, fedeltà ecc. Se poi sono di buona condotta, ma non servono per quella casa, si rimandino all'Oratorio, dando loro una lettera d'accompagnamento, ma dandone preventivo avviso al Superiore. Qualora però si dovessero mandar via per gravi mancanze, non si rinviino all'Oratorio, ma si lascino andare a loro destinazione. Anche in questi casi si scriva all'Oratorio, perchè se ne sappia il motivo ed affinché presentandosi di nuovo si sia qui informati di tutto.
13° A fine di sostenere l'autorità del Direttore, per quanto si può, sì assumano i prefetti il contenzioso riserbando il conceder favori e le cose onorevoli ai direttori.
14° Da ogni collegio si faccia un centro solo per provviste di panno e stoffe. Il panno per le vesti dei chierici e preti sia sempre uguale per tutti, e, stabilita che siasi la qualità, non più si cambi senza un ordine superiore, od un comune accordo. Si stabilisca pure una qualità di panno da adoperarsi per vestire i coadiutori, far calzoni e giubbetti ai chierici e preti, ecc.; sia per tutti eguale, e, stabilita una volta, più non si cambi. In queste provviste si badi bene che la stoffa sia ordinaria, ma di buona durata. [1118]
15° I prefetti veglino sulla pulizia del collegio, e specialmente curino la pulizia nei dormitorii[222] negli abiti e nella persona degli alunni.
16° Per ottenere la pulitezza della testa nei giovani più piccoli si può stabilire un pettinatore od una pettinatrice attempata, che ogni giorno occupi qualche tempo in tale uffizio.
17° Per evitare la perdita di biancherie nei giovani, bisogna che l'abbiano numerata; e i Prefetti badino che coloro i quali lungo l'anno ne ricevono, prima di darla al bucato, la facciano numerare.
18° Nei collegi, dove si può (e poco per volta si introduca in tutti), oltre al camerone della biancheria s'abbia una camera dove in caselle apposite ciascuno metta le vestimenta sue e le scarpe, affinchè si possano dai dormitorii eliminare i bauli, e niuno debba recarsi in essi, se non nelle ore determinate per tutti.
19° Prima di fare spese d'importanza, se ne faccia domanda per iscritto al R. M., e niente si cominci prima d'averne ottenuta licenza.
La cosa più importante nelle nostre case si è di promuovere, ottenere, ed assicurare la moralità, sia nei socii, sia nei giovani. Assicurato questo, assicurato tutto, mancando questo, manca tutto.
Norme che a questo scopo specialmente ci condurrano, siano le seguenti:
1° Si osservino bene le regole della nostra Congregazione. La loro osservanza ci condurrà sicuramente ad ottenere il nostro scopo.
2° Non Si tralasci mai dai direttori di fare le consuete conferenze; due al mese: nell'una delle quali si leggano e si spieghino le Regole, nell'altra si tratti di qualche punto morale. Accadendo che il direttore per qualche volta non potesse farla, per lo meno si faccia qualche lettura spirituale, che la supplisca; ma questo poco non si tralasci mai.
3° Si facciano sempre i rendiconti mensuali: non si lascino mai per qualunque motivo e si facciano posatamente e con impegno. Fra le altre cose ogni socio esponga: 1° Se nel suo uffizio trovi qualche cosa che gli sia proprio ripugnante, o che possa impedire la sua vocazione. 2° Se gli consta qualche cosa che possa farsi ed impedirsi per togliere qualche disordine o scandalo in casa. In questi rendiconti ciascuno apra intieramente il suo cuore al superiore, ma si aggiri specialmente sulle cose esterne. [1119]
4° Ciascuno diasi sollecitudine per eliminare ogni refezione fuori dei pasti regolari, come merende, ecc.
5° Non è permesso entrare nei dormitorii o nelle celle altrui o camere, e nessuno si faccia servire dai giovani; ma ciascuno faccia da sè.
6° Lungo il giorno si tengano sempre chiusi i dormitorii, non si rientri in essi, che alla sera andando a riposo; ed ove è necessario, si aprano solo alcuni minuti, e non più, al tempo di colezione.
7° Si abbia cura d'evitare ogni amicizia particolare. Si tenga quel detto di S. Girolamo: aut aequaliter ignora, aut aequaliter dilige. I direttori invigilino su questo, come pure che non si mettano comecchessia le mani addosso, non si cammini sotto braccetto, ecc.
1° Affinchè si osservi in tutte le case uniformità nei libri che si adoperano nelle scuole e nelle materie che si insegnano, si faccia in ogni anno, di autunno, nelle conferenze, una specie di programma intorno all'insegnamento da darsi, ed ai libri da usarsi.
2° La Storia d'Italia di D. Bosco, essendo adottata in molti collegi, si faccia pur usare nei collegi nostri; e per le letture amene si usino di preferenza le Letture Cattoliche, la Biblioteca della Gioventù e specialmente quei volumi che furono commentati da qualcuno della Congregazione, lasciando i romanzi e libri che possono essere pericolosi. Non si lascino diffondere nei nostri collegi, se non libri, che oltre l'approvazione ecclesiastica, hanno avuto approvazione della Congregazione stessa.
2° bis. S'introducano per quanto si può nelle nostre case i classici cristiani a preferenza dei pagani, specialmente tra coloro che fanno corsi di studi abbreviati.
3° Nei collegi particolari nessuno faccia dimanda di esami speciali da maestro o da professore, ecc., senza aver prima parlato al proprio direttore. Il direttore poi, affinchè per le domande vi sia un centro solo, quando vede che ne sia il caso scriva al Consigliere scolastico de', Capitolo Superiore, il quale ne parlerà al Rettore od in Capitolo, e farà i necessari incombenti.
4° Vista l'opportunità, che qualche confratello si prepari ad esami speciali, il suo Direttore procuri di lasciargli il tempo opportuno a prepararsi bene, affinchè non avvenga che restino rimandati con detrimento loro e della Congregazione; e, prima che si presentino, si assicuri che siano preparati.
5° Per l'uniformità negli studi teologici, in tutti i collegi si studino gli stessi autori e gli stessi trattati, secondo che verrà stabilito in principio dell'anno scolastico. [1120]
6° Qualora avvenga che prenda messa alcuno che non ha ancora compito lo studio della Teologia, continuerà a studiare i trattati non ancora studiati, sostenendone gli esami a suo tempo.
Si trattò della cura che devono avere i Sigg. Prefetti dello spirituale e del materiale delle persone di servizio.
1° Procurar ogni sera di dir con loro le orazioni a fine di poter loro indirizzare qualche buona parola.
2° Vigilar che al mattino ciascuno si trovi alla Messa tra loro od in comune, e far loro meditazione dopo il SS. Sacrifizio.
3° Vigilar sui loro lavori procurando sieno con equità distribuiti, ed osservar che non stiano in ozio, specialmente nelle ore più pericolose della giornata, che l'esperienza mostrò essere dalle 2 alle 4 pom. nell'estate, e dalle 6 alle 8 d'inverno.
4° Tenersi in relazione con ognuno di essi e ricevere ogni mese il loro rendiconto sul materiale di loro spettanza.
5° Si raccomandò che il direttore, il prefetto e catechista tenessero una conferenza apposita in cui si dèsse un voto mensile a ciascuna persona di casa.
6° Nel caso che alcuna di queste persone di casa dovesse cambiar collegio, il prefetto abbia cura di darle la lettera d'accompagnamento, poichè la mancanza di tale lettera di accompagnamento sarà indizio di espulsione dal collegio.
7° Se alcuno però fosse cacciato da qualche collegio per motivi che non impedissero l'accettazione sua in altro dei nostri collegi, il prefetto abbia cura di rendere avvertito il prefetto dell'Oratorio, affinchè nel caso che a lui l'espulso si presentasse sappia come regolarsi.
8° Nell'assistere i coadiutori nelle loro occupazioni procuri il prefetto di farlo direttamente egli stesso; può però in caso di bisogno d'accordo col Direttore delegare un chierico od un prete che ne tenga le veci, e lo renda di ogni cosa informato.
Trattossi dei viaggi, delle provviste a farsi e dell'economia in generale,
A questo propasito si stabilì:
1° Che i chierici o preti che devono trasferirsi da un collegio ad un altro siano dal Direttore o dal prefetto muniti di una lettera [1121] di accompagnamento, nella quale sia notato il giorno della partenza, il luogo di destinazione, il motivo di tale viaggio, il tempo di fermata quando occorre. Lo stesso devesi fare pei giovani, riguardo ai quali conviene ancor notare le condizioni. Si noterà pure in tal biglietto se fu munito del necessario pel viaggio di andata e ritorno. Converrà che il Direttore munisca chi ha da viaggiare dell'occorrente per l'andata e ritorno, solo quando non ha fermarsi nella casa a cui deve recarsi almeno per tre o quattro giorni.
2° Che quando alcuno dei chierici si presenta per motivi di salute, con tale lettera, sia trattato coi riguardi che richiede la sua salute.
3° Che le provviste che si possono avere dall'Oratorio (panno, oggetti cancelleria, etc.) si facciano dal magazzeno dell'Oratorio, per quanto si può.
4° Che le altre provviste si facciano, se si può, per mezzo di qualche secolare pratico, e in tutte si osservi di essere economici quanto è possibile, ricorrendo anche a varie persone dell'arte per formarsi un criterio sulle provviste e sui lavori da eseguirsi.
5° Che ciascun collegio tenga un libro così detto dei conti correnti, per notare in esso le relazioni d'interesse cogli altri collegi, ed altri conti particolari.
6° Che il trasporto dei bauli sia notato a carico del collegio, in favore del quale si fa tale trasporto.
Trattossi della disciplina nei collegi, sia riguardo ai convittori, come riguardo al personale.
Ad ottenere più facilmente questa disciplina si stabilirono le seguenti cose:
1° Che la disciplina di un collegio sia concentrata nel prefetto; che perciò i maestri ed assistenti nell'infliggere castighi di entità ricorrano al prefetto, ed a lui riferiscano ogni cosa riguardo alla condotta di ciascun allievo. Egli poi ne tenga informato il Direttore.
2° Che il prefetto si faccia consegnare ogni settimana le decurie dei voti di condotta e di scuola, i quali è necessario siano letti almeno ogni mese.
3° Che i sig.ri Prefetti scelgano un chierico, il quale sia fisso per aiutarlo in tutte le sue incombenze, epperciò libero, per quanto si può, da altri impieghi.
Si raccomandarono tre cose poi a nome del Sig. Don Bosco, il quale caldamente raccomanda ai Direttori e Prefetti perchè procurino siano osservate. Esse sono:
1° Che in ogni collegio, dopo le orazioni della sera fin dopo la colazione del mattino, siavi assoluto silenzio. [1122]
2° Che dopo le preghiere della sera ognuno vada a riposo.
3° Che ogni impiegato, maestro, assistente, prefetto, direttore, si procuri il regolamento suo particolare, e procuri di metterlo in pratica.
In essa si terminarono le accettazioni, quindi il Sig. D. Bosco raccomandò queste cose.
1° Che ogni prefetto si procuri il suo regolamento e si studi di eseguirlo con precisione.
2° Che si procuri che nessuno si introduca in cucina, se non coloro che sono fissi per la medesima.
3° Che vi sia unione di interesse tra tutti i prefetti, epperciò aiutarsi a vicenda nelle compere di quelle cose che in una provincia sono più a prezzo che non nelle altre, etc.
4° Che i biglietti di riduzione si distribuiscano colla data del giorno di partenza e col luogo di destinazione indicato.
1° Cercare un uomo che sia provveditore dei commestibili all'ingrosso per tutti i collegi.
2° Parlare coi direttori dell'aiutante da destinarsi per ciascun prefetto.
3° Cercare il modo di esigere gli arretrati di pensioni, crediti, ecc.
4° Vedere modo che ogni camerata abbia il suo lavandino apposito.
Sul principio del 1873 la Società Salesiana contava 138 professi, 40 perpetui e 98 triennali, e 92 ascritti, tra tutti 230 aderenti, e precisamente 42 sacerdoti, 97 chierici, 63 coadiutori e 28 semplici studenti.
Le case, oltre gli Oratori festivi di S. Francesco di Sales, di S. Giuseppe nella parrocchia dei Ss. Pietro e Paolo, di S. Luigi in quella di S. Massimo e dell'Angelo Custode in quella di Santa Giulia, erano otto: la Casa Maggiore, i Collegi di Valsalice, Lanzo, Borgo S. Martino, Varazze ed Alassio, l'Ospizio di S. Pier d'Arena e l'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice a Mornese.
Il 1° dell'anno si tenne un'adunanza particolare per la rielezione di alcuni membri del Capitolo della Casa Maggiore, e nella festa di S. Francesco di Sales si elesse il Capitolo particolare dell'Oratorio, affinchè il Capitolo Superiore potesse, senza alcun incaglio, compiere le sue mansioni riguardanti tutta la Pia Società.
Il Capitolo Superiore rimase composto da Don Bosco, Don Rua, Don Cagliero, Don Savio, Don Provera, Don [1124] Durando e Don Ghivarello; e quello dell'Oratorio venne formato con Don Bosco direttore e Don Rua Vice - direttore, Don Provera Prefetto e Don Giuseppe Bologna Vice - Prefetto, Don Lazzero Catechista e Don Berto Vice - catechista, Don Sala Economo e Don Cuffia Francesco Vice - economo, e Don Barberis, Don Bertello e Don Cibrario consiglieri.
Il 1873 fu un anno di strettezze finanziarie singolari. Il 3 gennaio Don Bosco inviava all'Ill.mo Sig. Prefetto, Presidente del Consiglio Provinciale di Torino, questa supplica:
Prego V. S. Ill.ma a voler con bontà leggere quanto qui brevemente espongo a favore dei poveri giovanetti raccolti nella casa detta Oratorio di S. Francesco di Sales. Questo stabilimento pel passato si è sempre sostenuto coll'aiuto della beneficenza quotidiana, ad eccezione di una piccola annualità del Municipio Torinese e di alcuni sussidi particolari che, mercè la sua bontà, si ottennero dal Ministero dell'Interno e da quello della Guerra, specialmente di vestiario.
Ma in quest'anno per la moltitudine di quelli che dimandano di essere accettati, per l'aumento dei prezzi in ogni genere di commestibili e per la notabile diminuzione di offerte da parte dei privati, mi trovo nella stringente necessità di raccomandarmi alla esperimentata sua carità e per mezzo suo ai Signori della Deputazione Provinciale.
Ella, Sig. Prefetto, conosce la nostra condizione. In questo Ospizio si raccolgono ragazzi poveri dall'età di 12 a diciotto anni. Qui sono istruiti colle scuole serali e per alcuni anche colle diurne, colla musica, colla ginnastica; e intanto sono avviati a diversi mestieri con cui potersi a suo tempo guadagnare onestamente il pane della vita.
Si ricevono da qualunque paese, ma il maggior numero appartiene alla Provincia di Torino. Di 850 accolti nella Casa di Torino, circa trecento venti (320) sono di codesta nostra Provincia. Per questo motivo supplico V. S. Ill.ma a volersi fare nostro protettore presso ai Signori della Deputazione Provinciale, notando che:
Questi giovanetti sono in gran parte inviati a questo stabilimento dalle Autorità Governative o Municipali dei paesi della Provincia Torinese; [1125] Che abbandonati a se stessi questi fanciulli andrebbero forse vagabondi ed esposti ai pericoli dell'immoralità e di dar lagnanze alle pubbliche autorità;
Che dimando soltanto un sussidio per questo caso eccezionale e per la porzione forse più degna della società, quali sono i figli del basso popolo;
Che la Deputazione Provinciale, venendo già in aiuto di altri Istituti dello stesso genere, fa sperare che accoglierà anche favorevolmente questa umile domanda.
Tutti questi motivi appoggiati alla nota e provata carità di V. S. e dei Signori della Deputazione Provinciale, mi porgono fondata speranza di conseguire l'implorato soccorso e superare le strettezze della presente critica annata, con piena fiducia che dopo questa avremo tempi migliori.
Prego Dio che conceda ogni bene a V. S. Ill.ma e a tutti quelli che dànno opera ad educare la gioventù all'onore del cristiano ed al dovere del buon cittadino, mentre con profonda gratitudine ho l'onore di professarmi,
Per assicurare un benevolo appoggio all'inoltrata istanza, si rivolgeva al Ch.mo Signore, il Sig. Commendatore Villa Vittorio, Consigliere Provinciale, Deputato al Parlamento, abitante in Via Francesco Bonelli, n. 18, Torino:
Credo che a V. S. Chiar.ma almeno un poco sia noto lo stabilimento di poveri fanciulli, detto Oratorio di S. Francesco di Sales. Ivi sono ricoverati in numero di circa 850, di cui 320 sono della Provincia di Torino.
In questo anno versando in gravi strettezze ho fatto domanda per sussidio dalla Provincia, e per dare qualche appoggio alla mia supplica mi fo animo di raccomandarla alla nota sua bontà, sebbene le sia forse sconosciuto. Ecco l'oggetto di questa lettera: Che Ella dica una parola a pro' dei nostri giovani, quando ne sia caso, alla Deputazione Provinciale.
Quando io era nel Collegio di Chieri avevo meco collega Villa [1126] Vittorio, ma non so se V. S. forse sia quello stesso. Comunque siasi, io me le raccomando rispettosamente, e se mai si compiacesse di onorare di sua visita questa casa, ne avrei sommo piacere.
Dio conceda ogni bene a Lei e a tutta la sua famiglia e mi creda, con profonda gratitudine, della S. V. Chiar.ma,
La Deputazione Provinciale nell'adunanza del 3 febbraio, „a maggioranza di voti, deliberava di accordare il chiesto sussidio, nella somma di L. 300, nella speranza che per quanto... tenuissima e non corrispondente, nè ai bisogni, nè ai meriti del Pio stabilimento”, tuttavia tornerebbe gradita; e Don Bosco affidava a Don Rua l'incarico di vedere quando si sarebbe potuta esigere.
Fece ricorso anche al Ministero dell'Interno; e, l'8 marzo, il Prefetto Comm. Zoppi gli comunicava che il Ministero, „penetrato dalle strettezze sulle quali versa codesto Oratorio”, gli aveva concesso un sussidio straordinario di L. 800, che tra breve sarebbe stato spedito alla Prefettura e premurosamente trasmesso in sue mani.
Il 17 gennaio, proprio in mezzo a codeste strettezze particolari, Don Bosco veniva a concludere il contratto con Giovanni Battista Coriasco per la compera della casetta che sorgeva accanto la chiesa di Maria Ausiliatrice, dietro la cappella di Sant'Anna, cioè poco oltre l'attuale portieria, nello stesso tratto di terreno che egli stesso aveva venduto al Coriasco il 18 giugno 1851. Fu una pratica assai lunga, perchè dapprima non si voleva vendere a nessun costo, e poi si pretendeva una somma esagerata; ma infine il 4 ottobre di quell'anno si compiva l'acquisto.
Per questo il Santo ricorreva alla buona mamma, la contessa Callori:
Vediamo fin dove possa estendersi la bontà della buona Mamma. Ho conchiuso il contratto di acquisto del piccolo corpo di casa e terreno che divideva i nostri fabbricati dalla chiesa di Maria A. a levante. Un negoziante da vino stava per fare il contratto e ciò sarebbe [1127] stato rovinoso per l'Oratorio e per la chiesa. Fu convenuto a f. 15 m. da pagarsi all'atto dell'istrumento, che può farsi quando che sia, ma non più in là di sei mesi.
Ora alla Mamma. Mi aiuti, o adesso, o anche di qui a qualche tempo e se vuole anche un anno; perciocchè con una promessa di data fissa potrebbesi trovare un'anticipazione.
La franchezza, con cui parla il figlio, dà tutta la libertà alla Mamma di rispondere. Se può, so che si presta; se non può, faccia col desiderio, e ne avrà merito davanti agli occhi di Dio, e mi aiuterà con una preghiera.
Dio conceda ogni bene a Lei e alla sua famiglia, e mi creda, colla più profonda gratitudine,
Da Parigi gli giungevano in quei giorni 100 franchi in oro per la chiesa di Maria Ausiliatrice, ed egli ne rimetteva la dichiarazione alla Superiora dell'Istituto delle Fedeli Compagne, che glie li aveva trasmessi:
Ho ricevuto la somma di fr. 100 in oro che una pia persona di Parigi offre alla chiesa di Maria A. per ottenere una grazia di cui ha speciale bisogno. Ringrazio Lei, che ne è benemerita portatrice, ringrazio la pia damigella che ne ha ordinato la trasmissione.
Ho già pregato e continuerò a pregare, nè desisteremo sino a tanto che la grazia non siasi completamente ottenuta. Spero tra breve di poterla riverire nel suo Istituto, e pregando Dio a benedire Lei e tutta la sua famiglia, e tutti i nostri benefattori, mi professo con gratitudine,
Egli, intanto, veniva alla questua di piccole oblazioni di dieci franchi, offrendo in premio agli oblatori, insieme con altri trenta premi di lire 100, da estrarsi a sorte, quello del prezioso dipinto della Madonna di Foligno. Il bel quadro stava affisso nella sagrestia del Santuario, e a Don Rua e ad altri confratelli rincresceva di vederlo presto asportare. Buzzetti lo disse a Don Bosco, ed egli ridendo: [1128]
- Ebbene, di' loro che quind'innanzi, giunta l'ora del pranzo, invece di scendere in refettorio a mangiare, vadano a vedere il quadro!
E faceva stampare e spediva a migliaia di copie la seguente circolare in lettera chiusa:
L’annata eccezionale che corriamo costringe anche me a ricorrere per la prima volta a mezzi eccezionali. L'aumento dei prezzi in ogni genere di commestibili, e la notabile diminuzione di limosine di parecchi benefattori, cui diminuirono assai le entrate, mi hanno posto in gravi strettezze, e quindi in gravi difficoltà di provvedere pane e vestito ai giovanetti, che in numero di oltre ad 800 sono accolti nell'Oratorio di S. Francesco di Sales.
Si è pertanto ideato il progetto dì questuare piccole oblazioni di franchi 10, affinchè, moltiplicati i benefattori, si possa più facilmente provvedere al bisogno; come sta notato negli uniti biglietti. Io mi fo animo di raccomandarne alla sua carità N°.... con preghiera di volerli ritenere per sè, o distribuirli a qualcheduno di sua particolare conoscenza.
Una benemerita persona per incoraggiare in qualche modo i benemeriti oblatori fece l'offerta di un prezioso dipinto, rappresentante la B. V. detta di FOLIGNO[223]; ed un'altra pia persona offre trenta premi di franchi 100 caduno, da vincersi nella estrazione che si farà dopo il mese di Marzo prossimo. Sono pertanto in tutto premi 31, di cui il primo è il dipinto mentovato.
L'opera che propongo è diretta a vestire i nudi e a dar da mangiare ai poveri affamati, perciò meritevole di speciale gratitudine in faccia agli uomini e certamente di gran merito davanti a Dio. Dal canto mio non mancherò di unir le deboli mie preghiere a quelle de' miei poveri giovinetti per invocare le benedizioni dal Cielo sopra [1129] di Lei e sopra tutti i nostri oblatori, affinchè loro sia ognor più assicurata la mercede promessa dal Salvatore, quando disse: - Della vostra carità riceverete il centuplo nella vita presente e la gloria eterna in futuro.
Con profonda gratitudine ho l'onore di potermi professare
Avviso pel Benemerito Distributore.
Il benemerito distributore, se può, è pregato:
1. Notare il nome e dimora delle persone cui si distribuiscono biglietti, acciocchè a suo tempo si possa far loro pervenire una nota dei numeri che hanno vinto detti premi.
2. Alla fine del mese di Marzo, rimanendo biglietti, che il caritatevole distributore non intenda ritenere per sè, è pregato di farli pervenire al sottoscritto con quel mezzo che tornerà di suo minor disturbo.
3. Qualora invece di danaro taluno giudicasse di offerire commestibili, tela, oggetti di vestiario o cose di simil genere, si accetteranno pure colla massima riconoscenza, comunque siano logore ed usate.
Nelle circolari inviate ad ecclesiastici, faceva aggiungere a mano, che avrebbero potuto “pagare”, il prezzo dei biglietti „con celebrazioni di messe a nostro conto”.
I biglietti portavano scritto: “Limosina di fr. 10 per provvedere pane e vestito ai poveri giovanetti dell'Oratorio di S. Francesco di Sales”.
Ed affidava a Don Antonio Sala, economo dell'Oratorio, e nativo della Lombardia, l'incarico di percorrere le città principali di quella regione, a cominciare da Milano, per offrire i biglietti alle più cospicue famiglie. Don Sala era un po' titubante, temendo di non riuscire a compiere il mandato, e Don Bosco:
- Va', gli disse; fàtti coraggio; non solo i ricchi fanno del bene a noi dando l'elemosina, ma noi pure facciamo del bene ai ricchi, dando loro occasione di, far elemosina.
Don Sala accettò, e partiva recando questa dichiarazione: [1130]
Il sottoscritto a chiunque sarà di ragione dichiara:
1) Che il Sacerdote D. Antonio Sala, diocesano di Milano, fa parte dell'amministrazione di questo stabilimento e compie da più anni l'ufficio di Economo con lodevole sollecitudine.
2) È del tutto gratuitamente che il medesimo pienamente informato delle strettezze in cui ora versa questo stabilimento, fu dal sottoscritto incaricato di promovere lo spaccio di cartellini di beneficenza a vantaggio de' fanciulli quivi ricoverati.
3) Si fa pertanto animo di raccomandarsi caldamente alle persone caritatevoli con preghiera di volerlo coadiuvare e raccomandare presso a coloro che la Divina Provvidenza collocò in grado di poter venire in soccorso dei bisognosi.
Anche Don Bosco ne spediva direttamente un certo numero che riteneva conveniente a nobili benefattori ed a personaggi d'alto grado; e vari glie li restituivano insieme con l'importo, perchè se ne servisse a raddoppiar l’incasso. Ed egli porgeva o inviava a tutti i più cordiali ringraziamenti.
Quando vennero raccolti dalla Curia Arcivescovile di Torino gli scritti del Santo, fu presentata da Don G. B. Pizio di Chieri questa letterina, senza dire a chi era stata inviata.
Ricevo fr. 50 per cinque biglietti di beneficenza. Deo gratias. Dopodimani parto per Roma e dimanderò una speciale benedizione del S. Padre per Lei.
Dio le conceda ogni bene; preghi per me che le sono in fretta, ma colla più profonda venerazione,
Lo spaccio dei biglietti fu il terzo scopo del viaggio che fece a Roma nei mesi di febbraio e marzo 1873, per le pratiche dell'approvazione delle Costituzioni e della concessione delle temporalità ai Vescovi d'Italia; e per questo, in [1131] modo particolare, passò per Piacenza, Parma, Bologna e Firenze, e prolungò la sua dimora in Roma.
Prima di partire da Bologna, ringraziava la Marchesa Bianca Malvezzi:
La ringrazio della generosa offerta che ha fatto per i miei poverelli. Dio la rimeriti degnamente.
Le unisco dieci cartelline di beneficenza con preghiera di collocarle presso caritatevoli persone. Se non potesse, rimetta quanto rimane al Prevosto di S. Martino.
Preghi anche per me che sono con gratitudine,
A Roma, come già abbiam visto, compì un lavoro straordinario. Ebbe udienze del S. Padre; e la sera del 27 febbraio, subito dopo la prima, scriveva alla Contessa Callori:
Vengo in questo momento dal Santo Padre e l'ho trovato in ottimo stato. Egli mi dà speciale e nominale incarico di comunicare a Lei e a tutta la sua famiglia l'apostolica sua benedizione. Le scriverà altro quanto prima.
Dio le conceda ogni bene; e preghi per me, che non la sbagli in millanta cose che qui ho tra mano, e mi creda in G. C.
Nella stessa udienza, insieme con altri favori, aveva ottenuto per Vittorio Pavesio, che si recava a far scuola nell'Oratorio, la facoltà di leggere libri proibiti.
Il Santo Padre manda per mezzo mio la santa sua benedizione a te e a tuo fratello.
A te è concessa la facoltà di leggere e ritenere libri proibiti; a tuo fratello di continuare nel suo uffizio purchè, dandosi il caso, [1132] procuri di fare il bene che può e d'impedire il male che può nelle cose che si riferiscono alla religione.
Credo che ti sarai fatto prendere la misura dell'abito chiericale e che giunto a Torino nulla più occorrerà che benedirlo e indossartelo.
Saluta tuo fratello e i tuoi allievi, prega per la povera anima mia, e credimi in G. C.
Alla lettera univa la dichiarazione:
Facoltà libri proibiti pel Sig. Pavesio Vittorio.
Vivae vocis oraculo, Pius Papa IX benigne annuit, exceptis libris contra bonos mores et tractantes ex professo contra Religionem.
Chiese anche ed ottenne per il Can. Giuseppe Masnini, Segretario di Mons. Ferrè, il titolo di monsignore, ed inviava il documento al direttore del collegio di Borgo S. Martino, dicendogli:
Come avrai ricevuto il piego indirizzato al Canonico Masnini, senza farne motto ad alcuno ti recherai dal Vescovo, e con Monsignore concerterai il modo di presentarlo a Lui medesimo.
Non so come vada il tuo negozio di sale; ma dimandai una speciale benedizione per te, e l'altra pe' tuoi allievi con Indulgenza plenaria pel giorno da scegliersi.
Le cose nostre vanno bene; prega Dio che a tutti tenga il cervello a posto.
Per lo spaccio dei biglietti non trascurò nessun'industria e la casa delle Nobili Oblate di Tor de' Specchi fu il centro cui le persone, invitate a diffonderli, dovevano rinviar quelli che non riuscivano a spacciare, come risulta dal seguente biglietto diretto alla signora Sigismondi: [1133]
Metto alla prova la sua industriosa carità. Si cerchi qualche benevola persona e l'aiuti e veda se può spacciare gli uniti pei nostri poveri fanciulli, che in numero notabile sono anche Romani.
Quel tanto poi che non potesse spacciare, lo rimandi liberamente alla Madre Presidente di Torre de' Specchi.
Dio la benedica, le dia la pace del cuore e la grazia di perseverare nel bene, mentre ho l'onore di professarmi,
Nello stesso giorno Don Berto scriveva a Don Rua: “La nostra missione volge al termine. I biglietti sono pressochè tutti spacciati... Lunedì prossimo [il 17] a Dio piacendo l'ultimo saluto alla città dei sette colli”; ma due giorni dopo dichiarava serenamente:
“Le aveva scritto che lunedì prossimo saremmo partiti.... ma è quasi impossibile: i suoi biglietti ci trattengono, diversi ritornano, e bisogna pensare a collocarli...”.
Don Bosco aveva deciso di spacciarne dieci mila, per raccogliere cento mila franchi; e siccome aveva appreso che l'Oratorio ne aveva avuti molti indietro, ne aveva chiesti ancora un centinaio; ma invece di cento glie ne avevano mandati una prima volta duecento, una seconda quattrocento, e poi altri ed altri fino a 1200!... Quindi la convenienza di stare ancor qualche giorno a Roma, anche pel motivo che una nuova udienza del Santo Padre gli era stata ritardata.
L'ebbe poi il 18, cordialissima, per oltre un'ora, ed ottenne anche alcuni favori spirituali per tutti quelli che caritatevolmente avevano od avrebbero acquistato o diffuso i biglietti di “limosina di franchi 10 per provvedere pane e vestito ai poveri giovanetti dell'Oratorio”.
Il Santo Padre, in fine, suonò il campanello, fece entrare Don Berto, e, dàtogli in mano un candeliere acceso, li condusse in una sala vicina, piena di oggetti preziosi, dove ne prese due e li donò a Don Bosco. Don Berto gli si [1134] gettò ai piedi, comunicandogli la gioia che avevano provato gli alunni dell'Oratorio nel ricevere la sua particolare benedizione, e come tutti avevano fatto la Santa Comunione perchè Dio lo conservasse ancora molt'anni, assicurandolo che avrebbero continuato a pregare, pronti a far anche il sacrifizio della vita, se fosse bastato a diminuire le sue pene sino all'ultimo. Il Papa esclamò commosso:
- Il Signore li conservi sempre con questi santi pensieri!
Senz'indugio Don Bosco scriveva alla Contessa Corsi:
Vengo in questo momento dal Santo Padre che parlò volentieri di Lei e della famosa Deputazione. Mi incaricò di comunicare una speciale benedizione sopra di Lei e sopra tutta la sua famiglia e segnatamente sopra la Contessa Maria, che promise anche di raccomandare nella Santa Messa. Altro scriverò fra breve.
Se ha persona cui si possano mandare biglietti, lo dica a D. Rua che ne farà la spedizione.
Ho mille cose tra mano; preghi che tutto vada bene. Dio ci benedica tutti, e mi creda discolo ma
La ringrazio della parte che prende ai nostri bisogni, Dio pagherà tutto. Quando la Damigella Balbo e V. S. sapranno il regalo che fa il Santo Padre a tutti quelli che si occupano di questa nostra piccola lotteria, ne saranno assai contenti. Lo dirò a suo tempo.
Per S. Giuseppe spero di essere a Torino. Ma ho millanta affari tra cui lo spaccio di biglietti. Se ne mandarono 1200, ma rimasero tutti fermi e niuno se ne occupò. O Mamma Corsi, mamma unica, perchè non averne almeno una in Roma?
Ora li mando a destra e a sinistra, e spero di non portarne più alcuno a casa.
Dio ci benedica tutti, e ci conservi sempre suoi, e mi creda
E spediva all'Oratorio, in forma di circolare, un ragguaglio dei favori spirituali ottenuti per gli oblatori, perché [1135] venisse stampato ed egli l'avrebbe poi spedito a quanti avevano od avrebbero accettato o diffuso i biglietti della lotteria, insieme con questa “Nota Per Don Rua”.
Dopo l'esame semestrale, desidero che tutti i filosofi si preparino all'esame di corso elementare: perciò siano avvisati gli insegnanti e si studi modo di esaminare i programmi.
Nella entrante settimana riceverete una cambiale, mentre noi faremo vela alla volta di Torino.
Dopo Lunedì indirizzate lettere etc. alla Marchesa Nerli. Dopo Giovedì al Prevosto di S. Martino Bologna. Indi avrete notizie.
I biglietti vanno; sono tutti in circolazione, ma c'è da fare assai. Dio ci benedica tutti.
La domenica 23 era a Firenze e scriveva ad una contessa:
Dio benedica Lei, Sig. Contessa, e con Lei benedica la sua Famiglia; e mentre Ella si occupa dei nostri poverelli preghiamo il Signore che la ritorni alla primiera sanità.
Abbia la bontà di rimettere l'unito pacco alla sig. sua Sorella la contessa Bontorlini, di raccomandarlo, ed assicurarla che quanto di corporale fa pei nostri fanciulli, Dio lo farà centuplicato sopra i Suoi.
Preghi Dio per me e mi creda con gratitudine,
Probabilmente era un pacco di cartelle di beneficenza e relative circolari da diffondere.
“Don Bosco - scriveva Don Berto all'Oratorio - dice che non fu mai così soddisfatto come questa volta, della sua andata a Roma; non fece mai tanti affari. Sono effetto delle vostre preghiere. Proprio è che l'esperienza multa docet. Egli per potersi occupare delle cose nostre usciva al mattino per non ritornare fino alle nove di sera. Una folla smaniosa di averlo e di disputarselo correva di qua e di là, chiedendo ansiosa di lui. Era la croce del povero Colonna, il quale ci trattò molto cortesemente e con bontà [1136]. Don Bosco gli comperò un orologio, dimodochè non volle nulla per la nostra dimora in casa sua...”.
E Michele Colonna, ultimo figlio dei Cav. Stefano che ospitò il Santo, dichiarava, che in quei giorni in cui egli stava per nascere, la mamma venne colta da peritonite così grave, che solo per le preghiere e le benedizioni di Don Bosco furono salvi entrambi. „Mi è stato raccontato dai miei - aggiungeva - che una sera in cui mia madre era più che mai aggravata, fu alla stessa dal medico Prof. Panunzi ordinato d'urgenza un bagno caldo. Don Bosco si trovò a passare avanti la cucina, mentre il servo cominciava ad attingere l'acqua per mezzo del secchio e della fune (eravamo al terzo piano); ed avendo sentito un rumore insolito, s'informò della causa, e, con quella sua bontà senza limiti, volle aiutarlo nel faticoso lavoro, tirando su il secchio lui stesso”. Michele nacque poi il 17 maggio, e Don Bosco, l'anno dopo quando sentì la data, esclamava: - È nato Michele nel mese dei fiori! - si serbi fedele di Mamma agli amori!
Aveva sempre la Madonna sul labbro e nel cuore, e la Madonna lo sguardo fisso su lui!
“Un mondo di persone - proseguiva Don Berto - alla sua partenza vennero a raccomandarsi alle sue preghiere. Vidi non pochi piangere, sentendo che non era più possibile salutarlo e quasi loro rincrebbe che fosse venuto a Roma per goderlo così poco. Ci vennero ad accompagnare fin sul vapore.
Salimmo in un vagone, dove si trovavano sei signore americane, protestanti... e Don Bosco, come già in Roma si fece ammirare da tutti per la sua benignità, piacevolezza, tranquillità d'animo in mezzo ad infinite faccende, fino al punto che molti stupiti a tanta virtù e dolcezza di carattere vennero da me commossi ad esclamare: - Ma quest'uomo è santo, è proprio santo! basta parlargli una volta insieme per esserne convinti; e il numero cosi grande dei suoi giovani senza redditi non è un miracolo continuo?! - così anche con quelle protestanti cominciò a parlare dolcemente e di cose indifferenti; e, sebbene in principio si dimostrassero ritrose, giunti nell'Umbria, mettendosi a pranzo, poichè suonava [1137] mezzogiorno, tuttavia ci offersero e ci costrinsero ad accettare il loro cibo. Don Bosco parlò loro di varie cose d'Italia rimarchevoli; ma in ultimo, facendosi sera, siccome le sue parole tendono, comunque indifferenti, sempre alla maggior gloria di Dio, così le invitò, passando per Torino, a venire a visitare l'Oratorio, dicendo che avrebbe loro somministrato libri onde istruirsi nella Religione Cattolica. Glielo promisero. Si dimostrarono propense, raccomandandosi per questo alle sue preghiere. Quelle signore erano di New York...”.
Continuate a pregare, concludeva Don Berto. Abbiamo ancora un bel numero di biglietti da smerciare, e questo è quel che prolunga tanto il nostro ritorno.
Don Bosco dice che sta molto bene. Questa gita servì a corroborargli assai la sua sanità oscillante...
Domani a sera probabilmente andremo a dormire a Bologna. Adesso siamo qui in casa dell'ottima signora marchesa Nerli che ci usa tutti i riguardi immaginabili.
Ancor qualche giorno signore, e poi ritornerò alla mia povera, ma molto gradita cella dell'Oratorio”, e „potrò ringraziare la nostra carissima Madre Maria Ausiliatrice...
Con qual fiducia i Romani ricorrono a Maria Ausiliatrice! Tutti si raccomandano ai nostri cari giovani per ottenere dalla medesima chi un favore e chi una grazia particolare. Che Gesù Sacramentato e Maria Ausiliatrice ci prediligano sempre in questo modo! L'umile piano di Valdocco, col tempo, ... diventerà glorioso per tutto il mondo! E da lungi i popoli verranno a baciare le zolle dove posò il piede l'Apostolo del Piemonte; così lo chiamano i Romani. Vanta Filippo angelico - Roma co' figli suoi! - Per don di Dio benefico - basta Don Bosco a noi!”.
Il 26 il Santo lasciava Firenze, e, prima di partire, scriveva non sappiamo precisamente a chi, ma con tutta probabilità a un signore di Roma:
Ho dovuto partire, senza più poter vedere e ringraziare la V. S. B. e la Sig. Contessa di Lei moglie.
Con questa mia lettera intendo di compiere questo mio dovere, [1138] e prego Dio di tutto cuore, che ambedue li ricompensi della carità grande, che usano a me ed alle persone che in più occasioni le ho raccomandate.
Le unisco qui una lettera per Mons. Negrotto per l'occasione che la Contessa con qualche sua amica volesse avere udienza dal S. Padre.
Mi auguro l'opportunità di poter con qualche fatto mostrarle la mia gratitudine, e raccomandandomi alle preghiere di ambedue ho l'onore di professarmi
Il 27 era a Modena e Don Berto dava nuove notizie all'Oratorio: „Continuate a pregare. Ancor un giorno o due, e poi saluteremo gli ameni ed ubertosi colli del Piemonte, rivedremo la gentile nobile Torino; riabbracceremo i nostri cari, canteremo l'inno di gioia. L’ora del nostro arrivo vi sarà annunziata col tocco telegrafico. Enria prepari la sua musica, perchè il Padre ritorna glorioso dalla città eterna di Pio!”.
A Modena incontrarono il coadiutore Rossi Giuseppe, al quale anche, come a Don Sala, era stato affidato l'incarico dello spaccio dei biglietti, e il 29 o il 30, passando per Milano, rientravano a Torino.
Essendovi ancora un bel numero di biglietti inesitati, perchè non pochi venivano rimessi, venne differita l'estrazione dei premi fino al 10 aprile, e se ne dava comunicazione agli interessati, insieme col preannunzio dei favori spirituali concessi dal S. Padre.
Mi fo dovere di partecipare a V. S. B. che col giorno 10 del prossimo aprile termina il tempo utile per lo spaccio delle cartelline di beneficenza pei poveri giovanetti dell'Oratorio di S. Francesco di Sales. Se mai in questo breve intervallo di tempo credesse poterne distribuire alcune altre oltre a quelle già spedite, non ha che farne parola e le saranno tosto spedite. Nel tempo stesso le fo umile preghiera di mandare quelle che prevederà di non potere altrimenti collocare, a fine di tentarne lo spaccio in qualche altra maniera. Quelle che non fossero rimandate prima del giorno sopra mentovato, si intendono caritatevolmente ritenute a conto di V. S.
Inoltre siccome le strettezze di questo stabilimento si fanno [1139] ognor più sentire, così la prego di farmi pervenire quel tanto che a questo uopo avesse potuto ricavare. Dopo il giorno 10 aprile sarà fatta estrazione de' premii e le sarà tosto spedita nota dei numeri vincitori; e nella stessa occasione le saranno comunicati alcuni favori spirituali che il Sommo Pontefice nella sua grande carità concede a tutti quelli che hanno preso parte a quest'opera di beneficenza.
Prego Dio che la voglia largamente ricompensare della sua carità, mentre con profonda gratitudine ho l'onore di professarmi,
NB. Nella città di Roma per ogni relazione a questo riguardo ognuno può dirigersi a S. E. la Madre Galeffi presidente di Torre de' Specchi, la quale con grande carità riceve cartelline e denaro secondo le occorrenze.
Poco dopo Don Bosco ritenne conveniente di differire di nuovo l'estrazione, oltre il 20 aprile, e faceva ristampare la prima circolare, colle varianti richieste, rinnovando la preghiera di rinviare, prima di quel giorno, quei biglietti che i caritatevoli distributori non intendessero ritenere[224]. Anche vari illustri ecclesiastici glie li avevano rinviati.
Ritengo per me i tre biglietti nn. 2810, 2811, 2812, e rimando gli altri due perchè non saprei a chi ricapitarli, non osando esporne parola ai preti di qui che si trovano già circondati e vessati da questi poveri. Anch'io non mi sento di fare di più perchè assediato da molti altri bisognosi, limitato nei mezzi e ultimamente aggravato da molte spese straordinarie per una pericolosissima malattia di mia madre, ora, grazie a Dio, felicemente superata, ad onta che essa conti più [1140] che 86 anni di età. Raccomando Lei e me alle preghiere sue e di tutto il suo Santo Istituto e con riverente stima mi onoro di professarmi
PS. - Unisco i 30 franchi importo dei biglietti.
Mi spiace di dovere rimandare i biglietti che il Sacerdote D. Antonio Sala mi aveva consegnato da esitare. Ma in Milano adesso sono aperte tante sottoscrizioni che rendono difficili le collette e qualsiasi altra oblazione, e poi i buoni presso i quali io vado, hanno già da altra parte questi biglietti, e perciò non possono assumerne degli altri.
Con mille scuse, e colla protesta della più alta considerazione mi pregio dirmi
Alla metà d'aprile i biglietti erano tutti in giro, e non avendone più nessuno alla mano Don Bosco si volgeva al Conte Francesco Viancino di Viancino:
Ricorro a Lei, car.mo Sig. Conte, per un mutuo strano: che mi impresti biglietti della nostra Lotteria, se ne ha disponibili. Li abbiamo tutti in giro e ne ritornerà certamente un numero notabile; ma adesso avrei occasione di collocarne alcuni e non ne ho.
Mi obbligo di farne la restituzione, non come ha fatto V. S. in biglietti di banca, ma proprio tali, quanti e quali me li mutua. Spero poterlo riverire nel corso della settimana corrente e parlarci di Roma.
Intanto prego Dio che doni a Lei, e alla Sig. Contessa Luigia, sanità stabile con ogni celeste benedizione, mentre con gratitudine mi professo,
E a quelli che gli venivano in aiuto inviava i più cordiali ringraziamenti.
Alla Marchesa Bianca Malvezzi di Bologna:
Ho ricevuto la sua prima lettera, in cui mi accludeva f. 100 per biglietti di beneficenza dalla sua carità ritenuti, e ricevo ora la sua seconda che accenna il timore che la prima non mi sia pervenuta. La sola agglomerazione di affari in questi giorni m'impedì di tosto riscontrarla. Ora la ringrazio di tutto cuore, e co' miei giovinetti pregheremo Dio che la benedica, la conservi, le dia la pace nel cuore, e le prepari il vero premio nella patria dei beati. Amen.
Intanto la prego di fare i miei rispettosi ossequi alla di Lei cognata March. Malvezzi, assicurandola che non dimenticherò Lei e la sua famiglia nella Santa Messa. Ma mi raccomando, che tanto l'una quanto l'altra sono attese dalla Madonna Ausiliatrice a fare la sua festa dal 15 al 24 prossimo Maggio. Predica Mons. Scotton.
Dio la benedica, Sig. Marchesa Bianca, e con Lei benedica tutti i suoi interessi, la famiglia, ma la benedica in modo particolare nelle cose dell'anima, e l'aiuti a perseverare nel bene.
Preghi anche per la povera anima mia, e mi creda colla più profonda gratitudine,
Prima di lasciar Roma aveva scritto all'Abate di S. Callisto P. Zelli Jacobuzzi:
Il povero sottoscritto, andando in cerca di pagnottelle per i suoi poveri ragazzi, si fa ardito di ricorrere anche alla nota carità della P. V. R.ma. A tale scopo le acclude N. 10 cartelline di beneficenza, con preghiera di volerle eziandio raccomandare ad altre pie persone. Le noto che questi fanciulli in parte notabile sono Romani, ed ora soltanto se ne condussero a Torino otto dei più abbandonati.
Al 10 del prossimo aprile Ella è pregata di rimettere alla Signora Madre Presidente di Tor de' Specchi le cartelline che non intendesse di ritenere presso di sè, o il danaro che dalle medesime avrà ricavato. Qualunque cosa Ella possa fare in questo bisogno eccezionale, si assicuri che tanto i poveri beneficati, quanto lo scrivente, non cesseranno d'invocare la benedizione del cielo sopra di Lei e sopra tutta [1142] la sua Religiosa Famiglia, e pieno di fiducia che tale opera di carità contribuirà efficacemente alla prosperità e conservazione della medesima, con profonda stima ha l'onore di potersi professare,
L'Abate Zelli accoglieva benevolmente l'invito e riceveva cordiali ringraziamenti.
La sua carità, le parole con cui accompagna l'opera sua, meritano certamente speciali atti di ringraziamento, siccome intendo di fare con questa breve lettera.
Prego adunque Iddio che disperda i progetti degli empi, e conservi le case del Signore; ma che in ogni caso non ne abbiano a patire le anime nostre.
Che se mai qualcuno de' suoi, tanto più la S. V. Revd.ma, passassero da queste parti, la prego di servirsi di me e di tutte le case nostre, come di roba sua, e con illimitata padronanza.
Io poi raccomando me e li miei poveri fanciulli alla carità delle sante sue preghiere, mentre colla più profonda gratitudine e pari venerazione ho l'onore di potermi professare,
Si rivolse anche al Re, e il Comm. Avv. Giovanni Visone, recatosi a Torino, gli comunicava l'immediato consenso del Sovrano e pochi giorni dopo gli spediva un vaglia da Roma:
Ho ricevuto il suo foglio del 15 con una petizione diretta a S. M. e N. 20 biglietti per la lotteria di Beneficenza in vantaggio dei suoi poveri. [1143] Mi affretto a prevenirla che la Carità Sovrana, non venendo meno a se stessa, accetta l'invio di tali biglietti; ed io, non appena sia ritornato in Roma, le ne farò pervenire l'importare in lire 200.
Mi creda intanto con particolare riverenza
Facendo seguito alla mia lettera del 17 corr. mi pregio trasmettere alla S. V. Rev.ma un vaglia di L. 200, importo di N. 20 biglietti accettati da S. M. il Re, al fine di concorrere alla Lotteria di beneficenza che avrà luogo a favore dei poverelli ricoverati in cotesto pio Ospizio.
Nell'inviarle il qui unito bianco segno, affinchè si compiaccia ritornarmelo munito della di Lei firma, profitto nuovamente della circostanza per confermarle gli atti di mia distinta stima.
Senza contare le somme ricevute privatamente da Don Bosco e quelle incassate da Don Albera, cedute all'Ospizio di S. Pier d'Arena, che si trovava anch'esso nella miseria, s'erano raccolte 63.618 lire. Le città che più si distinsero furono Torino, Milano, Roma, Novara, Mondovì, Brescia, Ivrea, Acqui, Tortona, Vercelli, Alba, Casale, Asti, Bergamo, Biella, Cremona, Vigevano, Alessandria, Pinerolo, Saluzzo, Como, Bologna, Firenze e Piacenza. A Torino si raccolsero 13.772 lire, oltre 3052 nella provincia; a Milano 4512, oltre 3982 nell'archidiocesi; a Roma 3788. Così da una nota di Don Chiala, che ne tenne la registrazione.
Non mancava che venire all'estrazione dei premi, fissata per il 1° maggio, quando sorse un grave incaglio.
Prima di continuare la narrazione, dobbiamo esporre un bel casetto, accaduto a Don Bosco, appena fu di ritorno all'Oratorio.
A Roma il Conte di Stappul, poi sacerdote e monsignore. [1144] l'aveva pregato d'interessarsi di un asceta singolare, tenuto da vari in grande stima, perchè gli parlasse, l'esaminasse, e gli dèsse poi il suo parere. Era costui nientemeno che Davide Lazzaretti, il “Santo di Monte Labbro”, nato ad Arcidosso, nella diocesi di Montalcino. Umile barrocciaio, d'ingegno poetico e portato al misticismo, erasi prima ritirato in un romitaggio della Sabina, presso Montorio Romano, ove, seguìto da un certo Marcus, tedesco, e da altri adepti, era rimasto per quindici anni, dicendo d'esser chiamato a grandi gesta religiose, dotato di visioni celesti, e d'aver ricevuto da S. Pietro un segno, che portava in fronte, che poi... all'autopsia, si riconobbe essere un tatuaggio comune! Nel 1869, insieme col Marcus, era tornato nei propri paesi, ed iniziando sul Monte Labbro la costruzione d'una torre, scopriva una grotta, il qual fatto accrebbe il numero dei suoi seguaci. Senonchè la torre rovinò, mentre la stava costruendo; ed egli allora la sostituì con un romitaggio ed una chiesetta, fondando dapprima la S. Lega della Fratellanza Cristiana, quindi la Società delle Famiglie Cristiane, in forma d'associazioni religiose, più o meno comuniste, contro cui non tardarono a reagire gli interessi privati, cosicchè nel 1873, l'asceta, trovandosi in gravi difficoltà economiche, stabiliva d'emigrare in Francia. Uno dei suoi più fidi l'accompagnò sino a Torino, e tornò subito al Monte Labbro per vigilare gli interessi dell'associazione.
Don Bosco in quel tempo era ancora a Roma. Tuttavia il Lazzaretti, insieme col figlio, che diceva sarebbe stato il generale in capo dell'esercito salvatore del mondo, venne ospitato nell'Oratorio. Ma l'ex eremita, mentre si chiamava profeta, pregava poco o niente, e, nè prima nè dopo i pasti, non faceva mai il segno della Croce, cosicchè Don Cagliero lo diceva un profeta dell'Antico Testamento! Tuttavia tanti erano infatuati di lui, e, come il pretore di Belley, gli mandavano denaro, in marenghi d'oro fiammanti, anche nei giorni che fu ospite nell'Oratorio.
Appena Don Bosco fu di ritorno, egli chiese di parlargli; e Don Bosco che, appena lo vide, capì subito chi era, gli disse che non aveva tempo da perdere, e gli avrebbe concesso [1145] al più un quarto d'ora. Ed egli, un mattino, andò a parlargli in camera, e prese a narrargli la sua storia, cominciando dalla creazione del mondo! Il Santo tagliò corto e, senz'altro, gli disse di venire alla conclusione.
- Ma bisogna che lei ascolti tutto per dare un prudente giudizio!
E Don Bosco: - Risponda a me! Quanto tempo è che non è più andato a confessarsi?
- Ma queste cose non c'entrano, reverendo.
- Ma sì, che c'entrano, anzi la confessione la pongo tra le cose principali.
- Io vado a confessarmi, quando ne ho bisogno!
Don Bosco capì come mai per lui si verificasse il bisogno di confessarsi, e continuò ad interrogarlo:
- E lei sa fare il segno della Santa Croce?
- Che bisogno c'è di far queste domande?
- Scusi, ma io vedo che non lo fa mai nè prima, nè dopo il pranzo! - E gli dimostrava l'importanza di questo segno, e come Iddio non potesse servirsi, per suo strumento a salvezza degli uomini, di chi trascurava di far il segno della Croce come tutti i buoni cristiani.
Ma mi lasci parlare, l'interruppe il Lazzaretti. Parli adunque!
E cominciò a narrargli delle rivelazioni avute, e come si fosse trovato in una grotta senz'uscita e senza sapere come vi fosse entrato, e di voci misteriose...
- Quali prove ella ha di quanto racconta?, ..
- Che cosa intende di dire? quali prove esige? Ho visto io quella grotta, ho sentite io quelle voci!
- Ma scusi! replicò Don Bosco, quando il Signore manda rivelazioni, porge anche i mezzi perchè coloro, ai quali sono annunziate, possano conoscerle come divine; tali mezzi sarebbero i miracoli e le profezie. Lei ha già fatto qualche miracolo?
- Capisco, capisco; brontolò Lazzaretti; ma io sono certo d'avere lo spirito di Dio!
E si metteva ad esporre altre fantasie, ma Don Bosco lo congedò, [1146] Venne poi il Conte di Stappul a chiedergli che cosa pensasse del Lazzaretti e delle sue rivelazioni, e Don Bosco gli disse di non vedervi nulla, proprio nulla di straordinario... Il Conte sulle prime restò perplesso, poi non riuscendo a spogliarsi di certe ubbìe che aveva in mente, condusse il Lazzaretti in Francia, alla gran Certosa e altrove, e il povero fanatico incontrò altri signori che lo soccorsero largamente perchè potesse compiere le sue grandi imprese!... Restò in Francia, dove scrisse anche vari libri, sino alla fine dell'anno. Ritornando in Italia, passò per Torino e raccontava l'esito felicissimo del suo viaggio per i denari raccolti e che portava con sè, e per quelli che gli erano stati promessi ed altri che aveva già mandati al suo romitaggio.
Tornato una terza volta a Torino nell'ottobre 1875, invitò Don Bosco a recarsi fra i suoi seguaci per veder cogli occhi tutte le meraviglie da lui operate. Don Bosco gli rispondeva di mandargli nell'Oratorio quindici giovanetti, ed egli li avrebbe istruiti, fatti sacerdoti, e poi mandati tra i suoi adepti per richiamarli sul buon sentiero.
Naturalmente il Lazzaretti non acconsentì, e recatosi un'altra volta in Francia, non fece ritorno al Monte Labbro che nel 1878. Accorsero allora attorno a lui migliaia di persone, che giuravano fede in una mistica repubblica, e guidate da lui e dai principali suoi seguaci, vestiti in abiti teatrali, da apostoli e da ministri di Dio, si dirigevano verso Arcidosso; ma il 18 agosto, presso Bàgnore, venne loro conteso il passo dalla forza pubblica, il Lazzaretti cadeva morto in un conflitto, e così finiva... la sua missione straordinaria!
Ma ecco l'inatteso contrasto che diede a Don Bosco gravi fastidi!
Il 20 aprile scadeva il tempo della diffusione dei biglietti della lotteria, e si stava per procedere alla estrazione dei premi, quando fu denunziato alla Prefettura di Torino, che Don Bosco aveva indetto una pubblica lotteria senz'alcuna autorizzazione, e la Prefettura mandava i questurini a sequestrare i registri.
Addetti alla registrazione dei biglietti erano Giuseppe Buzzetti e Cesare Chiala, il quale si vide all'improvviso la [1147] stanza invasa dalle guardie che non trovarono altro che un vecchio registro, intitolato Registro dello spurgo inodoro dei Pozzi neri, dove, confusi con altre annotazioni, approfittandosi delle pagine rimaste in bianco, erano stati scritti i nomi di parecchi oblatori. Si rise assai su quella intitolazione, e il questore, nel fare il verbale del sequestro, notò le prime e le ultime righe del registro, poi passò in sacrestia ed appose i sigilli al quadro. I veri registri erano stati in precedenza trasportati altrove, appena s'era avuto sentore della denunzia.
Don Bosco quel giorno era fuori di Torino, e precisamente a S. Pier d'Arena. Il 30 aprile, tornato all'Oratorio, si recava subito dal Commendatore Cav. Giovanni Migliore, sostituto del Procuratore del Re, che egli ben conosceva, poichè nell'inverno antecedente gli aveva raccomandato una sua figliola, tendente all'etisia, spedita dai medici; ed egli l'aveva invitato a recarsi insieme con tutta la sua famiglia ad ascoltare la Messa che avrebbe celebrato per lei nella sua anticamera; e la figliuola era guarita.
Il cavaliere gli disse che egli pure aveva accettato dei biglietti. Gli disse anche, che per solito, tutti gli oggetti sequestrati andavano a finire nelle sue mani, ma che questa volta la faccenda era stata rimessa direttamente al Procuratore Generale Comm. Lorenzo Eula, e lo accompagnava all'Oratorio, dove tornò pochi giorni dopo per pagare i biglietti, e lo istruì come avrebbe potuto comportarsi in questa faccenda, dichiarandogli nettamente come un tale ricorso alla pubblica carità non gli sembrava affatto contrario alla legge, e gli prometteva che avrebbe parlato in suo favore, deciso d'aiutarlo in ogni modo.
La sera del 1° maggio Don Bosco recavasi a consultare l'avvocato Comm. Tommaso Villa, in Via S. Domenico N° 1, un democratico, ma dei legali più valenti di Torino, e questi pure, com'ebbe udita l'esposizione della questione, gli disse: - Abbiamo con noi tutte le ragioni che militano in nostro favore! - e pieno di cortesia concluse: - Son contento che sia venuto da me. Venga pur sempre!
- Oh! no! signor commendatore, rispose Don Bosco, quando son cose di poca importanza, posso ricorrere a qualunque [1148] avvocato, ma quando, com'ora, si tratta della mia onoratezza e dell'onoratezza di un istituto, ci vuol proprio un avvocato di prim'ordine!
- Sono assai contento che sia venuto da me! L'assicuro che tratterò questa causa con molto gusto. Fossi anche condannato, non m'importerebbe nulla; è una causa che mi piace!
Ma, come vedremo, la causa non fu vinta.
Il 2 maggio Don Bosco andò a parlare al Procuratore del Re e gli diede tutte le spiegazioni del suo operato. Era presente, con altri ufficiali, anche il Cav. Migliore, che in fine narrò la guarigione della sua figliuola dicendo:
- Vedendo nettamente che avevo una figlia che tendeva all'etisia, spedita dai medici, andai a raccomandarla alle preghiere di Don Bosco; e adesso è perfettamente guarita, e son le sue preghiere che l'hanno guarita.
Tra le ragioni, che Don Bosco addusse in sua difesa, vi fu anche questa:
- Ciò che io ho fatto non è una lotteria, poichè, com'Ella potrà osservare, è scritto limosina sul biglietto. E poi la legge dice una lotteria Pubblica: e questa che io ho fatto non è pubblica: non si è data nessuna pubblicità.
- Ma, soggiunse il Procuratore, qui si legge la parola estrazione, ed è segno che si deve dare questa pubblicità.
- Non parliamo ancora d'estrazione: stiamo sulla parola pubblica, perchè, se non è pubblica, si può fare l'estrazione; e d'altronde questa non è ancor fatta.
Gli opposero che era una lotteria pubblica per le tante circolari stampate e diffuse, e le tante lettere scritte in proposito; e Don Bosco:
- Io non so come si possa chiamare e dichiarar pubblica una lettera, quando è spedita chiusa, col relativo francobollo... Poi prego ad aver compassione anche di me, che mi trovavo al principio dell'inverno, con 800 e più ragazzi, vestiti da estate e senza pane, nella dura necessità di abbandonarli tutti nella strada! Ed io mi sono esposto ad andare in prigione e pagar multe, piuttosto che lasciarli languire! Si faccia di tutto, dissi, ma non abbandonarli! E [1149] adesso mi vedo venir addosso un sequestro per ordine del Governo, dopo aver raccolti parecchi giovani raccomandatimi dal Governo medesimo.
- Ma non poteva, replicò il Procuratore, chiedere un'approvazione?
- Mi trovavo nella estrema necessità di far cosi; se fossi ricorso all'approvazione del Governo, le pratiche sarebbero andate in lungo, e ogni indugio, anche breve, m'avrebbe tolto la possibilità di provvedere.
- Ma la legge dice anche che le questue sono vietate.
- Ma vuole che io potessi supporre che chi ha esteso cotesta legge abbia concepito quell'articolo in modo così stretto, per non dire così barbaro, da voler proibire ogni questua e perfino d'andare in cerca della carità per mantenere tanti poveri figli del popolo?
Si cercò di fargli tutte le opposizioni, ed alle sue risposte precise e chiare quei signori si guardavano in faccia e si dicevano a vicenda:
- È forse un avvocato Don Bosco?
Da principio, vedendo un prete e l'aria semplice con cui parlava, avevan sorriso, ma poi finirono con farne le meraviglie. Lo stesso Procuratore del Re, mosso dalla perorazione di Don Bosco, disse che subito avrebbe fatto estendere la relazione di quell'affare e l'avrebbe attentamente e benevolmente esaminata.
Quando uscì, il Comm. Migliore voleva baciarlo, e: - Veda, gli diceva, se qui si fossero trovati, radunati insieme, tutti gli avvocati del mondo, non avrebbero saputo suggerire migliori ragioni e migliori parole di quelle che ha dette lei!
Ma Don Bosco sapeva la causa di tali opposizioni. Aveva avuto la nota di tutti i framassoni di Torino, e ce ne era un bel numero, e v'erano anche persone che non avrebbe mai creduto! Così narrava egli stesso.
Intanto s'era sparsa la voce, proprio contraria a quello che aveva raggiunto[225], com'egli andasse ripetendo con intimi amici di sperare che presto il Papa avrebbe lasciato [1150] Roma; e lo stesso Comm. Zoppi, Prefetto di Torino, che aveva di lui un'alta ammirazione, ne dava confidenziale ragguaglio al Comm. Gaspare Cavallini, Segretario Generale, o, come si direbbe oggi, Sottosegretario di Stato, mentre scriveva ufficialmente al Ministero dell'Interno del contrasto sorto per la lotteria:
Sebbene io sia sicuro di non poter scrivere nulla che già V. E. non sappia relativamente alle mene che si stanno, dicesi, formando per indurre il Pontefice a lasciar Roma, credo tuttavia dover mio di riferirle che venni accertato essersi lungamente parlato di ciò dal Sacerdote D. Bosco con alcuni intimi amici, manifestando la speranza che S. S. possa finalmente e fra non molto decidersi a questo passo. Mi si assicura pure che albergano presentemente nell'Istituto Bosco alcuni Gesuiti forestieri.
Cosi risulta da una minuta che si conserva nell'archivio del Conte Giovanni Zoppi in Alessandria, insieme con la risposta del Ministero, scritta dal Cavallini:
Il Ministero ignorava completamente quanto tu hai accennato sia nella tua particolare a me diretta come nell'altra ufficiale riguardo alla Lotteria del D. Bosco, e va da sè che ove l'avesse saputo non vi avrebbe partecipato.
Tu hai quindi fatto ottimamente a sospendere l'esazione del vaglia del tesoro che ti era mandato pel pagamento dei 10 biglietti offerti al Ministero. Ti spedisco invece i biglietti stessi pregandoti di restituirli colla stessa dichiarazione che hai fatto tu nel respingere i tuoi. Te ne mando pure due inviati a me particolarmente come Deputato onde possa restituire anche questi. Quanto alle Lire 100 favorisci rinviarle al Ministero con altro vaglia del tesoro. Per i miei non occorre che la semplice restituzione non avendoli pagati.
E il Prefetto rinviava all'Oratorio “i 10 biglietti del Ministero e i due del Segretario Generale”.
L'affare della lotteria andò ai tribunali, e Don Bosco ritenne doveroso darne comunicazione agli interessati: [1151]
Sento il dovere di informare la S. V. B. che alla vigilia dell'estrazione dei premii offerti per incoraggiare l'acquisto delle cartelline di beneficenza pei poveri giovani di questa casa, l'autorità governativa ha proceduto al sequestro del quadro rappresentante la B. V. di Foligno. Si vuole considerare questo fatto come lotteria pubblica, di che non àvvi fondamento di sorta. Perciò spero quanto prima sarà tolto tale sequestro, appena si riconosca non esservi ombra di violazione di legge, giacchè trattasi di un'opera strettamente di carità. Tuttavia credo bene di assicurarla che ho ricevuta la sua oblazione, che per cause affatto da me indipendenti succede questo ritardo, e che appena questa estrazione sia effettuata, la renderò tostamente avvertita.
Voglia frattanto dare benevolo compatimento a questo involontario ritardo e credermi con profonda gratitudine,
Alla fin di maggio, vedendo che le pratiche sarebbero andate per le lunghe, chiedeva alla Prefettura il permesso di procedere almeno all'estrazione dei trenta premi di lire 100 ciascuno; ma il Comm. Zoppi si diceva spiacente di non poterlo autorizzare.
Duolmi di non poter dare una risposta affermativa alle sollecitazioni fatte dalla S. V. R., per ottenere facoltà di fare l'estrazione dei trenta premi promessi agli acquistatori dei biglietti della lotteria predisposta a favore dell'Oratorio di S. Francesco di Sales.
E poichè venne descritto il fatto all'Autorità Giudiziaria, per trattarsi di una operazione che aveva bensì per iscopo la beneficenza, ma che ne' suoi particolari rivestiva i caratteri di una vera lotteria, la quale del resto non avrebbe potuto essere autorizzata, sia perchè erano promessi dei premi in denaro contro il preciso disposto dalla legge, sia perchè è in corso altra lotteria di beneficenza regolarmente autorizzata, ed altre aspettano già l'autorizzazione, così io non posso con mia dispiacenza pronunziare alcun giudizio in proposito, né [1152] autorizzarla a continuare l'operazione stessa sotto l'appellativo di questua, dovendo allo stato delle cose risolvere l'Autorità Giudiziaria in base alle disposizioni portate dalle vigenti leggi.
Tanto mi fo premura di significare alla S. V. in risposta alla di Lei lettera del 30 Maggio p. p.
Avuta questa risposta, Don Bosco tornò a scrivere a tutti gli oblatori, comunicando il ritardo dell'estrazione, ed unendo alla circolare una pagella, o foglio a parte, dov'erano esposti dettagliatamente i favori spirituali concessi ad essi dal S. Padre.
La vertenza insorta intorno al dipinto che doveva servire di regalo ai benemeriti oblatori dei nostri giovanetti continua ad essere pendente avanti ai tribunali. Si vorrebbe che l'estrazione di quello debba chiamarsi pubblica lotteria, quindi in opposizione alle leggi, che la proibiscono. Ora non volendo più a lungo protrarre il godimento dei favori spirituali concessi dal Santo Padre, ho giudicato bene darne comunicazione a V. S., affinchè se ne possa servire a maggior gloria di Dio ed a salute delle anime.
Occorrendo pagelle da distribuire ad altri oblatori, abbia la bontà di significarmelo e ne farò tosto spedizione.
Appena poi le cose saranno ultimate, mi darò premura di renderla avvertita. Intanto Ella mi voglia dare benigno compatimento per questo involontario ritardo; e pregando Iddio che si degni largamente ricompensarla della carità usata a questi miei cari giovanetti, ho l'onore di potermi professare, con profonda gratitudine,
Ed ecco i favori concessi dal S. Padre:
Sua Santità il benefico Pio IX volendo dare un segno di speciale benevolenza ai Benefattori dei poveri giovanetti in questa casa raccolti, in data 1° marzo anno corrente 1873, vivae vocis oraculo, concedette i sotto descritti favori spirituali a tutti quelli, che hanno [1153] corrisposto al caritatevole appello intitolato: Limosina di L. 10 per provvedere pane e vestito ai poveri giovanetti dell'Oratorio di S. Francesco di Sales.
Pertanto con bontà veramente paterna compartisce a tutti:
1° L'apostolica benedizione con Indulgenza plenaria in articolo di morte; 2° Indulgenza di 300 giorni a tutti quelli dell'uno e dell'altro sesso che fanno il catechismo ai fanciulli. - Questa indulgenza è concessa ai catechisti ed a quelli che li vanno ad ascoltare; 3° La stessa indulgenza di 300 giorni concede ai Sacerdoti ogni volta che celebrano la santa Messa, spiegano il Vangelo, od espongono in qualche altro modo la divina parola ai fedeli cristiani. - Queste indulgenze possono lucrarsi tanto dai Sacerdoti quanto dai fedeli che andranno ad ascoltare.
4° Queste indulgenze per modo di suffragio sono applicabili alle anime del purgatorio.
Mentre poi godo di comunicarle questi favori spirituali l'assicuro che i giovanetti beneficati non mancheranno di pregare meco il Signore Iddio a volerla colmare di sue celesti benedizioni, nell'atto che con gratitudine mi professo,
Lunga fu la questione innanzi ai tribunali. Il 4 ottobre del 1874 Don Bosco veniva condannato ad una pena pecuniaria ed alla confisca del quadro; ed egli, mentre ricorreva in appello, nello stesso mese, per non tardar di più l'estrazione dei premi, assegnava in luogo del quadro sequestrato il premio di 4000 franchi, e procedeva senz'altro all'estrazione, e ne dava comunicazione agli interessati.
È oltre un anno da che io raccomandava alla S. V. alcuni cartellini di beneficenza col titolo: Limosina di fr. 10 per provvedere pane e vestito ai poveri giovanetti dell'Oratorio di S. Francesco di Sales. A fine di animare gli oblatori, una benefica persona largiva un dipinto rappresentante la B. V. di Foligno, ed altra pia persona 30 premi di fr. 100 caduno a chi fosse stato favorito in apposita estrazione.
L’amministrazione delle pubbliche finanze giudicò di ravvisare qui una infrazione della legge sulle pubbliche lotterie, e la questione è tuttora vertente. Dal canto mio, volendo ora dare il dovuto segno [1154] di gratitudine a' miei benefattori, ho deliberato di mettere la somma di fr. 4000 in luogo del dipinto, tuttora sequestrato, e così procedere all'estrazione dei premi, ossia dei regali, che riuscirono secondo l'ordine dei numeri qui dietro descritti.
Chi fosse stato favorito dalla sorte mandi la relativa cartolina con qualche mezzo sicuro e gli verrà tosto inviato il regalo toccatogli in sorte.
Mentre compio questo mio dovere, porgo di tutto cuore i più vivi ringraziamenti a tutti i benemeriti oblatori, assicurandoli che non mancherò coi giovanetti beneficati di invocare sopra di loro le benedizioni del Cielo con augurio di sanità stabile e di vita felice.
Con verace stima ho l'onore di potermi professare,
Numero primo estratto cui toccò il dipinto in cambio del quale è sostituita la somma di fr. 4000] Serie C. - N° 3841.
Numeri estratti vincitori di un premio di fr. 100 caduno.
Serie A. |
Serie B. |
Serie C. |
Serie D. |
Serie E. |
1607 |
1965 |
2052 |
1722 |
23 |
1926 |
3444 |
3224 |
1269 |
703 |
5869 |
2144 |
2333 |
4077 |
1181 |
3992 |
2895 |
4646 |
4255 |
260 |
7336 |
1652 |
2935 |
2705 |
4278 |
672 |
4082 |
6738 |
5029 |
752 |
La Corte d'Appello, con sentenza del 16 febbraio 1875, riduceva la pena pecuniaria e confermava il sequestro del quadro; e allora Don Bosco, per il tramite dell'Avv. Vincenzo Demaria, ricorreva al Re, implorando il condono della pena.
A S. S. R. Maestà Vittorio Emanuele II Re d'Italia.
Il Sacerdote Cav.re D. Giovanni Bosco venne con sentenza della Corte d'Appello di Torino, portante la data del 16 Febbraio ultimo scorso, condannato ad una grave pena pecuniaria per contravvenzione alla Legge nelle lotterie pubbliche. [1155] Egli, come Fondatore e Rettore dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, eretto nella detta città, dovendo nella stagione invernale del 1872 - 73 (dolorosamente memoranda per le straordinarie pubbliche strettezze) provvedere a più di 800 giovani bisognosi, raccolti nel nominato pio Istituto, si rivolse alla carità cittadina, implorando il concorso pecuniario ed elemosina delle persone benefiche per quell'opera di aiuto a giovanetti poveri ed abbandonati; ma avendo esso aderito ed effettuato il desiderio di parecchi caritatevoli cittadini, che offersero alcuni premi da vincersi a sorte (a titolo d'attestato di riconoscenza) da quelli che si facessero oblatori d'una quota determinata, la pubblica autorità credette di ravvisare in questo operato una violazione del precetto legislativo che proibisce le lotterie pubbliche, e mosse il processo che poi venne chiuso colla condanna sopra accennata.
Il Sacerdote D. Giovanni Bosco rispettoso s'inchina al voto dell'autorità giudiziaria, ma egli non crede di ingannarsi affermando come lo stesso Magistrato, da cui venne inflitta la pena, abbia giudicato conveniente e desiderabile, nelle specialissime circostanze del caso concreto, che il senso duro ed inesorabile della legge venisse mitigato da quel Supremo Potere Sociale davanti al cui benefico arbitrio cede anche il rigore delle condanne penali.
Infatti, nella stessa sentenza che colpiva il Sacerdote D. Giovanni Bosco si legge, fra i suoi molti considerandi, „non poter dubitarsi che il fine propostosi dal Cav.re Don Bosco era quanto mai lodevole”: ... „che lo stesso fine a cui con quella lotteria tendeva, era degno di encomio”: ... o che però la buona fede non vale ad esimerlo dalla pena, bastando il fatto materiale a stabilire la contravvenzione”.
Non poteva certamente il Magistrato indicare in modo più aperto come egli, costretto dalla inesorabilità della legge a punire, trovasse però nell'intimo della sua coscienza ripugnante la penale sanzione alla intrinseca lodevolezza del fatto imputato.
La nobile prerogativa di riparare ed impedire le conseguenze talvolta eccessive, talvolta anche ingiuste, a cui la legge penale colle sue generiche, rigorose prescrizioni può condurre, è affidata alla Augusta Maestà Vostra, e, sotto il nome di diritto di grazia, forma una delle più belle gemme della Reale Corona.
Perciò al Vostro Alto Senno ed al Vostro Magnanimo Cuore ricorre, o Sire, il Cav.re Sac. Don Giovanni Bosco, implorando il condono della inflittagli pena pecuniaria.
Egli questa grazia non invoca per sè, ma per i miseri giovanetti ai quali ha assunto l'incarico di provvedere, e su cui soltanto verrebbero a cadere le dolorose conseguenze della condanna.
Accogliendo la umile preghiera di chi mirò soltanto (e ciò affermarono gli stessi Magistrati) ad un'opera di pietà, Voi vi assocerete [1156] validamente a quest'opera, Voi renderete possibile l'effettuazione d'un pensiero di beneficenza, su voi e sulla Vostra Reale Famiglia si riverseranno le benedizioni di mille giovanetti soccorsi nei loro bisogni, consolati nelle loro miserie.
Il Re concesse la grazia, e il decreto della condonazione giunse a Torino il giorno che partivano per la Repubblica Argentina i primi nostri Missionari, l’11 novembre 1875.
Contemporaneamente all'accennato contrasto, venne a sorgere un altro pasticcio che diede al povero Don Bosco non lieve disturbo, mentre avrebbe dovuto averne un prezioso aiuto.
Il 27 marzo era morto in Torino, in età di 65 anni, il Teol. Felice Golzio, da Don Bosco tenuto in tanta stima, che, dopo la morte di Don Cafasso, l'aveva scelto per suo direttore spirituale. Anche il Teologo amava tanto Don Bosco, ed egli pure si confessava da lui, e, a voce e per testamento aveva istituita sua erede universale e fiduciaria la sorella Eurosia Golzio, consorte del colonnello Clodoveo Monti, deputato al Parlamento, affinchè i pochi proventi dei suoi risparmi fossero esclusivamente diretti a redimere dal servizio militare i chierici di Don Bosco.
Costei, appena fu informata delle gravi condizioni del fratello, non tardò a recarsi da Roma a Torino, ma giunse dopo che era spirato. All'indomani Don Giuseppe Begliati, economo e vice - rettore del Convitto, si recò a chiederle quali funebri onoranze intendeva che venissero rese all'estinto, perchè, aperti il serracarte e il cassettone della sua stanza, non avevan trovato nè testamento, nè valori. La signora restò stupita a tal dichiarazione, sapendo che nello scrigno del defunto, oltre il testamento olografo, v'erano alcuni valori i quali consistevano in due titoli del Debito Pubblico della rendita di L. 50 caduno, più un pacco di altre cartelle del reddito di L. 500, altre carte valori, e danari: nonché [1157] un registro delle spese e riscossioni, e le carte per far valere un suo credito di L. 15 mila verso i cugini germani, e i documenti e le scritture atte a ripetere dai medesimi gli interessi e il capitale rappresentante il patrimonio ecclesiastico del defunto, e del già premorto fratello Teologo Agostino, e finalmente la corrispondenza di famiglia.
Sorpreso Don Begliati a quell'esposizione, l'assicurò che si sarebbero fatte le opportune ricerche per rinvenire quanto giustamente le spettava, aggiungendo che trovandosi Don Bosco a Roma, il sacerdote che assistette il Rettore negli ultimi giorni aveva rovistato „nei tiretti, asportando per due volte involti di carte”.
È facile immaginare il rammarico della signora, che pensava di far ricorso ai tribunali, ma l'Abate Botto conte di di Rovre, venerando sacerdote ottuagenario, suo consigliere e confessore sin dall'infanzia, l'induceva a far uso della massima cautela “evitando di ricorrere ai mezzi più espeditivi, affine di evitare clamori scandalosi”; e così fece, ma senz'alcun risultato. Ella ne dava comunicazione a Don Bosco, „non senza mortificazione”; e “dolente sempre che altri” si fosse “colpevolmente arbitrato di sostituire la sua alla veneranda volontà del testatore”, concludeva:
Se la S. V. crederà opportuno, siccome lo spero, per tranquillità della mia coscienza, di praticare le opportune indagini per dipanare quest'arruffata matassa e di tenere gli opportuni concerti col Sig. D. Begliati, le sarò tenutissima, certa che il fratello dal Paradiso benedirà le sue premure; altrimenti avvenga che può, e la responsabilità cui tocca. Iddio giudicherà! Solo desidero, dove si riesca nell'intento, che le carte di famiglia, che pure non furono risparmiate, mi siano rimesse, come altresì il conto particolare dello stesso mio fratello, non dovendo tali documenti uscire dalle mani dei parenti.
Ed univa la nota di quanto il fratello possedeva, che, a tenore del testamento e delle sue dichiarazioni verbali, doveva esser tutto consegnato pel riscatto dei chierici accennati.
Prima di partire, si recò due volte all'Oratorio per esporre a Don Bosco come lasciava le cose; ed essendo egli assente, appena tornata a Roma, gli scriveva: [1158] Consultato per questo incidente l'egregio Abate Botto, mio confessore fin dall'infanzia, mi consigliò, che ove ora non potessi venir a capo di rinvenire quelle carte e valori, a non rivolgermi ai Tribunali e intentare un processo che sarebbe stato clamoroso, oltre allo scandalo derivante dai giornali, che ne avrebbero fatto argomento di articoli risalenti a grave detrimento del Sacerdozio.
Di buon grado mi sono uniformata a questi sanissimi suggerimenti, e tanto più che il benevolo Abate mi suggeriva di tentare con prudenza bensì, ma colla perseveranza, a mandare compiuta la volontà del testatore. Egli è perciò che mi addusse a ritentare la prova presso il prefato sig. D. Begliati, ed a seguito d'incalzanti premure, e della riprodotta conoscenza di quanto possedeva il suo Superiore, ebbe a dichiarare che le carte, e danaro, consistente quest'ultimo in due distinti involti l'uno di 25 marenghi col motto mio obolo al Santo Padre: e l'altro di 15, come sopra, e la scritta a Pio Nono, furono consegnati a S. E. Monsignore Arcivescovo a seguito degli ordini suoi, ed anche il conto, parecchie carte di famiglia, la carta d'obbligo dei miei cugini, la corrispondenza coi medesimi. Veramente fui trasecolata. Che fare in tale stato di cose? Mi feci ardita e mi presentai all'Ecclesiastico Superiore. Prendendo argomento dalla riconoscenza da me dovutagli per la sua sollecitudine nel visitare di frequente il defunto fratello, ne lo richiesi timidamente su quanto dimise morendo. Al che mi rispose non essersi rinvenuto niente.
Confusa per le contradditorie dichiarazioni del D. Begliati con quelle di Monsignore, mi proposi di interpellare il primo circa quelle discordi asseveranze. Per somma sventura il giorno prima lo stesso Sacerdote, colto da insulto apoplettico che gli tolse l'uso della parola, all'indomani morì, ed io mi sono restituita in Roma. Mi scrisse pochi dì fa la nipote che il Teologo Bertagna per deliberazione di Monsignore Arcivescovo mandava a casa mia le due cartelle di lire 50 caduna con che l'una mi ritenessi, e l'altra fosse di spettanza delle sei nipoti, figlie dell'estinta mia sorella. Confesso che fui oltremodo meravigliata, e sia dell'invio ed assai più della strana distribuzione, non potendo persuadermi che altri possa in vita testare arbitrariamente a luogo di un defunto.
Consideri, Rev.mo sig. D. Bosco, che per la sparizione di quel testamento non posso ripetere la predetta somma di L. 15 mila di mia proprietà, e mi trovo nell'impossibilità di consegnarle tutto quanto lo stesso fratello intendeva che le fosse rimesso per lo scopo sovra espresso. Ma ciò che più mi punge e mi addolora, si è di essere privata della eredità dei sentimenti di venerazione e di ossequio verso la Santa Sede, che io seco lui condivido, e di non poter aver l'onore di deporre ai piedi di S. S. l'obolo che erale destinato, e impetrare la pontificale benedizione. Ora che Ella è pienamente informata di questo malaugurato incidente, a me null'altro rimane [1159] che porgerle, come le porgo, il bandolo di questa arrotolata matassa, perchè colla sua prudenza lo sciolga, e liberi la mia coscienza dall'oppressione in cui si trova per l'adempimento della volontà dell'amato Teologo mio. Comunque però, se non si rinviene il testamento io non posso per ora che restituirle la sola metà di ciò che io ebbi da Monsignore, mentre l'altra metà a tenore di legge è devoluta alle sei nipoti sovraenunciate, e Dio non voglia che alcun marito delle medesime si rivolga ai tribunali per ripetere quanto a tutte sarebbe dovuto.
Poco dopo gli mandava la cartella del reddito di 50 lire, che aveva ricevuto, mentre Don Bosco era ancora fuori di Torino. Tornato, egli le scriveva da Lanzo.
Per una lettera di premura ho dovuto partire in fretta per le Case della Liguria e là fermarmi qualche settimana. Sono in Lanzo e le dò conto delle cose nostre. Ho ricevuto la cartella della rendita di fr. 50, e di questo la ringrazio di tutto cuore. Fu tosto venduta ed usata pei bisogni più urgenti dei nostri giovanetti. In quanto alle altre cose fumino assai incagliati per la disgrazia avvenuta colla morte di D. Begliati. Con lui era già ogni cosa intesa. Ora, essendo già venuto il nuovo Rettore, ho parlato al medesimo, che m'assicurò di mettersi ben al corrente di ogni cosa, e poi ne avrebbe dato minuto ragguaglio, che mi farò premura di comunicarle.
La sig. sua Nipote nel darmi la mentovata cedola disse che fra breve mi avrebbe anche portato una somma di danaro da ricavarsi da altra cedola che doveva vendersi per essere poi diviso il prodotto: di ciò pure le darò conto.
Che terribile catastrofe sul convitto! in pochi mesi il prefetto di sacristia, l'economo, il Rettore sono tutti tre chiamati all'eternità, e speriamo a vita beata.
Intanto io prego Dio che conservi Lei, sig. Eurosia, conservi il suo sig. Marito, ad ambidue conceda sanità stabile, lunghi anni di vita felice col prezioso dono della perseveranza nel bene. Preghino anche Essi per me, e mi creda che colla più profonda gratitudine mi professo,
La signora Eurosia continuò ad insistere, anche per corrispondenza, per trovar la soluzione dell'arruffata matassa e il 25 maggio scriveva a Mons. Gastaldi: [1160] Il fu sig. D. Begliati, alcun giorno prima di morire e qualche giorno prima che ripartissi per Roma, affermava esso pure essersi rinvenuti nel tiretto in cui il povero mio fratello Teologo Felice teneva rinchiusi i suoi valori, due distinti rotoli, nell'uno dei quali si contenevano 15 marenghi e nell'altro 25 pure in oro coi motti al S. Padre nel primo, mio obolo a Pio Nono nel secondo; ed essere state tali monete consegnate all'Eccellenza V.
Desiderando io stessa adempiere alla pietosa volontà del caro estinto, siccome erede del fatto suo e dei sentimenti religiosi, che col medesimo condivisi verso la Santa Sede, prego perciò la Ecc. V. volermi per la posta ed al più tosto possibile far tenere i due succitati involti avendo io avuta promessa di essere ricevuta da Sua Santità.
Tre giorni dopo, il 28, le rispondeva il Teologo Chiuso.
S. E. Rev.ma Monsignor Arcivescovo mi incaricò di rispondere alla lettera di V. S. delli 25 corrente avvertendola che i 25 marenghi, lasciati dal fu suo ottimo fratello T. Felice Golzio pel S. Padre, furono immediatamente mandati a S. Santità per mezzo dell'Unità Cattolica ed annunziati in questo giornale sotto N. N. per tema che l'esattore dimandasse il diritto di successione. Gli altri 15 le saranno consegnati dallo spedizioniere Piatti con deduzione della spesa di spedizione in Lire 4, 55; epperciò la somma totale inviatale ascende a Marenghi 14 e Lire 15 ½ in argento, di cui la prego ad accusarmi ricevuta con suo comodo.
Acchiudo in questa la carta in cui i marenghi erano involti; dalla quale apparisce che questi marenghi sono forse un deposito affidato al T. Golzio, e che potrebbe comparire un dì o l'altro qualche persona a dimandarlo.
È però vero che nel rovescio della carta suddetta si leggono le parole S. Padre.
Senonchè il Colonnello Monti, dopo aver diligentemente esaminato tutti i numeri dell'Unità Cattolica, a partire dal giorno della morte del cognato, non trovò nulla e il 2 giugno scriveva a Mons. Fratejacci, unito a lui in intima amicizia, e già al corrente della faccenda.
Premendo alla stessa consorte ed a me pure che la veneranda volontà dell'ottimo mio cognato fu Teologo Felice Golzio sia religiosamente adempiuta, sono ricorso al giornale Unità Cattolica, a far capo dal 27 p. p. Marzo, epoca dolorosa della perdita di esso cognato, fino a tutto Aprile prossimo trascorso; non mi fu fatto di rinvenire che da Torino veruna persona pia abbia offerto al S. Padre lire 500; [1161] ma si ha di più; siccome l'obolo del suddetto cognato consisteva in numero 25 marenghi in oro, e che in quel frattempo tale moneta valeva in corso lire 23, 50 o meglio lire 23, 52, se quei marenghi si fossero convertiti in biglietti di banca, la offerta sarebbe ascesa a lire 587, 50 e non solo lire 500, a meno che le lire 87, 50 siansi calcolate per ispese di spedizione, lo che sarebbe veramente esorbitante. Se Monsig. Arcivescovo di Torino non si fosse così spensieratamente posto al possesso dell'eredità spettante a mia moglie, se non avesse a suo talento disposto di tutti i valori dimessi morendo dal caro estinto, si sarebbe evitato una serie di spiacevoli inconvenienti, avrebbero permesso che il danaro destinato a S. S. fosse stato rimesso nelle specie esistenti, e perfino la stessa mia consorte, ricuperate le scritture di ricognizione di un reddito suo particolare, sarebbe già stata in grado di ricuperare un mutuo di lire 15 m. e più. Ma come già ebbimo l'onore di significarle, ogni cosa è sparita, è sparito l'olografo testamento. Se la ci permetterà, all'ora solita della di Lei udienza, saremo domani a riverirla, e ringraziarla ulteriormente per le benevoli premure a nostro riguardo...
Monsignor Fratejacci, dopo aver „preso consiglio da Maria SS. recitando tre Ave Maria”, il giorno appresso si recava dall'Em.mo Card. Antonelli, e gli esponeva il caso minutamente, per sapere „a qual partito sarebbe conveniente appigliarsi nell'interesse dell'ottimo e santo sacerdote Don Bosco, senza ricorrere ai tribunali, con grave pericolo di tutti i commenti e le ingiurie della stampa”; e tornato a casa, scriveva alla signora Eurosia:
L’E.mo Antonelli ha udito attentamente tutto, e penetrato della giustissima causa della Sig.ra Eurosia e dell'interesse stesso di Don Bosco, e sopratutto della volontà rispettabile e sacra del defunto Sacerdote Teologo D. Felice Golzio, si è degnato di rispondermi con gentilissimi modi in questa sentenza:
“Se la Sig.a di cui mi parla vuol indirizzarmi una lettera per di lei mezzo, nella quale sia accluso un breve fatto informativo, da cui risulti: 1° che il defunto volle veramente che fosse consegnata a D. Bosco per la liberazione dalla leva dei suoi Chierici, la valuta in consolidato di circa Lire annue 1000; 2° Che le Cartelle del detto Consolidato esistevano veramente nella camera del defunto Teologo D. Felice, di buona memoria, nel momento della sua morte; 3° Che ora e le dette cartelle e ogni altra cosa del defunto come carte, danari ecc. sono in mano dell'Arcivescovo, o di chi per esso; 4° E che finalmente il lod. Arcivescovo, benchè più volte invitato, si ricusa di consegnare la detta valuta, e le carte od altro alla signora Eurosia, [1162] a D. Bosco, e a chi altro di ragione; io volentieri, dice l'E.mo, con tutti i riguardi dovuti, spedirò subito questa con accompagno di altra mia lettera all'incaricato dalla S. Sede assistente nella già Nunziatura di Torino, affinchè si presenti all'Arcivescovo in mio nome e l'obblighi officiosamente a darmi discarico di tutto. Questa, lo credo, può essere la via più corta, più diretta e più anche conveniente ed efficace, per ottenere ciò che sì ha di mira. Mi piacerebbe, ha soggiunto l’E.mo, che questa Signora mi facesse travedere nella lettera che ha molto rispetto alla dignità di Mons. Arcivescovo, e che perciò non ha voluto fin qui ricorrere ai tribunali, ma che non dicesse di desistere affatto da questa volontà, ond'io possa nella mia lettera premere più forte su questo punto, e far sì che l'Arcivescovo si arrenda volontariamente e docilmente al suo dovere”.
La signora fece la dettagliata esposizione, Monsignore la presentò al Cardinale, e questi con tutta delicatezza inoltrava una requisitoria a Mons. Gastaldi ...; e il 25 ottobre 1873 Mons. Fratejacci scriveva a Don Bosco:
Il noto Mons. Arc.vo che Ella ben conosce, dopo lungo tempo rispose puntualmente alla requisitoria affabre elaborata del lod.° Em.mo, sopra tutti i particolari che precedettero accompagnarono e seguirono il decesso dell'ottimo fu Teol. Golzio. Però sostenne, che, con tutte le diligenze usate, niun testamento si è trovato da cui giuridicamente potesse rilevarsi la volontà del defunto. Che perciò fu sua cura di fermare e conservar tutto per gli credi. Che in quanto ai pacchi di denaro indicatigli dall'Eminentissimo nella sua lettera, siccome realmente appariva in essi a chi il defunto avevali destinati, uno fu con quindici marenghi consegnato alla Signora Eurosia pel desiderio mostrato di volerlo essa stessa umiliare al piedi del S. Padre, l'altro era stato già, a piccole frazioni e senza esternare il nome, inviato egualmente al S. Padre, col mezzo dell'Unità Cattolica. Asserì oltracciò lo stesso Prelato che in quanto alle cartelle consolidate, esistenti fra le carte del defunto, erano già state per sua cura fedelmente consegnate ad una ad una delle parenti cui spetta l'eredità in comune cogli altri. Che infine per parte sua era stato esaurito ogni dovere, ogni diligenza ed ogni riguardo verso tutti gli interessati, e che null'altro gli restava da dire nè da fare. Tale in breve fu la risposta del detto prelato al Card. Antonelli. Qui però non debbo tacerle che il detto Prelato dopo la suespressa risposta ad rem, aggiunge al Cardinale che più volte per parte della Signora Eurosia ha ricevute tante e ripetute richieste e dichiarazioni da divenire ormai moleste, e che, quel che più gli doleva, si era per anche infastidito per questo affare il S. Padre e l'Eminenza Sua. Nè basta, ma nel chiuder della lettera esce il detto Prelato in questa [1163] sentenza: Io non ignoro, Eminentissimo, che anche il capo o Superiore d'un pio stabilimento di Torino sta in mezzo a questa faccenda e va incoraggiando gl'intendimenti stravolti di chi cerca d'inquietare ed offendere l'autorità e rappresentanza sacra dell'Arcivescovo.
Può ella credere a me, carissimo D. Bosco, che queste lamentanze del Prelato scrittore di questa lettera non fecero nè caldo nè freddo nell'animo del Cardinale, perchè ben prevenuto su tutto, e che furono a me materia di nuovi e concludenti commenti per far rilevare gli arbitrii, le imprudenze e i passi falsi che si fanno da quel Monsignore, compromettenti davvero la sua rappresentanza, che dovrebbe meglio onorarsi.
Il Cardinale fu dispiacentissimo di questo risultato. Tanto era il desiderio che lo animava a poter concludere colla sua mediazione, certo autorevolissima, qualche cosa di meglio a favore dell'ottima Signora Eurosia, e molto anche più a favore del suo Oratorio di San Francesco di Sales. Ma fissato una volta il punto, sostenuto risolutamente dall'Arcivescovo, che testamento alcuno non esiste, actum est de Sejano, perchè, come ben osservava il Cardinale, difetta il punto di partenza e manca l'asse in cui avvolgonsi tutti i diritti che volevansi dalla signora Eurosia giustamente rivendicare. In un giudizio controverso avrebbe potuto (in causa semplicemente indiziaria come è questa) ricorrersi all'espediente d'un giuramento, se pure si sarebbe ammesso, trattandosi d'un personaggio che ha e deve riscuotere in favor suo ogni presunzione di verità quando parla, ed asserisce, o nega. Ma in una interpellanza quasi confidenziale come quella fattasi dal Card. Antonelli, qual altro rimedio restava dopo la ferma e costante ed aperta asserzione fatta dal prelato che niun testamento fu trovato, che niun testamento esiste, e che altronde quanto esisteva di pertinenza del defunto tutto è stato consegnato a chi ha diritto alla di lui eredità?
Diceva il Cardinale, benchè internamente mi si mostrasse persuaso del contrario, che bisogna darsi per vinti e sopportar tutto in pace, rassegnandosi anche in questo alla volontà di Dio, che così ha permesso.
Eccole, caris.mo mio D. Bosco, il resoconto generale di tutta questa pendenza, per la quale due volte tornai dall'Em.mo Antonelli, oltre i tre altri precedenti colloquii prima ch'egli scrivesse la lettera che scrisse a Torino. Il mio dispiacere per la non riuscita di questo negozio fu massimo, ma restò in gran parte mitigato da quanto io dissi e fu risposto da sua Em.za pel conto di D. Bosco e della sua fondazione.
Può ella essere ben sicura, che se fosse dipeso da sua Eminenza, i denari del defunto sarebbero già tutti in sue mani per valersene a beneficio di cotesta sua santa istituzione. Può anche ella esser certa che il procedere di quel Prelato non piace, e che a suo tempo qui [1164] sapranno giudicarlo come si dee. Per ora conviene soggiacere al peso dei tempi e delle circostanze da cui siamo menati. Ma niuna cosa dura sempre quaggiù, perchè tutto è finito, e più angusti anche sono i termini che ricingono la prepotenza e l'ingiustizia! Qui dunque a proposito quel di Virgilio: Durate et rebus vosmet servate secundis...
Senonchè cominciarono a vagolare delle dicerie intorno a cotesta contestazione, ed alla signora Monti venne inoltrata la proposta di vendere le sue ragioni sulla contestata eredità, colla cessione di tutte le carte relative che ella possedeva, per continuar le pratiche e farne una gazzarra sui giornali.
Ma Don Bosco tornava a pregarla di desistere da ogni pretesa ulteriore “volendo egli ad ogni costo che non si arrechi molestia al suo Superiore Ecclesiastico”.
E la signora Monti concludeva:
“Troppo rispetto i sentimenti religiosi del pio sacerdote per non arrendermi ai suoi desideri. Dio solo pronuncerà l'inappellabile sentenza”.
Ma gli anticlericali non tennero chiusa la bocca, e il turpe periodico, intitolato la Pulce, sorto nell'ottobre 1874, nel N° del 21 gennaio 1875 faceva delle vicende dell'eredità del Teol. Colzio un racconto dettagliato, firmato Domenico Pagani, cui la redazione aggiungeva questa nota:
“Caro signor Pagani, siete un ominone: i dati sono preziosi; continuate a mandare bocconcini e la Pulce vi ringrazia dal fondo del cuore”.
E Don Bosco, sempre, cercò di troncare il chiasso della stampa a discredito dell'Arcivescovo, anche a costo di sacrifizi pecuniari!
Quell'anno il nostro amatissimo Padre ebbe altri gravi fastidi, ma nessuno riuscì a fargli perdere la calma, la serenità e l'amabilità abituale, nè la prontezza con cui si teneva in cordiale relazione con quanti ricorrevano a lui.
Conviene quindi fermarci un po', attenendoci più che ci sarà possibile all'ordine cronologico, ad esporre le lettere che ci son rimaste delle tante che soleva scrivere quotidianamente, essendo anch'esse un'interessante documentazione del [1165] suo spirito, ognor guidato dalla fede, dalla speranza e dalla carità più sublime verso Dio e verso il prossimo.
Gli erano stati chiesti degli oggetti per fare una piccola lotteria, ed egli scriveva alla signorina Lorenzina Mazè de la Roche, o a chi per essa, in Via Giulio 20 - 4, Torino.
Il prevosto di Garessio col Teologo Commendator Randone vorrebbe fare acquisto di oggetti per preparare una lotteria. Se ve ne fossero ancora della nostra antica, li comprerebbero. Fa' come giudichi meglio, ma aiutali come puoi.
Fatti coraggio; saluta Maman, e Dio vi benedica tutti.
Da Milano, la signora Eugenia Radice Marietti Fossati gli mandava un'offerta, in ringraziamento a Maria Ausiliatrice per la guarigione d'una figliuola, e in pari tempo gli comunicava la morte del suocero, ed egli:
Ringrazio di tutto cuore V. S. B. e con Lei ringrazio il sig. suo Marito della somma di fr. 200 che inviano pel decoro della chiesa di Maria A. e per ringraziare questa buona Madre della guarigione ridonata alla loro figlia. Ho piena fiducia che la grazia sarà compiuta; ad ogni modo continuerò a fare una menzione speciale ogni giorno nella Santa Messa, mentre i nostri fanciulli pregheranno meco all'altare di Maria A.
Pur troppo mi era già stata notificata la dolorosa perdita del compianto suo Suocero, ed abbiamo tosto fatto speciali preghiere pel riposo eterno dell'anima sua. Credo che non dobbiamo avere alcun timore della sua salvezza, poichè la vita cristiana da lui costantemente tenuta ce ne porge ampia garanzia.
La ringrazio degli auguri che mi fa, e prego Dio che li centuplichi sopra di Lei e sopra tutta la sua famiglia.
Se ha occasione di vedere la sig. Luigia sua Cognata, la prego di riverirla da parte mia.
Con profonda gratitudine ho l'onore di potermi professare
La stessa gli inviava un'altra offerta, ed egli l'assicurava che, continuando ad aiutarlo colla carità, il Signore le avrebbe aumentato le grazie.
Ho ricevuto fr. 25 che V. S. caritatevole offre per la chiesa di Maria Ausiliatrice. Io la ringrazio e la Santa Vergine penserà a pagarla con quella moneta che non va soggetta a diminuzione.
Dal canto mio non mancherò di pregare e fare anche pregare i miei poveri giovanetti all'Altare di Maria specialmente pe' suoi bambini e spero Dio vorrà conservarli a sua consolazione e ad essere buoni cristiani nell'umana società in questi tempi cotanto depravati.
Ella continui ad aiutarmi colla sua carità e noi continueremo anzi aumenteremo le preghiere, mentre Dio dal cielo aumenterà eziandio il numero delle sue grazie.
Il Signore conceda ogni bene a Lei e a tutta la sua famiglia; e preghi per me che congratulandomi sono in G. C.
Poco dopo le cadeva ammalato un figliuolo, ed egli l'assicurava che il Signore l'avrebbe pienamente guarito.
Abbiamo subito cominciato un triduo di apposite preghiere all'Altare di Maria A. pel suo bambino e continuiamo. Speriamo che Dio ci concederà la grazia. Anzi spero che a quest'ora sia stata pienamente concessa.
Sono in ritardo a riscontrare, perchè ero assente, ma le preghiere si cominciarono subito dopo la ricevuta dalla sua famiglia.
Dio benedica Lei, suo Marito, e tutta la sua famiglia; preghi anche per la povera anima mia, che mi professo della S. V. B.,
In giugno le cadeva ammalata una bambina; e Don Bosco disponeva che per nove giorni si dèsse la benedizione, pregando per lei. [1167]
Mi rincresce che la sua Bambina si trovi alquanto ammalata. Non si inquieti però: abbia soltanto fede nella potenza di Maria. Abbiam stabilito una novena che comincerà questa sera all'Altare di Maria A. Daremo ogni sera la benedizione del SS.mo con particolari preghiere. Dio benedica Lei e tutta la sua famiglia; preghi anche per la povera anima mia, e mi creda in G. C.
PS. - La prego di fare i miei rispettosi ossequi alla Sig. L. Vittadini avendone occasione.
Una pia e fervente signora romana, Matilde Sigismondi, sposa di Alessandro, maggiordomo o amministratore della casa delle Nobili Oblate di Tor de' Specchi, e quindi in intime relazioni con Madre Galeffi, Presidente delle Nobili Oblate - che l'ebbe poi ospite in casa sua nei tre mesi e mezzo che fu a Roma nel 1874 - soffrendo di palpitazione affannosa, èrasi raccomandata alle sue preghiere, e Don Bosco l'aveva invitata a ripetere ogni giorno, fino a Pasqua, i tre Pater e le tre Salve Regina, che soleva consigliare per ottener grazie da Maria SS. Ausiliatrice. La signora obbedì, e il 13 aprile, gli scriveva che si sentiva un po' meglio, ma non era ancor libera totalmente dalla palpitazione che la tormentava per ogni piccola cosa, e che era stata meglio soltanto il giorno di S. Giuseppe come Don Bosco l'aveva assicurata, ed egli le rispondeva:
Vi sono certe grazie, che Dio suole concedere, ma vuole che sieno frutto di continuate preghiere. Io credo che noi siamo in questo caso.
Noi pertanto continueremo a pregare. Ella pure prosegua nelle preghiere stabilite, ma con fede, e ne avremo la sospirata mercede.
Quando non fa cattivo tempo, faccia ogni giorno una breve passeggiata a piedi; non trovo alcun inconveniente.
Favorisca di dire alla Madre Presidente, che se ha biglietti di [1168] Lotteria senza scopo ce li mandi, giacchè l'estrazione è differita di qualche giorno. La riverisca tanto da parte mia.
Dio benedica Lei, il sig. Marito, e ad ambedue conceda ogni bene e mi creda in G. C.,
Il mese dopo la pia signora gl'inviava un'offerta per l'ottenuto miglioramento progressivo, ed egli, nel ringraziarla, la pregava di dire alla Madre Superiora delle Nobili Oblate che stesse tranquilla, perchè la loro casa non avrebbe avuto la sorte di tante altre case religiose, che venivano continuamente incamerate.
Ho ricevuto la sua lettera e la limosina di fr. 50 che Ella fa a questi poveri giovanetti. La ringrazio di cuore. Mi rallegro grandemente che la sua sanità vada migliorando. Faccia coraggio; fede e preghiera. Noi continueremo anche a pregare.
Se non le cagiona troppo disturbo, dica alla Madre Presidente che stia allegra, che tema niente; il demonio vuol darle una zampata, ma la Madonna con un colpo della sua verga di ferro lo spezzerà. Noi qui pregheremo per lei.
Tanti ossequi al sig. Marito. Dio li benedica ambidue e li conservi sempre in sanità ed in grazia sua; preghi anche per la povera anima mia e mi creda con gratitudine,
Sempre in cordiali relazioni con Mons. De Gaudenzi, Vescovo di Vigevano, mentre lo teneva al corrente dei suoi fastidi, non mancava di dargli notizie di un nipotino, allievo del Collegio di Lanzo.
Avevo vivo desiderio di accompagnare il P. Belasio a Vigevano, ma un affare di premura mi fece partire per la Liguria; nemmeno al ritorno potei costì recarmi. Pure ho piacere e bisogno di parlarle di molte cose. O in un modo, o in altro, spero di andarci fra breve, si Dominus dederit.
La risposta del Ministero indica quanto valgono le promesse degli uomini. [1169] Sono a Lanzo; ho veduto e parlato con suo nipote. Di sanità sta benissimo. I Superiori sperano ritrarne quel frutto che Ella desidera; cioè farne un buon cristiano. Gli mandi una particolare benedizione.
Ho gran bisogno che preghi per me, che con profonda venerazione e gratitudine mi professo,
In quei giorni, gravi affari l'avevano costretto a recarsi in Liguria, e ne approfittava per compiere la visita a varie case. Tornato a Torino aveva nuove dichiarazioni autoritarie dell'Arcivescovo, ed egli, come si disse, si recava al Collegio di Borgo S. Martino a passarvi tre giorni in sacro ritiro, e rientrava nell'Oratorio per la novena e la solennità di Maria Ausiliatrice, diramandone il programma anche in forma di circolare[226].
Questa solennità era per lui la più bella occasione per dimostrare la sua riconoscenza ai benefattori.
Scriveva alla Contessa Uguccioni:
Non so se in quest'anno avremo il piacere di avere con noi la nostra buona Mamma. Ad ogni buon conto nel corso di questa novena ho stabilito particolari preghiere per lei, per il Sig.r Tommaso e tutta la famiglia, specialmente per l'ammalata. Ho notato che il miglioramento di essa continua e ne ho benedetto Iddio.
Mi raccomando poi caldamente che, in caso di una sua visita, mi prevenga con due linee. Tutta la nostra numerosa famiglia di circa 6600 giovanetti augura loro ogni celeste benedizione ed io più di tutti obbligato, li benedico di cuore, mentre raccomando la povera anima mia alle loro preghiere, e mi professo colla più profonda gratitudine della S. V.,
Abitualmente, di quei giorni invitava varie nobili famiglie a pranzo e in fine offriva loro le prime fragole che gli giungevano da Borgo S. Martino. [1170]
Al Conte Comm. Francesco Viancino di Viancino mandava quest'invito:
Dimani alcuni amici di Lei conoscenti vengono all'Oratorio a mangiare le fragole di S. Martino. La famiglia Fassati, Contessa Callori priora, Cont. Corsi, Barone Bianco sarebbero i commensali. Comune desiderio sarebbe che V. S. Car.ma colla Sig. di Lei moglie favorissero di intervenire. Che ne dice, Sig. Conte? L'ora sarebbe alle dodici e mezzo. Niente di suggestione, nè pel luogo, nè per le persone che intervengono.
Spero che in onore di Maria vorranno darsi questo disturbo, ed intanto prego Dio che ad ambidue conceda ogni bene, mentre ho l'onore di potermi professare con gratitudine
Il 24 volle a mensa nell'Oratorio altri benefattori, per mostrar ad essi la sua riconoscenza e tener viva nel loro cuor la fiamma della carità.
Il P. Secondo Franco della Compagnia di Gesù aveva accettato di predicare la novena in forma di esercizi spirituali, come quando si dànno le Missioni, per arrecare, diceva l'Unità Cattolica, il miglior vantaggio spirituale.
Il 24 venne eseguita la grandiosa messa a piena orchestra del Maestro De - Vecchi; e la sera, dopo i vespri, si cantò l'antifona Sancta Maria, di Don Cagliero, a tre cori distinti, come il Tu es Petrus eseguitosi a Roma nel 1867.
Il 25, domenica, si ripeterono le funzioni solenni, ricorrendo il VII Centenario della morte di S. Gregorio VII, per cui si compì anche un sacro triduo in preparazione al pellegrinaggio stabilito al Santuario d'Oropa, al quale presero parte più di ottomila persone.
Per rendere più lieta la festa, nelle ore libere dalle sacre funzioni, dal 23, al 25 si ripetè nel cortile dell'Oratorio, tra concerti musicali, una piccola fiera a benefizio della chiesa e dell'Istituto. [1171] Il 24 avvenne un fatto singolare, pubblicato da Don Bosco medesimo nelle Letture Cattoliche[227], nella forma che gli era abituale, cioè unicamente per dar gloria a Maria Ausiliatrice, tenendo nascosto se stesso.
“Il 24 maggio dell'anno 1873 nel giorno preciso della solennità di Maria Ausiliatrice, un giovane ufficiale presentavasi al direttore dell'Oratorio, e col volto straziato dal dolore e colle parole tronche dalle lagrime gli esponeva come avesse la moglie in casa ridotta in fin di vita da cruda e lunga malattia, scongiurandolo quanto più poteva e sapeva perchè gli volesse ottenere da Dio la grazia che sua moglie risanasse.
Il direttore gli rivolse parole di compatimento e di conforto e traendo partito delle buone disposizioni in cui si trovava in quel momento il cuore dell'uffiziale, lo persuase ad inginocchiarsi seco e recitare alcune preghiere a Maria Ausiliatrice per la salute della moribonda, dopo di che lo congedò.
Era scorsa appena un'ora e l'uffiziale faceva ritorno a passi frettolosi, ma tutto raggiante in volto. Gli si fa presente che in quel punto il direttore si trova in mezzo ai pii benefattori della casa, radunati in occasione della solennità, che non è possibile parlargli...
- Ditegli il mio nome, rispose l'uffiziale, che ho assoluto bisogno di dirgli una sola parola.
Il direttore, saputo che era domandato con tanta insistenza, si recò dall'ufficiale. Non sì tosto questi il vide, commosso dalla gioia e raggiante di giubilo gli disse:
- Appena uscito di qui io era corso a casa: oh! prodigio, mia moglie ch'io aveva lasciata morente in letto, d'un tratto sentitasi cessare i dolori e ritornare le forze, aveva chiesto le sue vesti, e quando entrai mi venne incontro debole sì, ma affatto guarita.
E continuando a raccontare l'emozione provata, tratto fuori un ricco braccialetto d'oro: “Questo, disse, è il regalo di nozze ch'io aveva fatto a mia moglie, ambidue l'offriamo [1172] ora di tutto cuore a Maria Ausiliatrice, da cui riconosciamo questa insperata guarigione”.
Il direttore rientrava pochi minuti appresso nella stanza dov'erano radunati i benefattori e mostrando loro il braccialetto, disse loro: “Ecco un segno di gratitudine per grazia ottenuta quest'oggi stesso ad intercessione di Maria Ausiliatrice, di cui celebriamo la solennità!”...
Quel giorno il Signore cominciò a dargli particolari illustrazioni per il bene della Chiesa e delle Nazioni, che si ripeterono il 24 giugno, come risulta dall'esposizione che ne fece col titolo „24 maggio 1873 - 24 giugno 1873”, e dalla lettera inviata all'Imperatore d'Austria[228].
Sempre gravi erano invece le condizioni finanziarie.
“Le nostre povere finanze”, scriveva a Madre Galeffi, Presidente delle Nobili Oblate di Tor de' Specchi, sono “totalmente esauste”, e contemporaneamente le dava ragguaglio di due sacerdoti genovesi, uno di cuor grande, che lasciò all'Opera Salesiana la sua eredità, e l'altro di carattere bizzarro, una vera “testa vulcanica”, che poi prese e riuscì a contestarla! ...
Ho ricevuto li fr. 600 che mi ha inviato per la posta e giunsero in tempo opportunissimo; giacchè avevamo le nostre povere finanze totalmente esauste. Sia tutto alla maggior gloria di Dio ed a vantaggio materiale dei nostri ragazzi, a vantaggio morale delle Oblate di Torre de' Specchi.
Riguardo a quelle lettere del Ricchini di Genova ho subito inviato una lettera in proposito, ma quello aveva già fatto vedere la sua lettera ad un nostro prete, il quale, ignorandone l'importanza, declinò tosto il nome di chi l'aveva scritta, ma ciò non ha alcun tratto di conseguenza. Bisogna distinguere due preti Ricchini. Uno si chiama Angelo ed è di specchiata condotta. L'altro è Paolo di testa vulcanica. Io mi ero mischiato in questo affare quando ero a Roma, e mi sembrava che tutto fosse aggiustato, ma una lettera precipitata del Paolo, e la risposta non più fatta dalla Sig. Rosa Gattorno mandarono tutto al vento. Ora è tutto avanti ai tribunali, appunto con quegli scandali che io desiderava di evitare. [1173] Ella poi non si mischi in cosa alcuna, nè faccia risposta ad alcuno. Non sarebbe però fuori di proposito che ricevendo scritti di questo genere, li leggesse prima di consegnarli alle fiamme, perciocchè come Superiora di un Istituto in questi tempi è bene di sapere le cose che si dicono o che si fanno a nostro riguardo, o meglio che ci possono riguardare.
Ogni bene a Lei, Sig. Madre, a tutta la sua famiglia ed alla Sig. Beppina, e nel raccomandarmi alle preghiere di tutte mi professo in G. C.
Beppina, nipote del S. Padre, abitava colle Nobili Oblate, e quell'anno, da lei, dalla Marchesa Villarios, e da Madre Galeffi il 24 giugno veniva spedito all'Oratorio un vaglia telegrafico a sussidio dell'opera; e Don Bosco, ringraziando la Presidente - mentre la consigliava a fare tali invii per lettera assicurata, - la consigliava pure a mettere e a far mettere alle sue figlie una medaglia di Maria Ausiliatrice al collo e a recitare ogni giorno una Salve Regina, assicurandola che nessuna sarebbe colta dal colera, che in quei giorni infieriva in parecchi luoghi, e le tornava a ripetete di star tranquilla anche riguardo all'avvenire del religioso istituto, perchè non sarebbe stato soppresso.
Non so se la Sig. Amalia Graziani sia in Roma o no. Ella potrà saperlo; e qualora sia assente metta al suo indirizzo questa lettera, che ella attende.
I giornali parlano di casi di colèra avvenuti in Roma. Ella non si inquieti. Faccia mettere una medaglia al collo alle sue figlie, medaglia di Maria A., e poi introduca la recita di una Salve Regina ogni giorno fino a che cessi il pericolo, ed assicuri tutte le sue figlie che niuna sarà vittima, purchè speri in Maria.
Ho ricevuto il dispaccio da parte sua, dalla March. Villarios e Beppina. L'abbiamo ricevuto coi battimano e al suon di musica, e ne le ringrazio tutte della squisita cortesia.
Quando le occorre mandarci denaro, credo sia meglio servirsi di lettera assicurata, e in ciò il Sig. Sigismondi potrà aiutarci essendo molto pratico di cose postali. Così niuno sa i nostri affari.
Spero che Torre de' Specchi sarà tutt'ora tranquillo, ma se le [1174] accadesse anche qualche disturbo, non si inquieti, è una zampata del demonio, la quale non farà guasto.
Quando mi scrivesse, mi farebbe piacere darmi notizie della March. Villarios, Rosa Mercurelli, della sig. Maria Zaveria e di tutta la sua Casa. Dio le benedica tutte, preghino per me che con gratitudine le sono
PS. - Mi fu detto che la sig. Beppina si vuole fare santa a qualunque costo. È vero?
La vigilia di S. Giovanni, avendo appreso che la Contessa Callori era ammalata, le inviava un'immagine di Gesù Bambino... dicendole che tutti gli alunni avrebbero fatto l'indomani la S. Comunione per lei, ed egli si sarebbe recato a visitarla.
D. Durando mi dice che la mia buona Mamma è ammalata e mi rincresce assai. Mando Gesù Bambino a portarle la Santa Benedizione e perchè a parte ci parli, chè i nostri giovanetti dimani mattina faranno tutti la loro santa comunione per Lei.
Intanto se mercoledì a sera è ancora a casa andrò a farle una visita. Se poi partisse prima di quella sera abbia la bontà di dirmelo con una sola parola e ci andrei in qualche ora della giornata di domani.
Dio la benedica, mia buona Mamma, e con Lei benedica tutta la sua famiglia e mi creda con gratitudine
Non abbiamo particolari della festa di S. Giovanni, tranne alcuni componimenti che gli vennero letti o consegnati, uno dei quali, scritto da un giovane degli Oratori festivi, diceva così:
Senti, buon padre, anch'io quest'oggi appreso aveva un grazioso complimento; e per dirtelo ho corso come il vento, quando fui dal destin tradito, ... offeso; nel venir qui di mente l'ho perduto...
IO T’AMO!... questo solo ho ritenuto. [1175]
Abbiamo anche un inno, pubblicato per il suo onomastico, senza accenno all'anno in cui gli venne offerto; e lo riportiamo in appendice, ritenendolo del 1873[229].
Non ci pervenne, neppure, nessun accenno alla dichiarazione che aveva fatto l'anno prima, relativamente alle vicende della Chiesa: “In quest'anno [1872 - 73] avremo una lacrima e un sorriso”; ma possiam ritenere che volesse alludere alla soppressione delle case religiose della provincia di Roma, sancita con decreto reale, firmato a Torino il 19 giugno 1873, ed alla speranza del buon esito delle pratiche iniziate a favore delle Temporalità Vescovili; oppure alla salute vacillante del S. Padre, che, per le preghiere dei fedeli, si ristabilì pienamente.
Anche una poesia di Don Lemoyne, inedita, scritta non sappiamo in qual anno, termina così:
Un giorno dicesti che amara una lacrima e lieto un sorriso ci appresta il Signore; mi scese il tuo pianto bollente nel cuore, ma il giorno del gaudio, se apparve, qual fu?
Del caro mio padre la festa onomastica sia il giorno del gaudio promesso da Dio, il pianto si terga e il vivo desìo deh! compi di un figlio, pietoso Gesù
Essendo notorie le strettezze in cui si trovava, P. Oreglia della Compagnia di Gesù, colle debite licenze dei superiori, per attestargli la buona volontà di aiutarlo come e quanto poteva, gli rimetteva due legati, del Conte Cesare Arnaud di S. Salvatore e della Contessa sua madre, del valore complessivo di 900 lire con l'obbligo di celebrare 400 Messe.
Non pochi fastidi ebbe quell'anno anche per il Collegio di Borgo S. Martino, per parte dell'autorità scolastica, e per l'acquisto del fabbricato.
Il 3 giugno scriveva al Conte Augusto Gazelli: [1176]
Le mando qui unito un promemoria sull'errore di fatto che succedette nell'acquisto del palazzo dei Sig. Marchese Scarampi in Borgo S. Martino.
Nell'istrumento si parla di compra fatta in corpo e non a perizia ed a misura, ma nelle trattative che precedettero, accompagnarono e seguirono l'atto notarile, si è sempre detto e calcolato che quelle vòlte fossero di cotto e non plafone. Siccome errore non paga debito, così, pare doversi dire, errore non acquista credito. Senza colpa, senza consapevolezza delle parti fu venduta e comperata una merce non esistente; quindi dal fatto non vero non può dedursi una obligazione certa, quale sarebbe quella che dovessi pagare le vòlte che non esistono.
Non intendo di muovere o promuovere questioni di sorta: il venditore per mezzo del Conte Gazelli accettò il giudizio che avrebbero emesso V. S. Carissima ed il March. o meglio Cav. Clemente di Villanova, ed io accetto senza riserva il medesimo giudizio, che approvo preventivamente qualunque sia per essere. Credo che altrettanto farà l'altra parte, essendo stata tale la comune nostra intelligenza.
Noto solamente che quel contratto essendo stato veramente vantaggioso al venditore, e dall'altro canto essendo questa casa opera che vive di carità, spero che troverò accondiscendenza dalla parte venditrice.
Ella, intanto, abbia questa fra le molte opere di carità che va compiendo ed io pregherò Dio per lei affinchè le prepari il meritato premio nella patria dei Beati in cielo. Ben inteso che con Lei siavi anche la contessa di Lei moglie.
Mi raccomando che voglia Ella studiare il tempo più opportuno per parlare col prelodato Cav. Clemente e, se occorre qualche cosa dal canto mio, non ha che farmene parola.
Nel raccomandarmi alla carità delle sue sante preghiere mi professo con gratitudine,
PS. - Le unisco anche due lettere scambiate intorno al trasporto delle suppellettili del palazzo. L’incidente derivò che l'inventario fu fatto dopo la effettuazione della vendita dal solo venditore. Il medesimo suppellettile fu trasportato senza che il compratore sia in alcun modo intervenuto. Tanto l'inventario quanto il mentovato trasporto dovevano eseguirsi presenti i contraenti.
Ciò pure si rimette per intiero al buon giudizio del Sig. Cav. Clemente di Villanova. [1177] Il Conte gli restituiva la perizia, dicendogli che il Marchese di Villanova era disposto a fargli un'offerta dopo saldate le rate di pagamento ed esclusivamente a titolo di graziosità, ma non mai a titolo d'indennità, ed aggiungeva nettamente che l'accomodamento proposto sulla base di pagar la spesa del disfacimento di dette vòlte e della costruzione di altre era da lui ritenuto impossibile.
Per appianar le difficoltà coll'autorità scolastica, Don Bosco aveva parlato col Provveditore Rho, suo amico, il quale l'assicurava che per parte sua non avrebbe avuto alcun fastidio, ed egli ne dava comunicazione al direttore.
Ho parlato con Rho Provveditore d'Alessandria e ci siamo lasciati in buona armonia. Per non venire a discussione ho accettate le osservazioni per non ammettere l'approvazione alla supplica d'Albano; e mi diede le carte relative. Studierò in qual modo si possa provvedere.
Mi assicurò che fino a tanto che sarà esso in uffizio non avremo alcun disturbo. Mi accennò alla probabilità di una visita, per osservare se forse i letti non sono troppo vicini; ciò disse in confidenza, sebbene il consiglio scolastico non abbia ancora fatto alcuna proposta. Mi notò che fu provocata una visita al collegio municipale di Acqui per motivo d'immoralità fra gli allievi: - Fa' in modo, mi disse, che gli allievi dal proprio letto non possano mettersi le mani addosso.
Mi aggiunse come egli trovasi con gente senza principii religiosi e che avrebbero molto piacere se potessero comprometterlo.
Delle altre cose ci parleremo.
Spero che avrai messe in pratica tutte le cose che ho pubblicamente raccomandate, soprattutto il totale affidamento della disciplina al Prefetto.
Dio ci benedica tutti e credimi in G. C.
Il Sindaco Zavattaro gli aveva comunicato che il Marchese Fernando Scarampi di Villanova intendeva alienare anche il viale che dalla proprietà del Collegio metteva direttamente alla stazione ferroviaria, ed egli per mezzo di Don Bonetti rispondeva che se il Municipio voleva acquistarla, lo facesse liberamente. [1178] Sempre gravi erano le strettezze finanziarie, e grandi le spese che doveva fare.
Il 15 luglio completava il versamento di 84.000 lire a Carlo Buzzetti per le spese incontrate colla nuova casa ad uso laboratorio lungo la via Cottolengo, col prolungamento del coro e la costruzione della sagrestia di Maria Ausiliatrice, colla cinta fatta all'Oratorio di S. Luigi e coll'altra all'orto dietro l'Oratorio di S. Francesco di Sales; e quanto prima doveva versarne altre 15.000 per l'acquisto della Casa Coriasco. Aveva bisogno di cercar sussidi in ogni maniera.
Il cav. Carlo Fava, segretario del Municipio, lo pregava di far pervenire al S. Padre un'umile istanza per una benedizione particolare; egli la spediva al Card. Antonelli il 12 luglio, e avendo avuto pronta risposta che Sua Santità „mossa dalla fede del supplicante”, concedeva „ad esso lui, ed in modo speciale alla consorte Annetta, la Benedizione Apostolica”, il 16 luglio lo comunicava al cavaliere:
Mi affretto di mandare a V. S. la lettera che in questo momento ricevo da Roma. Godo molto che il Card. Antonelli siasi adoperato per tale affare con prontezza.
Dio conceda ogni bene a Lei, alla Signora di Lei moglie, e li colmi ambidue di celesti benedizioni e mi creda con gratitudine profonda,
Agostino Anzini, alunno dell'Oratorio, di quei giorni a Lanzo, desiderava ascriversi alla Pia Società, ma era un po' titubante per motivi di salute, ed avendo comunicato a Don Bosco le proprie inquietitudini, ne riceveva questo paterno incoraggiamento:
Sta' tranquillo. Quando ci parleremo, aggiusteremo le cose che vadano bene pel tempo e per l'eternità. Allegria, preghiera, e Santa Comunione sono i nostri sostegni.
Dio ti benedica, e prega per me, che ti sono in G. C.,
Lorenzina Mazè de la Roche, che gli aveva chiesto dove avrebbe potuto passar tranquillamente qualche giorno di riposo, era stata consigliata a recarsi ad Alassio, all'Albergo di Londra, ma non trovandovisi troppo bene, glie lo scriveva; e a lei pure giungevano care parole:
Io mi pensava di mandarti in un paradiso ed invece ti sei trovata in un purgatorio. Ci voleva questo per assicurarci ognor più che è inutile cercare le rose su questa terra. Ce ne sono alcune, ma con tante spine che è meglio non trovarle. Dio però pagherà tutto con buona moneta.
Nemmeno ora posso andare ad Alassio, perchè la malattia dell'anno scorso non mi lascia in pace, nè giorno, nè notte. Tutto passerà. Se vuoi scrivere la lettera sarebbe opportuno
Ho veduto una volta Maman, che era in buona condizione, eccetto i suoi soliti incomodi. La contessa Corsi fu qui, parlò molto di te, e mi diede incarico di farti i suoi saluti. Ora è in campagna a Torre di Bairo.
Va' a fare una visita a D. Cerruti e digli, che almeno prima che termini l'anno scolastico, spero di andargli a fare una visita. Se hai bisogno di danaro dimandane a lui, che ne ha. Il Municipio gli ha dato una grossa somma.
Saluta la signora che Dio ti ha scelto per Angelo Custode. Dio vi benedica ambidue, prega per me che ti sono in G. C.
Don Cerruti aveva ricevuto dal Municipio il pagamento d'una somma, scaduta da tempo.
Le linee qui sostituite con puntini, perchè cancellate in modo che restarono indecifrabili, contenevano, come ci diceva la damigella quando ci rimise la lettera, un particolare che non tornava d'onore a Mons. Gastaldi, suo zio. Probabilmente si riferivano ad alcune parole che Monsignore, come vedremo, diceva esser state pronunziate a suo conto.
Attese le pietose condizioni della famiglia, Don Bosco permetteva ad un alunno dell'Oratorio di ricorrere direttamente alla carità del S. Padre, il quale incaricava il Cardinal [1180] Berardi d'assumere esatte informazioni, e poi mandava al giovinetto ducento lire.
E Don Bosco ne inviava la relazione all'Unità Cattolica da cui venne pubblicata il 26 luglio.
Nuovo e tenerissimo esempio della carità del nostro Santo Padre Pio IX.
Sembra incredibile che un uomo solo possa estendersi a tante cose, a tanti paesi, a tante condizioni di persone. I fatti quotidiani ne sono prova evidente ed un fatto recente lo conferma. Fra i giovanetti raccolti nella casa detta Oratorio di S. Francesco di Sales havvi un allievo (Ayalle Giuseppe) il quale, mosso dalla miseria in cui giaceva la sua famiglia, risolse di scrivere una lettera al S. Padre esponendo la trista condizione. Espose come egli da un lato vive assai contento, perchè trovasi in un collegio, dove non solo è largamente provveduto di tutto il bisognevole, ma vi è altresì ottimamente educato ed istruito. Ma soggiunge che egli vive afflittissimo per la condizione de' propri genitori e di un fratello novenne che trovasi in uno stato ben diverso dal suo, per la ragione che mancano di ogni mezzo di sussistenza.
La lettera col mezzo postale va direttamente nelle mani del Santo Padre, che in leggerla rimane commosso da quella semplice, ma compassionevole esposizione. Alla clemenza però volle aggiungere la prudenza e diede incarico al Cardinale Berardi di scrivere e fare le opportune indagini per assicurarsi della realtà del fatto. Ogni cosa fu trovata secondo verità ed il caritatevole Pontefice mandò tosto la graziosa somma di L. 200. Con questo danaro si potè provvedere definitivamente all'educazione del povero fanciullo, che fu accolto nella meravigliosa opera del Cottolengo. Così la città di Torino ha una famiglia di più che benedice la bontà e la inesausta carità di Pio IX, che mostra quale uso Egli faccia del Denaro di San Pietro, ed insegna a tutti gli uomini del mondo, quanto utilmente si possa spendere il denaro specialmente a prò degli infelici.
Il giorno dopo veniva presentato al Teol. Giacomo Margotti un magnifico Album, con questa leggenda a caratteri d'oro sopra ogni foglio: - Al Teologo Giacomo Margotti nell'anno XXV dacchè tolse a difendere nel giornalismo la causa di Dio - e, sotto, gli autografi di molti illustri e venerandi personaggi italiani e forestieri, i quali lo confortavano, unanimi, dopo venticinque anni di lotta giornalistica, a battere sempre la stessa via. Il Teologo aperse l'Album, e restò commosso nel leggere sul primo foglio queste parole del Santo [1181] Padre: - Ha detto cose non gradite, ma vere; non per esporre favole, ma per comprovare la verità; e molti ammaestrò nelle vie della giustizia. Iddio lo benedica e protegga. Pio PP. IX[230].
Quindi veniva un'epigrafe latina del Card. Berardi, e le più cordiali ed elogistiche parole di Arcivescovi e Vescovi, di Mauro Ricci, Padre Secchi, d'Ondes Peggio, Taccone Gallucci, e P. Piccirillo direttore della Civiltà Cattolica, del Marchese di Baviera, direttore dell'Osservatore Romano, e di molti altri illustri personaggi e valenti giornalisti. Anche Don Bosco prese parte all'omaggio con queste parole:
Pei vincoli d'amicizia che da più lustri mi legano col Teologo Giacomo Margotti;
In ossequio ai saldi principi cattolici intrepidamente da lui propugnati;
In unione a tanti pii, dotti e celebri personaggi che lo applaudono;
In segno di umile, ma profonda ed incancellabile gratitudine pei benefici compartiti a me, alle case della Divina Provvidenza a me affidate ed ai fanciulli ivi raccolti;
Auguro al celebre e forte Margotti lunghi anni di vita felice nel tempo, e la mercede della fedeltà nella vita beata ed eterna.
Il 26 luglio Mons. Vitelleschi gli inviava le nuove Animadversioni sull'ultimo esemplare delle Costituzioni, umiliato al S. Padre nel mese di marzo, mentre l'Arcivescovo di Torino proseguiva a mettere bastoni tra le rote; e Don Bosco, sempre tra mille occupazioni, si sentiva di nuovo un po' scosso in salute. Per buona sorte cominciavano poco dopo gli esercizi a S. Ignazio, e di là mandava discrete notizie.
1) In seguito a molte ragioni gravi scritte da D. Cerutti, ho disposto che si anticipi di qualche giorno l'esame, che terminerebbe il 28 del corrente mese.
2) A Lanzo sarebbe al 4 settembre, potrebbesi fissare il nostro [1182] al cinque, attese le dimande ripetute dei maestri? Pensateci e poi fatemelo sapere.
3) Completa l'indirizzo a D. Guanella Luigi Parroco di...[231].
4) Qualcheduno accennò la convenienza di fare gli esami nostri a Valsalice; provate un poco a parlare con D. Dalmazzo per vedere se è cosa possibile e conveniente.
5) La mia sanità è alquanto sollevata: la piccola febbre invece del mezzodì si fece sentire sulla sera, ma assai più mite e con minor mal di capo. Vedremo. Anche qui la caldo assai, ma non come a Torino.
6) Un foglietto pel parroco di ogni allievo delle nostre case, e un altro foglietto pei ricordi all'allievo. Si leggano e si correggano. Questo ultimo deve essere stampato in foglietto doppio: da una parte, cioè pagina 2, si mettano i ricordi. Dall'altra, ossia pag. 3, si mettano testi della bibbia in latino allusivi all'italiano.
Ai nostri Giovani dell'Oratorio.
Darai la buona sera ai nostri cari ed amati giovani. Dirai loro che stiano allegri e buoni. Di qui io li raccomando tutti al Signore ed a ciascuno dimando tre S ma tutti maiuscoli. Domenica io dirò per tutti voi, o cari figli, la santa messa a questo Santuario: voi, se mi volete bene, fate anche per me la santa Comunione. Io prego anche per quelli che sono agli esami.
A proposito di essi dirai a quelli che non hanno ancora deliberato della loro vocazione, se possono, mi attendano pel 14 di questo mese; altrimenti, o trattino con te, o vengano agli esercizi di Lanzo, dove staremo allegri.
A questi esercizi vi sono 110 signori che sono veramente esemplari. Non mi lasciano un momento in pace e vogliono sempre parlarmi a tutte ore.
Dio vi conservi sempre in sanità ed in grazia sua e vivete felici. Amen.
Poco dopo tornava a scrivergli:
1) In quanto agli esami fate come meglio giudicate. Se si fissasse il giorno 28 di questo mese?
2) D. Gras vada a Valsalice, ma se ne parli con D. Dalmazzo.
3) Voi avete caldo, e noi qui non abbiamo freddo.
4) Non ho potuto sapere niente della Biografia del Peyron; il caldo l'avrà soffocata nel cammino.
5) Ti mando alcune carte da darci corso.
6) La mia sanità ha migliorato assai; ieri però sulla sera ebbi [1183] ancora un po' di febbre, che durò circa quattro ore; ma senza conseguenze, eccetto un po' di stanchezza.
Del resto àvvi una stupenda muta di esercizi spirituali che vanno a maraviglia.
In omnibus caritas. Fa' che tutti quelli, cui parli, diventino tuoi amici.
Ogni bene a te, al caro D. Provera, e a tutta l'amata famiglia, e credimi,
Alla Madre Galeffi si dica se furono ricevuti fr. 800. Si aggiunga che l'Avv. Bertarelli, se non c'è a Roma, è a Palombara.
La chiusura dell'anno scolastico, forse per l'eccezionale scarsezza di mezzi, venne anticipata, e la distribuzione dei premi ebbe luogo il 22 agosto[232], ed agli alunni vennero dati, in foglietto stampato, i ricordi per le vacanze[233], con l'avvertenza che il ritorno era fissato pel 15 ottobre.
Quel giorno Don Bosco scriveva alla Contessa Ubaldi Capei Borromeo, Villa Angela, Monza, che l'aveva informato della scabrosa vertenza contro un buon religioso del Collegio dei Barnabiti di quella città.
I pensieri che la S. V. esprime nella sua lettera intorno al buon P. Ceresa sono egualmente miei. Sono quattro mesi che mattino e sera noi preghiamo pel buon successo di questa causa, e speriamo che sarà felice. Pel 24 e 25 di questo mese raddoppieremo le nostre preghiere, e poi ci metteremo nelle mani del Signore.
Non mancherò, sig. Contessa, di pregare per Lei, pel suo figlio e per tutta la sua famiglia. Nel tempo stesso raccomando anche me e li miei poveri fanciulli (7000) alla carità delle sante sue preghiere. Siamo in annate difficili, sia per la pubblica moralità, sia per le opere che vivono di pubblica beneficenza. Se mai qualche buona occasione la portasse in questa nostra città, la pregherei di onorarci della sua presenza e le farei vedere questa casa e la novella chiesa di Maria Ausiliatrice, verso cui so essere V. S. molto divota.
Dio la benedica, e mi creda con pienezza di stima,
E tornava ad incoraggiare il giovane Anzini:
Sta' tranquillo. Agli esercizi spirituali aggiusteremo tutto. Procura soltanto di farti buono come S. Luigi, pel resto ci penserò io.
Di quei giorni ebbe un colloquio con Mons. Gastaldi relativamente alle difficoltà che continuava a porre per l'approvazione definitiva delle Costituzioni della Pia Società, e recatosi a Montemagno presso i Marchesi Fassati Roero di S. Severino, scriveva due lettere a Don Rua (la prima senza firma), che dicon chiaro come fosse in continuo lavoro.
Sabato giunge qui il Vescovo di Casale per la visita pastorale, e, se non àvvi motivo grave, mi fermerò fino a lunedì. Se vien lettera da Roma, o da altra parte, che ti paia importante, mandamela tosto.
In tutta confidenza di' alla Sig. Lorenzina Mazè, che lo zio si lagnò con me perchè ad Alassio in collegio siasi sparlato di lui, e quindi lo scritto ecc. Qui, casa Passati, stanno bene, ma pregate pel Sig. Marchese, che è tutto afflitto per la disgrazia di suo fratello.
Dio ci benedica tutti, e credimi in G. C.,
Ti mando gli avvisi del Vescovo di Novara, perchè siano quanto prima stampati. Si mandino le bozze al P. Belasio a Gozzano. La dimanda è di 60.000 copie; non so se sìavi sbaglio di cifra. Se ne scriva inviando le bozze.
Dietro la copertina di quel librettino si mettano annunzi de' più comuni ed adattati ai nostri libri.
Io non posso andare a casa fino a mercoledì; giovedì vo' a Racconigi a predicare la B. Caterina; venerdì vado a Cuneo per un ammalato. Tu càvati come puoi.
Dio ci benedica tutti, e credimi nel Signore,
Montemagno. 30 - 8 - '73. [1185]
Il 3 settembre era all'Oratorio; il 4 si recava a Racconigi per il panegirico della Beata Caterina Mattei; e il 5 a Cuneo, alla Madonna dell'Olmo, per visitare Fratel Eugenio Ricci des Ferres, figlio del Barone Feliciano e di Gabriella Beraudo di Pralormo, un caro e santo giovane di 24 anni, studente di teologia, che essendo da un pezzo malandato in salute, durante le vacanze autunnali, era stato mandato a respirar l'aria natìa; ma purtroppo, visitato dal medico, veniva dichiarato infetto di mal di bronchi con tale spossatezza, da giungere poco meno al parossismo. Arrivato in famiglia, le prime parole che disse alla mamma, alla quale dava sempre del lei, furono queste: - Mamma, Ella ha da tenere il luogo del mio superiore; la prego a fare di me ciò che vuole; mi ricordi tutte le raccomandazioni che egli mi ha fatte (e le veniva esponendo); ma soprattutto deh! invigili, cara mamma, che io non manchi un ette all'obbedienza!
Era di una delicatezza angelica; un altro S. Luigi!
Un giorno la mamma, che l'accompagnava a far due passi in giardino, vedendo che stentava a camminare, gli disse: - Ben fiacco devi esser oggi poverino! - Ed egli, sorridendo: - Davvero, mamma, che se non fossi religioso, le darei il braccio, tanto sono sfinito. - Oh! questo non ti trattenga, figliuolo; sai che m'hanno fatta tua infermiera! - Sì, mamma, ma io sono religioso prima di tutto! - e continuò, senz'appoggio, a passeggiare stentatamente.
Nella vita di questo caro giovane religioso, scritta da P. Girolamo Raffo della Compagnia di Gesù, e pubblicata nel 1875 dalla tipografia Speirani, si leggono due visite singolari che ebbe dal “celebre” Don Bosco, la prima nel 1866, quando - dopo aver superata nel 1864 una grave malattia - stava per andare a Parigi a compiere gli studi superiori nella celebre Scuola di Santa Filomena; ed eccone, esattamente, la narrazione:
“Venne fissata la partenza per l'entrar dell'ottobre. Ma Dio, il quale avealo già provato con la malattia, volle, dopo i letterari trionfi, porgergli un ammaestramento novello, che l'anima sua premunisse contro il presontuoso amor proprio [1186] e i pericoli soprastanti. Perciocchè, festeggiando Eugenio il dì natalizio d'un cugino nella casa dei parenti di questo, e con lui e il fratel Carlo saltando così a diletto una fossatella, il pie' gli fallì, cascò e si ruppe la gamba. Maligna rottura non fu in vero, ma il confinò in letto per più settimane, con minaccia di non consentirgli che partisse il dì posto. Seppe ciò agro assai al fervido giovane, e, mal suo grado, pianse, rarissima cosa in quel maschio animo, che ogni commovimento soleva domar con forza. Anche il continuo poltrire (che tal doveagli parere quello sforzato non far nulla) fieramente noiavalo. Ma qui risplendette la sua fede, e la noncuranza degli umani riguardi. Sano, costumava comunicarsi ogni otto dì; infermo, non volle mutar nulla del pio costume. Ogni domenica, entrava l'Eucaristico Amore nella stanza e nel petto del suo fedel servo...
Udì il miserando caso d'Eugenio D. Bosco, sacerdote di santa vita, in Italia, e fuori, massime per opere di carità, celebratissimo; onde, perchè grandemente amava il pio giovane, e questi lui, si recò a visitarlo. Non è a dire la tenera compassione che gli mostrò, veracemente da padre, e la gran festa che l'ammalato a lui fece, e l'allegrezza che n'ebbe. Ma il ministro di Dio guardava specialmente a beneficare quell'anima sì cara a Gesù, cioè a rendergliela ancor più cara, accrescendo in essa l'amore e la fiducia verso Maria, per cui sola, più che per qualunque creatura, diventiamo grati a esso Infinito Bene. Laonde fattosi al capezzale d'Eugenio con quel mansueto, umile e venerando aspetto, che gioconda e soggioga i cuori, dissegli sorridendo:
- Mio Dio, figliuol caro! Quanto sarei contento che ti fossi rotto anche l'altra!
- Che dice, Padre! sclamò Eugenio.
- Eh! sì, continuò pacatamente l'uomo di Dio, sì, allora tu potresti meglio apprezzare il potere della Madonna in guarirti. Via, fa' cuore e spera in Maria SS.: alla fine del mese potrai metterti in viaggio. - E fu vero”[234]. [1187] Don Berto apprese cotesto fatto singolare dalla madre di Eugenio, nell'ottobre del 1872, quando fu per vari giorni alla Madonna dell'Olmo e udì dal fratello Roberto anche questa dichiarazione:
“Don Bosco raccontò a me come egli vede le cose nell'avvenire. Conosce i cuori in modo così chiaro da essere sicuro di non sbagliare: “Sarà questo, diceva, un istinto che il Signore m'ha dato!"”.
Ed una prova l'abbiamo nella seconda visita che fece ad Eugenio ai primi di settembre del 1873.
“Dimorava il fratel Eugenio da poche settimane in villa co' genitori, quando il Sacerdote Don Bosco, il quale avealo consolato infermo nel secolo, come sopra narrai, gli fece una visita, che al giovane religioso, amantissimo dell'uom di Dio, cagionò somma allegrezza. Ma la madre ragionando in disparte col pio sacerdote, non potè a meno di manifestar le trepidazioni sue pel figliuolo ridotto a stato si misero: e quegli parve dolcemente rampognarla di sì scuri presentimenti, e dello sperar sì poco il risanamento del giovane. Laonde partitosi Don Bosco, ella disse ad Eugenio: - Figliuolo, sai che? Quel sant'uomo parve rimproverarmi che io non isperassi abbastanza la tua guarigione. - Il prudente giovane levò gli occhi in volto alla madre, quasi ad assicurarsi che ella fosse internamente disposta ad intender quello che volea palesarle; indi con semplicità rispose: - Probabilmente Don Bosco le ha detto ciò perchè ella è mia mamma: ma, allorchè meco parlò, non dimenticossi, che prima di tutto io son religioso, e mi domandò, se avrei volentieri data la vita a Gesù quando me la chiedesse. Consultai il cuore, e risposi: - Che io sentiva una indifferenza perfetta a vivere o morire, secondo il voler di Dio. - Cosi Eugenio alla madre, e il suo dolce e tranquillo aspetto diceva assai più che le parole”[235].
Sui primi d'ottobre i parenti conducevano Eugenio a Torino, dove, il 19 novembre, ascoltò la santa Messa celebrata in una cameretta attigua alla sua dal P. Secondo [1188] Franco e ricevette la S. Comunione, e la mattina dopo, scriveva la madre, passava, “come fermamente speriamo, dalla Compagnia di Gesù militante in terra, alla Compagnia di Gesù trionfante ne' cieli!”.
Da Cuneo Don Bosco si recava a Nizza Monferrato, al Casino della Contessa Corsi, e di là scriveva a Don Sala, che era andato a Roma.
Ho scritto al Sig. Conte Berardi che mi determino ad accettare l'impresa, se per sei anni mi dà il locale senza pigione. Più in là non possiamo andare.
Se questa lettera giunge che tu sei ancora in Roma, procura di passare dal Card. Antonelli, Berardi, Mons. Vitelleschi, se mai hanno commissioni a lasciarti. Passa anche da Madre Galeffi, che è in collera con te, perchè non sei andato a prendere alloggio dal Sig. Sigismondi, come eravamo intesi.
Porta a casa quattrini e buon viaggio.
Dio ti benedica e credimi in G. C.
PS. - Mille ossequi a tutta casa Colonna.
La famiglia Sigismondi, piena di ammirazione per il Santo, desiderava tanto di poterlo ospitare, e l'anno dopo fu felicissimo d'averlo in casa per tre mesi e mezzo.
Don Bosco aveva consegnato a Don Sala un pacco di carte sigillato, con ordine assoluto di rimetterlo personalmente in mano al Card. Antonelli; e questi, come l'ebbe, l'aperse con premura, e, dato uno sguardo al contenuto, domandò a Don Sala se poteva rivederlo.
- Sì, rispose, vado a Ceccano ove si tratta di aprire una casa salesiana, e, prima di partire per Torino, tornerò da Vostra Eminenza.
- Va bene! Ed io preparerò un altro incartamento da consegnare in mano a Don Bosco.
Così fece, e Don Sala diceva com'egli ritenesse che quelle carte riguardassero l'affare delle temporalità vescovili.
In una di queste andate al Vaticano, Don Sala incontrò il Papa, che si recava, seguito da molti Prelati, a fare una [1189] passeggiata nel giardino. Uno di essi indicò al S. Padre Don Sala, dicendo: - È un Salesiano!
Il Papa si fermò, fe' cenno a Don Sala d'avvicinarsi e gli disse: - Ah! siete di Don Bosco! E come sta Don Bosco, come sta? - E, rivolto alla nobile corte, proseguì: - Sentano, sentano, signori! Don Bosco ha vari collegi e tanti giovani; e qua si studia, là si lavora!... - e prese a raccontare con grande soddisfazione come Don Bosco stesso un tempo faceva il sarto, il falegname, il calzolaio; e a descrivere l'Oratorio di Valdocco, dove, qui si sente il rumore delle macchine, là le armonie della scuola di musica istrumentale, in altre sale i solfeggi della scuola di canto, più in là il fragore delle seghe e i colpi dei martelli, mentre in altra parte si fa scuola di ginnasio; e Don Bosco dirige tutto, tiene tutto in ordine, provvede a tutti da mangiare, predica, confessa, promove tante vocazioni, ed è l'anima delle ricreazioni le più liete e movimentate, finchè suona il campanello, e tutti fan silenzio, e ciascuno va al suo posto.
Il venerando Pontefice continuò a lungo a parlare dell'apostolato di Don Bosco nel modo più entusiastico, evidentemente ricordando i tempi in cui egli pure compì tanto bene in mezzo alla gioventù, quando tenne la direzione degli istituti di Tata Giovanni e di S. Michele a Ripa.
E terminò ripetendo: - E come sta, come sta Don Bosco? sta bene?...
Don Sala fu stupefatto nel veder tanta stima e tant'affetto del Papa per il nostro Padre!
Don Ghivarello, consigliere del Capitolo Superiore, aveva invitati i direttori delle Case a trovarsi all'Oratorio il 9 settembre per le conferenze che si sarebbero tenute prima degli esercizi spirituali; ma Don Bosco era ancora fuori di Torino, e Don Francesia a Vignale.
Giovedì, circa al mezzo giorno, giungerò a Torino per la linea di Cuneo. Andrò a pranzo a casa Occelletti, dove puoi anche mandare alcuni dei nostri direttori, che siano già in Torino. Tu con loro. Pensa anche a mandare qualcuno a rimpiazzare D. Francesia, altrimenti [1190] dovrà continuare a rimanere colà. Nota bene che non occorre che sia valente letterato, perciocchè Emanuele [Callori, cui Don Francesia dava ripetizioni] non dà occupazione di sorta.
Scrivi, o di' al Dott. Cav. Lanfranchi che io l'attendo a Lanzo a passare quindici giorni; se egli vuole condurre suo figlio maggiore, può anche farlo. Volendo poi lavorare, il lascieremo pienamente in libertà. Di' lo stesso al T. Pechenino.
Mangio, dormo, riposo, ecco il mio lavoro.
La mamma saluta tutta la casa, ed io auguro a tutti ogni bene celeste, e ti sono in G. C.
Carlo Occelletti, cavaliere di S. Gregorio Ragno, e Paolina Occelletti, sua sorella, erano grandi amici e benefattori di Don Bosco. Carlo da dodici anni teneva aperto in casa sua, in Borgo S. Salvario, presso Porta Nuova, un Oratorio festivo, frequentato da più di 500 giovanetti; e vestiva, come il Conte Cays, l'abito chiericale in età avanzata, era ordinato sacerdote il 21 dicembre 1878, e moriva il 30 gennaio 1881, a 69 anni, dopo aver fatto un gran bene alla gioventù, asciugate tante lacrime ai poveri, e per tanti anni, inviandoci grande quantità di granaglie, somministrato il pane ai giovani dell'Oratorio di Valdocco.
Nella seconda settimana di settembre avvenivano due decessi assai dolorosi per l'Oratorio e per la Pia Società.
Il 9 „terminava la sua faticosa vita, in età di 75 anni”, il „Servo di Dio Don Giovanni Borel, modello del Clero, padre dei poveri, operaio indefesso nella vigna del Signore, specialmente a pro dei prigionieri e delle Pie Opere del Rifugio e delle Maddalene”, delle quali fu rettore „per 34 anni”, „compianto da tutti, ma più dalle sue figlie”, che riconoscenti ponevano una lapide, con gli accennati elogi, sopra la fossa dove riposa tuttora la sua salma, cioè verso la metà della prima parte del camposanto, a destra di chi entra, e precisamente presso la tomba di Silvio Pellico, nell'area dell'Opera Pia Barolo.
I lettori delle Memorie biografiche conoscono quanto fece questo degno ministro di Dio a favore di Don Bosco, nei primi anni del suo apostolato mentre era direttore dell'Ospedaletto [1191] di Santa Filomena e quando fu costretto a vagare qua e là, ed anche dopo che trovò d'affittare la misera tettoia che convertì in cappella, e che il caro Don Borel benedisse „il giorno 13 aprile 1846, correndo la seconda festa di Pasqua”. Fu tanto l'appoggio che questi gli diede negli inizi dell'Opera degli Oratori, e tanta l'umiltà e la riconoscenza di Don Bosco, che l'Opera parve sorgere per iniziativa dei „Sacerdoti addetti alla direzione spirituale delle Sorelle Penitenti di Santa Maria Maddalena e del Ritiro di Maria SS. Rifugio de' peccatori nel borgo di Dora”, tant'è vero che gli atti della Curia per aprire la prima cappella dell'Oratorio, e poi la nuova, venivano diretti al Teol. Borel.
Questi, umile di statura, pareva, a prima vista, un pretino da nulla, mentre col suo fare semplicissimo, popolare, modesto, lieto, umile ed affettuoso, e in pari tempo grave, prudente e pieno di quella dignità ch'esige il sacerdozio, era amato e venerato da tutti, perchè tutti ne ammiravano la somma prudenza, il savio consiglio, il tenero cuore, i modi affabili e l'instancabile operosità nel sacro ministero, che lo teneva interamente staccato da ogni cosa terrena, e ognor immerso nelle cose celesti. Don Bosco soleva dire che dieci buoni preti non avrebbero fatto tutto il lavoro che faceva il Teologo Borel! Quasi tutte le domeniche nel pomeriggio veniva a predicare all'Oratorio. Fu un altro vero apostolo di Torino, come il Beato Giuseppe Cafasso.
Quando mori, non lasciò nemmeno il necessario per le spese della sepoltura! E alcuni dei nostri direttori, che erano stati invitati a recarsi a Torino il 9 settembre, portarono la sua bara sulle spalle ed altri l'accompagnarono fino alla camera mortuaria; ed alla mesta cerimonia presero parte anche gli alunni e la musica dell'Oratorio. Erano i preti, i chierici, i giovani che Don Bosco, nel 1844, gli aveva detto d'aver visto in sogno!
La memoria del Teol. Borel vivrà tra noi in benedizione!
L'altra perdita dolorosa fu quella del confratello professo perpetuo, Don Pietro Racca, catechista a S. Pier d'Arena. Trovandosi poco bene di salute, durante le vacanze autunnali erasi recato in famiglia, nella speranza di rimettersi, e [1192] moriva invece assai giovane, a Volvera. Don Bosco sperava di pubblicarne una breve biografia, perchè, diceva, „fu sacerdote di zelo, di volontà, e di moralità veramente ammirabile”, ed „era tanto vivo in lui il desiderio di fare il bene, che provava amaro rincrescimento, quando non poteva fare tutte le cose che giudicava tornare alla maggior gloria di Dio”. Domandò, di fatti, ed ebbe dai sacerdoti del suo paese notizie edificanti, ma la biografia, non sappiamo perchè, non si fece, per cui riteniam utile e conveniente il riportarne alcune.
Il sacerdote Nicolao Maria Lisa attestava:
Sin dall'infanzia egli pareva un angioletto. Era amantissimo dell'angelica virtù; fin da quell'età abborriva non solo da tutto ciò che è direttamente contrario alla purità, ma anche da ciò che indirettamente potesse esserle di pericolo: tanto che rifiutavasi non solo al bacio delle altre donne, ma persino a quello di sua madre istessa. E questa sua virtù prediletta traspariva nel volto sì che al solo vederlo si poteva di lui pronosticare che sarebbe certamente divenuto la consolazione della famiglia e l'onore del paese. Il che disse appunto il farmacista di qui, Carlo Sclaverani, vedendolo ancor bambino tra le braccia della mamma; ed il Teologo Giacomo Gribaudi Priore, quando raccomandò alla medesima che ne avesse grande cura.
Fattosi grandicello, era assiduo ai catechismi ed a tutte le funzioni della parrocchia, e serviva quante messe poteva con una divozione ammirabile.
A casa aveva un piccolo altarino, cui ornava coi soldi che gli regalavano o che riceveva per andare alle sepolture. E avanti a quell'altarino andava a fare le sue orazioni mattina e sera ed anche lungo la giornata. Dietro la chiesa parrocchiale si trovava un crocifisso dipinto, ed anche colà soleva recarsi di spesso a pregare il bravo ragazzetto. Andando poi al pascolo, egli si divertiva facendo croci nella corteccia degli alberi, delle quali alcune ancor si conservano.
Cominciato a frequentare le scuole del paese, Pierino, più per la diligenza che vi ponea che per l'ingegno che avea, riuscì sempre il primo, sia nello studio che nella condotta. Dopo la scuola, conducendo tuttavia le mucche al pascolo, s'occupava sempre in leggere. E, cosa ammirabile in un fanciullo dell'età sua, egli leggeva di preferenza, anzi quasi sempre, libri divoti, qual sarebbe, La pratica d'amare Gesù e Le glorie di Maria di S. Alfonso M. de' Liguori; Le meraviglie di Dio ne' suoi Santi e nelle anime del Purgatorio del P. Rossignoli della C. di G., di cui egli solea poi dire che gli aveva aperti gli occhi e gli avea fatto venir desiderio di farsi santo; le vite di [1193] S. Ignazio di Loyola, del Saverio, del Borgia, di S. Vincenzo de' Paoli, del B. Sebastiano Valfrè, e simili.
Nel carnovàle, quando quasi tutti si dànno ai bagordi, egli se ne stava ritirato, e soleva dire di quelli che si contraffanno con maschere: - Questi sono Giudei che mettono Gesù in Croce!
Aveva poi grande compassione pe' poveri, ai quali non di rado dava almeno metà della colazione che la mamma gli apparecchiava.
Il maestro Don Forzani, dopo avergli insegnato i primi elementi di latino, lo fece accogliere nell'Oratorio, dove fu ammesso alla 3a ginnasiale. Aveva allora 15 anni; ed un suo compagno, Don Giovanni Garino, faceva questa testimonianza:
Era l'anno 1858, ed io percorreva la terza ginnasiale sotto del prof. D. Francesia Giovanni. Ecco che un mattino entra nella scuola un nuovo alunno, all'aspetto semplice e virtuoso. Siccome non avea mai per l'avanti praticato collegi e portava con se quella semplicità propria di chi ha passato i primi anni in campagna, veniva alcune volte da qualche compagno, certo meno virtuoso di lui, motteggiato per li suoi modi. Ma non fu mai che il giovane Racca movesse lamento del cattivo trattamento e degli scherni de' compagni, che anzi tutto soffriva, e la costante ilarità del suo volto ben dimostrava come egli non solo non sentisse alcun risentimento verso de' compagni derisori, ma li amasse, e ad essi si proferiva in ogni cosa che potesse loro tornare gradita. Avendo poi sortito da natura mediocre ingegno e memoria, e non avendo inoltre bene appreso i primi elementi della lingua latina, avveniva non di rado che alla scuola non sapeva la lezione, quantunque vi si fosse applicato per molto tempo. E questo pure era motivo perchè i compagni lo deridessero. Egli dolevasi, e non poteva a meno, ma non de' compagni, sibbene perchè questo era un impedimento a che proseguisse gli studii intrapresi e potesse giungere al Sacerdozio. Perciò pregava e ricorreva spesso alla Madonna, perchè l'aiutasse. Nè fu vana la sua preghiera. Difatti un mattino, mentre nella scuola si attendeva il maestro e gli scolari recitavano le loro lezioni, ecco che entra il nostro Racca più allegro del solito, sì che pareva essergli succeduta qualche cosa di lieto. Ed interrogato da un compagno, si pose con tutta semplicità a raccontare come nella precedente notte gli era apparsa la Madonna, e gli avea concesso il dono della memoria. A queste parole alcuni lo mirarono, ed altri risero come se tenesse per vero, ciò che era puro sogno ed effetto d'immaginazione. Non si offese il giovane, nè replicò; ma mèssosi a recitar la lezione, la seppe ottimamente; nè d'allora in poi ebbe a lamentarsi di provar difficoltà nell'imparare le lezioni assegnate, anzi cominciò a segnalarsi tra i compagni per felice [1194] memoria. Non riuscì dei primi nella scuola, ma nessuno mai gli potè contrastare una memoria più che ordinaria, come il provano i posteriori studii, cui d'allora in poi s'applicò indefessamente e con buon esito, come ne possono fare al par di me testimonianza quanti ebbero occasione di conoscerlo da vicino.
Non credo che questo improvviso mutamento nel giovane Racca debba ad altro ascriversi che ad una grazia singolare, di cui volle favorirlo la Madonna, alla quale egli era tenerissimo, e la cui divozione non tralasciava d'infondere e di raccomandare caldamente a tutti quelli che lo praticavano...
Un altro caso singolare gli capitò più tardi, quando venne invitato a presentarsi all'esame per ricevere gli Ordini Sacri. Ritenendo impossibile, per mancanza di tempo, di prepararsi convenientemente, per accontentar i superiori si mise tuttavia a studiare; ma convinto che da sè non sarebbe riuscito, si raccomandò alla Madonna, ed „oh! prodigio. All'istante s'accorge che quanto legge l'ha a memoria. Tanto che in un giorno solo si trovò benissimo preparato, da far meravigliare e sè e gli esaminatori. Contento della grazia ricevuta, non la seppe celare; ma la raccontò prima nella scuola, senza nominare il favorito dalla Vergine, poi in ricreazione non potè tacere di essere lui il graziato; e ciò per eccitare vie più a confidare nella potenza di Maria Ausiliatrice”. Così attestava Don Gabriele Fiocchi.
In Don Racca la devozione alla Madonna fu davvero singolare. „Tutte le volte che veniva a Volvera - proseguiva Don Lisa - era soggetto suo prediletto il parlare di Maria. Parlava poi di Dio, del Papa, ma non lasciava mai di dire anche dell'Oratorio e del suo caro Don Bosco. Tanto era l'amore che portava all'Oratorio ed al suo caro Don Bosco, che quando, era a casa gli pareva d'essere sulle spine”.
Nell'ultima malattia „fu l'edificazione di tutti per la sua pazienza e modestia. Benchè già grave, voleva celebrare la S. Messa ogni mattino, e dopo averla a stento celebrata e col massimo fervore, fermavasi ancora a fare un lungo ringraziamento. Prima di partire dalla chiesa, portavasi avanti al tabernacolo, e là con brevi e generosi slanci del cuore salutava il suo Gesù Sacramentato, dal quale a malincuore si allontanava. Ritornando a casa, andava or ripetendo tra [1195] sé varie giaculatorie, ed or cantando a voce bassa alcune lodi a Maria, la quale riveriva più e più volte, con piacere, in un dipinto sul muro di una casa posta sulla via per cui passava.
Negli ultimi suoi giorni, quando non più potevasi muovere dal letto, il buon sacerdote teneva tra le mani il Crocifisso, che baciava di frequente, e da cui attingeva la pazienza. Un giorno che la madre sua gli scacciava le mosche che lo tormentavano in faccia: - Cara madre, le disse, lasciatele; Gesù Crocifisso non avea chi gli scacciasse le mosche. - In questa ultima malattia diede pure chiari esempi di modestia per cui sin da giovane erasi mostrato scrupolosissimo. Avendogli una sua zia toccata la mano per salutarlo, ei tosto ritirò la sua, e: - No, disse, son sacerdote. - Questi fatti edificarono tanto questo popolo tutto, che quando Don Pietro Racca venne a morire, unanime: - È morto, dicea, un santo Sacerdote: che perdita per Volvera e per l'Oratorio di Don Bosco!”.
Aveva appena 30 anni, e sebbene sperasse di guarire, soleva alle parole di S. Martino: Domine, si adhuc populo tuo sum necessarius, non recuso laborem, - aggiungere, sempre, quelle di Gesù: - Fiat voluntas tua! - Moriva la sera del 13 settembre 1873.
Quel giorno Don Bosco accettava la costituzione di un posto gratuito per un allievo dell'Oratorio. Mons. Lorenzo Casalegno, Canonico della Collegiata dì Trino Vercellese, fin dall'estate del 1871, gli aveva comunicato che il fu Don Giovanni Battista Depaoli, Pievano di Fabiano, della diocesi di Casalmonferrato, con testamento olografo l'aveva nominato suo erede universale con l'obbligo di adempiere vari legati, tra cui uno di „Lire 10.000 al Sig. D. Bosco”, „a condizione che accetti nel suo collegio e tenga sempre due giovani di Fabiano”, „sani, dotati d'ingegno, buoni, amanti dello studio”, con preferenza „a quelli che dimostrano inclinazione allo stato ecclesiastico”, e qualora non si venisse ad un accordo con Don Bosco s'impiegasse detta somma, d'intesa col Vescovo di Casale o a vantaggio di poveri chierici, sopratutto di Fabiano”. Le pratiche si tentarono più [1196] volte; Don Bosco voleva che a lui venisse lasciata la scelta degli eligendi, mentre Mons. Casalegno la voleva sottoposta a particolari condizioni, senz'alcuna ipoteca. E il 13 settembre 1873 si firmava la costituzione di un posto gratuito nell'Oratorio, col versamento di L. 6000 a favore di un povero fanciullo di Fabiano, da scegliersi dal direttore dell'Oratorio, che dèsse „qualche speranza di vocazione allo stato ecclesiastico, o almeno di riuscire un buon cristiano, terminati gli studi”. Qualora, poi, il giovinetto compiuti i corsi ginnasiali vestisse l'abito chiericale, potrà godere del posto gratuito sino all'Ordinazione sacerdotale, purchè continui gli studi superiori nell'Oratorio o in qualche altra casa o collegio della Congregazione; ed ogni anno, il giorno dell'Immacolata Concezione, il giovane beneficato dovrà recitare l'uffizio della Beata Vergine in suffragio dell'anima del fondatore.
Quel mese, o prima o dopo gli esercizi spirituali, venivano spedite varie copie di un trattatello d'agricoltura, stampato nell'Oratorio, quale omaggio dell'autore a vari Vescovi, insieme con i programmi della Biblioteca della Gioventù Italiana e delle Letture Cattoliche.
Da parte del sig. avv. Stefano Francesco Sartorio trasmetto alla E. V. Rev.ma N° 40 copie dell'operetta intitolata Geoponica.
Lo scopo dell'autore è tutto religioso e morale, e prego la E. V. a volerle gradire e distribuirle come le tornerà di maggior gradimento.
Compio di buon grado questo incarico mentre ho l'alto onore di potermi professare colla massima stima e gratitudine,
Gli esercizi si tennero a Lanzo dal 15 al 20 e dal 22 al 27 settembre, e Don Bosco predicò le istruzioni[236].
La Contessa Callori desiderava per un po' di tempo uno dei nostri, per aver la Messa in casa, e Don Bosco vi mandava Don Francesia. [1197]
Sento tuttora il rimorso che l'altra Domenica, essendomi venuto in ritardo il suo biglietto... di più la casa sossopra per gli esercizi spirituali... La mia buona mamma mi darà benigno compatimento, non è vero?
Ora ci va D. Francesia, che si fermerà secondo il bisogno; io gli sarò successore.
In questi giorni ho pregato e fatto pregare per Le; abbiamo dimandato per Lei sanità e santità, più la pazienza per sopportare colla dovuta calma la seccatura del figliastro, specialmente quando nei casi disperati ricorre alla mamma per danaro. Adesso però siamo nell'abbondanza come il Regno d'Italia.
Dio benedica Lei, tutta la sua famiglia e mi creda, raccomandandomi alla carità delle sue preghiere
Anche il Papa si trovava in particolari strettezze, ed il Santo cercava di venirgli in soccorso in ogni maniera. La sua devozione alla Cattedra Apostolica e le continue e premurose cure per infonderla in tutti, non potevano essere più assidue.
Quell'anno, anche per mezzo delle Letture Cattoliche, per le quali aveva più di 250 propagandisti o centri di propaganda, d'accordo con la signorina Mazè De La Roche, aveva zelato un'offerta pel Denaro di S. Pietro, in questo modo:
Ogni persona, che riceverà o leggerà il presente programma, è caldamente pregata di raccogliere tutta la carta inutile, sia essa in fogli grandi od in pezzi, e di convertirla in denaro. Dico tutta la carta in qualunque stato si trovi; perchè tutta senza eccezione può avere un prezzo, quantunque menomo... Quando si avrà una somma discreta, sarà mandata al S. Padre, che certissimamente nella sua bontà inesauribile aggradirà l'offerta ed invocherà le celesti benedizioni sugli Oblatori...
Da Milano il duca Tommaso Scotti gli comunicava le angustie in cui trovavasi per un pericolo corso, e il Santo lo consolava con queste limpide e interessanti dichiarazioni: [1198]
Eccellenza e car.mo Sig. Duca,
Ho ricevuto la somma di fr. 500, che nella sua grande carità mandò pei vari nostri bisogni. Io la ringrazio di tutto cuore. Tale somma in questo anno di eccezionali strettezze e di scarsezza di beneficenza, è per noi un aiuto che corrisponde al triplo degli altri tempi.
Abbiamo una Congregazione nascente, i membri crescono ogni giorno, la messe si presenta ogni giorno copiosissima. Ma dobbiamo sempre fermarci per mancanza di mezzi. Ella pertanto, aiutandoci in questi momenti, aiuta un Congregazione, che pregherà per tutto il tempo della sua esistenza per colui che aiutò ad impiantarla ed a sostenerla.
Venendo poi all'oggetto che mi accenna, le dico anche in confidenza che io mi sono trovato nella stessa apprensione. Il mio salvaguardia fu una medaglia di Maria Ausiliatrice. Per tre volte il fulmine mi cadde vicino, fino a trasportarmi il letto con me dentro da una parte all'altra della camera; ma non ne riportai mai offesa alcuna. Ora temo più niente, qualunque succeda minaccia di temporali, di burrasche, di tuoni.
Io credo poterla assicurare, a nome del Signore, che non le sarà mai per accadere cosa alcuna colla medaglia indosso e colla confidenza in Maria.
Nella sua lettera mi accenna alla probabilità di recarsi a Cerano nel Novarese, dopo la metà di questo mese. Se tale cosa si avvera, Ella permettendolo, andrei a farle visita e passare seco lei una giornata.
Non mancherò di fare ogni giorno uno speciale memento nella Santa Messa, e pregando Dio a conservarla con tutta la sua famiglia in sanità ed in grazia sua, raccomando pure la povera anima mia alla carità delle sue sante orazioni, mentre mi professo,
Aveva già trovato la somma necessaria per l'acquisto della Casa Coriasco, ma, continuando le pratiche per ottener che venisse dichiarata di utilità pubblica la costruzione della chiesa di S. Giovanni Evangelista, era stato costretto a destinar quel denaro per l'acquisto della striscia di terreno dei Morglia; e, andando in cerca di altre anime generose, scriveva al Conte Francesco Viancino di Viancino: [1199]
Adesso che la questione tra Prussia e Francia è terminata, debbo uscire io dopo una battaglia che fu contestata più di quella di Sedan.
Il Sig. Coriasco, proprietario della piccola casa che divide l'Oratorio dalla chiesa di Maria A., è disposto di fare finalmente l'istrumento di vendita. Una persona caritatevole mi venne in aiuto e potei a tale scopo preparare quindicimila franchi, chè altrettanti ne vuole, e li depositai alla Banca di Sconto. Per venire intanto a termine della pratica col protestante Morglia e stringerlo a cedere, per utilità pubblica, una striscia di terreno per la chiesa di S. Luigi si dovette mandare una dichiarazione al Consiglio di Stato che eravamo in grado di pagare quella striscia, e appoggiare quella dichiarazione sopra i quindicimila fr. depositati alla banca mentovata.
Ciò fa che hic et nunc non possiamo servircene.
In questo momento mi venne a mente quanto Ella dissemi una volta intorno al denaro depositato alla Banca di Sconto per fare l'offerta alla sospirata chiesa di S. Luigi o di S. Gioanni.
Ella dunque somministrerebbe la somma di fr. 5 mila per così raggranellare quanto è mestieri per casa Coriasco. Fatto libero il denaro di cui sopra, io userò equivalente denaro per la medesima chiesa.
Se Ella giudica di accettare questa proposta, si renderà benemerito presso la Madonna e presso al suo figlio adottivo, S. Gioanni, i quali sono ambidue buoni pagatori.
Io sono a Lanzo per gli esercizi spirituali e sabato sarò a Torino. Qui non ho dimenticato di pregare per Lei e per la Sig. Contessa Luigia, ed augurando ad ambidue sanità e grazia, mi raccomando alle loro preghiere, e mi professo con gratitudine,
Quell'autunno ebbe un altro fastidio, che durò a lungo ed ebbe un'eco anche molti anni dopo che l'amatissimo Padre era volato al cielo, ed eccone una sintetica esposizione, che facemmo noi stessi per confutar una voce calunniosa.
Quando, sul principio della primavera per urgenti affari fu in Liguria, da Alassio scriveva al Conte Filippo Belletrutti di S. Biagio, che dimorava a Torino: [1200]
Questi poveri giovanetti si raccomandano meco alla carità della S. V. Carissima per avere da mangiare e da coprirsi. Le raccomando N. 20 cartelline di beneficenza con preghiera di volerle ritenere a favore dei medesimi. Qualora per altro le sembrasse troppo, rimandi pure liberamente quanto non giudicasse di ritenere presso di sè.
L'estrazione avrà luogo il 10 maggio.
Sono nella casa di Alassio, ma fra pochi giorni spero di poterla riverire in Torino.
Dio le conceda ogni bene col prezioso dono della sanità e della perseveranza nel bene.
Con profonda gratitudine ho l'onore di potermi professare,
Il Conte Belletrutti, vedovo, in età avanzata e con un unico figlio, illegittimo, che gli aveva sciupato gran parte delle sostanze, per cui non voleva lasciargli altro che il prescritto dalla legge, cioè un tanto che gli bastasse per vivere, era sopra pensiero sul modo di fare il testamento, anche perchè due nipoti gli avevano dato non pochi fastidi. La sua fantesca, Maria Chiesa, ricordando le relazioni che un tempo egli aveva avuto con Don Bosco, e conoscendo per altra parte le opere buone che questi andava compiendo, „gli suggerì di ricordarsi di lui. Piacque il suggerimento al Conte. Essendo infermo, fece chiamare Don Bosco e gli espose le sue volontà pregandolo a volerle egli stesso mettere per iscritto, chè esso le avrebbe ricopiate per farne un testamento olografo. Così fu fatto”[237].
Il Conte moriva il 17 settembre 1873, lasciando „erede universale ed esecutore testamentario il Sac. Giovanni Bosco fu Francesco, ... a fine di giovarlo nelle molte opere di carità che egli sostiene a favore dei, fanciulli poveri ed abbandonati”.
Morto il Conte, insieme col testamento olografo si trovò la copia preparata da Don Bosco, e il figlio naturale Giuseppe [1201] Filippo Proton si recò immediatamente dall'avvocato Raimondo Maccia ad esporgli il caso per fare ogni passo ed avere almeno una parte dell'eredità. Due giorni dopo, il 19 settembre, l'avvocato comunicava a Don Bosco come “il conte Belletrutti figlio” si fosse recato da lui, e gli avesse esposto le sue pretese, frammezzo alle quali gli aveva lasciato „travedere speranze di conciliazione in base a una somma che concretò (Lire 120 mila)”.
Don Bosco rispose che prima avrebbe cercato di sapere a quanto ammontava l'eredità, e se quegli aveva diritti gli sarebbe corrisposto il dovuto.
Ma ecco i due nipoti del Conte Filippo, il Conte Alberto Arnaud e Federico Borghese, figli, il primo di Camilla e il secondo di Matilde Belletrutti, sorelle del defunto, sorgere anch'essi a contestare l'eredità, cercando d’insinuar accuse di captazione a carico di Don Bosco, e di farlo dichiarare incapace di ereditare, perchè qualificato, nel testamento, a capo di un istituto che non può ricevere.
Si portò la causa innanzi al Tribunale di Torino, che pronunziò sentenza interlocutoria il 17 aprile 1874, proprio mentre Don Bosco tornava da Roma. Ed egli ricorse in appello. Senonchè due dei contendenti, il Conte Arnaud e Federico Borghese, si opposero anch'essi al figlio naturale del Belletrutti, Giuseppe Filippo Proton, e proposero a Don Bosco un amichevole accommodamento.
“Con la proposta transazione - diceva il memoriale relativo, presentato dall'Avv. Comm. Saverio Vegezzi - pagati i legati, la sostanza dovrebbe partirsi in due porzioni equali, una per il rev. Don Bosco, quale erede testamentario, l'altra pei nobili Arnaud e Borghese, quali eredi del sangue”; col vantaggio per Don Bosco „di porre il carico e la cura della lite contro al Proton anche sugli eredi del sangue, i quali hanno migliori condizioni nel sostenere le contestazioni contro di lui, che non il rev. Don Bosco, quale persona affatto estranea”.
Indubbiamente i nipoti non avevano maggior diritto all'eredità di quello che n'avesse il figlio naturale, ma siccome il testamento, oltre vari legati a favore dei nipoti suddetti e [1202] del Proton, ne aveva molti altri a favore di chiese e di case religiose, come 500 franchi annui e scevri da ogni tassa per la chiesa delle Sacramentine in Torino, 4000 lire per ciascuna delle cinque chiese allora in costruzione nella stessa città, e precisamente delle chiese del S. Cuore di Gesù, del Suffragio, dell'Immacolata Concezione, di S. Secondo e di S. Giovanni Evangelista, 4000 lire pel riscatto dei chierici dalla leva militare, 6000 lire per la parrocchia ed altrettante per l'Asilo Infantile di Strambino ecc., parve a Don Bosco minor male l'adattarsi ad un accomodamento.
Tuttavia, essendo un po' dubbioso se gli conveniva o no fare quel passo, chiedeva consigli.
La progettata transazione è un po' rovinosa per noi, giacchè l'eredità Belletrutti fallirebbe nella maggior parte il suo scopo. Tuttavia se il sig. avv. Alessio volesse aver la bontà di interpellare il sig. Comm. Vegezzi, io mi terrei totalmente al suo consiglio.
Ciò mi salverebbe in faccia a chi non mancherebbe di farmi riflessi in contrario. Credo anche una sentenza del Tribunale d'Appello non sia per danneggiare minimamente le nostre private trattative.
Il Proton, venuto a conoscenza della piega che prendeva la vertenza, insultava pubblicamente Don Bosco. Convien notare che fin dal 29 settembre 1862 egli era venuto, con atto giudiziario, ad una transazione col Conte Belletrutti, con la quale aveva ammesso di non essere in diritto di portare il nome e cognome, da lui fin allora portato, di Conte Belletrutti di S. Biagio, e che nessun altro diritto gli competeva tranne quello degli alimenti personali puramente necessari; e si era obbligato di non più assumere e portare il titolo e il cognome suddetto. Quando vide che il Conte Arnaud e il Borghese stavano per venire ad un accomodamento con Don Bosco, il 10 settembre 1874, incontratolo lungo il corso S. Maurizio, lo assalì con ogni sorta d'ingiurie, tanto che, sopraggiunti alcuni soldati di cavalleria, lo trattennero, e Don Bosco, rimasto calmo, continuò tranquillamente la sua strada. [1203] Secondo l'accomodamento proposto dall'Arnaud e dal Borghese „la questione col Giuseppe Filippo Proton, pretendente alla qualità di figlio naturale del defunto Conte di S. Biagio”, avrebbe continuato „a cura, spese e rischio comune dei transigenti, che nella stessa misura usata nella partizione ne porterebbero le conseguenze”.
Come abbiam accennato, tra i vari legati lasciati dal Conte ve n'erano due a favore dell'Arcivescovo, uno per la chiesa del S. Cuore e l'altro pel riscatto dei chierici dalla leva militare; ma l'Arcivescovo riteneva d'aver diritto anche a quello per la chiesa di S. Secondo, perchè, senza dir nulla a Don Bosco, il 4 maggio 1873 - così scriveva la Gazzetta Piemontese del 1° luglio dello stess'anno - egli aveva esposto alla civica amministrazione „come la popolazione abitante il nuovo quartiere compreso fra l'arsenale, la stazione centrale, la Crocetta e la Piazza d'Armi” aveva “bisogno di separarsi dalla parrocchia di S. Carlo per formare una parrocchia nuova”, soggiungendo che sebbene il Municipio avesse „concesso il terreno e promesso il concorso di 30 mila lire, per divergenze insorte col sacerdote Giovanni Bosco, che prima erasi accollato il carico di edificare la nuova chiesa”, l'opera era rimasta sospesa; per cui faceva voti che la civica amministrazione volesse fornire la dote alla nuova parrocchia, che verrebbe tosto eretta dall'autorità ecclesiastica, assegnando provvisoriamente al nuovo parroco la chiesa dell'Arcivescovado ed alcune camere del palazzo attiguo per abitazione. La Giunta deliberava di convertire in rendita pubblica il fondo capitale per congrue alle parrocchie erigende, che si riduceva a Lire 3828, 60, di modo che la congrua era assai inferiore a quella di 500 lire, data alle altre chiese parrocchiali. Quindi per quell'anno non se ne fece nulla.
Ma nel gennaio 1874, mentre Don Bosco era a Roma, l'Arcivescovo gli scriveva:
Ieri mi si disse dall'Ingegnere Formento, il quale mi prepara il disegno per la chiesa parrocchiale di S. Secondo, che il Municipio di Torino avendo concesso già a V. S. l'area destinata per quella chiesa, prima di lasciarla a mia disposizione vorrebbe sapere le intenzioni di lei. Quindi la prego, nel caso che ella sia determinata di non più [1204] costrurre quella chiesa, per la ragione che non le permettono di erigerla nella posizione che Ella vorrebbe, e se tale sia la sua determinazione, la pregherei di scrivere al Sindaco di Torino, dichiarante la sua volontà di ritirarsi da quell'area e lasciarla all'opera dell'Arcivescovo.
Io fo assai volentieri la lettera al Sindaco nel senso indicato, ma avrei bisogno di sapere se, per le spese fatte, io possa calcolare sopra di lei, oppure d'indirizzarmi al Sindaco di Torino. Se V. E. giudicasse di servirsi del capomastro Carlo Buzzetti che ha già fatto quei preparativi, forse le cose sarebbero più facilmente aggiustate.
L'Arcivescovo, per non perdere i legati del Conte Belletrutti, era ben contento che Don Bosco potesse averne l'eredità, tant'è vero che interpellato da Don G. B. Oglietti, Commendatore Parroco di Strambino (dove risiedeva Federico Borghese, e dove la causa in corso era notoria), faceva questa risposta:
Le persone accennate da V. S. nell'ultima sua lettera, che muovono lite all'erede testamentario del Conte Belletrutti, non hanno ragione alcuna, ledono la giustizia commutativa, ed avranno da rendere conto a Dio del denaro che faranno spendere, e che perciò sottraggono dal valore dell'eredità. Conosco tutto il pro e il contro di questo affare, e ripeto che hanno torto.
Con ciò non conchiudo che V. S. debba loro negare la assoluzione sacramentale, dato che esse fidandosi del consiglio di qualche Ecclesiastico reputato prudente e zelante, potessero giudicarsi in buona fede. Ma il loro direttore di coscienza, ed il loro Parroco, può e deve in confessionale et extra ammonirle dell'ingiustizia che commettono.
Risposto così al quesito, godo di avere un'occasione di salutare il Signor Commendatore Parroco di Strambino e dirmi sempre
Don Bosco per non vedere annullato il testamento e, così, violata ogni volontà del defunto, nonchè per i bugiardi e maligni giudizi che ne davano i giornali anticlericali, giudicò [1205] prudente d'annuire all'accomodamento, perchè „in complessivo risultamento - diceva il citato memoriale - grave è il rischio della causa, prudente è la transazione, sia guardando la contesa nella sua specialità; sia poi anche tenendo ragione delle idee predominanti del tempo, le quali non sono inclinevoli a favore di enti giuridici non aventi l'autorizzazione voluta dalla legge per l'esistenza in condizione di persona, singolarmente quando son retti da persone religiose”. E il 10 gennaio 1875 si veniva alla transazione, ma con questa dichiarazione: „I signori Conti Arnaud e Borghese essendo per effetto della transazione affatto estranei e senza interesse nella questione di stato e di merito tra Don Bosco e il signor Proton, non prenderanno parte alla discussione stessa, la quale proseguendosi, le spese relative saranno a carico esclusivo del sacerdote Don Bosco”.
La discussione col Proton non ebbe seguito; questi riconobbe il torto e chiese scusa a Don Bosco, che l'accontentò come meglio potè, mentre poi Don Rua gli procurò un impiego sufficiente per vivere presso la Basilica del S. Cuore a Montmartre in Parigi. E quale egli sia rimasto dopo la conclusione, appare da una lettera che abbiamo in archivio, con questa postilla del Servo di Dio. „Lettre de M. Proton de St Biagio à Don Rua en remercîments des bienfaits reçus par les Salésiens, arrivée le 26 - 5 - 90, quand Don Rua se trouvait à Paris”. Una lettera cordialissima, ove lo chiama „suo carissimo e venerabile Padre”, e gli dice tra l'altro: “Io sono felice di chiamarti così, ed è una cosa ben dolce al mio povero cuore, che ha tanto sofferto per essere stato privo d'ogni affetto paterno e materno, d'incontrare in te un vero padre ed un potente protettore. Sii mille volte benedetto...”[238].
Ma non finirono qui le noie per Don Bosco.
Chiusa la questione, bisognava far l'estimo di tutti i beni del Conte, e la cosa andò per le lunghe; e Mons. Gastaldi voleva senz'indugio, insieme con le 4000 lire per la chiesa del S. Cuore di Gesù in Via Nizza e le 4000 per il riscatto [1206] dei chierici dalla leva militare, anche le 6000 per la chiesa di S. Secondo, e le sue richieste erano continue.
E Don Bosco poi, pazientemente, a Nizza Marittima estendeva un pro - memoria per la risposta da inviare all'Arcivescovo; pro - memoria che riferiamo come conclusione, per parte nostra, di questa vertenza.
Sul pronunciarsi intorno al legato Belletrutti parmi si possa osservare
1° Fino al giorno d'oggi Don Bosco non ha in alcun modo rinunciato o abbandonato i lavori della chiesa di S. Secondo. La concessione di fabbricare gli fu fatta dal Municipio e non fu rivocata. Fu solo in ossequio al suo Superiore ecclesiastico che non mosse lagnanza contro a chi sottentrava nella costruzione.
2° Il Municipio mandò a troncare i lavori, che di fatto furono cominciati. Fu soltanto per osservazioni posteriori, che il Municipio Torinese deliberò di variare la planimetria della chiesa.
3° Non avrebbe certamente in modo formale rinunziato senza la condizione di venire indennizzato. Tanto più che a quell'opera era stato formalmente incaricato dall'autorità civile ed ecclesiastica.
1° Il Conte Belletrutti nel suo testamento fa due legati a Mons. Arcivescovo, e lo nomina espressamente; ma venendo al terzo dice semplicemente: per giovare alla costruzione della chiesa di S. Secondo, senza alcun nome: segno chiaro che non riferiva il legato a lui. Tanto più che alla morte del sig. Conte Belletrutti niuno sapeva che M.r Arcivescovo volesse egli accingersi a quel lavoro, che era stato intrapreso da Don Bosco, e niuno appariva averne preso parte.
2° Se però l'Arcivescovo volesse rilevare D. Bosco da tutte le spese fatte in questa impresa, esso darebbe assai volentieri il legato in discorso e l'altra limosina relativa.
3° L'Arcivescovo avrebbe altro vantaggio nella somma di mille franchi, che Don Bosco godeva presso l'economato, e che venne portata sulla mensa vescovile, e che D. Bosco unicamente in ossequio al suo Superiore ecclesiastico non ha mai cercato di esigere.
L'Arcivescovo, intanto, il 21 novembre 1874, con lettera pastorale, aveva annunziato che nel prossimo marzo si sarebbero ripresi i lavori del sacro edilizio di S. Secondo, che sperava di veder compiuti prima del termine del 1875; mentre il nuovo tempio venne consacrato al divin culto l’11 aprile 1882, da Mons. Celestino Fissore, Arcivescovo di Vercelli. [1207] “Oltre l'immenso popolo e numeroso clero vi concorsero ben undici Vescovi. Sembrava di vedervi raccolto il Collegio degli Apostoli insieme col divin Maestro. A compiere il numero di dodici mancava un solo; e questi era dolorosamente l'Arcivescovo di Torino, Mons. Lorenzo Gastaldi, trattenuto in camera, come si diceva, pel mal di gotta...
I giovani musici del nostro Oratorio... si prestavano di buon animo al canto, ed ebbero la sorte di essere i primi a far risuonare delle note musicali le sacre volte del nuovo Tempio...
Coi musici di canto erasi unita eziandio la nostra banda, la quale dopo le funzioni di chiesa, e durante la luminaria, rallegrò dei suoi concerti i cittadini sino alle ore dieci di sera...
Ma se tutti i buoni Torinesi ebbero motivo di rallegrarsi di festa sì bella, ragione di esultarne avevano sopratutto Don Bosco e i Salesiani...”.
Così scriveva nel Bollettino Salesiano il nostro caro Don Bonetti, il quale “per amor della verità e della storia” proseguiva facendo un'esposizione della maniera in cui era sorto il tempio, „unendovi qualche notizia, che negli scritti pubblicatisi in quei giorni fu omessa, o perchè ignorata, o per cause, che non occorre indagare”. E terminava nettamente così:
“Delle 27 mila lire che vi aveva già speso per i primi lavori, Don Bosco fu rimborsato di 12 mila per la chiesa di S. Giovanni. Quindi senza contare le sollecitudini dell'animo, i molti disturbi e dispiaceri avuti, furono ben 15 mila franchi, che egli lasciò a vantaggio della chiesa di San Secondo. Di tutto conserviamo i documenti autentici. Di questi ci servimmo per tessere questo po' di storia, e dei medesimi si serviranno altri per tessere il resto. Ma da questo poco si capisce come Don Bosco, insieme con tutti quelli, i quali fin dal 1867 avevano prestato la mano all'erezione di quel sacro edifizio, dovesse rallegrarsi nel vedere che fosse finalmente inaugurato al divin culto ed aperto al pubblico che tanto ne abbisognava”[239]. [1208]
Nel nuovo anno scolastico Don Bosco accettava le scuole di Cogoleto, presso Varazze, affidandole a Don Domenico Bruna e al chierico Giuseppe Pavia.
Ai primi di settembre gli erano anche state offerte dal Clero e da molti capi di famiglia le scuole di Palombara Sabina; ed egli ringraziava l'Avv. Ignazio Bertarelli, pronto ad accogliere l'invito, qualora, d'accordo col Municipio, si venisse ad una conclusione.
Tornato da Lanzo, scriveva al Conte Arborio Mella, a Vercelli.
Giungo da due mute di Esercizi consecutive e trovo la sua lettera contenente la limosina di L. 100. Sebbene in ritardo non voglio omettere il mio dovere di ringraziarla di tutto cuore della carità che ci ha fatto. Carità assai più preziosa e sentita in questo momento di gravi strettezze in cui siamo. Non mancheremo di fare preghiere in pubblico ed in privato per Lei e per tutti i Suoi parenti, e, pregando Dio che li colmi tutti di sue benedizioni, con profonda gratitudine ho l'onore di professarmi,
Lo stesso giorno chiedeva aiuto pel riscatto dei chierici dalla leva militare a Mons. Santo Masnini, che aveva per lui la più grande ammirazione.
In questo anno con le altre miserie si aggiunge quella di dover riscattare quindici chierici dalla leva militare. Potrebbe Ella venirmi in aiuto?
Qualunque cosa mi giova assai; àvvi tempo circa un paio di mesi. Ecco come questo questuante va a disturbare la gente pacifica. Me ne dia compatimento, [1209] Dio le conceda ogni bene, preghi per questo povero ma sempre in G. C.,
PS. Prego de' miei umili ossequi alla Sig.a Mamma e famiglia.
Abbiamo anche una copia d'un'altra lettera scritta due giorni dopo, senza specificazione della persona cui venne diretta. Forse la Contessa Isabella Calderari - Migueis, propagandista delle Letture Cattoliche in Roma?
Ho piacere che il ragazzo orfano abbia dato occasione di scrivermi, perchè così ho potuto sapere di sue notizie. So più niente di nissuno, forse sono tutti in campagna.
Riguardo al suo raccomandato le do buone o mediocri speranze. Lo accetto, ma non subito, perchè i nostri giovani secondo il regolamento non possono essere accettati se non a dodici anni compiuti. Appena raggiunga tale età, se non è altrimenti provveduto, mel dica e lo riceverò tosto.
Godo che sua famiglia stia bene. Dio li conservi tutti in sanità ed in grazia sua, preghi anche per questo povero, ma in G. C. sempre
Ma la cosa che mi ha cagionato vivo rincrescimento fu la perdita di suo fratello. Sul fiore di sua età lo volle a sè; adoriamo i divini decreti; se fosse vissuto, a quanti pericoli sarebbe andato soggetto! Ora la morte precoce, preparata, rassegnata, avrà certamente al medesimo assicurato un posto fra il numero degli eletti in cielo. Noi intanto abbiamo fatto stamane speciali preghiere, messe, colla Comunione dei giovani, pel riposo dell'anima di lui, io nella mia pochezza continuerò a pregare pel defunto, affinchè vada al Paradiso; per lei, affinchè Dio la conservi fino alla più tarda vecchiaia.
Noi qui grazie a Dio godiamo sanità. D. Francesia vuole essere ricordato alla sua memoria, e prega esso pure per la sua famiglia e per lei in particolare.
Dio la benedica, Sig. Contessa, e con Lei benedica suo marito e tutta la famiglia; e mi creda nel Signore
Il 4 ottobre, per rogito del notaro Giannuzzi, comperava la casetta di Gio. Battista Coriasco, aderente al Santuario di Maria Ausiliatrice, di un sol piano e di io membri, per il prezzo di lire 8000; mentre da una quitanza in data dello stesso giorno risulta che ne versò 15.000.
Il 5 era ai Becchi per la cara festa del Rosario; quindi scriveva un'affettuosissima lettera al giovane Tommaso Dell'Antonio, che desiderava farsi salesiano; poi ripartiva per Nizza Monferrato, donde si sarebbe recato altrove, in cerca di elemosine.
La confidenza con cui mi scrivi la tua lettera e l'affetto verso di me dimostrato mi fanno sperare bene di te. Io adunque sono disposto di accettarti tra' miei figli della Congregazione Salesiana; e tu puoi venire quando vuoi.
Tu mi dici che hai tre mila franchi a tua disposizione. Lasciane due in casa, se vuoi, e per ora potresti portar teco mille franchi. Con essi puoi provvederti il corredo con quanto ti occorre pel tempo di prova.
Nascendo difficoltà le aggiusteremo quando sarai tra le braccia di questo tuo affezionatissimo padre.
Dio ti benedica; prega per me, e credimi tutto tuo in G. C.
Da Nizza tracciava a Don Rua l'itinerario che avrebbe seguito, per andare in cerca di quattrini.
Riceverai f. 3000, che sono frutto della carità spigolata in vari siti. Spèndili a maggior gloria di Dio secondo che ne sarà più urgente bisogno. Questa settimana poi indirizzare le lettere a Cuneo per la Madonna dell'Olmo. È vero che vado anche altrove, ma là àvvi centro. In caso di urgenza puoi dirigerti giovedì, venerdì, dal Sig. D. Vallauri, Beinette pei Paschi.
Pregate pei nostri benefattori, e per me che ti sono in G. C.
E tornava a scrivergli, senza firma e senza data, ma più dettagliatamente.
Vo' raccogliendo. Qualche cosa si fa, pregate. Dimmi se il Marchese Passati od altri hanno fatto offerte ad hoc.
L'Arcivescovo ha fatto qualche risposta?
Le lettere: Martedì presso il Vescovo di Cuneo, Mercoledì al Barone Ricci, id. Giovedì, Venerdì a D. Vallauri Peveragno; Sabato, Domenica l'altra e Lunedì presso al C.te Giriodi Costigliole di Saluzzo, di poi a casa.
Un cordiale saluto a te e ai nostri cari, e credimi in G. C.
Quel mese, per i buoni uffici di Mons. Fratejacci, e per la stima che godeva universalmente, in modo particolare a Roma, veniva ascritto all'Accademia dell'Arcadia.
AGESANDRO TESPORIDE, Custode Generale dell'Arcadia al Chiar.mo e Rev.mo Sacerdote GIOVANNI BOSCO di Torino.
L'Arcadia nell'intendimento di onorare i valorosi, che per la eccellenza dell'ingegno, unita al merito di eletti costumi e alla coltura degli ottimi studi, van segnalati nella professione delle Lettere, delle Scienze e della Erudizione, a proposta dei gentilissimi e valorosissimi nostri Compastori Larisso Cisseleno ed Eristeno Nassio, ha voluto dichiararvi Pastore Arcade, ed annoverandovi nel Catalogo dei componenti questa antica letteraria Repubblica, vi ha dato, secondo il nostro uso accademico, il nome di Clistene Cassiopeo.
L’Arcadia nel dichiararvi aggiunto al suo Comune confida che non solo manterrete la osservanza delle sue leggi, ma darete opera eziandio perchè sempre più favorisca con la dignità delle lettere l'onore dell'arcadico istituto.
Dato, dal Bosco Parrasio, addì 12 ottobre dell'anno 1873.
Dalla Restaurazione dell'Arcadia, anno 183, della Olimpiade 46, anno 3.
Larisso Cisseleno era il Can. Giovanni Battista Fratejacci, Eristeno Nassio il Can. Agostino Bartolini, Agesandro Tesporide, Custode Generale, Monsignor Stefano Ciccolini. [1212] Il Diploma venne registrato al vol. VIII, num. 267; - e nel 1874 glie ne fu rimesso un secondo, con la data 14 febbraio, registrato al vol. VIII, num. 320, come vedremo.
Nello stesso mese veniva comunicato al Teol. Albert, Vicario di Lanzo, che il Papa l'aveva eletto Vescovo di Pinerolo. L'umile Servo di Dio (di cui è in corso la Causa di Beatificazione), lo disse dal pergamo, piangendo, e invitando i parrocchiani a pregare il Signore di farlo morire, prima di permettere che la mitra ornasse la sua fronte! A quell'annunzio fu un cordoglio generale, e si sparse anche la voce menzognera che Don Bosco aveva spinto quella promozione per impossessarsi nientemeno dell'Ospizio dell'Immacolata Concezione, fondato dall'Albert, e Don Lemoyne premurosamente scriveva a Don Bosco.
Mi credo in dovere di comunicarle una notizia dispiacente, ridicola, assurda.
D. Bertoldo ebbe l'imprudenza di dire che, se il Vicario di Lanzo Albert va Vescovo a Pinerolo, ne è causa D. Bosco. Si assicura che D. Bosco per impossessarsi dell'Ospizio delle figlie vuol allontanare da Lanzo Albert, perchè gli fa ombra. Io non so, se sia maggiore l'impudenza o la malignità. Stanotte certi individui sconosciuti ruppero alcuni spigoli delle finestre del Collegio ed imbrattarono di fango il muro nostro che guarda la piazza parrocchiale. Che sia una vendetta?
Il signor Vicario è addoloratissimo sia per la nomina a Vescovo, sia per l'odiosità che certi maligni gettano sopra di noi. L'anno scorso costoro dicevano che il Vicario non sarebbe mai Vescovo, perchè D. Bosco aveva interesse di tenerlo a Lanzo, ora dicono l'opposto, ma è sempre lo stesso movente che scioglie certe lingue.
Il Vicario protesta con tutti per queste dicerie. Pianse e pianse molto, e disse con me che il dolore d'essere fatto Vescovo, e di vederci con questo avversati dal paese, lo opprime. Soggiunse: - Io amo Don Bosco e farò sempre alla Società di S. Francesco di Sales tutto il bene che potrò. Don Bosco mi ama, ne sono sicuro. Esso mi conosce ed io conosco lui, e se fosse vero, che D. Bosco mi ha proposto al Papa per Vescovo, e non fosse anche vero, piuttosto che lasciar Lanzo con questo sospetto fra la gente, mi è più caro morire all'istante. - E ciò mi diceva piangendo. In tutte le chiese, oratorii, cappelle di Lanzo si fanno tridui colla benedizione del SS. [1213] perchè il Vicario non parta. La desolazione del paese è estrema. Anche noi in Collegio partecipiamo a simile dolore, perchè perderemmo il nostro più valido appoggio.
Questa gente non capisce che per noi perdere un parroco simile, un difensore continuo, un delegato scolastico di simil fatta è una mezza rovina. Pazienza! Sia come Dio vuole.
Don Bosco, in margine alla lettera, tracciava la risposta con quattro parole: “Niente ti turbi. Dio è con noi. Pazienza; preghiera”.
Difatti il S. Padre accettò la rinuncia, e in parrocchia si cantava solennemente il Te Deum in rendimento di grazie.
Non deve farci meraviglia che fosse corsa quella voce, mentre l'anno prima si diceva che il pio Vicario non sarebbe mai fatto Vescovo, perchè Don Bosco aveva interesse di tenerlo a Lanzo! Accanto a lui v'erano alcuni che interpretavan male anche altre relazioni che ebbe col nostro S. Fondatore, fino a credere, e a voler far credere, che il nuovo fabbricato ultimato da Don Bosco quell'anno per il collegio prevedendo che avrebbe dovuto abbandonare il vecchio convento, doveva servire per scuole professionali a vantaggio dei poveri ragazzi del paese, perchè, dicevano, il teologo vi aveva visto in sogno una gran quantità di giovani in divisa, con due file di bottoni sul petto!... precisamente la divisa dei nostri collegiali! Mentre Don Bosco, solo „per soddisfare alle molte domande d'accettazione”, aveva ultimato il „vasto e comodo fabbricato con magnifici portici, rivolti a mezzogiorno, procurando così agli alunni una bellissima ricreazione, riparata dai rigori dell'inverno”, come si leggeva nei programmi, stampati nel 1873, del “Collegio - Convento di Lanzo Torinese”.
Gravi e urgenti affari, tra cui la revisione delle Costituzioni, richiesta dalle ultime Animadversioni, e la decisione di riprendere le pratiche a favore delle Temporalità Vescovili - risale infatti a questi giorni la corrispondenza col Ministro Vigliani, - l'obbligarono a rinunziare ai viaggi che aveva decisi nella provincia di Cuneo, e il 14, vigilia di Santa [1214] Teresa, non potendo recarsi a Peveragno, da Vignale scriveva alla pia sorella di Don Pietro Vallauri.
Pregiat. e benemerita Signora,
Dimani (15) non posso trovarmi a godere della festa di S. Teresa. Pazienza! Godrò nel Signore, e perciò celebrerò la Santa Messa per Lei e pel Sig. D. Pietro, affinchè Dio li faccia santi ambedue. Una serie di cose mi rubò tutte intere le vacanze, a segno che ho dovuto rinunziare alla partita stabilita. A rivederli adunque a Torino in sanità e santità. Saprà certamente la morte di D. Borrelli[240], e quindi maggior terreno da coltivare pel sig. D. Pietro.
Dio conceda ogni bene a Lei e a tutta la famiglia; preghi per questo povero, ma sempre in G. C.,
Ed avvisava anche Don Rua, dicendogli che tornava a Nizza, e che il 18 sarebbe a Torino.
1) Tra D. Cagliero e D. Savio pensate al quadro di S. Giuseppe che è presso al Sig. Lorenzone finito, e non manca più che la cornice poi si metta a posto.
2) D. Savio non differisca di scrivere al Cav. Bellino intorno alla Cascina di Chieri secondo che fummo intesi.
3) Da martedì a tutto giovedì stampe, lettere a Nizza.
D. Barberis ed io stiamo bene. Sabato, a Dio piacendo, sarò a Torino. In questo momento parto per Alessandria - Acqui.
Ho fatto qualche affare. Fate molto vino.
Dio ci benedica tutti e credimi in G. C.
Il futuro 1° Maestro dei Novizi, Don Giulio Barberis, forse l'aiutava nella revisione delle Costituzioni.
Ma, senza dubbio, anche quell'autunno fu a Peveragno, probabilmente nel mese di settembre, subito dopo che era [1215] stato a Cuneo. Il Can. Giuseppe Giubergia, Rettore del Santuario di Mondovì, ricorda d'averlo visto a Peveragno quell'anno. „Era, scrive, l'anno 1873, in settembre, non credo che fosse più tardi, per il ricordo di un furioso temporale che colse me, alcuni amici, e i bambini dell'asilo, tutti reduci dai Paschi, per visitarvi quel Don Bosco, che già allora aveva l'aureola del santo nella stima di quanti lo conoscevano. Era arrivato in mattinata, e noi lo visitammo nel pomeriggio. Fu allora che, con quel sorriso che tanto gli era abituale, ebbe a dirmi: - Tu ti farai prete! - Al domani nel pomeriggio fu in Peveragno, invitato da un certo Giuseppe Campana, uno dei corifei dei Terziarii Peveragnesi, Vice - Segretario Comunale. Smontò dalla vettura davanti alla casa del Campana; soffriva male ad una gamba, e si serviva del bastone per non stancar troppo la parte ammalata; e vi fu ricevimento, a cui furono invitate, insieme con tutto il Clero, le autorità civili...
Nel 1875 - prosegue il Canonico - io avevo deciso di vestir l'abito chiericale, forse, e senza forse, molto in grazia di quelle parole dettemi da Don Bosco. Entrai in teologia nel seminario diocesano di Torino, ma la sera precedente volli far visita a Don Bosco. Il quale, sebbene fossero trascorsi due anni, mi riconobbe subito, e ricordo benissimo le sue prime parole: - Giubergia, sei venuto a vestir l'abito chiericale! - Ed io risposi: Sì, ma non verrò con lei, andrò nel Seminario maggiore. Ed egli: - Non importa, ma ti farai prete!!! - Mi volle suo ospite nell'Oratorio, cenai nel refettorio dei Superiori, proprio accanto a lui, e mi serviva lui, dicendomi (forse perchè ero molto impacciato per la sua grande degnazione): - Mangia, chè sei giovane, ... ed hai ancor molto da lavorare. - Dopo la cena l'accompagnai in cortile, sentii il sermoncino che fece ai giovani dopo le orazioni, e lo accompagnai fino alla scala che dava alla sua camera, poi andai in chiesa, dove ho tanto pianto per la commozione, e al domani entrai in Seminario”.
Don Bosco, adunque, proseguiva assiduamente il lavoro per tornare al più presto a Roma per l'approvazione delle Costituzioni e per cercar di migliorare le condizioni dei nuovi [1216] Vescovi Italiani, ed assicurava la signora Sigismondi, che una parte almeno del tempo che sarebbe restato a Roma, volentieri l'avrebbe passato in casa sua.
Pregiatissima Signora Matilde,
A suo tempo ho ricevuto la lettera, che ebbe la bontà di scrivermi. Ho dovuto differire la risposta pei molti affari di questi giorni passati. Non si dia pensiero se il mio economo andò a prendere alloggio altrove. Era inteso che si fosse recato da lei; ma temendo, che Ella con suo marito non fossero in Roma, fece il primo passo dal Sig. Colonna. Per farle vedere quanto stimi la sua casa, l'assicuro che andando a Roma, se non tutto, almeno una notabile parte di tempo, spero di passarla in casa sua. Dico parte notabile, perchè la mia visita e le molte cose cui dovrei attendere, mi obbligano di condur meco un segretario, e non so se in sua casa possiamo ambedue trovare un nido ove riposare.
Ho rimessa la cosa alla Madre Galeffi; se mai Ella può parlare colla medesima, può conchiudere o variare disegno, come si giudicherà più opportuno. Sebbene io viva di Provvidenza, in questi casi io non vorrei disturbare alcuno, e non rifiutarmi a qualunque spesa possa occorrere.
Le rinnovo poi l'assicurazione che ogni mattino io fo un particolare memento nella Santa Messa per Lei e per suo marito. Da che poi ho ricevuto la sua lettera, ho stabilita la recita quotidiana di un Pater dai nostri giovani all'altare di Maria Ausiliatrice.
Che se non siamo ancora stati totalmente esauditi deriva, o che preghiamo male, o che Ella non ha fede abbastanza viva. Credo però che la prima ragione formi la causa.
La prego di fare i miei rispettosi ossequi al Sig. di lei marito. Dio conceda a lei sanità stabile, e conceda ad ambidue vita felice nel tempo, e quando a Dio piaccia la gloria del cielo. Ancora mi raccomando alla carità delle loro sante preghiere, e mi professo con vera gratitudine,
Nella seconda metà di novembre compì altri viaggi per le visite alle Case, sempre attento a trovar i mezzi per esentate dalla leva militare i suoi chierici. A questo scopo ringraziava ripetutamente la Contessa Callori: [1217]
Ho ricevuto la lettera con quanto chiudevasi dentro della signora Contessa M. Luigia. Le ho scritto lettera. A Lei vivi ringraziamenti. Il Chierico c'è; non so se potrà portarli tutti in paradiso, come mi scrive, ma essendo forte, sano, robusto, come Rocca Luigi, condurrà il carro della salvezza fino ad un buon tratto di strada; certamente finchè vivrà, pregherà per chi gli cangiò il fucile coi breviario.
I miei consulti oculisti ebbero per sentenza: l'occhio destro con poca speranza; il sinistro si può conservare in statu quo, mediante astinenza dal leggere e scrivere. Quindi mangiare, bere bene, dormire, passeggiare etc. etc. Così andremo avanti.
Dio conceda ogni bene a Lei e a tutta la sua famiglia; preghi per questo povero, ma in G. C. Sempre
Borgo, per oggi, 14 novembre 1873.
Fa bene a sgridarmi, perciò mi servo di un valente segretario per eseguire il suo consiglio. La sua preziosa lettera andò a raggiungermi in Varazze, e mentre la leggeva e considerava la carità che faceva pei nostri chierici, in quell'istante medesimo ricevo un dispaccio da Alessandria che mi annunzia un nostro chierico essere stato ritenuto nella prima Categoria. Sia benedetto il Signore, dissi con D. Francesia: egli manda la spina e contemporaneamente la rosa: egli ne sia di ogni cosa ringraziato.
Credo che a quest'ora D. Rua abbia ricevuto la sua carità e l'abbia già spedita a destinazione.
Non ignoro l'importanza del sacrificio, che EIla fa in questi tempi di generale miseria. Ma Dio saprà compensarla. Il Clero, la Chiesa, noi tutti le saremo riconoscenti e ci uniremo al chierico beneficato ad invocare costantemente le benedizioni del cielo sopra di Lei e sopra tutta la sua famiglia.
Sabato, a Dio piacendo, sarà a Torino. Colla più profonda gratitudine e cogli ossequi di D. Albera segretario ho l'onore di professarmi,
Sampierdarena, 26 novembre 1873,
Umile servitore e cattivo figlio
Il 29 tornava a Torino, e prendeva un po' di cibo alle 4 e mezzo pomeridiane. [1218]
Di' a Savio se ha fatto qualche cosa per quelle tre lettere del duca De Mari e me ne parli.
Non si dimentichi il quadro di S. Giuseppe.
Va' a dire a magna Felicita che mi prepari un po' di minestra, per amor di Dio, dimani alle quattro e mezzo.
Ogni bene a te e a tutti in Domino.
Il 16 dicembre faceva istanza alla direzione generale delle Strade Ferrate Romane per biglietti di favore, e il 22 dicembre gli veniva risposto che sarebbero stati ben lieti di poter soddisfare la sua richiesta, „se recentissime disposizioni governative, imposte alla Società, non le vietassero il rilascio di qualunque biglietto di favore o con riduzione al di là dei casi previsti da Regolamenti in vigore”.
Aveva anche rinnovato la domanda al Ministero della Guerra per aver oggetti di vestiario usati; ma pel diverso indirizzo dato al servizio del vestiario militare, con dispiacere, non potè essere secondata.
Il pensiero suo, il più ossequioso e devoto, era sempre al Papa, al Vicario di Gesù Cristo, per cui zelò continuamente l'affetto e la venerazione universale. Eccone una prova in questa lettera, inviata a Mons. Domenico Cerri.
Avrei molto caro poterle parlare; non potendolo avere, le scrivo.
La Civiltà Cattolica, credo in maggio [in marzo], pubblicò un terribile articolo su Alessandro VI, che certamente Ella ha veduto. Forse Ella ha già scritto o starà scrivendo qualche cosa ad hoc. Ad ogni modo io credo che sia la sola persona che ciò possa fare. Abbia la bontà di dirmi qualche cosa e mi farà un gran piacere.
Comunque sia per fare, un'appendice al suo prezioso lavoro su Alessandro VI è del tutto necessaria.
Dio le conceda ogni bene, e mi creda in G. C.,
Quell'anno i fascicoli delle Letture Cattoliche furono i seguenti:
GENNAIO - MARZO. - Cristoforo Colombo e la scoperta dell'America pel Sacerdote Lemoyne G. B. Direttore del Collegio di Lanzo.
APRILE. - Il martire Paolo Emilio Reynaud e Giovanni Pinna Missionari Apostolici.
MAGGIO. - Cenni sulla vita di S. Gregorio VII.
GIUGNO - LUGLIO. - Serapia. Episodio del II secolo dell'ab. France, compendiato ad uso dei popolo da L. Matteucci.
AGOSTO. - Il cattolico nel secolo XIX. Avvertimenti raccolti da un membro della biblioteca circolante cattolica torinese.
SETTEMBRE. - Gesù Cristo e la Chiesa. Saggio di rivelazioni dettate da Suor della Natività.
OTTOBRE - NOVEMBRE. - La gran bestia, svelata ai giovani.
DICEMBRE. - Le meraviglie della Madonna di Lourdes.
La vita di Cristoforo Colombo piacque a tutti, e se ne fecero in seguito parecchie edizioni, anche in formato elegante. Don Bosco stesso aveva dato a Don Lemoyne l'incarico di scriverla con queste norme:
Un lavoro marinaresco spettante ad un Genovese è giusto che venga affidato ad un genovese.
La vita di Cristoforo Colombo farà un fascicolo delle Letture Cattoliche di pag. 100 a 200 ed anche di più se ne vedrai il bisogno. Nell'indice dei due volumi vedrai marginature con linee continuate ( - - - - ) significanti essere cose da prendersi quasi testualmente. Le parti segnate con una serie di puntini (......) significano doversi riepilogare per collegare i fatti e dar forma storica a quanto si espone.
Beninteso che ti dò ampia libertà di penna e di parole. Quindi se nella tradizione o in altri libri troverai episodii o sentenze ad hoc servitene pure. Nell'opera Il Monachismo di Tullio Dandolo trovasi un bel capo sulla vita monacale di Colombo.
Fammi il lavoro con tua comodità, ma con quella bellezza di lingua, disinvoltura di pensieri e di periodi brevi, che in altre opere ti hanno già distinto.
Dio benedica te e i tuoi allievi con tutto il corpo insegnante, dirigenti, assistenti, lavorante, ecc. ecc.
Pregate tutti per me che vi sono in G. C.,
Nel Galantuomo del 1874 venne inserita una delle tante lettere, che giungevano in lode delle Letture Cattoliche.
Per darle un segno di riconoscenza pel gran bene che le Letture Cattoliche fecero e continuano a fare in questa mia Parrocchia, non posso trattenermi dal citarle alcune prove, di cui sono testimonio.
Dopo aver inutilmente tentato altri mezzi per impedire le veglie notturne dei giovani, massime nelle borgate campestri, ricorsi alla diffusione delle Letture Cattoliche, specialmente delle vite e dei racconti. Una buona persona radunava nella sua stalla ogni sera alcuni di questi girovaghi, leggendole e spiegandole; ed in breve tanto fu il numero degli accorrenti, che le veglie restarono in gran parte deserte.
Sparsasi la voce, da un vicino paese varie persone me ne richiesero, ed ivi pure produssero consolanti risultati. Damigelle di civil condizione lasciarono la lettura di quei luridi romanzi, su cui prima passavano le notti; ed anche impiegati civili, non contenti d'aver letti quei fascicoli, che trattano specialmente degli errori moderni, dell'inquisizione, e simili, mi pregarono di loro donarli per farli leggere ai loro amici.
Cinque anni sono il maestro di questo Comune, abusando della sua influenza, allontanò tutti i giovani dal servizio della santa Messa e delle sacre funzioni. Non istimando cosa prudente contrastargli di fronte a cagione della sua qualità, donai a quelli che erano stati più assidui una copia della vita del giovane Besucco Francesco, siccome di tale, la cui condizione più s'assomigliava alla loro. In meno di un mese tutti ripigliarono l'interrotto servizio, e lo proseguono tuttora, insegnano il catechismo nelle feste e nella quaresima, visitano il SS. Sacramento, frequentano la Confessione, ed animano gli altri alla pietà. Talvolta ringraziandoli del loro servizio, mi rispondono: „Ohi, Besucco nella tal circostanza fece pur così, o più ancora”. E tre di questi, i più zelanti, sono ventenni. Uno di essi va raccogliendo con bei modi, e portandomi, i libri proibiti; e fin dal primo leggere la vita di Besucco mi disse: Mi faccia la carità di farmi ritirare nella casa in cui era Besucco!...”.
In aprile Don Bosco ristampava il Mese di Maggio, e scriveva a Don Reffo: [1221]
Abbiamo in questo momento ristampato o meglio terminato la ristampa di un mese di Maria. Trovandoci già assai vicini all'epoca di usarlo, ed essendo atteso da molti, mi faresti un vero piacere di annunciarlo nel giornale l'Unità Cattolica con qualche parola che meglio crederai. Ne acchiudo due copie; una per te, l'altra per chi vuoi tu.
Dio ci benedica tutti e credimi con affetto
E il 20 aprile si leggeva nell'Unità Cattolica:
Ecco un bel Mese di maggio di piccola mole, facile, corrispondente ai bisogni presenti, e quant'altro mai opportuno per mettere nei cuori la divozione a Maria Santissima e toglierne il più capitale nemico che è il peccato. Ad ogni giorno la sua considerazione e il suo esempio, ma sì l'una che l'altro scritti bene, con quell'aurea semplicità che è tutta propria di quell'egregio sacerdote nelle sue operette per la gioventù e pel popolo. Il nome di Don Bosco rende superflua ogni nostra raccomandazione, e basta a far comprendere come in breve tempo sinsi già fatte di questo Mese quattro edizioni; e ne merita ben di più!
Usciva anche la 33a edizione del Giovane Provveduto, e lo stesso giornale, il 7 agosto, ne faceva un ampio elogio:
Un libro che conta già trentatrè edizioni non abbisogna, certo, di molte parole per essere raccomandato. Il Giovane Provveduto del sacerdote Giovanni Bosco è penetrato in ogni istituto di educazione, in ogni casa di lavoro, in ogni famiglia cristiana d'Italia, e tutti trovano che di tanti eucologi, di tanti manuali di preghiera, fin qui venuti alla stampa, questo di D. Bosco meglio soddisfa alla intelligenza, ai bisogni, alla pietà universale.....
La presente ultima edizione ha poi sulle altre il pregio di alcune importanti aggiunte. Fra queste meritano special menzione le cose che il pio e dotto autore, per maniera di dialogo, discorre in quindici capitoli intorno ai fondamenti della cattolica religione.....
Altra prova dell'apostolato che Don Bosco compiva colla buona stampa era la decisione di pubblicare, oltre quella dei classici latini, emendati per non destar cattivi pensieri nella mente della gioventù, anche una collezione di scrittori [1222] latini cristiani, da adottarsi nelle scuole cattoliche, di cui aveva già affidato il primo fascicolo al prof. Don Giovanni Tamietti. Così dichiarava egli stesso all'autore di un libretto che si stava stampando nell'Oratorio, del quale aveva letto le bozze.
Carissimo Teol. Prof. D. Belasio,
Lessi e meditai la sua importantissima operetta intitolata: Della vera scuola per ravviare la società. Trovai tutto che mi piacque. L'attraente esposizione che innamora dell'argomento, i nobili concetti, le grandi vedute, la ricchezza dell'erudizione che mette al sicuro, e più ancora quel buon senso pratico conciliativo in così vital questione, mostra con meravigliosa facilità in poche pagine come si possa tradur in atto una delle più importanti riforme richieste dallo stato della società presente. Laonde io saluto questo lavoro con benedizioni come uno dei lumi forieri di quell'aurora, che già ride, del dì della misericordia del Signore, che speriamo vicina per consolare la Chiesa.
Le dico proprio col cuore alla mano, che, se io non La tenessi come antico tenero amico, La guarderei ora, per avermi nella sua Operetta esposto in modo brillante le idee che io già da anni vagheggio, e mèssomi dinanzi il mio concetto, sicchè io l'adotto quasi opera mia. Aggiungo che, stampando già io la raccolta dei classici latini e cristiani scrittori da adottarsi nelle scuole cattoliche (che al tutto si debbono ristorare), ammetto il Suo opuscolo come una prefazione di essa, essendo anche gli ottimi miei collaboratori dell'istesso avviso.
Dio sia propizio a me ed a Lei, affinchè nel pensiero d'introdurre gli autori classici cristiani possiamo colla vera Religione, se non distruggere le follie dei pagani nelle classi della studiosa gioventù, almeno preservarla dalla loro maligna influenza.
Cuor grande e mente larga ed operosa avrebbe potuto, come diceva il S. Padre Pio XI, „riuscire quello che si dice il dotto, il pensatore”; ma preferì farsi tutto a tutti in una ressa continua d'affari, come se non avesse null'altro da compiere, con un'amabilità ed umiltà insuperabile.
Quell'anno, in dicembre, Don Giovanni Cagliero prendeva [1223], primo dei nostri, la laurea in Sacra Teologia alla R. Università di Torino, e Don Bosco - così egli deponeva nel Processo Informativo - „non di rado scherzava con noi, dicendo all'uno od all'altro: - Tu almeno sei qualche cosa, ma Don Bosco è niente; tu sei professore in filosofia, ecc.; - ad un altro: - Tu sei dottore in lettere; - ad un terzo: - Tu sei teologo, ... ma il povero Don Bosco non ha nemmeno una patente da maestro di prima elementare! Bella figura farò io, quando mi presenti al Paradiso senza titoli! - Al che rispondevamo noi: - Meno male, senza titoli; ma lei si presenterà con molti meriti, che valgono più di tutti i titoli. E poi il solo nome di Don Bosco non è superiore ad ogni titolo? - Sarà un titolo, soggiungeva celiando, ma è sempre di bosco, cioè di legno!
Lo stesso discorso un giorno lo tenne dinnanzi al commendator Garelli, Regio Provveditore degli studi in Torino, il quale, non comprendendo il tono di burla con che lo diceva, prese sul serio il lamento di Don Bosco e disse: - Come! Don Bosco non è professore, non ha diplomi, e nemmeno una patente da maestro?! Don Bosco che è primo educatore della gioventù? Ma il Governo non ha fatto nulla per lei sino adesso? Non ha riconosciuto i suoi meriti? Or bene, ci penserò io, e domani stesso scriverò al Ministro, ed ella avrà tutti i diplomi che meritano i suoi scritti e le sue opere. - Il Servo di Dio allora lo pregò a non incomodarsi, chè il suo discorso era stato per celia, e niente più. Tuttavia il Regio Provveditore non poteva persuadersi che Don Bosco non fosse fornito di qualche diploma, e manifestava il suo stupore, mentre ammirava l'umiltà del nostro caro Padre”.
Ciò che Don Bosco desiderava più di tutto era d'arrivare alla mèta, cioè alla definitiva approvazione della Pia Società, e perciò si preparava a partir per Roma.
Scriveva alla Contessa Uguccioni:
Quasi l'unica lettera che mi è possibile scrivere per augurare buone feste è questa che indirizzo a Lei che da tanto tempo fa da madre a questo povero e discolo figlio. Dal canto mio conoscendo e dichiarandomi obbligatissimo verso di Lei l'assicuro che sceglierò [1224] martedì di questa settimana per far servizio religioso secondo la di lei intenzione. Esso consiste in una messa, rosario, comunione dei nostri giovani, benedizione del SS.mo con altre preghiere particolari. Con questo noi intendiamo di ringraziarla della carità usata, augurare a lei, al Sig. Tommaso, alle figlie, generi, nipoti, sanità stabile con lunghi anni di vita felice col prezioso dono della perseveranza nel bene.
La prego di volerli tutti da parte mia ossequiare e di raccomandarmi alla carità delle loro preghiere.
Ho in animo di fare una gita a Roma nel prossimo gennaio e spero di potermi fermare almeno un giorno a Firenze.
Dio la benedica e mi creda con profonda gratitudine
La vigilia di Natale alla Contessa Callori:
Non posso augurarle buone feste in Torino; mando quest'Angelo affinchè le porti Gesù Bambino a compartirle la sua S. Benedizione.
Stasera una delle tre messe sarà secondo sua intenzione.
Se ha commissioni, ordini pel Santo Padre, lunedì prossimo parto alla volta di Roma.
Ogni bene a Lei e a tutta la sua famiglia e mi creda,
Da Roma, intanto, gli giungevano cordiali ringraziamenti per particolari preghiere che aveva fatto innalzare durante la novena di Natale:
Non è lungi dal vero quanto giunse a sua notizia, che la mia salute non sia quale desidererei per poter compiere i doveri che per tanti riguardi mi incombono. Quindi ho gradito moltissimo le preghiere che EIla ha innalzato al Signore co' suoi giovinetti nella Novena del Santo Natale per la mia conservazione.
Mi professo di tutto cuore obbligato per sì affettuoso pensiero e con sensi di ben distinta stima mi confermo
Anche Mons. Sbarretti, sostituto della Sacra Congregazione dei VV. e RR., lo ringraziava degli “auguri di feli - [1225] cità” ricevuti, promettendogli che non mancherebbe, ad ogni circostanza che potesse offrirglisi, di adoperarsi nel miglior modo „a secondare le sue giuste brame”. Evidentemente Don Bosco gli si era raccomandato per facilitare la definitiva approvazione delle Costituzioni.
E il Santo, di nuovo con Don Berto, partiva per Roma il 29 dicembre.
Nel frattempo gli giungevano all'Oratorio i più devoti e cordiali auguri dei confratelli e di tutti gli allievi di Lanzo per l'anno 1874. Don Lemoyne, in capo al foglio firmato dai confratelli, gli diceva:
- Desiderosi della tua benedizione e di una tua visita ti supplicano di un consiglio in iscritto, perchè anche per essi trascorra fortunato l'anno che incomincia.
Don Lasagna, professore di 4a e 5a ginnasiale, apponeva sul foglio firmato dai suoi alunni questa dichiarazione:
Gli allievi di quarta e quinta ginnasiale del Collegio di Lanzo, tenendo fra le persone più care al loro cuore il loro comun Padre Don Bosco Giovanni, nol potendo in persona, gl'inviano col loro nome i più sinceri auguri per il novello anno 1874 e per tutta la vita, che essi incessantemente implorano dal Cielo lunghissima per salvezza loro e gloria dell'afflitta Chiesa di Dio.
E proprio al direttore ed agli alunni di Lanzo Don Bosco scriveva la prima lettera da Roma! [1226]
NOVENA E SOLENNITÀ IN ONORE DI MARIA AUSILIATRICE
nella chiesa dell'Arciconfraternita a Lei dedicata in Valdocco - Torino
Indulgenza plenaria a chi Confessato e Comunicato visiterà questa chiesa nel corso della Novena o nel giorno della festa.
ORARIO DELLE FUNZIONI RELIGIOSE.
La Novena comincierà il Giovedì 15 Maggio. Ciascun giorno lungo il mattino fino al mezzodì celebrazione di messe lette, e comodità per chi desidera accostarsi a' santi Sacramenti della Confessione e Comunione. - Alle ore 7, Comunione Generale con particolari esercizi di pietà.
Ogni sera alle 7 canto di laudi sacre, Predica, Benedizione col SS. Sacramento con scelta musica.
Mattino, Ore 10. Messa solenne.
Sera. Ore 3 1/2. Vespri - Predica - Benedizione.
In questa medesima chiesa comincierà un sacro Triduo in preparazione al pellegrinaggio stabilito alla Madonna d'Oropa pel giorno 25, Centenario di S. Gregorio VII.
Le sacre funzioni coincidono con quelle della Novena e Solennità di Maria Ausiliatrice.
Mattino. Ore 10. Messa solenne.
Sera. Ore 3 ½ - Vespri - Predica - Benedizione. [1227]
SOLENNITÀ DI MARIA AIUTO DEI CRISTIANI.
Mattino. Ore 10. I giovani dell'Oratorio eseguiranno la grandiosa Messa a piena orchestra del valente M. De - Vecchi.
Sera. Ore 6. Vespri solenni con nuova e scelta musica del Sac. Cagliero Giovanni - Panegirico - Tantum Ergo a 300 voci - Benedizione.
In fine dei Vespri sarà cantata l'antifona Sancta Maria, succurre miseris opera del sullodato Sac. Cagliero. Grandioso concerto a tre cori distinti, come il Tu es Petrus cantatosi a Roma nel 1867; il quale concerto sarà eseguito dagli allievi dell'Oratorio e da molti professori, maestri e distinti dilettanti della città.
CENTENARIO DELLA MORTE DEL PONTEFICE S. GREGORIO.
Mattino. Ore 7, Messa, Comunione generale con particolari preghiere secondo l'intenzione del Sommo Pont. Pio M Ore 10. Messa solenne.
Sera. Ore 3½. Vespri solenni - Discorso - Benedizione.
Ore 7. Messa, Comunione generale, speciali preghiere per tutti gli aggregati all'Arciconfraternita dei divoti di Maria Ausiliatrice e specialmente per suffragare le anime di coloro che Dio ha già chiamati alla vita eterna.
NB. Chi desidera farsi ascrivere nell'Arciconfraternita di Maria Ausiliatrice, troverà persona appositamente incaricata nella sacrestia della chiesa.
La limosina che gli aggregati od altri divoti giudicheranno di fare in questo anno servirà per provvedere le suppellettili della sacrestia e del coro, ed a pagare le spese fatte nella costruzione e collocamento dei nuovo Orologio.
Nota - Nei foglietti inviati direttamente ai devoti si leggeva quest'aggiunta:
Nei due ultimi giorni della novena, nella Solennità e nella Domenica seguente, avrà luogo, nell'interno dello stabilimento, una piccola Fiera a totale benefizio della chiesa e dell'Istituto.
Si esporranno in vendita su banchi diversi:
Medaglie, Litografie e Fotografie religiose, Libri ameni, Musica per canto e per piano - forte, opere edite dall'Oratorio. [1228] 2. Fiori finti, Frutti, Giocattoli ed oggetti diversi di divertimenti pei fanciulli.
Fuori del tempo delle sacre funzioni avranno luogo Concerti musicali e trattenimenti di vario genere.
La direzione delle feste interne è affidata ai Direttori dell'Oratorio e ad un Comitato di nobili signori che prestano con zelo l'opera loro caritatevole a questo scopo di beneficenza.
Qualunque oggetto di chincaglieria, lavoro in ferro, in legno, in ricamo, in tela, in libri, è accolto colla massima gratitudine e servirà a rendere più copiosi i doni destinati a questa fiera.
La S. V. è pregata d'intervenire e di comunicare questo programma alle persone di sua conoscenza.
Al più amorevole dei Padri, DON GIOVANNI Bosco, nel suo dì Onomastico, i figli suoi, pregandogli dal cielo i più eletti lavori, così la comune loro gioia manifestavano.
Haec est dies, quam fecit Dominus; exultemus et laetemur in ea. (Salmo 117, V. 23).
Sorgano in ciel più celeri |
Goda colui, che simile |
I mattutini albori, |
Al naufrago che geme |
Oggi di rii più fulgidi |
Già fu un di, più fulgida |
Il sol la terra indori, |
Gli rieda al cuor la speme, |
D la natura coprisi |
Or che una Man Benefica |
D'un più giocondo vel. |
L'accolse, e custodi. |
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|
L'aure d'attorno echeggino |
Goda il fanciul, astergisi |
De' cantici più lieti, |
lL lagrime dal ciglio, |
In dolci note erompano |
Che se già un dì fu orfano |
Le cetre de' poeti; |
Or torna ad esser figlio, |
Giorno quest'è di giubilo, |
Figlio d'un cuor che palpita |
Tale lo volle il Ciel. |
Del più fervente amor. |
|
|
E se s'allieta il naufrago |
Sì, l'affettuoso titolo |
Quando raggiunge il lido, |
Di Padre, ognun Ti dona |
Se l'augellin rallegrasi |
Ognun di quanti formano |
Quando si posa al nido, |
Quest'ampia a Te corona; |
Non sia fra moi chi il giubilo |
D se le labbia il porgono, |
Raffreni in questo dì. |
Sappi che vien dal Cuor. |
|
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1229] Da tempo inenarrabile |
Oh! dolce Padre, accordasi |
Tu già da Dio eletto, |
De' figli tuoi la mente, |
E fosti e sei de' giovani |
Ognun oggi nell'animo |
Il Padre. prediletto, |
Un sol desio si sente: |
E Chi Ti scelse, idoneo |
I figli il Cor depongono |
Con nome Ti chiamò. |
Del loro Padre al piè. |
|
|
Oh come al fonte mistico |
E Tu con saldo vincolo |
Ben Ti nomar Giovanni[241], |
Di fè, di speme e amore, |
Tu che nascei per spargere |
Un sol ne fa, Tu pòrgilo |
Di Balsamo gli affanni |
Di Cristo al Precursore, |
De' numerosi giovani |
Cui Tu nel nome simile |
Che il Cielo Ti affidò! |
Più simil sei nel cor. |
|
|
E chi nol sa, che miseri |
E dal celeste empireo |
Lungi da Te sarieno |
S'avanza, e già li aggrada |
Molti di quei che vivono |
L'Uom che compì d'un Angelo |
Di queste mura in seno! |
L'uffizio, e fe' la strada |
D Teco, lieti passano |
Al Dio che volle scendere |
La verde loro età. |
Verbo Riparator. |
|
|
Oh! quanti incauti giovani |
Tu, Gran Giovanni, in porgere |
D'Averno in fra gl'artigli |
I nostri cuori a Dio |
Lungi da Te cadriano; |
Per noi Io prega e 'supplica, |
E Teco, quasi gigli |
Fa' che Benigno e Pio |
Qui la Tua destra gli educa, |
Sempre ver noi Di mostrisi |
E in ciel trapianterà. |
Come finor già fe'. |
|
|
De' tuoi favori memori, |
Deh! Tu ne serba incolumi |
Memori di Tue cure |
Dagl'infiniti mali, |
I figli tuoi desiano |
Che in questa etade straziano |
Di farti un don che dure; |
I miseri mortali, |
Ma qual fa mai che porgere |
Or che d'Averno l'alito |
Dono potremo a Te? |
Sparso dovunque si e. |
Salva, proteggi, vigila |
Su questa gran famiglia |
Serba Chi, in nome simile, |
Nel cuor più t'assomiglia, |
All'amor nostro sèrbalo |
Per lunga etade ancor. |
Solenne distribuzione dei premii agli alunni delle Scuole Ginnasiali dell'Oratorio di S. Francesco di Sales il giorno 22 agosto 1873 alle ore 6 Pom.
PROGRAMMA. - 1. Marcia del Maestro De - Vecchi. - 2. Lettura dei voti ottenuti nell'esame. - 3. La carità. Coro del Rossini. - 4. Discorso del Chiar.mo Prof. Cav. Vincenzo Lanfranchi. - 5. Variazione a flautino del Maestro De - Vecchi. - 6. Poesia in dialetto piemontese del Sig. Carlo Gastini. - 7. Distribuzione dei Premii. - 8. La partenza per le vacanze. Coro del Maestro De - Vecchi. - 9. Marcia del Maestro De - Vecchi.
La S. V. è pregata di volerci onorare di sua presenza per rendere più maestosa la nostra festa e dare incoraggiamento ai nostri allievi.
LETTERA INVIATA A DON RUA IL 26 - 5 - ’90
DAL FIGLIO NATURALE DEL CONTE BELLETRUTTI
Mon bien cher et Vénérable Père,
Ton bienveillant accueil, le haut témoignage d'amitié dont tu as bien voulu m'honorer, et les paroles affectueuses, que ton cœur si noble, si généreux a prodigué à mon épouse et à mon enfant, ont répandu sur nos cœurs affligés et bien éprouvés un baume salutaire; et je tiens, avant ton départ, t'en exprimer toute ma reconnaissance.
Oui... mon cher Père, mon cher bienfaiteur, je suis heureux et fier de t'appeler ainsi, et c'est une chose bien douce à mon pauvre cœur, qui a tant souffert pour avoir été privé de toutes affections paternelles et maternelles, de rencontrer en toi un vrai père et un puissant protecteur.
Ma famille et moi nous nous recommandons à tes prières et à ta charité, et en adressant à l'Etre Suprême nos vœux les plus ardents pour la conservation de tes jours si précieux à l'humanité, reçois, mon bien cher Père, l'expression de nos sentiments les plus respectueux, de notre éternelle reconnaissance et de notre absolu dévouement.
Nel catalogo della Pia Società del 1874 si leggevano i nomi di 42 professi perpetui, di 106 professi triennali, e di 103 ascritti - tra tutti 251 associati - e precisamente:
- 49 sacerdoti: 30 professi perpetui, 16 triennali, e 3 ascritti;
- 104 chierici: 3 professi perpetui, 61 triennali, e 40 ascritti;
- 62 coadiutori: 9 professi perpetui, 28 triennali, e 25 ascritti;
- 36 semplici studenti: i professo triennale, e 35 ascritti.
“L’anno 1874, Figliuoli amatissimi, - scriveva il nostro carissimo Padre in fondo al catalogo del 1875, come prefazione alle biografie di vari confratelli defunti - fu per noi memorabile assai. Sua Santità il Regnante Pio IX, dopo averci compartiti grandi favori, in data 3 aprile degnavasi di approvare definitivamente l'umile nostra Congregazione. Mentre per altro questo glorioso avvenimento ci colmava [1232] tutti di vera gioia venne tosto gravemente amareggiato da una serie di avvenimenti. Di fatto al 13 dello stesso mese Dio chiamava a sè il Sac. Provera, di poi D. Pestatino, indi il chierico Ghione e D. Cagliero Giuseppe, e ciò nello spazio di soli quattro mesi.
In questi nostri cari Confratelli noi abbiamo perduto quattro operai evangelici, tutti professi perpetui, tutti affezionatissimi alla Congregazione Salesiana, osservatori fedeli delle nostre costituzioni, veramente zelanti nel lavorare per la maggior gloria di Dio.
Non è pertanto a stupire se queste perdite furono amaramente sentite nella nostra Società. Ma Dio che è di bontà infinita e che conosce le cose che possono tornare a nostro maggior bene li giudicò già degni di sè. Di loro si può dire che vissero poco, ma operarono molto, come se fossero vissuti tempi lunghi assai: Brevi vivens tempore, explevit tempora multa. E noi abbiamo fondati motivi di credere che questi Confratelli, cessando di lavorare con noi in terra, siano divenuti nostri protettori presso Dio in Cielo”.
L'anno 1874 fu davvero memorando per la nostra Pia Società, non solo per l'approvazione sua regolare, ma per le cure indefesse del Santo Fondatore per diffonderla anche all'estero e procurarle nuovi Soci e cooperatori in ogni parte, e così compiere un più ampio apostolato alla maggior gloria di Dio e per il bene delle anime.
Fin dal 1871 aveva chiesto al S. Padre se riteneva più conveniente che si aprissero nuove case in Italia, o nella Svizzera, nelle Indie, nell'Algeria, nell'Egitto, o nella California, donde aveva già insistenti domande di Salesiani[242]. E Pio IX gli aveva risposto:
- Per ora pensate a consolidarvi bene in Italia. Quando sarà giunto il tempo di mandare i vostri figli altrove, ve lo dirò.
E subito dopo l'approvazione regolare della Pia Società, il S. Padre gli diceva di allargare il campo d'azione, dovunque lo ritenesse conveniente. [1233]
Egli intanto, nei mesi che stette a Roma, in vista della necessità d'aprire una filiale presso la Santa Sede, riattaccava premurosamente le pratiche per ottenere la chiesa del S. Sudario dei Savoiardi, dove si recava sovente a celebrare, ufficiata allora dal Can. Grosset Mouchet di Pinerolo, suo ammiratore. Il Comm. Giovanni Visone, Ministro della R. Casa, gli promise di far di tutto presso il Re perchè venisse affidata ai Salesiani, e Don Bosco inoltrava la domanda ufficiale.
Il Sac. Gioanni Bosco di Torino, col desiderio di promuovere il bene del suo simile e specialmente della gioventù pericolante, espone rispettosamente all'E. V. un suo divisamento intorno alla chiesa del SS.mo Sudario eretta in questa città di Roma.
Fin dal 1597 alcuni pii sudditi, mossi da spirito di cristiana pietà, coll'approvazione della S. Sede fondarono una Società, ossia Confraternita, avente per suo scopo principale di occuparsi della morale educazione dei giovanetti, visitare gli infermi ed i carcerati, ed altre simili opere di carità: JUVENES IN VIAM SALUTIS DIRIGENDI, INFIRMOS ET CARCERATOS VISITANDI, ET ALIA CHARITATIS OPERA EXERCENDI, come sta scritto nelle tavole di fondazione.
Questo pio Sodalizio corrispose gloriosamente al fine propostosi per oltre a dugento anni, finchè per gli avvenimenti politici succeduti sul cominciamento di questo secolo cessava dal possesso e dall'amministrazione della Chiesa e dagli oneri annessi (1805).
Dopo una serie di vicende (anno 1837) col beneplacito della S. Sede l'amministrazione della Chiesa e la cura dell'adempimento degli oneri pii erano affidati alla legazione Sarda residente in Roma, perciocchè i Re Sabaudi ebbero sempre questo Sodalizio sotto alla speciale loro protezione.
Finalmente, in questi ultimi tempi, quella Chiesa minacciando rovina il Sommo Pontefice autorizzava il legato Sardo residente in Roma di chiudere la Chiesa, sospendendo ogni spesa di culto a fine di avere mezzi a compiere l'opera dei ristauri (1858). In questo spazio di tempo, che fu di oltre a dodici anni, le pie disposizioni testamentarie si compierono nella vicina Chiesa di S. Andrea della Valle. Il 16 dicembre 1871 furono appagati i comuni desideri e la chiesa venne consacrata e riaperta al culto, essendo Rettore il dotto e zelante Sig. Can.co D. Giuseppe Crosset Mouchet. [1234] A questo anno istorico giova eziandio aggiungere come nel 1869, col consenso della Santa Sede, l'esponente proponeva al Sig. Conte Menabrea, allora Ministro degli Esteri, di cooperare ai progettati ristauri a fine di poter quanto prima riaprire la Chiesa al Sacro Culto.
Per motivi riguardanti al Ministro di Francia, quella pratica non fu allora condotta al suo termine.
Ora che l'edifizio del pio istituto del S. Sudario si trova in uno stato normale, l'esponente rinnova rispettosamente la sua dimanda e propone all'E., V. di voler concedere, che alla cessata pia Società del S. Sudario, avente per iscopo di adoperarsi a favore dei poveri giovanetti e promuovere altre simili opere di carità, vi sottentri la pia Società di S. Francesco di Sales, che è un'associazione civile col medesimo scopo.
Questa Società oltre di occuparsi direttamente ai giovanetti poveri e pericolanti si obbligherebbe della regolare ufficiatura della Chiesa, della nettezza, ristorazioni, di tutti gli oneri e di quanto concerne al decoro delle sacre funzioni.
Persuaso che l'E. V. si degnerà di prendere in benevola considerazione l'umile proposta, che tenderebbe ad impiantare in questa città di Roma un istituto piemontese e sottentrare ad altri piemontesi, ma sempre col medesimo scopo, mi permetta che abbia l'onore di potermi professare con profonda gratitudine della E. V.
Pochi giorni dopo il Ministro gli diceva di ritener la pratica come favorevolmente compiuta. Senonchè il mese appresso, il 27 febbraio, dopo avergli ripetuto che il Re era contento ed anche il Ministro Vigliani aveva approvato quella cessione, gli mostrava un articolo del Popolo Romano, nel quale si diceva che erasi radunata una Congregazione di Cardinali per aprire in Roma un istituto di Don Bosco come a Torino, che il S. Padre era contento ed anche alcuni Cardinali; ma gli altri ed il Clero francese non erano d'accordo!... Anche Vigliani, tentennando il capo, andava poi ripetendo:
- Adesso si sopprimono qui gli Ordini Religiosi, ... e sembrerebbe che lo stesso Governo si contradirebbe se si prestasse pur esso a metter in Roma un nuovo ordine religioso! ...
- Ma questo, osservava Don Bosco, non è un ordine religioso, è una società civile!... [1235] Così le pratiche andarono a monte; e Don Bosco più non insistette, perchè vide egli pure che il prendere l'ufficiatura della chiesa dell'antica legazione del Duca di Savoia presso la S. Sede, che dopo il 1870 era la chiesa particolare della Casa Regnante d'Italia, sarebbe sembrata a molti una carezza al Governo Italiano.
Ma non lasciò il pensiero d’aprire una casa in Roma, e volse lo sguardo alla chiesa di S. Giovanni della Pigna, presso Santa Maria della Minerva (dove dal 1902 è la nostra Procura Generale), e ne trattava col Card. Patrizi, che si mostrò favorevole, e in autunno tornava ad insistere:
Prego V. E. Rev.ma a volermi permettere che le rinnovi il disturbo intorno al progetto iniziato per la Chiesa di S. Giovanni della Pigna.
La E. V. ebbe la bontà di dirmi che dal canto suo non aveva alcuna difficoltà a concederne la direzione e il disimpegno delle sacre funzioni alla Congregazione Salesiana, verso cui ha elargiti tanti atti di benevolenza.
Quasi le medesime parole si degnò di esternare il Santo Padre.
Sua Eccellenza Mons. Vitelleschi ne fu sempre propenso, come sempre si mostrò benevolo nelle cose riguardanti la nostra Congregazione. Ma gli ultimi avvenimenti hanno complicata e fatto sospendere ogni deliberazione.
Ora mi premerebbe assai di poter venire ad una favorevole conclusione. Perciocchè noi abbiamo un vero bisogno che alcuni della Congregazione possano dimorare in Roma; a tale uopo mi è fatta offerta della Chiesa dei Tedeschi, ma sono assai magre le convenienze. Più opportuna per ogni rapporto, ci converrebbe S. Giovanni della Pigna, e per questo mi raccomando umilmente alla provata bontà dell'E. V.
Taluno potrebbe dire che alle confraternite è minacciato incameramento. È vero; ma se la Chiesa è funzionata, se la casa è abitata, le cose trovansi sempre in migliori condizioni, che non sarebbero qualora ogni cosa fosse vacante: sarebbe a sperare qualche riguardo dalle civili autorità, almeno durante la vita dei direttori.
Ho espresso così il mio desiderio: rimetto ogni cosa alla sua carità, sempre contento di qualunque sua deliberazione o consiglio.
Colla più profonda gratitudine ho l'onore di professarmi,
Il Card. Vicario gli rispondeva che per il momento non era conveniente, perchè sarebbe tornato a danno del Rettore e, forse, anche a rischio della Confraternita:
Le buone disposizioni per la fondazione in Roma della Congregazione Salesiana durano tuttora tanto in me, che in Mons. Vitelleschi, ma le difficoltà già affacciate, che consiglierebbero di differire la cosa a tempi migliori, non sono svanite.
Finora le Confraternite non sono state toccate dal Governo, e quella di S. Giovanni della Pigna, avendo uno scopo particolare di carità, si spera che sia per meritare un qualche riguardo in caso di soppressione delle altre. Ma se la Chiesa e la casa annessa venissero assegnate ad una Congregazione regolare, potrebbe corrersi rischio che sotto questo titolo venisse molestata la Confraternita. Non può infine non aversi un riguardo, come già si accennò, al Rettore della Chiesa il quale andrebbe non poco a soffrire nell'interesse se dovesse lasciare quella abitazione: e nello stato attuale delle cose sarebbe oltre modo difficile che potesse darglisi un adeguato compenso.
Per questi riflessi pertanto il parere nostro sarebbe di rimettere a tempi migliori la conclusione di tale affare.
Dato così riscontro al preg.mo foglio dei 28 settembre pp. non mi resta che ripetermi con sensi di verace stima,
Don Bosco, deciso com'era d'intraprendere la costruzione della chiesa di S. Giovanni Evangelista in Torino appena avesse ottenuto la piccola striscia di terreno contestata dal protestante Enrico Morglia, tornava a pregare il Ministro della R. Casa d'ottenergli dal Re un sussidio per quell'impresa, perchè essendo già decisa nel piano di costruzione anche l'erezione delle scuole e di un ospizio pei più poveri giovinetti dei dintorni, si trattava di un'opera tutta indirizzata al pubblico bene:
Tra i quartieri assai popolati della città di Torino è certamente quello che comincia da Piazza d'Armi, fa centro nel viale del Re, volgarmente dei platani, e si estende fino alla riva del Po. In questo tratto di circa tre chilometri non essendovi nè chiesa, nè scuole a favore del pubblico, si vede una moltitudine di fanciulli che ne' giorni [1237] feriali e festivi vagano di via in via, con grave pericolo di dare lamenti alle pubbliche autorità, e di meritarsi la pena della reclusione, come pur troppo è già spesso avvenuto.
Mi era bensì adoperato ad aprire un oratorio con giardino dirimpetto e scuole pei più abbandonati e pericolanti; ma nel testè eseguito prolungamento della Via detta di S. Pio V, fu occupato il giardino, e divise le scuole dalla Cappella. Allora il proprietario ha dato a quel sito altra destinazione.
Nel vivo desiderio di provvedere a questo pubblico bisogno ho comperata un'area di terreno tra via Mad. Cristina e la mentovata via Pio V, con fronte sul Viale del Re.
Questo locale sarebbe destinato alla costruzione di un edifizio che possa servire per la chiesa, per le scuole, con ospizio pei più poveri, atto a raccogliervene cioè da circa quattrocento. In questa guisa sarebbe assai sollevato l'Oratorio di S. Francesco di Sales, che rigurgita di ricoverati, mentre ogni giorno si fa una moltitudine di domande per altri ricoverandi.
Prima di accingermi alla desiata impresa, mi sono indirizzato all'Economato Generale per aver qualche sussidio. Dall'Economo Generale, signor Comm. Realis, ebbi buona accoglienza e mi fu data promessa di sussidio da fissarsi all'epoca in cui si sarebbero cominciati i lavori.
I lavori dovrebbero appunto cominciare presentemente, perciocchè il disegno è ultimato; la Chiesa, le scuole, l'ospizio sarebbero con fronte sul viale del Re.
Per questo motivo mentre alcuni miei particolari affari mi trattengono a Roma, fo umile preghiera alla E. V., affinchè voglia venire in aiuto ad impiantare un'opera che è tutta indirizzata al pubblico bene, specialmente pei figli pericolanti del povero popolo, e concedermi quel maggior sussidio, che in questo caso eccezionale a Lei sembrerà beneviso.
Pieno di fiducia nella nota di Lei bontà, ho l'alto onore di potermi professare con gratitudine
Essendo ognor sospeso l'inizio dei lavori, neppure questa domanda ebbe corso.
Don Berto, nel tempo che fu a Roma, annotava alcune cosette, che giovano a farei comprender meglio lo spirito del Santo Fondatore.
A Don Bosco, attento osservatore qual era, nulla sfuggiva [1238] di quanto accadeva qua e là, di bene e di male, ed „una volta, narra Don Berto, accompagnandolo per la via Montanara, uscì in queste parole: - Sai, che cosa pensava io poco fa?
Pensava che vedendo tanti disordini qui in Roma, àvvi pericolo di perdere la fede.
Ed a me invece, gli risposi, fa l'effetto contrario. Perchè il vedere che non ostante tanti disordini la religione si mantiene immacolata, ne deduco una prova della sua divinità. E poi tutti questi monumenti religiosi che si incontrano ad ogni passo mi confermano sempre più nella fede.
- Sì, ripigliò Don Bosco, la religione è divina, ma è amministrata dagli uomini e vi sono anche qui i figli di Adamo.
Forse Don Bosco mi fece la suddetta interrogazione, per esaminarmi se io prendeva scandalo al sapere, al vedere, al trovarmi al contatto di certe umane miserie, gare, invidie ed intrighi, che anche tra religiosi e nel Vaticano stesso succedevano...”.
Il nostro dolcissimo Padre, sempre pieno di bontà nel giudicare i fatti altrui, quando sentiva a raccontare qualche grave scandalo o disordine, anche tra persone buone, esclamava:
- Che vuoi! sono anch'essi figliuoli d'Adamo!
E trattava bene tutti, anche chi cercasse d'avversarlo, in qualsiasi circostanza, senza mai mostrarsi offeso.
Un giorno, giunto ad uno svolto della via del Tritone, trovò il marciapiede e la strada serrati da un crocchio di giovinastri, fannulloni, dallo sguardo fiero e sprezzante, e non avrebbe potuto passare. Giunto là vicino, sorridente si levò il cappello, e li salutò con un inchino; e quelli, come mortificati subito gli fecero largo, dandogli segni di stima e di rispetto.
Continuando senza paura a consacrare ogni istante alla maggior gloria di Dio ed alla salvezza delle anime, più d'una volta fu udito esclamare:
- Io ho bisogno che mi aiutino a superare le difficoltà [1239] e non a farne. Vorrei che si considerasse non tanto la persona di Don Bosco, ma il bene ed il vantaggio della Religione e delle anime, perchè io lavoro per la Chiesa.
Nè si perdeva mai di coraggio per qualsiasi inattesa difficoltà, nè per alcun insuccesso. „Alcune volte - notava Don Berto - vedendo la sua costanza e pazienza in andare e venire inutilmente e tante volte da certe persone per ottenere qualche favore, o semplicemente per aggiustare qualche affare riguardante il bene altrui o della Chiesa, o per avere qualche elemosina, vedendolo salire sino al quarto piano, non poteva trattenermi dal dirgli: - Oh! povero Don Bosco! se si vedesse o si sapesse mai all'Oratorio quanto lei deve faticare e sudare per ottenere qualche sussidio, per venire a capo di qualche affare a vantaggio dei suoi figli! - Ed egli: - Tutto per salvare questa povera anima mia!... Per salvare questa povera anima nostra bisogna essere disposti a tutto!...”.
Nulla, proprio nulla, riusciva a fargli perdere la calma e la serenità abituale.
Mons. Manacorda, sedendo con lui a tavola in casa del Cav. Stefano Colonna, spedizioniere apostolico, con moltissimi altri invitati, tentò una volta di farlo andare in collera, importunandolo, rimproverandolo, contradicendolo, cercando ogni via per vedere se riusciva nel suo intento, senza risparmiargli titoli irriverenti e ironie! Ed egli sempre sorridendo, scherzando, dando ragioni, o tacendo, seppe così delicatamente schermirsi, da far quasi impazientire il bravo Monsignore, che aveva per lui una venerazione singolare.
Fra questa la sua maniera per superar ogni ostacolo: sopportar serenamente qualunque umiliazione!
E il Signore era sempre col suo Servo. Abbiamo accennato a varie grazie ottenute colla sua benedizione: e d'una di esse Don Berto faceva testimonianza anche nel Processo Informativo.
“Nel 1874 trovandomi a Roma col Servo di Dio, precisamente il 16 di febbraio, verso le cinque pomeridiane lo accompagnava verso la villa Ludovisi, quando presso la chiesa dei Cappuccini ci passò vicino un signore, che salutato Don [1240] Bosco continuava il passo, ma vedutosi cortesemente risalutato ritornava indietro a ringraziarlo, dicendogli che nel 1867 allorchè Don Bosco trovavasi alloggiato presso il Conte Vimercati in S. Pietro in Vincoli, egli era stato condotto colà per ricevere la sua benedizione. - Io allora, aggiungeva, era pazzo; ma mi ricordo che quando mi portarono da lei per essere benedetto, ella mi diceva di non temere di nulla, perchè sarei guarito. Ebbene d'allora in poi io sono stato perfettamente guarito. L'ho già veduta altre volte a camminare per Roma, ma per rispetto non ho mai osato avvicinarmele ...”.
Somma era l'ammirazione e la venerazione che godeva universalmente.
L'8 gennaio Mons. Fratejacci, scrive Don Berto, „ci condusse con sè all'Accademia dell'Arcadia, dove si vide il cortile ed anche le scuole seminati di rami di mirto e di allori.
Giunti là ci trovammo in una vasta sala ben munita di preziosi quadri, tra cui primeggiava quello di Pio IX. Quivi si cantò qualche pastorale divinamente inspirata ed eseguita da due eccellenti contralti, voci femminili, con bassi robusti e tenori di uomini, accompagnati da pianoforte e violini. Il pianoforte era suonato dall'organista della Basilica Vaticana. Si lessero prose, poesie in diverso metro, latine, italiane, francesi, spagnuole, tedesche, greche, ecc. Il Direttore dell'Osservatore Romano, presente, venne a salutar Don Bosco, dandoci il suo indirizzo e domandando il nostro. Anche il March. Baviera (Via S. Claudio). Altre persone distinte e Monsignori salutarono pure Don Bosco; tra cui il Direttore dell'Accademia Arcadica”; e „Mons. Fratejacci mi promise di mandare un diploma ammettendo Don Bosco, Don Francesia e Don Cagliero come membri di questa Accademia”.
Don Bosco era già stato annoverato „nel Catalogo dei componenti questa antica letteraria Repubblica” nell'ottobre dell'anno precedente; e il 15 febbraio 1874 di nuovo gli veniva conferito il diploma in un formato più elegante, con la data 14 febbraio[243]. Il 12 ottobre 1873 era già stato conferito [1241] anche a Don Rua; e venti altri salesiani e due amici di Don Bosco ebbero lo stesso onore, come notava Don Berto, senza dire in qual giorno[244].
Mons. Fratejacci il 14 aprile scriveva a Don Bosco:
Stando in letto ieri ed oggi sono stato impedito a farle una visita come avrei avidamente desiderato, anche perchè la di lei dipartita da noi si avvicina.
Ho supplito però in altro modo al difetto della mia visita, scrivendo ieri ed oggi due iscrizioni diretta una a Don Bosco, l'altra a Cleonte Cassiopeo ed oltre a ciò una copia del mio Carmen da Lei già udito in Arcadia. Offro a Lei stesso tutto questo mio lavoro e la prego a gradirlo colla usata sua bontà.
Ella ben sa con quale tranquillità di animo sia stato scritto, fra quali circostanze, in quali momenti! Ciò sarà scusa d'ogni menda che Ella ritrovasse nei miei versi e farà giusta causa del compatimento a mio riguardo.
La mia salute è infralita di molto. Animo, coraggio quando se ne vuole, ma... Rassegnazione ai voleri del Signore pienissima per quanto aiuta la sua santa grazia, ma... ma .......
Ella si degni di non dimenticarmi mai nelle sue orazioni e in quelle della sua cara Comunità.
Mi rallegro di nuovo e di tutto l'animo dell'approvazione definitiva [1242] del suo santo Istituto, ed ho certa speranza che questo produrrà immensi beni e alla civile società e alla Chiesa a scorno del diavolo e dei molti procuratori ed agenti che esso ha sulla terra, taluno dei quali neppure manca in Torino. Una volta di più si è provato col fatto che Dio può più del diavolo .....
In archivio abbiamo il Carmen sul Sesto Centenario della morte di S. Tommaso d'Aquino, che ricorreva in quell'anno, ma ci limitiamo a riprodurre le iscrizioni latine[245]: la prima indirizzata a Don Bosco, in accompagnamento al Carmen; l'altra, per l'approvazione della Pia Società, a Cleonte Cassiopeo, evidentemente per inesattezza, essendo il nome di Don Bosco Arcade, nei due diplomi, Clistene Cassiopeo.
Questo è certo che Don Bosco vagheggiò anche il pensiero di far risorgere in Torino una Colonia Arcadica, e per questo, forse, dovette egli pure interessarsi, coll'appoggio e l'influenza di Mons. Fratejacci, di far aggregare all'Accademia tanti confratelli.
Monsignore, in data 31 maggio, tornava a scrivergli:
Tre lettere, tre debiti! la prima scritta in data del dì 8 maggio; l'altra del 14; l'ultima del dì 16. La prima è scritta da Don Bosco, l'altra da Don Berto, e l'ultima dal Prof. Celestino Durando.....
Debbo da prima ringraziarla delle tante e cordiali espressioni, con cui Ella volle, per sua bontà, esternarmi il di lei animo ben fatto a mio riguardo. Posso assicurarla che il di Lei foglio mi fu gratissimo ed opportunissimo. Io era nell'attraversare la crisi del male fastidiosissimo, e pericoloso, che mi ha tanto percosso nella scorsa primavera, causa, Ella lo sa, più d'una vicenda, che mi ha proditoriamente investito, per farmi ingoiare assai amare pillole. In questo stato di cose mi fu di sommo conforto la parola tanto amorevole a me indirizzata in quel momento, da chi tanto stimo, ed a cui professo la più sincera e cordiale affezione! Non posso dunque, che testimoniarle in queste poche righe la mia più alta riconoscenza, che sarà duratura per sempre, di sì caro ed obbligante suo officio verso di me bisognoso allora di particolare conforto. Quella sua lettera profusa di carità propria di Don Bosco, nata entro i recinti del Santuario, nudricata dai moti d'una schietta e generosa amicizia, fu per me la voce incantevole, che risveglia tutte le forze vitali di un cavallo quando trascina un carro pesante, su per un'erta montagna. Par che la voce del suo condottiere alleggerisca il peso gravante sul carro, par che si ritemprino gli spiriti di quell'affannato destriere, sicchè giunge felicemente sul [1243] cocuzzolo del monte, e compie per la voce del suo condottiere una impresa, che sembrava quasi impossibile a riescire. Hoc primum .....
Circa la Colonia d'Arcadia, ch'Ella con tanto buon senno desidera fondare in Torino, io ho già fatto il da farsi col mio collega Mr. Ciccolini custode generale d'Arcadia. Il di Lei desiderio è stato benissimo accolto, e sarà presto adempito. Non trattasi di creare ma di revocare ab interitu la Colonia, che già fu in cotesta illustre Sua Patria. L'Arcadia contava oltre cento sessanta colonie, fra cui primeggiava la colonia Augustae Taurinorum. L’invasione Francese frastornò, tagliò e rovesciò tutto. Solo due o tre delle colonie in provincia risorsero dopo la ristaurazione del governo Pontificio. Del rimanente il di lei desiderio e come a cittadino Torinese, e come a Scienziato, e come a fondatore dell'Istituto dell'Oratorio è convenientissimo e degno d'ogni lode. Imita il fatto di tanti Santi e dotti monaci, che istituirono colonie Arcadiche nei loro monasteri; di tanti fra i più recenti fondatori degli Scolopii, Somaschi, dell'Istituto della Madre di Dio in Campitelli, i quali promossero ed istituirono Colonie Arcadiche, entro ai loro Istituti. Lo stesso Camaldolese che fu il Cardinal Zurla, Vicario di Roma, quasi erede delle tradizioni monastiche, fondò in Roma stessa, cioè nel Seminario Romano una Colonia Arcadica. La quale notizia io qui subito le premetto affinchè se mai per qualche Mr. Aristarco (l'Arcivescovo Mons. Gastaldi) si facesse mal viso ai di Lei disegni, abbia in mano quest'arma, che sembrami a due tagli, per difendere l'opera sua ora in disegno.
Il Ciccolini già si occupa a rovistare i libri, e le tradizioni dell'Archivio d'Arcadia per avere sott'occhio tutti i precedenti relativi alla già colonia Torinese. Io avrò subito i risultati di queste ricerche, e a Lei li comunicherò. E quindi con ulteriori intelligenze e concerti sarà formulata la dimanda al nostro comune d'Arcadia, e la colonia in Torino presso il suo Oratorio sarà presto un fatto, che le recherà onore, e che utilizzerà le lettere, il suono, la poesia, il canto a favore della Religione, scopo principale in ogni tempo ma nel tempo nostro soprattutto, che deve stare in cima d'ogni pensiero agli educatori della gioventù, ai letterati, ed agli Ecclesiastici in ispezialità. Io scriverò a Lei altre lettere circa questa sua Colonia, fino alla istituzione di essa et de hoc satis .....
Ancora una cosa mi resta a scriverle, ed è che l'altrieri ebbi una graziosa visita dal Sig. Colonnello Monti e dalla Consorte signora Eurosia e che molto la gradii. Si trattennero con me forse 3 ore. Visitarono il mio giardino, la Cappella, gli arredi sacri, la casa. Agnesina presentò un bochet di fiori alla Sig. Eurosia. Si mormorò a lungo di Don Bosco e si parlò assai di quella Eccellenza tanto venerata dalla Sig. Eurosia.....
Ma neppur queste pratiche ebbero seguito. [1244]
Del ritorno del Santo all'Oratorio e delle feste che ebbe s'è già detto, ma conviene aggiungere un'ode, composta da Don Lemoyne e stampata allora, perchè ci addita l'entusiastica ammirazione destata da Don Bosco per l'approvazione definitiva delle Costituzioni Salesiane.
A D. Giovanni Bosco nel suo felice ritorno da Roma in segno di riverenza e di amore i giovani dell'Oratorio di S. Francesco di Sales.
Come al destarsi il pargolo, |
Ma fu mendace il sonito |
Dipinto d'un sorriso, |
Che de' tuoi passi mèta |
Volgendo il guardo tremolo |
Fe' di ragion politica |
Cerca il materno viso, |
Qualche mission secreta; |
E scioglie il,labbro a un tenero |
Nè invan di Pietrò al Soglio |
Nome, che pria scolpì: |
Tua fronte s'inchinò. |
|
|
Così giulivi e memori |
La Fè dolente e vedova |
Noi ti cercammo un giorno; |
Fèsti di nuova prole |
Ma ohimè! si parve estinguere |
Ricca; sui poggi eterei |
Il Sol, quando all'intorno |
Hai posto un altro sole, |
Suonò una voce lugubre: |
Seppe un baluardo al Tempio |
Il Padre sen parti! |
Il senno tuo fornir. |
|
|
Mesti, scorati e trepidi |
Col Frate Umil sei povero, |
Levammo al cielo un grido: |
Sapiente col Gusmano, |
il mostro amor, la gloria |
Al par d'Ignazio intrepido |
Salva dal mondo infido; |
Del senno e della mano, |
E sempre co' suoi palpiti |
Scuoti un vessillo all'aria, |
Ti fu compagno il cor. |
Salute all'avvenir. |
|
|
Dette ci furon.l'ardue |
Santo Noè fra i turbini |
Fatiche e l'alte cure, |
Voli securo al porto, |
La santa speme, e l'ansia |
Mosè novello ai popoli |
De l'alma, ed a noi pure |
Rechi da Dio conforto, |
S'inurnidir le ciglia, |
Sotto i tuoi piè germogliano |
Si rinfocò l'amor. |
Fiori che alletta il Ciel. |
|
|
Una celeste aureola |
O Santo Lume, abbagliami |
A ognun ti mostra santo, |
L'onor di tua corona; |
Al Tebro, all'Arno, al Panaro |
Amor e riverenzia |
Tu fosti nobil vanto; |
Nel core mi tenzona; |
Lieto lo scettro e il pallio |
Lieto e confuso pròstrorni |
T'accolse e festeggiò. |
Suddito a te fedel. [1245] |
Verso la fine, essa ha uno spunto che ci sembra, come vedremo, suggerito da un'altra poesia, stampata contemporaneamente.
Di quei giorni il Santo si recava a Beinasco, un paese poco lungi da Torino, sulla strada che va ad Orbassano, dov'era parroco Don Antonio Balladore, già suo compagno nel Seminario di Chieri e a lui unito in intima amicizia. Don Bosco aveva chiesto a Roma una benedizione particolare con indulgenza plenaria per tutti i suoi parrocchiani, e il S. Padre gli aveva dato l’incarico d'impartirla egli stesso, nel giorno in cui si sarebbero confessati e comunicati.
Non sappiamo la data in cui ciò avvenne, ma ci resta una copia del carme latino, il più entusiasta, stampato per quella circostanza, coll'approvazione ecclesiastica, nel quale il Santo è paragonato a Mosè che sale sul monte Sina, ... per ricevere... dal Vicario di Gesù Cristo ogni benedizione[246].
Un altro documento che va letto attentamente.
A Roma Don Bosco aveva avuto vari colloqui col colonnello Monti e con la sua consorte Eurosia, e per essi aveva fatto benedire dal S. Padre, con particolari indulgenze, un Crocifisso che probabilmente era appartenuto al Teol. Golzio, fratello della signora Eurosia. Non avendo potuto, per la ressa degli affari, consegnarlo ad essi personalmente, ne dava ragguaglio al colonnello, aggiungendo, nel modo più delicato, notizie della salute dell'Arcivescovo Mons. Gastaldi, col quale ormai aveva ottenuto che, per parte loro, fosse del tutto sopita la vertenza per l'eredità contrastata, sebbene ne continuasse una turpe gazzarra la stampa anticlericale.
Carissimo Signor Commendatore,
Un po' in ritardo, ma voglio compiere il mio dovere e rispondere alla rispettabile sua lettera.
Ho veramente accelerata la mia partenza da Roma per tentare di rivedere ancora una volta uno dei miei più cari figli, il Sacerdote D. Provera. Troppo tardi!
Giunsi poco dopo la di lui sepoltura. A Dio piacque così e così sia. Lasciò un grande vuoto nell'amministrazione delle cose nostre ed ora mi studio di supplirlo nel miglior modo possibile. [1246] Tutte le cose spettatiti alla nostra Congregazione furono terminate con felicissimo esito.
Ho trovato benevolenza in tutti, ma il Santo Padre mi fece veramente da padre affettuosissimo.
Ho portato veramente con me il noto Crocifisso. Esso è arricchito di tutte le indulgenze desiderate. Se giudica opportuno, lo manderò a Roma col suo indirizzo; altrimenti lo consegnerò a loro mani dopo il ritorno in questa nostra antica capitale.
Ho parlato col nostro Arcivescovo, che ho trovato pieno di cortesia, ma in posizione assai difficile. Da tempo notabile, egli assicurò che non può più uscire per la città, perchè qua e là segnato a dito ed insultato; quindi meno passeggiate. Le sue prediche, le quali un tempo traevano folla di gente, ora giunsero a compassionevole mediocrità. Si potrebbe a ciò rimediare, ma come fare quando l'ammalato ricusa medico e medicine?
Dal modo disinvolto con cui scrive la sua lettera pare che la sua sanità continui a perfezionarsi e questo è lo scopo delle mie preghiere e di quelle dei nostri giovanetti; cioè pregare Dio affinchè V. S. e la sig. Eurosia abbiano sanità stabile e vivano ancora lunghi anni di vita felice.
In mezzo alla moltitudine delle cose, al mio arrivo ho provato una grande consolazione. Erano qui a Torino i Direttori di tutte le sedici nostre case[247] e dopo aver parlato ed osservato ogni cosa, ho potuto accertarmi che gli affari, la disciplina, l'andamento amministrativo erano nello stessissimo grado che trovavansi alla mia partenza per Roma, come appunto fossi partito solamente testè alla volta di quella città.
Il Signore Iddio benedica lei, benedica la Signora Eurosia, e raccomandandomi alle preghiere di ambidue, ho l'onore ed il piacere di potermi professare della S. V. carissima,
Chi non ammira la delicatezza del Santo per spegnere ogni ricordo del contrasto avuto coll'Arcivescovo?
Di quei mesi, la libreria dell'Oratorio aveva fatto ritrarre, in un bel quadretto a colori, le venerate sembianze del Teol. Borel, e riprodurne piccole fotografie; e nell'Unità Cattolica del 5 aprile si leggeva: [1247] Chi è che non ricorda nella nostra città il teologo Giovanni Borel, quell'infaticabile e santo ministro di Dio, che nelle carceri, negli istituti, nelle missioni consacrò la sua vita per la salute delle anime? La sua memoria durerà benedetta in mezzo a noi, e il profumo delle sue virtù, e soprattutto del suo zelo apostolico, e della sua ammirabile semplicità e della sua gioviale amabilità lascerà lunga traccia di sè, a modello del clero e ad edificazione del popolo cristiano. Fu quindi ottimo il pensiero dei sacerdoti dell'Oratorio di S. Francesco di Sales in Torino di farne ritrarre le care sembianze in un quadro, che venne di poi fotografato, e che, per essere stato fatto dopo la morte del servo di Dio, ritiene abbastanza bene le linee di quel volto, improntato di tutto il candore della santità; sotto la fotografia un breve motto autografo colla sua firma. Chi desidera avere in questo bel ritratto una preziosa memoria del santo uomo, potrà procurarsela presso il medesimo Oratorio...
Il 26 aprile, festa del patrocinio di S. Giuseppe, nel Santuario di Maria Ausiliatrice, finalmente si vedeva il quadro del Santo Patriarca sul suo altare e veniva solennemente benedetto. Don Bosco stesso compì la sacra cerimonia, della quale Don Francesco Piccollo, dopo tanti anni, scriveva questi ricordi:
Lo sguardo di tutti si concentrò sulla tela che copriva il quadro, in un'ansia vivissima di vedere se proprio era bello come l'avevano descritto. Quando l'immagine soave di San Giuseppe comparve quale Don Bosco l'aveva suggerita al Lorenzone, nella tinta così ben contemperata di colori, si intese nel tempio un sommesso bisbiglio generale: tutti commentavano sottovoce esprimendo le proprie impressioni.
- Com'è bello San Giuseppe! - diceva un compagno. - Guarda com'è soave il Bambino che adagia il capo sul petto del Santo...
- Vedi il cesto di rose - diceva un altro - sulle ginocchia del Bambino? dà le rose a San Giuseppe che le fa cadere sull'Oratorio ...
- Sono simbolo delle grazie che ci vuol fare aggiungeva un terzo...
- Non è un quadro che vediamo - disse uno; è qualche cosa di parlante... è una predica; basta vedere per capire subito che cos'è la divozione a S. Giuseppe e quanto Egli s'interessa di noi!
Un suono di campanello ristabilì il raccoglimento tra i fedeli, mentre la voce argentina di Don Bosco intonava il Deus in adiutorium e invocava quei sacri carismi di cui Dio arricchisce i quadri allorchè con la benedizione del sacerdote cessano di essere cosa profana [1248] per divenire cosa sacra. E Don Bosco benedisse la sacra immagine che pareva sorridere a tutta quella moltitudine di giovinetti che in Lui riponevano la loro più viva fiducia: poscia cantò anche la messa solenne.
Io ero vicino all'altare ed ho potuto ammirare il divoto slancio del Servo di Dio che spesso innalzava gli occhi al quadro, e che cantava con voce commossa le orazioni del Santo. Anche il coro di cento e più voci giovanili che dall'orchestra cantarono il Quasi arco rifulge Giuseppe tra le nubi di gloria: è come cespo di rose nei giorni invernali, ravvivò nella massa dei fedeli arcane ebrezze di elevazione spirituale. Le rose in mano di San Giuseppe e quelle ricantate dalle argentine voci di cento giovani ci davano l'impressione di trovarci in un giardino abbellito dallo splendore della maestà di San Giuseppe e profumato dall'aroma delle virtù del grande apostolo della gioventù che gli stava ai piedi raccolto nell'estasi della sua pietà.
Don Bosco fece fare delle fotografie del quadro che vennero largamente diffuse dalla libreria dell'Oratorio, e l'Unità Cattolica del 7 maggio ne faceva queste lodi:
Ite ad Joseph. - Abbiamo sott'occhio una bella fotografia, che rappresenta il Patrocinio di S. Giuseppe, tratta dal quadro a olio, collocata in una delle cappelle laterali come ancona dell'altare nella chiesa di Maria Santissima Auxilium Christianorum presso l'Oratorio di S. Francesco di Sales in Torino.
Il quadro è nuovo lavoro del signor Lorenzone, la cui valentia, massime in opere di soggetto religioso, non abbisogna delle nostre parole per essere conosciuta. Amici e nemici del valoroso artista riconoscono del pari che in ciò che dicesi sentimento, cioè espressione d'affetto religioso, di quel non so che, il quale parla all'anima, e che desta vivi e svariati affetti nel cuore di chiunque rimiri la pittura, benchè non conoscitore dell'arte, non è secondo a veruno dei nostri tempi. Il concetto che informa il lavoro è semplice, ma, divoto quanto mai, è adatto alla capacità del popolo, per fargli conoscere ad una semplice occhiata la sublimità e la potenza del gloriosissimo Sposo della Madre di Dio. Il Santo, ritto in piedi sopra una nuvola, attorniato da angioli in atteggiamenti varii e tutti devoti, ha in braccio il bambino Gesù, il quale tiene sulle ginocchia un panierino pieno di rose. Il bambino piglia le rose dal panierino e le dà a San Giuseppe, e questi a mano a mano le fa piovere sulla chiesa Auxilium Christianorum, che vedesi di sotto. L'atteggiamento del bambino Gesù è preziosissimo, perchè, rivolto al suo caro Padre putativo, gli sorride con infinita dolcezza. A quel divino sorriso sembra imparadisarsi il santo Patriarca, e si direbbe che la celeste letizia del divino Infante si raddoppia col riflettersi in quell'amato volto. A compiere questo [1249] delizioso gruppo sta a lato del bambino Gesù, ritta in piedi, ed in bella movenza, la sua santissima madre Maria Vergine, la quale, in atto divotissimo, e tutta rapita nella contemplazione di quel dolce scambio di ineffabile amorevolezza per il suo divin Figlio ed il suo purissimo Sposo, sembra fuori di sè per l'infinita dolcezza che inonda il suo cuore.
Ancora un particolare. Don Francesco Giacomelli, già compagno di seminario del Santo e dopo la morte del Teol. Golzio suo confessore, narrava come avendo osservato che le rose che S. Giuseppe lasciava cadere dalle sue mani, erano rosse e bianche, domandò a Don Bosco: „- Che cosa vogliono significare queste rose bianche e rosse? - Egli non rispose, ed allora io gli dissi: - Mi pare che le rose bianche figurino le grazie che piacciono a noi, e le rose rosse quelle che piacciono più a Dio. Che ne dici? - Va bene, mi rispose, le rose rosse sono le migliori!”.
Nel 1872, poco prima che il partito carlista riprendesse nella Spagna le armi e proclamasse re, sotto il nome di Carlo VII, il figlio dell'Infante Don Juan di Borbone d'Angiò che nel 1868 aveva abdicato in suo favore a tutti i diritti al trono, Don Carlos andando a mettersi a capo dei legittimisti insorti, passava per Torino, accompagnato dal Conte Servanzi, Guardia Nobile di Sua Santità, e insieme col Conte veniva all'Oratorio. Il Conte, senza dir il nome di chi l'accompagnava, avvicinò Don Bosco, portò il discorso sull'insurrezione spagnuola, e gli chiese:
- Che cosa dice Don Bosco di Don Carlos?
E Don Bosco: - Ecco, se è volontà di Dio che egli vada in trono, ci andrà; ma solamente con mezzi umani è quasi impossibile che riesca nel suo disegno.
Il Conte allora: - Conosce questo signore?
Nessuno aveva detto a Don Bosco chi fosse, ma egli rispose prontamente:
E Don Carlos, rompendo il silenzio: - O che vado adesso, esclamò, o mai più. Ho molti amici, sa, e poi ho il diritto!
- Ebbene, disse Don Bosco: se vuole aver speranza di [1250] riuscire, vada con rette intenzioni per avere la benedizione di Dio!
Seguirono altri discorsi, e quando Don Carlos si congedò, Don Bosco lo accompagnò fin sulla porta, ove incontratosi con Don Lemoyne, gli disse col solito sorriso: - Ti presento Don Carlos, l'aspirante al trono di Spagna! - Don Carlos stese la destra a Don Lemoyne, gliela strinse, e così finì quella visita.
Ma il pensiero di Don Bosco non dimenticò il giovane guerriero.
Don Carlos si recò nella Spagna, dove cominciò la terza guerra carlista, che durò quattro anni, prima contro Amedeo di Savoia che abdicava l’11 febbraio 1873, quindi contro i Repubblicani, e nel 1874 contro Alfonso XII... e il 29 aprile 1874 - scrive Don Berto - „Don Bosco trovavasi in chiesa a confessare; erano le ore 8 circa del mattino, quando si alzò in piedi e gli parve di trovarsi in mezzo alla battaglia tra i repubblicani e i Carlisti. Sentiva frequenti colpi di cannone da un orecchio e dall'altro, e già voleva chiamare qualcuno per sapere che cosa fosse”, quando quella scena scomparve...
La lotta durò ancora due anni, e nel 1876, Don Carlos abbandonava la Spagna... e moriva poi in Italia, a Varese, il 18 luglio 1909.
Il 10 maggio Don Bosco era ad Alassio, dove gli alunni gli fecero le più liete accoglienze, anche con un'accademia; ed uno gli leggeva questi versi espressivi:
A te mi'inchino, o amabile, - in tua grandezza umile, - che scendi insino ai parvoli, - e lor ti fai gentile, - che al loro spirto, al core - ti schiudi con l'amore - un facile cammin.
Una mondana gloria - tu non vagheggi, o pio, - premio nessun dagli uomini, - ma sol t'affissi in Dio - e muovi per la vita - d'alti pensier nutrita, - amato peregrin.
T’ammiro quando interroghi - l'anima del bambino, - e in lui coltivi il germino - dell'uom, del cittadino; - e imiti quella cara - che il nome suo gl'impara - primiera a balbettar.
Oh! non invan t'affidano - i padri i lor doveri, - ed in tua man depongono - i sacri lor poteri; - san ch'hai lo stesso affetto - che Iddio lor pose in petto, - che sai qual madre amar! [1251] Il 12 era a S. Pier d'Arena e scriveva a Don Rua:
OSPIZIO DI S. VINCENZO DE' PAOLI
Si faccia la prova del Sig. Mayor Francesco per la Società. - Se il Sig. Tessier vuol fare lo stesso, si accetti. - Se si scarseggia di locali all'Oratorio, si può mandare a Valsalice. Dimani alle 12 Meridiane sarà da magna Felicita. - Dille che mi prepari la minestra. Vale.
La festa di Maria Ausiliatrice, venne trasportata al 28 maggio, perchè il 24 ricorreva la solennità di Pentecoste, e si celebrò con lo splendore consueto.
La sera di Pentecoste dopo le sacre funzioni venne inaugurata nell'interno dell'Oratorio la grande Ruota della fortuna; la vigilia poi e il giorno della festa si tenne la piccola fiera come negli anni precedenti, e la mattina del 29 si celebrò la S. Messa e si applicarono le Comunioni ed altre pratiche di pietà pei defunti confratelli dell'Arciconfratemita. Le offerte dei devoti vennero destinate a pagare le spese incontrate per l'arredamento della nuova sagrestia.
Il 9 giugno accadeva in essa un fatto meraviglioso, come notava Don Berto. Verso le 11 e ½, si presentava una signora accompagnata dalla signora Pittatore di Fossano, con una ragazza che non poteva più camminare, per farla benedire da Don Bosco. Il Santo pregò, fece pregare e stabilì preghiere da farsi. Poi domandò da quanto tempo la fanciulla non camminava più e gli dissero che era da quattro anni che non aveva potuto fare un passo. Ella si reggeva su due piccole grucce, ed era stata trasportata in vettura all'Oratorio. Era specialmente zoppa da una gamba, in modo che la trascinava.
Don Bosco, dàtale la benedizione, le disse di deporre le grucce, e le depose. Le comandò quindi di camminare liberamente su e giù per la sagrestia e lo fece liberamente. „Erano presenti il sacrestano e diversi forestieri, i quali - dice [1252] Don Berto - ridevano tutti per lo stupore e contentezza. Il fatto sta che se ne andò via senza grucce”, promettendo che il giorno seguente sarebbe ritornata a ringraziare Maria Santissima. E le sue piccole grucce venivano appese come ex voto nella sagrestia.
Anche la festa di S. Giovanni riuscì solennissima. All’accademia presero parte anche gli allievi dei vari Oratori; e tra diversi complimenti porti al Santo ci è pervenuto anche un cantico degli alunni della scuola elementare ed un sonetto di quelli della scuola ginnasiale dell'Oratorio di S. Luigi.
Un allievo di prima ginnasiale nell'Oratorio di Valdocco gli leggeva questi versi, pieni di semplicità e di affetto, che senza dubbio furono composti dal suo assistente o dal suo professore.
Concordi, unanimi, - a te d'intorno - tuoi figli accorrono - in questo giorno; - tutti desiano - un fior offrirti - tutti in cor serbano - parole a dirti.
A quei che trovansi - in alte scuole - mezzi non mancano; - trovan parole, - che appien esprimono - quel che nel core - ver di te nutrono - filial amore. Chi in stil poetico - chi colla prosa con tropi e simboli - (forma graziosa?) - a, te già espressero del cor gli affetti, - sorte invidiabile! - Noi poveretti, non arrischiandoci - senza aver l'ali tentar per l'aere - salti mortali, - chè del Parnaso - l'augusta cima - ancor non mòstrasi - a quei di prima, e pur doleaci - coi nostri errori - tutti far ridere - questi signori, mesti... scorati…, - dall'ardua impresa, - distolto l'animo, la mente intesa sol era a scorgere - qualche maniera, - onde potessimo - in questa sera - pur noi esprimerti - appien l'affetto - che per te ardere - sentiamo in petto!
Ma poi pensammo: Eh! babbo è buono, - e s'anche errassimo - avrem perdono; per bacco! diamine! - siam sol di prima, e che pretendere - più della rima?
Così al proposito - primo tornati, - cotesti versi - fur scribacchiati ...
Babbo amantissimo, - tu brami il core! - nè t'è gradevole - quel gran fragore - di tropi e simboli, - miti e figure, - che in fine riedono - almen oscure.
Noi consapevoli - del tuo desire - abbiam in animo - quel don [1253] t'offrire; - di più pregevole - altro non v'è, - tu, padre, accet-talo - quest'è per te.
Se sono miseri - i nostri detti, - son sincerissimi - del cor gli affetti; - di questi affetti - del nostro core, - Padre dolcissimo, - tu se' signore!
L'inno composto da Don Lemoyne, ispirato da capo a fondo dal Carmen di Beinasco, non piacque, come abbiamo accennato, a Mons. Gastaldi, che non ne proibì la stampa, ma lo diceva esagerato.
Don Berto comunicava all'avv. Menghini la dichiara-zione dell'Arcivescovo, e questi gli scriveva: „Mi pare che la censura... ferisca eziandio il Papa che viene encomiato nel-l'ode onomastica”.
Al più amorevole dei Padri D. Giovanni Bosco nel suo dì ono-mastico i Figli suoi pregandogli dal cielo i più eletti favori così la co-mune loro gioia manifestavano.
Giù scorser più lustri: quel giorno rammenta |
Che udisti, o Giovanni, una voce Divina: |
Gridava: Ti desta! La vetta del Sina |
Attende il novello redento Israel. |
|
Solleva un vessillo, che in mezzo alle genti |
Convochi le schiere dei giovani ardenti; |
E onusto di spoglie, ritolte all'inferno, |
D'Egitto abbandona la terra infedel. |
|
Tra il plauso dei buoni, lo scherno degli empi, |
Per facili piani, per balze scabrose |
Calcasti un sentiero di spine e di rose, |
E alterno provasti col duolo il gioir. |
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Fuggiro i tuoi duci nel dì del cimento; |
Dell'ardua fatica li prese sgomento; |
Ma al grido tuo santo novelli campioni |
A cento vedesti da lungi venir. |
|
Fu lungo il cammino; chè armato Amalecco |
Qual muro di ferro ti strinse all'intorno; |
Sfidotti a battaglia, ti assalse; e in quel giorno |
Credendoti oppresso lo stolto esultò. |
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Ma sorse a te innanzi, sgombrotti la via |
La mistica nube, la Vergin Maria; [1254] |
Col braccio potente le schiere nemiche |
Qual polvere al vento disperse, fugò. |
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Vincesti! e i tuoi figli piantaron le tende |
Ai piedi del Sina cantando vittoria, |
Le fronti curvarono, e al Dio della gloria |
Offersero il braccio, offersero il cor. |
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Allora del monte sull'erte scoscese |
Un angiol dal cielo volando discese, |
Non cinto di lampi, non chiuso tra i nembi. |
Ma in volto raggiante di gioia e d'amor. |
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Su lamine d'oro scolpita, o Giovanni, |
Portava la legge: quell'Angel di Dio |
Di Cristo è il Vicario, appellasi Pio: |
Chiamotti sul monte, la legge ti diè. |
|
La legge, che a nuova compatta coorte |
Di Solima affida le torri e le porte, |
Giovanni tien alta: guerrieri del cielo, |
Innanzi inchinatevi al nuovo Mosè; |
|
E tosto levando gli invitti véssilli |
Avanti, su avanti! passate il Giordano |
Che d'Abari il colle, di Cades il piano |
All'uom della fede fatale non fu. |
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E là tra le rose, le palme e gli ulivi, |
Un inno a Giovanni sciogliete giulivi; |
In giorno sì bello sacrato al Battista |
Si celebri il merto di tante virtù. |
|
In giorno sì bello, o giovani schiere, |
Alzate sull'Hebal un'ara all'Eterno; |
Salite il Garizim: oh quale discerno |
Esercito immenso di baldi garzon! |
|
La legge novella sull'ara ponete, |
Le destre sicure su quella stendete: |
Sia il giuro dei fidi, sia il giuro dei forti; |
Che muor, ma non fugge, del cielo il campion. |
Evidentemente tanto il semplice accenno al „novello Mosè”, che si leggeva nell'inno per il ritorno del Santo da Roma, come la minuta descrizione poetica che ne fece in quello ora riportato, vennero ispirati a Don Lemoyne dal Carmen di Beinasco, scritto non sappiamo da chi, e stampato con approvazione ecclesiastica. [1255] Senza dubbio a chi non conosceva intimamente il Santo, e la vita che conduceva, e le continue benedizioni che riceveva, da Dio, potevano sembrare esagerazioni, e più ancora chi studiava ogni cavillo per criticarlo, non poteva pensare altrimenti. Le feste che si facevano il 24 giugno avevano tale splendore, che perfin Don Giacomelli, suo confessore, dichiarava nel Processo Informativo:
“Avendogli io osservato, che nel suo giorno onomastico gli si facevano dai giovani feste troppo grandiose, egli mi rispose: “Anzi queste feste dei giovani mi piacciono, perchè fanno loro molto bene, eccitando in loro il rispetto e l'amore verso i superiori”„.
Anche la festa di S. Luigi, celebratasi il 28 giugno, riuscì solennissima. Il Priore della festa, il Cav. Giovanni Frisetti, assistè anche all'accademia, che si tenne dopo le sacre funzioni della sera insieme con una particolare distribuzione di premi di buona condotta; e Don Bosco faceva leggere al Priore questo complimento, da lui composto.
Espressioni d'affetto e di riconoscenza al benemerito Sig. Cav. Giovanni Frisetti, Priore della Festa di S. Luigi, celebrata nella Chiesa di Maria Ausiliatrice il 24 giugno 1874.
Noi, Benemerito signor Cav., facciamo oggi una festa più solenne del solito. Desideravamo di avere un priore pio, religioso, caritatevole: e questo l'abbiamo ottenuto nella vostra rispettabile persona. Tutti i miei compagni ne sono così contenti che vorrebbero l'uno dopo l'altro venire ad esprimere il loro affetto, il loro rispetto e la loro gratitudine; ma per diminuirvi il disturbo, incaricarono noi a fare la parte di tutti. Noi adunque vi diciamo di tutto cuore che abbiamo goduto assai in questa giornata. Questa mattina in chiesa abbiamo fatte le nostre pratiche di pietà con particolari preghiere secondo la pia vostra intenzione; e voi avete dimostrato il vostro gradimento col farei dare una buona fetta di salame uscendo di chiesa. Assistemmo alle altre funzioni solenni, ed ecco un altro segno di benevolenza con un pranzo, che, per la nostra condizione, fu veramente splendido. Poi la ricreazione, le funzioni della sera, musica, canto, suono, ed ora la distribuzione dei premii cui vi degnate di assistere con pazienza ammirabile.
Quanti motivi di ringraziamento, di riconoscenza e di affezione! Ora vorremmo farvi un regalo, che, se non fosse degno di voi, almeno compatibile. Ma che possiamo offrirvi, mentre nulla abbiamo, anzi abbiamo bisogno di tutto e di tutti? Vi offriamo questo mazzetto [1256] di fiori, e con essi intendiamo di offrirvi i più sinceri affetti del nostro cuore congiunti a gratitudine incancellabile.
Vi preghiamo pure di gradire questo libro, non pel suo valore materiale, ma perchè ci serve di mezzo per manifestarvi il grato nostro animo. Questo libro porta in fronte il nome del nostro amato Superiore; venne stampato, legato dai nostri compagni dell'Oratorio. È questo un piccolo premio, ma è il migliore che abbiamo, ed è ben giusto che voi, il quale siete il priore della Festa, abbiate il primo premio.
Mentre vi ringraziamo della bontà, che vi degnaste di usarci, vorremmo dimandarvi una grazia. Voi direte che Dio solo fa le grazie. È vero, ma vi sono certe grazie che possono anche concedere gli uomini. Questa sarebbe che voi ci vogliate conservare la vostra protezione e benevolenza non solamente per questo giorno, ma per sempre, dimodochè i giovani dell'Oratorio di S. Francesco di Sales si possano chiamare da voi protetti come vostri figli. Che ne dite, Sig. Cavaliere, di questa nostra proposta? Speriamo che il vostro buon cuore la vorrà accettare. Non vogliamo però noi starci neghittosi; anzi oltre alla viva nostra gratitudine, ci sarà sempre caro ricordare il benemerito nostro priore e quando avremo la consolazione d'incontrarvi per le vie della città, o vedervi in questa casa, saluteremo sempre in voi una persona cara, benefica, un caro priore della Festa di S. Luigi.
Quello poi che faremo ogni giorno si è di innalzare speciali preghiere alla bontà del Signore, affinchè benedica Voi, benedica tutta la vostra famiglia, e a tutti conceda lunghi anni di vita felice, e in fine, al più tardi che a Dio piacerà, Dio pietoso vi largisca quel gran premio che suole concedere con abbondante misura in cielo a chi benefica i suoi poverelli sopra la terra.
Questi sono i pensieri che vi esterniamo da parte di tutti i nostri compagni, studenti ed artigiani, dei nostri maestri ed assistenti, e di tutti i nostri Superiori. E se voi, buono e cortese come siete, vi degnerete di gradirli, noi saremo pienamente felici e grideremo con gioia:
- Viva il Cavaliere Frisetti priore della festa di S. Luigi!
Insuperabile era la riconoscenza che Don Bosco aveva per i suoi benefattori!
Il 25 luglio partiva per S. Pier d'Arena, ove fermavasi la domenica 26. Il 27 si portava a Sestri Ponente presso la Baronessa Cataldi, e il 28 a Genova. Il 29 ritornava a Torino.
Nello stesso mese diramava i programmi del Collegio di Valsalice, con questa circolare, della quale abbiamo la sua minuta: [1257]
Ho l'onore di spedire a V. S. Ill.ma il programma del Collegio Valsalice con qualche piccola modificazione a vantaggio degli allievi.
La S. V. scorgerà di leggieri che lo scopo si è di assicurare alle famiglie signorili un mezzo di far dare ai propri figliuoli una educazione letteraria secondo le leggi sulla pubblica istruzione, ma che nel tempo stesso sia ai medesimi assicurato il più prezioso dei tesori, la moralità e la religione.
Se Ella si degnerà far conoscere questo programma a' suoi amici o indirizzarci qualche allievo di buona speranza, ne professo a Lei viva gratitudine, e si assicurano tutte le attenzioni per l'allievo raccomandato.
Dio Le conceda ogni bene, e mi creda con perfetta stima,
Nel 1874 Don Bosco fu più volte a Varazze e ad Alassio.
A Varazze erano sorte gravi difficoltà per mosse anticlericali. Il Marchese Marcello Durazzo, da Genova, il 20 maggio, scriveva a Don Bosco a proposito della direzione dell'Orfanotrofio di quella città che voleva affidare ai Salesiani: „Ritorno in questo momento dal nostro Prefetto, il quale appena sentì il nome di V. R. mi disse senz'altro che la sua nomina sarebbe molto male sentita tanto dalla Deputazione Provinciale quanto dal Ministero; mi aggiunse che Egli ritornava da Varazze dove si trattava di chiudere una scuola diretta da V. R.; mi aggiunse che poco a poco era in mente di chi può quel che vuole di chiudere le altre scuole da V. R. dirette...”.
Ad Alassio, poi, per una lettera forte di Don Bodrato, che era prefetto del collegio, il Municipio decretava la diffida del contratto fatto con Don Bosco per le Scuole. Ma il Sottoprefetto di Albenga, una buona e cara persona, annullava quell'improvvisa deliberazione, e il Prefetto di Genova approvava l'annullamento, respingendo l'appello del Municipio.
Per questi e per altri motivi, benchè a quando a quando non stesse troppo bene di salute, il Santo dovette andar [1258] più volte in Liguria. Ricordiamo come anche il 27 aprile, pochi giorni dopo che era tornato da Roma, fu visto alla stazione di Alessandria. E in uno, forse, di questi viaggi avvenne quest'altro incontro, narrato da Mons. Gio. Battista Bianchi, Cameriere Segreto di Sua Santità.
“Il venerando Don Bosco era anche faceto. Un giorno in compagnia di un suo domestico transitava per via ferrata da Varazze a S. Pier d'Arena. In un vagone di seconda classe trovavasi pure Mons. Bianchi Cameriere di S. S., precisamente visavì del venerando Don Bosco, il quale, tenendo tra le mani un ben nodoso bastone, disse sorridendo a Monsignore: - Questo è il bastone di Adamo! - E Monsignore, fingendo di fargliene le meraviglie, soggiunse: - Caspita! deve essere ben tarlato questo antidiluviano bastone! - Ma Don Bosco, mèssosi sul serio, disse: - Questo bastone su cui mi appoggio, è del mio domestico, di nome Adamo, qui presente! - provocando a tutti e tre una bella risata”. Adamo Giov. Battista, nativo di Farigliano, era stato accolto come famiglio nell'Oratorio, e poi nel collegio di Alassio.
Di quell'anno, o l'anno dopo, Don Bosco fu anche a Cuneo, come attesta Don Francesco Cottrino:
Nei due anni 1874 e 75 ero alunno del Piccolo Seminario di Cuneo per la 3a e 4a elementare. In seminario vigeva il sistema antico. Non feste, non canti, limitata la ricreazione, poche e senza splendore le funzioni religiose, come rara la frequenza ai SS. Sacramenti. Era vescovo quell'anima santa di Mons. Formica, di santa memoria, il quale aveva una grande venerazione pel nostro venerato Padre Don Bosco.
Don Bosco fu invitato dal santo Vescovo a far visita al Seminario. Venne (in giugno) accompagnato da Monsignore e fu ricevuto cogli onori che si tributano ai Vescovi. Accompagnato in cappella, dopo breve preghiera, prese la parola con un sorriso così largo e un fare così benevolo che ci riempì di meraviglia, perchè cosa insolita. Questa crebbe quando, dopo varie esortazioni da santo, ci annunziò che Sua Eccellenza ci concedeva una bella passeggiata in luogo insolito, e che prima avremmo avuto una bella merenda. Chi può dire l'entusiasmo nostro al pensiero di cambiare una buona volta la stereotipata passeggiata alla Madonna della Ripa? Ma in quel momento sorse una difficoltà. Il cielo improvvisamente si era oscurato, e quando Don Bosco finì di parlare venne giù un furioso acquazzone. Discendemmo [1259] in refettorio. Spalancammo gli occhi al vedere sul piatto una bella fetta di salame larga come il piatto ed una bella porzione di ciliege che disparvero in un istante. Intanto il cielo si era fatto sereno, all'afa era succeduto un fresco refrigerante, e tutti fuori di noi per l'allegrezza ci avviammo pel Viale degli Angeli fino al Con-vento dei Minori Conventuali, dove venerammo per la prima volta le spoglie mortali del B. Angelo da Chivasso e pregammo pieni di riconoscenza per il Santo prete sconosciuto, che ci aveva procurato tanta fortuna.
Nel 1877 venuto all'Oratorio conobbi chi era il santo sacerdote, e trovai ben sette compagni ex seminaristi di Cuneo, fra cui D. Chia-pello, entusiasmati del sistema ben diverso che vigeva nell'Oratorio.
Don Cottrino ci contava un altro bel fatto, avvenuto dal 1886 al 1888, ancor inedito, che siamo lieti, di qui riferire. Egli aveva un fratello che doveva andare alla visita militare e temeva tanto che fosse giudicato abile. Avendo avuto oc-casione di parlar a Don Bosco a S. Benigno, gli manifestò quel timore: e Don Bosco, prèsegli le mani fra le sue e fa-cendole dondolare, gli disse:
- Sta' tranquillo: tuo fratello non andrà!
- Ma non ha alcun difetto personale per esser esentato.
- Nè vi sono motivi familiari...
- È più robusto di me e ha un bel torace!
Il fratello si presentò alla visita e venne fatto rivedibile per mancanza di mezzo centimetro di torace!... L'anno dopo tornò alla visita, e fu di nuovo rivedibile... Vi andò la terza volta, e Luigi Bartolomeo Cottrino (aveva due nomi) veniva fatto abile... ed assegnato alla terza categoria!...
Recatosi a Borgo S. Martino a ragguagliarne il fratello, questi, appena lo vide:
- Son sotto le armi, perchè di prima categoria!...
- Ma come?!... - l'interruppe Francesco - Don Bosco m'assicurò ripetutamente che non avresti fatto il militare...
- Ecco, ascolta bene le cose, continuò sorridendo il fratello [1260]; io son sotto le armi, ... ma non farò il militare, perchè sono di prima... e di terza categoria!...
E Luigi Bartolomeo, ebbro di gioia, gli mostrava il foglio nel quale Luigi Cottrino era dichiarato di terza categoria, ... perchè Bartolomeo Cottrino, di prima categoria, era sotto le armi!
Casi che non son casi!... ma scherzi della divina Provvidenza, che spesso ludit in orbe terrarum, ad intercessione dei Santi!
Dopo l'approvazione delle Costituzioni, una delle cure più premurose del Santo fu di promuoverne l'esatta osservanza; e a Don Rua, Prefetto della Pia Società e Vice Direttore dell'Oratorio, e fin d'allora chiamato „la Regola vivente” rimetteva l'incarico di visitare a tal fine tutte le case.
Il Servo di Dio, che speriamo di veder presto elevato all'onore degli altari, annotava in un libretto quanto ritenne conveniente di appuntare: inesattezze, difetti, imperfezioni, ed anche ammirazioni e lodi, delle quali non solo di presenza, ma anche, tornato a Torino, dava particolareggiato ragguaglio a ciascun direttore.
Il libretto contiene gli appunti di tutte le visite compiute dal Servo di Dio dal 1874 al 1876, cioè fino a quando non vennero costituite le Ispettorie; e noi riporteremo le note relative al 1874, insieme con l’indice delle “Cose da esaminarsi”, che si legge in capo a quelle pagine, senza commenti, perchè il lettore ne comprenderà subito il valore e ne avrà una forte spinta a vivere ognor più esemplarmente la vita salesiana.
Ecco l'indice, minuto, preciso, ordinato, delle
Chiesa e sacristia. - Mense degli altari. - Pulizia per la chiesa. - Come sono tenuti i sacri arredi. - Quali sono le funzioni che si fanno ne' giorni feriali e festivi.
Camere dei Superiori e dei giovani. - Se non sono troppo eleganti [1261]. - Se sono pulite. - Se vi è qualche crocifisso o immagine della Madonna. - Se le celle degli assistenti sono abbastanza ristrette.
Se le camere sono ventilate. - Corridoi, scale, cortili. - Pulizia. - Se non ricevono cattivo odore dai cessi.
Scuole. Pulizia - ventilazione - se vi ha qualche oggetto di religione - visitare quaderni - interrogar i giovani - veder decurie.
Società. Se si fanno Conferenze ai Soci, agli aspiranti se ve ne sono - se si fanno i rendiconti mensili. - Se vi ha lo spirito di modestia, di povertà, di obbedienza. - Veder se sono esercitati gli uffizi di Prefetto, Catechista, ecc.
Clero. - Se si fa regolarmente la scuola di Teologia e filosofia. - Se si fa la scuola di cerimonie. - Condotta che tengono, come chierici, e come assistenti o maestri. - Se sono in numero sufficiente. - Meditazioni e letture spirituali.
Giovani. - Stato sanitario - infermeria come è assistita. - Se hanno chi insegna a dire le orazioni, a servire Messa ecc. - Come sono accuditi in chiesa, in istudio e scuola ed in ricreazione e cameroni, non che nelle passeggiate. - Pulizia della persona e degli abiti e specialmente la pulizia dell'anima. - Compagnie di S. Luigi, del SS. Sacramento, dell'Immacolata Concezione. - Il piccolo clero. - Impegno nello studio e famigliarità coi maestri, assistenti e Superiori. - Se si hanno scolari esterni - se si tiene Oratorio festivo e come. - Se viene qualche confessore forestiero regolarmente.
Esami particolari. - Veder fra i giovani se vi è chi sia per prendere l'esame per la vestizione chiericale, per la licenza ginnasiale, o liceale, e fra i chierici se vi è chi si prepari all’esame da maestro elementare od altro esame particolare.
Relazioni col Paese. - Del collegio, come è considerato; dei professori ed assistenti, se vanno in famiglie particolari. - Relazioni col Parroco e col Municipio.
Spese. - Trattamento di tavola dei Superiori e dei giovani. - Novità di fabbricazione, di riparazione, di provviste, agricoltura ecc. Libri, viaggi ecc. - Raccolta delle ricevute degli anni precedenti.
Registri. - 1° Delle Messe - 2° Della condotta dei chierici e coadiutori - 3° Condotta e studio mensile dei giovani - 4° Postulanti - 5° Censimento - 6° Pensioni e provviste per gl'individui - 7° Depositi di danaro dei giovani - 8° Dispensa - 9° Ricevute a matrice - 10° Prontuario delle spese 11° Registro delle oblazioni - 12° Manuale - 13° Registro del corredo portato dai coadiutori nella loro entrata - 14° Parziali dei provveditori: Calzolaio, sarto, lattaio, pristinaio, beccaio, pizzicagnolo, farmacista ecc. - 15° Registro dei conti correnti.
Dove àvvi negozi particolari, visitare anche i registri del negozio. [1262] Delle visite compiute ai collegi di Borgo S. Martino e di Lanzo non è segnata la data, ma evidentemente furono le prime.
Feci una visita piuttosto in fretta, e pàrvemi che le cose siano abbastanza ben avviate. Ho fatto però le seguenti esortazioni:
1. Di riparare l'altare dalle macchie di cera facendo uso della benzina per accendere le candele.
2. Di mettere un crocifisso ed un’immagine della Madonna in tutte le scuole e dormitori in cui mancasse ancora.
3. Restringere le celle degli assistenti, secondo il modello di quelle dell'Oratorio.
4. Di veder modo d'impedire nei corridoi le esalazioni di un cesso poco discosto dalla scuola di retorica.
5. Di fare con regolarità le conferenze mensili ai socii ed aspiranti, come pure di farsi fare i rendiconti mensilmente.
6. D'incoraggiare un po' di più lo studio della Teologia.
7. Di fare la scuola di cerimonie regolarmente ai chierici e ai giovani.
8. Promuovere la conferenza dell’Immacolata Concezione.
9. Di cominciare a dare i voti mensili ai chierici, e coadiutori.
10. Mettere in opera il registro dei Postulanti ed il prontuario delle spese.
11. Guardare di affidare a Ghione l’uffizio di catechista esonerandolo da altre scuole ed occupazioni, se è possibile, affinchè possa anche occuparsi delle compagnie di S. Luigi, del SS. Sacramento e del clero piccolo.
12. Esortati parecchi a prendere esami.
Nella visita, che durò un giorno e mezzo ho osservato che:
1. Desìderasi un po' più di pulizia in chiesa e in coro, sebbene vi fosse assai di proprietà ed ordine.
2. Raccomandai un po' più di ordine nella camera.
3. Àvvi bisogno di crocifissi ed immagini della Madonna in varie scuole e camere, specialmente nelle camere particolari.
4. Devonsi restringere le celle dei capi di camerata sulla foggia delle celle analoghe dell'Oratorio.
5. Devono essere chiusi, per regola generale, tutti i dormitori, così le scuole e le altre camere, nei tempi in cui non vi hanno da stare i giovani.
6. Pei cortili, scale e corridoi vi è abbastanza pulizia, ma nel cortile inferiore, verso mezzodì, devesi impedire di far immondezze. [1263]
7. Vi è bisogno di maggior regolarità nei rendiconti e nel far le conferenze mensili ai soci ed agli aspiranti.
8. Raccomandai di non mai lasciar la scuola, per quanto si può, per andar fuori a predicare.
9. Conviene che il Prefetto assista i coadiutori, vada loro leggere le regole della casa, così le legga pure ai giovani una volta la settimana. - Dei coadiutori si prenda una cura particolare e diretta affinchè adempiano i doveri del buon cristiano.
10. I chierici sono troppo uniti tra di loro e appartati dai giovani. - Vi è bisogno di far regolarmente la scuola di cerimonie. - Vi è pur bisogno di maggior impegno nello studio della Teologia. - Ci vorrebbe maggiore slancio in alcuni nell'assistere i giovani delle elementari in ricreazione.
11. Andrebbe anche molto bene che i chierici, o collettivamente o singolarmente, facessero visita al Santissimo Sacramento con un po' di lettura.
12. Pei giovani vi è bisogno di uno che possa insegnare loro le orazioni, e a servir Messa. - Àvvi qualche cosa a desiderare nella condotta di quelli di seconda ginnasiale. Per provvedere all'una e all'altra cosa si può destinare Don Bussi in aiuto di Don Costamagna e di Don Scaravelli, ed affidar la sua classe a Don Rossi che farà la 2a e 3a Ginnasiale contemporaneamente. - Pei giovani vi è bisogno di maggiore proprietà negli abiti; che il prefetto non si allontani tanto facilmente, e procuri d'ispirar loro confidenza.
13. Vèdasi di ammettere qualcuno dei giovani più buoni nella compagnia dell'Immacolata Concezione.
14. Suggerito a Don Rossi di prepararsi all'esame di quinta ginnasiale, e ad altri di prepararsi ad esami elementari.
15. Mancano varii registri: quello della condotta dei chierici e coadiutori, il prontuario delle spese, libretti pei vari provveditori. - Sarebbe pure a desiderare più frequenza nel riportare le spese particolari nel registro mastro.
16. Di novità vi è l'atterramento del pergolato in mezzo al giardino.
In quattro o cinque giorni, verso la metà di giugno, compì le visite all'Ospizio di San Pier d'Arena ed ai Collegi di Varazze e d'Alassio, con ugual diligenza ed attenzione insuperabile.
Nella visita che durò circa un giorno e mezzo osservai che le cose vanno assai bene tanto riguardo all'interno dell'Ospizio, quanto riguardo alle relazioni cogli esterni: solo notai e raccomandai le seguenti cose: [1264]
1. Per la chiesa si potrebbe ottenere maggior pulizia sulle mense, adottando la benzina per accender le candele. Qualche altare avrebbe bisogno di riparazione.
2. La camera del Prefetto avrebbe bisogno di essere un po' più ordinata specialmente per la parte dei libri. - Manca in qualche camera il crocifisso. - Le celle degli assistenti hanno bisogno di essere ridotte alla foggia di quelle di Torino. - In qualche camera potrebbero i letti essere meglio in assetto. - Forse sarebbe meglio tener le camere chiuse, il che si fa già quasi sempre.
3. Nelle scuole si può desiderare un po' più di regolarità nella tenuta de' libri e quaderni. Dar loro un'aspetto più serio, il che si potrà ottenere molto facilmente quando si possa aver un luogo più adatto.
4. Raccomandai al Direttore di far due conferenze al mese pei soci della Congregazione e per gli aspiranti e di farsi fare i rendiconti.
5. Quanto alla scuola di Teologia e filosofia si vede sempre più la necessità di concentrarne gli allievi in Torino, perchè malgrado la buona volontà non possono averla che assai irregolarmente. - Scuola di cerimonie non l'hanno quasi mai, le studiano però da sè stessi.
6. Raccomandai al Prefetto di guardar che i giovani non vadano a piedi scalzi.
7. Trovasi molta imperfezione nella tenuta dei registri. Manca il registro del censimento; è incompleto quello della condotta dei giovani, mancandoci la parte degli studenti ed adulti; manca quello dei depositi, quello delle ricette, il prontuario delle spese, il manuale; quello delle pensioni è affatto irregolare, pel che diedi alcune norme per la tenuta di quest'ultimo e di quello del lavoro per gli esterni, e promisi di spedire i registri mancanti.
8. Raccomandai di passare tutti i mesi a rassegna ogni giovane, ogni adulto, tra il Prefetto e qualcuno dei principali assistenti, per vedere specialmente come si adempiono i doveri di religione, la frequenza ai SS. Sacramenti, ecc.
9. Suggerii di far uso di benzina per accendere le candele al l'altare.
10. Di veder modo, se sarà possibile, di far riparare alquanto qualche altare a sinistra della chiesa.
11. Raccomandai di fare la lettura, a tavola, della Bibbia e di qualche altro libro.
12. Raccomandai al Prefetto e al Direttore, di parlarsi sovente, e all'ultimo di avviare il primo ad assisterlo nella tenuta dei registri.
1. Raccomandai un po' più di pulizia, nella sacristia specialmente. [1265]
2. Al Direttore di diminuire l'eleganza della sua camera, togliere di terra i tappeti ecc.
3. Regolarità nei rendiconti mensili degli individui della società e del Direttore al Capitolo Superiore.
4. Scuola di teologia dall'esame semestrale in poi trascurata. - Raccomandai la scuola di cerimonie ai chierici, tralasciatasi dopo la partenza di Don Cagliero.
5. Veder se si può togliere i tavoli e le scansie dalle cellette dei capi di camera.
6. Tener in ordine le decurie di ciascuna classe e la decuria generale di tutti i giovani pei voti mensili.
7. Essendo stato traslocato Don Giuseppe Cagliero, converrà adesso se si possa far supplire da parecchi, non potendosi mettere tosto un altro Prete a suo posto di catechista.
8. Promuovere le compagnie di S. Luigi, del SS. Sacramento e dell'Immacolata Concezione, e specialmente il clero, affidandone a qualcuno la cura in particolare.
9. Si riconobbe difetto di registri, e si procurerà di farli avere a Don Fagnano. - Postulanti, prontuario delle spese. - Condotta dei chierici e coadiutori. - Registro del corredo portato dai coadiutori nella loro entrata.
10. Veder modo di diminuire la quantità delle mosche in chiesa.
11. Cercar aspiranti alla carriera ecclesiastica, e alla Congregazione.
13. Provvedere qualche oggetto di religione per ogni camera o scuola, che ancora ne sia mancante.
14. Far leggere ogni settimana; dal Prefetto, un tratto di regolamento.
1. Raccomandai di mettere qualche oggetto di religione in ogni scuola e camera, in cui non ci fosse ancora.
2. Di promuovere in collegio fra gli interni ed esterni, come anche negli altri Istituti della Città e fra i privati abitanti, le Letture Cattoliche e la Biblioteca della gioventù, servendosi a tal uopo anche dell'opera del Signor Prevosto, se occorre.
3. Impedire il guasto e lo sperpero dei libri che si lasciano in chiesa dai giovani.
4. Vedere se si può aggiustate che non siavi bisogno di passare sull’orchestra per andare nelle scuole.
5. Veder pure se vi è modo di togliere i bauli dalle camerate, col che si renderebbe assai facile la pulizia.
6. Per le celle dei capi di camerata converrebbe adottare il sistema di Torino, di circoscrivere la larghezza con due spranghe di m. 0, 60, unite insieme con una sbarra per appendervi la cortina. [1266] Ciò fatto, converrà evitare che si tengano tavolini e scansie nelle celle.
7. Sarebbe a desiderarsi un po' più di pulizia presso alla cucina, dalla parte del giardino.
8. Sarebbe tanto conveniente che si cercasse modo di far recitare le orazioni più adagio. Forse si potrà insegnare ai giovani a recitarle, e farli provare o nello studio, o alla sera dopo le orazioni.
9. Procurare che i chierici, che possono andare allo studio, ci vadano, e veder un po' se non convenga radunare gli altri in un solo sito insieme coi Preti, procurando che abbiano comodità per tenervi i propri libri, osservandovi il silenzio.
10. Ordinare la biblioteca, la quale forse potrebbe servire come luogo di studio pei professori e per quelli che non possono andare allo studio comune.
11. Il Prefetto procuri di leggere ogni settimana un tratto del regolamento della casa, facendovi i debiti commenti.
12. Prèndasi cura diretta dei coadiutori, assistendoli o per sè o per altri affinchè disimpegnino i doveri religiosi mattino e sera, e specialmente nei giorni festivi.
13. Converrà che al finir di ogni mese, in capitolo, si facciano passare a rassegna tutti i chierici e coadiutori per esaminarli come abbiano passato il mese, e dare a ciascuno gli avvisi opportuni per potersi emendare.
Un'altra cura premurosa di Don Bosco fu di stabilire un noviziato regolare, o, meglio, di dare al noviziato una forma regolare.
Fino al 1874 anche la cura particolare degli ascritti alla Pia Società era affidata a Don Rua, e il 7 novembre 1874 veniva eletto a Maestro dei Novizi Don Giulio Barberis, il quale il 31 gennaio 1900, dedicando agli ascritti della Pia Società di S. Francesco di Sales il VADE MECUM da lui composto e dato alla stampa, diceva precisamente:
“Il giorno 7 novembre ora scorso si compirono i 25 anni dacchè, per la volontà di Dio e dei nostri ottimi Superiori, di Don Bosco specialmente, io presi la vostra direzione, o miei buoni ascritti”.
Nel miglior modo possibile, egli cercò d'ammaestrarli, anche col tenerli come appartati, benchè dimorassero nell'Oratorio, per formarli esattamente alla vita regolare, secondo le prescrizioni canoniche e lo spirito della nostra Società, finchè nel 1879 il Noviziato venne trasferito a S. Benigno Canavese. [1267]
Pochi santi ebbero da Dio così nettamente delineata la visione dell'apostolato che avrebbero compiuto, così nettamente e dettagliatamente, come il nostro Fondatore, che l'ebbe dinanzi fin da fanciullo, e, in tanti altri sogni o visioni che si susseguirono fino al termine dei suoi giorni, glie ne vennero anche additati i particolari, perchè gli servissero di guida per compierla fedelmente. Ad esempio nel 1861 contemplò un'immensa quantità di giovani, d'un'infinita varietà di costumi, fattezze e linguaggi, e sebbene cercasse di ravvisare chi fossero, non potè riconoscerne che una minima parte coi loro direttori maestri ed assistenti.
- Ma chi sono costoro, esclamava nel frattempo, vòlto alla guida.
- Son tutti figli tuoi! Ascolta, parlano di te e dei tuoi antichi figli e loro superiori, morti da tempo; e ricordano gl'insegnamenti, avuti da te e da loro[248].
Egli, infatti, come limpidamente ci dicono altri sogni, vide tutti i suoi e nostri allievi, passati, presenti e futuri!
“Circa il 1871 o '72” scorse un'immensa pianura, tutta incolta, nella quale non scorgevansi nè colline nè monti, mentre „nella estremità lontanissima tutta la profilavano scabrose montagne”, e in essa tante turbe di uomini che la percorrevano, d'un color cerognolo, di un'altezza e statura straordinaria e dall'aspetto feroce, coi capelli ispidi e lunghi, e quasi nudi, coperti appena con un mantello di pelli d’animali che scendeva loro dalle spalle: la Patagonia[249].
Dopo questa visione egli sentì - dichiarava nel 1876 rinascere in cuore l'antica brama dell'apostolato missionario, ma non riusciva a capire a qual popolo potessero mai convenire la qualità che aveva visto avere quei selvaggi.
“Dapprima credevo che fossero africani dell'Etiopia, cioè di quelle regioni che confinano coll'Egitto. Quest'idea [1268] risvegliò la memoria della venuta di Monsignor Comboni nell'Oratorio tanti anni addietro, e delle imprese apostoliche della Società delle Missioni Estere a Verona dei Figli del S. Cuore, sorti dal Seminario fondato da Mons. Comboni nel 1871, per far dei missionari a favore del suo Vicariato Apostolico nell'Africa Centrale. Ma dopo aver interrogate persone, che conoscevano quei luoghi e letti libri di geografia, lasciai questo pensiero.
Poi mi fermai su Hong - Kong, isola della Cina. Anzi venuto a Torino Mons. Raimondi, missionario di quelle parti in cerca di chi volesse seguirlo, per un istante mi lasciai andare a trattative con lui: queste però a nulla approdarono, volendo Mons. Raimondi imporre vincoli alla Congregazione e specialmente la condizione, che quanto la Congregazione acquisterebbe per doni o compre, sarebbe proprietà della sua missione. Per un istante pensai che quegli isolani fossero i selvaggi del mio sogno: ma essendomi informato mi accorsi altra essere la natura del suolo, altra l'indole degli abitanti. Questa pratica mi era costata nuovi studi geografici, e inutilmente.
Passai quindi a vagheggiare le missioni dell'Australia, perchè poco dopo era stato nell'Oratorio Mons. Quinn e mi informai da lui dello stato di quei selvaggi e della loro indole, ma le descrizioni che mi fece non andavan d'accordo con quanto io avevo veduto.
Pure quel sogno aveva lasciato in me impressioni così grandi e caratteri così marcati, che io non potevo disprezzarlo, perchè l'esperienza di altre volte mi persuadeva dover eseguirsi quanto avevo veduto.
L'Australia a poco a poco fu surrogata nella mia mente da anMgalore, isola delle Indie. Mi procurai libri, parlai con sacerdoti inglesi venuti da quelle regioni e per uno sbaglio singolare mi persuasi, che, per certi confronti da me fatti, il sogno riguardasse le Indie, o anche l'Australia, le cui idee andavano rivivendo. Da quell'istante per quattro anni circa[250] io non parlava che di questi paesi. Anzi spinsi le cose al [1269] punto che Don Bologna e il ch. Quirino dovettero porsi con impegno a studiare la lingua inglese. È in questo tempo che il chimico Ferrero incominciò a girare per la casa e poi a stabilirvisi colle sue carte dell'India Cristiana. A Roma si parlò persino di darci un Vicariato Apostolico in quelle regioni.
Finalmente nel 1874 il Console Argentino a Savona, Commendatore Gazzolo, avendo conosciuto Don Bosco a Varazze e lo spirito della Congregazione Salesiana, ne fece parola in America coll'Arcivescovo di Buenos Aires e a molti sacerdoti, i quali si accesero di entusiasmo per i Salesiani ed espressero il desiderio che una colonia di questi andasse a trapiantarsi nelle loro regioni.
Il Segretario dell'Arcivescovo allora mi scrisse come gli Argentini si crederebbero fortunati se la nostra Congregazione mettesse casa e si estendesse nella loro Diocesi.
Unitamente arrivò un'altra lettera di Don Ceccarelli, parroco di S. Nicolás de los Arroyos, città distante una giornata di battello da Buenos Aires, che mi diceva, come avendo udito il Console Argentino parlare dei Salesiani, si disponesse di sua propria spontanea volontà a lasciare la città e la parrocchia nelle nostre mani, ed egli sarebbe andato a fare del bene in altre località: in detta città essersi già fabbricato un collegio non ancora aperto, e come le autorità municipali giudicassero, per suo consiglio, di cederlo volentieri ai Salesiani, qualora volessero prenderne cura. Non vi erano mai state trattative precedenti. Il Console Argentino di Savona appoggiava questi inviti, ed era l'intermediario.
Io rimasi maravigliato a queste lettere. Tosto mi procurai libri geografici sull'America del Sud e li lessi attentamente. Cosa stupenda! Da questi e dalle stampe delle quali erano forniti vidi perfettamente descritti i selvaggi contemplati nel sogno, e la regione da essi abitata, la Patagonia, regione immensa al mezzodì di quella Repubblica! Dopo molte altre notizie, schiarimenti e informazioni prese, non mi rimase più dubbio. Erano tutte in perfetto accordo col sogno. D'allora in poi conobbi perfettamente il luogo, verso cui doveva rivolgere i miei pensieri ed i miei sforzi”.
Mons. Quinn aveva combinato di mandare all'Oratorio [1270] cinque giovani, che vi sarebbero stati educati gratuitamente e poi sarebbero tornati in Australia, tanto se fossero rimasti secolari, come se si fossero fatti Salesiani, per aiutarlo nel suo apostolato, come gli scriveva da Dublino:
La sua stimatissima del 21 corrente mi è giunta quest'oggi, alla quale fra breve risponderò. Dovendo partire oggi stesso da Dublino, non ho tempo che a vergare queste poche righe. Per ora le rammento ciò che fra noi si è combinato, cioè non dover provvedere io altro per i miei alunni se non le spese dei loro viaggio fino a Torino. Secondo questo accordo fra poco arriveranno cinque per le mie missioni dell'Australia, sia che rimangano nello stato secolare, sia che vogliano ascriversi alla sua Congregazione.
Sanno qualche cosa del greco e del latino ed anche della matematica: ma non so se siano atti per la Rettorica.
Con distinta stima, della S. V.
PS. Sono in corrispondenza col Padre Listin.
Mentre Don Bosco era a Roma venne avvicinato anche da un missionario apostolico, proveniente dagli Stati Uniti, Don John Bertazzi. Questi da anni studiava il modo di aprire a Savannak un collegio - seminario, ove gli alunni potessero essere istruiti almeno fino alla Teologia; e, prima di partire per Roma a questo scopo, anche il Vescovo Mons. Gross gli aveva dato l'incarico di cercar dei religiosi che lo potessero aiutare ad erigere un seminario diocesano, assegnando per quell'impresa settecento acri di terreno (un acro è uguale a m2 4046) col reddito dei quali si sarebbero coperte le spese. Ed egli prese a pensare che si sarebbe potuto aprire un collegio per soddisfare il desiderio dei cittadini di Savannak, con alcuni posti gratuiti, ed insieme il Seminario, perchè le buone pensioni dei collegiali avrebbero servito a mantenere il personale del Collegio e del Seminario.
“Questo era il mio concetto; concetto che apersi a nessuno, perchè, sebbene praticabilissimo, io pensava non toccasse a me incarnarlo, e non ci pensava tampoco. [1271]
Benedetto il mio ardimento - scriveva poi a Don Bosco - di comunicarlo a Lei - ma non fu precisamente un ardimento; - appena io m'incontrai con lei a Roma io mi sentii conquiso della sua bontà, io Mi sentii suo; ma io era avviato ai Gesuiti, con lettera al Generale, ma avendola perduta a Foligno, col portafoglio e denari (Provvidenza di Dio!), io non osava presentarmi al segretario; venni da lei, solo perchè mi aiutasse ad ottenere il passaporto, se si ricorda, e non le parlai d'altro che per caso.
Riuscite vane le ricerche per il portafoglio, scrissi a lei, ancora per il portafoglio, e per incidenza le parlai, nella lettera, di quello che era incombensato da Savannak. Il Signore dispose che questo fosse secondo i Suoi desideri; e m'invitò a conferenza, e la conferenza riuscì a questo: che io partii di là suo figlio”.
Don Bosco stava ancora studiando qual fosse il campo di missione che gli aveva mostrato il Signore, ed invitò Don Bertazzi a recarsi a Torino e prendere ospitalità nell'Oratorio, e fargli un'esposizione della missione che avrebbero dovuto compiere i Salesiani a Savannak.
Don Bertazzi obbedì, e stette a Valdocco più giorni; e, quando Don Bosco fu di ritorno, gli consegnava un lungo memoriale, nel quale esponeva quanto bramava, felice di farsi egli pure salesiano, ma per tornare nelle missioni, accanto ad un Vescovo che amava tanto, e là compiere ciò che da tanto tempo sognava, fondare cioè una missione particolare.
Il buon Don Bertazzi avrebbe voluto ritornar in America con due salesiani, „nè più nè meno di due”; uno dei quali avrebbe visto ed esaminato lo stato delle cose e sarebbe subito tornato in Italia per farne a Don Bosco un'esatta esposizione, ed avrebbe avuto caro che Don Bosco stesso si sobbarcasse a fare quel viaggio. „Io instò, perchè se ciò è possibile, si determini a questo sacrifizio. In caso diverso, io non veggo che tre soli individui che potrebbero supplirla: il sig. D. Rua, D. Cagliero e D. Savio...
Il posto che tiene il sig. D. Rua, la sua accorta prudenza, la sua scienza, le sue pulite maniere ed il conoscere già l'inglese, lo segna per il primo sotto ogni aspetto. Io, [1272] poi, ho una confidenza speciale in lui, e questo pure val qualche cosa, perchè io possa dir tutto. Il sig. D. Cagliero, Direttore Spirituale, teologo e di buon criterio, ha il vantaggio di un nome colà distinto in musica. Esso mi aprirebbe un subito adito alle simpatie cittadine, nel mentre che risponderebbe anche al resto del compito. Il sig. D. Savio è molto giudizioso ed anche gentile, è pratico di negozi. Vedrà Ella se poi risponde a tutto. Il sig. D. Dalmazzo, a Valsalice, come già Rettore di Collegio, ed in particolare per le sue maniere distintamente pulite e interessanti (cosa così ricercata in America), potrebbe essere in vista in questa scelta...”.
E passava ad esporre, insieme con tante altre cose, „quando, per qual modo e via partire”, delineando anche la funzione religiosa da celebrarsi prima della partenza, e così dettagliatamente e convenientemente, da farei credere che il suo disegno servì poi di norma a Don Bosco, quando diè l'addio ai primi missionari.
Don Bertazzi faceva conto di celebrare la funzione di partenza alla chiusa del mese di maggio, o, meglio ancora, il 24 maggio, solennità di Pentecoste ...; ma non era possibile, lì su due piedi, assumere la proposta mentr'egli voleva ripartire, e... non si fe' nulla![251].
Ma non era quello il primo campo d'apostolato missionario, destinato ai Salesiani; e Don Bosco, sempre in avida attesa di poterlo conoscere, non trascurava alcun mezzo per venire ad una scelta decisiva.
Un sacerdote inglese, Don Dionigi Halinan, avendo sentito parlare con entusiasmo dell'Opera Salesiana, era venuto all'Oratorio, e Don Bosco, che aveva già il consenso del S. Padre per aprire nuove case all'Estero, lo pregava di cercargli ed inviargli alcuni giovani, desiderosi di farsi missionari, o salesiani, per istruirli e prepararli a raggiungere il sacerdozio, continuando ad aver sempre il pensiero verso quelle terre soggette al dominio della Gran Bretagna; e a questo scopo lo muniva di un'esplicita dichiarazione[252]. [1273] Ciò che teneva più di tutto sospeso il Santo nel riconoscere il campo d'apostolato visto in sogno, era l'aver contemplato due fiumi all'entrata d'un vastissimo deserto, che non riusciva a rintracciare nelle carte geografiche, che andava pazientemente esaminando; e venne a conoscere che erano il Rio Colorado e il Rio Negro nella Patagonia solamente quand'ebbe in Torino il primo colloquio col Commendatore Giovanni Battista Gazzolo, Console della Repubblica Argentina in Savona[253].
Cotesto bravo signore, avendo ammirato il metodo educativo che si praticava nel Collegio di Varazze, e in quello d'Alassio e a S. Pier d'Arena, ed avendo anche avuto la fortuna di parlar più volte con Don Bosco, verso la fine del 1874 venne a Torino per pregarlo ufficialmente di fondare uguali istituti nei paesi di cui egli tutelava gli interessi, cioè nella Repubblica Argentina; e noi vedremo come si svolsero felicemente, nel minor tempo, le pratiche.
La costruzione della chiesa di S. Giovanni Evangelista era sempre sospesa.
La pratica per l'espropriazione della striscia di terreno del Morglia veniva dal Municipio rinviata alla Prefettura il 28 settembre 1872, perchè non era stato precisato lo scopo delle deliberazioni cui doveva procedere il Consiglio Comunale secondo la legge riguardante le espropriazioni; e là restò ferma fino al principio del 1873, quando Don Bosco, continuando ad insistere, la sua domanda veniva inoltrata dalla Prefettura al Ministero dei Lavori Pubblici, in data 3 febbraio.
Cinque giorni dopo il Ministero si dichiarava “disposto a prendere in considerazione ed assecondare per quanto avrebbe potuto la domanda del Reverendo Sacerdote Cav. Giovanni [1274] Battista Bosco onde ottenere la dichiarazione di pubblica utilità per la Costruzione in Torino di una Chiesa con Ospizio e Scuole per la gioventù abbandonata, opera questa, come tutto le altre dal medesime stabilite, a vantaggio dell'umana società”; ma non potendo „prescindere dal riferire questa domanda al Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici ed al Consiglio di Stato”, pregava il Prefetto di Torino „di provvedere per le debite pubblicazioni, invitando il Reverendo Don Bosco a dichiarare entro qual tempo intendesse dar compimento all'opera da esso progettata, unendo per doppio il piano di massima, nonchè le perizie da cui risultasse l'importo della spesa necessaria per la espropriazione”, con „un certificato di un proporzionato deposito di fondi Presso qualche stabilimento finanziario”.
Don Bosco commise la Perizia all'Ing. Trocelli, il quale dichiarava che l'espropriazione della striscia e le altre spese conseguenti sarebbero salite complessivamente a 5296 lire; - quindi depositava presso il Banco di Sconto e di Sete la somma di 15.000 lire; - e inoltrava alla Prefettura la relazione della Perizia e la ricevuta del Direttore del Banco di Sconto:
Ill.mo Signor Prefetto di Torino,
In obbedienza alla nota del Ministero dei Lavori pubblici (8 febbraio 1873 N° 311/237, div.e 8a), in risposta alla di Lei nota 3 febbraio 1873, lo scrivente ha l'onore di presentarle, corredata dei chiesti documenti, la domanda di dichiarazione di pubblica utilità dell'Oratorio, scuole per la gioventù abbandonata, e chiesa in Torino sul viale del Re.
L'opera monumentale che lo scrivente desidera costrurre trovasi da quasi due anni sospesa non essendosi potuto ottenere l'acquisto di una piccola striscia di terreno ancorchè si siano fatte ben generose offerte di prezzo, ed ora se ne chiede l'appropriazione.
Speranzoso vorrà degnarsi di dare corso alla unita pratica si pregia lo scrivente di dichiararsi colla massima stima e considerazione,
Il Municipio fece fare la pubblicazione dell'istanza di Don Bosco, ma il Morglia - come scriveva a Don Savio il Conte Carlo della Veneria - pretendeva „tutto quanto è possibile stimare la sua proprietà, e poi un cinquantamila lire di più, cioè esagerazione in esagerazione”; e la pratica s'addormentava nuovamente.
Don Bosco, infatti, che aveva pregato un suo amico, Giovanni Viale, applicato alla Segreteria del Consiglio di Stato, di osservare a che punto stessero le cose, il 18 settembre aveva in risposta che nulla si era trovato nei registri in rapporto coll'espropriazione di utilità pubblica, del terreno del Morglia. E, l’11 ottobre, tornando ad instare presso la Prefettura, aveva in risposta che la documentazione relativa alla sua richiesta era ancora presso l'Ufficio Centrale del Genio Civile e s'erano fatte le opportune sollecitazioni per la restituzione.
“Il motivo del ritardo frapposto da questa Prefettura alla spedizione della pratica relativa all'espropriazione del terreno Morglia - scriveva il Comm. Baccalario, segretario capo, in data 22 gennaio 1874 - deriva da ciò che l'Uffizio del Genio Civile non ha finora rimesso il suo parere perchè da una lettera firmata Gambarotta Ing. Capo, che mi sta sott'occhio, appare che il medesimo sulla istanza del Conte della Veneria e della S. V. Rev.ma aveva sospeso fin verso la metà del corrente mese per tenere un congresso nel quale speravasi di accomodate la cosa amichevolmente...”. Nuovi incagli, che tentava di mettere il Morglia, dietro insistenze dei correligionari protestanti.
Finalmente le carte furono spedite a Roma, e il 10 luglio 1874 l'Avv. Francesco Gilardini, Referendario del Consiglio di Stato, scriveva a Don Bosco.
“È stato emesso, proprio in data d'oggi, il parere relativo al decreto di pubblica utilità della sua chiesa in Torino, e mi affretto a dirle che è favorevole in ogni sua parte. Tutte le opposizioni furono vinte, e l'avviso conchiude che la dichiarazione di pubblica utilità si possa concedere e autorizzare l'espropriazione dal fondo Morglia, giusta il progetto [1276] di massima dell'Ing. Arborio [Edoardo Arborio Mella]” Da un giorno all'altro le carte saranno rimandate al loro destino, e non è da ammettersi nemmeno il pensiero del dubbio che possa il Ministero andare in contraria sentenza”.
La mèta pareva raggiunta..., ma per oltre tre anni e continuarono a frapporsi molte altre difficoltà, finchè coll'aiuto efficace dell'Ing. Cav. Carlo Trocelli si riuscì a superarle, e si poterono iniziare i lavori secondo il disegno del Conte Edoardo Arborio Mella, coadiuvato efficacemente dal Conte Carlo Reviglio della Veneria, e il 14 agosto 1878 Mons. Gastaldi benediva la pietra angolare, presente Don Bosco, il quale profondamente commosso, a tutti i benefattori, che gli avevano concorso alla santa impresa, invocava da Dio „sanità stabile, vita lunga e felice, pace e concordia nelle famiglie, buon esito nelle imprese e in ogni affare”, e „copioso il centuplo da Gesù Cristo promesso nella vita presente e più abbondante ancora... la mercede nella vita avvenire”[254].
Anche le pratiche per la vendita del collegio di Mirabello Monferrato andarono per le lunghe. Verso la fine del 1872 la Commissione Municipale deliberava il PROGETTO per l'acquisto del fabbricato esistente nel Comune di Mirabello di proprietà del molto R.do Sig. D. Bosco.
1° Il Comune farebbe acquisto di detto fabbricato per la complessiva somma di lire venticinquemila.
2° I pagamenti verrebbero fatti nel modo seguente. Lire cinquemila in rogito, il quale si farà subito ottenuta l'approvazione dell'Autorità superiore per addivenire alla stipulazione del contratto. Per le rimanenti lire ventimila il Comune si obbliga a pagare al Sig. D. Bosco Lire duemila all'anno per anni dieci, corrispondendo sulle residue somme ancora dovute l'interesse del sei per cento, nonchè l'imposta sulla Ricchezza mobile sia a carico del venditore.
3° Il Comune si riserva il diritto qualora volesse e potesse di fare parziali pagamenti purchè non minori di Lire duemila in anticipazione delle rate ancora dovute ed in tal caso sarà dato al Venditore un preavviso di mesi due.
4° Nel caso di ritardo per parte dell'Autorità superiore ad approvare il contratto, oppure per parte del Comune nel poter ritirare i fondi che si trovano presentemente nella Cassa Esattoriale, stante [1277] il solito ritardo nella compilazione dei Ruoli, e per conseguenza nella sistemazione dei conti: Ciò non di meno il Comune intenderebbe andare al possesso al 1° di Gennaio del 1873, corrispondendo al Sig. D. Bosco a cominciare da detto giorno l'interesse del sei per cento sia sulle Lire cinquemila sino al giorno del versamento delle medesime, che sulle rimanenti Lire ventimila; e si obbligherebbe pure a pagare tutte le imposte dell'annata in corso.
A queste condizioni, qualora venissero accettate, il Sig. D. Bosco cederebbe al Comune di Mirabello il suo Fabbricato sito nella contrada Rovere, tale quale presentemente si trova coi fissi ed infissi dipendenti dal medesimo, cedendo pure anche i materiali vecchi che si trovano nel cortile.
Per la Commissione Municipale di Mirabollo
E due anni dopo, nel 1874, si veniva al contratto. Il Comune deliberava l'acquisto ed istruiva le pratiche per ottenerne l'approvazione; e l'Ing. Rogna, allora sindaco, il 27 giugno, comunicava ufficialmente a Don Rua di aver già ottenuto l'approvazione della Deputazione Provinciale, per cui non mancava altro che il Regio Decreto; ed „oggi stesso - aggiungeva - scrivo perchè non venga più oltre ritardato, richiedendolo gli interessi del Comune, e spero che fra breve si potrà stipulare l'istrumento definitivo”.
Per buona sorte, nel 1938, quella casa per noi in perpetuo memoranda tornava nostra, ed accoglieva un aspirandato per chierici missionari.
Ora passiamo ad esporre la corrispondenza epistolare del Servo di Dio, insieme con altre memorie interessanti, in ordine cronologico. Non si può leggere nessuna lettera di Don Bosco, senz'edificazione e senz'elevare la mente a Dio.
Scriveva alla contessa Callori:
Scriverò poco, ma non voglio che la lettera di una mamma tanto buona rimanga senza risposta. Ho ricevuto il suo bigliettino e benedico il Signore che abbia tenute lontane le disgrazie dalla Signora [1278] sua figlia. Continuerò a pregare per la continuazione dei celesti favori. Ogni giorno speciali preghiere all'altare di Maria Ausil.
Dio benedica Lei e tutta la famiglia Medolago. Mi creda in. G. C.,
Pieno di familiarità cordiale con tutti i benefattori, scriveva al Barone Carlo Ricci des Ferres:
Le mando una letterina pel Sig. Conte Eugenio, che prego a voler chiudere in altra sua avutane occasione.
Ne la ringrazio, e mentre assicuro Lei e la Sig. Baronessa Azeglia di raccomandarli ambedue nelle deboli mie preghiere, mi raccomando alle loro che certamente sono più fervorose, mentre con gratitudine mi professo
PS. Favorisca dire alla Bar. Azeglia di acchiudere l'unita lettera scrivendo a Beaumesnil.
Il Barone gli mandava un'elemosina a nome del papà, ed essendogli giunta proprio quando nell'Oratorio „si disputava fin l'ultimo centesimo”, il Santo lo ringraziava nettamente, dicendola giunta veramente a tempo!
Ho ricevuta la limosina di f. 100 che ha la bontà di farmi pervenire a nome di papà. Io la ringrazio ben di cuore. Giunse in tempo che in nostra casa si disputava fin l'ultimo centesimo, essendo annullate le povere nostre finanze.
Pertanto ringrazio doppiamente, e con papà ringrazio Lei augurando a tutta la famiglia ogni celeste benedizione, mentre ho l'onore di potermi professare,
Annetta Fava - Bertolotti lo pregava di chiederle una particolare benedizione dal S. Padre ed egli l'accontentava senza indugio: [1279]
Appena ho ricevuta la sua lettera ho immediatamente scritto al Santo Padre per mezzo di chi gli sta a canto e familiare, e a quest'ora sono persuaso che il S. Padre avrà già inviata sopra di Lei la benedizione del Signore. Io la raccomandava anche alle preghiere di Lui.
Ho pure stabilite speciali preghiere per Lei all'altare di Maria A. e si faranno mattino e sera fino a tanto che Ella, notabilmente migliorata nella sanità, venga di presenza a ringraziare questa nostra celeste benefattrice.
Nella mia pochezza poi aggiungerò ogni mattino un memento nella santa Messa. Speriamo nella misericordia del Signore.
Dio conceda ogni bene a Lei ed al Sig. suo marito, preghi per me e mi creda con vera gratitudine
La signorina Barbara Rostagno gli domandava consigli e preghiere per la scelta di chi l'avrebbe resa felice unendosi in matrimonio; e riceveva santi e pratici suggerimenti con brevi parole:
Non mancherò di pregare, affinchè Dio la illumini a scegliere quella persona che potrà meglio giovarle a salvarsi l'anima. Dal suo canto però faccia gran conto della moralità e religione dell'individuo. Nè badi alle apparenze, ma alla realtà.
Dio la benedica e le conceda ogni bene, preghi anche per la povera anima mia e mi creda in G. C.,
La signora Luigia Radice Vittadini gli raccomandava due bambini infermi, ed egli inviava a lei e a quelli la sua benedizione, in data 8 luglio, corre le scriveva Don Berto:
Il nostro amat.mo Signor Don Bosco m'incarica di rispondere alla preg.ma sua in cui gli raccomanda due bambini infermi. Egli pertanto di buon grado manda a Lei ed ai fanciulli la sua benedizione mentre l'assicura di raccomandarli in modo particolare a Maria SS. Ausiliatrice nel Santo Sacrifizio; non tema di nulla, ma speri ogni cosa dalla misericordia del Signore. [1280] Il direttore di Borgo S. Martino gli chiedeva le carte necessarie per le sacre ordinazioni di alcuni chierici; e Don Bosco, sempre in continuo lavoro, di alcune gli spediva i fogli bianchi col semplice bollo e la firma, perchè venissero da lui riempite:
Ti mando l'extra tempus di Gallo, ma digli che voglio che canti bene.
Vi è pur quello di Chiala per cui scrivi a Mons. Masnini.
Chiala è poco bene in sanità; usagli tutti i riguardi che puoi. Se lo merita. Pel resto ti scriverà D. Rua.
I fogli segnati sono per le dimissorie per cui qui non si ha tempo.
Credo che ne avrai copia. Dio vi benedica tutti. Amen.
Anche durante l'anno continuò a fare quel che poteva a vantaggio delle temporalità dei Vescovi, e scrivendo in proposito al Vescovo di Vigevano, Mons. De Gaudenzi, accennava i continui contrasti da parte di Mons. Gastaldi, e chiedeva scusa d'avergli dato ospitalità nell'Oratorio, in una camera poco pulita.
Nel corso della pratica inviata al Ministero mi occorre che Ella abbia la bontà di dirmi se ha già ricevuto qualche notizia ufficiale od officiosa. Pare che in questo momento il vento soffi favorevolmente. Col nostro A. sempre contrasti. Calcolavo di raccogliere alcuni pubblici maestri a fare gli Esercizi Spirituali a Lanzo. Fece mille guai, perchè non si passò per sue mani. Ciò si fa da 25 anni e non si disse mai nulla. Ho tosto sospeso la muta di essi - gli imbrogli aumentano ogni dì.
Mi rincresce tanto tanto di un fatto che riguarda V. E. Rev.ma. Quando Ella fu qui, alloggiò in una camera nel cui letto furono di poi trovati non pochi insetti. Ne abbiamo avuto tutti vivo rincrescimento! Ci voglia compatire e per segno di perdono venga presto a ritrovarci, e pensiamo avrà notte più tranquilla.
Ci doni la sua santa benedizione e mi creda colla massima gratitudine,
Dove trovare una semplicità e cordialità più limpida e familiare?
Ai primi d'agosto saliva a S. Ignazio per gli esercizi spirituali, dopo averne fatto parola ai superiori del Convitto Ecclesiastico. Mons.Gastaldi, però, aveva posto alla direzione degli esercizi alcuni giovani sacerdoti, ed uno di questi, appena Don Bosco fu al Santuario, gli si fece incontro e gli disse:
- Eppure ne parlai con quei del Convitto e mi dissero che venissi, che il posto c'era.
- Non saprei che dirle: il posto non c'è!
- Ebbene se il posto non c'è, tornerò a Lanzo!
Subito aveva compreso che non lo volevano e s'incamminò per tornare indietro, ma nello scendere la gradinata s'imbattè in un signore il quale, stupito di vederlo ripartire, gli chiese il perchè, e, intesa la cosa, sdegnato corse da quel sacerdote dicendogli:
- Se non c'è posto per Don Bosco, gli cedo il mio e me ne vado a dormire a Torino; ma non voglio che Don Bosco vada via! È una vergogna!... per Don Bosco il posto ci fu e ci dev'essere sempre!
E il reverendo cedette per non far troppo palese quel gesto, e Don Bosco si fermò per evitare tante mormorazioni che avrebbe cagionato; ma fu l'ultima volta che andò a Sant'Ignazio, dov'era salito regolarmente ogni anno dal 1842. L'auge e la confidenza che godeva anche lassù, era il motivo per cui lo volevano escluso.
Da S. Ignazio, intanto, scriveva all'Oratorio:
Comperare un paio di ghette elastiche di mia misura, mandarle a D. Momo che le faccia pervenire a D. Neizone oppure per altro mezzo, metterci dentro la nota del costo con tanti saluti.
Prevenire D. Francesia e D. Cerruti che mettano in libertà i [1282] Cuffia, non dare altro corredo se non quello della persona, cioè necessario a coprirsi per viaggio, oppure che fosse di provenienza paterna. Non fare alcun certificato, nè buono nè cattivo; tirar fuori il loro conto antico e chiederne il pagamento.
Procura che siano distribuite le lettere per gli esercizi per le Signore ai parroci vicini a Mornese, lettere per i Maestri, progr. Valsalice, ecc. ecc.
Dio vi benedica tutti e pregate pel vostro in G. C. sempre
I fratelli Cuffia furono i primi ad uscir di Congregazione, senza dir nulla ai loro direttori Don Francesia e Don Cerruti. Don Bosco prevedeva che se ne sarebbero andati, e incaricava Don Rua di scrivere al loro Prevosto questa lettera, di cui abbiam l'originale, scritta da lui da capo a fondo, e di cui Don Rua si servi quando un altro sacerdote uscì senz'esser munito di patrimonio.
Nella mia qualità di prefetto della Congr. di S. Francesco di Sales fo preghiera a V. S. M. R.da di voler comunicare alcune cose spettanti ai due sacerdoti D. Cuffia Giacomo e D Cuffia Francesco.
Essi appartennero a questa congregazione e in essa furono ordinati.
Ora, essendosi allontanati dalla medesima, è indispensabile che essi provvedano a quanto in generale, e nominatamente dal decreto di nostra approvazione, è dalla Santa Sede prescritto. Si quis, ivi si dice, ex congregatione discesserit, ipso facto sulpensus sit, donec, titulo ecclesiastico regulariter constituto, episcopum acceptatorem invenerint.
Essendo essi partiti senza nulla dire al superiore, non n'ebbero regolare comunicazione, come certamente, si sarebbe fatto.
Persuaso del suo favore, le offro la mia debole servitù in qualunque cosa la potessi servire, mentre ho l'onore di professarmi,
Quell'anno, a noi pare, Don Bosco si fermò a S. Ignazio solo il primo corso di esercizi; e li fece anche per suo conto „a fine di vedere modo di prepararsi un poco per la sua eternità [1283]”. Così scriveva prima di scendere a Torino alla contessa Viancino di Viancino. Il pensiero della morte gli era sempre in mente, ed anche di quell'anno tornava, come vedremo, a far testamento.
La sua lettera mi venne a raggiungere qui a S. Ignazio, dove faccio gli esercizi Spirituali a fine di vedere modo di prepararmi un poco per la mia eternità. Di ciò ne tengo grave bisogno e mi raccomando di cuore alla carità delle S. sue preci.
Mi rincresce assai che la Damigella Belmonte sia così gravemente ammalata. Ho subito cominciato a pregare: ho scritto a Torino perchè si preghi all'altare di Maria A.; lo stesso fanno parecchi pii signori a questo santuario. Perciò abbiamo molto... Dio è onnipotente e se vuole può, ma talvolta la sua volontà o meglio i suoi decreti sono contrari a' nostri: adoriamoli sempre.
Godo assai che Ella ed il Sig. Conte godano sufficiente sanità in mezzo ai grandi calori, che spero ora siano diminuiti.
Nutro sempre in me il caro pensiero di recarmi a Bricherasio: tanto più adesso che ha la Cappella in suo palazzo, e che la mia camera, veda quale padronanza! è preparata. Ma pur troppo da notabile tempo vivo con i miei progetti senza poterli effettuare.
Non voglio dimenticare di darle una notizia. La questione col Protestante Morglia pella striscia di sito destinato alla chiesa presso i Protestanti, è stata risolta al Consiglio di Stato in nostro favore e non si attende altro che l'apposito Decreto per cominciare i lavori cotanto prolungati. Credo che ciò torni di gradimento al Sig. Conte di Lei marito.
Come ogni giorno prego per loro, così in questo momento prego la bontà del Signore a benedirli e conservarli in perfetta sanità e santità sino alla più tarda vecchiaia. Amen.
La grazia di N. S. G. C. sia sempre con noi, e il suo grande amore regni sempre nei nostri cuori. Così sia.
Con profonda gratitudine mi professo in G. C., se lo permette, suo
Il 15 agosto, solennemente, si festeggiò il suo compleanno. Don Bosco era nato il 16 agosto ma nell'Oratorio si festeggiò sempre il 15 - e gli venne fatta anche un'accademia, onorata dalla presenza di Sua Eccellenza, Mons. Augusto Negrotto, Cameriere Segreto di Sua Santità, e il chierico [1284] Giovanni Cinzano, componeva l'inno, stampato in quella circostanza[255].
Abbiamo anche alcune lettere e vari componimenti, che vennero letti o declamati la sera del 14 e quella del 15, tra cui quelli di Francesco Picollo, Albino Carmagnola e Angelo Lago.
Giorno di gioia è oggi per ognuno de' Vostri figli ed in special modo per me poverello, che per la prima volta ho il bene d'indirizzarmi a Voi come membro dell'immensa Vostra famiglia.
Ignoro i pomposi componimenti, altri valenti nel comporre e nel poetare Ve ne daranno saggio, dico quel che il cuore m'inspira e vi prego primieramente, o santo fondatore di questo Oratorio, a voler gradire i miei più vivi ringraziamenti pel bene che da Voi ho ricevuto, ed in questo dì, fausto anniversario del Vostro natalizio, Vi prego a rammentarvi di me come il più indegno sì, ma pur Vostro figlio.
Voglia il Sommo Dio e la Vergine Consolatrice ascoltare ed esaudire le mie deboli preci che oggi in particolar modo innalzerò per la prosperità e lunga vita del moderno La Salle piemontese, di Voi grande in tanta umiltà, o amato D. Bosco. E siccome i figli del La Salle francese sono sparsi in tutto il mondo per l'educazione della gioventù, così possano i figli Vostri moltiplicarsi, espandersi in ogni città a spandere ovunque l'odore delle Vostre virtù, della Vostra immensa carità ed avviare sulla strada del Paradiso tutti i giovani di questa povera nostra Italia...
Gli alunni artigiani del dormitorio dell'Immacolata, desiderosi d'esternargli comecchessia i loro affetti, gli auguravano „felice la prossima notte e quarantun'altre compleannarie”, di compiere cioè cent'anni di vita!
Un libraio, che si trovava dal 1861 nell'Oratorio, gli presentava la fattura „di 1000 auguri di vera felicità, 1000 benedizioni di vero cuore, 1000 dimostrazioni di benevolenza, 1000 manifestazioni di allegrezza, 1000 dolci affetti, 1000 amorose riconoscenze, 1000 segni di vero attaccamento, 1000 cure premurose, 1000 segni di gratitudine, 1000 ecc. ecc.” a lui dati “in occasione del 590 compleanno di sua nascita” per un milione di lire senza sconto, e insieme di dieci miliardi, [1285] collo sconto del 50%, , spesi (diceva), a cominciare dal 1861, „per l'anima mia in sua custodia”, concludendo „Ricevuto il saldo della presente in altrettante pagnotte, e cure amorose per cui ne faccio quietanza finale, salvo alla mia gratitudine che sarà ETERNA!”.
Di quei giorni Don Bosco veniva richiesto da P. Apollinare di Parigi, a nome dell'Arcivescovo di quella città, di fare un'esposizione di quello che riteneva degno di nota relativamente alla Serva di Dio Maria Maddalena Vittoria de Bengy, Viscontessa de Bonnault d'Houet, Fondatrice della Società delle Fedeli Compagne di Gesù; ed egli scriveva a Madre Eurosia, Superiora dell'Istituto che avevano le sue figlie spirituali a Torino, dietro la chiesa della Gran Madre di Dio.
Il P. Apollinare di Parigi a nome, dell'Arcivescovo di quella città mi dimanda che io esponga quello che mi venne a notizia intorno alla Madre Houet fondatrice del benemerito Istituto delle Fedeli Compagne di Gesù.
Ciò ad oggetto di iniziare la causa della sua beatificazione.
Ben di buon grado accondiscendo, ma avrei bisogno che Ella potesse dirmi: 1° L’epoca in cui venne a Torino, e se sia venuta fino a questa casa.
2° Se consta che abbia detto o fatto qualche opera speciale che possa tornare a pubblico o privato vantaggio altrui.
Sarei andato da Lei, ma per non cagionare indugio in cosa di tanta importanza ho pensato di chiederlo per mezzo di poche linee che attendo dalla sua cortesia, a meno che Ella potesse far un passo fin qui.
Mi è cara l'occasione per augurare ogni bene a Lei ed a tutta la sua comunità, e mentre mi raccomando alla carità delle sue sante preghiere, ho l'onore di professarmi con gratitudine,
Avute le dichiarazioni richieste, scriveva e spediva a Parigi questa testimonianza:
Assai di buon grado esprimo le poche cose che mi ricordo della Signora d'Houet fondatrice delle Fedeli Compagne di Gesù,
Primo. Da' suoi discorsi ho ravvisato una persona di molta pietà, di molto amor di Dio e di molto distacco dalle cose della terra.
Secondo. Di averla più volte udita dire che nella sua istituzione e in tutte le cose sue non aveva altro di mira che la maggior gloria di Dio, a cui intendeva di consacrare sè, le sue sostanze, e tutta la congregazione da lei fondata.
Terzo. Sia per le molte sue opere di carità; sia per la illuminata sua pietà, tra noi se ne è sempre parlato come di persona di molta virtù, e come vero specchio di perfezione cristiana.
Quarto. Ho notato di particolare una grande divozione al San-tissimo Sacramento ed in gran rispetto verso ai Sacerdoti. Non voleva mai mettersi a parlare con essi senza prima inginocchiarsi, e da loro dimandava la santa Benedizione.
Quinto. La sua grande fede, la sua santità appare chiaramente trasfusa nelle sue opere e specialmente nello stabilimento di Torino, dove risplende luminosa la pietà, la fede verso al Sommo Pontefice, e la frequenza ai Santi Sacramenti della Confessione e Comunione.
Degli esercizi dei confratelli che si tennero a Lanzo in settembre non abbiam trovato alcuna memoria delle pa-role del Santo; ma ecco i santi propositi del chierico Giuseppe Giulitto, che il 18 settembre faceva i voti perpetui.
A. M. D. G. - Stamane 18 settembre 1874, giorno in cui com-pievasi l'anno 21 di mia età, in sul finire degli esercizi spirituali... ho professato le Costituzioni della Società di S. Francesco di Sales, stata definitivamente approvata dalla S. Sede con apposito Decreto di 3 aprile 1874, legandomi a Dio coi voti perpetui di povertà, ca-stità, ed ubbidienza, ... avanti il SS. Sacramento ed al Rev.mo mio Superiore e Padre in G. C., il Sacerdote D. Giovanni Bosco, Fonda-tore di detta Congregazione, ed avendo a testimoni i RR. Sigg. Con-fratelli, 1° Don Albera Paolo, direttore dell'Ospizio di S. Vincenzo de' Paoli in S. Pier d'Arena (Genova) e 2° D. Francesia Gio. Batt.a, direttore del Collegio di S. Giovanni in Varazze (Savona)... con grande mio contento ed inesprimibile soddisfazione dell'anima mia..,
Massima. - L'edifizio della mia santificazione dovrà avere
per FONDAMENTO la virtù dell'Umiltà,
Ricordo particolare degli esercizi spirituali dell'anno 1874 -
Io sono servo e lavoro per un padrone, da cui riceverò una mer-cede, che eccederà infinitamente i miei meriti, per grandi che pos-sano essere; sì, Merces tua, Domine, magna nimis, poichè tu stesso [1287] sei che al tuo servo fai sentire quelle dolci parole: Ego ero merces tua magna nimis (Gen., 15, I).
Pratica. Ad onor di S. Giuseppe di cui io porto il nome, nell'ultimo mercoledì d'ogni mese, fatta al mattino la Confessione di tutte le colpe commesse nel corso del mese, e la Comunione, leggerò attentamente a me stesso l'Ordo Commendationis animae, ed in tale giorno ed ogni altro mercoledì la grazia speciale, che dimanderò dopo la Comunione, sarà quella di morir bene, indirizzandomi particolarmente a S. Giuseppe, patrono dei moribondi.
Ogni giorno. Finita la visita al SS. Sacramento, prima di uscir di chiesa, reciterò la seguente preghiera: - Gesù mio, cui tutto mi sono consacrato, Vergine SS. Madre di Gesù e Madre mia, Angelo mio Custode, cui fu in modo particolare affidata la cura dell'anima mia, S. Giuseppe, di cui porto a mia gran ventura il nome, S. Francesco di Sales, patrono della mia Congregazione, S. Luigi Gonzaga e S. Stanislao Kostka, angeli di purità, Voi ho scelti a miei protettori speciali, e Voi aiutatemi ad osservare le Regole da me professate e che dovranno un giorno aprirmi le porte del Paradiso.
Il I° settembre si recavano a Roma, accompagnati dal direttore Don Dalmazzo, vari alunni di Valsalice, che ebbero anche l'onore di essere ricevuti dal S. Padre.
Nello stesso mese Don Bosco, in un foglio stampato, inoltrava „ai Signori Consiglieri del Municipio Torinese” questa supplica „Per, ottenere sussidio ai ragazzi accolti nell'Istituto Valdocco o che frequentano gli Oratori o giardini di ricreazione in questa città „.
Sono circa due anni da che aveva io l'onore di supplicare V. S. Ill.ma di prendere in benevola considerazione le scuole che si fanno in questa casa pei poveri giovani del vicinato, ed Ella compiacevasi di rispondermi lodando lo scopo e promettendo diretta risposta dopo di avere udito il parere della Giunta Municipale.
Essendosi continuate finora quelle scuole e trovandomi in vere strettezze per continuare, rinnovo la medesima preghiera in mio aiuto e a sostegno di questi figli della classe più bassa del popolo.
Il loro numero attuale è di un trecento cinquanta, e mi sarebbe assai cara una visita sua o di qualche altra persona che da parte sua ci venisse a visitare.
Mi voglia credere con gratitudine,
Nell'Oratorio di S. Francesco di Sales trovansi le seguenti categorie di poveri giovanetti interni:
1. Artigianelli orfani ripartiti in vari mestieri circa N. 350, di cui parte notabile furono raccomandati dalla Prefettura, dalla Questura e dal Municipio. Per fare apprendere un mestiere a questi giovanetti nell'Istituto esistono i laboratorii di tipografo - compositore, stampatore, calcografia, fonditore di caratteri, di stereotipia, legatori da libri, cappellai, sarti, falegnami, ferrai, calzolai, musica istrumentale, vocale, ecc.
2. Applicati in varie classi di studio, N. 500.
3. Fanciulli abbandonati esterni che attualmente frequentano le quattro classi elementari oltre a 400. La direzione e l'insegnamento sono esercitati da maestri tutti patentati e secondo i programmi delle pubbliche scuole.
4. Fanciulli poveri che ne' giorni festivi intervengono per trattenimenti ginnastici e trastulli diversi, scuola di musica, scuola elementare, ed anche istruzione religiosa, oltre a 500.
5. Si noti che da piazza Emanuele Filiberto fino a S. Donato ed alla Fucina delle Canne, non essendovi alcuna pubblica scuola interverrebbero in numero assai maggiore, se si avessero locali e mezzi opportuni per sostenerne le spese.
6. In numero pure di oltre a 500 frequentano col medesimo scopo l'Oratorio di S. Luigi lungo il viale del Re a Porta Nuova.
7. Dicasi lo stesso dell'Oratorio di S. Giuseppe via Nizza in fondo al Borgo S. Salvario.
1. I giovanetti sopra mentovati se non fossero così raccolti andrebbero vagando per la città ne' giorni feriali ed assai più ne' giorni festivi, facendo la così detta battagliuola con disturbo continuo delle autorità pubbliche, e con molestia e pericolo dei pacifici cittadini.
2. Questi giovanetti uscendo dall'Istituto vanno a guadagnarsi onestamente il pane nella milizia governativa, nel commercio in qualità di operaio, di commesso, d'insegnante, o di impiegato in qualche uffizio.
3. Fra i molti giovanetti abbandonati accolti sono da annoverarsi quelli che nell'anno del cholèra - morbus il signor Sindaco di Torino inviava e che in numero di oltre a quaranta furono gratuitamente ricoverati, ed alcuni di loro sono tuttora nello Stabilimento.
In settembre faceva una gita a Torino l'avv. sommista Carlo Menghini, che fu ospite per vari giorni nell'Oratorio e tornava a Roma arcicontento per le gentilezze di Don Bosco. [1289]
Molte e insistenti erano le domande, che gli giungevan anche da ogni parte d'Italia, di aprir nuove case; ed ecco un semplice accenno delle poche, di cui ci è pervenuta la documentazione.
Nel novembre del 1873, poco dopo l'apertura delle scuole, era andato a Cogoleto, dove aveva inviato come maestri Don Domenico Bruna e il chierico Giuseppe Pavia, e, atteso il gran numero di domande d'accettazione di alunni nel collegio di Varazze e l'impossibilità d'accoglierli per insufficienza di locale, gli veniva proposto d'erigervi una specie di succursale per ragazzi delle classi elementari. Il bene che ne sarebbe provenuto sarebbe stato grande assai, perchè già da anni, molti di quei paesi, andando in America lasciavano quasi soli i loro figliuoli, con pericolo di farli crescere malamente. Tutta la popolazione se ne mostrava entusiastica, e il Municipio stesso si diceva pronto a dar l'area dove si sarebbe eretto il collegio, in una bella posizione, e a concedere altre facilitazioni. Appena il Santo fu di ritorno da Roma, l'arciprete Don Giuseppe Scarrone gli scriveva di accelerare le pratiche, e Don Bosco continuò ad interessarsene, e nell'autunno inviava questo
Progetto di capitolato tra il Sac. Gio. Bosco da Torino e il Municipio di Cogoleto.
I signori componenti il Municipio di Cogoleto animati dal pensiero di promuovere la pubblica istruzione tra i fanciulli da loro amministrati, ed anche per dare un segno di sodisfazione agli attuali maestri, che amministrano le scuole del paese ed appartengono all'Istituto del Sac. Gio. Bosco, convengono:
1° Dare al mentovato Sac. Bosco l'area per fabbricare un edifizio per le scuole del paese, per alloggiare i rispettivi maestri, ed anche per un collegio con cortili e giardini necessari. Tutta l'area da cedersi sarà di circa are .....
2° Il Municipio concorrerà per la somma di dieci in quindici mila fianchi, per l'impianto e stabilimento del medesimo.
3° Il Sac. Bosco preparerà un disegno da sottoporsi al parere del Municipio, e ne intraprenderà l'esecuzione in quel sito, che si giudicherà opportuno e comodo per le pubbliche scuole. [1290]
4° Questi locali saranno di proprietà del Sac. Bosco, il quale perciò dovrà provvedere a tutte le spese di costruzione, riparazione, suppellettili, alle imposte ed a qualsiasi altra spesa relativa all'uso e conservazione dei medesimi.
5° Qualora questo locale cessasse di essere destinato alla pubblica istruzione il Municipio si riserba il diritto di tre membri abbastanza ampii e comodi per le scuole del paese. In questo caso si fa anche facoltà al Sac. Bosco di poter dare altrove tre sale o locali per le scuole che non siano distanti più di cento metri dal paese.
6° Questi articoli serviranno di base ad una regolare convenzione qualora il prelodato Municipio giudicasse di ammetterli.
In aprile Don Andrea Scotton gli comunicava il desiderio del Prevosto di Alzano Maggiore, „grossa borgata a cinque chilometri da Bergamo, ricca straricca di opifici di filatoi
come quasi tutta la valle del Serio”, che voleva provvedere al bene dei fanciulli, avendo già aperta per le fanciulle una casa delle Figlie della Carità, e metteva a disposizione dei figli di Don Bosco un bel palazzo, con una bella chiesa accanto e in posizione amenissima, che avrebbe rifornito dei mobili più necessari. Anche il Prevosto Don Cesare Foresti tornava ad insistere, assicurandolo che l’Istituto avrebbe prosperato e fatto „del bene immenso”.
Nello stesso mese Don Giacomo Patrone, Prevosto di Terruggia, „paese situato su di una delle più amene colline del Monferrato, distante da Casale un'ora di cammino a piedi”, gli proponeva la compera di „un magnifico locale con bella chiesa ed ampio sedime cintato a nuovo, già collegio dei RR. PP. Somaschi”; e il Segretario Comunale L. Patrucco appoggiava la proposta colle più entusiastiche dichiarazioni dei vantaggi che avrebbe avuto nel far quell'acquisto.
In maggio il Marchese Durazzo lo pregava d'assumere la direzione dell'Orfanotrofio di Genova, e siccome quella cessione non piaceva al Prefetto, il quale dichiarava apertamente che tanto dalla Deputazione provinciale come per parte del Ministero sarebbe stato „fieramente avversata”, lo pregava di tentare di „salvar capra e cavoli” coll'accettare la proposta e l'amministrazione, senza far nessuna convenzione, [1291] mentre avrebbe collocati a riposo gli attuali impiegati interni ed attribuita loro la pensione dovuta, e nominto a Rettore Don Lemoyne con quegli altri impiegati, cioè con quegli altri confratelli, che Don Bosco avrebbe presentati, senza bisogno, così, dell'approvazione di alcuno.
In luglio il superiore del Collegio Alberoni di Piacenza, signor Francesco Gaggia dei Preti della Missione, l'invitava ad accettare la proposta di una pia signora che offriva subito 50 mila lire allo scopo „di aprire un ricovero per raccogliere i poveri ragazzi di strada per educarli cristianamente e insegnar loro qualche arte”. „Comprendo - diceva - che con questo capitale si potrà far poco, ma bisogna riflettere che può essere il granellino di senapa che avrà poi un grande sviluppo. Tutte le grandi opere hanno cominciato dal poco, e vi è a sperare che sarà altrettanto di questa...”.
Nello stesso mese il Rettore del Seminario di Crema, Prof. Don Antonio Valdameri, lo supplicava, anche a nome del Vescovo, di cui era segretario, di fondare un collegio - convitto in quella città, con scuole ginnasiali e liceali; e in settembre recavasi a Torino il fratello Don Giovanni Battista, il quale, accompagnato dal Can. Luigi Nasi, visitava l'Oratorio e tornava ad insistere per aver da Don Bosco la promessa di quella fondazione che sarebbe stata sotto gli auspici del Comune, da cui avrebbe avuto uno o due locali e i mobili in uso nel ginnasio, che si voleva chiudere per le strettezze finanziarie, e quattro mila lire all'anno.
Da Carpenedolo (provincia di Brescia) veniva a Torino il Dott. Don Egidio Cattaneo, Rettore del Collegio - Convitto, ivi aperto da tre anni, con scuole elementari, tecniche e ginnasiali e 10 alunni, per darlo a Don Bosco in acquisto o in affitto, „a motivo della sua salute gravemente affievolita dalle soverchie occupazioni, assicurandolo che in quattro o cinque anni avrebbe saldato tutte le spese; e in pari tempo gli proponeva di trasportare le scuole tecniche a Lonato, un paese poco lungi da Carpenedolo, dove il Municipio e tutta la popolazione bramavano che si aprisse un collegio commerciale, come una filiale di quello di Carpenedolo, ove gli alunni di questo si recavano in villeggiatura. [1292] Anche a Mornese, mentre gli amministratori dell’Oratorio della SS. Annunziata lo supplicavano d'inviar un sacerdote che celebrasse la S. Messa nei giorni festivi a comodo dei Confratelli dell'Oratorio, promettendo una conveniente retribuzione, il Municipio l'invitava a mandare due preti, muniti di patenti, perchè assumessero le scuole di prima e seconda, e di terza e quarta elementare.
In settembre Mons. Lucido Maria Parocchi, Vescovo di Pavia, lo pregava dì accogliere in un collegio un giovane „d'assai dubbia vocazione”, benchè „d'ingegno e di cuore”, perchè venisse a conoscerlo intimamente e potesse consigliarlo, e insieme gli scriveva:
Il sito opportuno ad aprite qui un suo Collegio sarebbe S. Pietro in Ciel d'oro, già Seminario diocesano, e un tempo cenobio de' Canonici Lateranensi e degli Eremitani di S. Agostino. La chiesa attigua, ricordata dal divino poeta nel „Paradiso”, e da una lettera del Petrarca al Boccaccio, famosa chiesa per avere conservato gran tempo le reliquie del S. Dottore d'Ippona e di S. Severino Boezio, oggi profanata e ridotta a fienile, porta le cicatrici di tre feritori, francese, austriaco, italiano. Tutto l'edificio è posseduto dal Ministero della Guerra, che lo tiene qui inutilmente, dacchè a spedale militare, l'unico servizio che abbia reso fin qui, non si presta affatto. V. S. potrebbe almeno prenderlo a pigione, e poi da cosa nasce cosa. A sua norma l'avviso, che quella chiesa fu domandata una volta da me, e negatami; una seconda volta dalla Fabbriceria del Carmine, e la risposta pende tuttora, ma corre voce che il Governo non sia ritroso a cederla come monumento d'arte.
Qual giubilo sarebbe il mio d'aver ad un tempo e i suoi figli, e l'antico Sepolcro del nostro grandissimo Padre!
In novembre il Municipio e il Clero di Ceva, della diocesi di Mondovì, pregavano Don Bosco d'accettare la direzione di un collegio, che avrebbe potuto accogliere una settantina d'allievi interni e - con piccole modificazioni, che il Municipio era pronto a fare - poteva esser reso capace di contenerne centotrenta o centocinquanta, in ottima posizione, con aria saluberrima e viveri a buon mercato, presso la ferrovia, di recente inaugurata, di Torino - Savona.
Per iniziativa del Servo di Dio Don Luigi Guanella fin dal 1873 s'erano iniziate diligentissime pratiche per avere [1293] un collegio salesiano con scuole elementari e tecniche - ginnasiali, a Chiavenna, nella provincia di Sondrio, avendo già ottenuto tutto l'appoggio del Vescovo e delle autorità civili, quando sorsero alcune difficoltà; e per non tardare di veder realizzato l'ardentissimo voto, nel 1874 deliberava di aprirlo a Campodolcino, e raccoglieva all'uopo molte adesioni di ogni sorta di persone con promesse di particolari offerte immediate o dentro due o tre anni, registrate in appositi quaderni nei quali si diceva Don Bosco „celebre soprattutto in Italia, dove in numerosi collegi educa allo studio ed alle arti in ogni anno migliaia di giovinetti principalmente poveri.... ammirato dai più come un personaggio dalla Provvidenza suscitato per volgere al bene in ispecie la gioventù crescente, ed a ciò fare aiutano chicchessia con mettere nelle sue mani tesori di carità cristiana. La fama di tanto uomo è passata oltre il mare. Da Buenos Aires e dal Canadà e d'altrove è ricercato a gara perchè là vi diriga collegi perfino universitari...”.
Nessuna delle richieste qui riferite, tranne quella di Mornese, potè essere accolta da Don Bosco.
Mentre gli continuavano a giungere da ogni parte domande di nuove fondazioni, prima della fine dell'anno riceveva formali istanze di mandare i primi salesiani nella Repubblica Argentina.
“Le prime lettere - dichiarava egli stesso - mi erano giunte nella novena del S. Natale, ed io le lessi al Capitolo Superiore la sera del 22 dicembre 1874”.
Il Console Gazzolo, nel mese di agosto aveva comunicato all'Arcivescovo di Buenos Aires Mons. Federico Aneiros la brama ardente di vedere i Salesiani espandersi in quella Repubblica, proponendo di affidare ad essi l'ufficiatura della chiesa della Confraternita Mater Misericordiae, detta la Chiesa degli Italiani; e l'Arcivescovo, a mezzo del suo segretario Dott. D. Antonio Espinosa, gli rispondeva d'inoltrare egli stesso la proposta al Consiglio della Confraternita. [1294]
Buenos Aires, 10 ottobre 1874.
Ho avuto il piacere di ricevere la sua carissima del 10 settembre. Aveva letto nell'Unità Cattolica la traduzione dell'articolo delle nostre feste al Santo Padre e mi preparava a ringraziarla quando ho ricevuto la sua, e di cuore la ringrazio e mi rallegro tanto che si sia pubblicato nell'Unità Cattolica, che è il giornale più diffuso d'Italia.
Riguardo poi all'affare dei Salesiani Mons. Arcivescovo li vedrà molto volentieri. Io conosco bene Don Bosco e lo credo uno dei santi viventi. Così mi dice Monsignore che V. S. può scrivere al Consiglio della Confraternita, e se la Confraternita accetta, egli, di tutto cuore, darà loro il possesso della chiesa e li proteggerà.
Mons. Arcivescovo non ha ricevuto i due specimen che V. S. dice che gli rimetteva. Così neppur io ho ricevuto il catalogo dei libri della Casa di Don Bosco.
Riceva tanti saluti di Mons. Aneiros, mi conservi nella sua grazia, e mi comandi in quel che crede che possa servirla. Intanto, raccomandandomi alle sue orazioni, sono di cuore,
l'aff.mo e dev.mo Servo ed Amico
Contemporaneamente Mons. Arcivescovo, sapendo che a S. Nicolás de los Arroyos, a cura di una commissione popolare, presieduta da un pio e venerando ottuagenario, il caritatevole Francesco Benitez, si stava ultimando la costruzione di un collegio per giovinetti, comunicava la lettera di Gazzolo al prevosto di S. Nicolás, Dottor Don Pietro Ceccarelli, che essendo unito col Console in cordiale amicizia, si affrettava ad esprimergli il suo contento.
Buenos Aires, 26 ottobre 1874.
Mio gentilissimo signore ed amico,
Sua Eccellenza Mons. Arcivescovo di Buenos Aires Dott. Don Federico Aneiros, si è degnato comunicarmi la lettera ufficiale inviatagli da V. S. Ill.ma in data 30 agosto u. s., nella quale ella propone alla prelodata S. E. R. i benemeriti Padri di S. Francesco di Sales, appartenenti alla nuova Congregazione religiosa, fondata dal sapiente e santo sacerdote Don Giovanni Bosco, e mi ha ordinato la risposta che col mezzo del signor Segretario Generale Dott. Don Antonio Espinosa Le ha mandato il 10 di questo mese, nella quale s'incarica la S. V. per scrivere alla Confraternita”Mater Miserícordiae” dimandando la chiesa per i detti Padri. [1295] Ho avuto la consolazione indescrivibile di parlare a lungo con S. E. R. Mons. Arcivescovo del celeberrimo Don Bosco, e dello spirito che dà vita all'Istituto che fondava; ebbi anche il piacere sommo di riscontrare in Monsignore un desiderio ardentissimo di vedere in quest'arcidiocesi vastissima quei Padri tanto abili e santi operai nella vigna del Signore. Perciò mi ha incaricato di prendere quest'assunto di procurare il suo buon esito dandomi all'uopo tutte le facoltà.
Mi sono informato della lettera ufficiale che V. S. scrisse a Mons. Arcivescovo, e davvero qui in queste remotissime e immense pianure l'Istituto del Rev.mo Don Bosco potrebbe propagarsi alla maggior gloria di Dio e a vantaggio delle anime. La città di Buenos Aires è grande, commerciale, porto di mare, ove albergano tutte le sètte e dominano tutte le religioni; perciò a mio avviso i Padri dell'Istituto incontrerebbero serie difficoltà. San Nicolás de los Arroyos, cittadina eminentemente cattolica, posta sulla riva destra del bellissimo fiume Paraná, il cui clima è eccellente, l'aria salutifera, il commercio prospero, la morale sana, la religione cattolica trionfante, mi pare sarebbe il punto in cui potrebbe l'Istituto fondarsi e maravigliosamente propagarsi. Ella sa che S. Nicolás è la prima città dopo Buenos Aires nell'Arcivescovado, Capoluogo dei Tribunali Civili, Criminali, Commerciali di Ia Istanza e d'Appello per il Dipartimento del Nord. Ho il piacere di essere io il Parroco e il Vicario di Monsignore in S. Nicolás, e coll'aiuto di Dio credo di potere far tutto in benefizio della mia parrocchia per cotesti reverendi Padri.
Ella ben sa quanto amore mi portano questi miei cari figli e i progressi di questa mia città, cosicchè posso assicurarla del buon esito del nostro affare. Per me credo soverchia cosa protestarle tutta la servitù a cotesti reverendi Padri e manifestar loro la buona disposizione che mi anima, imperocchè sino da questo momento mi dedico a quest'opera di Dio con tutto il mio cuore, che per realizzarla sono disposto a cedere anche la parrocchia e la Vicaria in lor favore. Siamo 5 sacerdoti che lavoriamo giorno e notte, e tuttavia possiamo ripetere: Messis quidem multa, operarii autem pauci. Qui non mi manca il necessario per vivere onestamente, nè mancherà per i Rev.di Padri di S. Francesco di Sales. Saranno ben ricevuti dal popolo tutto, perchè bene e come fratelli li riceverà il Parroco.
La lingua, i costumi, sono difficoltà che si vincono tuttavolta si voglia vincerli. In mia casa potranno studiare la lingua ed assuefarsi ai costumi argentini, e poscia dedicarsi all'insegnamento della gioventù e rinnovare lo spirito di Dio in questi miei parrocchiani. Possono stabilire collegi di tutte classi e consacrarsi al ministero non solamente in San Nicolás de los Arroyos e nei villaggi circonvicini e in tutta l'Archidiocesi, sibbene in tutte le diocesi, poichè i signori Vescovi di dette Diocesi hanno bisogno di buoni Padri, e mi vogliono [1296] molto bene, cosicchè una mia raccomandazione servirebbe per essere accettati, favoriti e protetti. Quanto prima le scriverò più dettagliatamente.
Domani vado a S. Nicolás; e intanto mi ripeto come sempre,
E l'ottimo Prevosto senz'indugio iniziava le pratiche per veder affidato ai nostri primi Missionari il collegio che si stava ultimando nella sua città, e vide la proposta accolta con giubilo, cosicchè, pieno di viva e santa letizia, ne dava, evidentemente in forma ufficiale, la notizia al Console, con questa lettera interessantissima:
Ho l'alto onore di manifestare a V. R. che il gran negozio che M. Arcivescovo di Buenos Aires mi affidava è stato condotto a termine con soddisfacente risultato. Ebbi dapprima il piacere di essere dal Signore eletto per informare Monsignor Arcivescovo sopra la nuova Congregazione di S. Francesco di Sales, cosa che mi riuscì facilissima per avere ammirato lo zelo veramente eccelso dell'ottimo, anzi incomparabile Sacerdote Don G. Batt.a Bosco in Roma negli anni 1867, 1868 o 1869, se mal non ricordo. Poscia fui dalla clemenza divina lo strumento per operare la grande impresa dell'accettazione della Congregazione Salesiana in questa città, ove avrà un bellissimo Collegio, un magnifico Oratorio pubblico nella parte più sana a questa stessa città, oltre il necessario per tutto ciò che appartiene ad una Comunità di cinque o sette o nove padri senza la servitù. Posso eziandio assicurare a V. E. che Mons. Arcivescovo ed i Vicari generali di questa Archidiocesi desiderano ardentemente questa nuova Congregazione, e fanno voti perchè quanto prima diriga il nuovo Collegio S. Nicolás e l'usufruttuario perpetuo detta Congregazione. La Comissione popolare per la costruzione di detto Stabilimento è animata dalle migliori disposizioni pei RR. Padri Salesiani, e fin da questo momento si costituisce protettrice dei sullodati Padri. Èvvi anche qui un uomo veramente di Dio, ed è “Giuseppe Francesco Benitez” uomo ottuagenario, padre dei poveri, sommamente cattolico e profusamente ricco: questi è il Presidente di detta Commissione, come pure è Presidente della Conferenza di S. Vincenzo de' Paoli e Presidente della fabbrica della chiesa, tutto del Santo Padre Pio IX, al quale è solito mandare il suo obolo di 5 mila lire ogni anno, ed anche di più. Ebbene quest'uomo è entusiasmato pei Padri Salesiani, e mi dice che egli si compromette di dare del suo peculio tutto di [1297] che abbisognassero i prelodati Padri. Non le parlo, Eccellenza, di me perchè Ella mi conosce e sa quanto amore porti ai miei fratelli in G. C. pei quali sono disposto a dare tutto ciò che ho, e che, datone il caso, saprei, coll'aiuto di Dio, per loro sacrificare la mia posizione e la vita mia. Che beneficii ridonderanno in pro di questa mia parrocchia! Oh son certo che la rinnoverebbero, e il popolo che si creerà, loderà il Signore come dice lo Spirito Santo:”et populus qui creabitur, laudabit Dominum!”. Che felicità per me l'essere strumento nelle mani della Provvidenza, affinché la nuova Congregazione Salesiana si sparga piena di vita nel nuovo mondo. Stabilita per privilegio speciale dell'Altissimo nella mia cara patria, nota nella graziosa e cattolica Torino, cresciuta all'ombra del Vaticano, ed inaffiata colla rugiada della virtù, benedetta dalla mano dell'infallibile Pontefice dell’Immacolata, si trapianti in questa bella, ridente e commerciale città, per poi estendersi a tutta l'America del Sud!
Eccellenza: Ella ben conosce queste lande remote, i suoi costumi, le sue tendenze, il suo clima, e le persone che le abitano; come pure conosce a fondo la povera persona che le scrive questa lunga lettera e le potenti relazioni che ha contratto: or bene tutto, sì, tutto porrò in pratica, per dilatare questa benedetta Congregazione, utilissima in tutte parti, però necessariissima in America, che muore di fame per la educazione soda, cattolica, romana. Una volta stabilitasi in S. Nicolas è facilissima cosa estenderla, poiché gli Americani, conosciuta l'importanza di detta Congregazione, l'ameranno e la proteggeranno materialmente, poiché il favore divino non manca alla prelodata Congregazione.
I Vescovi di Paraná, Salta e S. Juan non hanno padri sufficienti pei loro Seminarii diocesani; io coll'aiuto di Dio li potrò proporre ai suddetti Rev.mi Vescovi, e spero li accetteranno.
Adesso contentiamoci col nostro „S. Nicolás”.
Il contratto, o meglio detto le condizioni colle quali si dà il Collegio, sono tutte favorevoli ai precitati Padri, e dal Presidente della Commissione popolare dirette saranno a Lei in questa settimana, firmata dal Presidente medesimo e dal Segretario, che spero saranno accettate.
A mio avviso, lo stesso Rev.mo Padre Bosco dovrebbe, potendolo, installare la sua benedetta e santa Congregazione in San Nicolás, eleggere i giovani più atti per imparare la lingua spagnuola, che fino dal momento in che riceveranno la notizia dell'accettazione, dovrebbero a tutt'uomo dedicarsi allo studio di detta lingua. Io stesso li alloggerò tutti in mia casa, li instruirò di tutti i costumi, mi farò un di loro per aiutarli nei primi mesi dell'insegnanza, e poi procurerò la stima, l'affetto delle famiglie ai nuovi arrivati, e finirò l'opera che Iddio mi ha confidato. A un desiderio ardente, è un voto sincero, che vorrei oggi stesso vedere realizzato: e si realizzerà, perchè fondato [1298] nei disegni della Provvidenza, che per vie ascose all'umana intelligenza, con soavità e fortezza conduce a termine le sue più grandi imprese, servendosi di mezzi vilissimi, affinchè sempre più risalti la potenza Divina.
Chiudo questa mia col pregare V. E. di far conoscere il contenuto di questo foglio al Rev.mo Padre Generale G. Bosco, e di interessarsi affinchè i prelodati Padri accettino di buona voglia l'offerta del Collegio „San Nicolás” che a loro sarà fatta quanto prima, e in fine che mi tenga informato. Il Sacerdote modenese Don Riccardo Bazzani, Capellano Reale di S. A. R. Francesco V, Duca di Modena, Le ritorna centuplicati i suoi saluti, La prega avendone l'occasione di riverire in suo nome Francesco V, del quale Ella ben meritamente è Cavaliere.
Mi affretto a chiudere questa lunghissima lettera, dando all'E. V. le mie più sentite azioni di grazie per l'interesse che si prende di quest'America, e mi creda che più volte ho avuto il piacere di udire da Mons. Arcivescovo parlare di V. E. con rispetto ed amore lodando il suo zelo per la religione cattolica. Non voglio mandarle i ritratti di Mons. Arcivescovo e del Canonico Espinosa, perchè bruttissimi, aspettando altri migliori che si sono fatti fare.
I miei convenevoli alla rispettabile sua famiglia.
Mi ripeto, come sempre, dell'Ecc. V.
Dev.mo, Ubb.mo, Sinc.mo Servitore
PS. Mentre stavo per suggellare la lettera, la Commissione mi officia essere accettata la Congregazione con tutte le condizioni da me proposte, e mi prega di mandare a Lei, Sig. Gazzolo, l'invito formale per lo stesso affare ai RR. Padri.
Accetto l'onorevole commissione.
Presto avrà Ella tutti i documenti.
Dopo alcuni giorni, il 2 dicembre, il Prevosto spediva al Console, che, a quanto pare, già faceva parte, od era stato allora honoris causa aggregato alla Commissione fondatrice, tutti i documenti promessi.
Rispettabile Signore ed Amico,
Eccole le note che la Commissione del Consiglio” S. Nicolás dirige al R. P. J. R. Bosco, domandando che i suoi Padri della Congregazione di S. Francesco di Sales si facciano carico di detto Collegio; la prego molto caramente perchè lavori onde il R.do Signor [1299] Padre Bosco venga esaudito nel suo postulato, e che gli faccia, e che mi spedisca la risposta favorevole per inviare a lei nell'atto i cinque paragrafi, accusandomi anche il totale delle spese in detto viaggio, e nella corrispondenza, per poterle spedire con pagare alla vista in codesta città. Conchiuda l'opera di Dio, e colla stessa energia, con cui le diede principio. Segua lei lo stesso finchè i Padri Salesiani stiano in questa città, la quale edificheranno certamente e colle loro virtù. Sorride la pace alla Repubblica Argentina! Quest'oggi si è sottomesso al Governo Nazionale il ribelluccio Mitre con tutto il suo esercito, ed il giubilo degli Argentini è patriotticamente grande; io che li amo tanto, mi associo di molto buona volontà alle misure, poichè so che la pace è dono di Dio, padre della luce, dal quale ci viene tutto il buono ed il santo. Dica a quei santi Religiosi, che non temano le ciarle del momento rivoluzionario. Che valendosi indegnamente della ribellione che scoppiò nella Repubblica nelle sue poetiche immaginazioni sfoggiarono errori, barbarie, guerre, fucilamenti, carceri, esilii, etc. Eccoti di no! Il Governo è pacifico, morale, e tollerante dei frati. Per noi basta ciò. Imperciocchè la Chiesa di N. S. G. C. non premia del suo favore i Cesari con o senza corona. Ella tiene in sè il germe della vita! Basta: lei sa perfettamente tutto questo, e spero che il tutto si effettuerà in bene e per il bene di questa città e terra amata, che tiene per l'avvenire dolce speranza nei destini della Divina Provvidenza.
Sono ai di Lei ordini, mi comandi, comandi come le piace e meco si sottoscriva nel pregare Iddio per questo,
1) un ragguaglio sulla formazione e l'organizzazione della Commissione fondatrice del Collegio;
2) l'atto d'erezione del medesimo;
3) la descrizione dell'edifizio.
Li riportiamo in Appendice[256].
Insieme con i documenti giungevano due lettere indirizzate a Don Bosco: una di Don Ceccarelli e l'altra del Presidente della Commissione.
Quella di Don Ceccarelli non poteva essere più entusiastica: [1300]
All'Ill.mo Rev.mo Padre Gio. Batt.a Bosco
Generale della Congregazione di S. Francesco di Sales in Torino.
Quantunque V. P. R. non mi conosca, ciò non pertanto ardisco rivolgermi a Lei con questa mia per pregarla vivamente di accettare l'invito che la Commissione del Collegio di S. Nicolás di questa Città le fa, onde la benemerita Congregazione di S. Francesco di Sales diriga detto collegio, secondo le norme già stabilite dalla prelodata Congregazione pei collegi di civile condizione. Il Sig. Console Argentino in Savona informerà la P. V. R. non solamente sulla mia umilissima persona, ma ancora di S. Nicolás, e delle condizioni vantaggiosissime che le vengono porte.
Mi è cosa graditissima assicurare la V. P. R. che S. E. R. Monsignore Arcivescovo di Buenos Aires accetta di buona voglia la nuova Congregazione Salesiana nella sua archidiocesi e fa voti ardenti affinchè si dilati e prosperi a bene delle anime e alla maggior gloria di Dio, essendone fin da questo momento il padre e il protettore in questa sua Archidiocesi.
Nulla dico di me che ardo di desiderio di essere pur utile alla benemerita e santa sua Congregazione, che secondo il povero mio parere si aumenterà straordinariamente in queste interminabili pianure, difettose al sommo dell'acqua salutare della vita eterna, che emana dal costato insanguinato del nostro amorosissimo Padre celestiale.
Mi permetta la P. V. R. che di tutto cuore le presenti l'umile mia servitù in tutto ciò che potessi esserle di vantaggio, e voglio sperare che la P. V. R. l'accetterà con quello stesso animo col quale io glie l'offro.
La casa che abito, le sue masserizie, le relazioni che ho contratto, tutto, sì tutto, depongo ai piedi di V. P. R. e di tutti i RR. Padri Salesiani, che fino da questo momento amandoli come miei cari fratelli, ubbidisco come figlio alla P. V. R.
Coi sensi della mia più illimitata osservanza e devozione, Le bacio la S. mano, e mi sottoscrivo quale veramente sono,
Umil.mo, Dev.mo, Ubb.mo figlio in G.C.
Anche il Presidente Benitez gli manifestava tutta la sua gioia nella speranza d'aver presto i Salesiani, e senz'altro gli prometteva cinque bollette di passaggio (cinque biglietti) fino, al porto di Buenos Aires per cinque primi missionari, che speravano di avere, nonchè l'indennizzazione di tutte le loro spese di viaggio. [1301]
Al Molto Rev. Padre Don G. B. Bosco.
S. Nicolas de los Arroyos, 30 novembre 1874.
La Commissione Fondatrice di un Collegio in questa Città ha saputo colla più viva compiacenza la nascita del nuovo Istituto religioso e docente, composto di sacerdoti chiamati di S. Francesco di Sales, sotto la direzione di V. S. R.ma con tale vigore, intelligenza, attività, e zelo apostolico, qual potevamo desiderare.
Il nostro Arcivescovo R.mo Diocesano, Dott. Don Federico Aneiros, ha ricevuto dal Sig. Gazzolo, Console Argentino in Savona, informazioni circonstanziate sopra le molte e floride fondazioni di tale corporazione in Torino ed in altri punti d'Italia; e il degno Parroco e Vicario di questa Città Dott. Don Pietro B. Ceccarelli per mandato dell'Ill.mo Prelato ci ha comunicato questa importantissima notizia.
Era anche molto opportuna: poichè già dalla fondazione, che col concorso unanime della popolazione facemmo in febbraio 1871, fin d'allora dichiaravamo il proposito di erigere un edifizio pubblico per l’insegnamento, ma si opponevano alla nostra risoluzione di consegnarlo ad una Congregazione religiosa senza limite di tempo, riservandoci solo il patronato siccome proprietà del popolo; e quantunque l'opera fatta sino al presente, sia stata, con soddisfazione di tutto il nostro desiderio, offriamo da questo momento a V. S. R.ma un terreno fabbricato sopra la riva destra del fiume Paranà distante otto quadre dalla piazza principale di questa città al Sud - est.
Questa città è la principale in tutto il dipartimento del Nord della provincia di Buenos Aires, situata alla riva di un porto fluviale in uno dei bracci del Rio della Plata, nel quale vi è continua introduzione ed esportazione diretta con molte parti principali del mondo. Possiede un ospedale recentemente costrutto, una succursale della Banca Nazionale, e varii Tribunali Civili e Criminali. Conta una popolazione di molte migliaia di abitanti ed ha comunicazioni frequenti con sei dipartimenti limitrofi. Da tutto ciò si capirà essere questo un centro importante per diffondere l'educazione.
Negli atti qui uniti, si conosce che abbiamo avuto speranza di affidare questo collegio ai Padri Salesiani.
Però, mancando questi del personale sufficiente e tenendo conto dell'esplicita e chiara indicazione fattaci dal Rev.mo nostro Arcivescovo e del nostro degno Parroco e Vicario, ci pare che potremo sperare che V. S. R. si degnerà di cedere al nostro invito, destinando cinque individui per dar principio a questo importante lavoro. Subito che sapremo essere stata la nostra dimanda favorevolmente accolta, metteremo alla disposizione di V. S. R. cinque bollette di passaggio valide fino al porto di Buenos Aires ed anche un ordine per le spese di viaggio. La Commissione s'incarica di provvedere i mobili necessari [1302], di fissare una rendita di 800 franchi mensili per due anni e stabilire una cascina con mandre di pecore siccome principio di rendita.
Preghiamo il N. S. Iddio che conceda a V. S. R. gli aiuti della sua grazia, ed intanto si degni accogliere la rispettosa considerazione, con cui abbiamo l'onore di salutarla.
Il Presidente GIUSEPPE FRANCESCO BENITEZ.
Il Console Gazzolo inviava tutta la corrispondenza e la documentazione a Don Bosco, che ne dava lettura, come abbiam detto, la sera del 22 dicembre, e ringraziava egli stesso il Dott. Don Espinosa, Don Ceccarelli e i signori della Commissione fondatrice del Collegio di S. Nicolás.
Al Dott. Espinosa esponeva la piena adesione all'invio di alcuni sacerdoti, perchè formassero in Buenos Aires un ospizio centrale, ed altri a S. Nicolás, secondo il bisogno, rimettendosi con piena fiducia alle disposizioni dell'Arcivescovo per inviarne poi anche altri, se li volessero, per altri luoghi, ben inteso col consenso del S. Padre.
Rev.mo Mons. Espinosa Vicario Generale
La grazia di N. S. G. C. sia sempre con noi.
Il sig. Comm. Giov. Batt. Gazzolo, console della Repubblica Argentina in Italia, ha più volte parlato dello zelo di V. S. R.ma e del lavoro indefesso che S. E. R.ma, suo Arcivescovo, sostiene a pro di cotesta vastissima Archidiocesi. Nel tempo stesso mi accennava la grande penuria di operai evangelici, specialmente di quelli, che di proposito si applicassero all'educazione ed istruzione cristiana della gioventù.
Questo benemerito signore, nello scopo di secondare lo spirito della Salesiana Congregazione, e fare il maggior bene che può alla Repubblica, che qui rappresenta, deliberò di scrivere alla prefata E. S. come i salesiani non sarebbero alieni di offerirgli le deboli loro fatiche, ove ne fosse stato mestieri e ciò tornasse di gradimento.
La S. V. R.ma ebbe la bontà di rispondere che Mons. Arcivescovo gradì il pensiero, riceverebbe volentieri i novelli missionari e li proteggerebbe.
Premessi ora i più vivi ringraziamenti all'uno e all'altro, le dico di essere disposto ad accettare il progetto e a tale uopo intendo di trattare in modo formale con V. S., come rappresentante dell'Ordinario diocesano. [1303] Ad effettuare questo progetto gioverebbe assai quanto scrive il Dott. Ceccarelli, Prev. di S. Nicolás, il quale è disposto di offerire casa, parrocchia e suo appoggio ai Salesiani, qualora andassero in modo stabile a compiere le molte cose che colà restano senza frutto per mancanza di operai.
Ciò posto si potrebbe venire a questa proposta, che intendo di umiliare alla illuminata saviezza di S. E.
I° Io invierei alcuni Sacerdoti a Buenos Aires per formare ivi un Ospizio centrale. Al che gioverebbe assai avere una chiesa qualunque per le sacre funzioni, specialmente per fare catechismo ai fanciulli più abbandonati della città. Il prelodato Comm. Gazzolo mi dice essere assai opportuno la chiesa della Madonna della Misericordia, che dovrebbe farsi vacante. In difetto di chiesa pubblica potremmo anche servirci di qualche locale atto in qualche modo a raccogliere e trattenere poveri fanciulli.
2° Manderei poscia a S. Nicolás quel numero di Sacerdoti, chierici e laici che saranno necessari pel servizio religioso, canto, ed anche per fare scuola, ove ne sia bisogno.
3° Da questi due siti i Salesiani potrebbero essere altrove inviati secondo che meglio sembrerà all'Ordinario.
Se questi pensieri sembrano poter formare la base per concretare il nostro progetto, Ella potrebbe scrivermelo, ed io mi darò premura di venire a capo.
Per sua norma le dirò che la nostra Congregazione è definitivamente approvata dalla Santa Sede, e sebbene lo scopo primario sia la coltura della povera gioventù, tuttavia si estende ad ogni ramo del sacro Ministero.
Inoltre il Santo Padre, essendosi messo egli stesso per nostro Protettore, desidera che se gli presenti la pratica prima di conchiudere definitivamente. So per altro che gradisce molto questo divisamento, perchè porta speciale affetto a questi lontani paesi, che furono oggetto del suo zelo apostolico al tempo che egli ivi fu inviato nunzio della S. Sede[257].
Scrivo anche al Vicario di S. Nicolás in senso relativo alla sua lettera.
Non ho scritto, nè in latino, nè spagnuolo, perchè osservo che Ella scrive a maraviglia la lingua italiana.
Raccomando me e le mie famiglie alle sante preghiere di V. S. e a quelle di S. E. l'Arcivescovo, e, facendo ad ambidue umili ossequi, con profonda venerazione reputo al massimo onore di potermi professare,
Al prevosto Don Ceccarelli ripeteva nettamente esser unico desiderio dei Salesiani, di lavorare nel sacro ministero „specialmente per la gioventù povera ed abbandonata”, perchè „catechismi, scuole, predicazioni, giardini festivi per la ricreazione, ospizi, collegi, formano la principale nostra messe”; e mentre lo ringraziava della sua carità e del suo zelo veramente disinteressato, lo pregava a continuare la sua dimora in S. Nicolás almeno fino a tanto che i novelli missionari avessero acquistato sufficente cognizione della lingua e dei costumi del paese per poter promovere la maggior gloria di Dio.
Giorno della nascita di N. S. - 1874.
Ill.mo e R.mo Sig. Dott. Ceccarelli
Prevosto Vicario Foraneo di S. Nicolás
La grazia di N. S. G. C. sia sempre con noi. Il sig. Comm. Carlo Gazzolo, Console della Repubblica Argentina in Italia, nostro amico e benefattore, mi diede comunicazione della rispettabile sua lettera, in cui manifesta il suo beneplacito per una Missione di Salesiani nella sua parrocchia.
Con carità e zelo veramente disinteressato, siccome tra noi è assai noto, ella offre la sua casa, parrocchia ed il suo appoggio a questi miei figli spirituali, che la divina provvidenza mi volle affidare. Non occorre più altro per compiere il nostro progetto, perchè l'unico nostro desiderio si è di lavorare nel sacro ministero, specialmente per la gioventù povera ed abbandonata. Catechismi, scuole, predicazioni, giardini festivi per la ricreazione, ospizi, collegi formano la principale nostra messe.
Ho scritto pertanto a S. E. l'Arcivescovo che io accetto in base il progetto, e gli notai che sarebbe assai utile avere un ospizio in Buenos Aires, dove possono recapitare que’ nostri religiosi che giungessero o dovessero ricevere ordini o disposizioni pel sacro ministero. Mettendomi quindi nelle sue mani, manderò quel numero di Sacerdoti, chierici, laici, musicanti, artigiani, nel tempo e nel numero che Ella mi dirà esser necessari.
La prego però a voler continuare la sua dimora almeno fino a tanto che i novelli inviati abbiano sufficente cognizione della lingua e dei costumi per così promuovere la maggior gloria di Dio. Chi sa che, seguendo i Salesiani il suo esempio e il suo zelo, i suoi consigli, Ella non diventi loro Superiore effettivo? In somma io la prego fin da questo momento di considerarci tutti quali suoi umili figliuoli in G. C. e darci tutti quei consigli, e quella direzione, che giudica necessari od opportuni per questa pia impresa, [1305] Dio la benedica e la conservi in sanità per continuare le sue fatiche a pro delle anime.
Preghi anche per me e per tutti i Salesiani, e professandole vivi ringraziamenti, profonda gratitudine e venerazione, ho la consolazione di potermi professare,
Della S. V. Ill.ma e M.to R.da,
Le lettere or ora riportate le rimetteva al Console Gazzolo, che gli faceva queste piccole osservazioni:
Ill.mo e Rev.mo Padre Generale dell'Ordine di S. Francesco di Sales,
Ho letto le due lettere ch'Ella si degnò di rimettermi aperte onde mi informassi del contenuto, alle quali credo dover fare le osservazioni seguenti:
1° Dove dice Mons. Espinosa Vicario Generale ecc. deve dire sig. Canonico D. Antonio Espinosa, Dottore in ambe le Leggi e Segretario Generale dell'Arcivescovado, ecc.
2° Dove dice Carlo Gazzolo, deve dire G. B. Gazzolo.
3° Dove dice Prevosto di S. Nicolás, deve dire Parroco e Vicario Dott. ecc.
4° Dove dice a compiere le molte cose che colà restano senza frutto per mancanza di operai: debbo osservare che forse potrebbe suonar male all'orecchio del Clero, poichè colà credono di aver moralmente progredito più di noi, ecc.
5° Dove dice Nunzio Apostolico della Santa Sede, deve dire diversamente.
1° Dove dice Carlo Gazzolo, deve dire Gio. Batt.a Gazzolo. Sicchè, s'ella crede, può far copiare di nuovo le due lettere in carta sottile e con le rettifiche sopra accennate, rimettendomele prima del dì 8 del p. gennaio, onde io possa farle partire col postale francese.
Nuove lettere ricevute dacchè ci siamo veduti esigono una risposta definitiva sui due cantori, cioè due tenori, e, non potendoli avere, allora un basso ed un tenore. La prego adunque di levarmi se può da tale impiccio.
Ho sott'occhio una lettera venutami dall'America in conferma delle due già esistenti in suo potere; da tale lettera vedo che probabilmente riceverò presto qualche documento consolante per la nostra impresa salesiana, [1306] Auguro un buon capo d'anno al Rev.mo sig. D. Bosco, e a tutti i suoi figli in G. C., e li prego a ricordarsi di me coram Deo, e, ove valgo, mi credano sempre,
Non sappiamo se Don Bosco le abbia corrette; ma a quanto pare, le lasciò correre com'erano, essendoci in tal forma pervenute.
Anche ai signori della Commissione fondatrice, mentre diceva di accettar di buon grado il collegio da loro innalzato per giovinetti di civil condizione, ripeteva esser lo scopo principale della Congregazione Salesiana la cura dei giovani poveri e pericolanti, per cui sperava che i confratelli sarebbero stati liberi di poter fare ad essi scuole serali e di raccoglierli nei giorni festivi per istruirli nella Religione.
Rispettabili Signori della Commissione fondatrice
Corrono quattro anni dacchè sono in famigliari relazioni con S. E. il Sig. Commendatore Gio. Batt.a Gazzolo Console Argentino in Savona, e spesso i nostri discorsi erano rivolti alla potente e vasta Repubblica, e nominando specialmente le città di S. Nicolás come centro di altri punti, centro di commercio, i cui cittadini vengono segnalati per moralità, buon volere e zelo per la buona educazione della gioventù. Mosso dal desiderio di far del bene al paese che tra noi degnamente rappresenta, scrisse all'infaticabile Don Ceccarelli sulla probabilità di aprire costà una casa per la nostra Congregazione. La pratica fu accolta benevolmente, ed ora rispettabili Signori della Commissione fondatrice per un Collegio a S. Nicolás mi fan la graziosa proposta di un edifizio con area e chiesa ad uso di Collegio; con altre favorevoli condizioni descritte nell'atto officiale della prelodata Commissione àvvi la seguente:
“Il Collegio sarà affidato alla Congregazione Salesiana senza limitazione di tempo, riserbandone soltanto il protettorato come proprietà del popolo”.
Queste condizioni fanno sì che io l'accetti di buon grado, e mi darò sollecitudine di preparare pel prossimo mese di ottobre le persone necessarie per la direzione spirituale e materiale, i maestri per l'insegnamento, per l'assistenza degli allievi, per il servizio della chiesa e del Collegio.
Seguirò anche il programma di un Collegio di civile condizione. Ma siccome lo scopo principale della Congregazione Salesiana è la [1307] cura dei giovani poveri e pericolanti, così io spero che i Salesiani saranno anche liberi di poter fare ai medesimi la scuola serale, raccoglierli nei giorni festivi in qualche giardino in amena ricreazione, e intanto istruirli nelle cose di religione. Anzi ho pure speranza che troveranno appoggio nella carità dei cittadini di S. Nicolás per raccogliere i più poveri ed abbandonati in qualche caritatevole Ospizio per far loro apprendere un mestiere, con cui potersi a suo tempo guadagnare onestamente il pane della vita.
S. E. il Sig. Commendatore Gio. Batt.a Gazzolo, Console Argentino, conosce assai bene lo spirito e lo stato di questa nostra Congregazione, e assai meglio di noi conosce anche le persone, gli usi, le leggi di codesti paesi. Perciò io dò incarico al medesimo di trattare e conchiudere tutte quelle cose che saranno necessarie ed opportune alla buona riuscita e compimento di questa pratica.
Prima per altro di terminare questa lettera, compio un mio grave dovere, porgendo vivi ringraziamenti ai Signori Membri di questa rispettabile Commissione fondatrice, e spero che saranno contenti della confidenza riposta in noi; e, pregando Iddio, a voler colmare essi e le loro famiglie di celesti benedizioni, ho l'onore di professarmi con somma gratitudine e stima
Così, in quattro e quattr'otto, si venne alla decisione di aprire le prime case nella Repubblica Argentina, che conteneva il primo campo missionario visto da Don Bosco in sogno e dove, quanto prima, avrebbero compiuto generosi sacrifizi i nostri Missionari!
Approvata definitivamente la Pia Società, Don Bosco intraprese subito il lavoro per dar forma regolare alla terza Famiglia, che spontaneamente, attratta dalla sua carità, s'era venuta agglomerando fin dagli inizi del suo apostolato.
“Appena s'incominciò l'Opera degli Oratori nel 1841 - scriveva egli stesso - alcuni pii e zelanti sacerdoti e laici vennero in aiuto a coltivare la messe, che fin d'allora si presentava copiosa nella classe de' giovinetti pericolanti. Questi collaboratori, o cooperatori, furono in ogni tempo il sostegno delle Opere pie, che la Divina Provvidenza ci poneva in mano”. [1308] Nel 1845 dal Sommo Pontefice Gregorio XVI otteneva l'Indulgenza Plenaria in articulo mortis per 50 dei suoi principali benefattori; e nel 1850 pensava già di stabilire „una Pia Unione Provvisoria sotto l'invocazione di S. Francesco di Sales”, perchè come questo Santo „col suo zelo illuminato” aveva liberato la Savoia dagli errori del Protestantesimo, così la Pia Unione doveva essere „il principio di un consorzio in grande, il quale col contributo di tutti i soci e con quegli altri mezzi leciti e legali e coscienziosi” di cui avrebbe potuto disporre, avrebbe atteso „a tutte quelle opere di beneficenza istruttiva, morale e materiale”, che si sarebbero ravvisate „le più adatte e speditive ad impedire all'empietà di fare ulteriori progressi e, se è possibile, sradicarla dove già si fosse radicata”.
Cotesta Unione, composta di laici „onde non potessero certi malvagi appellarla, nel loro gergo di moda, un ritrovato pretesco della bottega”, avrebbe voluto ritenerla incorporata alla Pia Società, e per essa poneva un paragrafo particolare nelle prime Costituzioni, come si legge nei primi esemplari, copiati da Carlo Ghivarello.
1) Qualunque persona, anche vivendo nel secolo, nella propria casa, in seno alla propria famiglia, può appartenere alla nostra Società.
2) Egli non fa alcun voto ma procurerà di mettere in pratica quella parte del presente regolamento che è compatibile colla sua età e condizione.
3) Per partecipare dei beni spirituali della Società bisogna che faccia almeno una promessa al Rettore di impiegare le sue sostanze e le sue forze nel modo che egli giudicherà tornare a maggior gloria di Dio.
4) Tale promessa però non obbliga sotto pena di colpa nemmeno veniale.
Gli stessi articoli si leggevano, in appendice, anche nell'esemplare in latino, che presentò per l'approvazione definitiva nel 1873, e nella stessa prima edizione stampata a Roma nel 1874 dalla Tipografia di Propaganda.
Tolto cotesto paragrafo dalle Costituzioni per consiglio [1309] della Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari, ed ottenuta l'approvazione definitiva della Società, deliberò di fare degli Esterni un'associazione a parte, o diciam meglio una terza Famiglia, e, in poche parole, ne tracciava genericamente la forma.
Unione di S. Francesco di Sales
Lo scopo di questa unione si è di riunire alcuni individui laici ed ecclesiastici per occuparsi in quelle cose che saranno reputate di maggior gloria di Dio e vantaggio delle anime.
I mezzi saranno lo zelo per la gloria di Dio e la carità operosa nell'usare tutti gli ammenicoli spirituali e temporali che possono contribuire a tale scopo, senza mai aver di mira l'interesse temporale o la gloria del mondo.
Niun ramo di scienza sarà trascurato, purchè possa contribuire allo scopo dell'Unione.
Ogni fedel cristiano può essere membro di questa Unione, purchè sia deciso di occuparsi secondo lo scopo e i mezzi summentovati.
Solito com'era, nella sua umiltà, a chieder consiglio in ogni cosa di particolare importanza, a Lanzo nel 1874 comunicava il suo disegno ai membri del Capitolo e ai direttori - come faceva tre anni dopo per la pubblicazione del Bollettino Salesiano, - e vari opposero difficoltà, non avendo ben compreso lo scopo dell'associazione, ritenendola una confraternita, o una semplice compagnia di divozione di cui, dicevano, ce ne son già tante, e, quindi, di poco o di nessun vantaggio.
Don Bosco sorrise a quelle osservazioni e in fine esclamò:
- Voi non avete ben compreso il mio pensiero, ma vedrete che sarà il sostegno della nostra Pia Società! Pensateci sopra, e ne riparleremo...
Ma, avendone già abbozzato il programma, di cui ci è pervenuto il manoscritto, lo faceva leggere...
Egli poi lo rivedeva ancora, ed eccone il tenore, dal [1310] quale appare come volesse dare agli Associati alla Congregazione di S. Francesco di Sales la forma di un vero Terz'Ordine regolare.
Associati alla Congregazione di S. Francesco di Sales
Negli affari di grande importanza sogliono gli uomini unirsi in società affinchè l'industria e la sollecitudine degli uni, la scienza e la perizia degli altri assicurino il guadagno che da quel negozio poteva sperarsi ed impedire le perdite che sarebbero state a temersi. Ora se gli uomini del secolo sono tanto accorti nelle cose della terra, dice il Salvatore, quanto devono essere attenti figliuoli della luce nel trattar il grande affare della eterna salvezza, nell'usare tutti i mezzi che sono in nostro potere?
Fra i mezzi efficaci che in questi tempi è d'uopo usare è l'unione dei buoni. Vis unita fortior, funiculus triplex difficile rumpitur.
Un uomo forte unito ad un altro forte diventa certamente assai più forte. Una cordicella sola è cosa debole; unitela a due altre, difficilmente si rompe. Così un buon cattolico solo nel mondo facilmente è vinto dai nemici del bene, ma se è incoraggiato, aiutato da altri, si fa una gran forza e si riesce ad impedire il danno che ne avverrebbe all'anima sua, e procurare il bene del prossimo e quello di nostra Santa Religione.
Ecco lo scopo di questa Associazione: Unire i buoni Cattolici in un solo pensiero e un solo lavoro per promuovere la propria e l'altrui salvezza secondo le regole della Società di San Francesco di Sales.
Molti fedeli cristiani, molti autorevoli personaggi, per vieppiù assicurarsi la loro eterna salvezza, hanno ripetutamente richiesto una associazione salesiana, la quale, secondo lo spirito dei congregati, porgesse agli esterni una regola di vita cristiana praticando nel secolo quelle regole che sono compatibili al proprio stato.
Quanti si allontanerebbero assai volentieri dal mondo per evitare i pericoli di perdizione, godere la pace del cuore e così passare la vita nella solitudine, nella carità di N. S. G. C. Ma non tutti sono chiamati a quello stato. Molti per età, molti per condizione, molti per sanità, moltissimi per difetto di vocazione ne sono assolutamente impediti. Egli è per soddisfare a questo generale desiderio che si propone la Pia Associazione di San Francesco di Sales.
1° Proporre un mezzo di perfezione a tutti quelli che sono ragionevolmente impediti di andarsi a chiudere in qualche istituto religioso.[1311]
2° Partecipare alle opere di pietà e di religione che i soci della Congregazione Salesiana in pubblico ed in privato compiono in qualunque modo a maggior gloria di Dio ed a vantaggio delle anime.
Questi due vantaggi si possono facilmente ottenere coll'osservanza delle regole di questa Congregazione in quella parte che sono compatibili collo stato di ciascheduno.
3° Si aggiunge poi un motivo forse degli altri più essenziali. La necessità dell'unione nel fare il bene. È un fatto che gli uomini del secolo si associano pei loro negozi temporali; si associano per la diffusione di stampe cattive, per ispargere cattive massime nel mondo si associano per propagare istruzione erronea, spargere falsi principii nella incauta gioventù, e vi riescono maravigliosamente! Ed i cattolici rimarranno inoperosi o l'uno dall'altro separati in modo che le loro opere siano paralizzate dai cattivi? Non sia mai. Uniamoci tutti colle regole della Congregazione Salesiana, facciamo un cuor solo ed un'anima sola cogli associati esterni, siamo veri confratelli. Il bene di uno sia il bene di tutti, il male di uno si allontani come il male di tutti. Noi otterremo certamente questo grande scopo mercè l'associazione alla Congregazione di San Francesco di Sales.
Lo scopo adunque di questa associazione si è di unire i buoni cattolici a promuovere il bene di nostra Santa Religione e nel tempo stesso assicurare viemeglio la propria salvezza, praticando queste regole della Società di S. Francesco di Sales[258], che sono compatibili collo stato di chi vive nel secolo,
Ecco ora le cose principali cui è invitato ogni associato:
1) D'interessarsi di fare del bene a se stesso coll'esercizio della carità verso il prossimo, specialmente verso i fanciulli poveri ed abbandonati. Educati questi nel santo timor di Dio, si diminuisce il numero dei discoli, si riforma l'umana società, e si salva un immenso numero di anime pel paradiso.
2) Raccogliere poveri fanciulli, istruirli nella propria casa, avvisarli nei pericoli, condurli dove possono essere istruiti nella fede, è tutta materia intorno a cui ogni associato si può utilmente applicare. Chi non può fare queste cose per sè, potrà farle per mezzo di altri, come sarebbe inviare o consigliare un compagno, un parente, un amico, un conoscente, o qualunque, a prestare quello di cui egli fosse capace. Si può egualmente supplire a questo bisogno pregando per quelli che lavorano, o somministrano mezzi materiali dove ne fosse bisogno[259]. [1312]
3) In questi tempi di perturbazione facendosi gravemente sentire la penuria di vocazioni allo Stato Ecclesiastico, così ognuno avrà cura di assistere que’ giovanetti, specialmente poveri, che mostrassero di averla; li assisterà con buoni consigli, li indirizzerà a quelle scuole, a quei collegi, dove crede possano essere coltivati, massime nella cristiana religione, senza cui non vi è vera scienza, non vi è moralità, nè educazione, quindi senza una diligente coltura nella religione è moralmente impossibile ottenere una vera vocazione allo stato ecclesiastico.
4) Ogni associato si darà la massima cura di impedire ogni discorso, ogni opera che sia contro al Romano Pontefice o contro la sua suprema autorità. Quindi osservare le leggi della Chiesa e promuoverne l'osservanza, inculcare il rispetto al Romano Pontefice, ai Vescovi, ai Sacerdoti, promuovere catechismi, novene, tridui, esercizi spirituali, e in generale intervenire, ed animare altri ad intervenirvi, ad ascoltare la parola di Dio, sono cose proprie di questa associazione.
5) Siccome in questi tempi colla stampa si spargono tanti libri, tante massime irreligiose ed immorali, così i Salesiani si adopreranno con tutta sollecitudine per impedire lo spaccio di libri cattivi e diffondere buoni libri, foglietti, pagelle, stampati di qualunque genere in quei luoghi e fra quelle persone presso cui parrà cosa prudente il farne proposta. Ciò cominci a farai nella propria casa, coi propri parenti, amici o conoscenti, di poi ovunque si possa[260].
Regole per gli Associati Salesiani.
1) Chiunque può farsi ascrivere in questa Associazione purchè abbia l'età di sedici anni, onorata condotta, buon cattolico, ubbidiente alla Chiesa ed al Romano Pontefice.
2) Non vi sono penitenze esteriori ma ogni associato deve distinguersi dagli altri cristiani colla modestia nel vestirsi, nella frugalità della mensa, nei suppellettili domestici, nella castigatezza dei discorsi e nell'esatto compimento dei proprii doveri.
3) Faranno ogni anno gli Esercizi Spirituali o nella propria famiglia o in qualche chiesa o casa a questo uopo stabilita. I giorni degli esercizi non sono determinati, ma ognuno avrà cura di fare la confessione generale, e qualora l'avesse fatta si limiterà alla confessione annuale.
Ogni mese farà l'esercizio della buona morte colla confessione e comunione come se si trovasse agli ultimi istanti della vita. Se poi [1313] ha beni stabili farà il suo testamento e riordinerà le cose domestiche come se in quel giorno dovesse di fatto abbandonare il inondo ed avviarsi all'eternità.
4) Dirà ogni giorno un Pater ed Ave a San Francesco di Sales per la conservazione e per l'incremento della nostra santa Cattolica Religione. Quelli che recitano l'ufficio della Madonna, o le ore canoniche sono dispensati da questa preghiera, purchè nel loro ufficio aggiungano l'intenzione anche a questo scopo.
5) Reciterà divotamente le preghiere del mattino e della sera; santificherà i giorni festivi colla rigorosa astinenza dai lavori servili, coll'ascoltare la Santa Messa, ed intervenire alla predica e alla benedizione.
Si accosterà alla confessione e comunione ogni quindici giorni od una volta al mese. San Filippo Neri e S. Alfonso Dottore di Santa Chiesa consigliano la confessione ogni otto giorni.
6) Ogni associato dia il proprio nome, cognome, condizione, luogo di dimora e patria al Direttore dell'Associazione, che è il Rettore della chiesa di Maria Ausiliatrice in Torino. Per comodità degli Associati, nei paesi dove havvi la casa della Congregazione il Direttore di essa ha l'autorità di ascrivere, ma invierà a Torino i dati necessari perchè sia registrato nel libro dell'associazione.
7) Ogni associato considererà come madre la Congregazione Salesiana e si adoprerà per aiutarla colla preghiera, col promuovere le opere che ella ha tra mano, cioè a promuovere catechismi, esercizi, predicazioni, novene, tridui, ospizi di carità, scuole pubbliche e private. Si presterà pure con tutti quei mezzi materiali e morali di cui ciascuno può disporre e che giudicherà utili al bene delle anime e alla maggior gloria di Dio.
8) Il Superiore della Congregazione farà pregare ogni giorno per tutti gli Associati e intende che possano partecipare di tutte le messe, preghiere, prediche e di tutte le opere buone che i Soci Salesiani faranno nel sacro ministero o nell'esercizio di qualche opera di carità.
Il giorno dopo la festa di San Francesco di Sales tutti i sacerdoti della Congregazione celebreranno la messa per i Confratelli defunti. Quelli che non sono Sacerdoti si accosteranno alla Comunione e reciteranno la terza parte del Rosario, con altre preghiere.
9) Il Rettore della Congregazione Salesiana è il Superiore dell'Associazione. Esso è rappresentato dal Direttore della chiesa di Maria Ausiliatrice in Torino, cui, occorrendo, ogni associato può indirizzarsi. Ma nei paesi dove esistono case della Congregazione, ognuno può indirizzarsi al direttore delle medesime.
10) Cadendo gravemente ammalato qualche confratello se ne dia tosto avviso al Superiore affinchè ordini pubbliche preghiere per lui. Lo stesso si faccia colla massima puntualità pei casi di morte. Il Rettore poi ne darà prontamente avviso a tutti gli associati, i quali [1314] pregheranno per l'anima del defunto colla recita della terza parte del Rosario e facendo la santa Comunione per lui.
11) Una volta l'anno il Superiore darà notizia: 1° di coloro che fossero passati a miglior vita nel corso di quell'anno; 2° delle cose che sembrerebbero più urgenti a farsi per la maggior gloria di Dio nell'anno seguente.
12) Le feste primarie della Società sono tre: San Francesco di Sales, Maria Ausiliatrice, San Giuseppe. Secondarie poi sono tutte le feste della Madonna, dei SS. Apostoli, di S. Giovanni Battista, Natale, Pasqua, Pentecoste, Corpus Domini, Tutti i Santi, Commemorazione di tutti i Fedeli Defunti, che ha luogo il due novembre.
13) Per sopperire alle spese che occorrono, per libri, stampe, spedizione di posta ed altro pel sostegno dell'Associazione, ogni associato pagherà annualmente un franco. Chi per dimenticanza, o per impotenza, non pagasse questa annualità non s'intende privato delle preghiere dei confratelli, nè pei casi di malattia, nè dei suffragi pel caso di morte.
14) Tutti i confratelli procurino di aiutarsi l'un l'altro col buon esempio, colla preghiera ed anche con mezzi temporali. A quelli poi che fossero in grado di farlo, si raccomanda di dare ospitalità ai membri della Congregazione, qualora ne succedesse il bisogno. Costoro avrebbero il merito di quell'opera di misericordia che si chiama Albergare i pellegrini.
15) L'osservanza di queste regole non obbliga sotto colpa, nè mortale nè veniale, eccettuate le cose che fossero comandate o proibite dai Comandamenti di Dio e della santa Chiesa.
In seguito, a vari dei nostri e al Santo stesso, che continuava a studiare la forma da dare a cotesta associazione, parve che sarebbe stato meglio stabilirla in modo più semplice, per poter diffonderla più largamente, e di quell'anno ne faceva, rivedeva, e stampava un altro abbozzo, col semplice titolo di Unione Cristiana, nel quale proponeva „alle persone che vivono nel secolo un tenore di vita, il quale in certo modo si avvicini a quello di chi vive di fatto in Congregazione religiosa”, per cui la nuova „Associazione Salesiana” era in sostanza, „una specie di terz'ordine degli antichi con questa diversità, che in quelli si proponeva la perfezione cristiana nell’esercizio della pietà”, mentre questa aveva „per fine principale la vita attiva, specialmente in favore della gioventù pericolante”.
Ed ecco, come venne stampato. [1315]
Le forze deboli se sono riunite diventano più forti: Vis unita fortior, dice Iddio. Una sola cordicella si può rompere con facilità, ma collegandone più insieme si forma una robusta fune, che assai difficilmente si spezza; Funiculus triplex difficile rumpitur. Così fanno gli uomini del secolo per riuscire nei loro affari temporali, e per assicurarsi il buon successo de' loro progetti. Così pure dobbiamo far noi cristiani: uniti, siccome facevano i primi cristiani, in un cuor solo ed in un'anima sola per riuscire nell'importante affare, nel grande progetto della eterna salvezza dell'anima nostra. È questo il fine della Associazione Salesiana.
Fine pertanto di questa Associazione si è di proporre alle persone che vivono nel secolo un tenore di vita, il quale in certo modo si avvicini a quello di chi vive di fatto in Congregazione religiosa, e ciò a fine di godere almeno in parte quella pace che invano si cerca nel mondo. Molti andrebbero volentieri a chiudersi in un chiostro: ma chi per età, chi per sanità o condizione, moltissimi per difetto d'opportunità o di vocazione ne sono assolutamente impediti. Costoro anche in mezzo alle loro ordinarie occupazioni, in seno alle proprie famiglie possono vivere in modo da essere utili al prossimo ed a se stessi quasi fossero in religiosa comunità. Laonde l'Associazione Salesiana si può chiamare una specie di terz'ordine degli antichi con questa diversità, che in quelli si proponeva la perfezione cristiana nell'esercizio della pietà; qui si ha per fine principale la vita attiva specialmente in favore della gioventù pericolante.
Ad ogni associato si presenta la stessa messe che forma lo scopo della Congregazione Salesiana.
1° Primo uffizio degli associati è la carità verso i fanciulli pericolanti. Raccoglierli, istruirli nella fede, consigliarli nei pericoli o condurli dove possano essere istruiti, sono cose in cui si invita ogni associato ad esercitare il suo zelo. Chi non potesse compiere queste cose per se, può farle per mezzo di altri, come sarebbe consigliare un parente, un amico a prestar queste opere; oppure fare preghiere o somministrar mezzi materiali dove ne fosse mestieri. È pure ufficio dell'Associazione il promuovere novene, tridui, esercizi spirituali e catechismi soprattutto in quei luoghi dove si manca di mezzi materiali o morali. [1316]
2° Siccome in questi tempi si fa gravemente sentire la penuria di vocazioni allo stato ecclesiastico, così ognuno prenderà cura speciale di que' giovanetti che per moralità ed attitudine allo studio dèssero qualche indizio di esserne chiamati, giovandoli con buoni consigli, coll'indirizzarli a quelle scuole, a quei collegi, in cui sarebbero coltivati e diretti a questo scopo.
3° Opporre la buona stampa alla stampa irreligiosa adoperandosi di propagare buoni libri, pagelle, foglietti, stampati di qualunque genere in que' luoghi e fra quelle persone cui paia prudente farne proposta.
1° Chiunque ha compiuto sedici anni può farsi ascrivere in questa Associazione, purchè si conformi alle regole in essa proposte.
2° Il Superiore della Congregazione Salesiana è pure il Superiore di quest'Associazione.
3° I direttori di ogni casa della Congregazione sono autorizzati ad ascrivere gli associati, trasmettendo di poi nome, cognome e dimora al superiore, perchè noti ogni cosa nel comune registro.
4° Ne' paesi o città dove non esiste alcuna di queste case, e dove gli associati giungono a dieci, sarà stabilito un capo col nome di Decurione. Dieci Decurioni possono avere un capo, che si chiamerà Prefetto dell'Associazione.
Prefetto e Decurione saranno preferibilmente scelti nella persona del parroco o di qualche esemplare Ecclesiastico. Essi corrisponderanno direttamente col Superiore. Dove gli associati fossero meno di dieci corrisponderanno col Direttore della casa più vicina o direttamente col Superiore.
5° Ogni Decurione comunicherà co' suoi dieci; ogni Prefetto co' suoi cento soci: ma ogni Associato, occorrendo, può indirizzarsi al medesimo Superiore ed esporgli quelle cose, che giudica doversi prendere in considerazione pel vantaggio del prossimo e segnatamente la gioventù.
6° Sul termine di ogni anno il Superiore comunicherà a' soci le opere, che nel corso dell'anno seguente sembrano doversi di preferenza promuovere e nel tempo stesso darà notizia di tutti quelli che nell'anno trascorso fossero stati chiamati alla vita eterna e li raccomanderà alle comuni preghiere.
1° I soci non sono tenuti ad alcuna annualità pecuniaria; sono solamente invitati a fare un'offerta per sostenere le opere promosse dall’Associazione. Queste offerte si possono consegnare ai Decurioni, ai Prefetti, ai Direttori, oppure direttamente al Superiore. [1317]
1° Gli Associati possono lucrare molte indulgenze, di cui sarà mandato a ciascuno l'opportuno elenco.
2° Parteciperanno di tutte le Messe, Indulgenze, preghiere, novene, tridui, esercizi spirituali, delle prediche, dei catechismi e di tutte le opere di carità che i Salesiani compieranno nel Sacro Ministero, e specialmente della Messa e delle preghiere, che ogni giorno, mattina e sera si fanno nella chiesa di Maria Ausiliatrice in Torino per invocare le benedizioni del Cielo sopra gli Associati e sopra le loro famiglie.
3° Il giorno dopo la festa di s. Francesco di Sales tutti i sacerdoti della Congregazione e dell'Associazione celebreranno la S. Messa pei Confratelli defunti. Quelli che non sono sacerdoti procureranno di fare la s. Comunione e recitare la terza parte del Rosario con altre preghiere.
4° Quando un Confratello cadesse ammalato, se ne dia tosto avviso al Superiore, affinchè siano fatte per lui particolari preghiere. Lo stesso facciasi pel caso di morte di qualche Associato.
1° Agli Associati Salesiani non è prescritta alcuna penitenza esteriore, ma loro si raccomanda la modestia negli abiti, la frugalità della mensa, la semplicità del suppellettile domestico, la castigatezza nei discorsi e l'esattezza nei doveri del proprio stato.
2° Sono consigliati di fare ogni anno almeno alcuni giorni di Esercizi Spirituali. L'ultimo giorno di ciascun mese, od altro giorno di maggior comodità, si farà l'esercizio della buona morte, confessandosi e comunicandosi come di fatto fosse l'ultimo della vita.
3° I laici reciteranno ogni giorno un Pater, Ave a s. Francesco di Sales pei bisogni di Santa Chiesa. I sacerdoti ed ognuno che reciti l'Ufficio della Madonna, o le ore Canoniche sono dispensati da questa preghiera, purchè nella recita del loro Uffizio aggiungano a quest'uopo speciale intenzione.
4° Procurino di accostarsi colla maggior frequenza ai Santi Sacramenti della Confessione e della Comunione.
5° Per togliere ogni dubbio di coscienza si dichiara che le Regole di quest'Associazione non obbligano sotto pena di colpa nè mortale nè veniale se non in quelle cose che fossero in questo senso comandate o proibite dai precetti di Dio o di Santa Madre Chiesa. Se ne raccomanda però l'osservanza pei molti vantaggi spirituali che ognuno si può procacciare e che formano l'oggetto di questa Associazione. [1318]
di . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
abitante in . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Il Sottoscritto ha letto le regole dell'Associazione Salesiana e di buon grado alla medesima si ascrive sia pel bene dell'anima propria, sia per associarsi ad altri a fine di procurare al prossimo que' vantaggi spirituali e temporali, che sono compatibili colla sua condizione.
Torino[261], il .........................del mese di . . ........... . . . 187...............
Il Santo, dopo aver diffuso tra gli amici cotesto programma, tornò ancora a ritoccarlo, intitolandolo „Associazione di opere buone”; ed inviava l'uno e l'altro a vari Vescovi, e con le Commendatizie di quelli di Casale Monferrato, Acqui, Albenga, Alessandria, Vigevano e Tortona, e dell'Arcivescovo di Genova, nel 1875 otteneva dalla S. Sede particolari favori spirituali agli Associati, e l'anno dopo vedeva canonicamente eretta la Pia Unione dei Cooperatori Salesiani.
Ed è chiaro lampante, che Don Bosco voleva che la sua terza Famiglia non solo tornasse di vantaggio alla nostra Pia Società, ma, come questa, fosse d'aiuto ai Vescovi, in ogni cosa, particolarmente per l'educazione della gioventù povera ed abbandonata.
I Cooperatori Salesiani, nel concetto di Don Bosco, furono i pionieri dell'azione cattolica!
Dopo gli esercizi spirituali il Santo aveva deciso di recarsi per qualche giorno presso la nobile famiglia Fassati, a Montemagno, dove aveva mandato Don Francesia, che veniva pregato di far accogliere in qualche collegio un giovinetto che desiderava percorrere gli studi ed avendo comunicata la domanda a Don Bosco, riceveva questa graziosa risposta:
La tua penna fa quel che vuole di don Bosco, ed io debbo concederti quello che dimandi, però con una piccola modificazione, cioè [1319] invece di Varazze venga all'Oratorio. Ciò per motivi ragionevoli, specialmente per te. Tratta adunque, paghino quello che possono i parenti, il rimanente lo rimettiamo nel granaio della divina Provvidenza.
Fa' gradire i miei umili ossequi a casa Fassati e, se mi scrivi, dimmi se, oltre alla famiglia, vi sono già altri, specialmente di casa De Maistre, o la Duchessa di Montmorency. Alla tua lettera aggiungerai almeno un verso, e se non hai argomenti tratta qualche punto della vita del celebre Pipetta.
Caro don Francesia, amami nel Signore, prega per me, e credimi sempre nel Signore
Due volte ho fatto il fagotto per partire alla volta di Montemagno e due volte ho dovuto riporlo in guardaroba per alcuni signori che giunsero da Roma, e che si fermarono qui all'Oratorio. Era poi decisa lunedì la gita a Montemagno, ma la March. Uguccioni mi scrive che appunto in tal giorno con suo marito sarà da Firenze a Torino per ringraziare la S. Vergine A. per una grazia ottenuta, e si ferma qui con noi, almeno pel vitto.
Procura adunque di sapermi dire se i sigg. Marchese e Marchesa Fassati coi loro villeggianti si fermeranno ancora tutta la prossima settimana in campagna con loro, oppure, come sembra che tu voglia indicarmi, si trasferiscano altrove.
Ad ogni modo fa' a tutti i miei più vivi ossequii e di' loro, che di lontano non manco di raccomandarli ogni giorno nella S. Messa, e che il primo passo che farò, sarà indirizzato a quella volta.
Riguardo al giovanetto, di cui hai parlato, credo bene levarti fastidi e prenderlo a Torino, ne avremo tutta la cura.
Amami nel Signore, e prega pel tuo povero ma in G. C. Sempre
Per la solennità del S. Rosario si recava ai Becchi, come sempre: ed ecco alcuni ricordi d'una delle sue nipoti, Eulalia Bosco:
“Bambina dai cinque ai nove anni ricordo che Don Bosco veniva ogni anno ai Becchi. Alle volte arrivava il giovedì, e più spesso il sabato sera, vigilia della Madonna del Rosario, quasi sempre da Chieri o da Buttigliera, in carrozzella, accompagnato dal segretario Don Berto o altro sacerdote. [1320]
Noi bambine aspettavamo con ansia l'arrivo dello Zio, perchè ci portava sempre un regalino, il più delle volte frutta (bellissime pere), o caramelle; ma non ce ne faceva la distribuzione, se non dopo alcune risposte di Catechismo, oppure dopo averci fatto fare il segno della Croce, che per Lui non era mai abbastanza ben fatto.
Avrò avuto circa otto anni [Eulalia era nata nel 1866]. Ricordo d'essermi avvicinata a Don Bosco mentre parlava con mio papà di cose, certo, importanti, e tirandolo per la veste, gli chiesi: - Zio, mi farò suora io? - Mio papà mi diede un'occhiata seria come per farmi capire che non era il momento d'importunare; ma io ripetei la domanda per la seconda e la terza volta, e finalmente lo Zio, sorridendomi, affettuosamente mi rispose: - Sì, ti farai suora, ma prima devi mangiare ancora molte pagnotte!...
Nell'agosto del 1881 - prosegue Madre Eulalia - sono andata a Nizza a fare gli Esercizi Spirituali; là trovai lo Zio il quale, ricevuto appena il mio saluto, mi disse: - Tua sorella Maria desiderava entrare postulante in quest'anno, ma la Madonna la vuole con sè in paradiso, e al suo posto, qui, vuole te! - Rimasi sorpresa, poichè dall'età di otto anni non avevo mai più pensato nè desiderato di farmi suora e, ben lontana che mia sorella stesse male, risposi senz'altro: - No, no! Maria non deve morire, poichè la mamma mi ha scritto che sta meglio, ed io non voglio farmi suora. Ma Egli ripetè: - Maria andrà in paradiso e tu... ti farai suora! - e soggiunse: - Mentre il pesce è nella rete, bisognerebbe non farlo scappare! - Io mi misi a piangere e affrettai il ritorno a casa per vedere mia sorella, la quale, purtroppo, moriva tre giorni dopo.
Vista realizzata la prima parte... sarei partita immediatamente per Nizza, se i miei genitori non si fossero opposti per la mia troppo giovane età.
Un anno dopo, ottenuto il consenso, mi recavo a Torino accompagnata da Suor Rosalia Pestarino per salutare lo Zio e dirgli che ero decisa di andare a Nizza come postulante. E lo Zio che da molto tempo aveva desiderato invano di avere un nipote prete o una nipote suora, alzò lo sguardo [1321] al cielo e con le lacrime agli occhi mi disse: - Oh, Eulalia! tu sei la mia consolazione!”.
Dai Becchi scriveva a Don Rua per alcuni provvedimenti:
Cominciano andare alcuni a Torino. Qui tutto bene. Chiari si avvicina, ma non pare cattivo, piuttosto dissipato. Soltanto Rossignoli non sembra convenire. Se sta con noi, lungo l'anno ci darà da studiare. Credo opportuno dargli permesso delle vacanze assolute, e se non le vuole, si mandi a casa. Egli manifesta vocazione diametralmente opposta allo stato ecclesiastico. Dimani a sera, a Dio piacendo, sarò a Torino. Dio ci benedica tutti e credimi
Tornato all'Oratorio, dopo qualche giorno faceva le visite promesse alle famiglie Vassati e Callori, e da Vignale scriveva a Don Berto:
Se non c'è cosa obbligatoria che ti ritenga a Torino, parlane con D. Rua e vieni a Nizza, partendo domenica per le due pomeridiane od anche altra ora che ti accomodi.
Porterai teco quella brutta copia vecchia delle cose dell'Oratorio con qualche lettera da rispondere dimenticata sul tavolino.
Sta' allegro e prega per me che ti sarò sempre in G. C.
Da Roma gli giungevano insistenti preghiere di mandare un salesiano presso i Concettini o Fratelli Ospitalieri dell'Immacolata Concezione, e scriveva al Direttore di Lanzo:
Il S. Padre mi fa scrivere che io ritorni a Roma nel più breve termine possibile con almeno un salesiano da lasciarsi colà dopo la mia partenza. Io ho pensato e pregato se doveva scegliere te o Don Scapini, ma al presente la tua lontananza indeterminata disturberebbe e potrebbe compromettere il collegio.
Dunque D. Scapini. Avvisalo e fate che esso venga riprodotto in D. Porta, e ciò entro quattordici giorni. Al più tardi il 10 prossimo gennaio salperemo la ferrovia alla volta di Roma. [1322] Andando per la strada si aggiusta la somada [il peso, il carico], e il S. Padre ci dirà il da farsi e coll'aiuto dì Dio lo faremo. È sempre l'affare dei Concettini. Basterà che D. Scapini si trovi un giorno prima all'Oratorio.
Fa' il più caro saluto a tutti i Salesiani, a tutti i giovani del Collegio di Lanzo; e di loro che li amo tanto nel Signore, che prego per loro, auguro buone feste, buon capo d'anno, e giunto a Roma dimanderò una speciale benedizione al S. Padre per loro; aggiugni che Dio ci prepara molte anime a guadagnare nell'Australia, nelle Indie, nella China, e che perciò ho bisogno che crescano tutti in persona, scienza e virtù, e diventino tutti presto grandi intrepidi missionari per convertire tutto il mondo.
Dio ci benedica a tutti e credimi in G. C.
Andava poi a Nizza, e tornava a scrivere a Don Lemoyne:
Abbi pazienza, fatti coraggio, aggiusteremo tutto. È un anno di eccezione; il materiale per edificare c'è; bisogna soltanto collocarlo a suo posto.
Di' a D. Scapini, che ho ricevuto la sua lettera e che so esservi molto da fare; per questo motivo ho scelto un buon operaio che saprà levarsi da ogni impaccio.
Le cose si presentano colle più belle apparenze; di qui ad otto o dieci giorni scrivetemi di nuovo ed esponetemi le vostre difficoltà; ma ditemi nel tempo stesso il vostro parere intorno al modo di superarle.
Dio vi benedica tutti: D. Rossi mi faccia santi i suoi allievi. Pregate pel vostro in G. C.
Scriveva anche, affettuosamente, al chierico Cinzano a Pecetto Torinese:
Non darti pensiero per quello che dovrai fare. Vieni soltanto con buona volontà, concerteremo insieme quanti puoi e non di più.
Abbi sempre di mira che tu sei con un amico, il quale non altro [1323] desidera che il tuo bene spirituale e temporale. Ciò otterremo coll'aiuto del Signore, e coi tenerci sempre il cuore aperto.
Dio ti benedica; saluta tua madre, prega per me che ti sono in G. C.,
Don Berto notava questi due particolari: il primo, assai curioso, avvenuto a Nizza Monferrato; l'altro, appena fu di ritorno a Torino:
Il giorno 19 ottobre 1874 andai a Nizza Monferrato e giunsi verso le 4 ½ al Casino della sig. Contessa Corsi. E la signora Contessa mi disse che la notte precedente Don Bosco aveva veduto un chiaro nella camera dove dormiva. Discese dal letto, andò vicino, e ne fu abbarbagliato; toccò ed impugnò niente; tornò in letto e continuò a vederlo. Guardò se mai fosse il riverbero di qualche fanale dalle finestre; ma le finestre erano chiuse colle persiane. Il chiaro era dietro l'uscio. Così pure le notti seguenti 20 e 21. Io Stesso, prima di andare a letto, volli osservare se la finestra era ben chiusa, e se il detto chiaro poteva provenire dall'esterno, ma mi parve impossibile.
Addì 23. - Ci venne il sig. Lièvre, antico giovane dell'Oratorio, ora primo stenografista o capo dell'Uffizio Stenografico della Camera dei Deputati; e tra le altre cose mi disse:
- Son contento che Don Bosco abbia contribuito a far rientrare nell'ovile tre pecorelle smarrite: il P. Passaglia, Castro Giovanni e D. Ambrogio. È il giornale La Sicilia, che l'ha annunziato.
E La Pulce di Torino scriveva un articolo schifoso su coteste supposte conversioni, perchè solo Castro Giovanni erasi ravveduto.
Verso la metà di ottobre la Vergine Ausiliatrice guariva una benefattrice dell'Oratorio.
Annetta Fava, nata Bertolotti, soffriva da vari anni di tanto in tanto, di male alla spina dorsale, che veniva però mitigato con qualche cavata di sangue, finchè nel 1874, di ritorno da un pellegrinaggio a Lourdes, lo sentì inasprirsi, e non sapendo i medici pronunziarsi, si fece benedire da Don Bosco, e il male si spiegò; ma il miglioramento del tumore fu di poca durata, essendo foriero di malattia di spina dorsale, sicchè non poteva digerir nulla e poco per volta si [1324] manifestò interamente la paralisi che la ridusse all'assoluta incapacità di reggersi e di servirsi delle mani e fare il più piccolo movimento, togliendole anche quasi la vista per più settimane. I medici non davano più speranza di guarigione, tuttavia tentavano i rimedii e le cure più violente. Pie e caritatevoli persone pregarono per lei, ed anche Don Bosco pregò e fece pregare gli alunni dell'Oratorio, e le domandò e le ottenne la benedizione del S. Padre. La malattia aveva preso ad aggravarsi in giugno, e „verso la metà d'ottobre - dichiarava la graziata dopo una novena a N. S. del Sacro Cuore, fatta con particolari preghiere mattino e sera all'altare di Maria Ausiliatrice in Valdocco, presi miglioramento, ed ora mi trovo nello stato della primiera mia sanità, potendo liberamente camminare”[262].
La famiglia Fava - Bertolotti era di quelle che assiduamente soccorrevano l'Opera di Don Bosco, e la Vergine Ausiliatrice la premiava della sua carità, mentre Don Bosco, per parte sua, non trascurava alcun modo per trovar aiuti.
Sul finir dell'autunno scriveva al Comm. Giovanni Visone, Ministro della R. Casa:
Ne' casi gravi ho più volte fatto ricorso all'E. V. per questi miei poveri giovanetti, ed ho sempre trovato appoggio: spero altrettanto nel caso presente.
Nelle due annate trascorse pel caro dei viveri ho dovuto contrarre non leggere passività, che non ho ancora potuto estinguere.
Ora mi vedo imminente la stagione invernale, privo affatto di mezzi con cui provvedere pane e vestito a questi poveretti che soltanto in questa casa sommano a circa 850. Per costoro dimando caritatevole sussidio al paterno cuore della E. V.
Come credo le sia noto, questi ragazzi sono assolutamente poveri, raccolti da tutte parti d'Italia, ed una notabile parte qui inviati dalle autorità governative.
Pieno di fiducia di essere aiutato, prego Dio che la colmi di sue celesti benedizioni, mentre con profonda gratitudine ho l'alto onore di potermi professare
E tornava a supplicare il Ministro dei Lavori Pubblici per ottenere un biglietto gratuito dalla Società delle Strade Ferrate:
La E. V. forse si ricorderà ancora che più volte usò carità ad una raccolta di poveri fanciulli che vivono nell'istituto, detto Oratorio di S. Francesco di Sales. In una sola casa di Torino sono oltre ad ottocento. Siccome la maggior parte di essi vengono raccomandati e quà inviati dalle autorità governative di tutte parti d'Italia, così il governo ebbe sempre a favorirli specialmente nei trasporti sulle Ferrovie, quando esse erano esercitate dallo Stato. Ed io poi in particolare aveva sempre goduto di un biglietto di favore con un compagno. Presentemente si incontrano non leggere difficoltà presso alle diverse Società Ferroviarie.
Pertanto per fare un benefizio a me, e risparmiare qualche cosa per questi poveri fanciulli, fo ricorso alla E. V. per ottenere di nuovo un tal biglietto, il cui uso è tutto diretto a visitare le varie case, o a cercare mezzi con cui dar pane a questi poveretti.
Confidando nell'antica sua benevolenza, prego Dio che la conservi a lunghi anni di vita felice, mentre ho l'alto onore di professarmi,
Gli veniva risposto che il Ministero non aveva facoltà di chiedere alla Società di Strade Ferrate particolari biglietti gratuiti.
Un'ultima lettera di quei giorni, diretta a Don Pietro Vallauri, ci comprova la gentilezza del Santo verso i benefattori.
Dimani facciamo il solito servizio religioso in suffragio della felice memoria di Papà e di Maman. La messa comincia alle sette e un quarto; le altre pratiche di pietà seguono immediatamente dopo.
Se mai, V. S., e la Sig. Sorella Teresa, giudicassero di venire, li prego di lasciarsi dopo vedere e gradire meco una tazza di caffè. Qualora poi non potessero trovarsi, si uniscano coll'intenzione, e preghino pel povero, ma in G. C. sempre
Fin dai primi tempi dell'Oratorio e più ancora quando si ebbero le classi ginnasiali interne, non pochi erano i giovani adulti i quali, pieni di buona volontà, intraprendevano il ginnasio insieme coi giovinetti, aspirando alla carriera sacerdotale.
Nell'anno scolastico 1873 - 74 Don Bosco stabiliva per loro delle classi particolari, le quali, un po' ironicamente, furori dette Scuole di fuoco; e vi furono parecchi confratelli, che, invece di assecondare il provvidenziale disegno, presero ad ostacolarlo. Pareva loro che lo spingere innanzi, in massa, quei giovinotti, non avrebbe potuto dare buoni risultati, perchè, mentre alcuni stentavano a compiere gli studi, altri, ormai di carattere formato, non parevano troppo malleabili per ricevere la formazione dovuta.
Don Rua, con zelo e carità, prese subito a dissipare tutte quelle critiche, suggerite da timori esagerati, coll’incoraggiare ed assistere caritatevolmente quei poveretti, e col far notare a quelli, che avrebbero voluto mandar a monte la santa iniziativa, i frutti preziosi che dava già allora e che avrebbe dato in avvenire; ed anche nel Processo Informativo faceva questa interessante dichiarazione:
“Fin dai primi tempi in cui Don Bosco cominciò a coltivare giovani negli studi, ebbe fra loro degli individui di età alquanto matura, i quali non avendo potuto per cause varie seguire la carriera ecclesiastica, durante la loro adolescenza, l'intrapresero appena si trovarono liberi dagli impedimenti. Scorgeva Don Bosco, nella loro generalità, molta applicazione, fervida pietà e buona volontà di prestare eziandio servizi a beneficio dei loro più giovani compagni, come sarebbe aiutare ad assisterli, servirli in refettorio, ecc. Notò eziandio che la riuscita di questi giovani nella carriera ecclesiastica era molto più sicura che non quella dei fanciulli, dimodochè soleva dire che, fra loro, su dieci che cominciavano gli studi, di latinità almeno otto riuscivano pienamente”.
Per questo - prosegue Don Rua - „nel 1873 - 1874 pensò [1327] di formarne una categoria a parte, sia per toglier loro quel po' di confusione che talvolta avevano a sopportare, trovandosi un po' arretrati negli studi in mezzo ai fanciulli, sia specialmente per poter coltivarli più comodamente, e, lasciando certi studi accessori, farli avanzare più celermente negli studi essenziali per la carriera ecclesiastica a cui aspiravano”.
E la provvidenziale iniziativa, detta poi Opera di Maria Ausiliatrice per le vocazioni allo stato ecclesiastico, ebbe anch'essa in due anni formazione regolare, e mercè le commendatizie di vari Vescovi ed Arcivescovi fu anche corredata dal S. Padre Pio IX di particolari favori spirituali.
Don Bonetti osservava, come „essendo stato dal Parlamento Italiano abrogata con apposita legge il privilegio dell’esenzione dal servizio militare goduto dai giovani aspiranti al sacerdozio, e vedendo che in causa di tal legge si sarebbero ancor più diradate le file dei sacri Ministri, Don Bosco volle colla suddetta opera rimediare in qualche modo a questo disastro, porgendo comodità di farsi preti a quei giovani più adulti, i quali o fossero esenti dal servizio militare o lo avessero già prestato”, e desiderassero abbracciare lo stato ecclesiastico.
Intanto le sollecitudini di Don Bosco per trovar i mezzi occorrenti per riscattare i suoi chierici dalla leva militare erano gravi e continue, e non lasciò mai di adoperarsi per riuscire nel santo intento, come risulta anche da varie lettere che ci son rimaste di quell'anno.
Sulla fin d'ottobre ricorreva all'Avv. Galvagno di Marene:
Mi rincresce disturbare tanto sovente la S. V. Benemerita, ma mi trovo in bisogno eccezionale. Ho cinque cherici da riscattare dalla leva militare e non ho ancora un soldo ad hoc, mentre siamo vicini all’epoca del riscatto. Potrebbe ella venirmi in aiuto? Ecco l’umile mia preghiera. Ogni cherico deve pagare f. 2500 per passare dalla 1a alla 2a categoria.
Non occorre il dirle che oltre il bene che fa alla Chiesa ed alla società civile, noi pregheremo in modo particolare per Lei e per tutta la sua famiglia. [1328] Dio le conceda ogni bene e, fra le altre cose, le dia la pazienza di sopportare il povero scrivente che prega sempre per V. S., mentre con gratitudine si professa in G. C.,
E continuava a picchiare alle porte dei ricchi. Scriveva alla marchesa Bianca Malvezzi di Bologna:
Un bisogno urgente mi spinge a ricorrere alla carità di V. S. B. In quest'anno ho cinque chierici da riscattare con fr. 2500 caduno. Il tempo utile per questo riscatto è assai breve. Se mai la sua carità comportasse di estendersi fino ai preti di Maria Ausiliatrice, io ne farei umile preghiera.
Certamente la Santa Vergine non lascierà senza ricompensa un'opera, che è tutta diretta al bene della Chiesa, che in questi tempi trovasi in gran bisogno ed in grande penuria di sacerdoti.
Dal canto mio, qualunque cosa Ella sia per fare, non mancherà di raccomandarla ogni giorno al Signore, e, supplicandola del favore delle sante sue preghiere, ho l'onore di potermi professare con profonda gratitudine,
Ringraziava cordialmente la contessa Teresa Corsi di Bosnasco, nata Olivazzi di Quattordio:
La contessa Corsi Gabriella mi portò franchi duecento che V. S. Ill.ma offre per il riscatto dei nostri chierici dalla leva militare. Non poteva essere più opportuna; domani è giorno ultimo pel riscatto di uno di tali chierici e a favore di quello fu tosto spedita la sua limosina. Dio benedica il suo pensiero; Dio la compenserà, il riscattato pregherà ogni giorno per Lei, io farà altrettanto nella S. Messa.
Godo poi grandemente che V. S. non sia di coloro che vogliono portarsi il lume dietro le spalle; Ella vuole portare il lume avanti di sè ed ha ben ragione, perciocchè quando la chiamerà al paradiso, le sue carità faranno luce ovunque debba passare.
Di cinque chierici due sono già riscattati, preghi Dio che mi aiuti a trovare i mezzi per riscattare gli altri tre. [1329] Ho veduto la contessa Gabriella, la quale colla sua famiglia godono ottima salute e mi danno incarico di ossequiarla da parte loro.
Con profonda gratitudine mi professo
E come sempre, la Divina Provvidenza, magari all’ultimo momento, veniva in suo aiuto, e i chierici andavano esenti!
Sul finir dell'autunno avvenne nell'Oratorio un caso singolare, e diciam pure un attentato contro il giovane studente Luigi Deppert, che si fece poi salesiano, ed eccone l'autentica narrazione scritta da lui medesimo:
Correva l'anno 1874; sul finire dell'autunno in una sera, nella quale i giovani erano a cena e regnava nell'Oratorio un profondo silenzio, trovavasi nella portieria il giovane Luigi Deppert, intento a scrivere. La porta che metteva sulla strada era semiaperta. Quando ad un tratto si apre la porta ed entrano tre giovani coscritti, che al primo aspetto li avresti creduti brilli. Si alza il giovane Deppert, e, avanzandosi a loro, li interroga:
- Desideriamo, risponde uno, vedere Don Bosco.
- Ma scusatemi, ripiglia il Deppert, non è questa l'ora; venite domani!...
- Eppure, soggiungono, vogliamo parlare con lui stassera!
- Ed io ripeto che non si può. Egli a quest'ora è a cena, d'altronde non è questo il momento, il tempo di far visite; - e in così dire li accompagna alla porta; cerca di chiuderla, affine di tirare il catenaccio, ma ne è impedito. Allora che fa egli? si colloca tra la porta ed il muro, punta il piede, stende le braccia onde impedire i tre giovinastri che a forza volevano entrare. Costoro, vedendo inutile ogni loro sforzo si guardano a vicenda, come volessero darsi un segno, quand'ecco uno dei tre estrae un coltello a tre punte, e glie lo pianta alla parte del cuore. Fatto questo, se la diedero a gambe.
Il giovane Deppert, che, al primo istante, di questo bel regalo non si era accorto, chiude la porta, e senz'altro ritorna al lavoro, ma potè durarla pochi minuti, chè, il sangue scorrendo per la vita, si sente venir meno; osserva che cos'è, vede i panni traforati e inzuppati di sangue; accortosi allora dell'accaduto, si alza per cercare [1330] chi lo surrogasse in porteria onde recarsi all'infermeria, ma le forze nol reggono. Il signor Pelazza che passeggiava sotto il porticato attiguo alla medesima, informato dell'accaduto, lo sorregge tosto pel braccio e se lo conduce in infermeria. Colà esaminata la ferita, e temendola piuttosto grave, per non dire mortale, si pensò di farlo trasportare all'Ospedale dei SS. Maurizio e Lazzaro (così detto Ospedale dei Cavalieri). La ferita era veramente grave, chè i medici, misuratane la profondità, asserirono che poco mancò non toccasse il cuore, sicchè l'era finita per lui. Ma, grazie a Dio, e mediante sollecite cure di quei valenti chirurghi e le preghiere fattesi in pro di lui, dopo quindici giorni potè uscire dall'ospedale, e dopo breve convalescenza fu perfettamente ristabilito in sanità. Cosicchè potè continuare i suoi studi, e di quell'anno stesso vestiva l'abito clericale.
Che cosa volevano quei tre giovani? parlare al sig. Don Bosco? e in quell'ora?... che cosa v'era d'interessante?... Ecco le interrogazioni che sentivansi dai più.
Fin qui Don Deppert; e noi aggiungiamo:
- Chi non pensa che quei tre assassini avevano il mandato di piantar il coltello a tre punte sul cuore di Don Bosco?
Noi siamo di questo parere, anche perchè non fu quella l'ultima volta che gente nemica della Religione tentò di toglierlo da questo mondo!
Egli, intanto, aveva sempre la morte dinanzi, e, come ne abbiam fatto vari accenni, ne parlava sovente.
Sul principio di gennaio del 1873 ripeteva ad un sacerdote:
- Adesso guardo di portare avanti la nostra Società il più che si può, e poi canteremo: Nunc dimittis servum tuum, Domine!
E in questi anni scrisse, ripetutamente, anche le sue disposizioni testamentarie.
Per fortuna abbiamo in archivio vari testamenti olografi del Santo, due dei quali son degli anni anteriori a questo quadriennio; ma non essendo stati pubblicati li trascriviamo qui, sicuri di far cosa grata al lettore.
Il primo è del 1856, anteriore alla morte di Mamma Margherita; e il Santo, perduta la mamma, lo corresse cancellando i tratti che riportiamo nelle note. [1331]
Testamento del Sac. Bosco Gioanni di Castelnuovo d'Asti
Nell'incertezza di vita in cui si trova ogni uomo che vive in questo mondo, nel desiderio di aggiustare le cose temporali in modo che non abbiano a recar danno alla salute eterna dell'anima mia, mentre sono in buona sanità e in pieno uso di ragione, dò queste ultime disposizioni da eseguirsi dopo mia morte.
1° - Di quanto possedo nella città e provincia di Torino, mobili, immobili, terre e case, lascio tutto l'usufrutto al sig. D. Alasonatti Vittorio, attualmente Prefetto di questa casa, sua vita mortale durante[263]; lascio poi la proprietà di quanto sopra al giovane Rua Michele attualmente Cherico del 3° anno di teologia, e ricoverato nella casa di questo Oratorio.
2° - Tutte le cose esistenti nella casa dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, suppellettili di chiesa, di casa, di cucina, con quanto è destinato al vitto, alloggio, vestito dei giovani della casa, unitamente a quanto potesse esistere negli Oratori di S. Luigi a Porta nuova, del Santo Angelo Custode in Vanchiglia all'epoca di mia morte, intendo che sia tutto compreso nelle disposizioni del N 1.
3° - Che se alla mia morte non fosse più vivo il Cherico Rua Michele la proprietà intendo che sia devoluta al Sig. D. Alasonatti, che dovrà andare d'accordo col Sig. T. Borelli Giovanni, attuale Rettore del Rifugio, tanto nell'amministrazione dell'usufrutto quanto in caso di alienazione.
4° - Tutto quello che io possedo a Castelnuovo d'Asti, mia patria, lascio a mio fratello Giuseppe in compenso delle sollecitudini a spese fatte per me in tutto il corso della carriera de' miei studi[264], a condizione che alla mia morte il fratello Giuseppe fra un anno doni fr. 200 a ciascuno dei figli viventi del fratello Antonio defunto, tenendo conto di fr. 150 pagati pel nipote Francesco, quando entrò nell'Albergo di virtù, e ne uscì prima del tempo stabilito.
5° - Poichè ho fatto alcune spese per far aggiustare la casa della Borgata di Murialdo a fine di renderla adatta ai bisogni dei giovani quando vanno in campagna, così dà carico a mio fratello di lasciar libere tre camere ogni volta che D. Alasonatti, il T. Borelli o Rua Michele volessero servirsene pei loro bisogni. Di più che in tempo di autunno lasci mezza giornata di vigna onde potersene servire [1332] per ricreazione e mangiare liberamente dell'uva e frutti ivi esistenti[265].
6° - Nella costruzione della chiesa e della casa attualmente abitata ho dovuto contrarre alcuni debiti; perciò avvenendo che io non li possa pagare prima di mia morte, saranno pagati dagli eredi della medesima a tutti quelli che presenteranno obbligazioni legali, od anche semplici biglietti, purchè siano scritti e segnati di mia propria mano.
7° - Desidero che non mi sia fatta sepoltura spendiosa: il curato di Borgo Dora ha promesso di farmela per carità. Ho però vivissimo desiderio che siano invitati tutti i giovani della Casa e quelli de' giorni festivi, cui mi raccomando siano distribuite alcune medaglie e crocette che ho benedette e che tengo in un cancello preparate.
8° - Non voglio alcuna iscrizione sul luogo ove sarà deposto il mio cadavere. Che se taluno volesse scrivere qualche cosa intendo che sia del tenore seguente:
“Il Sacerdote Bosco Giovanni - morendo disse a' suoi amici: - Homo - humus, Fama - fumus, Finis - cinis. - Ditegli un Requiem aeternam”.
9° - L’obbligazione che impongo a' miei eredi si è di farmi ogni anno celebrare una messa letta nel giorno festivo più prossimo a quello del mio decesso, affinchè possano intervenire li miei amati figli, e così mentre essi pregheranno il Signore per me, spero nella divina misericordia di poter sopra di loro implorare le benedizioni del cielo.
10° - Se mai ne' miei scritti o stampati si trovasse qualche cosa, che, o potesse essere interpretata minimamente contraria alla Santa Chiesa Cattolica, Apostolica, Romana, intendo di ritrattarla, perchè protesto di voler vivere e morire in questa Chiesa, che sola conserva la religione di Gesù Cristo, unica vera, unica santa, fuori di cui niuno può salvarsi.
11° - Affinchè poi niuno mi attribuisca scritti che non siano miei, metto qui un elenco de' libri da me composti o compilati, e de' quali ho conservato la proprietà letteraria, che intendo pure trasmettere a' miei eredi, affinché ne facciano quell'uso che giudicheranno a maggior gloria di Dio e vantaggio delle anime.
1. Cenni sulla vita del giovane Luigi Comollo. - Ediz. 2a
2. Il Divoto dell'Angelo Custode. - Anonimo.
3. I sette dolori di Maria considerati in forma di meditazione. - Anonimo. [1333]
4. Esercizio di divozione alla Misericordia Divina - Anonimo.
5. Storia Sacra ad uso delle scuole. - Ediz. 2a.
6. Storia ecclesiast. ad uso delle scuole. - Ediz. 2a.
7. Il giovane provveduto. - Ediz. 3a.
8. Il cristiano guidato alla virtù ed alla civiltà. - Anonimo.
9. Il sistema metrico ridotto a semplicità. - Ediz. 5a.
10. Il Cattolico instruito nella sua religione. - Ediz. 2a.
11. Fatti contemporanei esposti in forma di dialogo.
12. Dramma - disputa tra un avvoc. ed un min. protestante.
13. Raccolta di curiosi avv. contemporanei.
14. Le sei Domeniche di S. Luigi.
15. Notizie storiche intorno al miracolo del SS. Sacramento,
16. Conversazioni tra un Avv. ed un Curato di campagna sulla Confessione.
17. Conversione di un Valdese: fatto contemporaneo.
18. Maniera facile per imparare la Sacra Bibbia. - Ediz. 2a.
19. La forza della buona educazione. Episodio contemporaneo.
20. Vita di S. Pancrazio Martire.
21. La Storia d'Italia raccontata alla gioventù.
22. La Chiave del Paradiso in mano al Cattolico.
23. Vita di S. Pietro Apostolo. Idem di S. Paolo.
24. Due Conferenze sul Purgatorio e sul suffragio dei defunti.
25. Vite dei Papi fino all'anno 221.
In caso che si venisse alla ristampa di qualcheduno de' mentovati libretti dopo mia morte, mi raccomando che ciò si faccia servendosi dell'ultima edizione.
12° - Voglia il Signore Iddio gradire li miei deboli sforzi nel pubblicare questi scritti in riparazione dello scandalo dato in vita; e l'infinita sua misericordia mi perdoni li miei peccati, e mi conceda di vivere e morire in grazia sua benedicendo quei giovani che la Divina Provvidenza mi ha in qualche maniera affidati.
Ricordi a' miei figli affinchè si possano tutti salvare.
Figliuoli miei, se voi volete assicurare la vostra eterna salvezza:
1° Andate volentieri ad ascoltare la parola di Dio.
2° Guardatevi dal peccato di disonestà.
3° Fate quanto potete per fare buone confessioni.
Con questo mio testamento intendo di abrogare ogni mia antecedente disposizione.
Sit nomen Domini benedictum ex hoc nunc et usque in saeculum.
Requiem aeternam dona mihi, Domine, et lux perpetua luceat mihi.
dell'Oratorio di S. Franc.co di Sales. [1334]
In luogo del Requiem aeternam, noi, proprio di cuore, eleviamo a Dio l'inno del ringraziamento per averci chiamati a far parte della famiglia di un tanto Padre!
Nel secondo esemplare costituiva erede universale Don Rua, e, se questi non fosse più vivo, Don Giovanni Cagliero:
Testamento olografo del Sac. Gio. Bosco.
Costituisco mio erede universale ed esecutore testamentario il Sacerdote Rua Michele di questa città, e se mai esso non fosse più vivo all'epoca del mio decesso costituisco mio erede il Sac. Cagliero Giovanni di Castelnuovo d'Asti e dimorante in Torino. Intendo di legare ai medesimi tutte le mie sostanze immobili e mobili che mi apparterranno all'epoca di mia morte, in Torino, in Lanzo Canavese [sic], in Troffarello, in Mirabello di Monferrato. Per quanto possedo a Castelnuovo d'Asti mi riferisco all'antecedente mio testamento.
Nel 1871, mentre riconfermava suoi eredi ed esecutori testamentari Don Rua e Don Cagliero, dichiarava, anche per diminuir le tasse di successione, d'esser loro debitore della somma complessiva di 90.000 lire.
Per ovviare a qualunque caso mi possa avvenire per via lascio miei eredi ed esecutori Testamentari di ogni mio avere il Sig. Sac. Rua Michele di Torino e Sac. Cagliero Gioanni di Castelnuovo d'Asti.
Per impedire difficoltà e per soddisfazione ad un mio dovere di coscienza mi dichiaro debitore verso ai medesimi della somma di fr. 50.000 al Sac. Rua Michele, e fr. 40.000 al Sac. Cagliero Gio., il quale danaro è dovuto ai medesimi per servizi prestati e non ricompensati, e per diverse somme amministratemi e non ritornate.
Quello che possedo in Castelnuovo d'Asti intendo che vada ai miei parenti come sostanza paterna.
Nelle stesso anno, durante la malattia che fece a Varazze, scrisse di nascosto, in un piccolo foglio, queste dichiarazioni:
Confermo il mio testamento anteriore costituendo erede universale ed esecutore testamentario il Sac. Rua Michele attuale prefetto all'Oratorio di S. Francesco di Sales in Torino. Sono però eccettuate [1335] le sostanze paterne che possedo in Castelnuovo d'Asti, che intendo di legare ai miei due nipoti Luigi e Francesco ambidue figli del fu mio fratello Giuseppe. Essi saranno tenuti a dare franchi duecento a caduna delle loro sorelle, e a cadun dei figli e figlie del fu mio fratellastro Antonio. Ma soltanto a quelli che sono in vita all'epoca del mio decesso, e due anni dopo la mia morte senza interesse di sorta.
E mostrò e, forse, anche consegnò il foglio a Don Rua, quando fu a visitarlo; e Don Rua annotava in un foglietto questa dichiarazione:
Se i nipoti di D. Bosco fossero imbarazzati a pagare alle sorelle e cugine le L. 200 loro legate nel testamento, è intenzione di D. Bosco manifestata a voce, che siano in ciò aiutati dall'erede universale; ed a tal uopo desidera che siano dal medesimo interrogati se si trovano in passività. Sac. Rua Pref.
Nel 1874 tornava a scrivere le sue disposizioni testamentarie, ricordando in esse, con somma carità, più dettagliatamente, i parenti:
Testamento olografo del Sac. Gio. Bosco fu Francesco
di Castelnuovo d'Asti e residente in Torino
1° - Costituisco mio erede universale ed esecutore testamentario il Sac. Michele Rua di Torino. A costui adunque lascio tutte le mie sostanze in qualunque luogo e sotto a qualunque titolo esistano tanto in beni mobili, quanto in beni immobili.
2° - Si eccettuano i beni stabili e tutte le altre cose che possedo in Castelnuovo d'Asti. Sono sostanze paterne, che lascio a' miei due nipoti Luigi e Francesco, ambidue figli di mio fratello Giuseppe.
3° - La parte però che forma il mio patrimonio ecclesiastico, intendo che per due terzi vada al nipote Luigi, e questo per compensarlo di speciali sollecitudini, disturbi, spese sostenute a mio riguardo.
4° - I miei due nipoti poi saranno tenuti a dare fr. duecento a tutti i figli di mio fratello Antonio, i quali siano ancora in vita all'epoca del mio decesso.
5° - Uguale somma di fr. 200 sarà pagata alle nipoti, figlie del fratello Giuseppe, che saranno in vita all'epoca del mio decesso. [1336]
6° - Il mio erede sarà tenuto a pagare ogni sorta di debito che in qualunque modo possa gravitare o sopra le sostanze immobili, o sopra cose spettanti all'amministrazione degli affari che mi riguardano.
7° - I legati saranno pagati fra un anno dopo la mia morte senza alcun decorrere degli interessi.
8° - Per la Sepoltura e suffragi mi rimetto interamente alla benevolenza del mio erede.
Forse, oltre le riferite, ne scrisse altre negli anni seguenti. Nel 1884, prima di partir per la Francia, fece chiamare il notaio e gli dettò di nuovo le sue disposizioni in favore di Don Rua e di Don Cagliero; ma noi non abbiam potuto avere il documento sotto gli occhi.
Nel citato biglietto Don Rua aggiungeva queste note:
1° Don Bosco avvertì di stare attenti che le Chiese e gli edifizi destinati al servizio della chiesa non pagano diritto di successione.
2° Riguardo alle obbligazioni che ha verso varie persone devonsi lasciare senza data fino alla sua morte e allora mettervi la data di alcuni giorni prima della medesima, e prima che scadano venti giorni dalla data devonsi far registrare.
3° Durante il 1887 raccomandò varie volte a D. Rua di aiutare il nipote Francesco a soddisfare i debiti contratti nella divisione col fratello Luigi e nelle altre sue faccende qualora ne sia bisogno.
I suoi riguardi per i parenti, anche nelle particolari circostanze in cui si trovò, furon quelli dei più grandi santi!
Sul principio dell'anno scolastico 1870 - 71 aveva fatto entrare nel collegio di Lanzo il suo nipotino Giuseppe Bosco, figlio di Francesco, che ne pagava la pensione regolare. Il fanciullo, che non aveva ancor compiuto otto anni, non riuscendo troppo bene negli studi, tornava a casa. Nell'ottobre 1873 veniva accolto nell'Oratorio, e non facendo neppur qui tanto profitto, troncava gli studi e tornava ai Becchi. E il Santo, dopo molti anni, e precisamente verso il termine dei suoi giorni, diceva umilmente a Don Lemoyne:
- Io avevo mandato mio nipote nel tuo collegio perchè ci eri tu, sicuro che come mio amicissimo ne avresti preso ogni cura. Speravo che avrebbe fatta buona riuscita, [1337] Ero tranquillo. Quando vidi l'esito degli esami, ne provai molto dolore, e andavo dicendo fra me: „Ma quel direttore non ha pensato che il piccolino era mio nipote e che a lui specialmente l'avevo affidato? Perchè trascurarlo così? perchè tutti quei del collegio non si affaticarono a cercare che raggiungesse almeno la mediocrità? Perchè ebbero così poco riguardo a me?” E assorto in questi pensieri, deliberai lì per lì di metterlo in pensione presso un sacerdote mio amico, dalle parti di Bra, ove mi pareva che gli sarebbero usate tutte le cure possibili e che sarebbe riuscito. Senonchè, a un tratto rinvenendo in me, dissi a me stesso: „Vedi come l'affetto ai tuoi parenti ti spinge a tale risoluzione! E sei tu che predichi agli altri il distacco dai parenti? anche se non è riuscito, debbo credere che il direttore e gli altri avranno fatto il loro dovere. Non pensiamo più oltre a questo progetto. Lasciamo che le cose vadano come la Provvidenza le guida - . Avrei desiderato che rimanesse nella Congregazione uno che portasse il mio nome e mi appartenesse anche per vincoli di sangue. Non sarà così, perchè così forse non piace al Signore che sia. E misi il cuore in pace e lasciai che le cose andassero tranquillamente come l'acque per la loro china! ...
Nel 1874 giungevano al Santo le più vive istanze per un'altra fondazione fuori d'Italia, e precisamente in Francia, a Nizza Marittima.
Il nome di Don Bosco da molti anni era già assai noto ed ammirato in quella città, specialmente tra i membri delle Conferenze di S. Vincenzo de' Paoli, delle quali facevano parte anche il Conte De - Maistre e il Barone Ricci des Ferres. Questi ne parlavano in conferenza fin dal 1856; e nel 1860 il Conte Carlo Cays, presidente del Consiglio Superiore delle Conferenze del Piemonte, leggendo in quella di Nizza un ragguaglio delle Conferenze di Torino, esordiva così:
“La città di Torino conta 10 conferenze, la cui attività va sviluppandosi di continuo. A questo conferenze sono aggregate [1338] tre altre composte di giovani di famiglie così povere che, nella maggior parte, vengon visitate dai membri della nostra Società.
Queste tre Piccole conferenze seguono il regolamento comune sotto la direzione del pio e caritatevole Don Bosco. Unica difficoltà è l'articolo del regolamento che prescrive una quota in ogni adunanza. Che cosa posson dare ai poveri quei poveri fanciulli? Eppure la questua si fa, ciascuno di quei poveri ragazzi dà quello che ha potuto economizzare anche sul necessario; e quello che non possono dare in natura, lo donano coll'affetto e colla devozione.
Nulla di più commovente di vedere quei Poveri giovani circondare delle più tenere cure e sollecitudini, quasi materne, i più umili e i più poveri loro affidati. Essi esercitano su quelli, in ogni momento e in ogni circostanza, una Premurosa e benevole protezione. Essi vegliano sulla loro educazione, più ancora che sui loro bisogni spirituali: insegnano loro a scrivere, e si fanno veri loro istitutori...”.
A Nizza, adunque, dove il nome e l'apostolato di Don Bosco da tempo erano ammirati, come si legge nel fascicolo commemorativo delle Nozze d'oro della Società di S. Vincenzo de' Paoli di Nizza[266], nel 1874 si vedeva coronata la lunga aspettazione delle Conferenze nel realizzare l'opera dell'Oratorio, o del Patronato:
Al pellegrinaggio regionale di Nostra Signora del Laghetto, il 9 maggio, uno dei nostri confratelli che aveva una figlia unica, aveva visto questa consacrarsi a Dio nella Congregazione delle Suore del Buon Soccorso. Così divenuto libero promise alla Santa Vergine di consacrarsi all'istruzione ed all'educazione dei giovanetti abbandonati per le strade. Un giovane seminarista vicino ad essere prete aveva fatta la stessa promessa. Era il 9 maggio, e nel ritorno dal Santuario viene a sapere che il Padre Papetard, antico capitano d'infanteria, miracolosamente salvato nell'assedio di Costantina, e divenuto Superiore a Nizza delle Missioni Africane, aveva comprata allora una proprietà per la sua Congregazione posta sulla piazza della Croix de Marbre. Va a domandargli un angolo di terreno che gli viene subito concesso. Una scuderia che ivi si trovava fu tosto [1339] ristorata e trasformata in cappella, un'altra stanza è destinata a scuola e il giorno 31 dello stesso mese di maggio, con l'autorizzazione del Vescovo, è celebrata la prima messa nella nuova cappella ed il Patronato resta stabilito. Il Sig. Barone di Saint - Yon venendo a conoscere questa fondazione manda un dono di 500 franchi.
Egli vede ben presto come quest'opera sia necessaria, perchè in mezzo ai fanciulli stessi delle scuole migliori deve constatare che molti sapevano ben poco il loro catechismo; ne trovò eziandio di quelli intieramente abbandonati che per loro dimora avevano la spiaggia del mare. Perciò aggiunse all'Opera una scuola serale.
Ma il buon confratello che si era dedicato a così pesante lavoro, essendo così solo a portare quel fardello, vide scemarsi le sue forze e dovette ben presto cadere in letto.
Allora il Presidente del Consiglio particolare, di passaggio a Torino, ebbe l'idea di rivolgersi a D. Bosco, e di pregarlo a voler venire in Nizza a prendersi cura dei fanciulli abbandonati.
- Io lo voglio e ben volentieri, rispose il santo prete.
- Ma per quest'Opera è necessario molto personale, e molto danaro, osservò il Presidente; ed io non ho da offrirvi nè un uomo, nè un soldo.
L'uomo di Dio non fu scoraggiato per così poco e dopo aver riflettuto rispose: - Nelle opere di Dio bisogna solamente riflettere se siano necessarie, o no. Se non sono necessarie non conviene immischiarsene; ma se esse sono necessarie bisogna intraprenderle senza timore di sorta. I mezzi materiali sono un sopra più che Dio ha promesso, ed Egli mantiene la sua promessa.
- E come farete dunque? riprese il suo interlocutore rianimandosi.
- E che cosa faranno questi due preti?
- Incominceranno a lavorare, e lavorando essi vedranno ciò che bisognerà fare.
- E a questi due preti che cosa si dovrà dare?
- Una camera che li difenda dalla pioggia e un poco di minestra tutti i giorni.
- Fino a qui le nostre finanze ci possono arrivare, esclamò il Presidente. E fu convenuto che D. Bosco verrebbe a Nizza, visiterebbe il Vescovo, e si informerebbe delle cose. Ed egli venne e visitò il nostro piccolo Patronato, che incoraggiò a continuare. Ma noi esitavamo ancora; noi temevamo che chiamando istitutori stranieri per i nostri fanciulli popolani, ci si potesse fare l'accusa di poco patriottismo. Noi rinnovammo le nostre istanze presso il Superiore dei Fratelli della Dottrina Cristiana perchè volesse egli stesso accettare quest'Opera. Egli ci disse di consegnare a lui, da rimettersi al suo superiore generale, una domanda in iscritto che restò senza risposta. [1340] Finalmente il nostro Presidente generale il sig. M. Baudon tolse di mezzo i nostri scrupoli, scrivendoci che nelle opere di carità, noi dobbiamo bandire le preoccupazioni politiche, incoraggiandoci a procedere nel nostro progetto.
Don Bosco stesso nella conferenza che tenne a Nizza il 12 marzo 1877[267] dava altri particolari di quella fondazione.
“Alcuni anni or sono il Vescovo di questa diocesi (di Nizza) si recava a Torino, e dopo aver parlato di altre cose lamentava una moltitudine di ragazzi esposti ai pericoli dell'anima e del corpo, ed esprimeva ardente desiderio di provvedere al loro bisogno. Poco dopo due signori di questa medesima città[268] a nome dei Confratelli di S. Vincenzo de' Paoli, esprimevano lo stesso rincrescimento soprattutto pei molti fanciulli, che nei giorni festivi correvano per le vie, vagavano per le piazze rissando, bestemmiando, rubacchiando. Ma crebbe assai il dolore di quei due benefattori degli infelici, quando si accorsero che quei poveri ragazzi dopo la vita di vagabondo, dopo aver cagionato disturbi alle pubbliche autorità, per lo più andavano a popolare le prigioni...”.
E „fu allora che coll'approvazione dell'amatissimo Vescovo di questa Diocesi i prelodati signori scrissero lettere e poi vennero in persona a Torino per osservare colà un ospizio destinato a somigliante classe di fanciulli[269] Vennero, fummo tosto intesi sulla necessità di una casa dove fossero attivati i laboratorii, raccolti i più abbandonati, istruiti, avviati a qualche mestiere. Ma dove trovare questa casa, e quando si trovasse come comperarla, e con quali mezzi sostenerla? Questa casa doveva aprirsi qui in Nizza a favore dei ragazzi di questa città: in Nizza che è città della [1341] carità, della beneficenza, città eminentemente cattolica. Quindi riguardo ai mezzi materiali abbiamo unanimi data questa risposta: „I Confratelli della Conferenza di S. Vincenzo de' Paoli faranno quello che possono: Nizza poi non ci negherà il suo caritatevole appoggio. Si tratta del bene della società, si tratta di salvar anime, Dio è con noi, Egli ci aiuterà”".
Don Bosco andò a Nizza Marittima accompagnato da Ronchail, prefetto del collegio di Alassio, subito dopo la solennità dell'Immacolata, per trattar di presenza di quella fondazione; e senz'altro concludeva che l'anno dopo avrebbe mandato alcuni Salesiani.
Nei due giorni che si fermò in quella città, venne incontrato da Giuseppe Canale, che dimorava a Genova. Questo signore era stato uno dei primissimi giovani che avevano frequentato i catechismi del Santo in S. Francesco d'Assisi, e fu tanta la gioia che n'ebbe, che, come diceva Don Ronchail, non sapeva staccarsi da lui[270].
Da Nizza Don Bosco rispondeva a Don Luigi Guanella, che voleva farsi Salesiano, e scriveva a Don Rua che aveva perduto il fratello:
Il suo posto è pronto. Ella può venire quando vuole. Giunto a Torino stabiliremo intorno al luogo ed alla casa che più le converrà! Io le scrivo in questo senso in seguito alle sue parole: Se non vado e non sono accolto nel suo istituto sono deciso di andare in un altro.
Procuri soltanto di non lasciare affari imbrogliati, che possano richiamarlo in patria.
Addio, caro D. Luigi, buon viaggio e Dio ci benedica tutti e mi creda in G. C.
Nizza Marittima, 12 - 12 – 1874
Sono a Nizza Marittima, donde parto sabato alla volta di Ventimiglia, Pigna, poi ad Alassio. Martedì sarò a Sampierdarena, e giovedì [1342] a Torino si Dominus viderit. Dio ci ha fatto una visita nella perdita di tuo fratello; ne ebbi tanto rincrcscimento; era un vero amico della casa nostra; ho pregato e continuiamo tutti a pregare pel riposo dell'anima sua; ma consoliamoci nella speranza di vederlo in uno stato assai migliore che non era in questa terra.
Ciò che riguarda alla stampa della comm. del prev. di Castelnuovo si rimandi al T. Rho di Pecetto, cui era stato scritto che la spesa era di circa f. 60; se perciò si mette a soli f. 52 ne sarà assai contento.
Parto in questo momento da Nizza. Saluta tutti nel Signore. Vale.
PS. Di' a D. Berto che ho ricevuto le sue lettere e che andò tutto bene.
Partito da Nizza, insieme con Don Ronchail si fermò a Ventimiglia, dove l'attendeva il pio e santo sacerdote, Don Giaciuto Bianchi, Missionario Apostolico, nato in Villa Pasquali nella diocesi di Cremona, già coadiutore del Teol. Don Giuseppe Frassinetti a Santa Sabina in Genova, ed allora economo - gerente della parrocchia della Pigna, sopra Ventimiglia. Come seppe che Don Bosco aveva fondato l'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, prese a vagheggiare il disegno d'aprir un loro noviziato nella sua parrocchia, perchè diciotto giovinette gli avevano manifestato il pensiero di farsi religiose; ed aveva già pronta la casa!
- Quant'è distante Pigna? - gli domandò Don Bosco.
- E in una vettura sdrucita il viaggio durò due ore e mezzo!... Giunti, Don Bosco subito osservò che la casa era in una bella posizione, ma, avendo appena tre finestre di fronte, troppo piccola.
- È sufficente! rispose Don Bianchi.
- Ebbene, vediamola!... - e si avviò per entrare nelle camere a pian terreno.
Don Bianchi lo fermò, dicendo:
- Qui son tutti magazzini appigionati a negozianti; il locale per le figlie è sopra!
Salirono. Don Bosco credeva che quella casa fosse di sua [1343] proprietà, tuttavia riteneva strano che sotto un noviziato di figlie vi fossero dei magazzini, ma pensava che facesse ciò per aver qualche reddito e così far fronte alle spese; e non disse nulla.
La casa era di quattro piani. Giunti sul pianerottolo del primo piano stese la mano per suonar il campanello, e Don Bianchi: - Non è qui, sa! L'appartamento è occupato dal padrone di casa. Quello destinato alle figlie è più in alto, al quarto piano.
- Ma come? - disse ridendo Don Bosco - questa casa non è sua, e vuol ci mettere un noviziato di figlie?
- Oh vedrà che si accomoderà tutto, compreremo... faremo... la cosa deve riuscire!
Saliti all'ultimo piano, entrarono in una cameretta, e: - Veda! qui sarà il parlatorio disse Don Bianchi; e passati in una seconda stanzetta: qui si farà la cappella! - ed entrati in un'altra piccola camera: - qui il dormitorio!
- Come? vi staranno appena quattro letti, ed ella vuol collocarvi diciotto figlie, che mi dice d'aver preparate?... E la cucina?...
- Si potrà metter nella sala d'entrata ove è il parlatorio.
- Nella cappella, tirando un tendone davanti all'altare.
- E le scuole, la ricreazione, la dispensa, ecc. ecc.?
- Lasci fare che accomoderemo tutto, e troveremo posto a tutto...
- Dunque tutta la casa consiste in tre stanze?
- Per la ricreazione c'è la campagna, e poi ci sono anche le case di alcune figlie...
Don Ronchail scoppiava dalle risa. Don Bosco rideva egli pure, e volentieri andò a fare una conferenza a quelle buone figliuole, e a visitar una grotta raffigurante quella di Lourdes, che Don Bianchi aveva costrutta.
Nel ritorno continuò a rallegrarsi per tanta semplicità, ripetendo: - Oh Don Bianchi!... oh Don Giacinto!...
E Don Giacinto, seguendo le vie della Provvidenza, fondava [1344] l'Istituto delle Figlie di Maria Missionarie, che conta varie case in Italia e all'Estero.
Ad Alassio Don Bosco fece una piccola tappa e scriveva di nuovo a Don Rua:
Parto per Albenga e continuo il cammino, ma non so se giovedì sono a Torino. Probabilmente fino a sabato a mezzogiorno non ci potrò essere. Ad ogni momento le cose moltiplicano, prega e fa' pregare. Ogni cosa indirizzala a Sampierdarena, donde ti scriverò. Ti mando alcune cose da compiere e da spedire. Di' a D. Berto che le sue vacanze stanno per finire. Valete in Domino.
A Lanzo i nostri non sapevano come comportarsi nelle elezioni comunali, e il Santo da S. Pier d'Arena rispondeva a Don Lemoyne di seguire il parere del Vicario, il piissimo Teologo Albert:
OSPIZIO DI S. VINCENZO DE' PAOLI
Questa lettera parte con me nel vapore da Genova a Torino e non so se ti giungerà a tempo. Ad ogni buon modo io credo che voi potete dare il vostro voto secondo il parere del Sig. Vicario; gli altri è meglio che non ci vadano perchè farebbero troppo rumore, e poi avendo fissato altrove il loro domicilio, potrebbesi contestare il loro voto. Non darti però niuna inquietudine pel nostro collegio. Siamo in buona posizione e se qualcuno verrà ad assalirci, dovrà pensarci bene; e poi Dio è con noi.
Giunto a Torino vedrò che ne fu di Bo.
Tu fatti più buono e guarirai. Buone feste a te e a tutti i tuoi e miei figli. Spero di vedervi fra breve.
Addio, caro D. Lemoyne; amami nel Signore e credimi sempre, tuo
Tornato a Torino, la vigilia di Natale, inviava i più cordiali auguri alla contessa Uguccioni: [1345]
Manca il tempo a mille cose, ma non voglio che manchi per fare almeno un saluto figliale alla mia Buona Mamma, ed al mio buon Padre, che ambedue mi usarono tante volte grande carità.
Noi preghiamo ogni giorno per ambedue nelle comuni e private preghiere, ma dimani, giorno del Santo Natale, vogliamo fare un poco di più. Una messa all'altare di Maria, la comunione dei giovani, preghiere particolari, ecco la umile nostra offerta.
Ci metteremo l'intenzione particolare di invocare le celesti benedizioni sopra di loro, sopra tutte le grandi e piccole famiglie, supplicando la misericordia del Signore a volerli conservare in perfetta sanità a lunghi anni di vita felice, conceda a tutti il prezioso dono della perseveranza nel bene, e poi a suo tempo possiamo tutti trovarci raccolti con Gesù e Maria in Cielo.
Intanto le do notizia che le nostre Case camminano con soddisfazione, tutte sono rigurgitanti di allievi, in quest'anno passano di assai i sette mila; centoventi entrarono nel Chericato e speriamo diverranno veri operai del Vangelo nelle rispettive Diocesi.
Se mai vedesse il Dottor Poggeschi, favorisca dirgli che suo figlio, che è in Valsalice, sta bene, e compie i suoi doveri colla speranza di molto buon successo.
Scriverei ancora, ma gli occhi non fanno gran bene il loro dovere, perciò mi raccomando con D. Berto alla carità delle loro preghiere, li benedico tutti e mi professo con molta gratitudine e venerazione.
Chi sa quanti biglietti e quante lettere scriveva per le feste di Natale, per il Capo d'anno, per la Pasqua e in altre particolari circostanze ai suoi benefattori, e quanti ringraziamenti gli giungevano per le sue delicatezze!
Il Prof. Tommaso Vallauri gli mandava „centomila grazie per le rose, per la cassettina e per le preghiere” fatte nel giorno suo Onomastico, 21 dicembre.
Egli ricorreva sempre a tutti, e tutti avevano in lui la massima confidenza.
Quell'anno il Teol. Margotti gli raccomandava un ragazzo di Testona sui nove anni, con tutti i requisiti per essere accettato nell’Oratorio, ma senza pagamento, dicendogli: [1346]
“Vedremo se è vero ciò che dicono i Testonesi che io sono onnipotente con Don Bosco!”.
L'Avv. Succi gli proponeva di trasportare il Collegio di Valsalice nella sua villa, quand'avrebbe terminato l'affittamento del locale dei Fratelli delle Scuole Cristiane, e di lasciargli, prima di morire, „una rendita da L. 25 o 30 mila per l'invio di sacerdoti nelle missioni”.
Mons. Simeoni, Segretario della S. Congregazione di Propaganda Fide, lo ringraziava per aver accolto un suo raccomandato, che „per la vivezza del suo carattere e per la poca sua sofferenza della disciplina di famiglia”, abbisognava „di quella educazione religiosa e civile che si sa dare nelle case”dirette dai Salesiani. Quando dalla veneranda Curia Arcivescovile di Torino.
Si fece la raccolta degli scritti del Santo, vennero consegnati anche molti biglietti, senza data, ed altri senza dichiarazione del nome di coloro, ai quali erano stati diretti.
Alcuni sono sotto o dietro immagini sacre. In una si legge:
Dio benedica voi e tutta la vostra carità; Maria Protegga e difenda tutta la vostra figliuolanza da ogni disgrazia di anima e di corpo e vi guidi tutti per la via del Paradiso.
Sotto altre immagini della B. Vergine:
Sia madre, maestra e guida al cielo.
Maria un anno felice porti a nome del buon Gesù a Voi e a tutta la vostra famiglia.
Ogni giorno sia per voi un passo verso il paradiso.
Spesso erano accompagnati con piccoli doni, frutta e primizie, anche di paesi lontani[271].
In alcuni diretti alla signora Fava Bertolotti si legge:
Il Sac. Giovanni Bosco offre a Lei e alla damigella alcuni grappoli d'uva.
Il Sac. Giovanni Bosco raccomanda un Posto riservato nel miglior modo possibile. [1347]
È un pero duro, ma lo faremo cuocere nel santo timor di Dio. Cose da ridere, ma lo gradisca colla sua damigella.
Pieno di riconoscenza per particolari servigi avuti dal Prof. Vincenzo Lanfranchi, gli scriveva nel giorno del suo onomastico:
Al celebre Dottore Vincenzo Lanfranchi, - sue mani.
Viva S. Vincenzo e Chi ne porta il nome.
Se favorevole - mi fosse il vento, - farei la rima con mille e cento. - Ma che? il marsupio - che fu tarlato - a cencinquanta - m'ha limitato!
Mille evviva, mille anni di vita felice. Amen. - Sac. G. Bosco.
Nel cuor suo, dopo l'amor di Dio, regnava e regnerà ognor sovrana la riconoscenza per i benefattori!
Non ci resta altro che esporre alcuni particolari sul continuo lavoro, compiuto dal Santo, per la diffusione della buona stampa a vantaggio della gioventù e del popolo.
Uno dei suoi più vivi desideri, come abbiam accennato, era quello d’iniziare la pubblicazione di una raccolta di autori latini cristiani per gli alunni delle scuole classiche.
Da anni vagheggiava quest'iniziativa, solito com'era ad esaltare il valore di tali autori.
Il Prof. Vallauri aveva poste in un suo scritto parole di biasimo su di essi, dicendoli più intenti ad esporre le verità della religione cristiana, che ad aver cura della lingua e dello stile. Lo scritto venne nelle mani di Don Bosco, e il Santo si propose di farne osservazione al professore. E non tardò l'occasione, perchè il Prof. Vallauri si recava a trovarlo per affidare alla nostra tipografia la stampa di alcuni suoi lavori; ed egli:
- Godo, gli disse, di far conoscenza con un letterato noto in tutta Europa e che tanto onora, la Chiesa con i suoi scritti!
Il professore alzò subito il capo e l'interruppe, dicendo:
- Vuol, forse, darmi una staffilata! [1348]
- Ecco! - rispose Don Bosco dopo aver taciuto un istante - le dirò soltanto una cosa. Ella sostiene che gli autori latini cristiani non scrissero elegantemente? Ma San Girolamo è paragonato a Tito Livio, Lattanzio a Tacito, Giustino a ...
Vallauri chinò il capo, riflettè, poi esclamò:
- Don Bosco ha ragione; mi dica pure quel che debbo correggere, ed io ubbidirò pienamente! È la prima volta, veda, che sottometto il mio giudizio a quello d'un altro! Questi sono preti schietti, e i preti schietti mi piacciono!
E nel 1874, mentre era a Roma, Don Bosco scriveva a Don Giovanni Tamietti, catechista nel collegio di Borgo San Martino, al quale aveva affidato la preparazione del primo volume della nuova collana:
Ho ricevuta la tua lettera e ne ho avuto piacere. Ciò dimostra che tu non metti in dimenticanza il più affezionato de' tuoi amici.
Il lavoro di S. Gerolamo a qual punto si trova? De scriptoribus ecclesiae fu messo in corso di stampa?
Saluta nel modo più caro i tuoi allievi e di' loro che ho dimandato per loro una speciale benedizione dal S. Padre, che io prego per loro, e che mi raccomando per una comunione secondo la mia intenzione.
Amami nel Signore e credimi sempre
Nel mese di marzo tornava a scrivergli:
Divus Hieronimus: De Ecclesiae scriptoribus in usum tironum, additis adnotationibus. Studia di mettere qui il tuo venerando nome e dignità. Il dottor Lanfranchi mi disse tener già preparata una prefazioncella.
Questo è il mio parere, ma tu procura di pensarvi, intendervi col detto Prof. Lanfranchi; io do ad ambidue i pieni poteri.
Credo che si possano aggiungere le vite di S. Paolo eremita, S. Ilarione e di Malco, ma deletis delendis. Anzi prima che si stampino desidero di vedere anch'io queste ultime.
Credo che tu possa venire a Torino la settimana santa, epoca in cui potremo parlarci del fatto e del da farsi. [1349] Fa' un caro saluto ai tuoi allievi, e dì loro che io li raccomando tutti al Signore, e che se mi vogliono bene, facciano una santa comunione secondo la mia intenzione.
Dio ci benedica tutti, e credimi in G. C.
Contemporaneamente, con questo caro bigliettino, l'incaricava di salutare, uno a uno, cominciando dal Direttore, tutti i confratelli che si trovavano a Borgo S. Martino:
Ti prego di fare un salutone al Sig. Direttore ed un saluto a Don Bodrato, a D. Chicco e ai suoi conigli, a Giulitto che si faccia buono davvero, a Ghione che stia allegro; a Franchino che faccia davvero; a Farina G. che è tempo di ...; a Farina Carlo che alzi le matemat. alto alto; a Falco che mi prepari un paio di piccioni; a Rocca che non tema, a Bo che non aggiunga la traduzione tedesca. Agli altri poi, cioè a Lusso, Montiglio, Nai, Orlandi, Scagliola, Berardo, Briatta, Molinari, Peracchio etc. etc. che si facciano tutti santi, cominciando dalla Reverenda tua persona. Non è più lontano il mio ritorno.
Al Santo non pareva giusto, e molto meno vantaggioso, che ai giovani studenti delle classi ginnasiali e liceali fossero dati a tradurre solamente autori pagani, riboccanti ad ogni pagina d'insanabili superstizioni e di fatti mitologici, e perciò voleva che loro fossero posti in mano anche autori cristiani - tra i quali non mancano molti, che senza aver lo scopo di rendersi famosi per lo stile e per la lingua, son degni tuttavia d'esser messi a fianco dei migliori autori pagani e così educar meglio la gioventù nella scienza e nella religione. Così diceva in una bellissima lettera in latino, diffusa dalla libreria salesiana, per annunziare la pubblicazione degli Scrittori Latini Cristiani[272].
Purtroppo pochi furono i volumi pubblicati nella nuova collana; nel 1881 erano appena quattro! Ma in tutte le nostre case vennero regolarmente adottati con profitto, anche [1350] col dare ai professori, a quando a quando, l'opportunità di dir agli alunni una buona parola.
Da Roma scriveva anche al Direttore di Borgo S. Martino, per incoraggiarlo a scrivere la vita di N. S. Gesù Cristo, com'erano intesi:
Se mai tu avessi già concertato qualche cosa intorno alla vita di G. C. nel senso indicato, io ne sarei contento che tu ti mettessi all'opera; altri presentemente non avrei, cui si possa affidare questo lavoro delicato: essendo già tutti stracarichi di occupazioni.
Forse sul termine della p. settimana potrò scriverti di più cose, intanto pregate che il demonio non guasti le rose.
Dì a quelli della Compagnia del SS. Sacramento che mi raccomando loro per una santa Comunione.
Dio ci benedica tutti. Prega pel tuo povero, ma in G. C. sempre
Ma le tante occupazioni impedirono a Don Bonetti di compiere il lavoro desiderato.
Diffondere buoni libri tra il popolo e la gioventù fu una cura assidua del Santo ed anche uno dei fini particolari assegnati alla Pia Società.
Un ex - allievo dell'Oratorio di San Luigi, Francesco Amedei, faceva questa testimonianza:
L'anno 1874 (se non erro) mi trovava al servizio della pia Damigella Carolina Palliotti (ora sig. Tofanetti), la quale fu molte volte onorata della visita del santo uomo, anzi, più volte fecegli dolce violenza che volesse accettare di onorare la sua mensa. Come domestico e servendo a tavola, non è a dire come mi rendessi indiscreto nell'ascoltare il suo parlare, e come fossi vivamente contento quando quella signora damigella lasciando cadere il discorso sul mio individuo disse aver io molta inclinazione allo studio (fosse almeno stato vero) e che le ore libere dal servizio le occupavo nel leggere o scrivere. Ciò sentendo il buon padre richiesemi degli studi da me fatti e dei libri che leggevo, a cui risposi in riguardo facendogli vedere il libro che stavo leggendo in quei giorni. Era un'opera del Macchiavelli. Nel vederne l'intestazione egli dissemi che non era un libro adatto per me, e se volevo farne il cambio me ne avrebbe portato [1351] uno più confacente alla mia età di 17 anni. Accettai ben volentieri il cambio. Nel ritirare il libro, in modo faceto, disse che gli scritti del Macchiavelli erano sinonimo di malizia e citò il detto che ancor corre tuttodì, cioè che quando qualcuno ha fatto una bricconata dicesi che fece una macchiavellica.
Mantenne, anche in mezzo ai suoi grandi ed imperiosi affari, la parola data, ricordandosi di un umile domestico. Molti giorni dopo ritornò portandomi il libro promesso: era il Giovane Provveduto e, nel consegnarmelo, richiesemi se avevo qualche inclinazione per lo stato ecclesiastico, a cui francamente risposi aver idee piuttosto bellicose e aver desiderio andar soldato: diedemi quindi la sua benedizione augurandomi di essere un buon soldato cristiano e un buon padre dì famiglia. Il suo augurio si avverò, fui soldato per cinque anni in cavalleria ed ora sono padre di famiglia ed il libro allora ricevuto lo conservo ancora come uno dei più cari ricordi...
Quell'anno usciva la sesta edizione de L’Aritmetica e il Sistema Metrico di Don Bosco, riveduta anche da Don Rua, ed egli scriveva a Don Durando:
Se la mia grande aritmetica è terminata, osserva tosto se si può usare, come credo, nelle scuole nostre elementari, e mandane copia alle case.
Di poi màndala ai vari giornali: specialmente alla Frusta ed all'Osservatore Romano.
Compila tu o il Cav. Lanfranchi un articoletto per l'Unità Cattolica in cui si noti segnatamente la popolarità del libro.
Dio ti conceda tre S. Prega pel tuo
E il 24 ottobre L’Unità Cattolica annunziava la nuova edizione con questo grazioso trafiletto:
Don Bosco anche matematico? Questa domanda ci uscì spontanea dalla bocca quando ci capitò nelle mani il libro testè indicato. E dovemmo convincerci che sì, allorchè, avendo esaminato questo trattatello, il trovammo condotto con tanta semplicità, chiarezza d’idee e popolarità, che il crediamo il più acconcio per le scuole elementari, in servizio delle quali in questa nuova edizione l'egregio autore ha aggiunto in fine quelle elementari nozioni di geometria prescritte dai programmi governativi. [1352] Or ecco i fascicoli pubblicati in quell'anno nelle Letture Cattoliche.
GENNAIO. - Massimino ossia incontro di un giovanetto con un ministro protestante sul Campidoglio, esposto dal sacerdote GIOVANNI Bosco.
FEBBRAIO. - S. Giuseppe Protettore della Chiesa Cattolica per Giuseppe Frassinetti già Priore a S. Sabina in Genova.
MARZO. - Compendio della vita di S. Tommaso d'Aquino - nel sesto centenario della sua morte pel Sac. G. Bonetti
APRILE. La vita di S. Ambrogio Vescovo di Milano e Dottore di S. Chiesa.
MAGGIO. Guglielmo senza cuore, ossia il carcerato di Poissy. Versione dal francese.
GIUGNO. - La coda della gran bestia.
LUGLIO - DICEMBRE. - L'evangelista di Wittemberga e la riforma protestante in Germania pel Sacerdote Gio. BATT. LEMOYNE Direttore del Collegio di Lanzo.
Il 30 gennaio, l'Osservatore Romano facendo un elogio delle opere stampate da Don Bosco, lo diceva un „miracolo di carità e di modestia”; e in fine parlava „della prima tra le pubblicazioni di quest'anno, edita dalle Letture Cattoliche e che ha per titolo: Massimino, ossia incontro di un giovinetto con un ministro protestante sul Campidoglio”:
“Ne è autore quell'instancabile operaio nelle vigne del Signore che è il Sacerdote Giovanni Bosco. Tutti gli errori che i nemici della religione nostra santissima vanno spargendo per traviare i semplici e gl'ignoranti, specialmente per ciò che riguarda la venerata Sede del Capo della Chiesa, vi sono confutati con uno stile chiaro, persuasivo e adattato all'intelligenza di tutte le persone. Noi lo raccomandiamo caldamente ai nostri benevoli lettori. Sparso in mano al popolo, esso non può produrre se non frutti ubertosissimi di religione e di morale”.
Anche l'Unità Cattolica il 12 febbraio faceva delle Letture Cattoliche queste lodi:
Le Letture Cattoliche „sono entrate nell'anno XXII della loro pubblicazione, e accennano a diventare sempre più gradite e diffuse tra il popolo. Dall'ultimo fascicolo dell'anno scorso, la Gran Bestia se ne spacciarono in pochi mesi 15.000 esemplari, e s'è dovuto imprendere [1353] in pochi mesi la terza edizione, lasciando inalterato il prezzo a centesimi 30 la copia. Il primo fascicolo poi del 1874, intitolato Massimino, ossia Disputa fra un giovanetto cattolico e un Protestante sul Campidoglio, raccontato dal sacerdote Giovanni Bosco, ha destato vivo interesse, specialmente nella città dove i protestanti cercano di pervertire le popolazioni. È uscito il fascicolo di febbraio, col titolo San Giuseppe, del sacerdote Frassinetti (centesimi 30 per copia e lire 24 il cento); il solo nome dell'autore basta a invogliare ognuno a farne l'acquisto. Per occasione poi del Centenario di San Tommaso d'Aquino e delle feste che si celebreranno a Milano in onore di Sant'Ambrogio, già sono in corso di stampa la vita di San Tommaso d'Aquino, del sacerdote Bonetti, e la vita di Sant'Ambrogio, desunta dalla Cronaca di Paolino, per cura del teologo Chiuso, segretario arcivescovile della Diocesi di Torino. E dopo questi fascicoli sarà pure nelle Letture Cattoliche pubblicata la vita di Martino Lutero, scritta dal sacerdote Lemoyne, l'autore della vita di Cristoforo Colombo”.
L'Evangelista di Wittemberga di Don Lemoyne, ossia la vita di Martin Lutero, di 696 pagine, fece anch'essa un gran bene.
La vita di S. Ambrogio era del Sacerdote Teologo Tommaso Chiuso, Segretario Arcivescovile e Membro dell'Accademia Ecclesiastica Subalpina.
Quando si prese a restaurare l'antica Basilica di S. Ambrogio a Milano, si scoprì alla profondità d'un metro dal piano dell'altar maggiore un'urna di porfido, chiusa da una lastra dello stesso marmo, dentro la quale, nell'agosto del 1871 si trovarono tre scheletri in ottima condizione. La S. Sede avocò a sè il giudizio sull'autenticità di quelle reliquie e, dopo accuratissimo esame, Pio IX con Lettera Enciclica del 7 dicembre 1873 confermava la sentenza della S. Congregazione dei Riti: cioè che i corpi ivi scoperti erano quelli dei Santi Ambrogio, Gervaso e Protaso.
Ed ecco un fatto, che ci serve di conclusione a quanto abbiamo esposto, essendo una prova lampante che non solo Don Bosco, ma quanti lo conoscevano bene, avevan dinanzi la visione del meraviglioso avvenire della Pia Società!
Nel 1874, celebrandosi le feste del decimoquinto centenario dell'ordinazione episcopale di S. Ambrogio, anche Mons. Gastaldi si recò a Milano ad onorarle di sua presenza [1354]; e, sedendo a tavola con molti vescovi e distinti personaggi, da uno venne interrogato:
- Voi, che avete in casa Don Bosco, che dite di lui e dei Salesiani? Sappiamo che vi mette sossopra la diocesi; dite chiaro chi è questo Don Bosco? che fa la sua Congregazione?
- I Salesiani fanno del bene, rispose, ma ne potrebbero far di più, se fossero più obbedienti al loro Arcivescovo. Certo, tra breve, Don Bosco farà strabiliare il mondo intero per l'energia della sua Congregazione. Essa è ancora in deboli principii, ma prenderà proporzioni gigantesche! vivrà dello spirito di tante altre corporazioni religiose, e mentre queste perseguitate dal mondo e dal demonio andranno decadendo, essa si spargerà per tutto il mondo, sarà ricercata da tutte le potenze, stenderà i suoi rami da un polo all'altro. Nessuna forza umana basterà ad impedire il suo sviluppo!
- Ma voi credete proprio, Monsignore...
- Sì! io sono persuaso che i Salesiani son destinati a sostituire quegli ordini religiosi, il cui tempo è passato, ed a raccoglierne l'eredità!
Nonostante coteste dichiarazioni, Monsignore continuò sempre a far opposizioni a Don Bosco; e questi, interrogatolo un giorno perchè facesse così, lo sentì rispondere:
- Anche la Chiesa perchè si rassodasse e mettesse radici ebbe bisogno per tre secoli d'essere perseguitata!
- Oh! Monsignore, esclamò sorridendo - il Santo, mi sembra che V. E. non si metta in troppo buona compagnia!
Per grazia di Dio, tante difficoltà giovarono anch'esse a dar all'Opera di Don Bosco una formazione più regolare; e noi concludiamo ricordando le parole del Santo Fondatore:
- Se vogliamo che la nostra Società vada avanti colla benedizione del Signore, è indispensabile che ogni articolo delle Costituzioni sia norma nell'operare! [1355]
PROMEMORIA PER L’UDIENZA PONTIFICIA DEL 28 GIUGNO 1871
(N.B. Le parole in corsivo vennero apposte dopo l'udienza)
UDIENZA DEL S. PADRE 28 - 6 - 1871] Album sodalium et alumn. Sales. Lanzo - B. S. Martino - Cherasco - Alassio - Torino - S. Luigi - Angelo Custode - S. Giuseppe.
Contessa Appiani pres. della Soc. delle chiese povere.
Comitato di Benef. e catechismi ecc.
Monache Madd., Refugio, S. Anna, Compagne di Gesù.
Nostra Congregazione, se meglio in Italia, nella Svizzera, Indie, Algeria, Egitto, California. Chiesa di S. Giovanni Evangelista: bene.
Indulgenza plenaria ai benefattori e giovani sopravvenuti dopo l'anno passato: due volte al mese. Dimissorie ad septennium.
Al Teol. Molinari. Casi della Penitenzieria e benedire medaglie crocifissi ecc. Ad quinquennium. Al Comitato di leggere libri proibiti. Messa, e se può comunione, alla Dep. Concesso.
DUE ISCRIZIONI DI MONS. FRATEJACCI
PER L’APPROVAZIONE DEFINITIVA DELLA PIA SOCIETÀ
in . summa . rerum . angustia . quasi . ex . tempore . concinnatum
ac. in. sollemni. arcadum. coetu
sexto. saeculari . die. recurrente . obitus [1356]
amoris et . obsequéntis. animi. causa D. D. D.
summa. theologica. tanti. magistri
ac . ut. imber. matutinus. imbuat. ingenia
clericorum . alumuorum . Societatis
a . divo . Francisco . Salesio . nuncupatae
supremo. sedis . apostolicae . decreto . nunc . primum
sedente. PIO. IX . Pont. . O. . M.
et . rei . christianae . publicaè . bene . vértat
viro . clarissimo . pietate . ac . doctrina
Societas. a. Divo. Francisco. Salesio
mox. magnis. ac. miris. in. dies. incrementis. aucta
et. plurium. suffragantibús. Fpiséoporúm. votis
a. sacro. Patrum. Cardinalium. ordine
negotiis . et . consultationibus . Fpiscoporum et . Regularium . prae
semel . iterum.que . próbata . et . commendata [posito
supremo .' denique . S. . Sedis . firmo.que . judicio . confirmata
apostolicis . litteris . ad . perpetuam . rei . memoriam . mumtâ
anno . reparatae . salutis . M . D . CCC . I,XXIV
ioannes . baptista. fratejaccius
et . vice .,sacra . Antistitis . Ostiensis
in.. tanti. operis . admirationem . versus
et . fausta : cuneta . praecatur [1357]
INLUSTRISSIMO AC REVERENDITISSIMO DD. IOANNI BOSCHO SACERDOTI EGREGIO
ADVENTANTI B
BEINASCHUM CLERUS POPULUSQUE ANNO Domini 1874.
Te Roma reducem Pastor, Clerus, Populusque
Beinasci excipiuilt, magne Sacerdos ave!
Gaudia referre tibi nec vox, nec carmina possunt,
Cleri praesidium, dulce decus Patriae!
Namque ut linquentem praerupta cacumina Mosem
Iam montis proceres ore videre timent,
Haud aliter, gaudent animi, attamen ora vereri
Iam tua nunc discunt, causa timoris adest.
Si Mosi angelus est coelestia verba locutus,
Angelus ipse loqui nunc tibi multa solet.
Angelus at Raphaël, Michaël Gabrielque relapsus
E Coelo, istorum nani Pius omnia refert,
Vocem, animosqúe, pios et pectore sensus
Virtutum, robur dant Michaël, Gabriel;
Quia dat tela prior Coeloque diuque probata
Queis iam Luciferum depulit et socios.
Parcere subiectis, et debellare superbos
Iam Romanorum munia nunc Pins habet.
At saepius Coelo Raphaël miseratus humani
Fert generis medicus pharmaca mitia Pio.
Clementiamque animi, in miserosque suadet amorem
Nam mlseretur amans, parcit et ipse Deus.
Quin similis,' reterensque Deum, bona cuncta precatur
Et vice Del functus dat bona cuncta Pins
Utque fuit Moses homines mitissimus inter
Omnes, et facie mosse Deum meruit;
Utque viro loquitur vir, sic loquebatur amico
Deus Mosi, Pins et sic tibi, nunc loquitur,
Quippe per omnia tibi et facilem, et sé praebet amicum
Qui iam te mitem noverat, atque facit:
Imbuit ut ferrum magnes virtúte tradendi,
Sic te virtutes induit ore Pins.
Lucidus atque brevis prima ipsa in imagine sistam;
Ut Del Cornutam colloquio faciem.
Moses Monte Deo factusque simillimus ipsi
Praetulit, et proceres sunt veriti aspicere; [1358]
Sic te Dei vice fungens sancto in Monte moratum
Afficit, et similem efficit ipse Pius.
Ergo te Deus atque Pius misere, precamur,
Atque in te colimus numina tanta simul.
Col Permesso dell'Autorità Ecclesiastica
Torino 1874 - Tip. dell'Oratorio di S. Francesco di Sales.
Alla maggior Gloria di S. Divina Maestà!
Torino, 9 aprile 1874 - Istituto.
Memorandum che potrebbe servire di qualche direzione nelle disposizioni a prendersi per lo stabilimento della Congregazione in America - Stati Uniti.
Io mi prendo la licenza di sottometterle, in iscritto, quanto ho avuto l'onore di comunicarle a voce intorno al mio mandato e ai mezzi e modi coi quali rispondervi.
E ciò io faccio nella lusinga di prevenire i suoi desideri, quello, cioè, di aversi innanzi, in un quadro solo, tutto che riguarda quest'opera. In esso io esporrò francamente quello che mi pare non potersi porre in non cale senza pericolo. Tanto più io mi sento in dovere di ciò, poichè è così diverso quel nuovo mondo da questo vecchio, che chi non lo ha conosciuto da vicino, e pensasse oprare là, come è uso oprare qui, assicurerebbe un insuccesso, e questo irreparabile; ed io comprometterei l'opera di Dio, il mandato del Vescovo, i di Lei sforzi, e me medesimo. Mio dover si è di esporre tutto.
Natura del mio mandato. - Il 10 giugno, alle 10 di sera, 1873, arrivato a Savannah, da cui dovevo partire a mezzanotte per New York, fui a visitare Mons. Gross, attuale Vescovo di Savannah, il quale veggendomi risoluto di recarmi a Roma, mi incaricò di trovarvi que' uomini che potessero aiutarmi ad erigere un Seminario Diocesano in Savannah, dicendo: - Io vi assegno settecento acri di terreno ( l'acre misura 70 metri per ogni lato) col reddito dei quali possiate sopperire alle spese; ma io, disse, non voglio pensare a nulla ( intendea quanto ad amministrazione e direzione ).
Io feci qualche osservazione sulle qualità di questi uomini; ma lui discese alle più grandi facilità e dicendo: - Non chiedo uomini distinti. - In ciò, nè più nè meno, consiste il mio mandato. Se [1359] l'ora non pressava, l'avrebbe posto in iscritto, ed avrei discorso assai su ciò, ma la carrozza aspettava, e via.
Questo mandato dice poco a chi lo legge così, e dice molto per quello che soggiungerò qui sotto.
Quattro anni prima, essendovi Vescovo Mons. Verot, i cittadini di Savannah instavano perchè io vi introducessi un Collegio per gli agiati, esibendomi 80.000 dollari per le prime spese.
Ciò non era certo un progetto mio, ma era bello, era dimandato dalla necessità; lo accolsi, lo maturai e consultati i Gesuiti di Baltimora, questi avevano molto caro di venire, ma difficoltà di natura, affatto estrinseca all'opera, fece che non ne parlassi al Vescovo, e lasciai sospesa ogni trattativa, tanto più che presto o tardi altri avrebbero fatto e meglio di me.
Savannah, città e porto della Georgia, contiene 45.000 abitanti; molto gentile e di commercio imponente, che centralizza quanto l'Alabama, la Florida, la, Georgia e parte della Carolina mette in commercio; non solo non ha in essa un Collegio regolare maschile, mentre ha grandi scuole, licei, università, ma per 800 miglia al nord e più di 1000 al sud, non v'ha un miserabile Collegio, nè libero, nè protestante, nè cattolico. Basti ciò per mostrare la necessità di un Collegio.
Savannah cattolica ha due numerosissime scuole libere, ed ha un Orfanotrofio maschile affidate alle Monache. È facile comprendere come se fossero in mano a Sacerdoti, sì questi come quelli, risponderebbero meglio al loro scopo e ai desideri del Vescovo e dei cittadini, che elargiscono a provvederli.
Savannah non ha che sei preti in città e nove per tutta la vasta diocesi. I preti mancano, e quelli che vi sono non hanno una Casa ove fare i loro Esercizi e dove far capo per i loro bisogni spirituali e scientifici.
Ora, questo che era nato e deposto nell'anima mia, senza speranza di poter darci vita, mi si corse tutto in vista al momento che Mons. Gross mi dava la sua commissione per un Seminario, dicendo:
- Io ne ho abbastanza per me che mi diate dei preti alla Diocesi
- non avea tempo, nè importava dicessi al Vescovo cosa io pensava d’aggiungere al Seminario. Tanto più che io pensava di ritirarmi in Religione.
1° Che un Seminario può essere Collegio e Seminario assieme, fino almeno alla Teologia? E quindi scemate le spese del Collegio e del Seminario, chè, Casa, amministrazione, direzione, insegnamento, servizio, può servire per l'uno e per l'altro nel medesimo tempo.
2° Che i giovani del Seminario, se non dànno buone prove per il Sacerdozio, rimangano, senza essere espulsi, per l'educazione [1360] secolare, e che i giovani dei Collegio possano per la comodità, passare da questo a quello.
3° Che con un semplice reparto e differente uscita, anche l'Asilo degli Orfani può essere sotto il medesimo tetto, la stessa amministrazione e direzione, e che per la sorveglianza ed insegnamento loro possono servire i chierici della Casa.
4° Che le scuole libere possono essere consegnate a questa Casa, venendo così, quanto percepiscono i maestri di queste e le Monache degli asili maschili, rimesso alla Casa del Seminario.
5° Che la Casa del Seminario può essere la Casa degli Esercizi, il sussidio spirituale e scientifico del Clero.
6° Che i preti della Casa possono sussidiare il Vescovo per predicazioni e confessioni.
Eppure non si vede tutto ancora, nè il più importante.
Il Vescovo pensa che 700 acri di terra, affittati o lavorati bastino a mantenere un Seminario? Così come sono, basterebbero appena a stipendiare l'agente che li amministra. Renderanno bene se coltivati a dovere, ma ciò importa spese e tempo inconvenevoli per noi. Ciò in cui possono aiutarci, sarebbe vendendo opportunamente tali terreni, per avere con che fondare e andare avanti un due o tre anni.
Se vi unisco, invece, il Collegio, soddisfacendo con questo il desiderio dei cittadini, ho la loro simpatia e, quindi, le loro borse; e la Casa fondata per il Collegio mi serve anche per il Seminario, e le buone pensioni dei collegiali mantengono il personale che serve per l'uno e per l'altro.
Non mi resterebbe che il mantenimento dei chierici; che io limiterei a 12 soli gratuiti. Un buon collegio può sempre offrire 12 piazze gratuite; ma, senza ciò, l'assistenza che presterebbero agli orfani, porta alla casa di che mantenere i 12 chierici.
Quello su cui umanamente io fondo il piano si è sulla affezione dei cittadini, che non conviene pesare sul Vescovo o sulla Chiesa, tuttochè in casi d'urgenza ci presterebbero soccorso.
Uniti assieme questi Istituti, riescono più economici; uno di sussidio all'altro. Collegio ed Asilo guadagnano anche sul Seminario la simpatia e la borsa cittadina, che colà è tutto.
Se poi questa casa è diretta da una Corporazione Religiosa, questo compisce il compito a meraviglia; rannoda tutto, risponde a tutto, e presta al Vescovo, e alla Diocesi, servigi insperabili per altra via.
Questo era il mio concetto, concetto che apersi a nessuno, perchè, sebbene praticabilissimo, io pensava non toccasse a me incarnarlo, e non ci pensava tampoco.
Benedetto il mio ardimento di comunicarlo a Lei - ma non fu precisamente un ardimento. - Appena io m'incontrai con lei a Roma io mi sentii conquiso dalla sua bontà, io mi sentii suo; ma io ero avviato [1361] ai Gesuiti, con lettera al Generale, ma avendola perduta a Foligno, col portafoglio e denari (Provvidenza di Dio!) io non osava presentarmi al Segretario; venni da lei, solo perchè mi affittasse ad ottenere il passaporto, se si ricorda, e non le parlai d'altro che per caso.
Riuscite vane le ricerche per il portafoglio, scrissi a lei, ancora per il portafoglio, e per incidenza le parlai, nella lettera, di quello che era incombensato da Savannah. Il Signore dispose che questo fosse secondo i Suoi desideri; e mi invitò a conferenza, e la conferenza riuscì a questo: che io partii di là suo figlio.
Se, come spero, non sono succeduti cambiamenti, in questi lo mesi, che io sono assente e non ho mai scritto, il Vescovo di là non può che essere sopraffatto dalla gioia che gli avrà apportato la mia lettera.
Vedremo dalla lettera che scriverà e che arriverà qui sul finire di aprile, se nulla vi si è interposto. Nel caso favorevole io sarò felice: 1° che sono suo figlio; 2° che torno come tale alle mie missioni, accanto ad un Vescovo che amo assai; 3°che realizzo colà, più di quanto che avrei mai desiderato: Religioso, Missionario; - Missionario nelle mie stesse Missioni, Fondatore di Seminario, Collegio, Casa di Artigianelli, e, come spiegherò infine: Fondatore di una particolare Missione. Non mi manca che una vera conversione e poi sarò felice!
Sarà quest'Opera incagliata a Savannah. Ella sa quello che disse Mons. Simeoni Lei presente; che io, non avendo prestato nessun giuramento, sono, libero dì andare in quella Missione dove trovi di accordarmi col Vescovo.
Io non recedo dalle mie vie: mi darà un compagno, e dentro un mese, io avrò ottenuto e conchiuso in città più centrali, tanto da aprire Casa e da chiamare assistenti.
Ma speriamo d'andare a Savannah, e nella aspettativa di ciò, siccome non mi conviene di perdere tempo, permetta che esponga qui ora le mie viste intorno a ciò; e per procedere coli chiarezza, le rassegno sotto alcuni punti o questioni:
1° Quanti verran meco al primo partire?
2° Chi sarebbe che dovrebbe venire?
3° Quando e per qual modo e per qual via partire?
5° Quali intelligenze lasciare qui?
6° Sistema di viaggio ed operazioni in via.
7° Primi abboccamenti col Vescovo e guida di trattative.
8° Ciò che si può fare subito e ciò che si deve preparare, senza compromettersi ad impegnarsi.
9° Prospettiva di conclusione.
10° Piano di operazione. [1362]
12° Amministrazione, direzione, insegnamento.
13° Casa, Congregazione, Seminario, Collegio, Asilo.
Punto 1° - Quanti verranno meco? - Nè più nè meno di due. Per quali ragioni? Non meno di due, perchè penso che uno debba venire colà solo per vedere, conoscere tutto, concertare col Vescovo, e poi ripartire subito onde essere il nostro corrispondente qui, il quale sappia intendere quello che noi domandiamo, specialmente in fatto di qualità personali, che un individuo solo può guastare tutto colà, sebbene qui prometta la più bella riuscita. Si persuada, Rev.mo, che un S. Francesco Zaverio, umanamente parlando, non sarebbe l'uomo più adatto colà. Le sembrerà una esagerazione, ma io gli bacierei i piedi pregandolo di portare altrove, tra gli indiani, il suo apostolato. Io ho bisogno di un S. Francesco di Sales, o di un Cardinale di Chevreuse!
Uno che non ha veduto sul luogo i bisogni nostri, mi spedirà pietre in luogo di pane, e quando son là, non si rimandano se non quando hanno fatto il gusto. Una Congregazione formata può studiarli e formarli prima di esporli; noi non possiamo far questo, e i minimi sbagli di lingua, di modi, ecc., saranno ben compatibili; ma guai se si fa capo al compatimento! La porta di sua casa, chiusa come fosse un convento, perdette a Savannah il Vescovo più simpatico che essa avesse avuto, Mons. Persico, che ci durò un anno e mezzo solo. Il versar troppo famigliarmente col minuto popolo, alienò gli aristocratici dal Vescovo attuale.
Se uno, dunque, deve rimanere là con me, ce ne devono essere due che vengono con me. Uno, destinato a ritornare conducendo seco alcuni Americani; e l'altro che resterà là a semplicemente istruire la grammatica inglese, latina e musica, mentre io attenderò a procurar mezzi pecuniari, a dirigere i lavori di fondazione sì morale che materiale.
Non meno dunque di due mi devono accompagnare colà.
E, perchè non più di due? Perchè: 1° Dovendo alloggiare in casa del Vescovo, siamo già troppi in tre. Io andrò a S. Patrizio, che è pure in città. - 2° Non saprei neppure in che occuparli, così sul cominciamento, perchè sarà già molto che si trovi una stanza da aprirvi scuole e insegnamento a una dozzina; ciò che vorrei si facesse subito subito il terzo giorno dal nostro arrivo. Sia per non perdere tempo, sia per mostrare attività, sia per spiegare il perchè di un terzo individuo, il quale non entra nelle trattative, sia per prendere addirittura possesso - come per mostrare che si può, da noi, dare maestri - sia perchè, condotti a passeggio ogni giorno, chiamano l'attenzione dei cittadini; e preparano i loro animi favorevolmente.
Quando il Padre che ritorna sarà giunto a Torino, sceglierà e [1363] spedirà quanti crederà più opportuni, assieme ad operai falegnami e muratori, e materiali di fornitura, ecc. - Non meno nè più di due devono essere, dunque, quei che verranno con me.
Punto 2° - Chi saranno questi due? - Da quello che vanno a fare colà si può desumere chi debbano essere.
Uno deve conoscere, vedere e concertare tutto con il Vescovo, e, guadagnata la sua fiducia, essere il suo e nostro corrispondente in Torino, e più che corrispondente, appoggio del Vescovo e protettore nostro. È evidente che solo il Superiore può rispondere a questo oggetto. Io instò, perchè se ciò è possibile, si determini a questo sacrificio. In caso diverso, io non veggo che tre soli individui che potrebbero supplirla. Il signor D. Rua, D. Cagliero e D. Savio. La prego, Rev.mo, di non pensare di uscire da questi tre. So bene quanto siano indispensabili a questa casa; ma questa è casa fatta, e quella è una difficilissima a farsi; poi non è che per un cinque mesi.
Avendo poi detto che, ritornati, debbono provvedere per colà, vede bene che, se non fossero degli influenti sulla casa, avrebbero a dovere assoggettare le loro disposizioni a chi non le saprebbe intendere, e, quindi, dissipare tutto.
Il posto che tiene il Sig. D. Rua, la sua accorta prudenza, la sua scienza, le sue pulite maniere ed il conoscere già l'inglese, lo segna per il primo sotto ogni aspetto. Io, poi, ho una confidenza speciale in lui, e questo pure val qualche cosa perchè io possa dir tutto. Il sig. D. Cagliero, Direttore Spirituale, teologo e di buon criterio, ha il vantaggio di un nome colà distinto in musica. Esso mi aprirebbe un subito adito alle simpatie cittadine, nel mentre che risponderebbe anche al resto del compito. Il sig. D. Savio è molto giudizioso ed anche gentile, è pratico di negozi. Vedrà ella se poi risponde a tutto. Il sig. Dalmazzo, a Valsalice, come già Rettore di Collegio, ed in particolare per le sue maniere distintamente pulite e interessanti (cosa così ricercata in America) potrebbe essere in vista in questa scelta; ma non lo conosco appieno dal lato dello spirito e della capacità,
Per il secondo che deve associarsi a questa prima partenza, l'ufficio a cui è destinato di maestro di lingua inglese, oltre la latina, dice abbastanza chi debba essere. Non deve essere uno che non ha l'inglese dalla nascita. Io non potrei supplirvi. Portare colà anche un professore d'inglese, ma non nato in quella lingua, assicura l'insuccesso, sarebbe meglio rinunciare all'opera. Le Monache francesi, benchè amatissime, sono condannate agli Asili ed ai negri, perchè non riescono nell'inglese.
Un missionario può essere ammirato, ma un maestro non può che fallire, se non sono nati nella lingua.
In casa nostra non veggo che il Duffy, irlandese. Se questi non inclina al sacerdozio può venire ugualmente, tanto per due anni, e [1364] dopo rimarrà, se vuole, come maestro, o cercherassi colà impiego, che non ci mancherà e più lucroso di qui.
Ma se non dee venir lui, non credo si possa pensare ad altri in questa casa. Lo svizzero è un buon figliuolo. Come missionario potrà fare, ma mai come maestro di lingua inglese. Non conviene assolutamente che venga ora, e se dovrà venire poscia, mi permetta fare qualche osservazione sullo zelo suo che potrebbe oltrepassare i limiti voluti dalle delicatissime nostre contingenze.
V’ha uno piuttosto in questa casa, che se colà potessimo avere un posto che non richiede lo inglese, ce lo domanderei di cuore. Io non ci ho mai volto parola, lui non mi ha mai parlato; eppure, quello è il solo, in tutta la casa, per cui faccio preghiera ( si intende, solo fra i chierici ) e questi è il signor Chiala.
Qualunque sia l'esito che farà nell'inglese, io ringrazierò molto Sua Reverenza se me lo darà, e lo darà a me in particolare. Ora, però, mi sarebbe un di più.
Che si avrà a fare, se non avremo il Duffy?
Nel passare per Londra od Irlanda, ne cercheremo uno e condurremo quello, che ne troveremo dei disposti ad unirsi con noi!
Punto 3° - Quando, per qual modo e via partire? - Questa questione non è punto intempestiva, nè di leggero momento come apparisce: piccole cose creano contrattempi ed ostacoli, le cui conseguenze riescono gravi.
Quando si partirà? Ove tutto fosse pronto al venire della risposta, restano provvigioni a farsi, disposizioni a darsi, e a sollecitare il tutto, non si perderanno mai meno di 15 giorni, ed eccoci alla metà di maggio. Una settimana ancora di personali preparativi, e spedizione dei bauli e casse a piccola velocità a Genova per New York. Andata e ritorno mio da Genova ed eccoci al finire di maggio. La partenza, al tutto sollecitare, non può essere effettuata prima del finire di maggio.
Non conviene ritardarla a dopo, per causa di chi deve ritornare; perchè 25 giorni occorrono per recarsi, a far presto, a Savannah, ma per quello che dirò ci occorrono 35 giorni.
A partire di qui col 1° Giugno saremo a Savannah al 5 luglio. Due buoni mesi vi occorrono colà ed eccoci al 5 settembre prima che il Rev. Padre possa partire - e passa il mare dal 10 al 25 detto mese - ed è qui col 1° Ottobre.
Quind'innanzi il mare non è più così facile. È questa la ragione per cui ho chiamato l'attenzione al quando, - onde non si perda tempo.
Un altro motivo. Bisogna pure dare solennità a questa partenza - ed una solennità più grande che sia possibile. I motivi sono varii. Se tutto è pronto, si potrà fissare che questa accada alla chiusa [1365] del Mese di Maggio; onde finire una solennità con l'altra. Meglio se potesse avvenire il giorno di Pentecoste, il 24 maggio.
Modo della partenza. - Preparato tutto, io conduco i bauli a Genova dal Lanata, perchè li spedisca a New York, ovvero si consegnano qui da spedire a Londra, Ufficio dell'Ancor line - piccola velocità, che altrimenti costano un orrore, non rimanendo con noi se non quello che si può recare a mano.
La partenza restando fissata alle 9, 20 Porta Nuova, conviene che la funzione sia finita alle 8 ½ antimeridiane, e siccome è lunghetta, dee incominciare alle 6.
Lascio determinare al Signor Superiore intorno a tale funzione. Io mi limito a segnare soltanto quello che può rendere questa solennità toccante.
Fatto previo invito al popolo, non solo pei soliti avvisi, ma anche per varii giornali; la mattina, ascoltata la S. Messa celebrata con distinzione; e i Missionari che partono inginocchiati a faldistorio distinto, innanzi l’altare; un Predicatore sale il pulpito a dare la più toccante idea di ciò che sia un Missionario.
Indi il Superiore, o l'Arcivescovo, ascende l'Altare e, dette due parole ai Missionari, benedice il loro Crocifisso e ne lo porle al collo e sul petto (il Missionario deve avere la fascia al suo abito onde fermare il Crocifisso), e lo abbraccia e ci dà un bacio.
A questo punto nel silenzio del Coro ogni prete della Casa va a dare il suo abbraccio ai Missionari, che stanno ai piedi dell'Altare ma questo andare dei preti deve sembrare spontaneo e non condotto con quella fredda mimica che toglie ogni patetico. Quindi i chierici vanno a baciarci le mani.
Qui il coro intona una canzone preparata allo scopo, e dall'altare i Missionari, attorno al Superiore, baciata la mano all'Arcivescovo, partono discendendo in mezzo al popolo; e vanno addirittura alla porta, dove salgono in carrozza col loro Superiore, che li accompagna alla stazione. Altre carrozze di signori, amici e benefattori, della Casa, che saranno stati invitati ad onorare questa partenza seguiranno la carrozza dei Missionari, ed in altre carrozze verranno i preti della Casa.
I giovani più quieti e puliti, ma in buon numero, e i chierici pure, si saranno portati innanzi in compagnie, onde salutare i Missionari alla stazione e baciarci la mano.
Se ciò farà scendere qualche lagrima, quella sarà seme di generosi propositi. Non si lasci nulla di intentato per rendere questa solennità commovente, dicendo che è già commovente per sè stessa. Quelle dimostrazioni fanno insuperbire il Missionario; ma è bella, è vantaggiosa una tale superbia, sì per la causa di Dio, come per l'Istituto, e il Missionario medesimo.
Quale via converrà prendere? - Se viene il Dufly, si può prendere [1366] vapore a Genova per New York. Si spendono 20 giorni, e 700 lire cadauno, e non vi è spesa per i bauli. Se non viene il Duffy, siccome bisognerà andare a Londra o in Irlanda a cercare un maestro, allora si partirà per la Francia, Parigi, Dieppe - New Haven, Londra, Glascow, indi si entra in mare per New York.
Partendo da Torino alle 9, 20 ant. si arriva a Parigi direttamente alle 3, 40 pom. del giorno dopo. Si passa alla stazione dell'Ovest, e si prende il biglietto per Londra, ove si arriva il giorno dopo. A Londra si comprano i biglietti dell'Ancor line, e con questi si procede per ferrovia a Glascow, e di qui a New York.
A New York conviene fermarsi per visitare i Vescovi e gli Istituti onde chiamare attenzione, se si vuole essere poi accreditati e chiamati. Il mondo bisogna prenderlo per le sue vie: Chi fugge e schiva il mondo, non è Missionario. Il Missionario è un uomo che, tenendosi con una mano alla mano di Dio, si getta nel fango a tutt'uomo a pescarvi anime! Non sono esse che vengono, siamo noi che siamo mandati a cercarle, e dobbiamo scendere dove stanno per arrivarle.
Prenderemo quindi la via di terra, un po' più dispendiosa ma utile a tale scopo; e così visite a Philadelphia, Baltimore, Richmond, Wilmington, Charleston, Savannah.
La spesa di andata compresi i bagagli arriva a 2500 lire per tre; poi vi ha il ritorno del Padre 850, in tutto 3350 in circa.
Là non occorrono spese, chè si vive a casa del Vescovo. Per buona regola occorrono passaporti e celebret.
Punto 4° - Cosa preparare da portare con noi? - Vesti secolari indosso, e vesti ecclesiastiche nel baule. Pannilini e panniloni, chè di roba sicura si va male colà. Libri latini ed italiani ancora, sì di scuola come per uso proprio e musica.
Quello che si può per una cappelletta improvvisata; chè per una stabile otterremo là.
Biancheria da fornire 3 o 4 letti. Quanto a cucina e a mobiglie ci penseremo ad una seconda spedizione.
Su ciò darò una lista a parte appena sarà decisa la nostra partenza.
Punto 5° - Intelligenze che si lasciano qui. - Siccome la molta distanza e l'importanza delle comunicazioni richiedono accurata, sicura e pronta attenzione, importa che sia designata la persona a cui rivolgersi in questa casa, la quale persona metta queste cose a capo, di tutte le altre, e siccome chi ne ha molte, non può attendere a tutto con prontezza, sia scelto uno che non abbia molti impegni. Noi dobbiamo sapere a chi dirigerci.
Per trasmissioni bagagli a grossi volumi, via migliore da me conosciuta, si è il Sig. Lanata di Genova pel suo corrispondente Philip and Son - New York, al nostro indirizzo Savannah - Georgia.
Per lettere e piccoli involti: la posta, ma segnando in cima Via [1367] d'Ostenda, e poi sempre Savannah di Georgia, perchè vi sono molte Savanne in America.
Per il denaro, se qui a Torino non hanno relazione con le Banche Americane, Lanata di Genova l'ha; e sia sulla Banca Nazionale di Savannah.
Intelligenze di somma importanza debbono essere fissate qui prima di partire e bene determinate, sia riguardo a miei voti, come alla Direzione dell'Opera nel suo cominciare e nel suo progresso, che per lettera poi succedono male intelligenze.
Riguardo ai miei voti, questi non solo non è possibile prenderli qui, ma neppure là fino a che io non ho dato un avviamento, sì che possa dopo ritirarmi a quella preparazione che essi richiedono; allora vi sarà anche un Superiore che abbia da Lei il mandato di riceverli.
Anche per un'altra ragione. Se debbo riuscire, mi conviene essere libero, che se debbo dipendere nei mezzi che debbo adoperare da chi non conosce di quei costumi, e non mi intende, io sarò inceppato e mi fuggiranno le occasioni favorevoli. Conosco troppo bene questo, da non peritarmi a dire: Se debbo operare, in principio si intende, bisogna che sia libero.
Appena un altro potrà fare senza di me, allora io rinunzierò tutto in sue mani, e mi preparerò ai voti.
Io ho bisogno che il Rev.mo Superiore, se lo crede, dichiari questo determinatamente in iscritto, per mia tutela contro quel qualunque siasi che intenda poi incepparmi il lavoro, fino a che Sua Paternità stessa non me ne dispensa.
Questo non significa che io debba essere colà Superiore, che come le ho gìà detto, questo non potrei tollerare perchè mi legherebbe alla casa, come anche l'insegnamento, e mi impedirebbe di attendere alle opere della casa stessa.
L'interno della casa sia diretto da chi si vuole; ma nelle relazioni esterne, col Vescovo e cogli affari, questo fino a che non può dire, possiamo far tutto noi, conviene sia io, ed io non so agire, se altri vi si immischia. Io farò però in modo che un po' alla volta tutto cada in mano a chi Ella destinerà e stia pur certo che ne solleciterò il momento.
La seconda partenza potrebbe salpare in Febbraio ai primi del mese, giorno della Madonna; ai primi di marzo saranno là, ed io in maggio potrò attendere a prepararmi pei voti, se così sarò fortunato.
A dopo i voti. - Certamente che non faccio i voti per fare poi a modo mio. Ma potrei io far voto che m'impedisca compierne un altro, quello delle Missioni, oltre che le Missioni sono la mia vocazione? Ella mi ha assicurato che io non sarò impedito a queste; ma il Superiore di colà potrà impedirmele. Io La prego umilmente disporre sì che io m'abbia sicurezza che non sarò inceppato, in tale mia vocazione. [1368] Ecco la natura di mie Missioni.
I Preti in America non vanno, se si accettui l'Aregon, se non dove c'è denaro da sovvenirli. Numerosissimi Protestanti e Cattolici perchè poveri e sbandati nelle immense foreste, sono quindi abbandonati e divengono selvaggi. È a questi ch’io mi consacrava e intendo consacrarmi. Pianterò la mia tenda in mezzo ad essi, e siccome nè da essi, nè da Vescovi, posso aspettarmi sussidio, ricaverò il mio mantenimento dal lavoro della terra, che ho esperimentato colà bastevole all'uopo, lasciandomi tempo abbastanza all'apostolato.
A quest'opera di vero apostolo, spero associare giovani secolari, i quali lavorando come me a qualche distanza, a me d'intorno, ma per sè, predicheranno, convertiranno, battezzeranno, guideranno anime, e le condurranno a me la domenica per la Messa e il sermone; mentre pei giovani associati all'opera darò conferenze e direzione di vita religiosa, chè altrimenti non reggerebbero all'opera.
Se il Signore moverà qualche sacerdote della Congregazione a seguirmi, ecco che io mi porterò avanti, lasciando ai nuovi di ampliare e rassodare la cristianità incominciata.
Una o due volte all'anno farò capo alla casa per il mio spirituale ritiro, e se acciacchi renderanno la mia vecchiaia io mi ritirerò in casa a confortare la gioventù ecclesiastica alla vita apostolica.
L'obbedienza potrà ben farmi ritirare queste note e chiudermi il labbro ad ogni preghiera per tale missione, ma non potrà fare mai che questa e non altra sia la mia vocazione.
Oh quanto benedirei il Signore, se questa ultima comunicazione, già conosciuta ed approvata da due Vescovi d'America, entrasse mai nelle sue viste: 1° per me, che così mi lancerei a occhi chiusi ai voti; 2° perchè nella sua casa avrei un semenzaio di apostoli, sì tra i secolari, come tra i Sacerdoti; 3° perchè molti più sono coloro che desiderano andare all'Apostolato senza avere nè lingua, nè talento e studii, di coloro che forniti di studio e lingua amino l'apostolato, e per tale apostolato non richiedesi nè grande lingua, nè molto studio, ma cuore e fervore.
Io La prego umilmente, Sig. Superiore, a provvedere che tale mia deliberazione non sia inceppata da chi dirigerà la casa colà; e ciò potrà fare benissimo nominandomi, come lo sarei di fatto, Direttore o Prefetto della Missione, come l'altro sarebbe Direttore o Prefetto o Rettore della Casa.
Terza intelligenza. Intanto qui vi dovrebbe essere creata una sezione o seminario a parte per le Missioni. Non occorre a ciò che un dormitorio, refettorio, ricreazione a parte con un Direttore e servo a parte; ed una scuola di lingua, bibbia, orazione, educazione religiosa affatto speciale, ed estrema pulitezza negli abiti, maniere e parlare, come fossero gentiluomini. Ci dia anche il distintivo della fascia dell'abito e li faccia predicare ognuno una volta al mese, ecc. [1369] Faranno le vacanze girando in compagnie per le campagne, facendosi nelle case a parlare di Dio ed istruire i fanciulli.
Io farò questo con alcuni, tanto per mostrare come si fa. Ciò sviluppa mirabilmente la vocazione loro, se l'hanno.
Punto 6° - Trattative col Vescovo. - Il nostro arrivo colà deve essere fornito e presentato da una sua lettera latina nella quale pone le basi delle trattative. - I miei preti, dice Ella, vengono ad erigere una casa sotto la sua protezione, onde aprirvi un Seminario, un Collegio, ed un Asilo degli Orfani facendo di questi ultimi tanti artigianelli.
Accettiamo perciò l'offerta fattaci dei 700 acri di terreno, e dimandando umilmente:
1° Le collezioni fatte nella Messa due volte l'anno in tutte le chiese della Diocesi.
2° La licenza per dare fiere, picuie, accademie e fare sottoscrizioni.
3° L'erezione della nostra chiesa in Parrocchia e parrocchia sufficientemente estesa, con diritto di ufficiarla unicamente noi, meno il caso che Sua Eccellenza voglia onorarci di sua stessa ufficiatura ma per sè non per altri.
4° L’assegno di un tratto di Missioni da affidarsi a noi, onde esercitarvi colà i nostri giovani Missionarii.
5° L’Istruzione e l'educazione, sia del Clero, come del Collegio, che dell'asilo, sotto l'immediata controlleria di Sua Eccellenza.
6° La Congregazione poi religiosa, ubbidiente sempre a ciò che le venisse dal Vescovo proibito in fatto di ministero, dimanda però di porsi sotto l'egida delle proprie costituzioni per quanto riguarda la sua amministrazione e direzione interna, precisamente come ogni congregazione religiosa ottiene comunemente dai Vescovi.
Aggiungerà Lei, signor Superiore, ancora altri articoli a questi nella sua lettera, la quale servirà di base alle nostre trattative.
Intanto si cerca subito di una stanza da farvi scuola e il compagno vi aprirà subito scuola, e condurrà i ragazzi a passeggio tutti i dì per chiamare l'attenzione dei cittadini; e li educherà nelle cerimonie in chiesa e nel canto.
I Missionarii poi si faranno a visitare le famiglie, e studiare il luogo opportuno, disegnare il piano di casa, descrivere un fabbisogno, e procurare i mezzi di sopperire le spese.
Tutto fissato, il Padre che dovea ritornare, conchiuso tutto col Vescovo, presi 4 o 5 americani con sè, a spese del Vescovo conduce questi in Italia, dove mentre questi si preparano, egli prepara tutto che dovrà mandare nel febbraio in America, preti, falegnami, muratori ecc., per edificare chiesa e casa, ecc., sebbene io l'avrò cominciata, ma condotta avanti tanto solo da mettere a tetto i nuovi venuti con noi due rimasti. [1370]
Punto 7° - Riflessioni sull'Istituto Artigianelli. - Era nei miei desideri un tale Istituto, specialmente pei negri fino da quando era a Ferdinandina. Aveva ottenuto terreno, 45 mila franchi sottoscritti, disegnata la Casa e la chiesa, e qualche cosa avrei fatta se fossi rimasto là, specialmente in agricoltura, ma poco o niente nel resto, perchè in America tutto viene bello e preparato che perfino il rattoppare non si usa, perchè costa di più che a comprare di nuovo, e il fare le cose nuove al prezzo cui si comprano, non è che da immense manifatture. Calzolai, sarti, capellai, non hanno lavoro. Usci, porte, mobilie, ferriate, cancelli con tutto che può occorrere in legno, ferro, vetro, tutto viene da grandi manifatture.
Falegnami per fabbricare case di legno e muratori hanno lavoro a buone giornate, ma non è lavoro da ragazzi e da fare in casa.
Ciò che si potrebbe fare con utile sarebbe:
1° Una fabbrica di carta, chè il materiale abbonda.
2° Una fonderia in ferro, chè solo i rottami gettati bastano.
3° Fabbrica di mattoni, chè se ne fa grande consumo.
4° Concia di pelli che si spedirebbero in Francia a minor prezzo delle italiane.
5° Una pasticcieria al gusto italiano avrebbe molto lavoro perchè gustata molto da quei che vengono in Italia, ma là non v'ha chi sappia produrla.
6° Anche i calzolai e i sarti avrebbero lavoro, se si limitasse il prezzo d'opera a quello che qui corrisponderebbe a 50 centesimi al giorno, là però bastevoli a vivere, appena il vitto.
La stamperia ove si trattasse di giornali non ci sarebbe possibile perchè per vincere la concorrenza bisognerebbe sacrificare un milione, e poi sarebbe ancora incerta la riuscita, non essendo in una delle grandi capitali.
Se poi si tratti di altro genere di pubblicazioni periodiche interessanti, si potrebbe riuscire; meglio però si riuscirà stampando libri, non però voluminosi chè in America si studia ben poco, tuttochè si legga moltissimo.
Ad ogni modo chi riesce meglio colà non è chi pubblichi edizioni economiche; non è il poco prezzo che invoglia a leggere; il lusso della edizione e della copertina, ma più di tutto le finissime e spiritose illustrazioni. Preferiscono spendere cinque, dieci dollari in un bel libro, che mezzo dollaro in un libro che poco interessa!
Io crederei che per disporre le vie ad una stamperia colà, si avrebbe a stampare qui prima un bel catechismo della Diocesi di Savannah, unitevi le più essenziali pratiche - Orazioni - Confessioni esame lungo e breve - Comunione - Visita - Rosario - Via Crucis ed in fine Vespro della Domenica.
Un tale libretto ben legato, con taglio rosso o indorato, costerebbe qui (2000) un 50 centesimi, forse, 60. Spedizione - dogana 30%. [1371] sarebbe 80 centesimi, e si venderebbe là cinque franchi. Io manderò di là subito il modello, riconosciuto dal Vescovo e il libretto avrà spaccio.
Io non so, ma temo che per via di associazioni faremo poco, per l'incuria che mostrano di pagare quando sono cose di pochi soldi, e poi si stancano di tutto. La via migliore è quella di scegliere buoni libri, e procurarne (il mezzo c'è in America più facile che in Italia) la più presta e diffusa vendita.
Noto però che una tipografia là, sebbene potrebbe dar molti mezzi all'Istituto, rende miserabili i giovani che uscissero con questa arte sola in mano per vivere.
Io propenderei invece per l'agricoltura, la quale nel mentre occuperebbe i nostri giovani, al tempo stesso degli studii, facendola servire di ricreazione, che tanto giocare noti piacerebbe colà, darebbe un grande utile alla casa, più al paese mentre ci porta ricchezza, e ai giovani stessi, che, usciti, prenderebbero terra e vivrebbero indipendenti. Più guadagneremmo moltissimo nella estimazione generale. Avremo fondi, fruttiferi, e campo di occuparvi colà falegnami, muratori ad erigervi abitazioni, e vendere a grande utile.
Questa linea mi permetterebbe di chiamar là i suoi giovani di qualunque capacità a centinaia, senza il minimo imbarazzo per me, che con un solo Assistente Direttore, basterei io a guidar tutto.
Si ricordi che il Vescovo di Savannah mi dà 700 acri di terreno, di poco vantaggio se li faccio lavorare da prezzolati, e di molto vantaggio se lavorati da noi, e questi sono attigui alla città e presto dentro essa.
Il Vescovo della Florida li vorrà subito anche lui a S. Agostino. La pregherò in tal caso non prendere impegni con quel Vescovo, senza chiedere informazioni da me.
Io non ho terminato, ma per le cose più urgenti mi sembra di aver detto tutto il più importante.
È ben vero che invano lavora colui che fonda solamente in sua prudenza; ma non crederei perciò d'essere autorizzato a scaricarmi d'ogni pensiero.
Il principio che tengo di tutto spendere all'incremento anzichè far fondo di sicurezza futura, mi assicura dell'incremento che Dio aggiungerà a quest'opera. Non porre limiti alla carità per tema ne manchi il necessario, questo è mio principio; ma, posto questo, io devo pure studiare le mie vie, e non andare alla ventura.
Io La prego, Rev.mo, a perdonarmi la franchezza con la quale esposi il mio pensiero. Io non intesi porre condizioni, ma chiarire quello che penso solo poter riuscire.
Suo Umiliss. Obbedientiss. Figlio
JOHN BERTAZZI. Missionario Apostolico. [1372]
Salesiana Societas, habito Supremi Antistitis Pii Papae IX c silio, catholicam fidem ad exteras gentes enunciare desiderane, elegit loca, in quibus anglicana lingua praecipue adhibetur.
Ad bune finem consequendum, cum in verbo Dei fidelibus ponendo atque in pueris erundiendis maximo adiumento foret, Evangelici operarii haberentur qui huiusmodi sermonem tamquam
patrium callerent: ideo dilecto nobis in Christo Dìonysio Hali Sacerdoti optimo hibemensi opus commendamus, ut hac in re n adiuvet, atque in Hiberniam rediens adolescentulos bonis moribus et alacri ingenio praeditos quaeritet, eosdemque apud nos deduca dummodo in sortem Domini vocatos esse censeri possint, et ad exte- ras missiones, ne saltem ad Congregationem Salesianam profitendam aliqualem animi propensionem ostendant.
D'e conditionibus, quae ad rem faciunt, speciale verbale mandatum eidem esemplari Sacerdoti committimus, quem ordinariis humillime conímendamus, atque servata Episcoporum reverentia et jurisdictione, apud eosdem pro nobis benevolentiam et protectionem postulaturum obsecramus.
Datum Taurini, Nonis Juniis, MDCCCLXXIV.
Nella faustissima occorrenza del 59° compleanno dell’ottimo padre D. GIOVANNI Bosco i suoi amati figli esultanti d'amore e rallegrati dall'amabile presenza di sua E. R. Monsignor AUGUSTO NEGROTTO C. S. di S. S. offerivano.
Dai sospiri devoti affrettata |
Sorse alfine giuliva l'aurora, |
Che veloce ogni oggetto ne infiora, |
Nunziatrice di questo bel dì. |
|
Al Natal di Don Bosco s'inneggi |
Per i colli ed i piani d'intorno; |
Per Giovanni in cotesto bel giorno |
Più ridente ogni volto ci appar. |
|
Nella loro favella un saluto |
Il festoso garrir dell'augello, |
L’onda pura del chiaro ruscello |
Oggi pare che vogliano offrir, [1373] |
A Colui che col nome di Padre |
Riverenti qui noi salutiamo: |
Come tal tutti quanti l'amiamo |
Di sincero, immutabile amor. |
|
E, tu, Madre del Cielo, che accogli |
L'umil voce dei figli a te volta, |
Tu gli ardenti lor voti ora ascolta, |
Questa prece ti mandan dal cor: |
|
„O Gran Vergine, Madre Pietosa, |
Ch'alta siedi nel Cielo Sovrana, |
Deh! tic serba in etade lontana |
Questo Padre, che Iddio ci diè”. |
|
O Don Bosco, gli augurii gradisci |
Che giulivi i tuoi figli ti fanno |
Nel felice desiato compleanno: |
Sono voti che detta l'amor. |
|
Ed al nobile buon Monsignore, |
Che del Tebro lasciava la sponda, |
Or che l'alma di gioia c'inonda, |
Quali doni offerire possiam? |
|
Siam meschini, dì tutto mancanti; |
Ti conceda benigno il Signore |
Ogni grazia, ogni eletto favore; |
Quest'è il prego che ognora farem. |
|
Ed allor che sarai di ritorno |
All'augusta Magione di Piero, |
Dì a Quel Grande Maestro del Vero |
Che noi tutti l'amiamo di cor. |
C. G.[273] |
Formeranno il capitale per la realizzazione del pensiero già emesso le quantità che spontaneamente cedono i vicini di questi o quei distretti, siano o come imposizioni uniche, oppure in quote che si impongono mensili od annuali. [1374]
Costituirà la sicurtà dei fondi acquistati, la loro collocazione nella succursale del Banco della Provincia, all'ordine del Presidente e Tesoriere della Commissione direttiva, con interesse ed in conto corrente, secondo le convenienze da consultarsi.
I fondi collettati verranno destinati esclusivamente alla costruzione dell'edifizio che debba servire allo Stabilimento di educazione consultando a questo effetto il piano che credono necessario i direttori e il più conveniente.
I vicini di qualunque altra residenza fossero, che contribuiscano alla fondazione dello stabilimento di educazione in Comunità, avranno gli stessi diritti come gli iniziatori per l'amministrazione ed ispezione del medesimo.
Amministrerà i fondi e ne dirigerà i lavori una Commissione Direttiva di nove membri, la quale non potrà rinnovarsi fino all'installazione dello stabilimento.
Resta autorizzata a procedere in tutti i casi, assoggettandosi alle disposizioni che vengono espresse più avanti, potendo quattro dei membri, incluso il Presidente, costituire sufficienza per deliberare.
La Commissione si riunirà non meno di una volta per settimana, per darsi conto dei suoi lavori, e, sempre che lo giudichi conveniente; propenderà con tutti i mezzi a lei possibili a dare a conoscere in tutte le parti le convenienze, benefizii, ed economie dello Stabilimento; cercherà nel dar pubblicità ai suoi lavori i mezzi per svegliare gli interessi pubblici per la probabile realizzazione di questa idea, nominerà una Commissione nel suo seno avanti i Governi Nazionale e Provinciale, informandoli detenutamente dei desideri del popolo ed ottenendo coll'approvazione la dovuta cooperazione, solleciterà dell'ordine di etc., il regime amministrativo, piano di studii in generale; e con previo accordo e accettazione dello stabilito in questi atti di fondazione, converrà sulla traslazione dei professori a questa città, quando la Commissione dia l'avviso che sta pronto l'edifizio per il Collegio. La Commissione avrà presente che quest'opera, innalzata con gli sforzi del popolo, costituirà una esclusiva proprietà dello stesso, il cui diritto fin dalla sua fondazione deve restare ben chiaro fino a protocollizzarlo presso pubblico Notaio.
La Commissione stabilirà coi Padri un contratto con garanzie reciproche, dovendosi dichiarare che i prodotti dello Stabilimento saranno a benefizio dei Direttori, salvo il caso, in cui fossero necessarie [1375] riparazioni nell'edifizio, o se ne dovessero aumentare i comodi per un maggior numero degli alunni.
Una volta piantato lo stabilimento, la Commissione Direttiva convocherà i vicini contribuenti per la sua rinnovazione, che deve succederle; presenterà e pubblicherà una memoria dei suoi lavori, colle menzioni debitamente giustificate durante la sua amministra-zione.
Una volta praticato questo, il vicinato nominerà una nuova Commissione direttiva nella forma più conveniente e secondo che con-sigli il conoscimento pratico delle istituzioni di questo genere, e le no-mine si faranno col numero dei vicini che si riunissero a questo fine.
Relatori: Teodoro Fernandez - Pedro Zlobet - Tommaso Acevedo - Giovanni Vasquez - Ramon Carvajal.
La corporazione alla quale si accenna è quella dei RR. PP. Sco-lopi, che, non avendo un personale sufficiente per occuparsi in questa città, non hanno potuto accettare.
Atto di erezione del Collegio.
In San Nicolás de los Arroyos alli dodici di ottobre del mille-ottocentosettantatre, presenti i signori Francesco Benitez, Melchiorre Echagüe, Venceslao Acevedo, Pedro B. Ceccarelli, Ventura Matti, Mariano Maremo, Pedro Zlobet, Giovanni Vasquez, Giuseppe A. Ur-tubey, Tommaso Acevedo ed Antonio Pareja, vicini di questa città, nominati nell'atto di fondazione del cinque febbraio del milleotto-centosettantuno, ai quali si aggregano quattro membri, tutti di co-mune accordo dichiarano:
Che dovendo compiere l’ultima risoluzione, fatta il cinque cor-rente, cioè porre la pietra fondamentale di questo edifizio, facciamo questo atto in presenza del popolo, e delle sue autorità con la dichia-razione che questa opera ora e sempre sarà proprietà di questa città di S. Nicolás;
che i fondi acquistati provengono da varie donazioni e dalla sot-toscrizione popolare tra il vicinato; che per ultimo questo Collegio starà davvero sempre sotto l'ispezione d'una commissione come attualmente [1376], che sorvegli l'amministrazione e la buona direzione dello Stabilimento;
che il terreno che corrisponde all'opera si compone di un pezzo, quello cioè immediato alla riva del Rio Paranà, per donazione del Governo Nazionale della Provincia di Buenos Aires, in data sei dicembre del milleottocentosettantauno, con la dichiarazione, nella risoluzione comunicata dal signor Ministro Malaver, che si permette occupare con piantagioni altro pezzo di terreno confinante, di spettanza dello Stato.
Ed in prova di essere questa la volontà de' suoi padroni e fondatori, firmiamo il presente atto di erezione per i lavori e costruzione del Collegio Superiore di educazione, proprietà esclusiva del popolo di San Nicolás, unendoci alle preghiere della Chiesa, nella benedizione della prima pietra, eseguita dal signor Curato Vicario D. Pedro B. Ceccarelli, per cui rimettiamo il futuro suo avanzamento sotto la Divina Protezione.
Firmati: Giuseppe Francesco Benitez - Melchiorre Echagüe - Venceslao Acevedo - Pietro Batt.a Ceccarelli - Ventura Marti - Mariano Maremo - Pedro Zlobet - Giovanni Vasquez - Giuseppe Urtubey - Tominaso Acevedo - Antonio Pareja.
Il terreno per l'opera menzionata nell'atto di erezione, contiene 112 vare di fronte al S - O; vare di fondo, al N - E, presso il Rio.
La fronte è contornata da cancelli di ferro, con 35 colonne intermedie; nel mezzo delle quali si vede il portone d'entrata. Sopra l'angolo dell'ovest comincia l'edifizio della cappella, seguito da un salone al S - E, e, dal detto angolo, lo occupa per 62 vare. La cappella coll'atrio ha 28 vare e ¾ di lunghezza, 8 vare ¼ di larghezza e io vare d'altezza.
Il salone ha nove finestre al fronte, due porte, e tre finestre nel cortile, sotto una galleria, larga 4 vare e ¼ . Dentro il salone vi sono 49 vare di lungo ed 8 vare e mezzo di largo, ed accanto è un altro edifizio di quindici vare e 1/2 di lunghezza, e 5 vare e ½ di larghezza; poi segue un tratto pel refettorio e la cucina; ed altri quattro membri, compresa la sacrestia, pel custode della cappella, e cisterna, pozzo da secchia, ed altre comodità.
NB. - Dieci vare, in misura del paese, corrispondono ad 8 metri e 48 centimetri. [1377]
Due nostri figliuoli, D. Cerruti direttore del Collegio di Alassio con un suo professore, devono fermarsi qualche ora in Genova. Io ve li raccomando per quello che occorre. Avrei bisogno di parlarvi; se non venite presto a Torino, fatemelo sapere e vi andrò a farvi una visita.
Pregate per me, caro Giuseppe, e salutate vostro fratello e vostre sorelle, e credetemi in G. C.
Ti ringrazio dei doni inviati. Ci hanno servito benissimo a fare regali a diversi benefattori. Dei D. Cerruti ne abbiamo un solo.
Desidero fare una gita ad Alassio; dimmi se il progettato mutuo col Municipio si farà, o se dobbiamo pensare di porlo a parte.
Dammi notizie di Rossi. Fa' mille saluti a' tuoi e miei cari figli. Dio vi faccia tutti ricchi di santo timor di Dio.
Nel diz. italiano si può omettere la grammatica che precede.
„Latini Christiani Scriptores”
Joannes Bosco Sacerdos, candido Lectori S. D.
Libros circumspicienti, qui in scholis ordinis secundi teruntur, mirum profecto videbitur adolescentulos, christianum nomen professos, historias, orationes et poëmata tantummodo evolvere veteribus passim superstitionibus imbuta. Non sum equidem nescius neminem ferme esse cum TULLIO in eloquentia comparandum; utque [1378] poëtas omittam, satis constat CESAREM LIVIVM et SALLVSTIVM eo styli nitore probari, qui vel saniores a scribendo deterreant. Sed cum volo latinae linguse studiosos ad optima exemplaria confugere, quo tutius bene dicendi artern arripiant, tum idem ipse contendo eis omnino non esse catholicae doctrinae auctores invidendos, qui primis post Christum natum saeculis floruerunt. Quum enim multa peceent romani superioris memoriae scriptores in iis quae ad mores, ad germanam humanitatem, atque praesertim ad ipsam Dei creatoris et providentis notionem pertinent, omnino decet tenellos alumnos illis studiorùm monitoribus uti, qui sibi credentem minime fallant, quique perversis veterum praeeeptionibus sapientissima documenta opponant, mox laetissimos fructus latura.
Caeterum nemo tam hospes est in literis latinis qui nesciat, complùres christianae sapientiae scriptores, tametsi altius spectabant, quam ut extima styli parte famam consequerentur, se tainen ad veterum imitationem cum lande composuisse. Quare et SVPLICIVM SEVEREM memorant, qui de brevitate cum SALLVUSTIO I contendit, et MINVCIVM FELICEM, haud sane inelegantem dictionem dialogis suis conciliantem, atque LACTANTIVM, qui Tulliani styli virtutes est consecutus, plane ut merito Christianus Cicero sit appellatus
Quae cum ita sint, propositis jarn pridem praestantissimis itali-corum scriptoruni voluminibus ad legendum, optimum factu existimavi, si italos adolescentulos in patriae spem succrescentes ad eos latinos quoque scriptores deducerem, qui christianam doctrinam professi, de litteris et de religione optime meriti sunt.
Vtque e praestantiori orsus capiam, en. tibi, candide lector, sancti HIEBONYMI scripta, selecta, cum adnotationibus JOANNIS TAMIETTII, salesianae familiae alumni, doctoris politiorum litterarum diligentissimi. Postquam vero librum singularem relegeris de Viris illustribus Ecclesiae breviter et dilueide digestum, non sine voluptate PAELVM, HILARIONEM et MALCVM spectabis, solivagam ANTONII et MACARII sapientiam in recessu Thebaidos sectantes. Quas quidem narrationes ob oculos sibi olim proposuerunt majores nostri, unde et sanctissimae vitae rationem, et materiam sumerent ad gentis linguam tum primum vagientem excolendam. Volumen claudunt epistolâe nonnullae, quas intuens nihil certe jucundius, nihil purins, nihil eruditius desideres.
Dabam Augustae Taurinorum ipsis cal. januarii an. MDCCUXXV.
[1] Cfr. L'Osservatore Romano, 20 - 21 marzo, 1929
[2] Così il Conte Cesare Balbo di Vinadio, presso la Tomba del Santo a Valsalice il 12 febbraio 1911 - Cfr. Bollettino Salesiano, aprile 1911
[3] Cfr. Anno 1909, vol. III, pag. 529
[4] Cfr. Teol. G. Angrisani, Il Cardinale Giuseppe Gamba, Torino - Roma, Casa Editrice Marietti, 1930, pag. 16
[5] Cfr. Bollettino Salesiano, novembre 1918, pag. 219
[6] Anche nell'anno 1864, terminati gli esercizi dei giovani, Don Bosco erasi lamentato che alcuni giovani non ne avessero ricavato profitto.
- Io, diceva allora, in questi giorni vedeva così bene le cose dell'anima, i peccati, come li avessi avuti tutti, lì, scritti davanti, si che alcuni, volendo fare la Confessione generale, dicendo essi i peccati, m'imbrogliavano solamente le cose. E una grazia singolare che il Signore mi ha fatto in questi giorni. Adesso alcuni mi domandano: “Non vede più?”. Eh! no! Non sono venuti allora, adesso non siamo più a tempo!
[7] „Pochi anni prima che morisse - prosegue Don Bonetti – diede altresì un ordine generale, in forza di cui, non ostante che si dia nelle classi una o più lezioni di religione per settimana, nondimeno tutte le feste si debba fare almeno una mezz'ora di catechismo in chiesa, come suol farsi nelle parrocchie ben ordinate”
[8] Cfr. L'Azione, periodico di Sarno (Salerno), Anno VIII, N. 10
[9] Cfr. La Riscossa di Breganze (Vicenza), 17 agosto 1907
[10] Ved. Parte II: Sempre avanti, § 2: A Lanzo
[11] Nel manoscritto venne poi, da Don Berto, inserito anche l'Esordio delle cose più necessarie per la Chiesa, che Don Bosco fece giungere a Leone XIII, sul principio del suo Pontificato, a mezzo del Card. Bartolini
[12] Posteriormente, pare da Don Berto, qui venne apposto un punto interrogativo, seguito dalle parole: „No. - L'Imp. Guglielmo di Prussia”.
1 Qui pure si trova un'aggiunta posteriore, in matita: “Dogali”.
[13] Qui Don Berto metteva questa nota:
„N. B. Questa Profezia conveniva alla posizione politica d'Europa in quell'anno. In seguito le cose mutarono aspetto, sia riguardo alla Francia che alla Prussia”
[14] E qui... aggiungeva il nome della persona fida, che fu „la contessa Lutzow”, ammiratrice di Don Bosco, la quale il 14 giugno di quell'anno gli aveva mandato un'offerta di duemila lire per aver ottenuto da Maria Ausiliatrice la guarigione del consorte.
[15] Cfr. anno 1902, vol. III, pag 286
[16] Cfr. L'Osservatore Romano del 20 - 21 marzo 1929
[17] Cfr. l'accennato fascicolo: Maria Ausiliatrice ecc., pag. 294
[18] Ivi, pag. 265
[19] Ivi, pag. 299
[20] Ivi, pag. 164
[21] Ivi, pag. 162.
[22] E l'inno prosegue rievocando, colla più devota ammirazione, tanti altri particolari:
„Prima l'Italia, poi la Francia versarono somme enormi per aiutarci, ma poi furono stanche di dare elemosine avendo subiti grandissimi disastri finanziarii. D. Bosco stesso aveva cessato di rivolgersi per grosse somme ai ricchi Italiani sicchè alcuni gli scrissero, persino lamentandosi di essere dimenticati da lui e dichiarandosi sempre pronti a soccorrerlo come aveano fatto per il passato. Ma dal punto che erano diminuitigli aiuti di queste nazioni ecco prendere il loro posto Prussia, Russia, Polonia senza che Don Bosco facesse nulla e in nulla si adoperasse per chiedere la loro cooperazione. Incominciò nel 1884 un parroco dal fondo della Russia a mandare 1000 lire, per aver invocata Maria Ausiliatrice ed averne ottenuta una grazia singolare. Da quel momento i rubli furono il sostegno dell'Oratorio a centinaia e centinaia, tutte le settimane, mentre non mancavano marchi, dollari, fiorini, lire sterline. La Madonna stessa manifestava la sua potenza, la nostra esistenza, e le nostre necessità. La fama di Maria SS. Ausiliatrice, di D. Bosco, del Santuario di Torino penetrava negli angoli più rimoti della terra. Nel 1883 giungeva una lettera dall'Asia minore colla quale una musulmana di religione chiedeva preghiere per suo marito infermo, e nel 1886 dai confini della Tartaria una povera idolatra mandava la sua offerta chiedendo in lingua russa la sua conversione e quella della sua famiglia...”.
[23] Cfr. la Parte VIII: Maestro e Padre, § 9, Resoconti e deliberazioni delle Conferenze generali ed autunnali
[24] Cfr. Memorie Biografiche, vol. III, pag. 342
[25] Cfr. Memorie Biografiche, vol. IX, pag. 926
[26] Cfr. Parte 1: „Da mihi animas”, § 5, Un dono singolare, n. 1
[27] Cfr. vol. IX, pag. 923. Il biglietto di Don Bosco, segnato da Don Lemoyne col N° 19, dice così: „Venite immediatamente ritirare vostro figlio. Impossibile rimaner collegio; saprete motivi personalmente - Lemoyne”
[28] Ved. Appendice N. 1, Lettera alla Contessa Callori, la buona „mamma” ed insigne benefattrice che premurosamente prestava a Don Bosco ogni aiuto
[29] Cfr. Memorie Biografiche, vol. IX, pag. 959
[30] Ved. Parte V: Compie un alto mandato: § 2) Per le nomine vescovili
[31] Ved. Appendice N° 11
[32] Alle porte delle chiese venne affisso il programma:
Sacre Quarantore nella chiesa di Maria Ausiliatrice:
mattino. - Comodità di ascoltare la S. Messa e di accostarsi ai SS. Sacramenti della Confessione e Comunione
Ore 7, 30 Messa della Comunione, quindi esposizione del SS. Sacramento.
Sera. - Ore 6, 30: Vespro - Discorso - Benedizione.
Chiunque durante le Quarantore, confessato e comunicato, visiterà questa chiesa, pregando secondo l'intenzione dei Sommo Pontefice, acquisterà l'Indulgenza Plenaria.
[33] Ved. il programma di Varazze in Appendice N° III; di quello di Marassi non abbiam trovato copia
[34] Ved. Parte V: Compie un alto mandato, § 4
[35] Ved. Appendice, N° IV
[36] L'opera intitolata: Spirito e cuore di Pio IX è lavoro del celebre P. Hughet. L'originale è francese, ma fu tradotto in italiano e stampato in due volumi in Modena, dalla tipografia dell'Immacolata Concezione. Una parte notabile di questi racconti fu ricavata da questo autore.
[37] Questo programma venne ristampato nel 1872 con qualche minima correzione e con l'aggiunta di due articoli, premessi ai cinque delle Indicazioni necessarie:
1° Non si permettono le uscite dal Collegio e si raccomanda ai Parenti che non facciano visite agli alunni se non nei giorni di vacanza.
2° Qualunque piego o collo, diretto agli alunni, sarà aperto onde evitare disordini che in tanti casi possono avvenire
[38] Di Don Giuseppe Ambrogio s'è parlato nelle Memorie Biografiche, nel vol. VII, pag. 528. Don Bosco, per attutire il male che andava compiendo cotesto apostata, nel 1866 fece anche pubblicare, dalla tipografia dell'Oratorio, un opuscoletto, al quale diede la più larga diffusione, intitolato: „Chi è Don Ambrogio?! Dialogo tra un barbiere ed un teologo”
[39] La Beata Maria Giuseppa Rossello, al secolo Donna Geronima Benedetta Rossella, fondò l'Istituto delle Figlie di N. S. della Misericordia nel 1837. Nel 1880 volò al cielo e veniva elevata all'onore degli altari nel 1938. Fu anche Cooperatrice Salesiana (cfr. Bollettino Salesiano, gennaio 1881).
[40] Susanna Saettone moriva il 26 luglio 1882, in età di 82 anni.
[41] Cfr. Bollettino Salesiano, settembre 1899, pag. 244
[42] Non ci consta chi sia stato cotesto firmatario; ma nell'originale del telegramma, che si conserva, si legge proprio Bosso
[43] Crediam bene di dichiarare che in vari scritti, particolarmente in quelli del caro Enria, vennero corretti vari errori di lingua, e d'ortografia, senz'alterare menomamente il senso delle parole
[44] Don Bosco ebbe sempre per sua mamma la più grande venerazione, e ripeteva a tutti che era una santa. Anche quando morì, e i giovani dell'Oratorio la piangevano amaramente, disse loro: - Abbiam perduto la madre, ma sono certo che Ella ci aiuterà dal Paradiso. Era una santa!...
[45] Di questa lettera non abbiamo nè l'originale, nè copia
[46] Cfr. Sommario del Processo Informativo, deposizione di Monsignor Cagliero, pag. 859
[47] Cfr. Bollettino Salesiano, novembre 1879
[48] Ved. un'esposizione più dettagliata nella Parte VIII, § 6: Le „strenne”
[49] Don Bosco non voleva che il buon chierico si allontanasse da lui, e quando partì gli disse: - Tu non vuoi lasciarti bollire nella pentola di Don Bosco, ma poi... andrai a bollire in un'altra, che, su per giù, si assomiglia a quella di Don Bosco. - E difatti, quegli, dopo essere stato per vari anni pievano di Villa del Bosco, andava a racchiudersi nell'istituto di Don Orione, dove passava all'eternità
[50] La mamma di Don Rua guarì e continuò a lavorare per i giovani dell'Oratorio ancora per oltre cinque anni, terminando la sua vita edificante il 21 giugno 1876; mentre nel 1872, e precisamente il 20 gennaio, cessava di vivere nell'Oratorio Giovanna Maria Magone, della quale Don Rua nel suo quaderno dei „Defunti” scriveva quest'elogio:
„Fortunata di essere madre dell'ottimo giovanetto Magone Michele, si diede all'occasione della morte di lui di tutto cuore al Signore. Ottenne di venir a finire i suoi giorni nella casa dove erasi santificato suo figlio, e riconoscente pel favore lavorava indefessa e al mattino la prima messa che celebravasi nell'Oratorio era sempre da lei udita. Pregava volentieri e temeva il peccato come un serpente. Dopo sette giorni di malattia, morì con tutti i conforti della religione, pienamente rassegnata ed invocando Gesù, Maria, Giuseppe ed il suo Michele, a cui domandava che la prendesse con lui in Paradiso”
[51] Ved. Appendice, N° 1
[52] Ved. in Appendice, II, il Programma della Novena e Solennità...
[53] Come si leggeva nel fascicolo „Meraviglie della Madre di Dio invocata sotto il titolo di Maria Ausiliatrice”, pubblicato da Don Bosco nel 1868
[54] Il nostro Santo Fondatore dichiarò apertamente che quando Maria Santissima l'invitò ad erigere il Santuario nei prati di Valdocco o Valle degli Uccisi, gli additò il punto dove i Santi Martiri Torinesi subirono il martirio, cioè l'angolo interno della cappella di S. Anna (poi dei Santi Martiri ed oggi della B. Mazzarello), in cornu Evangelii. Ora, essendo stato il livello del Santuario elevato assai, il punto preciso del glorioso martirio trovasi nel sotterraneo, nel tratto iniziale della Cappella delle Reliquie, proprio di fronte alla scala per cui in essa si scende, avanti alla Cappella eretta in memoria dell'apparizione, a sinistra
[55] Ved. Parte I, pag. 26
[56] Ved. Appendice, N° IV
[57] Lo riportiamo nell'Appendice della Parte V: Compie un alto mandato, N° IV
[58] Così si leggeva nell'opuscolo dell'Abate Bardessono
[59] In appendice, N. III, riportiamo una lettera, inedita, di Don Bosco al Vescovo di Mondovì
[60] Ved. il programma in Appendice, N° V.
[61] Nella scheda si leggeva:
Oblazioni per la costruzione della chiesa parochiale di S. Secondo martire, tra Piazza d'Armi e lo scalo di Porta Nuova.
Il sottoscritto offre per una volta sola L.
NB. Si prega di scrivere nome, cognome e domicilio. Fra pochi giorni Passerà Persona appositamente incaricata a ricevere le schede e sarà poi dato preventivo avviso dell'epoca in cui si passerà a riscuotere le oblazioni.
[62] Solenne distribuzione dei premii agli alunni delle Scuole Ginnasiali dell'Oratorio di S. Francesco di Sales il giorno 8 settembre 1872, alle ore 6 pom.
1. Il felice ritorno, marcia del Maestro De - Vecchi.
3. Lettura dei voti ottenuti nell'esame.
4. La Speranza. Coro del Rossini.
5. Discorso del Chiar.mo P. Innocente Gobio.
6. La notte e il giorno; componimento fantastico dei Maestro De - Vecchi.
8. La Carità. Coro del Rossini.
9. Il mese di Gennaio; marcia del Maestro De - Vecchi Giovanni
[63] Ogni Oratorio aveva un gruppo di Signori che assistevano continuamente i giovanetti
[64] Senza data. Probabilmente risale al 1864
[65] Ved. Appendice, N° I.
[66] Cfr. Avv. Enrico Tavallini, La vita e i tempi di Giovanni Lanza, Vol. II, Pag. 426
[67] Il generale Campana moriva di quell'anno, e volle confessarsi da Don Bosco, il quale, chiamato in fretta, lo assistè fino all'ultimo respiro, come raccontava Don Rua, che accompagnò il Santo e l'attese in anticamera finchè non ebbe compiuto quell'opera di carità
[68] Cfr. Civiltà Cattolica, anno 1871, Vol. III, fasc. 3 luglio: „Il Giubileo Pontificale di Pio IX”
[69] Cfr. Avv. Enrico Tavallini, op. cit. Pag. 428
[70] Cfr. Memorie Biografiche, vol. VIII, pag. 692
[71] Il Cattolico provveduto, pubblicato nel 1868
[72] Epist. ad Conc. Carthagin
[73] Cfr. Appendice, N° II
[74] Il 9 settembre era stato spedito al Prefetto di Torino il telegramma d'invitar Don Bosco a recarsi a Firenze, e il colloquio era avvenuto il giorno 11
[75] Ved. il testo originale in Appendice, N° III,
[76] Cfr. Appendice, N° IV
[77] Si pensava già di aprire a Parma un ospizio per poveri fanciulli, su proposta della caritatevole Marchesa Zambeccari
[78] Il Card. Morichini, grande ammiratore di Don Bosco, nel 1870, mentre era Vescovo di Jesi, pubblicava la Petreide, „che è uno stupendo poema latino, in cui si descrivono coi trionfi di San Pietro quelli dei suoi successori e della Chiesa Cattolica”. Così scriveva Don Bosco, che ne ebbe una copia in omaggio con queste parole, scritte dal Cardinale sul frontespizio: „Al Chiarissimo signore il Sig..r Don Giovanni Bosco in segno di ringraziamento e di stima l'Autore”. Il poema era intitolato: Caroli Aloisii Morichini Aesinatium Episcopi: Petreidos Libri III, Ad Pium IX P. M. - Romae, typis Aerarii Pontificii MDCCCLXX. E Don Bosco, nel 1872, ne fece pubblicare la traduzione eseguita dal prof. Niccolò Chiazzari in ottava rima, dalla tipografia dell'Oratorio
[79] Il senatore Lorenzo cav. Nobile Ghiglini moriva sulla fine di novembre 1873. Era medico, liberale moderato, e non troppo praticante in fatto di religione; ma più volte aveva dichiarato che in punto di morte voleva essere assistito, o dal Can. Nasi, o da Don Bosco, che aveva avuto a pranzo in casa sua, ed aveva in grande venerazione.
Don Bosco si trovava a S. Pier d'Arena, quando venne a conoscere che il senatore era ammalato, e si recò a visitarlo; e, vedendo e sentendo che il suo stato era grave, gli disse: - Signore, Lei potrebbe guarire, ma sarebbe prudenza ricevere i Sacramenti. - Giacchè Lei è qui - rispose il dottore - approfitto volentieri della sua presenza. - E Don Bosco lo confessò poi, uscito di camera, disse alla signora che mandasse a S. Sisto a chiedere il Viatico, mentre egli avrebbe preparato l'infermo a riceverlo. Qual gioia per la signora Ghiglini! E così si fece. Quando il Senatore morì, Don Bosco non fu presente, ma ormai tutto era aggiustato!
[80] „Quest'opera - notava l'Osservatore Romano - è già alla sua terza edizione, e v'è tutto il motivo di credere che non se ne arresterà qui il successo, essendo difficile imbattersi in un libro che più completamente risponda al suo scopo. Ben 27 vescovi l'hanno per lettera ampiamente encomiato ed approvato.
” Esso conduce, quasi diremmo, per mano il giovane ministro di Dio all'altare, e ad una ad una gli suggerisce le preci, gli spiega il mistico senso delle sacre vesti, gli addita gli altissimi significati che i sacri riti adombrano; e innamora sempre più, se è lecito dir così, di questo che è il sommo e il più sublime tra i misteri di nostra Santa Madre la Chiesa Cattolica Apostolica Romana”.
[81] Siamo in caso di assicurare come cosa certa che il R. Don Gio. Bosco non ebbe, nè questa, nè altra simile missione, da S. E. Rev. Mons. Arcivescovo di Torino. - (Nota della Redazione).
[82] Cfr. pag. 1211
[83] La lettera reca un Dietro scritto, cioè un poscritto nel retro pagina, sulla chiesa di S. Secondo, che riporteremo a suo luogo
[84] Mons. Lucido Maria Parocchi, poi Cardinale, Vicario di Leone XIII, e Cancelliere di S. Romana Chiesa
[85] Di Mons. Pietro Rota, Vescovo di Guastalla, poi di Mantova, quindi Arcivescovo tit. di Tebe e Canonico di S. Pietro in Vaticano, è in corso la Causa di Beatificazione e Canonizzazione
[86] ... Entrò nel Convitto Ecclesiastico già Sacerdote... nel 1841
[87] Cioè... è ancora di sua proprietà!
[88] Is., XLV, 13
[89] Genova, 1867, Tipografia della gioventù
[90] Genova, Tipografia Ponthenier, 1835
[91] Cfr. Regola della Pia Unione delle nuove Orsoline Figlie di Santa Maria Immacolata sotto la protezione di S. Angela Merici. Genova, Tipografia della Gioventù, 1867; Pag. 7
[92] Nell'agosto del 1856 s'iniziava, con lo stesso Regolamento, un'altra Pia Unione in Genova, dove venne anche dato alla stampa, benchè in poche copie, il Regolamento, „affinchè potesse più facilmente esser conosciuta e diffusa”; e, difatti prese a diffondersi „nella Liguria, nel Piemonte, nella Lombardia, nel Veneto, nel Modenese, nella Toscana, nelle Romagne e probabilmente eziandio in altre parti d'Italia…, in brevissimo tempo ed in modo che quasi direbbesi aver del mirabile”. - Cfr. Regola della Pia Unione delle Nuove Orsoline, pag. 11
1 La Pia Unione sorta a Mornese si credette fino al 1857 „fosse una istituzione totalmente novella, e lo si credette ancora per due anni, finchè si venne a conoscere che nella sua sostanza, e generalmente anche ne' suoi accessorii, era una stessa cosa colla celebre compagnia di S. Orsola, fondata da Sant'Angela Merici nella città di Brescia ed approvata l'8 agosto del 1536 da Mons. Lorenzo Mario, Vicario Generale di Sua Eminenza il Cardinale Francesco Cornaro Vescovo di quella Diocesi; quindi, dopo la morte della Santa Fondatrice, dal Sommo Pontefice Paolo III, con sua Bolla del 9 giugno dell'anno 1544. Famosa Compagnia tanto apprezzata da S. Carlo Borromeo, che la volle stabilita in ogni luogo della sua vasta Archidiocesi” e „che si estese non solo per tutta l'Italia, ma per tutta l'Europa e per tutte le terre della cristianità. Laonde fu giocoforza persuadersi che la Pia Unione delle Figlie di Santa Maria Immacolata non poteva appellarsi in verità una vera istituzione, ma piuttosto quell'antica, fatta novellamente fiorire tra noi”. - Cfr. Regola della Pia Unione delle Nuove Orsoline Figlie di S. Maria Immacolata, ecc., pag. 9 - 10.
[93] Cfr. Bollettino Salesiano, settembre, ottobre, dicembre 1881, e marzo, giugno 1882.
[94] Cfr. La monaca in casa, pag. 162 - 3
[95] Ivi, pag. 164 - 5
[96] Cfr. Memorie biografiche, vol. VII, pag. 218 e 297
[97] „In Oppido Mornese”, in data 27 maggio I925
[98] Cfr. Bollettino Salesiano, ottobre 1881
[99] Cfr. Memorie biografiche, vol. VII, 766
[100] „Non si può mettere in dubbio - affermiamo noi pure - che in questi avvenimenti abbia a riconoscersi la mano di Dio. Ecco che in una quasi ignota terricciuola del Monferrato, per mezzo di alcune povere contadine, inconscie dell'Opera della Santa, l'Opera della Santa si rinnovella... Ecco poi che quella rinnovellata istituzione si estende come da per sè in poco tratto di tempo per moltissimi luoghi d'Italia, correndo giorni assai sfavorevoli a quanto ha mostra di pietà e di ascetismo” (Regola della Pia Unione, ecc., pag. 17); ... ed ecco anche che in essa si viene mirabilmente formando la prima Superiora dell'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice.
Don Bosco stesso vide in questo fatto la mano di Dio, e, anche in riconoscenza alla Santa Fondatrice della Compagnia di S. Orsola, volle che il primo Oratorio festivo, aperto nel 1876 in Torino dalle Figlie di Maria Ausiliatrice, fosse intitolato a S. Angela Merici
[101] Ved. Appendice, N° 1. Relazione di Don Pestarino sulla compera della casa Carante
[102] Cfr. Bollettino Salesiano, dicembre 1881
[103] Cfr. Bollettino Salesiano, marzo 1882
[104] Ecco alcune delle aggiunte di Don Rua, piene di semplicità e di candore, tolte in parte dalla” Monaca in casa” del Frassinetti, che ci sembra debbano tornar gradite a chi legge:
„Le Figlie di Maria Ausiliatrice saranno sempre allegre colle sorelle, rideranno, scherzeranno, ecc.; sempre però come pare debbano fare gli Angeli tra loro; ma alla presenza di persone di altro sesso conserveranno ognora un contegno grave e dignitoso. Andando per le vie cammineranno colla massima compostezza e modestia, non fissando mai nè le persone, nè le cose che incontrano”, dando tuttavia - prosegue l'esemplare stampato - il saluto coll'inchino del capo a chi le saluta, e alle persone ecclesiastiche se loro passassero vicine.
„Non alzeranno mai la voce parlando con chicchessia, quand'anche fosse tempo di ricreazione. Quando saranno alla presenza di persone di sesso diverso, terranno un parlare serio e grave, perchè se sono di condizione superiore alla loro, per es. ecclesiastici, così vuole il rispetto dovuto al loro stato; se sono laici, così richiede il decoro...”.
„In chiesa staranno colla massima compostezza, ritto sulla persona, e genufletteranno fino a terra passando avanti l'altare, ove si conserva il SS. Sacramento”
[105] Ved. Appendice, N° 11
[106] Cfr. Bollettino Salesiano, dicembre 1881
[107] Cfr. Bollettino Salesiano, dicembre 1881
[108] Ved. Appendice, N° III
[109] Cfr. Appendice, N° IV
[110] Cfr. Appendice, N° V
[111] Questa lettera della Madre ha solo la firma autografa, e la riportiamo, per intero, in appendice, Non possiam dire in modo esplicito che venisse dettata dalla Serva di Dio, ma il contenuto riflette splendidamente l'animo suo, forte, umile e devoto. Bastano a convincerci queste parole: „Permetta... ch'io mi raccomandi alle sue efficaci preghiere, acciò possa adempiere con esattezza tutti i doveri che la mia carica m'impone e possa corrispondere ai tanti benefizi fàttimi dal Signore ed alle aspettazioni della S. V.: dica una di quelle efficaci parole a Maria SS. perchè voglia aiutarmi a praticare ciò che debbo insegnare alle altre e possano così ricevere tutte da me quegli esempi che il mio grado m'obbliga di dar loro”. In questo periodo a noi pare di veder scolpita l'anima di Maria Mazzarello! - Cfr. Appendice, N° VI
[112] Imparò subito a scrivere di quei giorni, da Emilia Mosca; e le lettere autografe che ci restano sono una prova del suo ingegno
[113] Cfr. Bollettino Salesiano, marzo 1882
[114] Cfr. Decretum: “Postquam Deus” del 3 maggio 1936
[115] Cfr. G. COSTAMAGNA, Lettere confidenziali ai Direttori delle Case Salesiane del Vicariato sul Pacifico. - Santiago, Escuela tipografica salesiana, 1901, pag. 283 - 4
[116] Anche nel quaderno delle “Memorie dal 1841 al 1884 - 5 - 6, pel Sac. Giovanni Bosco a' suoi figliuoli salesiani”, la „Raccomandazione fondamentale a tutti i Salesiani” è questa:
„Amate la povertà, se volete conservare in buono stato le finanze della Congregazione.
”Procurate che niuno abbia a dire: Questa suppellettile non dà segno di povertà; questa mensa, quest'abito, questa camera non è da povero. Chi porge motivi ragionevoli di fare tali discorsi, egli cagiona un disastro alla nostra Congregazione, che deve sempre gloriarsi del voto di povertà”.
E, in fine del preziosissimo manoscritto, con lo sguardo volto all'avvenire, pose anche quest'esplicita dichiarazione:
„Quando cominceranno tra noi le comodità e le agiatezze, la nostra Pia Società ha compiuto il suo corso”
[117] Non ha data nè firma; ma fu scritta da Roma, sul principio del 1874
[118] Cfr. pag. 931 - 940
[119] Nel capo: Del voto di castità, art. 2°, ove si leggeva: „Chi non è sicuro di conservare questa virtù ecc.”, Don Rua appose così: „Chi non ha fondata speranza che col divino aiuto possa conservare la virtù della purità...”
[120] Cfr. l'esemplare del 1867 (ved. Vol. VIII, pag. 1058) con quello del 1873 (ved. Appendice, N° I, pag. 871).
[121] Ved. Appendice, N° X, 4; pag. 1001.
[122] Cfr. Memorie biografiche, vol. IX, pag. 365
[123] Ved. Appendice, N°. III, pag. 890
[124] Ved. Appendice, la „Positio”, N° V. pag. 927
[125] Ved. Appendice, N° III, pag. 894
[126] Ved. Appendice, N° X, 1., pag. 996
[127] Ved. Appendice, N° V, la “Positio”, Somm. VII - X e XII, pag. 929
[128] [Nota di Mons. Arcivescovo] Quindi nella Compagnia di Gesù, benchè abbia molti dei suoi membri venuti su da giovanetti nei suoi collegi, ove furono per 7, 8 e 9 anni, pure non si dispensa d'un giorno dal Noviziato.
[129] Cfr. il numero del 7 agosto 1873
[130] Nei volumi, in bozze, di Don Lemoyne si legge due volte questo sogno: la prima nella forma precisa che abbiam riportato; la seconda, tra virgolette, è questa, e forse è il racconto di Don Bonora:
„Pioveva dirottamente, ed io per urgenza di alcuni affari, ero costretto ad uscire per la città. Giunto presso l'Arcivescovado, vedo (cosa strana) l'Arcivescovo Monsignor Gastaldi vestito pomposamente in abiti pontificali uscire dal suo palazzo. M'affretto a raggiungerlo, ed: - Eccellenza, gli dico, osservi con che tempo indiavolato ella si mette per via; non vede che per le vie non v'ha anima viva? mi ascolti, ritorni in casa.
” - Non ispetta a lei il venirmi a consigliare; io andrò pei miei fatti e lei se ne vada pe' suoi; rispose bruscamente l'Arcivescovo, ributtandomi da sè.
” Intanto, fatti pochi passi, egli sdrucciolò e cadde nel pantano, non senza grave guasto de' suoi paramentali, i quali ne rimasero insozzati e brutti. Io ritornai a ripetergli per ben cinque volte, ch'egli avesse riguardo alla sua dignità, che ritornasse, che... Tutto indarno, non valsero preghiere, non scongiuri. Egli intanto, seguitando sempre ostinatamente la sua via, cadde e la seconda, e la terza, e la quarta, e la quinta volta; finalmente, alzatosi per un'ultima volta, egli era irriconoscibile... la sua persona formava una cosa sola col loto che tutto lo ravvolgeva, ricadde e non si alzò più”.
Noi abbiam qui riferito questo sogno per far meglio comprendere che i continui disturbi, dati da Mons. Gastaldi a Don Bosco, provenivano dal suo modo di fare, abitualmente autoritario.
[131] Ved. Appendice, N° V, la “Positio”, Somm. XIII, pag. 934
[132] Cfr. Parte VIII, Maestro e Padre: § 3: Lett. Circolari, n. 3, pag. 1101
[133] Ecco il pro - memoria:
„Udienza del S. Padre. - 5 gennaio 1874:
1° Offerte di libri: Geoponica col relativo indirizzo. N. 15 esemplari.
3° Dizionario di D. Durando coll'indirizzo.
4° March. Fassati - fr. 1000 in oro - con ind.
5° D. Vallauri e sorella con indirizzo - fr. 4oo.
6° Sig. L. Vicino fr. 100 coll'indirizzo ed Orat. priv.
7° Dam. L. Mazè - danaro ed indirizzo.
8° Oratorio privato e S. Comunione alla sig. Fanny Zini, vedova Ghiglini, e suo figlio Francesco.
9° Idem per la sig. Luigia Vicino.
10° Facoltà di benedire medaglie e corone pel T. Fassi, prevosto di Villastellone.
11° Una benedizione per Orsola Gigli di Torino - con fr. 2.
12° Pel Vesc. di Acqui in favore di Don Carlo Arciprete di Ancisa.
13° A nome dell'Arcivescovo di Genova pel sig. Rivera Giovanni.
15° Cose della Congregazione Salesiana.
16° Indulgenza plenaria ai nostri giovani e Figlie di Maria Ausiliatrice.
17° Conte Carlo della Veneria.
18° Alasia Can. Penitenziere Vescovile di Alba a favore del giovane Ernesto Pagliuzzi, onde poter continuare nell'impiego di Ricevitore del Registro.
19° Offerta di Carolina Pagliotti - fr. 5.
20° Sig. Vacchetta e famiglia - benedizione - off. Mons. Marengo.
21° Sig. Iano - Polliotti Balbina - fr. 10.
23° Domandar dispensa dall'irregolarità pei natali pei chierici Beauvoir Giuseppe, Buzzini Luigi, Obertiglio Timoteo.
[134] Don Berto ritornava a Don Durando lo scritto, con cui aveva accompagnato l'omaggio del Dizionario al S. Padre, insieme con questa letterina:
„Carissimo Don Durando, eccole l'autografo del nostro Beatissimo Padre Pio IX; lo tenga prezioso e preghi per noi. Mi saluti i preti, chierici e giovani, e raccomandi a tutti la frequente Comunione secondo l'intenzione di Don Bosco. I miei umili rispetti a tutto il Capitolo. Avrei tante cose a dirle, ma per ora non conviene. Confidiamo in Gesù Sacramentato ed in Maria Ausiliatrice. A grazie ottenute diremo ogni cosa. Sono le 11 1/2. Buona notte. –
[135] Cfr. l'esemplare delle Costituzioni edite nel 1873 dalla Tipografia dell'Oratorio con quello pubblicato in Roma dalla Tipografia di Propaganda nel 1874. - Ved. Appendice, N° I e N° IV, pag. 871 e 896.
[136] Cfr. i capi Hujus Societatis finis, art. 6°; De voto oboedientiae, art. 6°; De acceptione, art. 6°, 8° e 7°.
[137] “Professi votorum simplicium dominium RADICALE, uti aiunt, suorum bonorum retinere possunt, sed eis omnino interdicta est eorum administratio, et reddituum erogatio atque usus. Debent propterea ante professionem votorum simplicium cedere pro tempore, quo in eadem votorum simplicium professione permanserint, administrationem, usumfructum, et usum quibus eis placuerit, ac etiam suo Ordini, si ita pro eorum libitu existimaverint”
[138] Cfr. i capi Internum Societatis regimen, art. 6°; De singulis domibus, art. 4°; Religiosum Societatis regimen, art. 3°; Pietatis exercitia, art. 7° e 2°
[139] Cfr. Parte VIII. Maestro e Padre: § 3: Lettere Circolari, n. 4, 1104
[140] Possiamo ritener per certo che venne copiata dal Prof. Don Giovanni Anfossi, anche perchè questi nel 1877, vedendo che si andavano aumentando fastidi sopra fastidi all'Opera di Don Bosco per le meticolose disposizioni dell'Arcivescovo, estendeva un memoriale confutativo, più particolareggiato, della lettera 9 gennaio 1874, che riportiamo in Appendice, N° X, 2, pag. 998
[141] Ved. Appendice, N° VI, Cenno istorico; pag. 949
[142] Ved. Appendice, N° V, la “Positio”, num. xv, pag. 943
[143] Ved. Parte VIII, Maestro e Padre: § 3: Lettere Circolari, n. 5, pag 1107
[144] Eccone il testo originale:
Dilecto Filio Piscetta in D. S. P.
Epistulas quas tu una cum amicis tuis ad me misisti gratulanti animo accepi. Perge, fili mi, in sortem qua Deus ad altiora te vocavit. Nunc parvulus es, ideo collige pisciculos: multi enim sunt apud nos. Cum autem vir factus fueris, Dominus faciet te piscatorem hominum.
Quaere Victorium Pavesio preceptorem tuum, et dic ei me valde pro eo oravisse, specialemque benedictionem pro se et pro fratre suo a Supremo Ecclesiae Antistite petiisse.
[145] „Udienza Marzo 1874.
Dilazione del decreto super statu Regularium.
Benedizione papale in artic. Mortis.
Leggere e ritenere libri proibiti pei socii.
Nip. Beppina, assicurare fedeltà. - Raccom. a continuare farle da padre.
[146] Ved, Appendice, N° IV, num. 2; pag. 915
[147] Così nell'originale
[148] Cfr. il Promemoria:
2. Indirizzo con obolo di S. Pietro - Valsalice.
3. Oratorio pr. Sigismondi (concesso).
4. Cong. Ringraz. Dispensa dalle test. dell'Ordinario (non se n'è parlato).
5. Occupazione dei Novizi e degli studenti (In iis quae ad M. D G. conf.).
[149] Ved. il Decreto in Appendice, N° X, 3, pag. 1000
[150] Ved. Appendice, N° X, 4, pag. 1001
[151] Cfr. Appendice, N° VII, pag. 956
[152] Si confrontino i tre esemplari, delle Regole presentate all’esame, di quelle approvate e della 1a edizione fatta all'Oratorio.
Nella 1a edizione in italiano, eseguita nel 1875, si legge così:
„7. Ogni socio si adoprerà con ogni potere in aiuto del Vescovo della diocesi; e, per quanto gli sarà possibile, ne difenda i diritti ecclesiastici, promova il bene della sua Chiesa, principalmente dell'educazione della gioventù povera”.
[153] Forse, anche qui occorse qualche inesattezza nella trascrizione.
Nella 1a edizione delle Costituzioni approvate, tradotte in italiano, si legge: “se la novella casa fosse un piccolo Seminario, od un Seminario per chierici adulti...”. È chiaro che Don Bosco si attenne al senso in cui s'era inteso, a questo proposito, con Mons. Vitelleschi
[154] Ved. Appendice, N° IX, pag. 994
[155] E sulla lettera del Teologo apponeva questa postilla: „Fu risposto non aver mai detto nè sognato tal cosa”
[156] Don Berto l'inviava all'Avv. Carlo Menghini, e questi, come vedremo nell'ultima Parte, osservava che la censura dell'Arcivescovo offendeva anche il Papa!
[157] Questa lettera venne poi confidenzialmente comunicata a Don Bosco, che v'apponeva, in questo punto, la nota: „Vi è noviziato regolare”.
[158] (Idem) „Niun novizio fa scuola o presta assistenza”.
[159] (Idem) „Niuno proveniente dal Seminario fa parte della Congregazione Salesiana”
[160] Ved. Appendice, N° X, 5
[161] Ved. Appendice, N° X, 6.
Abbiamo anche la copia d'un'altra supplica inoltrata di quell'anno al S. Padre per ottenere la facoltà di domandare direttamente ai Parroci anzichè agli Ordinari, le Testimoniali per ammettere al noviziato gli aspiranti alla Pia Società. - Cfr. Appendice, N° X, 7.
[162] Cfr. Ricordi confidenziali ai Direttori, inviati nel 1871; pag. 1045
[163] Cfr. la prima edizione delle Regole in italiano (1875), Pag. XXXV
[164] Segnamo con asterischi le divisioni delle pagine, perché si possano riscontrare le relative citazioúi che si trovano nella Positio (Cfr. Appendice, N° V)
[165] Hoc tune duabus cellulis constabat, quae ad Hospitium sacerdotum inservirent Rectorum hospitii pro puellis periclitantibus quod Refugii nomine dicitur; deinde anno Mncccxi,v asceterium in Valdoccum translatum fuit ubi etiam nunc est anno MDCCCXXIII
[166] Articuli z et 4 fere de verbo ezcerpti sunt a constitutionibus oblaforum B. M. V. par. a$, paragr. I°; similia extant in constitutionibus sacerdotum sub titulo Missionis et Rosminianorum.
[167] Hoc tunc duabus cellulis constabat, quae ad Hospitiurn sacerdotum inservirent Rèctorum Hospitii pro puellis periclitantibus quod Refugii nomine dicitur; deinde anno MDCCCXLV v asceterium in Valdoccum translatum fuit ubi etiam nunc est anno MDCCCLXXIII
[168] Caput de forma societatis et caput de voto paupertatis fere ad verbum excerpta fuerunt a constitutionibus Congregationis scholarum charitatis, quam approbavit Gregorius Papa XVI die 21 Iunii MDCCCXXXVI
[169] In hoc Decreto praeter alia, quae ad regularium ordinationem respiciunt, haec habentur: Cohgregatio Concilii censuit Superiores regulares posse suo subdito itidem regulari, qui praeditus qualitatibus requisitis Ordines suscipere voluerit, litteras dimissorias concedere, ad episcopum tamen dioecesanum, nempe illius monasterii, in cuius familia ab iis, ad quos pertinet,'. Regularis positus sit et, si Dioecesanus abfuerit, vel non esset habiturus Ordinationes, ad quemcumque alium Episcopum
[170] Non è gran tempo che una persona costituita in autorità, in modo amichevole ebbe a dirmi: - Taluno andò dicendo che i preti e i chierici vostri non istudiano. - Le feci osservare che molti dei nostri preti e chierici avevano pubblicato opere letterarie e religiose, lodate e diffuse nelle mani di molti; che noi abbiamo centocinquanta professi applicati allo studio, di cui cento trenta sostennero pubblici esami e riportarono la patente o il diploma nell'esame, cui aspiravano. Ripigliò quell'amico: „Non intendeva di parlare di quelli, che sono già nel Ministero o nell'insegnamento, ma di semplici chierici. Si è detto che per ordinario riescono assai mediocri nei loro esami”.
Risposi pregandolo di verificare gli esami presi presso alla Curia Arcivescovile dal 1850 al 1870, epoca in cui, essendo stata approvata la Congregazione, il Superiore Ecclesiastico mi consigliò di far dare gli esami in casa della Congregazione.
Quell'amico si compiacque di verificare e poi mi fece risposta con queste parole: „Checchè se ne voglia dire, ma dal 1850 al 1870 i Chierici Salesiani sui registri della Curia hanno tutti optime o fere optime”.
Mi disse ancora la benevola persona: Quale cosa rispondere a chi vuole asserire molti vostri professi perpetui essere usciti dalla Congregazione e dare disturbi ad alcuni Ordinari?
Si risponde che finora, e questo finora si estende fino al 23 febbraio 1874, niun professo dei voti perpetui uscì di Congregazione. Se ne deve eccettuare un solo che giudicò secondare la sua vocazione lasciando la Congregazione Salesiana, cui apparteneva come laico, per entrare, ed entrò di fatto, nella Compagnia di Gesù, dove presentemente esercita con zelo il Ministero sacerdotale
[171] Sotto il nome di Letture Cattoliche s'intende una pubblicazione mensile di pag. 108. Il numero degli associati non fu mai minore a diecimila. Fra i libri stampati dai Soci Salesiani in questa tipografia si possono notare: La Storia Sacra, Storia Ecclesiastica, Storia d'Italia, Il Cattolico Instruito, Trattati di Aritmetica di Sistema Metrico, Donato, Grammatiche latine, greche, italiane, Dizionari latini e molti altri. Il numero approssimativo de' libretti stampati e diffusi fra il popolo in trent'anni monta a circa SEI MILIONI
1 Gli articoli 9 e io vennero trasportati in fondo al paragrafo XIII: Pietatis exercitia. XII.
1 Gli articoli 12 e 13 'dell'esemplare, corretto sono il 9 e il 10 del paragrafo XI: De acceptione.
[172] Pius Papa IX benigne annuit tyrones, tempore secundâe probationis; experimentum facere posse de iis, quae in prima probatione sunt aduotata, quoties ad maiorem Dei gloriam id conferre iudicabitur. Vivae vocis oraculo die 8 aprilis 1874.
[173] Nell'altro diploma si legge “... in numerum sodalium cooptavit admoduni rev. virum JOANNEM Bosco, fund. et rect. Congregationis Salesianae”
[174] Cfr. Biografie dei Salesiani defunti negli anni 1885 - 86. S. Benigno Canavese, 1890. Tipografia e Libreria Salesiana. Pag. 72
[175] Nell'originale si legge Laghi; evidentemente, o non ricordava esattamente il nome, o non l’aveva compreso bene
[176] Cfr. Act., X, 38
[177] Nei mesi errati, non seder sopra gli erbati... Don Costamagna annotava. „Qui in America forse avrebbe detto: non erratis”
[178] Cfr. Mons. G. Costamagna: Lettere Confidenziali ai Direttori delle Case Salesiane sul Vicariato del Pacifico, Santiago, Escuela Tipografica Salesiana, 1901 pag. 109
[179] Due giochi animati (ai quali prendon parte molti giovani), che si ripetevano quotidianamente nell'Oratorio
[180] Cfr. op. cit., pag. 114.
[181] Nel Piemonte „far l’arte di sanrafael” significa saper raffare, rubare, rapire
[182] Le riferiamo dalla copia che Don Francesco Cuffia, Prefetto a Varazze, inviava a Don Bonetti, direttore del Collegio di Borgo S. Martino, nella quale dice di essersi sforzato di scriverla testualmente
[183] „... recita il Breviario pie attente ac devote”.
[184] “Studia di farti amare piuttosto che farti temere”; così nell'esemplare del 1886, mentre nella copia corretta da Don Bosco nel 1876 si legge chiaro: „se vuoi farti temere”.
[185] „... ma procura di rischiarare bene i fatti e di ascoltare anche le parti prima di giudicare...”
[186] „... nè mai introducano allievi od altri in camera loro”
[187] „Si vegli affinchè i Maestri non mandino mai allievi via di scuola ed ove vi fossero assolutamente costretti li facciano accompagnare al Superiore. Neppure percuotano mai per nessun motivo i negligenti o delinquenti”.
[188] „... non esercitino alcuna autorità sui loro allievi”.
[189] „Procura di distribuire le occupazioni in modo che tanto essi quanto i Maestri abbiano tempo e comodità di attendere ai loro studi”
[190] “... Fa' in modo che ogni mattina ecc.”
[191] “Procura di farti conoscere dagli allievi e di conoscere essi passando con loro tutto il tempo possibile, adoperandoti di dire all'orecchio qualche affettuosa parola ecc.”
[192] „... ma da' loro ampia libertà di confessarsi da altri se lo desiderano”.
[193] „Il Piccolo Clero, la Compagnia di S. Luigi, del SS. Sacramento, dell'Immacolata Concezione sieno raccomandate e promosse. Dimostra benevolenza e soddisfazione verso coloro che vi sono ascritti, ma tu ne sarai soltanto promotore, non Direttore, ecc.”.
[194] Nell'esemplare del 1875 seguiva questo °0 articolo:
„Le parti odiose e disciplinari siano per quanto è possibile affidate ad altri”.
Nell'esemplare del 1886 si pose quest'altro:
“Quando riesci a scoprire qualche grave mancanza, fa' chiamare il colpevole o sospettato tale in tua camera e nel modo più caritatevole procura di fargli dichiarare la colpa e il torto nell'averla commessa; di poi correggilo e invitalo ad aggiustar le cose di sua coscienza. Con questo mezzo e continuando all'allievo una benevola assistenza si ottennero de' maravigliosi effetti e delle emendazioni che sembravano impossibili”
[195] “Prestiamo volentieri l'opera nostra pel servizio religioso, per la predicazione, per celebrare Messe a comodità del pubblico, e ascoltare le confessioni, ecc.”.
[196] “Per cortesia siano talvolta invitati sacerdoti esterni per le predicazioni, ecc.”
[197] “Ma se vuoi che gli altri obbediscano a te, sii tu obbediente ai tuoi superiori”
[198] Qui venne aggiunto l'articolo seguente:
„6° Massima sollecitudine nel promovere con le parole e co’ fatti la vita comune”.
[199] “Non mai comandare cose che giudichi superiori alle forze dei subalterni, oppure prevedi di non essere ubbidito. Fa' in modo di evitare i comandi ripugnanti; anzi abbi massima cura di secondare le inclinazioni di ciascuno affidando di preferenza quegli uffizi che a taluno si conoscono di maggior gradimento”.
Nella copia, ove fu apposta dal Santo questa variante, non si legge:
“quegli uffizi che a taluno”, ma „quegli uffizi che a ciascuno si conoscono di maggior gradimento”
[200] „Si faccia economia in tutto, ma assolutamente in modo che agli ammalati nulla manchi”.
[201] „Questo è come TESTAMENTO che indirizzo ai Direttori delle Case Particolari. Se questi avvisi saranno messi in pratica, io muoio tranquillo, perchè sono sicuro che la nostra Società sarà ognor più fiorente in faccia agli uomini e benedetta dal Signore, e conseguirà il suo scopo, che è la maggior gloria di Dio e la salvezza delle anime”
[202] La formazione del Capitolo particolare dell'Oratorio si compì nel 1873
[203] Cfr. Capo IX, Governo interno della Società, Art. 6°
[204] Il chierico Luigi Rocca e il coadiutore Rossi Marcello, assistiti da Don Lemoyne e Don Pestarino
[205] Le stesse, quasi letteralmente vennero poi inserite nel Regolamento per le Case della Società di S. Francesco di Sales, pubblicato dalla Tipografia Salesiana nel 1877 (cfr. Capo XVI), e nelle Deliberazioni del Capitolo Generale della Pia Società Salesiana tenuto in Lanzo Torinese nel settembre 1877 (cfr. pag. 56)
[206] Vedasi l'invito fatto dall'Economo Generale in Appendice, N° 1.
[207] Ved. Bollettino Salesiano, agosto 1878, pag. 10
[208] Cfr. Appendice, N° 2
[209] Cfr. Appendice, N° 3
[210] Ecco gli altri tre appunti di Don Chiala:
Fine dell’uomo. - Dio ha posto nell'uomo il cuore, ch'è sempre, irrequieto, finchè non si rivolge a Dio... e come la punta della calamita, della bussola, sempre volge al nord. La nave può portarla, girarla come vuole; la calamita si volge sempre al polo; e più si va per altra via, e più essa segna che si va fuori dal retto cammino...
Eccellenza della vita religiosa. - L'imitazione di Cristo dice: O sacer status religiosi famulatus, qui hominem angelis reddit aequalem, Deo placabilem, daemonibus terribilem, et cunctis fidelibus commendabilem. Religioso equivale a martire... Facendo i voti, si redimono i peccati quanto a colpa e quanto a pena. S. Gio.
L'esempio. - G. C. coepit facere et docere. Ma se voi insegnate la mansuetudine, la mitezza, e poi chi vi conosce dice:” Ma, maestro, e come va che voi siete così impaziente, intollerante che, guai, se non vi si usano tutti i riguardi?. Predicate agli altri la mortificazione, e voi lungi dal praticarla, siete pieno di attenzioni pei vostri gusti, pei vostri comodi...”
[211] Cfr. Lettere Circolari di Don Bosco e di Don Rua ed altri loro scritti ai Salesiani. Torino, Tipografia Salesiana, 1896
[212] Cfr. vol. VIII, pag. 828
[213] Cfr. vol. IX, pag. 688
[214] Cfr. pag. 875
[215] Risale nettamente al sogno fatto dai nove ai dieci anni, nel quale conobbe, insieme col campo del suo apostolato, il sistema da seguire nell'educare e i mezzi per assicurarne la buona riuscita
[216] Dalla copia inviata all'Ottimo Signore, il sig. Don Michele Rua. Direttore dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, Torino
[217] Alle altre case venne inviata con qualche piccola variante. Ecco ad esempio, la copia indirizzata ai confratelli del Collegio di Lanzo:
A maggior gloria di Dio a decoro di Nostra Santa Religione a vantaggio della Società Salesiana il Direttore, il Prefetto, il Catechista del Collegio di Lanzo:
Sono invitati a prendere in considerazione e promuovere:
1° La Compagnia della SS. Vergine Immacolata, di cui debbono specialmente far parte gli aspiranti Salesiani.
2° Il piccolo Clero, servizio della S. Messa, la Compagnia di S. Luigi, del SS. Sacramento, e di San Giuseppe per gli Artigiani.
3° Mettere in opera i mezzi efficaci per impedire le critiche e le mormorazioni sull'andamento del Collegio e sulle disposizioni dei Superiori.
4° Vitto eguale per tutti i confratelli, massimo riguardo per gli ammalati.
5° A pranzo in via ordinaria una sola pietanza di carne; a cena pietanza mista.
6° Ogni giorno il Direttore passi un'ora nelle scuole ed un'altra in cucina. Il Prefetto ne passi almeno due visitando la cucina, i dormitorii e le altre parti della casa *. Al Catechista è affidata in modo speciale la cura della Cappella, della moralità e degli ammalati.
7° Si ricordi spesso che abbiamo il voto di povertà.
* NB. Intellige, visitare, avvisare, consigliare, dirigere il personale insegnante, assistente o lavorante. Nè si dimentichi il rendiconto mensile.
[218] Prov. III, I
[219] Ivi. IV, 4
[220] Ivi, IV, 11, 13
[221] Anche le prime e le seconde bozze delle Costituzioni approvate sono su pagine d'esame degli alunni dell'Oratorio, tra le quali una è di Francesco Varvello!
[222] Per la pulizia dei letti, e specialmente per preservarli dalle cimici d'estate, si è trovato un antidoto sicuro facendo una saponata ben sugosa con saponette odor d'amandorle e bagnando con un pennello le parti del letto infestate da quegl'insetti
[223] La Madonna di Foligno o della pietà è opera del celebre Raffaele Sanzio nato in Urbino nel 1483 e morto in Roma in età di soli anni 37 nel 1520. Questo dipinto rappresenta nel modo più espressivo e vivace la Santa Vergine sulle nubi circondata da una schiera di angeli. Più in basso àvvi un S. Giovanni, un S. Francesco d'Assisi, un S. Girolamo e nel centro un graziosissimo Bambino, che scherza col manto della sua Madre Celeste. L'originale di questo meraviglioso lavoro è nella galleria del Vaticano, il tempo lo fece alquanto scolorire. La copia migliore si giudica essere quella che qui si offre pel primo premio; e che un perito dell'arte giudicò del valore non inferiore a franchi 4000
[224] Nella circolare ristampata apponeva altre specificazioni nell'avviso che si leggeva in fine.
„4. Così pure è fatta facoltà ai sacerdoti di contraccambiare il costo dei biglietti con celebrazioni di messe a conto di quest'Ospizio - Oratorio. L'elemosina per ciascuna Messa sarebbe di L. 0, 80.
” Dopo l'estrazione dei premi le sarà spedita la nota dei numeri vincitori. Nella stessa occasione le saranno comunicati alcuni favori spirituali che il Sommo Pontefice con grande bontà ha concesso a tutti quelli che prendono parte a quest'opera di beneficenza”
[225] Cfr. Parte I, pag. 65
[226] Cfr. Appendice, N° 1.
[227] Cfr. il fascicolo: Maria Ausiliatrice col racconto di alcune grazie, pag. 167
[228] Cfr. Parte 1, 5) Un dono singolare, n. 13
[229] Ved. Appendice, N° II
[230] Locutus est non placentia, sed vera, non ad fabulas exponendas, sed ad veritatem confirmandam, et erudivit multos in semitis justitiae. Deus benedicat illum et protegat. Pius PP. IX
[231] Il Servo di Dio Don Luigi Guanella da qualche anno vagheggiava il proposito di farsi religioso e salesiano
[232] Ved. Appendice, N° III.
[233] Ved. Parte VIII, § 4, pag. 1031
[234] Cfr. Vita di Eugenio Ricci della Compagnia di Gesù, scritta da un Padre della medesima Compagnia. Torino, Tipografia di Giuseppe Speirani e Figli, 1871. Pag. 13 - 15
[235] Ivi, pag. 204 - 5
[236] Cfr. Parte VIII: Maestro e Padre, § 10
[237] Cfr. la deposizione di Don Rua nel Processo Informativo
[238] Ved. Appendice, N° IV
[239] Cfr. Bollettino Salesiano, maggio 1882
[240] Il Teologo Borel
[241] Giovanni: nome d'origine ebraica che significa grazia, dono di Dio
[242] Riportiamo in Appendice N. I, il promemoria del Santo, in cui accenna tale domanda
[243] Cfr. pag. 597 o pag. 1211
[244] Ecco l'elenco esatto, scritto da Don Berto, di tutti gli ascritti all'Accademia Arcadica:
D. BOSCO GIOVANNI = Clistene Cassiopeo.
D. BONETTI GIOVANNI = Geriseo Temidense.
D. CAGLIERO GIOVANNI = Egisco Sponadico.
D. DURANDO CELESTINO = Mirbauro Ascreo.
D. RUA MICHELE = Tindaro Stinfalico.
D. ALBERA PAOLO = Vatilio Driopeo.
D. LEMOYNE GIANBATTISTA = Ersindo Geresteo.
D. CERUTTI FRANCESCO = Mirtale Amicleo.
D. DALMAZZO FRANCESCO = Celauro Grineo.
D. FRANCESIA GIO. BATTISTA = Nigazio Pirgense.
D. BERTELLO GIUSEPPE = Podarce Pleuronio.
D. RONCHAIL GIUSEPPE = Elcippo Corintio.
D. GUIDAZIO PIETRO = Fidamante Alfeiano.
D. BARBERIS GIULIO = Melisso Larisseo.
D.TAMIETTI GIOVANNI = Nastone Efesio.
D.VOTA DOMENICO = Arctaone Eubeo.
D. DAGHERO GIUSEPPE = Anceo Pallanzio.
D. ROSSI FRANCESCO = Etilo Ortigio.
D.MONATERI GIUSEPPE = Licofonte Macaondo.
D. SCAPPINI GIUSEPPE LUIGI = Almindo Cidonio.
D. GARINO GIO. BATTISTA = Fidippo Cidonio
D. BORIO ERMINIO = Agastene Pelopideo.
[245] Ved. Appendice N° II
[246] Ved. Appendice N° III
[247] Riguardo alle sedici nostre case si ricordi la numerazione fatta nel documento inserito nella Positio per l'esame d'approvazione delle Costituzioni. Ved. Pag. 946
[248] Cfr. Memorie Biografiche, vol. VI, pag. 913.
[249] Cfr. pag. 53
[250] Evidentemente il sogno avvenne nel 1871
[251] Cfr. il documento, sotto vari punti interessante, che riportiamo integralmente in Appendice, N° IV
[252] Ved. Appendice. N° V
[253] Ricordiamo di aver visto noi stessi uno dei vecchi atlanti esaminati da Don Bosco, nel quale si leggevano, nell'ultimo tratto dell’America Meridionale, le parole: - Patagonum regio, in qua incolae sunt gigantes
[254] Cfr. Bollettino Salesiano, settembre 1878
[255] Ved. Appendice, N° VI
[256] Ved. Appendice, N° VII
[257] Giovanni Maria Mastai Ferretti nel 1824 fu nel Chile, come Uditore del Delegato Apostolico, Mons. Muzzi
[258] La Società o Congregazione di S. Francesco di Sales fu dalla Santità di Pio IX approvata il I° Marzo 1869
[259] La Congregazione di S. Francesco di Sales a questo uopo tiene aperto l'Ospizio di Torino, l'Ospizio di S. Pier d'Arena, il Collegio di Lanzo, di Valsalice, di Borgo S. Martino, di Varazze, di Alassio e gli Oratori della città di Torino
[260] La Congregazione Salesiana si adopera in molti modi per diffondere buoni libri, specialmente colle sue pubblicazioni mensili, nota una col titolo di Letture Cattoliche, l'altra di Biblioteca di classici italiani per la gioventù
[261] Quelli che sono fuori di Torino scriveranno il nome del paese dove dimorano
[262] Ved. il fascicolo Maria Ausiliatrice col racconto di alcune grazie, pag. 296
[263] Prima si leggeva: „... al sig. T. Borelli Gioanni, attualmente Rettore della pia Opera del Rifugio; e qualora all'epoca della mia morte il prefato T. Borelli non fosse più in vita, istituisco erede in sua vece il giovane Rua Michele, ecc.”
[264] „... conchè Margherita Occhiena, mia amatissima madre, ne sia usufruttuaria, sua vita mortale durante”
[265] Seguivano queste righe: “Raccomando poi caldamente a tutti i miei eredi di usare bontà e riguardo a mia madre e qualora essa non trovasse più sue convenienze a vivere nella casa dell'Oratorio, gli eredi di questa casa le daranno una camera mobiliata e franchi trecento annui durante sua vita”
[266] Cfr. l'opuscolo: II Mars 1894 - Noces d'or de la Société de Saint - Vincent - de - Paul à Nice. - 1844 - 1894
[267] Cfr. il fascicolo: Inaugurazione del Patronato di S. Pietro in Nizza a Mare e scopo del medesimo esposto dal Sacerdote Giovanni Bosco, con appendice sul sistema preventivo nella educazione della gioventù. - Torino, Tip. e Libr. Salesiana, 1877
[268] Il Barone Héraud e l'Avvocato Ernesto Michel
[269] Si allude all'Oratorio di S. Francesco di Sales dove sono raccolti circa 900 poveri giovanetti destinati a diversi mestieri, a, diversi rami di studio secondo le varie propensioni e capacità
[270] Ved. Appendice, N° VIII: una lettera a G. Canale
[271] Ved. Appendice, N° VIII: una lettera a Don Cerruti
[272] Ved. Appendice, N° IX
[273] Chierico Cinzano Giovanni, notava Don Rua in una copia dell'inno, per cui anche quello riportato a pag. 1228, avendo le stesse iniziali, si può ritenere del medesimo chierico
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